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Thursday, June 26, 2025

GRICE ITALO A-Z PE

 

Luigi Speranza -- Grice e Peano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il deutero-esperanto di Grice --  formalisti ed informalisti – modernisti e neotradizionalisti – la riforma della lingua d’Italia -- la scuola di Spinetta di Cuneo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Spinetta di Cuneo). Filosofo italiano. Spinetta di Cuneo, Piemonte. Peano citato da Croce nella “Logica, o della sicenza del concetto”. L’unico italiano citato da nome da Croce nella Logica. La polemica Croce e il logicismo. Croce, Peano, e la lingua universal – Per che la lingua d’Italia non e formale per Croce. Grice: “My type of philosopher; he quotes from Breal, Mueller – I wish I could!” Spinetta di Cuneo, Piemonte. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian philosopher. Linceo. P. Fa la sua comparsa una delle proposte di lingua internazionale inventata d’italiani che conosce più risonanza, il latino sine flexione di Peano, presentato nella Revue de Mathématique -- La Revue de Mathématique è creata dallo stesso P. Egli, assieme a molti altri filosofi, vi pubblica  propri studi e ricerche sulla logica e sulla storia della matematica. Il suo creatore non è in realtà un linguista o un esperto di lettere - sebbene partecipa più volte a dei congressi dove vienneno discussi problemi, oltre che di matematica, anche di filosofia, didattica e linguistica - ma, come per altri filosofi, i suoi interessi principali sono la matematica e la geometria. Dopo frequentare il liceo classico a Torino, s’iscrive al corso di laurea di matematica e nello stesso anno in cui consegue la laurea comincia ad insegnare presso Torino alla cattedre di algebra, geometria analitica, e calcolo infinitesimale. Le sue scoperte in ambito scientifico gli valgeno importanti riconoscimenti, la partecipazione a numerose accademie, come quella dei Lincei, e gli permetteno di mantenere frequenti contatti con i massimi esponenti del  campo della ricerca matematica. Proprio per questo, egli intrattenne numerosi carteggi con gli altri filosofi, ed è perciò incentivato all'apprendimento delle lingue straniere. Nonostante la lingua latina avesse smesso d’essere la lingua internazionale delle scienze, P., che crede ancora fortemente nella sua internazionalità pubblica i suoi studi sui concetti primitivi di zero, numero e successore, intitolati “Arithmetices Principia”, proprio in latino – Grice: “Whereas the only Latin Whitehead and Russell had allowed them to play with PRINCIPIA in the title one – Moore was worse with his Principia ethica! -- . P. si dedica similmente alla stesura di una imponente enciclopedia di concetti e teorie matematiche, il FORMOLARIO, di cui furono stampate cinque edizioni, la prima delle quali in francese e l'ultima proprio nella lingua internazionale da lui  elaborata, il Latino sine flexione. Le informazioni biografiche sono tratte da treccani.it/enciclopedia Dizionario Biografico, cur. Roero.  Eco, La ricerca della lingua perfetta in Italia, Roma-Bari, Laterza. P., Vocabulario de latino Internationale comparato cum anglo, franco (o gallo), germano, italo, russo, Greaco et sanscrito, Torino, Cooperativa. L'esigenza di creare una lingua internazionale deve essere nata in P. proprio in risposta alla necessità di comunicare in maniera precisa e veloce con quanti più studiosi e colleghi di ogni nazione. Ma l’evento che da il via alla composizione pratica di questa lingua è probabilmente la pubblicazione, avvenuta qualche anno prima e curata da Couturat, di frammenti inediti di Leibniz, nei quali il filosofo tedesco discute intorno all'istituzione di una lingua universale. La scelta, ricadde sul latino, sul quale egli opera una minuziosa opera di semplificazione, su esempio anche della lingua immaginata prima da Leibniz, che prevede una drastica regolarizzazione e semplificazione della grammatica, con una sola declinazione e una sola coniugazione, l'abolizione dei generi e del numero, l'identificazione d’aggettivo e avverbio, la riduzione dei verbi a copula + aggettivo (“... is shaggy” – Grice), e come rivela nelle parole di apertura del vocabulario de latino inter-nationale, quando dice «In scriptio precedente "De latino sine flexione", me explica idea de Leibniz, que declinatione et conjugazione non es  necessario. L'uso della lingua inventata allora, evidentemente a posteriori, è indirizzata alla comunità scientifica - la quale si suppone avesse già delle discrete basi della lingua antica. Così P. ne parla in un altro articolo. La differenza fra questa nuova applicazione e le precedenti è che mentre in matematica le idee sono precise, e le uguaglianze esatte, qui invece le idee o parole su cui si opera sono un po’elastiche, e l’uguaglianze sono solo approssimate. Quindi sostituendo l'uno all'altro membro dell'eguaglianza, spesso si trascura il COLORE (implicatura, Farbung) della frase. Ma ciò è un vantaggio nel linguaggio  scientifico – formale: Grice: formalists ad informalists --, che tende al massimo di semplicità. Vedasi l'articolo Il latino quale lingua ausiliare internazionale di P., wikisource.org/wiki/Il_latino-quale_lingua_ausiliare_internazionale. Sulla base di studi compiuti su altre lingue moderne, P. decide d’eliminare una buona parte del lessico latino dal vocabolario della sua lingua, così come avevano già fatto altre lingue romanze 9000 nomen, 1700 adjectivo, et 2500 verbo Latino es mortuo in Franco. Ergo lingua moderno ignora numero enorme de voce de latino classico.  P, Vocabulario de latino Internationale comparato cum Anglo, Franco, Germano, Hispano, Italo, Russo, Graeco et Sanscrito. I casi nel latino sine flexione si esprimono solamente mediante l'uso di preposizioni, così com'è al giorno d'oggi per le lingue romanze, e non solo. In particolare si indica. Il genitivo con la preposizione DE. Il dativo con AD. L’ablativo con AB, ex, ecc. L’accusativo si desume dalla sintassi, secondo l'ordine SVO (nominativo-verbo- accusativo – PARIDE AMA ELENA) o secondo la costruzione qui (accusativo)-nominativo-verbo. Il nominativo non prevede l'uso di preposizioni. I nomi si desumono talvolta dal nominativo, talvolta dal genitivo, applicando le seguenti regole. Mantenendo la forma del nominativo (per esempio nel caso di parole di terza declinazione come il lat. MATER > «mater», o il lat. NOMEN > «nomen»); dal nominativo mutando le desinenze -US, -UM, -U, -ES (per esempio il latino classico LUPUS, BELLUM, CORNU, DIES) in «-o, -o, -o, -e» (in latino sine flexione «lupO, bellO, cornO, diE»). Dal genitivo, cambiando la desinenza -i in -o e -is in -e (es. lat. URBS > Lat. s.fl. «urbe»). La conseguenza di questo tipo di semplificazione è la ri-unione di tutte le parole sotto un unico caso, l'ablativo. I pronomi personali sono: me, te, is (ea, id), nos, vos, iis (eae, eos). I pronomi dimostrativi sono isto e illo. Il pronome relativo è ‘que.’ I pronomi indefiniti sono: omni, ullo, nullo, alio, multo,  e pauco (cf. Grice on Altham pleonetetic – Geach). Come sostene Leibniz, la categoria del genere non ha senso in una lingua razionale, poiché i referenti inanimati di per sé non hanno genere. P. decide di indicare il genere, per i soli referenti animati, con le parole «mas» e «femina» (ad esempio al posto di lat. MATER EST BONA P. preferisce le forme indeclinabili «mater est femina bono. Ma poiché nell'idea di 'madre' è già contenuta l'idea del femminile, è sufficiente «mater est bono. Cf. Bachelor is bona – Grice/Strawson, In defense of a dogma. Il femminile si mantiene  poi nel caso dei pronomi personali «is, ea, id» (es. «ea est bono»). Come per il genere, anche il numero non è marcato morfologicamente. Per indicare il singolare e plurale è sufficiente apporre «uno» e «plure» (ad esempio la frase latina UNUM OS HABEMUS ET DUAS AURES [it. 'abbiamo una bocca e due orecchie'] in Latino sine flexione diviene «habemus uno uno ore et plure duo aure», che semplificato - visto che nell'idea di 'due' è già  contenuta quella di 'plurimo' - appare «habemus uno ore et duo aure». Ai verbi devono essere omesse le desinenze di persona, modo e quasi sempre del tempo. La forma del verbo deve essere scelta dalla sua forma all'imperativo (del tipo lat. EGO CURRO > Lat. s. fl.  «me curre»). Per comporre la forma dell'infinito è sufficiente aggiungere il suffisso -re alle forme dell'imperativo (del tipo «curre» > «currere») e allo stesso modo si formano anche le forme del passivo (es. sul verbo latino AMARE si ha la forma indeclinabile ama, il cui infinito e passivo sono “amare.” Così al presente attivo si ha «me AMA te – PARIDE AMA ELENA» e al presente PASSIVO «me AMARE te; ELENA AMARE PARIDE. Vi sono alcuni casi particolari. Solo nel caso dei verbi es, pote, vol, e fi, le forme INFINITE sono «esse, posse, volle, e fieri». I verbi deponenti vengono trasformati in attivi per limitare le irregolarità. Per esprimere i tempi si aggiungono locuzioni come «heri, jam, in passato, nunc, cras, in futuro, vol,  debe», ecc. Esempi:  lat. EGO SCRIBO > «me (nunc) scribe»; lat. VOS LEGITIS > «vos lege»; lat. NOS AUDIVERAMUS > «nos IN PASSATO aude». Per indicare la funzione del verbo (modo) si usano le particelle si, ut, quod, ecc. e alcune perifrasi.  Esempi:  lat. LAUDANDO > «dum lauda»; lat. LAUDATO > «qui aliquo lauda»; lat. LAUDATURO > «qui lauda IN FUTURO». P. spiega anche come si compone il vocabolario o LESSICO del Latino sine flexione. Ogni nome e verbo deve essere invariabile. Devono essere presenti anche i vocaboli internazionali - scientitici - come «dyne, metro» ecc. I vocaboli possono essere scelti non solo dal latino classico ma anche da quello che egli identifica come latino popolare, ovvero diremmo oggi le lingue romanze o i volgari, qualora questo esista in almeno due di questi (come ad esempio caballus. La derivazione e la composizione dei vocaboli devono essere ridotte al modo seguente. I diminutivi si ottengono preponendo la parola «parvo» [it. 'piccolo/minuto']. I sostantivi astratti derivati da aggettivi sono sostituiti dagli aggettivi. Così il lat. ALTITUDO > «alto», il lat. BONITAS > «bono.Gl’aggettivi che derivano da sostantivi sono sostituiti dal sostantivo al genitivo. Così il lat. AUREO > «DE oro», il lat. ROMANO > «DE Roma. I sostantivi astratti derivati da verbi sono sostituiti dai verbi. Così il lat. VIVERE EST COGITATIO > «vive es cogita»; e. i sostantivi che esprimono colui che fa l'azione sono sostituiti da perifrasi. Così il lat. LAUDATORE > «qui lauda», allo stesso modo degli aggettivi derivanti da verbi, così il lat. ERRABUNDO > «qui saepe erra». Gl’avverbi derivati d’aggettivi valgono tanto come aggettivi quanto come avverbi.  Così il lat. BREVI > «brevi», it. 'brevemente/breve.’ Per esprimere opposizione è sufficiente apporre il prefisso ne- (su analogia con le forme latine SCIO/NESCIO, FASTUM/NEFASTUM, ecc. Così il lat. DIFFICILE > «ne-facile», ABNORMALE > «ne-normale». In alcuni casi è possibile utilizzare  anche la preposizione «ab» Le informazioni sono tratte dalla trascrizione del saggio di P., De latino sine flexione. Lingua auxiliare internationale,gutenberg. Nonostante il latino sine flexione sia stato pensato come lingue di comunicazione scritta, l'autore dà anche qualche informazione sulla sua pronuncia, che è simile a quella dell'italiano,  ma non in tutti i casi: c  k t  t  th ph  f  ch  X  h  h  rh qu  ku  P. sul finire del suo saggio asserisce che l'adozione di una lingua storico naturale come lingua internazionale è improponibile per via dei suoi risvolti politici. Così si spiega la sceltadel latino, lingua antica e ormai lingua di nessuno stato particolare e, se vogliamo, perfetta  proprio perché senza esercito. A sostegno della sua tesi riporta gli studi di altri filosofi che nel tempo hanno avanzato proposte simili alle sue, tra i quali compaiono i lavori di Lullo, Kircher, Dalgarno, Wilkins, Leibniz e decisamente più recenti, quelli di ROSA (si veda), Zamenhof, Schleyer, Couturat e Leau (Histoire de la langue  universelle). P. da mostra di conoscere la storia delle proposte di lingua universale anche nel suo saggio  Il latino quale lingua ausiliare internazionale, Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, dove elenca le tipologie di proposte che sono state avanzate per risolvere il problema della confusione linguistica, quasi babelica, e in particolare si sofferma sulle due principali correnti dei suoi tempi: chi propone una semplificazione del latino e chi propone la creazione di una lingua internazionale a partire dal lessico internazionale. Ma poiché le parole facenti parte del lessico internazionale sono quasi tutte di origine latina – cf. Hare: dictor/dictum, Grice, implicatura, Strawson: prae-positio, Austin, per-forma --, P. ritiene più sensato ricorrere alla prima tipologia proposta, quella a cui in effetti è da ricondursi  anche il progetto del latino sine flexione.Vedasi P.wikisource.org/wiki/11 latino-quale lingua ausiliare_ internazionale. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i popoli. Nonostante sia stata utilizzata in più occasioni e sia tra le lingue ausiliarie internazionali italiane che conosceno più fortuna, la lingua di P. non raggiunse mai la fama e la diffusione d'uso che in vari momenti raggiunsero altre LAI, come ad esempio l'esperanto – se non, tra i griciani, il deutero-esperanto.  Ad ogni modo, rimane indubbia la qualità del progetto di P.: un filosofo che vede nella parola un'unità semplice e combinabile, indeclinabile, capace di esprimere il mondo in maniera esatta, così come fanno i numeri. Sua è infatti la citazione, parecchie equazioni logiche sono nello stesso tempo equazioni etimologiche. wikisource.org/wiki/il_latino_quale_lingua_ausiliare_internazionale, la lingua di P. si limita a giustapporre, a comporre i suoi elementi invariabili secondo un ordine logico, eliminando gl’imbarazzi della grammatica latina classica. P. divenne presidente dell’Accademia internazionale di lingua universale, e la ri-nomina Academia pro Interlingua. L'accademia nasce sotto la presidenza di Kirchhoff con il nome d’accademia internazionale di VOLAPÜK. I suoi membri potevano utilizzare la lingua a loro più congeniale e intorno ad essa orbitarono esponenti dei più prestigiosi progetti di lingue ausiliarie internazionali. L'accademia pubblica la proposta di una nuova lingua universale di base latina con il nome, appunto, d’inter-lingua, sotto la quale si cela il latino sine flexione del suo presidente, con qualche leggera modifica (come ad esempio l'uso della desinenza -s per indicare  il plurale). P.’s postulates, also called P, axioms, a list of assumptions from which the integers can be defined from some initial integer, equality, and successorship, and usually seen as defining progressions. The P. postulates for arithmetic are produced by P. He takes the set N of integers with a first term 1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1 belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways P.’s formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are now detached. It was realized by P. himself that the postulates specified progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them, with suitable interpretations of the properties. But his work was significant in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of mathematics. In addition, with Veblen, Skolem, and others, this insight led in the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’ in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable alternative models of the postulates. These procedures were of great significance also to model theory, in highlighting the property of the non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard analysis” of Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo P. e Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino, divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal 1890.  Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché "più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle sessioni di esame".  Ricordi del grande matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal socialista  Lerda.  Morì nella sua casa di campagna a Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella notte.  Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Vailati, Castellano, Burali-Forti, Padoa, Vacca, Pieri e Boggio. Peano precisa la definizione del limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie -- la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale -- mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.  Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Jordan (curva secondo Jordan).  Fu anche uno dei padri del calcolo vettoriale insieme a Levi-Civita. Dimostra importanti proprietà delle equazioni differenziali ordinarie e idea un metodo di integrazione per successive approssimazioni.  Sviluppa il Formulario mathematico, scritto dapprima in francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiama il suo latino sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte dimostrate. Da un eccezionale contributo alla logica delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Da una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi assiomi di P. che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi.  I contributi di Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri furono osservati con molta attenzione da Vailati, il quale sintetizzava in Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e anche specifica gli interessi di storia della scienza, allargando la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo P. ha dei contatti molto stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Rinzivillo, P., Vailati. Contributi invisibili in Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia” (Roma Nuova Cultura). Ha ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. E affascinato dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppa il "latino sine flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua e concepita per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari, applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra quelli principalmente di origine latina rimasti in uso nell’italiano. Uno dei grandi meriti della sua opera sta nella ricerca della chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo di appartenenza (“x A”) e il quantificatore esistenziale "".  Tutta l'opera di P. verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo di una notazione sintetica, base del progetto del Formulario, fino alla definizione del latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità lo portano P. ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e verificare di persona i tipi per la “Rivista di Matematica” da lui diretta e per le altre pubblicazioni. Raccolge una serie di note per le tipografie relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide  P. è stato battezzato così in suo onore.  Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,); “Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale” (Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti” (Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli, Bologna); Celebrazione, Luciano e Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).  L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino, Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe.  Assiomi di P., Glottoteta, Lingua artificiale, Matematica, Latino sine flexion, Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna  Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E P. stregò Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads Russell to consider the sole denoting concept which presupposes uniqueness -- "the.” Russell admits the great importance of this term, recognizes the merit of P.'s notation, and attributes to P. the capacity to make possible genuine mathematical definitions defining terms which are not concepts, the meaning of a word with its indication-reference and the meaning of a denoting concept with its denotation. P. does something more than provide the standard notation. The pre-eminence of a description over other forms of denotation is definitive. The notation for a description is inspired in the Peanesque symbolism (i.e. "laeb"). Membership to a class is replaced by a propositional function (i.e. (l£)(<I>X)). A propositional function is explained as a certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p. Perhaps most interestingly for us is the insistence on the indefinability of "the" – P.'s inverted iota is already used -- together with the notion of denotation. The article, as published, adds the expression of the main definition in terms of propositional functions together with the previous manuscript definition in P.'s terms of existence and uniqueness, albeit if not in symbolic form. The two essential definitions are Principia, * 14.01.02: . \jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b ) : 4 > x . =• . x = b. This expresses the conditions of existence and uniqueness essentially with P.’s resources, i.e., in terms of quantification and identity, although adding propositional functions. P. has different vresources to eliminate the definite article – his inverted iota -- from a proposition. P. actually recommends this line in cases where the required conditions of existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition in use. The descriptor is by no means indefinable in his system.  Russell:  "I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but P. gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as Russell maintains in Principia, following P., that a definition is to be always nominal, the definienda is only an abbreviation. Russell formulates his principle to preserve the admissible part of Bradley’s analysis -- (his methodological and analytical resourses -- and almost the entire Moore, in so far as they were compatible with the requirements of Peano's logic. Some of the mostti mportant ideas and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already present in essays Peano that Russell knows well. We may proceed by a detailed comparison between the relevant parts of Russells theory -- including manuscripts now published-and some of Frege and, . . ht as well as a discussion of numerous possible obJectlons that P.’s mSig s, . . fl db could be posed to the main claim. Even if Russell was not actually influenced by those insights, the parallelisma are close enough to be worth analyzig, especially in the case of P., whose writings are not very well known.  (r) can be clearly found in Frege and Peano, that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explicitly-including the symbolic expression by P.. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN P.. The source in P. of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap. 3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for the unit class, and the same letter inverted (1), or denied ("fa), for the only member of thiS class, i. e., the definite article of ordinary language. P.'s ideas evolved in three stages towards greater precision in the treatment of a description. This last P. starts from the definition in terms of the unit class. He then adds a series of possible definitions (the ones allowing an alternative logic al order), one of which offers this equivalence. P. introduces his fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its members are identical. In P.’s symbols, tx =ye (y =x). Likewise, P. defines indirectly the.unique member of such a class: x = "fa • = • a = tx. However, concerning the definability of the definite article, P. adds the crucial idea that any proposition containing “the” can be reduced to. the for,? ta eb, and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class (a ~ b), which already supposes the elimination of the symbol t: Thus, P. says, we can avoid an identity whose first member contams thiS symbol. Here we find the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between P. and Russell's treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while, for Peano, a description combines a class abstract with the inverse of the umt class operator, for Russell the free use of class abstracts is not available due to the discovery of paradoxes. P. does not explicitly state that the mentioned expression would be meaningless, but rather "nous ne donnons pas de signification a ce symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient plusieurs individus.” But this is equivalent in practice, given that if we do not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. There are, however, other ways of eliminating the same symbols according to P.. One which is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc b(ibid).   class (a) such that it belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element such that this element is a member of that class (b). In other words: "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class"). This seems to be equivalent to Russell's definition. P., of course, speaks in terms of classes instead of a propositional function, i. e., in terms of the property or the predicate, which define a class – P. often read the membership symbol as "is" -- which expresses the same idea in a way where any reference to the letter iota has been eliminated. We can read now "the only member of a belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlies the definition, although P., in lacking a specifically explicit philosophical goals, shows no interest in making this point. Peano is totally aware of the importance of this device as a way to reduce the definite article to more primitive logical concepts, i.e. to eliminate it, as a result of which the symbol would cease to be primitive. That is why P. adds that the above definitions "expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus Ie signe 1; puisque toute P contenant le signe 1a est reductible a la forme 1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P.” Therefore, the general belief according to which the symbol "1" was necessarily primitive and indefinable for P. is wrong. By pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class in terms of the existence and identity of all of their members (i.e. uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory, let us consider possible objections against this rather strong claim. All of these objections are either misconceptions or simply have no force with regard to P.’s main claim. This is why"a"is equal to the expression ''tx'' (in the second member). The objection could still be maintained by insisting that since"a" can be read as "the unit class", P. did not really achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as it is shown through the occurrence of these words in some of the readings proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the definition only states the meaning of the symbols which are used in the second member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class", which has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not been really eliminated. The answer is very simple: for P. there were at least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota (in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather complicated expressions,14 and given P.'s usual way of working (which can be First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above. Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can interpret the definition as stating that "la Eb" is only an abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement of"a" and"b" as being classes, and the final entire definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) • X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}] •XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely nominal definition, i.e. a convenient abbreviation.  characterized as the constant search for shorter and more convenient formulas), it is quite understandable that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary, for the symbolic expression above was already enough to obtain the full elimination of the descriptor. We must not forget that the important thing is not the intu- itive and superficial similarity between the symbols "la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit class", but the conditions under which these expressions have been introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the hypothesis from above for another example). But this by no means involves confusion with i~clusion,as. it is shown by the fact that P. soon added four defimte properties precisely distinguishing both notions, which made it po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions; it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the received view on P., according to which his logic not only falls s~ort ofstrict logical standards, but also contains some import- ant confuSions here and there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken. (Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by Russell himself, who always thought of P. and his school as being strangely free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that P. confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho introduced the distinction through his symbol "e" (previously to, and therefore independently of, Frege). If the objection means (which is rather unlikely) that P. would admit the symbol for membership as taking place between two classes, it is true that this was the case when he used it to indicate the meaning of some symbols, but only through the reading "is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense only before individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular symbols we use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have to. be read as "the class consti- tuted by ...", and" la" as "the only member of a". Therefore, although P., to my knowledge, never used "lX" (probably because he always which could be read as " 'a and b being classes, "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) 'there is at least one a such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that y =. x', and (ii) x belongs to b,where both the letter Iota and the words the unit class" have disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known similar example in the apparent vicious circle of Frege's famous definition ofnumber. the reply to objection (1). There are other, minor objections as well. Second, "la" does notstand for the singleton class. P. stated with thought in terms of classes), had he done so its meaning, of course, would have been exactly the same as "la", with no confusion at all. Third, "a" stands for a class because it is so stated in the hypothesis, although it can represent an individual when preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here P.'s habit could perhaps be better understood by mterpretmg it in terms of propositional functions, and then by seeing" la" as being somewhat similar to <!>x, no matter what reasons ofconvenience led him to prefer symbols generally used for classes ("a" instead of"x"). There is little doubt that this makes a difference with Russell. It could even be said that while, for Peano, the inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads us to a new term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an "incomplete symbol". I am not sure about P.'s answer to this, but at any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant point of similarity again can be found in P.. Last, there is no problem when we join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in the interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems, "a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant, no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by P. himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f clarity between the several senses o f "existence" (or related differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in P. and Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a little the role of ".3" in P. . (5) P. could hardly have thought that he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the symbol and his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only additional reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining ofa symbol in a system in cases where the symbol can be defined, i.e. eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the descriptor after its elimination by means of his theory of descriptions.) But, as we have seen, there is no doubt P. thought that the descriptor could easily be eliminated from propositions. (4) Russell rejected definitions under hypothesis, therefore he would have rejected the Peanian definition of the descriptor. Of course, we must admit that Russell (like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this took place especially in the context of the unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself used this kind of definition for a long period once he mastered P.'s system. It was because he interpreted these definitions as P. did, i.e. merely as -a device for fixing the meaning of the letters used in the relevant symbolic expressions. Thus, when for instance one reads, after whatever symbolic definition, things like" 'x' being ..." or" 'y' being ...", this would really be a definition under hypothesis, but, of course, only because the meaning of the sym- bols used always has to be determined somehow. Anyway, there is no point in continuing the discussion ofthis objection, given that it is hard- ly relevant to my main claim. Even if P.'s original elimination of the descriptor does not work because of its taking place in the framework of a merely conditional definition, the force of his original insight could well have influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself (6) The reduction mentioned, even if it really took place, was by no means followed by the philosophical framework which made Russell's theory of descriptions one of the most important logical successes of the century. Thus, P. did not realize the importance of the elimination. This last point can hardly be denied, but P.'s goals were very different from Russell's, so I think that to point out a "lack" like this makeslittle sense from a historical point ofview. 16 I would like to recall here that it was P. himselfwho discovered the distinction between bound and free variables (which he respectively called "apparent" and "real"), and probably-and independently of Frege-also the existential and universal quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both achievements). Quine wrote that "1" was a primitive and indefin- able idea in P. However, now that we have exchanged several letters concerning an earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His letter to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy to get straight on P. on descriptions. I checked your reference and I fully agree. P. deserves all the credit for it that has been heaped on Russell (except perhaps for Russell's elaboration of the philosophical lesson of contextual definition)". As for the sense in which the philosophical consequences of the elimination of the descriptor were not very important for P., I have faced the problem in my reply to an objection. And also in previous stages, through the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon propositions, with no classes and no propositional functions. . For according to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context of the clas~ from which that class is a member, at least to the extent that the class a is included in the class b, although this supposes no confusion between membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2) above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec- tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of the descriptor was present in P. with essentially the same symbolic resources as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of this paper: P. clearly stated the conditions of existence and uniqueness as providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough symbolic techniques for dispensing with it, including those required for constructinga definition in use. We have a few relevant passages, but the clearest one occurs. There we can read that" Ta" is meaningless if the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the third claim was made by P.. Perhaps under certain different interpretations of P.'s devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to P. and Russell, it is important to know that P. had these resources at his disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the heritage from P. in a clearer way if we compare the definition with the version for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now to one of Russell's manuscripts, "On Fundamentals. First, we find there a definition stated in terms similar to P.'s, and with almost exactly the same symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and P., including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones that Russell had studied in detail before his own theory was formulated. Second, the later improvement of this definition is precisely in the sense of making clearer that, although the method of the propositional function was preferable to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from P. -- according to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the context of a class (which in Russell became the form of a propositional function), appears here. Benacerraf, and Putnam, Philosophy of Mathematics  (Cambridge). The first appearance of Russell's definition, under the form which was adopted as final, took place, not in "On Denoting", but in a letter to Jourdain: According to that, all other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence, for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the eliminative construction of the definite article, which was a result of the new semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin). As for Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism.  In fact, Bacher describes mathematical objects as "mere symbols" and he advises Russell to follow this line of work in a letter (only two months before Russell's key idea): "the 'class as one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by Lackey [Russell). Finally, for MacColl it is necessary to mention his essay where he spoke of "symbolic universes", which include things like round squares, and also spoke of "symbolic existence". Russell pub- lished his essay as a direct response to this author, and there we can see some conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving peculiar cases in a Fregean context. I agree with Grattan-Guinness that MacColl was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal communication), but I have no room here to devote to the matter. There is, however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On 'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness  Substitution"  written with only slight symbolic differences. I am indebted to Landini for the historical point. 'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed. U. Cassina, Roma: Cremonese, Studii di logica matematica". Repr. Logique mathematique. Repr. Analisi della teoria dei vettori, repr. Formules de logique mathematique. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA   BOLOGNA. Una questione grammatica RAZIONALE, speculativa, filosofica – morfo-sintattica, semantica, prammatica. STftBILIMEMro iJOLICiKMNCO EMILIHMO BOLOarifì. Discorso. UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA RAZIONALE. Leibniz, nel suo saggio “de grammatica rationali” pone  le basi di un nuovo campo di studi, che solo in questi ultimi tempi comincia ad essere coltivato. Il compianto VAILATI (si veda), rapito or sono due anni da immatura morte alla filosofìa, presenta al Congresso della Società Italiana pel progresso delle scienza, tenutosi a Firenze e pubblica un saggio, La grammatica dell’algebra, ove studia a che cosa corrispondano gl’elementi grammaticali – sintattica, semantica e prammatica – in una formula – logica o algebrica. P. tratta del valore logico – semantico -- delle categorie “grammaticali” – sintattica, semantica, prammatica.   La grammatica latina di DONATO (la prima, essecutata in eta volgare) classifica le espressioni in categorie o, meglio, parti del discorso, -- le otto parti dell’orazione -- chiamate I nome sostantivo, nome aggettivo,  pronome, verbo, avverbio, preposizione, intergezione, etc. Il loro numero è generalmente nove. Alcuni grammatici posteriori al Donato ne hanno meno. La grammatica  greca di Dioniso ne hanno dieci, compreso l’ articolo – soppresso nella lingua latina, ma represso nella lingua italiana e nella lingua francese. Questo numero  dieci è fìsso nella grammatica francese ispirata da DONATO. I italiani sono  più variabili, o volatili – la prima grammatica del volgare e di un filosofo che parla una forma molto primitiva del toscano! Peano si propone di esaminare se questa classificazione – di DONATO, basato nel VARRONE, o nella grammatica volgare del toscano – “grammatica sine authore – sia meramente formale o REALE, cioè se l’essere una espressione nome  sostantivo, nome aggettivo (Grice da un solo essempio, “shaggy”) o verbo, o avverbio (“non), o preposizione, o congiunzione (“e,” “o”, “se”) è una proprietà dell’ente che l’espressione indica, ovvero solo meramente della forma dell’espressione   La questione presenta un interesse di attualità, ora che  molti si occupano di lingue inter-nazionali, più o meno artificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni,  termina ogni nome aggettivo colla desinenza indo-europea, aria, o indo-germanica “-ico”  del tipo latino “prosaico,” “publico,” “classico,” ed ellenistico “logico,” “geometrico,” “conico,” ecc. Questa idea, sotto forme diverse,  e adottata da alcuni filosofi di interlingue più recenti. Il Deutero-Esperanto di H. P. Grice, nelle varie forme, fa terminare ogni nome sostantivo in “-o” e ogni nome aggettivo in “-a.” (L’essempio di Grice: “shaggy-a”. Quindi i filosofi di queste lingue ritengono che la classificazione delle parti del discorso – parti dell’orazione -- e non meramente formale, ma reale.  Un esempio rischiarerà la differenza fra proprietà reale  e proprietà formale – use and mention – Grice, la parola ‘MOTHER’ used as a paper-wright. Le proposizioni, L’uomo è animale razionale,” “ “Uomo” consta di quattro lettere” esprimono rispettivamente una proprietà reale o materiale ed una formale di “uomo”. Si suol anche dire che la prima esprime  una *proprietà* dell 'ente uomo (linguaggio oggeto) e la seconda una proprietà  dell’espressione ‘uomo’ (meta-linguaggio).   Si tratta di vedere se la proposizione:  “uomo è sostantivo”  e del tipo formale o reale.  Un criterio che spesso permette di distinguere una proprietà reale da una formale o meramente verbale – o espressiva -- è la versione della proposizione in altra lingua, come nel francese. Cosi se al posto di uomo metto l’equivalente francese ‘homme’, la proprietà reale  rimane vera – French men are rational --,  la formale non è più verificata, perche “homme” consta di cinque lettere, non quattro, come nella lingua italiana. Questo criterio non  basta sempre. Per es. se sostituisco l’italiano “uomo” con, allora, il latino “homo,” tanto la proprietà reale  quanto la proprieta formale risultano verificate. La versione della  proposizione nelle lingue europee, non permette di riconoscere  chiaramente se sostantivo sia una proprietà meramente formale dell’espressione o reale del topico che si tratta, perchè la grammatiche della lingua italiana (‘sine autore’) adotta la nomenclatura della grammatica latina di DONATO che si  adatta loro abbastanza bene, perchè una lingua neo-latina come l’italiano o il francese sono tutte parenti prossime del latino.  Esse non sono che varie fisionomie di una stessa lingua. Qualche differenza già si intravvede. II latino “homo” è  certamente un nome sostantivo perché ha tutta la declinazione:  nominativo: homo, familiaris o genitivo: hominis, dativo: homini, causativo hominem, ablativo homini, locativo homine, vocativo, homine, etc. Invece l’inglese “man” è dato  nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo, o come  un *verbo* attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di  provvedere di soldati un forte, etc. La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di  origine differente. La distinzione fra la proprietà reale e la proprieta formale si incontra pure in matematica o arimmetica (Austin, Frege). Il segno “=” indica  sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri (Clark Kent = Superman). Ma “Clark Kent e meno da Superman, x<y, o mai da Superman (x>y) e un assurdo. Da x~y,  segue che ogni proprietà *reale* di a: è pure una proprietà  reale di y. Le proprietà formali possono essere diverse. Delle  due proposizioni:   */, è frazione minore di 1.  s / 3 è frazione irreduttibile,   la prima esprime una proprietà reale, la seconda una formale di s / 3 . Essendo */ 3 = */, sostituendo alla prima forma la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda  falsa. Bréal, nell’ Essai de  sémantique (Paris), dice: Il y a des langues qui ne distinguent pas les categories. La stessa osservazione è ripetuta più volte da Mùller. In “The science  of Thought, London, egli spiega che le dieci categorie del LIZIO – I SUBSTANTIA OvGlu, II QVALITAS stoGÓv, III QVANTITAS tcoióv, IV RELATIO xyóg ti, V tcov. •xot £, VI xbìó9'CU ì VII tytup sroiffr,  VIII nàd'ft IX X tv -- dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo  alle dieci parti dell’orazione delle grammatica di DIONISO e DONATO (per la lingua latina).  Mùller osserva che il LIZIO trasse le dieci  categorie, non dalle grammatica greca di DIONISO (ancora da scriversi), ma dalla *lingua* greca. E che se il rettore del LIZIO (questo Aristottele)i, invece che un provinciale che adotta il greco volgare parlato a Stagira, fosse stato (o parlato) semita o cinese, avrebbe latto una differente classificazione in categorie. Ma possiamo osservare il carattere formale delle categorie *grammaticali* -- d’espressione --, nella lingua italiana nostra *senza* ricorrere a una lingua non europee.  Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij. Sic est locutus “leo,” ego primam tollo, nominor *quia* “leo” – Huxley: Rightly is a pig named ‘pig’. Qui, “ego = leo.” (Io sono un leone – tu sei la crema del mio caffe). Ma “leo” (o crema) è nome sostantivo secondo le grammatica senza autore – italiana --, ego è pronome, dunque:   pronome = sostantivo, cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può  essere rappresentato da un pronome – “questo,” “quello” – Bradley, thisness, thatness, Merton/Magdalen, Oxford.  La differenza fra nome sostantivo e pro-nome (cioe, quello che sta PRO nomine -- non e pertanto  reale; ma meramente formale o dell’espressione, e precisamente *morfologica* -- o lessica – la forma, morphe – morfologia morfo-sintassi. I pro-nomi nella lingua latina hanno una declinazione differente dalle cinque  dei nomi sostantivi *propriamente detti*, quindi conviene, come osserva l’autore della grammatica senza autore, di farne una categoria a parte.  L’identità fra pro-nome e nome sostantivo è indicata dalla  stessa espressione grammaticale – da Dioniso a Donato – “pro-nome,” che significa letteralmente: che *e  le veci* di un nome o nome sostantivo, ma che si deve intendere che ha il valore di un sostantivo.  Il valore di un pronome cambia con il contesto del discorso o della profferenza (the context of utterance, citato da Grice, tratto da FIRTH e GARDINER --, secondo la persona che parla – il proferente -- ed a cui si parla – il recipiente. Ma ciò non modifica l’eguaglianza fra pro-nome e nome sosntantivo. Anche in algebra le lettere “x” ed g hanno un valore *variabile* (non costante) colla questione. Ma se in una questione risulta x = 2,  segue che x è un intero, pari e primo al pari di 2, cosi si da “ego leo” segue che “ego” ha la proprietà di essere un  nome sostantivo, al pari di “leo” -- supposto che la proprietà di essere un nome sostantivo è reale. Anche l’*avverbio*, qua e là, ha un valore dipendente dalla persona che parla --- o del ‘profferente,’ come dicevano i dialettici delle scole. Pure l’avverbio “là” non si mette in una classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degl’avverbi, con “bene,” “liberciliter” etc., che hanno un valore *costante* e non sensitivo al cotesto. E se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili. Chi scrive in una lingua europea, come l’italiano, o il francese, può fare a meno di  risolvere il problema se il “pro-nome”  -- come Grice’s “I,” or “Someone” -- è un nome sostantivo.  La lingua dei Romani, come dice Varrone,  si ha sviluppata per secoli prima che ad  essa si applicasse la nomenclatura grammaticale – a Roma, i grammatici erano i schiavi. Chi  scrive in Deutero-Esperanto, sotto una delle sue varie forme, deve  cominciare a risolvere questo problema per sapere se ai  pronomi deve dare o no la caratteristica “-o.” E mentre  la maggioranza dei filosofi non considera il pro-nome quale nome sostantivo,  una minoranza, con a capo LEMAIRE lo considera *logicamente* -- o concettualmente, o in termini della grammatica filosofica o grammatica razionale o grammatica speculativa -- come un nome sostantivo e dà  loro la desinenza “-o.” Passo ora alla relazione fra il nome sostantivo (“leo”) ed il nome aggettivo (“shaggy”) – AD-IECTVM. Il  Larousse dà le definizioni seguenti. Un “nom substantif” e un “mot qui *dèsigne* une personue, ou une chose.” Un “nom adjectif” e un “mot qui seri à *qualifier* une personnem ou une chose.  Considero i due giudizi: Pietro è buono. Paolo e bravo. Pietro è poeta.  Paolo e filosofo. Essi hanno la stessa costruzione; “buono” (o “bravo”) e “poeta” (o “vago”) servono egualmente a, per usare la terminologia naif del Larousse, *designare* ma anche *qualificare* la persona Pietro (o Paolo). Cf. Grice on Pegasus pegasusises. Sono amendue nomi di classi di enti. Ma “buono” (o “bravo”) è nome *aggettivo*, “poeta” è nome *sostantivo*. Dunque:   aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à. La differenza fondamentale fra il nome sostantivo e il nome aggettivo è  che, in generale, l’aggettivo è accompagnato da – si aggiunge a -- un sostantivo, con cui concorda in numero – singulare, duale, plurale --, genere – maschio, epiceno, femina --,  e caso – retto o monimativo, o obliquo: genitivo, o familiare, accusativo o causativo, dativo, ablativo, locativo. Quindi la  necessità di un capitolo della grammatica (non razionale) che spiega queste flessioni nell’italiano del nome aggettivo nel grado positivo, e quelle dei comparativi (comparativo e superlativo), etc. Ma questa differenza evidentemente appartiene alla morfologia della lingua latina e della lingua italiana o la lingua francese. L’aggettivo può benissimo restar solo come in:  veruni dico, audaces fortuna juvat, miscuit utile  dulci. Cosi nella lingua italiana, “dico il vero” [dico vervm] = “dico cosa vera,” “dico la verità, onde risulta: “il vero” = “cosa vera” = “la verità”.   La concordanza nella lingua latina vive ancora nella linua italiana, limitata  al genere e numero. Il caso è morto – eccetto nelle forme pronominali, “ti amo”; ed è del tutto scomparso in una lingua agglutinativa come la lingua inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia  Britannica, nell’articolo sulla grammatica, leggiamo che la distinzione fra nome sostantivo ed nome aggettivo non è applicabile nella lingua inglese (Che idiota ha scritto questo articolo?). Questa distinzione fra nome sostantivo e nome aggetivo sta nella veste. Spogliata la parola – o l’espressione, come dice H. P. Grice -- della veste della concordanza latina, non c’è più criterio per  distinguere il nome sostantivo dal nome aggettivo. Dal fatto che nella lingua latina “bonus” concorda col  soggetto – essempio: Cesare --, chiamno “bonus” i schiavi grammatici nome aggettivo. La grammatica di DONATO, che è la prima grammatica importante,  è dell’era *volgare*. Varrone non necessita grammatica! Si commette un anacronismo e si scambia la causa coll’effetto quando, prima, si  definisce il nome aggettivo (“bonus”) e poi si enuncia la regola della sua  concordanza col nome sostantivo (“dictator bonus”). Come si parla la lingua latina per secoli, prima che nascessero i grammatici, cosi si può continuare a parlare in una lingua moderna come la lingua italiana o la lingua francese, lasciando ai schiavi grammatici la stupida cura di decidere se la differenza fra il nome sostantivo (“dictator”) e il nome aggettivo (“buono”) e meramente formale o reale. Ma chi scrive in una delle forme di Deutero-Esperanto è  costretto a dire dopo ogni parola: questo è un nome sostantivo, questo e un nome aggettivo e questo è un verbo. Ciò ha  senso nella forma latina, che e lingua che H. P. Grice chiama NATURALE, a questa, il Deutero-Esperanto, lingua artificiale,  o, come prefire H. P. Grice, ‘inventata’ -- avendo soppressa la forma latina, la distinzione non è più  possibile.   In conseguenza, i seguaci del Deutero-Esperanto, discutendo  di una cosa non esistente come se esistes, arrivano a  risultati fra loro contradditori. Per esempio, in un sistema  si ha l’eguaglianza:   Pietro è buono-aggettivo  = Pietro è buono-sostantivo. In altro sistema – il Deutero-Esperanto di Grice -- solo la prima forma è  lecita. Ivi, “buono-sostantivo” significa “bontà” e si riferisce a quello che Grice chiama ‘SECOND-order predicate calculus.”  Parimenti l’articolo che ossessiona Strawson è messo dalla maggioranza dei deutero-esperantisti fra i nomi aggettivi. Ma Lemaire osservando che l’articolo “il” deriva da un antico pronome demonstrativo nella lingua latina (“ille”), che è, per Lemaire, un  sostantivo, pone l’articolo definito fra i nomi sostantivi! (“Il presente re di Francia e calvo”).  Poche parole sul carattere formale del verbo. La proposizione latina, Ars longa, vita brevis, corrisponde all’Italiano, l’arte è lunga, la vita è breve. Nella lingua italiana, vi è il verbo “essere” – la copula -- che in latino non sta detto.   Il latino “brevis” corrisponde all'ialiano “è breve”. Ma  “è breve” è il PREDICATO TOTALE della proposizione o orazione, e quindi è un  verbo. Dunque, si conclude, anche la forma latina abbreviata “brevis” è un verbo. Ma questo  è un aggettivo, dunque l’aggettivo — verbo / i u C ttj. Alcuni filosofi della lingua dicono che, in vita brevis, il verbo, la copula,  è sottinteso – sous-entendue – IMPLICATED, implicito --, e che la frase o l’orazione è elittica e entimematica. Ciò significa che l’ “est” non sta DETTO (ma impiegato, implicato) ed è cosa evidente. Non bisogna intendere però che la parola “est” sia stata sottintesa (sous-entendue, empiegate, implicata) o soppressa, non espressa, ma so-pressa;  cioè, che essa parola “est” – o IZZING, come prefirisce Grice -- sia l’abbreviazione di una frase ipotetica più antica contenente l’ “est.” Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo la mancanza (soppressione, implicatura, impliciture) della copula “est” sempre più frequente.   La incontriamo in greco ed è ancora frequente in russo.  Altri esempi da Max Muller – da non confendere con Max Miller, il comediante giudeo-inglese cockney --  nix alba = nix albet;  sarculum acutum = sarculum caedit. Quindi la forma originale della proposizione e soggetto (-aggettivo; l’ausiliario “essere” è posteriore. Pare che il suo significato primitivo dell’IZZING di Grice fosse di respirare. Dice Muller. An auxiliary verb is the shadow of a verb, which originally means ‘to grow,’ (become), to dwell, to turn, to breathe. L’identità nome aggettivo = verbo può parere una novità al pubblico moderno, benché nota ai filosofi della lingua. E evidente ai scolari del LIZIO,  chi affermano che “antropos,” “uomo,” è “onoma”, nome, mentre “levxóv” è “rhema,” verbo. Se nome sostantivo = nome aggettivo ed nome aggettivo =  verbo, segue che sostantivo — verbo. Eccone alcuni esempi  diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca jióviov, homo homini deus, e nel pessimista latino, homo homini lupus,  il “deus” e “lupus” valgono come “si comporta come un amico (deus)”  e “si comporta come un nemico (lupus)”, e perciò sono verbi. VACCA (si veda) che visita gran parte  della Cina coll’occhiodel filosofo, mi  cita la frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del  simbolo di uomo, letteralmente tradotta diventa: uomo,  uomo, uomo» e significa: l’uomo tratta umanamente l’umanità. Nulla impedisce di dire che il primo simbolo  è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusativo, ma nessun segno indica questa proprietà. Cosi nella scrittura che noi deducemmo dagl’arabi  (non dai romani), “222,” possiamo dire che il primo ‘2’ rappresenta centinaia,  il secondo, decine, e il terzo unità, e cosi enunciamo varie  proprietà delle varie figure “2,” *non* del numero 2.  Le parole soggetto e predicato di una proposizione,  sono termini relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare  se le parole ‘sostantivo’ ed ‘aggettivo’ possano avere  valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno valore assoluto, e che una definizione di sostantivo è *impossibile* -- cf. Grice on ‘Fido is shaggy,’ – “It is impossible to expect the philosopher to provide meaning-specifications for all parts of speech, so I will restrict myself to the ‘predicate,’ “shaggy.””. Vedasi sullo stesso soggetto il saggio su «Discussione de  Academia prò Interlingua. Giuseppe Peano. Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore ‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive dell’operatore iota. --  H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Peano.

 

Luigi Speranza -- Grice e  Pecoraro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del conflitto – la scuola di Salerno -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italian. Salerno, Campania. Grice: “He must be the only philosopher who philosophised about ecstasis!” Grice: “Many don’t consider him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not within) Italy!” – Filosofo e storico della filosofia italiano. Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze Politiche, si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi sulla filosofia di Cioran. Collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Giornale di Napoli come cronista di nera e di giudiziaria. Si avvicina ad alcuni artisti contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti di Brera organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento editoriale dei rispettivi cataloghi. Tra i partecipanti:Paladino, Pisani, Galliani, Knap, Montorsi, Melioli, Battaglia. Un'esperienza che è importante in seguito, quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea verranno riscoperti in chiave nichilista.  Fonda "Quadranti" dedicato a Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  È possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in due momenti distinti.  Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati --  tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben. Contatto con Vattimo, Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e filosofia negative, politica e morale.  Una filosofia disperata e negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti. I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici tra nichilismo, nullae negazione.  Il risultato è una filosofia anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali, storiche e morali.  In questo orizzonte di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale, maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista --  Ricerca un orizzonte di senso diverso e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi precedenti fili conduttori.  Interessi, letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e chiarezza. Decisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere" e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza, avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere; l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che, fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una filosofia dell’attuale  e sulla convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei "diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo post-illuminista.  Il secondo opolitico-sociale– attraverso la critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non "sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere); “Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Peisicrate: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean, cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pisicrate, since he finds that dipthongs are un-Roman!” -- Peisicrate.

 

Luigi Speranza -- Grice e Peisirrodo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pesirrodo, since he says that dipthongs are un-Roman!” -- Peisirrodo.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pelacani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Parma -- filosofia emiliana --  filosofia italiana – Luigi Speranza  (Parma). Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna. Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!”. Lettore (Grice: “reader or lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere di Visconti.  In questa veste si trova più volte coinvolto in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords: passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pelacani: la ragione conversazionale, la dialettica, e l’implicatura conversazionale – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo italiano. Noceto, Parma, Emilia-Romagna. Grice: “Some like Pelacani, but Pelacani’s MY man.” Dottore diabolico. Grice: “I would call him a philosophical grammarian; he considers the topic of ‘meaning,’ ‘significatio,’ and agrees with me that ANYTHING can signify, a handwave, etc – hardly just ‘vox’! He is especially interested in ‘significatio naturaliter,’ which he explains, er, naturally. He deals with the concepts expressed by the different parts of speech – adverbs, etc. – and disapproves of the idea that the ‘arts’ of language are ’scientia.’ He saw himself, as I do, as a PHILOSOPHER, and would consider everything related to the language used by philosophers as PRO-PEDEUTIC --. Parente di Antonio P. Della sua medesima casata un altro filosofo. Frequenta la facoltà artium philosophie a Pavia, dove, come titolare della cattedra di magister philosophie et logice, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica del LIZIO e sostenne l'applicazione di strumenti matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare conduce studi sull'ottica nelle Quæstiones de perspectiva. Nel saggio De ponderibus si occupa di statica ed elabora in De proportionis una teoria del vuoto che si contrappone alle tesi del continuo dei fisici del Lizio. Si occupa anche del moto dei pianeti in Theorica planetarum e mette in discussione la cosmologia del Lizio negando che si puo sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teo-logica dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire del divino. Nega quindi la possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza del divino e dell'immortalità dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente ANIMATO -- ‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire” --, un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per generazione spontanea e, quando gl’influssi astrali sono favorevoli, vengono alla luce anche l’anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'è soprannominato, è accusato d'eresia e condannato ma ciò non gl’impede d’essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus”. Beduerdini. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte da Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato anche per la sua avarizia in Veratti, De' matematici italiani. Commentario storico, Majocchi, Codice diplomatico, Pavia,  Enciclopedia Garzanti di filosofia, Camerota, Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford. Altri saggi: Quæstiones de anima, Firenze, Olschki; Super tractatus logice (Parigi, Vrin); Circa tractatum proportionum magistri Bradvardini (Parigi, Vrin); Super perspectiva communi (Parigi, Vrin); Quæstiones de anima: alle origini del libertinismo, Sorge, Napoli, Morano, Firenze, Sismel, Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de ponderibus, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Francesco P. is yet another of the P.. There are at least four of them: two Antonios, un Biagio, and one Francesco. QUÆSTIONES DIALECTICÆ; Quaestiones super tractatus logicales: quæstiones dialecticæ -- utrum dialectica sit scientia – arguitur quod non; VENEZIA, San Marco, Martanova, in Padova: hunc librum donavit eximius artium et medicinae doctor magister MARTANOVA (si veda) de Venetiis congregationi canonicorum regularium sancti Augustini ita ut tamen sit ad usum dictorum canonicorum in monte sancti Johannis in  Vicocis, torate pund nd Hai Cananci d an Astio dal convento di san Giovanni in Viridario; expliciunt regulæ questiones super tractatum compositæ per reverendum doctorem magistrum  Blaxium de Parma, Frater Johannes de Mediolano ordinis  Cruciterorum SCRIPSIT  hunc librum IN CARCERIBVS – “the best time to spend your time in jail” – H. P. Grice -- sancti Marci de VENEZIA; OXFORD, Bodleian Library, Canonici, miscellanco, explicit hic codex per Simonis eque manumque, leggere varianti formali: possiede in fine alla ultima questione, prima dell'explicit una raccolta di sophismata, diversamente dal ims di Venezia. (Su cio cfr. Le questioni dialetriche di P. da Parma, Medioevo, Padova, Quæstiones dialecticae, ms, Venezia, Mare, lat. De introductionibus de dialectica; Oxford, Bodleian Lib., utrum dialectica sit SCIENTIA et arguitur quod NON – ma un arte, cf. natura vs. Artifizio – ‘natural’ --; utrum dialectica sit scientia  [regina] scientiaram, arguitur quod NON; utrum in acquisitione scientiarum dialectica debeat esse prior et arguitur quod NON; utrum disputatio dialectica sit SERMO DVORVM, scilicet opponentis et respondentis -- et arguitur quod NON; utrum A SONO tamquam a priori  sit incoandum -- et arguitur quod NON; utrum hæe sit concedenda: SONVS est quicquid proprie auditu auris percipitur -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA sit illa qua auditui ALIQVID REPRÆSENTAT et videtur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA AD PLACITVM sit illa qua AD VOLVNTATEM INSTITVENDIS ALIQVID SIGNIFICAT -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA NATVRALITER sit illa qua apud omnes idem segmticat;  utrum definitio data DE NOMINE sit bona cum dicitur nomen est vox etc.; utrum definitio data de VERBO sit bona et arguitur quod NON; utrum diffinitio data de ORATIONE sit sufficienter posita et arguitur statim quod NON; utrum PROPOSITIO sit ORATIO verum vel falsum significans -- et arguitur quod NON; utrum omnis propositio sit categorica vel ipotetica; utrum omnis propositio ipotetica sit quanta et arguo quod NON; utrum omnis propositio categorica sit aftirmativa vel negativa -- et arguitur quod NON; utrum quæcumque fuit contraria fuit universalis negativa eiusdem subieeti et eiusdem prædicati -- et arguitur quod NON; utrum omnis propositio sit necessaria, contingens, vel impossibilis et illa quæstio movetur super illum passum propositionum triplex est materia et statim probatur quod nulla sit  necessaria -- et arguo SIC; utrum contrariarum si una est vera et reliqua est falsa et statim -- arguitur quod NON; utrum possibile sit contradictoria simul esse vera vel falsa in aliqua materia -- et arguitur quod SIC; quia magister dicit quod lex subalternarum talis est quod si universalis est vera, particularis est vera et non e contra et ideo quæratur in quæstione utrum si universalis est vera particularis cius debeat esse vera et statim arguitur quod non; de conversionibus sit illa utrum omnis conversio sit bona consequentia -- et  arguitur quod NON; circa capitulum de ipoteticis sit prima quæstio; utrum definitio data de propositione ipotetica sit bona in qua dicit auctor propositio ipotetica est quæ habet duas categoricas principales partes sui -- et arguitur quod NON; utrum omnis conditionalis vera sit necessaria, falsa, aut impossibilis, quia illa quæstio duo quacrit, ideo argumentum (arguo O) primo contra primum, secundo contra secundum; utrum ad veritatem copulativæ requiratur utramque partem elus esse veram er hoc sufficiat et statim – et arguitur quod NON; utrum ad veritaten disiunative  requiratur alteram partem erus esse veram et hoc sufficit statim, patet quod NON; utrum ad veritatem causalis requiratur consequens sequi ex antecedente et hoc sufficit -- et arguitur quod NON. Non si trova nel testo di Pietro. Qui Biagio sviluppa un tema della logica di Occam sulle proposizioni causali. Scrive Biagio. Si consideras consequenter quæ sunt illæ de quibus non determinavit, ad hanc respondetu quæstio proposita quærit de una illarum, scilicet de causali de qua nihil dixit; utrum si aliquis terminus. positus in propositione steterit ratione alicuius SIGNI confuse et distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quæstio rationabiliter quæritur propter quaddam  dicta in quæstione praccedenti, arguitur in questione pro parte negativa – quod NON; utrum si alquis terminus positus in propositiones stererit ratione alicuius signi confuse et distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quuæstio rationabiliter quæritur propter quaddam dicta in quæstriones præcedenti — argutur in question pro parte negative – quod NON; utrum si aliquis TERMINVS positus in propositione steterit ratione alicuius signis confuse et distributive quæritur propter quadam dicta in queæstrione præcedenti, arguitur in quauestione pro parte negative – quod NON; utrum omnes duæ propositiones  modales ex eisdem terminis constitutæ se mutuo inferant in bona consequentia  et statim -- arguitur quod NON. De prædicabilibus; utrum prædicabilia sint *quinque* et non plura et arguitur quod prædicabilia sunt *plura quam quinque* et deinde quod pauciora. Primum argumentum est hoc, De prædicamentis, sit prima quæstio de prædicamentis utrum quando alterum de altero prædicatur de prædicato prædicetur de subiceto  et statim -- arguitur quod NON; utrum SVBSTANTIA sit GENVS GENERALISSIMVM  in prædicamento substantiæ  prædicatione essemill de quelbe ponibili possibili Vin prædicamento  substantiæ, Ista questio aliqua qværit et aliqua præsupponit. Arguam de primo supposito, dende de quæito; utrum substantiæ sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod NON; utrum ab eo quod res est vel non est, ORATIO dicatur esse VERA VEL FALSA, vel sic, utrum omnis propositio habens correspondentiam rei dicatur esse vera, non habens  aulem  correspondentiam ex parte rei dicatur esse falsa; vel sie, ut ex co quad ita est sicut propositio principaliter SIGNIFICAT, ipsa propositio sit vera, ex co quod non ita est sicut propositio SIGNIFICAT, propositio dicatur esse falsa, et statim arguitar contra partem affirmativam – quod NON; utrum substantia quanta distinguatur a quantitate eius vel idem sit quod sua quantitas et extensio, sive quæram sub his verbis utrum omnis quantitas sit substantia vel qualitas; utrum eadem quantitas possit esse et dici continua et discreta et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitas sit genus generalissimum de predicamento quantitatis et statim apparet quod sie per autoritatem et per LIZIO; utrum hace sit vera 'omne tempus est' et statim -- arguitur quod NON; utrum numerus sit res numerata vel distinguatur ab eis et statim probo qued numerus non sit ipsa res numerata, sed quod potius ab ipsis rebus distinguatur; argumentum; utrum puncta sint in linea et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitati sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod SIC; utrum quicumbue duo TERMINI qui sunt præradicabiles de se invicem in OLBLIQVO CASU sint possibiles in prædicamento ad aliquid et statim -- viderur quod SIC; utrum ab uno correlativorum ad aliud valeat consequentia; utrum RELATIO sit res distincta a rebus invicem relatis et importatis per terminos de prædicamento ad aliquid ut velim quarere in illa quæstione utrum paternitas sitilla res quæ est pater vel distincta a patre, dependentia sit res distincta a dependentia et statim arguo quod relatio sit res distincta a rebus invicem relatis [cf. H. P. Grice, ACTIONS AND EVENTS, PARIDE AMA ELENA); utrum quilibet terminus prædicabilis in quale si de prædicamento qualitatis -- et statim  arguo quod NON; utrum termini de predicamento qualitatis sint de se invicem prædicabiles de suis inferioribus cum his ADVERBIS 'magis et minus' -- et statim videtur quod NON; utrum proprium sit actionis ex se inferre passionem et est quærere utrum ab activo ad passivum valeat consequentia -- et statim arguitur quod NON.  DE CONSEQVENTIIS: utrum quælibet consequentia sit bona – et arguitur quod NON; utrum ex duabus PREMISSIS in modo et figura dispositis de necessitare sequatur aliqua CONCLVSIO  -- et statim viderur quod SIC; utrum quilibet SYLLOGISMVS sit BONA CONSEQVENTIA -- et statim apparet quod NON; utrum licitum sit ex puris negativis sillogisare et statim per plura argumenta videtur quod sie; utrum negativa possit inferre affirmativam -- statim videtur quod SIC; utrum qualiber CONSEQUENTIA cuius ANTECEDENS est impossibile sit BONA et hoc est quærere illud quod communiter logici quærunt, scilicet utrum ad impossibile sequatur quodlibet vel sequi possit -- et statim arguo pluribus argumentis quod NON; utrum quælibet CONSEQVENTIA curus CONSEQVENS est necessarium sit BONA et hoc est quærere utrum necessarium sequatur ad quodlibet -- et arguitur quod NON; utrum possibile sit ex veris sequi falsum -- et arguitur quod SIC; utrum qualibet proposition SIGNIFICET sicut ad eam sequitur – et statim arguitur quod NON, per multa iconvenientia. De locis, circa locos sit prima questio utrum QVATVOR SINT SPECIES ARGVMENTATIONIS, scilicer SYLLOGISMUS, INDVCTIO, ENTIMEMA (H. P. Grice, “Implicit reasoning”) et EXEMPLVM; CONSEQVENTIA BONA -- et arguitur quod NON; utrum CONSEQUENTIÆ tenentes vel quæ vigorantur per locum a toto in quantitate ad cius partem sunt bonæ -- et statim arguitur quod NON; utrum consequentia qua arguitur a toto in modo ad eius partem sit bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a toto in loco ad cius partem sit CONSEQUENTIA bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a toto in tempore ad eius partem sit BONA CONSEQVENTIA -- et arguitur quod NON; utrum quæ libet talis consequentia valeat: generatio huius castri vel civitaris est BONA CONSEQVENTIA, igitur hoc castrum est bonum vel illa civitas. Similiter quæro de illa consequentia: corruptio istius hominis vel illius mulieris est bona, igiur ille homo fuit malus vel illa mulier, et hoc est quærere idem quod sequeretur utrum a generatione ad generatum, similiter a corruptione ad corruptum, sit bona equitare est bonum, igitur equus est bonus – arguitur quod NON; utrum a  disiuncta cum opposito unius partis ad aliam partem veleat consequentia, et hoc est quærere utrum consequentia quæ vigoratur per locum a contradictoriis fuerit bona – et statim videtur quod NON.CONCLUSIONES DE CONSEQUENTIS  VENEZLA, Marc, Bessarione, Valentinelli, quæstiones ordinatæ per me Blasium de Parma, quaccumque CONSEQVENTIA posita nulla talis est mala, sed quælibet bona.  Si tratta dell'elenco di petitiones di logica 'de consequentiis', seguite da conclusioni, non di Physica come ritenuto dal THORNDIKE (A History, GRANT (Blasius of Parma, in Dictionary of scientific Biography, ad vocem, New-York, et sie sit finis sententiæ conclusivæ totalis libri Ethicorum Aristotelis secundum  in domo filiorum quondam magistri Jofredi Ferrariæ». Segue Elenchus quæstionum ordinatarum per me Blaxium de Parma e segue Tabula quæstionum Johannis Buridani super libris Ethicorum. QUESTIONES PERSPECTIVÆ  Quæstiones perspectivæ, incipit :«uæritur utrum pro visione causanda necesse sit ponere species diffusas ab obiecto in oculum et arguítur primo quod non»; 1) FERRARA, Pavia, VENEZIA, San Marco, Valentinelli, expliciunt quæstiones super perspectiva scriptæ anno domini 1399; 3) OXFORD, Bdl. Canonici, misc.quæstione super aliquibus propositionibus primac partis perspectivæ (copia incompleta); OXFORD, Bdl. Canon, misc, FIRENZE, Laurenziana, Plut. in Firenze, cfr. I Studi sulla prospettia medtevale. Torno, Giappichelli, e per la edizione da questo ms. delle questiones I, qu. 14 € 16, e Ill qu. 3, de iride, cfr. Le questioni di  perspectival di P., "Rinascimento", FIRENZE, Laur. Ashburnham; MILANO, Ambrosiana, con figure seguito da Opus Prosdocimi super Jo. de Sacrobosco tractatum de sphæra, segue: Collectanca ex Thadeo de Parma super Theorica planetarum Gerardi Cremonensis; 8) MILANO, Ambrosiana, si arresta alla quæstio -- MILANO, Ambrosiana, in Pavia, Explicit opus eximii viri  artium et mediciac doctons magistri Blasi Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me magistrum Marinum sacrac theologiæ doctorem de Castignano ordinis Minorum provinciæ Marchæ Anchonitanæ dum Papiæ studens essem discipulus magistri  Francisci de  P. film supradicti auctoris VATICANO, Vat. Barb., lat.; dopo la tabula quæstionum si legge: Explicit opus eximii viri artium et medicinæ doctoris magistri Blaxii Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me Theodoricum Goth almanum, seguito probabilmente dalla perspectiva communis d iPeckham  (non menzionato da David Lindberg ed., PECKHAM, Perspectiva communis, Madison, VATICANO, Vat. lat., vet sic finitæ sunt quæstiones perspectivæ secundum Blaxium de Parma, deo gratias; expliciunt quæstiones super perspectivam communem secundum famosissimum artium monarcham et philosophum dominum magistrum Blasium de Parma». Si trova citata 'l'illusione ottica che gli capito a Busseto, che non si trova, ovviamente, nelle copie anteriori a quella data e che costituiscono un diverso gruppo di questioni di prospettiva; VIENNA, Nationalbibliothck, edizione delle questioni del primo libro da questo ms. a cura di ALISSIO, Rivista critica di storia della filosofia", VIENNA, Nationalbibliothek, LODI, Biblioteca, PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense codex, trascritto da Pasini dal codice della Biblioteca Marciana di Venezia con una dichiarazione del Valentinelli;  NEW YORK, Columbia, Plimpton (Boncompagni). SIVIGLIA, Colombina, EXPOSITIONES e QUÆSTIONES DE CÆLO  EXPOSITIONES DE CÆLO  Expositiones o summa de cælo, datata in Bologna, incipit: «obmissis  causis aliis  super libro decacloct mundo compilata per famosissimum artium doctorem  magistrum P. in Bononia: ROMA, Angelica, VIENNA, Nationalbibliothek, copiata, ma stesa a Bologna: Explicit summa super librum de cælo et mundo compilata per famosissimum artium doctorem magistrum P. in Bononia recollecta anno domini M COCEXXx in scolis reverendi doctoris.. scripta per manum  Nicolinum artium nune studentem M'OCCe LI die quarta Marti, amen, in felicissimo studio paduano». (efr, anche FRANz UNTERKRCHER, Die datierten  Handschriften der Oesterreicheschen Nationalbibliothel Vienna, QUESTIONES DE CÆLO  Questiones de cælo Alberti de Saxonia datæ per magistrum Blasium de Parma: ROMA, Angelica: si tratta va del testo delle quæstiones de cælo di Alberto, seguite quindi da quelle di Biagio, Imapit e, quindi, delle quæstiones de cælo di Alberto: Prologo, scælo et mundo Aristoteles considerat de totali mundo et detractatu primi libri partiali concludere et volo ergo circa illud tractare duas quæstiones quarum prima est ista (incipit): utrum cuilibet corpori simplici insit tamen unus motus simplex». Tale incipit corrisponde con quello del ms.  Monaco lat. del Vat. Palatino, lat. 980, ft. 88ra-117 ra, opera ristampata a Parigi, 1516 come questiones de cælo Alberti de Saxonta; altra copia è ms. Roma, Angelica, di questa copia si legge: «Expliciunt questiones super primo libro cæli et mundi Aristotelis secundum Albertum Novum de Saxonia per me Anthonium de Armannis de Regio tune Bononiæ studentem in artibus 1368 dic 18 februarto (cir. Anche THORNIKE - KIRE, Catalogue of Incipits, Londra.  Dunque a f. 37va del ms. Angelica, 595 iniziano le questiones de cælo di Biagio probabilmente dalla 12- questione perche corrispondono con la questione 12' del primo libro contenute nel ms. Milano, Ambrosiana, sup-,  quacitur con sorenti in de nece ente e posit perpean parole:  vexpliciunt quæstiones primi libri de cælo et mundo secundum Blasium expliciunt questiones de caclo et mundo datæ per magistrum Blasium de Parma doctorem reverendum ».Su ciò in particolare cfr. FEDERICE ViscoviNi, Note sur la circulation du commentatre d'Albert de Saxe an 'De cælo' d'Aristote en Italie, in Itéraire d'Albert de Saxe, a cura di J, Biard,  Paris, Ven, 1991.  ROMA, Biblioteca Angelica, quæstiones de cælo per Blasium de Parma (incompleto con ordine diverso delle quæstiones rispetto alla copia di Milano, Ambr.: incipit, «quacritur primo circa primum de cælo et mundo utrum omnis quantitas sit divisibilis in semper divisibilia». Si trovano Notæ di Problemata: «Nota aliqua... problemata, primum quia causam agens in os sicut ignis prima sui actione... et per consequens nigrum et hacc est causa problemas huus, has veriticationes dixit magister ille Blasius in scolis suis -- Sic sint finitæ istæ quæstiones de caclo secundum Blaxium de Parma»: MILANO, Ambrosiana, quæstiones de caclo et mundo  scriptæ pro magistro Antonio de Abruzio, expliciunt  Basi de Faih iphe pro hig to Atono de Ardetoris hagsri  Tabula questionum de cælo  VATICANO, ms. Var. lat. QUESTIO DISPUTATA DE TACTU CORPORUM DURORUM  1J OXFORD, Bdl. Canonici, mise. quæriturutrum duo corpora dura possint se tangere Blaxii de Pelacanis de Parma famosi doctoris parisini, incipit, «quæritur utrum duo corpora dura possini se tangere) VENEZIA, Bibl. Marciana, Valentinelli, Dabitatur utrum duo corpora dura vel plana possint se tangere;3) BOLOGNA, Bibl. Universitaria, Edizione, per Scoto, Venezia, UTRUM SPHÆRICUM TANGAT PLANUM IN PUNCTO  OXFORD, Bdi. Lib. Canonici, mise.utrum sphærcum tangat planum in puncto et posito super planum tangat  in cui dice espressamente che non è una questione che riguarda la filosofia naturale, quanto invece la geometria  QUÆSTIONES DE SPHÆRA  PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense, quæstiones super tractatum sphærac Johannis de Sacrobosco per Blasium de Parma, doctorem excellentissimum mathematicum singularem circa tractatum de sphacra, primo quacritur utrum diffinitio de sphæra sit bona qua dicitur sphacra est transitus. Expletæ sunt quæstiones de sphæra secundum venerabilem doctorem magistrum Blasium de Parma Parisiensem"-  QUÆSTIONES e TRACTATUS DE PONDERIBUS  Quæstiones de ponderibus: 1) MILANO, Biblioteca Ambrosiana, Et ideo ad instantiam amicorum ego Blaxius Lombardus de P. de P'armadum Parisius me visitabat (sic), volui aliqua dubia super tractatum de ponderibus inquirere et illa conclusionibus et corollariis posse meo declarare -- primo quæritur utrum omnis ponderosi motus sit ad medium, arguitur quod non. Ad rationes potest patere solutio per ea quæ dicta sunt. Expletæ sunt quæstiones super tractatum de ponderibus compilatæ et ordinatæ per magistrum Blaxium de Pellacanis de Parma artium doctorem eminentissimum».  Tractatus de ponderibus. FIRENZE, Nazionale, Conventi Soppressi, San Marco, Tractatus de ponderibus magistri Blasit de Parma «Explicit tractatus de ponderibus ordinatus per magistrum Blasium de Parma tempore magnarum vacationame (codice appartenuto a Cosimo de' Medici, cfr. GARIN, Storia di Milano, Milano, PARIGL, Bibl. Nat., lat. ed. E. Moody-M.CLAGETT, The Medieval Science of Weights, Madison -- Napoli.  CONCLUSIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Conclusiones de generatione et corruptione: VATICANO, ms. Urb. lat. conclusiones Blasii de generatione et corruptione scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ studentem. De generatione iste est liber de generatione quem inter alios libros naturales volo in tertio loco situari ut sie dicam -- et sic finitur sententia primi libri de generatione edita ab eximio doctore artium magistro Blaxio de Parma.  (Dje mistione, iste est secundus liber. Expliciunt conclusiones primi et secundi de generatione et corruptione compilatæ per eximium artium doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ studentem, QUESTIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Questiones de generatione et corruptione: VATICANO, Vat. Chigi, scritte a Bologna dopo le qu. de cælo, Padi de Mar hode Vinisa 0, au sa Nel arigacura  in legno del codice si legge, infatti, «Blasius de Parma, Paduæ doctor de generatione et corruptione, de meteororum, de anima prin et secundi physicorum collezit Marinus de Lagoussao, Incipit: «circa primum librum de generatione et corruptione quæritur utrum sit nobis evidens aliquid posse simpliciter generare; f. 58vb: «expliciunt quæstiones primi libri et secundi degeneratione et corruptione secundum reverendum doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ per me Marinum de Lagonissa».  QUESTIONES METHEORORUM  VATICANO, Vat. Chigi. Primo quacritur circa primum librum metheororum utrum iste mundus generabilium et corruptibilium gubernetur a caclo»; f. 74va: «Expliciunt quæstiones primi libri metheororum factæ per egregium virum magistrum  Blaxium de Parma omnium liberalium artium protessorem et incipiunt quæstiones secundi libri; tabula quæstionum pri-mi, secundi, tertii et quarti metheororum: ROMA, ms. Vat. lat. Expliciunt quæstiones super libris quattuor metheororum secundum magistrum Blasium de Parma»; FIRENZE, Laurenziana, Expliciunt quæstiones totius libri metheororum recollectæ sub reverendo et excellenti artium doctore magistro Blaxio de Pelacanis de Parma et scriptæ per me Barnabutium de Favero in monte Silice tempore quo pestis vigebat Paduac  CHICAGO, Universitaria,  copia non completa, alcune questioni de diversi libri mancanti: «Expliciunt questiones super libro methaurorum Aristotelis quas compilavit magister Blasius de Parma completæ et scriptæ per me magistrum Johannem de Medicis deyter (P)-  Tabula quæstionum methaurorum  VATICANO, ms. Vat. lat. Tabula delle prime 16 questioni del primo libro, CONCLUSIONES DE ANIMA. VATICANO, Urb, lat. [BJonorum honorabilium nottam... iste est primus tractatus hurus primi libri de anma habens unicum capitulum quod dividitur in tot partes quot sunt conclusiones in co... nobis necessario non insunt. Expliciunt conclusiones super tribus libris de anima compilatæ per magistrum Blaxium de Parma. Amen PADOVA, mutilo dell'inizio,, ma carte in materia et hoe est philosophia. Expliciunt conclusiones super libris de anima secundum eximium doctorem magistrum Blasium de Parma per me fratrem Antonium ordinis Servorume.  Biagio segue fedelmente il testo della translatio antiqua del de anma come è pubblicato, con il commento di Averroé nella edizione giuntina.  Le due copie, una contenuta nel Var. Urb. lat. e l'altra a  Padova, Bibl. Univ., corrispondono tedelmente,  compilata da Bragio come risulta dall'expliat: expliciunt conclusiones super tribus hbris de anima compilatæ per magistrum Blaxium de Parma, Amen Il ms. Padova, Bibl, Univ. ha alcune carte strappate, ma è identico al Vaticano. Differenza rilevante che abbiamo riscontrato da una collazione tra le due copie è l'introduzione nel ms. Urb. lat. delle opiniones antiquorum de anima, mancanti nel seguito del Padovano, Univ., e non perché la carta sia stata strappata. In questo ms. Urb. lat. a proposito dell'opiniones antiquorum. riferite per esteso e mancanti nel padovano: «errores antiquorum et hoc secundum Bridanm, quia hos Blaxius non recitavit de anima. Inoltre esistono alcune differenze tra le due copie, che sono, a nostro avviso, molto importanti. E sulla base di questa diversità che abbiamo supposto che la copia del manoscritto padovano sia un poco anteriore a quella del vaticano e da collocarsi, forse, in un periodo anteriore alla condanna del vescovo di Pavia per la forza di una espressione che si trova nelle prime carte e che viene por modilicata nella copia del manoscritto Urb. lat, compilata da Biagio, Biagio corregge in altri termini l'espressione materia regitiva totius universi quæ est ipse deus», con natura regitiva totius universi quæ est ipse deus. Diamo qui la collazione delle due copie da cui risulta la correzione. PADOVA Hic asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare sit generalissimum seu naturalissimum  viventibus etc., non intelligitur tamen qued hace operatio quæ est generare sit cateris perfectior et magis intenta a generante, quia non est dubium quad  unum quodque animatum principalius intendit conservare seipsum quam generare.  Sed tamen  verum est quodp er conservationem  specier  hacc operatio est maxime intenta ab agente particulari et materia regitiva  totins inversi quæ est ipse dense. VATICANO,  Vat. Urb. lat, Hie asculta quod licet in conclusione dicatur quod  generare sit  generalissimumseu naturalissimums  viventibus ete., non intelligitur tamen quod hace operatio quæ est generare sit cacteris perfection et magis intenta a generante, quia non est dubium quod  uodque  animacum principa intendit conservare seipsum Sed tammen verum per conservationem speci  hace operatio est maxime intenta agente particulari et a matura regitiva totins  universi gide est ip  QUÆSTIONES DE ANIMA  VATICANO, Vat. Chig, Circa primum librum de anima primo quacritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones primi, secundi et terti libri de anima datæ per excellentem artium doctorem Blaxium de Parma, recollectæ  Adsit principio Sancta Maria meo, amen, Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones super libris tribus de anima, disputatæ Paduæ per reverendissimum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma [.. Expletac Paduæ, ma prima augusti die.  Tabula questionum de anima secundum magistrum Blasium de Parma, doctorem dyabolicum. Queste due copie corrispondono fedelmente. Vat. Chig. Circa primum librum de anima primo quæritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Et arguitur quod non. Primum argumentum: staliqua  notitia esset nobis possibilis maxime.  Consequenter quæritur secundo utrum de anima sit nobis  aliqua notitia possibilis. Consequenter quæritur  utrum cognitiones distinctæ distin-  guantur proporzionaliter secundum distinetionem suorum obiectorum Consequenter quæritur quarto utrum diversæ scientiæ  proportionaliter se excedant  secundum excessum obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit alfis  scientiis difficilion.  Consequenter quæritur  utrum cognito unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quacritur  septimo utrum spericumpositum supri  planumtangatipsum praccisem puncto.  Utrum anima intellectiva possit a corpore separari.  Ms. Napoli, Bibl. Naz. Adsit principio Sancta Maria Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Arguitur qued non. Si aliqua notitia esset nobis possibilis maxime esset ilia.  Consequenter  quacratur  utrum de anima sit nobis aliqua  notitia possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones distinctæ distinguantur  proportionaliter spundum distinctionem suorum obiectorum.  Consequenter quæritur  utrum diversæ scientiæ proportionaliter se excedant secundum exces-  sum obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit aliis scientiis difficilior. Consequenter quæritur  utrum cognitio unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quænturutram spericum positum supra planum tangat  ipsum precise in puncto.  Consequenter quæritur utum  animaintellectiva possitacorporeseparan.Quæritur primo circa secundum de anima et sit prima quæstio scilicet utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex amma et corpore. Consequenter quacritur utrum diffinitio de anima sit sufficienter posita qua dicitur anima  est actus primus substantialis.   Consequenter quærtur utrum ex anima et corpore fiatunum.  Consequenter quærtur utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distincta a  sensitiva et vegetativa crus. Consequenter quæritur utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte ipsius hominis, Quæritur utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad  summum attendenda.  Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale est.  Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit formam  substantialem producere.  Si combusebile non dehvat augeaturignis  quantum libet in infinitum.  Consequenter quæritur  utrum animal possit nutriri ex  impiei de Comequente quærinur  utrumomne animal dum vivie nutsarur. Consequenter  quæritu  utrum exures sit appetitus calidi et sicci.  Conseguenter quæritur utrum sensus sit virtus paxiva.  1HConscquenterquænturtrum  species conserventur in organo sensus temporaliter in abisentia obicetorum.  Consequenter quæritur  utrum omne quod apparet sit tale, Quæro istam quæstionem circa materiam secundi utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex anima et corpore.  Quæro istam quæstionem utrum definitio de anima sit sufficienter posita, qua dicitur anima est actus primus substantialis.  Quæro istam quæstionem utrum ex anima et corpore fiat unum, Quacro istam quæstionem utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distineta a sensitiva et vegetativa eiusdem.  Quæro istam quæstionem utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte  ipsius hominis.  Quæro utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad summum attendenda.  Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale ipsum est.  Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit tormam  substantialem producere.  Quæritur utrumsi combustibile non deficiat augeatur ignis  quantumliber in infinitum.  Quacritur utrum animal possit nutriri ex simplici elemento.  Quacritur utrum omne  animal dum vivit nutriatur.  Quæritur utrum esuries sit appetitus calidi et sicci,  Quacritur utrum sensus sit  virtus passiva.  Quæritur utrum species conserventur in organo sensus temporaliter in absenta obrectorum.  Quæritur utrum omne quod apparer sit tale tantum et ubitantum et ubi, quale et quantum et ubi apparet quæ quæstio consucta est proponi sub hac forma, Consequenter quæritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  Consequenter quacritur utrum visio fiat in istanti.  Consequenter quæritur utrum possibile sit aliquem sonum esse vel bert  Consequenter quæritur utrum idem sonus possit a pluribus audiri. Consequenter queritur  utrum  odor multiplicetur  spiritualiter per medium.  Consequenter quenturutrum  sensus tactus sit inus ct non plures,  Consequenter quænturutrum duo corpora dura possint se tangere. Consequenter quæritur utrum ad  sentiendum tangibile  requiratur medium extrinsecum.  Conseguenter guæntur  utrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  Consequenter quæritur utrum sensibile positum supra sensum causet sensitionem. Consequenter quæritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  Consequenter quac-  ntur urum oranum sensus communs  sit in cerebro vel in corde... Et hace hie sit finis questionum secundi libri de anima.  quale quantum et ubi apparet.  Quacritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  Quæritur utrum visio fiat in instanti.  Quacritur utrum possibi le sit aliquem sonum esse vel hier. Quæstio sit ista utrum idem sonus possit simul a pluribus audiri.   Quæritur utrum odor multiplicetur spiritualiter per medium. Quæritur utrum sensus tactus sit unus et non plures.  Quæritur utrum duo corpora possint se tangere. Quæritur utrum ad sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Quacriturutrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  Queriturutrum sensibile positum supra sensum causet sensationem.  Quæritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  Quacritur utrum  scnsuS commanis organum sit in  cerebro vel potius in corde... explicit secundus de anima.  Dubitatur circa tertium hbrum de anima et quæritur primo utrum intellectus humanus pati possit ab aliquo agente.  Conseguenter guæritar  utrum possit persuaderi quod intellectus humanus sit denudatus ab omni qualitate.  quæritur utrum intellectus humanus pati  possit ab aliquo agente.  Quacritur utrum possit persuaderi  intellectus  numanus sit denudatus ab omni  qualitate.  Quacritur utrum omnis veritas possit ab intellectu cognosci.  Quæritur utrum  intellectus humanus possit intelli-  gere quod non est. Consequenter quæritur utrum intellectus possit simul plura intelligere. Consequenter quæritur utrum per speciem lapidis intellectus  intelligat se ipsum. Consequenter quæntur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoe species, sint idem quod anima actualiter vel habitualiter intelligens. Consequenter quacritur utrum voluntas sit praccisa causa activa suæ volitionis et nolitionis.  Consequenter quæritur utrum voluntas humana in utramgue partem contradictionis sit libera. Quacritur utrum principium motus localis in corporibus viventibus sit anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  Ultimo quæritur utrum natura in erus operibus deficiat in necessaris et habundet in superfluis;  Expliciunt  Guarde anima rima peredi leneri  artium doctorem Blaxium de Parma recollectæ per me Marinum de  Leonissa in studio Paduano deo gratias ad cuius finem me perducat qui vivit per infinita saccula amen amen amen.  Incipit tabula praccedentium quæstionum super libro de anima.  Utrum omnis veritas possit  ab intellectu cognosci.  Quacritur utrum intellectus humanus possit intelligere quod non est.  Quacriturutrum intellectus  possit simul plura intelligere.  Quæritur utrum per speciem lapidis intellectus intelligat  sespsum.  Quacritur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoc species, sint idem quod ipsa anima actualiter vel habitualiter intelligens.  Utrum voluntas sit præcisa causa activa suæ volitionis et nolitionis.  Utrum voluntas humana in utraque (partem] contradictionis sit libera. Quacritur utrum  principium  motus localis in  corporibus viventibus sir anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  Quæritur utrum natura ineius operibus deficiat in necessaris et habunder in supertluis, Expliciunt questiones super libris tribus de anima.  disputata Paduæ per reverendissi-mum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma, deo  Me si nome sei en sicci  Expletæ Paduæ  prima augusti die. Tabula quæstionum de anima secundum magistrum Blasium de  Parma doctorem dvabolicum.  CONCLUSIONES e QUÆSTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  TREVISO, Bibl. Comunale, raccolte da un discepolo l'ultima cifra è andata perduta nella rilegatura): *Glose per Blasium de Parma super librum physicorum utiles cumanima boni philosophi (Buridano secondoil ms.), Incipiunt recolecte (.)per  Blasium de Parma super libro physicorum»; t. 43vs «Explicit compendium recollectarum super 8 libros physicorum per dominum magistrum Blastum de Parma- (per Matheum de Tervixio): f. 13va: «Et finis questionum secundi libri physicorum que sunt recolecte per me Matheium de Tervixio philosophum minimum ex dictis valentium doctorum 138 (?)»,  QUESTIONES PHYSICORUM  VATICANO, Vat Chigi, O. IV, 41, sec. XIV, ff. 226r-280vb, prima redazione limitata al primo e secondo libro della física, questione settima del secondo libro. Incipit« Circa primum librum physicorum quæritur primo et su prima questio in ordine, utrum nobis de rebus naturalibus sit possibile aliqua cognitio sensitiva vel intellectiva, expliciunt quæstiones primi libri physicorum recollectæ per me Marinum sub reverendo doctore magistro Blaxio de Parma in studio paduano ordinane legente Padova  IUDICIUM  In quodam iudicio magistri Blasii de Parma, ms. VATICANO, Reg, lat., 1973, ff, 48rb-vb, incipit: «qui maxime se diligit»; cfr, la edizione,  Rinascimento Firenze  Pavia  QUESTIONES SUPER TRACTATUM DE PROPORTIONIBUS THOMÆ BRADWARDINI  Esistono due redazioni diverse di questa opera. Le seguenti tre corrispon-dono salvo lievi varianti formali sebbene una di esse sia stata corretta e rivista in parte da Biagio e in parte da Pietro de Raimundis de Cumis, contengono 12 questiom; una quarta copia non corrisponde e contiene salo 11 questioni.  VENEZIA, San Marco, lat. codice posseduto da Marcanova, le questioni di Biagio sono,  Bradvardin anglico sacræ paginæ professore scriptæ et completæ per me Andream de Castello, questiones super eisdem proportionibus secundum magistrum Blasium artium venerabilem doctorem. Incipit: счастисит ситса proportones utrum conungar  omnem motum alteri in  velocitate et tarditate proportionar. Negative:  arguitur primos; t. 37ra:  «expliciant questiones super tractatum de proportionibus utrum contingat omnem motum alter in velocitate et proportionibus secundum venerabilem doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ per me Andream de Castel-lo Bononiæ sub anno Domini 1391 19 die mensis iulii«: OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, mise, expliciunt  questiones magistri Blaxii super tractatum proportionum Bardvardini, amen»; VATICANO, Var. lat.,  se-guito da carte bianche, testo rivisto in parte da Biagio e da Raimondo da Cuma: incipit: quæstiones super tractatum proportionum magistri Thomac  Berverdini ab eximio artium doctore monarchaque domino magistro Blaxio de Parma «utrum contingat ombem motum alteri in velocitate et tarditate proportionarie; si legge istas quæstiones super tractatum de proportonibus ego frater Petrus de Raymumdis de Cumis emi a magistro Jacobo de Panicalibus artium et medicinæ doctore et ipsas pro parte correxit magister Blaxis de l'arma huius operis compilator, in residuo autem pars ego correxi».  Una redazione diversa, più breve che comprende solo 11 questioni si trova  AMILANO, Ambrosiana, Expletæ suntquæstiones  super tractatum de proportionibus Tomæ Bervardini compilate per magistrum Blaxium Pelacanum de Parma, incipit: «utrum intensio qualitatis attendatur penes accessum ad summum gradum vel penes recessum a non gradu-, la quæsto e mutta; segue la seconda, f, 6ra, «consequenter quacritur  proprianemi edit pre ioni, taranel dabi, si sandra:  ROMA, Angelica, Su cio cfr. in particolare il muo studio Due comment anonimi al Tractatus proportionum di Bradwardine, Rinascimento, QUESTIONES DE LATITUDINIBUS FORMARUM  Esistono tre redazioni diverse con particolare riguardo alla prima questio-ne. Primo gruppo: 1) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc.; esse seguono l'explicit delle crusdem tractatus de latitudimbus formarum quæritur primo utrum alicurus formæ set latitudo unforms quod non.., exphcunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum datæ per venerabilem artium doctorem magistrum Blaxium de Parma per me Donatum de Monte artium doctorêm et in medicina studentem, 1392 die 29 decembris regnante domino Francisco de Francia Paduæ secunda vice Amen MILANO, Ambrosiana, circa tractatum de  -latitudinibus formarum quæro primo utrum cuiuslibet formæ latitudo est  coitounde l difinis con litur quad die (quesa prima pratione, por  questa prima questione si avrebbero dunque, tre stesure diverse). F.  «Explicitæ sunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum editæ et ordinatæ per me Biaxium Pelacanum parmenseme, Un secondo gruppo di mss, contiene le questioni de latitudinibus formarum in una redazione quasi uguale, salvo licvi varianti formali, con le prime ediziom di questa opera, Padova, per Matteo Cerdone, Venezia,  per Scoto, La redazione della I questione è diversa da quella d ei 2 mss. sopra citati: FIRENZE, Laurenziana, Ashburnham, quæstiones de latitudinibusformarum, mapu  quæritur  primoutrum  cuushbet formæ latitudo sit uniformis vel dillormis et arguitur primo quad non de forma substantiali ut de anima intellectiva quæ est indivisibilis»; expliciunt quæstiones super tractatum de latitudinibus formarum determinatæ per venerandum doctorem magistrum Blasium de Palma (sic) scriptæ per manum Roberti de sancto Petro» VATICANO, Vat.  lat, SIENA, Comunale, expliciunt quæstiones super tractatu de latitudinibus formarum edito a magistro Blasio subtilissimo viro de Parma Paduæ vero scripto per me fratrem Johannem Angeli Senensem ordinis prædicatorum OXFORD, Bdl. Lib. Canonici, quæritur primo utrum cuiuslibet tormæ latitudo sit uniformis vel difformis et primo arguitur quod non de forma substantial ut de anima intellectiva quæ, expliciunt questiones utiles super tractatum de latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraninum scholarem artium 1404 die 19ª Man stante discordia non modica inter Venetos et dominum Pad.». Questa copia ha maggiori varianti rispetto alle altre tre.  QUÆSTIO DISPVTATA DE INTENSIONE  ET REMISSIONE FORMARUM  1) OXFORD, Bdi, Lab., Canonici, musc. sit aliqua qualitas posse intendi similiter et remitti, arguitur primo de supposito»; f. 39rb: «explicit questio de intensione formarum disputata per reverendum doctorem magistrum Blaium de Pelacanis de Parma»; VENEZIA, San Marco, classe codex  (Valentinelli), comprato da Marcanova, lasciato ai frat di San Giovanni in Verdario, contiene una redazione un pò diversa, fatta da Biagio per il figlio Francesco (con bella capitale miniata). Contiene dopo il terzo articolo e prima dell'inzio del quarto articolo, dubia di statica e di meccanica che non si trovano nella copia di Oxford sopra citata, ft. 13rb-tova: vantequam condescendam ad quartum articulum pro declaratione matori doctorum necnon dicendorum ego quæro adhue hane dubitationem utrum a proportione acqualitatis vel minoris inacqualitatis proveniat vel possit aliquis ellectus provenire» (con figure e note nel margine basso): f.  Lova: «et hace dicta sint pro toto isto dubio cum eis difficultatibus motis et etiam de isto tertio articulo principalis questionise; expliciunt ca quæ sufficienter sub veritate dici possunt circa materiam de intensione et remissione formarum in hac notabilissima questione secundum excellentissimum artium monarcham necnon studiorum Italiæ illustratorem magistrum Blasium de Pellachanis de Parma quae quidem quaestio est mei  Francisci fili cius. Il folo seguente porta la copia dell'epitaffio della tomba di Biagio posto sulla porta della cattedrale di Parma; OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc. emutilo in fine); incipin cum sit evidens aliquam qualitatem posse intendi vel remitti. CONCLUSIONES e QUESTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  Seconda redazione: VATICANO, Vat. lat, expositio primi libri physicorum per conclusiones secundums serenissimum artium illustratorem magistrum Blaxium de Parma. Incipi: quoniam quidem intelligere et scire contingit circa omnes scientias quarum sunt principia»;t. 49va: set in hoc cum der laude finitum (sic) sententia actavi et ultimi libri physicorum secundum solemnissimum virum artium illustratorem preclarissimum Blasium de Parma, Expliciunt conclusiones octavi libri et ultimi physicorum secundum Blasium de Parma qui subtilis doctorappellatur  in studio papiensi scriptae per me Bernardum a Campanea de Verona hora tertia noctis»; (sui codici copiati e posseduti da Bernardo cfr. il mio studio A propos de la diffusion des oeuvres de Jean Buridan en Italie, The Logicof Buridan, ed. PinnoRG, Copenhagen) e Caror, I codici di CAMPAGNA (si veda), Roma, Manziana, QUESTIONES DISPUTATAE SUPER OCTO LIBROS PHYSICORUM Seconda redazione, in Pavia, VATICANO, Vat. lat. Gratia regis caelorum qui totius are elementalis summus est imperator in laudem et gloriam serenissimi ducis.  Incipit, utrum scientifiça notitia sit nobis a rebus naturalibus passibilis-,  Diamo qui di seguito i titoli di tutte le questioni da questa copia.  Questionum physicorum tituli:  Liber primus utrum scientifica notitia sit nobis de rebus naturalibus possibilis, arguitur quod non.  secundo quaeritur utrum cognita causa totalis alicurus rei cognoscatur statum illa res et non aliter, arguitur negative. tertio quaeritur utrumin nacuralibus ordine doctrinae ab universalibus in singularia sit processus, et arguitur primo negative. quarto quaeritur utrum asserentes omma esse unum possint probabiliter in hac opinione substentari, arguitur quod sie.  sexto quaeritur utrum asserentes omnem rem  cxtensam et suam extensionem non differre, possint probabiliter positionem  corum substentare, et statim arguitur quod sic.  quacritur et septimo utrum in materia quantum-cumque parva forma substantialis hora generationis producatur, primum  naturalium esse tantum tria possint potenter impugnari et arguitur quod sic. quaeritur et nono utrum per potentiam finitam vel infinitam possit aliquid fieri ex nichilo, arguitur quod sic.naturalie appela peranque rur de quadron Expibe ena estrale  primi libri physicorum secundum excellentissimum doctorem Blaxium de  quæstiones secundi libri physicorum secundum antedictum doctorem. Bernardus antedictas quaestiones Liber secundus  circa secundum librum physicorum primo quaeritur utrum domificator vel faciendo domum faciat aliquid rebus naturalibus  condistinctum et sie ista quaestio duo quaerit,  secundo quaeritur utrum quodlibet ens naturale habeat in se principium motus et quietis, arguitur quod non.  tertio quacritur utrum omnis forma in latitudine perfectionali entium sit perfectior quam sit materia.  quarto quaeritur utrum diversæ scientiae  perfectione essentiali secundum proportionem obiectorum proportionaliter  excedant se, et arguitur primo negative. sexto quaeritur utrum possit evidenter probari aliquid esse causa altenus, arguitur negative.  septimo quaeritur utrum ad cuiuscumque rei naturalis generationem practer agens particulare requiratur influxus causae universalis quae causa universalis dicitur sol quia secundo huius dicebatur quod homo generat hominem et sol et ita intelligitur de aliis planetis, arguitur octavo quaeritur utrum inter agentia particulani  supposita semper generali influentia superiorum possit qualitas una vel plures formam substantialem producere et arguitur primo affirmative. nono quaeritur utrum asserentes omnia de necessitate evenire et nhil a casu vel a fortuna, possit corum positionem substentare et arguitur primo affirmative:  Liber tertius circa tertium librum physicorum primo quaeritur utrum in aliquo casu necesse sit ignorare naturam, probatur quod non.  secundo quacritur utrum hacc propositio  'motus est' significans motum esse et precise sie et non aliter, sit vera et  arguitur primo negative.  tertio quaeritur utrum motus sit ipsum mobile,  arguitur primo quod non. quarto quaeriturutrum contradictionemincludat aliquam magnitudinem esse actu infinitam et arguitur quod non.  Liber quartus  quartur 1 i poss sto ci gequari ato, aria quad primo secundo quaeritur utrum entia naturalia distantia ab corum locis naturalibus moveantur ad illa, impedimentis subtractis, arguitur quod non.  tertio quacritur utrum corpora naturalia ab corum locis naturalibus distantia remoto impedimento moveantur ad illa per lineas rectas tamquam per lincas breviores, arguitur négative.  possiblis arguit pro quo guinto quacritur utrum in vacuo sit morus   sexto quaeritur utrum penetratio corporum sit possibilis et arguitur qued sic.  septimo quacritur utrum rarefactio sit possibilis, octavo quaeritur utrum hace propositio sit concedenda "nune est tempus', et arguitur quod non  nono quaeritur utrum aliquid sit praecise per instans, arguitur quod sic.  Liber quintus circa quintum librum physicorum quaeritur primo utrum agens naturale hom qua agit in passum agat in ipsum secundum  arguitur quod sic. tertio quaertur utrum alteratio sit motus, arguitur quod non. quarto quaertur utrum augmentatio sit motus  quintoguaritrucumcontadicionemindudat  motum localem esse et non esse motum, arguitur quod non.  sexto quaeritur utrum unitas motus sit principaliter attendenda penes unitatem temporis aut magis penes unitatem mobilis, etista quaestio quaeritur quia philosophus ad testum dicit quad ad unitatem numeralem motus requiritur unitas temporis et mobilis et dispositionis secundum quam est motus, primo arguo negative.  septimo quaeritur utrum aliqui motus differant specie arguitur qued non. octavo quaeritur utrum in motibus sit penes contrarietatem terminorum ad quos contrarieras attendenda, arguitur primo  negative.  nono quacritur utrum possibile sit contraria in codem simul complicari, affirmative arguitur.  decima quaestio quaeritur utrum qualitas sit intenlegi ego Bernardus a Campanea de Verona, in felici studio  papiensi, Explevi etiam ipsas vero recoligere die Mercurii XI' Juli hors XXI, Liber sextus  Incipiunt questiones sexti libri physicorum secundum praedictum doctorem quas incepi recoligere die Jovis XII' Julii in civitate Papiac, circa sextum librum physicorum primo quaeritur utrum per bonas rationes concludi possit continuum esse ex indivisibilibus compositum, arguitur quod sic. secundo quacritur utrum continuum sit in infinitum divisibile, et arguitur quod non. tertio quaeritur utrum mobile velox per idem tempus vel aequale plus pertranseat de spatio tardiori, arguitur primo  negative: quaeritur et quarto utrum indivisibile moveri localiter vel alio modo rationibus obviet philosophorum, arguitur quod non. quinto quaeritur utrum sit possibile motum velocitari in infinitum, et statim arguitur quod non.  sexto quaeritur utrum omne quod moverur prius movebatur et post hoc movebitur, et arguitur quod non.  seprimo quaeritur utrum possibile sit magnitudinem infinitam transiri tempore finito et finitam transiri tempore infinito, et arguitur primo ad primam partem quod sit possibile. octavo quaeritur utrum potenter possit improbari alquod moven localiter et arguitur primo affirmative. Expliciunt quaestiones sexti libri physicorum secundum Blasium de Parma.  Liber septimus  Incipiunt questiones super septimo libro physicorum secundum Blasium  praedictum, primo circa septimum librum physicorum quaeritur utrum omne qued movetur moveatur ab alio, arguitur primo.  negative. secundo quaeritur utrum in motibus et motis sit processus in infinitum aut potius sit venire ad primum motorem et arguitur  primo affirmative. tertio quaeritur utrum in omni motu movens et motum sint simul et quia ista terminus 'simul* potest dicere simultatem loci et temporis, ideo primo arguitur negative ex parte loci. quarto quacritur utrum morus rectus et circularis sint invicem comparabiles, et arguitur primo affirmative. quinto quaeritur utrum acqualiter gravia  moveri, et arguitur affirmative. sexto quacritur utrum in alteratione sit certa velocitas attendenda, arguitur quod non. septimo quaeritur utrum in motu locali sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non. octavo quacritur utrum in augmentatione sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non.nono quaeritur utrum in motibus proportio velocitatum sit sicut proportio causarum, et arguitar quod non.  ultimo quacritur utrum agens naturale sit limitatum et arguitur affirmative. Expliciunt quaestiones super septimo libro physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae per magistrum Blaxium de Parma doctorem famosissimum artium.  Liber octavus  Inepiunt quaestiones super octavo libro et ultimo physicorum Aristotelis secundum praedictum magistrum Blaxium de Parma, primo circa octavum librum physicorum quaertur utrum philosophicis rationibus patenter concludi possit matum fusse ab aeterno et arguitur affirmative: item dubitatur et secundum utrum 'deum non esse' contradictionem includat, arguitur primo negative. tertio quaeritur utrun contradictionem includat caclum fuisse acternaliter productum et arguitur quod sic.  quarto quaeritur utrum caclum moveri in instanti contradictionem includat et arguitur quod sic. quinto quaeritur utram possibile sit primum motorem caclum movere in instanti et arguitur quod sic,  sexto quaeritur utrum inanimata sive gravia sint sive levia ex se moverntur vel nata sint ex se mover et arguitur quod sici Vseptimo quacritur utrum motus localis sit primus motuum arguitur quod non. Ira: octavo quaeritur utrum asserentes motos contrarios quiete media interrumpi possint per rationes naturales improbari: nono quaeritur ut rum praecise motus circularis sit perpetuus, arguitur negative: decimo quacritur utrum per rationes naturales amar possit a quo protecta moveantur contra inclinationes naturales cumab impellente recesserunt, et arguitur quad non., undecimo quaeritur utrum per naturales rationes concludi possit primum motorem qui est ipse deus et vigore et duratione esse inhnitum, et arguitur attrmative: ultimo quacritur utrum primus motor st  -ubique, tamen magis in circumferentia quam in centro, arguitur negative sic.  Expliciunt quaestiones super primo, secundo, tertia, quarto, quinto, sexto, septimo et octavo libris physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae in civitate Papie per perspicuum doctorem Blaxium de Parma. Altra copia, stessa redazione, non completa, manca l'intero ottavo libro e alcune colonne degli altri nonché aleuni problemata: VATICANO, Vat. Lat. quaestiones physicarum. Cratia re favente qui totus... utrum scientitica noutia de rebus naturalibus sit nobis possibilis; consequenter circa septimum physicorum quacritur primo utrum omne quod movetur moveatur ab alio, quaeritur trum omne agens sit in cius actione limitatum et arguituraffirmative», si arresta al primo articolo; si legge: istae questiones Blaxii super libros physicorum sunt fratris Petri de Raymundis ordinis Prædicatorum quas scribi fecit et sub ipso magistro Blaxio audivit IN THEORICAM PLANETARVM ALPETRAGI In Theoricam planetarum Blasii demonstrationes et dubia. Si tratta di opera diversa dalle semplici Demonstrationes geometricæ in theoricam planetarum: Demonstrationes et dubia in theoricam planetarum Alpetragii, VATICANO, Vat. lat. Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia circa materiam gratiarum largitor pulsando  occultare ne me quis invidum reputaret qui non papirum combustilem, sed pergamenum magis ignis extinctum gratus vobis cognovi lineandum, quia etc. omnibus licitum est ordinem servare doctrinalem, consequar quod promisi, videlicet primo orbes solis depingendo ut sic inde conclusius videat apparentas et nequaquam naturalibus principiis derogando et naturali obviat qui vacuum pont qui corporum penetrazionem admittit et minus qui orbes facere fluere et stationes cum praedictis, deinde propositiones demonstrationem parientes ut gloriosus deus concesserit discursu apodiacon demonstrabo et ultima demonstrata pro tabulistis quantum ad corum proposita sufficit, applicabo. Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis eccentricam fabricare, Istam conclusionem propositam non intendo demonstrare...; f. 60va: «patet quomodo respondetur ad demonstrationes contra istam et sie sit finis per me Petrum de Fita, Expletae sunt theoricae planetarum per magistrum Blasium de Pelacanis de Parma editace: FIRENZE, Laur., Plut, codex, sec. XV, ff. 8ra-14v, non completo, si arresta al commento della proposizione Dunam sex motibus moveri quibus datis, con le parole: set tertium ab eis distat vel illud tertium quod a duobus coniunctis distat est Sol vel epiciclus; BERLINO, Staatsbibliothek, ms. lat Demonstrationes et dubia theoricae Blasii de Pelacanis de Parma; VENEZIA, San Marco, Demonstrationes et dubia Blasii Parmensis super theoricam planetarum,  11. 175г-216v; FIRENZE, proprieta Olschki, Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia secundum subiectam materiam gratiarum Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis fabricare, istam conclusionem propositam non intendo demonstrare», edito sotto l'attribuzione a Pietro da Modena da G. BoerTo E U, MAzzIA, D'un ignoto astronomo del secolo XIV, Pietro da Modena, da un ms. della collezione Olschki,  Bibliofilia; in realtà si tratta dell'opera di Biagio, cfr. anche L,  THORNDIKE, Notes upon some medieval latin astronomical astrological and mathematical manuscripts at the Vaticana,  Isis, PARMA, Bibl. Palatina, In theoricam planetarum demonstrationes geometricæ  VATICANO, Var. lat, Blas Parmensis demonstrationes geometricae in theoricam planetarum, mapit: « Centrumsolis acqualiter distat a centro eccentrici solis et a centro terrac existentis in duobus punctis terminantibus lineas existentes plus sex signis luna peragit cursum suum. Finis theorica lunae»; branco: f. Laurenti Bonincontri Miniatensis super Centiloquio Photomer. Nella prima carta del codice se legge Nicolai comitis patavini de motu octavae sphaerac, Tractatus sphaerae Johannis Sacrobosco, Demonstrationes Blasir parmensis, Comentum Albertum magnum super sphacram, Eiusdem Blasti demonstrationes mathematicae super theorica planetarum, Centiloquiam Ptolomei cum commento mei Laurentii Bonincontri»; nell'indice, dunque sono indicati i due testi di Biagio, ma noi ne avremmo individuato uno solo. VIENNA, Bibl. Nat., mapu, centrum solis acqualiter distat a centro eccentrici. Corrisponde salvo lievi varianti, fino a f. 66v (con la proposizione 22a), con il Vat, lat., VENEZIA, Museo Correr, Provenienza Cicogna; contiene solo l'explicit, evidentemente errato: finiant demonstrationes Blasii de Parma super theorica planetarum compilata per ipsum in gymnasio  mia edizione Il 'Lucidator' dubitabilm astronomiae di Pietro d'Abano SCHIAVONE, Padova, Editoriale Programma, Le Demonstrationes geometricæ sono pubblicate anomime nell'edizione per Scoto, Venezia, Sphaera mundi cum commentaris. Anche THORNDIKE, Notes upon some mediaeval latin astronomical astrological, JUDICIUM  ladicium revolutionis anni 1405, PARIGI, Bibl. Nat., lat., ludicium revolutionis anni  cum hors et fractionibus secundum magistrum Blasium de Parma, incipit: cantequam invadam pracsentem materiam pro mei informatione et alterius cuiuscumque priesupponam aliqua in modum propositionum iuxta formam et consuetudinem philosophantium, Su questa opera efr. il mio studio P. una storia astrologica, Abstracta. Biagio Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani, Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’” Pelacani.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pelagio: la ragione conversazionale - l’implicatura conversazionale – la scuola di Giulano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Celestio and Giulano di Eclano. Pelagio

 

Luigi Speranza -- Grice e Pellegrini – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Pesaro). Filosofo italiano. Pesaro. “Grammatica di lingua italiane semplificate”. Italia Italia, in Basel. Del urbe Pesaro esseva un pionero de interlingua. Ille adhere al movimento pro interlingua e pois devene representante pro Italia del Union Mundial pro Interlingua, sequente professor, adv. GUGINO (si veda), qui pro rationes de supercarga de labor, demissiona como le prime secretario national del Union Mundial pro Interlingua in Italia.  Ille examina le grammatica de esperanto e lo ha judicate non apte al solution del problema del lingua auxiliar international specialmente pro su lexico hybride e semiartificial e le uso del desinentia -n pro indicar le accusativo e in le parolas que exprime direction, data, duration, precio, mesura e peso. Ille examina anque le Latino sine flexione de PEANO (si veda), ma mesmo iste systema non le place a causa del manco del articulo e per le conjugation verbal troppo simplificate e innatural.  Desde alora P. pensa que usante le parolas commun al linguas neolatin e al anglese e alicun vocabulos latin on po codificar un lingua international facile e belle. Iste conviction resta sempre in su mente. In "Eco del Mondo" ille lege le articulo "Le lingue internazionali moderne" per Percival, in le qual on parla del labores del "International Auxiliary Language Association" e indica su adresse. Ille constata que su opinion in re le lingua auxiliar international ha essite quasi realisate per Occidental de Wahl, Mondial de Heimer e Neolatino de Schild, systemas del quales le articulo presenta un texto specimen, ma ille pensa que le labores del IALA haberea date al mundo le lingua auxiliar melior. Quando le pressa publica le nova que le esperantistas habeva interessate le UNESCO a fin que esperanto venirea recognoscite qua lingua international, P. scribe al IALA precante de voler intervenir presso le UNESCO al scopo de facer cognoscer su labores re le lingua auxiliar international, in modo que esperanto, jam refusate per le Societate del Nationes, non haberea alicun successo. Assi ille vene in contacto con Gode, Schild, Fischer, Berger, Bakonyi (vedasi) e tante alteros e comencia a propagandar interlingua in tote Italia. Ille publica multe articulos in le pressa italian in re le problema del lingua international. In collaboration con Schild, ille edita le "Corso d'Interlingua in venti lezioni" a uso del italo-phonos e le manual "Interlingua" (grammatica, vocabulario interlingua-italiano e italiano-interlingua). Malgrado su effortios P. non succede a facer adherer al UMI multe italianos e formar con illes un societate italian pro interlingua. Ille esse in correspondentia con multe interlinguistas europee, usante esperanto, ido e super toto interlingua, e initia al studio de interlingua Negalha e Castellina, de Suissa, qui ha devenite valide collaboratores del UMI. P. ha participa al Conferentia International de Interlingua que ha loco in Basilea, ubi ille incontra multe amicos de Interlingua. Ille collabora al periodicos "Currero", "Heraldo de Interlingua" e al Panorama, e ille esse un active collaborator al "Dictionario Italian-Interlingua" sub le redaction de Castellina.  P. esse empleato in le Officios de Contabilitate provincial statal e vain pension con le qualification de director general de iste officios. Ille participa al secunde guerra mundial qua official inferior de infanteria. More su car sposa, e P. mesme cade malade, lo que le impee laborar pro interlingua, como esse su calide desiro. Un signo typic de su minutiositate e grande labor es que ille mesme scribe le majoritate de iste lineas in le qual "io ha contate mi historia qua interlinguista e isto potera interessar le lectores del revista".  In Pesaro (Italia), al more ma esse rememorate como pionero italian de interlingua. Ugo Pellegrini. Refs.: “Grice e Pellegrini”. Pellegrini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pellegrini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amore come affezione dell’animo – e la sua manifestazione nei maschi nobili – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo italiano. Sonnino, Latina, Lazio. Grice: “I like Pellegrini: he found Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended for!” È, secondo TIRABOSCHI, filosofo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni beneficii ecclesiastici. Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblica il “De affectionibus animi noscendi et emendandis commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele del Lizio sconsigli lo studio dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi morali, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica deve essere impartito prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. È più oratore che flosofo. Nn pensa ad inovar cosa alcuna, e segue costantemente insegnando i precetti del filosofo stagirita. Altri saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio de utilitate moralis philosophiæ, cum ethicorum Aristotelis explicationem aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); Tiraboschi, “Storia della letteratura italiana” (Società tipografica de’ classici italiani, Milano); Carella, “L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma: le cattedre e i maestri” (Olschki, Firenze); Renazzi, “Storia dell'università degli studj di Roma” (Pagliarini, Roma – rist. anast. Forni, Bologna). P. scrive II important commenti su Aristotele del LIZIO, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima – dall’amore all’ira – amore, speranza, ira, audacia, temore, dolore, animosità. Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione dell’anima – il corpo non è menzionato. Ma P. elabora sulla questione dell’anima e il corpo per l’affezione – chè è affetato nell’affezione? Il secondo è un commentario sull’onore e la nobilità. Due trattati sono menzionato dai storici della filosofia. Nel III trattato, P. elabora la questione di TASSO (si veda) ‘filosofo chiarissimo’. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale, riceve un saggio sulla politica d’Aristotele da un filosofo tedesco. P. critica la toleranza del filosofo alla posibilità del fraudo – ma il filosofo no considera l’oggezioni di seria considerazione. P. è associato al ginnasio di Roma. Il ginnasio è una istituzione laica “for I cannot imagine naked monks, playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di Pellegrini”. DE AMORE £X didis antiquorum oHenditur, quanta fit eius vts, atque præflantia S8S8©Ii RINCIPE M in hac difputatione fibi locum amor vendicat, quod fons fit atfe&ionum, quæ bonum fpe&antjiuxta illud Parmenidis VELIA Cundorumq, Deum primum quæfiuit amorem nec non vi atque potelVate ijs antecellat ideo rerum dominus, ferorum cordium mollitor, alijsq. honorarijs principatus nominibus appellatur • quippe fera non eft adeo immanis, quæ confpcfto foetu non mitefcat.antiquifsimi mortales, homines agreftes atque truces, liberorum illecebris, et amore deiiniri coeperunt, vt cecinit LUCREZIO £f Fenus imminuit vires, pueriq. parentum Blandicijs facile ingenium fregere fuperbum. Plato in fympofio amorem dixit magnum dacmo na, præfidentem rebus humanis ; quod eius du&uomnia gignantur. Orpheus eundem aiferuit C' a claues 3»qKi 3 6 DE claues habere fuperorum et inferorum, quod artis et naturæ opus quodeumque extrudat in lucem; vnde inuentoris artium, atque magiftri appellationem obtinuit, ferunt Poetæ, solis amantibus a Plutone reditum ad nos concedi ; cum in ceteros exiftat implacabilis; 8r folollri&o iure, vt Sophocles ait, vtatqr. quid ni? cum fub tutela fint eius, quem claues tenere, atque inferna fuo arbitratu referare fabulantur? Hefiodus mortalium et immortalium mentes amore domari cecinit. Homerus louemeiufdem mancipium fecit. Plutarco in Amatorio amorem coparat Dictatori, quo crea to cedant omnes magiftratus. Indices criminum, cpnfcij vehemccifsimæ perturbationis delifta no pauca vel impunita, vel leuifsitne caftigatadimife runt, quod amoris impulfu admiffa conftaret; idq. non femel hoc feculo fa&itatum teftanturij, qui de criminibus vindicandis confcribunt. Sclethum Crotonia tamdepræhefum in adulterio fraternaq vxoris, cum se amore victum peccasse diceret, a ciuibus fuis exulare iuifum in lib. pro mercede condudis refert Lucianus, capitis poen. aremifefed jllum,fcu pudore violatæ germanitatis, Ceu legun amore, quas nalletlabefa& atasjin ignem fponte i infiluitfe,ac poenam fubiilfe, quam ipfe met ftatuerst in adulteros. Mundus» equeftris militiæ du&or fab Tyberio, paulinam Romanam deperibat;eam &uprauic in templo Ifidis ; facerdotibus pecunia corruptis, facinore comperto,Tyberius, in crucem eg i :,iemplu m $uertir, fijup. ftituam in Ty berim coniecir ; Mundum vero exilio punire faris habuit ; quod, amoris vehementia fu peratus, peccalfet;Charmo,vim amoris edo&u$j illi aram in Academiæ ingreffuexcit.iuit. Athchienfes Aatiiam dicarunt in tempk) Palladis, a-u amico bonarum artium; remq. ei diuinam inOituerunt, Erotidia, ntincuparam: Samij in ciu/dem honorem Eleutheria facra habuerunt. ANTEROTE quoque finxit,coluitq. mendax græcorum antiquitas, ex Venere et MARTE natum; vt eft apud CICERONE de natura Deorum. in Themiftij fermonibus Themis Dea hortatur Venerem, vt Anterota gignat, fi amorem adolefcere,non perpetuo pufioriem elfe velit. Hinc OVIDIO Almafkue dixi geminorum mater amorum.£& Horæ. Mater fæua cupidinum. qtio loco hæret Lambinusob ANTEROTE vel obliuionem,vel incogitantiam : In Gymnafio Eleorum erant vtriufq. icones; EROS palmaccum ramum tenebat, quem ANTEROTE nitebatur eripere, ‘amicitiæ, vti reor,limii lacrum.amici enim ita fe mutuo diligfit,vtin amo re alter alteri præire Audeat. Crefcit Eros Antero tos ortu; quod reciproco amore amans animatur et accenditur magis ad amandum. EA autem hæc de amore difputatio non paruifacienda; quam Socrates auide cofe&atur; et cum fe reliquorum omnium profiteatur ignarum, egte gium tamen amatorem ia&at, et haberi Audet. Neque vero quis illu hic arguat impuritatis. adeO enim eafte amauit,vtnec lycophantæ acerbifsimi C 3 AnirtiSi I $$ D E tus, et Melitus impudicas ei obiccennt amores 5 nec Ariftophanes, eidem inimicifsimus,tali accufatione hominem pupugerit ; et cum pauperem, loquacem, fophiftam appellairet in fcæna; impurum certe amatorem dicere nec potuit, nec au r us fuit. Phædrus amorem maximorum bonorum cauffam appellauit; quod ab eo {ludium in honeflis, verecudia in turpibus immittatur. Spartiatæ cum hoftibus congreffuri, facrificabant amori, quafi ad fortia egregiaq.impulforijquem morem, vtplerosq. alios,aCrerenfibus eos accepi{Te,arbitror. eodem enim inftituto Cretenfes ex parte vfos, Soficrates eft audior. Inde fa&um cenfeo, ve /æra, quæ appellabatur Thebanorum cohors, conflata ex amatoribus, fregerit Spartanos. nec inutile fuerit in acie illos, qui fe mutuo diligunt, flatuere vicinos; parentes, liberos, fratres,confanguineos, amicos ; exercitus enim eiufmodi aplerisq. cenferur infuperabilis. notum eft feftiuum illud Pammenis didum a Plutarcho in Pelopida, relatum ; ignoralfe Homerum vd foret acies in(Iruenda, cum iubet, Et tribui tribu*, et fua curia curiæ rt ad fit, Cum amicus apud amicum potius locandus videatur. Scribit Xenophon Aflaticos in bello circum duxi (Te vxor es et natos, vt eos defendere coadi, fierent pugnaciores. Eorundem occurfure-ilitutas acies non paucas, et vidoriam confequuras, legimus, demum, cum Harmoniam Marte ac Venere prognatam fabulæ tradunt, eandem amo risin re bellica vim defcribunt. Verum ad (oli*' dam amoris commendationem nihil maius, vel accommodatius afferri poteft, quam quod magnus Areopagita protulit ; amore fuperiora ad inferiorum prouidentiam allici ; hæc vero,qua(i fomite igneo fuccenfa, refilire, atque ad fupei na conuerti j fieriq* circulum a bono, per bonum, in bonum perpetuo reuolutum. Proclus quoque pulchrum amorisprotulit elogiumjefle illum cauf fam conuerfionis rerum omnium in primam pulchritudinem ;quæ de purifsimo fandifsimoq. in Deum, ipfumq bonum amore dida,ad mortales fluxasq. curas traduci accomodariq. non poffunt. Carolus Cardinalis vim amoris erga consanguineos perpetuo habuit fufpe&am/ eosq. ali* quid populaturos libentius audiebat per internuncios; veritus, ne fangninis impulfu ad res ini* quas concedendas imprudens adigeretur Explicantur Varia nomina huius affeftionis, et quotuplex fit, declaratur. E laboremus ambiguitate vocum, quæ varijs amoris nominibus fubie&a notio fit, primo loco difpiciamus ; quid fcilicet inter amorem, dile&ionem, caritatem, pietatem, cultum, amicitiam, beneuoletitiam interfit. Amor eftvt genus, et quid vniuerfum; locum enim habettumin homine, tum in brutis dile &io eft amor cum ele&ione, vt nomen indicat; nec repentur in ijs, quæ non deliberant caritas fertur in res pretiofasjdiftinguere veropretiofa a vulgaribus vnius eft mentis, pietas eft in fu periores, quod bruta vt plurimum non agnofcunt; hi funt Deus, patria, parentes, cultus eft fignum pietatis.amicitia eft amor mutuus, hinc in de perfpeftus, officijs confirmatus. beneuolcntia eft effedus amoris. alias pro leui amore vfurpatur; vtlib.p. ad Nicom.^.ha&enusde nomine. Amor duplicis generis exiftit; alter naturam fe quitur, alter agnitionem. ille rebus omnibus ineft, etiam inanimis; hic animantium proprius, de illo Hefiodusintdligendus,cum in Theogonia, primo loco fadum Caos cecinit, poft terram, et Tartaru; tertio amorem, ex terra Caoq. ortum.quis non vi deat hic accipi amorem pro vi rei cuilibet a natura indica, vt feipsa,quo ad poteft,expoliat,& tueatur ? quod et Orpheus voluit, cum amorem irtmor talitatis defiderium appellauit. fuit enim veterum poetarum hæc de rerum ortu fententia ; eundas ; fpecies, in obfcura, et confufa deformitate implicatas, ab initio iacuifte; tu defiderio lucis, et quietis, impellente amore fui, difiundas,ad fedes naturæ conuenientes migraffe ; vnde rerum vniuerfitasjin ordinem difpofita, conftiterit. Empedoclea GIRGENTI (si veda) rerum principia, litem et amicitiam, non alio, quam ad ift hæc poetarum commenta fpedafle dixerim. Amor vero, qui agnitionem fequitur, et aftedio eft animi ; fi ad henefta fertur, recinet appellationem ; fin ad impudicitiam, vel immdderatum appetitum delabitur, significantius LIBIDO vel cupido ab effedu nuncupatur. Poetæ diim amorem appellant et defcribunt, eam potifsime cupidinem accipiunt, quæ in Venerem fertur; et fub inuolucris fabularum multa recondunt ad rei, de qua agitur, notitiam attinentia. Puerum igitur defcribunt, nudum, alatum, cæcum, curarum plenum, arcu, et fagittis inftrudum ; fatum Venere atque Vulcano. puerum conftituunt, ob infipientiam 5 nudum, propter infelicem condicionem ; feu quod occultari facile nequit; alatum, quod cito aduenit, citius labitur; cæcum, vel ob impudentiam, (eft quippe pudor in oculis,) vel quod mortales plerumque amant fine deledu, fine iudicio, fine ratione ; et quafi oculis capti fedantur deteriora, melioribus omifsis ; plenum curarum, quia eius arboris hi exiftuntfrudus; inftrudum arcu& fagittis ; feritenim curis ægritudine plenis; Venere demum et Vulcacano fatum, humore scilicet, et calore ; quod ea temperatio cenfetur apprime libidinofa. Hunc eundem Cupidinem ex node atque æthe- : re natum voluit Acufilaus; hoc eft, ex tenebrofo et lucido; amantes enim cæci finit, et vna viderit acutifsime. Simonides ex Venere, ac MARTE procreat ; quod viri bellicofi a Venere plerumque non abhorrent. Alcæus ex lite et Zephiro; diflenfione fcilicet, ac reditu in gratiam; Olea 4 i -/ t> E Olcn Lycius ex Ilythia, feu Iunone Lucina, quod ea maxime amemus, quæ a nobis prodeunt* llythia enim partubus opitulari credebatur* Sappho demum ex cælo et Venere»* quod amorem viftellarum et gratia oris conciliari multis fuerit perfuafum. Pidores multos pingunt amores, paruulos, colludentes, curfitantes, (quos Poetæ faciunt Nympharum filios) quoniam mul ta funt, quibus inæfcamur, et capimur; vt notauit philollratus in imaginibus. Diotima mulier faga,fybillis a Socrate comparata, a qua amandi artem fe haufifte profitetur, amorem ex copia procreat, tanquam ex patre ; et indigentia, tanquam matre. vt eft inopiæ ac indigentiæ filius, apparet aridus, macilentus, fquallidus, nudus pedes, humilis, fine domicilio, fine ftramentis ac tegmine vllo; perno&ans fub dio ; femper egensidem qua copiæ filius, virilis, ferox, callidus, infidiator, pulcher, fagax, venator, prudens, facundus, per omnem vitam philofophans, potens fafcinator,*vt non immerito bi&enrn ab Orpheo fit appellatus, vtrefert Paufanias apud Platonem;. Huius fabulæ hæc eft allegoria, vulgo amari, quæ nec omnino funt in poteftace noftra (cito enim ea vilcfcunt, ) nec diffidimus aliquan' do futura. ideo copiam et indigentiam amoris vulgaris parentes ponit Diotima. quæ vero inter f e valde pugnantia eidem adferibit, affedus indicant eorum, qui re amata potiuntur, contrarios ijs, qui infunt non potientibus. Ha&enus de fabulis ; in quibus illud magnopere damnandum» quod cupidinem Deum faciunt, vt libidini patrocinenrur damnat hoc ipsum Phædræ nutrix apud Senecam in Hyppol. Deum efie amorem, turpiter ritio Jauens Finxit libido ; quoque liberior foret, Titulum furori nummis fklfi addidit. Cetera vero fabulis contenta non inutiles ad hanc luem arcendam continent admonitiones. Admittit quoque amor, qui agnitionem fequitur, aliam partitionem. eft enim amor amicitiæ didus, atque beneuolentiæ,qui rei amatæ commodum intuetur; eft amor cupiditatis, qui proprium commodum refpicit.fibi enim multi amat; eoq. amorem traducunt, vnde vtilitatis aliquid fe percepturos confidunt ; amor ifte amicitiam paritvtili innixam; fuperior vero eam producit quæ ab honefto J>romanat. Poftremo Amorem vnum facere, qui feratur in diuinam pulchritudinem, alium, qui fiftat in humana, non eft præfentis inft ituti. agimus enim de affedionibuf inferioris animæ partis; etfi non pauca fint vtriq. amori communia; et pleraq. vnius per analogiam» et metaphoram ad alium transferantur. Quid fitt amor ACCADEMIA amorem dixit, defiieriwn pulchri LIZIO amare*ac beneuelle pro eodem accipitlib.i.de arte dicendi. id Rhetori fatis, qui hlfe&us vti commoueantur, nofie ftudet; limatiorem cognitionem ad philofophum remittit D. Auguftinus de Trin. cenfet efie fturam duo copulantem, in quam fententiam Leo Hebræus ait, efie -voluntarium ajfcffum qumcopulatijjime fi nendi ijs, quæ bona iudicamws. deferiptiones hæ funt, ab elfe&u petitæ ; non quæ amoris explicent naturam, finitiones. nam defiderium, benetiolcntia, appetitus copulæ cum re amata fequutur amorem; vbi enim quem amoj eidem bene efie cupio, eiusq. confuetudinem appeto. Thomas definit efie complacentiam appetibilis. allubefcendam appellat Ludouicus Viues, qua amatum amanti allubefcic. hanc fententiam ita demum recipio, fi ailubefcenria, et quæ minus latine, significantius tamen, complacentia dicitur, pro motione illa fumatur, quam appetens facultas elicit circa rem, quæ illi allubefeit ; non pro illecebra appetibilis, qua excitat mouetq. appetitum. atfe&iones namq. animi funt abappetitu,vta mouente moto ; quod Ariftoteles voluifie videtur tertio de anima Grego*» tiu$ Nvfænus eleganter id ipfum exprefsit hotnih mil. 8. in Ecclefiaften, cum ait, amorem eflfe habitudinem animi intimam in id, quod animo eft jucundum. feliciter quoque D. Auguftinus 2. de ciu.. amorem ponderi corporum comparauit, inquiens, Animum ferri amore quocumque fertur, vc corpus pondere. Neque vero exiftimandum illam complacentiam efle cauffam amoris, nam inter cauflfas rerum, et ipfarum primos efferus daturneceftario medium; idq. vnum,& folu, nempe res ipfæ ; fed inter appetitionem potiundi re amata, (hæc prima eft amoris proles,adeoq. illi affixa, vt fæpe pro amore vfurpetur) et complacebam nihil omnino intercedit; igitur compla centia non eft amoris caufTa,fed ipfeamor; quandoquidem primus amoris cffedus, eam illicofequitur, adeoq. inuice hæret, vt ne tenuifsimo quidem cuneo præbeant aditum. præterea fi hæc AQUINO finitio excludatur, nihil remanet in quo amoris naturam conftituamus, præterqua in defi derio, feu cupiditate fruedi. id fi admittatur, amor et deliderium confunduntur.at funt feparatæ affedionesjre enim præfente ceflat dcfideriujamor vero natura fua magis augefcit.na fi fatictas aman tem capit, culpa eft humani ingenij,quod vel mutatione deledatur, vel voluptates impuras perfequitur; fincera aute voluptas non parit faftidium, deniq.defideriueire amoris effedii LIZIO docet li.o # Et.c.^.vbi agens de beneuoletia,vt eft leuis amor minimeq. adulta aftedio a.it, Beneucldtia no eflam a fflttff 'SuLTxar babst ncq. o^iv^uaa^nati.Mg 4 6 DE confequuntur.o?i*tc defiderium eft ; feu vehemens et acuta appetitio,quam Juuenalis cum rabie con iunxit, inquiens, rabidam fatturus orexim. cum igitur of t£/f confequatur amorem, ab eo neceflario diftinguetur ; Quod autem fubiicit LIZIO cum qui forma dele&atur non continuo amare» fed tum demum, cum abfentem defiderat, et præ fentem cupit, ita eft accipiendum ; vt amori defiderium comitetur neceifario, fitq. eius indicium, leuis enim voluptas non arguit amorem, qui vero cupit et defiderat, fc prodit amatorem. eft igitur amor appetitus allubefcentia, feu complacentia in eo, quod vti bonum pulchrumue fuerit perceptum. De caujjis Umoris, ONVM integra est amoris cauisa, et omnem eius exæquat ambitum, præclare igitur Auguftinus de Trinit. ait, non amatur nift bonum, huc pulchrum reducitur et formofumjtum etiam vtile quodcumque, atque iucundum. pulchrum vero idem eft, quod bonum conceptum vti iucundu m ; vt Areopagita docet de Diu. nomin. Deus quippe immortalis, vt eft au&or atque feruator rerum, Cunfta fouensy atque ipfe ferens fuper omnia [eft* bonum dicitur; vt vero ad fe trahit, allicitq. omnia, pulchrum, inde qui pulchritudine minus capiuntur, minus amant 5 vt barbari, ruftici,& qui duriore funt ingenio, et moribus afperis, Aliæ funt amoris caudæ, quæ etfi boni ambitu continentur, feparatimnihilorciinus ponuntur, quod aliquidbono addant ; et alia, atque alia ratione ad amorem conciliandum concurrant. Similitudo igitur morum, et ingcnij amorem parit firmum, atque conftantem. docuit hoc Areopagita; fuitq. Menandri didum,a comicis et ACCADEMIA vfurpatum, Deus femper fimilem ducit ad fitnilem, et quidem fimilitudine inter amantes conuenit, vtcuin amans diligit, fui ipfius fimilitudinem, ac proinde fe ipfum, in re amata diligat, hinc animantia omnia ducuntur ad limiles sibi formas ; non ad fpecies al ienas. Canis cani videtur pulcherrima, et boui bos, ait Epicharmus. et Formica grata ejl formicæ ; cicada cicadæ ; accipiter placet accipitri, Theocritus inquit in Idillijs. hoc inftindu parentum amor in liberos augetur; funt enim nati vjuentia fpirantiaq. parentum firnulacra.nec alia Crafsi erga Sulpitium volutatis cau£* fa exiftir, quam quod intellexiffct, ftudere Sulpitium, vt ei dicendo fimilis euaderet, Euander apud VIRGILIO Pallanta filium ENEA ca rii reddere nititur, quod illius fir imitator futurus. Hunc tibi præterea, (pes& folatianojlri, T allanta adiungam ; fltb te tolerare magiflro Militiam graue MARTE opus, tua cernere faft a, Mffucfiat; primis et te miretur ab annis. Illud non fuerim infitiatus; ob paria vitæ infliruta creari aliquando inuidiam, fieriq. aliquos adeo inimicos, quam fune artificij conditione pares j nam et figulo figulus, et fabro faber inuidet ; cuiufmodi genus pugnacium artificum in conuiuijs Plutarco coniungi vetat.verum ex euentu id eft. cum enim lucro faciendo impediant fe mutuo, inter eos oritur contentio, eadem ceffatvbi cauetur, ne alter alterius cauffa damnum -patiatur jeiusq. loco amicitia fuboritur. CICERONE profelfuseft, cum Hortenfio de eloquentiæ palma ita fe contendiffe, vt vnius ad laudem curiiis non effet ab alio impeditus; ac proinde viuentem amaffe, dolereq. vita fundum. Sæpe etiam qui ftudi js diuerfis priuatimviuunt,fed in maioris momenti rebus conueniunt, funtamicifsimi. Pelopidas et Epaminundas, etfi vita priuata efient difsimiles, quod hic ftudijs philofbphiæ, ille venationibus profufius incumberent, quod tamen afferenda patriæ libertate, incredibilem animorum con sensionem retinuerint, certa illis amicitia conflitit ab initio ad finem. Sunt etiam ingenia inter fedifsimilia,quænihi lomiuus coeunt facile ad vitæ societatejhoc enim habent, vtfimul aptari, et componi pofsint, quemadmodum vox acuta iun&a grani certa proportione, harmoniam efficit s quod spedare licuit in Socrate, et Alcibiade. Consuetudo quoque, atque conuidus amorem gignit,:ei!dit enim homines moribus iifdem affue tus, ac vnius mentis eaque vis efi confuctudims, vt habitum nedum animi, fed corporis quoque immutet ad rei amatæ formam notauit id Piutarco in Alexandri amicis, quos leniter inflexa ceruice, facie furfum verfus con uerfa folicos incedere, fcribit, quali Alexandro attentaturos; cum nihilominus vi afluetudinis habitum illum impru dentes contraxittent. Summopere igitur aduertendum, quo cum vitæ focietatem ineas ; præcipue vero monendi adolescentes meretricum cœnis, nodibus,omnique conuidu abftineant, quibus illæ magnopere ftudent; cum norint confuetudine amoris vincula fieri tenaciora. Parem amoris conciliandi vim focietas in hono ribus, et rebus, tum fecundis, tum aduerfis habet, et quandoque maiorem. vt enim maximum amoris vinculum ducitur, plurima et maxima beneficia accepitte, fic fimul accepiife, proximum iudicari debet. Qui fimul fecere naufragium, vel vna pertulere vincula, vel canfilij alicuius,coniurationisue focietate iunguntur, facile amant inuicem tfnde adagium, Conciliant homines mala. Brutum et Cassium invicem insesos Cæsariarius dominatus conciliauitjac fumma fide coniun xit. M. EMILIO LEPIDO et GIULIO FLACCO cum ettent inimicifsimi, Cenfcres renunciati, simultates illico depofuere. Tacitus, Latiaris arque Sabini fermones, quibus vetita mifcuerant, ardæ amicitiæ speciem fecifle, annotauic; speciem dixit; nam vr plurimum participes fcelerum non tam amore copulantur, quam metu, atque noxa D conscientiæ. Sunt etiam qui exiftiment, vi quadam occulta ne&i animos; vel difiungi quidam enim primo afpe&u amantur ab omnibus; ali j contra contemnuntur. inter aliquos ftatim conuenit; alios nulla beneficiorum,officiorumq. confuetudo conciliat ; nec vnde voluntatum ifthæc difcrepancia nafcatur, liquet, nulla enim hic morum fimilitudo, nullavitæ communitas. Astronomi » vt nodum hunc foluant, ad Venerem, ceteraq. aflra, quæ benigna vocanr, confugiunt; quibus homines ad amandum inuitari volunt, hæc, vti longe a nobis pofita, neque certam habent fidem, neque manifeftum errorem. ACCADEMIA schola dæmonibus ad'cribit, qui vitæ hominum præfunt.facit enim dæmonum, hos quidem confimilisingenij, hos diuerfi.qui difsident interfefe, d fienfionesad clientelas deducunt; qui vna fentiunt, amorem iis immittunt, quorum gerunt procurationem, demum nonnulli gratia pol-‘ lent, et au&oritate; ali j odio habentur a collegis; qui vtrifque fubfunt homines, eandem quoque gratiam inuidiamq. apud nos nancifcurur.ifthætf f ACCADEMIA commenta non aliter confutarim 9 quam quod tollunt funemum,ex euentu,peritUla immerite alicui creata conciliant amorem iriperpetieritem Tacitus de Nerone Germanici filio. aderat \uutnH modcfiia et forma principe piro digna j notis in eum Seiani odiis, Stv, quod omnes ad fe vocet; abiitq.in prouerbium, quo Plato vtiturin iyfide ; quod pulchrum femper amicum ; cenfeturq. a Mufis et gratiis primo vfurpatum, vbi ad nuptias Cadmi et Harmoniæ, puIchrirudinenouaf nupta? ore, fi Deo placet, immortali cecinerunt ; vr in I heognidis epigrammate, cuius hæc exiftit fententia; Mttfæ, et Gratiæ, filiæ Iouis, quæ olim Cadmi jtl nuptias cum veoijlis, pulchrum xeciniflrs carme, Quicquid pulchrum amicum e[l, non pulchrum autem non eft amicum. Mimus dixit, formofam faciem effc mutam commendationem LIZIO vero; habere illam longe maiorem vim ad commendandum, quam accurate feriptam epijiolam. Carneades appellauit C E hoc est, dulce amarum. eft enim mors voluntaria V vc mors amarorem, vt fponte fufcepta, voluptatem aflrert. amorem vero effe liiorcem, inde apparet maxime, quod amans de fenon cogirat, fed de alio ; in fe igitur non operatur, fed in alioj - qui in fe non operatur, in fe non eft ; qui in fe non eft,in fe non viuit; amans igitur in fe mortuus eft.quare Plato in quendam, qui perdice amabat, dixit ; h'ic in proprio corpore mortuus eft ; viuit in alieno et Plautus in Ciftellar. Trullam mentem animi habeo ; vbi fum, ibi non fum. vbi non fumi ibi $1 1 animws « Cato fenior aiebat, animum effe potius vbi amat, quam vbi animat. Quod fi amans vicit Jim ametur, reuiuifcit in re amata j alias mortuus cenfetur.has autem vicifsitudines atque mutationes quoad aflfe&um accipere oportet; non quo ad ipfam eflentiam animorum. appetunt quidem amates fieri re ipfa vnum, iuxra di&um Aristophanis ab Ariftotele 2. polit, cap. 2 relatum ; fed quia illorum inde corruptio fequeretnr, quærunt coniunctioriem, quæ faluis corporibus obtiqeri pofsit. hæc autem afFe&u confuetudineq* habetur, animis interim quo ad cupiditates permiftis et in tertiam quandam temperaturam reda mere contendit, quo conatu Lyfias Phædro similis euafit; et Macedonum proceres colli flexura, orisq.ere&ione Alexandro similes redditos ex Plutarco supra retulimus. Pulchre vero 2. Rher. monet LIZIO, vereri nos turpia committere apud illos,quos amamus; 1 vt inter amoris opera pofsitreuei entia numerari; quod maxime declarat eius aifeitionis excellentiam. Crafsi illa funt;Equidem cuiri peterem magi ftratus,folebam in præhenfandodimitttre a me Scæuolam, cum ei ita dicerem, me velle efle ineptum.Nemo quippe curat probari ijs, ejuos negligit; Et quidem apud eos, qui ius haoent puniendi, veremur turpia facere ob metum legum; apud alios ob metum infamiæ ; fedapud eos, quos diligimus," obreuerendam et amorem. Sed et fui, aliorumq. omnium, præterquam' rei amatæ contemptum amor parit in amante lacob, rarum amoris exemplum, quattuordecim annos æftu geluq. vexatur, in morem feræ, vt pulchra Rachde potiatur; ac tria fereluftrama gnis tradu&a laboribus, paucas exiftimatincom modi tolerati horas t certe diuinus Moses paucos ei dies præ amoris magnitudine vifos teftatur. et ficaftifsimo amatori falaconem in exemplum admngerdicet,r uiCM, Autonius incertum atque preui- DE pr jaifum exitium, vt Cleopatra; morem gerat, fic fuidefertor, vt placeat concubina; falutem profundit, ne amati vultus turbet ferenitatem. Fugatur demum Veteranus Imperator ab adolefcente, atque tyrone, quod prius fuiffet dementatus ab ægyptia Syrene. his ftipendijs fæue cupido muneras eos, qui nominibus datis, tua figna fequutur. G:gnit quoque amor magnam voluptatem,vbi re amata potimur, cum enim affequi finem fit omnium iucundifsimum, quilibet eo habito, quod amat, contentus viuit, vt ACCADEMIA ait in Phædro fæpe autem tanta voluptas adeptionem rei amatæ confequitur vt multi in complexu rerum carifsimarum exfpirarint • Ex oppofito amor vehemetior, fi quid afiequutionem propofiti moretur, vel impediat, triftitiam, et moerorem affert, voluptati, de qua diximus, æqualem, llafis medicus amore:n morbo melancholico proximum facit, euolant quippe fpiritus fubtiliores, et purior fanguis per teouifsimos poros, excitati appetitio nis impetu, erga rem amitam tendentis; fanguis vero crafsior, quod exitus non pateat, remanet conclufus; vnde in at-um humorem, atque bilem facile concrefcit, cum fit meliore fanguinedeftitu tus. inde vaporibus opplecur caput; animus triftitia premitur, ac fæpe ad infaniamdeducitur LUCREZIO (si veda) amator primum effectus eftjtum demens; ad extremum fui ipfius parricida. Hæc sunt vehementioris amoris et frequentius impadici ; qui amittendi quoque timorem affert, atque trepidationem 5 tum etiam furorem in eum, qui auferre conatur; fufpicioneS vehementes, zelum amarum, aliaque animo lancinando, et excarnificando inftrumentacommodifsima. In eodem ordine raptum mentis collocamus: græcebts^; quem amori quoque diuino Areopagita tribuitjquafiDeusob amorem e&afim paf fus fuerit, emergit quippe foras knimo,qui amat ; tum quod ad rem amatam commeare appetit; tu quodafsiduode illacogitat, fuioblitus; accurritq. aliquando fanguis tenuior ad cerebrum, vt iuuec contemplationem ; aliquando præfente re amata adeamconuolatjfedfiftitin externis corporis par tibus, uehiculo deftitutus. vtrumque ftupor fequitur, opprefio cerebro vi nimij caloris,vel partibus vitalibus ab eodem derelidis. Inde fequitur amantis valetudo et imbecillitas, debilitatur enim alendi vis recedente calore; cor etiam, atque cerebrum vicifsim conftringuntur! ob copiam fanguiu is, vt opem ferat parti laborati, ab vno ad aliud comeantis. id enim ei natura indidit, ut inferuiat vitæ principijs. Et quidem cor,, vbi feptum efi vi fanguinis,& quafi vallo circumatum, quærit aggerem per fufpiriaperrumpere ; quævel non emergunt, vel omnino emittuntur^ difficillime, ac plerumque. non integra, verum, dimidiata, nec fine magno conatu, ab eadem con ftridione ccrdis prodeunt cantiones interruptæ, a E" &ftatim dimittit ; modo aliud quærit, et propofitum illico mutat,pænitetq. cæpti inftituti ; vt prorfus ij faciunt, qui longo et acuto morbo decumbunt. Huc maciem palloremq. amantum refero ; corrupto enim calore, colorem quoque obfcurari necefle eft. f OVIDIO de Amante Fugerat ore color, maciefj. obdukerat artus. Opprefsionem vero cerebri lachrymæ fequuntur. Sanguis enim fabrilior, cogente cerebri frigiditate, vertitur in lachrymas; quæ, vti graues, defcedunt per oculos; natura quoque remmolestam, nulliusque ufus, foras propellente. His adde oculorum tumorem, et inflationerii labiorum. Suetonius de Tyberio. Sed et Agrippinam ab egi ftc pofi diuortium doluit; et femel omnino ex occurfu vi[am,adeo contentis et tumentibus ocuUs profecjmtus e$t, vt cuftoditum fit, ne vnquam in ciusconfpeftum veniret. eius fa&i caufla dft, quod ad præfentiam, vel memoriam amatæ rei fpiritus petunt partes extimas, quali amatum amplexaturi ; maxime vero feruntur ad oculos, qui fant afnimi internuncij et conciliatores amoris, inde fequitur tumor, et plerumque etiam ardor. Nec est prætereundum, ad præfentiam, vel recordationem rei amatæ commoueri pulfumvena rum, fiue arteriarum, fieriq. concitatiorem, et inconftantem ; idque vel quia cor trepidat et pauet; vel quia nititur quodammodo de loco fuo conuelli, et in amari pedus transferri; quo argumento dcpræhen dic Galenus amici vxorem amore Pyladæ cuiufdam laborare. Denique,vt etiam quæ leuiora fu nt, attingam, amor mutat mores ex taciturno garrulum facit, ex garrulo taciturnum ; ex focorde induftrium; ex afpero mitem et fiiauem. quæ omnia ftngillatim profequi,eifet immenfi laboris. Antiquitas morum comitatem amori adfcripfit, quemadmodum Dionyfio mifterium, vaticinium Apollini, Mufis poefim. Docet quoque muficen; quod ACCADEMIA a fpirituum vehementia deducit; qui dum magna vi erumpere conantur, impellunt ad cantionem.Quid quod poetas facere non vno depræhefiim eft experimento?Plato idipfum afsignat excitationi, agitationi, eleuationifpirituum.ij enim co moti, agi tatiq. apt funt aliquid parere citra commune vfum; cuiufmodi eft oratio metro conftans, minime vaga, vel foluta. Bion poeta in Bucolicis fub perfona paftoris amorem facit fuorum carminum au&orem veriibus a Stobæo relatis,quos ad verbum conuerfos ita legimus. Mufæ amorem non metuunt crudelem, Quin amant ex animo et veftigia fequuntur eius. Quod fi quis ingenio præditus inamabili ipfiti comitetur, Illum refugiunt et docere nolunt jit fi amore captum gerens animum fuauiter cecinerit, o idipfum fimul omnes feflinæ confluunt; Quod autem hic fermo plxne verus fit, ego teflis ftim, )~ -v-i E (am 06 DE 7^am fi hominum quempiam, aut immortalium et, ' mine celebro C efflat mea lingua; nec yt ante solebat, canit. At cum in Amorem rei in Lycidam aliquid molior. Tunc mibi lætum ore carmen profluit. • fli&um vecordis poetæ fceleratum, quodq. fati$ indicet perditos hominis mores, ac nihil miraqdum iq o impudico amore ad verius fundendos eum incitari folicum, qui meliorem non agnofcebat.agnouit autem Propheta Regius, iljoq. impetu, quæ Deus didabat, fuaiiifsimis yerfibus effudit. Hanc de amoris effedibus tradationem eleganti Caroli Cardinalis dido cocludam: Amore perfici fundiones humanas, quæ enim abamg fe prodeunt,, quam accuratifsime geruntur. De renfedijs amoris, REMEDIA non nifi morbis quæruntur, quare de impuro nobis amorehic fermo exiltit, prrrium igitur amorem negofia > curæ, honotu m cu p diras, labores, calamitates deterunt, et corrodi unt; Otia flt Ilus, periere cupidinis ignes. Sed &egeitas eijvaide aduerfatur. na flue Cerere dr Daccb-j fliget Vtnus^t ait Chremes Terentianus, ia gr æcorum collectaneis verius legitur, qui LATINE «e cxprcfTus > sic habet. Mortua res venus fine Cerere et Baccho. Ariftophanes apud Athenæum vinum lac Veneris appellat, quod alat libidinem Vinum bibenti fuaue lac Cypriæ Deæ Apuleius in Metamorphofi ex Cerere, et Baccho Veneris /ytarchiam confici fcribir. Sed et Menandri hi exfiant Senarij. Amorem [edat fames, aut æris penuria ; {emo mortalium viftum mendicans amauit; Sed in opulentis puber hic innafcitur. Huc fpe&at antiquum epigramma græcum an &oris incerti, in latinum (ic verfum. Fames amorem fidat; id fi fit minus Tempus medetur ; fin nec i fla exttingucre Flammam queant^ tum reflat, vt funem pares. quod epigramma ex dido Cretetis Thebani Cynici philofophi confedum ett. tria enim ab eo afferebantur amoris remedia, htftfe Cfiy?s, id eft, fames, tempus, laqueus. digna cynica immanitate fententia. porro paupertatem prodefle amori pellendo in confefToefi;tum etiam tempus, et longam diem ; nam vt ait Ouid. lente fiunt tempore curæ et Martialis Quid non longa dies, quid non confutuitis armi ? fedti hæc duo minime pro finr, a^liafunc remedia, præter laqueum ; a quo abftinendum natura docet, et humanæ diuinæq. leges præcipifit. quantum euim illud ad amorem eiiciendum valet, fi E a quid 6Z t> E quid vitij inre amata eft, fæpc animo voluere, vfc illa tandem apud nos vilefcat? inomnivero.humana pulchritudine aliquam deformitatem corporis, vel faltim animi nancifci, facillimum videturjmores fcilicet improbos, impotentiam animi auaritiam, fæuitiam, inconftantiam et quando hæc defunt, foeces fub uenuftifsima forma latentes, fordesq. innumeras eo conceptaculo conci ufas. indignatio eti^mjquod a vili foemina, vel abie 6to mancipio quis contemnatur ; vel in feipfum, quod adeo foedum toleret feruitium,cocepta iracundia tenacifsimos frangunt amores; quibus liberatum Heroem illum ab amore Indicæ Regin^ Ludouicus Arioftus perbelle finxit; cum equitem induxit armatum, quem indignationem poftea nuncupauit, tædis ardentibus foedam et immanem belluam, quæ JReginaldum fub vnguibus, præmebat, et moleftifsimeinfeftabat, fugantem et adtartarum detrudentem, quippe fera illa libidinem, et amorem impuru referebat. Medici cmiffionem fanguinis atque defoecationem ad idem Cenfent non inutilem; quod ea minuatur calor, et ardor coeundi. Platonici idiptom probant ; quod sanguis morbida qualitate affectus eiicitur, ac fincei^is de nouo gignitur quare medici amantibus ebrietati cenfent aliquotenus indulgcndum ; tum vt fpiritus recentes procreentur ab illa tabe inta- I veteribus per sudorem vino excitatum, exhalatis; tum, vtindudaobliuione,paulatim curæ ; iuollefcant, et amatæ rei memoria deleatur. Remedium vero illud, clauum clauo pellendum, nec recipio, nec ferendum cenfeo,fi clauus de nouo adhibitus fit eiufdem cuni vetere materiei, nam expellens, nifu tenaciore occupat expulsi locum quare amantem, si eo vtatur consilio, in peius dela bi, non est ambigendum, fin alterius naturæ clavus affumitur et cado vel omnino philosophico et quod magis ampledendum, divino amore contra Venereum agitur, medicinam salutarem, nemini respuendam iudico. STRABONE scripit prope Lebcada promontorium cfie templum Apollinis, vbi faltus fit ad fedandos amoris ædus; ex quo Deucalion ob Pyrrham, Cephalus ob Pterelam, Sappho item et Calicæ fœminæ fefe præcipites dedere, viri servati funt incolumes, ab amore immunes fœminæ interierunt; mifelfæ; quod scilicet faltus ille Leuchadius virilis edet, nec fœminis conveniret. Fabulofa hæc sunt. Sed si quid veri adumbrant illud ed; vehementissimo timore amorem interii re; quod et nos fatemur pericula enim ad meliorem sæpe mentem homines reddunt; (io dat intellectum „ v . .r et ifp i yJh t ii; ; OH ifttO rjorr- r hi ibo:.» nlsr; ritBT&J' > 1 '« : fyy \ £§5*? :• r < b ftV; % i IOC CE' 'Vrn. 0 f <»! Vropommtur et diluuntur dubii non pauca id Amorem pertinentia P tl I M V M dubiam. An verum sit, quod Socrates ex Diotima retulit, amorem nasci indigentia. ACCADEMIA in Lyfide affirmauit. CICERONE autem censet istumesse miiiim. generosum amoris et amicitiæ ortum j alias lucri causa amaremus, et beneficia fœneraremur; quod fordiduol videtur i Sed ACCADEMIA dictum de amore, qui cupiditatis dicitur, intelligencfeM, CICERONE autenii de amore amicitiæ, quæ nititur honesto sic inter mentes separatas amor intercedit, cum nihilo minus non egeant secundam. Qaibus maxime reperamentis inna scitur amor? Iis, quæ calore et humare abudant humidum enim facile concipit externas impressiones; calidum vero fouet amorem quod si calido sit admixtum aliqu id ficcitatis, cupiditares existunt acutæ et vehemente$, qu 2 fs celerrimelrelfec expleri, nec retinent v^lde diu; quod sanguine sint tenui, atque raro et in cpntinua motione posito. Eiusmodi sunt adolescentes, quorum amores levis flammæ vapori Seneca in Hyppoliro comparavit. Frigidioris vero naturæ, ac tristioris ingemj homines tard amorem admittunt, sed per se u crint magis, 6b crafsitiem, atque pigritiam sanguinis fi gutm’s, et admixtionem atræ bilis, quæ diffidi iut recipit, sed firmius reti net, quicquid imprimitur, Vt argilla non adeo tenuisset liquida, inde lenes excipiendo amori duriores videntur jquem nihilo mi hus semel imbibitum retinent lumina firmitudine. illos dixeris; quali ftipUlam quæ flammant bcyfsimeconcipit, et dimittir; hos, quili ligna solidiora, quæ non adeo sunt ad exardescendum facilia; sed admotam, ac tandem tecepraui flammam diutius alunt; Tertiui Qua potilsimum via cocipiatur amor; Respondeo, venenum illud oculis maxime hauriri. vt LIZIO; docetlib. p.Eth. tdlaturq.illc apud Poetaifi. Vt vidi d vt perij Ivt me maltis abstulit error d sed et aures aliquando funt operis tanti adminiUrie; qua ratione Medaæ lafonem ardere coepit lenotiniuiri per quietem absolvente phantasia. cd tadufi idipfurh præftat; vbi phantasia pulchram tei conta&æ formam effingit; sed in hac concerttione palmam oculi libi vindicant, vt quibus eunt re ipsa commercium intercedit; quod aures no hal ber,Vt Phylo noratlit .de ludice iilæenim occit fantur circa sonos; obtutiis in rem ipsani fertur aclimatissimum æque superbissimunide illa fert iudicium; conta6his verb cralsior est, et aptior ad fruitionem, quam ad iudiciumde re pulchra fasciendani allerunt ACCADEMIA amorem pulchritiidi lie potissimum commbueri; quæ oculis maxitrid feleipitur; contactui vero nullatenus subiieitur j £ 4 Itita b E r ideo amorem oculis potius excitari, quam tactu amorem præterea fpiritibus adminiftris gigni vo lunt, hosq.per oculos emitti, et immitti . ex quo fic,vr qui oculorum venuftate possent, faci!ein alie nis pedoribus benevolentiam sibi conficiant. Hanc ego spirituum per oculos eiaculationem negare non poffum, quod multis experimentis com probetur.Scribit S.Bafilius lib.de Virginitate, nos firmius ægrotos intuendo ccrrupijneque n.irrpu ne peltifera spiramenta ocuiishauriutur. Teftatut Lapndius de ALESSANDRO SEVERO, ad eius obtutu f^pe opus fuifle oculos dimittere; id no eflet; nifi agens vis aliqua ab oculo in ocuju e£funderetur; qux illu afficeret et subigeret. læditur.n. fenfus a fenfili ve henrienti,vt Arilbdocuit. Auguftus, referete Sueton 10,0 cui os habuit daros,ac nitidos, quib. etia exi flimari volebat ineflfe quidda diuini vigoris;gaude batque,fi quis fibi acrius cotuenti, quafi ad fulgo re fblis, vultu fubmitteretjqua porro leuitare Silenus apud Iulianum trasfugam facetifsime derifit. Aspedu ne rei amatæ magis,an ofcu lo, complexuq. amantis expletur appetitus? Respondeo. Amantem quærere coniun&ionem cum te amata; id vero complexu magis obtinetur, qui intuitu, quare mater film ad fe peregre reversum hon fatis habet oculis ad fatietatem intueri ; nifi etia amplexetur, osculodato et repetito, quiefcit. maxima nihilominus voluptatem oculis pefcipi, non eft negandum; elTcq. magis perennem, quod, cum purior exiftat, minus amantem fatiget.. An amor iit erga bruta et inanima. Respondet LIZIO Eth.c. ideft ama tione, in res quoque inanimas conferri, quod lata acceptione LIZIO loquutum crediderim. na inanima etia fi timemus, non odimus, vt fulme. ergo nec amamus, cii contraria circa idecontingat.qua re LIZIO Eth. magis proprie loquensait; ridiculu effe illu,qui dicat, se vino bona euenireve! le; sed vt qua liberalissime agamus, dabimus ei, vt velit vinu faluu et incorruptum manere, vt ipse habeat.cu igitur amoris effedus fit bene velle, sequitur crga inanima no esse proprie amore; et multo minus amicitia. Aristippo cu perdite amaret Lai de, nec ab ipfa amaretur, ab amico reprxhesus est, quod eo amore traduxifiet, vnde par no acciperet.fed cxcufabatfe Aristippo quod etia vino et cibo vteretur, pluri muque caperet inde voluptatis jetfi no igno raret, se no amari ab illis.acute et appofite. neq.n. cude vero amore fermo eflet, se cibu amare dixit fedab eo multu capere iucuditatis. Quo ad animata rationis expertia, certu est cuijs non efie amicitia; qa comunia cu hominibus officia no obeur, nec ferutur ad eunde fine, nec habet electione, nec honestua turpi diftinguunt. Sed an hominis amor ad illa excedatur, in dubio res eft diligimus enim canes et vicissim amamur ab illis et cum fint capæia doloris et voluptatis, illis bene, vel male cupixnus. nonulli etiam ardentissimo amore fœda animalia sunt prosequuti. Glauca Cythariftria anferem, fcu anatem amauic Xenophontis filius in Cilicia canem et quidem obftinatifsfme; f^der Spartiata monedulam habuere in delitijs; quid quod adolescens bonæ fortunæ statuam iri Fri tanæo ere&am deperi jtj eaq. pretio non obteri ti sibi manus intulit quippe lapidem ilum qiiaii anima præditum ob mentis perturbationem existitnavit, quod ex Xerxi vifutn tu ille crediderim; Curii infarto Flatani amote captus ad eam extrei tum illum immensuin cohfiftere atque choreas ducere voluit; nec ante abscessit, quam armillis torquibusq. aureis amatum ornattet; curatore quoque dato qui cuftbdiret; ac tueretur ab militia. Sed amorem proprie atque per fe&e ad ea tari tu elfe dixerim, qux ratione polletit est enim amor Appetitus coniunctiohis, atque convictus; quis ve to cani, vel anati, vel cuilibet manfuetifsimæ belluæ iungi velit, vel vfia convivere? quod si qui de formes adeo prætulere cupidi taces, eos irrationali amote ductos di xerim, et feritati, i m mani tarique obnoxio; cuius perversæ appetitionis caullæ tre ab LIZIO referuntur lib^'. £thicitap.$. Sed, (i tationem sequimur et naturæ propensionen T inanima cara habemus j bruta adhuc noftri cauCfa diligimus; vt equos nobiles, vt catulos feftiuos; fed noti qrtæcumque cara nobis funt; continui amamus; etfi quæ amamus, necessario etiam cara habemus et omnino catum elfe latius patet quam amari mieb Sex tu . An artiare præfiantius fit, quaniamdti hæc dubitatio accipienda est formaliter; fci- [AMORE] T licet, an amans vc amans nobilitate antecellat amato, vt amatur de quo ACCADEMIA non dubitant, cum, vt FEDRO ait apud ACCADEMIA, amans divino furore rapiatur, videaturque particeps fadut divini luminis. Equidem cæteris paribus flatum amantis celfiorem existimo amate enim eftactu Caritatis, quæ prædantissima est omnium virtutum et tum etiam quod amare cum fundtione virtutis existit; amari autem est prorfus Ociosum illud vicem habet agentis, hoc patientis Septimum Cur amans amati vereatur aspectu} vt sæpe viri fortissimi ad præsentiam vilissimæ fæminæ trepidarint, et ad infimas preces obceilationesque defcenderint. Respondent ACCADEMIA, non eife quid humanum quod eos percellit, sed fui goremdiuinitacis emicantem in humana specie; quo posito, consternationis eius cauflam fe tradidiflfe putanti et principium indicasse, quo per multæ difficultates de a^pore diluantur, nam ad ama ti præfentiam sæpe honot, plerumque divitiæ Contemnunturj quod fortunæ bona non fint cum fummd bono, cuius radij pulchritudine correptus est amans, conferenda. Et amans cupit vnum cum amato fieri, deferet e condicionem propriam, e se in amati perfonam transfefrej quia ex homine cupit fieri Deus, quis enim efl,qui humanam condicionem cum divina non libentissime commutet? Et amote capti vicifsim fufpiriapromunt et gaudent. dolent quippe quod se ipsos deferant ætan tur quod ad meliorem Ratum transferantur. Calene DE AMORE. Calent etiam atque frigent; deferuntur enim calore proprio; tum fuperni radij fulgore accenduntur. demum timent et audent, quod calor audaciam pariat, frigus metum. Ego vero LIZIO firmitate deledatus, pleraque ex his vti speciosa quidem didu, are ipsa non admodum folida reiicio. alia etiam, vti ad velandam turpitudinem Veneris induda, damnare cogor; Amantem id cupere, vt per Metamorphofim fabulofam in alienam mucetur naturam,plane fum antea inficiatus. effc dus vero illos amoris varios,& multiplices ab et ebullitione fanguinis, per vim phantafiae, deduco; vt diximus in i j$,quae de amoris eflFedibus at tulimus; plura quoque in difpucatione de timore paulo poft fubiiciemus. v 2 S 8 et 268 et pWC2ihii P*‘t Hi Lellio Pellgrini. Pellegrini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,” The Swimming-Pool Library. Pellegrini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pempelo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Turi, Bari, Puglia. His name is attached to some surviving fragments of Pythagorean writings on parenthood, or fatherhood – ‘patria’. Pempelo.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pennisi: all’isola – la ragione conversazionale del blityri, o dello spirito nazionale – filosofia dell’isola – filosofia della sicilia – la scuola di Cataia -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo italiano. Grice: “I like Pennisi’s irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’ i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Dirigge il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali a Messina, presso cui è titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a Catania  con una tesi dal titolo “I presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. TERRACINI,” sotto la guida di  PIPARO. Vince il concorso libero per ricercatore e  svolge la carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina. Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato--  è direttore del Dipartimento di Scienze cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in Scienze cognitive dell'Messina.  Aree di ricerca Psicopatologia del linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei soggetti normali. La tesi di P. è che i soggetti psicotici, a differenza di quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare, la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è, nel sistema di idee proposto da P., l'idea di poter ingegnerizzare la società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre saggi: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente, in Blityri, Pisa, ETS, Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. Eugeni, Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in Kubrick oltre, in Le ragioni della natura” (Messina, Corisco, Piparo, Mauro, Eco. Dip. Scienze cognitive, psic., ped. su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola, filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro, blityri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il ragionere – la scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca, Toscana. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'istituto Carrara di Lucca. Studia a Pisa sotto BARONE. Insegna a Pisa. Convinto che le libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza  Un saggio filosofico di rilievo riguarda il metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel rinascimento volgare italiano -- GALILEI, TELESIO. La metafora delle palafitte (anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia (in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica.  C’e progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di TELESIO e GALILEI che reca obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a partire dalle prime formulazioni empiriche di VOLTA e GALVANI. Pera analizza il progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su procedimenti razionali ed induttivi.  Altri saggi: "Induzione, scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture selvagge o argomentazioni induttive?",  "È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi. Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi, attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca. vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concetto di eguaglianza fra gl’italiani e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco. Defende nostra autonomia individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il nostro liberalismo)”. Altre opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma, Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico” (Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature, relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere, le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Peregalli: la ragione converazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. I luoghi e la polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo, il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano.  Citazioni Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio, l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia, colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la "carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare, dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento) può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca, sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti, superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi "mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una "decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita, ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza. L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati, attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il calore riarso del sole.  Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pergola: dialettica o l’arte del conversar – scuola di Pergola – filosofia marchese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Pergola). Pergola, Pesaro e Urbino, Marche. Paolo della Pergola o dalla Pergola. Stefani? Godi? Muore a Venezia. è stato un filosofo, matematico e logico italiano. Fu il membro più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani di cui però non è noto il cognome. Segarizzi, notando che il fratello Alvise veniva indicato come figlio di Antonio de Stefani da la Pergola, ritenne che quello è il suo cognome. Più probabilmente, si tratterebbe di un riferimento al nonno paterno. Taluni, confondendolo con un altro Paolo originario di Pergola, gli hanno attribuito il cognome Godi.  Forse è avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia dove già vive il nonno Stefano, medico, gli zii Luchino e Pietro, insegnanti, e forse anche il padre Antonio. É allievo di Paolo da Venezia. La sua opera più importante è probabilmente il De sensu composito et diviso. É insegnante della scuola di Rialto dove insegna logica, filosofia naturale, matematica, astronomia e teologia.  Nominato vescovo di Capodistria, rinuncia alla carica per non distaccarsi dalla sua professione di insegnante.  É sepolto nella chiesa di San Giovanni Elemosinario di Venezia dove gli è anche costruito un monumento a pubbliche spese. Vi resta solo una lapide, in quanto l'edificio è distrutto da un incendio.  Opere Logica; and, Tractatus de sensu composito et diviso, edito da Brown, Saint Bonaventure, New York: Franciscan Institute. Buzzetti, Paolo della Pergola, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fonte: Dizionario di filosofia. Della Pèrgola, Paolo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Della Pergola, Paolo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Dino Buzzetti, PAOLO, della Pergola, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 81, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Paolo della Pergola, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Paolo della Pergola, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Modifica su Wikidata Paolo della Pergola, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Filosofi italiani  Matematici italiani  Logici italiani Nati a PergolaMorti a VeneziaPaolo da Pergola. IL TRATTATO TERMINI CUM QUIBUS. Kristeller in “ITER ITALICVM” dà notizia di due trattati de sensu composito et diviso di P. nessuno dei quali corrisponde a quello che Maieru utilizza nella sua esposizione e che ha l’incipit, Cum saepe numero cogitarem. Del primo d;essi, contenuto nel ms. Sessoriano della biblioteca nazionale di ROMA, KRISTELLER (si veda) dà questo incipitm Quoriam ignoratis. Il secondo, invece, si trova nel ms. Casanatense, L'incipit è: Termini cum quibus. Il ms. sessoriano contiene in realtà il trattato noto a Maieru, ma esso non è segnalato da Kristeller. L’incipit fornito dallo studioso è quello d’un altro trattato che nel codice precede testo utilizzato da Maieru.. Ecco l’indice del ms. Sessoriano:ff. 1ra-54vb:, Pauli Veneti Logica parva, manca il primo trattato e metà del secondo: inc.: ef ita non immobilitant. Ideo bene sequitur: scio omnem propositionem, et iste sunt omnes propositiones, ergo scio istam et istam et sic de singulis (cfr. l’ed. veneziana del 1567 « apud Hieronymum Scotum », tr. II De suppositionibus, cap. V, p. 22, 30); expl.: secundum quod mei in exordio primitus asserendo promisi (nell’ed. cit. manca l’ultimo paragrafo: merito-promisi; nel ms. segue, di mano posteriore) E7 sic est finis. FINIS. 1 Cfr. Iter Italicum, II, London-Leiden. 2 Ivi, p. 97. 608 Alfonso Maierù 2) ff. S4vb-SSvb: Incipit tractatus brevis magistri Pauli Pergulensis de sensu composito et diviso ad medium inveniendum in silogismo (ma cfr. Codices vaticani latini, II, 679-1134, rec. Pelzer, Romae, Vat. lat. 1109, ff. 144v-145r, dove il testo è attribuito a Marinus de CASTIGNANO (si veda) sotto il titolo Tractatus de inventione medii. Pelzer per lo stesso testo rinvia al Vat. lat. 3037, ff. 151r-154r); inc.: Quoniam ignoratis principiis et ea que sequuntur ignorari habent ab his qui perfecte scire cupiunt; expl: Et sic sepe hec legendo multa alia exempla per temetipsum per regulas ante positas inveniri poteris. Finis. Explicit utilis tractatus ad medium in silogismo inveniendum; ff. 55vb-58vb: (Pauli Pergulensis De sensu composito et diviso: ) Item de sensu diviso et composito tractatus eiusdem. Inc.: Cum sepe numero cogitarem; expl.: que hic scripsi plurima ex te repperies (cfr. l’ed. M. A. Brown cit., pp. 149-158; l’explicit ha riscontro nell’ap- parato); 4) £.59r: versus memoriales. Il manoscritto, del sec. XV, cartaceo, di ff. 59, a due colonne, è dovuto a due mani diverse: la prima, fino al f. 54vb, al punto indicato; la seconda, dal f. 54vb alla fine. Il secondo testo segnalato dal Kristeller occupa i ff. 55va-58rb del ms. Casanatense 3, ed è anonimo. L'attribuzione di esso a P. è stata forse ricavata dal ms. Marciano, lat. VI, 248 (= 2878); questo codice infatti ha, ai ff. 92va-93vb, un trattato de sensu composito et diviso, incipit: Termini cum quibus, attri- buito al Pergolese (ma ai ff. 89ra-92rb ha il De sensu composito et diviso, incipit: Cum saepe numero cogitarem, che una mano poste- riore a quella che ha copiato il testo ha espressamente attribuito al pergolese: si veda il margine superiore del f. 89r). In realtà il testo 3 Per la descrizione del codice, cfr. Catalogo dei manoscritti della Biblio- teca Casanatense, I, compilato da Moneti, Muzzioli, Rossi, e Zamboni, Roma. 4 Cfr. VALENTINELLI, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, IV, Venetiis 1971, p. 160; il ms. è segnalato dal KRISTELLER, 0p. cit., Tk p. 226 del ms. Casanatense e quello del ms. Marciano differiscono, nono- stante abbiano lo stesso incipit, giacché il primo è notevolmente più lungo del secondo. Diamo di seguito i due testi, segnalando in nota, del più breve, i punti di raccordo con l’altro; si vedrà che esso è derivato da quello maggiore e, così come ci è pervenuto, sembra un riassunto frettoloso del primo. Per stabilire il testo più lungo ci siamo serviti del ms. Casanatense e del ms. 1123 della Biblioteca Universitaria di Padova, che lo contiene ai ff. 9va-10va 5: anche in questo caso esso è anonimo. Il ms. Padovano è più antico e perciò è stato preso a testo base di questa edizione. Ma Brown ricorda sotto lo stesso incipit anche i testi anonimi contenuti nei mss. Oxford, New College, f. 36r sgg. e Worcester, Cathedral F. 118, f. 55b sgg., che non abbiamo preso in esame. Termini cum quibus sumuntur propositiones aliquando in sensu composito, aliquando in sensu diviso, sunt isti: scire, dubitare, ima- 5 Una prima analisi del contenuto del ms. è nel mio Lo Speculum Introduction a PAuL or PeRGULA, Logica. Padova. Biblioteca Universitaria, ms. 1123, ff. 9ba-10va; C = Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 85, ff. 55va-58ra. In questo apparato non sono segnalate le trasposizioni e le varianti come ergo | igitur, iste / ille. Ho letto P in microfilm negativo; si rilevano inter- venti in inchiostro più intenso sul testo, non so se dovuti alla stessa mano dello scriba, o a mano differente; essi non saranno tutti segnalati: noteremo eo) le cancellature, e le aggiunte in margine o in interlinea (indicate con Pe). 1 termini] Incipiunt termini qui cum quibus Termini P_2 composito +et C 39] -ginari’, ‘percipere’, ‘nolle’, ‘velle’, ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘necessarium’ et ‘contingens’. Et sumuntur propositiones in sensu composito quando aliquis praedictorum terminorum praecedit totaliter DICTVM PROPOSITIONIS, ut ‘scio 4 esse verum’, vel finaliter subsequitur, ut ‘album esse nigrum est impossibile’. Et ista propositio ‘scio 4 esse verum’, et aliae consimiles quae sumuntur in sensu composito, sic significat: Scio quod 4 est verum. Et ista propositio ‘impossibile est album esse nigrum’ et sic singulis. Sed sumuntur propositiones in sensu diviso quando aliquis istorum terminorum mediat dictum propositionis, id est ponitur inter accusativum casum et infinitum modum, verbi gratia ‘4 scio esse verum’, ‘album possibile est esse nigrum’, ‘aliquam propositionem du- bito esse veram’. Et tales propositiones quae sumuntur in sensu diviso sic significant: ‘a scio esse verum’ sic significat: illud quod est 4 scio esse verum; ‘album possibile est esse nigrum’ sic significat: illud quod est album possibile est esse nigrum. Et ideo tales propositiones sumptae in sensu diviso et in sensu composito sunt quasi sibi invicem impertinentes, et in sensu diviso valet talis consequentia: ‘illud quod est 4 scio esse verum, ergo 4 scio esse verum’; et ista consequentia simpliciter est bona: ‘hoc scis esse verum et hoc est 4, ergo 4 scis esse verum’. Sed arguendo in sensu composito non valet consequentia, ut hic: ‘tu scis hoc esse verum et hoc est 4, ergo tu scis 4 esse verum’, quia antecedens est verum et conse- quens falsum posito casu possibili: posito quod 4 convertatur cum ista ptopositione ‘homo currit’ et posito quod tu videas hominem currere, sed quod tu nescias pro certo an sit homo vel non, isto posito, antece- dens est verum, videlicet ‘tu scis hoc esse verum’, quia ista convertitur cum ista ‘tu scis quod homo currit’ et ista est vera, ergo et alia; et altera pars antecedentis est vera, videlicet quod ‘hoc est 4°; et consequens falsum, videlicet ‘tu scis 4 esse verum’, quia convertitur cum ista: ‘tu scis hominem currere’, quia per casum est tibi dubium si sit homo vel non. Sed ad concludendum propositionem in sensu composito oportet 3 possibile+et C 6 totaliter] totum C 10 propositio om P 11 sin- gulis] similibus C. sed om C sumuntur-+autem C 12 istorum] praedicto- rum C 13 accusativum] aliquem (2) C_ 16 significat+quod C 17-18 sicnigrum om P__ 20 suntom C etom C 21 illud] id C 23 sed+con- similiter C 25 tu om C quia om C_ 27 posito] pono P__28 nescias] nesceas P__ 31 4] verum P homo C_ 32 videlicet] quod C 34 non+ Terminologia logica della tarda scolastica 611 accipere utramque praemissarum in sensu composito, sic: ‘scio quod hoc est verum et scio quod tantum hoc est 4, ergo scio 4 esse verum?. Posito quod 4 sit altera istarum: ‘deus est’ vel ‘homo est asinus’, et bene scias quod 4 sit altera istarum, et sit ista gratia exempli ‘deus est’, et lateat te quae istarum est 4 et consideres tu de istis, et scias istas significare praecise primarie, isto posito sequitur ista conclusio: 4 scis esse verum, et tamen tu non scis 4 esse verum. Antecedens probo sic: hoc quod est 4 scis esse verum, demonstrando istam ‘deus est’, ergo a scis esse verum. Ista consequentia est bona, quia consimilis modus arguendi in sensu diviso valet, et antecedens est verum, quia istam scis esse veram ‘deus est’ et ista est hoc quod est 4, ergo hoc quod est 4 scis esse verum, et tamen tu non scis 4 esse verum; probo, quia non scis quod 4 est hoc verum ‘deus est’, quia latet te per casum an 4 sit ista ‘deus est’ an ‘homo est asinus’, nec tu scis 4 esse aliquod aliud verum per casum, ergo tu non scis 4 esse verum; ideo conceditur conclusio. Et si arguitur sic: ‘4 scis esse verum, ergo tu scis 4 esse verum’, negatur consequentia, quia ista possunt stare simul: 4 scis esse verum, et tamen tu non scis aliquod 4 esse in rerum natura. Probatur sic. Ponatur quod « sit ista propositio ‘deus est’ et quod tu scias istam, et quod tu non ctedas aliquod 4 esse in rerum natura, tunc antecedens est verum ‘4 scis esse verum’; probatur: illud quod est 4 scis esse verum, ergo 4 scis esse verum; antecedens probo: istam ‘deus est’ scis esse veram, et haec est illud quod est 4, igitur hoc quod est 4 scis esse verum, et tamen tu non scis aliquod 4 esse in rerum natura. Alia conclusio est ista de primo casu: tu dubitas 4 esse verum et tamen nullum 4 dubitas esse verum; prima parts patet per ca- sum et secundam partem probo, videlicet nullum 4 dubitas esse verum: quia nullum istorum dubitas esse verum demonstrando istam ‘deus est” vel ‘homo est asinus’, et quodlibet 4 est alterum istorum, ergo nullum 4 dubitas esse verum; consequentia patet et antecedens homo C 34-35 oportet-praemissarum] requiritur quod utraque praemis- sarum sumatur C_ 37 posito] supposito C 38 ista+gratia P—39te+ta- men C add et delPest]lsitC =40isto+casuC 41siclsiC 42de monstrando-est’ del Pe 46 quia+tu C 48 an+haec C 49 verumi om C 53 scis] sis C esse-+verum C 55 tu om C 56 probatur] probo C 57 istam] ista C 58 illud] hoc C 59 natura+quia per casum tu non credis quod aliquod 4 sit in rerum natura C 61 4+est tibi P per casum] ex casu C 63 dubitas-verum] est tibi dubium CU istam] 612 Alfonso Maierà sequitur ex casu. Ideo conceditur conclusio et negatur ista conse- quentia: ‘tu dubitas 4 esse verum, ergo tu dubitas 4 vel 4 est tibi dubium’, quia antecedens est verum (‘tu dubitas 4 esse verum’, quia per casum tu nescis an 4 sit ista ‘deus est’ vel ‘homo est asinus’, ergo tu dubitas 4 esse verum) et consequens falsum, quod tu dubitas a, quia suum contradictorium est verum: ‘tu non dubitas 4°; probatur, quia non dubitas illud quod est 4, quia non dubitas istam ‘deus est’ et haec est 4, ergo tu non dubitas hoc quod est 4. Similiter ista consequentia non valet: ‘tu dubitas 4 esse verum, ergo 4 est tibi dubium’, quia antecedens est verum, ut probatum est, et consequens falsum, videlicet ‘a est tibi dubium’, quia ista non est tibi dubia ‘deus est’, et ista est 4, igitur 4 non est tibi dubium. Ista conclusio est possibilis et sequens ex casu: 4 est scitum 4 te et tamen tu dubitas 4 esse verum: antecedens probatur, quia 4 est ista ‘deus est’ et ista est scita a te, ergo 4 est scitum a te, et conse- quens probatur ut prius. Item sequitur: tu dubitas 4 esse verum et tamen tu non dubitas aliquod 4; prima pars probatur ut prius et secundam partem probo, quia tu non dubitas illud quod est 4, igitur tu non dubitas 4, quia tu non dubitas istam ‘deus est’ et haec est 4, ergo tu non dubitas illud quod est 4; ideo conceditur conclusio et conceditur ista: tu scis 4 et tamen tu non scis 4 esse verum. Prima pars patet, quia tu scis hoc quod est 4, ergo tu scis 4; secundam partem probo, quia tu non scis an 4 sit ista ‘deus est’ an ista ‘homo est asinus’, ergo tu non scis 4 esse verum. Similiter ista est vera: 4 est scitum a te et tamen non est scitum a te 4 esse verum. Et ista est vera: 4 scis esse verum et tamen nullum verum scis esse 4, quia hoc verum non scis esse 4 demonstrando ‘deus est’, nec hoc verum ‘homo est animal’ et sic de singulis, ergo nullum verum scis esse 4; nec aliquid scis esse 4, quia aliquam propositionem nescis esse 4, ergo aliquid non scis esse 4; nec 4 scis esse 4, quia 4 est ista ‘deus est’ et tu nescis istam esse 4, igitur 4 nescis esse 4, et tamen haec est falsa ‘4 nescis istasC 64 velletC  68estozP. 69sit]scitP 72 quia2+tu C 73 hoc] illud C 74 ista] haec C 75 dubium] dubia P est? om P verum-+ergo 4 est tibi dubium quia antecedens est verum C 79 probatur] probo C.81probatur] proboC = utormP = 85haeclistaC 88 4+et G 89 non scis] nes(c)is C an?] vel C 92 tamen om P 93 de- monstrando+istam C verum+ demonstrando C 97 a+nec 4 scis esse idem sibi ipsi 4 quia illud quod est 4 nescis esse 4 C 98 ipsi+a esse idem sibi ipsi’. “A èsse verum est tibi dubium’: si concedatur, tunc sic: ista propositio ‘4 esse verum est tibi dubium’ convertitur cum altera istarum «deus est” esse verum est tibi dubium” vel “‘homo est asinus’ esse ve- rum est tibi dubium” et quaelibet illarum est falsa, ergo verum conver- titur cum falso: conceditur consequentia et negatur antecedens; ante- cedens probo sic: ‘4 esse verum est tibi dubium’ convertitur cum ista «deus est” esse verum est tibi dubium”, quia 4 est ista ‘deus est’, ergo si haec sit vera ‘4 esse verum est tibi dubium’, haec foret vera “‘deus est’ esse verum est tibi dubium”: negatur quod istae duae propositiones convertuntur. Contra: subiecta convertuntur, copulae et praedicata convertuntur et propositiones sunt eiusdem qualitatis et quantitatis, ergo convertun- tur. Dicendum quod regula non est generaliter vera, quia oportet addere quod termini pro eisdem praecise supponant in una sicut in alia. Nam ista consequentia non valet: ‘quilibet homo est unus solus homo, ergo omnis homo est unus solus homo’, et tamen subiecta convertuntur, praedicata et copulae convertuntut etc. et propositiones non convertuntur, et causa est, quia in ista ‘quilibet homo est unus solus homo’ li ‘homo’ supponit pro masculis tantum et in alia ‘omnis homo est unus solus homo’ li ‘homo’ supponit tam pro masculis quam pro feminis, et ideo non convertuntur. Ideo, si conceditur ista ‘4 esse verum est tibi dubium’, contra: nullum istorum esse verum est tibi dubium demonstrando istam ‘deus est’ vel ‘homo est asinus’, a est alterum istorum, ergo 4 esse verum non est tibi dubium: syllogismus in quarto modo primae figurae; si negatur, contra: prima est universalis negativa et minor est parti- cularis affirmativa particularem negativam concludentes, et conclu- ditur directe, igitur etc. Pro isto negatur quod maior est universalis negativa, quia hoc totum ‘nullum istorum est verum’ est subiectum ad li ‘est’ et est affirmativa, et negatur quod concluditur directe, quia 4 est ista deus est et hoc est falsum quod tu nescis istam esse idem sibi ipsi C antecedens! om C 104 probo] probatur C convertuntur--et C. quod+ista € 115 convertunturl+et P om C et2+tamen C omnis-homo? om P feminis] femellis €121 esse verum om C 122 vel+istam Casinustet C_ 123 dubium+con- sequentia est C 124 minor] secunda C est? om C 126 igitur + syllo- gismus C isto+dicitur quod C est] sit C 128 et!+etiam € conclu- quia conclusio non fit ex maiori extremitate et minoti tantum, sed de illis duabus et de parte medii termini; ideo non concluditur directe. Capio istas quattuor propositiones: ‘homo est homo’, ‘homo est risibilis’, ‘homo est asinus’, ‘homo est rudibilis’; capio tunc illas duas ‘homo est asinus’ et ‘homo est rudibilis’; munc istae duae proposi- tiones convertuntur et una istarum est vera et alia falsa, ergo verum convertitur cum falso; consequentia patet et antecedens probo, quia ista convertuntur cum aliquibus, ergo convertuntur; consequentia patet, quia ex opposito consequentis sequitur oppositum antecedentis, quia sequitur: istae propositiones non convertuntur, ergo non con- vertuntur cum aliquibus; ideo si conceditur consequens, tunc arguitur sic: ex consequente sequitur quod ista convertuntur, ergo significant praecise idem, ergo convertuntur inter se, ergo sequitur conclusio probanda, quod aliquae propositiones convertuntur et tamen una est vera et alia falsa. Capio istas tres propositiones: ‘deus est’, ‘deus est’, ‘deus est’, quarum quaelibet significat praecise quod deus est, et arguo sic: istae propositiones convertuntur, ergo quaelibet istarum convertitut cum cum duabus istarum, sed omnis una est vera et omnes duae istarum sunt falsae, ergo verum convertitur cum falso. Ad primum argumentum dicitur quando arguitur sic: istae duae propositiones convertuntur cum aliquibus, ergo convertuntur, negatur consequentia; nec sequitur: 1sta ‘homo est risibilis” convertitur et ista ‘homo est asinus’ convertitur, ergo istae convertuntur. Eodem modo respondendum est ad omnes tales conclusiones, quia si talis modus arguendi sit bonus, tunc istae conclu- siones sequentes sunt verae, et omnes tales quarum una est ista ‘hoc est aequale’ et ‘hoc est aequale’, demonstrato uno cui ipsum primo ditur] concludatur €129 ex] de C 130 duabus] duobus P_131 ho- mo%est 07: C 132 risibilis] risibile est C asinus+et C rudibi- listet C duas+ propositiones C 133 nunc] et tunc arguo sic C 134 alia+est C 135 quia om C ista] istae propositiones C consequentia] consequentiam C 137 patet] probo C 139 arguitur] arguo C 140 quod 07 C 141 idem+consequentia patet per definitio- nem istius termini converti tunc ultra ista significant praecise idem C ergo?+a primo C 142 propositiones+inter se Cet tamen] quarum C 144 deus est*+deus est deus est deus est in mg C 146 ergo om P quaelibet istarum] una vera illarum C 147 una+illarum C dicitur om € duae propositiones om C 151 risibilis im mg Pe om C 152: tales om C 153. conclusiones! +consimiles C 154 sunt] essent C 130 est inaequale, ‘ergo ista sunt aequalia’, negatur consequentia, et etiam ista ‘hoc est simile et hoc est simile, ergo ista duo sunt similia’, negatur consequentia ista, et etiam ista: ‘hoc est immediatum et hoc est imme- diatum, ergo ista sunt immediata’: non valent huiusmodi consequentiae, quia dicunt quidam quod numquam convertuntur aliquae proposi- tiones nisi quando quaelibet illarum convertitur cum qualibet illarum alia a se ipsa. La Contra istam responsionem arguitur sic, et capio istas duas copu- lativas “ ‘deus est’ et ‘homo est’ ”, “ ‘prima causa est’ et ‘risibile est’ ”; tunc arguo sic: istae duae copulativae convertuntur et istae duae copu- lativae sunt istae quattuor propositiones, ergo istae quattuor propo- sitiones convertuntur. Pro isto negatur quod istae quattuor propo- sitiones sunt istae duae copulativae, sed istae quattuor propositiones cum istis duabus notis et etiam cum actu animae sunt istae duae copulativae, quia si conceditur quod aliquae propositiones convertuntur, quarum non quaelibet convertitur cum qualibet istarum alia a se ipsa, sequitur talis conclusio, quod quattuor propositiones convertuntur et nullae tres, et sint istae quattuor: ‘homo est’, ‘risibile est’, ‘homo est asinus’ et ‘homo est rudibilis’, tunc istae quattuor propositiones con- vertuntur, quia ‘homo est’ et ‘risibile est” convertuntur et aliae duae convertuntur, ergo istae quattuor propositiones convertuntur, et tamen nullae tres convertuntur, quia istae tres non convertuntur ‘homo est’, ‘risibile est’ et ‘homo est asinus’. Similiter sequitur quod centum pro- positiones convertuntur; tamen nullae viginti, et sic de aliis quod numquam videtur esse verum. gti Ideo pro secundo dicitur, captis illis tribus propositionibus: ‘deus est’, ‘deus est’, ‘deus est’, conceditur quod quicquid convertitur cum una illarum convertitur cum duabus illarum, et hoc accipiendo illas duas divisim; et tunc quando arguitur: duae illarum coniunctae sunt falsae, negatur, sed bene coniunctim sunt unum falsum et propositio falsa et tres tamen illarum non sunt propositio; et non sequitur: ista ‘deus est’ convertitur cum ista et cum ista, ergo convertitur cum duabus illarum, negatur consequentia, et causa quare consequentia non valet hoc] homo C 155 primo om € duo om C  qualibet] quae- libet P  istae? interl Pe 169 et om C 171 quaelibet+illarum EC 172 et+tamen C tres+et nullae tres P__ quattuor+propositiones C est!1+homo homo est P est? om P convertunturl+probatur C 176 istae om Cpropositiones] species P 182 conceditur] concedo C quod om P 185 et? om C 187 cum?] tamen C cum3+cum Cest quia, licet ista ‘deus est’ significet praecise sicut unam illarum per se et certum sicut alia per se, non tamen praecise significat sicut illae duae significant, ideo non valet consequentia. Album possibile est esse nigrum, et tamen impossibile est album esse nigrum: prima pars probatur sic: hoc quod est album possibile est esse nigrum, ergo album possibile est esse nigrum; et tamen impos- sibile est album esse nigrum: probatur, nam ista est impossibilis ‘album est nigrum’ et ista praecise significat album esse nigrum, ergo impossibile est album esse nigrum. Similiter eodem modo possunt probari conclusiones subsequentes, videlicet: non currentem possibile est currere, et tamen impossibile est non currentem currere. Et etiam: sedentem possibile est ambulare, et tamen impossibile est sedentem ambulare. Similiter: falsum possibile est esse verum, et tamen impos- sibile est falsum esse verum. Similiter: impossibile possibile est esse, et tamen impossibile est impossibile esse possibile; possibile est Socratem scire hoc 4 et possibile est Socratem scire hoc 5 et omne quod est hoc 4 est impossibile et omne quod est hoc d est impossibile, et tamen impossibile est Socratem scire aliquod impossibile: sit 4 ista ‘homo est asinus’ et 4 ista ‘nullus deus est’, quarum utraque sic signifi- cat praecise, et pono quod utraque illarum cras erit vera et quod Socrates sciat tunc utramque illarum, possibile est Socratem scire utrumque istorum, demonstrando per li ‘istorum’ 4 et 5, et quodlibet istorum est falsum, et tamen impossibile est Socratem scire aliquod falsum: pono casum praecedentem: isto posito sequitur: possibile est Socratem scire quodlibet istorum, et quodlibet istorum est falsum, ut patet per casum, et tamen impossibile est Socratem scire aliquod falsum, quia ista est impossibilis ‘Socrates scit aliquod falsum’ quae praecise significat Socratem scire aliquod falsum, ergo impossibile est Socratem scire aliquod falsum. Possibile est hoc 4 esse nigrum et omne quod est hoc 4 est album, et tamen impossibile est album esse nigrum; sit tunc album aliquod album quod cras erit nigrum, tunc sequitur conclusio. Socrates scit aliquid esse quod non scit esse: probo, et pono quod aliquid sit 188 quare+illa C 189 unam] una C 190 certum (?)] tunc non C 195 nam om C 197 similiter+et C 198 probari+omnes C 199 etiam+non C 206 impossibile!] possibile C—aliquod om C impos- sibile2] possibile C 209 sciat] sciet C 212 sequitur om C 213-214 per casum] ex casu C 214 tamen 07m C ista] haec C sit- nigrum om P 221 probo et in mg Pe pono] posito C aliquid] ali- 220 Terminologia logica della tarda scolastica 617 quod Socrates non sciat esse, et quod Socrates sciat illud bene, tunc capio istam propositionem ‘aliquid est quod Socrates non scit esse’; ista est vera, ut apparet; tunc arguitur sic: Socrates scit istam ‘aliquid est quod non scit esse’, quae praecise significat aliquid esse quod Socrates non scit esse, igitur Socrates scit aliquid esse quod non scit esse. Si conceditur consequentia, tune sic: Socrates scit aliquid esse quod non scit esse, ergo aliquid scit esse quod non scit esse: negatur consequentia, quia arguitur a termino stante confuse tantum ad eundem terminum stantem determinate. Similiter, tu scis aliquam propositionem esse veram quam non scis esse veram: pono quod aliqua propositio sit vera quam non scis esse veram et quod bene scias istam; tune, posito casu: tu scis istam propositionem ‘aliqua propositio est vera quam tu non scis esse veram’, ergo tu scis qualiter ista praecise signi- ficat, sed illa praecise significat unam propositionem esse veram quam non scis esse veram, ergo scis aliquam propositionem esse veram quam non scis esse veram. Pono quod non sint plures propositiones in mundo quam istae duae ‘rex sedet’ et ‘nullus rex sedet’, quarum utraque est tibi dubia et consideres de istis et scias istas esse propositiones contradicentes inter se, et scias cum toto casu quod nulla contradictoria inter se contradicentia sunt simul vera, isto posito, sequuntur conclusiones: tu scis aliquam istarum esse veram et tamen nullam istarum scis esse veram. Prima pars probatur sic: tu scis aliquam illarum esse veram, quia tu scis quod ista sunt contradictoria ‘rex sedet’ et ‘nullus rex sedet’ et tu scis quod omnium contradictoriorum alterum est verum, ergo alterum illorum est verum, ergo scis aliquam istarum esse veram; et tamen nullam istarum scis esse veram: probatur sic, quia istam ‘rex sedet’ non scis esse veram, nec istam ‘nullus rex sedet’ scis esse quis P 222 sciat!] sit P illud om C bene+aliquod esse C 224 esse+tunc C apparet] patet C arguitur] arguo C Socrates scis in mg Pe 225 quod+Socrates C 226 Socrates! inter Pe aliquid esse in mg Pe 228 esse?+Socrates C 232 istam] illud C tunc] isto C 233 casu tu scis] capio C 234 tu! om C veram] tu scillam add et del P ergo-unam] quae praecise significat C 235 sed-significat in #g P° 237 non-veram] etc C 240 istas] ista C pro positiones contradicentes] contradictoria contradicentia C 243 scist+ali- qua illarum P 244 Prima-veram om P 245 contradictoria+demon- strando Cet interl P° 246 alterum] illorum est alterum illorum adé et del P 247 ergo!-verum om P aliquam] aliqua C 248 sic om veram, et non sunt plures istarum, ergo nullam istarum scis esse veram. Similiter, tu scis aliquam propositionem esse veram et tamen nullam propositionem scis esse veram. Prima pars probatut ut prius, et secundam partem probo, quia illam ‘rex sedet’ non scis esse veram, nec istam ‘nullus rex sedet’ scis esse veram, et non sunt plures istarum, ergo nullam propositionem scis esse veram. Similiter, tu scis aliquam propositionem esse veram, ut probatur, et tamen quaelibet propositio est tibi dubia: probo, quia ista ‘rex sedet’ est tibi dubia, et ista ‘nullus rex sedet’ est tibi dubia, et non sunt plures illarum, ergo quaelibet propositio est tibi dubia. Et simi- liter, nulla propositio est scita a te: probatur, quia ista ‘rex sedet’ non est scita a te, nec ista ‘nullus rex sedet’ et non sunt plures istarum, ergo nulla propositio est scita a te. Et sic probantur conclusiones aliae consimiles. IT* Incipit tractatus de sensu composito et diviso Magistri Pauli Pergulensis. Termini cum quibus sumuntur propositiones aliquando in sensu composito, aliquando in sensu diviso sunt! isti, scilicet scire, dubitare, intelligere’, ‘imaginari’, ‘percipere’, ‘velle’, ‘nolle’, ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘contingens’, ‘necessarium’ et consimiles. Et sumuntur propositiones in sensu composito quando aliquis isto- rum praecedit totaliter dictum propositionis, ut ‘scio esse verum’, vel sequatur finaliter, ut ‘album esse nigrum est impossibile’. Et ista propositio ‘scio 4 esse verum’ et alia consimilis quae sumuntur in sensu composito sic significant quod ista propositio est scita a me sic significando: 4 est verum, et ista ‘impossibile est album esse CU 254 scis-veram om C 259 sunt înterl Po 261 suntom P_ 262 probantur+omnes C  consimiles+Expliciunt termini cum quibus P Expliciunt termini cum quibus deo et mariae virgini gratias amen (+die 112 lulij in meg) C. * Ho letto il ms. in microfilm. Ho cercato di limitare gli interventi a quei casi che chiaramente li esigevano; i risultati della lettura proposta, co- munque, non sono confortanti. 1 ssunt 775. 250 255 260 Terminologia logica della tarda scolastica nigrum’ sic significat quod ista propositio est impossibilis sic signi- ficando: album est nigrum. Sed propositiones quae sumuntur in sensu diviso sunt quando aliquis istorum terminorum mediat dictum proposi tionis et ponitur inter accusativum casum e(t) istum modum mediatum, ut ‘4 scio esse verum’, ‘album possibile est esse nigrum’, ‘aliquam propositionem dubito esse veram’; et istae propositiones sic significant: ‘a scio esse verum’, id est, istam propositionem quae est 4 scio esse veram; ‘album potest esse nigrum’, id est, de re quae est alba potest fieri res quae est nigra; ‘aliquam propositionem dubito esse veram?, id est, aliquam propositionem quam ego dubito esse veram. Ideo tales propositiones sumptae in sensu diviso sunt (f. 92vb) particulares et in hoc sensu tenet talis consequentia: hoc 4 scio esse verum, ergo 4 scio esse verum. Sed? ad concludendum3 propositionem in sensu composito requi- ritur quod utraque pars ipsarum sumatur in sensu composito, sicut: ‘scio quod hoc est verum et quod hoc tantum est verum, ergo scio a esse verum’. Supposito quod 4 sit altera istarum ‘deus est’ vel ‘homo est albus’ et bene scias quod 4 est altera istarum, et 4 est ista, gratia exempli, ‘deus est’, sed lateat te tamen quae illarum sit a, et consideres tu * de istis, et scias tu 5 ipsas sic[ut] praecise significare et tamen hoc supposito quod omnis propositio de qua considerat aliquis quod modo scit esse veram neque scit esse falsam quam scit de natura illi eidem (sit dubia), illo casu posito sequitur conclusio ista: 4 scis esse verum et non scis aliquod 4 esse verum, ergo 4 scis esse verum: conse- quentia est bona et consimilis modus arguendi valet in sensu diviso, et antecedens est verum quia ‘deus est’ scis istam esse veram, ut patet per casum an 4 sit ista ‘deus est’, neque tu scis 4 aliquod esse verum ut in casu supponitur, ergo tu non scis 4 esse verum: conceditur conclusio et sic $ arguitur: 4 scis esse verum et tamen? 4 non scis esse verum in rerum natura. Alia conclusio sequens ex eodem casu est ista: tu dubitas 4 esse verum et nullum 4 dubitas esse verum. Prima pars patet per casum, et quod nullum « est tibi dubium probatur sic: nullum illorum est Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 34. excludendum 725. ut 75. ut 775. 6 scic m25. ? cum r25. U è Wa 620 : tibi dubium, demonstrando istas duas propositiones: ‘deus est’ et ‘homo est album’, sed quodlibet 4 est alterum istorum, igitur quod- ‘homo est (f. 93ra) album’, sed quodlibet 4 est alterum istorum, igitur quodlibet 4 est tibi dubium. Consequentia patet, et antecedens sequitur ex casu: igitur conceditur conclusio et negatur consequentia ista, videlicet: dubitas @ ergo® 4 est tibi dubium. Ista® consequentia est tibi possibilis et sequens ex isto casu: ‘4 est scitum a te et dubitas (quod) 4 est verum’. Secunda pars conclusionis satis patet, et quod 4 est scitum a te probatur: quia hoc quod est 4 est scitum a te, ergo 4 est scitum a te. Consequentia patet, quia talis consequentia valet in sensu diviso; et antecedens probo: quia ista ‘deus est’ est scitum a te et ista ‘deus est’ est hoc quod est a, ergo 4 est scitum a te: conclusio conceditur. . Item sequitur: tu dubitas 4 esse verum et tu non dubitas aliquod 4, igitur scitur quod tu scias 4 et tu non scias 4 esse verum, et illa ‘a est scitum a te’ et ‘4 non est scitum a te esse verum?, et illa ‘a scis esse verum’ et ‘nullum verum scis esse verum 4°, ‘non aliquid scis esse 4°, ‘non 4 scis esse 4’. ‘A est verum’! et ‘4 est tibi dubium’ convertitur cum alterà istarum: “deus est’ esse verum est tibi dubium”, “‘homo est albus’ esse verum est tibi dubium”, ergo convertitur cum falso; negatur quod “‘4 est verum’ tibi est dubium” convertitur cum altera istarum: “deus est’ esse verum est tibi dubium”, “‘homo est albus’ esse verum est tibi dubium”. Contra: si 4 est forte ista ‘deus est’, igitur si haec est vera: “ ‘4 est verum’ est tibi dubium”, haec forte est vera: “ ‘deus est’ esse verum est tibi dubium”. Negatur consequentia, quia istae duae propositiones (non) convertuntur. Contra: (f. 93rb) subiecta verbum (?) convertitur et possi- bile et praedicata manent eadem et propositiones sunt eiusdem qualitatis et quantitatis, igitur convertitur; argumentum non valet, quia istae duae propositiones non convertuntur: ‘quilibet homo est unus solus homo” et ‘omnis homo est nullus solus homo’, et tamen subiecta convertuntur et copulae et praedicata sunt eadem, et etiam propositiones sunt eiusdem qualitatis et quantitatis. Et !! si concedatur “ 4 est verum’ est tibi dubium”, contra: nullum istorum esse verum est tibi dubium; 8 vel ws. 9 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 78. 10 Cfr. Ivi, 1. 99, Ivi, 1 120. Terminologia logica della tarda scolastica concedo istas duas propositiones: ‘deus est homo” et ‘homo est asinus’, et 4 est alterum istorum, sic esse verum non est tibi dubium: negatur consequentia. Contra: 4 est syllogismus in quarto primae figurae; quod non dicitur quod hoc totum materialiter supponat istum est verum est subiectum in minori, tamen idem totum est praedicatum in maiori et ideo non est syllogismus in quarto primae. Capio !? istas quatuor propositiones: ‘homo est’, ‘animal rationale est et ‘homo est asinus’ !3, ‘homo est risibilis’, et capio istas duas pro- positiones ‘homo est’ et ‘homo est asinus’ et arguo sic: istae duae convertuntur, et una istarum est vera et alia falsa, igitur etc.; patet conse- quentia. Quia istae convertuntur probo, quia ex copulato sequitur oppo- situm, quia sequitur: ista non convertuntur, igitur non convertuntur cum aliquibus; et arguo ex consequente sic: ista convertuntur, ergo significant praecise idem; consequentia patet per definitionem istius termini ‘converti’, et ultra: convertuntur inter se, igitur a primo sequitur conclusio probanda, id est, aliquae sunt propositiones convertibiles inter se, quarum una est vera et alia falsa (f. 93va). Capio istas tres proposi- tiones ‘deus est’, ‘deus est’, ‘deus (est), quarum una ex !* hoc numero praecise significat quod deus est; tunc istae propositiones convertuntur, igitur quaelibet propositio quae convertitur cum una istarum conver- titur cum duabus istarum et omnes duae istarum sunt propositiones falsae et omnis una istarum vera est propositio, ergo vera convettitur cum falsa. Ad! primum istorum arguitur: istae convertuntur, ergo conver- tuntur. Quidam responderunt negando consequentiam, quia sequitur, ut dicunt: convertuntur, igitur praecise 6 idem significant; et etiam!” eodem modo respondent ad omnes tales consequentias consimiles, sci- licet: hoc est aequale et hoc est aequale, demonstrato uno ante ipsum est inaequale, ergo ipsa sunt consimilia: negarent consequentiam et etiam: hoc est simile (et hoc est simile), igitur ista sunt similia, quia dicunt quod numquam est concedendum quod aliquae propositiones convertantur nisi quaelibet illarum et quaelibet alia a se ipsa conver- 12 Cfr. Ivi, 1, 131. 13 albus 775. 14 est 775. 15 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 148. 16 precisse 775. 7 etiam et rys. tantur, dum dicunt quod non sunt concedenda, aliqua sunt contra- dictoria. Contra istam regulam atguitur sic: istae duae copulativae “deus est’ et ‘homo est’”, “‘capra est’, et ‘animal (est)””, istae quatuor propo- sitiones !8 (sunt) istae duae copulativae, igitur quatuor convertantur et tamen quaelibet istarum et non quaelibet alia a se ipsa convertitur. Pro !? isto negatur: quatuor propositiones sunt istae duae copulativae, quia, si conceditur, aliquae propositiones convertuntur. Similiter talis conclusio, quod quatuor propositiones convertuntur et nec? sex nec xx etc. tamen istae (f. 93vb) repios quia accipiuntur duae propositio- nes convertibiles et demum aliae duae convertibiles et nunc quod nullae tres istarum sunt convertibiles et eodem modo est de viginti et centum et mille quod non unus videtur etc. Ideo pro isto argumento negatur ista consequentia: convertitur cum omnibus istis tribus, igitur conver- tuntur cum duabus istarum, quia nullae tres istarum sunt propositiones ut intelligibiles et falsae. Contra: ‘deus (est) nam convertitur cum ista et cum ista, ergo 8! convertitur cum istis, cuius consequentia negatur continue, et haec est causa quia non valet, quia licet ista ‘deus est’ significat praecise sicut istae videtur (?) per se et iterum significat sicut ista alia per se, non praecise significat sicut istae duae, ideo conclusio non valet: album 2 possibile est esse nigrum et impossibile est album esse nigrum; prima pars probatur, scilicet ® quod est album potest esse nigrum, igitur album possibile est esse nigrum; et impossibile est album esse nigrum: nam ista est impossibilis: ‘album est nigrum’, quae praecise significat album esse nigrum, igitur impossibile est album esse nigrum etc. a tractatus de sensu composito et diviso parvus et utilis. en. 18 propositiones quatuor 775. 19 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 167. 20 nec add ms. 21 conclusio (?) w25. 2 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 192, 23 sic licet 775. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pergola”.

 

Luigi Speranza -- Grice e Perniola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Asti -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo italiano. Asti, Piemonte. Studia la filosofia del meta-romanzo a Torino sotto PAREYSON. Incontra VATTIMO ed ECO, che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Allegato alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma.  Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica Notizie. Fonda Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica. L'ampiezza, l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli fa guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del panorama filosofico. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di insegnamento, e conferenze. Si concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo saggio “Il meta-romanzo:, sostiene che il romanzo da James a Beckett ha un carattere auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi, Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto. Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In “Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice, “Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della storia.  Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni culturali sulla base di Heidegger e GRAMSCI, include un discorso teorico sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto. Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto. Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali, estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella mistificazione della metafisica”.  Postumano include altri territori nella sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito. L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare, all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa, perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.  In “L'arte e la sua ombra” popone un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori dallo  stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica “Enigmi -- Il momento egizio nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione. Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale), sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il suo uno moralistico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il roguery plutocratico.  La filosofia dei media. La sua ampia gamma di interessi teorici  includono la filosofia dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo, la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo come una delle belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti.  Altri saggi:  “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia, Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia, Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa et Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano, Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano, Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino, Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication without communicating? But Perniola is using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica: Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis); Estetica e politica (Milano, Mimesis); “Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “L'avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano, Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”; “La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di volta in volta”,  “La differenza del filosofica Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione, “Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed., Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana.  “Tra abbigliamento e nudità”, Zona  “Al di là di postmodernità”, Differentia “La bellezza è come un fulmine”,  Moderna Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,. “Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano, Charta,  “Verso visiva filosofia”, la 6a Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e post-storia” Tema celeste,  europea, “Un estetico del Grand Style: Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e l'ammirazione”, RES,  “Sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte.  “La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,  Ripubblicato come “La svolta culturale nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione, Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà;  “Ricordando Derrida”, sostanza, “La giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, e Dennison, L’arte, architettura, cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La filosofia del sesso; filosofia occidentale;  La sessualità, la morte, mondo --  è il più utile e punto di partenza per P., Fondazione desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il Corriere della Sera, Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione artistica" di P., Inverno  Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con  //notbored.org/ debord  a.html  I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo  “Pensare rituale. La sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert Burch. “Il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?” Sentire la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza. Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del concetto di transito vedere White, "la differenza italiana e la politica della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi di Francoforte Fiera del Libro, Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa.  La Teoria Pinocchio, P., il sex appeal del inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di Perniola in inglese vedi Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh,  Critica d'arte,  Filosofie del desiderio nel mondo contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra),  Anna Camaiti Hostert sexy cose,// altx.com/ ebr/ebr6/6cam; intervista tra Contardi e P. psychomedia /jep/number 3-4/ contpern  Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra v. Wahbeh, Recensione di “arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e Critica d'arte,  Sinnerbrink, “Cinema e la sua ombra: di P.  l’arte e la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana nella società e Arte vedere;  “Retorica postmoderno ed Estetica” in “Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, post modernismo   “La svolta culturale del cattolicesimo”. Laugerud, Henning, Skinnebach, Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche e oggetti di pietà religiosa. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori, ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte, New York-London, Continuum, Carrera, revisione a Disgusti, in Canada Rassegna di letteratura comparata, Filosofie del desiderio nel mondo moderno, in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei valori sospensione, in Neohelicon,  Civiltà, Dell'Arti Giorgio, Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia); Roller, simulazione, una conversazione tra Contardi e P. psychomedia/ jep/ number3-4/ contpern Recensione di “La sessualità, la morte, World”  sirreadalot.org/religion/ religion/ ritualR.  Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio Il corpo dell'immagine / italiaoggi.com.br/ not12/ ital_ ed Estetica  (//agalmaweb./ ) Blog su “Feeling Thing” (in italiano) (//cosachesente. splinder). Mario Perniola. Perniola Keywords: ‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso, sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Perone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Torino -- filosofia piemontese --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my “Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible” – AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto PAREYSON (si veda). Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è l’invenzione dell’ordine che con-tempera il “per me” e il “per tutti”. Studia la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva. la secolarizzazione;  Una metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi).  Nella notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato ferito dall'angelo.  La ferita significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”.  Il racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i singoli significati e il senso complessivo.  La filosofia ha un'obbligazione di fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica.  Riconosciuto il moderno come condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata una cesura.  E tuttavia, ugualmente inopportuno e un appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello dell'essere.  La necessaria protezione del finito (peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti)  non significare l'eliminazione di nessuno dei due contendenti. Sulla soglia  tra finite (peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito (a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi, sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto d'in-differenza.  Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’).  Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero, il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione.  Il finito, la parte -- il soggetto, il presente, il sentimento -- e analizzato come una “soglia”, come un luogo che non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita inferta loro dall’altro polo -- l’infinito, il tutto -- come una benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un confronto continuo con Guardini. Altri saggi: Esperienza divina” (Mursia, Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta”  (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino); “La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB, Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino);  “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino); “Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento” (Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano:  “Lo sspazio pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano); “Secolarizzare” (Mursia, Milano). Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti, Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso, Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente, Riflessione, Silenzio, Tempo.   Curato e introdotto presso Rosenberg la scuola di formazione filosofica: “Dialogo con l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive; “Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto, il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti, per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria im-potenza di in-finito. Questa lotta scontro con la barriera lascia nei soggetti una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'angelo può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo quanto per la terra?  E attiva un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’ intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in “La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il moderno è dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria della cesura. L’uso della categoria d’illuminismo non simpatizza per quella interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio, anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il presente possibile -- il presente come soglia.  Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso* e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio pubblico e spazio comune.  Individua anzi come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello spazio comune. Guglielminetti, ed., Interruzioni. il melangolo, Genova. theologie. hu-berlin.de/de/ guardini/ mitarbeiter/ li, su theologie. hu-berlin.de.vips/ ugo.perone, su sdaff. lett.unipmn/ docenti/perone/, su lett.unipmn oportet idealismo su spazio filosofico. spazio filosofico/ numero-05//il-pudore/#more-2052, su spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron, Velia, Grice on ‘other’; finito/ infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini. Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele, ei combatte, la tradizione di VELIA, l’infinito di Velia – il continuo e il discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano, -- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini, il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti, trascendentale e immanente. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e la filosofia nel principato di Nerone – TREASEA CONTRO LA TIRANNIA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Roma). He is best known as a satirical poet, but he studies philosophy under Luccio Anneo Cornuto, to whom he wrote a tribute and to whom he leaves his works on his death. A strong belief in the value of the ethics of the PORTICO lies beneath much of his satire. He is a friend of Trasea Peto (vide RENSI – TRASEA CONTRO LA TIRANNIA), and is related to him by marriage. Through this connection, Persio becomes associated with the PORTICO opposition to Nerone – but he dies before Nerone can take action against him. Ed. Broad, Loeb. Flacco Aulo Persio

 

Luigi Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dialettica – CICERONE – BOEZIO – TELESIO – la scuola di Matera -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata -- Dei lincei. Studia a Napoli. Conosce TELESIO di cui diventa discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus” (Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia, Manuzio) in cui riprendeva la teoria di TELESIO di uno “spirito” come principio, movimento, vita, e intelligenza. A Roma conosce CAMPANELLA (si veda) e GALILEI (si veda) e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani” (Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi:  “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis: commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis florentini” (Venezia, Franceschi);  “Novarum positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio physicis  triduo habitae” (Venezia, Sambeni). “De ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma.  la dialettica di Telesio -- Campanella -- Gailei -- contro CICERONE (si veda) – contro BOEZIO (si veda) – LIZIO -- vitium itium dialecticum, point Aristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialectices artis magistros primos requiramus. Non Aristotelem profecto fuisse cenfendum est. Sed multò antea, quun plurimos ex stitiffe, mania i testantibus. Sed ne referas ad tam antiquos: neges etiam, Pythagora eos fuisse logicos quod tamen falsumn, inde deprehenditur, cum mathematicis artibus; quae sine logice tractari non possant. Itta accuratem sstuduerint Zeno tamen Eleates [Velia, velino], ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularis fuit, non infophifticis de arte ipla contentionibus, sed in explicatione historiarum, incaricorum, Lucanum Galenus extendit. Clinomachus Thurius; noster coterraneus primus deaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles intervitia dialectica. Grammaticum est et grammaticae syntaxeos vitium  festum est; uel cum Platone Prometheum, velim ci deorum interpretem existimabimus, quem in sacris litteris noeum docti existimant; vel cum aliquot doctis, Mofis sacrum illum sacerdotisor natum, et vestitum ex hodiex pressum. Itaque Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et epoëi natum compositione, inque aenigmatum enodatione, doctis viris at matis seu enunciatis conscripsit si Laërtio credimus quod si berum est, principi doctrine huiusci philosopho debeatur; qua odeindecranslarakc ab Aristotele. In libru “De interpretatione” Non ita que Democritum Dialectices inventionis dispositioni SIGNARUM ut nec Protagora n elenchorum jutex Platorum et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen igitur, facultatem, seu virtutem bene differendi tenemus, hocest disputandi, disceptandi ratiocinandi. Quotiesita que ratione utimur, toties dialectico munere diendique ita Logicen hanc, esse facultatem, omnia disputandi, intelligendique Recte itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit. Duplex itaque; quin immo haec, uel utiilius magistra, cólatuitur; cum omnis disciplinae principium sit experientia, ob item  ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum Socrate a dialectices perfectae cognitiones secludimus; de cuius schola academico fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis, videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communis omnibus artificibus, quicum differunt, non sua quadam et propria, sed communi dialecticorum facultate differunt. Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline a habetur, quando prac statur quod attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differere. Subiecum uerum dialectices ponimus res omnes. Quod vel Aristotele teste confirinamus. Quid etiam fi. Non ens, subiectum dialectices ponamus et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio dialectice itaque communis oinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quid libet seu verum seu falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerum partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, verisimile, captiosum dari potest; non obid enunciate logice partim necessaria, partim verisimilis, partim capsiofa esse debet. Sed tota necessaria. “Genus” illud verem esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis et Ciceronis. Catonem verum et Ciceronem *speciem* esse hominis. Cum verum satius putemus; veri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus, quam a scholis in ertium philosophorum petere; melius quae duo individua, vulgò dicunt et unam speciem n, ili duas species et unumge nus dixisse videri debent. Sed sideri debunt consultos, non ridebunt Platonem [ACCADEMIA] ne que Aristotelem [LIZIO], terse comparationes intelligi. Genus item et speciem ad locum de toto et partibus rectem ablegamus. Categorias etiani ad inventionem dialecticam sternere viam, melius est ut concludamus. Paronyma ad coniugatare verti debere aestimamus. Locum ad numeramus in subiectis et tempus in adiun rum referamus. Animi sensum, aet intelligentiam, rerum similitudine mer itemque Cicero [CICERONE] e Quinctilianus. Quam vis itaqueo pusali quod artis huius g enuntiatum scia. Differentiam, quam Porphyrius declarare ad grediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum locum et ad inventionem rectius asscriberem. Accidentium nominee e rectius facta adiuncta et rerum in ctis. Quae verum cum aliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles. Quae verum sint in voce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quae scribuntur, eorum, quae fintin  Puoc essensa ila apud omnes eadem esse, SYMBOLA a et  ligris non s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia nis mentionem, sed syllogismi genesin et  analysin, tribuster minis et  PROPOSITIONIBUS conclusit et  terminavit non enim AD EXTERNUM SERMONEM dirigi voluit, sed ad internum. “Aliquis homo currit”. “Aliquis homo non currit”, nullum cum sub-alternae dicuntur. Multum iustiore ratione collantur. Quiai: tem esse tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis liberum, ex physicis physicum esse cue syllogismis maximem necessariam putamus. Quod et Graeci Aristotelis interpretes profitentur, inventionem illam Theophrasti et Eudemi propriam ess. Cui et BOETHIUS desu omulta addidisse etiam, testatur; sed utrum o m átio absolute vera; sit etiam necessaria, cami et si IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectem igitur in analyticis nullam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales sunt antecedentes causae, talem eventus veritamur. Nos logicen compositorum enunciatorum et per se, et in 6. Nia rectem, alias dictum. Datur igitur enuntiatum, compositum, eeu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet. Cuius et sunt suae species, ar COPULTATUM difiunctum, con nexum et elatum et cetera. Accamen in DISIUNCTIONE illud tenemus, ut omnis disi un paratim nulla sit necessitasi. Nam difiunctionis necessitate penderee partium non ucie ritate, sed dissentione, palam est contineatur, cum illatota sit animi, eadémque apud omnes gea tes. Haectota SYMBOLICA in voce. Logice ita que sine SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potest in ani tradictionis nomen meretur. “Homo albus est.” “Homo non albus est”, tantundem. “Omnis homo albus est”, s vidam homo albus et contra. Quae praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab antecedente, Quid si hoc idein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones, et anticipationes genera sit. Definitiones et partitiones este principia omnium ferèar, tium, uel in desumptas quasdam maximas. Principia uerum non tantum priùs nota, sed esse notiora, ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque in de  rerum verum alteram. Et verborum illam dicimus, quae in omnibus definitionis, requiritur. Rerum verum, quae debet esse in definitione ad explicanberent. Immo eandem de terminis mediis et  extremis ut consta hil explicaret. Itaque syllogismi maior et minor hanc praenotionen habes et universales esse, unde speciales illis comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At verum id praecipuè in INFORMATIONE artis integra cue rifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee emanant. Et primum illum tenemus, quando attributum est in essen et definitis totius et partium. Demonstrationis et demonstratii omnisque Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini ret essere sis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cum autem quae in scientia sunt, per se finto portet, sit, cum quid alicui aderit vel simpliciter vel quod amodoerit: cia   tiasubie et i, et ineius definitione ad hibetur. mus definitioni: quod uel exempla Aristotelem .palàm faciunt. Accedit QUARTUS MODU. Per se in est quòd causa sit certa et non fortuita generalis ergo hic modus per se, quotiessci licet causa e de suis effectibus dicuntur. PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim modus affections et accidentia cognata quod ammovo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri. Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid docent, superiorum decretis explitionis uel inueniendae, uel iudicandae. Omnem disciplinam fieri autper demonstrationem, aut firmauit. Ac per definitionem et distributionem, accuratiorem sci entiam confici, quam per demonstrationem, tenemus. Quare non sequitur, Scio ex causa, propter quam res est quonia milius est causa. Nec aliter habere potest. ergo, Scio steriorum, e Platone ferem sumpta es e qui v is animaduerterepoterit. Plato enim ad instituendas artes, definitionem et distributionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere, demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species, aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes sub-alternaes intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectem con per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur in lib. Po do complectitur. At quo pacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo. Ideoque no terit Son3   terit quis, cum logicam inventioneimn ipsarum natura, qua litateque tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisque. Quirendam, recte fortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsum, quod ad percipiendam hanc disciplinam de moribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certem pueros quos damui dimus divinitate quad ammen ti, confirmarunt. Quae non protinus quid rectum, prauúinque sit; discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil  tis praeditos, ut in quibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per videnda. Cum dispositionem, in eadem vel uel syllogistico conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et iudicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda. Antonio Persio. Persio.  Keywords: implicature, dialecticis, Telesio, Campanella, spirito come vita, animo come aria, Cicerone, Catone, Boezio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Persio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pessina: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Studia a Napoli sotto GALLUPPI. Cura la sua storia della filosofia. Di idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Recluso nell’isola di S. Stefano, sposa la figlia di Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna. Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei.  Muore nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.  A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene); “Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli: Priore); “Storia della filosofia” (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. La scuola italica venne fondata da Pitagora che crea una filosofia matematica a CROTONE e TARANTO. L’anima, secondo Pitagora, è un numero che si muove. L'armonia dell'anima, o la sua rassomiglianza col divino costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione. La scuola di VELIA svolge pienamente l'idealismo dei Crotonesi; e la varietà, non negata da Pitagora, esclusivamente affermata dalla scuola gionica, venne assorbita dell'unità da Senofane, trascurata interamente da Parmenide – VELINO (si veda) --, e negata da Zenone – VELIA (si veda) --, il velino. Empedocle di GIRGENTI (si veda) ed Anassagora seguirono l'eclettismo, ma il primo fu più proclive alla setta dei crotonesi, ed il secondo alla scuola gionica. La scessi ha a fautori i sofisti I quali sorgeano da tutte le scuole. GORGIA di di Lontino o LIONZO (si veda), discepolo di Empedocle di GIRGENTI (si veda), è sofista, e tale era benanche Protagora, discepolo di Democrito. Ma questi non pensano che a sedurre il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effeminata eloquenza. Nulla possiamo dire della filosofia appo i romani perocchè essi, rivolgendo il pensiero alle cose pubbliche, non poteano ri-concentrarsi nella severa meditazione filosofica. Epperò, anche quando la filosofia del dritto e la giurisprudenza fiorirono del romano impero, i giureconsulti non fanno che freddamente seguire ora la filosofia dell’orto o del portico. E se alcuno ci obbiettasse le opere di CICERONE, di Senеса, o di PLINIO, risponderemmo che questi filosofi saranno sempre degni di venerazione de’ filosofi, ma che non fondarono alcun sistema NUOVO. Neander, origine e sviluppamento de’ principali sistemi gnostici. Walsch de gnosticorum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum. Olearii, De philos. eclectica.  stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sensualismo degl’adetti. Ma in alcuni è originale, in altri una imitazione di Locke, di Gassendi, e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare ZANOLLI, MURATORI, BIANCHI, e VERRI.  Il primo di questi,  7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro, che il tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati, e che la felicità rattrovasi la scessi, tenta formare i principii più stabili dell'umana credenza, assegna la sola probabilità alle idee morali, e riconosce che i sensi ci fanno aperti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo, ma non la natura della causa. Kirwan sostenne che non possono aver luogo gl’esseri senza una causa, che lo nello stato di piacere assoluto non-misto a veruna pena. Da ultimo, Young, dettando un trattato sulla forza della testimonianza, la rinchiuse ne’ confini della probabilità, e sostenne che essa è capace di un convincimento superiore ad ogni altra esperienza, tentando la spiegazione di molti fenomeni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee, dimostra che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. MURATORI, che è il solo curato fra’ filosofi ed il solo filosofo fra’ curati, indagando le forze dell'umano intendimento, confuta la scessi mediante una morale poggiata su’ principii della ragione e dell'amor proprio – cf. Grice, SELF-LOVE, OTHER-LOVE. BIANCHI fa dipendere il piacere dalla cessazione del dolore.VERRI vuole che si fosse a’ suoi tempi effettuata la dottrina del sentimento o del senso morale. Fra’ secondi, BALDINOTTI nega che si puo discoprire le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che ogni nostra cognizione debb'esser di fatto. Lo studio di Locke, dopo l'opera di BALDINOTTI attira in Italia molti proseliti, fra'quali possiam nominare a cagion di onore SARTI, PAVESI, TETTONI, CAPOCASALE, e BRIGANTI. Iovano molti filosofi, arversi per fede a’principii del Lockianismo, cercarono bandirlo; egli vi avea radicato i suoi profondi germi che si estesero insino all’aurora del secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero SOAVE, TOMASO, e VALDASTRI. SOAVE, seguendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguarda l'idea come l'immagine degl’obbietti e fonda la certezza sulle tre evidenze di Condillac. VALDASTRI fa derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee, trasse il criterio del vero dal senso intimo e sostenne nulla esservi di vero in meta-fisica se non fondato sulla economia del nostro essere. An co Rezzonico, Corniani e Prandi danno opera alla propagazione del condillachismo. Ma gl’italiani, benchè sensualisti, non si nabissano nelle funeste conseguenze del materialismo francese, perocchè risenteno ancora l'influenza della vera e sapa filosofia, la quale mai è, che si scompagni dalle verità che crediamo DIVINA. C. Italia. Giovenale, Magneni, Rufini, e Miceli segueno l'idealismo ed hanno a scopo comune quello di determinare l'ideale principio costitutivo delle cose. Ma Pino da a luce la sua proto-logia che, quantunque tenuta in dispregio da’ sensualisti, pure non lascia di onorare l'autore e la patria di lui. Questo saggio venne diretto ad indagare il primo della verità de' principii e delle scienze, l'uno che in se racchiude il principio delle scienze tutte. Egli con prove ingegnose e con sottili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane convenzioni, che esiste un primo, causa ed origine dell'umana intelligenza, che il primo principio della ragione è divino.  Law e Hutton sono i suoi più forti sostenitori – Law negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di tempo; Hutton inclinando alle opinioni del celebre Berkeley. è strato all'uomo, che le parole non sono [Borovshi, Notizia sulla vita e sul carattere di Kant; Jachman, Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negli ultimi anni della sua vita.- Biografia di Emmanuele Kant. - Rink, Tratti della vita di Kant. Bouterweck, Em. Kant. Rimembranze. Grohman, Alla memoria di Kant. Cousin, Lezioni sulla filosofia di Kant -- versione italiana di F. Triochera con note del BENEMERITO [B.] Galluppi -- Kant, Idee sulla maniera di apprezzare le forze vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti] SEGNI DELL’IDEE, nè le idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso dell'uno o primo, ovvero del divino; che l'analisi è la distinzione della pluralità costituita dall'uno; e da ultimo che non già la dimostrazione matematica, sibbene la scienza del primo è la ragione primitiva della scienza. Dietro l'impulso di Premoli, dietro gli sforzi di qualche altra e università che cerca difenderlo, il misticismo ha in Italia parecchi coltivatori, fra'quali si distinsero FERRARI e LETI. FERRARI fa derivare la filosofia dalla rivelazione del divino, dalla esperienza, e dalla ragione, ed assevera che il filosofo dove seguir laprima in preferenza dell’altre. LETI, attenendosi ad un principio rivelato o positivo, tenta fondare un sistema cosmologico sul “Genesi.” Epperò, secondo lui, tutte le cose han principio dal divino, lapima si congiunge con uno spirito materiale costituito come la vera forma delle cose materiali, e contenente la luce, l'acqua, la terra, che sono volatili o fissi, e formano gl’altr’obbietti. Ma la riforma  conoscendo la propria fallacia ed illusione, De ti intese della massime a divinità determinare derivare di S.,edi le idee Tomuniaso gli Secco che immediatamente attribu, segue facendo da, le però il divino [Rousseau, Discorso sulla quistione se il risorgimento delle scienze e delle arti hanno contribuito a depurare i costumi. Discorso sull'origine e su’ fondamenti della ineguaglianza tra gl’uomini Lettere scritte dalla montagna; Del contratto sociale o principii del dritto Politico; Emilio o dell’educazione; Jacobi, L'idealismo ed il realismo Lettera a Fichte Alcune lettere contro Schelling Delle cose divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte Trattati sull'arte di vivere; La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia. Guida per la logica. Saggio del Diritto naturale. Esposizione della natura della filosofia. Filosofia del Cristianesimo. Politica secondo i principii dell’Accademia. Teoria del Dritto secondo i principii di l’Accademia. Lettere ad un amico su'] C C filosofica sperimentale preoccupa gli spiriti per lo studio degl’obbietti sensibili; ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori. L'eclettismo ha de’ forti e valenti sostenitori. Ceva confuta Gassendi e Cartesio; la celebre Agnesi, prevenendo il Cousin, dice non doversi aderire a setta alcuna, ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono alla esperienza ed alla ragione. Corsini insegna non doversi seguitare ne i Cartesiani, nè il Lizio, ma le migliori opinioni di tutte le sette con una specie d’eclettismo. S. 7. venne sostenuto da molti 'Glo [L'Empirismo – Razionalismo] sofi, tra' quali si distinsero Luini, Gorini, Scarella, Ansaldi,Vico Stellini, e Genovesi. LUINI si oppone all'armonia prestabilita di Leibnitz accostandosi al pensiero della forma sostanziale [viene le categorie di Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime, e discer de la percezione della convenienza o discrepanza di due idee dall'assenso dissenso a tale percezione. Secondo lui, la mente umana non può comprendere come convenienti due cose che re dell'anima, distingue nell'anima la sostanza 'le potenze i modi, afferma che nel percepire un oggetto noi ci distinguiamo dall'atto della percezione, che le potenze s'argomentano col ragionamento, che le forze sono una certa condizionata esigenza delle sostanze, che colla filosofia è dato di scoprire nell'anima una certa sovra-esistenza, e che il razionale non debbe superare il fatto. Gorini, elevando la dottrina dell'associazione, considera l'idea come semplice rappresentazione dell'oggetto, e sostenne il principio logico che la cognizione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di tre. Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion sufficiente, prepugnano fra loro, il principio della cognizione stà nel predicato che chiaramente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine egli distingue gl’errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia in fenomenale e PSICOLOGIA RAZIONALE, classifica le facoltà, spiega i sogni con certe continue commozioni cerebrali, distinguel'anima umana da quella de’ bruti, indica due specie d'appetito, l'una sensitiva, l'altra razionale; ed ammette l'anticipazione in noi di qualche cosa innata, che dicesi idea. Ansaldi dimostra che il portico non è atto a diminuire i momenti di infelicità, confuta l'uomo macchina di Mettrie, il principio dell'associazione di Hartley, distingue il sentimento dalla sensazione; e provando che è impossibile dedurre il fisico dal morale, che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell organismo, fonda il principio morale sopra una virtù costitutiva dell'ordine invariabile delle cose, lontanandosi dall’Utcheson e dalla dottrina dell’amor proprio – Grice: SELF-LOVE, OTHER-LOVE. Gerdil divide l’idee in idee di modi, di sostanze, e di relazioni, pone il criterio del vero nell’osservazione e nella esperienza regolate dalla ragione, dichiara l'idea dell'ente un idea di formazione, pone il criterio morale in un naturale criterio diapprovazione, che indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determina il giudizio o dettame pratico in virtù di una certa e conosciuta legge di convenienza – il principio di co-operazione -- di che l'uomo si compiace per natura; fa consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, deduce l'immaterialità dell'anima dalla diversità tra la sostanza pensante e qualunque sostanza corporea,  dall'impossibilità che la materia contenga la prima origine del moto di sostanza e di modo; deduce l'esistenza del divino dalla necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pone per principio che le regole della morale per condurre al buon fine dove trarsi dalla natura umana, e colloca il fine o la e dalle nozioni. Egli si eleva ad un sistema empirico razionale fondato sulla storia e sulla ragione, e getta le fondamenti della scienza dell'umanità. Il suo metodo è ricavato dalla psicologia, dalla natura della scienza, e dal la geometria, ed in esso la facoltà inventrice, o la facoltà certa del sapere è preposta a quella dell'ordinare o comporre. Esso è l'analisi geometrica ben diversa da quella di Condillac. VICO venne a ridurre la filologia ad una vera forma di scienza e da ritrarre dalla mitolo  [Il nostro celebre concittadino VICO, conosciuto più a’ tempi nostri che a'suoi, più dagli stranieri che dalla sua patria, scrive la scienza nuova, monumento di gloria italiana, in cui egli avea indagato i principii filosofici della storia, precedendo di un secolo le teorie di Hegel, e Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo, o nell'amore divino. dire una vera storia; ei pose il   meta-fisica, che in sostanza è una vera teo-logia, si è di stabilire un vero appoggiato al senso comune ed all'ordine eterno delle cose, qual è il divino. Da questo priocipio VICO deduce che tutte le scienze emanano dal divino, rimangono comude  3 una na velle; che e criterio del vero: nel senso cerca surrogare il principio dell'autorità universale a quello della ragione individuale. Questo senso comune di Vico è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta nazione, o da tutto il genere umano. Secondo VICO, il vero è diverso dal CERTO, inquantocchè quello è riposto nella conformità della mente coll'ordine delle cose, e questo nella coscienza sicura dal dubbio, quello fondasi sulla ragione, e questo sull'autorità. La meta-fisica è quella che stabilisce l'ente e il vero, ed è legata necessariamente alla religione romana cattolica. Lo scopo della sua, nel divino, e tornano al divino solo; che il divino è l'infinito posse, nosse,   velle > ; corpo, contiene una virtù infinita di estensione che va all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo; e che il conoscere chiaro in meta-fisica è vizio, cosicchè approfitta in meta-fisica colui che si è perduto nella meditazione di questa scienza. Nella sua Psicologia VICO distingue la sostanza intelligente dalla corporea. Indi sostiene che quella è l'anima ed ha la sua  sede nel cuore, che in essa esistono le facoltà della memoria, della fantasia, dell'umano arbitrio; che la mente umana l'uomo è il posse, posse, nito, che tende all'infinito; che l’Ea te è Dio, e le creature esistono per partecipazione; che la causa unica è quella che per produrre l'effetto non abbi sogna d'altra; che l'essenza consiste ia una indefinita virtù; che l'anima è diversa dal corpo e dalla materia;che il 4 > 2 pe'pervi, che si danno gl’universali, o l’idee come forme delle cose che queste sono create dal divino, e che l'anima distingue l'uomo dalle bestie. Il non intende [VICO considera l'uomo come ente fioito procedente dal divino, superiore agl’altri animeli per la ragione, e in cui distinguesi la natura innocente dalla corrotta. L’uomo è naturalmente socievole, onde in lui una LINGUA. La sua vita propria è quella che è consentanea alla natura. A lui appartengono l'umanità o l'altrui commiserazione, il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazione di natura, l'istinto alla fede, il pudore, e infine la brama dell'onore. L'uomo insomma è un essere costituito d'intelletto e di volontà, corrotto in entrambi dagl’errori e dalle passioni, ma capace dello sforzo della mente al vero che come equo bene è il giusto, conformità della mente all'ordine è l'onesto. La giustizia, secondo VICO è la virtù universale. La virtù è la stessa ragione, e distinguesi in prudenza, come, temperanza e fortezza; e causa della società è l'onestà. Noi abbiamo verso il divino de’ doveri a soddisfare col culto, senza onestà non può darsi società civile, la giustizia dev'essere universale o architettonica, perchè uno è il divino. VICO nella sua Scienza nuova parte dall'idea o cognizione del divino che illumina gl’uomini e tutto dispone co'suoi ordini prestabiliti. A questa idea principale si rannodano le seguenti. Questo mondo è diretto dalla provvidenza divina. Questo mondo civile fatto dagl’uomini non è molto antico. In esso tutte le nazioni convengono sulla religione, sul matrimonio solenne, e sulla sepoltura. Su questi surgeno le nazioni più barbare. Tutte le nazioni percorrono III età: I età degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO --, II età degl’eroi – ENEA, ASCANIO, ROMOLO --, III età degl’uomini – BRUTO, CICERONE, OTTAVIANO; III diverse lingue: I geroglifica, II simbolica, III volgare – il latino. Le nazioni furo prima di natura cruda, indi severa, quin di benigna, e poscia dilicala; la forma di governo è o teo-cratica o è delle repubbliche democratiche o aristocratiche, o finalmente è quella delle monarchie; formate le città nasco BO.le tras-migrazioni de’ popoli, ed il dritto naturale delle genti. Cresciute le nazioni, l'equità civile rafforza il dritto naturale. Tutto ciò dura finchè non sopravvengono delle grandi crisi per mutare il mondo civile. Queste vicissitudini umane formano il corso e il ricorso della nazione italiana nel quale si ravvisano III età, degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO – II degl’eroi – ENEA, ASCANAIO – ROMOLO; III degl’uomini – BRUTO, GIULIO CESARE, OTTAVIANO; tre specie di natura: fantastica, eroica, e intelligente; tre specie di costumi: religiosi, colerici, e officiosi; tre specie di dritto naturale: divino, eroico, umano; tre specie di governo: I teocratico, II aristocratico o III democratico, e monarchici; tre specie di lingue, I mentale, II eroica e III di parlari articolati; tre specie di caratteri, geroglificii, eroici e volgari,  aleo VICO idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri -in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza, divina, eroica, ed umana; tre specie di autorità: divina, eroica ed umana; tre specie di giudizi: divini, eroici, umani; tre specie di tempi: religiosi, eroici, e civili. Tutte queste cose hanno apco un ricorso. Il corso e ricorso è fondato sul fatto. La storia ideale non è propria de Romani, tre Tor oé Iri. del co ed ute   ma di tutto il mondo. La Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Te-ologia ragionata, di filosofia, di storia delle umane idee, di critica filosofica, di storia ideale eterna, di sistema del dritto. naturale e delle geộti, di scienza de’ principii di storia universale. Questo grande uomo ha delle lodi e delle accuse, ma sarebbe lungo e difficile il giudicarle per vedere se le une o le altre preponderano. Epperò altro non facciamo che rimapere stupiti come intempi tantomeno civilizzati de' nostri che si addimandano civilissimi l’Italia abbia dato alla luce un ingegno sì 'straordinario e maraviglioso. La filosofia del VICO rimane ignota per lungo tempo all'Europa. Ma ha anco ra de continuatori fra’ quali vennero ad altissima rinomanza STELLINI e GENOVESI. STELLINI analizza le facoltà umane, affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla proporzione o dall'equilibrio di tutte, e fecede rivare la virtù dall'equilibrio tra le facoltà e le affezioni umane. Nella sua opera sull'originee su’ progressi de’costumi dimostra esservi tre epoche della natura umana, cioè quella de’ sensi che servono all'animo, quella dell'animo che serve a’sensi, e quella del mutuo commercio tra l'anima e i sensi. STELLINI integra, per dir così, la filosofia vichiana, in quantocchè Vico cerca nella storia la morale delle nazioni con quella degl’individui, e STELLINI fa la storia de costumi degl’individui colla morale delle nazioni, comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i principii morali dalla natura delle cose che si offre spontanea alla nostra contemplazione, dando una unità sistematica alla scienza della morale, e riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza. FILANGIERI, PAGANO, ed IEROCADES proseguino quasi in silenzio la via luminosamente segnata da VICO e STELLINI, ma colui che si fa chiaro, e fra' Vichisti e tra gli’empirici razionali, è GENOVESI, nostro concittadino. Egli nella sua meta-fisica sostiene che non possiamo avere idee distinte intorno alla sostanza, che l'essenza consiste in varie proprietà, e che si distingue in reale, nozionale e nominale. L'anima secondo lui, è lo stesso subbietto pensante ed intelligente, ed è dotata d'intelletto e di ragione della percezione, del giudizio e del raziocinio; per ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle idee che possiamo avere, che la verità sia chiara ed evidente, mai il filosofo non  il principio dell’autorità e dell'arte critica, cità della mente umana e della estensione della conoscenza. Secondo lui, la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni stabilite se non quándo ci si presentano dell’obbiezioni. Egli dichiara imperfetta la scienza teo-sofica e conchiude che ascendiamo al Verbo per via della ragione. Segue il principio che rion sidapno nemmeno l’idee intellettuali senza; un moto corrispondente nel cervello> ammette il principio del vero e del falso il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica > > . della capa   ra umana morale è mossa dal conoscere la natu in che trovansi due forze, l'una concentrica e l'altra diffusiva che entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità. Scopo della morale è quello di regolare e non distruggere l'uomo. La legge naturale è risposta de dae precetti di attribuire i proprii diritti al divino a te ed agli altri, e di fare tutto che conviene alla felicità del genere umano. Egli ripone la legge morale nella ragione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali delle cose ordinate, e per la quale v’ba un'obbligazione perfetta che è della forza e della giustizia, ed un obbligazione imperfetta che è la legge dell'umanità. Egli dimostra ancora che l'utile è il più bello indizio di una legge generale che punisca o premii talune azioni, e che tutti i doveri si riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acquistar le proprietà, perchè non s'invadano le proprietà di coloro i quali sono al medesimo piano dell'universo con noi. GENOVESI non è un filosofo originale, ma è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza, per la sua critica; e se talvolta si desidera in lui maggior ordine, maggior precisione, ciò nasce appunto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia italiana.  S all'immaginazione- De 2 Antropologia di Gorini-Luini, Meditazione Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di perfezionare la filosofia morale. Saggio in torno traditione principiorum legisnaturalis- Elementa Logicae, Psychologiae, ac Theologiae naturalis, auctore Scarella Gerd il., Anti Emilio o Riflessioni sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau. Piano degli Studii Logicae Institutiones Storia delle sette de’ filosofi. Principii della morale cristiana. Origine del senso morale. Memoria dell'ordine del divino e della immaterialità delle nature intelligenti. Philosophicae Institutiones quibus Ethica seu Philosophia practica continetur VICO: De nostri temporis studiorum ratione- Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia. De uno uni versi juris principio et fine uno liber unus. De Constantia jurisprudentis liberalter- Principii di scienza nuova STELLINI: Ethices Opera omnia PAGANO, Saggi politici Discorso sull'origine e natura della poesia. GENOVESI: Elementa metaphysicae. Elementorum artis logico criticae. La Logica. Istituzioni di meta-fisica pe’ principianti. Diceosina o sia Filosofia del giusto e dell'onesto. Per dar compimento alla esposizione dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo presente. I filosofi italiani oggdì si dividono nelle V classi dei sensualisti, degl’idealisti, de’ mistici, degl’eclettici e degl’empiristi razionalisti. La tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo benchè si ravvisi qualche avanzo di sensismo, e som   qualche imitazione dell'idealismo alemanno non che del misticismo francese e del eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone GALLUPI che, colla potenza della sua dialettica, e colla severità del metodo analitico, rappresenta eminentememente la filosofia in Italia, movendo guerra sì all'idealismo di Kant che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideo-logico dei diversi sistemi di filosofia esporremo pri mamente le dottrine degl'empirici. Po scia verremo agl’idealisti, a’ mistici, ed agl’eclettici; e da ultimo agl’empiristi-Razionalisti.  POLI: Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tenneman. Gioberti: Del Primato morale e civile degl'Italiani. I capi del sensualismo italiano nel secolo presente sono Gioia, Romagnosi, e Lallebasque. GIOIA (si veda), fondando la sua filosofia sul la ricerca de’fatti, non fa che mirare aduna scienza popolare. Procedendo in tal modo egli trova tre facoltà fondamentali: la sensazione, l'attenzione ed il raziocinio. Indaga l'origine delle sensazioni e dell'istinto, ammise l’organizzazione e gli stimoli esterni come cause dell'istinto, e spiega l'anomalia delle sensazioni, e le loro leggi, por gendo un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come norme misuratrici della in telligenza. Riguardo a'prodotti intellet tuali e morali, egli inclinò ad una i deologia fisiologica, che egli conchiude con una teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre proveniente da lesioni organiche, e il piacere come non sempre effetto della cessazione del dolore, e stabilisce l'azione reale del piacere e del dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco  no sulla felicità, sulle facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e rettificando le nozioni false sulla vita, mostra che le sensazioni u- nite alla forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, GIOIA dove soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di atti uti li disinteressati. Il sistema di GIOIA è erroneo e difettoso, perchè tende a generalizzare il sensualismo, favorisce il sistema del piacere, approssima l'ideologia alla fisica, analizza superficialmente ed inesattamente i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo, una filoso fia pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla induzione,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun tedanonpochierroriavrebbero formato di Gioia un pensatore non mediocre. ROMAGNOSI (si veda) segue, nel suo metodo, ne'suoi principii, e nelle suededuzioni, l'empirismo, ma un'empirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del dritto nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine morale di fatto perfezionato, e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3 nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali, lasciando le astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia, la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche del conoscere, del volere, e dell'eseguire, dichiara l'esi stenza del me e degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il moltiplice, al semplice il complesso, che perciò è suo ufficio il conformare gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in ogni giudizio, l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a priori riguardo alle idee che tutte  e una   derivano dalla sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio di contraddizione, consi dera la causa come un non so che rac chiudente il concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto; ne ga le idee iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato; considera il valore della prova nella certezza, e nel dubbio, e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La morale, secondo lui, stànel proporzionare la natura de' mezzi secondo la speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è l'ordine della perfezione, cheper leg ge di fatto reagisce su quello della conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi delmiglior  bilità, e nel dubbio nella proba Lallebasque congiunge alla scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo [È comune opinione che sot to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere BORRELLI:  essere umano; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui l'uo > mo, com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza; ed il prin cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi; ma è in e qualche modo oscuro e confuso, né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i suoi proseliti, e per l'empirismo da lui professato, e per le diffi coltà della scienza, là; g  lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo stesso che l'idea, tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio, egli distingue quello di occupazione da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver sità; considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli tivo e l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la volontà sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica, egli ripartisce le lingue in radicali e produttive. Indaga l'origine delle parole e le loro cause, che sono l'imitazione, il bisogno, il comodo, l'arbitrio. Riconosce due mezzi per trovare le lingue radicali: la ricerca de'popoli che han comunicato con quello per la cui lingua han luogo le indagini etimologiche, e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi Àtre pensatori. Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte osservazioni e con esperienze bene istituite. SAVIOLI è seguace di Locke e di SOAVE. Troisi riconosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee. MAZZARELLAriconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col mezzo de'sensi. PEZZI nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee astratte. Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità, e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa ove non è impresso alcun carattere; MARA no distingue la percezione dall'idea e preferiscel'analisi. ABBÀ fa dipendere le idee dal senso e dall'azione dell'anima. ZELLI afferma che l'uomo riceve le losofico sulla coscienza. TESTA afferma che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi -prime idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera del mondo sensibile. PASSERI riconosce l'influenza del fisico sulla rettitu dine delle nostre azionispirituali. SANCHEZ niega alla ragione la conoscenza dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi. GATTI dichiara esser la sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente. BONFADINI riconosce il metodo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle idee coll'analisi e coll'astrazione. REGULEAS pretende nell'anima altro non esservi che il sentire. BRUSCHELLI trae l'esistenza del mondo e del divino dall'osservazione de' fatti che ne circondano. GRONES dichiara la metafisica la scienza delle cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante e delle esperienze accurate. PIZZOLATO forma della filosofia una scienza fenomenical. BUTLURA poggia il sapere ro, studiarne i fatti sono i soli mezzi sicuri d'ammaestramento. BRADI riduce la certezza alla diretta cognizione del modo di essere speciale degl’obbietti. FAGNANI fonda il suo sistema gloso-fico sul dinamismo e sulla sensibilità. BRAGAZZI propone per facoltà d'apprendere l'osservazione de'fenomeni dello spirito e per criterio del vero la verificazione. COSTA sostiene la memoria e le altre facoltà a simiglianza della sensazione, ed ammette l'origine delle idee generali e normali dall'idea individuale. FERRARI segue il principio dell'associabilità interna e FELLETTI quello dell'utile umanitario. L'empirismo venne applicato alla pedagogia da PASETTI, FONTANA, TOMMASEO, e RENZI, alla storia da ROSSI, alla estetica da CICOGNARA e DELFICO, e dalla genealogia delle scienze da PAMPHILIS, ROSSELLI, e FERRARESE, che riunisce tutti i rami delle scienze a quella dell'uomo, seguendo il principio che in esse tutto è relativo a noi. [e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia. Esercizio logico. Nuovo prospetto delle scienze economiche. Del merito e delle ricompensa. Dell'ingiuria, de'danni, e del soddisfacimento. Indole, estensione, e vantaggi della Statistica ROMAGNOSI: Che cosa è mente sana? Indovinello massimo. Della suprema economia dell'umano sapere. Vedute fondamentali sull'arte logica. Dell'insegnamento primitivo delle matematiche. Assunto primo della scienza del dritto naturale. Introduzione allo studio del dritto pubblico universale. Dell'indole e de'fattori dello incivilimento. Biblicteca italiana. Vari articoli di filosofia. L'antica filosofia morale. Genesi del dritto penale. Progetto del codice e della procedura penale. LALLEBASQUE: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero  la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi. Eila, alla . ea dal Fer àa cipii della Genealogia del pensiero. BORRELLI: Gia Troisi: L'arte di ragionare. Istituzioni metafisiche. Mazzarel Intorno a'principii dell'arte etimologica gli. Analisi delle idee la. Corso d'ideologia elementare. BINI: Lezioni logico-metafisico-morali. PEZZI: Lezioni di filosofia della mente e del cuore, riformata e dedotta dall'analisi dell'uomo. ACCORDINO: Elementi di filosofia. Regole dell'arte logica. Marano ABBÀ: Elementa Lo Pringices et Metaphysices. ZELLI: Elementi di metafisica. PUNGILEONI: Dell'udito vista. Alberic: Del nescibile. Passeri: - e della Della natura umana socievole. Sanchez: Influenza delle passioni sullo scibile umano. GATTI (si veda): Principii d'ideologia. BERTOLLI: Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche. GERMANI: Dell'umana perfezione. SCARAMUZZI: Esame analitico della facoltà di sentire. BONFADINI: Sulle categorie di Kant. REGULEAS: Nuovo piano d'istruzione ideo-logica elementare. BRUSCHELLI: Praelectiones elementares logico-metaphisicae. BUTTURA: La coscienza logica. TESTA: Introduzio ne alla filosofia dell'affetto. Filosofia dell’affetto. BRAVI: Teorica e Pratica del Probabile. FAGNANI: Storia naturale della potenza umana. Elementi dell'arte logica. BALDINI: Cenni sopra un corso di filosofia. RAMELLI: Prospetto degli studii filosofici nelle scuole comunali. NESSI: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia. OCHEDA: Filosofia degl’antichi. GRONES: Ricerche metafisico-matematiche sulla lingua del calcolo. PIZZOLATO: Introduzione allo studio della filosofia dello spirito umano. SAVIOLI: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae. ZANDONELLA: Elogio di Bacone. COSTA:Del modo di comporre le idee. FERRARI: La mente di Romagnosi. FELLETTI: In torno ad una nuova sintesi delle scienze. PASETTI: Sull'educazione fisico-morale. FONTANA: Manuale per l'educazione umana. TOMMASEO: Scritti varii sull'educazione. RENZI: Sull'indole de'ciechi. ROSSI: Studii storici. CICOGNARA: Ragionamenti su bello. DELFICO: Pensieri sulla storia e sulla incertezza ed inutilità della medesima. ricerche sul bello. PAMPHILIS: Genografia dello scibile considerato nella sua unità d’utile e di fine. ROSSETTI: Dello scibile e del suo insegnamento. FERRARESE: Saggio di una classificazione sopra le scienze del l'uomo fisico e morale. Delle diverse specie di follte. Ricerche intorno all'origine dell'istinto. Trattato della mòno-mania suicidia. Esame dello stato morale ed imputabile de'solli mono-maniaci.  Elementi di ito e dela. PASERI Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a facoltà di orie di Kant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia tiia delPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- NESSI filosofia – e sula oduzione a GRONES : lin - ee umano – in Epitome Bacone elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procaccia l'empirismo, pure si avverte ilbisogno di spiegare la natura umana non dall'esperienza, ma dalla subbiettività dell'uomo. Epperò sorgeno i razionalisti a combat, il secondo affermando l'assoluta necessità delle idee innate, o de principii apriori, ed il terzo annunziando esser la filosofia una scienza degl’enti di ragione. LUSVERLI considera le facoltà come COLUI il quale da una forma siste  ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza spirituale. DEFENDI riconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale, e PARMA nel fondo di ogni esistenza rattrova l'essere. CERESA afferma essersi im battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura subbiettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per suo mezzo elabora la sua obbiettività. o tere le tendenze empiriche; ed aspira rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono alle chimere ed alle astrazioni del trascendentalismo alemanno. Maggi, Bianchetti, e Receveur coltivarono il razionalismo pel suo lato obbiettivo. MAGGI cerca un sommo archetipo logico e supremo, P   1aspira 1 dificili ronoale Trascen ilBian: tempo, di spazio, di iriposero 0 ilha etiro, RECEVEUR  an na scienza considera che tipolos afermando ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale; eld stenza rat essersi im pura possibilità dell'essere medesimo. Secondo RECEVEUR, quest'idea è è innata, poichè non proviene nè da'sensi nè dal sentimento dell'io, nè dalla riflessione; e da essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia, di sostanza. Egli si propone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via, combattendo i sistemi che hanno perturbate le menti e disonorata la filosofia, e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza. SERBATI segue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'ente nell'universale. Egli preferi che riducesi a’ due sce il suo metodo assiomi di non assumere nella spiegazio ne de'fatti dello spirito umano, nè meno nè più di quel che è necessario a spiegarli. Egli parte dal principio che l'uomo pulla può pensare senza l'idea dell'ente; che quindi la qualità più generale delle cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez matica al razionalismo si e SERBATI. Egli si di di essenza, di causa, rma siste  moto, e di estensione. sso è il senti mento intellettuale, l'intelletto medesimo. Ecco i punti principali della sua teoria. L’anima ha due potenze originali: l'intelletto, che ha per obbietto essenziale la forma e la sensibilità che è esterna se ha per obbietto un corpo, interna se ha per obbietto l’io. La coscienza upisce la sensibilità all'intelletto con una sintesi primitiva, il cui effetto è la ragione scorgendo i rapporti generali, ed è la facoltà di giudicare congiungendo l'attributo al subbietto la sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione produce le percezioni intellettive; donde la facoltà di generalizzare e la libertà all'indefinito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la sensazione dalla percezione sensitiva, l'idea di una cosa dal giudizio sulla sua sussistenza, la percezione sensitiva dalla intellettiva, un atto dello spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;  I   che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose percepite; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la cognizione de'corpi, di noi; del divino, ed anco la legge morale. Per tal modo l'idea dell'ente è, secondo lui, il primo principio innato nella psicologia e nell'ontologia, il criterio del vero e del certo nella logica, il principio supremo del bene e del dovere nella m o rale.  senti nedesi lasua Itoeso chee le quattro idee di spazio, di tempo, rigio io огро, lacr eleto to| gene CON Terce adal 0;he :cold acele Non rimane che dirqualche cosa in torno al nostro concittadino COLECCHI, seguace in qualche modo della filosofia di Kant. COLECCHI pone di sostanza, e di causa efficiente, colle quali espone le leggi della ragione che egli dichiara comuni ad ogni sistema fi losofico.Il principio del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la sensibilità non può riponersi nello stesso me, cioè che il cel indef. uomo berce 7atto atto. eche   vario delle rappresentazioni nasce all'occasione del di fuori che modifica il sen so; che la riunione del vario nello spazio e nel tempo è opera della fantasia,  è e quindi chel'unità sintetica dell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fantasia di accordo con l'intelligenza. Secondo lui, l'induzione fisica è diversa dall'induzione matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in comincia da'sensi, e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendo quello che è con quello che appare,. lità delle parti del tutio dato nella divisione, la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota-  della natura e della libertà, il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un ente assoluto, dotato di tutte le possibili realtà, il divino. Nella morale, egli sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità di legge morale, che le due idee del giusto e dell'ingiusto sono originarie e non fattizie, e che le regole etiche, le quali dirigono l'uomo interno sopo essenzialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno. Colecchi non è solamente seguace del Kant; ma egli cerca armonizzare colla morale i pensamenti del Vico sulla filosofia e sulla legislazione; anzi poichè le verità del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica, Colecchi ha saputo raccogliere un seme da'principii di questa per produrre novelli frutti e contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur: Institutionum philosophicarum elementa Maggi: Critica sistematico-univerle e guida alla rigenerazione della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico metafisiche. Lusverli: Isti Defendi: Sul dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamento. Parma: Supplimenti sul sansimonismo. Serbati: Saggio sulla felicità. Saggio sulla unità dell'educazione. Opuscoli filosofici. Saggio sull'origine delle idee. Principii della scienza morale. Frammento di una storia dell'empietà pii e leggi generali di medicina e filosofia speculativa, Colecchi: Quistioni filosofiche. Ceresa: Princi.] Il sensualismo venne anco combattuto da taluni che, seguendo l'esempio della scuola teologica Francese, si elevarono al misticismo e fondarono la scuola de’ soprannaturalisti, che fanno prevalere la fede ed il sentimento sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi, Palmieri attacca di fronte l'empirismo, mette in campo le idee innate come impressioni permanenti e modifcazioni dello spirito, afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle impressioni non avvertite  e  la teologia hanno lo stesso scopo, cercano un solo vero discutono gli stessi principii, esse non ponuo essere due scienze. Mastrofini si vapta autore di una meta-fisica subli- .attualmente che la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impresse nell'anima; e ri-vendicando l'autorità de'libri sacri, confutando il Kantismo e negando alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato èdell'uomo sostiene che tutti i suoi sistemi sono contraddizioni manifeste, e che il solo vero è il soprannaturalismo che è l'unico, e non contraddittorio, quando anche la ragione non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Manzoni stimando incompiata la filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendentemente dalla religione, e la distinzione tra la filosofa e la religione come una imperfezione, si accosta al soprannaturalismo, sostenendo che la filosofia morale va congiunta alla teologia, che la ragione naturale è imperfetta, e che se la filosofia e. Il nome di Licinio Ventebranz è anagrammatico ed é celato in esso quello di Albertini  me in cui applica la filosofia alla teologia; Ventenbranz predica una filosofia eclettico-cristiana; Perolari Malmignati sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. Olivieri e Pasio sostengono una morale dedotta dalla ri-velazione. Cesare Cantử dimostra che, dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non puo giammai mepare ad effetto questa sua condizione se non colla religione positiva; che l'umanità è regolata dal divino, che il linguaggio della parola è dato dal divino all'uomo e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di rettitudine morale. Parma pretende che ogni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo anteriore alla dimostrazione, e che sola la filosofia religiosa assume tutti gl’elementi del materialismo, dell'idealismo e dello scet  Riccardi fa consistere il difetto di ogni filosofia del vizio logico e morale di sostituire la parola natura al divino; e pretende la scienza essere essenzialmente religione, non potersi dar conto di alcuna cosa che risalendo al divino, la filosofia non dover concludere contro i fatti della ri-velazione, la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta. Ventura cerca identificare la filosofia alla ri-velazione. Secondo lui, la filosofia statutta nel metodo, il fondamento della certezza è riposto nel senso comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tutto indissolvibile, l'uomo si rapporta al divino, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un tempo il sommo vero ed il sommo bene, l'uomo debbe conosce  ticismo, epperò, secondo lui, la teologia è un ingrandimento dell'umana ragione, o la scienza dell'umanità illustrata da'più alti intelletti, la filosofia non è che la religione, essa comprende la teo-logia, 1'etica, la logica e la fisica e debbe re Dio mos  [Gioberti è un sostenitore del misticismo. Egli cerca surrogare l'ontologia al ta psicologia, e il metodo sintetico all'analitico; segue il dommatismo, cercando dedurre ogni cosa con logica stretta e severa; unisce la filosofia alla teo-logia, subordinando la prima alla seconda; e distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione, incomincia dal primo ente, in relazione alla mente umana; e, dopo aver presentata una dottrina dell'assoluto si intrattiene a mostrarne lo svolgimento in tutte le forme delle scienze umane e divine. Secondo lui, la  un tutte le sue parti decidere coll'autorità generale. Intorno a Gioberti e mestiere leggere la nota di ROVERE (si veda) SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di Massari cui è titolo: CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA propo DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre realtà indipendenti dallo spirito, cioè una sostanza ed una causa prima moltiplicità di essenze e di sostanze, ed un atto col quale l'ente si collega alle esistenze; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice e simultaneo che precede ogni intuizione particolare, e per cui mezzo l'intelletto percepisce leproprietà essenziali dell’ente mercè la ri-velazione; l'idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna, quindi è necessario l'intervento del linguaggio per opera della ragione; vi è gran differenza fra l'intuizione e la riflessione, fra il metodo ontologico e il metodo psicologico, e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione. L’ente crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello spirito umano; ogni suo membro esprime una realtà obbiettiva assoluta e necessaria nell'Ente, relativa e contingente delle esistenze; questi due membri son legati dalla creazio una > e   non ha lasciato di cadere in molti gravi errori, specialmente quando egli prendono l'intelligibile, avvidell'uomo un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere. L'ente si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso; e da ciò sorge il legame e strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi ri-velati e i razionali. Egli applica la sua formola ideale a molti problemi di logica, d'ideologia, e di meta-fisica; prova la sua fecondità e larghezza in lei rattrovando la ragione e la fonte del sapere; imprende a delinear nela storia attraverso le opinioni, le credenze, e le rivoluzioni de'popoli, ed a mostrare che dessa abbraccia la ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia. La sua filosofia offre il primo esempio di una meta-fisica ortodossa, ma ardita ed originale; sicchè può dirsi aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la ri-velazione cattolica estimando il progresso delle scienze sperimentali e lo svolgimento della civiltà ma attaccando il metodo psicologico, afferma che esso e  la cagione del mate  e quando sostituisce al metodo analitico il sintetico. È principio riconociuto da ogni sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo scoprimento della verità; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la nozione del vero. L'unico metodo è quello di conciliare l'analisi alla sintesi; perocchè vi sono delle idee che conoscia mo per mezzo della sola analisi, e delle altre che conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Cartesio di tutte le dottrine materialiste palesa una immoderata avversione al psicologismo che da alcuni si vuole esser l'ultimatum della filosofia, ma dal quale noi stimiamo doversi partire per giungere al l'ontologia, alla conoscenza della legge che regge il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile. Del resto Gioberti evitando ed il pan-teismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao go,   · rolar [Malmignati : Lezioni filosofiche. Parma: Sulle opere di Gerbet. Supplimento sul Sansimonismo. Cantù: Notizia di Romagnosi.  Riccardi: Lapratica de'buoni studi. Discorso sulla filosofia. Ventura: De methodo philosophandi. Gioberti: Introduzione allo studio della filosofia. Errori filosofici di Serbati. Teorica del sovrannaturale filosofia estetica. Saggio sul bello e Principii di Del Primato Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degl’italiani co-politiche di Lamenoais.  parallogismo nel dedurre con ragionamenti a priori la scienza de' Gniti da quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della ri-velazione cattolica. Palmieri: Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della incredulità. Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica. Mastrofini: Le usure Olivieri: La filosofia morale. Pasio: Elementa philosophiae moralis cum notis. Albertini: Discorso critico intorno a’ pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due metodi d'insegnare le scienze astratte. Lo Spirito della Dialettica. Pe C C -  osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi della quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà dell'umano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui tralasciando l'analisi dell'essere interno, che non hanno avanzato la scienza, non potendovi essere scienza Glosofica filosofica senza la cognizione dell'uomo intelligente e morale; epperò cadde in errore coloro i quali lo annoverarono tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani hanno scritto intorno ad esso  .1  ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi do, iïdi osofi civile che zione della scuola scozzese. Oltre Sebastiani e Corradini, dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a coltivare l'eclettismo tra questi ROVERE (si veda) e WINSPEARE (si veda) Winspeare. Rovere, comparando, sceglien e fondendo i loro trattati, ecco l'ecletismo. Il principio che egli accoglie è di esaminare non solo i fenomeni sensibili, ma gl’interni, cioè i fatti e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come fatti esteroi, o incompiute per aver trascurato una di queste serie; e, secondo lui, le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le opinioni del senso comune, quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i principii e tale è il metodo degl’eclettici e degli scozzesi, e se la scuola cui appartiene un autore debbesi rilevare dal metodo e dai principii, possia modire che l'autore si approssima all'eclettismo della scuola scozzese. Veniamo ora al le sue principali opinioni. La filoso > venne dagl’uomini cercata; ma questi hanno mancato di buon metodo non serbando proporzioni tra’ diversi elementi che costituiscono la natura; ne’ filosofi italiani ben meditati e specialmente nel Galilei vi è il vero metodo sperimentale. ROVERE lo riduce ad un mezzo che ha per fia esiste, della coscienza materia  lo scibile, per fine il vero e lo fa consistere nelle V arti: preparatoria, inventiva, induttiva, dimostrativa, distributiva. Egli pone il criterio di certezza nell'intuizione immediata, o meglio nell'identificazione dell'oggetto con noi, distingue nella conoscenza l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato, e cercando un legame tral'oggetto el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si identifica col cogoito; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente il quale conosce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze, nonchè l'intuizione mediata o l'atto di nostra mente, il quale per la certezza assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tempo; fonda la certezza sulla duplice intuizione sul senso intimo e sul senso comune, nega che i principii apodittici e gl’assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione, fa derivar la causa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO  successione delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra spontaneità e mette capo al senso comune. L'ultimo che sia venuto in campo a sostenere l'eclettismo scozzese è Winspeare in suoi Saggi di filosofia intellettuale. Dalla prefazione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si rileva che egli è parteggiano della scuola scozzese, pero chè la difende dalle accuse promosse contro di essa, e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo mezzo per far progredire la scienza filosofica. Winspeare vuole ristaurare un sistema che egli stima più atto a far progredire quelle verità necessarie al progresso dell'intelligenza ed alla osservanza della morale. Un simile tentativo gli apporta sommo onore, perocchè lo à immaginato ed eseguito con molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè è una rapida rassegna delle dottrine filosofiche da’ Greci infino al XVIII se. colo, non si può dedurre un sistema formolato ne’ principii e delle sue conseguenze . - che dal solo primo volume dell'opera, Corradini: Utilità della filosofia Prospetto delle Lezioni di filosofia razionale Sebastiani: Novum Systema Ethices- ROVERE: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia. Lettere a SERBATI. Dell'Ontologia e del metodo Lettere a Mancini intorno alla filosofia del Dritto ed all'origine singolarmente del Dritto di punire. Winspeare: Saggi di filosofia intellettuale. Blanch: Articoli due sul Winspeare nel Museo di Scienze e Lettere. Per dar compimento alla filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro che si diedero all'Empirismo-Razionalismo. Tamburini confuta Holbach, Condillac, e Kant; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra su’limmiti di essa. Riguardo alla prima, abbattendo la scessi, egli prova essere in noi reale la cognizione, esistere le facoltà intellettuali come cause delle  della perfezione che si appoggia all'umana natura, al senso universale ed all'ordine naturale, si oppose alle dottrine dell'amor proprio e dello interes combatte le opinioni di Condorcet sul progresso o meglio sull'umana perfettibilità da lui circoscritta al reale, al possile, alla storia, e considerata non come infinita, sibbene come progressiva; stazionarla, e retrograda. 1 se, per opera di Galluppi che combattendo le opposte dottrine di Condillac e di Kant, ne viene salutato a buon diritto il fondatore ed il sostenitore. Egli incomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni, l'una sulla realtà dell'umana conoscenza Pa. Gli sforzi del Tamburini prepararono la nuova era della filosofia italiana, la quale sorse insieme coll’Empirismo-Razionalismo per opera 2   305 US idee, e lo spirito giungere al vero al lorchè dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non è. Ecco perchè Galluppi appar tiene alla filosofia moderna, alla scuola psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egli ammette le verità primitive di esperienza interna contenenti principii a priori ed a posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della intuizione inmediata in quella; dimostra il passaggio dalla regione del pensiero a quella dell'esistenza per mezzo del punto di comunicazione tra la conoscenza intellettuale e la reale, pel quale egli ammette l’idea universale come legge dello spirito derivante dalla sua soggettività, la quale forma il giudizio analitico e si risolve in due ordini di conoscenze: le une di esistenza e le altre di ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle supponendo l'applicazione delle verità razionali a’ dati dell'esperienza. Secondo lui, benchè tutti i giudizii puri sieco identici, pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze, ed il raziocinio ci istruisce, perchè ordina e classifica le nostre conoscenze, e perchè ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso. Per mezzo della causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non sono; la sensibilità è esterna ed interna, questa percepisce il me e le sue modificazioni, quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue modificazioni. Riguardo a’limiti delle nostre conoscenze egli cerca determinarli dimostrando esserci ignote l'essenze delle cose, e la natura divina, ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gl’esseri producono in sè o in altri quelle date modificazioni. Il sistema delle facoltà dello spirito introdotto da Galluppi ha per iscopo la ricerca delle facoltà elementari; e queste sono la coscienza e la sensibilità che presentano allo spirito gl’obbietti, l'analisi che li sepa  la sintesi che li riunisce, il desiderio, e la volontà che mossa da questo dirige le operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di Tropea professa le medesime teorie in tutti i suoi saggi filosofici; se non che degl’elementi e nelle lezioni di filosofia, poggiate sull'empirismo-razionalismo, segue il metodo analitico procedendo dal noto all'ignoto. Egli divide la logica in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento il rapnodare e subordinare le nostre idee, dichiarando il sillogismo un'analisi del discorso, e stimando molto importante l'entimema. Secondo lui, la religione naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della ragione, che ci svelano come dobbiamo pensare del divino, e de'suoi rapporti cogl’esseri creati. La ragione ne insegna che il divino è eterno immutabile uno iqboito; la sua eternità, non ha  ra, e }   successione fisica nè meta-fisica. La relazione fra il divino e le creature è quello di causalità cioè tutte le creature sono state create dal divino. L’esistenza di due principii eterni dell'universo è assurda. Il male non ripugna alla bontà divina. L’esistenza de'doveri ne vien manifestata dalla coscienza ed è una verità primitiva. Il dovere non può definirsi per e, chè è una nozione semplice, un’azione soggettiva che deriva dalla natura umana. Le verità morali sono necessarie ma sintetiche. Il principio del dovere è distinto da quello dell'utile che gli è subordinat. La massima: si giusto è primitiva. Il principio di BENEFICENZA non basta a mostrarci i nostri doveri verso gl’altri. Noi abbiamo de'doveri non solo verso gl’altri, ma verso il divino e *verso noi stessi* (amore proprio), la filosofia ci manifesta l'immortalità dell'anima umana, il congiungimento della felicità colla virtù, verità che vengono dimostrate dal premio della virtùe della pena del vizio, verità provate dalla naturale indistruttibilità dell'anima e dal desiderio costante negl’uomini di un bene supremo, rità enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla ri-velazione che è un'azione immediata del divino sullo spirito umano con che il divino produce nello spirito le conoscenze che vuol produrre, e la cui possibilità deriva dalla semplice nozione dell'onnipotenza. Egli riponendo la legge morale nella retta ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema del dovere indipendente dall'utile, introducendo qualche cosa d'innato nella morale ed ammettendo il dovere come un principio sintetico a priori, si eleva dall'empirismo psicologico ad un ragionevole idealismo nella morale. Ecco le principali opinioni professate dall'immortale Galluppi, cui va tanto debitrice l'attuale filosofia italiana de’ suoi progressi, ed in cui non sappiamo se sia maggiore l'elevatezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve GALLUPPI pure si addissero all’empirismo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come unica ed divisa, sostiene le idee assolute ed immutabili, distingue le idee io riflesse o prodotte dall'astrazione, e spontanee o prodotte d’un intimo impulso che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della sostanza. Zantedeschi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal sentire, e dal l'appetire intellettivo, sensuale, e razionale, considerando la logica come quella scienza che dirigela facoltà conoscitiva a perfezionarsi, stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia. La sua melafisica è la dottrina dell'ente che s'accosta alla teoria del VICO e degl’antichi italiani. Nella filosofia morale egli racchiude i principii delle azioni, come la coscienza, la libera volontà, e la legge morale, ed il precetto comune. Quod tibi non vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia come scienza dello spirito uma considera in sul > /  311 S corpo ; la filosofia è la scienza dello spirito umano in sè ed in tutte le sue relazioni. Per conoscere l'anima è me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe  no, e ne deduce uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per ogni dove; epperò divide la filosofia in soggettiva cioè diretta a disaminare le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbietti della conoscenza; rionega l’Empirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le iee come prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza, e dall'attività dello spirito e POLI è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razionalismo. Secondo lui, l'uomo consta di due elementi, anima che si riduce all'atto del giudizio o idea-volizione-coscienza; conoscere pon è che giudicare e giudicare non è che conoscere, ma il giudicare è il modo del conoscere e il conoscere è l'effetto del giudicare, il giudizio non è una sintesi tra l'attributo ed il subbietto perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere, il giudizio ha le sue applicazioni come il bello, il buono, il vero, le sue perfezioni, che sono il buon senso, lo spirito, il gusto, l'ingegno, il carattere l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso, coll'indole, colla fisonomia, col clima, col vitto, col sodoo, colle malattie o colle altre circostanze. Il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici, che sono due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di simultanea in divisibilità; tutte le altre facoltà son modi empirici di queste due facoltà primitive che colle loro leggi sono attributi dell'anima. Il giudizio e le rispettive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap    donde il commercio del fisico col morale nell'uomo; la filosofia si Altri Empiristi-Razionalisti non hanno pubblicate delle opere; ma il loro sistema traspare da vari articoli di giornali e ragionamenti disparati. RICCI è amante del metodo empirico-speculativo; porto, rannoda alla religione ed alla teo-logia perocchè questi fattori dipendono dal divino; la vita dell'anima e il giudizio sono oggetti limitati perfettibili; questo perfezionamento è dato come legge di natura e come scopo all'anima ed alle sue facoltà, esso è riposto nel maggior aumento ed equilibrio possibile delle facoltà dell'anima congiunto al maggior grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de’ mezzi facili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente degli stessi atti o delle stesse funzioni; quindi l'uomo perrendersi perfetto al maggior grado deve operare e usare per quanto può delle proprie facoltà, secondo la loro natura e la loro destinazione. Rivato limita il sapere filosofico   e e cioè il pro filosofico, sostenendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo esterno e nello interno tutto riferire alla coscienza, Riccobelli si accinge a combattere il Trascendentalismo di Kant sullo spazio e sul tempo; Devincenzi pone per primo fondamento dell'ecletismo la cognizione perfetta di tutte le filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il vero ovunque il rinviene. Cusani sostiene che lo spirito umano ha due sole vie nella ricerca del vero, cedimento empirico ed il razionale, che i principii assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale, ma contempora nei nella loro essenza alle idee necessarie, che la tendenza filosofica dev'essere l'Ontologia, e che dovrebbesi elevare una metafisica sul fondamento psicologico degli eclettici francesi e sul fondamento ontologico dei filosofi alemanni. Molti altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tennemann Ricci: Articoli sul Cousinismo (Antologia di Firenze), Rivato e sul + sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini: Introduzione allo studio della filosofia morale. Elementa Juris Naturae Cenni sulla perfettibilità dell'umana famiglia. Galluppi: Saggio sulla critica della conoscenza. Filosofia della volontà. Lezioni di Logica e Metafisica. Elementi di Filosofia. Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a’ principii delle umane conoscenze da Cartesio insino a Kant Introduzione allo studio della Filosofia. Memoria sul sistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto l'idealismo Trascendentale di Kant Tedeschi: Sulla filosofia. Zantedeschi: Elementi di Psicologia empirica, di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale. Mancino. Elementi di filosofia. Poli: Saggio filosofico sopra la scuola de’ moderni filosofi naturalisti.  Saggio di un corso di filosofia. Primi elementi di filosofia. Intorno al vero e giusto spirito filosofico. Riassum to sempre, identico stesso nell'India, nella Grecia nel cadere del medio-evo, nella filosofia moderna, e nel l'attuale filosofia. del Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia empirica spingendola sino al materialismo. Il razionalismo ha pochi adetti, fra'quali la Baronessa de Stael; il misticismo ha de’seguaci; ma quegli che più di tutti imprese a difenderlo si e Lamennais. L'eclettismo comprende gl’eclettici propriamente detti o Cousinisti, gl’eclettici scozzesi, tra’ quali Jouffroy, e i filosofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi campioni dell'ecletismo Cousin, Jouf ' In Francia la filosofia superando i limiti dell'ideologia e della psicologia empirica, a malgrado alcuni avanzi di sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne; ed ha dato luogo alle cinque scuo le degli Empiristi, de'Razionalisti, dei Mistici, degli Ecletici, e de Filosofi   profondità dell'Alemagna, si presenta una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra benchè numeri pochi seguai; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi italiani; ma  froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori, frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fondatore del Sapsimonismo è Saint-Simon; e Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia, che è chiamata a tenere il giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva 9   l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo, Gioberti il misticismo, Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi l'Empirismo-Razionalismo. Questo sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia, debbe mirare ad una nuova formola più compiuta, e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione; esso abbisogna di un metodo e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo leversioni delle operestraniere, ma anche altri lavori filosofici degli italiani che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche. Noi di que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del nostro lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire di unanime consentimento siraccolgado sotto una sola e medesima bandiera, sotto le inse goe dell'Empirismo-Razionalismo, ricono scendo per  loro capo e maestro l'immortale filosofo di 'Tropea Pasquale GALLUPPI. Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia filosofica in Italia, la storia della filosofia romana, Galluppi, diritto private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Petrarca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – la scuola d’Arezzo -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” ir«^|#»rtit«» ,i\ARK TP Jt^ -'f \t. \3FICO ^1 PP TIGI03 i^C/->>. t -nF CARLINI LA FILOSOFIA di P. Saggio Tipografia Editric e Cooperativa Jesi V A SEVERINO FERRARI DELLE OPERE PETRARCHESCHE CONOSCITORE PROFONDO CON ANIMO RIVERENTE E GRATO La tradizione platonica e religiosa nel Medio evo Caratteri del misticismo italiano Il Cristianesimo e il Papato II pensiero religioso e la scolastica Dante e Platone P. e Aristotele P. ed Averroe P. e Platone Il criterio filosofico di P. è afl'atto religioso Filosofia della religione Paganesimo e Cristianesimo Se P. è cattolico Colui che fece per viltade il gran rifiuto Se P. è un mistico Varie specie di misticismo Il De vita solitaria II De ocio RELiGiosoRUM Ascetismo e misticismo sano II pessimismo di P. II pessimismo cristiano La vita umana secondo P. Il De REMEDiis UTRiusQUE FORTUNAE - P. e Leopardi L' acedia e le contraddizioni di P. hanno radice nel suo sentimento religioso P. non e strettamente un filosofo Ma ne’suoi scritti è un ampio contenuto filosofico (GRICE ON ONE SENSE OF PHILOSOPHER AND ONE IMPLICATURE) E ha ancora ingegno filosofico P. e la scienza Meriti filosofici di P. Il rerum memorandarum Carattere morale, sociale e politico della nuova filosofia P. e il ri-sorgimento filosofico religioso Il sentimento della natura Carattere psicologico della filosofia di P. Le Rime II Secretum Eternità di P. Il pensiero religioso può precedere o seguire il pensiero filosofico, secondo che l’uomo è credente o no : sempre poi esso ' è dalla filosofia iìiseparabile^ se vtwle divenir cosciente. Questo chiamo pensiero filosofico religioso: e penso che sia la remota cagione anche delle manifestazioni letterarie e artistiche de' nostri grandi scrittori. Della multiforme opera petrarchesca poi questo mi parve il segreto ; e però con amore mi misi a cercarlo. Non credo, per le mie piccole forze, di averlo scoperto; ma spero che questo saggio sarà poca favilla che gran fiamma seconda. Luglio Carlini. La tradizione platonica e religiosa nel Medio evo Caratteri del Misticismo italiano - Il Cristianesimo e il Papato. 'ift^ È ^^w ^M 'fìJS ^p^ Abelardo, w^ audio, 8uspecti»e fidei ». PLATONE, dichiarando che Dio è il puro I essere e la materia il non essere, scavava per primo, come anche il ^P. osservò (*), quell'abisso tra il finito e l'eterno, tra la materia e lo spirito, tra la natura e Dio, che poi né Aristotele né alcun altro filosofo riuscì mai a colmare. E però in rispetto a questo grande problema il Cristianesimo ebbe il merito di tentarne per la prima volta la soluzione con il dogma di Cristo, che é insieme uomo e Dio, l'universo finito e l' infinito. Di qui tutta la filosofia nel Medio evo; la quale nel pensiero platonico trovò molti addentellati sin dai primi gnostici, che diedero Alla religione un contenuto filosofico e alla filosofia un ufficio religioso. E Origene, succedendo nel secondo periodo della filosofia medioevale che é la patristica, rinnovella la dottrina platonica, affermando la preesistenza delle anime umane e l'eternità della creazione. Un'altra schiera di Padri si dedicava intanto sopratutto alla parte pratica della filosofia cristiana, alla morale: fra essi era Lattanzio, tanto caro a Francesco P.. Si giunge cosi ad Agostino, al pseudo Dionigi e a Boezio, che, raccolto tutto il lavoro precedente, diedero una meravigliosa filosofia cristiana; la quale, per l'universalità propria del nostro genio, ninna parte trascurò della filosofia psicologica, morale^ metafisica e politica. Ma, come è noto, già è sorto con questi filosofi fiorente il misticismo. Il misticismo per ciò non è solamente una filosofia speculativa, ma anche una tendenza religiosa, e morale e politica. Il Bartoli, parlando del misticismo del P., dice che esso fu « la peste bubbonica delle anime nel gran lazzaretto del Medio evo: là frase è speciosa, ma l'affermazione è troppo vaga. Già anzitutto il misticismo della filosofia straniera è ben diverso dal misticismo latino: quello fu sopratutto con lo Scoto e con l'Eckardt un'intuizione speculativa che ebbe per confine la stessa filosofia: questo si diffonde per le migliori menti e per il popolo, e ci dà un misticismo cristiano che è tutto psicologico e religioso, come nel De imitaUone GhHati. E questo carattere religioso e pratico che ebbe il misticismo in Italia è il segreto del pensiero e del sentimento italiano nel Medio evo, e sopratutto nel 1200 e nel 1300: esso, dice il Barzellotti (^), non ci apparisce bene « se non quando lo cerchiamo nell'idea religiosa che alimenta con la irrigazione secreta delle sue sorgenti sprizzate dal cuore del popolo tutto il sottosuolo della vegetazione di quell'età storica ». 11 sentimento religioso poi, irrigando il misticismo italiano, per una parte tende spesso nel silenzio de' chiostri all'ascetismo; per l'altra va ad alimentare quella fortissima corrente, che derivando dalla nostra latinità ereditaria dà al pensiero italiano un indirizzo costantemente pratico e romano e sociale. Così la corrente cristiana e l'altra pagana, riunite nel sentimento religioso, 'sboccano parimenti nel cuore del popolo; laddove i grandi pensatori all'una o all'altra si aflBdano maggiormente: in FranI Cesco P. poi si sogliono chiamare senz'altro misticismo e paganesimo, e si equilibrano. » Né quest'equilibrio è cosa nuova: che nella coscienza italiana, come il Barzellotti dimostra, è tradizionale la contemperanza fra religione e vita, fra Dio e la natura, fra l'uomo e la società. Così l'istituzione francescana, per esempio, oltre che religiosa è al tutto democratica, e si diffonde fra il popolo nelle manifestazioni sue letterarie e artistiche non solo, ma anche politiche: laonde, venute di Germania le lotte fra guelfi e ghibellini, i comuni si chiaman guelfi, benché in fondo non siano né guelfi né ghibellini, o meglio siano l'una e l'altra cosa: nel senso che per una parte vogliono il ritorno all'antica grandezza, rappresentata nel concetto, non nel fatto del rinnovato Romano Impero; e per l'altra vogliono la vittoria della fede, rappresentata dalla Chiesa di Roma quale avrebbe dovuta essere, non quale era. Ond'è che il popolo italiano non dà né seguito né scuola alle speculazioni di Ioachim de Flore, l'unico mistico astratto sorto in Italia, e fra Salimbene nella sua Cronica dà a questi mistici visionari l'appellativo di uomini mezzo pazzi; e non dà neppure séguito né scuola alle grandi eresie e ai moti che non agitano un'idea politica e religiosa insieme: ond'é che Dante nella sua Divina Commedia non fa neppure parola dei grandi eretici di que' secoli e mette Federico II all'inferno. Né delle grandi eresie e mistiche concezioni medioevali pure Francesco P. fa parola ne' suoi scritti (^); e Abelardo stesso, il grande maestro di Arnaldo da Brescia che pur tanta comunione di idee doveva avere col P., passa inosservato nel De vita solitaria^ e se ne dà la ragione con queste parole: « Abelardo, ut audio, suspectae fidei. Da S. Benedetto, da Gregorio Magno, da Lanfranco, da Pier Damiano a Ildebrando, ad Anselmo d'Aosta, a Pier Lombardo, a Innocenzo III, a Tommaso d'Aquino, a Dante e a quanti altri si avvicinano più a questi, lo spirito latino romano ha concepito il Cristianesimo più che come un ideale nuovo di vita tutto interiore che ogni credente debba rifare a se stesso e vivere in comunione arcana con Dio, come una forte disciplina della coscienza sociale che prenda il suo valore principalmente dall'unità di consenso con cui essa opera su le menti e per mezzo delle menti su le anime umane »: così il Barzellotti; il quale molto giustaihente conclude che il. popolo italiano al sentimento religioso congiungendo la tradizione pagana prende da quello ciò che a questa non repugna e riesce cosi, direi, a un classicismo religioso che dà al cattolicismo italiano un carattere profondamente diverso da quello delle altre nazioni d'Europa, anche delle latine. Questo ci spiega perchè il Papato proteggesse l'Umanesimo; e ci dice ancora che quella meravighosa resurrezione delle morte cose (come scrisse il' Machiavelli) non è infine che un risveglio intenso di un innato classicismo, e che la nuova filosofia del Rinascimento ha cause ben più remote che la presa di Costantinopoli. Andrebbe dunque ben lungi dal vero, chi pensasse che il pensiero religioso nel Rinascimento nostro filosofico fosse venuto a mancare: neppure il Valla (') intese combattere il cristianesimo più che nelle false interpretazioni che gl'ipocriti ne avevan date. E se il Ficino e Pico cercheranno di conciliare paganesimo e platonismo col cristianesimo, ciò non farà meraviglia più del P. che cristianeggiava Cicerone, Seneca e Platone e credeva con quest'ultimo in un'esistenza futura di premio delle anime nel cielo degli astri. Il pensiero religioso di Francesco P. tende adunque per una parte, come in Francesco d'Assisi, a un idealismo cristiano che è spesso in antitesi stridente con la Chiesa di Roma divenuta una mitologia del cristianesimo e un potere più che una fede; e per l'altra cerca nel classicismo un carattere sociale e politico e letterario, cristianeggiando la filosofia antica, combattendo le scuole del suo tempo che trascuravano la morale e l'averroismo che avversava la fede, e propugnando il sentimento patriottico e la restaurazione della Repubblica o dell'Impero, che è la missione a cui Roma, come Agostino aveva dimostrato, era dalla divina provvidenza destinata. Il pensiero religioso e la Scolastica - Dante e Platone - P. e Aristotele - P. e Averroe - P. e Platone - Il criterio filosofico del P. è affatto religioso. Vero filosofo è soltanto il buon Criatiano. E due correnti del pensiero religioso che Imetton fóce l'una al misticismo e al guelfismo, l'altra al paganesimo e al ghibellinismo, confluenti nel cuore del popolo italiano, divergono invece sempre più nelle scuole filosofiche del periodo detto defla Scolastica. Nella quale sono perciò a distinguere due direzioni principali: la prima condusse al Nominalismo, l'altra al Realismo; l'una fu un rinvigorire del misticismo, la seconda del razionalismo : e dico anche del razionalismo, perchè non bisogna scordare che nell'Italia meridionale la tradizione filosofica antica tenne sempre in onore la speculazione razionalistica, che fiorisce poi alla corte di Federico IL Così adunque Bernardo di Ghiaravalle, Ugo e Riccardo di San Vittore e poi Bonaventm*a di Bagnorea videro l'anima umana sciogliersi dal carcere del corpo e ricongiungersi nella pura regione degli aspiriti e perdersi in Dio: il primo di essi mostrerà nel Paradiso Dio a Dante; il quale, ritenendolo con Dionigi TAreopagita piii che viro a dimostrargli la gloria di Colui che tutto ^ muove che è il fine ultimo della Divina Commedia, diede a questa prima corona de' filosofi scolastici, presieduta nel cielo del sole da Bonaventura, molto più onore che non all'altra di cui è capo Tommaso d'Aquino. Per che (so che mi si giudicherà eretico) io credo che la filosofia di Bonaventura, richiamante il sentimento reUgioso italiano all'amore di una vita profondamente cristiana e all'antica povertà francescana é al culto della dottrina platonica, ch'ei stimò più conciliabile dell'aristotelica con quella della Chiesa; essendo per ciò molto più vicina all'indole del pensiero italiano che non la filosofia di Tommaso, che, come il Barzellotti notò {% « ebbe forse in se per eredità qualche goccia di sangue normanno e tedesco »; mi pare, dico, che il pensiero mistico e platonico trovi nella Divina Commedia un'eco molto maggiore di quella che comunemente si crede anche da valenti filosofi. Certo essi esagerano quando ingannati dall'onore reso nel limbo al mastro di color chs sanno, cioè al conoscitore maggiore che fu mai, dicono che la Divina Commedia è una Somma tradotta in versi (^). Comunque sia, è noto che Aristotele in sul finire del Medio evo, sopratutto per colpa degli orientaU panteisti, i quali più che commentarne i Ubri tendevano a travisarne il pensiero, apparve quale gigantesca minaccia contro la Chiesa e il sentimento rehgioso. E già su la fine del duodecimo e il principìo del tredicesimo secolo AiAimco di Bena e Davide di Dinantson condannati entrambi quali eretici, e nel sinodo di Parigi nel 1909 si decreta che sia proscritta da Parigi la lettura delle opere di Aristotele « de naturali philosophia Sorge allora l'altra scuola della scolastica che movendo dal mite razionalismo del credo ut intelligam di Anselmo, è tutta piena della grande Somma del santo di Aquino. Questi, avendo vigorosamente combattuto Averroe ("), si rivolse indi ai libri di Aristotele, di cui si procurò la traduzione migliore che potè, e cercò di vincere anche questo grande terrore della Chiesa, cristianeggiandone il pensiero e incatenandolo prigioniero al trionfo del cattolicismo. In verità fu una grande vittoria; ma degenerata in esagerazione e ridottasi la filosofia a una formula sofistica, s'inizia l'ultimo periodo della scolastica, che cade nel tempo del lavoro massimo di Francesco P.; il quale, visto il dissolversi del grande edificio, ne promosse in Italia prima di ogni altro la distruzione. I maestri di Teologia si eran ridotti a una profana e bugiarda dialettica, e imbrattavano il sacro nome di Dio facendo gl'indovini e gl'incantatori. E la filosofia medesimamente era una logica dicace; e come le teologia circoscriveva (dice P.) l'onnipotenza divina con 'gonfiati sofismi e a Dio poneva stoltamente legge, così quella prese a disputare dei segreti della natura con tanta leggerezza che parve spudorata. I dialettici finirono col prendere sommo diletto solo della contraddizione, e non gik di trovare il vero ma solo di altercare si proponevano; e gli scolastici in generale erano tutti ciarlieri e vanitosi e si davan vanto di essere solo essi filosofi: ma la loro non era la vera filosofia < che negli animi ha sede più che ne' libri e meglio di fatti si nutre che di parole > (*^). Di qui la grande guerra mossa ad essi da Francesco P. per tutte le sue opere, nelle quali si mostra acerrimo nemico della filosofia contemporanea. Ma in quest'opera di distruzione è merito grandissimo del P. l'avere salvato sempre il rispetto e il nome di Aristotele. « O esotica dottrina (egli dice de' dialettici e degli scolastici) (^*) e mai non sognata da quell'Aristotele di cui costoro infamano la memoria! »; e altrove: « essi si coprono con lo splendore del nome di Aristotele; ma Aristotele, uomo di ardentissimo ingegno, delle più sublimi cose a vicenda e disputava e scriveva. E se così non fosse, onde sarebbero a noi venuti tanti volumi, obietto di immensi studi e di sterminate vigilie? ) Che se alcune volte dovè schierarsi contro la dottrina aristotelica, egli fece ciò molto rispettosamente, come non di rado fa con Cicerone e con Seneca e con Platone medesimo. E se si trovò a doverne diminuire la fama tanto per lui preziosa, di eloquenza, egli premise che avendo scritto Aristotele di retorica e di arte Qpetica valorosamente, riteneva per certo che i traduttori latini o per pigrizia o per invidia o piuttosto per ignoranza l'avevano guastato (*®). Egli per ciò sostenne fortemente che s'ingannavan tutti trovando tracce d'eloquenza nelle traduzioni aristoteliche; e mise così grande desiderio di conoscere le dottrine nel testo, come poco di poi accadde. Credo che si possa concludere che anche per P. Aristotele è il ìnaestro di color che satino^ inteso nel senso delle parole su citate. Ma ciò non toglie ch'egli non potesse preferire Platone ad Aristotele per ragioni che ora vedremo. Del resto il grande colosso non era stato debellato dal grande d'Aquino? e P. non era libero ormai di scegliere quella filosofia che più gli piaceva? Neppiu'e nel De 8ua ipsius et multorum ignorantia egli mosse guerra al culto delle aristoteliche dottrine, ma all'arabo commentatore e ai presuntuosi suoi seguaci. Il grande panteista aveva intimorito il Medio evo col suo pensiero incredulo che si rivolgeva sopratutto contro il cristianesimo. San Tommaso lo combattè valorosamente: tuttavia la vittoria non fu forse compiuta se alla metà del secolo XIV frate Urbano per il suo commento ad Averroe era con titolo d'onore chiamato Averroista philosophus 8ummu8, e Pietro d'Abano esaltava Averroe nel Conciliatore. E Dante, piuttosto che nel cerchio degli eresiarchi, perchè l'aveva collocato nel castello de' sapienti con gli spiriti magni? Il Renan (^') non sa rendersi ragione per che P. si schierasse contro l'averroismo. Alcuno gli ha risposto che P. confessava di sentire ripugnanza per tutto ciò che venendo dagli Arabi tendeva ad ecclissare la gloria del genio classico: (**) sarebbe insomma una ragione al tutto umanistica. Mi pare che sarebbe meglio dire che egli doveva aver poca simpatia per un popolo maomettano che con i Turchi contribuiva a tener schiave le terre che videro il grande dramma di Cristo (^®). Ma ad ogni modo la ragione vera non è neppur questa. L'averroismo, che rappresentò per alcun tempo la libertà del pensiero contro le scuole teologiche, > aveva preso nell'ultimo quarto del secolo XIV in alcuni luoghi d'Italia un significato tutt'altro che filosofico, tentando di rovesciare non solo il cattolicismo ma ogni pensiero religioso e di instaurare l'empietà (*^) : e contro di esso P. già vecchio combattè una memorabile battaglia. Ma da che quella setta più che filosofica era in alcuni luoghi, come in Venezia, divenuta scuola d'irrehgione; cosi non è poi a far meraviglia, come molti fanno, che nel De stia ipsius egli combatta Averroe non con argomenti strettamente filosofici, ma con pensiero essenzialmente religioso. Né scrisse per bile, avendo preso la penna solo dopo un anno e più da che seppe delle critiche de' quattro averroisti veneti, mentre un dì risalendo le acque del Po si sentì annoiato del non far nulla. Da molto tempo inoltre egli aveva pensato di scrivere qualcosa di simile, anche prima che Donato lo spingesse a ciò ("). Quando mise alla porta quell'averroista che in presenza sua e in sua casa bestemmiavo, di Cristo e della sacra Scrittura e del Cristianesimo, lo accompagnò con queste parole: « Vecchia è per me questa contesa con altri eretici pari tuoi ». E altrove scrivendo ad Antonio, figlio di Donato, gli raccomanda di tenersi lontano dall'averroismo: « sii divoto, cerca la scienza, ma più di quella la virtù. Averroe, nemico di Cristo sia da te fuggito come nemico. Così che il De sua ipsius in fondo è un trattato scritto non contro Averroe, sì bene contro l'irreligione che ne' suoi tempi imperava sovrana ("). Ne tuttavia al P. sfuggiva che la corruzione religiosa aveva la sua radice nel pensiero filosofico; e con tutta sincerità, invece di far pompa di un'erudizione che a lui dopo i lavori di S. Tommaso e di altri non doveva, credo, esser difficile procurarsi; impedito di approfondire la sua scienza filosofica dalle molte faccende e dalla salute tristissima; scrisse al padre Marsigli agostiniano, affinchè si preparasse con profondi studi a scrivere: « un trattato contro quel rabbioso cane ch'è Averroe, il quale agitato da infernale furore, con empi latrati, e con bestemmie da ogni parte raccolte, oltraggia e lacera il santo nome di Cristo e la cattolica fede »: e aggiungeva: <f Io, come sai, vi posi mano; ma parte per le faccende mie cresciute a dismisura, parte per manco della necessaria scienza fui costretto a deporre il pensiero. Se la battaglia contro l'averroismo fu fiera, benché tarda e breve; ciò non avvenne della lotta contro i nemici di Platone, la quale occupa gran parte della vita e dell'opera sua. Quali scritti di Platone conosceva P.? Si suol credere che solo del Timeo tradotto da Galcidio avesse egli conoscenza. Certo egli ne possedeva le opere in greco e alcune di. queste conosceva almeno in parte. Contro i denigratori di Platone così egli scriveva: « Ho io a casa sedici e anche. più (sexdecim vel eo amplius) de' libri di Platone: ed essi dicono che ne ha scritto uno o due »; e aggiunge: « stupebunt si haec audient >. E però il Fiorentino nota giustamente: « Una certa meraviglia farà anche oggidì il sapere che non solo in greco, ma tradotti in latino -aveva P. alquanti dialoghi non visti per lo avanti; perchè di questa traduzione non han fatto menzione neppure coloro che han discorso de' platonici libri posseduti dal gran poeta » (-^). Infatti P. afferma (*') che egli di Platone possedeva tutto ciò che da' latini fu nella lingua patria tradotto; e il resto egli, pur non giovandogli, tuttavia si dilettava vedere nella greca veste; e proponeva di dedicarsi allo studio di questa lingua: « né voglio (egli scriveva vent'anni prima di morire) al tutto deporre la speranza di fare in questa età alcun profitto, sapendo che tanto ne fece Catone nell'estrema vecchiezza ». Ora si noti che le lezioni di greco, da Barlaam impartite al P., sebbene brevi, pur non dovettero essere, io credo, un esercizio affatto grammaticale, come a' dì nostri costuma nelle prime scuole; ma probal)ilmente esse eran date su i testi stessi di Platone: e non è poi strano a pensare che Barlaam stesso gli facesse de' brani principali la traduzione (*^). So bene che di tutto questo non si può recar prove certe; ma d'altronde non posso credere che P., il quale cita sempre le dottrine degli autori a lui cari riferendosi o al testo o all'autorità di alcun altro che egli nomina sempre (sì che giunge, come nel Rerum Meìuorandarum, a notare le parole e le frasi ch'egli prende a prestito da Cicerone o da Seneca o da altri), parlasse poi più volte del Fedone, del Critone (*^) e del Fedro e del De Repubhca e del De Legibus e dell'Apologia senza conoscerne più o meno adeguatamente alcuna parte (^^). Certo oltre il Timeo anche il Fedro era stato tradotto in latino, come attesta Coluccio Salutati (^*); laonde si può tener per fermo che in Italia, non solo prima della venuta de' greci, ma prima ancora che Leonardo Bruni desse principio alle note traduzioni, Platone era stato in parte tradotto. E in ogni modo P. conosceva la dottrina platonica più e meglio che per i libri di Cicerone e di Agostino, nei quali essa è o monca o nascosta o trasmutata, per il libro non inelegante di L. Apuleio Medaurense intitolato De Platone; nel quale oltre che la vita sono esposte di Platone tutte le dottrine: « De Deo, de Ideis, de mundo, de anima, de natura, de tempore, de stellis erraticis, de animalibus, de providentia, de fato, de daemonibus, de fortuna, de partibus animae et corporeo singulari domicilio, de sensibus, de figura corporis humani ac dispositione membrorum, de divisione honorum, de virtutibus, de triplici virtute ingeniorum, de tribus causis appetendorum honorum, de voluptate,^ de labore, de amicitia inimicitiaque, de turpi amore, de trihus amorihus, de speciebus culpabilium hominum, de statu et morihus atque exitu sapientis^ de civitatibus,. de Repuhlica deque eius institutione legibusque optimis > (^^). Come si vede sono in questo schema contenuti tutti gli scritti di Platone, e forse esso è, direi, il riassunto che delle platoniche dottrine P. avea fatto. Or quale fu la cagione, per la quale P. a dispetto della filosofia contemporanea preferì Platone ad Aristotele? — Il Voigt, e dietro lui molti altri, movendo dall'affermare che P. non conosceva le dottrine né dell'uno né dell'altro ('^)^ danno risposte molto varie: trovando la cagione o in un innato sentimento di simpatia; o nel desiderio di contraddire, levando il primato ad Aristotele, alla filosofia del tempo; o nel volere P. seguire costantemente il giudizio di Cicerone e di Agostino. Le quali cose sono tutte vere; ma oltre che rimpiccioliscono grandemente l'opera del grande Aretino^ mi pare che non colgano il suo pensiero principale. In tanta idolatra adorazione del nome di Arw stotele si era arrivati al punto che un amico del P. gli scriveva confessando candidamente di credere che Platone fosse un poeta e non un filosofo. A lui fra meravigliato e indignato rispondeva P. f ^) : « l'universale consenso dei dotti ha proclamato Platone principe de' filosofi. Cicerone, Agostino ed altri mille, mentre Aristotele in tutti i loro scritti mettono sopra gli altri filosofi, eccettuan sempre Platone: or come tu vorresti farlo poeta? Tullio in certo luogo delle lettere ad Attico non chiamò Platone suo Iddio? Tutti o in un modo o nell'altro dicono divino l'ingegno di Platone »; e altrove invoca anche molte altre autorità, quali Seneca e Apuleio e Plotino « comecché insigne aristotelico ) f ^), e Ambrogio e Agostino. Ma non l'autorità solamente valse a fargli preferir Platone. Né d'altronde io oserò affermare che egli per conoscenza delle dottrine platoniche e aristotehche fosse in grado di tentar la soluzione di quell'arduo problema che poi affaticò tanti insigni intelletti. Egli è persuaso che Platone fosse divino per ingegno e insuperato, e che Aristotele fosse un d<iemonium di scienza: sa che alla sentenza di CICERONE (vedasi) e di Agostino si oppone il grande Averroe che preferisce Aristotele a Platone, ma non osa neppure di tentarne la confutazione e canta: ^ Non nostrum inter nos tantas componere litas » (^^). Che se nella questione filosofica egli dovè confessare di non poter esser giudice, non così fu nella parte religiosa della questione. P. aveva notato che Platone intorno a Dio e alla creazione la pensava come i filosofi cristiani; laddove Aristotele se ne scostava grandemente,:dicendo che il mondo non aveva avuto principio, e negando così la, provvidenza divina che Platone aveva ammessa (®'), Spesso poi nota che alla filosofia di Platone unus fuerit philosophandi finis et vivendi. E se nel De remediisy oltre ad altre cosuccie, lo biasima meravigliato che vecchio cedesse alcuna volta alla lussuria, pure (forse pensando a ciò che a lui giovine era avvenuto) non manca di osservare che per tutto il resto il grande Ateniese fu di ottimi costumi, e morì di ottantun anno, numero phe contenendo due volte il nove per fattore attesta la santità della vita sua (^^). Tornando ora alla dottrina platonica, egli ammirava quanto profondamente avesse gittato lo sguardo nella intimità dell'anima umana, e vedesse ciò che prima era misto e confuso divenire segregato e distinto: perocché «> seguendo la scorta della natura » vi scoperse la triplice sede dell'anima, cioè la triplice manifestazione sua (^^) dell'ira nel petto, della concupiscenza sotto i precordi, della ragione nel capo come in munita rocca quasi a indicare « l'impero e la sovranità di lei su le umane passioni » (^^). Inoltre P. osservava acutamente che Platone per primo aveva congiunto la filosofia naturale, appresa alla scuola italiana di Pitagora, alla morale e razionale filosofia, appresa alla scuola di Socrate: e ne concludeva aver la filosofia platonica per questa triplice unione quel carattere di universalità che le altre filosofie non ebbero (*^). A questi pregi filosofici poi egli aggiungeva un pregio tale che, tutti gli altri superando, bastava a mettere Platone molto al di sopra di Aristotele: vo' dire l'avere veduto e dimostrato l'immortalità dell'anima, che è il fondamento della vera morale: questo era tal punto che diede poi travaglio anche a profondi filosofi (**). E P. lieto di ciò; convenendo con Cicerone che nel De Republica, parlando della salita delle anime al cielo, aveva detto che sarà tanto più agile quanto più vissero peregrine al carcere corporeo; nota che tale è il pensiero di Platone nel Fedro: « nihil aliud esse philosophiam nisi meditationem moriendi, ubi duae designantur mortes, altera naturae virtutis altera, quarum primam nullatenus nec accersendam nec timendam, sed aequo animo expectandam Non par egli di sentire già il cantore de' Trionfi e della morte non più triste delle ascetiche contemplazioni, ma bella nel viso di Laura? E qui P. confessa di credere con Platone nell'esistenza futura delle anime negli astri (^^), dove è la vita di perfetto amore: della dottrina platonica dell'amore è, si può dire, un vivo commenta gran parte del Canzoniere. # « « Ora tutte queste osservazioni, e altre ancora che per non uscir da' limiti importimi dal tema tralascio, io credo che abbiano una remota e viva sorgente nel pensiero cristiano di Francesco Petrarca, il quale credeva in un rapporto ben piti che casuale fra la dottrina platonica e la predicazione di Cristo {''). Egli dice che Platone solo fra tutti i filosofi antichi ebbe sentore della nuova fede: perocché ne' suoi viaggi in Egitto avrebbe avuto notizia e conoscenza della bibbia e della predicazione profetica. Tale credenza ch'egli derivava da Apuleio e da Agostino era stata un tempo tema di molte dispute; tanto che alcuni eretici avevano anzi detto che Cristo non predicasse infine che le dottrine platoniche. Agostino stesso del resto aveva, come anche il Petrarca notò (*®), trovato ne' platonici quasi tutto il proemio del vangelo di S. Giovanni (in principio erat verhum etc). E P. si diffonde con evidente compiacenza su questa questione, e conclude: « nemo dubitat quanta sit inter illìus opinionis et Christianorum fidem paritas »; si legga, ei dice, il settimo libro delle Confessioni di Agostino, « ubi reperietur in omnibus fere quae de verbo Dei dicuntur a nostris Platonem consentire, praeterquam in susceptione humanae carnis, ubi non contraddixit ille, sed siluit ). Filosofia della religione- Paganesimo e Cristianesimo - Se P. sia Cattolico - Colui che fece per viltade il gran rifiuto. Cristo più propizio che mai allora si dimostrò quand' era di creta ». I pare che si possa sin d' ora concludere^ 'che il pensiero filosofico di Francesco Petrarca non si può comprendere se non se ne cerca la radice nel pensiero religioso. Anzitutto è innegabile che egli al pari di tutto il Medio evo, come si disse, sentì il bisogno fortissimo di una fede; ma in lui oltre che il sentimento è anche un manifesto concetto religioso. Nel De ocio religiosorum (^') P., prenunziando pur lontanamente il Renan, risale all'origine e alla storia delle religioni positive; e trova che avendo voluto i re antichi eternarsi nell'arte, i successori ne fecero dei: sic paulatim religiones esse ' coeperunt. Vede sorgere così nell'Egitto il culto di Iside, presso i Mauri di luba, presso i Macedoni di €abiro, presso i Cartaginesi di Brama, presso i Latini di Fauno, presso i Sabini di Santo, presso i Romani di Quirino, presso gli Ateniesi di Minerva,^ in Samo di Giunone, in Pafo di Venere, in Lemno di Vulcano, in Nasso di Libero, in Delo di Apollo. I poeti contribuirono alle leggende, e co' poeti gli artefici, come in Grecia. Ma, egli aggiunse, questi dei furono uomini, e Cicerone stesso nelle Tusculane questo affermò. Ma la religione vera deve essere quella che fa capo a Dio veramente. Ed ecco presentarglisi allora le religioni medioevali: l'ebraismo, il maomettanismo, l'averroismo, il manicheismo e l'arianesimo; e' vistele tutte cadere nella contraddizione conclude: « sì Christo non creditur, cui creditur? »: all'Anticristo no, perchè egli verrà come nemico; al Messia futuro no, perchè egli è già venuto. Né tuttavia si dissimula la difficoltà di credere all'incarnazione, alla concezione, alla risurrezione di Cristo: « magna sunt, fateor, sed quid horum omnium impossibile Deo est? >. Inoltre egli vedeva in tutta la religione pagana e ne' suoi scrittori una lenta preparazione dell'idea cristiana. Le profezie stesse della Sibilla Cumana s'accordano meravigliosamente al racconto .de' libri santi, sì che un evangelista, dice, non avrebbe potuto parlar più chiaramente: e un'eco degli oracoli cumani ei vide, come è noto, in Vergilio. Ed ecco Platone essere il filosofo vero perchè in tutti i suoi libri cerca il Sommo sd Unico bene ('**); e a Platone succedere, soltis imitator, Cicerone, al quale P. in più di una questione presta fede maggiore che agli scrittori cattolici (*®); e a Cicerone succedere poi Agostino che, mentre Girolamo in sogno sentiva rinfacciarsi dal giudice eterno il nome di ciceroniano, egli al contrarlo non solo pasceva la mente dei libri di Platone e di Cicerone, ma confessava chiaramente avere in essi trovato gran parte della cristiana religione e per essi dalle fallaci speranze e dalle vane contese essersi rivolto alla contemplazione dell'unico vero (^°). Ed ecco infine P., come in Platone l'eco delle ebraiche profezie, così in Seneca trovare tanta somiglianza con la cristiana dottrina che non dubita il romano filosofo esser stato in relazione epistolare con san Paolo (^*). Ed ecco dunque misticismo e razionalismo, fede j e paganesimo fondersi nel pensiero religioso di Fran- ^ Cesco P.. Al quale è quindi inutile affatto chiedere a quale scuola filosofica egli appartenga; perocché così risponderebbe: « io una volta sono Peripatetico, un'altra Stoico, talora Accademico e tal'altra non sono nulla di tutto questo, quando cioè si tratti di alcuna filosofia che alla vera e santa fede nostra sia od anche paia essere in contraddizione. Dentro questi confini soltanto è lecito a noi seguire le filosofiche sette, finché cioè non repugnino al vero e dall'ultimo fine non ci allontanino. Se mai di questo si corresse pericolo, a Platone,, ad Aristotele, a Cicerone, non ostante la sottigliezza di argomenti eleganza di stile autorità di nome, si volgano pur le spalle. Insomma, siccome suona il nome di filosofia, se vogliamo esser filosofi, dobbiamo amare la sapienza: e poiché sapienza vera f di Dio é Gesti Cristo, ad essere veri filosofi lui sopra tutto dobbiamo amare ed adorare: e in tutto e per tutto dimostrarci cristiani. Perocché soltanto il Cristianesimo è oggi la vera filosofia (^*). » « È egli P. nel sìw pensiero altrettanto cattolico, quanto cristiano? La risposta è più difficile a darsi di quel che non paia. Certo se per cattolicismo intendiamo le pratiche esterne del culto che accompagnano la fede, egli è cattolicissimo, adempiendo scrupolosamente i propri doveri religiosi (^^). Ma nelle sue opere egli non parla mai né di dogmi della Chiesa né di santi né di miracoli ("): l'inferno ha perduto il suo fuoco, e il Papato il suo entusiasmo. Non parlo delle lettere aine tiiulo <5he sprizzan fuoco diabolico sì che il pio Fracassetti si rifiutò di tradurle perché, disse, indegne non pur di cattolico ma di uomo ragionevole. Ma in una lettera senile (^^) egli annovera fra le quattro tentazioni della vita cristiana le continue crisi e le battaglie interne create dallo stato della Chiesa; lasciando così intendere chiaramente che gli scandali del Papato potevano a ragione indurre nella tentazione del dubbio su la veracità delle dottrine ecclesiastiche la mente del credente. E nel De vita solitaria (^*) egli dichiara apertamente che la cattolica fede aveva sofferta la maggiore iattura per colpa della Chiesa. E nel Be remediis (^') ricorda che i pontefici antichi non avevano tante ricchezze: essi erano guide del cristianesimo sacre al martirio. Oggi invece, egli dicessi usano tutte le turpitudini per giungere al papato: « quod sacrìlegium, pudendum vel diclu est, magnis saepe muneribus quin et pactis et sponsionibus spes enitur sacerdotii pinguioris »; e segue: « Ghristiano homini quomodo liceat ambire Pontificatum non video. Non modo largitione profusissima, sed, quod non multo minus est, turpibus blanditiis atque mendaciis indignis viro artibus sed comunibus adeo ut hasc fere iam unica sit in altum via ». « Queste parole ci danno chiaramente la ragione della diversità del pensiero petrarchesco da quello di Dante in una questione non priva d'importanza. Dante guidato da un pensiero politico, aprendo rinferno vede affacciarsi per primo un Papa: Celestino V, colui che fece per viltade il gran rifiuto (^*). 11 P., che conosceva già l'Inferno dantesco, forse anche al verso del grande fiorentino pensava quando nel De vita solitaria ci presentò Celestino con queste parole: « (il suo rifiuto) vintati animi quisquis volet attribuat, licet enim in eadem re prò varietate ingeiniorum non diversa tantum sed adversa sentire »; ma per lui Celestino V, che non salì mai il trono pontificio, è il pontefice più grande, e si duole grandemente per pochi anni di differenza di non averlo veduto. E si rallegra che altri molti dell'ordine suo religioso abbiano rinunciato alle alte cariche ecclesiastiche; e soggiunge: « irrideant igitur, qui viderunt quibus prae fulgore auri et purpurae squailidus opum spretor et paupertas sancta sordebat, nos hominem hunc miremur »; e finisce con acre ironia ringraziando Iddio di aver dato al cri-^ stianesimo siffatta pusillanimità (pumllanimitatem huiuncemodi). E non solo al papato dà sì forti rampogne, ma arriva ben anche a inveire contro l'oro e le gemme e l'argento che adornano gli altari (^°). Cristo, egli dice, più propizio che mai si dimostrò quando era di creta: voi dite di far questo per onorarlo, quasi che egli non amasse maggiormente le Spoglie dei poveri, la virtù e la devozione. E, aiutandosi oltre che col Vangelo anche con le sentenze di Seneca, conclude: « dell'oro vostro Cristo non sa che si fare, né delle vostre superstizioni ei punto si piace: non altro egli chiede che buone opere, onesti pensieri, umili desideri di cuore mondo e puro. Com'entra l'oro fra queste cose? » (^*). Né con questo io credo di aver posto ben in chiaro il pensiero del P. su la Chiesa: so bene che occorrerebbe una più minuta ed esatta disamina. Ma credo che non a torto Paolo Vergerlo ih Giovine e Matteo Francowitz furon tratti ad annoverare P. fra i precursori di Lutero; e a ragione il Fleury espresse dubbi su la ortodossia di lui. Filosoficamente poi si può affermare che il pensiero di P. è un ritorno alle pure scaturigtini della predicazione di Cristo, e alimenta la grande corrente di sano misticismo che a traverso le diverse lotte filosofiche e le opposte scuole sboccò terribile nella riforma dopo più di un secolo. Se P. sia un mistico - Varie specie di misticismo - Il De vita solitaria - Il De ocio religiosorum - Ascetismo e sano misticismo. « Vita Solitaria liUerarum ignaris gravior ntorte et mortem alkUura ». L misticismo è la più alta espressione filosofica del concetto e del sentimento religioso. È quindi necessario affrontare- questo problema, intorno al quale molto si parla, ma poco si chiarisce nei libri che, specialmente negli ultimi tempi, trattarono dd P.. Innanzi tutto è bene intendersi: non credo che si possa parlare di una vera scìwla mistica in Italia: il misticismo è una qualità comune a molti sistemi filosofici che sono infine ben diversi, come quelli di Agostino o del pseudo Dionigi o di Bonaventura. Poi c'è un misticismo non di sistema filosofico alcuno, ma scaturiente dal sentimento religioso popolare: il quale assume anch'esso infinite gradazioni, come, per esempio, nella predicazione francescana o nelle profezie ioachimite. Negare nel P. un concetto e un sentimento mistico, come alcuni han fatto, non mi pare che risponda a verità: e neppure io credo giusto il considerare con disprezzo il misticismo del P.,.come il Bartoli e molti altri fanno, quale un ritorno à forme viete di filosofia e di regresso civile. Intanto P. già toglieva alla teologia tutta la parte arida e dogmatica, quando, oltre che parlare con disprezzo de' teologi del suo tempo, sosteneva, anche con l'autorità di Aristotele, non essere la teologia altro che un poema che ha Dio per subietto (®*), e ricordava che i primi teologi furono poeti. Po i egli nella storia dell' uman genere non vide più con Agostino tutta una provvidenziale preparazione e una mistica rappresentazione di una futura città di Dio: che anzi qua e là in numerosissimi passi delle sue opere comincia con lui la filosofia e la critica della storia intesa nel senso moderno {^% e con lui veramente si passa dalla città di Dio di Agostino alla città terrena dell'uomo. Queste cose considerando si potrebbe forse concludere che i tanto decantati rapporti fra P. e la filosofia agostiniana sono in verità molto minori di quello che si crede. Si consideri infatti che, sebbene gli elogi e gli entusiasmi del P. per Agostino siano, più che numerosi, continui; tuttavia egli di Agostino cita sopratutto quella parte filosofica che ha rapporto con il sentimento e il concetto religioso e cristiano (**). Inoltre prendete le Confesaiones, che è il libro più caro al P., e voi v'avvedrete che egli mostra appena di aver compreso che la grandezza sua è negli ultimi libri che sono affatto metafisici, rappresentando l'ultimo volo di quella mente altissima (®^). Più ancora egli si scosta dal misticismo più vero che è rappresentato dal De lerumlem CoeiesUy e che nel Paradiso di Dante ha sì grande cantore {^% San Paolo e Dante discendendo dal Paradiso si contentarono l'uno di tacere, l'altro di cantare: vidi cose che ridire né sa né può qual di lassU discende. Lo spirito umano, secondo Dionigi, sale a Dio, cioè alla verità, solo con l'aiuto delle schiere angeliche, le quali mentre ne aiutano la salita, col loro frapporsi vengono anche a ritardarla; e la natura ugualmente, pur essendo scala a Dio, è anche l'ostacolo maggiore che ce ne toglie la visione. Al più si può dire che alcune volte P. sale a cime tanto vicine all'idealismo che rasentano il misticismo filosofico: così egli crede che alcuno possa aliqtw afflatu divino divenir dotto uomo, in virtù di un maestro celeste « qui intus in anima docet hominem scientiam »: e par un ioachimita o un* precoce ontologo. Ma chi ben osserva s'accorge subito che egli anche una volta riduce la questione filosofica a una questione religiosa, affermando quod hoc non solum vera religio sentii, sed gentilis quoque consentii auctoritcts (*^). E altrove dice che laddove delle umane cose la verità per esperienza ci si mostra, di Dio invece nulla sappiamo se non ciò che dalle cose visibili può opinarsi (^*). * « P. adunque liberato avendo, al dir di Carducci ("*), Yumano dai vincoli teologici e mistici, « senti che la natura non è condannata, che non è abominazione quello che umanamente si agita in un petto d'uomo, che il bello è bene, che la vita ha il suo ideale, che l'anima si nobilita da sé idealizzando se stessa ». P. infatti ne' suoi libri De vita solitaria e De ocio religioaorum non si discosta meno che altrove dalla tendenza mistica che condusse gli antichi asceti ne' deserti della Tebaide o a popolare i chiostri per tutte le parti del mondo cristiano. Consideriamo brevemente il primo trattato che è quasi prefazione all'altro, come P. stessa ci avverte. Egli sin dal principio confessa bene di sapere che altri santi avevan scritto della vita solitaria, e fra essi Basilio; ma non ne conosce che- il titola (De solitaria^ vita^ latidibus); e non si è dato neppure pensiero di prepararsi a scrivere con lo studio de' predecessori suoi, fidando nella propria esperienza e nell'animo proprio. In verità la ragione è questa, che egli avrebbe fatto una fatica inutile e avrebbe perduto il tempo. Egli esalta la solitudine non per se stessa, ma per i beni che arreca, fra i quali primi la libertà e Vocium. La solitudine del P. non è una specie di misantropia come dicono, fra gli altri, il Ginguené e il Bartoli: tutt'altro; che anzi egli non pretende di imporre una regola ad .alcuno, convenendo che ognuno segua l'indole del proprio animo: a me, egli dice, « non tam pròprio studio alìove monitu ut ita sentirem quam naturae ipsius persuasione consultum est > ('^). Tanto è vero ciò che confessa di aver scritto questo trattato non per gli altri, ma per sé ('^). Egli vedeva nella vita solitaria l'ideale della vita letteraria: « quod vita solitaria litterarum ignaris gravior morte et martem allatura videàtur » ('*). Naturalmente l'uomo solitario del P. non ha che vedere con l'uomo selvaggio del Rousseau: in primo luogo perchè egli parla non ai fanciulli né agli uomini ignoranti, ma a chi già per educazione e per studio sa approfittare di quella vita ("); poi perchè protesta di non volere in alcun modo andar contro alla socialità dell'uomo; che anzi vuole che la solitudine sia rallegrata da una eletta schiera d'amici e sia così un lavorìo collettivo fecondissimo, un ocium operativo e utile alla società: « volo solitudinem non solam, ocium non iners nec inutile sed quod e solitudine prosit multis. i}ui enim ociosi prorsus eos miseros consentio, quibus nec honesti actus exercitium nec nobilium studiorum... ». E al Patriarca di Gerusalemme, al quale aveva diretti i due libri intorno alla vita solitaria, già si accingeva, se quegli non fosse morto, a scriverne altri due su la vita attiva: segno questo che fra le due opere non doveva essere contraddizione ('*). Concependo così la solitudine quale luogo in cui l'uomo, non distratto dalle corruzioni delle città, può con lo studio essere utile alla umanità, alla quale vuole che i propri studi sian trasmessi ("), P. giunge alla vera definizione della vita solitaria chiamandola vita filosofica ('^). Nella solitudine infatti egli ebbe ispirazione e agio a scrivere la maggiore e miglior parte delle sue opere ("). Nel De vita solitaria egli ha trattato della solitudine del luogo; ma avverte che ve n'ha un'altra: quella dello spirito, che chiama ocium: la prima è la preparazione della seconda ('^). E scrivendo il P. in forma epistolare ai monaci della certosa di Montrieux non è però a meravigliare che, trattando della solitudine per quella parte che a monaci s'addiceva, la vita filosofica divenga vita religiosa nel De ocio. E non mi par giusto dire che questo scritto sia tutto un arido ascetismo: prima, perchè in esso si parla di molte cose che son tra filosofiche e religiose; poi, perchè il vacate ut vacetis che è l'intonazione del trattato va inteso nel senso di non Idborare, e il laborare è definito: currere post concupiscentias ('^), ossia menar vita mondana e immorale. Che se alcune volte, come nel primo libro, paia ad ora ad bra ri|:ornare il suono di quelle parole: quid prodest liomini ecc.; e nel secondo: vanitas vanitatum ecc.; e se P. vede gli angeli scendere dal cielo a tener dolce compagnia all'uomo che vive in solitudine (^^): io non negherò che il misticismo di Gersone non abbia lasciato in questi trattati alcun vestigio qua e là. Si tenga presente che il Medio evo non era ancora passato. Inoltre io* ricorderò che P., scrivendo st Marco amico suo (**), che voleva farsi frate, dopo avergli mostrato il pregio maggiore della vita politica spesa in servigio della propria patria in confronto con la grettezza della vita claustrale, lo dissuade da tal pensiero: e poteva citargli anche il proprio esempio. Del Secretum parleremo più innanzi. Intanto noto che molto erroneamente seguitano alcuni a chiamarlo De contemptu mundio e lo confrontano poi al De contemptu mundi di Innocenzo III, che il P. forse neppure conosceva. Quest'opera del noto pontefice è veramente un trattato ascetico, laddove il Secretum è la storia veridica dell'animo del P., che in esso trasfuse la foga del suo cuore innamorato di Laura e della gloria. Né il De Giovanni (^*) pure credo che colga il vero quando lo riavvicina al De contemptu saeculi di san Bonaventura, che volle davvero con esso persuadere gli uomini a lasciare il mondo e a ritirarsi a Dio. Senza dire che anche questo trattato non ha, per l'argomento, che vedere con le intitna confessioni del P. (che tale infine è il significato del Secretum); ma basta guardare alla conclusione del filosofo serafico per persuadersi che siamo ben lontani dal pensiero dal P. espresso nel Secretum e negli altri trattati su detti: « Fugite et salvate animas vestras. Convolate ad urbes refugii,^ ^d loca videlicet ubi possitis de praeteritis agere poenitentiam, in praesenti obtinere gratiam, et fiducialiter futuram gloriam praestolari * ("). Il Petrarca non ha mai parlato in questo modo, che è la negazione della sua solitudine e del suo ocium, €ome abbiamo notato. Non si parli dunque di arido ascetismo. Né tuttavia si neghi che il sentimento religioso del Petrarca non ascenda alcune volte a un mite e sano misticismo. Imperocché anche a uno spirito sano e pur sinceramente religioso, il quale pensi che a questa mortai vita un'altra ha a succedere, nella quale si vedrà la vanità di ogni operazione e di ogni pensiero che non vadano al bene, può avvenire, io penso, di scrìvere e di sentire molte volte cose simili a queste: « Ogni volta che io per mezzo della mia ragione mi sollevo in quell'alta rocca aerea dello spirito che al pari delle cime d'Olimpo ci fa vedere sotto di noi le nuvole, io sento in qual tenebra, in qual nebbia di errori noi qui su la terra ci aggiriamo Sono fantasmi che ci tormentano, larve che ci spaventano, fulmini che ci atterrano e ci trasportano in alto come deboli canne. Il pessimismo del P.- Il pessimismo Cristiano - La vita umana secondo P. - Il De remediis utriusque fortunae - P. e il Leopardi - L'acedia e le contraddizioni del Petrarca hanno radice nel suo sentimento religioso. « Tota philosophorum vUa comtnetUcUio mortia est > m^'M o penso che con queste parole possa bene accordarsi ancora 1' amore alla vita, alla bellezza, a ogni grande idea umana, alla società terrena: intendendo che per un animo naturalmente religioso Y uomo anche quaggiù ha una missione a compiere e un ideale da conseguire. Vorremo con spregio chiamar mistici tutti coloro che credono in Dio e nella vita futura? Forse il segreto proprio della grande anima di Francesco P. non è il misticismo per se stesso: occorre invece ricercare quale concetto egli avesse della vita umana. Ugo Foscolo (*^) nota che P. inclinava a una sensibilità morbosa, malattia ch'è propria degli uomini di genio: da questa dipendeva anche il continuo cambiamento di umore e l'animo per natura proclive alle passioni (*^). Egli ci appare già nel trecento con i segni del morbo di Giacomo Leopardi. Francesco P. e Giacomo Leopardi sono due nomi che paiono contrari, e invece sono presso che sinonimi. P. per lungo tempo è stato considerato come il più felice degli uomini della nostra letteratura; il quale dalla generazione i cui padri avevano perseguitato e condannato l'Alighieri, riceveva lodi e trionfi in quantità (*'). Ma chi ha letto tutte le opere del P. può confessare, credo, che la nota fondamentale del sentimento suo è sempreil dolore, e il pianto gli sta continuo su gli occhi. Al più egli fu felice sino al 41; ma dal giorno della sua coronazione le sventure non gli hanno lasciato tregua mai (**): furono morti di amici a lui più cari, dolori domestici tanto più grandi quanto meno egli ne parla: le passioni poi dell'anima e del corpo, che in uomo volgare non apportano grande turbamento, suscitavano in lui tempeste grandissime; la ricerca affannosa di una felicità ch'ei non trovava lo rendeva incapace di fermarsi in luogo alcuno. A tutto questo poi si aggiunga l'eredità che col cristianesimo il sentimento religioso gli aveva apportato: vo' dire il pessimismo. « È innegabile che la religione cristiana contiene* in sé più che i germi della funesta malattia: la quale tuttavia potè svilupparsi per un procedimento storico che, non essendo stato ancora ben definito, sarebbe argomento di importantissimo studio. Nella, predicazione di Cristo e ne' vangeli non c'è il disprezzo di questa vita e quel riguardare la natura un peccato (*^). Ma in seguito il cristianesimo, aiutato in ciò dal dogma e dalla filosofia, fonda il suo pensiero filosofico religioso su due basi essenzialmente pessimiste: la colpa originale e la predestinazione. Certo anche in Platone è qualche traccia dell'hoc lacrymarum valle nella dottrina del carcere corporeo; e anche Cicerone aveva detto, come P. -spesso ricorda: haec nostra quae diciiur vita niors est; così che anche ne' filosofi gentili egli trovava la vita dover essere commenlatio nwrtis. Ma le religioni classiche, greca e romana, ebbero appena un sentore della grande lotta che stava per scoppiare fra l'umano e il divino, fra il senso e la ragione, fra l'uomo e Dio. Nel Medio evo essa scoppiò terribile, e condusse il cristianesimo a parteggiare per Dio contro l'uomo e l'umanità, per lo spirito contro il senso e la ragione, per il cielo contro la terra. Nell'animo italiano popolare tuttavia noi abbiamo già osservato che il sentimento religioso non portò mai il popolo nostro a quest'ascetismo così fuori della vita umana e sociale, e che ciò fu merito principale della tradizione classica ereditata col sangue dai nostri padri.' ^E non ci fa meraviglia quindi che anche P., quasi inconsciamente, cercasse con la filosofia platonica di nascondere i due punti più pessimisti del cristianesimo su citati, credendo in un'esistenza futura delle anime negli astri e nella bontà naturale di ogni anima (®^). Ma la lotta esisteva latente sì, ma feroce: e P. è il primo uomo che nel Medio evo avverti il contrasto dei secoli, e nel suo animo profondamente religioso vide concentrate tutte le guerre passate: da una parte i padri della Chiesa e i santi del Medio evo; dall'altra i classici latini e la tradizione italiana e la corruzione del Papato. A un amico che aveagli chiesto qual giudizioegli facesse della vita, rispose^ ^ Sembrami la vita essere albergo di dolorosi travagli, teatro d'inganni, labirinto di errori, palco di giullari, deserto orribile, fangosa palude, tenebrosa spelonca, campo pietroso, tana di belve, sonno inquieto, ridente frenesia, speranza inutile, gioia bugiarda, riso scomposto, inutil pianto, ansia perpetua, morbo continuo, doppia malattia, titoli infami, vaso fesso, sacco sfondato, lusso idropico, avida stomacaggine, nausea famelica, fiore caduco, osteria di passaggio, carcere tetro, nave senza governo, laccio traditore, scoglio durissimo, vento impetuoso, turbine nero, pelago procelloso, sentina di libidine, abisso d'odi, canto di sirena, onorata vergogna, velata ignoranza, regno di demoni ecc. ecc Ed è peggiore ancora » f ^). ^ È inutile quindi chiedergli che cosa è la morte: egli vi risponderà che è la fine di ciò che dianzi ha detto della vita. E chi volesse su questo argomento confrontare P. con il Leopardi troverebbe che quasi tutti i Canti di quest'ultimo hanno già la loro ispirazione nel Canzoniere del primo. E pur tuttavia né P. né il Leopardi hanno nulla a vedere con il pessimismo tedesco o schopenaueriano: che dalle loro maledizioni scoppiano inconscie le benedizioni, nel pianto trovano la gioia delle lacrime, nell'odio l'amore; i loro versi indicanti disprezzo della vita se li metti insieme ne formano l'inno di ammirazione più bello. Ed é per questo loro stato psicologico perenne che nei loro scritti troviamo serpeggiare il dualismo,, come due fossero gli scrittori, e nella loro vita dominare sovrana la contraddizione. Il pensiero della morte riempie gli scritti e la vita loro; l'uno nel Secretum scrive: patrie iam hominem natum poeniteat (**); l'altro nei Canti: nasce l'uomo a fati4ui, — ed è rischio di morte il nascimento {^% E al P. e al Leopardi balena l'idea del suicidio con fiamma solfurea; e l'uno compone a morto il proprio corpo {^% e l'altro sente già le membra sue sciogliersi e confondersi nell'infinita vanità del tutto. In alcun luogo P. poi osserva: « D'esser vivo non si lagna nessuno: tutti della povertà, della fatica, della vecchiezza, della malattia, della morte metton lamenti, quasi che men della vita fossero queste cose secondo natura » (^^). Ed ecco balzare una concezione deUa morte tutta opposta, quella che il Carducci ricorda, la greca eutanasia^ e divenir bella nel bel viso di Laura e il P. desiderarla come dolcissima cosa. Anche nell'universo essi videro riflettersi ugualmente l'odio e l'amore. P. del Canzoniere diventa scrittore del De reniediis, che nella prefazione del secondo dialogo della fortuna avversa, vedendo l'odio divenir legge universale, giunge inconsapevolmente alla dichiarazione di un principio che è agli antipodi di tutta la sua filosofia: la lotta per l'esistenza, ch'egh, precorrendo non so come lo Spencer, dimostra lungamente per il genere minerale, vegetale, animale, umano (^^). Ma se voi poi aprite le lettere, trovate al contrario: « Amore unisce e governa le anime e la materia e tutto l'universo » (^^). Cosi se voi prendete il Secretum, leggete a una pagina tutta l'esecrazione del peccato di amar Laura, e nell'altra: « nihil pulchriua excogitari queat »; e non solo egli ama lo spirito di Laura, ma anche il corpo: « animam cum corpore ». Quest'amore bello e umano ritorna ad ora ad ora anche nei versi dell'infelice Recanatese. Che cosa è l'uomo? * Nil miserius homine, nil debilius, nil pauperius »: così P.; ma intanto riconosce l'importanza dello studio psicologico, aggiungendo: « nimis magna res est ». Nella prefazione del primo libro del De remediis {^% considerando le umane cose, dice che noi siamo per natura condannati all'infelicità: le cose presenti ci annoiano, le passate ci attristano, le future ci fanno guerra. Così noi trasciniamo una vita, il principio della quale è posseduto della cecità e dall'obblivione, il mezzo dalla fatica e il fine dal dolore, e l'errore poi signoreggia tutto. Ciò non accade agli altri animali, i quali cercano di scampare solo dai mali presen^(i, di maniera che sarebbe quasi meglio che noi fossimo privi di ragione, perchè voltiamo a nostro danno le armi della nostra divina natura (^^). Ed egli è tanto persuaso che le ricchezze, gli onori^ gl'imperi siano grandi fatiche, più gravi della povertà e dell'esilio é della morte, che imprende a scrivere non per dilettare, ma per far opera giovevole e dissipare gl'inganni {^^^). E siu dal primo dialogo, parlando della gioventù, che suol riputarsi un bene perchè più lontana dalla morte, osserva amaramente: « se due andassero al patibolo chiamereste voi forse meno infelice il secondo, del primo? ». Così procedendo egli arriverà in questo medesimo hbro (^^^) a dichiarare che nessuno può quaggiù esser felice mai, neppure colui che è virtuoso, « qui aeque miser est habendtis ». E si toglie anche ogni speranza, e l'ultima dea fugge innanzi a questo sillogismo: * chi spera non ha, dunque lo sperare è privazione, dunque è un'infeUcità dell'anima »; laonde P., ridendo delle discussioni filosofiche intorno al bene, conclude: « bene sperando et male hahendo transit vita mortalium ». Né voglio ora neppur accingermi ad esporre il pensiero del P. intorno alla gloria e alla fama: tutti lo conoscono. L'autore del Favini ovvero della Otaria ha ridotta in nuova forma ciò che nei Trionfi € nel Secretum e in quasi tutte le opere petrarchesche è ripetuto (***). Al contrario, come il Leopardi per la gloria sopratutto scrisse e visse, P. medesimamente aveva confessato nel Secretum (*^^) di aspirare alla umana gloria: « ut mortalium rerum inter mortales prima sit cura transitoriis »; d'altronde, aggiunge nel De remediis {^^% tutti i più grandi uomini haii bramata la gloria umana, benché questa sia molto grave per i continui affanni che apporta: « durum «erte, sed tollerabile, imo et invidiosum et optabile ». Ed ecco uscire una falange di critici poco benevoli i quali si dolgono che messer Francesco, dispregiando tanto l'umana vita, abbia sino alla morte cercato Laura e il dolce lauro. Certamente poi prende un grosso abbaglio il Koertiiig quando vuol fare del pessimismo del Petrarca un anticristianesimo (*^^): esso ne è anzi la logica conseguenza. Il pessimismo del P. e quello del Leo' pardi hanno per comune fondament o la noia di questa vita; ma poi si discostano grandemente in questo, che P. ha ancora un profondo concetto religioso; nel Leopardi al contrario è succeduto il dubbio alla fede, e la religione s'è trasmutata in un panteismo filosofico: Torquato Tasso col suo doloroso dubbio è forse, per nascosto tramite, l'anello di congiunzione fra il trecento e l'ottocento. Concludendo, noi intendiamo che la malattia del P. di cui si confessa egli stesso, cioè la famosa acedia o aegrUudo animi, sia veramente quel morbo terribile che il Cristianesimo ha lasciato in eredità alle anime che più sentirono il bisogno di amare e di credere insieme, di accordare la ragione con la fede, lo spirito col senso: l'ultimo grande malato di acedia, ma già inguaribile, fu il Leopardi. Certamente dunque errano coloro che sentenziano P. essere stato né più ne meno che uno scettico, e confrontano il Leopardi con lo Schopenauer: essi non tengon conto dell'importanza e profondità e varietà del pensiero religioso ne' grandi nostri. Tutte le contraddizioni di Francesco P. si riducono infine a questo: che il suo pensiero religioso vacillava fra la tristezza del cristianesimo e la serenità delle religioni antiche, fra l'autorità de' libri santi e lo scandalo vivente della Chiesa di / Roma, fra il Medio evo e il Rinascimento. Il pensiero religioso voleva in lui divenire pensiero filosofico; e nel terribile sforzo P. ne sofferse grandemente, ma aprì la via al quattrocento e a Telesio e a Pomponazzi e a Bruno e a Campanella. P. non è strettamente un filosofo [cf. H. P. Grice: Two senses of ‘philosopher’: professionally engaged in philosophical studies; disposed to provie general reflections about life. Ma ne' suoi scritti è un ampio contenuto filosofico - E aveva ancora ingegno filosofico - Il P. e la scienza - Meriti filosofici del Petrarca - Il Rerum memorancfarum - Carattere morale, sociale e politico della nuova filosofia. Andar dobbiamo in tracce di nuove cogniMtoni indefessamente finché ci duri la vita EL pensiero religioso adunque di Francesco P. sono da ricercarsi il pensiero e il concetto ch'egli ebbe della nuova filosofia. Con questo non intendo di scemare il merito suo. I suoi libri sono pieni della filosofia antica e moderna: e credo che tutto Cicerone sia in essi trasfuso, e che Agostino e Lattanzio e altri molti trovino in essi tanta parte delle proprie dottrine che volendo anche solo riassumerle non basterebbe un grosso volume {^^^). Ma nel grande crogiuolo, per così dire, della sua mente, tutto acquista uno scopo e un carattere subiettivo proprio del P. (*^'). Il quale perciò molto liberamente prende intorno al suo argomento le opinioni di ogni scuola che a lui sia utile, a costo di cadere in contraddizione filosofica {^^^). Quindi (egli stesso lo afferma) non è giusto, come molti fanno, chiamarlo né peripatetico né accademico, né stoico; e neppure eclettico, perché l'eclettismo {^^^) e una sapiente ricostruzione con argomenti tolti da molte filosofie, sì che formino Town unico edificio: nel P. questo non è. Né, €ome abbiam visto, egli è filosofo mistico né razionalista, benché misticismo e razionalismo abbiano sì grande parte nelle opere sue (***). Dunque il Petrarca, per questo rispetto non si può chiamare filosofo: ciò non toglie ch'egli nella storia della filosofia non abbia diritto a un posto importantissimo. Vero é che P. aveva ingegno filosofico e nelle sue opere sono infiniti i brani che ne dimostrano l'acutezza. Osserviamone alcuni brevemente. A Cicerone che aveva detto gli uomini sovrastare ai bruti per la favella, P. fa osservare che la facoltà discorsiva presuppone l'altra intellettiva, e che se quella mancasse basterebbe questa perché l'umana specie fosse molto al disopra dei bruti: ai quah tuttavia, se non furon dati l'intelletto la scienza e la memoria, é da riconoscere alcun che di simile all'intendimento e alla discrezione (^^^). E al pari di Dante che con novità aveva nel Convito definito la filosofia un amoroso tiso di sor pienza, egli, combattendo i cattedrari e plebei filosofi del tempo, affermò che essendo la filosofia amore, cioè desiderio di sapienza, ogni uomo che la vuole può amandola conseguire. Che se alcuno gli facesse obiezione che non tutti nascono con uguale ingegno, egli risponderebbe essere necessario star contenti fra i termini che al nostro ingegno posero Dio e la natura: « imperocché fino a tanto che aDdremo in traccia di nuove cognizioni, e andar vi dobbiamo indefessamente finché ci duri la vita, luoghi tenebrosi e oscuri ci si pareranno d'innanzi ogni giorno per entro i quali cercherà invano di penetrare la nostra ignoranza: e quindi a noi tristezza rancore e dispetto contro noi stessi; ed ecco la scienza che ti promettevi ricca sorgente di puro diletto fatta cagione di molestissimo affanno e della vita nostra non più fida scorta, ma morbo micidiale. Deesi con lo studio aiutar l'ingegno, non sforzarlo dove salire non poi^sa, che ciò facendo cade a vuoto » (**^). Anche in ciò mi pare che il verso dantesco spesso frainteso: state contenti umana gente al quia; non potrebbe desiderare miglior commento. Chi accuserà Dante Alighieri di avversar la scienza, per cercar la quale egli condotto di girone in girone, di balzo in balzo dà l'esempio più manifesto del cammino dell'umano sapere che di collo in collo ricerca affannosamente il vero? Nelle parole del P., in quell'andar indefesso finche ci duri la vita, è un forte sentore di quella dottrina che il Vico e gli Enciclopedisti chiamarono dei progresso. Certo non ne mancava la fede a chi scriveva: « Scorrano più* dopo noi altri dieci mila anni, si accumulino secoli a secoli, mai non sarà chiusa la strada a nuovi trovati » {^^% Evidentemente siamo ben lontani dalla filosofia del tempo che nelle scuole insegnava ogni verità essere nei modi del sillogismo contenuta. Ma « la dialettica (scriveva P.) è un mezzo e non un fine, come al contrario stimano essi »; ed ei voleva non che ne lasciassero lo studio, ma che s'affrettassero in quello, affinchè loro fosse scala a cose più alte {'''). Egli per primo nel suo tempo diede esempio della nuova filosofia, ripristinando il metodo latino di trattazione che già aveva fatto mirabili prove con Seneca e con Cicerone e anche con Platone e con Agostino. Così sciolse le ferree catene che spesso nel Medio evo tolsero le ali a fortissimi ingegni, e- ravvivato alle fonti della natura e della vita umana il contenuto della nuova filosofia, essa potè poi spiccare il volo alla grandezza del Risorgimento e della moderna filosofia Quale concetto ebbe P. della nuova filosofia e a qual ufficio la destinava? Il Rerum memorandarum doveva esserne un primo esempio, iniziando un commentario di tutte le virtù. Ma, così come ci è giunto, non è che un insieme disordinato di alcuni appunti: i quali paiono colonne grandiose di un tempio non più eretto. Si comincia dalla prudentia, e dìstinguesi in memoria, intelligenza, provvidenza: Tintelligenza, pure ch'egli definisce cognitio rerum praesentium, distinguesi in speculativa e pratica: la perfetta è quella che <;ongiunge pensiero e azione. Così logicamente si giunge al concetto di una filosofia che sia medicina delle anime; e il suo ufficio è insegnar Varie di ben vivere (**'). La stessa eloquenza diviene una parte della filosofia. Cicerone l'aveva infatti definita: « nil aliud nisi copiose loquens sapieniia »; e Catone: « orator est vir bonus dicendi peritus *: e P. unendo la sapienza della mente alla bontà dell'animo arrivò al concetto della vera eloquenza, come del primo frutto della nuova filosofia. Si comprende allora che quando spesso dice che Platone è più eloquente di Aristotele, non fa, come comunemente si dice, una questione retorica. E però con profonda verità afferma, sin da giovine, studiare non per divenir dotto, ma per migliorare la propria vita (^**), E altrove esce in queste bellissime parole che io vorrei fossero meditate da coloro che in un modo o nell'altro oscurano la santità della vita del grande Aretino (*^^): « Tutti non possono essere Ciceroni, Fiatoni, Omeri, Vergilii; ma buoni sì che tutti possono divenire pur che lo vogliano. È degno di molta stima, se buono sia, pur anche il pescatore, l'agricoltore, il pastore. Meglio l'uomo dabbene senza il sapere che non il sapere senza l'uomo dabbene. La virtù vera poi è quella che insegna a sentir rettamente di Dio e a operare rettamente fra gli uomini (**®). La nuova filosofia è dunque, come egli splendidamente dice, una cultura delVanimo (**^), intendendo a darle due uffici nuovi: Funo educativo^ Faltro psicologico. « « In tanta barbarie e viltà ecclesiastica e feudale si comprende bene quanto grande fosse per la coscienza italiana il beneficio della nuova filosofia nel rispetto politico e sociale. Già il Carducci notava che il concetto della libertà è più vivo in lui che in Dante (*"). E in verità in tutto degna del grande Astigiano è la uscita del P. di Parma assediata e piena di ignobili guerriglie: « Ed io fra queste strette sentii nascermi in cuore il desiderio di quella libertà che ardentemente sempre bramai, che fu lo scopa di tutti i miei voti, alla quale io corro di continuo »; e coraggiosamente di notte esce tra i nemici, è assalito e attorniato, cade e riman pesto e senza flato; si rimette in sella, solo; e sotto grandine e pioggia, mentre dalle mura lontane s'udiva il borbottare delle nemiche scolte,, sotto il cavallo si accovaccia e aspetta l'aurora. Ed è poi degna del Parini* l'altra lettera con la quale, dopo aver rinunziato alla carica di Segretario del Papa, racconta a un amico come egli causasse quel giogo d'oro con infinita gioia: « Io non voglio aver riguardo, scrivendo, alla dignità e alle ricchezze di chi mi legge: voglio che un papa e un re pongano nelle mie cose quell'attenzione medesima che qualunque altro, ed anche più se son più poveri d'ingegno. E il poeta della pace("*)cliviene poeta di guerra per la libertà, senza la quale la pace è obbrobriosa (^*^). E scrive a Gola con spiriti di cospiratore, e pieno dì odio alla tirannide e di fuoco ribelle in una celebre esortatoria fa l'apologia dei Bruti (*"). Altrove contro la tirannia additava il vero rimedio, la bontà dei cittadini: « se la patria avrà anche un solo buon cittadino, non avrà lungo tempo un cattivo signore >. Egli arrivò cosi, con Dante, al nuovo concetto della nobiltà, non più fondata sul sangue ó le ricchezze, ma su la virtù e l'ingegno: e queste cose ascriveva anche a Roberto e a Carlo IV, e aggiungeva: « tutto il sangue è d'un colore, e qual è quel re che non viene da schiavi, o quel servo che non viene da re? » ("•). Di qui ancora la concezione di un governo al tutto democratico, tanto che interrogato come cacciar si potesse di Roma la succeduta anarchia additò e dìihostrò lungamente nella cacciata dei nobili tiranneggianti il solo rimedio al male: « Via su dunque cacciate costoro e chiamate la plebe romana alla dovuta partecipazione dei pubblici onori » (*^®), È cosa poi ben strana nel P. un accenno alla grande utopia del filosofo dì Stilo, che dopo più dì due secoli trovò neUa stessa isola di Taprobana la Città del Sole: « Nell'isola di Taprobana (scrive P.) (***) che siede nell'oceano orien tale molto dì là dall'India e per diametro opposta alla Brettagna, si elegge per arbitrio del popolo il re, e non vi valgono o la ricchezza o la nobiltà del sangue, ma tutto il favore si attribuisce alla virtù; di maniera che la grandezza o il parentado non gli rimuove dalla elezione del migliore uomo: oh! santa e felice usanza che è questa, la quale piacesse a Dio che s'usasse a eleggere i nostri re, che forse non sarebbero succeduti per Taddietro ne' reami i figliuoli peggiori dei padri, e i nepoti piti pessimi che i loro antichi, e non avrebbero corrotto e guasto il mondo con la superbia e licenza loro »: là il re deve essere senza figli, e se mentre è re ne avesse, deve subito abdicare. Quale il pensiero politico dantesco, tale dapprima fu l'ideale politico del P.: cioè un imperatore che fosse come arbitro di pace fra le cristiane nazioni (*^*); ed è notevole che P. molto più chiaramente di Dante afferma doversi l'imperatore tedesco considerare italiano (^^^). Vero è che in seguito s'accorse essere vana ogni speranza in papi e imperatori. Allora ì due soli di Dante si oscurarono, e le due spade che tanto avevan travagliato la mente de' Dottori medioevali egli le vide spuntarsi. E dopo acerbissimi rimproveri a Carlo IV, finì col dichiarare che l'Impero fu sempre l'infausto pianeta d'Italia (^^*). E il pensiero e l'amore della grande Patria, ch'egli aveva sempre agitato, divennero più splendenti e chiari che mai. P. per primo nelle sue canzoni italiane e ne' carmi latini saluta c^hiaramente e dolcemente la santissima terra, la patria Italia, cinta di due mari e altera di monti famosi, onoranda a un tempo in leggi e in armi. E certo risuonò per molto tempo all'orecchio degli italiani quel memorando verso: che fan qui tante peregrine spade? (*^^); perocché il Machiavelli con quella canzone dà termine al suo Principe, e Stefano Porcari muore recitando quei versi, e Giulio II compendierà la grande opera del P. col grido famoso: ftiori i barbari. Chi condusse P. a tanta grandezza patriottica ? Il De Sanctis dice che l'amore del P. all'Italia fu un amore filosofico. Non credo. Forse più giustamente il Bartoli notò che nel pensiero religioso è in lui la radice del pensiero patriottico, e lo confrontò con il Lamennais. Ciò del resto è stato sempre sentenza comune a molti filosofi politici, che sin da Platone pensarono che vera religio est firmamentum reipUblicae. Le relazioni fra Chiesa e Stato sono per il Petrarca quelle medesime che fra Cristianesimo e Paganesimo, rampollando entrambi dal pensiero religioso. Quindi non l'Impero soggetto alla Chiesa, come in san Tommaso; non la separazione della Chiesa dall'Impero, come in Dante; ma Chiesa e Stato tendenti a un unico fine: la grandezza politica e insieme religiosa d'Italia. Ch* i* medemmo non 90 qnél eh* io mi voglio i A queste brevi considerazioni si può, credo, concludere che come l'Umanesimo nel trecento, intraveduto appena da Dante, ebbe nel P. il verace precursore; così il Risorgimento filosofico, che in Italia si fa cominciare nel quattrocento, ebbe inizio veramente con Dante e col P.: l'uno avendo alla filosofia dato carattere laico, l'altro avendo abbattuto le scuole del tempo e dato gU elementi della filosofia nuova. Quali sono questi elementi? Riassumiamo brevemente. Il Fiorentino ne' suoi studi su la filosofia del Risorgimento osserva che la disputa su la preferenza di Platone ad Aristotele costituisce, se non tutto il significato filosofico del quattrocento, almeno la parte più importante. E però, laddove tuttodì si afferma che il merito di ciò spetta a Giorgio Gemisto e agli altri greci venuti in Italia dopo la caduta di Costantinopoli, noi troviamo molto tempo prima doverne assegnare il merito a Francesco P. È vero: il motivo che spinse P. alla preferenza della dottrina platonica non è punto speculativo, e però rigorosamente filosofico. Ma certo si esagera ripetendo ch'egli seguisse in ciò non so* quale proprio istinto, che poi sarebbe un'inesplicabile leggerezza. P., abbiam veduto, non dispregia Aristotele: tutt'altro. Egli conosceva bene e lodava grandemente l'Etica aristotelica, ma diceva di non trovare in essa (ciò che è in Platone) l'ardore che la virtù conosciuta deve di sé suscitare. Poi abbiam notato che il pensiero religioso è la sorgente na-scosta così di questa, come di altre opinioni del P.. Ora il Fiorentino stesso osserva che le contese del quattrocento ebbero per vero motivo la questione del cristianesimo, al quale alcuni dicevano Platone accostarsi maggiormente, altri Aristotele. E P., che né platonico né aristotelico né ciceroniano voleva esser chiamato, ma cristiano, vide così chiaramente ciò che altri sentirono confusamente. Anche intorno alla dottrina aristotelica egli precorse le accuse, che affaticarono tanti ingegni nel secolo seguente: non avere cioè Aristotele conosciuta la provvidenza e la creazione, e aver negata la immortalità^^d^lTanima, senza la quale nessuna vera religione può reggersi. Certo i libri filosofici del P. dovettero avere un'efficacia grandissima su le nuove generazioni, se Gino Rinuccini quasi con le stesile parole, certo con il medesimo pensiero, ripete col P. che: « Platone è maggior filosofo che Aristotele perchè in sua opennione del- i Fanirna è più conforme alla fede ca ttolica : ma nelle ' cose ch'anno bisogno di dimostrazioni e di pruove Aristotele è il maestro di coloro che sanno » ("*). E Colacelo Salutati e Luigi Marsigli e tutta una valorosa coorte di pensatori si misero a seguitare la tradizione dal P. iniziata. E l'Aretino per bocca del Niccoli ridirà di Aristotele col P.: « se i libri aristotelici, così come corrono si portassero allo stesso autore, ei non lì riconoscerebbe per suoi, più che Atteone, i convertiio in cervo, non fu riconosciuto dai suoi €ani » (^^®). Così P. distinguendo Aristotele dai traduttori e mettendo in guardia i filosofi contro questi, suscitò grande desiderio di conoscere il pensiero genuino del grande Stagirita. L'Aretino stesso, sebbene platonico, misesi a tradurlo, e scorse che anche in qUesto non mancava (come P. aveva indovinato, ma inutilmente) quell'aureo fiume di eloquenza che era il pregio più generalmente riconosciuto in Platone. Di Aristotele i primi libri tradotti furono gli Etici e i Politici. Nelle dispute poi di eloquenza è vero che alcune volte si trascese a contese solamente formali, ma in generale (come P. voleva) essa fu congiunta con la filosofia: non vi fu cattedra di eloquenza cui non fosse aggiunto lo jsl;udio della filosofia morale (^^^). 11 problema dell'immortalità dell'anima fu il più — Siimportante che preoccupò i nuovi moralisti latini; finché si giunse al Pomponazzi che nel suo cele^ berrimo libro De immortalitate animae affrontava la grande questione e concludeva non potersi quella con le dottrine aristoteliche dimostrare: il suo libro fu abbruciato dalla Chiesa. Ciò poi non fa che mostrare, a mio avviso, quanto il sentimento cristiano informasse tutta Topera di questi umanisti, il Valla compreso, come si disse. E tutto cristiano è quell'idealismo di Marsilio Ficino, il quale tiene accesa una perenne lampada innanzi all'effigie di Platone, della cui dottrina egli fu in quel tempo il più grande maestro. Quelli che non ebbero molta attitudine filosofica preferirono ad Aristotele e a Platone i filosofi posteriori, dal P. per primo messi in onore: stoici, epicurei e specialmente eclettici; Cicerone fu il maestro di questi, che da lui si chiamarono Ci\ ceraniani: e fra essi furono, oltre il Valla, il Nizolio^ il Vives, il Ramo ed altri. Ma in ogni modo e i platonici e ì ciceroniani [furono ugualmente avversi alla Scolastica: i primi per la dottrina medesima che essa insegnava, gli altri anche per la forma barbara e per i procedi 1 menti artificiosi. Insieme alla morale filosofia P. aveva \/ risvegliato la filosofia sociale e polìtica. Già Dante alle dottrine scolastiche e alla concezione d’AQUINO (vedasi) del sole e della luna (rappresentanti l'uno il potere pontificio, l'altro l'imperiale) aveva sostituito l'altra dei due soli uguali e indipendenti fra loro. Il Petrarca vide i due soli oscurarsi: e però nel suo pensiero religioso e patriottico egli già prenunzia Giovanni Boccacci che deriderà finamente papi e papato, impero e imperatori; e Marsilio di Padova che stabilirà la Chiesa essere costituita da tutti ì fedeli, alla assemblea dei quali il papa deve essere ossequente, e, combattendo la donazione costantiniana, proclamerà l'assoluta povertà di Cristo. Il problema politico poi non sarà mai più abbandonato: anzi nella pienezza del Rinascimento sarà argomento de' studi di profondi pensatori, che son la gloria della nostra filosofica tradizione. La quale vediamo sorgere da molteplici connubi di opposti elementi: da una parte cioè congiunge il sentimento italiano profondamente cristiano all'odio contro la Curia e contro i corrotti e corruttori pontefici, e assale la cupidigia e l'avarizia della Chiesa; dall'altra tempra il misticismo inerente al cristianesimo col sano risveglio dell'eredità latina,, sociale e politica, A tutto questo poi si aggiunga lo spirito di libertà, del quale P. aveva dato sempre splendido esempio, ribellandosi per primo a tutte le autorità antiche e moderne, filosofiche e teologiche, qualora non gli garbassero. « Nihil saeculis nostris invisius quam haec duo: veritas et libertas >: così egli scriveva; e però è vero che dà il nome di divini filosofi a Platone, a Cicerone e ad Agostino, ma eoa grande alterezza soggiunge: « ma rautorità di essi a me non toglie la libertà del giudizio » (^**). E altrove, dopo di aver chiamato volgo spregevole quelli che déiVipae dixit si facevan arma di logica, soggiunge che debbon esser guide al filosofo: « et auctoritas et ratio et experientia . I tempi eran maturi perchè con la voce di Martin Lutero s'elevasse anche quella di Galilei e di Bacone. Seguitando a raccoghere nel Rinascimento italiano quelle auree fila che nel P. hanno principio, non sono certamente da trascurarsi i due caratteri principali che P., quasi senza avvedersene, diede al pensiero filosofico e religioso: cioè il carattere naturalistico e l'altro psicologico: l'uno condusse poi in filosofia al panteismo di Giordano Bruno e al naturalismo scientifico; l'altro diede al sentimento religioso italiano una forza potente a tradursi in grandissime manifestazioni artistiche e letterarie. II sentimento della natura in Francesco P. è affatto nuovo, e traspare profondo da tutte le sue opere. Leggendo la vita di questo letterato si rimane meravigliati della quantità de' suoi viaggi e dell'intensa curiosità che lo spingeva a vedere terre lontane e costumi stranieri. E oltre Vltinerarium Syriacum molte altre sono le cagioni per cui egli meritamente è annoverato fra i geografi più importanti di quel tempo. Così suscitando l'amore di nuove cose e distruggendo pregiudizi e allargando le idee, P. preparò gli animi ai benefici effetti che produsse la scoperta del nuovo mondo. I viaggi, dice il Kraus, hanno aperto gli occhi a quest'uomo straordinario, e per mezzo di lui l'umanità del Medio evo già declinante scoperse la magnificenza della natura che ci circonda. I viaggi infatti nel Medio evo si intraprendevano per fini militari o commerciali o religiosi; non per essere scopo a se stessi. P. superando difficoltà incredibili e pericoli e disagi per strade spesso difficilissime viaggiava: viaggiava per viaggiare e per vedere uomini e cose, popoli e costumi di lontane regioni (^^^). Così egli è il primo che si recasse a un'ascensione alpina col solo scopo di godere di lassù un'idea: la grandezza del paesaggio e dei monti. E di lassù egli scoprì nell'infinito panorama la storia del mondo e dell'uomo e dell'ultramondano: e al Medio evo, discesone, rivelò il nuovo pensiero. La lettura di sant'Agostino lassù e le considerazioni mistiche che dal profondo dall'animo gli suggerì, dimostrano quanto fortemente al sentimento della natura egli congiungesse lo spirito religioso dell'anima sua. Ma un'altra cosa scoprì P. dalla cima del Ventoux: scoprì che niente al mondo è più meraviglioso dello spirito umano. Dante nella Vita Nova dà senza dubbio un esempio di psicologica trattazione di cose umane; ma P. trovò un sentimento psicologico tutto moderno, il quale consiste nell'irradiare fuori di sé Fanima propria con le proprie passioni e nello stesso tempo dell'anima propria far centro di tutto l'universo. Il fiore piti bello del pensiero petrarchesco, disseminato nelle opere latine, è il Canzoniere. Il De Sanctis, nel suo saggio critico sul Pe-» trarca, gli rimprovera l'abuso della riflessione nelle poesie italiane (*^*). Questo deriva da quella finissima analisi che P. fa nel suo Canzoniere delle sensazioni e dei sùbiti moti della propria psiche. Le canzoni specialmente sono alcune volte una vera poesia psicologica: fra l'altre quella: i' vo pensando; è un piccolo Secretum^ e con l'ultimo verso: E veggio 1 meglio ed al peggior m'appiglio; ridicendo felicemente il noto: tMeo meliora prcboque, deteriora sequor; conclude l'esame di una situazione perenne dell'animo umano: così nel Secretum^ dopo i molti ammonimenti di Agostino, P. risponde ringraziando, ma poco persuaso di essersi convertito. E questa lotta fra senso e ragione che nel Petrarca è alimentata dal pensiero filosofico religioso, Jfa del Canzoniere un romanzo, nel quale l'amore per Laiu-a, sensuale dapprima, si raffina e purifica sempre più finché diviene sopratutto spirituale, e il poeta parla poi nei Trionfi con l'anima della morta amica. E forse tenendo conto maggiore di questo psicologico svolgimento non si sarebbe detto che Laura è parto fantastico del P., o che nel Canzoniere si cantano molte Laure o una Laura al tutto ideale (^*^). Chi sa ben leggervi^eiitro nelle Rime scorge tutto aperto il cuore del P.; il quale, facgndo^disè specchio, ci ha descritte le piu^nrrtinie fibre del suo seriliììreiito. Il mmidaè un accessorio per lui, per ciò che egli lo esamina colorato e trasformato dalle proprie impressioni. Talora, dice il De Sanctis, pare che scherzi con l'anima propria. Così, approfittando di questo specchio che il P. ci mostra di se stesso, non sarebbe difficile, credo, seguire nel Canzoniere lo svolgersi del sentimento filosofico religioso, notandone la parte che il misticismo e il pessimismo e la ragione vi prendono (^*®). Chi ha notato, per esempio, per qual tramite ascoso vengon fuori dal cuore del poeta i confronti tra Laura e Cristo e la Vergine?. A ogni modo è certo che il colore, dirò così, psicologico, che è il carattere vero e novissimo del sentimento religioso del P., è a lui tutto proprio e ben diverso da quello che è, per esempio, in Agostino. Si prenda il Secretum e si vedrà chiaramente quanta è la differenza fra esso e le Confessioni del santo. Agostino scrive fra la calma dello spirito, quando la passione essendo passata egU poteva tranquillamente raccontarla: P. scrive il Secretum nel momento più feroce della passione , e non per altro che per dar sfogo alle lacrime e parlare con sé della passione sua (^**). Nelle Confessioni è la gioia del convertito; nel Secretum il dolore di chi cerca di convertirsi senza volerlo seriamente , perchè non persuaso che l'ascetismo e il misticismo siano tutta la «vita. Nello scritto del santo la sacra Scrittura, il vangelo, la metafisica; nel Secretum le sentenze pagane e il pensiero umano imperano. Nell'uno la propria vita 4 narrata quasi per propaganda cristiana e a scopo polemico contro gli eretici; nel* l'altro i fatti non servono che a indagare l'anima propria, che appare misteriosa e profonda e tenebrosa tanto che l'occhio a fatica vi discerne. Neppure nella Vita Nova s'arriva a tanto: essa è un commento a un aspetto solo della grande anima dantesca e non ne cerca le profonde latebre. Il Secretum è senza dubbio il primo vero ro* manzo psicologico, e toltane la forma dialogica e l'aridità che qua e là deriva dal tempo e dai modi personali del P., si potrebbe per alcuni rispetti confrontare con l'Ortis: certo non vi manca l'amore della patria e dell'arte e di tutto ciò che è bello e gentile, mescolato con quell'infinito dolore che si chiamò poi la malattia del secolo, di cui l'ultimo malato fu Giacomo Leopardi. # Il Segré nel congedare, lo scorso anno, i suoi Studi petrarcheschi (*^°) scriveva nella prefazione: L'età, di cui P. è stato l'iniziatore, è lì, lì per chiudersi, e i fulgidi albori di una novella, che scorgiamo disegnarsi baldi all'orizzonte, comincian di già ad offuscare una espressione di vita spirituale che con diverse vicende domina ormai da cinque secoli. Quella modernità petrarchesca fra breve, io credo, noi non la comprenderemo più »: ed egli esorta ad affrettarci, finché lo possiamo intendere, nello studio del P.. Ma (alcun frutto mi sia lecito trarre da questa modesto scritto) così vorrei io concludere: — Come Dante diviene ne' secoli più grande per il suo verso divino, così P. per Yumanità del suo pensiero vivrà eterno. E sempre più necessario sarà l'interrogarlo; finché sarà continuo il contrasto tra la ragione e il senso, tra l'elemento eterno e il caduco che hanno loro sede nell'inteÙetto e nel cuore umano. De Odo religiosorum, I, a pag. 307 dell'edizione latina delle opere tutte del P. stampata a Basilea nel 1554, secondo la quale sono anche le citazioni seguenti. (2) Vedi Storia della letteratura italiana VII, Francesco P., ipsig. 55. (3) Vedi gl'importanti lavori su Italia mistica e Italia parganay già pubblicati nella Nuova Antologìa, ora riuniti nel volume Dal Rinascimento al Risorgimento (Sandron 1904). (4) Questa è la conclusione dello studio Italie mystique di Emilio Gebhart. (5) Per Dante veggasi il Tocco: Quel che non c'è nella Divina Comìuedia ossia Dante e l'eresia (Zanichelli 1899). Il P. poi nel De Odo (pag. 305) elogia Agostino perchè combattè coloro che avean predetto che il regno di Cristo non sarebbe durato più di trecentosessanta anni: forse P. pensò che le predizioni ioachimite e le altre fossero un seguito di quelle antiche avversarie del Cristianesimo. Egli infatti poco oltre (pag. 508) distingue le eresie in rispetta solo al dogma dell'Incarnazione (laddove le profezie ioachimite riguardavano l'avvento dello Spirito Santo) in due classi: l'una egli dice, fece di Cristo solo un Dio, l'altra solo un uomo. E (cosa ben strana questa ignoranza in Dante e nel P. del moto ereticale contemporaneo) seguita dicendo: ma la verità è ora divulgata tanto che neppure su r animo di una vecchia (anicula) fa presa, perocché anche senza dottrina soio con la fede e la semplicità essa si difende. Invece il male del suo tempo P. afferma essere un* obiezione contro la fede, la quale, sebbene faccia molto paura a messer Francesco, pur non è una vera eresia, ma un dubbio incredulo e (come ei lo chiama) specioso; ed è questo: se Dio voleva salvare gli uomini poteva dar loro forza maggiore o comandare cose men dure. Egli non confuta il dubbio, ma si rivolge pregando a Dio, e afferma contro le predizioni in generale che è Satana che ci tenta alla prescienza, « quae nec possibilis est homini nec necessaria profecto nec utilis », « cita, fra altro, il De divinatione di Cicerone. E neìVEp, sen. I, 5 a Giovanni Boccacci, a proposito della nota profezia fatta da un frate all'autore del Decamerone, scrive di diffidare delle profezie dei viventi: « nuovo e inusitato non è che fole e menzogne si coprano sotto il velo di religione e di santità, e del giudizio di Dio si faccia mantello alla frode e all'inganno ». Per il moto ereticale veggasi specialmente il lavoro del Tocco: L'eresia nel Medio evo (Firenze 1886, Le Monnier). (6) Cfr. Vita solitaria, 1. II, sectio VII, 1. (7) Cfr. oltre il Barzellotti: op. cit.; anche il Fiorentino: Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento (Napoli 1885) IV: opera postuma a cura dell' Imbriani. (8) Cfr. La filosofia nel periodo delle origini in Vita Italiana, primo volume. (9) Così il Conti nelle sue importanti lezioni di storia della filosofia (S. Tommaso e Dante). Del resto questo non potè alcuno affermare del De Monarchia, nel quale il pensiero di Dante è ben lontano dal tomista. Cfr. anche un mìo lavoro (Del sistema filosofico dantesco -nella Divina Commedia — Zanichelli 1902), nel quale cercai vestigia di platonismo nella Divina Commedia. (10) Vedi Tocco: L'eresia nel Medio evo, Introduzione. (11) Così nel De unitate intellectus contra Averroistas. (12) Cfr. De Bemediis utriasque fortune^: I, dialogo 46 e 112. Gfr. passim scrìtti del P.. Per esempio EpiatóloB fam, I, e XII, 3 (le cito nell'edizione del Fracassetti). (14) Ep. fam. I, 11. (16) Ep. fam. I, 6. (16) Gfr. Rerum memorandarum, II: Aristoteles. (17) Vedi Renan: Averroés et Vaverroisme. Essai historique. deux part. eh. II, 15 pag. 301 e segg. (18) Vedi V. De Giovanni: Le prose morali e filosofiche di Francesco P. in Francesco P. e il suo secolo pubbl. nel VII centenario della morte del P.. (19) Si vegga nel De Vita solitaria II, sectio IV, % in cui dopo avere confrontato i principi cristiani con Maometto, tratta: « De reprehensione regum et principum nostrorum qui somno, voluptacibus, turpibus lucris, subditorum spoliationibus oc caeteris vitiis imcumbunt, et nullus eorum Terrae Sanctae dispetti dio movetur ». (ao) Gfr. Senili XV, 6. (21) Gosì intendendo V opera del P., essa acquista ben maggiore importanza di quel che non parve al Voigt. (Il risorgimento dell* antichità classica — traduzione italiana del Valbusa, Sansoni, Fireuze, Voi. I, I.), che accusa P. di avere esagerate le note critiche mossegli dai quattro averroisti veneziani per farsi bello con il suo libro De sua ipsius. Il Bartoli poi (opera citata, pag. 12), certo seguendo il Voigt, dice che esse furono un innocentissimo scherzo! Si cfr. an^he ep. fam. V, 11 e 12. (22) Gfr. ep. sen. XV, 8. (23) Gfr. Ep. sen. V, 2; XIII, 5. (24) Quanto all'empietà e irreligione del tempo si veggano, fra altro, le ep. sen. Vili, 3; V, 2. (25) Gfr. oltre Sine titulo, X; Ep. sen. XV, 6 e 8. (28) Vedi Fiorentino op. cit. Ili: il quale si fonda sul seguente brano del De sua ipsius: « Neque graecos tantum, sed in latinum versos aliquot nunquam alias visos (Platonis libros) aspicient... et quota ea pars librorum est Platonis, quota ego his oculis muItoB vidi, praecipue calabrum Barlaam modemum graia specimen sophiae, qui me eie. » (Op. p. 1054). Il periodo monco e sgrammaticato fa pensare purtroppo a una lacuna che sarebbe importantissimo colmare. Forse per questo il Voigt non ne parla. («) Ep. fam, XVIII, 2. (28) Veggasi infatti la nota 26: dal periodo ivi citato pare potersi ciò dedurre. (») Il Fracassetti nella ep, fam. III, 18 dà Fedone, e parlandosi delia morte di Catone potrebbe darsi che s'avesse a intendere Fedone anche nella ep. fam, IV, 3. (30) Cfr. Fiorentino: op. cit. III. ' (31) Con quanto poco pudore P. si sarebbe fatto dire, per esempio, nel dial. II del Secretum da Agostino: « Hctec tibi ex Platonis libris familiariter fiata sunt »/... (34) Rerum mem. 1; Plato. ' (33) Quanto ad Aristotele dice nel De sua ipsius: « omnes morales, nisi fallor, Aristotelis libros legi, quosdam etiam audivi ». (3*) Ep, fam. IV, 15 e 16. (35) Ep. fam. XVIII, 2. (36) Cfr. Rerum Mem. I: Aristoteles. (37) Ho scritto creazione, ma P. non usa questa parola che sarebbe impropria. Cfr. De ocio religiosorum I. (Op. p. 300): 4( unum fabricatorem (è il demiurgo o architetto di Platone) mundi Deum a Platone, et a discipulo eius Aristotele unum principem ». (38) Notava poi che Aristotele era morto di sessantatrè anni, numero infausto: intorno a questo arino della vita climaterico cfr. anche Ep. sen. VIII, 1. (39) Dante nel canto IV del Purgatorio non interpretando rettamente la dottrina platonica, la condanna. (40) Ep. fam. XII, 14. (*i) Rer. Mem. loc. cit. (*2) Vedi: parte settima di questo mio lavoro. — 99 — (*3) Vedi De OciOy II (Op. p. 316). (4t) Anche qui nota differenza da Dante: e. IV del Paradiso. (*6) Cfr. ep. fam, XVIII, 1; e per quel che segue sopratutto Ber, Mem. loc. cit. Inoltre come egli alia religione conformasse tutte le sue opinioni cfr. Ep. sen. Vili, 1. (*») Vedi De Ocio I (Op. p. 307). Anche il Ficino notò questo, come ricorda il Fiorentino (op. cit. II), nel Tom. 2, pag. 855. (47) Op. pag. 313 e II. (tó) Ep. fam. XVII, 1. (*») Ep. fam. X, 5. (50) Ep. fam. II, 9. (ói) Sul preteso cristianesimo di Seneca vedi Fieury A.: JSaint Paul et SenSque: recherche sur Us rapporta du philo^ophe avec VApòtre. Paris, 1853. Ma oggi non ci si crede più. (M) Ep. fam. VI, 2; e XVII, 1. (53) Ep. Sen. VII, 1; Ep. fam. XXII, 10. (54) Ecco, per esempio, come egli spiega l'origine delle stimate di san Francesco: « Dalle stimate di Francesco questa certamente è T origine; tanto assiduo e profondo fu il suo meditare su la morte di Cristo, che piena avendone Tanima, e parendogli d'essere anch' egli crocifisso col suo Signore, potè la forza dì quel pensiero passar dall'anima nel corpo, e lasciarvene impresse visibilmente le traccie ». Cosi nell'jg^. sen. Vili, 3. Quale differenza fra queste parole e il pensiero che jnosse Zola a scrivere il suo Lourdes? (66) XVI, 8. (66) il, sectio III, 4. (57) Op* p. 107. E' notevole l'umorismo, che spesso divien •sarcasmo asprissimo, del P. quando parla dello stato della Chiesa. Cosi nell'ep. fam. 5 del libro XVII, vituperando il matrimonio aggiunge: del restp ci son turbe di sgualdrine «he rallegrano anche i vescovi e i monaci ecc.. E in un'altra (XX, 2) il palafreno del Legato calcitrante contro quello dell'imperatore, gli fa comprendere "^che il Papa era la causa vera di tutti ì mali d'Italia e di Roma, perchè egli « è contento che Imperatore si chiami, ma punto non si fida di dividere con lui l'impero ». E già prima (XV, 5) aveva amaramente osservato: « Ell'è gran cosa calcar la sede di Pietro» gran cosa ell'è vedersi assiso sul soglio dei Cesari! ». (58) Su '1 significato del verso, anche oggi variamente interpretato, vedi i commentatori; e Tocco: Dante e V eresia. Credo che quel che sono per citare dell'opinione del P. dimostri anche più decisamente trattarsi veramente in quel verso di Celestino V. (50) Ep. fam. VI, 1. (flO) Il Fracassetti naturalmente (vedi in nota) disapprova le parole del P.. (61) Forse anche il Voigt è di questa opinione, là dove dice che P. nel De sua ipsius più che il Cristianesimo in sé difende il proprio (cfr. op. cìt. I, pag. 95). (62) Ep. fam, X, 4, (63) Cfr. Fiorentino: La filosofia della storia di Francesc(y P. (in Giornale Napoletano di lettere e filosofia, 1874) e mio lavoro su l'Africa di Francesco P. (Bihliot. Petr. del Biagi e Passerini — Le Mounier 1902, pag. 73 e seguenti» e 168 e seguenti). (64) Cioè il De vera religione citato dal P. molta spesso, e il De doctrina Christiana ecc. (66) Cfr. Ep, sen. Vili, 6: « Negli ultimi tre libri manifesta i suoi dubbi, e spesso ancora, per ciò che riguarda le divine scritture, la sua ignoranza ». E dalle Confessioni egli già vecchio diceva di aver preso amore allo studio della sacra letteratura, togliendosi alquanto dal soverchio amore per la profana. Insomma gli ultimi libri egli li considera, in quanto sono in seguito dei primi, sotto il rispetto tra filosofico e religioso, ma più assai religioso che filosofico. — Delle Confessioni, per la parte psicologica, riparleremo più oltre, a proposito del Secretum. (66) Questo forse intendeva P. quando, parlando della Divina Commedia a un amico, avrebbe detto essere quella opera non d'uomo, ma dello Spirito Santo. (OT) De Bem. II, 40. (68) De ócio: Op. p. 306. (89) Presso la toniba del P. in Arquà. (70) Gfr. I seetio IV, 3. La misantropia era contraria al carattere medesimo del P.; il quale amava molto le liete brigate di amici, e scriveva lettere'a tutti continuamente. P. P. Vergerlo cosi nella Vita P.e scrisse di lui: 4( Erat mirae iucunditatis comitatisque singularis ut nulius esse cum eo moestus posset ». E anche il colore ascetico che ha qua e là il trattato è postumo. Si vegga VEp, «en. XVI, 3, nella quale P. narra le aggiunte fatte per compiacere gli amici appartenenti agli ordini religiosi, che con lui si dolevano di non aver egli parlato de' santi loro fondatori: e ci fu un domenicano che voleva far comparire tra i solitari anche san Domenico! Q^) Ep, fam, XVII, 4: « non in servigio altrui, ma per fame mio prò, e perchè dì quell'affetto mio per il sopravvenire di nuovi non s'abbia in me a ingenerare dimenticanza ». (72) Gfr. I seetio IV, 1. (73) Gfr. I seetio V, 1; e II seetio IX, 7. (74) II; sect. IX, 6. Inoltre: Ep. sen. XI, 3. (75) I; sect. IV, 9. ' (76) II, sect. II, 8. (77) Gfr, ep, fam. VI, 1: « Ghe se le lettere famigliari come scherzando e quasi sempre nell'agitazione de' viaggi soglio dettare, quando si tratta di comporre un libro, di solitudine di quiete di tranquillità di assoluto e non interrotto silenzio sento bisogno ». E Leonardo Aretino nella Vita di Francesco P.: 4c Era solito dire che solo il tempo della sua vita solitaria poteva chiamare vita; perchè l'altro non gli era stato vita, ma pena ed affanno ». (78) Gfr. inoltre Ep. fam.Vita Sol. I: sect. IV, 7. (81) Ep. fam. Ili, 12. (81) Op. cit. (83) S. Bonaventura: OpuscuL (Opp. omn. t. VII — Romae) 1596. (84) Ep. fam. XI, 3. (85) Prose (Le Mounier): saggio sul P. pag. 34. (86) Ep. fam. II, 5: « Frattanto, il confesso, checché i filosofi ragionino intorno al modo di soggiogare le passioni, a me per brevi strade esse giungono e mi fanno bersaglio de* loro insulti. Che questa legge a me fu data insieme col corpo dal di che nacqui: molto per la compagnia di esso avere « soffrire ». E' la bancarotta della filosofia speculativa!... (87) La causa della differenza è data dal P. medesimo in un luogo importante del Rerum Memorandai'um (II, Dantes), nei quale (còsa, per quanto io so, non accennata pur da gi*andi critici che trattarono della nota questione su le relazioni fra Dante e P.) si accenna forse al vero motivo della freddezza del P. verso Dante: « Dantes Aligherlus, vir vulgari eloquio clarissimus fuit, sed moribus parum, per contumaciam, et oratione liberior, quam delicatis ac studiosis aetatis nostrae principum auribus atque oculis acceptum foret >. Ma se P. fu accetto, è a pensare che, mutati i tempi, nelle corti de' Signori si annidava, come dice il Voigt, l'umanesimo. (88) Gfr. le epistolae: passim. Per esempio adposterose fam. IV, 10. (8») Ho svolto questo pensiero un po' più ampiamente in un volumetto: Il pensiero italiano e la Criovine Italia, in: A. Carlini e G. Gasperoni: La Giovine Italia (Iesi, Tipografia Editrice Cooperativa, 1904, pag. 35). (W) Gfr. Secretum: diah I. e passim gli altri scrìtti dianzi citati. (»i) Ep. fam. Vili, 8. (92) Dial. II. Per altri raffronti vedi mio Studio su V Africa citato, specialmente per il raffronto fra Magone (che è il Petrarca) e il iTeopardì (pag. 107 e seg.). (93) Canto di un pastore ecc. Ma già c'era 11 biblico: « natile homo de muliere, brevi vivens tempore ecc. ». (»*) Secretum I, Africa I e V, Mime (ediz. Carducci e Ferrari): . Per il Leopardi cfr. Vita Solitaria v. 34 e seg. e V Infinito ecc. (8B) Ep, fam. II, 8. (96) « Rapido stellae obviant firmamento, contraria invicem dementa confligunt, terrae tremunt, maria fluctuant ecc. » E seguita lungamente. Nota fra altro le fini osservazioni dell'odio nell'atto generativo. Concludendo: * nil sine lite atque offensipne genuit natura parens »; e: le còse più forti sono il sepolcro delle più deboli ecc. . (97) Ep. fam. III, 11. (96) Opera di bizzarro e coltissimo ingegno è il Le remediis. Con copia meravigliosa di esempi, detti,» fatti, sentenze di filosofi, di scrittori, di guerrieri, di scienziati greci, romani, sacri, antichi e moderni; con fatterelli di storia e interpretazioni di miti e di costumi e saltuaria conoscenza di tutto lo scibile; sono qui raccolti con un criterio morale e psicologico svariatissimi argomenti di considerazioni diverse. Il De remediis somiglia grandemente ai Pensieri di Giacomo 1 Leopardi. (99) E in ep. fam, IV, 16: « io non so se non sia meglio talvolta starsi nell'errore contento, che non sempre essere triste per la conoscenza del vero ». (100) Così nella citata prefazione. Han torto coloro che si lamentano della noia che la lettura di questo trattato produce: esso non era un'opera letteraria, ma un vademecum, per cosi dire, di utilità morale, fatto non per i filosofi, ma per la comune degli uomini. Cfr. Ep, sen, VIII, 3. (101) pag. 108. (102) Il pensiero filosofico de' Trionfi è già neìV Africa: per il cfr. col Leopardi vedi mio studio citato pag. 71 e seguenti. Nel Secretum sono anche (come nello scritto leopardiano) già •enumerati i vari casi della fama. Per le Epistola poi vedi qua e là diffusamente; per esempio ecco il tessuto della prima delle familiarea (no» bisogna travagliarsi per la fama prima di morire perchè vivendo non possiamo ottenerla): « Raro è che trovin plauso scritti e imprese di chi ancor vive: comincian dalla morte le lodi degli uomini. Vuoi tu che sian lodati i tuoi scritti? e tu muori. Anzi finché rimanga in vita alcuno de* tuoi contemporanei non avrai piena la lode che assetisci. Per la molta dimestichezza ancora ed il frequente •convivere T ammirazione degli uomini suol venir meno. Gli «ruditi poi e i pedanti sdegnano d'indagare il merito dello scrìtto, se credono di conoscerne Fautore. Giungono viventi a fama solo coloro che con grida sostengono la loro gloria: ma morti perisce la fama loro. La gloria è un flato di vento: è un fumo, un*omhra, un nulla ». Si confronti ora questo tessuto con l'altro dello scritto leopardiano, e si vedrà che è identico nella tesi e nello svolgimento e nella conclusione: sì ch'io credo il Leopardi essersi ispirato al P.. Cfr. terzo dialogo. (104) II, 8S. Cfr. P. 's. Leben und Werken (Leip. 1878, pagina 561). (106) Per questa parte basti citare i grandi lavori di Pierre de Nolhac: P. et rhumanisme e l'altro De codicibìis et patriium medi aevi ecc. (107) Non è giusto dunque rimproverare al P. le continue citazioni: chi ben le intende vedrà che esse non sono vana pompa di erudizione, ma un fenomeno artistico e filosofico importantissimo. (106) Per citare un solo esempio, egli crede spesso con gli Stoici che la felicità vera consìsta nella virtù sola, e nello stesso tempo li chiama crudeli e preferisce i Peripatetici che ammettono che anche il dolore è un male (cfr. De Bem. II, 114) e poi ep. fam. Voigt, per esempio, lo crede stoico; il Bartoli e il Koeting scettico; il Kraus (F, P. in seinem Briefwech" .sei) sccMtico; molti accademico; molti mistico ecc. (liO) Quanto alla parte considerevole che ha il razionalismo, basti citare il De remediis, nel quale la E(mione da sola sostiene i dialoghi col Gaudio e col Timore; nel Secretum Agostino che cita sempre i classici e i pagani è 1* imagine della ragione, che egli invoca molto più spesso e volentieri dei libri santi e dei dogmi. Cosi nelle altre opere del P.. In conclusione egli non è mistico perchè rctgiona, non è razionalista perchè è credente, cioè ha una fede indiscussa. Ep, fam. I, 7. Cosi nel Secretum (dial. II) distingue il verlmm oris dal verhum mentis, (iw) De Bem. quella parte (I, 12) che forma il 1. dialogo del De Vera Sapientia (il secondo dialogo è del Cusano). ivi. (11*) Cfr. De odo (Op. pag. 311): « Optat adversarius noster non ut discamus, cui ignorantia nostra gratissima, scire permoléstum est ». ^p. fam. I, 8. Ep. fam. I, 2. 'anche De Bem. II, 117: Quest'ufficio egli notava che ebbe già la filosofia antica, e però aggiunge; « perchè non Tavrà la nuova filosofia cristiana, la quale è somma, e vera filosofia? ». (118) Ep. fam. I, 2. (119) Non parlo di alcuni miserabili denigratori che giacciono meritamente ignorati. Ma di numerosi critici moderni pur anche autorevolissimi, i quali hanno iniziato un genere di critica che, per questo rispetto, è tutto fondato su la diffldenea delle parole del P., il quale ne' loro libri diviene un monumento di orgoglio, di vanità, di leggerezza, di menzogna, di avarizia, di parassita, di buontempone, di lussurioso, di traditore, e via via. Insomma per farlo uomo^ dacché prima ne avean fatto un dio, lo han fatto un po' birbante, un birbante geniale e burlone a cui molto si può perdonare. Chi ha dato il cattivo esempio, credo che siano stati i tedeschi. Il Voigt, per esempio, nella sua nota. opera, monumentale opera sul Risorgimento, alcune volte mi pare evidente che non abbia compreso Tanima italiana e lo spirito del P.. Il Kraus (op. cit.) arriva a fare del P. un esteta né più né meno, e fuori dell* estetica non vede. in lui nient*altro; e ragiona cosi: P. dice la tale o tal* altra cosa? non credetegli, perchè parla per posa o per fantasia poetica. Insomma facciamo si del P. un uomo, uomo con i suoi difetti: ma non esageriamoli; non separiamo Tuomo dalPartista, il cittadino dal letterato, anche perchè andremmo contro la nostra storia, la quale dimostra che da Dante al Carducci Tonestà della vita ne* maggiori scrittori non si disgiunse mai dalla grandezza artistica. Il Kraus del resto (op. cit. VI) non cita bene quando dice che P. per un*idea estetica preferiva zoppicar d*un piede piuttosto che d'un verso: il P. al contrario (cfr. Ep. fam. XVI, 14) biasima i poeti del tempo ì quali preferivano zoppicare in morale piuttosto che in poesia. (1») Ep. fam, XI, 3. (121) Ep. fam. I, 8. (IM) op. cit. Ep. fam. V, 10. Ep. fam. XIII, 5. Cfr. la celebre canzone: Italia mia ecc. (i«) Cfr. De Bem. I, 105. (127) Cfr. fra altro Varie, 48. Né era solo fuoco di paglia, come suol dirsi: che nel De Bem. (II, 118) pur riprovando il suicidio di Catone, fa l'elogio di Bruto: « patrìae servi tus et tyranni facies potius repellenda quam morte declinanda sunt »; e se Catone si uccise per non vedere il volto del tiranno, ci fu chi lo riguardò: « Brutus aspexit et illius potius morte tollendum, quam sua morte fugiendum censuit: id est enim viri opus, hoc feminae ». Dante nella Divina Commedia approvò Catone, punì Bruto; ma non sì venga ora a dire che nel P. è minore grandezza che in Dante, nel rispetto politico! (1») De Bém. I, 39. (1») Ep, fam. IV, 7 ecc. Ep. fam. XI, 16 e 17. Gfr. un mio articolo sul pensiero politico di Dante, in Giornale Dantesco (diretto da G. L. Passerini) X, 8-9. Del resto il pensiero politico del P. è lo stesso di Gola, Quanto sbaglia il Kraus a giudicar Gola un pazzo! Ma il Gaspary già ha avvertito che per P. Impero e Repubblica sono la stessa cosa (cfr. Storia della lett.: P.). (1») Ep. fam. XIX, 1. Cfr. Ep. fam. XXIII, 2; XIX, 12 e De Rem. I, 116. (134) Vedi Canzone ali* Italia. Quanto al patriottismo del P.: per T emancipazione deiritalia dal giogo straniero (ut corpìM italicum labe barbarica purgatum medullitus agnoscam) cfr. ep. fam. XI, 13 e XVIII, 16; per Tunione di tutti i popoli e principi italiani, ol^re le Bime, cfr. ep. fam. XVII, 6; XIX, 9; per la grandezza d'Italia cfr. poi passim tutte le "opere latine e volgari, ma mi pare che nella celebre canzone alF Italia sìa tutto riassunto mirabilmente il pensiero petrarchesco. (135) Si noti che P. loda Roberto, nel De Ocio (1. II Op. p. 315) per una ragione affatto religiosa: « Siculus rex Robertus sub cuius temporali regimine aeterno regi servientes suaviter quievistis (parla ai monaci di Montrieux) ». Cfr. Dante che chiama similmente, ma con disprezzo, Roberto re da sermone. Cfr. Ep. sen. XIV, 1: come Dio premi l'amor di patria. Op. cit. Ili e seg. (138) Vedi in Fiorentino, loc. cit. Fiorentino: loc. cit. (141) Ep. fam. XX, 6; III, 6. (i«) Secretum, III. (1^) Certo FHumbolt, che nel Gosmos diceva nelle lettere del P., tranne che in quella che descrive Tascensione al Ventoux, non aver trovato il sentimento della natura, non le lesse bene. Ecco per esempio un bellissimo argomento di arte moderna: la festa di san 6. Battista in Colonia: Ep. fam, I, 4: « Era la vigilia del Battista... e il sole si avvicinava al tramonto. Tutta la riva era coperta da immensa e splendida folla di donne. Io ne stupii: Dio buono! che belle figure, che volti, che abbigliamenti. Chiunque avesse avuto libero il cuore da altra passione, avrebbe trovato di che innamorarsi. Io m*era fermato in un punto alquanto piii alto, onde ben si scorgesse quel che accadeva. Incredibile e non punto molesto era il concorso: e le vedeva a mute a mute tutte festose, e parte aventi nel grembo erbe odorose, rimboccate le maniche in su i gomiti, lavar nel fiume le mani e le candide braccia, non so quali dolci parole mormorando fra loro in lingua a me ignota ». E P. si duole di non intendere le loro parole. Per questa parte si veggano specialmente gli articoli dello Zumbini (Il sentimento della natura e Ascesa al Ventoux in Studi Fetrarcheechi), e il Carducci (P. alpinista) e il Pierre de Nolhac, e il Bourckardt (la nota opera sul Risorgimento italiano, II, 74 ecc.). Fra le altre bellissime descrizioni nelle lettere, si notino: ep. fam, XIX, 13: una splendida e nuova pittura delle bellezze della Riviera; VIII, 5: un freschissimo quadro delle bellezze alpine; Senili VII, 1: mirabile descrizione del lago di Garda. Quest'ultima darebbe buon argomento a chi ne volesse fare un confronto con la bella, ma fredda descrizione dantesca (Inferno, XX 70 e seg.), per rilevare roriginalità e l'elemento tutto moderno proprio al sentimento della natura del P..Affatto filosofico è il seguente sonetto: S'amar non è, che dunque è quel chHo sento? Ma, s'egli è Amor, per Dio che cosa e quale? Se bona, ond'è l'effetto aspro mortale? Se ria, ond'è si dolce ogni tormento? S'a mia voglia ardo, ond'è 'l pianto e lamento? S'a mal mio grado, il lamentar che vale? viva morte, o dilettoso male. Come puoi tanto in me, s'io no *l consento? E s*io "l consento, a gran torto mi doglio. Fra sì contrari venti in frale barca Mi trovo in alto mar, senza governo, sì lieve di saver, d'error sì earca, ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio; e tremo a meeea state, ardendo il verno, (146) L'ultimo lavoro in proposito è quello del Sicardi: Gli amori estravaganti e molteplici di Francesco P. e l'or more unico per M. Laura de Sade (Hoepli 1900); nel quale combatte il Cesareo e altri, e conclude Laura essere stata runico amore del P.. Per i limiti stessi di questo scritto non ho creduto apportuno svolgere maggiormente Pesame del Canzoniere. (147) Cfr. Bime (ed. del Carducci e Ferrari):. (148) Cfr. ep. fam. VI, 4 e XIII, 7 nelle quali confessa ch'egli scrive per sfogar l'animo, perchè (dice) ha bisogno di scrivere. Firenze, Mounier. Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, P. rilancia, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in chiave assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma – gode la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene alla fazione dei guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P. trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre è solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si riune ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, ALIGHIERI. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la corte pontificia grazie all'intercessione di Prato. Nel frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida di Prato, amico del padre che è ricordato dal P. con toni d'affetto nella Seniles. A questa scuola, presso la quale studia, conosce uno dei suoi più cari amici, Sette, al quale P. indirizza la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà P. (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato mentre è proprietario Valdezocco. L'idillio di Carpentras dura fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Sette sono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier è funestato dal primo dei vari lutti che P. affrontare: la morte della madre. Il figlio, ancora adolescente, compone il Pangerycum defuncte matris -- poi rielaborato nell'epistola metrica -- in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decide di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA, anche questa volta accompagnati da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita quotidiana dei figli. In questi anni P., sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si lega ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Virgilio e BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici e la biblio-filia. Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non sono tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio in seguito a LA DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il fratello e SETTE a ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per riprendervi gli studi fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso Zambeccari. Ser Petracco muore permettendo a P. di LASCIARE FINALMENTE LA FACOLTÀ DI DIRITTO A BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare una fonte di sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno remunerativo. Lo trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a P. di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha bisogno per iniziare i studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite filosofica romana. Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi dei Colonna, P. compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, e Lione. Particolarmente importante è allorché, nella città di Lombez, P. conosce Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la raccolta epistolare delle Familiares. Poco dopo essere entrato a far parte del seguito di Colonna, prende gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui è investito. Nonostante la sua condizione di religioso -- è attestato che P. è nella condizione di chierico – ha comunque un figlio nato con una donna ignote, figlio tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta. Secondo quanto afferma nel Secretum, P. incontra per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di lunedì, la donna che è l'amore della sua vita e che è immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura suscita, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse. Identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade -- morta a causa della peste. Altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'ALLORO filosofico -- pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile -- suprema ambizione del filosofo P.. P. manifesta già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità filosofica, professando una grandissima ammirazione per l'antichità romana. Oltre agli incontri con Virgilio e Pistoia, importante per la nascita della sensibilità filosofica di P. è il padre stesso, fervente ammiratore di CICERONE e di tutta la giurisprudenza latina. Difatti ser Petracco, come racconta P. nella Seniles dona al figlio un manoscritto contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE e un codice delle Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo. In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, P. compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e comincia a frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il professore regala a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumenta ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, P. si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis Historia di PLINIO il Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre e ri-copia il codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La farandola di P.”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con Benedetto XII, un rapporto epistolare -- Epistolae metricae -- con cui esorta il pontefice a ritornare a Roma e continua il suo servizio presso Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera averlo con sé. Giuntovi nella città eterna P. puo toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'impero romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, P. compra una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente comincia a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che durante le assenze di P. è affidata al fattore Chermont -- è anche il luogo ove P. puo concentrarsi nella sua attività filosofica e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti -- a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle -- con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. È in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza filosofica, incomincia a stendere i due saggi che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. Il primo saggio, in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello etico insuperabile della virtù civile della repubblica romana. Il secondo saggio e un medaglione di XXXVI vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degl’antichi, diffusero presto il nome di P. al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'ALLORO con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del filosofo laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali il Regno Unito. Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto e grande filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO. Se i primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona -- SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica “innovatrice” a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione filosofica. Difatti, nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione filosofica a Parigi. Proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge analoga dal senato di Roma. Su consiglio di Colonna, P., che desidera essere incoronato nell'antica capitale dell'impero romano, accetta la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione. Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, P., accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì all'incoronazione a filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di P. – la collatio laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte del senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana -- la data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta a Parma, sa della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da un lato le morti prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto. Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola di Rienzo -- giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano instauratosi a Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le spetta di diritto. È nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre è nominato arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per abbandonare i suoi protettori. Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna. A fianco di queste esperienze private, il cammino del filosofo P. è invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P. scopre nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad Atticum” e “ad Quintum fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria. Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI, con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge dalle mani. Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna, P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione. Pertanto, lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma, dove stringe legami con il signore della città, Luchino Visconti (si veda: “Morte a Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del P.: i fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre, anche Colonna; e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di un protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio. Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi codici classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del comune fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio fiorentino – meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia -- i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI -- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prende la decisione definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa commemorativa del soggiorno meneghino di P. situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio. P. inizia il viaggio verso la patria, accogliendo l'ospitale offerta di Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degl’amici fiorentini -- tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio -- che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO NEMICO DI FIRENZE. P. collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente politica viscontea. Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si rallegrerebbero di avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale scelta discutibile agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare tra P. e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P. situata nei pressi di S. Ambrogio sono le prove della concordia ristabilita. Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo elabora la sua filosofia, dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una filosofia fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che puo guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso l’accademia e il portico. Con questa convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle Familiares e, l'avviamento delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae Metricae -- e quelle volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere. Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De remediis utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano per Padova, città da cui fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppelle il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia, nella chiesa di S. Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si reca a Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva degli Schiavoni in cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana è molto amata da P., che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiede stabilmente -- tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita Boccaccio e Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare a Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza. L'episodio è l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et multorum ignorantia”, in cui P. difende la propria "ignoranza" in campo del LIZIO a favore della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti all’accuse rivoltegli, P. decide di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima. La casa di P. ad Arquà P., località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove vive il filosofo. Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di stabilirsi a Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P., assegnata a lui in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova dona poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia della figlia, si alterna prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina al duomo di Padova, allietato spesso dalle visite dei suoi amici ed estimatori, oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Seta, che daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE), come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere l'orazione nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla presenza di Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il TESCHIO, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro è femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo proprio cranio. Il resto dello scheletro è invece riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa maggiormente a P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo moderno. Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici, sopra totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai significativo simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato e la ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il precursore. Per quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice, l'attuale codice oggi detto l’Harleiano. P. si dedica a quest'opera di collazione, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente anche la IV decade. Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al preumanista padovano Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P. puo procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un codice composto di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva nella Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano è sottratto al SACCHEGGIO FRANCESE da Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani, poi acquistato da Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra P. e il divino, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di CICERONE non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone: Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum praecipiti gaudere loco; status iste procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente la posizione di P. verso la cultura contemporanea. La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a P. che distragga pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che P. contrappone alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a DSepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a CICERONE. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a fianco d’OTTAVIANO contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano. Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte è propria di BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del P., ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. P., con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni AI MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser). P. preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie -- da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una poesia aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. ALIGHIERI e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di uomini illustri dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da ROMOLO a Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta ed è continuata dall'amico e discepolo padovano di P., Seta, fino a Traiano. I Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda). Iniziati in Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri e fu composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica P. contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che P. riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di P. . Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte di P., vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti. L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di P., questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles, epistole dedicate a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro; e le epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso d’un libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. P., Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni, sestine, ballate e madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, P. verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova. La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna, un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis). Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati, cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union nella generazione petrarchesco-boccacciana. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. È Bruni a consolidare la fama di P., allorché redasse una Vita di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2. svg Pietro Bembo e Petrarchismo. Se P. è visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di P. non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.» (Marazzini) Contini, grande estimatore di P. e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e Sanctis poi, nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Carducci e dagli altri membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del P.. P. e la scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Mabillon, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P. Ifatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. P. rispose con la Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma. Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P. nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.» (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui P. ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi! (Lettere Senili). P. mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, in cui P. scrive a Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.» (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di P. di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, P. ebbe sempre una profonda fede religiosa. A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di P. nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del P.: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, P. allora di poco più che ventidue anni la vide» Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di VIRGILIO e CICERONE, cosa che suscita il pianto in P.. Al che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".» (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P. passa nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, P. non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia (Ariani). P. scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelio (Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come P., nella Familiares, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa. Cappelli 55. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo, ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono alla biblioteca capitolare veronese (Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di PLINIO il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che P. utilizzò per la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano). Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici. Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano. (Rico-Marcozzi) Il ravennate Malpaghini fu presentato da Donato degli Albanzani a P. che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini. P., nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili. La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal P.. Difatti, a quell'altezza, il giovane P. non era ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, P. e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica, Roma, Antenore, Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per P., infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che CICERONE, ORAZIO, Seneca, VIRGILIO vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra P. e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento. L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per CICERONE, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per CICERONE, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw, Termine di origine catulliana, P. lo prende in prestito per descrivere le liriche come diversivo, passatempo. La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser I testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata, Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del P., ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni). L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che P. rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di P., selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...» Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il P. volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino de Septem Arboribus (cfr. Ente Nazionale P., Culto petrarchesco a Padova.). Riferimenti bibliografici la notte Casa P. Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente Bettarini. Dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile è così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra. Dotti Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini. Il ricordo di P. al riguardo è riportato in Lettere Senili, Pasquini. Quanto a P., il magistero di Convenevole si colloca indubbiamente. La Casa di P., su arqua P..com. Pacca Si legga il brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato; e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis. Ariani Ariani, Wilkins, Dotti Bettarini. Cappelli Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins, Rico-Marcozzi. Colonna reclutò P. per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che P. battezza in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio. Ferroni Pacca Alinari, su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni, Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini P.. Ariani. Dotti, specifica che questo san Paolo è acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli. Ariani. Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella. Moschella, Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino.Billanovich, Wilkins e Pacca Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti, Dotti Mauro Sarnelli, P. e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime volgari già note...» Dello stesso avviso anche Pacca e Santagata. Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. P., Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini. Wilkins. La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in P. il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi. Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti) Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di P. si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".» Difatti P. riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca). Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins, Ariani, Pacca74. Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da P. ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso P., reca la data. Lacultur, biografia di P., su lacultur.altervista.org. Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.» Paravicini Bagliani. Moschella. Petrucci. Wilkins, Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con P.. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.» Il Mondo di P. Ariani, il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata ricorda inoltre come i legami tra P. e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo. A differenza di Giacomo, il cardinale resta sempre il dominus. Rico-Marcozzi. Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani. Troncarelli. Waley. Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale». Ariani. Una prospettiva generale del rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico, Branca87. Rico-Marcozzi. Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado». Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.» Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di P. che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica Martellotti. U. Dotti, P. civile: alle origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins, espone dettagliatamente le trattative tra P. e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan, Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però P. si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins, Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano. Pacca, Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, CICERONE e Seneca; perché per P. la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del P., Arquà. Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. P. designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani Baldi, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba di P.. Canestrini e Dotti, Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a P.. Si veda inoltre P.il poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di P.. Ricchissima la al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da P. a Valla; i saggi curati da Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, P. letterato, uno dei maggiori studiosi di P.; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins. Pacca e Cappelli, Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale. Dotti, Nassar, Numismatica e P.: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il P. formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal P. sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63. Cappelli42 e Ariani62. Cappelli, Albertini Ottolenghi, Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo introspettivo. Ferroni10. Ferroni, Ferroni e Guglielmino-Grosser. P., Africa, Cappelli e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno pagano.» Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e P,, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta. Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da P.: parlare con il proprio animo non serve. Bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico. Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore. Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata. La riforma di P. consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di P. secondo Contini. Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni, Pacca, Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle Epistolae metricae. Pacca, Pacca, Ferroni. Amaturo, Cappelli Ferroni, Pacca; Santagata; Amaturo, Le epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato da P.. Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti. Salutati e dopo la morte del P. e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.» Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del P. e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli, Di Benedetto. Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Benedetto Ariani Pacca, P. e Bresslau, Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, Raffaele Amaturo, P., con due capitoli introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M. Ariani, P., Roma, Salerno), Bettarini, P., Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, P. letterato. Lo scrittoio del P,, Roma, Storia e Letteratura, Billanovich, Gli inizi della fortuna di P., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. Billanovich, Il Boccaccio, il P. e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di Tito Livio, in Giornale Storico della Letteratura Italiana, Vittore Branca, Giovanni Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e per l'Italia, Annamaria Voci-Roth, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Giovanni Canestrini, Le ossa di Francesco P.: studio antropologico, Padova, Reale Stab. di Prosperini, Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci); G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansonie, A. Benedetto, Un'introduzione al petrarchismo cinquecentesco, in Italica, Dionisotti, Bruni, Leonardo, in U. Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dionisotti, Salutati, Coluccio, in Umberto Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, U. Dotti, La formazione dell'umanesimo nel Petrarca (Le "Epistole metriche"), in Belfagor, Firenze, Leo Olschki, U. Dotti, Vita del P., Roma-Bari, Laterza, E. Fenzi, Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen di Petrarca, I generi della lettura, Firenze, Pensa Multimedia Editore, Giulio Ferroni,Cortellessa e Pantani, L'alba dell'umanesimo: Petrarca e Boccaccio, in G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, Guglielmino e Grosser, Il sistema letterario, Storia, Milano, Principato); Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico” (Bologna, Mulino); Martellotti, Albanzani, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Moschella, Dionigi da Borgo San Sepolcro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pacca, P., Roma-Bari, Laterza, Agostino Paravicini Bagliani, Colonna, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emilio Pasquini, Convenevole da Prato, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rime (Bari, Laterza); Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, P., Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti, Firenze, Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti, Firenze, Monnier, P., Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro; Lettere varie libro unico, Fracassetti, Firenze, Monnier, Lettere Senili, Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Lettere Senili, Fracassetti (Firenze, Monnier); Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Avena, Padova, Società Cooperativa Tipografica, P., Africa, Léonce Pinguad, Parigi, Thorin, Petrucci, Angio, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Praz, Petrarchismo, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pulsoni, L’ALIGHIERI (si veda) di Petrarca: Vaticano latino in Studi petrarcheschi, Padova, Antenore, Rico e Marcozzi, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rico, La conversione del Boccaccio, in Luzzato e Pedullà, Atlante della letteratura italiana” (Torino, Einaudi); R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini” Firenze, Sansoni, M.Santagata, I frammenti dell'anima. Storia e racconto nel Canzoniere, Bologna, Mulino, M. Signorini, Malpaghini, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Troncarelli, Casini, Bruno, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Waley, Colonna, Stefano, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Wilkins, Vita, Rossi e Ceserani (Milano, Feltrinelli); Donata Vicini, Musei civici di Pavia, Milano, Skira, Petrarchismo; Pre-umanesimo Umanesimo Canzoniere Petrarchino; Biblioteca di Petrarca Incoronazione poetica Casa del P.. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ente ufficiale per gli studi petrarcheschi in Italia, Boccaccio, Epistole e lettere, Biblioteca Italiana, F. Lamendola, Il culto di VIRGILIO nel medioevo, Centro Studi La Runa. Romano Luperini, Il plurilinguismo di ALIGHIERI e il monolinguismo di P. secondo Contini, Pacca. Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca. Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.”

 

Luigi Speranza -- Grice e Petrone: la ragione conversazionale dei sanniti e la setta d’Imera  – il megliore dei mundi attuali – CLXXXIII, LX LX LX I -- Roma – la scuola d’Imera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Imera). Filosofo italiano. A Pythagorean, who claims that the number of worlds is CLXXXIII -- arranged in the form of a triangle: LX on each side and one at each angle. Petrone.

 

Luigi Speranza -- Grice e Petrone: la ragione conversazionale del determinismo dei sanniti e dei liguri – il fato o il caso? – l’implicatura conversazionale – la scuola di Limosano -- filosofia molisana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo italiano. Limosano, Campobasso, Molise -- Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.”  Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo dei lizij con il soggettivismo critico. Dei lincei. Collabora a “Cultura Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espressa criticamente sulla condenna del modernismo da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa, Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della comunicazione di Grice --;  “I limiti del determinismo” (Modena, Vincenzi);  “Idee morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”;  “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore); “Confessioni d’un idealista” (Milano, Sandron) – cf. MAMIANI ROVERE – Confessione d’un meta-fisico – AGOSTINO – “Confessioni” -- ; “Lo spirito” (Milano, Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo, Sandron); “Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nell’economia capitalistica”; “Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”; “L’etica come intuizione” -- – contro LABRIOLA (si veda) --. “La storia interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri differenziati del diritto” -Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. – “Tyrrell e Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del rinnovamento di Milano -- pieno di tutto fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col programma dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del linguaggio lo passa di molto; e trascende con  P. -- L'Enciclica di Pio X -- a stravolgimenti indegni dello spirito e del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Per saggiare a fondo il valore del realismo giuridico dell’antico DIRITTO ROMANO, è uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che  punto esso risolva o dia sicurtà di risolvere quei  problemi che ogni ricerca del diritto, la quale  aspiri al titolo di FILOSOFICA – alla Hegel --, si propone e che non sono del tutto ignoti alla filosofìa del dritto romano tradizionale. Tre sono i problemi che ricorrono tuttora nella filosofia o che segnano l’intervento della scesi filosofica bene intesa. Il primo concerne l’origine, .la portata, i limiti del conoscere. Il secondo concerne la natura dell’ essere che è l’oggetto del conoscere. Il terzo il valore e le leggi  dell’operare. Il primo è il problema gnoseologico e,  nella filosofìa del dritto romano, può formularsi così: quali  atti e funzioni ‘psicologiche’ si richieggono perchè si formi, rigorosamente parlando, una nozione del dritto – quale il diritto romano?  Quale ne è il criterio, il principium cognoscendi? La  ricerca induttiva dei fenomeni del dritto presuppone o no una nozione del dritto, una serie di abiti  o (li funzioni psicologiche, che valgano come premesse  e come leggi del processo induttivo ? II secondo è  il problema ontologico ed è espresso da queste domande: in che si sustauzia il diritto romano? Quale è il  la natura che subest, che sottosta immutabile alle  sue evoluzioni fenomeniche? e, nell’ipotesi che la  ricerca dell’ essere e della sostanza sia illegittima,  nella ipotesi cioè fenomenistica, quale è e donde il  nascimento del fenomeno giuridico? Il terzo è il problema etico e la maniera onde può venir risolto corrisponde esattamente alla maniera onde si formula e si  dibatte il problema ontologico: esso si domanda, quali sono le norme della condotta giuridica doverosa;  se le disposizioni del potere POSITIVO del Hegel sullo stato prussiano siano, semplicemente perchè tali, dotate di valore etico-imperativo; se, invece, non vi sia un criterio normativo,  superiore ad esse e giudice di esse, ottenuto altronde; se ci si debba limitare alla semplice accettazione delle disposizioni autoritative ossia del DRITTO POSITIVO o se, invece, non sia legittimo e corretto  domandare il titolo RAZIONALE di esse o IL DRITTO DI QUEL DRITTO: è insomma, a dir breve, il problema  del dritto NATURALE. Il realismo giuridico non può evidentemente sottrarsi a questi problemi che ogni uomo, conoscendo,  non che filosofando, si propone e che, per quanto  egli premediti di sviare o eludere, non si lasciano  rintuzzare in verun modo. Ed in un modo o nell’altro, di dritto o per traverso, se li propone e li  agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito conoscitivo non è per esso un problema, in quanto ue  presuppone la soluzione che è, come tante volte si  è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti,  poi, quello ontologico e quello etico, sono (la esso  piegati alle esigenze del suo empirismo conoscitivo: il  primo di essi è snaturato da problema di essere  in problema di origine ed al secondo si oppone un  diniego esplicito. Il clie per altro, non toglie che  cosi quella forma speciale onde si pone e s’ interpetra uno dei problemi, come quella esclusione o  soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno  la conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se  non espressa, ed implicita nell’ assunto fondamentale  dell’empirismo, quand’ anche non condotta di proposito deliberato da questo o quello interpetre dell’assunto stesso.   Resta solo a vedere, se il problema vada posto  come vuole l’empirismo o come vuole la filosofia, o,  dove l’uno e 1’ altra lo pongono ad uno stesso modo,  se vada risolto nell’ una forma o nell’ altra. E dico a  bella posta — LA FILOSOFIA— senza vermi predicato che  la determini in un senso più che in un altro e che la  limiti ad una scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo  si annunzia in antitesi non a questa o quella filosofia,  ma alla filosofia in generale, o, se si vuole, è una forma di filosofia che si oppone a quella che fin qui  era tenuta per tale, alla metafisica, e non a questo  ed a quel sistema, ma al criterio comune a tutti  i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di  contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per  noi l’assunto impersonale della filosofia, senza che  le varietà individuali di essa ci occupino punto.  Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel  possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali,  è dato ravvisare, nella tradizione storica della filosofia, a chiunque la interpetri con intelletto d’amore . Il criterio della esperienza ed il problema gnoseologico   della filosofia del dritto.Adunque l’esperienza, ossia la osservazione e la  comparazione dei dati fenomenici, è il criterio conoscitivo universale del realismo giuridico, di guisa che  la critica di esso si traduce iu una critica della esperienza. Questa critica non data veramente da  oggi: essa è vecchia, nè comincia dal Kant, come si  peusa comunemente, ma risale a Platone, che primo  rivendicò le ragioni della scienza e della filosofìa  contro la doxa e 1’ empirismo dei sofisti. Per quanto  vecchia, essa non ha perduto, tuttavia, la freschezza  della novità, e va rievocata oggi che il positivismo,  nella forma più matura della teoria delfassociazione  e di quella dell’ evoluzione, ha risollevato i fasti  dell' empirismo. Diremo, adunque, anche a costo di apparire noiosi ripetitori, che 1’ esperienza non è in grado, da  per sè sola, di scovrire il momento universale e necessario del dritto, nè il nesso causale dei fenomeni  .giuridici, più di quello che essa noi sia di scoprire  il momento necessario ed il nesso causale di altri ordini di fenomeni. L’esperienza ci dice che una  cosa è fotta così e non altrimenti, ma non che la  cosa non possa essere altrimenti che così. L’esperienza ci dà la coesistenza e la successione dei fenomeni e può darci anche la legge empirica (la cosi  detta legge di conformità che impropriamente si chiama legge) di tale coesistenza e successione, ma non  ci dà nè può darci mai la legge di necessità. Essa  ci dà la ripetizione delle coesistenze e delle successioni di dati fenomeni, ma non la legge di tale ripetizione: essa ci dice che una cosa si ripete cento, mille,  diecimila volte, ma non che si debba ripetere .necessariamente. L’ultimo dei termini della serie progressiva e faticosa delle esperienze non ci dice niente di  più e di meglio di quanto ci dica o ci abbia detto il primo, e l’ultima ripetizione vale le altre. L’accrescimento del materiale della esperienza è un processo  quantitativo, dal quale nessuna alchimia trarrà una  qualità nuova. Noi chiediamo il quia, ed il quid,  doveccliè i progressi della esperienza non ci promettono che una cognizione sempre più vasta del quale. La teoria dell’associazione, che data da Hume, si  avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a questa  legge di necessità una portata puramente psicologica.  La necessità oggettiva, essa dice, è un inganno; la necessità è puramente soggettiva ed è la coazione interiore verso un dato nesso o una data serie di nessi  logici delle nostre rappresentazioni. La categoria della  necessità è una oggettivazione illusoria, una proiezione al di fuori dell’abitudine interna di un dato  nesso ideale. Ma, checché si deponga in favore di  tale tesi, non si scema l l’equivoco GRICE EQUIVOCO che la vizia. La  coazione interiore può ben nascere dall’abitudine, ma  la necessità logica della ragione è ben’altra dalla coazione psicologica del sentimento. Questa ultima, non  che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè  il dominio psicologico è il dominio del variabile, del  contingente, del casuale. Del pari l’esperienza non può colpire il momento universale delle cose. La universalità alla quale essa può pervenire è,  tutt’alpiù, universalità sui generis, universalità relativa  e provvisoria, il che è tutt' uno che negazione della  universalità scientifica. Il maximum dello sforzo cogitativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo  un noto principio del Kant, è il seguente per quello  che abbiamo appreso fin qui, non si trova veruna eccezione di questa o quella regola data » non già quest’altro questa è regola universale e non ha veruna eccezione. E ciò, perchè le conclusioni dell'esperienza  sono limitate e condizionate quanto la esperienza, la  quale è eminentemente analitica e non assicura e non  garentisce che il suo responso immediato. L’esperienza ci dice che date coesistenze e date successioni di  fenomeni si sono ripetute fin qui, ma non ci assicura  che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi  » oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri sultanze di quella esigua e ristretta esperienza per[Vedi la bella illustrazione che di questi pensieri della  critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken. Kritische  Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg Volkelt] sonale che ne è consentito di fare e le atteggiamo  sub specie aeternitatis, ma, con ciò stesso, noi superiamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo  ed applichiamo per la nostra cognizione un altro criterio che quello sperimentale. In ogni giudizio che  formuliamo v’ò un tacito sottinteso che precede l’esperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che  quella ripetizione delle coesistenze o delle successioni, la qual ripetizione non abbiamo osservato ancora o non potremo osservare in avvenire, è conforme  alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osservate. Il processo induttivo presuppone 1’ habitus, la  funzione mentale che si formula nel principio d ’ identità : dal quale segue che quanto si predica di una  cosa o di un rapporto già esperito va predicato, altresì, di tutte le cose e di tutti i rapporti esperibili,  le quali o i quali sieuo della stessa natura sostanziale della prima o del primo. Ne l’esperienza è più atta a conoscere il perchè  delle cose, il cur, di quello che noi sia a conoscerne  la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure  conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra   1 fenomeni di una serie un rapporto di prima e di  poi non segue, per altro, che la mente dell’osservatore, la quale nel supposto è tabula rasa, argomenti  dal semplice rapporto empirico di antecedente e conseguente la possibilità di quello ideale di causa e  di effetto. L’esperienza ripetuta delle stesse sequele  di un dato fenomeno e di un altro non può creare  ex nihilo sui quel rapporto di causalità che ai primi  [VERA A. Melanges philosophiques] gradi ed ai primi passi di quella esperienza era inconcepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è  nelle cose (lo scetticismo di Hume non ha chiuso il  problema) ma non è una specie impressa sulle cose,  visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La  nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipazione dell’ intelletto sulla esperienza e sulla stessa  natura. Ogni nesso causale che noi formuliamo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale del nesso  causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è  effetto di quell’ altra » solo perchè sapevamo che,  risalendo la serie regressiva dei fenomeni, ciascuno  dei termini di questa serie è un effetto, ossia è un  prodotto da una causa, finché si perviene al termine  primo che non è più effetto, ma causa sui. In vero,  senza questa funzione mentale, noi avremmo uu bel  discernere delle affinità e delle conformità logiche  tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una  altra cosa che la segue: tra Luna e l’altra cosa noi  non vedremmo mai un rapporto causale, se a quel  nesso di conformità non si associasse spontaneamente,  nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io  chiamerei il sottinteso della causalità. Chi analizzasse questa serie di sottintesi e questa prescienza  e vedesse quanto è facile e seducente, ad un metafisico che sia artista ad un tempo, atteggiare quella  prescienza a forma di ricordo di una vita psichica  oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina platonica sapere è ricordare è più presto una deformazione poetica di un sano principio filosofico, che  un principio falso di sua natura. La nostra scienza,  e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado di prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio  in altra forma, quando disse « sapere è prevedere.  La previsione di un fenomeno esperibile ma non  esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico recentissimo della scuola critico-positivista, il Masaryk, ci porge una indiretta conferma,  che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi  principi della critica della conoscenza.   I fenomeni particolari sono tuttora (così VA del  Saggio fri logica concreta) gli elementi costitutivi del  l’universo, come l’oggetto proprio della conoscenza  umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intelletto non può cogliere ed intuire di un lampo l’unità delle  cose : il suo processo è, per di tetti vità connaturata,  eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le  cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi  e le proprietà essenziali che a quelle cose ineriscono.  Queste leggi e proprietà sono il prins, non il posterius della conoscenza. V’ha due generi di scienze:  scienze astratte e scienze concrete: le prime conoscono le leggi delle cose e le seconde l’essere di  fatto delle cose. Or bene le scienze astratte sono  il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto  perchè le cose non si conoscono che per le loro  leggi e proprietà essenziali. La biologia, che è scienza  astratta, perchè ha per oggetto le leggi della vita  precede ad es. la zoologia, che studia gli animali viventi, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza.  So le scienze concrete presuppongono le scienze astratte, è assurdo supporre che le prime forniscano la  base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di  termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- si intuiscono o esperimentano di un tratto solo nel  loro essere, ma si conoscono in funzione di una legge  e di una proprietà essenziale che precede e rende possibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e  perchè le scienze astratte abbiano fatto progressi di  gran lunga maggiori che le concrete. Gli è che queste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità  segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle [Questi principi del Masaryk sono fondati sul vero,  benché il modo ond’egli si esprime sia tutt’altro  che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’empirismo per formulare una nozione sovra-empirica. Quello che egli chiama processo astrattivo va chiamato processo di sintesi spontanea ed originaria,  perchè l’astrazione presuppone la conoscenza del  concreto onde si astrae, il che contraddirebbe al  supposto. Prescindendo da ciò, resta, intanto, stabilito che  non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo critico ed illuminato insegnano d’ accordo che alla  conoscenza analitica delle cose particolari deve precedere la conoscenza della specie universale, che è  come una sintesi, una deduzione spontanea ed originaria, un’ anticipazione mentale dell’ osservazione.  L’ esperienza affidata alle sue forze sole è così lungi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che  anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che  è prima e sovra di lei, non potrebbe neanche venire  alla luce e legittimarsi come esperienza. Versucli eiiier coucreten Logik (Wien). Or bene, ripeto quanto lio detto più su, questa  difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine delle  conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di  conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve precedere 1’ esperienza particolare: la scienza sintetica  delle proprietà essenziali del diritto deve precedere la  scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e  non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un impinguamento del materiale di fatto può accrescere la  notizia delle cose, non la scienza, come bene afferma Hartmann. Il materiale dei fatti é il sottosuolo,  non l’oggetto della scienza. La osservazione empirica di un fatto giuridico non ci dice nulla sul momento universale e necessario del dritto, nulla sui  nessi causali di quei fatti ed è, però, inetta ad  adempiere, non che una sintesi filosofica, ma una  semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla scorta  di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad ottenere quel principio sintetico e quell’ universale logico del dritto che, come tante volte si è visto,  rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più [(lì Die Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt  uur die Kuncle, aber nicht imraittelbar die Wissenschaft. In dem aber die Wissenschaft erst da anfiingt, wo in den Beziehuugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm wirkenden  Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige  oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufgesuclit wird, zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht  don Gegenstand selbst der Wissenschaft bildet, sondern nur  die Unterlage derselben, dass aber der eigentliche Gegenstand  der Wissenschaft dasjenige ist, was an den Beziehungen des  Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette Studien u.  Aufsiitzc] esplicitamente, quella osservazione empirica, ammesso pure che la si estenda il più che sia possibile,  non ci darà, di per se sola, non che una filosofia,  neanche una scienza del dritto. Perchè egli è fuori dubbio che la scienza abbia  per soggetto l’universale ed il necessario delle cose. L’ACCADEMIA, il LIZIO, e fra noi, CICERONE, hanno del pari messo fuori  disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig nepi  òoatav e che l’esperienza, che apprende il particolare, non va confusa con la scienza che apprende  l’ universale. Gli stessi principi sintetici della  fenomenologia che siamo venuti divisando non provengono dall’ esperienza, ma dalla speculazione del  pensatore. La storia consegna al v. Ihering il fatto  della lotta e del fine interessato, ma, quando egli  generalizza P esperienza di quel fatto a momento  universale del dritto, eccede i termini della esperienza, per soddisfare ad una vocazione speculativa  che è anteriore all’ esperienza. La ragione di Dahn  ed il giusto del Lasson sono cosi poco creature delP esperienza, che quella è un ricordo della opinio  necessitati della metafisica, ovvero una forni ola  logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la quale, a sua volta, è una ipotesi demo-psicologica che  trascende ogni esperienza) e questo è P applicazione  al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo  residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la  quale ha il suo punto di partenza nell’ esagerazione  dell’ a priori. Il principio del rispetto verso la forza [Rep. Vedi pure: Fed. ; Mat.; Mag. Mor.] imperante (Achtung) e quello della pre volizione della norma (Anerlcennung) sono non fatti di esperienza  0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni fatti accidentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di conoscere le  proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero  processo della induzione e della comparazioue. Noi  abbiamo visto testò il Post, nell’ analisi comparativa dei fotti particolari della vita dei popoli, fermare il segreto del substrato universale di quei  fotti e di quella vita. Ma, l’osservazione e la comparazione non sono possibili senza una teoria preesistente, la quale ci faccia discernere quello die  va osservato da quello che non va osservato, e che,  nel materiale disordinato dei fotti, ci consenta di  sceverare quel momento che concerne e preoccupa  la nostra scienza da quegli altri momenti che non  ci concernono punto e che le altre scienze differenziano dalla nostra. Senza il filo d’Arianna della speculazione, l’osservazione e la comparazione dei  dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e  dal quale non v’è più uscita. Se non sappiamo  prima, per un’ anticipazione intellettiva, che cosa è dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici  da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni  giuridici possiamo sceverare quello che in essi è  proprietà essenziale da quello che non lo è. Anche nell’ordine delle conoscenze giuridiche è vero che l’intuizione è cieca senza la categoria. Vi debbono  essere, nella moltitudine dei materiali storici messi  a profitto dall' indagine e e dalla comparazione, delle quantità conosciute ehe permettano all’osservatore di orientarsi nei suo cammino. Il che è riflesso, nelF ordine del pensiero, di quello che, come vedremo, ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, evidentemente, nel suo processo evolutivo l’umanità deve pure avere avuto delle soste, deve pure aver segnato delle fermate e dei punti di riposo, nei quali momenti si è venuto deponendo, consolidando,  sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare  dei fenomeni. La pressura della logica e quella che  lo Schopenhauer chiamava die List der Idee domina, del resto, gli stessi induttivisti della giurisprudenza e li trae a smentire coi fatti quanto lian  professato a parole. Dopo aver respinto 1’ a priori,  essi sono ben lungi dal farne a meno: e di presupposti a priori tolti in prestito alle nostre odierne  intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filosofica le loro ricerche sono piene. Tanto egli è arduo, impossibile anzi, nel rifare a rovescio il processo della evoluzione giuridica, fare a meno di un  contrassegno ideale di quello che è dritto o di un  criterio intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli  altri fenomeni del cosmo! Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa  d’inferire dal semplice raffronto dei fatti la nozione  del momento giuridico di essi, è una vera petitio  prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si  cerca bisogna averla per forza, se no quello che  si cerca non si trova. È una cosa molto elemen fare codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà  mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle forme storiche della proprietà immobiliare nel mondo orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra esse e quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete  prima una nozione quale die sia della proprietà immobiliare, quella ricerca e quella comparazione non  la farete mai. La storia è pur sempre storia di  qualche cosa. L’ordinamento seriale dei fenomeni sotto il genere dritto e sotto le specie famiglia, proprietà ec.  (scelgo a bella posta l’ordinamento seriale più facile ed elementare) e tutta la serie dei principi e  delle rubriche e delle classificazioni della giurisprudenza storica e comparativa sono, per necessità di  cose, un presupposto e non un risultato della comparazione e della storia. Nò si opponga che il com  cetto del dritto emerge dal fondo stesso della osservazione e della comparazione ed è ottenibile  mettendo a raffronto un gran numero dato di oggetti affini tra loro, astraendo dalle differenze indi-[fi) Schuppe. Die Metkoden der rechtsphilosophie. Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung  zu dem Gewordenen, sondern gerade umgekehrt: man suckt, von diesein ausgekend, seine Erfahrung nack ruckwarts in der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte herauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder  eine Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas. Wenn die sogenannte genetiscke Metkode die vollkomneren  Gestaltungen aus den unvollkomneren sick erzeugen, so solite  nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos Keimes das  Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon vorsckwebt; nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick  nack den keimartigen Anflingen. Stammler. Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie] vicinali di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella  nota universale e comune, in che convengono tutti  ad un tempo. Imperocché, appunto perché abbia  luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione  sintetica della natura sostanziale del dritto. Per discernere in che gli oggetti sono affini, occorro che  vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto  al quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile.  La osservazione e la comparazione vi darà il fatto  della convenienza, solo quando voi preconoscete di  avanzo, sarei per dire presentite, per una cotale  anticipazione irriftessa dello spirito, quello in che  si conviene e la ragion formale della convenienza.  La nota comune è una premessa del processo astrattivo. Bisogna degradare il fenomeno della conoscenza  alla più volgare materialità per convincersi che gli  elementi, i quali in ipotesi sono conformi, si lascino  connettere in un rapporto di conformità per una  percezione immediata del loro essere di fatto. Perchè gli elementi b. c. d. lascino vedere un elemento  comune con a. e si vadano sussumendo in un rapporto comune A. occorre almeno che a, ossia il  termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e  gli appaia come un momento di cosiffatta natura,  da servire di regolo agli altri, come a dire un equivalente ideologico preesistente del contenuto che si  ottiene poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto  dell’osservatore è una tabula rasa, egli non vede  nè differenze nè somiglianze nei fenomeni, nè dritto  nè torto nella storia: le differenze sono percepibili,  solo quando si sa quello da cui si differisce e. del  pari, le somiglianze, solo quando si sa quello cui l ‘ì   si somiglia: in altri termini i rapporti sono percepibili solo in finizione del loro oggetto ò della loro  ragione formale. Egli, adunque, l’osservatore, non  vede che una serie di fotti indifferenti che non  sono nè il diritto, nè il suo rovescio : di cui noi,  messi al punto, non potremmo nè anche assicurare  che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva  che sarebbe necessaria per vedere come andrebbero  le cose della nostra intelligenza nella ipotesi di un  processo anormale di questa.   Alla induzione ed alla comparazione deve, adunque, precedere un intuito speculativo del dritto.  ]Sel campo della giurisprudenza, come in quello  delle altre discipline, il processo conoscitivo s’inizia  da una sintesi primitiva e spontanea, si svolge e  dirama e differenzia per l’esperienza, l’analisi, la riflessione e va a metter capo alla sintesi riflessa della  deduzione. La storia del processo fenomenico ed inventivo  è un compito meramente analitico che si esercita  sopra una sintesi scientifica preesistente. Per descrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna già  possedere il concetto dell’ essere della cosa, ossia  della sua forma definita ed evoluta e della sua configurazione stabile e consolidata. Es ist vor Alleni unumgiinglich, class der Entwiokluiigahistoriker das genaueste und deutlichste Verstiindniss  von der reiteri Gestalt besitze und bekunde, von welcber er  die Entwickeluug verfolgt. Die Eutwickelungsgeschichte ist  steta und lediglieli eiue analytischo Aufgabe. Scheinbar naives Aufsuchen der Verbindungsstiicke und gliickliches Probiren, ob sie passen, ist ein ganz eitles Unterfangen. Die Ent[La filosofìa speculativa del dritto aveva adunque  ragione. Di che una preziosa riprova ci forniscono  gli stessi empirici della giurisprudenza, la mente dei  quali è munita, anzi tempo, non che di un intuito  o di un presentimento del dritto, di tutto un corredo di conoscenze speculati ve, più o meno deformate,  tolte in prestito precisamente a quella filosofia. E  senza il suo ausilio 1’ esperienza si sarta trovata a  mal partito. Ciascun fatto o ciascuna serie di fatti  non malleva che se stessa: ed il filosofo dell’ esperienza non avrebbe mai visto il lume dell’ idea.  L’induzione è sempre limitata ad un dato numero  di fatti, il qual numero, lo si moltiplichi a talento,  dista pur sempre infinitamente dalla universalità  -che si estende a tutto il possibile. Gli stessi principi generali non vi sarebbero più : 1’ allgemeine  Reclitslelire è un generale die, viceversa, è un particolare. A causare tali perigli, resta che, in difetto di  speculazione propria, si usurpi l’ altrui. Ed ecco,  allora, che la premessa maggiore del realismo e  della fenomenologia è una premessa metafìsica. Questi declamatori dell’ esperienza e dell’induzione sono in fondo dedutti visti. La filosofia ha trovate alcune  verità con un procedimento misto d’ intuizione di  rapporti ideali e di esperienza psicologica. Essi riprovano queste verità con l’allegazione di fatti spe- [wickelungsgeschichte des Organismus setzt ein hohes Stadium  der Anatomie voraus, das sie alsdann erhohen kann. Aber die  Entwickelungsgeschichte kann der descriptiven Anatomie nicht voraufgeben. Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung Zw.] rimentali, quando noi facciano con nn tessuto di  raziocini. Il loro metodo è analitico e regressivo:  onde quando essi rimproverano di deduzione la vecchia filosofia, questa potrebbe dir loro che essa  della deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche  i pregi, dovechè ad essi non restano che i difetti soli. Il criterio storico-evolutivo ed il problema  ontologico della filosofia del diritto. Si è detto innanzi come la maniera, onde l’empirismo concepisce il problema dell’essere del dritto, equivale esattamente alla maniera ond’ esso concepisce il problema del conoscere. Dopo aver detto  die criterio unico della scienza è l’esperienza, logica  vuole che l’empirismo dica che l’oggetto della scienza  è tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei limiti della esperienza, e che, quindi, il dritto non  abbia altro essere che l’essere mutabile, contingente  e fenomenico, o, per dir breve, non altro essere che  il divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel  dritto, il criterio scientifico si è venuto snaturando  nel criterio storico e, conseguentemente, il problema  ontologico nel problema genetico. Del dritto, come  di altri oggetti, si studia non più la sostanza ma la  genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più  il substratum ma il processo; nè solo si studia l’una  cosa e non 1’ altra, ma si afferma come inesistente  quella che non si studia, o si presume di non studiarla, appunto perchè la si dà per inesistente. È  il criterio storico-evolutivo, che riassume il genio scientifico (lei secolo e che pervade scienza e filosofia.  Se ne volete 1’origine, dovete far capo all’ aspetto dogmatico del fenomenismo kantiano e, più lungi  ancora, alla critica Lochi aria, alla teoria, cioè, della  inconoscibilità della sostanza. Tolta, invero, la ricerca della sostanza, non rimane che il fenomeno soletto al lievi, al divenire, alla storia. Se questo criterio lo si proseguisse nella sua  forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi  settatori un saldo sostegno. Così coni’ è, esso è viziato dalla radice, perchè poggia sopra una inversione del problema filosofico e perchè confonde volgarmente due termini che vanno distinti, scienza e  storia. I fenomeni particolari che registra la storia  sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro numero: la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle  idee per dominare l’universalità dei possibili, senza  di che non si sarebbe mai svincolata dalle strettoie  di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto  il nudo individuale; quello che sta a sè e non può  predicarsi degli altri; quello che può essere conosciuto solo per un atto di esperienza ex professo e  discontinua, e che, per essere singolo, si consuma  in un singolo atto mentale e consuma l’atto stesso;  quello che non ha nesso con altri e non può nè subordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è incomunicabile: quello che dà luogo non ad un concetto, ma ad una moltitudine di percezioni saltuarie,   sempre esposte alla sorpresa del nuovo, dell’imprevisto, dell’azzardo.  Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: L’empirismo, messo allo stremo, li a studiato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio.  Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di  riconoscerla, ma piegandola alle esigenze del suo  criterio; nò nega la sostanza, ma la traduce nel circolo  del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della scienza  l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che  stia, nel divenire. Il suo intento non è, in fondo,  negativo, ma dialettico. L’ esse della filosofia morale  e giuridica è appunto il fieri della evoluzione del  costume e degl’ istituti giuridici.   Quella serie di proprietà sostanziali, quella essenza specifica della natura e della coscienza umana  non sono negate o rimosse, adunque; sono semplicemente interpetrate in un modo diverso. Esse non  sono più un a priori — della' storia, un termine che  è fuori del processo storico e che rende possibile  lo stesso processo; ma si rappresentano come un a  posteriori primitivo, come un prodotto dell’esperienza  collettiva e della razza, un prodotto che si solleva,  a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi  fenomeni, ma è ab initio una formazione, un fenomeno esso stesso. Messo da banda il flusso eracliteo i settatori del criterio storico-evolutivo si credono licenziati ad ammettere delle proprietà specifiche della natura etica umana, quando s’ intenda  che queste proprietà sieno non un essere, ma un  divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si  intenda che esse sono forse un a priori a petto alla  esperienza individuale dell’ uomo che si trova in  uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono  certo un a posteriori della esperienza delle g enei azioni preesistenti. Nella serie dei momenti evolutivi, ciascuno di essi è un posterius delle esperienze  sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie  queste esperienze diventano generative di altre posteriori, a petto alle quali esse sono un termine  primitivo. L’esperienza collettiva che supera la dispersione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abitudine (latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette  e la consolida, la tradizione storica che ne raccoglie  le risultanze : ecco i supremi presidi, con l’aiuto dei  quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare le  difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della  scienza e della filosofia nel flusso del divenire e di  evitare, ad un tempo, le ritorsioni di quella logica  inesorabile, che lo forza a dibattersi sterilmente  nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di storizzare la logica, di formulare e dogmatizzare il  mutevole, l’evanescente, l’ individuale e di travolgere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei  fenomeni transeunti quello che è e che sta, l’eterno, l’immutabile, l’assoluto. Se. non che, anche in questo contenuto più ricco di valore ideale che assume il criterio storico-evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella  logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena  all’ assurdo d’ invertire i termini del problema filosofico e di scambiare la scienza con la storia, la  sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini  connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti.  Finché, in omaggio al paradosso, si riconosce l’ammissibilità di un processo all’ infinito e, rifacendo  la serie regressiva delle esperienze, il primo termine  di quella serie si rappresenta come una esperienza a sua volta, il vizio radicale dell'empirismo rimano  sostanzialmente lo stesso. Finché la razza è una  moltitudine d’individui, la quale moltitudine non  può fornire un elemento nuovo ehe non sia orininari amente contenuto in ciascuno degl 'individui che  la compongono, finche l’abitudine e l’eredità sono  forze trasmissive e non creative, le quali, quindi,  presuppongono un quid che si ripeta o consolidi o  trasmetta, la contraddizione implicita nell’ assunto  empirico rimane tal quale. L’ empirismo allontana,  risospinge indietro il problema nella storia, ma non  lo risolve. Nella serie delle fasi evolutive v’ è sempre un priuSy un termine primitivo, che, come esso  c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non è  una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine  all’ esperienza ma esperienza senza attitudine. Ed  in questo termine primitivo rinasce il problema  elie si credeva composto: il divenire è possibile senza l’essere? ed i fenomeni giuridici sono possibili  senza l’essere giuridico"? senza una coscienza giuridica già data, senza una facoltà connaturata del  dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni  momento individuale dell’ evoluzione giuridica, lo  si derivi pure da una serie inferiore preesistente,  non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo determini  e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e  questo aliquid non è un essere che precede e rende  possibile il divenire? Nella continuità dei fenomeni  deve pure esservi, non foss’altro, l’infinitamente piccolo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed è quindi la radice, il substratum di quello che v’ è  di nuovo nel rapporto reciproco dei termini successivi della serie, di quello cioè che differenzia i  singoli momenti della continuità. Questo infinitamente piccolo non può essere prodotto dalla prima  esperienza, se questa, per logica di cose, lo presuppone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella  serie di esperienze, che saremmo impotenti a far  noi ex novo, se fossimo dello tabulae rasae, e che  noi possiamo Aire, secondo il criterio storico-evolutivo, solo perchè l’eredità e la tradizione storica  ha deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici  tutto un contenuto ideale che tesoreggiamo di continuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero  esse state possibili, senza verini possesso anteriore  di una facoltà connaturale, a quegli uomini primitivi, i quali, a quanto insegnano gli evoluzionisti, uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’animalità? Perchè, senza dubbio, proseguendo a rovescio il corso dell’evoluzione giuridica, vi sarà seni  pre un assolutamente prius die non è più specie ma  individuo, che non è più esperienza collettiva e storica ma nuda esperienza individuale. Il criterio storico-evolutivo che, per aver riconosciuto la legittimità dei processo all’ infinito, ha  posto, come termine primitivo delle esperienze, la  esperienza stessa e, come causa degli effetti, l’effetto o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere  i frutti del suo inconsulto procedere e deve togliere  sopra di sè la contraddizione di un termine derivato  che si postula come termine primitivo. La filosofia tradizionale, la teoria nativistica come  per dileggio la chiama l’ Jliering, aveva adunque  ragione quando poneva a sostrato primitivo e causale la natura deir uomo e non il processo della  storia, la coscienza giuridica e non le esperienze  edonistiche ed utilitarie. Il fenomeno della evoluzione presuppone il noumeno della creazione, nella  filosofia del dritto come nella cosmologia : il divenire presuppone l’essere che diviene e che sussiste  lo stesso attraverso e non ostante il divenire. Senza  una coscienza giuridica bella e data, l’esperienze  giuridiche non sarebbero nate, perchè è la facoltà  che crea le esperienze e non le esperienze la facoltà. Ed invero, senza una coscienza giuridica universale connaturata in ciascun membro della razza  o della specie, l’intimo consenso in certe verità giuridiche fondamentali, attestato dalla stessa osservazione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla  luce. L’esperienza, la quale procede a furia di esperimenti, di correzioni, di prove rudimentali, incerte,  provvisorie e che è sempre varia da soggetto a soggetto, da caso a caso, non può aver potuto determinare, per la contraddizion che noi consente l’universalità e 1’ unità della ragion normativa e della  coscienza. Si riduca questa unità e questa universalità alle semplici proporzioni di una funzione formalo e vuota di contenuto, ebbene non sarà mai  concepibile come quella unità della forma della coscienza inorale possa essere uscita dal fondo di  esperienze soggettive, senza un fondo comune di  attitudini preesistenti, senza un addentellato di sorta. 1/ antropologia dell’ evoluzione può aver provato, si conceda per un momento, che il contenuto  della morale e della giustizia varia da popolo a popolo, da tempo a tempo, ma non può aver provato  che ne varii altrettanto la forma. Essa, anzi, riprova indirettamente che la materia infinitamente  diversa del dritto reca in sè V impronta di una costante unità di leggi e di funzioni, le quali sono, alla coscienza morale dell’umanità, quello che al  pensiero le leggi e le funzioni a priori della conoscenza; e che muta il contenuto dell’ atto morale,  ma immutabile ne è la ragion formale; ossia le condizioni necessarie all’atto morale come tale sono immutabilmente concepite e, sarei per dire, plasmate  nella forma assoluta d 7 un imperativo incondizionale,  d’un dovere. Si assuma il più semplice degl’istituti  giuridici del più semplice dei Natur-Viilker, ebbene l’analisi vi scopre sempre questa proprietà ideale :  il convincimento di una legge estra-soggettiva, che  è fuori e sopra l’arbitrio individuale ed alla quale  è doveroso prestare obbedienza. La pretensione giuridica del selvaggio contiene un elemento spirituale  che è condizione comune a tutte le pretensioni giuridiche di tutti i popoli più culti. Quella pretensione è appresa come una legge impersonale, non  solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si esercita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti,  che sieno per trovarsi nella stessa condizione dei  primi, e, quindi, rispetto allo stesso soggetto pretensore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi.  Motivo etico della pretensione o del comando, quel  motivo, cioè, per cui l’una o l’altro è appreso come  autorevole e fonte di obbligazione doverosa, è sempre  la conformità presunta di quella pretensione o di  quel comando ad una legge. Che la conformità presunta non sia conformità reale importa poco: resta  sempre stabilito ohe condizione necessaria dell' atta  giuridico, condizione universale e comune a tutti i  popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la  ragion formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale  non si trovi così nettamente distinta e differenziata  nella coscienza morale del selvaggio, importa ancor  meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica,  laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sintetico della coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi  dal provare quella dell’altra. L’analisi rende molteplice e successivo rispetto a noi quello che è uno e  simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due  aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno  della nostra difettività conoscitiva. Senza dubbio, l’unità e la comunanza della semplice-ragion formale del bene e del giusto non basta  a fondare una morale, nò una filosofìa del dritto.  Un’etica senza contenuto è una logica del bene e del  giusto, non una nomologia. Quella unità della coscienza si traduce in piena iudifferenza e la percezione  della ragion formale del giusto in un mero momento  psicologico. Ma, se questa unità formale della coscienza morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli  uffici dell’ etica positiva (e però noi non ci ristiamo  a lei, ma ammettiamo un contenuto morale, quale  quello che ci detta la filosofìa teleologico-cristiana, e  sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo, nelle  tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto  di un pervertimento derivato) è molto rispetto alla  critica della sociogenesi della evoluzione. La quale si  chiarisce così contraddire apertamente non solo alla teleologia inorale, ma benanche alla critica, più negativa e più «pregiudicata, della ragion pratica. Come per avventura, le incerte esperienze dei soggetti sub-umani abbiano potuto determinare l’unità  della ragione e dell’intuito formale del giusto, vale  a dire quell’ unità che è il residuo non eliminabile  di un’analisi corrosiva della moralità umana: ecco un  enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a  decifrare mai. Gli è che la presunzione della tabula rasa non  è meno infondata nella sociogenesi, di quello che  lo sia nella ideologia : anzi nell’ una è più insostenibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea cosi  complessa che anche delle scuole filosòfiche, le quali, nella serie regressiva dei fenomeni della conoscenza, pongono come termine primo la esperienza,  hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la vocazione come connaturata nell’ uomo, come un habitus  della natura. L’ atto giuridico e 1’ atto morale non  nascerebbero mai, ove nella volontà dei soggetti non  vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al  giusto, la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe  ove non vi fosse un intuito originario del bene e  del giusto. Ignoti (chi noi sa?) nulla cupido. La volontà non è, da per sè, una legge, come volle il RAZIONALISMO CRITICO di Kant, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge,  come vorrebbe il plasticismo degli evoluzionisti. Kon  è autonoma di fronte alla Legge Suprema ed al  supremo legislatore, ma è tale di fronte al resto,  à o’ dire che nella volontà umana v’ è una vocazione primitiva verso quello che è buono e che è  giusto, vocazione indipendente dalle condizioni dell’esperienza e della storia. Dicendo ciò, non si oltrepassano i limiti della lìlosolìa per entrare nell’orbita della teologia (benché un rimprovero siffatto,  ci affrettiamo a dirlo, sarebbe per noi un titolo di  onore). Principio conoscitivo del bene e del giusto  rimane, con tutto ciò, l’analisi della coscienza, come principio ontologico dell’uno e dell’ altro, la NATURA UMANA. Noi siamo i veri positivisti, noi, die  ci reggiamo sul saldo sostegno della physis, ma della pliysis non deformata dalle preoccupazioni materialistiche. Rifacendo la serie regressiva delle cause, la filosofìa pone una causa prima che muove  la natura senza esserne mossa: intenta a discoprire  V origine prima di tutte le cose che sono nel tempo,  la logica la costringe ad uscir fuori del tempo. L’evoluzionismo può deridere questa logica, ma non  rintuzzarla. L’ esclusione di un assolutamente prius  è impossibile. E ad esso, dico al positivismo, non  rimane che o attestare, con tacito assenso, la presenza del soprannaturale, ovvero rimaneggiare con  ostentazione di novità e di maturità quella povera teoria mitologica della spontaneità creatrice degli  uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel  termine primitivo delle esperienze, se non è una  creazione del SOPRANNATURALE, deve essere una generatio aequivoca della natura primitiva : una genialità eroica, un salto mortale degli esseri sub-umani.   Per. sfuggire alle ritorte della logica, il criterio  storico-evolutivo non ha altro spediente che quello di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente,  di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirittura il problema delle origini, facendo sorgere la  risoluzione di un problema insolubile dalla disperazione professata di risolverlo. Questa esclusione del  problema delle origini, come di cosa inconcepibile in  sé, è postulata dalla logica del divenire. La continuità evolutiva dei fenomeni dell’ universo esclude,  per logica di cose, ogni nozione di principio o di  fine. Questi due termini estremi rappresentano  il discontinuo, il vacuo, il salto per eccellenza, onde sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione è panteistica: è 1’ eternità trasferita da Dio al mondo: ora  non va dimenticato che 1’ eternità esclude cosi l’origine come la fine. Gl’evoluzionisti odierni lian  poco compreso la portata del criterio evolutivo, perchè ad essi ha fatto difetto quella penetrazione,  metafisica che la fece comprendere cosi egregiamente al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria dell’evoluzione, seguono ciò non pertanto a cincischiare il problema delle origini! Ma ciò non toglie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di  questo dilemma: o accettare la logica dell’ evoluzione e quindi cessare di essere positivisti e confessarsi per animali metafisici di una specie alquanto diversa dagli avversari: o deviare da quella logica e    fi) b as Princip dor Continuitlit verbot in der Reihe der  Erschein angeli alien Unsprung. Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di  Ilarteustein). E lo aveva ben compreso il v. Savigny.] zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur Entwickluug  aber nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht werden kann. Vom Beruf unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. cadere nelle contraddizioni di un primitivo che è  derivato o di un a posteriori che è primitivo. La ritorsione del secondo corno del dilemma è stata analizzata parecchio fin Qui. Giova solo aggiungere  qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto, che  i positivisti, accettando la logica del criterio evolutivo, diventino di punto in hello metafisici non è chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla condizione  del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è,  ripeto, la eternità trasferita dal mondo di là al mondo di qua e, nello stesso mondo di qua, dalla sostanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il positivismo  che il criterio storico-evolutivo è un criterio sovraem pirico; che esso non abolisce la metafìsica ma  ne fa una per suo conto; che non elimina il SOPRANNATURALE ma converte invece ih naturale in soprannaturale. Confessi altresì, che, quando promette di  darci il nascimento ed il processo fenomenico delle  cose, esso mentisce sapendo di mentire. Il criterio  dell’ esperienza e della storia, strettamente considerato, ci dà i termini disparati e sconnessi e non il  vincolo di quei termini, i fatti compiuti e non la  legge del loro divenire. Il continuo sfugge alla storia: essa non ci dà che una moltitudine di vacui e  di discreti, tra i quali la mente umana riconosce un  ordine che reca la impronta della metafisica che  v’ è in lei, ossia di quella somma di concetti che  essa ha di già sulla natura degli esseri soggetti al  divenire storico. Ed ecco così che il realismo giuridico, la filosofia del dritto genetica e fenomenologica vien meno del tutto al suo programma : non  solo l’essere dei fenomeni giuridici, ma e il nascimento e il divenire di questi esseri esso ignora. Residuo positivo della critica mossa alla filosofia è la  scepsi pura nel campo del dritto; una scepsi dogmatica più cbe quella filosofia e elie non soddisfa  nò al criterio filosofico, nè alla esperienza.  li positivismo giuridico ed il problema etico   della filosofia del dritto — Il dritto NATURALE. Il dritto non è soltanto una idea ed una sostanza,  ma, altresì e soprattutto, una norma. Esso è idea  umana e, quindi, non è idea quiescente, ma forza,  nè solo anticipa l’essere, ma detta il dover essere.  È una idea imperativa per eccellenza ed, appunto  perchè tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù  morale, s’intende, e non coercizione fisiologica o psicologica.   La filosofia che attingeva lume da questi sovrani  criteri riconosceva, in correlazione al dritto positivo,  un dritto ideale: questo era per lei una legge e  quello un fatto; un fatto che desume il suo valore  dal rapporto che ha a quella legge, dall’essere esso  una forma di attuazione, d’ individuazione di quella  legge. Questo fatto poteva adequare, se non in tutto,  in buona parte quella legge, ma non l’adequava necessariamente: ed, in tutti i casi, il suo valore era  misurato dal limite di approssimazione al dettato di  quella legge. Astraendo il dritto positivo da quel  parziale contenuto ideale che vi sta dentro, da quello die fa sì die esso sia non solo positivo ma dritto^  di quel diritto positivo non rimane, per la fìlosoiìa r  die il fatto bruto, indifferente, sfornito di significazione. Così per la filosofia seguiva un doppio processo: il dritto naturale conduceva al dritto positivopel bisogno della sua effettuazione empirica ed il  dritto 'positivo rimenava al dritto NATURALE pel bisogno di un titulus jitris e di un sostrato razionale.  L’un termine non era 1’ altro, ma aveva rapporto  air altro. Erano due correlata, non due contrari.  Perchè non erano tutt’ uno, legittima era la ragion  d’ essere dell’ uno e dell’altro ad un tempo, e, perchè erano tutt’ uno in qualche cosa, in qualche rispetto, Fano dei dite non negava, non contraddiceva  assolutamente l’altro. L’ideale non era del tutto inaccessibile al reale e, perciò stesso, intrinsecamente difettivo ed erroneo: il reale non era del  tutto contrario all’ ideale e, quindi, assolutamente  ingiusto e condannevole. Questo rapporto che era  concepito tra i due termini faceva sì che Puno conferisse all’ autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo  attingeva la sua virtù imperativa dal dritto naturale, ossia dall’esserne esso una varietà fenomenica,,  ed il dritto NATURALE desumeva da quello la possibilità di trasferirsi, d’individuarsi nei limiti del relativo e del condizionato, nella storia. Così la filosofìa  era tanto più vicina alla dialettica sapiente della  vita, quanto più era lontana dalla dialettica fantasiosa della logica; e come, nell’ ordine delle idee r  essa segnava la via di mezzo tra Pottimisino ed il  pessimismo, così, nell’ordine dei fatti, tra l’umore  conservativo e l’umore rivoluzionario. Il positivismo si atteggia anche qui, anzi soprattutto qui, ad avversario reciso della filosofia. Come  nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione sistematica dell’ a priori e l’ apoteosi dell’ esperienza ut  sic, così nell’ ordine pratico esso dogmatizza l’esclusione della norma doverosa e 1’ apoteosi del fatto.  Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o  l’essere stato, non il dover essere: la storia non gli  dà che fatti o, tutt’al più, che leggi empiriche di  fatti. L’evoluzione gli fornisce una legge di causalità naturale che è la negazione recisa della legge  morale: nessuno dei criteri, ai quali esso fa ricorso,  gli suggerisce la nozione del dovere. Tuttavia, poiché la necessità morale è un rapporto che è più facile escludere tacitamente, per  esigenza di sistema, che negare di professo, e poiché  il positivismo moderno é abbastanza raffinato per lu singarsi di fare a meno dei rapporti ideali della metafisica (benché noi sia quanto é necessario per persuadersi della loro verità), esso si tiene ben lungi dal  rassegnarsi al puro fatto del dritto positivo ; bensì  non resiste alla tentazione di interpetrare questo fatto  in funzione di una legge che gli conferisca a priori  valore ideale ed assoluto. È dritto quello che é imposto dai poteri coattivi ed é dritto in quanto e perchè è imposto ; ma, quest’ autorevolezza giuridica, se  coincide col fatto stesso del comando, non coincide  tuttavia col fatto del comando attuale, ed è conseguenza o espressione di una virtù presupposta nel  fatto del comando abituale, del comando in quanto comando. Il principio — EST IVS QVIA IVSSVM  ed  è la formula del positivismo e noi f abbiamo veduta assentita implicitamente e per ragion di contrasto  dal v. Jheriug e dal Daliu, professata espressamente dal Lasson e dal v. Kirchmann, idealeggi ata, in  omaggio allo psichismo, dal Bierling.   Quella forinola, per quanto positiva, implica un  sottinteso razionale. Ed il sottinteso è il seguente : il  fatto del comando è la sorgente appunto del dritto: o  altrimenti: l’essenza del dritto consiste nel comando.  Il positivismo lia, pertanto, anch’esso la spa massima: l’attitudine che esso assume di fronte al fatto non è  puramente passiva, o, se è tale, lo è o si avvisa di  esserlo coscientemente e razionalmente. Non v’è bisogno di analisi minute per vedere quale e quanta  conferma indiretta, (conferma formale, s’intende) rechi questa massima del positivismo alla metafìsica  del dritto naturale. Il compito razionale del dritto  naturale non è propriamente escluso, ma applicato  ed atteggiato in modo diverso che prima; è una materia, nuova che si contrappone al contenuto antico  di quel dritto, non una nuova forma. La filosofìa  aveva per criterio conoscitivo del dritto NATURALE la ragione indagatrice dei tini dell’ universo e della  natura morale dell’ uomo: il positivismo ha per suo  criterio l’esperienza immediata dei precetti del potere positivo. La filosofìa aveva per principio ontologico del  dritto l’ordine morale della stessa natura dell’uomo e degli stessi fini delle cose : il positivismo, invece,  il fatto stesso della coercizione potestativa, in quanto  tale : nell’ una come nell’ altro, le disposizioni positive sono un fatto che in tanto ha valore in quanto  gliel conferisce il rapporto vero o presunto di conformità di detto fatto ad una data legge o ad una data massima. Varia solo il contenuto della massima  e della legge, che nella filosofìa è sintetico, dovechè  nel positivismo è analitico : perchè nell? una è attinto altronde e nell’ altro è spremuto dal fatto stesso  delle disposizioni positive o, che è lo stesso, pre-implicato, con dialettica a priori, nel fondo di esso  fatto. E che la massima del positivismo si traduca in  un’ analisi vuota, in una petizione di principio, non  v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del comando è  criterio del dritto, solo perchè il dritto si è preconcepito come forza e forza fisiologica; solo perchè la  nozione di una potenza spirituale del dritto in quanto  dritto, ossia in quanto norma di ragione, si è anticipatamente esclusa, come nozione che trascende l’esperienza, solo perchè si è posto o postulato, anzi  tempo, il principio che la forza, che noi intendiamo  morale, degl’ imperativi giuridici non si differenzia  dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto;  solo perchè si è stabilito antecedentemente che la  condotta dell’uomo non può essere determinata che  dai motivi empirici e psicologici della sanzione positiva ; solo perchè si è presupposto che il dritto  non è una idea, ma un fatto e che l’assenza dell’attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi  assenza del contenuto e della virtù imperativa del  dritto stesso. Ed invero, se la coincidenza della forza,  etica con la forza fisica, del dritto col fatto, non  fosse un presupposto, onde e come il positivista si  farebbe a provarla ? Con l’esperienza ? Ma l’esperienza gli consegna il fatto semplice e nudo, la nuda  e semplice forza fìsica ; se e fino a che punto 1 uno e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza  non lo dice e non lo può dire, perchè ignora che è  dritto e che è forza morale. ]STè lo suffraga la storia, la quale può provare concludentemente la presenza o meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la  presenza o meno deila necessità di tale attuazione. Il  positivismo deve, per necessita di cose, far capo alla  speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non  che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’illegittimità, perchè, se il dritto positivo ed il dritto NATURALE sono termini semplicemente correlativi, il fatto  ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono  termini addirittura contradditori, tra i quali non vi  è presunzione di coincidenza o di accordo che tenga. Portando poi la questione in altro campo, è bene  por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed  il dritto e per predicare come sola forza viva delle  cose il potere coattivo e materiale (ed il convincimento radicato di quella sterilità è il motivo psicologico che persuade al positivismo il culto del potere coattivo) occorre aver dimenticato, o non aver conosciuto e compreso giammai, quanto la forza spirituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di alcuni canoni giuridici sia stata superiore, nel corso della storia, alla forza materiale dei poteri  dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di resistenza  dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto. Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le  oppone  sorte di agli avversari, senza, per altro, vincolare alla  esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, indipendente dal successo di fatto o dall* osservanza   <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie lo si adoni pia  « no; e la violazione è un mero fatto che opera si  elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che  l’ idea cessi di essere idea. Doveehè il positivismo  da questa confusione tra idea e fatto prende le mosse  e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è  il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto: o  altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè  non esiste in quanto fatto. Il qual paradosso non può  essere legittimato che da un sottinteso non meno  paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in  quanto non è più idea. Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a  priori alla nuda forza materiale valore e contenuto  ideale cade nell’ insuccesso, vien meno altresì quel1’ apparenza di legittimità, onde il positivismo si face bello. La logica delle cose rimuove quella pretesa dialettica del dritto con la forza, denudando  quest’ ultima di quell’ involucro spirituale nel quale  si veniva dissimulando. Ed allora ai positivisti si  pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita:  o riconoscere la legittimità della nozione del dovere  e, quindi, rientrare nei termini della filosofìa del  dritto naturale, o professare apertamente l’immoralismo della forza. Perchè tra l’una cosa e 1’ altra [ Ist clas Recht nur Recht, uutorschieden von Willkiihr  mici Gewa.lt, wenn and soweit es eine dea Willen vcrjìjlichtcnde  Kraft in sich triigt, so Htellt sichjeder; der von Recht spricht  nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn Stand]) nuli, aut doni  Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd miterialistificlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli  Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-,  gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiitze n — Vìvici — Natur recht non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra  la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la  necessità morale, è irriducibile: chi non voglia assentire alla logica della seconda non può, ov’egl’abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica,  rinunziare alla logica della prima. E, quando si confessi apertamente che il titolo che fonda la legittimità esclusiva del diritto storico e positivo è laforza  materiale dei poteri governanti, allora noi non avremo più alcunché da opporre e ci terremo paghi di  darci per vinti. Il problema, allora, non è più da  dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel consentimento in un prius della ricerca, che pure è necessario  per sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo  potrà, a buon dritto, millantare il privilegio che godono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i sistemi  negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità  e della natura: il privilegio di esser fuori della critica, perchè si è fuori della coscienza umana. Se non che, di questa logica di sistema non tutti  sono accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti.  Ed è forse questa ignoranza il motivo della loro tenacità. Essi usurpano, senza volerlo deliberatamente,  le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto  naturale, lieti che una materia presa d’altronde risparmi ad essi la fatica ed il dolore di saggiare a  londo la insostenibilità del loro assunto originario.  Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e della forza non è il sèguito di un proposito meditato e rigorosamente positivo, ma di una esigenza tutta/  negativa che domina i nostri positivisti. La esclusività che essi appongono al dritto positivo, è la conseguenza della esclusione clic essi Inni fatto dianzi di alcune forme storiche del dritto naturale; forme storiche che essi hanno scambiato sul serio con  la sostanza stessa del dritto NATURALE, in orna irgio a quel vecchio espediente solistico di fare  un fascio della scienza e degli scienziati, della  idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, della realtà oggettiva e della percezione soggettiva. E  di sistemi o di concepimenti individuali o collettivi  di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa  natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri  positivisti tra una critica e l’altra di questo o quel  sistema sbagliato di dritto naturale sembra larga  prò metti tri ce di successi. Se non che, alla prima  analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi elementarissima e superficiale) quel termine polisenso  che è il diritto NATURALE, i successi del positivismo, come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco GRICE EQUIVOCO,  si dissipano d’un tratto.V’ha anzitutto una forma di dritto NATURALE, la quale, benché prenda le mosse dallo schematismo  universale della NATURA UMANA e dalla premessa dello STATO DI NATURA, ha tuttavia carattere e tendenze  originariamente empiriche e si presenta non già  come una dottrina creativa di dritti o di esigenze morali in contrapposto al dritto positivo, ma  piuttosto come una semplice astrazione ed elaborazione concettuale del dritto storico vigente. V’ ha, indi, una [Ciò è messo discretamente in luce da Bergòohm  risprudenz u Rechtsphilosophie.  Ju-] altra forma di dritto NATURALE, quella ohe, per abusata terminologia si chiama diritto NATURALE (NATURRECHT) per antonomasia, ed è il diritto NATURALE dell’AuJhUirung e DELLA RAGIONE, di cui è conosciuta la  storia assai più, forse, che il carattere e l’indole  vera, che è razionalista nel metodo, subiettivi sta nei criteri, anti-storico nelle esigenze, umanitario nel contenuto; che e la scuola in cui il diritto nou è pi 11  astrazione o generalizzazione dell’esperienza storica,  ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo  STATO DI NATURA è (almeno in quanto ha di meglio) meno una premessa di fatto storico, che un mito (H. P. GRICE), una ipotesi razionale postulata a legittimare una data serie  di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di  una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e  nel suo passivo, ad un tempo, la dottrina (atteggiata in modo particolare) dei dritti dell’uomo e la  grande rivoluzione. V’ha, poi, il dritto NATURALE  della filosofia perenne; che non è forma ma sostanza delle forme; che è anteriore, per ordine di tempo, così al NATUR-RECHT empirico come al NATUR-RECHT RAZIONALISTICO e che non è nè l’uno nè l’altro, benché l’uno e l’altro nella lor parte migliore si approssimino ad esso; che emerge dalle profondità  della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in  qualsiasi tempo e che la cultura romana antica (CICERONE) specula non  meno che la cultura moderna; che non è patrimonio di questa o quella filosofìa personale, ma della  tradizione storica ed impersonale della filosofia;  che non è contrario sistematicamente al criterio storico, ma non lo è nemmeno al criterio speculativo;  che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, ma la tieu salda come potenza conoscitiva dei rapporti ideali e delle norme mperative; che supera  il subiettivismo assoluto dell’AujMarung, ma non  ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggettive della coscienza umana come tale ; che è illuminato da una concezione teleologica dell’universo e della vita, ma non profana per questo il suo finalismo nelle aberrazioni del panteismo ottimista e  del pietismo storico; che si rappresenta i dritti dell’uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del  dovere, ma non sconosce la sostanza ed il valore imperativo dei dritti attinenti all’uomo come tale, anzi  questi diritti rivendica tuttora e consacra. Ora è *questo* dritto NATURALE che, in nome della  filosofia, si oppone oggi al positivismo, perchè è esso  che segna il sostrato permanente delle forme storiche particolari; e questo dritto NATURALE è così lungi  dall’ essere posto a mal partito dalla critica che i  positivisti oppongono a questa o a quella forma  onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella  scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna  di quelle critiche se la potrebbe appropriare esso  stesso, senza infirmare per questo il suo contenuto  sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè parecchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono  del tutto infondate. Quelle, in specie, che si dirigono al dritto naturale razionalisti co, ossia al dritto NATURALE, sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pretensiose che si rende urgente il bisogno di rintuzzarle in nome della sana e serena filosofìa. Di già  quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta  delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i torti innegabili, ina pur sempre largamente compensati non gli scemano la legittima aspettazione. Dagl’avversari, che lo fraintendono o lo giudicano  con criteri unilaterali, agl’amici (cito tra questi Spencer del The nxan versus thè stette e della Jnstice)  che ne appropriano quello che esso ha di men buono, è tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo,  a deformarlo: alla quale non poca parte confermai suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio  alla sua dialettica possente, predicare della sostanza  del dritto naturale le note e le categorie applicabili  al solo panlogismo hegeliano, che si traduce, a sua  volta, in un sistema intrinsecamente realista e positivista. È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione concettuale, abusando del doppio senso della parola  astrazione, e non si pensa che esso rappresenta precisamente il contrapposto di ogni astrazione concettuale della realtà empirica, differenziandosi, appunto per questo, da quel dritto naturale che  immediatamente lo precede. L’ astrazione non è  punto un procedimento trascendentale e sovra-empirico, come si crede comunemente: essa è, anzi,  una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione  è, propriamente, un processo di semplificazione  logica dei dati empirici, non un criterio conoscitivo  che trascenda i dati stessi. Assumere la parola   Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschichte der Rechtsphilosophie) illustra lo aspetto empirico del natur-recht dichiarando apertamente che solo con  1 Hegel può dirsi “der ununterbrochene Faden logischer  Forderung durchgefuhrt. Aastrazione nel senso di una intuizione sovra-empirica è assurdo. Bisogna aver dimenticato così l’etimologia del vocabolo, abstrahere, come fi analisi del processo conoscitivo. L astrazione è la via traverso la quale si perviene all’universale logico: il quale universale logico è l’unico sforzo cogitativo che si possa consentire  l’induttivismo e l’empirismo Se, adunque, astrazione non significa che questo, non è arduo vedere  quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto  NATURALE. La ragione del NATURRECHT è così poco ragione astratta da una serie di concreti preconosciuti, che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex  novo ed intuitiva. Il diritto NATURALE è, nel fondo,  ont elogistico: ond’esso ha per suo criterio l’intuito  creativo della ragione, anziché l’esperienza del reale,  fi analisi, la riflessione, l’astrazione. Il genus proximum dell’ uomo, ossia del soggetto  dei dritti connaturati, è, ivi, meno un residuo dell’astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle  varietà contiagibili e storiche, che una speculazione  a priori e so vraem pirica delfi università reale della  natura umana. E dico che è tale nella sua esigenza  e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare  se quella esigenza o quell’ interesse siano stati sempre e coerentemente soddisfatti. Ed è appunto dall’essere fi intuizione, l’Anschauung, il suo processo  ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei  per dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è  puramente logica; è negazione esplicita della vita,  della forza, delfi attività, delfi ethos. Carattere del  dritto NATURALE è, invece, la sua potenza attiva, la sua forza suggestiva di riforme e creativa di rivolgimenti: suo prodotto immediato è quella obsessione  spirituale che investi l’umanita, tiascinandola in  quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale,  dalla natura alla storia, vero salto nel buio, che fu  la rivoluzione. V’ lia bensì l’astrazione concettuale  anche nel dritto naturale: ma questa astrazione, anziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empirica come si crede dai piu, è più presto la conseguenza naturale di quella iuiìltrazioue empirica che  vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non contenti di aver annunziato una serie di principi e  di averli speculati a priori, il che, metodicamente  parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un  passo più oltre e costruire, per via di un'analisi  concettuale di quei principi, la serie degli atteggiamenti concreti della vita giuridica. Per una simile  costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad  essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica  dei concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione  non poteva servire alla bisogna, perche è propriodell’intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’ universale delle cose o, più brevemente, le idee, non i  concreti od i fenomeni. Essi, adunque, travagliati  da una esigenza empirica, fecero capo all’astrazione; e  dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed economico-politiche del tempo loro astrassero tutto un contenuto storico e particolare, il qual contenuto essi  hanno predicato dell’ umanità intiera, jiervertendo,.  così, in universale logico, l’universale reale e, nella  indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana.  E qui che la critica dello Stali! e degli altri acerbi rampognatoli coglie, senza dubbio, nel segno, ina non  già perchè il dritto naturale sia caduto nelle speculazioni a priori della ragione, bensì perchè esso  è caduto nel circuito dell’analisi e dell’empirismo,  o, se l’astrazione si voglia assumere, per un momento, nel senso che le conferiscono i nostri avversari,  non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè  anzi hanno astratto troppo poco. La natura traccia  le linee fondamentali. I dettagli dell’ esecuzione li  lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero  dritto NATURALE ci dà una serie di criteri o di principi del dritto, i quali sono, bensì, un dritto, ma  un dritto ideale e potenziale. Essi, quei criteri o  quei principi, sono un prerequisito del dritto fenomenico, ma non sono ancora, propriamente parlando,  un dritto fenomenico bello e dato; il qual dritto è  la risultante complessa di condizioni empiriche, nelle quali quei principi e quei criteri s’individuano  ma non si consumano. Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza  per altro un po’ di formalismo, da Feuerbach, Das  Reclitsgesetz, obgleìch durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu  dennoch als blosses Vernini ftgesetz nicht allgemeingeltend werden. Soli es wirklioh herrsclien, so muss dieses Reehtsgesetz aus dem Reicke des Vernunft in das Reich der Erfahrung,  aus der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetrageu werdeu. In dem Gesetze des Reehts erkenne idi nodi  nicht dio Reclite selbst, in ihm habe ich nur das Princip und  das Criterium ihrer Erkenntniss; dio Frage ; worin besteht das  rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was Rechtens sei  uuter diesel oder jener Bedingung, in diesem odor jenem Vorhiiltnisse. Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Verliiiltnisse zur positiven Rechtsvnssenschaft=Landshut. L’ esigenza empirica che deforma il dritto NATURALE sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al  suo assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe essere una speculazione del dritto naturale a quella  serie di condizioni alle quali è sottoposta la conoscenza del dritto fenomenico, nel trasferire alla nozione di quello le note che sono pertinenti alla nozione di questo; di guisa che essi muovano come  da un sottinteso: il presunto dritto naturale va trattato alla stregua del dritto fenomenico. Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio,  quella tenacità di tensione intellettiva che era necessaria per comprendere che il dritto naturale deve anzi  tutto rimanere dritto naturale, e che il giudizio sulla  esistenza di esso non deve essere sottoposto al regolo o al criterio moderatore dei giudizi sull’esistenza del dritto positivo. Anche qui, adunque, essi  sono in colpa non già per aver voluto far troppo di  dritto NATURALE, ma per averne fatto troppo poco; e  chi ha meno dritto di rampognarli di ciò è il positivista. Ai principi del dritto NATURALE si potrebbe,  a buon dritto, torcere quel rimprovero che fa il LIZIO alle idee di dell’ACCADEMIA: essi, quei principi, sono  ipostasi intellettive delle realità fenomeniche individuali. Di qui 1’ aspetto malsano del dritto naturale :  la realtà della storia contorta in un falso schematismo logico: quello che sarebbe dovuto essere storico  relativo provvisorio, rifuso in una forma logica universale e rappresentato come eterno, assoluto, immutabile: la storia, insomma, negata come storia e  riaffermata come speculazione logica. Così, quel subiettivismo, che era la realtà di fatto del tempo dell’ AujUiirung si predica come natura dell’ uomo  in tutti i tempi. Alla proprietà ed al contratto si  conferisce quel contenuto rigidamente individualistico  che corrisponde alle mire secrete del sistema economico che si veniva affermando in quell’ ambiente storico, del sistema capitalista. La nozione dei  dritti connaturati alterata e deformata dalla miscela  inconsulta di elementi positivi e di pretensioni e di  attribuzioni acquisite.  Gli si appone a colpa, altresì, la nozione dello  stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primitivo della umanità governato da una legge spontanea  di natura e non da una legge o da un sistema di  leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato  di natura a rigore di fatto storico può essere ed è  un abuso della mitologia, assumerlo, invece, come  una ipotesi lìlosohca, è, fuori dubbio, un processo  rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente  necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare  mediocremente il contenuto della vita sociale, che  voglia sceverare quello che è permanente da quello  che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che  voglia discernere nettamente quello che in una data  associazione di persone va attribuito alla natura originaria di ciascuno dei membri da quello che vi si è  venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso  dei membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione  sociale, ogni pensatore, dico, che voglia fare tutto  questo, deve porre lo stato di natura e contrapporgli  [Cfr. il nostro saggio ‘La terra nell’ odierna economia  capitalistica’ (Roma) lo stato sociale sopra v vegnente, deve distinguere limpidamente l’uomo della natura dall’uomo della storia.  È superfluo qui ricordare Spencer, il quale a  questa astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo  della storia (che per lui, naturalista reciso, si converte in un’astrazione dell’ unità biologica dall’unità  sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime  nelle quali egli restaura di professo il dritto NATURALE, ma anche nelle opere anteriori, le quali segnano il  climax del suo pensiero filosòfico. Il convincimento,  anzi, della legittimità di una contrapposizione dell’unità biologica alla unità storica, o, che per noi è  lo stesso, della legittimità di una ipotesi dello stato  di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo  novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in  genere con tutta la sua filosofia sintetica, 1’ addentellato dell’ uno nell’ altra. Ricordo, poi, un illustre  positivista, come Kirchmann, il quale ha esplicitamente riconosciuto la necessità che le scienze morali,  prive come sono del sussidio dell’esperimento, invochino 1’ ausilio di ipotesi scientifiche per sopperire a  quel difetto, e, tra queste ipotesi, rivendica, di proposito deliberato, quella dello STATO DI NATURA). Non [Es ist die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht  bloss aut die sifctlichen Zustande der rohen und attesten Volker  mit besouderer Sorgfalt einzngehen, sondern sie muss noch  hinter die àltesten gesehiclitliclien Zustande zuriiekgehen und  durcli Hypothesen die einfachsten Zustande zu ermitteln suchen.  Diese Hypothesen kdnuen in ein phautastisches und fur die  Wissenschaft nutzloses Spiel ausarten. Allein mit Vorsicht  geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der Experimente in der  Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es  8ich, das8 8chon LIZIO und spdter die Begriinder des Natur. ] L’uso di questa ipotesi va, adunque, rimproverato al  dritto naturale, ma l’abuso : ossia non la ipotesi  come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si  atteggia. Quanto poi all’altra nozione del contratto sociale, che è quella che più si rimprovera al dritto NATURALE (e, tenuto conto delle conseguenze logiche  di essa, a buon dritto) va notato che nei più grandi cultori di quel dritto (cito ad es. il Kant) il contratto sociale non è già un fatto storico, ma una  ipotesi RAZIONALE evocata a legittimare l’ordine giuridico dei rapporti umani, anziché a scuoterlo e  corroderlo. La teoria del contratto sociale è la risultante di due fattori : del sottinteso o presupposto  contrattuale, secondo il quale unica fonte legittima  di obbligazione autorevole è il consenso dello stesso obbligato; e della esigenza, che animava i cultori del dritto NATURALE, a legittimare il vincolo o  la serie dei vincoli sociali, anche quelli che non  lasciavano trapelare o supporre la presenza di un  consenso preesistente. Il CONTRATTO sociale è quel di  là dell’esperienza attuale, quell’ assolutamente prius  della storia, che sopperisce al difetto del consenso  attuale, con l’allegare una specie di consenso abituale, una Anerkenmmg, direbbe il Bierling, una mas- [rechts nùt TJrzmtanden des Memchen beginnen, welche uber die  Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene Tadel trifffc  nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit getriebenen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel  nicht uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das  Nothwendige und Gewissere zu beschriinken. Grimdbegrifte  sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi  la dialettica che il pensiero dei cultori del dritto  naturale ebbe tentato tra la premessa logica del  contrattualismo e le esigenze della conservazione  sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà  naturale, postulata come principio, ed il complessodei vincoli sociali, riconosciuti come fatto. Il che  si deve al fatto, riconosciuto dallo stesso Stalli, che essi, se per la logica, sarei per dire per la  consequenziarità, del loro principio erano, o meglio  avrebbero dovuto essere, rivoluzionari, nel fondo  del loro pensiero e della tendenza loro erano, invece, conservatori: senza dubbio degl’ingenui conservatori. Ohe se si voglia porre a carico loro  appunto il non aver compreso che il vero STATO NATURALE dell’ uomo è lo STATO SOCIALE, che non v’ ha bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per  legittimare vincoli sociali i quali si legittimano da  sè, che si pensi, almeno, che il torto innegabile [Das NATURRECHT ist nachgiebig, wo es die Wirklichkeit gegen sich hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und  sucht ihu dnrcli IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilligung zu rechtfertigen, uni sein theoretisches Interesse zu befriedigcn : die Revolution, dagegen, will die Macht der Wirklichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung, die uicht  aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir  jede Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es sich  als frei denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie  niclit gewollt, dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R.  phil. Quest’ antitesi del dritto naturale alla rivoluzione  è licondotta dallo Stalli ad una causa diversa che da noi. Ma  ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia stata riconosciuto da quel profondo intelletto.] del dritto naturale va dovuto, in buona parte, alla  difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono  davvero conformi alle leggi della natura umana,  da quegli altri vincoli clic non sono tali. L’errore  loro, sarei per dire, è, in parte, un errore delle  cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato sociale e pure niente, ad un tempo, più violento di  esso (antitesi questa che deve essere stata colta  da MANZONI, non ricordo più in qual punto delle  sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una  serie di obbligazioni perfettamente legittime, perchè  perfettamente naturali, reca pure con sè (è il suo  lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un  cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine, irrazionali che la natura convellono, incatenano, deformano. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto naturale  abbia colto questo secondo aspetto delle cose soltanto e niun conto abbia tenuto del primo, di guisa che si sia reputato in dovere di legittimare  quello che non sembrava legittimo a prima giunta  e di costruire con la volontà quello che non forniva la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro mondo,  che non adempie in sè la perfezione e l’ideale, ma  della perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è  tante e così aspre antitesi! ed è così facile invertire  un solo dei termini dell’antitesi nella realtà tutta  intiera!  Il dritto NATURALE può avere molti torti, ma questi sono compensati ad usura dal molto di buono  che vi è dentro: da quella nozione di un dritto indipendente dalla sanzione positiva e superiore ad  essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello appunto die costituisce il suo essere di uomo, la sua  umanità. E l’umanità-, ecco l’aspetto sano del diritto naturale; che in esso è, fórse un universale  logico e formale, una formula del razionalismo dell’Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia potuto  divenire nella mente dei contemporanei e dei posteri un universale reale. Prima che esso ravvivasse il  culto della personalità individuale, si vedeva questo  o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o  quella condizione economica e sociale: grazie ad esso  si vide Tuo ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello  individualismo: ma 1’ umanità gli deve saper grado  di questo individualismo, se da esso ha potuto sprigionarsi, con un processo di auto-correzione, la sana  individualità, ossia la dignità umana. In questo il  dritto naturale razionalistico si confonde col dritto  naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è la  espressione di quel dritto che ogni uomo possiede  come la parte più sacra di se stesso, che l’uomo sente pria di conoscere ed aspira nell’atto stesso di  conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento  od un intuito, una idea od una volizione. Il dritto  naturale rientra, allora, nei termini della dottrina  cristiana, perchè il dritto dell’uomo è l’espressione  della preziosità inestimabile dell’ umana persona redenta da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile, e rimane tale senza fallo, finche non declini la coscienza morale dell’ umanità.   ^è io saprei per qual modo il positivismo, il  quale si è travagliato e si travaglia nella critica del  dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi angusti criteri oppugnarlo davvero. Un sistema die  predica V esperienza, come criterio scientifico esclusivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo:  il vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non  ce lo attesta; nessuno ci lia fatto toccar con mano  la sua esistenza nel passato, o nel presente; si può  metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con  mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto NATURALE, adunque, non esiste. Orbene questo argomento  è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno il dritto NATURALE, nè i suoi cultori. I quali potranno ben  rispondervi: sapevamcelo ! ma il nostro dritto NATURALE è quello che è, appunto perchè noìi è fenomenico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo  si poco scossi dal vostro raziocinio che lo abbiamo  prevenuto: il dritto NATURALE è, per noi, una idea e  non necessariamente un fatto, un dover essere e  non un essere, una necessità morale e non una cosa  empiricamente esistente. Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle  condizioni dell’ esperienza e della storia, che sia  stato attuato o individuato da 'questo o quel dritto  positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco;  perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia  esistito davvero, ma se debba esistere: onde l’inesistenza di fatto di esso non è argomento contrario  alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento  favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del  criterio sperimentale, si esclude la nozione del diitto NATURALE, si cade in una petizione di principio. Si dà per provato quello che si doveva appunto  provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza  delle cose sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non  vi sia altra forma di esistenza che la esistenza empirica.  Ed in questa petizione di principio si risolve tutta la  critica esercitata dal positivismo sul dritto naturale.  Gli studi di filosofìa del dritto di Wallaschek e più  di tutto il saggio di Bergbolim, nel  quale è condotto un esame molto accurato del dritto NATURALE, sono piene di argomentazioni suppergiù del contenuto e del valore della seguente,  tormolata dal primo di quegli scrittori: Ausser dem  bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht, demi  es ist ein Widerspnich, anzunelimen, dass, ausser  dem bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit, das  nicht bestelit. É chiaro che un simile modo di  ragionare è il portato logico della ideologia positivista, come è chiaro che ivi si confondono malaccortamente duo cose, che vanno divise o distinte, o,  almeno, sulla diversità o pluralità delle quali volgeva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle  cose va distinta dalla esistenza metafìsica delle cose  stesse. Ora è appunto a questa esistenza metafisica che  fanno accenno i rivendicatori del dritto NATURALE. Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di assurdo paradossale, con una proposizione sofìstica diquel genere, dove il verbo essere vien preso in un  membro in un senso e nell’altro in un altro.  Line andere ivichtige Frage bleibt ja immer, ob  das Recht, das bestelit, aneli bestehen solite, aber  der Begriff des Rechtes, das sein soli, darf nicht verwechselt werden mit dem, das thatsàchlich vorhanden  ist, und nur dieses letztere ist Recht, das erstere soli  es sein. Ma, di grazia, quando mai il dritto NATURALE ha preteso di affermare la sua esistenza empirica di fatto, ossia la sua esistenza di diritto  positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello  che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire,  non già: io esisto davvero: ma: io debbo esistere.  L’essere del dritto NATURALE è precisamente il dover  essere: il dritto NATURALE è una norma ed è come  norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia  punto un fatto, il primo ad esserne persuaso è esso  stesso. Appunto perchè non esiste necessariamente  nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di  esistere. Ed in questo dritto ad esistere, non già  nell’esistere davvero è riposto il suo essere. È veramente deplorabile che questi principi così elementari debbano essere ribaditi quando pareva che nessuno potesse dubitarne!  L’empirismo è così scarso di prove contro il  dritto NATURALE, ch’esso non può neanche fermare  assolutamente che quel dritto non sia possibile  nelle stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale  a dire, esso non solo non ha autorità di asserire che  il dritto NATURALE non sia ovvero non debba esistere,  ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non  possa esistere. Perchè il possibile ed il futuro eccede il potere dell’ esperienza, la quale è limitata al  passato ed al presente; il poter essere o il sarà sono  quasi così lungi dal poter essere affermati e negati  dal positivismo che aspiri ad essere logico, quanto lo è il dover essere. Esclusa, così, la possibilità di uno di quei richiami al futuro che sono tra i  ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo  di dettar legge alla storia, ad esso non resta che  contenere le sue negazioni nella sfera del presente.  Allora la scepsi che esso esercita sul dritto NATURALE va formolata nella tesi seguente: il dritto NATURALE non esiste come dritto NATURALE, perchè non  esiste come dritto positivo: una tesi sbalordi toia  che presuppone, in chi la . sostiene, il difetto assoluto della più elementare analisi ideologica e che  segna, mi si lasci dire la parola, la vera bancarotta  del positivismo giuridico. Stammler. IGINO PETRONE Prof. Orditi, dì filosofia morale nella Regia Università di Napoli I LIMITI DEL DETERMINISMO SCIENTIFICO Seconda Edizione ROMA COOPERATIVA POLIGRAFICA EDITRICE Digitized by L^ooQle IGINO PETRONE Prof ‘ Orditi, di filosofia morale nella Regia Università di Napoli I LIMITI DEL DETERMINISMO SCIENTIFICO Seconda Edizione ROMA COOPERATIVA POLIGRAFICA EDITRICE Piazza del Biscione, d5 1903 Digitized by L.ooQle PROPRIETÀ LETTERÀRIA Digitized by Google INDICE I. Il determinismo scientifico.. pag. 3 II. I limiti del determinismo meccanico. „ 28 III. I limiti del determinismo biologico. „ 57 IV. I limiti del determinismo psicologico. „ 84 V. I limiti del determinismo sociologico ..... „ 121 Conclusione . .„ 140 Digitized by L^ooQle Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO SCIENTIFICO Digitized by Google Digitized by Google I. Il determinismo scientifico. Nella tradizione della filosofia e nell’uso comune del parlar filosofico la parola determinismo ha, di regola, un si¬ gnificato particolare e limitato: essa designa, cioè, una dot¬ trina speciale della causalità del volere in contrapposto ad un’altra dottrina speciale, il libero arbitrio. Il determinismo scientifico, che è oggetto del presente studio, non va confuso con questa forma speciale di deter¬ minismo, ossia col determinismo psicologico. Esso ha, anzi, una significazione universale, e designa una dottrina che si estende a tutte le forme dell’essere, a tutti i fenomeni del cosmo, a tutti gli ordini dell’esperienza. Esso traduce, in forma ed abito di scienza, il problema di una concezione universale e causalistica del mondo: cioè a dire, di una forma di concepimento, per cui il solo nesso intellettivo o il solo principio d’intelligibilità della serie fenomenica sia il nesso o il principio di causa. Esso riconduce, ad un tempo, le forme e le relazioni della natura ed i cangiamenti e processi del mondo umano alla causalità naturale o, meglio, alla efficienza delle condizioni antecedenti necessarie e sufficienti: e rap¬ presenta una esplicazione della serie fenomenica, per la quale Digitized by L^ooQle 4 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO ciascun termine di quella serie sia riducibile ai suoi antece¬ denti e deducibile da questi, e ciascun cangiamento abbia la sua ragion sufficiente nel cangiamento che lo precede, e questo in quello che lo precede a sua volta, e così via air infinito. Esso esclude, quindi, il concetto di un cominciamento asso¬ luto di alcun fenomeno o l’intervento di un fenomeno irri¬ ducibile al determinismo delle sue condizioni, e traduce la serie fenomenica in una serie continua, nella quale nessuna determinazione nuova, originale, incondizionata sopravviene ad interrompere ed a perturbare il concatenamento costante e reciproco dei condizionati e delle condizioni. Esso rappre¬ senta, ad un tempo, un abito mentale ed una dottrina: ed è, propriamente, quell’abito mentale e quella dottrina nel quale o nella quale convergono e tendono a congiungersi due direzioni di pensiero che sembrano, e per taluni rispetti sono, in reciso contrasto fra loro: la direzione dello speri¬ mentalismo induttivo e quella del razionalismo. L'induzione scientifica, bandite le cause finali, non pro¬ cede altrimenti dalla conoscenza dei fatti alPordinamento se¬ riale dei fatti medesimi ed al ritrovamento delle leggi che sulla guida del principio di causa. Ricerca di una invariante nella variabilità dei fenomeni, essa procede, anzitutto, dal supposto della invariabilità del nesso di antecedenza e di consecuzione, che è tal supposto che oltrepassa i puri pro¬ cessi dell’esperienza e li rende possibili. Scienza non più del¬ l’essere ma del cangiamento, essa non può adempiere il suo assunto che riconducendo, sotto altra forma e per altre vie, il divenire all’essere, il cangiamento alla permanenza, il va¬ riabile all’invariabile, il particolare ed il contingente all’uni¬ versale ed al necessario, il fatto alla legge . D’altro lato, il razionalismo, in quanto presupposto di universale adeguatezza dell’intelligibile al reale o in quanto presunzione di universale intelligibilità della natura, tende anch’esso inversamente, con un processo non a posteriori ma a priori e non sintetico ma analitico, ad approssimare la Digitized by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 5 legge al fatto, il razionale al reale, Y identico al diverso, lo schema intelligibile al fenomeno. Forma precipua d’intelli¬ gibilità del reale è il principio di causa: ed il razionalismo perviene • a quella stessa esplicazione causalistica del mondo alla quale si avviano i processi della induzione. Per ottenere ciò, basta che il razionalismo si rassegni al salto dialettico» dal puro mondo del pensiero al mondo dell’essere: salto dia¬ lettico che equivale, per altro, esattamente a quello uguale e contrario dell’induzione, e per cui questa progredisce dal¬ l’essere al pensiero, dal contingente al necessario e dall’em¬ piria alla scienza delle cause. Per una deviazione intima, re¬ ciproca ed inversa di ambo le direzioni di pensiero, accade che l’una e l’altra menano allo stesso risultato; e se l’indu¬ zione sperimentale è tratta a superare sè stessa, matematiz- zando l’esperienza, il razionalismo, d’altro lato, è costretto a lasciar contaminare la sua logica pura, impregnandola di na¬ turalismo ed obbiettivandola nelle forme del reale. 1 . La dottrina dell’evoluzione cosmica segna d a forinola idtima e progredita di questo determinismo universale, pro¬ cedente o circuente per tutti i gradi della realtà. Tuttavia il determinismo scientifico, come dottrina e, più, come avvia¬ mento dottrinale, precede di molto il nascere dell’evoluzio¬ nismo contemporaneo e può legittimamente ricondursi alle origini della filosofìa moderna e del metodo 'obbiettivo. Esso è il punto comune d’incontro delle due correnti che dividono il pensiero filosofico moderno e che fan capo l’una a Bacone, l’altra a Cartesio: convergenza storica, dèlio sperimentalismo induttivo con la deduzione razionale, che corrisponde alla congruenza logica accennata innanzi. Dalla direzione Baco- niana gli deriva la eliminazione delle cause finali e degl 'idoli della subbiettività, il processo dell’indagine positiva, l’espli¬ cazione causalistica dei fenomeni; dalla direzione Cartesiana s. Digitized by L^ooQle 6 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO Jgli proviene l’abito della costruzione e della deduzione mar- tematica e ravvicinamento della matematica e dell’esperienza ìielL’ordine della natura. Certo, il dualismo Cartesiano contraddice all’unità ed all’omogeneità del metodo obbiettivo ed alla universalità ed alla continuità del determinismo: ma, grazie all’opera di Car¬ tesio, rimaneva, intanto, acquisito al sapere scientifico quel¬ l’abito di avvicinare la costruzione matematica all’esperienza •e quello sforzo di compenetrare l’una con l’altra, che, con¬ tenuto dal filosofo francese nei limiti della, natura e del mec¬ canismo fisico, doveva di poi, per logica interna della stessa direzione razionalistica (es.: Spinoza), estendersi agli ordini superiori del reale. Nella filosofia kantiana si afferma, altresì, il dualismo della serie fenomenica, sottoposta alla forma del tempo ed alla legge della causalità, e del noumeno extra-temporale ed extra-causale: ma il noumeno, in pari tempo, è dichiarato intraducibile nei processi dell’esperienza ed è posto a tal di¬ stanza infinita dal fenomeno, che la sua pura, astratta, in¬ concepibile essenza logica non perturba nè incomoda punto il rigido determinismo della serie fenomenica. La libertà non si salva altrimenti dal ferreo giogo della necessità che tra¬ sferendosi dall’ordine sensibile all’ordine intelligibile : la sua salvezza consiste in un allontanamento o in una rinuncia, ossia in uno sforzo logico di elisione. Posteriormente alla filosofia kantiana si annuncia il po¬ sitivismo, e l’omogeneità di metodo e di dottrina, che è il criterio fondamentale della ricerca positiva, elimina agevol¬ mente i residui dell’eterogeneo e le pallide superstiti reliquie di dualismo. La costituzione positiva delle scienze particolari apre l’adito ad una filosofia sintetica, che, dalla disamina del determinismo dei fenomeni di ciascuna scienza " 1 in partico¬ lare, procede di grado in grado alla formolazione del deter¬ minismo fra scienza e scienza e fra serie e serie. Il positivismo statico di Augusto Comte contraddice, Digitized by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 7 bensi,* alle esigenze di un determinismo universale. Bandendo dai termini della ricerca positiva l’indagine della essenza ul¬ tima e dell’origine prima dei* fenomeni cosmici, il filosofo francese s’interdice spontaneamente il passaggio dall’un grado dei reali all’altro, di guisa che i diversi ordini dell’esperienza gli appaiono irriducibili l’uno all’altro. Non che cercare la ragione sufficiente delle forme superiori della realità in quelle inferiori, e delle forme definite nelle forme divenienti, egli inclina all’inverso, a cercare la ragione esplicativa delle forme inferiori nelle forme superiori e delle forme divenienti nelle forme definite (1). Ma è da notare che il posivitismo statico non riesce a contraddire alle esigenze del determinismo, che contraddi¬ cendo, ad un tempo, a sè stesso, segnando, cioè, una recisa deviazione dal suo criterio fondamentale — Y omogeneità di metodo e di dottrina. Il positivismo statico segna la prima fase di sviluppo della filosofia scientifica : la fase empirica e descrittiva. Doveva succedergli, per procedere intimo di cose, la seconda maniera, il positivismo dinamico ; il quale, non riconoscendo limiti al processo di esplicazione e di -ri¬ duzione, indaga e rinviene i nessi causali e genetici che ri¬ costituiscono la continuità degli ordini della ricerca. Principio e simbolo universale di quei nessi è la legge dell’evoluzione : ed in effetti la dottrina dell’evoluzione, ovvero la dottrina di un processo continuo delle formazioni cosmiche, deter¬ minato dalla causalità efficiente di modi equivalenti e con¬ vertibili di una energia persistente ed indelebile, . segna l’espressione sistematica e coerente d^l determinismo univer¬ sale o di una concezione puramente causalistica del mondo. 2 . Da questa nozione preliminare non è difficile inferire quali sieno gli elementi costituitivi del determinismo scien- (1) Ravaisson, Rapport sur la philosophie en France au XIX siècle (1868, pag. 78-79). Digitized by C.ooQle 8 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO tifico e quali norme e quali abiti d’intendimento esso in-, sinui nella interpretazione e nella esplicazione della serie fenomenica. Un primo elemento costitutivo è la universalità del rap¬ porto di successione, o di contiguità nel tempo, fra antece¬ dente e conseguente, oss^a la legge secondo la quale nessun cangiamento interviene che non* sia preceduto e condizionato da un cangiamento anteriore e che, a sua volta, non preceda e venga condizionando un cangiamento susseguente. Un ele¬ mento ulteriore, che completa il primo e vi si sovrappone, è la nozione della invariabilità di tal rapporto di succes¬ sione, ossia la legge secondo la quale la connessione casuale è necessaria, e le consecuzioni di un fenomeno ad un altro, o di un gruppo di fenomeni ad un altro gruppo, verificate entro dati limiti di luogo e di tempo, sono trasferibili a tutti i luoghi ed a tutti i tempi, e valgono, non solo come dati dell’esperienza del presente o del passato, bensì come leggi dell’esperienza possibile. Il primo di questi due elementi, ossia l’universalità del rapporto di successione e di condizionamento, ne contiene e ne implica un altro : la regressione all’ infinito nella serie dei fenomeni. Ogni cangiamento non è soltanto causa di  tamente la limitazione del principio di causa, esso preferisce • d 1 impoverire la vita confplessa del reale per convellerlo nel, letto di Procuste di quello schema intellettivo. E trasferisce ai reali quel limite e quella manchevolezza che è invece una pertinenza del suo criterio ideologico, e traduce la non intel¬ ligibilità di un dato reale secondo il principio di causa, in una inesistenza o in una impossibilità di esistere dei reali che non sieno causati. Dogmatico e non critico, esso tragitta nell’ordine dell’esistenza le notazioni difettose ed imperfette del suo processo conoscitivo. Di conseguenza la serie fenomenica gli si rappresenta come una serie continua: senza principio, e per di più e correlativamente, senza fine ; perchè non solo ogni causa è • effetto di un’altra causa, ma ogni cangiamento, in quanto produce un effetto, produce, ad una volta e necessariamente, ili esso, una causa di cangiamenti ulteriori; e questi altre ' (1) Critique phil., 1878. p. 82 ; 2 levue philos., 1880, pag. 670 ; La nouvelle Monadologie , 135-157 ; Pillon, Introduction à la Psychologie de Piume, LXVIH- ! XiXIX (Paris 1898). ^ * * \ Digitized by Google^ IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 11 «ause a loro volta e così vi>a all’infinito. Nè vi è limite o fermata in questa corsa del divenire verso il futuro, come non vi è limite o arresto nella retrocessione dei fenomeni verso il passato : perchè il divenire ed il cangiamento, come non deriva dall’essere e dalla permanenza per un primo pre-* sunto distacco dall’uno o dall’altra, ma si regge come per propria impulsione, così non può tendere o gravitare verso l’uno o l’altra come suo punto di riposo o di adequamento, ma persiste perennement^hel suo moto, che è moto puro e semplice e senza ragione di fine o di progresso verso un fine’(l). 3 . Il secondo momento, ossia l’invariabilità del rapporto di successione, è quello che pone la essenziale differenza fra il rapporto di contiguità pura nel tempo ed il rapporto di •causalità, ed è, propriamente, il fondamento dell’induzione scientifica ed il fattore precipuo del determinismo. Gli stessi antecedenti nelle stesse condizioni daranno luogo agli stessi conseguenti ; gli stessi cangiamenti si pro¬ ducono, per le stesse condizioni necessarie e sufficienti, secondo le medesime-relazioni e le medesime léggi; i rap¬ porti di consecuzione, fievoli, secondo l’esperienza, per determinate condizioni di luogo e di tempo, valgono, secondo l’inferenza causale, per tutte le condizioni determinabili e possibili. Grazie a questa inferenza causale, il rapporto em¬ pirico di successione dà luogo al rapporto filosofico della determinazione necessaria. La causalità è la successione sol¬ levata a legge.anzi a sistema, a legge ed a sistema di ordine, di generazione e di convenienza intrinseca ; è la successione dei fenomeni astratta, e come emersa dalle condizioni par¬ ticolari del loro accadimento correlativo, e pensata come (1) Spir, loc. cit., p. 488 e segg. Digitized by i^ooole 12 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO possibile nella infinità delle condizioni, concepita, cioè, e raffigurata sub quadam specie aeternitatis. Il determinismo scientifico non può. prescindere in nessun modo da questo momento della connessione necessaria e della, •previsione necessaria, che è il principio direttivo ed il criterio e la garanzia di certezza delle, scienze sperimentali. E questa nota della necessità è la sola, forse, o almeno la sola essen¬ ziale che esso, non ostante le intime ripugnanze per tutto il resto, accetti senza beneficio cP*inventano, pur denudan¬ dola di tutto 41 contenuto implicatovi, dalla dottrina tradi¬ zionale e dogmatica del principio di causa. E noto, infatti, come esso, erede in ciò della critica di D. Hume, ripudi, del dogmatismo filosofico, il concetto della causalità transi¬ tiva o della migrazione della causa nello effetto o del potere produttivo ed efficiente della causa : è noto confesso ricon¬ duci la causalità efficiente alla serie delle condizioni neces¬ sarie e sufficienti del fenomeno, relegando nel dominio delle entità inconoscibili o dei problemi insolubili ed illegittima¬ mente proposti Findagime dell’azione o della virtù intrinseca, onde quelle condizioni riescono alla determinazione di quel dato fenomeno. Questa rinuncia o questa elisione corrisponde egregiamente alle esigenze del determinismo scientifico; che essendo, di natura sua, il simbolo o lo schema mentale di un ordine tra due fenomeni, cauga ed effetto o, meglio, antecedente e conseguente, si rifiuta ad isolare l’un termine della relazione dall’altro, ed a tradurlo, da termine relativo, in una cosa o in una ipostasi assoluta. Il fenomeno - causa - non può essere isolato e divelto dal fenomeno - effetto ; - esso è un estremo ed un limite della relazione, non un ente irrelativo ; esso .è reale solo in funzione del rapporto che lo* lega all’effetto. E la ragion sufficiente del rapporto di causa ed effetto non istà nei ter¬ mini del rapporto, singolarmente presi, ma nel rapporto medesimo : ossia la ragione del fatto, che la stessa causa nelle stesse condizioni produce lo stesso effetto, non istà Digitized by Google IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 13 nella natura della causa più che noi sia nella natura dello effetto : appunto perchè sta nella relazione di entrambi, ossia in ciò che lega la causa e 1’ effetto (1). II. determinismo dei fenomeni simboleggia la loro mutua relazione, non li traduce in noumeni. L’ipotesi del potere pro¬ duttivo della causa tradurrebbe appunto la causa-fenomeno nella causa-noumeno, ossia segnerebbe un’aperta infrazione del determinisnio scientifico. Concepire la causa come una cosa o un ente individuale che ha il potere di produrre un cangiamento o un effetto, è tutt’jmo che dire : la causa è indipendente dall’ effetto, benché l’effetto sia dipendente dalla causa : la causa non esiste in forza del rapporto che la lega all’effetto, ma esiste in sè stessa. Verosimile, quindi, che la causa non produca, quel dato effetto, visto e consi¬ derato che, dopo tutto, essa sta indipendentemente da quello ; e l’effetto non consegue alla causa per una legge di con¬ nessione necessaria, ma deriva dall’arbitrio o dal talento della causa medesima. La potenza, invero, non è necessa¬ riamente in atto : anzi, in quanto potenza, è indifferente all’ atto. Per altro quelle esigenze interne che lo traggono a ripudiare l ’idolo della causalità transitiva, sollecitano il de¬ terminismo ad ammettere, anzi a ribadire, il vincolo della relazione necessaria tra antecedente e conseguente. Del dogmatismo filosofico esso respinge più presto la forma che il contenuto, più presto i simboli che le idee ascose nei sim¬ boli. La finzione della transitività causale è un modo di rappresentare simbolicamente la successione dei fenomeni in quanto efficientemente prodotta in un senso determi¬ nato (2) : come a dire il simbolo corpulento e l’imagine sensibile e plastica del determinismo interno della causa e dell’effetto. La così detta mitologia filosofica consiste appunto (1) Renouvier. Monadologie, 20-21; Spir, loo. cit., p. 283-284. (2) Renouvier, Monadologie, ibid. Digitized by L^ooQle 14 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO nel tradurre le idee di rapporto in sostanze efficienti o, se si vuole, le idee in cose o enti : la causalità, in astratto, è un rapporto ; rivestita di forma sensibile e rappresentativa, è una forza. Ma che cosa è mai 1’ astratto della relazione di due termini senza l’azione dell’uno sull’altro o senza la recipro¬ cità di azione di entrambi ? É qual garentia di invariabilità potrà presentarci il nudo rapporto estrinseco della succes¬ sione o della contiguità nel tempo, spoglio della determi¬ nazione, bem-altrimenti intrinseca, che vi aggiunge la con¬ nessione causale, ossia la virtù produttrice, generativa,, efficiente della causa ? La contiguità nel tempo non contiene in sè ragione di necessità o di ripetizione necessaria, se pure il tempo o la durata scorrevole, nella quale le cose si avvi¬ cendano e si commisurano secondo il prima ed il poi, non sia erroneamente raffigurata come una causa o non si tra¬ sferiscano ad essa surretiziamente quelle proprietà generativo ed efficienti che non si vogliono ammettere nelle cause reali della natura. L ’efficienza della causa è il sostegno materiale della, necessità formale o della invariabilità della consecuzione : nè noi siamo più sicuri che allo stesso antecedente nelle stesse condizioni non succeda un conseguente diverso, quando la direzione del processo causale non è efficientemente de¬ terminata nel senso di quel solo conseguente, ed è quindi, possibile che diverga o si dissipi per le infinite vie del di¬ venire e del cangiamento. L '‘efficienza della causa è il termine o il fattore sintetico che media tra la pura relazione logica e l’azione reale, e che conferisce una significazione infinita al puro rapporto di successione temporale, che non ha ih sè nè principio nè senso di necessità: come, d’altra parte, la nota formale della necessità del nesso di consecuzione è il simbolo scarno, l’immagine smorta, la rappresentazione depotenziata della efficienza produttiva della causa. Per tal rispetto il determinismo ci si presenta come un Digitized by Google 15 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO residuo ideologico della metafisica della causalità. Purripu- gnando di sua natura al dogmatismo della causa sostantiva, il determinismo scientifico fa sug il motivo della causa ne¬ cessitante. Esso eredita dal dogmatismo il concetto o il mo¬ mento della determinazione necessaria, cioè a dire V idea profonda significata dal mito apparente della causalità tran¬ sitiva. Depaupera il sostanzialismo, non lo elide. Ed il de¬ terminismo dei fenomeni è, precisamente, la consecuzione necessaria dei fenomeni dalle condizioni loro ; ossia la legge costante, uniforme, assoluta del loro divenire, come dire l’assoluto insidente nel seno del relativo, o il sistema delle determinazioni statiche, perenni, immutabili che dirigono il cangiamento e lo rendono intelligibile. 0 che la necessità della connessione causale sia ricon¬ dotta ad un’abitudine, resasi organica ed ereditaria, d’infe¬ rire le associazioni future delle cause e degli effetti dalle associazioni presenti o passate, (teorie dell’associazione e del¬ l’evoluzione ad una volta), o che venga assunta a principio a priori d’intelligibilità ed a funzione sintetica dell’intendi¬ mento (filosofia critica e trascendentale), o che venga consi¬ derata come mero postulato della esplicazione dei fenomeni (v. ad es. il Bain), la nota della determinazione necessaria dei cangiamenti pei loro antecedenti è e resta, tuttora, il supposto indispensabile del determinismo scientifico. 4 . Ma il principio di causalità non implica solo un rap¬ porto di successione, bensì ancora un rapporto di grandezza: nè solo l’effetto segue necessariamente dalla causa, ma la grandezza e le proporzioni dell’effetto sono rigidamente de¬ terminate dalla grandezza e dalle proporzioni della causa. Di qui segue un nuovo elemento costitutivo del principio di causa; l’ordine o il rapporto di equivalenza (1). (1) Il Fouillée (j Le mouvement idéaliste , pag. 191 e segg.) osserva in con¬ trario. che il determinismo non involge l’equazione dell’effetto alla causa, Digitized by L^ooQle 16 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO L’effetto è proporzionato alla causa; il cangiamento che segue è l’equivalente di quello che lo precede e lo determina : il conseguente non contiene nulla di piu éhe non sia nello antecedente ed è analiticamente deducibile da quello. Ciò procede, di necessità, dal principio di ragion sufficiente e dalle esigenze del tteterminismo. Perchè, ove l’effetto con¬ tenesse alcunché di più che la causa, quell’alcunchè di più sarebbe un effetto senza causa, un fatto o un atto sfornito di ragion sufficiente. Quell’alcunchè di più sarebbe, inoltre, un elemento nuovo, originale, irriducibile agli antecedenti, cioè a dire *un elemento di nuova formazione, un salto, un hiatus: il rovescio, insomma, del determinismo e della con¬ tinuità. E come non può contenere alcuna determinazione di più, così l’effetto, a rigore, non può contenere alcunché di meno di quanto è contenuto nella causa. Perchè, una causa che non si traduca intiera nello effetto ina gli sottragga, per parlare figurativamente, alcuna delle sue determinazioni, anzi tutto cessa di essere causante per la parte, almeno, che attiene alle determinazioni sottratte ed intrasferite allo effetto. E poi, una causa che produca effetti inferiori alla sua' natura è una causa che^uò produrre e non produrre un effetto, una causa, e, ad un tempo, una non causa, una causa irrelativa, quindi, una causa-arbitrio, una potenza degli am¬ bigui e dei contrari, cioè il contrapposto reciso del criterio deterministico. Tra gli effetti e le cause vi ha ordine di equivalenza inflessibile, senza di che o qualche effetto sa¬ rebbe senza causa o qualche causa senza effetto: e questa ma solo l’identità della relazione causale o l’equazione fra gli effetti delle medesime cause. Ma codesto suo avviso è smentito apertamente dalle esigenze reali del determinismo e del monismo scientifico moderno, poggiato sulle leggi della conservazione dell’energia e della correlazione e convertibilità dei suoi modi. Il determinismo scientifico non importa soltanto la deter¬ minazione della legge del cangiamento, ma involge, altresì, un processo di elisione del cangiamento nella permanenza. Esso non riesce al primo assunto, anzi, che perchè ad un tempo si propone o presume di riuscire nel secondo. • Digitized by Google IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 17 equivalenza segue di necessità dalla interdipendenza e dalla correlazione dei due termini, perchè ove l’uno fosse ^a più o da meno dell’altro, in quello che è da più o da meno, sarebbe indipendente dall’altro che è da meno o T da più di esso. Tutto ciò che può essere è, e vi è coincidenza assoluta tra il possibile e l’attuale, tra la potenza & l’atto. Ogni causa è causante ed ogni forza è movimento. Le quali considerazioni elementari mettono in chiaro quella che è l’intima contraddizione del principio di causa¬ lità. Proposto all’esplicaziane del diverso, del divenire, del cangiamento, riesce, invece, per altra forma, all’ identico, alla conservazione, all’equivalenza. Dall’un lato l’effetto ci si porge differente dalla causa, senza di che cesserebbe di essere al¬ cunché di vario e di distolto rispetto a quella, cesserebbe di essere effetto; dall’altro lato’, perchè sia differente dalla causa, occorre che non sia efficientemente e necessariamente deter¬ minato da essa, in quello, almeno, in che è differente: occorre, cioè, che si rinneghi il principio di causa. L’esigenza di ren¬ dere la ragione esplicativa del divenire e del cangiamento trarrebbe all’interpretazione sintetica della causalità; l’effetto non è contenuto nella causa ed il cangiamento non è dedu¬ cibile da quello che lo procede, perchè è appunto un nuovo momento del divenire, un distinto, non fosse altro, che ap¬ pare sulla scena tìell’esperienza, sovrapponendosi al momento anteriore. Ma la coerenza interna del principio di causa trae all’interpetrazione analitica: l’effetto è adeguato pienamente alla causa, il cangiamento è determinazione univoca ed equi¬ valente dei suoi antecedenti, perchè, ove noi fosse ed in quello che non fosse, l’effetto sarebbe senza causa ed il con¬ dizionato senza condizioni. L’uno, quindi, è deducibile dal¬ l’altra o dalle altre ed è riducibile ad esse : la relazione dei due termini è analitica e l’ordine di causazione è ricondotto al rapporto di contenenza e d’identità. L’accezione sintetica del principio di causa, adottata da D. Hume, non è una interpetrazione coerente della logica 2 Digitized by L^ooQle 18 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO della causalità, ma il prodotto di una critica superiore che oltrepassa il principio di causa, svelandone le contraddizioni ed i limiti. Da codesta critica s’inferisce che il principio di causalità non è forma sufficiente-ed adeguata d’intelligi¬ bilità dei reali, perchè gli sfugge quello che costituisce come il midolla e la vit^i della* realtà: il processo delle differenze e dei valori, la sintesi generativa ed individuale del fenomeno. Ma l’esplicazione causalistica del mondo non ha il senso di questo limite e di tanta manchevolezza : e la presunzione dell’equivalenza dei condizionati e delle condizioni, degli ef¬ fetti e delle cause, non sollecitata nè scossa del cimento della critica, continua ad essere uno dei principi costitutivi fon¬ damentali del determinismo scientifico. Il quale traduce i di¬ versi ordini dell’esperienza e le forme progressive ed ascensive del reale in modi equivalenti ed iiT funzioni convertibili del divenire universale. Indi, nulla di nuovo si crea, nulla si distrugge : le forme dell’evoluzione si equivalgono e si con-~ vertono: i principi e le nature apparentemente diverse ri- • ». conduconsi a forme soltanto distinte di unico processo di sviluppo, e le forme superiori sono mere addizioni ed inte¬ grazioni delle forme inferiori, perchè in esse non operano nuovi elementi e nuovi principi, ma solo si attua una diversa .combinazione o un diverso attegiamento degli elementi e dei principi preesistenti, o meglio sussistenti ai aeterno . I can¬ giamenti si succedono e si avvicendano sopra un fondo e un sustrato, sostanziale o dinamico che siasi, identico ed immu¬ tabile: e la scienza li determina e li misura in rapporto a questo sustrato comune. All’equivalenza dei termini del principio di causa, che è principio dell’ordine ideale o logico che siasi, corrisponde, nell’applicazione concreta del determinismo ai fenomeni della natura materiale, il principio o la legge della unità e della trasformazione delle forze.* Le esigenze dell’induzione scien¬ tifica e della costruzione matematica — le due fonti del de¬ terminismo — convergono e trovano pieno adeguamento in Digitized by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 19 questo, che è il principio direttivo della' fisica moderna. La equivalenza è il simbolo logico e lo scheda mentale della convertibilità reale dei modi del movimento ; l’una è il fatto di che l’altra è la formola, come cimento obbiettivo e riprova reale che la veracità della natura porge spontanea alle leggi ed alle forme dell’intendimento. Di qui segue la commensu¬ rabilità dei diversi gruppi dell’esperienza o dei diversi ordini del reale o delle diverse forme della sostanza o dei diversi modi del movimento. Di qui si origina la scienza strettamente detta, che, di sua natura ed a strazio della nuda esperienza, è conoscenza dell’essere, della permanenza, della conserva¬ zione, delle determinazioni statiche, non già del diverso e del cangiamento o dell’individuale o di ciò che, essendo a sè, non è commisurabile all’altro o assimilabile ad esso come ad una sua funzione . E di qui si attinge, altresì, quale, saggiata a fondo, sia la vera natura del principio di causa, e come e perchè esso trovi tanta rispondenza concreta nel fatto della natura. Benché, come legge direttiva dell’ induzione scientifica o dei processi dell’esperienza, la causalità esprima o si pro¬ ponga di esprimere una relazione fra termini differenti ed eterogenei, di fatto essa non esprime o non riesce ad espri¬ mere che la continuità fra elementi omogenei e converti¬ bili. Penetrata nell’ intimo, la causalità si rivela come il sim- bolo abbreviativo o la formola semplificata della continuità (1) : la quale non è percettibile dal nostro conoscimento, che di sua natura è analisi e fiotomia del reale, se non nella forma rappresentativa impressale dal principio di causa. La con¬ tinuità, a rigore, è indefinibile ed indivisibile : dividerla in ^elementi definiti ed in unità distinte è reciderla nella ra¬ dice. Ma l’indefinito non è, d’ altra parte, intelligibile che definendolo ; e l’unica maniera cuffie rappresentarci il conti¬ nuo è appunto quella d’ inserirvi la divisione e la disconti- (1) Lalande, Eemarques sur le principe de causalité. Bevile phil., 1890. Digitized by Google 20 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO nuità. La causalità simboleggia, appunto, quest’approssima¬ zione del nostro^intelletto al continuo, di cui rende una rappresentazione analitica e definita : ond’essa è come una mediazione simbolica fra l’esperienza o le relazioni intelli¬ gibili. ' Questo, appunto, ci spiega la grande fecondità reale del principio di causa nelle scienze della natura materiale. Gli è che nella costruzione matematica della fìsica moderna r più che la causalità intesa sinteticamente come potenza del cangiamento e del diverso, impera la conservazione del¬ l’energia e la continuità dei suoi modi. Nella interpétrazione meccanica della fisica non si tratta propriaipente di cause e di effetti, ma di equivalenza e di trasformazione dei mo¬ vimenti. Il principio di causa s’impregna di realità nella in- terpetrazione della natura, perchè esso non è, in fondo, che il simbolo o lo schema imperfetto ed inadeguato* della con¬ tinuità meccanica e dell’ inerzia. «% 5 . L’equivalenza del condizionato al determinismo delle sue condizioni è da intendere non solo in ordine di suc¬ cessione, ma altresì in ragione dA coesistenza. Non solo i conseguenti sono l’equivalente degli antecedenti che, in ipo¬ tesi, concorrono a determinarli, (mondo delle relazioni'e delle azioni), ma altresì le formazioni della natura, le concrezioni della materia, le sQstanze, i composti sono l’equivalente della sqmma delle unità o dei dati elementari che le producono o meglio le compongono (mondo dei corpi e degli enti). Il che vuol dire che, per intendere appieno la natura del de-, terminismo scientifico, occorre por mente ad un altro ele¬ ménto costitutivo di esso : l’analisi e la numerazione. Il concreto, il complesso, l’indefinito ed il continuo ap¬ parente della intuizione sensibile non è altrimenti intelligi¬ bile o riducibile ad oggetto di scienza, che grazie ad .un Digitized by i^oogle 21 IL DETERMINISI^ SCIENTIFICO processo di risoluzione, che insinui nel continuo e ne l’in¬ definito la distinzione e la divisione numerica e riduca il complesso al semplice e Punita apparente e fenomenale della percezione divida e come rifranga nel molteplice delle unità coefficienti. La cosa o il fatto, cosi come è fornito dalla esperienza e dalla intuizione immediata, non * contiene in sé f al lume della nuda empiria, ragion di numero e di parti : e tuttavia, la cosa o il fatto non è esplicabile scientifica- mente che per virtù dell’analisi, la quale v’ inserisce, ideal¬ mente e costruttivamente, la ragione del numero e delle parti, in guisa da ricondurre la totalità indivisa dell’ intui¬ zione sensibile all’ integrazione di elementi minimi, ed il composto ai componenti elementari che lo generano, il tutto. alle parti, l’uno indefinito al molteplice delle unità definite ed omogenee, .l’indistinto all’addizione dei distinti. Questo processo di analisi e di risoluzione è il segreto dei trionfi che la‘scienza celebra o si lusinga di celebrare, sull’ indefinito variabile dell’ intuizione : che, sottratto altri¬ menti agli schemi o ai reattivi dell’ intelligenza, si porge¬ rebbe come un irriducibile logico o come un enigma inde¬ cifrabile. Ed è per" questa via che la scienza procede alla costruzione genetica del reale, ossia a percepire il reale nella sua genesi e nel suo prodursi. Conoscere è fare e conoscere un fatto è rifarlo o assistere al processo del suo fieri . Nel- l’indefinito, nell’omogeneo e nell’ identico del fenomeno in¬ tuito dalla percezione sensibile l’analisi pone un elemento ultimo definito, una unità .ed un dato minimo, un fatto — o un concetto — limite , dal quale essa ottiene, per via di ge¬ nerazione infinitesimale, la ricostituzione della sostanza de¬ composta. La differenziazione ci conduce, così, a determinare e ad individuare nel tutto le parti costituenti, ed, integrando \ le parti stesse, ci consente l’agevole lusinga di ravvisare nel tutto come l’opera nostra e di rivivere, quasi, o di ri¬ percorrere il processo di gestazione della natura. In questo procedimento si avvera una reciprocità assoluta fra l’analisi Digitized by L^ooQle 22 IL DETERMINILO SCIENTIFICO *e la sintesi : l’elemento ultimo ed il dato-limite individuato dall’analisi è l’elemento generatore ed integrante della sin¬ tesi, ossia della genesi del reale : il tutto è ridotto ai suoi elementi e trova la sua ragion sufficiente nella combina¬ zione e nell 1 integrazione di quelli. Il processo della sintesi adempiuta non* ci porge alcun elemento nuovo ed originale, che non preesista nel dato minimo e nell’elemento integrante, salvo quel nuovo che nasce dal fatto stesso dell’aggruppa- mento e della complicazione delle unità elementari, dal fatto stesso della integrazione e della sintesi. Il tutto è equiva¬ lente alla somma delle parti ed omogeneo alle parti che lo compongono e, idealmente e costruttivamente, lo generano ; Jl che vuol dire, propriamente, che non il tutto spiega le parti, ma le parti spiegano il tutto. Come il conseguente è l’equivalente del determinismo degli antecedenti, così il tutto è l’equivalente dell’addizione delle parti : perchè porre che vi sia nel tutto un elemento nuovo, originale, eterogeneo alle parti è come raffigurare una somma o un totale che sia da più dell’ insieme delle unità addizionate. Il processo della numerazione, ossia della distinzione numerica, involge, di necessità, l’intuizione di un molteplice, o meglio di una pluralità di unità assolutamente similari ed omogenee le une alle altre. Ora il molteplice degli omogenei e degl 1 identici non vi darà mai l’eterogeneo ed il diverso. E poiché, seguendo a ritroso la serie delle formazioni naturali, ciascuna di esse ci si sporge come il risultamento ed il condizionato degli elementi della formazione anteriore, è da inferire che nessuna di queste formazioni sia originale e diversa rispetto a quella o a quelle che la precedono nelle vie del tempo e della generazione e concorrono a determi¬ narla. Le così dette proprietà nuove non involgono principi ed attività specificamente diverse, ma nascono.solo o emer¬ gono dal complicarsi delle relazioni che intervengono fra gli elementi preesistenti o meglio sussistenti : e vuol dire che le formazioni più complesse si originano dalla integra- Digitized by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 23 zioné delle formazioni meno complesse, noli già che rap¬ presentino la produzione^ di un elemento nuovo, ovvero la operazione di un principio nuovo di attività, irreduttibile agli elementi o ai principi che esistono di già. Non vi è, quindi, interrompimento o lacerazione nella serie continua della fenomenologia cosmica : e dal fatto fisico al fatto psi¬ chico e d$l fatto psichico al/fatto sociale si ha rigoroso pro¬ cesso di integrazione e di continuità. Il determinismo scientifico mette, così, in chiaro la sua intima natura, che è rigidamente analitica e ripugnante alla sintesi creatrice. Esso non procede dall’omogeneo all’etero¬ geneo, ma circuisce dall’omogeneo all’omogeneo : e la sua forinola, il suo simbolo è 1 '"idem per idem . La causazipne del determinismo scientifico non è la potenza del cangiamento e del diverso, ma la formula della conservazione e dello identico. Del pari la sintesi e V integrazione da esso propo¬ sta non è sintesi in atto e veracemente generativa e pro¬ duttiva : ma un circuito logico e puro principium expressi - vum o versatio in locnm. L’elemento integrale non riesce, in fondo, alla sintesi del tutto, che pel fatto semplicissimo che le proprietà del tutto sono state di già, anticipatamente, trasferite ed involte nell’ elemento integrale. L’ analisi pro¬ cède surretiziamente tragittando nel dato minimo elementare, nel fatto — o nel concetto — limite, le proprietà della sostanza, del composto, del tutto. La parte genera il tutto e ne rende la ragion sufficiente, perchè essa è già in anticipazione un tutto in piccolo e raccorciato, un tutto in miniatura, perchè è, insomma, il tutto in quanto infinitesimo. Così, nella teo¬ ria atomo-meccanica l’atomo rende la ragione delle proprietà tutte della materia in ‘movimento e delle presunte attività funzionali di quella, perchè l’atomo è il dato minimo ele¬ mentare o il concetto-limite, in cui di già l’anahsi ha in¬ trodotto surretiziamente quelle proprietà che si vogliono spiegare. L’analisi ritrova nell’intiero e nel risu Lamento fi¬ nale quello che ella aveva messo di già nell’elemento e nella Digitized by L^ooQle 24 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO formula e nel calcolo iniziale. Come Narciso, essa trasfigura e personifica la sua imagi ne e si consuma nell’ adorazione della propria ombra (1). Se non che, gli è appunto questo circuito nell’ omoge¬ neo e questo processo analitico che consente al determini¬ smo scientifico di sostenere in confronto del nuovo e del diverso, offerto dall’esperienza, la rigidità del suo principio di equivalenza. Se le determinazioni del tutto non fossero anticipatamente trasferite ed individuate nelle parti, il tutto sarebbe da più che le parti, il tutto sarebbe non più una integrazione, ma una sintesi creatrice, una produzione origi¬ nale* : la serie delle formazioni cosmiche non sarebbe conti¬ nua ; il principio di causa non sarebbe la sola form^ d’in¬ telligibilità del reale ; il determinismo cederebbe il luogo al- 1’ indeterminismo. L’analisi del determinismo non può ridurre il condizio¬ nato alla condizione e le formazioni superiori alle forma¬ zioni inferiori che ad un patto solo : impoverire le une ed arricchire d’altrettanto le altre, invertendo o retrovertendo la natura delle cose e l’ordine gerarchico dei fenomeni. La serie dei reali, quale appare al principio di causa, è regres¬ siva, non progressiva : ' è analitica non sintetica : è deduttiva non produttiva : va dal presente al passato, non dal pre¬ sente o dal passato all’ avvenire. E le sfugge, quindi, il nuovo, l’originale, l’eterogeneo, le sfugge, cioè, la potenza del cangiamento, che è l’espressione della causalità vera ed attiva della natura. 6 . Questi sono, adunque, gli elementi costitutivi del de¬ terminismo scientifico, come dottrina universale della scienza (1) Stallo. — La matìère et la phys. moderne , Paris, Alcan. 1884, 78, 79 e segg. — Hannequin — Essai critique sur V hypothèse des atomes dans la Science contemporaine , Paris, Alcan. 1889, p. 248-251. Digitized by C.ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 25 e della realtà. Riduzione dei fenomeni e dei "cangiamenti alle condizioni determinanti ; universalità del principio di causa ed affermazione del regresso all’ infinito ; determina¬ zione necessaria della direzione del processo causale, ovvero interpetraziofte analitica della causalità: equivalenza dell’ef¬ fetto alla causa, del condizionato alle condizioni, del composto alla somma dei componenti semplici : reciprocità assoluta della differenziazione e (fella integrazione, dell’analisi e della sintesi ; rigorosa continuità degli antecedenti e dei conse¬ guenti, delle formazioni menp complesse e delle formazioni più complesse dell’evoluzione cosmica. E, correlativamente, eliminate le cause finali, come altro e nuovo e superiore principio d’intelligibilità del reale : messa da parte l’inter- petrazione sintetica dello stesso principio di causa efficiente : esclusa la possibilità, non che 1’ esistenza, dei cominciamenti assoluti dei fenomeni o di fenomeni nuovi ed irriducibili al determinismo degli antecedenti ; bandita la sintesi creatrice, la graduazione gerarchica delle forme e dei valori, la spon¬ taneità della produzione e dell’azione, la libertà ! Di qui, il concetto che esso ne porge dell’ordine ge¬ netico dei reali ed il modo * onde rende ragione della serie ascendente e progressiva delle esistenze e dei fenomeni del mondo. Continuità rigorosa dell’ordine meccanico nell’ordine fisico, o riduzione del fatto fisico all’equivalente meccanico ; continuità dell’ordine fisico-chimico nell’ordine biologico, o riduzione della vita agli elementi ed alle forze della fisica e della chimica ; continuità dell’ordine biologico nell’ordine psichico, o riduzione della psicologia alla biologia e dei processi dello spirito agli equivalenti ed ai concomitanti organici e fisiologici: e così via. Riduzione monistica, quindi, della pluralità del reale ed inversione dell’ordine progressivo della natura : ed in contrapposto all’ intuizione metafisica del mondo che modellava i reali della natura sul tipo for¬ nito dalla intuizione immediata dello spirito, il determinismo scientifico riconduce il fatto e le determinazioni dello spi- % Digitized by C.ooQle 26 ILJ)ETERMINISMO SCIENTIFICO rito al fatto ed alle determinazioni £ella natura. Ed il de¬ terminismo interno dei fenomeni di ciascuna serie in parti¬ colare è ricondotto, e come sospeso, al determinismo estrinseco da serie a serie : e nelle diverse forme del determinismo, nel determinismo fisico come nel determinismo vitale, ed in quello psicologico come in quello sociologico, ricorre tuttora Tunico tipo del determinismo, Punico modello della espli¬ cazione causalistica, analitica, riduttiva : il determinismo naturalistico e meccanico. Costruzione senza dubbio gigantesca e che con so¬ brietà di processi e di metodi riduttivi e con esattezza e precisione di procedimenti promette di appagare quel pre¬ potente bisogno di causalità che agita la mente umana al cospetto dall’esperienza dei reali. Ma la semplicità di questo metodo di esplicazione riduttiva ed analitica, se è, per un verso, il segreto della vitalità e della fecondità di esso in una costruzione matematica delle scienze, segna, per altro verso, la sua insufficienza e la sua inadeguatezza in con¬ fronto della complessità crescente delle determinazioni del¬ l’essere. Il determinismo scientifico s’inizia con un presup¬ posto sottratto al cimento della critica — l’universale determinabilità del reale secondo il principio di causa — e riesce ad un risultamento contrario alla esperienza — l’eli¬ sione, dalla sfera al reale, di tutte quelle determinazioni efficienti, le quali non si lasciano costringere nei limiti an¬ gusti del suo schema prestabilito. Saggiato a fondo ed alla stregua comparativa e rigorosamente scientifica delle deter¬ minazioni progressive della realtà, esso mette a nudo la fragilità e la vacuità dei suoi processi di risoluzione e de¬ nuncia i limiti e le lacune, che ne interrompono la serie continua tutte le volte che si propone il passaggio da un •ordine di fatti ad un altro, da una ad un’altra sintesi creatrice, Digitizéd by Google IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 27 tutte le volte che il processo delle integrazioni graduali e la moltiplicazione degl’ intermediari non giova a colmare la distanza infinita che allontana l’ultimo termine di una serie dal primo di un’altra. Questi limiti del determinismo scientifico sono essi, in pari tempo, limiti della intelligibilità del reale ? o lo sono soltanto di quella forma di approssimazione intelligibile del % reale che è segnata dal principio «di causa ? E se sì, .vi ha altri principi o altri nessi intellettivi che giovino ad inte¬ grare Tesplicazione delle cose superando i limiti del de¬ terminismo ? Quale che siasi l’attitudine della filosofia in presenza di cosiffatto problema e quali che sieno le vie ond’essa si prepara a rei^ere la ragione sufficiente di quella parte dei reali che si sottrae ai processi di risoluzione del determi¬ nismo scientifico, l’insufficienza di quest’ultimo come dot¬ trina universale del mondo perdura irreparabile. I limiti del determinismo scientifico non sono i limiti della cono- scenza, ma di quel modo di scienza che è prevalso .nella cultura moderna e che si traduce in un compromesso fra la costruzione matematica e le generalizzazioni dell’espe¬ rienza. Ma, quand’anche i limiti del determinismo scien¬ tifico coincidessero coi limiti di ogni scienza possibile, non per questo la posizione del primo sarebbe resa più salda. Esso confesserebbe che la scienza è inadeguata ad appa¬ gare l’interno bisogno della causalità che agita 1’anima umana, e, sollevando la sua disfatta a significazione infinita, aprirebbe l’adito ad altre form^ di intuizione, predisposte, non solo a superarlo cisticamente, ma a sostituirlo dogma¬ ticamente nella scienza, nella vita e nell’azione. Digitized by Google llMllu...itlllmll'Mllli..,,,. i!ll iilli i'llli..-. iilliH'Ili iltóiHij Illìl.tlllliilllh.,,..,,.. illllil .1 I’-.iUi .''I ■! «iggVIit iÌIi.-ìJ' 1 x xix^ x_jcjpenhauer, loc. cit.; Spir, p. 205-207 ; 424-427 e passim. (2) Chap. IL * . Digitized by Google 36 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO degli elementi che vi erano di già, come dalla invasione e dalla sopravvegnenza saltuaria di elementi nuovi. I calcoli della scienza, cioè, esigono l’identità e la permanenza dei suoi dati. La conservazione della massa e dell’energia è, adunque, la traduzione nell’ordine reale del determinismo logico-matematico, del determinismo scientifico. A sua volta, la teoria atomo-meccanica è tutt’uno che l’applicazione dell’analisi scientifica al problema della strut¬ tura e della composizione dei corpi. E il tutto pluralizzato nelle parti quantitative ed integrali, il complesso esplicato nei semplici, la mjassa finita nell’ infinitesimo. E soprattutto la riduzione del continuo al discreto o il continuo reso in¬ telligibile. La meccanica dell’atomo, come quella del movi-* mento, è in intima congruenza con la sostanza stessa della scienza. L’una e 1’ altra nascono dal bisogno che sollecita l’intelligenza umana ad esplicare la varietà indefinita della intuizione sensibile ed a ridurre, con la ragione del numero e della quantità discreta, il continuo dell’esperienza, il com tinuo, cioè, del movimento ed il continuo dell’ estensione. Se in tale processo di costruzione 1’ atomismo non adequa la obbiettività dei reali, non però è da inferirne alcunché contro la validità del determinismo meccanico. L’impotenza 'dell’atomismo è, tutt'al più, l’impotenza dell’ intelletto umano a trionfare del continuo ed a ridurre l’irreduttibile (1). Così il determinismo meccanico àppare assiso sovra basi di certezza assoluta ed inconcussa. Esso non è che la traduzione obbiettiva del determinismo scientifico, come la causalità naturale è tutt’uno che la causalità logica obbiet- tivata nplla natura. Il meccanismo della natura, in un mondo sottoposto alle forme del tempo e dello spazio, è la sola espressione possibile del determinismo del pensiero. La me¬ tafisica della mente umana è parallela alla logica della natura. * p (1) Hannequin** loft cit. 2-14, 129. Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO r- 37 2 . Se -non che, quest’ approssimazione del determinismo * meccanico al determinismo scientifico, in primo luogo, non è òqsì compiuta ed adequata come sv crede, ed in secondo luogo, ciò che più rileva, essa è la radice così della .certezza logica come della scarsità di efficienza reale e della insuffi¬ cienza radicale del determinismo meccanico. Dico, in primo luogo, che non è compiuta ed adequata, .ed invero contraddizioni non poche viziano e scemano la coerenza interna del meccanismo. Una prima contraddizione colpisce gli stessi termini elementari dell’analisi scientifica, la massa ed il movimento : dei quali l’affermazione inerzia importa l’irreduttibilità reciproca e le esigenze monistiche del determinismo mecca¬ nico consigliano, anzi impongono, la riduzione e l’unifica¬ zione. Di qui la lotta, nel seno della teoria meccanica, tra il concetto della massa ed il concetto del movimento, fra l’ato¬ mismo èd il dinamismo. La nozione della massa — così le teorie dinamiche ed energhetiche — non è che il simbolo della nostra ignoranza ossia dell’ intimo difetto dei nostri piacessi di riduzione. La massa indifferente ed inerte non è conoscibile per nessuna qualità o determinazione, perchè segna, in ipotesi, l’assenza assoluta di ogni determinazione e di ogni qualità. Ed è quindi un non-ente per lo spirito, il quale non conosce le cose che in virtù delle loro/proprietà o delle* loro relazioni. Non la materia è l’obbiett©-della nostra esperienza sensibile, ma l’energia; non le cose in se sono esperibili ma le cose nella loro relazione, ossia nella loro azione o reazione verso il soggetto che esperisce. L 9 in sè della materia è indiscer¬ nibile dal nulla: essere è agire, disse il Leibnitz. Nè i nostri sensi reagiscono verso condizioni esteriori, Digitized by L^ooQle 38 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO indifferenti ed invariabili (1). Idem semper sentire ac nihil sentire ad ibidem recidunt. La percezione non è possibile che per il cangiamento, per l’azione, per l’energia, ed ogni perce¬ zione è percezione di relazioni e di differenze di energia tra il * percipiente ed il percepito. Las Wirkliche, d. h. was auf nns wirkt, nur die Energie ist ; così l’Ostwald (2). Al di fuòri della teoria meccanica, la massa non è che il sinonimo dell’ inerzia, e questa non è conosciuta e misurata che per la quantità di energia o di movimento che deve imprimersi ad un dato corpo per produrvi una velocità determinata (3). La materia, questo irreduttibile della teoria meccanica, è lo scandalo logico delle scienze della natura, il* residuo metafisico del sostan- zialismo. Di qui, e per rimuovere questa contraddizione del- l’intendimento, le teorie degli atomi inestesi e centri di forza di Boscovich, di qui l’ipotesi dòi vortici atomici di Thomson o dei movimenti rotatori in un fluido omogeneo e continuo onnipresente, od altre maniere di esplicare il movimento o la forza senza il correlativo della Astensione e della massa. * ** Il movimento senza massa — ribatte dall’altro lato il materialismo, o, se si vuole, il sostanzialismo meccanico — è inconcepibile. Se i corpi si mutano in atomi inestesi o in centri di forza, dove sarà, dunque, il support del movimento? o quale la cosa che si muove? E come concepire l’urto' di una forza, o lo spostamento di una forza da un punto ad un altro ? Il movimento sarebbe, adunque, lo stato non di una massa, ma di una forza. Se*flon che, qual circuito è questo ? Che cosa e la forza se non la qualità, la funzione, sarei per dire *la traduzione metaforica del movimento ? line force qui se meut — così lo Spir — est donc semblable à la plaisante (1) Die Sinnesswerkzeuge reagieren auf Energieunterschiede zwischen ihijen und der Umgebung. — Ostwàld, Die Ueberwindung d. wissenschaftlichen Materialibmus (Zeitschrift fur physikalische Chemie. B* 18, p. 315). (2) Id. ibid. (3) Stallo, loc. cit. 111-112. igitized by ,-GoogIe I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO 39 promenade de Hobbes qui se promene (1). Se il materialismo lia il torto di convertire le qualità e le idee di rapporto nello assoluto e nell 1 2 in sè, il dinamismo lia il torto maggiore di convertire i reali e le cose-in pure relazioni logiche. Elimi¬ nate la massa e voi avrete distrutta ogni presenza reale e spaziale : perche se la massa è infinitamente piccola e prossima a zero, la velocità del movimento sarà infinitamente grande, e.la cosa o il mobile o il presunto support del movimento non è, in un dato momento della durata, in questo o quel punto dello spazio, ma dappertutto (2). Ed ecco, risultamelo finale, il movimento senza corpo che ai muove, il movimento senza mobile e senza massa, nel fluido continuo o, che toma quasi lo stesso, in uno spazio vuoto omogeneo; un movi¬ mento che si fa e simultaneamente si dissipa per mancanza di parti in quahtità finita nelle quali distribuirsi, il movi¬ mento che, da sè in sè stesso, per forza magica di differen¬ ziazione, individualizza i corpi, differenzia i volumi e le den¬ sità, crea, per una misteriosa Selbsttiefruchtung i suoi termini, i suoi limiti, le sue condizioni! (3). Così la coerenza della teoria meccanica è lacerata da due esigenze contrarie, l’una che la trae a rimuovere il dualismo tra la materia ed il movimento, l’altra che la sollecita a con¬ servarlo. Senza quel dualismo la esplicazione meccanica è impossibile: e tuttavia quel dualismo simboleggia un limite al processo di riduzione, un residuo d’irreduttibile, d’inde¬ terminabile, d’inintelligibile che s’insinua nel fondo stesso della intelligibilità meccanica, insidiandola. Al dualismo della massa e del movimento, che sconnette la coerenza interna del meccanismo, è da aggiungere un altro, quello dell’energia potenziale e dell’energia motrice. Dualismo, anche questo, che le esigenze della meccanica sollecitano a (1) P. 407. (2) Stallo, P. 122-123. (8) Hankequix, Loc. cit. p. 106. Digitized by L^ooQle 40 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO rimuovefe e la esplicazione scientifica dei cangiamenti e delle conversioni della energia costringe a conservare. La nozione dell’ energia virtuale contraddice al meccanismo, per il quale la forza è tuttora in atto e non già in potenza (1). La forza è la funzione del movimento, - non la causa irrelativa o la causa- arbitrio di quello. Nella teoria meccanica la causa del movi¬ mento o la forza non è che un movimento • anteriore. Ogni forza, quindi, è movimento ed ogni energia è energia motrice. Domina equivalenzaassoluta fra il possibile e l’attuale o, per dir meglio, il possibile è un mito o un non-ente. Una forza ca¬ pace di agire e che non agisce o agisce a talento è una forza indeterminata ed indeterminabile, è un potere ossia un ente di natura immateriale, uno scandalo logico del determinismo meccanico. Intanto la conservazione delFenergia e-la convertibilità dei suoi modi non è esplicabile che col supposto dell’energia potenziale e del suo attuarsi e divenire in energia motrice. — La scienza moderna — così lo Stallo — afferma che tutti i cangiamenti fisici dell’universo sono delle conversioni di energie cinetiche in energie potenziali e reciprocamente. Questa energia è incessantemente immagazzinata come potere virtuale e restituita come movimento attuale.In realtà la scienza moderna insegna che la diversità ed il cangiamento nei fenomeni della natura sono possibili solo a patto che la energia di movimento possa essere immagazzinata come energia di posizione. La concrezione relativamente perma¬ nente delle forme materiali, l’azione e le reazioni chimiche, la cristallizzazione, l’evoluzione degli organismi vegetali ed animali — tutto -dipende dall’imprigionamento dell’energia cinetica sotto la forma di energia latente (2). La teoria meccanica, per la quale una energia dovuta alla sola posizione è impossibile, è, adunque, inadequata, ed (1) N A ville, Le libre Arbitre, 232. (2) Cap. 6. Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO 41 incongrua a sè stessa: e ciò vuol dire che essa non può fare a meno di cofttenere in sè un elemento eterogeneo che par¬ zialmente la nega e la oltrepassa. La nozione del potere e della virtualità è inconciliabile col meccanismo puro e rap¬ presenta un nuovo limita della intelligibilità meccanica, sim¬ bolo, quasi, della manchevolezza interna che sollecita il mec¬ canismo verso fórme più alte d’intendimento e di esistenza. Una terza contraddizione — per omettere altre di minor rilievo o riducibili a quelle denunziate di già — colpisce nella radice l’ipotesi atomistica o della semplicità ed omogfcnèità assoluta delle unità primordiali della materia. E la dualità fra l’atomismo della fisica e l’atomismo della chimica; l’una che tien fermo all’unifolmità ed alla equivalenza assoluta degli atomi e riduce le differenze qualitative alle forme del movimento atomico e molecolare ; d’altra che involge il sup- • posto di una^forma differente, di una valenza e di un peso definito ed eterogeneo degli atomi originari, con che rende ragione delle leggi della combinazione dei corpi. Le specie distinte dei corpi ed i corpi semplici irreduttibili non sono esplicabili con l’indistinto, con l’omogeneo, con l’indifferen¬ ziato dell’atomo: questo essere vuoto ed indeterminato, in¬ discernibile dalle idee-limiti dell’astrazione geometrica e di¬ namica. E la scienza non le esplica di fatto che illusoria- mente, per via di una petitio pr’mdpii che insinua nell’essenza dell’atomo in anticipazione le differenze che esso non riesce a spiegare altrimenti. Il fatto che l’analisi chimica e spet¬ troscopica spinta fino agli ultimi termini che sia possibile rinviene un limite insupeftbile,* od almeno insuperato* dalle stesse indagini del Lockyer, nella diversità definita originaria dei corpi semplici, è un’aperta smentita che la natura oppone alle premature dogmatiche affermazioni del determinismo meccanico. La Chimica, questa scienza della istologia quantitativa (1) (1) Blondel, L’action, Paris, Alesai, 1898, pf. 66. % Digitized by C.ooQle 42 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO dei còrpi, involge il supposto di differenze qualitative e segna col suo intervento nella serie successiva e progressiva delle scienze, un limite novello alla intelligibilità meccanica* Basti riflettere in proposito, oltreché alla irreduttibilità dei corpi semplici, al nuovo della sintesi chimica, rispetto ai com¬ ponenti, ed alla serie dei cangiamenti e delle alterazioni che si avverano nella composizione chimica, le quali tanto diffe¬ renziano questa dalla unione e separazione e redistribuzione meccanica e sì poco la rendono conciliabile con la tesi o con F ipotesi della inalterabiiità della massa. Tutti questi coeffi¬ cienti di complessità crescente e di determinazione originale chiaramente ci addimostrano che la teoria atomo-meccanica malamente si sforza di contenere in sé stessa e di unificare * nell’omogeneo esigenze ed elementi irreduttibili, quali le re- * lazioni geometriche e dinamiche da un lato e le proprietà chimiche dall’altro. m L’esplicazione meccanica è inadequata al suo oggetto : e dal fondo della realtà emergono le antitesi e le contrad¬ dizioni contro gli schemi presuntuosi della teoria. 3. * • Tuttavia — si osserva, a questo' punto, da altri — que¬ st’analisi, che potrebbe continuare ancora, delle sue interne incoerenze e contraddizioni, se mette a mal partito il deter¬ minismo meccanico, non giova a scemargli legittimamente il dominio delle scienze della natura, almeno come ragione esplicativa fondamentale o com6 verse di quelle riproducibili nelFesperimento, derivando da tali immaginazioni sull'esperimento quella luce che esso non dà. Spiegare Forigine della vita in questa maniera di ipo¬ tesi è come dare per risoluto il problema che andava risolto. Le ignote ed irriproducibili condizioni naturali della prima origine della vita sono il dato stesso del problema, tragit¬ tato nel passato remoto e retrotratto all’esplicazione di sè stesso. Meno fallace è, forse, V invocazione, egualmente ipo¬ tetica, dei progressi avvenire della chimica organica ; se non che l’appello al futuro non è, certo, argomento di dimostra¬ zione o di prova, ma solo una prudente riserva dubitativa, che, se può essere contrapposta alle denegazioni scettiche del neovitalista, lo dev'essere con tanto maggior ragione alle affermazioni dogmatiche del materialista meccanico. Nè gioverebbe, del resto, che la chimica, contraffacendo l’opera della natura, approdasse alla sintesi della materia organica : perchè quello che occorre alla manifestazione della vita, come bene osserva il Coehin (1), non è una riserva di materia organica bella e pronta; è un germe. La sintesi vi¬ tale non è soltanto una sintesi chimica, ma, più ancora, una sintesi morfologica; la sintesi della materia vivente non si opera che attorno ad un germe. H germe, ecco il fermento della vita, aggiunge lo stesso A., ed ecco, ad un tempo, il nocciolo del problema biologico. Nessuno degli esseri viventi più elementari si genera senza un germe, la generazione spontanea è un mito. Omne vivimi ex vivo, amnis cellula e celiala. Senza un germe le materie stesse elaborate dalla vita riescono sterili ed inerti; col germe anche le materie inorganiche riescono eccellenti ausiliarie della vita. Adla scienza si porge quindi questo experi mentimi crucis: la sin¬ tesi di una cellula, di un germe! Non è un pretender troppo, se si pensa che uno dei principi fondamentali del determi¬ nismo meccanico è l'equazione della sintesi e dell'analisi, e (1) Loc. cit., p. 151, 157 e passim. Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 67 die quindi l’una dee poter ricostruire il u was Lebendigs „ decomposto dall’altra! Ahimè! la chimica moderna, nono¬ stante i suoi mirabili progressi, è pervenuta solo a legitti¬ mare la scettica denegazione di Mefistofele: Wer ivill was Lebendigs erkennen und beschreiben Sucht erst den Geist herauszutreiben, Dann hatt er die Theile in seiner Hand Fehlt leider! nur das geistige Band. Il composto vitale ha una unità interna, efficiente, ori¬ ginale: il — geistige Band — ha una realità distinta e su¬ periore agli elementi individuati dall’analisi. L’unità della vita è individua e, quindi, indivisibile, e ciò che non può essere diviso non può essere ricomposto. La sintesi biolo¬ gica, superando l’angusto schema quantitativo dell’equiva¬ lenza, segna la plusvalenza del tutto alle parti. Gli elementi sono, quindi, le condizioni necessarie della sintesi vitale, non la sua ragione sufficiente. Dal composto è agevole retroce¬ dere, per via di analisi, agli elementi componenti, non da questi è possibile procedere, per via di sintesi, al composto. . Il legame degli elementi in un organismo, osserva lo Spir, non è fondato sulla natura di quelli, perchè il carat¬ tere principale del composto organico consiste nello scambio perenne e continuativo degli elementi medesimi. La forma solo nell’organismo è permanente ed è essa che presiede al¬ l’assimilazione degli elementi esteriori e sorregge il rap¬ porto normale delle funzioni (1). Gli esseri viventi non sono, propriamente, ma vivono ; il loro essere è un processo, un divenire in cui si conciliano due momenti apparente¬ mente antagonisti: la persistenza dell’unità, dell’individua¬ lità e della-forma, lo scambio ed il cangiamento della materia. Il processo vitale è -una diuturna e continua rinnovazione e rinascita dei suoi elementi, prodotta non per esterna sovrap¬ posizione, ma per la dinamica interna dell’essere vivente. (1) Loc. cit., p. 441, 443. Digitized by C.ooQle 68 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO La vita non è sostanza materiale, ed il principio vitale fa ben designato dalla filosofia con la parola anima. La vita non è il risultato degli elementi, ma il loro principio; non il prodotto, ma il fine. I fenomeni vitali sono, quindi, in¬ telligibili non alla stregua del principio delle cause efficienti, ma sulla guida del principio delle cause finali. L’intervento della vita e .dei fenomeni vitali nella serie progressiva delle forme dell’essere segna un limite insupera¬ bile all’esplicazione meccanica dei fenonemi: segna, soprat¬ tutto, un limite alle esigenze di continuità del determinismo. La vita è til simbolo dell’instabile, del dissimetrico, del discontinuo. Essa procede ed oscilla tra due hiatus, tra due irreduttibili, tra due assoluti, un assoluto cominciamento, una fine assoluta , i due poli della vita, la nascita e la morte. La continuità è lo schema delle relazioni quantitative e delle grandezze omogenee; la vita è eterogenea, discontinua, in¬ dividuale. La continuità è lo schema dell’intendimento che percepisce relazioni e funzioni : incongrua, quindi, ed in¬ commensurabile al fatto della vita, che è generazione di es¬ seri e di individui. L’individuo non è il termine di una serie relativa, ma un assoluto per sè stante: indivisum in se et divisum a quolibet alio. Il più umile germe di vita è, quindi, irreduttibile alla legge di continuità e di condizio¬ namento correlativo. La sua sopravvegnenza è di già una critica vivente del determinismo scientifico. 2 . L’incommensurabilità del determinismo meccanico col fatto biologico risulta evidente dal più elementare raffronto dei fenomeni dello sviluppo vitale con quelli della mecca¬ nica molecolare. Nella genesi e nello sviluppo dell’essere vivente non operano forze esteriori ed impulsi esteriori, come nel mondo meccanico, ma forze interne del germe. Simbolo Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 69 della meccanica, è, quindi, l’inerzia, della vita la sponta¬ neità. Imperano, nel mondo meccanico, leggi di conserva¬ zione e di stasi : nel mondo biologico, di cangiamento e di differenziamento spontaneo. Di qui, nell’ uno, l’inalte¬ rabilità della ra*ssa; nell’altro, il rinovellamento della ma¬ teria' degli organismi ed il processo ritmico e compensativo- dell’ assimilazione e della disassimilazione. I non viventi non han limite prefisso alla loro durata, appaiono, anzi, sottratti all’azione corrosiva del tempo ; dovecchè la durata del vivente è limitata e circoscritta dall’uno all’altro capo, i due poli, i due discontinui del processo vitale. Di qui, triste e sublime correlativo della vita, la morte nel mondo vivente : la morte che non ha senso nel mondo della ma- 7 * teria — materia omogenea, persistente, indestruttibile ; la morte che rivela i segreti ed i misteri della vita, della quale è compagna ed ausiliare. La legge di conservazione si afferma, nel mondo mec¬ canico,*’come costanza di materia e di moto relativo delle molecole materiali, nel mondo biologico, come sussistenza della forma e del tipo. Nell’uno la legge di conservazione si porge come persistenza nello spazio ; nell’altro, come continuità nella successione e nella corrosione del tempo. Nell’uno la legge di conservazione involge medesimezza di sostanza e statica quantitativa, nell’altro, la legge di conservazione è rigenerazione e rinascita. E l'eredità, che preserva le forme della yita dalla caducità nativa dell’ in¬ dividuazione, assicurando la tradizione e la continuità della idea, della forma, della specie. Non, quindi, identità, indif¬ ferenza ed analisi, ma processo rinnovantesi e compensa¬ tivo di gestazione e di ampliazione ; non circuito dall’uno all’uno e dal medesimo al medesimo, ma dialettica del¬ l’uno col molteplice e del medesimo col diverso, dialettica significata dall’unità e dalla immortalità del tipo nella mol¬ teplicità e caducità degl’ individui. Così, nel mondo biologico la legge di conservazione Digitized by Google 70 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO sì trasporta dalla materia alla forma, dalle unità al tipo specifico. Il mondo della vita è il mondo della individua¬ zione ; la legge di conservazione * vi opera, quindi, come similitudine e rigenerazione degl’ individui. L’individuazione, ed. il suo perennarseli il suo ri¬ nascere per la riproduzione degli organismi, differeflzia, appunto, il mondo della vita dagli ordini della meccanica molecolare. La forza generativa dell'essere vivente è una forza individuale che procede da un organismo particolare, da un individuimi, e germina un altro essere, un altro organismo dello stesso tipo e struttura del primo, ma indivi - dii uni a sua volta. Di qui, peculiari differenze fra il mec¬ canismo e la vita. Nel mondo meccanico domina il prin¬ cipio dell’unità della forza, trasferibile indifferentemente alle masse infinite o infinitesime ed alle concrezioni inerti della materia. Nel mondo della vita e dell’organizzazione, invece, la forza è pluralizzata, * individuata, differenziata ed in istato di concentramento. L’essere vivente non è^massa inerte, ma centro di forza spontanea, attività sostantiva, immanente, individuale. L’intervento della vita e della causalità organica segna, adunque, un fattore irreduttibile alla causalità meccanica : l’individualità. La quale difetta nel mondo della materia, dove solo impera l’attività ge¬ nerale transeunte, correlativa, dove solo impera la relazione astratta della forza universale o dei suoi modi, dove i corpi non sono esistenze individuali, ma modi, termini, limiti di una relazione dinamica, la quale procede attra¬ verso la loro inerte sostanza. Nella natura inorganica "e nelle sue leggi — riflette lo Spir con l’usata profondità — il principio agente della natura manifesta ancora la più pura generalità nella sua maniera di operare. Ivi, invero, esso non opera come il principio di una cosa particolare, ma come l’elemento che lega tutte le -cose in generale. Grli atomi inorganici, in effetto, non hanno individualità di sorta. Un atomo di zolfo * Digitized by C.ooQle * I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 71 equivale esattamente un altro atomo di zolfo. La natura generale della materia è tutta in tutti. L’organismo segna il primo grado del passaggi^. del principio agente della ■ natura all’individuazione ed alla concentrazione. L’orga¬ nismo è un fatto di natura eminentemente individuale. Ed il principio agente della natura vi* si manifesta non solo quale fondamento dei rapporti generali delle cose, ma altresì quale principio che determina l’individualità di una cosa in particolare e ne forma 1 ''anima. Le funzioni . del corpo organico sono, bensì, tuttora espressioni del prin¬ cipio agente della natura, ma in essi questo principio opera non come ordine di relazioni o correlazioni di cose, ma come interna ^possanza di una'cosa o di un ente par¬ ticolare. Un organismo ha, così, il suo centi o im sè me- ^desimo ed è perciò che è stato chiamato con ragione un fine a sè (1). La causalità meccanica, è, quindi, incommensurabile con la causalità organica. La causalità delle cose t esteriori non è fondata nel loro essere individuale, ma nel principio agente della natura che lega tutte le cose e nomasi forza. La ragione onde il corpo tende a cadere verso il centro della terra non istà nell’essenza del corpo, ma nella legge di gravità che lega e corriferisce tutti i corpi tra di loro. La tendeiiza dei corpi in movimento a muoversi tuttora o a perseverare nel loro movimento, che appare come una eccezione a questo principio, ne è, invece, una ricon¬ ferma, perchè quella tendenza non è dovuta a presunta spontaneità dei corpi, ma al contrario della spontaneità, all’ inerzia. Il corpo in movimento tende a muoversi tuttora, non già perchè l’essenza e lo stato suo contenga una ne cessitazione interna al cangiamento, ma, al contrario, perchè da sè non può introdurre in sè stesso, e senza causa este¬ riore, un cangiamento o un differenziamento di sorta e (1) Pag. 457 e seg. ; riproduco qui alla lettera il pensiero del filosofo russo. Digitized by C.ooQle 72 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO deve perdurare identico a sè medesimo (1). Dovecchp nei corpi organici animati vi ha la spontaneità del cangia¬ mento fluente ab intus , nè essi sono mediazioni inerti ed indifferenti del principio agente della natura, ma imitazioni ed approssimazioni e partecipazioni attive di esso: indivi¬ duazioni sue e quasi comprincipi avvolta loro. Ivi Petero- nomia del principio agente della natura si combina dialet¬ ticamente con l’autonomia degli enti e degli individui. Ivi il principio agente appare come idealmente pluralizzato e rifratto negli esseri individuali che sono agenti essi stessi. Il processo biologico è l’emergere dell’autonomia,* della spontaneità e dell’ individualità. Di qui segue che le'cause efficienti esteriori si com¬ portano Verso gli organismi e gl’individui in maniera ben diversa che non sopra le concrezioni e le formazioni ma¬ teriali. L’individuo è, propriamente parlando, un soggetto : e vuol dire che nessun oggetto dal di fuori v può operare sopra di esso per via immediata e diretta, bensì per la me¬ diazione delle potenze sensitive ed emozionali del soggetto medesimo. L’oggettivo non opera sul soggetto, se non ad- . diventi soggettivo a sua volta, se non s’inserisca nella costituzione del soggetto e non si organizzi con essa. La causa efficiente non agisce in quanto essa è estrasogget- tivamente, ma in quanto è rappresentata, sentita, perce¬ pita, modificata dal soggetto. Rappresentazione incocciente, istintiva, necessitata nelle gradazioni, inferiori della serie animale, e che divien consaputa, riflessa e libera nella forme superiori in cui si afferma l’autonomia dello spirito umano. Lq cause efficienti, in una parola, operano in quanto cause filiali, non secundum suum esse reale sed secundum suum esse coghitum. Finalità che, dalle sollecitazioni incon- scienti del bisogno funzionale organico, procede alle forme superiori della volizione cosciente e dei motivi ideali. (1) Pag. 504 e segg. % Digitized by Google LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 73 3 . I fenomeni dell’organizzazione, dicevamo più su, non sono intelligibili che sulla guida del principio delle cause finali. La vita stessa è, propriamente, una finalità primitiva, una causa finale dell’organizzazione. Quello che, secondo il prin¬ cipio delle cause efficienti, si porge come conseguente e come effetto è, invece, il principio, l’antecedente ideale e la causa. L ''idea dell’effetto, ossia le finalità della vita, han pre¬ sieduto alla scelta ed al differenziamento degli organi atti a raggiungerle. La vita, ultima rispetto a noi, ossia rispetto alla percezione empirica ed analitica della causalità efficiente, è prima rispetto alla natura. La vita è anteriore all’ orga¬ nizzazione* come il tutto è idealmente anteriore alle parti : la funzione preesiste all’organo e ne è la causa finale. La adattazione dell’uno nell’altra è adattazione finale, rappre¬ sentata, cioè, e predisposta dalla finalità della vita. II punto di vedlìta biologico, osserva opportunamente il Groblot, si differenzia dal punto di veduta fisico-chimico, al quale si soprappone, grazie a questo nuovo elemento che esso reca con sè, l’elemento delle finalità. Il biologo, che si limiti alla disamina del determinismo dei fenomeni fisico¬ chimici i quali han luogo nell’organismo, è un biologo che vien meno alle condizioni stesse dell’oggetto suo e della scienza: poiché, sulla via di quel determinismo, egli non si renderà ragione di nessuna funzione. La funzione involge un principio di finalità, e propriamente la proprietà di un tessuto vivente è detta funzione, quando quella proprietà è il fine o la causa finale della sua organizzazione. La forma logica della causalità e del determinismo non suffraga alla intelligibilità dei fenomeni della vita. La causa efficiente, invero, non approda ad altro che a penetrare il determinismo fisico-chimico dei fenomeni vitali. Il qual determinismo non ha nulla di particolare ; la fisica e la chimica biologica non Digitized by Google* 74 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO sono che un caso della fisica o della chimica generale. Onde il determinismo fisico-chimico non attinge le sorgenti della vita e delle funzioni vitali, le quali si rendono intelligibili solo quando al principio delle cause efficienti si sovrapponga quello delle cause finali. Accanto e sopra l’induzione cau- salistica Baconiana dev’esservf^ quindi, un’altra .maniera di induzione, l’induzione teleologica. La causa efficiente si organizza con la causa finale. Nè fra l’una e 1’ altra vi è antitesi, ma rapporto di dipendenza e di sovrapposizione. La causalità efficiente* è una interpetrazione della succes¬ sione costante dei fenomeni; a sua volta, la causa finale è una interpetrazione ed una esplicazione della causa efficiente. La causa efficiente si porge, così, come la mediazione delia causa finale; questa appare come l’effetto in atto, ma è la causa in idea della causa efficiente. Le idee governano e dirigono il determinismo dei fenomeni. Il fine opera, quindi, attraverso la causa, e la finalità organica è appunto la cau¬ salità del bisogno . Il bisogno della conservazione della vita determina e predispone un insieme di strutture e di fun¬ zioni ordinate ad attuarlo; La vita è, quindi, la causa finale dei fenomeni vitali; Videa direttrice, direbbe il Bernard, del determinismo dei fenomeni fisico-chimici che sono gli ausi¬ liari delie funzioni biologiche strettamente dette (2). L’induzione teleologica nella biologia è respinta dai po¬ sitivisti e giudicata come una proiezione antropomorfa, nel mondo organico, di quel nesso finale che si percepisce nelle relazioni e nelle azioni degli esseri intelligenti. Perchè, si obbietta, solo di questi esseri si può dire che sieno naturati a proporre dei fini e dei disegni: ed è solo in essi che si osserva una rappresentazione ideale anticipata dell’effetto, la quale funge come una causa che invita alla ricerca degli espedienti e dei mezzi atti al raggiungimento di quell’ef- (1) Fonction et finaUté, E-evue philosopl*., Mai et Iuin 1899. (2) Ibid. Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 75 fetto o di quei fini o disegni. All’infuori degli esseri intel¬ ligenti la*finalità non è conoscibile direttamente; essa è nulla più, allora, che una interpetrazione arbitraria, o il prodotto del trasferimento, ad un ordine di cose o di enti, di taluni modi di esseri esperimentati solo in altri ordini eterogenei ed incommensurabili al primo. m E che la finalità biologica sia una interpetrazione o un giudizio d’induzione analogica, non può certo negarsi. Se non che, come bene osserva il Globlot medesimo, ciò nulla toglie al valore obbiettivo dell’induzione teleologica, nè le imputa un difetto, ovvero una proprietà che quella non abbia comune con la induzione causale o col principio delle cause efficienti. Anche la causalità, in quanto si estende a tutti gli esseri della natura e si pone come il nesso univer¬ sale e necessario o il modo universale di operare delle forze e dei fenomeni del mondo, è una interpetrazione e non una percezione diretta e, si direbbe, un principio regolativo e non già, a rigore, un principio costitutivo (2). La causalità è una percezione diretta ed un fenomeno d’immediata espe¬ rienza solo dentro di me, come rapporto (fondato o meno che siasi) tra la volontà e gli atti della medesima. La espe¬ rienza interna — che è la sola possibile lielle esperienze immediate e dirette — è la fonte primitiva ed esclusiva del nesso causale. Il quale, di conseguenza, quando è trasferito ai di fuori e posto a forma intelligibile dei fenomeni e del divenire reale della natura, è una interpetrazione ed un giudizio nè più nè mene che lo sia la finalità e l’induzione teleologica. Io osservo una successione di fenomeni: nè più nè meno; giudico, indi, ed interpetro ed induco che quella successione è causale, foggiando il mondo ad imagine e somi-x. glianza del modo di essere e di operare della mia coscienza. Pertanto le obbieziopi proposte contro l’induzione teleolo¬ gica sono di tal natura che, per provar troppo, provano nulla. Esse approdano, tutt’al più, al soggettivismo radicale, non all’obbiettivismo empirico delle cause efficienti. L’intel- Digitized by Google 76 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO letto ricapitola, contrae, riassume l’universo ; l’uomo è centra e misura di tutte le cose. Perchè, adunque, non intenderemo le cose secondo il nesso intelligibile delle cause finali e do¬ vremo solo limitarci al principio delle cause efficienti? La fisiologia più illuminata riconosce senza ambagi que¬ sto fatto semplicissimo — che negli organismi abbondano i segni e le tracce obbiettive della finalità; quasi riprova^- della veracità dell’intelletto e dell’intima parentela che leg^C le forme intelligibili all’obbiettività delle cose. L’adattamento dell’organo alla funzione — confessa, fonte non sospetta, il Richet — è siffattamente perfetto, x che se ne deve inferire necessariamente trattarsi di un adattamento non fortuito, mà deliberato. Io sono assolutamente convinto, egli aggiunge, che è impossibile eliminare la teoria delle cause finali dal¬ l’anatomia, dalla zoologia e dalla fisiologia. E una verità evidente a 'priori che l’attrazione o l’avversione degli esseri viventi per le cose non è un fenomeno di puro caso, ma una legge in connessione con la conservazione dell’ individuo. Ed è innegabile la funzione teleologica dei sentimenti e delle emozioni, del gusto e del disgusto, del desiderio e della ripulsione o della paura, del dolore e dell’amore : inconte¬ stabile è la funzione teleologica del bisogno. I sentimenti degli esseri viventi, come la struttura e la funzione* dei loro organi, sono in intimo nesso col fine della conservazione dell’ individuo e della specie. Tutto nella struttura e nella funzione dell’essere vivente è organizzato per la vita o, per dirla altrimenti, per la resistenza alle .cause di distruzione che la circondano. Ogni fatto particolare ed, a più buon diritto, ogni fatto generale dell’organizzazione ha una causa finale; e questa causa finale è Vadattamento alla vita (1). Certo, i termini di finalità, adattamento alla vita e si¬ mili appaiono come l’espressione adeguata del modo di ope- (1) L'effort ver 8 la-vie et la théorie des causes finales. Revue scientifique, 2 luglio 1898. Digitized by VjOOQlC I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 77 rare di una intelligenza ordinatrice e sembrano, quindi, in¬ trasferibili alle funzioni inconscienti della vita organica. Questa esplicazione delle forme inferiori, per mera esten¬ sione ad esse della maniera di essere delle forme superiori del reale, è il contrapposto visibile del procedere del deter¬ minismo scientifico, il quale mira, invece, ad esplicare quello che è da più con quello che è da meno, il tutto per le parti, il superiore per l’inferiore. Ma la serie delle forme dell’es¬ sere non è quale la rende e la rappresenta il principio di causa: e di fatto le forme inferiori sono da esplicare ed in- terpetrare per le forme superiori, e non, viceversa, queste per quelle, perchè le prime non sono che abbozzi e rudi¬ menti ed approssimazioni manchevoli delle seconde; onde in queste ultime si ravvisano chiaramente delineate ed indivi¬ duate quelle determinazioni riposte che nelle gradazioni in¬ feriori sono oscure, incerte, mal definite ed a fatica discer¬ nibili. Per questo rispetto la finalità cosciente dell’intelligenza è il criterio conoscitivo o il principium cognoscendi della fi¬ nalità inconscia degli organismi: come la mente è il sistema intelligibile dell’universo, perchè segna la perfezione finale nella serie ascendente delle esistenze e delle forme univer¬ sali e le ricapitola, le riassume, le supera, le illumina tutte, sollevandole a più alta efficienza in una sintesi ideale. L’intervento dell’ordine biologico nella serie progressiva delle esistenze segna, adunque, l’avvento ed il trionfo di un nuovo nesso intelligibile dei fenomeni e dei sistemi della natura e di una nuova direzione del processo induttivo: la connessione finale. Le cause finali operano altresì nel mondo della natura materiale e si dissimulano nelle forme dell’attività transeunte e correlativa delie molecole e dei corpi, nella relatività uni¬ versale e reciproca che governa i modi della meccanica, nella (Convenienza e nell’ordine mirabile dei sistemi naturali: ma qui, nel mondo della vita e dell’organizzazione, l’impero della finalità si afferma in via più intensa e più concreta e, an- Digitized by L30 le 78 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO zichè disseminarsi nella universalità delle relazioni astratte del movimento, si concentra e si condensa nella unità vi¬ vente e nella individualità autonoma di un organismo. La vita, pertanto, ed i fenomeni vitali sono la prova vi¬ sibile, il simbolo sensibile e corpulento della veracità del nesso intellettivo della causa tinaie e della interna manche¬ volezza del principio delle cause efficienti e meccaniche. Per tal rispetto la teleologia della vita ha un’altissima funzione neireconomia dell’intendimento umano: poiché essa porgen¬ dosi alla nostra mente e sollevandola ad aere più spirabile, le consente di superare le suggestioni della causalità efficiente e di redimersi dal giogo torturante dell'intìnitismo. Il regresso airintinito, come si è accennato altra volta, è il prodotto conseguente e logico delle causalità, e segna, di questa forma intelligibile, il principale difetto, perchè vieta all'intendimento di rissare i prineipii generatori e le mete liliali della serie dei fenomeni, e dall’uno all’altro capo, dal¬ l’uno all’altro estremo pone un limite d’inintelligibilità che è un vero arresto dell’esplicazione scientifica. Nessun mo¬ mento di questa serie causale ha valore a sé, e può essere assunto a causa prima o assoluta' o a primo cominciamento della serie stessa: la regressione dagli effetti alle cause, os¬ serva il Lachelier. riempie di necessità un passato infinito, perchè ciascuno dei termini di questa regressione invoca ad un antecedente che lo esplichi e così via. L’esplicazione cau¬ sale è. quindi, inadempiuta ed il principio di causa — forma precipua di intelligibilità dell’universo — appare come il simbolo o la riprova della inintelligibilità radicale della serie fenomenica. • Ma il principio delle cause finali, continua il chiaro me¬ tafisico francese, è redento dalla interna contraddizione che pesa sul principio delle cause efficienti. Poiché, quantunque i diversi fini della natura s'ingranino l'uno verso l'alao come mezzi rispettivi e la natura intiera sia. forse, sospesa ad un fine che l'oltrepassa, tuttavia ciascuno di questi fini parti- Digitized by CiOOQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 79 colali non cessa di avere in sè stesso come un valore asso¬ luto, di guisa che può essere assunto a buon diritto come termine al progresso del pensiero. È, adunque, nel suo pro¬ gredire verso i fini, che il pensiero tocca il suo .punto di appagamento e di riposo, non già nel suo retrocedere verso le cause: e, posto che ogni maniera di esplicazione debba prendere le mosse da un punto fisso e da un dato che si esplichi di per sè, torna evidente che l’esplicazione vera e compiuta dei fenomeni non è quella che discende dalle cause àgli effetti, ma quella che risale dai fini ai mezzi. Le vere ragioni delle cose sono non le cause, ma i fini, quelli, cioè, che costituiscono, sotto il nome di forme, le cose in sè stesse: la materia e le cause efficienti non sono che ipotesi neces¬ sarie o piuttosto simboli indispensabili, pei quali noi proiet¬ tiamo nel tempo e nello spazio ciò che è, in fondo, di gran lunga superiore all’uno ed .all’altro (1). La vita e l’organizzazione penetrano in questo segreto ordine dei fini della natura, e ne segnano un primo avvia¬ mento. L’organismo vivente non è la mediazione inerte di una causalità esteriore, è un fine ed un valore assoluto ed individuale per sè stante. Esso segna il precipuo sforzo del principio agente della natura che si solleva dalle relazioni meccaniche astratte alle forme concrete dell’essere, dai nessi derivativi e mediati dei fenomeni alle forze ed ai principii attivi che li generano, dal mondo delle rappresentazioni al mondo delle cose in sè. 4 . Le esigenze del determinismo scientifico trasferito nel¬ l’ordine biologico trovano la loro adeguata espressione non solo nella interpetrazione meccanica della vita, ma, altresì, nella tesi trasformista della genealogia delle specie viventi. Veramente la tesi della derivazione delle forme viventi (1) Lachelier, Du fondement de Vinduction. Paris 1898, pag. 83 e segg. Digitized by L^ooQle 80 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOOTCO da pochi tipi, ovvero da un solo, di organismo, sia pure ru¬ dimentale o appena discernibile dall’inorganico, è una tesi che attiene al determinismo biologico strettamente detto e non alla-esplicazione meccanica della vita. Il determinismo biologico interno, ossia il processo generativo della serie bio¬ logica da principii vitali rudimentali, non urta contro le dif¬ ficoltà e le temerarie ipotesi della genefatio aequivoca. L’idea¬ lismo filosofico può anche, in via di massima, accettare e far * sua codesta forma di determinismo biologico e riconnettere con processo genetico continuo tutte le forme della vita, dal protoplasma agli organismi superiori. E, d’altra parte, il tras¬ formista può anche, senza venir meno alla lQgica del suo pensiero, negare l’assenso all’interpetrazione meccanica della vita, tanto le esigenze dell’una tesi sono lontane dal coinci¬ dere con quelle delPaltra. Che anzi il trasformismo biologico sembra che rappre¬ senti, per taluni rispetti, un contrapposto reciso degli schemi e degli abiti mentali del determinismo meccanico. Ed, in¬ vero, questo involge la permanenza, quello la variabilità e la trasformazione : l’uno domanda la determinazione rigida, precisa, definita delle tappe distinte del processo continuo, e l’altro importa l’indeterminazione delle forme e la scor¬ revolezza delle gradazioni intermedie : il primo è la formola del determinismo logico matematico dell’eleatismo, il secondo approssima ad una interpetrazione eraclitica della natura. Nè vale l’opporre la legge della trasformazione delle forze e dei modi del movimento, la quale, a tutta prima, sembra il correlativo, nella fisica, del trasformismo biologico e, non che contraddire alla legge di conservazione, fa tutt’uno con essa. Perchè, appunto, come si è già detto altrove, la tras¬ formazione delle forze fìsiche non è metamorfosi reale dei modi del movimento l’uno nell’altro, ma mera successione di modi e di apparenze di una energia di movimento per¬ manente ed inalterabile. Dovecchè il trasformismo biologico vorrebbe essere una metamorfosi reale: e quindi in reciso - Digitized by C.ooQle i I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 81 antagonismo con la legge di conservazione del determini¬ smo scientifico. Codest’approssimazione del trasformismo bio¬ logico al principio del divenire e del cangiamento giova a spiegare l’attrazione che la biologia evolutiva ba esercitato ed esercita tutt’ora sovra talune direzioni dell’idealismo, ed è il segreto dei recenti tentativi di .conciliazione dell’evolu¬ zionismo biologico con l’antropologia spiritualistica. Tuttavia, e per altri rispetti più ancora meritevoli di esame, il trasformismo rappresenta anch’esso una direzione e una forma del determinismo meccanico nella biologia. H trasformismo non è poi altro che la formula della causalità efficiente e della continuità meccanica trasferita ed attuata nella genesi e nello sviluppo delle forme viventi : e, conse- % guentemente, il reciso contrapposto della nozione di una sintesi causale è del principio delle cause finali. Esso signi¬ fica la derivazione delle forme superiori dalle forme infe¬ riori, e riconduce la genesi e l’evoluzione delle forme vi¬ venti alla causalità meccanica delle condizioni esteriori produttive delle variazioni. Il solo principio interiorità che esso comporti è il fattore dello adattamento alle condizioni esteriori ed il potere di trasmettere ai discendenti le modi¬ ficazioni acquisite: ma è da notare che l’adattamento non ha ragione di fine e si traduce nell’efficienza meccanica del¬ l’azione dell’ambiente sugli esseri viventi e della reazione di quelli all’ambiente; ed a sua volta l’eredità trasmissiva delle variazioni è una delle forme fondamentali, la forma biologica, della legge di conservazione e di inerzia, il sim¬ bolo della causalità efficiente del passato sull’ avvenire, il sostegno del determinismo e del condizionamento correlativo degli esseri nell’infìnita catena della necessità. La teleologia apparente della selezione è, poi, smascherata dal fatto della concorrenza vitale : che traduce una sproporzione, una scon¬ venienza tra il numero degli esseri viventi e la quantità dei mezzi di sostentamento e segna una recisa smentita delle presunte finalità della natura, e Digitized by C.ooQle 82 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO Ghie più ? La stessa vicenda dei cangiamenti e delle tra¬ sformazioni, che sembra disforme dai processi del determi¬ nismo logico-matematico, è una riprova, ove la si esamini a fondo, della intima parentela che lega la tesi del trasfor¬ mismo agli schemi ed ai criteri del determinismo scientifico. L’evoluzione causale continua dei tipi specifici non è poi altro che l’espressione vivente delle forme della continuità matematica, dove l’eterogeneo è eliso dall’ omogeneo, il di¬ verso nell’identico, il finito nell’infinito. Non è già al de¬ terminismo scientifico che contraddice il trasformismo, ma piuttosto alle esigenze delle scienze sperimentali induttive. Le quali, se da un lato intendono a connettere, per via di un determinismo rigoroso, le forme discontinue della realtà sensibile, dall’altro, mirano pure a definire in termini pre¬ cisi queste forme, individuandole sul fondo della continuità medesima che le collega (1). Al determinismo scientifico il trasformismo biologico è più vicino che non sembri: e ne deriva l’abito di unificare e di compenetrare e di confon¬ dere, agli effetti di una esplicazione genetica, i momenti discontinui, le sintesi originali, le forme ed i sistemi finiti, le specie fisse, le individuazioni autonome nella simbolica astratta della continuità e dell’infinitismo. E questo è, appunto, il rcporcov del trasformismo : di questa, come bellamente dice il Blondel, nova alchimia della natura (2). Esso presume di sostituire al discontinuo delle forme viventi la continuità di un processo evolutivo ; e non pensa che l’individualità e l’originalità e l’autonomia della vita è irreduttibile al continuo matematico, inetto, di natura sua, ad individuare e differenziare gli esseri e le forme. Nè giova moltiplicare gl’ intermediari per avvicinare infinitamente i discontinui ed i diversi ed ottenere artificio¬ samente la continuità della serie; poiché il dominio del (1) Blondel, Vaction , p. 68. (2) Ibid., p. 71. Digitized by C.o le I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 83 reale e, quel che è più, il terreno della vita 1 è più difficil- mente maneggevole che noi siano A astrazioni dell’ intendi¬ mento. Le Esigenze stesse della vita non consentono alla possibilità di esistere degl’intermediari: i quali, non essendo definiti nel loro organismo (appunto perchè non sono un tipo determinato/ ma la transizione da un tipo ad un altro) sono tali che la vita è loro impossibile, o, almeno, la rude lotta per l’esistenza riesce più ardua che non agli stessi tipi,’ in ipotesi, inferiori. Le gradazioni, le sfumature inter¬ medie, le forme che tramezzano tra l’essere ed il non essere, sono, più presto, finzioni della mente che realità di fatto. L’embriologia della natura procede ben diversamente dalla dialettica del pensiero; il divenir^ reale è progressione di tipi e di forme originali, distinte, definite, individue. Uno stato di equilibrio, osserva ancora il Blondel, non è mutato che per passare ad uno stato di, equilibrio egualmente pre¬ cisoci). Una sintesi definita, posto che essa cangi, non può * formare che un’altra sintesi definita, come da un individuo distinto nasce un altro individuo distinto del pari (2). I*si¬ stemi organici, qualunque ne sia l’origine e la filiazione, costituiscono tanti casi di equilibrio definito e tante sintesi originali (3). La grande, la sola verità dèi determinismo biologico, che resti acquisita al sapere, è la unità della ‘forinola di composizione e del piano di organizzazione delle forme vi¬ venti. Questa unità è intelligibile così nella forma della coe¬ sistenza, come in quella della successione, e non è, quindi, necessariamente connessa all’ipotesi trasformista. Questa unità è, altresì, operosa ed efficiente, attraverso la variabi¬ lità e le differenze, le individuazioni ed i tipi specificamente • diversi, epperò non suffraga gli schemi e le categorie del determinismo scientifico. (1) Vaction, p. 70. (2) Ibid. p. 78. (8) Ibid., p. 76. . I limiti del determinismo psicologico. Il determinismo meccanico, assunto a tipo di determi- ♦ nazione scientifica della serie dei fatti dello spirito umano, è quello che qui si vuol designare, a tutta prima, con la parola di determinismo psicologico. Trattasi, cioè, in tale denominazione, meno del determinismo psicologico interno, ossia della connessione causale dei cangiamenti psichici con- sequenti coi cangiamenti psichici antecedenti, ch£ del de¬ terminismo psicologico esteriore, ossia della connessione della serie psichica con la serie materiale. Sebbene, in fondo, l’un determinismo sia riducibile all’altro; e sia, anzi, nregio dell’opera il vedere come l’applicazione del principio, di ne- cessitazione causale alla serie interna dei fenomeni spirituali sia, a sua volta, l’effetto degli abiti mentali introdotti dal determinismo meccanico; sia, cioè, una forma d’interpetra- zione o di rimaneggiamento degli stati e degli atti dello spirito ad imagine e somiglianza dei modi della meccanica. * » La prima e la più. diretta forma, che assuma la inter- petrazione meccanica della coscienza, è quella segnata dalla teoria, recisamente materialistica, dell ''automatismo cosciente; la quale riconduce i fenomeni dell’ intelligenza ai processi $ ' # « i Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 85 dell’azione nervosa inconsciente, e la coscienza avvisa come un duplicato, un riflesso, un simbolo collaterale, un epifeno¬ meno del meccanismo nervoso e cerebrale. Veramente, qui, più che uno sforzo di riduzione o di esplicazione, si ha un vero e proprio processo di elisione del pensiero. Il pensiero riflesso o epifenomeno è un ente inerte e, quindi, rigorosamente parlando, qn non-ente : un fenomeno accessorio, che è, tutt’al più, un effetto, o, forse meglio una ripercussione o una mediazione simbolica, dei moti e delle vibrazioni materiali dell’organismo, senza, per altro, poter essere una causa di cangiamenti a sua volta. Un qualche cosa, anzi, che.non è neanche un effetto, e che con la ma¬ teria e col movimento non ha già quella relazione intrinseca e sostanziale che è tra effetto e causa, ma quel rapporto estrinseco ed accidentale che è tra il corpo e l'ombra. iPel puro materialismo non hanno sussistenza reale che la ^ma¬ teria ed il movimento 1 : la serie degli antecedenti e dei con¬ seguenti meccanici, alla quale riducesi il mondo materiale, basta a sè stessa : l’intervento del pensiero è inutile ingombro : è un soprappiù. Questa rigida interpetrazione meccanica della psicologia 4può dirsi ormai oltrepassata dai progressi della scienza e della filosofia, ed, esaminata a fondo, non può neanche col¬ locarsi tra le forme del determinismo psicologico. Il deter¬ minismo è la legge di connessione dei fenomeni, e si rifiuta di riconoscere e di concepire dei fenomeni che non sono tali a rigore, degli effetti che non sono cause di altri cangia¬ menti a volta loro, degli accidenti, dei duplicati, degli epi¬ fenomeni^ insomma. L’elisione del pensiero o della coscienza come epifeno¬ meni del movimento molecolare segna, di certo, la vera lo¬ gica interna deTmaterialismo e del meccanismo : ma la logica interna di una teoria è qui, come in altri casi, la critica spontanea, Vexperimentum crucis, il corrosivo della teoria medesima. Digitized by C.ooQle 86 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO Questo intimo difetto trae, quindi, il materialismo verso altre forme di concepimento, in apparenza più temperate, ed in realtà più congrue agli schemi del determinismo scien¬ tifico. Il pensiero, non sarà più, allora, un riflesso o un epi¬ fenomeno, ma una energia a sua volta, una energia pro&ima e comparabile alle energie fisiche, un termine, anzi, e sia pure il più alto, della serie delle energie trasformabili ; il pensiero è una delle energie della materia, il pensiero è del movimento trasformato. Qui il pensiero non è eliso propria¬ mente nel movimento, ma sussiste accanto ad esso ed in esso: esiste, per dir meglio, come un modo del movimento ed ha, per lo meno, altrettanta ragione di esistere quanta ne ha il calore o la luce o ogni altra funzione dell’energia universale. Il pensiero s’ insinua nella trama dei cangiamenti ed è una forza fisica, a sua volta : una energia, della quale la scienza potrà determinare, se non ha determinato, l’equi- valente meccanico. Ma questa nuova posizione assunta dal materialismo scientifico non è punto migliore della prima. Il materialismo non è riuscito a ridurre ai modi del movimento la funzione psichica elementare, la' sensazione, non che le forme supe¬ riori dell’attività spirituale. Vi osta V infinita distanza che va^ tra l’esteso e l’inesteso e tra l’obbiettivo ed il subbiettivo. Il trasformismo psicologico trovasi di fronte a difficoltà di gran lunga maggiori che non il trasformismo biologico esaminato più su. Anzitutto, è da notare, anche qui, che la parola - trasforma¬ zione - non è che una metafora e che, nella attività operosa del movimento, più che di una trasformazione di energie l’una nell’altra, trattasi, invece, di un passaggio da un modo ad un altro equivalente dell’energia o del divenire universale. La conversione del movimento in calore non è trasformazione di una energia in un’altra distinta ed eterogenea, è passaggio dal movimento di traslazione al movimento molecolare, è in¬ terno differenziamento che si avvera nell' unità del movi¬ mento. In meccanica non v’ ha pluralità di energie specifi- Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 87 camente reali, ma unità di movimento che si perpetua attraverso velocità e direzioni differenti e che procede nella varietà delle forme. E appunto codesta speciale significazione f della legge di conversione dell’energia quello che la rende intelligibile, riportandola dall’eterogeneo irreduttibile all’omo¬ geneo e riconducendola all’evidenza logipa dell’identità. Lad¬ dove la presunta trasformazione del movimento in pensiero vorrebbe e dovrebbe essere, non già una traduzione meta¬ forica del passaggio da un modo ad un altro del movimento, bensì una metamorfosi reale del movimento in una energia eterogenea ed incommensurabile ad esso. Codesta trasmuta¬ zione reale è inintelligibile e contraddice alle stesse esigenze di causalità e di continuità del determinismo scientifico: perchè segna un salto nell’eterogeneo e nell’irreduttibile, senza che Veruna mediazione intervenga a colmare la di¬ stanza infinita che separa i due termini. La conversione del movimento di traslazione in movimento molecolare è intel¬ ligibile senza fatica, osserva in proposito il Na ville, perchè ambo i termini appartengono allo stesso ordine di rappresen¬ tazione obbiettiva: ma la conversione del movimento in sen¬ sazione è inintelligibile, perchè qui si tratta di un salto da un ordine di rappresentazioni ad un altro, dall’obbiettivo al subbiettivo (1). Per sottrarsi a queste distrette, il materialismo non trova altro espediente che dare un salto indietro e ritradurre l’ete¬ rogeneo nell’omogeneo e la dualità nell’ identità. — Il pen¬ siero non è più una energia distinta, una forza assimilabile alle forze fisiche: ma uno degli aspetti o una delle appa¬ renze del movimento. Nell’ identità fenomenale indistinta del movimento* sono distinguibili due aspetti e. si direbbe, due punti di prospettiva: l’uno di essi è il movimento in quanto tale, o il movimento molecolare, l’altro il pensiero. Onde, propriamente, il pensiero ed il movimento non sono già due ♦ , (1) Phis. moderne, pp. 215-216. Digitized by C.ooQle 88 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO cose distinte, ma due aspetti di una medesima cosa. Le dif¬ ficoltà del processo di riduzione dell’uno all’altro derivano tutte da questo equivoco, dall’aver ravvisato nell’uno un fe¬ nomeno distinto dall’altro. Dovecchè non si tratta di una dualità di fenomeni, ma di un fenomeno solo, che si sdoppia e si rifrange nella visuale dello spettatore o dell’interpetre. Il movimento ed il pensiero sono, l’uno, l’aspetto obbiettivo, l’altro, l’aspetto subbiettivo di un medesimo fenomeno. — Questa tesi ingegnosa, e che appare a tutta prima im¬ prontata ad una certa aristocratica*finezza psicologica, non è poi altro che il prodotto di un raffinamento della prima posizione assunta dal materialismo psicologico, un’approssi¬ mazione e, sarei per dire, una evanescenza del pensiero-W- fiesso o del pensiero-epifenomeno. Se non che, una simile dialettica del pensiero e del mo¬ vimento, che approda a conciliare 1’ uno e l’altro in un fe¬ nomeno d’illusione ottica mentale, è più paradossale che vera. E, quel che è più, è vacua ed inintelligibile non meno delle altre due soluzioni del problema di un. materialismo psico¬ logico. Che cosa significa l’aspetto obbiettivo di un fatto subbiettivo, l’aspetto subbiettivo di un fatto obbiettivo ? L’obbiettivo ed il subbiettivo sono due ordini, due serie di fatti distinti, benché correlative 1’ una all’altra. Come e con qual diritto ritradurre questi gruppi distinti di fenomeni in due apparenze illusorie di un fenomeno solo ? Che significa, del resto, un fenomeno unico che si sdoppia e rifrange in due apparenze ? Il determinismo non è sostanzialista, ma fenome- nista : per esso, non vi sono sostanze per un verso ed appa¬ renze per un altro, ma fenomeni; ed il fenomeno è tutt’uno che l’apparenza. Due apparenze, nel determinismo fenome- nista, sono due fenomeni : il presunto uno diventa due; la dialettica della riduzione all’identità fallisce alla meta. Che cosa è, del resto, questo momento indistinto, ra¬ dice unica delle due apparenze? Non? l’una, certo, o l’altra, ma una terza cosa che sarà il sustrato, sia pur dinamico, Digitized by 3y GoogIe I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO ^ delle due. E che cosa è questa terza cosa? quale, cioè, il fenomeno dalle due apparenze? Che se il momento'unifica¬ tore o l’indistinto delle due apparenze è una di queste medesime, gli assurdi crescono. .Qual è il fatto reale, il mo¬ vimento o il pensiero? E il movimento che appare come pensiero o il pensiero che appare qpme mpvimento? La tesi, in ambo i casi, è inintelligibile : fra il movimento ed il pensiero manca comune misura e v’hà distanza infinita: il movimento non rappresenta sè stesso, il pensiero, sintesi e misura dei momenti scorrevoli del movimento, non è sog¬ getto alle condizioni del movimento, alla molteplicità spaziale ed alla scorrevolezza e successione temporale: a U esprit étant le sujet des phénomènes, così l’Amiel, ne peut ètre lui-mème phénomène: le miroir d'une image, s’il était une image , ne pourrait-ètre miroir. Un echo ne saurait se passer d'un bruii. La conscience d'est quelqu’un qui éprouve quelque chose: tous les quelque chose réunis ne peuvent se substituer à quelqu’un. Le phénomène n’existe que pour un point qui n’est pas lui , et pour lequel il est un objet . Le perceptible suppose le per - cevant „ (1). Evidentemente, adunque, questa forma di .monismo neutro tra il materialismo e lo spiritualismo non spiega nulla e vorrebbe per prima essere spiegata essa stessa. In fondo, esso non è che la dissimulazione mancata di quel dualismo che intercede tra la materia e lo spirito, tra il movimento e la coscienza, tra l’esteso e l’inesteso, tra l’òbbiettivo ed il subbiettivo. Esso assume, bensì, di tradurre questa dualità in un’apparenza illusoria, ma trattasi di un’apparenza o di una illusione universale e necessaria, e una illusione uni¬ versale e necessaria è illusione, sarei per dire, verace, è percezione. In quanto insinua o sottintende tra le due apparente un terzo membro che non è nè l’una nè l’altra, ma vorrebbe essere il sostrato dinamico delle due, esso (1) Fragments d’un Journal intime , t. 2 p. 200. Digitized by L^ooQle I % 90 I LIMITI DEL DETEBMINISM# PSICOLOGICO * moltiplica oziosamente gli enti e le forze della natura e segna ufia fragrante smentita del principio del terzo escluso. In quanto poi colloca allo stess^'livello le due apparenze deH’esperienza interiore e d,ell’esperienza esteriore e le raffi¬ gura come termini distinti di una dualità iniziale, per quanto radicata in una illusione questo monismo neutro vien meno ai dettami fondamentali della critica gnoseologica. L’espe¬ rienza è unica, interna, cioè, e subbiettiva ; la duplicità esiste nei suoi termini, ed il termine immediato dell’esperienza è quello che il monismo neutro chiama aspetto subbiettivo, ossia la coscienza ed i suoi stati, il termine mediato è l’aspetto obbiettivo,' ossia il gruppo dei cangiamenti del mondo este¬ riore. La dualità delle apparenze non è, tutt’al più, che dualità dei termini dell’esperienza, ed il monismo neutro è un dualismo superstite che domanda di essere risollevato ed eliso nel monismo autentico dell’idealismo e della critica. Esaminata, per altro, nelle sue ragioni segrete, questa forma di monismo neutro si chiarisce ricca d’insegnamenti. Essa ci si porge come un’approssimazione filosofica della teoria positiva del parallelismo psico-fisico: e l’indole inde¬ cifrabile , del sostrato occulto delle due apparenze, l’x del monismo neutro è la espressione diretta della posizione teo¬ retica incerta e mal definita nella quale versa, per l’indole del suo assunto, le psicofisiologia. La tesi del parallellismo intramezza ed oscilla fra il principio di eterogeneità della serie psichica e della serie fisica — la dottrina, cioè, dello spiritualismo —- ed il principio di omogeneità e di causalità e di continuità dell’una nel¬ l’altra — ossia la dottrina del materialismo. La costante cor¬ rispondenza, venutasi accertando fra le forme dell’attività psicofisica ed i modi della coscienza, sembra escludere la vecchia tesi dell’eterogeneità : ma quella corrispondenza em¬ pirica e di fatto è, poi, così limitata per estensione e più per significato (è osservata, invero, ed osservabile, solo per talune forme dell’attività sensitiva) <che la stessa psicofisiologia, in )igifced by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 91 • quanto vuol rimanere teoria positiva, si rifiuta di conver¬ tirla e risollevarla in un* collegamento costante di causa e di effetto. Tra i cangiamenti psichici e le concomitanze fi¬ siologiche intercede, tutt’al più, un rapporto di reciproco condizionamento, irreduttibile allo schématismo unilineare del principio di causa: per ^1 # che, dire* che le modificazioni molecolari della sostanza cerebrale e nervosa sieno causa dei corrispondenti fenomeni della serie psichica non è più giusto o legittimo che affermare recisamente il contrario, che, cioè, i termini della serie spirituale sieno, invece', le cause che de¬ terminano le concomitanti vibrazioni molecolari. antiche irresolubili difficoltà di ui^a connessione causale, ossia di una connessione intelligibile, tra lo spirito ed il corpo perdurano nella psicologia contemporanea, non ostante i rinnovati prò- # cessi della psicofisica: il che trae i più a vagheggiare l’idea di eludere il problema, sopprimendo la dualità dei termini in una psicologia senz’anima. A quelle difficoltà, inasprite ed acutizzate dal dualismo Cartesiano, la metafisica tentò già di sfuggire con quei poderosi slanci dialettici delle cause occasionali e dell’armonia prestabilita: la filosofia moderna soccorre, invece, con quella forma depotenziata ed estenuata di spinozismo che è il monismo neutro. La difficoltà di stabilire il nesso causale tra la serie materiale e la serie psichica è il problema nel quale urta, fin dal principio, il determinismo psicologico, che, di neces¬ sità, si rifiuta di riconoscere altro nesso intelligibile dei fe¬ nomeni che quello, di causa e di effetto. Il determinismo appare inadeguato alla vita dello spirito, e, per aver deri¬ vato i suoi schemi dall’analisi dell’estensione o del movimento, non attinge V inesteso e la rappresentazione. La psicologia è una storia ed una fenomenologia dello spirito, non una scienza, nel significato impresso a questa parola dalle direzioni pre- Digitized by Google 92 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO . t valenti del determinismo meccanico; perchè lo spirito appare* come isolato ed avulso e corocato a distanza influita dagli antecedenti meccanici, e lo stesso metodo positivo vieta di colmare un vuoto sì grande con l’interposizione del nesso- causale. H materialfsmo scientifico, che presume di operare la sintesi delle due serie irriducibili, è vittima di una illu¬ sione. Non che procedere dall’ùna serie all’altra, esso indugia immobile in una delle due, quella più vicina ed adeguata alla sua natura, la serie* cioè, dei cangiamenti materiali; e, da essa e per essa si avvisa di rendere la ragione‘esplicativa dei fenomeni, non ancora attinti éd inattingibili, dell’altra. Le due serie gli si rappresentano, allora, non sotto il nesso di causa e di effetto, ma secondo il rapporto che passa , tra qualità e funzione, simbolo e còsa significata, sostanza o soggetto e modo; un rapporto prossimo all’evidenza logica dell’identità, ma prossimo, in pari tempo, all’inanità reale àsWidem per idem . Qui, come altrove, il materialismo scien¬ tifico designa la sua natura analitica, e denunzia le interne esigenze che lo sollecitano a togliere al principio di causa tutto quel sapore vivo di realtà che è inerente ad esso, in quanto si pone come sintesi di due termini distinti! Come già il cangiamento e l’azione fisica, come la vita o il prin¬ cipio vitale^ così la fenomenologia dello spirito non è altri¬ menti conosciuta ed esplicata, dal materialismo, che. in funzione dell’equivalente meccanico! • Nuovo esempio e documento di quanto qui si dice è fornito dai così detti processi di misura dei fenomeni psichici, i quali pare vogliano dare alla psicologia le apparenze di una scienza? esatta e conferire al determinismo psicologico la stessa veste e figurazione scientifica del determinismo lo¬ gico-matematico strettamente detto. Non potendo sottoporre direttamente i fenomeni dello spirito alla legge del numero, la psicofisica studia di toccare la meta per via mediata ed indiretta; numerando, cioè, e misurando l’intensità dello sti¬ molo, che è il correlativo esteriore ed obbiettivo delle sen- Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 93 «azioni medesime, e traducendo in variazioni qualitative della sensazione le gradazioni di grandezza dell’eccitamento. La psicofisica si propone di misurare gli accrescimenti e le differenze della sensazione in rapporto agli accresci¬ menti ed alle differenze dello stimolo e perviene, come è noto, a connettere l’una e l’altra serie per via di una fun¬ zione logaritmica.' Se non che il modo, ond’essa perviene o stima di pervenire alla numerazione ed alla misura dell’in¬ tensità delie sensazioni, è artificiato e riesce ad apparenze ingannevoli. L’idea del numero e della misura involge l’intuizione di una moltiplicità di unità elementari, assolutamente simi¬ lari ed omogenee. Stretta, quindi, dalle esigenze del numero e della misura, la psicofisica procede ad individuare, nella complessità e nella fluidità dei cangiamenti sensoriali, le unità elementari omogenee, gli stati semplici elementari, i minimi sensitivi, le quantità uguali di sensazione. Ed unità semplici e minimi sensitivi sono, per essa, le differenze minime per¬ cettibili della sensazione, o i momenti successivi della sen¬ sazione f quali corrispondono al più piccolo accrescimento percettibile della eccitazione. Così 1 'intervallo dei due mo¬ menti o dei due stati sensitivi, che non è alcunché di sen¬ sato, ma è limite ideale tra due sensazioni, viene obbiettivato e solidificato ed individuato ; ed ‘il discontinuo degli stati sensitivi viene compensato, agguagliato, ridotto nella quan¬ tità continua dell’eccitamento. In altri termini, l’avvertenza sensitiva deU’accrescimento dello stimolo, avvertenza che involge un rapporto fra due stati successivi e discontinui, è avvisata dal a psicofisica come un elemento formativo, o come un dato minimo elementare, un dato-limite o margi¬ nale, un infinitamente piccolo della sensazione totale o com¬ plessiva, raffigurata, anch'essa, a guisa di un processo conti¬ nuativo, unilineare, omogeneo. La differenziazione degli stati sensitivi e dei momenti o dei cangiamenti della sensazione è, così, ricondotta all’integrazione di differenze infinitesime. Jl Digitized by C.ooQle d4 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO . . . di dati minimi elementari eguali. Come i composti e gli aggregati materiali, la sensazione è il prodotto o la risul¬ tanza numerica dell’addizione o dell’auto-composizione di questi infinitesimi similari, soprapponibili, numerabili e mi¬ surabili. La differenza, limite tra due stati di consapevolezza, è convertita in uno stato sensitivo a sua volta, o in un ele¬ mento generatore della somma degli stati’: la differenza, che è un giudizio, è raffigurata, insomma, come una sensazione, o, meglio, come il minimo sensoriale, onde per integrazione si produce e si genera la sensazione totale. I processi misurativi dell’intensità della sensazione sono evidentemente arbitrari, e poggiati sovra Un erroneo pro¬ cesso di* obbiettivazione degli stati psichici interni. La psico¬ fisica determina e misura la sensazione in funzione del suo correlativo causai* esteriore, traducendo, cosi,’ l’intensivo nell’estensivo, la qualità nella quantità, il subbiettivo nel- l’obbiettivo e trasferendo ad un ordine di fenomeni i modi di essere di un ordine eterogeneo. Raffigurando la serie degli stati .psichici come una serie lineare continua ed individuando i momenti di quella serie a mo’ di unità omogenee ed impe¬ netrabili, essa appaga le esigenze della numerazione e della misura: perchè il numero è la moltiplicità distinta delle unità omogenee, giustaposte nello spazio ect incompenetra¬ bili. Ma snatura, ciò facendo, i fenomeni di coscienza, i quali s'intrecciano e s’inseriscono gli uni negli altri e si penetrano a vicenda e ciascuno dei quali, non che occupare posti di¬ stinti nel presunto spazio psichico, involge, riflette, occupa e penetra l’anima intiera (1). L’incompenetrabilità, che è la formola della giustaposizione nello spazio, non è trasferibile alla coscienza, la quale è irreduttibile alla nozione delle dimensioni dell’esteso, o, tutt’ al più, non è passiva di altre dimensioni, come notò il Kant, che di quella della durata. La psicofisica indugia in un proposito assurdo : presume (1) Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience — passim. * Digitized by Google I I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 95 misurare V incommensurabile e conferire alla psicologia di¬ gnità e veste di scienza, con l’applicare le leggi del numero all’ordine delle rappresentazioni interne e subbiettive. Ed in ciò essa procede a ritroso dalle stesse sapienti riserve e dagli stessi procedimenti scientifici della # fisica teorica moderna alla quale crede di approssimarsi; perchè la fisica moderna si solleva a scienza grazie ad un processo inverso di quello della psicofisica, grazie, cioè, ad un processo di rigorosa astrazione ed elisione dell'aspetto intensivo dall’aspetto esten¬ sivo e della qualità dalla quantità. Quello che la fisica mette da banda” perchè irreduttibile agli schermi della meccanica e della simbolica atomistica, quello stesso la psicofisica toghe ad oggetto diretto delle indagini sue; e presume applicarvi gli stessi procedimenti analitici e matematici della fisica! Tutto ciò giova a spiegare, altresì, come il determinismo scientifico si vada ^progressivamente estenuando ed impove¬ rendo di contenuto vitale, di grado in grado che esso pro¬ cede dalle forme inferiori dell’esistenza fisica e meccanica — in cui la distanza tra gli schemi e la realtà, tra la misura ed il misurato, tra l’azione fisica e l’equivalente meccanico è menoma — aUe forme superiori dell’attività spirituale, in cui intervengono determinazioni efficienti e poteri ideali in¬ commensurabili agli schemi del meccanismo! La verità della legge di Weber, verità sperimentale e malamente riducibile alla forinola dell’equazione algebrica e del rapporto logaritmico, non prova nulla in favore dei pro¬ cessi e delle esperimentazioni della psicofisica. Esaminata in fondo, quella legge ci porge questo significato : ogni accre¬ scimento percettibile di eccitazione si organizza con la quan¬ tità o la massa dell’eccitazione antecedente, secondo un rap¬ porto costante. L’efficienza di una quantità di eccitamento è, adunque, non assoluta, ma relativa, ossia determinata dalla sua relazione all’efficienza dell’eccitazione anteriore. Le quan¬ tità o i minimi percettibili dell’eccitamento, adunque, non si giustapongono, ma si organizzano e sovrappongono dina- Digitized by L^ooQle I 96 I LIMITI DJEL DETERMINISMO PSICOLOGICO micamente; e ricevono il loro valore ed il loro significato non dal loro essere inerte ed assoluto, ma dalla loro com¬ posizione relativa. Ora questo principio, non che essere una conferma della solidità e della incompenetrabilità degli stati psichici, è una riaffermazione dell’opposto, della penetrazione reciproca e della fluidità di quelli. La legge di Weber, come ha osser¬ vato il Wundt, è un caso particolare della legge generale di relatività degli stati psichici. L’indifferenza del cangia¬ mento assoluto dello stimolo per la modificazione degli stati sensitivi si deve, appunto, al fatto che l’avvertenza sensitiva è una percezione di differenze o di relazioni. L’impercetti¬ bilità delle quantità di eccitamento che giacciono al di sotto della soglia di differenza, sebbene sieno al di sopra della soglia assoluta della percezione, è una prova evidente che la percezione degli accrescimenti di eccitamento è una fun¬ zione non della quantità assoluta di eccitamento obbiettivo, ma dello stato dinamico dell’attività sensitiva, predisposto e modificato dalla massa degli stimoli antecedenti. Adunque la causalità obbiettiva delle quantità assolute di eccitamento non è operativa che traversp una mediazione soggettiva : inserendosi, cioè, ed organizzandosi nello stato psichico preesistente. Le presunte unità assolute, omogenee, giustaposte, incompenetrabili dello stimolo sono, viceversa poi, compenetrate, sovrapposte, differenziate e comparate nella sintesi percettiva del soggetto. Anche questa compa¬ razione è, approssimativamente parlando, una misura: ma una misura dello stimolo per l’attività sensitiva, non dell’at¬ tività sensitiva per lo stimolo: è la sintesi del giudizio e l’atto della coscienza che non percepisce l’indifferenza e l’equivalenza degli stati, ma la differenza ed il contrasto. La psicofisica fallisce alla meta; la sola vera misura delle senzazioni è data... dalla psiche medesima. f Digitized by C.ooQle t I LIMITI DEL'DETERMINISMO PSICOLOGICO 2 . 97 ' All’insuccesso che colpisce il determinismo psicologico esteriore —: ossia le maniere diverse del* ricondurre i feno¬ meni dello spirito alla serie dei cangiamenti materiali —* sembra sottrarsi quello che si designa più. sopra come de¬ terminismo psicologico interno. Se la connessione causale della serie psichica con la serie materiale non riesce o ap¬ proda, sembra, invece, plausibile la connessione causale dei fenomeni dello spirito gli uni con gli # altri, in quanto ter¬ mini omogenei di unica serie. Non più la esplicazione indi¬ retta dei cangiamenti psichici, ossia cercata attraverso o in funzione degli equivalenti meccanici, ma la esplicazione di¬ retta dei. cangiamenti medesimi, in quanto essi sòno di na- ' tura. psichica o appaiono come tali, per quanto rifusa nei modi e nelle forme del simbolismo meccanico. La meccanica non sarà più il principium essendi del determinismo psico¬ logico, ma ne sarà il principium cognoscendi ; ossia le ope¬ razioni mentali vanno interpetrate, esplicate, ricostruite, ri- maneggiate secondo il modo di operare delle forze della meccanica; e la scienza intenderà i fenomeni dello spirito, immediatamente e direttamente in quanto tali, ossia, in ‘quanto sensazioni, percezioni, reminiscenze, ideazioni o si¬ mili, o in quanto stati psichici, insomma, — e, ad un tempo, applicherà a codesti stati le leggi ed i modi della mecca¬ nica e rappresenterà le forme dell’attività dello spirito nella stessa maniera onde raffigura i movimenti delle molecole materiali. Forma tipica di codesto determinismo psicologico in¬ terno è l’associazionismo. Come il determinismo meccanico ritraduce la diversità apparentemente sostantiva dei feno* meni fìsici in mere differenze di aggruppamento e di tras¬ posizione di unità elementari omogenee uniformi, così lo associazionismo ritraduce la spontaneità produttiva dello spi- 7 Digitized by L^ooQle '98 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO rito e l’attività delle funzioni logiche ed appercettive in meri rapporti di contemporaneità e di somiglianza delle rap¬ presentazioni, raffigurate a mo’ di elementi ** esteriori ed estesi od a guisa di molecole giustaposte nello spazio, che si urtano, si riurtano, si combinano e variamente si dispon¬ gono ed avvicendano. Ivi, il principio attivo della matura è ricondotto alla fenomenologia del movimento relativo ed impresso delle unità di massa ; qui, il principio attivo della coscienza, o l’anima, al gioco automatico'delle rappresenta¬ zioni: ivi, la forza, anziché come causa o impulso del mo¬ vimento, è concepita come un modo e una funzione del . movimento medesimo : qui, l’anima è eliminata come sog-* getto attivo, causale dei fenomeni psichici, o raffigurata come un modo o un’apparenza o una risultanza del mec¬ canismo interno delle rappresentazioni. Ivi, la causalità con¬ nette i momenti del divenire o del movimento infra di loro, non il divenire o il movimento, in quanto tali, ad altra cosa o altro impulso onde, in ipotesi, primitivamente ed as¬ solutamente si generino ; qui, la causalità ed il determinismo connette le rappresentazioni singole le une verso le altre, non già i rapporti rappresentativi all’attività semplice dello spirito. Quello, adunque, che opera negli stati di coscienza non è la coscienza, non è l’anima, ma le rappresentazioni sin¬ gole, isolate e divelte da un principio superiore di selezione, di appercezione, di coordinamento e di sistema.. Rigoroso, è, quindi, il determinismo psicologico che segue da tal maniera di concepimento, perchè una ragione imperiosa di causalità necessitante connette i momenti successivi del di¬ venire, e perchè la causalità* ed il determinismo è la forma e la legge dei cangiamenti in quanto cangiamenti, ossia dei fenomeni sceverati e divelti dal loro soggetto, dei modi isolati o distratti dal sustrato dinamico onde si generano ed in cui si connettono e si unificano e si avvivano. Come si è cennato altra volta, la causalità è la legge della serie Dii • i by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 99 interna dei fenomeni, non già la forinola della connessione tra i fenomeni e quello che è al di sopra o al di sotto dei fenomeni, l’in sè, cioè, o il noumeno . Essa, pertanto, impera sovrana nella fenomenologia dello spirito, ove questa vegan scissa ed isolata improvvidamente dal suo sustrato o dal suo principio semplice; ed è il solo residuo positivo che resti acquisito alle negazioni della psicologia senz’anima. Se non che, quest’arbitraria scissura dei fenomeni dello spirito dal fondo vivente ed attivo in cui si generano e si alimentano forma, appunto, il rcpoiTov dell’associazio¬ nismo; di quest’ultima forma scientifica dell’atomismo psi¬ chico degl’ideologi. L’associazionismo partecipa lo stesso difetto della psi¬ cofisica : snaturare i cangiamenti ed i fenomeni dello spirito, per gettarli nello stampo dei cangiamenti e dei fenomeni della meccanica. Esso è la simbolica atomistica ritradotta nella vita interna dell’anima: .ed è l’attività dello spirito raffigurata nelle forme del movimento atomico e molecolare. Le rappresentazioni e le idee sono concepite come le unità di massa o gli atomi della materia, elementi indivisibili ed incompenetrabili, proiettati simbolicamente nello spazio e raffigurati come elementi dell’estensione. Come il determi¬ nismo meccanico, così l’atomismo è il prodotto logico di un duplice processo di riduzione : la riduzione del principio attivo e motore dell’anima al meccanismo delle rappresen¬ tazioni, la riduzione delle rappresentazioni o degli stati psi¬ chici elementari alle unità ed agli elementi dell’esteso. L’as¬ sociazionismo, ad imagine e somiglianza del determinismo meccanico, ritraduce la durata nell’estensione, il tempo nello spazio, il tempo psichico, cioè, o la durata senza estensione e della quale i momenti successivi si penetrano a vicenda e si inseriscono ed organizzano dinamicamente col mezzo e col principio semplice che li sostenta e li anima, raffigura nelle forme dello spazio o del mezzo omogeneo, i cui punti si giustapongono in una serie lineare e si toccano Digitized by L^ooQle 100 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO senza compenetrarsi (1). Così l’unità fondamentale del me e la connessione del molteplice degli stati psichici col prin¬ cipio semplice della coscienza viene segmentata e frazionata e suddivisa nella meccanica delle rappresentazioni : le quali si porgono come fenomeni senza soggetto, o effetti senza causa, ovvero cause di sè medesimi, e delle quali l’indivi¬ duo, il soggetto, lo spirito, insomma, è recipiente e non attore, scena non spettatore, mediazione e mon causa. Dovecchè gli stati psichici non sono incompenetrabili, ma si penetrano ed organizzano a vicenda. Essi sono dipen¬ denti fra loro rispettivamente e, quindi, connessi da un interno determinismo, ma sono, ad un tempo, dipendenti dal principio attivo onde si colorano e si animano ed in cui le loro correlazioni si unificano: epperò non gli stati psichici elementari operano per autocomposizione spontanea, ma il principio attivo dell’anima opera in essi e. per essi, ed il determinismo interno della serie degli stati psichici elemen¬ tari è sospeso al determinismo superiore e alla superiore spontaneità (l’una cosa, vedremo, vale l’altra) del principio attivo dello spirito o dell’anima. In ciascuno di quegli stati si riflette, si rappresenta, si rispecchia il potere spon¬ taneo dell’anima intiera; e ciascuno di quegli stati attinge il suo significato, la sua animazione, la sua colorazione dal rapporto dinamico con l’unità semplice ed operosa dello spirito. Il determinismo, che è la legge dei cangiamenti del divenire in quanto tali, è, pertanto, superato e diretto dalla spontaneità, che è la maniera di operare dell’essere che di¬ viene, ed è semplice, presente, attivo nel molteplice dei momenti in cui diviene. Il determinismo, che è la legge dei fenomeni e delle rappresentazioni, è superato dalla libertà, ossia dalla spontaneità attiva, che è il principio dell’essere o del mondo in sè. (1) Bergson. — Ibid. ; v. in specie, pag. 74-78. Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 101 3 . Questa spontaneità dello spirito, ove sia riconosciuta e fatta valere contro la abusata interpetrazione meccanica degli ideologi, è un principio che avvia a risolvere i dubbi e le contraddizioni che si connettono alla nozione del Ubero arbi¬ trio, ed a porre sovra basi salde la esistenza della libertà del volere. Con la spontaneità dello spirito esula, dada psicologia, la Hbertà; ed'il determinismo delle voHzioni si porge come una formula di massima evidenza logica, ove quelle volizioni sieno raffigurate come momenti che dipendono gh uni dagU altri ma che sono indipendenti tutti dal principio attivo dello spirito, quando, cioè, venga perduta di mira la connessione dei motivi e delle vohzioni col potere attivo deUa volontà che opera in essi e per essi. La legge di necessitazione cau¬ sale domina sovrana, come si è detto innanzi, la successione dei fenomeni, in quanto fenomeni, ossia astratti o distratti dalla spontaneità dell’essere che opera nei medesimi. Quando, invece, l’attività dello spirito non sia pervertita da una in¬ terpetrazione erronea e sia bene apprezzata la unità e la continuità del volere nel molteplice delle volizioni, il deter¬ minismo psicologico degh atti del volere si elide nel superiore determinismo della spontaneità del volere medesimo, la quale è un’approssimazione della libertà. Certo, la spontaneità del volere non coincide con la presunta indifferenza dell’arbitrio, ed è stata avvisata come una nuova forma di necessitazione, una necessitazione interna, la quale è tale, per altro, da escludere la libertà morale non meno delle necessitazioni esteriori. Pare ai più che il deter¬ minismo, trasferendosi dai fenomeni del volere aUa costitu¬ zione del volere medesimo, non scemi punto, o attenui la sua funzione necessitante : ed il nòcciolo delle obbiezioni pro¬ poste contro la libertà morale è, appunto, questo : che una facoltà di volere, libera di se medesima e degh atti suoi Digitized by C.ooQle 102 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO è un assurdo, che non è facoltà di nessuno di volere quello che voglia, che il volere non è un assoluto o una causa sui ma un effetto di cause che si dissimulano spesso all’atten¬ zione cosciente dello stesso individuo agente, di cause che, nella loro iniziale formazione, oltrepassano i termini stessi della vita individuale e si perdono nell’eredità delle gene¬ razioni, della quale l’individuo è un prodotto. Il principio di causa si trasporta dalla relazione tra il volere ed i suoi atti alla relazione tra il volere e le sue cause efficienti: è il principio della universalità del rapporto di causazione, che sollecita a ciò, è la regressione all’infinito nella serie dei fe¬ nomeni, che lo vuole. Nessun fenomeno è incondizionato, ovvero senza causa, ed il volere è anch’esso, a sua volta, un fenomeno; e non vi è causa che non sia necessariamente e sufficientemente causata ella stessa, ossia che non si porga ad un tempo come un effetto. Inconcepibile, quindi, il volere libero, perchè inconcepibile l’ipotesi di una causa prima, in¬ condizionata di cangiamenti, inconcepibile una causa meta¬ fisica, assoluta, irrelativa, ossia un ente o una forza che sia sottoposta al principio di causa^nel suo operare e non nel suo essere. Se non che, una siffatta negazione sistematica della libertà deriva da una estensione arbitraria del nesso e della funzione causale e da una interpetrazione erronea dei poteri della libertà. Certo un volere libero da sè medesimo appare un assurdo contrario al principio d’identità: ma, appunto, non si può nè si dee pretendere che la libertà sia precisamente un assurdo, nè la libertà va misurata ed apprezzata con un criterio ed una unità di misura incongrua alla natura di lei. Il determinismo ha comune col suo apparente avversario — la tesi dell 'arbitrium indifferentiae, — una rappresenta¬ zione ed una interpetrazione erronea anticipata della libertà del volere. Esso, in vero, ritorce contro la libertà le abusate illazioni della teorica dell’arbitrio; addimostrando, così, di credere che la sola interpetrazione logica possibile della libertà Digitized by C gle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 103 sia quella contenuta nell’indifferenza dell’arbitrio, e che gli indifferentisti, di conseguenza, sieno falliti alla meta, non già per aver preteso dalla libertà l’impossibile, ma perchè la. libertà stessa* obbiettivamente non esiste. TJn volere libero non può essere un volere libero da sè medesimo, ma il-torto del determinismo-è, appunto, qupllo di contrapporre, per vizio di critica gnoseologica, il volere a sè medesimo, ed indi da questo nesso d’identità, che è principio di necessitazione logica, inferire una necessitazione reale. Codesta contrapposizione è artifiziale, ed è un modo di percepire soggettivo deM’interpetre del yolere, non un modo (Ji essere obbiettivo del volere reale. Ossia, il volere che appare spezzato e come rifratto in due termini all’ana¬ lisi conoscitiva, in realtà ed in sè, non è che un solo: il nesso causale interposto tra il volere... e la. sua proiezione ideolo¬ gica «o la sua ombra è un nesso,'quindi, illusorio, poiché, in realtà, non si tratta di due ma di uno, e l’uno non è pas¬ sivo di nesso causale con sè medesimo.. Certo, è" assurdo un volere che sia causa sui, mà^l’àssurdo è creato precisamente da quelli che, diversificando il volere da sè medesimo, creano una distinzione fittizia di termini per inserirvi il rapporto di causa e di effetto. L’assurdità d^l volere causa sui è la conseguenza dell’assurdità di voler applicare all’uno del vo¬ lere il nesso di causa e di effetto che involge necessariamente due termini distinti. H* volere, in quanto urto ed individuo, è, quindi,* libero, perchè la libertà e la qualità o la proprietà di un potere che non ha ordine di éffetto a causa ad altro soggetto o altro potere. La libertà è l’attributo di ogni spontaneità so¬ stantiva ed individuale, la cui maniera di operare si deter¬ mini e si spieghi per i motivi e le energia interiori di quella spontaneità. In vero, tra la spontaneità e sè medesima o le sue fonti o le sue energie, non può esservi rapporto conce¬ pibile di causa e di .effetto, ed il solo nesso* intelligibile di quei due termini di un’analisi artificiale è... la forma della Digitized by Google 104 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO libertà! La quale, in quanto forma intelligibile di un nesso di cose, sarebbe anch’essa espressione di necessità: ma questa ‘ presunta * necessità è una percezione ingannevole della mente, che artificialmente rifrange l’unità del volere nella dualità dell’analisi, non già una proprietà reale del volere. La mente, conoscendo le cose, vi segna la-sua forma o la sua impronta di necessitazione logica, la qual forma non va, senz’altro, dogmaticamente trasferita ed obbiettivata come proprietà delle cose medesime. La critica della conoscenza, non* ignara del dissidio fra la rappresentazione fenomenica e l’obbietti- vità dei reali, educa ad astenersi dal trasferire all’ordine ontologico i difetti o le apparenze del processo conoscitivo. Per inserire nèll’unità del volere il rapporto di dualità ed il nesso di causa e di effetto, l’analisi del determinismo differenzia il volere, come prodotto o come somma, dalla pluralità dei fattori determinanti, ereditàri o acquisiti, col¬ lettivi o individuali che sieno. Tra il volere e ciascuno di quei fattori o l’insieme dei fattori medesimi, essó interpone, così, con apparenze di legittimità, il nesso di causa e di ef¬ fetto. Se non che, le apparenze anche qui restano tali e la estensione deL nesso causale si chiarisce del pari arbitraria. Quei fattori non sono^ che frazioni o segmenti del volere, separati fittiziamente dalla loro scaturigine vitale, e ad essa non meno* fittiziamente contrapposti, come alcunché di di¬ stinto e di autonomo. E il processo analitico della nume¬ razione, che, dopo aver individuato nel tutto le-parti, sol¬ leva le parti stesse ad elementi idealmente generatori del tutto. Sono le determinazioni intente dello’ spirito, dissociate analiticamente dalla fonte, da che attingono vital nutrimento, ed allogate in una serie lineare, concepite come distinte ed incompenetrabili, esteriori le une alle altre e ciascuna al tutto, raffigurate come elementi dell’estensione. E la sintesi crea¬ trice dello spirito, ritradotta nei termini dell’addizione nume¬ rica; il nesso ideale tra lo spirito e le sue determinazioni, . snaturato nella forma del rapporto fra il tutto e le parti.; Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 105 il determinismo psicologico rifuso nello stampo del determi¬ nismo meccanico. Tra lo spirito ed i presunti determinanti di esso non intercede un rapporto di addizione o *di composizione ma¬ teriale, ma un nesso di generazione ideale. E lo spirito, iden¬ tico a sè medesimo, che appare come pluralizzato e rifratto in ciascuna di quelle energie, in ciascuno di quei motivi, in ciascuna di quelle determinazioni. I motivi non sono da con¬ cepire come atomi giustaposti ed incompenetrabili nel vuoto della coscienza : in ciascuno di essi si riflette intiera la qua¬ lità dello spirito. La pluralità loro e la loro presunta auto¬ nomia è, in fondo, un inganno della coscienza riflessa. E lo spirito, che rendendosi cosciente di sè medesimo e rappre¬ sentando sè a sè stesso in forma di oggetto, sdoppia la sua unità, tragitta al di fuori, come in un vacuo o in un mezzo esteso, la sua efficienza e la sua azione, addiventando così come scemo e mutilo di sè medesimo, e trasferisce le ob- biettivazioni ideologiche della coscienza riflessa alla scaturi¬ gine spontanea dell’azione. L’errore dell’atomismo psichico e del determinismo psicologico è, in fondo, il prodotto di una accettazione anticritica delle illusioni della coscienza, e procede in gran parte dal trasferire alla spontaneità na¬ tiva dello spirito le forme della coscienza riflessa. Anche lo spirito è, in un certo senso, estraneo ed esteriore a sè medesimo ed è come corroso da una vocazione nativa all’atomismo. Le esigenze della consapevolezza lo sollecitano ad obliare sè stesso attraverso le proprie obbièttivazioni, perchè la co¬ scienza non ha luogo ove il soggetto non si rappresenti come oggetto a sè medesimo e separi sè dalla sua imagine. Ma la sorgente viva dell’azione è nella spontaneità dello spirito : la quale, non in quanto si rifrange nell’analisi teo¬ retica della coscienza riflessa, ma in quanto effettivamente vive ed opera o move ad operare, è interiore a sè medesima e libera. Per le esigenze analitiche della riflessione lo spirito tragitta al di fuori, obiettivandola, la sua attività.libera; è Digitized by C gle 106 I LIMITI DEL DETEBMINISMO PSICOLOGICO di poi l’obbiettivazione si ritorce contro il suo medesimo autore, il quale, obliterandone le origini, traduce l’obbiettivazione nell’obbiettivo e conferisce realità al suo fantasma e si prostra innanzi al suo feticcio o alla sua creatura ideologica. H determinismo, rappresentazione empirica delle prominenze più superficiali dello spirito, non ha per anco provato l’arduo cimento della critica ; esso è la rappresentazione fedele dello spirito che, per illusione di prospettiva, si reputa servo della sua proiezione ideologica o della sua ombra. 4 . Per sottrarsi a queste distrette ed infliggere alla libertà una flagrante smentita, al determinismo non resta che un ultimo espediente: trar partito dalla critica degli avversari e ritorcerne e sistemarne a suo profitto i motivi. L’unità dello spirito nella molteplicità degli stati psi¬ chici e la compenetrazione dei singoli atti del volere nel principio attivo del volere medesimo appaiono manifestazioni di una legge d’identità dello spirito e, quindi, sembrano re¬ care l’impronta della necessitazione. L’unità e la semplicità del volere pare che involga l’univocità dei motivi e delle di¬ rezioni dell’azione, il che importa la necessità della delibe¬ razione o la non possibilità del contrario. L’unità del volere esclude l’antagonismo e il contrasto delle rappresentazioni e delle direzioni e dei fini èd elimina conseguentemente la facoltà dell’elezione e della libertà. Quella unità è una delle manifestazioni, la manifestazione psicologica, della légge uni¬ versale di coincidenza tra l’attuale ed il possibile, tra l’es¬ sere ed il dover essere, tra il fatto e la legge, tra la causa e l’effetto, della legge universale di attualità, di equivalenza, di simmetria, di sviluppo unilineare. La spontaneità coincide intimamente col determinismo : è, anzi, un determinismo ab intus ella stessa. Nè bisogna obliare che la facoltà del vo¬ lere è sollecitata dalla rappresentazione e dal desiderio de Digitized by 0.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 107 beni esterni appetibili, fra i quali, a tenore della concezione deterministica, vi ha rigorosa ragione di collocazione quan¬ titativa unilineare e rapporto di comparazione e di misura a norma del meno e del più. — H volere sarà, quindi, og¬ getto di un doppio processo di necessitazioné : uno, che gli proviene dal rapporto d’identità o di equazione con sè me¬ desimo, l’altro che segue dalla ragione di commensurabilità dei beni esterni appetibili e dalla necessaria superiorità nu¬ merica del bene che si rappresenta maggiore o del motivo più forte. Se non che, queste obbiezioni del determinismo sono pog- • giate sovra una comparazione erronea della spontaneità at¬ tiva dello spirito alle forme inferiori della causalità mecca¬ nica. L’unità del volere, nel molteplice delle volizioni, la penetrazione reciproca degli stati psichici tra loro e col prin¬ cipio semplice onde si generano e l’interiorità dèi volere a sè medesimo sono, tutte, delle nozioni o delle interpetrazioni, le quali intendono ad esprimere o a significare un dato rap¬ porto tra lo spirito e gli stati particolari che l’analisi va individuando nella continuità di esso, e — appunto perchè rendono una relazione interna — non involgono questo più che quest’altro modo di essere assoluto dello spirito mede¬ simo. L’una cosa o l’un problema è diverso dall’altro ; l’uno può f ormolarsi così : qual nesso intelligibile si può interporre fra gli stati psichici ed il me fondamentale? e l’altro in quest’altrò modo: come si comporta il me fondamentale in quanto volere? La soluzione del secondo problema non è punto pregiu¬ dicata da quella del primo e va cercata a parte; ed è tale che, non che suffragare il determinismo, riafferma la tesi contraria. Lo spirito umano, unico e semplice in sè medesimo in rispetto alla funzione o alla forma, si porge tuttavia, e per altro rapporto, come la sede di un profondo dualismo in¬ terno, che le esperimentazioni cruciali dello spirito medesimo Digitized by C.ooQle 108 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO si sforzano diuturnamente di comporre in armonia, senza, per altro, toccarla mai durevolmente. E il dualismo perenne tra l’individuo della serie animale e l’individuo della serie umana, tra le forme ed i bisogni .e le sollecitazioni della vita organica e le forme e gl’ideali e le aspirazioni della vita ' spirituale, tra gl’impulsi del piacere e gl’imperativi del do¬ vere, tra le necessitazioni organiche dell’ istinto ed il potere elettivo della ragione e della volontà. L’uomo è la sintesi di ciò di che la natura è l’analisi : un microcosmo nel quale sono ricapitolate, riassunte e superate, ad un tempo, ossia sollevate a più alta efficienza, le forme inferiori ed inter¬ medie della vita naturale. L’unità dello spirito umano non è unità materiale, ma ideale e funzionale ; unità che risente lo sforzo di una dualità consapqta e superata, e la quale nasce non dalla ragione di uniformità o di equivalenza o di simmetria, ma dalla ragione di dissimetria e di plusvalenza o dalla superiorità degli elementi spirituali sugli elementi materiali. Nel mondo animale strettamente detto, impera sovrano l’istinto, il quale, benché sia una perfezione ed una forma di autonomia in confronto all’ inerzia della causalità mecca¬ nica, segna, tuttavia, una imperfezione o una forma inferiore di attività, ove sia misurato in ragione dei poteri spirituali dell’ uomo. L’istinto importa una necessitazione, sia pure in¬ terna, ad agire e rappresenta, quindi, come un residuo della necessità cieca e fatale che impera nelle forme inferiori del reale. Nell’istinto, più che l’autonomia dell’animale, opera il principio agente della natura (1). Grazie alle necessitazioni organiche ed alle determinazioni univoche dell’istinto, l’ani¬ male è congruo ed adeguato a sé medesimo ; le forme della vita animale coincidono spontaneamente, necessariamente coi fini della vita stessa; l’attività dell’istinto è univoca, unili¬ neare, non passiva di oscillazioni o di deviamenti, impeccabile. (1) Spi». Op. cit. p. 457. Digitized by CiOOQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 109 Nel mondo umano si afferma, invece, una perfezione ed un’autonomia superiore, e di gran lunga, all’ istinto, e sulle sollecitazioni organiche e le determinazioni univoche dell’ im¬ pulso si solleva la ragione e la potenza dei motivi ideali. Le quali forme superiori di attività, per altro, non annullano, col loro intervento, l’efficienza delle forme inferiori della vita | organica, ma si sovrappongono ad esse e coesistono, pugnando con esse; perchè accade, nella progressione delle forme del¬ l’essere, che le forme inferiori sieno non eliminate o sosti¬ tuite dalle forme superiori, ma solo dominate o dirette da quelle e sollevate a significazione e destinazione più alta, resa, del resto, possibile dalla loro capacità di cangiamento e di elevazione. Di conseguenza l’uomo, avvisato nella in¬ tegrità sua, non è congruo ed adequato a sè medesimo ; nè la composizione e la inserzione e la sovrapposizione, che av¬ viene nell’organismo umano, delle tre forme di attività — meccanica, biologica e psicologica — ha luogo secondo la ragione del numero e della simmetria ; nè le forme della vita umana, così com’ella è di fatto, coincidono spontaneamente e necessariamente coi fini della vita stessa. Di qui, in esso, dico nell’ uomo, il principio del dualismo e della dissimetria, che invocano perennemente l’unità e l’armonia, e l’attingono solo in grazia della superiorità degli elementi psichici sugli elementi materiali e dei motivi ideali sulle organiche neces- sitazioni dell’ impulso. E di qui segue che l’attività delje de¬ terminazioni e dell’azione non è rettilinea ed unilineare, ma polilineare ed asimmetrica. L’atto del volere non è moto uni¬ forme ed univoco di attività, ma potere di elezione fra due direzioni divergenti ed incommensurabili ; l’una, che risponde alle forme della vita animale, l’altra, che attiene alle deter¬ minazioni superiori dell’anima, l’una, che è segnata dalle sollecitazioni dell’ istinto e l’altra, dalla estimativa della ra¬ giona, l’una, che trae ai beni soggettivi, l’altra, che mira al bene oggettivo, l’una, che invita al piacere ed alla felicità, l’altra, che piega al dovere ed alla virtù. Digitized by C.ooQle 110 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO Questo profondo, nativo dualismo, che dilacera inter¬ namente l’unità dell’individuo umano, è la condizione ne¬ cessaria della libertà morale, in quanto rimuove dall’atto del volere le stigmate di fatalità, che altrimenti v’imprime¬ rebbero le necessitazioni organiche dell’istinto, e fonda la possibilità della scelta fra due direzioni della volontà o fra due serie di beni incommensurabili, ossia non comparabili secondo la ragione del meno e del più, perchè sottratte a comune regola o misura o separate da distanza infinita (1). Questo dualismo esclude la direzione unica ed unilineare degli atti del volere, fonda l’antagonismo ed il contrasto e l’eterogeneità delle determinazioni, degl’indirizzi e dei fini, elimina il doppio processo di necessitazione segnalato dal determinismo, sottrae la volontà all’imperio della legge del numero e dell’impulso più forte. H determinismo logico-matematico concepisce l’atto della deliberazione come una risultanza di dati componenti ele¬ mentari, secondo la imperiosa, fatalistica ragione del numero, quasi addizione di altri atti. L’intervento della libertà, in questa serie determinata dalla ragione del numero, perturbe¬ rebbe l’esattezza matematica del risultato, e tornerebbe a dire che il totale non corrisponda o non debba corrispon¬ dere alla somma degli addendi. Tesi erronea, perchè segue (1) Dico condizione necessaria e non sufficiente, perchè la possibilità della scelta o l’alternativa delle direzioni del volere non basto a costituire, nel suo essere di fatto, la libertà morale. Perchè gli avversari possono op¬ porre tuttora che, nel suo volgere all’una più che all’altra direzione, la volontà è necessitata dal determinismo degli antecedenti, organici ovvero psicologici, i quali si perdono nelle profondità incoscienti dell’anima e fon¬ dano e compongono la costituzione attuale del volere medesimo. La bila¬ teralità o l’alternativa-bielle direzioni è un fatto di ordine obbiettivo, che non involge necessariamente il fatto della libertà, che è modo di essere o di operare del soggetto. Occorrerebbe dimostrare che la possibilità del con¬ trario, la quale è un giudizio della nostra mente, non in quanto volente o agente, ma in quanto spettatrice ed interpetre dell’azione, sia, ad un tempo, un elemento attivo della volizione o una facoltà o potenza del soggetto vo¬ lente ; il che non si è fatto ancora nè può farsi, perchè, come osserva i - igitized by Google o % I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 111 dall’estensione arbitraria, alla vita ed alle funzioni dello spi¬ rito, di un ordine di schemi, di categorie e di leggi proprie delle forme del meccanismo o delle formazioni materiali che risultano dalla coigposizione e dall’aggregazione di unità elementari equivalenti, omogenee, numerabili. Il determini¬ smo logico T matematico è inadequato all’ordine dei cangia¬ menti spirituali, nel quale non impera la ragione del numero e della simmetria, ma la dissimetria e la plusvalenza di alcuni elementi verso gli altri (1). L’atto del volere non è raffigu¬ rabile come una somma di dati e di unità similari omoge¬ nee, ma come un sistema di forze, di sollecitazioni, di conati, di estimazioni e di motivi, nel qual sistema, anziché auto¬ composizione di unità elementari equivalenti, vi è lotta, disintegrazione, elisione e subordinazione di elementi; ed in cosiffatto sistema è possibile la prevalenza dei motivi ideali sovra i motivi o i mobili sensitivi,* il che segna ap¬ punto, per gradazioni variate di qualità e d’intensità, la vittoria laboriosa della libertà morale sulle determinazioni inferiori dell’appetito. Come già la vita, così la libertà è una forma ed una funzione, la forgia, anzi, e la funzione più luminosa e più alta, della dissimetria dell’universo morale; quasi una cri¬ tica vivente, che le forme superiori dell’esistenza spirituale Labriola {Bella liberty morale , Napoli, 1878, p. 80) nessuna cosa o atto e se medesima, più la pqssibilità sua. La teoria profonda del Bosmini che pone la libertà nella elezione tra le due serie, incommensurabili ed infinitamente divergenti, dei beni soggettivi e del bene oggettivo, conduce bensì a splen¬ dide illazioni psicologiche, ma non basta, secondo il nostro umile avviso, a dimostrare l’esistenza della libertà morale, della quale si limita solo a rimuo¬ vere gl’impedimenti connessi alle necessitazioni dell’impulso organico. La verità si è che non vi ha che una via sola per dimostrare rigorosamente l’esistenza della libertà morale, o, se si vuole, la non-esistenza del suo con¬ trario : quella, cioè, che procede da una critica gnoseologica del modo onde il problema è stato posto, ovvero dalla critica dell’arbitrario concetto di una equazione causale del volere_con se medesimo. (1) v. Coblbo. Il sistema della filosofia- universale ecc, — Roma, 1880, pag. 229 e segg. Digitized by C.ooQle * * 112 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO oppongono all’ intuizione deterministica del mondo, poggiata sovra la presunzione dell’universale predominio delle leggi di causalità, di equivalenza e di simmetria (1). 5 . * Nella serie progressiva dei reali l’intervento dell’ordine psicologico segna una determinazione nuova ed originale ed una forma superiore di esistenza e di autonomia : la perso¬ nalità. Nel mondo della natura non v’ha che aggregati e sistemi materiali ; nell’ordine della vita e dell’organizzazione, si afferma l’individualità; nel dominio della coscienza, la persona. E la persona vuol dire l’individuo reso consapevole di sè, per interna appercezione dei suoi fenomeni, e reso, altresì, consapevole dell’ordine delle leggi generali che diri¬ gono il processo delle cose esteriori ed atto a superarle ed a dominarle, riferendole e coordinandole ai fini suoi; vuol (1) Ad illustrare e riaffermare questa critica del determinismo logico¬ matematico applicato all’ordine dei fatti dello spirito, avrei potuto qui far parola di quella serie di proprietà e di attitudini psicologiche ohe il Wundt riannoda attorno alle così dette leggi dell ''accrescimento dell’energia psichica, delle risultanti psichiche e della eterogeneità dei fini. Queste proprietà psico¬ logiche sono una riprova delle differenze che separano l’ordine spirituale dall’ordine delle formazioni materiali e la causalità psicologica dalla cau¬ salità meccanica. Tuttavia ho preferito non farne parola, per la ragione che queste proprietà psicologiche non oltrepassano la tesi del determinismo e traducono una critica insufficiente dell’estensione del nesso causale alla serie dei fenomeni spirituali. Dimostrò già da par suo, e da profondo de terminista, lo* Schopenhauer che le differenze fra la causa, lo stimolo ed il motivo, ossia tra le forme della causalità meccanica, biologica e psicologica, sono accidentali e non tolgono che la causalità psicologica sia impressa, non meno che le altre due, del carattere della necessitazione (Der Satz v. zureich. Grunde — passim). E le tre leggi del Wundt tornano alla stessa significazione ; sebbene taluna di esse, come quella della così detta eteroge r neità dei fini , abbozzi ed involga una teoria quasi indeterministica del vo¬ lere e rappresenti con tal quale finezza quel fenomeno, per cui la volontà tende a superare sè medesima, differenziando la sua direzione iniziale uni- lineare nelle ondulazioni successive dell’azione. Digitized by L.OOQ I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 113 dire il soggetto cosciente e libero che interviene, come prin¬ cipio attivo, nell’ordine di causazione e penetra con l’azione sua, nella trama dei cangiamenti, v’impronta modificazioni e determinazioni nuove, dà vita a fenomeni e ad idealità nuove e non preesistenti, crea, di contro al mondo della natura, il mondo morale. L’individualità, che si afferma nell’ordine biologico e nelle gradazioni inferiori della serie animale, non è perfetta ed adempiuta, perchè l’individuo animale è tuttora soggetto alla eteronomia del principio agente della natura e delle sue leggi, delle quali è inconsapevole, e quindi meramente recet¬ tivo e passivo, e nelle quali l’essere di esso è come assorr bito e compenetrato. Dovecchè il soggetto umano perviene al grado più alto dell’individuazione, perchè esso, renden¬ dosi consapevole dell’azione del principio agente della na¬ tura, supera, ad un tempo, quell’azione medesima e le leggi ond’essa procede, recando in atto la sua autonomia, la sua libertà, la sua personalità. Ed intendendo i processi e le leggi della natura ed avvisandole alla luce di una intuizione supe¬ riore, egli intende, ad un tempo, e supera i limiti angusti della sua individualità empirica e se ne emancipa e domina le suggestioni ingannevoli del principio d’individuazione, le sollecitazioni, cioè, dell’amor di sè e dell’egoismo. L’uomo, che è l’essere più individuale e^ più indivi¬ duato della natura, possiede, nei suoi poteri spirituali, un principio di universalità e di generalità ideale, come dice acconciamente lo Spir (1), in grazia del quale l’attività sua, non che consumarsi in sè medesima, si effonde al di fuori e rappresenta e rispecchia l’universo intiero e ne pe¬ netra i rapporti e le ragioni secrete. L’individualità umana è, quindi, a doppia faccia e si alterna o, meglio, si com¬ bina con la universalità più alta, ossia con la universalità non empirica o materiale, ma ideale o rappresentativa ; (1) Loc. cit., p. 454 e segg. 8 Digitized by L^ooQle 114 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO ond’egli è un microcosmo, in quanto reca in sè tutto un mondo, sebbene in maniera ideale. Di qui, appunto, ha ra¬ dice la personalità, la quale è tutt’uno che la individualità dilatata e come diffusa e risollevata nella rappresentazione e nella idea dell’universale : di qui Vazione etica, che, di sua natura, è emancipazione dai limiti individuali, autonomia dalle impulsioni inferiori della natura empirica, subordinazione all’ordine superiore delle relazioni e delle correlazioni degli esseri tutti, estimazione, simpatia ed amore degli altri . E questa ardua rinuncia di sè o della parte inferiore di sè, che alla intuizione superficiale ed empirica del natu- turalismo etico appare come un rinnegamento della indi¬ vidualità, segna anzi di essa l’espressione più acuta e l’intonazione più alta ; perchè è l’individualità resa consape¬ vole — da sè in sè stessa e non già per virtù di sugge¬ stioni o di coazioni eteronome, ma in grazia dei poteri luminosi ed autonomi della coscienza interiore — resa, dico, consapevole della sua radicale manchevolezza, del suo pe¬ renne disagio e bisogno, del contrasto acuto e stridente tra la sua potenza infinita e la sua attualità povera e difettosa e della necessità, quindi, per essa, di superare sè medesima per ritrovare e reintegrare sè medesima, recando in atto quello che essa è di già in potere ed in idea, ed adequando sè alla sua natura, ed i suoi moti ai suoi fini ed alla sua destinazione. Il determinismo riconduce l’ordine morale all’ordine della natura, conformemente al suo assunto fondamentale della esplicazione dei conseguenti per gli antecedenti e della necessità della evoluzione continua. Ma sta in fatto che l’ordine etico è irreduttibile all’ordine fisico, ed è simbolo di un’approssimazione e di uno sforzo dello spirito verso forme ideali di vita superiori ad ogni esperienza delle forme e dei fenomeni inferiori della natura. L’ordine etico è l’or¬ dine delle volontà autonome, operanti e cooperanti secondo norme pure ed ideali dettate dalle legge del bene, volontà, Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 115 dico, accomunate ed affratellate da una comune aspetta¬ zione e gestazione di forme più elevate, e più idealmente feconde, di esistenza spirituale. Un ordine, quindi, del quale il determinismo scientifico non può rendere la ragion suffi¬ ciente, perchè i suoi nessi intellettivi si esauriscono nel rapporto di causa ed effetto e non attingono il dominio ideale delle finalità etiche dell’uomo, e le sue ragioni espli¬ cative non pervengono a contenere in sè medesime le idea¬ lità del bene. Il discernimento etico del bene e del male non ha ra¬ gione di essere in una intuizione deterministica del mondo, la quale, esaminando il corso dei cangiamenti secondo la ragione di causa e di effetto, nei fenomeni della natura e nei modi della coscienza e nelle operazioni della volontà non altro ravvisa che consecuzioni necessarie di date con¬ dizioni antecedenti o risultanze fatali di date combinazioni di elementi. Quando il nesso di causalità sia posto a forma intel¬ ligibile esclusiva della universalità dei fenomeni e degli atti, le ragioni del bene non sono superiori a quelle del male, perchè le une e le altre sono accomunate in una le¬ gittimazione ed in una valutazione unica, quella dettata dalla legge di necessità. Il determinismo è, quindi, amorale, ossia neutro ed indifferente al cospetto dei giudizi di pregio e delle estimazioni pratiche della coscienza morale, giudizi od estimazioni, che esso reputa espressioni arbitrarie di quel pregiudizio nativo, onde l’uomo pone sè a centro e misura dell’ordine dei fenomeni ed, anziché intendere quell’ordine nella trama delle relazioni e delle correlazioni sue con lim¬ pidezza e trasparenza di visione serena, lo apprezza e lo giudica dal di fuori, riferendolo e commisurandolo ai desi¬ deri suoi, ai suoi idoli del sentimento, alle sue vedute di utilità, e chiamando bene quello che, nella serie degli acca¬ dimenti, a lui piaccia, male quello che dispiaccia o rechi nocumento. Dovecchè la serie degli accadimenti è determi- Digitized by L^ooQle 116 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO nata dall’ordine necessario delle cause efficienti e non da¬ gl’ idoli del sentimento subbiettivo : e quindi le azioni degli altri verso noi e le azioni nostre medesime sono non già da misurare in ragione di quei giudizi di pregio, i quali si riassumono nell’astratto ideologico del bene, ma da inten¬ dere nella connessione dei loro antecedenti e da collocare nel sistema delle necessitazioni equivalenti di che s’intesse la trama dell’universo. L’ordine morale esula, pertanto, dalla intuizione teore¬ tica del determinismo ; a norma del quale, tutto quello clie è, ha ragione di essere e nulla più e nulla meno di quello che è ; e le cose e gli atti sono quello che sono, non beni, cioè, o mali, sono.,... sè medesime, e quello che è, è, non in quanto tendenza o fine o sforzo o conato di approssima¬ zione o ideale comechessia, ma in quanto effetto di cause date o risultanza di date e prestabilite funzioni di elementi o conseguente necessario di dati antecedenti. A norma del determinismo, domina un rigido rapporto di equivalenza e di omogeneità fra i diversi fenomeni dell’universo: onde non vi ha fenomeni superiori e fenomeni inferiori e non è con¬ cepibile graduazione e progressione ascendente di valori e cessa ogni ragion d’essere dei giudizi di prègio e delle va¬ lutazioni etiche, le quali involgono gerarchia di fini, valori differenziali e approssimazione a forme superiori di comu¬ nione spirituale. All’imperativo etico: fà il bene, il determinismo dee voler contrapporre, se ama di essere coerente, un’altra for¬ inola, che non ha funzione normativa ma riveste visibil¬ mente l’aspetto di una mera riserva teoretica ritradotta nella forma di un invito o di ufi consiglio. E la formola è questa: lasciate che le cause producano i loro effetti ed abbando¬ natevi alla corrente dei fenomeni ; meglio, ancora : * risalite dagli accadimenti alle loro condizioni e dagli effetti alle cause. Ed al trar dei conti, l’espressione più recisa e più logica del determinismo è. l’astensione da qualsiasi invito o Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 117 ammonimento ad imprimere questa più che quella direzione all’attività pratica, perchè non v’ha ragione di alternativa, di discriminazione, di scelta quando la direzione di fatto delle potenze pratiche è prestabilita dall’ordine di necessi- tazione universale e nessun intervento attivo, meditato e riflesso della volontà è concepibile in quanto tale, perchè l’apparente attività direttrice e creativa della volontà è una forma ed una mediazione secreta, nella quale si dissimula ed opera quella stessa necessitazione che si credeva doma e superata. Di guisa che ogni formola imperativa ed ogni convincimento di poter modificare, con la propria azione, il corso e l’indirizzo dei fenomeni è da respingere come una illusione della coscienza : perchè quella formola e quel con¬ vincimento sono l’eco e la ripercussione consapevole di un ordine di causazione necessaria, che, per sottile astuzia della natura, si rappresenta alla coscienza riflessa come ordine spontaneamente voluto e deliberato. E l’uomo, a rigore, non opera, ma è agito dalle forze in lui operose, nè vive ma è vissuto dalla vita, salvocchè la natura gli concede il godi¬ mento di una consapevolezza collaterale dei fenomeni, che non egli crea o produce ma che a lui ed in lui accadono, e la qual consapevolezza gl’ingenera l’illusione dell’attività creativa e della libertà. Cosicché la intuizione deterministica sopprime la nozione medesima dell’ordine morale, o tutt’al più lo lascia soprav¬ vivere nella forma depotenziata di un ordine di valutazioni relative al benessere soggettivo dell’uomo, o un ordine com venzionale e fattizio di norme e d’indirizzi e di azioni sta¬ bilite dall’uomo per le contingenze pratiche della sua vita individuale e sociale, e di poi, per processo di obliterazione psicologica lenta ed assidua di origini così umili, isolate e divelte dai loro nessi di relatività e dalle condizioni circo- stanziate della loro formazione e tragittate nell’ assoluto e sollevate, per magistero d’illusione interna, a significazione infinita* Non, quindi, un ordine di rapporti ideali forniti di Digitized by C.ooQle 11$ I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO valore assoluto, ma un ordine modesto di convenevolezza e di utilità attinente a quel povero atomo di vita che, nella fenomenologia dell’universo, è l’uomo, ed il quale, fuorviato dalle illusioni della coscienza, pone sè a centro di riferi¬ mento ed a misura del cosmo, elevando i suoi desideri ed i suoi giudizi a sistema presunto di leggi e d’imperativi dell’ordine morale, in contrapposizione col solo sistema di leggi che sia concepibile e conosciuto, quand’ anche operi per mediazioni psicologiche ed etiche ; le leggi, cioè, ed i rapporti necessari dell’ordine fisico o del processo morfolo¬ gico della natura. Pertanto, il determinismo scientifico, che partecipa del principio di causa, onde esclusivamente s’informa, l’indole retrospettiva, teoretica, analitica, inattiva, si chiarisce estra¬ neo ad ogni forma di concezione etica della vita, e finisce per abbandonare logicamente l’assunto di una fondazione teorica della morale. Gli è che l’intuizione deterministica del mondo è una intuizione fisica e non una intuizione etica e l’ordine etico non può fondarsi sul principio delle cause efficienti ma su quello delle cause finali, intimamente ope¬ rose attraverso la mediazione delle cause efficienti medesime. Gli è che l’ordine di elevazione gerarchica e di perfeziona¬ mento progressivo è irreduttibile all’ordine di derivazione causale, e la capacità di cangiamento dell’azione è inintel¬ ligibile alla stregua della legge di stabilità e di conserva¬ zione. Gli è che la libertà è una intrusa nella equazione del determinismo o un epifenomeno collaterale delle interne ne- cessitazioni della psiche, e l’estimazione del valor morale delle azioni un idolo della subbiettività scarso di obbiettiva significazione. La sola filosofia che sia atta alla fondazione della mo¬ rale, e che certo ne rimuove i precipui impedimenti frap¬ postivi dalla intuizione deterministica del mondo, è l’idea¬ lismo indeterminista. Il quale, sovrapponendo al processo delle cause efficienti l’ordine delle cause finali e rilevando Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 119 nella serie dei fenomeni dell’universo la presenza di una ca¬ pacità nativa di cangiamento, per la quale nessun fenomeno si contrae e si esaurisce nei limiti della propria natura ma ciascuno tende come a risollevarsi in una natura o in un principio superiore, costituisce il più maturo avviamento ad una intuizione etica del mondo. E con ciò l’idealismo indeterminista pone il vero, il ne¬ cessario, il fondamentale sostegno di una filosofia della mo¬ rale. Perchè una intuizione etica della vita, e della con¬ dotta dell’uomo non è legittima, ove non sia predisposta e come preannunziata da una intuizione etica dell’universo. E voglio dire una forma d’intuizione, la quale illumini il cieco, inconsapevole processo delle cause efficienti della natura, e le avvisi come simboli e mediazioni di una potenza consa¬ pevole che le ordina e le piega ad una destinazione supe¬ riore alla loro esistenza fenomenale. Una forma d’intuizione, la quale nelle forme stesse più povere della vita discerna le tracce iniziali e come il presentimento ed il bisogno e l’aspet¬ tazione della ricchezza e della fecondità spirituale, che riem¬ pirà di sè i domini superiori della coscienza e dell’anima o della comunione delle anime. Una concezione etica della condotta umana, separata ed avulsa da una intuizione etica del mondo, contraddice alle esigenze di quel monismo idealistico, che noi a buon diritto possiamo contrapporre al monismo meccanico, e che, solo dei sistemi filosofici, penetra ed illumina, dall’ alto di una visione serena, la intima parentela e comunione delle cose e dei fenomeni, in che consiste, a chi lo miri dal di dentro, l’ordine dell’universo. Ordine ammirabile, e che si avvera per 1’ adattazione gerarchica e la sovrapposizione progressiva delle forme e non già per rapporto di derivazione dei conseguenti dagli antecedenti, e che è il simbolo visibile di quel processo di¬ namico, onde i principi superiori, agendo sovra le nature inferiori, le destinano ad una efficienza più alta e sollevano Digitized by L^ooQle 120 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO alla luce della coscienza ed aprono ai moti della vita ciò che langue e si agita in quelle come bisogno cieco, incon¬ sapevole, inappagato. La moralità segna 1’ espressione più luminosa e più alta di questo processo di gestazione e di elevazione, di questa interna capacità di cangiamento, la quale, inceppata e come soffocata dalla legge della necessità, si dissimula e si contrae nelle forme e nei fenomeni della natura. Ed a dirla in altri termini, la moralità è la natura, resa consapevole di sè e dei suoi limiti e resa a se mede¬ sima ed ai suoi limiti superiore, ed emancipata dai vincoli imposti dalla legge di conservazione ed atta ad oltrepassare l’ambito del proprio interno equilibrio, o dello adattamento alle proprie condizioni di esistenza, per adattarsi alle condi¬ zioni di una esistenza superiore (1). La filosofia indeterminista, in quanto rinviene la sua integrazione positiva in questa forma di monismo idealistico, è prossima all’economia del mondo morale più, forse, che ogni altra forma o direzione del pensiero contemporaneo : perchè, lungi dall’isolare la morale dalla fenomenologia del¬ l’universo e dal concepirla come una formazione sopravve¬ nuta o una soprastruttura umana o un epifenomeno o come un ordine di rapporti inintelligibili nel sistema dei processi e delle leggi della natura, riesce, invece, mirabilmente ad intenderla, a legittimarla ed a collocarla in una intuizione universale del mondo. I limiti del determinismo scientifico possono valere, per tal rispetto, come i necessari prolegomeni ad ogni possibile filosofia del mondo morale. (1) Galasso. — Saggio di filosofia morale (Napoli 1885), p. 217. Digitized by L^ooQle y. I limiti del determinismo sociologico. Lo stato d’imperfezione in cui versa tuttora la socio¬ logia non affida di una disamina equa dei limiti del determi¬ nismo sociologico ; e potrebbe ingenerare l’abito di trasferire alla natura della scienza o del suo oggetto i limiti tran¬ sitori e relativi dipendenti dalla immaturità di sviluppo degli studi e dalle indagini attinenti ad una scienza in formazione. Occorre in questo, come in ogni altro ordine di ricer¬ che, sceverare rigorosamente quello che è da imputare alla scienza in sè, o all’ indole dei teoremi che si propone di di¬ mostrare o dei problemi che mira a risolvere, da quello che va attribuito ad una elaborazione scientifica tuttora manche¬ vole, per la scarsità del tempo interposto tra i primi avvia¬ menti della disciplina e le condizioni presenti della mede¬ sima. Occorre, soprattutto, esaminare meno quello che la sociologia abbia fatto che quello che essa possa fare, date le condizioni dell’oggetto suo e gli abiti mentali che essa reca con sè ; apprezzando le tendenze presenti della sociolo¬ gia meno nel loro materiale contenuto, che pel contributo che arrecano e la forma che improntano a quella scienza della quale sono semplici abbozzi e rudimenti. Si presenta, in primo luogo, il quesito, se e fino a che punto sia possibile lo stabilire delle vere e proprie leggi dei fenomeni sociali, o trovare nella serie, coesistente ovvero suc¬ cessiva, dei fenomeni o degli avvenimenti della vita collettiva quei costanti collegamenti di cause e di effetti, di che s’in¬ tesse la trama del determinismo scientifico. E il problema stesso dell’esistenza della sociologia in quanto scienza (e non Digitized by Google 122 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO già, o non più, qual semplice storia) ; problema, che non im¬ porta vedere se e fino a che punto si sia presentato in questa guisa ai cultori della scienza, perchè indubbiamente va for¬ mulato cosi e non altrimenti. La sociologia non può volersi affermare come scienza autonoma rispetto alle altre, ed in specie rispetto all’ultima che la precede nella serie, ossia verso la psicologia, che im¬ prontando negli oggetti o nei fenomeni, che si propone di esplicare, una forma particolare: essa, quindi, si proporrà di determinare i modi ed i cangiamenti che derivano dalla ope¬ razione collettiva, in quanto tale, delle forze o delle funzioni psichiche della persona umana; di guisa che abbia comune con la psicologia i dati elementari — ossia i fatti 1 della vita spirituale dell’uomo — ma vi soprapponga una determinazione speciale ; ossia il fatto stesso dell 'associazione, in cui e da cui quei dati o quelle funzioni sono atteggiate* o modificate in una certa guisa, che differenzia nettamente la sociologia, in quanto disamina delle leggi e dei modi della operazione col - lettiva delle funzioni psichiche di più individui, dalla psico¬ logia, la quale studia solo il modo di essere delle funzioni medesime nell’individuo, in quanto tale. Posto o concepito così l’assunto di una sociologia come scienza, il problema di un determinismo sociologico può essere f ormolato in questo modo : l’operazione collettiva delle atti¬ vità psichiche individuali è essa limitata o vincolata ad una forma costante fondamentale? vi ha una legge, o, meglio ancora, un sistema di leggi, al quale possano legittimamente ricondursi, come a loro formula, i modi ed i cangiamenti determinati, nella maniera di operare delle attività o delle fun¬ zioni della psiche, dal fatto dell’associazione di più persone o della comunanza di più coscienze individuali? E poiché condizione metodica di una rigorosa induzione causale è la analisi dell’oggetto complesso nei suoi termini semplici, ele¬ mentari, indecomponibili, si domanda ancora : quali sono gli elementi semplici o le forme elementari del complesso feno- Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 128 meno dell’associazione e come, per composizione e per inte¬ grazione di questi elementi, si ottengono le forme o i nuclei più progrediti o più evoluti della convivenza sociale? A questo quesito non può rispondersi con una negazione assoluta, o rievocando i vecchi abiti mentali che separavano assolutamente la coscienza dalla natura e la storia dalla scienza, concependo la prima come iWominio dell’ individuale, dell’eterogeneo, dell’arbitrario e la seconda come l’espressione del tipico, dell’omogeneo e del necessario. Ma è certo, in pari tempo, che e nell’indole stessa dei dati della sociologia — le funzioni psichiche dei soggetti ossia degl’individui — e nell’oggetto formale della scienza medesima — i modi e le forme che nascpno o si generano pel fatto della convivenza — sono poste le basi di una indeterminazione scientifica radicale e non scevra, del resto, di profonda significazione. I dati della sociologia, i quali, quando sieno risoluti nei loro elementi semplici, si rivelano gli stessi in fondo, checché si dica in contrario, che quelli della psicologia, sono, di loro natura, irreduttibili a determinismo scientifico : nè la psico¬ logia può dirsi abbia compiuto il laborioso ed arduo processo dalla fase descrittiva e fenomenologica a quella esplicativa e genetica, nè essa ci porge leggi vere e proprie delle for¬ mazioni superiori e più elevate di quella che il Vico chiamò la metafisica della mente umana e sulla quale procede la storia delle umane cose ed idee. L’insuccesso degli eleganti tenta¬ tivi fatti dal Tarde, sulle vie di un determinismo psicologico della sociologia, può valere come una riprova di ciò. H. so¬ ciologo francese ferma il suo esame sovra la forma della sociologia — ossia sovra i modi ed i fenomeni dell’ imitazione che si generano pel fatto della convivenza — e, quanto poi ai dati della sociologia, il suo pensiero oscilla tra il mito e lo schema dell’ invenzione — che, posto che voglia significare alcunché di preciso, non può voler esprimere altro che il nuovo, l’individuale, l’eterogeneo, e, quindi, il non-legifera- bile — ed una logica sociale, la quale non è che il trasferi- Digitized by L^ooQle 124 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO mento puro e semplice, delle forme e delle .categorie dello intendimento, accertate per l’individuo umano in quanto tale, all’associazione di più individui e di più menti individuali, una projezione dell’ ideologia nella sociologia. I dati elementari della psicologia e della sociologia sono i fatti ed i cangia¬ menti e le formazioni e le sintesi dell’attività psichica ; fatti, che sono successi ed accadimenti, non oggetti, non, quindi, dati immobili o unità e quantità fisse, ma forme che diven¬ gono, condizioni variabili, relative ed attuali, esplicabili ed intelligibili in rapporto al loro momento individuale. e non riferibili a quantità fissa o formula di leggi costanti. Nè questi stati psichici sono alcunché di rigido o d’inerte o dei valori assoluti; ma ricevono il loro significato e, quasi direi, la loro colorazione dal rapporto in cui stanno tra loro e con l’unità della coscienza; onde sono, a rigore, irreduttibili a quella forma di connessione scientifica, esplicativa ed ana¬ litica, la quale si esercita sovra dati elementari, semplici, so¬ stantivi, indecomponibili, assoluti, quasi unità equivalenti dell’ inerzia o atomi omogenei della materia. La penetrazione, lo scambio, l’interferenza e la solidarietà degli-stati psichici non è riducibile allo schematismo unilineàre della causalità, ed oppone al determinismo scientìfico la doppia, resistenza della complessità e della indeterminazione iniziale dei dati e dell’accrescimento e della complicazione progressiva delle ri¬ sultanze finali della loro composizione. I prodotti complessi della coscienza individuale e sociale non sono intelligibili per integrazione dei presunti elementi semplici, perchè il nuovo ed il caratteristico-dei processi psi¬ chici e dei processi storici consiste meno negli elementi che nel modo della loro combinazione. Nè gli elementi sono quan¬ tità costanti o dati equivalenti, nè vi è reciprocità di sin¬ tesi e di analisi; chè anzi la sintesi psichica, che di sua na¬ tura è sintesi creatrice, li modifica e li complica in ciascun ciclo della vita psichica, in ciascuna combinazione successiva dei-dati elementari dello spirito. E proprio della sintesi psi- Digitizec . C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 125 chica creatrice, come ha illustrato il "Wundt, recare non solo una nuova composizione degli elementi, ma, pel fatto e col fatto di ogni nuova composizione, reagire sulla natura degli stessi elementi, imprimendovi sostanziali modificazioni, di guisa che sia in continuo cangiamento, non che i processi della composizione, anche l’indole iniziale dei componenti. I quali, di' conseguenza, negli istanti successivi della vita psichica nqn si serbano i medesimi, ma si vanno progressi¬ vamente complicando ed arricchendo per l’azione che vi spiega e le determinazioni che v’-imprime quel processo di esperimentazione, di educazione e di accrescimento che è, propriamente parlando, la vita della coscienza. Questo feno- * meno non è che una espressione nuova di quel processo di fluidità e di penetrazione reciproca, onde gli stati psichici particolari si compenetrano e concrescono nell’unità funzio¬ nale, intimamente operosa, della coscienza ; il qual processo di compenetrazione di ogni singolo momento nel principio fondamentale dell’attività psicologica ha effetto di modificare il mortiento medesimo, sovrapponendovi determinazioni che non sono deducibili dalla natura difesso, ma che si vanno generando pei suoi rapporti di dipendenza, di solidarietà e di scambio con gli altri elementi e col comune sostrato di¬ namico onde tutti si avvivano. Ora non è chi non vegga come questa complicazione progressiva, * prodotta dalla penetrazione reciproca e dall’ in¬ terferenza dei fattori, dalla reazione degli atti alla sponta¬ neità che li ha generati e dalla sproporzione tra i dati sin¬ goli e le risultanze della loro variata composizione, imprima ai processi ed ai fenomeni della coscienza, così .nella loro maniera di operazione individuale, come, ed anche più, nella loro forma di operazione collettiva, un carattere di mutabi¬ lità; di eterogeneità e d’indeterminazione radicale, che frap¬ pongono un impedimento non superabile ai tentativi ed agli assaggi di un vero e rigoroso determinismo psicologico, non che sociologico. Digitized by C.ooQle 126 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO Che se poi dall’esame dei dati della sociologia, che sono, ripeto, tutt’uno con quelli della psicologia così latamente intesa, si procede a quello della forma o dell’oggetto formale, ossia all’efficienza del fatto dell’associazione e dèlia convivenza in quanto tale, l’indeterminazione, più che scemare, si accresce, L’azione specifica del fenomeno della convivenza, o che si esamini in rapporto allo spazio, ovvero alle relazioni di coe¬ sistenza degl’individui in un aggregato o di più aggregati simultanei fra di loro, o che si esamini in rapporto al tempo, ovvero alla relazione di successione e di solidarietà rispettiva delle generazioni le une verso le altre, reca l’impronta di una cosiffatta complicazione e rimescolamento ed intreccio di fattori che scarso margine si porge alla determinazione scientifica dei mòdi e delle leggi, per le quali o attraverso le quali quell’azione procede. La comunione di vita delle attività individuali — ossia l’associazione — non è assimilabile, pei suoi modi o processi di composizione, agli aggregati materiali. La sintesi sociale non è combinazione ed integrazione mera e semplice degli elementi individuali, in rapporto, quindi, di equivalenza e di commensurabilità con l’addizione numerica 4 0 gli elementi medesimi. La sintesi sociale è, anzi, una forma della sintesi creatrice, un fatto, quindi, o un’efficienza nuova, che supera di eccesso infinito, in ragione di qualità, la moltitudine degli elementi di sua composizione. La società non è una somma, ma una moltiplicazione ed un accrescimento dinamico delle unità individuali: tale, anzi, è o vorrebbe essere la funzione specifica di essa e quella che differenzia la società, in quanto organismo psicologico e morale, dalle forme inferiori del meccanismo. Nei fenomeni di ripercussione e di solidarietà, i quali han luogo nello spazio sociale, non vi ha già un fatto di tras¬ missione pura e semplice di energia, ma una sì complicata ed intricata rete di azioni e reazioni e di modificazioni e di rimbalzi e d’interferenze, che addiventa un’impresa impos- Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 127 sibile lo sceverare, l’individuare il termine iniziale, il dato o il fatto elementare, ovvero l’equivalente del movimento psichico originario — per dirla così — del quale si opera la trasmissione. Il Tarde, sempre sulla via di quel suo deter¬ minismo psico-sociologico, ha ravvisato ed individuato il fatto sociale elementare o, che è lo stesso, il carattere differenziale della convivenza nel fenomeno dell’ imitazione. Come la mec¬ canica non insegue l’origine assoluta del movimento, la quale si perde nell’infinito della serie causale, ma bensì studia i fenomeni della trasmissione e della comunicazione del movi¬ mento fra le masse e le molecole corporee, così la sociologia non studierà la genesi o la natura originaria degli stati di coscienza individuale, i quali operano e cooperano nella co¬ munione di vita sociale, ma il fatto stesso della modifica¬ zione di uno o più stati di coscienza individuale per l’azione o la suggestione psicologica, esercitata dagli altri stati di coscienza coesistenti. Il fatto sociale è il fatto della irradia¬ zione, della trasmissione, della comunicazione e del contagio degli stati di coscienza; la meccanica degl’influssi spirituali; l’imitazione. Se non che questa, che appare come una soluzione del problema, non è poi altro che una nuova formulazione del problema medesimo, la quale non ha che il merito discuti¬ bile di approssimare il fatto della socialità al fatto della trasmissione del movimento e di ricondurre la complessa fe¬ nomenologia psicosociale ad una categoria o ad uno schema meccanico, alla imitazione, la quale, esaminata a fondo, ap¬ pare come il correlativo psicologico dell’ inerzia e della legge di conservazione. Il determinismo sociologico, del resto, domanda la rigorosa determinazione scientifica dei modi e dei processi costanti di codesta imitazione, domanda, cioè, che la comunicazione ed il ricambio degli stali di coscienza indi¬ viduale nel mezzo sociale sia ricondotta a sistema ed a for¬ inola di leggi definite. Ora 1 'imitazione non è da ciò o, per dir meglio, è troppo elevata cosa e troppo complessa perchè gitized by L^ooQle 128 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO si pieghi a ciò : perchè essa non è fenomeno assimilabile alla trasmissione del movimento meccanico, nè è formola o sim¬ bolo discutibile di mera ripetizione, nè procede per via e direzione unilineare e schematica, ma rappresenta, anzi, e riassume e contrae e simboleggia una serie complicatissima d’influssi e di suggestioni e di coazioni psichiche, la cui effi¬ cienza non è misurata dalla energia dell’impulso iniziale, ma dagli attriti e dalle resistenze del mezzo, ossia dal complesso dei poteri di recettività, di rappresentazione e di reazione del soggetto, al quale quegl’impulsi si dirigono e si comu¬ nicano e sul quale essi operano. E la verità è che la così detta imitazione contrappone al determinismo sociologico rigorosamente inteso un doppio coefficiente d’indeterminazione o, se si vuole, d’indetermi¬ nabilità: l’uno che nasce dalla eterogeneità, dalla spontaneità e dalla individualità nativa dei soggetti ai quali o fra i quali si trasmette, l’altro che consegue dai nuovi cangiamenti o dai nuovi spostamenti di composizione o di risultanza che sono consecutivi al fatto della trasmissione medesima. Vano e fallace e dettato da un’applicazione arbitraria ed inconsulta degli schemi del determinismo meccanico è lo assunto del- l’assimilare il sistema di penetrazione e di scambio degli stati di coscienza, nel mezzo sociale, al fatto della comuni¬ cazione del movimento tra le molecole materiali: perchè gli individui umani sono soggetti autonomi e coscienze e per¬ sone, e non già masse inerti o pure mediazioni recettive di un movimento impresso. E queste cose sono anche più agevoli ad intendere, quando dall’esame della trasmissione psicologica e sociale nello spazio si proceda all’esame della trasmissione nel tempo : la quale non è formola o tipo di eredità meramente conser¬ vativa, ma si porge, ad un tempo, come continuità ed accre¬ scimento e come accumulamento progressivo e moltiplicazione e capitalizzazione di esperienze, di strumenti del vivere ar¬ tificiale, di prodotti di svariata natura e così via. Come Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 129 nessun atto o dato psichico elementare, così nessuna gene¬ razione nel tempo è il termine fisso o la quantità costante di una serie unilineare : la generazione, anzi, dell’oggi, è ricca del residuo e del deposito legato da quella dell’ ieri, onde, non che l’una essere equivalente all’altra, come categorie omogenee della natura, esse sono differenziate, eterogenee ed incommensurabili, come forme divenienti e progressive della cultura e della storia. L’imitazione sociologica nel tempo, o l’eredità sociologica non è formola di sola conser¬ vazione, ma sintesi della conservazione e del cangiamento: e questo coefficiente del cangiamento importa una serie ricca e variata di nuove determinazioni sociologiche, le quali sono tanto meno determinabili # e riducibili a schema di scienza, quanto più spiegano azione determinante sui processi della società e dell’incivilimento. Non potendo trovare stabile e rigoroso assetto di scienza nella determinazione del suo contenuto o in quella del suo oggetto formale, potrebbe la sociologia cercare l’estremo soc¬ corso in una specie di rinnovellamento delle escogitazioni di filosofia della storia, cioè a dire nella nozione di un pro¬ gresso evolutivo e continuo, riducibile a formula di legge, delle forme della cooperazione sociale. Essa, cioè, potrebbe costruire, grazie agli ausili della preistoria, un tipo amorfo e rudimentale di aggruppamento sociale e di qui, per via di un determinismo interno, esplicare e differenziare, in serie lineare, processuale e schematica, le forme progredite ed evolute dell’associazione. Come la massa per l’atomo, come l’organismo per la cellula, così il determinismo scientifico saggerà di esplicare la cooperazione sociale pel dato-limite di essa, per il suo infinitesimo, per la cellula sociale origi-. naria, per il gruppo sociale elementare. Se non che questo nuovo sforzo di approssimazione della storia alla scienza è fallace non meno degli altri con¬ simili. Il problema di un tipo sociale elementare e primi- 9 Digitized by C.ooQle 180 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO genio non è anco risoluto: e la sociologia (chi guardi non alle costruzioni temerarie ed unitarie, ma alle rivelazioni cir¬ costanziate, variate ed eterogenee della esperienza storica) oscilla indecisa fra le due soluzioni differenti, quella, che si direbbe ortodossa, della famiglia patriarcale, e quell’altra, che si direbbe eterodossa e che forma l’opinione dei più, della priorità dell’orda comunistica. Le direzioni più in voga della sociologia contemporanea pongono a termine iniziale dello sviluppo sociale l’orda comunistica, argomentando dall’osser¬ vazione diretta della tribù australiana e dell’orda irocchese: ì ma non è conforme ai processi dell’induzione scientifica ri¬ tradurre, in categorie di leggi costanti, particolari e limitate esperienze di fatto, conferendo ad esse una significazione ti¬ pica che è presuntiva ed arbitraria, nè è lecito procedere dall’osservazione di dati particolari nello spazio alla inven¬ zione di uno schema universale di processo nel tempo. E del resto è da notare che la maniera onde, in ipotesi, dal tipo sociale originario si verrebbe differenziando la com¬ plessa e distinta fenomenologia sociale, rappresenta un’antitesi recisa della maiera onde il determinismo scientifico si raffi¬ gura che avvenga la composizione degli aggregati materiali dalla unione degli elementi componenti. In vero, dall’orda comunistica primitiva lo sviluppo sociale procede non per integrazione, ma per processo di differenziazione psicologica ed economica, e per via di divisioni e lotte di classe e per specificazione delle funzioni e per instabili equilibri di gruppi e di nuclei antagonistici e per consecutive adattazioni, più coatte che spontanee, dei gruppi medesimi. Nè l’ulteriore processo e sviluppo della società e dell’incivilimento può concepirsi come preformato nella cellula sociale originaria, salvo che si voglia poco saviamente rievocare direzioni ormai superate dalla ideologia applicata alla storia o solidificare in categorie assolute di sviluppo dialettico i processi cir¬ costanziati e condizionati della storia. Inintelligibile, del resto, è l’assunto medesimo di un tipo Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 131 sociale elementare, che valga o possa valere come elemento integrante o unità generativa ideale della società in quanto tale; perchè ogni gruppo sociale, per quanto si voglia pri¬ mitivo, rudimentale ed amorfo, è sempre un aggregato com¬ plesso di relazioni del vivere ed un processo complicato di coordinazione e di subordinazione degl’individui, ed, in¬ somma, una forma di società per se stante e condizionata in una data maniera, che vale a sè e non può essere ele¬ vata a misura o a tipo di altre possibili o escogitabili forme di associazione, e, meno che mai, può essere distratta od astratta dalle relazioni e dalle condizioni sue e rappresentata come un dato o un elemento o un principio generativo ed esplicativo della società e dello sviluppo sociale. Le forme del processo umano e sociale sono sempre, checche si dica, individuali e non tipiche: e può dirsi, in via di massima, che la serie progressiva delle forme dell’essere, in quanto è procedere crescente d’individuazione, scema sempre più il margine di applicazione dei metodi d’induzione diretta; che ai dati singoli ed individuali (per quanto nume¬ rosi) dell’osservazione vorrebbero conferire una significazione tipica ed universale. Se la natura, osserva il Riimelin, è il mondo delle unità tipiche, la società e la storia è il mondo delle unità individuali (1) : onde segue, appunto, la impossibitità di ricondurre i processi sociali a formule di leggi rigorose e la necessità di sopperire al difetto dell’induzione diretta con gli espedienti della osservazione metodica di massa, sulla quale si poggia il metodo statistico; con che si riesce ad illazioni di genere tipico, sulla via di una compensazione e di una elisione delle differenze individuali nella gran massa dei fenonemi equivalenti enumerati. Ciò, per altro, se giova come avviamento alla ricerca di leggi così dette empiriche o di fenonemi più generali dello sviluppo sociale, non riesce (1) Sul concetto di una legge sociale, nell’opera. — Reden und Aufsàtze — Tùbingen 1875. Digitizecl by CjOCK^Ic 132 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO tuttavia alla fondazione di un vero e rigoroso determinismo sociologico: perchè le leggi empiriche accertate e formolate dalla statistica, per il fatto stesso che sono dei simboli, delle medie e dei prodotti di compensazione, non penetrano l’in¬ timo tessuto dei fenomeni sociali, ma solo ne limitano e ne circoscrivono (come si è detto altrove della simbolica ato¬ mistica) le prominenze più visibili, più comuni, più superfi¬ ciali e, quindi, le condizioni ed i fattori meno efficienti e meno determinanti dello sviluppo sociale e dell’incivilimento. Ricorre qui quel fatto o quel rapporto illustrato altra volta e che riassume in sè tutta una critica del determinismo: il fatto e il rapporto, per cui il determinismo scientifico si viene sempre più estenuando ed impoverendo di contenuto, quanto più si va innanzi nella serie progressiva dei feno¬ meni che esso presume di allivellare nel pressoio dei suoi schemi, e per cui è lecito conchiudere che i soli fattori e le sole condizioni determinabili sono quelli, ad un tempo, che determinano meno o penetrano meno profondamente nelle radici e nella sostanza del reale. Queste gravi difficoltà, che si frappongono all’assunto di un determinismo sociologico rigorosamente inteso, giovano a spiegare come e perchè la sociologia contemporanea si di¬ batta fra direzioni incerte e mal definite, e come, anziché affrontare direttamente il problema della sua esistenza auto¬ noma in quanto scienza, essa abbia preferito di fondare il suo mobile contenuto sovra un mero processo di deduzione^ da altri ordini di scienza. Un esempio del genere, ed il più noto, è quello fornito dal determinismo biologico della sociologia, che non è poi altro che l’estensione analogica, al gruppo sociale, delle ca¬ tegorie e delle leggi accertate dall’anatomia e dalla fisiologia individuale. E la sociologia spremuta dalla biologia, confor¬ memente, del resto, ai processi deduttivi ed analitici del de¬ terminismo scientifico. Il quale, come esamina il cangiamento e l’azione fisica in funzione dell’equivalente meccanico, e la Digitized by Ci< . Qle r LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 133 vita ed i fenomeni vitali in funzione dell’equivalente fisico- chimico, cosi mira a studiare i fenomenti della psicologia e della sociologia in funzione degli equivalenti biologici. Questo modo di esplicazione scientifica del fatto sociale è, tuttavia, oggetto di critica interna nelle stesse direzioni della sociologia contemporanea, le quali si avviano a supe¬ rarlo. Anzitutto la sociologia a tipo biologico è incerta e mal . definita in sè stessa, e la riduzione del gruppo sociale al¬ l’organismo biologico oscilla tra due maniere diverse di con¬ cepimento: l’una, per cui la biologia è assunta come mero principio regolativo, l’altra per cui essa assurge all’onore di principio costitutivo della sociologia; l’una, insomma, per cui l’inferenza dalla biologia alla sociologia ha indole di mero abito di formale analogia, l’altra per cui essa è il simbolo o la formola di una presunta unità e coincidenza sostanziale di rapporti e di leggi. E poi è da notare che, non già per le vie del determinismo biologico si perviene a costruire la sociologia come scienza autonoma ed a fermarne e sotto¬ porne ad analisi i caratteri differenziali. E sebbene la più gran parte dei cultori di sociologia sia educata, oggi, ad una intuizione monistica del mondo, e, come tale, si rifiuti d’in¬ terporre una vera e propria soluzione di continuità fra le serie distinte, o meglio diverse; dei cangiamenti, pure essa sente vivamente il bisogno di venire individuando e diffe¬ renziando, sul fondo della continuità universale, le forme differenti del processo cosmico e, nella specie, le forme dello sviluppo sociale. Il determinismo biologico del fatto sociale non attinge l’oggetto o il -contenuto della sociologia, ma solo lo limita o lo circoscrive da uno dei lati, e presenta una doppia la¬ cuna, l’una che deriva dall’aver fermato un solo aspetto della fenomenologia sociale, come sollevandolo ad equiva¬ lente tipico ed ideologico di tutto il resto, l’altra, che deriva da ciò che quell’aspetto particolare è il meno determinante, sebbene sia il più determinabile,, della, fenomenologia sociale Digitized by L^ooQle 134 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO medesima. Indubbiamente il fatto biologico è il sottosuolo della sociologia, ma non ne è però, a rigore, l’oggetto ; esso segna la condizione preliminare ed è come il di là del fatto sociale, ma il fatto sociale è un fatto nuovo ed una produ¬ zione autonoma, grazie, appunto, alle determinazioni originali che sovrappone al fatto biologico, dal quale si differenzia ed emerge. Accomunare l’uno con l’altro nel concepimento e nell’esplicazione scientifica è venir meno al precipuo assunto della sociologia: la differenziazione del fatto sociale dagli altri gruppi di fatti e la investigazione deì^suoi specifici nessi, rapporti ed atteggiamenti. La progressione cosmica è gra¬ duazione ascendente di autonomie, non collocazione simme¬ trica di equivalenze. Il fatto sociale è una sintesi originale, ed un processo di nuova formazione, esplicabile, quindi,.per via d’intuizione e di esperienza o di osservazione diretta, non per deduzione analitica o argomentazione analogica dai fenomeni o dal gruppo dei fenomeni antecedenti. Più conforme alle esigenze della sociologia è quell’altra serie di dottrine, che pongono a ragione esplicativa della fenomenologia sociale momenti o fattori sociali essi mede¬ simi, e danno luogo, conseguentemente, ad una forma di de¬ terminismo sociologico interno, più fine, senza dubbio, e men vuoto di quel determinismo sociologico esteriore, che si poggia sovra gli arbitrari' processi della deduzione interscientifica. Perdura, per altro, anche in queste dottrine il grave equi¬ voco onde un dato momento ed un dato fattore della fe¬ nomenologia sociale viene sollevato ad una significazione tipica ed universale, che in nessun modo gli conviene : equi¬ voco, a sua volta, il quale corrisponde egregiamente ai modi dell’esplicazione analitica ed agli schemi del determinismo meccanico. Ed, in vero, questo determinismo psicologico interno non è che una delle forme o delle espressioni di quel processo analitico, che individua nel tutto o nell’aggregato, complesso Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 135 le parti presunte elementari o componenti e di poi quelle parti medesime solleva ad elementi generatori del tutto. La sola differenza che vi sia, nella specie, fra il determinismo meccanico ed il determinismo sociologico, è dovuta alla di¬ versità degli oggetti rispettivi, e, com’era da prevedere, ri- àolvesi tutta a detrimento del determinismo sociologico. L’ana¬ lisi esplicativa del determinismo meccanico è legittima, perchè gli aggregati materiali risultano dalla composizione di unità elementari omogenee, ciascuna delle quali è, perciò, l’equi¬ valente tipico di tutte le altre e l’elemento integrante del- l’intiero. Laddove l’analisi esplicativa del determinismo so¬ ciologico è illegittima ed arbitraria, perchè il fatto sociale non è la risultanza della combinazione di elementi omogenei ed equivalenti, ma la sintesi di fattori e di condizioni di variata natura ed efficienza ed individuali, irreduttibili ed eterogenei. Sul fondo della eterogeneità irreduttibile delle condizioni e delle determinazioni sociali il determinismo so¬ ciologico discerne o individua un solo fattore o una sola con¬ dizione determinante, e quella condizione e quel fattore, che, di sua natura, è individuale ed eterogeneo e, di regola, quindi, non può significare nè può valere altro che .... sè medesimo, solleva ad equivalente ideologico ed a criterio e misura unica ed esclusiva del complesso di tutti gli altri fatti sociali. Pro¬ cesso meramente analitico, e che, al trar dei conti, si risolve in una petizione di principio mal dissimulata ; perchè il so¬ ciologo, in tal caso, non conosce, e, sarei per dire, non ri¬ conosce che solo quel fattore e solo quella condizione che ha fermato di preferenza, ed interpetra tutto il resto solo in funzione di quella condizione e di quel fattore ; e ciò fa ar¬ bitrariamente, perchè tutto il resto è irreduttibile a quello schema ideologico che gli si vuole sovrapporre, ed in defi¬ nitiva, quando egli credea di aver attinto una conoscenza nuova, dee confessare che si versa nell’ idem per idem, senza tracciare un solo passo innanzi sulla via del conoscimento che è sintetica e progressiva. Digitized by L^ooQle 136 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO La forma attuale di codesto determinismo sociologico interno è quella che, per vie alquanto differenti e con varia finezza d’intuizione ed accorgimento di metodo, è enunciata ed abbozzata oggi, per un verso, dal determinismo economico strettamente detto e, per un altro, dalla concezione materia¬ listica della storia. Le due dottrine hanno comune l’assunto fondamentale: quello di esplicare la serie dei fenomeni sociali e dei pro¬ dotti superiori della storia e della ideologia umana per la causalità dei determinanti e dei fattori economici (trovati della tecnica produttiva, differenziazione del lavoro e delle classi e così ^ via). E traducono entrambe, nell’ambito della sociologia, gli schemi del determinismo meccanico, in quanto pongono a ragione esplicativa della società e della storia il dato più elementare, più determinabile, più estensivo e, ad un tempo, più misurabile che vi sia nella serie dei fattori ò dei momenti sociali, il dato o il momento economico. Le condizioni economiche sono, in fondo, l’equivalente materiale e meccanico del determinismo sociale, e l’economia è il solo dei fattori o dei fenomeni sociali che sia riducibile ai pro¬ cessi quantitativi ed alle leggi del numero e della misura ; il solo, forse, che possa dirsi obbiettivo od estensivo, nel senso specifico che questi termini hanno a norma del determinismo scientifico, il solo che possa valere come presupposto origi¬ nario, elementare, immanente di ogni altra sopravveniente formazione sociale. Per altro, non ostante l’unità e la comunanza dell’as¬ sunto, v’ha una certa differenza tra l’una e l’altra dottrina, pel modo e la forma onde ciascuna delle due concepisce il nesso di causalità interposto fra i determinanti economici e le determinazioni sociali. Il determinismo economico strettamente detto pone fra l’un termine e l’altro una relazione estrinseca, accidentale, sovrappositizia, quasi rapporto meccanico di accostamento e di accessione arbitraria e macchinale; il materialismo storico, Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 137 una connessione intrinseca, genetica, dialettica. Il determi¬ nismo economico concepisce le formazioni superiori delta storia come meri epifenomeni delle condizioni e dei feno¬ meni dell’economia. Il materialismo storico le concepisce, in¬ vece, come prodotti necessari, per la mediazione dei quali si rende di fatto operosa la causalità dei determinanti eco¬ nomici. Il determinismo economico procede da una interpe- trazione schematica della causalità, come puro simbolo di identità e di ripetizione; il materialismo storico è il fine di¬ stillato della causalità dialettica e della filosofìa del divenire. Il determinismo economico pone tra le condizioni determi¬ nanti e le determinazioni sociali un nesso di derivazione im¬ mediata, diretta, semplice o, a dir meglio, semplicistica; il materialismo storico ricostruisce o indovina quel lungo e sot¬ tile processo di mediazione e d’interposizione, per cui i pro¬ dotti sociali si rendono progressivamente autonomi ed emer¬ gono dai fattori determinanti, obliterandone, modificandone e complicandone l’originaria efficienza. Ed il materialismo storico, che deriva la sua genesi dot¬ trinale non dalle direzioni della sociologia contemporanea, ma dalla intuizione filosofica del divenire, segna, senza dubbio, oggi il saggio più maturo di una esplicazione scientifica dei fatti sociali. Se non che il suo valore, che è notevole ove lo si mi¬ suri alla stregua relativa e comparativa della sociologia del¬ l’oggi, appare abbastanza problematico, ove lo si esamini alla stregua delle esigenze immanenti della sociologia. Forma uh tima e radicale di una concezione meccanica delle idee e delle cose umane, il materialismo storico scema e sfigura i prodotti superiori della storia e della ideologia, per volerli apprezzare ed interpetrare... in funzione degli equivalenti economici. Esso non penetra l’intimo tessuto della fenomenologia sociale, ma solo ne circoscrive una delle condizioni: alla quale si avvisa di conferire una significazione ed una oggettività di gran lunga superiore a quella che legittimamente le appartiene, Digitized by C.oóQle 138 . I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO H sottile processo delle mediazioni interposte tra le condi¬ zioni determinanti e le determinazioni sociali è uno spediente più sofìstico che dialettico, per avvicinare infinitamente i dis¬ continui dello sviluppo sociale e per colmare artificiosamente le lacune che s’interpongono tra il fatto economico e le sue presunte derivazioni ideologiche. L’individualità, l’originalità, l’autonomia nativa delle formazioni superiori della storia e della ideologia si sottrae a codesti schemi arbitrari di ridu¬ zione e di semplificazione riduttiva. La fenomenologia so¬ ciale non è conoscibile, nella sua integrità e nella sua tra¬ sparenza obbiettiva, che per intuizione diretta dei suoi modi e delle sue forme, e senza abito di arbitrarie e schematiche generalizzazioni che menino difilato al semplicismo. Certo, tra le leggi ed i principi dei diversi ordini di cangiamenti v’ha penetrazione e solidarietà: ed un aspetto di vero v’ha, quindi, in ogni dottrina che dichiari un dato ordine di fatti inesplorati con le leggi di un altro ordine già noto. Ma è da notare che la penetrazione delle leggi e dei principi, che presiedono come idee direttive ai diversi gruppi di fatti, procede dall’alto in basso e non dabbasso in alto. E la ideologia è più propria a dichiarare gli svi¬ luppi dell’economia che non questa a contenere le forme di quella. Una economia separata dalla ideologia e posta, quel che è più, a principio della medesima, è inconcepibile : salvo che la natura complessa del fatto sociale e il consensus e la causalità reciproca dei suoi modi si voglia ridurre e sem¬ plificare nello schematismo unilineare della causalità logica e formale. La quale distingue, divide ed enumera i termini connessi di un rapporto organico e li contrappone pèr esi¬ genze di analisi e dipoi trasferisce alla realità obbiettiva queste astratte distinzioni ideologiche, dovute ai processi imperfetti del nostro intendimento. Vero è che la nostra mente procede per notomia delle cose reali; ma vero è, ad un tempo, che ogni fatto è una sintesi vivente, la quale si convelle nel pressoio dell’analisi, Digitized by LjOOQ 139 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO non le si piega ed arrende. Occorre quella sintesi ripercor¬ rerla e come riviverla nell’ intelletto ; il che è possibile solo a patto che gli elementi ed i frammenti di essa siano prima esaminati con serenità di visione nella originalità loro, e di¬ poi concorrano tutti, secondo la gerarchia dei valori rispet¬ tivi, a reintegrare rimugino dell’interno. La storia non è il processo -dalla rude economia alle superiori forme ideologiche, ma l’elevazione ed il perfezio¬ namento delle condizioni economiche sotto l’azione ed il ci¬ mento dell’ideologia. Certo l’azione dei principi superiori sulle forme infe¬ riori non è possibile, ove non si ponga una capacità nativa di cangiamento*e di elevazione nelle forme inferiori mede¬ sime. Ma questo principio, non che involgere la condanna del nostro assunto, è una evidente riprova che il determi¬ nismo scientifico inverte l’ordine di progressione dei reali.* Impresso di subbiettivismo empirico non ancora esperimen- tato dalle punture della critica, il determinismo ritraduce, nelle sue notazioni e nelle* sue classificazioni, i suggerimenti ingannevoli della rappresentazione fenomenica. E così oblia che quello che è primo rispetto a noi è ultimo rispetto alla natura, ^e quello che appare ultimo nell’ordine di consecu¬ zione è primo nell’ordine di generazione. ^Non l’ideologia emerge dall’economia (salto mortale o .miracolo della natura, che si risolve in una aperta smentita del principio di ragione sufficiente), ma l’ideologia, scaturita da ben altra fonte ed alimentata da ben altri motivi, solleva •l’economia a forme superiori di adattamento: Digitized by Google CONCLUSIONE. Adunque il determinismo -scientifico, saggiato alla stre¬ gua obbiettiva e comparativa dei diversi e progressivi or¬ dini •dell’esperienza, denuncia alla critica le* imperfezioni ed i limiti che, in ragione, crescente, ne circoscrivono ed atte¬ nuano l’oggettività e ne scemano il valore. • Forinola propria ed adeguata dell’ordine astratto delle relazioni quantitative e -delle funzioni omogenee ed equiva¬ lenti, esso si chiarisce inidoneo a rendere la ragione suffi¬ ciente del divenire reale, che . è processo di specificazione e qualificazione progressiva ed e graduazione gerarchica di ge¬ nerazioni eterogenee. Poggiato sovra una interpetrazione rigidamente analitica del principio di causa, esso non" attirfge nè penetra le ragioni del processo cosmico, che è sintesi e gestazione e sovrapposizione di forme, sollecitate da* una energia operosa che le destila a superiori adattamenti. Il monismo meccanico, che è il residuo dogmatico del determinismo scientifico, sopprime la ragione ascendente e progressiva delle esistenze, delle forme e dei valori e scema* e mùtila le determinazioni superiori della vita, del pensiero e‘ della storia. H processo cosmico è sintetico e non analitico, è crea¬ tivo più che conservativo : ed è progressione di autonomie, non riducibili ad integrazioni di elementi antecedenti. Nes¬ suno degli ordini delle esistenze è esplicabile per le leggi dell’ordine che lo* precede ; ma ciascuno per la legge propria, Digitizec * / U.ooQle CONCLUSIONE 141 che è espressione di un nuovo e superiore principio di vita. Che se ciascun ordine tende come a superare i limiti del proprio equilibrio, quasi presago di nuove maniere di esi¬ stenza, ciò è simbolo non di regresso al determinismo degli* antecedenti, - ma di progrèsso verso forme più elevate e più feconde. Ma l’accostamento relativo dei diversi ordini di esistenze fra di loro non scema l’infinito intervallo che separa l’uno dall’altro ; e la presunta continuità del determinismo è interrotta da questo avvento di formazioni nuove, da questa ideale epigenesi della sintesi creatrice (1). Nè si creda, per questo, che una critica del determi¬ nismo scientifico debba significale necessàriamente una con¬ cezione pluralistica, del mondo, quasi uno spezzamento della intelligibilità nei diversi ordini della esperienza immediata e, quindi, un povero e mal dissimulato ritorno all’obbietti- vismo empirico delle menti primitive.^ La critica del deter¬ minismo è, anzi v avviamento al monismo idealistico, com£ quella che non rinnega ogni forma di nesso intelligibile della universalità dei fenomeni, ma sostituisce una ad altra fórma (1) Anche nelle direzioni del •monismo contemporaneo vi ha conce¬ zioni filosòfiche, le quali riconoscono la differenziazione e la specificazione progressiva dei fenomeni nel continuo e nell’infinito dell’evoluzione cosmica* Cosi il Lewis illustra quel principio di discontinuità apparente, per cui da una data combinazione di elementi emergono formazioni qualitativamente differenti ed irreduttihili alls£ risultanza numerica degli elementi medesimi. E, con veduta più profondamente sistematica, il nostro Ardigò concepisce il processo cosmico come graduazione di complessità e di autonomie , supe- rando, così, il monismo meccanico nella percezione positiva della indivi¬ dualità caratteristica e concreta del fatto. Trattasi, tuttavia, in queste forme di pensiero e nelle altre che vi si riannodano, di una differenzia¬ zione nel continuo, cioè a dire di una maniera d’interpetrazione dell’ordine universale, che si contiene pur sempre nei limiti del determinismo e del monismo scientifico. Le formazioni emerse del Lewis e le armonie dell’Ar¬ digò risultano daUa integrazione, variata solo nei modi e nei processi, degli elementi antecedenti. Onde vi perdura l’abito di riferire le determinazioni superiori dell’essere alle deteminazioni inferiori e di raffigurare l’ordine universale come ordine regressivo**di ' derivazione causale, anziché come ordine progressivo di elevazione e di adattamento a fini superiori. Digitized by LiOOQle 142 CONCLUSIONE d’intelligibilità, ed al posto del principio delle cause efficienti colloca quello, più significativo e più fecondo, delle cause finali. Dall’ uno all’altro ordine di esistenze vi ha penetrazione di attività, d’influssi e di principi, e vi ha un interno pro¬ cesso di connessione dinamica, assicurato dalla capacità di cangiamento e di elevazione, onde ciascun ordine tende a risollevarsi come in un equilibrio ed in un determinismo superiore. Certo, questa connessione dinamica è di tal natura che non suffraga gli schemi della continuità, nè scema Fau¬ tonomia e l’originalità di ciascun gruppo di fenomeni, nè sopprime l’intervallo infinito che li separa. Ed è certo del pari, che, se il nesso causale è una formola ed un simbolo del continuo,* la connessione finale è, a sua volta, un conato di accostamento tra forme ed esistenze diverse, discontinue ed autonome. La mediazione finale non involge la coinci¬ denza dei termini fra i quali è interposta, ma simboleggia un processo di approssimazióne tuttora inesausta e di qua dai limite* Tuttavia è da notare che, se la connessione finale si sottrae agli schemi del determinismo logico-matematico, essa non riesce meno ad appagare quel vivo e pungente bisogno d’intelligibilità filosofica che agita l’anima umana. La fenomenologia cosmica è a doppia faccia ; per l’una, I è processo di consecuzione dei cangiamenti dal determinismo ' degli antecedenti; per l’altra, è progressióne ascendente di f. esistenze, di relazioni, di valori e di fini. L’una è il mondo veduto dal di fuori, e l’altra il mondo veduto e come ri¬ vissuto dal di dentro. Il determinismo scientifico circoscrive la fenomenologia dell’universo dall’uno dei lati : il monismo idealistico ne penetra l’intimo principio di vita. L’uno pro¬ segue a ritroso le gestazioni .della natura mediante la de- «. duzione; l’altro asseconda e dichiara i processi ascendenti della natura mediante la produzione. Queste due forme d’interpetrazione dell’ universo sono del pari ‘concepibili e, non che elidersi, si integrano a vi^* cenda. Esse si compongono ad armonia in una sintesi su- Digitized by Google CONCLUSIONE 148 periore, che, nelle cause efficienti e nei modi del meccanismo, ravvisa le mediazioni fenomenali delle cause finali e della teleologia. L’esplicazione causalistica riassume gli abiti ed i me¬ todi della scienza: l’intuizione teleologica segna il campo di azione della filosofia; delle quali la prima è cieca senza i lumi della seconda, e questa è vuota senza l’ausilio delle ri¬ sultanze di quella. Il monismo idealistico segna la sintesi armonica e dia¬ lettica di questi due principi e di queste due forme d’in¬ tuizione. E la dualità consaputa e superata: ed ha, quindi, significazione dialettica e non sofistica, positiva e non negativa. Il monismo idealistico è ipercritico, perchè risolleva la critica in un dogmatismo superiore. Nè esso pone capo necessaria¬ mente ad lina denegazione scettica della intelligibilità o ad una teoria di universale contingenza. Il monismo idealistico non significa elisione dell’ordine cosmico nell’indetermina¬ zione e nell’arbitrio, ma gradazione progressiva da ordine ad ordine, da legge a legge, da determinismo a determini¬ smo. Solo che il determinismo, col procedere nei gradi della gerarchia delle esistenze, si dilata sempre più e si espande e si complica di poteri più idealmente fecondi, disintegra la salda coerenza del suo chiuso ed interno equilibrio e si apre ai moti di un’attività differenziata, plastica, autonoma. La libertà non è che la forma suprema del determinismo, ossia il determinismo medesimo, che per capacità di cangia¬ mento sollecitata e diretta da principi superiori, rompe ed infrange i limiti del suo sistema, e sollevasi ad un ordine ideale di determinazioni e di fini. Così la critica del determinismo scientifico segna il più prezioso avviamento ad un intuizione idealistica del mondo : la quale rispecchia fedelmente il nuovo, l’originale, l’etero¬ geneo delle generazioni naturali e, ad un tempo, unifica la diversità e la pluralità rappresentativa degli ordini dell’espe¬ rienza in una sintesi ideale. Digitized by L^ooQle 144 CONCLUSIONE Il determinismo scientifico riesce ad una intelligibilità meramente subbiettiva e gnoseologica della fenomenologia dell’universo. Le gelide astratte relazioni del meccanismo sono scevre di interno principio di vita e di autonomia e di consapevolezza : onde sono intelligibili in rapporto agli schemi ed alle categorie della nostra mente, ma non hanno traccia d’intelligenza immanente, nè godono l’interiore possesso di sè medesime. L’intelligibilità non vi fluisce da principi in¬ teriori, ma vi si sovrappone dal di fuori : per opera dell’ in¬ tendimento che, attraverso la presunta obbiettività della natura, non conosce in fondo, anzi non riconosce, che se medesimo, ossia le sue forme, le sue funzioni, le sue cate¬ gorie, le sue idee. Il monismo idealistico supera il subbiettivismo teoretico del monismo meccanico. Ravvisando nelle forme inferiori dell’esistenza la presenza di un oscuro bisogno e di una rap¬ presentazione manchevole ed un vago e confuso desiderio delle determinazioni superiori, quasi traccia e baleno d’in¬ telligenza rudimentale ed iniziale, reintegra l’accordo dell’ in-- telligibile e dell’intelligente, del pensiero e dell’essere. E pone un nesso d’intelligibilità, che non è forma astratta del¬ l’intendimento, estranea ai processi reali della natura, ma riflesso fedele della dinamica e della teleologia vivente del¬ l’universo. Digitized by L^ooQle Digitized by L30 le DELLO STESSO AUTORE 1. La filosofia politica contemporanca. Appunti critici. — Trani tipografia V. Ve celli, 1892: un voi, in-8.° gr. di pag. 194 (esaur.). 2. La terra nelVodierna economia capitalistica. Studi di socio¬ logia economica. — Roma, Tip. A. Befani, 1893: un voi. in-8.° di pag. 130 (esaur.). 3. La fase recentissima della filosofia del diritto in Germania. Analisi critica poggiata sulla teoria della conoscenza. — Pisa, E. Spoerri. L. 3,50. 4. La filosofia del diritto al lume delV idealismo critico. — Firenze Tip. della “Rassegna Nazionale,,, 1898: un fase, in 8.° di pag. 38 (esaur.). 5. Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale. — Roma, 1898, (presso E. Loescher e B. Lux). L. 1,00. 8. Le nuove forme dello scetticismo morale e del materialismo giu¬ ridico. — Roma, 1898, (presso E. Loescher e B. Lux). L. 1,00. 7. Contributo all'analisi dei caratteri differenziali del diritto , — nella «Rivista italiana per le scienze giuridiche». 1897-1898. 8. La storia interna ed il problema presente della filosofia del dirit¬ to. Prolusione al corso di Filosofia del diritto nella R. Università di Modena, presso la Libreria Vincenzi e Nipoti, Modena, L. 1,50. 9. Il problema della morale. Prolusione al corso di filosofia morale nella R. Università di Napoli. LVtta il 10 di.*embre 1900. Napoli, Libreria Detken e Roclioll* L. 1,00. 10. Il valore della vita. — Discorso per la solenne inaugura¬ zione dell’anno accademico. — Napoli, Tip. R. Università, 1901, (presso i librai Pierre, Detken ete.). L. 1,00. 11. F. Nietzsche e L. Tolstoi: Idee morali dtl tempo. — Na¬ poli, L. Pierro 1902, L. 1,50. Prezzo del presente volarne L. 2. ' T )igitize§ / L.ooQle  /           laiNO PKTHONB      ^y/: Z ^ i'i    L’inerzia della volontà    le Energie profonde dello Spirito    DISCORSO   per l’inaugurazione dell' anno accademico 1909-1910  dell' Università di Napoli     N A P O LI   Staii. Tipografico of.i.la R. Umvf.rsita   Rchille eitnmaruta   1909               Unn profónda antinomia investe ed aj»ita l’ani¬  ma moderna nelle direzioni morali della condotta :  nn dissidio acuto e pnn^^ente Ira la coscienza e la  vita, fra il desiderio ed il potere, fra le aspirazioni  e le azioni, fra i propositi e le esecuzioni.   La volontà ed il carattere non assecondano i  progressi gigantesclii del sapere e della cultura tec¬  nica. Impavido e vittorioso nella esplorazione e nel  dominio delle forze della natura, lo spirito si rivela  torpido e fiacco nella esplorazione e nel dominio di  sò. Esso ignora sj)Osso o dimentica il gioco mira¬  bile delle capacità e delle potenze che fluiscono nel  suo interno e le lascia inoperose e dormienti.   In nessuna età il culto dell’enei*gia è stato, co¬  me nella nostra , incontrastato e sovrano : in nes¬  suna , cosi insistente e caloroso 1’ appello alle atti¬  tudini atletiche ed eroiche ed agli stati di tensione,  l’accolta e severa di una volontà protesa alla con¬  quista. Ma, sugli altari del nuovo culto e della nuova  fede, non trovano posto, per mirabile ironia di con-       trnsto , le energie più contigue od aderenti al cen¬  tro della nostra vita e del nostro destino morale,  le energie dello spirito. Rapita di ammirazione e di  fascino all’ aspetto dei miracoli stupefacienti e visi¬  bili delle forze operose all’ esterno , la mente non  vede è non intende con ìiltrettanta intensità di at¬  tenzione e fervore di meraviglia il profondo c ile-  licato mistero delle energie silenziose che si raccol¬  gono nell’ intimo dell’ anima nostra. Esperimentatori  ed utilizzatori sapienti ed avidi delle potenze della  natura che sono fuori di noi, noi siamo inconsape¬  voli e poco solleciti di quelle altre potenze, natu¬  rali aneli’ esse , che sono dentro di noi. Cosi spen¬  diamo r opera nostra affannosa ed assidua per plas¬  mare la materia greggia che ci fu data nella ca¬  ducità effimera del tempo , ma quel blocco di vita  che portammo con noi, quale testimonianza di un  eterno destino , lasciamo in abbandono come mole  inerte di pietra.   L’ uomo celebra la sua volontà di dominio nella  superazione degli elementi e nella conquista dello  spazio: ma la rivincita della sorda materia e la di¬  sfatta lo coglie e r opprime proprio in quel mondo  che ò suo.   Egli è captivo <lell’ inerzia degli elementi che  giacciono nel fondo della sua anima e le tolgono  visioni di altezza e battito d’ala. Egli è servo e  mancipio delle sue cecità e delle sue aridità, delle  sue attrazioni e delle sue repulsioni, dei suoi impulsi  abnormi e delle sue inibizioni torpide ed oscure, dei  suoi abiti passionali impuri e delle sue ahvlie.    Non che le aspira/ioni e gl’ideali non trulnea-  no al suo intelletto e non rechino a volta come il  senso 0 la presenza di una illuminazione impreve¬  duta; ma è una presenza rapida e fuggitiva che non  fa presa e non trae all’ iizione. Nelle anime meglio  temprate, negli spiriti più complessi (|uella illumina¬  zione si discolora ed impallidisce, a volte obnubilata  od otlìiscata dal dubbio inquisitivo che macera ogni  certezza, a volte menomata di potenza dal gioco di  una occulta inibizione, di un sentimento incoercibile  d’incapacità che avvince l’anima in una inerzia do¬  lente e forzata.   Cosi le idealità e le aspirazioni non si traduco¬  no in esperienza di vita per difetto di virtù di af¬  fermazione, per manco di energia, di disciplina, di  padronanza di sé. La rappresentazione non si con¬  verte in movimento ed in forza viva: il desiderio  non si trasforma in volontà di possesso; l’azione non  adegua la concezione; la volontà non bilancia la co¬  noscenza.   L’ attività si sofferma di qua dalla meta, attri-  .stata dalla percezione di una distanza che l’inerzia  dello spirito raffigura come insuperabile. L’anima is  arresta a mezza via nel cammino della liberazione.  Ed il bilancio della nostra esistenza si riassume in  un tessuto anonimo di possibilità esangni che non  s’ incarnano nella vita.    — 6 —    Sigr)0)'i,   É quosta crisi liella nostra volontà e dello spirito  moderno che io amo evocare al Vostro cospetto.   Nell’ora solenne, sacra alla celebrazione della  scienza, non vi dispiaccia che io tocchi un proble¬  ma di vita e traggji gli auspici da quella scienza  pregiudiziale e sovrana, che è la scienza di st\ .Molta  parto del nostro disagio spirituale ò flovuta all’ er¬  rata estimazione ed alla imperletta e manchevole co¬  noscenza delle nostre forze e dei nostri poteri.   .Anche lo spirito ha i suoi segreti come, e forse  dappiù, cht 5 la natura: le sue luci come le sue om¬  bre, i suoi misteri come le sue illuminazioni, il suo  mondo invisibile ed ascoso, le sue profondità incon¬  sapevoli. Quello che importa è venire in possesso di  quei segreti, esplorare quel mondo, recare in piena  luce quelle prolondità occulte in cui giace, costretta  ed inerte, un’ accolta di energie ignorate.   L’interiorità della nostra anima al nostro desti¬  no, l’imparità della nostra esistenza alla nostra vo¬  cazione derivano essenzialmente da ciò: dal mancato  conoscimento e dal mancato possesso di sé. La spro-  jjorzione stridente fra le possibilità ideali che si di¬  schiudono al nostro desiderio ed alla nostra mira e  la povertà della nostra opera effettuale e quotidia¬  na, tutto il contenuto tragico del nostro pathos e  delfa nostra tristezza riconosce la sua sorgente nella  nostra ignoranza dei poteri dello spirito, delle sue        — 7 —     |(rolouilità di esercizio e di fatica, delle sue possibi¬  lità di sofferenza, di fortezza e di dominio.   La radice del male è in ciò, cdie, orgogliosi di  quel sapere che ci mette al cospetto del mondo dei  fenomeni e ilello forze fisiche, noi ci lusinghiamo di  poter fare a meno di quell’altro sapere, più miste¬  rioso e pili arduo, che ei mette al cospetto flell’ani-  ma nostra.   Di quest’altro sapere che non è scienza, ma in¬  tuizione od esperienza, che non è dottrina ma ini¬  ziazione ed esercizio di vita, che non ha riti solenni  e fasti augurali poichò il suo dramma interno si con¬  suma nel silenzio creativo deiranima raccolta, io amo  ritesservi qualche pagina, che possa illuminare il se¬  greto del nostro male e della nostra fatica e dischiu¬  dere il germe di una più alta speranza.   Signori,   Le cause, della nostra crisi morale sono di un  doppio ordine. : 1’ uno prevalentemente intellettuale,  l’altro prevalentemente emozionale : l’uno si riassu¬  me nell’ inerzia della volontà come potere di affer¬  mazione e di consentimento: l’altro si riassume nel-  r inerzia della volontà come potere di esecuzione e  di azione: Timo vien meno all’ideale, perchè non  ne afferma l’evidenza e refficacia con un giudizio di  necessità e con un senso di autorità c d’imperio:  l'altro, perchè afferma bensì, a tutta prima, il valore  dell’ideale, ma non afferma, in pari tempo, la propria  capacità ad attuarlo e si ritrae pavido ed inibito al     f-ospotto eri airiirgenza rlellazione: l’iino, clic svaluta  il fine dell azione, 1 altro, che svaluta le potenze di¬  sponibili ad agire: rimo si chiama iluhhio, l’altro —  in un certo più ampio senso della parola — abulia.  I due stati ed i due atteggiamenti dello spirito non  procedono dissociati, ma variamente s’intrecciano e  rimescolano ed interferiscono; l’uno s’insinua e pe¬  netra, più 0 meno avvertito, più o meno discerni¬  bile, nell'altro ; e l’imo e l’altro sono, del pari, per¬  vasi da un vigile senso di fatica e ili ansietà, che co¬  munica ad entrambi un comune colorito emozionale  ed un comune interesse psicologico,   L età nostra, come tutte le età di consumata e    rafFinata rillessione, è dominata dal dubbio, cioè da  quello stato dell anima che significa la sospensione,  1 indugio, la privazione, la mancanza del potere di  alFermazione*   L’ energia non è morta, ma è solo intorpidita  per difetto di eccitamento e di stimolazione, per la  mancata virtù propulsiva, incitatrice, es(mij)lare delle  idee niddri corrose dall abito inquisitivo della critica.   Un tiMnpo la pressione del costume e della tra¬  dizione sostituiva la rillessione individuale e traccia¬  va imperiosa, inosorata le vie dell’azione. Era. una  J'orza torbida ed opac^^, materiata d’istinto ed intes¬  suta di ruvide coercizioni, che pur nella sua lacuna  spirituale aveva il merito d’interdire la perplessità,   1 irresolutezza, 1 inibizione intellettuale. Impera oggi  la critica ed il dubbio; l’indagine vigile e circospetta  che domanda 1 titoli quesiti dell’autofità e della tra¬  dizione; l’abito della ricerca, che pur nei problemi    — 9 —    (• nelle «-ontingenze prntiehe «loll.'i vita, non si ar¬  rende se non alla pienezza delle dimostrazioni razio¬  nali e delle pruove apoditticl'o ; la riflessione che non  è ordinata all’ azione ma ripiega c consuma in se  stessa : l’acuzie della coscienza che assottiglia, per  volerle analizzare, le sorgenti del vivere.   Quale meraviglia che la nostra vita sia povera  di contenuto reale e che i risultati non agguaglino  le promesse e che le energi(> dell’ anima giacciano  inoperose e j)Ui‘e alhiticate in una costrizione deso¬  lante? L’indugio, l'inerzia, la stasi .sono le sole at¬  titudini pratiche che sieno proporzionate e connatu¬  rate all’attitudine teoretica del dubbio. Ogni azione  è una testimonianza che vien resa ad una verità ri¬  conosciuta e consentita come tale: ogni aziono, cioè,  è un’atlermazione pratica che presuppone un’iintece-  dente affermazione teoretica. Ora il dubbio sta preci¬  samente in ciò: nel rifiuto, nel divieto di aftermare,  di consentire, di credere. L’ unico residuo che per¬  manga dtilla sua agitazione teorica è un simbolo di  aridità c di negazione.   Ciò di cui gli uomini vivono è la fede nelle ra¬  gioni del vivere. La molla, il fermento, lo stimolo del¬  l’azione è lo stato di certezza e di credenza. È il po¬  tere propulsivo di un giudizio di aflermazione o di  consentimento che sia venuto in possesso dell’anima  e vi susciti il fervore deU’entiisiasmo e dell’ azione  viva. È r illuminazione interiore di una idea diret¬  tiva, di un motivo dominatore, di un interesse pre¬  ferenziale che annunzia e traccia la via, che con¬  sente di eleggere con sicurezza d’intuito tra piu    IO    proHorto che invitano o più impulsi che agitano in  senso contrario, che educa la facoltà della scelta e  la libertà di conformazione del proprio destino, che  assicura la signoria dello spirito nel dusso degli even¬  ti. Il contrario di tutto ciò è il dubbio.   1.0 stato di anima dell’uomo che dubita è uno  stato perenne d’incertezza, di perplessità, d’indugio:  poi che gli è venuta meno la luce direttiva dello idee ».   madri e la gerarchia interiore dei principi dominanti,  e tutti i motivi (leU’agire e tutte le varie direzioni  dell’agibile ondeggiano e lluttuano, nella sua coscien- '   za, come in una penombra grigia ed uniforme.   Il dibattito deliberativo non è mai chiuso. Le  ragioni prò e contra si contendono la volontà, la  quale rimane irresoluta ed inerte, fascinata spesso ^   e non illuminata e diretta dal gioco delle possibilità i   antagonistiche allineate sul campo visivo della co¬  scienza. ^ :   L’uomo che dubita è un riflessivo ed un anali¬  tico ed è vittima precisamente dell’attività prolifica  della riflessione. Egli vuol vedere troppo addentro  nelle coso e non acconsentire all’ invito o all’evento  se non abbia tutto misurato passo per passo, con vi¬  gile circospezione. Egli oblia che ogni realtà, che ogni  determinato contenuto di vita è circondato come da  un alone d’indeterminatezza e di mistero e che l’uo¬  mo non opera se non affronta generosamente una  certa alca aderente all’azione.   L’ adozione di una data via della vita a prefe¬  renza delle altre è resa possibile o dall’insorgere im¬  petuoso di un’onda passionalo o da una in’ovvida an-        ytistia (lol campo ilella rillessione. Colui che dubita  non ò investito daU’onda della commozione e non è  protetto da quell’ angustia. Egli, anzi, presenta una  insueta ricchezza, un ampliamento improvvido dei po¬  teri di rappresentazione e di previsione, ed ò inibito  |)recisamcnt(! dalla esasperata acutezza del suo spi-  sito di analisi, dalla ostinata chiaro veggenza del suo  io critico e giudicante, ha ritlessione assottigliata ed  esacerbata gii presenta spe.sso con uguale intensità  di rilievo, con uguale ragione di desiderabilità, con  uguale potenza di provocazione e d’ invito le possi¬  bilità diverse e contrarie. Così egli non ve<le chiaro  quale Tra esse veda scelta di preferenza e permane  nel dubbio inquisitivo e si macera nell’inerzia.   Che, se a volte vede chiaro e 1’ esercizio o lo  sforzo della concentrazione sopperisce all’eccesso del-  ranalisi, egli abbozza, bensì, un atto risolutivo qual¬  siasi, ma non vi tien fermo con coerenza. È un’af¬  fermazione ipotetica e non apodittica, un desiderio  inibito di certezza non un’accettazione o un possesso  di verità; desiderio mai forse estinto, ma pur sem¬  pre deluso , ed è, nel fatto una velleità e non una  volontà, un dire a sé stesso di voler affermare, non  un affermare davvero. Egli desidera, egli si rappre¬  senta acutamente, intensamente 1’ oggetto ed il ter¬  mine di tal desiderio : questa rappresentazione si  erge spesso con sorprendente rilievo al cospetto del¬  lo sguardo interiore di lui, ma, appunto, egli desidera  e rappresenta ed immagina di affermare, ma non af¬  ferma, non vuole. Egli scambia per atto di volere la  contemplazione del volibile, la sostanza per la par-        12    vonza, la aosa poi' l’onibi-a. l,a rappresentazioni* così  si adagia in un aiito-appaganiento che tien luogo del  possesso. Ed il colore della immaginazione coi suoi  luccichii e con le sue iridescenze tien luogo del ca¬  lore del sentimento che manca.   Nelle anime più profonde e più dolenti ciò non  accade senza una gran pena ed una grande fatica.  .\cuto, anzi, è in molti il ilisagio dello sforzo inibito  e respinto, il rimpianto delle possibilità di salvezza  che furono a nostra portata, e che lasciammo fuggi¬  re, il rammarico dei destini incompiuti. Ma la co¬  scienza dolente del male non ò motivo o |»resagio di  superamento e di liberazione. La contemplazione, la  reviviscenza, il ricordo di quello che si dovrebbe, di  quello che si sarebbe dovuto affermare e volere, opera,  nella coscienza che dubita, più come forza di ritorno  che come propulsione diretta : più come rimorso di  non aver affermato quando non ne 6 più il tempo  che come forza viva di affermare quando è il tempo  di farlo. L’anima si dibatte fra la rinuncia aU’azione  imminente ed alle opportunità presenti ed il rimpianto  sterile dell’ inazione passata e delle opportunità irre¬  vocabili e che non fanno ritorno.   (Jiiesto stato deU’anima ha radice, o Signori, in  un disprdine, in un perturbamento deirarmonia delle  nostre potenze spirituali e nel predominio e nella so¬  praffazione di una di esse sulle altre. Ha radice in  una usurpazione che la critica e l’analisi consumano  a danno dell’azione, ossia nel penetrare della rifles¬  sione e della ricerca critica in quel dominio della        13 —    vita che vuole essere confidato alle forze vive delia  spontaneità od ai poteri di afi’erinazione e di consen¬  timento.   L’attività rappresentativa e riflessiva non ò certo  in dissidio connaturato con 1’ attività pratica. Nel  magistero dell’ universo la riflessione è, anzi, lume  e guida e scorta all’ azione. L’ idea ha funziono mo¬  trice. Ma la riflessione illumina e dirige 1’ azione  solo finché sia mantenuta in dati confini. Quando  va di là da questi e valica un certo limite — che io  chiamerei, f|ui, il limite di saturazione—, essa vien  meno all’ ufiìcio suo, sovverte e snatura la sua fun¬  zione operosa che ò di essere il lume e la via della  vita. Varcato quel limite, essa diventa antagonista  del potere di affermazione, inibitiva della risoluzio¬  ne |)ratica e della scelta, inimica dell’ azione e del¬  la vita.   Dopo aver illuminato e diretto il proces.so di¬  scorsivo del giudizio e della ponderazione, la rifles¬  sione deve tacere ed- obliarsi nel ritmo dell’ azione.  Alla inibizione deve pur succedere l’impulsività del-  r opera.   L’ idea dee convertirsi nel fatto. Il dibattito  della motivazione dee pur chiudersi con 1’ atto ri¬  solutivo. 1 suoi se, i suoi om, i suoi forse devono  pure indietreggiare in un momento terminale innanzi  ad un si vittorioso. La coscienza deve cedere il po¬  sto alla spontaneità , alla immediatezza, al sublime  inconscio della creazione. La crisi, esperimentata di  già, vuol essere superata; L’ intelligenza deve ridi¬  ventare natura.       Nella così (letta ispirazione il poeta ottiene ri¬  sultati mirabili di possanza creativa perchè in essa  opera bensì 1’ intelligenza, ma come spontaneità e  come natura. Onde il poeta stesso ha come la sen¬  sazione che non egli venga componendo i suoi versi,  ma un principio divino o demonico che lo agita  all’ infuori della rillessione critica di un io presente  e giudicante. L’ affermazione della verità morale è  aneli’essa l’atto di una forza creativa. Domanda la  libertà sovrana dello spirito, 1’ immediatezza dell’a¬  zione, la spontaneità dell’ impulsione, il fervore del-  r entusiasmo, che supera le aridità e lo angustie  della vigilanza cosciente, arida ed inibitrice.   Che se la rillessione, compiuto in un primo mo¬  mento r ufficio suo, si ostina a rimanere al suo jio-  sto, essa non illumina più, ma ostruisce le vie del-  1’ azione, la (piale non è possibile senza un certo  oblio e naufragio dell’io consapevole. La riflessione  superstite, con la sua importuna insistenza, sgretola  le abitudini acipiisite , esaspera* la presenza vigile,  sospettosa, circospetta dell’ attenzione cosciente, so¬  preccita le rappresentazioni e le associazioni di con¬  trasto, moltiplica le discordie e le lotte interne, ac¬  cumula i detriti, le scorie, gli stati morti dell’ani¬  ma. Germinando motivi perenni di perplessità e di  dubbio, essa secerne e depone dei residui tossici cIkj  fanno groppo sulla coscienza e le tolgono ogni li¬  bertà di movenza, ogni sovranità di dominio.   La sanità dello spirito, come quella del corpo,  resulta in gran parte dalla rapidità di eliminazione  dei residui. La saggezza della vita sta nell’ elimi-        15 —    Ilare i detriti intellettuali, nell’espellerli, nel ricac-  fdarli sotto la soglia della coscienza, nell’ escluderli  deliberatamente dal proprio campo visivo. La rifles¬  sione che indugia e ripiega sopra di sé si nutre in¬  vece di tali detriti, si abbevera di cosiffatti elementi  di decomposizione. Cos'i 1’ anima è diminuita , b at¬  tossicata nelle sorgenti più intime della sua vita.   E la ragione di tanto sciupo e di tanto male,  se Voi la interrogate bene, è tutta in ciò: nell’essere  venuta meno la illuminazione dei principi direttivi  e delle massime della nostra vita morale, e, più an¬  cora, nell’ essersi trascolorati ed impalliditi quegli  stati di consentimento e di commozione che a quelle  massime aderivano e le imprimevano nel fondo del  nostro intelletto e del nostro animo. La critica ed  il dubbio incalza perchè a noi non sorride nessuna  vivificante cortezza e perchè ci manca il lume e la di¬  sciplina delle abitudini ideali.   La contemplazione dei doveri e delle norme della  condotta non più ci anima a recidere i nodi del dub¬  bio con un atto magnanimo di potenza, poi che quei  doveri 0 le idee che li esprimono si sono assotti¬  gliate ed estenuate in noi a guisa di simboli e di  concezioni irreali ed astratte.   Esse non hanno più per noi il valore di una  pn'senza spirituale, nè recano seco quel senso infi¬  nito di autorità e d’ illuminazione interiore che co¬  stituiva il segreto della loro attività propulsiva.   Fra le diverse possibilità dell’ azione, fra le  profferte diverse e contrarie della ra|ipresentazione      i6 —    0 .lei ,lc.si,lerio noi non scelte   [lercliè noi manchianio rii rlireziono ili spirito pcr-   (lipe« "''" '' 'lei principi c rielie idee   n ini ’ ‘”"1? temprare   tiirn°*’”'*'''*i"'* “ “‘'"““tene, nella nostra slnit-   aillat ‘'‘""'"'““ri, clic, accettati , 1,1   a lottati una volta, sì assidano nella nostra coscienza   onmx di ra/on assoluti, e sussistano saldi ed in-  coiiiinntabili, conio fulcri e punti di sostegno llle  linee di riconoscimento e di approdo, e direi quasi  come ganci itleaii a cui sospendere le determina   Téventr’ '^“P“'-tenze e de-   Quando noi go,liaino il siiflragio e I' aiuto ,lei   r3; ,7f"“-'"te ahitiiali. noi   ainrlifi r i'",’’'-' " “'=““-"»>unti. Noi   e “ elPesner " molteiilice ,lella rappresentazione  dell esperienza noii sarà più atto a diviilerei Noi   rerireTirT"^'''''''- '' '““"'“te iu-   aenre ne la logica interiore ilei ine,lesimi le variate   Mta Noi abbiaiiio iin inorlello a cui confoi-inai-e la  I ostro conilotta, e la nostra vita si plasma sotto la  tutela silenziosa .11 „„ abito propizio. ()uoi pi-incipi  operano dentro di noi coi prore,liment, e con le l™!,'  ledi .abitinline, Epperf,, come è proprio dei „,o,li ,Ud-  abitudine, essi conservano i prodotti dello sforzo  nizialc, scemano P asperità della vigilanza consane   immediata. Preziosi ausiliari .Iella vita e .leirazionc     >7    quei principi lavorano per noi a nostra insaputa.  Sono intelligen/a diventata natura, spontaneità, istin¬  to, forza vitale. Grazie alla loro presenza, lo diflìcoltà  dell’ iniziazione sono superate; la volontà acquista  agilità e sicurezza di movenza; i dubbi, le diflìdenze,  le incomprensibilità si dissolvono.   Ora r analisi e 1’ abito della inchiesta dubita¬  tiva estesa ai problemi della vita ha tolto, appunto,  a noi questo mirabile presidio. Essa ha corroso le  abitudini ideali, ha insidiato la sahlezza dei principi,  ha reciso la tradizione delle massime.   Nel calore e nell’ impeto della legittima lotta  contro r autorità c la tradizione che incombeva dal-  r esterno, qualche parte <lel nostro più puro patri¬  monio spirituale è stata travolta nel turbine, o ta¬  luno dei motivi dominatori della nostra vita morale  si è venuto smarrendo. Il piccolo io limitatore ed  (?goista è emerso sulle mine dei principi imperso¬  nali e delle massime. Alle fedi tramontato nessuna  nuova fede si è sostituita. 11 potere di negare — no¬  bile potere che dissocia le formazioni caduche dello  spirito e dissolve i residui di una tradizione morta,  ma che non basta alle esigenze creativo della vita  e deU’azione — non f* stato temperato e redento da  un simultaneo potere di atfermare, che rechi 1’an¬  nunciazione di una nuova parola di vita. All’ auto¬  rità esterna non ò stata sostituita l’autorità interna  delle idee madri ; l’immanente certezza che rinfranca  e<i avvalora nelle jmove della vita. I principi e le  massimo non pervengono più a noi con la forza sug¬  gestiva di una rivelazione e di un messaggio di grazia.    2         n^ hanno più il senso di scaturire da una lonta¬  nanza sacra ed intangibile di mistero. Essi sono con.  cezioni opinabili, sustrato e materia di giudizi ipo¬  tetici. E le nostre energie restano torpide e sonnec-  cbianti perche gl’ ideali non hanno più la forza di  incitarle, di destaide alla vita, di estrarle dalle pro¬  fondità oscuro della loro inei’zia oidginaria , perchè  gT ideali hanno perduto il loro potere di commo¬  zione, quella che chiamano la virtù dinamogena. Di  qui la genesi della nostra perplessità, e della nostra  angustia. Di qui la radice della nostra soflerenza ;  come di vitalità che si consuma inutilmente dentro  di noi, per difetto di stimolazione e d’invito di vo¬  lontà tutelare ed amica, c come per manco di pro¬  piziazione e di grazia.    Ma la sostanza del male è anche più profonda  e più comples.sa che non appaia da que.sta prima di¬  samina. Quel male, come dissi, ha un doppio ordine  di cause. Alla inerzia derivata dal dubbio e dal dis¬  valore del fine e della meta si aggiunge 1’ angustia  della volontà inibita da un occulto sentimento d’in¬  feriorità, da un oscuro senso di incapacità e d’ im-  l)arità al proprio destino : si aggiunge, con le sue  aridità, con le sue repulsioni incoercibili, con le sue  inibizioni profonde, 1’ abulia.   Le potenze dell’ anima , non piii animate e te¬  nute deste dalla presenza si)irituale degli imperativi,  ricadono dentro di sè in una tristezza accidiosa, che    19    ppolitìca nuove perplessità e nuovi dubbi, i quali non  toccano questa volta il valore dell’ideale, ina toccano  e nienoinano l’anima sti'ssa, il valore delle sue ca¬  pacità e delle sue possibilità di esercizio e di fatica  per attingere 1’ ideale medesimo. Dopo avere dimi¬  nuito r evicìonza e 1’ eflìcacia dei motivi spirituali  della vita con le circospczioni sospettose della cri¬  tica, la nostra anima impoverisce se stessa con un  tessuto di eccezioni d'impnsxibilità, con un groviglio  di dillidenze, d’indugi, di ansietà, di preoccupazioni,  con una capitolazione e dedizione anticipata e pre¬  matura della propria volontà di potenza, con un pre¬  sagio pavido di disfattii. È il problema doloroso del-  r inibizione forzata e dell’ansietà inibitoria, che co¬  stituisce il motivo più complesso della crisi con¬  temporanea e che ci rende inferiori ed estranei al-  r ideale anche quando il nostro intelletto sembra  protendersi verso la luce con desiderio e spasimo  d’invocazione.   Noi vorremmo: noi vogliamo, anzi. Se la mi¬  sura della sincerità dello spirito nostro è data dalle  percezioni del campo luminoso della coscienza, noi  sentiamo, noi avvertiamo di volere. E pure noi non  possiamo volere! Un sentimento d’impossibilità in¬  teriore che emerge dal profondo, che aflìora dall’in¬  conscio recide c mutila la nostra volontà operosa  al cospetto ed al cimento dell’ azione. L’io attuale  pronunzia, forse, giudizi affermativi di capacità e di  potenza: ma esso è sotto la pressura di un io abi¬  tuale che nell’inerzia anteriore dello spirito ha pro¬  nunciato, sia pur tacitamente, troppi giudizi negati-      vi, troppo eccezioni d' ineapacità, troppi oscuri di¬  vieti. L’anima è come la scile di un processa d'in¬  terferenza c di contesa interiore: da un lato, un Io  articolato, consapevole , prominente nelle siiperfici  dello spirito, che comanda o propone: dall’altro, un  Io profondo, inconscio, organico che inibisce e rista.  L’ azione, che è il prodotto sovrano della unifica¬  zione dello sj)irito, non può venire alla luce in (me¬  sta mutua elisione degli elementi vitali di una per¬  sonalità lacerata c divisa. Sopravviene, ipiindi, I’ a-  hulia: 1 inazione forzata, associata hizzaiTamente alla  lucidezza della rappresentazione, alla intensità di spa¬  simo del desiderio, all’ ansietà della ponderazione e  dell’esame. L’anima contempla l’id(>ale, lo desidei-a,  in un certo senso rafferma: ordisco disegni, formula  jiropositi.... ma non opera. Un no segreto, informu¬  lato, inesjjresso sorge dalle sue pi’ofondità inconsa¬  pevoli , un divieto incoercibile , che () 1’ ultima eco  forse di una serie innumerabile di avvertenze, di  esperienze, di giudizi d’incapacità, affermati un tempo  da lei stessa, formulati dai suoi antenati e dalle ge¬  nerazioni che 1’ hanno preceduta nella vicenda del  tempo, suffragati, per lungo ordine di anni, daH’abito  dell’ aceddia e della repulsione dallo sforzo.   Le industrie attuali della rille.ssione per supe¬  rare le distrette e le angustie di (jiieH’ oscuro divieto  non giovano, spesso, che ad inasprire la cosciimza del  jiiale ed acuirne la [uinta. L’inimico si annida den¬  tro noi, nei più intimi recessi dell i psiche. E lo spi¬  rito non ha ragione di esso, finché non ha altri mo¬  tivi di rigenerazione e di salvezza che rpielli che gli    j)i ()\ l'ii^ono (Ia (jiK'llu sibrji sii|)(:‘I‘IìcÌ{i,Ig ili (*nGi‘yÌA t*  «li potere- in cui esso vive hi yraiim vita, del giorno.  Lo sforzo attuale o diretto per vincere 1’ inibizione  I iesce spesso all oli'etto (.ontrario: ad esagerarne la  ellleacia j)er virtù ed ironia del contrasto. L’ansietà  ohe si convelli' nello spasimo di una rivincita iinnie-  «liata, mescola, anzi, alle angustie di'll’inerzia le toi--  tnre di-lla pri'-occiipazione , che è germe e fonte, a  sua volta, di nuove inibizioni e di nuovi divieti.    l’erchii si compia l’atto del volere con sicurtà  0 con prontezza, occorre in linea generale una certa  proporzione e misura di generosità, di spensieratez¬  za, di abbandono, di tidneia. Occorre che la rappre¬  sentazione anticipativa dell’ azione sia serena, invi-  tatrice, propizia, se non fortemente gaia eii impe-  tiio.sa; occori'o che ossa sia colorita ed intessuta di  jiiotivi di spei’anza e di previsione piìi o meno arti¬  colata di successo. Poi che una delle molle dell’azio¬  ne è un cotal senso occidto o conscio di capacitii di  Iiotenza aderente all’anima, un atto di fede imma¬  nente e sottinteso nelle proprie forze, 1’ abbandono  ad una prospettiva lusinghevole e lieta o almeno  serenatrice.   Lungi da tutto ciò, la prooccupazione rende più  acuto e pili desto il sentimento occidto «l’inferiorità  e di smarrito potere che angustia colui che è sof¬  ferente di abulia. Nell’ animo preoccupato la con¬  templazione deir azione imminente e futura è pene¬  trata di dillìdenza, di timore , di suspicione di sé ,  e«l è pervasa «la un senso di presagio luttuoso e di      lontananza dall’ evento. È un timore, projottato c  prospettato nel futuro , ma che aflbnda i suoi arti¬  gli nel presente. É una preimmaginazione pavida ed  inibitoria. La preoccupazione comunica alle dillicolt/i  dell’azione, allineate nel campo lucido e visivo della  coscienza, una intensità incommensiiral)ilo di rilie¬  vo. Le colloca sopra una sfei-a che appare inaffer¬  rabile.   É, spesso, un ingrandimento prospettico ed il¬  lusorio, un pathos di distanza creato dalla concita¬  zione della fantasia c dall’ ansia dell’ attesa. L’ ani¬  mo preoccupato è vittima delle ])remnnitorie agitato  del suo io lucido e penetrante. È mancipio della sua  ombra.   Nelle volontà fattive, negli eroi dell’ azione la  coscienza è fermento di vita, 1’ idea ò incitante e  motrice : poi che in quelle volontà tejnprate e ga¬  gliarde la rappresentazione aderisce, assenziente ed  augurale, all’azione: ò l’autoco.scienza di un’azione,  che procede ferma e secura. La coscienza non si  tlistacca dalla vita, la contemplazione non si separa  dall’azione, ma vive all’unisono con essa. Fra runa  e r altra vi ò medesimezza di coesione, intimità di  calore e, direi quasi, aria di famiglia. Nell’ animo  preoccupato accade 1’ opposto ; la connessione sana  e proi)izia deH’idoa col fatto, della coscienza con la  vita è come dlsciolta e recisa. La unità che salda  insieme il pensiero e l’azione, l’intelligenza e lana-  tura è divisa ed infranta. La contemplazione si se¬  para, si allontana dall’azione ed acquista un rilie¬  vo distinto ed autonomo, esasperato e quasi cruciale.    Il senso tli niftncato potort', tanto piti vivo rpianto  pili rintuzzato e deprecato dall’anima in pena, lancia  litiasi a distanza 1’ imagine emozionale deH’azione, la  (piale va dilungandosi sempre piu dalla capacità del  soggetto che dovrebbe agire.   Così la rappresentazione e la previsione non è  pili la via della vita , ma è ossessione inibitiva ed  angoscia.   Ed il riepilogo finale di tutto ciò è un senso  grigio di depre.ssione e di abbassamento di tono,  un’abdicazione, uno spossessamento anticipato di sé  e dei propri poteri. La volontà, delusa nello sforzo  cosciente della liberazione, è pervasa da un senso di  precarietii, di debilità, di fatica; come di vita che  .«fi rista al di sotto del suo grado connaturato di  potenza, con un tacito acconsentimonto alla propria  disfatta.   Così al dubbio che offusca la certezza degli ideali  si ac'cresce la tristezza che comprime il libero gioco  iteli’ energie essenziali dello spirito. Due ordini di  disvalori, e di giudizi negativi, due serie commiste  d’inibizioni formano il tessuto della nostra sofferenza,  costituiscono il germe della nostra inferiorità e della  nostra fatica I    • •    Tale, 0 Signori, è 1’ analisi del male. Tale, ve¬  duto in scorcio, il dramma morale della nostra vita.  Esso apparo, a tutta prima, invincibile ed indepreca¬  bile: esso appare pervenuto a quel limite in cui sono  precluse le ragioni della salute. Poi che esso si an-      nida nell’ intimo e sembra odenderc le radici ed i  principi primordiali. So non che, è proprio a (piesto  punto in cui l’acutezza del morbo sembra toccare  il suo grado più intenso e la sua punta piii dolorosa  che a noi pare d’ intravveflere 1’albeggiare di una  nuova sfera di luce e l’avvento propizio di possibi-  litfi ignorate da salvezza. In (juelle stesse profondità  inconsapevoli dell’ anima nelle rpiali si occulta il  gioco bieco e malefico delle inibizioni, giace silen¬  ziosa la buona semenza della rigenerazione. Colui  che, rilrugando e tagliando nel vivo, è pervenuto  al limite del suo male, colui è pervenuto nel tempo  stesso alla soglia della nuova vita, nella quale ò di¬  venuto degno di ascoltare una nuova parola.   Le energie che noi crediamo inesistenti e nulle  e<l impari alla vocazione ed alla grandezza del sogno  interiore non sono estinte in realtó nella media de¬  gl intelletti e degli animi : sono semplicemente in¬  torpidite per difetto di stimolo e d’ impulsione , e  sono languenti per la mancanza di un esercizio me¬  todico ed abituale, per la consuetudine della incon¬  sapevolezza e del disuso.   I dubbi che noi crediamo incoercibili, le incom¬  prensioni che noi crediamo insuperabili sono dovute  in parte all’ asperità dei problemi ed alla nostra ca¬  ducità nativa — epperò ci saranno perdonate — ma  derivano anche dal fatto che noi non abbiamo sa¬  puto scaldare il fervore della ricerca fino a quel gra¬  do d’incandescenza che dissolve le incomprensibilità,  i residui, le scorie e dischiude nuove sorgenti di  cei'tezza.      r    — 55 —   So ò vero che le rullici ilella disfatta sono den¬  tro di noi , nell’ inimico oscuro che con il suo ru¬  vido 710 ci preclude e costringe il libei ‘0 avviamento  della vita, è vero ancora che dentro di noi sono le  ragioni ed i germi della vittoria , e la nostra co¬  scienza ed il nostro volere racchiude nel suo inti¬  mo profomlità insospottato di esercizio, di sofleren-  za, di dominio, che noi non sappiamo conoscere, di  cui noi non sappiamo trar prò , ma che j)ur sono  in noi ricche di potenza virtuale e che, ove sieno  conosciute e coltivate con opera assidua, possono sol¬  levare la nostra vita in un’ atmosfera superiore di  potere.   La verità è che non solo nel cielo e nella teri'a,  ma anche nello spirito nostro vi sono più cose, cioè  maggior complesso di elementi 0 di principi vitali  che la nostra superficiale filosofia e la nostra gra¬  ma vita quotidiana non sappia intendere e mettere  * in gioco.   Ln fatto accertato dall’esperienza, non ignoto  ai grandi maestri della vita dello spii’ito e bellamente  commentato di recente da un fine psicologo, dal Ja¬  mes (1), è questo: che noi siamo provveduti di una  somma di poteri e di energie superiore a (jnella di cui  facciamo uso abitualmente nella vita, lungo la quale  noi ci fermiamo di solito (e salvo casi rarissimi di  urgenza necessitante o di grazia fuggitive ) ci fer¬  miamo, dico, di solito al primo avvertimento di stan-    (1) The Enevijies of Men —The Philosophical Beview — Gen¬  naio 1907,     26    cluizza, alla prima sansaziono <lj, latioa, senza vedei'c  e senza sapore se (pieir avvertimento o ijuella sensa¬  zione coincidono col limite di esaurimento reale delle  potenze o non rappresentino, invece, una illusione, una  ostruzione fallace fieli’accidia.   Si dir<‘l)be che le possibilità tlella nostra ener¬  gia sieno disposte come in una serie di sti’atilkai-  zioni, le uno j)iù prominenti e superficiali, le alti*e  j)iii profonde e centrali: e che noi non abbiamo piena  conoscenza e signoria che delle prime, e delle altre  ci sfugga, nello andamento abituale della vita, la  esistenza, la signiflcanza, il valore. E si direbbe, al¬  tresì, che quegli strati superficiali, pur essendo, con¬  tigui etl aderenti, nell’unità della psiche, agii strati  profondi, sieno pure o appaiano, nella nostra ingenua  coscienza, separati da essi come da un limite o da  una barriera interiore o da un punto critico, il quale  vuole essere superato, perchò il passaggio dagli uni  agii altri sia reso possibile ed aH’anima si dischiuda il  libero gioco delle potenze che giacciono negli strati  profondi.   All’ infermo nel volere, all’ inibito, all’ inattivo  manca aj)punto la forza fli oltrepassare (|uel limite,  fjuella barriera. Egli giace in una sfera superficiale  fli potere , poi che è soprafljxtto fla una sensazione  di fatica, che gli preclude il passaggio agli strati pro-  fontli con una percezione acuta ed acerba d’impo.s-  sibilità. Egli si arrenfle al primo limite subbiettivo  fli stanchezza, come se quel limite fosse assoluto ed  indeprecabile: quel limite segna, per lui, la barriera  insormontabile della sua capacitó fli aziono, flella sua        — 2 ? —    volontii (li potenza. Di (jucIT altra ri.serva di potenze  che è di.sposta e schierata nel retroscena e non aspetta  che un energico richiamo per comparire sulla ri¬  balta egli non ha sentore di sorta o, appena, una  coscienza vaga, confusa, opaca, crepuscolare. Così  egli si defrauda , si dispoglia del miglior tesoro di  vita : tutto un mondo di energie ignorate ò chiuso  per lui.   Ma se alcuna volta, premuto da una necessità  0 da una urgenza che lo sferzi o stimolato ed in¬  gannato da uno stato di propiziazione e di grazia,  venuto non si sa donde, o avvinto dal potere sug¬  gestivo di una volontà amica più forte della sua, egli  .scuote da sé , con atto rapido e risoluto , ogni de¬  bolezza c valica la barriera in un’ ora anhmte di  eccitamento o in un momento giocondo di abbon¬  danza di cuore, — ecco che nuove sorgenti di vita si  aprono in lui, la stanehezza ed il senso d’ impossi¬  bilità si dissipa, r anima ed il corpo entra in una  nuova fase di vitalità, in una nuova sfera di potere,  e scopre stupefatta un mondo di energie delle quali  prima non sospettava resistenza. La nuova fase ed  il nuovo mondo è rappresentata dagli strati e dalle  riserve profonde, che noi possediamo senza sapore  di possederli e che lasciamo inoperosi ed inerti gran  parte della vita.   È una esperienza, questa, della (juale abbiamo  un po’ tutti notizia, e che si avvera in tutte le for¬  me di manifestazione dell’energia, in quelle di or¬  dine psico-fisico ed in quelle di ordine spirituale, e     28    truvix un riscontro tipico od osoinplnro noll;i ilisci-  plina dogli .allenamenti muscolari.   Le meraviglie visibili dell’atletismo e dello sport  di ogni maniera sono dovute all’esercizio sapiente  ed al dispendio metodico flegli striiti profondi e vir¬  tuali di energia, esplorati e resi accessibili e dispo¬  nibili dopo lungo e laborioso superamento di sensa¬  zioni subbiettive di fatica.   In sulle primo un senso di stanchezza clic pare  incomportabile e sembra attestare un provvido di¬  vieto della natura di procedere più oltre; una sof¬  ferenza che pare pervenuta fino al limite supremo  della saturazione e dello sforzo. Ma lasciate che la  volontà, intenta alla meta agonistica o spronata dal  pungolo dell’ardente desiderio della vittoria e del jire-  niio, attraversi animosa c|uel termine apparentemente  supremo, ed ecco, rii ly, dal limite della pena e della  fatica, aprirsi le lenti inesauste di una nuova forza  c di un nuovo vigore. Nuove agilità, nuove per.se-  veranze si dischiudono; l’essere acrpiista come il  senso di un<a nuova dimensione ; egli vive e sente  di vivere in un’ atmosfera superiore di potere.    L’.assiriua e profonda disciidina volontaria, che  l’età no.stra, energetica e. direi quasi, muscolare,  ostenta nelle gare e nei campionati del corpo, va  emulata o trasfoi-ita, o Signori, in una pili nobile  arena; in quella degli allenamenti dello spirito.   .inche nelle esercitazioni e nelle lotte della vita    morale 1’ appello agli strati profondi vuol essere  energico, metodico , fervoroso, .inche nel dominio        - 2g —    dello spirito, anzi soprattutto in quello, la liberazione  e la salvezza non tocca in sorto die a colui che ha  saputo procedere di là dalla jiena e dalla fatica im¬  mediata, al disopra delle tensioni e dei livelli comuni  dell’energia, oltre gli antichi ed abituali punti di  sosta.   Anche nella vita dello spirito il passaggio dalle  sfere suiierfieiali di potere alle riserve profonde è  occultato da un limite, da una barriera, da un osta-  C(do che appare infrangibile; è attraversato e squas¬  sato dalla crisi. Un punto critico va oltrepassato:  una pena infinita va fronteggiata e va superata: una  escursione violenta ed avventurosa va intrapresa at¬  traverso regioni inesplorate ed irte di triboli: un’an¬  goscia visibile di morte va superata e va Aunta per  attingere gli albori della nuova vita. Rotto l’incanto,  varcato il limite l’anima, che si credeva prossima  alla fine, attinge un nuovo livello di energia, si as¬  side sopra un piano superiore di potenza. La soglia  del dolore e della fatica, che era divenuta tanto vi¬  cina e pungente, si sposta od allontana, sospinta e  come fugata da nuove onde di energia, da nuovi  afllussi e sobbalzi di vitalità, di tonalità, di fidu¬  cia. Gl’ ideali impalliditi ed (‘steniiati si illuminano  di nuova luce , si colorano di una significazione  inattesa. I dubbi vaniscono dal campo mentale. Si  afierma un nuovo lo, si accende un ardore novello  che consuma gli antichi divieti.   In queste esperienze dello spirito è contenuta  una granile significazione: se ne ritrae una lieta no¬  vella; ed è che il senso di disvalore che menoma le      30 —    nostre potenze non è fondato sul vero e non ò, nel  miglior numero dei casi, un male radicale , conna¬  turato c quindi immedicabile, (iuel senso e quel giu¬  dizio informulato di disvalore è dovuto , come pre¬  annunciai da principio , alla mancata coscienza , al  mancato possesso di S(‘.   Esso fioriva dalla costrizione e dall’indugio della  nostra attività in una sfera superficiale e limitata  di potere, dall’accidia che si arrende alle prime  sensazioni di fatica , tlalla inibizione che occulta la  visione degli strati profondi e ne ostruisce le vie di  transito e di accesso.   Per un ce'rto numero di casi in cui il punto  che segna la sosta della nostra attività conincide col  limite dell’ esaurimento reale delle energie , vi ha  tutto un altro gran numero di casi in cui la nostra  repugnanza, la nostra repidsione dallo sforzo è do¬  vuta ad una povertà di estimazione delle nostre più  vere e maggiori risorse.   Epperò, se acutissima e pungente è la sofferenza  ed il disagio, non è detto pei'ò che essa sia una fa¬  talità insuperabile inscritta nel nostro destino. La  nostra anima sei'ba ancora tanta ricchezza segreta  da poter nutrire il germe di una nuova esperienza  di vita: una ricchezza occulta e compressa che aspetta  il tocco fatidico rii un monito imperioso di salvezza  che la risvegli alla luce.   L’ inerzia nostra affaticata e dolente ò da im¬  putare in gran parte, e salvo casi di infermità e di  decadenza vera e propria, più ad una inibizione di  energia, per interferenze di motivi o di attrazioni e    — 3 >    repulsioni simultaneo, che ad invalidità nativa o a  diletto. La ripriiova luminosa di oiò è in quel senso  di rodimento, di disagio, di mala contentezza, di ri¬  morso, di autocritica, che si associa alla nostra ina¬  zione. ()uel senso è come 1’ eco di una voce di do-  loi'c che affiora da quel mondo di energie compresse  che domandano la liberazione.   Noi siamo immagine e somiglianza di colui che  era inconscio della virtù fecondatrice del tesoro con¬  fidatogli, e, per un cotal timore segreto, andò a na¬  scondere il suo talento sotterra. Como colui noi sia¬  mo provveduti <li un capitale di energia che, non  essendo messo a profitto, si accumula, sonnecchia  j)overainente e diventa sorgente di tossico. Come  r avaro della parabola noi custodiamo il nostro pic¬  colo tesoro contro 1’ alea dell’ azione, contro il de¬  stino che miete dove non ha seminato, ed a cagione  della nostra piccina diffidenza e deirangustia pusilla  del nostro animo siamo puniti. Nessun capitale, di  qualunque specie si sia, sarà mai passibile di aumento  se prima non si perda e non si reintegri attraverso  un consumo. L’umile granello non fruttifica se non  muore sotto la zolla. Noi processi del ricambio vitale  la forza non opera in forma d’ inerzia quietiva, ma  come sostituzione e rigenerazione traverso un sano  dispen<lio di energia. L’inerzia conservativa non è  la vita che è ritmo di assimilazione e di dissipazione  ed è il limite ed il momento dialettico fra una morte  ed una rinascita.      11 problLMiia morale, di cui abbiamo veduto tutta  iispenta, consente, adunque, qualclic soluzione: e la  soluzione è in noi, nelle iirofondità di sofferenza e  (li fortezza che giacciono nella nostra anima e che  vanno liberate dall’ inerzia, in cui la nostra incon¬  sapevolezza o la privazione di qualche nume tute¬  lare le lascia languire.   Il segreto della vita e della dominazione morale  o nell’ attingere quei livelli profondi. è nel recare  alla luce del giorno e nel liberare al cimento del-  esercizio quotidiano quei poteri remoti e nposti.   Il segreto della vita è nell’acquisto della padronanza  (Il se, ossia della virtù o dell’abito del tenere quelle  pijtenze interiori a portata di mano, come depurate  ed afiinate dalla scabrezza nativa, rose duttili e ma¬  neggevoli, appareccldnte c preste all’invito dell’azione  alle opportunità fieli’ evento. ’   tale e, appunto, la differenza che passa fra l’eroe  e I uomo comune.   L eroe dello spirito è .spesso colui a cui sorrise  lina fata benigna e che ha sortita dalla culla ina»-  gior somma (h poteri originali e di energie ossei^  ziali dei suoi confratelli inferiori di destino. Ma, più  spesso ancora, egli è colui che ha avuto in .sorte la  stessa ragione e la stessa misura di potere nativo  ' 1 tutti gli altri, ed ha saputo solo esaltarh) con  metodo ed austera disciplina sino al più alto grado  intensità e di vigore etl esprimerne il massimo       — 33 —    profitto. L’ eroe è colui che vive nel centro delle  sue energie profoinie e che ha foggiato e costrutto  la sua esistenza quotidiana ed abituale su quel piano  superiore di potenza che 1’ uomo comune non rag¬  giunge se non per accidente o in casi rarissimi di  grazia e di propiziazione fuggevole. Egli è colui che  non si è fermato al primo indice della fatica, ma  b proceduto di la dal limite, verso la regione dei  tesori nascosti. Severo minatore dello spirito, egli ha  esplorato e dissodato nel profomlo, colà dove si di¬  scoprono i filoni di oro invisibili ed occulti.   Senza dubbio la via è erta e spinosa, durissi¬  ma a traversare. In molti la soglia della fatica è  abnormemente vicina : il menomo slorzo disanima  ed annienta.   E vuoi dire che non un superficiale io raglio,  non un suggerimento verbale, non una commozione  fittizia, non una illusione di superamento prossimo ed  immediato gioveranno a farci varcare la soglia del-  r iniziazione.   Lasciamo simili futilità ai novelli dulcamara dello  sj)irito, che lanciano drdla impronti Americii, cioè da  un mondo che non è passato per le divine macerazioni  «leir ascosi classica, il loro tronfio e scurrile vangelo  <lel successo ad ora fissa. Occorre, bensì, una labo¬  riosa c lunga disciplina, costituita di atti e non di  propiziazioni o di formule magiche: occorre una vo¬  lontà espressa dall’ io profondo, e che non sia l’ini¬  zio 0 la supposizione pretensiosa e vacua, ma il co¬  ronamento finale o il riepilogo di una serie abituale  di resistenze superate. Occorre, cioè, un possesso ili          — 34 —    sò che non si fermi alla lettera ma penetri lo spi¬  rito e la V’ita v’issuta : una intelligenza che div’onti  natura. Occorre 1’ abbandono dell’ anima commossa  al fervore degl’iileali ed aU’irraggiamento di luce e  di ardo» che es.si diffondono , quando sieno fissati  con occhio puro e devoto e quando sieno coltivati  con inielleilo di amore.   Nel Vostro animo, o Giov’ani, queste parole non  giungeranno estranee e peregrine , ma troveranno  eco 0 (consentimento, perchò ess(c non significano una  concezione astratta e remota dalla vostra ansia, ma.  trascriv’ono un’esperienza della quale la vosti'a v'ita  nutre spontanea il presentimento e l’invocazione.   Voi siete nell’età dell’aspettazione e della spic-  ranza; onde la vostra coscienza inclina con simj)a-  tia verso ogni moto dell’ anima che annunzi 1’ ur¬  genza di un cimento più nobile, di uno sforzo pili  (turo, di una vita più ardua.   Le ditlicoltà che ingombrano la vita, V'oi lo ve¬  dete, si abbattono con gravità progressiva sull’ani¬  ma nostra. Alla nostra generazione la vita, con le  sue complicazioni e con le sue interferenze, sembra  incombere con una oscura minaccia di problemi che  non consentono soluzioni.   É probabile che noi abbiamo bisogno di un mag'-  gior dispendio, di una più intenta e metodica appli¬  cazione di energie che non i nostri antenati, poi che  la nostra fatica e la nostra debili^à occupa un campo  piu v’asto di attività e di esperienze.   A noi non è lecito .spaziare con gaudio suH’orlo     — 35 —    il sul margine «Iella cosciom^a superficiale e riposare  l)eatamente sugli allori e sulle conquiste efiimere «li  un giorno.   A noi è comandato «li proce<lcre più oltre, «li  attingere lei no.stra s^tìì&ìizii^ cioè la sfera «lei poteri  profbn«li e delù; ra«lici e «lei principi es.senziali, ren-  «lendoli nostri alleati nel cimento «lelP ora , infran-  gen«lone 1 impenetrabilità «ì la «lur«}zza, temperandoli  e maceramioli neir<^.sercixio «liutiirm): a noi è làtt«)  «)l)bligo di bruciare le no.str«> riserve !   A così fatto comando non vuoisi rispon«lere al-  tidmenti che con un atteggiamento «li obbe«lienza vi¬  rile e di consentimento animoso.   Io \ i «lelineai testi; rimmagine di c«)lui che jiro-  eede, «li la «lalhi p«;na e d.-illa fatica, con l’occhio vi¬  gile ed intento alle lontanauze «lelT ideale.   Possa quella immagine animarsi di una signifì-  «;azi«jne e di un s«jrriso «li vita: possa essa segnar«;  il termine fisso «lelh* Vostre potenze, la tracciix lu-  Jiìinosa del Vostro cammino, il presagio augurale «lei  \’«»stri imminenti destini ! Ì          T_..__,___,T—_.—..IE..iKIETTTT-_TYT.-.-TT..Ì.|I|IÉÉTKK]HE  Pero ea Enea n ESTE REM UE NIE, CECIS TIE Can UNI RICA TTT RT RTRT TInereoneoanent\E  DONNE PRIVATA    x    CU...  CITTXIZZETZEZI:    VALUETECOA  DTIRLLITE IT IRI REY LERTÀ    Sa    TO    Pi      t4È    %    (ad  LN  tà)    ULRKOR  (35    T  FIS UEIRISTEI  "4,    Ag} ‘9/    . n AT :    = ITA TTT 5  bi iaia] CE TENEETTETOE TOTTET    MI LIDTALULTEU VAI CA DILVA QUEL ALI    te a i Ansa rasa    ii:          | PROF. ORD, DÎ FILOSOÎIA MORALE NELLA R, UNIVERSITÀ DI NAPOLI    AL    VALORE DELLA VITA    DISCORSO  PER LA SOLENNE INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADBMICO    LETTO IL 4 NOVEMBRE 19010  SAC    NAPOLI  STAB. TIPOGRAFICO DELLA R. UNIVERSITÀ    Alfonso Tessitore e Figlio    1901    ode Google    AAA    <A —    IGINO PETRONE.    PROT. ORD, DI FILOSOFIA MORALE NELLA R. UNIVERSITÀ DI NAPOLI    IL    VALORE DELLA VITA    DISCORSO  PER LA SOLENNE INAUGURAZIONE DELL’ ANNO ACCADEMICO    LETTO IL 4 NOVEMBRE 1I90I    “aC    NAPOLI  STAB. TIPOGRAFICO DELLA R. UNIVERSITÀ  Alfonso Tessitore e Figlio    1901    Estratto dall’'Annuario dell’ anno scolastico 1901-1902,    Te i VAR LI VELI PEZZI VRML LEA VR nn LE E AM    Signori !    Il valore della vita è il problema umano per eccellenza, quello  che domina ed impronta di sè tutti gli altri problemi della scienza  e della intuizione del mondo. Il voler vivere ed il bisogno di vi-  vere e di dare alla vita un senso ed un valore qualsiasi è il fatto  fondamentale della nostra natura, la premessa delle premesse, la  radice ed il termine di tutte le funzioni del nostro organismo, di  tutte le attività della nostra anima. Tutti ci domandiamo, ogni  giorno, che cosa è la vita, qual senso e qual valore si abbia questa  nostra esistenza caduca e fuggitiva, che pur deve averne qualcuno,  e tutti ci punge, al cospetto del dolore e della morte, il dubbio  amaro, che essa non ne abbia nessuno e che la vita, così com’ è,  non valga la pena di viverla.   «E la scienza, la scienza si subordina anch’ ella ai fini della  vita e non ha valore che per quelli. Essa non intende a conoscere  per conoscere, ma a conoscere per fare. Le sue esperienze, le sue  equazioni, i suoi simboli mirano, in ultima istanza, ad assicurare  all'uomo l’ azione ed il dominio sulla natura, ad assicurare, cioè,  lo sviluppo progressivo delle energie della vita. Nel corso del suo  laborioso processo essa oblitera visibilmente codesto nesso finale  con la vita. Ma è una dimenticanza passeggera, dovuta alle ne-    b    “Wa    cessità dell’analisi. Cooperare allo sviluppo della vita, è il sottin-  teso di tutte le ricerche della scienza: sottinteso che opera incon-  saputo ed occulto, ma che si svolge al lume della consapevolezza,  non appena la scienza ritorni sopra di sè e si renda ragione del-  l’esser suo e comprenda che essa è, dopo tutto, una gran fun-  zione ausiliare e protettiva della vita.   Per questo motivo, chiamato dalla benevolenza dei miei ono-  revoli colleghi ad associare la mia povera parola di studioso a  questo solenne rito augurale, io ho scelto a tema del mio discorso,  il valore della vita. Ho pensato di avvalorare l’ umiltà dell’ inge-  eno con l'altezza del soggetto ed ho voluto agitare un problema  universale, che potesse interessare tutti ad un modo, uomini di  scienza ed uomini che non lo sono, un problema, tolto il qnale è  tolto al sapere ogni significato ed ogni valore.    Signori !    Il proporsi la vita come un problema da risolvere è una pre-  rogativa, forse dolorosa, certo indeclinabile, della natura umana.   Gli esseri inferiori vivono, senza domandare il perchè della  loro esistenza. Più che viventi, si direbbe che essi sieno vissuti  dalle spontanee energie della vita. L'animale, fornito provvida-  mente della sola intuizione diretta, non sì rende ragion riflessa  della sua esistenza. Non la contempla o la pone al di fuori come  un altro da sè, come oggetto di meraviglia, di curiosità, di ricerca.  La sua coscienza sorda ed opaca si compenetra con la vita e fa  tutt’ uno con essa.   E solo nell’ uomo che la natura perviene alla coscienza di sè  e diventa oggetto a sè medesima di contemplazione, di meraviglia,  di esame. Ed è solo nell'uomo che Vunità indistinta ed originaria  della vita si spezza e rifrange in due parti o in due forme etero-  genee ed antagoniste, e crea, quasi, dal fondo oscuro della sua  realità, l imagine o il duplicato ideale di sè medesima. Da un lato,  la vita come fatto, dall’ altro, la vita come idea; da un lato, la    Ba    vita come forza operosa e spontanea, come impulso cieco ed istin-  tivo, che non sa nè di perchè nè di come, che ha la sublime ir-  responsabilità e la sublime impassibilità del fatto, che è senza ra-  gione e senza fine perchè è ragione e fine a sè medesima ; dal-  l’altro lato, la coscienza, non più assorta ed implicata nel fondo  della vita ma emersa c separata da essa, e che la riflette e con-  templa oggettivamente e le si pone di fronte in attitudine «d’ in-  quisitrice e di giudice e non si ristà dal domandarle la ragione  ed il fine dei suoi misteriosi processi.   L'unità e l’ integrità funzionale dell’ uomo appare come di-  visa in queste due vite, l’ una diretta l altra riflessa, ll una reale  l’altra ideale, le quali si seguono invariabilmente luna all’ altra,  come l’ ombra al corpo. Egli si dibatte nelle strette angosciose di  questo interno ed originale dissidio ed indarno invoca e sospira  dalle profondità del suo essere, quasi per lampo d’ intuizione o di  reminiscenza nostalgica, il ritorno all’ unità primitiva. La ragione  non cesserà mai di chiedere alla vita che ella abbia un senso ed  un valore; la vita, che è sottratta agli schemi della ragione, non  rifinirà mai dal contristare la coscienza con lo spettacolo dei suol  assurdi, dei suoi errori, dei suol inesplicabili enigmi. Invano egli  sforzerà di abbuiare la coscienza nella vita: più invano ancora  egli tenterà di costringere la vita, questa cinica refrattaria , ad  arrendersi obbediente alle illusioni della coscienza. La lotta per-  durerà tuttora inconciliabile, inesorabile, perchè la lotta è origi-  naria, perchè la coscienza si è contrapposta alla vita, dirò meglio,  ancora, perchè la vita sl è divisa dalla vita.    Signori |    La radice di questa antitesi tormentosa e di questo ingeni-  to malinteso, onde la vita appare come nemica ed infedele a sè  medesima, è nel grande errore e nella grande ed originaria il-    lusione della nostra coscienza: 1 errore e l’ illusione individua-  listica,.    da    La coscienza, che riflette la vita, non è unica ma plurima, non  universale ma individuale. Ne segue che la vita rispecchiata dalla  coscienza si colora anch'ella dei fallaci riflessi dell’ individuazione,  e la vita individuale, povero frammento divelto dall'unità dell’in-  sieme, povero nulla che si crede tutto, si contrappone alla vita  universale.   Conoscendo il mondo e la vita, l’uomo tende, di sua natura,  a concepire quel mondo c quella vita secondo l'angolo visuale della  sua personalità individuale, del suo z0 limitato e soggettivo. L'in-  telletto che lo illumina, e che è un elemento isolatore e discrimi-  nante per eccellenza, lo contrae e lo concentra nei termini della  sua coscienza immediata, dall’alto della quale egli contempla e giu-  dica il mondo.   Egli è, bensì, un oggetto ed un prodotto della natura, come  ogni altro degli esseri, ma è, ad un tempo, il soggetto conoscente  della natura medesima. In quanto oggetto, egli si sente una quan-  tità trascurabile nell’infinitudine delle esistenze e dei cangiamenti:  ma in quanto soggetto, egli si sente di valore infinito. Egli fa capo  al mondo ed agli altri in quanto oggetto el in quanto vita, ma  il mondo e gli altri fan capo a lui, in quanto egli è soggetto e  coscienza. Egli non esisterebbe come realtà, senza il mondo e gli  altri: ma gli altri ed il mondo non esisterebbero come rappresen-  tazione, senza di lui.   Traviato da queste apparenze della conoscenza, l’ individuo  umano pone sè a centro dell'universo ed immagina che il mondo  e la vita sieno per lui e non egli per la vita e pel mondo. Chiuso  nell’ immanenza da sè, Narciso inconsapevole , egli si figura che  le leggi della vita universale sieno ordinate al benessere del suo  Io. E l’infinito dello spazio e del tempo gli par poca cosa o punto  ‘a petto della sua povera persona effimera, fuggevole, caduca, la  quale, per essere la sua, gli pare che sia o valga pressocchè tutto:  e, sopra tutte le altre innumeri vite che si agitano attorno a lui,  egli colloca la sua vita, la sua coscienza soggettiva, la sua felicità,  il suo interesse. Che colpa ha egli, in fondo, se la vita universale  gli si pluralizza, diversifica o rifrange nella individualità della co-    è    scienza ? o se ella proietta la sua imagine unica ed indivisibile  in una infinità di picciole esistenze , le quali si credono tutta lei  perchè ella è tutta in esse ?    Intanto, è appunto da questa naturale illusione della coscienza  che derivano, o Signori, le grandi contraddizioni ed ì grandi do-  lori della nostra esistenza ; ed è esclusivamente per essa che il va-  lore della vita è per noi un problema c non un assioma. Perchè  le leggi della vita universale sono indubbiamente ribelli al bisogni  della nostra coscienza individuale. La individualità è, di sua natura,  caduca e peritura, sottoposta alle leggi della causalità e del can-  giamento , al ritmo della nascita ce della morte, ad un divenire  continuo in cui gl’individui appalono e dispaiono, balenano e pas-  sano, travolti dell’onda inesorabile del tempo. La vita universale  è una suprema egoista che è sollecita solo di sè medesima, o di  quelle sue forme predilette che ne perennano l’imagine traverso  il tempo e lo spazio; ond’essa mira alla conservazione delle idee  c delle specie, e non le cale dell’individuo che condanna al dolore,  alla dissoluzione, alla morte.   La natura e la storia non sono ordinate alla felicità del no-  stro individuo: esse sono troppo scettiche, troppo indifferenti, for-  s'anco troppo povere per mirare a così gran risultato. La coscienza,  che s’illudrle del contrario, sì appresta le delusioni più amare.   La natura avara, pervertita ancora di più dalla iniquità degli  ordini sociali, pone bensì ed acuisce la sete della felicità in tutti  el’individul, ma non ammette al godimento delle condizioni ele-  mentari c materiali della felicità medesima che un numero piccio-  lissimo. Le sue disposizioni sono tali che il piacere degli uni è il  dolore degli altri; e, per una vita sola da mantenere e da solle-  vare sulla scala ascendente della felicità e del piacere, molte altre  vite devono miseramente soccombere in un sacrificio violento e  coatto. Di qui uno stato generale di malessere che si riflette, in  parte, anche su quelli, cui toccò fortuito legato, un’ombra di pia-  cere e di benessere. Perchè , dove la vita degli uni è la morte  degli altri, ivi quella vita non è più un godimento, ma un fallo      i Ss enni  \    ed un rimorso. Le leggi della responsabilità e della solidarietà mo-  rale operano invisibilmente, quand’anche non penetrino il velo opaco  della coscienza individuale. Dove un uomo solo soffre, la società  intiera è minacciata e sofferente con lui. L’ egoismo ha un bel  dire che gli altri non sono noi e che la nostra felicità non è  macchiata dal contatto dell’ altrui sventura. Una voce della co-  scienza ci dice che quel contatto v’ è : esso fu posto il giorno  stesso in cui fummo individualmente felici: perchè quella felicità,  forse a nostra insaputa, fa comperata a prezzo dell’ altrui soffe-  renza. La cantaminazione di quel contatto resta impressa sulle  nostre carni come uno stigma incancellabile e, per un’ anima  sensitiva, insinua una punta d’amaro anche nei piaceri apparen-  temente più legittimi della vita.   Che se, protetti questa volta dalla stessa caducità del nostro  individuo, noi riusciamo ad eludere i colpi di quella Nemesi oc-  culta che associa al delitto il castigo e comperiamo a prezzo della  nostra inferiorità morale la liberazione dalle punture del rimorso,  non per questo otteniamo di essere veramente felici. La univer-  sale legge del dolore impera provvidamente anche sugl’ individui  privilegiati per le condizioni del benessere : perchè è destino ra-  dicato nella stessa inquietezza infinita della nostra volontà ; per-  chè ogni volere ha per suo principio un bisogno, ogni bisogno ha  per suo correlativo un dolore.   E dove la pressione del dolore sia, per condizioni peculiari di  fortuna, così tenue e così scarsa che non giovi a scemare l’ideale  fascinatore e giocondo che taluno di noi si foggia dell’ esistenza,  la previsione e la minaccia della morte, ultima istanza ed ultima  Nemesi della natura, è lì per ridestarlo duramente dall’ effimero  sogno in cui sì cullava, improvvida e cieca, la sua anima scialba  ed intristita. Le ombre sì diradano dalla coscienza che s’ illumina  di luce nova; 1 veli sì dissipano ; il destino dell’ esistenza indivi-  duale riappare all’ uomo nella sua desolante evidenza. Egli com-  prende la gran verità della vita: questa, che la individualità è  povera cosa ed inane; che la vita individuale è un flusso continuo,  cioè una continua caduta nella morte; che il piacere è il fantasma    09    del momento, dell’ attimo fuggevole, di un punto inesteso; che la  vita dell’ individuo non è assoluta ma relativa, non fine ma mez-  zo, non vita che sì perenna ma morte che per un momento si  arresta.   Egli intende che quello che perdura invariabile nei processi  della natura è la forma, non la materia che è soggetta ad un  flusso e ad una circolazione perpetua : che la sostanza dell’ indi-  viduo non è che un inviluppo di materia, che incessantemente si  dissolve ed incessantemente si rinnovella, traverso una forma spe-  cifica persistente nella dissoluzione e nel ricambio degli elementi  materiali : che, quindi, la morte non è solo il coronamento ed il  fine dell’ esistenza individuale, ma è il suo principio, il suo corre-  lativo, il suo ausiliare. Ogni giorno noi moriamo a noi medesimi  nel processi (di disassimilazione e di secrezione e riviviamo a noi me-  desimi nei processi di assimilazione e di nutrizione. Il che vuol  dire che la vita non è una linea, ma un punto ed un limite: un  limite tra una morte ed una rinascita: di cui basta per un mo-  mento incommensurabile turbare la ritmica simultanea ondulazione  perchè sopravvenga la morte definitiva e visibile. La quale, lenta-  mente e fatalmente predisposta dal tenace sebben parziale corro-  sivo della vita organica, segna l abbandono finale della materia  ed è la suprema caduta e la suprema disfatta di quella sintesi fe-  nomenale della materia e della forma che è l' individuo.   La vita individuale è, quindi, di sua natura ordinata alla  morte e la morte, sublime paradosso, è un momento della vita ;  e la vita è della forma non della materia, della idea e non del  fenomeno , della specie e non dell’ individuo, della umanità non  dell’ uomo.   La coscienza si ritrae addolorata dinnanzi a questa terribile  novella, la quale le dice che la morte non è più un incidente o un  assurdo nel sistema della vita, , ma un aspetto necessario della  vita stessa. E vano le si suggerisca che la vita in sè, che la vita  universale è immarcescibile ed immortale ; che 1’ abbandono della  sostanza individuale non segna la caduta del tipo specifico ; che  la vita continuamente muore ma continuamente rivive. Ella, non    =D    ha, ahimè! ed, in quanto si chiude in sè medesima, non può'avere  altra rappresentazione della vita che quella individuale, quella cioè  della sua vita. La vita universale non è coestensiva alla nostra  coscienza, nè da questa è sentita come propria: onde l'aspetto di  lei, invece di calmare il nostro affanno, cì punge ed irrita.   Le ombre invadono l’anima sopraffatta da un’ amarezza senza  fine: la vita ci si scolora: oggimai noi la guardiamo corrucciati  come una debitrice insolvibile ; î suol beni positivi non cì pare  che valgano il dolore e la morte che costano.    Ma una suprema saggezza c’ insegna, o Signori, che la vita  ha due aspetti e due momenti, dei quali alla coscienza, abbuiata  dal velo dell’ egoismo, sfugge il più profondo ed il più vero. La  vita dell’ uomo, come quella di tutta la natura, è un ritmo di pul-  sazioni alterne, un equilibrio dei contrasti, una sintesi ed una cor-  relazione dei contrari. Non v' ha espirazione senza inspirazione ,  non v’ ha consumo senza assimilazione riproduttiva. Del pari non  v ha dissoluzione senza rinascita, non una elisione qualsiasi di  dati elementi della vita senza una corrispondente gestazione di  vita nova.   Nella dialettica universale della vita non v° ha lotta senza trac-  cia 0 presentimento di armonia. Se è vero che l’ individuo non è che  l’imagine fuggitiva segnata sulla traccia del tempo e dello spazio  infinito dal genio sovrano della specie, è vero, altresì, che la specic  non vive, non s incarna, non si rinnovella che traverso quella  imagine, la quale, quindi, si colora dei suoi inestinguibili riflessi.  Se è vero che la vita è ordinata alla morte e che l’ individuo  muore di continuo a sè medesimo, è vero, altresì, che la morte  dell’ individuo è riscattata dalla vita degli esseri nei quali egli sì  riproduce, sì perenna e rivive. |   La legge dei compensi che presiede alle creazioni della vita  ha messo in essere un principio nuovo che trionfa della dissolu-  zione e della morte. Questo principio è la generazione e l’amore :  simbolo della rinnovellata armonia e della unità profonda della vita  individuale e della vita universale. E la generazione segna il trionfo    nadia    dell’ individuo sopra la insanabile caducità dell’ individuazione, il  suo n2sus creativo , il suo salto mortale, ed è il coronamento e  l'atto supremo e trascendente della nutrizione, come la morte, la  sua rivale, è una eliminazione ed una secrezione trascendente e  suprema.   L'individuo vive, adunque, due vite: delle quali il nostro io  è come Il limite cd il punto d' inserzione; l una, che si consuma  nei limiti augusti dell’ individualità ; V altra, che si dilata e s° ir-  radia nella vita universale. Onde l'individuo è superiore , direi  quasi, a sè medesimo, e le relazioni individuali e finite preoccu-  pano ed anticipano le relazioni universali ed infinite.    Al lume dì questa intuizione la vita ci si colora di nuove tinte  ed attinge nna significazione luminosa. Essa ci appare, bensì, scevra  di valore, in quanto si contempla come vita puramente individuale,  ma è dotata di valore infinito in quanto sì dilata e si accommuna  alla vita universale. L'infinito e 1 universale, che è il suggello e  lo stima della nostra condanna, è, ad un tempo, la via della sa-  lute. Basta che la nostra vita ne accolga, con vocazione amica e  devota, Il monito tutelare.   La radice del male e del dolore sta nella discordia e nella  lotta : la sorgente del bene e della felicità sarà nella ricomposta  “e rivissuta comunione col principio di vita, nell’ abbandono di sè  c della propria individualità povera e vana alle correnti purifica-  trici della vita universalo.   Il secreto della vita e della felicità non è nella concentra-  zione egoistica e subiettiva dell’ io, ma nell’ oblio di sè nell’ ar-  monia dell insieme. E la vita vera non è quella che rifluisce e  ripiega in sè medesima, ma quella che sì espande, benefica ge-  nerosa irradiatrice di luce e di calore, in altre esistenze ed in  altre vite. Epperò, quel divino segreto si allontana da noi, quando  la nostra anima si contrae in una bieca ed apata riflessione egoi-  sta, e ci sorride, invece, tutte le volte che, trasportati dalle ener-  gie spontanee della volontà c dell’azione, cessiamo quasi di appar-  tenere a noi medesimi, rapiti nella nostra produzione e come su-    10    blimati nella effusione di una vita che si espande al di fuori, pro-  diga, rigogliosa. Nei non siamo veramente felici che nei momenti  della creazione: perchè la creazione è fuoriuscita da sè e moto  verso l’ altro. Noi non siamo veramente felici, se non quando ci  liberiamo da noi medesimi, come soggetto, obbiettivandoci nel  mondo; quando deponiamo da noi, con uno slancio ed un abban-  dono supremo, quel parassita roditore della vita spontanea che è  la riflessione egoista della coscienza. La vita individuale non »’ im-  pingua nè si feconda, se non attraverso una generosa rinuncia;  come il chicco di grano non fruttifica, se non muore nella putredine.   La via della salvezza è in quello che il Géthe chiamò il metodo  obbiettivo : considerarsi, cioè, non come soggetto e come coscien-  za, ma come oggetto e come vita. Ivi sì celebra la rinnovellata  armonia fra la vita e sè medesima e fra l’uomo, la vita ed il  mondo. Un’ armonia che ricorda l'antica, ma che la supera infinita-  mente ; perchè l una cra occulta, indistinta, subcosciente, l’altra è  opera nostra e nostra fattura, nella quale noi ci rimiriamo come  illuminati e purificati di luce nuova.    Nè mi si dica che la vita è possesso immanente del proprio  individuo ed è avvertimento intimo di tale possesso. Perchè il pos-  sesso «li sè sfugge appunto all’ uomo che si rimira e contempla  nelle imagini fallaci della coscienza egoista.   L’intimo fondamentale dell’ esser nostro è più profondo e più  ricco che non lo renda la coscienza subiettiva, efflorescenza mera-  mente superficiale delle profondità incommensurabili della vita. Come  l'occhio che vede tutto e non vede sè medesimo, così lio coscien-  te vede le altre cose e non vede la sua imagine. Come il corpo  del sole è oscuro, così il me è il punto nero della coscienza. Del  pari nel tessuto della retina l'inserzione del nervo ottico è cleca,  e la sostanza del cervello, centro di tutte le sensazioni, è insensibile  a sua volta (1). E come l’occhio si rimira attraverso lo specchio,    (1) Schopenhauer, Die Well als Wille und Vorslellung.—Erginz. z. vier-  ten Buch. (Kap. 41).    a ii    così la coscienza e la vita non si conosce, o meglio non si rico-  nosce, che traverso le altre coscienze e le altre vite. Apparente pa-  radosso, l'individuo per ritrovare sè medesimo, deve anzi tutto ne-  garsi. Egli non ha coscienza di sè, che traverso è suo altro.   L’ egoista, adunque, che si fa vivo e che si pompeggia di vivere  in sè medesimo, è vittima di una illusione. Egli ha vilmente calun-  niato la sua natura e, per non voler rivivere negli altri, non vive  neanche in sè stesso. Egli vive nell’ ombra scialba di sè, un’ ima-  gine esile, povera, ridotta dall’ingenito daltonismo della sua coscien-  za spaziale.    Il secreto della vita e della felicità sorride, quindi, all’ ani-  ma amante, perchè l amore, in quanto ha di più alto e di più  puro, è oblio ed abbandono di sè nella persona e nell’ idea del-  l'amato.   Sorride al genio, che dimentica la limitazione individuale nella  contemplazione dell'eterno e, specchio fedele dell'anima collettiva,  annunzia la parola vitale che trascende il tempo e genera una sto-  ria. Sorride all’eroe, che avvalorandola di significazione infinita, con-  sacra la sua esistenza individuale ad una causa universale e la  cui generosa coscienza è coestensiva alla coscienza della umanità  intiera. Sorride all’apostolo della carità, che sente come suoi i do-  lori e le miserie degli altri e la cui capacità di soffrire e di amare  abbraccia ed accoglie, pietosa e fraterna, tutta la indefinita molti-  tudine delle esistenze diseredate. Sorride a tante vite, umili o grandi  che sieno, più grandi spesso quanto più umili, che nell’arduo la-  voro di ogni giorno, di ogni ora e nel sacrificio di sè spontanea-  mente accettato e sofferto, ripongono l’unico, esclusivo ideale della  esistenza ; nobili vite silenziose, vereconde, che tolgono sopra di  sè di lavorare, di soffrire e di espiare per gli altri, senza aspet-  tazione di compenso e di lode, senza solennità e senza pompa e  pure con una giocondità ingenua e serena. Sorride a tutti, quando,  liberi dall’ egoismo che c’irrigidisce e contrae, noi viviamo nella  vita degli altri, accogliendo nella nostra esistenza limitata e cadu-  ca, una significazione ed un valore universale.    - 14 -    Poichè la nostra vita è in sè peritura e fuggevole, solo espe-  diente di renderla immortale è avvalorarla al contatto di. un prin-  cipio perenne di giovinezza, di un eterno ideale.   Noi trionfiamo idealmente della morte, sc educhiamo e pro-  duciamo nella nostra vita transeunte dei valori assoluti ed infiniti,  che la morte, questa Dea insidiosa del relativo e del finito, non  può travolgere nelle sue ondate distruggitrici.   E questa, c non altra, la via della salute : è questa, e non  altra, la soluzione di un problema della vita.   Il resto, dirò col tragico inglese, non è che silenzio.    Questo secreto di vitalità duratura cd eterna non traluce alle  coscienze opache dei più che si agitano nel turbine di una vita  sprovveduta di significato.   Ma esso non è ignoto a voi, o Giovani, che per le vocazioni  spontanee dell’ età, per l’anima ricca e sensitiva, per l’ acuto di-  sagio del dolore del mondo, per la precoce virtù d’ intuizione e  di anticipazione ideale siete meno lontani dalle scaturigini del-  la vita.   Voi siete nell’ età dell’aspettazione e della gestazione, onde  la vostra vita è aperta all’avvenire ce la vostra anima non è cor-  rosa dalle delusioni di un passato menzognero nè dalle insidie  tentatrici di un presente detestabile.   Al cospetto del cinico trionfo quotidiano dell’ egoismo e del  male, voli sentite ancora vibrare nel vostro cuore delle forze ver-  gini e sane che vi preservano dal fascino di un esempio funesta  e vi confidano al manto tutelare di una nobile Idca.   Uscito, non sono molti annui, dalle vostre file, io, che a voi  mi sento, più che maestro, fratello, vi auguro che queste for-  ze risanatrici non vi abbandonino mai nelle vie perigliose del-  l’ esistenza.   Voi vedrete, intorno a voi, la vita per sè uccidere la vita per  gli altri, il parassitismo cestollersi palesemente a legge sovrana della  condotta, il male drappeggiarsi Impavido nella sua trionfale im-  pudenza, la giustizia arrendersi al delitto. E vi assalirà forse il    la. 1a    dubbio e lo sconforto ed in una punta di umorismo tragico e me-  fistofelico, suggerito dalla ironia spontanea delle cose, la bella vi-  sione serena del valor ideale e morale della vita vi sarà come ab-  buiata e mortificata dalla torbida apparizione e della perfida lu-  singa di un ben altro valore: di quel valore, al quale la media  delle coscienze umane intristite misura e cimenta la finalità di  questa nostra esistenza. l   Ma quel dubbio e quello sconforto non gioveranno a scemarvi  nell’ anima la fede nell’ ideale e nel trionfo indefettibile del bene  nelle lontane vie della storia, se voi avrete educato in voi, con cura  assidua di ogni giorno, di ogni ora, il secreto della vita vera.   Serbando incontaminata dalle ingiurie del tempo le giovinezza  dello spirito, voi attingerete ad una sorgente perenne di salute e  di redenzione.   La suggestione insidiosa dell’ egoismo non offusca nè corrompe  che le anime povere di vita. Una certa ricchezza interiore, lieta  di prodigarsi altrui, ed una spontanea fioritura di generosità e di  carità è inseparabile da ogni balda e giovine esistenza.   La pienezza di cuore vi salverà dalle angustie di una co-  scienza egoista ; l’ amore trionferà dalla morte. Così la miglior  parte di voi sarà sopravvissuta al destino dell’ annientamento: la  vostra vita avrà attinto un valore infinito (1).    (1) Stimo superfluo avvertire il colto lettore che la filosofia della vita espo-  sta o, per div meglio, abbozzata in questo discorso si riconnette immediatamen-  te alle grandi fonti insuperate della Mistica, alle concezioni di Arturo Schopen-  hauer e di Leone Tolstoi e, qua e là, a qualche pensiero del Feuchtersleben,    FIRE Google    FIRE Google    DELLO STESSO AUTORE    1. Za filosofia politica contemporanea, Appunti critici, — Trani, tipografia  V. Vecchi, 1892: un vol. in-8.° gr. di pag. 194 (esaur).    2. La terra nell’ odierna economia capitalistica. Studî di sociologia econo-  mica, — Roma, Tip. A. Befani. 1893: un vol, in-8." di pag. 130 (esaur.).    3. La fase recentissima della filosofia del diritto in Germania, Analisi cri-    tica poggiata sulla teoria della conoscenza. — Pisa, E, Spoerri, L. 3,50.    4. La filosofia del diritto al lume dell’ idealismo critico, — Firenze Tip. della  « Rassegna Nazionale », 1896 : un fasc. in 8.° di pag. .36 (esaur.).    5. Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale. — Roma 1896,    (presso E. Loescher e B. Lux). L. 1,00. .    6. Le nuove forme dello scetticismo morale e del materialismo giuridico,  Roma, 1896, (presso E. Loescher e Lux). L. 1,00.    7. Contributo all’ analisi dei caratteri differenziali del diritto — nella « Ri-  | vista italiana per le scienze giuridiche ». 1897-1898.    8. Za storia înterna cd il problema presente della filosofia del diritto. Pro-  lusione al corso di Filosofia del Diritto nella R. Università di Modena,  presso la Libreria Vincenzi e Nipoti, Modena. L. 1.50.    9. / limiti del determinismo scientifico. — Modena, Vincenzi e Nipoti, 1900.    hoy: deg    10. // problema della morale. Prolusione al corso di filosofia morale nella  R. Università di Napoli. Letta il 10 dicembre 1901. — Napoli, Libreria  Detken e Rocholl. L. 1,00.    PRETI Google    Piecieabi Google                x    I       |                   GAN       |          D  T-  D  T-    |                0                   OF MIGHI(                            |    IM                   UNIVERSIT          |    |M          Ci    rei TE A e %  È *. oe    e. e  hi ’ te nt lt nnt mn inn” -    RI EEE A. a aaa a; ° N n          University of Michigan — BUHR    9015 00340 007 7       C 3    |    I    Ì          ARTT.   core  Ade rasi  nt  di i ap DE Le Sini   N. 26. — Biblioteca « Sandron » di Scienze e lettere — N. 26.   IGINO PETRONE   Professore Ordinario di Filosofia nella R. Università di Napoli.   PROBLEMI DEL MONDO MORALE   fe — scili      e eridntentà   MEDITATI DA UN IDEALISTA   La filosofia del diritto al lume dell’idealismo critico — Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale — Le nuove for- me dello scetticismo morale e del materialismo giuridico La visione della vita di Fed. Nietzsche e gl’ideali della morale — L’umano contro il superumano. Critica di Federico Nietzsche — Il problema della morale — Il valore della vita — L’Etica come filosofia dell’azione e come intuizione del mondo.            REMO SANDRON — EpiTorE Libraio della Real Casa MILANO-PALERMO-NAPOLI   REMO SANDRON, Editore — Libraio della R. Casa   Milano-Palermo-Napoli   =_—_——+——mr"ee——-e—=e—@—eae—-(i-(-H__22a; e A. lrktr._r .,.irr 1°. i   CINE   O 00 di @ la   12. 14.   15. LT:   19. 20.   21. 22.   24.   26.   20.   29.   32. . Modigliani Gius. Em. La fine della lotta’ per la vita   Biblioteca di Scienze Soclali e Politiche   ——_—_eii—   . Guyot Y. La Tirannide socialista   — I principii dell'89 e sl socialismo +.   . Marx C. Il Capitale. Estratti di P. Lafargue 0 con in-   troduzione critica di Vilfredo Pareto e replica di P. Lafargue, con ritratto, 8. edizione .   . Colajanni N. @& avvenimenti "oi Sicilia e le loro cause,   2. edizione   . Morselli E. La pretesa « Bancarotta della scienza »   (Una risposta)   . Ferri E. Dbiscordie positiviste sul Socialismo (Ferri con-   tro Garofalo) 2. edizione   . Virgilii F. 7 problema agricolo e l'avvenire sociale. 2.   ediz. notevolmente accresciuta.   . Starkenburg H. La miseria sessuale dei nostri tempi.   Trad., pref. e note di L. F. P_.. edizicne . Lafargue P. L'origine e l'evoluzione della proprietà, preceduto da un’Introduzione di Achille Loria . De Greef C. Regime parlamentare e regime rappre- sentattvo î   Lombroso C. La funzione sociale ‘deldelitto. 2. edizione   Ferraris C. F. Il materialismo storico e lo Stato   . Spencer H. /stiluzioni domestiche   Niceforo Alfr. La delinquenza în Sardegna, con pref di E. Ferri (Note di sociologia criminale) Spencer H. Istituzioni cerimoniali ;  Novicow G. Cosctenza e volontà sociali ;  Niceforo A. L’ Italia barbara contemporanea. Studii ed appunti sull’Italia del Sud. .   . Sombart W. Socialismo e movimento soGiala nel secolo   XIX. Traduz. autorizz. e rived. dall'A. Lerda G. Influenza del Cristianesimo sull’ Economia. Note ed appunti   Ferraris C. Teoria del daino amministrativo Morasso M. ci quelli che non hanno e che non sanno   Labrioia A. La teoria del valore di U. Marx. Studio sul III libro del «Capitale »   . Tambaro |. Le incompatibilità parlamentari, 2. edi-   zione interamente rifatta   L.   »   “   8 % y % %   %   y   Gatti G. Agricoltura e Socialismo. (Le nuove correnti   ‘ dell'economia. ricola)   . » Engels F../l socialismo scientifico contro Eugenio Duhring g »   Croce B. Materialismo storico ed economia marxista. Saggi critici   tra gli uomini. Saggio   . Renda A. La questione ineridionale. Inchiesta . Facchini C. Gl eserciti permanenti. 2. ediz. italiana . Righini E. Antisemitismo e semitismo nell’ Italia po-   litica moderna   . Hamon A. Psicologia del Militare di * professione . Turiello P. IZ Secolo XIX. Studio POLMGOOOIAE . Loria A. Marx e la sua dottrina. : .   % v x x   Ho mn aoeeno colt   5   1 1   SS   pl   I 15]   5   MISNO Wo Via mo Gdo vt   1131   MINN   LI « Pa - lola IAAMA   ? Kai {e   NE: «Tan? Ù o” eg dere 1% V-7404. è e   di ; VATZIZA " IGINO PETRONE x”   Professore Ordinario di Filosofia nella R. Università di Napoli.   PROBLEMI DEL MONDO. MORALE   MEDITATI DA UN IDEALISTA      La filosofia del diritto al lume dell’idealismo critico — Il valore ed î limiti di una psicogenesi della morale — Le nuove for- me dello scetticismo morale e del materialismo giuridico - La visione della vita di Fed. Nietzsche e gl'ideali della morale — L’umano contro il superumano. Critica dî Federico Nietasche — H problema della morale — Il valore della vita — L’Etica come filosofi. dell’azione e come intuizione del mondo.            ‘ REMO SANDRON —- EpirorE Libraio della Real Casa MILANO-PALERMO-NAPOLI         Dello stesso Autore :   . La filosofia politica contemporanea. Appunti critici.— (2* ediz. Roma, Cooperativa - poligrafica editrice, 1904. L. 2,50).   . La terra nell'odierna economia capitalistica. Studî di Sociologia economica.—(Roma, Tip. A. BEFANI, 18983). (È in preparazione la 2* edizione).  . La fase recentissima della filesofia del diritto in Ger-   mania. Analisi critica poggiata sulla teoria della co- noscenza. — (Pisa, E. SPOERRI, 1895. L. 3,50).   . I limiti del determinismo scientifico. (2* ediz. Roma, Coo- perativa poligrafica editrice, 1903. L. 2).   . La storia interna ed il problema presente della filosofia del diritto. (Modena, Vincenzi e NIp., 1898. L. 1,50).   . Contributo all'analisi dei caratteri differenziali del di- ritto, (nella « Rivista Italiana per le scienze giuridi- che », 1897-1898). |   . Nietesche e Tolstoi. Idee morali del tempo. Conferenze. (Napobi, L. Pierro, 1902. L. 1,50).   Proprietà letteraria dell’Editore Remo Sandron.      Palermo — Tip. F. ANDÒ.      I saggi che si adunano in questa raccolta appar- vero di già, in massima parte e salvo uno, in diverse riviste filosofiche e letterarie, in annuari accademici ovvero in edizioni a parte di scarsissimi esemplari. Disseminati qua e là, erano divenuti oramai difficili a ritrovare e di taluno le poche copie messe fuori erano affatto esaurite. Ho pensato, perciò, di ricom- porli, di riordinarli e di ripresentarli in un volume, e vi ho aggiunto un saggio nuovo ed inedito sul tema L’Etica come filosofia dell’azione e come intuizione del mondo.  Divisi nel tempo e nella forma, li accomuna l’ u- nità dell’idea direttrice e li collega la coerenza inte- riore del sistema. Essi sono come gradi ascendenti ed approssimazioni progressive verso quella intuizione idealistica del mondo che ha sorriso, fin dai primi anni, come suprema visione terminale, alla mia vocazione di studioso di filosofia. Questa intimità di contenuto spirituale giova a spiegare il come ed il perchè della raccolta e varrà, altresì, a dar ragione della singola-   IV PREFAZIONE   rità del titolo apposto al presente volume; il qual ti- tolo, certo, apparirebbe pomposo e temerario in chi non avesse coltivato l’ idealismo e la metafisica in giorni meno propi@ ed un po’ prima che l’uno e l’al- tra fossero sul punto di diventare di moda.   _ IGINO PETRONE   fer e e. (Ia   Torri: n È   "nr _—_ ---_   LA FILOSOFIA DEL DIRITTO AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO (')   Il conte E. di Saint-Simon ebbe una intui- zione felice, quando concepì, come legge della sto- ria umana, la successione dei periodi organici e dei periodi critici. |  Lo spirito di sistema che detta anticipatamente le leggi della storia, di questa scaturigine perenne del nuovo, dell’ impreveduto, del fortuito, quale apparve allo Schopenhauer, sarà forse una costru- zione fantastica della raison raisonnante : eppure in quella intuizione v'è un fondo di vero.   (1) Pubblico qui integralmente, senza nessuna modificazione o aggiunta e con solo qualche schiarimento o citazione a piè di pa- gina, la mia prolusione all’insegnamento libero di filosofia del di- ritto nell'Università di Roma (anno 1896).  Per contenuto dottrinale, essa si ricollega all’indirizzo filosofico giuridico che ho propugnato nel libro « La fase recentissima della   filosofia del diritto in Germania — Analisi critica poggiata sulla teo-   ria della conoscenza — Pisa, C. Spoerri, 1895», alquale rinvio quei lettori, i quali desiderino uno svolgimento più ampio di alcuni principî, che in un discorso come questo non potevo che disegnare in iscorcio e quasi di sfuggita.  I. Perroxe. — Problemi del mondo morale. 1   Di 0.4   9 LA »rILOSOFIA DEL DIRITTO   Voi ne avete una conferma luminosa nella storia della filosofia, come nella storia di tutte le idee umane: nel corso delle quali v’ha, per un verso, periodi di credenza, di dogmatismo, di or- ganamento e di sistema — e sono i pertodi o0rga- nici — e v’ ha, per un altro verso, periodi di cri- | tica, di esame, di analisi e di risoluzione — e sono 1 periodi critici.  Il compito della filosofia non è lo stesso nei primi che nei secondi.  Nei periodi organici essa consolida, ordina 4 sistema e, sarei per dire, mortifica le verità nuove indagate e scoperte dallo spirito di ricerca e di libero esame resosi vivo nei periodi critici ante- riori; verità, che essa accetta per diritto di eredità e fa sue, senza sentire i dolori e le ansie della ge- stazione di esse. Nei periodi critici essa procede senza posa ad indagini nuove, risolve negli ele- menti primi i fenomeni complessi offertile dalla e- sperienza del reale, ricerca le cause prime ed i supremi perchè delle cose, non paga se non abbia toccato, o non le paia di aver toccato, il fondo dei problemi della vita e del cosmo.  Ho detto il compito della filosofia, e non ho inteso dire che tale sia sempre stato e sia, nel- l’ordine dei fatti, l’intento del filosofo.  L’energia creativa dello spirito individuale dà prova di sè anche nel corso dei periodi organici, in cui non è raro trovare menti indagatrici ed e- sercitanti il pungolo della critica su tutto. il pa- trimonio acquisito del sapere : come, per altro verso, la scarsa coscienza dei bisogni del tempo fa’ sì che   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 3   anche nel corso di un periodo critico nascano e traggano vita prospera menti dogmatiche, aliene dallo spirito di ricerca, intente tuttora a conterire una veste sistematica a quelle poche cognizioni alle quali la scienza è pervenuta prima di loro, avverse ad ogni indagine dei presupposti e della genesi prima di quelle cognizioni o DOgiL: ‘oggetti ai quali esse si riferiscono.   * * *   Il periodo storico presente è, per la filosofia e le scienze morali, un periodo critico : critico, già s’intende, in un certo senso e uon nel senso in cui lo concepiscono i più, che amano, facendo ap- pello ad una crisi inevitabile del sapere, dissimu- lare o sistemare la loro impotenza a creare: critico, nel senso che i fenomeni ed i cosiddetti prodotti della cultura vanno non già accettati puramente e semplicemente, ma saggiati nei loro fondamenti e risoluti nelle unità elementari che li compongono e nelle forze primitive che li animano. La critica — nell’altissima accezione di una indagine dei pre- supposti ideologici ed ontologici dei fenomeni — ecco l’esigeuza che il tempo nostro, valutato, forse, . non alla stregua di quello che ha fatto, ma di quello che voleva o. avrebbe voluto fare, sente tuttora il bisogno di appagare. .   * * *   Il filosofo del diritto, o chi aspiri ad essere ‘tale oggi, ha, adunque, segnato dalla stessa logica ideale delle cose, il cammino che egli deve seguire.   4 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   Non turbato dalle accuse fattegli in nome del- l’empirismo, che, nell’accettazione e sia pure nella comprensione scientifica dei fenomeni giuridici, hasmarrito il vivo bisogno di indagare i presuppo- sti filosofici dei medesimi; non scosso dall’esem- pio del realismo, che nell’ acquiescenza , consape- vole o inconsapevole che siasi, al diritto positivo, non esperimenta quel pungolo interiore che trae altri a domandare il diritto di quel diritto ; egli, il filosofo, dico, conosce che ufficio suo è d’ inda- gare il di là del fenomeno, la condizione o la se- rie delle condizioni che lo rendono possibile, le forze prime che lo animano: egli sa che deve in- tendere alla critica della sociogenesi e della em- briogenia giuridica, all’analisi dei presupposti e dei primi principî: egli sa che la sua dev’ essere (parola tolta in prestito alla fisica, ma che qui vuol avere un senso metafisico) una vera meccanica molecolare del diritto.  E non è solo la legge del tempo quella che lo trae a fare ciò: ma glielo persuade, in pari grado, la legge della disciplina che egli professa. Perchè, se una filosofia ha ancora ragione di es- sere, essa, per fermo, non può avere altro ufficio che questo, che io vi disegno oggi. Le sorti della filosofia del diritto, come le sorti della filosofia in generale, sono intimamente legate alla so- luzione di questo supremo problema dell’ ordine conoscitivo e dell’ordine cosmico; se vi sia un di là dei fenomeni, se i fenomeni stessi menino spon- taneamente l’intelletto di chi li osserva con abito di scienza a speculare un mondo inesplorato dalla   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 5   pura esperienza, un assolutamente prius da cui germini la serie fenomenica.  Una soluzione negativa di tale problema se- gna l’esclusione della filosofia, e dico della filoso- fia che sia tale sul serio, dall’ ordine delle cono- scenze.  Perchè, se la filosofia’ è una critica dell’espe- rienza, essa deve, per necessità di cose, superare l’esperienza ed avere un oggetto suo, almen for- male, che non sia l’oggetto dell’esperienza.  L’occasione e l’impulso intimo ad assumere ed a fissare questo suv oggetto può, deve, anzi, venirle dall’esperienza, la quale, nell’economia dell’inten- dimento umano, è il vero punctum pruriens della speculazione. Ma, se il nostro intelletto è così fatto, che esso non può cogliere di un rapido in- tùito le supreme ragioni delle cose e solo è tratto a specularle da una paziente ed industre educa- zione dell’esperienza, non però voi dovete credere . che le ragioni stesse sieno fenomeni di esperienza a lor volta. Credere che esse sieno, oggettiva- mente considerate, un prodotto dell’ esperienza, solo perchè è un prodotto dell’ esperienza lo sti- molo che ha l’uomo a conoscerle, è commettere quell’errore che il Comte considerò come il grande paralogismo della metafisica e che è, pur troppo, l’errore comune di tutte le speculazioni dogmati- che, volgano esse alla metafisica o al positivismo: convertire un fenomeno psicologico e logico in un fenomeno reale, trasferire al di fuori un fenomeno, un molto difettoso fenomeno, del di dentro.   Pa   6 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   * * %*  La filosofia, adunque, non può legittimarsi come tale, se non professa d’indagare le forze ge- nerative ed i primi principî dell’ordine fenomenico.  Se non che, vhanno due modi diversi d’in- tendere che cosa sia una forza genetica e che un primo principio; modi, che vanno accuratamente distinti per non cadere: sotto altra forma, negli errori o nelle lacune dell’empirismo.  La così detta filosofia positiva del diritto inten-   / de anch'essa, oggi, ad investigare le origini e le   forze primitive della formazione naturale del dirit- to. E, del resto, chi non sa che la forme d'’ esprit, resasi universale nel tempo nostro, riposi appunto nell’indagine del momento genetico delle cose? e che la ricerca delle cause, in che da secoli si è fatto consistere il còmpito della filosofia, venga dai più, oggi, concepita ed interpetrata come una   | ricerca delle origini? e che questa inversione del   momento causale nel momento genetico sia ap- punto il gran postulato del metodo storico ?  È, forse, in questo senso che la filosofia del diritto, quale la disegnamo noi, deve procodere alla ricerca dei primi principî ?   * * *   9.)   :‘‘ Risponderemo negativamente. I principî filo-   ‘.- sofici sono una cosa ben diversa dalle origini sto- , riche. Le origini storiche vi danno la prima appa-   rizione fenomenica delle cose, ma non il principio   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 7   generatore di tutte le apparizioni fenomeniche possibili. Esse sono un primo termine della serie delle contingenze: ma, appunto per questo, esse non sono la causa prima della serie stessa.  La causa della serie è prima ed, in un certo senso, fuori della serie; dico prima nel senso ideale   e non nel senso cronologico : osservo, anzi, che nel trasferire la condizione del tempo nel concepi- . mento dei rapporti ideali, sta il segreto degli equi;   voci del positivismo.  Per cercare la causa delle cose che sono nel tempo, voi dovete uscire fuori del tempo : per co- noscere il momento causale dei fenomeni, voi do- vete aver superata la serie fenomenica. Il fenome- no originario è effetto, a sua volta, che appella alla sua causa: convertirlo in causa prima è conferire ad esso un significato infinito, che non è propor-   zionato alla sua natura finita; il che non significa).   bandire i rapporti ideali della metafisica, ma tra-   sferire i rapporti stessi nell’ordine fenomenico e}   storico, ossia pervertirne la sostanza.  Se guardate al valore etimologico delle parole, trovate che la parola principio significa comincia. mento. Principio di una cosa sarà, allora, il primo modo, la prima guisa onde appare la cosa stessa : principio della conoscenza sarà il primo degli atti conoscitivi, poniamo la sensazione: principio del diritto sarà il primo diritto storico determinato o la prima serie dei diritti storici o, meglio, la forma prima onde appare il diritto storicamente presso i popoli della terra. Insomma, principio del feno- meno sarà allora la prima rappresentazione del fenomeno.   8 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   Ma, se guardate al valore ideologico, la parola principio acquista un significato ben altrimenti profondo. i I  L’ordine o, per meglio dire, la moltitudine dei fenomeni ci si rappresenta come una serie indefi- nita di termini relativi; la qual serie, per essere indefinita, non ha, quindi, principio nè fine: ed uns legge profonda che governa il nostro intelletto ci mena a redimerci da questo vano e parenne circolo vizioso della rappresentazione fenomenica, fissando una causa prima, un prius assoluto della serie. (1) La mente empirica può limitarsi alla ri- cerca di quello che è primo per ordine di tempo: ma la mente filosofica vuole altro: essa domanda quello che è primo per ordine di generazione, 08- sia per ordine di natura.  Una legge irresistibile del nostro spirito, dice il Maine de Biran, ci trae verso questo primo prin- cipio, che è la causa della serie determinata, seb- bene esso sia indeterminato a sua volta, che è la   (1) « Les causes efficientes particulières des mouvements de la matière (e può dirsi altresì di tutti gli altri ordini di fenomeni) con- sistent toujours dans les états précédents de cette matière méme. L'état actuel d’un corps particulier a sa cause efficiente (ou sa rai- son) dans son état immédiatement antérieur, comme dans celui de tous les corps ambiants qui concourent ou s’accordent avec lui, suivant des lois préstablies. Quand un irait jusq’ è l’infini dans la liaison ou l’enchaînement des états, on ne parviendrait jamais à trouver une raison qui n’eùt pas besoin d’une autre raison : d’où il suit que la raison pleine des choses ne doit point étre cherchèe dans les causes particulières (soit efficientes soit finales), mais dans une cause générale, d’où émanent tous les états successifa depuis le premier jusqu’ au dernier....» Leibnite—Oeuvres, II 2. p. 112 cit. da Maine de Biran— Doctrine philosophique de Leibnitz.      AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 9   condizione del fenomeno, sebbene esso sia incon- dizionale. (1) |  E quello che è primo per ordine di natura differisce essenzialmente da quello che è primo per ordine di tempo. Poichè il termine primo per or- dine di tempo non è un principio delle cose in sè, oggettivamente considerate al lume della ragione: esso è primo solo rispetto alla rappresentazione fenomenica che ne abbiamo noi. La nostra intuizio- ne subiettiva è limitata alla condizione del tempe:   ma voi errereste a predicare delle cose quello che   si traduce in un nostro difetto interiore. Voi com- mettereste l’errore, ciò facendo, d’imporre alla na- tura la legge del soggetto: d’imporre al mondo delle cose in sè, la legge della rappresentazione. Voi errereste, dico, in far questo raziocinio: quello che è primo rispetto a noi è, altresì, primo rispetto alla natura; perché le cose stanno al di fuori di noi in modo che può essere ben diverso da quello in cui stanno dentro di noi (per dirla in forma intuitiva   e corpulenta); e dico dentro di noi, perchè noi siamo.   dominati dalla rappresentazione fenomenica, prima   (1) «Ce n’est jamais au premier en temps que nous nous arrétons et que nous sommes les maîtres de nous arréter. Une loi de notre esprit nous impose la nécessité de remonter jusqu’ à un premier générateur (prius natura) qui détermine le commencement de la suite, quoiqu’ il soit lui-méme tout-à fait indéterminé: ou qui est la   condition de telle serie commenceante, quoiqu’ il soit lui-méme sans .   conditions. C'est ce premier dans.l’ordre de génération que nous appelons principe, et qui différe par le genre et la nature (toto ge- nere et natura) de tout ce qui est compris dans la succession phé- nomènique, à partir du commencementjusqu’à la fin.» —Maine de Biran — Science et Psychologie, 164-165.   ' trio, da   10 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   che la ragione ci restituisca limpida e piena la ve- ra natura delle cose. Epperò, se dentro di noi il primo principio, ossia l’origine remota e profonda di una cosa, è la prima apparizione temporale del- la cosa, ossia la prima forma e la prima gui- sa del suo nascimento, fuori di noi il primo prin- cipio e l’ origine remota e profonda della cosa stes- sa è precisamente il contrario: è la sua natura. La mente empirica, adunque, si tien paga a quello che è primo per ordine di tempo, poichè quello che è primo per ordine di tempo coincide con quello che è primo per ordine di rappresentazione: ma la mente filosofica, che ha esperimentata la crisi della coscienza e sente vibrare dentro di sè l’antitesi feconda di quello che è soggettivo e di quello che è oggettivo, dell’ordine logico e dell’ordine onto- logico, del fenomeno e dell’idea, la mente filoso- fica, dico, indaga quello che è primo per ordine di natura ed. è ultimo, forse, per ordine di cono- scenza; ultimo, perchè vien su dopo tutta la se- rie degli atti intellettivi che sono necessari a su- perare la manchevolezza della rappresentazione fenomenica e le suggestioni della intuizione sog- geltiva. |   * *x *   Questo dualismo tra noi e le cose non è un dettato del criticismo ovvero della forma moderna dell’ idealismo subbiettivo: chè anzi il Kant, col professare l’inconoscibilità del mondo in sè, venne risolvendo quel dualismo fecondo, ereditato dall’i-   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 11   dealismo obbiettivo della filosofia classica, nell’in- distinto del fenomenismo. Quel dualismo è il vec- chio ed il sano principio della speculazione greca la quale segnò la vera critica dell’ intendimento umano, perchè riconobbe che i due mondi, quello dell'oggetto e quello del soggetto, sono in rela- zione tra di loro, ossia l’oggetto è conoscihile dal soggetto, e riconobbe nel tempo stesso , che essi sono in disarmonia, ossia l’ oggetto esiste nella rappresentazione del soggetto in una forma di- . versa da quello che esiste in sè stesso: e, ripeto, segnò la vera critica dell’intendimento, perchè ci apprese esservi una facoltà dello spirito umano, una facoltà superiore alle altre, —la quale ha l’ufficio, appunto, di sceverare, di reintegrare la purità del mondo oggettivo di tra le suggestioni e le apparenze impure insinuatevi dalla rap- presentazione.  Quella grande ed imperitura filesofia non at- tese, adunque, ad una unificazione dialettica dei due termini, ossia del mondo oggettivo e del mon- do soggettivo, e nemmeno ad una separazione. sofistica di essi: e perchè non li separava, prevenne) gli errori dell’idealismo assoluto, e, perchè non i) univa, gli errori del'’empirismo e dell’obiettivismo volgare : e, per l’una e l’altra.ragione ad un tempo,  . gli errori dell’idealismo empirico o del realismo trascendentale, gli errori, cioè, del fenomenismo.  Epperò, fu quella la vera critica della espe- rienza: perchè la critica è correzione e riesame: è analisi e differenziazione dei due mondi, che ]l’e- sperienza ci presenta indistinti e come confusi in   12 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   un solo, ed è, in pari tempo, attribuzione a ciascuno dei due di quello che gli tocca.   * * *   Tra la filosofia positiva del diritto, come è  | oggi, che ricerca solo le origini storiche del feno- meno giuridico, e la filosofia del diritto propria- mente detta, che, pur facendo omaggio alla storia e traendone pro, si libra più in alto fino all’esame dei primi principî, noi, adunque, siamo decisamente per l’ultima. E ciò, non per abuso meditato di metafisica, ma per una legge della ragione e delle cose : perchè, è uopo ripeterlo, nella serie indefinita dei termini (1) contingenti, non ve n’è uno solo che possa essere assunto, senz’ altro, come il primo, e di cui non si possa concepire un altro termine che sia da più di esso: di guisa che, per trarsi fuori di questo circolo ingannevole (e dico ingannevole, perchè su questa via noi non troveremmo mai quella di che andiamo in cerca, la causa vera), non v’è altro mezzo che trarsi fuori dalla stessa serie del contingente per fissare quello che è necessario, e che, però, non è nessuno dei termini di quella   l’esperienza ci dà delle cose è un termine soggettivo. i È solo la swppestv che con la svt%- reintegra la purità del i mondo oggettivo (rò èvrws dv) di tra le apparenze ingannevoli (ciòwà2) della rappresentazione : e con cui fonda la vera scienza (èrmistinun) che si contrappone alla rappresentazione fenomenale (d6r2). Epperò solo le cose, come sono conosciute, o meglfo riconosciute dalla ragione, si possono e si devono chiamare oggetti.   ) (1) Dico termini e non oggetti. Perchè la rappresentazione che   .   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 13   serie, sebbene esso sia il principio generatore dei termini tutti.  E questa verità viene riaffermata dall’anda- mento stesso dell’esperienza e della storia: nelle quali il progresso delle ricerche si annunzia con lo allontanarsi sempre più, col trasferirsi sempre più in là, del momento genetico delle cose : per cui ogni tappa dell’una e dell’altra (dico, dell’e- sperienza e della storia) segna come una percezione più esatta delle distanze indefinite, che separano le nostre rappresentazioni fenomeniche dal punto in cui s’'acqueta ogni disio del sapere ideale : come se anche nell’esperienza e nella storia vi fosse un tacito presentimento della propria manchevolezza. ed un anelito verso forme più alte. (1)   * * *   Quest’analisi dei primi principî per ordine di natura è la sola via che ci consenta non solo di essere ossequenti alle vere leggi della mente umana, ma,   (1) Va da sè che la noziune di questi principî per ordine di natura, appunto perchè essi sono assolutamente primi, esclude la possibilità o la ricerca di «altro principio che sia per avventura prima di loro. Il processo della causalità si arresta, quando nella serie regressiva delle cause si è pervenuti alla causa prima : ed il prin- cipio di causalità è una legge delle contingenze e della rappresen- . tazione, non una legge dei principî primi.  Del resto, Platone lo aveva già insegnato. pXh dì azéutov. ep upXic yap evazia Thy TÒ yes evo» puprendui, abthv de undeg dvés. ei Yap da Tov UpAr yejvorto, tobto oùx dv èr upXig yuyvoro. èmudh dè aytutiv fotw, nai kotpPopor arò uudzan stvui. apXîs yxp dn amoioptvig ore dÙrh more EX tov obte dilo èr èXeivag yevnietai, eimtep èr upXhg Get TÀ nuvra   yijvesdai — Fedro 244.   14 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   altresì, d’intendere appieno la natura del diritto e l’ufficio che esso adempie nell’economia dell’ordine universale. |  La filosofia positiva, avendo mutuato dalla i in- tuizione panteistica del mondo il così detto con- cepimento organico della società e dei prodotti della cultura, v’insegna che l’origine del diritto sta nella   «convivenza sociale: e non le viene in mente di ‘domandarsi se la convivenza sociale non presup- ponga, a sua volta, (non dico già perchè si conservi ‘ solo, ma perchè nasca) la preesistenza del diritto,   se non come formazione oggettiva, almeno come   | vocazione. psicologica, come tendenza, anzi meglio, . COme natura, delle unità elementari della convi- | venza.   E così, dol fare del diritto non più il princi- pio della coesistenza ma il suo prodotto, non più il vinculum societatis ma la creatura di una socie- tà bella e data altronde ed il risultato della ere. ‘ dità sociologica, si rischia di perdere di mira quella appunto che è la funzione specifica del diritto, di questo principio organico, di questa forza vitale dell’associazione.  Con lo assumere gli organismi giuridici belli e formati, senza procedere allo esame delle forze   formative ed all’analisi delle unità molecolari de-   gli organismi stessi, si è forse coerenti seguaci del metodo storico, perchè la storia che registra vo- lentieri il divenire esteriore delle cose, non ne ren- de il divenire interno e la genesi vitale; ma, ad   un tempo, si vien meno all’assunto precipuo che   la filosofia del diritto deve proporsi: quello di as-.   ‘00 lella ella ) di Sup servì ritto, "ome lio, ont:   rincì D più socie: q ere quella Ito, di vitale   | pelli fore sri de xci del ig Vi 10 ret 19, di o che di   AL LUME DELL'IDEALISMO CRITICO 15   segnare al diritto il posto che davvero gli tocca in una intuizione universale del mondo.   * * *   Per avviare quell’analisi dei primi principî, è uopo prendere le mosse dalla stessa fenomenologia giuridica. Ciò che per questa è un presupposto, ? , è della filosofia il problema. N A  Ora la fenomenologia ci presenta il diritto in tre forme capitali: come una intuizione o una rappresentazione psicologica del soggetto, come una facoltà pratica ed attiva dei soggetto stesso, come una legge oggettiva dei soggetti. Qualunque nozione voi vi formiate del diritto, queste tre note vi si associeranno senza dubbio : le intuizio- ni psicologiche si convertono con le facoltà attive e con le istituzioni oggettive e queste con quelle e tra di loro, come l’idea si converte col fatto: ma ciò non toglie che quelle tre categorie sieno da analizzare ciascuna per sè, e, per ordine, tutte.  La filosofia seguirà lo stesso ordine della fe- nomenologià e, senza postulare sintesi premature, 4 indagherà il primo principio del diritto come rap-   ‘presentazione, ed il primo del diritto come facol- 7   tà, ed il primo del diritto come legge. se SE, L,   LI   * * *   La filosofia positiva, in conformità della sua :--” natura, v’insegnerà che principio originario delle rappresentazioni giuridiche è la prima rappresen-   16 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   tazione per ordine di tempo, è la rappresentazione giuridica dell’ uomo primitivo. Essa, quindi, infe- rirà l’idea del diritto, quell’ idea che illumina l’uomo della cultura, dai motivi empirici che de- terminano le rappresentazioni giuridiche dell’uomo della natura. L’idea del diritto sarà, allora, conce- pita come l’effetto finale di un lungo processo di cose per cui, poniamo, il senso di paura e di sog- gezione che nell’uomo primitivo era determinato dalla pressura della forza materiale si è venuto svincolando da quella prima rappresentazione della forza personale ed associando all’ imperativo im- personale, alla legge concepita come legge. E ter- mine iniziale di questo lungo processo sarà sem- pre quel tal senso di soggezione e di paura, quel motivo empirico e quell’impulso sub-umano, che fu storicamente primo ad essere prodotto nell’uo- mo primitivo.  Per la filosofia non positiva, invece, primo principio delle rappresentazioni giuridiche è, pro- prio, quello che, per l’altra, è l’eftetto DIDO: è l’idea del diritto.  Non, quindi, una rappresentazione determi- nata, ma un presupposto, una radice ideale delle rappresentazioni possibili. Non un prodotto delle esperienze psicologiche della vita comune o del- l'alchimia dell associazione psicologica. Ma un in- tuito razionale, preesistente nelle unità individuali della convivenza ed origine e condizione e pre- supposto della stessa associazione psicologica.  Perchè l’ associarsi del rispetto all’idea del | diritto anzichè, poniamo, alla forza, non verrebbe   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 17   alla luce come fatto di coscienza, se non vi fosse una intuizione originaria dell’idea : e questa idea, ehe è uno dei termini dell’associazione ed è la for- ma dell’associazione stessa, non può venirla gene- rando, ex nihilo sui, l’altro termine.  Così dalla forza non si differenzierà il diritto per dato e fatto della forza o dell’abito di obbe- dienza alla forza: ed è la mente che, dopo aver confuso il diritto con la forza per difetto di con- sapevolezza, li viene indi dissociando e differen- ziando, resa più conscia e matura di sè, ossia viene riconoscendo la purità del diritto.  La evoluzione sociologica non crea questa Idea, ma sì ne crea la consapevolezza e, come di- rebbe il Leibnitz, l’appercezione. Oome idea e come prima percezione, essa inside nel fondo primitivo ed inconsciente dello spirito nostro.   La fenomenologia della coscienza giuridica non |   è la scienza di questa Idea, ma sì la storia della.   conoscenza che ne acquistiamo noi. Ed essa c’in- segna che l’uomo in una prima fase associa quel- l’idea alla forza materiale del potere, ed in una seconda, alla forza legale del volere del legislatore, ed in una terza fase, alla forza ideale dei principi; ma c’insegna, in pari tempo, che l’idea del diritto, appunto perchè coesiste alle fasi diverse della coscienza giuridica, preesiste, dico meglio, sottostà   alla coscienza stessa: di guisa che risultato della .   evoluzione non è già la sua natura, ma sì = Sana 3   zione della nostra coscienza con essa. E questa Idea, perchè è presupposta dalla coesistenza sociale e perchè sottostà alle rappresen- I. Perrone. — Problemi del mondo morale.   Slip ay das it een rg A in n Aria). do fato      Iyu   18 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   tazioni giuridiche, non può essere un distillato delle esperienze utilitarie della specie e della razza, come vogliono lo Spencer ed il Lewes, nè uno storico de- trito dell’istinto sociale depurantesi nel lungo pro- cesso dell’evoluzione delle specie organiche, come , vuole il Darwin; non può essere una riflessione o una proiezione interna dell’autorità dei poteri este- riori dovuta all’istinto imitativo, come vuole il Bain, od un processo ritmico di azioni e reazioni della coscienza individuale e della convivenza sociale, co- me vuole l’Ardigò; e nemmeno un prodotto deri- vato dei sentimenti simpatici o di una maggior   forza rappresentativa degli stati di coscienza, come   vogliono un po’ tutti e, più, lo stesso Spencer; e, meno che mai, la proiezione ideologica del rispetto verso la forza infinita del superiore, come pensa il Y Kirchmann. (1)  Perchè, secondo tutte queste teorie, essa, l’idea del diritto, sarebbe un termine derivato, dovechè l’idea stessa è un termine primitivo, un presup- posto delle stesse esperienze della specie e della razza ed un prerequisito dello stesso differenziarsi della legge dall’autorità, della giustizia dalla le-   (1) Spencer — Principles of psychology, p. 621. E la lettera allo Stwart Mill nel libro del Bain — Mental a. moral science.  Lewes — Problems of life a. mul, p. 162 e segg.  Darwin — The descent of man, c. III e IV.  Bain — Emotions a will, 283 e segg.  Azrpiaò — Soczologia, 105 107.  V. Kircamann— Die Grundbegriffe u. s. w. Sul Kirchmann cfr. il nostro libro sopracitato, p. 106-120.  L’insufficienza delle teorie delle esperienze della specie è di- mostrata nel libro stesso : Sez. II, cap. 2.   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 19   galità, dell'autonomia dall’eteronomia, del SO dalla forza..  E, perchè primitiva e naturale all’uomo, essa è universale; e la critica più dissolvitrice della ragion pratica ve la ritrova anche nelle forme più basse della evoluzione giuridica: dove variano i fenomeni e non l’idea, dove mutano le rappresen- tazioni del contenuto oggettivo del diritto, ma non ne muta la forma, ovvero la esigenza ideale del diritto, ossia l’idea del diritto: dove tutti gli atti giuridici, anche quelli che ad una fase poste- riore della coscienza giuridica si chiariranno in- giusti, sono intuìti, dalla mente dei soggetti che li praticano, sotto la ragion formale del giusto: dove, insomma, si trova mutarsi nelle menti e nelle coscienze la nozione di quello che è attual- mente giusto o ingiusto, ma perdurarvi costante la massima che v’ è un giusto ed un ingiusto, come v'è il bene ed il male, e l’idea dell’uno coin- cidere sempre con l’idea dell’ obbligazione, ossia col convineimento del doverlo fare, e 1’ idea del- l’altro coincidere con l’idea del divieto, ossia col convincimento del doverlo non fare (1).  Nè, per questo, la Idea del diritto è forma vuota ed astratta: chè nell’ordine cosmico, come insegnò il Leibnitz, forme vuote non esistono, ed }} ogni potenza è azione, ossia è attualità e sforzo: come ogni forza è movimento: potentia conatum involvit. (2) Così l’Idea del diritto è sforzo verso   hei per sala, SS: dre sal pal   (1) Prima del Lecky lo aveva egregiamente detto il Jouffroy — Cours de droit naturel, II, p. 410, 412, e seg. (2) « Differt enim vis activa a potentia nuda vulgo scholis co-   el   20 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   un contenuto giuridico: sforzo, che non si assolve in nessun contenuto storicamente determinato; e che, appunto per questo, è il principio delle as- sociazioni storiche ad un contenuto progressiva- mente più alto. , In verità, questa Idea preesiste o sottostà alla fenomenologia della coscienza giuridica, ma, in pari tempo, coesiste con essa e l’avviva di sè: ed è insieme la sua causalità, la sua genesi iniziale ed il suo termine finale. Poichè, come disse pro- fondamente il Vico, è natura dei principî che da essi primi le cose escano ed in essi ultimi vadano a sterminare. Così, l’idea del. diritto è principio ri- i spetto alla natura razionale del diritto ed è ter- mine finale rispetto alla fenomenologia della co- . scienza giuridica: precisamente come è ultimo, ri- spetto a noi, ciò che è primo rispetto alla natura.   * *% *   ‘4 Il diritto come rappresentazione, dicevamo  più su, ci si pone, altresì, come facoltà positiva  ed attuale del soggetto, come facultas agendi. Questa facoltà o questa serie di facoltà, que-   gnita: quod potentia activa Scholasticorum, seu facultas, nihil aliud est quam propinqua agendi possibilitas, quae tamen aliena excitatione, et velut stimulo indiget ut in actum transferatur. Sed vis activa actum quendam, sive èvredéXev continet, atque in- ter facultatem agendi actionemque ipsam media est, et conatum involvit: atque ita per se ipsam in operationem fertur.» — (LEIB- NITZ — Op. omn. ed. Duters, vol. 2. p. 20. De primae philosophiae erkendatione et notione substantiae).   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 21   sti diritti che sono frutto dell’attività umana, la quale si spiega sul mondo esteriore ed intreccia rapporti contrattuali con le attività coesistenti, queste facoltà, dico, la filosofia positiva esamina nelle loro origini storiche e nelle condizioni di fatto, condizioni economiche e sociologiche, che presiedono al loro processo evolutivo.  Ed è giusto che sia così; perchè quelle facoltà sono relative e condizionali e la filosofia positiva adempie il suo còmpito quando ne esamina i rap- porti e le condizioni, quando ne esamina il prin- cipio primo per ordine di tempo. Ma è giusto, del pari, che la filosofia del diritto pur tesoreggi gli acquisti della esperienza e della storia e tragga suo pro dallo studio della evoluzione economica, la quale forma come il sottosuolo dei diritti sog- gettivi patrimoniali, (1) ma, nel tempo stesso, non si fermi a ciò e proceda oltre il relativo ed il condizionale ed affronti il problema d’un diritto primitivo generatore dei diritti medesimi, d’ un principio primo per ordine di natura.  La legge di continuità vuole che non vi sia un diritto senza un diritto che gli precede, non un diritto senza un principio del diritto, non un   ch ni   (1) È quello che più dovrebbe fare e che, pur troppo, meno fa l'odierna sociologia giuridica, forse perchè è assai più facile edifi- care sistemi sociologici su vuote categorie concettuali, che sull’a- nalisi scientifica e veramente positiva della fenomenologia storico- economica delle istituzioni sociuli. Vero è che la mitologia prei- ‘storica ed archeologica le fa le veci della storia! Ma, con quanta jattura degli studi filosofici e, più di tutto, delle stesse legittime esigenze della sociologia !   hi   1   99 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   diritto attuale senza un diritto abituale, non un diritto acquisito senza un diritto connaturato.  Perchè i diritti acquisiti è giusto che abbiano un soggetto ed un soggetto persistente, che sot- tostia alle acquisizioni storiche, quindi preesista idealmente alle acquisizioni stesse. L'acquisto di diritti non nati ancora è frutto dell’ attività del soggetto; la quale attività, scaturigine di diritti nuovi, deve fondarsi e legittimarsi in un diritto primitivo essa stessa.  Oredere alla nascita dei diritti senza fonda- mento in un diritto non nato o, che è lo stesso, nato col soggetto; credere nella sopravvenienza di questo o quel diritto personale transuente, senza base in un diritto permanente della persona, è credere ai fenomeni senza il soggetto, agli attri- buti senza la sostanza, agli effetti senza la causa: ed è tutt'uno che sopprimere la legge di conti- nuità e la legge di causalità e sistemare la teoria del caso. (1)  Il diritto acquisito senza il dirittog innato è un ex abrupto, un salto mortale della storia; è la generatio aequivoca di un potere positivo, che è anch’esso termine relativo e condizionale e, non che essere fondamento di diritti, ha bisogno di   (1) L’Ardigò è il solo degli avversari della metafisica, il quale abbia compreso che l’unico espediente di legittimazione teoretica del positivismo sia sistemare apertamente la teoria del caso.  Ed egli la sistema in effetti, legittimando la nozione del caso   ‘come equazione dell'infinito, e fornendo l’esempio di una logica, che   | noi dobbiamo riconoscere benchè avversari, anzi appunto perchè   avversari. Cfr. Ardigò, Opere filosofiche, II, p. 254 — 822.   ATI TT Nt e TATE nl gatti e Te ne TTT TTT 7 SERA   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 93   appellare pria ad un diritto che sia il suo fonda- mento. Lt  La filosofia trova, adunque, che i diritti sto- rici ed acquisiti hanno il loro presupposto ed il loro primo principio nei diritti innati: i quali di- ritti innati, per la loro stessa natura, sono prin- cipio e forma del diritto, più che diritto determi- ‘nato per sè stante, e sono il soggetto dei feno- meni e non il fenomeno: come l’anima è il sog- getto dei fenomeni psichici e non questo o quel fenomeno psftchico dato.  ‘- Essi, adunque, non sono questo o quel diritto fenomenico o concepito a mo’ dei diritti fenome- nici, ma la forma juris ed il fondamento d’invio- labilità di tutti i diritti fenomenici possibili; e non sono questa o quella circonferenza giuridicamente determinata, ma il centro comune delle circonfe- renze indefinite descrivibili attorno a quel centro: essi sono, insomma, non il diritto, ma il diritto dei diritti. |  Sono la stessa personalità giuridica, che sus- siste in tutti i diritti senza differenziarsi in cia- scuno, e che non si consuma in nessuno di essi, perchè li condiziona egualmente tutti: sono l’au))   ctoritas di cui parla il Vico, la libertà, di cui par lano gli ultimi teorici del diritto razionale post- kantiano. 0 | d * * *   Contro la nozione di questo diritto dei di- ritti si levano voci diffidenti e sdegnose, così da      li ar ge re 09» SRI AE ep RD a ERI e_cgio EER AI   94 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   parte della scienza giuridica come da parte della intuizione panteistica del mondo. Ma, ragione di siffatto disdegno non è già, che i diritti innati e la personalità giuridica non ab- biano fondamento nell’ ordine ontologico e non sieno oggetto legittimo di speculazione razionale, | ‘ma perchè il vecchio diritto naturale atteggiò i : diritti innati in una forma pericolosa e che non \ era filosoficamente la vera. Perchè i diritti innati sono poteri ideologici o teoretici (come li chiamò il Romagnosi), ed in- vece i cultori del diritto naturale dell’ Aufklirung e della Rivoluzione li foggiarono a guisa di po- teri fenomenologici e pratici. Onde, non li conce- pirono come forma e principio di diritti, ma come diritti a sè; e, realisti forse inconsapevoli, essi rappresentarono i diritti connaturali, questi uni- versali della ragione, nella stessa guisa onde si rappresentano le cose individuali. Realisti ho detto, ed invero i cultori del di- ritto naturale ripresentano nella storia della filo- | sofia lo stesso fenomeno ideologico dei realisti dell’età di mezzo: e, come questi ultimi, così quei ‘primi concepirono gli universali come esistenti | nelle cose ed individuati nelle cose, e mirarono © all’unità universale e razionale dell’umana natura, . non dandosi alcun pensiero delle circostanze indi- ‘ viduanti, ossia del processo d’individuazione sto- rica. E la radice vera di tutto questo sta in ciò, che quei pretesi ideologi erano in fondo, nol vo- lendo e nol sapendo, degli empirici: perchè essi   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 25   rappresentarono le idee nella stessa guisa onde si concepiscono i fatti; perchè anzi, se voi andate nel fondo della cosa, gli stessi diritti dell’ uomo essi non poggiarono sovra un presupposto meta-   fisico o sovra un imperativo della ragione (parlo , dei primi cultori del diritto naturale, e non de-i|   gl’ideologi posteriori al Kant), ma sovra un fatto storico o che si presumeva per tale.  Ed invero, come deve aver già notato il Taine non ricordo più in qual parte delle sue Origines, l’autorità intrinseca dei diritti dell’uomo era radi- cata da quei pretesi razionalisti non già sulla ra- gione, ma sulla storia. Loro presupposto era la preesistenza di fatto di uno stato di natura, in cui i diritti dell'uomo non erano poteri ideologici, ma potenze pratiche ed attive, e non pretensioni o esigenze ideali, ma possessi di fatto: potenze at- tive e possessi di fatto, delle quali o dei quali s’invocava il ritorno. Di guisa che quegl’ideo- logi ebbero forse l’intuizione di un di là dei di- ritti acquisiti, dei diritti storici e fenomenici, ma rappresentarono quei di là non come prere- quisito ideale, ma come antecedente storico; e fu- rono empirici, perchè non seppero superare le   suggestioni ingannevoli della rappresentazione fe-   nomenica, e pervertirono quello che era primo per ordine di natura in ciò che è primo per or- dine di tempo, e trasformarono una relazione me- tafisica in una relazione cronologica, ciò che è primo rispetto alla natura in ciò che è primo ri- spetto a noi..  Di questa inversione dei rapporti ideali nei   | |   26 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   rapporti empirici voi trovate molti esempi nella storia della filosofia. £ l’esempio più grande ci è | fornito da Platone. Anch’egli, il principe degl’idea- |i listi,. fa ingannato dal miraggio della rappresen- tazione fenomenica, quando coneepì la prescienza intellettiva come uno stato anteriore delle anime, convertendo un prima ed un poi, puramente ideale e metafisico, in un prima ed un poi schiettamente temporale e mitologico. La prescienza intellettiva non è il pussesso di fatto di uno stato anteriore | delle anime, ma è il presupposto ideologico dello ‘stato presente delle anime stesse; è la percezione ‘‘inconsciente del Leibnitz, la funzione a priori del \\Kant, l’intuito dell'ente ideale del Rosmini. La ‘prescienza e la reminiscenza, adunque, non sono successive na coetanee: nel senso che la loro di- stinzione è logica e non cronologica, ideale e non empirica: metafisica, ripeto, e non mitologica. (1) Questa, pure, la radice di quel concepimento delle Idee che fornì argomento alla critica sagace di Aristotele; perchè il rapporto tra l’Idea ed il fenomeno assunse, nella mente di Platone, la stes- sa forma empirica e rappresentativa che il rap- porto tra la prescienza e la reminiscenza. L’onto- ! logia era viziata dello 'stesso peccato di origine della gnoseologia: le idee Platoniche erano ipo- i ti stasi concettuali degli stessi fenomeni particolari: \le idee, insomma, erano gli stessi individui con- | cepiti sub specie aeternitatis. | L’ idealismo critico supera questo stato di   (1) GroseRTI—Protologia, I, 158.   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 27   spirito, che ricorre nella storia della filosofia e che può chiamarsi idealismo dogmatico: idealismo dog- matieo, che, logicamente considerato, è una poe- sia sublime in Platone ed è un empirismo anti-\ critico negli altri.   * * *   Tutte le diffidenze, che sono legittimate dagli equivoci dell’idealismo dogmatico del vecchio di- ritto naturale (per tornare al nostro assunto), sono illegittime, adunque, quando si volgano contro Pidealismo critico, quale lo disegniamo noi.  Nè si creda, per altro verso, dai cultori del- l’ ideale, che quell’arido qualificativo di critico spenga l’ardore vivo dell’idealismo, e che la qua- lità uccida il soggetto. Perchè quel critico vuol dinotare non la natura della cosa conosciuta, ma il processo che dobbiamo seguire noi per cono- scerla, e non una legge dell’oggetto, ma una legge del soggetto. Quell’ideale che la filosofia conosce con procedimento critico, è, nella vita, una potenza eminentemente ini L’ideale è causa sui  È così vi accorgete che quei cultori del vec- chio diritto naturale erano non solo empirici, ma, altresì, uomini di poca fede.  I poteri ideologici, se non sono dei poteri pra- tici per sè stanti, sono, senza dubbio, la causa efficiente di tutti i poteri pratici possibili: e non  v'ha diritti umani, a cominciare dai diritti fonda- mentali e scendendo giù giù fino a tutta la serie dei diritti particolari, che da quei poteri ideolo-   TR n ST Le e e n + i in __. Sri e Str: e e ein Fi ada e ia DE   Lusi a è x dr ara CZ ATI inn] LIT   98 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   gici non ripetano la causa e l’origine, il fonda- mento razionale e lo sviluppo storico, la genesi iniziale ed il termine finale.  Quella conversione dell’ ideologia nella vita non v’era bisogno, adunque, che ce la facessero essi, i cultori del diritto naturale, di un tratto solo con la dottrina, quando ad effettuarla dav- vero tende gradatamente la stessa coscienza mo- Tale dell'umanità e la dinamica delle cose. Perchè nell’ordine cosmico, è bene ripeterlo un’altra volta, l’idea si converte necessariamente con la causa e la causa col fine; il principio da cui le cose escono con quello in cui esse vanno a terminare.  * * *  Con che non è detto, per altro, che questa potenza ideale, per essere una forza, s’ immede- simi con quel fiero diritto individuale, con quella autorità dell’uomo isolato o del così detto super- uomo, che-è come il nocciolo di quell’anarchismo . aristocratico di Max Stirner, oggi risollevato e ri- vestito d’ideal forma dal Nietzsche, e che è la moda, lo sport intellettuale di questa fine di secolo.  Perchè il diritto dell’uomo è, per noi, un di- ritto universale dell’ umanità, un diritto che e- sprime e riflette l’unità specifica della natura u- mana: laddove il diritto dell’uomo, per questi a- narchici fin de siècle, è il diritto dell’uomo isolato, dell’uomo empirico, il diritto del loro io individuale, concepito come unico centro delle cose, serrato nella rocca del principio d’individuazione e del- ° egoismo assoluto.   ai - n I . > cgil vi 1 o ; pIeETI gl - - PI CNRS 5  O mule mn n i el pian = 4 (e Lee es |] = IL cene te E —_——_._"EO ALEB=wE pe Ro E | CI e -_ © er   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 99   pa | Eredi del così detto tuismo del Feuerbach, essi : muovono -da una premessa antropologica e sen- | suale, quando noi muoviamo da una premessa Lu metafisica ed ideale. Adoratori della forza, essi ai guardano a questo o a quell'uomo concreto, al- La l’uomo A in commercio coll’uomo B: moi guar- a de diamo all’uomo.—H nostro sospiro è l’uguaglianza, DI è la charitas generis humani, dovechè loro prin- Pert cipio è la selezione brutale ordinata alla fabbrica a voli dell’ Uebermensch, del super-uomo. } CADI E, poichè la teoria loro è il distillato d’un raf- le Và finamento aristocratico della filosofia dell’egoismo uilnat e reca l'impronta d’un processo degenerativo della cultura, essa non ha nemmeno la scusa di rap- presentare una fase, sia pure irrevocabilmente tra- quel scorsa, della coscienza giuridica umana: perchè la sn barbarie e la selvatichezza primitiva ha tale fre- L n schezza di vita vergine e sana da fornire sempre a qualche cosa di meglio di queste creature mo- Li struose di una civiltà degenerata. rei Nelle più basse aggregazioni sociali che ci to A rappresenti l’archeologia giuridica contemporanea, De noi vediamo l’uomo primitivo, il così detto uomo da della natura, aver superato la forza del principio cai d’individuazione, la forza dell’egoismo assoluto; che È senza di che l’aggregazione stessa non sarebbe tura venuta alla luce. ves L’individuo primitivo vede sè non già in sè ni stesso, ma e nei membri della famiglia o della   tribù : ed egli estende a queste ùnità simili a sè quel primo fondamento di garanzia giuridica che reclama per sè: e queste unità egli non le per-   gerroli e del   per gi ret ii it nia a dr Li ie e ig n ir ie ri cati   30 . LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   cepisce come projezioni sue, ma come esseri per sè stanti, come attività coesistenti alla sua.  __ I Darwin, nel suo libro sulla Origine del- l’uomo, illustra una legge della evoluzione giuri- dica, che è, per la filosofia del diritto, una rive- lazione. E la legge è questa: che in ogni gruppo sociale primitivo sono riconosciuti certi diritti fondamentali della persona, ma sono riconosciuti nell’ambito esclusivo del gruppo: così l’assassinio e la violazione della fede giurata sono . goncepiti come crimini, quando commessi tra i membri della stessa tribù; e sono invece permessi, quando non sieno addirittura imposti, fra una tribù ed un’altra (1). |  Questa legge empirica della evoluzione giu- ridica tracciata dal Darwin è feconda di sovrani insegnamenti.  Essa c’insegna che il principio d’ individua- zione è stato domato dai sentimenti simpatici fin nelle prime aggregazioni sub-umane: c’ insegna «che l’ egoismo può essere il prodotto d’ un’ aber- razione filosofica, ma non è stato, rigorosamente parlando, un fenomeno vivente nemmeno nella barbarie primitiva. C’insegna, finalmente, un’altra cosa, sulla quale io non posso non insistere qui, tanto luminosa conferma storica e sperimentale essa reca alla nostra teoria. C’insegna che l’e-- voluzione giuridica non è creazione oggettiva di un primo diritto della persona, ma è piuttosto e-   (1) Darwin — op. cit., ch. IV, p. 845 e segg. Cfr. pure la North ‘British Review, 1867, p. 895 — cit. dal Darwin stesso.   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO dd   stensione ad un numero sempre maggiore di sog- getti di quell’unico ed indistinto diritto dei di- ritti, che è già dato e connaturato nel gruppo so- ciale primitivo, nell’uomo della natura; che è, quindi, non un prodotto dell’ evoluzione, ma un presupposto di essa.  A misura che l’uomo vede sè stesso negli altri, sè stesso nella tribù, nel clan, nello Stato, nella nazione, nell’umanità, a misura che egli va su- perando le suggestioni ingannevoli del principio d’individuazione, egli riconosce sempre più nuovi soggetti di diritti (1): eppure, in tanta evoluzione di cose, l’oggetto primitivo del diritto rimane lo stesso : rimane, cioè, quell’unico diritto dei diritti, che è il centro comune delle circonferenze infinite descrivibili attorno ad esso, che è il primo prin- cipio dell’attribuzione, del riconoscimento dei di- ‘ ritti fondamentali a tutti gli uomini possibili.   *  * * O  Ma il diritto ci si presenta altresì, come di.  cevamo più su, come un sistema di leggi della  coesistenza sociale; leggi positive, formulate ed  imposte dallo Stato e munite di sanzione coattiva.  Verso questo sistema di leggi, la filosofia po- sitiva serba un’attitudine dogmatica.  Come tutte le realtà di fatto, essa le accetta,  risolve nelle cause prossime e legittima @ priori, |;   erede in ciò della intuizione panteistica del mondo, O e i nere em > i si   (1) CattanEo — Del diritto e dell morale (Opere, VI, p. 834).   32 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   come espressione spontanea dell’ideale giuridico del popolo in quel dato momento storico.  Non il dubbio, non il pungolo di quella skepsî feconda, che saggia i fondamenti ultimi delle cose, la stimola a procedere più in là, a domandarsi se quelle leggi abbiano un titolo etico che non sia l’autorità del potere che le emana; se esse sieno, per davvero e necessariamente, una rappreSenta- zione fedele della stessa coscienza sociale o se, nel rifletterla questa coscienza, i poteri positivi : dello Stato non v’'insinuino costantemente un e- lemento soggettivo che la deforma — la loro vo- lontà, la loro passione, il loro interesse egoistico; e se, ammesso pure che esse soddisfino, per av- ventura, i bisogni della coscienza sociale, ossia un momento puramente psicologico dell’ Ethos, si chiariscano conformi, in pari tempo, ala legge di natura ed ai principi dell’ordine morale di ra-   I gione, che segna il momento ontologico dell’ Ethos.   Quel pungolo della critica agita, invece, la filosofia: la quale, al cospetto del diritto positivo, domanda il diritto di quel diritto, e ciò non solo per trarne una spiegazione teoretica, ma, altresì, per inferirne un giudizio pratico: la quale da una sana intuizione del mondo, poggiata sulla stessa esperienza e sulla storia, ha imparato che la legge positiva non coincide necessariamente con le rive- .lazioni storiche della coscienza giuridica dei popoli, come la coscienza sociale non coincide con la co- scienza individuale del legislatore o questa non coincide con quella, come l’embriologia della vita ; non coincide, necessariament» ed attualmente, con }   al tia   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 33   a logica della ragione o con la dinamica del sen- timento: la quale filosofia, dico, le stesse rivelazioni della coscienza giuridica considera come stati di fatto che vanno esaminati in nome del diritto, come fenomeni psicologici che vanno giudicati a norma dei principj ontologici.  Perchè la filosofia è sorretta dal criterio che v’ha un ordine etico di ragione, che segna il prin- cipio di obbligazione doverosa dell’attività pratica dell’uomo o degli uomini uniti in vita comune: ordine morale, che può non coincidere con la coscienza giuridica della società in un dato mo- mento della sua storia, sebbene questa vi si ap- prossimi in parte, e che non è, quindi, un’ intuizio- ne della coscienza individuale o sociale, un fenomeno psicologico o demopsicologico, ma è un principio di ordine ontologico, ossia una verità conosciuta per virtù di una riflessione razionale sulla destinazione e sulla natura dell’uomo e sulla stessa sovrana finalità dell’universo.  Dico dell’universo, perchè il diritto e l’ordine giuridico non possonò essere penetrati nella loro es-, senza che quando si contemplino nel nesso intimo che liflega con l’ordine universale del mondo. ..  L’etica è un elemento organico della cosmo- : logia, ed una verità profonda ci dice che, come ‘ nell'ordine naturale vi è una necessità naturale e nell’ ordine psicologico una ‘necessità psico- logica, così nell’ordine etico vi è una necessità morale: tutte espressioni analitiche dell’unica ne- cessità, che governa l’universo e la sintesi cosmica.  La natura morale dell’uomo ha i suoi rapporti  I. Petrone. — Problemi del mondo morale. 3   34 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   universali e necessari, come li ha la natura di tutte le cose. (1) Espressione di questi rapporti necessari è la legge morale, la quale è, quindi, legge di necessità: legge, che trascende le condizioni del tempo edello spazio, e tale che la rappresentazione fenomenica può dare sprone a specularla, ma che non è, non può essere oggetto dell’esperienza.  Negare la necessità dell'ordine morale e giu- ridico è negare i rapporti necessari della natura umana, è trasferire nell’ordine giuridico quell’ar- bitrium indifferentiae che si vuole escluso dal do- minio psicologico ed empirico della volontà. Ne- gare il diritto naturale in questo senso è tatt’uno che affermare che tutte le leggi sono indifferenti di fronte alla Legge, che tutti i fatti sono indif- ferenti di fronte al diritto: è tutt'uno che affer- “mare che la natura morale dell’uomo è indifferente a che si uccida o si rispetti la vita del proprio simile, a che si violi la fede giurata o la si osservi, a che si faccia una cosa, insomma, o si faccia il rovescio della cosa. Negare il diritto naturale è negare il principio di contraddizione nell’ordine giuridico.  Negare questo diritto naturale, solo perchè non lo sì vede coincidere sempre col diritto positivo o con la storia dei diritti positivi, è negare l’idea solo perchè non è un fatto, è negare la verità di   (1) Il diritto naturale come scienza, ossia il diritto naturale fondato sui rapporti necessari ed universali della natura, fu il grande concepimento del più profondo dei nostri filosofi del diritto, del Romagnosi — V. Della scienza del diritto naturale — Assunto primo.   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 35   ragione solo perchè non è fenomeno di esperienza, è negare una cosa solo perchè non è un’altra cosa.  Negare la necessità morale della legge, solo perchè la coscienza umana non sempre dà mostra di conoscerla, anzi per secoli e millennî la sconosce o la conosce in un senso che non è il vero, è negare la natura solo perchè il soggetto è spesso inetto a comprendere la natura, è convertire un fenomeno della conoscenza soggettiva nella realtà del mondo oggettivo, è proiettare al di fuori un difetto del di dentro: ed è lo stesso che dire, in una parola: il diritto non esiste in sè, perchè non sempre esiste in noi; il diritto naturale non è diritto naturale, perchè non è un diritto positivo. Negare la necessità morale, solo perchè si esperimenta che gli uomini la violano, è negare la necessità morale solo perchè non è, nello stretto senso della parola, una necessità naturale. .  « La gravitazione universale è una legge, così . gli avversari, perchè è, altresì, un fatto indefettibile ? del mondo sidereo: la vostra pretesa legge non è : - legge, perchè non è un fatto dell’ordine giuridico. » /   è f 4   E così si dimentica che la differenza specifica N non estingue la comunanza generica: ed il signi- ficato complesso della necessità e causalità delle cose si restringe nella necessità speciale della natura materiale.  Si dimentica che la necessità morale, per essere suù generîs, non cessa di essere necessità; che la libertà umana può porre una data azione più che un’altra, ma, postala, non può impedire che il valore etico di quell’azione sia quello che deve essere in   dI   36 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   virtù dei rapporti necessari dell’ordine morale. Così l’uomo può uccidere (pur troppo, ed in via di fatto) il suo simile, ma non può impedire che quella uccisione sia un delitto. La sua azione è indifferente, come fatto bruto. È una goccia di ac- qua distillata senza sapore. Ma, quando volete esa- minarla in smapporto all’ordine etico, quella indiffe- renza scompare, travolta nel determinismo ogget- tivo dei fini dell’universo.  La necessità morale e piavidica è necessità ri- vulsiva e non attiva, dî sanzione e non di posizione, rispetto alla coscienza ed alla volontà umana, ma è sempre una necessità : e dove la necessità natu- rale è necessità di fatto, essa è necessità di diritto. L’una e l’altra sono, a parità di grado, riflessi di   quella necessità cosmica universale, la quale dif- ferenzia la virtualità sua a seconda dei mondi nei   : quali opera, e nel mondo della natura è necessità : di natura e nel mondo della coscienza è necessità   _   di ragione.   * * *  V’ha, adunque, nel senso scientifico della paro- la, un diritto naturale, ossia una legge dell’ordine giuridico razionale.  Principio conoscitivo di questa legge è la ra- gione umana: cioè a dire, non la coscienza empirica degl’individui o dei popoli, ma quella facoltà uni- versale del vero, che è il saldo fondamento della unità intellettuale degli uomini; che non è un momento psicologico di questo o quell’uomo, ma il momento ideologico comune della natura umana.   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 37   Principio oggettivo di quella legge è la de-) stinazione morale dell’ umanità: è quell’ appaga-: mento etico, che è l’unità del giusto e dell’ utile, del dovere e del piacere, del purismo e dell’eude- monismo, del diritto dell’individuo come del be- nessere del corpo collettivo; che è, insomma, il principio unico, il quale compone in una sintesi suprema tutte le analisi e le contraddizioni della fenomenologia della coscienza.   . Negare questo diritto naturale è precludersi l’adito a spiegare e legittimare lo stesso diritto /   positivo; perchè le cose si riconoscono solo al lu- me delle idee, i fatti si legittimano e si giudi- cano solo al lume del diritto, e le leggi sono con- cepibili' solo în funzione della legge.   Una legge positiva senza un diritto naturale è ‘ un fatto senza presupposti: è il termine casuale di una serie casuale essa pure, un termine primitivo che si scopre per termine derivato, un nuovo ex. abrupto, un salto mortale, un hiatus dell’esperienza. ©   Una legge positiva, che non invoca come suo titolo il diritto, è una legge che invoca come suo titolo la forza; un fatto cieco ed una forza bruta; cioè una legge che non è legge, ma prepotenza ed arbitrio.   * * *   La necessità di un presupposto ideologico del diritto positivo è attestata, con l’esempio loro, an- che dagli avversari del diritto naturale.  La scuola storica, dopo tanto disdegno contro ì pretesi sognatori di un diritti di natura, sentì   »   , - & n + 1» ARESE LI -4 ; ><: i (È Da E f. i E è Ì i » 7 È ù 1 x sa di e z x € nm» >4 23 I de #1 .. x - ;f . f- SANARE EE € (Foa bi ul “4 i 4 LI “» se di Fit 4 Sa 4, 1 TY PA x at a e Pi È sa Ca pl * ò 4 PRIA : À SA si sÌ » ve ip # È: 3 2 na Lo] * { vu si vl * & 4 tì bo. po | > ia ! gita n 1 * S- & DI È î " N xi L IN ni à a . ta » L 2 AR: LRFPA ‘ | Ch hr 2° | sh      38 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   anch'essa il bisogno di postulare un diritto pri- mitivo e fondamentale che precede la legge e la legittima. È il diritto consuetudinario, presuppo- sto, nel tempo stesso, dal Savigny e dal Puchta, per iniziare la serie causale delle leggi, per fon- dare la comunanza naturale dei diritti dei popoli, per escludere l’ipotesi del caso dall’ ambito della evoluzione giuridica. (1)  Anch’ essi, adunque, al cospetto della legge, provarono l’esigenza d’indagare il diritto di quella legge; anch'essi la logica delle cose trasse a pre- supporre un diritto primitivo, causa originaria dei diritti derivati. E la sola differenza tra essi e noi è che essi sono empirici e noi metafisici; che essi concepirono quel diritto fondamentale come ter- mine primitivo per ordine di tempo, e noi, invece, lo concepiamo come termine primitivo per ordine . di natura. si Cosicchè i cultori della scuola storica caddero «nello stesso errore ideologico e metodologico dei cultori del diritto naturale; l’ errore d’ invertire quello che è primo per natura in quello che è primo per tempo; e gli uni rapportarono il diritto naturale al preteso stato di natura e gli altri il diritto consuetudinario ad un preteso stato pri- nitivo della pretesa coscienza popolare. La mito- {logia dello stato di natura e del contratto sociale ‘equivale esattamente alla mitologia del costume \ primitivo e dello spirito popolare.   (1) Veggasi sopratutto: Saviany, System des romischen Rechts, I Bd. pgf. 7 S. 14 15 e pgf. 15 S. 52. — Pucuta, Vorlesungen tber d. heutige ròm. Recht, I Bd. 1 B. 1 Cap. pgf. 11.—Id., Pandekten, I Bd, I Cap., pgf. 11 e sege.   r i   Ù DATORE mA ro a ] to ; . SET, Uh ' mio i Ì » i 4‘ A +.   Spe <BR   ra   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 39   LA.   Epperò il rimprovero di rievocare il diritto naturale tocca non a noi ma ad essi, ai cultori della scuola storica, dico. |  L’idealismo critico ha superato lo stato di spirito in cui le rappresentazioni mitologiche ten-.   RA vasi I + Uta» ì i   cava AE   gono luogo di principî ideali. Esso non è più mi-) ca   tologia razionalistica o preistorica, è metafisica; cioè a dire, non è più fantasia, ma scienza. Tuttavia non mancheranno di quelli che ci tacceranno di postumi o tardivi discepoli del di- ritto naturale dell’Aufklirung e della rivoluzione. | E per una ragione analoga, che è poggiata anche #7 essa sopra un malinteso ed un equivoco. Quel diritto naturale, appunto perchè tra- mezza tra la mitologia e l’empirismo, è diritto naturale che, viceversa poi, è una vera e propria giurisprudenza; è diritto naturale, che regola ana- liticamente tutti i casi della . fenomenologia giu- 5   ridica costruita @ priori; un diritto naturale, in- “i   ‘ somma, che si afferma e si atteggia come diritto   positivo. Esso non si fermava a speculare le mas-: ni sime ed i principî, ma speculava, ad un tempo,   l’applicazione di quelle massime e di quei prin-;   cipî ai casi concreti, casi concreti, che non erano! cena poi che casì astratti, cioè a dire una serie di ca- Fa tegorie logiche, astratte dal mondo fenomenico,; e   per dato e fatto di quella dialettica autocreativa; della ragione, che fu analizzata, con tanta potenza:   i era À   di acume, da Federico Stahl. (1) | O   (1) V. in proposito, per più ampi sviluppi, i nostro libro già   citato a p. 224 e segg. S. i   al sro ngi è.   1,15 aepogp mo - du LE)   ale   La 3   + Y 4 4 ad tore de A a   A di é ne di 4 ’ 4 e   i del   «   PANI   1%   ni: da a  +  TRS. ce   - ; . du   ra “i ‘ae ‘ -   N - ® lesi rs   40) LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   Di qui tutti gli errori dell’indirizzo raziona- listico ; di qui le diffilenze aperte contro chiun- que, per aver rievocato il nome o, per dir meglio, l’esigenza, pare aver rievocato, altresì, la cosa, ossia il contenuto.  Ma è evidente che quel diritto naturale non è il nostro: e che immedesimare l’uno con l’altro è tutt'uno che immedesimare quello che è empi- rico con quello che è raziunale, e l’idealismo dog-  \ matico con l’idealismo critico. Non è il nostro, perchè noi speculiamo le   =iiana tea   \   la vita; perchè il nostro diritto naturale vuole essere, anzitutto e soprattutto, un diritto naturale e non un diritto positivo; perchè per noi l’impe- rativo categorico della giustizia si differenzia in imperativi ipotetici di mano in mano che più si profonda nella fenomenologia della vita reale; perchè, insomma, il nostro diritto naturale integra ‘’ e legittima il diritto positivo, e non lo sostituisce. À Noi sappiamo che la natura pone i principî ‘e non cura i dettagli, l’esame dei quali lascia vo- lentieri all’arbitrio umano. Fu detto che essa con- i serva la specie e non gl’individui; e questa ve- “rità viene in acconcio così nell’ordine cosmologico come nell’ordine ideologico. Essa si occupa degli ' «“«universali, e le varietà e le contingenze indivi- ‘duali confida, senza gelose pretese, alla storia.   * * *   Il diritto naturale, concepito a questa guisa, può essere oggetto di negazione e di ripulse, solo   AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 41   da parte di quelli che si trovano in uno stato di coscienza che non è, che non può essere il nostro, che non è la coscienza moderna. * Nei periodi primitivi dell’ evoluzione delle so- . cietà umane domina un beato ed inconsapevole panteismo sociale, per cui le coscienze singole sono come compenetrate in un centro sensoriale comune, e questa intima solidarietà spirituale del- l’individuo con la società e con lo Stato non è ancora perturbata e scossa dalla riflessione indi- . viduale o dalla crisi della coscienza. In questi. periodi, il ddalismo del diritto naturale e del di- ritto positivo non nasce ed è inconcepibile che . nasca. È Nel mondo classico, in cui si profila serena. l’euritmia delle iacoltà umane, il dualismo del di- ritto naturale e del diritto positivo, nasce, bensì, come ultima stilla di amaro spremutavi della ri- flessione filosofica, ma vi è tosto sopito da quel- l’armonia del di dentro e del di fuori, che fu V’i- deale di quelle generazioni nelle fasi migliori . della loro vita. n Ma.nel mondo cristiano, ma nel mondo mo- derno, che segna la lotta tenace e divina dello spirito contro la natura, ed in seno al quale quella placida ed arida tregua del di dentro col di fuori è infranta per sempre, in questo mondo, o Si- gnori, che è il nostro, il dualismo del diritto na- turale e del diritto positivo, quando non fosse una verità della ragione, sarebbe, senza dubbio, uno stato prepotente ed irresistibile della co- scienza. Perchè la nostra volontà non può più ac-   492 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   quietarsi agli oggetti immediati dell’esperieuza, e questi non soddisfano quella indigenza dell’in- . finito che assiduamente la urge: perchè i nostri sentimenti non si proporzionano alle nostre fa- coltà, e la nostra attività è superiore alle nostre forze, ed i nostri desiderî sono superiori al nostro   , OBSere.   Il diritto positivo non può appagare la nostra bisognevolezza dell’ideale del diritto, non può spegnere la nostra sete di giustizia: come la forma non può assolvere la forza infinita dell’idea. Noi siamo creature circoscritte, rigorosamente circo- scritte ad una data orbita, eppure v ha in noi una cusa che ci trae e ci slancia di continuo fuori di quell’orbita; onde il nostro essere è in sforzo continuo verso un di là da esso, e vibra costantemente dentro di noi un anelito verso qualche cosa che è sopra di noi.  E, quand’anche per una metamorfosi, per una triste metamorfosi della coscienza, questo anelito dell’infinito si assopisse dentro di noi, e l’ideale del diritto non più avvivasse di sè lo spirito nostro, resosi impotente a sentirne il soffio divino, eb- bene, o Signori, nemmeno allora quell’ideale sa- rebbe spento. Perchè dalla radice stessa del reale voi sentireste, allora, levarsi un grido di dolore, il grido accusatore della manchevolezza e del vuoto; ed in difesa dell’ideale reietto, quando la voce dell’uomo fosse muta, parlerebbe la voce stessa, la voce arcana e sublime, delle cose; ed il diritto naturale voi lo sentireste vibrare nel fondo stesso del diritto positivo, in quello sforzo interno      AL LUME DELL'IDEALISMO CRITICO 43   ehe lo agita e lo trae a redimersi dalle catene della forza e della legalità e dell’arbitrio, ed a li- brarsi sempre più in alto: come se anch’esso, a guisa di tutte le creature, secondo la concezione luminosa dell’apostolo, gemesse nelle doglie di una gestazione interiore ed anelasse alla sua li- berazione.   * * *   Con la teoria del diritto naturale, ossia della legge dell’ordine morale di ragione, la filosofia ha tocca la sua meta, quella di fornirci un’analisi dei primi principî della fenomemologia. — ©  Analisi, che non è sterile e superflua specu- lazione razionale, perchè da essa nuova luce si deriva sulla stessa fenomenologia. Perchè la filo-\ sofia ha un processo circolare: essa prende le ) mosse dal mondo dell’esperienza; si spinge in su : sino alla ricerca dei primi principî ontologici; e di lì ridiscende e ritorna allo stesso mondo della esperienza. |  Ritorna, ma ricca di forze nuove acquisite nel duro lavorìo dell’indagine metafisica ; ritorna ad esplorare le profondità nascoste di quello stesso mondo della esperienza, che è così fatto che si porge come enigma indecifrabile all’intelletto em- pirico e confida solo i suoi più reconditi segreti | alla ragione, educata a speculare i supremi perchè delle cose. (1)   (1) PLATONE, Rep., p. VII c. v.   44 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO   Perchè, nell’economia dell’universo, le cose tutte sono unite come da una trama invisibile ed ascosa : e l’esperienza appella alla speculazione e  ‘;la storia alla logica e la conoscenza dei fatti alla  j ! conoscenza delle idee e viceversa!  > Stolto, invero, chi irride alla filosofia in nome dell’esperienza e perpetua un dissidio, che è il su- premo di quegl’inganni della rappresentazione fe- nomenica che l’idealismo critico disvela ! Stolto, soprattutto, chi trasferisce nel mondo oggettivo delle cose l’analisi e l’antitesi e le contraddizioni della rappresentazione fenomenica!  Esaminate con discernimento critico l'economia dell’universo ed affrontate il problema della co- noscenza, e voi vedrete che i rapporti reali non s’intendono che per la iucs che deriva su essi la visione dei rapporti ideali. Così, i rapporti della forza s’intendono solo in funzione negativa dei rapporti del diritto. Così, la dinamica della vita voi la spiegate a voi stessi, solo in rapporto a quella logica della ragione che possedevate ante- cedentemente alla esperienza della vita. Così, quello che è relativo s’intende solo per intuito di quello che è assoluto.  _.-«. La filosofia del diritto non è, soltanto, un’a- nalisi dei primi principî: ciò è vero. | Essa è, altresì, una intuizione del mondo nel senso sperimentale della parola, cioè a dire una comprensione scientifica così della fenomenologia della coscienza giuridica, come della storia’ della  . evoluzione giuridica; ma essa è una intuizione positiva del mondo giuridico, solo perchè è stata   er TE      AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 45   una visione dei principî ideali, solo perchè è stata un’analisi dei primi principî.  Come Pigmalione la sua statua, la filosofia vede animarsi dinnanzi a sè il mondo della espe- rienza: animarsi di una forza che non è una proiezione della filosofia, che è fremito e vibra- zione vitale della esperienza stessa.  È il solo premio che la filosofia si aspetta dalle sue fatiche ed è, ad un tempo, la sola ri-   sposta che essa dà ai suoi detrattori. Ai quali\ essa può dire di aver superate le apparenze della : rappresentazione fenomenica non per eludere il’ mondo oggettivo, ma per comprenderlo: com-   prenderlo in quello che esso è ed in quello che vuole essere, e nel suo stato come nel suo pro- cesso : comprenderlo, soprattutto, nello sforzo in- terno che lo agita in una gestazione laboriosa e feconda dell’ideale.   H   }      IL VALORE ED I LIMITI DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE (')   Il problema teorico di una genesi psicologica dei sentimenti e delle idee morali riassume le e- sigenze più intime del presente momento storico della filosofia. La ricerca di una psicogenesi della morale è il dettato naturale del metodo e del cri- terio storico-genetico e risponde alla forme d’esprit resasi universalmente prevalente ai dì nostri.  Una vera e propria psicogenesi della morale, nell’accezione storico-empirica del tema, difetta, in vero, nelle forme e nei concepimenti della fi- losofia classica.  La così detta origine delle idee non è, pro- priamente e rigorosamente parlando, una ricerca psicogenetica. La origine, nel concepimento me- tafisico del termine, è ideale e non cronologica, dialettica e non genetica, logica 0, se si vuole, ideologica e non storica. L’innatismo e l’intuizio- nismo, che sono la soluzione comune che la filosofia   (1) Pubblicato nella Rivista Italiana di Filosofia, Settembre- Ottobre 1896.   48 IL VALORE ED I LIMITI   dello spiritualismo ci porge del problema dell’o- rigine, sono una riprova di quanto io dico. L’inna- tismo segna un a priori della storia e della feno- menologia della coscienza, ma un a prioriì che è fuori e sopra la storia, un a priori ideale, dialet- tico, metafisico: esso non esprime un rapporto di tempo o di una durazione successiva di termini, ma un rapporto, a seconda dei casi, di sostanza o di causa: sia la sostanza attiva o la sostanza inerte, sia la causa logica o la causa dialettica, si poggi, insomma, sulla filosofia dell’essere o su quella del divenire. Il problema dell’ origine delle idee, che af- fatica alcune forme della filosofia classica e tradi - . zionale, non è, adunque, un problema psico-gene- tico. Forse e senza forse, esso non è neanche, rigorosamente e filosoficamente parlando, un pro- ‘ blema psicologico. L’idea, di cui si conghiettura 0 si ricostruisce l’origine o l’apparizione o _ la ri- velazione cosciente, è oggettiva e non soggettiva, ontologica e non psicologica. È um’ apparizione allo spirito, o meglio alla coscienza umana, di un quid che sta al di fuori ed ha valore oggettivo per sè stante, anzichè un processo di produzione o di rivelazione interna che lo spirito faccia di sè a sè stesso. Il problema, così appreso, dell’ ori- ( gine dell’ idea, è un problema ideologico e non psicologico : un problema che studia il rapporto idella coscienza ad una sostanza estranea ad essa, più che le forme ed i procedimenti interni della coscienza stessa. Il processo della psicogenesi delle idee mo-   ‘4   »   LI vr è .... du .   ca dd GA 4°   ® MatiCÀ .   n AO drei LE   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 49   "È x   rali è fuori, anche, dalle forme e dai concepimenti della filosofia Kantiana. La critica della cono- scenza intende alla ricerca di un «a priori logico l e formale e, nel tempo stesso, subiettivo dei pro- ae cessi dell’esperienza : il che vuol dire che dibatte ( et i un problema psicologico e non già un problema ai psicogenetico. Quell’a priori, appunto perchè ha na- è gi a ee tura di categoria logica e formale, è ben altro che ca un antecedente storico e fenomenico. È un prius è de: ideale e non un prius cronologico : e di esso è i oa È concepibile una genesi metafisica o una causalità ed e dialettica interiore, e punto una genesi empirica n dui e storica. La conversione o la inversione della ' ‘ "quid psicologia nella psicogenia è opera innovativa de-._ -- . ; gl’indirizzi neo-Kantiani, non è espressione conse-,; \ MI: guente e fedele del Kantismo puro. Ed aggiungi che, se la critica della ragion pura ,  ha indole e natura di ricerca psicologica, la critica/ + ì della ragione pratica di tale indole e natura piena- 7 mente difetta. Una psicologia morale, propriamente | x detta, è inconciliabile con la rigida natura delle con- ua dizioni o dei presupposti della moralità, fissati dal Kant. Precipua di quelle condizioni è la consa- ; pevolezza dell’agente : consapevolezza riflessa, me- tg © ditata e deliberata, di una massima o di una forma ù PERSE d’imperativo. Ora, un a priori psicologico o un’atti- | ce vità o una predisposizione etica irriflessa, la quale È si dissimuli nel fondo inesplorato della psiche, è,. | RO i rigorosamonte parlando, un limite di quella con- sig 0 sapevolezza. L’a priori psicologico è, di sua na-'! n tura, inconsciente. Se, per avventura, fosse co- sd È i sciente, îl principio di continuità ed il principio “Lu  I. Petrone. — Problemi del mondo morale. 4 ci   i F|   , ne   e A LL   MPI Srl   ‘ t4 LS,   50 I IL VALORE ED I LIMITI.   di causalità. domanderebbero la condizione ed il presupposto di siffatta coscienza: perchè le for- me della consapevolezza sono a posteriori e de- rivate per chi non invochi il processo all’infinito. Ecco un insegnamento sovrano, dettato dalla fi- losofia del Leibnitz, a cui non scemerà valore il sofisma o la dialettica degli avversari (1).  E perchè inconsciente, un a priori psicologico delle idee morali si traduce, secondo la logica del pensiero Kantiano, in un motivo anti-etico, in   ‘un motivo empirico, che non può essere un fat-   _.   . +   tore della morale e che va, anzi, eliso e rimosso, perchè una morale propriamente vi sia. La filo- sofia Kantiana, la quale nel rispetto gnoseologico intende a sistemare l’ oggettività dell’ esperienza, nel rispetto etico si traduce nella elisione rigorosa dell’esperienza stessa. Questo è, appunto, il segreto del suo purismo normativo: questo, altresì, il segreto del difetto assoluto di una psicologia morale, rigo- rosamente intesa, nell’etica Kantiana. La tendenza o il motivo psicologico non può essere oggetto legittimo di studio per una filosofia, che esclude a priori il valore etico di ogni motivo soggettivo, condizionale, empirico.  Il formalismo puro rende, del resto, inconce- pibile una psicologia della morale. Per natura di cose, questa non è, non può essere mai formale,   (1)... Non è possibile in modo alcuno che noi riflettiamo sempre espressamente su tutti i nostri pensieri: altramente lo spirito fa- rebbe riflessione sopra ciascuna sua riflessione all’infinito, senza poter mai pervenire a qualche nuovo pensiero (LEIBNITZ, Nouveaue Essaîs, livre II, ch. I.)   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 51   DA by * VERO visi   = <   ma ha un contenuto o si sforza verso un conte- nuto quale che sia. Dire « psicologia della Mo- rale » è dire tendenza, desiderio, appetizione, espan- sione, sforzo : ed è postulare un termine di quella tendenza, di quel desiderio, di quello sforzo. La stessa arida distinzione della materia e della forma è conce- pibile nella logica della ragione e non nella di- 3, namica della vita. La morale non è categoria di si pensiero, ma generazione ed azione : questa em- briologia sintetica del sentimento e della vita è irriducibile all’analisi logica del raziocinio.  Delle forme più moderne della filosofia tra- dizionale, la scuola scozzese è quella, forse, che, per indole particolare, parrebbe meno aliena dal «concepimento di una psico-genesi della morale. Il significato che quella scuola, esplicitamente o me- no, annette al termine idea, non è quello annessovi dalle forme pure del)a filosofia classica. La scuola : scozzese è empirica e non metafisica, fenomeni- stica e non sostanzialistica, psicologica e non on- tologica. Codesti caratteri spiegano i successi e le   Ain   0 li Ì È »   (VAIL   __   n   I   simpatie, appunto, che essa destò in quella forma oo   snervata e fiacca di spiritualismo che è l’eccletismo  francese del secolo XIX. Le sue idee o intuizioni ) morali non sono le idee del platonismo, nè quelle / delle forme svariate dell’ ideologia classica. Sono produzioni soggettive coscienti ed attuali, sono.» rivelazioni semplicistiche dell’ esperienza interiore, } o sono suggestioni riflesse della coscienza morale   empirica degl’individui e delle generazioni, alle È quali suggestioni si attribuisce, per difetto di di- di scernimento critico, una portata universale, tra- .   4   ba DI   52 IL VALORE ED I LIMITI   ducendole sub specie aeternitatis. Precisamente questo suo psicologismo empirico potrebbe appa- rire come un accenno alla psicogenesi della mo- rale, se la psicologia non dovesse essere anche qui nettamente distinta dalla psicogenia.  All’ingenuo dogmatismo empirico della scuola scozzese è del tutto ignota quella scepsi morale, che è il presupposto naturale della psicogenesi. Essa non dubita della perennità di esistenza delle intuizioni morali, e non concepisce la possibilità di ricercarne la genesi storica nelle forme e nei processi della coscienza, appunto perchè le reputa coeterne alla coscienza stessa. Il suo innatismo segna l’esclusione a priori della legittimità del problema delle origini. E, perchè dogmatica ed empirica, essa è aliena, più delle forme pure della i (2A classica, dal concepimento di una psico- \\genesi della morale.  Le forme svariate del platonismo, ad es., le quali hanno sperimentato la scepsi morale e l’han- no superata, riconoscono un elemento immutabile nelle ideazioni e nelle volizioni morali; riconosco- no, nel senso classico della parola, l’ idea, che è sopra le condizioni empiriche del tempo e dello spazio; ma riconoscono, in pari tempo, il momento storico del divenire nel processo di quelle idea- zioni e di quelle volizioni. Nelle sue forme più colte e più raffinate ‘il platonismo non è vuota ideologia, nel senso dispregiativo della parola, nè trasferisce in categorie concettuali ed astratte i fenomeni ed i dati dell’esperienza e del momento.  Esso segna, inveee, un esatto e profondo di-   E;   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 53   scernimento critico dei rapporti e dei limiti reci- proci dell’essere e del divenire, delle idee incon- dizionalìi e delle condizioni empiriche del tempo e dello spazio, del criterio speculativo e del cri- terio storico. Esso riconosce la vita del divenire appunto perchè non sente bisogno di trasferirlo concettualmente al di fuori e di convertirlo in un essere ideologico e vuoto. E, perchè non astrae empiricamente (1) le forme dell’essere da quelle del divenire, esso è in grado di riconoscere del pari la purità dell’uno e quella dell’altro.   * * *  La psicogenesi della morale presuppone, come dicevo poc'anzi, una condizione sine qua non: pre- suppone la scepsi. Essa non è concepibile che dal pensiero critico, nel quale la fede primitiva nel- l’originarietà dei sentimenti o delle ideazioni mo- rali sia stata scossa dal pungolo del dubbio.   11 problema psico-genetico nasce solo quando: i sentimenti o le idee sono concepiti come acqui-   sizioni della coscienza morale. L’innatismo, invero, esclude la nozione dell’origine empirica nell’ordine del tempo: esclude la discontinuità del divenire e l’hjatus della storia e, quindi, la genesi ed il nascimento. Per esso, le intuizioni morali sono coeve al soggetto morale, non nascono in questo o quel momento della vita di quel soggetto,      (1) L’astrazione è un processo empirico, è un processo di og- gettivazione dei dati dell’esperienza.   _ CsA   spa BL La ss h..*   Mi.   N)   A L)   Li 200 - f di tese 4° a   ce 9 .   » ci “-   to ga e   I "TIZI   Presiiai   54 ‘IL VALORE LD I LIMITI   perchè preesistono del pari nei momenti anteriori. E, propriamente parlando, nella psicologia dell’in- natismo, la vita del soggetto morale non è divisa in due stati e, sarei per dire, in due stagioni di tempo, nell’una delle quali i sentimenti e le idee morali non esistano punto e nell’altra quelli e queste nascano d’un tratto solo. La vita morale del soggetto, per l’innatismo, è uno stato: e la nozione dello sfato esclude quella della genesi e del processo.  Occorre, adunque, che la coscienza morale sia appresa come un processo di genesi e di acqui- sizione, perchè il problema della psicogenesi nasca, come ricerca storico-psicologica delle fasi e delle vicende interiori di quell’acquisizione. |  Di qui, ancora, un’altra condizione. ‘Occorre che dal pungolo del dubbio sia scossa anche la fede nella semplicità dei sentimenti o delle idee mo- rali; e che queste sieno concepite come processi di composizione e di combinazione di altri ele- menti. La semplicità delle idee morali è il dettato naturale dell’innatismo. Se le idee non fossero semplici, esse dovrebbero essere composte: l’ana- lisi svelerebbe, adunque, che esse non sono più innate, che esse hanno avuto una genesi in questo o quel momento del tempo, la qual genesi verrebbe a coincidere col processo stesso della composizione e della combinazione. Le idee morali non sono più originarie, quando sieno decomponibili in elementi irriducibili, i quali sono originari a più buon di- ritto delle idee stesse. L’esperienza cruciale, che assoggetta la semplicità metafisica al corrosivo   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 55   dell’analisi empirica ed alla categoria della quan- tità, è condizione indispensabile, perchè le idee morali vengano sottoposte alla legge del tempo ed al hjatus della storia.   * * *   Se sono queste le condizioni a priori di una psicogenesi della morale, è facile vedere come quella si affermi, per la prima volta, nella storia della filosofia moderna, e con la psicologia del- l’associazione. La psicologia associazionistica, in ef- fetti, presenta ambo quelle condizioni ad una volta. La coscienza morale, per essa, è acquisita e non originaria, è composta e non è semplice, è de- dotta e non primitiva. La coscienza morale non è fattore e non è ipostasi: è prodotto di elementi semplici combinati tra loro, è la somma totale di più sentimenti elementari. Legge di tale combi- nazione è appunto l’associazione, l’attrazione del- l’Hume, la gravitazione dei fenomeni psichici del- l’Hartley. Le facoltà dell'anima sono spiegate da questa teoria con la composizione dei sentimenti e dei modi di coscienza. E la funzione sintetica della coscienza — ultimo asilo che il criticismo porgeva alla metafisica sopravvivente — non è, a sua volta, che una collezione di fatti interni u- niti tra loro da rapporti di successione e di sin- cronismo.  L’acquisto della coscienza morale o del mora! sense or feeling o dell’idea of duty ha bensì, per essa, il carattere della necessità e dell’universalità, ed in   Hr.   su   lALINIST, Alli Lele al   dun ci <>      de   56 IL VALORE ED I LIMITI   questo senso può dirsi che il dogmatico etico dei risultati subentri alla scepsi del principio. La fun- zione derivata e composta della coscienza morale non elide, in massima, il valore oggettivo della obbligazione morale. Se non che, questa forma di necessità e di universalità non è più la necessità e   universalità dell’ ideologia e della metafisica,   ma è puro fenomeno di percezione psicologica, puro abito di illusione ottica interna: è neces- sità ed universalità, non da natura o da ra-   , gione, ma da abitudine interna, ossia da associa-   zione. Le idee morali dell’ associazionismo sono, come le sue percezioni teoretiche, dei fenomeni   . di allucinazione psicologica: solo, che queste per-   cezioni sono delle allucinazioni vere e, del pari,   quelle idee sono delle allucinazioni utili.   La necessità e l’universalità delle idee è ap- presa come il prodotto precipuo dell’efficacia tra- sformatrice, che sui primi elementi e suì primi modi di coscienza esercita. l'associazione. Nell’as- sociazione, infatti, una sorta di alchimia. miste- riosa fa sì che le unità elementari quantitative si moltiplichino, non si sommino semplicemente. Il prodotto complesso è da più che 1’ addizione dei singoli elementi: e quel da più non segue da un accrescimento-l’indole qualitativa, ma è puro frutto e. residuo dell’ aggregazione quantitativa degli elementi stessi. È emergente e non risul- tante: emerge, cioè, da essi come nuovo feno- meno. Come la vita, per il materialista, nasce dalla pura composizione meccanica degli elementi BRICO o, così la coscienza morale, per l’asso-   Dl UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 07   ciazionista, nasce dalla pura composizione mecca- nica degl’impulsi egoistici o delle forme primitive dell’irritabilità psichica. Un sentimento morale pri- migenio, per quest’ ultimo, è come la forza vi- tale per il primo: l’innatismo etico è valutato alla stessa stregua del vitalismo fisiologico. Gl’impulsi primitivi sono, adunque, egoistici: ed è l’abitudine che, consolidandoli, li trasforma in motivi etici e converte e tragitta l’egoismo nel- l’altruismo, Come l’allucinazione della spontaneità primitiva dell’atto psichico nasce dall’obliterarsi dei modi passivi dell’essere e della funzione de- rivata e dedotta dell’atto stesso, così l’allucina- zione della originarietà del sentimento e delle i-   )   i   deazioni morali nasce dall’obliterarsi delle loro o- rigini e dall’abito di convertire in ipostasi con-   cettuali le esperienze psichiche del momento. Non si è, 0 non si comincia ad essere morali per virtù intima ed innata di esserlo. Si comincia incon- sciamente a compiere un'azione, la quale nei gradi futuri della coscienza sarà valutata come azione morale, pel solo fatto che quell’azione coincide, per accidente, con l’impulso edonistico della con- servazione del proprio individuo. Quell’azione non è, adunque, voluta per sè, per un suo preteso va- lore oggettivo, ma è voluta per un altro: essa è mezzo, non fine; è modo, non termine ed oggetto. Senonchè, quell’esperienza accidentale della coincidenza dell’egoismo con l’azione morale si - reitera e si ripete per effetto del consenso , che lega nell’ordine esteriore gli Sgolsmi e le attività reciproche degli esseri.   58 IL VALORE ED I LIMITI   L’ associazione psicologica dell'impulso del proprio benessere con il risultato prevedibile di certe date azioni morali si consolida vieppiù, di guisa che )’una cosa richiama l’altra, per quella legge di riproduzione, per cui i fatti psichici fre- quentemente congiunti tra di loro si aggruppano e si associano in modo da seguire infallibilmente l’uno all’altro e da diventare indissolubili nella trama della coscienza. Per virtù di tale indisso- lubilità psicologica, le formazioni intellettive, come le formazioni emozionali e volitive, presentano una unione cesì salda ed una penetrazione o una compenetrazione reciproca sì intima, da fondersi in una sola e da formare un aggregato mentale che sembra non meno semplice dei suoi compo- nenti. Per virtù di tale indissolubilità, la serie delle azioni morali anzidette forma come una vo- lizione sola con l’impulso egoistico. Il consolida- mento progressivo di questi due modi di coscienza . ha virtù di fonderli in un solo: l’idea of duty, il . principio dell’obbligazione morale. Le azioni mo- ° rali sono rappresentate come oggetto e volute | come fine, per essersi obliterata la relazione mo- dale ed il processo di mediazione delle azioni stesse con l’impulso egoistico. Così l’avaro si rap- presenta come oggetto ed ama come fine la mo- neta, per averne obliterato la funzione strumen- tale. Così gl’ideologi della teoria quantitativa si rappresentano il valore oggettivo della carta-mo- neta, per averne obliterata la portata ed il va- lore simbolico.  La psicogenesi della morale si spiega, adunque,   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 59   e si afferma con la legge dell’associazione, con la tendenza dei modi e degli atti psichici a ricorrere nello stesso modo onde occorsero precedentemente, con la serie degli aggruppamenti di elementi e- goistici primordiali, — aggruppamenti prima diffi- cili, accidentali, avventizî, afforzati, indi, dall’abi- tudine e cementati, dopo lungo ordine di asso- ciazioni psichiche, colla tenacità dell’istinto e con l’automatismo inconsciente dell’azione riflessa.  La scepsi pura, che nega l’originarietà delle idee morali, aveva, senza dubbio, preparato, con l’elisione del nativismo, la psicogenesi della mo- rale. Ma è solo la psicologia dell’associazione quella ‘che, porgendo gli elementi da cui le idee morali si derivano o, per dir meglio, emergono, sommi- nistra alla psicogenesi stessa la materia delle sue ricerche. |   * * *   L’Hume e l’Hartley ed il Makintosch, ossia gl’illustri rappresentanti dell’etica del moral sense, segnano la prima apparizione di un’analisi psico- genetica del sentimento morale. Non paghi della   ricerca sul criterio oggettivo della moralità, ossia ,   dello studio del problema etico-normativo, essi tolgono in esame la facoltà soggettiva che ap- prova o giudica ‘dell’azione morale, e questa fa- coltà decompongono, risolvono e riducono nei suoi primi componenti. — Questo trasferirsi del pro- blema dall’oggetto della moralità al soggetto mo- rale, dal valore oggettivo della norma ai motivi   rn +14 LI di “> n   A .   a : 4  É Pi “= cal.  fo <a E Sat Bo US ve ! ia: 4 __& ° +°®7 x  De * bali LI $ i + i : : Lira “ Fi - € e  « »  a * 1  2° ‘  ca Lal } = ge * * ù . * + Cai E "E “ 23 Cap dll x i » è | ca ‘  3 - La $, Re s.9 à 21 È = a LLASSI Ò 4 î Li tgp SSL GA  i: Cale i   60 IL VALORE ED I LIMITI   soggettivi dell’agente, dall’etica alla psicologia, segna precisamente il carattere differenziale della psicogenesi della morale. Di qui i] difetto di a- nalisi psicogenetica in quelle forme della filosofia classica, le quali sono impresse di oggettivismo e la cui forme d’esprit si traduce in una intui-. zione immediata dell'oggetto, senza l’intermedio | dell’analisi psicologica del soggetto.  La psicologia della morale inglese contem- poranea segna un processo di derivazione e di continuità scientifica dell’ etica «del moral sense. È tutta una tradizione ideale di principî e di dot- trine, la: quale è argomento di studio per chi alla storia della successione dei sistemi, storia esteriore e superficiale, preferisca l’analisi ricostruttiva del ‘ divenire interno delle teorie. © |  Unica soluzione di continuità in questo pro- cesso è, forse, quella segnata dal Bentham.  Il loico dell’utilitarismo retrocede al puro e dogmatico oggettivismo morale. Egli restringe di bel nuovo la inorale alla ricerca del criterio 0g- gettivo delle azioni, alla sistemazione etico-nor- mativa del principio dell’utilità. Questo fiero cen- sore del preteso ipse dixit della morale dell’intui- zionismo è, dopo tutto, un ritardatario della filo- ‘ sofia. Il suo pensiero etico non eccede i confini . del naturalismo primitivo, per cui la causalità mo- : rale è nelle cose stesse, è nell’ordine esteriore della natura, è nella convenienza estrinseca degli indi- vidui, e non nella ragione o nella natura razio- nale dell’agente. Nella sua deontologia ricorre il quos dixacov della filosofia greca anteriore alla   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 61   scepsi della sofistica ed all’idealismo critico della filosofia socratica.  La psicologia morale dell’Association Psycho- logy, incompresa e non veduta dal Bentham, ha invece il suo interprete vigoroso in John Stuart Mill. Non che, nel suo Utilitarianism, l’ illustre positivista non abbia tolto in esame il problema etico-normativo dell’utilitarismo. Ma, senza dubbio, questo problema, per lui, non è il solo, nè esclude la ricerca dell’origine dei sentimenti e delle idee morali. L’un problema, anzi, si traduce e si con- verte nell’altro. Il valore oggettivo e la forza pro- bante dell’eudemonismo è un corollario della fe- condità morale dell’egoismo. La possibilità, anzi la necessità psicologica di quella dialettica per cui l’egoismo produce l’altruismo per un processo di autogenesi e di Selbstbefriichtung, è, o appare, il miglior argomento della forza imperativa del prin. cipio di obbligazione morale.  ‘L’associazione degli egoismi, secondo il pen-   siero di Bentham, di questo fisiocrate della mo-)   rale, si avvera, nell’ordine esterno della convivenza, per la stessa armonia oggettiva degli utili. Secondo il pensiero di J. Stuart-Mill, si avvera, invece, nella trama mentale del soggetto, per la legge psicologica dell’associazione delle idee e degli af- fetti. È il nesso indissolubile interno dell’amore di sè con l’amore degli altri conviventi, è l’espe- rienza o la rappresentazione psicologica della coin- cidenza delle condizioni del proprio benessere con le condizioni del benessere degli altri, che traduce e converte, spontaneamente é gradualmente, l’e-   DO)   FI LI 4 41.9 gg ” Re pi   , a. hd a . bed © a   e n 4 \ & l Ì i Pad n AS. - +#® = n * 3% ° È. t Ri ; a 4 flrgrà £ od 4 P) < » - ga £ 3 a 3 (e Mao Ca d i } cet LAI t x * “le VI È sE sr: ; %- Li “o SLI ! Paini è 4 : se FONNI. sa po   rn   62 . IL VALORE EP 2 LIMITI.   goismo nel sentimento morale. L’abito di rappre- sentare congiunto in intimo legame il proprio de- stino col destino dei soggetti coesistenti progre- disce a tal segno, da consolidare e compenetrare i due modi di coscienza, che sembrano logicamente antitetici, in un solo sentimento morale, in cui la ricerca del proprio bene e quella del bene dei si- mili è tutt’uno. L’unione degl’interessi non è universale, nè intiera, nè duratura nella realtà effettiva dei rap-   | porti esteriori: le esperienze della discordia degli   egoismi sopravvengono a rompere, a lacerare la   serie delle esperienze anteriori e ad erodere la   coincidenza psicologica delle condizioni del proprio benessere con quelle del benessere altrui. — Ma questa obbiezione non turba. il Mill. Appunto   ‘ perchè quell’unione non è perfetta e durevole, de-   , ficiente è l’atilitarismo di .Bentham, e l’ associa- «zione degli egoismi va ricercata non più negli ‘ oggetti ma nel soggetto, non più al di fuori ma   al di dentro, non più nella natura ma nella trama psichica interiore. Che nella realtà ’l’inte- resse altrui non sia associato sempre ed univer- salmente al mio, importa poco: basta che l’uno sia associato all’altro un certo numero di volte, ossia quanto basta perchè nel mio pensiero la rappresentazione dell’uno si connetta con la rap- presentazione dell’altro. Questa connessione, com- piuta che si sia una volta per effetto del con- senso estrinseco degl’interessi, tende, indi, a ricor- rere, a consolidarsi per forza intima e propria. Il prodotto si differenzia, si distacca dalle cause e   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 63   dai motivi che operarono a produrlo : ed una spon-.   tanea vis inertiae ne assicura la sopravvivenza, anche quando quelle cause e quei motivi hanno perduto il loro valore originario. Le nuove e, sarei per dire, postume esperienze del contrasto estrin- seco degl’interessi non valgono & sgretolare la rete delle associazioni psichiche anteriori, nè ad eliminare quella sopravvivenza che, per una sorta di processo automatico, prosegue ciecamente la via sua. Così, torna poco'che gl’iateressi si con- traddicano al di fuori, quando la mente è . cosif- fatta, oramai, che non può a meno di riunirli al di dentro. L’esperienza che attesta la lotta degli e- goismi non esclude la loro compenetrazione psi- cologica nella dialettica interna dell’altraismo. Di qui, da questa associazione psicologica degli egoismi trae origine la moral faculty, il sen- timento morale. Di qui, altresì, the feeling of mo- ral obligation, ossia il principio dell’obbligazione morale e la sanzione interna del dovere (the in- ternal sanction of duty), che la filosofia dell’intui- zionismo si rappresenta come primitivi, o come predisposizioni o motivi a priori della ragion pra-   tica. La rappresentazione del dovere è |’ espres-   sione dell’ impossibilità psicologica di slegare e sconnettere la lesione del”’altrui benessere dalla   lesione collaterale del benessere proprio e dalla.   visione prospettiva del penoso rimorso che ne con- segue. La percezione dell’ impossibilità morale è il distillato finale d’una esperienza o d’una serie d’esperienze interne d’impossibilità fisica.  La forza imperativa del dovere, ossia la san-   i aae ti Na ’   2 ge at:   #*%   + Lo   ”   +   sa E° d 1... da A + ’ a   « » da ga »   - PISO Pa   Vv   - AL baila   a Li »   k?   » af   PI ee ad PRI de gr sile, » RZ? È ”   64 | IL VALORE ED I LIMITI ©   zione interna, è il prodotto finale delle emozioni destate dalla sanzione esteriore autoritativa : un prodotto, che si è distaccato, anch'esso, dai suoi fattori e che vive nel fondo e nell’essenza stessa della coscienza, di forza propria. Nella formula imperativa del dovere si consolida e perdura, come pietrificato nella trama psichica interna, il ‘ rispetto della coercizione primitiva, l’incubo psi- ‘ eologico del costume, il comando positivo della | forza fisica umana, la pressione suggestiva del po- ‘tere religioso, la paura materiale della pena. Nelle potenze emozionali e volitive del soggetto ha luogo come un lavorìo interno di conversione psi- cologica, per cui le emozioni della minaccia ed il sentimento della paura si trasmutano nelle emo- zioni e nel sentimento dell’obbligo e della respon- sabilità morale. Le sensazioni penose della paura si vanno gradatamente indebolendo ed obliterando: ed emerge su lentamente, grazie a questa specie di erosione psicologica, l’idea pura del dovere (the pure idea of duty), sublime residuo morale spremnto dall’alchimia dell’associazione.   * * *   Queste le linee fondamentali della teoria di J. Stuart-Mill. Il positivismo associazionistico del Bain e del v. Kirchmann, che si ricollega a lui, non aggiunge molto di nuovo nella psicogenesi della morale, se ne togli un’analisi più ampia del- l’origine del sentimento di obbligazione e della sua forza imperativa.   e   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 69   Lo Stuart-Mill considera l’imperativo del do- vere come un processo di trastormazione del ti- more della pena comminata dall’autorità esteriore: timore che sì differenzia, si distacca dal suo oub- bietto — la pena — per un processo di elisione e di obliterazione naturale, e da semplice modo di coscienza sì converte in un oggetto neutro, auto - nomo, ideale, della coscienza stessa. Ora, il Bain al coefficiente del timore dell’autorità esteriore ne: aggiunge un altro : quello dell’ imitazione dell’au: torità stessa. L’imperativo del dovere, che è nel fondo della coscienza morale, si porge, nel conce- pimento di lui, come una riproduzione, una imita- zione interna dell’imperativo dell’autorità esteriore, una sorta di proiezione dal di fuori nel di dentro. Il soggetto psichico, nel suo processo di adattamento all’ambiente esteriore, non si conforma, soltanto, all’ambiente stesso, ma lo trasferisce e lo ripete in Sè stesso, creando come un ambiente interiore, pa- rallelo e collaterale a quello esteriore. Esso non si limita ad obbedire passivamente ai comandi esterni del potere coattivo, ma obbedisce ad essi in ma- niera operosa ed attiva: li converte inconsciamente in comandi interni : ed indi }i rappresenta, li pro- spetta nella forma assoluta ed astratta dell’impe- rativo. Certo la materia, il contenuto, l’ oggetto, di questo comando interno della coscienza è e puòi essere diverso dalla materia, dal contenuto e dal-'   l'oggetto del comando e della serie dei comandi - esteriori: ma non è da credere, per questo, che ) l’uno non derivi dall’altro o dagli altri. Il senti-   mento del comando si distacca anch’esso gradual- I. PeTRONE. — Problemi del mondo morale 5   x si 4 i; Fan . si   EE   Li   Ia *  "oboe giri e È CI de   4   A   ne   E PT   Y   As_ LA «oO   Li 4 n ce dida sed Esa da   d »   * 1404 GA gi hi -   ati   ie   60 IL VALORE ED I LIMITI   mente dalla sua fonte primitiva, fino a stabilirsi su un fondo indipendente : oblitera, elide, depone anch'esso, di grado in grado, la zavorra dei coef- ficienti esteriori: s’idealizza e si proietta nel vuoto ideologico e nell’astratto (the sense of duty in the abstract), in guisa da porgere l’illusione interna dell’originario, dell’oggettivo, dell’autonomo e del- l’innato (1).  Il v. Kirchmaoan illustra anch’egli la genesi dell’imperativo del dovere, secondo la psicologia morale dell’associazione. L’intuito del valore ideale della legge è, anche per lui, un residuo, che e- merge da un processo di conversione ideologica del timore originario determinato dalla forza per- sonale del potere, dell’Achtung. La quale è una sorta di trepido rispetto dell’uomo inconsciente in presenza di forze fisiche, che egli si rappresenta e prospetta come infinite. L’imperativo del dovere è un detrito finale di un processo lento e gra- duale di cose, per cui il sentimento del rispetto si è venuto progressivamente svincolando dalla rappresentazione della forza del superiore ed as- sociando al valore impersonale della legge. Il nostro sentimento di obbligazione morale ha ra- dice, precisamente, secondo l’assunto del Kirch- mann, da questa elisione ed obliterazione storica de) motivo e del contenuto materiale dell’Acktung. L’apparente oggettività ed autonomia di esso è   ‘l’effetto del suo differenziarsi ed emergere dai coefficienti eteronomi originari. Giuoca anche qui   (1) Emotions a. will, 283 e segg.      DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 67   una gran parte la vis inertiae, che assicura la so- pravvivenza ed il consolidamento automatico del rispetto, anche quando i poteri personali, il cui timore lo ha originato, sono scomparsi (1).   * * *   Un elemento nuovo nella psicogenesi della morale è recato, invece, dalla dottrina dell’evolu- zione. La sintesi dell’associazionismo con l’evolu- zionismo segna, senza dubbio, il nisus formativo più fine e più saldo della genesi empirica della coscienza morale. L’associazionismo positivista rin- traccia questa genesi nel passato della storia u- mana: e supera col principio e col criterio fsconio   della storicità, o della continuità storica, l’angustia |; di vedute e di procedimento dell’ empirismo sen-'   sualista, che quella genesi limita e contrae nelle:   fugaci e saltuarie esperienze dell’individuo. Ma si superato, a sua volta, da un sistema o da unain- :   tuizione del mondo universalistica, la quale, per ; rifare la genesi empirica della coscienza morale “umana, procede a ritroso, col Darwin, sino cd forme del regno animale e, più ancora innanzi, con‘ lo Spencer, sino alle leggi ed alle forze generative! della vita dell’universo. ) Nella genesi della coscienza morale e del sen- timento di obbligazione, insinua il Darwin un nuovo fattore: la selezione naturale. E questa,   mi dr      =   (1) Die Grundbegriffe, u. s. w. Cfr. il nostro libro «La fase recentissima della filosofia del diritto in Germania », pag. 106-120.   "MM se ate nia ES   » 4   »   —_ e   4 4   SEA Di 1 =» i » Lu 3 I i - +4 | - » 0 « ° . € Nas r° 3 | > ” - + e L 3 t | E i . : | ì 1 £ 4 . uu» i ta 2 ì Î i) I | ' Ù ». } ad ® è . - +, . " é » to (St 3 + da . ni p4 î # s T . Roda A ti x «£ pi » i 7 a ; x sit r la) 3 gl La "4 +, È n To - ‘ * t a x w È pa da è 3 î LI “i » È È î n O A i vi VE » . b4 LI 4 di » 1 a i s 4 Ùi | + ld î | “e » - ie 7 fe 3 . 4d.. n di - A v So hi la £l £ 4 d- I, 3” » ai » è +0 . dA si . ; dc ? + + 30! “x = tx   68 IL VALORE ED 1 LIMITI   come è la causa efficiente «della trasformazione dei tipi specilici, è, del pari, la causa generativa della conversione dell’istinto sociale nelle forme riflesse e consapevoli del principio dell’obbligazione .morale. Ma, con lo Spencer, si procede più oltre. La psicogenesi della morale è assunta, nella dot- trina di lui, come fenomeno della legge generale del divenire cosmico, della legge dell’evoluzione. La convertibilità dell’egoismo e dell’altruismo, the è l’oggetto tenace e costante della chimica mentale dell’associazione, l’ origine del sentimento morale della giustizia dalla semplice eccitazione simpatica del sentimento egoistico corrispondente, la forma- zione della coscienza morale e del sentimento di obbligazione e di responsabilità dalla pura trasmis- sione e capitalizzazione delle esperienze edonisti- che ed autoritative, sono fenomeni della legge generale di persistenza e di convertibilità della forza e del movimento, sono modi sovraorganici e spirituali della conservazione e della trasforma- zione delle energie, della integrazione e della diffe- renziazione delle forme della vita universale, della continuità infinita del divenire cosmico.  E l’uno e l’altro, il Darwin e lo Spencer, alla continuità storica, su cui si sorregge l’associazio- nismo positivista, aggiungono un elemento nuovo: la continuità biologica. L’esperienza del positivi- ‘sta genera i sentimenti e le ideazioni affettive, che l’associazione psicologica converte in motivi morali e la tradizione e la trasmissione intellettiva consolida e traduce in forze imperative dell’azione. L’esperienza del naturalista e dell’evoluzionista   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 69   procede più oltre: essa crea non solo le facoltà o le intuizioni psicologiche, ma le funzioni mentali e, quel che è più, le strutture organiche delle fun-. zioni stesse. L’esperienza dell’evoluzionista non è.   soltanto psicogenetica, ma organogenetica: con la ‘’ filosofia dell’evoluzione, la psicogenesi della morale .   si traduce in un fenomeno della biogenesi.  Dico un elemento nuovo, ed intendo un nuovo* che s’innesta sull’ antico. L’ evoluzione biologica delle strutture organiche dai processi dell’esperien- za è, in fondo, un modo d'integrazione della stessa psicologia dell’ associazionismo. La quale ultima’ non è, forse e senza forse, che un’ applicazione o un fenomeno particolare della legge universale dell’ esperienza organogenetica. L’ associazione è, anch’essa, una esperienza prolungata e capitaliz- zata ; solo, è una esperienza che si limita ai pro- cessi ed ai modi del meccanismo psicologico, iu cambio di estendersi ai processi biologici anteriori all’ apparizione della coscienza. La serie degli in- trecciamenti e dei collegamenti cerebrali e nervel con cui sì spiega dagli evoluzionisti la complica- zione progressiva del sistema nervoso, è   dei collegamenti e degli aggruppamenti psicologici degli stati di coscienza. La legge dell’associazicne è, forse e senza forse, la interpetrazione soggetti-   va, e si direbbe l’anticipazione mentale, della espe)   rienza biogenetica. Gli argomenti che lo Spencer attinge dalla psicologia dell’associazione per spie- gare come le intuizioni morali sì vadano generando dalle esperienze autoritative e dalla rappresenta-   ) l’equiva-* lente fisiologico e l’ aspetto oggettivo della serie ,   +e”   di   70 IL VALORE ED I LIMITI   zione prospettiva e dall’ eccitazione dei motivi e dei sentimenti di simpatia, sono una prova novella del processo di continuità interna che lega il prin- cipio dell’ associazione con quello dell’ evoluzione. Per tale rispetto, può dirsi che la psicologia della morale di H. Spencer non arrechi alcuna modificazione sostanziale alla dottrina degli asso- ciazionisti. Salvo, beninteso, il coordinamento della ( stessa dottrina in una intuizione cosmica univer- sale, il senso intimo della quale intuizione si va, fper altro, obliterando e smarrendo nelle minuzie, non sempre raffinate, dell’analisi delle ultime o- pere di filosofia morale e giuridica del filosofo in- glese. La legge dell’evoluzione amplia, sviluppa ed integra la teoria empirica dell’associazione, non la innova. Più che una rivelazione ex integro, essa è argomento di apprezzabili contributi alla psicoge- nesi della morale. Alla quale non so se conferiscano impronta nuova altri psicologi e moralisti contemporanei. Il processo derivativo della coazione interna dalla coazione esterna tracciato dal Wundt (1) è una felice conferma della teoria dello Stuart-Mill, del Bain e dello Spencer. Del pari, gl’imperativi della libertà, che in progresso di tempo si associano a- gl’'imperativi della coazione, e che trovano, in ipo- tesi, la loro espressione finale nella rappresenta- «zione dell’ideale morale della vita (die Vorstellung des sittlichen Lebensideals), sono, anch'essi, motivi ‘ psicologici prospettivi, che emergono dall’ elisione  dei coefficienti materiali della sanzione coercitiva.   (1) Ethik: (II Aufl.), 125, 487, 488.   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 71   Il Paulsen, a sua volta, riassume e risolleva semplicemente la teoria dello Stuart Mill, nel suo System der Ethik, là dove spiega l’origine della forza imperativa del dovere dal consolidamento psicologico dei motivi attinenti alla coazione e- sterna; cioè a dire, alla coazione del costume, della famiglia, degli antenati, dei poteri religiosi e così via.   Questa la tradizione ideale e questo lo stato odierno delle ricerche intorno alla genesi empirica della coscienza e del sentimento di obbligazione morale.  Ohi ne voglia esaminare il valore al lume della   critica, deve indagare più cose e più aspetti del problema. Deve vedere, anzitutto, se e fino a che |   punto la nuova psicogenesi della morale forn'sca una ragione sufficiente del valore etico oggettivo dei sentimenti e delle idee morali acquisite dal-   l'associazione e dall’esperienza degli organi. Deve, 7   indi, esaminare le condizioni stesse di possibilità di quell’associazione e di questa esperienza, per vedere se luna e l’altra possano fare davvero le veci della spontaneità morale primitiva postulata   dall’intuizionismo. Deve, finalmente, domandarsi %_ se la psicogenesi della morale, nella forma del-T   l'associazione o in quella dell'evoluzione, risolva, nel rigoroso senso della parola, il suo problema teoretico, e ci dia e ci porga in effetti l’origine em-   n, 1% se   #   OT TERE TEIL dieci   -4   A .   Vi   ve de GA (od Vira da” .   " Ssr4 -:-   </a di   + .   » î » >   . [ni   792 IL VALORE ED I LIMITI   pirica ed il nascimento ex integro della coscienza morale e del sentimento di obbligazione. ta Ho chiesto che essa ci fornisse una ragione _/ sufficiente del valore oggettivo delle idee morali, e non ho preteso una cosa che la psicogenesi non ,, Posa dare o che non si sia proposta di dare. I ‘suoi interpetri, anzi, professano altamente il loro i dernadimo etico. La scepsi è nell’origine, non \ nel risultato o nel termine finale; forse e senza ‘forse, essa non è nemmeno nell’origine. L’acquisi- izione dei sentimenti e delle idee morali non è, in ipotesi, un processo arbitrario, positivo, intenzio- nale, non è un accidente dello spirito e della na- tura; è un processo naturale, organico, morfologico, necessario. La coscienza morale non è innata, ma ‘‘è naturale, come riconosce esplicitamente J. Stuart- Mill (1). Essa ha, quindi, implicito in sè quel valore e quel significato oggettivo, che il naturalismo rico- nosce alle formazioni naturali. La filosofia odierna ‘sotto un certo aspetto, ha superato l’antitesi della , sofistica, antitesi della gvo e del vouos. V’ ha   +1   una forma di vduos per essa, che rientra nei limiti stessi della gvoss. Questo véuos è l’esperienza posi- tiva e l’acquisizione, che sono non espressione del- l’arbitrio o determinazione voluta a disegno, ma processo intimo della natura. L’antitesi della sofi- stica era poggiata sovra una intuizione statica delle cose: dovechè la filosofia moderna si poggia sopra una intuizione dinamica. La quos ed il vd- 4os sono due categorie concettuali irriducibili e   (1) Utilit. ch. IL   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 73   contradittorie, che attestano una forme d’esprit di- fettiva di criterio storico. Nella filosofia del dive- nire l’irriducibilità è risoluta: il vòuos è un’ ap- prossimazione della gvors e la quos è lo stesso termine della dinamica del véuos. n La psicogenesi della morale deve, adunque,\' contenere nel suo ambito il valore oggettivo del principio di obbligazione morale: essa deve aver” non solo esperimentata, ma superata la scepsi. .’ “ In quella vece, essa ha un vizio radicale che — le vieta di fornirci la ragione sufficiente dell’ob- bligazione morale: un z06r0v weddos, che l’allon-' + tana irreparabilmente dai termini del dogmatismo etico. Il sentimento del dovere è, per essa, una rappresentazione psicologica, che deve la sua ori- gine ad un fenomeno di conversione o d’inversione psichica, ad un fenomeno d’illusione ottica interna, espresso nella legge dell’associazione. Ora, finchè questa origine resta ignota al soggetto, finchè l’a- gente morale è in istato d’inconscienza, quella rap- presentazione spiegherà una virtù operosa sulla sua condotta morale, quel sentimento del dovere sarà, nella provvida cecità dell’istinto irriflesso, proiettata nella forma di una legge e di un im- perativo irrefragabile. Ma, lasciate che intervenga la coscienza a svelare al soggetto che quella ne- cessità che egli trasferisce al di fuori è una pura illusione del di dentro ed a suggerirgli che il prin- cipio di obbligazione morale è il risultato ingan- nevole d’un’associazione d’idee, ed ecco che quel sentimento del dovere e quella necessità morale sì chiariranno una pura e semplice espressione   o Meena me f u pesi ci E n pr na T_T — T__———___——e—____—_————— ttt 9   14 IL VALORE ED I LIMITI   dell’assurdo e dell’irrazionale. L’associazione si dis-  solve al lume della nuova consapevolezza insinua-  "i tasi nello spirito. Il convincimento che l’obbliga- /zione morale è un fenomeno dell’associazione, si  ‘ associerà all’associazione stessa e finirà col distrug-  erla. La necessità psicologica non può sussistere  che finchè s’ ignora la sua natura psicologica: la coscienza della sua soggettività la sopprime. L’in-  < { consciente è operoso, finchè resta tale: svelatelo  X a sè stesso, ed ecco che esso è già spento. Così il moralista dell’associazione è dalla logica del suo pensiero trascinato al paradosso, alla contraddi- zione ed all’assurdo. Strana forma di ritorsione dialettica, è il suo stesso sistema che gli si ribella e che mette in giuoco le forze destinate a para- lizzarlo.— On lui demande un équivalent de l’obliga- tion, — dicé acutamente il Guyau —il en trouve un, mais ce singulier principe n’agit efficacement sur nous qu'à condition d’agir à notre insu. Aussi, quel- que etrange que la chose paraîsse, cet utilitaire est dans l’impossibilité de voir fonctionner réqulièrement le mécanisme de obligation qu'il nous décrit, si ce n'est chez ceux-là précisément qui ne sont point uti- litaires. Plus vous croirez, en poursuivant le bien d’autrui, n’obéir qu'à une simple association d’idées, moins vous vous sentirez obligé de poursuivre le bien d’autrui : à mesure qu’augmentera votre foi dans le système, à mesure diminuera votre foi dans le de- voir qu'il vous impose. Tant que vous ne serez qu'à demi convaincu, tant que vous n’embrasserez pas avec assez de force toutes les conséquences de la doc- trine, vous pourrez rester désintéressé ; à vrai dire,   ic      e n n Pari A en © ceri tere e credi ag Si 3 SA a Di lede ine a nt TO ”   Dì UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 759   ce ne sera point par l’effet de votre système, mais bien par la faute de votre logique. Soyez plus « asso- ciationniste » que les associationnistes 6cux-mémes : affirmez mieux encore qu’eux l’illusion intérieure qui vous domine, et vous la dissiperez » (1).  Così, importa poco che l’associazione sia un processo naturale della psiche, sia la forma di un   f   vduos che rientra nei termini della 9005. È un pro- \   cesso naturale della psiche, è un fenomeno della quos, ossia della natura dell’agente morale, anche la coscienza. Quest’antitesi, irriducibile nella psi- cologia morale degli associazionisti, ne segna, ap- punto, il difetto radicale. La loro scepsi morale è tanto più grave e significativa, quanto più la loro   dottrina reca in sè l’impronta dell’ottimismo natu-   ralista. La natura, che non contraddice a sè stessa nelle sue forme inferiori di vita, porrebbe, adun- que, uno stridente contrasto nelle sue forme più   alte e nelle sue manifestazioni coscienti! È. nel \   dominio della condotta morale, è là dove dovrebbe regnare sovrana la fede nell’ideale etico, che la economia della natura ed il processo morfologico ed autogenetico del cosmo segnano una disconti- nuità, una lacerazione, un hjatus pessimista ! Potrebbe opporsi che il potere inibitivo e   dissolvente della coscienza valga solo contro il.   principio dell’associazione e non detragga punto alla biogenesi morale dell’evoluzionismo. La co- scienza non avrebbe virtù di paralizzare delle espe-   (1) Gurau — La morale anglaise contemporaine, 286-87.   me A run Tren e e a ine   2 —   76 IL VALORE ED 1 LIMITI   rienze psicologiche che si sono organizzate, con- solidate e trasformate in strutture organiche. Ma questo espediente contraddice apertamente alla stessa presupposizione dell’evoluzionismo, alla virtù organogenetica dell’esperienza e della fun- zione rudimentale della vita. Se le esperienze in- ‘ conscienti che si perdono nella storia del divenire cosmico sono riuscite fino alla formazione di un ‘istinto e di un organo morale, non si vede il perchè le esperienze coscienti non possano, a volta loro, la mercè della trasmissione ereditaria e di un lungo ed indefinito processo di consolidazione biologica, arrecare o imprimere novelle modificazioni ner- vose, trasformare le strutture organiche preesi- stenti, approdare alla formazione di organi morali diversi dagli antichi. Nell’universale energhetica del divenire anche la biologia e la fisiologia del- l'organismo vivente è il fenomeno del tempo: ed è un processo laborioso di trasformazioni incessanti. L’azione trasformatrice della coscienza non riusci- rebbe, certo, a formazioni nuove, se non dopo mi- gliala e migliaia di secoli: ma la scepsi morale non è eliminata per questo. Il valore oggettivo delle idee morali prescinde dalle condizioni del tempo e dello spazio: limitarlo ad una data durazio- ne, per quanto ampia la »si voglia, è sopprimer- ne la nozione. In rapporto all’infinito, l’ istante fuggevole vale quanto il millennio, quanto Vl’in- definito empirico del tempo, quanto un periodo smisurato (ma non immensurabile, beninteso) di durazione successiva. Data una serie di termini finiti, la distanza dei termini stessi dal)’infinito è   =      enalie-si men, ver men: a - CAZIE CIZ CUI- ASEM TOA È: a Le   #-.-.- nine _ _—; a. a a; ;€;€°è   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE Ti   del pari infinita per il primo, che per l’ultimo di quei termini. La scepsi morale è, adunque, ine- vitabile, finchè la dinamica diuturnamente operosa del divenire renda possibile all’ esperienza co- sciente ed inibitrice degli enti sopraorganici di spiegare la sua energia evolutiva e modificatrice delle strutture organiche. La coscienza può as-  . sumersi come fattore esclusivamente psicologico, ‘ ed insufficiente a germinare delle modificazioni © fisiologiche, da una teoria duodinamina e dualista. Ma, nel monismo naturalista, la” la coscienza si tra-. duce in una forma superiore della stessa vita e della stessa esperienza organogenetica. In quel monismo, se lo si penetri nella sua natura, il ma- terialismo meccanico coincide esattamente col panpsychismo.   * * *   t —   v 0}   Un altro problema resta insoluto nella psico- -   genesi dell’associazione e dell’evoluzione : la pos- sibilità dei processi di composizivne dei modi della coscienza e della esperienza adattativa della vita psichica, senza un fondo di spontaneità originaria nei poteri psicologici del soggetto.   “x “   II vizio radicale della concezione empirica ’   della tabula rasa perdura immutato in queste forme‘, colte e raffinate di sperimentalismo. È la nega- zione recisa dell’attività psichica, è l’ esclusione '’ assoluta di quel concetto metafisico della vita, che ‘ discerne la spontaneità e la natura attiva ed il nisus formativo dell’essere dai modi avventizi e   -_   DA   x %   78 II. VALORE ED I LIMITI   passivi della sua esistenza nel flusso del tempo. ' È, sott’altra forma, un ritorno verso l’inerte so- ‘ stanzialismo della psicologia: una reviviscenza mentale della sostanza passiva dei Cartesiani, \che .segnava di già un regresso di fronte all’évrs- (Aéyeta aristotelica, e che fu oltrepassata definiti- ‘fvamente dal dinamismo e dall’attualismo Leibnit- ;( ziano.  Il moto ha la sua causa originaria ed effet- tiva nella natura stessa del mobile: la sostanza è causa ed è forza che produce i fenomeni per virtù immanente nel suo essere: le medificazioni alle quali un ente soggiace procedono, in ultima istanza, da un principio interiore ad esso, il quale principio contiene l’efficacia di svolgersi in una serie determinata di mutazioni e di movimenti. «Le mouvement lui mème est un changement, et doit avoir sa raison dans l’étre qui se meut, ou qui est mf : car méme le mouvement passif doit correspondre à quelque chose dans l’essence du corps mî. Un étre absolument passif serait le pur néant et impliquerait contradiction : car, recevant tont du dehors par hypothèse, et n’ayant rien par soi mème, n’aurait aucune détermination, aucun attribut, et par conséquent serait un pur rien. Le simple fait méme d’exister suppose une certaine force, une certaine energie » (1).  La nozione della passività e della plasticità ‘assoluta dell’essere è, senza dubbio, il gran sofisma del secolo, il simbolo e l’esponente psicologico di   (1) LEIBNITZ, ibid.   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 79   tutta una intuizione meccanica e materialistica dell’universo. Una formola definitiva di quel so- fisma è data dalla cosiddetta concezione materiali- stica della storia (Engels, Marx), la quale può van- tare, non a torto, di riassumere in sè lo spirito filosofico del tempo. Non è già la coscienza *del- l’uomo che determina e governa la sua esistenza, così assume il materialismo storico, ma inversa- mente, è la sua esistenza esteriore che determina la sua coscienza. Di qui segue che il modo di pro- duzione della vita materiale condiziona il pro- cesso della vita sociale, politica e spirituale.  E non si pensa che codesta antitesi radicale, che si pone tra la coscienza e l’essere, attesta una veduta ed una forme d’esprit immatura ed irri-   flessa. È, in altri termini, la riproduzione, o me-, glio l’oggettivazione reale della vecchia antitesi. logica fra la materia e la forma, fra la potenza 0% la possibilità nuda e latto, Senza. Ada. mediazione) dell’attualità e dello sforzo per” ‘cui l’una diviene /   nell’altro. È, soprattutto poi, l'ignoranza di un sommo principio, il quale è come il residuo finale di tutta la critica della conoscenza: quel prin-   cipio, il quale assume che l’ultimo limite irridu- ‘,   cibile nella spiegazione della vita dell’essere è la spontaneità e l’atto primitivo, immanente nell’es- Sere stesso.  È una forma di pensiero eminentemente dog- matica ed ignara del pungolo della critica quella che, varcando d’un tratto solo l’hjatus che passa tra il soggetto ed il «di fuori, va tragittando ed oggettivando nell’oggetto estefiore le pertinenze e   i »   De A trat ST   MISETIITO   CA w# ‘   %   sh   CIR) si:   vagii dt e e *   n   dà   1 hia ge   o.   80 IL VALORE EDI LIMITI   le acquisizioni e le produzioni interne del soggetto stesso. Senza dubbio, è indisgiungibile dal concetto della vita la noziore di un potere di adattamento verso il di fuori o di un potere di assimilazione delle condizioni esteriori. La vita è un concambio delle relazioni interne con le relazioni esterne: è un accordo ed una reciprocità di funzioni ed in- flussi del di dentro col di fuori. In questo senso appare esagerata ed incongrua la dottrina del Leibnitz, la quale, escludendo la possibilità che la potenza di un essere esca dalla propria sfera ed operi con la sua azione sopra altri esseri, e- sclude in pari tempo il processo cel ricambio e della integrazione reciproca, che è condizione in- declinabile della vita. Ma lo stesso potere di adat- tamento e di assimilazione esprime, a sua volta, non un fenomeno di pura e semplice recezione passiva, bensì un processo di attività produttiva e trasformativa incessante. La virtù di connaturare alla propria essenza specifica gli elementi che gli provengono dal di fuori, è espressione di una vis attiva dell’essere. Il naturalista meccanico, il quale la considera come una forma di passività, guarda un solo dei termini della relazione — le condizioni esteriori, — e non considera quel momento in cni la efficienza di queste condizioni s’identifica con il principio d’interiorità dell’essere. La sua conce- zione è logica, formale e discontinua, non reale, materiale e dialettica: cioè a dire, egli vede i ter- mini e non il nesso organico che forma la rela- zione dei termini; coglie la capacità individua di ciascuno dei due modi, percepiti isolatamente l’uno      DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 81   dall’altro, non il momento della loro connessione. Il problema della genesi, in fondo in fondo, gli sfugge: e l’analisi ideologica gli ot:unde il senso della sintesi reale e della embriogenia vitale.  Se questo senso della sintesi vitale non gli facesse difetto, egli non cadrebbe nell’assurdo di negare la spontaneità primitiva dell’essere.  Egli vedrebbe che la spontaneità è condizione necessaria per l’esercizio del potere di assimila- zione, e viceversa l’assimilazione è condizione ne- cessaria per la permanenza della spontaneità stessa. Senza la spontaneità, l’assimilazicne è inconcepi- bile, come l’oggetto è inconcepibile senza il sog- getto, come la materia è inconcepibile senza la forma; e, senza l’assimilazione, ja spontaneità cessa di essere una forza attiva e si consuma in sè stessa. La reciprocità dell'una e dell’altra è condizione essenziale della vita dell’essere, il quale non è più quello che è, e si trasforma in un altro, quando nel processo di adattazione agli elementi esteriori non conservi la sua natura specifica, nè traduca in forza propria le variazioni prodotte dall’ adatta- mento.  La psicogenesi dell’associazione, con l’esclu- dere la spontaneità morale originaria del soggetto e col foggiare la coscienza morale o il principio di obbligazione in forma di mera riproduzione mentale e di semplice acquisizione avventizia, con- traddice al vero processo della vita delle spirito e si traduce in una formula arbitraria. E lo stesso va detto della psicogeriesi morale dell’evoluzione, in quanto essa muove dal principio che l’ evo-   ‘ I. PeTRoNE. — Problemi del mondo morale 6   Di   ei Pre n   fo   n. fm i è \ 24»  4 fi n di  = sd 1.   ‘   ** sd i: -   LA d Taonds Pri nd (1)   A,   ef Ep ne GRA gir   se AA   ‘ A» ve i a   ”   ‘i è 1 dr Ig i + 4 4   82 IL VALORE ED I LIMITI   lazione naturale ed organica è la causa efficiente dello sviluppo psichico e professa che le relazioni interne sono un semplice processo di dipendenza e di derivazione delle relazioni esterne. Forse, la prima è ancora più manchevole della seconda, per- chè esprime una intonazione più acuta della passi- vità e della plasticità primitiva dell’essere. La legge dell’evoluzione è, dopo tutto, un processo di integra- zione e di differenziazione, di assimilazione e di di- sassimilazione, di composizione e di scomposizione, di selezione e di distinzione. L’attività psicologica, per l’evoluzionista, è, quindi, un’attività che non ri- specchia solamente ì rapporti esistenti, ma perviene a separarli, a modificarli ed a combinarli ed at- tuarli in una produzione nuova. Laddove l’ asso- ciazione esprime piuttosto il fatto passivo della riproduzione mentale e, quindi, involge un’acqui- sizione accidentale, avventizia ed imitativa, non un’acquisizione evolutiva, attiva ed innovatrice. L’una e Paltra, tuttavia, sor viziate, a diversità di grado, dal x0©6tov weddos dell’ intuizione mec- canica del mondo: e per voler porre l’esterno a base dell’interno, si chiariscono insufficienti a spiegare il divenire della vita dello spirito. La quale è, bensì, una serie di mutazioni, ma di mu- tazioni che hanno la loro radice e la loro causa nella natura dello spirito stesso : la qual natura. tende e prucede e si sforza verso le mutazioni ed è, quindi, il principio interno delle mutazioni medesime.  La coscienza o la esperienza interiore, la quale è, in ultima analisi, il criterio conoscitivo irridu-   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 83   cibile della natura e delle forme del nostro essere, il concetto-limite di esse, si rifiuta di renderci il fondo passivo della nostra sostanza spirituale (la quale resta, per noi, inconoscibile come ogni altra sostanza), e solo ci porge la consapevolezza della nostra attività e dello sforzo operoso e della e- nergia che è in noi, e che si attesta nella fecon- dità intellettuale e morale del nostro io e nella virtù espansiva del volere (1).  Questo fenomeno dell’ esperienza interiore, con tanta finezza intuìto dal Maine de Biran, e- sprime, come condensato e ricapitolato nella vita dell’individuo, il processo della vita storica del- l’umanità universale.  Il divenire morale dell’umanità, le vicende ed i progressi suoi nella rappresentazione e nella per- cezione e nell’attività del sentimento del dovere, hanno anch'essi il loro limite irreducibile in una visione inconscia, primitiva del bene e del giusto, ed in uno sforzo operoso e dinamico verso l’uno e P’altro.  Questa spontaneità morale originaria forma l'esigenza legittima del nativismo: ed intendo di quella torma illuminata e riflessa di nativismo, che non materializza empiricamente il fondo pri- mitivo del sentimento morale, nè lo identifica col contenuto della coscienza morale progredita ed e- voluta, nella cui genesi ha tanta parte il processo di acquisizione, nè trasferisce e tragitta nelle fasi primitive della moralità gli stati di coscienza de-   (1) Maine pe Biran, Doctrine philosophique de Leibnitz.   4 nta   n "   *   "+ da fire Ù È .   4 da 4A   (LS a   va   A n   d LI ‘è “   84 IL VALORE ED I LIMITI   rivati i quali si rilevano nell’ esperienza del pre- sente.  V’è una forma di nativismo dogmatico ed em- pirico, e v'è una forma di nativismo critico ‘ed i- dealistico. Il primo non ha risentito il pungolo della critica, nè è atto a discernere e differen- ziare, nel fondo della coscienza morale, un elemento dell’essere ed un processo del divenire, una fun- zione che sta ed un processo che diviene, un sostrato permanente e la serie delle mutazioni, il sotto- suolo primitivo e le soprastrutture derivate, la materia e la forma, la volontà e l’oggetto empi- rico delle volizioni. Ingenuamente convinto della perennità ed immobilità delle idee e dei senti- menti e delle volizioni morali rivelate dall’ espe- rienza dell’oggi, quel nativismo dogmatico ed em- pirico non sa fare di meglio che oggettivare quelle idee e quelle volizioni al di fuori e ritradurle sub specie aeternitatis. Esso è fuori della critica e, non ostante le sue apparenze psicologiche, soggiace tuttora all’illusione dell’oggettivismo primitivo. Ma, di ben diversa natura è quell’altra forma di nativismo, che ha esperimentato la crisi ed ha sa- puto superarla, che riconosce nel fondo della co- scienza morale, accanto ad un principio perma- nente che la sorregge, un processo di differenzia- zione e di acquisizione che diviene; che non mi- sura la storia dell’umanità con l’esperienza feno- menica dell’individuo dell’oggi, nè argomenta dal- l'istante fuggevole all’infinito, o dal relativo al- l'assoluto. Questo nativismo non è più mitologia antropomorfa, nè ideologia nia è idealismo critico e scienza.      DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 85   »* * * è   Una prova luminosa della legittimità di questo È   innatismo critico ci è fornita dallo ‘stesso insuc-   cesso radicale della psicogenesi della morale. La   quale non risolve, evidentemente, il problema che si propone: quello di svelarci la origine empirica e storica ed il nascimento ex integro dei sentimenti, delle idee e delle volizioni morali. Non è detto in quale momento della fenomenologia della co- scienza comincia la deliberazione o la volizione di atti, i quali hanno per risultato (non saputo e non voluto) il bene «degli altri. Questi atti s’iniziano per caso, come fortuito è il risultato di essi, cioè a dire la coincidenza del loro termine col benessere altrui. Il caso non dà luogo a precisione, nè a differen-   ziazione di momenti; e la quantità indefinita delle   combinazioni casuali si sottrae ad ogni determina- zione specificata. Il caso non ha legge: esso è, di per sè, l’ unica legge concepibile con una , quantità indefinita ed imprevedibile di combina- zioni non legate da verun nesso organico. Lu psico- logia dell’associazione non ci dice in qual determi- nato momento del tempo cominci il processo di con- solidamento psicologico degli stati di coscienza e l’obliterazione e l’erosione storica dei motivi e dei coefficienti primitivi dell’azione morale. La rete delle associazioni psichiche principali e se- condarie, dirette e collaterali,.si perde nella storia dei secoli, senza che sia dato all’associazionista di cogliere quella presunta stagione di tempo in cui nasce ex integro, dul fondo trasmesso e capitalizzato   SO   te f   VA   ente E   86 IL VALORE ED I LIMITI   delle esperienze edonistiche ed autoritative, l’idea- lità morale e la volontà del bene e del giusto. Il Darwin non si mostra alieno dal qualificare per innato l’istinto sociale delle specie organiche: nè ci profila l’origine empirica di quelle prerogative di alcuni esseri, le quali assicurano la loro sopravvi- venza nella lotta per l’esistenza e condizionano la selezione trasformatrice dei tipi specifici. Lo Spen- cer non ci porge la genesi empirica, in questo 0 quel momento del tempo, del sentimento di simpa- tia e dell’eccitazione simpatica dei sentimenti egoi- stici: e, per esigenza intima del sistema, annoda la psicogenesi della morale ad una cosmogenesi universale, la quale rappresenta un processo di ve- ra ed assoluta elisione del problema dell’origine.  Ogni nuova apparizione, stando alla logica dell’evoluzionismo, è l’equivalente di un’ appari- zione preesistente: ogni nuovo stato della co- scienza morale e della coscienza giuridica è l’equi- valente dinamico di altri stati anteriori. La teoria dell’evoluzione non può proporsi, logicamente par- lando, la ricerca dell’origine empirica di una data cosa, di una data forma di essere: perchè la con- tinuità evolutiva segna la negazione del salto, del vacuo, «lel discontinuo e del hkjatus, segna, quindi, la negazione della nozione stessa dell’ o- rigine pura e semplice e della fine pura e sem- plice di una cosa. La indistruttibilità della ma- teria, la continuità del movimento, la persistenza della forza escludono la possibilità dell’ indagine del principio o della fine dell’essere.— L’incapacité qui nous empéche de concevoir que la matière de-   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE . 87   vienne non ezistente, — così lo Spencer -- est la conséquence directe de la nature -méme de la pensée.   La pensée est une position de relations. On ne peut   poser des relations, et par conséquent penser, quand Vun des termes relatifs est absent de la conscience. Il est donc impossible de penser que quelque chose de- vienne rien, par la méme raison qu'il est impossible de penser que rien devienne quelque chose: ei cette raison c'est que rien ne peut devenir un objet de conscien- ce» (1). « Dire que le mouvement est créé ou anéanti, dire que rien devient quelque chose ou que quel- que chose devient rien, c'est établir dans la conscience une relation entre deux termes, dont lun est absent de la conscience, ce qui est impossible. La nature méme de l’intelligence dément la supposition qu'on puisse con- cevoir (encore moins connaitre) le commencement ou la cessation du mouvement » (2). « Affirmer la persistence de la Force ce n’est qu'une autre manière d’affirmer une réalité inconditionnée, sans commencement ni   fin > (3). Nella totalità dell’essere sono inconcepibili, \   UFLATTAR   n AN   per la legge dell’evoluzione, così il principio come, la fine : e poichè la dinamica che affatica la totalità dell’essere è quella stessa che governa del pari | i le singole forme di essere particolari, così è da. conchiudere che neanche di queste forme parti- | celari, la teoria dell’evoluzione ci possa fornire ;' l’origine./Ogni forma particolare rappresenta come . in miniatura e ricapitola in sè il processo dell’es-|i_   i 1. ri i) f   sere universale. Ogni briciolo dell’ esistenza è uno   (1) Seencer, Pr. Principes, 186-187. (2) SPENCER, ibid., 198. (3) Idem, ibid., 202.   880. IL VALORE ED I LIMITI   compendio dell’universo. Il problema genetico del- l'evoluzione procede sempre più a ritroso, si tra- sferisce e si allontana sino alle forme primitive della cosmogenesi, dove l’impossibilità psicologica di risolverlo finisce con l’eliderlo. Tale elisione, del resto, è il portato indeclinabile di ogni forma di processo all’infinito. Il preteso stato primitivo ed originario della materia (indistinto ed omo- geneo) non è che il risultato di una .storia più remota: è il prodotto di una dissoluzione cosmica anteriore. « La chose avait aéja, une histoire avant de prendre l’état d’où nous sommes partis » (4).  Nè basta. Lo Spencer formula il suo assunto nettamente e precisamente così: « L’histoire com- plète d’une chose doit la prendre à sa sortie de l’imper- ceptible et la conduire jusqu'à sa rentrée dans l’îm- perceptible » (2). Ora, con l’enunciazione di questo principio, è già bella e data l’impossibilità della ri- cerca empirica dell’origine della cosa. L’esperienza e la storia sono impotenti a svellere, a dispiccare il finito dall’infinito, il relativo dall’assoluto : esse non possono cogliere il momento del divenire delle for- me concrete dell’essere dal fondo dell’impercettibile. La forma concreta, presuntivamente originaria, si presenterà sempre nella forma di un hjatus della storia, uo hjatus che presuppone î momenti an- teriori da cui si è divulso. La forma concreta sarà sempre un momento derivato : essa, non sarà mai un assolutamente prius, di cui non si possa concepire un’altra che sia prima di essa, e così via.   (1) Spencer, Pr. Principes, 300. di (2) Idem, ibid., 298.      Così, la filosofia dell’evoluzione non solo   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE   89   non   ci porge una vera e propria psicogenesi della mo- rale, ma ci annunzia che la psicogenesi stessa è inconcepibile. Le idee e le volizioni morali sono fenomeni del tempo, che si ricevono dall’eternità e che vanno trasmessi all’eternità. Questo dive- nire del tempo dall’eterno e nell’eterno è, tutt'al ,   più, conoscibile con un processo di genesi dialet- tica e non con un processo di genesi storico-em-   pirica.   *   *   *   Ma, pervenuti a questo punto, ci sia lecito domandare: a che, adanque, censurare così aspra- mente la legittima esigenza del nativismo ? L’in- concepibilità dell’ origine ex nihilo sui non è una preziosa riprova della realità oggettiva di un sub- strato permanente, non sottoposto al flusso «el tempo? Non vi sarà una forza psichica persi- stente attraverso i modi e gli stati mutevoli della | coscienza morale, così come si assume una forza cosmica persistente attraverso le redistribuzioni in- cessanti della materia e del movimento nel ritmo universale della evoluzione e della dissoluzione ? Quale differenza vi sarà, adunque, ed in ultima analisi, fra la vostra psicogenesi della morale e la teoria del nativismo? Questo non coglie lori- gine delle idee e delle volizioni morali, e voi ri- nunziate a coglierla del pari. Sola differenza è che voi vi volgete al processo all’infinito ed il nativismo lo supera, e che voi, quindi, restate inviluppati nel   \   Le a   Pi i tela, gir È   a v Bia ag va #4 fd i gt © Ri VI   «4   A »   ES A   SA > pe" tout Sa a Peg   A   ME > E   Ma 4   ”  oa 44084 (1)  db .   IS? Fica   VEE LIO   Eee dd »   CLI @-   ala   900 = IL VALORE ED I LIMITI   puro scetticismo, mentre quello si solleva ad una forma razionale di dogmatismo scientifico. Voi raf- figurate, invero, una serie. infinita di evoluzioni, una serie di termini dei quali l’uno è condizio nato dall’altro e così via all’infinito ; e così cadete nell’assurdo della ragione e nella stasi vitale. Nel- l’assurdo della ragione, perchè l’ esistenza empi- rica di un termine qualunque della serie è incon- ciliabile con la pretesa infinità della serie stessa: per arrivare a quel termine sarà stato necessario di passare per le condizioni infinite le quali lo pre- cedono; il che è come dire che la serie infinita sarà stata esaurita nel transito a quel. termine e, in- somma, che la serie infinita non è più infinita. Nella stasi vitale, perchè tutri i termini della serie intinita sono del pari indifferenti e forniti di ugual valore oggettivo: e la distanza dall’infinito è del pari infinita per il primo come per l’ultimo di essi. Non, quindi, evoluzione in senso progressivo; per- chè difetta la graduazione e la gerarchia dei termini, perchè difetta la differenziazione e la vita, perchè difetta la manchevolezza e lo sforzo. E, se l’acquisi- zione delle idee morali è un fenomeno del tempo che intercede fra due estremi eterni ed infiniti, qua- le argomento di superiorità vanterà la vostra dot trina dell’evoluzione su quella della creazione? La creazione soprannaturale del soggetto morale, con un fondo sostanziale e permanente di mora- lità originaria, non è anch’essa un legato divino dell’Eterno e dell’Infinito al fenomeno del tempo? E perchè l’hjatus, onde il divenire cosmico del- l'evoluzione si dispicca e si svelle dall’eterno e   TTI   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 9   dall’inconoscibile, sarà da preporre al hjatus 0, per dir meglio, al fiat dell’atto creativo ?  La psicogenesi della morale non può, adunque, aver eliminato l’esigenza legittima del nativismo.  V’ha un fondo di spontaneità morale originaria, che è il sustrato delle acquisizioni etiche ed è come la condizione di possibilità delle acquisizioni stesse. Nella grande mobilità delle idee e dei sen- timenti morali v’ha un elemento immutabile. Le evoluzioni storiche sono precedute e preparate co- me da una involuzione primitiva, la quale è fuori   delle condizioni del tempo e si traduce nella stessa .   natura dell’essere morale. Residuo ineliminabile dall’analisi, giace nel processo mutevole delle in- tuizioni e delle volizioni morali, una forma, meglio   ancora, una évredéyzia che non muta: la visione | | -r-   e la volontà del bene e del giusto. Varia il con- tenuto delle azioni morali da questo a quel punto dello spazio, da questa a quella stagione del tempo: eppure in questo processo di variazioni perdura identica la ragione ideale della moralità e della   ai   ti f   ice 1   U   f ,   tà   E;   vr   giustizia: e quello che ai gradi successivi della   coscienza morale si chiarirà per ingiusto, è intuìto dai soggetti sotto la specie ideale del giusto.  Il relativismo morale, da Enesidemo e Sesto al Montaigne ed al Mandeville e dai vecchi ai nuovi scettici della morale è, dopo tutto, il pro- dotto di una percezione semplicistica, dogmatica ed empirica della moralità umana.  Esso nasce, in ultima analisi, da un difetto di discernimento critico: dal non aver saputo o vo- luto distinguere nel processo della moralità e della   4   tI I   O) ù n LL i ti } HRS   i f Li   ni   + Pa   tenta Mid   # .*  {1 h  pe" 7 tun DA n   * i   4 ha   » 4   +   ei]   lle di EI   À .   Lari   99 1L VALORE ED 1 LIMITI   giustizia, il momento dell’essere da quello del di- venire, il soggetto persistente dei fenomeni dai fenomeni singoli, l’energia permanente della mora- lità dalle azioni traverso le quali quella energia si traduce nel flusso delle condizioni empiriche del tempo e dello spazio. Esso ha il senso della mobilità vaga, indetinita, saltuaria, ma non ha il concepi- mento della natura che si sforza verso le mutazioni, che è il conato, l’energia, l’impulso nativo, la forza persistente dell’ evoluzione. E, quindi, il relativi- sta non ha nemmeno un’intuizione dinamica del mondo : perchè la concezione dinamica gli avrebbe lasciato intravedere l’unità della forza permanente nella relatività dei fenomeni. La sua non è che un’ espressione rovesciata e mascherata della vec- chia concezione statica della morale, non illumi- nata dal sano criterio storico-genetico. Precisa- mente come la sua scepsi non è che l'ipocrisia dell’empirismo anticritico.   * * *   . Questa distinzione sovrana del sentimento mo- rale e della materia di esso, dell’idea e delle forme, della volontà e dell’oggetto storico delle volizioni, è il germe di una critica decisiva della psicoge-  . nesi al lume della sana teoria della conoscenza e dell’essere. Se nel processo della moralità e della  | giustizia l’analisi ravvisa un fondo che non muta, i è tempo che la psicogenesi riconosca il limite clie ‘ le è prescritto spontaneamente dalla natura delle \ cose. La psicogenesi è la ricerca del solo momento   ' \ i A   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 93   del divenire. Ora l’essere è fuori e sopra il pro- blema genetico. Il genio storico del secolo, che ha) invertito universalmente il momento causale nel momento genetico, addimostra una comprensio- ne difettiva dei processi e delle leggi della n scenza. La storia e l’esperienza empirica possono contenere ed apprendere il divenire e non l’essere: e, del divenire stesso, non la legge o il momento #> genetico, ma le forme saltuarie, ma la serie dei hjatus, ma le fasi successive, ma le tappe discon- tinue di quel divenire. Il momento della continuità e del processo sfugge alla storia ed all’esperienza i della psicogenesi, alla quale non rimane che la ‘./ mera iuztapositio della successione empirica dei | Hi a! %, termini. La causalità interiore: ecco quello che SA la psicogenesi dell’empirismo non riuscirà mai a penetrare, non che concepire.  La sana analisi critica ci porge, adunque, una distinzione sovrana, che ci educa a conoscere il li. miti razionali del problema genetico. È la distin- zione dell'idea e della volontà del bene e del giusto dalle forme svariate iu cui quell'idea e quella volontà si traducono negli ordini del tempo. Una distinzione reale, oggettiva e feconda, non logica, soggettiva e sterile, come parrebbe a prima giunta. Non è una ripetizione pura e semplice, | nel processo della moralità e della giustizia, della | vecchia, arida, scolastica distinzione Kantiana della ; ’ materia e della forma. È anzi, sarei per dire, una\ inversione della formula Kantiana, una inversione ; dovuta alla natura stessa dello spirito umano : natura produttiva, autogenetica e ricca di fecon- |   + | 4   ° + x # i   94 IL VALORE EDI LIMITI   dità morale interiore. La volontà del bene e del giusto, illuminata da una vaga visione originaria, che si va sempre più chiarendo e sviluppando nelle forme e nei processi della consapevolezza segna la negazione recisa di una vuota forma a priori, ideologica, astratta.  L’intùito ideale di una norma che esige dal soggetto il rispetto incondizionale (intùito, che è il residuo ineliminabile d’ un’ analisi delle forme primitive della moralità e della giustizia), non è   . una forma pura e semplice della ragion pratica. . È una materia. Quella norma è percepita come   avente un valore universale: e, quindi, come impe- rativa non solo per sè, ma anche per tutti gli altri soggetti che la consapevolezza dell’agente ricono- sce simili a sè. A questa oggettivazione spontanea e naturale della norma si associa presso tutti i soggetti di tutte le possibili aggregazioni umane, anche delle forme embrionali e primitive, il sen- timento dell’esigenza. Della norma si esige dagli altri altrettanto rispetto, quanto si crede in ob- bligo di professare in sò stessi. Donde nasce questa   oggettivazione e questa esigenza, la quale è ricono-   seibile nelle forme più rudimentali della socievolez- za e che è la condizione indeclinabile del più tenue sviluppo della giustizia interna? Evidentemente, la norma di cui sì pretende da tutti i soggetti si- mili, o percepiti come tali, il rispetto oggettivo ed incondizionale, è una norma che.si rappresenta come estra-soggettiva, come imperativa per sè stessa, come vantaggiosa non al soggetto singolo, ma a tutti 1 soggetti consociati. Il sentimento del.   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 95   l’esigenza importa che quello che si pretende dagli altri sia stimato buono per sè e, quindi, obbligatorio per tutti. Il sentimento dell’esigenza importa l’in- tùito irriflesso di un bene comune.  Ora, chi dirà mai che si tratti di pura forma ideologica e vuota? L’oggettivazione della norma ed il sentimento dell’esigenza esprimono la condi- zione stessa della moralità e della giustizia. Soro la vera riprova fenomenologica dell’imperativo cate- , gorico ; il quale imperativo, più che una norma etica della ragione, è un dato lato primitivo della ps psì- cologia della morale, meglio ancora, è un atto im- manente della filosofia dello spirito. Il filosofo,,_ che lo dettò come legge della natura razionale, trasferiva in ipostasi normativa un dato presente : di già nella umana natura. nen  Nè ciò è tutto. Nella psicologia morale primi- tiva dell’uomo l’analisi coglie un altro residuo, che è come una riprova fenomenologica della massima . . della coesistenza. Il sentimento egoistico del proprio benessere e della propria libertà, quello che lo Spen- cer chiama sentimento egoistico della giustizia, è obbietto, fin nelle forme embrionali della morale e della giustizia umana, è obbietto, dico, di una oggettivazione primitiva. L’esigenza e il diritto, direi quasi, di quel sentimento si trasferisce, per eccitazione emozionale, agli altri soggetti che si percepiscono come uguali a sè stesso, e si sente; l'obbligo di limitare l’egoistico sviluppo della pro- pria libertà nei termini che rendano possibile al- trettanto sviluppo dell’uguale. È un’altra direzione; la direzione emozionale, simpatica ed altruistica, del sentimento dell’ esigenza; ed è la seconda.   96 IL VALORE ED I LIMITI   condizione indeclinabile delle forme, anche più semplici e rudimentali, della giustizia interna.  La presunta forma a priori della murale e  della giustizia contiene, adunque, un contenuto  primigenio : un elemento interiore ed intenzionale,  che è la condizione stessa della moralità umana;  un fondo di differenziazione etica ed una direzione  determinata del volere. La vecchia antitesi logica  f della materia e della forma va del tutto eliminata  # { dal dominio della morale, che è il dominio della  fecondità ideale, della vita, dell’azione. L’antitesi,  ivi, è ben ultra. È del sentimento morale eon le  \l forme in cui si estriuseca quel sentimento, della  /; volontà morale con le azioni particolari che la  i rendono al di fuori, come il segno rende la cosa  ‘ significata. Nelle azioni morali più diverse, nelle  rappresentazioni e nelle deliberazioni etico-giuri-  diche più disformi tra loro, si traduce una iden-  tica ed universale volontà del bene e del giusto.  i La forma logica è il simbolo dell’indifferenza.  .‘ La sua compatibilità con le materie più diverse  ‘e contradittorie ha radice appunto in questa sua  : indifferenza radicale ed originaria. È un residuo  dell’analisi ideologica, vuoto, inerte, passivo, infe-  condo. In quella forma non è punto contenuto il  momento dello sforzo, il conato verso forme più  alte, l’impulso del progresso. Una forma logica e  ideologica è, di sua natura, quiescente, immobile,  antistorica : e l’indifferenza logica è simbolo e con-  dizione di sterilità reale. La volontà, invece, espri-  me il fatto stésso della differenziazione e della  dinamica operosa ed attiva. Esprime il senso pe-      DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 97   noso della manchevolezza, l’anelito verso forme più alte, l’acuto desio di rendere e di espandere al di fuori la potenza infinita che l’affatica nel di dentro, l’inquietudine operosa del di là, lo sforzo -che si agita in una gestazione interiore.   L’antitesi della materia e della forma è espres-\   sione analitica di un dualismo logico, irriducibile.   nella dinamica della vita. Essa non ci rende la   ragione sufficiente della molteplicità delle forme e degli atteggiamenti concreti della moralità e della giustizia, e non trova l’ intermediario, 0, per dir meglio, il vincolo di continuità, che an- noda quella molteplicità indefinita all’unità asso- luta dell’ ideale morale e della ragion pratica. La distinzione della volontà e delle azioni con- tiene invece la soluzione di ambo i problemi. La moltitudine delle forme appare, in tal caso, una conseguenza della fecondità morale inerente al volere. E, poichè tale fecondità è inesauribile e la volontà si sviluppa diuturnamente nella varietà delle forme, senza toccare il punto in cui s’acqueta ogni desìo, il mondo etico si dispone in una grada- zione insensibile dal punto più basso dell’esistenza della morale sino alle forme più ideali e più alte.  La differenza delle forme è, adunque, sola differenza di gradi; le investe e le affatica, del pari, una forza unica persistente, che è il segreto, ad un tempo, della gradazione gerarchica delle forme particolari e dell’armonia dell’universo mo- rale. Forza che dura senza consumarsi, persiste senza decrescere, si comunica senza diminuire, si trasforma senza perdersi. Nessuno ha ancora se-  I. Perrone. — Problemi del mondo morale. 7   =   9   . se,   Ul   4   hi   “" Lada) doà ta ka |   24   MA   98 IL VALORE ED I LIMITI   gnato l’ultima tappa di questo processo autoge- netico. La volontà procede senza posa alla con- quista dell’ideale, cioè alla coscienza di sè stessa. Malgrado gli stolti conati del pessimista che vor- rebbe emanciparla dalla coscienza per emanciparla dallo sforzo creativo della vita, la volontà del bene e del giusto, al lume della nuova consape- volezza scaturita dalle sorgenti medesime dell’es- sere morale, veglia al fondo dell’esistenza umana per trarla a forme di vita sempre più eccelse. Oggi essa abbraccia non più questo o quell’uomo, ma l’uomo, e non l’uomo reale dell’hic et nunc, ma tutti gli uomini, ma le creature razionali pos-   sibili. La volontà, non infinita nella sua sostanza, . è la potenza dell’infinito : essa non è immortale,   ma tende all’immortalità. Essa aspira ad essere immortale e vi riesce soltanto per la generazione delle forme, perchè immortale è nelle potenze mortali solo la generazione delle forme (1). Come l’amore è la procreazione nel bello, così la volontà morale è la procreazione nel buono e nel giusto.  Il processo dalla giustizia interna alla giu- stizia esterna, che è legge dell'evoluzione giuri- dica, reade uno dei momenti di questa perenne dinamica della volontà del bene e del giusto. La volontà primitiva limita l’oggettivazione della nerma, il sentimento dell’ esigenza, l’eccitazione e la traslazione simpatica del desiderio del proprio benessere ai pochi individui che appartengono al- l'aggregazione o al gruppo sociale, all’orda comu-   (1) PLaTtonE — Convito, XXV-XXVI.   DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 99   nistica, alla comunanza familiare, alla tribù ed al clan. Ciò accade, perchè non la illumina la cousape- volezza della universalità oggettiva dell’ huma- nitas, perchè la mente empirica primitiva, inetta al concepimento dell’universale, non sa ravvisare per soggetti simili che quelli conviventi in uno stesso ed angusto ambito topografico. Quando la coscienza si eleva alla concezione universale del- umanità, la volontà illuminata da quella coscienza genera la giustizia esterna. Ma questa genera- zione non è ex nihilo sui. La volontà non fa che estendere ad un numero maggiore di esseri il suo contenuto primigenio. Cioè a dire, essa si va rendendo sempre più consapevole della sua in- tima natura, della sua universalità, della sua fe- condità morale, della sua indigenza dell’ideale, della sua potenza dell’infinito.   PELI   v. #Ì   sd ì EPTO d ù a LA A   ud e 0   4 Fmi   HA  i ‘  % 4 Sio sie Lia ch   si AE   LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE E DEL MATERIALISMO GIURIDICO (‘)   Lo scetticismo morale, formola definitiva di tutte le crisi filosofiche che isteriliscono in sè stesse, segna il sovrano ideale di questa fine di secolo. Il dogmatismo etico della filosofia evoluzioni- }' stica (2) è oltrepassato. La moralità e la giustizia non appaiono più come il supremo portato della legge universale dell’evoluzione, come la eredità di un processo indefinito di esperienze morali e di acquisizioni psicologiche che si perdono nella storia della cosmogenesi. Il pungolo della scepsi,} che aveva già tratto l’ evoluzionista a dubitare. della originarietà dei sentimenti e delle idee mo- rali, procede più oltre. Esso si trasferisce dal pro-;\ 0. blema della genesi della morale al problema del | 44°’ valore oggettivo della morale stessa. L’ evoluzionista , pur reputando storicamente evoluta ed acquisita, come qualunque altra forma-   Ù   (1) Pubblicato nella Rivista Internazionale di Scienze Sociali (Settembre ed Ottobre 1896). (2) Nel senso, di cui al saggio antecedente.   +. af   sc   102 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   zione naturale, la facoltà della coscienza morale ed il sentimento del dovere, si professa non alieno dall’annettere a quella facoltà ed a questo senti- mento un dato valore oggettivo. Non è il valore oggettivo assoluto della metafisica, già s’intende: è un valore relativo e storico, perchè prodotto e simbolo, non di natura e di sostanza, bensì di evoluzione v di processo. Ma nella teoria univer- sale del divenire, che è la formola dell’ evoluzio- ; nismo, il relativo non esprime una contraddizione assoluta, logica, irriducibile con l’ assoluto. Il re- lativo, nella filosofia del divenire, è un’ approssi- mazione indefinita dell’assoluto, come 1’ assoluto, a sua volta, è il termine e la meta attingibile al- l’infinito dal relativo. Con la evoluzione produt- tiva di novelle formazioni procede di conserva la involuzione, che condensa, accumula, infutura e capitalizza gli acquisti già fatti. Or questa invo- luzione esprime un principio o, se si vuole, una forza o una legge, che limita e tempera la logica \\della relatività e del flusso indefinito dei fenomeni ella circolazione della vita. Perchè al mobile, al relativo, al mutabile, essa oppone un elemento permanente e che non muta. Alla convertibilità del moto corrisponde, nella filosofia dell’evoluzione, la persistenza della forza; al processo indefinito delle variazioni e delle formazioni nuove, la legge di conservazione dell’ energia; alla mobilità inde- finita dei momenti e delle forme successive del- l'evoluzione, la consolidazione e la continuità ere- ditaria dei prodotti oggettivi acquisiti nelle forme e nei momenti anteriori ; alla vicenda delle diff:-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 103   renziazioni, la forza dell’integrazione. La involu- zione importa, in una parola, l’assolutezza relativa   delle formazioni naturali dell'evoluzione. E poichè   formazione naturale dell’evoluzione è , secondo il   supposto, la moralità e la giustizia, l’involuzione   esprime, come dicevo dianzi, l’oggettività assoluto- '   relativa delle facoltà e delle intuizioni morali. — ____Kvidentemente, quell’oggettività assoluto-rela-';   tiva cade nell’assurdo e si traduce in una nega-|' zione esplicita del principio di contraddizione. Evi- dentemente, il processo all’infinito sposta, trasfe- risce, allontana sempre più in là il principio della relatività storica e della mobilità fluttuante del divenire, senza punto oltrepassare l’uno e l’altro. Evident::mente, altresì, quello che è nato alla vita in un dato momento del tempo, è, per ciò stesso, votato alla morte; quello che è sottoposto alle condizioni fenomeniche, è effimero, accidentale, mutabile, fugace; la dinamica operosa e dissolvi- trice della storia distrugge, con vicenda incessante, le sue formazioni. Quello che ha avuto una ori- gine empirica deve avere altresì una fine negli ordini del tempo : « Denn Alles was entsteht ist werth dass es zu Grunde geht >» (GOETHE, Faust); esso non avrà mai e poi mai valore oggettivo, as- soluto ed universale. Un valore di tal fatta spetta solo a quell’ordine che trascende le condizioni fe- nomeniche del tempo e dello spazio e che è sot- tratto alla legge della morte, perchè nella sua natura metempirica non è stato mai sottoposto al lento corrosivo della vita.  Ma queste 1iflessioni, se dimostrano l’insoste-   } $   ?°   ”   . AN   È i   ce   s si del .   node raf a.   a   e *% ‘ è Por ba Di   4 sd 40 d°   +4   A da e A   a   da L)   sp An   4 BA A o dal 4 4 i   ®. n   104 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   nibilità teoretica dell’evoluzionismo, non tolgono - che la intuizione etico-giuridica di esso sia una forma, per quanto arbitraria, di dogmatismo etico. La scepsi dell’evoluzionismo è limitata all’origine della moralità e della giustizia e non si estende al valore oggettivo dei risultati dell’ evoluzione morale e giuridica. Esso riconosce espressamente la presenza di un criterio oggettivo della moralità, che discerne il bene dal male ed il giusto dall’in- giusto, nelle forme progredite dell’evoluzione. Esso riconosce, altresì, un fondamento psicologico della moralità e della giustizia nelle forme stesse, ed un fondamento naturale, sebbene, beninteso, non innato nè primitivo. E però, secondo la filosofia dell’evoluzione (senza dubbio, per virtù di una contraddizione logica inerente nel fondo di essa), la moralità e la giustizia sono, in un certo senso, da natura, e non da opinione o da convenzione ‘0 da arbitrio: sono pvogx e non véiu®. Soltanto che ia gvo:s dell'evoluzione è dinamica e non sta- tica: è una gvos che diviene progressivamente dal fondo stesso del vduos. Il ‘che vuol dire che essa ha oltrepassato, per una discontinuità logica del sistema, i termini del puro scetticismo morale. Ma, in questa rapida vicenda di cose nella scienza e nella vita, che contrassegna il tempo ; nostro, anche la filosofia dell’ evoluzione, 0, per \ dir meglio, quella forma speciale in cui essa sì era ‘venuta atteggiando, è stata superata. La logica : del divenire, deviata dai filosofi dell’ evoluzione, , ha trovato i suoi interpetri ed i suoi rivendicatori. \L’ involuzione, questa espressione superstite del-   è   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 105   l’essere che persiste attraverso il divenire, è sem- brata anch’ essa un inganno della intuizione sog- gettiva, della rappresentazione primitiva, empirica ed irriflessa delle cose. La persistenza delle idee morali acquisite è parsa a sua volta una super- stizione nuova sopraggiunta alle antiche; ed il va- lore oggettivo del criterio che distingue il bene dal male ed il giusto dall’ingiusto è parso una re-   viviscenza delle vecchie ideologie e delle vecchie..   oggettivazioni universali della metafisica.  La morale e la giustizia — così ci si annun- zia dai novelli banditori di nuovi valori — non son più una formazione naturale dell’ evoluzione, non più una forza conservatrice della totalità degli esseri superorganici, non più un prodotto finale della selezione associativa nella lotta per l’ esi- stenza. L’una e l’altra sono una proiezione ideolo- gica di alcuni impulsi e di alcuni istinti di dati esseri, una rappresentazione di prospettiva senza valore oggettivo di vero, una ideazione dogmatica di menti inconsapevoli e fiacche. L’una e l’altra so- no, in ultima analisi, una superstizione dei deboli, dei tipi umani inferiori, destinata ad essere su- perata e sfruttata dalla balda e fiera aristocrazia dei forti e dei tipi umani superiori.  Negazione recisa, quindi, di un criterio univer- sale che discerna il bene dal male ed il giusto dal- l’ingiusto; e questo stesso contrapposto di termini smascherato come un inganno, un inganno prov- vido, perchè consente alla cieca dinamica della na- tura di elevare ognora più in alto la media della | specie umana. Il bene ed il giusto non sono più   “è.   id *   t »   “ n è, i. ta da -   Ul   4,   % - seg de RA 44   *”   e ' n A+ è i 6 0 © + ‘   #0 »   A Mala cei fe £   L) nm   106 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   oggetti forniti di valore per sè stante ; e la loro utilità deriva solo dall’ essere l’uno e l’ altro un espediente d’ illusione, un mezzo di sfruttamento. Il bene ed il giusto sono quindi, non qvoe:,, ma vouw, cioè a dire, non derivano dalla natura mo- rale dell’uomo, ma da una rappresentazione psico- logica di alcuni uomini, e quindi da una. perce- zione soggettiva e relativa.  Di naturale nell’uno e nell’altro non vi è che la loro indole illusoria ed ingannevole. Perchè alla natura è più provvido e vantaggioso l’inganno che la verità, la fecondità vitale del falso è su- periore alla pretesa forza espansiva del vero e del santo.  Ecco, dunque, l’ ultima parola della filosofia di questa fine di secolo: lo scetticismo morale.  ivi è tanto più radicale quanto più ha sembianza  ‘\di ottimismo. La negazione del bene e del giusto non è soltanto un corollario logico, ma è, ad un tempo, oggetto di una fanatica adorazione.  Il male e l’ingiusto rappresentano, non una deviazione, e nemmeno un rapporto d’indifferenza, ma la condizione stessa della vita. Si direbbe che esso sia, non più uno scetticismo negativo, un puro agnosticismo morale, ma uno scetticismo po- sitivo e dogmatico. È il dogmatismo del falso e del male che subentra, triste inversione di rap- porti e di termini, al dogmatismo del vero e del buono !   * * *   Interpetre e maestro di questo nuovo scetti-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 107   cismo dogmatico è Federico Nietzsche (1). Le due opere capitali di lui in fatto di etica: Jenseits v. Gut und Bòse (Di là dal bene e dal male) e Zur Genealogie der Moral (Contributo alla genealogia della morale) segnano il climax del suo pensiero filosofico e del dissolvimento scettico della morale. Esse vennero alla luce dal 1886 al 1887, e si rian- nodano al periodo di relativa sanità intellettuale nella vita dell’A., perturbata, come ognun sa, negli ultimi tempi, da una triste frenosi, che non con- sente più veruna speranza di guarigione (2).  Ad un ciclo anteriore di tempo si riannoda l’altro libro di lui: A7so sprach Zarathustra (Così parlò Zaratustra), che è come il vangelo messia- nico della morale dell’avvenire, della morale de- gli Uebermenschen.  Come tutte le forme colte e raffinate dello scetticismo morale che la storia della filosofia greca ci ricorda, così lo scetticismo morale del Nietzsche si poggia sopra una inversione o un ro- vesciamento del dogmatismo teoretico. Il buono   (1) Dei molti saggi che si sono scritti e si vanno scrivendo sopra di lui, vanno segnalati i seguenti: H. Tùrcx, Pr. Nietzsche und seine philos. Irrwege, Jena, 1891; N. ScaELLWIEN, Max Stirner u. Fr. Nietzsche, Leipzig, 1892; H. Kaartz, Die Weltanschauung Fr. Nîietzsches. I. Kultur und Moral, Dresden, 1893; II. Kunst und Leben, Dresden, 1895; AcHeLIs, Nietesche und seine Philosophie, Hamburg, 1895; ALex. TruLe, Von Darrwvin bis Nietzsche. Ein Buch Entwichlungs- ethik, Leipzig, 1895; Maxi, Nietzsche-Krstk, Ein Bettrag zur Kul- turbeleuchtung der Gegenwart, Zurich, 1895; De. LauRENTIUS, Krapo- tkins Morallehre und ihre Beziehungen zu Nietzsche, Dresden, 1896; J. C. KrerBIa, Geschichte und Kritik des ethischen Skepticismus, Wien, 1886 (x. 122-148).  (2) È superfluo ricordare che tutto ciò l’A. scriveva nel 1896.   108 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   è un aspetto del vero; la morale segue fedelmente le vicende della dottrina della conoscenza; il dub- bio che dissipa l’evidenza del vero, dissolve, in pari tempo, la certezza oggettiva del contrapposto del bene e del male, del giusto e dell’ ingiusto. Ditemi, così si potrebbe favellare ad un filosofo, la vostra metafisica o la vostra intuizione univer- sale del mondo, ed io vi dirò la vostra morale.  L'opinione che la verità valga più del suo contrario, della falsità e dell’errore, così il Nietz- sche, è un volgare pregiudizio. Quello che si chiama l’errore ed il falso può avere, anzi, mag- gior valore che il vero. La falsità pretesa di un giudizio non è punto un’obbiezione sufficiente contro la validità del giudizio stesso. La validità di un giudizio si misura, invece, dalla sua fecon- dità vitale, dalla sua attitudine a conservare, a promuovere, a differenziare la vita degli esseri, a disciplinare, ad educare, a migliorare la razza. Uopo è invertire il criterio di valutazione: ai rap- porti logici del vero e del falso, del bene e del male, bisogna contrapporre ì rapporti reali della conve- nienza o della disformità verso le condizioni della vita e della forza e della differenziazione vitale.  Ora, la falsità è precipua condizione di vita: i giudizi più falsi sono, ad un tempo, i più utili, meglio ancora, i più necessari alla nostra conser- vazione. Rinunziare, eterno spasimo del filosofo, ai giudizi falsi è tutt'uno che voler rinunziare alla vita (1).      (1) « Die Falscheit eines Urtheils ist uns noch kein Einwand gegen ein Urtheil... Die Frage ist wie weit es lebenftrdernd , le-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 109   Invero, è una superstizione da filosofi cre- dere che sia condizione di vita la verità, e che   questa, quindi, vanti una prerogativa sull’ appa-   renza! Come se l’apparenza e l’illusione non fos- sero, invece, il sostegno necessario della vita degli esseri! Come se la verità stessa non si traducesse in una forma di apparenza ed i pretesi giudizi veri fossero qualche cosa di più che dei gradi di verisimiglianza e di apparenza! Come se la fede stessa nell’ evidenza dei giudizi fosse qualcosa di meglio che una visuale illusoria, un fenomeno di prospettiva dell’ottica della vita! Che il filosofo elimini dal mondo tutto quello che vi ha forma di apparenza, d’illusione, di rappresentazione fe- nomenica; ed allora egli vedrà se gli rimanga un atomo solo di quella verità il cui spasimo lo affa- tica. Non v'è forma di vita che non si sorregga sopra gradazioni di apparenza, sopra illusioni ed allucinazioni di prospettiva (1) (Das Perspektivische, das ‘ist die Grundbedingung alles Lebens). o —   benerhaltend, Arterhaltend, vielleicht Art-zichtend ist; und wir sind grundsàtzlich geneigt zu behaupten, dass die falschesten   Urtheile (zu denen die synthetisechen Urtheile a priori gehéren)   uns die unentbehrlichsten sind, dass ohne ein Geltenlassen der logischen Fiktionen, ohne ein Messen der Wirklichkeit an der rein erfundenen Welt des Unbedingten, Sich-selbst-Gleichen, ohne eine bestindige F&lschung der Welt durch die Zah] der Menschen nicht leben konnte, das Verzichtleisten auf falsche Urtheile ein Verzichtleisten auf Leben, eine Verneinung des Lebens wire. Die Unwahrheit als Lebensbedingung zugestehen : das heisst freilich auf eine gefihrliche Weise den gewohnten Werthgefihlen Wi- derstand leisten und eine Philosophie, die das wagt, stellt sich damit allein schon jenseits von Gut un Béòse. » Jenseits (II Aufl.), pag. 6.  (1) Es ist nicht mehr als ein moralisches Vorurtheil, dass Wahr-   ti ani è L.go da   (nai   anal PE no i © © i e + | ' È ’ ‘   alle Ai .   se dA go   110 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   Se il criterio della valutazione morale non è più la verità, quale ne sarà, dunque, il sostitutivo nella filosofia di F. Nietzsche? Ecco: il criterio radicalmente nuovo che egli preannunzia è il principio della volontà della forza e del dominio (der Wille zur Machét). Il criterio della morale è la legge stessa dello sviluppo della vita.  Or la vita è espressione ed espansione della forza e della sete del dominio: la vita è il sim- bolo stesso della combattività, della differenzia- zione, dell’assimilazione e dell’appropriazione vio- lenta e feroce dell’altrui, della sopraffazione spie- tata e dello sfruttamento. Non altra, dunque, sarà la formola della morale : il principio fondamentale della vita sociale sarà il principio della forza, del dominio, della sopraftazione , dello sfruttamento. È la legge della natura, ed è la legge, ad un tempo, della società umana. (1) I   heit mehr werth ist als Schein:... es bestiinde gar kein Leben, wenn nicht auf dem Grunde perspektivischer Schàtzungen und Scheinbarkeiten, und wollte man..- die « Scheinbare Welt » ganz abschaffer, nun, gesetzt, ihr kénntet das — so bliebe mindestens dahei auch von eurer « Wahrheit > nichts mehr iùbrig! Ja, was zwingt uns ùberhaupt zur Annahme, dass es einen wesenhaften Gegensatz von « wahr » und « falsch» giebt ? Genigt es nicht, Stufen der Scheinbarkeit anzunehmen und gleichsam hellere und dunklero Schatten urd Gesammttòne des Scheins-verschiedene Valeurs, um die Sprache der Maler zu reden? Jenseits, pag. 47.— Es ist endlich an der Zeit, die Kantische Frage « wie sind syn- thetische Urtheile a priori mvglich » durch eine andere Frage zu ersetzen « warum ist der Glaube an solche Urtheile nothig 2... » Nur ist allerdings der Glaube an ihre Wahrheit nòthig, als ein Vordergrunds-Glaube und Augenschein, der in die Perspektiven- Optik des Lebens gehòrt. JSenseits. pag. 14-15.  (1) Leben selbst ist wesentlich Aneignung, Verletzung, Uber- wàltigung des Fremden und Schwiàcheren, Unterdrickung, Hirte,   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 111   È vero che qualche naturalista vi parla di una causalità organica della natura e di una equi- valenza delle forze dinanzi alle leggi universali che la governano. Ma questa pretesa equivalenza è una superstizione: la natura ci rende immagine della più fiera ed inesorabile pressione dei rap- porti della forza. La causalità e la necessità, che la scienza riconosce al processo della natura, sono possibili non già perchè nell’ambito della natura dominino delle leggi, ma perchè, anzi, ogni legge vi difetta, ed ogni forza, in ogni momento, vi trae Il suo partito, senza regole, senza limiti, senza freni (1).  È vero altresì che la superstizione filosofica e democratica della media dei tipi umani inferiori predica come principio fondamentale della società la rinuncia all’egoismo, al dominio ed alla forza, e ’ accettazione dell’ uguaglianza dinanzi alla legge. Ma questo principio può aver valore in via di eccezione e nei limiti interni di un dato gruppo.   Aufzwigung eigner Formen, Finverleibung und mindestens Aus- beutung. Jensetts, pag. 227. — Vor allem will etwas Lebendiges seine Kraft auslassen. Leben selbst ist Wille zur Macht; die Selbst- erhaltung ist nur eine der indirekten und hAufigsten Folgen da- von. Jensetts, pag. 17.  (1) « Es kinnte Jemand kommen, der... aus der gleicten Natur und im Hinblick auf die gleichen Erscheinungen, gerade die tyran- nisch-ritcksichtenlose und unerbittliche Durchsetzung von Macht- ansprichen herauszulesen verstiinde... und der dennoch damit endete, das Gleiche von dieser Welt zu behaupten, war ihr be- hauptet, némlich dass sie einen « nothwendigen» und « berechen- baren » Verlauf habe, aber nicht weil Gesetze in ihr herrschen, sondern weil absolut die Gesetze fehlem und jede Macht in jedem Augenblicke ihre letzte Gonsequenz zieht.» Ibid., pag. 28.   112 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   Esso non va esteso nè predicato come principio cardinale della società, perchè, di sua natura, è un principio di negazione della vita, principio di decadimento e di dissoluzione. I gruppi sociali sani e vigorosi, quali tutte le aristocrazie, ricono- scono l’uguaglianza morale e giuridica tra i pari, ma esercitano, sotto pena di scadimento, l’ ineso- rabile potere del dominio e dello sfruttamento contro i membri degli altri gruppi. La giustizia interna e la giustizia di classe non è concepibile che associata alla più recisa e spietata ingiustizia esterna. Lo sfruttamento non è condizione dei gruppi sociali primitivi, nè è sintomo di associa- ciazioni imperfette o in via di degenerazione o di decadimento. Lo sfruttamento, anzi, appartiene alla sostanza stessa della vita e degli esseri vi- venti. La volontà del dominio è tutt’ uno che la volontà stessa della vita. £d è la funzione orga- nica originaria della vita sociale: il fatto primi- genio della storia (das Urfaktum aller Geschichte) (1).   (1) « Auch jener Kérper, innerhalb dessen... die Einzelnen sich als gleich behandeln — es geschieht in jeder gesunden Artstokra- tie — muss selber, falls er ein lebendiger und nicht ein abster- bender Kérper ist, alles das gegen andre Kérper thun, wessen sich die Einzelnen in ihm gegen einander enthalten : en wird der leibhatte Wille zur Macht sein miissen, er wird wachsen um sich- greifen, an sich ziehn, Uebergewicht gewinnen wollen, nicht aus irgend einer Moralitàt oder Immoralitàt heraus, sondern weil er lebt, und weil Leben eben Wille zur Macht ist. » Jenseits, pag. 227-228.—Die « Ausbeutung » gehòrt nicht einer verderbten oder unvollkomnen und primitiven Gesellschaft an: sie gehòrt in’s Wesen des Leben digen, als organische Grundfunktion, sie ist eine Folge des eigentlichen Willens zur Macht, der eben der Wille des Lebens ist.... das Urfaktum aller Geschichte. Jenseits, pag. 228.   Metin CRIPTA srnsrsm@_—_mP@m@m@ Îk<@<"e.   To      a   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 113   La volontà della forza (der Wille zur Macht) è, dunque, la vera, l’ultima formola della filcsofia. La psicologia non è e non dev’ essere che una mor- fologia ed una embriogenia della volontà della forza e del dominio (eine Morphologie und Entwi- ckelungslehre des Willens zur Macht) (1). E la mo- rale non è che la dottrina dei rapporti di domi- nio sul cui terreno nasce il fenomeno della vita (die Lehre von den Herrschafts-Verhiiltnissen unter denen das Phinomen « Leben» entsteht).  La morale, che ha per suo principio la volontà della forza, supera le vecchie superstiziose distin- zioni del bene e del male. Essa porta con sè una completa inversione ‘dei criteri di valutazione e- tica. O, per dir meglio, essa reintegra le vere basi della valutazione morale, rovesciate dal basso e- goismo della media dei tipi umani inferiori.  Le antitesi morali del bene e del male difet- tano di ogni sanzione per i tipi umani superiori, per quegli uomini, cioè, i quali risentono il fecondo impulso della combattività e del dominio e dello sfruttamento. Quelle antitesi sono invece, ed è bene che sieno, la superstizione dei tipi umani inferiori, della massa grossolana, cieca ed obbe- diente, della mandra (Herde) degli animali umani. Per gli spiriti liberi (freie Geister), per le nature signorili e dominatrici, per gli uomini di alto e forte lignaggio (Vornehmen), il solo criterio mo- rale, la sola formola di condotta è la volontà del dominio. Per queste nature aristocratiche, il bene   (1) Ibid., pag. 28.   I. Perrone. — Problemi del mondo morale. 8   114 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   ed il male, nel senso della vecchia morale, sono il pregiudizio o la convenzione del gregge dei me- diocri : sono vou@, e non quos. Quello che è male secondo la morale convenzionale, cioè a dire l’a- more di sè, l’ egoismo sfrenato, la violenza e la forza, la sete di dominio e lo sfruttamento, è in- vece, un bene, il vero, il solo bene. per la balda aristocrazia dei Vornehmen. I quali non riconoscono per cattivo moralmente se non quello che è me- diocre, volgare, comune, grossolano...; e non rico- noscono per moralmente buono se non quello che è nobile, aristocratico, signorile, combattivo, pre- potente. Gli spiriti liberi e le nature aristocratiche hanno superato i limiti della vecchia morale, e stanno, quindi, dî là del bene e dal male (Jenseits von Gut und Béòse): in essi si effonde rigoglioso il genio della forza e la sete dell’ appropriazione e del dominio. | ++ La genealogia della morale, continua il Niet- zsche, apporta una conferma storica luminosa a questi principî dedotti dalla formola del Wille zur Macht. Quella genealogia c’insegna che la morale è stata sempre plurima e dualistica, dai primi tempi della storia ricordata fino a noi, e che vi sono stati sempre due tipi fondamentali di con- dotta, radicalmente opposti tra loro : il tipo della morale dei signori o dei padroni (Herrenmoral) «d il tipo della morale dei soggetti e degli schiavi (Sklavenmoral).  La morale aristocratica o dei signori poggia non già sul contrapposto di bene e di male, ma su quello di nobile e di basso, di signorile e di   - d_————66 -———-——t\ \ zx . . e e|M\mv'Frmnkea__ -—__—y —_—r_—_—————1E=s>=Tmhr. ——= -—_ ——;_—r!—Pr 4, —=- —_——   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 115   vile, di elevato e di spregevole, di aristocra- tico e di volgare (1). Nel fondo di essa è radicato un olimpico dispregio dell’ orda, della moltitu- dine e della mediocrità umana, ed una estimazione profonda della propria nobiltà © finezza di natura, della funzione dominatrice alla quale si sente chia- mata, dell’istinto possente di combattività e di dominio che l’ affatica. La casta aristocratica e si- gnorile non concepisce nè accetta formole di con- dotta impersonali o criteri di valutazione etica og- gettiva. Essa dice senz’ altro : quello che non piace O reca pena a me, è penosc e nocivo di per sè stesso. Essa sa che solo criterio della verità ogget- tiva è lei stessa, la sua emozione, il suo sentimento, il suo giudizio: essa pone sè a centro dell’ uni- verso e grida: chi assegna il valore ed il pregio alle cose sono io! (2) La sua morale si traduce in una glorificazione, in un’ adorazione di sè stesso. (3) Un fiero sentimento anima quella casta; il sen-   (1)... in dieser ersten Art Moral (Herrenmoral) der Gegensatz «gut» and «schlecht» so viel bedeutet wie «vornehm » und « ve- richtlich. » Jenseits, pag. 228.  (2) Die vornehme Art Mensch fihlt sich als werthbestimmend, sie hat nicht néthig, sich gutheissen zu lassen, sie urtheilt « was mir schàdlich ist, das ist an sich schàdlich,» sie weiss sich als Das was tiberhaupt erst Ehre den Dingen verleiht, sie ist werthe- schaffend.» Jenseits, pag. 229-290.  (8) « Alles was sie (die Herrenmoral) an sich kennt, ehrt sie: eine solche Moral ist Selbstverherrlichung. Im Vordergrunde, steht das Gefuùhl der Fulle, der Macht, die iiberstromen will, das Gliick der hohen Spannung, das Bewusstsein eines Reichthums, der schen- ken und abgeben méchte — auch der vornehme Mensch hilft dem Ungliucklichen, aber nicht oder fast nicht aus Mitleid, sondern mehr aus einem Drang, den der Ueberfluss von Macht erzeugt. Der vornehme Mensch ehrt in sich den Màchtigen, welcher Macht-   te.   e Lele   mo   + i — +e ap dre   n   116 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   timento della forza, ma di una forza prepotente che anela ad espandersi senza freno, e come un senso di pienezza di vita, di effusione, di abbon- danza, di fecondità interna, ed oltracciò il piacere dell’ espansione e la coscienza di una ricchezza in- tima, esuberante, di una ricchezza espansiva, e dispensatrice, talora, di aiuto e di soccorso, ma . non già per pietà, per compassione dei sofferenti, ‘ per abnegazione di sè, bensì per la stessa Ghio:   ‘sione della forza espansiva, esorbitante, che l’af- i fatica nel fondo della sua natura. Non è l’ abun-   dantia cordis della Sklavenmoral, è la impulsività del dominio, è la olimpica superiorità e degna- zione del Wille zur Macht, il capolavoro della forza, la quale non riconosce altro limite e freno che   quello spontaneamente ricevuto, anzi creato da   sè stessa; e chele sue stesse negazioni trae a con- ferma della sua possanza creatrice e della sua fe- condità vitale.  La morale aristocratica non riconosce altro dovere che quello verso gli uguali. Ciascuno dei Vornehmen si sente legato da vincoli morali verso gli altri Vornehmen : è, in fondo, la sublimazione   inber sich selbst hat, der mit Lust Strenge und Hiàrte gegen sich ibt und Ehrerbietung vor allem Strenge und Harten hat... Eine solche Art Mensch ist eben stolz darauf, nicht zum Mitleiden ge- macht zu sein... Vornehme und Tapfere... sind am entferntesten von jener Moral welche gerade im Mitleiden ‘oder im Handeln fîtir Andere das A) - ichen des Moralischen sieht ; der Glaube an sich selbst, der Stolz auf sich selbst, eine Grundfeindschafi und Ironie gegen « Selbstlosigkeit » gehéòrt eben so bestimmt zur vtrnehmen Moral, wie eine leichte Geringschéàtzung vor den Mitgefithlen und dem « warmen Herzen.» Jenseits, pag. 230.   - "a.   - A —   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 117   geniale dell’ egoismo che negli altri adora sè stesso. Ma verso le persone, meglio ancora, verso i tipi di ordine inferiore, quella morale non riconosce doveri di sorta. La condotta da serbare verso di essi sta fuori dei limiti del bene e del male, 7en- seits von Gut und Bòse. Essi sono strumento di as- similazione e di signoria. La natura fine ed ‘ari- stocratica che ha rispetto ed estimazione di sè, si mostra inesorabile e fiera con la massa dei sog- getti, con la mandra degli schiavi, la cui sogge- zione, il cui asservimento, il cui sacrificio è con- dizione del suo raffinamento di vita. E quella i- nesorabilità è un omaggio doveroso che la natura aristocratica rende a sè stessa; è come un dirle: ecco, tutto quello che non è fine e signorile co- me te, che ti ripugna, che ti nausea, io lo cal- pesto, lo schiaccio, lo stritolo.  Tutte le forme di elevazione del tipo umano sono state sempre l’opera di una società aristo- cratica, di una società divisa in caste e differen- ziata in una classe che sfrutta ed in una classe che è sfruttata, in una classe di padroni el in una di schiavi, di una società in cui non ha presa la stoltezza democratica dell'uguaglianza dell’umana natura, di una società in cui l’uomo di un gruppo non riconosce animale più dissimile a sè, che l’uomo dell’ altro gruppo. Senza il pathos della distanza che procede dalla differenziazione delle classi e dei gruppi, della distanza tra dominati e soggetti, tra schiavi e padroni, non sarebbe possibile quell’ al- tro pathos misterioso e sublime, quel pathos che invoca senza posa, senza tregua, una continua e-   LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   stensione delle distanze interne nel seno dell’a- nima stessa, che si sforza verso la formazione di stati di coscienza sempre più alti, più fini, più ri- gogliosi di vita che si dilata ed effonde (1).  | Una serie di caratteri del tutto opposti pre- senta, invece, l’altro tipo storico della morale: la morale degli schiavi, la Sklavenmoral. Essa segna un rovesciamento completo della gerarchia e della graduazione naturale tra uomini ed uomini, tra padroni e schiavi, tra forti e deboli: segna una elisione completa, una confusione volgare dei va- lori differenziali umani; essa poggia sul contrap- posto del bene e del male e sta di qua dai con- fini dell’ uno e dell’altro: diesseits von Gut und Bose ; essa inverte radicalmente la scala dei va- lori: quello che era buono nella morale aristocra- tica diventa cattivo per essa, e quello che per la morale aristocratica era cattivo e da tenere a viie, è, per essa, invece, il buono ed il santo. La man-   (1) « Iede Erh6hung des Typus « Mensch » war bisher das Werk einer aristokratischen Gesellschaft, und so wird es immer wieder sein : als einer Gesellschaft, welche an eine lange Leiter der Rang- ordnungj und Werthverschiedenheit von Mensch und Mensch glaubt und Sklaverei in irgend einem Sinne nòéthig hat. Ohne das Pathos der Distanz, wie es aus dem eingefleischten Unterschied der Stànde, aus dem bestindigen Ausblick und :Herabblick der herrschenden Kaste auf Unterthinige und Werkzeuge und aus ihrer ebenso bestindigen Uebung im Gehorchen und Befehlen, Nieder-und Fernhalten erwichst, kòénnte auch jenes andre gehei- mnissvollere Pathos gar nicht erwachsen, jenes Verlangen nach immer neuer Distanz- Erweiterung innerhalb der Seele selbst, die Herausbildung ipimer héherer, seltnerer, fernerer. weitgespannte-   rer, umfinglidherer Zustinde, kurz eben die Erhthung des Typus   « Mensch. » Jenseits' pug. 225.   De _ TTI eee Da —"o. j   *"a   nà ©   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 119   dra degli schiavi glorifica la compassione, la pietà, la carità, l’ abnegazione, la povertà di spirito, la debolezza, la mortificazione degli appetiti, 1 umiltà dell’ animo; e spregia e condanna e consacra al- l’ abbominio la volontà della forza, la sete del do- minio, l’assimilazione parassitaria, lo sfruttamento sociale. I suoi anatemi sono riserbati per tutto quello che è aristocratico e che rende immagine del genio sublimemente tirannico della forza e del privilegio, e le sue adorazioni sono prodigate a tutto quello che è vile, umile, mediocre, gros- solano, comune.  Come i Vornehmen hanno il senso della com- battività e del comando, così il gregge degli schiavi ha il senso della obbedienza cieca, passiva, inerte, che esso trasferisce al difuori e proietta nella for- . madi un imperativo oggettivo ed universale. Senso di obbedienza ed imperativo che è utile strumento al genio della natura per estollere la classe dei Vornehmen, per ottenere gli stessi schiavi consen- zienti alla signoria aristocratica. La mandra de- gli schiavi è dessa che crea la grande supersti- zione della oggettività e della universalità dei precetti morali. Il suo cosmopolitismo è il corre- lativo naturale dell’ uguaglianza che essa predica tra gli uomini, ed è la conseguenza dell’ elisione delle caste, dei gradi, dei privilegi, delle prero- gative di sangue, cioè a dire, delle forme stesse e dei fenomeni della vita e della differenziazione vitale. (1)   (1) «Das Wesentliche «im Himmel und auf Erden » wie es scheint, ist nochmals gesagt, da3s lange und in einer Richtung   <cte   120 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   L’intouazione più acuta e, si direbbe, il ca- polavoro a rovescio di questa Sklavenmoral è quella religione democratica della sofferenza, quel culto morboso, sentimentale del dolore, che il cristiane- simo, religione da schiavi, ha diffuso e propagato nel mondo moderno. Quando, invece, il dolore, la. sofferenza, l’ oppressione, lo sfruttamento sono i soli mezzi per conservare e migliorare la specie, per estollere il tipo umano dalla forma inferiore del-   \\l' umano, alla forma superiore dell’ Uebermensch,   del superuomo! In tutte le forme ed in tutte le manifestazioni sue, la Sklavenmoral attesta la sua bassa natura e si svela come una concezione eu- demunistica, utilitaria, materialistica della vita. Il suo solo grido, il suo solo sospiro è la felicità grossolana, scevra d’ ogni dolore e d’ ogni inquie- tudine dell’ orda, della massa, della greggia, della mandra umana.  La Sklavenmoral non è la morale primitiva   gehorcht werde... diese Tyrannei, dies: Willkiùhr,fdiese strenge und grandiose Dummbheit hat den Geist erzogen: die Sklaverei ist im grò5beren und feineren Verstande das unentbehrliche Mittel auch der geistigen Ziùchtung. Man mag jede Moral darauf hin ansehen: die « Natur » in ihr istes, welche.. das Bedirfniss nach beschràin- kten Horizonten, nach néàchsten Autgaben pfianzt — welche die Verrengerung der Perspektive und also im gewissen Sinne die Dum- mheit, als eine Lebens-und Wachsthums-Bedingung lebrt « Du soll- st gehorchen, irgend wen und auf lange...» Jenseits, pag. 107-108. — Alle diese Moralen... was sind sie Anderes... als kleine und grosse Klugheiten und Kiinsteleien, behaftet mit dem Winkelge- ruch alter Hausmittel und Haltweiber-Weisheit : allesamm in der   ‘Form baroch und unverninftig, weil sie sich an « Alle» wenden,   weil sie generalisiren wo nicht generalisirt werden darf — allesam- mt unbedingt redend, sich unbedingt nehmen.., Jenseits, pag. 229.      E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 121   dell’umanità. La genealogia della morale insegna, invece, che agl’inizi dell’umanità vigeva la mora- le aristocratica. Ed è il pathos delle distanze di rango, il pathos della prerogativa di sangue e del privilegio che dà origine all’antitesi del bucno e del cattivo (1). Buono era, appunto, sinonimo di nobiltà ed elevatezza di rango, e, con parola poco traducibile, stindisch-vornehm. In tutte le lingue, del resto, il senso vriginario dei termini di duono e di cattivo è non già il senso o l’accezione mo- rale che appone all’uno e all’altro, posteriormente, la Sklavenmoral : il senso originario è fisico e non morale, fisiologico e non psicologico, gentilizio e non etico: l’ un termine e l’altro vogliono dire semplicemente: « alto, nobile, di sangue aristo- cratico, >» e « basso, spregevole, di vili natali, ple- beo ». (2) La inversione dell’ una cosa nell’a!tra è dovuta storicamente alla prima sommossa degli schiavi nella morale (der Sklaven-Aufstand in der Moral), alla religione cristiana. Quella inversione, del resto, non è, nel fondo, che il portato di un risentimento farisaico, di una rivulsione vendica- tiva di una mandra di schiavi, degli Ebrei, con- tro la pressura ed il dominio di una razza di forti e di Vornehmen, dei Romani, ein FRacheact der priesterlichen Juden (2). È l’odiv rabbioso ed impo-   (1) « Das Pathos der Vornehmheit und Distanz, das dauernde und dominierende Gesammt- und Grundgefithl einer héheren herrschenden Art im Verhiltniss zu einer niederen Art, zu einem «unten » — das ist der Ursprung von Gut und Schlecht. » — Zur Genealogie der Moral, (I Aufl.), pagina 4.  (2) Zur Genealogie, ecc., pag. 6 e seg.  (3) « Die Juden — ein Volk » geboren zur Sklaverei « wie Ta_   lnedieondti   122 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   tente dell’oppresso e dello schiavo che si sfoga contro la morale sana e vigorosa dell’ oppressore; che si sforza di glorificare il dolore, la sofferenza, la povertà dello spirito con l’intento segreto di giustificare, di legittimare, di glorificare sè stesso;   che solleva stoltamente a dovere e suggella el   consacra con l’aureola della virtù, del merito, della santità, la sua stessa abbiezione. È l’ impotenza dello schiavo che esclama, in un momento di sn- blime sforzo creativo: « ecco, quello che era il buono per la morale dei miei oppressori, io lo condanno e lo maledico, e nella mia morale lo denunzio come cattivo: io sono debole e consacro prudentemente la mia debolezza e condanno la volontà della forza e del dominio, che io non ho e che è solo servita ad altri per opprimermi e per schiacciarmi; questa mia debolezza è la mia colpa, il mio fallo, il mio difetto; ebbene, io ne fo il mio   citus und die ganze antike welt sagt,» das ausserwàhlte Volk unter den Vélkern » wie sie selbst sagen und glauben — die Ju- den haben jenes Wunderstiick von Umkehrung der Werthe zu Stande gebracht, Dank welchem das Leben auf der Erde fiùr ein Paar Jahrtausende einen neuen und gefàhrlichen Reiz erhalten hat: —ihre Propheten habèn «reich» « gottlos » « bòse» « ge- waltthitig » « sinnlich » in Eins geschmolzen und zum ersten Male das Wort « Welt» zum Schandwort geminzt. In dieser Umkehrung der Werthe (zu der es gehòrt, das Wort fùr « Arm» als synonim mit « Heilig » und « Freund » zu brauchen) liegt die Bedeutung des judischen Volks: mit ihm beginnt der Sk/aven- Aufstand in der Moral. » Jenseits, pag. 116. — « Es sind... die prie- sterlichen Juden... gewesen,., die gegen die aristokratische gWert gleichung (gut-vornehm-màchtig-schén-gliicklich-gottgeliebt) mit einer furchteinfléssenden Folgerichtigkeit die Umkehrung gewagt und mit Zihnen des abgriindlichsten Hasses der,jOhnmacht) fest- gehalten haben. » Zur genealogie; pag. 12.   ‘___—_———+—____r—Ér—_——m——_——€@   «      ere n   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 123   privilegio ed il mio merito; quello che io ho tatto tin qui, perchè sono stato costretto a farlo, vo’ far credere ad altri di averlo voluto fare sponta- neamente e da me stesso; è il mio capolavoro; e così maschero la mia impotenza nelle forme della forza. » (1)  É il risentimento, potere puramente negativo, che diventa, per un salto mortale, creativo di va- lori etici; è la morale volgare della prudenza e dell’astuzia, che si contrappone alla combattività ed alle audacie balde e spensierate della forza, della volontà del dominio.   * * *   Queste le linee fondamentali del pensiero di Fr. Nietzsche, oggetto di adorazione fanatica dell’in- dividualismo fin de siècle della giovane letteratura tedesca.   Non è difficile discernere com’ esso sia meno originale di quanto sembra. Il principio della vo- lontà del dominio, che è come il nocciolo di tutta   (1) « Wenn die Unterdriickten, Niedergetretenen, Vergewalti- gten aus der rachstichtigen Lust und Ohnmacht heraus sich zu- reden :... » Lasst uns anders sein als die Bòsen, nimlich gut!...» so heisst das, kalt und ohne Voreingenommenheit angehért, ei- gentlich nichts weiter als « wir Schwachen sind nun einmal] schwach; es ist gut, wenn wir nichts thun, wozu wir nicht stark genug sind » = aber diese Klugheit niedrigsten Ranges, welche selbst Insecten haben, hat sich in den Prunk der entsagenden. stillen, abwartenden Tugend gekleidet, gleich als ob die Schwi- che des Schwachen selbst.... eine'freiwillige Leistung, etwas Ge- wolltes, Gewihltes, eine That, ein Verdienst sei.» Zur Genealogie, pag. 28.   So 0A — A In OT   ani   194 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   la intuizione del mundo del Nietzsche, non è poi altro che una ripetizione, o una intonazione più acuta, del noto principio della volontà di vivere (Wille zum Leben) di A. Schopenhauer.  È un trasferimento dell’esperienza psicologica della causalità interna ne) mondo esteriore: è una oggettivazione mitologica della voloutà nella na- tura, una proiezione dal di dentro nel di fuori.   Sola intuizione positiva che possa emergere dal   puro agnosticismo teoretico e dal puro soggetti- vismo : una creazione intelligibile del mondo, fatta, ex nihilo sui, dallo sforzo della psicologia umana! (1)  Ma, pure ammessa questa continuità e deri- vazione dell’un principio dall’ altro, è debito di verità aggiungere, che Ja formola schopenhaue-   (1) Die Frage ist zuletzt, ob wir den Willen wirklich als wirkend anerkennen, ob wir an die Causalitàt des tWillens glau- ben : thun wir das — und im Grunde ist der Glaube daran eben unser Glaube an Causalitàt selbst — so miissen wir den Versuch machen, die Willens-Causalitàt hypothetisch als die einzige zu setzen. Wille kann natùrlich nur auf « Wille » wirken, uud nicht auf < Stoffe » : genug, man muss die Hypothese wagen, ob nicht- iberall, wo « Wirkungen » anerkannt werden, Wille auf Wille wirkt, und ob nicht alles mechanische Geschehen, insofern eine Kraft darin thàitig wird, eben Willenskraft, Willens-Wirkung ist. Gesetz endlich, dass es gelinge, unser gesammtes Triebleben als die Ausgestaltung und Verzweigung einer Grundform des Willens zu erklàren — néàmlich des Willens zur Macht, wie es. mein Satz ist: gesetzt, dass man alle organischen Funktionen auf diesen Willen zur Macht, zurickfithren kònnte und in ihm auch die Lisung des Problems der Zeugung und Ernàhrung — es ist Ein Problem — fàinde, so hétte man damit sich das Recht ver- schafft, alle wirkende Kraft eindeutig zu bestimmen als: Wille zur Macht. Die Welt von innen geschen, die Welt auf ihren « in- telligiblen Charakter » hin bestimmt und bezeichnet — sie wire eben « Wille zur Macht » und nichts ausserdem. Jensezts, pag. 49.   Ci   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 125   riana rappresenta un pensiero di gran lunga più elevato di quello del Nietzsche. Lo Schopenhauer non è adoratore, ma giudice severo ed acerbo della forza, dell’egoismo, del principium individua- tionis, della volontà di vivere. Il Wille zum Leben non è condizione di miglior vita per lui, non è argomento di una elevazione del tipo umano. Egli sente al vivo il grido di dolore che si leva dalla radice delle cose sotto la pressura della cieca di- namica della forza; egli predica la redenzione mno- rale della coscienza umana dalla cieca, improvvida, penosa volontà di vivere. Il suo pessimismo è un omaggio reso allo spirito di abnegazione, di pietà e di sacrificio, come la sua morale è tutta un’ a- poteosi della compassione e della simpatia umana. Evidentemente, l’ ottimismo di Fr. Nietzsche, di questo esteta affaticato dallo spasimo del fine, del signorile, dell’ elevato , è troppo impresso di pro- fana empietà metafisica ed etica, e non può es- sere elevato agli onori di un raffronto. Per tro- vare qualcosa di simile alla sua morfologia della volontà del dominio, bisogna far capo al pietismo materialistico dell’Haller, che rappresenta, a sua. volta, l’intuizione etica del mondo del feudalesimo. degenerato. Ed invero, se rinascesse, per bizzarria -dell’atavismo, in questa fine di secolo un servo. dei volghi feudali, con quella sua ingenua cre- denza nella pretesa superiorità di natura del Si-. gnore o del Padrone, egli evidentemente, se gli. capitasse di fil»sofare, non la penserebbe altrimenti . dal Nietzsche, il cui eroe super-umano ha comune con la mandra da lui asservita un identico per- vertimento dei valori morali.   SS   196 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   Cal   Una certa analogia ha la formula del Nietz- sche con la intuizione meccanica del mondo con- temporaneo. La volontà del dominio si mostra  I come una intonazione più acuta del principio della | lotta per Vesistenza. L’ elevazione del tipo umano del Nietzsche pare che sia un quid simile della selezione miglioratrice e trasformatrice dei tipi | specifici. Ma anche qui, più che di una vera e ‘ propria analogia, si tratta di una restrizione e di un pervertimento. La lotta per l’esistenza, secondo   |. gli odierni naturalisti, non è causa di antagonismo,   . ma è anzi impulso all’associazione. La lotta deter- mina non lo sfruttamento, ma il concorso degli esseri viventi in favore della loro adattazione col- lettiva. È noto che, per la biologia contemporanea, l'organismo vivente è prodotto di selezione asso- ciativa, è prodotto dell’associazione di unità orga- niche elementari, determinato dalla necessità della lotta e della difesa delle unità stesse. Il progresso nella scala degli organismi è segnato, appunto, da questo processo d’integrazione e d’incorporamento, per cui individui organici di una serie inferiore di- ventano organi di un tutto vivente, di un organi- smo superiore. E questo processo d’incorporamento delle unità elementari non involge, per i biologi contemporanei, segna, anzi, una perdita della loro individualità originaria: è una garenzia, una ele- vazione, un’ ascensione della individualità stessa.   I) progresso della varietà dei tipi non è, quindi,   l’ettetto dell’ appropriazione e dello sfruttamento, ma cdi un’ accomodazione collettiva, di una solida- rietà organica, di un’assimilazione selettiva ed asso-   e —— ——T———_—_+-++m_——_———_r————_———@mrh__—_———___b -   n nn — ————_   - - —+ ——— —.-   7 sca + n dif   [ard   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 127   . . LI ® ® . LI Li LI / ciativa, di una simbiosi, per usare il linguaggio ‘|   tecnico del biologo.  Qualunque sia per essere il giudizio da recare sovra questo nuovo indirizzo della biogenesi, è evidente, per altro, che esso segna una forma di pensiero radicalmente diversa dal concepimento che della vita e delle sue funzioni essenziali ci   porge il Nietzsche. La volontà del dominio di lui   è, forse e senza forse, l’espressione naturale del-   l’aspetto primitivo e superficiale, onde il principio.   astratto e razionalistico della lotta vitale si presen-   ta ad un mitologo e ad un esteta, ignaro delle ’   scienze naturali.  Non per questo diremo noi che il pensiero del Nietzsche, in quello che non ha di comune con gl’indirizzi recenti della filosofia e della scienza, ossia in quello che ha di più repugnante e di più falso, sia un portato originario della sua mente. Philosophiren ist... cine Art von Atavismus hochsten Ranges; così dice, in un punto del suo « Jenseits » il Nietszche stesso. Il principio, esposto in quella sua dogmatica generalità, è, senza dubbio, un pa- radosso; ma si traduce in una grande verità, se lo si applica alla filosofia del suo autore. La fi- losofia del Nietzsche è, invero, un bizzarro fe- nomeno di atavismo; ed, esaminata a fondo, si svela per quello che è: un’ esumazione «da dilettante di genio. Le sue invettive contro il cristianesimo sono un ricorso del volterianismo della filosofia enciclopedistica, precisamente come i suoi freie Geister sono i fratelli minori degli ormai classici Esprits forts di un secolo ta, ed ilsno Ubermensch   aid celata a ee fe   128 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   una sopravvivenza olimpica del neo - classicis- mo Goethiano. Che più? La stessa morfologia della volontà, della forza e del dominio è una re- viviscenza atavica dello scetticismo morale della sofistica. Il Nietzsche, il già filologo dell’ Univer- sità di Basilea, l’esteta dell’ellenismo, ci esibisce, dopo tutto, una esumazione di Trasimaco e di Callicle; e chi ha studiato la Repubblica edil Gorgia di Platone, conosce di già in antecedenza il Jen- seits von Gut und Bòse. Un’analisi diretta e minuta dei due dialoghi è opportuna per fornircene la conferma. Essa giova, altresì, a renderci immagine d’ura forme d’esprit alquanto più semplice ed in- genua di quella proffertaci, sopra uguale materia, dallo scrittore tedesco.   * * *   Dalla nota formola di Protagora « ravtwv yonudtwv uetoov dvbgwros » non Protagora stesso inferì quell’estremo scetticismo morale, che si an- nunzia nella dottrina dei sofisti posteriori. Il mito posto in bocca a Protagora nel dialogo omonimo di Platone dimostra che il maestro della sofistica non era alieno dal riconoscere un fondamento psicologico della morale nella forma di un nativi- smo mitologico. Egli non è stato logico interpetre della formola teoretica dellu sua gnoseologia; ed il suo scetticismo teoretico è contraddetto dal suo dogmatismo morale. Tuttavia, quella formola se- gna l’espressione più recisa del relativismo e con- tiene come in embrione tutte le vecchie e le nuove      MErmmezZnA no tia °° nn   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 129   e le nuovissime forme dello scetticismo morale. Il dettato di essa è semplicemente il seguente: i criteri di valutazione etica non sono universali; essi sono relativi a questo o quel soggetti ; il loro valore è variabile secondo l’angolo visuale, secondo il punto di prospettiva dal quale uno si colloca per esaminarli. Il che vuol dire che quel principio comprende ed : nticipa tutte le teorie sulla morale plurima e dualistica, da quella dei sofisti che se- guono immediatamente Protagora, a quella del Nietzsche che tutta si assomm:i, come abbiamo veduto, nel dualismo della Herrenmoral e della Sklavenmoral.  Una espressione limpida e netta della morale plurima, cioè a dire della morale non unica ma differenziata secondo i modi di vita dei soggetti, e, quel che preme più, secondo ia qualità del gruppo o della classe a cui i soggetti appartengono, è visibile nella scuola di Gorgia. Il Meuone di Platone (71, 72) e la Politica di Aristotele (I, 13, 1260) ne rendono esplicita testimonianza. Ma lo sviluppo più logico e più radicale dello scetticismo morale della sofistica ci è duto, per un verso, da Trasimaco e, per un altro, da Callicle, nella forma di una vera e propria morfologia della volontà della forza che dà, certamente, dei punti a quella del Nietzsche.  Questa morfologia della forza è, del resto, lu conseguenza logica della formola universale dello scetticismo morale. In una massa di soggetti, i quali non riconoscono altra misura delle cose e dei rapporti socievoli che sè stessi, (singolarmente  I. Perrone. -- Problemi del mondo morale. 9   fi   ni . È IS] A Bi SE . nici da nni LEI   130 LÉ NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   considerati) e l’arbitrio soggettivo di ciascuno, unica formola di vita resta la volontà della forza, der Wille zur Macht. Il filosofo affaticato dalla oxéys non può rendere altrimenti ragione della coesione degl’individui di quella massa, nè dell’ intreccio, dell’attrito e della erosione dei rapporti socievoli degli uni con gli altri, se non ricorrendo al prin- cipio o allo strumento della forza.  Soltanto, questa volontà della forza può es- sere attribuita a pochi o a tutti, allo Stato o ai singoli, al gruppo dirigente e governante o a questo o quell’individuo di qualsiasi gruppo; ed a seconda dall’una cosa e dell’altra, il principio co- mune della volontà della forza può condurre a dottrine alquanto diverse nella forma. La prima, quella che riconosce la presenza della forza solo nei gruppi dirigenti, rende, senza veruna difficoltà, la ragione sufficiente dello Stato e del diritto; e lo Stato è, in tal caso, la creatura e l’organo della forza, ed il diritto è l’ espressione e la consolida- zione dei rapporti della torza. Per tale dottrina, la genesi del diritto e dello Stato è un assioma e non un problema. La seconda, invece, (quella che rico- nusce la presenza della forza nei singoli ut sic), non. può rendere la ragione sufficiente dello Stato e del diritto, riannodando l’ uno e l’altro ai rap- porti della forza. Per essa, la genesi dello Stato e del diritto è un problema, e non un assioma, ed un problema che può essere formulato così: Co- me nasce, adunque, questa potenza inibitrice della forza individuale che è il diritto e lo Sta- to? Non potendo nascere per dato e fatto de-   _   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 131   gl’ individui forti, i quali non sarebbero stati mai così stolti da por mano essi stessi alla po- tenza destinata a domarli e tenerli a freno, onde avranno avuto, adunque, nascimento ? Problema al quale , dal punto di veduta di una morfologia della forza, non è concepibile altra risposta che la seguente: I rapporti regolativi della morale, il princip'o della uguaglianza giuridica, il diritto e lo Stato sono nati non dalla forza, ma dal suo contrario, dalla debolezza. I deboli si sono asso- ciati per astuzia e per interesse ; ed hanno pro- clamato per diritto quei provvedimenti o quella serie di provvedimenti che tendono a mascherare ed a tutelare la loro debolezza contro l’ eccesso di vitalità e di combattività dei forti o delle na- ture aristocratiche e degl’individui superiori. La forza brutale del numero, monopolizzata dalla greggia degli schiavi, ha domata con l’astuzia la forza vera e legittima degl’individui superiori, ed ha creato il principio dell’uguaglianza umana e le leggi della morale e della giustizia.  Ora quest’ analisi profonda della morfologia della forza, della quale il dualismo morale del Nietzsche è solo un pallido riflesso , è perspicua e visibile nella dottrina di Trasimaco ed in quella di Callicle.  Il giusto, secondo Trasimaco, non è altro, che l’espressione della signoria del più forte. Ogni forza prevalente, ogni potere direttivo detta leggi a suo esclusivo interesse; e le impone alla molti- tudine dei soggetti e dei deboli, come leggi sante, la cui osservanza è doverosa e la cui trasgressione   + “ope   132 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   è criminosa e meritevole di pena. (1) Nella eco- nomia delle cose la giustizia o l’osservanza della giustizia è argomento di debolezza, di sfruttamento, di oppressione, laddove l’ingiustizia, o la pratica irrefrenata dell’ingiusto, è argomento di maggior forza, di utilità, di appropriazione, di aumento di vita. L’ingiustizia ha, insomma, una grande funzione: quella di essere eminentemente utile e vantaggiosa. Questa funzione utilitaria dell’ingiu- stizia è vieppiù visibile quanto l’ingiustizia è più grande, quanto la pratica dell’ ingiusto è portata allo stato di tensione più acuto. Il capolavoro dell’ingiustizia, l’ingiustizia in grande, il delitto collettivo ed in massa, la tirannide, è, ad un tempo, lo espediente meglio indovinato di eudemoniswo. Il tiranno, questo delinquente in grandi propor- zioni, gode il massimo del godimento e dell’inten- sità di vita. Egli ha il plauso di tutti, e di chi lo teme e gli è soggetto e di chi no; perchè chi vi- tupera l’ingiustizia nol fa per sete di giustizia, ma   o per timore v per invidia: per timore di essere   (1) ... pnui yào éya tò dixarov ox dhiho Ti, Î) TÒ Tod xoeit- tovos Svupeoov.  Tidetar dé ye toÙs vouovs éxdotn î dog mo0s tò avrj Evupéoov, ònuoxgatia uv Onuoxgatinode, Tupavvis de TvOav- vxovs, nai ai dilar obra: Véuevar de arnépnvav tovto dixatov tois dogouévois elvai, tò opior Svupéoor, nai tòv TOÙTtOv EN- faivovta xoRdSovowv ws maoavouobvià te xai ddixodvta. Tovr oòv éotiv, © féAtwotEe, È Aéyo, év drsrdoarg talg ndAEo taùròv elvar dixatov, TÒ Ts xadeotnzvias doyî)g Evupéoov, abrn dé mov xoatei. Hote Svufaiver tO d000gs Aoyigoueva savtayod elvar tò aùrò dixatov, tÒ TOd xoeittovos E vupéoov. Rep.,888-389.   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 133   vittima egli dell’ingiustizia, o per invidia di non poterla, per scarsità di forza, imitare o uguaglia- re. (1) Interesse nel primo caso, astuzia nel se- condo; astuzia della volpe che chiama acerbo il pomo che non può cogliere: calcolo utilitario, più O meno raffinato, in entrambi.  Glaucone, uno degl’interlocutori della Repub- blica, svolge viemmeglio la teoria di Trasimaco. Secondo natura, egli dice, è più vantaggiosa l’in- giustizia che la giustizia, ossia è bene praticare l’ingiusto e male il giusto.  . La giustizia non è da natura, ma da conven- zione e da patto, è un compromesso, un mezzo termine utilitario, tra il maggior male temuto dalla pratica della giustizia ed il minor bene aspet- tato dalla pratica dell’ingiusto. Invero il mal che segue dal soffrire l’ ingiustizia, ossia dall’ essere giusti, è di gran luuga maggiore del bene che segue dal farla, ossia dall’ essere ingiusti. Di qui segue, in quelli che hanno ad una volta esperi- mentato quella dose di male e questa dose di bene, il desiderio di addivenire ad un patto reci- proco per cui si rinuncia a praticare l’ingiustizia contro gli altri appunto per esimersi dal subirla essi stessi. Di qui trae origine la legge, di qui la santità del giusto : l’uno e l’altra volute, non per sete ed amore di giustizia, ma per la impotenza a fare l’ingiustizia ed il timore di subirla; dovec- chè chi è forte ed è atto a praticare l’ingiustizia e non teme l’ingiustizia altrui, non è così stolto   (1) Rep., 948-844.   134 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   da addivenire ad un patto, nel quale egli rinun- cia a tutti i godimenti senza verun correspet- tivo. (1)  In questo tratto di Glaucone v’è come un’an- ticipazione di tutte le forme storiche del materia- lismo giuridico. Fate che la impotenza e la paura si estendano, per un presupposto filosofico, a tutti gl’individui, ponete che gl’individui tutti sieno uguali da natura, uguali e nella potenza di pra- ticare l’ingiusto contro gli altri e nella paura di essere vittima dell’altrui ingiustizia essi stessi, e voi avrete, per una logica estensione della dot- trina di Trasimaco e di Glaucone, il sistema di Tommaso Hobbes e di B. Spinoza. Sistema, iu cui il presupposto razionalistico dell’ uguaglianza na- turale di fatto determina non più la morale dua- listica e plurima della sofistica, ma la morale unica ed oggettiva ed uguale del contrattualismo ideo-   (1) Iegvuevai vdo di) paor tò uév ddetv dvadòv, tò dé dbixetoda. xaxòv, mAéovi dé nano vreofàiAiew tò ddetoda, î dva9® tò ddixetv Wo éredav diiniovs dbuboi te nai àbinovta: Kai dugpotéowv vevwvtai, Toig un dvvauévo TÒ uév éxpevpew, tò dé alpetv doxer AvorreAetv Evvdeodar dilAin Ao unt ddixetoda:. xai evtedvdev òi) dofacdar vouovs tidECdA: ai Euvdnuas avrov xai dvoudoai tÒò dirò Tod vòuov Ééstayua vé- uyudv te xai dixatov, xai Elvar di) tTabvtnv véveciv te xai oboiav dixavoovvns uetagò odboav tod uev doiotov Ovtos, tav ddr ui) did@ dixnv, tov dé xarxiotov, édv dbdimovuevos TIUOWLIEIC6TAL adivaros 17, tò dé dixatov èv ué0® 6v tovtov dupotéowv dya- naoda. 00 ©g dyadòv, GAA' ©g adbootia tOov ddietv TudUIE- vov' érei to v dvvduevov adrò mov xal bg dindos odò’ dv évi mote buvdéodar tò unte ddietv unte ddixetoda.. Rep., lib. II, 859.   + hi   È hi   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 135   logico, e che rappresenta la sola forma di dogma- tismo superstite dalle ruine dello scetticismo mo- rale, il materialismo giuridico. In vero, la diffe- renza fra Trasimaco e Glaucone, per un verso, e l’Hobbes e lo Spinoza, per un altro verso, è solo questa: che nei primi la giustizia è un patto li- mitato al gruppo dei deboli, patto, di conseguenza, che non impegna punto i forti, che sono fuori di quel gruppo; e nei secondi, invece, la giustizia è il patto utilitario di tutti gli uomini universal- mente, tutti uguali nella forza di fare l’ingiustizia e tutti nella debolezza di subirla. (1) I   (1) Meglio d’ogni dimostrazione vale il raffronto diretto delle tre fonti: .  «Tum corporis, tum animae facultatibus adeo aequales inter se produxit Natura homines, ut quamvis alii aliis viribus aut ingenio praestent, si tamen omnia simul considerentur, differentia tanta non est, ut promittere sibi commodi quicquam possit unus, quod alius sperare aeque non potest.... Ab aequalitate Naturae ori- tur unicuique ea quae cupit acquirendi spes. Quoties ergo duo idem cupiunt, quo frui ambo non possunt, alter alterius hostis fit et ad finem sibi propositum (quae est conservatio propria) al- ter alterum conatur subiugare vel interficere.... Manifestum igitur est quamdiu nulla est potentia coerciva, tamdiu conditionem ho- minum eam esse quam dixi Bellum esse uniuseuiusque contra unumquemque.... Quamdiu ergo Jus illud retinebitur (Jus omnium in omnes) nulla cuiquam, etsi fortissimus sit, securitas esse po- terit. » Di qui appunto, secondo l’Hobbes, sorge la funzione uti- litaria del patto sociale creativo della giustizia : di qui la Ratio (vero calcolo della ragione) che detta l’imperativo « Pacem quae- rere.» De Homine, cap. 14.  « Certum est naturam absolute consideratam jus suum ha- bere ad omnia quae potest, hoc est jus naturae eo usque se ex- tendere quousque eius potentia se extendit : sed quia universalis potentia totius naturae nihil est praeter potentiam omnium in- dividuorum simul, hinc sequitur unumquodque individuum jus summum habere ad omnia, quae potest..:. Quidquid itaque unus-   DI bi % ' - = > 7 Li ea =. a e i I i _ di PA = }- E ati ri (E rt e iaia EL le Aaa mi Ren nero ei   inmataer.tii maree I a a e ni TE n RZ Red Lio ia "   136 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   Adimanto, altro interlocutore della Repubblica, ribadisce il principio che fonte della giustizia è la debolezza e l’impotenza di farla, e quindi, ad un tempo, la paura e l’invidia. Se ne togli quelli che da una specie di natura divina banno contratto l’odio dell’ingiusto, degli altri, egli dice, non v'è un solo che sia giusto per volontà di esserlo, ma tutti il sono o fingono di esserlo, per debolezza, vecchiaia, imbecillità di animo, che vieta loro di essere ingiusti. Date ad essi in effetti forza e po- tere, e li vedrete non meno ingiusti degli altri. (1)  Ma, quegli che più logicamente d’ ogni altro sì colloca jenseits von Gut und Bòse, e le leggi mo- rali e giuridiche svela come calcolo utilitario e mascherato della folla degl’impotenti, della Stla- venmoral, è Callicle, 1’ interlocutore del Gorgia. Checchè, egli sia, secondo la critica del Grote, del chiaro riabilitatore della sofistica, sia egli pure   quisque, qui sub solo naturae imperio consideratur, sibi utile vel ductu sanae rationis, vel ex aftectuum impetu judicat, id summo naturae jure appetere et quacumque ratione, sive vi, sive dolo, sive precibus, sive quocumque demum modo facilius poterit, ipsi capere licet, et consequenter pro hoste habere eum, qui impedire . vult quominus animum expleat suum. » Il transito dalla lotta uni- versale dello stato di natura alla pace dell’ordine giuridico e, quindi, al patto sociale istitutivo del diritto e dello Stato, è de- terminato, quindi, da un calcolo utilitario della ragione, la quale intende ad evitare i danni che possono seguire a ciascuno degl’in- dividui utî sic dal diritto potenziale indefinito di ciascuno su tutto e su tutti, ed è guidata in ciò dalla legge seguente : «lex huma- nae naturae universalis est, ut nemo aliquid, quod bonum esse judicat, negligat nisi spe majoris boni, vel ex metu maioris damni: nec aliquid malum perferat, nisi ad maius evitandum vel spe maioris boni.» Tract. Theol.-Polit., cap. XVI, passim. (1) Rep., 366.   PIA o Gira Tall gl I   e PTT er Prg nn   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 137   un mito platonico e non una persona reale, in- dubbiamente egli è l’interpetre , sia pure imper- sonale e fittizio, di una corrente radicale della sofistica. Egli è il Nietzsche della Grecia del tempo.  Le leggi, insegna egli, sono opera di gente plebea ed imbecille, opera della mandra umana, che per finezza di calcolo maschera con la legge la sua impotenza. Questa mandra denuncia come ingiusto l’esercizio della forza e dello sfruttamento e predica la giustizia inviolabile dell’uguaglianza. Ed è naturale: a lei che è inferiore, l’uguaglianza rappresenta un guadagno; essa, così, si colloca alla pari dei forti e delle nature aristocratiche e su- periori. (1) Di qui segue che unica cura la muove: predicare, per ministero di legge, che è ingiusto ed immorale che un individuo si appropri più di quello che hanno gli altri individui; che è ingiusto ed immorale che l’individuo superiore si estolla sulla folla volgare e plebea degl’individui infe- riori. Eppure è la natura, la stessa natura che Cinsegna essere equo che il forte abbia più del debole ed i tipi superiori più dei tipi inferiori. È   (1) ... dAA', oîuai, oi tidéuevor toùs vòuovs oi dodevets dv- doewroi elio xai oi r0Aàol. m0Òs abvroùs oùv xai tò abvrots cvu- peoov Tovs te vouovs tidevtar xai toÙs ésrarvovs ÉrarvovoL xai toùs ywoyovs yweéyovor® éxpofotvtes TOÙs ÉooWuevECTE00vS tOv avdoasrov xai dvvatoùs bvras sAéov Eyew, iva un) abr@ov nAiéov Erwor, Agyovow, sg aloyoòv nai didimov tò sAgoventetv, xai tovt° Éoti tò dbdixetv, tÒ AéO0v TOv diicov Ente Éyewv avaro. vao, oiuai, adtoi dv TÒ loov Eywor pavAdtegor Svres. PLato, Gorg. XXXIII.   Te n Mae ia OR Le   138 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   lexge universale della natura che il più forte do- . mini il più debole e lo sfrutti e lo asservisca. Dovechè la legge nostra, la convenzione le- gale fatta da noi, è contraria alla legge di na- tura. Noi, invero, miriamo ad una cosa sola: ad agguagliare i deboli ai forti. E non potendo at- tingere la meta, i deboli facendo forti, )’ attin- giamo altrimenti, i forti, cioè, facendo deboli. Noi deprimiamo le nature superiori, noi le domiamo e le addomestichiamo , come il domatore di fiere fa dei liberi e forti leoncini; noi le fasciniamo con l'incanto delle nostre leggi e della nostra equità convenzionale, noi le suggestioniamo , viziandole, e le traiamo in servitù. Ma, se uno di questi tipi superiori insorge e si emancipa dalle catene ser- vili imposte dalle tradizioni e dalle consuetudini, ‘ ed esplode nella sua selvaggia ed aristocratica natura, rompendo il fascino e l’incanto delle no- stre leggi e delle nostre convenzioni insidiatrici, certo in lui la natura plaude a sò stessa, perchè in lui si effonde luminoso il diritto della vera na- tura, spastoiato dalle nostre leggi fittizie ed in- teressate. (1) Perchè è buono e giusto per natura   (1) dià tavta è vbuo puév tovt’ didixov xai aloyoòv Aéyetat, tò màéov Gntev Eyew tOVv s0hibv, mai ddixetv adtò xadodowr: î) dé ve, oluat, pio adr dsopaiver aùrò, dt dixatov ott tòv dueiva tod yeigovos mÀÉéov Eye ai tòv dvvatoòtEROv TOD dadvvatotEoov. ònAot dé tavta moAAayob dti obrws Eyer vai év tois diios L00g nai tOv avdoobtor év bAiaig tTals bAeoi nat tols yéveow, dti odtw TÒ dixatov Kéxoitai, TÒv KOEITTÒO TOÙ fjrtovos dozew xai rÀÉov Eyew. nei soip dixaio yomuevos Zéosis Éri ti) v ‘EARdda, gotoatevoev; î) è stato adroD érrì Zud-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 139   che chi ha più forza ed intensità di vita e chi ha il genio della combattività e della lotta espanda al di fuori questa sua vitalità ed energia senza limiti nè freni di sorta. L’intemperanza è te- nuta a vile e condannata dalla mandra dei tipi inferiori, solo per invidia e per mascherare la temperanza coatta dell’ impotenza. È la moltitu- dine degl’impotenti, che, fatta forte dal numero, rende in servitù le nature superiori e condanna le libidini che non può so:ldisfare ed esalta come virtù le astensioni determinate dalla sua debo- lezza. Dovechè, virtù e felicità vera è la libertà disfrenata della vita e dei godimenti; ed il resto non è che sottilità da impotenti e convenzione contro natura. (1)   das; î dila uvoia dv ts Eyor tovavdta Aéyew. dAX', oluai, ovtoL xatà puow tv tod dexaiov TadTta modTTOvOL, xai vai ud dia xata vouov Ye TÒv TÎs puoeas, où uevtor l0ws xatà todTOv, $v fuets tWdéuEda smAdttOvTES' toÙs feAtiotovs wai É00UEVEO- TAT0VS Nuov adtov éx véov Aaufàvovtes Woneo Aéovtas xa- Ttendòovtés te xai yontevovtes xatadovAodueda Aéyovtes, © tÒ loov Yor Éyew xai tovt’ Éoti tò xaddòv xai tò dixatov. Édv dé ye, olnai, gvow ixavyv vévntai Eyaov arno, mavta tavi àrodeLdauevos xai diagoniéas mai diapuy@v, xatarrati)0ag tà fjuéteoa yoduuata xai uayyavevuata xai énmddgs mai vouovs toùs maga puow drravtas, Éravactàs avepavn deorotns iue- teoos 6 dovAos, xavtadd’ éEglampe TtÒ Tijs qpuoews dixaov. Gorg. XXXIX. |  (1) .. d Rik tovr’ coti tÒò xatà qpuow xaZòv xai dixawvov, Ò ya) G0L vuv smaponorabouevos Aéyw, dti der tOv dodos fiwod- uevov tds uév émdvuias tds Éavrod éav @s pueyiotas elvai xai un) xokdgew, tavta è’ ge ueyiotars oicais ixavòv elvat vampetetv dl dvògelav xai podvnow xai dro siurmdidavar ©v dv dei f) émdvula viyvyrar. àhAid tovt, oluai, totg st0kk0tg oò dv-   140 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   - % * *  L’ analogia del pensiero del Nietzsche con queste direzioni radicali della sofistica greca non ha bisogno d’illustrazione ulteriore dopo quest’analisi diretta delle fonti. La divisione della morale in due tipi fondamentali antitetici, la morale delle nature superiori e quella della media umana, è perspicua in Trasimaco e nei suoi interlocutori e raggiunge poi l’espressione più acuta nella dot- trina di Callicle.  Il principio che la morale e la giustizia è una struttura artificiale e convenzionale dei de- boli, un’arma astuta di difesa contro la sete di dominio dei forti, una espressione della Sklaven- moral, trova in Callicle un interpetre insupera- bile. Finalmente l’apologia della forza e del do- minio, come condizione essenziale e fondamentale di vita e di aumento di vita, quella, insomma, che il Nietzsche chiama morfologia della volontà della forza, forma, ad un tempo, il sottinteso e la di- mostrazione, il presupposto e la tesi di ambo i sofisti, di Trasimaco e di Callicle.   vatòv: ddev wéyovor Toùs Towvtovs òl' alogivnv, àronovato- uevor tv adrov ddvvauilav, xai aloyoòv dn gaow elvar tiv dxoAaciav. brreo èv tols Eunooodev ya Elepov, dovAovuevoi toùs BeAtiovs tI)v qpiow àvIodraovs, nai adroi cò dvvduevor eusogileoda: tatg foovats TANOWOW ÉmaLVODOI Tv 6(OPL00UvNv xai tv dixavocivyv did Tv Éavtov dvavòoiav, . ........ tovpi) xai dxoAhacia xai éAevdegla, édv Érmmovoiav ÈXn, Tovr' éoriv àoeti) te xai eddaruovia* tà Ò' dAia tavr' goti tà Kad- Aoricuara, tà raoà puow cvviuara, dvieomor pAvagia xai oddevòs déa. Gorg. XLVI.   comin   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 141   Il Nietzsche ci presenta, adunque, un tenome- no bizzarro di atavismo filosofico. Il suo stesso Uebermensch, i suoi Freie Geister, i suoi Versucher dell’avvenire sono, dopo tutto, di vecchia data. Sono il sospiro ed il sogno di tutti i periodi di dissolvimento scettico, l’espressione più netta della bancarotta morale di una data generazione; e ricorrono, quindi, periodicamente, a guisa di certe neoformazioni cancerigne in organismi o in tes- suti viziati al di deniro ed infetti senza rimedio.  Questa indole atavistica e patologica del pen- siero del Nietzsche semplifica di molto ]l’ ufficio della critica. La quale non si proporrà di confu- tare le negazioni scettiche nuove ed antiche. Il più gran trionfo della critica, quello di persua- dere e di rendere assenziente l’avversario, è reso impossibile della natura stessa dello scettico. Que- sti rappresenta lo spirito della negazione asso- luta. Al vostro «sì » egli risponderà sempre con un « no» risoluto; e le vostre affermazioni egli denuncierà in anticipazione, come illusioni di ot- tica intellettuale, come allucinazioni di prospet- tiva. In cambio di affaticarsi a confutarlo, la cri- tica si terrà paga a mettere a nudo i suoi prece- denti e la sua patogenesi; ufficio di analisi de- scrittiva e niente altro. Lo scetticismo morale non si confuta, si mostra. Il filosofo non ha bisogno d’insistere sulla sua indole dissolvitrice della vita morale: come l’anatomista patologo non ha bi- sogno d’insistere sulla natura patologica e mortale delle lesioni che egli anatomizza e riutraccia. L’uno e l’altro vengono su, dopo che le lesioni   149 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   hanno prodotto già lo spegnimento della vita e la disgregazione dei tessuti; e l’ufficio di entrambi sì traduce in una semplice verificazione di fatto o in un’analisi patogenetica retrospettiva. . Tuttavia, il Nietzsche non sì limita a negare. Egli annuncia, anzi, un dogma positivo, che, per quanto sia di natura dissolvitrice della vita umana, a lui sembra tuttavia il contrario: sembra, cioè, l’impulso primigenio ed il fremito stesso della vita. La negazione del bene, della morale e della giu- stizia non è, per lui, una tesi o una escogitazione di filosofo; è un dettato, un imperativo spontaneo della vita umana. La volontà del dominio e dello struttamento è la condizione stessa determinante   della vita. Essa appartiene non alla patologia, ma   alla morfologia degli organismi viventi.  Benchè questa inversione radicale dei criteri della morale esprima al vivo la natura incurabile dello scetticismo morale, è bene tuttavia che la critica la tolga in esame; e non per persuadere lo scettico, ma per impedire che egli travii gli altri. La natura stessa e la vita, complice del male e dell’ingiusto ! Ecco una tesì troppo teme- raria, ma ad un tempo troppo insidiosa; e non può perciò lasciarsi a sè stessa.  Ritorcere contro lo scetticismo la sanzione morale del dovere, è legittimo, senza dubbio, ma, tenuto conto dell’ indole dell’ avversario, è inop- portuno. Egli è lì pronto a rispondervi: Ammesso pure che la vostra sanzione del dovere sia giusta e sacrosanta, voi mi ammetterete che la sanzione stessa si traduce in una negazione della vita: la   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 143   vostra condanna della forza e del dominio è, dopo tutto, una condanna della vita, un principio di degenerazione, di decadimento, di morte.  La critica, perchè sia immune dalle ritorsioni dell’avversario, deve, con utile accorgimento di tattica, collocarsi nello stesso punto di veduta di lui. Non è la metafisica della morale, ma la morfologia stessa degli organismi viventi che essa deve contrapporre alle tesi del Nietzsche. Il pro- blema che essa deve proporsi è semplicemente il seguente: È vero che il dominio, l’appropriazione senza limiti dell’altrui, lo sfruttamento egoistico, è legge elementare della vita?  Ridotto il quesito in questi termini, il còm- pito della critica è semplicissimo ed è, ad un tempo, fecondo «di buon successo. La concordanza della morale con le leggi universali della vita, è atte- stata, in vero, dall’analisi della morfologia e della biogenesi.  Momento fondamentale dell’esistenza e della vita è la nutrizione e, quindi, l appropriazione degli alimenti e delle sostanze esteriori, l’ assimi- lazione trasformatrice delle forze esterne. Di qui parrebbe che, per naturale illazione dalla fisiologia alla psicologia umana, il fenomeno della vita do- vesse coincidere col fenomeno dell’ assimilazione, dell’appropriazione dell’altrui e dello sfruttamento, dovesse coincidere con la formola del Wille zur Macht. Ma un’analisi più profonda della stessa fi- siologia e dello stesso fenomeno della nutrizione ci mena a ben diverse conclusioni. La nutrizione ‘ ha due aspetti. Per il primo, essa è un’appropria-   144 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   zione degli elementi esterni ed un accumulo di forza interna, una sorta di risparmio e di capita- lizzazione degli elementi essenziali della vita. Ma per un altro aspetto, essa è espansione e ricam- bio al di fuori di quell’eccesso di forza accumu- lata e risparmiata: è una diffusione e, se si vuole, una differenziazione, un consumo di energia. Il ritmo della vita è il ritmo della integrazione e della disintegrazione, dell’assimilazione e del con- sumo, del risparmio e dell'espansione produttiva. La vita, in certo senso, è un processo di rigene- razione continua che presuppone la disintegra- zione dei tessuti; dico disintegrazione, ed intendo con essa il consumo degli elementi fisio-chimici ed il lento, graduale, tenace, corrosivo della vita organica.  Se la dissoluzione e la disintegrazione costi- tuiscono le condizioni stesse della rigenerazione e della vita, noi, dunque, potremmo rispondere al Nietzsche che la sua tesi fallisce alla meta; e che la dissoluzione degli egoismi individuali e la ri- nuncia alla volontà del dominio appartiene alla morfologia della vita ben più che l’appropriazione e l’esercizio brutale della forza e dello sfruttamento.  Tuttavia sembra, a prima giunta, che noi ri- marremmo da meno di lui in qualche cosa. La dis- soluzione e la disintegrazione appaiono, in verità, dei processi di diminuzione e di elisione della vi- ta. La rinuncia, adunque, alla volontà del dominio sarebbe sempre una perdita, un consumo di vita- lità e di energia. La morale e la giustizia sareb- bero espressione di una disintegrazione, di un dis-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 145   solvimento, di uno spegnimento dell’ individua- zione !  Ma è evidente che i termini di differenzia- zione, di disintegrazione e di dissoluzione hanno un significato ben altrimenti riposto e profondo, che l’analisi superficiale e fonetica delle parole non lascerebbe supporre. La disintegrazione, più che un’elisione della vita, esprime un processo di gestazione continua di vita nuova, un processo di sostituzione e di reintegrazione. E lo stesso fe- nomeno che appare una disintegrazione ed una dissoluzione a quella visuale angusta che si limita ai rapporti interni di un tessuto, si chiarisce invece come una integrazione superiore alla visuale più ampia che si estende ai rapporti reciproci delle cellule e dei tessuti ed alla loro unificazione e sintesi organica nella energia fondamentale della vita.  Del pari, la rinuncia alla volontà del dominio che sembra una disintegrazione della vita dell’in- dividuo umano alla visuale angusta che si limita agli aspetti interni di alcuni coefficienti isolati della vita di quell’individuo, (uno di questi aspetti è, ad esempio, il potere di acquisizione degli ele- menti esteriori), si traduce, invece, in una inte- grazione superiore dell’ individuo stesso ad una visuale più ampia, e che tien conto di tutte le energie e di tutti i coefficienti della vita dell’in- dividuo e valuta le une e gli altri nel nesso che li armonizza nell’unità dell’individuazione e della personalità morale. La rinuncia allo sfruttamento esprime, ad un tempo, l’indice e la causa dell’in-  I. Perrone. — Problemi del mondo sociale. 10   gt   146 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   tegrazione superiore dell’individuo. Indice, perchè è documento e testimonianza di un eccesso di forza che sente più il bisogno di espandersi ge- nerosamente al di fuori, anzichè di contrarsi e di attrarre il di fuori nel di dentro. Causa, perchè senza rinuncia allo sfruttamento sono impossibili quei fenomeni di produttività e di fecondità, che elevano l’individuo e lo fanno vivere e rivivere negli altri e consentono alla caducità nativa della sua individuazione una insperata sopravvivenza. La morfologia ha già insegnato che la gene- razione è un fenomeno della stessa nutrizione :   della nutrizione in sovrabbondanza ed in eccesso.   Ed in linea generale può dirsi che il fenomeno dell’assimilazione e della volontà di vivere non im- plica punto necessariamente lo sfruttamento egoi-   stico; ma procede, anzi, associato ad un bisogno   intimo che è la negazione stessa deilo sfrutta- mento egoistico, il bisogno della fecondità, nel senso più ampio della parola. Fecondità, che nelle forme della vita fisiologica è generazione, e nelle forme superiori dell’essere è produttività ideale e morale, è rinuncia di sè per altrui, è sacrifi- cio di quello che nel proprio individuo è caduco   a quello che in esso è duraturo e vitale, è sim-   patia, carità ed amore.  « La vie, come dice egregiamente il Guyau, a deux faces : par Vune, elle est nutrition et assimila- tion, par l’autre, production et fécondité. Plus elle acquiert, plus il faut qu’ elle dépense : c’ est sa loi. La dépense n'est pas physiologiquement un mal, c’est lun des termes de la vie. C'est l’exspiration suivant   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 147   l’inspiration.... Vie, c'est fécondité et réciproquement la fécondité c'est la vie à pleins bords, c'est la véritable existence. Il y a une certaîne générosité inséparable de Vexistence, et sans laquelle on meurt, on se des- sèéche intérieurement. Il faut fleurir; la moralité, le désintéressement, c'est la fleur de la vie humaine. On a toujours représenté la Charité sous les traits d’une mère qui tend à des enfants son sein gonflé de lait: c'est que en effet la charité ne fait qu’ un avec la fecondité débordante : elle est comme une maternité trop large pour s’arréter à la famille. Le sein de la mère a besoin de bouches avides qui Vé- puisen : le coeur de Vetre vraiment humain a aussi besoin de se faire doux et secourable pour tous ; il y a chez le bienfaiteur méme un appel intérieur vers ceux qui souffrent. (1)  Indubbiamente nella scala degli esseri si nota un progresso crescente dell’individuazione. Quanto più alto si ascende nella serie e nella graduazione delle forme, tanto più si esplica quello che lo Schopenhauer, seguendo la terminologia della   (1) Esquisse d'une morale sans obligation ni sanction, Paris, 1885, pag. 24. Non dissento dallo Spencer (Pr. of Biology, pag. 315-877), nè dal Vanni (Saggi critici sulta teoria sociologica della popolazione, 1886) e penso anch'io che nella scala degli esseri la individuazione proceda in rapporto inverso con la genesi, come il diverso indice di fecondità delle specie animali e dell’uomo chiaramente dimo- stra. Ciò vuol dire, per altro, che nel mondo umano il bisogno della fecondità muta termine ed oggetto e si esercita non più nella sola sfera materiale della riproduzione fisiologica, ma nel- l'ordine spirituale della fecondità intellettuale e morale: nel quale ordine spirituale, a differenza che nelle forme della vita materiale, il grado più eminente dell’individuazione è espresso dal grado più alto. della genesi e della fecondità.   ©   148 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   scuola, chiama principium individuationis. Un gra- nello di sabbia è esattamente simile, o quasi, ad un altro granello di sabbia; un individuo umano, invece, non è mai esattamente simile ad un altro individuo umano. Accanto al fondamento ed al sostrato immutabile della natura comune, v'è la serie delle circostanze individuanti, il principium individuationis, v'è la differenziazione fisiologica, Vè la ineguale distribuzione dei poteri fisiologici e dei poteri morali che distinguono nettamente l’un uomo dall’altro. Doveecchè nel mondo della natura ciascuna forma è come l’esemplare del- l’altra, e tutte, ad un tempo, esemplari del tipo specifico : in natura, l’unità è omogenea e tipica, come fu già detto da altri, quando, nel mondo umano, l’unità è eterogenea ed individuale. Tuttavia, questo progresso nell’individuazione non coincide col preteso progresso della volontà del dominio, del Wille zur Macht. Vero è, invece, che nel ritmo della vita umana procedono inti- mamente associati il processo della individuazione ed il processo della comunicazione morale degl’in- dividui nelle forme della socievolezza. Quand’anche la vita psicologica e morale degl’individui umani si traducesse nella sfera angusta del puro piacere, ossia della serie dei sentimenti aggradevoli rela- tivi a ciascun soggetto senziente, non per questo la tesi che. fa coincidere il progresso della indi- viduazione col progresso dello sfruttamento egoi- stico sarebbe provata. Oltre ai piaceri sensibili, vi ha dei piaceri intellettuali e morali; 1’ intellet- tualità, anzi, non è solo forma costitutiva di una   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 149   serie irriducibile di piaceri morali, ma è anche una forma concomitante degli stessi piaceri sen- sibili, quanto più questi progrediscono in inten- sità ed in raffinatezza. Il progresso del piacere sensibile sta nel suo spiritualizzarsi : come se an- ch’essa, questa forma inferiore degl’impulsi vitali, sentisse la propria manchevolezza e l’ anelito di forme più alte! Ora se i piaceri sensibili sono, in linea generale, soggettivi, individuali ed incomu- nicabili, e se l’esercizio dei poteri eudemonologici è, di sua natura, geloso ed esclusivo, i piaceri in- tellettuali e morali, che pure sono quelli in cui vibra la nota più acuta dell’individuazione umana, banno, invece, il carattere peculiare di essere, ad un tempo, i più individuali e i più comunicativi. Essi sono tanto più sociali e caritativi, quanto più intenso ne è il godimento ed il possesso in- dividuale.  Nella scala degli esseri è visibile, accanto al progresso della individuazione, il progresso della penetrazione reciproca degl’individui e delle co- scienze individuali, il progresso della socievolezza. Scendete nei gradi inferiori di quella scala, e vieppiù stretta ed angusta vi si rappresenta la sfera in cui ciascuno degli esseri inferiori si muove; salite ai gradi superiori, e più la sfera di vita, in cui ciascun essere si muove, sì dilata e s’ irradia e vieppiù si compenetra e si confonde con la sfera di vita degli altri esseri conviventi. E tra essi v’ è reciprocità di azione e di reazione, v’ è come una risonanza psicologica ed una ripercus- sione di emozioni, di sentimenti e di volizioni,   = od   150 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   che segna come il ritmo della vita sociale. Onde, se, per un verso, ciascun individuo vieppiù si di- stingue da un altro individuo, può dirsi, per un altro verso ,. che ciascun ‘o individuale meno si differenzia e più si accosta a ciascun altro io in- dividuale, perchè la sussistenza di ciascuno: è condi- zionata alla sussistenza di tutti gli altrial un tempo. L'esistenza è individuale, ma la fonte a cui quel- l’esistenza attinge il suo diuturno alimento non è più individuale, ma è inter-individuale, è collet- tiva e solidale. Il progresso della vita dell’essere non consiste, dunque, nella sola individuazione : esso consiste, anzi nel prevalere dell’ universale all’individuale. L’individuazione è il simbolo della manchevolezza ; ond’essa si sforza verso l’univer- sale, perchè l’universale la integra e la sublima.  Del pari, l'individuo si anela e si sforza verso la società, senza il cui aiuto la sua stessa sussi- stenza d’individuo è scossa e pericolante. E però il progresso di lui non sta nella volontà di do- minio che lo trae a sfruttare il proprio simile, ma nella volontà di vivere con gli altri e per gli altri, che lo trae verso le forme superiori della socie- volezza ed è la condizione stessa dell’ incivili- mento. L’antitesi fra la società e l’individuo è effetto di falsa rappresentazione, di vera allucina- zione di prospettiva: l’uno dei termini è, a lungo, inconcepibile senza l’altro. Nè la società è qual- cosa di estraneo e di avventizio all’ individuo, e, come dire, un fenomeno di soprapposizione, di accostamento, una sorta di statica morale. La so- cietà è il fremito stesso della vita individuale. Vi   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 151   ha nell’individuo un impulso dinamico e come una gestazione intima della socievolezza. Questo è il senso profondo delle classiche parole di Ari- stotele. La gvo:s aristotelica, la natura che trae l’uomo alla società, è l’impulso dinamico interiore dell’essere, è il mote attivo verso un termine in cui esso rinviene il suo appagamento.  Il Nietzsche non sembra alieno dal ricono- scere l’ impulso caritativo e generoso della socie- volezza, ma lo limita ai gruppi interni, ai mem- bri della stessa classe, dello stesso Stand, lo limita alle forme della giustizia interna. L’essere aristo- cratico, l’interpetre della MHerrenmoral riconosce, invero, degli esseri simili a sè, ma solo tra i pari. È il ricorso puro della graduazione gerarchica dei tipi umani nel mondo feudale. Ma, è evidente che l’esclusivismo della giustizia interna e l’ esercizio dell’ingiustizia esteriore non è già simbolo di un progresso dell’individuazione umana e della vo- lontà di vivere, bensì è documento e testimonianza di difetto di vita, di debolezza e d’impotenza. L’esclusivismo è stato sempre l’ arma ingenua di difesa dei gruppi deboli e scarsi di vitalità inte- riore ed ‘autonoma. Ed il grado più alto dell’in- dividuazione è segnato non già dall’esclusivismo, ma dal rispetto dell’ umanità universale, ma dal sano cosmopolitismo. La lotta tenace contro il Baofagos, la formola « adversus hostem aeterna auc- toritas esto », sono il simbolo di una vita defi- ciente, che, inetta a sorreggersi nella penetrazione e nello scambio della reciprocanza, invoca, con astuzia interessata, l’ausilio superstite dell’ impo-   P.09   152 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   tenza, l’ausilio dell’isolamento. Quando, invece, il monito « vae homini sli » è il dettato d’ una sa- pienza superiore, che conobbe il segreto della vita; e perchè lo conobbe, lo possedette; e perchè lo possedette, superò le angustie dell’esclusivismo antico e insegnò all’ individuo la vera altezza a cui deve poggiare, come ideale di perfezione, l’in- dividuazione umana.  La formola del Nietzsche si traduce in una recisa smentita alla storia dell’incivilimento. L’e- sclusivismo della giustizia interna è il fenomeno dei popoli primitivi, dei Naturvolker, non dei po- poli progrediti a maturità di vivere civile. È legge dello incivilimento appunto questa: 1’ estensione e l’irradiazione dalla giustizia interna alla giustizia esterna, la conquista ed il rispetto dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, senza distinzione di tempo e diluogo, di ambito topogratico e di razza, di professione e di gruppi.  L'uomo che non sa ravvisare per esseri si- mili a sè, che quelli i quali convivono con lui in uno stretto ambito topografico o gentilizio, è un uomo, sarel per dire, sub-umano. Sotto le par- venze della forza e della violenza, egli esprime, nella intonazione più acuta, la debolezza e l’ im- potenza. La sua mente non si è emancipata an- cora dalla rappresentazione dei particolari e non ha concepito l’ universale. Il che vuol dire, che egli versa nel grado inferiore della percezione sensitiva. Inetto a concepire ed a rappresentare vincoli ideali e spirituali, un solo vincolo egli ri- conosce : il vincolo esteriore, materiale, appari-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 153   scente della topografia o della razza o della ca- sta!  Di qui segue che il suo potere d’ individua- zione è meschino. Egli è sì debole al di dentro che nulla 0 poco può espandere o restituire al di fuori. Egli non può accettare lo scambio e la re- ciprocanza degli utili con gli altri gruppi, perchè un atomo di vita esteriore, che penetri nell’ in- terno del suo gruppo, lo perturba. E però, egli non può accettare lo stato di pace. La pace, in vero, è figlia della forza e della sicurezza; ed egli questa forza e questa sicurezza non l’ha. Si ap- piglia, invece, allo stato di guerra, che, nelle ap- parenze, è forza, ma nella realtà è debolezza e paura, perchè segue dal difetto assoluto del po- tere vitale dell’adattazione. Egli sfrutta il membro dell’altro gruppo, perchè non ha nulla da dargli in ricambio. Egli, cioè, non ha nulla di suo da poter dar luogo alla reciprocanza degli utili ed al fenomeno della giustizia commutativa. È l’uomo di rapina, che ruba e non compra, perchè è’ mi- | serabile. Non dite, dunque, che egli rappresenta il grado più alto dell’ individuazione, del Wie zum Leben, del Wille zur Maeht. Rappresenta, in- vece, il grado più basso e più sterile. Egli deve limitare il circolo degli uguali, perchè non ha fecondità interna nè potere d’ irradiazione; cioè a dire, perchè è manchevole di vita. Il grado più alto dell’ individuazione è dato dal sentimento universale dell'umanità. È l’abundantia cordis che trae il discepolo di Cristo a rappresentare tutti gli esseri segnati dello stampo umano nella forma   Ù n   1   I   154 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   dell’uguaglianza. Egli è sì forte e sì indiviso in Sè stesso, che ama comunicare e dividersi con gli altri. Egli ba tanto rispetto e’ tanta estimazione di quello che nel suo essere è vitale e duraturo ed ha valore oggettivo, che non può non rispettarlo ed estimarlo anche quando lo vede esemplato ne- gli altri esseri. Egli sente la 'isua vita sublimata nel concerto della vita dei suoi simili. Sublime egoista, egli negli altri onora e rispetta sè stesso. Meglio ancora: in sè e negli altri onora e rispetta la comune natura, la comune potenza dell’infinito, la comune aspettazione della redenzione morale e della beatitudine!  Il progresso, oppone il Nietzsche, è qualifica-   . zione crescente: ed ogni processo di qualificazione   è discriminante e differenziante. Ma io nego che Na signoria e l’asservimento degl’ inferiori sia e- spressione di una qualsiasi qualificazione etica, e trovo che il dominatore non si distingue in effetti dalla plebe dominata e ne partecipa e ne risente, per la nemesi del rapporto e l’ espiazione della complicità e del contatto, la contaminazione e la servitù ingiustamente subita.  Qualificazione è ascensione, e non discesa: è redenzione degl’inferiori compiuta dall’ alto, ed è elevazione dell’ anima nel mondo dello spirito puro.  Il genio della vita, aggiunge il Nietzsche, è genio della forza e della lotta. Senz’alcun dubbio, dico io, il grado più alto della individuazione è segnata, appunto, dalla tensione più acuta della volontà del dominio e della lotta. Ma nego reci-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 155   samente che la forma più alta della volontà del dominio sia quella della forza brutale e dello sfrut- tamento. È la lotta contro di sè e delle proprie passioni, è il sacrificio e la negazione di quello che nel proprio essere è caduco e manchevole, è l’interna erosione e l’interno sfruttamento dei bassi appetiti che si annidano nel fondo dell’ani- mo nostro, (sfruttamento sublime operato dalla ragione), che segna il grado più eminente del ge- nio della combattività e della vita. Il capolavoro dell’individuo, la sua sublimazione sta appunto in questo : nel negare in sè quello che è puramente individuale ed eudemonologico, e quindi scarso di valore oggettivo, per riaffermare in sè quello che è universale e vitale. La perfezione dell’individuo sta nel sacrificio, spontaneamente deliberato e vo- luto, di sè ad un ideale di vita superiore. In quel- l’atto della sua libertà, ond’egli si estolle ad una no- vella vita, vibra il potere più alto dell’individuazio- ne, della personalità autonoma, della fecondità del- l’io. È il vero Uebermensch, che si emancipa dai bisogni inferiori della vita, che si libera dagl’ in- ganni della rappresentazione fenomenica , che si sprigiona dalle seduzioni e dalle suggestioni pe- rigliose dei poteri eudemonologici, che accoglie in sè il segreto della vita vera. Il vero genio della lotta si esplica nel dominio di sè, come il vero genio della vita si esplica nell’accettare spon- taneamente la legge del sacrificio, nel morire a sè stesso per rinascere in una vita novella. Il mar- tire del cristianesimo, vero Uebermensch della storia, segna l’espressione più luminosa del genio   196 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   della vita e della lotta. Egli non era lo schiavo impotente che gemeva sotto la sferza dei perse- cutori : era l’individuo che nella padronanza di sè conquistava la padronanza di un mondo. Egli sfi- dava impavido la morte, perchè sentiva in sè il fremito di una vita superiore. Egli anticipava la beatitudine futura; egli gemeva nell’aspettazione della redenzione dagl’ inganni della vita terrena. Cioè a dire, la sua anima era così grande, e la sua volontà così forte, ch’essa si sentiva a disagio nelle angustie del mondo finito, e preoccupava un altro mondo e sentiva l’ arcana preparazione dell’infinito. La sua individuazione poggiava sì alto, che l’ambito fenomenico era inetto a con- tenerla: essa s’irradiava in una sfera supe- riore. La sua visuale non era la visuale del finito e del fenomenico, ma quella dell’infinito e dell’es-   sere. In questo mondo essa era peregrina: nes-   suna voce che facesse eco alla sua, se non per effondere insieme il muto dolore della manche- volezza delle cose e l’acuta indigenza dell’ideale. Ma una voce superna la chiamava ad dere più spirabile, e solo in quell’invito divino essa intrav- vedeva il segreto di una vita che appagava le aspirazioni più intime e profonde della sua na- tura; solo da quell’invito essa sentiva soddisratta la pienezza rigogliosa della sua fecondità inte- riore.  Si può, per triste follia, chiamare schiavo quell’uomo, ma non si può impedire che la na-   tura riconosca in lui il grado più alto della indi-   viduazione, e l’espressione più luminosa del genio   2 RC 2 =— rr -_————r-—r—_——P_ ' k_2_r nRn—————_T——————t—té—ittQ LL. — _. _. ______————————   eÈ um   È DEL MATERIALISMO GIURIDICO 157   della vita. La vita è la disintegrazione apparente,  che prepara l’integrazione reale , il sacrifizio che  | è arra d’una preziosa acquisizione; la carità, che  educa all’ effusione ed all’ amore, perchè nella  effusione è espressa la condizione stessa della vita e della combustione vitale.  L’individuo umano è mortale, ma esso tende  . all’immortale, e vi approda con la generazione.  La sola immortalità che sia consentita alle po-  tenze mortali è l’ immortalità ritmica e ricorrente   della riproduzione. L’individuo muore, ma rivive. 9   negli altri. Questo pensiero sublime di Platone (1) è vero nell’ordine fisiologico e nell’ordine psico- logico : vero, soprattutto, in quella che il Nietzsche chiama morfologia del volere e del dominio. La simpatia, l’amore degli altri, la carità fa rivivere l'individuo negli esseri che egli ama e soccorre e nell’irraggiamento benefico della sua operosità ge- nerosa, dispensatrice di bene, di calore e di luce. La carità è la procreazione del bene, che assicura alla stessa individualità fenomenica quella immor- talità relativa che è solo consentita alla caducità dell’individuazione. Cioè a dire, la carità è germe di vita che germoglia, fruttifica, rivive.   * * *   La morfologia della vita smentisce, adunque, la formula del Nietzsche. Collocandoci allo stesso punto di veduta di lui, noi siamo in grado di   (1) Convito, XXV-XXVI.   158 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   scernere il vuoto, il falso, l’ arbitrario della sua tesi; siamo in grado di superarla. La concordanza della morale con le leggi universali della vita è il più gran trionfo della morale stessa. Vuol dire ch’ essa non è determinazione voluta a disegno, nè artificio v convenzione della debolezza, e nem- meno escogitazione pura e semplice da ideologi, manchevole di valore oggettivo; ma è legge della natura e dell’ordine cosmico, ed è, direi quasi, il fremito vitale delle cose. Chi, dunque, la nega, non è d’accordo con la dinamica della vita, ma le contrasta; nè procede all’unisono con la natura, ma con l’arbitrio soggettivo che è negazione della natura. Ciò vuol dire che la morfologia della vo- lontà di vivere e della volontà del dominio non è l’apologia dello sfruttaniento. Vuol dire che la differenziazione e la eterogeneità delle unità in- dividuali della specie umana , la irrefrenata irru- zione dell’egoismo e del potere di assimilazione e di appropriazione, segna la parvenza e come la maschera della vita, e non la realtà. Vuol dire, insomma, che il materialismo che restringe e con- velle la vita dei gruppi umani nei limiti di un rapporto meccanico di forze, ed insegna che fon- damento oggettivo della vita e della differenzia- zione sociale è l’esercizio del potere di signoria e di sfruttamento dell’ uomo sull’ uomo, assume le deviazioni ed i pervertimenti di fatto a legge e ideale normale dell’umana convivenza. L’analisi profonda degli aspetti meno esplo- rati della vita e della volontà di vivere segna la critica più efficace di tutte le teorie e di tutti i   » a x .. ve, “ i a ripa - ee ————_——————_——r- —_——_ ———————=—2211x1{#p14À__——@——@ ——rr———r—_-- —ìy _— —_rr—_+_—__T-«vxvxv> ———————_-———— ""   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 159   sistemi, che traducono in rapporti materiali di forze fisiche antagonistiche i rapporti morali della vita comune. Oggidì queste teorie e questi sistemi hanno toccato l’ apogeo della formolazione teore- tica in una dottrina unitaria ed universale della storia umana: nella concezione materialistica della storia. Ben più che il concepimento ideologico del Nietzsche, di un pensatore individuale, è que- sta filosofia storica del comunismo critico che rap- presenta ai tempi nostri la forma scientificamente più salda e praticamente più operosa e vitale della morfologia della volontà del dominio, del Wille zur Macht. Ragione più che legittima que- sta, perchè la critica le ritorca contro i sani inse- gnamenti derivati dall’analisi della natura e degli elementi e delle forme della vita universale.  La concezione materialistica non si muove ve-   ramente, e nel senso rigoroso delle parole, jenseits /   von Gut und Bise. Essa è una dottrina ed una<   spiegazione genetica della storia, e non una teoria normativa dei rapporti della morale. Essa prescinde del tutto da ogni forma di criterio o di giudizio di valutazione, come i suoi più accorti interpetri esplicitamente professano. Essa è una critica ed una skepsîs, che dichiara di aver superato l’an- golo visuale di tutte le ideologie morali e giuri- diche. Ma, non ostante ciò, anzi in grazia di ciò, essa è una critica dei rapporti positivi, storici, di fatto, della morale e della giustizia; la qual critica non impegna punto, necessariamente, l’ estremo scetticismo, che nega il valore delle leggi della . morale e della giustizia oggettiva ed assoluta.   L   160 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   Nel fatto, la concezione materialistica si tra- duce in una negazione di quel valore; ma ciò accade meno per effetto logico del suo punto di prespettiva o di veduta morale e giuridico,   ‘che per effetto del presupposto universale della   concezione stessa. Quel valore si nega o si mu- tila, perchè lo s’interpetra come un derivato, una proiezione ideologica, una superstruttura, una obbiettivazione dogmatica delle stesse espe- rienze dei rapporti positivi, storici e di fatto, del- la morale e del diritto. Lo si nega, perchè la teoria insegna che tutte le forme della coscienza, e quindi anche le forme della coscienza morale e giuridica , sono una derivazione dei rapporti ma- teriali ed esteriori dell’essere. Ma non lo si nega per un giudizio etico-normativo che sia istituito o si istituisca sovra di esso; il qual giudizio sa-   ”' rebbe. anzi, in contraddizione con l’assunto stesso b) ;) b)   oggettivistico e realistico, della concezione materia- listica della storia. Indirettamente, in via di sot- tinteso ed incoscientemente, anzi, lo si riafferma   tutte le volte che si leva un grido di protesta   contro le forme storiche di signoria e di sfrutta- mento dell’uomo sull’uomo, e si denuncia il di- ritto storico come auspice dell’ingiustizia, e si af- ferma la superiorità morale della futura società comunistica, nella quale si presume che i rapporti della forza, che nascono dalla differenziazione eco- nomica, vengano elisi.  Tuttavia, pur riconosciuta questa differenza essenziale tra il materialismo storico e lo scetti- cismo morale radicale ed assoluto, resta tra l’uno      E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 161   e l’altro un fondamento comune. Il materialismo storico, 0, per dir meglio, la forma ond’esso rende la ragion sufficiente della storia, della morale e della giustizia, è, pur sempre, un fenomeno parti- colare della morfologia della forza e del dominio. I rapporti regolativi del diritto e della morale, secondo il materialismo storico, nascono, invero, dal differenziarsi dell’orda comunistica primitiva (1) in una classe che domina e sfrutta, ed in una che è asservita e sfruttata; nascono dal dissolversi dell’ uguaglianza primitiva nelle asperità, nelle ineguaglianze, nelle antitesi di classe, consecutive alla divisione ed alla differenziazione degli uffici economici; nascono dal venir su dei rapporti di signoria dell’uomo sull’ uomo, e si traducono in   (1) Morgan, Die Urgesellschaft (trad. ted. dall’ingl.), Stuttgart, 1891; EneeLs, Der Ursprung der Familie, des Privateigenthums u. d. Staats (6° ed., Stuttgart, 1894); Idem, Ueder den historischen Mate- rialismus (Die neue Zeit, anno XI, vol. I); Marx-ExaeLs, Das kom- munistische Manifest; Marx, Zur Kritik der politischen Oekonomie; Idem, Das Kapittal; LaBrIoLA, In memoria del manifesto dei comu- nîsti; Idem, Il materialismo storico.  Anche per il Gumplowics il diritto e lo Stato (non la morale, nè il costume) nascono dalla differenziazione sociale della banda comunistica primitiva, e quindi dalla signoria dei forti sui deboli e dall’attrito e dall’urto e dall’erosione dei gruppi sociali etero- genei. (Grundriss der Sociologie, IV, $ 6-8; Idem, Der Rassenkampf, passim).  Una critica esauriente, minuta e ptofonda, della concezione materialistica della storia—non scevra però di formalismo giuri- dico neokantiano — ha pubblicato di recente il prof. R. Stammler, Wirtschaft und Recht nach der materialistischen Geschichtsauffassung (Leipzig. 1896, S. VIII-668).   I. Petrone. — Problemi del mondo murale. 1   162 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   un ordinamento forzato di un dato dominio di classe o di una data accomodazione di classi. Anche per il materialismo storico, dunque, la vita e la differenziazione vitale coincide col genia . della lotta, dell’ assimilazione, del parassitismo, dello sfruttamento. Il transito dall’amorfismo del- l’orda comunistica primitiva alla morfologia so- ciale, giuridica e politica delle società umane svi- luppatesi nella storia, non ha, per il materialismo storico, altra spiegazione teoretica o altra ragione sufficiente che la differenziazione economica e la serie delle ineguaglianze e degli attriti e delle antitesi che ne conseguono. La morfologia, in- somma, coincide, anche per il materialismo sto- rico, con l’accrescimento dell’individuazione, con la superiorità e la conseguente signoria di alcuni individui, di alcuni gruppi, sulla moltitudine dei consociati. Certo tra la morfologia del Wille zur Macht di F. Nietzsche e la teoria del materialismo sto- rico vi ha differenze radicali, Quella poggia sopra ‘ una base mitologica e trascendente: l’ oggettiva- zione ideologica della volontà nella natura; questa ) sopra una base storica, oggettiva e realistica. | Quella è una teoria essenzialmente psicologica; e ‘ la individuazione ed il genio del dominio si fonda, per essa, nelle ineguaglianze e nelle asperità fisiche e psicologiche. Questa colloca a centro di gravità della storia la struttura economiea sottostante, e la psicologia inverte a derivato dell’ economia, e la morfologia sociale deriva dalla differenzia- zione economica, e questa, in ultima istanza, dalla   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 163   creazione di un ambiente artificiale per via de- gl’istrumenti della tecnica produttiva. Non è il mitologico volere della forza, ma il fatto esterno e materiale della tecnologia, che questa assume a causa efficiente della differenziazione e della mor- fologia sociale. Finalmente l'attitudine che serba l’una e l’altra al cospetto della signoria dell’uomo sull'uomo e dello sfruttamento è radicalmente di- versa. L’una applaude ed esalta, con lirismo dio- visiaco ; l’ altra nota i fatti. L’una reputa la si- gnoria e lo struttamento condizione elementare ed essenziale di vita per tutti i tempi e per l’ avve- nire, non meno che per il passato; 1)’ altra preoc- cupa un futuro periodo dell’ umanità, in cui la vita sarà, anzi, accresciuta e resa godimento di tutti dall’elisione dei rapporti di signoria, delle ineguaglianze e dello sfruttamento.  Tuttavia, ripeto, queste differenze non tolgono che il materialismo storico, come spiegazione teo- retica della storia ricordata, sì traduca in un caso od in un modo della mortologia della forza. Si origini dalla eterogeneità degli uffici di produ- zione economica, ovvero dalle ineguaglianze e dalle asperità psicologiche native, è sempre la forza brutale che domina e che segna il suo stampo sui rapporti regolativi della morale e del diritto. Del pari, si preoccupi pure una disparizione av- venire dei rapporti della forza : la storia ricordata, la storia del passato rimarrà sempre un fenomeno della dinamica universale del dominio e dello sfruttamento. Questa, la significazione scientifica e teoretica della concezione materialistica della   164 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   storia; e di qui la opportunità di riannodarne l’e- same ad una critica universale di tutte le teorie che traducono la genesi e l’evoluzione della vita nella genesi e nell’evoluzione dei rapporti della forza, e lo scambio della convivenza sociale in un’applicazione di un sistema di forze ad un in- sieme di resistenze.  Comipciamo dal dire che la tesi generale della coincidenza della morfologia giuridica con la «dif- ferenziazione economica e con la nascita degli at- triti, delle asperità, e delle ineguaglianze di classe, è, in buona parte, fondata. Si può e si deve du- bitare, dopo le indagini del Dargun, (1) della prio- rità universale dalla proprietà collettiva alla pro- prietà individuale. Si può e si deve dubitare, ad un tempo, della universale esistenza, agli inizi ed alle fasi preistoriche dell’ umanità, della pretesa orda comunistica primitiva. L’archeologia storico- - giuridica, che ravvisa come forma primitiva e prei- storica dell’umana convivenza il gruppo e la co- munanza di famiglia, non è stata scossa nè trion- falmente debellata dalla sociologia che conghiet- tura le forme sub-umane del comunismo primitivo. Tuttavia non sono alieno, ripeto, dal riconoscere” la parziale verità della tesi del materialismo sto- rico; perchè, anche punendo agli inizi dell’ evolu- zione sociale la comunanza famigliare, la morfo- logia sociale e giuridica coiucide sempre col risol- versi e col differenziarsi della omogeneità del   (1) Ursprung und Entwickelungsgeschichte des Eigenthums, nella Zeitschrift fur vergleichende Rechtswissenschaft, 5° B., 1884.   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 165   gruppo primitivo, di qualunque indole questo gruppo si sia, coincide sempre col processo della divisione del lavoro e della ripartizione ineguale dei poteri eudemonologici. Il fenomeno del diritto. stretto o della giustizia, che chiamerò differenziale, non nasce, ed è incencepibile che nasca, in una convivenza di esseri perfettamente uguali, in un’ag- gregazione amorfa, disarticolata, omogenea, indi- divisa. Una convivenza consimile, in via d’ipotesi, è un’associazione meramente ideologica, ossia un aggregato mentale di poteri teoretici non peranco concretati nel processo dell’individuazione. In via di fatto storico, poi, una convivenza consimile è espressione pura e semplice di una unione di es- seri giustaposti tra di loro, e governata dai rap- porti normativi ed indistinti del costume o di. quella gerarchia naturale, che si associa alla parentela di sangue, non già da quell’ articolazione com- plessa di rapporti normativi di appropriazione, di subordinazione e di esclusione, che esprimono, rigorosamente parlando, il fenomeno differenziale Jel diritto stretto. Il diritto stretto esige, come condizione indeclinabile, la risoluzione dell’ omo- geneo e dell’indistinto primitivo nel processo del- l’individuazione storica, esige l’erosione dell’ugua- glianza o della parità primitiva nelle ineguaglianze e nelle antitesi che nascono dall’ineguale riparti- zione dei poteri individuali, poteri di appropria- zione, di assimilazione e di dominio. E la ragione; di ciò si è che il diritto stretto si traduce nel go- \ dimento e nell’esercizio dei poteri eudemonologici, È ì quali sono da natura inegualmente ripartiti, e,:   ce RI JIUZRIAIV dim ne nie   Pvg inn e e er A ii da iaia STO   w   Fal   166 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   per indole loro, sono essenzialmente individuali, e non già comunicativi. Condizione fondamentale del diritto stretto è il possedimento esclusivo d’una data cosa o d’ una data facoltà; sua stessa sostanza è la esclusione degli altri da quell’ am- bito in cui si escrcita la padronanza, e come la sovranità primitiva del soggetto. Alla visuale della giustizia differenziale torna assolutamente incon- cepibile che nel medesimo tempo e sulla medesima cosa si eserciti un medesimo potere intensivo di assimilazione e di godimento da due soggetti di- versi, senza che le due apprensioni simultanee ed aventi oggetto esattameute uguale si elidano & vicenda. La logica rigida e angolosa dei poteri eudemonologici e del diritto stretto si traduce nella logica irrefragabile del principio di contradi- zione, e può formolarsi nel modo seguente : è as- . surdo che nello stesso tempo e sullo stesso og- getto il mio coincida col tuo, perchè è assurdo ‘ che una cosa sia nel medesimo tempo un’altra cosa.  Il quesito delle condizioni a priori della giu- stizia differenziale, ridotto in questa formolazione teoretica, semplifica di molto il problema, e ci educa a ravvisare il solo aspetto che sia vero nella embriogenesi giuridica del materialismo storico. Non solo storicamente la nascita del diritto stretto coincide col risolversi e col differenziarsi dell’ u- nità omogenea primitiva nelle ineguaglianze che sì associano al processo della individuazione, ma logicamente è inconcepibile che accadesse diver- samente. La forza dimostrativa dell’ esperienza è   ai e e nn ro nm me ST —   ; ; N_" fata *      È DEL MATERIALISMO GIURIDICO 167   ravvalorata da quella della deduzione. L’ipotesi dell’uguaglianza universale dei poteri ideologici e teoretici dell’ umana natura, dissociata dalla con- siderazione delle circostanze individuanti, ossia dei poteri positivi e di fatto d’individuazione e di ac- : quisizione, è inetta a rendere la ragion sufficiente del fenomeno giuridico. E fu gravé errore, il non averlo compreso, per gl’ideologi del/diritto nat:1- rale del razionalismo astratto e déll’ Aufklirung; i quali, movendo dalla tesi del’ uguaglianza uni- versale degli esseri umani g' procedendo da una elisione rigorosa del processo multiforme e variato della individuazione storiea e delle ineguaglianze concrete e di fatto, rimasero, direi quasi, di qua dal fenomeno giuridico, perchè si preclusero l’a- dito a contenerlo nell’ambito della loro teoria. Realisti abusati, essi trasterirono 1! universalità ideologica della natura umana nella concretezza. dell’ esperienza, e dimenticarono che 1’ universale ha bensì sussistenza ed oggettività (ed è quindi erroneo il nominalismo che lo nega), ma tale sus- . sistenza ed oggettività esso l’ha negli stessi indi- vidui. L’umiversale esiste oggettivamente, ma in- dividuato e differenziato di già ; esiste, cioè, ma associato e compenetrato cou i poteri ed i valori differenziali individuali. L’ uomo è partecipe del- l'umanità, ma è sempre un individuo; e la sna concretezza sta appunto nel principium individua- tionss. -  L’uguaglianza universale dell’umana natura, considerata iu sè stessa e rigorosamente isolata   bi   dal processo della individuazione, è sinonimo di   168 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   astratta indifferenza logica, che esclude la nota stessa della realità e della concretezza, la diffe- renziazione. Ponete, in ipotesi, una moltitudine ;. di esseri esattamente uguali tra loro, e tra essi ‘\ voi non avrete mai il fenomeno giuridico, perchè ‘ non avrete mai la traccia di un rapporto, ed il diritto è «ssenzialmente posizione di ‘ relazioni o regola dei rapporti. Nessuno di quegli esseri può far sua una cosa con esclusione simultanea di tutti gli altri, perchè tutti, in ipotesi, hanno u- guale prerogativa ed uguale aspettazione sulla cosa stessa. Non v’è tra essi, insomma, nessun a \ rapporto di poziorità. Trasferite nell’ ordine dei tatti una moltitudine di esseri di questo genere, e cercate di rendervi ragione, come per avventura possa nascere tra essì il fenomeno giuridico, ossia il fenomeno della poziorità di taluni di fronte agli altri. E voi vi persuaderete, che, per avere il fenomeno giuridico, è uopo oltrepassare la tesi dell’uguaglianza e far capo ad un elemento novo e perturbatore, l’ ineguaglianza concreta. Il di- rittu stretto nasce dalla poziorità di fatto di al- cuni uomini di fronte ad alcuni altri; il diritto nasce, insomma, dal fatto della superiorità, ossia dal fatto della ineguale ripartizione della potenza fisica o fisiopsicologica di acquisizione e di assi- milazione, dalla ineguale ripartizione della forza. La natura, ossia la potenza ideologica dell’u- niversale e del comune, non è sollecita degl’indi- vidui; essa non predetermina a quale di essi spetti una data prerogativa di fronte agli altri. Sua mira è l’umanità e la specie. Nello stato di na-   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 169   tura (inteso in quest’alta accezione ideologica, e non nel senso storico-mitologico dei vecchi Na- turrechtslehrer), non esiste il diritto individuale, ossia il diritto stretto, perchè esiste la piena in- differenza degl’individui ; dico esiste, ed intendo sempre in ipotesi, come si conviene ad una tesi essenzialmente ideologica, qual è lo stato di na- tura. Nessuno ha diritto su una data cosa, perchè )) tutti l'hanno simultaneamente ed egualmente sulla ;  ‘ cosa stessa: uguali, meno percLè posseggono e- gualmente tutti, che perchè non possiede disu- gualmente veruno: uguali nella negazione. Oc- corre che l’indifferenza ipotetica dello stato di natura venga differenziata, perchè nasca il feno- meno giuridico; occorre che, accanto ai poteri ideologici e teoretici ipoteticamente uguali, su- bentri un elemento perturbatore, un potere con- creto e di fatto, che è oggetto di pertinenza di- suguale; occorre la differenziazione, la disugua- ( glianza, l’esercizio della forza. Il diritto, dunque, ra presuppone come a priori ideologico 'agtagionee | di natura, l uguaglianza formale, ma domanda, ‘come condizione determinante, l’ineguaglianza ma) teriale; esso si alimenta delle asperità, delle diffe- renze e degli attriti; esso nasce, in una parola, f dal fatto dell’ acquisizione e dall’ esercizio del] I forza.  Questo è l’aspetto di verità riconoscibile nella tesi del materialismo storico; ma questo è il solo. Perchè nego recisamente che il genio della vita, » della individuazione e della forza, che anima ed  i avviva il diritto stretto o la giustizia differenziale,   e   e n n me n e n Inii eita ge e ognea rn 7   170 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE |   sia simbolo di sfruttamento. Il diritto introduttivo del mio e del tuo non lede verun diritto poziore boa lo preceda; il diritto di tutti è una pertinenza ideologica, e non una pertinenza oggettiva, un {potere teoretico, come direbbe il Romagnosi, e non ‘nn potere pratico e finale. Appunto perchè 1’ u- guaglianza astratta è uguaglianza da indifferen- | x i za, appunto per questo è indifferente che la I i \poziorità tocchi all’uno più che all’altro. E tutti , gli altri non han ragione di levare protesta di : ifronte a me, appunto perchè io, in ipotesi, ho ‘ ‘ugual diritto di tutti gli altri. Ohè, se lo non ho | il diritto della prima acquisizione, non )’ hanno ‘neppure essi; e però essi non hanno veste razio- Ù ‘nale e giuridica per sottrarre a me quello che io ‘ho preso in soprappiù. Di fronte al diritto siamo “pari; di fronte al fatto siamo dispari, e la dispa- - rità è precisamente in mio favore, e 2 pesare la bilancia dal lato mio. A parità di tutto il resto, è perfettamente naturale che prevalgano i poteri differenziali ed individuali, cioè a dire che pre- valga la superiorità di natura e la forza. Il di- ( ritto segue da natura, ma dalla natura concreta, ! dalla natura differenziata ed individuata. È que- | sto un assioma della stessa giustizia differenziale (e e distributiva, la quale misura le case ed i valori f non xat' aùtò tò agayua, ma mods Muas. (1) Che se mettiamo da parte l’ipotesi ideologica dello stato di natura ed il procedere razionalistico e geometrico che ne consegue, e guardiamo le   (1) Ethica Nicomachea, lib. II, cap. V.      E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 171   cose nella loro concretezza primitiva, vieppiù ci convinceremo che il fenomeno giuridico non è simbolo di sfruttamento, anzi tra il diritto ed; ogni forma di sfruttamento e di parassitismo vi è un’ antitesi radicale ed irriducibile. -Il diritto ci appare, invero, una consolidazione della forza, solo’ perchè noi abbiamo anticipato d’avanzo uno stato! di diritto ideologico ed astratto, che è la stessa: negazione fittizia della vita e della forza. Il di- ritto ci appare una differenziazione posteriore e sopravveniente degli egoismi, solo perchè abbia- mo presupposto uno stato anteriore di assoluta indifferenza degli egoismi stessi. Noi traduciamo, ) per difetto di discernimento critico, i contrapposti / ideologici in antitesi reali; e siamo tratti ad im-; maginarci come due periodi di tempo, in uno dei quali vi sia puramente e semplicemente il diritto, e nell’altro subentri puramente e semplicemente la forza. Dovechè, iu realtà, due periodi non vi sono, come non vi sono due nature a sè éd iso- late l’una dall’altra: una natura ideologica e co-} mune a tutti, e una natura esclusivamente indì- viduale e differenziale. La natura uguale e comune si effettua nel processo stesso della individuazio- ne : l’universale, ripeto, è nella comunc natura! | individuata. Il diritto, quindi, non è la forza, per-; chè quello stesso che voi assumete per torza non '' è che l’espressione laterale del diritto. | L’ analisi dell’ evoluzione giuridica conferma tale assunto. Essa ci dimostra che anche nell’am- bito del diritto il processo della vita e dell’ indi- viduazione e della forza è ben lungi dal coinci-   -   Lararni   17% LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   dere col processo dello sfruttamento e del paras- sitismo. Il diritto stretto è in sforzo continuo verso un contenuto di socialità che provvede ad epurarlo, e che è come il correttivo naturale ed un coefficiente di elisione di quella iniquità apparente che presiede alle sue origini. La subordinazione del diritto individuale al diritto sociale, la sosti- tuzione della giustizia alla legalità, l’evoluzione del diritto verso l’equità, la sicurtà vieppiù ga- rantita, col processo della storia, ai diritti dei terzi, ne sono una prova. L’ evoluzione giuridica segna l’attenuazione progressiva della signoria dell’ uomo sull’ uomo, segna la elisione graduale della incidenza personale delle pretensioni e delle azioni creditorie. Il transito dal contenuto bru- talmente personale al contenuto patrimoniale ed economico delle obbligazic ni è un semplice feno- meno di tale elisione.  La stessa legge dello scambio e della riper- cussione sociale contiene il germe latente di una elisione progressiva dell’angolosità e dell’asperità della logica del diritto stretto. Nei rimbalzi e nelle revulsioni create dalla convivenza giuridica e nel contrappeso reciproco che i diritti indivi- duali si fanno e ricambiano, si nasconde un pro- cesso di compensazione continua, una sorta di proporzionalità e di mutualità delle perturbazioni e degli attriti determinati dall’esercizio del diritto individuale. La stessa logica e la tecnica del di- ritto è il correttivo interno, che erode le tracce originarie ed ipotetiche d’ingiustizia che sembrano sfigurarlo. Col progresso della divisiore del lavoro   iui siena O rr TELI, ehi salati GI i aliniezzii   rene all as atlittsi SR SS ce ssi o EI ca   inadientsteaiioneni se e n I 12- e A gi e aprite IIC A sona dra ile   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 173   che consolida le funzioni e gli organi, il diritto diventa una formolazione neutrale ed autonoma, una logica razionalistica. Esso si traduce in una formola media, in una norma tipica, che è come la specie ideale e formale dei fenomeni particolari e dei rapporti fenomenici di fatto. Come materjy, perdura ad essere individuale e differenziale; ma  come forma, il diritto sì approssima all’universale. Esso mira alle specie e non più agl’individui; alla persona, ossia all’aspetto giuridico degl’ individui, non a questo o quell’ individuo particolare fisica- mente considerato; al rapporto tipico , ideologico, medio, non ai rapporti singoli ed alle varietà in- dividuali. Esso è affaticato da una contraddizione interna, che è come una espiazione continua, una espiazione sublime, del peccato delle origini. Na*to per soddisfare i poteri eudemonologici, esso si ritorce ben tosto contro i poteri stessi, e nella bieca ed olimpica serenità della sua formola ra- zionalistica ed astratta convelle c mortifica la va- rietà rigogliosa degli edonismi individuali. Oc- casionato dall’utilità, esso chiarisce, presto o tardi,   la sua natura deontologica e razionale , nemica di .   #   -   ogni utilitarismo.  Ma, anche nel suo contenuto iuateriale il di- ritto stretto palesa una sorta di antinomia interna, che ne esclude ogni traccia di sfruttamento o di pi.rassitismo. Di conserva con la legge della evo- luzione giuridica tracciata dal SUMNER MAINE, la legge del transito progressivo dallo stato al con- tratto, cioè a dire la legge dell’ individuazione, procede un’altra legge, quella della penetrazione   ar e =   Hi ( tt   nz.   174 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   reciproca dei diritti individuali tra loro e col di-   \ ritto sociale, quella della interdipendenza solidale   ‘e della subordinazione organica. E la stessa_con- trattualità, espressione della individuazione, ha tal «natura da escludere dalla sua stessa nozione il   \ fenomeno dello sfruttamento. La contrattualità   non è l’appropriazione senza correspettivo, non è il parassitismo, non è la rapina; ma lo scambio bilaterale, la commutazione, la mutualità dei va- lori. E nell’ordine storico la lex, di cui l’archeolo- gia giuridica ha conghietturata l’ origine contrat- tuale, è un accordo, un compromesso, una pro- porzionalità, una mutualità degli utili. La con- trattualità è il simbolo stesso del ritmo della vita del diritto; il ritmo dell’assimilazione e della ripro- duzione, della nutrizione e della combustione de- gli elementi vitali, della individuazione e della genesi e della fecondità, dell’ egoismo e dell’ al- truismo,  Rimarrà, sempre, voi mi direte, nel fondo del diritto stretto il carattere della forza, e come la traccia d’uno sfruttamento primitivo, rimarrà il peccato originale dell’esclusivismo della prima ac- quisizione e della natura individualistica ed anti- comunicativa dei poteri eudemonologici. Ed avrete, in un certo senso, r:gione. Ma quella prima acqui- sizione e quel peccato originale sono i naturali fe- nomeni di manchevolezza dell’ordine fenomenico, il qual ordine fenomenico, può essere un baleno, una preparazione, un’aspettazione dell’ideale, ma non può punto esaurire in sè stesso i termini della perfezione. \E sono fenomeni di manchevolezza,   Lia 1 i,      Li:   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 175   si badi, rispetto all’ordine superiore che li oltre-\° passa, non rispetto all’ ordine fenomenico che il, / contiene. i.a prima acquisizione e l’esercizio esclu- sivo dei poteri eudemonologici è un atto pertetta- mente conforme alle esigenze della giustizia dif- ferenziale; e si chiarisce difettivo e manchevole, solo al lume d’una giustizia superiore e, rigorosa- mente parlando, irriducibile nella forma coerci- tiva della giustizia differenziale. Perchè, sopra, molto al di sopra della giustizia differenziale, vi;  è la giustizia che io chiamerei universale; la cui visione non è quella dei fenomeni ma del- l'essere, non del relativo ma dell’ assoluto, non L del reale ma dell’ideale, non dell’ empirico e del materiale, ma dell’ ordine puro, razionale e spirituale. Formola della giustizia universale è questa: Estima le cose e gli esseri per quello che essi hanno di valore oggettivo e reale, per quel grado finito di partecipazione, cioè, che essi hanno dell’Essere infinito. E poichè il potere di acquisizione e di godimento ha men valore che l’amore disinteressato degli esseri, tu limita quel potere con questo amore; e, se vuoi toccare la perfezione, immola l’uno all’altro. Non tenere le cose e la proprietà delle cose da più che il bene dell’uomo; perchè l’ uomo, sebbene essere finito, partecipa del valore dell’ Essere infinito ben più che le cose; e però sacrifica la proprietà delle cose per estimazione ed amore dell’ uomo, e l’ uomo estima ed ama per estimazione ed amore dell’Es- sere infinito. Ed in te stesso ama ed estima non i poteri egoistici, non la cupidità dei godimenti,   * Pi   L ‘ 1 {pal He   = + 09 gn gin c   176 : LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   non la brama di appropriazione dei mezzi este-  riori, che sono il fardello e la pesante zavorra  della tua natura materiale; ma ama ed estima  quello solo che in te ha valore assoluto: la su-  bordinazione alla legge del bene e l’aspettazione spirituale della beatitudine. |  Questa giustizia universale non condanna,  , propriamente parlando , l’esercizio della giustizia  \ differenziale, perchè altrimenti contraddirebbe a  sè stessa, e sarebbe ingiusta, estimando e misu-  rando una cosa con uns unità di misura superiore  ( ed irriducibile alla essenza della cosa. Essa consiglia  ed invita e non obbliga, perchè segna uno stato  v£_ \| di perfezione e non uno stato. imperioso di do-  i i vere: precisamente come la giustizia differenziale   Ri #   *   ‘segna soltanto un minimum etico, un minimo di  sufficienza e di necessità; segna piuttosto l’elimi-  \nazione dell’inginstizia che la pienezza di adem- -pimento della giustizia positiva, e piuttosto la ‘negazione del male che l’ affermazione attuosa e piena del bene.  Non chiedete alle cose più di quello che esse possono dare. L’esercizio dei poteri eudemonolo- gici, di lor natura esclusivi e poco comunicativi, non è in rapporto necessario con i fini superiori della natura razionale. I poteri eudemonologici  - (acquisiti non sono, come i diritti innati, perti- nenze essenziali e moralmente indefettibili dell’u- ‘mana natura. E però l’ineguale ripartizione di essi non è un argomento d’ingiustizia. E con essi =. ill’uomo può adempiere il suo fine, e senza di essi, —'' La loro manchevolezza è argomento della loro   E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 177   indifferenza, e la loro indifferenza esclude dalla ineguale ripartizione, di cui essi sono oggetto, la nota dell’ingiustizia.  Certo, la dottrina che professa esplicitamente la manchevolezza e l’ indifferenza dei poteri eu- demonologici si traduce anch’essa in una critica delle forme del diritto storico e della giustizia   differenziale. Quella dottrina mette capo anch’essa .   ad una oxéyis. Ma non è la oxeyis infeconda e sovversiva dello scetticismo morale; nè è la cri- tica del materialismo storico. È la oxéy:s, che si esercita sul relativo e sul finito e che intende alla riaffermazione dell’assoluto e dell’infinito: la 0xéys, che prelude ad un dogmatismo supremo e che è germe di vita e di forza vera. È la mala conten- tezza ed il muto dolore dello spirito, che sente inappagate le aspirazioni superiori della sua na- tura dalla caducità e dalla manchevolezza delle cose e geme nella sacra aspettazione di una re- denzione superiore, liberatrice.  Ma questa oxevis, la quale oltrepassa i limiti angusti della giustizia differenziale, non procede di là dai termini del bene e del male, nè sta fenseits von Gut und Bose. Essa supera il diritto storico e tenomenico , uon il diritto ideale : essa supera le rappresentazioni umane della giustizia, non la giustizia in sè stessa. Essa, anzi, è una riaffermazione positiva della legge del Bene e del Giusto, depurata dalle suggestioni ingannevoli della rappresentazione fenomenica e dalle insidie dell’egoismo e dei poteri eudemonologici. E l’uomo, che educa in sè stesso l’aspettazione e l’amore di  ° I. Perrone. — Problemi del mondo sociale. 12      /   \      178 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE   quella somma Giustizia, non è la negazione del genio dell’ individuazione del genio nella vita. In lui, anzi, la fecondità produttiva, espressione luminosa del genio della vita, tocca il grado più eminente. In lui la natura applaude e sublima sè stessa; perchè la natura stessa non ha il pieno adempimento del desio che l’affatica che in quello che supera la natura: nel soprannaturale.   er   LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE E GL’IDEALI DELLA MORALE   (Dalle Conferenze : — Nietesche e Tolstoi — Idee morali del tempo (1).   Nessun filosofo scettico ha maturato un pen- siero così risolutamente contrario alle idealità co- munemente ricevute della morale umana, come Federico Nietzsche.  Egli è il filosofo della negazione.  Ohiuso nella sua solitudine intellettuale (certo, una solitudine maestosa di sovrano, all’ occhio dell’esteta), egli ha deposto con cura gelosa tutti i residui mentali dell’ eredità e della tradizione. Egli si è separato con violenza dal vecchio mou-   (1) Queste conferenze furono scritte e pubbiicate (Ed. L. Pier- ro, Napoli) il 1902, cioè sei anni dopo la mia prima critica delle fonti elleniche del pensiero di Nietzsche. Ne riproduco qui lar- ghissima parte, per rendere più ampia ed intiera la rappresenta- zione del concepimento della vita del pensatore di Réocken ed av- valorarne un più sicuro giudizio.   180. LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   do; egli ha distrutto in sè il vecchio uomo: di- sdegnoso ed incurante, se in questa dissennata opera di demolizione venisse miseramente tra- volto non solo quello che vi è di caduco, di con- venzionale, di falso nella nostra coscienza e nella nostra vita, ma anche quello che è profondamente vero ed umano.  Giudice universale ed olimpico irrisore, egli è l’individualista assoluto del pensiero. La spa- smodica concentrazione nella solitudine bieca del- l’Io lo isola dalle direzioni generali e collettive della coscienza contemporanea. Refrattario a quella legge sovrana del pensiero e della vita che è la legge della relatività, egli pone la sua idea, il suo criterio, il suo giudizio come principio assoluto.  L'intelligenza normale, il sapere normale si accontentano di una conoscenza relativa: riferi- scono, cioè, una cosa che è ignota ad una cosa che è nota. Per edificare qualche cosa, non si credono in obbligo di cominciare dal distruggere le basi dell’ edificio. Il Nietzsche procede diver- samente. Egli vuole essere, anzitutto, un creato- re: e la creazione, sì sa bene, è un salto nel buio o una improvvisazione dal nulla.  Chi ha il diritto di creare ha il diritto, altresì, di annientare ; la vita procede per ritmo di con- trasti; ad un sì o ad un fiat assoluto risponde un no assoluto del pari. Ed il Nietzsche anzitutto | annienta. La palingenesi del superuomo è prece- duta dalla catastrofe, dalla ecatombe dell’uomo.  Non gli dite che l’individuo è un frammento   della società e della storia: che l’individuo non   e rece | ri ri a o   E GL’IDEALI DELLA MORALE 181   è, nè può essere mai il suo centro di gravità, il suo sostegno, la sua unità di misura: che l’indi- viduo è un prodotto e non un fattore, una qual- che cosa che dev'essere spiegata e non una qualche cosa che spiega, una qualche cosa che dev'essere superata e non una qualche cosa che supera. Egli, ahimè !, non può intendervi. Un malsano abito imaginativo ha divelto, ormai, il suo individuo da ogni legame con gli obbietti e le figurazioni della vita reale. Egli vive in sè, e tutto quello che è fuori del suo Io e del suo Ideale è, per lui, argomento di amara e disdegnosa rampogna. Il pensiero della moltitudine , le idee comuni, la eredità della storia non lo stimolano, lo irritano. Il suo grido di reazione, urlo di una profonda anima ferita, è un grido di repulsa.  Essere sovranamente sensitivo ed interiore, la vita gli si concentra nell’ interno, in quel punto fosco e nero che è il centro dello spirito. Di là codesto Io ipertrofico si dilata verso il di fuori e si sforza di rischiarare la sua tenebra nativa. Crea il suo altro, il suo idolo, il suo feticcio, e lo chiama il superuomo. Ma trattasi di una luce fosca e crepuscolare: e quella creazione positiva è il residuo, spremuto con spasimo, da una negazione infeconda.   * * *   Procediamo cou ordine nell’ esposizione delle sue idee fondamentali (1). È un crescendu di de-   (1) Sono desunte dalle segg. opere e rispettive pag.: Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch fur freie Geister, (I. p. 15-18, 81-89, 42, 50, 96).   1892 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   molizioni scettiche e di denegazioni aforistiche. Egli comincia dal negare che l’nomo sia destinato alla ricerca ed al raggiungimento della verità. E, prima d’invertire le tavole dei valori morali, egli inverte le tavole dei valori conoscitivi. Tutte le forme della intuizione e della contemplazione, dalla fede religiosa alla ricerca scientifica, si dis- solvono sotto il corrosivo della sua analisi. Tutte queste estrincazioni del pensiero e del sentimento sono denudate, smascherate, convinte di aperta reità. Esse non appaiono più come l’ espressione fedele del perenne bisogno di verità e di vita che agita l’anima umana. Ci si rivelano, invece, come l’espressione infedele, traviata, bastarda del gran bisogno di vivere e di dominare che è il motore sovrano di tutte le cose.  Perchè, un nuovo principio ed una tavola nuova Federico Nietzsche contrappone ai vecchi principî ed alle tavole tradizionali; una nuova formola di filosofia della vita, che si chiama così: volontà di dominazione. Ogni vita ed ogni funzione di vita è energia di possanza, è sovranità della forza, è volontà di dominare, di signoreggiare, di superare, di sopraffare. La signoria degli altri, il dominio, la sopraffazione, è il grido stesso, il fre- mito stesso della vita !   Morgenrsthe. Gedanken ueber die moralischen Vorurtheile; p. 52, 68-71, 76-78, 90, 145, 207).  Also sprechi Zarathustra; (13, 2° e 82 parte sas;  Jenseits v. Gut u. Bòse; (pag. 6, 14-15, 17, 49, 62, 107-108;   116-117, 201-202, 225-280, 248, 249).   Zur Genealogie der Moral (p. 63, 12, 28 ecc.).   sc   E GL’IDEALI DELLA MORALE 183   La volontà di vivere non è altro che volontà di dominare. In tutti i pensieri ed in tutte le azioni dell’uomo voi potete colpire l’influenza, a volte occulta, a volte visibile, della volontà di vi- vere e della volontà di dominare : anche in quei pensieri che esprimono la rinuncia alle sollecita-   zioni della vita, anche nelle azioni che consacrano   apparentemente la condanna della sovranità della forza.  Un grido di protesta si solleva dalla coscienza contro questa parola, in cui è segnata l’ apologia della dominazione e della violenza. Ma la volon- tà della dominazione, il Nietzsche risponde, non è una nuova legge o un nuovo imperativo, che io esprimo dalla mia mente. È il fatto stesso della sua natura e del suo essere che io rivelo all’ uo- mo, denudandolo di tutti i travestimenti multi- colori dell’ illusione. La verità si è che tutto il grande e prezioso mondo ideale e morale e reli- gioso foggiato dall’uomo è un tragittamento al di fuori della sua volontà di vivere e di dominare, è una proiezione del suo egoismo. Prima d’iniziare al culto della sovranità della forza, è bene ed è bello poter dimostrare che questo culto è esistito sempre. Perchè l’uomo può gittare fuori di sé le sue illusioni, ma le illusioni sue non possono na- scere che da lui, da quello che egli è nell’intimo del-suo cuore. Ora egli è un essere vivente; ed ogni vita è forza, è conquista, è assimilazione, è sopraffazione di altre vite; ogni vita è affer- mazione di una volontà di dominio; di una so-   184 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   vranità profonda, rigogliosa, spesso brutale, della forza. | |  Da banda le vecchie categorie filosofiche sulla destinazione dell’uomo alla verità. Non è il cri- terio del vero e del falso quello che impera nelle forme del pensiero, come nelle forme della vita “umana. È il criterio dell’ utilità, della produtti- vità vitale, della volontà di vivere e di dominare; è il criterio egoistico. |  L'uomo non dice: ciò esiste, dunque è vero; ma dice: ciò mi è utile, ciò mi è necessario, ciò mi piace, adunque è vero. E fa benissimo. La co- noscenza non ha che una sola funzione; la fun- zione utilitaria. Ora non è detto che la così detta verità sia utile; e 1’ opinione che la verità valga più del suo contrario, valga più dell’errore, è un volgare pregiudizio. Datemi un giudizio falso, ma che sia utile agli effetti della vita; ed io dirò che esso è più vero del vero. Senza una certa dose di falsificazione e di mistificazione, nessuna vita può reggersi. Rinunziare ai giudizi falsi — eterno spasimo del filosofo — è tutt’ uno che ri- nunciare alla vita.  In vero, è una superstizione da filosofi il cre- dere che sia condizione di vita la così detta ve- rità e che questa, quindi, vanti una prerogativa sull’apparenza. Come se l’ apparenza e l’ illusione non fossero, invece, il sostegno necessario della vita degli esseri! Come se la verità non fosse, a sua volta anch’ essa, una forma di apparenza, e come se i cosiddetti giudizi veri fossero qual- che cosa di più che dei gradi, come gli altri, di   - _—   a   E GL'IDEALI DELLA MORALE 185   probabilità e di verosimiglianza ! Come sela fede nella certezza del sapere fosse qualcosa di meglio che una visuale illusoria, un fenomeno di prospet- tiva dell’ottica della vita !  In verità vi dico, che non vi è forma di vita che non si sorregga sovra gradazioni di appa- renza, sovra illusioni ed allucinazioni di prosp :t- tiva !  Il mondo rappresentativo foggiato dalla col- lettività umana, gl’idoli ch’ essa adora, gli Dei che si crea, le fedi che s’ impone, le imagini che proietta, le idee che contempla, sono, dopo tutto, nulla più che un tessuto d’illusioni e di errori di prospettiva , il cui solo residuo utile ed utilizza- bile, il cui solo valore, sta nella volontà egoistica di vivere e di dominare che vi circola e ricircola per entro.  Anche quello che voi credete mondo ideale— e lo credete tale, perchè esso condanna e comprime la sovranità della forza—anche quel mondo ideale, che, negli spasimi della vostra debolezza, voi in- vocate tuttodì come la via della verità, la via della luce, la via della salute, anche quel mondo ideale della fede, della religione, dell’ ascetismo cristiano, è impregnato di volontà di vivere e di dominare.  Peggio, ancora; quel mondo è la contamina- zione, è la degenerazione, è la putrefazione della volontà di dominio. È il prodotto di una voloutà di dominio impotente e disperata di esserlo; la quale si contrae, si convelle, si consuma, si rode in sè medesima; e si afferma proprio quando   4 I   a   -   LÌ Hg i Gf ga   » IIS 5 ROERO SOT "e La   sa bet,   l'inte   186 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   pare che si neghi, e, non potendo affermarsi in senso positivo, si afferma in senso negativo, non potendo affermarsi come forza, come godimento, come possanza, come tirannide, si afferma come umiltà, come rinuncia, come SONIC, come obbe- dienza.  Sottile iaia dell’egoismo, morbosa in- versione della volontà di vivere e di dominare,   soave ipnosi della debolezza e dell’ accidia. è la   fede religiosa.  L’uomo, talvolta in un’ estasi di rapimento, più spesso in uno spasimo di desolazione, getta le sue illusioni fuori del mondo. Orea Dio a sua imagine e somiglianza; e, vittima della propria illusione, adora la sua fattura.   Aumento di gioia ai forti ed a chi gode è   proiettare al di fuori la loro forza ed il loro go- dimento, ‘e toggiare degl’ Iddii in cui rimirare, illuminata di luce nova, la propria imagine.  In codesta trasfigurazione, il piacere diventa come l’oggetto ed il duplicato ideale di sè me- desimo; quasi una distillazione della beatitudine traverso il filtro della immaginazione creativa. Nella pletora della vitalità non basta possedere giocondamente sè stesso : occorre una elevazione ed una purificazione fallace dell’ io: è uopo in- diarsi. In un primo grado di attività sensitiva e vitale, l’uomo possiede il proprio godimento ; in un secondo grado, vuol esserne posseduto. Gli si affina la potenza creativa. Egli ha l’ espansione largitrice della ricchezza esuberante. È pregno della sua dilettazione. Crea il suo fantasma, il   — - Lai   E GL’IDEALI DELLA MORALE 187   suo feticcio, il suo Dio: e lo adora. Nascono, così, le religioni, imbevute profondamente del senso pagano dalla terra, e le quali consacrano le gioie ed i piaceri della vita.  Ma, se soave ai forti è gettare le proprie il- lusioni al di fuori e foggiare degli Dei ad im- magine e somiglianza della loro gioia di vivere, più soave, ancora, è alle anime deboli e soffe- renti, ai tisici del mondo, gittare al di fuori la propria sofferenza e la propria debolezza e solle. vare l’una e l’altra a legge di significazione celeste ed a sostanza di vita divina. A chi soffre è dolce guardar lontano dai propri dolori e dimenticare sè stesso; trasfigurare la propria sofferenza, obiet- tivandola , ed il dolore di sè tradurre in un do- lore del mondo. Più dolce, ancora, è ipnotizzarsi in uva soave dedizione al dolore. Dolcissima cosa sopra ogni altra è, poi, divinizzare il proprio do-   lore, santificare il proprio martirio. Ivi è il mas-.   simo grado di possanza che sia consentito alla debolezza: mascherarsi nei drappeggiamenti della forza, farsi un piedistallo di gloria della propria miseria, la croce, strumento di abbietto supplizio; ostentare come trofeo di vittoria, la propria schia- vitù incoronare di diadema regale.  Tale, e non altro, è il motivo della fede reli- giosa ; un’ allucinazione, a volta gioconda e pia cevole, a volta lugubre e funerea. Non Iddio ha creato l’uomo, ma l’ uomo ha creato Dio, ripete il Nietzsche col Feuerbach: e l’uomo sano e forte ha creato un Dio forte e sano e giocondatore e terrestre; e l’uomo debole, morituro o schiavo ha   i aiar   1 Se r*   188 . LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   creato un Dio cruciale e nemico del corpo e della terra, mortificatore della carne, simbolo di un mondo inumano e disumanato, di un celeste nulla.  Uomini sani e forti erano i Greci ed i Romani, volontà sicure e dominatrici, epperò essi crearono degli Iddii umani e pregni del senso della terra. Intristiti nella miseria e nell’ abbiezione e nella schiavitù erano gli Ebrei, ond’essi crearono la re- ligione della sofferenza e dell’umiliazione, la fede dell’Ebreo Gesù, divinizzante il dolore che redi- me dal gran peccato della vita, del mondo, della terra.  Ai miserabili schiavi giudaici, predisposti a sogni di ambiziosa grandezza dal messianismo profetico, occorreva, sopratutto, un codice ed una fede che ne vellicasse la disperata ed impotente volontà di dominio. Anche il debole è egoista; risente forte l'impulso conservativo di sè e do- minatore degli altri e del mondo. Tale impulso, anzi, lo urge e sollecita tanto più, quanto più è acuito ed irritato dalla impossibilità di soddi- sfarlo. La violenza del desiderio perviene allora al parossismo della disperazione. E dalla debo- lezza nasce un simulacro di forza, la quale non è che esasperazione tormentosa e spasmodica.  È un raptus morboso, che può anche dare un folle momento di felicità. Una sovreccitazione, che, nell’ estrema stanchezza della volontà, con- sente un atto supremo di volizione. |  È una disperata risorsa della debolezza, la quale, non potendo volere alcunchè di positivo e di concreto, non le resterebbe, in fondo, che   E GL’IDEALI DELLA MORALE 189   cessare di volere. Ma no; essa si rifiuta a questa dedizione, che è confessione esplicita d’impotenza. Essa vuole ancora, e non potendo volere il posi- tivo, vuole il negativo : vuole il nulla. E del nulla sì fa un tutto.  Non potendo debellare il dolore che gli sovra- sta, il cristiano se lo rende amico, cullandolo e vezzeggiandolo. Lo fa suo, ed in codesto farselo suo afferma la sua possanza. Fa di necessità virtù, ed nna succumbenza coatta trasforma in una qualche cosa spontaneamente accettata come pegno ed assicurazione di gioia e di beatitudine. Egli redime la sua schiavitù, idealeggiando co- . me legge della vita la rassegnazione e la rinun- cia. Egli riscatta l’ obbedienza supina della sua anima servile, concependola come libero omaggio di anima libera. L’ umiliazione coatta, così, di- venta umiltà; la fermentazione e la putrefazione del vizio diventa virtù. Ed al mondo che gli sfugge, gitta la suprema amara rampogna del- l’impotente, ferito nel suo orgoglio vanitoso; una condanna rabbiosa, in cui freme un’ invidia torva ed esasperata. |  Egli condanna la sovranità della forza, con- danna la volontà di dominazione, condanna tutto quello che è esercizio di possanza creatrice, vin- citrice, sopraftattrice, perchè tutte codeste ener- gie si affermano contro di lui. Il mondo e la vita e la carne sono peccato e miseria; sola verità, sola virtù è il sacrificio del corpo, è la fuga dal mondo, è la mortificazione della carne. La sua negazione è un dispettoso grido di risentimento;   091 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   l’urlo tragicomico dell’oppresso, gemente sotto il sacro staffile del padrone, che si sfoga contro la morale sana e vigorosa dell’oppressore.  Ma, condannare questo mondo, che si afferma contro di lui, non basta all’ asceta, al credente, al cristiano. Egli deve suggellare la condanna della vita e della terra con la consacrazione del suo contrario, della morte e del cielo.  Questo mondo dell’esperienza e del tempo, il mondo dei dominatori e dei ribelli, è il mondo del peccato e della contaminazione ed è la sede dei reprobi. Il mondo suo, quello in cui egli tra- sporta, come in un asilo sicuro, tutte le sue aspi- razioni insoddisfatte di egoistico dominio, è al- trove, è fuori dell’ esperienza , è fuori del tempo, è di là. Ed è quello il vero mondo; il mondo in cui la mandra dei miserabili e degli schiavi, ossia la moltitudine anonima degli umili e dei poveri di spirito o dei buoni e dei giusti, saranno bea- tificati, ed i forti, ì creatori, i guerrieri e le crea- ture dominatrici e sopraffattrici saranno precipi- tate nella geenna; il mondo in cui le inegua- glianze di elevazione saranno cancellate ed in cui sarà argomeuto di trionto l’ essere stati pu- silli. |  Così la redenzione, la buona novella del biondo Nazareno, è una rivincita degli schiavi contro i Signori. Il Dio di Gesù, il Dio del giudizio uni- versale, il Dio che giudica i buoni ed i cattivi, è il Dio di una vendetta servile e paurosa, proiet- tata, per ogni huon fine, in un oltretomba ine- splorabile.      E GL’IDEALI DELLA MORALE 191   In cotesto malnato istinto di riscossa si de- nuda l’intima natura della fede nel soprannatu- rale.  Non è la rimozione dell’ egoismo, non è la rinuncia alla volontà di dominio, che caratterizza l’ascetismo. No; è il pervertimento di una vo- lontà di dominio fuorviata, per effetto di debo- lezza, dai suoi termini naturali di appagamento; è la profilassi di un profondo istinto degenera- tivo ; una astuta ed ipocrita forma d’ immunizza- zione, in cui si afferma, sotto le apparenze ingan- nevoli della rinuncia, un potente istinto di con- servazione e di dominazione.  L’ascetismo è, a seconda dei casi, un potente derivativo di una forza fuorviata o traviata, o l’astuta risorsa di una ingenita ed immedica- bile debolezza. Nel primo caso, è la volontà di dominio dello schiavo, che aveva sortito una na- tura superiore al suo destino, la qual volontà di dominio, acuita ed irritata da una inibizione coatta, rifluisce e sì ritorce contro di sè, ed, in difetto dei sani piaceri della creazione, esperi- menta l’acre sostitutivo della volontà della distru- zione. Nel secondo caso, è la previdente capitola- zione di un fuggiasco della vita, che nella prote- zione di una volontà soprammondana annega i ti- mori e gli scrupoli dell'anima povera.  In ambo i casi, è espressione pervertita di egoismo e di volontà di dominazione.  È pur sempre il satanico potere creativo della forza che 8’ infiltra in queste glorificazioni della debolezza. È pur sempre la voce del corpo che   sale   vaga   me A   " lia = in ge e + ' da *   wi i dae dada '   hai   Yo *.ftei, “ne . 4   199 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   vibra e freme in queste radiose, immacolate e pudibonde epifanie dello spirito. L’ascetismo ha un bel cacciare la testa nella sabbia delle cose celesti; ahimè! è di bassa provenienza terrestre anch’esso. — « Ammalati e morituri », così dice alla lettera il Nietzsche: «ammalati e morituri furono coloro che spregiarono il corpo e la terra ed inventa- rono il cielo e le gocce di sangue redentrici; ma anche codesti veleni dolci e tetri, essi li tolsero dal corpo e dalla terra. « Il fanciullo dice : Io sono corpo ed anima. Ma l’uomo svegliato e cosciente dice: Sono com- pletamente corpo, e niente altro all’infuori di ciò :   e l’anima non è altro che una parola per signifi-   care qualche cosa che sì trova nel corpo. Il corpo è una grande ragione; e quello che tu chiami spi- rito, o fratello, ossia la tua piccola ragione, è un piccolo strumento del corpo ed un piccolo trastullo della grande ragione. Strumenti e trastulli sono sensi e spirito; dietro a loro si cela il proprio es- sere, il quale cerca con gli occhi dei sensi ed a- scolta con gli orecchi dello spirito. Dietro ai tuoi pensieri ed ai tuoi sentimenti, o fratello, sta un potente dominatore, un savio ignoto, che si noma il proprio essere. Egli abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.  « Persino, nella vostra stoltezza , nel vostro disprezzo, o sprezzatori del corpo, voi siete servi del corpo. Io vi dico : il vostro stesso essere vuole morire e si discosta dalla vita. Egli non può far ciò che amerebbe far sempre : creare all’infuori di   -—_   dii - _1__r—r———_——_————_————_—_———————_—___——_rm—_—_——6€m6Pm6m€—_—wr _   E GL’IDEALI DELLA MORALE 193   sè stesso. Ecco ciò che vorrebbe fare di preferenza, con tutto l’entusiasmo. Ma, ormai è troppo tardi per lui: per il che, il vostro essere vuole perire, o voi sprezzatori del corpo.... E perciò voi odiate la vita e la terra. Un’invidia inconsciente leggesi nel torvo occhio del vostro disprezzo. La vostra via non è la mia, o sprezzatori del corpo. » (1)  È stata, per altro, la via della umanità cri- stiana fino a noi. Il virus ascetico ha avvelenato, per secoli, le sorgenti della vita; ed esso corrode anche le intime fonti della filosofia, della morale e della scienza. Il culto morboso della compas- sione, la religione della sofferenza e del dolore, la morale dei giusti e dei buoni, cioè dei deboli, assursero a leggi sovrane della condotta. L’astuto bisogno di puntellare la propria debolezza sì ma- scherò delle sacre sembianze della simpatia e del- l’amore e del disinteresse. E l’ altruismo fu solle- vato a norma del vivere, perchè conveniva all’e- goismo dei fiacchi e degl’ impotenti. Il bestiame umano volle nobilitare il fatto della sua servitù; e la sua obbedienza da schiavo consacrò col nome di obbligazione. Nacque la malefica formula del tu devi.  Il dovere etico, l’imperativo categorico, sono lo spasimo della schiavitù che legittima, legifera, adora sè medesima. La filosofia pigliò sopra di sè l’assunto di continuare la religione, affinandola ed assottigliandola. Così il noumeno di Emanuele Kant è il vecchio mondo spirituale e sopranna-   (1) Zarathustra (p. 25-29, passim. della trad. it. del Weisel). " I. Perrone. — Problemi del mondo sociale. 13   -   ta ke   ‘   . ‘€ o * ,   FR 0 x . a, 1 ha dI de è Di LI Lal na Mo verde : Ù (rr e nat   cen da   CA dd ii » La   gn n   194 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   turale dell’ascesi, divenuto sublime, trascendente, pallido , settentrionale, adombrato dalle nebbie del criticismo, offuscato dalle brume di Kénigsberg.  Così, il tu devi e la sovrana. devozione del- l'imperativo è il vecchio monito della rinunzia, il vecchio grido funereo dei mortificatori del corpo, distillato nell’astrazione ideologica, estenuato, de- potenziato.  E questa mortificante formula del dovere dalla filosofia passò anche nella scienza, contaminan- dola. E la scienza deformò e snaturò la natura per piegare anche lei, questa sublime anarchica, al pressoio di quel mostruoso feticcio della legge e dell’imperativo. Sì, anehe nella natura, in questo profonda ribelle, la quale ci rende ima- gine della più fiera ed inesorabile sovranità della forza , la superstizione democratica della scienza moderna è riuscita ad insinuare il suo morboso culto della legge. Anche della natura si è creduto, ahimè !, che essa obbedisse ad un tu devi. Tutti sono uguali dinanzi alla legge, anche i fenomeni naturali: così ha detto la piccola etica e la pic- cola estetica della greggia umana, piegando la dominatrice e tirannica natura ai suoi abiti di quieto vivere e di accomodamento umanitario.  Dovechè, se nella natura v’ha un ordine, que- st’ ordine non ha luogo perchè vi dominino delle leggi, ma perchè, anzi, ogni legge vi difetta, ed ogni forza, in ogni momento, vi trae il partito suo, senza regole, senza limiti, senza freni.  Ma, dove questa malsana religione della sof- ferenza e del dovere ha recato maggiore inqui-   E GL’IDEALI DELLA MORALE 195   namento, è nell’ordine della vita morale. La mo- rale dei deboli si è contrapposta alla morale dei forti; la morale degli schiavi ha convinto di reità la morale dei signori. La morte ha condannato la vita; la stanchezza impotente ha stigmatizzato la volontà di dominazione. È nata la gran supersti- zione dei buoni e dei giusti, cioè a dire la reli- gione della mandra : quella che culla il suo sonno nel beato languore delle virtù papaveriche e si adagia placidamente nei cancelli protettivi del bene e del male. Laddove la vita vera è afferma- zione di sovranità individuale, è sublimazione di dominio, è creazione ex lege, è sopraffazione ed elevazione, è un santo no innanzi al dovere, è la ripulsa di ogni legge che non sia il proprio vo- lere e l’aristocrazia superumana, è il di là dal vecchio mondo, la superazione delle vecchie ca- tegorie del bene e del male.  I tipi umani superiori, le nature signorili e dominatrici, i tipi superumani sono gl’ interpetri della vera vita. Essi hanno varcato, con salto di- vino, il gran ponte; essi han toccata l’altra riva; hanno attinto il di là; essi guardano cun riso super-omerico e super-olimpico la folla che s’ in- dugia impotente di qua dal ponte dell’ eleva- zione.  Per queste nature signorili e dominatrici, per questi spiriti liberi, la vecchia superstizione de- mocratica degli armenti umani, l’antitesi del bene e del male e la legge del dovere e dell’obbedienza, non han sanzione di sorta, non han valore di sorta. In questa splendida élite di nature aristo-   To + 49--. |. - 1 +   196 LA VISIONE DELLA VITA DI FED, NIETZSCHE   cratiche , si effonde rigoglioso il genio della pos- sanza, l’avidità della creazione e della invenzione di nuovi valori, la sete dell’ assimilazione e del dominio.  La morale aristocratica, la morale dei signori ha anch’ essa la sua storia. Fu già il modo di vita delle classi dominatrici del mondo pagano; ed un funesto irrompimento trionfale di schiavi, che fu chiamato avvento del cristianesimo, ne troncò e recise il processo ascendente. La morale aristocratica poggia non già sulle categorie del bene e del male, ma sulle imagini di nobile e di basso, di signorile e di vile, di elevato e di spre- gevole, di elegante e di volgare. Le volontà si- gnorili non riconoscono per cattivo moralmente, se non quello che è mediocre, volgare, comune, plebeo; e non riconoscono per moralmente buono, se non quello che è nobile, aristocratico, signo- rile, combattivo, prepotente. Nello spirito «li que- sta casta di signori e di guerrieri è radicato un olimpico dispregio dell’ orda, della moltitudine, della greggia umana, ed un’ estimazione profonda della propria nobiltà e finezza di natura, della funzione dominatrice alla quale si sente chiamata, dell’istinto possente di combattività e di dominio che l’affatica.  Essa non accetta passiva le vecchie tavole dei valori e le imposizioni dei buoni e dei giusti : essa crea. Essa sa che solo criterio della verità è lei stessa ed il suo volere: essa pone sè a centro dell’universo e grida: chi assegna il valore ed il pregio alle cose, sono io !   IT ——-ranttenrenm   E GL’IDEALI DELLA MORALE 197   La moralità aristocratica non riconosce sensi di rispetto e di simpatia che per i simili e per i pari. Verso gl’individui di ordine inferiore, ver- so la folla anonima del bestiame umano, quella morale non riconosce doveri di sorta. Essi sono strumento di abbiezione e di dominio: materia servile conculcata e travolta nell’ascesa del super- umano.  È questa morale aristocratica , che segna l’e- levazione del tipo umano e vuole essere assunta a modello ed a tipo della vita. Il progresso umano non è dovuto alla volontà democratica dell’eguaglianza, ma alla lotta dei disuguali, al pathos delle gerarchie e delle distanze, all’aristo- crazia dominatrice. E creatori ed interpetri del progresso sono i signori, 1 sovrani, i sublimi : per- chè progresso è vita, e vita è volontà di domi- nazione.  Dov'è volontà di dominio, ivi è superazione: chi supera è l’ infrangitore delle tavole dei va- lori, colui che sì ribella al tu devi e dice — do voglio, — colui che crea: i superati, nella trion- fale ascesa, sono i comuni componenti della man- dra umana.  Vita è elevazione e superazione; vita è vo- lontà della lotta.  « Gli uomini non sono eguali e non debbono diventarlo. Su mille ponti e sentieri essi devono | slanciarsi verso l’ avvenire, e sempre più ci de- V’essere tra di loro guerra ed ineguaglianza. Bene e male, e ricco e povero, ed alto e basso e tutti i valori, comunque si chiamino, devono essere   . e: aio ii MIR cat   dn n — a ini   198 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   armi e segnacoli sfolgoranti di questa verità : che la vita deve sempre superare sè stessa.  In alto la vita lotta a comporsi un edificio con pilastri e gradini; essa vuole spaziare per grandi distanze e godere di bellezze beate; epper- ciò ha bisogno di elevarsi. E, perchè ha bisogno dell’altezza, le sono necessari i gradini, e le giova il contrasto tra i gradini e coloro che salgono. La vita vuol salire, e, salendo e sorpassando sè stessa, rigenerarsi. |  O voi predicatori dell’ eguaglianza , voi siete delle tarantole e v’ arde un celato desiderio di vendetta. Ma io voglio discoprire i vostri nascon- digli; però vi lancio in volto il riso che viene dall’alto. » (1)  Quest’ ascesa trionfale nei gradi della subli- mazione approda ad un supremo fastigio, approda alla formazione del superuomo.  La volontà di dominio gitta immane il suo grido di riscossa, nell’immensità dello spazio infi- nito, e si slancia verso le inaccesse altitudini su- perumane.  Libero dalla beatitudine dello schiavo, redento dagli Dei e dall’ adorazione di essi, impavido e terribile, grande e solitario, maligno e profondo, sopravviene il creatore.  Risuona nella solitudine il gran grido pro- fetico e liberatore di Zarathustra, |’ annunziatore del novell» Evangelo.  « Io insegno a voi il superuomo. L'uomo è   (1) Zarathustra — ibid., p. 92-94 passim.   E GL’IDEALI DELLA MORALE 199   N   qualche cosa che dev’ essere superato. Che cosa avete voi fatto per superarlo ?  Tutti gli esseri crearono sinora qualche cosa al di sopra di sè stessi: e voi volete essere il ri- flusso di questa grande marea e ritornare piutto- sto al bruto, anzichè sorpassare l’uomo ?  Che cosa è la scimmia per l’uomo? Un og- getto di riso e di dolorosa vergogna. E questo, appunto , dev’ essere l’ uomo pel superuomo: Un oggetto di riso o di dolorosa vergogna. — Voi avete percorso la via dal verme all’uomo, ma voi tenete ancor molto del verme. |  State attenti, io v’insegnerò il superuomo ! Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà proclami : il superuomo sia il senso della terra.  Altre volte il delitto contro Dio era il mag- gior dei delitti, ma Dio è morto, e con lui mo- rirono anche i delinquenti di tal fatta. Peccare contro la terra è ora la cosa più terribile, e stimar   più le viscere dell’imperscrutabile che non il senso z   della terra ! x  Non il vostro peccato — la” vostra modera- zione, la vostra avarizia persino nel peccato grida contro il cielo! Dov’ è mai il fulmine, perchè vi lambisca colla sua lingua ? Dov'è la follia con la quale dovreste essere inoculati ? Ecco, io v’ inse- gno il superuomo : egli è quel fulmine, quella follia !  IL’ uomo è una corda tesa fra il bruto ed il superuomo, — una corda tesa su di una voragine. Pericoloso l’andar da una parte all’ altra, perico-   200 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   loso il trovarsi a mezza strada, pericoloso il tre- mare, pericoloso l’arrestarsi.  Ciò che è grande nell’ uomo, è l’essere egli un ponte e non già una meta; ciò che può essere amato nell’uomo, è l’essere egli una transizione ed una distruzione.  L’uomo è qualche cosa che dev’ essere supe- rato » (1).   * * *   Queste le linee fondamentali del pensiero di Federico Nietzsche.  Quali nuovi abiti e nuove forme di vita rechi nel mondo codesto nuovo tipo che chiamasi su- peruomo, non è facile, dirò anzi, non è possibile determinare. | |  È una ideale figurazione del grande esteta della volontà del dominio, alla quale difetta un contenuto concreto, saldo, coerente. La concezione del superuomo si riannoda ad uno stato mentale morboso dell’autore, ad un delirio allucinatorio, ad una frenosi progressiva e sistematizzata, e non è scevra di elementi paranoici. Sul terreno del- l’allucinazione brillano, ondeggiano, s’ inseguono, s’ incrociano , sì elidono le imagini torbide e sal- tuarie e le fallaci parvenze sensoriali, ma non si afferma una nozione, non emerge un concetto o una qualsiasi rappresentazione definita. L’ alluci- nazione è la percezione senza obbietto , è 1’ idea-   (1) Zarathustra, ibid., p. 6-8, passim.         E GL’IDEALI DELLA MORALE 201   zione priva di contenuto. Così la visione del su- peruomo si decompone, si disgrega, si rifrange in una folla innumere di imagini, di colorazioni, d’iridescenze. Non otterremo mai che da essa s'il- lumini e s’irradii un’idea, ]a quale domini il tu- multo incomposto delle attività sensoriali e sgom- beri e rassereni i foschi bagliori delle interne il- lusioni.  Forzando, con tragica voluttà di dissolvimento, una vaga visione originaria di sublimazione del- l’uomo, Federico Nietzsche attinge e valica, ahi- mè !, quel punto limite, quel momento irrazionale, quel centro oscuro ed opaco che è nel fondo di ogni figurazione fantastica, anche la più lumi- nosa. E la limpidità della percezione lo abban- dona e lo travolgono gli effimeri, fuggitivi, insi- diosi fulgori della imaginazione sconvolta, bieca dominatrice superstite sulle rovine dell’ anima erosa !  Il solo elemento intellettuale positivo che sia dato d’isolare e di fermare, attraverso questa tra- gica rincorsa e questa ridda macabra d’imagini e di ondulazioni figurative, è, dopo tutto, il vecchio e continuo ed eterno motivo della teoria Nietz- schiana, quel tal motivo logico che solo insinua una pallida trasparenza di luce nelle ombre di un concepimento vacillante e crepuscolare; e questo motivo è, appunto, la solenne formula della volontà di dominazione, la volontà inesausta creatrice della vita.  Il superuomo è, o vorrebbe essere, la volontà del predominio tatta persona, divenuta maschera vivente e proiezione simbolica di sè medesima.   A o Sete ld —t___ e   202 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   ..- L’ipereritico dell’ illusione e della credenza è, ] ‘anch'egli, un illuso ed un credente a rovescio ; e "I tragitta egli pure le sue illusioni fuori del udd fuori del tempo, fuori dello spazio. Anch’egli con- templa, ammira, adora l’imagine reduplicata di s sè. In uno spasimo di rapimento e di ebbrezza creatrice, anch’egli crea il suo fantoccio divino e lo battezza il « superuomo » ! Se non che, superare e dominare si può con doppio processo d’intensità e per doppia via : su- “perare la vita e l’esistenza degli altri inferiore lla nostra, superare la stessa nostra esistenza e la stessa nostra vita, perchè inferiore all’ideale del superumano. La logica sistematizzata . della superazione è + fi una logica suicida. La superazione è un processo all’infinito ed è un processo circolare : essa ingoia ! le sue stesse creature, i suoi stessi apostoli, i suoi stessi martiri e, nell’acre voluttà della distruzione, addenta le sue stesse carni emaciate ! >) Di qui emergono due direzioni antagoniste, che si lasciano individuare mediocremente nel tur- bine incomposto del concepimento ideale di Fede- rico Nietzsche; l’una fascinatrice, ideale, sublime; l’altra, abominevole ed inumana. L’una è segnata dal superuomo puro e radiante, in quanto supera sè stesso ed incide e recide in sè il germe e le passioni dell’ umano e fa olocausto di sè ad un superbo e supremo ideale di perfezione infinita. L’altra è segnata dal superuomo impuro e per- verso, in quanto egli supera, sopraffà e comprime l’anonima, innumere moltitudine, obbediente sotto   i Ì      E GL’IDEALI DELLA MORALE 203   la pressura della miseria e dell’ abbiezione ser- vile.  Queste due direzioni si urtano, s’ incrociano, interferiscono nella concezione di Nietzsche; e rappresentano, l’una l’ideale, l’altra il ghigno me- fistofelico del reale; 1’ una l’ efflorescenza diretta, l’altra la sovrapposizione parassitaria che la in- vade e soffoca; l’una il tragico, l’altra il grotte- sco; l’una il lampeggiamento di una visione pura di bene, l’altra }irruzione trionfale del male.  Nella lotta interiore di queste due direzioni e di queste due tendenze, nella mente e traverso l’opera di Fed. Nietzsche, il trionfo progressivo e finale spetta, ahimè !, alla dittatura del ghigno, all’ esibizione del grottesco, alla ostentazione del male.  . La visione austera del superuomo, come di un cruciale stilita dell’ ideale, lampeggia ancora, in molte pagine, di suprema bellezza e di sopraf- fine fattura, del libro « Così parlò Zarathustra ». Nelle opere che immediatamente lo seguono, e che s’intitolano l’una « Di là dal bene e dal ma- le » e l’altra « La Genealogia della Morale », quella povera gran visione superstite si annunzia, viep- più, impallidita, estenuata, abbuiata. Il processo della superazione si degrada e contamina nell’ a- poteosi invereconda della morale dei padroni, de- . glimpuri, dei tiranni, dei criminali, dei perversi. Il parassitismo della imaginazione ha ormai suc- chiato le intime radici sostentatrici di quella vi-   sione ideale. Là dove si apriva alle blandizie della   luce ed al calore del sole nna pura ed agile par-   4 a fi Lia 2. si se su >   a.   "e   sy dda gala 1... ba sE: DI I » | . e dee ae RARO   » Li   1° mele n ge dg - «. a - Ù   4   da. era ».   . - ia net ER a   “71 e sor A - ) fu 9.   204 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE   venza di vita, sopravviene ed invade una vege- tazione immane, morbosa, putrescente |  È la logica della tesi che soddisfa il suo po- tente istinto di vendetta! Pur troppo il senso della terra è contaminato di tristizia e di fango: e la salvazione, che esso prenuncia all’anima in- quieta e sollecita di nuove forme di vita, è una lusinga menzognera e rovinosa |   L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE. (')   Nell’accingermi ad un esame critico del pen- siero di Fed. Nietzsche, non mi nascondo che il successo di questo esame non può essere nè pieno nè incontrastato.  E ciò per molte ragioni. Il motivo della vo- lontà del predominio ed il tipo ideale del super- uomo hanno esercitato ed esercitano un gran fa- scino sopra anime elette di artisti e di esteti sa- pienti. L’ imagine della elevazione e delli subli- mazione dell’ uomo è una forma elastica, fluida, duttile, vaga. Nella sua capacità indefinita di ac- comodamento, essa può accogliere così un altero e superbo, per quanto insano, ideale di perfezione, come il malnato impulso della sopraffazione e della tirannide. Finisce, per logica interiore di cose, finisce, dico, per piegarsi a quest’ultima de- terminazione; ma a quella logica di cose ricalcitra la volontà d’illudersi degli uomini, la quale si lu- singa di derivare la pura essenza della vita spi-   (1) Dalle Conferenze, di cui a pag. 179.   <- - di sed ra   aste = © - ‘   i Piga 4 ui DO   206 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   rituale da un simbolo di caduta e di pervertimento dell’anima.  In codesta trasfigurazione estetica, la stessa effigie morale del dominatore si nobilita. Si di- pinge sul suo volto un’ austerità maestosa; egli è, allora, concepito come l’ uomo che si prepara alle lotte ed alle dominazioni terrene con la stessa disciplina morale dell’asceta; come l’ uomo libero e sicuro che reca in atto un supremo ideale. Il Signore degli altri diventa, per una illusione o inversione di prospettiva, il Signore di sè; l’assi- milatore dell’ altrui sostanza di vita diventa il generoso animatore delle coscienze morte e as- sonnate ed il donatore magnifico, che versa l’ ir- raggiamento della sua anima doviziosa ed eroica sulla povertà degli umili e dei sofferenti.  La formola del predominio è ambigua ed in- sidiosa. Essa trae al pervertimento attraverso una via purpurea, seminata d’illusioni regali. |  Sono le fallaci purificazioni dell’egoismo edo- nistico e voluttuario, la raffinata ipnosi dello istinto di dominio e di possesso, la consacrazione mistica a rovescio e la distillazione estetica del- l’errore e del peccato.  Sono, ad un tempo, il capolavoro di coerenza della volontà di dominio, la quale, dopo aver esercitato sull’ ascetismo la sopraffazione più cru- dele, non abbandona la vittima esausta, senza prima aver espresso da essa la più pura sostanza di vita, assimilandola ed offerendola altrui come cosa propria.  Se non che l’ inversione della prospettiva, il   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 207   gioco delle illusioni ed il fascino delle consacra- zioni ingannevoli non giova a forzare la logica malefica della volontà del predominio, e riesce solo a renderla più raffinata, a forza di dissimu- larne il fosco aspetto sotto le più gentili e deli- cate parvenze. Al dominatore ingenuo, posseduto dal sogno delle altitudini superumane, la fredda e penetrativa saggezza non può se non ripetere le parole che Anatolia — can un dolente sorriso delle labbra aride — dice a Claudio Cantelmo: « Ah Claudio, la vostra generosità v’illude. Una volontà di lotta e di predominio vi agita, e voi vorrete con ogni mezzo costringere la vita a mantenervi le sue promesse. Chi può assegnare un limite alla vostra conquista ? >».  Dopo che egli ha educato e nutrito in sò, con la disciplina dell’asceta a rovescio, un sogno altero ed imperioso di perfezione e di orgoglio, niuna forza ormai tratterrà il dominatore dal pro- tendere e dall’ imporre quel sogno nel dominio della vita reale. Dalla consapevolezza e sicurtà di una perfezione menzognera, egli attinge, anzi, novelli argomenti d’ immunità e di baldanza. Egli è in possesso, di già, di un aroma prezioso che occulta ed oblitera tutte le malsane e sincere esala- zioni del vizio, di un presunto segreto di risanamen- to e di vita che faculta e riscatta tutte le colpe.  — Abolisci ogni divieto — egli può dire a sè medesimo — tutto ti è permesso, e nel bene come nel male; perocchè tutto divenga nobile passando at- traverso la sincerità della fiamma (1).   (1) In — Le Vergini delle Rocce — di G. D'Annunzio.   - Lal PI   4 5 bio, . REI   ve Ai hi A Li e 1,   . ay dle garde -: ' “ a   n + rg e - + n A . = la)   208 L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   Sotto il fascino di questa sublimazione este- tica, la morale umile, semplice e pura si estenua ed impallidisce nella coscienza degli esteti del superumano. L’intuizione artistica sopraffà , sof- foca il discernimento morale; il bel lampo folgo- rante del delitto oscura la luce fredda, scialba, continua della comune virtù; la visione lusin- ghiera della nascita di nuove qualità e di nuovi valori in una piccola schiera di privilegiati of- fusca, deprime, umilia la vecchia morale, questa grama esigenza quantitativa e di massa, que- sto povero simbolo della, legge dell’ imitazione e dell’ obbedienza, questa uniforme, universale, egalitaria, democratica, comunistica legge di as- sociazione fraterna delle unità della moltitudine umana.  Ed il fascino suggestivo di codesta estetica idealizzazione delle emozioni del superumano si . ribella oltraggiosamente alla illuminata ragione ed alla coscienza severa del moralista. Procedendo nel suo freddo cammino, questo inviso interpetre della saggezza urta contro una prima diffidenza; quella derivante dal contrasto che vi è fra l’emo- zione artistica e la valutazione morale, fra lo stato di coscienza dell’esteta e lo stato di coscienza del moralista.  Le animazioni spirituali dell’illusione e del sogno possono essere, per l’esteta, origine e sug- gerimento di nuove radianti imagini di bellezza; non saranno mai, per il moralista, rivelazione e promessa di nuove forme di bontà. Quello che nelle visioni dell’ arte si chiama illusione ed è   Ber HI.      CRITICA DI FEDERICO NIETZSCE 209   principio e via di trasfigurazioni ideali, nel do- minio della ragione e della morale si chiama er- rore e colpa ed è principio e via di perverti- mento. | Non che tra il bello ed il buono non vi sia mai stata, o non vi possa essere, un’ armonia dialettica superiore, e non vi sia una suprema estetica della virtù ed una pura ed austera mo-   rale dell’ arte. Ma nel mondo dell’ esperienza do-   minano la lotta e la discordia; le sintesi dialet- tiche vi balenano, talvolta, ma sfumano e pas- Sano.  Anche la morale, dico, può ritradursi in una forma superiore di estetica, ed il bel lampo di una pura e nobile intenzione purifica e redime l’azione più malcauta e più malavventurata.  » Ma notate, o signori, che la sostanza reden- trice della intenzione morale è infinitamente di- versa dalle parvenze purificatrici della emozione estetica. Quella sostanza ha un valore oggettivo; queste parvenze sono il prodotto di nna illusione visuale. Una buona intenzione incatena al suo dominio l’ ordine delle azioni; una intensa emo- zione estetica rifluisce in sè, distillando in una ipnosi soave ed infeconda la propria beatitudine.  Il contrasto tra l’intenzione e l’azione non è mai un dissidio reale ed interiore: una inten- zione magnanima produrrà sempre un’azione ma- gnanima del pari. Quel contrasto vuol dire, solo, che un’azione può apparire disutile o improvvida o folle, ossia censurabile alla stregua dell’uiilità, ed essere malgrado ciò, anzi talvolta in grazia di  I. Petrone. -- Problemi del mondo morale. 14   e i...   ve di 9A palle >» ,,   + 2 n © -   210 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO |   ciò, eminentemente, intimamente buona per la virtù dell’ animo che la produsse. Quel contrasto vuol dire, adunque, che può esservi una lotta, ovvero una interferenza di azioni tra la volontà | dell’uomo virtuoso ed il potere delle cause e delle contingenze esteriori della natura o della fortuna. Quel contrasto, ridotto ai suoi minimi termini, vuol dire semplicemente questo , che l’uomo non è meritevole e non è responsabile, che per quello e di quello che egli abbia effettivamente voluto. E la redenzione morale, che la bontà dell’inten- zione comunica all’ azione, significa solo che la volontà buona è tutto nel campo della morale; perchè l’uomo non è signore di sè e del mondo che nel dominio interiore della coscienza. Qui, come vedete, la conciliazione e l’armonia è possibile, perchè una vera e propria lotta non vi è. Il contrasto non è fra due termini interiori della vita dello spirito, ma tra il mondo interno | ed il mondo esterno, tra l’uomo e la natura, tra | la saggezza ed il destino. Non lotta nè disgre- | i | |      gazione interiore, ma armonia piena ed intiera è nella coscienza dell’uomo virtuoso, il quale, dagli oltraggi che le forze ostili ed interferenti del mondo esterno infliggono al suo nobile e magna- nimo volere, sì redime trionfalmente nella solitu- dine della sua anima, lanciando al destino avverso un grido supremo di sfida e di riscossa.  Non così l’arte redime colle sue figurazioni ideali il sogno morboso della impura volontà di predominio. Qui l’armonia e la conciliazione non ha luogo che nelle apparenze; ma in realtà, il   n nen Y + mu SR Tute      CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 211   dissidio perdura, perchè si tratta di un dissidio interiore.  La bella parvenza estetica del peccato è un interno veleno, che insidia la sincerità e l’auten- ticità del volere peccaminoso, ed, in cambio di redimerlo e di purificarlo , lo corrompe e lo pro- fana di più nei rapimenti e nelle ebbrezze dell’auto- adorazione. La sincerità della fiamma non redimc, perchè essa stessa non è che una fascinazione il- lusoria, una soave e perfida insidia tentatrice tesa all’anima del dominatore dalla fine astuzia cor- rompitrice della sua Idea, del suo sogno di orgo- glio e di dominio.  La virtù interiore si redime dalle catene dello avverso destino, perchè quelle catene hanno vin- colato il corpo, non l’anima. Ma qui è l anima che è suggestionata e fatta prigioniera; qui è la virtù interiore che ha piegato al fascino tentatore del nemico; qui è il destino che da esteriore è diventato interiore. Non vi è più speranza di ri- surrezione e di riscatto, qui, perchè la verità è diventata sogno, la virtù è diventata illusione, la redenzione è diventata, progressivamente, fatal- mente, profanazione, simulacro, sacrilegio!  Ed ecco che il dissidio tra la intenzione mo- rale e l’emozione estetica perdura vivace, e la lotta si perenna fra lo stato di coscienza dell’ e- steta e lo stato di coscienza del moralista. £ la rigida austera morale, questa impenitente zelatrice di un ideale amaro di verità, trovasi di fronte, pericolosa nemica, la commozione artistica del- l'illusione e del sogno, in una lotta perenne, nella   \   -u   _ x   212 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   quale le apparenze e le verosimiglianze del trionfo non sono tutte per lei.  In linea generale, il sogno attrae più della verità , la libertà invita più del divieto, il pec- cato seduce più della virtù. La ragione di ciò è semplicissima. Nell’ infrangimento del divieto e nell’affermazione del male sembra che vi sia mag- giore e più intensa virtù di sovranità individuale, che nella obbedienza ad una legge di dovere. Il   ‘bene è qualche cosa di oggettivo, di esistente, qual-   cosa che vuole avere valore di per sè ed imporsi di per sè. La mente che lo riconosce , la volontà che lo pratica non fa che testimoniare la sua umiltà innanzi a un ordine di cose, che ella ac- cetta come superiore a lei medesima. Il male se-   ‘ gna, invece, come la contrapposizione dell’arbitrio   del soggetto all’ ordine obbiettivo delle cose. È l'orgoglio individuale, che si emancipa dall’abito di un riconoscimento passivo dell’ essere. È l’ in- dividuo, che si ribella alla verità e dice: tu non sei | |  In fondo alla pura essenza della obbligazione morale vi è sempre una qualche cosa di amaro; come un senso penoso di limitazione, di inibizione di servitù sotto la pressione crudele d’un ruvido imperio. L’istinto della libertà e della sovranità individuale non si arrende di leggieri a codesto costringimento. Esso è sempre lì, in attesa impa- ziente, # sollecitare, con desiderio angoscioso, una liberazione definitiva da questa eterna, cruciale formola del tu devi !  Aggiungete che la virtù, come la felicità, non   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 213   ha una stona. È umile, semplice, laboriosa, sot- tile, talvolta, ed arida; la virtù, posseduta, non è drammatica. Il dramma non è nella virtù conse- guita, ma nell’aspettazione e nella gestazione della virtù da conseguire. Il dramma, cioè, non è nella virtù, ma nella lotta tra la virtù ed il vizio. Si direbbe che il male sia necessario per dare al bene colore e sapore; la luce, insegna Me- fistofele, è nata dall’ombra; e ci vuole l’intervento . di Satana per circoscrivere l’ eterno monologo di Dio e perchè sulla scena del mondo si annunzi un dialogo.  Di qui la freddezza apata dell’ canto. al cospetto della umile virtù e la sua mal dissimu- lata simpatia verso i progressivi distruttori delle tavole dei valori mvrali. Gli è che l'umanità ama, soprattutto, il genere drammatico. L’ umanità vuole il dramma; onde, well’ intimo suo, essa nutre un assentimento segreto verso tutte le forme di combattività e di ribellione, comunque siano ispirate e dovunque approdino. Un santo no innanzi al dovere, che sia il grido d’ un’ ani- ma profonda nell’ empietà e sublime nel sacri- legio, la seduce e l’ affascina. E, nelle più dete- stabili esibizioni della sofistica del male, vi è sempre una qualche cosa che non le dispiace del tutto |  Questo qualche cosa, questo intimo occulto) motivo d’indulgenza alla illusione ed al male, s’insinua inavvertito, a volte, nelle pieghe stesse | delle teoriche morali più sicure e baldanzose.:   E ne nasce una forma tutta propria, nella quale   i   8   Tori ia A z è   ‘ 0 antico o + i.   ; + sy dita è de   9214 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   ‘si legge quasi la tortura di un pensiero, agitato ‘ed esausto in una lotta penosa contro un nemico interno ed occulto.  “ —’—Così, l’efficacia persuasiva delle sai mo- rali è insidiata, minacciata, corrosa da tutte le parti. Ai teorici della morale non resta che pren- dere atto di questa loro posizione d'’ inferiorità, che è, ad un tempo, documento e testimonianza della superiorità infinita della fede alla quale sono devoti. E, come si asterranno rigorosamente dallo apporre a loro merito il plauso che nusce spon- taneo dal ripercuotersi, più o meno vivace, più o meno fugace, nel cuore di tutti gli uomini, di certi universali e comuni principî di vita e di amore, così non vorranno attribuire tutta a loro colpa la scarsa efficacia suggestiva ed esemplare delle loro ingenue omelie.   * * *   Il motivo fondamentale della filosofia della vita di Federico Nietzsche è molto semplice e chiaro; la volontà di dominazione.  Arturo Schopenhauer aveva colpito, nelle ra- dici del mondo fenomenale o del mondo delle apparenze, lo sforzo ed il conato improvvido ed effimero di una certà volontà di vivere. Federico Nietzsche, a sua volta, ravvisa nei fenomeni della natura, nelle figurazioni del pensiero, nei fatti della storia altrettante forme » altrettante maniere di estrinsecarsi di quel sovrano motore della na- tura e dell’uomo, che è la volontà del predominio.   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 215   Volontà di vivere, dice il Nietzsche, non è al- tro che volontà di dominare ; ogni vita è espres- sione di dominio; espressione mascherata, fallace, inversa è l’ascesi, la fede e la morale dei giusti e dei buoni; espressione sana e diretta di valido dominio è la vita delle creature dominatrici , la vita che si agita di là dal bene e dal male, la vita del superuomo. |  Senonchè, Arturo Schopenhauer, ultimo e fe- dele discepolo di Platone e di Kant, non attin- geva la nozione del valore delle cose dalle fal- lacie della rappresentazione. La sua attitudine   verso la volontà di vivere è quella di una sovrana.   condanna, di una sovrana superazione da asceta. Egli sente al vivo il grido di dolore, che si leva dalla radice delle cose sotto la pressura della cieca dinamica della forza. Egli preannunzia la redenzione morale della coscienza dal cieco ed improvvido impulso della individuazione. La sua intuizione della vita e la sua morale è tutta un’a- poteosi del dolore diviso e superato, della com- passione e della simpatia umana.  Nel torbido e fosco concepimento di Federico Nietzsche nessuna traccia, ormai, di questa sere- nità d’intuizione. Egli è imbevuto di realismo ; c di realismo tale, che la sua rude violenza non riesce nemmeno ad essere dissimulata dalle fi- nezze aristocratiche della forma. Egli non cono- sce più la distinzione tra il mondo in sè e il mondo   dei fenomeni. Egli, l’ allucinato visivo del ponte : della elevazione, non ha varcato ancora, ahimò!,   il ponte della critica. Filosoto del supernomo,   ATA   +. s db $ did Psi   => — —] co «n - |   2916 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   egli non conosce quella forma classica di supera- zione del mondo fenomenale, che è stata sem- pre prerogativa della metafisica della mente umana. Vittima delle fallaci apparenze del principio di individuazione, l’attitudine di lui verso la vo- lontà del predominio è quella dell’ apologeta, è quella dell’adorante. — Nel fondo oscuro della impulsione umana , verso la cieca volontà di vivere e di dominare vi è, pur sempre, un certo punto luminoso che è | spesso via di salute. Una condanna, sia pure mal- ‘ ferma, della coscienza, una punta lieve di rimorso, ‘an rimpianto nostalgico di una visione luminosa ‘ di bene malaccortamente perduta! Contro la con- taminazione dell’azione compiuta e della vita vis- suta si aderge l’imagine dell’ azione che andava ‘compiuta in quella vece e di una vita da redi- mere e da rivivere: e questo primo ed ingenuo rudimento di un giudizio di biasimo, contrappo- sto alla tristizia del fatto, è la radice di ogni | ideale progresso della vita morale. È, almeno, un ‘ principio che antiviene le più profonile ed imme- ‘ dicabili degenerazioni dell’ anima. Finchè la co- scienza leva un certo grido di protesta contro la vita, sia pure un grido fioco ed isolato, tutto, forse, non è perduto ancora. Qui inwece, tutto è | perduto, perchè è perduta la fede e soprattutto è | perduta la speranza!   ate   i - i   TT   =   Ve n   Pu Ma Federico Nietzsche potrebbe allegare a sua discolpa le leggi delle vita. — Non è un co-   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 217   mando arbitrario che egli detta; è una formula di vita che presume di rivelare. La volontà di vivere è una volontà di dominare e di sopraffare. Le nu- stre istanze, le nostre recriminazioni sono tacciate di infeconde: esse si dibattono nello sterile as- sunto di convincere di reità l’ ordine delle cose. Non il filosofo, no, è la natura e la vita che è complice del male e dell’ingiusto. Ora la vita non può essere condannata dal suo contrario. La vita è principio di valutazione a sè medesima. Non la vita si piegherà alla morale; è la morale che deve piegarsi alla vita. Ora la vita è sostanzialmente appropriazione, soggiogamento di coloro che sono più deboli e che sono estranei al nostro raggio di vita, oppressione, violenza, imposizione altrui delle proprie forme e delle proprie abitudini, in- corporazione di sostanza altrui, e, nella più blanda ipotesi, sfruttamento (1). Questa è la vita e non altro; e chi ha dei dubbi in contrario, consulti la morfologia della vita e degli organismi viventi; la quale gliene fornirà la più vigorosa confer- ma. —  Così, ripeto, potrebbe rispondere a noi Fe- derico Nietzsche; e noi non negheremo già che questa posizione di tesi sia legittima e sacrosanta. Se la volontà di dominare e di signoreggiare fosse una legge stessa del vivere, riconosciamo,   (1) Leben selbst ist wesentlich Aneignung, Verletzung. Ueb- erwàltigung des Fremdem und Schwàcheren, Unterdrilckung, Harte, Aufzwingung eigner Formen, Finverleibung und minde- stens Ausbeutung. Jenseite. 8. 227.   ="   218 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   anzi, anche noi, che essa sarebbe eminentemente, sovranamente buona. Le leggi della morale non possono essere alcunchè di diverso dalle leggi della vita.  Ma, è proprio vero che la vita sia codesto e non altro ? e che la volontà di vivere di ciascuna delle innumeri esistenze della natura e della so- cietà non sia che un potente impulso di domi- nare, di signoreggiare , di sfruttare, di assorbire le altre esistenze ?   % * *   La morfologia della vita e degli organismi viventi — per usare la frase di Nietzsche — ri- sponde il contrario. Certo, la vita di ogni esi- stenza è uno sforzo laborioso di appropriazione delle sostanze esteriori per ritradurle nella pro-   | pria, è uno sforzo di assimilazione. Ma la vita è, altresì, un processo ritmico, bilaterale, a doppia ‘ faccia; e l’assimilazione e l’ annessione degli ele-   menti esteriori non segna che un solo dei due aspetti della medesima. La vita non procede sullo schema unilineare della mera conservazione: è un processo continuo di ricomposizione dei suoi elementi, la sintesi di una integrazione è di una disintegrazione, il limite tra una dissoluzione ed una rinascita, una funzione circolare. È, ad un tempo, annessione delle condizioni ambienti alla propria sostanza e cessione della propria sostanza alle condizioni ambienti.  La mutualità organica non consente la presa   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 919   in imprestito di elementi di vita senza un corri- spondente e compensativo processo di restitu- zione.  La vita è volontà di vivere ed è volontà di morire per rivivere; è volontà di dominazione ,ed è volontà di dissoluzione. È volontà di do- minio ed è lotta per l’esistenza; ma è, ad un   tempo, volontà dell’associazione, ed è simbiosi. La vita è, anche, cooperativa e coloniale; ogni esi-   stenza ed ogni organizzazione finita è il prodotto   di un consensus armonico di esistenze infinite- .   sime.  La vita non si contrae nel centro oscuro di sè, ma si dilata verso la periferia; è centrifuga, e non soltanto centripeta. Ogni essere, forse, è un frammento di vita, in cui freme una sorda sensazione di manchevolezza ed un oscuro desi- derio verso l’altro. |  La vita, finalmente, è produzione e fecondità, oltrechè essere assimilazione e nutrizione. L’ec- cesso dell’ assimilazione si dissolve e si risolve   nella fecondità generativa delle altre esistenze. La.   vita è specifica e non soltanto individuale, ripro- duttiva e non soltanto conservativa. Quand’anche le leggi della vita morale e so- ciale dovessero essere la copia esatta delle leggi della vita animale, il Nietzsche, adunque, avrebbe torto lo stesso. Nel sordo fermento delle fun- zioni organiche inferiori il fisiologo rinviene tutto un concerto di azioni vitali , che nonsi ritradu- cono nella formula o nello schema unilaterale dell’ assimilazione nutritizia. Ma è evidente che   pop PE   ? "A   ti   x ì }   Va : —   è   290 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   | l'assimilazione morale e sociale non può essere misurata alla stregua dell’ assimilazione fisiolo- gica. Nell’ assimilazione fisiologica trattasi di tras- formazione chimica di elementi, la cui sostanza si elide traducendosi nell’altrui. Nell’assimilazione morale trattasi, invece, di dominio, di possesso, di conquista di anime. Ora le anime sonuv vite auto- nome, delicate e sensitive, le quali non sono 8- similabili colla violenza, ma pel tramite delle leggi dell’attrazione similare e della simpatia. Il modo dell’assimilazione spirituale non è l’ annes- sione violenta assorbitrice delle altrui autonomie: è l’alleanza federale.  Voi non assimilerete a voi nessun’ anima umana, se non sapete renderla, anzitutto, parte- cipe e cooperatrice spontanea e volenterosa di codesto lavorìo di assimilazione. Se, per via di un irraggiamento spirituale e di una diffusione be- nefica dell’ intimo della vostra sostanza di pen- siero e di vita, voi non riuscirete a svegliare nel- l’anima dei vostri fratelli le vibrazioni stesse che fremono nella vostra, fra essi e voi nessuna penetrazione di vita è possibile, nessuno scambio di nutrizione morale. L’ assimilazione è consecu- tiva ad una generosa largizione di sè; il dominio è il premio di una sublime anticipata dedizione.  Così, voi non assimilerete alla vostrale altre anime, se non avete di già l’anima similare alla loro. Sarà dato & chi ha. Se non avete educato in voi una grande capacità di amare e di soffrire all’ unisono cogli altri, questi altri non saranno   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 291   mai vostri. Il vostro individuo riuscirà a domi- nare gli altri, solo quando sia egli stesso divenuto come il senso e la vita degli altri; quando l’ani- ma vostra, penetrando il velo opaco dell’ indivi- dluazione, sia divenuta rappresentativa delle altre esistenze; quando l’ io orgoglioso del superuomo sia disceso alle umili scaturigini della vita univer- sale c si sia diffuso e dilatato nel seno dell’ ani- ma collettiva e nella coscienza della moltitudine.  La storia ci parla degl’ individui dominatori,   degli eroi e delle anime rappresentative. Ma la   grandezza vera e pura degli eroi non istà nella.   intensità acuta di un volere individuale. domina- tore, ma nella significazione universale ed emi- nentemente, profondamente umana della loro co- scienza. Essi segnano una compenetrazione , non una superazione dell’umano ; ed il loro individuo è dominatore, perchè non è propriamente indivi- duale, ma è tipico ed esemplativo dell’universale. Non il mondo è un riflesso della loro volontà, ma la loro rappresentazione e la loro volontà è un riflesso del mondo. Assimilarono le anime, perchè furono, anzitutto, similari agli esseri assimilabili; perchè fu ad essi consaputo e luminoso quello che all’occhio degli altri era latente ed oscuro. La loro grandezza è più un’ eco che un suono: un giuoco di ripercussione e di risonanza spiri-   tuale: un riflesso ed un epifenomeno. Furono   grandi, perchè squarciarono, con una luminosa tra- sparenza divina, i veli dell’egoismo; perchè si spogliarono del loro io ed accolsero in sè il fre- mito della vita di tutti. I più nobili di essi fecero   i Tan   e   pe   DID L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   olocausto di sè e del proprio essere ad una causa comune: e non furono sovrumani egotisti ed ir- risori, ma eroiche vittime lagrimanti sotto la sferza della legge universale del dolore e del- l’amore !  La stessa buona novella redentrice piegò il suo divino significato alle leggi della similarità e s’incarnò nelle viscere dell’umano.  Nè fu la volontà del predominio che stimolò la potenza assimilatrice e le energie vitali degli individui creatori e delle anime rappresentative: ma l’abbondanza e la pienezza di cuore. Essi amarono: e soffrirono con gli altri e furono pro- fondi nell’amore e nella sofferenza: onde risen- tirono in sè più intense le sollecitazioni e le aspettazioni dell’ anima collettiva. E, nella pleni- tudine dell’ abbondanza, furono sopraffatti dal so- vrano bisogno di effondere sugli altri le pingui energie accumulate. La loro fame di anime non fu l’agitarsi spasmodico dell’ avidità di possesso, cercante al di fuori elementi d’integrazione e vit- time assenzienti e deditizie. No : fu il prodigale espandersi di unaricchezza esuberante, che non può più contenere sè stessa e guarda le mani tese verso di lei, con la dolcezza, mista di grati- tudine, di chi si senta liberato da un gran peso interiore.  Ed i superuomini? Ahimè! Essi furono e sa- ranno usurpatori e corrompitori malefici dell’ al- trui sostanza di vita, ma non sono nè assimila- bili nè assimilanti, nel senso puro della parola; onde il dominio spirituale delle anime e quell’ir-   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE . 233   raggiamento di vita che desta, suscita ed anima altre vite, non fu nè sarà mai loro prerogativa. Fra il superuomo e l’umano non v’ha comuniche- volezza, nè simpatia, nè consonanza di vita: per- chè, insomma, la legge dell’assimilazione è la legge stessa della similarità delle anime. Ora il superuomo è l’ Unico, l’isolato. Egli è il simbolo e la significazione dell’essere non simile a nessun altro. Omne ‘individuum ‘ineffabile. Il maledetto genio della individuazione lo ha differenziato , lo ha separato, lo ha distanziato da tutto il resto della moltitudine umana! Egli ba varcato il ponte dell’elevazione, lasciando dietro di sè , a distanza infinita, l’umanità intiera. E si è collocato sopra una vetta inaccessibile, sulla quale nessuno può seguirlo. Sotto la, sferza del suo dominio gemono, forse, anime schiave o illuse, ma non gli sorride. una comunanza spontanea di sentimento da parte delle anime libere, nessuna fraterna armonia di vita. Un superuomo è possibile, forse, ma una’ società pacifica di superuomini è un assurdo. Di Dei non ve ne può essere che un solo; e di due superuomini, uno, ahimè !, limita e, quindi, supera l’altro.  Lo stesso eroe di Nietzsche, Zarathustra, il precursore del superuomo, danza e folleggia sui precipizi e non ha per compagni che l’ aquila ed il serpente. Egli è l’imagine e la similitudine del- l’inumano, il quale espia col castigo di una soli- tudine glaciale la colpa di avere inaridito in sè le sorgenti della similarità e della simpatia umana.. Egli è incompenetrabile ai dolori, alle miserie,   To   fi; ”   24 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   alle debolezze dell’umano; e, per non aver accon- sentito . ad essere assimilato dalla moltitudine, non è, oggimai, più assimilante. Non è più domi- natore degli altri, egli, il presunto, l’ allucinato dominatore; egli, la volontà di dominazione dive- nuta fantasma vivente, divenuta persona |. A- troce ironia di cose, questo presunto interpetre delle leggi della vita è fuori del processo ripara- tore dell’assimilazione, è fuori del ricambio vitale.   ,Egli si alimenta e si attossica della sua stessa i sostanza, e, quando gli capita di ridere e di fol-   leggiare, ride e folleggia, huffone tragico, della sua stessa follia !   * * *   Codesto miserando destino è l’auto-critica e (la condanna della super-umana volontà di dominio. Ed è una saggia vendetta che la logica della vita va facendo della dottrina della carità e della sim- patia così violentemente oltraggiate. La contraf- fazione e la parodia inconscia, che Federico Nietz- sche ci foggia della vita e dei destini futuri del su- peruomo, vendica e riscatta quell’ altra contraffa- zione e quell’altra parodia che egli ci ha esibito ed intessuto attorno all’ intima e pura sostanza della fede religiosa.  Non impunemente l’ipercritica si esercita so- vra le radici profonde della vita spirituale dell’u- manità. L’acre voluttà della distruzione si ritoree, presto o tardi, contro di sè, addentando la pro- pria sostanza.   ti nni A cole miei nn N ni   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 295   Nell’intimo della fede religiosa Federico Niet- zsche non legge, nè coglie altro — come voi sa- pete — che il pervertimento della volontà del dominio.—La fede, l’evocazione delle potenze di-   vine e dei numi tutelari della vita, è adunque,.   secondo il pensiero di lui, la ipnosi di un egoi- smo inferiore; l’egoismo dell’accidia. La fede è lo spediente di salvezza di chi non vuole fortemente o di chi non sa volere. La fede è 1’ aspettazione, il sospiro, lo spasimo dell’altrui soccorso, dell’aiuto soprannaturale, delle predestinazioni divine. La fede è la forza della debolezza, come a dire, il suo capolavoro di finezza e di destrezza, il suo paradosso, il suo salto mortale !  Il superuomo inimica, quindi, la fede, e la guarda passando , con occhio di sovrano disprez- zo. Non crede, egli, non prega, non invoca il suo Dio. Egli dice puramente e semplicemente: Io voglio! Invero, egli è la dominazione fatta per- sona e si porge come un’antitesi psicologica della credenza. La credenza è acconsentimento sponta- neo al verbo di un altro; ora il superuomo non acconsente; egli è creatore e dominatore. La cre- denza è abbandono del proprio io ragionante, del   proprio io dubitante: ora l’attitudine del superuo-   mo è la critica ed il dubbio sempre presenti ed in istato di perpetua tensione. La credenza è il salto dall’io al non io, dal me all’altro; il superuomo è la significazione unica ed univoca dell’io. La cre- denza è simpatia congeniale con le altre menti e gli altri cuori: la super-umana volontà di domi- nio è impenetrabile costrizione dello spirito nel I, PerBonE. -- Problemi del mondo morale. 15   A »   - -/ce-e | go i - » Li - ”   x RA A   sep daro glie 4   a.   Barr e Are Mt   996 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   suo nulla interiore. La credenza è adorazione: il volere del superuomo è disprezzo. |  Quale fra queste due attitudini opposte del pensiero e della vita ha ragione ? l’uomo che crede o l’uomo che ride? e la fede è essa il sospiro spa- smodico della debolezza umana? la volontà di do- minare è il grido squillante e trionfale della forza e della vita ?   * * *  Signori ! anzitutto mi consentirete di dirvi che la patogenesi dell’ ascetismo elaborata da Fede- rico Nietzsche non è una psicologia. È il distil- lato di tutte le audacie, di tutte le violenze ac- cumulatesi nei secoli a dileggio e strazio della fede religiosa, ma non è un’analisi obbiettiva, serena, penetrativa, luminosa. È una contraffa- zione ed una parodia, nella quale non difettano, certo, gli espedienti e gli accorgimenti dell’ironia sapiente e mefistofelica. Ricorderebbe Voltaire, se il ghigno amaro di Nietzsche non fosse superiore al riso frivolo ed ameno dell’altro, e se la conce- zione del tedesco nostro contemporaneo non fosse velata di quella spasmodica tristezza e di quella amaritudine cruciale, che è qualità del tempera- mento dell’ autore, ed è anche un carattere del tempo.  Per altro, il ghigno amaro è, pur sempre, una varietà del riso, e l’attitudine di Federico Nietz- sche al cospetto della fede religiosa, per quanto impressa di elementi tragici, è tuttora quella del- l’umorista e dell’irrisore.      ate “   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 227   É vecchia quanto il mondo, dico meglio, quanto l’umanità, la volontà del riso; e sempre la volontà di ridere ha assunto due forme alquanto diverse e distanti fra loro : il riso ameno ed al- legro della grande moltitudine degli inconsci e dei plebei, il ghigno amaro e l’irrisione sarcastica | degli spiriti forti e dei superuomini. Universali ed Li inesauste sono le radici di questa volontà di ri-‘ nd dere, la quale spesso si esercita sovra le cose più | Ai pietose e più maestose, forse perchè è legge di ; ; 5; natura che gli estremi si tocchino e che il sovra- i namente tragico sia a distanza infinitesima dal h Da sovranamente comico; fofse perchè il riso non è Di mai così basso, e quindi così pago e pregno di Du sè, come quando si esercita sull’alto; forse perchè Pal la irrisione sarcastica profanatrice non è mai così acerbamente voluttuesa, come quando invelenisce contro qualche cosa di sacro. ue us  - La critica della fede religiosa fornitaci da , Nietzsche è tutta imbevuta di cotesto mefistofe- nei lico spirito della caricatura. — Nelle sublimi ele- vazioni della fede, nei mistici rapimenti dell’ascesi, I vi è una divina possanza del tragico, che nella coscienza opaca di anime corrose dal dubbio -  e dalla critica si trasfigura, senza difficoltà, in  una funzione del comico. Nei suoi slanci e nei È suoi oblii, l’asceta neglige spesso certi moduli di Dda simmetria estetica e spesso determina degli effetti nen di contrasto , ai quali si. connette, nel giudizio na degli altri e dei men predisposti, una tal quale , associazione di elementi del ridicolo. Nelle sue ! ‘impulsività e nei suoi spasimi di adorazione, tesse, bai   seg dll cad . (]   af   Prado, man N a 4   298 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   qualche volta egli stesso, sacrilego inconscio, la parodia tragica della sua fede. Nella ossessione dell'amore e dello zelo, egli trasfigura e perverte l'oggetto della sua adorazione.  È un pervertimento incolpevole e nobile , fi- glio dell’ingenuità e dell’anima devota: ma altre infiltrazioni meno nobili si aprono, indi, la via nella compagine dell’ascetismo. — Una pratica di fede, divenuta esteriore, collettiva, universale, non in tutte le anime, che la partecipano visibilmente, è espressione e documento di vita vissuta, è spa- simo di adorazione sentita. Il parassitismo si ab- barbica, insidiandole, alle radici pure dell’ ascesi; la fede si mineralizza in formula morta ; una ol- traggiosa ironia si organizza contro di lei dalla sedicente credenza, ed è l’ironia più pericolosa, come quella che viene non tal di fuori ma dal di dentro.  Queste imperfezioni, questi pervertimenti, que- ste degenerazioni non scemano la significazione di salvezza e di vita, che è il lato eminentemente e profondamente divino ed umano della felle. Queste imperfezioni, questi pervertimenti, queste degenerazioni sono la fede già morta, non la fede operosa e vivente. Il filosofo, che guarda le cose sub specie aeternitatis, indulge serenamente alle debolezze umane e scevera la pura sostanza di vita dalle forme effimere e false, che la offuscano alla visione degli inconsei e dei malevoli. Anche quello che è sovranamente perfetto ha qualche punto manchevole: il centro della luce è opaco; il sole ha le sue macchie. Come la morte non è   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE GI9   una confutazione assoluta della vita, così l’ asce- tismo degenere non è, nè può essere, la confuta- zione trionfale della fede religiosa.  Ma il genio mefistofelico della parodia non si piega a queste considerazioni. Esso ha spiato, con arcana compiacenza, l’elemento umoristico in- | sinuarsi nella maestosa ed ingenua altitudine tra- gica dello spirito religioso; ed assapora di già e pregusta gli effetti del comico. Assiste di poi, con bieca ammirazione, all’infiltrarsi di un altro ele- mento, dell’elemento grottesco, — la deformazione, lo snaturamento , il falso che insidia la sincerità della fede; e grida, allora, in un osanna di trionfo il suo eureka : l’ho trovato! Dio è morto! la fede ha fatto la sua parodia!— E la caricatura è fatta: la folla abbocca all’equivoco ed applaude ; la pa- rodia trionfa; il falso ascetismo uccide il vero; il comico dà lo sgambetto al tragico; il buffone sca- valca l’ eroe; la contraffazione. sopprime l’ origi- nale !   * * %*   È l'originale, invece, che noi vogliamo guar- dare di fronte, non velato da nessuna tristizia, non contaminato da nessuna ironia. Quell’ origi- nale ha vibrato e vibra ancora nel cuore dell’ u- manità. L’ umanità ha creduto e crede : ecco il gran fatto della storia. La credenza è uno stato di coscienza perennemente vivo nell’anima: ecco un sovrano insegnamento della psicologia. Varia, nelle vicende de’ tempi , il contenuto rappresen-   @® «d&   | la mn FI Cr 7 , È ‘o “»- A   de IO] Gi -   ‘ 230 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   tativo della credenza, ma la fede, come forma e qualità del sentimento, non cangia nè muta. L’u- manità vuol vivere e vuole agire; ora alla vita ed all’azione non soccorre la pallida luce del pensiero riflesso e dubitativo, ma il calore di una cre- denza.  Non è vero che il possesso di una fede scemi l’energia e l’intensità del volere. Non è vero che l'io credo sia in antitesi assoluta con 1’ io voglio. La credenza, anzi, è la radice stessa della volontà, la credenza è l’atto. Ogni volontà ferma ed at- tiva, ogni volontà di pervenire ad una meta o di attingere un ideale è, anzi tutto, un atto di fi- ducia ed un atto di credenza in quella meta ed - in quell’ideale. Ogni volontà è animatrice del suo oggetto; lo pone al di fuori, lo idealizza, lo tra- sfigura, se ne innamora, gli erede. Estingue in questa fede ogni velleità di critica, ogni indugio, ogni inibizione della ragione riflessa. L’ azione, per tal rispetto, è figlia della credenza, non già della ragion ragionante, che miseramente s’invi- luppa nei suoi se, nei suoi ma e nei suoi forse interminabili.  Nè basta dire io voglio, per volere in effetti. La volontà è energia spontanea ed attiva; non ha, quindi, la malnata vocazione di Narciso, innam- morarsi di sè medesima e cullarsi improvvida- mente in una beata ipnosi infeconda. La volontà è espansiva ed effusiva; tende, cioè, al di fuori, non al dentro. Ohi dice io voglio, pensa di volere, non vuole in atto. Il supernomo, il preteso cam- pione autentico della volontà, non ha, in fonde,   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 231   che delle velleità. E spesso gli capita di non vo- lere in fatto, appunto perchè, fuorviato da un in- sano orgoglio, egli si avvisa di voler troppo in idea.  Egli vuol troppo il suo volere, ed appunto per questo, vuol poco o punto. L’ oggetto, cioè, del suo volere non è l’altro, è l’io; la vita di lui si ritrae e contrae dentro di sè; per eccesso di disdegno o per difetto di simpatia e di fede. Ed egli avrà delle velleità e non praticherà un atto solo di volere, finchè non si arrenda alle leggi della vita e dell’azione; finchè non sommerga ge- nerosamente il suo io nell'oggetto del suo desi- ‘ derio; finchè il presunto oggetto del "predominio non si trasformi in oggetto di adorazione; finchè il dominatore ed il supercritico non ceda il posto al eredente ed al devoto.  Sì, egli ha delle velleità e non della volontà, finchè il »xuo monologo infecondo non si traduce in un dialogo, pieno di fervido abbandono, fra la sua volontà ed il Dio che la ispira, la agita e la move.  La fede è, quindi, una forma superiore, non inferiore dello spirito, ed è di là, non di’ qua dai termini dell’ elevazione umana. La credenza è signorile anch’ essa ed è prerogativa di anime signorili: ha toccata l’altra riva con un atto di superazione più feconda che non sia quella se- gnata dal superuomo. Il securo abbandono della fede è usbergo del sano orgoglio morale ed è garanzia del dominio e del possesso spirituale, assai più validamente che non lo sia l’ effimera,   932 L’'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   vanitosa, inconscia baldanza dell’ egotista super- umano.   . %* * *   In questa attitudine di dominio della fede è il segreto di quegli apparenti e visibili contrasti che la sottilità psicologica di Federico Nietzsche colpisce nella pratica della fede religiosa. Anche nell’intimo dell’ ascetismo sano ed attivo, egli, come abbiamo veduto l’altra volta, scopre il gioco di una prepotente ed irresistibile volontà di do- minazione. E, salvo il giudizio che ne formula, egli, certo, non ha torto e ci dà modo di con- futarlo coi suoi medesimi argomenti. La fede re- ligiosa, nella sua pura sostanza e significazione di vita, è così poco l’esasperazione spasmodica di una certa stanchezza di volere, che è, anzi, il documento ed il suggello di una grande vo- lontà, posseduta dalla luminosa visione dell’ in- finito ed animatrice delle superne imagini di vita che ella adora. La volontà degli asceti sublimi è impressa di possente e bene intesa energia di dominazione e di superazione; è la conquista se- vera ed autentica del superumano, ossia la ele- vazione dell’ umano al divino. La volontà dell’ a- sceta è una volontà non di distruzione, ma di creazione; non di subbiettiva contrazione nell’e- goismo fiacco ed inane, ma di obbiettiva espan- sione e diffusione del proprio essere e del pru- prio volere. Il credente, se non crea il suo Dio, lo ricrea, in un certo senso, dentro di sè, lo vive,   eee e   . fl da <«U CD ij + Cio   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 933   lo fa suo. La fede è un commercio in cui le due parti s’ invocano l’ una e l’altra; e se l’uomo ha bisogno di Dio, Dio, a sua volta, ha come bisogno e desiderio dell’uomo.  Siffatta penetrazione dell’umano e del divino forma la pura essenza di vita dell’intuizione mi- stica del mondo, — questa sovrana elevazione dell’ intelletto e dell’ anima, che sfida da secoli il morso della critica e la contaminazione del sar- casmo |  Se la fede, come stato puro dello spirito, è argomento di volontà sicura e signorile, è chiaro, o Signori, che l’antitesi posta dal Nietzsche fra la capacità del dominio spirituale e le virtù della fede religiosa e della fede morale è affatto insus- sistente. No: non è vero che l’adorazione del di- vino o la devozione dell’imperativo educhi neces- sariamente alle passive virtù della rinuncia ed alle angustie dell’ anima pusilla. Ogni grande azione dell’ umanità riconosce la sua scaturigine in un grande atto di fede. E se essa, questa er- rabonda peregrina, potesse guardare indietro ai suoi passi, ad ogni grande conquista attinta sulle vie infinite del'progresso spirituale, direbbe, forse: io ti ho voluto, perchè ho creduto! Oggi si viole poco, e la coscienza e la vita giacciono in un ma- lessere non sanabile per soverchia aridità e stan- chezza di volere; e ciò, perchè si crede poco e si dubita molto, perchè non sì prega ma si ride, perchè non si adora ma si disprezza! La volontà ha visto inaridire le sorgenti di vita, dopo che ha respinto sdegnosamente da sè l’eroica follia delle impulsività della fede |!   2934 L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   * * *  Codesta fiera ripulsa di ogni abito di credenza è la radice vera di quell’inaridirsi di ogni senso di tenerezza verso l’ umano e di quel :perverti- mento di ogni ideal visione ed imagine di amore, che ha luogo nello spirito del superuomo, quando egli traduca nel pratica della vita il suo sogno di orgoglio. |  Invero, la simpatia e l’amore sono l’ equiva- lente emozionale e sentimentale della credenza, e l’ efflorescenza gentile di una psicologia della fede. | | Perchè si soffra per l’altro e lo si ami e ci s’ infervori pel bene suo, fino al punto da sa- crificarsi per esso, occorre che l’altro ci. si raf- figuri in imagine di persona a noi similare e fraterna. Occorre che nell’ intimo dei suoi stati di coscienza si vegga come un riflesso puro e fedele dei nostri. Occorre che noi abbiamo fiducia in lui, come ne abbiamo in noi. Occorre, in una parola, che noi gli crediamo.  La credenza e l’amore sono legati da una grande affinità elettiva. L’ una e l’altro espri- mono, del pari, una generosa elargizione di sè, una devozione incondizionata. L’ una e l’ altro idealizzano e trasfigurano il loro oggetto e lo avvivano e ricreano in sè medesime, animan- dolo con pienezza di cuore. In codesto processo di trasfigurazione ideale, l’ oggetto acquista una virtù di suggestione e di fascino ed una forza di attrazione e di comando, che è la gran molla   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 239   motrice della volontà e dell’azione. L’ una e l’al- tro, nel fervore del rapimento e dell’ oblio y tes- sono, talvolta, la parodia inconsapevole di sè me- desimi. Espressioni equivalenti del tragico e del divino che vi è nell’umano, ‘essi, la credenza e l’a- more, sopportano, con pari destino, l’infiltrazione del comico; e sono le manifestazioni classiche di vita su cui si esercita, di preferenza, la volontà di ridere dellamanità, e che, in quella loro beata inge- nuità indifesa, danno buon gioco al ghigno amaro degli uni ed al riso scurrile e sguaiato degli altri. Per virtù di questa affinità elettiva, l’amore è oggetto di contaminazione e di strazio pel su- peruomo, poco meno che non lo sia la credenza. La logica del principio invano è scongiurata, ahimè !, dall’ austera castità delle visioni radianti dell’autore di Zarathustra. Ed i discepoli tolgono sopra di sè l’assunto di cancellare le benefiche e nobili inconseguenze del pensiero del maestro. Nell’ amore il superuomo non reca una vo- lontà di sofferenza, di devozione e di sacrificio; ma una volontà d’ integrazione e di dominio. Il suo non è uno spasimo di tenerezza che persuade il generoso oblio di sè, ma un sogno superbo di orgoglio e di conquista. Egli non ama, dico, ma domina. Ora non è dominio l’amore, che è fu- sione dei due esseri e delle due anime in una, che è compenetrazione ed unificazione delle due vite. L’io non si eontrappone più all’altro : l’altro non appare più diverso dall’ io; la presenza co- sciente e dominatrice del me è scomparsa; il do- minatore è un dominato. Io sono tu — ecco la for-   236 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   mula dell’ amore. Il superuomo non può dire, e, se è- sincero, non dirà mai altrettanto. Io sono io — egli dice e pensa dentro di sè: onde la sua familiarità e la sua largizione spirituale non è mai intiera. Attraverso l’ apparente oblio e le appa- renti follie della passione generosa, egli è sempre donno e signore di sè, egli, il dominatore! Nel tenero sorriso, nel sospiro suadente alle dolci ef- fusioni dell’ amore , nello spasimo composito del desiderio e della dedizione, chi avesse il dono della visione interiore vedrebbe facilmente spuntare l’ irrisione perfida e fremere il ghigno sarcastico di Mefistofele !  A volte, è vittima inconscia egli stesso di co- desta duplicità e di codesta purificazione fallace dell’istinto di possesso e di conquista; perchè si tratta di ‘fenomeni interiori, che spesso giacciono nell’intimo dello spirito e non cadono nel punto visuale della coscienza. Ma l’amara verità sorge, presto o tardi, a smascherare i travestimenti mul- ticolori dell’illusione; quel sogno, che non era cul- lato dalle serene e perenni blandizie dell’ amore, ma che era offuscato dalle labili ed insidiose lu- singhe dell’orgoglio, si dissipa e sfuma, come vo- litante farfalla che nella stretta indelicata di mano profanatrice abbandoni il pulviscolo iridescente; e, smarrita l’ideale visione del sogno, il domina- tore riprende coscienza e possesso della sua na- tura, e respinge la vittima malcauta ed esausta, dopo averne espresso dalle carni palpitanti e dal- l’anima in sussulto ogni traccia e sentore di vita. Perchè il superuomo è !’ imagine di un Dio inu-   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 237   mano, che concede al mortale ed al caduco le briciole, non il pane della sua anima, e riserva la sua inesausta sete di dominio ai trionfi del nuovo e dell’impreveduto |  Egli è, quindi, l’uomo che è amato (e ciò per una legge di perversità e d’ironia, della quale basti qui il semplice accenno), ma non l’uomo che ama. Egli è l’ usurpatore delle tenerezze e delle liquefazioni sentimentali e sensuali delle anime bisognose di schiavitù e dei corpi posse- duti dalla ossessione del piacere, ma nessuno dirà che egli ami, se amore è devozione e largizione di sè, se amore è generosa effusione di vita in   altre vite. Egli è l’amatore di frodo ed è l’amato   per inganno : onde il valore propriamente este- tico e spirituale del dramma di amore, di cui egli è il protagonista, è non già nell’animo di lui, freddo ed altiero, ma nella generosa e passionale dedizione dell’altra. É, pur sempre, la volontà di sacrificio della vittima che colora d’iridescenze purpuree la fosca imagine dell’ usurpatore e le comunica un tal quale aroma di soavità e di pu- rezza! Perchè il capolavoro sublime della dedi- zione sta appunto in ciò : adornare con un sorriso di appagamento il trionfo del vincitore e fare di sè olocausto alla redenzione ed alla consacrazione di lui!  Noi prenderemo volentieri nota di questi fiori del male e di queste sublimità eroiche del sacri- ficio; ma, in qualità di psicologi, noi dobbiamo essere giusti. Noi dobbiamo restituire alla fan- tasia inventiva ed ai sensi munifici e generosi   938 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   delle gentili dominate tutto questo tessuto di pucificazioni ideali che esse ordiscono così volen- terose attorno alla persona del dominatore. Noi dobbiamo guardare costui in faccia ed esplorarne la vera e nuda natura, e diciamo allora: no, co- desto non è conquista ardua ed eroica, è appro- priazione di un.dono inconsulto; non) la volontà in te di dominare, ma la volontà in altrui di es- sere dominato è la ragione ed il segreto del tuo ostentato ed effimero trionfo; onde, codesto non è creazione e partecipazione di vita, ma sottra- zione di vita altrui; codesto non è assimilazione spirituale, ma parassitismo; non amore è codesto, ma profanazione e ludibrio e strazio dell’ amore; codesto non è invenzione di nuove tavole o di nuovi valori, ma vecchia storia del modo. di vi- vere della media degli umani impastati di tristi- zia e di fango!   * * *   Se l’amore propriamente detto, o l’amore sessuale, si contamina e si disgrega al contatto corrosivo della volontà di predominio del supe- ruomo, raffiguriamoci che mai debba accadere di quell’altra forma più pura e nobile ed elevata di amore, che è l’amore del prossimo e la carità verso l’umanità dolorante e sofferente |  È ivi che l’inumana alterigia e l’insano ego- tismo del superuomo si manifesta nella forma più cruda e più ripugnante; ivi, nel supremo dileggio e nello strazio supremo del bestiame umano !..Mai   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 2399   come in questo essere, nel quale sono inaridite senza rimedio le fonti vive della similarità e della simpatia per l’umano, si è veduto così conculcato e bestemmiato il gran grido perenne della morale universale: ama il tuo prossimo! Apologeta spa- simante della sovranità: della forza e di quella gran superstizione scientifica che è la lotta per l’esistenza, è il ghigno del sarcasmo, è la tortura dell'odio, — è la guerra, è la distruzione che for- ma il suo sospiro, la sua visione prediletta, il suo elemento di vita. Laonde, in un inno alla guerra ed ai guerrieri, egli esce in quel paradosso « la guerra ha fatto più grandi cose che non l’amore del prossimo (1) >», che sarebbe profondamente vero, se esprimesse con fine significazione di sa- tira e d’ironia un giudizio sull’umanità, la quale è stata, certo, più grande e più possente nell’odio che nell'amore, ma che, formulato come legge di vita ideale di condotta, costituisce un’offesa contro le più nobili aspirazioni della coscienza morale.   * * %*   Certo, la morale. dell’amore universale può degenerare anch’ essa, ove non sia contenuta nei debiti confini dalla saggezza. Quella morale, per la debolezza e la tristizia degli uomini, degenera a volte nelle virtù, meramente passive, della ri- nuncia e del sacrifizio ad oltranza, le quali, dove non siano peccaminose, sono, quasi sempre, una   (1) Sono parole del Nietzsche : Zarathustra, p. 49.   LI Ì   ; i   &   240 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   dissipazione infeconda di vitali energie. La morale della sofferenza ad ogni costo, la morale che di- stilla il dolore con acre voluttà di dedizione, se- I gna un pervertimento dello spirito e può essere | benissimo l’ipocrisia della stanchezza di vivere. . La generosità vera non -consiste nell’annienta- mento dell’ essere proprio in favore dell’ altrui, ‘ ma nella partecipazione generosa della sostanza dell’ essere e della vita a chi ne abbia bisogno ed abbia l’ anima amica e predisposta a questa irra- diazione spirituale. Le leggi della saggezza con- sigliano , e spesso impongono in formula di do- vere, il sacrificio fecondo, che moltiplica l’ essere e la vita negli altri; condannano le dedizioni ste- rili, che cominciano dall’annientare quell’essere e quella vita in chi già la possiede. Il sacrifizio ad oltranza, quando sia l’ ideale i sospiro dell’ accidia, di questo fondamentale tra tutti i peccati, di questa mineralizzazione dello spirito, è principio di rovina e di caduta. Ed esso riesce soprammodo oltraggioso alle leggi della vita morale, quando rappresenta l’ immolazione di un’anima pura ad un’anima perversa. Perchè, non tutte le anime sono aperte alle insolazioni spirituali ed alle irradiazioni di luce e di calore che emanano dagli spiriti infervorati del bene. In "questa umanità misera ed abbietta abbondano le nature scese all’imo della degradazione e del per- vertimento, abbondano le nature dalle quali è de- finitivamente cancellata e sparita ogni superstite traccia di quel po’di divino che vi è nell’umano. L’anima pura, che incontri, per avventura, una o      CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 941   più di queste plebee esistenze, divenute inacces- sibili ad ogni elevazione ed impenetrabili ad ogni irraggiamento spirituale, non ha che un solo do- vere imperioso ed urgente: fuggire inorridita dal loro contatto e custodire nell’ asilo della propria coscienza ed educare in una solitudine ricca di vita interiore le fonti vive dell’ attività e della perfezione.  Del pari, non è da negare che la nobilissima virtù cristiana dell’umiltà si è contaminata nei secoli, passando attraverso alcune anime povere, più disposte a ripetere la lettera anzichè a sen- tire lo spirito intimo della buona novella. E forse, per le inevitabili deformazioni che la debole ed imperfetta realtà imprime nei più sacri ideali, il significato orginario di redenzione dalle menzo- gnere parvenze del finito e del caduco, che è l’es- senza più pura dell’ umiltà cristiana, si è venuto nei più impallidendo ed obliterando. L’ umiltà è | divenuta, per una troppo umana interpetrazione, | sinonimo e suggello di pusillanimità e di abito di / . accomodamento. E quel sano ed illuminato Orgo- \ glio morale e quel sentimento di estimazione della : propria dignità spirituale, che è la base prima e perenne di ogni elevazione dello spirito, è stato insidiato e corroso nelle radici dalle malsane sug- gestioni della rinuncia e della dedizione.  >» * *  Ma il pensiero di Federico Nietzsche non si  limita ad una semplice e legittima reazione con-   I. Perrone. — Problemi del mondo morale. 16   DAD L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   tro questi pervertimenti della morale del sacri- fizio e della mortificazione. È evidente, ahimò!, che la filosofia della vita e l’analisi della fede. religiosa, intessute dal pensatore tedesco , pro- cedono ben oltre. Non la morale, soltanto, dell’u- miltà malintesa egli condanna, ma anche la mo- rale della carità e dell'amore ! Nè agli snatura- menti della virtù della rinuncia, ei contrappone il sano e nobile principio dell’ autonomia della persona morale, ma l’impulso impuro ed egoistico della individualità, liberata da ogni disciplina di dovere.  La morale della volontà del predominio e del- l’egotismo super-umano è tutt’altra cosa che non   sia la morale sovrana dell’ orgoglio illuminato,   cioè a dire dell’ orgoglio impersonale. L’egotismo ‘celebra i trionfi della passione, della individua- zione, del corpo, di quello, cioè, che nell’uomo è fuggevole e caduco, argomento di inferiorità, di servitù, di tristizia e di dolore. L’orgoglio vir- tuoso ed illuminato, l’ orgoglio impersonale cele- bra, invece, i trionfi dello spirito, ed è inspirato dal senso vivo della dignità infinita dell’ anima, della dignità infinita dell’essere umano, in quanto portatore ed interpetre di un principio divino di vita.  Un assoluto dissidio separa la filosofia del su- per-umano dalla filosofia evangelica dell’ amore: epperò la logica della dottrina di Nietzsche con- traddice e dileggia non solo talune delle deriva- zioni pervertite della fede di Gesù, ma anche la più pura ed ideale sostanza di quella fede. Troppo   ne   STONE né! fede   egli indulge al senso della terra, ed alle malsane emanazioni che ne derivano, attossicando la co- scienza dell’uomo, illuso dalle vanità dell’orgoglio individuale e materiale! Troppo lo domina il fa- scino delle emozioni dell’io e troppo egli oblitera la carità, la simpatia, la fraternità dell’ umano! Non la sola rinuncia passiva, ma anche la largi-/ zione feconda e generosa della vita e dell’ esseré © è minacciata nella tumultuaria concezione di que- . sto pagano filosofo dell’egotismo, di questo furente : apostolo della sovranità della forza, della guerra ; | all’umano, della volontà della dominazione ! } Non l’elevamento spirituale, non la immaco- lata purezza della coscienza illuminata dalla com- prensione della vita, è la meta ed il sospiro finale della volontà del predominio; ma è l’egotismo inu- mano e perverso, sdegnoso di ogni rapporto di sclidarietà, di ogni commozione di pietà, di ogni legge di amore. | Nessun sano ideale morale redime quella folle condanna del bestiame umano; e nessun soffio vi alita di quella pietà e di quella simpatia, che è il fiore dell’anima pervenuta alle radici della vita e del dolore del mondo. Ahimè! quel bestiame umano ch'egli dileggia, non è la folla degli es- seri moralmente spregevoli, ma la innumerevole moltitudine umana, che vive la vita vera e la vita morale, nobilmente lavorando ed espiando a profitto della schiera parassitaria dei privilegiati e dei dominatori! | | Li Severo è il giudizio che sgorga spontaneo dal- l’anima al riconoscimento di questa amara verità;   b CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 2943   > DS SO   _   me > I ” Ò6 é   DAL L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   e certo, quella sua apoteosi della morale dei pa- droni, quella sua oltraggiosa ed insana offesa alla morale delle vittime o dei martiri rappresenta una profanazione sacrilega, che solleverebbe un grido di abbominio in ogni creatura senziente, se la tristizia morale del paradosso non fosse redenta dall’amarezza dello spirito delirante di chi lo espres- se in forma sì rude!   * * %*   In verità, Federico Nietzsche fu vittima di una insanabile infermità dell’intelletto, che gli of- fuscò la visione limpida e serena delle cose e che gli venne progressivamente intorbidando quell’i- deale originario di elevazione signorile dell’ indi- viduo umano, che deve avergli sorriso negli al- bori della giovinezza e della sanità dello spirito. La concezione del superuomo, forse e senza forse, è argomento non solo d’indagine e di critica fi- losofica, ma di esame patogenetico e psichia- trico.  La patologia dello spirito ci parla di alcune forme paradossali di alienazione e di mania, in cui una superba gioia ed un giammai provato senso di benessere e di piacere puro e di vera e propria beatitudine invade l’anima e si dipinge sul volto del soggetto, e gli sorridono visioni di ambiziosa grandezza e lo lusingano forme eccelse e super-umane di vita.  I medici dicono che è una insidiosa euforia, analoga a quella dei tisici in estremo grado e   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 245   degli agonizzanti, e che larva e dissimula una de- vastazione profonda della vità organica e della psiche.  La concezione del superuomo è il capolavoro tragico a rovescio di questa insana euforia, la quale germoglia sul fondo della disgregazione mentale di un genio mirabilmente dotato di im- maginaziene creativa.  Non si può, senza provare come un senti- mento di angoscia paurosa, indugiarsi a lungo su questo triste segreto d’ironia e di dolore. Sono molecole di sostanza pensante in istato di decom- posizione e di dissolvimento, che si agitano e fremono sotto il luccichìo delle immagini e la fosforescenza radiante delle visioni ideali ! Atteg- giato a beatitudine olimpica, crede di portare in sè un nuovo mondo ed il messaggio di un nuovo essere, il superuomo, égli, in cui una legge d’i- ronia sanguinosa disgrega sordamente la sostanza dell’uomo! Umorista tragico, egli ostenta ed im- pugna con trionfale baldanza e supremo riso di appagamento lo stigma del suo dissolvimento, della sua dannazione! Ed asseconda la bieca ironia della natura, la quale, come ebbe ad osservare A. Schopenhauer, completa la tortura con la de- risione e, mentre infligge i dolori della tragedia, si rifiuta di consentire alla vittima dolorante la suprema dignità del personaggio tragico e la con- danna ad indossare la divisa del buffone!  Di codesta specie di umorismo tragico è tutta impressa, da capo a fondo, l’opera di Federico Nietasche, e le comunica una potente significa-      246 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO   zione estetica, che è fattore non ultimo del ta- scino ch’ essa esercita sopra le più elette tempre di letterati e di artisti. |  Isolata dagli elementi di cruciale e spasmo- dica tortura, i quali furono propri del tempera- mento dell’autore, la figurazione del superuomo non si salva dalla punta del ridicolo; e, per quella legge del grottesco che vi è nelle cose, e che as- socia il supremamente pietoso al supremamente risibile, degrada nelle contaminazioni amene degli egotisti e diventa ludibrio e strazio della carica- tura .plebea.  Per fortuna, questa oltraggiosa infiltrazione del comico, se colpisce la tesi obbiettivamente considerata, non attinge la tragica altitudine per- sonale di Federico Nietzsche.  Egli fu un’anima pura: e la sua vita, che fu in assoluta antitesi col suo pensiero, e che si ri- flette nell’ immacolata purezza dell’ arte sua im- peccabile , redime le aberrazioni della dottrina. L’evocatore del senso della terra, l’ipercritico del- l’ ascetismo, fu, per fenomeno di contrasto, un asceta, uno stilita, incatenato alla colonna della purità da un ideale superbo di perfezione! Il fi- losofo del superuomo, l’ adoratore della volontà di dominazione, l’ irrisore del dolore umano, du- rante tutta una vita eroica e triste, ha reso te- stimonianza di una legge di dolore ed ha atteg- giato e consumato ed espiato il destino della vit- tima! Si direbbe che egli abbia offerto in olo- causto tutto il suo essere ed abbia sopportato che si disintegrassero i tessuti della sua compa-   CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 247   gine corporea e le fibre della sua anima, per esprimerne il senso della terra, e lanciare ai ven- turi una parola che, nella sincerità della com- mozione e del sogno, egli credè una parola vi- tale !  Qui, sì, tutto diventa nobile attraverso la sin- cerità della fiamma; e noi, avversari della filosofia del super-umano, c’inchiniamo reverenti all’uomo che la redense e la superò nell’ amore e nel do- lore dell’umano.  Nella solitudine intellettuale in cui egli si avvolge non germogliano i fiori della tenerezza, ma freme pur sempre il grido di un’anima ec- celsa nel dolore, sublime nell’ allucinazione , pro- fonda nella ferita !   iti ===   = e —gerre-———— Ir pr Tr rorooneeenze sermone — -   Ji   “IL PROBLEMA DELLA MORALE ©   Dei problemi della morale ve ne ha uno, che è il più grave di tutti e che va dibattuto prima di ogni altro, perchè tutti gli altri non han senso e valore che da esso e per esso e da una o per una delle sue soluzioni; e questo problema col- pisce le ragioni e le radici della moralità e pone in disamina ed in contestazione le basi del giu- dizio e del discernimento etico ed i dati stessi, fondamentali ed immediati, della coscienza mo- rale. | s | Le differenze di valore che la coscienza pone tra le varie azioni ed i varî modi di vivere e di agire — onde taluui di codesti modi si giudicano preferibili a taluni altri, ed alcune azioni si hanno per buone ed altre per cattive — queste differenze ) di valore, dico, sono esse corrispondenti all’ordine obbiettivo delle cose? È fornita di sussistenza reale la distinzione tra il bene ed il male e tra   (1) Prolusione al corso ufficiale di filosofia morale nella R. U- niversità di Napoli, letta il 10 Dicembre 1901   950 IL PROBLEMA DELLA MORALE   la condotta morale buona e la condotta morale cattiva, ed ha ragione di essere una legge del bene, che prescriva, imperativamente e categori- camente, al volere umano il compimento di date azioni e la omissione o la riparazione di date al- tre ? Ed il soggetto umano è egli fornito della potestà di compiere quel dovere e di obbedire a quella legge, piegando all’imperio della medesima così le sue determinazioni interiori, le quali, pure, appaiono sottratte al suo arbitrio cosciente, come le forze e gli elementi esteriori della natura, ma- teria sorda della sua azione e del suo potere?   Questo problema non nasce da un meditato disegno di escogitazione razionale, nè è il sem- plice riflesso di un’abitudine malaugurata di scet- ticismo sistematico, alla quale rispondono a sut- ficienza le spontanee reazioni emotive della co- scienza morale e le ispirazioni del sentimento. No, questo problema ha radici più profonde e nasce dal vivo della scienza e, dello spirito scientifico moderno ed attinge il suo significato , il suo va- lore, la sua colorazione di attualità dalla intui- zione naturalistica del mondo che domina oggi i campi del sapere. (1)   (1) Cfr. l’altro mio libro I limiti del determinismo scientifico (p. 108-116 e passim), al quale immediatamente si riconnette, e vi rin- viene esplicazione e chiarimento , quanto è detto e, spesso, solo accennato in questo discorso.  Il dissidio fra lo spirito scientifico (strettamente detto) e lo spirito etico è, altresì, egregiamente esaminato , fra i nostri, dal De Sarlo in Metafisica, scienza e moralità (Roma 1898).   IL PROBLEMA DELLA MORALE dI   Bandito il principio delle cause finali dall’in-.   terpetrazione della natura come da quella del mondo umano, il naturalismo non riconosce come forma intelligibile dell’universo che il rigido prin- cipio delle cause efficienti : onde i fenomeni ed i cangiamenti tutti, e le azioni dell’uomo come gli accadimenti della natuta , si porgono quali risul- tati necessari ed equivalenti del determinismo dei loro antecedenti e delle loro condizioni.  | Pertanto, la sola attitudine legittima, che la nostra mente possa assumere verso l’ ordine dei fenomeni, è di esaminarne il corso secondo la ra- gione di causa e di effetto, o secondo la connes- sione causale degli elementi che concorrono a de- terminarli; e la coscienza etica valutativa, la quale interpone fra quei risultati equivalenti nina diffe- renza di valore, e li giudica alla stregua di alcune esigenze e relazioni ideali, e gli uni loda ed ap- prova e gli altri riprova e censura, è vittima di   una nobile ed ingenua illusione, perchè quei ri-   sultati sono, & rigore, indifferenti e tutti egual- mente legittimati dal principio di necessitazione delle cause efficienti. Le sole categorie legittime dell’intendimento al cospetto dei reali sono quelle della coscienza teoretica, quelle, cioè, della verità o della non-verità, della realtà ovvero della ir- realtà; laddove le categorie della coscienza pra- tica, ossia i giudizi e gli apprezzamenti in ordine alla presunta bontà o malizia delle azioni, sono idoli del sentimento subbiettivo.  Non meno erroneo ed arbitrario si è il con- Gepire quei risultati come termini o tendenze o   dt PNE i E E   DEI IL PROBLEMA DELLA MORALE   mete ideali v cause finali, in vista delle quali ab- biano operato le cause efficienti, quasi sollecitate da una dinamica interna e da un interno oscuro desiderio verso l’idea o il tipo dei risultati medé- simi: perchè è l’effetto che «siste per dato e fatto della causa, non la causa che esiste per virtù di anticipazione ideale dell’effetto. — Ciò che la tilo- sofia finalistica reputava che fosse primo, rispetto alle intenzioni di natura, coincide perfettamente con ciò che è primo rispetto a noi, ossia rispetto alla serie successiva e temporale dei cangiamenti; ed, a rigore, non è da purlare delle presunte in- tenzioni di natura, nè.di fini e di termini o d’i- deali che quella, per avventura, si proponga di raggiungere o ai quali essa sia inconsciamente sospinta, come se nelle cose e nei fenomeni vi fosse un interno dissidio tra quello che esse sono e quello che vorrebbero essere, fra l’attuale ed il   . possibile, tra le cause efficienti e le cause finali;   perchè, anzi, v’ha, in natura, concordanza piena ed intiera fra l’attualità dell’essere e la sua possi- bilità, e la direzione opérativa delle cause effi- cienti è direzione univoca ed unilineare, e la no- zione dello scopo o del fine è uno schema sovrap- posto all’ ordine di causazione, e che nasce da quell’equivoco singolare, per cui le risultanze del processo naturale sono astratte ed isolate artifi- ciosamente dal processo medesimo ed obbiettivate e trasfigurate al di fuori in forma di entità auto- nome ed indipendenti. |  Le quali cose vanno dette non solo della na- tura, ma dell’uomo, altresì, che è un prodotto, an-   hl   IL PROBLEMA DELLA MORALE 953   ch’egli, della natura ed un anello della catena dei fenomeni naturali: onde la nozione di una pre- sunta finalità dell’ uomo, posta come criterio va- lutativo delle sue azioni e come idea direttrice o termine ideale delle azioni medesime, è da respin- gere anch’essa come una fantasima della coscienza, perchè il termine cui pon capo la natura dell’uo- mo non può essere alcunchè di diverso da quello a cui traggono necessariamente le forze naturali in lui operose. E si noti che, tolte le finalità del- l’umana natura, è tolta, ad un tempo, la ragione della bontà e della malizia delle azioni; perchè il bene non è altro che una integrazione del fine, in quanto esso esprime, appunto, la relazione di convenienza dell’ essere al suo fine, o il rapporto di conformità dell’azione agli scopi ed agl’ ideali, universali e necessari, dell’agente. Ed, in defini- tiva, l’ordine morale, o l’ordine dei fini o delle valutazioni delle azioni in quanto rispondono a quei fini o ne deviano e discordano, è una rap- presentazione subbiettiva dello spirito e non una realtà obbiettiva, perchè è obbiettivo nella na- tura, solo ed esclusivo, l’ ordine fisico , o il pro- cesso necessario degli accadimenti determinato dal principio delle cause efficienti. E l’ordine mo- rale non è una realità autonoma ed indipendente, ma una funzione dello stesso processo naturale dell’operare umano, funzione che, per illusione di prospettiva, si astrae dal processo al quale ine- risce, e sì solleva a sostanza ed a causa del pro- cesso medesimo. La coscienza, la quale si pone a centro e misura dei cosmo e presume di non es-   254 IL PROBLEMA DELLA MORAL   sere mancipia del giogo della causalità naturale e si arroga la potestà di foggiare tutto un mondo ideale contrapposto al mondo della natura, la co- scienza, ahimè !, non è che un tenue fenomeno, anch’essa, nella serie dei fenomeni, meglio ancora, essa è un epifenomeno del movimento materiale, una trascrizione o una mediazione o una riper- cussione simbolica del processo reale della natura, una iridescenza delle vibrazioni molecolari, una spumeggiatura del meccanismo nervoso.  Negata, quindi, la causalità e l’ attività dello spirito, negata la capacità di cangiamento dell*a- zione, negata la libertà del volere, che si rivela, anch'essa, come una delle mediazioni secrete, tra- verso le quali operano, dissimulate ed inconscie allo spirito illuso, le cause efficienti dell’ operare o i motivi determinanti e necessitanti della serie delle volizioni: negato il fondamento della ne- cessità morale e l’obbiettività del dovere, al quale vien meno, ad un tempo, la materia e la forma: la materia, ossia la realtà del bene da conseguire o del fine da raggiungere, la forma, ossia la fun- zione imperativa della legge del bene e l’esigenza di una devozione incondizionata al contenuto dei suoi precetti.   * * *  Grave, senza dubbio, codesta soluzione nega- tiva del problema della morale e codesto non dissimulato dissidio fra lo spirito scientifico e lo spirito etico; grave, anzi, a tal segno, che ogni   ict i de i in      IL PROBLEMA DELLA MORALE 255   più severo cultore del naturalismo si dispensa volentieri dall’approfondire questa logica ineso- rabile del sistema, senza che, per altro, la sua incoerenza devii di una sola linea il fatale andare delle teorie verso le loro estreme conseguenze. Se non che la intuizione naturalistica del mondo, così ricevuta ed intesa come un sistema dogmatico e non ancora esperimentato da quella   sapiente autocritica che persuade un sano e le-   ninteso agnosticismo, appare come una novissima metafisica a rovescio, non legittimata da una ri- gorosa critica della conoscenza, nè da una sintesi filosofica delle scienze, ovvero da un processo d’integrazione sintetica ed organica di tutti gli aspetti del vero e di tutte le forme del reale. Alla scienza, che nega la verità del mondo morale ed oppone, in attitudine di trionfo, la verità delle categorie della coscienza teoretica, è facile rispon- dere che, dopo tutto, le ragioni della certezza morale, per essere primitive ed immediate , sono più salde e più sicure, che quelle, derivate ed in- dirette, della certezza scientifica. Se la verità è rapporto di concordanza del dato e della rappre- sentazione, dell’oggetto e del soggetto , essa sarà una qualità nativa delle intuizioni della coscienza morale, dove il soggetto coincide con l’oggetto ed il conoscere col fare, e nol sarà, o non sarà così agevole dimostrare che sia, delle conoscenze atti- nenti al mondo esteriore, le quali non rendono la realità assoluta del dato, ma solo la relazione di esso alle forme costitutive del pensiero e della coscienza. Il fondamento e la genesi di ogni   Ai |   t da di   956 IL PROBLEMA DELLA MORALE   realtà e di ogni affermazione di esistenza reale è in noi stessi, ovvero nella intimità e nella con- tinuità del nesso fra l’oggetto e noi, o nella vi- vacità maggiore o minore onde l’ oggetto eccita, stimola e punge il nostro interesse e diventa una funzione della nostra natura attiva o un momento della nostra vita. (1) L’ideale morale è più vero per noì che non qualsiasi presunta realità della natura, perchè esso esprime una esigenza imme- diata del nostro vivere e tocca l’intimo dell’esser nostro e colpisce le radici della nostra reattività emozionale e delle nostre vitali energie. Le co- noscenze morali non sono astratte interpetrazioni e teorie, ma il riflesso consaputo dell’azione; una scienza che nasce dall’i:.timo della vita, una idea immanente nel fatto, un sapere che germoglia dall’operare.   Il fondamento sul quale si appoggia l’ ob- biettività deile scienze della natura è il convin- cimento della realità dell’ estensione: il che non esce dai termini della più rigorosa subbiettività e vuol dire, solo, che le nostre sensazioni seconde (visuali, auditive, tattili e così via) si proiettano permanentemente sulla trama del tempo e dello spazio, ossia sulla trama dei nostri dati musco- lari. Credere, quindi, che il meccanismo sia il sub- strato della realità delle cose; è, in ultima istanza, tutt'uno che presupporre che la nostra natura mu- scolare sia la forma fondamentale ed adeguata   (1) James, Principles of Psychology. Ch. XXI.   IL PROBLEMA DELLA MORALE 957   dell’essere in sè, o dell’essere assoluto led estra- soggettivo delle cose: affermazione dogmatica, che trascende i limiti di ogni scienza e di ogni cono- scenza. Le scienze sperimentali non superano, a loro volta, il mondo delle apparenze o, per dir meglio , il mondo del subbiettivo, ovvero delle forme permanenti costitutive della nostra vita spirituale; e la materia è così lungi dallo spiegare la coscienza, che vuole esserne anzi spiegata, per- chè essa stessa non può essere concepita che in termini di stati di coscienza. (1)  Tradurre questa serie di apparenze in un si- stema esatto di equivalenze è il massimo degli assunti ed il massimo dei trionfi della scienza: ma il dogmatismo scientifico, che ritraduce il sim- bolo nella realità e le equivalenze logico-matema- tiche in presunte trasformazioni reali ed obbiet- tive, non sì sottrae alla sorte che è storicamente toccata ad altre forme, più ingenue ovvero meno intellettuali, di dogmatismo.  In vero, il sereno cultore delle scienze posi-, tive, il quale non contamina con preoccupazioni sistematiche la severità della ricerca e del proce- dimento scientifico, sa bene che le scienze non rendono una esplicazione fedele ed immediata;   della verità assoluta delle cose, ma attuano una Ò sostituzione dei dati quantitativi e misurabili dei; »,   fenomeni ai dati qualitativi ed incommensurabili;' una sostituzione comoda, che ha per genesi ul- tima e per ultima giustificazione la necessità,   i (1) Payot, De la croyance (Paris, 1896), passim. I. Perrone. — Problemi del mondo murale. 17   di *   958 IL PROBLEMA DELLA MORALE   meramente pratica, di semplificare le conoscenze naturali, a costo del vero, per agevolare il do- minio sulla natara, in grazia dell’utile. La rap- presentazione che le scienze sperimentali rendono della realtà non è, quindi, adeguata, ma simbo- lica, nè ordinata ad oggetto di sapere per sapere, ma accomodata alle esigenze del nostro intendi- mento e destinata al conseguimento dei nostri fini di utilità, o ad oggetto di sapere per potere. Il criterio della certezza scientifica è meno quello della verità delle conoscenze, che quello della conformità di esse ad un dato scopo pratico o ad un dato ideale. Anche la coscienza teoretica è dopo tutto, una funzione protettiva della vita;' ba ‘il criterio della fecondità vitale, ossia dell’attitu- dine a migliorare ed accrescere le forme e le energie della vita, è il criterio comune che deter- mina e misura l’obbiettività dei prodotti del pen- siero teoretico, come di quelli della coscienza mo- rale. (1 ‘‘. Non si può, poi, in nessun modo acconsentire ai due principî fondamentali sovra i quali si fonda la intuizione naturalistica del mondo; voglio dire, |/ la eliminazione della coscienza dall’ ordine delle | cause attive dei cangiamenti, e la condanna del- 5l’ antico principio delle cause finali. Questa dop- ‘ pia negazione si rivela piuttosto come una istanza (anticipata o una esigenza a priori del sistema, 4 che come il prodotto di una disamina e di una {critica rigorosa e serena. Essa si appoggia, bensì, sopra le inferenze analitiche delle scieuze parti-   DA è n > n A è . 2: I 0% ur, FA Uto CO #, EAC ‘1 * : A   i die a rie iii _ __ Sl   IL PROBLEMA DELLA MCRALE 259   colari della natura, ma non è punto suffragata da ) una intuizione filosofica del mondo, che unifichi )   i dati e le conclusioni particolari e le raccolga in sintesi universale, corrispondente alla concreta e complessa integrità del reale.   Trattasi, però, di una negazione, che io vor-   rei qui dire relativa e non assoluta; relativa, cioè, ai limiti delle scienze medesime e dell’ufficio che esse sì propongono, ed è giusto che si propongano, di adempiere, ma che può essere superata e riso- luta in altre forme di pensiero che, allontanando o rimovendo quei limiti, procedano, non ad una temeraria e vacua ricusazione, ma ad un’inte- grazione legittima dei processi e dei dati delle scienze.   Le scienze particolari esauriscono il loro com-. pito nell’indagare e nel formulare le connessioni } causali dei singoli frammenti del reale, e non col-| gono il nesso intimo e profondo che coordina e   collega a sistema organico le connessioni parti-' colari, nè intendono o indagano il rapporto fra i dati del processo naturale e le forme del pensiero. cosciente, nelle quali e attraverso le quali quel pro-\   LL ® LI ° e LL) ° . Ì cesso sì rifrange, direi quasi, e si rende intelli-)   gibile. Esula, quindi, ab initio, dall'ambito rigo- roso tracciato alle scienze particolari dalla loro indole analitica, la doppia nozione delle cause fi- nali e dell’attività della coscienza, perchè le scienze medesime prendono le mosse da un doppio .pro- cesso di astrazione: l’una, per la quale i singoli frammenti del reale sono isolati e come avulsi dalla integrità dell’insieme; e l’altra, per cui l’og-   ;, in simboli intelligibili i   960 IL PROBLEMA DELLA MORALE   getto si distacca ed astrae dal soggetto e si dila-  cera l’unità organica della natura e del pensiero, del mondo e della coscienza.  Le scienze particolari si limitano a formolare  i rapporti costanti di coesi-  stenza e di successione dei fenomeni; chè se, sol-  lecitate dalla logica immanente del processo spe-  culativo, esse pervengono ad integrare la mera  notizia empirica della consecuzione dei cangia-  menti nella nozione di una coerenza causale dei   | ‘medesimi , non procedono nè avanzano più oltre,   ‘e dalla nozione della coerenza causale non assur- ‘ gono all’idea di una convenienza finale, nè alla | ‘contemplazione del valore e del significato intimo e profondo di questa vicenda di accadimenti e di ‘questo gioco di apparenze. Come, poi, se vi fosse così gran salto dall’una cosa all’ altra o dall’ una forma all’altra di pensiero ! Come se il riconosci- mento del rapporto di coerenza causale non do- vesse predisporre la mente a riconoscere, con tutta spontaneità , la presenza di un rapporto di con- venienza finale! Come se entrambi questi nessi ideali non fossero, e l’uno e l’altro del pari, seb- bene in grado diverso, espressione e documento di una funzione a priori dello spirito, la quale, o si accetta nella ‘integrità dei suoi processi, o si nega del tutto! Come se il conoscere umano si esaurisse nella ricerca del come e “del quanto e nol traesse una vocazione interna e nativa a sa- pere il donde ed il perchè, e nol premesse il bi- sogno metafisico di una interpetrazione razionale dell’universo !   IL PROBLEMA DELLA MORALE 261   La filosofia, la quale mira ad un’intuizione concreta dell’ordine delle relazioni e dei fenomeni. e, componendo sinteticamente i dati analitici delle scienze particolari, si solleva ad un’intuizione universale del mondo, la filosofia reintegra le ra- gioni neglette della coscienza e dello spirito u- mano, e restituisce al principio delle cause finali   il posto che gli spetta tra le forme intelligibili del pensiero e le direzioni del processo induttivo.-.   Essa c’ insegna che la natura di un singolo elemento del reale non si conosce appieno che in riferimento a tutti gli altri elementi, e che i sin- goli nessi causali dei fenomeni ricevono il loro significato, il loro valore, la loro colorazione, direi quasi, dal rapporto di subordinazione, di adatta- mento e di convenienza alle finalità del sistema.   Essa c’insegna che le connessioni causali segnano ‘. un processo di approssimazione della ragione espli-   cativa e non già ne assolvono l’ intima e com. plessa contenenza, e che, come la causa efficiente; è un modo di interpetrare e, dirò anche, di giu- dicare la consecuzione dei fenomeni, così la causa, finale è un modo d’interpetrazione e di estima-' zione ulteriore della causa efficiente medesima; e che doppia è la direzione del processo induttivo, l’una che discende dalle cause agli effetti, l’altra che ascende dagli elementi al sistema, dai dati alla funzione, dai mezzi al fine; di guisa che la connessione finale non nega nè mutila le connes- sioni causali, ma vi sì sovrappone, le interpetra, le anima. Essa c’insegna che la scienza, in quanto non riconosce verun altro principio d’intelligibilità   <>»   - -   269 IL PROBLEMA DELLA MORALE   dei roali all’infuori di quello delle cause efficienti, è, di sua natura, analitica, frammentaria, disinte- gratrice, ed è come una conoscenza sospesa ad una grande incognita: perchè la causalità è legge /della successione dei cangiamenti, o delle forme ' consecutive e derivate del divenire, non già del- \l’'essere, ovvero delle ragioni generative o delle ragioni finali del divenire medesimo : perchè, dopo ‘ tutto, il principio delle cause efficienti ci èduca ad intendere il modo onde operano le cause o le forze della nafura ed il variato processo di scam- bio, di distribuzione e di circolazione dei loro ef- fetti e dei loro movimenti, ma sulla natura delle cause e delle forze, ma sul contenuto delle idee- limità dell’ astrazione scientifica del mondo natu- rale, nulla ci dice, nulla, che appaghi pienamente il profondo bisogno di intelligibilità che agita l’a- nima umana. Essa c’insegna che l’ esplicazione causale dei fenomeni è manchevole ed inadem- | piuta, come quella che importa il regresso all’in- finito nelle vie del passato, il progresso all’infinito nelle vie del futuro, e, dall’un capo all’altro del- l’ordine dei cangiamenti, pone un limite non va- licabile, che segna come un vacuo immane, nel quale il pensiero teoretico sì smarrisce e la co- iscienza pratica langue, sotto il peso della imme- ‘ dicabile inanità degli sforzi e dei conati nelle vie ‘interminabili ed inattingibili del divenire. Essa ‘c’insegna, finalmente, che quello che è ultimo. rispetto a noi è primo rispetto alla natura, e che le vere ragioni delle cose sono non le cause ma i fini, e le cause efficienti non sono che le me-   IL PROBLEMA DELLA MORALE 263   diazioni _fenomeniche. delle cause finali, simboli subbiettivi pei quali noi accomodiamo la realtà alle forme della nostra apprensiva e proiettiamo nel tempo e nello spazio ciò che è, in fondo, in- finitamente superiore all’ uno ed all’ altro ed ap- partiene all’ordine delle cose in sò, all’intima pro- fonda natura degli esseri. (1)  Accanto e attraverso le cause efficienti operano le cause finali, e quelli, che all'angolo visuale delle scienze particolari appaiono come risultati ciechi ed inconsaputi della serie delle condizioni determinanti, al lume di una intuizione filosofica del reale si rivelano come termini dell’ interno moto, che sospinge e sollecita le nature e le sus- sistenze e gli svariati principî di azione di che 8’ intesse la trama dell’universo. Per tal rispetto, ogni sostanza è causa ed è principio di azione e tende ad un fine, che è termine adeguato della sua efficienza operativa, che è il bene della sua natura; ed anche nelle gradazioni inferiori del- l’essere si discopre come un abbozzo od un rudi- mento di quell’asvettazione e di quella gestazione del bene che forma il substrato e l’anima del mondo morale. Così la filosofia ricostituisce, in un’ intuizione idealistica del mondo, l’unità della natura e del pensiero, facendo eco a quell’oscuro desiderio ed a quel muto anelito di redenzione dal male e di liberazione dal giogo della necessità,   (1) I limiti del determinismo scientifico. In ispecie il 1° capitolo « Il determinismo scientifico », ed il 8° «I limiti del determinismo biologico ».   vige ei, Pan   264. IL PROBLEMA DELLA MORALE   che un’anima profondamente metafisica sa cogliere attraverso le apparenze inerti, inconsapevoli del processo della natura.   Se non che, nell’ordine della natura fisica le cause finali sono come inceppate e mortificate dal principio di necessità, e gli aggregati ed i sistemi naturali sono non i soggetti attivi, ma le media- zioni inconscie del fine in essi operoso , ond’ essi sono ad altrui e non a sè medesimi (1), e la notizia e l’intendimento del fine è nel principio agente della natura e non nei corpi o negli enti. Un progresso verso la consapevolezza del fine, e nella forma di semplici reazioni emotive del sentimento di piacere e di dolore, si annunzia, bensì, nella serie animale, ma l’ animalità è un’ autonomia di ordine inferiore, perchè nell’individuo della serie animale opera tuttora un principio di necessita- zione e di eteronomia, sebbene interiore all’ ani- male medesimo, che appellasi l’istinto, nè vi brilla la luce piena della coscienza. È solo nell'uomo e nel mondo umano (comunque s’interpetri il di- stacco visibile e permanente di esso dalle esistenze inferiori della natura e del mondo animale, e sia che codesta soluzione di continuo si voglia obli- terare e dissimulare in un infinito processo di mediazioni evolutive, o che si ritorni a riaffer- marla e ad individuarla, come atto per sè stante di sintesi creatrice o come assoluta produzione del diverso), è, dico, solo nell’ uomo e nel mondo   (1) Rosmini, Principî della scienza morale, cap. II.   IL PROBLEMA DELLA MORALE — 269   umano che il principio di finalità celebra i suoi trionfi e si emancipa pienamente dal giogo della necessità, perchè è solo nell’ uomo una forza ed un potere capaci di intendere e di superare le necessitazioni naturali e d’inserire nella fitta trama dei fenomeni, collegati e saldati da un reciproco determinismo, un nuovo e superiore principio di azione, che rompe la cerchia della causalità natu- rale, della continuità dei cangiamenti e del pro- gresso all’infinito, e pon termine al processo ascen- dente delle finalità e delle autonomie della na- tura.  E questo novello principio di azione è la co- | scienza, per virtù della quale l’uomo, questo pro- dotto finale della natura, si distacca dalla natura medesima, e la rispecchia nelle sue forme intelli- gibili, derivando la luce della conoscenza sulla notte profonda della sua inconscia esistenza. È la   coscienza, che, diversamente da tutte le altre forze.   operose nel mondo della natura, le quali scor- rono coi loro cangiamenti senza differenziarsi dai cangiamenti medesimi, distingue e discerne in sè   quello che è da quello che diviene, quello che   passa da quello che sta fermo , il fluido dal per- manente, il fatto dall’idea o dal tipo o dalla legge, il relativo dall’assoluto. (1) E, come tale, essa con- ferisce all’uomo il potere di riflettere sulle azioni, differenziandole da sè come principio attivo di quelle, ed obbiettivandole, dominandole, giudi- candole, lui, non termine transeunte e scorrevole   (1) Galasso, Saggio di fitusofia morale (Napoli, 1883), p. 232-239.   Bb IL PROBLEMA DELLA MORALE   della serie fenomenica, ma causa iniziatrice e mo- deratrice di quella. È la coscienza, grazie alla quale l’uomo intende il fine al quale è adeguata la sua natura, e, differenziando l’idea del fine dall’atto del concepirlo e del contemplarlo, la tra- gitta nell’ ordine ideale e le riconosce una posi- zione ed una funzione indipendenti, un valore autonomo ed assoluto, ed una ragione di autore- volezza e d’imperio incondizionato — quasi causa seconda del mondo morale associata alla causa prima nell’opera della creazione. È la coscienza, finalmente, mercòè la quale l’uomo può liberarsi dall’ eteronomia della natura, superare le neces- sitazioni organiche dell’impulso, piegare le solle- citazioni dell’appetito ai comandi o ai divieti della ragione, e grazie alla quale egli è posto in grado d’intendere, di misurare e di apprezzare le cose e le azioni, riferendone il valore non più alle reazioni emotive del piacere o del dolore, ma ad una misura e ad una norma ideale, fornita della intuizione dei fini e delle esigenze universali e necessarie «dell’umana natura.  Così, nel mondo umano, il principio di fina- lità attinge il massimo grado di fecondità e di concretezza; e, dove, nei fenomeni del mondo na- turale, o nelle forme della vita organica, o ne- gl’individui della serie animale esso si dissimula, si oblitera e si contrae, operando o come cieca reazione motrice, o come oscuro conato di svol- gimento vitale, o come istintivo desiderio e bi- sogno, nel mondo umano esso si anima, s’illumina e si determina come potere di conoscere e d’idea-   RESOR ORIONE TRIADE RESERO   pi:   IL PROBLEMA DELLA MORALE 267   lizzare le perfezioni che convengono alla propria natura, ovvero il bene a cui questa è ordinata e che è il termine del suo irrequieto desio, e come facoltà di recare in atto, consaputamente e volu- tamente, quelle perfezioni concepite in idea, tra- ducendone l’ imagine in norma del vivere e del- l’operare.   Ma, quali sono queste perfezioni e quale è il fine e l’ideale dell’umana natura? E, se il bene è equivalente del fine o del rapporto di convenienza dell’essere a quel fine, quale sarà, adunque, il bene umano ? E quali, di conseguenza, i criteri onde riconoscere ed identificare e giudicare la condotta morale buona e la condotta morale cattiva ?  Signori, la risposta a queste domande, che in- vocano, a maggior riprova dell’ assunto, una de- terminazione del contenuto della coscienza mo- rale (1), è implicita di già in quanto si è detto fin qui per riaffermare il valore della coscienza e la verità del principio delle cause finali.  Se la notizia del fine di ogni essere si desume, secondo il sovrano insegnamento aristotelico, da una disamina delle forme e delle attitudini costi-   (1) È superfluo notare che la determinazione del contenuto della coscienza morale è un’ esigenza alla quale può sfuggire, deve, anzi, sfuggire, per logica immanente della tesi, il formalismo etico, non già una teoria teleologica come la nostra. La quale reintegra il giudizio sul valore obbiettivo e materiale dell’azione, posta in rapporto col fine supremo dell’operare , e lo compone in armonia col criterio del puro apprezzamento subbiettivo e formale, ed, in ultima istanza, non già ritraduce il bene nell’ obbligazione , ma fonda l'obbligazione sul bene.   268 IL PROBLEMA DELLA MORALE   tutive ed essenziali dell'essere medesimo , il con- tenuto del fine umano o dell’ideale dell’ umana natura ci sarà testimoniato da un’analisi diretta di quello che forma il principio particolare di azione e la precipua prerogativa ed autonomia onde l’uomo sì differenzia da tutti gli altri esseri del cosmo. Il che vuol dire che, per penetrare i fini dell’ u- mana natura, bisogna far capo, anche qui, al su- premo magistero della coscienza, perchè è dessa, appunto, che segna il principio di azione dell’u- manità in quanto tale o il’ umana autonomia nel sistema dell’ ordine universale. Il contenuto del bene umano ci sarà reso, adunque, ed attestato da una disamina della coscienza; il termine, al quale ella mira e nel quale le sue potenze rin- vengono il loro pieno appagamento, segnerà il fine dell’ umana natura e la regola dell’ operare umano, per virtù di quella legge ontologica uni- versale, onde ogni essere non può rinvenire il pieno suo bene che nell’equazione di sè a sè me- desimo e nel serbar fede alla propria natura. Ora, a chi penetri addentro le funzioni proprie della coscienza, così quelle di ordine teoretico che si riassumono nell’astratto termine della ragione, come quelle di ordine pratico ed attuoso che si riassumono nel termine generale della volontà, si parrà evidente e luminosa una specifica proprietà di esse ed uua vocazione precipua che le anima: quella di superare l’àmbito delle rappresentazioni individuali e delle apprensioni sensitive, e di ri- flettere l’ordine obbiettivo ed universale degli es- seri; quella di assurgere e di liberarsi dai limiti   IL PROBLEMA DELLA MORALE 269   del soggetto, per divenire, quasi, l’universo, e di oltrepassare i termini dell’ egoismo personale in un’espressione ed effusione di simpatia verso le altre esistenze.  Il fine dell’ umana natura è, adunque, di tal sorta che urge e sollecita l’uomo a superare i ter- minì della propria esistenza individuale, e, come spirito logico, lo invita a contemplare in idea l’ordine obbiettivo degli esseri, senza turbare l’ob- biettiva purità dell’idea con gli elementi subbiet- tivi della rappresentazione, e, come spirito etico, gli prescrive di non collocare il proprio io empi- rico ,- individuale, soggettivo, a centro e misura del mondo, di non ripiegare e consumare in sè medesima l’attività, essenzialmente espansiva, Cel volere; ma, in quella vece, di riconoscere con vo- lontà amica le altre esistenze e le altre vite, giu- dicandole, apprezzandole ed amandole in ragione del grado che ad esse si spetta nell’ordine e nella gerarchia delle autonomie e dei fini.  Le ragioni del bene e del male sono esatta-   meute determinate in questa concezione; e la ra-.   dice del bene morale sarà nel rispetto e nell’ a- more ordinato degli altri esseri, e la radice del male morale nell’egoismo , ossia nel rigido, asso- luto, esclusivo amore di sè, del proprio io empi- rico, della propria individuale esistenza. Condotta morale buona sarà quella dell’ uomo che modera i moti e gl’impulsi egoistici dell'appetito e vive in istato di comunanza e di correlazione simpatica coi suoi simili, e nei suoi modi di agire osserva l’ordiue di graduazione degli esseri e dei valori   270 IL PROBLEMA DELLA MORALE   ed ai mezzi riconosce la ragione di mezzi ed ai fini la ragione di fini; e condotta morale cattiva quella dell’uomo che, per angustia e ripiegamento di visione, invanisce di sè e dell’ orgogliosa indi- vidualità sua, e si pone di fronte ai simili in at- titudine di ostilità e di contrazione di spirito, ed all’ordine obbiettivo dei valori e delle autonomie sostituisce l’arbitrio suo, gli esseri che han ragione di fine degradando a mezzi ed istromenti del suo immoderato ed infecondo amore di sè. E poichè le vittorie sull’egoismo radicato nell’individuale esi- stenza e le relazioni di rispetto e di amore verso i simili sono suscettive di maggiore o minore in- tensità e plenitudine, si ha come una gradazione ed una scala ascendente delle forme della coscienza morale, ed ai gradi più bassi corrispondono quei modi della condotta ch3 cadono sotto lo stretto dominio della legge e sono di perentoria obbliga- zione — vale a dire, il riconoscimento ed il ri- spetto, meramente negativo, dàlle esistenze e delle prerogative degli altri — ed ai gradi superiori del- l'eccellenza morale corrispondono gli atti positivi di amore, di carità e di sacrificio spontaneo, che non sono di stretta obbligazione, ma rappresen- tano un ideale superiore di perfezione, al quale perviene la coscienza dell’eroe e del santo. (1)   Il massimo trionfo dello spirito etico è nel   sottoporre ad esame la legge dell’ individuazione e dell’egoismo, alla quale la media delle coscienze   (1) Rosmini, «id., cap. IV.   — a   IL PROBLEMA DELLA MORALE 271   umane soggiace irriflessiva ed acquiescente, e di svelare la scarsità di valore dei limiti e delle con- dizioni dell’ esistenza individuale e l’ inanità e la radicale manchevolezza dell’io empirico e sogget- tivo. La coscienza dell’ eroe e del santo attinge questo supremo fastigio dello spirito etico e su- pera definitivamente l’intuizione del mondo c della vita che giace nel seno dell’anima egoista. A ttra- verso le apparenze della molteplicità e. della di- versificazione individuale, essa riconosce la comu- nione e l’identità di natura, ed intende che quello che differenzia gl’individui, e li colloca l’uno fuori dell’ altro e l’ uno contro dell’ altro , è, non una legge dell’essere in sè, ma un dato della rappre- sentazione fenomenica e della percezione empi- rica ed immediata, ma la forma intuitiva dello   spazio che ha valore fenomenale e soggettivo. (1)   Così ella perviene alla critica più alta dei motivi onde s’informa la condotta morale dell’egoista; il quale non penetra nelle profondità della sua ani- ma, nè, quindi, indovina l’ intima parentela che l’affratella alle altre anime nell’ unità dell’ umana ‘natura, perchè la sua visione è, non di dentro, ma dal di fuori, perchè egli non contempla l’io con limpidità e traspareuza di visione, ma attra- verso la rifrazione e la proiezione di esso nello spazio : coscienza opaca, nella quale non penetra il lume della verità e della sapienza.  L’eroe ed il santo, pervenuto a questa critica   (1) Schopenhauer — Ueder das Fundament der Moral. IV. Zur -   metaphysischen Auslegung d. ethsschen Urphaenomens.   #   272 IL PROBLEMA DELLA MORALE   dell’individuazione, comprende che l’ideale supremo dell’umana natura è il sacrificio spontaneamente accettato della propria esistenza individuale alla legge dell'amore, e l’immolazione di quello che nella nostra natura è caduco e fallace a quello che è in essa d’immortale e di divino. Edotto dalla esperienza crucîale del dolore e della morte sul vero significato e sul vero valore della vita, egli intende che l’ultimo fine dell’ umana natura non può essere il culto del piacere, o di quell’ef- fimero voler vivere che profonda le sue radici nella coscienza bieca e greve dell’egoista, ma la devo-. zione del dovere e la volontà di rivivere in una forma di vita superiore, che restituisca alla per- sonalità individuale quella significazione e quel valore universale ed infinito di che essa difetta. E gli par chiaro e luminoso che vivere nello spazio e scorrere col tempo non è un vivere vero e du- raturo, ma un essere ed un cessare di essere ad   | ogni istante successivo della durata, (1) e non è ;f propriamente un vivere ma un essere vissuti; e » la vita gli si rivela e gli si discopre, non come | uno stato che si consumi nell’ esistenza indivi-   Auale, ma come un processo che si espande, si ‘rigenera e si perenna nella similitudine degl’ in-   {dividui, nella continuità della specie e nell’unità   germinale dell’umana natura, un processo di con- tinua corrosione e di continua rinascita, una sin- tesì dialettica del morire e del rivivere, un mo- rire alla vecchia vita per rinascere nella nuova,   (1) Laberthonnière, Le dogmatisme moral (Paris, 1898), p. 87.   IL PROBLEMA DELLA MORALE 273   un disintegrarsi dell’esistenza individuale per una reintegrazione nell’esistenza universale, un morire a sò medesimo per rivivere negli altri.  E rivivere negli altri è recare in atto l’amore e la carità piena ed intiera, nel vario giro delle relazioni sociali, nella famiglia, nella patria e nel- l’umanità: perchè, come l’ amore fisico è la pro- creazicne nel bello, quale apparve al luminoso in- telletto di Platone, così l’amore morale e la carità è la procreazione nel bene , ed essa sola può as- sicurare all’esistenza individuale quell’infinito va- lore e quell’esistenza immortale che è consentita alla caducità dell’individuazione.   Pervenuta a questo grado di perfezione ed a tanta luce di visione ideale , la coscienza morale penetra la radice metafisica delle cose e compie non solo un ufficio etico, ma, altresì, un altissimo ufficio teoretico. |  Superando le apparenze dei sensi e le illu- sioni dell’esperienza immediata, essa oltrepassa la vicenda dei fenomeni e del relativo, che forma l'oggetto delle scienze positive, e contempla l’or- dine del mondo in-sè ed attinge le ragioni su- preme dell’assoluto. I  La ragion pratica risuscita il mondo ideale mortificato dall’analisi della ragion pura: la virtù si rivela maestra come del vivere, così del sapere; la coscienza morale, lo sterile ed inerte epifeno- meno respinto dall’ambito delle scienze teoretiche in omaggio all’ obbiettività del dato, si annunzia come criterio insuperato del vero.   I. Petrone. — Problemi del mondo murale. 18   —   i   274 IL PROBLEMA DELLA MORALE   Se non che, un nuovo problema, acuito e reso più arduo dalla stessa nobiltà ed eccellenza di questa intuizione della morale, si presenta, qui, al nostro esame. È il problema che tocca non più      DO contenuto, ma della forma della coscienza mo-   rale, e per forma s’intende di dire quella speciale   ‘maniera di connessione o quel particolare rap- : porto onde la coscienza morale è legata al fine o° al bene a cui ella mira, ossia quella singolare at- ‘titudine di esigenza e di comando che le finalità   e le idealità dell’ umana natura, in quanto sono poste e riconosciute come norme ed idee diret- trici dell’operare, assumono e conservano verso le determinazioni e gli atti del volere.  Forma, si noti, essenzialmente costitutiva del- l’atto morale e che è comune, di conseguenza, a tutte le gradazioni nelle quali procede la feno- menologia dello spirito etico ; perchè il gran fa- stigio della coscienza dell’eroe e del santo sta se- gnatamente in ciò, nel riconoscere sotto forma di un irrefragabile dovere e di obbligo stretto e pe- rentorio anche quello che non è se non un ideale superiore ed inesigibile di perfezione.  Donde nasce e perchè questo sentimento a- maro e penoso cdi obbligazione, onde noi siamo . non dolcemente invitati ed attratti, ma coattiva- mente e duramente vincolati verso le azioni che sono connesse necessariamente col raggiungimento   del fine dell’umana natura ? Questo fine non se-   gna, esso, la perfezione dell’esser nostro, l’ideale della nostra natura, il termine del nostro irre- quieto ed iinpaziente desiderio , il pegno della   IL PROBLEMA DELLA MORALE 275   nostra beatitudine? Perchè, adunque, esso non è sentito che sotto la forma di un rude imperio, e non è operoso che attraverso il dolore e lo sforzo, e non è tocco e raggiunto che da pochi eletti ed anche da questi, dopo una laboriosa cruciale espe- rienza dello spirito? Come accade che quel fine e quel bene, che, in un certo senso , è dentro di noi, perchè segna il tipo esemplare della nostra vera e profonda essenza e l’ accordo o l’ armonia di noi con uoi medesimi, è, tuttavia, collocato così in alto e sopra di noi, che tra esso e la vo- lontà nostra non passi altro rapporto che quello segnato dal comando e dall’imperio, da una parte, e dall’ obbedienza e dalla sudditanza, dall’altra, un nesso non intrinseco, ma estrinseco, non im- manente ma trascendente, non autonomo ma ete- ronomo ?  Non è legge di ogni natura il tendere neces- sariamente verso i termini di sua perfezione ed il conseguire l’equazione di sè con sè medesima? Come e perchè, adunque, tale tendenza non opera spontaneamente e necessariamente nel processo umano, ma è soggetta all’azione di un potere, che, ponendosi in contraddizione di sè e della natura e della destinazione dell’ essere al quale appar- tiene, ne devia, ne perturba, ne contamina il pro- cesso ® E donde scaturisce e perchè questo interno dissidio fra la natura e sè medesima, fra l’ essere ed il dover essere, fra la necessità fisica e la ne- cessità morale, fra quello che si vuole e quello che si deve, fra il reale e l’ideale ? |  Ohe la legge del bene vanti, a buon diritto,   — 276 IL PROBLEMA DELLA MORALE   una forza autoritativa ed imperativa sul volere e sull’operare dei soggetti coscienti, non v’ha dubbio di sorta, perchè il bene segna, appunto, il ter- mine ideale e la perfezione finale degli enti, ed è legge di ogni essere, come si è cennato innanzi, il serbar fede alla propria natura ed il non venir meno a sè medesimo. Il valore assoluto del do- vere si porge, in tal caso, come una pura infe- renza analitica del valore assoluto del bene. Ma il problema della legittimità del dovere, risoluto e scongiurato in un senso, risorge, non meno im- perioso di prima, in un altro. Donde si origina, adunque, quella sproporzione e quella distanza infinita tra il bene e l’essere, sproporzione e di- stanza che, si voglia o non si voglia, sta a base dell’efficienza categorica dell’imperativo e dell’as- solutezza formale del dovere, ed è resa visibile e sensibile in quel sentimento amaro di eteronomia che è inerente nell’obbligazione morale ? Perchè, dopo tutto, è evidente che quell’attitudine di so- ‘vranità e di dominio, che la legge morale assume ; verso la volontà umana, accenna ad un distacco i infinito dell’ una dall’ altra, ed è manifesto che | l’imperativo categorico segna come l’ eco miste- riosa e profonda di un di là inattingibile, o di un volere e di un potere assoluto, che è irreduttibile   ai modi ed alle forme relative, nelle quali si con- .   tiene e si convelle il potere ed ii sapere ed il vo-   .\Iere umano.   A questa forma nuova, nella quale a noi si porge il problema del dovere, risponde adeguata-   IL PROBLEMA DELLA MORALE   277   mente la psicologia umana. Il dissidio fra la con- dotta morale doverosa e la condotta di fatto, fra l’ideale ed il reale, fra il dovere e le forme em- piriche del volere, mette capo ad un dissidio più grave ancora, e più complesso: al dissidio pro- fondo, radicale, immedicabile dell’umana natura: alla lotta fra l’homo noumenon e l’homo phoenome- è a non, fra le potenze superiori della coscienza e gl’impulsi inferiori dell’appetito , fra la ragione e la sensibilità, fra quello che in noi è sovranamente valevole ed immortale e quello che in noi è man- chevole e perituro. Nell'uomo si agitano, si con- vellono, si urtano due volontà, due anime diutur- namente antagoniste: l’una, che, affaticata dal- l’indigenza dell’infinito, mira ad un di là dal li- mite umano; l’altra, che gravita in giù, soffocata sotto il peso greve della materia. Come. tutte le esistenze superiori dell’universo, la natura umana   è complessa, bilaterale, disimmetrica, e   e l’unità del-   l'individuo umano è lacerata da un’ ingenita dis- |   scordia interiore di elementi e di principî di a-!-*   zione, della quale non è possibile una composi-. ziune spontanea, ma solo una composizione con- , sapevole, laboriosa e riflessa, quale è quella se- } gnata dallo spirito etico e dalla coscienza morale.   La moralità ed il sentimento del dovere può; il gran momento   dirsi che sia, per tal rispetto,   | dialettico della natura, ossia il saggio di riconci- |   liazione della natura cou sè stessa, dell’essere col fine, della volontà col bene.   Se non che, questa soluzione dialettica non è uno stato ma un processo, non un possesso ma e RP   Son IATERICNCO nale alcol e lle ia lio pi   n A AZZ I   E PRETE   nie   SÒ Srl   Cesa   Î   Ù   (sE |   +’   I   {   278 IL PROBLEMA DELLA MORALE   un conato, non un atto ma una virtualità, non una spontaneità ma uno sforzo: non una pace, sarei per dire, ma una tregua, una tregua labile e passeggera, ma un’ assidua vicenda di trionfi e di sconfitte, di esaltazioni e di cadute, un inces- sante divenire, in cui non si estingue mai il senso della penosità, dello sforzo, del sacrificio, sotto la pressione dolorosa di un ruvido imperio.  Perchè, insomma, l’uomo è l’anima nobile, s0- vra la quale esercita i suoi imperscrutabili espe- rimenti una legge di sublime e paradossale signi-   ;ficazione ; perchè l’ uomo, prodotto dalla natura, ha in sè un potere che lo sollecita ad intendere, }& superare, a negare la natura e, attraverso un la-   borioso processo di approssimazione verso un di   \ là da esso, lo urge a valicare il proprio limite ed   a reintegrare il mancato equilibrio in una forma superiore di esistenza.  La subordinazione dell’ appetito alla volontà, della sensibilità alla ragione, della materia allo spirito, non simboleggia un idillio ma un dramma,   {ed è una sintesi d’ improba acquisizione, che ri-   È   dem   sente tuttora le acri punture dell’analisi, dell’anti- tesi, della lotta; lotta assidua, perenne, contro ton- tazioni un istante superate e nell’istante succes- sivo rinascenti, scongiurate mg non eliminate, at- tenuate ma non dome.   “> Ogni gestazione è laboriosa e non v’ha forma   | di generazione che non proceda con dolore e con ! sforzo; perchè ogni generazione è produzione d’un   \altro da sè e si annunzia come una disintegra- zione del generante nella genitura. L’ ordine mo-   Lr me PO   IL PROBLEMA DELLA MORALE 979   rale non si sottrae a questa legge ontologica uni- versale, e l’eteronomia insidente nell’obbligazione è lo sforzo ed il dolore che si associa alla gesta-. zione della virtù. si  L'ordine morale non è uno dei termini di una | / serie continua, ma un assoluto cominciamento : | ei non una sintesi causale degli antecedenti della natura, ma una forma di vita nuova, una sintesi creatrice che li supera e trascende di proporzione infinita. (1) Come ogni sintesi creatrice, esso sa nunzia uma soluzione di continuo, una lacerazione, : un hiatus: e segna non un facile e spontaneo ©»; passaggio da una ad un’altra maniera del relativo, ma una elevazione malagevole e faticosa dal re- lativo all’assoluto. L’imperativo ne è 1’ esponente fedele e la forma costitutiva, perchè l’imperativo, come rapporto di trascendenza, di sovranità e di comando, è, appunto, una relazione eteronoma dal- l’assoluto al relativo, dall’infinito al finito. Come la creazione è lo scandalo delle scienze della na- ‘ tura, così il dovere è lo scandalo delle scienze DI corali : nessì e rapporti di termini incommensu- |; rabili, l'una e l’altro, e, quindi, salti mortali, en- trambi, al cospetto del principio di causa efticiente ; e di continuità dei cangiamenti.  Epperò, il dovere è sentito dal soggetto come una perturbazione ed una negazione ed un limite che incomba dal di fuori, come un assoggettamento dell’essere ad un altro e ad un sopra di sè; e la mediazione sublime che esso interpone tra la leuge   x   (1) Z limiti del determinismo scientifico, cap. I.   \- pr - 4 II   280 IL PROBLEMA DELLA MORALE   del bene e la volontà nostra non perviene che ben di rado a creare fra l’una e l’altra quel rapporto di intimità e di comunichevolezza e penetrazione reciproca, che solo giova a scemare l’asprezza del contatto, la pressione del dominio, il senso della limitazione e della servitù, la puntura dello sforzo.   Quest’immedicabile dissidio tra la legge e noi, , ossia tra la legge e quella parte di noi che è l’a- ‘ spetto manchevole della nostra natura, appare una | disarmonia nell’ordine dell’universo e non appaga l’intendimento, ricercatore di simmetriche coe- renze. La fatica cd il dolore che costa la virtù e   I l'adempimento del dovere, e donde sì originano . Î tutte le violazioni della legge della morale chia- {   ritasi troppo in antitesi alla spontaneità del voler vivere ed all'impulso del piacere, trae lo spirito ‘ sofistico, e sollecitato dalle insidie del senso, a | dubitare della verità e del valore della legge del ‘bene. Ed un fine superiore alle manchevoli po- tenze dell’essere non appare più, allora, come un   fine legittimamente prefiggibile all’ essere stesso;   e non s’intende che la nozione del fine involge }v per sè una certa disarmonia tra la potenza e l’attualità dell’essere, e che il rapporto dell’essere verso il suo fine non è assimilabile ad uno stato \ma ad un processo, e non ad una equazione com- piuta ma ad un’approssimazione laboriosa ed ine- sausta. E, certo, in sulle prime può parere desidera- bile che l’ordine morale si avveri per legge inde-   IL PROBLEMA DELLA MORALE 281   fettibile di necessitazione fisica, e che l’uomo sia costituito siffattamente da tendere con tutta spon- taneità verso il bene dell’umana natura. E cen- surabile sembra il principio agente dell’ universo   per aver confidato alla libertà, a questo potere bila- |   terale e passivo di direzioni antagoniste, a questo novo scandalo, a questa nova dissimetria (1) dalla natura, che si afferma come il correlativo indi spensabile di quell’altro scandalo e di quell’ altra dissimetria che è il dovere, per aver, dico, con- fidato a questa libertà, ambigua, equivoca, labile, capricciosa, l’attuazione di uno scopo così urgente   e rilevante, qual è l’adempimento del fine dell’u-   mana ratura.  Ma qui si deve rispondere che, ove l’ ordine morale si avverasse per un gioco di necessitazioni naturali o per virtù spontanea e necessaria ed u- nivoca direzione delle potenze dell’ essere, esso cesserebbe, per ciò stesso, di essere un ordine morale e diventerebbe un ordine fisico. L’ uomo non sarebbe egli più 1’ attore del mondo morale, ossia della virtù. e del merito, ma lo strumento e la mediazione nell» quale opererebbe inconsaputo l’ordine necessario della natura.  La virtù non è meritoria che quando costa all’anima dolore e fatica; e la condotta non è mo- rale che per l’idea e l’abito del dovere che l’in- forma. La causalità creativa ed attuosa della co- scienza morale è tal privilegio che l’uomo sconta con la pena e con lo sfurzo inerente al sentimento   (1) Z limiti ecc., cap. IV. I limiti del determinismo psicologico.   I O aa ia   282 IL PROBLEMA DELLA MORALE   di obbligazione ; ma la gestazione della virtù ed un atto solo di bontà, di carità, di sacrificio, l‘- beramente voluto e compiuto contro le male sug- gestioni dell’appetito, è così gran cosa nell’ordine dell’ universo e così infinitamente preziosa e ve- nusta, che esso basta da solo a redimere il pec- cato e lo scandalo dell’eteronomia e dell’arbitrio.   E così noi abbiamo tracciato la soluzione del problema della morale, quale sorge dall’ intimo di una intuizione del mondo, che reintegra le ra- gioni dello spirito etico e riconosce alle cause fi- nali quel valore che arbitrariamente si nega dal naturalismo.  È certo — chi ne guardi il contenuto — una soluzione pregna d’idealismo, la quale, se appaga le più profonde e sane esigenze della coscieuza morale umana, non accontenta l’irrequieto spirito d’indagine critica e dubitativa che torma l’ abito del razionalismo scientifico. Essa sì fonda sovra principi contraddetti dall’esperienza immediata ed annunzia esigenze ripugnanti a quella legge fon- damentale e radicale di ogni esistenza individuale, che è la legge dell’egoismo. Essa presuppone una visione del mondo che abbia definitivamente su- perato gl’inganni della rappresentazione fenome- nica, le illusioni dell’io empirico, le tentazioni e le sollecitazioni dell’appetito. La media delle co- scienze umane ricalcitra alla legge della carità, dell'amore, del sacrificio; la media delle coscienze umane protesta, in nome dell’ esperienza e della percezione immediata, contro questa negazione delle differenze individuali, contro questa ricusa-   LI LEI II O] LS n ND nt ù i È Da Sn” afinani aac SR Ri ie o   IL PROBLEMA DELLA MORALE 283   zione spietata dei diritti imperiosi. dell’ io empi-   rico, dell'io personale. Questa intuizione della mo-   ralità è troppo alta per l’umana debolezza e sembra sì poggi su quel sublime paradosso, per cui l’uma- nità, prodotto della natura, supera e nega la natura medesima e la trascende di sproporzione infinita.  Se non che, niun sistema morale può essere giudicato alla stregua dei criteri della certezza scientifica, e vittima di pericolosa illusione sa- rebbe quel moralista che avvisasse di risolvere trionfalmente il problema della morale con una data serie di argomentazioni dottrinali. La mora- lità dee avere in suo favore delle prove dimo-   strative, perchè non appaia un ordine assurdo ed.   irrazionale; ma, nel tempo stesso , non dee poter essere tutta dimostrata con la ragione, perchè, ove lo fosse, la condotta morale .buona sarebbe non più un atto meritorio di virtù e di rinunzia, ma un’adesione o una capitolazione necessaria ad un ordine di evidenza razionale.  L’essenza dell’atto morale è in un acconsen- timento volontario ed in un abito di fede attuosa e vivente, nella quale si estingue ogni motivo   d’indagine dubitativa, ogni punta di critica ra-   zionale, ogni stimolo di agitazione teorica. Lo spi- rito scientifico ha per sua forma e condizione la ricerca, lo spirito etico la credenza: delle quali, l’una è adesione dell’ intendimento per pienezza di dimostrazioni e di pruove, l’altra è consenso spontaneo e vocazione amica della volontà per simpatia ed amore. La credenza, invero, è fede per amore della cosa in che si crede, ed è virtù e privilegio dell’ amore non chiedere all’ oggetto   CI Sn neniore VI   *   984 IL PROBLEMA DELLA MORALE   amato i titoli e le prove del valor suo, ma obliarsi in quello e smorzare, in un abbandono di sè, ogni acre puntura di diffidenza e di dubbio. -.  Se è vero, in un senso, che, per amare una cosa, bisogna prima conoscerla, è più vero an- cora, in un altro, che, per conoscere una cosa, bisogna prima amarla. Le esigenze imperiose della vita e dell’azione non piegano nè acconsentono agl’ indugi ed alle inibizioni della critica; e nel- l’uomo, che per credere ed agire aspetta di aver prima delle idee adeguate, la ragione e l’ acuzie della coscienza ha inaridite, per volerle analizzare, le sorgenti del vivere. La conoscenza adeguata, giova ripeterlo, non è l’effetto calcolato di una riflessione orgogliosa, ma il premio inatteso di un atto di fede e di rinuncia e di un abito di con- templare le cose con intelletto d’amore.  La moralità è il prodotto di una elezione me- tafisica tra le due ipotesi antagoniste che il ma- terialismo e l’idealismo hanno enunciato in ordine all’umano destino : una scelta metafisica, dico, e che solo in poca parte vien determinata e suffra- gata da motivi e da prove di certezza razionale, ma, nella parte maggiore e migliore di sè, segna un atto di libertà assoluta dello spirito.  Io non conusco nulla di più bello e di più schiettamente e gagliardamente virile che lo stato di coscienza dell’ uomo, che, mirando il proprio ideale, può dirgli:  Io ti ho amato prima di averti conosciuto e solo per un vago presentimento che avevo di te. Nessuno dei motivi più forti dalla mia labile na- tura m’invitava a seguirti. I sensi ricalcitravano   vi PI I I n pn mn bd dro . e ir NS fanti mn Coal Peet peo   IL PROBLEMA DELLA MORALE 985   al tuo comando severo ; la ragione, mortificando col veleno della critica le radici della vita, m’im- poneva di domandarti le prove- della tua esistenza; l’egoismo, che si annida nel fondo recondito della mia esistenza individuale, mi suggeriva che tu non eri che un vano fantasma; ma io ti amavo troppo per non indovinare, attraverso le appa- renze manchevoli, la tua bellezza invisibile, e le lacune, che altri vedeva in te, ho colmato con abbondanza di cuore, ed ho fatto di te, nella mia anima, un oggetto di culto ed un’opera d’arte. Altri si assideva, di fronte a te, in veste arcigna di indagatore e di giudice; e tu gli sfuggivi, per- chè egli non era in te ma fuori di te, e tu non ti riveli che a chi ti desidera e non ti doni che a chi ti ha donato sè stesso. Io preferii amarti per ef- fusione di fede semplice ed umile, e non ti giu- dicai dal di fuori, come un. altro da me, ma ti ri- mirai come l’imagine radiante ed il tipo esemplare della mia rinnovellata e redenta natura. E lasciai che gli uomini dall’anima greve ed angusta chiu- dessero il loro cuore alle rivelazioni del nuovo e dell’inaspettato e sì contraessero nello sterile or- goglio della venerazione di un Dio conosciuto, e nella mia anima serbai un posto per l’ospite inat- teso ed eressi un altare al Dio ignoto! (4)   (1) Amiel, Fragments d’un ‘Journal intime. (Genève, 1898) I 86 — « Fais en toi la part du mystère, ne te laboure pas toujours tout entier du soc de l’examen, mais laisse en ton coeur un petit angle en jachères pour les semences qu’ apportent les vents, et ‘réserve un petit coin d’ombrage pour les ciseaux du ciel qui pas- sent: aze en ton îme une place pour l’héte que tu n° attends pas et un autel pour le dieu inconnu....   ù . RO lE “   LI ti         “   RS      IL VALORE DELLA VITA ®   Il valore della vita è il problema umano per eccellenza , quello che domina ed impronta di sè tutti gli altri problemi della scienza e della in- tuizione del mondo. Il voler vivere ed il bisogno di vivere e di dare alla vita un senso ed un va- lore qualsiasi è il fatto fondamentale della nostra natura, la premessa delle premesse , la radice ed il termine di tutte le funzioni del nostro organi- smo, di tutte le attività della nostra anima. Tutti ci domandiamo, ogni giorno , che cosa è la vita, qual senso e qual valore si abbia questa nostra esistenza caduca e fuggitiva, che pur deve averne qualcuno, e tutti ci punge, al cospetto del dolore e della morte, il dubbio amaro, che essa non ne abbia nessuno e che la vita, così com'è, non valga la pena di viverla. |  E la scienza, — la scienza si subordina an- ch’ella ai fini della vita e non ha valore che per quelli. Essa non intende a conoscere per cono-   (1) Discorso letto nell’aula magna dell’ Università di Napoli, per la solenne inaugurazione dell’anno accademico 1991-1902.   288 IL VALORE DELLA VITA   scere, ma a conoscere per fare. Le sue esperienze, ie sue equazioni, ì suoi simboli mirano, in ultima istanza, ad assicurare all’uomo l’ azione ed il do- minio sulla natura, ad assicurare, cioè, lo sviluppo progressivo delle energie della vita. Nel corso del suo laborioso processo essa oblitera visibilmente codesto nesso finale con la vita. Ma è una di- menticanza passeggera, dovuta alle necessità del- l’analisi. Cooperare allo sviluppo della vita, è il sottinteso di tutte le ricerche della scienza: sot- tinteso che opera inconsaputo ed occulto, ma che si svolge al lume della consapevolezza, non ap- pena la scienza ritorni sopra di sò e si renda ra- gione dell’esser suo e comprenda che essa è, dopo tutto, una gran funzione ausiliare e protettiva della vita.  Per questo motivo, chiamato dalla benevo- lenza dei miei onorevoli colleghi ad associare la . mia povera parola di studioso a questo solenne rito augurale, io ho scelto a tema del mio discorso, il valore della vita. Ho pensato di avvalorare l’u- miltà dell’ingegno con l’altezza del soggetto ed ho voluto agitare un problema universale, che po- tesse interessare tutti ad un modo, uomini di scienza ed uomini che non lo sono, un problema, tolto il quale è tolto al sapere ogni significato ed   ogni valore.   * * *   Il proporsi la vita come un problema da ri- solvere è una prerogativa, forse dolorosa, certo indeclinabile, della natura umana. |  Gli esseri inferiori vivono, senza domandare   IL VALORE DELLA VITA 289   il perchè della loro esistenza. Più che viventi, si direbbe che essi sieno vissuti dalle spontanee e-'   nergie della vita. L’animale, fornito provvidamente . della sola intuizione diretta, nou si rende ragion riffessa della sua esistenza. Non la contempla o la pone al di fuori come un altro da sè, come og- getto di meraviglia, di curiosità, di ricerca. La sua coscienza sorda ed opaca si compenetra con la vita e fa tutt’uno con essa.  È solo nell’uomo che la natura perviene alla coscienza di sè e diventa oggetto a sè medesima di contemplazione, di meraviglia, di esame. Ed è solo nell’uomo che l’unità indistinta ed originaria della vita si spezza e rifrange in due parti o in due forme eterogenee ed antagoniste, e crea, quasi,   dal fondo oscuro della sua realità, l’imagine o il, duplicato ideale di sè medesima. Da un lato, la‘   | vita come fatto, dall’altro, la vita come idea; da un lato, la vita come forza operosa e spontanea, come impulso cieco ed istintivo, che non sa nè di perchè nè di come, che ha la sublime irresponsa- bilità e la sublime impassibilità del fatto, che è senza ragione e senza fine, perchè è ragione e fine a sè medesima; dall’ altro lato, la coscienza, non più assorta ed implicata nel fondo della vita ma emersa e separata da essa, e che la riflette e con- templa oggettivamente e le si pone di fronte in   attitudine d’inquisitrice e di giudice e non si ristà . dal domandarle la ragione ed il fine dei suoi mi-   steriosi processi. | L’unità e l’integrità funzionale dell’uomo ap- pare come divisa in queste dune vite, l’una diretta,   I. Perrone. — Problemi del mondo murale. 19   Ù   290 | IL VALORE DELLA VITA   l’altra riflessa, l’ùna reale, 1’ altra ideale, le quali seguono invariabilmente l’ una all'altra, come l'ombra al corpo. Egli si dibatte nelle strette an- gosciose di questo interno ed originale dissidio, ed indarno invoca e sospira dalle profondità del suo essere, quasi per lampo d’intuizione o di re- miniscenza nostalgica, il ritorno all’ unità primi- tiva. La ragione non cesserà mai di chiedere alla vita che ella abbia un senso ed un valore; la vita, che è sottratta agli schemi della ragione, non ri- finirà mai dal contristare la coscienza con lo spet- tacolo dei suoi assurdi, dei suoi errori, dei suoi inesplicabili enigmi. Invano egli si sforzerà di ab- buiare la coscienza nella vita: più invano ancora i egli tenterà di costringere la vita, questa cinica refrattaria, ad arrendersi obbediente alle illusioni  della coscienza. La lotta perdurerà tuttora incon-  ' ciliabile, inesorabile, perchè la lotta è originaria,  { perchè la coscienza si è contrapposta alla vita,  ‘dirò meglio ancora, perchè la vita si è divisa È ; 4; (dalla vita. =, { A Da; dr (A3* i 7A re vnbnitpes L Live® )  ° » gta ca ele Bueitalo: li ei fp Selle Gite TL PO. A II reati: PRU   Ù i È vp ei 14 2° î Dei LUI Fi 1 i ce;   LL   La radice di questa antitesi tormentosa e di questo ingenito malinteso, onde la vita appare come nemica ed infedele a sè medesima, è nel ; grande errore e nella grande ed originaria illu-  sione della nostra coscienza; l’errore e l’illusione ; individualistica.  La coscienza, che riflette la vita, non è unica  ma plurima, nòn universale ma individuale. Ne   IL VALORE DELLA VITA 291   segue che la vita rispecchiata dalla coscienza si colora anch'ella dei fallaci riflessi dell’ individua- zione, e la vita individuale, povero frammento di- velto dall’unità dell'insieme, povero nulla che si crede tutto, si contrappone alla vita universale.  Conoscendo il mondo e la vita, l’uomo tende, di sua natura, a conzepire quel mondo e quella vita secondo l’angolo visuale della sua personalità individuale, del suo io limitato e soggettivo. L’in- telletto che lo illumina, e che è un elemento iso- latore e discriminante per eccellenza, lo contrae e lo concentra nei termini della sua coscienza im- mediata, dall’ alto della quale egli contempla e giudica il mondo.  Egli è, bensì, un oggetto ed un prodotto della SA come ogni altro degli esseri, ma è, /   |   ad un tempo, il soggetto conoscente della natura i   medesima. In quanto oggetto, egli si sente una quantità trascurabile nell’ infinitudine delle esi- stenze e dei cangiamenti : ma in quanto soggetto, egli si sente di valore infinito. Egli fa capo al mondo ed agli altri in quanto oggetto ed in quanto vita, ma il mondo e gli altri fan capo a lui, in quanto egli è soggetto e coscienza. Egli non esi- sterebbe come realtà, senza il mondo e gli altri: ma gli altri ed il mondo non esisterebbero come rappresentazione, Lenza di lui.  —Traviato da queste apparenze della conoscenza, l'individuo umano pone sè a centro dell’universo, ed immagina che il mondo e la vita sieno per lui, e non egli per la vita e pel mondo. Chiuso nel-   SERI GNSNZA di so, RAECRO inconsapevole, egli si   rea n° i a cn (E s  LA La Rie Ò ao lago See 7 sp)  peu SOA A E I i li   4   a ‘   “x   / \   Ello snniini   fr io "   2992 IL VALORE DELLA VITA   figura che le leggi della vita universale sieno or- dinate al benessere del suo io. E l’infinito dello spazio e del tempo gli par poca cosa o punto a petto della sua povera persona effimera, fugge- vole, caduca, la quale, per essere la sua, gli pare che sia o valga pressochè tutto : e, sopra tutte le altre innumeri vite che si agitano attorno a lui, egli colloca la sua vita, la sua coscienza sogget- tiva, la sua felicità, il suo interesse. Che colpa ha egli, in fondo, sela vita universale gli si pluralizza, | diversifica o rifrange nella individualità della co- ‘ scienza ? o se ella proietta la sua immagine unica ed invisibile in una infinità di picciole esistenze, ‘ le quali si credono tutta lei perchè ella è tutta ‘ in esse? * * *  Intanto, è appunto da questa naturale illu- sione della coscienza che derivano le grandi con- traddizioni ed i grandi dolori della nostra esi- stenza; ed è esclusivamente per essa che il valore della vita è per noi un problema e non un as- sioma. Perchè le leggi della vita ‘universale sono  «indubbiamente ribelli ai bisogni della nostra co- ‘ scienza individuale. L’ individualità è, di sua na- tura, caduca e peritura, sottoposta alle leggi della causalità e del cangiamento, al ritmo della nascita e della morte, ad un divenire continuo in cui gl’individui appaiono e dispaiono, balenano e pas- sano, travolti dall’onda inesorabile del tempo. La vita universale è una suprema egoista che è sol- lecita solo di sè medesima, o di quelle sue forme predilette che ne perennano l’imagine attraverso   IL VALORB DELLA VITA 293   il tempo e lo spazio; ond’essa mira alla conserva- zione delle idee e delle specie, e non le cale del- l’individuo che condanna al dolore, alla dissolu- zione, alla morte.  La natura e la storia non sono ordinate alla felicità del nostro individuo: esse sono troppo   scettiche, troppo indifferenti, fors’anco troppo po- ,   vere per mirare a così gran risultato. La coscienza, che s’illude del contrario, si appresta le delusioni più amare.  La natura avara, pervertita ancora di più dalla iniquità degli ordini sociali, pone bensì ed acuisce la sete della felicità in tutti gl’individui, ma non ammette al godimento delle condizioni elementari e materiali della felicità medesima che un nu-   LI CI C) CI e . . . } mero piccolissimo. Le sue disposizioni sono tali ; che il piacere degli uni è il dolore degli altri; e,, per una vita sola da mantenere e da sollevare :   sulla scala ascendente della felicità e del piacere, molte altre vite devono miseramente soccombere in un sacrificio violento e coatto. Di qui uno stato generale di malessere che si riflette, in parte, anche su quelli cui toccò, fortuito legato, un’ om- bra di piacere e di benessere. Perchè, dove la vita degli uni è la morte degli altri, ivi quella ‘vita non è più un godimento, ma un fallo ed un rimorso. Le leggi della responsabilità e della so- lidarietà morale operano visibilmente, quand’anche non penetrino il velo opaco della coscienza indi- viduale. Dove un uomo solo soffre, la società in- tiera è minacciata e sofferente con lui. L’egoismo ha un bel dire che gli altri non sono noi e che   fer ite ene NI re da nr naità a a a n   PERE TARRA CIRIP CRECROEAMRE: "9°C   PESI   294 IL VALORE DELLA VITA   la nostra felicità non è macchiata dal contatto dell’altrui sventura. Una voce della coscienza ci dice che quel contatto v'è: esso fu posto il giorno stesso in cui fummo individualmente felici: per- chè quella felicità, forse a nostra insaputa, fu comperata a prezzo dell’altrui sofferenza. La con- taminazione di quel contatto resta impressa sulle nostre carni come uno stigma incancellabile e, per un’anima sensitiva, insinua una punta d’a- maro anche nei piaceri apparentemente più legit- timi della vita.  Che se, protetti questa volta dalla stessa ca- ducità del nostro individuo, noi riusciamo ad elu- dere i colpi di quella Nemesi occulta che associa al delitto il castigo, e comperiamo a prezzo della nostra inferiorità morale la liberazione dalle pun- ture del rimorso, non per questo otteniamo di es- sere veramente felici. La universale legge del do- lore impera provvidamente anche sugl’ individui privilegiati per le condizioni del benessere: per- chè è destino radicato nella stessa inquietezza in- finita della nostra volontà; perchè ogni volere ha per suo principio un bisogno, ogni bisogno ha per suo correlativo un dolore.  E dove la pressione del dolore sia, per con- dizioni peculiari di fortuna, così tenue e così scarsa che non giovi a scemare l’ideale fascinatore e gio- condo che taluno di noi si foggia dell’ esistenza, la previsione e la minaccia della morte, ultima istanza ed ultima Nemesi della natura, è lì per ridestarlo duramente dall’effimero sogno in cui si cullava, improvvida e cieca, la sua anima scialba   IL VALORE DELLA VITA 295   ed intristita. Le ombre si diradano dalla coscienza che s’illumina di luce nova, i veli si dissipano, il destino dell’esistenza individuale riappare all’uomo nella sua desolante evidenza. Egli comprende la gran verità della vita: questa, che la individua- lità è povera cosa ed inane; che la vita indivi- duale è un flusso continuo, cioè una continua ca- duta nella morte; che il piacere è il fantasma del momento, dell’attimo fuggevole, di un punto inesteso; che la vita dell’individuo non è assoluta ma relativa, non fine ma mezzo, non vita che si perenna ma morte che per un momento sì ar- resta.  Egli intende che quello che perdura invaria- bile nei processi della natura è la forma, non la materia, che è soggetta al un flusso e ad una circolazione perpetua; che la sostanza dell’indivi- duo non è che un inviluppo di materia, che in- cessantemente si dissolve ed incessantemente si rin- novella, attraverso una forma specifica persistente nella dissoluzione e nel ricambio degli elementi materiali; che, quindi, la morte non è solo il co- ronamento ed il fine dell’esistenza individuale, ma è il suo principio, il suo correlativo , il suo ausi- liare. Ogni giorno noi moriamo a noi inedesimi nei processi di disassimilazione e di secrezione e riviviamo a noi medesimi nei processi di assimi- lazione e di nutrizione. Il che vuol dire che la vita non è una linea, ma un punto ed un limite: un limite tra una morte ed una rinascita, di cui basta per un momento incommensurabile turbare la ritmica simultanea ondulazione perchè soprav-   "   296 IL VALORE DELLA VITA   venga la morte definitiva e visibile. La quale, lentamente e fatalmente predisposta dal tenace sebben parziale corrosivo della vita organica, se- gna l’abbandono finale della materia ed è la su- prema caduta e la suprema disfatta di quella sin- tesi fenomenale della materia e della forma che è l'individuo.  La vita individuale è, soil; di sua natura ordinata alla morte, e la morte, sublime paradosso, è un momento della vita; e la vita è della forma, non della materia, dell’ idea e non del fenomeno, della specie e non dell’ individuo, della umanità, non dell’uomo.  La coscienza si ritrae addolorata dinnanzi a questa terribile novella, la quale le dice che la morte non è più un incidente o un assurdo nel sistema della vita, ma un aspetto necessario della vita stessa. È vano le si suggerisca che la vita in sè, che la vita universale è immarcescibile ed im- mortale ; che l’abbandono della sostanza indivi- duale non segna la caduta del tipo specifico; che la vita continuamente muore, ma continuamente rivive. Ella, non ha, abimè! ed, in quanto si chiude in sè medesima, non può avere altra rap- presentazione della vita che quella individuale, quella, cioè, della sua vita. La vita universale non è coestensiva alla nostra coscienza, nè da questa è sentita come propria: onde l’aspetto di lei, in- vece di calmare il nostro ANNO, ci punge ed irrita.  Le ombre invadono l’anima sopraffatta da un’amarezza senza fine: la vita ci si scolora: og-   ne PO mene LAP PRC ie   > x RR dm.   IL VALORE DELLA VITA 997   gimai noi la guardiamo corrucciati come una de- bitrice insolvibile; i suoi beni positivi non ci pare che valgano il dolore e la morte che costano.   xx |  Ma una suprema saggezza c’ insegna che la vita ha due aspetti e due momenti, dei quali alla coscienza, abbuiata dal velo dell’egoismo, sfugge il più profondo ed il più vero. La vita dell’uomo, come quella di tutta la natura, è un ritmo di pul- sazioni alterne , un equilibrio dei contrasti, una sintesi ed una correlazione dei contrari. Non v’ha espirazione senza inspirazione, non v’ha consumo senza assimilazione riproduttiva. Del pari non v’ha dissoluzione senza rinascita, non una elisione qualsiasi di dati elementi della vita senza una corrispondente gestazione di vita nova.  Nella dialettica universale della vita non v’ha lotta senza traccia o presentimento di armonia. Se è vero che l’individuo non è che l’imagine fug- gitiva segnata sulla traccia del tempo e dello spazio infinito dal genio sovrano della specie, è vero, altresì, che la specie non vive, non s’incarna, non sì rinnovella che attraverso quell’imagine, la quale, quindi, si colora dei suoi inestinguibili ri- flessi. Se è vero che la vita è ordinata alla morte e che l’individuo muore di continuo a sè mede- sim‘, è vero, altresì, che la morte dell’ individuo è riscattata dalla vita degli esseri nei quali egli sì riproduce, si perenna e rivive.  La legge dei compensi che presiede alle crea- zioni della vita ha messo in essere un principio nuovo che trionfa della dissoluzione e della morte.   AR pn n n A de. _   L= SARI 2 Pi ni « da rr > pedi fee ci e A n   298 IL VALORE DELLA VITA   Questo principio è la generazione e l’amore : sim- bolo della rinnovellata armonia e della unità pro- fonda della vita individuale e della vita universale. E la generazione segna il trionfo dell’ individuo sopra la insanabile caducità dell’ individuazione, il suo nisus creativo, il suo salto mortale, ed è il coronamento e l’atto supremo e trascendente della nutrizione, come la morte, la sua rivale, è una eliminazione ed una secrezione trascendente e su- prema.  L’individuo vive, adunque, due vite: delle quali il nostro io è come il limite ed il punto d’inserzione; l’una, che si consuma nei limiti an- gusti dell’irdividualità; l’altra, che si dilata e s’ir- radia nella vita universale. Onde l’individuo è su- periore, direi quasi, a sè medesimo, e le relazioni individuali e finite preoccupano ed anticipano le relazioni universali ed infinite.  * | * *  Al lume di questa intuizione la vita ci si co- lora di nuove tinte ed attinge una significazione luminosa. Essa ci appare, bensì, scevra di valore, in quanto si contempla come vita puramente in- dividuale, ma è dotata di valore infinito in' quanto si dilata e si accommuna alla vita universale. L’in- finito e l’universale, che è il suggello e lo stigma della nostra condanna, è, ad un tempo, la via della salute. Basta che la nostra vita ne accolga, con vocazione amica e devota, il monito tutelare.  La radice del male e del dolore sta nella di- scordia e nella lotta: la sorgente del bene e della felicità sarà nella ricomposta e rivissuta comu-   ite "Re RO i IO OOO ORTO CESSA RI SRR RE SUI TANO Se RE SRG I SED   IL VALORE DELLA VITA 299   nione col principio di vita, nell’abbandono di sò e della propria individualità povera e vana alle correnti purificatrici della vita universale.  Il segreto della vita e della felicità non è nella concentrazione egoistica e subiettiva dell’io, ma nell’oblio di sè nell’armonia dell’insieme. E la vita vera non è quella che rifluisce e ripiega in sè medesima, ma quella che si spande, benefica, generosa irradiatrice di luce e di calore, in altre esistenze ed in altre vite. Epperò, quel divino se- greto si allontana da noi, quando la nostra anima si contrae in una bieca ed apata riflessione egoi- sta, e cì sorride, invece, tutte le volte che, tra- sportati dalle energie spontanee della volontà è dell’azione, cessiamo quasi di appartenere a noi medesimi, rapiti nella nostra produzione e come sublimati nella effusione di una vita che si espaude al di fuori, prodiga, rigogliosa. Noi non siamo ve- ramente felici che nei momenti della creazione: perchè la creazione è fuoriuscita da sè e moto verso l’altro. Noi non siamo veramente felici, se non quando ci liberiamo da noi medesimi, come soggetto, obbiettivandoci nel mondo; quando de- poniamo da noi, con uno slancio ed un abbandono supremo, quel parassita roditore della vita spon- tanea che è la riflessione egoista della coscienza. La vita individuale non s’impingua nè si feconda, se non attraverso una generosa rinuncia; come il chicco di grano non fruttifica, se non muore nella putredine. |  La via della salvezza è in quello che il Goethe chiamò il metodo obbjettivo: considerarsi, cioè, non   Dina   300 IL VALORE DELLA VITA   come soggetto e come coscienza, ma come oggetto e come vita. Ivi si celebra la rinnovellata armo- nia fra la vita e sè medesima e fra l’uomo, la vita   ., ed il mondo. Un’armonia che ricorda l’antica, ma . che la supera infinitamente; perchè l’una era oc- ‘ culta, indistinta, subcosciente, l’altra è opera no-   stra e nostra fattura, nella quale noi ci rimiriamo come illuminati e purificati di luce nuova.  *  * *  Nè mi si dica che la vita è possesso imma- nente del proprio individuo ed è avvertimento in- timo di tale ‘possesso. Perchè il possesso di sè sfugge appunto all’uomo che si rimira e contem- pla nelle imagini fallaci della coscienza egoisti- sta.  L’ intimo fondamento dell’ esser nostro è più profondo e più ricco che non lo renda la coscienza subiettiva, efflorescenza meramente superticiale delle profondità incommensurabili della vita. Come l’occhio che vede tutto e non vede sè medesimo, così l’io cosciente vede le altre cose e non vede la sua imagine. Come il corpo del sole è oscuro, così il me è il punto nero della coscienza. Del pari nel tessuto della rètina l’inserzione del nervo ottico è cieca, e la sostanza del cervello, centro di tutte le sensazioni, è insensibile a sua volta (1). E come l’occhio si rimira attraverso lo specchio, così la\scienza e la vita non si conoscono, o meglio non si riconoscono, che attraverso le altre coscienze   (1) Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung.—Ergana. z. vierten Buch. (Kap. 41).   "osi dm - iene grate ea   Dosi]   1L VALORE DELLA VITA 301   e le altre vite. Apparente paradosso, l'individuo per ritrovare sè medesimo, deve anzitutto negarsi. Egli non ha coscienza di sè, che attraverso il suo altro.  L’ egoista, dunque, che si fa vivo e che si. pompeggia di vivere in sè medesimo, è vittima. di un’illusione. Egli ha vilmente calunniato la . sua natura e, per non voler rivivere negli altri, non vive neanche in sè stesso. Egli vive nell’om- bra scialba di sè, un’imagine esile, povera, ridotta dall’ingenito daltonismo della sua coscienza spa- ziale.  o * * %  Il segreto della vita e della felicità sorride, quindi, all'anima amante, perchè l’amore, in quanto ha di più alto e di più puro, è oblio ed abban- dono di sè nella persona e nell’idea dell’amato.  Sorride al genio, che dimentica la limitazione individuale nella contemplazione dell’ eterno e, specchio fedele dell’anima collettiva, annunzia la parola vitale che trascende il tempo e genera una storia. Sorride all’eroe, che avvalorandola di signi- ficazione infinita, consacra la sua esistenza indi- viduale ad una causa universale, e la cui generosa coscienza è coestensiva alla coscienza dell’ uma- nità intiera. Sorride all’ apostolo della carità, che sente come suoi i dolori e le miserie degli altri e la cui capacità di soffrire e di amare abbraccia. ed accoglie, pietosa e fraterna, tutta la indefinita moltitudine delle esistenze diseredate. Sorride a tante vite, umili o grandi che sieno, più grandi spesso quanto più umili, che nell’arduo lavoro di   302 IL VALORE DELLA VITA   ogni giorno, di ogni ora, e nel sacrificio di sè spontaneamente accettato e sofferto, ripongono l’unico, esclusivo ideale dell’esistenza; nobili vite silenziose, vereconde, che tolgono sopra di sè di lavorare, di soffrire e di espiare per gli altri, senza aspettazione di compenso e di lode , senza solen- nità e senza pompa e pure con una giocondità in- genua e serena. Sorride a tutti, quando, liberi dal- l’egoismo che c’irrigidisce e contrae, noi viviamo nella vita degli altri, accogliendo nella nostra esi- stenza limitata e caduca una significazione ed un valore universale. |  Poichè la nostra vita è in sè peritura e fug- gevole, solo espediente di renderla immortale è avvalorarla al contatto di un principio perenne di giovinezza, di un eterno ideale.  Noi trionfiamo idealmente della morte, se e- duchiamo e produciamo nella nostra vita transe- unte dei valori assoluti ed infiniti, che la morte, questa dea insidiosa del relativo e del finito, non può travolgere nelle sue ondate distruggitrici.  È questa, c non altra, la via della salute: è questa, e non altra, la soluzione di un problema della vita. | |  Il resto, dirò col tragico inglese, non è che silenzio !   PI . . . . . . n i . »   L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE E COME INTUIZIONE DEL MONDO. (1)   Se le esigenze dell’analisi e le distinzioni del- l’intendimento perpetuano il dissidio fra lo spirito teoretico e lo spirito pratico, fra la scienza e la vita, fra la conoscenza e l’azione, la visione filo- sofica e sistematica dei nessi del reale e dell’ u- nità dello spirito non si ristà, nelle vie successive della storia, dal risolvere quel creduto e protes- sato dissidio in una sostanziale e remota conso- nanza di funzioni. L’intellettualismo etico di Su- crate, di Spinoza, di Leibnitz ritraduce l’ attività morale nell’ attività speculativa, la virtù nella scienza, o nel possesso delle idee adeguate, o nella vision» ampia e rappresentativa dell’ universo. Così la discordia delle due direzioni dello spirito è ricomposta in armonia: l’attività pratica si ri- solve nella teoretica, la volontà nell’intelletto : la vita dello spirito si assolve e si consuma nelle regioni della contemplazione e della perfezione e della beatituuine contemplativa. È l’etica vien raffigurata come una qualche cusa che non nasce da un fondo diverso dalla teoretica: la pratica   (1) Saggio inedito.   304 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL’AZIONE   del ben vivere, insegnano anzi, germoglia dal sa- pere: la scienza del bene è appresa come neces- sariamente attiva e necessariamente produttiva della volontà del bene: l’attività della nozione è tutt'uno che l’attività della vita: la teoretica è... etica. Una elisione a priorì del perenne ed acuto dissidio fra gli elementi rappresentativi e gli ele- menti emozionali presiede a codeste sovrane con- cezioni dell’intellettualismo etico. La ragion pura e la ragion pratica vi celebrano imperturbate, non sì sa più se inconscie o chiaroveggenti, la pie- nezza armoniosa della loro comunione fraterna.   * * *   La mente si domanda: è legittima, ovvero illusoria, codesta elisione del pathos interno dello spirito ? è il prodotto di una comprensione pro- fonda della realtà, ovvero di una posizione equi- voca dell’assunto ?  E la risposta, evidentemente, è diversa a se- conda del diverso modo onde s’interpetra il va- lore ideale dei termini nei quali e coi quali le direzioni intellettualistiche esprimono la fecondità morale dell’attività speculativa.  Se la scienza del bene vien concepita nello stretto e specifico senso di cognizione indifferente, passiva, trans-subbiettiva, puramente ed astratta- mente teoretica, scevra d’ irteresse o di adesione spirituale personale, niun dubbio che la scienza si rimarrà sterile, vuota ed inerte nelle prominenze superficiali dell’intendimento, e non assurgerà mai   4   E COME INTUIZIONE DEI. MONDO 305   a potenza produttiva dell’ azione nè diventerà massima e principio di vita. La cognizione în quanto tale, cioè in quanto pura, isolata ed astratta cognizione, così come essa è distillata e circoscritta nella sua indifferenza e nella sua inanità formale dai processi dissociativi dell’analisi, non sarà mai altro che... sè medesima, cioè pura ed astratta ed indifferente cognizione. Non è nella natura della cognizione come tale la virtù di essere attiva, nè la scienza del bene (intesa la parola « scienza » in questo angusto e specifico senso) può ritradursi, senza provocare le più significanti e le più scan- dalose smentite, nella volontà attiva del bene. Finchè il termine che designa l’ attività spe-   culativa e quello che designa l’attività pratica   sono rispettivamente concepiti all’ infuori della loro interna ed originaria connessione sintetica, e sono indefinitamente distanziati ed inimicati dal- l’analisi, che sospinge l’uno e l’altro alla loro con- traddizione logica iniziale, nessun esperimento di mediazione, nessun tentativo di accordo sarà più verosimile o proficuo. Le sole conciliazioni utili e le sole conciliazioni possibili, nella scienza come nella vita, sono quelle che non urtano nella con- traddizione : quelle, cioè, le quali intervengono fra termini e modi, il cui dissidio è apparente e do- vuto meno ad interiore ripugnanza che ad errore di percezione.  Un’ antitesi, raffigurata come necessaria ed assoluta, è irreduttibile a cagion della stessa ne- cessità ed assolutezza che si è presupposta: due termini, che sieno collocati a distanza idealmente   I. Perrone. — Problemi del mondo murale. 20   306 L’ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   infinita, non potranno mai essere vicini e cuuti- gui. L’unica via ed espediente di ottenere l’accordo è quella di rimuovere in anticipazione il dissidio, risolvendo la contraddizione: superando, cioè, quella veduta angusta e superficiale, che lacera l’unità dello spirito, riconducendone le membra diverse alla contraddizione logica artificiale fra esse interposta.  Ciò vuol dire che, se quei due termini ‘corri- spettivi che sono la scienza del bene e la volontà del bene vengono concepiti secondo l’ accezione empirica ed analitica delle parole, essi resteranno sempre in contrasto fra loro.  L’analisi, che disintegra l’unità dello spirito, concepisce la conuscenza come assolutamente sce- vra dalle motivazioni e dalle emozioni della vo- loutà, e, del pari, concepisce la volontà assoluta- mente isolata da elementi di rappresentazione e d’intuizione. Vittima oscura di tale attitudine per- cettiva, l’analisi non può ricostituire, per virtù sua, quell’unità e quell’armonia ch’essa ha dovuto de- comporre, «lissociare e risolvere.  La nozione del bene, in quanto pura nozione, e la volontà del bene, in quanto puro ed astratto volere , non coincideranno mai in uniea sostanza di vita. Io non opererò il bene, per averlo in ipotesi conosciuto, se siffatta cognizione non di- venta sangue ed ani;na della mia vita, e finchè il conosciuto mì appare come un altro da me, un oggetto puro è semplice della mia percezione, una mera possibilità concettuale veduta in astratto.  Perchè la conoscenza diventi motivo di azio-   ————=<=——————————_—._—_—_—_r—r_—_—_—zggww—t xm 1° ‘*      E COME INTUIZIONE DEL MONDO 307   ne, occorre che essa sia più che mera conoscanza: occorre che l’intuizione intellettuale si accenda del color vivo della passione: occorre che essa trapassi in abito di emotività, di sentimento, di credenza. L’ adesione vuol essere consentimento, abbandono, amore, perchè travalichi l’inerzia della contemplazione e si traduca in volontà operosa del bene. Finchè si versa nel puro conoscimento astratto, l’uomo non è posseduto intero dall’arida sottilità del precetto : l’anima non è ancor impe- gnata all’accettazione ed all’obbedienza nella parte più intima ed ascosa di sè. Nella conoscenza l’io empirico resta maestro e donno di sè, algido e   circospetto; non depone le sue*riserve, le sue re-   ticenze, il suo orgoglio; non si oblia nell’oggetto, non si libera alie energie della vita. Perdura la dualità, l’eteronomia fra il soggetto e l’oggetto, fra l’intellezione e l’anima, fra l’io, cioè, e la vita. Il conoscente sì serba estraneo al conosciuto e sna- turato ed impervio alla sua creatura: l’analizza, la riflette, la giudica come un diverso da sè.  Essi non yi fondono in una unità ed in un momegto solo: l’ altro non diventa me: la verità non penetra di sè la coscienza: l’io non si di- mentica nel suo ideale o nel suo sogno.  Il che vuol dire che si è a distanza infinita dalla vita e dall’azione: perchè la volontà di vi- vere è investita appunto dalla sacra follia dell’o- blio e dell’entusiasmo. Ella è una grande ed una nobile allucinata, che nel suo delirio, che pare di umiltà ed è di grandezza, celebra giorno per giorno l'alienazione di sè nell’assimilazione del mondo.   nu   ge   vg   308 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   * * *   Ma i termini corrispettivi della conoscenza e della volontà possono venire assunti in un signi-. ficato e secondo una comprensione ideale più am- pia e profonda, la quale cancella le contraddizioni arbitrarie foggiate dall’analisi e restituisce l’unità reale dei processi della coscienza. La conoscenza e la volontà appaiono, in tal caso, non più come termini astrattamente divisi, ma come funzioni si- multanee e concrescenti dell’ attività dello spirito. La conoscenza, in questo senso più vero e pro- fondo, non è puro schematismo di possibilità con- cettuali, nè mera fappresentazione psittacistica del reale (per usare una parola del Leibnitz), ma sog- gettivazione dell’oggettivo, ma appropriazione spi- rituale del mondo. Essa non è più, in tale ipo- tesi, un termine recettivo e passivo, ma simbolo di una suprema attività e possanza di dominio. Essa è via e lume all’azione, in quanto è l’azione stessa incoata, previssuta, illuminata, superata. La conoscenza è azione; perchè è attiva produzione del mondo: perchè è la presa di possesso dell’og- gettivo; perchè è la vittoria dello spirito sulla ma- teria, dell’idea sulle cose; perchè è coestensione dello spirito all’universo reale.  La conoscenza del bene, in tal caso, coincide necessariamente con la volontà del bene: perchè il bene non è più appreso come termine di astratto sapere, ovvero come possibilità oggettiva o trans- subbiettiva, indifferente a trapassare o meno nel- l’atto, ma come momento necessario e concreto   E COME INTUIZIONE DEL MONDO ©’ © 309   della sostanza medesima del soggetto, come suo principio di vita. Il momento, cioè a dire, in che il bene è conosciuto, è il momento stesso in cui il bene è voluto e germinato dall’attività interiore dello spirito. La penetrazione e la trasparenza del conoscimento del bene è il prodotto dello averlo voluto : e, viceversa, l’ alacrità operosa della vo- lontà e dell’azione è stimolata in gran parte du quell’ innamoramento ideale che suole associarsi alla purezza di visione del conoscimento. Non v’ha vera e profonda ed adeguata conoscenza che non sia azione o anticipata, o riflettuta e superata: nè v’ha azione etica vera e propria, che non sia documénto e testimonianza di una penetrazione profonda delle realtà supreme sfuggite alla per- cezione immediata dei sensi ed alle intuizioni dell’intendimento.   * * *   È in questo senso, più intimo e più vero, che va interpetrato e risollevato il concetto fon- damentale dell’intellettualismo etico nelle sue di- verse direzioni. La conoscenza Socratica, come si lascia indurre meno dalla riproduzione empi- rica di Senofonte che da quella metafisica di Pla- tore, è la sapienza (00gia) : espressione, cioè, non di conoscenza pura e semplice, ma di conoscenza, insieme, e di azione, di scienza e di virtù, di at- tività teoretica e di attività pratica, espressione, cioè, di quel momento unico, indistinto, dialettico dello spirito, in cui si compongono ad armonia i      310 L’ETICA COME FILOSOFIA DELL AZIONE   due aspetti, divisi e rifratti dall’analisi psicologica. Tale è l’idea adeguata di Spinoza, che supra ed oltrepassa ogni forma di cognizione empirica e di distinzione analitica (la quale versa nella disar- monia e nella contraddizione) e che concilia i dis- sidi del processo e gli attriti dell’esperienza nella contemplazione dell’eterno. Tale è la visione rap-. presentativa del Leibnitz, che segna la superazione del puro soggettivo e del puro oggettivo în quanto tale, ed è, ad un tempo, coestensione dello spirito . all’universo e contrazione dell’universo nello spi- rito, momento indistinto, primigenio, dialettico dell’idea e dell’attività, del pensiero e dell’azione.  Ed appreso ed interpetrato in questo ' senso, l'assunto dell’ intellettualismo etico appare piena- mente legittimato. Il dissidio dell’attività pratica e dell’attività teoretica è eliso a priori da questa . visione più ampia del problema. Esso è risoluto nella sintesi dello spirito, in cui la conoscenza è intessuta e materiata di azione ed in cui l’azione è viatico ad una superiore purificazione della co- noscenza. Ego sum veritas et via: la sapienza è scuola di virtù : ed è, anzitutto e soprattutto, virtù ella stessa. La bontà è una verità che lo spirito parla a sè medesimo: la verità è la visione pura dello spirito redento dalla pratica del bene.   *  * * Ma non sempre la forma adegua il conte- nuto: e l’analisi, notomia necessaria dell’intendi-   mento, offusca spesso, anche nella mente dei più esperti, la compreensione limpida dell’idea.   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 311   Le direzioni dell’intellettualismo etico, germi- nate da una oscura percezione della sintesi dello spirito e stimolate dall’oscuro bisogno di superare le antinomie dell’esperienza, non hanno serbato fede alle loro origini ideali. Esse hanno espresso un assunto sintetico in una forma analitica : hanno trascritto un pensiero metafisico in termini empi- rici; ed han finito per ripristinare quella contrad- dizione che pareva loro merito originario aver risoluto ed eliso.  Le necessità del linguaggio, qui come in altri   casi, traggono ad errori ed a traviamenti di perce-   zione. L’intellettualista comincia dall’ opporre i termini—scienza e volontà — per necessità di di- stinzione concettuale, e finisce per ritradurre la di- stinzione concettuale in distinzione reale. I due ter- mini, in cambio di apparire due modi, diventano due sostanze. L’assunto della convergenza ideale e finale si oblitera; e spunta una nuova contraddi- zione. Gioberti direbbe che l’accordo dialettico cede il posto alla conciliazione sofistica. Allora l’intellet- tualista insegna che non la scienza e la volontà del bene concrescono simultanee nei processi dello spirito, ma che la scienza basta da sola, come quella che contiene ed assorbe in sè la volontà del bene.  Ossia, la.conoscenza è tutto e la volontà è il suo duplicato o il suo equivalente pratico, la sua ancella fedele : ossia, l'accordo è ottenuto non con la riaffermazione di ambo i termini in una unità superiore, ma con la negazione di uno di essi a profitto dell’altro.   Soa dai ET fa   3192 L'ETICA COME F5LOSOFIA DELL'AZIONE   La penetrazione dell’ intelletto nella volontà è isolata dalla corrispettiva penetrazione della volontà nell’intelletto, ed è veduta la prima, non la seeonda ; e la prima è veduta nella sua disso- ciazione dalla seconda, ossia nella sua formale inanità. Ripullula la cognizione superficiale, la co- gnizione psittacistica, la cognizione che non è principio di vita, che è fredda percezione di pos- sibilità concettnali, che è astratta cognizione, e non concreta, perchè non è cognizione concresciuta con l’azione, perchè non è cognizione vissuta.  Ed allora il torto dell’intellettualismo etico si avnunzia evidente: e risollevato e consolidato il contrasto fra i due momenti dello spirito, soprav- viene a buon punto il volontarismo a rivendicare i suoi diritti e ad elencare e celebrare le prove innumerevoli e significanti del predominio che la volontà e l’ energia dell’ azione esercitano sulla conoscenza, questa povera efflorescenza superficiale dell'essere, quale apparve ad Arturo Schopenhauer.   * * *   Certo, l’analisi e la distinzione è un espediente necessario del processo conoscitivo, e la riafferma- zione della convergenza finale dei due termini vuol essere preceduta dalla posizione della loro dualità logica. f superfluo qui ricordare che lo stesso continuo non è percettibile e denominabile che ritratto in termini di discontinuità, e che la sintesi, in quanto e perchè supera i contrasti, deve, per questo stesso, contenerli o averli conte-   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 313   nuti. Ma è prodotto di una mentalità ingenua, e non ancora esperimentata dalla crisî e dalla skepsi, codesto malo abito di ritradurre le neces- sità superabili e transitorie del processo conosci- tivo in sostanza reale. Quando si è pervenuti al momento della sintesi, l’analisi pura e semplice è stata definitivamente superata; e la significazione stessa del processo, che, dapprima e durante il processo analitico, era oscura ed incerta, s’illumina di nuova luce. Lo spirito intende, cioè, che il va- lore dell’analisi era appunto in ciò — nel terminare alla risoluzione ed alla sintesi. Il valore di cia- scuno dei termini appare, allora, non già nella sua interiore inanità astratta, ma nella sua con- nessione vitale all’altro termine. Il valore della conoscenza, cioè, appare non dissociabile da quello della volontà operosa. La realtà è nel nesso e nel- l’unità, cioè a dire nel rapporto, non già nei ter- mini dissociati ed avulsi dalla loro correlazione e dal loro concrescere in seno al rapporto.  Vero è che la sintesi rifulge più luminosa, quanto più acuta e pungente è stata la divisione. e la discordia insinuata dall’analisi. Ma importa, intanto ed anzitutto , che la sintesi appaia e che la mente nou indugi nei meri processi dissociativi dell’analisi, i quali sono, diloro natura, vie di me- diazione e di transito, non termini di acquiescenza e di riposo.  Così la verità dell’ intellettualismo etico è stata insidiata dalla forma empirica e rappresen- tativa nella quale fu espressa. Quella sintesi su-      314 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   prema della conoscenza e dell’ azione, della sa- pienza e della virtù, della teoretica e dell’etica è stata dimenticata e negletta per esserne sfuggita l’intima ed ascosa significazione. E la dimenti- canza è stata ingiusta, perchè quella sintesi rac- chiude pur sempre una comprensione profonda della scienza e della vita, la quale domanda di essere solo risollevata ad espressione più pura per riapparire nella sua luminosa evidenza.   na  Invero, il torto degl’intellettualisti è non già ‘nello aver intravveduto la convergenza terminale ‘fra i due aspetti e !e due forme dello spirito, ma ‘nello aver seguito un processo inverso da quello ' reale per addivenire alla invocata converginza. Salve le ragioni della sintesi finale ed ammessa la necessità gnoseologica dell’intervento mediatore dell’analisi, essi avrebbero dovuto procedere non | già dalla scienza alla vita o dalla cognizione alla Pica , ma, viceversa, dalla virtù alla cognizione e dalla vita alla scienza. La sostanziale armonia dello spirito sarebbe stata illuminata di luce nuo- va da questa diversa orientazione del pensiero. Finchè si versa uella distinzione e nella interpe- trazione analitica del reale, cioè a dire nella dua- lità dei termini, è la cognizione che appar diretta verso l’azione e non viceversa: è la scienza che è orientata verso la vita e non la vita che è orientata verso la scienza. L’attività praticé sa- rà, adunque, il termine finale dell’ attività teo-  retica, e ne conterrà la ragion sufficiente.   ” E COME INTUIZIONE DEL MONDO 315   Se la cognizione può essere isolata e distil- lata nella sua inanità formale e porsi come pura ed astratta cognizione, dell’azione non può dirsi altrettanto, che essa, cioè, possa essere concepita come pura ed astratta azione, scevra, ad esempio, di rappresentazione e di consapevolezza del fine. Epperò, se la cognizione pura è indifferente alPat- tività, ossia non è recessariamente attiva o propul- siva dell’azione, non può affermarsi con pari fon- damento èhe l’ azione sia indifferente alla cogni- zione o che sia vuota di contenuto e di signifi- cato conoscitivo. In ogni azione (etica) è imma- nente e presente la rappresentazione del suo con- tenuto di vita, cioè del suo fine ideale, ovvero del mondo che essa domina e riflette. Ogni azione   . ° 0 . C 1 possiede, non foss’ altro, una intuizione prospet-.   tica del suo ogget‘o. Ogni azione è una cono- scenza o una riconoscenza del mondo modificato ed agito: ogni azione, cioè, è una conoscenza   posseduta e superata ed è n superiore cono- [e   scenza in atto. Ogni azione è una presa di pos-'..   sesso del reale, un esercizio d’imperio dello spirito sul corso delle cose, una espressione di dominio della volontà sulla rappresentazione.   * * %*   La pura ed astratta conoscenza, la cognizione psittacistica di Leibnitz, è una îridescenza effimera e caduca, che non illumina le profondità dell’ es- sere e non penetra l’ intimo sustrato e tessutu di vita. Così essa si ristà nella sua inerzia, beata e   A)   ")   j   316 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE .   contenta della sua vanità, e non investe di sè tutto l’uomo e non infervora all’azione, nè com- muove all’esercizio delle virtù.  È lettera e non spirito; nome, non cosa; pa- rola, non azione; precipitato inerte, non sostanza e principio di vita. Nessuna alchimia mentale spremerà mai da siffatta cognizione un atomo solo di attività. L’intendimento, circoscritto nella sua interiorità pura ed astratta, vi si adagia all’ infi- nito, non bisognoso nè desideroso dell’azione. La conoscenza, in questo senso, non è virtù, come la ignoranza non è tutt’ uno che vizio, e la cono- scenza si ristà separata dalla vita, tanto più in- genva e secura, in quanto appunto essa è una scienza divisa dalla vita e dilettata ed appagata di sè medesima. La scienza del bene non è la vo- lontà del bene, e l’esercizio della virtù si troverà più presto associato all’ ignoranza del povero di spirito, nel senso evangelico della immagine, che alla pomposa dottrina professionale dei pretesi sapienti.  Al contrario della cognizione, che ne circo- serive le prominenze superficiali, l’azione penetra le profondità dello spirito. Essa è dominatrice di tutto l’essere ed il suo intervento è documento e testimonianza di una vita che si muove, di una energia che si schiude e di una creazione che co- mincia. L’azione non è parola, ma via e vita, ed è la sostanza stessa dell’essere in atto.  Mentre la cognizione non impegna e non ga- rentisce l’azione, l’azione è, a sua volta, una cogni- zione confirmata, una cognizione divenuta costi-   E COME INTUIZIONE DEL MONDO . 317   tuzionale, una scienza divenuta temperamento, carattere, abito, condotta, virtù, una scienza in- corporata nella vita. Mentre la pura ed astratta cognizione è neutra ed impersonale, l’azione è, di sua natura, suggello ed imperio «lella personalità, ed è la stessa obbiettività del reale non più a- stratta, ma concreta, non più schematizzata come possibile ma sperimentata come reale; è la cono- scenza divenuta personale, la conoscenza appro- priata e consustanziata all’essere.   * * Y   Epperò nella visione analitica delle due forme dello spirito è giusto che lo spirito pratico riven- dichi la sua preminenza ideale sullo spirito teo- retico. Lo spirito pratico contiene in sè e supera lo spirito teoretico e non viceversa.  Meglio ancora: lo spirito pratico è uno spi- rito teoretico a volta sua : ossia uno spirito teo- retico di secondo grado e di superiore potenza. L’azione etica è una penetrazione delle ragioni superiori della esistenza: ed è una conoscenza altior che riconosce la verità delle cose in sè di tra gli schemi dell’ intendimento e le apparenze della rappresentazione. La ragion pratica, nel lu- minoso concepimento Kantiano, non è solo etica pura, ma una superiore teoretica, lf teoretica del- l’assoluto. L’azione segna la superazione dell’em- pirico, del condizionale, del relativo, ed approssima ad una contemplazione dell’infinito e dell’ eterno.  L’esercizio della virtù è, in pari tempo, una   La   318 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   esercitazione dello spirito nelle vie della sapienza; e la sapienza è la beata visione terminale dell’e- sercizio e del sacrificio virtuoso.  Così i contrasti dello spirito si dileguano e si fondono in una suprema armonia. La coincidenza intravveduta dagl’intellettualisti riappare, sebbene in forma nuova ed inversa da quella foggiata da loro. Essi videro la verità, ma trasversale e rifratta. Essi dissero che la saggezza è virtù, ed avrebbero dovuto dire, o, forse, vollero dire, che la virtù è saggezza. Ed il fatto è che l’una e l’altra pro-  . posizione sono vere del pari, ed è vera più che mai  \ la corrispettività di entrambe. Se la virtù è via  della sapienza, la sapienza è termine della virtù :  « |la visione beatifica, il punto in cui s’acqueta ogni  ‘ idisio, il riposo dello spirito, il premio, la catarsi,  - lla redenzione dalle esperienze espiatrici della vit t.  ìssì posero a principio quello che andava posto  alla fine, ecco tutto. Colpirono il vero, in quanto  intravvidero 1’ armonia finale: ma errarono nella  disamina del processo intermedio e delle antino-  mie. L’unilateralità della loro visione è corretta, ai  dì nostri, dal volontarismo e dalla filosofia dell’a-  . zione. Dissidio, forse, più apparente che reale:  , quello che l’intellettualista volle dire è, in fondo,  tutt’ uno che quello che il volontarista ha detto.  Come Giano bifronte, essi guardano a punti op- posti, ma i loro cuori battono all’unisono.   * * * . Adunque, la certezza speculativa del possesso della verità è nu correlativo della certezza pratica   I I ELIOT PIGUNCE A ae li ira ila cino VD A lp Ani Lac i SOA      E COME INTUIZIONE DEL MONDO 319   ed una conquista dell’ azione. La redenzione del-   l’intelletto dagli schemi della rappresentazione e   dai dati immediati della percezione sensitiva è dovuta all’esercizio dell’attività morale, all’ abito   operoso del dovere, della virtù, del sacrificio. La’ liberazione, cioè, dalle ORA rappresentative /   è l’ultimo risultato ed il trionfo finale di una li: berazione più alta e più significante: la libera-; zione dalle suggestioni dell’ appetito. Lo nia teoretico non attinge la limpidezza della visione, se non sia passato per le prove, per gli esperi- menti, per le abnegazioni dello spirito pratico. Così nella fenomenologia dello spirito dì Giorgio Hegel la superiorità contemplativa della ragione   “SI   Sl a   è appresa come ultimo termine di un’ascensione .   rappresentativa, procede in alto ed avanti, traverso   le mediazioni pratiche (sociali, giuridiche ed eti-   che) della coscienza di sè. Vuol dire che l’ altitu- dine e la purezza della visione intellettuale è una catarsi dovuta alla virtù educatrice ed illumina- trice dell’azione.   L’Etica, adunque, come fenomenologia © filo-   sofia dello spirito pratico, è, ad un tempo, filosofia e fenomenologia dello spirito teoretico. L’ Etica, cioè a dire, è teoretica.   * * %   Se lo spirito, secondo le belle parole di Hegel, può comportare la negazione del suo essere im-   | spirituale, che, superata la fase della coscienza   mediato individuale, il dolore infinito, ciò si de- .   I e “O Va. JN D+ 00]   A   320 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   ve anzitutto all’ esercizio dell’azione morale. La semplice coscienza immediata e rappresentativa non comporta nessuna negazione e, finchè si ristà . nei suoi limiti, nessuna riaffermazione attrave rso la negazione. Essa è vittima della percezione sen- sitiva ed è immersa nell’ obbiettivo. Essa non è interiore, ma esteriore a sè medesima: non si possiede come soggetto, ma si rifrange come og- getto. Essa si tragitta al di fuori come entità spaziale e distinta: sostanza opaca, in cui ogni trasparenza di visione ideale sì offusca. Essa si   ( afferma come cosa e come individuo: onde non ‘tollera la negazione e la morte: perchè la sua   sostanza caduca e mortale non è atta a rivivere. All’infuori dell’azione etica, all’infuori della virtù che è abnegazione e sacrificio ed è esercizio del morire e del rivivere, l’uomo non acquista la co- scienza di sè stesso. Il yvot. osadtév Socratico, il carone dell’intellettualismo etico, non è un portato dell’intendimento e della rappresentazione, ma un dettato dell’azione. Questa suprema teore- tica dell’ essere umano è una illuminazione della virtù operosa della carità e del bene.   * * *   Vi ha, invero, una doppia forma di conoscenza: l’una, che procede secondo la rappresentazione, l’altra, secondo l’ ordine delle cose in sè: V una che versa nel relativo, l’altra che contempla l’as- soluto : l’una, empirica e ‘scientifica stricto sensu; l’altra, ideale e filosofica. Di queste due forme di      6   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 321   conoscenza la prima è dovuta allo spirito come puro intendimento soggetto alle intuizioni ed ai simboli dello spazio, del tempo, della causalità: l’altra, allo spirito pratico.  Or bene, l’antitesi delle due forme di cono- scenza non è applicabile solo all’ esperienza este- riore, ma anche all’esperienza interna, nè investe solo la natura ed il mondo, ma anche il dominio della coscienza. Anche della coscienza può darsi una conoscenza secondo la rappresentazione ed una conoscenza secondo l’ în sè, o secondo la natura. Non è a credere che l’uomo conosca sè stesso meglio e più direttamente e fedelmente che non conosca il mondo: e la conoscenza più ardua, perchè la più intessuta d’illusioni non facili ad eliminare,è la conoscenza di sè. Anche lacoscienza, dunque, può essere vittima delle rifrazioni spa- ziali e, viceversa, può essere vittoriosa delle ap- parenze immediate della percezione. Anche la co- scienza, perciò, è appresa dallo spirito teoretico, in una forma che non è la vera e l’adeguata , è appresa secondo la rappresentazione, e domanda le illuminazioni dello spirito pratico, perchè rico- nosca la sua vera e profonda natura, perchè si penetri come contenuto di vita e come cosa in sè.  L’intendimento apprende la coscienza ritratta attraverso lo spazio. La coscienza rappresentativa, quale appare all’intendimento, è una determina- zione ed una obbiettivazione spazialmente distinta che altera i rapporti ideali dello spirito. È la per- cezione dello spirito come materia, dell’idea co- me cosa, dell’ essere come individuale, dell’ unità   I. Perrone. — Problemi del mondo sociale. 21   sla   agi VE   322 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   come distinzione. La pura essenza dello spirito si perde in codesta rappresentazione meccanica, che allivella il pensiero ai modi dell’estensione e fog- gia l’anima alla stregua delle unità distinte ed incompenetrabili della massa.  La coscienza è idea, non cosa, universale, non   individuale. Il valore ideale della coscienza è nella   superazione dei limiti individuali e nella visione coestensiva all’universo : è nella fuoruscita da sè e nella negazione del suo essere astratto: nel do- lore infinito della morte e nella riaffermazione in- finita della rinascita. Ora questa morte teoretica e questa teoretica resurrezione è l’equivalente ed il prodotto di una morte e di una resurrezione pratica: è il prodotto della virtù e dell’azione. Poichè è l’azione che segna la vittoria salle illusioni dell’io spaziale, sulle lusinghe della in- dividuazione: ed è la virtù che educa a negare ed a superare la propria immediatità, le imme- diate suggestioni, cioè, dell’ egoismo. È le carità che trionfa delle ‘illusioni della molteplicità, della differenza, della distanza, essa, che supera la per- cezione del distinto, dell’eterogeneo, dell’incommen- surabile. È la carità che dissolve ogni forma di egoistica discriminazione, che penetra la medesi- mezza ideale degli esseri, che redime l’anima dalle obbiettivazioni sensitive e dalle rifrazioni spa- ziali, che rischiara la nostra vera e profonda so- stanza di vita, che illumina il me profondo, il me   Fondamentale, il me ideale, che ci fa davvero cono-   scere noi stessi. Del pari, è l’azione che rivela l’uomo a sè medesimo: l’azione che lo scopre, che   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 323   lo denunzia e lo smaschera; l’azione che, timida, denuda nella sua inopia la illusione del coraggio; .che, perversa, svela 1’ insidia della rappresenta- zione e la perfidia dei sentimenti; che, buona, il- lumina le tenebre della coscienza immediata, ri- schiara la visione dell’ orizzonte intellettuale , te- stimonia la purezza suprema dello spirito.   * * *   La scienza umana, se fosse affidata ai puri simboli dell’intendimento e della rappresentazione, non supererebbe mai il sofisma dell’individuazione e le opacità dell’egoismo. La conoscenza di sè e, ad un tempo, la trasparenza di visione del mondo— questa forma di adesione speculativa all’universo, questa specie di altruismo teoretico — domanda un anteriore esercizio di altruismo autentico e pratico: domanda una negazione, una superazione, una morte dell’egoismo sensoriale.  Io non vedrò la verità, se non l’avrò coltivata e cresciuta dentro di me con gestione laboriosa : io non mirerò la vera sostanza di me stesso, se non avrò rinnegato l’apparenza: io non affinerò la mia anima come visione e come dominio del mondo , se non l’avrò estenuata ed assottigliata come quantità e come massa.  In simil modo, la filosofia, nel luminoso con- cepimento del Fedone Platonico, è un derivato della liberazione suprema dell’ anima dai vincoli del senso, una seconda vista che nasce dalla con- templazione e dal sofferimento della morte del   324 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   corpo. All’ illuminato Socrate morituro la ragion speculativa, cioè a dire l’intuizione delle idee e delle pure essenze dell’anima, si rivela come una suggestione della virtù, che è abito ed esercizio di distacco dell’anima dal corpo, che è abito ed esercizio del morire.   * * *   Così, mentre la conoscenza secondo la rappre- sentazione o secondo il puro intendimento ha perpetuato, nella dottrina come nella vita, la di- visione delle coscienze e la lotta degli egoismi, la conoscenza e la contemplazione del mondo in sè, la seconda vista dello spirito pratico, ha pene- trato la vera sostanza del me fondamentale, } in- timo valore e l’universa comprensione ideale della nostra coscienza. La dottrina dell’ universalità dell’io e della identità e comunione delle creature spirituali è il programma ed il commento teore- tico di alcune sovrane intuizioni etiche del mondo, di alcune religioni positive. Cioè a dire, la più grande e la più ardua delle verità e la più ur- gente per noi si è velata e si vela costantemente e continuamente alle forme dell’intendimento e si apre alle luminose chiaroveggenze dell’azione.  2 Evidentemente, la vita non si conosce che at-  -1: traverso la vita, attraverso la negazione e la sof- ferenza, attraverso il logoro e la corrosione della sua sostanza caduca!  .Così la ragion pratica si rivela, ancora una volta, una suprema ragion speculativa, la cono-   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 325   scenza dell’io secondo l’ în sè, la rivelazione, il possesso, il dominio di noi stessi.   * * *   L’Etica è una fenomenologia dello spirito pra- tico ed è, ad un tempo, una filosofia dell’ azione. Ora, se, come fenomenologia dello spirito pratico, essa discopre e riafferma una suprema teoretica della coscienza e perviene alla unificazione del me profondo ed ideale nella diversità sensoriale del- l’individuazione, come filosofia dell’azione essa as- surge ad una suprema teoretica del mondo. Essa supera il relativo ed il condizionale non solo nel campo dell’esperienza interiore, ma altresì in quello dell’ esperienza esterna, ed unifica l’una e l’altra sotto 1’ universale dominio dello spirito. Essa ol- trepassa, ad un tempo, la conoscenza relativistica, fenomenale, meccanica della coscienza, e la cono- | scenza relativistica, fenomenale e meccanica del  mondo. e   * *x *   Il puro intendimento teoretico raffigura il mondo secondo la rappresentazione, lo raffigura, cioè, secondo i modi del meccanismo, come schema simbolico di relazioni astratte, o come serie di rapporti esteriori da fenomeni a fenomeni.  Esso non trascrive nè ritraduce nelle sue forme intuitive (spazio e tempo), nè nei suoi prin- cipî d’intelligibilità (causa efficiente), l’ordine delle   art   326 L’ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   esistenze concrete e delle determinazioni qualita- tive, il mondo superfenomenale degli esseri e dei soggetti, la fecondità produttiva delle cause finali, il rapporto di produzione e di sintesi creatrice. Esso conosce il prodotto separato dal fattore , il fenomeno avulso dal soggetto , i residui ed i de- triti di un’analisi ab extra, non le forze produt- tive, non il principio agente della natura. Esso conosce, cioè , la realtà nella sua forma squallida e povera di realtà fenomenale, omogenea , indi- stinta, indivisa; realità esteriore a sè medesima, cioè a dire, non presente a sè, non immanente in sè, non consapevole di sè; la nuda realtà della natura, che esiste a noi e non a sè medesima, e non ha esperimentato ancora la crisi della sogget- tività e della interiorità , la crisi della coscienza, la emersione del soggetto dalla serie dei fenomeni, la enucleazione e la discriminazione del centro dalla periferia, la contrapposizione dell’ idea alla sostanza, la plusvalenza del tutto alla somma delle parti, il dominio dello spirito.  La causalità efficiente è principio analitico, ‘non sintetico, deduttivo, non produttivo : retrocede verso il passato, non procede verso 1)’ avvenire; elenca, classifica, categorizza i prodotti già for- mati, non assecenda il momento genetico della formazione. Esso importa la continuità e 1’ equi- valenza fisico-matematica , l’ illimitazione quanti- tativa del movimento, il regresso all’ infinito, e   .non comporta l’ epigenesi e la sintesi creatrice   delle qualità, la plusvalenza e l’ascensione gerar- chica, la visione del progresso. Esso trascrive e   heal   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 327   riflette con rigorosa e fredda esattezza, 1’ ordina- mento esteriore e formale della pura causalità e del puro movimento, l’ordine fisico-meccanico delle   esteriorità astratte, si direbbe con l’Hegel, o delle ‘   unità indipendenti ed incompenetrabili di massa, o dei fenomeni di movimento molecolare transe- unte. Ma non penetra e non illumina l’ordine su- periore ed ascendente delle esistenze e delle de- terminazioni qualitative (vita-psiche-spirito), nel cui dominio si asside, con variata gradazione d’in- tensità, di luminosità e di possanza, il principio di interiorità, di soggettività, di finalità.   * *x *   In vero il mondo fisico-meccanico è mondo di puri fenomeni; non di soggetti, perchè vi di- fetta l’attività immanente del principio di unifi- cazione. L’atomo è fenomeno, non soggetto: idea- limite della pluralità e della divisione, non unità semplice. L’atomo non si differenzia qualitativa- mente dall’ aggregazione e composizione degli atomi, dal .corpo. Cioè a dire, non è soggetto: perchè il principio di soggettività e d’ interiorità suppone il differenziamento qualitativo, la discri- “minazione interna dell’indistinto fenomenale e l’u- nificazione dei fenomeni sotto un’ idea direttrice. Il soggetto non è fenomeno o modo, ma onni- presenza dell’ente nei suoi fenomeni e nei suoi modi. Nell’ indistinto fenomenale emerge il sog- getto per processo interno di evoluzione, che, con vece alterna, separa ed unifica e dalla massa omo-   ded   328 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   genea dei fenomeni svolge ed enuclea un punto centrale, un principio di unità e d’individualità.  Il mondo dei soggetti e delle autonomie si afferma e si evolve procedendo dai modi del mec- canismo e dell’estensione alle forme superiori del- l’esistenza spirituale.  Così, è soggetto, e non fenomeno, la vita, che è la prima espressione del distacco dell’in- dividualità dall’ indistinto fenomenale ed è onni- presenza del principio vitale nei suoi fenomeni. La vita non è la pura fenomenologia fisico-chi- mica dell’organizzazione, ma è l’idea direttrice e la causa finale della medesima. È la prima e visibile forma della crisi della realtà, della secessione in- terna tra ìl fenomeno ed il soggetto, fra l’esterio- rità e l’interiorità, fra la relatività e l’assolutezza fra il mondo astratto ed il mondo concreto. Forma   | superiore di soggettività e di autonomia è la co- | scienza, nella quale si afferma più luminosa la   \   penetrazione del soggetto nei fenomeni, il riferi- mento della periferia al centro di coordinazione, l’unità sostantiva dell’anima.   * *% *   Questo mondo ascendente e progressivo dei soggetti e delle autonomie, in cui la realtà tocca il fastigio della verità e delle sue determinazioni, sfugge al principio di causa ed all’ esplicazione scientifica e meccanica dell’universo, perchè esso non si piega nè si arrende agli schemi del con- tinuo e dell’equivalenza causale, perchè esso è il      - pre CNO® I des piana faro a   E COME INTUIZIONE DEI, MONDO 329   mondo del cangiamento e della elevazione, perchè esso è il mondo della plusvalenza e dell’ asimme- tria, della lotta e del progresso, della generazione e del pathos.  Per il principio di causa è uno scandalo ed un assurdo la plusvalenza della vita ai fenomeni fisico-chimici, l’irreducibilità della coscienza e dell’anima alle rappresentazioni ed al nesso delle rappresentazioni, la presenza della libertà, il do- minio dello spirito.   Î   t È i Ù   Il principio di causa è principio d’intelligibi- i   lità fenomenale : epperò non comporta la divisione tra fenomeno e soggetto, l’emergenza del soggetto dal fenomeno e la subordinazione gerarchica del secondo al primo, non comporta, insomma, quel processo di crisi della realtà per cui dall’indistinto fenomenale si differenzia un principio ed un cen- tro di unificazione e di consapevolezza. Esso, ri- peto, rende ragion dei fenomeni, in quanto tali, non penetra i soggetti, cioè a dire le cose in sè.   * * *   Alle angustie del principio di causa ed ai di- fetti dell’intendimento, ossia della intuizione scien- tifica e meccanica del mondo, sopperisce 1’ Etica, come filosofia dell’azione.  L’azione è la forma tipica e la specificazione suprema della sintesi creatrice. È la testimonianza vivente del principio d’interiorità, di soggettività, di spiritualità, liberato dai vincoli che lo incate- nano e lo mortificano negli ordini del meccanismo.   Sa   pra,   eni e e e e deg i *T + Ra reame   \   \   \   330 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   Il suo avvento segna la recisione e la disfatta del determinismo fenomenale, l’inserzione dell’au- tonomia nella eteronomia delle cause efficierti. La sua presenza è l’affermazior e più eloquente della crisi della realtà, dell'interno disagio delle nature e della sollecitazione verso forme più eccelse di vita, della secessione liberatrice del soggetto dai fenomeni, della discriminazione del fine dal pro- cesso, della plusvalenza dell’ideale sul reale, della gerarchia delle qualità e dei valori. L’ azione è documentazione in atto della fe- condità del principio delle cause finali. Dire azione . è dire tutt’ uno che produzione, sintesi creatrice, | libertà, finalità esplicata e vivente. Ella ha, quindi, i una virtà eminentemente significativa ed esem- lare e simbolica: e non spiega solo il campo «della moralità, ma l’ ordine progressivo dell’ uni-   “a verso. Essa racchiude, non soltanto il fondamento   dell’etica, ma, altresì, il segreto d’ intelligibilità del cosmo. Essa svela e discopre gli occulti e pro- fondi disegni dell’ esseie e deriva una luce retro- spettiva e generosa sulle fasi buie ed inconscie del processo. L’ Etica, come filosofia dell’azione, non è la sola e particolare filosofia dell’ azione umana, ma è l’ universale filosotia dell’ azione co- smica, è la filosofia del principio agente della na- tura. Essa è non solo la filosofia dell’ uomo, come coscienza e volontà operosa nelle vie del bene, ma filosofia della natura come principio di fina- lità, di produzione progressiva, di azione. Essa è ‘tutt'uno che la contemplazione metafisica del   N mondo, la quale, a differenza della esplicazione   i   ‘ E COMB INTUIZIONE DEL MONDO 331   scientifica, asseconda il momento genetico e la sintesi creatrice. Essa intende, cioè, il mondo se- condo il principio delle cause finali e ne segue il ‘processo ascendente nella gestazione delle qualità e dei valori e nel dominio progressivo dello spirito.   * * *   La filosofia dell’ azione è la contemplazione del mondo in quanto attività operativa, o natura naturans, così come la intuizione scientifica e na- turalistica è la esplieazione del mondo in quanto’ prodotto formato, in quanto natura naturata. L’ una è la visione della natura orientata prospet- tivamente verso il cangiamento della serie e verso / il futuro : l’ altra, 1’ analisi della natura retropulsa» verso gli equivalenti della serie antèriore e verso N il passato. L’ una, cioè, è la natura veduta dal di dentro e come idea direttrice dei fenomeni e sin- tesi creatrice del nuovo e del diverso : l’ altra è la natura veduta dal di fuori e come coesistenza e successione di fenomeni; come persistenza e conservazione. L’ una è il mondo rispetto alla na- tura o rispetto alla generazione, l’ altra il mondo rispetto a noi (Aristotele): l’ una il mondo come cosa in sè (Kam), l’altra il mondo come rappre- sentazione.   * * *   È in questa virtù significativa ed in questa esemplarità dell’ azione come principio intelligibile   b   332 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE   dell’ universo, che si riafferma, più vera e profonda, la fecondità teoretica dell’ Etica. La filosofia del- l’azione è, ad un tempo, una scienza della morale   ed una dottrina del mondo; una metafisica uni-   versale, nella quale si compongono ad armonia la ragione speculativa e la ragion pratica.  L’ Etica, intesa come intuizione e come valu- tazione particolare dell’ operare umano, si reinte- gra e si compie in una intuizione finalistica del-   l universo. Essa illumina, ad una volta, l’ opera.   dell’ uomo e l’ opera del principio agente della na- tura. È etica ed è teoretica. In questo senso ori- ginale e profondo, essa può definirsi non solo co- me la scienza dell’ umana condotta, ma come la scienza di ogni sintesi creatrice (naturale o umana che siasi) che si annunzi secondo l’ ideale e le cause finali, la scienza universale dell’ azione. L’E- Vv ‘tica è scienza dell’ azione umana, veduta come pro-   ,:+ lungamento e coronamento dell’ azione cosmica.   Al lume di questa nova intuizione, la Morale 8’ ingigantisce di significazione e di contenuto. Ab- biamo già veduto innanzi che essa èduca alla co- noscenza di sè: vediamo ora che èduca alla co- noscenza del mondo, Essa non può derivare una luce qualsiasi sull’ umanità, senza rifletterne alcun raggio più vivo sulla natura.  E con ciò, essa ci apre una nuova visione di armonia e di pace intellettuale, che sopisce le an- tinomie dell’ esperienza e dell’intendimento. Acco- munando la natura e l’ uomo sotto l’ angolo visuale delle cause finali e della sintesi creatrice, affra- tellando l’ azione umana all’ azione universale, essa   s   E COME INTUIZIONE DEL MONDO 333   supera definitivamente ogni superstite dualismo fenomenale ed adempie una nuova sintesi del mondo fisico e del mondo morale, una intuizione unitaria del reale. Vittoriosa del relativo e del con dizionale, essa penetra l’ assoluto e la cosa in sè, in una contemplazione instar aeterni smorzando le dissonanze e gli attriti frammentari dell’ empi- ria e della transizione. |  Così essa germina un nuovo monismo : un mo- nismo spiritualistico e non materialistico e mecca- nico, che non abbassa il mondo morale al fisico, ma eleva il fisico al morale: meglio ancora, illu- mina entrambi sotto il comune principio del do- minio dello spirito, che nel mondo fisico si dibatte fra i ceppi ed i vincoli fenomenali, e, attraverso mediazioni laboriose, celebra la sua redenzione nel mondo morale.  Grazie a questa intuizione monistica, i vuoti aperti dal dualismo sono colmati : l’ azione spiri- tuale umana non appare un soprintelligibile o un miracolo, ma un coronamento ed un perfeziona- mento dell’ azione cosmica: le cause finali non ap-\ paiono come supremo arbitrio della volontà umana, ; ma come legge di cangiamento e di ascensione progressiva del mondo. In questa comprensione’ idealistica si compongono ad armonia la natura e l’uomo, la causa efficiente e la causa finale, la rappresentazione e la cosa in sè, la natura natu- rata e la natura naturans. In questa visione mo- nistica del mondo s’illumina l’ oscurità del pro- cesso: ed il simbolo si avvalora della Ince che gli deriva dal suo rapporto alla cosa significata   334 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL’AZIONE   e la natura e le cause efficienti scoprono le loro funzione di mediazione, di transizione, di viatico al dominio dello spirito. | È tutto un sistema di nuove verità, adunque, è tutta una intuizione del mondo che si occulta ai moduli dell’ esperienza ed agli schemi della rap- presentazione e si dischiude al lucido sguardo del- l’ azione. È un segreto d’intelligibilità universale, è una teoria nuova che sfugge allo spirito teore- tico puro, allo spirito come rappresentazione e co- me coscienza, e si concede ed arrende allo spirito pratico, allo spirito come volontà ed opera, come esercizio ed esperimentazione di virtù nelle vie dell’ ideale. È tutto un insieme ed un tessuto di { riprove che intervengono a suffragare il sovrano . paradosso : l’ azione è pensiero, la bontà è verità, il’ etica è teoretica. | { L’ armonia intravveduta dall’ intellettualismo stico risorge «ncora una volta, ma è dall’ azione che si svolge ìl pensiero e non viceversa, è dalla ‘ ’cearità che germoglia la sapienza, è dalla virtù che #’irradia la verità, è dalla volontà del bene che emerge la scienza. | Così l’azione è la chiave di volta dell’ edificio della conoscenza umana, il principio intelligibile del reale. E la morale accogliendo un duplice mi- rabile ufficio, si afferma ad un tempo, come co- scienza della vita umana e come scienza della vita universale, come filosofia dell’ azione e come in- tuizione del mondo.   FINE. —   é   dir EPSO      INDICE.   _—————+——+-xz   Î. La filosofia del diritto al lume dell’ idealismo critico . ; 0a Il valore ed i limiti di: una | psicogenesi della morale . ; 1° Le nuove forme dello scetticismo ‘morale e del materialismo giuridico L. La visione della vita di Fed. Nietzsche e gli i- deali della morale . . . 5. L’umano contro il superumano. Critica di Fede- } rico Nietzsche u, Il problema della morale. , Il valore della vita . ; L'Etica come filosofia dell’azione « e come intul- zione del mondo.   ‘ra Eri Vi sini   Pag.   47 101 179 905 249 987   303   RESERO, CE ST AAA PIRO i TRA   bn pen pd pn VI Mis SD WO0O ni OI) Uta 5 KG ha   a   REMO SANDRON, Editore — Libraio della R. Casa      bd pd Ut a   IM n   Oi   Mi   Milano-Palermo-Napoli   . De Felica G. Principi di Sociologia criminale . Chiappelli A. Voci del nostro tempo .  . Bonomi |. La finanza locale e i suor problemi . Sorel G. Saggi dî critica del Marxismo . . Puviani A. Teoria della illusione finanziaria . Loria A. Il Movimento operaio .  . Lo Vetare F. Il movimento agricolo siciliano . Jaurès G. Studi socialisti j  . Alongi G. La mafia .  . Pantaleoni M. Scritti varii di economia 52. Rignano E. La Sociologia nel Corso di filosofia po:   sitiva d’Augusto Comte . N. B_I mumeri mancanti sono sit   ME I I IZ °   i 05 GO Pi NO DI LO UO UO ItIT{I[ISI[$   % (CP   NITINTASTANTTANTTN   PICCOLA ENCICLOPEDIA DEL Sì SECOLO XX   . Lo Forte G. La vita delle piante Ì  . Corbino O. M. / sistemi d’illunvinazione  . Virgili. F. La statistica nella odierna evoluzione sociale . Castelli M. Le macchine agricole . 3  . Porro F. L'evoluzione cosmica  . Terracciano A. Lo sviluppo delle forme ed i rapporti   sociali nella vila delle piante   . Baccioni G. B. Zgiene degli alimenti i  . Mazzarelli G. La vita animale sulle terre emerse. . De Sanctis S. La mimica del pensiero. Studi e ricerche . Briganti G. La coltivazione della vite I. i   id. La coltivazione della vite, II. 1 ; ;   Campi C. La coltivazione delle piante erbacee . Pagnini P. La trazione elettrica allo stato attuale del-   l’elettrotecnica (in lavoro)   . Raffaele F. L'individuo e la specie i Rn) T. Le malattie della memoria   badia ca   pub dt dt DO NY pd dna Spine   ‘ Xx x ‘ sy uv %   v ‘ ro no |   - %   — BIBLIOTECA DE DEI POPOLI”   . Pavolini P. E. Mahabharata, Episodi scelti e tradotti,   collegati col racconto dell’intero poema   . Aristofane. Gli Acarnesi. Trad., Intr. e note di Er-   TORE RomagnOoLI   . Eschilo. Il Prometeo incatenato. Traduz. di Mario Fuockni. . Nagananda o îl Giubilo dei serpenti. Dramma buddi-   stico in 5 atti. Traduzione di FrancEsco Cimmino   . Canti popolari greci, trad. ed illustr. da Niccorò Tom-   MASEO, Con copiose aggiunte ed una introduzione di Paoto EmiLio Pavotini   . Il Canto Divino (Bhagavad-gtà) tradotto e commen-   tato da OrEstE NAzari      | DI SCIENZE E LETTERE   . Lombroso C. Genio e Degenerazione (esaurito) a . Taormina G. Ranieri e Leopardi. Osservazioni e ri-   cerche con documenti inediti î : 2   BIBLIOTECA * SANDRON :   » — —   L. 1 50   555] 153 3153   — li iii ii   a Ma   dida di e "i   st   REMO SANDRON, Editore — Libraio della R. Casa      Prezzo del presente volume: L. 3,50.   Milano-Palermo-Napoli 3. Sergi G. Leopardi al lume della scienza . L. 383—- 4. Sighele S. Mentre il secolo muore. Psicologia contem- poranea . ‘ ; ; . » 3 5. Patrizi L. M. Nell'estetica e nella scienza. Conferenze e polemiche. ì : < . » 4 6. Fornelli N. L'opera di Augusto Comte »> 3 - 7. Viazzi P. La lotta di sesso » 8350 8. Piazzi G. L’arte nella folla. » 4_- 9. Marchesini G. La teoria dell'utile. Principi etici fon- damentali e a OPPLICanIonI , »> 8 10. De Roberto F. Il colore del tempo ; . ì » B_- 11. Morelio V. (Rastignac) Nell'arte e nella nua. i » 4—- 12. Caselli C. La lettura del pensiero. Memorie ed appunti di un esperimentatore » 1 18. Gentile G. L'insegnamento della filosofia nei licei. Saggio pedagogico 1 ; : » B_- 14. Augias C. L'eredità del secolo XÌx i ‘ ; è: Sil 15. Venturi S. Le pazzie dell’uomo sociale. i ì i » 250 16. Caselli C. L' afelio degli animali. » 1— 17. Lombroso C. Nuovi studiè sul genio. 1. Da Colombo a Manzoni ; » B- 18. Nuovi studii sul Genio. II. Origine e na- tara dei Genii. > B_- 19. Croce B. Estetica come scienza dell'espressione e lingui stica generale. Teoria e storia i » 5 20. Stoppoloni A. Leone Tolstoi educatore x ; » 2 21. Sergi G. Problemi di scienza contemporanea i ; » 2 50 22. Straticò A. Dell’educazione dei sentimenti . » 250 23. Derada C. M. Gli uomini e la riforma della Rivoluzione francese ; s i 7 ; » 250 24. Fulci L. La dottrina di Tolstoi . ’ ; » 1— 25. Barzellotti G. Dal Rinascimento al Risorgimento. ; » 83 50 Nparo"i |neeroraig;t)i apt -paoosigiagiifgpigpo-lgpaggessngpiro--fagpo"ifpigli»-"[fijpo">g]pogin-gigioMtgpnigi»aigioe=rglegpiotgg; gio "lpragge» "go ‘BIBLIOTECA RARA 1. Giuseppe Ferrari. La rivoluzione e i Rivoluzionari in Italia. (Dalla «Revue des Deux Mondes» 1844-45), con ritratto dell’ autore e prefazione di A. Ghisleri e una notizia biografica di C. Cattaneo. 120 2. Melchiorre Gioia. Sul caro dei viveri e sul libero com- mercio dei grani. C. Cattaneo. L’ agricoltura inglese paragonata alla. nostra . » 120 8. Mauro Macchi. Le contraddizioni di Vincenzo Gioberti, con Gioberti filosofo giudicato da G. FerraBi =. >» 120 4. Carlo Pisacane, Come ordinare la Ramone Armata, con prefazione di G. Rensi » 120 5. Angelo Brofferio. I prim i quindici anni del regno di Carlo Alberto (dal 1881 ‘al 1846) . » 120 6. M. Gioia. Teoria Civile e Penale del divorzio (1808) . » 120 .7. La canzone di Garibaldi di GasrieLE D'Annunzio do- cumentata da AuserTto Mario, GuERZONI, ANELLI ed altri contemporanei, con ritratto di A. Mario .» 120 8. Pecchio G. Storta dell’economia pubblica in Italia I. ». 120 9. Triulzi P.ssa Belgioioso. La rivoluzione italiana nel 1848 (Dalla « Revue des Deux Mondes» 1848) . » 120 Igino Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano, non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza conversazionale, il sentimento morale, filosofia del diritto, communismo giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo, idealism critico, meditazioni di un idealista, GENTILE contro Petrone., Croce contro Petrone; l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra sannita; la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani contro i sanniti; bassorilievo dei sanniti, i liguri e i sanniti, le popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la complessità dello spirito della filosofia italiana; il linguaggio sannita; il linguaggio umbro, il linguaggio osco; il linguaggio falisco, limosano, musanum, limosanum; un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche, il valore della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione, l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini; l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, i limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. Petrone.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pezzarossa: la ragione conversazionale della fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome -- l’eloquenza lombarda – l’implicature conversazionali – la scuola di Mantova – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or ‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella repressione che porta al martirio di Belfiore. D’idee tendenzialmente liberali e  preoccupato sulle condizioni sociali disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di filosofia gli procura guai con la congregazione dell'indice. Partecipa attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei XX che partecipano alla riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana” (Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla, Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a Mantova” (Milano, Angeli); Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo” (Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scessi. ALIGHIERI e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio; “La grammatica ideo-logica; ossia, la legge comune d’ogni parlare dedotta da quella del pensare” (Milano); la Facolta inventrice. I romani vinti dai longobardi conservano la proppia legge. La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. Lo Spirito della filosofia italiana. Ragionamento. Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè a confutazione di scuole, ma lo vien cercando le varie fasi della italiana filosofia e lo spirito, che la condusse al grande rinnovamento opera tosi nel secolo di GALILEI. Da Pitagora a Leone X, durante la fortuna romana, nelle tenebre della barbarie, esotto il giogo della scolastica, gli parve discontrare, quando più, quando meno, sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, così semplicemente come le ha a sentire.  dome che dimostra la modestia dei padri nostri, i quali, non del Pezza-Rossa, Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della filosofia italiana, osserva come l'Italia è la prima che da a questa scienza un sistema, e le impose un nome. Acume e   vero conoscitori, ma piuttosto amici del vero s'intitolarono. Le basi principalidelloro metodo consiste nell'esperienza e nella osservazione. Fanno quindi un altro passo onde meglio procedere nella investigazione delle verità, ed è quello di riconoscere l'ufficio che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esteriore che nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il giudicare. Di questo modo l'antica nostra filosofia seppe dare ai sensi, si sentimenti ed alla ragione ciò che loro compete, e impede che i primi si levano al di sopra della seconda, e questa rifiuta l'autorità e la potenza di quelli. Così dei secoli anteriori al dominio romano. Ma la prevalenza delle scuole straniere non tarda molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie la fa quasi dimenticare, sebbene del tutto non la spegna. Senonche, colla conquista del mondo sube le influenze filosofiche dei popoli conquistati, accetta dottrine d'ogni maniera, egizie, asiatiche, druidiche, ma greche sopra tutto; e de fe' tale un amalgama che a stento potrebbe chiamarsi “filosofia”; o a meglio dire, ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze. Pare strano, ma è pur vero, Roma corrotta, e degenerata nei costumi, affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla daddovero, quanto per palliar meglio col suo manto la nutrita liceoza, testimonio Sede ca. La scuola pitagorica, odiata, ma temuta e ammirata, appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime forti. E CATONE, il censore, va me a capo della nobile schiera. Il nome di pitagorico non mai cessa dal significare uomo virtuoso e incorrotto. La qual indole morale e severa, dice il Pezza Rossa, sotto cui presentossi la filosofia italiana, fa si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo furono tutte le altre. Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosofi, ma rivelatore della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso, e le poche verità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche siffattamente svisate, che impossibile omai tornava l’osceverare con certezza il vero dal falso. Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari interessi; ricondurle alla pristina semplicità, è impresa da nemmeno tentarsi. Che fa dunque il Cristianesimo? Egli indisse guerra a tutte più o meno le speculative dottrine, mostra che fallacierano, disutilieper piciose, e colla santità della propria morale fonda la prima di tutte le filosofie: quest'è la filosofia delle azioni. Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all' italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei coltivata sempre con severa costanza e che meglio poteva rispondere agl'insegnamenti cristiani. Apollonio infatti, di cui Girolamo dice ch'è un prodigio inudito, degno di esser conosciuto in tutt’i secoli, avuto dal popolo in concetto di mago, ma filosofo reputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa vogliasi in un filosofo per essere veramente pitagorico? E quindi risponde. Richiedersi elevazione d’animo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità, pace, e virtù. Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si propone in morale un lodevole fine, il perfezionamento della umana natura, risultante dallo speciale perfezionamento di ciascun individuo. Nessun'altra filosofia poteva meglio consonare al vangelo. I primi sapienti del Cristianesimo, prima di edificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono che, dopo il vangelo, non  più mhaestieri di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gl’uomini al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi tanto naturale quanto la scessi: e questa infatti mostrossi. È noto che sotto il nome della scessi, spesso è insegnato a sprezzare vergognosi pregiudizii. Non devesi scordare che il dubbio è il padre della civiltà; e che, se il secolo di Cartesio è di GALILEI avesse ardito dubitare, le scienze e le arti non sarebbero per anche ripste. Foperò una scessi di sola teoria, doo di pratica; stette del pensiero, non nelle azioni: e perciò, s'egli da l'ultimo crollo alla filosofia speculativa, non porta alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella morale che la italiana filosofia sopravvive. Il grande BOEZIO vide l'estrema bassezza, in cui la sapienza era caduta, e saggiamente pensa a raccorre in un sol corpo le positive cognizioni, che dal gusto generale si sono salvate, e qual breve enciclopedia de’ suoi tempi le presertò sotto l'smabile nome: De interpretatione e Consolazione della filosofia. Nomeche in sè solo abbraccia il carattere di tutta up'êra. Cbi cerca le cagioni, in forza delle quali stelte viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo  sparmiata: l'acqua di Talete, l'infinito di Anassimaddro, il fuoco d'Eraclito, l'omeomeria di Anassagora, l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gl’atomi di Epicuro, gl’elementi di Empedocle -- tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate. I santi padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, del Lizio, molti di Platone delirii dell’Accademia. Ma in quello che gl’ecclesiastici scrittori studiano le scuole per combatterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del vangelo, se ne giovarono a comprovare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo non  sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bottino, occupano solo il territorio, lasciando ai XX eleggi, e costumi, e religione, mutando l'aspetto materiale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane, sebbene meno forti di loro. Oode che procede codesta loro maniera di conquista, o da calcolo, o da impotenza, egli è certo che recarono desolazione senza recare alcuna propria filosofia: a tal che la italiana, accompagnata da toote altre in epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e prostrarsi, potè parificarsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi di quelle macchie, che la fortuna le ha apportate. Passa quindi la dimostrare come la buona filosofia pratica comincia a fruttare anche ottima teoria, sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dall’accademia. Or ecco le vie, egli ripiglia, per le quali gradatamente lo spirito filosofico avanza, guadagnando sempre terreno. Il Leoni coavea, pel primo, portato allo stu dio padovano la cognizione di Aristotile genuino del Lizio, e mostra to come inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrine fatto maestro. Quando sorge quel potente ingegno di Pomponaccio [POMPONAZZI (si veda)] che si dove riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica italiana, dopo Pitagora, CATONE, BOEZIO ed ALIGHIERI. Pigmeo di corpo, ma di spirito gigante, penetra meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome, a farla rinascere, convene, prim ad’ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico del LIZIO, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile nel Lizio, voluto sostegno della morale e della religione, potevasi dimostrare l'anima non essere immortale, miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza, ma in ogni cosa dominare il destino. Strabiliarono tutti a conclusioni di tanta conseguenza, e  pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine, dal peripato del LIZIO non mai. Accagionarono di empietà il gran mantovano, che ha senza dubbio incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della chiesa on Leone X, e datogli un BEMPO per consigliere. La sapienza e la tolleranza medicea permisero al POMPONACCIO quello che prima non è stato permesso, separare dalla teologia la filosofia, conduce una linea di confine tra gl’obbietti della fede e quelli della ragione. L'esempio del gran maestro fa seguito da numerosi discepoli, tra quali hanno fama Scaligero, Sepulveda, Porzio, Benamico, Giovio, e da Cardinali, Contarini, cioè, e Gonzaga. È imitato con isforzi contemporanei da Cesalpino, da Cremonino, da Zabarella, e forse da quel Vanini, che, mal comprendendo Pomponaccio, spinge lo sfrenato ingegno allo stremo, e corge la miseranda fioe che tutti sanno. Imper ciocche, gli è pur mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sinistra interpretazione de'suoi principii, non solo a tutti ispira coraggio, ma ad alcuni fio an che baldanza. Tale si fa CARDANO, a cui la fecondità del genio troppe più idee somministra di quelle che il suo giudizio puo ordinare. Ma dice: loslu dio della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato come l'uomo delle invensioni. Tale BRUNO, che proclama sfrenatamente la filosofia del dubbio, filosofia che ovunque dissemina, viaggiando Italia, Francia, Alemagna, e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con tanta gloria, com’ha a confessare lo giudice non sospetto, Leibnizio. Si ridestarono allora i principali pensieri de’ pitagorici, e meravigliando si conosce che la flosofia italiana, in tutte le sue fasi da CATONE IL CENSORE ad oggi, e io tatte le sue manifestazioni, non ha all'ultimo che un fondo solo, il metodo esperitivo e naturale. A questo metodo avvia l’Italia VALLA, e NIZZOLIO, ed ACONZIO, e POLIZIANO, e finalmente CAMPANELLA, che, vent’appi, sale in bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lo spirito di TELESIO. Egli sostende che il senso è un fondamento della scienza, che dalla dimostrazione positiva e sensibile vasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere. La ragione tanto essere più certa, quanto più al senso vicina. Non però doversi andare cogli empirici che pretendono ragionare per le sole apparenze variabili, accidentali, sfuggevolissime, ma sìanche dietro verità costanti, che badoo principio nell'anteriore sentimento, e del testimonio di tutti gl’uomini. Con longbe e perigliose fatiche giunse quindi f palmente l’Italia a ridur in principii quello, che in pratica ha sempre tenuto. Scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le ipotesi, gl’a priori, con totti gl’altri vincoli della ragione, e sostenuto dall' analisi e dall'esperienza, il nuovo metodo spiega il volo alle più eccelse scoperie. Alla scuola italiana attiose Copernico il suo sistema astronomico, da Galilei poscia rivendicato. Da GALILEI che mostra immobile e improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato. Da Galileo, che, per mezzo di nuove lenti, interroga l'armonia misteriosa dei cieli, e con esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. RUBERTI TORRICELLI, colla invenzione de’ barometri e de’ microscopii, apporta alla fisica novella vita. Cavalieri, Maurolico e Tartaglia rendano fruttuose le matematiche colle applicazioni. VINCI (si veda) dà buona legge all'estetica. Buonarotti, l'uomo delle IV anime, fisa il buon gusto nelle arti. MACHIAVELLI scopre ai sudditi ei ai regnanti i segreti della politica. L’accademia del cimento affatica senza posa delle esperienze, le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde. La fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. Ogoi arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge. Ed è cosa per verità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa tanta copiosità di filosofie, da contenere, quasi in germe, tutte le altre scoperte verificate dappoi. Conserviamo adunque, conclude l'autore, il prezioso retaggio, che da’ nostri maggiori ci è tramandato e, che più è, adoperiamo di renderlo fruttuoso. Accioc chè, dopo aver portata agl’altri la scienza, non venghiamo giustamente paragonati alle nubi, le quali si disfanno in quel medesimo che d'amica pioggia fecondano le campagne. Esponendo i proprii pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia, non si erige a filosofo, ma stimola ed invoglia gl’altri a frugare in questa materia, pago di poter dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la forestiera. Che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano. E che sarebbe ingratitudine il disconoscere l’antica sapienza di CATONE IL CENSORE, da cui tutto surge, per seguire alcune splendide fantasie oltra-montane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa. Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The Swimming-Pool Library. Pezzarossa.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pezzella: la ragione conversazionale -- Cesare deve morire – l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin, but mine!” Si laurea a Pisa con una tesi su Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di ruolo. Collabora a un seminario con Derrida. Consegue sotto la tutela di Marin il doctorat a Parigi (Grice: “the reason why which few consider him Italian!”) e il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal documentarista Rouch a Nanterre. Insegna estetica ed estetica del cinema. Tenne un seminario a Parigi in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista Altra-parola e collabora col centro per la riforma dello stato a Firenze. La filosofia di Benjamin e quella di Debord sono punti di riferimento della sua propria. Studia la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità -- e in tal senso si occupa di Bachofen, introducendo Il simbolismo funerario degl’antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra. L’intersezione tra mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del pensiero di Hölderlin e della scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione della filosofia dialettica, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene data nella filosofia dopo i seminari di Kojève su Hegel. Di Benjamin considera soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie (cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per P., lo spettacolo –nella formulazione teorica che ne da Debord -- è la forma di vita dominante del capitalismo, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo la terminologia usata nel saggio su estetica del cinema, distingue lo stereotipo spettacolare dalla forma critico-espressive. Si è interessato all’intersezione fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la formazione della soggettività nel capitalismo, l’incidenza dei traumi storici collettivi sulla psiche individuale -- cfr. il saggio sulla voce minima. Esplora la filosofia politica d’Abensour, con cui condivide la rivalutazione del pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS, Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con Narcisso – Conversazione con me”  (Manifesto, Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile” (Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano, “Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto, Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere” (Jaca, Milano);  “Repubblica”; “Il bene comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”; “Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”; “Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud, Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin: la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. Pezzella.

 

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