Luigi Speranza -- Grice e Peano: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il deutero-esperanto
di Grice -- formalisti ed informalisti –
modernisti e neotradizionalisti – la riforma della lingua d’Italia -- la scuola
di Spinetta di Cuneo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Spinetta
di Cuneo). Filosofo italiano. Spinetta di Cuneo, Piemonte. Peano citato da
Croce nella “Logica, o della sicenza del concetto”. L’unico italiano citato da
nome da Croce nella Logica. La polemica Croce e il logicismo. Croce, Peano, e
la lingua universal – Per che la lingua d’Italia non e formale per Croce. Grice: “My type of philosopher; he quotes from Breal, Mueller – I wish I
could!” Spinetta di Cuneo, Piemonte. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am
of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian
philosopher. Linceo.
P. Fa la sua comparsa una delle proposte di lingua internazionale inventata d’italiani
che conosce più risonanza, il latino sine flexione di Peano, presentato nella
Revue de Mathématique -- La Revue de Mathématique è creata dallo stesso P.
Egli, assieme a molti altri filosofi, vi pubblica propri studi e ricerche
sulla logica e sulla storia della matematica. Il suo creatore non è in realtà
un linguista o un esperto di lettere - sebbene partecipa più volte a dei
congressi dove vienneno discussi problemi, oltre che di matematica, anche di
filosofia, didattica e linguistica - ma, come per altri filosofi, i suoi
interessi principali sono la matematica e la geometria. Dopo frequentare il
liceo classico a Torino, s’iscrive al corso di laurea di matematica e nello
stesso anno in cui consegue la laurea comincia ad insegnare presso Torino alla
cattedre di algebra, geometria analitica, e calcolo infinitesimale. Le sue
scoperte in ambito scientifico gli valgeno importanti riconoscimenti, la
partecipazione a numerose accademie, come quella dei Lincei, e gli permetteno
di mantenere frequenti contatti con i massimi esponenti del campo della
ricerca matematica. Proprio per questo, egli intrattenne numerosi carteggi con
gli altri filosofi, ed è perciò incentivato all'apprendimento delle lingue
straniere. Nonostante la lingua latina avesse smesso d’essere la lingua
internazionale delle scienze, P., che crede ancora fortemente nella sua
internazionalità pubblica i suoi studi sui concetti primitivi di zero, numero e
successore, intitolati “Arithmetices Principia”, proprio in latino – Grice:
“Whereas the only Latin Whitehead and Russell had allowed them to play with PRINCIPIA
in the title one – Moore was worse with his Principia ethica! -- . P. si dedica
similmente alla stesura di una imponente enciclopedia di concetti e teorie
matematiche, il FORMOLARIO, di cui furono stampate cinque edizioni, la prima
delle quali in francese e l'ultima proprio nella lingua internazionale da
lui elaborata, il Latino sine flexione. Le informazioni biografiche sono
tratte da treccani.it/enciclopedia Dizionario Biografico, cur. Roero. Eco, La ricerca della lingua perfetta in
Italia, Roma-Bari, Laterza. P., Vocabulario de latino Internationale comparato
cum anglo, franco (o gallo), germano, italo, russo, Greaco et sanscrito,
Torino, Cooperativa. L'esigenza di creare una lingua internazionale deve essere
nata in P. proprio in risposta alla necessità di comunicare in maniera precisa
e veloce con quanti più studiosi e colleghi di ogni nazione. Ma l’evento che da
il via alla composizione pratica di questa lingua è probabilmente la
pubblicazione, avvenuta qualche anno prima e curata da Couturat, di frammenti
inediti di Leibniz, nei quali il filosofo tedesco discute intorno
all'istituzione di una lingua universale. La scelta, ricadde sul latino, sul
quale egli opera una minuziosa opera di semplificazione, su esempio anche della
lingua immaginata prima da Leibniz, che prevede una drastica regolarizzazione e
semplificazione della grammatica, con una sola declinazione e una sola
coniugazione, l'abolizione dei generi e del numero, l'identificazione d’aggettivo
e avverbio, la riduzione dei verbi a copula + aggettivo (“... is shaggy” –
Grice), e come rivela nelle parole di apertura del vocabulario de latino inter-nationale,
quando dice «In scriptio precedente "De latino sine flexione", me
explica idea de Leibniz, que declinatione et conjugazione non es
necessario. L'uso della lingua inventata allora, evidentemente a posteriori, è
indirizzata alla comunità scientifica - la quale si suppone avesse già delle
discrete basi della lingua antica. Così P. ne parla in un altro articolo. La
differenza fra questa nuova applicazione e le precedenti è che mentre in
matematica le idee sono precise, e le uguaglianze esatte, qui invece le idee o
parole su cui si opera sono un po’elastiche, e l’uguaglianze sono solo
approssimate. Quindi sostituendo l'uno all'altro membro dell'eguaglianza, spesso
si trascura il COLORE (implicatura, Farbung) della frase. Ma ciò è un vantaggio
nel linguaggio scientifico – formale: Grice: formalists ad informalists
--, che tende al massimo di semplicità. Vedasi l'articolo
Il latino quale lingua ausiliare internazionale di P.,
wikisource.org/wiki/Il_latino-quale_lingua_ausiliare_internazionale. Sulla base
di studi compiuti su altre lingue moderne, P. decide d’eliminare una buona
parte del lessico latino dal vocabolario della sua lingua, così come avevano
già fatto altre lingue romanze 9000 nomen, 1700 adjectivo, et 2500 verbo Latino
es mortuo in Franco. Ergo lingua moderno ignora numero enorme de voce de
latino classico. P, Vocabulario de latino Internationale comparato cum
Anglo, Franco, Germano, Hispano, Italo, Russo, Graeco et Sanscrito. I casi nel latino
sine flexione si esprimono solamente mediante l'uso di preposizioni, così com'è
al giorno d'oggi per le lingue romanze, e non solo. In particolare si indica. Il
genitivo con la preposizione DE. Il dativo con AD. L’ablativo con AB,
ex, ecc. L’accusativo si desume dalla sintassi, secondo l'ordine SVO
(nominativo-verbo- accusativo – PARIDE AMA ELENA) o secondo la costruzione qui
(accusativo)-nominativo-verbo. Il nominativo non prevede l'uso di preposizioni.
I nomi si desumono talvolta dal nominativo, talvolta dal genitivo, applicando
le seguenti regole. Mantenendo la forma del nominativo (per esempio nel caso di
parole di terza declinazione come il lat. MATER > «mater», o il lat. NOMEN
> «nomen»); dal
nominativo mutando le desinenze -US, -UM, -U, -ES (per esempio il latino
classico LUPUS, BELLUM, CORNU, DIES) in «-o, -o, -o, -e» (in latino sine
flexione «lupO, bellO, cornO, diE»). Dal genitivo, cambiando la desinenza -i in
-o e -is in -e (es. lat. URBS > Lat. s.fl. «urbe»). La conseguenza di questo
tipo di semplificazione è la ri-unione di tutte le parole sotto un unico caso,
l'ablativo. I pronomi personali sono: me, te, is (ea, id), nos, vos, iis
(eae, eos). I pronomi dimostrativi sono isto e illo. Il pronome relativo è ‘que.’
I pronomi indefiniti sono: omni, ullo, nullo, alio, multo, e pauco (cf.
Grice on Altham pleonetetic – Geach). Come sostene Leibniz, la categoria del
genere non ha senso in una lingua razionale, poiché i referenti inanimati di
per sé non hanno genere. P. decide di indicare il genere, per i soli referenti
animati, con le parole «mas» e «femina» (ad esempio al posto di lat. MATER EST
BONA P. preferisce le forme indeclinabili «mater est femina bono. Ma poiché
nell'idea di 'madre' è già contenuta l'idea del femminile, è sufficiente «mater
est bono. Cf. Bachelor is bona – Grice/Strawson, In defense of a
dogma. Il
femminile si mantiene poi nel caso dei pronomi personali «is, ea, id»
(es. «ea est bono»). Come per il genere, anche il numero non è marcato
morfologicamente. Per indicare il singolare e plurale è sufficiente apporre
«uno» e «plure» (ad esempio la frase latina UNUM OS HABEMUS ET DUAS AURES [it.
'abbiamo una bocca e due orecchie'] in Latino sine flexione diviene «habemus
uno uno ore et plure duo aure», che semplificato - visto che nell'idea di 'due'
è già contenuta quella di 'plurimo' - appare «habemus uno ore et duo
aure». Ai verbi devono essere omesse le desinenze di persona, modo e quasi
sempre del tempo. La forma del verbo deve essere scelta dalla sua forma
all'imperativo (del tipo lat. EGO CURRO > Lat. s. fl. «me curre»). Per
comporre la forma dell'infinito è sufficiente aggiungere il suffisso -re alle
forme dell'imperativo (del tipo «curre» > «currere») e allo stesso modo si
formano anche le forme del passivo (es. sul verbo latino AMARE si ha la forma
indeclinabile ama, il cui infinito e passivo sono “amare.” Così al presente
attivo si ha «me AMA te – PARIDE AMA ELENA» e al presente PASSIVO «me AMARE te;
ELENA AMARE PARIDE. Vi sono alcuni casi particolari. Solo nel caso dei verbi
es, pote, vol, e fi, le forme INFINITE sono «esse, posse, volle, e fieri». I
verbi deponenti vengono trasformati in attivi per limitare le irregolarità. Per
esprimere i tempi si aggiungono locuzioni come «heri, jam, in passato, nunc,
cras, in futuro, vol, debe», ecc. Esempi: lat. EGO SCRIBO > «me (nunc) scribe»; lat. VOS
LEGITIS > «vos lege»; lat. NOS
AUDIVERAMUS > «nos IN PASSATO aude». Per indicare la funzione del verbo
(modo) si usano le particelle si, ut, quod, ecc. e alcune perifrasi.
Esempi: lat. LAUDANDO > «dum lauda»; lat. LAUDATO >
«qui aliquo lauda»; lat. LAUDATURO > «qui lauda IN FUTURO». P. spiega
anche come si compone il vocabolario o LESSICO del Latino sine flexione. Ogni
nome e verbo deve essere invariabile. Devono essere presenti anche i vocaboli
internazionali - scientitici - come «dyne, metro» ecc. I vocaboli possono
essere scelti non solo dal latino classico ma anche da quello che egli
identifica come latino popolare, ovvero diremmo oggi le lingue romanze o i
volgari, qualora questo esista in almeno due di questi (come ad esempio
caballus. La derivazione e la composizione dei vocaboli devono essere ridotte
al modo seguente. I diminutivi si ottengono preponendo la parola «parvo» [it.
'piccolo/minuto']. I sostantivi astratti derivati da aggettivi sono sostituiti
dagli aggettivi. Così il lat. ALTITUDO > «alto», il lat. BONITAS > «bono.Gl’aggettivi
che derivano da sostantivi sono sostituiti dal sostantivo al genitivo. Così il
lat. AUREO > «DE oro», il lat. ROMANO > «DE Roma. I sostantivi astratti
derivati da verbi sono sostituiti dai verbi. Così il lat. VIVERE EST COGITATIO
> «vive es cogita»; e. i sostantivi che esprimono colui che fa l'azione sono
sostituiti da perifrasi. Così il lat. LAUDATORE > «qui lauda», allo stesso
modo degli aggettivi derivanti da verbi, così il lat. ERRABUNDO > «qui saepe
erra». Gl’avverbi derivati d’aggettivi valgono tanto come aggettivi quanto come
avverbi. Così il lat. BREVI > «brevi», it. 'brevemente/breve.’ Per
esprimere opposizione è sufficiente apporre il prefisso ne- (su analogia con le
forme latine SCIO/NESCIO, FASTUM/NEFASTUM, ecc. Così il lat. DIFFICILE >
«ne-facile», ABNORMALE > «ne-normale». In alcuni casi è possibile
utilizzare anche la preposizione «ab» Le informazioni sono tratte dalla
trascrizione del saggio di P., De latino sine flexione. Lingua auxiliare
internationale,gutenberg. Nonostante il latino sine flexione sia stato pensato
come lingue di comunicazione scritta, l'autore dà anche qualche informazione
sulla sua pronuncia, che è simile a quella dell'italiano, ma non in tutti
i casi: c k t t th ph f ch X
h h rh qu ku P. sul finire del suo saggio
asserisce che l'adozione di una lingua storico naturale come lingua
internazionale è improponibile per via dei suoi risvolti politici. Così si
spiega la sceltadel latino, lingua antica e ormai lingua di nessuno stato
particolare e, se vogliamo, perfetta proprio perché senza esercito. A
sostegno della sua tesi riporta gli studi di altri filosofi che nel tempo hanno
avanzato proposte simili alle sue, tra i quali compaiono i lavori di Lullo,
Kircher, Dalgarno, Wilkins, Leibniz e decisamente più recenti, quelli di ROSA
(si veda), Zamenhof, Schleyer, Couturat e Leau (Histoire de la langue
universelle). P. da mostra di conoscere la storia delle proposte di lingua
universale anche nel suo saggio Il latino quale lingua ausiliare
internazionale, Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, dove elenca
le tipologie di proposte che sono state avanzate per risolvere il problema
della confusione linguistica, quasi babelica, e in particolare si sofferma
sulle due principali correnti dei suoi tempi: chi propone una semplificazione
del latino e chi propone la creazione di una lingua internazionale a partire
dal lessico internazionale. Ma poiché le parole facenti parte del lessico
internazionale sono quasi tutte di origine latina – cf. Hare: dictor/dictum,
Grice, implicatura, Strawson: prae-positio, Austin, per-forma --, P. ritiene
più sensato ricorrere alla prima tipologia proposta, quella a cui in effetti è
da ricondursi anche il progetto del latino sine flexione.Vedasi P.wikisource.org/wiki/11
latino-quale lingua ausiliare_ internazionale. A differenza del
deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è
utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo
corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si
veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO
(vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione
de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova,
Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande
appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista".
Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella
lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti
internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista,
quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis
facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini
lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben
adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve
seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine
grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad
praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for
the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es
multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua
nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione
assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana,
e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua
naturale, lingua madre di tutti i popoli. Nonostante sia stata utilizzata in
più occasioni e sia tra le lingue ausiliarie internazionali italiane che conosceno
più fortuna, la lingua di P. non raggiunse mai la fama e la diffusione d'uso
che in vari momenti raggiunsero altre LAI, come ad esempio l'esperanto – se
non, tra i griciani, il deutero-esperanto. Ad ogni modo, rimane indubbia
la qualità del progetto di P.: un filosofo che vede nella parola un'unità
semplice e combinabile, indeclinabile, capace di esprimere il mondo in maniera
esatta, così come fanno i numeri. Sua è infatti la citazione, parecchie
equazioni logiche sono nello stesso tempo equazioni etimologiche.
wikisource.org/wiki/il_latino_quale_lingua_ausiliare_internazionale, la lingua
di P. si limita a giustapporre, a comporre i suoi elementi invariabili secondo
un ordine logico, eliminando gl’imbarazzi della grammatica latina
classica. P. divenne presidente dell’Accademia internazionale di lingua
universale, e la ri-nomina Academia pro Interlingua. L'accademia nasce sotto la
presidenza di Kirchhoff con il nome d’accademia internazionale di VOLAPÜK.
I suoi membri potevano utilizzare la lingua a loro più congeniale e intorno ad
essa orbitarono esponenti dei più prestigiosi progetti di lingue ausiliarie
internazionali. L'accademia pubblica la proposta di una nuova lingua universale
di base latina con il nome, appunto, d’inter-lingua, sotto la quale si cela il latino
sine flexione del suo presidente, con qualche leggera modifica (come ad esempio
l'uso della desinenza -s per indicare il plurale). P.’s postulates, also called P, axioms, a list of assumptions from which
the integers can be defined from some initial integer, equality, and
successorship, and usually seen as defining progressions. The P. postulates for
arithmetic are produced by P. He takes the set N of integers with a first term
1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1
belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and
associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs
to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across
the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the
successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways P.’s
formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any
guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established
shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen
to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are
now detached. It was realized by P. himself that the postulates specified
progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them,
with suitable interpretations of the properties. But his work was significant
in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with
Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of
mathematics. In addition, with Veblen, Skolem, and others, this insight led in
the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being
developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’
in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable
alternative models of the postulates. These procedures were of great
significance also to model theory, in highlighting the property of the
non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard
analysis” of Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical
inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor
associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua
ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino classico. Nacque
in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di
Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo P. e Rosa Cavallo; sette
anni prima era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero
Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile
(doveva ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola),
la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele
Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a
raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico
Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino, divenne professore di calcolo
infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal 1890. Vittima della
sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare logica in un corso di
calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato dall'insegnamento a dispetto
della sua fama internazionale, perché "più di una volta, perduto dietro ai
suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle sessioni di esame".
Ricordi del grande matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati
con grazia e ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della
pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria,
iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal socialista Lerda. Morì nella sua casa di campagna a
Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella
notte. Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di
matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Vailati, Castellano,
Burali-Forti, Padoa, Vacca, Pieri e Boggio. Peano precisa la definizione del
limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una
superficie -- la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di
frattale -- mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora
vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.
Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da
Jordan (curva secondo Jordan). Fu anche uno dei padri del calcolo
vettoriale insieme a Levi-Civita. Dimostra importanti proprietà delle equazioni
differenziali ordinarie e idea un metodo di integrazione per successive
approssimazioni. Sviluppa il Formulario mathematico, scritto dapprima in
francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiama il suo latino sine
flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte
dimostrate. Da un eccezionale contributo alla logica delle classi,
elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Da una definizione
assiomatica dei numeri naturali, i famosi assiomi di P. che vennero poi ripresi
da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria
dei tipi. I contributi di Peano sulla logica furono osservati con molta
attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri
furono osservati con molta attenzione da Vailati, il quale sintetizzava in
Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione
di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e
matematici, e anche specifica gli interessi di storia della scienza, allargando
la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo P. ha dei contatti molto
stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio
nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Rinzivillo, P., Vailati.
Contributi invisibili in Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia” (Roma
Nuova Cultura). Ha ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti
alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. E affascinato
dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppa il "latino sine
flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai
congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua e concepita per
semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari,
applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra
quelli principalmente di origine latina rimasti in uso nell’italiano. Uno
dei grandi meriti della sua opera sta nella ricerca della chiarezza e della
semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di
notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo
di appartenenza (“x ∈ A”) e il
quantificatore esistenziale "∃".
Tutta l'opera di P. verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo
di una notazione sintetica, base del progetto del Formulario, fino alla
definizione del latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità lo
portano P. ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e
verificare di persona i tipi per la “Rivista di Matematica” da lui diretta e
per le altre pubblicazioni. Raccolge una serie di note per le tipografie
relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di
stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma
che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide P. è stato battezzato così in suo onore.
Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in
Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo,
Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina
alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,);
“Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale”
(Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale
e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio
dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti”
(Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai
per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza
della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli,
Bologna); Celebrazione, Luciano e Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).
L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino,
Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe. Assiomi di P., Glottoteta, Lingua
artificiale, Matematica, Latino sine flexion, Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna
Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E P. stregò
Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by
proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads
Russell to consider the sole denoting concept which presupposes uniqueness -- "the.”
Russell admits the great importance of this term, recognizes the merit of P.'s
notation, and attributes to P. the capacity to make possible genuine
mathematical definitions defining terms which are not concepts, the meaning of
a word with its indication-reference and the meaning of a denoting concept with
its denotation. P. does something more than provide the standard notation. The
pre-eminence of a description over other forms of denotation is definitive. The
notation for a description is inspired in the Peanesque symbolism (i.e.
"laeb"). Membership to a class is replaced by a propositional
function (i.e. (l£)(<I>X)). A propositional function is explained as a
certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one
and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p.
Perhaps most interestingly for us is the insistence on the indefinability of
"the" – P.'s inverted iota is already used -- together with the
notion of denotation. The article, as published, adds the expression of the
main definition in terms of propositional functions together with the previous
manuscript definition in P.'s terms of existence and uniqueness, albeit if not
in symbolic form. The two essential definitions are Principia, * 14.01.02: .
\jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b )
: 4 > x . =• . x = b. This expresses the conditions of existence and
uniqueness essentially with P.’s resources, i.e., in terms of quantification
and identity, although adding propositional functions. P. has different vresources
to eliminate the definite article – his inverted iota -- from a proposition. P.
actually recommends this line in cases where the required conditions of
existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition
in use. The descriptor is by no means indefinable in his system. Russell:
"I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but P.
gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as
Russell maintains in Principia, following P., that a definition is to be always
nominal, the definienda is only an abbreviation. Russell formulates his principle
to preserve the admissible part of Bradley’s analysis -- (his methodological
and analytical resourses -- and almost the entire Moore, in so far as they were
compatible with the requirements of Peano's logic. Some of the mostti mportant ideas
and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already
present in essays Peano that Russell knows well. We may proceed by a detailed
comparison between the relevant parts of Russells theory -- including
manuscripts now published-and some of Frege and, . . ht as well as a discussion
of numerous possible obJectlons that P.’s mSig s, . . fl db could be posed to
the main claim. Even if Russell was not actually influenced by those insights,
the parallelisma are close enough to be worth analyzig, especially in the case
of P., whose writings are not very well known. (r) can be clearly found in Frege and Peano,
that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explicitly-including the
symbolic expression by P.. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN P.. The
source in P. of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have
been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap.
3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for
the unit class, and the same letter inverted (1), or denied ("fa), for the
only member of thiS class, i. e., the definite article of ordinary language. P.'s
ideas evolved in three stages towards greater precision in the treatment of a description.
This last P. starts from the definition in terms of the unit class. He then adds
a series of possible definitions (the ones allowing an alternative
logic al order), one of which offers this equivalence. P. introduces his
fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its
members are identical. In P.’s symbols, tx =ye (y =x). Likewise, P. defines
indirectly the.unique member of such a class: x = "fa • = • a = tx.
However, concerning the definability of the definite article, P. adds the crucial
idea that any proposition containing “the” can be reduced to. the for,? ta eb,
and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class
(a ~ b), which already supposes the elimination of the symbol t: Thus, P. says,
we can avoid an identity whose first member contams thiS symbol. Here we find
the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous
referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between P. and Russell's
treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while, for
Peano, a description combines a class abstract with the inverse of the umt
class operator, for Russell the free use of class abstracts is not available
due to the discovery of paradoxes. P. does not explicitly state that the
mentioned expression would be meaningless, but rather "nous ne donnons pas
de signification a ce symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient
plusieurs individus.” But this is equivalent in practice, given that if we do
not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. There
are, however, other ways of eliminating the same symbols according to P.. One which
is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc
b(ibid). class (a) such that it
belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element
such that this element is a member of that class (b). In other words: "the
only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at
least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by
x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the
class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class").
This seems to be equivalent to Russell's definition. P., of course, speaks in
terms of classes instead of a propositional function, i. e., in terms of the property
or the predicate, which define a class – P. often read the membership symbol as
"is" -- which expresses the same idea in a way where any reference to
the letter iota has been eliminated. We can read now "the only member of a
belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i)
the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to
b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and
that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class
b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlies the definition,
although P., in lacking a specifically explicit philosophical goals, shows no
interest in making this point. Peano is totally aware of the importance of this
device as a way to reduce the definite article to more primitive logical concepts,
i.e. to eliminate it, as a result of which the symbol would cease to be
primitive. That is why P. adds that the above definitions
"expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus
Ie signe 1; puisque toute P contenant le signe 1a est reductible a la forme
1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P.” Therefore, the general belief according to which the symbol
"1" was necessarily primitive and indefinable for P. is wrong. By
pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition
it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class
in terms of the existence and identity of all of their members (i.e.
uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory,
let us consider possible objections against this rather strong claim. All of
these objections are either misconceptions or simply have no force with regard
to P.’s main claim. This is why"a"is equal to the expression ''tx'' (in
the second member). The objection could still be maintained by insisting that
since"a" can be read as "the unit class", P. did not really
achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as
it is shown through the occurrence of these words in some of the readings
proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the
definition only states the meaning of the symbols which are used in the second
member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class",
which has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared,
but in the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would
refer somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has
not been really eliminated. The answer is very simple: for P. there were at
least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota
(in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather
complicated expressions,14 and given P.'s usual way of working (which can be
First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above.
Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can
interpret the definition as stating that "la Eb" is only an
abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating
exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to
their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement
of"a" and"b" as being classes, and the final entire
definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) •
X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}]
•XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in
this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members
are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it
occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely
nominal definition, i.e. a convenient abbreviation. characterized as the
constant search for shorter and more convenient formulas), it is quite
understandable that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no
means necessary, for the symbolic expression above was already enough to obtain
the full elimination of the descriptor. We must not forget that the important
thing is not the intu- itive and superficial similarity between the symbols
"la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota
in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit
class", but the conditions under which these expressions have been
introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first
definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the
hypothesis from above for another example). But this by no means involves
confusion with i~clusion,as. it is shown by the fact that P. soon added four
defimte properties precisely distinguishing both notions, which made it
po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient
readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon
Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a
singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions;
it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the
interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining
the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple
objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the
received view on P., according to which his logic not only falls s~ort ofstrict
logical standards, but also contains some import- ant confuSions here and
there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken.
(Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by
Russell himself, who always thought of P. and his school as being strangely
free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that P.
confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho introduced
the distinction through his symbol "e" (previously to, and therefore
independently of, Frege). If the objection means (which is rather unlikely) that
P. would admit the symbol for membership as taking place between two classes,
it is true that this was the case when he used it to indicate the meaning of
some symbols, but only through the reading "is" (e.g. full clarity
that"1" (T) makes sense only before individuals, and ''t'' before
classes, no matter which particular symbols we use for these notions. Thus,
''ta'', like "tx", both have to. be read as "the class consti-
tuted by ...", and" la" as "the only member of a".
Therefore, although P., to my knowledge, never used "lX" (probably
because he always which could be read as " 'a and b being classes,
"the only member of a belongs to b" is to be the same as "there
is at least one x such that (i) 'there is at least one a such that for eve~,':
and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that y =. x', and (ii) x
belongs to b,where both the letter Iota and the words the unit class" have
disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b
. = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known similar example in the
apparent vicious circle of Frege's famous definition ofnumber. the reply to
objection (1). There are other, minor objections as well. Second,
"la" does notstand for the singleton class. P. stated with thought in
terms of classes), had he done so its meaning, of course, would have been
exactly the same as "la", with no confusion at all. Third,
"a" stands for a class because it is so stated in the hypothesis,
although it can represent an individual when preceded by the descriptor, and
together with it, i.e. when both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here P.'s
habit could perhaps be better understood by mterpretmg it in terms of
propositional functions, and then by seeing" la" as being somewhat
similar to <!>x, no matter what reasons ofconvenience led him to prefer
symbols generally used for classes ("a" instead of"x").
There is little doubt that this makes a difference with Russell. It could even
be said that while, for Peano, the inverted iota is the symbol for an operator
on classes, which leads us to a new term when it flanks a term, for Russell it
was only a part of an "incomplete symbol". I am not sure about P.'s
answer to this, but at any rate for him the descriptor could be eliminated only
in conjunction with the rest of the full express- ion "la e b", so
that the most relevant point of similarity again can be found in P.. Last,
there is no problem when we join the original hypothesis and the definition: as
I have pointed out in the interpretation contained in the last part of (3)
If, as it seems, "a" is affected by the quantifier in the hypothesis,
then it is a variable which occurs both free and bound in the formula (if it is
a constant, no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by
P. himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f
clarity between the several senses o f "existence" (or related
differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle
there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same
expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how
this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the
fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in P. and
Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a
little the role of ".3" in P. . (5) P. could hardly have thought that
he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the
symbol and his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only
additional reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining
ofa symbol in a system in cases where the symbol can be defined, i.e.
eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the descriptor after
its elimination by means of his theory of descriptions.) But, as we have seen,
there is no doubt P. thought that the descriptor could easily be eliminated
from propositions. (4) Russell rejected definitions under hypothesis, therefore
he would have rejected the Peanian definition of the descriptor. Of course, we
must admit that Russell (like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this
took place especially in the context of the unrestricted variable of
Principia.I ? Besides, he himself used this kind of definition for a long
period once he mastered P.'s system. It was because he interpreted these
definitions as P. did, i.e. merely as -a device for fixing the meaning of the
letters used in the relevant symbolic expressions. Thus, when for instance one
reads, after whatever symbolic definition, things like" 'x' being
..." or" 'y' being ...", this would really be a definition under
hypothesis, but, of course, only because the meaning of the sym- bols used always
has to be determined somehow. Anyway, there is no point in continuing the
discussion ofthis objection, given that it is hard- ly relevant to my main
claim. Even if P.'s original elimination of the descriptor does not work
because of its taking place in the framework of a merely conditional definition,
the force of his original insight could well have influenced Russell; at any
rate, it is worth knowing in itself (6) The reduction mentioned, even if it
really took place, was by no means followed by the philosophical framework
which made Russell's theory of descriptions one of the most important logical
successes of the century. Thus, P. did not realize the importance of the
elimination. This last point can hardly be denied, but P.'s goals were very
different from Russell's, so I think that to point out a "lack" like
this makeslittle sense from a historical point ofview. 16 I would like to
recall here that it was P. himselfwho discovered the distinction between bound
and free variables (which he respectively called "apparent" and
"real"), and probably-and independently of Frege-also the existential
and universal quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of
both achievements). Quine wrote that "1" was a primitive and indefin-
able idea in P. However, now that we have exchanged several letters concerning
an earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His
letter to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy
to get straight on P. on descriptions. I checked your reference and I fully
agree. P. deserves all the credit for it that has been heaped on Russell (except
perhaps for Russell's elaboration of the philosophical lesson of contextual
definition)". As for the sense in which the philosophical consequences of
the elimination of the descriptor were not very important for P., I have faced
the problem in my reply to an objection. And also in previous stages, through
the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon
propositions, with no classes and no propositional functions. . For according
to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context
of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context
of the clas~ from which that class is a member, at least to the extent that the
class a is included in the class b, although this supposes no confusion between
membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2)
above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a
Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec-
tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of
the descriptor was present in P. with essentially the same symbolic resources
as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of
this paper: P. clearly stated the conditions of existence and uniqueness as
providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough
symbolic techniques for dispensing with it, including those required for
constructinga definition in use. We have a few relevant passages, but the
clearest one occurs. There we can read that" Ta" is meaningless if
the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the
third claim was made by P.. Perhaps under certain different interpretations of
P.'s devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not
exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I
think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to P.
and Russell, it is important to know that P. had these resources at his
disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the
heritage from P. in a clearer way if we compare the definition with the version
for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but
before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now
to one of Russell's manuscripts, "On Fundamentals. First, we find there a
definition stated in terms similar to P.'s, and with almost exactly the same
symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only
affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the
eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and P.,
including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones
that Russell had studied in detail before his own theory was formulated. Second,
the later improvement of this definition is precisely in the sense of making
clearer that, although the method of the propositional function was preferable
to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of
existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from P. -- according
to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the
context of a class (which in Russell became the form of a propositional
function), appears here. Benacerraf, and Putnam, Philosophy of Mathematics (Cambridge). The first appearance of Russell's
definition, under the form which was adopted as final, took place, not in
"On Denoting", but in a letter to Jourdain: According to that, all
other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence,
for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the
eliminative construction of the definite article, which was a result of the new
semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main
enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin). As for
Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism. In fact, Bacher describes mathematical objects
as "mere symbols" and he advises Russell to follow this line of work
in a letter (only two months before Russell's key idea): "the 'class as
one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by
Lackey [Russell). Finally, for MacColl it is necessary to mention his essay
where he spoke of "symbolic universes", which include things like
round squares, and also spoke of "symbolic existence". Russell pub-
lished his essay as a direct response to this author, and there we can see some
conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving
peculiar cases in a Fregean context. I agree with Grattan-Guinness that MacColl
was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal
communication), but I have no room here to devote to the matter. There is,
however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On
'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness Substitution" written with only slight symbolic
differences. I am indebted to Landini for the historical point.
'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed.
U. Cassina, Roma: Cremonese, Studii di logica matematica". Repr. Logique
mathematique. Repr. Analisi della teoria dei vettori, repr. Formules de logique
mathematique. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI
FILOSOFIA BOLOGNA. Una questione grammatica RAZIONALE,
speculativa, filosofica – morfo-sintattica, semantica, prammatica. STftBILIMEMro
iJOLICiKMNCO EMILIHMO BOLOarifì. Discorso. UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA
RAZIONALE. Leibniz, nel suo saggio “de grammatica rationali” pone le basi
di un nuovo campo di studi, che solo in questi ultimi tempi comincia ad essere
coltivato. Il compianto VAILATI (si veda), rapito or sono due anni da immatura
morte alla filosofìa, presenta al Congresso della Società Italiana pel
progresso delle scienza, tenutosi a Firenze e pubblica un saggio, La grammatica
dell’algebra, ove studia a che cosa corrispondano gl’elementi grammaticali –
sintattica, semantica e prammatica – in una formula – logica o algebrica. P. tratta
del valore logico – semantico -- delle categorie “grammaticali” – sintattica,
semantica, prammatica. La grammatica latina di DONATO (la prima,
essecutata in eta volgare) classifica le espressioni in categorie o, meglio, parti
del discorso, -- le otto parti dell’orazione -- chiamate I nome sostantivo, nome
aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, intergezione, etc. Il
loro numero è generalmente nove. Alcuni grammatici posteriori al Donato ne
hanno meno. La grammatica greca di Dioniso ne hanno dieci, compreso l’
articolo – soppresso nella lingua latina, ma represso nella lingua italiana e
nella lingua francese. Questo numero dieci è fìsso nella grammatica
francese ispirata da DONATO. I italiani sono più variabili, o volatili –
la prima grammatica del volgare e di un filosofo che parla una forma molto
primitiva del toscano! Peano si propone di esaminare se questa classificazione –
di DONATO, basato nel VARRONE, o nella grammatica volgare del toscano –
“grammatica sine authore – sia meramente formale o REALE, cioè se l’essere una espressione
nome sostantivo, nome aggettivo (Grice da un solo essempio, “shaggy”) o
verbo, o avverbio (“non), o preposizione, o congiunzione (“e,” “o”, “se”) è una
proprietà dell’ente che l’espressione indica, ovvero solo meramente della
forma dell’espressione La questione presenta un interesse di
attualità, ora che molti si occupano di lingue inter-nazionali, più o
meno artificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni, termina
ogni nome aggettivo colla desinenza indo-europea, aria, o indo-germanica “-ico”
del tipo latino “prosaico,” “publico,” “classico,” ed ellenistico “logico,” “geometrico,”
“conico,” ecc. Questa idea, sotto forme diverse, e adottata da alcuni filosofi
di interlingue più recenti. Il Deutero-Esperanto di H. P. Grice, nelle
varie forme, fa terminare ogni nome sostantivo in “-o” e ogni nome aggettivo in
“-a.” (L’essempio di Grice: “shaggy-a”. Quindi i filosofi di queste lingue
ritengono che la classificazione delle parti del discorso – parti dell’orazione
-- e non meramente formale, ma reale. Un esempio rischiarerà la
differenza fra proprietà reale e proprietà formale – use and mention –
Grice, la parola ‘MOTHER’ used as a paper-wright. Le proposizioni, L’uomo è
animale razionale,” “ “Uomo” consta di quattro lettere” esprimono
rispettivamente una proprietà reale o materiale ed una formale di “uomo”. Si
suol anche dire che la prima esprime una *proprietà* dell 'ente uomo (linguaggio
oggeto) e la seconda una proprietà dell’espressione ‘uomo’
(meta-linguaggio). Si tratta di vedere se la proposizione: “uomo
è sostantivo” e del tipo formale o reale. Un criterio che spesso
permette di distinguere una proprietà reale da una formale o meramente verbale
– o espressiva -- è la versione della proposizione in altra lingua, come nel
francese. Cosi se al posto di uomo metto l’equivalente francese ‘homme’, la
proprietà reale rimane vera – French men
are rational --, la formale non è più verificata, perche “homme” consta
di cinque lettere, non quattro, come nella lingua italiana. Questo criterio
non basta sempre. Per es. se sostituisco l’italiano “uomo” con, allora,
il latino “homo,” tanto la proprietà reale quanto la proprieta formale
risultano verificate. La versione della proposizione nelle lingue
europee, non permette di riconoscere chiaramente se sostantivo sia una
proprietà meramente formale dell’espressione o reale del topico che si tratta,
perchè la grammatiche della lingua italiana (‘sine autore’) adotta la
nomenclatura della grammatica latina di DONATO che si adatta loro
abbastanza bene, perchè una lingua neo-latina come l’italiano o il francese sono
tutte parenti prossime del latino. Esse non sono che varie fisionomie di
una stessa lingua. Qualche differenza già si intravvede. II latino “homo”
è certamente un nome sostantivo perché ha tutta la declinazione: nominativo:
homo, familiaris o genitivo: hominis, dativo: homini, causativo hominem,
ablativo homini, locativo homine, vocativo, homine, etc. Invece l’inglese “man”
è dato nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo, o come un *verbo*
attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di provvedere di soldati un
forte, etc. La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di
origine differente. La distinzione fra la proprietà reale e la proprieta formale
si incontra pure in matematica o arimmetica (Austin, Frege). Il segno “=” indica
sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri (Clark Kent = Superman). Ma
“Clark Kent e meno da Superman, x<y, o mai da Superman (x>y) e un
assurdo. Da x~y, segue che ogni proprietà *reale* di a: è pure una
proprietà reale di y. Le proprietà formali possono essere diverse.
Delle due proposizioni: */, è frazione minore di 1. s /
3 è frazione irreduttibile, la prima esprime una proprietà reale,
la seconda una formale di s / 3 . Essendo */ 3 = */, sostituendo alla prima
forma la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda
falsa. Bréal, nell’ Essai
de sémantique (Paris), dice: Il y a des langues qui ne distinguent pas
les categories. La stessa osservazione è ripetuta più volte da Mùller. In “The
science of Thought, London, egli spiega che le dieci categorie del LIZIO
– I SUBSTANTIA OvGlu, II QVALITAS stoGÓv, III QVANTITAS tcoióv, IV RELATIO xyóg
ti, V tcov. •xot £, VI xbìó9'CU ì VII tytup sroiffr, VIII nàd'ft IX X tv
-- dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo alle dieci
parti dell’orazione delle grammatica di DIONISO e DONATO (per la lingua latina).
Mùller osserva che il LIZIO trasse le dieci categorie, non dalle
grammatica greca di DIONISO (ancora da scriversi), ma dalla *lingua* greca. E
che se il rettore del LIZIO (questo Aristottele)i, invece che un
provinciale che adotta il greco volgare parlato a Stagira, fosse stato (o
parlato) semita o cinese, avrebbe latto una differente classificazione in
categorie. Ma possiamo osservare il carattere formale delle categorie *grammaticali*
-- d’espressione --, nella lingua italiana nostra *senza* ricorrere a una lingua
non europee. Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij. Sic
est locutus “leo,” ego primam tollo, nominor *quia* “leo” – Huxley: Rightly is
a pig named ‘pig’. Qui, “ego = leo.” (Io sono un leone – tu sei la crema del
mio caffe). Ma “leo” (o crema) è nome sostantivo secondo le grammatica senza
autore – italiana --, ego è pronome, dunque: pronome =
sostantivo, cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può
essere rappresentato da un pronome – “questo,” “quello” – Bradley, thisness,
thatness, Merton/Magdalen, Oxford. La differenza fra nome sostantivo e
pro-nome (cioe, quello che sta PRO nomine -- non e pertanto reale; ma
meramente formale o dell’espressione, e precisamente *morfologica* -- o lessica
– la forma, morphe – morfologia morfo-sintassi. I pro-nomi nella lingua latina
hanno una declinazione differente dalle cinque dei nomi sostantivi *propriamente
detti*, quindi conviene, come osserva l’autore della grammatica senza autore, di
farne una categoria a parte. L’identità fra pro-nome e nome sostantivo è
indicata dalla stessa espressione grammaticale – da Dioniso a Donato – “pro-nome,”
che significa letteralmente: che *e le veci* di un nome o nome sostantivo,
ma che si deve intendere che ha il valore di un sostantivo. Il valore di
un pronome cambia con il contesto del discorso o della profferenza (the context
of utterance, citato da Grice, tratto da FIRTH e GARDINER --, secondo la
persona che parla – il proferente -- ed a cui si parla – il recipiente. Ma ciò
non modifica l’eguaglianza fra pro-nome e nome sosntantivo. Anche in algebra le
lettere “x” ed g hanno un valore *variabile* (non costante) colla questione. Ma
se in una questione risulta x = 2, segue che x è un intero, pari e primo
al pari di 2, cosi si da “ego leo” segue che “ego” ha la proprietà di
essere un nome sostantivo, al pari di “leo” -- supposto che la proprietà
di essere un nome sostantivo è reale. Anche l’*avverbio*, qua e là, ha un
valore dipendente dalla persona che parla --- o del ‘profferente,’ come
dicevano i dialettici delle scole. Pure l’avverbio “là” non si mette in
una classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degl’avverbi, con “bene,”
“liberciliter” etc., che hanno un valore *costante* e non sensitivo al cotesto.
E se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili. Chi scrive in una
lingua europea, come l’italiano, o il francese, può fare a meno di
risolvere il problema se il “pro-nome” --
come Grice’s “I,” or “Someone” -- è un nome sostantivo. La lingua dei
Romani, come dice Varrone, si ha
sviluppata per secoli prima che ad essa si applicasse la nomenclatura
grammaticale – a Roma, i grammatici erano i schiavi. Chi scrive in Deutero-Esperanto,
sotto una delle sue varie forme, deve cominciare a risolvere questo
problema per sapere se ai pronomi deve dare o no la caratteristica “-o.” E
mentre la maggioranza dei filosofi non considera il pro-nome quale nome sostantivo,
una minoranza, con a capo LEMAIRE lo considera *logicamente* -- o
concettualmente, o in termini della grammatica filosofica o grammatica
razionale o grammatica speculativa -- come un nome sostantivo e dà loro
la desinenza “-o.” Passo ora alla relazione fra il nome sostantivo (“leo”) ed il
nome aggettivo (“shaggy”) – AD-IECTVM. Il
Larousse dà le definizioni seguenti. Un “nom substantif” e un “mot qui *dèsigne*
une personue, ou une chose.” Un “nom adjectif” e un “mot qui seri à *qualifier*
une personnem ou une chose. Considero i due giudizi: Pietro
è buono. Paolo e bravo. Pietro è poeta. Paolo e filosofo. Essi hanno la
stessa costruzione; “buono” (o “bravo”) e “poeta” (o “vago”) servono egualmente
a, per usare la terminologia naif del Larousse, *designare* ma anche *qualificare*
la persona Pietro (o Paolo). Cf. Grice on Pegasus pegasusises. Sono amendue
nomi di classi di enti. Ma “buono” (o “bravo”) è nome *aggettivo*, “poeta” è nome
*sostantivo*. Dunque: aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à. La
differenza fondamentale fra il nome sostantivo e il nome aggettivo è che,
in generale, l’aggettivo è accompagnato da – si aggiunge a -- un sostantivo,
con cui concorda in numero – singulare, duale, plurale --, genere – maschio,
epiceno, femina --, e caso – retto o
monimativo, o obliquo: genitivo, o familiare, accusativo o causativo, dativo,
ablativo, locativo. Quindi la necessità di un capitolo della grammatica (non
razionale) che spiega queste flessioni nell’italiano del nome aggettivo nel
grado positivo, e quelle dei comparativi (comparativo e superlativo), etc. Ma
questa differenza evidentemente appartiene alla morfologia della lingua latina
e della lingua italiana o la lingua francese. L’aggettivo può benissimo restar
solo come in: veruni dico, audaces fortuna juvat, miscuit utile
dulci. Cosi nella lingua italiana, “dico il vero” [dico vervm] = “dico cosa
vera,” “dico la verità, onde risulta: “il vero” = “cosa vera” = “la verità”.
La concordanza nella lingua latina vive ancora nella linua italiana,
limitata al genere e numero. Il caso è morto – eccetto nelle forme
pronominali, “ti amo”; ed è del tutto scomparso in una lingua agglutinativa
come la lingua inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia Britannica,
nell’articolo sulla grammatica, leggiamo che la distinzione fra nome sostantivo
ed nome aggettivo non è applicabile nella lingua inglese (Che idiota ha scritto
questo articolo?). Questa distinzione fra nome sostantivo e nome aggetivo sta
nella veste. Spogliata la parola – o l’espressione, come dice H. P. Grice -- della
veste della concordanza latina, non c’è più criterio per distinguere il nome
sostantivo dal nome aggettivo. Dal fatto che nella lingua latina “bonus”
concorda col soggetto – essempio: Cesare --, chiamno “bonus” i schiavi grammatici
nome aggettivo. La grammatica di DONATO, che è la prima grammatica
importante, è dell’era *volgare*. Varrone non necessita grammatica! Si
commette un anacronismo e si scambia la causa coll’effetto quando, prima, si
definisce il nome aggettivo (“bonus”) e poi si enuncia la regola della
sua concordanza col nome sostantivo (“dictator bonus”). Come si parla la
lingua latina per secoli, prima che nascessero i grammatici, cosi si può
continuare a parlare in una lingua moderna come la lingua italiana o la lingua
francese, lasciando ai schiavi grammatici la stupida cura di decidere se la
differenza fra il nome sostantivo (“dictator”) e il nome aggettivo (“buono”) e meramente
formale o reale. Ma chi scrive in una delle forme di Deutero-Esperanto è
costretto a dire dopo ogni parola: questo è un nome sostantivo, questo e un
nome aggettivo e questo è un verbo. Ciò ha senso nella forma latina, che
e lingua che H. P. Grice chiama NATURALE, a questa, il Deutero-Esperanto, lingua
artificiale, o, come prefire H. P. Grice, ‘inventata’ -- avendo soppressa
la forma latina, la distinzione non è più possibile. In
conseguenza, i seguaci del Deutero-Esperanto, discutendo di una cosa non
esistente come se esistes, arrivano a risultati fra loro contradditori.
Per esempio, in un sistema si ha l’eguaglianza: Pietro è
buono-aggettivo = Pietro è
buono-sostantivo. In altro sistema – il Deutero-Esperanto di Grice -- solo la
prima forma è lecita. Ivi, “buono-sostantivo” significa “bontà” e si
riferisce a quello che Grice chiama ‘SECOND-order predicate calculus.”
Parimenti l’articolo che ossessiona Strawson è messo dalla maggioranza dei
deutero-esperantisti fra i nomi aggettivi. Ma Lemaire osservando che l’articolo
“il” deriva da un antico pronome demonstrativo nella lingua latina (“ille”),
che è, per Lemaire, un sostantivo, pone l’articolo definito fra i nomi sostantivi!
(“Il presente re di Francia e calvo”). Poche parole sul carattere formale
del verbo. La proposizione latina, Ars longa, vita brevis, corrisponde
all’Italiano, l’arte è lunga, la vita è breve. Nella lingua italiana, vi è il
verbo “essere” – la copula -- che in latino non sta detto. Il
latino “brevis” corrisponde all'ialiano “è breve”. Ma “è breve” è il PREDICATO
TOTALE della proposizione o orazione, e quindi è un verbo. Dunque, si
conclude, anche la forma latina abbreviata “brevis” è un verbo. Ma questo
è un aggettivo, dunque l’aggettivo — verbo / i u C ttj. Alcuni filosofi
della lingua dicono che, in vita brevis, il verbo, la copula, è
sottinteso – sous-entendue – IMPLICATED, implicito --, e che la frase o
l’orazione è elittica e entimematica. Ciò significa che l’ “est” non sta DETTO
(ma impiegato, implicato) ed è cosa evidente. Non bisogna intendere però
che la parola “est” sia stata sottintesa (sous-entendue, empiegate, implicata) o
soppressa, non espressa, ma so-pressa; cioè, che essa parola “est” – o
IZZING, come prefirisce Grice -- sia l’abbreviazione di una frase ipotetica più
antica contenente l’ “est.” Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo
la mancanza (soppressione, implicatura, impliciture) della copula “est” sempre
più frequente. La incontriamo in greco ed è ancora frequente in
russo. Altri esempi da Max Muller – da non confendere con Max Miller, il
comediante giudeo-inglese cockney -- nix
alba = nix albet; sarculum acutum = sarculum caedit. Quindi la
forma originale della proposizione e soggetto (-aggettivo; l’ausiliario “essere”
è posteriore. Pare che il suo significato primitivo dell’IZZING di Grice fosse
di respirare. Dice Muller. An auxiliary verb is the
shadow of a verb, which originally means ‘to grow,’ (become), to dwell, to turn,
to breathe. L’identità nome aggettivo = verbo può parere una novità al
pubblico moderno, benché nota ai filosofi della lingua. E evidente ai scolari
del LIZIO, chi affermano che “antropos,”
“uomo,” è “onoma”, nome, mentre “levxóv” è “rhema,” verbo. Se nome sostantivo =
nome aggettivo ed nome aggettivo = verbo, segue che sostantivo — verbo.
Eccone alcuni esempi diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca
jióviov, homo homini deus, e nel pessimista latino, homo homini lupus, il
“deus” e “lupus” valgono come “si comporta come un amico (deus)” e “si
comporta come un nemico (lupus)”, e perciò sono verbi. VACCA (si veda) che
visita gran parte della Cina coll’occhiodel filosofo, mi cita la
frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del simbolo di uomo,
letteralmente tradotta diventa: uomo, uomo, uomo» e significa: l’uomo
tratta umanamente l’umanità. Nulla impedisce di dire che il primo
simbolo è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusativo, ma
nessun segno indica questa proprietà. Cosi nella scrittura che noi
deducemmo dagl’arabi (non dai romani), “222,” possiamo dire che il primo ‘2’
rappresenta centinaia, il secondo, decine, e il terzo unità, e cosi
enunciamo varie proprietà delle varie figure “2,” *non* del numero
2. Le parole soggetto e predicato di una proposizione, sono termini
relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare se le parole ‘sostantivo’
ed ‘aggettivo’ possano avere valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno valore
assoluto, e che una definizione di sostantivo è *impossibile* -- cf. Grice on
‘Fido is shaggy,’ – “It is impossible to expect the philosopher to provide
meaning-specifications for all parts of speech, so I will restrict myself to
the ‘predicate,’ “shaggy.””. Vedasi sullo stesso soggetto il
saggio su «Discussione de Academia prò Interlingua. Giuseppe Peano.
Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e
Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore
‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive
dell’operatore iota. -- H. P. Grice,
“Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e
Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Peano.
Luigi Speranza -- Grice e Pecoraro: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del conflitto – la scuola di Salerno -- filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italian. Salerno, Campania. Grice: “He must
be the only philosopher who philosophised about ecstasis!” Grice: “Many don’t consider
him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not
within) Italy!” – Filosofo e storico della filosofia italiano. Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze
Politiche, si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi
sulla filosofia di Cioran. Collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero,
Il Giornale di Napoli come cronista di nera e di giudiziaria. Si avvicina ad
alcuni artisti contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti
di Brera organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento
editoriale dei rispettivi cataloghi. Tra i partecipanti:Paladino, Pisani, Galliani,
Knap, Montorsi, Melioli, Battaglia. Un'esperienza che è importante in seguito,
quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea
verranno riscoperti in chiave nichilista. Fonda "Quadranti"
dedicato a Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di
Napoli. È possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in
due momenti distinti. Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le
attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e
filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati -- tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del
suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben. Contatto con Vattimo,
Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e
filosofia negative, politica e morale. Una filosofia disperata e
negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di
una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti.
I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos
esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi
filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici
tra nichilismo, nullae negazione. Il risultato è una filosofia
anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività
pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica
estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali,
storiche e morali. In questo orizzonte
di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale,
maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello
alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista
-- Ricerca un orizzonte di senso diverso
e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi
precedenti fili conduttori. Interessi,
letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e
chiarezza. Decisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la critica
dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo
devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti
presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere"
e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave
interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette
alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza,
avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due
temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere;
l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della
psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che,
fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una
filosofia dell’attuale e sulla
convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e
trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una complessa
e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno
filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle
condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei
"diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di
fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo
post-illuminista. Il secondo opolitico-sociale– attraverso la
critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione
del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù
volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia
e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si
dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero
filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non
"sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere);
“Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al
Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano
Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto
e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Peisicrate: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma
– filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean,
cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pisicrate, since he finds that
dipthongs are un-Roman!” -- Peisicrate.
Luigi Speranza --
Grice e Peisirrodo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma
– filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A
Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pesirrodo, since
he says that dipthongs are un-Roman!” -- Peisirrodo.
Luigi Speranza -- Grice e Pelacani: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Parma --
filosofia emiliana -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Parma). Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna.
Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!”. Lettore (Grice: “reader or
lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere di Visconti. In questa veste si trova più volte coinvolto
in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il
Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate
intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie
infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre
metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords:
passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pelacani:
la ragione conversazionale, la dialettica, e l’implicatura conversazionale – filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo italiano. Noceto,
Parma, Emilia-Romagna. Grice: “Some like Pelacani, but Pelacani’s MY man.” Dottore
diabolico. Grice:
“I would call him a philosophical grammarian; he considers the topic of
‘meaning,’ ‘significatio,’ and agrees with me that ANYTHING can signify, a
handwave, etc – hardly just ‘vox’! He is especially interested in ‘significatio
naturaliter,’ which he explains, er, naturally. He deals with the concepts
expressed by the different parts of speech – adverbs, etc. – and disapproves of
the idea that the ‘arts’ of language are ’scientia.’ He saw himself, as I do,
as a PHILOSOPHER, and would consider everything related to the language used by
philosophers as PRO-PEDEUTIC --. Parente
di Antonio P. Della sua medesima casata un altro filosofo. Frequenta la facoltà
artium philosophie a Pavia, dove, come titolare della cattedra di magister
philosophie et logice, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna
a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica del LIZIO e
sostenne l'applicazione di strumenti matematici per sostituire le regole
obsolete. In particolare conduce studi sull'ottica nelle Quæstiones de
perspectiva. Nel saggio De ponderibus si occupa di statica ed elabora in De
proportionis una teoria del vuoto che si contrappone alle tesi del continuo dei
fisici del Lizio. Si occupa anche del moto dei pianeti in Theorica planetarum e
mette in discussione la cosmologia del Lizio negando che si puo sostenere
l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teo-logica dell'esistenza di
un primo motore immobile, vale a dire del divino. Nega quindi la possibilità
delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza del divino e dell'immortalità
dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente
ANIMATO -- ‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire” --,
un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per
generazione spontanea e, quando gl’influssi astrali sono favorevoli, vengono
alla luce anche l’anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto
che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il
materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'è soprannominato, è accusato
d'eresia e condannato ma ciò non gl’impede d’essere apprezzato come un grande
astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da
ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti
a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine
nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus”. Beduerdini. Robolini,
Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli
scrittori e letterati parmigiani raccolte da Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato
anche per la sua avarizia in Veratti, De' matematici italiani. Commentario
storico, Majocchi, Codice diplomatico, Pavia, Enciclopedia Garzanti di filosofia, Camerota,
Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della
percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford. Altri saggi: Quæstiones de
anima, Firenze, Olschki; Super tractatus logice (Parigi, Vrin); Circa tractatum
proportionum magistri Bradvardini (Parigi, Vrin); Super perspectiva communi (Parigi,
Vrin); Quæstiones de anima: alle origini del libertinismo, Sorge, Napoli,
Morano, Firenze, Sismel, Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de
ponderibus, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia. Francesco P. is
yet another of the P.. There are at least four of them: two Antonios, un
Biagio, and one Francesco. QUÆSTIONES DIALECTICÆ; Quaestiones
super tractatus logicales: quæstiones dialecticæ -- utrum dialectica sit
scientia – arguitur quod non; VENEZIA, San Marco, Martanova, in Padova: hunc
librum donavit eximius artium et medicinae doctor magister MARTANOVA (si veda) de
Venetiis congregationi canonicorum regularium sancti Augustini ita ut tamen sit
ad usum dictorum canonicorum in monte sancti Johannis in Vicocis, torate
pund nd Hai Cananci d an Astio dal convento di san Giovanni in Viridario;
expliciunt regulæ questiones super tractatum compositæ per reverendum doctorem
magistrum Blaxium de Parma, Frater Johannes de Mediolano ordinis
Cruciterorum SCRIPSIT hunc librum IN
CARCERIBVS – “the best time to spend your time in jail” – H. P. Grice -- sancti
Marci de VENEZIA; OXFORD, Bodleian Library, Canonici, miscellanco, explicit hic
codex per Simonis eque manumque, leggere varianti formali: possiede in fine
alla ultima questione, prima dell'explicit una raccolta di sophismata,
diversamente dal ims di Venezia. (Su cio cfr. Le questioni dialetriche di P. da
Parma, Medioevo, Padova, Quæstiones dialecticae, ms, Venezia, Mare, lat. De
introductionibus de dialectica; Oxford, Bodleian Lib., utrum dialectica sit SCIENTIA
et arguitur quod NON – ma un arte, cf. natura vs. Artifizio – ‘natural’ --; utrum
dialectica sit scientia [regina] scientiaram, arguitur quod NON; utrum in
acquisitione scientiarum dialectica debeat esse prior et arguitur quod NON; utrum
disputatio dialectica sit SERMO DVORVM, scilicet opponentis et respondentis -- et
arguitur quod NON; utrum A SONO tamquam a priori sit incoandum -- et
arguitur quod NON; utrum hæe sit concedenda: SONVS est quicquid proprie auditu
auris percipitur -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA sit illa qua
auditui ALIQVID REPRÆSENTAT et videtur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA AD
PLACITVM sit illa qua AD VOLVNTATEM INSTITVENDIS ALIQVID SIGNIFICAT -- et
arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA NATVRALITER sit illa qua apud omnes idem
segmticat; utrum definitio data DE
NOMINE sit bona cum dicitur nomen est vox etc.; utrum definitio data de VERBO
sit bona et arguitur quod NON; utrum diffinitio data de ORATIONE sit
sufficienter posita et arguitur statim quod NON; utrum PROPOSITIO sit ORATIO
verum vel falsum significans -- et arguitur quod NON; utrum omnis
propositio sit categorica vel ipotetica; utrum omnis propositio ipotetica
sit quanta et arguo quod NON; utrum omnis propositio categorica sit aftirmativa
vel negativa -- et arguitur quod NON; utrum quæcumque fuit contraria fuit
universalis negativa eiusdem subieeti et eiusdem prædicati -- et arguitur
quod NON; utrum omnis propositio sit necessaria, contingens, vel impossibilis
et illa quæstio movetur super illum passum propositionum triplex est materia et
statim probatur quod nulla sit necessaria -- et arguo SIC; utrum
contrariarum si una est vera et reliqua est falsa et statim -- arguitur quod NON;
utrum possibile sit contradictoria simul esse vera vel falsa in aliqua materia
-- et arguitur quod SIC; quia magister dicit quod lex subalternarum talis est
quod si universalis est vera, particularis est vera et non e contra et ideo quæratur
in quæstione utrum si universalis est vera particularis cius debeat esse vera
et statim arguitur quod non; de conversionibus sit illa utrum omnis conversio
sit bona consequentia -- et arguitur quod NON; circa capitulum de ipoteticis
sit prima quæstio; utrum definitio data de propositione ipotetica sit bona in
qua dicit auctor propositio ipotetica est quæ habet duas categoricas
principales partes sui -- et arguitur quod NON; utrum omnis conditionalis vera
sit necessaria, falsa, aut impossibilis, quia illa quæstio duo quacrit, ideo
argumentum (arguo O) primo contra primum, secundo contra secundum; utrum ad
veritatem copulativæ requiratur utramque partem elus esse veram er hoc
sufficiat et statim – et arguitur quod NON; utrum ad veritaten disiunative
requiratur alteram partem erus esse veram et hoc sufficit statim, patet quod NON;
utrum ad veritatem causalis requiratur consequens sequi ex antecedente et hoc
sufficit -- et arguitur quod NON. Non si trova nel testo di Pietro. Qui Biagio
sviluppa un tema della logica di Occam sulle proposizioni causali. Scrive
Biagio. Si consideras consequenter quæ sunt illæ de quibus non determinavit, ad
hanc respondetu quæstio proposita quærit de una illarum, scilicet de causali de
qua nihil dixit; utrum si aliquis terminus. positus in propositione steterit
ratione alicuius SIGNI confuse et distributive contingat illum stare
determinate alio confundente et illa quæstio rationabiliter quæritur propter
quaddam dicta in quæstione praccedenti,
arguitur in questione pro parte negativa – quod NON; utrum si alquis terminus
positus in propositiones stererit ratione alicuius signi confuse et
distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quuæstio
rationabiliter quæritur propter quaddam dicta in quæstriones præcedenti — argutur
in question pro parte negative – quod NON; utrum si aliquis TERMINVS positus in
propositione steterit ratione alicuius signis confuse et distributive quæritur
propter quadam dicta in queæstrione præcedenti, arguitur in quauestione pro
parte negative – quod NON; utrum omnes duæ propositiones modales ex eisdem
terminis constitutæ se mutuo inferant in bona consequentia et statim -- arguitur
quod NON. De prædicabilibus; utrum prædicabilia sint *quinque*
et non plura et arguitur quod prædicabilia sunt *plura quam quinque* et deinde
quod pauciora. Primum argumentum est hoc, De prædicamentis, sit prima quæstio
de prædicamentis utrum quando alterum de altero prædicatur de prædicato prædicetur
de subiceto et statim -- arguitur quod NON; utrum SVBSTANTIA sit GENVS
GENERALISSIMVM in prædicamento substantiæ
prædicatione essemill de quelbe ponibili possibili Vin prædicamento
substantiæ, Ista questio aliqua qværit et aliqua præsupponit. Arguam de primo
supposito, dende de quæito; utrum substantiæ sit aliquod contrarium et statim --
videtur quod NON; utrum ab eo quod res est vel non est, ORATIO dicatur esse VERA
VEL FALSA, vel sic, utrum omnis propositio habens correspondentiam rei dicatur
esse vera, non habens aulem correspondentiam ex parte rei dicatur
esse falsa; vel sie, ut ex co quad ita est sicut propositio principaliter SIGNIFICAT,
ipsa propositio sit vera, ex co quod non ita est sicut propositio SIGNIFICAT,
propositio dicatur esse falsa, et statim arguitar contra partem affirmativam –
quod NON; utrum substantia quanta distinguatur a quantitate eius vel idem sit
quod sua quantitas et extensio, sive quæram sub his verbis utrum omnis
quantitas sit substantia vel qualitas; utrum eadem quantitas possit esse et
dici continua et discreta et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitas sit
genus generalissimum de predicamento quantitatis et statim apparet quod sie per
autoritatem et per LIZIO; utrum hace sit vera 'omne tempus est' et statim -- arguitur
quod NON; utrum numerus sit res numerata vel distinguatur ab eis et statim
probo qued numerus non sit ipsa res numerata, sed quod potius ab ipsis rebus
distinguatur; argumentum; utrum puncta sint in linea et statim -- arguitur quod
SIC; utrum quantitati sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod SIC;
utrum quicumbue duo TERMINI qui sunt præradicabiles de se invicem in OLBLIQVO
CASU sint possibiles in prædicamento ad aliquid et statim -- viderur quod SIC; utrum
ab uno correlativorum ad aliud valeat consequentia; utrum RELATIO sit res
distincta a rebus invicem relatis et importatis per terminos de prædicamento ad
aliquid ut velim quarere in illa quæstione utrum paternitas sitilla res quæ est
pater vel distincta a patre, dependentia sit res distincta a dependentia et
statim arguo quod relatio sit res distincta a rebus invicem relatis [cf. H. P.
Grice, ACTIONS AND EVENTS, PARIDE AMA ELENA); utrum quilibet terminus prædicabilis
in quale si de prædicamento qualitatis -- et statim arguo quod NON; utrum
termini de predicamento qualitatis sint de se invicem prædicabiles de suis
inferioribus cum his ADVERBIS 'magis et minus' -- et statim videtur quod NON; utrum
proprium sit actionis ex se inferre passionem et est quærere utrum ab activo ad
passivum valeat consequentia -- et statim arguitur quod NON. DE
CONSEQVENTIIS: utrum quælibet consequentia sit bona – et arguitur quod
NON; utrum ex duabus PREMISSIS in modo et figura dispositis de necessitare
sequatur aliqua CONCLVSIO -- et statim viderur quod SIC; utrum quilibet SYLLOGISMVS
sit BONA CONSEQVENTIA -- et statim apparet quod NON; utrum licitum sit ex puris
negativis sillogisare et statim per plura argumenta videtur quod sie; utrum
negativa possit inferre affirmativam -- statim videtur quod SIC; utrum qualiber
CONSEQUENTIA cuius ANTECEDENS est impossibile sit BONA et hoc est quærere illud
quod communiter logici quærunt, scilicet utrum ad impossibile sequatur
quodlibet vel sequi possit -- et statim arguo pluribus argumentis quod NON;
utrum quælibet CONSEQVENTIA curus CONSEQVENS est necessarium sit BONA et hoc
est quærere utrum necessarium sequatur ad quodlibet -- et arguitur quod NON; utrum
possibile sit ex veris sequi falsum -- et arguitur quod SIC; utrum qualibet
proposition SIGNIFICET sicut ad eam sequitur – et statim arguitur quod NON, per
multa iconvenientia. De locis, circa locos sit prima questio utrum QVATVOR SINT
SPECIES ARGVMENTATIONIS, scilicer SYLLOGISMUS, INDVCTIO, ENTIMEMA (H. P. Grice,
“Implicit reasoning”) et EXEMPLVM; CONSEQVENTIA BONA -- et arguitur quod NON; utrum
CONSEQUENTIÆ tenentes vel quæ vigorantur per locum a toto in quantitate ad cius
partem sunt bonæ -- et statim arguitur quod NON; utrum consequentia qua arguitur
a toto in modo ad eius partem sit bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a
toto in loco ad cius partem sit CONSEQUENTIA bona -- et statim arguitur quod
NON; utrum a toto in tempore ad eius partem sit BONA CONSEQVENTIA -- et
arguitur quod NON; utrum quæ libet talis consequentia valeat: generatio huius
castri vel civitaris est BONA CONSEQVENTIA, igitur hoc castrum est bonum vel
illa civitas. Similiter quæro de illa consequentia: corruptio istius hominis
vel illius mulieris est bona, igiur ille homo fuit malus vel illa mulier, et hoc
est quærere idem quod sequeretur utrum a generatione ad generatum, similiter a
corruptione ad corruptum, sit bona equitare est bonum, igitur equus est bonus –
arguitur quod NON; utrum a disiuncta cum opposito unius partis ad aliam
partem veleat consequentia, et hoc est quærere utrum consequentia quæ vigoratur
per locum a contradictoriis fuerit bona – et statim videtur quod NON.CONCLUSIONES
DE CONSEQUENTIS VENEZLA, Marc, Bessarione, Valentinelli, quæstiones
ordinatæ per me Blasium de Parma, quaccumque CONSEQVENTIA posita nulla talis
est mala, sed quælibet bona. Si tratta dell'elenco di
petitiones di logica 'de consequentiis', seguite da conclusioni, non di Physica
come ritenuto dal THORNDIKE (A History, GRANT (Blasius of Parma, in Dictionary
of scientific Biography, ad vocem, New-York, et sie sit finis sententiæ
conclusivæ totalis libri Ethicorum Aristotelis secundum in domo filiorum
quondam magistri Jofredi Ferrariæ». Segue Elenchus quæstionum ordinatarum per
me Blaxium de Parma e segue Tabula quæstionum Johannis Buridani super libris
Ethicorum. QUESTIONES PERSPECTIVÆ Quæstiones perspectivæ, incipit
:«uæritur utrum pro visione causanda necesse sit ponere species diffusas ab
obiecto in oculum et arguítur primo quod non»; 1) FERRARA, Pavia, VENEZIA, San
Marco, Valentinelli, expliciunt quæstiones super perspectiva scriptæ anno
domini 1399; 3) OXFORD, Bdl. Canonici, misc.quæstione super aliquibus
propositionibus primac partis perspectivæ (copia incompleta); OXFORD, Bdl.
Canon, misc, FIRENZE, Laurenziana, Plut. in Firenze, cfr. I Studi sulla
prospettia medtevale. Torno, Giappichelli, e per la edizione da questo ms.
delle questiones I, qu. 14 € 16, e Ill qu. 3, de iride, cfr. Le questioni
di perspectival di P., "Rinascimento", FIRENZE, Laur. Ashburnham;
MILANO, Ambrosiana, con figure seguito da Opus Prosdocimi super Jo. de
Sacrobosco tractatum de sphæra, segue: Collectanca ex Thadeo de Parma super
Theorica planetarum Gerardi Cremonensis; 8) MILANO, Ambrosiana, si arresta alla
quæstio -- MILANO, Ambrosiana, in Pavia, Explicit opus eximii viri artium
et mediciac doctons magistri Blasi Parmensis super propositionibus et
conclusionibus perspectivis scriptum per me magistrum Marinum sacrac theologiæ
doctorem de Castignano ordinis Minorum provinciæ Marchæ Anchonitanæ dum Papiæ
studens essem discipulus magistri Francisci de P. film supradicti
auctoris VATICANO, Vat. Barb., lat.; dopo la tabula quæstionum si legge:
Explicit opus eximii viri artium et medicinæ doctoris magistri Blaxii Parmensis
super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me
Theodoricum Goth almanum, seguito probabilmente dalla perspectiva communis d iPeckham (non menzionato da David Lindberg ed., PECKHAM,
Perspectiva communis, Madison, VATICANO, Vat. lat., vet sic finitæ sunt quæstiones
perspectivæ secundum Blaxium de Parma, deo gratias; expliciunt quæstiones super
perspectivam communem secundum famosissimum artium monarcham et philosophum
dominum magistrum Blasium de Parma». Si trova citata 'l'illusione ottica che
gli capito a Busseto, che non si trova, ovviamente, nelle copie anteriori a
quella data e che costituiscono un diverso gruppo di questioni di prospettiva;
VIENNA, Nationalbibliothck, edizione delle questioni del primo libro da questo
ms. a cura di ALISSIO, Rivista critica di storia della filosofia", VIENNA,
Nationalbibliothek, LODI, Biblioteca, PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense
codex, trascritto da Pasini dal codice della Biblioteca Marciana di Venezia con
una dichiarazione del Valentinelli; NEW YORK, Columbia, Plimpton
(Boncompagni). SIVIGLIA, Colombina, EXPOSITIONES e QUÆSTIONES DE CÆLO
EXPOSITIONES DE CÆLO Expositiones o summa de cælo, datata in Bologna,
incipit: «obmissis causis aliis super libro decacloct mundo
compilata per famosissimum artium doctorem magistrum P. in Bononia: ROMA,
Angelica, VIENNA, Nationalbibliothek, copiata, ma stesa a Bologna: Explicit
summa super librum de cælo et mundo compilata per famosissimum artium doctorem
magistrum P. in Bononia recollecta anno domini M COCEXXx in scolis reverendi
doctoris.. scripta per manum Nicolinum artium nune studentem M'OCCe LI
die quarta Marti, amen, in felicissimo studio paduano». (efr, anche FRANz
UNTERKRCHER, Die datierten Handschriften der Oesterreicheschen
Nationalbibliothel Vienna, QUESTIONES DE CÆLO Questiones de cælo Alberti
de Saxonia datæ per magistrum Blasium de Parma: ROMA, Angelica: si tratta va
del testo delle quæstiones de cælo di Alberto, seguite quindi da quelle di
Biagio, Imapit e, quindi, delle quæstiones de cælo di Alberto: Prologo, scælo
et mundo Aristoteles considerat de totali mundo et detractatu primi libri
partiali concludere et volo ergo circa illud tractare duas quæstiones quarum
prima est ista (incipit): utrum cuilibet corpori simplici insit tamen unus
motus simplex». Tale incipit corrisponde con quello del ms. Monaco lat. del
Vat. Palatino, lat. 980, ft. 88ra-117 ra, opera ristampata a Parigi, 1516 come
questiones de cælo Alberti de Saxonta; altra copia è ms. Roma, Angelica, di
questa copia si legge: «Expliciunt questiones super primo libro cæli et mundi
Aristotelis secundum Albertum Novum de Saxonia per me Anthonium de Armannis de
Regio tune Bononiæ studentem in artibus 1368 dic 18 februarto (cir. Anche THORNIKE
- KIRE, Catalogue of Incipits, Londra. Dunque a f. 37va del ms. Angelica,
595 iniziano le questiones de cælo di Biagio probabilmente dalla 12- questione
perche corrispondono con la questione 12' del primo libro contenute nel ms.
Milano, Ambrosiana, sup-, quacitur con sorenti in de nece ente e posit
perpean parole: vexpliciunt quæstiones primi libri de cælo et mundo
secundum Blasium expliciunt questiones de caclo et mundo datæ per magistrum
Blasium de Parma doctorem reverendum ».Su ciò in particolare cfr. FEDERICE
ViscoviNi, Note sur la circulation du commentatre d'Albert de Saxe an 'De cælo'
d'Aristote en Italie, in Itéraire d'Albert de Saxe, a cura di J, Biard,
Paris, Ven, 1991. ROMA, Biblioteca Angelica, quæstiones
de cælo per Blasium de Parma (incompleto con ordine diverso delle quæstiones
rispetto alla copia di Milano, Ambr.: incipit, «quacritur primo circa primum de
cælo et mundo utrum omnis quantitas sit divisibilis in semper divisibilia». Si
trovano Notæ di Problemata: «Nota aliqua... problemata, primum quia causam
agens in os sicut ignis prima sui actione... et per consequens nigrum et hacc
est causa problemas huus, has veriticationes dixit magister ille Blasius in
scolis suis -- Sic sint finitæ istæ quæstiones de caclo secundum Blaxium de
Parma»: MILANO, Ambrosiana, quæstiones de caclo et mundo scriptæ pro
magistro Antonio de Abruzio, expliciunt Basi de Faih iphe pro hig to
Atono de Ardetoris hagsri Tabula questionum de cælo VATICANO, ms. Var. lat. QUESTIO DISPUTATA DE TACTU CORPORUM DURORUM
1J OXFORD, Bdl. Canonici, mise. quæriturutrum duo corpora dura possint se tangere
Blaxii de Pelacanis de Parma famosi doctoris parisini, incipit, «quæritur utrum
duo corpora dura possini se tangere) VENEZIA, Bibl. Marciana, Valentinelli,
Dabitatur utrum duo corpora dura vel plana possint se tangere;3) BOLOGNA, Bibl.
Universitaria, Edizione, per Scoto, Venezia, UTRUM SPHÆRICUM TANGAT PLANUM IN
PUNCTO OXFORD, Bdi. Lib. Canonici, mise.utrum sphærcum tangat planum in
puncto et posito super planum tangat in cui dice espressamente che non è
una questione che riguarda la filosofia naturale, quanto invece la
geometria QUÆSTIONES DE SPHÆRA PARMA, Bibl. Palatina, fondo
parmense, quæstiones super tractatum sphærac Johannis de Sacrobosco per Blasium
de Parma, doctorem excellentissimum mathematicum singularem circa tractatum de
sphacra, primo quacritur utrum diffinitio de sphæra sit bona qua dicitur
sphacra est transitus. Expletæ sunt quæstiones de sphæra secundum venerabilem
doctorem magistrum Blasium de Parma Parisiensem"- QUÆSTIONES e
TRACTATUS DE PONDERIBUS Quæstiones de ponderibus: 1) MILANO, Biblioteca
Ambrosiana, Et ideo ad instantiam amicorum ego Blaxius Lombardus de P. de
P'armadum Parisius me visitabat (sic), volui aliqua dubia super tractatum de
ponderibus inquirere et illa conclusionibus et corollariis posse meo declarare
-- primo quæritur utrum omnis ponderosi motus sit ad medium, arguitur quod non.
Ad rationes potest patere solutio per ea quæ dicta sunt. Expletæ sunt quæstiones
super tractatum de ponderibus compilatæ et ordinatæ per magistrum Blaxium de
Pellacanis de Parma artium doctorem eminentissimum». Tractatus de
ponderibus. FIRENZE, Nazionale, Conventi Soppressi, San Marco, Tractatus de
ponderibus magistri Blasit de Parma «Explicit tractatus de ponderibus ordinatus
per magistrum Blasium de Parma tempore magnarum vacationame (codice appartenuto
a Cosimo de' Medici, cfr. GARIN, Storia di Milano, Milano, PARIGL, Bibl. Nat.,
lat. ed. E. Moody-M.CLAGETT, The Medieval Science
of Weights, Madison -- Napoli. CONCLUSIONES
DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE Conclusiones de generatione et corruptione:
VATICANO, ms. Urb. lat. conclusiones Blasii de generatione et corruptione
scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ studentem. De generatione iste
est liber de generatione quem inter alios libros naturales volo in tertio loco
situari ut sie dicam -- et sic finitur sententia primi libri de generatione
edita ab eximio doctore artium magistro Blaxio de Parma. (Dje mistione,
iste est secundus liber. Expliciunt conclusiones primi et secundi de
generatione et corruptione compilatæ per eximium artium doctorem magistrum
Blaxium de Parma scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ
studentem, QUESTIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE Questiones de
generatione et corruptione: VATICANO, Vat. Chigi, scritte a Bologna dopo le qu.
de cælo, Padi de Mar hode Vinisa 0, au sa Nel arigacura in legno del
codice si legge, infatti, «Blasius de Parma, Paduæ doctor de generatione et
corruptione, de meteororum, de anima prin et secundi physicorum collezit
Marinus de Lagoussao, Incipit: «circa primum librum de generatione et
corruptione quæritur utrum sit nobis evidens aliquid posse simpliciter
generare; f. 58vb: «expliciunt quæstiones primi libri et secundi degeneratione
et corruptione secundum reverendum doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ
per me Marinum de Lagonissa». QUESTIONES METHEORORUM VATICANO, Vat.
Chigi. Primo quacritur circa primum librum metheororum utrum iste mundus
generabilium et corruptibilium gubernetur a caclo»; f. 74va: «Expliciunt quæstiones
primi libri metheororum factæ per egregium virum magistrum Blaxium de
Parma omnium liberalium artium protessorem et incipiunt quæstiones secundi
libri; tabula quæstionum pri-mi, secundi, tertii et quarti metheororum: ROMA,
ms. Vat. lat. Expliciunt quæstiones super libris quattuor metheororum secundum
magistrum Blasium de Parma»; FIRENZE, Laurenziana, Expliciunt quæstiones totius
libri metheororum recollectæ sub reverendo et excellenti artium doctore
magistro Blaxio de Pelacanis de Parma et scriptæ per me Barnabutium de Favero
in monte Silice tempore quo pestis vigebat Paduac CHICAGO, Universitaria, copia non
completa, alcune questioni de diversi libri mancanti: «Expliciunt questiones
super libro methaurorum Aristotelis quas compilavit magister Blasius de Parma
completæ et scriptæ per me magistrum Johannem de Medicis deyter (P)-
Tabula quæstionum methaurorum VATICANO, ms. Vat.
lat. Tabula delle prime 16 questioni del primo libro, CONCLUSIONES DE ANIMA. VATICANO,
Urb, lat. [BJonorum honorabilium nottam... iste est primus tractatus hurus
primi libri de anma habens unicum capitulum quod dividitur in tot partes quot
sunt conclusiones in co... nobis necessario non insunt. Expliciunt conclusiones
super tribus libris de anima compilatæ per magistrum Blaxium de Parma. Amen PADOVA,
mutilo dell'inizio,, ma carte in materia et hoe est philosophia. Expliciunt
conclusiones super libris de anima secundum eximium doctorem magistrum Blasium
de Parma per me fratrem Antonium ordinis Servorume. Biagio segue
fedelmente il testo della translatio antiqua del de anma come è pubblicato, con
il commento di Averroé nella edizione giuntina. Le due copie, una
contenuta nel Var. Urb. lat. e l'altra a Padova, Bibl. Univ., corrispondono
tedelmente, compilata da Bragio come risulta dall'expliat: expliciunt
conclusiones super tribus hbris de anima compilatæ per magistrum Blaxium de
Parma, Amen Il ms. Padova, Bibl, Univ. ha alcune carte strappate, ma è identico
al Vaticano. Differenza rilevante che abbiamo riscontrato da una collazione tra
le due copie è l'introduzione nel ms. Urb. lat. delle opiniones antiquorum de
anima, mancanti nel seguito del Padovano, Univ., e non perché la carta sia
stata strappata. In questo ms. Urb. lat. a proposito dell'opiniones antiquorum.
riferite per esteso e mancanti nel padovano: «errores antiquorum et hoc
secundum Bridanm, quia hos Blaxius non recitavit de anima. Inoltre esistono
alcune differenze tra le due copie, che sono, a nostro avviso, molto
importanti. E sulla base di questa diversità che abbiamo supposto che la copia
del manoscritto padovano sia un poco anteriore a quella del vaticano e da
collocarsi, forse, in un periodo anteriore alla condanna del vescovo di Pavia
per la forza di una espressione che si trova nelle prime carte e che viene por
modilicata nella copia del manoscritto Urb. lat, compilata da Biagio, Biagio
corregge in altri termini l'espressione materia regitiva totius universi quæ
est ipse deus», con natura regitiva totius universi quæ est ipse deus. Diamo
qui la collazione delle due copie da cui risulta la correzione. PADOVA Hic
asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare sit generalissimum seu
naturalissimum viventibus etc., non intelligitur tamen qued hace operatio
quæ est generare sit cateris perfectior et magis intenta a generante, quia non
est dubium quad unum quodque animatum principalius intendit conservare
seipsum quam generare. Sed tamen verum est quodp er conservationem
specier hacc operatio est maxime intenta ab agente particulari et
materia regitiva totins inversi quæ est ipse dense. VATICANO, Vat.
Urb. lat, Hie asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare
sit generalissimumseu naturalissimums viventibus ete., non
intelligitur tamen quod hace operatio quæ est generare sit cacteris perfection
et magis intenta a generante, quia non est dubium quod uodque
animacum principa intendit conservare
seipsum Sed tammen verum per conservationem
speci hace operatio est maxime intenta agente particulari et a
matura regitiva totins universi gide est ip QUÆSTIONES DE
ANIMA VATICANO, Vat. Chig, Circa primum librum de anima primo quacritur
utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones primi, secundi
et terti libri de anima datæ per excellentem artium doctorem Blaxium de Parma,
recollectæ Adsit principio Sancta Maria meo, amen, Utrum aliqua notitia
sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones super libris tribus de anima,
disputatæ Paduæ per reverendissimum et egregium artium doctorem Magistrum
Blasium de Parma [.. Expletac Paduæ, ma prima augusti die. Tabula
questionum de anima secundum magistrum Blasium de Parma, doctorem dyabolicum.
Queste due copie corrispondono fedelmente. Vat. Chig. Circa primum librum
de anima primo quæritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Et arguitur
quod non. Primum argumentum: staliqua notitia esset nobis possibilis
maxime. Consequenter quæritur secundo utrum de anima sit nobis
aliqua notitia possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones
distinctæ distin- guantur proporzionaliter secundum distinetionem suorum
obiectorum Consequenter quæritur quarto utrum diversæ scientiæ
proportionaliter se excedant secundum excessum obiectorum. Consequenter
quæritur utrum scientia de anima sit alfis scientiis difficilion.
Consequenter quæritur utrum cognito unius rei possit causare cognitionem
alterius rei. Consequenter quacritur septimo utrum spericumpositum
supri planumtangatipsum praccisem puncto. Utrum anima intellectiva
possit a corpore separari. Ms. Napoli, Bibl. Naz. Adsit principio Sancta
Maria Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Arguitur qued non. Si aliqua
notitia esset nobis possibilis maxime esset ilia. Consequenter
quacratur utrum de anima sit nobis aliqua notitia
possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones distinctæ
distinguantur proportionaliter spundum distinctionem suorum
obiectorum. Consequenter quæritur utrum diversæ scientiæ
proportionaliter se excedant secundum exces- sum
obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit
aliis scientiis difficilior. Consequenter quæritur utrum
cognitio unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quænturutram
spericum positum supra planum tangat ipsum precise in puncto.
Consequenter quæritur utum animaintellectiva possitacorporeseparan.Quæritur
primo circa secundum de anima et sit prima quæstio scilicet utrum omne vivens
sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex amma et corpore. Consequenter
quacritur utrum diffinitio de anima sit sufficienter posita qua dicitur
anima est actus primus substantialis. Consequenter quærtur utrum ex anima et
corpore fiatunum. Consequenter quærtur utrum in qualibet creatura
rationali anima intellectiva sit distincta a sensitiva et vegetativa
crus. Consequenter quæritur utrum in homine anima intellectiva sit tota in
toto et in qualibet parte ipsius hominis, Quæritur utrum in latitudine
viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad summum
attendenda. Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque generare
sibi tale quale est. Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit
formam substantialem producere. Si combusebile non dehvat augeaturignis
quantum libet in infinitum. Consequenter quæritur utrum animal
possit nutriri ex impiei de Comequente quærinur utrumomne animal
dum vivie nutsarur. Consequenter quæritu utrum exures sit
appetitus calidi et sicci. Conseguenter quæritur utrum sensus sit virtus
paxiva. 1HConscquenterquænturtrum species conserventur in organo
sensus temporaliter in abisentia obicetorum. Consequenter quæritur
utrum omne quod apparet sit tale, Quæro istam quæstionem circa materiam
secundi utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex
anima et corpore. Quæro istam quæstionem utrum definitio de anima sit
sufficienter posita, qua dicitur anima est actus primus substantialis. Quæro
istam quæstionem utrum ex anima et corpore fiat unum, Quacro istam quæstionem
utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distineta a
sensitiva et vegetativa eiusdem. Quæro istam quæstionem utrum in homine
anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte ipsius
hominis. Quæro utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio
penes accessum ad summum attendenda. Quacritur utrum naturalissimum sit
unumquodque generare sibi tale quale ipsum est. Quacritur utrum
qualitas in vigore proprio possit tormam substantialem producere.
Quæritur utrumsi combustibile non deficiat augeatur ignis quantumliber in
infinitum. Quacritur utrum animal possit nutriri ex simplici
elemento. Quacritur utrum omne animal dum vivit nutriatur. Quæritur
utrum esuries sit appetitus calidi et sicci, Quacritur utrum sensus
sit virtus passiva. Quæritur utrum species conserventur in organo
sensus temporaliter in absenta obrectorum. Quæritur utrum omne quod
apparer sit tale tantum et ubitantum et ubi, quale et quantum et ubi apparet quæ
quæstio consucta est proponi sub hac forma, Consequenter quæritur utrum lumen
multiplicetur per medium subito et in istanti. Consequenter quacritur
utrum visio fiat in istanti. Consequenter quæritur utrum possibile sit
aliquem sonum esse vel bert Consequenter quæritur utrum idem sonus possit
a pluribus audiri. Consequenter queritur utrum odor
multiplicetur spiritualiter per medium. Consequenter quenturutrum
sensus tactus sit inus ct non plures, Consequenter quænturutrum duo
corpora dura possint se tangere. Consequenter quæritur utrum ad
sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Conseguenter guæntur
utrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.
Consequenter quæritur utrum sensibile positum supra sensum causet
sensitionem. Consequenter quæritur utrum evidenti ratione ostendi possit
sensum communem esse ponendum. Consequenter quac- ntur urum oranum
sensus communs sit in cerebro vel in corde... Et hace hie sit finis
questionum secundi libri de anima. quale quantum et ubi apparet.
Quacritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti. Quæritur
utrum visio fiat in instanti. Quacritur
utrum possibi le sit aliquem sonum esse vel hier. Quæstio sit ista utrum
idem sonus possit simul a pluribus audiri. Quæritur utrum odor multiplicetur
spiritualiter per medium. Quæritur utrum sensus tactus sit unus et non
plures. Quæritur utrum duo corpora possint se tangere. Quæritur
utrum ad sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Quacriturutrum
quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores. Queriturutrum
sensibile positum supra sensum causet sensationem. Quæritur utrum
evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum. Quacritur
utrum scnsuS commanis organum sit in cerebro vel potius in corde...
explicit secundus de anima. Dubitatur circa tertium hbrum de anima et quæritur
primo utrum intellectus humanus pati possit ab aliquo agente.
Conseguenter guæritar utrum possit persuaderi quod intellectus humanus
sit denudatus ab omni qualitate. quæritur utrum intellectus humanus
pati possit ab aliquo agente. Quacritur utrum possit persuaderi intellectus
numanus sit denudatus ab omni qualitate. Quacritur utrum omnis
veritas possit ab intellectu cognosci. Quæritur utrum intellectus
humanus possit intelli- gere quod non est. Consequenter quæritur
utrum intellectus possit simul plura intelligere. Consequenter quæritur
utrum per speciem lapidis intellectus intelligat se
ipsum. Consequenter quæntur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoe
species, sint idem quod anima actualiter vel habitualiter
intelligens. Consequenter quacritur utrum voluntas sit praccisa causa activa
suæ volitionis et nolitionis. Consequenter quæritur utrum voluntas humana
in utramgue partem contradictionis sit libera. Quacritur
utrum principium motus localis in corporibus viventibus sit anima vegetativa
vel sensitiva an magis intellectiva. Ultimo quæritur utrum natura in erus
operibus deficiat in necessaris et habundet in superfluis;
Expliciunt Guarde anima rima peredi leneri artium doctorem Blaxium
de Parma recollectæ per me Marinum de Leonissa in studio Paduano deo
gratias ad cuius finem me perducat qui vivit per infinita saccula amen amen
amen. Incipit tabula praccedentium quæstionum super libro de anima.
Utrum omnis veritas possit ab intellectu cognosci. Quacritur utrum
intellectus humanus possit intelligere quod non est. Quacriturutrum intellectus possit simul plura
intelligere. Quæritur utrum per speciem lapidis intellectus
intelligat sespsum. Quacritur utrum actus intelligendi et habitus
et cum hoc species, sint idem quod ipsa anima actualiter vel habitualiter
intelligens. Utrum voluntas sit præcisa causa activa suæ volitionis et
nolitionis. Utrum voluntas humana in utraque (partem] contradictionis sit
libera. Quacritur utrum principium motus localis in
corporibus viventibus sir anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.
Quæritur utrum natura ineius operibus deficiat in necessaris et habunder in
supertluis, Expliciunt questiones super libris tribus de anima. disputata
Paduæ per reverendissi-mum et egregium artium doctorem Magistrum Blasium
de Parma, deo Me si nome sei en sicci Expletæ Paduæ prima augusti die. Tabula quæstionum de anima
secundum magistrum Blasium de Parma doctorem dvabolicum.
CONCLUSIONES e QUÆSTIONES PHYSICORUM CONCLUSIONES PHYSICORUM
TREVISO, Bibl. Comunale, raccolte da un discepolo l'ultima cifra è andata
perduta nella rilegatura): *Glose per Blasium de Parma super librum physicorum
utiles cumanima boni philosophi (Buridano secondoil ms.), Incipiunt recolecte
(.)per Blasium de Parma super libro physicorum»; t. 43vs «Explicit
compendium recollectarum super 8 libros physicorum per dominum magistrum
Blastum de Parma- (per Matheum de Tervixio): f. 13va: «Et finis questionum
secundi libri physicorum que sunt recolecte per me Matheium de Tervixio
philosophum minimum ex dictis valentium doctorum 138 (?)», QUESTIONES
PHYSICORUM VATICANO, Vat Chigi, O. IV, 41, sec. XIV,
ff. 226r-280vb, prima redazione limitata al primo e secondo libro della física,
questione settima del secondo libro. Incipit« Circa primum librum physicorum quæritur
primo et su prima questio in ordine, utrum nobis de rebus naturalibus sit
possibile aliqua cognitio sensitiva vel intellectiva, expliciunt quæstiones
primi libri physicorum recollectæ per me Marinum sub reverendo doctore magistro
Blaxio de Parma in studio paduano ordinane legente Padova IUDICIUM
In quodam iudicio magistri Blasii de Parma, ms. VATICANO, Reg, lat., 1973, ff,
48rb-vb, incipit: «qui maxime se diligit»; cfr, la edizione, Rinascimento
Firenze Pavia QUESTIONES SUPER TRACTATUM DE
PROPORTIONIBUS THOMÆ BRADWARDINI Esistono due redazioni diverse di
questa opera. Le seguenti tre corrispon-dono salvo lievi varianti formali
sebbene una di esse sia stata corretta e rivista in parte da Biagio e in parte
da Pietro de Raimundis de Cumis, contengono 12 questiom; una quarta copia non
corrisponde e contiene salo 11 questioni. VENEZIA, San Marco, lat. codice
posseduto da Marcanova, le questioni di Biagio sono, Bradvardin anglico
sacræ paginæ professore scriptæ et completæ per me Andream de Castello,
questiones super eisdem proportionibus secundum magistrum Blasium artium
venerabilem doctorem. Incipit: счастисит ситса proportones utrum
conungar omnem motum alteri in velocitate et tarditate
proportionar. Negative: arguitur primos; t. 37ra: «expliciant
questiones super tractatum de proportionibus utrum contingat omnem motum alter
in velocitate et proportionibus secundum venerabilem doctorem magistrum Blaxium
de Parma scriptæ per me Andream de Castel-lo Bononiæ sub anno Domini 1391 19
die mensis iulii«: OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, mise, expliciunt
questiones magistri Blaxii super tractatum proportionum Bardvardini, amen»;
VATICANO, Var. lat., se-guito da carte
bianche, testo rivisto in parte da Biagio e da Raimondo da Cuma: incipit: quæstiones
super tractatum proportionum magistri Thomac Berverdini ab eximio artium
doctore monarchaque domino magistro Blaxio de Parma «utrum contingat ombem
motum alteri in velocitate et tarditate proportionarie; si legge istas quæstiones
super tractatum de proportonibus ego frater Petrus de Raymumdis de Cumis emi a
magistro Jacobo de Panicalibus artium et medicinæ doctore et ipsas pro parte
correxit magister Blaxis de l'arma huius operis compilator, in residuo autem
pars ego correxi». Una redazione diversa, più breve che comprende solo 11
questioni si trova AMILANO, Ambrosiana, Expletæ suntquæstiones
super tractatum de proportionibus Tomæ Bervardini compilate per magistrum
Blaxium Pelacanum de Parma, incipit: «utrum intensio qualitatis attendatur
penes accessum ad summum gradum vel penes recessum a non gradu-, la quæsto e
mutta; segue la seconda, f, 6ra, «consequenter quacritur proprianemi edit
pre ioni, taranel dabi, si sandra: ROMA, Angelica, Su cio cfr. in
particolare il muo studio Due comment anonimi al Tractatus proportionum di Bradwardine,
Rinascimento, QUESTIONES DE LATITUDINIBUS FORMARUM Esistono tre redazioni
diverse con particolare riguardo alla prima questio-ne. Primo gruppo: 1)
OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc.; esse seguono l'explicit delle crusdem
tractatus de latitudimbus formarum quæritur primo utrum alicurus formæ set
latitudo unforms quod non.., exphcunt questiones super tractatu de
latitudinibus formarum datæ per venerabilem artium doctorem magistrum Blaxium
de Parma per me Donatum de Monte artium doctorêm et in medicina studentem, 1392
die 29 decembris regnante domino Francisco de Francia Paduæ secunda vice Amen MILANO,
Ambrosiana, circa tractatum de -latitudinibus formarum quæro primo utrum
cuiuslibet formæ latitudo est coitounde l difinis con litur quad die
(quesa prima pratione, por questa prima questione si avrebbero dunque,
tre stesure diverse). F. «Explicitæ sunt questiones super tractatu de
latitudinibus formarum editæ et ordinatæ per me Biaxium Pelacanum parmenseme,
Un secondo gruppo di mss, contiene le questioni de latitudinibus formarum in
una redazione quasi uguale, salvo licvi varianti formali, con le prime ediziom
di questa opera, Padova, per Matteo Cerdone, Venezia, per Scoto, La
redazione della I questione è diversa da quella d ei 2 mss. sopra citati:
FIRENZE, Laurenziana, Ashburnham, quæstiones de latitudinibusformarum,
mapu quæritur primoutrum cuushbet formæ latitudo sit
uniformis vel dillormis et arguitur primo quad non de forma substantiali ut de
anima intellectiva quæ est indivisibilis»; expliciunt quæstiones super
tractatum de latitudinibus formarum determinatæ per venerandum doctorem
magistrum Blasium de Palma (sic) scriptæ per manum Roberti de sancto Petro» VATICANO,
Vat. lat, SIENA, Comunale, expliciunt quæstiones super tractatu de
latitudinibus formarum edito a magistro Blasio subtilissimo viro de Parma Paduæ
vero scripto per me fratrem Johannem Angeli Senensem ordinis prædicatorum OXFORD,
Bdl. Lib. Canonici, quæritur primo utrum cuiuslibet tormæ latitudo sit
uniformis vel difformis et primo arguitur quod non de forma substantial ut de
anima intellectiva quæ, expliciunt questiones utiles super tractatum de
latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraninum scholarem artium 1404
die 19ª Man stante discordia non modica inter Venetos et dominum Pad.». Questa
copia ha maggiori varianti rispetto alle altre tre. QUÆSTIO DISPVTATA DE
INTENSIONE ET REMISSIONE FORMARUM 1) OXFORD, Bdi, Lab., Canonici,
musc. sit aliqua qualitas posse intendi similiter et remitti, arguitur primo de
supposito»; f. 39rb: «explicit questio de intensione formarum disputata per
reverendum doctorem magistrum Blaium de Pelacanis de Parma»; VENEZIA, San
Marco, classe codex (Valentinelli),
comprato da Marcanova, lasciato ai frat di San Giovanni in Verdario, contiene
una redazione un pò diversa, fatta da Biagio per il figlio Francesco (con bella
capitale miniata). Contiene dopo il terzo articolo e prima dell'inzio del
quarto articolo, dubia di statica e di meccanica che non si trovano nella copia
di Oxford sopra citata, ft. 13rb-tova: vantequam condescendam ad quartum
articulum pro declaratione matori doctorum necnon dicendorum ego quæro adhue
hane dubitationem utrum a proportione acqualitatis vel minoris inacqualitatis
proveniat vel possit aliquis ellectus provenire» (con figure e note nel margine
basso): f. Lova: «et hace dicta sint pro toto isto dubio cum eis
difficultatibus motis et etiam de isto tertio articulo principalis questionise;
expliciunt ca quæ sufficienter sub veritate dici possunt circa materiam de
intensione et remissione formarum in hac notabilissima questione secundum
excellentissimum artium monarcham necnon studiorum Italiæ illustratorem
magistrum Blasium de Pellachanis de Parma quae quidem quaestio est mei
Francisci fili cius. Il folo seguente porta la copia dell'epitaffio della tomba
di Biagio posto sulla porta della cattedrale di Parma; OXFORD, Bdl. Lib.,
Canonici, misc. emutilo in fine); incipin cum sit evidens aliquam qualitatem
posse intendi vel remitti. CONCLUSIONES e QUESTIONES PHYSICORUM CONCLUSIONES
PHYSICORUM Seconda redazione: VATICANO, Vat. lat, expositio primi libri
physicorum per conclusiones secundums serenissimum artium illustratorem
magistrum Blaxium de Parma. Incipi: quoniam quidem intelligere et scire
contingit circa omnes scientias quarum sunt principia»;t. 49va: set in hoc cum
der laude finitum (sic) sententia actavi et ultimi libri physicorum secundum
solemnissimum virum artium illustratorem preclarissimum Blasium de Parma,
Expliciunt conclusiones octavi libri et ultimi physicorum secundum Blasium de
Parma qui subtilis doctorappellatur in
studio papiensi scriptae per me Bernardum a Campanea de Verona hora tertia
noctis»; (sui codici copiati e posseduti da Bernardo cfr. il mio studio A
propos de la diffusion des oeuvres de Jean Buridan en Italie, The Logicof
Buridan, ed. PinnoRG, Copenhagen) e Caror, I codici di CAMPAGNA (si veda),
Roma, Manziana, QUESTIONES DISPUTATAE SUPER OCTO LIBROS PHYSICORUM Seconda
redazione, in Pavia, VATICANO, Vat. lat. Gratia regis caelorum qui totius are elementalis
summus est imperator in laudem et gloriam serenissimi ducis. Incipit,
utrum scientifiça notitia sit nobis a rebus naturalibus passibilis-,
Diamo qui di seguito i titoli di tutte le questioni da questa copia. Questionum physicorum tituli: Liber
primus utrum scientifica notitia sit nobis de rebus naturalibus
possibilis, arguitur quod non. secundo quaeritur utrum cognita causa
totalis alicurus rei cognoscatur statum illa res et non aliter, arguitur
negative. tertio quaeritur utrumin nacuralibus ordine doctrinae ab
universalibus in singularia sit processus, et arguitur primo
negative. quarto quaeritur utrum asserentes omma esse unum possint
probabiliter in hac opinione substentari, arguitur quod sie. sexto
quaeritur utrum asserentes omnem rem cxtensam et suam extensionem non
differre, possint probabiliter positionem corum substentare, et statim
arguitur quod sic. quacritur et septimo utrum in materia quantum-cumque
parva forma substantialis hora generationis producatur, primum naturalium
esse tantum tria possint potenter impugnari et arguitur quod sic. quaeritur et
nono utrum per potentiam finitam vel infinitam possit aliquid fieri ex nichilo,
arguitur quod sic.naturalie appela peranque rur de quadron Expibe ena
estrale primi libri physicorum secundum excellentissimum doctorem Blaxium
de quæstiones secundi libri physicorum secundum antedictum
doctorem. Bernardus antedictas quaestiones Liber secundus circa
secundum librum physicorum primo quaeritur utrum domificator vel faciendo domum
faciat aliquid rebus naturalibus condistinctum et sie ista quaestio duo
quaerit, secundo quaeritur utrum quodlibet ens naturale habeat in se
principium motus et quietis, arguitur quod non. tertio quacritur utrum
omnis forma in latitudine perfectionali entium sit perfectior quam sit
materia. quarto quaeritur utrum diversæ scientiae perfectione
essentiali secundum proportionem obiectorum proportionaliter excedant se,
et arguitur primo negative. sexto quaeritur utrum possit evidenter probari
aliquid esse causa altenus, arguitur negative. septimo quaeritur utrum ad
cuiuscumque rei naturalis generationem practer agens particulare requiratur
influxus causae universalis quae causa universalis dicitur sol quia secundo
huius dicebatur quod homo generat hominem et sol et ita intelligitur de aliis
planetis, arguitur octavo quaeritur utrum inter agentia particulani
supposita semper generali influentia superiorum possit qualitas una vel plures
formam substantialem producere et arguitur primo affirmative. nono
quaeritur utrum asserentes omnia de necessitate evenire et nhil a casu vel a
fortuna, possit corum positionem substentare et arguitur primo
affirmative: Liber tertius circa tertium librum physicorum primo
quaeritur utrum in aliquo casu necesse sit ignorare naturam, probatur quod
non. secundo quacritur utrum hacc propositio 'motus est'
significans motum esse et precise sie et non aliter, sit vera et arguitur
primo negative. tertio quaeritur utrum motus sit ipsum mobile, arguitur
primo quod non. quarto quaeriturutrum contradictionemincludat aliquam
magnitudinem esse actu infinitam et arguitur quod non. Liber
quartus quartur 1 i poss sto ci gequari ato, aria quad primo secundo
quaeritur utrum entia naturalia distantia ab corum locis naturalibus moveantur
ad illa, impedimentis subtractis, arguitur quod non. tertio quacritur
utrum corpora naturalia ab corum locis naturalibus distantia remoto impedimento
moveantur ad illa per lineas rectas tamquam per lincas breviores, arguitur
négative. possiblis arguit pro quo guinto quacritur utrum in vacuo sit
morus sexto quaeritur utrum
penetratio corporum sit possibilis et arguitur qued sic. septimo
quacritur utrum rarefactio sit possibilis, octavo quaeritur utrum hace
propositio sit concedenda "nune est tempus', et arguitur quod non
nono quaeritur utrum aliquid sit praecise per instans, arguitur quod sic.
Liber quintus circa quintum librum physicorum quaeritur primo utrum agens
naturale hom qua agit in passum agat in ipsum secundum arguitur quod
sic. tertio quaertur utrum alteratio sit motus, arguitur quod
non. quarto quaertur utrum augmentatio sit motus
quintoguaritrucumcontadicionemindudat motum localem esse et non esse
motum, arguitur quod non. sexto quaeritur utrum unitas motus sit
principaliter attendenda penes unitatem temporis aut magis penes unitatem
mobilis, etista quaestio quaeritur quia philosophus ad testum dicit quad ad
unitatem numeralem motus requiritur unitas temporis et mobilis et dispositionis
secundum quam est motus, primo arguo negative. septimo quaeritur utrum
aliqui motus differant specie arguitur qued non. octavo quaeritur utrum in
motibus sit penes contrarietatem terminorum ad quos contrarieras attendenda,
arguitur primo negative. nono quacritur utrum possibile sit
contraria in codem simul complicari, affirmative arguitur. decima
quaestio quaeritur utrum qualitas sit intenlegi ego Bernardus a Campanea de
Verona, in felici studio papiensi, Explevi etiam ipsas vero recoligere
die Mercurii XI' Juli hors XXI, Liber sextus Incipiunt questiones sexti
libri physicorum secundum praedictum doctorem quas incepi recoligere die Jovis
XII' Julii in civitate Papiac, circa sextum librum physicorum primo quaeritur
utrum per bonas rationes concludi possit continuum esse ex indivisibilibus
compositum, arguitur quod sic. secundo quacritur utrum continuum sit in
infinitum divisibile, et arguitur quod non. tertio quaeritur utrum mobile
velox per idem tempus vel aequale plus pertranseat de spatio tardiori, arguitur
primo negative: quaeritur et quarto utrum indivisibile moveri localiter
vel alio modo rationibus obviet philosophorum, arguitur quod non. quinto
quaeritur utrum sit possibile motum velocitari in infinitum, et statim arguitur
quod non. sexto quaeritur utrum omne quod moverur prius
movebatur et post hoc movebitur, et arguitur quod non. seprimo quaeritur
utrum possibile sit magnitudinem infinitam transiri tempore finito et finitam
transiri tempore infinito, et arguitur primo ad primam partem quod sit
possibile. octavo quaeritur utrum potenter possit improbari alquod moven
localiter et arguitur primo affirmative. Expliciunt quaestiones sexti libri
physicorum secundum Blasium de Parma. Liber septimus Incipiunt
questiones super septimo libro physicorum secundum Blasium praedictum,
primo circa septimum librum physicorum quaeritur utrum omne qued movetur
moveatur ab alio, arguitur primo. negative. secundo quaeritur utrum
in motibus et motis sit processus in infinitum aut potius sit venire ad primum
motorem et arguitur primo affirmative. tertio quaeritur utrum in
omni motu movens et motum sint simul et quia ista terminus 'simul* potest
dicere simultatem loci et temporis, ideo primo arguitur negative ex parte
loci. quarto quacritur utrum morus rectus et circularis sint invicem
comparabiles, et arguitur primo affirmative. quinto quaeritur utrum
acqualiter gravia moveri, et arguitur affirmative. sexto quacritur utrum
in alteratione sit certa velocitas attendenda, arguitur quod non. septimo
quaeritur utrum in motu locali sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod
non. octavo quacritur utrum in augmentatione sit certa velocitas
attendenda, et arguitur quod non.nono quaeritur utrum in motibus proportio
velocitatum sit sicut proportio causarum, et arguitar quod non. ultimo
quacritur utrum agens naturale sit limitatum et arguitur affirmative.
Expliciunt quaestiones super septimo libro physicorum Aristotelis disputatae et
in scriptis traditae per magistrum Blaxium de Parma doctorem famosissimum
artium. Liber octavus Inepiunt quaestiones super octavo libro et
ultimo physicorum Aristotelis secundum praedictum magistrum Blaxium de Parma,
primo circa octavum librum physicorum quaertur utrum philosophicis rationibus
patenter concludi possit matum fusse ab aeterno et arguitur affirmative: item
dubitatur et secundum utrum 'deum non esse' contradictionem includat, arguitur
primo negative. tertio quaeritur utrun contradictionem includat caclum
fuisse acternaliter productum et arguitur quod sic. quarto quaeritur
utrum caclum moveri in instanti contradictionem includat et arguitur quod
sic. quinto quaeritur utram possibile sit primum motorem caclum movere in
instanti et arguitur quod sic, sexto quaeritur utrum inanimata sive
gravia sint sive levia ex se moverntur vel nata sint ex se mover et arguitur
quod sici Vseptimo quacritur utrum motus localis sit primus motuum arguitur
quod non. Ira: octavo quaeritur utrum asserentes motos contrarios quiete
media interrumpi possint per rationes naturales improbari: nono quaeritur ut
rum praecise motus circularis sit perpetuus, arguitur negative: decimo
quacritur utrum per rationes naturales amar possit a quo protecta moveantur
contra inclinationes naturales cumab impellente recesserunt, et arguitur quad
non., undecimo quaeritur utrum per naturales rationes concludi possit
primum motorem qui est ipse deus et vigore et duratione esse inhnitum, et
arguitur attrmative: ultimo quacritur utrum primus motor st -ubique,
tamen magis in circumferentia quam in centro, arguitur negative sic.
Expliciunt quaestiones super primo, secundo, tertia, quarto, quinto, sexto,
septimo et octavo libris physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis
traditae in civitate Papie per perspicuum doctorem Blaxium de Parma. Altra
copia, stessa redazione, non completa, manca l'intero ottavo libro e alcune
colonne degli altri nonché aleuni problemata: VATICANO, Vat. Lat. quaestiones
physicarum. Cratia re favente qui totus... utrum scientitica noutia de rebus
naturalibus sit nobis possibilis; consequenter circa septimum physicorum
quacritur primo utrum omne quod movetur moveatur ab alio, quaeritur trum omne
agens sit in cius actione limitatum et arguituraffirmative», si arresta al
primo articolo; si legge: istae questiones Blaxii super libros physicorum sunt
fratris Petri de Raymundis ordinis Prædicatorum quas scribi fecit et sub ipso
magistro Blaxio audivit IN THEORICAM PLANETARVM ALPETRAGI In Theoricam
planetarum Blasii demonstrationes et dubia. Si tratta di opera diversa dalle
semplici Demonstrationes geometricæ in theoricam planetarum: Demonstrationes et
dubia in theoricam planetarum Alpetragii, VATICANO, Vat. lat. Super
theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia circa materiam gratiarum
largitor pulsando occultare ne me quis invidum reputaret qui non papirum
combustilem, sed pergamenum magis ignis extinctum gratus vobis cognovi
lineandum, quia etc. omnibus licitum est ordinem servare doctrinalem, consequar
quod promisi, videlicet primo orbes solis depingendo ut sic inde conclusius
videat apparentas et nequaquam naturalibus principiis derogando et naturali obviat
qui vacuum pont qui corporum penetrazionem admittit et minus qui orbes facere
fluere et stationes cum praedictis, deinde propositiones demonstrationem
parientes ut gloriosus deus concesserit discursu apodiacon demonstrabo et
ultima demonstrata pro tabulistis quantum ad corum proposita sufficit,
applicabo. Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram
solis eccentricam fabricare, Istam conclusionem propositam non intendo
demonstrare...; f. 60va: «patet quomodo respondetur ad demonstrationes contra
istam et sie sit finis per me Petrum de Fita, Expletae sunt theoricae
planetarum per magistrum Blasium de Pelacanis de Parma editace: FIRENZE, Laur.,
Plut, codex, sec. XV, ff. 8ra-14v, non completo, si arresta al commento della
proposizione Dunam sex motibus moveri quibus datis, con le parole: set tertium
ab eis distat vel illud tertium quod a duobus coniunctis distat est Sol vel
epiciclus; BERLINO, Staatsbibliothek, ms. lat Demonstrationes et dubia
theoricae Blasii de Pelacanis de Parma; VENEZIA, San Marco, Demonstrationes et
dubia Blasii Parmensis super theoricam planetarum, 11. 175г-216v; FIRENZE,
proprieta Olschki, Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia
secundum subiectam materiam gratiarum Tres orbes mundo eccentricos et difformes
per applicationem speram solis fabricare, istam conclusionem propositam non
intendo demonstrare», edito sotto l'attribuzione a Pietro da Modena da G.
BoerTo E U, MAzzIA, D'un ignoto astronomo del secolo XIV, Pietro da Modena, da
un ms. della collezione Olschki, Bibliofilia; in realtà si tratta
dell'opera di Biagio, cfr. anche L, THORNDIKE, Notes upon some medieval
latin astronomical astrological and mathematical manuscripts at the
Vaticana, Isis, PARMA, Bibl. Palatina, In theoricam planetarum
demonstrationes geometricæ VATICANO,
Var. lat, Blas Parmensis demonstrationes geometricae in theoricam planetarum,
mapit: « Centrumsolis acqualiter distat a centro eccentrici solis et a centro
terrac existentis in duobus punctis terminantibus lineas existentes plus sex
signis luna peragit cursum suum. Finis theorica lunae»; branco: f. Laurenti
Bonincontri Miniatensis super Centiloquio Photomer. Nella prima carta del
codice se legge Nicolai comitis patavini de motu octavae sphaerac, Tractatus
sphaerae Johannis Sacrobosco, Demonstrationes Blasir parmensis, Comentum
Albertum magnum super sphacram, Eiusdem Blasti demonstrationes mathematicae
super theorica planetarum, Centiloquiam Ptolomei cum commento mei Laurentii
Bonincontri»; nell'indice, dunque sono indicati i due testi di Biagio, ma noi
ne avremmo individuato uno solo. VIENNA,
Bibl. Nat., mapu, centrum solis acqualiter distat a centro eccentrici.
Corrisponde salvo lievi varianti, fino a f. 66v (con la proposizione 22a), con
il Vat, lat., VENEZIA, Museo Correr, Provenienza Cicogna; contiene solo
l'explicit, evidentemente errato: finiant demonstrationes Blasii de Parma super
theorica planetarum compilata per ipsum in gymnasio mia edizione Il
'Lucidator' dubitabilm astronomiae di Pietro d'Abano SCHIAVONE, Padova,
Editoriale Programma, Le Demonstrationes geometricæ sono pubblicate anomime
nell'edizione per Scoto, Venezia, Sphaera mundi cum commentaris. Anche THORNDIKE,
Notes upon some mediaeval latin astronomical astrological, JUDICIUM
ladicium revolutionis anni 1405, PARIGI, Bibl. Nat., lat., ludicium
revolutionis anni cum hors et
fractionibus secundum magistrum Blasium de Parma, incipit: cantequam invadam
pracsentem materiam pro mei informatione et alterius cuiuscumque priesupponam
aliqua in modum propositionum iuxta formam et consuetudinem philosophantium, Su
questa opera efr. il mio studio P. una storia astrologica, Abstracta. Biagio
Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della
percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica
di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani,
Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo
di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’” Pelacani.
Luigi Speranza --
Grice e Pelagio: la ragione conversazionale - l’implicatura conversazionale –
la scuola di Giulano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Celestio and
Giulano di Eclano. Pelagio
Luigi Speranza --
Grice e Pellegrini – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Pesaro). Filosofo italiano. Pesaro. “Grammatica di
lingua italiane semplificate”. Italia Italia, in Basel. Del urbe Pesaro esseva
un pionero de interlingua. Ille adhere al movimento pro interlingua e pois
devene representante pro Italia del Union Mundial pro Interlingua, sequente
professor, adv. GUGINO (si veda), qui pro rationes de supercarga de labor,
demissiona como le prime secretario national del Union Mundial pro Interlingua in
Italia. Ille examina le grammatica de
esperanto e lo ha judicate non apte al solution del problema del lingua
auxiliar international specialmente pro su lexico hybride e semiartificial e le
uso del desinentia -n pro indicar le accusativo e in le parolas que exprime
direction, data, duration, precio, mesura e peso. Ille examina anque le Latino
sine flexione de PEANO (si veda), ma mesmo iste systema non le place a causa
del manco del articulo e per le conjugation verbal troppo simplificate e
innatural. Desde alora P. pensa que
usante le parolas commun al linguas neolatin e al anglese e alicun vocabulos
latin on po codificar un lingua international facile e belle. Iste conviction
resta sempre in su mente. In "Eco del Mondo" ille lege le articulo
"Le lingue internazionali moderne" per Percival, in le qual on parla
del labores del "International Auxiliary Language Association" e
indica su adresse. Ille constata que su opinion in re le lingua auxiliar
international ha essite quasi realisate per Occidental de Wahl, Mondial de
Heimer e Neolatino de Schild, systemas del quales le articulo presenta un texto
specimen, ma ille pensa que le labores del IALA haberea date al mundo le lingua
auxiliar melior. Quando le pressa publica le nova que le esperantistas habeva
interessate le UNESCO a fin que esperanto venirea recognoscite qua lingua
international, P. scribe al IALA precante de voler intervenir presso le UNESCO
al scopo de facer cognoscer su labores re le lingua auxiliar international, in
modo que esperanto, jam refusate per le Societate del Nationes, non haberea
alicun successo. Assi ille vene in contacto con Gode, Schild, Fischer, Berger,
Bakonyi (vedasi) e tante alteros e comencia a propagandar interlingua in tote
Italia. Ille publica multe articulos in le pressa italian in re le problema del
lingua international. In collaboration con Schild, ille edita le "Corso
d'Interlingua in venti lezioni" a uso del italo-phonos e le manual
"Interlingua" (grammatica, vocabulario interlingua-italiano e
italiano-interlingua). Malgrado su effortios P. non succede a facer adherer al
UMI multe italianos e formar con illes un societate italian pro interlingua.
Ille esse in correspondentia con multe interlinguistas europee, usante
esperanto, ido e super toto interlingua, e initia al studio de interlingua
Negalha e Castellina, de Suissa, qui ha devenite valide collaboratores del UMI.
P. ha participa al Conferentia International de Interlingua que ha loco in
Basilea, ubi ille incontra multe amicos de Interlingua. Ille collabora al periodicos
"Currero", "Heraldo de Interlingua" e al Panorama, e ille
esse un active collaborator al "Dictionario Italian-Interlingua" sub
le redaction de Castellina. P. esse
empleato in le Officios de Contabilitate provincial statal e vain pension con
le qualification de director general de iste officios. Ille participa al
secunde guerra mundial qua official inferior de infanteria. More su car sposa,
e P. mesme cade malade, lo que le impee laborar pro interlingua, como esse su
calide desiro. Un signo typic de su minutiositate e grande labor es que ille
mesme scribe le majoritate de iste lineas in le qual "io ha contate mi
historia qua interlinguista e isto potera interessar le lectores del
revista". In Pesaro (Italia), al
more ma esse rememorate como pionero italian de interlingua. Ugo Pellegrini.
Refs.: “Grice e Pellegrini”. Pellegrini.
Luigi Speranza -- Grice e Pellegrini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amore come
affezione dell’animo – e la sua manifestazione nei maschi nobili – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo
italiano. Sonnino, Latina, Lazio. Grice: “I like Pellegrini: he found
Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended
for!” È, secondo TIRABOSCHI,
filosofo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici pareva
destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni
beneficii ecclesiastici. Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblica il “De
affectionibus animi noscendi et emendandis commentaries” e un'edizione della
traduzione in latino di Lambin dell' Etica Nicomachea di Aristotele -- i “De
moribus libri decem -- corredandola di un riassunto e di commenti, nei quali
altera il testo di Aristotele di cui lamenta la difficoltà e l'oscurità. Benché
Aristotele del Lizio sconsigli lo studio dell'etica ai giovani, ancora immaturi
per una retta comprensione dei principi morali, al contrario, ritiene che lo
studio dell'etica deve essere impartito prima ancora di quello della filosofia
della natura, in modo che i giovani possano affrontare gli studi scientifici
con animo libero dalle passioni. È più oratore che flosofo. Nn pensa ad inovar
cosa alcuna, e segue costantemente insegnando i precetti del filosofo
stagirita. Altri saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio de utilitate
moralis philosophiæ, cum ethicorum Aristotelis explicationem aggederetur”
(Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum Torquati Tassi
philosophi clarissimi” (Roma); Tiraboschi, “Storia della letteratura italiana”
(Società tipografica de’ classici italiani, Milano); Carella, “L'insegnamento
della filosofia alla "Sapienza" di Roma: le cattedre e i maestri”
(Olschki, Firenze); Renazzi, “Storia dell'università degli studj di Roma”
(Pagliarini, Roma – rist. anast. Forni, Bologna). P. scrive II important
commenti su Aristotele del LIZIO, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima –
dall’amore all’ira – amore, speranza, ira, audacia, temore, dolore, animosità.
Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione
dell’anima – il corpo non è menzionato. Ma P. elabora sulla questione
dell’anima e il corpo per l’affezione – chè è affetato nell’affezione? Il
secondo è un commentario sull’onore e la nobilità. Due trattati sono menzionato
dai storici della filosofia. Nel III trattato, P. elabora la questione di TASSO
(si veda) ‘filosofo chiarissimo’. Finalmnte, nella sua funzione di censore
papale, riceve un saggio sulla politica d’Aristotele da un filosofo tedesco. P.
critica la toleranza del filosofo alla posibilità del fraudo – ma il filosofo
no considera l’oggezioni di seria considerazione. P. è associato al ginnasio di
Roma. Il ginnasio è una istituzione laica “for I cannot imagine naked monks,
playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di
Pellegrini”. DE AMORE £X didis antiquorum oHenditur, quanta fit eius vts, atque
præflantia S8S8©Ii RINCIPE M in hac difputatione fibi locum amor vendicat, quod
fons fit atfe&ionum, quæ bonum fpe&antjiuxta illud Parmenidis VELIA
Cundorumq, Deum primum quæfiuit amorem nec non vi atque potelVate ijs
antecellat ideo rerum dominus, ferorum cordium mollitor, alijsq. honorarijs
principatus nominibus appellatur • quippe fera non eft adeo immanis, quæ
confpcfto foetu non mitefcat.antiquifsimi mortales, homines agreftes atque
truces, liberorum illecebris, et amore deiiniri coeperunt, vt cecinit LUCREZIO
£f Fenus imminuit vires, pueriq. parentum Blandicijs facile ingenium fregere
fuperbum. Plato in fympofio amorem dixit magnum dacmo na, præfidentem rebus
humanis ; quod eius du&uomnia gignantur. Orpheus eundem aiferuit C' a
claues 3»qKi 3 6 DE claues habere fuperorum et inferorum, quod artis et naturæ
opus quodeumque extrudat in lucem; vnde inuentoris artium, atque magiftri
appellationem obtinuit, ferunt Poetæ, solis amantibus a Plutone reditum ad nos
concedi ; cum in ceteros exiftat implacabilis; 8r folollri&o iure, vt
Sophocles ait, vtatqr. quid ni? cum fub tutela fint eius, quem claues tenere,
atque inferna fuo arbitratu referare fabulantur? Hefiodus
mortalium et immortalium mentes amore domari cecinit. Homerus louemeiufdem
mancipium fecit. Plutarco in Amatorio
amorem coparat Dictatori, quo crea to cedant omnes magiftratus. Indices
criminum, cpnfcij vehemccifsimæ perturbationis delifta no pauca vel impunita,
vel leuifsitne caftigatadimife runt, quod amoris impulfu admiffa conftaret;
idq. non femel hoc feculo fa&itatum teftanturij, qui de criminibus
vindicandis confcribunt. Sclethum Crotonia tamdepræhefum in adulterio fraternaq
vxoris, cum se amore victum peccasse diceret, a ciuibus fuis exulare iuifum in
lib. pro mercede condudis refert Lucianus, capitis poen. aremifefed jllum,fcu
pudore violatæ germanitatis, Ceu legun amore, quas nalletlabefa& atasjin
ignem fponte i infiluitfe,ac poenam fubiilfe, quam ipfe met ftatuerst in
adulteros. Mundus» equeftris militiæ du&or fab Tyberio, paulinam Romanam
deperibat;eam &uprauic in templo Ifidis ; facerdotibus pecunia corruptis,
facinore comperto,Tyberius, in crucem eg i :,iemplu m $uertir, fijup. ftituam
in Ty berim coniecir ; Mundum vero exilio punire faris habuit ; quod, amoris
vehementia fu peratus, peccalfet;Charmo,vim amoris edo&u$j illi aram in
Academiæ ingreffuexcit.iuit. Athchienfes Aatiiam dicarunt in tempk) Palladis,
a-u amico bonarum artium; remq. ei diuinam inOituerunt, Erotidia, ntincuparam:
Samij in ciu/dem honorem Eleutheria facra habuerunt. ANTEROTE quoque
finxit,coluitq. mendax græcorum antiquitas, ex Venere et MARTE natum; vt eft
apud CICERONE de natura Deorum. in Themiftij fermonibus Themis Dea hortatur
Venerem, vt Anterota gignat, fi amorem adolefcere,non perpetuo pufioriem elfe
velit. Hinc OVIDIO Almafkue dixi geminorum mater amorum.£& Horæ. Mater fæua
cupidinum. qtio loco hæret Lambinusob ANTEROTE vel obliuionem,vel incogitantiam
: In Gymnafio Eleorum erant vtriufq. icones; EROS palmaccum ramum tenebat, quem
ANTEROTE nitebatur eripere, ‘amicitiæ, vti reor,limii lacrum.amici enim ita fe
mutuo diligfit,vtin amo re alter alteri præire Audeat. Crefcit Eros Antero tos
ortu; quod reciproco amore amans animatur et accenditur magis ad amandum. EA
autem hæc de amore difputatio non paruifacienda; quam Socrates auide
cofe&atur; et cum fe reliquorum omnium profiteatur ignarum, egte gium tamen
amatorem ia&at, et haberi Audet. Neque vero quis illu hic arguat
impuritatis. adeO enim eafte amauit,vtnec lycophantæ acerbifsimi C 3 AnirtiSi I
$$ D E tus, et Melitus impudicas ei obiccennt amores 5 nec Ariftophanes, eidem
inimicifsimus,tali accufatione hominem pupugerit ; et cum pauperem, loquacem,
fophiftam appellairet in fcæna; impurum certe amatorem dicere nec potuit, nec
au r us fuit. Phædrus amorem maximorum bonorum cauffam appellauit; quod ab eo
{ludium in honeflis, verecudia in turpibus immittatur. Spartiatæ cum hoftibus
congreffuri, facrificabant amori, quafi ad fortia egregiaq.impulforijquem
morem, vtplerosq. alios,aCrerenfibus eos accepi{Te,arbitror. eodem enim
inftituto Cretenfes ex parte vfos, Soficrates eft audior. Inde fa&um
cenfeo, ve /æra, quæ appellabatur Thebanorum cohors, conflata ex amatoribus,
fregerit Spartanos. nec inutile fuerit in acie illos, qui fe mutuo diligunt,
flatuere vicinos; parentes, liberos, fratres,confanguineos, amicos ; exercitus
enim eiufmodi aplerisq. cenferur infuperabilis. notum eft feftiuum illud
Pammenis didum a Plutarcho in Pelopida, relatum ; ignoralfe Homerum vd foret acies
in(Iruenda, cum iubet, Et tribui tribu*, et fua curia curiæ rt ad fit, Cum
amicus apud amicum potius locandus videatur. Scribit
Xenophon Aflaticos in bello circum duxi (Te vxor es et natos, vt eos defendere
coadi, fierent pugnaciores. Eorundem occurfure-ilitutas acies non paucas, et
vidoriam confequuras, legimus, demum, cum Harmoniam Marte ac Venere prognatam
fabulæ tradunt, eandem amo risin re bellica vim defcribunt. Verum ad (oli*' dam
amoris commendationem nihil maius, vel accommodatius afferri poteft, quam quod
magnus Areopagita protulit ; amore fuperiora ad inferiorum prouidentiam allici
; hæc vero,qua(i fomite igneo fuccenfa, refilire, atque ad fupei na conuerti j
fieriq* circulum a bono, per bonum, in bonum perpetuo reuolutum. Proclus quoque
pulchrum amorisprotulit elogiumjefle illum cauf fam conuerfionis rerum omnium
in primam pulchritudinem ;quæ de purifsimo fandifsimoq. in Deum, ipfumq bonum
amore dida,ad mortales fluxasq. curas traduci accomodariq. non poffunt. Carolus
Cardinalis vim amoris erga consanguineos perpetuo habuit fufpe&am/ eosq.
ali* quid populaturos libentius audiebat per internuncios; veritus, ne
fangninis impulfu ad res ini* quas concedendas imprudens adigeretur Explicantur
Varia nomina huius affeftionis, et quotuplex fit, declaratur. E laboremus
ambiguitate vocum, quæ varijs amoris nominibus fubie&a notio fit, primo
loco difpiciamus ; quid fcilicet inter amorem, dile&ionem, caritatem,
pietatem, cultum, amicitiam, beneuoletitiam interfit. Amor eftvt genus, et quid
vniuerfum; locum enim habettumin homine, tum in brutis dile &io eft amor
cum ele&ione, vt nomen indicat; nec repentur in ijs, quæ non deliberant
caritas fertur in res pretiofasjdiftinguere veropretiofa a vulgaribus vnius eft
mentis, pietas eft in fu periores, quod bruta vt plurimum non agnofcunt; hi
funt Deus, patria, parentes, cultus eft fignum pietatis.amicitia eft amor
mutuus, hinc in de perfpeftus, officijs confirmatus. beneuolcntia eft effedus
amoris. alias pro leui amore vfurpatur; vtlib.p. ad Nicom.^.ha&enusde
nomine. Amor duplicis generis exiftit; alter naturam fe quitur, alter
agnitionem. ille rebus omnibus ineft, etiam inanimis; hic animantium proprius,
de illo Hefiodusintdligendus,cum in Theogonia, primo loco fadum Caos cecinit,
poft terram, et Tartaru; tertio amorem, ex terra Caoq. ortum.quis non vi deat
hic accipi amorem pro vi rei cuilibet a natura indica, vt feipsa,quo ad
poteft,expoliat,& tueatur ? quod et Orpheus voluit, cum amorem irtmor
talitatis defiderium appellauit. fuit enim veterum poetarum hæc de rerum ortu fententia
; eundas ; fpecies, in obfcura, et confufa deformitate implicatas, ab initio
iacuifte; tu defiderio lucis, et quietis, impellente amore fui, difiundas,ad
fedes naturæ conuenientes migraffe ; vnde rerum vniuerfitasjin ordinem
difpofita, conftiterit. Empedoclea
GIRGENTI (si veda) rerum principia, litem et amicitiam, non alio, quam ad ift
hæc poetarum commenta fpedafle dixerim. Amor vero, qui agnitionem fequitur, et
aftedio eft animi ; fi ad henefta fertur, recinet appellationem ; fin ad
impudicitiam, vel immdderatum appetitum delabitur, significantius LIBIDO vel
cupido ab effedu nuncupatur. Poetæ diim amorem appellant et defcribunt, eam
potifsime cupidinem accipiunt, quæ in Venerem fertur; et fub inuolucris
fabularum multa recondunt ad rei, de qua agitur, notitiam attinentia. Puerum
igitur defcribunt, nudum, alatum, cæcum, curarum plenum, arcu, et fagittis
inftrudum ; fatum Venere atque Vulcano. puerum conftituunt, ob infipientiam 5
nudum, propter infelicem condicionem ; feu quod occultari facile nequit;
alatum, quod cito aduenit, citius labitur; cæcum, vel ob impudentiam, (eft
quippe pudor in oculis,) vel quod mortales plerumque amant fine deledu, fine
iudicio, fine ratione ; et quafi oculis capti fedantur deteriora, melioribus
omifsis ; plenum curarum, quia eius arboris hi exiftuntfrudus; inftrudum
arcu& fagittis ; feritenim curis ægritudine plenis; Venere demum et
Vulcacano fatum, humore scilicet, et calore ; quod ea temperatio cenfetur
apprime libidinofa. Hunc eundem Cupidinem ex node atque æthe- : re natum voluit
Acufilaus; hoc eft, ex tenebrofo et lucido; amantes enim cæci finit, et vna
viderit acutifsime. Simonides ex Venere, ac MARTE procreat ; quod viri
bellicofi a Venere plerumque non abhorrent. Alcæus ex lite et Zephiro;
diflenfione fcilicet, ac reditu in gratiam; Olea 4 i -/ t> E Olcn Lycius ex
Ilythia, feu Iunone Lucina, quod ea maxime amemus, quæ a nobis prodeunt*
llythia enim partubus opitulari credebatur* Sappho demum ex cælo et Venere»*
quod amorem viftellarum et gratia oris conciliari multis fuerit perfuafum.
Pidores multos pingunt amores, paruulos, colludentes, curfitantes, (quos Poetæ
faciunt Nympharum filios) quoniam mul ta funt, quibus inæfcamur, et capimur; vt
notauit philollratus in imaginibus. Diotima mulier faga,fybillis a Socrate
comparata, a qua amandi artem fe haufifte profitetur, amorem ex copia procreat,
tanquam ex patre ; et indigentia, tanquam matre. vt eft inopiæ ac indigentiæ
filius, apparet aridus, macilentus, fquallidus, nudus pedes, humilis, fine
domicilio, fine ftramentis ac tegmine vllo; perno&ans fub dio ; femper
egensidem qua copiæ filius, virilis, ferox, callidus, infidiator, pulcher,
fagax, venator, prudens, facundus, per omnem vitam philofophans, potens
fafcinator,*vt non immerito bi&enrn ab Orpheo fit appellatus, vtrefert
Paufanias apud Platonem;. Huius fabulæ hæc eft allegoria, vulgo amari, quæ nec
omnino funt in poteftace noftra (cito enim ea vilcfcunt, ) nec diffidimus
aliquan' do futura. ideo copiam et indigentiam amoris vulgaris parentes ponit
Diotima. quæ vero inter f e valde pugnantia eidem adferibit, affedus indicant
eorum, qui re amata potiuntur, contrarios ijs, qui infunt non potientibus.
Ha&enus de fabulis ; in quibus illud magnopere damnandum» quod cupidinem
Deum faciunt, vt libidini patrocinenrur damnat hoc ipsum Phædræ nutrix apud
Senecam in Hyppol. Deum efie amorem, turpiter ritio Jauens Finxit libido ;
quoque liberior foret, Titulum furori nummis fklfi addidit. Cetera vero fabulis
contenta non inutiles ad hanc luem arcendam continent admonitiones. Admittit
quoque amor, qui agnitionem fequitur, aliam partitionem. eft enim amor amicitiæ
didus, atque beneuolentiæ,qui rei amatæ commodum intuetur; eft amor
cupiditatis, qui proprium commodum refpicit.fibi enim multi amat; eoq. amorem
traducunt, vnde vtilitatis aliquid fe percepturos confidunt ; amor ifte
amicitiam paritvtili innixam; fuperior vero eam producit quæ ab honefto
J>romanat. Poftremo Amorem vnum facere, qui feratur in diuinam
pulchritudinem, alium, qui fiftat in humana, non eft præfentis inft ituti.
agimus enim de affedionibuf inferioris animæ partis; etfi non pauca fint vtriq.
amori communia; et pleraq. vnius per analogiam» et metaphoram ad alium
transferantur. Quid fitt amor ACCADEMIA amorem dixit, defiieriwn pulchri LIZIO
amare*ac beneuelle pro eodem accipitlib.i.de arte dicendi. id Rhetori fatis,
qui hlfe&us vti commoueantur, nofie ftudet; limatiorem cognitionem ad
philofophum remittit D. Auguftinus de Trin. cenfet efie fturam duo copulantem,
in quam fententiam Leo Hebræus ait, efie -voluntarium ajfcffum qumcopulatijjime
fi nendi ijs, quæ bona iudicamws. deferiptiones hæ funt, ab elfe&u petitæ ;
non quæ amoris explicent naturam, finitiones. nam defiderium, benetiolcntia,
appetitus copulæ cum re amata fequutur amorem; vbi enim quem amoj eidem bene
efie cupio, eiusq. confuetudinem appeto. Thomas definit efie complacentiam
appetibilis. allubefcendam appellat Ludouicus Viues, qua amatum amanti
allubefcic. hanc fententiam ita demum recipio, fi ailubefcenria, et quæ minus
latine, significantius tamen, complacentia dicitur, pro motione illa fumatur,
quam appetens facultas elicit circa rem, quæ illi allubefeit ; non pro
illecebra appetibilis, qua excitat mouetq. appetitum. atfe&iones namq.
animi funt abappetitu,vta mouente moto ; quod Ariftoteles voluifie videtur
tertio de anima Grego*» tiu$ Nvfænus eleganter id ipfum exprefsit hotnih mil.
8. in Ecclefiaften, cum ait, amorem eflfe habitudinem animi intimam in id, quod
animo eft jucundum. feliciter quoque D. Auguftinus 2. de ciu.. amorem ponderi
corporum comparauit, inquiens, Animum ferri amore quocumque fertur, vc corpus
pondere. Neque vero exiftimandum illam complacentiam efle cauffam amoris, nam
inter cauflfas rerum, et ipfarum primos efferus daturneceftario medium; idq.
vnum,& folu, nempe res ipfæ ; fed inter appetitionem potiundi re amata,
(hæc prima eft amoris proles,adeoq. illi affixa, vt fæpe pro amore vfurpetur)
et complacebam nihil omnino intercedit; igitur compla centia non eft amoris
caufTa,fed ipfeamor; quandoquidem primus amoris cffedus, eam illicofequitur,
adeoq. inuice hæret, vt ne tenuifsimo quidem cuneo præbeant aditum. præterea fi
hæc AQUINO finitio excludatur, nihil remanet in quo amoris naturam
conftituamus, præterqua in defi derio, feu cupiditate fruedi. id fi admittatur,
amor et deliderium confunduntur.at funt feparatæ affedionesjre enim præfente
ceflat dcfideriujamor vero natura fua magis augefcit.na fi fatictas aman tem
capit, culpa eft humani ingenij,quod vel mutatione deledatur, vel voluptates
impuras perfequitur; fincera aute voluptas non parit faftidium,
deniq.defideriueire amoris effedii LIZIO docet li.o # Et.c.^.vbi agens de
beneuoletia,vt eft leuis amor minimeq. adulta aftedio a.it, Beneucldtia no
eflam a fflttff 'SuLTxar babst ncq. o^iv^uaa^nati.Mg 4 6 DE confequuntur.o?i*tc
defiderium eft ; feu vehemens et acuta appetitio,quam Juuenalis cum rabie con
iunxit, inquiens, rabidam fatturus orexim. cum igitur of t£/f confequatur
amorem, ab eo neceflario diftinguetur ; Quod autem fubiicit LIZIO cum qui forma
dele&atur non continuo amare» fed tum demum, cum abfentem defiderat, et præ
fentem cupit, ita eft accipiendum ; vt amori defiderium comitetur neceifario,
fitq. eius indicium, leuis enim voluptas non arguit amorem, qui vero cupit et
defiderat, fc prodit amatorem. eft igitur amor appetitus allubefcentia, feu
complacentia in eo, quod vti bonum pulchrumue fuerit perceptum. De caujjis
Umoris, ONVM integra est amoris cauisa, et omnem eius exæquat ambitum, præclare
igitur Auguftinus de Trinit. ait, non amatur nift bonum, huc pulchrum reducitur
et formofumjtum etiam vtile quodcumque, atque iucundum. pulchrum vero idem eft,
quod bonum conceptum vti iucundu m ; vt Areopagita docet de Diu. nomin. Deus
quippe immortalis, vt eft au&or atque feruator rerum, Cunfta fouensy atque
ipfe ferens fuper omnia [eft* bonum dicitur; vt vero ad fe trahit, allicitq.
omnia, pulchrum, inde qui pulchritudine minus capiuntur, minus amant 5 vt
barbari, ruftici,& qui duriore funt ingenio, et moribus afperis, Aliæ funt
amoris caudæ, quæ etfi boni ambitu continentur, feparatimnihilorciinus
ponuntur, quod aliquidbono addant ; et alia, atque alia ratione ad amorem
conciliandum concurrant. Similitudo igitur morum, et ingcnij amorem parit
firmum, atque conftantem. docuit hoc Areopagita; fuitq. Menandri didum,a
comicis et ACCADEMIA vfurpatum, Deus femper fimilem ducit ad fitnilem, et
quidem fimilitudine inter amantes conuenit, vtcuin amans diligit, fui ipfius
fimilitudinem, ac proinde fe ipfum, in re amata diligat, hinc animantia omnia
ducuntur ad limiles sibi formas ; non ad fpecies al ienas. Canis cani videtur
pulcherrima, et boui bos, ait Epicharmus. et Formica grata ejl formicæ ; cicada
cicadæ ; accipiter placet accipitri, Theocritus inquit in Idillijs. hoc
inftindu parentum amor in liberos augetur; funt enim nati vjuentia fpirantiaq.
parentum firnulacra.nec alia Crafsi erga Sulpitium volutatis cau£* fa exiftir,
quam quod intellexiffct, ftudere Sulpitium, vt ei dicendo fimilis euaderet,
Euander apud VIRGILIO Pallanta filium ENEA ca rii reddere nititur, quod illius
fir imitator futurus. Hunc tibi præterea, (pes& folatianojlri, T allanta
adiungam ; fltb te tolerare magiflro Militiam graue MARTE opus, tua cernere
faft a, Mffucfiat; primis et te miretur ab annis. Illud non fuerim infitiatus;
ob paria vitæ infliruta creari aliquando inuidiam, fieriq. aliquos adeo
inimicos, quam fune artificij conditione pares j nam et figulo figulus, et
fabro faber inuidet ; cuiufmodi genus pugnacium artificum in conuiuijs Plutarco
coniungi vetat.verum ex euentu id eft. cum enim lucro faciendo impediant fe
mutuo, inter eos oritur contentio, eadem ceffatvbi cauetur, ne alter alterius
cauffa damnum -patiatur jeiusq. loco amicitia fuboritur. CICERONE profelfuseft,
cum Hortenfio de eloquentiæ palma ita fe contendiffe, vt vnius ad laudem
curiiis non effet ab alio impeditus; ac proinde viuentem amaffe, dolereq. vita
fundum. Sæpe etiam qui ftudi js diuerfis priuatimviuunt,fed in maioris momenti
rebus conueniunt, funtamicifsimi. Pelopidas et Epaminundas, etfi vita priuata
efient difsimiles, quod hic ftudijs philofbphiæ, ille venationibus profufius
incumberent, quod tamen afferenda patriæ libertate, incredibilem animorum con
sensionem retinuerint, certa illis amicitia conflitit ab initio ad finem. Sunt
etiam ingenia inter fedifsimilia,quænihi lomiuus coeunt facile ad vitæ
societatejhoc enim habent, vtfimul aptari, et componi pofsint, quemadmodum vox
acuta iun&a grani certa proportione, harmoniam efficit s quod spedare
licuit in Socrate, et Alcibiade. Consuetudo quoque, atque conuidus amorem
gignit,:ei!dit enim homines moribus iifdem affue tus, ac vnius mentis eaque vis
efi confuctudims, vt habitum nedum animi, fed corporis quoque immutet ad rei
amatæ formam notauit id Piutarco in Alexandri amicis, quos leniter inflexa
ceruice, facie furfum verfus con uerfa folicos incedere, fcribit, quali
Alexandro attentaturos; cum nihilominus vi afluetudinis habitum illum impru
dentes contraxittent. Summopere igitur aduertendum, quo cum vitæ focietatem
ineas ; præcipue vero monendi adolescentes meretricum cœnis, nodibus,omnique conuidu
abftineant, quibus illæ magnopere ftudent; cum norint confuetudine amoris
vincula fieri tenaciora. Parem amoris conciliandi vim focietas in hono ribus,
et rebus, tum fecundis, tum aduerfis habet, et quandoque maiorem. vt enim
maximum amoris vinculum ducitur, plurima et maxima beneficia accepitte, fic
fimul accepiife, proximum iudicari debet. Qui fimul fecere naufragium, vel vna
pertulere vincula, vel canfilij alicuius,coniurationisue focietate iunguntur,
facile amant inuicem tfnde adagium, Conciliant homines mala. Brutum et Cassium
invicem insesos Cæsariarius dominatus conciliauitjac fumma fide coniun xit. M.
EMILIO LEPIDO et GIULIO FLACCO cum ettent inimicifsimi, Cenfcres renunciati,
simultates illico depofuere. Tacitus, Latiaris arque Sabini fermones, quibus
vetita mifcuerant, ardæ amicitiæ speciem fecifle, annotauic; speciem dixit; nam
vr plurimum participes fcelerum non tam amore copulantur, quam metu, atque noxa
D conscientiæ. Sunt etiam qui exiftiment, vi quadam occulta ne&i animos;
vel difiungi quidam enim primo afpe&u amantur ab omnibus; ali j contra
contemnuntur. inter aliquos ftatim conuenit; alios nulla
beneficiorum,officiorumq. confuetudo conciliat ; nec vnde voluntatum ifthæc
difcrepancia nafcatur, liquet, nulla enim hic morum fimilitudo, nullavitæ
communitas. Astronomi » vt nodum hunc foluant, ad Venerem, ceteraq. aflra, quæ
benigna vocanr, confugiunt; quibus homines ad amandum inuitari volunt, hæc, vti
longe a nobis pofita, neque certam habent fidem, neque manifeftum errorem.
ACCADEMIA schola dæmonibus ad'cribit, qui vitæ hominum præfunt.facit enim
dæmonum, hos quidem confimilisingenij, hos diuerfi.qui difsident interfefe, d
fienfionesad clientelas deducunt; qui vna fentiunt, amorem iis immittunt,
quorum gerunt procurationem, demum nonnulli gratia pol-‘ lent, et
au&oritate; ali j odio habentur a collegis; qui vtrifque fubfunt homines,
eandem quoque gratiam inuidiamq. apud nos nancifcurur.ifthætf f ACCADEMIA
commenta non aliter confutarim 9 quam quod tollunt funemum,ex euentu,peritUla immerite
alicui creata conciliant amorem iriperpetieritem Tacitus de Nerone Germanici
filio. aderat \uutnH modcfiia et forma principe piro digna j notis in eum
Seiani odiis, Stv, quod omnes ad fe vocet; abiitq.in prouerbium, quo Plato
vtiturin iyfide ; quod pulchrum femper amicum ; cenfeturq. a Mufis et gratiis
primo vfurpatum, vbi ad nuptias Cadmi et Harmoniæ, puIchrirudinenouaf nupta?
ore, fi Deo placet, immortali cecinerunt ; vr in I heognidis epigrammate, cuius
hæc exiftit fententia; Mttfæ, et Gratiæ, filiæ Iouis, quæ olim Cadmi jtl
nuptias cum veoijlis, pulchrum xeciniflrs carme, Quicquid pulchrum amicum e[l,
non pulchrum autem non eft amicum. Mimus dixit, formofam faciem effc mutam
commendationem LIZIO vero; habere illam longe maiorem vim ad commendandum, quam
accurate feriptam epijiolam. Carneades appellauit C E hoc est, dulce amarum.
eft enim mors voluntaria V vc mors amarorem, vt fponte fufcepta, voluptatem
aflrert. amorem vero effe liiorcem, inde apparet maxime, quod amans de fenon
cogirat, fed de alio ; in fe igitur non operatur, fed in alioj - qui in fe non
operatur, in fe non eft ; qui in fe non eft,in fe non viuit; amans igitur in fe
mortuus eft.quare Plato in quendam, qui perdice amabat, dixit ; h'ic in proprio
corpore mortuus eft ; viuit in alieno et Plautus in Ciftellar. Trullam mentem
animi habeo ; vbi fum, ibi non fum. vbi non fumi ibi $1 1 animws « Cato fenior
aiebat, animum effe potius vbi amat, quam vbi animat. Quod fi amans vicit Jim
ametur, reuiuifcit in re amata j alias mortuus cenfetur.has autem
vicifsitudines atque mutationes quoad aflfe&um accipere oportet; non quo ad
ipfam eflentiam animorum. appetunt quidem amates fieri re ipfa vnum, iuxra
di&um Aristophanis ab Ariftotele 2. polit, cap. 2 relatum ; fed quia
illorum inde corruptio fequeretnr, quærunt coniunctioriem, quæ faluis
corporibus obtiqeri pofsit. hæc autem afFe&u confuetudineq* habetur, animis
interim quo ad cupiditates permiftis et in tertiam quandam temperaturam reda
mere contendit, quo conatu Lyfias Phædro similis euafit; et Macedonum proceres
colli flexura, orisq.ere&ione Alexandro similes redditos ex Plutarco supra
retulimus. Pulchre vero 2. Rher. monet LIZIO, vereri nos turpia committere apud
illos,quos amamus; 1 vt inter amoris opera pofsitreuei entia numerari; quod
maxime declarat eius aifeitionis excellentiam. Crafsi illa funt;Equidem cuiri
peterem magi ftratus,folebam in præhenfandodimitttre a me Scæuolam, cum ei ita
dicerem, me velle efle ineptum.Nemo quippe curat probari ijs, ejuos negligit;
Et quidem apud eos, qui ius haoent puniendi, veremur turpia facere ob metum
legum; apud alios ob metum infamiæ ; fedapud eos, quos diligimus,"
obreuerendam et amorem. Sed et fui, aliorumq. omnium, præterquam' rei amatæ
contemptum amor parit in amante lacob, rarum amoris exemplum, quattuordecim
annos æftu geluq. vexatur, in morem feræ, vt pulchra Rachde potiatur; ac tria
fereluftrama gnis tradu&a laboribus, paucas exiftimatincom modi tolerati
horas t certe diuinus Moses paucos ei dies præ amoris magnitudine vifos
teftatur. et ficaftifsimo amatori falaconem in exemplum admngerdicet,r uiCM,
Autonius incertum atque preui- DE pr jaifum exitium, vt Cleopatra; morem gerat,
fic fuidefertor, vt placeat concubina; falutem profundit, ne amati vultus
turbet ferenitatem. Fugatur demum Veteranus Imperator ab adolefcente, atque
tyrone, quod prius fuiffet dementatus ab ægyptia Syrene. his ftipendijs fæue
cupido muneras eos, qui nominibus datis, tua figna fequutur. G:gnit quoque amor
magnam voluptatem,vbi re amata potimur, cum enim affequi finem fit omnium iucundifsimum,
quilibet eo habito, quod amat, contentus viuit, vt ACCADEMIA ait in Phædro fæpe
autem tanta voluptas adeptionem rei amatæ confequitur vt multi in complexu
rerum carifsimarum exfpirarint • Ex oppofito amor vehemetior, fi quid
afiequutionem propofiti moretur, vel impediat, triftitiam, et moerorem affert,
voluptati, de qua diximus, æqualem, llafis medicus amore:n morbo melancholico
proximum facit, euolant quippe fpiritus fubtiliores, et purior fanguis per
teouifsimos poros, excitati appetitio nis impetu, erga rem amitam tendentis;
fanguis vero crafsior, quod exitus non pateat, remanet conclufus; vnde in at-um
humorem, atque bilem facile concrefcit, cum fit meliore fanguinedeftitu tus.
inde vaporibus opplecur caput; animus triftitia premitur, ac fæpe ad
infaniamdeducitur LUCREZIO (si veda) amator primum effectus eftjtum demens; ad
extremum fui ipfius parricida. Hæc sunt vehementioris amoris et frequentius
impadici ; qui amittendi quoque timorem affert, atque trepidationem 5 tum etiam
furorem in eum, qui auferre conatur; fufpicioneS vehementes, zelum amarum,
aliaque animo lancinando, et excarnificando inftrumentacommodifsima. In eodem
ordine raptum mentis collocamus: græcebts^; quem amori quoque diuino Areopagita
tribuitjquafiDeusob amorem e&afim paf fus fuerit, emergit quippe foras
knimo,qui amat ; tum quod ad rem amatam commeare appetit; tu quodafsiduode
illacogitat, fuioblitus; accurritq. aliquando fanguis tenuior ad cerebrum, vt
iuuec contemplationem ; aliquando præfente re amata adeamconuolatjfedfiftitin
externis corporis par tibus, uehiculo deftitutus. vtrumque ftupor fequitur,
opprefio cerebro vi nimij caloris,vel partibus vitalibus ab eodem derelidis.
Inde fequitur amantis valetudo et imbecillitas, debilitatur enim alendi vis
recedente calore; cor etiam, atque cerebrum vicifsim conftringuntur! ob copiam
fanguiu is, vt opem ferat parti laborati, ab vno ad aliud comeantis. id enim ei
natura indidit, ut inferuiat vitæ principijs. Et quidem cor,, vbi feptum efi vi
fanguinis,& quafi vallo circumatum, quærit aggerem per fufpiriaperrumpere ;
quævel non emergunt, vel omnino emittuntur^ difficillime, ac plerumque. non
integra, verum, dimidiata, nec fine magno conatu, ab eadem con ftridione ccrdis
prodeunt cantiones interruptæ, a E" &ftatim dimittit ; modo aliud
quærit, et propofitum illico mutat,pænitetq. cæpti inftituti ; vt prorfus ij
faciunt, qui longo et acuto morbo decumbunt. Huc maciem palloremq. amantum
refero ; corrupto enim calore, colorem quoque obfcurari necefle eft. f OVIDIO
de Amante Fugerat ore color, maciefj. obdukerat artus. Opprefsionem vero
cerebri lachrymæ fequuntur. Sanguis enim fabrilior, cogente cerebri
frigiditate, vertitur in lachrymas; quæ, vti graues, defcedunt per oculos;
natura quoque remmolestam, nulliusque ufus, foras propellente. His adde
oculorum tumorem, et inflationerii labiorum. Suetonius de Tyberio. Sed et
Agrippinam ab egi ftc pofi diuortium doluit; et femel omnino ex occurfu
vi[am,adeo contentis et tumentibus ocuUs profecjmtus e$t, vt cuftoditum fit, ne
vnquam in ciusconfpeftum veniret. eius fa&i caufla dft, quod ad præfentiam,
vel memoriam amatæ rei fpiritus petunt partes extimas, quali amatum amplexaturi
; maxime vero feruntur ad oculos, qui fant afnimi internuncij et conciliatores
amoris, inde fequitur tumor, et plerumque etiam ardor. Nec est prætereundum, ad
præfentiam, vel recordationem rei amatæ commoueri pulfumvena rum, fiue
arteriarum, fieriq. concitatiorem, et inconftantem ; idque vel quia cor
trepidat et pauet; vel quia nititur quodammodo de loco fuo conuelli, et in
amari pedus transferri; quo argumento dcpræhen dic Galenus amici vxorem amore
Pyladæ cuiufdam laborare. Denique,vt etiam quæ leuiora fu nt, attingam, amor
mutat mores ex taciturno garrulum facit, ex garrulo taciturnum ; ex focorde
induftrium; ex afpero mitem et fiiauem. quæ omnia ftngillatim profequi,eifet
immenfi laboris. Antiquitas morum comitatem amori adfcripfit, quemadmodum
Dionyfio mifterium, vaticinium Apollini, Mufis poefim. Docet quoque muficen;
quod ACCADEMIA a fpirituum vehementia deducit; qui dum magna vi erumpere
conantur, impellunt ad cantionem.Quid quod poetas facere non vno depræhefiim
eft experimento?Plato idipfum afsignat excitationi, agitationi,
eleuationifpirituum.ij enim co moti, agi tatiq. apt funt aliquid parere citra
commune vfum; cuiufmodi eft oratio metro conftans, minime vaga, vel foluta.
Bion poeta in Bucolicis fub perfona paftoris amorem facit fuorum carminum
au&orem veriibus a Stobæo relatis,quos ad verbum conuerfos ita legimus.
Mufæ amorem non metuunt crudelem, Quin amant ex animo et veftigia fequuntur
eius. Quod fi quis ingenio præditus inamabili ipfiti comitetur, Illum refugiunt
et docere nolunt jit fi amore captum gerens animum fuauiter cecinerit, o
idipfum fimul omnes feflinæ confluunt; Quod autem hic fermo plxne verus fit,
ego teflis ftim, )~ -v-i E (am 06 DE 7^am fi hominum quempiam, aut immortalium
et, ' mine celebro C efflat mea lingua; nec yt ante solebat, canit. At cum in
Amorem rei in Lycidam aliquid molior. Tunc mibi lætum ore carmen profluit. •
fli&um vecordis poetæ fceleratum, quodq. fati$ indicet perditos hominis
mores, ac nihil miraqdum iq o impudico amore ad verius fundendos eum incitari
folicum, qui meliorem non agnofcebat.agnouit autem Propheta Regius, iljoq.
impetu, quæ Deus didabat, fuaiiifsimis yerfibus effudit. Hanc de amoris
effedibus tradationem eleganti Caroli Cardinalis dido cocludam: Amore perfici
fundiones humanas, quæ enim abamg fe prodeunt,, quam accuratifsime geruntur. De
renfedijs amoris, REMEDIA non nifi morbis quæruntur, quare de impuro nobis amorehic
fermo exiltit, prrrium igitur amorem negofia > curæ, honotu m cu p diras,
labores, calamitates deterunt, et corrodi unt; Otia flt Ilus, periere cupidinis
ignes. Sed &egeitas eijvaide aduerfatur. na flue Cerere dr Daccb-j fliget
Vtnus^t ait Chremes Terentianus, ia gr æcorum collectaneis verius legitur, qui
LATINE «e cxprcfTus > sic habet. Mortua res venus fine Cerere et Baccho.
Ariftophanes apud Athenæum vinum lac Veneris appellat, quod alat libidinem
Vinum bibenti fuaue lac Cypriæ Deæ Apuleius in Metamorphofi ex Cerere, et
Baccho Veneris /ytarchiam confici fcribir. Sed et Menandri hi exfiant Senarij.
Amorem [edat fames, aut æris penuria ; {emo mortalium viftum mendicans amauit;
Sed in opulentis puber hic innafcitur. Huc fpe&at antiquum epigramma græcum
an &oris incerti, in latinum (ic verfum. Fames amorem fidat; id fi fit
minus Tempus medetur ; fin nec i fla exttingucre Flammam queant^ tum reflat, vt
funem pares. quod epigramma ex dido Cretetis Thebani Cynici philofophi confedum
ett. tria enim ab eo afferebantur amoris remedia, htftfe Cfiy?s, id eft, fames,
tempus, laqueus. digna cynica immanitate fententia. porro paupertatem prodefle
amori pellendo in confefToefi;tum etiam tempus, et longam diem ; nam vt ait
Ouid. lente fiunt tempore curæ et Martialis Quid non longa dies, quid non
confutuitis armi ? fedti hæc duo minime pro finr, a^liafunc remedia, præter
laqueum ; a quo abftinendum natura docet, et humanæ diuinæq. leges præcipifit.
quantum euim illud ad amorem eiiciendum valet, fi E a quid 6Z t> E quid
vitij inre amata eft, fæpc animo voluere, vfc illa tandem apud nos vilefcat?
inomnivero.humana pulchritudine aliquam deformitatem corporis, vel faltim animi
nancifci, facillimum videturjmores fcilicet improbos, impotentiam animi
auaritiam, fæuitiam, inconftantiam et quando hæc defunt, foeces fub
uenuftifsima forma latentes, fordesq. innumeras eo conceptaculo conci ufas.
indignatio eti^mjquod a vili foemina, vel abie 6to mancipio quis contemnatur ;
vel in feipfum, quod adeo foedum toleret feruitium,cocepta iracundia
tenacifsimos frangunt amores; quibus liberatum Heroem illum ab amore Indicæ
Regin^ Ludouicus Arioftus perbelle finxit; cum equitem induxit armatum, quem
indignationem poftea nuncupauit, tædis ardentibus foedam et immanem belluam,
quæ JReginaldum fub vnguibus, præmebat, et moleftifsimeinfeftabat, fugantem et
adtartarum detrudentem, quippe fera illa libidinem, et amorem impuru referebat.
Medici cmiffionem fanguinis atque defoecationem ad idem Cenfent non inutilem;
quod ea minuatur calor, et ardor coeundi. Platonici idiptom probant ; quod
sanguis morbida qualitate affectus eiicitur, ac fincei^is de nouo gignitur
quare medici amantibus ebrietati cenfent aliquotenus indulgcndum ; tum vt
fpiritus recentes procreentur ab illa tabe inta- I veteribus per sudorem vino
excitatum, exhalatis; tum, vtindudaobliuione,paulatim curæ ; iuollefcant, et
amatæ rei memoria deleatur. Remedium vero illud, clauum clauo pellendum, nec
recipio, nec ferendum cenfeo,fi clauus de nouo adhibitus fit eiufdem cuni
vetere materiei, nam expellens, nifu tenaciore occupat expulsi locum quare
amantem, si eo vtatur consilio, in peius dela bi, non est ambigendum, fin
alterius naturæ clavus affumitur et cado vel omnino philosophico et quod magis
ampledendum, divino amore contra Venereum agitur, medicinam salutarem, nemini
respuendam iudico. STRABONE scripit prope Lebcada promontorium cfie templum
Apollinis, vbi faltus fit ad fedandos amoris ædus; ex quo Deucalion ob Pyrrham,
Cephalus ob Pterelam, Sappho item et Calicæ fœminæ fefe præcipites dedere, viri
servati funt incolumes, ab amore immunes fœminæ interierunt; mifelfæ; quod
scilicet faltus ille Leuchadius virilis edet, nec fœminis conveniret. Fabulofa
hæc sunt. Sed si quid veri adumbrant illud ed; vehementissimo timore amorem
interii re; quod et nos fatemur pericula enim ad meliorem sæpe mentem homines
reddunt; (io dat intellectum „ v . .r et ifp i yJh t ii; ; OH ifttO rjorr- r hi
ibo:.» nlsr; ritBT&J' > 1 '« : fyy \ £§5*? :• r < b ftV; % i IOC CE'
'Vrn. 0 f <»! Vropommtur et diluuntur
dubii non pauca id Amorem pertinentia P tl I M V M dubiam. An verum sit, quod
Socrates ex Diotima retulit, amorem nasci indigentia. ACCADEMIA in Lyfide
affirmauit. CICERONE autem censet istumesse miiiim. generosum amoris et
amicitiæ ortum j alias lucri causa amaremus, et beneficia fœneraremur; quod
fordiduol videtur i Sed ACCADEMIA dictum de amore, qui cupiditatis dicitur,
intelligencfeM, CICERONE autenii de amore amicitiæ, quæ nititur honesto sic
inter mentes separatas amor intercedit, cum nihilo minus non egeant secundam.
Qaibus maxime reperamentis inna scitur amor? Iis, quæ calore et humare abudant
humidum enim facile concipit externas impressiones; calidum vero fouet amorem
quod si calido sit admixtum aliqu id ficcitatis, cupiditares existunt acutæ et
vehemente$, qu 2 fs celerrimelrelfec expleri, nec retinent v^lde diu; quod
sanguine sint tenui, atque raro et in cpntinua motione posito. Eiusmodi sunt
adolescentes, quorum amores levis flammæ vapori Seneca in Hyppoliro comparavit.
Frigidioris vero naturæ, ac tristioris ingemj homines tard amorem admittunt,
sed per se u crint magis, 6b crafsitiem, atque pigritiam sanguinis fi gutm’s,
et admixtionem atræ bilis, quæ diffidi iut recipit, sed firmius reti net,
quicquid imprimitur, Vt argilla non adeo tenuisset liquida, inde lenes
excipiendo amori duriores videntur jquem nihilo mi hus semel imbibitum retinent
lumina firmitudine. illos dixeris; quali ftipUlam quæ flammant
bcyfsimeconcipit, et dimittir; hos, quili ligna solidiora, quæ non adeo sunt ad
exardescendum facilia; sed admotam, ac tandem tecepraui flammam diutius alunt;
Tertiui Qua potilsimum via cocipiatur amor; Respondeo, venenum illud oculis
maxime hauriri. vt LIZIO; docetlib. p.Eth. tdlaturq.illc apud Poetaifi. Vt vidi
d vt perij Ivt me maltis abstulit error d sed et aures aliquando funt operis
tanti adminiUrie; qua ratione Medaæ lafonem ardere coepit lenotiniuiri per
quietem absolvente phantasia. cd tadufi idipfurh præftat; vbi phantasia
pulchram tei conta&æ formam effingit; sed in hac concerttione palmam oculi
libi vindicant, vt quibus eunt re ipsa commercium intercedit; quod aures no hal
ber,Vt Phylo noratlit .de ludice iilæenim occit fantur circa sonos; obtutiis in
rem ipsani fertur aclimatissimum æque superbissimunide illa fert iudicium;
conta6his verb cralsior est, et aptior ad fruitionem, quam ad iudiciumde re
pulchra fasciendani allerunt ACCADEMIA amorem pulchritiidi lie potissimum
commbueri; quæ oculis maxitrid feleipitur; contactui vero nullatenus subiieitur
j £ 4 Itita b E r ideo amorem oculis potius excitari, quam tactu amorem
præterea fpiritibus adminiftris gigni vo lunt, hosq.per oculos emitti, et
immitti . ex quo fic,vr qui oculorum venuftate possent, faci!ein alie nis
pedoribus benevolentiam sibi conficiant. Hanc ego spirituum per oculos eiaculationem
negare non poffum, quod multis experimentis com probetur.Scribit S.Bafilius
lib.de Virginitate, nos firmius ægrotos intuendo ccrrupijneque n.irrpu ne
peltifera spiramenta ocuiishauriutur. Teftatut Lapndius de ALESSANDRO SEVERO,
ad eius obtutu f^pe opus fuifle oculos dimittere; id no eflet; nifi agens vis
aliqua ab oculo in ocuju e£funderetur; qux illu afficeret et subigeret.
læditur.n. fenfus a fenfili ve henrienti,vt Arilbdocuit. Auguftus, referete
Sueton 10,0 cui os habuit daros,ac nitidos, quib. etia exi flimari volebat
ineflfe quidda diuini vigoris;gaude batque,fi quis fibi acrius cotuenti, quafi
ad fulgo re fblis, vultu fubmitteretjqua porro leuitare Silenus apud Iulianum
trasfugam facetifsime derifit. Aspedu ne rei amatæ magis,an ofcu lo, complexuq.
amantis expletur appetitus? Respondeo. Amantem quærere coniun&ionem cum te
amata; id vero complexu magis obtinetur, qui intuitu, quare mater film ad fe
peregre reversum hon fatis habet oculis ad fatietatem intueri ; nifi etia
amplexetur, osculodato et repetito, quiefcit. maxima nihilominus voluptatem
oculis pefcipi, non eft negandum; elTcq. magis perennem, quod, cum purior
exiftat, minus amantem fatiget.. An amor iit erga bruta et inanima. Respondet
LIZIO Eth.c. ideft ama tione, in res quoque inanimas conferri, quod lata
acceptione LIZIO loquutum crediderim. na inanima etia fi timemus, non odimus,
vt fulme. ergo nec amamus, cii contraria circa idecontingat.qua re LIZIO Eth.
magis proprie loquensait; ridiculu effe illu,qui dicat, se vino bona euenireve!
le; sed vt qua liberalissime agamus, dabimus ei, vt velit vinu faluu et
incorruptum manere, vt ipse habeat.cu igitur amoris effedus fit bene velle,
sequitur crga inanima no esse proprie amore; et multo minus amicitia. Aristippo
cu perdite amaret Lai de, nec ab ipfa amaretur, ab amico reprxhesus est, quod
eo amore traduxifiet, vnde par no acciperet.fed cxcufabatfe Aristippo quod etia
vino et cibo vteretur, pluri muque caperet inde voluptatis jetfi no igno raret,
se no amari ab illis.acute et appofite. neq.n. cude vero amore fermo eflet, se
cibu amare dixit fedab eo multu capere iucuditatis. Quo ad animata rationis
expertia, certu est cuijs non efie amicitia; qa comunia cu hominibus officia no
obeur, nec ferutur ad eunde fine, nec habet electione, nec honestua turpi
diftinguunt. Sed an hominis amor ad illa excedatur, in dubio res eft diligimus
enim canes et vicissim amamur ab illis et cum fint capæia doloris et
voluptatis, illis bene, vel male cupixnus. nonulli etiam ardentissimo amore
fœda animalia sunt prosequuti. Glauca Cythariftria anferem, fcu anatem amauic
Xenophontis filius in Cilicia canem et quidem obftinatifsfme; f^der Spartiata
monedulam habuere in delitijs; quid quod adolescens bonæ fortunæ statuam iri
Fri tanæo ere&am deperi jtj eaq. pretio non obteri ti sibi manus intulit
quippe lapidem ilum qiiaii anima præditum ob mentis perturbationem
existitnavit, quod ex Xerxi vifutn tu ille crediderim; Curii infarto Flatani
amote captus ad eam extrei tum illum immensuin cohfiftere atque choreas ducere
voluit; nec ante abscessit, quam armillis torquibusq. aureis amatum ornattet;
curatore quoque dato qui cuftbdiret; ac tueretur ab militia. Sed amorem proprie
atque per fe&e ad ea tari tu elfe dixerim, qux ratione polletit est enim
amor Appetitus coniunctiohis, atque convictus; quis ve to cani, vel anati, vel
cuilibet manfuetifsimæ belluæ iungi velit, vel vfia convivere? quod si qui de
formes adeo prætulere cupidi taces, eos irrationali amote ductos di xerim, et
feritati, i m mani tarique obnoxio; cuius perversæ appetitionis caullæ tre ab
LIZIO referuntur lib^'. £thicitap.$. Sed, (i tationem sequimur et naturæ
propensionen T inanima cara habemus j bruta adhuc noftri cauCfa diligimus; vt
equos nobiles, vt catulos feftiuos; fed noti qrtæcumque cara nobis funt; continui
amamus; etfi quæ amamus, necessario etiam cara habemus et omnino catum elfe
latius patet quam amari mieb Sex tu . An artiare præfiantius fit, quaniamdti
hæc dubitatio accipienda est formaliter; fci- [AMORE] T licet, an amans vc
amans nobilitate antecellat amato, vt amatur de quo ACCADEMIA non dubitant,
cum, vt FEDRO ait apud ACCADEMIA, amans divino furore rapiatur, videaturque
particeps fadut divini luminis. Equidem cæteris paribus flatum amantis
celfiorem existimo amate enim eftactu Caritatis, quæ prædantissima est omnium
virtutum et tum etiam quod amare cum fundtione virtutis existit; amari autem
est prorfus Ociosum illud vicem habet agentis, hoc patientis Septimum Cur amans
amati vereatur aspectu} vt sæpe viri fortissimi ad præsentiam vilissimæ fæminæ
trepidarint, et ad infimas preces obceilationesque defcenderint. Respondent
ACCADEMIA, non eife quid humanum quod eos percellit, sed fui goremdiuinitacis
emicantem in humana specie; quo posito, consternationis eius cauflam fe
tradidiflfe putanti et principium indicasse, quo per multæ difficultates de
a^pore diluantur, nam ad ama ti præfentiam sæpe honot, plerumque divitiæ
Contemnunturj quod fortunæ bona non fint cum fummd bono, cuius radij
pulchritudine correptus est amans, conferenda. Et amans cupit vnum cum amato
fieri, deferet e condicionem propriam, e se in amati perfonam transfefrej quia
ex homine cupit fieri Deus, quis enim efl,qui humanam condicionem cum divina
non libentissime commutet? Et amote capti vicifsim fufpiriapromunt et gaudent.
dolent quippe quod se ipsos deferant ætan tur quod ad meliorem Ratum
transferantur. Calene DE AMORE. Calent etiam atque frigent; deferuntur enim
calore proprio; tum fuperni radij fulgore accenduntur. demum timent et audent,
quod calor audaciam pariat, frigus metum. Ego vero LIZIO firmitate deledatus,
pleraque ex his vti speciosa quidem didu, are ipsa non admodum folida reiicio.
alia etiam, vti ad velandam turpitudinem Veneris induda, damnare cogor; Amantem
id cupere, vt per Metamorphofim fabulofam in alienam mucetur naturam,plane fum
antea inficiatus. effc dus vero illos amoris varios,& multiplices ab et
ebullitione fanguinis, per vim phantafiae, deduco; vt diximus in i j$,quae de
amoris eflFedibus at tulimus; plura quoque in difpucatione de timore paulo poft
fubiiciemus. v 2 S 8 et 268 et pWC2ihii P*‘t Hi Lellio Pellgrini. Pellegrini.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,”
The Swimming-Pool Library. Pellegrini.
Luigi
Speranza -- Grice e Pempelo: la ragione conversazionale della diaspora di
Crotone -- l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia pugliese --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Turi, Bari, Puglia. His name is
attached to some surviving fragments of Pythagorean writings on parenthood, or
fatherhood – ‘patria’. Pempelo.
Luigi Speranza -- Grice e Pennisi: all’isola
– la ragione conversazionale del blityri, o dello spirito nazionale – filosofia
dell’isola – filosofia della sicilia – la scuola di Cataia -- filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo
italiano. Grice: “I like Pennisi’s
irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution
of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to
mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of
lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart
in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of
communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’ i.e.
the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Dirigge il Dipartimento di Scienze Cognitive,
Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali a Messina, presso cui è
titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano
prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la
relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la
laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a
Catania con una tesi dal titolo “I
presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. TERRACINI,” sotto
la guida di PIPARO. Vince il concorso
libero per ricercatore e svolge la
carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina.
Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di
Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato-- è direttore del Dipartimento di Scienze
cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside
presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in
Scienze cognitive dell'Messina. Aree di ricerca Psicopatologia del
linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico
parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due
declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il
linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei
soggetti normali. La tesi di P. è che i soggetti psicotici, a differenza di
quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di
vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità
sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio
consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo
impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella
schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella
paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino
del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle
sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte
la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di
spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere
considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare,
la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato
l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività
linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse
dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori
naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci
avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente estinzione. In
continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto di bio-politica,
in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In particolare, propone di
investigare i fenomeni sociali e politici mediante la comprensione delle
dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è, nel sistema di
idee proposto da P., l'idea di poter ingegnerizzare la società e di poterme
controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è data dal
linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo sapiens.
Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni
socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali che
ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre
saggi: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo
di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola
timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze
cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del
linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia
del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le
lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova
Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente,
in Blityri, Pisa, ETS, Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. Eugeni,
Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in Kubrick oltre, in Le
ragioni della natura” (Messina, Corisco, Piparo, Mauro, Eco. Dip. Scienze
cognitive, psic., ped. su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola,
filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro, blityri. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pera: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il ragionere – la
scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca,
Toscana. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'istituto
Carrara di Lucca. Studia a Pisa sotto BARONE. Insegna a Pisa. Convinto che le
libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che
permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia
sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge
grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza Un saggio filosofico di rilievo riguarda il
metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che
avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono
dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e
scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui
primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza
in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel
rinascimento volgare italiano -- GALILEI, TELESIO. La metafora delle palafitte
(anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia
(in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su
una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a
seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi
fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica. C’e
progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio
che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia
ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo
orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi
scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di TELESIO e GALILEI che reca
obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a
partire dalle prime formulazioni empiriche di VOLTA e GALVANI. Pera analizza il
progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su
procedimenti razionali ed induttivi. Altri saggi: "Induzione,
scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture
selvagge o argomentazioni induttive?",
"È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi.
Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la
rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi,
attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave,
epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in
Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di
sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento
della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il
confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e
criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa
anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca.
vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle
mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore
comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concetto di eguaglianza fra gl’italiani
e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione
italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco. Defende nostra autonomia
individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il
nostro liberalismo)”.
Altre
opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma,
Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella
scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia
sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e
retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici.
Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico”
(Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di
Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido
strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire
sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte
vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o
"data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare
le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido.
Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per
il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il
mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature,
relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere,
le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di
ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di
Crotone. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Peregalli: la ragione
converazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. I luoghi e la
polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con
Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e
vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia
della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo,
il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore
dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo
corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche
l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano. Citazioni
Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i
costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto
poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare
mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza.
Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza,
sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio,
l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di
tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della
nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa",
sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene
corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua
fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli
anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter
assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e,
quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo
del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è
il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua
purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato
in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente
solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È
un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia,
colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La
si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la
"carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre
caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua
democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce
e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa
sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare,
dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri
tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento)
può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca,
sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque
non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre
guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo
che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare
la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti,
superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un
sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte
dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo
che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi
"mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle
costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si
disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di
incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e
dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia
un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle
campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza
aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia
ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli
lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non
dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il
motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura.
Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste
rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e
lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a
nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate
da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci
somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla
sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea
che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da
una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità
delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in
un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un
senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso
il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo
fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona
misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà
consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La
certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una
"decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la
traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano
caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare
sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo
stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una
città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere
le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono
affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La
materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve
ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo
va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne
l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita,
ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo
odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli
anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono
sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il
loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo
un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in
cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano
che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto
rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le
opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e
fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti
edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati
del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di
sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni
o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono
un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri antiproiettile,
l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e luccicanti dei muri,
il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via la polvere, via la
patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto è asettico.
Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente morto. L'arte
è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna fedelmente nel
cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza. L'abitare sulla
terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava della natura, e
questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni dell'uomo. Così
nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi diroccati e
abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal
tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si deposita sulle
cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una sedia, un bicchiere
parlano del passato, delle mani che li hanno toccati, attraverso la pelle del
tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del passato si leggono tra le
crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il calore riarso del sole. Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani.
Roberto Peregalli. Peregalli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Peregalli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza –
GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pergola: dialettica o l’arte del conversar –
scuola di Pergola – filosofia marchese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Pergola). Pergola, Pesaro e Urbino, Marche. Paolo
della Pergola o dalla Pergola. Stefani? Godi? Muore a Venezia. è stato un
filosofo, matematico e logico italiano. Fu il membro più noto di una famiglia
di insegnanti marchigiani di cui però non è noto il cognome. Segarizzi, notando
che il fratello Alvise veniva indicato come figlio di Antonio de Stefani da la
Pergola, ritenne che quello è il suo cognome. Più probabilmente, si tratterebbe
di un riferimento al nonno paterno. Taluni, confondendolo con un altro Paolo
originario di Pergola, gli hanno attribuito il cognome Godi. Forse è avviato alla carriera ecclesiastica
nella città natale, ma presto si trasfere a Venezia dove già vive il nonno
Stefano, medico, gli zii Luchino e Pietro, insegnanti, e forse anche il padre
Antonio. É allievo di Paolo da Venezia. La sua opera più importante è probabilmente
il De sensu composito et diviso. É insegnante della scuola di Rialto dove
insegna logica, filosofia naturale, matematica, astronomia e teologia. Nominato vescovo di Capodistria, rinuncia
alla carica per non distaccarsi dalla sua professione di insegnante. É sepolto nella chiesa di San Giovanni
Elemosinario di Venezia dove gli è anche costruito un monumento a pubbliche
spese. Vi resta solo una lapide, in quanto l'edificio è distrutto da un
incendio. Opere Logica; and, Tractatus
de sensu composito et diviso, edito da Brown, Saint Bonaventure, New York:
Franciscan Institute. Buzzetti, Paolo della Pergola, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Fonte: Dizionario di
filosofia. Della Pèrgola, Paolo, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Della Pergola, Paolo, in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Dino
Buzzetti, PAOLO, della Pergola, in Dizionario biografico degli italiani, vol.
81, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Paolo della Pergola, su ALCUIN,
Università di Ratisbona. Paolo della Pergola, su Mathematics Genealogy Project,
North Dakota State University. Modifica su Wikidata Paolo della Pergola, in
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Portale
Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie:
Filosofi italiani Matematici italiani Logici italiani Nati a PergolaMorti a VeneziaPaolo
da Pergola. IL TRATTATO TERMINI CUM
QUIBUS. Kristeller in “ITER ITALICVM” dà notizia di due trattati de sensu
composito et diviso di P. nessuno dei quali corrisponde a quello che Maieru
utilizza nella sua esposizione e che ha l’incipit, Cum saepe numero cogitarem. Del
primo d;essi, contenuto nel ms. Sessoriano della biblioteca nazionale di ROMA,
KRISTELLER (si veda) dà questo incipitm Quoriam ignoratis. Il secondo, invece,
si trova nel ms. Casanatense, L'incipit è: Termini cum quibus. Il ms. sessoriano
contiene in realtà il trattato noto a Maieru, ma esso non è segnalato da
Kristeller. L’incipit fornito dallo studioso è quello d’un altro trattato che
nel codice precede testo utilizzato da Maieru.. Ecco l’indice del ms.
Sessoriano:ff. 1ra-54vb:, Pauli Veneti Logica parva, manca il primo trattato e
metà del secondo: inc.: ef ita non immobilitant. Ideo bene sequitur: scio omnem
propositionem, et iste sunt omnes propositiones, ergo scio istam et istam et
sic de singulis (cfr. l’ed. veneziana del 1567 « apud Hieronymum Scotum », tr.
II De suppositionibus, cap. V, p. 22, 30); expl.: secundum quod mei in exordio
primitus asserendo promisi (nell’ed. cit. manca l’ultimo paragrafo:
merito-promisi; nel ms. segue, di mano posteriore) E7 sic est finis. FINIS. 1
Cfr. Iter Italicum, II, London-Leiden. 2 Ivi, p. 97. 608 Alfonso Maierù 2) ff.
S4vb-SSvb: Incipit tractatus brevis magistri Pauli Pergulensis de sensu
composito et diviso ad medium inveniendum in silogismo (ma cfr. Codices
vaticani latini, II, 679-1134, rec. Pelzer, Romae, Vat. lat. 1109, ff. 144v-145r,
dove il testo è attribuito a Marinus de CASTIGNANO (si veda) sotto il titolo
Tractatus de inventione medii. Pelzer per lo stesso testo rinvia al Vat. lat.
3037, ff. 151r-154r); inc.: Quoniam ignoratis principiis et ea que sequuntur
ignorari habent ab his qui perfecte scire cupiunt; expl: Et sic sepe hec
legendo multa alia exempla per temetipsum per regulas ante positas inveniri
poteris. Finis. Explicit utilis tractatus ad medium in silogismo inveniendum;
ff. 55vb-58vb: (Pauli Pergulensis De sensu composito et diviso: ) Item de sensu
diviso et composito tractatus eiusdem. Inc.:
Cum sepe numero cogitarem; expl.: que hic scripsi plurima ex te repperies (cfr.
l’ed. M. A. Brown
cit., pp. 149-158; l’explicit ha riscontro nell’ap- parato); 4) £.59r: versus
memoriales. Il manoscritto, del sec. XV, cartaceo, di ff. 59, a due colonne, è
dovuto a due mani diverse: la prima, fino al f. 54vb, al punto indicato; la
seconda, dal f. 54vb alla fine. Il secondo testo segnalato dal Kristeller
occupa i ff. 55va-58rb del ms. Casanatense 3, ed è anonimo. L'attribuzione di
esso a P. è stata forse ricavata dal ms. Marciano, lat. VI, 248 (= 2878);
questo codice infatti ha, ai ff. 92va-93vb, un trattato de sensu composito et
diviso, incipit: Termini cum quibus, attri- buito al Pergolese (ma ai ff.
89ra-92rb ha il De sensu composito et diviso, incipit: Cum saepe numero
cogitarem, che una mano poste- riore a quella che ha copiato il testo ha
espressamente attribuito al pergolese: si veda il margine superiore del f.
89r). In realtà il testo 3 Per la descrizione del codice, cfr. Catalogo dei
manoscritti della Biblio- teca Casanatense, I, compilato da Moneti, Muzzioli,
Rossi, e Zamboni, Roma. 4 Cfr. VALENTINELLI, Bibliotheca manuscripta ad S.
Marci Venetiarum, IV, Venetiis 1971, p. 160; il ms. è segnalato dal KRISTELLER,
0p. cit., Tk p. 226 del ms. Casanatense e quello del ms. Marciano differiscono,
nono- stante abbiano lo stesso incipit, giacché il primo è notevolmente più
lungo del secondo. Diamo di seguito i due testi, segnalando in nota, del più
breve, i punti di raccordo con l’altro; si vedrà che esso è derivato da quello
maggiore e, così come ci è pervenuto, sembra un riassunto frettoloso del primo.
Per stabilire il testo più lungo ci siamo serviti del ms. Casanatense e del ms.
1123 della Biblioteca Universitaria di Padova, che lo contiene ai ff. 9va-10va
5: anche in questo caso esso è anonimo. Il ms. Padovano è più antico e perciò è
stato preso a testo base di questa edizione. Ma Brown ricorda sotto lo stesso
incipit anche i testi anonimi contenuti nei mss. Oxford, New College, f. 36r
sgg. e Worcester, Cathedral F. 118, f. 55b sgg., che non abbiamo preso in
esame. Termini cum quibus sumuntur propositiones aliquando in sensu composito,
aliquando in sensu diviso, sunt isti: scire, dubitare, ima- 5 Una prima analisi
del contenuto del ms. è nel mio Lo Speculum Introduction a PAuL or PeRGULA,
Logica. Padova. Biblioteca Universitaria, ms. 1123, ff. 9ba-10va; C = Roma,
Biblioteca Casanatense, ms. 85, ff. 55va-58ra. In questo apparato non sono
segnalate le trasposizioni e le varianti come ergo | igitur, iste / ille. Ho
letto P in microfilm negativo; si rilevano inter- venti in inchiostro più
intenso sul testo, non so se dovuti alla stessa mano dello scriba, o a mano
differente; essi non saranno tutti segnalati: noteremo eo) le cancellature, e
le aggiunte in margine o in interlinea (indicate con Pe). 1 termini] Incipiunt
termini qui cum quibus Termini P_2 composito +et C 39] -ginari’, ‘percipere’,
‘nolle’, ‘velle’, ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘necessarium’ et ‘contingens’. Et
sumuntur propositiones in sensu composito quando aliquis praedictorum
terminorum praecedit totaliter DICTVM PROPOSITIONIS, ut ‘scio 4 esse verum’,
vel finaliter subsequitur, ut ‘album esse nigrum est impossibile’. Et ista
propositio ‘scio 4 esse verum’, et aliae consimiles quae sumuntur in sensu
composito, sic significat: Scio quod 4 est verum. Et
ista propositio ‘impossibile est album esse nigrum’ et sic singulis. Sed
sumuntur propositiones in sensu diviso quando aliquis istorum terminorum mediat
dictum propositionis, id est ponitur inter accusativum casum et infinitum
modum, verbi gratia ‘4 scio esse verum’, ‘album possibile est esse nigrum’,
‘aliquam propositionem du- bito esse veram’. Et tales propositiones quae
sumuntur in sensu diviso sic significant: ‘a scio esse verum’ sic significat:
illud quod est 4 scio esse verum; ‘album possibile est esse nigrum’ sic
significat: illud quod est album possibile est esse nigrum. Et ideo tales
propositiones sumptae in sensu diviso et in sensu composito sunt quasi sibi
invicem impertinentes, et in sensu diviso valet talis consequentia: ‘illud quod
est 4 scio esse verum, ergo 4 scio esse verum’; et ista consequentia
simpliciter est bona: ‘hoc scis esse verum et hoc est 4, ergo 4 scis esse
verum’. Sed arguendo in sensu composito non valet consequentia, ut hic: ‘tu
scis hoc esse verum et hoc est 4, ergo tu scis 4 esse verum’, quia antecedens
est verum et conse- quens falsum posito casu possibili: posito quod 4
convertatur cum ista ptopositione ‘homo currit’ et posito quod tu videas
hominem currere, sed quod tu nescias pro certo an sit homo vel non, isto
posito, antece- dens est verum, videlicet ‘tu scis hoc esse verum’, quia ista
convertitur cum ista ‘tu scis quod homo currit’ et ista est vera, ergo et alia;
et altera pars antecedentis est vera, videlicet quod ‘hoc est 4°; et consequens
falsum, videlicet ‘tu scis 4 esse verum’, quia convertitur cum ista: ‘tu scis
hominem currere’, quia per casum est tibi dubium si sit homo vel non. Sed ad
concludendum propositionem in sensu composito oportet 3 possibile+et C 6
totaliter] totum C 10 propositio om P 11 sin- gulis] similibus C. sed om C
sumuntur-+autem C 12 istorum] praedicto- rum C 13 accusativum] aliquem (2) C_
16 significat+quod C 17-18 sicnigrum om P__ 20 suntom C etom C 21 illud] id C
23 sed+con- similiter C 25 tu om C quia om C_ 27 posito] pono P__28 nescias]
nesceas P__ 31 4] verum P homo C_ 32 videlicet] quod C 34 non+ Terminologia
logica della tarda scolastica 611 accipere utramque praemissarum in sensu
composito, sic: ‘scio quod hoc est verum et scio quod tantum hoc est 4, ergo
scio 4 esse verum?. Posito quod 4 sit altera istarum: ‘deus est’ vel ‘homo est
asinus’, et bene scias quod 4 sit altera istarum, et sit ista gratia exempli
‘deus est’, et lateat te quae istarum est 4 et consideres tu de istis, et scias
istas significare praecise primarie, isto posito sequitur ista conclusio: 4
scis esse verum, et tamen tu non scis 4 esse verum. Antecedens probo sic: hoc
quod est 4 scis esse verum, demonstrando istam ‘deus est’, ergo a scis esse
verum. Ista consequentia est bona, quia consimilis modus arguendi in sensu
diviso valet, et antecedens est verum, quia istam scis esse veram ‘deus est’ et
ista est hoc quod est 4, ergo hoc quod est 4 scis esse verum, et tamen tu non
scis 4 esse verum; probo, quia non scis quod 4 est hoc verum ‘deus est’, quia
latet te per casum an 4 sit ista ‘deus est’ an ‘homo est asinus’, nec tu scis 4
esse aliquod aliud verum per casum, ergo tu non scis 4 esse verum; ideo conceditur
conclusio. Et si arguitur sic: ‘4 scis esse verum, ergo tu scis 4 esse verum’,
negatur consequentia, quia ista possunt stare simul: 4 scis esse verum, et
tamen tu non scis aliquod 4 esse in rerum natura. Probatur sic. Ponatur quod «
sit ista propositio ‘deus est’ et quod tu scias istam, et quod tu non ctedas
aliquod 4 esse in rerum natura, tunc antecedens est verum ‘4 scis esse verum’;
probatur: illud quod est 4 scis esse verum, ergo 4 scis esse verum; antecedens
probo: istam ‘deus est’ scis esse veram, et haec est illud quod est 4, igitur
hoc quod est 4 scis esse verum, et tamen tu non scis aliquod 4 esse in rerum
natura. Alia conclusio est ista de primo casu: tu dubitas 4 esse verum et tamen
nullum 4 dubitas esse verum; prima parts patet per ca- sum et secundam partem
probo, videlicet nullum 4 dubitas esse verum: quia nullum istorum dubitas esse
verum demonstrando istam ‘deus est” vel ‘homo est asinus’, et quodlibet 4 est
alterum istorum, ergo nullum 4 dubitas esse verum; consequentia patet et antecedens
homo C 34-35 oportet-praemissarum] requiritur quod utraque praemis- sarum
sumatur C_ 37 posito] supposito C 38 ista+gratia P—39te+ta- men C add et
delPest]lsitC =40isto+casuC 41siclsiC 42de monstrando-est’ del Pe 46 quia+tu C
48 an+haec C 49 verumi om C 53 scis] sis C esse-+verum C 55 tu om C 56
probatur] probo C 57 istam] ista C 58 illud] hoc C 59 natura+quia per casum tu
non credis quod aliquod 4 sit in rerum natura C 61 4+est tibi P per casum] ex
casu C 63 dubitas-verum] est tibi dubium CU istam] 612 Alfonso Maierà sequitur
ex casu. Ideo conceditur conclusio et negatur ista conse- quentia: ‘tu dubitas
4 esse verum, ergo tu dubitas 4 vel 4 est tibi dubium’, quia antecedens est
verum (‘tu dubitas 4 esse verum’, quia per casum tu nescis an 4 sit ista ‘deus
est’ vel ‘homo est asinus’, ergo tu dubitas 4 esse verum) et consequens falsum,
quod tu dubitas a, quia suum contradictorium est verum: ‘tu non dubitas 4°;
probatur, quia non dubitas illud quod est 4, quia non dubitas istam ‘deus est’
et haec est 4, ergo tu non dubitas hoc quod est 4. Similiter ista consequentia
non valet: ‘tu dubitas 4 esse verum, ergo 4 est tibi dubium’, quia antecedens
est verum, ut probatum est, et consequens falsum, videlicet ‘a est tibi
dubium’, quia ista non est tibi dubia ‘deus est’, et ista est 4, igitur 4 non
est tibi dubium. Ista conclusio est possibilis et sequens ex casu: 4 est scitum
4 te et tamen tu dubitas 4 esse verum: antecedens probatur, quia 4 est ista
‘deus est’ et ista est scita a te, ergo 4 est scitum a te, et conse- quens
probatur ut prius. Item sequitur: tu dubitas 4 esse verum et tamen tu non
dubitas aliquod 4; prima pars probatur ut prius et secundam partem probo, quia
tu non dubitas illud quod est 4, igitur tu non dubitas 4, quia tu non dubitas
istam ‘deus est’ et haec est 4, ergo tu non dubitas illud quod est 4; ideo
conceditur conclusio et conceditur ista: tu scis 4 et tamen tu non scis 4 esse
verum. Prima pars patet, quia tu scis hoc quod est 4, ergo tu scis 4; secundam
partem probo, quia tu non scis an 4 sit ista ‘deus est’ an ista ‘homo est
asinus’, ergo tu non scis 4 esse verum. Similiter ista est vera: 4 est scitum a
te et tamen non est scitum a te 4 esse verum. Et ista est vera: 4 scis esse
verum et tamen nullum verum scis esse 4, quia hoc verum non scis esse 4
demonstrando ‘deus est’, nec hoc verum ‘homo est animal’ et sic de singulis,
ergo nullum verum scis esse 4; nec aliquid scis esse 4, quia aliquam
propositionem nescis esse 4, ergo aliquid non scis esse 4; nec 4 scis esse 4,
quia 4 est ista ‘deus est’ et tu nescis istam esse 4, igitur 4 nescis esse 4,
et tamen haec est falsa ‘4 nescis istasC 64 velletC 68estozP. 69sit]scitP 72 quia2+tu C 73 hoc]
illud C 74 ista] haec C 75 dubium] dubia P est? om P verum-+ergo 4 est tibi
dubium quia antecedens est verum C 79 probatur] probo C.81probatur] proboC =
utormP = 85haeclistaC 88 4+et G 89 non scis] nes(c)is C an?] vel C 92 tamen om
P 93 de- monstrando+istam C verum+ demonstrando C 97 a+nec 4 scis esse idem
sibi ipsi 4 quia illud quod est 4 nescis esse 4 C 98 ipsi+a esse idem sibi
ipsi’. “A èsse verum est tibi dubium’: si concedatur, tunc sic: ista propositio
‘4 esse verum est tibi dubium’ convertitur cum altera istarum «deus est” esse
verum est tibi dubium” vel “‘homo est asinus’ esse ve- rum est tibi dubium” et
quaelibet illarum est falsa, ergo verum conver- titur cum falso: conceditur
consequentia et negatur antecedens; ante- cedens probo sic: ‘4 esse verum est
tibi dubium’ convertitur cum ista «deus est” esse verum est tibi dubium”, quia
4 est ista ‘deus est’, ergo si haec sit vera ‘4 esse verum est tibi dubium’,
haec foret vera “‘deus est’ esse verum est tibi dubium”: negatur quod istae
duae propositiones convertuntur. Contra: subiecta convertuntur, copulae et
praedicata convertuntur et propositiones sunt eiusdem qualitatis et
quantitatis, ergo convertun- tur. Dicendum quod regula non est generaliter vera, quia
oportet addere quod termini pro eisdem praecise supponant in una sicut in alia.
Nam ista consequentia non valet: ‘quilibet homo est unus solus homo, ergo
omnis homo est unus solus homo’, et tamen subiecta convertuntur, praedicata et
copulae convertuntut etc. et propositiones non convertuntur, et causa est, quia
in ista ‘quilibet homo est unus solus homo’ li ‘homo’ supponit pro masculis
tantum et in alia ‘omnis homo est unus solus homo’ li ‘homo’ supponit tam pro
masculis quam pro feminis, et ideo non convertuntur. Ideo, si conceditur ista
‘4 esse verum est tibi dubium’, contra: nullum istorum esse verum est tibi
dubium demonstrando istam ‘deus est’ vel ‘homo est asinus’, a est alterum
istorum, ergo 4 esse verum non est tibi dubium: syllogismus in quarto modo
primae figurae; si negatur, contra: prima est universalis negativa et minor est
parti- cularis affirmativa particularem negativam concludentes, et conclu-
ditur directe, igitur etc. Pro isto negatur quod maior est universalis
negativa, quia hoc totum ‘nullum istorum est verum’ est subiectum ad li ‘est’
et est affirmativa, et negatur quod concluditur directe, quia 4 est ista deus
est et hoc est falsum quod tu nescis istam esse idem sibi ipsi C antecedens! om
C 104 probo] probatur C convertuntur--et C. quod+ista € 115 convertunturl+et P
om C et2+tamen C omnis-homo? om P feminis] femellis €121 esse verum om C 122
vel+istam Casinustet C_ 123 dubium+con- sequentia est C 124 minor] secunda C
est? om C 126 igitur + syllo- gismus C isto+dicitur quod C est] sit C 128
et!+etiam € conclu- quia conclusio non fit ex maiori extremitate et minoti
tantum, sed de illis duabus et de parte medii termini; ideo non concluditur
directe. Capio istas quattuor propositiones: ‘homo est homo’, ‘homo est
risibilis’, ‘homo est asinus’, ‘homo est rudibilis’; capio tunc illas duas
‘homo est asinus’ et ‘homo est rudibilis’; munc istae duae proposi- tiones
convertuntur et una istarum est vera et alia falsa, ergo verum convertitur cum
falso; consequentia patet et antecedens probo, quia ista convertuntur cum
aliquibus, ergo convertuntur; consequentia patet, quia ex opposito consequentis
sequitur oppositum antecedentis, quia sequitur: istae propositiones non
convertuntur, ergo non con- vertuntur cum aliquibus; ideo si conceditur
consequens, tunc arguitur sic: ex consequente sequitur quod ista convertuntur,
ergo significant praecise idem, ergo convertuntur inter se, ergo sequitur
conclusio probanda, quod aliquae propositiones convertuntur et tamen una est
vera et alia falsa. Capio istas tres propositiones: ‘deus est’, ‘deus est’,
‘deus est’, quarum quaelibet significat praecise quod deus est, et arguo sic:
istae propositiones convertuntur, ergo quaelibet istarum convertitut cum cum
duabus istarum, sed omnis una est vera et omnes duae istarum sunt falsae, ergo
verum convertitur cum falso. Ad primum argumentum dicitur quando arguitur sic:
istae duae propositiones convertuntur cum aliquibus, ergo convertuntur, negatur
consequentia; nec sequitur: 1sta ‘homo est risibilis” convertitur et ista ‘homo
est asinus’ convertitur, ergo istae convertuntur. Eodem modo respondendum est
ad omnes tales conclusiones, quia si talis modus arguendi sit bonus, tunc istae
conclu- siones sequentes sunt verae, et omnes tales quarum una est ista ‘hoc
est aequale’ et ‘hoc est aequale’, demonstrato uno cui ipsum primo ditur]
concludatur €129 ex] de C 130 duabus] duobus P_131 ho- mo%est 07: C 132
risibilis] risibile est C asinus+et C rudibi- listet C duas+ propositiones C
133 nunc] et tunc arguo sic C 134 alia+est C 135 quia om C ista] istae
propositiones C consequentia] consequentiam C 137 patet] probo C 139 arguitur]
arguo C 140 quod 07 C 141 idem+consequentia patet per definitio- nem istius
termini converti tunc ultra ista significant praecise idem C ergo?+a primo C
142 propositiones+inter se Cet tamen] quarum C 144 deus est*+deus est deus est
deus est in mg C 146 ergo om P quaelibet istarum] una vera illarum C 147
una+illarum C dicitur om € duae propositiones om C 151 risibilis im mg Pe om C
152: tales om C 153. conclusiones! +consimiles C 154 sunt] essent C 130 est
inaequale, ‘ergo ista sunt aequalia’, negatur consequentia, et etiam ista ‘hoc
est simile et hoc est simile, ergo ista duo sunt similia’, negatur consequentia
ista, et etiam ista: ‘hoc est immediatum et hoc est imme- diatum, ergo ista
sunt immediata’: non valent huiusmodi consequentiae, quia dicunt quidam quod
numquam convertuntur aliquae proposi- tiones nisi quando quaelibet illarum
convertitur cum qualibet illarum alia a se ipsa. La Contra istam responsionem
arguitur sic, et capio istas duas copu- lativas “ ‘deus est’ et ‘homo est’ ”, “
‘prima causa est’ et ‘risibile est’ ”; tunc arguo sic: istae duae copulativae
convertuntur et istae duae copu- lativae sunt istae quattuor propositiones,
ergo istae quattuor propo- sitiones convertuntur. Pro isto negatur quod istae
quattuor propo- sitiones sunt istae duae copulativae, sed istae quattuor
propositiones cum istis duabus notis et etiam cum actu animae sunt istae duae
copulativae, quia si conceditur quod aliquae propositiones convertuntur, quarum
non quaelibet convertitur cum qualibet istarum alia a se ipsa, sequitur talis
conclusio, quod quattuor propositiones convertuntur et nullae tres, et sint
istae quattuor: ‘homo est’, ‘risibile est’, ‘homo est asinus’ et ‘homo est
rudibilis’, tunc istae quattuor propositiones con- vertuntur, quia ‘homo est’
et ‘risibile est” convertuntur et aliae duae convertuntur, ergo istae quattuor
propositiones convertuntur, et tamen nullae tres convertuntur, quia istae tres
non convertuntur ‘homo est’, ‘risibile est’ et ‘homo est asinus’. Similiter
sequitur quod centum pro- positiones convertuntur; tamen nullae viginti, et sic
de aliis quod numquam videtur esse verum. gti Ideo pro secundo dicitur, captis
illis tribus propositionibus: ‘deus est’, ‘deus est’, ‘deus est’, conceditur
quod quicquid convertitur cum una illarum convertitur cum duabus illarum, et
hoc accipiendo illas duas divisim; et tunc quando arguitur: duae illarum
coniunctae sunt falsae, negatur, sed bene coniunctim sunt unum falsum et
propositio falsa et tres tamen illarum non sunt propositio; et non sequitur:
ista ‘deus est’ convertitur cum ista et cum ista, ergo convertitur cum duabus
illarum, negatur consequentia, et causa quare consequentia non valet hoc] homo
C 155 primo om € duo om C qualibet]
quae- libet P istae? interl Pe 169 et om
C 171 quaelibet+illarum EC 172 et+tamen C tres+et nullae tres P__
quattuor+propositiones C est!1+homo homo est P est? om P convertunturl+probatur
C 176 istae om Cpropositiones] species P 182 conceditur] concedo C quod om P
185 et? om C 187 cum?] tamen C cum3+cum Cest quia, licet ista ‘deus est’
significet praecise sicut unam illarum per se et certum sicut alia per se, non
tamen praecise significat sicut illae duae significant, ideo non valet
consequentia. Album possibile est esse nigrum, et tamen impossibile est album
esse nigrum: prima pars probatur sic: hoc quod est album possibile est esse
nigrum, ergo album possibile est esse nigrum; et tamen impos- sibile est album
esse nigrum: probatur, nam ista est impossibilis ‘album est nigrum’ et ista
praecise significat album esse nigrum, ergo impossibile est album esse nigrum.
Similiter eodem modo possunt probari conclusiones subsequentes, videlicet: non
currentem possibile est currere, et tamen impossibile est non currentem
currere. Et etiam: sedentem possibile est ambulare, et tamen impossibile est
sedentem ambulare. Similiter: falsum possibile est esse verum, et tamen impos-
sibile est falsum esse verum. Similiter: impossibile possibile est esse, et
tamen impossibile est impossibile esse possibile; possibile est Socratem scire
hoc 4 et possibile est Socratem scire hoc 5 et omne quod est hoc 4 est
impossibile et omne quod est hoc d est impossibile, et tamen impossibile est
Socratem scire aliquod impossibile: sit 4 ista ‘homo est asinus’ et 4 ista
‘nullus deus est’, quarum utraque sic signifi- cat praecise, et pono quod
utraque illarum cras erit vera et quod Socrates sciat tunc utramque illarum,
possibile est Socratem scire utrumque istorum, demonstrando per li ‘istorum’ 4
et 5, et quodlibet istorum est falsum, et tamen impossibile est Socratem scire
aliquod falsum: pono casum praecedentem: isto posito sequitur: possibile est
Socratem scire quodlibet istorum, et quodlibet istorum est falsum, ut patet per
casum, et tamen impossibile est Socratem scire aliquod falsum, quia ista est
impossibilis ‘Socrates scit aliquod falsum’ quae praecise significat Socratem
scire aliquod falsum, ergo impossibile est Socratem scire aliquod falsum.
Possibile est hoc 4 esse nigrum et omne quod est hoc 4 est album, et tamen
impossibile est album esse nigrum; sit tunc album aliquod album quod cras erit
nigrum, tunc sequitur conclusio. Socrates scit aliquid esse quod non scit esse:
probo, et pono quod aliquid sit 188 quare+illa C 189 unam] una C 190 certum
(?)] tunc non C 195 nam om C 197 similiter+et C 198 probari+omnes C 199
etiam+non C 206 impossibile!] possibile C—aliquod om C impos- sibile2]
possibile C 209 sciat] sciet C 212 sequitur om C 213-214 per casum] ex casu C
214 tamen 07m C ista] haec C sit- nigrum om P 221 probo et in mg Pe pono]
posito C aliquid] ali- 220 Terminologia logica della tarda scolastica 617 quod
Socrates non sciat esse, et quod Socrates sciat illud bene, tunc capio istam
propositionem ‘aliquid est quod Socrates non scit esse’; ista est vera, ut
apparet; tunc arguitur sic: Socrates scit istam ‘aliquid est quod non scit
esse’, quae praecise significat aliquid esse quod Socrates non scit esse,
igitur Socrates scit aliquid esse quod non scit esse. Si conceditur consequentia,
tune sic: Socrates scit aliquid esse quod non scit esse, ergo aliquid scit esse
quod non scit esse: negatur consequentia, quia arguitur a termino stante
confuse tantum ad eundem terminum stantem determinate. Similiter, tu scis
aliquam propositionem esse veram quam non scis esse veram: pono quod aliqua
propositio sit vera quam non scis esse veram et quod bene scias istam; tune,
posito casu: tu scis istam propositionem ‘aliqua propositio est vera quam tu
non scis esse veram’, ergo tu scis qualiter ista praecise signi- ficat, sed
illa praecise significat unam propositionem esse veram quam non scis esse
veram, ergo scis aliquam propositionem esse veram quam non scis esse veram.
Pono quod non sint plures propositiones in mundo quam istae duae ‘rex sedet’ et
‘nullus rex sedet’, quarum utraque est tibi dubia et consideres de istis et
scias istas esse propositiones contradicentes inter se, et scias cum toto casu
quod nulla contradictoria inter se contradicentia sunt simul vera, isto posito,
sequuntur conclusiones: tu scis aliquam istarum esse veram et tamen nullam
istarum scis esse veram. Prima pars probatur sic: tu scis aliquam illarum esse
veram, quia tu scis quod ista sunt contradictoria ‘rex sedet’ et ‘nullus rex
sedet’ et tu scis quod omnium contradictoriorum alterum est verum, ergo alterum
illorum est verum, ergo scis aliquam istarum esse veram; et tamen nullam
istarum scis esse veram: probatur sic, quia istam ‘rex sedet’ non scis esse
veram, nec istam ‘nullus rex sedet’ scis esse quis P 222 sciat!] sit P illud om
C bene+aliquod esse C 224 esse+tunc C apparet] patet C arguitur] arguo C Socrates
scis in mg Pe 225 quod+Socrates C 226 Socrates! inter Pe aliquid esse in mg Pe
228 esse?+Socrates C 232 istam] illud C tunc] isto C 233 casu tu scis] capio C
234 tu! om C veram] tu scillam add et del P ergo-unam] quae praecise significat
C 235 sed-significat in #g P° 237 non-veram] etc C 240 istas] ista C pro
positiones contradicentes] contradictoria contradicentia C 243 scist+ali- qua
illarum P 244 Prima-veram om P 245 contradictoria+demon- strando Cet interl P°
246 alterum] illorum est alterum illorum adé et del P 247 ergo!-verum om P
aliquam] aliqua C 248 sic om veram, et non sunt plures istarum, ergo nullam
istarum scis esse veram. Similiter, tu scis aliquam
propositionem esse veram et tamen nullam propositionem scis esse veram. Prima
pars probatut ut prius, et secundam partem probo, quia illam ‘rex sedet’ non
scis esse veram, nec istam ‘nullus rex sedet’ scis esse veram, et non sunt
plures istarum, ergo nullam propositionem scis esse veram. Similiter, tu scis
aliquam propositionem esse veram, ut probatur, et tamen quaelibet propositio
est tibi dubia: probo, quia ista ‘rex sedet’ est tibi dubia, et ista ‘nullus
rex sedet’ est tibi dubia, et non sunt plures illarum, ergo quaelibet
propositio est tibi dubia. Et simi- liter, nulla propositio est scita a te:
probatur, quia ista ‘rex sedet’ non est scita a te, nec ista ‘nullus rex sedet’
et non sunt plures istarum, ergo nulla propositio est scita a te. Et sic
probantur conclusiones aliae consimiles. IT* Incipit tractatus de sensu
composito et diviso Magistri Pauli Pergulensis. Termini cum quibus sumuntur
propositiones aliquando in sensu composito, aliquando in sensu diviso sunt!
isti, scilicet scire, dubitare, intelligere’, ‘imaginari’, ‘percipere’,
‘velle’, ‘nolle’, ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘contingens’, ‘necessarium’ et
consimiles. Et sumuntur propositiones in sensu composito quando aliquis isto-
rum praecedit totaliter dictum propositionis, ut ‘scio esse verum’, vel
sequatur finaliter, ut ‘album esse nigrum est impossibile’. Et ista propositio
‘scio 4 esse verum’ et alia consimilis quae sumuntur in sensu composito sic
significant quod ista propositio est scita a me sic significando: 4 est verum,
et ista ‘impossibile est album esse CU 254 scis-veram om C 259 sunt înterl Po
261 suntom P_ 262 probantur+omnes C
consimiles+Expliciunt termini cum quibus P Expliciunt termini cum quibus
deo et mariae virgini gratias amen (+die 112 lulij in meg) C. * Ho letto il ms.
in microfilm. Ho cercato di
limitare gli interventi a quei casi che chiaramente li esigevano; i risultati
della lettura proposta, co- munque, non sono confortanti. 1 ssunt 775. 250 255
260 Terminologia logica della tarda scolastica nigrum’ sic significat quod ista
propositio est impossibilis sic signi- ficando: album est nigrum. Sed
propositiones quae sumuntur in sensu diviso sunt quando aliquis istorum
terminorum mediat dictum proposi tionis et ponitur inter accusativum casum e(t)
istum modum mediatum, ut ‘4 scio esse verum’, ‘album possibile est esse
nigrum’, ‘aliquam propositionem dubito esse veram’; et istae propositiones sic
significant: ‘a scio esse verum’, id est, istam propositionem quae est 4 scio
esse veram; ‘album potest esse nigrum’, id est, de re quae est alba potest
fieri res quae est nigra; ‘aliquam propositionem dubito esse veram?, id est,
aliquam propositionem quam ego dubito esse veram. Ideo tales propositiones
sumptae in sensu diviso sunt (f. 92vb) particulares et in hoc sensu tenet talis
consequentia: hoc 4 scio esse verum, ergo 4 scio esse verum. Sed? ad
concludendum3 propositionem in sensu composito requi- ritur quod utraque pars
ipsarum sumatur in sensu composito, sicut: ‘scio quod hoc est verum et quod hoc
tantum est verum, ergo scio a esse verum’. Supposito quod 4 sit altera istarum
‘deus est’ vel ‘homo est albus’ et bene scias quod 4 est altera istarum, et 4
est ista, gratia exempli, ‘deus est’, sed lateat te tamen quae illarum sit a,
et consideres tu * de istis, et scias tu 5 ipsas sic[ut] praecise significare
et tamen hoc supposito quod omnis propositio de qua considerat aliquis quod
modo scit esse veram neque scit esse falsam quam scit de natura illi eidem (sit
dubia), illo casu posito sequitur conclusio ista: 4 scis esse verum et non scis
aliquod 4 esse verum, ergo 4 scis esse verum: conse- quentia est bona et
consimilis modus arguendi valet in sensu diviso, et antecedens est verum quia
‘deus est’ scis istam esse veram, ut patet per casum an 4 sit ista ‘deus est’,
neque tu scis 4 aliquod esse verum ut in casu supponitur, ergo tu non scis 4
esse verum: conceditur conclusio et sic $ arguitur: 4 scis esse verum et tamen?
4 non scis esse verum in rerum natura. Alia conclusio sequens ex eodem casu est
ista: tu dubitas 4 esse verum et nullum 4 dubitas esse verum. Prima pars patet
per casum, et quod nullum « est tibi dubium probatur sic: nullum illorum est
Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 34. excludendum 725. ut 75. ut 775. 6 scic m25.
? cum r25. U è Wa 620 : tibi dubium, demonstrando istas duas propositiones:
‘deus est’ et ‘homo est album’, sed quodlibet 4 est alterum istorum, igitur quod-
‘homo est (f. 93ra) album’, sed quodlibet 4 est alterum istorum, igitur
quodlibet 4 est tibi dubium. Consequentia patet, et antecedens sequitur ex
casu: igitur conceditur conclusio et negatur consequentia ista, videlicet:
dubitas @ ergo® 4 est tibi dubium. Ista® consequentia est tibi
possibilis et sequens ex isto casu: ‘4 est scitum a te et dubitas (quod) 4 est
verum’. Secunda pars conclusionis satis patet, et quod 4 est scitum a te
probatur: quia hoc quod est 4 est scitum a te, ergo 4 est scitum a te. Consequentia
patet, quia talis consequentia valet in sensu diviso; et antecedens probo: quia
ista ‘deus est’ est scitum a te et ista ‘deus est’ est hoc quod est a, ergo 4
est scitum a te: conclusio conceditur. . Item sequitur: tu dubitas 4 esse verum
et tu non dubitas aliquod 4, igitur scitur quod tu scias 4 et tu non scias 4
esse verum, et illa ‘a est scitum a te’ et ‘4 non est scitum a te esse verum?,
et illa ‘a scis esse verum’ et ‘nullum verum scis esse verum 4°, ‘non aliquid
scis esse 4°, ‘non 4 scis esse 4’. ‘A est verum’! et ‘4 est tibi dubium’
convertitur cum alterà istarum: “deus est’ esse verum est tibi dubium”, “‘homo
est albus’ esse verum est tibi dubium”, ergo convertitur cum falso; negatur
quod “‘4 est verum’ tibi est dubium” convertitur cum altera istarum: “deus est’
esse verum est tibi dubium”, “‘homo est albus’ esse verum est tibi dubium”.
Contra: si 4 est forte ista ‘deus est’, igitur si haec est vera: “ ‘4 est
verum’ est tibi dubium”, haec forte est vera: “ ‘deus est’ esse verum est tibi
dubium”. Negatur consequentia, quia istae duae propositiones (non)
convertuntur. Contra: (f. 93rb) subiecta verbum (?) convertitur et possi- bile
et praedicata manent eadem et propositiones sunt eiusdem qualitatis et
quantitatis, igitur convertitur; argumentum non valet, quia istae duae
propositiones non convertuntur: ‘quilibet homo est unus solus homo” et ‘omnis
homo est nullus solus homo’, et tamen subiecta convertuntur et copulae et
praedicata sunt eadem, et etiam propositiones sunt eiusdem qualitatis et quantitatis.
Et !! si concedatur “ 4 est verum’ est tibi dubium”, contra: nullum istorum
esse verum est tibi dubium; 8 vel ws. 9 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 78. 10
Cfr. Ivi, 1. 99, Ivi, 1 120. Terminologia logica della tarda scolastica concedo
istas duas propositiones: ‘deus est homo” et ‘homo est asinus’, et 4 est
alterum istorum, sic esse verum non est tibi dubium: negatur consequentia.
Contra: 4 est syllogismus in quarto primae figurae; quod non dicitur quod hoc
totum materialiter supponat istum est verum est subiectum in minori, tamen idem
totum est praedicatum in maiori et ideo non est syllogismus in quarto primae.
Capio !? istas quatuor propositiones: ‘homo est’, ‘animal rationale est et
‘homo est asinus’ !3, ‘homo est risibilis’, et capio istas duas pro- positiones
‘homo est’ et ‘homo est asinus’ et arguo sic: istae duae convertuntur, et una
istarum est vera et alia falsa, igitur etc.; patet conse- quentia. Quia istae
convertuntur probo, quia ex copulato sequitur oppo- situm, quia sequitur: ista
non convertuntur, igitur non convertuntur cum aliquibus; et arguo ex
consequente sic: ista convertuntur, ergo significant praecise idem;
consequentia patet per definitionem istius termini ‘converti’, et ultra:
convertuntur inter se, igitur a primo sequitur conclusio probanda, id est,
aliquae sunt propositiones convertibiles inter se, quarum una est vera et alia
falsa (f. 93va). Capio istas tres proposi- tiones ‘deus est’, ‘deus est’, ‘deus
(est), quarum una ex !* hoc numero praecise significat quod deus est; tunc istae
propositiones convertuntur, igitur quaelibet propositio quae convertitur cum
una istarum conver- titur cum duabus istarum et omnes duae istarum sunt
propositiones falsae et omnis una istarum vera est propositio, ergo vera
convettitur cum falsa. Ad! primum istorum arguitur: istae convertuntur, ergo
conver- tuntur. Quidam responderunt negando consequentiam, quia sequitur, ut
dicunt: convertuntur, igitur praecise 6 idem significant; et etiam!” eodem modo
respondent ad omnes tales consequentias consimiles, sci- licet: hoc est aequale
et hoc est aequale, demonstrato uno ante ipsum est inaequale, ergo ipsa sunt
consimilia: negarent consequentiam et etiam: hoc est simile (et hoc est
simile), igitur ista sunt similia, quia dicunt quod numquam est concedendum
quod aliquae propositiones convertantur nisi quaelibet illarum et quaelibet
alia a se ipsa conver- 12 Cfr. Ivi, 1, 131. 13 albus 775. 14 est 775. 15 Cfr.
Termini cum quibus, I, 1. 148. 16 precisse 775. 7 etiam et rys. tantur, dum
dicunt quod non sunt concedenda, aliqua sunt contra- dictoria. Contra istam
regulam atguitur sic: istae duae copulativae “deus est’ et ‘homo est’”, “‘capra
est’, et ‘animal (est)””, istae quatuor propo- sitiones !8 (sunt) istae duae
copulativae, igitur quatuor convertantur et tamen quaelibet istarum et non
quaelibet alia a se ipsa convertitur. Pro !? isto negatur: quatuor propositiones sunt
istae duae copulativae, quia, si conceditur, aliquae propositiones
convertuntur. Similiter talis conclusio, quod quatuor propositiones convertuntur
et nec? sex nec xx etc. tamen istae (f. 93vb) repios quia accipiuntur duae
propositio- nes convertibiles et demum aliae duae convertibiles et nunc quod
nullae tres istarum sunt convertibiles et eodem modo est de viginti et centum
et mille quod non unus videtur etc. Ideo pro isto argumento negatur ista
consequentia: convertitur cum omnibus istis tribus, igitur conver- tuntur cum
duabus istarum, quia nullae tres istarum sunt propositiones ut intelligibiles
et falsae. Contra: ‘deus (est) nam convertitur cum ista et cum ista, ergo 8!
convertitur cum istis, cuius consequentia negatur continue, et haec est causa
quia non valet, quia licet ista ‘deus est’ significat praecise sicut istae
videtur (?) per se et iterum significat sicut ista alia per se, non praecise
significat sicut istae duae, ideo conclusio non valet: album 2 possibile est
esse nigrum et impossibile est album esse nigrum; prima pars probatur, scilicet
® quod est album potest esse nigrum, igitur album possibile est esse nigrum; et
impossibile est album esse nigrum: nam ista est impossibilis: ‘album est
nigrum’, quae praecise significat album esse nigrum, igitur impossibile est
album esse nigrum etc. a tractatus de sensu composito et diviso parvus et
utilis. en. 18 propositiones quatuor 775. 19 Cfr. Termini cum quibus, I, 1.
167. 20 nec add ms. 21 conclusio (?) w25. 2 Cfr. Termini cum quibus, I, 1. 192,
23 sic licet 775. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pergola”.
Luigi Speranza -- Grice e Perniola: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Asti -- filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo italiano. Asti, Piemonte. Studia la
filosofia del meta-romanzo a Torino sotto PAREYSON. Incontra VATTIMO ed ECO,
che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Allegato
alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma. Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica
Notizie. Fonda Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica. L'ampiezza,
l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli fa
guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del
panorama filosofico. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio
coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di
insegnamento, e conferenze. Si
concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo saggio
“Il meta-romanzo:, sostiene che il romanzo da James a Beckett ha un carattere
auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il
suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e
cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per
questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo
hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è
esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un
saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione
artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione
non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa
dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi,
Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei
situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto.
Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In
“Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e
della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice,
“Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della
storia. Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più
penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni
culturali sulla base di Heidegger e GRAMSCI, include un discorso teorico
sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto
tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica
e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state
decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il
nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità,
la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite
si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo
stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se
la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto.
Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali
indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine
e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto.
Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali,
estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per
catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit
di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella
contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella
mistificazione della metafisica”. Postumano include altri territori nella
sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha
nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene
che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale,
caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito.
L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare,
all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la
sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri
umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità
viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente
alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità
nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che
apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più
sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della
tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti
perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della
tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che
vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo
alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa,
perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona
all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.
In “L'arte e la sua ombra” popone
un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella
filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno
nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da
ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori
dallo stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass
media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica
“Enigmi -- Il momento egizio nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra
forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società
vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione.
Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini
si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti
sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la
critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia
le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento
e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale
la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale),
sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il
suo uno moralistico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una
fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso
universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza
le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in
Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e
antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto
intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione
privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli
stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il
roguery plutocratico. La filosofia dei media. La sua ampia gamma di
interessi teorici includono la filosofia
dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo,
la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi
della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione
concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la
rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center
attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto
miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il
reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle
professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le
ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non
meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver
raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del
romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è
stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo come una delle
belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti. Altri saggi: “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia,
Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il
negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La
Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e
organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va
Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia,
Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa et
Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano,
Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del
Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano,
Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino,
Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione
universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a
stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication
without communicating? But Perniola is
using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli
e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello.
Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di
estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica:
Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi
o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis); Estetica e politica (Milano, Mimesis);
“Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “L'avventura
situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte
espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano,
Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”;
“La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di
volta in volta”, “La differenza del filosofica
Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione,
“Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed.,
Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana. “Tra abbigliamento e nudità”, Zona “Al di là di postmodernità”, Differentia “La
bellezza è come un fulmine”, Moderna
Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,.
“Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in
Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano,
Charta, “Verso visiva filosofia”, la 6a
Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e
post-storia” Tema celeste, europea, “Un
estetico del Grand Style: Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e
l'ammirazione”, RES, “Sentire la
differenza, Estetica, Politica, Morte.
“La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,
Ripubblicato come “La svolta culturale
nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione,
Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà; “Ricordando Derrida”, sostanza, “La
giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, e Dennison, L’arte, architettura,
cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in
Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale
Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La
filosofia del sesso; filosofia occidentale; La sessualità, la morte, mondo -- è il più utile e punto di partenza per P., Fondazione
desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La
sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il
Corriere della Sera, Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione".
Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione
artistica" di P., Inverno Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un
introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con
//notbored.org/ debord a.html
I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la
morte, Mondo “Pensare rituale. La
sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità,
la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert
Burch. “Il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?” Sentire
la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza.
Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del
concetto di transito vedere White, "la differenza italiana e la politica
della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi
di Francoforte Fiera del Libro, Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la
morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa. La Teoria Pinocchio, P., il sex appeal del
inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di
Perniola in inglese vedi Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria
Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh, Critica d'arte, Filosofie del desiderio nel mondo
contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra), Anna Camaiti Hostert sexy cose,// altx.com/ ebr/ebr6/6cam;
intervista tra Contardi e P. psychomedia /jep/number 3-4/ contpern
Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra v. Wahbeh, Recensione di
“arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of
Aesthetics e Critica d'arte, Sinnerbrink,
“Cinema e la sua ombra: di P. l’arte e
la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink Verdicchio,
Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di
Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il
momento egiziana nella società e Arte vedere; “Retorica postmoderno ed Estetica” in
“Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, post modernismo “La svolta culturale del cattolicesimo”.
Laugerud, Henning, Skinnebach, Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche
e oggetti di pietà religiosa. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori,
ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: P.
al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica,
Morte, New York-London, Continuum, Carrera, revisione a Disgusti, in Canada
Rassegna di letteratura comparata, Filosofie del desiderio nel mondo moderno,
in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la
politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna
di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of
Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei
valori sospensione, in Neohelicon, Civiltà,
Dell'Arti Giorgio, Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia);
Roller, simulazione, una conversazione tra Contardi e P. psychomedia/ jep/ number3-4/
contpern Recensione di “La sessualità, la morte, World” sirreadalot.org/religion/ religion/ ritualR.
Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio
Il corpo dell'immagine / italiaoggi.com.br/ not12/ ital_ ed Estetica (//agalmaweb./ ) Blog su “Feeling Thing” (in
italiano) (//cosachesente. splinder). Mario Perniola. Perniola Keywords:
‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso,
sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi
Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Perone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Torino -- filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the
party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the
philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and
temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my
“Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible”
– AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of
conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of
reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto PAREYSON (si
veda). Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è
l’invenzione dell’ordine che con-tempera il “per me” e il “per tutti”. Studia
la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una
normatività più inclusiva. la secolarizzazione;
Una
metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della
lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi). Nella
notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con
lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato
ferito dall'angelo. La ferita significa anche la
benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato
ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”. Il racconto è la cifra dell'estrema tensione
che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i
singoli significati e il senso complessivo. La filosofia ha un'obbligazione di
fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del
pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con
l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica. Riconosciuto il moderno come
condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare
nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata
una cesura. E tuttavia, ugualmente inopportuno e un
appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello
dell'essere. La necessaria protezione del finito
(peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche
modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti) non significare l'eliminazione di nessuno dei due
contendenti. Sulla soglia tra finite
(peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una
mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua
conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito
(a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi,
sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto
d'in-differenza. Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva
che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente
l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’). Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento
non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la
memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una
vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata
dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha l'estensione
della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero, il
totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di
*dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica
dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione. Il finito, la parte -- il soggetto, il
presente, il sentimento -- e analizzato come una “soglia”, come un luogo che
non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso
di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita
inferta loro dall’altro polo -- l’infinito, il tutto -- come una
benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno
studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un
confronto continuo con Guardini. Altri saggi: Esperienza divina” (Mursia,
Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta” (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino);
“La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB,
Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino); “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino);
“Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento”
(Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto
della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema
che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione
etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano: “Lo sspazio
pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano);
“Secolarizzare” (Mursia, Milano). Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una
cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto
tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della
memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti,
Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso,
Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente,
Riflessione, Silenzio, Tempo. Curato
e introdotto presso Rosenberg la scuola di formazione filosofica: “Dialogo con
l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia
della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia
dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive;
“Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in
Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto,
il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera
che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti,
per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i
soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria
im-potenza di in-finito. Questa lotta scontro con la barriera lascia nei soggetti
una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'angelo
può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito
urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la
teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione
tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo
quanto per la terra? E attiva
un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’
intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé
una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare
una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato
Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della
realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in
“La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e
Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il moderno è
dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria
della cesura. L’uso della categoria d’illuminismo non simpatizza per quella
interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano
in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio,
anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del
significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere
forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua
maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del
concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il
presente possibile -- il presente come soglia.
Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e
quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e
frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso*
e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non
tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa
essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione
dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada
dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare
rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio
pubblico e spazio comune. Individua anzi
come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico
entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al
rischio di un inglobamento nello spazio comune. Guglielminetti, ed.,
Interruzioni. il melangolo, Genova. theologie. hu-berlin.de/de/ guardini/ mitarbeiter/
li, su theologie. hu-berlin.de.vips/ ugo.perone, su sdaff. lett.unipmn/ docenti/perone/,
su lett.unipmn oportet idealismo su spazio filosofico. spazio filosofico/ numero-05//il-pudore/#more-2052, su
spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron,
Velia, Grice on ‘other’; finito/ infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini.
Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta
coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la
ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele,
ei combatte, la tradizione di VELIA, l’infinito di Velia – il continuo e il
discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di
Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano,
-- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini,
il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della
filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti,
trascendentale e immanente. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e la filosofia nel
principato di Nerone – TREASEA CONTRO LA TIRANNIA – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). He is best known as a satirical poet,
but he studies philosophy under Luccio Anneo Cornuto, to whom he wrote a
tribute and to whom he leaves his works on his death. A strong belief in the
value of the ethics of the PORTICO lies beneath much of his satire. He is a
friend of Trasea Peto (vide RENSI – TRASEA CONTRO LA TIRANNIA), and is related
to him by marriage. Through this connection, Persio becomes associated with the
PORTICO opposition to Nerone – but he dies before Nerone can take action
against him. Ed. Broad, Loeb. Flacco
Aulo Persio
Luigi
Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nella storia della dialettica – CICERONE – BOEZIO – TELESIO – la
scuola di Matera -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Matera). Filosofo
italiano. Matera, Basilicata -- Dei lincei. Studia a Napoli. Conosce TELESIO di
cui diventa discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus
rebus” (Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo”
(Venezia, Manuzio) in cui riprendeva la teoria di TELESIO di uno “spirito” come
principio, movimento, vita, e intelligenza. A Roma conosce CAMPANELLA (si veda)
e GALILEI (si veda) e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani”
(Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza
riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi: “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis:
commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis
florentini” (Venezia, Franceschi); “Novarum
positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio
physicis triduo habitae” (Venezia, Sambeni).
“De
ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma. la dialettica di Telesio -- Campanella --
Gailei -- contro CICERONE (si veda) – contro BOEZIO (si veda) – LIZIO -- vitium
itium dialecticum, point Aristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialectices artis magistros
primos requiramus. Non Aristotelem
profecto fuisse cenfendum est. Sed multò antea, quun plurimos ex stitiffe, mania
i testantibus. Sed ne referas ad tam antiquos: neges etiam, Pythagora eos fuisse
logicos quod tamen falsumn, inde deprehenditur, cum mathematicis artibus; quae sine
logice tractari non possant. Itta accuratem sstuduerint Zeno tamen Eleates
[Velia, velino], ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem
nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularis
fuit, non infophifticis de arte ipla contentionibus, sed in explicatione historiarum,
incaricorum, Lucanum Galenus extendit. Clinomachus Thurius; noster coterraneus primus
deaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles intervitia dialectica. Grammaticum
est et grammaticae syntaxeos vitium
festum est; uel cum Platone Prometheum, velim ci deorum interpretem
existimabimus, quem in sacris litteris noeum docti existimant; vel cum aliquot doctis,
Mofis sacrum illum sacerdotisor natum, et vestitum ex hodiex pressum. Itaque
Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et epoëi natum compositione, inque
aenigmatum enodatione, doctis viris at matis seu enunciatis conscripsit si Laërtio
credimus quod si berum est, principi doctrine huiusci philosopho debeatur; qua odeindecranslarakc
ab Aristotele. In libru “De interpretatione” Non ita que Democritum Dialectices
inventionis dispositioni SIGNARUM ut nec Protagora n elenchorum jutex Platorum
et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen
igitur, facultatem, seu virtutem bene differendi tenemus, hocest disputandi, disceptandi
ratiocinandi. Quotiesita que ratione utimur, toties dialectico munere diendique
ita Logicen hanc, esse facultatem, omnia disputandi, intelligendique Recte
itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit.
Duplex itaque; quin immo haec, uel utiilius magistra, cólatuitur; cum omnis disciplinae
principium sit experientia, ob item ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum
Socrate a dialectices perfectae cognitiones secludimus; de cuius schola academico
fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis,
videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communis omnibus artificibus, quicum
differunt, non sua quadam et propria, sed communi dialecticorum facultate differunt.
Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline a habetur, quando prac statur quod
attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differere. Subiecum uerum dialectices ponimus
res omnes. Quod vel Aristotele teste confirinamus. Quid etiam fi. Non ens, subiectum
dialectices ponamus et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus
nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio dialectice
itaque communis oinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quid libet seu verum seu
falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerum
partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, verisimile, captiosum
dari potest; non obid enunciate logice partim necessaria, partim verisimilis, partim
capsiofa esse debet. Sed tota necessaria.
“Genus” illud verem esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis
et Ciceronis. Catonem verum et Ciceronem *speciem* esse hominis. Cum verum satius
putemus; veri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus,
quam a scholis in ertium philosophorum petere; melius quae duo individua, vulgò
dicunt et unam speciem n, ili duas species et unumge nus dixisse videri debent.
Sed sideri debunt consultos, non ridebunt
Platonem [ACCADEMIA] ne que Aristotelem [LIZIO], terse comparationes intelligi.
Genus item et speciem
ad locum de toto et partibus rectem ablegamus. Categorias etiani ad inventionem dialecticam sternere
viam, melius est ut concludamus. Paronyma ad coniugatare verti debere aestimamus.
Locum ad numeramus in subiectis et tempus in adiun rum referamus. Animi sensum,
aet intelligentiam, rerum similitudine mer itemque Cicero [CICERONE] e
Quinctilianus. Quam vis itaqueo pusali quod artis huius g enuntiatum scia. Differentiam,
quam Porphyrius declarare ad grediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum
locum et ad inventionem rectius asscriberem. Accidentium nominee e rectius facta adiuncta et rerum
in ctis. Quae verum cum aliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles.
Quae verum sint in voce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quae scribuntur,
eorum, quae fintin Puoc essensa ila apud
omnes eadem esse, SYMBOLA a et ligris non
s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia
nis mentionem, sed syllogismi genesin et
analysin, tribuster minis et PROPOSITIONIBUS
conclusit et terminavit non enim AD
EXTERNUM SERMONEM dirigi voluit, sed ad internum. “Aliquis homo currit”. “Aliquis
homo non currit”, nullum cum sub-alternae dicuntur. Multum iustiore ratione collantur.
Quiai: tem esse tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis
liberum, ex physicis physicum esse cue syllogismis maximem necessariam putamus.
Quod et Graeci Aristotelis interpretes profitentur, inventionem illam Theophrasti
et Eudemi propriam ess. Cui et BOETHIUS desu
omulta addidisse etiam, testatur; sed utrum o m átio absolute vera; sit etiam
necessaria, cami et si IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectem igitur in analyticis
nullam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales
sunt antecedentes causae, talem eventus veritamur. Nos logicen compositorum
enunciatorum et per se, et in 6. Nia rectem, alias dictum. Datur igitur enuntiatum,
compositum, eeu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet.
Cuius et sunt suae species, ar COPULTATUM difiunctum, con nexum et elatum et
cetera. Accamen in DISIUNCTIONE illud tenemus, ut
omnis disi un paratim nulla sit necessitasi. Nam difiunctionis necessitate penderee
partium non ucie ritate, sed dissentione, palam est contineatur, cum illatota sit
animi, eadémque apud omnes gea tes. Haectota SYMBOLICA in voce. Logice ita que sine
SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potest in ani tradictionis nomen meretur. “Homo albus
est.” “Homo non albus est”, tantundem. “Omnis homo albus est”, s vidam homo albus et contra. Quae
praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab
antecedente, Quid si hoc idein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones,
et anticipationes genera sit. Definitiones et partitiones este principia omnium
ferèar, tium, uel in desumptas quasdam maximas. Principia uerum non tantum priùs nota, sed esse notiora,
ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque in de rerum verum
alteram. Et verborum illam dicimus,
quae in omnibus definitionis, requiritur. Rerum verum, quae debet esse in
definitione ad explicanberent. Immo eandem de terminis mediis et extremis ut consta hil explicaret. Itaque syllogismi
maior et minor hanc praenotionen habes et universales esse, unde speciales illis
comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At verum id praecipuè in INFORMATIONE artis integra cue
rifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee
emanant. Et primum illum tenemus,
quando attributum est in essen et definitis totius et partium. Demonstrationis
et demonstratii omnisque Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum
quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione
et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini
ret essere sis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang
duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cum
autem quae in scientia sunt, per se finto portet, sit, cum quid alicui aderit
vel simpliciter vel quod amodoerit: cia tiasubie et i, et ineius
definitione ad hibetur. mus definitioni: quod uel exempla Aristotelem .palàm faciunt.
Accedit QUARTUS MODU. Per se in est quòd causa sit certa et non fortuita
generalis ergo hic modus per se, quotiessci licet causa e de suis effectibus dicuntur.
PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim modus affections et
accidentia cognata quod ammovo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri.
Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos
reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid
docent, superiorum decretis explitionis uel inueniendae, uel iudicandae. Omnem
disciplinam fieri autper demonstrationem, aut firmauit. Ac per definitionem et distributionem,
accuratiorem sci entiam confici, quam per demonstrationem, tenemus. Quare non sequitur, Scio ex causa, propter quam res est
quonia milius est causa. Nec aliter habere potest. ergo, Scio steriorum, e Platone
ferem sumpta es e qui v is animaduerterepoterit. Plato enim ad instituendas artes,
definitionem et distributionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem
Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere,
demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod
est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species,
aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes sub-alternaes
intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectem con
per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur
in lib. Po do complectitur. At quo pacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo.
Ideoque no terit Son3 terit quis, cum logicam inventioneimn ipsarum
natura, qua litateque tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisque.
Quirendam, recte fortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsum, quod ad percipiendam
hanc disciplinam de moribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem
percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certem pueros quos
damui dimus divinitate quad ammen ti, confirmarunt. Quae non protinus quid
rectum, prauúinque sit; discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil
tis praeditos, ut in quibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per
videnda. Cum dispositionem, in eadem vel uel syllogistico
conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et
iudicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER
TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda. Antonio Persio. Persio. Keywords: implicature, dialecticis, Telesio,
Campanella, spirito come vita, animo come aria, Cicerone, Catone, Boezio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Persio.
Luigi Speranza -- Grice e Pessina: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli
-- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli,
Campania. Studia a Napoli sotto GALLUPPI. Cura la sua storia della filosofia. Di
idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana
che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Recluso nell’isola
di S. Stefano, sposa la figlia di Settembrini. Fugge dal regno, insegna a
Bologna. Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei.
Muore nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il
suo nome: Anche il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata. A lui è dedicato un busto alla passeggiata
del Pincio. Saggi “Che cosa e il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura
del diritto (Napoli, Jovene); “Il naturale e il giuridico – alla regia di
Napoli” (Napoli, Accademia Reale delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli,
Marghieri, Diritto e privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli,
Marghieri); Che e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto
privato” (Napoli: Priore); “Storia della filosofia” (Milano: Silvestri); Treccani
Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. La scuola italica venne fondata da Pitagora che crea
una filosofia matematica a CROTONE e TARANTO. L’anima, secondo Pitagora, è un numero
che si muove. L'armonia dell'anima, o la sua rassomiglianza col divino
costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione. La scuola di VELIA
svolge pienamente l'idealismo dei Crotonesi; e la varietà, non negata da
Pitagora, esclusivamente affermata dalla scuola gionica, venne assorbita
dell'unità da Senofane, trascurata interamente da Parmenide – VELINO (si veda)
--, e negata da Zenone – VELIA (si veda) --, il velino. Empedocle di GIRGENTI (si
veda) ed Anassagora seguirono l'eclettismo, ma il primo fu più proclive alla
setta dei crotonesi, ed il secondo alla scuola gionica. La scessi ha a fautori
i sofisti I quali sorgeano da tutte le scuole. GORGIA di di Lontino o LIONZO
(si veda), discepolo di Empedocle di GIRGENTI (si veda), è sofista, e tale era
benanche Protagora, discepolo di Democrito. Ma questi non pensano che a sedurre
il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effeminata eloquenza. Nulla
possiamo dire della filosofia appo i romani perocchè essi, rivolgendo il
pensiero alle cose pubbliche, non poteano ri-concentrarsi nella severa
meditazione filosofica. Epperò, anche quando la filosofia del dritto e la giurisprudenza
fiorirono del romano impero, i giureconsulti non fanno che freddamente seguire
ora la filosofia dell’orto o del portico. E se alcuno ci obbiettasse le opere
di CICERONE, di Senеса, o di PLINIO, risponderemmo che questi filosofi saranno
sempre degni di venerazione de’ filosofi, ma che non fondarono alcun sistema NUOVO.
Neander, origine e sviluppamento de’ principali sistemi gnostici. Walsch de
gnosticorum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum. Olearii, De philos.
eclectica. stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sensualismo
degl’adetti. Ma in alcuni è originale, in altri una imitazione di Locke, di
Gassendi, e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare ZANOLLI, MURATORI,
BIANCHI, e VERRI. Il primo di questi,
7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro, che il
tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati, e che la felicità
rattrovasi la scessi, tenta formare i principii più stabili dell'umana
credenza, assegna la sola probabilità alle idee morali, e riconosce che i sensi
ci fanno aperti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo, ma non la
natura della causa. Kirwan sostenne che non possono aver luogo gl’esseri senza
una causa, che lo nello stato di piacere assoluto non-misto a veruna pena. Da
ultimo, Young, dettando un trattato sulla forza della testimonianza, la
rinchiuse ne’ confini della probabilità, e sostenne che essa è capace di un
convincimento superiore ad ogni altra esperienza, tentando la spiegazione di
molti fenomeni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee,
dimostra che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. MURATORI,
che è il solo curato fra’ filosofi ed il solo filosofo fra’ curati, indagando
le forze dell'umano intendimento, confuta la scessi mediante una morale
poggiata su’ principii della ragione e dell'amor proprio – cf. Grice,
SELF-LOVE, OTHER-LOVE. BIANCHI fa dipendere il piacere dalla cessazione del
dolore.VERRI vuole che si fosse a’ suoi tempi effettuata la dottrina del
sentimento o del senso morale. Fra’ secondi, BALDINOTTI nega che si puo discoprire
le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che
ogni nostra cognizione debb'esser di fatto. Lo studio di Locke, dopo l'opera di
BALDINOTTI attira in Italia molti proseliti, fra'quali possiam nominare a
cagion di onore SARTI, PAVESI, TETTONI, CAPOCASALE, e BRIGANTI. Iovano molti filosofi,
arversi per fede a’principii del Lockianismo, cercarono bandirlo; egli vi
avea radicato i suoi profondi germi che si estesero insino all’aurora del
secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero SOAVE, TOMASO, e VALDASTRI.
SOAVE, seguendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguarda l'idea come
l'immagine degl’obbietti e fonda la certezza sulle tre evidenze di Condillac. VALDASTRI
fa derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee, trasse il criterio del vero
dal senso intimo e sostenne nulla esservi di vero in meta-fisica se non fondato
sulla economia del nostro essere. An co Rezzonico, Corniani e Prandi danno
opera alla propagazione del condillachismo. Ma gl’italiani, benchè sensualisti,
non si nabissano nelle funeste conseguenze del materialismo francese, perocchè
risenteno ancora l'influenza della vera e sapa filosofia, la quale mai è, che si
scompagni dalle verità che crediamo DIVINA. C. Italia. Giovenale, Magneni,
Rufini, e Miceli segueno l'idealismo ed hanno a scopo comune quello di
determinare l'ideale principio costitutivo delle cose. Ma Pino da a luce la sua
proto-logia che, quantunque tenuta in dispregio da’ sensualisti, pure non
lascia di onorare l'autore e la patria di lui. Questo saggio venne diretto ad
indagare il primo della verità de' principii e delle scienze, l'uno che in se
racchiude il principio delle scienze tutte. Egli con prove ingegnose e con
sottili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane
convenzioni, che esiste un primo, causa ed origine dell'umana intelligenza, che
il primo principio della ragione è divino. Law e Hutton sono i suoi più
forti sostenitori – Law negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di
tempo; Hutton inclinando alle opinioni del celebre Berkeley. è strato all'uomo,
che le parole non sono [Borovshi, Notizia sulla vita e sul carattere di Kant; Jachman,
Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negli ultimi anni della
sua vita.- Biografia di Emmanuele Kant. - Rink, Tratti della vita di Kant.
Bouterweck, Em. Kant. Rimembranze. Grohman, Alla memoria di Kant. Cousin,
Lezioni sulla filosofia di Kant -- versione italiana di F. Triochera con note
del BENEMERITO [B.] Galluppi -- Kant, Idee sulla maniera di apprezzare le forze
vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni
sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti] SEGNI DELL’IDEE, nè le
idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso
dell'uno o primo, ovvero del divino; che l'analisi è la distinzione della
pluralità costituita dall'uno; e da ultimo che non già la dimostrazione
matematica, sibbene la scienza del primo è la ragione primitiva della scienza. Dietro
l'impulso di Premoli, dietro gli sforzi di qualche altra e università che cerca
difenderlo, il misticismo ha in Italia parecchi coltivatori, fra'quali si distinsero
FERRARI e LETI. FERRARI fa derivare la filosofia dalla rivelazione del divino, dalla
esperienza, e dalla ragione, ed assevera che il filosofo dove seguir laprima in
preferenza dell’altre. LETI, attenendosi ad un principio rivelato o positivo,
tenta fondare un sistema cosmologico sul “Genesi.” Epperò, secondo lui, tutte
le cose han principio dal divino, lapima si congiunge con uno spirito materiale
costituito come la vera forma delle cose materiali, e contenente la luce, l'acqua,
la terra, che sono volatili o fissi, e formano gl’altr’obbietti. Ma la
riforma conoscendo la propria fallacia ed illusione, De ti intese della
massime a divinità determinare derivare di S.,edi le idee Tomuniaso gli Secco
che immediatamente attribu, segue facendo da, le però il divino [Rousseau,
Discorso sulla quistione se il risorgimento delle scienze e delle arti hanno
contribuito a depurare i costumi. Discorso sull'origine e su’ fondamenti della
ineguaglianza tra gl’uomini Lettere scritte dalla montagna; Del contratto
sociale o principii del dritto Politico; Emilio o dell’educazione; Jacobi, L'idealismo
ed il realismo Lettera a Fichte Alcune lettere contro Schelling Delle cose
divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della
rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte
Trattati sull'arte di vivere; La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia.
Guida per la logica. Saggio del Diritto naturale. Esposizione della natura della
filosofia. Filosofia del Cristianesimo. Politica secondo i principii dell’Accademia.
Teoria del Dritto secondo i principii di l’Accademia. Lettere ad un amico su'] C
C filosofica sperimentale preoccupa gli spiriti per lo studio degl’obbietti
sensibili; ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del
misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori.
L'eclettismo ha de’ forti e valenti sostenitori. Ceva confuta Gassendi e
Cartesio; la celebre Agnesi, prevenendo il Cousin, dice non doversi aderire a
setta alcuna, ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono
alla esperienza ed alla ragione. Corsini insegna non doversi seguitare ne i
Cartesiani, nè il Lizio, ma le migliori opinioni di tutte le sette con una
specie d’eclettismo. S. 7. venne sostenuto da molti 'Glo [L'Empirismo –
Razionalismo] sofi, tra' quali si distinsero Luini, Gorini, Scarella, Ansaldi,Vico
Stellini, e Genovesi. LUINI si oppone all'armonia prestabilita di Leibnitz
accostandosi al pensiero della forma sostanziale [viene le categorie di
Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime, e discer de la percezione
della convenienza o discrepanza di due idee dall'assenso dissenso a tale
percezione. Secondo lui, la mente umana non può comprendere come convenienti
due cose che re dell'anima, distingue nell'anima la sostanza 'le potenze i
modi, afferma che nel percepire un oggetto noi ci distinguiamo dall'atto della
percezione, che le potenze s'argomentano col ragionamento, che le forze sono
una certa condizionata esigenza delle sostanze, che colla filosofia è dato di
scoprire nell'anima una certa sovra-esistenza, e che il razionale non debbe
superare il fatto. Gorini, elevando la dottrina dell'associazione, considera
l'idea come semplice rappresentazione dell'oggetto, e sostenne il principio
logico che la cognizione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di
tre. Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion
sufficiente, prepugnano fra loro, il principio della cognizione stà nel
predicato che chiaramente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine
egli distingue gl’errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia
in fenomenale e PSICOLOGIA RAZIONALE, classifica le facoltà, spiega i sogni con
certe continue commozioni cerebrali, distinguel'anima umana da quella de’ bruti,
indica due specie d'appetito, l'una sensitiva, l'altra razionale; ed ammette
l'anticipazione in noi di qualche cosa innata, che dicesi idea. Ansaldi
dimostra che il portico non è atto a diminuire i momenti di infelicità, confuta
l'uomo macchina di Mettrie, il principio dell'associazione di Hartley, distingue
il sentimento dalla sensazione; e provando che è impossibile dedurre il fisico
dal morale, che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell organismo,
fonda il principio morale sopra una virtù costitutiva dell'ordine invariabile
delle cose, lontanandosi dall’Utcheson e dalla dottrina dell’amor proprio –
Grice: SELF-LOVE, OTHER-LOVE. Gerdil divide l’idee in idee di modi, di
sostanze, e di relazioni, pone il criterio del vero nell’osservazione e nella
esperienza regolate dalla ragione, dichiara l'idea dell'ente un idea di
formazione, pone il criterio morale in un naturale criterio diapprovazione, che
indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determina il
giudizio o dettame pratico in virtù di una certa e conosciuta legge di
convenienza – il principio di co-operazione -- di che l'uomo si compiace per
natura; fa consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, deduce
l'immaterialità dell'anima dalla diversità tra la sostanza pensante e qualunque
sostanza corporea, dall'impossibilità che la materia contenga la prima
origine del moto di sostanza e di modo; deduce l'esistenza del divino dalla
necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pone per principio che le regole
della morale per condurre al buon fine dove trarsi dalla natura umana, e colloca
il fine o la e dalle nozioni. Egli si eleva ad un sistema empirico razionale
fondato sulla storia e sulla ragione, e getta le fondamenti della scienza dell'umanità.
Il suo metodo è ricavato dalla psicologia, dalla natura della scienza, e dal la
geometria, ed in esso la facoltà inventrice, o la facoltà certa del sapere è
preposta a quella dell'ordinare o comporre. Esso è l'analisi geometrica ben
diversa da quella di Condillac. VICO venne a ridurre la filologia ad una vera
forma di scienza e da ritrarre dalla mitolo [Il nostro celebre
concittadino VICO, conosciuto più a’ tempi nostri che a'suoi, più dagli stranieri
che dalla sua patria, scrive la scienza nuova, monumento di gloria italiana, in
cui egli avea indagato i principii filosofici della storia, precedendo di un
secolo le teorie di Hegel, e Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo,
o nell'amore divino. dire una vera storia; ei pose il meta-fisica,
che in sostanza è una vera teo-logia, si è di stabilire un vero appoggiato al
senso comune ed all'ordine eterno delle cose, qual è il divino. Da questo
priocipio VICO deduce che tutte le scienze emanano dal divino, rimangono
comude 3 una na velle; che e criterio del vero: nel senso cerca surrogare
il principio dell'autorità universale a quello della ragione individuale.
Questo senso comune di Vico è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente
sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta nazione, o da tutto il
genere umano. Secondo VICO, il vero è diverso dal CERTO, inquantocchè quello è
riposto nella conformità della mente coll'ordine delle cose, e questo nella
coscienza sicura dal dubbio, quello fondasi sulla ragione, e questo
sull'autorità. La meta-fisica è quella che stabilisce l'ente e il vero, ed è
legata necessariamente alla religione romana cattolica. Lo scopo della sua, nel
divino, e tornano al divino solo; che il divino è l'infinito posse, nosse,
velle > ; corpo, contiene una virtù infinita di estensione che va
all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo; e che il conoscere
chiaro in meta-fisica è vizio, cosicchè approfitta in meta-fisica colui che si è
perduto nella meditazione di questa scienza. Nella sua Psicologia VICO
distingue la sostanza intelligente dalla corporea. Indi sostiene che quella è
l'anima ed ha la sua sede nel cuore, che
in essa esistono le facoltà della memoria, della fantasia, dell'umano arbitrio;
che la mente umana l'uomo è il posse, posse, nito, che tende all'infinito; che
l’Ea te è Dio, e le creature esistono per partecipazione; che la causa unica è
quella che per produrre l'effetto non abbi sogna d'altra; che l'essenza
consiste ia una indefinita virtù; che l'anima è diversa dal corpo e dalla
materia;che il 4 > 2 pe'pervi, che si danno gl’universali, o l’idee come forme
delle cose che queste sono create dal divino, e che l'anima distingue l'uomo
dalle bestie. Il non intende [VICO considera l'uomo come ente fioito
procedente dal divino, superiore agl’altri animeli per la ragione, e in cui
distinguesi la natura innocente dalla corrotta. L’uomo è naturalmente
socievole, onde in lui una LINGUA. La sua vita propria è quella che è
consentanea alla natura. A lui appartengono l'umanità o l'altrui
commiserazione, il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazione di
natura, l'istinto alla fede, il pudore, e infine la brama dell'onore. L'uomo
insomma è un essere costituito d'intelletto e di volontà, corrotto in entrambi
dagl’errori e dalle passioni, ma capace dello sforzo della mente al vero che
come equo bene è il giusto, conformità della mente all'ordine è l'onesto. La
giustizia, secondo VICO è la virtù universale. La virtù è la stessa ragione, e
distinguesi in prudenza, come, temperanza e fortezza; e causa della
società è l'onestà. Noi abbiamo verso il divino de’ doveri a soddisfare col
culto, senza onestà non può darsi società civile, la giustizia dev'essere
universale o architettonica, perchè uno è il divino. VICO nella sua Scienza
nuova parte dall'idea o cognizione del divino che illumina gl’uomini e tutto
dispone co'suoi ordini prestabiliti. A questa idea principale si rannodano le
seguenti. Questo mondo è diretto dalla provvidenza divina. Questo mondo civile
fatto dagl’uomini non è molto antico. In esso tutte le nazioni convengono sulla
religione, sul matrimonio solenne, e sulla sepoltura. Su questi surgeno le
nazioni più barbare. Tutte le nazioni percorrono III età: I età degli dei –
GIOVE, MARTE, QUIRINO --, II età degl’eroi – ENEA, ASCANIO, ROMOLO --, III età
degl’uomini – BRUTO, CICERONE, OTTAVIANO; III diverse lingue: I geroglifica, II
simbolica, III volgare – il latino. Le nazioni furo prima di natura cruda, indi
severa, quin di benigna, e poscia dilicala; la forma di governo è o teo-cratica
o è delle repubbliche democratiche o aristocratiche, o finalmente è quella
delle monarchie; formate le città nasco BO.le tras-migrazioni de’ popoli, ed il
dritto naturale delle genti. Cresciute le nazioni, l'equità civile rafforza il
dritto naturale. Tutto ciò dura finchè non sopravvengono delle grandi crisi per
mutare il mondo civile. Queste vicissitudini umane formano il corso e il ricorso
della nazione italiana nel quale si ravvisano III età, degli dei – GIOVE,
MARTE, QUIRINO – II degl’eroi – ENEA, ASCANAIO – ROMOLO; III degl’uomini –
BRUTO, GIULIO CESARE, OTTAVIANO; tre specie di natura: fantastica, eroica, e
intelligente; tre specie di costumi: religiosi, colerici, e officiosi; tre
specie di dritto naturale: divino, eroico, umano; tre specie di governo: I teocratico,
II aristocratico o III democratico, e monarchici; tre specie di lingue, I mentale,
II eroica e III di parlari articolati; tre specie di caratteri, geroglificii,
eroici e volgari, aleo VICO idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri
-in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza, divina, eroica, ed umana; tre
specie di autorità: divina, eroica ed umana; tre specie di giudizi: divini,
eroici, umani; tre specie di tempi: religiosi, eroici, e civili. Tutte queste
cose hanno apco un ricorso. Il corso e ricorso è fondato sul fatto. La storia
ideale non è propria de Romani, tre Tor oé Iri. del co ed ute ma di
tutto il mondo. La Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Te-ologia ragionata,
di filosofia, di storia delle umane idee, di critica filosofica, di storia
ideale eterna, di sistema del dritto. naturale e delle geộti, di scienza de’ principii
di storia universale. Questo grande uomo ha delle lodi e delle accuse, ma
sarebbe lungo e difficile il giudicarle per vedere se le une o le altre preponderano.
Epperò altro non facciamo che rimapere stupiti come intempi tantomeno
civilizzati de' nostri che si addimandano civilissimi l’Italia abbia dato alla
luce un ingegno sì 'straordinario e maraviglioso. La filosofia del VICO rimane
ignota per lungo tempo all'Europa. Ma ha anco ra de continuatori fra’ quali
vennero ad altissima rinomanza STELLINI e GENOVESI. STELLINI analizza le facoltà
umane, affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla
proporzione o dall'equilibrio di tutte, e fecede rivare la virtù
dall'equilibrio tra le facoltà e le affezioni umane. Nella sua opera sull'originee
su’ progressi de’costumi dimostra esservi tre epoche della natura umana, cioè
quella de’ sensi che servono all'animo, quella dell'animo che serve a’sensi, e quella
del mutuo commercio tra l'anima e i sensi. STELLINI integra, per dir così, la
filosofia vichiana, in quantocchè Vico cerca nella storia la morale delle
nazioni con quella degl’individui, e STELLINI fa la storia de costumi degl’individui
colla morale delle nazioni, comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i
principii morali dalla natura delle cose che si offre spontanea alla nostra
contemplazione, dando una unità sistematica alla scienza della morale, e
riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza. FILANGIERI, PAGANO, ed
IEROCADES proseguino quasi in silenzio la via luminosamente segnata da VICO e
STELLINI, ma colui che si fa chiaro, e fra' Vichisti e tra gli’empirici razionali,
è GENOVESI, nostro concittadino. Egli nella sua meta-fisica sostiene che non
possiamo avere idee distinte intorno alla sostanza, che l'essenza consiste in
varie proprietà, e che si distingue in reale, nozionale e nominale. L'anima
secondo lui, è lo stesso subbietto pensante ed intelligente, ed è dotata
d'intelletto e di ragione della percezione, del giudizio e del raziocinio; per
ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle idee che possiamo avere, che
la verità sia chiara ed evidente, mai il filosofo non il principio
dell’autorità e dell'arte critica, cità della mente umana e della estensione
della conoscenza. Secondo lui, la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni
stabilite se non quándo ci si presentano dell’obbiezioni. Egli dichiara
imperfetta la scienza teo-sofica e conchiude che ascendiamo al Verbo per via
della ragione. Segue il principio che rion sidapno nemmeno l’idee intellettuali
senza; un moto corrispondente nel cervello> ammette il principio del vero e
del falso il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica >
> . della capa ra umana morale è mossa dal conoscere la
natu in che trovansi due forze, l'una concentrica e l'altra diffusiva che
entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità. Scopo della morale è
quello di regolare e non distruggere l'uomo. La legge naturale è risposta de
dae precetti di attribuire i proprii diritti al divino a te ed agli altri, e di
fare tutto che conviene alla felicità del genere umano. Egli ripone la legge
morale nella ragione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola
che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali
delle cose ordinate, e per la quale v’ba un'obbligazione perfetta che è della
forza e della giustizia, ed un obbligazione imperfetta che è la legge
dell'umanità. Egli dimostra ancora che l'utile è il più bello indizio di una
legge generale che punisca o premii talune azioni, e che tutti i doveri si
riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acquistar le
proprietà, perchè non s'invadano le proprietà di coloro i quali sono al
medesimo piano dell'universo con noi. GENOVESI non è un filosofo originale, ma
è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza, per la sua critica; e se
talvolta si desidera in lui maggior ordine, maggior precisione, ciò nasce
appunto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia
italiana. S all'immaginazione- De 2 Antropologia di Gorini-Luini, Meditazione
Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di perfezionare la filosofia morale. Saggio in torno
traditione principiorum legisnaturalis- Elementa Logicae, Psychologiae, ac
Theologiae naturalis, auctore Scarella Gerd il., Anti Emilio o Riflessioni
sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau. Piano degli Studii Logicae
Institutiones Storia delle sette de’ filosofi. Principii della morale cristiana.
Origine del senso morale. Memoria dell'ordine del divino e della immaterialità
delle nature intelligenti. Philosophicae Institutiones quibus Ethica seu
Philosophia practica continetur VICO: De nostri temporis studiorum ratione-
Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia. De uno uni versi juris
principio et fine uno liber unus. De Constantia jurisprudentis liberalter-
Principii di scienza nuova STELLINI: Ethices Opera omnia PAGANO, Saggi politici
Discorso sull'origine e natura della poesia. GENOVESI: Elementa metaphysicae. Elementorum
artis logico criticae. La Logica. Istituzioni di meta-fisica pe’ principianti. Diceosina
o sia Filosofia del giusto e dell'onesto. Per dar compimento alla esposizione
dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi
filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo
presente. I filosofi italiani oggdì si dividono nelle V classi dei sensualisti,
degl’idealisti, de’ mistici, degl’eclettici e degl’empiristi razionalisti. La
tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo
benchè si ravvisi qualche avanzo di sensismo, e som qualche
imitazione dell'idealismo alemanno non che del misticismo francese e del
eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone GALLUPI che, colla potenza della
sua dialettica, e colla severità del metodo analitico, rappresenta
eminentememente la filosofia in Italia, movendo guerra sì all'idealismo di Kant
che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideo-logico dei
diversi sistemi di filosofia esporremo pri mamente le dottrine degl'empirici.
Po scia verremo agl’idealisti, a’ mistici, ed agl’eclettici; e da ultimo agl’empiristi-Razionalisti.
POLI: Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tenneman. Gioberti:
Del Primato morale e civile degl'Italiani. I capi del sensualismo italiano nel
secolo presente sono Gioia, Romagnosi, e Lallebasque. GIOIA (si veda), fondando
la sua filosofia sul la ricerca de’fatti, non fa che mirare aduna scienza
popolare. Procedendo in tal modo egli trova tre facoltà fondamentali: la
sensazione, l'attenzione ed il raziocinio. Indaga l'origine delle sensazioni e
dell'istinto, ammise l’organizzazione e gli stimoli esterni come cause
dell'istinto, e spiega l'anomalia delle sensazioni, e le loro leggi, por gendo
un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come
norme misuratrici della in telligenza. Riguardo a'prodotti intellet tuali e
morali, egli inclinò ad una i deologia fisiologica, che egli conchiude con una
teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre
proveniente da lesioni organiche, e il piacere come non sempre effetto
della cessazione del dolore, e stabilisce l'azione reale del piacere e del
dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario
delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco no sulla felicità, sulle
facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e
rettificando le nozioni false sulla vita, mostra che le sensazioni u- nite alla
forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono
certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la
sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, GIOIA dove
soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin
cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità
dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di
atti uti li disinteressati. Il sistema di GIOIA è erroneo e difettoso, perchè
tende a generalizzare il sensualismo, favorisce il sistema del piacere,
approssima l'ideologia alla fisica, analizza superficialmente ed inesattamente
i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un
principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo, una filoso fia
pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla
induzione,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta
erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun
tedanonpochierroriavrebbero formato di Gioia un pensatore non mediocre. ROMAGNOSI
(si veda) segue, nel suo metodo, ne'suoi principii, e nelle suededuzioni, l'empirismo,
ma un'empirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del dritto
nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle
co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine
morale di fatto perfezionato, e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e
pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3
nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali, lasciando le
astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia,
la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche
del conoscere, del volere, e dell'eseguire, dichiara l'esi stenza del me e
degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze
compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e
naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il
sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle
cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il
moltiplice, al semplice il complesso, che perciò è suo ufficio il conformare
gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in
ogni giudizio, l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che
laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta
e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne
dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a
priori riguardo alle idee che tutte e una derivano dalla
sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con
quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio
di contraddizione, consi dera la causa come un non so che rac chiudente il
concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto; ne ga le idee
iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere
dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato; considera il valore della prova
nella certezza, e nel dubbio, e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli
ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La
morale, secondo lui, stànel proporzionare la natura de' mezzi secondo la
speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è
l'ordine della perfezione, cheper leg ge di fatto reagisce su quello della
conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi
delmiglior bilità, e nel dubbio nella proba Lallebasque congiunge alla
scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo [È comune opinione che sot
to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere BORRELLI:
essere umano; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla
umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui
l'uo > mo, com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di
natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura
nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza; ed il prin
cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e
profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi; ma è in e
qualche modo oscuro e confuso, né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i
suoi proseliti, e per l'empirismo da lui professato, e per le diffi coltà della
scienza, là; g
lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo
stesso che l'idea, tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care
le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio, egli distingue quello di occupazione
da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver sità;
considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio per via
d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli tivo e
l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la volontà
sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci
ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica, egli
ripartisce le lingue in radicali e produttive. Indaga l'origine delle parole e
le loro cause, che sono l'imitazione, il bisogno, il comodo, l'arbitrio. Riconosce
due mezzi per trovare le lingue radicali: la ricerca de'popoli che han
comunicato con quello per la cui lingua han luogo le indagini etimologiche,
e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a
formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi Àtre pensatori.
Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte
osservazioni e con esperienze bene istituite. SAVIOLI è seguace di Locke e di
SOAVE. Troisi riconosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee.
MAZZARELLAriconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive
dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col
mezzo de'sensi. PEZZI nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee
astratte. Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità,
e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa
ove non è impresso alcun carattere; MARA no distingue la percezione dall'idea e
preferiscel'analisi. ABBÀ fa dipendere le idee dal senso e dall'azione
dell'anima. ZELLI afferma che l'uomo riceve le losofico sulla coscienza. TESTA afferma
che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi -prime
idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera
del mondo sensibile. PASSERI riconosce l'influenza del fisico sulla rettitu
dine delle nostre azionispirituali. SANCHEZ niega alla ragione la conoscenza
dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi. GATTI dichiara esser la
sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente. BONFADINI riconosce
il metodo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle
idee coll'analisi e coll'astrazione. REGULEAS pretende nell'anima altro non
esservi che il sentire. BRUSCHELLI trae l'esistenza del mondo e del divino dall'osservazione
de' fatti che ne circondano. GRONES dichiara la metafisica la scienza delle
cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante e delle esperienze
accurate. PIZZOLATO forma della filosofia una scienza fenomenical. BUTLURA poggia
il sapere ro, studiarne i fatti sono i soli mezzi sicuri d'ammaestramento.
BRADI riduce la certezza alla diretta cognizione del modo di essere speciale
degl’obbietti. FAGNANI fonda il suo sistema gloso-fico sul dinamismo e sulla sensibilità.
BRAGAZZI propone per facoltà d'apprendere l'osservazione de'fenomeni dello
spirito e per criterio del vero la verificazione. COSTA sostiene la memoria e
le altre facoltà a simiglianza della sensazione, ed ammette l'origine delle
idee generali e normali dall'idea individuale. FERRARI segue il principio
dell'associabilità interna e FELLETTI quello dell'utile umanitario. L'empirismo
venne applicato alla pedagogia da PASETTI, FONTANA, TOMMASEO, e RENZI, alla storia
da ROSSI, alla estetica da CICOGNARA e DELFICO, e dalla genealogia delle
scienze da PAMPHILIS, ROSSELLI, e FERRARESE, che riunisce tutti i rami delle
scienze a quella dell'uomo, seguendo il principio che in esse tutto è relativo a
noi. [e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle
scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia. Esercizio logico. Nuovo
prospetto delle scienze economiche. Del merito e delle ricompensa. Dell'ingiuria,
de'danni, e del soddisfacimento. Indole, estensione, e vantaggi della
Statistica ROMAGNOSI: Che cosa è mente sana? Indovinello massimo. Della suprema
economia dell'umano sapere. Vedute fondamentali sull'arte logica. Dell'insegnamento
primitivo delle matematiche. Assunto primo della scienza del dritto naturale. Introduzione
allo studio del dritto pubblico universale. Dell'indole e de'fattori dello
incivilimento. Biblicteca italiana. Vari articoli di filosofia. L'antica
filosofia morale. Genesi del dritto penale. Progetto del codice e della procedura
penale. LALLEBASQUE: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero
la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi.
Eila, alla . ea dal Fer àa cipii della Genealogia del pensiero. BORRELLI: Gia
Troisi: L'arte di ragionare. Istituzioni metafisiche. Mazzarel Intorno
a'principii dell'arte etimologica gli. Analisi delle idee la. Corso d'ideologia
elementare. BINI: Lezioni logico-metafisico-morali. PEZZI: Lezioni di filosofia
della mente e del cuore, riformata e dedotta dall'analisi dell'uomo. ACCORDINO:
Elementi di filosofia. Regole dell'arte logica. Marano ABBÀ: Elementa Lo
Pringices et Metaphysices. ZELLI: Elementi di metafisica. PUNGILEONI: Dell'udito
vista. Alberic: Del nescibile. Passeri: - e della Della natura umana socievole.
Sanchez: Influenza delle passioni sullo scibile umano. GATTI (si veda): Principii
d'ideologia. BERTOLLI: Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche.
GERMANI: Dell'umana perfezione. SCARAMUZZI: Esame analitico della facoltà di
sentire. BONFADINI: Sulle categorie di Kant. REGULEAS: Nuovo piano d'istruzione
ideo-logica elementare. BRUSCHELLI: Praelectiones elementares logico-metaphisicae.
BUTTURA: La coscienza logica. TESTA: Introduzio ne alla filosofia dell'affetto.
Filosofia dell’affetto. BRAVI: Teorica e Pratica del Probabile. FAGNANI: Storia
naturale della potenza umana. Elementi dell'arte logica. BALDINI: Cenni sopra
un corso di filosofia. RAMELLI: Prospetto degli studii filosofici nelle scuole
comunali. NESSI: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia. OCHEDA: Filosofia
degl’antichi. GRONES: Ricerche metafisico-matematiche sulla lingua del calcolo.
PIZZOLATO: Introduzione allo studio della filosofia dello spirito umano.
SAVIOLI: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae. ZANDONELLA: Elogio di
Bacone. COSTA:Del modo di comporre le idee. FERRARI: La mente di Romagnosi.
FELLETTI: In torno ad una nuova sintesi delle scienze. PASETTI: Sull'educazione
fisico-morale. FONTANA: Manuale per l'educazione umana. TOMMASEO: Scritti varii
sull'educazione. RENZI: Sull'indole de'ciechi. ROSSI: Studii storici.
CICOGNARA: Ragionamenti su bello. DELFICO: Pensieri sulla storia e sulla
incertezza ed inutilità della medesima. ricerche sul bello. PAMPHILIS: Genografia
dello scibile considerato nella sua unità d’utile e di fine. ROSSETTI: Dello
scibile e del suo insegnamento. FERRARESE: Saggio di una classificazione sopra
le scienze del l'uomo fisico e morale. Delle diverse specie di follte. Ricerche
intorno all'origine dell'istinto. Trattato della mòno-mania suicidia. Esame dello
stato morale ed imputabile de'solli mono-maniaci. Elementi di ito e dela.
PASERI Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a
facoltà di orie di Kant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia
tiia delPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- NESSI
filosofia – e sula oduzione a GRONES : lin - ee umano – in Epitome Bacone
elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procaccia
l'empirismo, pure si avverte ilbisogno di spiegare la natura umana non
dall'esperienza, ma dalla subbiettività dell'uomo. Epperò sorgeno i razionalisti
a combat, il secondo affermando l'assoluta necessità delle idee innate, o de principii
apriori, ed il terzo annunziando esser la filosofia una scienza degl’enti di
ragione. LUSVERLI considera le facoltà come COLUI il quale da una forma
siste ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza
spirituale. DEFENDI riconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale, e
PARMA nel fondo di ogni esistenza rattrova l'essere. CERESA afferma essersi im
battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura subbiettività
che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per suo mezzo
elabora la sua obbiettività. o tere le tendenze empiriche; ed aspira rodo a
spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono alle
chimere ed alle astrazioni del trascendentalismo alemanno. Maggi, Bianchetti, e
Receveur coltivarono il razionalismo pel suo lato obbiettivo. MAGGI cerca un
sommo archetipo logico e supremo, P 1aspira 1 dificili ronoale
Trascen ilBian: tempo, di spazio, di iriposero 0 ilha etiro, RECEVEUR an na scienza considera che tipolos afermando
ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale; eld stenza rat essersi im pura
possibilità dell'essere medesimo. Secondo RECEVEUR, quest'idea è è innata, poichè
non proviene nè da'sensi nè dal sentimento dell'io, nè dalla riflessione; e da
essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia, di sostanza. Egli
si propone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via,
combattendo i sistemi che hanno perturbate le menti e disonorata la filosofia,
e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza.
SERBATI segue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'ente
nell'universale. Egli preferi che riducesi a’ due sce il suo metodo assiomi di
non assumere nella spiegazio ne de'fatti dello spirito umano, nè meno nè più di
quel che è necessario a spiegarli. Egli parte dal principio che l'uomo pulla
può pensare senza l'idea dell'ente; che quindi la qualità più generale delle
cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez matica al razionalismo
si e SERBATI. Egli si di di essenza, di causa, rma siste moto, e di estensione. sso è il senti mento
intellettuale, l'intelletto medesimo. Ecco i punti principali della sua teoria.
L’anima ha due potenze originali: l'intelletto, che ha per obbietto essenziale la
forma e la sensibilità che è esterna se ha per obbietto un corpo, interna se ha
per obbietto l’io. La coscienza upisce la sensibilità all'intelletto con una
sintesi primitiva, il cui effetto è la ragione scorgendo i rapporti generali,
ed è la facoltà di giudicare congiungendo l'attributo al subbietto la
sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione
produce le percezioni intellettive; donde la facoltà di generalizzare e la
libertà all'indefinito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la
sensazione dalla percezione sensitiva, l'idea di una cosa dal giudizio sulla
sua sussistenza, la percezione sensitiva dalla intellettiva, un atto dello
spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che
l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;
I che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose
percepite; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la
cognizione de'corpi, di noi; del divino, ed anco la legge morale. Per tal modo
l'idea dell'ente è, secondo lui, il primo principio innato nella psicologia e
nell'ontologia, il criterio del vero e del certo nella logica, il principio
supremo del bene e del dovere nella m o rale. senti nedesi lasua Itoeso
chee le quattro idee di spazio, di tempo, rigio io огро, lacr eleto to| gene
CON Terce adal 0;he :cold acele Non rimane che dirqualche cosa in torno al
nostro concittadino COLECCHI, seguace in qualche modo della filosofia di Kant.
COLECCHI pone di sostanza, e di causa efficiente, colle quali espone le leggi
della ragione che egli dichiara comuni ad ogni sistema fi losofico.Il principio
del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel
tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la
sensibilità non può riponersi nello stesso me, cioè che il cel indef. uomo
berce 7atto atto. eche vario delle rappresentazioni nasce
all'occasione del di fuori che modifica il sen so; che la riunione del vario nello
spazio e nel tempo è opera della fantasia, è e quindi chel'unità sintetica
dell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fantasia di accordo con
l'intelligenza. Secondo lui, l'induzione fisica è diversa dall'induzione
matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze
necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i
termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in
comincia da'sensi, e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi
della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data
la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendo
quello che è con quello che appare,. lità delle parti del tutio dato nella
divisione, la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli
effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota- della
natura e della libertà, il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un
ente assoluto, dotato di tutte le possibili realtà, il divino. Nella morale, egli
sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità
di legge morale, che le due idee del giusto e dell'ingiusto sono originarie e
non fattizie, e che le regole etiche, le quali dirigono l'uomo interno sopo
essenzialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno. Colecchi
non è solamente seguace del Kant; ma egli cerca armonizzare colla morale i
pensamenti del Vico sulla filosofia e sulla legislazione; anzi poichè le verità
del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica, Colecchi ha saputo
raccogliere un seme da'principii di questa per produrre novelli frutti e
contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur: Institutionum
philosophicarum elementa Maggi: Critica sistematico-univerle e guida alla
rigenerazione della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico
metafisiche. Lusverli: Isti Defendi: Sul dolore estetico e sull'entusiasmo,
ragionamento. Parma: Supplimenti sul sansimonismo. Serbati: Saggio sulla felicità.
Saggio sulla unità dell'educazione. Opuscoli filosofici. Saggio sull'origine delle
idee. Principii della scienza morale. Frammento di una storia dell'empietà pii
e leggi generali di medicina e filosofia speculativa, Colecchi: Quistioni filosofiche.
Ceresa: Princi.] Il sensualismo venne anco combattuto da taluni che, seguendo
l'esempio della scuola teologica Francese, si elevarono al misticismo e
fondarono la scuola de’ soprannaturalisti, che fanno prevalere la fede ed il sentimento
sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi, Palmieri attacca di fronte
l'empirismo, mette in campo le idee innate come impressioni permanenti e
modifcazioni dello spirito, afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle
impressioni non avvertite e la teologia hanno lo stesso scopo,
cercano un solo vero discutono gli stessi principii, esse non ponuo essere due
scienze. Mastrofini si vapta autore di una meta-fisica subli- .attualmente che
la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impresse nell'anima;
e ri-vendicando l'autorità de'libri sacri, confutando il Kantismo e negando
alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato èdell'uomo sostiene che tutti i
suoi sistemi sono contraddizioni manifeste, e che il solo vero è il
soprannaturalismo che è l'unico, e non contraddittorio, quando anche la ragione
non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Manzoni stimando incompiata la
filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendentemente
dalla religione, e la distinzione tra la filosofa e la religione come una
imperfezione, si accosta al soprannaturalismo, sostenendo che la filosofia
morale va congiunta alla teologia, che la ragione naturale è imperfetta, e che
se la filosofia e. Il nome di Licinio Ventebranz è anagrammatico ed é celato in
esso quello di Albertini me in cui applica la filosofia alla teologia;
Ventenbranz predica una filosofia eclettico-cristiana; Perolari Malmignati
sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. Olivieri e Pasio
sostengono una morale dedotta dalla ri-velazione. Cesare Cantử dimostra che,
dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non puo giammai mepare ad
effetto questa sua condizione se non colla religione positiva; che l'umanità è
regolata dal divino, che il linguaggio della parola è dato dal divino all'uomo
e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di rettitudine morale. Parma
pretende che ogni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo
anteriore alla dimostrazione, e che sola la filosofia religiosa assume tutti gl’elementi
del materialismo, dell'idealismo e dello scet Riccardi fa consistere il difetto di ogni
filosofia del vizio logico e morale di sostituire la parola natura al divino; e
pretende la scienza essere essenzialmente religione, non potersi dar conto di
alcuna cosa che risalendo al divino, la filosofia non dover concludere contro i
fatti della ri-velazione, la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta.
Ventura cerca identificare la filosofia alla ri-velazione. Secondo lui, la
filosofia statutta nel metodo, il fondamento della certezza è riposto nel senso
comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tutto indissolvibile, l'uomo
si rapporta al divino, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un
tempo il sommo vero ed il sommo bene, l'uomo debbe conosce ticismo,
epperò, secondo lui, la teologia è un ingrandimento dell'umana ragione, o la
scienza dell'umanità illustrata da'più alti intelletti, la filosofia non è che
la religione, essa comprende la teo-logia, 1'etica, la logica e la fisica e
debbe re Dio mos [Gioberti è un sostenitore del misticismo. Egli cerca
surrogare l'ontologia al ta psicologia, e il metodo sintetico all'analitico;
segue il dommatismo, cercando dedurre ogni cosa con logica stretta e severa;
unisce la filosofia alla teo-logia, subordinando la prima alla seconda; e
distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione,
incomincia dal primo ente, in relazione alla mente umana; e, dopo aver presentata
una dottrina dell'assoluto si intrattiene a mostrarne lo svolgimento in tutte
le forme delle scienze umane e divine. Secondo lui, la un tutte le sue
parti decidere coll'autorità generale. Intorno a Gioberti e mestiere leggere la
nota di ROVERE (si veda) SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di Massari
cui è titolo: CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA
propo DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre
realtà indipendenti dallo spirito, cioè una sostanza ed una causa prima
moltiplicità di essenze e di sostanze, ed un atto col quale l'ente si collega
alle esistenze; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice
e simultaneo che precede ogni intuizione particolare, e per cui mezzo
l'intelletto percepisce leproprietà essenziali dell’ente mercè la ri-velazione;
l'idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna,
quindi è necessario l'intervento del linguaggio per opera della ragione; vi è
gran differenza fra l'intuizione e la riflessione, fra il metodo ontologico e
il metodo psicologico, e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione. L’ente
crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello
spirito umano; ogni suo membro esprime una realtà obbiettiva assoluta e
necessaria nell'Ente, relativa e contingente delle esistenze; questi due membri
son legati dalla creazio una > e non ha lasciato di cadere in
molti gravi errori, specialmente quando egli prendono l'intelligibile, avvidell'uomo
un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere. L'ente
si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso; e da ciò sorge il legame e
strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi ri-velati e i razionali. Egli
applica la sua formola ideale a molti problemi di logica, d'ideologia, e di
meta-fisica; prova la sua fecondità e larghezza in lei rattrovando la ragione e
la fonte del sapere; imprende a delinear nela storia attraverso le opinioni, le
credenze, e le rivoluzioni de'popoli, ed a mostrare che dessa abbraccia la
ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia. La sua filosofia offre il primo
esempio di una meta-fisica ortodossa, ma ardita ed originale; sicchè può dirsi
aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la ri-velazione
cattolica estimando il progresso delle scienze sperimentali e lo svolgimento
della civiltà ma attaccando il metodo psicologico, afferma che esso e la cagione del mate e quando
sostituisce al metodo analitico il sintetico. È principio riconociuto da ogni
sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo scoprimento della
verità; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la nozione del vero.
L'unico metodo è quello di conciliare l'analisi alla sintesi; perocchè vi sono
delle idee che conoscia mo per mezzo della sola analisi, e delle altre che
conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Cartesio di tutte
le dottrine materialiste palesa una immoderata avversione al psicologismo che
da alcuni si vuole esser l'ultimatum della filosofia, ma dal quale noi stimiamo
doversi partire per giungere al l'ontologia, alla conoscenza della legge che
regge il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile. Del resto Gioberti
evitando ed il pan-teismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao
go, · rolar [Malmignati : Lezioni filosofiche. Parma: Sulle opere di
Gerbet. Supplimento sul Sansimonismo. Cantù: Notizia di Romagnosi. Riccardi: Lapratica de'buoni studi. Discorso sulla
filosofia. Ventura: De methodo philosophandi. Gioberti: Introduzione allo
studio della filosofia. Errori filosofici di Serbati. Teorica del
sovrannaturale filosofia estetica. Saggio sul bello e Principii di Del Primato
Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degl’italiani co-politiche di Lamenoais.
parallogismo nel dedurre con ragionamenti a priori la scienza de' Gniti da
quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della ri-velazione cattolica.
Palmieri: Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della
incredulità. Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica. Mastrofini: Le usure
Olivieri: La filosofia morale. Pasio: Elementa philosophiae moralis cum notis. Albertini:
Discorso critico intorno a’ pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due
metodi d'insegnare le scienze astratte. Lo Spirito della Dialettica. Pe C C
- osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi
della quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà
dell'umano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui
tralasciando l'analisi dell'essere interno, che non hanno avanzato la scienza, non
potendovi essere scienza Glosofica filosofica senza la cognizione dell'uomo
intelligente e morale; epperò cadde in errore coloro i quali lo annoverarono
tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani
hanno scritto intorno ad esso .1
ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi
do, iïdi osofi civile che zione della scuola scozzese. Oltre Sebastiani e Corradini,
dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a
coltivare l'eclettismo tra questi ROVERE (si veda) e WINSPEARE (si veda) Winspeare.
Rovere, comparando, sceglien e fondendo i loro trattati, ecco l'ecletismo. Il
principio che egli accoglie è di esaminare non solo i fenomeni sensibili, ma gl’interni,
cioè i fatti e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come
fatti esteroi, o incompiute per aver trascurato una di queste serie; e, secondo
lui, le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le
opinioni del senso comune, quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che
credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i
principii e tale è il metodo degl’eclettici e degli scozzesi, e se la scuola
cui appartiene un autore debbesi rilevare dal metodo e dai principii, possia modire
che l'autore si approssima all'eclettismo della scuola scozzese. Veniamo ora al
le sue principali opinioni. La filoso > venne dagl’uomini cercata; ma questi
hanno mancato di buon metodo non serbando proporzioni tra’ diversi elementi che
costituiscono la natura; ne’ filosofi italiani ben meditati e specialmente nel
Galilei vi è il vero metodo sperimentale. ROVERE lo riduce ad un mezzo che ha
per fia esiste, della coscienza materia lo scibile, per fine il vero e lo
fa consistere nelle V arti: preparatoria, inventiva, induttiva, dimostrativa,
distributiva. Egli pone il criterio di certezza nell'intuizione immediata, o
meglio nell'identificazione dell'oggetto con noi, distingue nella conoscenza
l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato, e cercando un legame tral'oggetto
el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si
identifica col cogoito; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente
il quale conosce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze, nonchè
l'intuizione mediata o l'atto di nostra mente, il quale per la certezza
assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle
realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tempo; fonda la
certezza sulla duplice intuizione sul senso intimo e sul senso comune, nega che
i principii apodittici e gl’assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione, fa
derivar la causa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano
di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO successione
delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto
operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra
spontaneità e mette capo al senso comune. L'ultimo che sia venuto in campo
a sostenere l'eclettismo scozzese è Winspeare in suoi Saggi di filosofia
intellettuale. Dalla prefazione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si
rileva che egli è parteggiano della scuola scozzese, pero chè la difende dalle
accuse promosse contro di essa, e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo
mezzo per far progredire la scienza filosofica. Winspeare vuole ristaurare un
sistema che egli stima più atto a far progredire quelle verità necessarie al
progresso dell'intelligenza ed alla osservanza della morale. Un simile
tentativo gli apporta sommo onore, perocchè lo à immaginato ed eseguito con
molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè è una
rapida rassegna delle dottrine filosofiche da’ Greci infino al XVIII se. colo,
non si può dedurre un sistema formolato ne’ principii e delle sue conseguenze .
- che dal solo primo volume dell'opera, Corradini: Utilità della filosofia
Prospetto delle Lezioni di filosofia razionale Sebastiani: Novum Systema Ethices-
ROVERE: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia. Lettere a SERBATI. Dell'Ontologia
e del metodo Lettere a Mancini intorno alla filosofia del Dritto ed all'origine
singolarmente del Dritto di punire. Winspeare: Saggi di filosofia intellettuale.
Blanch: Articoli due sul Winspeare nel Museo di Scienze e Lettere. Per dar
compimento alla filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro
che si diedero all'Empirismo-Razionalismo. Tamburini confuta Holbach,
Condillac, e Kant; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra
su’limmiti di essa. Riguardo alla prima, abbattendo la scessi, egli prova
essere in noi reale la cognizione, esistere le facoltà intellettuali come cause
delle della perfezione che si appoggia all'umana natura, al senso
universale ed all'ordine naturale, si oppose alle dottrine dell'amor proprio e
dello interes combatte le opinioni di Condorcet sul progresso o meglio
sull'umana perfettibilità da lui circoscritta al reale, al possile, alla
storia, e considerata non come infinita, sibbene come progressiva; stazionarla,
e retrograda. 1 se, per opera di Galluppi che combattendo le opposte dottrine di
Condillac e di Kant, ne viene salutato a buon diritto il fondatore ed il sostenitore.
Egli incomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni, l'una
sulla realtà dell'umana conoscenza Pa. Gli sforzi del Tamburini prepararono la nuova
era della filosofia italiana, la quale sorse insieme coll’Empirismo-Razionalismo
per opera 2 305 US idee, e lo spirito giungere al vero al lorchè
dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non
è. Ecco perchè Galluppi appar tiene alla filosofia moderna, alla scuola
psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egli ammette
le verità primitive di esperienza interna contenenti principii a priori ed a
posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della
intuizione inmediata in quella; dimostra il passaggio dalla regione del
pensiero a quella dell'esistenza per mezzo del punto di comunicazione tra la
conoscenza intellettuale e la reale, pel quale egli ammette l’idea universale come
legge dello spirito derivante dalla sua soggettività, la quale forma il giudizio
analitico e si risolve in due ordini di conoscenze: le une di esistenza e le
altre di ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle
supponendo l'applicazione delle verità razionali a’ dati dell'esperienza.
Secondo lui, benchè tutti i giudizii puri sieco identici, pure lo spirito
allarga la sfera delle sue conoscenze, ed il raziocinio ci istruisce, perchè
ordina e classifica le nostre conoscenze, e perchè ci mena a conoscenze che 1 1
pon potremno avere senza di esso. Per mezzo della causalità da una esistenza
sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non sono; la sensibilità è
esterna ed interna, questa percepisce il me e le sue modificazioni, quella ci
rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue modificazioni. Riguardo a’limiti delle
nostre conoscenze egli cerca determinarli dimostrando esserci ignote l'essenze delle
cose, e la natura divina, ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono
non che quello onde gl’esseri producono in sè o in altri quelle date
modificazioni. Il sistema delle facoltà dello spirito introdotto da Galluppi ha
per iscopo la ricerca delle facoltà elementari; e queste sono la coscienza e la
sensibilità che presentano allo spirito gl’obbietti, l'analisi che li
sepa la sintesi che li riunisce, il desiderio, e la volontà che mossa da
questo dirige le operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di
Tropea professa le medesime teorie in tutti i suoi saggi filosofici; se non che
degl’elementi e nelle lezioni di filosofia, poggiate sull'empirismo-razionalismo,
segue il metodo analitico procedendo dal noto all'ignoto. Egli divide la logica
in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio
dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento
il rapnodare e subordinare le nostre idee, dichiarando il sillogismo un'analisi
del discorso, e stimando molto importante l'entimema. Secondo lui, la religione
naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della
ragione, che ci svelano come dobbiamo pensare del divino, e de'suoi rapporti
cogl’esseri creati. La ragione ne insegna che il divino è eterno immutabile uno
iqboito; la sua eternità, non ha ra, e } successione fisica
nè meta-fisica. La relazione fra il divino e le creature è quello di causalità
cioè tutte le creature sono state create dal divino. L’esistenza di due
principii eterni dell'universo è assurda. Il male non ripugna alla bontà divina.
L’esistenza de'doveri ne vien manifestata dalla coscienza ed è una verità
primitiva. Il dovere non può definirsi per e, chè è una nozione semplice, un’azione
soggettiva che deriva dalla natura umana. Le verità morali sono necessarie ma
sintetiche. Il principio del dovere è distinto da quello dell'utile che gli è
subordinat. La massima: si giusto è primitiva. Il principio di BENEFICENZA non
basta a mostrarci i nostri doveri verso gl’altri. Noi abbiamo de'doveri non
solo verso gl’altri, ma verso il divino e *verso noi stessi* (amore proprio),
la filosofia ci manifesta l'immortalità dell'anima umana, il congiungimento
della felicità colla virtù, verità che vengono dimostrate dal premio della
virtùe della pena del vizio, verità provate dalla naturale indistruttibilità
dell'anima e dal desiderio costante negl’uomini di un bene supremo, rità
enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla ri-velazione che è un'azione
immediata del divino sullo spirito umano con che il divino produce nello
spirito le conoscenze che vuol produrre, e la cui possibilità deriva dalla
semplice nozione dell'onnipotenza. Egli riponendo la legge morale nella retta
ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema
del dovere indipendente dall'utile, introducendo qualche cosa d'innato nella
morale ed ammettendo il dovere come un principio sintetico a priori, si eleva
dall'empirismo psicologico ad un ragionevole idealismo nella morale. Ecco le
principali opinioni professate dall'immortale Galluppi, cui va tanto debitrice
l'attuale filosofia italiana de’ suoi progressi, ed in cui non sappiamo se sia
maggiore l'elevatezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del
ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve GALLUPPI pure
si addissero all’empirismo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come unica
ed divisa, sostiene le idee assolute ed immutabili, distingue le idee io
riflesse o prodotte dall'astrazione, e spontanee o prodotte d’un intimo impulso
che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della
sostanza. Zantedeschi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal
sentire, e dal l'appetire intellettivo, sensuale, e razionale, considerando la
logica come quella scienza che dirigela facoltà conoscitiva a perfezionarsi,
stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia. La sua melafisica
è la dottrina dell'ente che s'accosta alla teoria del VICO e degl’antichi
italiani. Nella filosofia morale egli racchiude i principii delle azioni, come
la coscienza, la libera volontà, e la legge morale, ed il precetto comune. Quod
tibi non vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia come scienza
dello spirito uma considera in sul > / 311 S corpo ; la filosofia è la
scienza dello spirito umano in sè ed in tutte le sue relazioni. Per conoscere l'anima
è me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii
generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe no, e ne deduce
uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per
ogni dove; epperò divide la filosofia in soggettiva cioè diretta a disaminare
le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbietti della
conoscenza; rionega l’Empirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le iee come
prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza, e dall'attività dello spirito e POLI
è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razionalismo. Secondo lui,
l'uomo consta di due elementi, anima che si riduce all'atto del giudizio o
idea-volizione-coscienza; conoscere pon è che giudicare e giudicare non è che
conoscere, ma il giudicare è il modo del conoscere e il conoscere è l'effetto
del giudicare, il giudizio non è una sintesi tra l'attributo ed il subbietto
perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere, il
giudizio ha le sue applicazioni come il bello, il buono, il vero, le sue
perfezioni, che sono il buon senso, lo spirito, il gusto, l'ingegno, il carattere
l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso,
coll'indole, colla fisonomia, col clima, col vitto, col sodoo, colle malattie o
colle altre circostanze. Il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non
può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici, che sono
due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di
simultanea in divisibilità; tutte le altre facoltà son modi empirici di queste
due facoltà primitive che colle loro leggi sono attributi dell'anima. Il
giudizio e le rispettive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per
fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap
donde il commercio del fisico col morale nell'uomo; la filosofia si Altri
Empiristi-Razionalisti non hanno pubblicate delle opere; ma il loro sistema
traspare da vari articoli di giornali e ragionamenti disparati. RICCI è amante
del metodo empirico-speculativo; porto, rannoda alla religione ed alla teo-logia
perocchè questi fattori dipendono dal divino; la vita dell'anima e il giudizio sono
oggetti limitati perfettibili; questo perfezionamento è dato come legge di
natura e come scopo all'anima ed alle sue facoltà, esso è riposto nel maggior
aumento ed equilibrio possibile delle facoltà dell'anima congiunto al maggior
grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de’ mezzi
facili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente degli stessi
atti o delle stesse funzioni; quindi l'uomo perrendersi perfetto al maggior grado
deve operare e usare per quanto può delle proprie facoltà, secondo la loro
natura e la loro destinazione. Rivato limita il sapere filosofico e
e cioè il pro filosofico, sostenendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo
esterno e nello interno tutto riferire alla coscienza, Riccobelli si accinge a
combattere il Trascendentalismo di Kant sullo spazio e sul tempo; Devincenzi
pone per primo fondamento dell'ecletismo la cognizione perfetta di tutte le
filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella
modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il
vero ovunque il rinviene. Cusani sostiene che lo spirito umano ha due sole vie
nella ricerca del vero, cedimento empirico ed il razionale, che i principii
assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale, ma contempora nei nella loro
essenza alle idee necessarie, che la tendenza filosofica dev'essere l'Ontologia,
e che dovrebbesi elevare una metafisica sul fondamento psicologico degli
eclettici francesi e sul fondamento ontologico dei filosofi alemanni. Molti
altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di
Tennemann Ricci: Articoli sul Cousinismo (Antologia di Firenze), Rivato e sul +
sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti
di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini:
Introduzione allo studio della filosofia morale. Elementa Juris Naturae Cenni
sulla perfettibilità dell'umana famiglia. Galluppi: Saggio sulla critica della
conoscenza. Filosofia della volontà. Lezioni di Logica e Metafisica. Elementi
di Filosofia. Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a’
principii delle umane conoscenze da Cartesio insino a Kant Introduzione allo studio
della Filosofia. Memoria sul sistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto
l'idealismo Trascendentale di Kant Tedeschi: Sulla filosofia. Zantedeschi:
Elementi di Psicologia empirica, di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale.
Mancino. Elementi di filosofia. Poli: Saggio filosofico sopra la scuola de’ moderni
filosofi naturalisti. Saggio di un corso
di filosofia. Primi elementi di filosofia. Intorno al vero e giusto spirito
filosofico. Riassum to sempre, identico stesso nell'India, nella Grecia nel
cadere del medio-evo, nella filosofia moderna, e nel l'attuale filosofia. del
Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia
empirica spingendola sino al materialismo. Il razionalismo ha pochi adetti,
fra'quali la Baronessa de Stael; il misticismo ha de’seguaci; ma quegli che più
di tutti imprese a difenderlo si e Lamennais. L'eclettismo comprende gl’eclettici
propriamente detti o Cousinisti, gl’eclettici scozzesi, tra’ quali Jouffroy, e
i filosofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi
campioni dell'ecletismo Cousin, Jouf ' In Francia la filosofia superando i
limiti dell'ideologia e della psicologia empirica, a malgrado alcuni avanzi di
sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne; ed ha dato luogo alle cinque scuo
le degli Empiristi, de'Razionalisti, dei Mistici, degli Ecletici, e de Filosofi profondità dell'Alemagna, si presenta
una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo
scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra
benchè numeri pochi seguai; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e
l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi
italiani; ma froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle
scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori,
frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso
continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe
esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fondatore del
Sapsimonismo è Saint-Simon; e Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella
filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia, che è chiamata a tenere il
giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva
9 l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a
fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande
ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo,
Gioberti il misticismo, Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi
l'Empirismo-Razionalismo. Questo sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è
l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia, debbe mirare ad una
nuova formola più compiuta, e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi
per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione; esso abbisogna di un metodo
e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo
esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo
leversioni delle operestraniere, ma anche altri lavori filosofici degli
italiani che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche.
Noi di que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del
nostro lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed
avvenire di unanime consentimento siraccolgado sotto una sola e medesima
bandiera, sotto le inse goe dell'Empirismo-Razionalismo, ricono scendo
per loro capo e maestro l'immortale filosofo di 'Tropea Pasquale GALLUPPI.
Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia
filosofica in Italia, la storia della filosofia romana, Galluppi, diritto
private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Petrarca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
di Cicerone – la scuola d’Arezzo -- filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Arezzo).
Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “There are a few studies on Petrarca
and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important
contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.”
ir«^|#»rtit«» ,i\ARK TP Jt^ -'f \t. \3FICO ^1 PP TIGI03 i^C/->>. t -nF
CARLINI LA FILOSOFIA di P. Saggio Tipografia Editric e Cooperativa Jesi V A
SEVERINO FERRARI DELLE OPERE PETRARCHESCHE CONOSCITORE PROFONDO CON ANIMO
RIVERENTE E GRATO La tradizione platonica e religiosa nel Medio evo Caratteri
del misticismo italiano Il Cristianesimo e il Papato II pensiero religioso e la
scolastica Dante e Platone P. e Aristotele P. ed Averroe P. e Platone Il
criterio filosofico di P. è afl'atto religioso Filosofia della religione
Paganesimo e Cristianesimo Se P. è cattolico Colui che fece per viltade il gran
rifiuto Se P. è un mistico Varie specie di misticismo Il De vita solitaria II
De ocio RELiGiosoRUM Ascetismo e misticismo sano II pessimismo di P. II
pessimismo cristiano La vita umana secondo P. Il De REMEDiis UTRiusQUE FORTUNAE
- P. e Leopardi L' acedia e le contraddizioni di P. hanno radice nel suo
sentimento religioso P. non e strettamente un filosofo Ma ne’suoi scritti è un
ampio contenuto filosofico (GRICE ON ONE SENSE OF PHILOSOPHER AND ONE
IMPLICATURE) E ha ancora ingegno filosofico P. e la scienza Meriti filosofici
di P. Il rerum memorandarum Carattere morale, sociale e politico della nuova
filosofia P. e il ri-sorgimento filosofico religioso Il sentimento della natura
Carattere psicologico della filosofia di P. Le Rime II Secretum Eternità di P.
Il pensiero religioso può precedere o seguire il pensiero filosofico, secondo
che l’uomo è credente o no : sempre poi esso ' è dalla filosofia iìiseparabile^
se vtwle divenir cosciente. Questo chiamo pensiero filosofico religioso: e penso
che sia la remota cagione anche delle manifestazioni letterarie e artistiche
de' nostri grandi scrittori. Della multiforme opera petrarchesca poi questo mi
parve il segreto ; e però con amore mi misi a cercarlo. Non credo, per le mie
piccole forze, di averlo scoperto; ma spero che questo saggio sarà poca favilla
che gran fiamma seconda. Luglio Carlini. La tradizione platonica e religiosa
nel Medio evo Caratteri del Misticismo italiano - Il Cristianesimo e il Papato.
'ift^ È ^^w ^M 'fìJS ^p^ Abelardo, w^ audio, 8uspecti»e fidei ». PLATONE,
dichiarando che Dio è il puro I essere e la materia il non essere, scavava per
primo, come anche il ^P. osservò (*), quell'abisso tra il finito e l'eterno,
tra la materia e lo spirito, tra la natura e Dio, che poi né Aristotele né
alcun altro filosofo riuscì mai a colmare. E però in rispetto a questo grande
problema il Cristianesimo ebbe il merito di tentarne per la prima volta la
soluzione con il dogma di Cristo, che é insieme uomo e Dio, l'universo finito e
l' infinito. Di qui tutta la filosofia nel Medio evo; la quale nel pensiero
platonico trovò molti addentellati sin dai primi gnostici, che diedero Alla
religione un contenuto filosofico e alla filosofia un ufficio religioso. E
Origene, succedendo nel secondo periodo della filosofia medioevale che é la
patristica, rinnovella la dottrina platonica, affermando la preesistenza delle
anime umane e l'eternità della creazione. Un'altra schiera di Padri si dedicava
intanto sopratutto alla parte pratica della filosofia cristiana, alla morale:
fra essi era Lattanzio, tanto caro a Francesco P.. Si giunge cosi ad Agostino,
al pseudo Dionigi e a Boezio, che, raccolto tutto il lavoro precedente, diedero
una meravigliosa filosofia cristiana; la quale, per l'universalità propria del
nostro genio, ninna parte trascurò della filosofia psicologica, morale^
metafisica e politica. Ma, come è noto, già è sorto con questi filosofi
fiorente il misticismo. Il misticismo per ciò non è solamente una filosofia
speculativa, ma anche una tendenza religiosa, e morale e politica. Il Bartoli,
parlando del misticismo del P., dice che esso fu « la peste bubbonica delle
anime nel gran lazzaretto del Medio evo: là frase è speciosa, ma l'affermazione
è troppo vaga. Già anzitutto il misticismo della filosofia straniera è ben
diverso dal misticismo latino: quello fu sopratutto con lo Scoto e con
l'Eckardt un'intuizione speculativa che ebbe per confine la stessa filosofia:
questo si diffonde per le migliori menti e per il popolo, e ci dà un misticismo
cristiano che è tutto psicologico e religioso, come nel De imitaUone GhHati. E
questo carattere religioso e pratico che ebbe il misticismo in Italia è il
segreto del pensiero e del sentimento italiano nel Medio evo, e sopratutto nel
1200 e nel 1300: esso, dice il Barzellotti (^), non ci apparisce bene « se non
quando lo cerchiamo nell'idea religiosa che alimenta con la irrigazione secreta
delle sue sorgenti sprizzate dal cuore del popolo tutto il sottosuolo della
vegetazione di quell'età storica ». 11 sentimento religioso poi, irrigando il
misticismo italiano, per una parte tende spesso nel silenzio de' chiostri
all'ascetismo; per l'altra va ad alimentare quella fortissima corrente, che
derivando dalla nostra latinità ereditaria dà al pensiero italiano un indirizzo
costantemente pratico e romano e sociale. Così la corrente cristiana e l'altra
pagana, riunite nel sentimento religioso, 'sboccano parimenti nel cuore del
popolo; laddove i grandi pensatori all'una o all'altra si aflBdano
maggiormente: in FranI Cesco P. poi si sogliono chiamare senz'altro misticismo
e paganesimo, e si equilibrano. » Né quest'equilibrio è cosa nuova: che nella
coscienza italiana, come il Barzellotti dimostra, è tradizionale la
contemperanza fra religione e vita, fra Dio e la natura, fra l'uomo e la
società. Così l'istituzione francescana, per esempio, oltre che religiosa è al
tutto democratica, e si diffonde fra il popolo nelle manifestazioni sue
letterarie e artistiche non solo, ma anche politiche: laonde, venute di
Germania le lotte fra guelfi e ghibellini, i comuni si chiaman guelfi, benché
in fondo non siano né guelfi né ghibellini, o meglio siano l'una e l'altra
cosa: nel senso che per una parte vogliono il ritorno all'antica grandezza,
rappresentata nel concetto, non nel fatto del rinnovato Romano Impero; e per
l'altra vogliono la vittoria della fede, rappresentata dalla Chiesa di Roma
quale avrebbe dovuta essere, non quale era. Ond'è che il popolo italiano non dà
né seguito né scuola alle speculazioni di Ioachim de Flore, l'unico mistico astratto
sorto in Italia, e fra Salimbene nella sua Cronica dà a questi mistici
visionari l'appellativo di uomini mezzo pazzi; e non dà neppure séguito né
scuola alle grandi eresie e ai moti che non agitano un'idea politica e
religiosa insieme: ond'é che Dante nella sua Divina Commedia non fa neppure
parola dei grandi eretici di que' secoli e mette Federico II all'inferno. Né
delle grandi eresie e mistiche concezioni medioevali pure Francesco P. fa
parola ne' suoi scritti (^); e Abelardo stesso, il grande maestro di Arnaldo da
Brescia che pur tanta comunione di idee doveva avere col P., passa inosservato
nel De vita solitaria^ e se ne dà la ragione con queste parole: « Abelardo, ut
audio, suspectae fidei. Da S. Benedetto, da Gregorio Magno, da Lanfranco, da
Pier Damiano a Ildebrando, ad Anselmo d'Aosta, a Pier Lombardo, a Innocenzo
III, a Tommaso d'Aquino, a Dante e a quanti altri si avvicinano più a questi,
lo spirito latino romano ha concepito il Cristianesimo più che come un ideale
nuovo di vita tutto interiore che ogni credente debba rifare a se stesso e
vivere in comunione arcana con Dio, come una forte disciplina della coscienza
sociale che prenda il suo valore principalmente dall'unità di consenso con cui
essa opera su le menti e per mezzo delle menti su le anime umane »: così il
Barzellotti; il quale molto giustaihente conclude che il. popolo italiano al
sentimento religioso congiungendo la tradizione pagana prende da quello ciò che
a questa non repugna e riesce cosi, direi, a un classicismo religioso che dà al
cattolicismo italiano un carattere profondamente diverso da quello delle altre
nazioni d'Europa, anche delle latine. Questo ci spiega perchè il Papato
proteggesse l'Umanesimo; e ci dice ancora che quella meravighosa resurrezione
delle morte cose (come scrisse il' Machiavelli) non è infine che un risveglio
intenso di un innato classicismo, e che la nuova filosofia del Rinascimento ha
cause ben più remote che la presa di Costantinopoli. Andrebbe dunque ben lungi
dal vero, chi pensasse che il pensiero religioso nel Rinascimento nostro
filosofico fosse venuto a mancare: neppure il Valla (') intese combattere il
cristianesimo più che nelle false interpretazioni che gl'ipocriti ne avevan
date. E se il Ficino e Pico cercheranno di conciliare paganesimo e platonismo
col cristianesimo, ciò non farà meraviglia più del P. che cristianeggiava
Cicerone, Seneca e Platone e credeva con quest'ultimo in un'esistenza futura di
premio delle anime nel cielo degli astri. Il pensiero religioso di Francesco P.
tende adunque per una parte, come in Francesco d'Assisi, a un idealismo
cristiano che è spesso in antitesi stridente con la Chiesa di Roma divenuta una
mitologia del cristianesimo e un potere più che una fede; e per l'altra cerca
nel classicismo un carattere sociale e politico e letterario, cristianeggiando
la filosofia antica, combattendo le scuole del suo tempo che trascuravano la
morale e l'averroismo che avversava la fede, e propugnando il sentimento
patriottico e la restaurazione della Repubblica o dell'Impero, che è la
missione a cui Roma, come Agostino aveva dimostrato, era dalla divina
provvidenza destinata. Il pensiero religioso e la Scolastica - Dante e Platone
- P. e Aristotele - P. e Averroe - P. e Platone - Il criterio filosofico del P.
è affatto religioso. Vero filosofo è soltanto il buon Criatiano. E due correnti
del pensiero religioso che Imetton fóce l'una al misticismo e al guelfismo,
l'altra al paganesimo e al ghibellinismo, confluenti nel cuore del popolo
italiano, divergono invece sempre più nelle scuole filosofiche del periodo
detto defla Scolastica. Nella quale sono perciò a distinguere due direzioni
principali: la prima condusse al Nominalismo, l'altra al Realismo; l'una fu un
rinvigorire del misticismo, la seconda del razionalismo : e dico anche del
razionalismo, perchè non bisogna scordare che nell'Italia meridionale la
tradizione filosofica antica tenne sempre in onore la speculazione
razionalistica, che fiorisce poi alla corte di Federico IL Così adunque
Bernardo di Ghiaravalle, Ugo e Riccardo di San Vittore e poi Bonaventm*a di
Bagnorea videro l'anima umana sciogliersi dal carcere del corpo e
ricongiungersi nella pura regione degli aspiriti e perdersi in Dio: il primo di
essi mostrerà nel Paradiso Dio a Dante; il quale, ritenendolo con Dionigi
TAreopagita piii che viro a dimostrargli la gloria di Colui che tutto ^ muove
che è il fine ultimo della Divina Commedia, diede a questa prima corona de'
filosofi scolastici, presieduta nel cielo del sole da Bonaventura, molto più
onore che non all'altra di cui è capo Tommaso d'Aquino. Per che (so che mi si
giudicherà eretico) io credo che la filosofia di Bonaventura, richiamante il
sentimento reUgioso italiano all'amore di una vita profondamente cristiana e
all'antica povertà francescana é al culto della dottrina platonica, ch'ei stimò
più conciliabile dell'aristotelica con quella della Chiesa; essendo per ciò
molto più vicina all'indole del pensiero italiano che non la filosofia di
Tommaso, che, come il Barzellotti notò {% « ebbe forse in se per eredità qualche
goccia di sangue normanno e tedesco »; mi pare, dico, che il pensiero mistico e
platonico trovi nella Divina Commedia un'eco molto maggiore di quella che
comunemente si crede anche da valenti filosofi. Certo essi esagerano quando
ingannati dall'onore reso nel limbo al mastro di color chs sanno, cioè al
conoscitore maggiore che fu mai, dicono che la Divina Commedia è una Somma
tradotta in versi (^). Comunque sia, è noto che Aristotele in sul finire del
Medio evo, sopratutto per colpa degli orientaU panteisti, i quali più che
commentarne i Ubri tendevano a travisarne il pensiero, apparve quale gigantesca
minaccia contro la Chiesa e il sentimento rehgioso. E già su la fine del
duodecimo e il principìo del tredicesimo secolo AiAimco di Bena e Davide di Dinantson
condannati entrambi quali eretici, e nel sinodo di Parigi nel 1909 si decreta
che sia proscritta da Parigi la lettura delle opere di Aristotele « de naturali
philosophia Sorge allora l'altra scuola della scolastica che movendo dal mite
razionalismo del credo ut intelligam di Anselmo, è tutta piena della grande
Somma del santo di Aquino. Questi, avendo vigorosamente combattuto Averroe
("), si rivolse indi ai libri di Aristotele, di cui si procurò la
traduzione migliore che potè, e cercò di vincere anche questo grande terrore
della Chiesa, cristianeggiandone il pensiero e incatenandolo prigioniero al
trionfo del cattolicismo. In verità fu una grande vittoria; ma degenerata in
esagerazione e ridottasi la filosofia a una formula sofistica, s'inizia l'ultimo
periodo della scolastica, che cade nel tempo del lavoro massimo di Francesco
P.; il quale, visto il dissolversi del grande edificio, ne promosse in Italia
prima di ogni altro la distruzione. I maestri di Teologia si eran ridotti a una
profana e bugiarda dialettica, e imbrattavano il sacro nome di Dio facendo
gl'indovini e gl'incantatori. E la filosofia medesimamente era una logica
dicace; e come le teologia circoscriveva (dice P.) l'onnipotenza divina con
'gonfiati sofismi e a Dio poneva stoltamente legge, così quella prese a
disputare dei segreti della natura con tanta leggerezza che parve spudorata. I
dialettici finirono col prendere sommo diletto solo della contraddizione, e non
gik di trovare il vero ma solo di altercare si proponevano; e gli scolastici in
generale erano tutti ciarlieri e vanitosi e si davan vanto di essere solo essi
filosofi: ma la loro non era la vera filosofia < che negli animi ha sede più
che ne' libri e meglio di fatti si nutre che di parole > (*^). Di qui la
grande guerra mossa ad essi da Francesco P. per tutte le sue opere, nelle quali
si mostra acerrimo nemico della filosofia contemporanea. Ma in quest'opera di
distruzione è merito grandissimo del P. l'avere salvato sempre il rispetto e il
nome di Aristotele. « O esotica dottrina (egli dice de' dialettici e degli
scolastici) (^*) e mai non sognata da quell'Aristotele di cui costoro infamano
la memoria! »; e altrove: « essi si coprono con lo splendore del nome di
Aristotele; ma Aristotele, uomo di ardentissimo ingegno, delle più sublimi cose
a vicenda e disputava e scriveva. E se così non fosse, onde sarebbero a noi
venuti tanti volumi, obietto di immensi studi e di sterminate vigilie? ) Che se
alcune volte dovè schierarsi contro la dottrina aristotelica, egli fece ciò
molto rispettosamente, come non di rado fa con Cicerone e con Seneca e con
Platone medesimo. E se si trovò a doverne diminuire la fama tanto per lui
preziosa, di eloquenza, egli premise che avendo scritto Aristotele di retorica
e di arte Qpetica valorosamente, riteneva per certo che i traduttori latini o
per pigrizia o per invidia o piuttosto per ignoranza l'avevano guastato (*®).
Egli per ciò sostenne fortemente che s'ingannavan tutti trovando tracce
d'eloquenza nelle traduzioni aristoteliche; e mise così grande desiderio di
conoscere le dottrine nel testo, come poco di poi accadde. Credo che si possa
concludere che anche per P. Aristotele è il ìnaestro di color che satino^
inteso nel senso delle parole su citate. Ma ciò non toglie ch'egli non potesse
preferire Platone ad Aristotele per ragioni che ora vedremo. Del resto il
grande colosso non era stato debellato dal grande d'Aquino? e P. non era libero
ormai di scegliere quella filosofia che più gli piaceva? Neppiu'e nel De 8ua
ipsius et multorum ignorantia egli mosse guerra al culto delle aristoteliche
dottrine, ma all'arabo commentatore e ai presuntuosi suoi seguaci. Il grande
panteista aveva intimorito il Medio evo col suo pensiero incredulo che si
rivolgeva sopratutto contro il cristianesimo. San Tommaso lo combattè valorosamente:
tuttavia la vittoria non fu forse compiuta se alla metà del secolo XIV frate
Urbano per il suo commento ad Averroe era con titolo d'onore chiamato
Averroista philosophus 8ummu8, e Pietro d'Abano esaltava Averroe nel
Conciliatore. E Dante, piuttosto che nel cerchio degli eresiarchi, perchè
l'aveva collocato nel castello de' sapienti con gli spiriti magni? Il Renan
(^') non sa rendersi ragione per che P. si schierasse contro l'averroismo.
Alcuno gli ha risposto che P. confessava di sentire ripugnanza per tutto ciò
che venendo dagli Arabi tendeva ad ecclissare la gloria del genio classico:
(**) sarebbe insomma una ragione al tutto umanistica. Mi pare che sarebbe
meglio dire che egli doveva aver poca simpatia per un popolo maomettano che con
i Turchi contribuiva a tener schiave le terre che videro il grande dramma di
Cristo (^®). Ma ad ogni modo la ragione vera non è neppur questa. L'averroismo,
che rappresentò per alcun tempo la libertà del pensiero contro le scuole
teologiche, > aveva preso nell'ultimo quarto del secolo XIV in alcuni luoghi
d'Italia un significato tutt'altro che filosofico, tentando di rovesciare non
solo il cattolicismo ma ogni pensiero religioso e di instaurare l'empietà (*^)
: e contro di esso P. già vecchio combattè una memorabile battaglia. Ma da che
quella setta più che filosofica era in alcuni luoghi, come in Venezia, divenuta
scuola d'irrehgione; cosi non è poi a far meraviglia, come molti fanno, che nel
De stia ipsius egli combatta Averroe non con argomenti strettamente filosofici,
ma con pensiero essenzialmente religioso. Né scrisse per bile, avendo preso la
penna solo dopo un anno e più da che seppe delle critiche de' quattro
averroisti veneti, mentre un dì risalendo le acque del Po si sentì annoiato del
non far nulla. Da molto tempo inoltre egli aveva pensato di scrivere qualcosa
di simile, anche prima che Donato lo spingesse a ciò ("). Quando mise alla
porta quell'averroista che in presenza sua e in sua casa bestemmiavo, di Cristo
e della sacra Scrittura e del Cristianesimo, lo accompagnò con queste parole: «
Vecchia è per me questa contesa con altri eretici pari tuoi ». E altrove
scrivendo ad Antonio, figlio di Donato, gli raccomanda di tenersi lontano
dall'averroismo: « sii divoto, cerca la scienza, ma più di quella la virtù.
Averroe, nemico di Cristo sia da te fuggito come nemico. Così che il De sua
ipsius in fondo è un trattato scritto non contro Averroe, sì bene contro
l'irreligione che ne' suoi tempi imperava sovrana ("). Ne tuttavia al P.
sfuggiva che la corruzione religiosa aveva la sua radice nel pensiero
filosofico; e con tutta sincerità, invece di far pompa di un'erudizione che a
lui dopo i lavori di S. Tommaso e di altri non doveva, credo, esser difficile
procurarsi; impedito di approfondire la sua scienza filosofica dalle molte
faccende e dalla salute tristissima; scrisse al padre Marsigli agostiniano,
affinchè si preparasse con profondi studi a scrivere: « un trattato contro quel
rabbioso cane ch'è Averroe, il quale agitato da infernale furore, con empi latrati,
e con bestemmie da ogni parte raccolte, oltraggia e lacera il santo nome di
Cristo e la cattolica fede »: e aggiungeva: <f Io, come sai, vi posi mano;
ma parte per le faccende mie cresciute a dismisura, parte per manco della
necessaria scienza fui costretto a deporre il pensiero. Se la battaglia contro
l'averroismo fu fiera, benché tarda e breve; ciò non avvenne della lotta contro
i nemici di Platone, la quale occupa gran parte della vita e dell'opera sua.
Quali scritti di Platone conosceva P.? Si suol credere che solo del Timeo
tradotto da Galcidio avesse egli conoscenza. Certo egli ne possedeva le opere
in greco e alcune di. queste conosceva almeno in parte. Contro i denigratori di
Platone così egli scriveva: « Ho io a casa sedici e anche. più (sexdecim vel eo
amplius) de' libri di Platone: ed essi dicono che ne ha scritto uno o due »; e
aggiunge: « stupebunt si haec audient >. E però il Fiorentino nota
giustamente: « Una certa meraviglia farà anche oggidì il sapere che non solo in
greco, ma tradotti in latino -aveva P. alquanti dialoghi non visti per lo
avanti; perchè di questa traduzione non han fatto menzione neppure coloro che
han discorso de' platonici libri posseduti dal gran poeta » (-^). Infatti P.
afferma (*') che egli di Platone possedeva tutto ciò che da' latini fu nella
lingua patria tradotto; e il resto egli, pur non giovandogli, tuttavia si
dilettava vedere nella greca veste; e proponeva di dedicarsi allo studio di
questa lingua: « né voglio (egli scriveva vent'anni prima di morire) al tutto
deporre la speranza di fare in questa età alcun profitto, sapendo che tanto ne
fece Catone nell'estrema vecchiezza ». Ora si noti che le lezioni di greco, da
Barlaam impartite al P., sebbene brevi, pur non dovettero essere, io credo, un
esercizio affatto grammaticale, come a' dì nostri costuma nelle prime scuole;
ma probal)ilmente esse eran date su i testi stessi di Platone: e non è poi
strano a pensare che Barlaam stesso gli facesse de' brani principali la
traduzione (*^). So bene che di tutto questo non si può recar prove certe; ma
d'altronde non posso credere che P., il quale cita sempre le dottrine degli
autori a lui cari riferendosi o al testo o all'autorità di alcun altro che egli
nomina sempre (sì che giunge, come nel Rerum Meìuorandarum, a notare le parole
e le frasi ch'egli prende a prestito da Cicerone o da Seneca o da altri),
parlasse poi più volte del Fedone, del Critone (*^) e del Fedro e del De
Repubhca e del De Legibus e dell'Apologia senza conoscerne più o meno
adeguatamente alcuna parte (^^). Certo oltre il Timeo anche il Fedro era stato
tradotto in latino, come attesta Coluccio Salutati (^*); laonde si può tener
per fermo che in Italia, non solo prima della venuta de' greci, ma prima ancora
che Leonardo Bruni desse principio alle note traduzioni, Platone era stato in
parte tradotto. E in ogni modo P. conosceva la dottrina platonica più e meglio
che per i libri di Cicerone e di Agostino, nei quali essa è o monca o nascosta
o trasmutata, per il libro non inelegante di L. Apuleio Medaurense intitolato
De Platone; nel quale oltre che la vita sono esposte di Platone tutte le
dottrine: « De Deo, de Ideis, de mundo, de anima, de natura, de tempore, de
stellis erraticis, de animalibus, de providentia, de fato, de daemonibus, de
fortuna, de partibus animae et corporeo singulari domicilio, de sensibus, de
figura corporis humani ac dispositione membrorum, de divisione honorum, de
virtutibus, de triplici virtute ingeniorum, de tribus causis appetendorum
honorum, de voluptate,^ de labore, de amicitia inimicitiaque, de turpi amore,
de trihus amorihus, de speciebus culpabilium hominum, de statu et morihus atque
exitu sapientis^ de civitatibus,. de Repuhlica deque eius institutione
legibusque optimis > (^^). Come si vede sono in questo schema contenuti
tutti gli scritti di Platone, e forse esso è, direi, il riassunto che delle
platoniche dottrine P. avea fatto. Or quale fu la cagione, per la quale P. a
dispetto della filosofia contemporanea preferì Platone ad Aristotele? — Il
Voigt, e dietro lui molti altri, movendo dall'affermare che P. non conosceva le
dottrine né dell'uno né dell'altro ('^)^ danno risposte molto varie: trovando
la cagione o in un innato sentimento di simpatia; o nel desiderio di
contraddire, levando il primato ad Aristotele, alla filosofia del tempo; o nel
volere P. seguire costantemente il giudizio di Cicerone e di Agostino. Le quali
cose sono tutte vere; ma oltre che rimpiccioliscono grandemente l'opera del
grande Aretino^ mi pare che non colgano il suo pensiero principale. In tanta
idolatra adorazione del nome di Arw stotele si era arrivati al punto che un
amico del P. gli scriveva confessando candidamente di credere che Platone fosse
un poeta e non un filosofo. A lui fra meravigliato e indignato rispondeva P. f
^) : « l'universale consenso dei dotti ha proclamato Platone principe de'
filosofi. Cicerone, Agostino ed altri mille, mentre Aristotele in tutti i loro
scritti mettono sopra gli altri filosofi, eccettuan sempre Platone: or come tu
vorresti farlo poeta? Tullio in certo luogo delle lettere ad Attico non chiamò
Platone suo Iddio? Tutti o in un modo o nell'altro dicono divino l'ingegno di
Platone »; e altrove invoca anche molte altre autorità, quali Seneca e Apuleio
e Plotino « comecché insigne aristotelico ) f ^), e Ambrogio e Agostino. Ma non
l'autorità solamente valse a fargli preferir Platone. Né d'altronde io oserò
affermare che egli per conoscenza delle dottrine platoniche e aristotehche
fosse in grado di tentar la soluzione di quell'arduo problema che poi affaticò
tanti insigni intelletti. Egli è persuaso che Platone fosse divino per ingegno
e insuperato, e che Aristotele fosse un d<iemonium di scienza: sa che alla
sentenza di CICERONE (vedasi) e di Agostino si oppone il grande Averroe che
preferisce Aristotele a Platone, ma non osa neppure di tentarne la confutazione
e canta: ^ Non nostrum inter nos tantas componere litas » (^^). Che se nella
questione filosofica egli dovè confessare di non poter esser giudice, non così
fu nella parte religiosa della questione. P. aveva notato che Platone intorno a
Dio e alla creazione la pensava come i filosofi cristiani; laddove Aristotele
se ne scostava grandemente,:dicendo che il mondo non aveva avuto principio, e
negando così la, provvidenza divina che Platone aveva ammessa (®'), Spesso poi
nota che alla filosofia di Platone unus fuerit philosophandi finis et vivendi.
E se nel De remediisy oltre ad altre cosuccie, lo biasima meravigliato che
vecchio cedesse alcuna volta alla lussuria, pure (forse pensando a ciò che a
lui giovine era avvenuto) non manca di osservare che per tutto il resto il
grande Ateniese fu di ottimi costumi, e morì di ottantun anno, numero phe
contenendo due volte il nove per fattore attesta la santità della vita sua
(^^). Tornando ora alla dottrina platonica, egli ammirava quanto profondamente
avesse gittato lo sguardo nella intimità dell'anima umana, e vedesse ciò che
prima era misto e confuso divenire segregato e distinto: perocché «>
seguendo la scorta della natura » vi scoperse la triplice sede dell'anima, cioè
la triplice manifestazione sua (^^) dell'ira nel petto, della concupiscenza
sotto i precordi, della ragione nel capo come in munita rocca quasi a indicare
« l'impero e la sovranità di lei su le umane passioni » (^^). Inoltre P.
osservava acutamente che Platone per primo aveva congiunto la filosofia
naturale, appresa alla scuola italiana di Pitagora, alla morale e razionale
filosofia, appresa alla scuola di Socrate: e ne concludeva aver la filosofia
platonica per questa triplice unione quel carattere di universalità che le altre
filosofie non ebbero (*^). A questi pregi filosofici poi egli aggiungeva un
pregio tale che, tutti gli altri superando, bastava a mettere Platone molto al
di sopra di Aristotele: vo' dire l'avere veduto e dimostrato l'immortalità
dell'anima, che è il fondamento della vera morale: questo era tal punto che
diede poi travaglio anche a profondi filosofi (**). E P. lieto di ciò;
convenendo con Cicerone che nel De Republica, parlando della salita delle anime
al cielo, aveva detto che sarà tanto più agile quanto più vissero peregrine al
carcere corporeo; nota che tale è il pensiero di Platone nel Fedro: « nihil
aliud esse philosophiam nisi meditationem moriendi, ubi duae designantur
mortes, altera naturae virtutis altera, quarum primam nullatenus nec accersendam
nec timendam, sed aequo animo expectandam Non par egli di sentire già il
cantore de' Trionfi e della morte non più triste delle ascetiche
contemplazioni, ma bella nel viso di Laura? E qui P. confessa di credere con
Platone nell'esistenza futura delle anime negli astri (^^), dove è la vita di
perfetto amore: della dottrina platonica dell'amore è, si può dire, un vivo
commenta gran parte del Canzoniere. # « « Ora tutte queste osservazioni, e
altre ancora che per non uscir da' limiti importimi dal tema tralascio, io
credo che abbiano una remota e viva sorgente nel pensiero cristiano di
Francesco Petrarca, il quale credeva in un rapporto ben piti che casuale fra la
dottrina platonica e la predicazione di Cristo {''). Egli dice che Platone solo
fra tutti i filosofi antichi ebbe sentore della nuova fede: perocché ne' suoi
viaggi in Egitto avrebbe avuto notizia e conoscenza della bibbia e della
predicazione profetica. Tale credenza ch'egli derivava da Apuleio e da Agostino
era stata un tempo tema di molte dispute; tanto che alcuni eretici avevano anzi
detto che Cristo non predicasse infine che le dottrine platoniche. Agostino
stesso del resto aveva, come anche il Petrarca notò (*®), trovato ne' platonici
quasi tutto il proemio del vangelo di S. Giovanni (in principio erat verhum
etc). E P. si diffonde con evidente compiacenza su questa questione, e
conclude: « nemo dubitat quanta sit inter illìus opinionis et Christianorum
fidem paritas »; si legga, ei dice, il settimo libro delle Confessioni di
Agostino, « ubi reperietur in omnibus fere quae de verbo Dei dicuntur a nostris
Platonem consentire, praeterquam in susceptione humanae carnis, ubi non
contraddixit ille, sed siluit ). Filosofia della religione- Paganesimo e
Cristianesimo - Se P. sia Cattolico - Colui che fece per viltade il gran
rifiuto. Cristo più propizio che mai allora si dimostrò quand' era di creta ».
I pare che si possa sin d' ora concludere^ 'che il pensiero filosofico di
Francesco Petrarca non si può comprendere se non se ne cerca la radice nel pensiero
religioso. Anzitutto è innegabile che egli al pari di tutto il Medio evo, come
si disse, sentì il bisogno fortissimo di una fede; ma in lui oltre che il
sentimento è anche un manifesto concetto religioso. Nel De ocio religiosorum
(^') P., prenunziando pur lontanamente il Renan, risale all'origine e alla
storia delle religioni positive; e trova che avendo voluto i re antichi
eternarsi nell'arte, i successori ne fecero dei: sic paulatim religiones esse '
coeperunt. Vede sorgere così nell'Egitto il culto di Iside, presso i Mauri di
luba, presso i Macedoni di €abiro, presso i Cartaginesi di Brama, presso i
Latini di Fauno, presso i Sabini di Santo, presso i Romani di Quirino, presso
gli Ateniesi di Minerva,^ in Samo di Giunone, in Pafo di Venere, in Lemno di
Vulcano, in Nasso di Libero, in Delo di Apollo. I poeti contribuirono alle
leggende, e co' poeti gli artefici, come in Grecia. Ma, egli aggiunse, questi
dei furono uomini, e Cicerone stesso nelle Tusculane questo affermò. Ma la
religione vera deve essere quella che fa capo a Dio veramente. Ed ecco
presentarglisi allora le religioni medioevali: l'ebraismo, il maomettanismo,
l'averroismo, il manicheismo e l'arianesimo; e' vistele tutte cadere nella
contraddizione conclude: « sì Christo non creditur, cui creditur? »:
all'Anticristo no, perchè egli verrà come nemico; al Messia futuro no, perchè
egli è già venuto. Né tuttavia si dissimula la difficoltà di credere
all'incarnazione, alla concezione, alla risurrezione di Cristo: « magna sunt,
fateor, sed quid horum omnium impossibile Deo est? >. Inoltre egli vedeva in
tutta la religione pagana e ne' suoi scrittori una lenta preparazione dell'idea
cristiana. Le profezie stesse della Sibilla Cumana s'accordano
meravigliosamente al racconto .de' libri santi, sì che un evangelista, dice,
non avrebbe potuto parlar più chiaramente: e un'eco degli oracoli cumani ei
vide, come è noto, in Vergilio. Ed ecco Platone essere il filosofo vero perchè
in tutti i suoi libri cerca il Sommo sd Unico bene ('**); e a Platone
succedere, soltis imitator, Cicerone, al quale P. in più di una questione
presta fede maggiore che agli scrittori cattolici (*®); e a Cicerone succedere
poi Agostino che, mentre Girolamo in sogno sentiva rinfacciarsi dal giudice
eterno il nome di ciceroniano, egli al contrarlo non solo pasceva la mente dei
libri di Platone e di Cicerone, ma confessava chiaramente avere in essi trovato
gran parte della cristiana religione e per essi dalle fallaci speranze e dalle
vane contese essersi rivolto alla contemplazione dell'unico vero (^°). Ed ecco
infine P., come in Platone l'eco delle ebraiche profezie, così in Seneca
trovare tanta somiglianza con la cristiana dottrina che non dubita il romano
filosofo esser stato in relazione epistolare con san Paolo (^*). Ed ecco dunque
misticismo e razionalismo, fede j e paganesimo fondersi nel pensiero religioso
di Fran- ^ Cesco P.. Al quale è quindi inutile affatto chiedere a quale scuola
filosofica egli appartenga; perocché così risponderebbe: « io una volta sono
Peripatetico, un'altra Stoico, talora Accademico e tal'altra non sono nulla di
tutto questo, quando cioè si tratti di alcuna filosofia che alla vera e santa
fede nostra sia od anche paia essere in contraddizione. Dentro questi confini
soltanto è lecito a noi seguire le filosofiche sette, finché cioè non repugnino
al vero e dall'ultimo fine non ci allontanino. Se mai di questo si corresse
pericolo, a Platone,, ad Aristotele, a Cicerone, non ostante la sottigliezza di
argomenti eleganza di stile autorità di nome, si volgano pur le spalle.
Insomma, siccome suona il nome di filosofia, se vogliamo esser filosofi,
dobbiamo amare la sapienza: e poiché sapienza vera f di Dio é Gesti Cristo, ad
essere veri filosofi lui sopra tutto dobbiamo amare ed adorare: e in tutto e
per tutto dimostrarci cristiani. Perocché soltanto il Cristianesimo è oggi la
vera filosofia (^*). » « È egli P. nel sìw pensiero altrettanto cattolico,
quanto cristiano? La risposta è più difficile a darsi di quel che non paia.
Certo se per cattolicismo intendiamo le pratiche esterne del culto che
accompagnano la fede, egli è cattolicissimo, adempiendo scrupolosamente i
propri doveri religiosi (^^). Ma nelle sue opere egli non parla mai né di dogmi
della Chiesa né di santi né di miracoli ("): l'inferno ha perduto il suo
fuoco, e il Papato il suo entusiasmo. Non parlo delle lettere aine tiiulo
<5he sprizzan fuoco diabolico sì che il pio Fracassetti si rifiutò di
tradurle perché, disse, indegne non pur di cattolico ma di uomo ragionevole. Ma
in una lettera senile (^^) egli annovera fra le quattro tentazioni della vita
cristiana le continue crisi e le battaglie interne create dallo stato della
Chiesa; lasciando così intendere chiaramente che gli scandali del Papato
potevano a ragione indurre nella tentazione del dubbio su la veracità delle
dottrine ecclesiastiche la mente del credente. E nel De vita solitaria (^*)
egli dichiara apertamente che la cattolica fede aveva sofferta la maggiore
iattura per colpa della Chiesa. E nel Be remediis (^') ricorda che i pontefici
antichi non avevano tante ricchezze: essi erano guide del cristianesimo sacre
al martirio. Oggi invece, egli dicessi usano tutte le turpitudini per giungere
al papato: « quod sacrìlegium, pudendum vel diclu est, magnis saepe muneribus
quin et pactis et sponsionibus spes enitur sacerdotii pinguioris »; e segue: «
Ghristiano homini quomodo liceat ambire Pontificatum non video. Non modo
largitione profusissima, sed, quod non multo minus est, turpibus blanditiis
atque mendaciis indignis viro artibus sed comunibus adeo ut hasc fere iam unica
sit in altum via ». « Queste parole ci danno chiaramente la ragione della
diversità del pensiero petrarchesco da quello di Dante in una questione non
priva d'importanza. Dante guidato da un pensiero politico, aprendo rinferno vede
affacciarsi per primo un Papa: Celestino V, colui che fece per viltade il gran
rifiuto (^*). 11 P., che conosceva già l'Inferno dantesco, forse anche al verso
del grande fiorentino pensava quando nel De vita solitaria ci presentò
Celestino con queste parole: « (il suo rifiuto) vintati animi quisquis volet
attribuat, licet enim in eadem re prò varietate ingeiniorum non diversa tantum
sed adversa sentire »; ma per lui Celestino V, che non salì mai il trono
pontificio, è il pontefice più grande, e si duole grandemente per pochi anni di
differenza di non averlo veduto. E si rallegra che altri molti dell'ordine suo
religioso abbiano rinunciato alle alte cariche ecclesiastiche; e soggiunge: «
irrideant igitur, qui viderunt quibus prae fulgore auri et purpurae squailidus
opum spretor et paupertas sancta sordebat, nos hominem hunc miremur »; e
finisce con acre ironia ringraziando Iddio di aver dato al cri-^ stianesimo
siffatta pusillanimità (pumllanimitatem huiuncemodi). E non solo al papato dà
sì forti rampogne, ma arriva ben anche a inveire contro l'oro e le gemme e
l'argento che adornano gli altari (^°). Cristo, egli dice, più propizio che mai
si dimostrò quando era di creta: voi dite di far questo per onorarlo, quasi che
egli non amasse maggiormente le Spoglie dei poveri, la virtù e la devozione. E,
aiutandosi oltre che col Vangelo anche con le sentenze di Seneca, conclude: «
dell'oro vostro Cristo non sa che si fare, né delle vostre superstizioni ei
punto si piace: non altro egli chiede che buone opere, onesti pensieri, umili
desideri di cuore mondo e puro. Com'entra l'oro fra queste cose? » (^*). Né con
questo io credo di aver posto ben in chiaro il pensiero del P. su la Chiesa: so
bene che occorrerebbe una più minuta ed esatta disamina. Ma credo che non a
torto Paolo Vergerlo ih Giovine e Matteo Francowitz furon tratti ad annoverare
P. fra i precursori di Lutero; e a ragione il Fleury espresse dubbi su la
ortodossia di lui. Filosoficamente poi si può affermare che il pensiero di P. è
un ritorno alle pure scaturigtini della predicazione di Cristo, e alimenta la
grande corrente di sano misticismo che a traverso le diverse lotte filosofiche
e le opposte scuole sboccò terribile nella riforma dopo più di un secolo. Se P.
sia un mistico - Varie specie di misticismo - Il De vita solitaria - Il De ocio
religiosorum - Ascetismo e sano misticismo. « Vita Solitaria liUerarum ignaris
gravior ntorte et mortem alkUura ». L misticismo è la più alta espressione
filosofica del concetto e del sentimento religioso. È quindi necessario
affrontare- questo problema, intorno al quale molto si parla, ma poco si
chiarisce nei libri che, specialmente negli ultimi tempi, trattarono dd P..
Innanzi tutto è bene intendersi: non credo che si possa parlare di una vera
scìwla mistica in Italia: il misticismo è una qualità comune a molti sistemi
filosofici che sono infine ben diversi, come quelli di Agostino o del pseudo
Dionigi o di Bonaventura. Poi c'è un misticismo non di sistema filosofico
alcuno, ma scaturiente dal sentimento religioso popolare: il quale assume
anch'esso infinite gradazioni, come, per esempio, nella predicazione
francescana o nelle profezie ioachimite. Negare nel P. un concetto e un
sentimento mistico, come alcuni han fatto, non mi pare che risponda a verità: e
neppure io credo giusto il considerare con disprezzo il misticismo del P.,.come
il Bartoli e molti altri fanno, quale un ritorno à forme viete di filosofia e
di regresso civile. Intanto P. già toglieva alla teologia tutta la parte arida
e dogmatica, quando, oltre che parlare con disprezzo de' teologi del suo tempo,
sosteneva, anche con l'autorità di Aristotele, non essere la teologia altro che
un poema che ha Dio per subietto (®*), e ricordava che i primi teologi furono
poeti. Po i egli nella storia dell' uman genere non vide più con Agostino tutta
una provvidenziale preparazione e una mistica rappresentazione di una futura
città di Dio: che anzi qua e là in numerosissimi passi delle sue opere comincia
con lui la filosofia e la critica della storia intesa nel senso moderno {^% e
con lui veramente si passa dalla città di Dio di Agostino alla città terrena
dell'uomo. Queste cose considerando si potrebbe forse concludere che i tanto
decantati rapporti fra P. e la filosofia agostiniana sono in verità molto
minori di quello che si crede. Si consideri infatti che, sebbene gli elogi e
gli entusiasmi del P. per Agostino siano, più che numerosi, continui; tuttavia
egli di Agostino cita sopratutto quella parte filosofica che ha rapporto con il
sentimento e il concetto religioso e cristiano (**). Inoltre prendete le
Confesaiones, che è il libro più caro al P., e voi v'avvedrete che egli mostra
appena di aver compreso che la grandezza sua è negli ultimi libri che sono
affatto metafisici, rappresentando l'ultimo volo di quella mente altissima
(®^). Più ancora egli si scosta dal misticismo più vero che è rappresentato dal
De lerumlem CoeiesUy e che nel Paradiso di Dante ha sì grande cantore {^% San
Paolo e Dante discendendo dal Paradiso si contentarono l'uno di tacere, l'altro
di cantare: vidi cose che ridire né sa né può qual di lassU discende. Lo
spirito umano, secondo Dionigi, sale a Dio, cioè alla verità, solo con l'aiuto
delle schiere angeliche, le quali mentre ne aiutano la salita, col loro
frapporsi vengono anche a ritardarla; e la natura ugualmente, pur essendo scala
a Dio, è anche l'ostacolo maggiore che ce ne toglie la visione. Al più si può
dire che alcune volte P. sale a cime tanto vicine all'idealismo che rasentano
il misticismo filosofico: così egli crede che alcuno possa aliqtw afflatu
divino divenir dotto uomo, in virtù di un maestro celeste « qui intus in anima
docet hominem scientiam »: e par un ioachimita o un* precoce ontologo. Ma chi
ben osserva s'accorge subito che egli anche una volta riduce la questione
filosofica a una questione religiosa, affermando quod hoc non solum vera
religio sentii, sed gentilis quoque consentii auctoritcts (*^). E altrove dice
che laddove delle umane cose la verità per esperienza ci si mostra, di Dio
invece nulla sappiamo se non ciò che dalle cose visibili può opinarsi (^*). * «
P. adunque liberato avendo, al dir di Carducci ("*), Yumano dai vincoli
teologici e mistici, « senti che la natura non è condannata, che non è
abominazione quello che umanamente si agita in un petto d'uomo, che il bello è
bene, che la vita ha il suo ideale, che l'anima si nobilita da sé idealizzando
se stessa ». P. infatti ne' suoi libri De vita solitaria e De ocio religioaorum
non si discosta meno che altrove dalla tendenza mistica che condusse gli
antichi asceti ne' deserti della Tebaide o a popolare i chiostri per tutte le
parti del mondo cristiano. Consideriamo brevemente il primo trattato che è
quasi prefazione all'altro, come P. stessa ci avverte. Egli sin dal principio
confessa bene di sapere che altri santi avevan scritto della vita solitaria, e
fra essi Basilio; ma non ne conosce che- il titola (De solitaria^ vita^
latidibus); e non si è dato neppure pensiero di prepararsi a scrivere con lo
studio de' predecessori suoi, fidando nella propria esperienza e nell'animo proprio.
In verità la ragione è questa, che egli avrebbe fatto una fatica inutile e
avrebbe perduto il tempo. Egli esalta la solitudine non per se stessa, ma per i
beni che arreca, fra i quali primi la libertà e Vocium. La solitudine del P.
non è una specie di misantropia come dicono, fra gli altri, il Ginguené e il
Bartoli: tutt'altro; che anzi egli non pretende di imporre una regola ad
.alcuno, convenendo che ognuno segua l'indole del proprio animo: a me, egli
dice, « non tam pròprio studio alìove monitu ut ita sentirem quam naturae
ipsius persuasione consultum est > ('^). Tanto è vero ciò che confessa di
aver scritto questo trattato non per gli altri, ma per sé ('^). Egli vedeva
nella vita solitaria l'ideale della vita letteraria: « quod vita solitaria litterarum
ignaris gravior morte et martem allatura videàtur » ('*). Naturalmente l'uomo
solitario del P. non ha che vedere con l'uomo selvaggio del Rousseau: in primo
luogo perchè egli parla non ai fanciulli né agli uomini ignoranti, ma a chi già
per educazione e per studio sa approfittare di quella vita ("); poi perchè
protesta di non volere in alcun modo andar contro alla socialità dell'uomo; che
anzi vuole che la solitudine sia rallegrata da una eletta schiera d'amici e sia
così un lavorìo collettivo fecondissimo, un ocium operativo e utile alla
società: « volo solitudinem non solam, ocium non iners nec inutile sed quod e
solitudine prosit multis. i}ui enim ociosi prorsus eos miseros consentio,
quibus nec honesti actus exercitium nec nobilium studiorum... ». E al Patriarca
di Gerusalemme, al quale aveva diretti i due libri intorno alla vita solitaria,
già si accingeva, se quegli non fosse morto, a scriverne altri due su la vita
attiva: segno questo che fra le due opere non doveva essere contraddizione
('*). Concependo così la solitudine quale luogo in cui l'uomo, non distratto
dalle corruzioni delle città, può con lo studio essere utile alla umanità, alla
quale vuole che i propri studi sian trasmessi ("), P. giunge alla vera
definizione della vita solitaria chiamandola vita filosofica ('^). Nella
solitudine infatti egli ebbe ispirazione e agio a scrivere la maggiore e
miglior parte delle sue opere ("). Nel De vita solitaria egli ha trattato
della solitudine del luogo; ma avverte che ve n'ha un'altra: quella dello
spirito, che chiama ocium: la prima è la preparazione della seconda ('^). E
scrivendo il P. in forma epistolare ai monaci della certosa di Montrieux non è
però a meravigliare che, trattando della solitudine per quella parte che a
monaci s'addiceva, la vita filosofica divenga vita religiosa nel De ocio. E non
mi par giusto dire che questo scritto sia tutto un arido ascetismo: prima,
perchè in esso si parla di molte cose che son tra filosofiche e religiose; poi,
perchè il vacate ut vacetis che è l'intonazione del trattato va inteso nel
senso di non Idborare, e il laborare è definito: currere post concupiscentias
('^), ossia menar vita mondana e immorale. Che se alcune volte, come nel primo
libro, paia ad ora ad bra ri|:ornare il suono di quelle parole: quid prodest
liomini ecc.; e nel secondo: vanitas vanitatum ecc.; e se P. vede gli angeli
scendere dal cielo a tener dolce compagnia all'uomo che vive in solitudine
(^^): io non negherò che il misticismo di Gersone non abbia lasciato in questi
trattati alcun vestigio qua e là. Si tenga presente che il Medio evo non era
ancora passato. Inoltre io* ricorderò che P., scrivendo st Marco amico suo
(**), che voleva farsi frate, dopo avergli mostrato il pregio maggiore della
vita politica spesa in servigio della propria patria in confronto con la
grettezza della vita claustrale, lo dissuade da tal pensiero: e poteva citargli
anche il proprio esempio. Del Secretum parleremo più innanzi. Intanto noto che
molto erroneamente seguitano alcuni a chiamarlo De contemptu mundio e lo
confrontano poi al De contemptu mundi di Innocenzo III, che il P. forse neppure
conosceva. Quest'opera del noto pontefice è veramente un trattato ascetico,
laddove il Secretum è la storia veridica dell'animo del P., che in esso
trasfuse la foga del suo cuore innamorato di Laura e della gloria. Né il De
Giovanni (^*) pure credo che colga il vero quando lo riavvicina al De contemptu
saeculi di san Bonaventura, che volle davvero con esso persuadere gli uomini a
lasciare il mondo e a ritirarsi a Dio. Senza dire che anche questo trattato non
ha, per l'argomento, che vedere con le intitna confessioni del P. (che tale
infine è il significato del Secretum); ma basta guardare alla conclusione del
filosofo serafico per persuadersi che siamo ben lontani dal pensiero dal P.
espresso nel Secretum e negli altri trattati su detti: « Fugite et salvate
animas vestras. Convolate ad urbes refugii,^ ^d loca videlicet ubi possitis de
praeteritis agere poenitentiam, in praesenti obtinere gratiam, et fiducialiter
futuram gloriam praestolari * ("). Il Petrarca non ha mai parlato in
questo modo, che è la negazione della sua solitudine e del suo ocium, €ome
abbiamo notato. Non si parli dunque di arido ascetismo. Né tuttavia si neghi
che il sentimento religioso del Petrarca non ascenda alcune volte a un mite e
sano misticismo. Imperocché anche a uno spirito sano e pur sinceramente
religioso, il quale pensi che a questa mortai vita un'altra ha a succedere,
nella quale si vedrà la vanità di ogni operazione e di ogni pensiero che non vadano
al bene, può avvenire, io penso, di scrìvere e di sentire molte volte cose
simili a queste: « Ogni volta che io per mezzo della mia ragione mi sollevo in
quell'alta rocca aerea dello spirito che al pari delle cime d'Olimpo ci fa
vedere sotto di noi le nuvole, io sento in qual tenebra, in qual nebbia di
errori noi qui su la terra ci aggiriamo Sono fantasmi che ci tormentano, larve
che ci spaventano, fulmini che ci atterrano e ci trasportano in alto come
deboli canne. Il pessimismo del P.- Il pessimismo Cristiano - La vita umana
secondo P. - Il De remediis utriusque fortunae - P. e il Leopardi - L'acedia e
le contraddizioni del Petrarca hanno radice nel suo sentimento religioso. «
Tota philosophorum vUa comtnetUcUio mortia est > m^'M o penso che con queste
parole possa bene accordarsi ancora 1' amore alla vita, alla bellezza, a ogni
grande idea umana, alla società terrena: intendendo che per un animo
naturalmente religioso Y uomo anche quaggiù ha una missione a compiere e un
ideale da conseguire. Vorremo con spregio chiamar mistici tutti coloro che
credono in Dio e nella vita futura? Forse il segreto proprio della grande anima
di Francesco P. non è il misticismo per se stesso: occorre invece ricercare
quale concetto egli avesse della vita umana. Ugo Foscolo (*^) nota che P.
inclinava a una sensibilità morbosa, malattia ch'è propria degli uomini di
genio: da questa dipendeva anche il continuo cambiamento di umore e l'animo per
natura proclive alle passioni (*^). Egli ci appare già nel trecento con i segni
del morbo di Giacomo Leopardi. Francesco P. e Giacomo Leopardi sono due nomi
che paiono contrari, e invece sono presso che sinonimi. P. per lungo tempo è
stato considerato come il più felice degli uomini della nostra letteratura; il
quale dalla generazione i cui padri avevano perseguitato e condannato
l'Alighieri, riceveva lodi e trionfi in quantità (*'). Ma chi ha letto tutte le
opere del P. può confessare, credo, che la nota fondamentale del sentimento suo
è sempreil dolore, e il pianto gli sta continuo su gli occhi. Al più egli fu
felice sino al 41; ma dal giorno della sua coronazione le sventure non gli
hanno lasciato tregua mai (**): furono morti di amici a lui più cari, dolori
domestici tanto più grandi quanto meno egli ne parla: le passioni poi dell'anima
e del corpo, che in uomo volgare non apportano grande turbamento, suscitavano
in lui tempeste grandissime; la ricerca affannosa di una felicità ch'ei non
trovava lo rendeva incapace di fermarsi in luogo alcuno. A tutto questo poi si
aggiunga l'eredità che col cristianesimo il sentimento religioso gli aveva
apportato: vo' dire il pessimismo. « È innegabile che la religione cristiana
contiene* in sé più che i germi della funesta malattia: la quale tuttavia potè
svilupparsi per un procedimento storico che, non essendo stato ancora ben
definito, sarebbe argomento di importantissimo studio. Nella, predicazione di
Cristo e ne' vangeli non c'è il disprezzo di questa vita e quel riguardare la
natura un peccato (*^). Ma in seguito il cristianesimo, aiutato in ciò dal
dogma e dalla filosofia, fonda il suo pensiero filosofico religioso su due basi
essenzialmente pessimiste: la colpa originale e la predestinazione. Certo anche
in Platone è qualche traccia dell'hoc lacrymarum valle nella dottrina del
carcere corporeo; e anche Cicerone aveva detto, come P. -spesso ricorda: haec
nostra quae diciiur vita niors est; così che anche ne' filosofi gentili egli
trovava la vita dover essere commenlatio nwrtis. Ma le religioni classiche,
greca e romana, ebbero appena un sentore della grande lotta che stava per
scoppiare fra l'umano e il divino, fra il senso e la ragione, fra l'uomo e Dio.
Nel Medio evo essa scoppiò terribile, e condusse il cristianesimo a parteggiare
per Dio contro l'uomo e l'umanità, per lo spirito contro il senso e la ragione,
per il cielo contro la terra. Nell'animo italiano popolare tuttavia noi abbiamo
già osservato che il sentimento religioso non portò mai il popolo nostro a
quest'ascetismo così fuori della vita umana e sociale, e che ciò fu merito
principale della tradizione classica ereditata col sangue dai nostri padri.' ^E
non ci fa meraviglia quindi che anche P., quasi inconsciamente, cercasse con la
filosofia platonica di nascondere i due punti più pessimisti del cristianesimo
su citati, credendo in un'esistenza futura delle anime negli astri e nella
bontà naturale di ogni anima (®^). Ma la lotta esisteva latente sì, ma feroce:
e P. è il primo uomo che nel Medio evo avverti il contrasto dei secoli, e nel
suo animo profondamente religioso vide concentrate tutte le guerre passate: da
una parte i padri della Chiesa e i santi del Medio evo; dall'altra i classici
latini e la tradizione italiana e la corruzione del Papato. A un amico che
aveagli chiesto qual giudizioegli facesse della vita, rispose^ ^ Sembrami la vita
essere albergo di dolorosi travagli, teatro d'inganni, labirinto di errori,
palco di giullari, deserto orribile, fangosa palude, tenebrosa spelonca, campo
pietroso, tana di belve, sonno inquieto, ridente frenesia, speranza inutile,
gioia bugiarda, riso scomposto, inutil pianto, ansia perpetua, morbo continuo,
doppia malattia, titoli infami, vaso fesso, sacco sfondato, lusso idropico,
avida stomacaggine, nausea famelica, fiore caduco, osteria di passaggio,
carcere tetro, nave senza governo, laccio traditore, scoglio durissimo, vento
impetuoso, turbine nero, pelago procelloso, sentina di libidine, abisso d'odi,
canto di sirena, onorata vergogna, velata ignoranza, regno di demoni ecc. ecc
Ed è peggiore ancora » f ^). ^ È inutile quindi chiedergli che cosa è la morte:
egli vi risponderà che è la fine di ciò che dianzi ha detto della vita. E chi
volesse su questo argomento confrontare P. con il Leopardi troverebbe che quasi
tutti i Canti di quest'ultimo hanno già la loro ispirazione nel Canzoniere del
primo. E pur tuttavia né P. né il Leopardi hanno nulla a vedere con il
pessimismo tedesco o schopenaueriano: che dalle loro maledizioni scoppiano
inconscie le benedizioni, nel pianto trovano la gioia delle lacrime, nell'odio
l'amore; i loro versi indicanti disprezzo della vita se li metti insieme ne
formano l'inno di ammirazione più bello. Ed é per questo loro stato psicologico
perenne che nei loro scritti troviamo serpeggiare il dualismo,, come due
fossero gli scrittori, e nella loro vita dominare sovrana la contraddizione. Il
pensiero della morte riempie gli scritti e la vita loro; l'uno nel Secretum
scrive: patrie iam hominem natum poeniteat (**); l'altro nei Canti: nasce
l'uomo a fati4ui, — ed è rischio di morte il nascimento {^% E al P. e al
Leopardi balena l'idea del suicidio con fiamma solfurea; e l'uno compone a
morto il proprio corpo {^% e l'altro sente già le membra sue sciogliersi e
confondersi nell'infinita vanità del tutto. In alcun luogo P. poi osserva: «
D'esser vivo non si lagna nessuno: tutti della povertà, della fatica, della
vecchiezza, della malattia, della morte metton lamenti, quasi che men della
vita fossero queste cose secondo natura » (^^). Ed ecco balzare una concezione
deUa morte tutta opposta, quella che il Carducci ricorda, la greca eutanasia^ e
divenir bella nel bel viso di Laura e il P. desiderarla come dolcissima cosa.
Anche nell'universo essi videro riflettersi ugualmente l'odio e l'amore. P. del
Canzoniere diventa scrittore del De reniediis, che nella prefazione del secondo
dialogo della fortuna avversa, vedendo l'odio divenir legge universale, giunge
inconsapevolmente alla dichiarazione di un principio che è agli antipodi di
tutta la sua filosofia: la lotta per l'esistenza, ch'egh, precorrendo non so
come lo Spencer, dimostra lungamente per il genere minerale, vegetale, animale,
umano (^^). Ma se voi poi aprite le lettere, trovate al contrario: « Amore
unisce e governa le anime e la materia e tutto l'universo » (^^). Cosi se voi
prendete il Secretum, leggete a una pagina tutta l'esecrazione del peccato di
amar Laura, e nell'altra: « nihil pulchriua excogitari queat »; e non solo egli
ama lo spirito di Laura, ma anche il corpo: « animam cum corpore ». Quest'amore
bello e umano ritorna ad ora ad ora anche nei versi dell'infelice Recanatese.
Che cosa è l'uomo? * Nil miserius homine, nil debilius, nil pauperius »: così
P.; ma intanto riconosce l'importanza dello studio psicologico, aggiungendo: «
nimis magna res est ». Nella prefazione del primo libro del De remediis {^%
considerando le umane cose, dice che noi siamo per natura condannati
all'infelicità: le cose presenti ci annoiano, le passate ci attristano, le
future ci fanno guerra. Così noi trasciniamo una vita, il principio della quale
è posseduto della cecità e dall'obblivione, il mezzo dalla fatica e il fine dal
dolore, e l'errore poi signoreggia tutto. Ciò non accade agli altri animali, i
quali cercano di scampare solo dai mali presen^(i, di maniera che sarebbe quasi
meglio che noi fossimo privi di ragione, perchè voltiamo a nostro danno le armi
della nostra divina natura (^^). Ed egli è tanto persuaso che le ricchezze, gli
onori^ gl'imperi siano grandi fatiche, più gravi della povertà e dell'esilio é
della morte, che imprende a scrivere non per dilettare, ma per far opera
giovevole e dissipare gl'inganni {^^^). E siu dal primo dialogo, parlando della
gioventù, che suol riputarsi un bene perchè più lontana dalla morte, osserva
amaramente: « se due andassero al patibolo chiamereste voi forse meno infelice
il secondo, del primo? ». Così procedendo egli arriverà in questo medesimo hbro
(^^^) a dichiarare che nessuno può quaggiù esser felice mai, neppure colui che
è virtuoso, « qui aeque miser est habendtis ». E si toglie anche ogni speranza,
e l'ultima dea fugge innanzi a questo sillogismo: * chi spera non ha, dunque lo
sperare è privazione, dunque è un'infeUcità dell'anima »; laonde P., ridendo
delle discussioni filosofiche intorno al bene, conclude: « bene sperando et
male hahendo transit vita mortalium ». Né voglio ora neppur accingermi ad
esporre il pensiero del P. intorno alla gloria e alla fama: tutti lo conoscono.
L'autore del Favini ovvero della Otaria ha ridotta in nuova forma ciò che nei
Trionfi € nel Secretum e in quasi tutte le opere petrarchesche è ripetuto
(***). Al contrario, come il Leopardi per la gloria sopratutto scrisse e visse,
P. medesimamente aveva confessato nel Secretum (*^^) di aspirare alla umana
gloria: « ut mortalium rerum inter mortales prima sit cura transitoriis »;
d'altronde, aggiunge nel De remediis {^^% tutti i più grandi uomini haii
bramata la gloria umana, benché questa sia molto grave per i continui affanni
che apporta: « durum «erte, sed tollerabile, imo et invidiosum et optabile ».
Ed ecco uscire una falange di critici poco benevoli i quali si dolgono che messer
Francesco, dispregiando tanto l'umana vita, abbia sino alla morte cercato Laura
e il dolce lauro. Certamente poi prende un grosso abbaglio il Koertiiig quando
vuol fare del pessimismo del Petrarca un anticristianesimo (*^^): esso ne è
anzi la logica conseguenza. Il pessimismo del P. e quello del Leo' pardi hanno
per comune fondament o la noia di questa vita; ma poi si discostano grandemente
in questo, che P. ha ancora un profondo concetto religioso; nel Leopardi al
contrario è succeduto il dubbio alla fede, e la religione s'è trasmutata in un
panteismo filosofico: Torquato Tasso col suo doloroso dubbio è forse, per
nascosto tramite, l'anello di congiunzione fra il trecento e l'ottocento.
Concludendo, noi intendiamo che la malattia del P. di cui si confessa egli
stesso, cioè la famosa acedia o aegrUudo animi, sia veramente quel morbo
terribile che il Cristianesimo ha lasciato in eredità alle anime che più
sentirono il bisogno di amare e di credere insieme, di accordare la ragione con
la fede, lo spirito col senso: l'ultimo grande malato di acedia, ma già
inguaribile, fu il Leopardi. Certamente dunque errano coloro che sentenziano P.
essere stato né più ne meno che uno scettico, e confrontano il Leopardi con lo
Schopenauer: essi non tengon conto dell'importanza e profondità e varietà del
pensiero religioso ne' grandi nostri. Tutte le contraddizioni di Francesco P.
si riducono infine a questo: che il suo pensiero religioso vacillava fra la
tristezza del cristianesimo e la serenità delle religioni antiche, fra
l'autorità de' libri santi e lo scandalo vivente della Chiesa di / Roma, fra il
Medio evo e il Rinascimento. Il pensiero religioso voleva in lui divenire
pensiero filosofico; e nel terribile sforzo P. ne sofferse grandemente, ma aprì
la via al quattrocento e a Telesio e a Pomponazzi e a Bruno e a Campanella. P. non è
strettamente un filosofo [cf. H. P. Grice: Two senses of ‘philosopher’:
professionally engaged in philosophical studies; disposed to provie general
reflections about life. Ma
ne' suoi scritti è un ampio contenuto filosofico - E aveva ancora ingegno
filosofico - Il P. e la scienza - Meriti filosofici del Petrarca - Il Rerum
memorancfarum - Carattere morale, sociale e politico della nuova filosofia.
Andar dobbiamo in tracce di nuove cogniMtoni indefessamente finché ci duri la
vita EL pensiero religioso adunque di Francesco P. sono da ricercarsi il
pensiero e il concetto ch'egli ebbe della nuova filosofia. Con questo non
intendo di scemare il merito suo. I suoi libri sono pieni della filosofia antica
e moderna: e credo che tutto Cicerone sia in essi trasfuso, e che Agostino e
Lattanzio e altri molti trovino in essi tanta parte delle proprie dottrine che
volendo anche solo riassumerle non basterebbe un grosso volume {^^^). Ma nel
grande crogiuolo, per così dire, della sua mente, tutto acquista uno scopo e un
carattere subiettivo proprio del P. (*^'). Il quale perciò molto liberamente
prende intorno al suo argomento le opinioni di ogni scuola che a lui sia utile,
a costo di cadere in contraddizione filosofica {^^^). Quindi (egli stesso lo
afferma) non è giusto, come molti fanno, chiamarlo né peripatetico né
accademico, né stoico; e neppure eclettico, perché l'eclettismo {^^^) e una
sapiente ricostruzione con argomenti tolti da molte filosofie, sì che formino
Town unico edificio: nel P. questo non è. Né, €ome abbiam visto, egli è
filosofo mistico né razionalista, benché misticismo e razionalismo abbiano sì
grande parte nelle opere sue (***). Dunque il Petrarca, per questo rispetto non
si può chiamare filosofo: ciò non toglie ch'egli nella storia della filosofia
non abbia diritto a un posto importantissimo. Vero é che P. aveva ingegno
filosofico e nelle sue opere sono infiniti i brani che ne dimostrano
l'acutezza. Osserviamone alcuni brevemente. A Cicerone che aveva detto gli
uomini sovrastare ai bruti per la favella, P. fa osservare che la facoltà
discorsiva presuppone l'altra intellettiva, e che se quella mancasse basterebbe
questa perché l'umana specie fosse molto al disopra dei bruti: ai quah tuttavia,
se non furon dati l'intelletto la scienza e la memoria, é da riconoscere alcun
che di simile all'intendimento e alla discrezione (^^^). E al pari di Dante che
con novità aveva nel Convito definito la filosofia un amoroso tiso di sor
pienza, egli, combattendo i cattedrari e plebei filosofi del tempo, affermò che
essendo la filosofia amore, cioè desiderio di sapienza, ogni uomo che la vuole
può amandola conseguire. Che se alcuno gli facesse obiezione che non tutti
nascono con uguale ingegno, egli risponderebbe essere necessario star contenti
fra i termini che al nostro ingegno posero Dio e la natura: « imperocché fino a
tanto che aDdremo in traccia di nuove cognizioni, e andar vi dobbiamo
indefessamente finché ci duri la vita, luoghi tenebrosi e oscuri ci si
pareranno d'innanzi ogni giorno per entro i quali cercherà invano di penetrare
la nostra ignoranza: e quindi a noi tristezza rancore e dispetto contro noi
stessi; ed ecco la scienza che ti promettevi ricca sorgente di puro diletto
fatta cagione di molestissimo affanno e della vita nostra non più fida scorta,
ma morbo micidiale. Deesi con lo studio aiutar l'ingegno, non sforzarlo dove
salire non poi^sa, che ciò facendo cade a vuoto » (**^). Anche in ciò mi pare
che il verso dantesco spesso frainteso: state contenti umana gente al quia; non
potrebbe desiderare miglior commento. Chi accuserà Dante Alighieri di avversar
la scienza, per cercar la quale egli condotto di girone in girone, di balzo in
balzo dà l'esempio più manifesto del cammino dell'umano sapere che di collo in
collo ricerca affannosamente il vero? Nelle parole del P., in quell'andar
indefesso finche ci duri la vita, è un forte sentore di quella dottrina che il
Vico e gli Enciclopedisti chiamarono dei progresso. Certo non ne mancava la
fede a chi scriveva: « Scorrano più* dopo noi altri dieci mila anni, si
accumulino secoli a secoli, mai non sarà chiusa la strada a nuovi trovati »
{^^% Evidentemente siamo ben lontani dalla filosofia del tempo che nelle scuole
insegnava ogni verità essere nei modi del sillogismo contenuta. Ma « la
dialettica (scriveva P.) è un mezzo e non un fine, come al contrario stimano
essi »; ed ei voleva non che ne lasciassero lo studio, ma che s'affrettassero
in quello, affinchè loro fosse scala a cose più alte {'''). Egli per primo nel
suo tempo diede esempio della nuova filosofia, ripristinando il metodo latino
di trattazione che già aveva fatto mirabili prove con Seneca e con Cicerone e
anche con Platone e con Agostino. Così sciolse le ferree catene che spesso nel
Medio evo tolsero le ali a fortissimi ingegni, e- ravvivato alle fonti della
natura e della vita umana il contenuto della nuova filosofia, essa potè poi
spiccare il volo alla grandezza del Risorgimento e della moderna filosofia
Quale concetto ebbe P. della nuova filosofia e a qual ufficio la destinava? Il
Rerum memorandarum doveva esserne un primo esempio, iniziando un commentario di
tutte le virtù. Ma, così come ci è giunto, non è che un insieme disordinato di
alcuni appunti: i quali paiono colonne grandiose di un tempio non più eretto.
Si comincia dalla prudentia, e dìstinguesi in memoria, intelligenza,
provvidenza: Tintelligenza, pure ch'egli definisce cognitio rerum praesentium,
distinguesi in speculativa e pratica: la perfetta è quella che <;ongiunge
pensiero e azione. Così logicamente si giunge al concetto di una filosofia che
sia medicina delle anime; e il suo ufficio è insegnar Varie di ben vivere
(**'). La stessa eloquenza diviene una parte della filosofia. Cicerone l'aveva
infatti definita: « nil aliud nisi copiose loquens sapieniia »; e Catone: «
orator est vir bonus dicendi peritus *: e P. unendo la sapienza della mente
alla bontà dell'animo arrivò al concetto della vera eloquenza, come del primo
frutto della nuova filosofia. Si comprende allora che quando spesso dice che
Platone è più eloquente di Aristotele, non fa, come comunemente si dice, una
questione retorica. E però con profonda verità afferma, sin da giovine,
studiare non per divenir dotto, ma per migliorare la propria vita (^**), E
altrove esce in queste bellissime parole che io vorrei fossero meditate da
coloro che in un modo o nell'altro oscurano la santità della vita del grande
Aretino (*^^): « Tutti non possono essere Ciceroni, Fiatoni, Omeri, Vergilii;
ma buoni sì che tutti possono divenire pur che lo vogliano. È degno di molta
stima, se buono sia, pur anche il pescatore, l'agricoltore, il pastore. Meglio
l'uomo dabbene senza il sapere che non il sapere senza l'uomo dabbene. La virtù
vera poi è quella che insegna a sentir rettamente di Dio e a operare rettamente
fra gli uomini (**®). La nuova filosofia è dunque, come egli splendidamente
dice, una cultura delVanimo (**^), intendendo a darle due uffici nuovi: Funo
educativo^ Faltro psicologico. « « In tanta barbarie e viltà ecclesiastica e
feudale si comprende bene quanto grande fosse per la coscienza italiana il
beneficio della nuova filosofia nel rispetto politico e sociale. Già il
Carducci notava che il concetto della libertà è più vivo in lui che in Dante
(*"). E in verità in tutto degna del grande Astigiano è la uscita del P.
di Parma assediata e piena di ignobili guerriglie: « Ed io fra queste strette
sentii nascermi in cuore il desiderio di quella libertà che ardentemente sempre
bramai, che fu lo scopa di tutti i miei voti, alla quale io corro di continuo
»; e coraggiosamente di notte esce tra i nemici, è assalito e attorniato, cade
e riman pesto e senza flato; si rimette in sella, solo; e sotto grandine e
pioggia, mentre dalle mura lontane s'udiva il borbottare delle nemiche scolte,,
sotto il cavallo si accovaccia e aspetta l'aurora. Ed è poi degna del Parini*
l'altra lettera con la quale, dopo aver rinunziato alla carica di Segretario
del Papa, racconta a un amico come egli causasse quel giogo d'oro con infinita
gioia: « Io non voglio aver riguardo, scrivendo, alla dignità e alle ricchezze
di chi mi legge: voglio che un papa e un re pongano nelle mie cose
quell'attenzione medesima che qualunque altro, ed anche più se son più poveri
d'ingegno. E il poeta della pace("*)cliviene poeta di guerra per la
libertà, senza la quale la pace è obbrobriosa (^*^). E scrive a Gola con
spiriti di cospiratore, e pieno dì odio alla tirannide e di fuoco ribelle in
una celebre esortatoria fa l'apologia dei Bruti (*"). Altrove contro la
tirannia additava il vero rimedio, la bontà dei cittadini: « se la patria avrà
anche un solo buon cittadino, non avrà lungo tempo un cattivo signore >.
Egli arrivò cosi, con Dante, al nuovo concetto della nobiltà, non più fondata
sul sangue ó le ricchezze, ma su la virtù e l'ingegno: e queste cose ascriveva
anche a Roberto e a Carlo IV, e aggiungeva: « tutto il sangue è d'un colore, e
qual è quel re che non viene da schiavi, o quel servo che non viene da re? »
("•). Di qui ancora la concezione di un governo al tutto democratico, tanto
che interrogato come cacciar si potesse di Roma la succeduta anarchia additò e
dìihostrò lungamente nella cacciata dei nobili tiranneggianti il solo rimedio
al male: « Via su dunque cacciate costoro e chiamate la plebe romana alla
dovuta partecipazione dei pubblici onori » (*^®), È cosa poi ben strana nel P.
un accenno alla grande utopia del filosofo dì Stilo, che dopo più dì due secoli
trovò neUa stessa isola di Taprobana la Città del Sole: « Nell'isola di
Taprobana (scrive P.) (***) che siede nell'oceano orien tale molto dì là
dall'India e per diametro opposta alla Brettagna, si elegge per arbitrio del
popolo il re, e non vi valgono o la ricchezza o la nobiltà del sangue, ma tutto
il favore si attribuisce alla virtù; di maniera che la grandezza o il parentado
non gli rimuove dalla elezione del migliore uomo: oh! santa e felice usanza che
è questa, la quale piacesse a Dio che s'usasse a eleggere i nostri re, che
forse non sarebbero succeduti per Taddietro ne' reami i figliuoli peggiori dei
padri, e i nepoti piti pessimi che i loro antichi, e non avrebbero corrotto e
guasto il mondo con la superbia e licenza loro »: là il re deve essere senza
figli, e se mentre è re ne avesse, deve subito abdicare. Quale il pensiero
politico dantesco, tale dapprima fu l'ideale politico del P.: cioè un
imperatore che fosse come arbitro di pace fra le cristiane nazioni (*^*); ed è
notevole che P. molto più chiaramente di Dante afferma doversi l'imperatore
tedesco considerare italiano (^^^). Vero è che in seguito s'accorse essere vana
ogni speranza in papi e imperatori. Allora ì due soli di Dante si oscurarono, e
le due spade che tanto avevan travagliato la mente de' Dottori medioevali egli
le vide spuntarsi. E dopo acerbissimi rimproveri a Carlo IV, finì col
dichiarare che l'Impero fu sempre l'infausto pianeta d'Italia (^^*). E il
pensiero e l'amore della grande Patria, ch'egli aveva sempre agitato, divennero
più splendenti e chiari che mai. P. per primo nelle sue canzoni italiane e ne'
carmi latini saluta c^hiaramente e dolcemente la santissima terra, la patria
Italia, cinta di due mari e altera di monti famosi, onoranda a un tempo in
leggi e in armi. E certo risuonò per molto tempo all'orecchio degli italiani
quel memorando verso: che fan qui tante peregrine spade? (*^^); perocché il
Machiavelli con quella canzone dà termine al suo Principe, e Stefano Porcari
muore recitando quei versi, e Giulio II compendierà la grande opera del P. col
grido famoso: ftiori i barbari. Chi condusse P. a tanta grandezza patriottica ?
Il De Sanctis dice che l'amore del P. all'Italia fu un amore filosofico. Non
credo. Forse più giustamente il Bartoli notò che nel pensiero religioso è in
lui la radice del pensiero patriottico, e lo confrontò con il Lamennais. Ciò
del resto è stato sempre sentenza comune a molti filosofi politici, che sin da
Platone pensarono che vera religio est firmamentum reipUblicae. Le relazioni
fra Chiesa e Stato sono per il Petrarca quelle medesime che fra Cristianesimo e
Paganesimo, rampollando entrambi dal pensiero religioso. Quindi non l'Impero
soggetto alla Chiesa, come in san Tommaso; non la separazione della Chiesa
dall'Impero, come in Dante; ma Chiesa e Stato tendenti a un unico fine: la
grandezza politica e insieme religiosa d'Italia. Ch* i* medemmo non 90 qnél eh*
io mi voglio i A queste brevi considerazioni si può, credo, concludere che come
l'Umanesimo nel trecento, intraveduto appena da Dante, ebbe nel P. il verace
precursore; così il Risorgimento filosofico, che in Italia si fa cominciare nel
quattrocento, ebbe inizio veramente con Dante e col P.: l'uno avendo alla
filosofia dato carattere laico, l'altro avendo abbattuto le scuole del tempo e
dato gU elementi della filosofia nuova. Quali sono questi elementi? Riassumiamo
brevemente. Il Fiorentino ne' suoi studi su la filosofia del Risorgimento
osserva che la disputa su la preferenza di Platone ad Aristotele costituisce,
se non tutto il significato filosofico del quattrocento, almeno la parte più
importante. E però, laddove tuttodì si afferma che il merito di ciò spetta a
Giorgio Gemisto e agli altri greci venuti in Italia dopo la caduta di
Costantinopoli, noi troviamo molto tempo prima doverne assegnare il merito a
Francesco P. È vero: il motivo che spinse P. alla preferenza della dottrina
platonica non è punto speculativo, e però rigorosamente filosofico. Ma certo si
esagera ripetendo ch'egli seguisse in ciò non so* quale proprio istinto, che
poi sarebbe un'inesplicabile leggerezza. P., abbiam veduto, non dispregia
Aristotele: tutt'altro. Egli conosceva bene e lodava grandemente l'Etica
aristotelica, ma diceva di non trovare in essa (ciò che è in Platone) l'ardore
che la virtù conosciuta deve di sé suscitare. Poi abbiam notato che il pensiero
religioso è la sorgente na-scosta così di questa, come di altre opinioni del
P.. Ora il Fiorentino stesso osserva che le contese del quattrocento ebbero per
vero motivo la questione del cristianesimo, al quale alcuni dicevano Platone
accostarsi maggiormente, altri Aristotele. E P., che né platonico né
aristotelico né ciceroniano voleva esser chiamato, ma cristiano, vide così
chiaramente ciò che altri sentirono confusamente. Anche intorno alla dottrina
aristotelica egli precorse le accuse, che affaticarono tanti ingegni nel secolo
seguente: non avere cioè Aristotele conosciuta la provvidenza e la creazione, e
aver negata la immortalità^^d^lTanima, senza la quale nessuna vera religione
può reggersi. Certo i libri filosofici del P. dovettero avere un'efficacia
grandissima su le nuove generazioni, se Gino Rinuccini quasi con le stesile
parole, certo con il medesimo pensiero, ripete col P. che: « Platone è maggior
filosofo che Aristotele perchè in sua opennione del- i Fanirna è più conforme
alla fede ca ttolica : ma nelle ' cose ch'anno bisogno di dimostrazioni e di
pruove Aristotele è il maestro di coloro che sanno » ("*). E Colacelo
Salutati e Luigi Marsigli e tutta una valorosa coorte di pensatori si misero a
seguitare la tradizione dal P. iniziata. E l'Aretino per bocca del Niccoli
ridirà di Aristotele col P.: « se i libri aristotelici, così come corrono si
portassero allo stesso autore, ei non lì riconoscerebbe per suoi, più che
Atteone, i convertiio in cervo, non fu riconosciuto dai suoi €ani » (^^®). Così
P. distinguendo Aristotele dai traduttori e mettendo in guardia i filosofi
contro questi, suscitò grande desiderio di conoscere il pensiero genuino del
grande Stagirita. L'Aretino stesso, sebbene platonico, misesi a tradurlo, e
scorse che anche in qUesto non mancava (come P. aveva indovinato, ma
inutilmente) quell'aureo fiume di eloquenza che era il pregio più generalmente
riconosciuto in Platone. Di Aristotele i primi libri tradotti furono gli Etici
e i Politici. Nelle dispute poi di eloquenza è vero che alcune volte si
trascese a contese solamente formali, ma in generale (come P. voleva) essa fu
congiunta con la filosofia: non vi fu cattedra di eloquenza cui non fosse
aggiunto lo jsl;udio della filosofia morale (^^^). 11 problema dell'immortalità
dell'anima fu il più — Siimportante che preoccupò i nuovi moralisti latini;
finché si giunse al Pomponazzi che nel suo cele^ berrimo libro De immortalitate
animae affrontava la grande questione e concludeva non potersi quella con le
dottrine aristoteliche dimostrare: il suo libro fu abbruciato dalla Chiesa. Ciò
poi non fa che mostrare, a mio avviso, quanto il sentimento cristiano
informasse tutta Topera di questi umanisti, il Valla compreso, come si disse. E
tutto cristiano è quell'idealismo di Marsilio Ficino, il quale tiene accesa una
perenne lampada innanzi all'effigie di Platone, della cui dottrina egli fu in
quel tempo il più grande maestro. Quelli che non ebbero molta attitudine
filosofica preferirono ad Aristotele e a Platone i filosofi posteriori, dal P.
per primo messi in onore: stoici, epicurei e specialmente eclettici; Cicerone
fu il maestro di questi, che da lui si chiamarono Ci\ ceraniani: e fra essi
furono, oltre il Valla, il Nizolio^ il Vives, il Ramo ed altri. Ma in ogni modo
e i platonici e ì ciceroniani [furono ugualmente avversi alla Scolastica: i
primi per la dottrina medesima che essa insegnava, gli altri anche per la forma
barbara e per i procedi 1 menti artificiosi. Insieme alla morale filosofia P.
aveva \/ risvegliato la filosofia sociale e polìtica. Già Dante alle dottrine
scolastiche e alla concezione d’AQUINO (vedasi) del sole e della luna
(rappresentanti l'uno il potere pontificio, l'altro l'imperiale) aveva
sostituito l'altra dei due soli uguali e indipendenti fra loro. Il Petrarca
vide i due soli oscurarsi: e però nel suo pensiero religioso e patriottico egli
già prenunzia Giovanni Boccacci che deriderà finamente papi e papato, impero e
imperatori; e Marsilio di Padova che stabilirà la Chiesa essere costituita da
tutti ì fedeli, alla assemblea dei quali il papa deve essere ossequente, e,
combattendo la donazione costantiniana, proclamerà l'assoluta povertà di
Cristo. Il problema politico poi non sarà mai più abbandonato: anzi nella
pienezza del Rinascimento sarà argomento de' studi di profondi pensatori, che
son la gloria della nostra filosofica tradizione. La quale vediamo sorgere da
molteplici connubi di opposti elementi: da una parte cioè congiunge il
sentimento italiano profondamente cristiano all'odio contro la Curia e contro i
corrotti e corruttori pontefici, e assale la cupidigia e l'avarizia della
Chiesa; dall'altra tempra il misticismo inerente al cristianesimo col sano
risveglio dell'eredità latina,, sociale e politica, A tutto questo poi si
aggiunga lo spirito di libertà, del quale P. aveva dato sempre splendido
esempio, ribellandosi per primo a tutte le autorità antiche e moderne,
filosofiche e teologiche, qualora non gli garbassero. « Nihil saeculis nostris
invisius quam haec duo: veritas et libertas >: così egli scriveva; e però è
vero che dà il nome di divini filosofi a Platone, a Cicerone e ad Agostino, ma
eoa grande alterezza soggiunge: « ma rautorità di essi a me non toglie la
libertà del giudizio » (^**). E altrove, dopo di aver chiamato volgo spregevole
quelli che déiVipae dixit si facevan arma di logica, soggiunge che debbon esser
guide al filosofo: « et auctoritas et ratio et experientia . I tempi eran
maturi perchè con la voce di Martin Lutero s'elevasse anche quella di Galilei e
di Bacone. Seguitando a raccoghere nel Rinascimento italiano quelle auree fila
che nel P. hanno principio, non sono certamente da trascurarsi i due caratteri
principali che P., quasi senza avvedersene, diede al pensiero filosofico e
religioso: cioè il carattere naturalistico e l'altro psicologico: l'uno
condusse poi in filosofia al panteismo di Giordano Bruno e al naturalismo
scientifico; l'altro diede al sentimento religioso italiano una forza potente a
tradursi in grandissime manifestazioni artistiche e letterarie. II sentimento
della natura in Francesco P. è affatto nuovo, e traspare profondo da tutte le
sue opere. Leggendo la vita di questo letterato si rimane meravigliati della
quantità de' suoi viaggi e dell'intensa curiosità che lo spingeva a vedere
terre lontane e costumi stranieri. E oltre Vltinerarium Syriacum molte altre
sono le cagioni per cui egli meritamente è annoverato fra i geografi più
importanti di quel tempo. Così suscitando l'amore di nuove cose e distruggendo
pregiudizi e allargando le idee, P. preparò gli animi ai benefici effetti che
produsse la scoperta del nuovo mondo. I viaggi, dice il Kraus, hanno aperto gli
occhi a quest'uomo straordinario, e per mezzo di lui l'umanità del Medio evo
già declinante scoperse la magnificenza della natura che ci circonda. I viaggi
infatti nel Medio evo si intraprendevano per fini militari o commerciali o
religiosi; non per essere scopo a se stessi. P. superando difficoltà
incredibili e pericoli e disagi per strade spesso difficilissime viaggiava:
viaggiava per viaggiare e per vedere uomini e cose, popoli e costumi di lontane
regioni (^^^). Così egli è il primo che si recasse a un'ascensione alpina col
solo scopo di godere di lassù un'idea: la grandezza del paesaggio e dei monti.
E di lassù egli scoprì nell'infinito panorama la storia del mondo e dell'uomo e
dell'ultramondano: e al Medio evo, discesone, rivelò il nuovo pensiero. La lettura
di sant'Agostino lassù e le considerazioni mistiche che dal profondo dall'animo
gli suggerì, dimostrano quanto fortemente al sentimento della natura egli
congiungesse lo spirito religioso dell'anima sua. Ma un'altra cosa scoprì P.
dalla cima del Ventoux: scoprì che niente al mondo è più meraviglioso dello
spirito umano. Dante nella Vita Nova dà senza dubbio un esempio di psicologica
trattazione di cose umane; ma P. trovò un sentimento psicologico tutto moderno,
il quale consiste nell'irradiare fuori di sé Fanima propria con le proprie
passioni e nello stesso tempo dell'anima propria far centro di tutto
l'universo. Il fiore piti bello del pensiero petrarchesco, disseminato nelle
opere latine, è il Canzoniere. Il De Sanctis, nel suo saggio critico sul Pe-» trarca,
gli rimprovera l'abuso della riflessione nelle poesie italiane (*^*). Questo
deriva da quella finissima analisi che P. fa nel suo Canzoniere delle
sensazioni e dei sùbiti moti della propria psiche. Le canzoni specialmente sono
alcune volte una vera poesia psicologica: fra l'altre quella: i' vo pensando; è
un piccolo Secretum^ e con l'ultimo verso: E veggio 1 meglio ed al peggior
m'appiglio; ridicendo felicemente il noto: tMeo meliora prcboque, deteriora
sequor; conclude l'esame di una situazione perenne dell'animo umano: così nel
Secretum^ dopo i molti ammonimenti di Agostino, P. risponde ringraziando, ma
poco persuaso di essersi convertito. E questa lotta fra senso e ragione che nel
Petrarca è alimentata dal pensiero filosofico religioso, Jfa del Canzoniere un
romanzo, nel quale l'amore per Laiu-a, sensuale dapprima, si raffina e purifica
sempre più finché diviene sopratutto spirituale, e il poeta parla poi nei
Trionfi con l'anima della morta amica. E forse tenendo conto maggiore di questo
psicologico svolgimento non si sarebbe detto che Laura è parto fantastico del
P., o che nel Canzoniere si cantano molte Laure o una Laura al tutto ideale
(^*^). Chi sa ben leggervi^eiitro nelle Rime scorge tutto aperto il cuore del
P.; il quale, facgndo^disè specchio, ci ha descritte le piu^nrrtinie fibre del
suo seriliììreiito. Il mmidaè un accessorio per lui, per ciò che egli lo
esamina colorato e trasformato dalle proprie impressioni. Talora, dice il De
Sanctis, pare che scherzi con l'anima propria. Così, approfittando di questo
specchio che il P. ci mostra di se stesso, non sarebbe difficile, credo,
seguire nel Canzoniere lo svolgersi del sentimento filosofico religioso,
notandone la parte che il misticismo e il pessimismo e la ragione vi prendono
(^*®). Chi ha notato, per esempio, per qual tramite ascoso vengon fuori dal
cuore del poeta i confronti tra Laura e Cristo e la Vergine?. A ogni modo è
certo che il colore, dirò così, psicologico, che è il carattere vero e
novissimo del sentimento religioso del P., è a lui tutto proprio e ben diverso
da quello che è, per esempio, in Agostino. Si prenda il Secretum e si vedrà
chiaramente quanta è la differenza fra esso e le Confessioni del santo.
Agostino scrive fra la calma dello spirito, quando la passione essendo passata
egU poteva tranquillamente raccontarla: P. scrive il Secretum nel momento più
feroce della passione , e non per altro che per dar sfogo alle lacrime e
parlare con sé della passione sua (^**). Nelle Confessioni è la gioia del
convertito; nel Secretum il dolore di chi cerca di convertirsi senza volerlo
seriamente , perchè non persuaso che l'ascetismo e il misticismo siano tutta la
«vita. Nello scritto del santo la sacra Scrittura, il vangelo, la metafisica;
nel Secretum le sentenze pagane e il pensiero umano imperano. Nell'uno la
propria vita 4 narrata quasi per propaganda cristiana e a scopo polemico contro
gli eretici; nel* l'altro i fatti non servono che a indagare l'anima propria,
che appare misteriosa e profonda e tenebrosa tanto che l'occhio a fatica vi
discerne. Neppure nella Vita Nova s'arriva a tanto: essa è un commento a un
aspetto solo della grande anima dantesca e non ne cerca le profonde latebre. Il
Secretum è senza dubbio il primo vero ro* manzo psicologico, e toltane la forma
dialogica e l'aridità che qua e là deriva dal tempo e dai modi personali del
P., si potrebbe per alcuni rispetti confrontare con l'Ortis: certo non vi manca
l'amore della patria e dell'arte e di tutto ciò che è bello e gentile,
mescolato con quell'infinito dolore che si chiamò poi la malattia del secolo,
di cui l'ultimo malato fu Giacomo Leopardi. # Il Segré nel congedare, lo scorso
anno, i suoi Studi petrarcheschi (*^°) scriveva nella prefazione: L'età, di cui
P. è stato l'iniziatore, è lì, lì per chiudersi, e i fulgidi albori di una
novella, che scorgiamo disegnarsi baldi all'orizzonte, comincian di già ad
offuscare una espressione di vita spirituale che con diverse vicende domina
ormai da cinque secoli. Quella modernità petrarchesca fra breve, io credo, noi
non la comprenderemo più »: ed egli esorta ad affrettarci, finché lo possiamo
intendere, nello studio del P.. Ma (alcun frutto mi sia lecito trarre da questa
modesto scritto) così vorrei io concludere: — Come Dante diviene ne' secoli più
grande per il suo verso divino, così P. per Yumanità del suo pensiero vivrà
eterno. E sempre più necessario sarà l'interrogarlo; finché sarà continuo il
contrasto tra la ragione e il senso, tra l'elemento eterno e il caduco che
hanno loro sede nell'inteÙetto e nel cuore umano. De Odo religiosorum, I, a
pag. 307 dell'edizione latina delle opere tutte del P. stampata a Basilea nel
1554, secondo la quale sono anche le citazioni seguenti. (2) Vedi Storia della
letteratura italiana VII, Francesco P., ipsig. 55. (3) Vedi gl'importanti
lavori su Italia mistica e Italia parganay già pubblicati nella Nuova
Antologìa, ora riuniti nel volume Dal Rinascimento al Risorgimento (Sandron
1904). (4) Questa è la conclusione dello studio Italie mystique di Emilio
Gebhart. (5) Per Dante veggasi il Tocco: Quel che non c'è nella Divina
Comìuedia ossia Dante e l'eresia (Zanichelli 1899). Il P. poi nel De Odo (pag.
305) elogia Agostino perchè combattè coloro che avean predetto che il regno di
Cristo non sarebbe durato più di trecentosessanta anni: forse P. pensò che le
predizioni ioachimite e le altre fossero un seguito di quelle antiche
avversarie del Cristianesimo. Egli infatti poco oltre (pag. 508) distingue le
eresie in rispetta solo al dogma dell'Incarnazione (laddove le profezie
ioachimite riguardavano l'avvento dello Spirito Santo) in due classi: l'una
egli dice, fece di Cristo solo un Dio, l'altra solo un uomo. E (cosa ben strana
questa ignoranza in Dante e nel P. del moto ereticale contemporaneo) seguita
dicendo: ma la verità è ora divulgata tanto che neppure su r animo di una
vecchia (anicula) fa presa, perocché anche senza dottrina soio con la fede e la
semplicità essa si difende. Invece il male del suo tempo P. afferma essere un*
obiezione contro la fede, la quale, sebbene faccia molto paura a messer Francesco,
pur non è una vera eresia, ma un dubbio incredulo e (come ei lo chiama)
specioso; ed è questo: se Dio voleva salvare gli uomini poteva dar loro forza
maggiore o comandare cose men dure. Egli non confuta il dubbio, ma si rivolge
pregando a Dio, e afferma contro le predizioni in generale che è Satana che ci
tenta alla prescienza, « quae nec possibilis est homini nec necessaria profecto
nec utilis », « cita, fra altro, il De divinatione di Cicerone. E neìVEp, sen.
I, 5 a Giovanni Boccacci, a proposito della nota profezia fatta da un frate
all'autore del Decamerone, scrive di diffidare delle profezie dei viventi: «
nuovo e inusitato non è che fole e menzogne si coprano sotto il velo di
religione e di santità, e del giudizio di Dio si faccia mantello alla frode e
all'inganno ». Per il moto ereticale veggasi specialmente il lavoro del Tocco:
L'eresia nel Medio evo (Firenze 1886, Le Monnier). (6) Cfr. Vita solitaria, 1.
II, sectio VII, 1. (7) Cfr. oltre il Barzellotti: op. cit.; anche il
Fiorentino: Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento (Napoli 1885) IV: opera
postuma a cura dell' Imbriani. (8) Cfr. La filosofia nel periodo delle origini
in Vita Italiana, primo volume. (9) Così il Conti nelle sue importanti lezioni
di storia della filosofia (S. Tommaso e Dante). Del resto questo non potè
alcuno affermare del De Monarchia, nel quale il pensiero di Dante è ben lontano
dal tomista. Cfr. anche un mìo lavoro (Del sistema filosofico dantesco -nella
Divina Commedia — Zanichelli 1902), nel quale cercai vestigia di platonismo
nella Divina Commedia. (10) Vedi Tocco: L'eresia nel Medio evo, Introduzione.
(11) Così nel De unitate intellectus contra Averroistas. (12) Cfr. De Bemediis
utriasque fortune^: I, dialogo 46 e 112. Gfr. passim scrìtti del P.. Per
esempio EpiatóloB fam, I, e XII, 3 (le cito nell'edizione del Fracassetti). (14) Ep.
fam. I, 11. (16) Ep. fam. I, 6. (16) Gfr. Rerum memorandarum, II: Aristoteles. (17) Vedi
Renan: Averroés et Vaverroisme. Essai historique. deux part. eh. II, 15 pag. 301 e segg. (18) Vedi V.
De Giovanni: Le prose morali e filosofiche di Francesco P. in Francesco P. e il
suo secolo pubbl. nel VII centenario della morte del P.. (19) Si vegga nel De
Vita solitaria II, sectio IV, % in cui dopo avere confrontato i principi
cristiani con Maometto, tratta: « De reprehensione regum et principum nostrorum
qui somno, voluptacibus, turpibus lucris, subditorum spoliationibus oc caeteris
vitiis imcumbunt, et nullus eorum Terrae Sanctae dispetti dio movetur ». (ao)
Gfr. Senili XV, 6. (21) Gosì intendendo V opera del P., essa acquista ben
maggiore importanza di quel che non parve al Voigt. (Il risorgimento dell*
antichità classica — traduzione italiana del Valbusa, Sansoni, Fireuze, Voi. I,
I.), che accusa P. di avere esagerate le note critiche mossegli dai quattro
averroisti veneziani per farsi bello con il suo libro De sua ipsius. Il Bartoli
poi (opera citata, pag. 12), certo seguendo il Voigt, dice che esse furono un
innocentissimo scherzo! Si
cfr. an^he ep. fam. V, 11 e 12. (22) Gfr. ep. sen. XV, 8. (23) Gfr. Ep. sen. V, 2;
XIII, 5. (24) Quanto all'empietà e irreligione del tempo si veggano, fra altro,
le ep. sen. Vili, 3; V, 2. (25) Gfr. oltre Sine titulo, X; Ep. sen. XV, 6 e 8.
(28) Vedi Fiorentino op. cit. Ili: il quale si fonda sul seguente brano del De
sua ipsius: « Neque graecos tantum, sed in latinum versos aliquot nunquam alias
visos (Platonis libros) aspicient... et quota ea pars librorum est Platonis,
quota ego his oculis muItoB vidi, praecipue calabrum Barlaam modemum graia
specimen sophiae, qui me eie. » (Op. p. 1054). Il periodo monco e sgrammaticato
fa pensare purtroppo a una lacuna che sarebbe importantissimo colmare. Forse
per questo il Voigt non ne parla. («) Ep. fam, XVIII, 2. (28) Veggasi infatti
la nota 26: dal periodo ivi citato pare potersi ciò dedurre. (») Il Fracassetti
nella ep, fam. III, 18 dà Fedone, e parlandosi delia morte di Catone potrebbe
darsi che s'avesse a intendere Fedone anche nella ep. fam, IV, 3. (30) Cfr.
Fiorentino: op. cit. III. ' (31) Con quanto poco pudore P. si sarebbe fatto
dire, per esempio, nel dial. II del Secretum da Agostino: « Hctec tibi ex
Platonis libris familiariter fiata sunt »/... (34) Rerum mem. 1; Plato. ' (33)
Quanto ad Aristotele dice nel De sua ipsius: « omnes morales, nisi fallor,
Aristotelis libros legi, quosdam etiam audivi ». (3*) Ep, fam. IV, 15 e 16. (35) Ep.
fam. XVIII, 2. (36) Cfr. Rerum Mem. I: Aristoteles. (37) Ho scritto creazione, ma P. non usa
questa parola che sarebbe impropria. Cfr. De ocio religiosorum I. (Op. p. 300):
4( unum fabricatorem (è il demiurgo o architetto di Platone) mundi Deum a
Platone, et a discipulo eius Aristotele unum principem ». (38) Notava poi che
Aristotele era morto di sessantatrè anni, numero infausto: intorno a questo
arino della vita climaterico cfr. anche Ep. sen. VIII, 1. (39) Dante nel canto
IV del Purgatorio non interpretando rettamente la dottrina platonica, la
condanna. (40) Ep. fam. XII, 14. (*i) Rer. Mem. loc. cit. (*2) Vedi: parte
settima di questo mio lavoro. — 99 — (*3) Vedi De OciOy II (Op. p. 316). (4t)
Anche qui nota differenza da Dante: e. IV del Paradiso. (*6) Cfr. ep. fam,
XVIII, 1; e per quel che segue sopratutto Ber, Mem. loc. cit. Inoltre come egli
alia religione conformasse tutte le sue opinioni cfr. Ep. sen. Vili, 1. (*»)
Vedi De Ocio I (Op. p. 307). Anche il Ficino notò questo, come ricorda il
Fiorentino (op. cit. II), nel Tom. 2, pag. 855. (47) Op. pag. 313 e II. (tó)
Ep. fam. XVII, 1. (*») Ep. fam. X, 5. (50) Ep. fam. II, 9. (ói) Sul preteso
cristianesimo di Seneca vedi Fieury A.: JSaint Paul et SenSque: recherche sur
Us rapporta du philo^ophe avec VApòtre. Paris, 1853. Ma oggi non ci si crede
più. (M) Ep. fam. VI, 2; e XVII, 1. (53) Ep. Sen. VII, 1; Ep. fam. XXII, 10.
(54) Ecco, per esempio, come egli spiega l'origine delle stimate di san
Francesco: « Dalle stimate di Francesco questa certamente è T origine; tanto
assiduo e profondo fu il suo meditare su la morte di Cristo, che piena avendone
Tanima, e parendogli d'essere anch' egli crocifisso col suo Signore, potè la
forza dì quel pensiero passar dall'anima nel corpo, e lasciarvene impresse
visibilmente le traccie ». Cosi nell'jg^. sen. Vili, 3. Quale differenza fra
queste parole e il pensiero che jnosse Zola a scrivere il suo Lourdes? (66)
XVI, 8. (66) il, sectio III, 4. (57) Op* p. 107. E' notevole l'umorismo, che
spesso divien •sarcasmo asprissimo, del P. quando parla dello stato della
Chiesa. Cosi nell'ep. fam. 5 del libro XVII, vituperando il matrimonio
aggiunge: del restp ci son turbe di sgualdrine «he rallegrano anche i vescovi e
i monaci ecc.. E in un'altra (XX, 2) il palafreno del Legato calcitrante contro
quello dell'imperatore, gli fa comprendere "^che il Papa era la causa vera
di tutti ì mali d'Italia e di Roma, perchè egli « è contento che Imperatore si
chiami, ma punto non si fida di dividere con lui l'impero ». E già prima (XV,
5) aveva amaramente osservato: « Ell'è gran cosa calcar la sede di Pietro» gran
cosa ell'è vedersi assiso sul soglio dei Cesari! ». (58) Su '1 significato del
verso, anche oggi variamente interpretato, vedi i commentatori; e Tocco: Dante
e V eresia. Credo che quel che sono per citare dell'opinione del P. dimostri
anche più decisamente trattarsi veramente in quel verso di Celestino V. (50)
Ep. fam. VI, 1. (flO) Il Fracassetti naturalmente (vedi in nota) disapprova le
parole del P.. (61) Forse anche il Voigt è di questa opinione, là dove dice che
P. nel De sua ipsius più che il Cristianesimo in sé difende il proprio (cfr.
op. cìt. I, pag. 95). (62) Ep. fam, X, 4, (63) Cfr. Fiorentino: La filosofia
della storia di Francesc(y P. (in Giornale Napoletano di lettere e filosofia,
1874) e mio lavoro su l'Africa di Francesco P. (Bihliot. Petr. del Biagi e
Passerini — Le Mounier 1902, pag. 73 e seguenti» e 168 e seguenti). (64) Cioè
il De vera religione citato dal P. molta spesso, e il De doctrina Christiana
ecc. (66) Cfr. Ep, sen. Vili, 6: « Negli ultimi tre libri manifesta i suoi
dubbi, e spesso ancora, per ciò che riguarda le divine scritture, la sua
ignoranza ». E dalle Confessioni egli già vecchio diceva di aver preso amore
allo studio della sacra letteratura, togliendosi alquanto dal soverchio amore
per la profana. Insomma gli ultimi libri egli li considera, in quanto sono in
seguito dei primi, sotto il rispetto tra filosofico e religioso, ma più assai
religioso che filosofico. — Delle Confessioni, per la parte psicologica,
riparleremo più oltre, a proposito del Secretum. (66) Questo forse intendeva P.
quando, parlando della Divina Commedia a un amico, avrebbe detto essere quella
opera non d'uomo, ma dello Spirito Santo. (OT) De Bem. II, 40. (68) De ócio:
Op. p. 306. (89) Presso la toniba del P. in Arquà. (70) Gfr. I seetio IV, 3. La
misantropia era contraria al carattere medesimo del P.; il quale amava molto le
liete brigate di amici, e scriveva lettere'a tutti continuamente. P. P.
Vergerlo cosi nella Vita P.e scrisse di lui: 4( Erat mirae iucunditatis
comitatisque singularis ut nulius esse cum eo moestus posset ». E anche il
colore ascetico che ha qua e là il trattato è postumo. Si vegga VEp, «en. XVI,
3, nella quale P. narra le aggiunte fatte per compiacere gli amici appartenenti
agli ordini religiosi, che con lui si dolevano di non aver egli parlato de'
santi loro fondatori: e ci fu un domenicano che voleva far comparire tra i
solitari anche san Domenico! Q^) Ep, fam, XVII, 4: « non in servigio altrui, ma
per fame mio prò, e perchè dì quell'affetto mio per il sopravvenire di nuovi
non s'abbia in me a ingenerare dimenticanza ». (72) Gfr. I seetio IV, 1. (73)
Gfr. I seetio V, 1; e II seetio IX, 7. (74) II; sect. IX, 6. Inoltre: Ep.
sen. XI, 3. (75) I; sect. IV, 9. ' (76) II, sect. II, 8. (77) Gfr, ep, fam. VI, 1: « Ghe se le
lettere famigliari come scherzando e quasi sempre nell'agitazione de' viaggi
soglio dettare, quando si tratta di comporre un libro, di solitudine di quiete
di tranquillità di assoluto e non interrotto silenzio sento bisogno ». E
Leonardo Aretino nella Vita di Francesco P.: 4c Era solito dire che solo il
tempo della sua vita solitaria poteva chiamare vita; perchè l'altro non gli era
stato vita, ma pena ed affanno ». (78) Gfr. inoltre Ep. fam.Vita Sol. I: sect.
IV, 7. (81) Ep. fam. Ili, 12. (81) Op. cit. (83) S. Bonaventura: OpuscuL (Opp.
omn. t. VII — Romae) 1596. (84) Ep. fam. XI, 3. (85) Prose (Le Mounier): saggio
sul P. pag. 34. (86) Ep. fam. II, 5: « Frattanto, il confesso, checché i
filosofi ragionino intorno al modo di soggiogare le passioni, a me per brevi
strade esse giungono e mi fanno bersaglio de* loro insulti. Che questa legge a
me fu data insieme col corpo dal di che nacqui: molto per la compagnia di esso
avere « soffrire ». E' la bancarotta della filosofia speculativa!... (87) La
causa della differenza è data dal P. medesimo in un luogo importante del Rerum
Memorandai'um (II, Dantes), nei quale (còsa, per quanto io so, non accennata pur
da gi*andi critici che trattarono della nota questione su le relazioni fra
Dante e P.) si accenna forse al vero motivo della freddezza del P. verso Dante:
« Dantes Aligherlus, vir vulgari eloquio clarissimus fuit, sed moribus parum,
per contumaciam, et oratione liberior, quam delicatis ac studiosis aetatis
nostrae principum auribus atque oculis acceptum foret >. Ma se P. fu
accetto, è a pensare che, mutati i tempi, nelle corti de' Signori si annidava,
come dice il Voigt, l'umanesimo. (88) Gfr. le epistolae: passim. Per esempio
adposterose fam. IV, 10. (8») Ho svolto questo pensiero un po' più ampiamente
in un volumetto: Il pensiero italiano e la Criovine Italia, in: A. Carlini e G.
Gasperoni: La Giovine Italia (Iesi, Tipografia Editrice Cooperativa, 1904, pag.
35). (W) Gfr. Secretum: diah I. e passim gli altri scrìtti dianzi citati. (»i)
Ep. fam. Vili, 8. (92) Dial. II. Per altri raffronti vedi mio Studio su V
Africa citato, specialmente per il raffronto fra Magone (che è il Petrarca) e
il iTeopardì (pag. 107 e seg.). (93) Canto di un pastore ecc. Ma già c'era 11
biblico: « natile homo de muliere, brevi vivens tempore ecc. ». (»*) Secretum
I, Africa I e V, Mime (ediz. Carducci e Ferrari): . Per il Leopardi cfr. Vita
Solitaria v. 34 e seg. e V Infinito ecc. (8B) Ep, fam. II, 8. (96) « Rapido
stellae obviant firmamento, contraria invicem dementa confligunt, terrae
tremunt, maria fluctuant ecc. » E seguita lungamente. Nota fra altro le fini
osservazioni dell'odio nell'atto generativo. Concludendo: * nil sine lite atque
offensipne genuit natura parens »; e: le còse più forti sono il sepolcro delle
più deboli ecc. . (97) Ep. fam. III, 11. (96) Opera di bizzarro e coltissimo
ingegno è il Le remediis. Con copia meravigliosa di esempi, detti,» fatti,
sentenze di filosofi, di scrittori, di guerrieri, di scienziati greci, romani,
sacri, antichi e moderni; con fatterelli di storia e interpretazioni di miti e
di costumi e saltuaria conoscenza di tutto lo scibile; sono qui raccolti con un
criterio morale e psicologico svariatissimi argomenti di considerazioni
diverse. Il De remediis somiglia grandemente ai Pensieri di Giacomo 1 Leopardi.
(99) E in ep. fam, IV, 16: « io non so se non sia meglio talvolta starsi
nell'errore contento, che non sempre essere triste per la conoscenza del vero
». (100) Così nella citata prefazione. Han torto coloro che si lamentano della
noia che la lettura di questo trattato produce: esso non era un'opera
letteraria, ma un vademecum, per cosi dire, di utilità morale, fatto non per i
filosofi, ma per la comune degli uomini. Cfr. Ep, sen, VIII, 3. (101) pag. 108.
(102) Il pensiero filosofico de' Trionfi è già neìV Africa: per il cfr. col
Leopardi vedi mio studio citato pag. 71 e seguenti. Nel Secretum sono anche
(come nello scritto leopardiano) già •enumerati i vari casi della fama. Per le
Epistola poi vedi qua e là diffusamente; per esempio ecco il tessuto della
prima delle familiarea (no» bisogna travagliarsi per la fama prima di morire
perchè vivendo non possiamo ottenerla): « Raro è che trovin plauso scritti e
imprese di chi ancor vive: comincian dalla morte le lodi degli uomini. Vuoi tu
che sian lodati i tuoi scritti? e tu muori. Anzi finché rimanga in vita alcuno
de* tuoi contemporanei non avrai piena la lode che assetisci. Per la molta
dimestichezza ancora ed il frequente •convivere T ammirazione degli uomini suol
venir meno. Gli «ruditi poi e i pedanti sdegnano d'indagare il merito dello
scrìtto, se credono di conoscerne Fautore. Giungono viventi a fama solo coloro
che con grida sostengono la loro gloria: ma morti perisce la fama loro. La
gloria è un flato di vento: è un fumo, un*omhra, un nulla ». Si confronti ora
questo tessuto con l'altro dello scritto leopardiano, e si vedrà che è identico
nella tesi e nello svolgimento e nella conclusione: sì ch'io credo il Leopardi
essersi ispirato al P.. Cfr. terzo dialogo. (104) II, 8S. Cfr. P. 's. Leben und
Werken (Leip. 1878, pagina 561). (106) Per questa parte basti citare i grandi
lavori di Pierre de Nolhac: P. et rhumanisme e l'altro De codicibìis et patriium
medi aevi ecc. (107) Non è giusto dunque rimproverare al P. le continue
citazioni: chi ben le intende vedrà che esse non sono vana pompa di erudizione,
ma un fenomeno artistico e filosofico importantissimo. (106) Per citare un solo
esempio, egli crede spesso con gli Stoici che la felicità vera consìsta nella
virtù sola, e nello stesso tempo li chiama crudeli e preferisce i Peripatetici
che ammettono che anche il dolore è un male (cfr. De Bem. II, 114) e poi ep.
fam. Voigt, per esempio, lo crede stoico; il Bartoli e il Koeting scettico; il
Kraus (F, P. in seinem Briefwech" .sei) sccMtico; molti accademico; molti
mistico ecc. (liO) Quanto alla parte considerevole che ha il razionalismo,
basti citare il De remediis, nel quale la E(mione da sola sostiene i dialoghi
col Gaudio e col Timore; nel Secretum Agostino che cita sempre i classici e i
pagani è 1* imagine della ragione, che egli invoca molto più spesso e
volentieri dei libri santi e dei dogmi. Cosi nelle altre opere del P.. In
conclusione egli non è mistico perchè rctgiona, non è razionalista perchè è
credente, cioè ha una fede indiscussa. Ep, fam. I, 7. Cosi nel Secretum (dial.
II) distingue il verlmm oris dal verhum mentis, (iw) De Bem. quella parte (I,
12) che forma il 1. dialogo del De Vera Sapientia (il secondo dialogo è del
Cusano). ivi. (11*) Cfr. De odo (Op. pag. 311): « Optat adversarius noster non
ut discamus, cui ignorantia nostra gratissima, scire permoléstum est ». ^p.
fam. I, 8. Ep. fam. I, 2. 'anche De Bem. II, 117: Quest'ufficio egli notava che
ebbe già la filosofia antica, e però aggiunge; « perchè non Tavrà la nuova
filosofia cristiana, la quale è somma, e vera filosofia? ». (118) Ep. fam. I,
2. (119) Non parlo di alcuni miserabili denigratori che giacciono meritamente
ignorati. Ma di numerosi critici moderni pur anche autorevolissimi, i quali
hanno iniziato un genere di critica che, per questo rispetto, è tutto fondato
su la diffldenea delle parole del P., il quale ne' loro libri diviene un
monumento di orgoglio, di vanità, di leggerezza, di menzogna, di avarizia, di
parassita, di buontempone, di lussurioso, di traditore, e via via. Insomma per
farlo uomo^ dacché prima ne avean fatto un dio, lo han fatto un po' birbante,
un birbante geniale e burlone a cui molto si può perdonare. Chi ha dato il
cattivo esempio, credo che siano stati i tedeschi. Il Voigt, per esempio, nella
sua nota. opera, monumentale opera sul Risorgimento, alcune volte mi pare
evidente che non abbia compreso Tanima italiana e lo spirito del P.. Il Kraus
(op. cit.) arriva a fare del P. un esteta né più né meno, e fuori dell*
estetica non vede. in lui nient*altro; e ragiona cosi: P. dice la tale o tal*
altra cosa? non credetegli, perchè parla per posa o per fantasia poetica.
Insomma facciamo si del P. un uomo, uomo con i suoi difetti: ma non
esageriamoli; non separiamo Tuomo dalPartista, il cittadino dal letterato,
anche perchè andremmo contro la nostra storia, la quale dimostra che da Dante
al Carducci Tonestà della vita ne* maggiori scrittori non si disgiunse mai
dalla grandezza artistica. Il Kraus del resto (op. cit. VI) non cita bene
quando dice che P. per un*idea estetica preferiva zoppicar d*un piede piuttosto
che d'un verso: il P. al contrario (cfr. Ep. fam. XVI, 14) biasima i poeti del
tempo ì quali preferivano zoppicare in morale piuttosto che in poesia. (1») Ep.
fam, XI, 3. (121) Ep. fam. I, 8. (IM) op. cit. Ep. fam. V, 10. Ep. fam. XIII, 5. Cfr. la
celebre canzone: Italia mia ecc. (i«) Cfr. De Bem. I, 105. (127) Cfr. fra altro
Varie, 48. Né era solo fuoco di paglia, come suol dirsi: che nel De Bem. (II,
118) pur riprovando il suicidio di Catone, fa l'elogio di Bruto: « patrìae
servi tus et tyranni facies potius repellenda quam morte declinanda sunt »; e
se Catone si uccise per non vedere il volto del tiranno, ci fu chi lo riguardò:
« Brutus aspexit et illius potius morte tollendum, quam sua morte fugiendum
censuit: id est enim viri opus, hoc feminae ». Dante nella Divina Commedia
approvò Catone, punì Bruto; ma non sì venga ora a dire che nel P. è minore
grandezza che in Dante, nel rispetto politico! (1») De Bém. I, 39. (1») Ep,
fam. IV, 7 ecc. Ep. fam. XI, 16 e 17. Gfr. un mio articolo sul pensiero
politico di Dante, in Giornale Dantesco (diretto da G. L. Passerini) X, 8-9.
Del resto il pensiero politico del P. è lo stesso di Gola, Quanto sbaglia il
Kraus a giudicar Gola un pazzo! Ma il Gaspary già ha avvertito che per P.
Impero e Repubblica sono la stessa cosa (cfr. Storia della lett.: P.). (1») Ep. fam.
XIX, 1. Cfr. Ep. fam. XXIII, 2; XIX, 12 e De Rem. I, 116. (134) Vedi Canzone ali*
Italia. Quanto al patriottismo del P.: per T emancipazione deiritalia dal giogo
straniero (ut corpìM italicum labe barbarica purgatum medullitus agnoscam) cfr.
ep. fam. XI, 13 e XVIII, 16; per Tunione di tutti i popoli e principi italiani,
ol^re le Bime, cfr. ep. fam. XVII, 6; XIX, 9; per la grandezza d'Italia cfr.
poi passim tutte le "opere latine e volgari, ma mi pare che nella celebre
canzone alF Italia sìa tutto riassunto mirabilmente il pensiero petrarchesco.
(135) Si noti che P. loda Roberto, nel De Ocio (1. II Op. p. 315) per una
ragione affatto religiosa: « Siculus rex Robertus sub cuius temporali regimine
aeterno regi servientes suaviter quievistis (parla ai monaci di Montrieux) ».
Cfr. Dante che chiama similmente, ma con disprezzo, Roberto re da sermone. Cfr.
Ep. sen. XIV, 1: come Dio premi l'amor di patria. Op. cit. Ili e seg. (138)
Vedi in Fiorentino, loc. cit. Fiorentino: loc. cit. (141) Ep. fam. XX, 6; III,
6. (i«) Secretum, III. (1^) Certo FHumbolt, che nel Gosmos diceva nelle lettere
del P., tranne che in quella che descrive Tascensione al Ventoux, non aver
trovato il sentimento della natura, non le lesse bene. Ecco per esempio un
bellissimo argomento di arte moderna: la festa di san 6. Battista in Colonia:
Ep. fam, I, 4: « Era la vigilia del Battista... e il sole si avvicinava al
tramonto. Tutta la riva era coperta da immensa e splendida folla di donne. Io
ne stupii: Dio buono! che belle figure, che volti, che abbigliamenti. Chiunque
avesse avuto libero il cuore da altra passione, avrebbe trovato di che
innamorarsi. Io m*era fermato in un punto alquanto piii alto, onde ben si
scorgesse quel che accadeva. Incredibile e non punto molesto era il concorso: e
le vedeva a mute a mute tutte festose, e parte aventi nel grembo erbe odorose,
rimboccate le maniche in su i gomiti, lavar nel fiume le mani e le candide
braccia, non so quali dolci parole mormorando fra loro in lingua a me ignota ».
E P. si duole di non intendere le loro parole. Per questa parte si veggano
specialmente gli articoli dello Zumbini (Il sentimento della natura e Ascesa al
Ventoux in Studi Fetrarcheechi), e il Carducci (P. alpinista) e il Pierre de
Nolhac, e il Bourckardt (la nota opera sul Risorgimento italiano, II, 74 ecc.).
Fra le altre bellissime descrizioni nelle lettere, si notino: ep. fam, XIX, 13:
una splendida e nuova pittura delle bellezze della Riviera; VIII, 5: un
freschissimo quadro delle bellezze alpine; Senili VII, 1: mirabile descrizione
del lago di Garda. Quest'ultima darebbe buon argomento a chi ne volesse fare un
confronto con la bella, ma fredda descrizione dantesca (Inferno, XX 70 e seg.),
per rilevare roriginalità e l'elemento tutto moderno proprio al sentimento
della natura del P..Affatto filosofico è il seguente sonetto: S'amar non è, che
dunque è quel chHo sento? Ma, s'egli è Amor, per Dio che cosa e quale? Se bona,
ond'è l'effetto aspro mortale? Se ria, ond'è si dolce ogni tormento? S'a mia
voglia ardo, ond'è 'l pianto e lamento? S'a mal mio grado, il lamentar che
vale? viva morte, o dilettoso male. Come puoi tanto in me, s'io no *l consento?
E s*io "l consento, a gran torto mi doglio. Fra sì contrari venti in frale
barca Mi trovo in alto mar, senza governo, sì lieve di saver, d'error sì earca,
ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio; e tremo a meeea state, ardendo il
verno, (146) L'ultimo lavoro in proposito è quello del Sicardi: Gli amori
estravaganti e molteplici di Francesco P. e l'or more unico per M. Laura de
Sade (Hoepli 1900); nel quale combatte il Cesareo e altri, e conclude Laura essere
stata runico amore del P.. Per i limiti stessi di questo scritto non ho creduto
apportuno svolgere maggiormente Pesame del Canzoniere. (147) Cfr. Bime (ed. del
Carducci e Ferrari):. (148) Cfr. ep. fam. VI, 4 e XIII, 7 nelle quali confessa
ch'egli scrive per sfogar l'animo, perchè (dice) ha bisogno di scrivere.
Firenze, Mounier. Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e uno dei
fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera più
celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da
BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater
e divenuto cittadino del mondo, P. rilancia, in ambito filosofico,
l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una rivalutazione
storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli
studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in chiave
assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma – gode
la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia antica e
patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé
quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del
Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per
Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche l'opera
latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre
ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno avvio al fenomeno del
petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della
produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene alla fazione dei
guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per l'arrivo di
Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio
VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi.
La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi
bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e
condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P.
trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi
Incisa e Pisa, dove il padre è solito spostarsi per ragioni
politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare
in patria, si riune ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo
VII. Secondo quanto affermato dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a
Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con
l'amico del padre, ALIGHIERI. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino
Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la corte pontificia grazie
all'intercessione di Prato. Nel frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida
di Prato, amico del padre che è ricordato dal P. con toni d'affetto nella
Seniles. A questa scuola, presso la quale studia, conosce uno dei suoi più cari
amici, Sette, al quale P. indirizza la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta,
Arquà P. (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato mentre
è proprietario Valdezocco. L'idillio di Carpentras dura fino ad allorché lui,
il fratello Gherardo e l'amico Sette sono inviati dalle rispettive famiglie a
studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa
come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al
fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier
è funestato dal primo dei vari lutti che P. affrontare: la morte della madre.
Il figlio, ancora adolescente, compone il Pangerycum defuncte matris -- poi
rielaborato nell'epistola metrica -- in cui vengono sottolineate le virtù della
madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la
scomparsa della moglie, decide di cambiare sede per gli studi dei figli
inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA, anche questa volta accompagnati
da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita quotidiana dei figli. In questi
anni P., sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si lega ai circoli
letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Virgilio e
BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici e la biblio-filia.
Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non sono
tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio in seguito a LA
DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il fratello e SETTE a
ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per riprendervi gli studi
fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere a prestito una grossa
somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso Zambeccari. Ser
Petracco muore permettendo a P. di LASCIARE FINALMENTE LA FACOLTÀ DI DIRITTO A
BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo appassionavano. Per
dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare una fonte di
sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno remunerativo. Lo
trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a far parte della
famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a P.
di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha bisogno per iniziare i
studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite filosofica
romana. Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi dei Colonna, P.
compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e
risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera
sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, e Lione.
Particolarmente importante è allorché, nella città di Lombez, P. conosce
Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la raccolta epistolare delle
Familiares. Poco dopo essere entrato a far parte del seguito di Colonna, prende
gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi
all'ente ecclesiastico di cui è investito. Nonostante la sua condizione di
religioso -- è attestato che P. è nella condizione di chierico – ha comunque un
figlio nato con una donna ignote, figlio tra cui spiccano per importanza, nella
successiva vita del poeta. Secondo quanto afferma nel Secretum, P. incontra per
la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di
lunedì, la donna che è l'amore della sua vita e che è immortalata nel
Canzoniere. La figura di Laura suscita, da parte dei critici letterari, le
opinioni più diverse. Identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata
de Sade -- morta a causa della peste. Altri invece tendono a vedere in tale
figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'ALLORO filosofico --
pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile -- suprema
ambizione del filosofo P.. P. manifesta già durante il soggiorno bolognese una
spiccata sensibilità filosofica, professando una grandissima ammirazione per
l'antichità romana. Oltre agli incontri con Virgilio e Pistoia, importante per
la nascita della sensibilità filosofica di P. è il padre stesso, fervente
ammiratore di CICERONE e di tutta la giurisprudenza latina. Difatti ser
Petracco, come racconta P. nella Seniles dona al figlio un manoscritto
contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE e un codice delle
Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo. In quello
stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, P.
compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e comincia a
frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il professore regala
a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumenta ancor di più
la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la
morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, P. si buttò a
capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici
della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis Historia di PLINIO il
Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre e ri-copia il
codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad equites romanos”,
conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di
explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico
moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi
sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori dei monaci
amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per
congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla
ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della
composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la
sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa:
l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La
farandola di P.”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di
Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte
della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre
porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con Benedetto XII, un
rapporto epistolare -- Epistolae metricae -- con cui esorta il pontefice a
ritornare a Roma e continua il suo servizio presso Colonna, su concessione del
quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera
averlo con sé. Giuntovi nella città eterna P. puo toccare con mano i monumenti
e le antiche glorie dell'antica capitale dell'impero romano, rimanendone
estasiato. Rientrato in Provenza, P. compra una casa a Valchiusa, appartata
località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività
frenetica avignonese, ambiente che lentamente comincia a detestare in quanto
simbolo della corruzione morale in cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che
durante le assenze di P. è affidata al fattore Chermont -- è anche il luogo ove
P. puo concentrarsi nella sua attività filosofica e accogliere quel piccolo
cenacolo di amici eletti -- a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe
de Cabassolle -- con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo
filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o meno in quello stesso periodo,
illustrando a Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua
dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti manierati che diventeranno un
luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte,
letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. È in questo
periodo appartato che, forte della sua esperienza filosofica, incomincia a
stendere i due saggi che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza
classica: l'Africa e il De viris illustribus. Il primo saggio, in versi intesa
a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della
seconda guerra punica, incentrata sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello
etico insuperabile della virtù civile della repubblica romana. Il secondo
saggio e un medaglione di XXXVI vite di uomini illustri improntata sul modello
liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera
in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi e
intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale
degl’antichi, diffusero presto il nome di P. al di là dei confini provenzali,
giungendo in Italia. L'ALLORO con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del
filosofo laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali
il Regno Unito. Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto e grande
filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO. Se i
primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi
collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona --
SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli
Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione.
Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa
di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica
“innovatrice” a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione
filosofica. Difatti, nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di
ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno,
intessendone le lodi. La Sorbona fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione
filosofica a Parigi. Proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge
analoga dal senato di Roma. Su consiglio di Colonna, P., che desidera essere
incoronato nell'antica capitale dell'impero romano, accetta la seconda offerta,
accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a
Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione. Le
fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono,
P., accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per
Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto
nella città partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo
averne constatato la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì
all'incoronazione a filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara.
Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di P. – la collatio
laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte del
senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli
conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana --
la data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi
testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un
arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e
il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono
contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi
traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione
Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta a Parma, sa
della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba profondamente. Gl’anni
successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da un lato le morti
prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto.
Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare la vita mondana per
diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a riflettere sulla
caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola di Rienzo --
giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano instauratosi a
Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma l'antico status di
grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le spetta di diritto. È
nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre è nominato
arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita specialmente dalla famiglia
Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per abbandonare i suoi protettori.
Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna. A fianco di queste esperienze
private, il cammino del filosofo P. è invece caratterizzato da una scoperta
importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di
Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P. scopre nella biblioteca
capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad Atticum” e “ad Quintum
fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico
che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici, l'uso del tu al
posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido
e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere
sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares
prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum
memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria.
Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI, con cui
intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge dalle mani.
Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli.
Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna,
P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione. Pertanto,
lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato
l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere
a Parma, dove stringe legami con il signore della città, Luchino Visconti (si
veda: “Morte a Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi
per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici
del P.: i fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre,
anche Colonna; e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il
dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della
morte di molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di
un protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del
duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il
filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato
ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione
solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di
viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la
decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare.
Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e
decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non
tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio.
Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e
progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla
filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti
culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi
codici classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara.
Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere
spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del
comune fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio
fiorentino – meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e
spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e
Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli
l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del
pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti
della corte pontificia -- i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente,
l'antipatia d’Innocenzo VI -- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa,
dove prende la decisione definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa
commemorativa del soggiorno meneghino di P. situata agli inizi di Via Lanzone a
Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio. P. inizia il viaggio verso la
patria, accogliendo l'ospitale offerta di Visconti, arcivescovo e signore della
città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degl’amici fiorentini -- tra
le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio -- che gli rimproveravano la
scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO NEMICO DI FIRENZE. P.
collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a Venezia; l'incontro con
l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente politica
viscontea. Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia
Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto ramingo
e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento medievale
verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in base alle
convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un
signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si rallegrerebbero di
avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale scelta discutibile
agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi
discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare tra P. e Boccaccio
prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P. situata nei pressi
di S. Ambrogio sono le prove della concordia ristabilita. Nonostante le
incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo elabora la sua filosofia, dalla
ricerca erudita e filologica alla produzione di una filosofia fondata da un
lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla
necessità di una produzione che puo guidare l'umanità verso i principi
etico-morali filtrati attraverso l’accademia e il portico. Con questa
convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il
Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare
presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati
anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle Familiares e, l'avviamento
delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae Metricae -- e quelle
volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere.
Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De remediis
utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali concernenti il
denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al
quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano per Padova, città da
cui fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con
Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello
visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppelle il
piccolo nipote di due anni, figlio della figlia, nella chiesa di S. Zeno e per
lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si reca a
Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e dove la Repubblica gli
concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva degli Schiavoni in
cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che era allora
certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta della prima
testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana è molto amata
da P., che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al
destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiede stabilmente --
tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita Boccaccio e Pilato.
Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi,
della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare a Malpaghini la
trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità
di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura,
all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo accusarono di
ignoranza. L'episodio è l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et
multorum ignorantia”, in cui P. difende la propria "ignoranza" in
campo del LIZIO a favore della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui
problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura
sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza
dei veneziani davanti all’accuse rivoltegli, P. decide di abbandonare la città
lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.
La casa di P. ad Arquà P., località sita sui colli Euganei nei pressi di
Padova, dove vive il filosofo. Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo alcuni
brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di stabilirsi a
Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P., assegnata a lui
in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova dona poi una casa
situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove
poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero
alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova
dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia della figlia, si alterna
prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina
al duomo di Padova, allietato spesso dalle visite dei suoi amici ed estimatori,
oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Seta, che
daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato.
Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per
il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica
alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da
una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE),
come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere l'orazione
nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla presenza di
Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà
testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale del
paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla
chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono
tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite
alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da
Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di
Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco
qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna,
suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova
e l'epoca del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba,
che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo
in cui il sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni
burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e
addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i
risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il
TESCHIO, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto
come femminile e quindi non pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del
cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il
cranio ritrovato nel sepolcro è femminile. A chi sia appartenuto e perché si
trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito
il suo proprio cranio. Il resto dello scheletro è invece riconosciuto come
autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un
calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei
Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della
cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle
interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo
italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa maggiormente a
P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori
più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed
esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di
conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica l'essere umano,
spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo
moderno. Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici, sopra
totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia
naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non
tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state
scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un
mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita
di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio
Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della
Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei
classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e
di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio
costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca,
celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni,
è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai significativo
simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse,
appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De
viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui
ideato e la ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la
composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo
innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si
avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il
precursore. Per quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie
decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico
codice, l'attuale codice oggi detto l’Harleiano. P. si dedica a quest'opera di
collazione, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III
decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da
Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della
Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente
anche la IV decade. Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al
preumanista padovano Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P.
puo procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la
costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già
quand'era in vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un
codice composto di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche,
Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte
quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto
sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il
Virgilio ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie
di miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella
biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il
codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca
Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano
di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi
il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e
la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva
nella Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da
Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano è sottratto al SACCHEGGIO FRANCESE da
Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani, poi acquistato da
Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa
di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione
religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre
più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua
produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale,
la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai
manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato
sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la
rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un
rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o
di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra P. e il
divino, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca.
Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è
universale e valida per ogni epoca. L’umanita di CICERONE non è diversa da
quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il
rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame
degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello
di Annibale che, nell'Africa ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità
delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che
in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu
criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca
ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone:
Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Manuzio. Nel
particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam
laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum praecipiti gaudere loco; status
iste procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum
magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita
blanditiis! Heu vita incerta labori
dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu
sortis iniquae natus homo in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di
Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale,
l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il
proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico
tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come
alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente
la posizione di P. verso la cultura contemporanea. La diffusione
dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine
naturalistica, sembra a P. che distragga pericolosamente da quelle arti
liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace
spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza
classica e cristiana, che P. contrappone alla scienza averroistica, è quella
fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé
stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino
ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il
Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui
spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati;
dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella
Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a DSepolcro. La forte vena
morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un
messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte
epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica
volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione
etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana
se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di
questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a
CICERONE. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua
scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi
nuovamente nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a
fianco d’OTTAVIANO contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti
nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse?
Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo.
Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare
si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango,
amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un
filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della
breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La
declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione
civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita
politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente
sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi
costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del
prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa
significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i
potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi
amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto
costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai
posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più
grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a
loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere
favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che
dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi
ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque
di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante
l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i
potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì
che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese
di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni
economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del
cortigiano. Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre
sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il
modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale
fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte è propria di
BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola
latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività
proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso:
non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un
rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli
uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto
nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino,
per sensibilità del P., ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa,
dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente
intrisa di carica religiosa. P., con l'eccezione di due sole opere poetiche, i
Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli
antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui
contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino,
ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario
d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la
Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi
dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive sempre in
latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni AI
MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e
della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto
culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser). P.
preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi
opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel
Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello
scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai
pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo
volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da
un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le
sue poesie -- da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una
poesia aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di
monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco.
ALIGHIERI e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda
differenza esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il
teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano
e dei classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente
appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo
totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono
antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la
concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul
sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta
all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri.
Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore
e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il
timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di
scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo
storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della
seconda guerra punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da
dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore,
politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal
titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche.
Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice
Vaticano lat. Dedicate all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in
esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si
occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne
accenna nella Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette
preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della
Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della
Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di
uomini illustri dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale
dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma
da ROMOLO a Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse
personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera
rimase incompiuta ed è continuata dall'amico e discepolo padovano di P., Seta,
fino a Traiano. I Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici
e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et
dictorum memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda).
Iniziati in Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni
ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti,
furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri
e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è
una delle sue opere più celebri e fu composta, anche se in seguito fu riveduta.
Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna
muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza
personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo
dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si
mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per
Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così
forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La
vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale. L'autore vi
esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di
vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita
monastica P. contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle
letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e
di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che
favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal
mondo che P. riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori
spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri,
soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da
questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo
cristiano" di P. . Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita
monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta
però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi,
definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis
utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina.
Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano
composto nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità
allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il
"Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum
libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di
rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il
De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura
trecentensca da parte di P., vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum
auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur
corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis
operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec,
culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores.
Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i
copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal
caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni
dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla
culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.
L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una
serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI.
Nella Familiares gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di
essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti
rimostranze dei medici pontifici nei confronti di P., questi scrisse quattro
libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui
ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza
che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle
questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come
lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima
umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo.
Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e
una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del
viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il
viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica
gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto
contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé
e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla
scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono
aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum
libri o De rebus familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles,
epistole dedicate a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro;
e le epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte
l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla
fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei,
ma, nel caso d’un libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a
personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata
sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di
quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era
in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. P., Voi ch'ascoltate in rime sparse il
suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere”
è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e
tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno
introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni,
sestine, ballate e madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura,
celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna
angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso
del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico
stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione
di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si
passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto
introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che
di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi
finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue
rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima
di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I
"Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine
dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale
(strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia).
Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni
del cuore. Annoverato tra questi ultimi, P. verrà poi liberato da Laura,
simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della
Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno,
che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà
contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato
dal corpo caduco in cui si ritrova. La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus
Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più
celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole
suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa
seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo
trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente
visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio:
gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed
eterna, un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un
giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).
Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per
tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche.
Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio
presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui,
oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra
l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia),
trasmise la sua passione a C. Salutati, cancelliere della Repubblica di Firenze
e vero trait d'union nella generazione petrarchesco-boccacciana. Coluccio,
infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più
grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a
Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al
maestro Salutati. È Bruni a consolidare la fama di P., allorché redasse una Vita
di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre
a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita
di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda
delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati
del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a
diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si
diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe
dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e
di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2. svg Pietro
Bembo e Petrarchismo. Se P. è visto soprattutto come capostipite della
rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano
Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo
una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica
italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la
necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica,
Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo
rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione
del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo
non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non
apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un
accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del
Canzoniere di P. non presentava difetti, per la sua assoluta selezione
linguistico-lessicale.» (Marazzini) Contini, grande estimatore di P. e suo
commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla
questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente
successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici
italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca
(stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi
petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni
tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un
movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché
letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno
dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile
all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore
dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna
pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e
Sanctis poi, nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a
Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della
produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da
Carducci e dagli altri membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per
l'area italiana, Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del P.. P. e la
scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la
diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una
cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed
intrinseche, sia nata consapevolmente con Mabillon, nella storia di tale
disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella
loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno
anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi,
infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P.
Ifatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei
documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che
sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che
dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. P. rispose con la Seniles in
cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore)
della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica
propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma. Onorificenze Laurea
poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è
intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una
missiva in cui l'amico Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P.
nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il
più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna
d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi
venne veduto.» (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da
attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono
per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a
Genova quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4
opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia
più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere,
infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui P. ricorda il loro
primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese:
«e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con
speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso,
piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro
anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in
pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi! (Lettere Senili). P. mostrò,
nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto
nella Familiares, in cui P. scrive a Genovese che a Montpellier prima e a
Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile
o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato
quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio
preferire si deve.» (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la
scelta di P. di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla
cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non
avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, P. ebbe sempre una profonda
fede religiosa. A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale
Laura de Sade è la stessa testimonianza di P. nella Familiares, II, 9 a Giacomo
Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna
(si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota, Fracassetti fa
riemergere la vita della presunta amata del P.: «Da Odiberto e da Ermessenda di
Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di
Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade
gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa
città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, P. allora di poco più che
ventidue anni la vide» Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle
fiamme dei libri di VIRGILIO e CICERONE, cosa che suscita il pianto in P.. Al
che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra
i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per
ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto
nello studio delle leggi".» (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P.
passa nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova.
Quando questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio
bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo
conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca
Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo
Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti,
P. non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria,
come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere.
Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che
suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso
ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia
(Ariani). P. scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due
lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni
(Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelio
(Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima
Fracassetti ricorda come P., nella Familiares, avesse avuto, in sogno, il
presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua
effettiva scomparsa. Cappelli 55. Significativa la ricostruzione
storico-letteraria compiuta da Amaturo, ove si rievocano le figure di
intellettuali che si legarono alla biblioteca capitolare veronese (Matociis,
Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le
rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di PLINIO il Giovane;
parte dell'Ab Urbe condita liviana che P. utilizzò per la ricostruzione
filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber
catulliano). Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X indirizzata
a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi
letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome
letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato)
avesse osato recarsi presso il tiranno Visconti (identificato in Egonis):«Audivi,
dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum,
transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex
pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam
et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di
risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità
fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli
avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati.
L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica
espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia
centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e
Firenze perdureranno fino a quando salì al potere come duca dello Stato
lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze
grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici. Durante
l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una
relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto
avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della
condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava
verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si
separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati
dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano. (Rico-Marcozzi)
Il ravennate Malpaghini fu presentato da Donato degli Albanzani a P. che,
rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza,
lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini,
durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini
decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni
biografiche, si veda la biografia di Signorini. P., nella Seniles informa il
fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli
Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo
della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da
Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una
vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui,
sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai
tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili.
La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una
rielaborazione voluta dal P.. Difatti, a quell'altezza, il giovane P. non era
ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data
(corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca
l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più
"mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la
ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe
Billanovich, P. e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica, Roma,
Antenore, Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere
indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per P., infatti, gli
antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro
opere fa sì che CICERONE, ORAZIO, Seneca, VIRGILIO vivano attraverso queste
ultime, rendendo i rapporti tra P. e i suoi ammirati scrittori classici vicini
per la comunanza di sentimento. L'Otium degli antichi romani non consisteva
unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di
negotium. Per CICERONE, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività
forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica
col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il
modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si
veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno
della letteratura latina. Per CICERONE, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw,
Termine di origine catulliana, P. lo prende in prestito per descrivere le
liriche come diversivo, passatempo. La questione delle nugae volgari e, più in
generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari)
Guglielmino-Grosser I testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come
ricordato da Santagata, Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti
i componimenti poetici del P., ma solo quelli che il poeta scelse con grande
cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in
altri manoscritti (cfr. Ferroni). L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi,
dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura)
e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della
religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne,
nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale
prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella
tradizione poetica italiana e che P. rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo
ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del
linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica
(al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia),
testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come
l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse.
Eppure la lingua di P., selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie
un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano
la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...» Di
Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel
mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il P. volgare,
come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite
dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino de Septem Arboribus
(cfr. Ente Nazionale P., Culto petrarchesco a Padova.). Riferimenti
bibliografici la notte Casa P. Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più
specificamente Bettarini. Dopo essere stato accusato di aver falsificato un
istrumento notarile è così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio
della mano destra. Dotti Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si
veda la voce Pasquini. Il ricordo di P. al riguardo è riportato in Lettere
Senili, Pasquini. Quanto a P., il magistero di Convenevole si colloca
indubbiamente. La Casa di P., su arqua P..com. Pacca Si legga il brano della
Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins
Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato; e
Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco
e Gherardo, di fungere in loco parentis. Ariani Ariani, Wilkins, Dotti
Bettarini. Cappelli Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins,
Rico-Marcozzi. Colonna reclutò P. per la sua corte vescovile di Lombez, in
Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di
Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che P.
battezza in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio. Ferroni Pacca Alinari,
su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in
Ferroni, Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone
allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et
moribus domini P.. Ariani. Dotti, specifica che questo san Paolo è acquistato
per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli. Ariani. Per maggiori
approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella. Moschella,
Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una
copia delle Confessiones di s. Agostino.Billanovich, Wilkins e Pacca Wilkins;
Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra
Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima
lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la
meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta
dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i
cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti, Dotti Mauro
Sarnelli, P. e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio
toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva
pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la
rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente
bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e
del De viris, le rime volgari già note...» Dello stesso avviso anche Pacca e
Santagata. Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a
Firenze, giunse a Napoli (cfr. P., Familiares), dove l'aveva voluto il re
Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a
condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici
latini. Wilkins. La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre
incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme
all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in P. il desiderio
di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a
Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza
anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi. Si legga il brano della
lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano:
«E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa
più grande di re Roberto Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti)
Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di P. si
dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a
cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto
consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per
ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»
Difatti P. riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di
Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente
un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca). Cfr., ad
esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins, Ariani, Pacca74. Rico-Marcozzi. Sono le date
fornite da P. ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda;
tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il
Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso P., reca la
data. Lacultur, biografia di P., su lacultur.altervista.org. Wilkins; Dotti.
«In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e
l'intollerabile esilio di Pietro.» Paravicini Bagliani. Moschella. Petrucci.
Wilkins, Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a
Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia
con P.. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune
un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione
per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione
dell'antica potenza e dell'antico splendore.» Il Mondo di P. Ariani, il quale
ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato
Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata ricorda inoltre come i legami tra
P. e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di
lui Giacomo. A differenza di Giacomo, il cardinale resta sempre il dominus.
Rico-Marcozzi. Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani. Troncarelli. Waley.
Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che
gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e
una casa nei pressi della cattedrale». Ariani. Una prospettiva generale del
rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico, Branca87. Rico-Marcozzi. Solo in
autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato
in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo
rifiutata, e un vescovado». Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le
ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II,
su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi
nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si
avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei
Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni
diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili.
Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem
e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di
meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola
esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore
come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.» Rico-Marcozzi: «il
Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins
Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo
amico sia di P. che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo
si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune
egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena.
Si veda la voce biografica Martellotti. U. Dotti, P. civile: alle origini
dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins, espone dettagliatamente
le trattative tra P. e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior
Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca.
Per ulteriori informazioni, si veda Gargan, Lettere Senili, traduzione di G.
Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però P. si era
recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante
l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di
Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare
(Cfr. Wilkins, Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla
figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano. Pacca,
Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa
affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il
motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, CICERONE e
Seneca; perché per P. la cultura "è subordinata alla vita morale
dell'uomo. Casa del P., Arquà. Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. P.
designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un
letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina,
ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi
anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i
desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani Baldi, Razetti,
Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La
tomba di P.. Canestrini e Dotti, Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si
veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a P.. Si veda inoltre
P.il poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di
P.. Ricchissima la al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui
Cappelli, L'umanesimo italiano da P. a Valla; i saggi curati da Billanovich
(tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, P. letterato, uno dei
maggiori studiosi di P.; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins. Pacca e Cappelli,
Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone
anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.
Dotti, Nassar, Numismatica e P.: una nuova idea di collezionismo, Il
collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un
patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani
Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il
P. formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i
restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal P. sul palcoscenico europeo di
Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto
anche da Ariani63. Cappelli42 e Ariani62. Cappelli, Albertini Ottolenghi,
Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani.
Lo scavo introspettivo. Ferroni10. Ferroni, Ferroni e Guglielmino-Grosser. P.,
Africa, Cappelli e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti
riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti
in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno
pagano.» Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito
delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto
dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a
favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante
dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose
familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso
ai posteri dati biografici della propria vita, e P,, afferma che quest'ultimo
«fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita
quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine
concreta. Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio
umanistico lanciato da P.: parlare con il proprio animo non serve. Bisogna
affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro
con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre
parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum
adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo
strumento dell'autentico processo umanistico. Sua mercé si saldano e si
congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e
l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può
aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il
colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore. Viaggi nel TestoAutori della
letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd
in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì
come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per
l'altrui scale Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata. La
riforma di P. consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della
rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso
aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il
plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di P. secondo Contini. Delle cose
familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Pizzimentig Opera: Altichiero,
San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni,
Pacca, Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio
di Dotti sulle Epistolae metricae. Pacca, Pacca, Ferroni. Amaturo, Cappelli
Ferroni, Pacca; Santagata; Amaturo, Le epistolae retrodatate furono, secondo
Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto
culturale-esistenziale idealizzato da P.. Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani;
Dionisotti. Salutati e dopo la morte del P. e del Boccaccio, il più autorevole
umanista italiano, unico erede di quei grandi.» Dionisotti. Dopo lungo
intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui
fece seguire un'assai più succinta vita del P. e un conclusivo paragone fra i
due poeti. Cappelli, Di Benedetto. Si veda la voce enciclopedica curata da Praz
e Benedetto Ariani Pacca, P. e Bresslau, Lettere Senili, traduzione di G.
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plurilinguismo di ALIGHIERI e il monolinguismo di P. secondo Contini, Pacca.
Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le
tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca.
Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia
romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo
filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.”
Luigi
Speranza -- Grice e Petrone: la ragione conversazionale dei sanniti e la setta
d’Imera – il megliore dei mundi attuali
– CLXXXIII, LX LX LX I -- Roma – la scuola d’Imera -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Imera). Filosofo
italiano. A Pythagorean, who claims that the number of worlds is CLXXXIII -- arranged
in the form of a triangle: LX on each side and one at each angle. Petrone.
Luigi Speranza -- Grice e Petrone: la
ragione conversazionale del determinismo dei sanniti e dei liguri – il fato o
il caso? – l’implicatura conversazionale – la scuola di Limosano -- filosofia
molisana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo italiano. Limosano,
Campobasso, Molise -- Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del
spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally
untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.” Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo
dei lizij con il soggettivismo critico. Dei lincei. Collabora a “Cultura
Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espressa criticamente
sulla condenna del modernismo da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa,
Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della
comunicazione di Grice --; “I limiti del
determinismo” (Modena, Vincenzi); “Idee
morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”; “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore);
“Confessioni d’un idealista” (Milano, Sandron) – cf. MAMIANI ROVERE –
Confessione d’un meta-fisico – AGOSTINO – “Confessioni” -- ; “Lo spirito” (Milano,
Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo,
Sandron); “Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia
e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nell’economia capitalistica”;
“Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume
dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”;
“L’etica come intuizione” -- – contro LABRIOLA (si veda) --. “La storia
interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia
profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri
differenziati del diritto” -Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. – “Tyrrell e Tyrrell”). Avevamo
già corretto le stampe di questo articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del
rinnovamento di Milano -- pieno di tutto fiele contro l'enciclica. Nella
sostanza si accorda pienamente col programma dei modernisti, ma nella violenza
della forma e nella irriverenza del linguaggio lo passa di molto; e trascende
con P. -- L'Enciclica di Pio X -- a
stravolgimenti indegni dello spirito e del senso dell'enciclica. Ed ancora
sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò su questo punto nel
Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del modernismo e dell'enciclica
che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Per
saggiare a fondo il valore del realismo giuridico dell’antico DIRITTO ROMANO, è
uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che punto esso risolva o dia
sicurtà di risolvere quei problemi che ogni ricerca del diritto, la quale
aspiri al titolo di FILOSOFICA – alla Hegel --, si propone e che non sono
del tutto ignoti alla filosofìa del dritto romano tradizionale. Tre sono i
problemi che ricorrono tuttora nella filosofia o che segnano l’intervento della
scesi filosofica bene intesa. Il primo concerne l’origine, .la portata, i
limiti del conoscere. Il secondo concerne la natura dell’ essere che è
l’oggetto del conoscere. Il terzo il valore e le leggi dell’operare. Il
primo è il problema gnoseologico e, nella filosofìa del dritto romano,
può formularsi così: quali atti e funzioni ‘psicologiche’ si richieggono
perchè si formi, rigorosamente parlando, una nozione del dritto – quale il
diritto romano? Quale ne è il criterio, il principium cognoscendi? La
ricerca induttiva dei fenomeni del dritto presuppone o no una nozione del
dritto, una serie di abiti o (li
funzioni psicologiche, che valgano come premesse e come leggi del
processo induttivo ? II secondo è il problema ontologico ed è espresso da
queste domande: in che si sustauzia il diritto romano? Quale è il la
natura che subest, che sottosta immutabile alle sue evoluzioni
fenomeniche? e, nell’ipotesi che la ricerca dell’ essere e della sostanza
sia illegittima, nella ipotesi cioè fenomenistica, quale è e donde il
nascimento del fenomeno giuridico? Il terzo è il problema etico e la
maniera onde può venir risolto corrisponde esattamente alla maniera onde si
formula e si dibatte il problema ontologico: esso si domanda, quali sono
le norme della condotta giuridica doverosa; se le disposizioni del potere
POSITIVO del Hegel sullo stato prussiano siano, semplicemente perchè tali,
dotate di valore etico-imperativo; se, invece, non vi sia un criterio
normativo, superiore ad esse e giudice di esse, ottenuto altronde; se ci
si debba limitare alla semplice accettazione delle disposizioni autoritative
ossia del DRITTO POSITIVO o se, invece, non sia legittimo e corretto
domandare il titolo RAZIONALE di esse o IL DRITTO DI QUEL DRITTO: è
insomma, a dir breve, il problema del dritto NATURALE. Il realismo
giuridico non può evidentemente sottrarsi a questi problemi che ogni uomo,
conoscendo, non che filosofando, si propone e che, per quanto egli
premediti di sviare o eludere, non si lasciano rintuzzare in verun modo. Ed
in un modo o nell’altro, di dritto o per traverso, se li propone e li
agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito conoscitivo non è per esso
un problema, in quanto ue presuppone la soluzione che è, come tante volte
si è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti, poi,
quello ontologico e quello etico, sono (la esso piegati alle esigenze del
suo empirismo conoscitivo: il primo di essi è snaturato da problema di
essere in problema di origine ed al secondo si oppone un diniego
esplicito. Il clie per altro, non toglie che cosi quella forma speciale
onde si pone e s’ interpetra uno dei problemi, come quella esclusione o
soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno la
conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se non espressa, ed
implicita nell’ assunto fondamentale dell’empirismo, quand’ anche non
condotta di proposito deliberato da questo o quello interpetre dell’assunto
stesso. Resta solo a vedere, se il problema vada posto come vuole
l’empirismo o come vuole la filosofia, o, dove l’uno e 1’ altra lo
pongono ad uno stesso modo, se vada risolto nell’ una forma o nell’
altra. E dico a bella posta — LA FILOSOFIA— senza vermi predicato che
la determini in un senso più che in un altro e che la limiti ad una
scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo si annunzia in antitesi non a
questa o quella filosofia, ma alla filosofia in generale, o, se si vuole,
è una forma di filosofia che si oppone a quella che fin qui era tenuta
per tale, alla metafisica, e non a questo ed a quel sistema, ma al
criterio comune a tutti i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di
contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per noi l’assunto
impersonale della filosofia, senza che le varietà individuali di essa ci
occupino punto. Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel
possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali, è dato
ravvisare, nella tradizione storica della filosofia, a chiunque la interpetri
con intelletto d’amore . Il criterio della esperienza ed il problema gnoseologico
della filosofia del dritto.Adunque l’esperienza, ossia la osservazione e
la comparazione dei dati fenomenici, è il criterio conoscitivo universale
del realismo giuridico, di guisa che la critica di esso si traduce iu una
critica della esperienza. Questa critica non data veramente da oggi: essa
è vecchia, nè comincia dal Kant, come si peusa comunemente, ma risale a
Platone, che primo rivendicò le ragioni della scienza e della filosofìa
contro la doxa e 1’ empirismo dei sofisti. Per quanto vecchia, essa
non ha perduto, tuttavia, la freschezza della novità, e va rievocata oggi
che il positivismo, nella forma più matura della teoria delfassociazione
e di quella dell’ evoluzione, ha risollevato i fasti dell' empirismo.
Diremo, adunque, anche a costo di apparire noiosi ripetitori, che 1’ esperienza
non è in grado, da per sè sola, di scovrire il momento universale e
necessario del dritto, nè il nesso causale dei fenomeni .giuridici, più
di quello che essa noi sia di scoprire il momento necessario ed il nesso
causale di altri ordini di fenomeni. L’esperienza ci dice che una
cosa è fotta così e non altrimenti, ma non che la cosa non possa
essere altrimenti che così. L’esperienza ci dà la coesistenza e la successione
dei fenomeni e può darci anche la legge empirica (la cosi detta legge di
conformità che impropriamente si chiama legge) di tale coesistenza e
successione, ma non ci dà nè può darci mai la legge di necessità. Essa
ci dà la ripetizione delle coesistenze e delle successioni di dati
fenomeni, ma non la legge di tale ripetizione: essa ci dice che una cosa si
ripete cento, mille, diecimila volte, ma non che si debba ripetere
.necessariamente. L’ultimo dei termini della serie progressiva e faticosa delle
esperienze non ci dice niente di più e di meglio di quanto ci dica o ci
abbia detto il primo, e l’ultima ripetizione vale le altre. L’accrescimento del
materiale della esperienza è un processo quantitativo, dal quale nessuna
alchimia trarrà una qualità nuova. Noi chiediamo il quia, ed il quid,
doveccliè i progressi della esperienza non ci promettono che una
cognizione sempre più vasta del quale. La teoria dell’associazione, che data da
Hume, si avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a questa
legge di necessità una portata puramente psicologica. La necessità
oggettiva, essa dice, è un inganno; la necessità è puramente soggettiva ed è la
coazione interiore verso un dato nesso o una data serie di nessi logici
delle nostre rappresentazioni. La categoria della necessità è una
oggettivazione illusoria, una proiezione al di fuori dell’abitudine interna di
un dato nesso ideale. Ma, checché si deponga in favore di tale
tesi, non si scema l l’equivoco GRICE EQUIVOCO che la vizia. La coazione
interiore può ben nascere dall’abitudine, ma la necessità logica della
ragione è ben’altra dalla coazione psicologica del sentimento. Questa ultima,
non che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè il dominio
psicologico è il dominio del variabile, del contingente, del casuale. Del
pari l’esperienza non può colpire il momento universale delle cose. La
universalità alla quale essa può pervenire è, tutt’alpiù, universalità
sui generis, universalità relativa e provvisoria, il che è tutt' uno che
negazione della universalità scientifica. Il maximum dello sforzo
cogitativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo un noto
principio del Kant, è il seguente per quello che abbiamo appreso fin qui,
non si trova veruna eccezione di questa o quella regola data » non già
quest’altro questa è regola universale e non ha veruna eccezione. E ciò, perchè
le conclusioni dell'esperienza sono limitate e condizionate quanto la
esperienza, la quale è eminentemente analitica e non assicura e non
garentisce che il suo responso immediato. L’esperienza ci dice che date
coesistenze e date successioni di fenomeni si sono ripetute fin qui, ma
non ci assicura che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi
» oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri sultanze di quella
esigua e ristretta esperienza per[Vedi la bella illustrazione che di questi
pensieri della critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken.
Kritische Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg Volkelt] sonale
che ne è consentito di fare e le atteggiamo sub specie aeternitatis, ma,
con ciò stesso, noi superiamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo
ed applichiamo per la nostra cognizione un altro criterio che quello
sperimentale. In ogni giudizio che formuliamo v’ò un tacito sottinteso
che precede l’esperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che
quella ripetizione delle coesistenze o delle successioni, la qual
ripetizione non abbiamo osservato ancora o non potremo osservare in avvenire, è
conforme alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osservate. Il
processo induttivo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale che si
formula nel principio d ’ identità : dal quale segue che quanto si predica di
una cosa o di un rapporto già esperito va predicato, altresì, di tutte le
cose e di tutti i rapporti esperibili, le quali o i quali sieuo della
stessa natura sostanziale della prima o del primo. Ne l’esperienza è più atta a
conoscere il perchè delle cose, il cur, di quello che noi sia a
conoscerne la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure
conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra 1 fenomeni
di una serie un rapporto di prima e di poi non segue, per altro, che la mente
dell’osservatore, la quale nel supposto è tabula rasa, argomenti dal
semplice rapporto empirico di antecedente e conseguente la possibilità di
quello ideale di causa e di effetto. L’esperienza ripetuta delle stesse
sequele di un dato fenomeno e di un altro non può creare ex nihilo
sui quel rapporto di causalità che ai primi [VERA A. Melanges
philosophiques] gradi ed ai primi passi di quella esperienza era
inconcepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è nelle cose (lo
scetticismo di Hume non ha chiuso il problema) ma non è una specie
impressa sulle cose, visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La
nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipazione dell’
intelletto sulla esperienza e sulla stessa natura. Ogni nesso causale che
noi formuliamo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale del nesso
causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è effetto di
quell’ altra » solo perchè sapevamo che, risalendo la serie regressiva
dei fenomeni, ciascuno dei termini di questa serie è un effetto, ossia è
un prodotto da una causa, finché si perviene al termine primo che
non è più effetto, ma causa sui. In vero, senza questa funzione mentale,
noi avremmo uu bel discernere delle affinità e delle conformità logiche
tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una altra cosa che
la segue: tra Luna e l’altra cosa noi non vedremmo mai un rapporto
causale, se a quel nesso di conformità non si associasse spontaneamente,
nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io chiamerei il
sottinteso della causalità. Chi analizzasse questa serie di sottintesi e questa
prescienza e vedesse quanto è facile e seducente, ad un metafisico che
sia artista ad un tempo, atteggiare quella prescienza a forma di ricordo
di una vita psichica oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina
platonica sapere è ricordare è più presto una deformazione poetica di un sano
principio filosofico, che un principio falso di sua natura. La nostra
scienza, e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado di
prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio in altra forma, quando
disse « sapere è prevedere. La previsione di un fenomeno esperibile ma
non esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico
recentissimo della scuola critico-positivista, il Masaryk, ci porge una
indiretta conferma, che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi
principi della critica della conoscenza. I fenomeni particolari
sono tuttora (così VA del Saggio fri logica concreta) gli elementi
costitutivi del l’universo, come l’oggetto proprio della conoscenza
umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intelletto non può cogliere
ed intuire di un lampo l’unità delle cose : il suo processo è, per di
tetti vità connaturata, eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le
cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi e le proprietà
essenziali che a quelle cose ineriscono. Queste leggi e proprietà sono il
prins, non il posterius della conoscenza. V’ha due generi di scienze:
scienze astratte e scienze concrete: le prime conoscono le leggi delle
cose e le seconde l’essere di fatto delle cose. Or bene le scienze
astratte sono il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto
perchè le cose non si conoscono che per le loro leggi e proprietà
essenziali. La biologia, che è scienza astratta, perchè ha per oggetto le
leggi della vita precede ad es. la zoologia, che studia gli animali
viventi, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza. So le
scienze concrete presuppongono le scienze astratte, è assurdo supporre che le
prime forniscano la base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di
termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- si intuiscono o
esperimentano di un tratto solo nel loro essere, ma si conoscono in
funzione di una legge e di una proprietà essenziale che precede e rende
possibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e perchè le
scienze astratte abbiano fatto progressi di gran lunga maggiori che le
concrete. Gli è che queste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità
segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle [Questi principi del
Masaryk sono fondati sul vero, benché il modo ond’egli si esprime sia
tutt’altro che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’empirismo per
formulare una nozione sovra-empirica. Quello che egli chiama processo
astrattivo va chiamato processo di sintesi spontanea ed originaria,
perchè l’astrazione presuppone la conoscenza del concreto onde si
astrae, il che contraddirebbe al supposto. Prescindendo da ciò, resta,
intanto, stabilito che non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo
critico ed illuminato insegnano d’ accordo che alla conoscenza analitica
delle cose particolari deve precedere la conoscenza della specie universale,
che è come una sintesi, una deduzione spontanea ed originaria, un’
anticipazione mentale dell’ osservazione. L’ esperienza affidata alle sue
forze sole è così lungi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che
anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che è prima e
sovra di lei, non potrebbe neanche venire alla luce e legittimarsi come
esperienza. Versucli eiiier coucreten Logik (Wien). Or bene, ripeto quanto lio
detto più su, questa difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine
delle conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di
conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve precedere 1’ esperienza
particolare: la scienza sintetica delle proprietà essenziali del diritto
deve precedere la scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e
non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un impinguamento del
materiale di fatto può accrescere la notizia delle cose, non la scienza,
come bene afferma Hartmann. Il materiale dei fatti é il sottosuolo, non l’oggetto
della scienza. La osservazione empirica di un fatto giuridico non ci dice nulla
sul momento universale e necessario del dritto, nulla sui nessi causali
di quei fatti ed è, però, inetta ad adempiere, non che una sintesi
filosofica, ma una semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla
scorta di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad ottenere quel
principio sintetico e quell’ universale logico del dritto che, come tante volte
si è visto, rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più [(lì Die
Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt uur die Kuncle, aber
nicht imraittelbar die Wissenschaft. In dem aber die Wissenschaft erst da
anfiingt, wo in den Beziehuugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm
wirkenden Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige
oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufgesuclit wird,
zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht don Gegenstand selbst
der Wissenschaft bildet, sondern nur die Unterlage derselben, dass aber
der eigentliche Gegenstand der Wissenschaft dasjenige ist, was an den
Beziehungen des Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette
Studien u. Aufsiitzc] esplicitamente, quella osservazione empirica,
ammesso pure che la si estenda il più che sia possibile, non ci darà, di
per se sola, non che una filosofia, neanche una scienza del dritto.
Perchè egli è fuori dubbio che la scienza abbia per soggetto l’universale
ed il necessario delle cose. L’ACCADEMIA, il LIZIO, e fra noi, CICERONE, hanno
del pari messo fuori disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig
nepi òoatav e che l’esperienza, che apprende il particolare, non va
confusa con la scienza che apprende l’ universale. Gli stessi principi
sintetici della fenomenologia che siamo venuti divisando non provengono
dall’ esperienza, ma dalla speculazione del pensatore. La storia consegna
al v. Ihering il fatto della lotta e del fine interessato, ma, quando
egli generalizza P esperienza di quel fatto a momento universale
del dritto, eccede i termini della esperienza, per soddisfare ad una vocazione
speculativa che è anteriore all’ esperienza. La ragione di Dahn ed
il giusto del Lasson sono cosi poco creature delP esperienza, che quella è un
ricordo della opinio necessitati della metafisica, ovvero una forni ola
logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la quale, a sua volta, è
una ipotesi demo-psicologica che trascende ogni esperienza) e questo è P
applicazione al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo
residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la quale ha il suo
punto di partenza nell’ esagerazione dell’ a priori. Il principio del rispetto
verso la forza [Rep. Vedi pure: Fed. ; Mat.; Mag. Mor.] imperante (Achtung) e
quello della pre volizione della norma (Anerlcennung) sono non fatti di
esperienza 0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni fatti
accidentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di
conoscere le proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero
processo della induzione e della comparazioue. Noi abbiamo visto
testò il Post, nell’ analisi comparativa dei fotti particolari della vita dei
popoli, fermare il segreto del substrato universale di quei fotti e di
quella vita. Ma, l’osservazione e la comparazione non sono possibili senza una
teoria preesistente, la quale ci faccia discernere quello die va
osservato da quello che non va osservato, e che, nel materiale
disordinato dei fotti, ci consenta di sceverare quel momento che concerne
e preoccupa la nostra scienza da quegli altri momenti che non ci
concernono punto e che le altre scienze differenziano dalla nostra. Senza il
filo d’Arianna della speculazione, l’osservazione e la comparazione dei
dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e dal quale non
v’è più uscita. Se non sappiamo prima, per un’ anticipazione
intellettiva, che cosa è dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici
da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni giuridici
possiamo sceverare quello che in essi è proprietà essenziale da quello
che non lo è. Anche nell’ordine delle conoscenze giuridiche è vero che l’intuizione
è cieca senza la categoria. Vi debbono essere, nella moltitudine dei
materiali storici messi a profitto dall' indagine e e dalla comparazione,
delle quantità conosciute ehe permettano all’osservatore di orientarsi nei suo
cammino. Il che è riflesso, nelF ordine del pensiero, di quello che, come vedremo,
ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, evidentemente, nel suo processo
evolutivo l’umanità deve pure avere avuto delle soste, deve pure aver segnato
delle fermate e dei punti di riposo, nei quali momenti si è venuto deponendo,
consolidando, sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare
dei fenomeni. La pressura della logica e quella che lo Schopenhauer
chiamava die List der Idee domina, del resto, gli stessi induttivisti della
giurisprudenza e li trae a smentire coi fatti quanto lian professato a
parole. Dopo aver respinto 1’ a priori, essi sono ben lungi dal farne a
meno: e di presupposti a priori tolti in prestito alle nostre odierne
intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filosofica le loro
ricerche sono piene. Tanto egli è arduo, impossibile anzi, nel rifare a
rovescio il processo della evoluzione giuridica, fare a meno di un
contrassegno ideale di quello che è dritto o di un criterio
intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli altri fenomeni del cosmo!
Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa d’inferire dal semplice
raffronto dei fatti la nozione del momento giuridico di essi, è una vera
petitio prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si cerca
bisogna averla per forza, se no quello che si cerca non si trova. È una
cosa molto elemen fare codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà
mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle forme storiche della
proprietà immobiliare nel mondo orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra
esse e quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete prima una
nozione quale die sia della proprietà immobiliare, quella ricerca e quella
comparazione non la farete mai. La storia è pur sempre storia di
qualche cosa. L’ordinamento seriale dei fenomeni sotto il genere dritto e
sotto le specie famiglia, proprietà ec. (scelgo a bella posta l’ordinamento
seriale più facile ed elementare) e tutta la serie dei principi e delle
rubriche e delle classificazioni della giurisprudenza storica e comparativa
sono, per necessità di cose, un presupposto e non un risultato della
comparazione e della storia. Nò si opponga che il com cetto del dritto
emerge dal fondo stesso della osservazione e della comparazione ed è ottenibile
mettendo a raffronto un gran numero dato di oggetti affini tra loro,
astraendo dalle differenze indi-[fi) Schuppe. Die Metkoden der rechtsphilosophie.
Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung zu dem Gewordenen,
sondern gerade umgekehrt: man suckt, von diesein ausgekend, seine Erfahrung
nack ruckwarts in der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte
herauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder eine
Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas. Wenn die sogenannte
genetiscke Metkode die vollkomneren Gestaltungen aus den unvollkomneren
sick erzeugen, so solite nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos
Keimes das Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon
vorsckwebt; nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick nack den
keimartigen Anflingen. Stammler. Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie]
vicinali di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella nota universale e
comune, in che convengono tutti ad un tempo. Imperocché, appunto perché
abbia luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione sintetica
della natura sostanziale del dritto. Per discernere in che gli oggetti sono
affini, occorro che vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto
al quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile. La
osservazione e la comparazione vi darà il fatto della convenienza, solo
quando voi preconoscete di avanzo, sarei per dire presentite, per una
cotale anticipazione irriftessa dello spirito, quello in che si
conviene e la ragion formale della convenienza. La nota comune è una
premessa del processo astrattivo. Bisogna degradare il fenomeno della
conoscenza alla più volgare materialità per convincersi che gli
elementi, i quali in ipotesi sono conformi, si lascino connettere
in un rapporto di conformità per una percezione immediata del loro essere
di fatto. Perchè gli elementi b. c. d. lascino vedere un elemento comune
con a. e si vadano sussumendo in un rapporto comune A. occorre almeno che a,
ossia il termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e gli
appaia come un momento di cosiffatta natura, da servire di regolo agli
altri, come a dire un equivalente ideologico preesistente del contenuto che si
ottiene poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto
dell’osservatore è una tabula rasa, egli non vede nè differenze nè
somiglianze nei fenomeni, nè dritto nè torto nella storia: le differenze
sono percepibili, solo quando si sa quello da cui si differisce e. del
pari, le somiglianze, solo quando si sa quello cui l ‘ì si
somiglia: in altri termini i rapporti sono percepibili solo in finizione del
loro oggetto ò della loro ragione formale. Egli, adunque, l’osservatore,
non vede che una serie di fotti indifferenti che non sono nè il
diritto, nè il suo rovescio : di cui noi, messi al punto, non potremmo nè
anche assicurare che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva
che sarebbe necessaria per vedere come andrebbero le cose della
nostra intelligenza nella ipotesi di un processo anormale di questa.
Alla induzione ed alla comparazione deve, adunque, precedere un intuito
speculativo del dritto. ]Sel campo della giurisprudenza, come in quello
delle altre discipline, il processo conoscitivo s’inizia da una
sintesi primitiva e spontanea, si svolge e dirama e differenzia per
l’esperienza, l’analisi, la riflessione e va a metter capo alla sintesi
riflessa della deduzione. La storia del processo fenomenico ed inventivo
è un compito meramente analitico che si esercita sopra una sintesi
scientifica preesistente. Per descrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna
già possedere il concetto dell’ essere della cosa, ossia della sua
forma definita ed evoluta e della sua configurazione stabile e consolidata. Es
ist vor Alleni unumgiinglich, class der Entwiokluiigahistoriker das genaueste
und deutlichste Verstiindniss von der reiteri Gestalt besitze und
bekunde, von welcber er die Entwickeluug verfolgt. Die
Eutwickelungsgeschichte ist steta und lediglieli eiue analytischo
Aufgabe. Scheinbar naives Aufsuchen der Verbindungsstiicke und gliickliches
Probiren, ob sie passen, ist ein ganz eitles Unterfangen. Die Ent[La filosofìa
speculativa del dritto aveva adunque ragione. Di che una preziosa riprova
ci forniscono gli stessi empirici della giurisprudenza, la mente dei
quali è munita, anzi tempo, non che di un intuito o di un
presentimento del dritto, di tutto un corredo di conoscenze speculati ve, più o
meno deformate, tolte in prestito precisamente a quella filosofia. E
senza il suo ausilio 1’ esperienza si sarta trovata a mal partito.
Ciascun fatto o ciascuna serie di fatti non malleva che se stessa: ed il
filosofo dell’ esperienza non avrebbe mai visto il lume dell’ idea.
L’induzione è sempre limitata ad un dato numero di fatti, il qual
numero, lo si moltiplichi a talento, dista pur sempre infinitamente dalla
universalità -che si estende a tutto il possibile. Gli stessi principi
generali non vi sarebbero più : 1’ allgemeine Reclitslelire è un generale
die, viceversa, è un particolare. A causare tali perigli, resta che, in difetto
di speculazione propria, si usurpi l’ altrui. Ed ecco, allora, che
la premessa maggiore del realismo e della fenomenologia è una premessa
metafìsica. Questi declamatori dell’ esperienza e dell’induzione sono in
fondo dedutti visti. La filosofia ha trovate alcune verità con un
procedimento misto d’ intuizione di rapporti ideali e di esperienza
psicologica. Essi riprovano queste verità con l’allegazione di fatti spe- [wickelungsgeschichte
des Organismus setzt ein hohes Stadium der Anatomie voraus, das sie
alsdann erhohen kann. Aber die Entwickelungsgeschichte kann der
descriptiven Anatomie nicht voraufgeben. Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung
Zw.] rimentali, quando noi facciano con nn tessuto di raziocini. Il loro
metodo è analitico e regressivo: onde quando essi rimproverano di
deduzione la vecchia filosofia, questa potrebbe dir loro che essa della
deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche i pregi, dovechè ad essi
non restano che i difetti soli. Il criterio storico-evolutivo ed il problema
ontologico della filosofia del diritto. Si è detto innanzi come la
maniera, onde l’empirismo concepisce il problema dell’essere del dritto,
equivale esattamente alla maniera ond’ esso concepisce il problema del
conoscere. Dopo aver detto die criterio unico della scienza è l’esperienza,
logica vuole che l’empirismo dica che l’oggetto della scienza è
tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei limiti della esperienza, e che,
quindi, il dritto non abbia altro essere che l’essere mutabile,
contingente e fenomenico, o, per dir breve, non altro essere che il
divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel dritto, il criterio
scientifico si è venuto snaturando nel criterio storico e,
conseguentemente, il problema ontologico nel problema genetico. Del
dritto, come di altri oggetti, si studia non più la sostanza ma la
genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più il substratum ma
il processo; nè solo si studia l’una cosa e non 1’ altra, ma si afferma
come inesistente quella che non si studia, o si presume di non studiarla,
appunto perchè la si dà per inesistente. È il criterio storico-evolutivo,
che riassume il genio scientifico (lei secolo e che pervade scienza e
filosofia. Se ne volete 1’origine, dovete far capo all’ aspetto dogmatico
del fenomenismo kantiano e, più lungi ancora, alla critica Lochi aria,
alla teoria, cioè, della inconoscibilità della sostanza. Tolta, invero,
la ricerca della sostanza, non rimane che il fenomeno soletto al lievi, al
divenire, alla storia. Se questo criterio lo si proseguisse nella sua
forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi settatori un
saldo sostegno. Così coni’ è, esso è viziato dalla radice, perchè poggia sopra
una inversione del problema filosofico e perchè confonde volgarmente due
termini che vanno distinti, scienza e storia. I fenomeni particolari che
registra la storia sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro
numero: la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle idee per dominare
l’universalità dei possibili, senza di che non si sarebbe mai svincolata
dalle strettoie di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto
il nudo individuale; quello che sta a sè e non può predicarsi degli
altri; quello che può essere conosciuto solo per un atto di esperienza ex
professo e discontinua, e che, per essere singolo, si consuma in un
singolo atto mentale e consuma l’atto stesso; quello che non ha nesso con
altri e non può nè subordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è
incomunicabile: quello che dà luogo non ad un concetto, ma ad una moltitudine
di percezioni saltuarie, sempre esposte alla sorpresa del nuovo,
dell’imprevisto, dell’azzardo.
Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: L’empirismo, messo allo
stremo, li a studiato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio.
Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di riconoscerla,
ma piegandola alle esigenze del suo criterio; nò nega la sostanza, ma la
traduce nel circolo del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della
scienza l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che stia,
nel divenire. Il suo intento non è, in fondo, negativo, ma dialettico. L’
esse della filosofia morale e giuridica è appunto il fieri della
evoluzione del costume e degl’ istituti giuridici. Quella serie di
proprietà sostanziali, quella essenza specifica della natura e della coscienza
umana non sono negate o rimosse, adunque; sono semplicemente interpetrate
in un modo diverso. Esse non sono più un a priori — della' storia, un
termine che è fuori del processo storico e che rende possibile lo
stesso processo; ma si rappresentano come un a posteriori primitivo, come
un prodotto dell’esperienza collettiva e della razza, un prodotto che si
solleva, a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi fenomeni,
ma è ab initio una formazione, un fenomeno esso stesso. Messo da banda il
flusso eracliteo i settatori del criterio storico-evolutivo si credono
licenziati ad ammettere delle proprietà specifiche della natura etica umana,
quando s’ intenda che queste proprietà sieno non un essere, ma un
divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si intenda che
esse sono forse un a priori a petto alla esperienza individuale dell’
uomo che si trova in uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono
certo un a posteriori della esperienza delle g enei azioni preesistenti.
Nella serie dei momenti evolutivi, ciascuno di essi è un posterius delle
esperienze sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie
queste esperienze diventano generative di altre posteriori, a petto alle
quali esse sono un termine primitivo. L’esperienza collettiva che supera
la dispersione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abitudine
(latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette e la consolida, la
tradizione storica che ne raccoglie le risultanze : ecco i supremi
presidi, con l’aiuto dei quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare
le difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della scienza e
della filosofia nel flusso del divenire e di evitare, ad un tempo, le
ritorsioni di quella logica inesorabile, che lo forza a dibattersi
sterilmente nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di storizzare
la logica, di formulare e dogmatizzare il mutevole, l’evanescente, l’
individuale e di travolgere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei
fenomeni transeunti quello che è e che sta, l’eterno, l’immutabile, l’assoluto.
Se. non che, anche in questo contenuto più ricco di valore ideale che assume il
criterio storico-evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella
logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena all’ assurdo
d’ invertire i termini del problema filosofico e di scambiare la scienza con la
storia, la sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini
connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti. Finché, in
omaggio al paradosso, si riconosce l’ammissibilità di un processo all’ infinito
e, rifacendo la serie regressiva delle esperienze, il primo termine
di quella serie si rappresenta come una esperienza a sua volta, il vizio
radicale dell'empirismo rimano sostanzialmente lo stesso. Finché la razza
è una moltitudine d’individui, la quale moltitudine non può fornire
un elemento nuovo ehe non sia orininari amente contenuto in ciascuno degl
'individui che la compongono, finche l’abitudine e l’eredità sono forze
trasmissive e non creative, le quali, quindi, presuppongono un quid che
si ripeta o consolidi o trasmetta, la contraddizione implicita nell’
assunto empirico rimane tal quale. L’ empirismo allontana,
risospinge indietro il problema nella storia, ma non lo risolve.
Nella serie delle fasi evolutive v’ è sempre un priuSy un termine primitivo,
che, come esso c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non è
una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine all’ esperienza ma
esperienza senza attitudine. Ed in questo termine primitivo rinasce il
problema elie si credeva composto: il divenire è possibile senza l’essere?
ed i fenomeni giuridici sono possibili senza l’essere giuridico"?
senza una coscienza giuridica già data, senza una facoltà connaturata del
dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni momento
individuale dell’ evoluzione giuridica, lo si derivi pure da una serie
inferiore preesistente, non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo
determini e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e
questo aliquid non è un essere che precede e rende possibile il
divenire? Nella continuità dei fenomeni deve pure esservi, non
foss’altro, l’infinitamente piccolo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed
è quindi la radice, il substratum di quello che v’ è di nuovo nel
rapporto reciproco dei termini successivi della serie, di quello cioè che
differenzia i singoli momenti della continuità. Questo infinitamente
piccolo non può essere prodotto dalla prima esperienza, se questa, per logica
di cose, lo presuppone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella
serie di esperienze, che saremmo impotenti a far noi ex novo, se
fossimo dello tabulae rasae, e che noi possiamo Aire, secondo il criterio
storico-evolutivo, solo perchè l’eredità e la tradizione storica ha
deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici tutto un contenuto ideale
che tesoreggiamo di continuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero
esse state possibili, senza verini possesso anteriore di una
facoltà connaturale, a quegli uomini primitivi, i quali, a quanto insegnano gli
evoluzionisti, uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’animalità?
Perchè, senza dubbio, proseguendo a rovescio il corso dell’evoluzione
giuridica, vi sarà seni pre un assolutamente prius die non è più specie
ma individuo, che non è più esperienza collettiva e storica ma nuda
esperienza individuale. Il criterio storico-evolutivo che, per aver
riconosciuto la legittimità dei processo all’ infinito, ha posto, come
termine primitivo delle esperienze, la esperienza stessa e, come causa
degli effetti, l’effetto o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere
i frutti del suo inconsulto procedere e deve togliere sopra di sè
la contraddizione di un termine derivato che si postula come termine
primitivo. La filosofia tradizionale, la teoria nativistica come per
dileggio la chiama l’ Jliering, aveva adunque ragione quando poneva a
sostrato primitivo e causale la natura deir uomo e non il processo della
storia, la coscienza giuridica e non le esperienze edonistiche ed
utilitarie. Il fenomeno della evoluzione presuppone il noumeno della creazione,
nella filosofia del dritto come nella cosmologia : il divenire presuppone
l’essere che diviene e che sussiste lo stesso attraverso e non ostante il
divenire. Senza una coscienza giuridica bella e data, l’esperienze
giuridiche non sarebbero nate, perchè è la facoltà che crea le
esperienze e non le esperienze la facoltà. Ed invero, senza una coscienza
giuridica universale connaturata in ciascun membro della razza o della
specie, l’intimo consenso in certe verità giuridiche fondamentali, attestato
dalla stessa osservazione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla
luce. L’esperienza, la quale procede a furia di esperimenti, di
correzioni, di prove rudimentali, incerte, provvisorie e che è sempre
varia da soggetto a soggetto, da caso a caso, non può aver potuto determinare,
per la contraddizion che noi consente l’universalità e 1’ unità della ragion
normativa e della coscienza. Si riduca questa unità e questa universalità
alle semplici proporzioni di una funzione formalo e vuota di contenuto, ebbene
non sarà mai concepibile come quella unità della forma della coscienza
inorale possa essere uscita dal fondo di esperienze soggettive, senza un
fondo comune di attitudini preesistenti, senza un addentellato di sorta.
1/ antropologia dell’ evoluzione può aver provato, si conceda per un momento,
che il contenuto della morale e della giustizia varia da popolo a popolo,
da tempo a tempo, ma non può aver provato che ne varii altrettanto la
forma. Essa, anzi, riprova indirettamente che la materia infinitamente
diversa del dritto reca in sè V impronta di una costante unità di leggi e
di funzioni, le quali sono, alla coscienza morale dell’umanità, quello che al
pensiero le leggi e le funzioni a priori della conoscenza; e che muta il
contenuto dell’ atto morale, ma immutabile ne è la ragion formale; ossia
le condizioni necessarie all’atto morale come tale sono immutabilmente concepite
e, sarei per dire, plasmate nella forma assoluta d 7 un imperativo
incondizionale, d’un dovere. Si assuma il più semplice degl’istituti
giuridici del più semplice dei Natur-Viilker, ebbene l’analisi vi scopre
sempre questa proprietà ideale : il convincimento di una legge estra-soggettiva,
che è fuori e sopra l’arbitrio individuale ed alla quale è doveroso
prestare obbedienza. La pretensione giuridica del selvaggio contiene un
elemento spirituale che è condizione comune a tutte le pretensioni
giuridiche di tutti i popoli più culti. Quella pretensione è appresa come una
legge impersonale, non solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si
esercita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti, che sieno per
trovarsi nella stessa condizione dei primi, e, quindi, rispetto allo
stesso soggetto pretensore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi.
Motivo etico della pretensione o del comando, quel motivo, cioè,
per cui l’una o l’altro è appreso come autorevole e fonte di obbligazione
doverosa, è sempre la conformità presunta di quella pretensione o di
quel comando ad una legge. Che la conformità presunta non sia conformità
reale importa poco: resta sempre stabilito ohe condizione necessaria
dell' atta giuridico, condizione universale e comune a tutti i
popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la ragion
formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale non si trovi così
nettamente distinta e differenziata nella coscienza morale del selvaggio,
importa ancor meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica,
laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sintetico della
coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi dal provare quella
dell’altra. L’analisi rende molteplice e successivo rispetto a noi quello che è
uno e simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due
aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno della nostra
difettività conoscitiva. Senza dubbio, l’unità e la comunanza della
semplice-ragion formale del bene e del giusto non basta a fondare una
morale, nò una filosofìa del dritto. Un’etica senza contenuto è una
logica del bene e del giusto, non una nomologia. Quella unità della
coscienza si traduce in piena iudifferenza e la percezione della ragion
formale del giusto in un mero momento psicologico. Ma, se questa unità
formale della coscienza morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli
uffici dell’ etica positiva (e però noi non ci ristiamo a lei, ma
ammettiamo un contenuto morale, quale quello che ci detta la filosofìa
teleologico-cristiana, e sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo,
nelle tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto di un
pervertimento derivato) è molto rispetto alla critica della sociogenesi
della evoluzione. La quale si chiarisce così contraddire apertamente non
solo alla teleologia inorale, ma benanche alla critica, più negativa e più
«pregiudicata, della ragion pratica. Come per avventura, le incerte esperienze
dei soggetti sub-umani abbiano potuto determinare l’unità della ragione e
dell’intuito formale del giusto, vale a dire quell’ unità che è il
residuo non eliminabile di un’analisi corrosiva della moralità umana:
ecco un enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a
decifrare mai. Gli è che la presunzione della tabula rasa non è
meno infondata nella sociogenesi, di quello che lo sia nella ideologia :
anzi nell’ una è più insostenibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea
cosi complessa che anche delle scuole filosòfiche, le quali, nella serie
regressiva dei fenomeni della conoscenza, pongono come termine primo la
esperienza, hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la vocazione
come connaturata nell’ uomo, come un habitus della natura. L’ atto
giuridico e 1’ atto morale non nascerebbero mai, ove nella volontà dei
soggetti non vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al
giusto, la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe ove non vi
fosse un intuito originario del bene e del giusto. Ignoti (chi noi sa?)
nulla cupido. La volontà non è, da per sè, una legge, come volle il
RAZIONALISMO CRITICO di Kant, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge,
come vorrebbe il plasticismo degli evoluzionisti. Kon è autonoma di
fronte alla Legge Suprema ed al supremo legislatore, ma è tale di fronte
al resto, à o’ dire che nella volontà umana v’ è una vocazione primitiva
verso quello che è buono e che è giusto, vocazione indipendente dalle
condizioni dell’esperienza e della storia. Dicendo ciò, non si oltrepassano i
limiti della lìlosolìa per entrare nell’orbita della teologia (benché un
rimprovero siffatto, ci affrettiamo a dirlo, sarebbe per noi un titolo di
onore). Principio conoscitivo del bene e del giusto rimane, con
tutto ciò, l’analisi della coscienza, come principio ontologico dell’uno e
dell’ altro, la NATURA UMANA. Noi siamo i veri positivisti, noi, die ci
reggiamo sul saldo sostegno della physis, ma della pliysis non deformata dalle
preoccupazioni materialistiche. Rifacendo la serie regressiva delle cause, la
filosofìa pone una causa prima che muove la natura senza esserne mossa:
intenta a discoprire V origine prima di tutte le cose che sono nel tempo,
la logica la costringe ad uscir fuori del tempo. L’evoluzionismo può
deridere questa logica, ma non rintuzzarla. L’ esclusione di un
assolutamente prius è impossibile. E ad esso, dico al positivismo, non
rimane che o attestare, con tacito assenso, la presenza del
soprannaturale, ovvero rimaneggiare con ostentazione di novità e di
maturità quella povera teoria mitologica della spontaneità creatrice degli
uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel termine
primitivo delle esperienze, se non è una creazione del SOPRANNATURALE,
deve essere una generatio aequivoca della natura primitiva : una genialità
eroica, un salto mortale degli esseri sub-umani. Per. sfuggire alle
ritorte della logica, il criterio storico-evolutivo non ha altro
spediente che quello di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente,
di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirittura il problema
delle origini, facendo sorgere la risoluzione di un problema insolubile
dalla disperazione professata di risolverlo. Questa esclusione del
problema delle origini, come di cosa inconcepibile in sé, è
postulata dalla logica del divenire. La continuità evolutiva dei fenomeni dell’
universo esclude, per logica di cose, ogni nozione di principio o di
fine. Questi due termini estremi rappresentano il discontinuo, il
vacuo, il salto per eccellenza, onde sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione
è panteistica: è 1’ eternità trasferita da Dio al mondo: ora non va
dimenticato che 1’ eternità esclude cosi l’origine come la fine. Gl’evoluzionisti
odierni lian poco compreso la portata del criterio evolutivo, perchè ad
essi ha fatto difetto quella penetrazione, metafisica che la fece
comprendere cosi egregiamente al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria
dell’evoluzione, seguono ciò non pertanto a cincischiare il problema delle
origini! Ma ciò non toglie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di
questo dilemma: o accettare la logica dell’ evoluzione e quindi cessare
di essere positivisti e confessarsi per animali metafisici di una specie
alquanto diversa dagli avversari: o deviare da quella logica e fi)
b as Princip dor Continuitlit verbot in der Reihe der Erschein angeli
alien Unsprung. Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di Ilarteustein). E lo aveva
ben compreso il v. Savigny.] zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur
Entwickluug aber nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht werden
kann. Vom Beruf unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. cadere nelle contraddizioni di
un primitivo che è derivato o di un a posteriori che è primitivo. La
ritorsione del secondo corno del dilemma è stata analizzata parecchio fin Qui.
Giova solo aggiungere qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto,
che i positivisti, accettando la logica del criterio evolutivo, diventino
di punto in hello metafisici non è chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla
condizione del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è,
ripeto, la eternità trasferita dal mondo di là al mondo di qua e, nello
stesso mondo di qua, dalla sostanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il
positivismo che il criterio storico-evolutivo è un criterio sovraem
pirico; che esso non abolisce la metafìsica ma ne fa una per suo conto;
che non elimina il SOPRANNATURALE ma converte invece ih naturale in
soprannaturale. Confessi altresì, che, quando promette di darci il
nascimento ed il processo fenomenico delle cose, esso mentisce sapendo di
mentire. Il criterio dell’ esperienza e della storia, strettamente
considerato, ci dà i termini disparati e sconnessi e non il vincolo di
quei termini, i fatti compiuti e non la legge del loro divenire. Il
continuo sfugge alla storia: essa non ci dà che una moltitudine di vacui e
di discreti, tra i quali la mente umana riconosce un ordine che
reca la impronta della metafisica che v’ è in lei, ossia di quella somma
di concetti che essa ha di già sulla natura degli esseri soggetti al
divenire storico. Ed ecco così che il realismo giuridico, la filosofia
del dritto genetica e fenomenologica vien meno del tutto al suo programma : non
solo l’essere dei fenomeni giuridici, ma e il nascimento e il divenire di
questi esseri esso ignora. Residuo positivo della critica mossa alla filosofia
è la scepsi pura nel campo del dritto; una scepsi dogmatica più cbe
quella filosofia e elie non soddisfa nò al criterio filosofico, nè alla
esperienza. li positivismo giuridico ed il problema etico della
filosofia del dritto — Il dritto NATURALE. Il dritto non è soltanto una idea ed
una sostanza, ma, altresì e soprattutto, una norma. Esso è idea
umana e, quindi, non è idea quiescente, ma forza, nè solo anticipa
l’essere, ma detta il dover essere. È una idea imperativa per eccellenza
ed, appunto perchè tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù
morale, s’intende, e non coercizione fisiologica o psicologica. La
filosofia che attingeva lume da questi sovrani criteri riconosceva, in
correlazione al dritto positivo, un dritto ideale: questo era per lei una
legge e quello un fatto; un fatto che desume il suo valore dal
rapporto che ha a quella legge, dall’essere esso una forma di attuazione,
d’ individuazione di quella legge. Questo fatto poteva adequare, se non
in tutto, in buona parte quella legge, ma non l’adequava necessariamente:
ed, in tutti i casi, il suo valore era misurato dal limite di
approssimazione al dettato di quella legge. Astraendo il dritto positivo
da quel parziale contenuto ideale che vi sta dentro, da quello die fa sì
die esso sia non solo positivo ma dritto^ di quel diritto positivo non
rimane, per la fìlosoiìa r die il fatto bruto, indifferente, sfornito di
significazione. Così per la filosofia seguiva un doppio processo: il dritto
naturale conduceva al dritto positivopel bisogno della sua effettuazione
empirica ed il dritto 'positivo rimenava al dritto NATURALE pel bisogno
di un titulus jitris e di un sostrato razionale. L’un termine non era 1’
altro, ma aveva rapporto air altro. Erano due correlata, non due contrari.
Perchè non erano tutt’ uno, legittima era la ragion d’ essere dell’
uno e dell’altro ad un tempo, e, perchè erano tutt’ uno in qualche cosa, in
qualche rispetto, Fano dei dite non negava, non contraddiceva
assolutamente l’altro. L’ideale non era del tutto inaccessibile al reale
e, perciò stesso, intrinsecamente difettivo ed erroneo: il reale non era del
tutto contrario all’ ideale e, quindi, assolutamente ingiusto e
condannevole. Questo rapporto che era concepito tra i due termini faceva
sì che Puno conferisse all’ autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo
attingeva la sua virtù imperativa dal dritto naturale, ossia dall’esserne
esso una varietà fenomenica,, ed il dritto NATURALE desumeva da quello la
possibilità di trasferirsi, d’individuarsi nei limiti del relativo e del
condizionato, nella storia. Così la filosofìa era tanto più vicina alla
dialettica sapiente della vita, quanto più era lontana dalla dialettica
fantasiosa della logica; e come, nell’ ordine delle idee r essa segnava
la via di mezzo tra Pottimisino ed il pessimismo, così, nell’ordine dei
fatti, tra l’umore conservativo e l’umore rivoluzionario. Il positivismo
si atteggia anche qui, anzi soprattutto qui, ad avversario reciso della
filosofia. Come nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione
sistematica dell’ a priori e l’ apoteosi dell’ esperienza ut sic, così
nell’ ordine pratico esso dogmatizza l’esclusione della norma doverosa e 1’
apoteosi del fatto. Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o
l’essere stato, non il dover essere: la storia non gli dà che fatti
o, tutt’al più, che leggi empiriche di fatti. L’evoluzione gli fornisce
una legge di causalità naturale che è la negazione recisa della legge
morale: nessuno dei criteri, ai quali esso fa ricorso, gli
suggerisce la nozione del dovere. Tuttavia, poiché la necessità morale è un
rapporto che è più facile escludere tacitamente, per esigenza di sistema,
che negare di professo, e poiché il positivismo moderno é abbastanza
raffinato per lu singarsi di fare a meno dei rapporti ideali della
metafisica (benché noi sia quanto é necessario per persuadersi della loro
verità), esso si tiene ben lungi dal rassegnarsi al puro fatto del dritto
positivo ; bensì non resiste alla tentazione di interpetrare questo fatto
in funzione di una legge che gli conferisca a priori valore ideale
ed assoluto. È dritto quello che é imposto dai poteri coattivi ed é dritto in
quanto e perchè è imposto ; ma, quest’ autorevolezza giuridica, se coincide
col fatto stesso del comando, non coincide tuttavia col fatto del comando
attuale, ed è conseguenza o espressione di una virtù presupposta nel
fatto del comando abituale, del comando in quanto comando. Il principio —
EST IVS QVIA IVSSVM ed è la
formula del positivismo e noi f abbiamo veduta assentita implicitamente e per
ragion di contrasto dal v. Jheriug e dal Daliu, professata espressamente
dal Lasson e dal v. Kirchmann, idealeggi ata, in omaggio allo psichismo,
dal Bierling. Quella forinola, per quanto positiva, implica un
sottinteso razionale. Ed il sottinteso è il seguente : il fatto del
comando è la sorgente appunto del dritto: o altrimenti: l’essenza del
dritto consiste nel comando. Il positivismo lia, pertanto, anch’esso la
spa massima: l’attitudine che esso assume di fronte al fatto non è
puramente passiva, o, se è tale, lo è o si avvisa di esserlo
coscientemente e razionalmente. Non v’è bisogno di analisi minute per vedere
quale e quanta conferma indiretta, (conferma formale, s’intende) rechi
questa massima del positivismo alla metafìsica del dritto naturale. Il
compito razionale del dritto naturale non è propriamente escluso, ma
applicato ed atteggiato in modo diverso che prima; è una materia, nuova
che si contrappone al contenuto antico di quel dritto, non una nuova
forma. La filosofìa aveva per criterio conoscitivo del dritto NATURALE la
ragione indagatrice dei tini dell’ universo e della natura morale dell’
uomo: il positivismo ha per suo criterio l’esperienza immediata dei
precetti del potere positivo. La filosofìa aveva per principio ontologico del
dritto l’ordine morale della stessa natura dell’uomo e degli stessi fini
delle cose : il positivismo, invece, il fatto stesso della coercizione
potestativa, in quanto tale : nell’ una come nell’ altro, le disposizioni
positive sono un fatto che in tanto ha valore in quanto gliel conferisce
il rapporto vero o presunto di conformità di detto fatto ad una data legge o ad
una data massima. Varia solo il contenuto della massima e della legge,
che nella filosofìa è sintetico, dovechè nel positivismo è analitico :
perchè nell? una è attinto altronde e nell’ altro è spremuto dal fatto stesso
delle disposizioni positive o, che è lo stesso, pre-implicato, con
dialettica a priori, nel fondo di esso fatto. E che la massima del
positivismo si traduca in un’ analisi vuota, in una petizione di
principio, non v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del comando è
criterio del dritto, solo perchè il dritto si è preconcepito come forza e
forza fisiologica; solo perchè la nozione di una potenza spirituale del
dritto in quanto dritto, ossia in quanto norma di ragione, si è
anticipatamente esclusa, come nozione che trascende l’esperienza, solo perchè
si è posto o postulato, anzi tempo, il principio che la forza, che noi
intendiamo morale, degl’ imperativi giuridici non si differenzia
dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto; solo perchè si
è stabilito antecedentemente che la condotta dell’uomo non può essere
determinata che dai motivi empirici e psicologici della sanzione positiva
; solo perchè si è presupposto che il dritto non è una idea, ma un fatto
e che l’assenza dell’attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi
assenza del contenuto e della virtù imperativa del dritto stesso.
Ed invero, se la coincidenza della forza, etica con la forza fisica, del
dritto col fatto, non fosse un presupposto, onde e come il positivista si
farebbe a provarla ? Con l’esperienza ? Ma l’esperienza gli consegna il
fatto semplice e nudo, la nuda e semplice forza fìsica ; se e fino a che
punto 1 uno e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza non lo
dice e non lo può dire, perchè ignora che è dritto e che è forza morale.
]STè lo suffraga la storia, la quale può provare concludentemente la presenza o
meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la presenza o meno deila
necessità di tale attuazione. Il positivismo deve, per necessita di cose,
far capo alla speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non
che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’illegittimità, perchè,
se il dritto positivo ed il dritto NATURALE sono termini semplicemente
correlativi, il fatto ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono
termini addirittura contradditori, tra i quali non vi è presunzione
di coincidenza o di accordo che tenga. Portando poi la questione in altro
campo, è bene por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed
il dritto e per predicare come sola forza viva delle cose il potere
coattivo e materiale (ed il convincimento radicato di quella sterilità è il
motivo psicologico che persuade al positivismo il culto del potere coattivo)
occorre aver dimenticato, o non aver conosciuto e compreso giammai, quanto la
forza spirituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di
alcuni canoni giuridici sia stata superiore, nel corso della storia, alla forza
materiale dei poteri dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di
resistenza dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto.
Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le oppone sorte di agli avversari, senza,
per altro, vincolare alla esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza
ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, indipendente dal successo
di fatto o dall* osservanza <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie
lo si adoni pia « no; e la violazione è un mero fatto che opera si
elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che l’ idea cessi di
essere idea. Doveehè il positivismo da questa confusione tra idea e fatto
prende le mosse e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è
il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto: o
altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè non esiste in
quanto fatto. Il qual paradosso non può essere legittimato che da un
sottinteso non meno paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in
quanto non è più idea. Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a
priori alla nuda forza materiale valore e contenuto ideale cade
nell’ insuccesso, vien meno altresì quel1’ apparenza di legittimità, onde il
positivismo si face bello. La logica delle cose rimuove quella pretesa
dialettica del dritto con la forza, denudando quest’ ultima di quell’
involucro spirituale nel quale si veniva dissimulando. Ed allora ai
positivisti si pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita: o
riconoscere la legittimità della nozione del dovere e, quindi, rientrare
nei termini della filosofìa del dritto naturale, o professare apertamente
l’immoralismo della forza. Perchè tra l’una cosa e 1’ altra [ Ist clas Recht
nur Recht, uutorschieden von Willkiihr mici Gewa.lt, wenn and soweit es
eine dea Willen vcrjìjlichtcnde Kraft in sich triigt, so Htellt
sichjeder; der von Recht spricht nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn
Stand]) nuli, aut doni Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd
miterialistificlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli
Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-,
gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiitze n —
Vìvici — Natur recht non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra
la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la necessità
morale, è irriducibile: chi non voglia assentire alla logica della seconda non
può, ov’egl’abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica,
rinunziare alla logica della prima. E, quando si confessi apertamente che
il titolo che fonda la legittimità esclusiva del diritto storico e positivo è
laforza materiale dei poteri governanti, allora noi non avremo più
alcunché da opporre e ci terremo paghi di darci per vinti. Il problema,
allora, non è più da dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel
consentimento in un prius della ricerca, che pure è necessario per
sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo potrà, a buon dritto,
millantare il privilegio che godono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i
sistemi negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità e
della natura: il privilegio di esser fuori della critica, perchè si è fuori
della coscienza umana. Se non che, di questa logica di sistema non tutti
sono accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti. Ed è forse
questa ignoranza il motivo della loro tenacità. Essi usurpano, senza volerlo
deliberatamente, le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto
naturale, lieti che una materia presa d’altronde risparmi ad essi la
fatica ed il dolore di saggiare a londo la insostenibilità del loro
assunto originario. Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e della
forza non è il sèguito di un proposito meditato e rigorosamente positivo, ma di
una esigenza tutta/ negativa che domina i nostri positivisti. La
esclusività che essi appongono al dritto positivo, è la conseguenza della
esclusione clic essi Inni fatto dianzi di alcune forme storiche del dritto
naturale; forme storiche che essi hanno scambiato sul serio con la
sostanza stessa del dritto NATURALE, in orna irgio a quel vecchio espediente
solistico di fare un fascio della scienza e degli scienziati, della
idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, della realtà oggettiva
e della percezione soggettiva. E di sistemi o di concepimenti individuali
o collettivi di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa
natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri positivisti
tra una critica e l’altra di questo o quel sistema sbagliato di dritto
naturale sembra larga prò metti tri ce di successi. Se non che, alla
prima analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi elementarissima e
superficiale) quel termine polisenso che è il diritto NATURALE, i
successi del positivismo, come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco GRICE
EQUIVOCO, si dissipano d’un tratto.V’ha anzitutto una forma di dritto NATURALE,
la quale, benché prenda le mosse dallo schematismo universale della NATURA
UMANA e dalla premessa dello STATO DI NATURA, ha tuttavia carattere e tendenze
originariamente empiriche e si presenta non già come una dottrina
creativa di dritti o di esigenze morali in contrapposto al dritto positivo, ma
piuttosto come una semplice astrazione ed elaborazione concettuale del
dritto storico vigente. V’ ha, indi, una [Ciò è messo discretamente in luce da
Bergòohm risprudenz u Rechtsphilosophie. Ju-] altra forma di
dritto NATURALE, quella ohe, per abusata terminologia si chiama diritto NATURALE
(NATURRECHT) per antonomasia, ed è il diritto NATURALE dell’AuJhUirung e DELLA
RAGIONE, di cui è conosciuta la storia assai più, forse, che il carattere
e l’indole vera, che è razionalista nel metodo, subiettivi sta nei criteri,
anti-storico nelle esigenze, umanitario nel contenuto; che e la scuola in cui
il diritto nou è pi 11 astrazione o generalizzazione dell’esperienza
storica, ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo STATO
DI NATURA è (almeno in quanto ha di meglio) meno una premessa di fatto storico,
che un mito (H. P. GRICE), una ipotesi razionale postulata a legittimare una
data serie di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di
una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e nel suo
passivo, ad un tempo, la dottrina (atteggiata in modo particolare) dei dritti
dell’uomo e la grande rivoluzione. V’ha, poi, il dritto NATURALE
della filosofia perenne; che non è forma ma sostanza delle forme; che è
anteriore, per ordine di tempo, così al NATUR-RECHT empirico come al NATUR-RECHT
RAZIONALISTICO e che non è nè l’uno nè l’altro, benché l’uno e l’altro nella
lor parte migliore si approssimino ad esso; che emerge dalle profondità
della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in qualsiasi tempo e
che la cultura romana antica (CICERONE) specula non meno che la cultura
moderna; che non è patrimonio di questa o quella filosofìa personale, ma della
tradizione storica ed impersonale della filosofia; che non è
contrario sistematicamente al criterio storico, ma non lo è nemmeno al criterio
speculativo; che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, ma
la tieu salda come potenza conoscitiva dei rapporti ideali e delle norme
mperative; che supera il subiettivismo assoluto dell’AujMarung, ma non
ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggettive della coscienza umana
come tale ; che è illuminato da una concezione teleologica dell’universo e della
vita, ma non profana per questo il suo finalismo nelle aberrazioni del
panteismo ottimista e del pietismo storico; che si rappresenta i dritti
dell’uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del dovere, ma non
sconosce la sostanza ed il valore imperativo dei dritti attinenti all’uomo come
tale, anzi questi diritti rivendica tuttora e consacra. Ora è *questo*
dritto NATURALE che, in nome della filosofia, si oppone oggi al
positivismo, perchè è esso che segna il sostrato permanente delle forme
storiche particolari; e questo dritto NATURALE è così lungi dall’ essere
posto a mal partito dalla critica che i positivisti oppongono a questa o
a quella forma onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella
scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna di quelle
critiche se la potrebbe appropriare esso stesso, senza infirmare per
questo il suo contenuto sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè
parecchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono del tutto
infondate. Quelle, in specie, che si dirigono al dritto naturale razionalisti
co, ossia al dritto NATURALE, sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pretensiose
che si rende urgente il bisogno di rintuzzarle in nome della sana e serena
filosofìa. Di già quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta
delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i torti innegabili,
ina pur sempre largamente compensati non gli scemano la legittima aspettazione.
Dagl’avversari, che lo fraintendono o lo giudicano con criteri
unilaterali, agl’amici (cito tra questi Spencer del The nxan versus thè stette
e della Jnstice) che ne appropriano quello che esso ha di men buono, è
tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo, a deformarlo: alla quale
non poca parte confermai suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio
alla sua dialettica possente, predicare della sostanza del dritto
naturale le note e le categorie applicabili al solo panlogismo hegeliano,
che si traduce, a sua volta, in un sistema intrinsecamente realista e
positivista. È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione concettuale, abusando
del doppio senso della parola astrazione, e non si pensa che esso
rappresenta precisamente il contrapposto di ogni astrazione concettuale della
realtà empirica, differenziandosi, appunto per questo, da quel dritto naturale
che immediatamente lo precede. L’ astrazione non è punto un
procedimento trascendentale e sovra-empirico, come si crede comunemente: essa
è, anzi, una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione è,
propriamente, un processo di semplificazione logica dei dati empirici,
non un criterio conoscitivo che trascenda i dati stessi. Assumere la
parola Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschichte der
Rechtsphilosophie) illustra lo aspetto empirico del natur-recht dichiarando
apertamente che solo con 1 Hegel può dirsi “der ununterbrochene Faden
logischer Forderung durchgefuhrt. Aastrazione nel senso di una intuizione
sovra-empirica è assurdo. Bisogna aver dimenticato così l’etimologia del
vocabolo, abstrahere, come fi analisi del processo conoscitivo. L astrazione è
la via traverso la quale si perviene all’universale logico: il quale universale
logico è l’unico sforzo cogitativo che si possa consentire l’induttivismo
e l’empirismo Se, adunque, astrazione non significa che questo, non è arduo
vedere quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto NATURALE.
La ragione del NATURRECHT è così poco ragione astratta da una serie di concreti
preconosciuti, che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex novo ed
intuitiva. Il diritto NATURALE è, nel fondo, ont elogistico: ond’esso ha
per suo criterio l’intuito creativo della ragione, anziché l’esperienza
del reale, fi analisi, la riflessione, l’astrazione. Il genus proximum
dell’ uomo, ossia del soggetto dei dritti connaturati, è, ivi, meno un
residuo dell’astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle varietà
contiagibili e storiche, che una speculazione a priori e so vraem pirica
delfi università reale della natura umana. E dico che è tale nella sua
esigenza e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare se
quella esigenza o quell’ interesse siano stati sempre e coerentemente
soddisfatti. Ed è appunto dall’essere fi intuizione, l’Anschauung, il suo
processo ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei per
dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è puramente logica; è
negazione esplicita della vita, della forza, delfi attività, delfi ethos.
Carattere del dritto NATURALE è, invece, la sua potenza attiva, la sua
forza suggestiva di riforme e creativa di rivolgimenti: suo prodotto immediato
è quella obsessione spirituale che investi l’umanita, tiascinandola in
quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale, dalla
natura alla storia, vero salto nel buio, che fu la rivoluzione. V’ lia
bensì l’astrazione concettuale anche nel dritto naturale: ma questa astrazione,
anziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empirica come si crede dai
piu, è più presto la conseguenza naturale di quella iuiìltrazioue empirica che
vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non contenti di aver
annunziato una serie di principi e di averli speculati a priori, il che,
metodicamente parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un
passo più oltre e costruire, per via di un'analisi concettuale di
quei principi, la serie degli atteggiamenti concreti della vita giuridica. Per
una simile costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad
essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica dei
concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione non poteva servire alla
bisogna, perche è propriodell’intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’
universale delle cose o, più brevemente, le idee, non i concreti od i
fenomeni. Essi, adunque, travagliati da una esigenza empirica, fecero
capo all’astrazione; e dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed
economico-politiche del tempo loro astrassero tutto un contenuto storico e
particolare, il qual contenuto essi hanno predicato dell’ umanità
intiera, jiervertendo,. così, in universale logico, l’universale reale e,
nella indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana. E qui
che la critica dello Stali! e degli altri acerbi rampognatoli coglie, senza
dubbio, nel segno, ina non già perchè il dritto naturale sia caduto nelle
speculazioni a priori della ragione, bensì perchè esso è caduto nel
circuito dell’analisi e dell’empirismo, o, se l’astrazione si voglia
assumere, per un momento, nel senso che le conferiscono i nostri avversari,
non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè anzi hanno
astratto troppo poco. La natura traccia le linee fondamentali. I dettagli
dell’ esecuzione li lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero
dritto NATURALE ci dà una serie di criteri o di principi del dritto, i
quali sono, bensì, un dritto, ma un dritto ideale e potenziale. Essi,
quei criteri o quei principi, sono un prerequisito del dritto fenomenico,
ma non sono ancora, propriamente parlando, un dritto fenomenico bello e
dato; il qual dritto è la risultante complessa di condizioni empiriche,
nelle quali quei principi e quei criteri s’individuano ma non si
consumano. Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza per
altro un po’ di formalismo, da Feuerbach, Das Reclitsgesetz, obgleìch
durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu dennoch als blosses Vernini
ftgesetz nicht allgemeingeltend werden. Soli es wirklioh herrsclien, so muss dieses
Reehtsgesetz aus dem Reicke des Vernunft in das Reich der Erfahrung, aus
der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetrageu werdeu. In dem
Gesetze des Reehts erkenne idi nodi nicht dio Reclite selbst, in ihm habe
ich nur das Princip und das Criterium ihrer Erkenntniss; dio Frage ;
worin besteht das rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was
Rechtens sei uuter diesel oder jener Bedingung, in diesem odor jenem
Vorhiiltnisse. Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Verliiiltnisse zur
positiven Rechtsvnssenschaft=Landshut. L’ esigenza empirica che deforma il
dritto NATURALE sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al suo
assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe essere una speculazione del dritto
naturale a quella serie di condizioni alle quali è sottoposta la
conoscenza del dritto fenomenico, nel trasferire alla nozione di quello le note
che sono pertinenti alla nozione di questo; di guisa che essi muovano come
da un sottinteso: il presunto dritto naturale va trattato alla stregua
del dritto fenomenico. Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio,
quella tenacità di tensione intellettiva che era necessaria per
comprendere che il dritto naturale deve anzi tutto rimanere dritto
naturale, e che il giudizio sulla esistenza di esso non deve essere
sottoposto al regolo o al criterio moderatore dei giudizi sull’esistenza del
dritto positivo. Anche qui, adunque, essi sono in colpa non già per aver
voluto far troppo di dritto NATURALE, ma per averne fatto troppo poco; e
chi ha meno dritto di rampognarli di ciò è il positivista. Ai principi
del dritto NATURALE si potrebbe, a buon dritto, torcere quel rimprovero
che fa il LIZIO alle idee di dell’ACCADEMIA: essi, quei principi, sono
ipostasi intellettive delle realità fenomeniche individuali. Di qui 1’
aspetto malsano del dritto naturale : la realtà della storia contorta in
un falso schematismo logico: quello che sarebbe dovuto essere storico relativo
provvisorio, rifuso in una forma logica universale e rappresentato come eterno,
assoluto, immutabile: la storia, insomma, negata come storia e
riaffermata come speculazione logica. Così, quel subiettivismo, che era
la realtà di fatto del tempo dell’ AujUiirung si predica come natura dell’
uomo in tutti i tempi. Alla proprietà ed al contratto si conferisce
quel contenuto rigidamente individualistico che corrisponde alle mire
secrete del sistema economico che si veniva affermando in quell’ ambiente storico,
del sistema capitalista. La nozione dei dritti connaturati alterata e deformata
dalla miscela inconsulta di elementi positivi e di pretensioni e di
attribuzioni acquisite. Gli si appone a colpa, altresì, la nozione
dello stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primitivo della
umanità governato da una legge spontanea di natura e non da una legge o
da un sistema di leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato
di natura a rigore di fatto storico può essere ed è un abuso della
mitologia, assumerlo, invece, come una ipotesi lìlosohca, è, fuori
dubbio, un processo rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente
necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare mediocremente
il contenuto della vita sociale, che voglia sceverare quello che è
permanente da quello che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che
voglia discernere nettamente quello che in una data associazione di
persone va attribuito alla natura originaria di ciascuno dei membri da quello
che vi si è venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso dei
membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione sociale, ogni
pensatore, dico, che voglia fare tutto questo, deve porre lo stato di
natura e contrapporgli [Cfr. il nostro saggio
‘La terra nell’ odierna economia capitalistica’ (Roma) lo stato sociale
sopra v vegnente, deve distinguere limpidamente l’uomo della natura dall’uomo
della storia. È superfluo qui ricordare Spencer, il quale a questa
astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo della storia (che per lui,
naturalista reciso, si converte in un’astrazione dell’ unità biologica dall’unità
sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime nelle quali
egli restaura di professo il dritto NATURALE, ma anche nelle opere anteriori,
le quali segnano il climax del suo pensiero filosòfico. Il convincimento,
anzi, della legittimità di una contrapposizione dell’unità biologica alla
unità storica, o, che per noi è lo stesso, della legittimità di una
ipotesi dello stato di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo
novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in genere con
tutta la sua filosofia sintetica, 1’ addentellato dell’ uno nell’ altra.
Ricordo, poi, un illustre positivista, come Kirchmann, il quale ha
esplicitamente riconosciuto la necessità che le scienze morali, prive
come sono del sussidio dell’esperimento, invochino 1’ ausilio di ipotesi
scientifiche per sopperire a quel difetto, e, tra queste ipotesi,
rivendica, di proposito deliberato, quella dello STATO DI NATURA). Non [Es ist
die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht bloss aut die sifctlichen
Zustande der rohen und attesten Volker mit besouderer Sorgfalt
einzngehen, sondern sie muss noch hinter die àltesten gesehiclitliclien
Zustande zuriiekgehen und durcli Hypothesen die einfachsten Zustande zu
ermitteln suchen. Diese Hypothesen
kdnuen in ein phautastisches und fur die Wissenschaft nutzloses Spiel
ausarten. Allein mit Vorsicht geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der
Experimente in der Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es 8ich, das8 8chon LIZIO und
spdter die Begriinder des Natur. ] L’uso di questa ipotesi va, adunque,
rimproverato al dritto naturale, ma l’abuso : ossia non la ipotesi
come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si atteggia. Quanto
poi all’altra nozione del contratto sociale, che è quella che più si rimprovera
al dritto NATURALE (e, tenuto conto delle conseguenze logiche di essa, a
buon dritto) va notato che nei più grandi cultori di quel dritto (cito ad es.
il Kant) il contratto sociale non è già un fatto storico, ma una ipotesi RAZIONALE
evocata a legittimare l’ordine giuridico dei rapporti umani, anziché a
scuoterlo e corroderlo. La teoria del contratto sociale è la risultante
di due fattori : del sottinteso o presupposto contrattuale, secondo il
quale unica fonte legittima di obbligazione autorevole è il consenso
dello stesso obbligato; e della esigenza, che animava i cultori del dritto NATURALE,
a legittimare il vincolo o la serie dei vincoli sociali, anche quelli che
non lasciavano trapelare o supporre la presenza di un consenso
preesistente. Il CONTRATTO sociale è quel di là dell’esperienza attuale,
quell’ assolutamente prius della storia, che sopperisce al difetto del
consenso attuale, con l’allegare una specie di consenso abituale, una
Anerkenmmg, direbbe il Bierling, una mas- [rechts nùt TJrzmtanden des Memchen
beginnen, welche uber die Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene
Tadel trifffc nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit
getriebenen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel nicht
uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das Nothwendige
und Gewissere zu beschriinken. Grimdbegrifte
sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi la
dialettica che il pensiero dei cultori del dritto naturale ebbe tentato
tra la premessa logica del contrattualismo e le esigenze della
conservazione sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà
naturale, postulata come principio, ed il complessodei vincoli sociali,
riconosciuti come fatto. Il che si deve al fatto, riconosciuto dallo
stesso Stalli, che essi, se per la logica, sarei per dire per la
consequenziarità, del loro principio erano, o meglio avrebbero
dovuto essere, rivoluzionari, nel fondo del loro pensiero e della
tendenza loro erano, invece, conservatori: senza dubbio degl’ingenui
conservatori. Ohe se si voglia porre a carico loro appunto il non aver
compreso che il vero STATO NATURALE dell’ uomo è lo STATO SOCIALE, che non v’
ha bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per legittimare vincoli
sociali i quali si legittimano da sè, che si pensi, almeno, che il torto
innegabile [Das NATURRECHT ist nachgiebig, wo es die Wirklichkeit gegen sich
hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und sucht ihu dnrcli
IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilligung zu rechtfertigen, uni sein
theoretisches Interesse zu befriedigcn : die Revolution, dagegen, will die
Macht der Wirklichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung, die uicht
aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir jede
Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es sich als frei
denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie niclit gewollt,
dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R. phil. Quest’ antitesi del
dritto naturale alla rivoluzione è licondotta dallo Stalli ad una causa
diversa che da noi. Ma ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia
stata riconosciuto da quel profondo intelletto.] del dritto naturale va dovuto,
in buona parte, alla difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono
davvero conformi alle leggi della natura umana, da quegli altri
vincoli clic non sono tali. L’errore loro, sarei per dire, è, in parte,
un errore delle cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato sociale e
pure niente, ad un tempo, più violento di esso (antitesi questa che deve
essere stata colta da MANZONI, non ricordo più in qual punto delle
sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una serie di
obbligazioni perfettamente legittime, perchè perfettamente naturali, reca
pure con sè (è il suo lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un
cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine, irrazionali che la natura
convellono, incatenano, deformano. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto
naturale abbia colto questo secondo aspetto delle cose soltanto e niun
conto abbia tenuto del primo, di guisa che si sia reputato in dovere di legittimare
quello che non sembrava legittimo a prima giunta e di costruire con
la volontà quello che non forniva la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro
mondo, che non adempie in sè la perfezione e l’ideale, ma della
perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è tante e così aspre
antitesi! ed è così facile invertire un solo dei termini dell’antitesi
nella realtà tutta intiera! Il dritto NATURALE può avere molti
torti, ma questi sono compensati ad usura dal molto di buono che vi è
dentro: da quella nozione di un dritto indipendente dalla sanzione positiva e
superiore ad essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è
patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello appunto die costituisce il suo
essere di uomo, la sua umanità. E l’umanità-, ecco l’aspetto sano del
diritto naturale; che in esso è, fórse un universale logico e formale,
una formula del razionalismo dell’Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia
potuto divenire nella mente dei contemporanei e dei posteri un universale
reale. Prima che esso ravvivasse il culto della personalità individuale,
si vedeva questo o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o
quella condizione economica e sociale: grazie ad esso si vide Tuo
ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello individualismo: ma 1’ umanità
gli deve saper grado di questo individualismo, se da esso ha potuto
sprigionarsi, con un processo di auto-correzione, la sana individualità,
ossia la dignità umana. In questo il dritto naturale razionalistico si
confonde col dritto naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è
la espressione di quel dritto che ogni uomo possiede come la parte
più sacra di se stesso, che l’uomo sente pria di conoscere ed aspira nell’atto
stesso di conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento od un
intuito, una idea od una volizione. Il dritto naturale rientra, allora,
nei termini della dottrina cristiana, perchè il dritto dell’uomo è
l’espressione della preziosità inestimabile dell’ umana persona redenta
da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile, e rimane tale senza fallo, finche non
declini la coscienza morale dell’ umanità. ^è io saprei per qual modo il
positivismo, il quale si è travagliato e si travaglia nella critica del
dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi angusti criteri
oppugnarlo davvero. Un sistema die predica V esperienza, come criterio
scientifico esclusivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo: il
vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non ce lo attesta; nessuno
ci lia fatto toccar con mano la sua esistenza nel passato, o nel
presente; si può metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con
mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto NATURALE, adunque, non
esiste. Orbene questo argomento è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno
il dritto NATURALE, nè i suoi cultori. I quali potranno ben rispondervi:
sapevamcelo ! ma il nostro dritto NATURALE è quello che è, appunto perchè noìi
è fenomenico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo si poco scossi dal
vostro raziocinio che lo abbiamo prevenuto: il dritto NATURALE è, per
noi, una idea e non necessariamente un fatto, un dover essere e non
un essere, una necessità morale e non una cosa empiricamente esistente.
Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle condizioni dell’
esperienza e della storia, che sia stato attuato o individuato da 'questo
o quel dritto positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco;
perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia esistito
davvero, ma se debba esistere: onde l’inesistenza di fatto di esso non è
argomento contrario alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento
favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del criterio
sperimentale, si esclude la nozione del diitto NATURALE, si cade in una
petizione di principio. Si dà per provato quello che si doveva appunto
provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza delle cose
sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non vi sia altra forma di
esistenza che la esistenza empirica. Ed in questa petizione di principio
si risolve tutta la critica esercitata dal positivismo sul dritto
naturale. Gli studi di filosofìa del dritto di Wallaschek e più di
tutto il saggio di Bergbolim, nel quale è condotto un esame molto
accurato del dritto NATURALE, sono piene di argomentazioni suppergiù del
contenuto e del valore della seguente, tormolata dal primo di quegli
scrittori: Ausser dem bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht,
demi es ist ein Widerspnich, anzunelimen, dass, ausser dem
bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit, das nicht bestelit. É chiaro
che un simile modo di ragionare è il portato logico della ideologia
positivista, come è chiaro che ivi si confondono malaccortamente duo cose, che
vanno divise o distinte, o, almeno, sulla diversità o pluralità delle
quali volgeva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle cose va
distinta dalla esistenza metafìsica delle cose stesse. Ora è appunto a
questa esistenza metafisica che fanno accenno i rivendicatori del dritto NATURALE.
Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di assurdo paradossale, con una
proposizione sofìstica diquel genere, dove il verbo essere vien preso in un
membro in un senso e nell’altro in un altro. Line andere ivichtige
Frage bleibt ja immer, ob das Recht, das bestelit, aneli bestehen solite,
aber der Begriff des Rechtes, das sein soli, darf nicht verwechselt
werden mit dem, das thatsàchlich vorhanden ist, und nur dieses letztere
ist Recht, das erstere soli es sein. Ma, di grazia, quando mai il dritto NATURALE
ha preteso di affermare la sua esistenza empirica di fatto, ossia la sua
esistenza di diritto positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello
che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire, non già: io
esisto davvero: ma: io debbo esistere. L’essere del dritto NATURALE è
precisamente il dover essere: il dritto NATURALE è una norma ed è come
norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia punto un fatto,
il primo ad esserne persuaso è esso stesso. Appunto perchè non esiste
necessariamente nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di esistere.
Ed in questo dritto ad esistere, non già nell’esistere davvero è riposto
il suo essere. È veramente deplorabile che questi principi così elementari
debbano essere ribaditi quando pareva che nessuno potesse dubitarne! L’empirismo
è così scarso di prove contro il dritto NATURALE, ch’esso non può neanche
fermare assolutamente che quel dritto non sia possibile nelle
stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale a dire, esso non solo non
ha autorità di asserire che il dritto NATURALE non sia ovvero non debba
esistere, ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non possa
esistere. Perchè il possibile ed il futuro eccede il potere dell’ esperienza,
la quale è limitata al passato ed al presente; il poter essere o il sarà
sono quasi così lungi dal poter essere affermati e negati dal
positivismo che aspiri ad essere logico, quanto lo è il dover essere. Esclusa,
così, la possibilità di uno di quei richiami al futuro che sono tra i
ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo di dettar
legge alla storia, ad esso non resta che contenere le sue negazioni nella
sfera del presente. Allora la scepsi che esso esercita sul dritto NATURALE
va formolata nella tesi seguente: il dritto NATURALE non esiste come dritto NATURALE,
perchè non esiste come dritto positivo: una tesi sbalordi toia che
presuppone, in chi la . sostiene, il difetto assoluto della più elementare
analisi ideologica e che segna, mi si lasci dire la parola, la vera
bancarotta del positivismo giuridico. Stammler. IGINO PETRONE Prof.
Orditi, dì filosofia morale nella Regia Università di Napoli I LIMITI DEL
DETERMINISMO SCIENTIFICO Seconda Edizione ROMA COOPERATIVA POLIGRAFICA EDITRICE
Digitized by L^ooQle IGINO PETRONE Prof ‘ Orditi, di filosofia morale nella
Regia Università di Napoli I LIMITI DEL DETERMINISMO SCIENTIFICO Seconda
Edizione ROMA COOPERATIVA POLIGRAFICA EDITRICE Piazza del Biscione, d5 1903
Digitized by L.ooQle PROPRIETÀ LETTERÀRIA Digitized by Google INDICE I. Il
determinismo scientifico.. pag. 3 II. I limiti del determinismo meccanico. „ 28
III. I limiti del determinismo biologico. „ 57 IV. I limiti del determinismo
psicologico. „ 84 V. I limiti del determinismo sociologico ..... „ 121
Conclusione . .„ 140 Digitized by L^ooQle Digitized by Google I LIMITI DEL
DETERMINISMO SCIENTIFICO Digitized by Google Digitized by Google I. Il
determinismo scientifico. Nella tradizione della filosofia e nell’uso comune
del parlar filosofico la parola determinismo ha, di regola, un si¬ gnificato
particolare e limitato: essa designa, cioè, una dot¬ trina speciale della
causalità del volere in contrapposto ad un’altra dottrina speciale, il libero
arbitrio. Il determinismo scientifico, che è oggetto del presente studio, non
va confuso con questa forma speciale di deter¬ minismo, ossia col determinismo
psicologico. Esso ha, anzi, una significazione universale, e designa una
dottrina che si estende a tutte le forme dell’essere, a tutti i fenomeni del
cosmo, a tutti gli ordini dell’esperienza. Esso traduce, in forma ed abito di
scienza, il problema di una concezione universale e causalistica del mondo:
cioè a dire, di una forma di concepimento, per cui il solo nesso intellettivo o
il solo principio d’intelligibilità della serie fenomenica sia il nesso o il
principio di causa. Esso riconduce, ad un tempo, le forme e le relazioni della
natura ed i cangiamenti e processi del mondo umano alla causalità naturale o,
meglio, alla efficienza delle condizioni antecedenti necessarie e sufficienti:
e rap¬ presenta una esplicazione della serie fenomenica, per la quale Digitized
by L^ooQle 4 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO ciascun termine di quella serie sia
riducibile ai suoi antece¬ denti e deducibile da questi, e ciascun cangiamento
abbia la sua ragion sufficiente nel cangiamento che lo precede, e questo in
quello che lo precede a sua volta, e così via air infinito. Esso esclude,
quindi, il concetto di un cominciamento asso¬ luto di alcun fenomeno o
l’intervento di un fenomeno irri¬ ducibile al determinismo delle sue
condizioni, e traduce la serie fenomenica in una serie continua, nella quale
nessuna determinazione nuova, originale, incondizionata sopravviene ad
interrompere ed a perturbare il concatenamento costante e reciproco dei
condizionati e delle condizioni. Esso rappre¬ senta, ad un tempo, un abito
mentale ed una dottrina: ed è, propriamente, quell’abito mentale e quella
dottrina nel quale o nella quale convergono e tendono a congiungersi due
direzioni di pensiero che sembrano, e per taluni rispetti sono, in reciso
contrasto fra loro: la direzione dello speri¬ mentalismo induttivo e quella del
razionalismo. L'induzione scientifica, bandite le cause finali, non pro¬ cede
altrimenti dalla conoscenza dei fatti alPordinamento se¬ riale dei fatti
medesimi ed al ritrovamento delle leggi che sulla guida del principio di causa.
Ricerca di una invariante nella variabilità dei fenomeni, essa procede,
anzitutto, dal supposto della invariabilità del nesso di antecedenza e di
consecuzione, che è tal supposto che oltrepassa i puri pro¬ cessi dell’esperienza
e li rende possibili. Scienza non più del¬ l’essere ma del cangiamento, essa
non può adempiere il suo assunto che riconducendo, sotto altra forma e per
altre vie, il divenire all’essere, il cangiamento alla permanenza, il va¬
riabile all’invariabile, il particolare ed il contingente all’uni¬ versale ed
al necessario, il fatto alla legge . D’altro lato, il razionalismo, in quanto
presupposto di universale adeguatezza dell’intelligibile al reale o in quanto
presunzione di universale intelligibilità della natura, tende anch’esso
inversamente, con un processo non a posteriori ma a priori e non sintetico ma
analitico, ad approssimare la Digitized by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO
5 legge al fatto, il razionale al reale, Y identico al diverso, lo schema
intelligibile al fenomeno. Forma precipua d’intelli¬ gibilità del reale è il
principio di causa: ed il razionalismo perviene • a quella stessa esplicazione
causalistica del mondo alla quale si avviano i processi della induzione. Per
ottenere ciò, basta che il razionalismo si rassegni al salto dialettico» dal
puro mondo del pensiero al mondo dell’essere: salto dia¬ lettico che equivale,
per altro, esattamente a quello uguale e contrario dell’induzione, e per cui
questa progredisce dal¬ l’essere al pensiero, dal contingente al necessario e
dall’em¬ piria alla scienza delle cause. Per una deviazione intima, re¬ ciproca
ed inversa di ambo le direzioni di pensiero, accade che l’una e l’altra menano
allo stesso risultato; e se l’indu¬ zione sperimentale è tratta a superare sè
stessa, matematiz- zando l’esperienza, il razionalismo, d’altro lato, è
costretto a lasciar contaminare la sua logica pura, impregnandola di na¬
turalismo ed obbiettivandola nelle forme del reale. 1 . La dottrina
dell’evoluzione cosmica segna d a forinola idtima e progredita di questo
determinismo universale, pro¬ cedente o circuente per tutti i gradi della
realtà. Tuttavia il determinismo scientifico, come dottrina e, più, come avvia¬
mento dottrinale, precede di molto il nascere dell’evoluzio¬ nismo
contemporaneo e può legittimamente ricondursi alle origini della filosofìa
moderna e del metodo 'obbiettivo. Esso è il punto comune d’incontro delle due
correnti che dividono il pensiero filosofico moderno e che fan capo l’una a
Bacone, l’altra a Cartesio: convergenza storica, dèlio sperimentalismo
induttivo con la deduzione razionale, che corrisponde alla congruenza logica
accennata innanzi. Dalla direzione Baco- niana gli deriva la eliminazione delle
cause finali e degl 'idoli della subbiettività, il processo dell’indagine
positiva, l’espli¬ cazione causalistica dei fenomeni; dalla direzione
Cartesiana s. Digitized by L^ooQle 6 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO Jgli proviene
l’abito della costruzione e della deduzione mar- tematica e ravvicinamento della
matematica e dell’esperienza ìielL’ordine della natura. Certo, il dualismo
Cartesiano contraddice all’unità ed all’omogeneità del metodo obbiettivo ed
alla universalità ed alla continuità del determinismo: ma, grazie all’opera di
Car¬ tesio, rimaneva, intanto, acquisito al sapere scientifico quel¬ l’abito di
avvicinare la costruzione matematica all’esperienza •e quello sforzo di
compenetrare l’una con l’altra, che, con¬ tenuto dal filosofo francese nei
limiti della, natura e del mec¬ canismo fisico, doveva di poi, per logica
interna della stessa direzione razionalistica (es.: Spinoza), estendersi agli
ordini superiori del reale. Nella filosofia kantiana si afferma, altresì, il
dualismo della serie fenomenica, sottoposta alla forma del tempo ed alla legge
della causalità, e del noumeno extra-temporale ed extra-causale: ma il noumeno,
in pari tempo, è dichiarato intraducibile nei processi dell’esperienza ed è
posto a tal di¬ stanza infinita dal fenomeno, che la sua pura, astratta, in¬
concepibile essenza logica non perturba nè incomoda punto il rigido
determinismo della serie fenomenica. La libertà non si salva altrimenti dal
ferreo giogo della necessità che tra¬ sferendosi dall’ordine sensibile
all’ordine intelligibile : la sua salvezza consiste in un allontanamento o in
una rinuncia, ossia in uno sforzo logico di elisione. Posteriormente alla
filosofia kantiana si annuncia il po¬ sitivismo, e l’omogeneità di metodo e di
dottrina, che è il criterio fondamentale della ricerca positiva, elimina
agevol¬ mente i residui dell’eterogeneo e le pallide superstiti reliquie di
dualismo. La costituzione positiva delle scienze particolari apre l’adito ad
una filosofia sintetica, che, dalla disamina del determinismo dei fenomeni di
ciascuna scienza " 1 in partico¬ lare, procede di grado in grado alla
formolazione del deter¬ minismo fra scienza e scienza e fra serie e serie. Il
positivismo statico di Augusto Comte contraddice, Digitized by L^ooQle IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO 7 bensi,* alle esigenze di un determinismo universale.
Bandendo dai termini della ricerca positiva l’indagine della essenza ul¬ tima e
dell’origine prima dei* fenomeni cosmici, il filosofo francese s’interdice
spontaneamente il passaggio dall’un grado dei reali all’altro, di guisa che i
diversi ordini dell’esperienza gli appaiono irriducibili l’uno all’altro. Non
che cercare la ragione sufficiente delle forme superiori della realità in
quelle inferiori, e delle forme definite nelle forme divenienti, egli inclina
all’inverso, a cercare la ragione esplicativa delle forme inferiori nelle forme
superiori e delle forme divenienti nelle forme definite (1). Ma è da notare che
il posivitismo statico non riesce a contraddire alle esigenze del determinismo,
che contraddi¬ cendo, ad un tempo, a sè stesso, segnando, cioè, una recisa
deviazione dal suo criterio fondamentale — Y omogeneità di metodo e di
dottrina. Il positivismo statico segna la prima fase di sviluppo della
filosofia scientifica : la fase empirica e descrittiva. Doveva succedergli, per
procedere intimo di cose, la seconda maniera, il positivismo dinamico ; il
quale, non riconoscendo limiti al processo di esplicazione e di -ri¬ duzione,
indaga e rinviene i nessi causali e genetici che ri¬ costituiscono la
continuità degli ordini della ricerca. Principio e simbolo universale di quei
nessi è la legge dell’evoluzione : ed in effetti la dottrina dell’evoluzione,
ovvero la dottrina di un processo continuo delle formazioni cosmiche, deter¬
minato dalla causalità efficiente di modi equivalenti e con¬ vertibili di una
energia persistente ed indelebile, . segna l’espressione sistematica e coerente
d^l determinismo univer¬ sale o di una concezione puramente causalistica del
mondo. 2 . Da questa nozione preliminare non è difficile inferire quali sieno
gli elementi costituitivi del determinismo scien- (1) Ravaisson, Rapport sur la
philosophie en France au XIX siècle (1868, pag. 78-79). Digitized by C.ooQle 8
IL DETERMINISMO SCIENTIFICO tifico e quali norme e quali abiti d’intendimento
esso in-, sinui nella interpretazione e nella esplicazione della serie
fenomenica. Un primo elemento costitutivo è la universalità del rap¬ porto di
successione, o di contiguità nel tempo, fra antece¬ dente e conseguente, oss^a
la legge secondo la quale nessun cangiamento interviene che non* sia preceduto
e condizionato da un cangiamento anteriore e che, a sua volta, non preceda e
venga condizionando un cangiamento susseguente. Un ele¬ mento ulteriore, che
completa il primo e vi si sovrappone, è la nozione della invariabilità di tal
rapporto di succes¬ sione, ossia la legge secondo la quale la connessione
casuale è necessaria, e le consecuzioni di un fenomeno ad un altro, o di un
gruppo di fenomeni ad un altro gruppo, verificate entro dati limiti di luogo e
di tempo, sono trasferibili a tutti i luoghi ed a tutti i tempi, e valgono, non
solo come dati dell’esperienza del presente o del passato, bensì come leggi
dell’esperienza possibile. Il primo di questi due elementi, ossia
l’universalità del rapporto di successione e di condizionamento, ne contiene e
ne implica un altro : la regressione all’ infinito nella serie dei fenomeni.
Ogni cangiamento non è soltanto causa di
tamente la limitazione del principio di causa, esso preferisce • d 1
impoverire la vita confplessa del reale per convellerlo nel, letto di Procuste
di quello schema intellettivo. E trasferisce ai reali quel limite e quella
manchevolezza che è invece una pertinenza del suo criterio ideologico, e
traduce la non intel¬ ligibilità di un dato reale secondo il principio di
causa, in una inesistenza o in una impossibilità di esistere dei reali che non
sieno causati. Dogmatico e non critico, esso tragitta nell’ordine
dell’esistenza le notazioni difettose ed imperfette del suo processo
conoscitivo. Di conseguenza la serie fenomenica gli si rappresenta come una
serie continua: senza principio, e per di più e correlativamente, senza fine ;
perchè non solo ogni causa è • effetto di un’altra causa, ma ogni cangiamento,
in quanto produce un effetto, produce, ad una volta e necessariamente, ili esso,
una causa di cangiamenti ulteriori; e questi altre ' (1) Critique phil., 1878.
p. 82 ; 2 levue philos., 1880, pag. 670 ; La nouvelle Monadologie , 135-157 ;
Pillon, Introduction à la Psychologie de Piume, LXVIH- ! XiXIX (Paris 1898). ^
* * \ Digitized by Google^ IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 11 «ause a loro volta e
così vi>a all’infinito. Nè vi è limite o fermata in questa corsa del
divenire verso il futuro, come non vi è limite o arresto nella retrocessione
dei fenomeni verso il passato : perchè il divenire ed il cangiamento, come non
deriva dall’essere e dalla permanenza per un primo pre-* sunto distacco
dall’uno o dall’altra, ma si regge come per propria impulsione, così non può
tendere o gravitare verso l’uno o l’altra come suo punto di riposo o di adequamento,
ma persiste perennement^hel suo moto, che è moto puro e semplice e senza
ragione di fine o di progresso verso un fine’(l). 3 . Il secondo momento, ossia
l’invariabilità del rapporto di successione, è quello che pone la essenziale
differenza fra il rapporto di contiguità pura nel tempo ed il rapporto di
•causalità, ed è, propriamente, il fondamento dell’induzione scientifica ed il
fattore precipuo del determinismo. Gli stessi antecedenti nelle stesse
condizioni daranno luogo agli stessi conseguenti ; gli stessi cangiamenti si
pro¬ ducono, per le stesse condizioni necessarie e sufficienti, secondo le
medesime-relazioni e le medesime léggi; i rap¬ porti di consecuzione, fievoli,
secondo l’esperienza, per determinate condizioni di luogo e di tempo, valgono,
secondo l’inferenza causale, per tutte le condizioni determinabili e possibili.
Grazie a questa inferenza causale, il rapporto em¬ pirico di successione dà
luogo al rapporto filosofico della determinazione necessaria. La causalità è la
successione sol¬ levata a legge.anzi a sistema, a legge ed a sistema di ordine,
di generazione e di convenienza intrinseca ; è la successione dei fenomeni
astratta, e come emersa dalle condizioni par¬ ticolari del loro accadimento
correlativo, e pensata come (1) Spir, loc. cit., p. 488 e segg. Digitized by
i^ooole 12 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO possibile nella infinità delle
condizioni, concepita, cioè, e raffigurata sub quadam specie aeternitatis. Il
determinismo scientifico non può. prescindere in nessun modo da questo momento
della connessione necessaria e della, •previsione necessaria, che è il
principio direttivo ed il criterio e la garanzia di certezza delle, scienze
sperimentali. E questa nota della necessità è la sola, forse, o almeno la sola
essen¬ ziale che esso, non ostante le intime ripugnanze per tutto il resto,
accetti senza beneficio cP*inventano, pur denudan¬ dola di tutto 41 contenuto
implicatovi, dalla dottrina tradi¬ zionale e dogmatica del principio di causa.
E noto, infatti, come esso, erede in ciò della critica di D. Hume, ripudi, del
dogmatismo filosofico, il concetto della causalità transi¬ tiva o della
migrazione della causa nello effetto o del potere produttivo ed efficiente
della causa : è noto confesso ricon¬ duci la causalità efficiente alla serie
delle condizioni neces¬ sarie e sufficienti del fenomeno, relegando nel dominio
delle entità inconoscibili o dei problemi insolubili ed illegittima¬ mente
proposti Findagime dell’azione o della virtù intrinseca, onde quelle condizioni
riescono alla determinazione di quel dato fenomeno. Questa rinuncia o questa
elisione corrisponde egregiamente alle esigenze del determinismo scientifico;
che essendo, di natura sua, il simbolo o lo schema mentale di un ordine tra due
fenomeni, cauga ed effetto o, meglio, antecedente e conseguente, si rifiuta ad
isolare l’un termine della relazione dall’altro, ed a tradurlo, da termine
relativo, in una cosa o in una ipostasi assoluta. Il fenomeno - causa - non può
essere isolato e divelto dal fenomeno - effetto ; - esso è un estremo ed un
limite della relazione, non un ente irrelativo ; esso .è reale solo in funzione
del rapporto che lo* lega all’effetto. E la ragion sufficiente del rapporto di
causa ed effetto non istà nei ter¬ mini del rapporto, singolarmente presi, ma
nel rapporto medesimo : ossia la ragione del fatto, che la stessa causa nelle
stesse condizioni produce lo stesso effetto, non istà Digitized by Google IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO 13 nella natura della causa più che noi sia nella
natura dello effetto : appunto perchè sta nella relazione di entrambi, ossia in
ciò che lega la causa e 1’ effetto (1). II. determinismo dei fenomeni
simboleggia la loro mutua relazione, non li traduce in noumeni. L’ipotesi del
potere pro¬ duttivo della causa tradurrebbe appunto la causa-fenomeno nella
causa-noumeno, ossia segnerebbe un’aperta infrazione del determinisnio
scientifico. Concepire la causa come una cosa o un ente individuale che ha il
potere di produrre un cangiamento o un effetto, è tutt’jmo che dire : la causa
è indipendente dall’ effetto, benché l’effetto sia dipendente dalla causa : la
causa non esiste in forza del rapporto che la lega all’effetto, ma esiste in sè
stessa. Verosimile, quindi, che la causa non produca, quel dato effetto, visto
e consi¬ derato che, dopo tutto, essa sta indipendentemente da quello ; e
l’effetto non consegue alla causa per una legge di con¬ nessione necessaria, ma
deriva dall’arbitrio o dal talento della causa medesima. La potenza, invero,
non è necessa¬ riamente in atto : anzi, in quanto potenza, è indifferente all’
atto. Per altro quelle esigenze interne che lo traggono a ripudiare l ’idolo
della causalità transitiva, sollecitano il de¬ terminismo ad ammettere, anzi a
ribadire, il vincolo della relazione necessaria tra antecedente e conseguente.
Del dogmatismo filosofico esso respinge più presto la forma che il contenuto,
più presto i simboli che le idee ascose nei sim¬ boli. La finzione della
transitività causale è un modo di rappresentare simbolicamente la successione
dei fenomeni in quanto efficientemente prodotta in un senso determi¬ nato (2) :
come a dire il simbolo corpulento e l’imagine sensibile e plastica del
determinismo interno della causa e dell’effetto. La così detta mitologia
filosofica consiste appunto (1) Renouvier. Monadologie, 20-21; Spir, loo. cit.,
p. 283-284. (2) Renouvier, Monadologie, ibid. Digitized by L^ooQle 14 IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO nel tradurre le idee di rapporto in sostanze
efficienti o, se si vuole, le idee in cose o enti : la causalità, in astratto,
è un rapporto ; rivestita di forma sensibile e rappresentativa, è una forza. Ma
che cosa è mai 1’ astratto della relazione di due termini senza l’azione
dell’uno sull’altro o senza la recipro¬ cità di azione di entrambi ? É qual
garentia di invariabilità potrà presentarci il nudo rapporto estrinseco della
succes¬ sione o della contiguità nel tempo, spoglio della determi¬ nazione,
bem-altrimenti intrinseca, che vi aggiunge la con¬ nessione causale, ossia la
virtù produttrice, generativa,, efficiente della causa ? La contiguità nel
tempo non contiene in sè ragione di necessità o di ripetizione necessaria, se
pure il tempo o la durata scorrevole, nella quale le cose si avvi¬ cendano e si
commisurano secondo il prima ed il poi, non sia erroneamente raffigurata come
una causa o non si tra¬ sferiscano ad essa surretiziamente quelle proprietà
generativo ed efficienti che non si vogliono ammettere nelle cause reali della
natura. L ’efficienza della causa è il sostegno materiale della, necessità
formale o della invariabilità della consecuzione : nè noi siamo più sicuri che
allo stesso antecedente nelle stesse condizioni non succeda un conseguente
diverso, quando la direzione del processo causale non è efficientemente de¬
terminata nel senso di quel solo conseguente, ed è quindi, possibile che
diverga o si dissipi per le infinite vie del di¬ venire e del cangiamento. L
'‘efficienza della causa è il termine o il fattore sintetico che media tra la
pura relazione logica e l’azione reale, e che conferisce una significazione
infinita al puro rapporto di successione temporale, che non ha ih sè nè
principio nè senso di necessità: come, d’altra parte, la nota formale della
necessità del nesso di consecuzione è il simbolo scarno, l’immagine smorta, la
rappresentazione depotenziata della efficienza produttiva della causa. Per tal
rispetto il determinismo ci si presenta come un Digitized by Google 15 IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO residuo ideologico della metafisica della causalità.
Purripu- gnando di sua natura al dogmatismo della causa sostantiva, il
determinismo scientifico fa sug il motivo della causa ne¬ cessitante. Esso
eredita dal dogmatismo il concetto o il mo¬ mento della determinazione
necessaria, cioè a dire V idea profonda significata dal mito apparente della
causalità tran¬ sitiva. Depaupera il sostanzialismo, non lo elide. Ed il de¬
terminismo dei fenomeni è, precisamente, la consecuzione necessaria dei
fenomeni dalle condizioni loro ; ossia la legge costante, uniforme, assoluta
del loro divenire, come dire l’assoluto insidente nel seno del relativo, o il
sistema delle determinazioni statiche, perenni, immutabili che dirigono il
cangiamento e lo rendono intelligibile. 0 che la necessità della connessione
causale sia ricon¬ dotta ad un’abitudine, resasi organica ed ereditaria,
d’infe¬ rire le associazioni future delle cause e degli effetti dalle
associazioni presenti o passate, (teorie dell’associazione e del¬ l’evoluzione
ad una volta), o che venga assunta a principio a priori d’intelligibilità ed a
funzione sintetica dell’intendi¬ mento (filosofia critica e trascendentale), o
che venga consi¬ derata come mero postulato della esplicazione dei fenomeni (v.
ad es. il Bain), la nota della determinazione necessaria dei cangiamenti pei
loro antecedenti è e resta, tuttora, il supposto indispensabile del
determinismo scientifico. 4 . Ma il principio di causalità non implica solo un
rap¬ porto di successione, bensì ancora un rapporto di grandezza: nè solo
l’effetto segue necessariamente dalla causa, ma la grandezza e le proporzioni
dell’effetto sono rigidamente de¬ terminate dalla grandezza e dalle proporzioni
della causa. Di qui segue un nuovo elemento costitutivo del principio di causa;
l’ordine o il rapporto di equivalenza (1). (1) Il Fouillée (j Le mouvement
idéaliste , pag. 191 e segg.) osserva in con¬ trario. che il determinismo non
involge l’equazione dell’effetto alla causa, Digitized by L^ooQle 16 IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO L’effetto è proporzionato alla causa; il cangiamento
che segue è l’equivalente di quello che lo precede e lo determina : il
conseguente non contiene nulla di piu éhe non sia nello antecedente ed è
analiticamente deducibile da quello. Ciò procede, di necessità, dal principio
di ragion sufficiente e dalle esigenze del tteterminismo. Perchè, ove l’effetto
con¬ tenesse alcunché di più che la causa, quell’alcunchè di più sarebbe un
effetto senza causa, un fatto o un atto sfornito di ragion sufficiente.
Quell’alcunchè di più sarebbe, inoltre, un elemento nuovo, originale,
irriducibile agli antecedenti, cioè a dire *un elemento di nuova formazione, un
salto, un hiatus: il rovescio, insomma, del determinismo e della con¬ tinuità.
E come non può contenere alcuna determinazione di più, così l’effetto, a
rigore, non può contenere alcunché di meno di quanto è contenuto nella causa. Perchè,
una causa che non si traduca intiera nello effetto ina gli sottragga, per
parlare figurativamente, alcuna delle sue determinazioni, anzi tutto cessa di
essere causante per la parte, almeno, che attiene alle determinazioni sottratte
ed intrasferite allo effetto. E poi, una causa che produca effetti inferiori
alla sua' natura è una causa che^uò produrre e non produrre un effetto, una
causa, e, ad un tempo, una non causa, una causa irrelativa, quindi, una
causa-arbitrio, una potenza degli am¬ bigui e dei contrari, cioè il
contrapposto reciso del criterio deterministico. Tra gli effetti e le cause vi
ha ordine di equivalenza inflessibile, senza di che o qualche effetto sa¬ rebbe
senza causa o qualche causa senza effetto: e questa ma solo l’identità della relazione
causale o l’equazione fra gli effetti delle medesime cause. Ma codesto suo
avviso è smentito apertamente dalle esigenze reali del determinismo e del
monismo scientifico moderno, poggiato sulle leggi della conservazione
dell’energia e della correlazione e convertibilità dei suoi modi. Il
determinismo scientifico non importa soltanto la deter¬ minazione della legge
del cangiamento, ma involge, altresì, un processo di elisione del cangiamento
nella permanenza. Esso non riesce al primo assunto, anzi, che perchè ad un
tempo si propone o presume di riuscire nel secondo. • Digitized by Google IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO 17 equivalenza segue di necessità dalla
interdipendenza e dalla correlazione dei due termini, perchè ove l’uno fosse ^a
più o da meno dell’altro, in quello che è da più o da meno, sarebbe
indipendente dall’altro che è da meno o T da più di esso. Tutto ciò che può
essere è, e vi è coincidenza assoluta tra il possibile e l’attuale, tra la
potenza & l’atto. Ogni causa è causante ed ogni forza è movimento. Le quali
considerazioni elementari mettono in chiaro quella che è l’intima
contraddizione del principio di causa¬ lità. Proposto all’esplicaziane del
diverso, del divenire, del cangiamento, riesce, invece, per altra forma, all’
identico, alla conservazione, all’equivalenza. Dall’un lato l’effetto ci si
porge differente dalla causa, senza di che cesserebbe di essere al¬ cunché di
vario e di distolto rispetto a quella, cesserebbe di essere effetto; dall’altro
lato’, perchè sia differente dalla causa, occorre che non sia efficientemente e
necessariamente deter¬ minato da essa, in quello, almeno, in che è differente:
occorre, cioè, che si rinneghi il principio di causa. L’esigenza di ren¬ dere
la ragione esplicativa del divenire e del cangiamento trarrebbe
all’interpretazione sintetica della causalità; l’effetto non è contenuto nella
causa ed il cangiamento non è dedu¬ cibile da quello che lo procede, perchè è
appunto un nuovo momento del divenire, un distinto, non fosse altro, che ap¬
pare sulla scena tìell’esperienza, sovrapponendosi al momento anteriore. Ma la
coerenza interna del principio di causa trae all’interpetrazione analitica:
l’effetto è adeguato pienamente alla causa, il cangiamento è determinazione
univoca ed equi¬ valente dei suoi antecedenti, perchè, ove noi fosse ed in
quello che non fosse, l’effetto sarebbe senza causa ed il con¬ dizionato senza
condizioni. L’uno, quindi, è deducibile dal¬ l’altra o dalle altre ed è
riducibile ad esse : la relazione dei due termini è analitica e l’ordine di
causazione è ricondotto al rapporto di contenenza e d’identità. L’accezione
sintetica del principio di causa, adottata da D. Hume, non è una
interpetrazione coerente della logica 2 Digitized by L^ooQle 18 IL DETERMINISMO
SCIENTIFICO della causalità, ma il prodotto di una critica superiore che
oltrepassa il principio di causa, svelandone le contraddizioni ed i limiti. Da
codesta critica s’inferisce che il principio di causalità non è forma
sufficiente-ed adeguata d’intelligi¬ bilità dei reali, perchè gli sfugge quello
che costituisce come il midolla e la vit^i della* realtà: il processo delle
differenze e dei valori, la sintesi generativa ed individuale del fenomeno. Ma
l’esplicazione causalistica del mondo non ha il senso di questo limite e di
tanta manchevolezza : e la presunzione dell’equivalenza dei condizionati e
delle condizioni, degli ef¬ fetti e delle cause, non sollecitata nè scossa del
cimento della critica, continua ad essere uno dei principi costitutivi fon¬
damentali del determinismo scientifico. Il quale traduce i di¬ versi ordini
dell’esperienza e le forme progressive ed ascensive del reale in modi
equivalenti ed iiT funzioni convertibili del divenire universale. Indi, nulla
di nuovo si crea, nulla si distrugge : le forme dell’evoluzione si equivalgono
e si con-~ vertono: i principi e le nature apparentemente diverse ri- • ».
conduconsi a forme soltanto distinte di unico processo di sviluppo, e le forme
superiori sono mere addizioni ed inte¬ grazioni delle forme inferiori, perchè
in esse non operano nuovi elementi e nuovi principi, ma solo si attua una
diversa .combinazione o un diverso attegiamento degli elementi e dei principi
preesistenti, o meglio sussistenti ai aeterno . I can¬ giamenti si succedono e
si avvicendano sopra un fondo e un sustrato, sostanziale o dinamico che siasi,
identico ed immu¬ tabile: e la scienza li determina e li misura in rapporto a
questo sustrato comune. All’equivalenza dei termini del principio di causa, che
è principio dell’ordine ideale o logico che siasi, corrisponde,
nell’applicazione concreta del determinismo ai fenomeni della natura materiale,
il principio o la legge della unità e della trasformazione delle forze.* Le
esigenze dell’induzione scien¬ tifica e della costruzione matematica — le due
fonti del de¬ terminismo — convergono e trovano pieno adeguamento in Digitized
by L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 19 questo, che è il principio direttivo
della' fisica moderna. La equivalenza è il simbolo logico e lo scheda mentale
della convertibilità reale dei modi del movimento ; l’una è il fatto di che
l’altra è la formola, come cimento obbiettivo e riprova reale che la veracità
della natura porge spontanea alle leggi ed alle forme dell’intendimento. Di qui
segue la commensu¬ rabilità dei diversi gruppi dell’esperienza o dei diversi
ordini del reale o delle diverse forme della sostanza o dei diversi modi del
movimento. Di qui si origina la scienza strettamente detta, che, di sua natura
ed a strazio della nuda esperienza, è conoscenza dell’essere, della permanenza,
della conserva¬ zione, delle determinazioni statiche, non già del diverso e del
cangiamento o dell’individuale o di ciò che, essendo a sè, non è commisurabile
all’altro o assimilabile ad esso come ad una sua funzione . E di qui si
attinge, altresì, quale, saggiata a fondo, sia la vera natura del principio di
causa, e come e perchè esso trovi tanta rispondenza concreta nel fatto della
natura. Benché, come legge direttiva dell’ induzione scientifica o dei processi
dell’esperienza, la causalità esprima o si pro¬ ponga di esprimere una
relazione fra termini differenti ed eterogenei, di fatto essa non esprime o non
riesce ad espri¬ mere che la continuità fra elementi omogenei e converti¬ bili.
Penetrata nell’ intimo, la causalità si rivela come il sim- bolo abbreviativo o
la formola semplificata della continuità (1) : la quale non è percettibile dal
nostro conoscimento, che di sua natura è analisi e fiotomia del reale, se non
nella forma rappresentativa impressale dal principio di causa. La con¬ tinuità,
a rigore, è indefinibile ed indivisibile : dividerla in ^elementi definiti ed
in unità distinte è reciderla nella ra¬ dice. Ma l’indefinito non è, d’ altra
parte, intelligibile che definendolo ; e l’unica maniera cuffie rappresentarci
il conti¬ nuo è appunto quella d’ inserirvi la divisione e la disconti- (1)
Lalande, Eemarques sur le principe de causalité. Bevile phil., 1890. Digitized
by Google 20 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO nuità. La causalità simboleggia,
appunto, quest’approssima¬ zione del nostro^intelletto al continuo, di cui
rende una rappresentazione analitica e definita : ond’essa è come una
mediazione simbolica fra l’esperienza o le relazioni intelli¬ gibili. ' Questo,
appunto, ci spiega la grande fecondità reale del principio di causa nelle
scienze della natura materiale. Gli è che nella costruzione matematica della
fìsica moderna r più che la causalità intesa sinteticamente come potenza del
cangiamento e del diverso, impera la conservazione del¬ l’energia e la
continuità dei suoi modi. Nella interpétrazione meccanica della fisica non si
tratta propriaipente di cause e di effetti, ma di equivalenza e di
trasformazione dei mo¬ vimenti. Il principio di causa s’impregna di realità
nella in- terpetrazione della natura, perchè esso non è, in fondo, che il simbolo
o lo schema imperfetto ed inadeguato* della con¬ tinuità meccanica e dell’
inerzia. «% 5 . L’equivalenza del condizionato al determinismo delle sue
condizioni è da intendere non solo in ordine di suc¬ cessione, ma altresì in
ragione dA coesistenza. Non solo i conseguenti sono l’equivalente degli
antecedenti che, in ipo¬ tesi, concorrono a determinarli, (mondo delle
relazioni'e delle azioni), ma altresì le formazioni della natura, le
concrezioni della materia, le sQstanze, i composti sono l’equivalente della
sqmma delle unità o dei dati elementari che le producono o meglio le compongono
(mondo dei corpi e degli enti). Il che vuol dire che, per intendere appieno la
natura del de-, terminismo scientifico, occorre por mente ad un altro ele¬
ménto costitutivo di esso : l’analisi e la numerazione. Il concreto, il
complesso, l’indefinito ed il continuo ap¬ parente della intuizione sensibile
non è altrimenti intelligi¬ bile o riducibile ad oggetto di scienza, che grazie
ad .un Digitized by i^oogle 21 IL DETERMINISI^ SCIENTIFICO processo di
risoluzione, che insinui nel continuo e ne l’in¬ definito la distinzione e la
divisione numerica e riduca il complesso al semplice e Punita apparente e
fenomenale della percezione divida e come rifranga nel molteplice delle unità
coefficienti. La cosa o il fatto, cosi come è fornito dalla esperienza e dalla
intuizione immediata, non * contiene in sé f al lume della nuda empiria, ragion
di numero e di parti : e tuttavia, la cosa o il fatto non è esplicabile
scientifica- mente che per virtù dell’analisi, la quale v’ inserisce, ideal¬
mente e costruttivamente, la ragione del numero e delle parti, in guisa da
ricondurre la totalità indivisa dell’ intui¬ zione sensibile all’ integrazione
di elementi minimi, ed il composto ai componenti elementari che lo generano, il
tutto. alle parti, l’uno indefinito al molteplice delle unità definite ed
omogenee, .l’indistinto all’addizione dei distinti. Questo processo di analisi
e di risoluzione è il segreto dei trionfi che la‘scienza celebra o si lusinga
di celebrare, sull’ indefinito variabile dell’ intuizione : che, sottratto
altri¬ menti agli schemi o ai reattivi dell’ intelligenza, si porge¬ rebbe come
un irriducibile logico o come un enigma inde¬ cifrabile. Ed è per" questa
via che la scienza procede alla costruzione genetica del reale, ossia a
percepire il reale nella sua genesi e nel suo prodursi. Conoscere è fare e
conoscere un fatto è rifarlo o assistere al processo del suo fieri . Nel-
l’indefinito, nell’omogeneo e nell’ identico del fenomeno in¬ tuito dalla
percezione sensibile l’analisi pone un elemento ultimo definito, una unità .ed
un dato minimo, un fatto — o un concetto — limite , dal quale essa ottiene, per
via di ge¬ nerazione infinitesimale, la ricostituzione della sostanza de¬ composta.
La differenziazione ci conduce, così, a determinare e ad individuare nel tutto
le parti costituenti, ed, integrando \ le parti stesse, ci consente l’agevole
lusinga di ravvisare nel tutto come l’opera nostra e di rivivere, quasi, o di
ri¬ percorrere il processo di gestazione della natura. In questo procedimento
si avvera una reciprocità assoluta fra l’analisi Digitized by L^ooQle 22 IL
DETERMINILO SCIENTIFICO *e la sintesi : l’elemento ultimo ed il dato-limite
individuato dall’analisi è l’elemento generatore ed integrante della sin¬ tesi,
ossia della genesi del reale : il tutto è ridotto ai suoi elementi e trova la
sua ragion sufficiente nella combina¬ zione e nell 1 integrazione di quelli. Il
processo della sintesi adempiuta non* ci porge alcun elemento nuovo ed
originale, che non preesista nel dato minimo e nell’elemento integrante, salvo
quel nuovo che nasce dal fatto stesso dell’aggruppa- mento e della
complicazione delle unità elementari, dal fatto stesso della integrazione e
della sintesi. Il tutto è equiva¬ lente alla somma delle parti ed omogeneo alle
parti che lo compongono e, idealmente e costruttivamente, lo generano ; Jl che
vuol dire, propriamente, che non il tutto spiega le parti, ma le parti spiegano
il tutto. Come il conseguente è l’equivalente del determinismo degli
antecedenti, così il tutto è l’equivalente dell’addizione delle parti : perchè
porre che vi sia nel tutto un elemento nuovo, originale, eterogeneo alle parti
è come raffigurare una somma o un totale che sia da più dell’ insieme delle
unità addizionate. Il processo della numerazione, ossia della distinzione
numerica, involge, di necessità, l’intuizione di un molteplice, o meglio di una
pluralità di unità assolutamente similari ed omogenee le une alle altre. Ora il
molteplice degli omogenei e degl 1 identici non vi darà mai l’eterogeneo ed il
diverso. E poiché, seguendo a ritroso la serie delle formazioni naturali,
ciascuna di esse ci si sporge come il risultamento ed il condizionato degli
elementi della formazione anteriore, è da inferire che nessuna di queste
formazioni sia originale e diversa rispetto a quella o a quelle che la
precedono nelle vie del tempo e della generazione e concorrono a determi¬
narla. Le così dette proprietà nuove non involgono principi ed attività specificamente
diverse, ma nascono.solo o emer¬ gono dal complicarsi delle relazioni che
intervengono fra gli elementi preesistenti o meglio sussistenti : e vuol dire
che le formazioni più complesse si originano dalla integra- Digitized by
L^ooQle IL DETERMINISMO SCIENTIFICO 23 zioné delle formazioni meno complesse,
noli già che rap¬ presentino la produzione^ di un elemento nuovo, ovvero la
operazione di un principio nuovo di attività, irreduttibile agli elementi o ai
principi che esistono di già. Non vi è, quindi, interrompimento o lacerazione
nella serie continua della fenomenologia cosmica : e dal fatto fisico al fatto
psi¬ chico e d$l fatto psichico al/fatto sociale si ha rigoroso pro¬ cesso di
integrazione e di continuità. Il determinismo scientifico mette, così, in
chiaro la sua intima natura, che è rigidamente analitica e ripugnante alla
sintesi creatrice. Esso non procede dall’omogeneo all’etero¬ geneo, ma
circuisce dall’omogeneo all’omogeneo : e la sua forinola, il suo simbolo è 1
'"idem per idem . La causazipne del determinismo scientifico non è la
potenza del cangiamento e del diverso, ma la formula della conservazione e
dello identico. Del pari la sintesi e V integrazione da esso propo¬ sta non è
sintesi in atto e veracemente generativa e pro¬ duttiva : ma un circuito logico
e puro principium expressi - vum o versatio in locnm. L’elemento integrale non
riesce, in fondo, alla sintesi del tutto, che pel fatto semplicissimo che le
proprietà del tutto sono state di già, anticipatamente, trasferite ed involte nell’
elemento integrale. L’ analisi pro¬ cède surretiziamente tragittando nel dato
minimo elementare, nel fatto — o nel concetto — limite, le proprietà della
sostanza, del composto, del tutto. La parte genera il tutto e ne rende la
ragion sufficiente, perchè essa è già in anticipazione un tutto in piccolo e
raccorciato, un tutto in miniatura, perchè è, insomma, il tutto in quanto
infinitesimo. Così, nella teo¬ ria atomo-meccanica l’atomo rende la ragione
delle proprietà tutte della materia in ‘movimento e delle presunte attività
funzionali di quella, perchè l’atomo è il dato minimo ele¬ mentare o il
concetto-limite, in cui di già l’anahsi ha in¬ trodotto surretiziamente quelle
proprietà che si vogliono spiegare. L’analisi ritrova nell’intiero e nel risu Lamento
fi¬ nale quello che ella aveva messo di già nell’elemento e nella Digitized by
L^ooQle 24 IL DETERMINISMO SCIENTIFICO formula e nel calcolo iniziale. Come
Narciso, essa trasfigura e personifica la sua imagi ne e si consuma nell’
adorazione della propria ombra (1). Se non che, gli è appunto questo circuito
nell’ omoge¬ neo e questo processo analitico che consente al determini¬ smo
scientifico di sostenere in confronto del nuovo e del diverso, offerto
dall’esperienza, la rigidità del suo principio di equivalenza. Se le
determinazioni del tutto non fossero anticipatamente trasferite ed individuate
nelle parti, il tutto sarebbe da più che le parti, il tutto sarebbe non più una
integrazione, ma una sintesi creatrice, una produzione origi¬ nale* : la serie
delle formazioni cosmiche non sarebbe conti¬ nua ; il principio di causa non
sarebbe la sola form^ d’in¬ telligibilità del reale ; il determinismo cederebbe
il luogo al- 1’ indeterminismo. L’analisi del determinismo non può ridurre il
condizio¬ nato alla condizione e le formazioni superiori alle forma¬ zioni
inferiori che ad un patto solo : impoverire le une ed arricchire d’altrettanto
le altre, invertendo o retrovertendo la natura delle cose e l’ordine gerarchico
dei fenomeni. La serie dei reali, quale appare al principio di causa, è regres¬
siva, non progressiva : ' è analitica non sintetica : è deduttiva non
produttiva : va dal presente al passato, non dal pre¬ sente o dal passato all’
avvenire. E le sfugge, quindi, il nuovo, l’originale, l’eterogeneo, le sfugge,
cioè, la potenza del cangiamento, che è l’espressione della causalità vera ed
attiva della natura. 6 . Questi sono, adunque, gli elementi costitutivi del de¬
terminismo scientifico, come dottrina universale della scienza (1) Stallo. — La
matìère et la phys. moderne , Paris, Alcan. 1884, 78, 79 e segg. — Hannequin
— Essai critique sur V hypothèse des atomes dans la Science contemporaine ,
Paris, Alcan. 1889, p. 248-251. Digitized by C.ooQle IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO 25 e della realtà. Riduzione dei fenomeni e dei
"cangiamenti alle condizioni determinanti ; universalità del principio di
causa ed affermazione del regresso all’ infinito ; determina¬ zione necessaria
della direzione del processo causale, ovvero interpetraziofte analitica della
causalità: equivalenza dell’ef¬ fetto alla causa, del condizionato alle
condizioni, del composto alla somma dei componenti semplici : reciprocità
assoluta della differenziazione e (fella integrazione, dell’analisi e della
sintesi ; rigorosa continuità degli antecedenti e dei conse¬ guenti, delle
formazioni menp complesse e delle formazioni più complesse dell’evoluzione
cosmica. E, correlativamente, eliminate le cause finali, come altro e nuovo e
superiore principio d’intelligibilità del reale : messa da parte l’inter-
petrazione sintetica dello stesso principio di causa efficiente : esclusa la
possibilità, non che 1’ esistenza, dei cominciamenti assoluti dei fenomeni o di
fenomeni nuovi ed irriducibili al determinismo degli antecedenti ; bandita la
sintesi creatrice, la graduazione gerarchica delle forme e dei valori, la spon¬
taneità della produzione e dell’azione, la libertà ! Di qui, il concetto che
esso ne porge dell’ordine ge¬ netico dei reali ed il modo * onde rende ragione
della serie ascendente e progressiva delle esistenze e dei fenomeni del mondo.
Continuità rigorosa dell’ordine meccanico nell’ordine fisico, o riduzione del
fatto fisico all’equivalente meccanico ; continuità dell’ordine fisico-chimico
nell’ordine biologico, o riduzione della vita agli elementi ed alle forze della
fisica e della chimica ; continuità dell’ordine biologico nell’ordine psichico,
o riduzione della psicologia alla biologia e dei processi dello spirito agli
equivalenti ed ai concomitanti organici e fisiologici: e così via. Riduzione
monistica, quindi, della pluralità del reale ed inversione dell’ordine
progressivo della natura : ed in contrapposto all’ intuizione metafisica del
mondo che modellava i reali della natura sul tipo for¬ nito dalla intuizione
immediata dello spirito, il determinismo scientifico riconduce il fatto e le
determinazioni dello spi- % Digitized by C.ooQle 26 ILJ)ETERMINISMO SCIENTIFICO
rito al fatto ed alle determinazioni £ella natura. Ed il de¬ terminismo interno
dei fenomeni di ciascuna serie in parti¬ colare è ricondotto, e come sospeso,
al determinismo estrinseco da serie a serie : e nelle diverse forme del
determinismo, nel determinismo fisico come nel determinismo vitale, ed in
quello psicologico come in quello sociologico, ricorre tuttora Tunico tipo del
determinismo, Punico modello della espli¬ cazione causalistica, analitica,
riduttiva : il determinismo naturalistico e meccanico. Costruzione senza dubbio
gigantesca e che con so¬ brietà di processi e di metodi riduttivi e con
esattezza e precisione di procedimenti promette di appagare quel pre¬ potente
bisogno di causalità che agita la mente umana al cospetto dall’esperienza dei
reali. Ma la semplicità di questo metodo di esplicazione riduttiva ed
analitica, se è, per un verso, il segreto della vitalità e della fecondità di
esso in una costruzione matematica delle scienze, segna, per altro verso, la
sua insufficienza e la sua inadeguatezza in con¬ fronto della complessità
crescente delle determinazioni del¬ l’essere. Il determinismo scientifico
s’inizia con un presup¬ posto sottratto al cimento della critica — l’universale
determinabilità del reale secondo il principio di causa — e riesce ad un
risultamento contrario alla esperienza — l’eli¬ sione, dalla sfera al reale, di
tutte quelle determinazioni efficienti, le quali non si lasciano costringere
nei limiti an¬ gusti del suo schema prestabilito. Saggiato a fondo ed alla
stregua comparativa e rigorosamente scientifica delle deter¬ minazioni
progressive della realtà, esso mette a nudo la fragilità e la vacuità dei suoi
processi di risoluzione e de¬ nuncia i limiti e le lacune, che ne interrompono
la serie continua tutte le volte che si propone il passaggio da un •ordine di
fatti ad un altro, da una ad un’altra sintesi creatrice, Digitizéd by Google IL
DETERMINISMO SCIENTIFICO 27 tutte le volte che il processo delle integrazioni
graduali e la moltiplicazione degl’ intermediari non giova a colmare la
distanza infinita che allontana l’ultimo termine di una serie dal primo di
un’altra. Questi limiti del determinismo scientifico sono essi, in pari tempo,
limiti della intelligibilità del reale ? o lo sono soltanto di quella forma di
approssimazione intelligibile del % reale che è segnata dal principio «di causa
? E se sì, .vi ha altri principi o altri nessi intellettivi che giovino ad
inte¬ grare Tesplicazione delle cose superando i limiti del de¬ terminismo ?
Quale che siasi l’attitudine della filosofia in presenza di cosiffatto problema
e quali che sieno le vie ond’essa si prepara a rei^ere la ragione sufficiente
di quella parte dei reali che si sottrae ai processi di risoluzione del
determi¬ nismo scientifico, l’insufficienza di quest’ultimo come dot¬ trina
universale del mondo perdura irreparabile. I limiti del determinismo
scientifico non sono i limiti della cono- scenza, ma di quel modo di scienza
che è prevalso .nella cultura moderna e che si traduce in un compromesso fra la
costruzione matematica e le generalizzazioni dell’espe¬ rienza. Ma, quand’anche
i limiti del determinismo scien¬ tifico coincidessero coi limiti di ogni
scienza possibile, non per questo la posizione del primo sarebbe resa più
salda. Esso confesserebbe che la scienza è inadeguata ad appa¬ gare l’interno
bisogno della causalità che agita 1’anima umana, e, sollevando la sua disfatta
a significazione infinita, aprirebbe l’adito ad altre form^ di intuizione,
predisposte, non solo a superarlo cisticamente, ma a sostituirlo dogma¬
ticamente nella scienza, nella vita e nell’azione. Digitized by Google
llMllu...itlllmll'Mllli..,,,. i!ll iilli i'llli..-. iilliH'Ili iltóiHij
Illìl.tlllliilllh.,,..,,.. illllil .1 I’-.iUi .''I ■! «iggVIit iÌIi.-ìJ' 1 x
xix^ x_jcjpenhauer, loc. cit.; Spir, p. 205-207 ; 424-427 e passim. (2) Chap.
IL * . Digitized by Google 36 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO degli
elementi che vi erano di già, come dalla invasione e dalla sopravvegnenza
saltuaria di elementi nuovi. I calcoli della scienza, cioè, esigono l’identità
e la permanenza dei suoi dati. La conservazione della massa e dell’energia è,
adunque, la traduzione nell’ordine reale del determinismo logico-matematico,
del determinismo scientifico. A sua volta, la teoria atomo-meccanica è tutt’uno
che l’applicazione dell’analisi scientifica al problema della strut¬ tura e
della composizione dei corpi. E il tutto pluralizzato nelle parti quantitative
ed integrali, il complesso esplicato nei semplici, la mjassa finita nell’
infinitesimo. E soprattutto la riduzione del continuo al discreto o il continuo
reso in¬ telligibile. La meccanica dell’atomo, come quella del movi-* mento, è
in intima congruenza con la sostanza stessa della scienza. L’una e 1’ altra
nascono dal bisogno che sollecita l’intelligenza umana ad esplicare la varietà
indefinita della intuizione sensibile ed a ridurre, con la ragione del numero e
della quantità discreta, il continuo dell’esperienza, il com tinuo, cioè, del
movimento ed il continuo dell’ estensione. Se in tale processo di costruzione
1’ atomismo non adequa la obbiettività dei reali, non però è da inferirne
alcunché contro la validità del determinismo meccanico. L’impotenza
'dell’atomismo è, tutt'al più, l’impotenza dell’ intelletto umano a trionfare
del continuo ed a ridurre l’irreduttibile (1). Così il determinismo meccanico
àppare assiso sovra basi di certezza assoluta ed inconcussa. Esso non è che la
traduzione obbiettiva del determinismo scientifico, come la causalità naturale
è tutt’uno che la causalità logica obbiet- tivata nplla natura. Il meccanismo della
natura, in un mondo sottoposto alle forme del tempo e dello spazio, è la sola
espressione possibile del determinismo del pensiero. La me¬ tafisica della
mente umana è parallela alla logica della natura. * p (1) Hannequin** loft cit.
2-14, 129. Digitized by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO r- 37 2 . Se
-non che, quest’ approssimazione del determinismo * meccanico al determinismo
scientifico, in primo luogo, non è òqsì compiuta ed adequata come sv crede, ed
in secondo luogo, ciò che più rileva, essa è la radice così della .certezza
logica come della scarsità di efficienza reale e della insuffi¬ cienza radicale
del determinismo meccanico. Dico, in primo luogo, che non è compiuta ed
adequata, .ed invero contraddizioni non poche viziano e scemano la coerenza
interna del meccanismo. Una prima contraddizione colpisce gli stessi termini
elementari dell’analisi scientifica, la massa ed il movimento : dei quali
l’affermazione inerzia importa l’irreduttibilità reciproca e le esigenze
monistiche del determinismo mecca¬ nico consigliano, anzi impongono, la
riduzione e l’unifica¬ zione. Di qui la lotta, nel seno della teoria meccanica,
tra il concetto della massa ed il concetto del movimento, fra l’ato¬ mismo èd
il dinamismo. La nozione della massa — così le teorie dinamiche ed energhetiche
— non è che il simbolo della nostra ignoranza ossia dell’ intimo difetto dei
nostri piacessi di riduzione. La massa indifferente ed inerte non è conoscibile
per nessuna qualità o determinazione, perchè segna, in ipotesi, l’assenza
assoluta di ogni determinazione e di ogni qualità. Ed è quindi un non-ente per
lo spirito, il quale non conosce le cose che in virtù delle loro/proprietà o
delle* loro relazioni. Non la materia è l’obbiett©-della nostra esperienza
sensibile, ma l’energia; non le cose in se sono esperibili ma le cose nella
loro relazione, ossia nella loro azione o reazione verso il soggetto che
esperisce. L 9 in sè della materia è indiscer¬ nibile dal nulla: essere è
agire, disse il Leibnitz. Nè i nostri sensi reagiscono verso condizioni
esteriori, Digitized by L^ooQle 38 I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO
indifferenti ed invariabili (1). Idem semper sentire ac nihil sentire ad ibidem
recidunt. La percezione non è possibile che per il cangiamento, per l’azione,
per l’energia, ed ogni perce¬ zione è percezione di relazioni e di differenze
di energia tra il * percipiente ed il percepito. Las Wirkliche, d. h. was auf nns wirkt, nur die
Energie ist ; così l’Ostwald (2). Al di
fuòri della teoria meccanica, la massa non è che il sinonimo dell’ inerzia, e
questa non è conosciuta e misurata che per la quantità di energia o di
movimento che deve imprimersi ad un dato corpo per produrvi una velocità
determinata (3). La materia, questo irreduttibile della teoria meccanica, è lo
scandalo logico delle scienze della natura, il* residuo metafisico del sostan-
zialismo. Di qui, e per rimuovere questa contraddizione del- l’intendimento, le
teorie degli atomi inestesi e centri di forza di Boscovich, di qui l’ipotesi
dòi vortici atomici di Thomson o dei movimenti rotatori in un fluido omogeneo e
continuo onnipresente, od altre maniere di esplicare il movimento o la forza
senza il correlativo della Astensione e della massa. * ** Il movimento senza
massa — ribatte dall’altro lato il materialismo, o, se si vuole, il
sostanzialismo meccanico — è inconcepibile. Se i corpi si mutano in atomi
inestesi o in centri di forza, dove sarà, dunque, il support del movimento? o
quale la cosa che si muove? E come concepire l’urto' di una forza, o lo
spostamento di una forza da un punto ad un altro ? Il movimento sarebbe,
adunque, lo stato non di una massa, ma di una forza. Se*flon che, qual circuito
è questo ? Che cosa e la forza se non la qualità, la funzione, sarei per dire
*la traduzione metaforica del movimento ? line force qui se meut — così lo Spir
— est donc semblable à la plaisante (1) Die Sinnesswerkzeuge reagieren auf
Energieunterschiede zwischen ihijen und der Umgebung. — Ostwàld, Die Ueberwindung
d. wissenschaftlichen Materialibmus (Zeitschrift fur physikalische Chemie. B*
18, p. 315). (2) Id. ibid. (3) Stallo, loc. cit. 111-112. igitized by ,-GoogIe
I LIMITI DEL DETERMINISMO MECCANICO 39 promenade de Hobbes qui se promene (1).
Se il materialismo lia il torto di convertire le qualità e le idee di rapporto
nello assoluto e nell 1 2 in sè, il dinamismo lia il torto maggiore di
convertire i reali e le cose-in pure relazioni logiche. Elimi¬ nate la massa e
voi avrete distrutta ogni presenza reale e spaziale : perche se la massa è
infinitamente piccola e prossima a zero, la velocità del movimento sarà
infinitamente grande, e.la cosa o il mobile o il presunto support del movimento
non è, in un dato momento della durata, in questo o quel punto dello spazio, ma
dappertutto (2). Ed ecco, risultamelo finale, il movimento senza corpo che ai
muove, il movimento senza mobile e senza massa, nel fluido continuo o, che toma
quasi lo stesso, in uno spazio vuoto omogeneo; un movi¬ mento che si fa e
simultaneamente si dissipa per mancanza di parti in quahtità finita nelle quali
distribuirsi, il movi¬ mento che, da sè in sè stesso, per forza magica di
differen¬ ziazione, individualizza i corpi, differenzia i volumi e le den¬
sità, crea, per una misteriosa Selbsttiefruchtung i suoi termini, i suoi
limiti, le sue condizioni! (3). Così la coerenza della teoria meccanica è
lacerata da due esigenze contrarie, l’una che la trae a rimuovere il dualismo
tra la materia ed il movimento, l’altra che la sollecita a con¬ servarlo. Senza
quel dualismo la esplicazione meccanica è impossibile: e tuttavia quel dualismo
simboleggia un limite al processo di riduzione, un residuo d’irreduttibile,
d’inde¬ terminabile, d’inintelligibile che s’insinua nel fondo stesso della
intelligibilità meccanica, insidiandola. Al dualismo della massa e del
movimento, che sconnette la coerenza interna del meccanismo, è da aggiungere un
altro, quello dell’energia potenziale e dell’energia motrice. Dualismo, anche
questo, che le esigenze della meccanica sollecitano a (1) P. 407. (2) Stallo,
P. 122-123. (8) Hankequix, Loc. cit. p. 106. Digitized by L^ooQle 40 I LIMITI
DEL DETERMINISMO MECCANICO rimuovefe e la esplicazione scientifica dei
cangiamenti e delle conversioni della energia costringe a conservare. La nozione
dell’ energia virtuale contraddice al meccanismo, per il quale la forza è
tuttora in atto e non già in potenza (1). La forza è la funzione del movimento,
- non la causa irrelativa o la causa- arbitrio di quello. Nella teoria
meccanica la causa del movi¬ mento o la forza non è che un movimento •
anteriore. Ogni forza, quindi, è movimento ed ogni energia è energia motrice.
Domina equivalenzaassoluta fra il possibile e l’attuale o, per dir meglio, il
possibile è un mito o un non-ente. Una forza ca¬ pace di agire e che non agisce
o agisce a talento è una forza indeterminata ed indeterminabile, è un potere
ossia un ente di natura immateriale, uno scandalo logico del determinismo
meccanico. Intanto la conservazione delFenergia e-la convertibilità dei suoi modi
non è esplicabile che col supposto dell’energia potenziale e del suo attuarsi e
divenire in energia motrice. — La scienza moderna — così lo Stallo — afferma
che tutti i cangiamenti fisici dell’universo sono delle conversioni di energie
cinetiche in energie potenziali e reciprocamente. Questa energia è
incessantemente immagazzinata come potere virtuale e restituita come movimento
attuale.In realtà la scienza moderna insegna che la diversità ed il cangiamento
nei fenomeni della natura sono possibili solo a patto che la energia di
movimento possa essere immagazzinata come energia di posizione. La concrezione
relativamente perma¬ nente delle forme materiali, l’azione e le reazioni
chimiche, la cristallizzazione, l’evoluzione degli organismi vegetali ed animali
— tutto -dipende dall’imprigionamento dell’energia cinetica sotto la forma di
energia latente (2). La teoria meccanica, per la quale una energia dovuta alla
sola posizione è impossibile, è, adunque, inadequata, ed (1) N A ville, Le
libre Arbitre, 232. (2) Cap. 6. Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO
MECCANICO 41 incongrua a sè stessa: e ciò vuol dire che essa non può fare a
meno di cofttenere in sè un elemento eterogeneo che par¬ zialmente la nega e la
oltrepassa. La nozione del potere e della virtualità è inconciliabile col
meccanismo puro e rap¬ presenta un nuovo limita della intelligibilità
meccanica, sim¬ bolo, quasi, della manchevolezza interna che sollecita il mec¬
canismo verso fórme più alte d’intendimento e di esistenza. Una terza contraddizione
— per omettere altre di minor rilievo o riducibili a quelle denunziate di già —
colpisce nella radice l’ipotesi atomistica o della semplicità ed omogfcnèità
assoluta delle unità primordiali della materia. E la dualità fra l’atomismo
della fisica e l’atomismo della chimica; l’una che tien fermo all’unifolmità ed
alla equivalenza assoluta degli atomi e riduce le differenze qualitative alle
forme del movimento atomico e molecolare ; d’altra che involge il sup- • posto
di una^forma differente, di una valenza e di un peso definito ed eterogeneo
degli atomi originari, con che rende ragione delle leggi della combinazione dei
corpi. Le specie distinte dei corpi ed i corpi semplici irreduttibili non sono
esplicabili con l’indistinto, con l’omogeneo, con l’indifferen¬ ziato
dell’atomo: questo essere vuoto ed indeterminato, in¬ discernibile dalle
idee-limiti dell’astrazione geometrica e di¬ namica. E la scienza non le
esplica di fatto che illusoria- mente, per via di una petitio pr’mdpii che
insinua nell’essenza dell’atomo in anticipazione le differenze che esso non
riesce a spiegare altrimenti. Il fatto che l’analisi chimica e spet¬ troscopica
spinta fino agli ultimi termini che sia possibile rinviene un limite
insupeftbile,* od almeno insuperato* dalle stesse indagini del Lockyer, nella
diversità definita originaria dei corpi semplici, è un’aperta smentita che la
natura oppone alle premature dogmatiche affermazioni del determinismo
meccanico. La Chimica, questa scienza della istologia quantitativa (1) (1) Blondel,
L’action, Paris, Alesai, 1898, pf. 66. % Digitized by C.ooQle 42 I LIMITI DEL
DETERMINISMO MECCANICO dei còrpi, involge il supposto di differenze qualitative
e segna col suo intervento nella serie successiva e progressiva delle scienze,
un limite novello alla intelligibilità meccanica* Basti riflettere in
proposito, oltreché alla irreduttibilità dei corpi semplici, al nuovo della
sintesi chimica, rispetto ai com¬ ponenti, ed alla serie dei cangiamenti e
delle alterazioni che si avverano nella composizione chimica, le quali tanto
diffe¬ renziano questa dalla unione e separazione e redistribuzione meccanica e
sì poco la rendono conciliabile con la tesi o con F ipotesi della
inalterabiiità della massa. Tutti questi coeffi¬ cienti di complessità
crescente e di determinazione originale chiaramente ci addimostrano che la
teoria atomo-meccanica malamente si sforza di contenere in sé stessa e di
unificare * nell’omogeneo esigenze ed elementi irreduttibili, quali le re- *
lazioni geometriche e dinamiche da un lato e le proprietà chimiche dall’altro.
m L’esplicazione meccanica è inadequata al suo oggetto : e dal fondo della
realtà emergono le antitesi e le contrad¬ dizioni contro gli schemi presuntuosi
della teoria. 3. * • Tuttavia — si osserva, a questo' punto, da altri — que¬
st’analisi, che potrebbe continuare ancora, delle sue interne incoerenze e
contraddizioni, se mette a mal partito il deter¬ minismo meccanico, non giova a
scemargli legittimamente il dominio delle scienze della natura, almeno come
ragione esplicativa fondamentale o com6 verse di quelle riproducibili
nelFesperimento, derivando da tali immaginazioni sull'esperimento quella luce
che esso non dà. Spiegare Forigine della vita in questa maniera di ipo¬ tesi è
come dare per risoluto il problema che andava risolto. Le ignote ed
irriproducibili condizioni naturali della prima origine della vita sono il dato
stesso del problema, tragit¬ tato nel passato remoto e retrotratto
all’esplicazione di sè stesso. Meno fallace è, forse, V invocazione, egualmente
ipo¬ tetica, dei progressi avvenire della chimica organica ; se non che
l’appello al futuro non è, certo, argomento di dimostra¬ zione o di prova, ma
solo una prudente riserva dubitativa, che, se può essere contrapposta alle
denegazioni scettiche del neovitalista, lo dev'essere con tanto maggior ragione
alle affermazioni dogmatiche del materialista meccanico. Nè gioverebbe, del
resto, che la chimica, contraffacendo l’opera della natura, approdasse alla
sintesi della materia organica : perchè quello che occorre alla manifestazione
della vita, come bene osserva il Coehin (1), non è una riserva di materia
organica bella e pronta; è un germe. La sintesi vi¬ tale non è soltanto una
sintesi chimica, ma, più ancora, una sintesi morfologica; la sintesi della
materia vivente non si opera che attorno ad un germe. H germe, ecco il fermento
della vita, aggiunge lo stesso A., ed ecco, ad un tempo, il nocciolo del
problema biologico. Nessuno degli esseri viventi più elementari si genera senza
un germe, la generazione spontanea è un mito. Omne vivimi ex vivo, amnis
cellula e celiala. Senza un germe le materie stesse elaborate dalla vita
riescono sterili ed inerti; col germe anche le materie inorganiche riescono
eccellenti ausiliarie della vita. Adla scienza si porge quindi questo experi
mentimi crucis: la sin¬ tesi di una cellula, di un germe! Non è un pretender
troppo, se si pensa che uno dei principi fondamentali del determi¬ nismo
meccanico è l'equazione della sintesi e dell'analisi, e (1) Loc. cit., p. 151,
157 e passim. Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 67 die
quindi l’una dee poter ricostruire il u was Lebendigs „ decomposto dall’altra!
Ahimè! la chimica moderna, nono¬ stante i suoi mirabili progressi, è pervenuta
solo a legitti¬ mare la scettica denegazione di Mefistofele: Wer ivill was
Lebendigs erkennen und beschreiben Sucht erst den Geist herauszutreiben, Dann
hatt er die Theile in seiner Hand Fehlt leider! nur das geistige Band. Il
composto vitale ha una unità interna, efficiente, ori¬ ginale: il — geistige
Band — ha una realità distinta e su¬ periore agli elementi individuati
dall’analisi. L’unità della vita è individua e, quindi, indivisibile, e ciò che
non può essere diviso non può essere ricomposto. La sintesi biolo¬ gica,
superando l’angusto schema quantitativo dell’equiva¬ lenza, segna la
plusvalenza del tutto alle parti. Gli elementi sono, quindi, le condizioni
necessarie della sintesi vitale, non la sua ragione sufficiente. Dal composto è
agevole retroce¬ dere, per via di analisi, agli elementi componenti, non da
questi è possibile procedere, per via di sintesi, al composto. . Il legame
degli elementi in un organismo, osserva lo Spir, non è fondato sulla natura di
quelli, perchè il carat¬ tere principale del composto organico consiste nello scambio
perenne e continuativo degli elementi medesimi. La forma solo nell’organismo è
permanente ed è essa che presiede al¬ l’assimilazione degli elementi esteriori
e sorregge il rap¬ porto normale delle funzioni (1). Gli esseri viventi non
sono, propriamente, ma vivono ; il loro essere è un processo, un divenire in
cui si conciliano due momenti apparente¬ mente antagonisti: la persistenza
dell’unità, dell’individua¬ lità e della-forma, lo scambio ed il cangiamento
della materia. Il processo vitale è -una diuturna e continua rinnovazione e
rinascita dei suoi elementi, prodotta non per esterna sovrap¬ posizione, ma per
la dinamica interna dell’essere vivente. (1) Loc. cit., p. 441, 443. Digitized
by C.ooQle 68 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO La vita non è sostanza
materiale, ed il principio vitale fa ben designato dalla filosofia con la
parola anima. La vita non è il risultato degli elementi, ma il loro principio;
non il prodotto, ma il fine. I fenomeni vitali sono, quindi, in¬ telligibili
non alla stregua del principio delle cause efficienti, ma sulla guida del
principio delle cause finali. L’intervento della vita e .dei fenomeni vitali
nella serie progressiva delle forme dell’essere segna un limite insupera¬ bile
all’esplicazione meccanica dei fenonemi: segna, soprat¬ tutto, un limite alle
esigenze di continuità del determinismo. La vita è til simbolo dell’instabile,
del dissimetrico, del discontinuo. Essa procede ed oscilla tra due hiatus, tra
due irreduttibili, tra due assoluti, un assoluto cominciamento, una fine
assoluta , i due poli della vita, la nascita e la morte. La continuità è lo
schema delle relazioni quantitative e delle grandezze omogenee; la vita è
eterogenea, discontinua, in¬ dividuale. La continuità è lo schema
dell’intendimento che percepisce relazioni e funzioni : incongrua, quindi, ed
in¬ commensurabile al fatto della vita, che è generazione di es¬ seri e di
individui. L’individuo non è il termine di una serie relativa, ma un assoluto
per sè stante: indivisum in se et divisum a quolibet alio. Il più umile germe
di vita è, quindi, irreduttibile alla legge di continuità e di condizio¬
namento correlativo. La sua sopravvegnenza è di già una critica vivente del
determinismo scientifico. 2 . L’incommensurabilità del determinismo meccanico
col fatto biologico risulta evidente dal più elementare raffronto dei fenomeni
dello sviluppo vitale con quelli della mecca¬ nica molecolare. Nella genesi e
nello sviluppo dell’essere vivente non operano forze esteriori ed impulsi
esteriori, come nel mondo meccanico, ma forze interne del germe. Simbolo
Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 69 della meccanica, è,
quindi, l’inerzia, della vita la sponta¬ neità. Imperano, nel mondo meccanico,
leggi di conserva¬ zione e di stasi : nel mondo biologico, di cangiamento e di
differenziamento spontaneo. Di qui, nell’ uno, l’inalte¬ rabilità della ra*ssa;
nell’altro, il rinovellamento della ma¬ teria' degli organismi ed il processo
ritmico e compensativo- dell’ assimilazione e della disassimilazione. I non
viventi non han limite prefisso alla loro durata, appaiono, anzi, sottratti
all’azione corrosiva del tempo ; dovecchè la durata del vivente è limitata e
circoscritta dall’uno all’altro capo, i due poli, i due discontinui del
processo vitale. Di qui, triste e sublime correlativo della vita, la morte nel
mondo vivente : la morte che non ha senso nel mondo della ma- 7 * teria —
materia omogenea, persistente, indestruttibile ; la morte che rivela i segreti
ed i misteri della vita, della quale è compagna ed ausiliare. La legge di
conservazione si afferma, nel mondo mec¬ canico,*’come costanza di materia e di
moto relativo delle molecole materiali, nel mondo biologico, come sussistenza
della forma e del tipo. Nell’uno la legge di conservazione si porge come persistenza
nello spazio ; nell’altro, come continuità nella successione e nella corrosione
del tempo. Nell’uno la legge di conservazione involge medesimezza di sostanza e
statica quantitativa, nell’altro, la legge di conservazione è rigenerazione e
rinascita. E l'eredità, che preserva le forme della yita dalla caducità nativa
dell’ in¬ dividuazione, assicurando la tradizione e la continuità della idea,
della forma, della specie. Non, quindi, identità, indif¬ ferenza ed analisi, ma
processo rinnovantesi e compensa¬ tivo di gestazione e di ampliazione ; non
circuito dall’uno all’uno e dal medesimo al medesimo, ma dialettica del¬ l’uno
col molteplice e del medesimo col diverso, dialettica significata dall’unità e
dalla immortalità del tipo nella mol¬ teplicità e caducità degl’ individui.
Così, nel mondo biologico la legge di conservazione Digitized by Google 70 I
LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO sì trasporta dalla materia alla forma, dalle
unità al tipo specifico. Il mondo della vita è il mondo della individua¬ zione
; la legge di conservazione * vi opera, quindi, come similitudine e
rigenerazione degl’ individui. L’individuazione, ed. il suo perennarseli il suo
ri¬ nascere per la riproduzione degli organismi, differeflzia, appunto, il
mondo della vita dagli ordini della meccanica molecolare. La forza generativa
dell'essere vivente è una forza individuale che procede da un organismo
particolare, da un individuimi, e germina un altro essere, un altro organismo
dello stesso tipo e struttura del primo, ma indivi - dii uni a sua volta. Di
qui, peculiari differenze fra il mec¬ canismo e la vita. Nel mondo meccanico
domina il prin¬ cipio dell’unità della forza, trasferibile indifferentemente
alle masse infinite o infinitesime ed alle concrezioni inerti della materia.
Nel mondo della vita e dell’organizzazione, invece, la forza è pluralizzata, *
individuata, differenziata ed in istato di concentramento. L’essere vivente non
è^massa inerte, ma centro di forza spontanea, attività sostantiva, immanente,
individuale. L’intervento della vita e della causalità organica segna, adunque,
un fattore irreduttibile alla causalità meccanica : l’individualità. La quale
difetta nel mondo della materia, dove solo impera l’attività ge¬ nerale
transeunte, correlativa, dove solo impera la relazione astratta della forza
universale o dei suoi modi, dove i corpi non sono esistenze individuali, ma
modi, termini, limiti di una relazione dinamica, la quale procede attra¬ verso
la loro inerte sostanza. Nella natura inorganica "e nelle sue leggi —
riflette lo Spir con l’usata profondità — il principio agente della natura
manifesta ancora la più pura generalità nella sua maniera di operare. Ivi,
invero, esso non opera come il principio di una cosa particolare, ma come
l’elemento che lega tutte le -cose in generale. Grli atomi inorganici, in
effetto, non hanno individualità di sorta. Un atomo di zolfo * Digitized by
C.ooQle * I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 71 equivale esattamente un altro
atomo di zolfo. La natura generale della materia è tutta in tutti. L’organismo
segna il primo grado del passaggi^. del principio agente della ■ natura
all’individuazione ed alla concentrazione. L’orga¬ nismo è un fatto di natura
eminentemente individuale. Ed il principio agente della natura vi* si manifesta
non solo quale fondamento dei rapporti generali delle cose, ma altresì quale
principio che determina l’individualità di una cosa in particolare e ne forma 1
''anima. Le funzioni . del corpo organico sono, bensì, tuttora espressioni del
prin¬ cipio agente della natura, ma in essi questo principio opera non come
ordine di relazioni o correlazioni di cose, ma come interna ^possanza di
una'cosa o di un ente par¬ ticolare. Un organismo ha, così, il suo centi o im
sè me- ^desimo ed è perciò che è stato chiamato con ragione un fine a sè (1).
La causalità meccanica, è, quindi, incommensurabile con la causalità organica.
La causalità delle cose t esteriori non è fondata nel loro essere individuale,
ma nel principio agente della natura che lega tutte le cose e nomasi forza. La
ragione onde il corpo tende a cadere verso il centro della terra non istà
nell’essenza del corpo, ma nella legge di gravità che lega e corriferisce tutti
i corpi tra di loro. La tendeiiza dei corpi in movimento a muoversi tuttora o a
perseverare nel loro movimento, che appare come una eccezione a questo
principio, ne è, invece, una ricon¬ ferma, perchè quella tendenza non è dovuta
a presunta spontaneità dei corpi, ma al contrario della spontaneità, all’
inerzia. Il corpo in movimento tende a muoversi tuttora, non già perchè
l’essenza e lo stato suo contenga una ne cessitazione interna al cangiamento,
ma, al contrario, perchè da sè non può introdurre in sè stesso, e senza causa
este¬ riore, un cangiamento o un differenziamento di sorta e (1) Pag. 457 e
seg. ; riproduco qui alla lettera il pensiero del filosofo russo. Digitized by
C.ooQle 72 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO deve perdurare identico a sè
medesimo (1). Dovecchp nei corpi organici animati vi ha la spontaneità del
cangia¬ mento fluente ab intus , nè essi sono mediazioni inerti ed indifferenti
del principio agente della natura, ma imitazioni ed approssimazioni e
partecipazioni attive di esso: indivi¬ duazioni sue e quasi comprincipi avvolta
loro. Ivi Petero- nomia del principio agente della natura si combina dialet¬
ticamente con l’autonomia degli enti e degli individui. Ivi il principio agente
appare come idealmente pluralizzato e rifratto negli esseri individuali che
sono agenti essi stessi. Il processo biologico è l’emergere dell’autonomia,* della
spontaneità e dell’ individualità. Di qui segue che le'cause efficienti
esteriori si com¬ portano Verso gli organismi e gl’individui in maniera ben
diversa che non sopra le concrezioni e le formazioni ma¬ teriali. L’individuo
è, propriamente parlando, un soggetto : e vuol dire che nessun oggetto dal di
fuori v può operare sopra di esso per via immediata e diretta, bensì per la me¬
diazione delle potenze sensitive ed emozionali del soggetto medesimo.
L’oggettivo non opera sul soggetto, se non ad- . diventi soggettivo a sua
volta, se non s’inserisca nella costituzione del soggetto e non si organizzi
con essa. La causa efficiente non agisce in quanto essa è estrasogget-
tivamente, ma in quanto è rappresentata, sentita, perce¬ pita, modificata dal
soggetto. Rappresentazione incocciente, istintiva, necessitata nelle
gradazioni, inferiori della serie animale, e che divien consaputa, riflessa e
libera nella forme superiori in cui si afferma l’autonomia dello spirito umano.
Lq cause efficienti, in una parola, operano in quanto cause filiali, non
secundum suum esse reale sed secundum suum esse coghitum. Finalità che, dalle
sollecitazioni incon- scienti del bisogno funzionale organico, procede alle
forme superiori della volizione cosciente e dei motivi ideali. (1) Pag. 504 e
segg. % Digitized by Google LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 73 3 . I fenomeni
dell’organizzazione, dicevamo più su, non sono intelligibili che sulla guida
del principio delle cause finali. La vita stessa è, propriamente, una finalità
primitiva, una causa finale dell’organizzazione. Quello che, secondo il prin¬
cipio delle cause efficienti, si porge come conseguente e come effetto è,
invece, il principio, l’antecedente ideale e la causa. L ''idea dell’effetto,
ossia le finalità della vita, han pre¬ sieduto alla scelta ed al
differenziamento degli organi atti a raggiungerle. La vita, ultima rispetto a
noi, ossia rispetto alla percezione empirica ed analitica della causalità
efficiente, è prima rispetto alla natura. La vita è anteriore all’ orga¬ nizzazione*
come il tutto è idealmente anteriore alle parti : la funzione preesiste
all’organo e ne è la causa finale. La adattazione dell’uno nell’altra è
adattazione finale, rappre¬ sentata, cioè, e predisposta dalla finalità della
vita. II punto di vedlìta biologico, osserva opportunamente il Groblot, si
differenzia dal punto di veduta fisico-chimico, al quale si soprappone, grazie
a questo nuovo elemento che esso reca con sè, l’elemento delle finalità. Il
biologo, che si limiti alla disamina del determinismo dei fenomeni fisico¬
chimici i quali han luogo nell’organismo, è un biologo che vien meno alle
condizioni stesse dell’oggetto suo e della scienza: poiché, sulla via di quel
determinismo, egli non si renderà ragione di nessuna funzione. La funzione
involge un principio di finalità, e propriamente la proprietà di un tessuto
vivente è detta funzione, quando quella proprietà è il fine o la causa finale
della sua organizzazione. La forma logica della causalità e del determinismo
non suffraga alla intelligibilità dei fenomeni della vita. La causa efficiente,
invero, non approda ad altro che a penetrare il determinismo fisico-chimico dei
fenomeni vitali. Il qual determinismo non ha nulla di particolare ; la fisica e
la chimica biologica non Digitized by Google* 74 I LIMITI DEL DETERMINISMO
BIOLOGICO sono che un caso della fisica o della chimica generale. Onde il
determinismo fisico-chimico non attinge le sorgenti della vita e delle funzioni
vitali, le quali si rendono intelligibili solo quando al principio delle cause
efficienti si sovrapponga quello delle cause finali. Accanto e sopra
l’induzione cau- salistica Baconiana dev’esservf^ quindi, un’altra .maniera di
induzione, l’induzione teleologica. La causa efficiente si organizza con la
causa finale. Nè fra l’una e 1’ altra vi è antitesi, ma rapporto di dipendenza
e di sovrapposizione. La causalità efficiente* è una interpetrazione della
succes¬ sione costante dei fenomeni; a sua volta, la causa finale è una
interpetrazione ed una esplicazione della causa efficiente. La causa efficiente
si porge, così, come la mediazione delia causa finale; questa appare come
l’effetto in atto, ma è la causa in idea della causa efficiente. Le idee
governano e dirigono il determinismo dei fenomeni. Il fine opera, quindi,
attraverso la causa, e la finalità organica è appunto la cau¬ salità del
bisogno . Il bisogno della conservazione della vita determina e predispone un
insieme di strutture e di fun¬ zioni ordinate ad attuarlo; La vita è, quindi,
la causa finale dei fenomeni vitali; Videa direttrice, direbbe il Bernard, del
determinismo dei fenomeni fisico-chimici che sono gli ausi¬ liari delie
funzioni biologiche strettamente dette (2). L’induzione teleologica nella
biologia è respinta dai po¬ sitivisti e giudicata come una proiezione
antropomorfa, nel mondo organico, di quel nesso finale che si percepisce nelle
relazioni e nelle azioni degli esseri intelligenti. Perchè, si obbietta, solo
di questi esseri si può dire che sieno naturati a proporre dei fini e dei
disegni: ed è solo in essi che si osserva una rappresentazione ideale
anticipata dell’effetto, la quale funge come una causa che invita alla ricerca
degli espedienti e dei mezzi atti al raggiungimento di quell’ef- (1) Fonction
et finaUté, E-evue philosopl*., Mai et Iuin 1899. (2) Ibid. Digitized by
C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 75 fetto o di quei fini o disegni.
All’infuori degli esseri intel¬ ligenti la*finalità non è conoscibile
direttamente; essa è nulla più, allora, che una interpetrazione arbitraria, o
il prodotto del trasferimento, ad un ordine di cose o di enti, di taluni modi
di esseri esperimentati solo in altri ordini eterogenei ed incommensurabili al
primo. m E che la finalità biologica sia una interpetrazione o un giudizio
d’induzione analogica, non può certo negarsi. Se non che, come bene osserva il
Globlot medesimo, ciò nulla toglie al valore obbiettivo dell’induzione
teleologica, nè le imputa un difetto, ovvero una proprietà che quella non abbia
comune con la induzione causale o col principio delle cause efficienti. Anche
la causalità, in quanto si estende a tutti gli esseri della natura e si pone
come il nesso univer¬ sale e necessario o il modo universale di operare delle
forze e dei fenomeni del mondo, è una interpetrazione e non una percezione
diretta e, si direbbe, un principio regolativo e non già, a rigore, un
principio costitutivo (2). La causalità è una percezione diretta ed un fenomeno
d’immediata espe¬ rienza solo dentro di me, come rapporto (fondato o meno che
siasi) tra la volontà e gli atti della medesima. La espe¬ rienza interna — che
è la sola possibile lielle esperienze immediate e dirette — è la fonte
primitiva ed esclusiva del nesso causale. Il quale, di conseguenza, quando è
trasferito ai di fuori e posto a forma intelligibile dei fenomeni e del
divenire reale della natura, è una interpetrazione ed un giudizio nè più nè
mene che lo sia la finalità e l’induzione teleologica. Io osservo una
successione di fenomeni: nè più nè meno; giudico, indi, ed interpetro ed induco
che quella successione è causale, foggiando il mondo ad imagine e somi-x.
glianza del modo di essere e di operare della mia coscienza. Pertanto le
obbieziopi proposte contro l’induzione teleolo¬ gica sono di tal natura che,
per provar troppo, provano nulla. Esse approdano, tutt’al più, al soggettivismo
radicale, non all’obbiettivismo empirico delle cause efficienti. L’intel-
Digitized by Google 76 I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO letto ricapitola,
contrae, riassume l’universo ; l’uomo è centra e misura di tutte le cose. Perchè,
adunque, non intenderemo le cose secondo il nesso intelligibile delle cause
finali e do¬ vremo solo limitarci al principio delle cause efficienti? La
fisiologia più illuminata riconosce senza ambagi que¬ sto fatto semplicissimo —
che negli organismi abbondano i segni e le tracce obbiettive della finalità;
quasi riprova^- della veracità dell’intelletto e dell’intima parentela che
leg^C le forme intelligibili all’obbiettività delle cose. L’adattamento
dell’organo alla funzione — confessa, fonte non sospetta, il Richet — è
siffattamente perfetto, x che se ne deve inferire necessariamente trattarsi di
un adattamento non fortuito, mà deliberato. Io sono assolutamente convinto,
egli aggiunge, che è impossibile eliminare la teoria delle cause finali dal¬
l’anatomia, dalla zoologia e dalla fisiologia. E una verità evidente a 'priori
che l’attrazione o l’avversione degli esseri viventi per le cose non è un
fenomeno di puro caso, ma una legge in connessione con la conservazione dell’
individuo. Ed è innegabile la funzione teleologica dei sentimenti e delle
emozioni, del gusto e del disgusto, del desiderio e della ripulsione o della
paura, del dolore e dell’amore : inconte¬ stabile è la funzione teleologica del
bisogno. I sentimenti degli esseri viventi, come la struttura e la funzione*
dei loro organi, sono in intimo nesso col fine della conservazione dell’
individuo e della specie. Tutto nella struttura e nella funzione dell’essere
vivente è organizzato per la vita o, per dirla altrimenti, per la resistenza
alle .cause di distruzione che la circondano. Ogni fatto particolare ed, a più
buon diritto, ogni fatto generale dell’organizzazione ha una causa finale; e
questa causa finale è Vadattamento alla vita (1). Certo, i termini di finalità,
adattamento alla vita e si¬ mili appaiono come l’espressione adeguata del modo
di ope- (1) L'effort ver 8 la-vie et la théorie des causes finales. Revue
scientifique, 2 luglio 1898. Digitized by VjOOQlC I LIMITI DEL DETERMINISMO
BIOLOGICO 77 rare di una intelligenza ordinatrice e sembrano, quindi, in¬
trasferibili alle funzioni inconscienti della vita organica. Questa
esplicazione delle forme inferiori, per mera esten¬ sione ad esse della maniera
di essere delle forme superiori del reale, è il contrapposto visibile del
procedere del deter¬ minismo scientifico, il quale mira, invece, ad esplicare
quello che è da più con quello che è da meno, il tutto per le parti, il
superiore per l’inferiore. Ma la serie delle forme dell’es¬ sere non è quale la
rende e la rappresenta il principio di causa: e di fatto le forme inferiori
sono da esplicare ed in- terpetrare per le forme superiori, e non, viceversa,
queste per quelle, perchè le prime non sono che abbozzi e rudi¬ menti ed
approssimazioni manchevoli delle seconde; onde in queste ultime si ravvisano
chiaramente delineate ed indivi¬ duate quelle determinazioni riposte che nelle
gradazioni in¬ feriori sono oscure, incerte, mal definite ed a fatica discer¬
nibili. Per questo rispetto la finalità cosciente dell’intelligenza è il
criterio conoscitivo o il principium cognoscendi della fi¬ nalità inconscia
degli organismi: come la mente è il sistema intelligibile dell’universo, perchè
segna la perfezione finale nella serie ascendente delle esistenze e delle forme
univer¬ sali e le ricapitola, le riassume, le supera, le illumina tutte,
sollevandole a più alta efficienza in una sintesi ideale. L’intervento
dell’ordine biologico nella serie progressiva delle esistenze segna, adunque,
l’avvento ed il trionfo di un nuovo nesso intelligibile dei fenomeni e dei sistemi
della natura e di una nuova direzione del processo induttivo: la connessione
finale. Le cause finali operano altresì nel mondo della natura materiale e si
dissimulano nelle forme dell’attività transeunte e correlativa delie molecole e
dei corpi, nella relatività uni¬ versale e reciproca che governa i modi della
meccanica, nella (Convenienza e nell’ordine mirabile dei sistemi naturali: ma
qui, nel mondo della vita e dell’organizzazione, l’impero della finalità si
afferma in via più intensa e più concreta e, an- Digitized by L30 le 78 I
LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO zichè disseminarsi nella universalità delle
relazioni astratte del movimento, si concentra e si condensa nella unità vi¬
vente e nella individualità autonoma di un organismo. La vita, pertanto, ed i
fenomeni vitali sono la prova vi¬ sibile, il simbolo sensibile e corpulento
della veracità del nesso intellettivo della causa tinaie e della interna
manche¬ volezza del principio delle cause efficienti e meccaniche. Per tal
rispetto la teleologia della vita ha un’altissima funzione neireconomia
dell’intendimento umano: poiché essa porgen¬ dosi alla nostra mente e
sollevandola ad aere più spirabile, le consente di superare le suggestioni
della causalità efficiente e di redimersi dal giogo torturante
dell'intìnitismo. Il regresso airintinito, come si è accennato altra volta, è
il prodotto conseguente e logico delle causalità, e segna, di questa forma
intelligibile, il principale difetto, perchè vieta all'intendimento di rissare
i prineipii generatori e le mete liliali della serie dei fenomeni, e dall’uno
all’altro capo, dal¬ l’uno all’altro estremo pone un limite d’inintelligibilità
che è un vero arresto dell’esplicazione scientifica. Nessun mo¬ mento di questa
serie causale ha valore a sé, e può essere assunto a causa prima o assoluta' o
a primo cominciamento della serie stessa: la regressione dagli effetti alle
cause, os¬ serva il Lachelier. riempie di necessità un passato infinito, perchè
ciascuno dei termini di questa regressione invoca ad un antecedente che lo
esplichi e così via. L’esplicazione cau¬ sale è. quindi, inadempiuta ed il
principio di causa — forma precipua di intelligibilità dell’universo — appare
come il simbolo o la riprova della inintelligibilità radicale della serie
fenomenica. • Ma il principio delle cause finali, continua il chiaro me¬
tafisico francese, è redento dalla interna contraddizione che pesa sul
principio delle cause efficienti. Poiché, quantunque i diversi fini della
natura s'ingranino l'uno verso l'alao come mezzi rispettivi e la natura intiera
sia. forse, sospesa ad un fine che l'oltrepassa, tuttavia ciascuno di questi
fini parti- Digitized by CiOOQle I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 79 colali
non cessa di avere in sè stesso come un valore asso¬ luto, di guisa che può
essere assunto a buon diritto come termine al progresso del pensiero. È,
adunque, nel suo pro¬ gredire verso i fini, che il pensiero tocca il suo .punto
di appagamento e di riposo, non già nel suo retrocedere verso le cause: e,
posto che ogni maniera di esplicazione debba prendere le mosse da un punto
fisso e da un dato che si esplichi di per sè, torna evidente che l’esplicazione
vera e compiuta dei fenomeni non è quella che discende dalle cause àgli
effetti, ma quella che risale dai fini ai mezzi. Le vere ragioni delle cose
sono non le cause, ma i fini, quelli, cioè, che costituiscono, sotto il nome di
forme, le cose in sè stesse: la materia e le cause efficienti non sono che
ipotesi neces¬ sarie o piuttosto simboli indispensabili, pei quali noi proiet¬
tiamo nel tempo e nello spazio ciò che è, in fondo, di gran lunga superiore
all’uno ed .all’altro (1). La vita e l’organizzazione penetrano in questo
segreto ordine dei fini della natura, e ne segnano un primo avvia¬ mento.
L’organismo vivente non è la mediazione inerte di una causalità esteriore, è un
fine ed un valore assoluto ed individuale per sè stante. Esso segna il precipuo
sforzo del principio agente della natura che si solleva dalle relazioni
meccaniche astratte alle forme concrete dell’essere, dai nessi derivativi e
mediati dei fenomeni alle forze ed ai principii attivi che li generano, dal
mondo delle rappresentazioni al mondo delle cose in sè. 4 . Le esigenze del
determinismo scientifico trasferito nel¬ l’ordine biologico trovano la loro adeguata
espressione non solo nella interpetrazione meccanica della vita, ma, altresì,
nella tesi trasformista della genealogia delle specie viventi. Veramente la
tesi della derivazione delle forme viventi (1) Lachelier, Du fondement de
Vinduction. Paris 1898, pag. 83 e segg. Digitized by L^ooQle 80 I LIMITI DEL
DETERMINISMO BIOLOOTCO da pochi tipi, ovvero da un solo, di organismo, sia pure
ru¬ dimentale o appena discernibile dall’inorganico, è una tesi che attiene al
determinismo biologico strettamente detto e non alla-esplicazione meccanica
della vita. Il determinismo biologico interno, ossia il processo generativo
della serie bio¬ logica da principii vitali rudimentali, non urta contro le
dif¬ ficoltà e le temerarie ipotesi della genefatio aequivoca. L’idea¬ lismo
filosofico può anche, in via di massima, accettare e far * sua codesta forma di
determinismo biologico e riconnettere con processo genetico continuo tutte le
forme della vita, dal protoplasma agli organismi superiori. E, d’altra parte,
il tras¬ formista può anche, senza venir meno alla lQgica del suo pensiero,
negare l’assenso all’interpetrazione meccanica della vita, tanto le esigenze
dell’una tesi sono lontane dal coinci¬ dere con quelle delPaltra. Che anzi il
trasformismo biologico sembra che rappre¬ senti, per taluni rispetti, un
contrapposto reciso degli schemi e degli abiti mentali del determinismo
meccanico. Ed, in¬ vero, questo involge la permanenza, quello la variabilità e
la trasformazione : l’uno domanda la determinazione rigida, precisa, definita
delle tappe distinte del processo continuo, e l’altro importa
l’indeterminazione delle forme e la scor¬ revolezza delle gradazioni intermedie
: il primo è la formola del determinismo logico matematico dell’eleatismo, il
secondo approssima ad una interpetrazione eraclitica della natura. Nè vale
l’opporre la legge della trasformazione delle forze e dei modi del movimento,
la quale, a tutta prima, sembra il correlativo, nella fisica, del trasformismo
biologico e, non che contraddire alla legge di conservazione, fa tutt’uno con
essa. Perchè, appunto, come si è già detto altrove, la tras¬ formazione delle
forze fìsiche non è metamorfosi reale dei modi del movimento l’uno nell’altro,
ma mera successione di modi e di apparenze di una energia di movimento per¬
manente ed inalterabile. Dovecchè il trasformismo biologico vorrebbe essere una
metamorfosi reale: e quindi in reciso - Digitized by C.ooQle i I LIMITI DEL
DETERMINISMO BIOLOGICO 81 antagonismo con la legge di conservazione del
determini¬ smo scientifico. Codest’approssimazione del trasformismo bio¬ logico
al principio del divenire e del cangiamento giova a spiegare l’attrazione che
la biologia evolutiva ba esercitato ed esercita tutt’ora sovra talune direzioni
dell’idealismo, ed è il segreto dei recenti tentativi di .conciliazione
dell’evolu¬ zionismo biologico con l’antropologia spiritualistica. Tuttavia, e
per altri rispetti più ancora meritevoli di esame, il trasformismo rappresenta
anch’esso una direzione e una forma del determinismo meccanico nella biologia.
H trasformismo non è poi altro che la formula della causalità efficiente e
della continuità meccanica trasferita ed attuata nella genesi e nello sviluppo
delle forme viventi : e, conse- % guentemente, il reciso contrapposto della
nozione di una sintesi causale è del principio delle cause finali. Esso signi¬
fica la derivazione delle forme superiori dalle forme infe¬ riori, e riconduce
la genesi e l’evoluzione delle forme vi¬ venti alla causalità meccanica delle
condizioni esteriori produttive delle variazioni. Il solo principio interiorità
che esso comporti è il fattore dello adattamento alle condizioni esteriori ed
il potere di trasmettere ai discendenti le modi¬ ficazioni acquisite: ma è da
notare che l’adattamento non ha ragione di fine e si traduce nell’efficienza
meccanica del¬ l’azione dell’ambiente sugli esseri viventi e della reazione di
quelli all’ambiente; ed a sua volta l’eredità trasmissiva delle variazioni è
una delle forme fondamentali, la forma biologica, della legge di conservazione
e di inerzia, il sim¬ bolo della causalità efficiente del passato sull’
avvenire, il sostegno del determinismo e del condizionamento correlativo degli
esseri nell’infìnita catena della necessità. La teleologia apparente della
selezione è, poi, smascherata dal fatto della concorrenza vitale : che traduce
una sproporzione, una scon¬ venienza tra il numero degli esseri viventi e la
quantità dei mezzi di sostentamento e segna una recisa smentita delle presunte
finalità della natura, e Digitized by C.ooQle 82 I LIMITI DEL DETERMINISMO
BIOLOGICO Ghie più ? La stessa vicenda dei cangiamenti e delle tra¬
sformazioni, che sembra disforme dai processi del determi¬ nismo
logico-matematico, è una riprova, ove la si esamini a fondo, della intima
parentela che lega la tesi del trasfor¬ mismo agli schemi ed ai criteri del
determinismo scientifico. L’evoluzione causale continua dei tipi specifici non
è poi altro che l’espressione vivente delle forme della continuità matematica,
dove l’eterogeneo è eliso dall’ omogeneo, il di¬ verso nell’identico, il finito
nell’infinito. Non è già al de¬ terminismo scientifico che contraddice il
trasformismo, ma piuttosto alle esigenze delle scienze sperimentali induttive.
Le quali, se da un lato intendono a connettere, per via di un determinismo
rigoroso, le forme discontinue della realtà sensibile, dall’altro, mirano pure
a definire in termini pre¬ cisi queste forme, individuandole sul fondo della
continuità medesima che le collega (1). Al determinismo scientifico il
trasformismo biologico è più vicino che non sembri: e ne deriva l’abito di
unificare e di compenetrare e di confon¬ dere, agli effetti di una esplicazione
genetica, i momenti discontinui, le sintesi originali, le forme ed i sistemi
finiti, le specie fisse, le individuazioni autonome nella simbolica astratta
della continuità e dell’infinitismo. E questo è, appunto, il rcporcov del
trasformismo : di questa, come bellamente dice il Blondel, nova alchimia della
natura (2). Esso presume di sostituire al discontinuo delle forme viventi la
continuità di un processo evolutivo ; e non pensa che l’individualità e
l’originalità e l’autonomia della vita è irreduttibile al continuo matematico,
inetto, di natura sua, ad individuare e differenziare gli esseri e le forme. Nè
giova moltiplicare gl’ intermediari per avvicinare infinitamente i discontinui
ed i diversi ed ottenere artificio¬ samente la continuità della serie; poiché
il dominio del (1) Blondel, Vaction , p. 68. (2) Ibid., p. 71. Digitized by C.o
le I LIMITI DEL DETERMINISMO BIOLOGICO 83 reale e, quel che è più, il terreno
della vita 1 è più difficil- mente maneggevole che noi siano A astrazioni dell’
intendi¬ mento. Le Esigenze stesse della vita non consentono alla possibilità
di esistere degl’intermediari: i quali, non essendo definiti nel loro organismo
(appunto perchè non sono un tipo determinato/ ma la transizione da un tipo ad
un altro) sono tali che la vita è loro impossibile, o, almeno, la rude lotta
per l’esistenza riesce più ardua che non agli stessi tipi,’ in ipotesi,
inferiori. Le gradazioni, le sfumature inter¬ medie, le forme che tramezzano
tra l’essere ed il non essere, sono, più presto, finzioni della mente che
realità di fatto. L’embriologia della natura procede ben diversamente dalla
dialettica del pensiero; il divenir^ reale è progressione di tipi e di forme
originali, distinte, definite, individue. Uno stato di equilibrio, osserva
ancora il Blondel, non è mutato che per passare ad uno stato di, equilibrio
egualmente pre¬ cisoci). Una sintesi definita, posto che essa cangi, non può *
formare che un’altra sintesi definita, come da un individuo distinto nasce un
altro individuo distinto del pari (2). I*si¬ stemi organici, qualunque ne sia
l’origine e la filiazione, costituiscono tanti casi di equilibrio definito e
tante sintesi originali (3). La grande, la sola verità dèi determinismo
biologico, che resti acquisita al sapere, è la unità della ‘forinola di
composizione e del piano di organizzazione delle forme vi¬ venti. Questa unità
è intelligibile così nella forma della coe¬ sistenza, come in quella della
successione, e non è, quindi, necessariamente connessa all’ipotesi
trasformista. Questa unità è, altresì, operosa ed efficiente, attraverso la
variabi¬ lità e le differenze, le individuazioni ed i tipi specificamente • diversi,
epperò non suffraga gli schemi e le categorie del determinismo scientifico. (1)
Vaction, p. 70. (2) Ibid. p. 78. (8) Ibid., p. 76. . I limiti del determinismo
psicologico. Il determinismo meccanico, assunto a tipo di determi- ♦ nazione
scientifica della serie dei fatti dello spirito umano, è quello che qui si vuol
designare, a tutta prima, con la parola di determinismo psicologico. Trattasi,
cioè, in tale denominazione, meno del determinismo psicologico interno, ossia
della connessione causale dei cangiamenti psichici con- sequenti coi
cangiamenti psichici antecedenti, ch£ del de¬ terminismo psicologico esteriore,
ossia della connessione della serie psichica con la serie materiale. Sebbene,
in fondo, l’un determinismo sia riducibile all’altro; e sia, anzi, nregio
dell’opera il vedere come l’applicazione del principio, di ne- cessitazione
causale alla serie interna dei fenomeni spirituali sia, a sua volta, l’effetto
degli abiti mentali introdotti dal determinismo meccanico; sia, cioè, una forma
d’interpetra- zione o di rimaneggiamento degli stati e degli atti dello spirito
ad imagine e somiglianza dei modi della meccanica. * » La prima e la più.
diretta forma, che assuma la inter- petrazione meccanica della coscienza, è
quella segnata dalla teoria, recisamente materialistica, dell ''automatismo
cosciente; la quale riconduce i fenomeni dell’ intelligenza ai processi $ ' # «
i Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 85 dell’azione
nervosa inconsciente, e la coscienza avvisa come un duplicato, un riflesso, un
simbolo collaterale, un epifeno¬ meno del meccanismo nervoso e cerebrale.
Veramente, qui, più che uno sforzo di riduzione o di esplicazione, si ha un
vero e proprio processo di elisione del pensiero. Il pensiero riflesso o
epifenomeno è un ente inerte e, quindi, rigorosamente parlando, qn non-ente :
un fenomeno accessorio, che è, tutt’al più, un effetto, o, forse meglio una
ripercussione o una mediazione simbolica, dei moti e delle vibrazioni materiali
dell’organismo, senza, per altro, poter essere una causa di cangiamenti a sua
volta. Un qualche cosa, anzi, che.non è neanche un effetto, e che con la ma¬
teria e col movimento non ha già quella relazione intrinseca e sostanziale che
è tra effetto e causa, ma quel rapporto estrinseco ed accidentale che è tra il
corpo e l'ombra. iPel puro materialismo non hanno sussistenza reale che la ^ma¬
teria ed il movimento 1 : la serie degli antecedenti e dei con¬ seguenti
meccanici, alla quale riducesi il mondo materiale, basta a sè stessa :
l’intervento del pensiero è inutile ingombro : è un soprappiù. Questa rigida
interpetrazione meccanica della psicologia 4può dirsi ormai oltrepassata dai
progressi della scienza e della filosofia, ed, esaminata a fondo, non può
neanche col¬ locarsi tra le forme del determinismo psicologico. Il deter¬
minismo è la legge di connessione dei fenomeni, e si rifiuta di riconoscere e
di concepire dei fenomeni che non sono tali a rigore, degli effetti che non
sono cause di altri cangia¬ menti a volta loro, degli accidenti, dei duplicati,
degli epi¬ fenomeni^ insomma. L’elisione del pensiero o della coscienza come
epifeno¬ meni del movimento molecolare segna, di certo, la vera lo¬ gica
interna deTmaterialismo e del meccanismo : ma la logica interna di una teoria è
qui, come in altri casi, la critica spontanea, Vexperimentum crucis, il
corrosivo della teoria medesima. Digitized by C.ooQle 86 I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO Questo intimo difetto trae, quindi, il materialismo
verso altre forme di concepimento, in apparenza più temperate, ed in realtà più
congrue agli schemi del determinismo scien¬ tifico. Il pensiero, non sarà più,
allora, un riflesso o un epi¬ fenomeno, ma una energia a sua volta, una energia
pro&ima e comparabile alle energie fisiche, un termine, anzi, e sia pure il
più alto, della serie delle energie trasformabili ; il pensiero è una delle
energie della materia, il pensiero è del movimento trasformato. Qui il pensiero
non è eliso propria¬ mente nel movimento, ma sussiste accanto ad esso ed in
esso: esiste, per dir meglio, come un modo del movimento ed ha, per lo meno,
altrettanta ragione di esistere quanta ne ha il calore o la luce o ogni altra
funzione dell’energia universale. Il pensiero s’ insinua nella trama dei
cangiamenti ed è una forza fisica, a sua volta : una energia, della quale la
scienza potrà determinare, se non ha determinato, l’equi- valente meccanico. Ma
questa nuova posizione assunta dal materialismo scientifico non è punto
migliore della prima. Il materialismo non è riuscito a ridurre ai modi del
movimento la funzione psichica elementare, la' sensazione, non che le forme
supe¬ riori dell’attività spirituale. Vi osta V infinita distanza che va^ tra
l’esteso e l’inesteso e tra l’obbiettivo ed il subbiettivo. Il trasformismo
psicologico trovasi di fronte a difficoltà di gran lunga maggiori che non il
trasformismo biologico esaminato più su. Anzitutto, è da notare, anche qui, che
la parola - trasforma¬ zione - non è che una metafora e che, nella attività
operosa del movimento, più che di una trasformazione di energie l’una
nell’altra, trattasi, invece, di un passaggio da un modo ad un altro
equivalente dell’energia o del divenire universale. La conversione del
movimento in calore non è trasformazione di una energia in un’altra distinta ed
eterogenea, è passaggio dal movimento di traslazione al movimento molecolare, è
in¬ terno differenziamento che si avvera nell' unità del movi¬ mento. In
meccanica non v’ ha pluralità di energie specifi- Digitized by Google I LIMITI
DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 87 camente reali, ma unità di movimento che si
perpetua attraverso velocità e direzioni differenti e che procede nella varietà
delle forme. E appunto codesta speciale significazione f della legge di
conversione dell’energia quello che la rende intelligibile, riportandola
dall’eterogeneo irreduttibile all’omo¬ geneo e riconducendola all’evidenza
logipa dell’identità. Lad¬ dove la presunta trasformazione del movimento in
pensiero vorrebbe e dovrebbe essere, non già una traduzione meta¬ forica del
passaggio da un modo ad un altro del movimento, bensì una metamorfosi reale del
movimento in una energia eterogenea ed incommensurabile ad esso. Codesta
trasmuta¬ zione reale è inintelligibile e contraddice alle stesse esigenze di
causalità e di continuità del determinismo scientifico: perchè segna un salto
nell’eterogeneo e nell’irreduttibile, senza che Veruna mediazione intervenga a
colmare la di¬ stanza infinita che separa i due termini. La conversione del
movimento di traslazione in movimento molecolare è intel¬ ligibile senza
fatica, osserva in proposito il Na ville, perchè ambo i termini appartengono
allo stesso ordine di rappresen¬ tazione obbiettiva: ma la conversione del
movimento in sen¬ sazione è inintelligibile, perchè qui si tratta di un salto
da un ordine di rappresentazioni ad un altro, dall’obbiettivo al subbiettivo
(1). Per sottrarsi a queste distrette, il materialismo non trova altro
espediente che dare un salto indietro e ritradurre l’ete¬ rogeneo nell’omogeneo
e la dualità nell’ identità. — Il pen¬ siero non è più una energia distinta,
una forza assimilabile alle forze fisiche: ma uno degli aspetti o una delle
appa¬ renze del movimento. Nell’ identità fenomenale indistinta del movimento*
sono distinguibili due aspetti e. si direbbe, due punti di prospettiva: l’uno
di essi è il movimento in quanto tale, o il movimento molecolare, l’altro il
pensiero. Onde, propriamente, il pensiero ed il movimento non sono già due ♦ ,
(1) Phis. moderne, pp. 215-216. Digitized by C.ooQle 88 I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO cose distinte, ma due aspetti di una medesima cosa. Le
dif¬ ficoltà del processo di riduzione dell’uno all’altro derivano tutte da
questo equivoco, dall’aver ravvisato nell’uno un fe¬ nomeno distinto
dall’altro. Dovecchè non si tratta di una dualità di fenomeni, ma di un
fenomeno solo, che si sdoppia e si rifrange nella visuale dello spettatore o
dell’interpetre. Il movimento ed il pensiero sono, l’uno, l’aspetto obbiettivo,
l’altro, l’aspetto subbiettivo di un medesimo fenomeno. — Questa tesi
ingegnosa, e che appare a tutta prima im¬ prontata ad una certa
aristocratica*finezza psicologica, non è poi altro che il prodotto di un
raffinamento della prima posizione assunta dal materialismo psicologico,
un’approssi¬ mazione e, sarei per dire, una evanescenza del pensiero-W- fiesso
o del pensiero-epifenomeno. Se non che, una simile dialettica del pensiero e
del mo¬ vimento, che approda a conciliare 1’ uno e l’altro in un fe¬ nomeno
d’illusione ottica mentale, è più paradossale che vera. E, quel che è più, è
vacua ed inintelligibile non meno delle altre due soluzioni del problema di un.
materialismo psico¬ logico. Che cosa significa l’aspetto obbiettivo di un fatto
subbiettivo, l’aspetto subbiettivo di un fatto obbiettivo ? L’obbiettivo ed il
subbiettivo sono due ordini, due serie di fatti distinti, benché correlative 1’
una all’altra. Come e con qual diritto ritradurre questi gruppi distinti di
fenomeni in due apparenze illusorie di un fenomeno solo ? Che significa, del
resto, un fenomeno unico che si sdoppia e rifrange in due apparenze ? Il
determinismo non è sostanzialista, ma fenome- nista : per esso, non vi sono
sostanze per un verso ed appa¬ renze per un altro, ma fenomeni; ed il fenomeno
è tutt’uno che l’apparenza. Due apparenze, nel determinismo fenome- nista, sono
due fenomeni : il presunto uno diventa due; la dialettica della riduzione
all’identità fallisce alla meta. Che cosa è, del resto, questo momento
indistinto, ra¬ dice unica delle due apparenze? Non? l’una, certo, o l’altra,
ma una terza cosa che sarà il sustrato, sia pur dinamico, Digitized by 3y
GoogIe I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO ^ delle due. E che cosa è questa
terza cosa? quale, cioè, il fenomeno dalle due apparenze? Che se il
momento'unifica¬ tore o l’indistinto delle due apparenze è una di queste
medesime, gli assurdi crescono. .Qual è il fatto reale, il mo¬ vimento o il
pensiero? E il movimento che appare come pensiero o il pensiero che appare qpme
mpvimento? La tesi, in ambo i casi, è inintelligibile : fra il movimento ed il
pensiero manca comune misura e v’hà distanza infinita: il movimento non
rappresenta sè stesso, il pensiero, sintesi e misura dei momenti scorrevoli del
movimento, non è sog¬ getto alle condizioni del movimento, alla molteplicità
spaziale ed alla scorrevolezza e successione temporale: a U esprit étant le
sujet des phénomènes, così l’Amiel, ne peut ètre lui-mème phénomène: le miroir
d'une image, s’il était une image , ne pourrait-ètre miroir. Un echo ne saurait se passer
d'un bruii. La conscience d'est quelqu’un qui éprouve quelque chose: tous les
quelque chose réunis ne peuvent se substituer à quelqu’un. Le phénomène
n’existe que pour un point qui n’est pas lui , et pour lequel il est un objet .
Le perceptible suppose le per - cevant „
(1). Evidentemente, adunque, questa forma di .monismo neutro tra il
materialismo e lo spiritualismo non spiega nulla e vorrebbe per prima essere
spiegata essa stessa. In fondo, esso non è che la dissimulazione mancata di
quel dualismo che intercede tra la materia e lo spirito, tra il movimento e la
coscienza, tra l’esteso e l’inesteso, tra l’òbbiettivo ed il subbiettivo. Esso
assume, bensì, di tradurre questa dualità in un’apparenza illusoria, ma
trattasi di un’apparenza o di una illusione universale e necessaria, e una
illusione uni¬ versale e necessaria è illusione, sarei per dire, verace, è
percezione. In quanto insinua o sottintende tra le due apparente un terzo
membro che non è nè l’una nè l’altra, ma vorrebbe essere il sostrato dinamico
delle due, esso (1) Fragments d’un Journal intime , t. 2 p. 200. Digitized by
L^ooQle I % 90 I LIMITI DEL DETEBMINISM# PSICOLOGICO * moltiplica oziosamente
gli enti e le forze della natura e segna ufia fragrante smentita del principio
del terzo escluso. In quanto poi colloca allo stess^'livello le due apparenze
deH’esperienza interiore e d,ell’esperienza esteriore e le raffi¬ gura come
termini distinti di una dualità iniziale, per quanto radicata in una illusione
questo monismo neutro vien meno ai dettami fondamentali della critica
gnoseologica. L’espe¬ rienza è unica, interna, cioè, e subbiettiva ; la
duplicità esiste nei suoi termini, ed il termine immediato dell’esperienza è
quello che il monismo neutro chiama aspetto subbiettivo, ossia la coscienza ed
i suoi stati, il termine mediato è l’aspetto obbiettivo,' ossia il gruppo dei
cangiamenti del mondo este¬ riore. La dualità delle apparenze non è, tutt’al
più, che dualità dei termini dell’esperienza, ed il monismo neutro è un dualismo
superstite che domanda di essere risollevato ed eliso nel monismo autentico
dell’idealismo e della critica. Esaminata, per altro, nelle sue ragioni
segrete, questa forma di monismo neutro si chiarisce ricca d’insegnamenti. Essa
ci si porge come un’approssimazione filosofica della teoria positiva del
parallelismo psico-fisico: e l’indole inde¬ cifrabile , del sostrato occulto
delle due apparenze, l’x del monismo neutro è la espressione diretta della
posizione teo¬ retica incerta e mal definita nella quale versa, per l’indole
del suo assunto, le psicofisiologia. La tesi del parallellismo intramezza ed
oscilla fra il principio di eterogeneità della serie psichica e della serie
fisica — la dottrina, cioè, dello spiritualismo —- ed il principio di omogeneità
e di causalità e di continuità dell’una nel¬ l’altra — ossia la dottrina del
materialismo. La costante cor¬ rispondenza, venutasi accertando fra le forme
dell’attività psicofisica ed i modi della coscienza, sembra escludere la
vecchia tesi dell’eterogeneità : ma quella corrispondenza em¬ pirica e di fatto
è, poi, così limitata per estensione e più per significato (è osservata,
invero, ed osservabile, solo per talune forme dell’attività sensitiva) <che
la stessa psicofisiologia, in )igifced by Google I LIMITI DEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO 91 • quanto vuol rimanere teoria positiva, si rifiuta di conver¬
tirla e risollevarla in un* collegamento costante di causa e di effetto. Tra i
cangiamenti psichici e le concomitanze fi¬ siologiche intercede, tutt’al più, un
rapporto di reciproco condizionamento, irreduttibile allo schématismo
unilineare del principio di causa: per ^1 # che, dire* che le modificazioni
molecolari della sostanza cerebrale e nervosa sieno causa dei corrispondenti
fenomeni della serie psichica non è più giusto o legittimo che affermare
recisamente il contrario, che, cioè, i termini della serie spirituale sieno,
invece', le cause che de¬ terminano le concomitanti vibrazioni molecolari.
antiche irresolubili difficoltà di ui^a connessione causale, ossia di una
connessione intelligibile, tra lo spirito ed il corpo perdurano nella
psicologia contemporanea, non ostante i rinnovati prò- # cessi della
psicofisica: il che trae i più a vagheggiare l’idea di eludere il problema,
sopprimendo la dualità dei termini in una psicologia senz’anima. A quelle
difficoltà, inasprite ed acutizzate dal dualismo Cartesiano, la metafisica
tentò già di sfuggire con quei poderosi slanci dialettici delle cause
occasionali e dell’armonia prestabilita: la filosofia moderna soccorre, invece,
con quella forma depotenziata ed estenuata di spinozismo che è il monismo
neutro. La difficoltà di stabilire il nesso causale tra la serie materiale e la
serie psichica è il problema nel quale urta, fin dal principio, il determinismo
psicologico, che, di neces¬ sità, si rifiuta di riconoscere altro nesso
intelligibile dei fe¬ nomeni che quello, di causa e di effetto. Il determinismo
appare inadeguato alla vita dello spirito, e, per aver deri¬ vato i suoi schemi
dall’analisi dell’estensione o del movimento, non attinge V inesteso e la
rappresentazione. La psicologia è una storia ed una fenomenologia dello
spirito, non una scienza, nel significato impresso a questa parola dalle
direzioni pre- Digitized by Google 92 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO . t
valenti del determinismo meccanico; perchè lo spirito appare* come isolato ed
avulso e corocato a distanza influita dagli antecedenti meccanici, e lo stesso
metodo positivo vieta di colmare un vuoto sì grande con l’interposizione del
nesso- causale. H materialfsmo scientifico, che presume di operare la sintesi
delle due serie irriducibili, è vittima di una illu¬ sione. Non che procedere
dall’ùna serie all’altra, esso indugia immobile in una delle due, quella più
vicina ed adeguata alla sua natura, la serie* cioè, dei cangiamenti materiali;
e, da essa e per essa si avvisa di rendere la ragione‘esplicativa dei fenomeni,
non ancora attinti éd inattingibili, dell’altra. Le due serie gli si
rappresentano, allora, non sotto il nesso di causa e di effetto, ma secondo il
rapporto che passa , tra qualità e funzione, simbolo e còsa significata,
sostanza o soggetto e modo; un rapporto prossimo all’evidenza logica
dell’identità, ma prossimo, in pari tempo, all’inanità reale àsWidem per idem .
Qui, come altrove, il materialismo scien¬ tifico designa la sua natura
analitica, e denunzia le interne esigenze che lo sollecitano a togliere al
principio di causa tutto quel sapore vivo di realtà che è inerente ad esso, in
quanto si pone come sintesi di due termini distinti! Come già il cangiamento e
l’azione fisica, come la vita o il prin¬ cipio vitale^ così la fenomenologia
dello spirito non è altri¬ menti conosciuta ed esplicata, dal materialismo,
che. in funzione dell’equivalente meccanico! • Nuovo esempio e documento di
quanto qui si dice è fornito dai così detti processi di misura dei fenomeni
psichici, i quali pare vogliano dare alla psicologia le apparenze di una
scienza? esatta e conferire al determinismo psicologico la stessa veste e
figurazione scientifica del determinismo lo¬ gico-matematico strettamente
detto. Non potendo sottoporre direttamente i fenomeni dello spirito alla legge
del numero, la psicofisica studia di toccare la meta per via mediata ed
indiretta; numerando, cioè, e misurando l’intensità dello sti¬ molo, che è il
correlativo esteriore ed obbiettivo delle sen- Digitized by Google I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO 93 «azioni medesime, e traducendo in variazioni
qualitative della sensazione le gradazioni di grandezza dell’eccitamento. La
psicofisica si propone di misurare gli accrescimenti e le differenze della
sensazione in rapporto agli accresci¬ menti ed alle differenze dello stimolo e
perviene, come è noto, a connettere l’una e l’altra serie per via di una fun¬
zione logaritmica.' Se non che il modo, ond’essa perviene o stima di pervenire
alla numerazione ed alla misura dell’in¬ tensità delie sensazioni, è
artificiato e riesce ad apparenze ingannevoli. L’idea del numero e della misura
involge l’intuizione di una moltiplicità di unità elementari, assolutamente
simi¬ lari ed omogenee. Stretta, quindi, dalle esigenze del numero e della
misura, la psicofisica procede ad individuare, nella complessità e nella
fluidità dei cangiamenti sensoriali, le unità elementari omogenee, gli stati
semplici elementari, i minimi sensitivi, le quantità uguali di sensazione. Ed
unità semplici e minimi sensitivi sono, per essa, le differenze minime per¬
cettibili della sensazione, o i momenti successivi della sen¬ sazione f quali
corrispondono al più piccolo accrescimento percettibile della eccitazione. Così
1 'intervallo dei due mo¬ menti o dei due stati sensitivi, che non è alcunché
di sen¬ sato, ma è limite ideale tra due sensazioni, viene obbiettivato e
solidificato ed individuato ; ed ‘il discontinuo degli stati sensitivi viene
compensato, agguagliato, ridotto nella quan¬ tità continua dell’eccitamento. In
altri termini, l’avvertenza sensitiva deU’accrescimento dello stimolo,
avvertenza che involge un rapporto fra due stati successivi e discontinui, è
avvisata dal a psicofisica come un elemento formativo, o come un dato minimo
elementare, un dato-limite o margi¬ nale, un infinitamente piccolo della
sensazione totale o com¬ plessiva, raffigurata, anch'essa, a guisa di un
processo conti¬ nuativo, unilineare, omogeneo. La differenziazione degli stati
sensitivi e dei momenti o dei cangiamenti della sensazione è, così, ricondotta
all’integrazione di differenze infinitesime. Jl Digitized by C.ooQle d4 I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO . . . di dati minimi elementari eguali.
Come i composti e gli aggregati materiali, la sensazione è il prodotto o la
risul¬ tanza numerica dell’addizione o dell’auto-composizione di questi
infinitesimi similari, soprapponibili, numerabili e mi¬ surabili. La
differenza, limite tra due stati di consapevolezza, è convertita in uno stato
sensitivo a sua volta, o in un ele¬ mento generatore della somma degli stati’:
la differenza, che è un giudizio, è raffigurata, insomma, come una sensazione,
o, meglio, come il minimo sensoriale, onde per integrazione si produce e si
genera la sensazione totale. I processi misurativi dell’intensità della
sensazione sono evidentemente arbitrari, e poggiati sovra Un erroneo pro¬ cesso
di* obbiettivazione degli stati psichici interni. La psico¬ fisica determina e
misura la sensazione in funzione del suo correlativo causai* esteriore,
traducendo, cosi,’ l’intensivo nell’estensivo, la qualità nella quantità, il
subbiettivo nel- l’obbiettivo e trasferendo ad un ordine di fenomeni i modi di
essere di un ordine eterogeneo. Raffigurando la serie degli stati .psichici
come una serie lineare continua ed individuando i momenti di quella serie a mo’
di unità omogenee ed impe¬ netrabili, essa appaga le esigenze della numerazione
e della misura: perchè il numero è la moltiplicità distinta delle unità
omogenee, giustaposte nello spazio ect incompenetra¬ bili. Ma snatura, ciò
facendo, i fenomeni di coscienza, i quali s'intrecciano e s’inseriscono gli uni
negli altri e si penetrano a vicenda e ciascuno dei quali, non che occupare
posti di¬ stinti nel presunto spazio psichico, involge, riflette, occupa e
penetra l’anima intiera (1). L’incompenetrabilità, che è la formola della
giustaposizione nello spazio, non è trasferibile alla coscienza, la quale è
irreduttibile alla nozione delle dimensioni dell’esteso, o, tutt’ al più, non è
passiva di altre dimensioni, come notò il Kant, che di quella della durata. La
psicofisica indugia in un proposito assurdo : presume (1) Bergson, Essai sur
les données immédiates de la conscience — passim. * Digitized by Google I I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 95 misurare V incommensurabile e conferire
alla psicologia di¬ gnità e veste di scienza, con l’applicare le leggi del
numero all’ordine delle rappresentazioni interne e subbiettive. Ed in ciò essa procede
a ritroso dalle stesse sapienti riserve e dagli stessi procedimenti scientifici
della # fisica teorica moderna alla quale crede di approssimarsi; perchè la
fisica moderna si solleva a scienza grazie ad un processo inverso di quello
della psicofisica, grazie, cioè, ad un processo di rigorosa astrazione ed
elisione dell'aspetto intensivo dall’aspetto esten¬ sivo e della qualità dalla
quantità. Quello che la fisica mette da banda” perchè irreduttibile agli
schermi della meccanica e della simbolica atomistica, quello stesso la
psicofisica toghe ad oggetto diretto delle indagini sue; e presume applicarvi
gli stessi procedimenti analitici e matematici della fisica! Tutto ciò giova a
spiegare, altresì, come il determinismo scientifico si vada ^progressivamente
estenuando ed impove¬ rendo di contenuto vitale, di grado in grado che esso
pro¬ cede dalle forme inferiori dell’esistenza fisica e meccanica — in cui la
distanza tra gli schemi e la realtà, tra la misura ed il misurato, tra l’azione
fisica e l’equivalente meccanico è menoma — aUe forme superiori dell’attività
spirituale, in cui intervengono determinazioni efficienti e poteri ideali in¬
commensurabili agli schemi del meccanismo! La verità della legge di Weber,
verità sperimentale e malamente riducibile alla forinola dell’equazione
algebrica e del rapporto logaritmico, non prova nulla in favore dei pro¬ cessi
e delle esperimentazioni della psicofisica. Esaminata in fondo, quella legge ci
porge questo significato : ogni accre¬ scimento percettibile di eccitazione si
organizza con la quan¬ tità o la massa dell’eccitazione antecedente, secondo un
rap¬ porto costante. L’efficienza di una quantità di eccitamento è, adunque,
non assoluta, ma relativa, ossia determinata dalla sua relazione all’efficienza
dell’eccitazione anteriore. Le quan¬ tità o i minimi percettibili
dell’eccitamento, adunque, non si giustapongono, ma si organizzano e
sovrappongono dina- Digitized by L^ooQle I 96 I LIMITI DJEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO micamente; e ricevono il loro valore ed il loro significato non dal
loro essere inerte ed assoluto, ma dalla loro com¬ posizione relativa. Ora
questo principio, non che essere una conferma della solidità e della
incompenetrabilità degli stati psichici, è una riaffermazione dell’opposto,
della penetrazione reciproca e della fluidità di quelli. La legge di Weber,
come ha osser¬ vato il Wundt, è un caso particolare della legge generale di
relatività degli stati psichici. L’indifferenza del cangia¬ mento assoluto
dello stimolo per la modificazione degli stati sensitivi si deve, appunto, al
fatto che l’avvertenza sensitiva è una percezione di differenze o di relazioni.
L’impercetti¬ bilità delle quantità di eccitamento che giacciono al di sotto
della soglia di differenza, sebbene sieno al di sopra della soglia assoluta
della percezione, è una prova evidente che la percezione degli accrescimenti di
eccitamento è una fun¬ zione non della quantità assoluta di eccitamento
obbiettivo, ma dello stato dinamico dell’attività sensitiva, predisposto e
modificato dalla massa degli stimoli antecedenti. Adunque la causalità
obbiettiva delle quantità assolute di eccitamento non è operativa che traversp
una mediazione soggettiva : inserendosi, cioè, ed organizzandosi nello stato
psichico preesistente. Le presunte unità assolute, omogenee, giustaposte,
incompenetrabili dello stimolo sono, viceversa poi, compenetrate, sovrapposte,
differenziate e comparate nella sintesi percettiva del soggetto. Anche questa
compa¬ razione è, approssimativamente parlando, una misura: ma una misura dello
stimolo per l’attività sensitiva, non dell’at¬ tività sensitiva per lo stimolo:
è la sintesi del giudizio e l’atto della coscienza che non percepisce
l’indifferenza e l’equivalenza degli stati, ma la differenza ed il contrasto.
La psicofisica fallisce alla meta; la sola vera misura delle senzazioni è
data... dalla psiche medesima. f Digitized by C.ooQle t I LIMITI
DEL'DETERMINISMO PSICOLOGICO 2 . 97 ' All’insuccesso che colpisce il
determinismo psicologico esteriore —: ossia le maniere diverse del* ricondurre
i feno¬ meni dello spirito alla serie dei cangiamenti materiali —* sembra
sottrarsi quello che si designa più. sopra come de¬ terminismo psicologico
interno. Se la connessione causale della serie psichica con la serie materiale
non riesce o ap¬ proda, sembra, invece, plausibile la connessione causale dei
fenomeni dello spirito gli uni con gli # altri, in quanto ter¬ mini omogenei di
unica serie. Non più la esplicazione indi¬ retta dei cangiamenti psichici,
ossia cercata attraverso o in funzione degli equivalenti meccanici, ma la
esplicazione di¬ retta dei. cangiamenti medesimi, in quanto essi sòno di na- '
tura. psichica o appaiono come tali, per quanto rifusa nei modi e nelle forme
del simbolismo meccanico. La meccanica non sarà più il principium essendi del
determinismo psico¬ logico, ma ne sarà il principium cognoscendi ; ossia le
ope¬ razioni mentali vanno interpetrate, esplicate, ricostruite, ri- maneggiate
secondo il modo di operare delle forze della meccanica; e la scienza intenderà
i fenomeni dello spirito, immediatamente e direttamente in quanto tali, ossia,
in ‘quanto sensazioni, percezioni, reminiscenze, ideazioni o si¬ mili, o in
quanto stati psichici, insomma, — e, ad un tempo, applicherà a codesti stati le
leggi ed i modi della mecca¬ nica e rappresenterà le forme dell’attività dello
spirito nella stessa maniera onde raffigura i movimenti delle molecole
materiali. Forma tipica di codesto determinismo psicologico in¬ terno è
l’associazionismo. Come il determinismo meccanico ritraduce la diversità
apparentemente sostantiva dei feno* meni fìsici in mere differenze di
aggruppamento e di tras¬ posizione di unità elementari omogenee uniformi, così
lo associazionismo ritraduce la spontaneità produttiva dello spi- 7 Digitized
by L^ooQle '98 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO rito e l’attività delle
funzioni logiche ed appercettive in meri rapporti di contemporaneità e di
somiglianza delle rap¬ presentazioni, raffigurate a mo’ di elementi **
esteriori ed estesi od a guisa di molecole giustaposte nello spazio, che si
urtano, si riurtano, si combinano e variamente si dispon¬ gono ed avvicendano.
Ivi, il principio attivo della matura è ricondotto alla fenomenologia del
movimento relativo ed impresso delle unità di massa ; qui, il principio attivo della
coscienza, o l’anima, al gioco automatico'delle rappresenta¬ zioni: ivi, la
forza, anziché come causa o impulso del mo¬ vimento, è concepita come un modo e
una funzione del . movimento medesimo : qui, l’anima è eliminata come sog-*
getto attivo, causale dei fenomeni psichici, o raffigurata come un modo o
un’apparenza o una risultanza del mec¬ canismo interno delle rappresentazioni.
Ivi, la causalità con¬ nette i momenti del divenire o del movimento infra di
loro, non il divenire o il movimento, in quanto tali, ad altra cosa o altro
impulso onde, in ipotesi, primitivamente ed as¬ solutamente si generino ; qui,
la causalità ed il determinismo connette le rappresentazioni singole le une
verso le altre, non già i rapporti rappresentativi all’attività semplice dello
spirito. Quello, adunque, che opera negli stati di coscienza non è la
coscienza, non è l’anima, ma le rappresentazioni sin¬ gole, isolate e divelte
da un principio superiore di selezione, di appercezione, di coordinamento e di
sistema.. Rigoroso, è, quindi, il determinismo psicologico che segue da tal
maniera di concepimento, perchè una ragione imperiosa di causalità necessitante
connette i momenti successivi del di¬ venire, e perchè la causalità* ed il
determinismo è la forma e la legge dei cangiamenti in quanto cangiamenti, ossia
dei fenomeni sceverati e divelti dal loro soggetto, dei modi isolati o
distratti dal sustrato dinamico onde si generano ed in cui si connettono e si
unificano e si avvivano. Come si è cennato altra volta, la causalità è la legge
della serie Dii • i by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 99 interna
dei fenomeni, non già la forinola della connessione tra i fenomeni e quello che
è al di sopra o al di sotto dei fenomeni, l’in sè, cioè, o il noumeno . Essa,
pertanto, impera sovrana nella fenomenologia dello spirito, ove questa vegan
scissa ed isolata improvvidamente dal suo sustrato o dal suo principio
semplice; ed è il solo residuo positivo che resti acquisito alle negazioni
della psicologia senz’anima. Se non che, quest’arbitraria scissura dei fenomeni
dello spirito dal fondo vivente ed attivo in cui si generano e si alimentano
forma, appunto, il rcpoiTov dell’associazio¬ nismo; di quest’ultima forma
scientifica dell’atomismo psi¬ chico degl’ideologi. L’associazionismo partecipa
lo stesso difetto della psi¬ cofisica : snaturare i cangiamenti ed i fenomeni
dello spirito, per gettarli nello stampo dei cangiamenti e dei fenomeni della
meccanica. Esso è la simbolica atomistica ritradotta nella vita interna
dell’anima: .ed è l’attività dello spirito raffigurata nelle forme del
movimento atomico e molecolare. Le rappresentazioni e le idee sono concepite
come le unità di massa o gli atomi della materia, elementi indivisibili ed
incompenetrabili, proiettati simbolicamente nello spazio e raffigurati come
elementi dell’estensione. Come il determi¬ nismo meccanico, così l’atomismo è
il prodotto logico di un duplice processo di riduzione : la riduzione del
principio attivo e motore dell’anima al meccanismo delle rappresen¬ tazioni, la
riduzione delle rappresentazioni o degli stati psi¬ chici elementari alle unità
ed agli elementi dell’esteso. L’as¬ sociazionismo, ad imagine e somiglianza del
determinismo meccanico, ritraduce la durata nell’estensione, il tempo nello
spazio, il tempo psichico, cioè, o la durata senza estensione e della quale i
momenti successivi si penetrano a vicenda e si inseriscono ed organizzano
dinamicamente col mezzo e col principio semplice che li sostenta e li anima,
raffigura nelle forme dello spazio o del mezzo omogeneo, i cui punti si
giustapongono in una serie lineare e si toccano Digitized by L^ooQle 100 I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO senza compenetrarsi (1). Così l’unità
fondamentale del me e la connessione del molteplice degli stati psichici col
prin¬ cipio semplice della coscienza viene segmentata e frazionata e suddivisa
nella meccanica delle rappresentazioni : le quali si porgono come fenomeni
senza soggetto, o effetti senza causa, ovvero cause di sè medesimi, e delle
quali l’indivi¬ duo, il soggetto, lo spirito, insomma, è recipiente e non
attore, scena non spettatore, mediazione e mon causa. Dovecchè gli stati
psichici non sono incompenetrabili, ma si penetrano ed organizzano a vicenda.
Essi sono dipen¬ denti fra loro rispettivamente e, quindi, connessi da un
interno determinismo, ma sono, ad un tempo, dipendenti dal principio attivo
onde si colorano e si animano ed in cui le loro correlazioni si unificano:
epperò non gli stati psichici elementari operano per autocomposizione
spontanea, ma il principio attivo dell’anima opera in essi e. per essi, ed il
determinismo interno della serie degli stati psichici elemen¬ tari è sospeso al
determinismo superiore e alla superiore spontaneità (l’una cosa, vedremo, vale
l’altra) del principio attivo dello spirito o dell’anima. In ciascuno di quegli
stati si riflette, si rappresenta, si rispecchia il potere spon¬ taneo
dell’anima intiera; e ciascuno di quegli stati attinge il suo significato, la
sua animazione, la sua colorazione dal rapporto dinamico con l’unità semplice
ed operosa dello spirito. Il determinismo, che è la legge dei cangiamenti del
divenire in quanto tali, è, pertanto, superato e diretto dalla spontaneità, che
è la maniera di operare dell’essere che di¬ viene, ed è semplice, presente,
attivo nel molteplice dei momenti in cui diviene. Il determinismo, che è la
legge dei fenomeni e delle rappresentazioni, è superato dalla libertà, ossia
dalla spontaneità attiva, che è il principio dell’essere o del mondo in sè. (1)
Bergson. — Ibid. ; v. in specie, pag. 74-78. Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO 101 3 . Questa spontaneità dello spirito, ove sia
riconosciuta e fatta valere contro la abusata interpetrazione meccanica degli
ideologi, è un principio che avvia a risolvere i dubbi e le contraddizioni che
si connettono alla nozione del Ubero arbi¬ trio, ed a porre sovra basi salde la
esistenza della libertà del volere. Con la spontaneità dello spirito esula,
dada psicologia, la Hbertà; ed'il determinismo delle voHzioni si porge come una
formula di massima evidenza logica, ove quelle volizioni sieno raffigurate come
momenti che dipendono gh uni dagU altri ma che sono indipendenti tutti dal
principio attivo dello spirito, quando, cioè, venga perduta di mira la
connessione dei motivi e delle vohzioni col potere attivo deUa volontà che
opera in essi e per essi. La legge di necessitazione cau¬ sale domina sovrana,
come si è detto innanzi, la successione dei fenomeni, in quanto fenomeni, ossia
astratti o distratti dalla spontaneità dell’essere che opera nei medesimi.
Quando, invece, l’attività dello spirito non sia pervertita da una in¬
terpetrazione erronea e sia bene apprezzata la unità e la continuità del volere
nel molteplice delle volizioni, il deter¬ minismo psicologico degh atti del volere
si elide nel superiore determinismo della spontaneità del volere medesimo, la
quale è un’approssimazione della libertà. Certo, la spontaneità del volere non
coincide con la presunta indifferenza dell’arbitrio, ed è stata avvisata come
una nuova forma di necessitazione, una necessitazione interna, la quale è tale,
per altro, da escludere la libertà morale non meno delle necessitazioni
esteriori. Pare ai più che il deter¬ minismo, trasferendosi dai fenomeni del
volere aUa costitu¬ zione del volere medesimo, non scemi punto, o attenui la
sua funzione necessitante : ed il nòcciolo delle obbiezioni pro¬ poste contro
la libertà morale è, appunto, questo : che una facoltà di volere, libera di se
medesima e degh atti suoi Digitized by C.ooQle 102 I LIMITI DEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO è un assurdo, che non è facoltà di nessuno di volere quello che
voglia, che il volere non è un assoluto o una causa sui ma un effetto di cause
che si dissimulano spesso all’atten¬ zione cosciente dello stesso individuo
agente, di cause che, nella loro iniziale formazione, oltrepassano i termini
stessi della vita individuale e si perdono nell’eredità delle gene¬ razioni,
della quale l’individuo è un prodotto. Il principio di causa si trasporta dalla
relazione tra il volere ed i suoi atti alla relazione tra il volere e le sue
cause efficienti: è il principio della universalità del rapporto di causazione,
che sollecita a ciò, è la regressione all’infinito nella serie dei fe¬ nomeni,
che lo vuole. Nessun fenomeno è incondizionato, ovvero senza causa, ed il
volere è anch’esso, a sua volta, un fenomeno; e non vi è causa che non sia
necessariamente e sufficientemente causata ella stessa, ossia che non si porga
ad un tempo come un effetto. Inconcepibile, quindi, il volere libero, perchè
inconcepibile l’ipotesi di una causa prima, in¬ condizionata di cangiamenti,
inconcepibile una causa meta¬ fisica, assoluta, irrelativa, ossia un ente o una
forza che sia sottoposta al principio di causa^nel suo operare e non nel suo
essere. Se non che, una siffatta negazione sistematica della libertà deriva da
una estensione arbitraria del nesso e della funzione causale e da una
interpetrazione erronea dei poteri della libertà. Certo un volere libero da sè
medesimo appare un assurdo contrario al principio d’identità: ma, appunto, non
si può nè si dee pretendere che la libertà sia precisamente un assurdo, nè la
libertà va misurata ed apprezzata con un criterio ed una unità di misura
incongrua alla natura di lei. Il determinismo ha comune col suo apparente
avversario — la tesi dell 'arbitrium indifferentiae, — una rappresenta¬ zione
ed una interpetrazione erronea anticipata della libertà del volere. Esso, in
vero, ritorce contro la libertà le abusate illazioni della teorica
dell’arbitrio; addimostrando, così, di credere che la sola interpetrazione
logica possibile della libertà Digitized by C gle I LIMITI DEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO 103 sia quella contenuta nell’indifferenza dell’arbitrio, e che gli
indifferentisti, di conseguenza, sieno falliti alla meta, non già per aver
preteso dalla libertà l’impossibile, ma perchè la. libertà stessa*
obbiettivamente non esiste. TJn volere libero non può essere un volere libero
da sè medesimo, ma il-torto del determinismo-è, appunto, qupllo di
contrapporre, per vizio di critica gnoseologica, il volere a sè medesimo, ed
indi da questo nesso d’identità, che è principio di necessitazione logica,
inferire una necessitazione reale. Codesta contrapposizione è artifiziale, ed è
un modo di percepire soggettivo deM’interpetre del yolere, non un modo (Ji
essere obbiettivo del volere reale. Ossia, il volere che appare spezzato e come
rifratto in due termini all’ana¬ lisi conoscitiva, in realtà ed in sè, non è
che un solo: il nesso causale interposto tra il volere... e la. sua proiezione
ideolo¬ gica «o la sua ombra è un nesso,'quindi, illusorio, poiché, in realtà,
non si tratta di due ma di uno, e l’uno non è pas¬ sivo di nesso causale con sè
medesimo.. Certo, è" assurdo un volere che sia causa sui, mà^l’àssurdo è
creato precisamente da quelli che, diversificando il volere da sè medesimo,
creano una distinzione fittizia di termini per inserirvi il rapporto di causa e
di effetto. L’assurdità d^l volere causa sui è la conseguenza dell’assurdità di
voler applicare all’uno del vo¬ lere il nesso di causa e di effetto che involge
necessariamente due termini distinti. H* volere, in quanto urto ed individuo,
è, quindi,* libero, perchè la libertà e la qualità o la proprietà di un potere
che non ha ordine di éffetto a causa ad altro soggetto o altro potere. La
libertà è l’attributo di ogni spontaneità so¬ stantiva ed individuale, la cui
maniera di operare si deter¬ mini e si spieghi per i motivi e le energia
interiori di quella spontaneità. In vero, tra la spontaneità e sè medesima o le
sue fonti o le sue energie, non può esservi rapporto conce¬ pibile di causa e
di .effetto, ed il solo nesso* intelligibile di quei due termini di un’analisi
artificiale è... la forma della Digitized by Google 104 I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO libertà! La quale, in quanto forma intelligibile di un
nesso di cose, sarebbe anch’essa espressione di necessità: ma questa ‘ presunta
* necessità è una percezione ingannevole della mente, che artificialmente
rifrange l’unità del volere nella dualità dell’analisi, non già una proprietà
reale del volere. La mente, conoscendo le cose, vi segna la-sua forma o la sua
impronta di necessitazione logica, la qual forma non va, senz’altro,
dogmaticamente trasferita ed obbiettivata come proprietà delle cose medesime.
La critica della conoscenza, non* ignara del dissidio fra la rappresentazione
fenomenica e l’obbietti- vità dei reali, educa ad astenersi dal trasferire
all’ordine ontologico i difetti o le apparenze del processo conoscitivo. Per
inserire nèll’unità del volere il rapporto di dualità ed il nesso di causa e di
effetto, l’analisi del determinismo differenzia il volere, come prodotto o come
somma, dalla pluralità dei fattori determinanti, ereditàri o acquisiti, col¬
lettivi o individuali che sieno. Tra il volere e ciascuno di quei fattori o
l’insieme dei fattori medesimi, essó interpone, così, con apparenze di
legittimità, il nesso di causa e di ef¬ fetto. Se non che, le apparenze anche
qui restano tali e la estensione deL nesso causale si chiarisce del pari
arbitraria. Quei fattori non sono^ che frazioni o segmenti del volere, separati
fittiziamente dalla loro scaturigine vitale, e ad essa non meno* fittiziamente
contrapposti, come alcunché di di¬ stinto e di autonomo. E il processo
analitico della nume¬ razione, che, dopo aver individuato nel tutto le-parti,
sol¬ leva le parti stesse ad elementi idealmente generatori del tutto. Sono le
determinazioni intente dello’ spirito, dissociate analiticamente dalla fonte,
da che attingono vital nutrimento, ed allogate in una serie lineare, concepite
come distinte ed incompenetrabili, esteriori le une alle altre e ciascuna al
tutto, raffigurate come elementi dell’estensione. E la sintesi crea¬ trice
dello spirito, ritradotta nei termini dell’addizione nume¬ rica; il nesso
ideale tra lo spirito e le sue determinazioni, . snaturato nella forma del
rapporto fra il tutto e le parti.; Digitized by Google I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO 105 il determinismo psicologico rifuso nello stampo
del determi¬ nismo meccanico. Tra lo spirito ed i presunti determinanti di esso
non intercede un rapporto di addizione o *di composizione ma¬ teriale, ma un
nesso di generazione ideale. E lo spirito, iden¬ tico a sè medesimo, che appare
come pluralizzato e rifratto in ciascuna di quelle energie, in ciascuno di quei
motivi, in ciascuna di quelle determinazioni. I motivi non sono da con¬ cepire
come atomi giustaposti ed incompenetrabili nel vuoto della coscienza : in
ciascuno di essi si riflette intiera la qua¬ lità dello spirito. La pluralità
loro e la loro presunta auto¬ nomia è, in fondo, un inganno della coscienza
riflessa. E lo spirito, che rendendosi cosciente di sè medesimo e rappre¬
sentando sè a sè stesso in forma di oggetto, sdoppia la sua unità, tragitta al
di fuori, come in un vacuo o in un mezzo esteso, la sua efficienza e la sua
azione, addiventando così come scemo e mutilo di sè medesimo, e trasferisce le
ob- biettivazioni ideologiche della coscienza riflessa alla scaturi¬ gine
spontanea dell’azione. L’errore dell’atomismo psichico e del determinismo psicologico
è, in fondo, il prodotto di una accettazione anticritica delle illusioni della
coscienza, e procede in gran parte dal trasferire alla spontaneità na¬ tiva
dello spirito le forme della coscienza riflessa. Anche lo spirito è, in un
certo senso, estraneo ed esteriore a sè medesimo ed è come corroso da una
vocazione nativa all’atomismo. Le esigenze della consapevolezza lo sollecitano
ad obliare sè stesso attraverso le proprie obbièttivazioni, perchè la co¬
scienza non ha luogo ove il soggetto non si rappresenti come oggetto a sè
medesimo e separi sè dalla sua imagine. Ma la sorgente viva dell’azione è nella
spontaneità dello spirito : la quale, non in quanto si rifrange nell’analisi
teo¬ retica della coscienza riflessa, ma in quanto effettivamente vive ed opera
o move ad operare, è interiore a sè medesima e libera. Per le esigenze
analitiche della riflessione lo spirito tragitta al di fuori, obiettivandola,
la sua attività.libera; è Digitized by C gle 106 I LIMITI DEL DETEBMINISMO
PSICOLOGICO di poi l’obbiettivazione si ritorce contro il suo medesimo autore,
il quale, obliterandone le origini, traduce l’obbiettivazione nell’obbiettivo e
conferisce realità al suo fantasma e si prostra innanzi al suo feticcio o alla
sua creatura ideologica. H determinismo, rappresentazione empirica delle
prominenze più superficiali dello spirito, non ha per anco provato l’arduo
cimento della critica ; esso è la rappresentazione fedele dello spirito che,
per illusione di prospettiva, si reputa servo della sua proiezione ideologica o
della sua ombra. 4 . Per sottrarsi a queste distrette ed infliggere alla
libertà una flagrante smentita, al determinismo non resta che un ultimo
espediente: trar partito dalla critica degli avversari e ritorcerne e
sistemarne a suo profitto i motivi. L’unità dello spirito nella molteplicità
degli stati psi¬ chici e la compenetrazione dei singoli atti del volere nel
principio attivo del volere medesimo appaiono manifestazioni di una legge
d’identità dello spirito e, quindi, sembrano re¬ care l’impronta della
necessitazione. L’unità e la semplicità del volere pare che involga l’univocità
dei motivi e delle di¬ rezioni dell’azione, il che importa la necessità della
delibe¬ razione o la non possibilità del contrario. L’unità del volere esclude
l’antagonismo e il contrasto delle rappresentazioni e delle direzioni e dei
fini èd elimina conseguentemente la facoltà dell’elezione e della libertà.
Quella unità è una delle manifestazioni, la manifestazione psicologica, della
légge uni¬ versale di coincidenza tra l’attuale ed il possibile, tra l’es¬ sere
ed il dover essere, tra il fatto e la legge, tra la causa e l’effetto, della
legge universale di attualità, di equivalenza, di simmetria, di sviluppo
unilineare. La spontaneità coincide intimamente col determinismo : è, anzi, un
determinismo ab intus ella stessa. Nè bisogna obliare che la facoltà del vo¬
lere è sollecitata dalla rappresentazione e dal desiderio de Digitized by
0.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 107 beni esterni appetibili, fra
i quali, a tenore della concezione deterministica, vi ha rigorosa ragione di
collocazione quan¬ titativa unilineare e rapporto di comparazione e di misura a
norma del meno e del più. — H volere sarà, quindi, og¬ getto di un doppio
processo di necessitazioné : uno, che gli proviene dal rapporto d’identità o di
equazione con sè me¬ desimo, l’altro che segue dalla ragione di
commensurabilità dei beni esterni appetibili e dalla necessaria superiorità nu¬
merica del bene che si rappresenta maggiore o del motivo più forte. Se non che,
queste obbiezioni del determinismo sono pog- • giate sovra una comparazione
erronea della spontaneità at¬ tiva dello spirito alle forme inferiori della
causalità mecca¬ nica. L’unità del volere, nel molteplice delle volizioni, la
penetrazione reciproca degli stati psichici tra loro e col prin¬ cipio semplice
onde si generano e l’interiorità dèi volere a sè medesimo sono, tutte, delle
nozioni o delle interpetrazioni, le quali intendono ad esprimere o a
significare un dato rap¬ porto tra lo spirito e gli stati particolari che
l’analisi va individuando nella continuità di esso, e — appunto perchè rendono
una relazione interna — non involgono questo più che quest’altro modo di essere
assoluto dello spirito mede¬ simo. L’una cosa o l’un problema è diverso
dall’altro ; l’uno può f ormolarsi così : qual nesso intelligibile si può
interporre fra gli stati psichici ed il me fondamentale? e l’altro in
quest’altrò modo: come si comporta il me fondamentale in quanto volere? La
soluzione del secondo problema non è punto pregiu¬ dicata da quella del primo e
va cercata a parte; ed è tale che, non che suffragare il determinismo,
riafferma la tesi contraria. Lo spirito umano, unico e semplice in sè medesimo
in rispetto alla funzione o alla forma, si porge tuttavia, e per altro
rapporto, come la sede di un profondo dualismo in¬ terno, che le
esperimentazioni cruciali dello spirito medesimo Digitized by C.ooQle 108 I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO si sforzano diuturnamente di comporre in
armonia, senza, per altro, toccarla mai durevolmente. E il dualismo perenne tra
l’individuo della serie animale e l’individuo della serie umana, tra le forme
ed i bisogni .e le sollecitazioni della vita organica e le forme e gl’ideali e
le aspirazioni della vita ' spirituale, tra gl’impulsi del piacere e
gl’imperativi del do¬ vere, tra le necessitazioni organiche dell’ istinto ed il
potere elettivo della ragione e della volontà. L’uomo è la sintesi di ciò di
che la natura è l’analisi : un microcosmo nel quale sono ricapitolate, riassunte
e superate, ad un tempo, ossia sollevate a più alta efficienza, le forme
inferiori ed inter¬ medie della vita naturale. L’unità dello spirito umano non
è unità materiale, ma ideale e funzionale ; unità che risente lo sforzo di una
dualità consapqta e superata, e la quale nasce non dalla ragione di uniformità
o di equivalenza o di simmetria, ma dalla ragione di dissimetria e di
plusvalenza o dalla superiorità degli elementi spirituali sugli elementi
materiali. Nel mondo animale strettamente detto, impera sovrano l’istinto, il
quale, benché sia una perfezione ed una forma di autonomia in confronto all’
inerzia della causalità mecca¬ nica, segna, tuttavia, una imperfezione o una
forma inferiore di attività, ove sia misurato in ragione dei poteri spirituali dell’
uomo. L’istinto importa una necessitazione, sia pure in¬ terna, ad agire e
rappresenta, quindi, come un residuo della necessità cieca e fatale che impera
nelle forme inferiori del reale. Nell’istinto, più che l’autonomia
dell’animale, opera il principio agente della natura (1). Grazie alle
necessitazioni organiche ed alle determinazioni univoche dell’istinto, l’ani¬
male è congruo ed adeguato a sé medesimo ; le forme della vita animale
coincidono spontaneamente, necessariamente coi fini della vita stessa;
l’attività dell’istinto è univoca, unili¬ neare, non passiva di oscillazioni o
di deviamenti, impeccabile. (1) Spi». Op. cit. p. 457. Digitized by CiOOQle I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 109 Nel mondo umano si afferma, invece, una
perfezione ed un’autonomia superiore, e di gran lunga, all’ istinto, e sulle
sollecitazioni organiche e le determinazioni univoche dell’ im¬ pulso si
solleva la ragione e la potenza dei motivi ideali. Le quali forme superiori di
attività, per altro, non annullano, col loro intervento, l’efficienza delle
forme inferiori della vita | organica, ma si sovrappongono ad esse e
coesistono, pugnando con esse; perchè accade, nella progressione delle forme
del¬ l’essere, che le forme inferiori sieno non eliminate o sosti¬ tuite dalle
forme superiori, ma solo dominate o dirette da quelle e sollevate a
significazione e destinazione più alta, resa, del resto, possibile dalla loro
capacità di cangiamento e di elevazione. Di conseguenza l’uomo, avvisato nella
in¬ tegrità sua, non è congruo ed adequato a sè medesimo ; nè la composizione e
la inserzione e la sovrapposizione, che av¬ viene nell’organismo umano, delle
tre forme di attività — meccanica, biologica e psicologica — ha luogo secondo
la ragione del numero e della simmetria ; nè le forme della vita umana, così
com’ella è di fatto, coincidono spontaneamente e necessariamente coi fini della
vita stessa. Di qui, in esso, dico nell’ uomo, il principio del dualismo e
della dissimetria, che invocano perennemente l’unità e l’armonia, e l’attingono
solo in grazia della superiorità degli elementi psichici sugli elementi
materiali e dei motivi ideali sulle organiche neces- sitazioni dell’ impulso. E
di qui segue che l’attività delje de¬ terminazioni e dell’azione non è
rettilinea ed unilineare, ma polilineare ed asimmetrica. L’atto del volere non
è moto uni¬ forme ed univoco di attività, ma potere di elezione fra due
direzioni divergenti ed incommensurabili ; l’una, che risponde alle forme della
vita animale, l’altra, che attiene alle deter¬ minazioni superiori dell’anima,
l’una, che è segnata dalle sollecitazioni dell’ istinto e l’altra, dalla
estimativa della ra¬ giona, l’una, che trae ai beni soggettivi, l’altra, che
mira al bene oggettivo, l’una, che invita al piacere ed alla felicità, l’altra,
che piega al dovere ed alla virtù. Digitized by C.ooQle 110 I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO Questo profondo, nativo dualismo, che dilacera inter¬
namente l’unità dell’individuo umano, è la condizione ne¬ cessaria della
libertà morale, in quanto rimuove dall’atto del volere le stigmate di fatalità,
che altrimenti v’imprime¬ rebbero le necessitazioni organiche dell’istinto, e
fonda la possibilità della scelta fra due direzioni della volontà o fra due
serie di beni incommensurabili, ossia non comparabili secondo la ragione del
meno e del più, perchè sottratte a comune regola o misura o separate da
distanza infinita (1). Questo dualismo esclude la direzione unica ed unilineare
degli atti del volere, fonda l’antagonismo ed il contrasto e l’eterogeneità delle
determinazioni, degl’indirizzi e dei fini, elimina il doppio processo di
necessitazione segnalato dal determinismo, sottrae la volontà all’imperio della
legge del numero e dell’impulso più forte. H determinismo logico-matematico
concepisce l’atto della deliberazione come una risultanza di dati componenti
ele¬ mentari, secondo la imperiosa, fatalistica ragione del numero, quasi
addizione di altri atti. L’intervento della libertà, in questa serie
determinata dalla ragione del numero, perturbe¬ rebbe l’esattezza matematica
del risultato, e tornerebbe a dire che il totale non corrisponda o non debba
corrispon¬ dere alla somma degli addendi. Tesi erronea, perchè segue (1) Dico
condizione necessaria e non sufficiente, perchè la possibilità della scelta o l’alternativa
delle direzioni del volere non basto a costituire, nel suo essere di fatto, la
libertà morale. Perchè gli avversari possono op¬ porre tuttora che, nel suo
volgere all’una più che all’altra direzione, la volontà è necessitata dal
determinismo degli antecedenti, organici ovvero psicologici, i quali si perdono
nelle profondità incoscienti dell’anima e fon¬ dano e compongono la
costituzione attuale del volere medesimo. La bila¬ teralità o
l’alternativa-bielle direzioni è un fatto di ordine obbiettivo, che non involge
necessariamente il fatto della libertà, che è modo di essere o di operare del
soggetto. Occorrerebbe dimostrare che la possibilità del con¬ trario, la quale
è un giudizio della nostra mente, non in quanto volente o agente, ma in quanto
spettatrice ed interpetre dell’azione, sia, ad un tempo, un elemento attivo
della volizione o una facoltà o potenza del soggetto vo¬ lente ; il che non si
è fatto ancora nè può farsi, perchè, come osserva i - igitized by Google o % I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 111 dall’estensione arbitraria, alla vita
ed alle funzioni dello spi¬ rito, di un ordine di schemi, di categorie e di
leggi proprie delle forme del meccanismo o delle formazioni materiali che
risultano dalla coigposizione e dall’aggregazione di unità elementari
equivalenti, omogenee, numerabili. Il determini¬ smo logico T matematico è
inadequato all’ordine dei cangia¬ menti spirituali, nel quale non impera la
ragione del numero e della simmetria, ma la dissimetria e la plusvalenza di
alcuni elementi verso gli altri (1). L’atto del volere non è raffigu¬ rabile
come una somma di dati e di unità similari omoge¬ nee, ma come un sistema di
forze, di sollecitazioni, di conati, di estimazioni e di motivi, nel qual
sistema, anziché auto¬ composizione di unità elementari equivalenti, vi è
lotta, disintegrazione, elisione e subordinazione di elementi; ed in cosiffatto
sistema è possibile la prevalenza dei motivi ideali sovra i motivi o i mobili
sensitivi,* il che segna ap¬ punto, per gradazioni variate di qualità e
d’intensità, la vittoria laboriosa della libertà morale sulle determinazioni
inferiori dell’appetito. Come già la vita, così la libertà è una forma ed una
funzione, la forgia, anzi, e la funzione più luminosa e più alta, della
dissimetria dell’universo morale; quasi una cri¬ tica vivente, che le forme
superiori dell’esistenza spirituale Labriola {Bella liberty morale , Napoli,
1878, p. 80) nessuna cosa o atto e se medesima, più la pqssibilità sua. La
teoria profonda del Bosmini che pone la libertà nella elezione tra le due
serie, incommensurabili ed infinitamente divergenti, dei beni soggettivi e del
bene oggettivo, conduce bensì a splen¬ dide illazioni psicologiche, ma non
basta, secondo il nostro umile avviso, a dimostrare l’esistenza della libertà
morale, della quale si limita solo a rimuo¬ vere gl’impedimenti connessi alle
necessitazioni dell’impulso organico. La verità si è che non vi ha che una via
sola per dimostrare rigorosamente l’esistenza della libertà morale, o, se si
vuole, la non-esistenza del suo con¬ trario : quella, cioè, che procede da una
critica gnoseologica del modo onde il problema è stato posto, ovvero dalla
critica dell’arbitrario concetto di una equazione causale del volere_con se
medesimo. (1) v. Coblbo. Il sistema della filosofia- universale ecc, — Roma,
1880, pag. 229 e segg. Digitized by C.ooQle * * 112 I LIMITI DEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO oppongono all’ intuizione deterministica del mondo, poggiata sovra
la presunzione dell’universale predominio delle leggi di causalità, di
equivalenza e di simmetria (1). 5 . * Nella serie progressiva dei reali
l’intervento dell’ordine psicologico segna una determinazione nuova ed
originale ed una forma superiore di esistenza e di autonomia : la perso¬
nalità. Nel mondo della natura non v’ha che aggregati e sistemi materiali ;
nell’ordine della vita e dell’organizzazione, si afferma l’individualità; nel
dominio della coscienza, la persona. E la persona vuol dire l’individuo reso
consapevole di sè, per interna appercezione dei suoi fenomeni, e reso, altresì,
consapevole dell’ordine delle leggi generali che diri¬ gono il processo delle
cose esteriori ed atto a superarle ed a dominarle, riferendole e coordinandole
ai fini suoi; vuol (1) Ad illustrare e riaffermare questa critica del determinismo
logico¬ matematico applicato all’ordine dei fatti dello spirito, avrei potuto
qui far parola di quella serie di proprietà e di attitudini psicologiche ohe il
Wundt riannoda attorno alle così dette leggi dell ''accrescimento dell’energia
psichica, delle risultanti psichiche e della eterogeneità dei fini. Queste
proprietà psico¬ logiche sono una riprova delle differenze che separano
l’ordine spirituale dall’ordine delle formazioni materiali e la causalità
psicologica dalla cau¬ salità meccanica. Tuttavia ho preferito non farne
parola, per la ragione che queste proprietà psicologiche non oltrepassano la
tesi del determinismo e traducono una critica insufficiente dell’estensione del
nesso causale alla serie dei fenomeni spirituali. Dimostrò già da par suo, e da
profondo de terminista, lo* Schopenhauer che le differenze fra la causa, lo
stimolo ed il motivo, ossia tra le forme della causalità meccanica, biologica e
psicologica, sono accidentali e non tolgono che la causalità psicologica sia
impressa, non meno che le altre due, del carattere della necessitazione (Der
Satz v. zureich. Grunde — passim). E le tre leggi del Wundt tornano alla stessa
significazione ; sebbene taluna di esse, come quella della così detta eteroge r
neità dei fini , abbozzi ed involga una teoria quasi indeterministica del vo¬
lere e rappresenti con tal quale finezza quel fenomeno, per cui la volontà
tende a superare sè medesima, differenziando la sua direzione iniziale uni-
lineare nelle ondulazioni successive dell’azione. Digitized by L.OOQ I LIMITI
DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 113 dire il soggetto cosciente e libero che
interviene, come prin¬ cipio attivo, nell’ordine di causazione e penetra con
l’azione sua, nella trama dei cangiamenti, v’impronta modificazioni e
determinazioni nuove, dà vita a fenomeni e ad idealità nuove e non
preesistenti, crea, di contro al mondo della natura, il mondo morale.
L’individualità, che si afferma nell’ordine biologico e nelle gradazioni
inferiori della serie animale, non è perfetta ed adempiuta, perchè l’individuo
animale è tuttora soggetto alla eteronomia del principio agente della natura e
delle sue leggi, delle quali è inconsapevole, e quindi meramente recet¬ tivo e
passivo, e nelle quali l’essere di esso è come assorr bito e compenetrato.
Dovecchè il soggetto umano perviene al grado più alto dell’individuazione,
perchè esso, renden¬ dosi consapevole dell’azione del principio agente della
na¬ tura, supera, ad un tempo, quell’azione medesima e le leggi ond’essa
procede, recando in atto la sua autonomia, la sua libertà, la sua personalità.
Ed intendendo i processi e le leggi della natura ed avvisandole alla luce di
una intuizione supe¬ riore, egli intende, ad un tempo, e supera i limiti
angusti della sua individualità empirica e se ne emancipa e domina le suggestioni
ingannevoli del principio d’individuazione, le sollecitazioni, cioè, dell’amor
di sè e dell’egoismo. L’uomo, che è l’essere più individuale e^ più indivi¬
duato della natura, possiede, nei suoi poteri spirituali, un principio di
universalità e di generalità ideale, come dice acconciamente lo Spir (1), in
grazia del quale l’attività sua, non che consumarsi in sè medesima, si effonde
al di fuori e rappresenta e rispecchia l’universo intiero e ne pe¬ netra i
rapporti e le ragioni secrete. L’individualità umana è, quindi, a doppia faccia
e si alterna o, meglio, si com¬ bina con la universalità più alta, ossia con la
universalità non empirica o materiale, ma ideale o rappresentativa ; (1) Loc.
cit., p. 454 e segg. 8 Digitized by L^ooQle 114 I LIMITI DEL DETERMINISMO
PSICOLOGICO ond’egli è un microcosmo, in quanto reca in sè tutto un mondo,
sebbene in maniera ideale. Di qui, appunto, ha ra¬ dice la personalità, la
quale è tutt’uno che la individualità dilatata e come diffusa e risollevata
nella rappresentazione e nella idea dell’universale : di qui Vazione etica,
che, di sua natura, è emancipazione dai limiti individuali, autonomia dalle
impulsioni inferiori della natura empirica, subordinazione all’ordine superiore
delle relazioni e delle correlazioni degli esseri tutti, estimazione, simpatia
ed amore degli altri . E questa ardua rinuncia di sè o della parte inferiore di
sè, che alla intuizione superficiale ed empirica del natu- turalismo etico
appare come un rinnegamento della indi¬ vidualità, segna anzi di essa
l’espressione più acuta e l’intonazione più alta ; perchè è l’individualità
resa consape¬ vole — da sè in sè stessa e non già per virtù di sugge¬ stioni o
di coazioni eteronome, ma in grazia dei poteri luminosi ed autonomi della
coscienza interiore — resa, dico, consapevole della sua radicale manchevolezza,
del suo pe¬ renne disagio e bisogno, del contrasto acuto e stridente tra la sua
potenza infinita e la sua attualità povera e difettosa e della necessità,
quindi, per essa, di superare sè medesima per ritrovare e reintegrare sè
medesima, recando in atto quello che essa è di già in potere ed in idea, ed
adequando sè alla sua natura, ed i suoi moti ai suoi fini ed alla sua
destinazione. Il determinismo riconduce l’ordine morale all’ordine della natura,
conformemente al suo assunto fondamentale della esplicazione dei conseguenti
per gli antecedenti e della necessità della evoluzione continua. Ma sta in
fatto che l’ordine etico è irreduttibile all’ordine fisico, ed è simbolo di
un’approssimazione e di uno sforzo dello spirito verso forme ideali di vita
superiori ad ogni esperienza delle forme e dei fenomeni inferiori della natura.
L’ordine etico è l’or¬ dine delle volontà autonome, operanti e cooperanti
secondo norme pure ed ideali dettate dalle legge del bene, volontà, Digitized
by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 115 dico, accomunate ed
affratellate da una comune aspetta¬ zione e gestazione di forme più elevate, e
più idealmente feconde, di esistenza spirituale. Un ordine, quindi, del quale
il determinismo scientifico non può rendere la ragion suffi¬ ciente, perchè i
suoi nessi intellettivi si esauriscono nel rapporto di causa ed effetto e non
attingono il dominio ideale delle finalità etiche dell’uomo, e le sue ragioni
espli¬ cative non pervengono a contenere in sè medesime le idea¬ lità del bene.
Il discernimento etico del bene e del male non ha ra¬ gione di essere in una
intuizione deterministica del mondo, la quale, esaminando il corso dei
cangiamenti secondo la ragione di causa e di effetto, nei fenomeni della natura
e nei modi della coscienza e nelle operazioni della volontà non altro ravvisa
che consecuzioni necessarie di date con¬ dizioni antecedenti o risultanze
fatali di date combinazioni di elementi. Quando il nesso di causalità sia posto
a forma intel¬ ligibile esclusiva della universalità dei fenomeni e degli atti,
le ragioni del bene non sono superiori a quelle del male, perchè le une e le
altre sono accomunate in una le¬ gittimazione ed in una valutazione unica,
quella dettata dalla legge di necessità. Il determinismo è, quindi, amorale,
ossia neutro ed indifferente al cospetto dei giudizi di pregio e delle
estimazioni pratiche della coscienza morale, giudizi od estimazioni, che esso
reputa espressioni arbitrarie di quel pregiudizio nativo, onde l’uomo pone sè a
centro e misura dell’ordine dei fenomeni ed, anziché intendere quell’ordine
nella trama delle relazioni e delle correlazioni sue con lim¬ pidezza e
trasparenza di visione serena, lo apprezza e lo giudica dal di fuori, riferendolo
e commisurandolo ai desi¬ deri suoi, ai suoi idoli del sentimento, alle sue
vedute di utilità, e chiamando bene quello che, nella serie degli acca¬
dimenti, a lui piaccia, male quello che dispiaccia o rechi nocumento. Dovecchè
la serie degli accadimenti è determi- Digitized by L^ooQle 116 I LIMITI DEL
DETERMINISMO PSICOLOGICO nata dall’ordine necessario delle cause efficienti e
non da¬ gl’ idoli del sentimento subbiettivo : e quindi le azioni degli altri
verso noi e le azioni nostre medesime sono non già da misurare in ragione di
quei giudizi di pregio, i quali si riassumono nell’astratto ideologico del
bene, ma da inten¬ dere nella connessione dei loro antecedenti e da collocare
nel sistema delle necessitazioni equivalenti di che s’intesse la trama dell’universo.
L’ordine morale esula, pertanto, dalla intuizione teore¬ tica del determinismo
; a norma del quale, tutto quello clie è, ha ragione di essere e nulla più e
nulla meno di quello che è ; e le cose e gli atti sono quello che sono, non
beni, cioè, o mali, sono.,... sè medesime, e quello che è, è, non in quanto
tendenza o fine o sforzo o conato di approssima¬ zione o ideale comechessia, ma
in quanto effetto di cause date o risultanza di date e prestabilite funzioni di
elementi o conseguente necessario di dati antecedenti. A norma del
determinismo, domina un rigido rapporto di equivalenza e di omogeneità fra i
diversi fenomeni dell’universo: onde non vi ha fenomeni superiori e fenomeni
inferiori e non è con¬ cepibile graduazione e progressione ascendente di valori
e cessa ogni ragion d’essere dei giudizi di prègio e delle va¬ lutazioni
etiche, le quali involgono gerarchia di fini, valori differenziali e
approssimazione a forme superiori di comu¬ nione spirituale. All’imperativo
etico: fà il bene, il determinismo dee voler contrapporre, se ama di essere
coerente, un’altra for¬ inola, che non ha funzione normativa ma riveste
visibil¬ mente l’aspetto di una mera riserva teoretica ritradotta nella forma
di un invito o di ufi consiglio. E la formola è questa: lasciate che le cause
producano i loro effetti ed abbando¬ natevi alla corrente dei fenomeni ;
meglio, ancora : * risalite dagli accadimenti alle loro condizioni e dagli
effetti alle cause. Ed al trar dei conti, l’espressione più recisa e più logica
del determinismo è. l’astensione da qualsiasi invito o Digitized by C.ooQle I
LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 117 ammonimento ad imprimere questa più che
quella direzione all’attività pratica, perchè non v’ha ragione di alternativa,
di discriminazione, di scelta quando la direzione di fatto delle potenze
pratiche è prestabilita dall’ordine di necessi- tazione universale e nessun
intervento attivo, meditato e riflesso della volontà è concepibile in quanto
tale, perchè l’apparente attività direttrice e creativa della volontà è una
forma ed una mediazione secreta, nella quale si dissimula ed opera quella
stessa necessitazione che si credeva doma e superata. Di guisa che ogni formola
imperativa ed ogni convincimento di poter modificare, con la propria azione, il
corso e l’indirizzo dei fenomeni è da respingere come una illusione della
coscienza : perchè quella formola e quel con¬ vincimento sono l’eco e la
ripercussione consapevole di un ordine di causazione necessaria, che, per
sottile astuzia della natura, si rappresenta alla coscienza riflessa come
ordine spontaneamente voluto e deliberato. E l’uomo, a rigore, non opera, ma è
agito dalle forze in lui operose, nè vive ma è vissuto dalla vita, salvocchè la
natura gli concede il godi¬ mento di una consapevolezza collaterale dei
fenomeni, che non egli crea o produce ma che a lui ed in lui accadono, e la
qual consapevolezza gl’ingenera l’illusione dell’attività creativa e della
libertà. Cosicché la intuizione deterministica sopprime la nozione medesima
dell’ordine morale, o tutt’al più lo lascia soprav¬ vivere nella forma
depotenziata di un ordine di valutazioni relative al benessere soggettivo
dell’uomo, o un ordine com venzionale e fattizio di norme e d’indirizzi e di
azioni sta¬ bilite dall’uomo per le contingenze pratiche della sua vita
individuale e sociale, e di poi, per processo di obliterazione psicologica
lenta ed assidua di origini così umili, isolate e divelte dai loro nessi di
relatività e dalle condizioni circo- stanziate della loro formazione e tragittate
nell’ assoluto e sollevate, per magistero d’illusione interna, a significazione
infinita* Non, quindi, un ordine di rapporti ideali forniti di Digitized by
C.ooQle 11$ I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO valore assoluto, ma un ordine
modesto di convenevolezza e di utilità attinente a quel povero atomo di vita
che, nella fenomenologia dell’universo, è l’uomo, ed il quale, fuorviato dalle
illusioni della coscienza, pone sè a centro di riferi¬ mento ed a misura del
cosmo, elevando i suoi desideri ed i suoi giudizi a sistema presunto di leggi e
d’imperativi dell’ordine morale, in contrapposizione col solo sistema di leggi
che sia concepibile e conosciuto, quand’ anche operi per mediazioni
psicologiche ed etiche ; le leggi, cioè, ed i rapporti necessari dell’ordine
fisico o del processo morfolo¬ gico della natura. Pertanto, il determinismo
scientifico, che partecipa del principio di causa, onde esclusivamente
s’informa, l’indole retrospettiva, teoretica, analitica, inattiva, si chiarisce
estra¬ neo ad ogni forma di concezione etica della vita, e finisce per
abbandonare logicamente l’assunto di una fondazione teorica della morale. Gli è
che l’intuizione deterministica del mondo è una intuizione fisica e non una
intuizione etica e l’ordine etico non può fondarsi sul principio delle cause
efficienti ma su quello delle cause finali, intimamente ope¬ rose attraverso la
mediazione delle cause efficienti medesime. Gli è che l’ordine di elevazione
gerarchica e di perfeziona¬ mento progressivo è irreduttibile all’ordine di
derivazione causale, e la capacità di cangiamento dell’azione è inintel¬
ligibile alla stregua della legge di stabilità e di conserva¬ zione. Gli è che
la libertà è una intrusa nella equazione del determinismo o un epifenomeno
collaterale delle interne ne- cessitazioni della psiche, e l’estimazione del
valor morale delle azioni un idolo della subbiettività scarso di obbiettiva
significazione. La sola filosofia che sia atta alla fondazione della mo¬ rale,
e che certo ne rimuove i precipui impedimenti frap¬ postivi dalla intuizione
deterministica del mondo, è l’idea¬ lismo indeterminista. Il quale,
sovrapponendo al processo delle cause efficienti l’ordine delle cause finali e
rilevando Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO 119 nella
serie dei fenomeni dell’universo la presenza di una ca¬ pacità nativa di
cangiamento, per la quale nessun fenomeno si contrae e si esaurisce nei limiti
della propria natura ma ciascuno tende come a risollevarsi in una natura o in
un principio superiore, costituisce il più maturo avviamento ad una intuizione
etica del mondo. E con ciò l’idealismo indeterminista pone il vero, il ne¬
cessario, il fondamentale sostegno di una filosofia della mo¬ rale. Perchè una
intuizione etica della vita, e della con¬ dotta dell’uomo non è legittima, ove
non sia predisposta e come preannunziata da una intuizione etica dell’universo.
E voglio dire una forma d’intuizione, la quale illumini il cieco, inconsapevole
processo delle cause efficienti della natura, e le avvisi come simboli e
mediazioni di una potenza consa¬ pevole che le ordina e le piega ad una
destinazione supe¬ riore alla loro esistenza fenomenale. Una forma
d’intuizione, la quale nelle forme stesse più povere della vita discerna le
tracce iniziali e come il presentimento ed il bisogno e l’aspet¬ tazione della
ricchezza e della fecondità spirituale, che riem¬ pirà di sè i domini superiori
della coscienza e dell’anima o della comunione delle anime. Una concezione
etica della condotta umana, separata ed avulsa da una intuizione etica del
mondo, contraddice alle esigenze di quel monismo idealistico, che noi a buon
diritto possiamo contrapporre al monismo meccanico, e che, solo dei sistemi
filosofici, penetra ed illumina, dall’ alto di una visione serena, la intima
parentela e comunione delle cose e dei fenomeni, in che consiste, a chi lo miri
dal di dentro, l’ordine dell’universo. Ordine ammirabile, e che si avvera per
1’ adattazione gerarchica e la sovrapposizione progressiva delle forme e non
già per rapporto di derivazione dei conseguenti dagli antecedenti, e che è il
simbolo visibile di quel processo di¬ namico, onde i principi superiori, agendo
sovra le nature inferiori, le destinano ad una efficienza più alta e sollevano
Digitized by L^ooQle 120 I LIMITI DEL DETERMINISMO PSICOLOGICO alla luce della
coscienza ed aprono ai moti della vita ciò che langue e si agita in quelle come
bisogno cieco, incon¬ sapevole, inappagato. La moralità segna 1’ espressione
più luminosa e più alta di questo processo di gestazione e di elevazione, di
questa interna capacità di cangiamento, la quale, inceppata e come soffocata
dalla legge della necessità, si dissimula e si contrae nelle forme e nei
fenomeni della natura. Ed a dirla in altri termini, la moralità è la natura,
resa consapevole di sè e dei suoi limiti e resa a se mede¬ sima ed ai suoi
limiti superiore, ed emancipata dai vincoli imposti dalla legge di
conservazione ed atta ad oltrepassare l’ambito del proprio interno equilibrio,
o dello adattamento alle proprie condizioni di esistenza, per adattarsi alle
condi¬ zioni di una esistenza superiore (1). La filosofia indeterminista, in
quanto rinviene la sua integrazione positiva in questa forma di monismo
idealistico, è prossima all’economia del mondo morale più, forse, che ogni
altra forma o direzione del pensiero contemporaneo : perchè, lungi dall’isolare
la morale dalla fenomenologia del¬ l’universo e dal concepirla come una
formazione sopravve¬ nuta o una soprastruttura umana o un epifenomeno o come un
ordine di rapporti inintelligibili nel sistema dei processi e delle leggi della
natura, riesce, invece, mirabilmente ad intenderla, a legittimarla ed a
collocarla in una intuizione universale del mondo. I limiti del determinismo
scientifico possono valere, per tal rispetto, come i necessari prolegomeni ad
ogni possibile filosofia del mondo morale. (1) Galasso. — Saggio di filosofia
morale (Napoli 1885), p. 217. Digitized by L^ooQle y. I limiti del determinismo
sociologico. Lo stato d’imperfezione in cui versa tuttora la socio¬ logia non
affida di una disamina equa dei limiti del determi¬ nismo sociologico ; e
potrebbe ingenerare l’abito di trasferire alla natura della scienza o del suo
oggetto i limiti tran¬ sitori e relativi dipendenti dalla immaturità di
sviluppo degli studi e dalle indagini attinenti ad una scienza in formazione.
Occorre in questo, come in ogni altro ordine di ricer¬ che, sceverare
rigorosamente quello che è da imputare alla scienza in sè, o all’ indole dei
teoremi che si propone di di¬ mostrare o dei problemi che mira a risolvere, da
quello che va attribuito ad una elaborazione scientifica tuttora manche¬ vole,
per la scarsità del tempo interposto tra i primi avvia¬ menti della disciplina
e le condizioni presenti della mede¬ sima. Occorre, soprattutto, esaminare meno
quello che la sociologia abbia fatto che quello che essa possa fare, date le
condizioni dell’oggetto suo e gli abiti mentali che essa reca con sè ;
apprezzando le tendenze presenti della sociolo¬ gia meno nel loro materiale
contenuto, che pel contributo che arrecano e la forma che improntano a quella
scienza della quale sono semplici abbozzi e rudimenti. Si presenta, in primo
luogo, il quesito, se e fino a che punto sia possibile lo stabilire delle vere
e proprie leggi dei fenomeni sociali, o trovare nella serie, coesistente ovvero
suc¬ cessiva, dei fenomeni o degli avvenimenti della vita collettiva quei
costanti collegamenti di cause e di effetti, di che s’in¬ tesse la trama del
determinismo scientifico. E il problema stesso dell’esistenza della sociologia
in quanto scienza (e non Digitized by Google 122 I LIMITI DEL DETERMINISMO
SOCIOLOGICO già, o non più, qual semplice storia) ; problema, che non im¬ porta
vedere se e fino a che punto si sia presentato in questa guisa ai cultori della
scienza, perchè indubbiamente va for¬ mulato cosi e non altrimenti. La
sociologia non può volersi affermare come scienza autonoma rispetto alle altre,
ed in specie rispetto all’ultima che la precede nella serie, ossia verso la
psicologia, che im¬ prontando negli oggetti o nei fenomeni, che si propone di
esplicare, una forma particolare: essa, quindi, si proporrà di determinare i
modi ed i cangiamenti che derivano dalla ope¬ razione collettiva, in quanto
tale, delle forze o delle funzioni psichiche della persona umana; di guisa che
abbia comune con la psicologia i dati elementari — ossia i fatti 1 della vita
spirituale dell’uomo — ma vi soprapponga una determinazione speciale ; ossia il
fatto stesso dell 'associazione, in cui e da cui quei dati o quelle funzioni
sono atteggiate* o modificate in una certa guisa, che differenzia nettamente la
sociologia, in quanto disamina delle leggi e dei modi della operazione col -
lettiva delle funzioni psichiche di più individui, dalla psico¬ logia, la quale
studia solo il modo di essere delle funzioni medesime nell’individuo, in quanto
tale. Posto o concepito così l’assunto di una sociologia come scienza, il
problema di un determinismo sociologico può essere f ormolato in questo modo :
l’operazione collettiva delle atti¬ vità psichiche individuali è essa limitata
o vincolata ad una forma costante fondamentale? vi ha una legge, o, meglio
ancora, un sistema di leggi, al quale possano legittimamente ricondursi, come a
loro formula, i modi ed i cangiamenti determinati, nella maniera di operare
delle attività o delle fun¬ zioni della psiche, dal fatto dell’associazione di
più persone o della comunanza di più coscienze individuali? E poiché condizione
metodica di una rigorosa induzione causale è la analisi dell’oggetto complesso
nei suoi termini semplici, ele¬ mentari, indecomponibili, si domanda ancora :
quali sono gli elementi semplici o le forme elementari del complesso feno-
Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 128 meno
dell’associazione e come, per composizione e per inte¬ grazione di questi
elementi, si ottengono le forme o i nuclei più progrediti o più evoluti della
convivenza sociale? A questo quesito non può rispondersi con una negazione
assoluta, o rievocando i vecchi abiti mentali che separavano assolutamente la
coscienza dalla natura e la storia dalla scienza, concependo la prima come
iWominio dell’ individuale, dell’eterogeneo, dell’arbitrario e la seconda come
l’espressione del tipico, dell’omogeneo e del necessario. Ma è certo, in pari
tempo, che e nell’indole stessa dei dati della sociologia — le funzioni
psichiche dei soggetti ossia degl’individui — e nell’oggetto formale della
scienza medesima — i modi e le forme che nascpno o si generano pel fatto della
convivenza — sono poste le basi di una indeterminazione scientifica radicale e
non scevra, del resto, di profonda significazione. I dati della sociologia, i
quali, quando sieno risoluti nei loro elementi semplici, si rivelano gli stessi
in fondo, checché si dica in contrario, che quelli della psicologia, sono, di
loro natura, irreduttibili a determinismo scientifico : nè la psico¬ logia può
dirsi abbia compiuto il laborioso ed arduo processo dalla fase descrittiva e
fenomenologica a quella esplicativa e genetica, nè essa ci porge leggi vere e
proprie delle for¬ mazioni superiori e più elevate di quella che il Vico chiamò
la metafisica della mente umana e sulla quale procede la storia delle umane
cose ed idee. L’insuccesso degli eleganti tenta¬ tivi fatti dal Tarde, sulle
vie di un determinismo psicologico della sociologia, può valere come una
riprova di ciò. H. so¬ ciologo francese ferma il suo esame sovra la forma della
sociologia — ossia sovra i modi ed i fenomeni dell’ imitazione che si generano
pel fatto della convivenza — e, quanto poi ai dati della sociologia, il suo pensiero
oscilla tra il mito e lo schema dell’ invenzione — che, posto che voglia
significare alcunché di preciso, non può voler esprimere altro che il nuovo,
l’individuale, l’eterogeneo, e, quindi, il non-legifera- bile — ed una logica
sociale, la quale non è che il trasferi- Digitized by L^ooQle 124 I LIMITI DEL
DETERMINISMO SOCIOLOGICO mento puro e semplice, delle forme e delle .categorie
dello intendimento, accertate per l’individuo umano in quanto tale,
all’associazione di più individui e di più menti individuali, una projezione
dell’ ideologia nella sociologia. I dati elementari della psicologia e della
sociologia sono i fatti ed i cangia¬ menti e le formazioni e le sintesi
dell’attività psichica ; fatti, che sono successi ed accadimenti, non oggetti,
non, quindi, dati immobili o unità e quantità fisse, ma forme che diven¬ gono,
condizioni variabili, relative ed attuali, esplicabili ed intelligibili in
rapporto al loro momento individuale. e non riferibili a quantità fissa o
formula di leggi costanti. Nè questi stati psichici sono alcunché di rigido o
d’inerte o dei valori assoluti; ma ricevono il loro significato e, quasi direi,
la loro colorazione dal rapporto in cui stanno tra loro e con l’unità della
coscienza; onde sono, a rigore, irreduttibili a quella forma di connessione
scientifica, esplicativa ed ana¬ litica, la quale si esercita sovra dati
elementari, semplici, so¬ stantivi, indecomponibili, assoluti, quasi unità
equivalenti dell’ inerzia o atomi omogenei della materia. La penetrazione, lo
scambio, l’interferenza e la solidarietà degli-stati psichici non è riducibile
allo schematismo unilineàre della causalità, ed oppone al determinismo
scientìfico la doppia, resistenza della complessità e della indeterminazione
iniziale dei dati e dell’accrescimento e della complicazione progressiva delle
ri¬ sultanze finali della loro composizione. I prodotti complessi della
coscienza individuale e sociale non sono intelligibili per integrazione dei
presunti elementi semplici, perchè il nuovo ed il caratteristico-dei processi
psi¬ chici e dei processi storici consiste meno negli elementi che nel modo
della loro combinazione. Nè gli elementi sono quan¬ tità costanti o dati
equivalenti, nè vi è reciprocità di sin¬ tesi e di analisi; chè anzi la sintesi
psichica, che di sua na¬ tura è sintesi creatrice, li modifica e li complica in
ciascun ciclo della vita psichica, in ciascuna combinazione successiva dei-dati
elementari dello spirito. E proprio della sintesi psi- Digitizec . C.ooQle I
LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 125 chica creatrice, come ha illustrato il
"Wundt, recare non solo una nuova composizione degli elementi, ma, pel
fatto e col fatto di ogni nuova composizione, reagire sulla natura degli stessi
elementi, imprimendovi sostanziali modificazioni, di guisa che sia in continuo
cangiamento, non che i processi della composizione, anche l’indole iniziale dei
componenti. I quali, di' conseguenza, negli istanti successivi della vita
psichica nqn si serbano i medesimi, ma si vanno progressi¬ vamente complicando
ed arricchendo per l’azione che vi spiega e le determinazioni che v’-imprime
quel processo di esperimentazione, di educazione e di accrescimento che è,
propriamente parlando, la vita della coscienza. Questo feno- * meno non è che
una espressione nuova di quel processo di fluidità e di penetrazione reciproca,
onde gli stati psichici particolari si compenetrano e concrescono nell’unità
funzio¬ nale, intimamente operosa, della coscienza ; il qual processo di
compenetrazione di ogni singolo momento nel principio fondamentale
dell’attività psicologica ha effetto di modificare il mortiento medesimo,
sovrapponendovi determinazioni che non sono deducibili dalla natura difesso, ma
che si vanno generando pei suoi rapporti di dipendenza, di solidarietà e di
scambio con gli altri elementi e col comune sostrato di¬ namico onde tutti si
avvivano. Ora non è chi non vegga come questa complicazione progressiva, *
prodotta dalla penetrazione reciproca e dall’ in¬ terferenza dei fattori, dalla
reazione degli atti alla sponta¬ neità che li ha generati e dalla sproporzione
tra i dati sin¬ goli e le risultanze della loro variata composizione, imprima
ai processi ed ai fenomeni della coscienza, così .nella loro maniera di
operazione individuale, come, ed anche più, nella loro forma di operazione
collettiva, un carattere di mutabi¬ lità; di eterogeneità e d’indeterminazione
radicale, che frap¬ pongono un impedimento non superabile ai tentativi ed agli
assaggi di un vero e rigoroso determinismo psicologico, non che sociologico.
Digitized by C.ooQle 126 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO Che se poi
dall’esame dei dati della sociologia, che sono, ripeto, tutt’uno con quelli
della psicologia così latamente intesa, si procede a quello della forma o
dell’oggetto formale, ossia all’efficienza del fatto dell’associazione e dèlia
convivenza in quanto tale, l’indeterminazione, più che scemare, si accresce,
L’azione specifica del fenomeno della convivenza, o che si esamini in rapporto
allo spazio, ovvero alle relazioni di coe¬ sistenza degl’individui in un
aggregato o di più aggregati simultanei fra di loro, o che si esamini in
rapporto al tempo, ovvero alla relazione di successione e di solidarietà
rispettiva delle generazioni le une verso le altre, reca l’impronta di una
cosiffatta complicazione e rimescolamento ed intreccio di fattori che scarso
margine si porge alla determinazione scientifica dei mòdi e delle leggi, per le
quali o attraverso le quali quell’azione procede. La comunione di vita delle
attività individuali — ossia l’associazione — non è assimilabile, pei suoi modi
o processi di composizione, agli aggregati materiali. La sintesi sociale non è
combinazione ed integrazione mera e semplice degli elementi individuali, in
rapporto, quindi, di equivalenza e di commensurabilità con l’addizione numerica
4 0 gli elementi medesimi. La sintesi sociale è, anzi, una forma della sintesi
creatrice, un fatto, quindi, o un’efficienza nuova, che supera di eccesso
infinito, in ragione di qualità, la moltitudine degli elementi di sua
composizione. La società non è una somma, ma una moltiplicazione ed un
accrescimento dinamico delle unità individuali: tale, anzi, è o vorrebbe essere
la funzione specifica di essa e quella che differenzia la società, in quanto
organismo psicologico e morale, dalle forme inferiori del meccanismo. Nei
fenomeni di ripercussione e di solidarietà, i quali han luogo nello spazio
sociale, non vi ha già un fatto di tras¬ missione pura e semplice di energia,
ma una sì complicata ed intricata rete di azioni e reazioni e di modificazioni
e di rimbalzi e d’interferenze, che addiventa un’impresa impos- Digitized by
L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 127 sibile lo sceverare,
l’individuare il termine iniziale, il dato o il fatto elementare, ovvero
l’equivalente del movimento psichico originario — per dirla così — del quale si
opera la trasmissione. Il Tarde, sempre sulla via di quel suo deter¬ minismo
psico-sociologico, ha ravvisato ed individuato il fatto sociale elementare o,
che è lo stesso, il carattere differenziale della convivenza nel fenomeno dell’
imitazione. Come la mec¬ canica non insegue l’origine assoluta del movimento,
la quale si perde nell’infinito della serie causale, ma bensì studia i fenomeni
della trasmissione e della comunicazione del movi¬ mento fra le masse e le
molecole corporee, così la sociologia non studierà la genesi o la natura
originaria degli stati di coscienza individuale, i quali operano e cooperano
nella co¬ munione di vita sociale, ma il fatto stesso della modifica¬ zione di
uno o più stati di coscienza individuale per l’azione o la suggestione
psicologica, esercitata dagli altri stati di coscienza coesistenti. Il fatto
sociale è il fatto della irradia¬ zione, della trasmissione, della
comunicazione e del contagio degli stati di coscienza; la meccanica
degl’influssi spirituali; l’imitazione. Se non che questa, che appare come una
soluzione del problema, non è poi altro che una nuova formulazione del problema
medesimo, la quale non ha che il merito discuti¬ bile di approssimare il fatto
della socialità al fatto della trasmissione del movimento e di ricondurre la
complessa fe¬ nomenologia psicosociale ad una categoria o ad uno schema
meccanico, alla imitazione, la quale, esaminata a fondo, ap¬ pare come il
correlativo psicologico dell’ inerzia e della legge di conservazione. Il
determinismo sociologico, del resto, domanda la rigorosa determinazione
scientifica dei modi e dei processi costanti di codesta imitazione, domanda,
cioè, che la comunicazione ed il ricambio degli stali di coscienza indi¬
viduale nel mezzo sociale sia ricondotta a sistema ed a for¬ inola di leggi
definite. Ora 1 'imitazione non è da ciò o, per dir meglio, è troppo elevata
cosa e troppo complessa perchè gitized by L^ooQle 128 I LIMITI DEL DETERMINISMO
SOCIOLOGICO si pieghi a ciò : perchè essa non è fenomeno assimilabile alla
trasmissione del movimento meccanico, nè è formola o sim¬ bolo discutibile di
mera ripetizione, nè procede per via e direzione unilineare e schematica, ma
rappresenta, anzi, e riassume e contrae e simboleggia una serie complicatissima
d’influssi e di suggestioni e di coazioni psichiche, la cui effi¬ cienza non è
misurata dalla energia dell’impulso iniziale, ma dagli attriti e dalle
resistenze del mezzo, ossia dal complesso dei poteri di recettività, di
rappresentazione e di reazione del soggetto, al quale quegl’impulsi si dirigono
e si comu¬ nicano e sul quale essi operano. E la verità è che la così detta
imitazione contrappone al determinismo sociologico rigorosamente inteso un
doppio coefficiente d’indeterminazione o, se si vuole, d’indetermi¬ nabilità:
l’uno che nasce dalla eterogeneità, dalla spontaneità e dalla individualità
nativa dei soggetti ai quali o fra i quali si trasmette, l’altro che consegue
dai nuovi cangiamenti o dai nuovi spostamenti di composizione o di risultanza
che sono consecutivi al fatto della trasmissione medesima. Vano e fallace e
dettato da un’applicazione arbitraria ed inconsulta degli schemi del
determinismo meccanico è lo assunto del- l’assimilare il sistema di
penetrazione e di scambio degli stati di coscienza, nel mezzo sociale, al fatto
della comuni¬ cazione del movimento tra le molecole materiali: perchè gli
individui umani sono soggetti autonomi e coscienze e per¬ sone, e non già masse
inerti o pure mediazioni recettive di un movimento impresso. E queste cose sono
anche più agevoli ad intendere, quando dall’esame della trasmissione
psicologica e sociale nello spazio si proceda all’esame della trasmissione nel
tempo : la quale non è formola o tipo di eredità meramente conser¬ vativa, ma si
porge, ad un tempo, come continuità ed accre¬ scimento e come accumulamento
progressivo e moltiplicazione e capitalizzazione di esperienze, di strumenti
del vivere ar¬ tificiale, di prodotti di svariata natura e così via. Come
Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 129 nessun atto o
dato psichico elementare, così nessuna gene¬ razione nel tempo è il termine
fisso o la quantità costante di una serie unilineare : la generazione, anzi,
dell’oggi, è ricca del residuo e del deposito legato da quella dell’ ieri,
onde, non che l’una essere equivalente all’altra, come categorie omogenee della
natura, esse sono differenziate, eterogenee ed incommensurabili, come forme
divenienti e progressive della cultura e della storia. L’imitazione sociologica
nel tempo, o l’eredità sociologica non è formola di sola conser¬ vazione, ma
sintesi della conservazione e del cangiamento: e questo coefficiente del
cangiamento importa una serie ricca e variata di nuove determinazioni
sociologiche, le quali sono tanto meno determinabili # e riducibili a schema di
scienza, quanto più spiegano azione determinante sui processi della società e
dell’incivilimento. Non potendo trovare stabile e rigoroso assetto di scienza
nella determinazione del suo contenuto o in quella del suo oggetto formale,
potrebbe la sociologia cercare l’estremo soc¬ corso in una specie di
rinnovellamento delle escogitazioni di filosofia della storia, cioè a dire
nella nozione di un pro¬ gresso evolutivo e continuo, riducibile a formula di
legge, delle forme della cooperazione sociale. Essa, cioè, potrebbe costruire,
grazie agli ausili della preistoria, un tipo amorfo e rudimentale di
aggruppamento sociale e di qui, per via di un determinismo interno, esplicare e
differenziare, in serie lineare, processuale e schematica, le forme progredite
ed evolute dell’associazione. Come la massa per l’atomo, come l’organismo per
la cellula, così il determinismo scientifico saggerà di esplicare la
cooperazione sociale pel dato-limite di essa, per il suo infinitesimo, per la
cellula sociale origi-. naria, per il gruppo sociale elementare. Se non che
questo nuovo sforzo di approssimazione della storia alla scienza è fallace non
meno degli altri con¬ simili. Il problema di un tipo sociale elementare e
primi- 9 Digitized by C.ooQle 180 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO genio
non è anco risoluto: e la sociologia (chi guardi non alle costruzioni temerarie
ed unitarie, ma alle rivelazioni cir¬ costanziate, variate ed eterogenee della
esperienza storica) oscilla indecisa fra le due soluzioni differenti, quella,
che si direbbe ortodossa, della famiglia patriarcale, e quell’altra, che si
direbbe eterodossa e che forma l’opinione dei più, della priorità dell’orda
comunistica. Le direzioni più in voga della sociologia contemporanea pongono a
termine iniziale dello sviluppo sociale l’orda comunistica, argomentando
dall’osser¬ vazione diretta della tribù australiana e dell’orda irocchese: ì ma
non è conforme ai processi dell’induzione scientifica ri¬ tradurre, in
categorie di leggi costanti, particolari e limitate esperienze di fatto,
conferendo ad esse una significazione ti¬ pica che è presuntiva ed arbitraria,
nè è lecito procedere dall’osservazione di dati particolari nello spazio alla
inven¬ zione di uno schema universale di processo nel tempo. E del resto è da
notare che la maniera onde, in ipotesi, dal tipo sociale originario si verrebbe
differenziando la com¬ plessa e distinta fenomenologia sociale, rappresenta
un’antitesi recisa della maiera onde il determinismo scientifico si raffi¬ gura
che avvenga la composizione degli aggregati materiali dalla unione degli
elementi componenti. In vero, dall’orda comunistica primitiva lo sviluppo
sociale procede non per integrazione, ma per processo di differenziazione
psicologica ed economica, e per via di divisioni e lotte di classe e per
specificazione delle funzioni e per instabili equilibri di gruppi e di nuclei
antagonistici e per consecutive adattazioni, più coatte che spontanee, dei
gruppi medesimi. Nè l’ulteriore processo e sviluppo della società e
dell’incivilimento può concepirsi come preformato nella cellula sociale
originaria, salvo che si voglia poco saviamente rievocare direzioni ormai
superate dalla ideologia applicata alla storia o solidificare in categorie
assolute di sviluppo dialettico i processi cir¬ costanziati e condizionati
della storia. Inintelligibile, del resto, è l’assunto medesimo di un tipo
Digitized by L^ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 131 sociale
elementare, che valga o possa valere come elemento integrante o unità
generativa ideale della società in quanto tale; perchè ogni gruppo sociale, per
quanto si voglia pri¬ mitivo, rudimentale ed amorfo, è sempre un aggregato com¬
plesso di relazioni del vivere ed un processo complicato di coordinazione e di
subordinazione degl’individui, ed, in¬ somma, una forma di società per se
stante e condizionata in una data maniera, che vale a sè e non può essere ele¬
vata a misura o a tipo di altre possibili o escogitabili forme di associazione,
e, meno che mai, può essere distratta od astratta dalle relazioni e dalle
condizioni sue e rappresentata come un dato o un elemento o un principio
generativo ed esplicativo della società e dello sviluppo sociale. Le forme del
processo umano e sociale sono sempre, checche si dica, individuali e non
tipiche: e può dirsi, in via di massima, che la serie progressiva delle forme
dell’essere, in quanto è procedere crescente d’individuazione, scema sempre più
il margine di applicazione dei metodi d’induzione diretta; che ai dati singoli
ed individuali (per quanto nume¬ rosi) dell’osservazione vorrebbero conferire
una significazione tipica ed universale. Se la natura, osserva il Riimelin, è
il mondo delle unità tipiche, la società e la storia è il mondo delle unità
individuali (1) : onde segue, appunto, la impossibitità di ricondurre i
processi sociali a formule di leggi rigorose e la necessità di sopperire al
difetto dell’induzione diretta con gli espedienti della osservazione metodica
di massa, sulla quale si poggia il metodo statistico; con che si riesce ad
illazioni di genere tipico, sulla via di una compensazione e di una elisione
delle differenze individuali nella gran massa dei fenonemi equivalenti
enumerati. Ciò, per altro, se giova come avviamento alla ricerca di leggi così
dette empiriche o di fenonemi più generali dello sviluppo sociale, non riesce
(1) Sul concetto di una legge sociale, nell’opera. — Reden und Aufsàtze —
Tùbingen 1875. Digitizecl by CjOCK^Ic 132 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO
tuttavia alla fondazione di un vero e rigoroso determinismo sociologico: perchè
le leggi empiriche accertate e formolate dalla statistica, per il fatto stesso
che sono dei simboli, delle medie e dei prodotti di compensazione, non
penetrano l’in¬ timo tessuto dei fenomeni sociali, ma solo ne limitano e ne
circoscrivono (come si è detto altrove della simbolica ato¬ mistica) le
prominenze più visibili, più comuni, più superfi¬ ciali e, quindi, le
condizioni ed i fattori meno efficienti e meno determinanti dello sviluppo
sociale e dell’incivilimento. Ricorre qui quel fatto o quel rapporto illustrato
altra volta e che riassume in sè tutta una critica del determinismo: il fatto e
il rapporto, per cui il determinismo scientifico si viene sempre più estenuando
ed impoverendo di contenuto, quanto più si va innanzi nella serie progressiva
dei feno¬ meni che esso presume di allivellare nel pressoio dei suoi schemi, e
per cui è lecito conchiudere che i soli fattori e le sole condizioni
determinabili sono quelli, ad un tempo, che determinano meno o penetrano meno
profondamente nelle radici e nella sostanza del reale. Queste gravi difficoltà,
che si frappongono all’assunto di un determinismo sociologico rigorosamente
inteso, giovano a spiegare come e perchè la sociologia contemporanea si di¬
batta fra direzioni incerte e mal definite, e come, anziché affrontare
direttamente il problema della sua esistenza auto¬ noma in quanto scienza, essa
abbia preferito di fondare il suo mobile contenuto sovra un mero processo di
deduzione^ da altri ordini di scienza. Un esempio del genere, ed il più noto, è
quello fornito dal determinismo biologico della sociologia, che non è poi altro
che l’estensione analogica, al gruppo sociale, delle ca¬ tegorie e delle leggi
accertate dall’anatomia e dalla fisiologia individuale. E la sociologia
spremuta dalla biologia, confor¬ memente, del resto, ai processi deduttivi ed
analitici del de¬ terminismo scientifico. Il quale, come esamina il cangiamento
e l’azione fisica in funzione dell’equivalente meccanico, e la Digitized by Ci<
. Qle r LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 133 vita ed i fenomeni vitali in
funzione dell’equivalente fisico- chimico, cosi mira a studiare i fenomenti
della psicologia e della sociologia in funzione degli equivalenti biologici.
Questo modo di esplicazione scientifica del fatto sociale è, tuttavia, oggetto
di critica interna nelle stesse direzioni della sociologia contemporanea, le
quali si avviano a supe¬ rarlo. Anzitutto la sociologia a tipo biologico è
incerta e mal . definita in sè stessa, e la riduzione del gruppo sociale al¬
l’organismo biologico oscilla tra due maniere diverse di con¬ cepimento: l’una,
per cui la biologia è assunta come mero principio regolativo, l’altra per cui
essa assurge all’onore di principio costitutivo della sociologia; l’una, insomma,
per cui l’inferenza dalla biologia alla sociologia ha indole di mero abito di
formale analogia, l’altra per cui essa è il simbolo o la formola di una
presunta unità e coincidenza sostanziale di rapporti e di leggi. E poi è da
notare che, non già per le vie del determinismo biologico si perviene a
costruire la sociologia come scienza autonoma ed a fermarne e sotto¬ porne ad
analisi i caratteri differenziali. E sebbene la più gran parte dei cultori di
sociologia sia educata, oggi, ad una intuizione monistica del mondo, e, come
tale, si rifiuti d’in¬ terporre una vera e propria soluzione di continuità fra
le serie distinte, o meglio diverse; dei cangiamenti, pure essa sente vivamente
il bisogno di venire individuando e diffe¬ renziando, sul fondo della continuità
universale, le forme differenti del processo cosmico e, nella specie, le forme
dello sviluppo sociale. Il determinismo biologico del fatto sociale non attinge
l’oggetto o il -contenuto della sociologia, ma solo lo limita o lo circoscrive
da uno dei lati, e presenta una doppia la¬ cuna, l’una che deriva dall’aver
fermato un solo aspetto della fenomenologia sociale, come sollevandolo ad
equiva¬ lente tipico ed ideologico di tutto il resto, l’altra, che deriva da
ciò che quell’aspetto particolare è il meno determinante, sebbene sia il più
determinabile,, della, fenomenologia sociale Digitized by L^ooQle 134 I LIMITI
DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO medesima. Indubbiamente il fatto biologico è il
sottosuolo della sociologia, ma non ne è però, a rigore, l’oggetto ; esso segna
la condizione preliminare ed è come il di là del fatto sociale, ma il fatto
sociale è un fatto nuovo ed una produ¬ zione autonoma, grazie, appunto, alle
determinazioni originali che sovrappone al fatto biologico, dal quale si differenzia
ed emerge. Accomunare l’uno con l’altro nel concepimento e nell’esplicazione
scientifica è venir meno al precipuo assunto della sociologia: la
differenziazione del fatto sociale dagli altri gruppi di fatti e la
investigazione deì^suoi specifici nessi, rapporti ed atteggiamenti. La
progressione cosmica è gra¬ duazione ascendente di autonomie, non collocazione
simme¬ trica di equivalenze. Il fatto sociale è una sintesi originale, ed un
processo di nuova formazione, esplicabile, quindi,.per via d’intuizione e di
esperienza o di osservazione diretta, non per deduzione analitica o
argomentazione analogica dai fenomeni o dal gruppo dei fenomeni antecedenti.
Più conforme alle esigenze della sociologia è quell’altra serie di dottrine,
che pongono a ragione esplicativa della fenomenologia sociale momenti o fattori
sociali essi mede¬ simi, e danno luogo, conseguentemente, ad una forma di de¬
terminismo sociologico interno, più fine, senza dubbio, e men vuoto di quel
determinismo sociologico esteriore, che si poggia sovra gli arbitrari' processi
della deduzione interscientifica. Perdura, per altro, anche in queste dottrine
il grave equi¬ voco onde un dato momento ed un dato fattore della fe¬
nomenologia sociale viene sollevato ad una significazione tipica ed universale,
che in nessun modo gli conviene : equi¬ voco, a sua volta, il quale corrisponde
egregiamente ai modi dell’esplicazione analitica ed agli schemi del
determinismo meccanico. Ed, in vero, questo determinismo psicologico interno
non è che una delle forme o delle espressioni di quel processo analitico, che
individua nel tutto o nell’aggregato, complesso Digitized by L^ooQle I LIMITI
DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO 135 le parti presunte elementari o componenti e di
poi quelle parti medesime solleva ad elementi generatori del tutto. La sola
differenza che vi sia, nella specie, fra il determinismo meccanico ed il
determinismo sociologico, è dovuta alla di¬ versità degli oggetti rispettivi,
e, com’era da prevedere, ri- àolvesi tutta a detrimento del determinismo sociologico.
L’ana¬ lisi esplicativa del determinismo meccanico è legittima, perchè gli
aggregati materiali risultano dalla composizione di unità elementari omogenee,
ciascuna delle quali è, perciò, l’equi¬ valente tipico di tutte le altre e
l’elemento integrante del- l’intiero. Laddove l’analisi esplicativa del
determinismo so¬ ciologico è illegittima ed arbitraria, perchè il fatto sociale
non è la risultanza della combinazione di elementi omogenei ed equivalenti, ma
la sintesi di fattori e di condizioni di variata natura ed efficienza ed
individuali, irreduttibili ed eterogenei. Sul fondo della eterogeneità
irreduttibile delle condizioni e delle determinazioni sociali il determinismo
so¬ ciologico discerne o individua un solo fattore o una sola con¬ dizione determinante,
e quella condizione e quel fattore, che, di sua natura, è individuale ed
eterogeneo e, di regola, quindi, non può significare nè può valere altro che
.... sè medesimo, solleva ad equivalente ideologico ed a criterio e misura
unica ed esclusiva del complesso di tutti gli altri fatti sociali. Pro¬ cesso
meramente analitico, e che, al trar dei conti, si risolve in una petizione di
principio mal dissimulata ; perchè il so¬ ciologo, in tal caso, non conosce, e,
sarei per dire, non ri¬ conosce che solo quel fattore e solo quella condizione
che ha fermato di preferenza, ed interpetra tutto il resto solo in funzione di
quella condizione e di quel fattore ; e ciò fa ar¬ bitrariamente, perchè tutto
il resto è irreduttibile a quello schema ideologico che gli si vuole
sovrapporre, ed in defi¬ nitiva, quando egli credea di aver attinto una
conoscenza nuova, dee confessare che si versa nell’ idem per idem, senza
tracciare un solo passo innanzi sulla via del conoscimento che è sintetica e
progressiva. Digitized by L^ooQle 136 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO La
forma attuale di codesto determinismo sociologico interno è quella che, per vie
alquanto differenti e con varia finezza d’intuizione ed accorgimento di metodo,
è enunciata ed abbozzata oggi, per un verso, dal determinismo economico
strettamente detto e, per un altro, dalla concezione materia¬ listica della
storia. Le due dottrine hanno comune l’assunto fondamentale: quello di
esplicare la serie dei fenomeni sociali e dei pro¬ dotti superiori della storia
e della ideologia umana per la causalità dei determinanti e dei fattori
economici (trovati della tecnica produttiva, differenziazione del lavoro e
delle classi e così ^ via). E traducono entrambe, nell’ambito della sociologia,
gli schemi del determinismo meccanico, in quanto pongono a ragione esplicativa
della società e della storia il dato più elementare, più determinabile, più
estensivo e, ad un tempo, più misurabile che vi sia nella serie dei fattori ò
dei momenti sociali, il dato o il momento economico. Le condizioni economiche
sono, in fondo, l’equivalente materiale e meccanico del determinismo sociale, e
l’economia è il solo dei fattori o dei fenomeni sociali che sia riducibile ai
pro¬ cessi quantitativi ed alle leggi del numero e della misura ; il solo,
forse, che possa dirsi obbiettivo od estensivo, nel senso specifico che questi
termini hanno a norma del determinismo scientifico, il solo che possa valere
come presupposto origi¬ nario, elementare, immanente di ogni altra
sopravveniente formazione sociale. Per altro, non ostante l’unità e la
comunanza dell’as¬ sunto, v’ha una certa differenza tra l’una e l’altra
dottrina, pel modo e la forma onde ciascuna delle due concepisce il nesso di
causalità interposto fra i determinanti economici e le determinazioni sociali.
Il determinismo economico strettamente detto pone fra l’un termine e l’altro
una relazione estrinseca, accidentale, sovrappositizia, quasi rapporto
meccanico di accostamento e di accessione arbitraria e macchinale; il
materialismo storico, Digitized by C.ooQle I LIMITI DEL DETERMINISMO
SOCIOLOGICO 137 una connessione intrinseca, genetica, dialettica. Il determi¬
nismo economico concepisce le formazioni superiori delta storia come meri
epifenomeni delle condizioni e dei feno¬ meni dell’economia. Il materialismo
storico le concepisce, in¬ vece, come prodotti necessari, per la mediazione dei
quali si rende di fatto operosa la causalità dei determinanti eco¬ nomici. Il
determinismo economico procede da una interpe- trazione schematica della causalità,
come puro simbolo di identità e di ripetizione; il materialismo storico è il
fine di¬ stillato della causalità dialettica e della filosofìa del divenire. Il
determinismo economico pone tra le condizioni determi¬ nanti e le
determinazioni sociali un nesso di derivazione im¬ mediata, diretta, semplice
o, a dir meglio, semplicistica; il materialismo storico ricostruisce o indovina
quel lungo e sot¬ tile processo di mediazione e d’interposizione, per cui i
pro¬ dotti sociali si rendono progressivamente autonomi ed emer¬ gono dai
fattori determinanti, obliterandone, modificandone e complicandone l’originaria
efficienza. Ed il materialismo storico, che deriva la sua genesi dot¬ trinale
non dalle direzioni della sociologia contemporanea, ma dalla intuizione filosofica
del divenire, segna, senza dubbio, oggi il saggio più maturo di una
esplicazione scientifica dei fatti sociali. Se non che il suo valore, che è
notevole ove lo si mi¬ suri alla stregua relativa e comparativa della
sociologia del¬ l’oggi, appare abbastanza problematico, ove lo si esamini alla
stregua delle esigenze immanenti della sociologia. Forma uh tima e radicale di
una concezione meccanica delle idee e delle cose umane, il materialismo storico
scema e sfigura i prodotti superiori della storia e della ideologia, per
volerli apprezzare ed interpetrare... in funzione degli equivalenti economici.
Esso non penetra l’intimo tessuto della fenomenologia sociale, ma solo ne
circoscrive una delle condizioni: alla quale si avvisa di conferire una significazione
ed una oggettività di gran lunga superiore a quella che legittimamente le
appartiene, Digitized by C.oóQle 138 . I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO H
sottile processo delle mediazioni interposte tra le condi¬ zioni determinanti e
le determinazioni sociali è uno spediente più sofìstico che dialettico, per
avvicinare infinitamente i dis¬ continui dello sviluppo sociale e per colmare
artificiosamente le lacune che s’interpongono tra il fatto economico e le sue
presunte derivazioni ideologiche. L’individualità, l’originalità, l’autonomia
nativa delle formazioni superiori della storia e della ideologia si sottrae a
codesti schemi arbitrari di ridu¬ zione e di semplificazione riduttiva. La
fenomenologia so¬ ciale non è conoscibile, nella sua integrità e nella sua tra¬
sparenza obbiettiva, che per intuizione diretta dei suoi modi e delle sue
forme, e senza abito di arbitrarie e schematiche generalizzazioni che menino
difilato al semplicismo. Certo, tra le leggi ed i principi dei diversi ordini
di cangiamenti v’ha penetrazione e solidarietà: ed un aspetto di vero v’ha,
quindi, in ogni dottrina che dichiari un dato ordine di fatti inesplorati con
le leggi di un altro ordine già noto. Ma è da notare che la penetrazione delle
leggi e dei principi, che presiedono come idee direttive ai diversi gruppi di
fatti, procede dall’alto in basso e non dabbasso in alto. E la ideologia è più
propria a dichiarare gli svi¬ luppi dell’economia che non questa a contenere le
forme di quella. Una economia separata dalla ideologia e posta, quel che è più,
a principio della medesima, è inconcepibile : salvo che la natura complessa del
fatto sociale e il consensus e la causalità reciproca dei suoi modi si voglia
ridurre e sem¬ plificare nello schematismo unilineare della causalità logica e
formale. La quale distingue, divide ed enumera i termini connessi di un
rapporto organico e li contrappone pèr esi¬ genze di analisi e dipoi
trasferisce alla realità obbiettiva queste astratte distinzioni ideologiche,
dovute ai processi imperfetti del nostro intendimento. Vero è che la nostra
mente procede per notomia delle cose reali; ma vero è, ad un tempo, che ogni
fatto è una sintesi vivente, la quale si convelle nel pressoio dell’analisi,
Digitized by LjOOQ 139 I LIMITI DEL DETERMINISMO SOCIOLOGICO non le si piega ed
arrende. Occorre quella sintesi ripercor¬ rerla e come riviverla nell’
intelletto ; il che è possibile solo a patto che gli elementi ed i frammenti di
essa siano prima esaminati con serenità di visione nella originalità loro, e
di¬ poi concorrano tutti, secondo la gerarchia dei valori rispet¬ tivi, a
reintegrare rimugino dell’interno. La storia non è il processo -dalla rude
economia alle superiori forme ideologiche, ma l’elevazione ed il perfezio¬
namento delle condizioni economiche sotto l’azione ed il ci¬ mento
dell’ideologia. Certo l’azione dei principi superiori sulle forme infe¬ riori
non è possibile, ove non si ponga una capacità nativa di cangiamento*e di
elevazione nelle forme inferiori mede¬ sime. Ma questo principio, non che
involgere la condanna del nostro assunto, è una evidente riprova che il
determi¬ nismo scientifico inverte l’ordine di progressione dei reali.*
Impresso di subbiettivismo empirico non ancora esperimen- tato dalle punture
della critica, il determinismo ritraduce, nelle sue notazioni e nelle* sue
classificazioni, i suggerimenti ingannevoli della rappresentazione fenomenica.
E così oblia che quello che è primo rispetto a noi è ultimo rispetto alla
natura, ^e quello che appare ultimo nell’ordine di consecu¬ zione è primo
nell’ordine di generazione. ^Non l’ideologia emerge dall’economia (salto
mortale o .miracolo della natura, che si risolve in una aperta smentita del
principio di ragione sufficiente), ma l’ideologia, scaturita da ben altra fonte
ed alimentata da ben altri motivi, solleva •l’economia a forme superiori di
adattamento: Digitized by Google CONCLUSIONE. Adunque il determinismo
-scientifico, saggiato alla stre¬ gua obbiettiva e comparativa dei diversi e
progressivi or¬ dini •dell’esperienza, denuncia alla critica le* imperfezioni
ed i limiti che, in ragione, crescente, ne circoscrivono ed atte¬ nuano
l’oggettività e ne scemano il valore. • Forinola propria ed adeguata
dell’ordine astratto delle relazioni quantitative e -delle funzioni omogenee ed
equiva¬ lenti, esso si chiarisce inidoneo a rendere la ragione suffi¬ ciente
del divenire reale, che . è processo di specificazione e qualificazione
progressiva ed e graduazione gerarchica di ge¬ nerazioni eterogenee. Poggiato
sovra una interpetrazione rigidamente analitica del principio di causa, esso
non" attirfge nè penetra le ragioni del processo cosmico, che è sintesi e
gestazione e sovrapposizione di forme, sollecitate da* una energia operosa che
le destila a superiori adattamenti. Il monismo meccanico, che è il residuo
dogmatico del determinismo scientifico, sopprime la ragione ascendente e
progressiva delle esistenze, delle forme e dei valori e scema* e mùtila le
determinazioni superiori della vita, del pensiero e‘ della storia. H processo
cosmico è sintetico e non analitico, è crea¬ tivo più che conservativo : ed è
progressione di autonomie, non riducibili ad integrazioni di elementi
antecedenti. Nes¬ suno degli ordini delle esistenze è esplicabile per le leggi
dell’ordine che lo* precede ; ma ciascuno per la legge propria, Digitizec * /
U.ooQle CONCLUSIONE 141 che è espressione di un nuovo e superiore principio di
vita. Che se ciascun ordine tende come a superare i limiti del proprio
equilibrio, quasi presago di nuove maniere di esi¬ stenza, ciò è simbolo non di
regresso al determinismo degli* antecedenti, - ma di progrèsso verso forme più
elevate e più feconde. Ma l’accostamento relativo dei diversi ordini di
esistenze fra di loro non scema l’infinito intervallo che separa l’uno
dall’altro ; e la presunta continuità del determinismo è interrotta da questo
avvento di formazioni nuove, da questa ideale epigenesi della sintesi creatrice
(1). Nè si creda, per questo, che una critica del determi¬ nismo scientifico
debba significale necessàriamente una con¬ cezione pluralistica, del mondo,
quasi uno spezzamento della intelligibilità nei diversi ordini della esperienza
immediata e, quindi, un povero e mal dissimulato ritorno all’obbietti- vismo
empirico delle menti primitive.^ La critica del deter¬ minismo è, anzi v
avviamento al monismo idealistico, com£ quella che non rinnega ogni forma di
nesso intelligibile della universalità dei fenomeni, ma sostituisce una ad
altra fórma (1) Anche nelle direzioni del •monismo contemporaneo vi ha conce¬
zioni filosòfiche, le quali riconoscono la differenziazione e la specificazione
progressiva dei fenomeni nel continuo e nell’infinito dell’evoluzione cosmica*
Cosi il Lewis illustra quel principio di discontinuità apparente, per cui da
una data combinazione di elementi emergono formazioni qualitativamente
differenti ed irreduttihili alls£ risultanza numerica degli elementi medesimi.
E, con veduta più profondamente sistematica, il nostro Ardigò concepisce il
processo cosmico come graduazione di complessità e di autonomie , supe- rando,
così, il monismo meccanico nella percezione positiva della indivi¬ dualità
caratteristica e concreta del fatto. Trattasi, tuttavia, in queste forme di
pensiero e nelle altre che vi si riannodano, di una differenzia¬ zione nel
continuo, cioè a dire di una maniera d’interpetrazione dell’ordine universale,
che si contiene pur sempre nei limiti del determinismo e del monismo
scientifico. Le formazioni emerse del Lewis e le armonie dell’Ar¬ digò
risultano daUa integrazione, variata solo nei modi e nei processi, degli
elementi antecedenti. Onde vi perdura l’abito di riferire le determinazioni
superiori dell’essere alle deteminazioni inferiori e di raffigurare l’ordine
universale come ordine regressivo**di ' derivazione causale, anziché come
ordine progressivo di elevazione e di adattamento a fini superiori. Digitized
by LiOOQle 142 CONCLUSIONE d’intelligibilità, ed al posto del principio delle
cause efficienti colloca quello, più significativo e più fecondo, delle cause
finali. Dall’ uno all’altro ordine di esistenze vi ha penetrazione di attività,
d’influssi e di principi, e vi ha un interno pro¬ cesso di connessione
dinamica, assicurato dalla capacità di cangiamento e di elevazione, onde
ciascun ordine tende a risollevarsi come in un equilibrio ed in un determinismo
superiore. Certo, questa connessione dinamica è di tal natura che non suffraga
gli schemi della continuità, nè scema Fau¬ tonomia e l’originalità di ciascun
gruppo di fenomeni, nè sopprime l’intervallo infinito che li separa. Ed è certo
del pari, che, se il nesso causale è una formola ed un simbolo del continuo,*
la connessione finale è, a sua volta, un conato di accostamento tra forme ed
esistenze diverse, discontinue ed autonome. La mediazione finale non involge la
coinci¬ denza dei termini fra i quali è interposta, ma simboleggia un processo
di approssimazióne tuttora inesausta e di qua dai limite* Tuttavia è da notare
che, se la connessione finale si sottrae agli schemi del determinismo
logico-matematico, essa non riesce meno ad appagare quel vivo e pungente
bisogno d’intelligibilità filosofica che agita l’anima umana. La fenomenologia
cosmica è a doppia faccia ; per l’una, I è processo di consecuzione dei
cangiamenti dal determinismo ' degli antecedenti; per l’altra, è progressióne
ascendente di f. esistenze, di relazioni, di valori e di fini. L’una è il mondo
veduto dal di fuori, e l’altra il mondo veduto e come ri¬ vissuto dal di
dentro. Il determinismo scientifico circoscrive la fenomenologia dell’universo
dall’uno dei lati : il monismo idealistico ne penetra l’intimo principio di
vita. L’uno pro¬ segue a ritroso le gestazioni .della natura mediante la de- «.
duzione; l’altro asseconda e dichiara i processi ascendenti della natura
mediante la produzione. Queste due forme d’interpetrazione dell’ universo sono
del pari ‘concepibili e, non che elidersi, si integrano a vi^* cenda. Esse si
compongono ad armonia in una sintesi su- Digitized by Google CONCLUSIONE 148
periore, che, nelle cause efficienti e nei modi del meccanismo, ravvisa le
mediazioni fenomenali delle cause finali e della teleologia. L’esplicazione
causalistica riassume gli abiti ed i me¬ todi della scienza: l’intuizione
teleologica segna il campo di azione della filosofia; delle quali la prima è
cieca senza i lumi della seconda, e questa è vuota senza l’ausilio delle ri¬
sultanze di quella. Il monismo idealistico segna la sintesi armonica e dia¬
lettica di questi due principi e di queste due forme d’in¬ tuizione. E la
dualità consaputa e superata: ed ha, quindi, significazione dialettica e non
sofistica, positiva e non negativa. Il monismo idealistico è ipercritico,
perchè risolleva la critica in un dogmatismo superiore. Nè esso pone capo
necessaria¬ mente ad lina denegazione scettica della intelligibilità o ad una
teoria di universale contingenza. Il monismo idealistico non significa elisione
dell’ordine cosmico nell’indetermina¬ zione e nell’arbitrio, ma gradazione
progressiva da ordine ad ordine, da legge a legge, da determinismo a determini¬
smo. Solo che il determinismo, col procedere nei gradi della gerarchia delle
esistenze, si dilata sempre più e si espande e si complica di poteri più
idealmente fecondi, disintegra la salda coerenza del suo chiuso ed interno
equilibrio e si apre ai moti di un’attività differenziata, plastica, autonoma.
La libertà non è che la forma suprema del determinismo, ossia il determinismo
medesimo, che per capacità di cangia¬ mento sollecitata e diretta da principi
superiori, rompe ed infrange i limiti del suo sistema, e sollevasi ad un ordine
ideale di determinazioni e di fini. Così la critica del determinismo
scientifico segna il più prezioso avviamento ad un intuizione idealistica del
mondo : la quale rispecchia fedelmente il nuovo, l’originale, l’etero¬ geneo
delle generazioni naturali e, ad un tempo, unifica la diversità e la pluralità
rappresentativa degli ordini dell’espe¬ rienza in una sintesi ideale. Digitized
by L^ooQle 144 CONCLUSIONE Il determinismo scientifico riesce ad una
intelligibilità meramente subbiettiva e gnoseologica della fenomenologia dell’universo.
Le gelide astratte relazioni del meccanismo sono scevre di interno principio di
vita e di autonomia e di consapevolezza : onde sono intelligibili in rapporto
agli schemi ed alle categorie della nostra mente, ma non hanno traccia
d’intelligenza immanente, nè godono l’interiore possesso di sè medesime.
L’intelligibilità non vi fluisce da principi in¬ teriori, ma vi si sovrappone
dal di fuori : per opera dell’ in¬ tendimento che, attraverso la presunta
obbiettività della natura, non conosce in fondo, anzi non riconosce, che se
medesimo, ossia le sue forme, le sue funzioni, le sue cate¬ gorie, le sue idee.
Il monismo idealistico supera il subbiettivismo teoretico del monismo
meccanico. Ravvisando nelle forme inferiori dell’esistenza la presenza di un oscuro
bisogno e di una rap¬ presentazione manchevole ed un vago e confuso desiderio
delle determinazioni superiori, quasi traccia e baleno d’in¬ telligenza
rudimentale ed iniziale, reintegra l’accordo dell’ in-- telligibile e
dell’intelligente, del pensiero e dell’essere. E pone un nesso
d’intelligibilità, che non è forma astratta del¬ l’intendimento, estranea ai
processi reali della natura, ma riflesso fedele della dinamica e della
teleologia vivente del¬ l’universo. Digitized by L^ooQle Digitized by L30 le DELLO STESSO
AUTORE 1. La filosofia politica contemporanca.
Appunti critici. — Trani tipografia V. Ve celli, 1892: un voi, in-8.° gr. di
pag. 194 (esaur.). 2. La terra nelVodierna economia capitalistica. Studi di
socio¬ logia economica. — Roma, Tip. A. Befani, 1893: un voi. in-8.° di pag.
130 (esaur.). 3. La fase recentissima della filosofia del diritto in Germania.
Analisi critica poggiata sulla teoria della conoscenza. — Pisa, E. Spoerri. L.
3,50. 4. La filosofia del diritto al lume delV idealismo critico. — Firenze
Tip. della “Rassegna Nazionale,,, 1898: un fase, in 8.° di pag. 38 (esaur.). 5.
Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale. — Roma, 1898, (presso E.
Loescher e B. Lux). L. 1,00. 8. Le nuove forme dello scetticismo morale e del
materialismo giu¬ ridico. — Roma, 1898, (presso E. Loescher e B. Lux). L. 1,00.
7. Contributo all'analisi dei caratteri differenziali del diritto , — nella
«Rivista italiana per le scienze giuridiche». 1897-1898. 8. La storia interna
ed il problema presente della filosofia del dirit¬ to. Prolusione al corso di
Filosofia del diritto nella R. Università di Modena, presso la Libreria
Vincenzi e Nipoti, Modena, L. 1,50. 9. Il problema della morale. Prolusione al
corso di filosofia morale nella R. Università di Napoli. LVtta il 10 di.*embre
1900. Napoli, Libreria Detken e Roclioll* L. 1,00. 10. Il valore della vita. —
Discorso per la solenne inaugura¬ zione dell’anno accademico. — Napoli, Tip. R.
Università, 1901, (presso i librai Pierre, Detken ete.). L. 1,00. 11. F.
Nietzsche e L. Tolstoi: Idee morali dtl tempo. — Na¬ poli, L. Pierro 1902, L.
1,50. Prezzo del presente volarne L. 2. ' T )igitize§ / L.ooQle /
laiNO PKTHONB ^y/: Z ^
i'i L’inerzia della volontà le Energie profonde dello Spirito DISCORSO
per l’inaugurazione dell' anno accademico 1909-1910 dell' Università di Napoli N A P O LI Staii. Tipografico of.i.la R.
Umvf.rsita Rchille eitnmaruta 1909 Unn profónda antinomia investe
ed aj»ita l’ani¬ ma moderna nelle
direzioni morali della condotta : nn
dissidio acuto e pnn^^ente Ira la coscienza e la vita, fra il desiderio ed il potere, fra le
aspirazioni e le azioni, fra i propositi
e le esecuzioni. La volontà ed il
carattere non assecondano i progressi
gigantesclii del sapere e della cultura tec¬
nica. Impavido e vittorioso nella esplorazione e nel dominio delle forze della natura, lo spirito
si rivela torpido e fiacco nella
esplorazione e nel dominio di sò. Esso
ignora sj)Osso o dimentica il gioco mira¬
bile delle capacità e delle potenze che fluiscono nel suo interno e le lascia inoperose e
dormienti. In nessuna età il culto
dell’enei*gia è stato, co¬ me nella
nostra , incontrastato e sovrano : in nes¬
suna , cosi insistente e caloroso 1’ appello alle atti¬ tudini atletiche ed eroiche ed agli stati di
tensione, l’accolta e severa di una
volontà protesa alla con¬ quista. Ma,
sugli altari del nuovo culto e della nuova
fede, non trovano posto, per mirabile ironia di con- trnsto , le energie più contigue od
aderenti al cen¬ tro della nostra vita e
del nostro destino morale, le energie
dello spirito. Rapita di ammirazione e di
fascino all’ aspetto dei miracoli stupefacienti e visi¬ bili delle forze operose all’ esterno , la
mente non vede è non intende con
ìiltrettanta intensità di at¬ tenzione e
fervore di meraviglia il profondo c ile-
licato mistero delle energie silenziose che si raccol¬ gono nell’ intimo dell’ anima nostra.
Esperimentatori ed utilizzatori sapienti
ed avidi delle potenze della natura che
sono fuori di noi, noi siamo inconsape¬
voli e poco solleciti di quelle altre potenze, natu¬ rali aneli’ esse , che sono dentro di noi.
Cosi spen¬ diamo r opera nostra
affannosa ed assidua per plas¬ mare la
materia greggia che ci fu data nella ca¬
ducità effimera del tempo , ma quel blocco di vita che portammo con noi, quale testimonianza di
un eterno destino , lasciamo in
abbandono come mole inerte di
pietra. L’ uomo celebra la sua volontà
di dominio nella superazione degli
elementi e nella conquista dello spazio:
ma la rivincita della sorda materia e la di¬
sfatta lo coglie e r opprime proprio in quel mondo che ò suo.
Egli è captivo <lell’ inerzia degli elementi che giacciono nel fondo della sua anima e le
tolgono visioni di altezza e battito
d’ala. Egli è servo e mancipio delle sue
cecità e delle sue aridità, delle sue
attrazioni e delle sue repulsioni, dei suoi impulsi abnormi e delle sue inibizioni torpide ed
oscure, dei suoi abiti passionali impuri
e delle sue ahvlie. Non che le
aspira/ioni e gl’ideali non trulnea- no
al suo intelletto e non rechino a volta come il
senso 0 la presenza di una illuminazione impreve¬ duta; ma è una presenza rapida e fuggitiva
che non fa presa e non trae all’
iizione. Nelle anime meglio temprate,
negli spiriti più complessi (|uella illumina¬
zione si discolora ed impallidisce, a volte obnubilata od otlìiscata dal dubbio inquisitivo che
macera ogni certezza, a volte menomata
di potenza dal gioco di una occulta
inibizione, di un sentimento incoercibile
d’incapacità che avvince l’anima in una inerzia do¬ lente e forzata. Cosi le idealità e le aspirazioni non si
traduco¬ no in esperienza di vita per
difetto di virtù di af¬ fermazione, per
manco di energia, di disciplina, di
padronanza di sé. La rappresentazione non si con¬ verte in movimento ed in forza viva: il
desiderio non si trasforma in volontà di
possesso; l’azione non adegua la
concezione; la volontà non bilancia la co¬
noscenza. L’ attività si
sofferma di qua dalla meta, attri-
.stata dalla percezione di una distanza che l’inerzia dello spirito raffigura come insuperabile.
L’anima is arresta a mezza via nel
cammino della liberazione. Ed il
bilancio della nostra esistenza si riassume in
un tessuto anonimo di possibilità esangni che non s’ incarnano nella vita. — 6 —
Sigr)0)'i, É quosta crisi liella
nostra volontà e dello spirito moderno
che io amo evocare al Vostro cospetto.
Nell’ora solenne, sacra alla celebrazione della scienza, non vi dispiaccia che io tocchi un
proble¬ ma di vita e traggji gli auspici
da quella scienza pregiudiziale e
sovrana, che è la scienza di st\ .Molta
parto del nostro disagio spirituale ò flovuta all’ er¬ rata estimazione ed alla imperletta e
manchevole co¬ noscenza delle nostre
forze e dei nostri poteri. .Anche lo
spirito ha i suoi segreti come, e forse
dappiù, cht 5 la natura: le sue luci come le sue om¬ bre, i suoi misteri come le sue illuminazioni,
il suo mondo invisibile ed ascoso, le
sue profondità incon¬ sapevoli. Quello
che importa è venire in possesso di quei
segreti, esplorare quel mondo, recare in piena
luce quelle prolondità occulte in cui giace, costretta ed inerte, un’ accolta di energie
ignorate. L’interiorità della nostra
anima al nostro desti¬ no, l’imparità
della nostra esistenza alla nostra vo¬
cazione derivano essenzialmente da ciò: dal mancato conoscimento e dal mancato possesso di sé. La
spro- jjorzione stridente fra le
possibilità ideali che si di¬ schiudono
al nostro desiderio ed alla nostra mira e
la povertà della nostra opera effettuale e quotidia¬ na, tutto il contenuto tragico del nostro
pathos e delfa nostra tristezza
riconosce la sua sorgente nella nostra
ignoranza dei poteri dello spirito, delle sue — 7 — |(rolouilità di esercizio e di fatica,
delle sue possibi¬ lità di sofferenza,
di fortezza e di dominio. La radice del
male è in ciò, cdie, orgogliosi di quel
sapere che ci mette al cospetto del mondo dei
fenomeni e ilello forze fisiche, noi ci lusinghiamo di poter fare a meno di quell’altro sapere, più
miste¬ rioso e pili arduo, che ei mette
al cospetto flell’ani- ma nostra. Di quest’altro sapere che non è scienza, ma
in¬ tuizione od esperienza, che non è
dottrina ma ini¬ ziazione ed esercizio
di vita, che non ha riti solenni e fasti
augurali poichò il suo dramma interno si con¬
suma nel silenzio creativo deiranima raccolta, io amo ritesservi qualche pagina, che possa
illuminare il se¬ greto del nostro male
e della nostra fatica e dischiu¬ dere il
germe di una più alta speranza.
Signori, Le cause, della nostra
crisi morale sono di un doppio ordine. :
1’ uno prevalentemente intellettuale,
l’altro prevalentemente emozionale : l’uno si riassu¬ me nell’ inerzia della volontà come potere di
affer¬ mazione e di consentimento:
l’altro si riassume nel- r inerzia della
volontà come potere di esecuzione e di
azione: Timo vien meno all’ideale, perchè non
ne afferma l’evidenza e refficacia con un giudizio di necessità e con un senso di autorità c
d’imperio: l'altro, perchè afferma
bensì, a tutta prima, il valore
dell’ideale, ma non afferma, in pari tempo, la propria capacità ad attuarlo e si ritrae pavido ed
inibito al f-ospotto eri airiirgenza
rlellazione: l’iino, clic svaluta il
fine dell azione, 1 altro, che svaluta le potenze di¬ sponibili ad agire: rimo si chiama iluhhio,
l’altro — in un certo più ampio senso
della parola — abulia. I due stati ed i
due atteggiamenti dello spirito non
procedono dissociati, ma variamente s’intrecciano e rimescolano ed interferiscono; l’uno
s’insinua e pe¬ netra, più 0 meno
avvertito, più o meno discerni¬ bile,
nell'altro ; e l’imo e l’altro sono, del pari, per¬ vasi da un vigile senso di fatica e ili
ansietà, che co¬ munica ad entrambi un
comune colorito emozionale ed un comune
interesse psicologico, L età nostra,
come tutte le età di consumata e
rafFinata rillessione, è dominata dal dubbio, cioè da quello stato dell anima che significa la
sospensione, 1 indugio, la privazione,
la mancanza del potere di
alFermazione* L’ energia non è
morta, ma è solo intorpidita per difetto
di eccitamento e di stimolazione, per la
mancata virtù propulsiva, incitatrice, es(mij)lare delle idee niddri corrose dall abito inquisitivo
della critica. Un tiMnpo la pressione
del costume e della tra¬ dizione
sostituiva la rillessione individuale e traccia¬ va imperiosa, inosorata le vie dell’azione.
Era. una J'orza torbida ed opac^^, materiata
d’istinto ed intes¬ suta di ruvide
coercizioni, che pur nella sua lacuna
spirituale aveva il merito d’interdire la perplessità, 1 irresolutezza, 1 inibizione intellettuale.
Impera oggi la critica ed il dubbio;
l’indagine vigile e circospetta che
domanda 1 titoli quesiti dell’autofità e della tra¬ dizione; l’abito della ricerca, che pur nei
problemi — 9 — (• nelle «-ontingenze prntiehe «loll.'i
vita, non si ar¬ rende se non alla
pienezza delle dimostrazioni razio¬ nali
e delle pruove apoditticl'o ; la riflessione che non è ordinata all’ azione ma ripiega c consuma
in se stessa : l’acuzie della coscienza
che assottiglia, per volerle analizzare,
le sorgenti del vivere. Quale
meraviglia che la nostra vita sia povera
di contenuto reale e che i risultati non agguaglino le promesse e che le energi(> dell’ anima
giacciano inoperose e j)Ui‘e alhiticate
in una costrizione deso¬ lante?
L’indugio, l'inerzia, la stasi .sono le sole at¬ titudini pratiche che sieno proporzionate e
connatu¬ rate all’attitudine teoretica
del dubbio. Ogni azione è una
testimonianza che vien resa ad una verità ri¬
conosciuta e consentita come tale: ogni aziono, cioè, è un’atlermazione pratica che presuppone
un’iintece- dente affermazione
teoretica. Ora il dubbio sta preci¬
samente in ciò: nel rifiuto, nel divieto di aftermare, di consentire, di credere. L’ unico residuo
che per¬ manga dtilla sua agitazione
teorica è un simbolo di aridità c di
negazione. Ciò di cui gli uomini vivono
è la fede nelle ra¬ gioni del vivere. La
molla, il fermento, lo stimolo del¬
l’azione è lo stato di certezza e di credenza. È il po¬ tere propulsivo di un giudizio di
aflermazione o di consentimento che sia
venuto in possesso dell’anima e vi
susciti il fervore deU’entiisiasmo e dell’ azione viva. È r illuminazione interiore di una idea
diret¬ tiva, di un motivo dominatore, di
un interesse pre¬ ferenziale che
annunzia e traccia la via, che con¬
sente di eleggere con sicurezza d’intuito tra piu IO
proHorto che invitano o più impulsi che agitano in senso contrario, che educa la facoltà della
scelta e la libertà di conformazione del
proprio destino, che assicura la
signoria dello spirito nel dusso degli even¬
ti. Il contrario di tutto ciò è il dubbio. 1.0 stato di anima dell’uomo che dubita è
uno stato perenne d’incertezza, di
perplessità, d’indugio: poi che gli è
venuta meno la luce direttiva dello idee ».
madri e la gerarchia interiore dei principi dominanti, e tutti i motivi (leU’agire e tutte le varie
direzioni dell’agibile ondeggiano e
lluttuano, nella sua coscien- ' za,
come in una penombra grigia ed uniforme.
Il dibattito deliberativo non è mai chiuso. Le ragioni prò e contra si contendono la
volontà, la quale rimane irresoluta ed
inerte, fascinata spesso ^ e non
illuminata e diretta dal gioco delle possibilità i antagonistiche allineate sul campo visivo
della co¬ scienza. ^ : L’uomo che dubita è un riflessivo ed un
anali¬ tico ed è vittima precisamente
dell’attività prolifica della
riflessione. Egli vuol vedere troppo addentro
nelle coso e non acconsentire all’ invito o all’evento se non abbia tutto misurato passo per passo,
con vi¬ gile circospezione. Egli oblia
che ogni realtà, che ogni determinato
contenuto di vita è circondato come da
un alone d’indeterminatezza e di mistero e che l’uo¬ mo non opera se non affronta generosamente
una certa alca aderente all’azione. L’ adozione di una data via della vita a
prefe¬ renza delle altre è resa
possibile o dall’insorgere im¬ petuoso
di un’onda passionalo o da una in’ovvida an- ytistia (lol campo ilella rillessione.
Colui che dubita non ò investito daU’onda
della commozione e non è protetto da
quell’ angustia. Egli, anzi, presenta una
insueta ricchezza, un ampliamento improvvido dei po¬ teri di rappresentazione e di previsione, ed
ò inibito |)recisamcnt(! dalla esasperata
acutezza del suo spi- sito di analisi,
dalla ostinata chiaro veggenza del suo
io critico e giudicante, ha ritlessione assottigliata ed esacerbata gii presenta spe.sso con uguale
intensità di rilievo, con uguale ragione
di desiderabilità, con uguale potenza di
provocazione e d’ invito le possi¬
bilità diverse e contrarie. Così egli non ve<le chiaro quale Tra esse veda scelta di preferenza e
permane nel dubbio inquisitivo e si
macera nell’inerzia. Che, se a volte
vede chiaro e 1’ esercizio o lo sforzo
della concentrazione sopperisce all’eccesso del- ranalisi, egli abbozza, bensì, un atto
risolutivo qual¬ siasi, ma non vi tien
fermo con coerenza. È un’af¬ fermazione
ipotetica e non apodittica, un desiderio
inibito di certezza non un’accettazione o un possesso di verità; desiderio mai forse estinto, ma
pur sem¬ pre deluso , ed è, nel fatto
una velleità e non una volontà, un dire
a sé stesso di voler affermare, non un
affermare davvero. Egli desidera, egli si rappre¬ senta acutamente, intensamente 1’ oggetto ed
il ter¬ mine di tal desiderio : questa
rappresentazione si erge spesso con
sorprendente rilievo al cospetto del¬ lo
sguardo interiore di lui, ma, appunto, egli desidera e rappresenta ed immagina di affermare, ma
non af¬ ferma, non vuole. Egli scambia
per atto di volere la contemplazione del
volibile, la sostanza per la par-
12 vonza, la aosa poi'
l’onibi-a. l,a rappresentazioni* così si
adagia in un aiito-appaganiento che tien luogo del possesso. Ed il colore della immaginazione
coi suoi luccichii e con le sue
iridescenze tien luogo del ca¬ lore del
sentimento che manca. Nelle anime più
profonde e più dolenti ciò non accade
senza una gran pena ed una grande fatica.
.\cuto, anzi, è in molti il ilisagio dello sforzo inibito e respinto, il rimpianto delle possibilità di
salvezza che furono a nostra portata, e
che lasciammo fuggi¬ re, il rammarico
dei destini incompiuti. Ma la co¬
scienza dolente del male non ò motivo o |»resagio di superamento e di liberazione. La
contemplazione, la reviviscenza, il
ricordo di quello che si dovrebbe, di
quello che si sarebbe dovuto affermare e volere, opera, nella coscienza che dubita, più come forza di
ritorno che come propulsione diretta :
più come rimorso di non aver affermato
quando non ne 6 più il tempo che come
forza viva di affermare quando è il tempo
di farlo. L’anima si dibatte fra la rinuncia aU’azione imminente ed alle opportunità presenti ed il
rimpianto sterile dell’ inazione passata
e delle opportunità irre¬ vocabili e che
non fanno ritorno. (Jiiesto stato
deU’anima ha radice, o Signori, in un
disprdine, in un perturbamento deirarmonia delle nostre potenze spirituali e nel predominio e
nella so¬ praffazione di una di esse
sulle altre. Ha radice in una
usurpazione che la critica e l’analisi consumano a danno dell’azione, ossia nel penetrare
della rifles¬ sione e della ricerca
critica in quel dominio della 13
— vita che vuole essere confidato alle
forze vive delia spontaneità od ai
poteri di afi’erinazione e di consen¬
timento. L’attività
rappresentativa e riflessiva non ò certo
in dissidio connaturato con 1’ attività pratica. Nel magistero dell’ universo la riflessione è,
anzi, lume e guida e scorta all’ azione.
L’ idea ha funziono mo¬ trice. Ma la
riflessione illumina e dirige 1’ azione
solo finché sia mantenuta in dati confini. Quando va di là da questi e valica un certo limite —
che io chiamerei, f|ui, il limite di
saturazione—, essa vien meno all’
ufiìcio suo, sovverte e snatura la sua fun¬
zione operosa che ò di essere il lume e la via della vita. Varcato quel limite, essa diventa
antagonista del potere di affermazione,
inibitiva della risoluzio¬ ne |)ratica e
della scelta, inimica dell’ azione e del¬
la vita. Dopo aver illuminato e
diretto il proces.so di¬ scorsivo del
giudizio e della ponderazione, la rifles¬
sione deve tacere ed- obliarsi nel ritmo dell’ azione. Alla inibizione deve pur succedere
l’impulsività del- r opera. L’ idea dee convertirsi nel fatto. Il
dibattito della motivazione dee pur
chiudersi con 1’ atto ri¬ solutivo. 1
suoi se, i suoi om, i suoi forse devono
pure indietreggiare in un momento terminale innanzi ad un si vittorioso. La coscienza deve cedere
il po¬ sto alla spontaneità , alla
immediatezza, al sublime inconscio della
creazione. La crisi, esperimentata di
già, vuol essere superata; L’ intelligenza deve ridi¬ ventare natura. Nella così (letta ispirazione il poeta
ottiene ri¬ sultati mirabili di possanza
creativa perchè in essa opera bensì 1’
intelligenza, ma come spontaneità e come
natura. Onde il poeta stesso ha come la sen¬
sazione che non egli venga componendo i suoi versi, ma un principio divino o demonico che lo
agita all’ infuori della rillessione
critica di un io presente e giudicante.
L’ affermazione della verità morale è
aneli’essa l’atto di una forza creativa. Domanda la libertà sovrana dello spirito, 1’ immediatezza
dell’a¬ zione, la spontaneità dell’
impulsione, il fervore del- r
entusiasmo, che supera le aridità e lo angustie
della vigilanza cosciente, arida ed inibitrice. Che se la rillessione, compiuto in un primo
mo¬ mento r ufficio suo, si ostina a
rimanere al suo jio- sto, essa non
illumina più, ma ostruisce le vie del-
1’ azione, la (piale non è possibile senza un certo oblio e naufragio dell’io consapevole. La
riflessione superstite, con la sua
importuna insistenza, sgretola le
abitudini acipiisite , esaspera* la presenza vigile, sospettosa, circospetta dell’ attenzione
cosciente, so¬ preccita le
rappresentazioni e le associazioni di con¬
trasto, moltiplica le discordie e le lotte interne, ac¬ cumula i detriti, le scorie, gli stati morti
dell’ani¬ ma. Germinando motivi perenni
di perplessità e di dubbio, essa secerne
e depone dei residui tossici cIkj fanno
groppo sulla coscienza e le tolgono ogni li¬
bertà di movenza, ogni sovranità di dominio. La
sanità dello spirito, come quella del corpo,
resulta in gran parte dalla rapidità di eliminazione dei residui. La saggezza della vita sta nell’
elimi- 15 — Ilare i detriti intellettuali,
nell’espellerli, nel ricac- fdarli sotto
la soglia della coscienza, nell’ escluderli
deliberatamente dal proprio campo visivo. La rifles¬ sione che indugia e ripiega sopra di sé si
nutre in¬ vece di tali detriti, si
abbevera di cosiffatti elementi di
decomposizione. Cos'i 1’ anima è diminuita , b at¬ tossicata nelle sorgenti più intime della sua
vita. E la ragione di tanto sciupo e di
tanto male, se Voi la interrogate bene,
è tutta in ciò: nell’essere venuta meno
la illuminazione dei principi direttivi
e delle massime della nostra vita morale, e, più an¬ cora, nell’ essersi trascolorati ed
impalliditi quegli stati di
consentimento e di commozione che a quelle
massime aderivano e le imprimevano nel fondo del nostro intelletto e del nostro animo. La
critica ed il dubbio incalza perchè a
noi non sorride nessuna vivificante
cortezza e perchè ci manca il lume e la di¬
sciplina delle abitudini ideali.
La contemplazione dei doveri e delle norme della condotta non più ci anima a recidere i nodi
del dub¬ bio con un atto magnanimo di
potenza, poi che quei doveri 0 le idee
che li esprimono si sono assotti¬ gliate
ed estenuate in noi a guisa di simboli e di
concezioni irreali ed astratte.
Esse non hanno più per noi il valore di una pn'senza spirituale, nè recano seco quel
senso infi¬ nito di autorità e d’
illuminazione interiore che co¬ stituiva
il segreto della loro attività propulsiva.
Fra le diverse possibilità dell’ azione, fra le profferte diverse e contrarie della
ra|ipresentazione i6 — 0 .lei ,lc.si,lerio noi non scelte [lercliè noi manchianio rii rlireziono ili
spirito pcr- (lipe« "''" ''
'lei principi c rielie idee n ini ’
‘”"1? temprare
tiirn°*’”'*'''*i"'* “ “‘'"““tene, nella nostra slnit- aillat ‘'‘""'"'““ri, clic,
accettati , 1,1 a lottati una volta, sì
assidano nella nostra coscienza onmx di
ra/on assoluti, e sussistano saldi ed in-
coiiiinntabili, conio fulcri e punti di sostegno llle linee di riconoscimento e di approdo, e direi
quasi come ganci itleaii a cui
sospendere le determina Téventr’
'^“P“'-tenze e de- Quando noi go,liaino
il siiflragio e I' aiuto ,lei r3;
,7f"“-'"te ahitiiali. noi
ainrlifi r i'",’’'-' " “'=““-"»>unti. Noi e “ elPesner " molteiilice ,lella
rappresentazione dell esperienza noii
sarà più atto a diviilerei Noi
rerireTirT"^'''''''- '' '““"'“te iu- aenre ne la logica interiore ilei ine,lesimi
le variate Mta Noi abbiaiiio iin
inorlello a cui confoi-inai-e la I ostro
conilotta, e la nostra vita si plasma sotto la
tutela silenziosa .11 „„ abito propizio. ()uoi pi-incipi operano dentro di noi coi prore,liment, e con
le l™!,' ledi .abitinline, Epperf,, come
è proprio dei „,o,li ,Ud- abitudine,
essi conservano i prodotti dello sforzo
nizialc, scemano P asperità della vigilanza consane immediata. Preziosi ausiliari .Iella vita e
.leirazionc >7 quei principi lavorano per noi a nostra
insaputa. Sono intelligen/a diventata
natura, spontaneità, istin¬ to, forza
vitale. Grazie alla loro presenza, lo diflìcoltà dell’ iniziazione sono superate; la volontà
acquista agilità e sicurezza di movenza;
i dubbi, le diflìdenze, le
incomprensibilità si dissolvono. Ora r
analisi e 1’ abito della inchiesta dubita¬
tiva estesa ai problemi della vita ha tolto, appunto, a noi questo mirabile presidio. Essa ha
corroso le abitudini ideali, ha
insidiato la sahlezza dei principi, ha
reciso la tradizione delle massime. Nel
calore e nell’ impeto della legittima lotta
contro r autorità c la tradizione che incombeva dal- r esterno, qualche parte <lel nostro più
puro patri¬ monio spirituale è stata
travolta nel turbine, o ta¬ luno dei
motivi dominatori della nostra vita morale
si è venuto smarrendo. Il piccolo io limitatore ed (?goista è emerso sulle mine dei principi
imperso¬ nali e delle massime. Alle fedi
tramontato nessuna nuova fede si è
sostituita. 11 potere di negare — no¬
bile potere che dissocia le formazioni caduche dello spirito e dissolve i residui di una
tradizione morta, ma che non basta alle
esigenze creativo della vita e
deU’azione — non f* stato temperato e redento da un simultaneo potere di atfermare, che rechi
1’an¬ nunciazione di una nuova parola di
vita. All’ auto¬ rità esterna non ò
stata sostituita l’autorità interna
delle idee madri ; l’immanente certezza che rinfranca e<i avvalora nelle jmove della vita. I
principi e le massimo non pervengono più
a noi con la forza sug¬ gestiva di una
rivelazione e di un messaggio di grazia.
2 n^ hanno più il senso di
scaturire da una lonta¬ nanza sacra ed
intangibile di mistero. Essi sono con.
cezioni opinabili, sustrato e materia di giudizi ipo¬ tetici. E le nostre energie restano torpide e
sonnec- cbianti perche gl’ ideali non
hanno più la forza di incitarle, di
destaide alla vita, di estrarle dalle pro¬
fondità oscuro della loro inei’zia oidginaria , perchè gT ideali hanno perduto il loro potere di
commo¬ zione, quella che chiamano la
virtù dinamogena. Di qui la genesi della
nostra perplessità, e della nostra
angustia. Di qui la radice della nostra soflerenza ; come di vitalità che si consuma inutilmente
dentro di noi, per difetto di
stimolazione e d’invito di vo¬ lontà
tutelare ed amica, c come per manco di pro¬
piziazione e di grazia. Ma la
sostanza del male è anche più profonda e
più comples.sa che non appaia da que.sta prima di¬ samina. Quel male, come dissi, ha un doppio
ordine di cause. Alla inerzia derivata
dal dubbio e dal dis¬ valore del fine e
della meta si aggiunge 1’ angustia della
volontà inibita da un occulto sentimento d’in¬
feriorità, da un oscuro senso di incapacità e d’ im- l)arità al proprio destino : si aggiunge, con
le sue aridità, con le sue repulsioni
incoercibili, con le sue inibizioni
profonde, 1’ abulia. Le potenze dell’
anima , non piii animate e te¬ nute
deste dalla presenza si)irituale degli imperativi, ricadono dentro di sè in una tristezza
accidiosa, che 19 ppolitìca nuove perplessità e nuovi dubbi,
i quali non toccano questa volta il
valore dell’ideale, ina toccano e
nienoinano l’anima sti'ssa, il valore delle sue ca¬ pacità e delle sue possibilità di esercizio e
di fatica per attingere 1’ ideale
medesimo. Dopo avere dimi¬ nuito r
evicìonza e 1’ eflìcacia dei motivi spirituali
della vita con le circospczioni sospettose della cri¬ tica, la nostra anima impoverisce se stessa
con un tessuto di eccezioni
d'impnsxibilità, con un groviglio di
dillidenze, d’indugi, di ansietà, di preoccupazioni, con una capitolazione e dedizione anticipata
e pre¬ matura della propria volontà di
potenza, con un pre¬ sagio pavido di
disfattii. È il problema doloroso del- r
inibizione forzata e dell’ansietà inibitoria, che co¬ stituisce il motivo più complesso della crisi
con¬ temporanea e che ci rende inferiori
ed estranei al- r ideale anche quando il
nostro intelletto sembra protendersi
verso la luce con desiderio e spasimo
d’invocazione. Noi vorremmo: noi
vogliamo, anzi. Se la mi¬ sura della
sincerità dello spirito nostro è data dalle
percezioni del campo luminoso della coscienza, noi sentiamo, noi avvertiamo di volere. E pure
noi non possiamo volere! Un sentimento
d’impossibilità in¬ teriore che emerge
dal profondo, che aflìora dall’in¬
conscio recide c mutila la nostra volontà operosa al cospetto ed al cimento dell’ azione. L’io
attuale pronunzia, forse, giudizi
affermativi di capacità e di potenza: ma
esso è sotto la pressura di un io abi¬
tuale che nell’inerzia anteriore dello spirito ha pro¬ nunciato, sia pur tacitamente, troppi giudizi
negati- vi, troppo eccezioni d'
ineapacità, troppi oscuri di¬ vieti.
L’anima è come la scile di un processa d'in¬
terferenza c di contesa interiore: da un lato, un Io articolato, consapevole , prominente nelle
siiperfici dello spirito, che comanda o
propone: dall’altro, un Io profondo,
inconscio, organico che inibisce e rista.
L’ azione, che è il prodotto sovrano della unifica¬ zione dello sj)irito, non può venire alla
luce in (me¬ sta mutua elisione degli
elementi vitali di una per¬ sonalità
lacerata c divisa. Sopravviene, ipiindi, I’ a-
hulia: 1 inazione forzata, associata hizzaiTamente alla lucidezza della rappresentazione, alla
intensità di spa¬ simo del desiderio,
all’ ansietà della ponderazione e
dell’esame. L’anima contempla l’id(>ale, lo desidei-a, in un certo senso rafferma: ordisco disegni,
formula jiropositi.... ma non opera. Un
no segreto, informu¬ lato, inesjjresso
sorge dalle sue pi’ofondità inconsa¬
pevoli , un divieto incoercibile , che () 1’ ultima eco forse di una serie innumerabile di
avvertenze, di esperienze, di giudizi
d’incapacità, affermati un tempo da lei
stessa, formulati dai suoi antenati e dalle ge¬
nerazioni che 1’ hanno preceduta nella vicenda del tempo, suffragati, per lungo ordine di anni,
daH’abito dell’ aceddia e della repulsione
dallo sforzo. Le industrie attuali
della rille.ssione per supe¬ rare le
distrette e le angustie di (jiieH’ oscuro divieto non giovano, spesso, che ad inasprire la
cosciimza del jiiale ed acuirne la [uinta.
L’inimico si annida den¬ tro noi, nei
più intimi recessi dell i psiche. E lo spi¬
rito non ha ragione di esso, finché non ha altri mo¬ tivi di rigenerazione e di salvezza che
rpielli che gli j)i ()\ l'ii^ono (Ia
(jiK'llu sibrji sii|)(:‘I‘IìcÌ{i,Ig ili (*nGi‘yÌA t* «li potere- in cui esso vive hi yraiim vita,
del giorno. Lo sforzo attuale o diretto
per vincere 1’ inibizione I iesce spesso
all oli'etto (.ontrario: ad esagerarne la
ellleacia j)er virtù ed ironia del contrasto. L’ansietà ohe si convelli' nello spasimo di una
rivincita iinnie- «liata, mescola, anzi,
alle angustie di'll’inerzia le toi--
tnre di-lla pri'-occiipazione , che è germe e fonte, a sua volta, di nuove inibizioni e di nuovi
divieti. l’erchii si compia l’atto del
volere con sicurtà 0 con prontezza,
occorre in linea generale una certa
proporzione e misura di generosità, di spensieratez¬ za, di abbandono, di tidneia. Occorre che la
rappre¬ sentazione anticipativa dell’
azione sia serena, invi- tatrice,
propizia, se non fortemente gaia eii impe-
tiio.sa; occori'o che ossa sia colorita ed intessuta di jiiotivi di spei’anza e di previsione piìi o
meno arti¬ colata di successo. Poi che
una delle molle dell’azio¬ ne è un cotal
senso occidto o conscio di capacitii di
Iiotenza aderente all’anima, un atto di fede imma¬ nente e sottinteso nelle proprie forze, 1’
abbandono ad una prospettiva
lusinghevole e lieta o almeno
serenatrice. Lungi da tutto ciò,
la prooccupazione rende più acuto e pili
desto il sentimento occidto «l’inferiorità
e di smarrito potere che angustia colui che è sof¬ ferente di abulia. Nell’ animo preoccupato la
con¬ templazione deir azione imminente e
futura è pene¬ trata di dillìdenza, di
timore , di suspicione di sé , e«l è
pervasa «la un senso di presagio luttuoso e di lontananza dall’ evento. È un timore,
projottato c prospettato nel futuro , ma
che aflbnda i suoi arti¬ gli nel
presente. É una preimmaginazione pavida ed
inibitoria. La preoccupazione comunica alle dillicolt/i dell’azione, allineate nel campo lucido e
visivo della coscienza, una intensità
incommensiiral)ilo di rilie¬ vo. Le
colloca sopra una sfei-a che appare inaffer¬
rabile. É, spesso, un
ingrandimento prospettico ed il¬
lusorio, un pathos di distanza creato dalla concita¬ zione della fantasia c dall’ ansia dell’
attesa. L’ ani¬ mo preoccupato è vittima
delle ])remnnitorie agitato del suo io
lucido e penetrante. È mancipio della sua
ombra. Nelle volontà fattive,
negli eroi dell’ azione la coscienza è
fermento di vita, 1’ idea ò incitante e
motrice : poi che in quelle volontà tejnprate e ga¬ gliarde la rappresentazione aderisce,
assenziente ed augurale, all’azione: ò
l’autoco.scienza di un’azione, che
procede ferma e secura. La coscienza non si
tlistacca dalla vita, la contemplazione non si separa dall’azione, ma vive all’unisono con essa.
Fra runa e r altra vi ò medesimezza di
coesione, intimità di calore e, direi
quasi, aria di famiglia. Nell’ animo
preoccupato accade 1’ opposto ; la connessione sana e proi)izia deH’idoa col fatto, della
coscienza con la vita è come dlsciolta e
recisa. La unità che salda insieme il
pensiero e l’azione, l’intelligenza e lana-
tura è divisa ed infranta. La contemplazione si se¬ para, si allontana dall’azione ed acquista un
rilie¬ vo distinto ed autonomo, esasperato
e quasi cruciale. Il senso tli
niftncato potort', tanto piti vivo rpianto
pili rintuzzato e deprecato dall’anima in pena, lancia litiasi a distanza 1’ imagine emozionale
deH’azione, la (piale va dilungandosi
sempre piu dalla capacità del soggetto
che dovrebbe agire. Così la
rappresentazione e la previsione non è
pili la via della vita , ma è ossessione inibitiva ed angoscia.
Ed il riepilogo finale di tutto ciò è un senso grigio di depre.ssione e di abbassamento di
tono, un’abdicazione, uno spossessamento
anticipato di sé e dei propri poteri. La
volontà, delusa nello sforzo cosciente
della liberazione, è pervasa da un senso di
precarietii, di debilità, di fatica; come di vita che .«fi rista al di sotto del suo grado
connaturato di potenza, con un tacito
acconsentimonto alla propria
disfatta. Così al dubbio che
offusca la certezza degli ideali si
ac'cresce la tristezza che comprime il libero gioco iteli’ energie essenziali dello spirito. Due
ordini di disvalori, e di giudizi
negativi, due serie commiste
d’inibizioni formano il tessuto della nostra sofferenza, costituiscono il germe della nostra
inferiorità e della nostra fatica I • •
Tale, 0 Signori, è 1’ analisi del male. Tale, ve¬ duto in scorcio, il dramma morale della
nostra vita. Esso apparo, a tutta prima,
invincibile ed indepreca¬ bile: esso
appare pervenuto a quel limite in cui sono
precluse le ragioni della salute. Poi che esso si an- nida nell’ intimo e sembra odenderc le
radici ed i principi primordiali. So non
che, è proprio a (piesto punto in cui
l’acutezza del morbo sembra toccare il
suo grado più intenso e la sua punta piii dolorosa che a noi pare d’ intravveflere 1’albeggiare
di una nuova sfera di luce e l’avvento
propizio di possibi- litfi ignorate da
salvezza. In (juelle stesse profondità
inconsapevoli dell’ anima nelle rpiali si occulta il gioco bieco e malefico delle inibizioni,
giace silen¬ ziosa la buona semenza
della rigenerazione. Colui che,
rilrugando e tagliando nel vivo, è pervenuto
al limite del suo male, colui è pervenuto nel tempo stesso alla soglia della nuova vita, nella
quale ò di¬ venuto degno di ascoltare
una nuova parola. Le energie che noi
crediamo inesistenti e nulle e<l
impari alla vocazione ed alla grandezza del sogno interiore non sono estinte in realtó nella
media de¬ gl intelletti e degli animi :
sono semplicemente in¬ torpidite per
difetto di stimolo e d’ impulsione , e
sono languenti per la mancanza di un esercizio me¬ todico ed abituale, per la consuetudine della
incon¬ sapevolezza e del disuso. I dubbi che noi crediamo incoercibili, le
incom¬ prensioni che noi crediamo
insuperabili sono dovute in parte all’
asperità dei problemi ed alla nostra ca¬
ducità nativa — epperò ci saranno perdonate — ma derivano anche dal fatto che noi non abbiamo
sa¬ puto scaldare il fervore della
ricerca fino a quel gra¬ do
d’incandescenza che dissolve le incomprensibilità, i residui, le scorie e dischiude nuove
sorgenti di cei'tezza. r
— 55 — So ò vero che le rullici
ilella disfatta sono den¬ tro di noi ,
nell’ inimico oscuro che con il suo ru¬
vido 710 ci preclude e costringe il libei ‘0 avviamento della vita, è vero ancora che dentro di noi
sono le ragioni ed i germi della
vittoria , e la nostra co¬ scienza ed il
nostro volere racchiude nel suo inti¬ mo
profomlità insospottato di esercizio, di sofleren- za, di dominio, che noi non sappiamo
conoscere, di cui noi non sappiamo trar
prò , ma che j)ur sono in noi ricche di
potenza virtuale e che, ove sieno
conosciute e coltivate con opera assidua, possono sol¬ levare la nostra vita in un’ atmosfera
superiore di potere. La verità è che non solo nel cielo e nella
teri'a, ma anche nello spirito nostro vi
sono più cose, cioè maggior complesso di
elementi 0 di principi vitali che la
nostra superficiale filosofia e la nostra gra¬
ma vita quotidiana non sappia intendere e mettere * in gioco.
Ln fatto accertato dall’esperienza, non ignoto ai grandi maestri della vita dello spii’ito e
bellamente commentato di recente da un
fine psicologo, dal Ja¬ mes (1), è questo:
che noi siamo provveduti di una somma di
poteri e di energie superiore a (jnella di cui
facciamo uso abitualmente nella vita, lungo la quale noi ci fermiamo di solito (e salvo casi
rarissimi di urgenza necessitante o di
grazia fuggitive ) ci fer¬ miamo, dico,
di solito al primo avvertimento di stan-
(1) The Enevijies of Men —The Philosophical Beview — Gen¬ naio 1907,
26 cluizza, alla prima
sansaziono <lj, latioa, senza vedei'c
e senza sapore se (pieir avvertimento o ijuella sensa¬ zione coincidono col limite di esaurimento
reale delle potenze o non rappresentino,
invece, una illusione, una ostruzione
fallace fieli’accidia. Si dir<‘l)be
che le possibilità tlella nostra ener¬
gia sieno disposte come in una serie di sti’atilkai- zioni, le uno j)iù prominenti e superficiali,
le alti*e j)iii profonde e centrali: e
che noi non abbiamo piena conoscenza e
signoria che delle prime, e delle altre
ci sfugga, nello andamento abituale della vita, la esistenza, la signiflcanza, il valore. E si
direbbe, al¬ tresì, che quegli strati
superficiali, pur essendo, con¬ tigui
etl aderenti, nell’unità della psiche, agii strati profondi, sieno pure o appaiano, nella nostra
ingenua coscienza, separati da essi come
da un limite o da una barriera interiore
o da un punto critico, il quale vuole
essere superato, perchò il passaggio dagli uni
agii altri sia reso possibile ed aH’anima si dischiuda il libero gioco delle potenze che giacciono
negli strati profondi. All’ infermo nel volere, all’ inibito, all’
inattivo manca aj)punto la forza fli
oltrepassare (|uel limite, fjuella
barriera. Egli giace in una sfera superficiale
fli potere , poi che è soprafljxtto fla una sensazione di fatica, che gli preclude il passaggio agli
strati pro- fontli con una percezione
acuta ed acerba d’impo.s- sibilità. Egli
si arrenfle al primo limite subbiettivo
fli stanchezza, come se quel limite fosse assoluto ed indeprecabile: quel limite segna, per lui, la
barriera insormontabile della sua
capacitó fli aziono, flella sua —
2 ? — volontii (li potenza. Di (jucIT
altra ri.serva di potenze che è
di.sposta e schierata nel retroscena e non aspetta che un energico richiamo per comparire sulla
ri¬ balta egli non ha sentore di sorta
o, appena, una coscienza vaga, confusa,
opaca, crepuscolare. Così egli si
defrauda , si dispoglia del miglior tesoro di
vita : tutto un mondo di energie ignorate ò chiuso per lui.
Ma se alcuna volta, premuto da una necessità 0 da una urgenza che lo sferzi o stimolato ed
in¬ gannato da uno stato di
propiziazione e di grazia, venuto non si
sa donde, o avvinto dal potere sug¬
gestivo di una volontà amica più forte della sua, egli .scuote da sé , con atto rapido e risoluto ,
ogni de¬ bolezza c valica la barriera in
un’ ora anhmte di eccitamento o in un
momento giocondo di abbon¬ danza di
cuore, — ecco che nuove sorgenti di vita si
aprono in lui, la stanehezza ed il senso d’ impossi¬ bilità si dissipa, r anima ed il corpo entra
in una nuova fase di vitalità, in una
nuova sfera di potere, e scopre
stupefatta un mondo di energie delle quali
prima non sospettava resistenza. La nuova fase ed il nuovo mondo è rappresentata dagli strati e
dalle riserve profonde, che noi
possediamo senza sapore di possederli e
che lasciamo inoperosi ed inerti gran
parte della vita. È una
esperienza, questa, della (juale abbiamo
un po’ tutti notizia, e che si avvera in tutte le for¬ me di manifestazione dell’energia, in quelle
di or¬ dine psico-fisico ed in quelle di
ordine spirituale, e 28 truvix un riscontro tipico od osoinplnro
noll;i ilisci- plina dogli .allenamenti
muscolari. Le meraviglie visibili
dell’atletismo e dello sport di ogni
maniera sono dovute all’esercizio sapiente
ed al dispendio metodico flegli striiti profondi e vir¬ tuali di energia, esplorati e resi
accessibili e dispo¬ nibili dopo lungo e
laborioso superamento di sensa¬ zioni
subbiettive di fatica. In sulle primo
un senso di stanchezza clic pare
incomportabile e sembra attestare un provvido di¬ vieto della natura di procedere più oltre;
una sof¬ ferenza che pare pervenuta fino
al limite supremo della saturazione e
dello sforzo. Ma lasciate che la
volontà, intenta alla meta agonistica o spronata dal pungolo dell’ardente desiderio della vittoria
e del jire- niio, attraversi animosa c|uel
termine apparentemente supremo, ed ecco,
rii ly, dal limite della pena e della
fatica, aprirsi le lenti inesauste di una nuova forza c di un nuovo vigore. Nuove agilità, nuove
per.se- veranze si dischiudono; l’essere
acrpiista come il senso di un<a nuova
dimensione ; egli vive e sente di vivere
in un’ atmosfera superiore di potere.
L’.assiriua e profonda disciidina volontaria, che l’età no.stra, energetica e. direi quasi,
muscolare, ostenta nelle gare e nei
campionati del corpo, va emulata o
trasfoi-ita, o Signori, in una pili nobile
arena; in quella degli allenamenti dello spirito. .inche nelle esercitazioni e nelle lotte
della vita morale 1’ appello agli
strati profondi vuol essere energico, metodico
, fervoroso, .inche nel dominio -
2g — dello spirito, anzi soprattutto
in quello, la liberazione e la salvezza
non tocca in sorto die a colui che ha
saputo procedere di là dalla jiena e dalla fatica im¬ mediata, al disopra delle tensioni e dei
livelli comuni dell’energia, oltre gli
antichi ed abituali punti di sosta. Anche nella vita dello spirito il passaggio
dalle sfere suiierfieiali di potere alle
riserve profonde è occultato da un
limite, da una barriera, da un osta-
C(do che appare infrangibile; è attraversato e squas¬ sato dalla crisi. Un punto critico va
oltrepassato: una pena infinita va
fronteggiata e va superata: una
escursione violenta ed avventurosa va intrapresa at¬ traverso regioni inesplorate ed irte di
triboli: un’an¬ goscia visibile di morte
va superata e va Aunta per attingere gli
albori della nuova vita. Rotto l’incanto,
varcato il limite l’anima, che si credeva prossima alla fine, attinge un nuovo livello di
energia, si as¬ side sopra un piano
superiore di potenza. La soglia del
dolore e della fatica, che era divenuta tanto vi¬ cina e pungente, si sposta od allontana,
sospinta e come fugata da nuove onde di
energia, da nuovi afllussi e sobbalzi di
vitalità, di tonalità, di fidu¬ cia. Gl’
ideali impalliditi ed (‘steniiati si illuminano
di nuova luce , si colorano di una significazione inattesa. I dubbi vaniscono dal campo
mentale. Si afierma un nuovo lo, si
accende un ardore novello che consuma
gli antichi divieti. In queste
esperienze dello spirito è contenuta una
granile significazione: se ne ritrae una lieta no¬ vella; ed è che il senso di disvalore che
menoma le 30 — nostre potenze non è fondato sul vero e non
ò, nel miglior numero dei casi, un male
radicale , conna¬ turato c quindi
immedicabile, (iuel senso e quel giu¬
dizio informulato di disvalore è dovuto , come pre¬ annunciai da principio , alla mancata
coscienza , al mancato possesso di
S(‘. Esso fioriva dalla costrizione e
dall’indugio della nostra attività in
una sfera superficiale e limitata di
potere, dall’accidia che si arrende alle prime
sensazioni di fatica , tlalla inibizione che occulta la visione degli strati profondi e ne ostruisce
le vie di transito e di accesso. Per un ce'rto numero di casi in cui il
punto che segna la sosta della nostra
attività conincide col limite dell’
esaurimento reale delle energie , vi ha
tutto un altro gran numero di casi in cui la nostra repugnanza, la nostra repidsione dallo sforzo
è do¬ vuta ad una povertà di estimazione
delle nostre più vere e maggiori
risorse. Epperò, se acutissima e
pungente è la sofferenza ed il disagio,
non è detto pei'ò che essa sia una fa¬
talità insuperabile inscritta nel nostro destino. La nostra anima sei'ba ancora tanta ricchezza
segreta da poter nutrire il germe di una
nuova esperienza di vita: una ricchezza
occulta e compressa che aspetta il tocco
fatidico rii un monito imperioso di salvezza
che la risvegli alla luce. L’
inerzia nostra affaticata e dolente ò da im¬
putare in gran parte, e salvo casi di infermità e di decadenza vera e propria, più ad una
inibizione di energia, per interferenze
di motivi o di attrazioni e — 3
> repulsioni simultaneo, che ad
invalidità nativa o a diletto. La
ripriiova luminosa di oiò è in quel senso
di rodimento, di disagio, di mala contentezza, di ri¬ morso, di autocritica, che si associa alla
nostra ina¬ zione. ()uel senso è come 1’
eco di una voce di do- loi'c che affiora
da quel mondo di energie compresse che
domandano la liberazione. Noi siamo
immagine e somiglianza di colui che era
inconscio della virtù fecondatrice del tesoro con¬ fidatogli, e, per un cotal timore segreto,
andò a na¬ scondere il suo talento
sotterra. Como colui noi sia¬ mo
provveduti <li un capitale di energia che, non essendo messo a profitto, si accumula,
sonnecchia j)overainente e diventa
sorgente di tossico. Come r avaro della
parabola noi custodiamo il nostro pic¬
colo tesoro contro 1’ alea dell’ azione, contro il de¬ stino che miete dove non ha seminato, ed a
cagione della nostra piccina diffidenza
e deirangustia pusilla del nostro animo
siamo puniti. Nessun capitale, di
qualunque specie si sia, sarà mai passibile di aumento se prima non si perda e non si reintegri
attraverso un consumo. L’umile granello
non fruttifica se non muore sotto la
zolla. Noi processi del ricambio vitale
la forza non opera in forma d’ inerzia quietiva, ma come sostituzione e rigenerazione traverso un
sano dispen<lio di energia. L’inerzia
conservativa non è la vita che è ritmo
di assimilazione e di dissipazione ed è
il limite ed il momento dialettico fra una morte ed una rinascita. 11 problLMiia morale, di cui abbiamo
veduto tutta iispenta, consente,
adunque, qualclic soluzione: e la
soluzione è in noi, nelle iirofondità di sofferenza e (li fortezza che giacciono nella nostra anima
e che vanno liberate dall’ inerzia, in
cui la nostra incon¬ sapevolezza o la
privazione di qualche nume tute¬ lare le
lascia languire. Il segreto della vita
e della dominazione morale o nell’
attingere quei livelli profondi. è nel recare
alla luce del giorno e nel liberare al cimento del- esercizio quotidiano quei poteri remoti e
nposti. Il segreto della vita è
nell’acquisto della padronanza (Il se,
ossia della virtù o dell’abito del tenere quelle pijtenze interiori a portata di mano, come
depurate ed afiinate dalla scabrezza
nativa, rose duttili e ma¬ neggevoli,
appareccldnte c preste all’invito dell’azione
alle opportunità fieli’ evento. ’
tale e, appunto, la differenza che passa fra l’eroe e I uomo comune. L eroe dello spirito è .spesso colui a cui
sorrise lina fata benigna e che ha
sortita dalla culla ina»- gior somma (h
poteri originali e di energie ossei^
ziali dei suoi confratelli inferiori di destino. Ma, più spesso ancora, egli è colui che ha avuto in
.sorte la stessa ragione e la stessa
misura di potere nativo ' 1 tutti gli
altri, ed ha saputo solo esaltarh) con
metodo ed austera disciplina sino al più alto grado intensità e di vigore etl esprimerne il
massimo — 33 — profitto. L’ eroe è colui che vive nel
centro delle sue energie profoinie e che
ha foggiato e costrutto la sua esistenza
quotidiana ed abituale su quel piano
superiore di potenza che 1’ uomo comune non rag¬ giunge se non per accidente o in casi
rarissimi di grazia e di propiziazione
fuggevole. Egli è colui che non si è
fermato al primo indice della fatica, ma
b proceduto di la dal limite, verso la regione dei tesori nascosti. Severo minatore dello
spirito, egli ha esplorato e dissodato
nel profomlo, colà dove si di¬ scoprono
i filoni di oro invisibili ed occulti.
Senza dubbio la via è erta e spinosa, durissi¬ ma a traversare. In molti la soglia della
fatica è abnormemente vicina : il menomo
slorzo disanima ed annienta. E vuoi dire che non un superficiale io
raglio, non un suggerimento verbale, non
una commozione fittizia, non una
illusione di superamento prossimo ed immediato
gioveranno a farci varcare la soglia del-
r iniziazione. Lasciamo simili
futilità ai novelli dulcamara dello
sj)irito, che lanciano drdla impronti Americii, cioè da un mondo che non è passato per le divine
macerazioni «leir ascosi classica, il
loro tronfio e scurrile vangelo <lel
successo ad ora fissa. Occorre, bensì, una labo¬ riosa c lunga disciplina, costituita di atti
e non di propiziazioni o di formule
magiche: occorre una vo¬ lontà espressa
dall’ io profondo, e che non sia l’ini¬
zio 0 la supposizione pretensiosa e vacua, ma il co¬ ronamento finale o il riepilogo di una serie
abituale di resistenze superate.
Occorre, cioè, un possesso ili —
34 — sò che non si fermi alla lettera
ma penetri lo spi¬ rito e la V’ita
v’issuta : una intelligenza che div’onti
natura. Occorre 1’ abbandono dell’ anima commossa al fervore degl’iileali ed aU’irraggiamento
di luce e di ardo» che es.si diffondono
, quando sieno fissati con occhio puro e
devoto e quando sieno coltivati con
inielleilo di amore. Nel Vostro animo,
o Giov’ani, queste parole non
giungeranno estranee e peregrine , ma troveranno eco 0 (consentimento, perchò ess(c non
significano una concezione astratta e
remota dalla vostra ansia, ma. trascriv’ono
un’esperienza della quale la vosti'a v'ita
nutre spontanea il presentimento e l’invocazione. Voi siete nell’età dell’aspettazione e della
spic- ranza; onde la vostra coscienza
inclina con simj)a- tia verso ogni moto
dell’ anima che annunzi 1’ ur¬ genza di
un cimento più nobile, di uno sforzo pili
(turo, di una vita più ardua. Le
ditlicoltà che ingombrano la vita, V'oi lo ve¬
dete, si abbattono con gravità progressiva sull’ani¬ ma nostra. Alla nostra generazione la vita,
con le sue complicazioni e con le sue
interferenze, sembra incombere con una
oscura minaccia di problemi che non
consentono soluzioni. É probabile che
noi abbiamo bisogno di un mag'- gior
dispendio, di una più intenta e metodica appli¬
cazione di energie che non i nostri antenati, poi che la nostra fatica e la nostra debili^à occupa
un campo piu v’asto di attività e di
esperienze. A noi non è lecito
.spaziare con gaudio suH’orlo — 35
— il sul margine «Iella cosciom^a
superficiale e riposare l)eatamente
sugli allori e sulle conquiste efiimere «li
un giorno. A noi è comandato «li
proce<lcre più oltre, «li attingere
lei no.stra s^tìì&ìizii^ cioè la sfera «lei poteri profbn«li e delù; ra«lici e «lei principi
es.senziali, ren- «lendoli nostri
alleati nel cimento «lelP ora , infran-
gen«lone 1 impenetrabilità «ì la «lur«}zza, temperandoli e maceramioli neir<^.sercixio «liutiirm):
a noi è làtt«) «)l)bligo di bruciare le
no.str«> riserve ! A così fatto
comando non vuoisi rispon«lere al-
tidmenti che con un atteggiamento «li obbe«lienza vi¬ rile e di consentimento animoso. Io \ i «lelineai testi; rimmagine di c«)lui
che jiro- eede, «li la «lalhi p«;na e
d.-illa fatica, con l’occhio vi¬ gile ed
intento alle lontanauze «lelT ideale.
Possa quella immagine animarsi di una signifì- «;azi«jne e di un s«jrriso «li vita: possa
essa segnar«; il termine fisso «lelh*
Vostre potenze, la tracciix lu- Jiìinosa
del Vostro cammino, il presagio augurale «lei
\’«»stri imminenti destini ! Ì
T_..__,___,T—_.—..IE..iKIETTTT-_TYT.-.-TT..Ì.|I|IÉÉTKK]HE Pero ea Enea n ESTE REM UE NIE, CECIS TIE Can
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TENEETTETOE TOTTET MI LIDTALULTEU VAI
CA DILVA QUEL ALI te a i Ansa
rasa ii: | PROF. ORD, DÎ FILOSOÎIA MORALE NELLA
R, UNIVERSITÀ DI NAPOLI AL VALORE DELLA VITA DISCORSO
PER LA SOLENNE INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADBMICO LETTO IL 4 NOVEMBRE 19010 SAC
NAPOLI STAB. TIPOGRAFICO DELLA R.
UNIVERSITÀ Alfonso Tessitore e
Figlio 1901 ode Google AAA
<A — IGINO PETRONE. PROT. ORD, DI FILOSOFIA MORALE NELLA R.
UNIVERSITÀ DI NAPOLI IL VALORE DELLA VITA DISCORSO
PER LA SOLENNE INAUGURAZIONE DELL’ ANNO ACCADEMICO LETTO IL 4 NOVEMBRE 1I90I “aC
NAPOLI STAB. TIPOGRAFICO DELLA R.
UNIVERSITÀ Alfonso Tessitore e
Figlio 1901 Estratto dall’'Annuario dell’ anno
scolastico 1901-1902, Te i VAR LI VELI
PEZZI VRML LEA VR nn LE E AM Signori
! Il valore della vita è il problema
umano per eccellenza, quello che domina
ed impronta di sè tutti gli altri problemi della scienza e della intuizione del mondo. Il voler vivere
ed il bisogno di vi- vere e di dare alla
vita un senso ed un valore qualsiasi è il fatto
fondamentale della nostra natura, la premessa delle premesse, la radice ed il termine di tutte le funzioni del
nostro organismo, di tutte le attività
della nostra anima. Tutti ci domandiamo, ogni
giorno, che cosa è la vita, qual senso e qual valore si abbia
questa nostra esistenza caduca e
fuggitiva, che pur deve averne qualcuno,
e tutti ci punge, al cospetto del dolore e della morte, il dubbio amaro, che essa non ne abbia nessuno e che la
vita, così com’ è, non valga la pena di
viverla. «E la scienza, la scienza si
subordina anch’ ella ai fini della vita
e non ha valore che per quelli. Essa non intende a conoscere per conoscere, ma a conoscere per fare. Le
sue esperienze, le sue equazioni, i suoi
simboli mirano, in ultima istanza, ad assicurare all'uomo l’ azione ed il dominio sulla
natura, ad assicurare, cioè, lo sviluppo
progressivo delle energie della vita. Nel corso del suo laborioso processo essa oblitera visibilmente
codesto nesso finale con la vita. Ma è
una dimenticanza passeggera, dovuta alle ne-
b “Wa cessità dell’analisi. Cooperare allo
sviluppo della vita, è il sottin- teso
di tutte le ricerche della scienza: sottinteso che opera incon- saputo ed occulto, ma che si svolge al lume
della consapevolezza, non appena la
scienza ritorni sopra di sè e si renda ragione del- l’esser suo e comprenda che essa è, dopo
tutto, una gran fun- zione ausiliare e
protettiva della vita. Per questo
motivo, chiamato dalla benevolenza dei miei ono- revoli colleghi ad associare la mia povera
parola di studioso a questo solenne rito
augurale, io ho scelto a tema del mio discorso,
il valore della vita. Ho pensato di avvalorare l’ umiltà dell’
inge- eno con l'altezza del soggetto ed
ho voluto agitare un problema
universale, che potesse interessare tutti ad un modo, uomini di scienza ed uomini che non lo sono, un
problema, tolto il qnale è tolto al
sapere ogni significato ed ogni valore.
Signori ! Il proporsi la vita
come un problema da risolvere è una pre-
rogativa, forse dolorosa, certo indeclinabile, della natura umana. Gli esseri inferiori vivono, senza domandare
il perchè della loro esistenza. Più che
viventi, si direbbe che essi sieno vissuti
dalle spontanee energie della vita. L'animale, fornito provvida- mente della sola intuizione diretta, non sì
rende ragion riflessa della sua
esistenza. Non la contempla o la pone al di fuori come un altro da sè, come oggetto di meraviglia,
di curiosità, di ricerca. La sua
coscienza sorda ed opaca si compenetra con la vita e fa tutt’ uno con essa. E solo nell’ uomo che la natura perviene
alla coscienza di sè e diventa oggetto a
sè medesima di contemplazione, di meraviglia,
di esame. Ed è solo nell'uomo che Vunità indistinta ed originaria della vita si spezza e rifrange in due parti
o in due forme etero- genee ed
antagoniste, e crea, quasi, dal fondo oscuro della sua realità, l imagine o il duplicato ideale di
sè medesima. Da un lato, la vita come
fatto, dall’ altro, la vita come idea; da un lato, la Ba
vita come forza operosa e spontanea, come impulso cieco ed istin- tivo, che non sa nè di perchè nè di come, che
ha la sublime ir- responsabilità e la
sublime impassibilità del fatto, che è senza ra- gione e senza fine perchè è ragione e fine a
sè medesima ; dal- l’altro lato, la
coscienza, non più assorta ed implicata nel fondo della vita ma emersa c separata da essa, e
che la riflette e con- templa
oggettivamente e le si pone di fronte in attitudine «d’ in- quisitrice e di giudice e non si ristà dal
domandarle la ragione ed il fine dei
suoi misteriosi processi. L'unità e l’
integrità funzionale dell’ uomo appare come di-
visa in queste due vite, l’ una diretta l altra riflessa, ll una
reale l’altra ideale, le quali si
seguono invariabilmente luna all’ altra,
come l’ ombra al corpo. Egli si dibatte nelle strette angosciose di questo interno ed originale dissidio ed
indarno invoca e sospira dalle
profondità del suo essere, quasi per lampo d’ intuizione o di reminiscenza nostalgica, il ritorno all’
unità primitiva. La ragione non cesserà
mai di chiedere alla vita che ella abbia un senso ed un valore; la vita, che è sottratta agli
schemi della ragione, non rifinirà mai
dal contristare la coscienza con lo spettacolo dei suol assurdi, dei suoi errori, dei suol
inesplicabili enigmi. Invano egli
sforzerà di abbuiare la coscienza nella vita: più invano ancora egli tenterà di costringere la vita, questa
cinica refrattaria , ad arrendersi
obbediente alle illusioni della coscienza. La lotta per- durerà tuttora inconciliabile, inesorabile,
perchè la lotta è origi- naria, perchè la
coscienza si è contrapposta alla vita, dirò meglio, ancora, perchè la vita sl è divisa dalla
vita. Signori | La radice di questa antitesi tormentosa e
di questo ingeni- to malinteso, onde la
vita appare come nemica ed infedele a sè
medesima, è nel grande errore e nella grande ed originaria il- lusione della nostra coscienza: 1 errore e
l’ illusione individua- listica,. da
La coscienza, che riflette la vita, non è unica ma plurima, non universale ma individuale. Ne segue che la
vita rispecchiata dalla coscienza si
colora anch'ella dei fallaci riflessi dell’ individuazione, e la vita individuale, povero frammento
divelto dall'unità dell’in- sieme,
povero nulla che si crede tutto, si contrappone alla vita universale.
Conoscendo il mondo e la vita, l’uomo tende, di sua natura, a concepire quel mondo c quella vita secondo
l'angolo visuale della sua personalità
individuale, del suo z0 limitato e soggettivo. L'in- telletto che lo illumina, e che è un elemento
isolatore e discrimi- nante per
eccellenza, lo contrae e lo concentra nei termini della sua coscienza immediata, dall’alto della
quale egli contempla e giu- dica il
mondo. Egli è, bensì, un oggetto ed un
prodotto della natura, come ogni altro
degli esseri, ma è, ad un tempo, il soggetto conoscente della natura medesima. In quanto oggetto,
egli si sente una quan- tità
trascurabile nell’infinitudine delle esistenze e dei cangiamenti: ma in quanto soggetto, egli si sente di
valore infinito. Egli fa capo al mondo
ed agli altri in quanto oggetto el in quanto vita, ma il mondo e gli altri fan capo a lui, in
quanto egli è soggetto e coscienza. Egli
non esisterebbe come realtà, senza il mondo e gli altri: ma gli altri ed il mondo non
esisterebbero come rappresen- tazione,
senza di lui. Traviato da queste
apparenze della conoscenza, l’ individuo
umano pone sè a centro dell'universo ed immagina che il mondo e la vita sieno per lui e non egli per la
vita e pel mondo. Chiuso nell’ immanenza
da sè, Narciso inconsapevole , egli si figura che le leggi della vita universale sieno ordinate
al benessere del suo Io. E l’infinito
dello spazio e del tempo gli par poca cosa o punto ‘a petto della sua povera persona effimera,
fuggevole, caduca, la quale, per essere
la sua, gli pare che sia o valga pressocchè tutto: e, sopra tutte le altre innumeri vite che si
agitano attorno a lui, egli colloca la
sua vita, la sua coscienza soggettiva, la sua felicità, il suo interesse. Che colpa ha egli, in
fondo, se la vita universale gli si pluralizza,
diversifica o rifrange nella individualità della co- è
scienza ? o se ella proietta la sua imagine unica ed indivisibile in una infinità di picciole esistenze , le
quali si credono tutta lei perchè ella è
tutta in esse ? Intanto, è appunto da
questa naturale illusione della coscienza
che derivano, o Signori, le grandi contraddizioni ed ì grandi do- lori della nostra esistenza ; ed è
esclusivamente per essa che il va- lore
della vita è per noi un problema c non un assioma. Perchè le leggi della vita universale sono
indubbiamente ribelli al bisogni della
nostra coscienza individuale. La individualità è, di sua natura, caduca e peritura, sottoposta alle leggi della
causalità e del can- giamento , al ritmo
della nascita ce della morte, ad un divenire
continuo in cui gl’individui appalono e dispaiono, balenano e pas- sano, travolti dell’onda inesorabile del
tempo. La vita universale è una suprema
egoista che è sollecita solo di sè medesima, o di quelle sue forme predilette che ne perennano
l’imagine traverso il tempo e lo spazio;
ond’essa mira alla conservazione delle idee
c delle specie, e non le cale dell’individuo che condanna al dolore, alla dissoluzione, alla morte. La natura e la storia non sono ordinate alla
felicità del no- stro individuo: esse
sono troppo scettiche, troppo indifferenti, for- s'anco troppo povere per mirare a così gran
risultato. La coscienza, che s’illudrle
del contrario, sì appresta le delusioni più amare. La natura avara, pervertita ancora di più dalla
iniquità degli ordini sociali, pone
bensì ed acuisce la sete della felicità in tutti el’individul, ma non ammette al godimento
delle condizioni ele- mentari c
materiali della felicità medesima che un numero piccio- lissimo. Le sue disposizioni sono tali che il
piacere degli uni è il dolore degli
altri; e, per una vita sola da mantenere e da solle- vare sulla scala ascendente della felicità e
del piacere, molte altre vite devono
miseramente soccombere in un sacrificio violento e coatto. Di qui uno stato generale di
malessere che si riflette, in parte,
anche su quelli, cui toccò fortuito legato, un’ombra di pia- cere e di benessere. Perchè , dove la vita
degli uni è la morte degli altri, ivi
quella vita non è più un godimento, ma un fallo ‘ i
Ss enni \ ed un rimorso. Le leggi della
responsabilità e della solidarietà mo-
rale operano invisibilmente, quand’anche non penetrino il velo
opaco della coscienza individuale. Dove
un uomo solo soffre, la società intiera
è minacciata e sofferente con lui. L’ egoismo ha un bel dire che gli altri non sono noi e che la
nostra felicità non è macchiata dal
contatto dell’ altrui sventura. Una voce della co- scienza ci dice che quel contatto v’ è : esso
fu posto il giorno stesso in cui fummo
individualmente felici: perchè quella felicità,
forse a nostra insaputa, fa comperata a prezzo dell’ altrui soffe- renza. La cantaminazione di quel contatto
resta impressa sulle nostre carni come
uno stigma incancellabile e, per un’ anima
sensitiva, insinua una punta d’amaro anche nei piaceri apparen- temente più legittimi della vita. Che se, protetti questa volta dalla stessa
caducità del nostro individuo, noi
riusciamo ad eludere i colpi di quella Nemesi oc- culta che associa al delitto il castigo e
comperiamo a prezzo della nostra
inferiorità morale la liberazione dalle punture del rimorso, non per questo otteniamo di essere veramente
felici. La univer- sale legge del dolore
impera provvidamente anche sugl’ individui
privilegiati per le condizioni del benessere : perchè è destino ra- dicato nella stessa inquietezza infinita
della nostra volontà ; per- chè ogni
volere ha per suo principio un bisogno, ogni bisogno ha per suo correlativo un dolore. E dove la pressione del dolore sia, per
condizioni peculiari di fortuna, così
tenue e così scarsa che non giovi a scemare l’ideale fascinatore e giocondo che taluno di noi si
foggia dell’ esistenza, la previsione e
la minaccia della morte, ultima istanza ed ultima Nemesi della natura, è lì per ridestarlo
duramente dall’ effimero sogno in cui sì
cullava, improvvida e cieca, la sua anima scialba ed intristita. Le ombre sì diradano dalla
coscienza che s’ illumina di luce nova;
1 veli sì dissipano ; il destino dell’ esistenza indivi- duale riappare all’ uomo nella sua desolante
evidenza. Egli com- prende la gran
verità della vita: questa, che la individualità è povera cosa ed inane; che la vita individuale
è un flusso continuo, cioè una continua
caduta nella morte; che il piacere è il fantasma 09 del momento, dell’ attimo fuggevole, di un
punto inesteso; che la vita dell’
individuo non è assoluta ma relativa, non fine ma mez- zo, non vita che sì perenna ma morte che per
un momento si arresta. Egli intende che quello che perdura
invariabile nei processi della natura è
la forma, non la materia che è soggetta ad un
flusso e ad una circolazione perpetua : che la sostanza dell’ indi- viduo non è che un inviluppo di materia, che
incessantemente si dissolve ed
incessantemente si rinnovella, traverso una forma spe- cifica persistente nella dissoluzione e nel
ricambio degli elementi materiali : che,
quindi, la morte non è solo il coronamento ed il fine dell’ esistenza individuale, ma è il suo
principio, il suo corre- lativo, il suo
ausiliare. Ogni giorno noi moriamo a noi medesimi nel processi (di disassimilazione e di
secrezione e riviviamo a noi me- desimi
nei processi di assimilazione e di nutrizione. Il che vuol dire che la vita non è una linea, ma un punto
ed un limite: un limite tra una morte ed
una rinascita: di cui basta per un mo-
mento incommensurabile turbare la ritmica simultanea ondulazione perchè sopravvenga la morte definitiva e
visibile. La quale, lenta- mente e
fatalmente predisposta dal tenace sebben parziale corro- sivo della vita organica, segna l abbandono
finale della materia ed è la suprema
caduta e la suprema disfatta di quella sintesi fe- nomenale della materia e della forma che è l'
individuo. La vita individuale è,
quindi, di sua natura ordinata alla
morte e la morte, sublime paradosso, è un momento della vita ; e la vita è della forma non della materia,
della idea e non del fenomeno , della
specie e non dell’ individuo, della umanità non
dell’ uomo. La coscienza si
ritrae addolorata dinnanzi a questa terribile
novella, la quale le dice che la morte non è più un incidente o un assurdo nel sistema della vita, , ma un
aspetto necessario della vita stessa. E
vano le si suggerisca che la vita in sè, che la vita universale è immarcescibile ed immortale ; che
1’ abbandono della sostanza individuale
non segna la caduta del tipo specifico ; che
la vita continuamente muore ma continuamente rivive. Ella, non =D
ha, ahimè! ed, in quanto si chiude in sè medesima, non può'avere altra rappresentazione della vita che quella
individuale, quella cioè della sua vita.
La vita universale non è coestensiva alla nostra coscienza, nè da questa è sentita come
propria: onde l'aspetto di lei, invece
di calmare il nostro affanno, cì punge ed irrita. Le ombre invadono l’anima sopraffatta da un’
amarezza senza fine: la vita ci si
scolora: oggimai noi la guardiamo corrucciati
come una debitrice insolvibile ; î suol beni positivi non cì pare che valgano il dolore e la morte che
costano. Ma una suprema saggezza c’
insegna, o Signori, che la vita ha due
aspetti e due momenti, dei quali alla coscienza, abbuiata dal velo dell’ egoismo, sfugge il più
profondo ed il più vero. La vita dell’
uomo, come quella di tutta la natura, è un ritmo di pul- sazioni alterne, un equilibrio dei contrasti,
una sintesi ed una cor- relazione dei
contrari. Non v' ha espirazione senza inspirazione , non v’ ha consumo senza assimilazione
riproduttiva. Del pari non v ha
dissoluzione senza rinascita, non una elisione qualsiasi di dati elementi della vita senza una
corrispondente gestazione di vita
nova. Nella dialettica universale della
vita non v° ha lotta senza trac- cia 0
presentimento di armonia. Se è vero che l’ individuo non è che l’imagine fuggitiva segnata sulla traccia del
tempo e dello spazio infinito dal genio
sovrano della specie, è vero, altresì, che la specic non vive, non s incarna, non si rinnovella
che traverso quella imagine, la quale,
quindi, si colora dei suoi inestinguibili riflessi. Se è vero che la vita è ordinata alla morte e
che l’ individuo muore di continuo a sè
medesimo, è vero, altresì, che la morte
dell’ individuo è riscattata dalla vita degli esseri nei quali egli
sì riproduce, sì perenna e rivive. | La legge dei compensi che presiede alle
creazioni della vita ha messo in essere
un principio nuovo che trionfa della dissolu-
zione e della morte. Questo principio è la generazione e l’amore : simbolo della rinnovellata armonia e della
unità profonda della vita individuale e
della vita universale. E la generazione segna il trionfo nadia
dell’ individuo sopra la insanabile caducità dell’ individuazione,
il suo n2sus creativo , il suo salto
mortale, ed è il coronamento e l'atto
supremo e trascendente della nutrizione, come la morte, la sua rivale, è una eliminazione ed una
secrezione trascendente e suprema. L'individuo vive, adunque, due vite: delle
quali il nostro io è come Il limite cd
il punto d' inserzione; l una, che si consuma
nei limiti augusti dell’ individualità ; V altra, che si dilata e s°
ir- radia nella vita universale. Onde
l'individuo è superiore , direi quasi, a
sè medesimo, e le relazioni individuali e finite preoccu- pano ed anticipano le relazioni universali ed
infinite. Al lume dì questa intuizione
la vita ci si colora di nuove tinte ed
attinge nna significazione luminosa. Essa ci appare, bensì, scevra di valore, in quanto si contempla come vita
puramente individuale, ma è dotata di
valore infinito in quanto sì dilata e si accommuna alla vita universale. L'infinito e 1
universale, che è il suggello e lo stima
della nostra condanna, è, ad un tempo, la via della sa- lute. Basta che la nostra vita ne accolga,
con vocazione amica e devota, Il monito
tutelare. La radice del male e del
dolore sta nella discordia e nella lotta
: la sorgente del bene e della felicità sarà nella ricomposta “e rivissuta comunione col principio di vita,
nell’ abbandono di sè c della propria
individualità povera e vana alle correnti purifica- trici della vita universalo. Il secreto della vita e della felicità non è
nella concentra- zione egoistica e
subiettiva dell’ io, ma nell’ oblio di sè nell’ ar- monia dell insieme. E la vita vera non è
quella che rifluisce e ripiega in sè
medesima, ma quella che sì espande, benefica ge- nerosa irradiatrice di luce e di calore, in
altre esistenze ed in altre vite.
Epperò, quel divino segreto si allontana da noi, quando la nostra anima si contrae in una bieca ed apata
riflessione egoi- sta, e ci sorride,
invece, tutte le volte che, trasportati dalle ener- gie spontanee della volontà c dell’azione,
cessiamo quasi di appar- tenere a noi
medesimi, rapiti nella nostra produzione e come su- 10
blimati nella effusione di una vita che si espande al di fuori, pro- diga, rigogliosa. Nei non siamo veramente
felici che nei momenti della creazione:
perchè la creazione è fuoriuscita da sè e moto
verso l’ altro. Noi non siamo veramente felici, se non quando ci liberiamo da noi medesimi, come soggetto,
obbiettivandoci nel mondo; quando
deponiamo da noi, con uno slancio ed un abban-
dono supremo, quel parassita roditore della vita spontanea che è la riflessione egoista della coscienza. La
vita individuale non »’ im- pingua nè si
feconda, se non attraverso una generosa rinuncia; come il chicco di grano non fruttifica, se
non muore nella putredine. La via della
salvezza è in quello che il Géthe chiamò il metodo obbiettivo : considerarsi, cioè, non come
soggetto e come coscien- za, ma come
oggetto e come vita. Ivi sì celebra la rinnovellata armonia fra la vita e sè medesima e fra
l’uomo, la vita ed il mondo. Un’ armonia
che ricorda l'antica, ma che la supera infinita- mente ; perchè l una cra occulta, indistinta,
subcosciente, l’altra è opera nostra e
nostra fattura, nella quale noi ci rimiriamo come illuminati e purificati di luce nuova. Nè mi si dica che la vita è possesso
immanente del proprio individuo ed è
avvertimento intimo di tale possesso. Perchè il pos- sesso «li sè sfugge appunto all’ uomo che si
rimira e contempla nelle imagini fallaci
della coscienza egoista. L’intimo
fondamentale dell’ esser nostro è più profondo e più ricco che non lo renda la coscienza
subiettiva, efflorescenza mera- mente
superficiale delle profondità incommensurabili della vita. Come l'occhio che vede tutto e non vede sè
medesimo, così lio coscien- te vede le
altre cose e non vede la sua imagine. Come il corpo del sole è oscuro, così il me è il punto nero
della coscienza. Del pari nel tessuto
della retina l'inserzione del nervo ottico è cleca, e la sostanza del cervello, centro di tutte
le sensazioni, è insensibile a sua volta
(1). E come l’occhio si rimira attraverso lo specchio, (1) Schopenhauer, Die Well als Wille und
Vorslellung.—Erginz. z. vier- ten Buch.
(Kap. 41). a ii così la coscienza e la vita non si conosce,
o meglio non si rico- nosce, che
traverso le altre coscienze e le altre vite. Apparente pa- radosso, l'individuo per ritrovare sè medesimo,
deve anzi tutto ne- garsi. Egli non ha
coscienza di sè, che traverso è suo altro.
L’ egoista, adunque, che si fa vivo e che si pompeggia di vivere in sè medesimo, è vittima di una illusione.
Egli ha vilmente calun- niato la sua
natura e, per non voler rivivere negli altri, non vive neanche in sè stesso. Egli vive nell’ ombra
scialba di sè, un’ ima- gine esile,
povera, ridotta dall’ingenito daltonismo della sua coscien- za spaziale. Il secreto della vita e della felicità
sorride, quindi, all’ ani- ma amante,
perchè l amore, in quanto ha di più alto e di più puro, è oblio ed abbandono di sè nella
persona e nell’ idea del- l'amato. Sorride al genio, che dimentica la
limitazione individuale nella
contemplazione dell'eterno e, specchio fedele dell'anima collettiva, annunzia la parola vitale che trascende il
tempo e genera una sto- ria. Sorride
all’eroe, che avvalorandola di significazione infinita, con- sacra la sua esistenza individuale ad una
causa universale e la cui generosa
coscienza è coestensiva alla coscienza della umanità intiera. Sorride all’apostolo della carità,
che sente come suoi i do- lori e le
miserie degli altri e la cui capacità di soffrire e di amare abbraccia ed accoglie, pietosa e fraterna,
tutta la indefinita molti- tudine delle
esistenze diseredate. Sorride a tante vite, umili o grandi che sieno, più grandi spesso quanto più
umili, che nell’arduo la- voro di ogni
giorno, di ogni ora e nel sacrificio di sè spontanea- mente accettato e sofferto, ripongono
l’unico, esclusivo ideale della
esistenza ; nobili vite silenziose, vereconde, che tolgono sopra di sè di lavorare, di soffrire e di espiare per
gli altri, senza aspet- tazione di
compenso e di lode, senza solennità e senza pompa e pure con una giocondità ingenua e serena.
Sorride a tutti, quando, liberi dall’
egoismo che c’irrigidisce e contrae, noi viviamo nella vita degli altri, accogliendo nella nostra
esistenza limitata e cadu- ca, una
significazione ed un valore universale.
- 14 - Poichè la nostra vita è
in sè peritura e fuggevole, solo espe-
diente di renderla immortale è avvalorarla al contatto di. un prin- cipio perenne di giovinezza, di un eterno
ideale. Noi trionfiamo idealmente della
morte, sc educhiamo e pro- duciamo nella
nostra vita transeunte dei valori assoluti ed infiniti, che la morte, questa Dea insidiosa del
relativo e del finito, non può
travolgere nelle sue ondate distruggitrici.
E questa, c non altra, la via della salute : è questa, e non altra, la soluzione di un problema della
vita. Il resto, dirò col tragico
inglese, non è che silenzio. Questo
secreto di vitalità duratura cd eterna non traluce alle coscienze opache dei più che si agitano nel
turbine di una vita sprovveduta di
significato. Ma esso non è ignoto a
voi, o Giovani, che per le vocazioni
spontanee dell’ età, per l’anima ricca e sensitiva, per l’ acuto
di- sagio del dolore del mondo, per la
precoce virtù d’ intuizione e di
anticipazione ideale siete meno lontani dalle scaturigini del- la vita.
Voi siete nell’ età dell’aspettazione e della gestazione, onde la vostra vita è aperta all’avvenire ce la
vostra anima non è cor- rosa dalle
delusioni di un passato menzognero nè dalle insidie tentatrici di un presente detestabile. Al cospetto del cinico trionfo quotidiano
dell’ egoismo e del male, voli sentite
ancora vibrare nel vostro cuore delle forze ver- gini e sane che vi preservano dal fascino di
un esempio funesta e vi confidano al
manto tutelare di una nobile Idca.
Uscito, non sono molti annui, dalle vostre file, io, che a voi mi sento, più che maestro, fratello, vi
auguro che queste for- ze risanatrici
non vi abbandonino mai nelle vie perigliose del- l’ esistenza. Voi vedrete, intorno a voi, la vita per sè
uccidere la vita per gli altri, il
parassitismo cestollersi palesemente a legge sovrana della condotta, il male drappeggiarsi Impavido
nella sua trionfale im- pudenza, la
giustizia arrendersi al delitto. E vi assalirà forse il la. 1a
dubbio e lo sconforto ed in una punta di umorismo tragico e me- fistofelico, suggerito dalla ironia spontanea
delle cose, la bella vi- sione serena
del valor ideale e morale della vita vi sarà come ab- buiata e mortificata dalla torbida
apparizione e della perfida lu- singa di
un ben altro valore: di quel valore, al quale la media delle coscienze umane intristite misura e
cimenta la finalità di questa nostra
esistenza. l Ma quel dubbio e quello
sconforto non gioveranno a scemarvi
nell’ anima la fede nell’ ideale e nel trionfo indefettibile del
bene nelle lontane vie della storia, se
voi avrete educato in voi, con cura
assidua di ogni giorno, di ogni ora, il secreto della vita vera. Serbando incontaminata dalle ingiurie del
tempo le giovinezza dello spirito, voi
attingerete ad una sorgente perenne di salute e
di redenzione. La suggestione
insidiosa dell’ egoismo non offusca nè corrompe
che le anime povere di vita. Una certa ricchezza interiore, lieta di prodigarsi altrui, ed una spontanea
fioritura di generosità e di carità è
inseparabile da ogni balda e giovine esistenza. La pienezza di cuore vi salverà dalle
angustie di una co- scienza egoista ; l’
amore trionferà dalla morte. Così la miglior
parte di voi sarà sopravvissuta al destino dell’ annientamento: la vostra vita avrà attinto un valore infinito
(1). (1) Stimo superfluo avvertire il
colto lettore che la filosofia della vita espo-
sta o, per div meglio, abbozzata in questo discorso si riconnette
immediatamen- te alle grandi fonti
insuperate della Mistica, alle concezioni di Arturo Schopen- hauer e di Leone Tolstoi e, qua e là, a
qualche pensiero del Feuchtersleben,
FIRE Google FIRE Google DELLO STESSO AUTORE 1. Za filosofia politica contemporanea,
Appunti critici, — Trani, tipografia V.
Vecchi, 1892: un vol. in-8.° gr. di pag. 194 (esaur). 2. La terra nell’ odierna economia capitalistica.
Studî di sociologia econo- mica, — Roma,
Tip. A. Befani. 1893: un vol, in-8." di pag. 130 (esaur.). 3. La fase recentissima della filosofia del
diritto in Germania, Analisi cri- tica
poggiata sulla teoria della conoscenza. — Pisa, E, Spoerri, L. 3,50. 4. La filosofia del diritto al lume dell’
idealismo critico, — Firenze Tip. della
« Rassegna Nazionale », 1896 : un fasc. in 8.° di pag. .36
(esaur.). 5. Il valore ed i limiti di
una psicogenesi della morale. — Roma 1896,
(presso E. Loescher e B. Lux). L. 1,00. . 6. Le nuove forme dello scetticismo morale
e del materialismo giuridico, Roma,
1896, (presso E. Loescher e Lux). L. 1,00.
7. Contributo all’ analisi dei caratteri differenziali del diritto —
nella « Ri- | vista italiana per le
scienze giuridiche ». 1897-1898. 8. Za
storia înterna cd il problema presente della filosofia del diritto. Pro- lusione al corso di Filosofia del Diritto
nella R. Università di Modena, presso la
Libreria Vincenzi e Nipoti, Modena. L. 1.50.
9. / limiti del determinismo scientifico. — Modena, Vincenzi e Nipoti,
1900. hoy: deg 10. // problema della morale. Prolusione al
corso di filosofia morale nella R.
Università di Napoli. Letta il 10 dicembre 1901. — Napoli, Libreria Detken e Rocholl. L. 1,00. PRETI Google Piecieabi Google x I
| GAN | D
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e. e hi ’ te nt lt nnt mn inn”
- RI EEE A. a aaa a; ° N n University of Michigan — BUHR 9015 00340 007 7 C 3
| I ‘ Ì ARTT. core
Ade rasi nt di
i ap DE Le Sini N. 26. — Biblioteca « Sandron » di Scienze e
lettere — N. 26. IGINO PETRONE Professore Ordinario di
Filosofia nella R. Università di Napoli. PROBLEMI DEL MONDO
MORALE fe — scili e eridntentà
MEDITATI DA UN IDEALISTA La filosofia del diritto al lume
dell’idealismo critico — Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale
— Le nuove for- me dello scetticismo morale e del materialismo giuridico La
visione della vita di Fed. Nietzsche e gl’ideali della morale — L’umano contro
il superumano. Critica di Federico Nietzsche — Il problema della morale — Il
valore della vita — L’Etica come filosofia dell’azione e come intuizione del
mondo. REMO SANDRON — EpiTorE Libraio
della Real Casa MILANO-PALERMO-NAPOLI REMO SANDRON, Editore —
Libraio della R. Casa Milano-Palermo-Napoli
=_—_——+——mr"ee——-e—=e—@—eae—-(i-(-H__22a; e A. lrktr._r .,.irr 1°.
i CINE O 00 di @ la 12. 14. 15.
LT: 19. 20. 21. 22. 24.
26. 20. 29. 32. . Modigliani Gius.
Em. La fine della lotta’ per la vita Biblioteca di Scienze Soclali
e Politiche ——_—_eii— . Guyot Y. La Tirannide
socialista — I principii dell'89 e sl socialismo +. .
Marx C. Il Capitale. Estratti di P. Lafargue 0 con in- troduzione
critica di Vilfredo Pareto e replica di P. Lafargue, con ritratto, 8. edizione
. . Colajanni N. @& avvenimenti "oi Sicilia e le loro
cause, 2. edizione . Morselli E. La pretesa «
Bancarotta della scienza » (Una risposta) . Ferri E.
Dbiscordie positiviste sul Socialismo (Ferri con- tro Garofalo) 2.
edizione . Virgilii F. 7 problema agricolo e l'avvenire sociale.
2. ediz. notevolmente accresciuta. . Starkenburg H. La
miseria sessuale dei nostri tempi. Trad., pref. e note di L. F.
P_.. edizicne . Lafargue P. L'origine e l'evoluzione della proprietà, preceduto
da un’Introduzione di Achille Loria . De Greef C. Regime parlamentare e regime
rappre- sentattvo î Lombroso C. La funzione sociale ‘deldelitto. 2.
edizione Ferraris C. F. Il materialismo storico e lo Stato
. Spencer H. /stiluzioni domestiche Niceforo Alfr. La
delinquenza în Sardegna, con pref di E. Ferri (Note di sociologia criminale)
Spencer H. Istituzioni cerimoniali ; Novicow G. Cosctenza e volontà
sociali ; Niceforo A. L’ Italia barbara contemporanea. Studii ed appunti
sull’Italia del Sud. . . Sombart W. Socialismo e movimento soGiala
nel secolo XIX. Traduz. autorizz. e rived. dall'A. Lerda G.
Influenza del Cristianesimo sull’ Economia. Note ed appunti
Ferraris C. Teoria del daino amministrativo Morasso M. ci quelli che non
hanno e che non sanno Labrioia A. La teoria del valore di U. Marx.
Studio sul III libro del «Capitale » . Tambaro |. Le
incompatibilità parlamentari, 2. edi- zione interamente rifatta
L. » “ 8 % y % % %
y Gatti G. Agricoltura e Socialismo. (Le nuove correnti
‘ dell'economia. ricola) . » Engels F../l socialismo
scientifico contro Eugenio Duhring g » Croce B. Materialismo
storico ed economia marxista. Saggi critici tra gli uomini.
Saggio . Renda A. La questione ineridionale. Inchiesta . Facchini
C. Gl eserciti permanenti. 2. ediz. italiana . Righini E. Antisemitismo e
semitismo nell’ Italia po- litica moderna . Hamon A.
Psicologia del Militare di * professione . Turiello P. IZ Secolo XIX. Studio
POLMGOOOIAE . Loria A. Marx e la sua dottrina. : . % v x x
Ho mn aoeeno colt 5 1 1 SS
pl I 15] 5 MISNO Wo Via mo Gdo
vt 1131 MINN LI « Pa - lola IAAMA
? Kai {e NE: «Tan? Ù o” eg dere 1% V-7404. è e di
; VATZIZA " IGINO PETRONE x” Professore Ordinario di Filosofia
nella R. Università di Napoli. PROBLEMI DEL MONDO. MORALE
MEDITATI DA UN IDEALISTA La filosofia del diritto al
lume dell’idealismo critico — Il valore ed î limiti di una psicogenesi della
morale — Le nuove for- me dello scetticismo morale e del materialismo giuridico
- La visione della vita di Fed. Nietzsche e gl'ideali della morale — L’umano
contro il superumano. Critica dî Federico Nietasche — H problema della morale —
Il valore della vita — L’Etica come filosofi. dell’azione e come intuizione del
mondo. ‘ REMO SANDRON —- EpirorE
Libraio della Real Casa MILANO-PALERMO-NAPOLI
Dello stesso Autore : . La filosofia politica contemporanea.
Appunti critici.— (2* ediz. Roma, Cooperativa - poligrafica editrice, 1904. L.
2,50). . La terra nell'odierna economia capitalistica. Studî di
Sociologia economica.—(Roma, Tip. A. BEFANI, 18983). (È in preparazione la 2*
edizione). . La fase recentissima della filesofia del diritto in
Ger- mania. Analisi critica poggiata sulla teoria della co-
noscenza. — (Pisa, E. SPOERRI, 1895. L. 3,50). . I limiti del
determinismo scientifico. (2* ediz. Roma, Coo- perativa poligrafica editrice,
1903. L. 2). . La storia interna ed il problema presente della
filosofia del diritto. (Modena, Vincenzi e NIp., 1898. L. 1,50). .
Contributo all'analisi dei caratteri differenziali del di- ritto, (nella «
Rivista Italiana per le scienze giuridi- che », 1897-1898). | . Nietesche
e Tolstoi. Idee morali del tempo. Conferenze. (Napobi, L. Pierro, 1902. L.
1,50). Proprietà letteraria dell’Editore Remo Sandron.
Palermo — Tip. F. ANDÒ. I saggi che si adunano in
questa raccolta appar- vero di già, in massima parte e salvo uno, in diverse
riviste filosofiche e letterarie, in annuari accademici ovvero in edizioni a
parte di scarsissimi esemplari. Disseminati qua e là, erano divenuti oramai
difficili a ritrovare e di taluno le poche copie messe fuori erano affatto
esaurite. Ho pensato, perciò, di ricom- porli, di riordinarli e di
ripresentarli in un volume, e vi ho aggiunto un saggio nuovo ed inedito sul
tema L’Etica come filosofia dell’azione e come intuizione del mondo.
Divisi nel tempo e nella forma, li accomuna l’ u- nità dell’idea direttrice e
li collega la coerenza inte- riore del sistema. Essi sono come gradi ascendenti
ed approssimazioni progressive verso quella intuizione idealistica del mondo
che ha sorriso, fin dai primi anni, come suprema visione terminale, alla mia
vocazione di studioso di filosofia. Questa intimità di contenuto spirituale
giova a spiegare il come ed il perchè della raccolta e varrà, altresì, a dar
ragione della singola- IV PREFAZIONE rità del titolo
apposto al presente volume; il qual ti- tolo, certo, apparirebbe pomposo e
temerario in chi non avesse coltivato l’ idealismo e la metafisica in giorni
meno propi@ ed un po’ prima che l’uno e l’al- tra fossero sul punto di
diventare di moda. _ IGINO PETRONE fer e e. (Ia
Torri: n È "nr _—_ ---_ LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO (') Il conte E. di
Saint-Simon ebbe una intui- zione felice, quando concepì, come legge della sto-
ria umana, la successione dei periodi organici e dei periodi critici. |
Lo spirito di sistema che detta anticipatamente le leggi della storia, di
questa scaturigine perenne del nuovo, dell’ impreveduto, del fortuito, quale
apparve allo Schopenhauer, sarà forse una costru- zione fantastica della raison
raisonnante : eppure in quella intuizione v'è un fondo di vero. (1)
Pubblico qui integralmente, senza nessuna modificazione o aggiunta e con solo
qualche schiarimento o citazione a piè di pa- gina, la mia prolusione
all’insegnamento libero di filosofia del di- ritto nell'Università di Roma
(anno 1896). Per contenuto dottrinale, essa si ricollega all’indirizzo
filosofico giuridico che ho propugnato nel libro « La fase recentissima
della filosofia del diritto in Germania — Analisi critica poggiata
sulla teo- ria della conoscenza — Pisa, C. Spoerri, 1895», alquale
rinvio quei lettori, i quali desiderino uno svolgimento più ampio di alcuni
principî, che in un discorso come questo non potevo che disegnare in iscorcio e
quasi di sfuggita. I. Perroxe. — Problemi del mondo morale. 1
Di 0.4 9 LA »rILOSOFIA DEL DIRITTO Voi ne avete
una conferma luminosa nella storia della filosofia, come nella storia di tutte
le idee umane: nel corso delle quali v’ha, per un verso, periodi di credenza,
di dogmatismo, di or- ganamento e di sistema — e sono i pertodi o0rga- nici — e
v’ ha, per un altro verso, periodi di cri- | tica, di esame, di analisi e di
risoluzione — e sono 1 periodi critici. Il compito della filosofia non è
lo stesso nei primi che nei secondi. Nei periodi organici essa consolida,
ordina 4 sistema e, sarei per dire, mortifica le verità nuove indagate e
scoperte dallo spirito di ricerca e di libero esame resosi vivo nei periodi
critici ante- riori; verità, che essa accetta per diritto di eredità e fa sue,
senza sentire i dolori e le ansie della ge- stazione di esse. Nei periodi
critici essa procede senza posa ad indagini nuove, risolve negli ele- menti
primi i fenomeni complessi offertile dalla e- sperienza del reale, ricerca le
cause prime ed i supremi perchè delle cose, non paga se non abbia toccato, o
non le paia di aver toccato, il fondo dei problemi della vita e del
cosmo. Ho detto il compito della filosofia, e non ho inteso dire che tale
sia sempre stato e sia, nel- l’ordine dei fatti, l’intento del filosofo.
L’energia creativa dello spirito individuale dà prova di sè anche nel corso dei
periodi organici, in cui non è raro trovare menti indagatrici ed e- sercitanti
il pungolo della critica su tutto. il pa- trimonio acquisito del sapere : come,
per altro verso, la scarsa coscienza dei bisogni del tempo fa’ sì che
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 3 anche nel corso di un
periodo critico nascano e traggano vita prospera menti dogmatiche, aliene dallo
spirito di ricerca, intente tuttora a conterire una veste sistematica a quelle
poche cognizioni alle quali la scienza è pervenuta prima di loro, avverse ad
ogni indagine dei presupposti e della genesi prima di quelle cognizioni o
DOgiL: ‘oggetti ai quali esse si riferiscono. * * * Il
periodo storico presente è, per la filosofia e le scienze morali, un periodo
critico : critico, già s’intende, in un certo senso e uon nel senso in cui lo
concepiscono i più, che amano, facendo ap- pello ad una crisi inevitabile del
sapere, dissimu- lare o sistemare la loro impotenza a creare: critico, nel
senso che i fenomeni ed i cosiddetti prodotti della cultura vanno non già
accettati puramente e semplicemente, ma saggiati nei loro fondamenti e risoluti
nelle unità elementari che li compongono e nelle forze primitive che li
animano. La critica — nell’altissima accezione di una indagine dei pre- supposti
ideologici ed ontologici dei fenomeni — ecco l’esigeuza che il tempo nostro,
valutato, forse, . non alla stregua di quello che ha fatto, ma di quello che
voleva o. avrebbe voluto fare, sente tuttora il bisogno di appagare. .
* * * Il filosofo del diritto, o chi aspiri ad essere ‘tale
oggi, ha, adunque, segnato dalla stessa logica ideale delle cose, il cammino
che egli deve seguire. 4 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO Non
turbato dalle accuse fattegli in nome del- l’empirismo, che, nell’accettazione
e sia pure nella comprensione scientifica dei fenomeni giuridici, hasmarrito il
vivo bisogno di indagare i presuppo- sti filosofici dei medesimi; non scosso
dall’esem- pio del realismo, che nell’ acquiescenza , consape- vole o
inconsapevole che siasi, al diritto positivo, non esperimenta quel pungolo
interiore che trae altri a domandare il diritto di quel diritto ; egli, il
filosofo, dico, conosce che ufficio suo è d’ inda- gare il di là del fenomeno,
la condizione o la se- rie delle condizioni che lo rendono possibile, le forze
prime che lo animano: egli sa che deve in- tendere alla critica della
sociogenesi e della em- briogenia giuridica, all’analisi dei presupposti e dei
primi principî: egli sa che la sua dev’ essere (parola tolta in prestito alla
fisica, ma che qui vuol avere un senso metafisico) una vera meccanica
molecolare del diritto. E non è solo la legge del tempo quella che lo
trae a fare ciò: ma glielo persuade, in pari grado, la legge della disciplina
che egli professa. Perchè, se una filosofia ha ancora ragione di es- sere,
essa, per fermo, non può avere altro ufficio che questo, che io vi disegno
oggi. Le sorti della filosofia del diritto, come le sorti della filosofia in
generale, sono intimamente legate alla so- luzione di questo supremo problema
dell’ ordine conoscitivo e dell’ordine cosmico; se vi sia un di là dei
fenomeni, se i fenomeni stessi menino spon- taneamente l’intelletto di chi li
osserva con abito di scienza a speculare un mondo inesplorato dalla
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 5 pura esperienza, un
assolutamente prius da cui germini la serie fenomenica. Una soluzione
negativa di tale problema se- gna l’esclusione della filosofia, e dico della
filoso- fia che sia tale sul serio, dall’ ordine delle cono- scenze.
Perchè, se la filosofia’ è una critica dell’espe- rienza, essa deve, per
necessità di cose, superare l’esperienza ed avere un oggetto suo, almen for-
male, che non sia l’oggetto dell’esperienza. L’occasione e l’impulso
intimo ad assumere ed a fissare questo suv oggetto può, deve, anzi, venirle
dall’esperienza, la quale, nell’economia dell’inten- dimento umano, è il vero
punctum pruriens della speculazione. Ma, se il nostro intelletto è così fatto,
che esso non può cogliere di un rapido in- tùito le supreme ragioni delle cose
e solo è tratto a specularle da una paziente ed industre educa- zione
dell’esperienza, non però voi dovete credere . che le ragioni stesse sieno
fenomeni di esperienza a lor volta. Credere che esse sieno, oggettiva- mente
considerate, un prodotto dell’ esperienza, solo perchè è un prodotto dell’
esperienza lo sti- molo che ha l’uomo a conoscerle, è commettere quell’errore
che il Comte considerò come il grande paralogismo della metafisica e che è, pur
troppo, l’errore comune di tutte le speculazioni dogmati- che, volgano esse
alla metafisica o al positivismo: convertire un fenomeno psicologico e logico
in un fenomeno reale, trasferire al di fuori un fenomeno, un molto difettoso
fenomeno, del di dentro. Pa 6 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO
* * %* La filosofia, adunque, non può legittimarsi come tale, se
non professa d’indagare le forze ge- nerative ed i primi principî dell’ordine
fenomenico. Se non che, vhanno due modi diversi d’in- tendere che cosa
sia una forza genetica e che un primo principio; modi, che vanno accuratamente
distinti per non cadere: sotto altra forma, negli errori o nelle lacune
dell’empirismo. La così detta filosofia positiva del diritto inten-
/ de anch'essa, oggi, ad investigare le origini e le forze
primitive della formazione naturale del dirit- to. E, del resto, chi non sa che
la forme d'’ esprit, resasi universale nel tempo nostro, riposi appunto
nell’indagine del momento genetico delle cose? e che la ricerca delle cause, in
che da secoli si è fatto consistere il còmpito della filosofia, venga dai più,
oggi, concepita ed interpetrata come una | ricerca delle origini? e
che questa inversione del momento causale nel momento genetico sia
ap- punto il gran postulato del metodo storico ? È, forse, in questo senso
che la filosofia del diritto, quale la disegnamo noi, deve procodere alla
ricerca dei primi principî ? * * * 9.) :‘‘
Risponderemo negativamente. I principî filo- ‘.- sofici sono una
cosa ben diversa dalle origini sto- , riche. Le origini storiche vi danno la
prima appa- rizione fenomenica delle cose, ma non il
principio AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 7 generatore
di tutte le apparizioni fenomeniche possibili. Esse sono un primo termine della
serie delle contingenze: ma, appunto per questo, esse non sono la causa prima
della serie stessa. La causa della serie è prima ed, in un certo senso,
fuori della serie; dico prima nel senso ideale e non nel senso
cronologico : osservo, anzi, che nel trasferire la condizione del tempo nel
concepi- . mento dei rapporti ideali, sta il segreto degli equi;
voci del positivismo. Per cercare la causa delle cose che sono nel
tempo, voi dovete uscire fuori del tempo : per co- noscere il momento causale
dei fenomeni, voi do- vete aver superata la serie fenomenica. Il fenome- no
originario è effetto, a sua volta, che appella alla sua causa: convertirlo in
causa prima è conferire ad esso un significato infinito, che non è
propor- zionato alla sua natura finita; il che non
significa). bandire i rapporti ideali della metafisica, ma tra-
sferire i rapporti stessi nell’ordine fenomenico e} storico,
ossia pervertirne la sostanza. Se guardate al valore etimologico delle
parole, trovate che la parola principio significa comincia. mento. Principio di
una cosa sarà, allora, il primo modo, la prima guisa onde appare la cosa stessa
: principio della conoscenza sarà il primo degli atti conoscitivi, poniamo la
sensazione: principio del diritto sarà il primo diritto storico determinato o
la prima serie dei diritti storici o, meglio, la forma prima onde appare il
diritto storicamente presso i popoli della terra. Insomma, principio del feno-
meno sarà allora la prima rappresentazione del fenomeno. 8 LA
FILOSOFIA DEL DIRITTO Ma, se guardate al valore ideologico, la
parola principio acquista un significato ben altrimenti profondo. i I
L’ordine o, per meglio dire, la moltitudine dei fenomeni ci si rappresenta come
una serie indefi- nita di termini relativi; la qual serie, per essere
indefinita, non ha, quindi, principio nè fine: ed uns legge profonda che
governa il nostro intelletto ci mena a redimerci da questo vano e parenne
circolo vizioso della rappresentazione fenomenica, fissando una causa prima, un
prius assoluto della serie. (1) La mente empirica può limitarsi alla ri- cerca
di quello che è primo per ordine di tempo: ma la mente filosofica vuole altro:
essa domanda quello che è primo per ordine di generazione, 08- sia per ordine
di natura. Una legge irresistibile del nostro spirito, dice il Maine de
Biran, ci trae verso questo primo prin- cipio, che è la causa della serie
determinata, seb- bene esso sia indeterminato a sua volta, che è la
(1) « Les causes efficientes particulières des mouvements de la matière
(e può dirsi altresì di tutti gli altri ordini di fenomeni) con- sistent
toujours dans les états précédents de cette matière méme. L'état actuel d’un corps
particulier a sa cause efficiente (ou sa rai- son) dans son état immédiatement
antérieur, comme dans celui de tous les corps ambiants qui concourent ou
s’accordent avec lui, suivant des lois préstablies. Quand un irait jusq’ è l’infini
dans la liaison ou l’enchaînement des états, on ne parviendrait jamais à
trouver une raison qui n’eùt pas besoin d’une autre raison : d’où il suit que
la raison pleine des choses ne doit point étre cherchèe dans les causes
particulières (soit efficientes soit finales), mais dans une cause générale,
d’où émanent tous les états successifa depuis le premier jusqu’ au dernier....»
Leibnite—Oeuvres, II 2. p. 112 cit. da Maine de Biran— Doctrine philosophique
de Leibnitz. AL
LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 9 condizione del fenomeno, sebbene esso
sia incon- dizionale. (1) | E quello che è primo per ordine di natura
differisce essenzialmente da quello che è primo per ordine di tempo. Poichè il
termine primo per or- dine di tempo non è un principio delle cose in sè,
oggettivamente considerate al lume della ragione: esso è primo solo rispetto
alla rappresentazione fenomenica che ne abbiamo noi. La nostra intuizio- ne
subiettiva è limitata alla condizione del tempe: ma voi errereste a
predicare delle cose quello che si traduce in un nostro difetto
interiore. Voi com- mettereste l’errore, ciò facendo, d’imporre alla na- tura
la legge del soggetto: d’imporre al mondo delle cose in sè, la legge della
rappresentazione. Voi errereste, dico, in far questo raziocinio: quello che è
primo rispetto a noi è, altresì, primo rispetto alla natura; perché le cose
stanno al di fuori di noi in modo che può essere ben diverso da quello in cui
stanno dentro di noi (per dirla in forma intuitiva e corpulenta); e
dico dentro di noi, perchè noi siamo. dominati dalla rappresentazione
fenomenica, prima (1) «Ce n’est jamais au premier en temps que nous
nous arrétons et que nous sommes les maîtres de nous arréter. Une loi de notre
esprit nous impose la nécessité de remonter jusqu’ à un premier générateur
(prius natura) qui détermine le commencement de la suite, quoiqu’ il soit
lui-méme tout-à fait indéterminé: ou qui est la condition de telle
serie commenceante, quoiqu’ il soit lui-méme sans . conditions.
C'est ce premier dans.l’ordre de génération que nous appelons principe, et qui
différe par le genre et la nature (toto ge- nere et natura) de tout ce qui est
compris dans la succession phé- nomènique, à partir du commencementjusqu’à la
fin.» —Maine de Biran — Science et Psychologie, 164-165. ' trio, da 10 LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO che la ragione ci restituisca limpida e piena la ve- ra
natura delle cose. Epperò, se dentro di noi il primo principio, ossia l’origine
remota e profonda di una cosa, è la prima apparizione temporale del- la cosa,
ossia la prima forma e la prima gui- sa del suo nascimento, fuori di noi il
primo prin- cipio e l’ origine remota e profonda della cosa stes- sa è
precisamente il contrario: è la sua natura. La mente empirica, adunque, si tien
paga a quello che è primo per ordine di tempo, poichè quello che è primo per
ordine di tempo coincide con quello che è primo per ordine di rappresentazione:
ma la mente filosofica, che ha esperimentata la crisi della coscienza e sente
vibrare dentro di sè l’antitesi feconda di quello che è soggettivo e di quello
che è oggettivo, dell’ordine logico e dell’ordine onto- logico, del fenomeno e
dell’idea, la mente filoso- fica, dico, indaga quello che è primo per ordine di
natura ed. è ultimo, forse, per ordine di cono- scenza; ultimo, perchè vien su
dopo tutta la se- rie degli atti intellettivi che sono necessari a su- perare
la manchevolezza della rappresentazione fenomenica e le suggestioni della
intuizione sog- geltiva. | * *x * Questo dualismo tra
noi e le cose non è un dettato del criticismo ovvero della forma moderna dell’
idealismo subbiettivo: chè anzi il Kant, col professare l’inconoscibilità del
mondo in sè, venne risolvendo quel dualismo fecondo, ereditato dall’i-
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 11 dealismo obbiettivo della
filosofia classica, nell’in- distinto del fenomenismo. Quel dualismo è il vec-
chio ed il sano principio della speculazione greca la quale segnò la vera
critica dell’ intendimento umano, perchè riconobbe che i due mondi, quello
dell'oggetto e quello del soggetto, sono in rela- zione tra di loro, ossia
l’oggetto è conoscihile dal soggetto, e riconobbe nel tempo stesso , che essi
sono in disarmonia, ossia l’ oggetto esiste nella rappresentazione del soggetto
in una forma di- . versa da quello che esiste in sè stesso: e, ripeto, segnò la
vera critica dell’intendimento, perchè ci apprese esservi una facoltà dello
spirito umano, una facoltà superiore alle altre, —la quale ha l’ufficio,
appunto, di sceverare, di reintegrare la purità del mondo oggettivo di tra le
suggestioni e le apparenze impure insinuatevi dalla rap- presentazione.
Quella grande ed imperitura filesofia non at- tese, adunque, ad una
unificazione dialettica dei due termini, ossia del mondo oggettivo e del mon-
do soggettivo, e nemmeno ad una separazione. sofistica di essi: e perchè non li
separava, prevenne) gli errori dell’idealismo assoluto, e, perchè non i) univa,
gli errori del'’empirismo e dell’obiettivismo volgare : e, per l’una e
l’altra.ragione ad un tempo, . gli errori dell’idealismo empirico o del
realismo trascendentale, gli errori, cioè, del fenomenismo. Epperò, fu
quella la vera critica della espe- rienza: perchè la critica è correzione e
riesame: è analisi e differenziazione dei due mondi, che ]l’e- sperienza ci
presenta indistinti e come confusi in 12 LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO un solo, ed è, in pari tempo, attribuzione a ciascuno dei
due di quello che gli tocca. * * * Tra la filosofia
positiva del diritto, come è | oggi, che ricerca solo le origini storiche
del feno- meno giuridico, e la filosofia del diritto propria- mente detta, che,
pur facendo omaggio alla storia e traendone pro, si libra più in alto fino
all’esame dei primi principî, noi, adunque, siamo decisamente per l’ultima. E
ciò, non per abuso meditato di metafisica, ma per una legge della ragione e
delle cose : perchè, è uopo ripeterlo, nella serie indefinita dei termini (1)
contingenti, non ve n’è uno solo che possa essere assunto, senz’ altro, come il
primo, e di cui non si possa concepire un altro termine che sia da più di esso:
di guisa che, per trarsi fuori di questo circolo ingannevole (e dico
ingannevole, perchè su questa via noi non troveremmo mai quella di che andiamo
in cerca, la causa vera), non v’è altro mezzo che trarsi fuori dalla stessa
serie del contingente per fissare quello che è necessario, e che, però, non è
nessuno dei termini di quella l’esperienza ci dà delle cose è un
termine soggettivo. i È solo la swppestv che con la svt%- reintegra la purità
del i mondo oggettivo (rò èvrws dv) di tra le apparenze ingannevoli (ciòwà2)
della rappresentazione : e con cui fonda la vera scienza (èrmistinun) che si
contrappone alla rappresentazione fenomenale (d6r2). Epperò solo le cose, come
sono conosciute, o meglfo riconosciute dalla ragione, si possono e si devono
chiamare oggetti. ) (1) Dico termini e non oggetti. Perchè la
rappresentazione che . AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO
13 serie, sebbene esso sia il principio generatore dei termini
tutti. E questa verità viene riaffermata dall’anda- mento stesso
dell’esperienza e della storia: nelle quali il progresso delle ricerche si
annunzia con lo allontanarsi sempre più, col trasferirsi sempre più in là, del
momento genetico delle cose : per cui ogni tappa dell’una e dell’altra (dico,
dell’e- sperienza e della storia) segna come una percezione più esatta delle
distanze indefinite, che separano le nostre rappresentazioni fenomeniche dal
punto in cui s’'acqueta ogni disio del sapere ideale : come se anche
nell’esperienza e nella storia vi fosse un tacito presentimento della propria
manchevolezza. ed un anelito verso forme più alte. (1) * * *
Quest’analisi dei primi principî per ordine di natura è la sola via che
ci consenta non solo di essere ossequenti alle vere leggi della mente umana,
ma, (1) Va da sè che la noziune di questi principî per ordine di
natura, appunto perchè essi sono assolutamente primi, esclude la possibilità o
la ricerca di «altro principio che sia per avventura prima di loro. Il processo
della causalità si arresta, quando nella serie regressiva delle cause si è
pervenuti alla causa prima : ed il prin- cipio di causalità è una legge delle
contingenze e della rappresen- . tazione, non una legge dei principî
primi. Del resto, Platone lo aveva già insegnato. pXh dì azéutov. ep upXic
yap evazia Thy TÒ yes evo» puprendui, abthv de undeg dvés. ei Yap da Tov UpAr
yejvorto, tobto oùx dv èr upXig yuyvoro. èmudh dè aytutiv fotw, nai kotpPopor
arò uudzan stvui. apXîs yxp dn amoioptvig ore dÙrh more EX tov obte dilo èr
èXeivag yevnietai, eimtep èr upXhg Get TÀ nuvra yijvesdai — Fedro
244. 14 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO altresì, d’intendere
appieno la natura del diritto e l’ufficio che esso adempie nell’economia
dell’ordine universale. | La filosofia positiva, avendo mutuato dalla i
in- tuizione panteistica del mondo il così detto con- cepimento organico della
società e dei prodotti della cultura, v’insegna che l’origine del diritto sta
nella «convivenza sociale: e non le viene in mente di ‘domandarsi
se la convivenza sociale non presup- ponga, a sua volta, (non dico già perchè
si conservi ‘ solo, ma perchè nasca) la preesistenza del diritto,
se non come formazione oggettiva, almeno come | vocazione.
psicologica, come tendenza, anzi meglio, . COme natura, delle unità elementari
della convi- | venza. E così, dol fare del diritto non più il
princi- pio della coesistenza ma il suo prodotto, non più il vinculum
societatis ma la creatura di una socie- tà bella e data altronde ed il
risultato della ere. ‘ dità sociologica, si rischia di perdere di mira quella
appunto che è la funzione specifica del diritto, di questo principio organico,
di questa forza vitale dell’associazione. Con lo assumere gli organismi
giuridici belli e formati, senza procedere allo esame delle forze
formative ed all’analisi delle unità molecolari de- gli
organismi stessi, si è forse coerenti seguaci del metodo storico, perchè la
storia che registra vo- lentieri il divenire esteriore delle cose, non ne ren-
de il divenire interno e la genesi vitale; ma, ad un tempo, si vien
meno all’assunto precipuo che la filosofia del diritto deve
proporsi: quello di as-. ‘00 lella ella ) di Sup servì ritto,
"ome lio, ont: rincì D più socie: q ere quella Ito, di vitale
| pelli fore sri de xci del ig Vi 10 ret 19, di o che di AL
LUME DELL'IDEALISMO CRITICO 15 segnare al diritto il posto che
davvero gli tocca in una intuizione universale del mondo. * *
* Per avviare quell’analisi dei primi principî, è uopo prendere le
mosse dalla stessa fenomenologia giuridica. Ciò che per questa è un
presupposto, ? , è della filosofia il problema. N A Ora la fenomenologia
ci presenta il diritto in tre forme capitali: come una intuizione o una
rappresentazione psicologica del soggetto, come una facoltà pratica ed attiva
dei soggetto stesso, come una legge oggettiva dei soggetti. Qualunque nozione
voi vi formiate del diritto, queste tre note vi si associeranno senza dubbio :
le intuizio- ni psicologiche si convertono con le facoltà attive e con le
istituzioni oggettive e queste con quelle e tra di loro, come l’idea si
converte col fatto: ma ciò non toglie che quelle tre categorie sieno da
analizzare ciascuna per sè, e, per ordine, tutte. La filosofia seguirà lo
stesso ordine della fe- nomenologià e, senza postulare sintesi premature, 4
indagherà il primo principio del diritto come rap- ‘presentazione,
ed il primo del diritto come facol- 7 tà, ed il primo del diritto
come legge. se SE, L, LI * * * La filosofia
positiva, in conformità della sua :--” natura, v’insegnerà che principio
originario delle rappresentazioni giuridiche è la prima rappresen-
16 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO tazione per ordine di tempo, è la
rappresentazione giuridica dell’ uomo primitivo. Essa, quindi, infe- rirà
l’idea del diritto, quell’ idea che illumina l’uomo della cultura, dai motivi
empirici che de- terminano le rappresentazioni giuridiche dell’uomo della
natura. L’idea del diritto sarà, allora, conce- pita come l’effetto finale di
un lungo processo di cose per cui, poniamo, il senso di paura e di sog- gezione
che nell’uomo primitivo era determinato dalla pressura della forza materiale si
è venuto svincolando da quella prima rappresentazione della forza personale ed
associando all’ imperativo im- personale, alla legge concepita come legge. E
ter- mine iniziale di questo lungo processo sarà sem- pre quel tal senso di
soggezione e di paura, quel motivo empirico e quell’impulso sub-umano, che fu
storicamente primo ad essere prodotto nell’uo- mo primitivo. Per la
filosofia non positiva, invece, primo principio delle rappresentazioni
giuridiche è, pro- prio, quello che, per l’altra, è l’eftetto DIDO: è l’idea
del diritto. Non, quindi, una rappresentazione determi- nata, ma un
presupposto, una radice ideale delle rappresentazioni possibili. Non un prodotto
delle esperienze psicologiche della vita comune o del- l'alchimia dell
associazione psicologica. Ma un in- tuito razionale, preesistente nelle unità
individuali della convivenza ed origine e condizione e pre- supposto della
stessa associazione psicologica. Perchè l’ associarsi del rispetto
all’idea del | diritto anzichè, poniamo, alla forza, non verrebbe
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 17 alla luce come fatto di
coscienza, se non vi fosse una intuizione originaria dell’idea : e questa idea,
ehe è uno dei termini dell’associazione ed è la for- ma dell’associazione
stessa, non può venirla gene- rando, ex nihilo sui, l’altro termine. Così
dalla forza non si differenzierà il diritto per dato e fatto della forza o
dell’abito di obbe- dienza alla forza: ed è la mente che, dopo aver confuso il
diritto con la forza per difetto di con- sapevolezza, li viene indi dissociando
e differen- ziando, resa più conscia e matura di sè, ossia viene riconoscendo
la purità del diritto. La evoluzione sociologica non crea questa Idea, ma
sì ne crea la consapevolezza e, come di- rebbe il Leibnitz, l’appercezione.
Oome idea e come prima percezione, essa inside nel fondo primitivo ed
inconsciente dello spirito nostro. La fenomenologia della coscienza
giuridica non | è la scienza di questa Idea, ma sì la storia
della. conoscenza che ne acquistiamo noi. Ed essa c’in- segna che
l’uomo in una prima fase associa quel- l’idea alla forza materiale del potere,
ed in una seconda, alla forza legale del volere del legislatore, ed in una
terza fase, alla forza ideale dei principi; ma c’insegna, in pari tempo, che
l’idea del diritto, appunto perchè coesiste alle fasi diverse della coscienza
giuridica, preesiste, dico meglio, sottostà alla coscienza stessa:
di guisa che risultato della . evoluzione non è già la sua natura,
ma sì = Sana 3 zione della nostra coscienza con essa. E questa
Idea, perchè è presupposta dalla coesistenza sociale e perchè sottostà alle
rappresen- I. Perrone. — Problemi del mondo morale. Slip ay das it
een rg A in n Aria). do fato Iyu 18 LA
FILOSOFIA DEL DIRITTO tazioni giuridiche, non può essere un
distillato delle esperienze utilitarie della specie e della razza, come
vogliono lo Spencer ed il Lewes, nè uno storico de- trito dell’istinto sociale
depurantesi nel lungo pro- cesso dell’evoluzione delle specie organiche, come ,
vuole il Darwin; non può essere una riflessione o una proiezione interna
dell’autorità dei poteri este- riori dovuta all’istinto imitativo, come vuole
il Bain, od un processo ritmico di azioni e reazioni della coscienza
individuale e della convivenza sociale, co- me vuole l’Ardigò; e nemmeno un
prodotto deri- vato dei sentimenti simpatici o di una maggior forza
rappresentativa degli stati di coscienza, come vogliono un po’
tutti e, più, lo stesso Spencer; e, meno che mai, la proiezione ideologica del
rispetto verso la forza infinita del superiore, come pensa il Y Kirchmann.
(1) Perchè, secondo tutte queste teorie, essa, l’idea del diritto,
sarebbe un termine derivato, dovechè l’idea stessa è un termine primitivo, un
presup- posto delle stesse esperienze della specie e della razza ed un
prerequisito dello stesso differenziarsi della legge dall’autorità, della
giustizia dalla le- (1) Spencer — Principles of psychology, p. 621.
E la lettera allo Stwart Mill nel libro del Bain — Mental a. moral
science. Lewes — Problems
of life a. mul, p. 162 e segg. Darwin — The descent of man, c. III e
IV. Bain — Emotions a will, 283 e segg. Azrpiaò — Soczologia, 105
107. V. Kircamann— Die Grundbegriffe u. s. w. Sul Kirchmann cfr. il
nostro libro sopracitato, p. 106-120. L’insufficienza delle teorie delle esperienze della
specie è di- mostrata nel libro stesso : Sez. II, cap. 2. AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 19 galità, dell'autonomia dall’eteronomia,
del SO dalla forza.. E, perchè primitiva e naturale all’uomo, essa è
universale; e la critica più dissolvitrice della ragion pratica ve la ritrova
anche nelle forme più basse della evoluzione giuridica: dove variano i fenomeni
e non l’idea, dove mutano le rappresen- tazioni del contenuto oggettivo del
diritto, ma non ne muta la forma, ovvero la esigenza ideale del diritto, ossia
l’idea del diritto: dove tutti gli atti giuridici, anche quelli che ad una fase
poste- riore della coscienza giuridica si chiariranno in- giusti, sono intuìti,
dalla mente dei soggetti che li praticano, sotto la ragion formale del giusto:
dove, insomma, si trova mutarsi nelle menti e nelle coscienze la nozione di
quello che è attual- mente giusto o ingiusto, ma perdurarvi costante la massima
che v’ è un giusto ed un ingiusto, come v'è il bene ed il male, e l’idea
dell’uno coin- cidere sempre con l’idea dell’ obbligazione, ossia col
convineimento del doverlo fare, e 1’ idea del- l’altro coincidere con l’idea
del divieto, ossia col convincimento del doverlo non fare (1). Nè, per
questo, la Idea del diritto è forma vuota ed astratta: chè nell’ordine cosmico,
come insegnò il Leibnitz, forme vuote non esistono, ed }} ogni potenza è
azione, ossia è attualità e sforzo: come ogni forza è movimento: potentia
conatum involvit. (2) Così l’Idea del diritto è sforzo verso hei
per sala, SS: dre sal pal (1) Prima del Lecky lo aveva egregiamente
detto il Jouffroy — Cours de droit naturel, II, p. 410, 412, e seg. (2) «
Differt enim vis activa a potentia nuda vulgo scholis co- el
20 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO un contenuto giuridico: sforzo,
che non si assolve in nessun contenuto storicamente determinato; e che, appunto
per questo, è il principio delle as- sociazioni storiche ad un contenuto
progressiva- mente più alto. , In verità, questa Idea preesiste o sottostà alla
fenomenologia della coscienza giuridica, ma, in pari tempo, coesiste con essa e
l’avviva di sè: ed è insieme la sua causalità, la sua genesi iniziale ed il suo
termine finale. Poichè, come disse pro- fondamente il Vico, è natura dei
principî che da essi primi le cose escano ed in essi ultimi vadano a
sterminare. Così, l’idea del. diritto è principio ri- i spetto alla natura
razionale del diritto ed è ter- mine finale rispetto alla fenomenologia della
co- . scienza giuridica: precisamente come è ultimo, ri- spetto a noi, ciò che
è primo rispetto alla natura. * *% * ‘4 Il diritto come
rappresentazione, dicevamo più su, ci si pone, altresì, come facoltà
positiva ed attuale del soggetto, come facultas agendi. Questa facoltà o
questa serie di facoltà, que- gnita: quod potentia activa
Scholasticorum, seu facultas, nihil aliud est quam propinqua agendi
possibilitas, quae tamen aliena excitatione, et velut stimulo indiget ut in
actum transferatur. Sed vis activa actum quendam, sive èvredéXev continet,
atque in- ter facultatem agendi actionemque ipsam media est, et conatum
involvit: atque ita per se ipsam in operationem fertur.» — (LEIB- NITZ — Op.
omn. ed. Duters, vol. 2. p.
20. De primae philosophiae erkendatione et notione substantiae). AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 21 sti
diritti che sono frutto dell’attività umana, la quale si spiega sul mondo
esteriore ed intreccia rapporti contrattuali con le attività coesistenti,
queste facoltà, dico, la filosofia positiva esamina nelle loro origini storiche
e nelle condizioni di fatto, condizioni economiche e sociologiche, che
presiedono al loro processo evolutivo. Ed è giusto che sia così; perchè
quelle facoltà sono relative e condizionali e la filosofia positiva adempie il
suo còmpito quando ne esamina i rap- porti e le condizioni, quando ne esamina
il prin- cipio primo per ordine di tempo. Ma è giusto, del pari, che la
filosofia del diritto pur tesoreggi gli acquisti della esperienza e della
storia e tragga suo pro dallo studio della evoluzione economica, la quale forma
come il sottosuolo dei diritti sog- gettivi patrimoniali, (1) ma, nel tempo
stesso, non si fermi a ciò e proceda oltre il relativo ed il condizionale ed
affronti il problema d’un diritto primitivo generatore dei diritti medesimi, d’
un principio primo per ordine di natura. La legge di continuità vuole che
non vi sia un diritto senza un diritto che gli precede, non un diritto senza un
principio del diritto, non un ch ni (1) È quello che
più dovrebbe fare e che, pur troppo, meno fa l'odierna sociologia giuridica,
forse perchè è assai più facile edifi- care sistemi sociologici su vuote
categorie concettuali, che sull’a- nalisi scientifica e veramente positiva
della fenomenologia storico- economica delle istituzioni sociuli. Vero è che la
mitologia prei- ‘storica ed archeologica le fa le veci della storia! Ma, con
quanta jattura degli studi filosofici e, più di tutto, delle stesse legittime
esigenze della sociologia ! hi 1 99 LA
FILOSOFIA DEL DIRITTO diritto attuale senza un diritto abituale,
non un diritto acquisito senza un diritto connaturato. Perchè i diritti
acquisiti è giusto che abbiano un soggetto ed un soggetto persistente, che sot-
tostia alle acquisizioni storiche, quindi preesista idealmente alle
acquisizioni stesse. L'acquisto di diritti non nati ancora è frutto dell’
attività del soggetto; la quale attività, scaturigine di diritti nuovi, deve
fondarsi e legittimarsi in un diritto primitivo essa stessa. Oredere alla
nascita dei diritti senza fonda- mento in un diritto non nato o, che è lo
stesso, nato col soggetto; credere nella sopravvenienza di questo o quel
diritto personale transuente, senza base in un diritto permanente della
persona, è credere ai fenomeni senza il soggetto, agli attri- buti senza la
sostanza, agli effetti senza la causa: ed è tutt'uno che sopprimere la legge di
conti- nuità e la legge di causalità e sistemare la teoria del caso. (1)
Il diritto acquisito senza il dirittog innato è un ex abrupto, un salto mortale
della storia; è la generatio aequivoca di un potere positivo, che è anch’esso
termine relativo e condizionale e, non che essere fondamento di diritti, ha
bisogno di (1) L’Ardigò è il solo degli avversari della metafisica,
il quale abbia compreso che l’unico espediente di legittimazione teoretica del
positivismo sia sistemare apertamente la teoria del caso. Ed egli la
sistema in effetti, legittimando la nozione del caso ‘come
equazione dell'infinito, e fornendo l’esempio di una logica, che |
noi dobbiamo riconoscere benchè avversari, anzi appunto perchè
avversari. Cfr. Ardigò, Opere filosofiche, II, p. 254 — 822.
ATI TT Nt e TATE nl gatti e Te ne TTT TTT 7 SERA AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 93 appellare pria ad un diritto che sia il
suo fonda- mento. Lt La filosofia trova, adunque, che i diritti sto- rici
ed acquisiti hanno il loro presupposto ed il loro primo principio nei diritti
innati: i quali di- ritti innati, per la loro stessa natura, sono prin- cipio e
forma del diritto, più che diritto determi- ‘nato per sè stante, e sono il
soggetto dei feno- meni e non il fenomeno: come l’anima è il sog- getto dei
fenomeni psichici e non questo o quel fenomeno psftchico dato. ‘- Essi,
adunque, non sono questo o quel diritto fenomenico o concepito a mo’ dei
diritti fenome- nici, ma la forma juris ed il fondamento d’invio- labilità di
tutti i diritti fenomenici possibili; e non sono questa o quella circonferenza
giuridicamente determinata, ma il centro comune delle circonfe- renze
indefinite descrivibili attorno a quel centro: essi sono, insomma, non il
diritto, ma il diritto dei diritti. | Sono la stessa personalità
giuridica, che sus- siste in tutti i diritti senza differenziarsi in cia-
scuno, e che non si consuma in nessuno di essi, perchè li condiziona egualmente
tutti: sono l’au)) ctoritas di cui parla il Vico, la libertà, di
cui par lano gli ultimi teorici del diritto razionale post- kantiano. 0 | d * *
* Contro la nozione di questo diritto dei di- ritti si levano voci
diffidenti e sdegnose, così da li ar ge re 09» SRI AE ep RD
a ERI e_cgio EER AI 94 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO parte
della scienza giuridica come da parte della intuizione panteistica del mondo.
Ma, ragione di siffatto disdegno non è già, che i diritti innati e la
personalità giuridica non ab- biano fondamento nell’ ordine ontologico e non
sieno oggetto legittimo di speculazione razionale, | ‘ma perchè il vecchio
diritto naturale atteggiò i : diritti innati in una forma pericolosa e che non
\ era filosoficamente la vera. Perchè i diritti innati sono poteri ideologici o
teoretici (come li chiamò il Romagnosi), ed in- vece i cultori del diritto
naturale dell’ Aufklirung e della Rivoluzione li foggiarono a guisa di po- teri
fenomenologici e pratici. Onde, non li conce- pirono come forma e principio di
diritti, ma come diritti a sè; e, realisti forse inconsapevoli, essi
rappresentarono i diritti connaturali, questi uni- versali della ragione, nella
stessa guisa onde si rappresentano le cose individuali. Realisti ho detto, ed
invero i cultori del di- ritto naturale ripresentano nella storia della filo- |
sofia lo stesso fenomeno ideologico dei realisti dell’età di mezzo: e, come
questi ultimi, così quei ‘primi concepirono gli universali come esistenti |
nelle cose ed individuati nelle cose, e mirarono © all’unità universale e
razionale dell’umana natura, . non dandosi alcun pensiero delle circostanze
indi- ‘ viduanti, ossia del processo d’individuazione sto- rica. E la radice
vera di tutto questo sta in ciò, che quei pretesi ideologi erano in fondo, nol
vo- lendo e nol sapendo, degli empirici: perchè essi AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 25 rappresentarono le idee nella stessa
guisa onde si concepiscono i fatti; perchè anzi, se voi andate nel fondo della
cosa, gli stessi diritti dell’ uomo essi non poggiarono sovra un presupposto
meta- fisico o sovra un imperativo della ragione (parlo , dei primi
cultori del diritto naturale, e non de-i| gl’ideologi
posteriori al Kant), ma sovra un fatto storico o che si presumeva per
tale. Ed invero, come deve aver già notato il Taine non ricordo più in
qual parte delle sue Origines, l’autorità intrinseca dei diritti dell’uomo era
radi- cata da quei pretesi razionalisti non già sulla ra- gione, ma sulla
storia. Loro presupposto era la preesistenza di fatto di uno stato di natura,
in cui i diritti dell'uomo non erano poteri ideologici, ma potenze pratiche ed
attive, e non pretensioni o esigenze ideali, ma possessi di fatto: potenze at-
tive e possessi di fatto, delle quali o dei quali s’invocava il ritorno. Di
guisa che quegl’ideo- logi ebbero forse l’intuizione di un di là dei di- ritti
acquisiti, dei diritti storici e fenomenici, ma rappresentarono quei di là non
come prere- quisito ideale, ma come antecedente storico; e fu- rono empirici,
perchè non seppero superare le suggestioni ingannevoli della
rappresentazione fe- nomenica, e pervertirono quello che era primo
per ordine di natura in ciò che è primo per or- dine di tempo, e trasformarono
una relazione me- tafisica in una relazione cronologica, ciò che è primo
rispetto alla natura in ciò che è primo ri- spetto a noi.. Di questa
inversione dei rapporti ideali nei | | 26 LA FILOSOFIA
DEL DIRITTO rapporti empirici voi trovate molti esempi nella storia
della filosofia. £ l’esempio più grande ci è | fornito da Platone. Anch’egli,
il principe degl’idea- |i listi,. fa ingannato dal miraggio della rappresen-
tazione fenomenica, quando coneepì la prescienza intellettiva come uno stato
anteriore delle anime, convertendo un prima ed un poi, puramente ideale e
metafisico, in un prima ed un poi schiettamente temporale e mitologico. La
prescienza intellettiva non è il pussesso di fatto di uno stato anteriore |
delle anime, ma è il presupposto ideologico dello ‘stato presente delle anime
stesse; è la percezione ‘‘inconsciente del Leibnitz, la funzione a priori del
\\Kant, l’intuito dell'ente ideale del Rosmini. La ‘prescienza e la
reminiscenza, adunque, non sono successive na coetanee: nel senso che la loro
di- stinzione è logica e non cronologica, ideale e non empirica: metafisica,
ripeto, e non mitologica. (1) Questa, pure, la radice di quel concepimento
delle Idee che fornì argomento alla critica sagace di Aristotele; perchè il
rapporto tra l’Idea ed il fenomeno assunse, nella mente di Platone, la stes- sa
forma empirica e rappresentativa che il rap- porto tra la prescienza e la
reminiscenza. L’onto- ! logia era viziata dello 'stesso peccato di origine
della gnoseologia: le idee Platoniche erano ipo- i ti stasi concettuali degli
stessi fenomeni particolari: \le idee, insomma, erano gli stessi individui con-
| cepiti sub specie aeternitatis. | L’ idealismo critico supera questo stato
di (1) GroseRTI—Protologia, I, 158. AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 27 spirito, che ricorre nella storia della
filosofia e che può chiamarsi idealismo dogmatico: idealismo dog- matieo, che,
logicamente considerato, è una poe- sia sublime in Platone ed è un empirismo
anti-\ critico negli altri. * * * Tutte le diffidenze,
che sono legittimate dagli equivoci dell’idealismo dogmatico del vecchio di-
ritto naturale (per tornare al nostro assunto), sono illegittime, adunque,
quando si volgano contro Pidealismo critico, quale lo disegniamo noi. Nè
si creda, per altro verso, dai cultori del- l’ ideale, che quell’arido qualificativo
di critico spenga l’ardore vivo dell’idealismo, e che la qua- lità uccida il
soggetto. Perchè quel critico vuol dinotare non la natura della cosa
conosciuta, ma il processo che dobbiamo seguire noi per cono- scerla, e non una
legge dell’oggetto, ma una legge del soggetto. Quell’ideale che la filosofia
conosce con procedimento critico, è, nella vita, una potenza eminentemente ini
L’ideale è causa sui È così vi accorgete che quei cultori del vec- chio
diritto naturale erano non solo empirici, ma, altresì, uomini di poca fede.
I poteri ideologici, se non sono dei poteri pra- tici per sè stanti, sono,
senza dubbio, la causa efficiente di tutti i poteri pratici possibili: e
non v'ha diritti umani, a cominciare dai diritti fonda- mentali e
scendendo giù giù fino a tutta la serie dei diritti particolari, che da quei
poteri ideolo- TR n ST Le e e n + i in __. Sri e Str: e e ein Fi
ada e ia DE Lusi a è x dr ara CZ ATI inn] LIT 98 LA
FILOSOFIA DEL DIRITTO gici non ripetano la causa e l’origine, il
fonda- mento razionale e lo sviluppo storico, la genesi iniziale ed il termine
finale. Quella conversione dell’ ideologia nella vita non v’era bisogno,
adunque, che ce la facessero essi, i cultori del diritto naturale, di un tratto
solo con la dottrina, quando ad effettuarla dav- vero tende gradatamente la
stessa coscienza mo- Tale dell'umanità e la dinamica delle cose. Perchè
nell’ordine cosmico, è bene ripeterlo un’altra volta, l’idea si converte
necessariamente con la causa e la causa col fine; il principio da cui le cose
escono con quello in cui esse vanno a terminare. * * * Con che non
è detto, per altro, che questa potenza ideale, per essere una forza, s’ immede-
simi con quel fiero diritto individuale, con quella autorità dell’uomo isolato
o del così detto super- uomo, che-è come il nocciolo di quell’anarchismo .
aristocratico di Max Stirner, oggi risollevato e ri- vestito d’ideal forma dal
Nietzsche, e che è la moda, lo sport intellettuale di questa fine di
secolo. Perchè il diritto dell’uomo è, per noi, un di- ritto universale
dell’ umanità, un diritto che e- sprime e riflette l’unità specifica della
natura u- mana: laddove il diritto dell’uomo, per questi a- narchici fin de
siècle, è il diritto dell’uomo isolato, dell’uomo empirico, il diritto del loro
io individuale, concepito come unico centro delle cose, serrato nella rocca del
principio d’individuazione e del- ° egoismo assoluto. ai - n I .
> cgil vi 1 o ; pIeETI gl - - PI CNRS 5 O mule mn n i el pian = 4 (e
Lee es |] = IL cene te E —_——_._"EO ALEB=wE pe Ro E | CI e -_ © er
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 99 pa | Eredi del così detto
tuismo del Feuerbach, essi : muovono -da una premessa antropologica e sen- |
suale, quando noi muoviamo da una premessa Lu metafisica ed ideale. Adoratori
della forza, essi ai guardano a questo o a quell'uomo concreto, al- La l’uomo A
in commercio coll’uomo B: moi guar- a de diamo all’uomo.—H nostro sospiro è
l’uguaglianza, DI è la charitas generis humani, dovechè loro prin- Pert cipio è
la selezione brutale ordinata alla fabbrica a voli dell’ Uebermensch, del
super-uomo. } CADI E, poichè la teoria loro è il distillato d’un raf- le Và
finamento aristocratico della filosofia dell’egoismo uilnat e reca l'impronta
d’un processo degenerativo della cultura, essa non ha nemmeno la scusa di rap-
presentare una fase, sia pure irrevocabilmente tra- quel scorsa, della
coscienza giuridica umana: perchè la sn barbarie e la selvatichezza primitiva
ha tale fre- L n schezza di vita vergine e sana da fornire sempre a qualche
cosa di meglio di queste creature mo- Li struose di una civiltà degenerata. rei
Nelle più basse aggregazioni sociali che ci to A rappresenti l’archeologia
giuridica contemporanea, De noi vediamo l’uomo primitivo, il così detto uomo da
della natura, aver superato la forza del principio cai d’individuazione, la
forza dell’egoismo assoluto; che È senza di che l’aggregazione stessa non
sarebbe tura venuta alla luce. ves L’individuo primitivo vede sè non già in sè
ni stesso, ma e nei membri della famiglia o della tribù : ed egli
estende a queste ùnità simili a sè quel primo fondamento di garanzia giuridica
che reclama per sè: e queste unità egli non le per- gerroli e
del per gi ret ii it nia a dr Li ie e ig n ir ie ri cati
30 . LA FILOSOFIA DEL DIRITTO cepisce come projezioni sue, ma
come esseri per sè stanti, come attività coesistenti alla sua. __ I
Darwin, nel suo libro sulla Origine del- l’uomo, illustra una legge della
evoluzione giuri- dica, che è, per la filosofia del diritto, una rive- lazione.
E la legge è questa: che in ogni gruppo sociale primitivo sono riconosciuti
certi diritti fondamentali della persona, ma sono riconosciuti nell’ambito
esclusivo del gruppo: così l’assassinio e la violazione della fede giurata sono
. goncepiti come crimini, quando commessi tra i membri della stessa tribù; e
sono invece permessi, quando non sieno addirittura imposti, fra una tribù ed
un’altra (1). | Questa legge empirica della evoluzione giu- ridica
tracciata dal Darwin è feconda di sovrani insegnamenti. Essa c’insegna
che il principio d’ individua- zione è stato domato dai sentimenti simpatici
fin nelle prime aggregazioni sub-umane: c’ insegna «che l’ egoismo può essere
il prodotto d’ un’ aber- razione filosofica, ma non è stato, rigorosamente
parlando, un fenomeno vivente nemmeno nella barbarie primitiva. C’insegna,
finalmente, un’altra cosa, sulla quale io non posso non insistere qui, tanto
luminosa conferma storica e sperimentale essa reca alla nostra teoria.
C’insegna che l’e-- voluzione giuridica non è creazione oggettiva di un primo
diritto della persona, ma è piuttosto e- (1) Darwin — op. cit., ch.
IV, p. 845 e segg. Cfr. pure la North ‘British Review, 1867, p. 895 — cit. dal
Darwin stesso. AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO dd
stensione ad un numero sempre maggiore di sog- getti di quell’unico ed
indistinto diritto dei di- ritti, che è già dato e connaturato nel gruppo so-
ciale primitivo, nell’uomo della natura; che è, quindi, non un prodotto dell’
evoluzione, ma un presupposto di essa. A misura che l’uomo vede sè stesso
negli altri, sè stesso nella tribù, nel clan, nello Stato, nella nazione,
nell’umanità, a misura che egli va su- perando le suggestioni ingannevoli del
principio d’individuazione, egli riconosce sempre più nuovi soggetti di diritti
(1): eppure, in tanta evoluzione di cose, l’oggetto primitivo del diritto
rimane lo stesso : rimane, cioè, quell’unico diritto dei diritti, che è il
centro comune delle circonferenze infinite descrivibili attorno ad esso, che è
il primo prin- cipio dell’attribuzione, del riconoscimento dei di- ‘ ritti
fondamentali a tutti gli uomini possibili. * * * O Ma
il diritto ci si presenta altresì, come di. cevamo più su, come un
sistema di leggi della coesistenza sociale; leggi positive, formulate
ed imposte dallo Stato e munite di sanzione coattiva. Verso questo
sistema di leggi, la filosofia po- sitiva serba un’attitudine dogmatica.
Come tutte le realtà di fatto, essa le accetta, risolve nelle cause
prossime e legittima @ priori, |; erede in ciò della intuizione
panteistica del mondo, O e i nere em > i si (1) CattanEo — Del
diritto e dell morale (Opere, VI, p. 834). 32 LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO come espressione spontanea dell’ideale giuridico del popolo
in quel dato momento storico. Non il dubbio, non il pungolo di quella
skepsî feconda, che saggia i fondamenti ultimi delle cose, la stimola a
procedere più in là, a domandarsi se quelle leggi abbiano un titolo etico che
non sia l’autorità del potere che le emana; se esse sieno, per davvero e
necessariamente, una rappreSenta- zione fedele della stessa coscienza sociale o
se, nel rifletterla questa coscienza, i poteri positivi : dello Stato non
v’'insinuino costantemente un e- lemento soggettivo che la deforma — la loro
vo- lontà, la loro passione, il loro interesse egoistico; e se, ammesso pure
che esse soddisfino, per av- ventura, i bisogni della coscienza sociale, ossia
un momento puramente psicologico dell’ Ethos, si chiariscano conformi, in pari
tempo, ala legge di natura ed ai principi dell’ordine morale di ra-
I gione, che segna il momento ontologico dell’ Ethos. Quel
pungolo della critica agita, invece, la filosofia: la quale, al cospetto del
diritto positivo, domanda il diritto di quel diritto, e ciò non solo per trarne
una spiegazione teoretica, ma, altresì, per inferirne un giudizio pratico: la
quale da una sana intuizione del mondo, poggiata sulla stessa esperienza e
sulla storia, ha imparato che la legge positiva non coincide necessariamente
con le rive- .lazioni storiche della coscienza giuridica dei popoli, come la coscienza
sociale non coincide con la co- scienza individuale del legislatore o questa
non coincide con quella, come l’embriologia della vita ; non coincide,
necessariament» ed attualmente, con } al tia AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 33 a logica della ragione o con la dinamica
del sen- timento: la quale filosofia, dico, le stesse rivelazioni della
coscienza giuridica considera come stati di fatto che vanno esaminati in nome
del diritto, come fenomeni psicologici che vanno giudicati a norma dei principj
ontologici. Perchè la filosofia è sorretta dal criterio che v’ha un
ordine etico di ragione, che segna il prin- cipio di obbligazione doverosa
dell’attività pratica dell’uomo o degli uomini uniti in vita comune: ordine
morale, che può non coincidere con la coscienza giuridica della società in un
dato mo- mento della sua storia, sebbene questa vi si ap- prossimi in parte, e
che non è, quindi, un’ intuizio- ne della coscienza individuale o sociale, un
fenomeno psicologico o demopsicologico, ma è un principio di ordine ontologico,
ossia una verità conosciuta per virtù di una riflessione razionale sulla
destinazione e sulla natura dell’uomo e sulla stessa sovrana finalità
dell’universo. Dico dell’universo, perchè il diritto e l’ordine giuridico
non possonò essere penetrati nella loro es-, senza che quando si contemplino
nel nesso intimo che liflega con l’ordine universale del mondo. ..
L’etica è un elemento organico della cosmo- : logia, ed una verità profonda ci
dice che, come ‘ nell'ordine naturale vi è una necessità naturale e nell’
ordine psicologico una ‘necessità psico- logica, così nell’ordine etico vi è
una necessità morale: tutte espressioni analitiche dell’unica ne- cessità, che
governa l’universo e la sintesi cosmica. La natura morale dell’uomo ha i
suoi rapporti I. Petrone. — Problemi del mondo morale. 3 34
LA FILOSOFIA DEL DIRITTO universali e necessari, come li ha la
natura di tutte le cose. (1) Espressione di questi rapporti necessari è la
legge morale, la quale è, quindi, legge di necessità: legge, che trascende le
condizioni del tempo edello spazio, e tale che la rappresentazione fenomenica
può dare sprone a specularla, ma che non è, non può essere oggetto
dell’esperienza. Negare la necessità dell'ordine morale e giu- ridico è
negare i rapporti necessari della natura umana, è trasferire nell’ordine
giuridico quell’ar- bitrium indifferentiae che si vuole escluso dal do- minio
psicologico ed empirico della volontà. Ne- gare il diritto naturale in questo
senso è tatt’uno che affermare che tutte le leggi sono indifferenti di fronte
alla Legge, che tutti i fatti sono indif- ferenti di fronte al diritto: è
tutt'uno che affer- “mare che la natura morale dell’uomo è indifferente a che
si uccida o si rispetti la vita del proprio simile, a che si violi la fede
giurata o la si osservi, a che si faccia una cosa, insomma, o si faccia il
rovescio della cosa. Negare il diritto naturale è negare il principio di
contraddizione nell’ordine giuridico. Negare questo diritto naturale,
solo perchè non lo sì vede coincidere sempre col diritto positivo o con la
storia dei diritti positivi, è negare l’idea solo perchè non è un fatto, è
negare la verità di (1) Il diritto naturale come scienza, ossia il
diritto naturale fondato sui rapporti necessari ed universali della natura, fu
il grande concepimento del più profondo dei nostri filosofi del diritto, del
Romagnosi — V. Della scienza del diritto naturale — Assunto primo.
AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 35 ragione solo perchè non è
fenomeno di esperienza, è negare una cosa solo perchè non è un’altra
cosa. Negare la necessità morale della legge, solo perchè la coscienza
umana non sempre dà mostra di conoscerla, anzi per secoli e millennî la
sconosce o la conosce in un senso che non è il vero, è negare la natura solo
perchè il soggetto è spesso inetto a comprendere la natura, è convertire un
fenomeno della conoscenza soggettiva nella realtà del mondo oggettivo, è
proiettare al di fuori un difetto del di dentro: ed è lo stesso che dire, in
una parola: il diritto non esiste in sè, perchè non sempre esiste in noi; il
diritto naturale non è diritto naturale, perchè non è un diritto positivo.
Negare la necessità morale, solo perchè si esperimenta che gli uomini la
violano, è negare la necessità morale solo perchè non è, nello stretto senso
della parola, una necessità naturale. . « La gravitazione universale è
una legge, così . gli avversari, perchè è, altresì, un fatto indefettibile ?
del mondo sidereo: la vostra pretesa legge non è : - legge, perchè non è un
fatto dell’ordine giuridico. » / è f 4 E così si
dimentica che la differenza specifica N non estingue la comunanza generica: ed
il signi- ficato complesso della necessità e causalità delle cose si restringe
nella necessità speciale della natura materiale. Si dimentica che la
necessità morale, per essere suù generîs, non cessa di essere necessità; che la
libertà umana può porre una data azione più che un’altra, ma, postala, non può
impedire che il valore etico di quell’azione sia quello che deve essere
in dI 36 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO virtù dei
rapporti necessari dell’ordine morale. Così l’uomo può uccidere (pur troppo, ed
in via di fatto) il suo simile, ma non può impedire che quella uccisione sia un
delitto. La sua azione è indifferente, come fatto bruto. È una goccia di ac-
qua distillata senza sapore. Ma, quando volete esa- minarla in smapporto
all’ordine etico, quella indiffe- renza scompare, travolta nel determinismo
ogget- tivo dei fini dell’universo. La necessità morale e piavidica è
necessità ri- vulsiva e non attiva, dî sanzione e non di posizione, rispetto
alla coscienza ed alla volontà umana, ma è sempre una necessità : e dove la
necessità natu- rale è necessità di fatto, essa è necessità di diritto. L’una e
l’altra sono, a parità di grado, riflessi di quella necessità
cosmica universale, la quale dif- ferenzia la virtualità sua a seconda dei
mondi nei : quali opera, e nel mondo della natura è necessità : di
natura e nel mondo della coscienza è necessità _ di
ragione. * * * V’ha, adunque, nel senso scientifico della
paro- la, un diritto naturale, ossia una legge dell’ordine giuridico
razionale. Principio conoscitivo di questa legge è la ra- gione umana:
cioè a dire, non la coscienza empirica degl’individui o dei popoli, ma quella
facoltà uni- versale del vero, che è il saldo fondamento della unità
intellettuale degli uomini; che non è un momento psicologico di questo o
quell’uomo, ma il momento ideologico comune della natura umana. AL
LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 37 Principio oggettivo di quella legge
è la de-) stinazione morale dell’ umanità: è quell’ appaga-: mento etico, che è
l’unità del giusto e dell’ utile, del dovere e del piacere, del purismo e
dell’eude- monismo, del diritto dell’individuo come del be- nessere del corpo
collettivo; che è, insomma, il principio unico, il quale compone in una sintesi
suprema tutte le analisi e le contraddizioni della fenomenologia della
coscienza. . Negare questo diritto naturale è precludersi l’adito a
spiegare e legittimare lo stesso diritto / positivo; perchè le cose
si riconoscono solo al lu- me delle idee, i fatti si legittimano e si giudi-
cano solo al lume del diritto, e le leggi sono con- cepibili' solo în funzione
della legge. Una legge positiva senza un diritto naturale è ‘ un
fatto senza presupposti: è il termine casuale di una serie casuale essa pure,
un termine primitivo che si scopre per termine derivato, un nuovo ex. abrupto,
un salto mortale, un hiatus dell’esperienza. © Una legge positiva,
che non invoca come suo titolo il diritto, è una legge che invoca come suo
titolo la forza; un fatto cieco ed una forza bruta; cioè una legge che non è
legge, ma prepotenza ed arbitrio. * * * La necessità di
un presupposto ideologico del diritto positivo è attestata, con l’esempio loro,
an- che dagli avversari del diritto naturale. La scuola storica, dopo
tanto disdegno contro ì pretesi sognatori di un diritti di natura, sentì
» , - & n + 1» ARESE LI -4 ; ><: i (È Da E f. i E è
Ì i » 7 È ù 1 x sa di e z x € nm» >4 23 I de #1 .. x - ;f . f- SANARE EE €
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> ia ! gita n 1 * S- & DI È î " N xi L IN ni à a . ta » L 2 AR:
LRFPA ‘ | Ch hr 2° | sh 38 LA FILOSOFIA DEL DIRITTO
anch'essa il bisogno di postulare un diritto pri- mitivo e fondamentale
che precede la legge e la legittima. È il diritto consuetudinario, presuppo-
sto, nel tempo stesso, dal Savigny e dal Puchta, per iniziare la serie causale
delle leggi, per fon- dare la comunanza naturale dei diritti dei popoli, per
escludere l’ipotesi del caso dall’ ambito della evoluzione giuridica. (1)
Anch’ essi, adunque, al cospetto della legge, provarono l’esigenza d’indagare
il diritto di quella legge; anch'essi la logica delle cose trasse a pre-
supporre un diritto primitivo, causa originaria dei diritti derivati. E la sola
differenza tra essi e noi è che essi sono empirici e noi metafisici; che essi
concepirono quel diritto fondamentale come ter- mine primitivo per ordine di
tempo, e noi, invece, lo concepiamo come termine primitivo per ordine . di
natura. si Cosicchè i cultori della scuola storica caddero «nello stesso errore
ideologico e metodologico dei cultori del diritto naturale; l’ errore d’
invertire quello che è primo per natura in quello che è primo per tempo; e gli
uni rapportarono il diritto naturale al preteso stato di natura e gli altri il
diritto consuetudinario ad un preteso stato pri- nitivo della pretesa coscienza
popolare. La mito- {logia dello stato di natura e del contratto sociale
‘equivale esattamente alla mitologia del costume \ primitivo e dello spirito
popolare. (1) Veggasi sopratutto: Saviany, System des romischen
Rechts, I Bd. pgf. 7 S. 14 15 e pgf. 15 S. 52. — Pucuta, Vorlesungen tber d.
heutige ròm. Recht, I Bd. 1 B.
1 Cap. pgf. 11.—Id., Pandekten, I Bd, I Cap., pgf. 11 e sege. r i Ù DATORE mA ro a ] to ; . SET, Uh '
mio i Ì » i 4‘ A +. Spe <BR ra AL LUME
DELL’IDEALISMO CRITICO 39 LA. Epperò il rimprovero di
rievocare il diritto naturale tocca non a noi ma ad essi, ai cultori della
scuola storica, dico. | L’idealismo critico ha superato lo stato di
spirito in cui le rappresentazioni mitologiche ten-. RA vasi I +
Uta» ì i cava AE gono luogo di principî ideali. Esso
non è più mi-) ca tologia razionalistica o preistorica, è
metafisica; cioè a dire, non è più fantasia, ma scienza. Tuttavia non
mancheranno di quelli che ci tacceranno di postumi o tardivi discepoli del di-
ritto naturale dell’Aufklirung e della rivoluzione. | E per una ragione
analoga, che è poggiata anche #7 essa sopra un malinteso ed un equivoco. Quel
diritto naturale, appunto perchè tra- mezza tra la mitologia e l’empirismo, è
diritto naturale che, viceversa poi, è una vera e propria giurisprudenza; è
diritto naturale, che regola ana- liticamente tutti i casi della .
fenomenologia giu- 5 ridica costruita @ priori; un diritto
naturale, in- “i ‘ somma, che si afferma e si atteggia come
diritto positivo. Esso non si fermava a speculare le mas-: ni sime
ed i principî, ma speculava, ad un tempo, l’applicazione di quelle
massime e di quei prin-; cipî ai casi concreti, casi concreti, che
non erano! cena poi che casì astratti, cioè a dire una serie di ca- Fa tegorie
logiche, astratte dal mondo fenomenico,; e per dato e fatto di
quella dialettica autocreativa; della ragione, che fu analizzata, con tanta
potenza: i era À di acume, da Federico Stahl. (1) |
O (1) V. in proposito, per più ampi sviluppi, i nostro libro
già citato a p. 224 e segg. S. i al sro ngi è.
1,15 aepogp mo - du LE) ale La 3 + Y
4 4 ad tore de A a A di é ne di 4 ’ 4 e i del
« PANI 1% ni: da a + TRS.
ce - ; . du ra “i ‘ae ‘ - N - ® lesi
rs 40) LA FILOSOFIA DEL DIRITTO Di qui tutti gli errori
dell’indirizzo raziona- listico ; di qui le diffilenze aperte contro chiun-
que, per aver rievocato il nome o, per dir meglio, l’esigenza, pare aver
rievocato, altresì, la cosa, ossia il contenuto. Ma è evidente che quel
diritto naturale non è il nostro: e che immedesimare l’uno con l’altro è
tutt'uno che immedesimare quello che è empi- rico con quello che è raziunale, e
l’idealismo dog- \ matico con l’idealismo critico. Non è il nostro,
perchè noi speculiamo le =iiana tea \ la
vita; perchè il nostro diritto naturale vuole essere, anzitutto e soprattutto,
un diritto naturale e non un diritto positivo; perchè per noi l’impe- rativo
categorico della giustizia si differenzia in imperativi ipotetici di mano in
mano che più si profonda nella fenomenologia della vita reale; perchè, insomma,
il nostro diritto naturale integra ‘’ e legittima il diritto positivo, e non lo
sostituisce. À Noi sappiamo che la natura pone i principî ‘e non cura i
dettagli, l’esame dei quali lascia vo- lentieri all’arbitrio umano. Fu detto
che essa con- i serva la specie e non gl’individui; e questa ve- “rità viene in
acconcio così nell’ordine cosmologico come nell’ordine ideologico. Essa si
occupa degli ' «“«universali, e le varietà e le contingenze indivi- ‘duali
confida, senza gelose pretese, alla storia. * * * Il
diritto naturale, concepito a questa guisa, può essere oggetto di negazione e
di ripulse, solo AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 41 da
parte di quelli che si trovano in uno stato di coscienza che non è, che non può
essere il nostro, che non è la coscienza moderna. * Nei periodi primitivi dell’
evoluzione delle so- . cietà umane domina un beato ed inconsapevole panteismo
sociale, per cui le coscienze singole sono come compenetrate in un centro
sensoriale comune, e questa intima solidarietà spirituale del- l’individuo con
la società e con lo Stato non è ancora perturbata e scossa dalla riflessione
indi- . viduale o dalla crisi della coscienza. In questi. periodi, il ddalismo
del diritto naturale e del di- ritto positivo non nasce ed è inconcepibile che
. nasca. È Nel mondo classico, in cui si profila serena. l’euritmia delle
iacoltà umane, il dualismo del di- ritto naturale e del diritto positivo,
nasce, bensì, come ultima stilla di amaro spremutavi della ri- flessione
filosofica, ma vi è tosto sopito da quel- l’armonia del di dentro e del di
fuori, che fu V’i- deale di quelle generazioni nelle fasi migliori . della loro
vita. n Ma.nel mondo cristiano, ma nel mondo mo- derno, che segna la lotta
tenace e divina dello spirito contro la natura, ed in seno al quale quella
placida ed arida tregua del di dentro col di fuori è infranta per sempre, in
questo mondo, o Si- gnori, che è il nostro, il dualismo del diritto na- turale
e del diritto positivo, quando non fosse una verità della ragione, sarebbe,
senza dubbio, uno stato prepotente ed irresistibile della co- scienza. Perchè
la nostra volontà non può più ac- 492 LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO quietarsi agli oggetti immediati dell’esperieuza, e questi
non soddisfano quella indigenza dell’in- . finito che assiduamente la urge:
perchè i nostri sentimenti non si proporzionano alle nostre fa- coltà, e la
nostra attività è superiore alle nostre forze, ed i nostri desiderî sono
superiori al nostro , OBSere. Il diritto positivo non
può appagare la nostra bisognevolezza dell’ideale del diritto, non può spegnere
la nostra sete di giustizia: come la forma non può assolvere la forza infinita
dell’idea. Noi siamo creature circoscritte, rigorosamente circo- scritte ad una
data orbita, eppure v ha in noi una cusa che ci trae e ci slancia di continuo
fuori di quell’orbita; onde il nostro essere è in sforzo continuo verso un di
là da esso, e vibra costantemente dentro di noi un anelito verso qualche cosa
che è sopra di noi. E, quand’anche per una metamorfosi, per una triste
metamorfosi della coscienza, questo anelito dell’infinito si assopisse dentro
di noi, e l’ideale del diritto non più avvivasse di sè lo spirito nostro,
resosi impotente a sentirne il soffio divino, eb- bene, o Signori, nemmeno
allora quell’ideale sa- rebbe spento. Perchè dalla radice stessa del reale voi
sentireste, allora, levarsi un grido di dolore, il grido accusatore della
manchevolezza e del vuoto; ed in difesa dell’ideale reietto, quando la voce
dell’uomo fosse muta, parlerebbe la voce stessa, la voce arcana e sublime,
delle cose; ed il diritto naturale voi lo sentireste vibrare nel fondo stesso
del diritto positivo, in quello sforzo interno AL LUME
DELL'IDEALISMO CRITICO 43 ehe lo agita e lo trae a redimersi dalle
catene della forza e della legalità e dell’arbitrio, ed a li- brarsi sempre più
in alto: come se anch’esso, a guisa di tutte le creature, secondo la concezione
luminosa dell’apostolo, gemesse nelle doglie di una gestazione interiore ed
anelasse alla sua li- berazione. * * * Con la teoria
del diritto naturale, ossia della legge dell’ordine morale di ragione, la
filosofia ha tocca la sua meta, quella di fornirci un’analisi dei primi
principî della fenomemologia. — © Analisi, che non è sterile e superflua
specu- lazione razionale, perchè da essa nuova luce si deriva sulla stessa
fenomenologia. Perchè la filo-\ sofia ha un processo circolare: essa prende le
) mosse dal mondo dell’esperienza; si spinge in su : sino alla ricerca dei
primi principî ontologici; e di lì ridiscende e ritorna allo stesso mondo della
esperienza. | Ritorna, ma ricca di forze nuove acquisite nel duro lavorìo
dell’indagine metafisica ; ritorna ad esplorare le profondità nascoste di
quello stesso mondo della esperienza, che è così fatto che si porge come enigma
indecifrabile all’intelletto em- pirico e confida solo i suoi più reconditi
segreti | alla ragione, educata a speculare i supremi perchè delle cose.
(1) (1) PLATONE, Rep., p. VII c. v. 44 LA FILOSOFIA DEL
DIRITTO Perchè, nell’economia dell’universo, le cose tutte sono
unite come da una trama invisibile ed ascosa : e l’esperienza appella alla
speculazione e ‘;la storia alla logica e la conoscenza dei fatti
alla j ! conoscenza delle idee e viceversa! > Stolto, invero,
chi irride alla filosofia in nome dell’esperienza e perpetua un dissidio, che è
il su- premo di quegl’inganni della rappresentazione fe- nomenica che
l’idealismo critico disvela ! Stolto, soprattutto, chi trasferisce nel mondo
oggettivo delle cose l’analisi e l’antitesi e le contraddizioni della
rappresentazione fenomenica! Esaminate con discernimento critico
l'economia dell’universo ed affrontate il problema della co- noscenza, e voi
vedrete che i rapporti reali non s’intendono che per la iucs che deriva su essi
la visione dei rapporti ideali. Così, i rapporti della forza s’intendono solo
in funzione negativa dei rapporti del diritto. Così, la dinamica della vita voi
la spiegate a voi stessi, solo in rapporto a quella logica della ragione che
possedevate ante- cedentemente alla esperienza della vita. Così, quello che è
relativo s’intende solo per intuito di quello che è assoluto. _.-«. La
filosofia del diritto non è, soltanto, un’a- nalisi dei primi principî: ciò è
vero. | Essa è, altresì, una intuizione del mondo nel senso sperimentale della
parola, cioè a dire una comprensione scientifica così della fenomenologia della
coscienza giuridica, come della storia’ della . evoluzione giuridica; ma
essa è una intuizione positiva del mondo giuridico, solo perchè è stata
er TE AL LUME DELL’IDEALISMO CRITICO 45
una visione dei principî ideali, solo perchè è stata un’analisi dei primi
principî. Come Pigmalione la sua statua, la filosofia vede animarsi
dinnanzi a sè il mondo della espe- rienza: animarsi di una forza che non è una
proiezione della filosofia, che è fremito e vibra- zione vitale della
esperienza stessa. È il solo premio che la filosofia si aspetta dalle sue
fatiche ed è, ad un tempo, la sola ri- sposta che essa dà ai suoi
detrattori. Ai quali\ essa può dire di aver superate le apparenze della :
rappresentazione fenomenica non per eludere il’ mondo oggettivo, ma per
comprenderlo: com- prenderlo in quello che esso è ed in quello che
vuole essere, e nel suo stato come nel suo pro- cesso : comprenderlo,
soprattutto, nello sforzo in- terno che lo agita in una gestazione laboriosa e
feconda dell’ideale. H } IL VALORE
ED I LIMITI DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE (') Il problema teorico
di una genesi psicologica dei sentimenti e delle idee morali riassume le e-
sigenze più intime del presente momento storico della filosofia. La ricerca di
una psicogenesi della morale è il dettato naturale del metodo e del cri- terio
storico-genetico e risponde alla forme d’esprit resasi universalmente
prevalente ai dì nostri. Una vera e propria psicogenesi della morale,
nell’accezione storico-empirica del tema, difetta, in vero, nelle forme e nei
concepimenti della fi- losofia classica. La così detta origine delle idee
non è, pro- priamente e rigorosamente parlando, una ricerca psicogenetica. La
origine, nel concepimento me- tafisico del termine, è ideale e non cronologica,
dialettica e non genetica, logica 0, se si vuole, ideologica e non storica.
L’innatismo e l’intuizio- nismo, che sono la soluzione comune che la
filosofia (1) Pubblicato nella Rivista Italiana di Filosofia,
Settembre- Ottobre 1896. 48 IL VALORE ED I LIMITI dello
spiritualismo ci porge del problema dell’o- rigine, sono una riprova di quanto
io dico. L’inna- tismo segna un a priori della storia e della feno- menologia
della coscienza, ma un a prioriì che è fuori e sopra la storia, un a priori
ideale, dialet- tico, metafisico: esso non esprime un rapporto di tempo o di
una durazione successiva di termini, ma un rapporto, a seconda dei casi, di
sostanza o di causa: sia la sostanza attiva o la sostanza inerte, sia la causa
logica o la causa dialettica, si poggi, insomma, sulla filosofia dell’essere o
su quella del divenire. Il problema dell’ origine delle idee, che af- fatica
alcune forme della filosofia classica e tradi - . zionale, non è, adunque, un
problema psico-gene- tico. Forse e senza forse, esso non è neanche,
rigorosamente e filosoficamente parlando, un pro- ‘ blema psicologico. L’idea,
di cui si conghiettura 0 si ricostruisce l’origine o l’apparizione o _ la ri-
velazione cosciente, è oggettiva e non soggettiva, ontologica e non psicologica.
È um’ apparizione allo spirito, o meglio alla coscienza umana, di un quid che
sta al di fuori ed ha valore oggettivo per sè stante, anzichè un processo di
produzione o di rivelazione interna che lo spirito faccia di sè a sè stesso. Il
problema, così appreso, dell’ ori- ( gine dell’ idea, è un problema ideologico
e non psicologico : un problema che studia il rapporto idella coscienza ad una
sostanza estranea ad essa, più che le forme ed i procedimenti interni della
coscienza stessa. Il processo della psicogenesi delle idee mo-
‘4 » LI vr è .... du . ca dd GA
4° ® MatiCÀ . n AO drei LE DI UNA
PSICOGENESI DELLA MORALE 49 "È x rali è fuori,
anche, dalle forme e dai concepimenti della filosofia Kantiana. La critica
della cono- scenza intende alla ricerca di un «a priori logico l e formale e,
nel tempo stesso, subiettivo dei pro- ae cessi dell’esperienza : il che vuol
dire che dibatte ( et i un problema psicologico e non già un problema ai
psicogenetico. Quell’a priori, appunto perchè ha na- è gi a ee tura di
categoria logica e formale, è ben altro che ca un antecedente storico e
fenomenico. È un prius è de: ideale e non un prius cronologico : e di esso è i
oa È concepibile una genesi metafisica o una causalità ed e dialettica
interiore, e punto una genesi empirica n dui e storica. La conversione o la
inversione della ' ‘ "quid psicologia nella psicogenia è opera innovativa
de-._ -- . ; gl’indirizzi neo-Kantiani, non è espressione conse-,; \ MI: guente
e fedele del Kantismo puro. Ed aggiungi che, se la critica della ragion pura
, ha indole e natura di ricerca psicologica, la critica/ + ì della
ragione pratica di tale indole e natura piena- 7 mente difetta. Una psicologia
morale, propriamente | x detta, è inconciliabile con la rigida natura delle
con- ua dizioni o dei presupposti della moralità, fissati dal Kant. Precipua di
quelle condizioni è la consa- ; pevolezza dell’agente : consapevolezza
riflessa, me- tg © ditata e deliberata, di una massima o di una forma ù PERSE
d’imperativo. Ora, un a priori psicologico o un’atti- | ce vità o una
predisposizione etica irriflessa, la quale È si dissimuli nel fondo inesplorato
della psiche, è,. | RO i rigorosamonte parlando, un limite di quella con- sig 0
sapevolezza. L’a priori psicologico è, di sua na-'! n tura, inconsciente. Se,
per avventura, fosse co- sd È i sciente, îl principio di continuità ed il
principio “Lu I. Petrone. — Problemi del mondo morale. 4 ci i
F| , ne e A LL MPI Srl ‘ t4
LS, 50 I IL VALORE ED I LIMITI. di causalità.
domanderebbero la condizione ed il presupposto di siffatta coscienza: perchè le
for- me della consapevolezza sono a posteriori e de- rivate per chi non invochi
il processo all’infinito. Ecco un insegnamento sovrano, dettato dalla fi-
losofia del Leibnitz, a cui non scemerà valore il sofisma o la dialettica degli
avversari (1). E perchè inconsciente, un a priori psicologico delle idee
morali si traduce, secondo la logica del pensiero Kantiano, in un motivo
anti-etico, in ‘un motivo empirico, che non può essere un
fat- _. . + tore della morale e che va,
anzi, eliso e rimosso, perchè una morale propriamente vi sia. La filo- sofia
Kantiana, la quale nel rispetto gnoseologico intende a sistemare l’ oggettività
dell’ esperienza, nel rispetto etico si traduce nella elisione rigorosa
dell’esperienza stessa. Questo è, appunto, il segreto del suo purismo
normativo: questo, altresì, il segreto del difetto assoluto di una psicologia
morale, rigo- rosamente intesa, nell’etica Kantiana. La tendenza o il motivo psicologico
non può essere oggetto legittimo di studio per una filosofia, che esclude a
priori il valore etico di ogni motivo soggettivo, condizionale, empirico.
Il formalismo puro rende, del resto, inconce- pibile una psicologia della
morale. Per natura di cose, questa non è, non può essere mai formale,
(1)... Non è possibile in modo alcuno che noi riflettiamo sempre
espressamente su tutti i nostri pensieri: altramente lo spirito fa- rebbe
riflessione sopra ciascuna sua riflessione all’infinito, senza poter mai
pervenire a qualche nuovo pensiero (LEIBNITZ, Nouveaue Essaîs, livre II, ch.
I.) DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 51 DA by * VERO
visi = < ma ha un contenuto o si sforza verso un
conte- nuto quale che sia. Dire « psicologia della Mo- rale » è dire tendenza,
desiderio, appetizione, espan- sione, sforzo : ed è postulare un termine di
quella tendenza, di quel desiderio, di quello sforzo. La stessa arida
distinzione della materia e della forma è conce- pibile nella logica della
ragione e non nella di- 3, namica della vita. La morale non è categoria di si
pensiero, ma generazione ed azione : questa em- briologia sintetica del
sentimento e della vita è irriducibile all’analisi logica del raziocinio.
Delle forme più moderne della filosofia tra- dizionale, la scuola scozzese è
quella, forse, che, per indole particolare, parrebbe meno aliena dal
«concepimento di una psico-genesi della morale. Il significato che quella
scuola, esplicitamente o me- no, annette al termine idea, non è quello annessovi
dalle forme pure del)a filosofia classica. La scuola : scozzese è empirica e
non metafisica, fenomeni- stica e non sostanzialistica, psicologica e non on-
tologica. Codesti caratteri spiegano i successi e le Ain
0 li Ì È » (VAIL __ n
I simpatie, appunto, che essa destò in quella forma oo
snervata e fiacca di spiritualismo che è l’eccletismo francese del
secolo XIX. Le sue idee o intuizioni ) morali non sono le idee del platonismo,
nè quelle / delle forme svariate dell’ ideologia classica. Sono produzioni
soggettive coscienti ed attuali, sono.» rivelazioni semplicistiche dell’
esperienza interiore, } o sono suggestioni riflesse della coscienza
morale empirica degl’individui e delle generazioni, alle È quali
suggestioni si attribuisce, per difetto di di- di scernimento critico, una
portata universale, tra- . 4 ba DI 52 IL
VALORE ED I LIMITI ducendole sub specie aeternitatis. Precisamente
questo suo psicologismo empirico potrebbe appa- rire come un accenno alla
psicogenesi della mo- rale, se la psicologia non dovesse essere anche qui
nettamente distinta dalla psicogenia. All’ingenuo dogmatismo empirico
della scuola scozzese è del tutto ignota quella scepsi morale, che è il
presupposto naturale della psicogenesi. Essa non dubita della perennità di
esistenza delle intuizioni morali, e non concepisce la possibilità di
ricercarne la genesi storica nelle forme e nei processi della coscienza,
appunto perchè le reputa coeterne alla coscienza stessa. Il suo innatismo segna
l’esclusione a priori della legittimità del problema delle origini. E, perchè
dogmatica ed empirica, essa è aliena, più delle forme pure della i (2A
classica, dal concepimento di una psico- \\genesi della morale. Le forme
svariate del platonismo, ad es., le quali hanno sperimentato la scepsi morale e
l’han- no superata, riconoscono un elemento immutabile nelle ideazioni e nelle
volizioni morali; riconosco- no, nel senso classico della parola, l’ idea, che
è sopra le condizioni empiriche del tempo e dello spazio; ma riconoscono, in pari
tempo, il momento storico del divenire nel processo di quelle idea- zioni e di
quelle volizioni. Nelle sue forme più colte e più raffinate ‘il platonismo non
è vuota ideologia, nel senso dispregiativo della parola, nè trasferisce in
categorie concettuali ed astratte i fenomeni ed i dati dell’esperienza e del
momento. Esso segna, inveee, un esatto e profondo di-
E; DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 53 scernimento
critico dei rapporti e dei limiti reci- proci dell’essere e del divenire, delle
idee incon- dizionalìi e delle condizioni empiriche del tempo e dello spazio,
del criterio speculativo e del cri- terio storico. Esso riconosce la vita del
divenire appunto perchè non sente bisogno di trasferirlo concettualmente al di
fuori e di convertirlo in un essere ideologico e vuoto. E, perchè non astrae
empiricamente (1) le forme dell’essere da quelle del divenire, esso è in grado
di riconoscere del pari la purità dell’uno e quella dell’altro. * *
* La psicogenesi della morale presuppone, come dicevo poc'anzi, una
condizione sine qua non: pre- suppone la scepsi. Essa non è concepibile che dal
pensiero critico, nel quale la fede primitiva nel- l’originarietà dei
sentimenti o delle ideazioni mo- rali sia stata scossa dal pungolo del
dubbio. 11 problema psico-genetico nasce solo quando: i sentimenti
o le idee sono concepiti come acqui- sizioni della coscienza
morale. L’innatismo, invero, esclude la nozione dell’origine empirica
nell’ordine del tempo: esclude la discontinuità del divenire e l’hjatus della
storia e, quindi, la genesi ed il nascimento. Per esso, le intuizioni morali
sono coeve al soggetto morale, non nascono in questo o quel momento della vita
di quel soggetto, (1) L’astrazione è un processo empirico,
è un processo di og- gettivazione dei dati dell’esperienza. _
CsA spa BL La ss h..* Mi. N) A
L) Li 200 - f di tese 4° a ce 9 . » ci
“- to ga e I "TIZI Presiiai
54 ‘IL VALORE LD I LIMITI perchè preesistono del pari nei
momenti anteriori. E, propriamente parlando, nella psicologia dell’in- natismo,
la vita del soggetto morale non è divisa in due stati e, sarei per dire, in due
stagioni di tempo, nell’una delle quali i sentimenti e le idee morali non
esistano punto e nell’altra quelli e queste nascano d’un tratto solo. La vita
morale del soggetto, per l’innatismo, è uno stato: e la nozione dello sfato
esclude quella della genesi e del processo. Occorre, adunque, che la
coscienza morale sia appresa come un processo di genesi e di acqui- sizione,
perchè il problema della psicogenesi nasca, come ricerca storico-psicologica
delle fasi e delle vicende interiori di quell’acquisizione. | Di qui,
ancora, un’altra condizione. ‘Occorre che dal pungolo del dubbio sia scossa
anche la fede nella semplicità dei sentimenti o delle idee mo- rali; e che
queste sieno concepite come processi di composizione e di combinazione di altri
ele- menti. La semplicità delle idee morali è il dettato naturale
dell’innatismo. Se le idee non fossero semplici, esse dovrebbero essere
composte: l’ana- lisi svelerebbe, adunque, che esse non sono più innate, che
esse hanno avuto una genesi in questo o quel momento del tempo, la qual genesi
verrebbe a coincidere col processo stesso della composizione e della
combinazione. Le idee morali non sono più originarie, quando sieno
decomponibili in elementi irriducibili, i quali sono originari a più buon di-
ritto delle idee stesse. L’esperienza cruciale, che assoggetta la semplicità
metafisica al corrosivo DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 55 dell’analisi
empirica ed alla categoria della quan- tità, è condizione indispensabile,
perchè le idee morali vengano sottoposte alla legge del tempo ed al hjatus
della storia. * * * Se sono queste le condizioni a
priori di una psicogenesi della morale, è facile vedere come quella si affermi,
per la prima volta, nella storia della filosofia moderna, e con la psicologia
del- l’associazione. La psicologia associazionistica, in ef- fetti, presenta
ambo quelle condizioni ad una volta. La coscienza morale, per essa, è acquisita
e non originaria, è composta e non è semplice, è de- dotta e non primitiva. La
coscienza morale non è fattore e non è ipostasi: è prodotto di elementi
semplici combinati tra loro, è la somma totale di più sentimenti elementari.
Legge di tale combi- nazione è appunto l’associazione, l’attrazione del-
l’Hume, la gravitazione dei fenomeni psichici del- l’Hartley. Le facoltà
dell'anima sono spiegate da questa teoria con la composizione dei sentimenti e
dei modi di coscienza. E la funzione sintetica della coscienza — ultimo asilo
che il criticismo porgeva alla metafisica sopravvivente — non è, a sua volta,
che una collezione di fatti interni u- niti tra loro da rapporti di successione
e di sin- cronismo. L’acquisto della coscienza morale o del mora! sense or
feeling o dell’idea of duty ha bensì, per essa, il carattere della necessità e
dell’universalità, ed in Hr. su lALINIST,
Alli Lele al dun ci <> de 56
IL VALORE ED I LIMITI questo senso può dirsi che il dogmatico etico
dei risultati subentri alla scepsi del principio. La fun- zione derivata e
composta della coscienza morale non elide, in massima, il valore oggettivo
della obbligazione morale. Se non che, questa forma di necessità e di
universalità non è più la necessità e universalità dell’ ideologia
e della metafisica, ma è puro fenomeno di percezione psicologica,
puro abito di illusione ottica interna: è neces- sità ed universalità, non da
natura o da ra- , gione, ma da abitudine interna, ossia da associa-
zione. Le idee morali dell’ associazionismo sono, come le sue percezioni
teoretiche, dei fenomeni . di allucinazione psicologica: solo, che
queste per- cezioni sono delle allucinazioni vere e, del
pari, quelle idee sono delle allucinazioni utili. La
necessità e l’universalità delle idee è ap- presa come il prodotto precipuo
dell’efficacia tra- sformatrice, che sui primi elementi e suì primi modi di
coscienza esercita. l'associazione. Nell’as- sociazione, infatti, una sorta di
alchimia. miste- riosa fa sì che le unità elementari quantitative si
moltiplichino, non si sommino semplicemente. Il prodotto complesso è da più che
1’ addizione dei singoli elementi: e quel da più non segue da un
accrescimento-l’indole qualitativa, ma è puro frutto e. residuo dell’
aggregazione quantitativa degli elementi stessi. È emergente e non risul-
tante: emerge, cioè, da essi come nuovo feno- meno. Come la vita, per il
materialista, nasce dalla pura composizione meccanica degli elementi BRICO o,
così la coscienza morale, per l’asso- Dl UNA PSICOGENESI DELLA
MORALE 07 ciazionista, nasce dalla pura composizione mecca- nica
degl’impulsi egoistici o delle forme primitive dell’irritabilità psichica. Un
sentimento morale pri- migenio, per quest’ ultimo, è come la forza vi- tale per
il primo: l’innatismo etico è valutato alla stessa stregua del vitalismo
fisiologico. Gl’impulsi primitivi sono, adunque, egoistici: ed è l’abitudine
che, consolidandoli, li trasforma in motivi etici e converte e tragitta
l’egoismo nel- l’altruismo, Come l’allucinazione della spontaneità primitiva
dell’atto psichico nasce dall’obliterarsi dei modi passivi dell’essere e della
funzione de- rivata e dedotta dell’atto stesso, così l’allucina- zione della
originarietà del sentimento e delle i- ) i deazioni
morali nasce dall’obliterarsi delle loro o- rigini e dall’abito di convertire
in ipostasi con- cettuali le esperienze psichiche del momento. Non
si è, 0 non si comincia ad essere morali per virtù intima ed innata di esserlo.
Si comincia incon- sciamente a compiere un'azione, la quale nei gradi futuri
della coscienza sarà valutata come azione morale, pel solo fatto che
quell’azione coincide, per accidente, con l’impulso edonistico della con-
servazione del proprio individuo. Quell’azione non è, adunque, voluta per sè,
per un suo preteso va- lore oggettivo, ma è voluta per un altro: essa è mezzo,
non fine; è modo, non termine ed oggetto. Senonchè, quell’esperienza
accidentale della coincidenza dell’egoismo con l’azione morale si - reitera e
si ripete per effetto del consenso , che lega nell’ordine esteriore gli Sgolsmi
e le attività reciproche degli esseri. 58 IL VALORE ED I
LIMITI L’ associazione psicologica dell'impulso del proprio
benessere con il risultato prevedibile di certe date azioni morali si consolida
vieppiù, di guisa che )’una cosa richiama l’altra, per quella legge di
riproduzione, per cui i fatti psichici fre- quentemente congiunti tra di loro
si aggruppano e si associano in modo da seguire infallibilmente l’uno all’altro
e da diventare indissolubili nella trama della coscienza. Per virtù di tale
indisso- lubilità psicologica, le formazioni intellettive, come le formazioni
emozionali e volitive, presentano una unione cesì salda ed una penetrazione o
una compenetrazione reciproca sì intima, da fondersi in una sola e da formare
un aggregato mentale che sembra non meno semplice dei suoi compo- nenti. Per
virtù di tale indissolubilità, la serie delle azioni morali anzidette forma
come una vo- lizione sola con l’impulso egoistico. Il consolida- mento
progressivo di questi due modi di coscienza . ha virtù di fonderli in un solo:
l’idea of duty, il . principio dell’obbligazione morale. Le azioni mo- ° rali
sono rappresentate come oggetto e volute | come fine, per essersi obliterata la
relazione mo- dale ed il processo di mediazione delle azioni stesse con
l’impulso egoistico. Così l’avaro si rap- presenta come oggetto ed ama come
fine la mo- neta, per averne obliterato la funzione strumen- tale. Così
gl’ideologi della teoria quantitativa si rappresentano il valore oggettivo
della carta-mo- neta, per averne obliterata la portata ed il va- lore
simbolico. La psicogenesi della morale si spiega, adunque, DI
UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 59 e si afferma con la legge
dell’associazione, con la tendenza dei modi e degli atti psichici a ricorrere
nello stesso modo onde occorsero precedentemente, con la serie degli
aggruppamenti di elementi e- goistici primordiali, — aggruppamenti prima diffi-
cili, accidentali, avventizî, afforzati, indi, dall’abi- tudine e cementati,
dopo lungo ordine di asso- ciazioni psichiche, colla tenacità dell’istinto e
con l’automatismo inconsciente dell’azione riflessa. La scepsi pura, che
nega l’originarietà delle idee morali, aveva, senza dubbio, preparato, con
l’elisione del nativismo, la psicogenesi della mo- rale. Ma è solo la
psicologia dell’associazione quella ‘che, porgendo gli elementi da cui le idee
morali si derivano o, per dir meglio, emergono, sommi- nistra alla psicogenesi
stessa la materia delle sue ricerche. | * * * L’Hume e
l’Hartley ed il Makintosch, ossia gl’illustri rappresentanti dell’etica del
moral sense, segnano la prima apparizione di un’analisi psico- genetica del
sentimento morale. Non paghi della ricerca sul criterio oggettivo
della moralità, ossia , dello studio del problema etico-normativo,
essi tolgono in esame la facoltà soggettiva che ap- prova o giudica
‘dell’azione morale, e questa fa- coltà decompongono, risolvono e riducono nei
suoi primi componenti. — Questo trasferirsi del pro- blema dall’oggetto della
moralità al soggetto mo- rale, dal valore oggettivo della norma ai motivi
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à 21 È = a LLASSI Ò 4 î Li tgp SSL GA i: Cale i 60 IL VALORE
ED I LIMITI soggettivi dell’agente, dall’etica alla psicologia,
segna precisamente il carattere differenziale della psicogenesi della morale.
Di qui i] difetto di a- nalisi psicogenetica in quelle forme della filosofia
classica, le quali sono impresse di oggettivismo e la cui forme d’esprit si
traduce in una intui-. zione immediata dell'oggetto, senza l’intermedio |
dell’analisi psicologica del soggetto. La psicologia della morale inglese
contem- poranea segna un processo di derivazione e di continuità scientifica
dell’ etica «del moral sense. È tutta una tradizione ideale di principî e di
dot- trine, la: quale è argomento di studio per chi alla storia della
successione dei sistemi, storia esteriore e superficiale, preferisca l’analisi
ricostruttiva del ‘ divenire interno delle teorie. © | Unica soluzione di
continuità in questo pro- cesso è, forse, quella segnata dal Bentham. Il
loico dell’utilitarismo retrocede al puro e dogmatico oggettivismo morale. Egli
restringe di bel nuovo la inorale alla ricerca del criterio 0g- gettivo delle
azioni, alla sistemazione etico-nor- mativa del principio dell’utilità. Questo
fiero cen- sore del preteso ipse dixit della morale dell’intui- zionismo è,
dopo tutto, un ritardatario della filo- ‘ sofia. Il suo pensiero etico non
eccede i confini . del naturalismo primitivo, per cui la causalità mo- : rale è
nelle cose stesse, è nell’ordine esteriore della natura, è nella convenienza
estrinseca degli indi- vidui, e non nella ragione o nella natura razio- nale
dell’agente. Nella sua deontologia ricorre il quos dixacov della filosofia
greca anteriore alla DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 61
scepsi della sofistica ed all’idealismo critico della filosofia
socratica. La psicologia morale dell’Association Psycho- logy, incompresa
e non veduta dal Bentham, ha invece il suo interprete vigoroso in John Stuart
Mill. Non che, nel suo Utilitarianism, l’ illustre positivista non abbia tolto
in esame il problema etico-normativo dell’utilitarismo. Ma, senza dubbio,
questo problema, per lui, non è il solo, nè esclude la ricerca dell’origine dei
sentimenti e delle idee morali. L’un problema, anzi, si traduce e si con- verte
nell’altro. Il valore oggettivo e la forza pro- bante dell’eudemonismo è un
corollario della fe- condità morale dell’egoismo. La possibilità, anzi la
necessità psicologica di quella dialettica per cui l’egoismo produce
l’altruismo per un processo di autogenesi e di Selbstbefriichtung, è, o appare,
il miglior argomento della forza imperativa del prin. cipio di obbligazione
morale. ‘L’associazione degli egoismi, secondo il pen- siero
di Bentham, di questo fisiocrate della mo-) rale, si avvera,
nell’ordine esterno della convivenza, per la stessa armonia oggettiva degli
utili. Secondo il pensiero di J. Stuart-Mill, si avvera, invece, nella trama
mentale del soggetto, per la legge psicologica dell’associazione delle idee e
degli af- fetti. È il nesso indissolubile interno dell’amore di sè con l’amore
degli altri conviventi, è l’espe- rienza o la rappresentazione psicologica
della coin- cidenza delle condizioni del proprio benessere con le condizioni
del benessere degli altri, che traduce e converte, spontaneamente é gradualmente,
l’e- DO) FI LI 4 41.9 gg ” Re pi , a. hd a
. bed © a e n 4 \ & l Ì i Pad n AS. - +#® = n * 3% ° È. t Ri ;
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62 . IL VALORE EP 2 LIMITI. goismo nel sentimento morale.
L’abito di rappre- sentare congiunto in intimo legame il proprio de- stino col
destino dei soggetti coesistenti progre- disce a tal segno, da consolidare e
compenetrare i due modi di coscienza, che sembrano logicamente antitetici, in
un solo sentimento morale, in cui la ricerca del proprio bene e quella del bene
dei si- mili è tutt’uno. L’unione degl’interessi non è universale, nè intiera,
nè duratura nella realtà effettiva dei rap- | porti esteriori: le
esperienze della discordia degli egoismi sopravvengono a rompere, a
lacerare la serie delle esperienze anteriori e ad erodere la
coincidenza psicologica delle condizioni del proprio benessere con quelle
del benessere altrui. — Ma questa obbiezione non turba. il Mill. Appunto
‘ perchè quell’unione non è perfetta e durevole, de- ,
ficiente è l’atilitarismo di .Bentham, e l’ associa- «zione degli egoismi va
ricercata non più negli ‘ oggetti ma nel soggetto, non più al di fuori ma
al di dentro, non più nella natura ma nella trama psichica interiore. Che
nella realtà ’l’inte- resse altrui non sia associato sempre ed univer- salmente
al mio, importa poco: basta che l’uno sia associato all’altro un certo numero
di volte, ossia quanto basta perchè nel mio pensiero la rappresentazione
dell’uno si connetta con la rap- presentazione dell’altro. Questa connessione,
com- piuta che si sia una volta per effetto del con- senso estrinseco
degl’interessi, tende, indi, a ricor- rere, a consolidarsi per forza intima e
propria. Il prodotto si differenzia, si distacca dalle cause e DI
UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 63 dai motivi che operarono a produrlo
: ed una spon-. tanea vis inertiae ne assicura la sopravvivenza, anche
quando quelle cause e quei motivi hanno perduto il loro valore originario. Le
nuove e, sarei per dire, postume esperienze del contrasto estrin- seco
degl’interessi non valgono & sgretolare la rete delle associazioni
psichiche anteriori, nè ad eliminare quella sopravvivenza che, per una sorta di
processo automatico, prosegue ciecamente la via sua. Così, torna poco'che
gl’iateressi si con- traddicano al di fuori, quando la mente è . cosif- fatta,
oramai, che non può a meno di riunirli al di dentro. L’esperienza che attesta
la lotta degli e- goismi non esclude la loro compenetrazione psi- cologica
nella dialettica interna dell’altraismo. Di qui, da questa associazione
psicologica degli egoismi trae origine la moral faculty, il sen- timento
morale. Di qui, altresì, the feeling of mo- ral obligation, ossia il principio
dell’obbligazione morale e la sanzione interna del dovere (the in- ternal
sanction of duty), che la filosofia dell’intui- zionismo si rappresenta come
primitivi, o come predisposizioni o motivi a priori della ragion pra-
tica. La rappresentazione del dovere è |’ espres- sione dell’
impossibilità psicologica di slegare e sconnettere la lesione del”’altrui
benessere dalla lesione collaterale del benessere proprio e
dalla. visione prospettiva del penoso rimorso che ne con- segue. La
percezione dell’ impossibilità morale è il distillato finale d’una esperienza o
d’una serie d’esperienze interne d’impossibilità fisica. La forza
imperativa del dovere, ossia la san- i aae ti Na ’ 2 ge
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af PI ee ad PRI de gr sile, » RZ? È ” 64 | IL VALORE ED
I LIMITI © zione interna, è il prodotto finale delle emozioni
destate dalla sanzione esteriore autoritativa : un prodotto, che si è
distaccato, anch'esso, dai suoi fattori e che vive nel fondo e nell’essenza
stessa della coscienza, di forza propria. Nella formula imperativa del dovere
si consolida e perdura, come pietrificato nella trama psichica interna, il ‘
rispetto della coercizione primitiva, l’incubo psi- ‘ eologico del costume, il
comando positivo della | forza fisica umana, la pressione suggestiva del po-
‘tere religioso, la paura materiale della pena. Nelle potenze emozionali e
volitive del soggetto ha luogo come un lavorìo interno di conversione psi-
cologica, per cui le emozioni della minaccia ed il sentimento della paura si
trasmutano nelle emo- zioni e nel sentimento dell’obbligo e della respon-
sabilità morale. Le sensazioni penose della paura si vanno gradatamente
indebolendo ed obliterando: ed emerge su lentamente, grazie a questa specie di
erosione psicologica, l’idea pura del dovere (the pure idea of duty), sublime
residuo morale spremnto dall’alchimia dell’associazione. * *
* Queste le linee fondamentali della teoria di J. Stuart-Mill. Il
positivismo associazionistico del Bain e del v. Kirchmann, che si ricollega a
lui, non aggiunge molto di nuovo nella psicogenesi della morale, se ne togli
un’analisi più ampia del- l’origine del sentimento di obbligazione e della sua
forza imperativa. e DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE
69 Lo Stuart-Mill considera l’imperativo del do- vere come un
processo di trastormazione del ti- more della pena comminata dall’autorità
esteriore: timore che sì differenzia, si distacca dal suo oub- bietto — la pena
— per un processo di elisione e di obliterazione naturale, e da semplice modo
di coscienza sì converte in un oggetto neutro, auto - nomo, ideale, della
coscienza stessa. Ora, il Bain al coefficiente del timore dell’autorità esteriore
ne: aggiunge un altro : quello dell’ imitazione dell’au: torità stessa.
L’imperativo del dovere, che è nel fondo della coscienza morale, si porge, nel
conce- pimento di lui, come una riproduzione, una imita- zione interna
dell’imperativo dell’autorità esteriore, una sorta di proiezione dal di fuori
nel di dentro. Il soggetto psichico, nel suo processo di adattamento
all’ambiente esteriore, non si conforma, soltanto, all’ambiente stesso, ma lo
trasferisce e lo ripete in Sè stesso, creando come un ambiente interiore, pa-
rallelo e collaterale a quello esteriore. Esso non si limita ad obbedire
passivamente ai comandi esterni del potere coattivo, ma obbedisce ad essi in
ma- niera operosa ed attiva: li converte inconsciamente in comandi interni : ed
indi }i rappresenta, li pro- spetta nella forma assoluta ed astratta dell’impe-
rativo. Certo la materia, il contenuto, l’ oggetto, di questo comando interno
della coscienza è e puòi essere diverso dalla materia, dal contenuto e
dal-' l'oggetto del comando e della serie dei comandi - esteriori:
ma non è da credere, per questo, che ) l’uno non derivi dall’altro o dagli
altri. Il senti- mento del comando si distacca anch’esso gradual-
I. PeTRONE. — Problemi del mondo morale 5 x si 4 i; Fan . si
EE Li Ia * "oboe giri e È CI de
4 A ne E PT Y
As_ LA «oO Li 4 n ce dida sed Esa da d »
* 1404 GA gi hi - ati ie 60 IL VALORE
ED I LIMITI mente dalla sua fonte primitiva, fino a stabilirsi su
un fondo indipendente : oblitera, elide, depone anch'esso, di grado in grado,
la zavorra dei coef- ficienti esteriori: s’idealizza e si proietta nel vuoto
ideologico e nell’astratto (the sense of duty in the abstract), in guisa da
porgere l’illusione interna dell’originario, dell’oggettivo, dell’autonomo e
del- l’innato (1). Il v. Kirchmaoan illustra anch’egli la genesi
dell’imperativo del dovere, secondo la psicologia morale dell’associazione.
L’intuito del valore ideale della legge è, anche per lui, un residuo, che e-
merge da un processo di conversione ideologica del timore originario
determinato dalla forza per- sonale del potere, dell’Achtung. La quale è una
sorta di trepido rispetto dell’uomo inconsciente in presenza di forze fisiche,
che egli si rappresenta e prospetta come infinite. L’imperativo del dovere è un
detrito finale di un processo lento e gra- duale di cose, per cui il sentimento
del rispetto si è venuto progressivamente svincolando dalla rappresentazione
della forza del superiore ed as- sociando al valore impersonale della legge. Il
nostro sentimento di obbligazione morale ha ra- dice, precisamente, secondo
l’assunto del Kirch- mann, da questa elisione ed obliterazione storica de)
motivo e del contenuto materiale dell’Acktung. L’apparente oggettività ed
autonomia di esso è ‘l’effetto del suo differenziarsi ed emergere
dai coefficienti eteronomi originari. Giuoca anche qui (1) Emotions
a. will, 283 e segg. DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE
67 una gran parte la vis inertiae, che assicura la so- pravvivenza
ed il consolidamento automatico del rispetto, anche quando i poteri personali,
il cui timore lo ha originato, sono scomparsi (1). * * *
Un elemento nuovo nella psicogenesi della morale è recato, invece, dalla
dottrina dell’evolu- zione. La sintesi dell’associazionismo con l’evolu-
zionismo segna, senza dubbio, il nisus formativo più fine e più saldo della
genesi empirica della coscienza morale. L’associazionismo positivista rin-
traccia questa genesi nel passato della storia u- mana: e supera col principio
e col criterio fsconio della storicità, o della continuità storica,
l’angustia |; di vedute e di procedimento dell’ empirismo sen-'
sualista, che quella genesi limita e contrae nelle: fugaci e
saltuarie esperienze dell’individuo. Ma si superato, a sua volta, da un sistema
o da unain- : tuizione del mondo universalistica, la quale, per ;
rifare la genesi empirica della coscienza morale “umana, procede a ritroso, col
Darwin, sino cd forme del regno animale e, più ancora innanzi, con‘ lo Spencer,
sino alle leggi ed alle forze generative! della vita dell’universo. ) Nella
genesi della coscienza morale e del sen- timento di obbligazione, insinua il
Darwin un nuovo fattore: la selezione naturale. E questa, mi
dr = (1) Die Grundbegriffe, u. s. w. Cfr. il
nostro libro «La fase recentissima della filosofia del diritto in Germania »,
pag. 106-120. "MM se ate nia ES » 4
» —_ e 4 4 SEA Di 1 =» i » Lu 3 I i -
+4 | - » 0 « ° . € Nas r° 3 | > ” - + e L 3 t | E i . : | ì 1 £ 4 . uu» i ta
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ld î | “e » - ie 7 fe 3 . 4d.. n di - A v So hi la £l £ 4 d- I, 3” » ai » è +0
. dA si . ; dc ? + + 30! “x = tx 68 IL VALORE ED 1 LIMITI
come è la causa efficiente «della trasformazione dei tipi specilici, è,
del pari, la causa generativa della conversione dell’istinto sociale nelle
forme riflesse e consapevoli del principio dell’obbligazione .morale. Ma, con
lo Spencer, si procede più oltre. La psicogenesi della morale è assunta, nella
dot- trina di lui, come fenomeno della legge generale del divenire cosmico,
della legge dell’evoluzione. La convertibilità dell’egoismo e dell’altruismo,
the è l’oggetto tenace e costante della chimica mentale dell’associazione, l’
origine del sentimento morale della giustizia dalla semplice eccitazione
simpatica del sentimento egoistico corrispondente, la forma- zione della
coscienza morale e del sentimento di obbligazione e di responsabilità dalla
pura trasmis- sione e capitalizzazione delle esperienze edonisti- che ed
autoritative, sono fenomeni della legge generale di persistenza e di
convertibilità della forza e del movimento, sono modi sovraorganici e
spirituali della conservazione e della trasforma- zione delle energie, della
integrazione e della diffe- renziazione delle forme della vita universale,
della continuità infinita del divenire cosmico. E l’uno e l’altro, il
Darwin e lo Spencer, alla continuità storica, su cui si sorregge l’associazio-
nismo positivista, aggiungono un elemento nuovo: la continuità biologica.
L’esperienza del positivi- ‘sta genera i sentimenti e le ideazioni affettive,
che l’associazione psicologica converte in motivi morali e la tradizione e la
trasmissione intellettiva consolida e traduce in forze imperative dell’azione.
L’esperienza del naturalista e dell’evoluzionista DI UNA
PSICOGENESI DELLA MORALE 69 procede più oltre: essa crea non solo
le facoltà o le intuizioni psicologiche, ma le funzioni mentali e, quel che è
più, le strutture organiche delle fun-. zioni stesse. L’esperienza
dell’evoluzionista non è. soltanto psicogenetica, ma
organogenetica: con la ‘’ filosofia dell’evoluzione, la psicogenesi della
morale . si traduce in un fenomeno della biogenesi. Dico un
elemento nuovo, ed intendo un nuovo* che s’innesta sull’ antico. L’ evoluzione
biologica delle strutture organiche dai processi dell’esperien- za è, in fondo,
un modo d'integrazione della stessa psicologia dell’ associazionismo. La quale
ultima’ non è, forse e senza forse, che un’ applicazione o un fenomeno
particolare della legge universale dell’ esperienza organogenetica. L’
associazione è, anch’essa, una esperienza prolungata e capitaliz- zata ; solo,
è una esperienza che si limita ai pro- cessi ed ai modi del meccanismo
psicologico, iu cambio di estendersi ai processi biologici anteriori all’
apparizione della coscienza. La serie degli in- trecciamenti e dei collegamenti
cerebrali e nervel con cui sì spiega dagli evoluzionisti la complica- zione
progressiva del sistema nervoso, è dei collegamenti e degli
aggruppamenti psicologici degli stati di coscienza. La legge dell’associazicne
è, forse e senza forse, la interpetrazione soggetti- va, e si
direbbe l’anticipazione mentale, della espe) rienza biogenetica.
Gli argomenti che lo Spencer attinge dalla psicologia dell’associazione per
spie- gare come le intuizioni morali sì vadano generando dalle esperienze
autoritative e dalla rappresenta- ) l’equiva-* lente fisiologico e
l’ aspetto oggettivo della serie , +e” di
70 IL VALORE ED I LIMITI zione prospettiva e dall’
eccitazione dei motivi e dei sentimenti di simpatia, sono una prova novella del
processo di continuità interna che lega il prin- cipio dell’ associazione con
quello dell’ evoluzione. Per tale rispetto, può dirsi che la psicologia della
morale di H. Spencer non arrechi alcuna modificazione sostanziale alla dottrina
degli asso- ciazionisti. Salvo, beninteso, il coordinamento della ( stessa
dottrina in una intuizione cosmica univer- sale, il senso intimo della quale
intuizione si va, fper altro, obliterando e smarrendo nelle minuzie, non sempre
raffinate, dell’analisi delle ultime o- pere di filosofia morale e giuridica
del filosofo in- glese. La legge dell’evoluzione amplia, sviluppa ed integra la
teoria empirica dell’associazione, non la innova. Più che una rivelazione ex
integro, essa è argomento di apprezzabili contributi alla psicoge- nesi della
morale. Alla quale non so se conferiscano impronta nuova altri psicologi e
moralisti contemporanei. Il processo derivativo della coazione interna dalla
coazione esterna tracciato dal Wundt (1) è una felice conferma della teoria
dello Stuart-Mill, del Bain e dello Spencer. Del pari, gl’imperativi della
libertà, che in progresso di tempo si associano a- gl’'imperativi della
coazione, e che trovano, in ipo- tesi, la loro espressione finale nella
rappresenta- «zione dell’ideale morale della vita (die Vorstellung des sittlichen
Lebensideals), sono, anch'essi, motivi ‘ psicologici prospettivi, che emergono
dall’ elisione dei coefficienti materiali della sanzione
coercitiva. (1) Ethik: (II Aufl.), 125, 487, 488. DI
UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 71 Il Paulsen, a sua volta, riassume e
risolleva semplicemente la teoria dello Stuart Mill, nel suo System der Ethik,
là dove spiega l’origine della forza imperativa del dovere dal consolidamento
psicologico dei motivi attinenti alla coazione e- sterna; cioè a dire, alla
coazione del costume, della famiglia, degli antenati, dei poteri religiosi e
così via. Questa la tradizione ideale e questo lo stato odierno
delle ricerche intorno alla genesi empirica della coscienza e del sentimento di
obbligazione morale. Ohi ne voglia esaminare il valore al lume
della critica, deve indagare più cose e più aspetti del problema.
Deve vedere, anzitutto, se e fino a che | punto la nuova
psicogenesi della morale forn'sca una ragione sufficiente del valore etico
oggettivo dei sentimenti e delle idee morali acquisite dal-
l'associazione e dall’esperienza degli organi. Deve, 7 indi,
esaminare le condizioni stesse di possibilità di quell’associazione e di questa
esperienza, per vedere se luna e l’altra possano fare davvero le veci della
spontaneità morale primitiva postulata dall’intuizionismo. Deve,
finalmente, domandarsi %_ se la psicogenesi della morale, nella forma
del-T l'associazione o in quella dell'evoluzione, risolva, nel
rigoroso senso della parola, il suo problema teoretico, e ci dia e ci porga in
effetti l’origine em- n, 1% se # OT TERE
TEIL dieci -4 A . Vi ve de GA
(od Vira da” . " Ssr4 -:- </a di +
. » î » > . [ni 792 IL VALORE ED I
LIMITI pirica ed il nascimento ex integro della coscienza morale e
del sentimento di obbligazione. ta Ho chiesto che essa ci fornisse una ragione
_/ sufficiente del valore oggettivo delle idee morali, e non ho preteso una
cosa che la psicogenesi non ,, Posa dare o che non si sia proposta di dare. I
‘suoi interpetri, anzi, professano altamente il loro i dernadimo etico. La
scepsi è nell’origine, non \ nel risultato o nel termine finale; forse e senza
‘forse, essa non è nemmeno nell’origine. L’acquisi- izione dei sentimenti e
delle idee morali non è, in ipotesi, un processo arbitrario, positivo,
intenzio- nale, non è un accidente dello spirito e della na- tura; è un
processo naturale, organico, morfologico, necessario. La coscienza morale non è
innata, ma ‘‘è naturale, come riconosce esplicitamente J. Stuart- Mill (1). Essa
ha, quindi, implicito in sè quel valore e quel significato oggettivo, che il
naturalismo rico- nosce alle formazioni naturali. La filosofia odierna ‘sotto
un certo aspetto, ha superato l’antitesi della , sofistica, antitesi della gvo
e del vouos. V’ ha +1 una forma di vduos per essa, che
rientra nei limiti stessi della gvoss. Questo véuos è l’esperienza posi- tiva e
l’acquisizione, che sono non espressione del- l’arbitrio o determinazione
voluta a disegno, ma processo intimo della natura. L’antitesi della sofi- stica
era poggiata sovra una intuizione statica delle cose: dovechè la filosofia
moderna si poggia sopra una intuizione dinamica. La quos ed il vd- 4os sono due
categorie concettuali irriducibili e (1) Utilit. ch. IL
DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 73 contradittorie, che
attestano una forme d’esprit di- fettiva di criterio storico. Nella filosofia
del dive- nire l’irriducibilità è risoluta: il vòuos è un’ ap- prossimazione
della gvors e la quos è lo stesso termine della dinamica del véuos. n La
psicogenesi della morale deve, adunque,\' contenere nel suo ambito il valore
oggettivo del principio di obbligazione morale: essa deve aver” non solo
esperimentata, ma superata la scepsi. .’ “ In quella vece, essa ha un vizio
radicale che — le vieta di fornirci la ragione sufficiente dell’ob- bligazione
morale: un z06r0v weddos, che l’allon-' + tana irreparabilmente dai termini del
dogmatismo etico. Il sentimento del dovere è, per essa, una rappresentazione
psicologica, che deve la sua ori- gine ad un fenomeno di conversione o
d’inversione psichica, ad un fenomeno d’illusione ottica interna, espresso
nella legge dell’associazione. Ora, finchè questa origine resta ignota al
soggetto, finchè l’a- gente morale è in istato d’inconscienza, quella rap-
presentazione spiegherà una virtù operosa sulla sua condotta morale, quel
sentimento del dovere sarà, nella provvida cecità dell’istinto irriflesso,
proiettata nella forma di una legge e di un im- perativo irrefragabile. Ma,
lasciate che intervenga la coscienza a svelare al soggetto che quella ne-
cessità che egli trasferisce al di fuori è una pura illusione del di dentro ed
a suggerirgli che il prin- cipio di obbligazione morale è il risultato ingan-
nevole d’un’associazione d’idee, ed ecco che quel sentimento del dovere e
quella necessità morale sì chiariranno una pura e semplice espressione
o Meena me f u pesi ci E n pr na T_T — T__———___——e—____—_————— ttt
9 14 IL VALORE ED I LIMITI dell’assurdo e
dell’irrazionale. L’associazione si dis- solve al lume della nuova
consapevolezza insinua- "i tasi nello spirito. Il convincimento che
l’obbliga- /zione morale è un fenomeno dell’associazione, si ‘ associerà
all’associazione stessa e finirà col distrug- erla. La necessità
psicologica non può sussistere che finchè s’ ignora la sua natura
psicologica: la coscienza della sua soggettività la sopprime. L’in- <
{ consciente è operoso, finchè resta tale: svelatelo X a sè stesso, ed
ecco che esso è già spento. Così il moralista dell’associazione è dalla logica
del suo pensiero trascinato al paradosso, alla contraddi- zione ed all’assurdo.
Strana forma di ritorsione dialettica, è il suo stesso sistema che gli si
ribella e che mette in giuoco le forze destinate a para- lizzarlo.— On lui demande un équivalent de
l’obliga- tion, — dicé acutamente il Guyau —il en trouve un, mais ce singulier
principe n’agit efficacement sur nous qu'à condition d’agir à notre insu.
Aussi, quel- que etrange que la chose paraîsse, cet utilitaire est dans
l’impossibilité de voir fonctionner réqulièrement le mécanisme de obligation
qu'il nous décrit, si ce n'est chez ceux-là précisément qui ne sont point uti-
litaires. Plus vous croirez, en poursuivant le bien d’autrui, n’obéir qu'à une
simple association d’idées, moins vous vous sentirez obligé de poursuivre le
bien d’autrui : à mesure qu’augmentera votre foi dans le système, à mesure
diminuera votre foi dans le de- voir qu'il vous impose. Tant que vous ne serez
qu'à demi convaincu, tant que vous n’embrasserez pas avec assez de force toutes
les conséquences de la doc- trine, vous pourrez rester désintéressé ; à vrai
dire, ic e n n Pari A en © ceri tere e credi ag
Si 3 SA a Di lede ine a nt TO ” Dì UNA PSICOGENESI DELLA MORALE
759 ce ne sera point par l’effet de votre système, mais bien par la
faute de votre logique. Soyez plus « asso- ciationniste » que les
associationnistes 6cux-mémes : affirmez mieux encore qu’eux l’illusion
intérieure qui vous domine, et vous la dissiperez » (1). Così, importa poco che l’associazione sia un processo
naturale della psiche, sia la forma di un f vduos che
rientra nei termini della 9005. È un pro- \ cesso naturale della
psiche, è un fenomeno della quos, ossia della natura dell’agente morale, anche
la coscienza. Quest’antitesi, irriducibile nella psi- cologia morale degli
associazionisti, ne segna, ap- punto, il difetto radicale. La loro scepsi
morale è tanto più grave e significativa, quanto più la loro dottrina
reca in sè l’impronta dell’ottimismo natu- ralista. La natura, che
non contraddice a sè stessa nelle sue forme inferiori di vita, porrebbe, adun-
que, uno stridente contrasto nelle sue forme più alte e nelle sue
manifestazioni coscienti! È. nel \ dominio della condotta morale, è
là dove dovrebbe regnare sovrana la fede nell’ideale etico, che la economia
della natura ed il processo morfologico ed autogenetico del cosmo segnano una
disconti- nuità, una lacerazione, un hjatus pessimista ! Potrebbe opporsi che
il potere inibitivo e dissolvente della coscienza valga solo contro
il. principio dell’associazione e non detragga punto alla biogenesi
morale dell’evoluzionismo. La co- scienza non avrebbe virtù di paralizzare
delle espe- (1) Gurau — La morale anglaise contemporaine,
286-87. me A run Tren e e a ine 2 — 76 IL
VALORE ED 1 LIMITI rienze psicologiche che si sono organizzate,
con- solidate e trasformate in strutture organiche. Ma questo espediente
contraddice apertamente alla stessa presupposizione dell’evoluzionismo, alla virtù
organogenetica dell’esperienza e della fun- zione rudimentale della vita. Se le
esperienze in- ‘ conscienti che si perdono nella storia del divenire cosmico
sono riuscite fino alla formazione di un ‘istinto e di un organo morale, non si
vede il perchè le esperienze coscienti non possano, a volta loro, la mercè
della trasmissione ereditaria e di un lungo ed indefinito processo di
consolidazione biologica, arrecare o imprimere novelle modificazioni ner- vose,
trasformare le strutture organiche preesi- stenti, approdare alla formazione di
organi morali diversi dagli antichi. Nell’universale energhetica del divenire
anche la biologia e la fisiologia del- l'organismo vivente è il fenomeno del
tempo: ed è un processo laborioso di trasformazioni incessanti. L’azione
trasformatrice della coscienza non riusci- rebbe, certo, a formazioni nuove, se
non dopo mi- gliala e migliaia di secoli: ma la scepsi morale non è eliminata
per questo. Il valore oggettivo delle idee morali prescinde dalle condizioni
del tempo e dello spazio: limitarlo ad una data durazio- ne, per quanto ampia
la »si voglia, è sopprimer- ne la nozione. In rapporto all’infinito, l’ istante
fuggevole vale quanto il millennio, quanto Vl’in- definito empirico del tempo,
quanto un periodo smisurato (ma non immensurabile, beninteso) di durazione
successiva. Data una serie di termini finiti, la distanza dei termini stessi
dal)’infinito è = enalie-si men, ver men: a -
CAZIE CIZ CUI- ASEM TOA È: a Le #-.-.- nine _ _—; a. a a;
;€;€°è DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE Ti del pari
infinita per il primo, che per l’ultimo di quei termini. La scepsi morale è,
adunque, ine- vitabile, finchè la dinamica diuturnamente operosa del divenire
renda possibile all’ esperienza co- sciente ed inibitrice degli enti
sopraorganici di spiegare la sua energia evolutiva e modificatrice delle
strutture organiche. La coscienza può as- . sumersi come fattore
esclusivamente psicologico, ‘ ed insufficiente a germinare delle modificazioni
© fisiologiche, da una teoria duodinamina e dualista. Ma, nel monismo
naturalista, la” la coscienza si tra-. duce in una forma superiore della stessa
vita e della stessa esperienza organogenetica. In quel monismo, se lo si
penetri nella sua natura, il ma- terialismo meccanico coincide esattamente col
panpsychismo. * * * t — v 0} Un
altro problema resta insoluto nella psico- - genesi
dell’associazione e dell’evoluzione : la pos- sibilità dei processi di
composizivne dei modi della coscienza e della esperienza adattativa della vita
psichica, senza un fondo di spontaneità originaria nei poteri psicologici del
soggetto. “x “ II vizio radicale della concezione
empirica ’ della tabula rasa perdura immutato in queste forme‘,
colte e raffinate di sperimentalismo. È la nega- zione recisa dell’attività
psichica, è l’ esclusione '’ assoluta di quel concetto metafisico della vita,
che ‘ discerne la spontaneità e la natura attiva ed il nisus formativo
dell’essere dai modi avventizi e -_ DA x
% 78 II. VALORE ED I LIMITI passivi della sua esistenza
nel flusso del tempo. ' È, sott’altra forma, un ritorno verso l’inerte so- ‘
stanzialismo della psicologia: una reviviscenza mentale della sostanza passiva
dei Cartesiani, \che .segnava di già un regresso di fronte all’évrs- (Aéyeta
aristotelica, e che fu oltrepassata definiti- ‘fvamente dal dinamismo e
dall’attualismo Leibnit- ;( ziano. Il moto ha la sua causa originaria ed
effet- tiva nella natura stessa del mobile: la sostanza è causa ed è forza che
produce i fenomeni per virtù immanente nel suo essere: le medificazioni alle
quali un ente soggiace procedono, in ultima istanza, da un principio interiore
ad esso, il quale principio contiene l’efficacia di svolgersi in una serie
determinata di mutazioni e di movimenti. «Le mouvement lui mème est un changement, et doit avoir
sa raison dans l’étre qui se meut, ou qui est mf : car méme le mouvement passif
doit correspondre à quelque chose dans l’essence du corps mî. Un étre
absolument passif serait le pur néant et impliquerait contradiction : car,
recevant tont du dehors par hypothèse, et n’ayant rien par soi mème, n’aurait
aucune détermination, aucun attribut, et par conséquent serait un pur rien. Le
simple fait méme d’exister suppose une certaine force, une certaine energie »
(1). La nozione della passività e della
plasticità ‘assoluta dell’essere è, senza dubbio, il gran sofisma del secolo,
il simbolo e l’esponente psicologico di (1) LEIBNITZ, ibid.
DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 79 tutta una intuizione
meccanica e materialistica dell’universo. Una formola definitiva di quel so-
fisma è data dalla cosiddetta concezione materiali- stica della storia (Engels,
Marx), la quale può van- tare, non a torto, di riassumere in sè lo spirito
filosofico del tempo. Non è già la coscienza *del- l’uomo che determina e
governa la sua esistenza, così assume il materialismo storico, ma inversa-
mente, è la sua esistenza esteriore che determina la sua coscienza. Di qui
segue che il modo di pro- duzione della vita materiale condiziona il pro- cesso
della vita sociale, politica e spirituale. E non si pensa che codesta
antitesi radicale, che si pone tra la coscienza e l’essere, attesta una veduta
ed una forme d’esprit immatura ed irri- flessa. È, in altri
termini, la riproduzione, o me-, glio l’oggettivazione reale della vecchia
antitesi. logica fra la materia e la forma, fra la potenza 0% la possibilità
nuda e latto, Senza. Ada. mediazione) dell’attualità e dello sforzo per” ‘cui
l’una diviene / nell’altro. È, soprattutto poi, l'ignoranza di un
sommo principio, il quale è come il residuo finale di tutta la critica della
conoscenza: quel prin- cipio, il quale assume che l’ultimo limite
irridu- ‘, cibile nella spiegazione della vita dell’essere è la
spontaneità e l’atto primitivo, immanente nell’es- Sere stesso. È una
forma di pensiero eminentemente dog- matica ed ignara del pungolo della critica
quella che, varcando d’un tratto solo l’hjatus che passa tra il soggetto ed il
«di fuori, va tragittando ed oggettivando nell’oggetto estefiore le pertinenze
e i » De A trat ST MISETIITO CA
w# ‘ % sh CIR) si: vagii dt e e
* n dà 1 hia ge o. 80
IL VALORE EDI LIMITI le acquisizioni e le produzioni interne del
soggetto stesso. Senza dubbio, è indisgiungibile dal concetto della vita la
noziore di un potere di adattamento verso il di fuori o di un potere di
assimilazione delle condizioni esteriori. La vita è un concambio delle
relazioni interne con le relazioni esterne: è un accordo ed una reciprocità di
funzioni ed in- flussi del di dentro col di fuori. In questo senso appare
esagerata ed incongrua la dottrina del Leibnitz, la quale, escludendo la
possibilità che la potenza di un essere esca dalla propria sfera ed operi con
la sua azione sopra altri esseri, e- sclude in pari tempo il processo cel
ricambio e della integrazione reciproca, che è condizione in- declinabile della
vita. Ma lo stesso potere di adat- tamento e di assimilazione esprime, a sua
volta, non un fenomeno di pura e semplice recezione passiva, bensì un processo
di attività produttiva e trasformativa incessante. La virtù di connaturare alla
propria essenza specifica gli elementi che gli provengono dal di fuori, è
espressione di una vis attiva dell’essere. Il naturalista meccanico, il quale
la considera come una forma di passività, guarda un solo dei termini della
relazione — le condizioni esteriori, — e non considera quel momento in cni la
efficienza di queste condizioni s’identifica con il principio d’interiorità
dell’essere. La sua conce- zione è logica, formale e discontinua, non reale,
materiale e dialettica: cioè a dire, egli vede i ter- mini e non il nesso
organico che forma la rela- zione dei termini; coglie la capacità individua di
ciascuno dei due modi, percepiti isolatamente l’uno DI UNA
PSICOGENESI DELLA MORALE 81 dall’altro, non il momento della loro
connessione. Il problema della genesi, in fondo in fondo, gli sfugge: e
l’analisi ideologica gli ot:unde il senso della sintesi reale e della
embriogenia vitale. Se questo senso della sintesi vitale non gli facesse
difetto, egli non cadrebbe nell’assurdo di negare la spontaneità primitiva
dell’essere. Egli vedrebbe che la spontaneità è condizione necessaria per
l’esercizio del potere di assimila- zione, e viceversa l’assimilazione è
condizione ne- cessaria per la permanenza della spontaneità stessa. Senza la
spontaneità, l’assimilazicne è inconcepi- bile, come l’oggetto è inconcepibile
senza il sog- getto, come la materia è inconcepibile senza la forma; e, senza
l’assimilazione, ja spontaneità cessa di essere una forza attiva e si consuma
in sè stessa. La reciprocità dell'una e dell’altra è condizione essenziale
della vita dell’essere, il quale non è più quello che è, e si trasforma in un
altro, quando nel processo di adattazione agli elementi esteriori non conservi
la sua natura specifica, nè traduca in forza propria le variazioni prodotte
dall’ adatta- mento. La psicogenesi dell’associazione, con l’esclu- dere
la spontaneità morale originaria del soggetto e col foggiare la coscienza
morale o il principio di obbligazione in forma di mera riproduzione mentale e
di semplice acquisizione avventizia, con- traddice al vero processo della vita
delle spirito e si traduce in una formula arbitraria. E lo stesso va detto
della psicogeriesi morale dell’evoluzione, in quanto essa muove dal principio
che l’ evo- ‘ I. PeTRoNE. — Problemi del mondo morale 6
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82 IL VALORE ED I LIMITI lazione naturale ed organica è la
causa efficiente dello sviluppo psichico e professa che le relazioni interne
sono un semplice processo di dipendenza e di derivazione delle relazioni
esterne. Forse, la prima è ancora più manchevole della seconda, per- chè
esprime una intonazione più acuta della passi- vità e della plasticità
primitiva dell’essere. La legge dell’evoluzione è, dopo tutto, un processo di
integra- zione e di differenziazione, di assimilazione e di di- sassimilazione,
di composizione e di scomposizione, di selezione e di distinzione. L’attività
psicologica, per l’evoluzionista, è, quindi, un’attività che non ri- specchia
solamente ì rapporti esistenti, ma perviene a separarli, a modificarli ed a
combinarli ed at- tuarli in una produzione nuova. Laddove l’ asso- ciazione
esprime piuttosto il fatto passivo della riproduzione mentale e, quindi,
involge un’acqui- sizione accidentale, avventizia ed imitativa, non
un’acquisizione evolutiva, attiva ed innovatrice. L’una e Paltra, tuttavia, sor
viziate, a diversità di grado, dal x0©6tov weddos dell’ intuizione mec- canica
del mondo: e per voler porre l’esterno a base dell’interno, si chiariscono
insufficienti a spiegare il divenire della vita dello spirito. La quale è,
bensì, una serie di mutazioni, ma di mu- tazioni che hanno la loro radice e la
loro causa nella natura dello spirito stesso : la qual natura. tende e prucede
e si sforza verso le mutazioni ed è, quindi, il principio interno delle
mutazioni medesime. La coscienza o la esperienza interiore, la quale è,
in ultima analisi, il criterio conoscitivo irridu- DI UNA
PSICOGENESI DELLA MORALE 83 cibile della natura e delle forme del
nostro essere, il concetto-limite di esse, si rifiuta di renderci il fondo passivo
della nostra sostanza spirituale (la quale resta, per noi, inconoscibile come
ogni altra sostanza), e solo ci porge la consapevolezza della nostra attività e
dello sforzo operoso e della e- nergia che è in noi, e che si attesta nella
fecon- dità intellettuale e morale del nostro io e nella virtù espansiva del
volere (1). Questo fenomeno dell’ esperienza interiore, con tanta finezza
intuìto dal Maine de Biran, e- sprime, come condensato e ricapitolato nella
vita dell’individuo, il processo della vita storica del- l’umanità
universale. Il divenire morale dell’umanità, le vicende ed i progressi
suoi nella rappresentazione e nella per- cezione e nell’attività del sentimento
del dovere, hanno anch'essi il loro limite irreducibile in una visione inconscia,
primitiva del bene e del giusto, ed in uno sforzo operoso e dinamico verso
l’uno e P’altro. Questa spontaneità morale originaria forma l'esigenza
legittima del nativismo: ed intendo di quella torma illuminata e riflessa di
nativismo, che non materializza empiricamente il fondo pri- mitivo del
sentimento morale, nè lo identifica col contenuto della coscienza morale
progredita ed e- voluta, nella cui genesi ha tanta parte il processo di
acquisizione, nè trasferisce e tragitta nelle fasi primitive della moralità gli
stati di coscienza de- (1) Maine pe Biran, Doctrine philosophique
de Leibnitz. 4 nta n " *
"+ da fire Ù È . 4 da 4A (LS a
va A n d LI ‘è “ 84 IL VALORE ED I
LIMITI rivati i quali si rilevano nell’ esperienza del pre-
sente. V’è una forma di nativismo dogmatico ed em- pirico, e v'è una
forma di nativismo critico ‘ed i- dealistico. Il primo non ha risentito il
pungolo della critica, nè è atto a discernere e differen- ziare, nel fondo
della coscienza morale, un elemento dell’essere ed un processo del divenire,
una fun- zione che sta ed un processo che diviene, un sostrato permanente e la
serie delle mutazioni, il sotto- suolo primitivo e le soprastrutture derivate,
la materia e la forma, la volontà e l’oggetto empi- rico delle volizioni.
Ingenuamente convinto della perennità ed immobilità delle idee e dei senti-
menti e delle volizioni morali rivelate dall’ espe- rienza dell’oggi, quel
nativismo dogmatico ed em- pirico non sa fare di meglio che oggettivare quelle
idee e quelle volizioni al di fuori e ritradurle sub specie aeternitatis. Esso
è fuori della critica e, non ostante le sue apparenze psicologiche, soggiace
tuttora all’illusione dell’oggettivismo primitivo. Ma, di ben diversa natura è
quell’altra forma di nativismo, che ha esperimentato la crisi ed ha sa- puto
superarla, che riconosce nel fondo della co- scienza morale, accanto ad un
principio perma- nente che la sorregge, un processo di differenzia- zione e di
acquisizione che diviene; che non mi- sura la storia dell’umanità con
l’esperienza feno- menica dell’individuo dell’oggi, nè argomenta dal- l'istante
fuggevole all’infinito, o dal relativo al- l'assoluto. Questo nativismo non è
più mitologia antropomorfa, nè ideologia nia è idealismo critico e
scienza. DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 85 »*
* * è Una prova luminosa della legittimità di questo È
innatismo critico ci è fornita dallo ‘stesso insuc- cesso
radicale della psicogenesi della morale. La quale non risolve,
evidentemente, il problema che si propone: quello di svelarci la origine
empirica e storica ed il nascimento ex integro dei sentimenti, delle idee e
delle volizioni morali. Non è detto in quale momento della fenomenologia della
co- scienza comincia la deliberazione o la volizione di atti, i quali hanno per
risultato (non saputo e non voluto) il bene «degli altri. Questi atti
s’iniziano per caso, come fortuito è il risultato di essi, cioè a dire la
coincidenza del loro termine col benessere altrui. Il caso non dà luogo a
precisione, nè a differen- ziazione di momenti; e la quantità
indefinita delle combinazioni casuali si sottrae ad ogni determina-
zione specificata. Il caso non ha legge: esso è, di per sè, l’ unica legge
concepibile con una , quantità indefinita ed imprevedibile di combina- zioni
non legate da verun nesso organico. Lu psico- logia dell’associazione non ci
dice in qual determi- nato momento del tempo cominci il processo di con-
solidamento psicologico degli stati di coscienza e l’obliterazione e l’erosione
storica dei motivi e dei coefficienti primitivi dell’azione morale. La rete
delle associazioni psichiche principali e se- condarie, dirette e
collaterali,.si perde nella storia dei secoli, senza che sia dato
all’associazionista di cogliere quella presunta stagione di tempo in cui nasce
ex integro, dul fondo trasmesso e capitalizzato SO te
f VA ente E 86 IL VALORE ED I LIMITI
delle esperienze edonistiche ed autoritative, l’idea- lità morale e la
volontà del bene e del giusto. Il Darwin non si mostra alieno dal qualificare
per innato l’istinto sociale delle specie organiche: nè ci profila l’origine
empirica di quelle prerogative di alcuni esseri, le quali assicurano la loro
sopravvi- venza nella lotta per l’esistenza e condizionano la selezione
trasformatrice dei tipi specifici. Lo Spen- cer non ci porge la genesi
empirica, in questo 0 quel momento del tempo, del sentimento di simpa- tia e
dell’eccitazione simpatica dei sentimenti egoi- stici: e, per esigenza intima
del sistema, annoda la psicogenesi della morale ad una cosmogenesi universale,
la quale rappresenta un processo di ve- ra ed assoluta elisione del problema
dell’origine. Ogni nuova apparizione, stando alla logica
dell’evoluzionismo, è l’equivalente di un’ appari- zione preesistente: ogni
nuovo stato della co- scienza morale e della coscienza giuridica è l’equi-
valente dinamico di altri stati anteriori. La teoria dell’evoluzione non può
proporsi, logicamente par- lando, la ricerca dell’origine empirica di una data
cosa, di una data forma di essere: perchè la con- tinuità evolutiva segna la
negazione del salto, del vacuo, «lel discontinuo e del hkjatus, segna, quindi,
la negazione della nozione stessa dell’ o- rigine pura e semplice e della fine
pura e sem- plice di una cosa. La indistruttibilità della ma- teria, la
continuità del movimento, la persistenza della forza escludono la possibilità
dell’ indagine del principio o della fine dell’essere.— L’incapacité qui nous empéche de
concevoir que la matière de- DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE .
87 vienne non ezistente, — così lo Spencer -- est la conséquence
directe de la nature -méme de la pensée. La pensée est une position
de relations. On ne peut poser des relations, et par conséquent
penser, quand Vun des termes relatifs est absent de la conscience. Il est donc
impossible de penser que quelque chose de- vienne rien, par la méme raison
qu'il est impossible de penser que rien devienne quelque chose: ei cette raison
c'est que rien ne peut devenir un objet de conscien- ce» (1). « Dire que le
mouvement est créé ou anéanti, dire que rien devient quelque chose ou que quel-
que chose devient rien, c'est établir dans la conscience une relation entre
deux termes, dont lun est absent de la conscience, ce qui est impossible. La
nature méme de l’intelligence dément la supposition qu'on puisse con- cevoir
(encore moins connaitre) le commencement ou la cessation du mouvement » (2). «
Affirmer la persistence de la Force ce n’est qu'une autre manière d’affirmer
une réalité inconditionnée, sans commencement ni fin > (3). Nella totalità dell’essere sono inconcepibili,
\ UFLATTAR n AN per la legge
dell’evoluzione, così il principio come, la fine : e poichè la dinamica che
affatica la totalità dell’essere è quella stessa che governa del pari | i le
singole forme di essere particolari, così è da. conchiudere che neanche di
queste forme parti- | celari, la teoria dell’evoluzione ci possa fornire ;'
l’origine./Ogni forma particolare rappresenta come . in miniatura e ricapitola
in sè il processo dell’es-|i_ i 1. ri i) f sere
universale. Ogni briciolo dell’ esistenza è uno (1) Seencer, Pr.
Principes, 186-187. (2) SPENCER, ibid., 198. (3) Idem, ibid., 202.
880. IL VALORE ED I LIMITI compendio dell’universo. Il
problema genetico del- l'evoluzione procede sempre più a ritroso, si tra-
sferisce e si allontana sino alle forme primitive della cosmogenesi, dove
l’impossibilità psicologica di risolverlo finisce con l’eliderlo. Tale
elisione, del resto, è il portato indeclinabile di ogni forma di processo
all’infinito. Il preteso stato primitivo ed originario della materia
(indistinto ed omo- geneo) non è che il risultato di una .storia più remota: è
il prodotto di una dissoluzione cosmica anteriore. « La chose avait aéja, une
histoire avant de prendre l’état d’où nous sommes partis » (4). Nè basta.
Lo Spencer formula il suo assunto nettamente e precisamente così: « L’histoire
com- plète d’une chose doit la prendre à sa sortie de l’imper- ceptible et la
conduire jusqu'à sa rentrée dans l’îm- perceptible » (2). Ora, con l’enunciazione di questo principio, è già
bella e data l’impossibilità della ri- cerca empirica dell’origine della cosa.
L’esperienza e la storia sono impotenti a svellere, a dispiccare il finito
dall’infinito, il relativo dall’assoluto : esse non possono cogliere il momento
del divenire delle for- me concrete dell’essere dal fondo dell’impercettibile.
La forma concreta, presuntivamente originaria, si presenterà sempre nella forma
di un hjatus della storia, uo hjatus che presuppone î momenti an- teriori da
cui si è divulso. La forma concreta sarà sempre un momento derivato : essa, non
sarà mai un assolutamente prius, di cui non si possa concepire un’altra che sia
prima di essa, e così via. (1) Spencer, Pr. Principes, 300. di (2)
Idem, ibid., 298. Così, la filosofia dell’evoluzione non
solo DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 89
non ci porge una vera e propria psicogenesi della mo- rale,
ma ci annunzia che la psicogenesi stessa è inconcepibile. Le idee e le
volizioni morali sono fenomeni del tempo, che si ricevono dall’eternità e che
vanno trasmessi all’eternità. Questo dive- nire del tempo dall’eterno e
nell’eterno è, tutt'al , più, conoscibile con un processo di genesi
dialet- tica e non con un processo di genesi storico-em-
pirica. * * * Ma,
pervenuti a questo punto, ci sia lecito domandare: a che, adanque, censurare
così aspra- mente la legittima esigenza del nativismo ? L’in- concepibilità
dell’ origine ex nihilo sui non è una preziosa riprova della realità oggettiva
di un sub- strato permanente, non sottoposto al flusso «el tempo? Non vi sarà
una forza psichica persi- stente attraverso i modi e gli stati mutevoli della |
coscienza morale, così come si assume una forza cosmica persistente attraverso
le redistribuzioni in- cessanti della materia e del movimento nel ritmo
universale della evoluzione e della dissoluzione ? Quale differenza vi sarà,
adunque, ed in ultima analisi, fra la vostra psicogenesi della morale e la
teoria del nativismo? Questo non coglie lori- gine delle idee e delle volizioni
morali, e voi ri- nunziate a coglierla del pari. Sola differenza è che voi vi
volgete al processo all’infinito ed il nativismo lo supera, e che voi, quindi,
restate inviluppati nel \ Le a Pi i tela,
gir È a v Bia ag va #4 fd i gt © Ri VI «4 A
» ES A SA > pe" tout Sa a Peg
A ME > E Ma 4 ” oa 44084
(1) db . IS? Fica VEE LIO Eee dd
» CLI @- ala 900 = IL VALORE ED I
LIMITI puro scetticismo, mentre quello si solleva ad una forma
razionale di dogmatismo scientifico. Voi raf- figurate, invero, una serie.
infinita di evoluzioni, una serie di termini dei quali l’uno è condizio nato
dall’altro e così via all’infinito ; e così cadete nell’assurdo della ragione e
nella stasi vitale. Nel- l’assurdo della ragione, perchè l’ esistenza empi-
rica di un termine qualunque della serie è incon- ciliabile con la pretesa
infinità della serie stessa: per arrivare a quel termine sarà stato necessario
di passare per le condizioni infinite le quali lo pre- cedono; il che è come
dire che la serie infinita sarà stata esaurita nel transito a quel. termine e,
in- somma, che la serie infinita non è più infinita. Nella stasi vitale, perchè
tutri i termini della serie intinita sono del pari indifferenti e forniti di
ugual valore oggettivo: e la distanza dall’infinito è del pari infinita per il
primo come per l’ultimo di essi. Non, quindi, evoluzione in senso progressivo;
per- chè difetta la graduazione e la gerarchia dei termini, perchè difetta la
differenziazione e la vita, perchè difetta la manchevolezza e lo sforzo. E, se
l’acquisi- zione delle idee morali è un fenomeno del tempo che intercede fra
due estremi eterni ed infiniti, qua- le argomento di superiorità vanterà la
vostra dot trina dell’evoluzione su quella della creazione? La creazione
soprannaturale del soggetto morale, con un fondo sostanziale e permanente di
mora- lità originaria, non è anch’essa un legato divino dell’Eterno e
dell’Infinito al fenomeno del tempo? E perchè l’hjatus, onde il divenire
cosmico del- l'evoluzione si dispicca e si svelle dall’eterno e
TTI DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 9
dall’inconoscibile, sarà da preporre al hjatus 0, per dir meglio, al fiat
dell’atto creativo ? La psicogenesi della morale non può, adunque, aver
eliminato l’esigenza legittima del nativismo. V’ha un fondo di
spontaneità morale originaria, che è il sustrato delle acquisizioni etiche ed è
come la condizione di possibilità delle acquisizioni stesse. Nella grande
mobilità delle idee e dei sen- timenti morali v’ha un elemento immutabile. Le
evoluzioni storiche sono precedute e preparate co- me da una involuzione
primitiva, la quale è fuori delle condizioni del tempo e si traduce
nella stessa . natura dell’essere morale. Residuo ineliminabile
dall’analisi, giace nel processo mutevole delle in- tuizioni e delle volizioni
morali, una forma, meglio ancora, una évredéyzia che non muta: la
visione | | -r- e la volontà del bene e del giusto. Varia il con-
tenuto delle azioni morali da questo a quel punto dello spazio, da questa a
quella stagione del tempo: eppure in questo processo di variazioni perdura
identica la ragione ideale della moralità e della ai ti
f ice 1 U f , tà
E; vr giustizia: e quello che ai gradi successivi
della coscienza morale si chiarirà per ingiusto, è intuìto dai
soggetti sotto la specie ideale del giusto. Il relativismo morale, da
Enesidemo e Sesto al Montaigne ed al Mandeville e dai vecchi ai nuovi scettici
della morale è, dopo tutto, il pro- dotto di una percezione semplicistica, dogmatica
ed empirica della moralità umana. Esso nasce, in ultima analisi, da un
difetto di discernimento critico: dal non aver saputo o vo- luto distinguere
nel processo della moralità e della 4 tI I
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1L VALORE ED 1 LIMITI giustizia, il momento dell’essere da quello
del di- venire, il soggetto persistente dei fenomeni dai fenomeni singoli,
l’energia permanente della mora- lità dalle azioni traverso le quali quella
energia si traduce nel flusso delle condizioni empiriche del tempo e dello
spazio. Esso ha il senso della mobilità vaga, indetinita, saltuaria, ma non ha
il concepi- mento della natura che si sforza verso le mutazioni, che è il
conato, l’energia, l’impulso nativo, la forza persistente dell’ evoluzione. E,
quindi, il relativi- sta non ha nemmeno un’intuizione dinamica del mondo :
perchè la concezione dinamica gli avrebbe lasciato intravedere l’unità della
forza permanente nella relatività dei fenomeni. La sua non è che un’
espressione rovesciata e mascherata della vec- chia concezione statica della
morale, non illumi- nata dal sano criterio storico-genetico. Precisa- mente
come la sua scepsi non è che l'ipocrisia dell’empirismo anticritico.
* * * . Questa distinzione sovrana del sentimento mo- rale e
della materia di esso, dell’idea e delle forme, della volontà e dell’oggetto
storico delle volizioni, è il germe di una critica decisiva della
psicoge- . nesi al lume della sana teoria della conoscenza e dell’essere.
Se nel processo della moralità e della | giustizia l’analisi ravvisa un
fondo che non muta, i è tempo che la psicogenesi riconosca il limite clie ‘ le
è prescritto spontaneamente dalla natura delle \ cose. La psicogenesi è la
ricerca del solo momento ' \ i A DI UNA PSICOGENESI
DELLA MORALE 93 del divenire. Ora l’essere è fuori e sopra il pro-
blema genetico. Il genio storico del secolo, che ha) invertito universalmente
il momento causale nel momento genetico, addimostra una comprensio- ne
difettiva dei processi e delle leggi della n scenza. La storia e l’esperienza
empirica possono contenere ed apprendere il divenire e non l’essere: e, del
divenire stesso, non la legge o il momento #> genetico, ma le forme
saltuarie, ma la serie dei hjatus, ma le fasi successive, ma le tappe discon-
tinue di quel divenire. Il momento della continuità e del processo sfugge alla
storia ed all’esperienza i della psicogenesi, alla quale non rimane che la ‘./
mera iuztapositio della successione empirica dei | Hi a! %, termini. La
causalità interiore: ecco quello che SA la psicogenesi dell’empirismo non
riuscirà mai a penetrare, non che concepire. La sana analisi critica ci
porge, adunque, una distinzione sovrana, che ci educa a conoscere il li. miti
razionali del problema genetico. È la distin- zione dell'idea e della volontà
del bene e del giusto dalle forme svariate iu cui quell'idea e quella volontà
si traducono negli ordini del tempo. Una distinzione reale, oggettiva e
feconda, non logica, soggettiva e sterile, come parrebbe a prima giunta. Non è
una ripetizione pura e semplice, | nel processo della moralità e della
giustizia, della | vecchia, arida, scolastica distinzione Kantiana della ; ’
materia e della forma. È anzi, sarei per dire, una\ inversione della formula
Kantiana, una inversione ; dovuta alla natura stessa dello spirito umano :
natura produttiva, autogenetica e ricca di fecon- | + | 4
° + x # i 94 IL VALORE EDI LIMITI dità morale
interiore. La volontà del bene e del giusto, illuminata da una vaga visione
originaria, che si va sempre più chiarendo e sviluppando nelle forme e nei
processi della consapevolezza segna la negazione recisa di una vuota forma a
priori, ideologica, astratta. L’intùito ideale di una norma che esige dal
soggetto il rispetto incondizionale (intùito, che è il residuo ineliminabile d’
un’ analisi delle forme primitive della moralità e della giustizia), non
è . una forma pura e semplice della ragion pratica. . È una materia.
Quella norma è percepita come avente un valore universale: e,
quindi, come impe- rativa non solo per sè, ma anche per tutti gli altri
soggetti che la consapevolezza dell’agente ricono- sce simili a sè. A questa
oggettivazione spontanea e naturale della norma si associa presso tutti i
soggetti di tutte le possibili aggregazioni umane, anche delle forme embrionali
e primitive, il sen- timento dell’esigenza. Della norma si esige dagli altri
altrettanto rispetto, quanto si crede in ob- bligo di professare in sò stessi.
Donde nasce questa oggettivazione e questa esigenza, la quale è
ricono- seibile nelle forme più rudimentali della socievolez- za e
che è la condizione indeclinabile del più tenue sviluppo della giustizia
interna? Evidentemente, la norma di cui sì pretende da tutti i soggetti si-
mili, o percepiti come tali, il rispetto oggettivo ed incondizionale, è una
norma che.si rappresenta come estra-soggettiva, come imperativa per sè stessa,
come vantaggiosa non al soggetto singolo, ma a tutti 1 soggetti consociati. Il
sentimento del. DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 95
l’esigenza importa che quello che si pretende dagli altri sia stimato
buono per sè e, quindi, obbligatorio per tutti. Il sentimento dell’esigenza
importa l’in- tùito irriflesso di un bene comune. Ora, chi dirà mai che
si tratti di pura forma ideologica e vuota? L’oggettivazione della norma ed il
sentimento dell’esigenza esprimono la condi- zione stessa della moralità e
della giustizia. Soro la vera riprova fenomenologica dell’imperativo cate- ,
gorico ; il quale imperativo, più che una norma etica della ragione, è un dato
lato primitivo della ps psì- cologia della morale, meglio ancora, è un atto im-
manente della filosofia dello spirito. Il filosofo,,_ che lo dettò come legge della
natura razionale, trasferiva in ipostasi normativa un dato presente : di già
nella umana natura. nen Nè ciò è tutto. Nella psicologia morale primi-
tiva dell’uomo l’analisi coglie un altro residuo, che è come una riprova
fenomenologica della massima . . della coesistenza. Il sentimento egoistico del
proprio benessere e della propria libertà, quello che lo Spen- cer chiama
sentimento egoistico della giustizia, è obbietto, fin nelle forme embrionali
della morale e della giustizia umana, è obbietto, dico, di una oggettivazione
primitiva. L’esigenza e il diritto, direi quasi, di quel sentimento si
trasferisce, per eccitazione emozionale, agli altri soggetti che si
percepiscono come uguali a sè stesso, e si sente; l'obbligo di limitare
l’egoistico sviluppo della pro- pria libertà nei termini che rendano possibile
al- trettanto sviluppo dell’uguale. È un’altra direzione; la direzione
emozionale, simpatica ed altruistica, del sentimento dell’ esigenza; ed è la
seconda. 96 IL VALORE ED I LIMITI condizione
indeclinabile delle forme, anche più semplici e rudimentali, della giustizia
interna. La presunta forma a priori della murale e della giustizia
contiene, adunque, un contenuto primigenio : un elemento interiore ed
intenzionale, che è la condizione stessa della moralità umana; un
fondo di differenziazione etica ed una direzione determinata del volere.
La vecchia antitesi logica f della materia e della forma va del tutto
eliminata # { dal dominio della morale, che è il dominio della
fecondità ideale, della vita, dell’azione. L’antitesi, ivi, è ben ultra.
È del sentimento morale eon le \l forme in cui si estriuseca quel
sentimento, della /; volontà morale con le azioni particolari che
la i rendono al di fuori, come il segno rende la cosa ‘ significata.
Nelle azioni morali più diverse, nelle rappresentazioni e nelle
deliberazioni etico-giuri- diche più disformi tra loro, si traduce una
iden- tica ed universale volontà del bene e del giusto. i La forma
logica è il simbolo dell’indifferenza. .‘ La sua compatibilità con le
materie più diverse ‘e contradittorie ha radice appunto in questa
sua : indifferenza radicale ed originaria. È un residuo
dell’analisi ideologica, vuoto, inerte, passivo, infe- condo. In quella
forma non è punto contenuto il momento dello sforzo, il conato verso
forme più alte, l’impulso del progresso. Una forma logica e
ideologica è, di sua natura, quiescente, immobile, antistorica : e
l’indifferenza logica è simbolo e con- dizione di sterilità reale. La
volontà, invece, espri- me il fatto stésso della differenziazione e
della dinamica operosa ed attiva. Esprime il senso pe-
DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 97 noso della manchevolezza,
l’anelito verso forme più alte, l’acuto desio di rendere e di espandere al di
fuori la potenza infinita che l’affatica nel di dentro, l’inquietudine operosa
del di là, lo sforzo -che si agita in una gestazione interiore.
L’antitesi della materia e della forma è espres-\ sione
analitica di un dualismo logico, irriducibile. nella dinamica della
vita. Essa non ci rende la ragione sufficiente della molteplicità
delle forme e degli atteggiamenti concreti della moralità e della giustizia, e
non trova l’ intermediario, 0, per dir meglio, il vincolo di continuità, che
an- noda quella molteplicità indefinita all’unità asso- luta dell’ ideale
morale e della ragion pratica. La distinzione della volontà e delle azioni con-
tiene invece la soluzione di ambo i problemi. La moltitudine delle forme
appare, in tal caso, una conseguenza della fecondità morale inerente al volere.
E, poichè tale fecondità è inesauribile e la volontà si sviluppa diuturnamente
nella varietà delle forme, senza toccare il punto in cui s’acqueta ogni desìo,
il mondo etico si dispone in una grada- zione insensibile dal punto più basso
dell’esistenza della morale sino alle forme più ideali e più alte. La
differenza delle forme è, adunque, sola differenza di gradi; le investe e le
affatica, del pari, una forza unica persistente, che è il segreto, ad un tempo,
della gradazione gerarchica delle forme particolari e dell’armonia
dell’universo mo- rale. Forza che dura senza consumarsi, persiste senza
decrescere, si comunica senza diminuire, si trasforma senza perdersi. Nessuno
ha ancora se- I. Perrone. — Problemi del mondo morale. 7
= 9 . se, Ul 4
hi “" Lada) doà ta ka | 24
MA 98 IL VALORE ED I LIMITI gnato l’ultima tappa
di questo processo autoge- netico. La volontà procede senza posa alla con-
quista dell’ideale, cioè alla coscienza di sè stessa. Malgrado gli stolti
conati del pessimista che vor- rebbe emanciparla dalla coscienza per
emanciparla dallo sforzo creativo della vita, la volontà del bene e del giusto,
al lume della nuova consape- volezza scaturita dalle sorgenti medesime dell’es-
sere morale, veglia al fondo dell’esistenza umana per trarla a forme di vita
sempre più eccelse. Oggi essa abbraccia non più questo o quell’uomo, ma l’uomo,
e non l’uomo reale dell’hic et nunc, ma tutti gli uomini, ma le creature
razionali pos- sibili. La volontà, non infinita nella sua sostanza,
. è la potenza dell’infinito : essa non è immortale, ma tende
all’immortalità. Essa aspira ad essere immortale e vi riesce soltanto per la
generazione delle forme, perchè immortale è nelle potenze mortali solo la
generazione delle forme (1). Come l’amore è la procreazione nel bello, così la
volontà morale è la procreazione nel buono e nel giusto. Il processo
dalla giustizia interna alla giu- stizia esterna, che è legge dell'evoluzione
giuri- dica, reade uno dei momenti di questa perenne dinamica della volontà del
bene e del giusto. La volontà primitiva limita l’oggettivazione della nerma, il
sentimento dell’ esigenza, l’eccitazione e la traslazione simpatica del
desiderio del proprio benessere ai pochi individui che appartengono al-
l'aggregazione o al gruppo sociale, all’orda comu- (1) PLaTtonE —
Convito, XXV-XXVI. DI UNA PSICOGENESI DELLA MORALE 99
nistica, alla comunanza familiare, alla tribù ed al clan. Ciò accade,
perchè non la illumina la cousape- volezza della universalità oggettiva dell’
huma- nitas, perchè la mente empirica primitiva, inetta al concepimento
dell’universale, non sa ravvisare per soggetti simili che quelli conviventi in
uno stesso ed angusto ambito topografico. Quando la coscienza si eleva alla
concezione universale del- umanità, la volontà illuminata da quella coscienza
genera la giustizia esterna. Ma questa genera- zione non è ex nihilo sui. La
volontà non fa che estendere ad un numero maggiore di esseri il suo contenuto
primigenio. Cioè a dire, essa si va rendendo sempre più consapevole della sua
in- tima natura, della sua universalità, della sua fe- condità morale, della
sua indigenza dell’ideale, della sua potenza dell’infinito.
PELI v. #Ì sd ì EPTO d ù a LA A ud e
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si AE LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO (‘) Lo scetticismo morale, formola
definitiva di tutte le crisi filosofiche che isteriliscono in sè stesse, segna
il sovrano ideale di questa fine di secolo. Il dogmatismo etico della filosofia
evoluzioni- }' stica (2) è oltrepassato. La moralità e la giustizia non
appaiono più come il supremo portato della legge universale dell’evoluzione,
come la eredità di un processo indefinito di esperienze morali e di acquisizioni
psicologiche che si perdono nella storia della cosmogenesi. Il pungolo della
scepsi,} che aveva già tratto l’ evoluzionista a dubitare. della originarietà
dei sentimenti e delle idee mo- rali, procede più oltre. Esso si trasferisce
dal pro-;\ 0. blema della genesi della morale al problema del | 44°’ valore
oggettivo della morale stessa. L’ evoluzionista , pur reputando storicamente
evoluta ed acquisita, come qualunque altra forma- Ù (1)
Pubblicato nella Rivista Internazionale di Scienze Sociali (Settembre ed
Ottobre 1896). (2) Nel senso, di cui al saggio antecedente. +.
af sc 102 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
zione naturale, la facoltà della coscienza morale ed il sentimento del
dovere, si professa non alieno dall’annettere a quella facoltà ed a questo
senti- mento un dato valore oggettivo. Non è il valore oggettivo assoluto della
metafisica, già s’intende: è un valore relativo e storico, perchè prodotto e
simbolo, non di natura e di sostanza, bensì di evoluzione v di processo. Ma
nella teoria univer- sale del divenire, che è la formola dell’ evoluzio- ;
nismo, il relativo non esprime una contraddizione assoluta, logica,
irriducibile con l’ assoluto. Il re- lativo, nella filosofia del divenire, è
un’ approssi- mazione indefinita dell’assoluto, come 1’ assoluto, a sua volta,
è il termine e la meta attingibile al- l’infinito dal relativo. Con la
evoluzione produt- tiva di novelle formazioni procede di conserva la
involuzione, che condensa, accumula, infutura e capitalizza gli acquisti già
fatti. Or questa invo- luzione esprime un principio o, se si vuole, una forza o
una legge, che limita e tempera la logica \\della relatività e del flusso
indefinito dei fenomeni ella circolazione della vita. Perchè al mobile, al
relativo, al mutabile, essa oppone un elemento permanente e che non muta. Alla
convertibilità del moto corrisponde, nella filosofia dell’evoluzione, la
persistenza della forza; al processo indefinito delle variazioni e delle
formazioni nuove, la legge di conservazione dell’ energia; alla mobilità inde-
finita dei momenti e delle forme successive del- l'evoluzione, la
consolidazione e la continuità ere- ditaria dei prodotti oggettivi acquisiti
nelle forme e nei momenti anteriori ; alla vicenda delle diff:- E
DEL MATERIALISMO GIURIDICO 103 renziazioni, la forza
dell’integrazione. La involu- zione importa, in una parola, l’assolutezza
relativa delle formazioni naturali dell'evoluzione. E poichè
formazione naturale dell’evoluzione è , secondo il supposto,
la moralità e la giustizia, l’involuzione esprime, come dicevo
dianzi, l’oggettività assoluto- ' relativa delle facoltà e delle
intuizioni morali. — ____Kvidentemente, quell’oggettività
assoluto-rela-'; tiva cade nell’assurdo e si traduce in una nega-|'
zione esplicita del principio di contraddizione. Evi- dentemente, il processo
all’infinito sposta, trasfe- risce, allontana sempre più in là il principio
della relatività storica e della mobilità fluttuante del divenire, senza punto
oltrepassare l’uno e l’altro. Evident::mente, altresì, quello che è nato alla
vita in un dato momento del tempo, è, per ciò stesso, votato alla morte; quello
che è sottoposto alle condizioni fenomeniche, è effimero, accidentale,
mutabile, fugace; la dinamica operosa e dissolvi- trice della storia distrugge,
con vicenda incessante, le sue formazioni. Quello che ha avuto una ori- gine
empirica deve avere altresì una fine negli ordini del tempo : « Denn Alles was
entsteht ist werth dass es zu Grunde geht >» (GOETHE, Faust); esso non avrà
mai e poi mai valore oggettivo, as- soluto ed universale. Un valore di tal
fatta spetta solo a quell’ordine che trascende le condizioni fe- nomeniche del
tempo e dello spazio e che è sot- tratto alla legge della morte, perchè nella
sua natura metempirica non è stato mai sottoposto al lento corrosivo della
vita. Ma queste 1iflessioni, se dimostrano l’insoste- }
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4 4 i ®. n 104 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE nibilità teoretica dell’evoluzionismo, non tolgono - che la
intuizione etico-giuridica di esso sia una forma, per quanto arbitraria, di
dogmatismo etico. La scepsi dell’evoluzionismo è limitata all’origine della
moralità e della giustizia e non si estende al valore oggettivo dei risultati
dell’ evoluzione morale e giuridica. Esso riconosce espressamente la presenza
di un criterio oggettivo della moralità, che discerne il bene dal male ed il
giusto dall’in- giusto, nelle forme progredite dell’evoluzione. Esso riconosce,
altresì, un fondamento psicologico della moralità e della giustizia nelle forme
stesse, ed un fondamento naturale, sebbene, beninteso, non innato nè primitivo.
E però, secondo la filosofia dell’evoluzione (senza dubbio, per virtù di una
contraddizione logica inerente nel fondo di essa), la moralità e la giustizia
sono, in un certo senso, da natura, e non da opinione o da convenzione ‘0 da
arbitrio: sono pvogx e non véiu®. Soltanto che ia gvo:s dell'evoluzione è
dinamica e non sta- tica: è una gvos che diviene progressivamente dal fondo
stesso del vduos. Il ‘che vuol dire che essa ha oltrepassato, per una
discontinuità logica del sistema, i termini del puro scetticismo morale. Ma, in
questa rapida vicenda di cose nella scienza e nella vita, che contrassegna il
tempo ; nostro, anche la filosofia dell’ evoluzione, 0, per \ dir meglio,
quella forma speciale in cui essa sì era ‘venuta atteggiando, è stata superata.
La logica : del divenire, deviata dai filosofi dell’ evoluzione, , ha trovato i
suoi interpetri ed i suoi rivendicatori. \L’ involuzione, questa espressione
superstite del- è E DEL MATERIALISMO GIURIDICO
105 l’essere che persiste attraverso il divenire, è sem- brata
anch’ essa un inganno della intuizione sog- gettiva, della rappresentazione
primitiva, empirica ed irriflessa delle cose. La persistenza delle idee morali
acquisite è parsa a sua volta una super- stizione nuova sopraggiunta alle
antiche; ed il va- lore oggettivo del criterio che distingue il bene dal male
ed il giusto dall’ingiusto è parso una re- viviscenza delle vecchie
ideologie e delle vecchie.. oggettivazioni universali della
metafisica. La morale e la giustizia — così ci si annun- zia dai novelli
banditori di nuovi valori — non son più una formazione naturale dell’
evoluzione, non più una forza conservatrice della totalità degli esseri
superorganici, non più un prodotto finale della selezione associativa nella
lotta per l’ esi- stenza. L’una e l’altra sono una proiezione ideolo- gica di
alcuni impulsi e di alcuni istinti di dati esseri, una rappresentazione di
prospettiva senza valore oggettivo di vero, una ideazione dogmatica di menti
inconsapevoli e fiacche. L’una e l’altra so- no, in ultima analisi, una superstizione
dei deboli, dei tipi umani inferiori, destinata ad essere su- perata e
sfruttata dalla balda e fiera aristocrazia dei forti e dei tipi umani
superiori. Negazione recisa, quindi, di un criterio univer- sale che
discerna il bene dal male ed il giusto dal- l’ingiusto; e questo stesso
contrapposto di termini smascherato come un inganno, un inganno prov- vido,
perchè consente alla cieca dinamica della na- tura di elevare ognora più in
alto la media della | specie umana. Il bene ed il giusto non sono più
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L) nm 106 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
oggetti forniti di valore per sè stante ; e la loro utilità deriva solo
dall’ essere l’uno e l’ altro un espediente d’ illusione, un mezzo di
sfruttamento. Il bene ed il giusto sono quindi, non qvoe:,, ma vouw, cioè a
dire, non derivano dalla natura mo- rale dell’uomo, ma da una rappresentazione
psico- logica di alcuni uomini, e quindi da una. perce- zione soggettiva e
relativa. Di naturale nell’uno e nell’altro non vi è che la loro indole
illusoria ed ingannevole. Perchè alla natura è più provvido e vantaggioso
l’inganno che la verità, la fecondità vitale del falso è su- periore alla
pretesa forza espansiva del vero e del santo. Ecco, dunque, l’ ultima
parola della filosofia di questa fine di secolo: lo scetticismo morale.
ivi è tanto più radicale quanto più ha sembianza ‘\di ottimismo. La
negazione del bene e del giusto non è soltanto un corollario logico, ma è, ad
un tempo, oggetto di una fanatica adorazione. Il male e l’ingiusto
rappresentano, non una deviazione, e nemmeno un rapporto d’indifferenza, ma la
condizione stessa della vita. Si direbbe che esso sia, non più uno scetticismo
negativo, un puro agnosticismo morale, ma uno scetticismo po- sitivo e
dogmatico. È il dogmatismo del falso e del male che subentra, triste inversione
di rap- porti e di termini, al dogmatismo del vero e del buono ! *
* * Interpetre e maestro di questo nuovo scetti- E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 107 cismo dogmatico è Federico Nietzsche
(1). Le due opere capitali di lui in fatto di etica: Jenseits v. Gut und Bòse
(Di là dal bene e dal male) e Zur Genealogie der Moral (Contributo alla
genealogia della morale) segnano il climax del suo pensiero filosofico e del
dissolvimento scettico della morale. Esse vennero alla luce dal 1886 al 1887, e
si rian- nodano al periodo di relativa sanità intellettuale nella vita dell’A.,
perturbata, come ognun sa, negli ultimi tempi, da una triste frenosi, che non
con- sente più veruna speranza di guarigione (2). Ad un ciclo anteriore
di tempo si riannoda l’altro libro di lui: A7so sprach Zarathustra (Così parlò
Zaratustra), che è come il vangelo messia- nico della morale dell’avvenire,
della morale de- gli Uebermenschen. Come tutte le forme colte e raffinate
dello scetticismo morale che la storia della filosofia greca ci ricorda, così
lo scetticismo morale del Nietzsche si poggia sopra una inversione o un ro-
vesciamento del dogmatismo teoretico. Il buono (1) Dei molti saggi
che si sono scritti e si vanno scrivendo sopra di lui, vanno segnalati i
seguenti: H. Tùrcx, Pr. Nietzsche und seine philos. Irrwege, Jena, 1891; N.
ScaELLWIEN, Max Stirner u. Fr. Nietzsche, Leipzig, 1892; H. Kaartz, Die
Weltanschauung Fr. Nîietzsches. I. Kultur und Moral, Dresden, 1893; II. Kunst
und Leben, Dresden, 1895; AcHeLIs, Nietesche und seine Philosophie, Hamburg,
1895; ALex. TruLe, Von Darrwvin bis Nietzsche. Ein Buch Entwichlungs- ethik,
Leipzig, 1895; Maxi, Nietzsche-Krstk, Ein Bettrag zur Kul- turbeleuchtung der
Gegenwart, Zurich, 1895; De. LauRENTIUS, Krapo- tkins Morallehre und ihre
Beziehungen zu Nietzsche, Dresden, 1896; J. C. KrerBIa, Geschichte und Kritik
des ethischen Skepticismus, Wien, 1886 (x. 122-148). (2) È superfluo
ricordare che tutto ciò l’A. scriveva nel 1896. 108 LE NUOVE FORME
DELLO SCETTICISMO MORALE è un aspetto del vero; la morale segue
fedelmente le vicende della dottrina della conoscenza; il dub- bio che dissipa
l’evidenza del vero, dissolve, in pari tempo, la certezza oggettiva del
contrapposto del bene e del male, del giusto e dell’ ingiusto. Ditemi, così si
potrebbe favellare ad un filosofo, la vostra metafisica o la vostra intuizione
univer- sale del mondo, ed io vi dirò la vostra morale. L'opinione che la
verità valga più del suo contrario, della falsità e dell’errore, così il Nietz-
sche, è un volgare pregiudizio. Quello che si chiama l’errore ed il falso può
avere, anzi, mag- gior valore che il vero. La falsità pretesa di un giudizio
non è punto un’obbiezione sufficiente contro la validità del giudizio stesso.
La validità di un giudizio si misura, invece, dalla sua fecon- dità vitale,
dalla sua attitudine a conservare, a promuovere, a differenziare la vita degli
esseri, a disciplinare, ad educare, a migliorare la razza. Uopo è invertire il
criterio di valutazione: ai rap- porti logici del vero e del falso, del bene e
del male, bisogna contrapporre ì rapporti reali della conve- nienza o della
disformità verso le condizioni della vita e della forza e della
differenziazione vitale. Ora, la falsità è precipua condizione di vita: i
giudizi più falsi sono, ad un tempo, i più utili, meglio ancora, i più
necessari alla nostra conser- vazione. Rinunziare, eterno spasimo del filosofo,
ai giudizi falsi è tutt'uno che voler rinunziare alla vita (1).
(1) « Die
Falscheit eines Urtheils ist uns noch kein Einwand gegen ein Urtheil... Die Frage ist wie weit es lebenftrdernd , le-
E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 109 Invero, è una superstizione
da filosofi cre- dere che sia condizione di vita la verità, e che
questa, quindi, vanti una prerogativa sull’ appa- renza! Come
se l’apparenza e l’illusione non fos- sero, invece, il sostegno necessario
della vita degli esseri! Come se la verità stessa non si traducesse in una
forma di apparenza ed i pretesi giudizi veri fossero qualche cosa di più che
dei gradi di verisimiglianza e di apparenza! Come se la fede stessa nell’
evidenza dei giudizi fosse qualcosa di meglio che una visuale illusoria, un
fenomeno di prospettiva dell’ottica della vita! Che il filosofo elimini dal
mondo tutto quello che vi ha forma di apparenza, d’illusione, di rappresentazione
fe- nomenica; ed allora egli vedrà se gli rimanga un atomo solo di quella
verità il cui spasimo lo affa- tica. Non v'è forma di vita che non si sorregga
sopra gradazioni di apparenza, sopra illusioni ed allucinazioni di prospettiva
(1) (Das Perspektivische, das ‘ist die Grundbedingung alles Lebens). o —
benerhaltend, Arterhaltend, vielleicht Art-zichtend ist; und wir sind
grundsàtzlich geneigt zu behaupten, dass die falschesten Urtheile
(zu denen die synthetisechen Urtheile a priori gehéren) uns die
unentbehrlichsten sind, dass ohne ein Geltenlassen der logischen Fiktionen,
ohne ein Messen der Wirklichkeit an der rein erfundenen Welt des Unbedingten,
Sich-selbst-Gleichen, ohne eine bestindige F&lschung der Welt durch die
Zah] der Menschen nicht leben konnte, das Verzichtleisten auf falsche Urtheile
ein Verzichtleisten auf Leben, eine Verneinung des Lebens wire. Die Unwahrheit
als Lebensbedingung zugestehen : das heisst freilich auf eine gefihrliche Weise
den gewohnten Werthgefihlen Wi- derstand leisten und eine Philosophie, die das
wagt, stellt sich damit allein schon jenseits von Gut un Béòse. » Jenseits (II
Aufl.), pag. 6. (1) Es ist nicht mehr als ein moralisches Vorurtheil,
dass Wahr- ti ani è L.go da (nai anal PE no
i © © i e + | ' È ’ ‘ alle Ai . se dA go
110 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE Se il criterio
della valutazione morale non è più la verità, quale ne sarà, dunque, il
sostitutivo nella filosofia di F. Nietzsche? Ecco: il criterio radicalmente
nuovo che egli preannunzia è il principio della volontà della forza e del
dominio (der Wille zur Machét). Il criterio della morale è la legge stessa
dello sviluppo della vita. Or la vita è espressione ed espansione della forza
e della sete del dominio: la vita è il sim- bolo stesso della combattività,
della differenzia- zione, dell’assimilazione e dell’appropriazione vio- lenta e
feroce dell’altrui, della sopraffazione spie- tata e dello sfruttamento. Non
altra, dunque, sarà la formola della morale : il principio fondamentale della
vita sociale sarà il principio della forza, del dominio, della sopraftazione ,
dello sfruttamento. È la legge della natura, ed è la legge, ad un tempo, della
società umana. (1) I heit mehr werth ist als Schein:... es
bestiinde gar kein Leben, wenn nicht auf dem Grunde perspektivischer
Schàtzungen und Scheinbarkeiten, und wollte man..- die « Scheinbare Welt » ganz
abschaffer, nun, gesetzt, ihr kénntet das — so bliebe mindestens dahei auch von
eurer « Wahrheit > nichts mehr iùbrig! Ja, was zwingt uns ùberhaupt zur
Annahme, dass es einen wesenhaften Gegensatz von « wahr » und « falsch» giebt ?
Genigt es nicht, Stufen der Scheinbarkeit anzunehmen und gleichsam hellere und
dunklero Schatten urd Gesammttòne des Scheins-verschiedene Valeurs, um die Sprache
der Maler zu reden? Jenseits, pag. 47.— Es ist endlich an der Zeit, die
Kantische Frage « wie sind syn- thetische Urtheile a priori mvglich » durch
eine andere Frage zu ersetzen « warum ist der Glaube an solche Urtheile nothig
2... » Nur ist
allerdings der Glaube an ihre Wahrheit nòthig, als ein Vordergrunds-Glaube und
Augenschein, der in die Perspektiven- Optik des Lebens gehòrt. JSenseits. pag. 14-15. (1) Leben selbst ist
wesentlich Aneignung, Verletzung, Uber- wàltigung des Fremden und Schwiàcheren,
Unterdrickung, Hirte, E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 111
È vero che qualche naturalista vi parla di una causalità organica della
natura e di una equi- valenza delle forze dinanzi alle leggi universali che la
governano. Ma questa pretesa equivalenza è una superstizione: la natura ci
rende immagine della più fiera ed inesorabile pressione dei rap- porti della
forza. La causalità e la necessità, che la scienza riconosce al processo della
natura, sono possibili non già perchè nell’ambito della natura dominino delle
leggi, ma perchè, anzi, ogni legge vi difetta, ed ogni forza, in ogni momento,
vi trae Il suo partito, senza regole, senza limiti, senza freni (1). È
vero altresì che la superstizione filosofica e democratica della media dei tipi
umani inferiori predica come principio fondamentale della società la rinuncia
all’egoismo, al dominio ed alla forza, e ’ accettazione dell’ uguaglianza
dinanzi alla legge. Ma questo principio può aver valore in via di eccezione e
nei limiti interni di un dato gruppo. Aufzwigung eigner Formen,
Finverleibung und mindestens Aus- beutung. Jensetts, pag. 227. — Vor allem will
etwas Lebendiges seine Kraft auslassen. Leben selbst ist Wille zur Macht; die
Selbst- erhaltung ist nur eine der indirekten und hAufigsten Folgen da- von.
Jensetts, pag. 17. (1) « Es kinnte Jemand kommen, der... aus der gleicten
Natur und im Hinblick auf die gleichen Erscheinungen, gerade die tyran-
nisch-ritcksichtenlose und unerbittliche Durchsetzung von Macht- ansprichen
herauszulesen verstiinde... und der dennoch damit endete, das Gleiche von
dieser Welt zu behaupten, war ihr be- hauptet, némlich dass sie einen «
nothwendigen» und « berechen- baren » Verlauf habe, aber nicht weil Gesetze in
ihr herrschen, sondern weil absolut die Gesetze fehlem und jede Macht in jedem
Augenblicke ihre letzte Gonsequenz zieht.» Ibid., pag. 28. 112 LE NUOVE FORME DELLO
SCETTICISMO MORALE Esso non va esteso nè predicato come principio
cardinale della società, perchè, di sua natura, è un principio di negazione
della vita, principio di decadimento e di dissoluzione. I gruppi sociali sani e
vigorosi, quali tutte le aristocrazie, ricono- scono l’uguaglianza morale e
giuridica tra i pari, ma esercitano, sotto pena di scadimento, l’ ineso- rabile
potere del dominio e dello sfruttamento contro i membri degli altri gruppi. La
giustizia interna e la giustizia di classe non è concepibile che associata alla
più recisa e spietata ingiustizia esterna. Lo sfruttamento non è condizione dei
gruppi sociali primitivi, nè è sintomo di associa- ciazioni imperfette o in via
di degenerazione o di decadimento. Lo sfruttamento, anzi, appartiene alla
sostanza stessa della vita e degli esseri vi- venti. La volontà del dominio è
tutt’ uno che la volontà stessa della vita. £d è la funzione orga- nica
originaria della vita sociale: il fatto primi- genio della storia (das Urfaktum
aller Geschichte) (1). (1) « Auch jener Kérper, innerhalb dessen...
die Einzelnen sich als gleich behandeln — es geschieht in jeder gesunden
Artstokra- tie — muss selber, falls er ein lebendiger und nicht ein abster- bender
Kérper ist, alles das gegen andre Kérper thun, wessen sich die Einzelnen in ihm
gegen einander enthalten : en wird der leibhatte Wille zur Macht sein miissen,
er wird wachsen um sich- greifen, an sich ziehn, Uebergewicht gewinnen wollen,
nicht aus irgend einer Moralitàt oder Immoralitàt heraus, sondern weil
er lebt, und weil Leben eben Wille zur Macht ist. » Jenseits, pag.
227-228.—Die « Ausbeutung » gehòrt nicht einer verderbten oder unvollkomnen und
primitiven Gesellschaft an: sie gehòrt in’s Wesen des Leben digen, als
organische Grundfunktion, sie ist eine Folge des eigentlichen Willens zur
Macht, der eben der Wille des Lebens ist.... das Urfaktum aller Geschichte.
Jenseits, pag. 228. Metin CRIPTA srnsrsm@_—_mP@m@m@
Îk<@<"e. To a E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 113 La volontà della forza (der Wille zur
Macht) è, dunque, la vera, l’ultima formola della filcsofia. La psicologia non
è e non dev’ essere che una mor- fologia ed una embriogenia della volontà della
forza e del dominio (eine Morphologie und Entwi- ckelungslehre des Willens zur
Macht) (1). E la mo- rale non è che la dottrina dei rapporti di domi- nio sul
cui terreno nasce il fenomeno della vita (die Lehre von den
Herrschafts-Verhiiltnissen unter denen das Phinomen « Leben» entsteht).
La morale, che ha per suo principio la volontà della forza, supera le vecchie
superstiziose distin- zioni del bene e del male. Essa porta con sè una completa
inversione ‘dei criteri di valutazione e- tica. O, per dir meglio, essa
reintegra le vere basi della valutazione morale, rovesciate dal basso e- goismo
della media dei tipi umani inferiori. Le antitesi morali del bene e del
male difet- tano di ogni sanzione per i tipi umani superiori, per quegli
uomini, cioè, i quali risentono il fecondo impulso della combattività e del
dominio e dello sfruttamento. Quelle antitesi sono invece, ed è bene che sieno,
la superstizione dei tipi umani inferiori, della massa grossolana, cieca ed
obbe- diente, della mandra (Herde) degli animali umani. Per gli spiriti liberi
(freie Geister), per le nature signorili e dominatrici, per gli uomini di alto
e forte lignaggio (Vornehmen), il solo criterio mo- rale, la sola formola di
condotta è la volontà del dominio. Per queste nature aristocratiche, il
bene (1) Ibid., pag. 28. I. Perrone. — Problemi del
mondo morale. 8 114 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
ed il male, nel senso della vecchia morale, sono il pregiudizio o la
convenzione del gregge dei me- diocri : sono vou@, e non quos. Quello che è
male secondo la morale convenzionale, cioè a dire l’a- more di sè, l’ egoismo
sfrenato, la violenza e la forza, la sete di dominio e lo sfruttamento, è in-
vece, un bene, il vero, il solo bene. per la balda aristocrazia dei Vornehmen.
I quali non riconoscono per cattivo moralmente se non quello che è me- diocre,
volgare, comune, grossolano...; e non rico- noscono per moralmente buono se non
quello che è nobile, aristocratico, signorile, combattivo, pre- potente. Gli
spiriti liberi e le nature aristocratiche hanno superato i limiti della vecchia
morale, e stanno, quindi, dî là del bene e dal male (Jenseits von Gut und
Béòse): in essi si effonde rigoglioso il genio della forza e la sete dell’
appropriazione e del dominio. | ++ La genealogia della morale, continua il
Niet- zsche, apporta una conferma storica luminosa a questi principî dedotti
dalla formola del Wille zur Macht. Quella genealogia c’insegna che la morale è
stata sempre plurima e dualistica, dai primi tempi della storia ricordata fino
a noi, e che vi sono stati sempre due tipi fondamentali di con- dotta,
radicalmente opposti tra loro : il tipo della morale dei signori o dei padroni
(Herrenmoral) «d il tipo della morale dei soggetti e degli schiavi
(Sklavenmoral). La morale aristocratica o dei signori poggia non già sul
contrapposto di bene e di male, ma su quello di nobile e di basso, di signorile
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—_—r_—_—————1E=s>=Tmhr. ——= -—_ ——;_—r!—Pr 4, —=- —_—— E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 115 vile, di elevato e di spregevole, di
aristocra- tico e di volgare (1). Nel fondo di essa è radicato un olimpico
dispregio dell’ orda, della moltitu- dine e della mediocrità umana, ed una
estimazione profonda della propria nobiltà © finezza di natura, della funzione
dominatrice alla quale si sente chia- mata, dell’istinto possente di
combattività e di dominio che l’ affatica. La casta aristocratica e si- gnorile
non concepisce nè accetta formole di con- dotta impersonali o criteri di
valutazione etica og- gettiva. Essa dice senz’ altro : quello che non piace O
reca pena a me, è penosc e nocivo di per sè stesso. Essa sa che solo criterio
della verità ogget- tiva è lei stessa, la sua emozione, il suo sentimento, il
suo giudizio: essa pone sè a centro dell’ uni- verso e grida: chi assegna il valore
ed il pregio alle cose sono io! (2) La sua morale si traduce in una
glorificazione, in un’ adorazione di sè stesso. (3) Un fiero sentimento anima
quella casta; il sen- (1)... in dieser ersten Art Moral
(Herrenmoral) der Gegensatz «gut» and «schlecht» so viel bedeutet wie «vornehm
» und « ve- richtlich. » Jenseits, pag. 228. (2) Die vornehme Art Mensch
fihlt sich als werthbestimmend, sie hat nicht néthig, sich gutheissen zu
lassen, sie urtheilt « was mir schàdlich ist, das ist an sich schàdlich,» sie
weiss sich als Das was tiberhaupt erst Ehre den Dingen verleiht, sie ist
werthe- schaffend.» Jenseits, pag.
229-290. (8) « Alles was sie (die Herrenmoral) an sich kennt, ehrt sie:
eine solche Moral ist Selbstverherrlichung. Im Vordergrunde, steht das Gefuùhl
der Fulle, der Macht, die iiberstromen will, das Gliick der hohen Spannung, das
Bewusstsein eines Reichthums, der schen- ken und abgeben méchte — auch der
vornehme Mensch hilft dem Ungliucklichen, aber nicht oder fast nicht aus
Mitleid, sondern mehr aus einem Drang, den der Ueberfluss von Macht erzeugt.
Der vornehme Mensch ehrt in sich den Màchtigen, welcher Macht-
te. e Lele
mo + i — +e ap dre n 116 LE NUOVE
FORME DELLO SCETTICISMO MORALE timento della forza, ma di una forza
prepotente che anela ad espandersi senza freno, e come un senso di pienezza di
vita, di effusione, di abbon- danza, di fecondità interna, ed oltracciò il
piacere dell’ espansione e la coscienza di una ricchezza in- tima, esuberante,
di una ricchezza espansiva, e dispensatrice, talora, di aiuto e di soccorso, ma
. non già per pietà, per compassione dei sofferenti, ‘ per abnegazione di sè,
bensì per la stessa Ghio: ‘sione della forza espansiva,
esorbitante, che l’af- i fatica nel fondo della sua natura. Non è l’
abun- dantia cordis della Sklavenmoral, è la impulsività del
dominio, è la olimpica superiorità e degna- zione del Wille zur Macht, il
capolavoro della forza, la quale non riconosce altro limite e freno che
quello spontaneamente ricevuto, anzi creato da sè stessa; e
chele sue stesse negazioni trae a con- ferma della sua possanza creatrice e
della sua fe- condità vitale. La morale aristocratica non riconosce altro
dovere che quello verso gli uguali. Ciascuno dei Vornehmen si sente legato da
vincoli morali verso gli altri Vornehmen : è, in fondo, la sublimazione
inber sich selbst hat, der mit Lust Strenge und Hiàrte gegen sich ibt und
Ehrerbietung vor allem Strenge und Harten hat... Eine solche Art Mensch ist
eben stolz darauf, nicht zum Mitleiden ge- macht zu sein... Vornehme und
Tapfere... sind am entferntesten von jener Moral welche gerade im Mitleiden
‘oder im Handeln fîtir Andere das A) - ichen des Moralischen sieht ; der Glaube
an sich selbst, der Stolz auf sich selbst, eine Grundfeindschafi und Ironie
gegen « Selbstlosigkeit » gehéòrt eben so bestimmt zur vtrnehmen Moral, wie
eine leichte Geringschéàtzung vor den Mitgefithlen und dem « warmen Herzen.»
Jenseits, pag. 230. - "a. - A — E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 117 geniale dell’ egoismo che negli altri
adora sè stesso. Ma verso le persone, meglio ancora, verso i tipi di ordine
inferiore, quella morale non riconosce doveri di sorta. La condotta da serbare
verso di essi sta fuori dei limiti del bene e del male, 7en- seits von Gut und
Bòse. Essi sono strumento di as- similazione e di signoria. La natura fine ed
‘ari- stocratica che ha rispetto ed estimazione di sè, si mostra inesorabile e
fiera con la massa dei sog- getti, con la mandra degli schiavi, la cui sogge-
zione, il cui asservimento, il cui sacrificio è con- dizione del suo
raffinamento di vita. E quella i- nesorabilità è un omaggio doveroso che la
natura aristocratica rende a sè stessa; è come un dirle: ecco, tutto quello che
non è fine e signorile co- me te, che ti ripugna, che ti nausea, io lo cal-
pesto, lo schiaccio, lo stritolo. Tutte le forme di elevazione del tipo
umano sono state sempre l’opera di una società aristo- cratica, di una società
divisa in caste e differen- ziata in una classe che sfrutta ed in una classe
che è sfruttata, in una classe di padroni el in una di schiavi, di una società
in cui non ha presa la stoltezza democratica dell'uguaglianza dell’umana
natura, di una società in cui l’uomo di un gruppo non riconosce animale più
dissimile a sè, che l’uomo dell’ altro gruppo. Senza il pathos della distanza
che procede dalla differenziazione delle classi e dei gruppi, della distanza
tra dominati e soggetti, tra schiavi e padroni, non sarebbe possibile quell’
al- tro pathos misterioso e sublime, quel pathos che invoca senza posa, senza
tregua, una continua e- LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE stensione delle distanze interne nel seno dell’a- nima
stessa, che si sforza verso la formazione di stati di coscienza sempre più
alti, più fini, più ri- gogliosi di vita che si dilata ed effonde (1). |
Una serie di caratteri del tutto opposti pre- senta, invece, l’altro tipo
storico della morale: la morale degli schiavi, la Sklavenmoral. Essa segna un
rovesciamento completo della gerarchia e della graduazione naturale tra uomini
ed uomini, tra padroni e schiavi, tra forti e deboli: segna una elisione
completa, una confusione volgare dei va- lori differenziali umani; essa poggia
sul contrap- posto del bene e del male e sta di qua dai con- fini dell’ uno e
dell’altro: diesseits von Gut und Bose ; essa inverte radicalmente la scala dei
va- lori: quello che era buono nella morale aristocra- tica diventa cattivo per
essa, e quello che per la morale aristocratica era cattivo e da tenere a viie,
è, per essa, invece, il buono ed il santo. La man- (1) « Iede
Erh6hung des Typus « Mensch » war bisher das Werk einer aristokratischen
Gesellschaft, und so wird es immer wieder sein : als einer Gesellschaft, welche
an eine lange Leiter der Rang- ordnungj und Werthverschiedenheit von Mensch und
Mensch glaubt und Sklaverei in irgend einem Sinne nòéthig hat. Ohne das Pathos
der Distanz, wie es aus dem eingefleischten Unterschied der Stànde, aus dem
bestindigen Ausblick und :Herabblick der herrschenden Kaste auf Unterthinige
und Werkzeuge und aus ihrer ebenso bestindigen Uebung im Gehorchen und
Befehlen, Nieder-und Fernhalten erwichst, kòénnte auch jenes andre gehei- mnissvollere
Pathos gar nicht erwachsen, jenes Verlangen nach immer neuer Distanz-
Erweiterung innerhalb der Seele selbst, die Herausbildung ipimer héherer,
seltnerer, fernerer. weitgespannte- rer, umfinglidherer Zustinde,
kurz eben die Erhthung des Typus « Mensch. » Jenseits' pug.
225. De _ TTI eee Da —"o. j *"a
nà © E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 119 dra degli
schiavi glorifica la compassione, la pietà, la carità, l’ abnegazione, la
povertà di spirito, la debolezza, la mortificazione degli appetiti, 1 umiltà
dell’ animo; e spregia e condanna e consacra al- l’ abbominio la volontà della
forza, la sete del do- minio, l’assimilazione parassitaria, lo sfruttamento
sociale. I suoi anatemi sono riserbati per tutto quello che è aristocratico e
che rende immagine del genio sublimemente tirannico della forza e del
privilegio, e le sue adorazioni sono prodigate a tutto quello che è vile,
umile, mediocre, gros- solano, comune. Come i Vornehmen hanno il senso
della com- battività e del comando, così il gregge degli schiavi ha il senso
della obbedienza cieca, passiva, inerte, che esso trasferisce al difuori e
proietta nella for- . madi un imperativo oggettivo ed universale. Senso di
obbedienza ed imperativo che è utile strumento al genio della natura per estollere
la classe dei Vornehmen, per ottenere gli stessi schiavi consen- zienti alla
signoria aristocratica. La mandra de- gli schiavi è dessa che crea la grande
supersti- zione della oggettività e della universalità dei precetti morali. Il
suo cosmopolitismo è il corre- lativo naturale dell’ uguaglianza che essa
predica tra gli uomini, ed è la conseguenza dell’ elisione delle caste, dei
gradi, dei privilegi, delle prero- gative di sangue, cioè a dire, delle forme
stesse e dei fenomeni della vita e della differenziazione vitale. (1)
(1) «Das Wesentliche «im Himmel und auf Erden » wie es scheint, ist
nochmals gesagt, da3s lange und in einer Richtung <cte
120 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE L’intouazione più
acuta e, si direbbe, il ca- polavoro a rovescio di questa Sklavenmoral è quella
religione democratica della sofferenza, quel culto morboso, sentimentale del
dolore, che il cristiane- simo, religione da schiavi, ha diffuso e propagato
nel mondo moderno. Quando, invece, il dolore, la. sofferenza, l’ oppressione,
lo sfruttamento sono i soli mezzi per conservare e migliorare la specie, per
estollere il tipo umano dalla forma inferiore del- \\l' umano, alla
forma superiore dell’ Uebermensch, del superuomo! In tutte le forme
ed in tutte le manifestazioni sue, la Sklavenmoral attesta la sua bassa natura
e si svela come una concezione eu- demunistica, utilitaria, materialistica
della vita. Il suo solo grido, il suo solo sospiro è la felicità grossolana,
scevra d’ ogni dolore e d’ ogni inquie- tudine dell’ orda, della massa, della
greggia, della mandra umana. La Sklavenmoral non è la morale
primitiva gehorcht werde... diese Tyrannei, dies: Willkiùhr,fdiese
strenge und grandiose Dummbheit hat den Geist erzogen: die Sklaverei ist im grò5beren
und feineren Verstande das unentbehrliche Mittel auch der geistigen Ziùchtung. Man mag jede Moral darauf hin
ansehen: die « Natur » in ihr istes, welche.. das Bedirfniss nach beschràin-
kten Horizonten, nach néàchsten Autgaben pfianzt — welche die Verrengerung der
Perspektive und also im gewissen Sinne die Dum- mheit, als eine Lebens-und
Wachsthums-Bedingung lebrt « Du soll- st gehorchen, irgend wen und auf
lange...» Jenseits, pag. 107-108. — Alle diese Moralen... was sind sie
Anderes... als kleine und grosse Klugheiten und Kiinsteleien, behaftet mit dem
Winkelge- ruch alter Hausmittel und Haltweiber-Weisheit : allesamm in der
‘Form baroch und unverninftig, weil sie sich an « Alle» wenden,
weil sie generalisiren wo nicht generalisirt werden darf — allesam- mt
unbedingt redend, sich unbedingt nehmen.., Jenseits, pag. 229.
E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 121
dell’umanità. La genealogia della morale insegna, invece, che agl’inizi
dell’umanità vigeva la mora- le aristocratica. Ed è il pathos delle distanze di
rango, il pathos della prerogativa di sangue e del privilegio che dà origine
all’antitesi del bucno e del cattivo (1). Buono era, appunto, sinonimo di
nobiltà ed elevatezza di rango, e, con parola poco traducibile,
stindisch-vornehm. In tutte le lingue, del resto, il senso vriginario dei
termini di duono e di cattivo è non già il senso o l’accezione mo- rale che
appone all’uno e all’altro, posteriormente, la Sklavenmoral : il senso
originario è fisico e non morale, fisiologico e non psicologico, gentilizio e
non etico: l’ un termine e l’altro vogliono dire semplicemente: « alto, nobile,
di sangue aristo- cratico, >» e « basso, spregevole, di vili natali, ple-
beo ». (2) La inversione dell’ una cosa nell’a!tra è dovuta storicamente alla
prima sommossa degli schiavi nella morale (der Sklaven-Aufstand in der Moral),
alla religione cristiana. Quella inversione, del resto, non è, nel fondo, che
il portato di un risentimento farisaico, di una rivulsione vendica- tiva di una
mandra di schiavi, degli Ebrei, con- tro la pressura ed il dominio di una razza
di forti e di Vornehmen, dei Romani, ein FRacheact der priesterlichen Juden
(2). È l’odiv rabbioso ed impo- (1) « Das Pathos der Vornehmheit
und Distanz, das dauernde und dominierende Gesammt- und Grundgefithl einer
héheren herrschenden Art im Verhiltniss zu einer niederen Art, zu einem «unten
» — das ist der Ursprung von Gut und Schlecht. » — Zur Genealogie der Moral, (I
Aufl.), pagina 4. (2) Zur Genealogie, ecc., pag. 6 e seg. (3) « Die
Juden — ein Volk » geboren zur Sklaverei « wie Ta_
lnedieondti 122 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
tente dell’oppresso e dello schiavo che si sfoga contro la morale sana e
vigorosa dell’ oppressore; che si sforza di glorificare il dolore, la
sofferenza, la povertà dello spirito con l’intento segreto di giustificare, di
legittimare, di glorificare sè stesso; che solleva stoltamente a
dovere e suggella el consacra con l’aureola della virtù, del
merito, della santità, la sua stessa abbiezione. È l’ impotenza dello schiavo
che esclama, in un momento di sn- blime sforzo creativo: « ecco, quello che era
il buono per la morale dei miei oppressori, io lo condanno e lo maledico, e
nella mia morale lo denunzio come cattivo: io sono debole e consacro
prudentemente la mia debolezza e condanno la volontà della forza e del dominio,
che io non ho e che è solo servita ad altri per opprimermi e per schiacciarmi;
questa mia debolezza è la mia colpa, il mio fallo, il mio difetto; ebbene, io
ne fo il mio citus und die ganze antike welt sagt,» das
ausserwàhlte Volk unter den Vélkern » wie sie selbst sagen und glauben — die
Ju- den haben jenes Wunderstiick von Umkehrung der Werthe zu Stande gebracht,
Dank welchem das Leben auf der Erde fiùr ein Paar Jahrtausende einen neuen und
gefàhrlichen Reiz erhalten hat: —ihre Propheten habèn «reich» « gottlos » « bòse»
« ge- waltthitig » « sinnlich » in Eins geschmolzen und zum ersten Male das
Wort « Welt» zum Schandwort geminzt. In dieser Umkehrung der Werthe (zu der es
gehòrt, das Wort fùr « Arm» als synonim mit « Heilig » und « Freund » zu
brauchen) liegt die Bedeutung des judischen Volks: mit ihm beginnt der Sk/aven-
Aufstand in der Moral. » Jenseits, pag. 116. — « Es sind... die prie-
sterlichen Juden... gewesen,., die gegen die aristokratische gWert gleichung
(gut-vornehm-màchtig-schén-gliicklich-gottgeliebt) mit einer
furchteinfléssenden Folgerichtigkeit die Umkehrung gewagt und mit Zihnen des
abgriindlichsten Hasses der,jOhnmacht) fest- gehalten haben. » Zur genealogie;
pag. 12. ‘___—_———+—____r—Ér—_——m——_——€@ «
ere n E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 123
privilegio ed il mio merito; quello che io ho tatto tin qui, perchè sono
stato costretto a farlo, vo’ far credere ad altri di averlo voluto fare sponta-
neamente e da me stesso; è il mio capolavoro; e così maschero la mia impotenza
nelle forme della forza. » (1) É il risentimento, potere puramente
negativo, che diventa, per un salto mortale, creativo di va- lori etici; è la
morale volgare della prudenza e dell’astuzia, che si contrappone alla
combattività ed alle audacie balde e spensierate della forza, della volontà del
dominio. * * * Queste le linee fondamentali del
pensiero di Fr. Nietzsche, oggetto di adorazione fanatica dell’in- dividualismo
fin de siècle della giovane letteratura tedesca. Non è difficile
discernere com’ esso sia meno originale di quanto sembra. Il principio della
vo- lontà del dominio, che è come il nocciolo di tutta (1) « Wenn
die Unterdriickten, Niedergetretenen, Vergewalti- gten aus der rachstichtigen
Lust und Ohnmacht heraus sich zu- reden :... » Lasst uns anders sein als die
Bòsen, nimlich gut!...» so heisst das, kalt und ohne Voreingenommenheit
angehért, ei- gentlich nichts weiter als « wir Schwachen sind nun einmal]
schwach; es ist gut, wenn wir nichts thun, wozu wir nicht stark genug sind » =
aber diese Klugheit niedrigsten Ranges, welche selbst Insecten haben, hat sich
in den Prunk der entsagenden. stillen, abwartenden Tugend gekleidet, gleich als
ob die Schwi- che des Schwachen selbst.... eine'freiwillige Leistung, etwas Ge-
wolltes, Gewihltes, eine That, ein Verdienst sei.» Zur Genealogie, pag.
28. So 0A — A In OT ani 194 LE NUOVE FORME
DELLO SCETTICISMO MORALE la intuizione del mundo del Nietzsche, non
è poi altro che una ripetizione, o una intonazione più acuta, del noto
principio della volontà di vivere (Wille zum Leben) di A. Schopenhauer. È
un trasferimento dell’esperienza psicologica della causalità interna ne) mondo
esteriore: è una oggettivazione mitologica della voloutà nella na- tura, una
proiezione dal di dentro nel di fuori. Sola intuizione positiva che
possa emergere dal puro agnosticismo teoretico e dal puro soggetti-
vismo : una creazione intelligibile del mondo, fatta, ex nihilo sui, dallo
sforzo della psicologia umana! (1) Ma, pure ammessa questa continuità e
deri- vazione dell’un principio dall’ altro, è debito di verità aggiungere, che
Ja formola schopenhaue- (1) Die Frage ist zuletzt, ob wir den
Willen wirklich als wirkend anerkennen, ob wir an die Causalitàt des tWillens
glau- ben : thun wir das — und im Grunde ist der Glaube daran eben unser Glaube
an Causalitàt selbst — so miissen wir den Versuch machen, die
Willens-Causalitàt hypothetisch als die einzige zu setzen. Wille kann natùrlich
nur auf « Wille » wirken, uud nicht auf < Stoffe » : genug, man muss die
Hypothese wagen, ob nicht- iberall, wo « Wirkungen » anerkannt werden, Wille
auf Wille wirkt, und ob nicht alles mechanische Geschehen, insofern eine Kraft
darin thàitig wird, eben Willenskraft, Willens-Wirkung ist. Gesetz endlich,
dass es gelinge, unser gesammtes Triebleben als die Ausgestaltung und
Verzweigung einer Grundform des Willens zu erklàren — néàmlich des Willens zur
Macht, wie es. mein Satz ist: gesetzt, dass man alle organischen Funktionen auf
diesen Willen zur Macht, zurickfithren kònnte und in ihm auch die Lisung des
Problems der Zeugung und Ernàhrung — es ist Ein Problem — fàinde, so hétte man
damit sich das Recht ver- schafft, alle wirkende Kraft eindeutig zu bestimmen
als: Wille zur Macht. Die Welt von
innen geschen, die Welt auf ihren « in- telligiblen Charakter » hin bestimmt
und bezeichnet — sie wire eben « Wille zur Macht » und nichts ausserdem. Jensezts, pag. 49. Ci E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 125 riana rappresenta un pensiero di gran
lunga più elevato di quello del Nietzsche. Lo Schopenhauer non è adoratore, ma
giudice severo ed acerbo della forza, dell’egoismo, del principium individua-
tionis, della volontà di vivere. Il Wille zum Leben non è condizione di miglior
vita per lui, non è argomento di una elevazione del tipo umano. Egli sente al
vivo il grido di dolore che si leva dalla radice delle cose sotto la pressura
della cieca di- namica della forza; egli predica la redenzione mno- rale della
coscienza umana dalla cieca, improvvida, penosa volontà di vivere. Il suo
pessimismo è un omaggio reso allo spirito di abnegazione, di pietà e di
sacrificio, come la sua morale è tutta un’ a- poteosi della compassione e della
simpatia umana. Evidentemente, l’ ottimismo di Fr. Nietzsche, di questo esteta
affaticato dallo spasimo del fine, del signorile, dell’ elevato , è troppo
impresso di pro- fana empietà metafisica ed etica, e non può es- sere elevato
agli onori di un raffronto. Per tro- vare qualcosa di simile alla sua
morfologia della volontà del dominio, bisogna far capo al pietismo
materialistico dell’Haller, che rappresenta, a sua. volta, l’intuizione etica
del mondo del feudalesimo. degenerato. Ed invero, se rinascesse, per bizzarria
-dell’atavismo, in questa fine di secolo un servo. dei volghi feudali, con
quella sua ingenua cre- denza nella pretesa superiorità di natura del Si-.
gnore o del Padrone, egli evidentemente, se gli. capitasse di fil»sofare, non
la penserebbe altrimenti . dal Nietzsche, il cui eroe super-umano ha comune con
la mandra da lui asservita un identico per- vertimento dei valori morali.
SS 196 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE Cal
Una certa analogia ha la formula del Nietz- sche con la intuizione
meccanica del mondo con- temporaneo. La volontà del dominio si mostra I
come una intonazione più acuta del principio della | lotta per Vesistenza. L’
elevazione del tipo umano del Nietzsche pare che sia un quid simile della
selezione miglioratrice e trasformatrice dei tipi | specifici. Ma anche qui,
più che di una vera e ‘ propria analogia, si tratta di una restrizione e di un
pervertimento. La lotta per l’esistenza, secondo |. gli odierni
naturalisti, non è causa di antagonismo, . ma è anzi impulso
all’associazione. La lotta deter- mina non lo sfruttamento, ma il concorso
degli esseri viventi in favore della loro adattazione col- lettiva. È noto che,
per la biologia contemporanea, l'organismo vivente è prodotto di selezione
asso- ciativa, è prodotto dell’associazione di unità orga- niche elementari,
determinato dalla necessità della lotta e della difesa delle unità stesse. Il
progresso nella scala degli organismi è segnato, appunto, da questo processo
d’integrazione e d’incorporamento, per cui individui organici di una serie
inferiore di- ventano organi di un tutto vivente, di un organi- smo superiore.
E questo processo d’incorporamento delle unità elementari non involge, per i
biologi contemporanei, segna, anzi, una perdita della loro individualità
originaria: è una garenzia, una ele- vazione, un’ ascensione della
individualità stessa. I) progresso della varietà dei tipi non è,
quindi, l’ettetto dell’ appropriazione e dello sfruttamento, ma cdi
un’ accomodazione collettiva, di una solida- rietà organica, di
un’assimilazione selettiva ed asso- e ——
——T———_—_+-++m_——_———_r————_———@mrh__—_———___b - n nn — ————_
- - —+ ——— —.- 7 sca + n dif [ard E
DEL MATERIALISMO GIURIDICO 127 . . LI ® ® . LI Li LI / ciativa, di
una simbiosi, per usare il linguaggio ‘| tecnico del biologo.
Qualunque sia per essere il giudizio da recare sovra questo nuovo indirizzo
della biogenesi, è evidente, per altro, che esso segna una forma di pensiero
radicalmente diversa dal concepimento che della vita e delle sue funzioni
essenziali ci porge il Nietzsche. La volontà del dominio di
lui è, forse e senza forse, l’espressione naturale del-
l’aspetto primitivo e superficiale, onde il principio.
astratto e razionalistico della lotta vitale si presen- ta ad
un mitologo e ad un esteta, ignaro delle ’ scienze naturali.
Non per questo diremo noi che il pensiero del Nietzsche, in quello che non ha
di comune con gl’indirizzi recenti della filosofia e della scienza, ossia in
quello che ha di più repugnante e di più falso, sia un portato originario della
sua mente. Philosophiren ist... cine Art von Atavismus hochsten Ranges; così
dice, in un punto del suo « Jenseits » il Nietszche stesso. Il principio,
esposto in quella sua dogmatica generalità, è, senza dubbio, un pa- radosso; ma
si traduce in una grande verità, se lo si applica alla filosofia del suo
autore. La fi- losofia del Nietzsche è, invero, un bizzarro fe- nomeno di
atavismo; ed, esaminata a fondo, si svela per quello che è: un’ esumazione «da
dilettante di genio. Le sue invettive contro il cristianesimo sono un ricorso
del volterianismo della filosofia enciclopedistica, precisamente come i suoi
freie Geister sono i fratelli minori degli ormai classici Esprits forts di un secolo
ta, ed ilsno Ubermensch aid celata a ee fe 128 LE NUOVE
FORME DELLO SCETTICISMO MORALE una sopravvivenza olimpica del neo -
classicis- mo Goethiano. Che più? La stessa morfologia della volontà, della
forza e del dominio è una re- viviscenza atavica dello scetticismo morale della
sofistica. Il Nietzsche, il già filologo dell’ Univer- sità di Basilea,
l’esteta dell’ellenismo, ci esibisce, dopo tutto, una esumazione di Trasimaco e
di Callicle; e chi ha studiato la Repubblica edil Gorgia di Platone, conosce di
già in antecedenza il Jen- seits von Gut und Bòse. Un’analisi diretta e minuta
dei due dialoghi è opportuna per fornircene la conferma. Essa giova, altresì, a
renderci immagine d’ura forme d’esprit alquanto più semplice ed in- genua di
quella proffertaci, sopra uguale materia, dallo scrittore tedesco.
* * * Dalla nota formola di Protagora « ravtwv yonudtwv
uetoov dvbgwros » non Protagora stesso inferì quell’estremo scetticismo morale,
che si an- nunzia nella dottrina dei sofisti posteriori. Il mito posto in bocca
a Protagora nel dialogo omonimo di Platone dimostra che il maestro della
sofistica non era alieno dal riconoscere un fondamento psicologico della morale
nella forma di un nativi- smo mitologico. Egli non è stato logico interpetre della
formola teoretica dellu sua gnoseologia; ed il suo scetticismo teoretico è
contraddetto dal suo dogmatismo morale. Tuttavia, quella formola se- gna
l’espressione più recisa del relativismo e con- tiene come in embrione tutte le
vecchie e le nuove MErmmezZnA no tia °° nn E
DEL MATERIALISMO GIURIDICO 129 e le nuovissime forme dello
scetticismo morale. Il dettato di essa è semplicemente il seguente: i criteri
di valutazione etica non sono universali; essi sono relativi a questo o quel
soggetti ; il loro valore è variabile secondo l’angolo visuale, secondo il
punto di prospettiva dal quale uno si colloca per esaminarli. Il che vuol dire
che quel principio comprende ed : nticipa tutte le teorie sulla morale plurima
e dualistica, da quella dei sofisti che se- guono immediatamente Protagora, a
quella del Nietzsche che tutta si assomm:i, come abbiamo veduto, nel dualismo
della Herrenmoral e della Sklavenmoral. Una espressione limpida e netta
della morale plurima, cioè a dire della morale non unica ma differenziata
secondo i modi di vita dei soggetti, e, quel che preme più, secondo ia qualità
del gruppo o della classe a cui i soggetti appartengono, è visibile nella
scuola di Gorgia. Il Meuone di Platone (71, 72) e la Politica di Aristotele (I,
13, 1260) ne rendono esplicita testimonianza. Ma lo sviluppo più logico e più
radicale dello scetticismo morale della sofistica ci è duto, per un verso, da
Trasimaco e, per un altro, da Callicle, nella forma di una vera e propria
morfologia della volontà della forza che dà, certamente, dei punti a quella del
Nietzsche. Questa morfologia della forza è, del resto, lu conseguenza
logica della formola universale dello scetticismo morale. In una massa di
soggetti, i quali non riconoscono altra misura delle cose e dei rapporti
socievoli che sè stessi, (singolarmente I. Perrone. -- Problemi del mondo
morale. 9 fi ni . È IS] A Bi SE . nici da nni LEI
130 LÉ NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE considerati) e
l’arbitrio soggettivo di ciascuno, unica formola di vita resta la volontà della
forza, der Wille zur Macht. Il filosofo affaticato dalla oxéys non può rendere
altrimenti ragione della coesione degl’individui di quella massa, nè dell’
intreccio, dell’attrito e della erosione dei rapporti socievoli degli uni con
gli altri, se non ricorrendo al prin- cipio o allo strumento della forza.
Soltanto, questa volontà della forza può es- sere attribuita a pochi o a tutti,
allo Stato o ai singoli, al gruppo dirigente e governante o a questo o
quell’individuo di qualsiasi gruppo; ed a seconda dall’una cosa e dell’altra,
il principio co- mune della volontà della forza può condurre a dottrine
alquanto diverse nella forma. La prima, quella che riconosce la presenza della
forza solo nei gruppi dirigenti, rende, senza veruna difficoltà, la ragione
sufficiente dello Stato e del diritto; e lo Stato è, in tal caso, la creatura e
l’organo della forza, ed il diritto è l’ espressione e la consolida- zione dei
rapporti della torza. Per tale dottrina, la genesi del diritto e dello Stato è
un assioma e non un problema. La seconda, invece, (quella che rico- nusce la
presenza della forza nei singoli ut sic), non. può rendere la ragione
sufficiente dello Stato e del diritto, riannodando l’ uno e l’altro ai rap-
porti della forza. Per essa, la genesi dello Stato e del diritto è un problema,
e non un assioma, ed un problema che può essere formulato così: Co- me nasce,
adunque, questa potenza inibitrice della forza individuale che è il diritto e
lo Sta- to? Non potendo nascere per dato e fatto de- _
E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 131 gl’ individui forti, i quali
non sarebbero stati mai così stolti da por mano essi stessi alla po- tenza
destinata a domarli e tenerli a freno, onde avranno avuto, adunque, nascimento
? Problema al quale , dal punto di veduta di una morfologia della forza, non è
concepibile altra risposta che la seguente: I rapporti regolativi della morale,
il princip'o della uguaglianza giuridica, il diritto e lo Stato sono nati non
dalla forza, ma dal suo contrario, dalla debolezza. I deboli si sono asso-
ciati per astuzia e per interesse ; ed hanno pro- clamato per diritto quei
provvedimenti o quella serie di provvedimenti che tendono a mascherare ed a
tutelare la loro debolezza contro l’ eccesso di vitalità e di combattività dei
forti o delle na- ture aristocratiche e degl’individui superiori. La forza
brutale del numero, monopolizzata dalla greggia degli schiavi, ha domata con
l’astuzia la forza vera e legittima degl’individui superiori, ed ha creato il
principio dell’uguaglianza umana e le leggi della morale e della
giustizia. Ora quest’ analisi profonda della morfologia della forza,
della quale il dualismo morale del Nietzsche è solo un pallido riflesso , è
perspicua e visibile nella dottrina di Trasimaco ed in quella di Callicle.
Il giusto, secondo Trasimaco, non è altro, che l’espressione della signoria del
più forte. Ogni forza prevalente, ogni potere direttivo detta leggi a suo
esclusivo interesse; e le impone alla molti- tudine dei soggetti e dei deboli,
come leggi sante, la cui osservanza è doverosa e la cui trasgressione
+ “ope 132 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
è criminosa e meritevole di pena. (1) Nella eco- nomia delle cose la
giustizia o l’osservanza della giustizia è argomento di debolezza, di
sfruttamento, di oppressione, laddove l’ingiustizia, o la pratica irrefrenata
dell’ingiusto, è argomento di maggior forza, di utilità, di appropriazione, di
aumento di vita. L’ingiustizia ha, insomma, una grande funzione: quella di
essere eminentemente utile e vantaggiosa. Questa funzione utilitaria
dell’ingiu- stizia è vieppiù visibile quanto l’ingiustizia è più grande, quanto
la pratica dell’ ingiusto è portata allo stato di tensione più acuto. Il
capolavoro dell’ingiustizia, l’ingiustizia in grande, il delitto collettivo ed
in massa, la tirannide, è, ad un tempo, lo espediente meglio indovinato di
eudemoniswo. Il tiranno, questo delinquente in grandi propor- zioni, gode il
massimo del godimento e dell’inten- sità di vita. Egli ha il plauso di tutti, e
di chi lo teme e gli è soggetto e di chi no; perchè chi vi- tupera
l’ingiustizia nol fa per sete di giustizia, ma o per timore v per
invidia: per timore di essere (1) ... pnui yào éya tò dixarov ox
dhiho Ti, Î) TÒ Tod xoeit- tovos Svupeoov. Tidetar dé ye toÙs vouovs éxdotn
î dog mo0s tò avrj Evupéoov, ònuoxgatia uv Onuoxgatinode, Tupavvis de TvOav-
vxovs, nai ai dilar obra: Véuevar de arnépnvav tovto dixatov tois dogouévois
elvai, tò opior Svupéoor, nai tòv TOÙTtOv EN- faivovta xoRdSovowv ws
maoavouobvià te xai ddixodvta. Tovr oòv éotiv, © féAtwotEe, È Aéyo, év
drsrdoarg talg ndAEo taùròv elvar dixatov, TÒ Ts xadeotnzvias doyî)g Evupéoov,
abrn dé mov xoatei. Hote Svufaiver tO d000gs Aoyigoueva savtayod elvar tò aùrò
dixatov, tÒ TOd xoeittovos E vupéoov. Rep.,888-389. E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 133 vittima egli dell’ingiustizia, o per
invidia di non poterla, per scarsità di forza, imitare o uguaglia- re. (1)
Interesse nel primo caso, astuzia nel se- condo; astuzia della volpe che chiama
acerbo il pomo che non può cogliere: calcolo utilitario, più O meno raffinato,
in entrambi. Glaucone, uno degl’interlocutori della Repub- blica, svolge
viemmeglio la teoria di Trasimaco. Secondo natura, egli dice, è più vantaggiosa
l’in- giustizia che la giustizia, ossia è bene praticare l’ingiusto e male il
giusto. . La giustizia non è da natura, ma da conven- zione e da patto, è
un compromesso, un mezzo termine utilitario, tra il maggior male temuto dalla
pratica della giustizia ed il minor bene aspet- tato dalla pratica dell’ingiusto.
Invero il mal che segue dal soffrire l’ ingiustizia, ossia dall’ essere giusti,
è di gran luuga maggiore del bene che segue dal farla, ossia dall’ essere
ingiusti. Di qui segue, in quelli che hanno ad una volta esperi- mentato quella
dose di male e questa dose di bene, il desiderio di addivenire ad un patto
reci- proco per cui si rinuncia a praticare l’ingiustizia contro gli altri
appunto per esimersi dal subirla essi stessi. Di qui trae origine la legge, di
qui la santità del giusto : l’uno e l’altra volute, non per sete ed amore di
giustizia, ma per la impotenza a fare l’ingiustizia ed il timore di subirla;
dovec- chè chi è forte ed è atto a praticare l’ingiustizia e non teme
l’ingiustizia altrui, non è così stolto (1) Rep., 948-844.
134 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE da addivenire ad
un patto, nel quale egli rinun- cia a tutti i godimenti senza verun correspet-
tivo. (1) In questo tratto di Glaucone v’è come un’an- ticipazione di
tutte le forme storiche del materia- lismo giuridico. Fate che la impotenza e
la paura si estendano, per un presupposto filosofico, a tutti gl’individui,
ponete che gl’individui tutti sieno uguali da natura, uguali e nella potenza di
pra- ticare l’ingiusto contro gli altri e nella paura di essere vittima dell’altrui
ingiustizia essi stessi, e voi avrete, per una logica estensione della dot-
trina di Trasimaco e di Glaucone, il sistema di Tommaso Hobbes e di B. Spinoza.
Sistema, iu cui il presupposto razionalistico dell’ uguaglianza na- turale di
fatto determina non più la morale dua- listica e plurima della sofistica, ma la
morale unica ed oggettiva ed uguale del contrattualismo ideo- (1)
Iegvuevai vdo di) paor tò uév ddetv dvadòv, tò dé dbixetoda. xaxòv, mAéovi dé
nano vreofàiAiew tò ddetoda, î dva9® tò ddixetv Wo éredav diiniovs dbuboi te
nai àbinovta: Kai dugpotéowv vevwvtai, Toig un dvvauévo TÒ uév éxpevpew, tò dé
alpetv doxer AvorreAetv Evvdeodar dilAin Ao unt ddixetoda:. xai evtedvdev òi)
dofacdar vouovs tidECdA: ai Euvdnuas avrov xai dvoudoai tÒò dirò Tod vòuov
Ééstayua vé- uyudv te xai dixatov, xai Elvar di) tTabvtnv véveciv te xai oboiav
dixavoovvns uetagò odboav tod uev doiotov Ovtos, tav ddr ui) did@ dixnv, tov dé
xarxiotov, édv dbdimovuevos TIUOWLIEIC6TAL adivaros 17, tò dé dixatov èv ué0®
6v tovtov dupotéowv dya- naoda. 00 ©g dyadòv, GAA' ©g adbootia tOov ddietv
TudUIE- vov' érei to v dvvduevov adrò mov xal bg dindos odò’ dv évi mote
buvdéodar tò unte ddietv unte ddixetoda.. Rep., lib. II, 859. +
hi È hi E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 135
logico, e che rappresenta la sola forma di dogma- tismo superstite dalle
ruine dello scetticismo mo- rale, il materialismo giuridico. In vero, la diffe-
renza fra Trasimaco e Glaucone, per un verso, e l’Hobbes e lo Spinoza, per un
altro verso, è solo questa: che nei primi la giustizia è un patto li- mitato al
gruppo dei deboli, patto, di conseguenza, che non impegna punto i forti, che
sono fuori di quel gruppo; e nei secondi, invece, la giustizia è il patto
utilitario di tutti gli uomini universal- mente, tutti uguali nella forza di
fare l’ingiustizia e tutti nella debolezza di subirla. (1) I (1)
Meglio d’ogni dimostrazione vale il raffronto diretto delle tre fonti: .
«Tum corporis, tum animae facultatibus adeo aequales inter se produxit Natura
homines, ut quamvis alii aliis viribus aut ingenio praestent, si tamen omnia
simul considerentur, differentia tanta non est, ut promittere sibi commodi
quicquam possit unus, quod alius sperare aeque non potest.... Ab aequalitate
Naturae ori- tur unicuique ea quae cupit acquirendi spes. Quoties ergo duo idem
cupiunt, quo frui ambo non possunt, alter alterius hostis fit et ad finem sibi
propositum (quae est conservatio propria) al- ter alterum conatur subiugare vel
interficere.... Manifestum igitur est quamdiu nulla est potentia coerciva,
tamdiu conditionem ho- minum eam esse quam dixi Bellum esse uniuseuiusque
contra unumquemque.... Quamdiu ergo Jus illud retinebitur (Jus omnium in omnes)
nulla cuiquam, etsi fortissimus sit, securitas esse po- terit. » Di qui
appunto, secondo l’Hobbes, sorge la funzione uti- litaria del patto sociale
creativo della giustizia : di qui la Ratio (vero calcolo della ragione) che
detta l’imperativo « Pacem quae- rere.» De Homine, cap. 14. « Certum est
naturam absolute consideratam jus suum ha- bere ad omnia quae potest, hoc est
jus naturae eo usque se ex- tendere quousque eius potentia se extendit : sed
quia universalis potentia totius naturae nihil est praeter potentiam omnium in-
dividuorum simul, hinc sequitur unumquodque individuum jus summum habere ad
omnia, quae potest..:. Quidquid itaque unus- DI bi % ' - = > 7
Li ea =. a e i I i _ di PA = }- E ati ri (E rt e iaia EL le Aaa mi Ren nero
ei inmataer.tii maree I a a e ni TE n RZ Red Lio ia "
136 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE Adimanto, altro
interlocutore della Repubblica, ribadisce il principio che fonte della
giustizia è la debolezza e l’impotenza di farla, e quindi, ad un tempo, la
paura e l’invidia. Se ne togli quelli che da una specie di natura divina banno
contratto l’odio dell’ingiusto, degli altri, egli dice, non v'è un solo che sia
giusto per volontà di esserlo, ma tutti il sono o fingono di esserlo, per
debolezza, vecchiaia, imbecillità di animo, che vieta loro di essere ingiusti.
Date ad essi in effetti forza e po- tere, e li vedrete non meno ingiusti degli
altri. (1) Ma, quegli che più logicamente d’ ogni altro sì colloca
jenseits von Gut und Bòse, e le leggi mo- rali e giuridiche svela come calcolo
utilitario e mascherato della folla degl’impotenti, della Stla- venmoral, è
Callicle, 1’ interlocutore del Gorgia. Checchè, egli sia, secondo la critica
del Grote, del chiaro riabilitatore della sofistica, sia egli pure
quisque, qui sub solo naturae imperio consideratur, sibi utile vel ductu
sanae rationis, vel ex aftectuum impetu judicat, id summo naturae jure appetere
et quacumque ratione, sive vi, sive dolo, sive precibus, sive quocumque demum
modo facilius poterit, ipsi capere licet, et consequenter pro hoste habere eum,
qui impedire . vult quominus animum expleat suum. » Il transito dalla lotta
uni- versale dello stato di natura alla pace dell’ordine giuridico e, quindi,
al patto sociale istitutivo del diritto e dello Stato, è de- terminato, quindi,
da un calcolo utilitario della ragione, la quale intende ad evitare i danni che
possono seguire a ciascuno degl’in- dividui utî sic dal diritto potenziale
indefinito di ciascuno su tutto e su tutti, ed è guidata in ciò dalla legge
seguente : «lex huma- nae naturae universalis est, ut nemo aliquid, quod bonum
esse judicat, negligat nisi spe majoris boni, vel ex metu maioris damni: nec
aliquid malum perferat, nisi ad maius evitandum vel spe maioris boni.» Tract.
Theol.-Polit., cap. XVI, passim. (1) Rep., 366. PIA o Gira Tall gl
I e PTT er Prg nn E DEL MATERIALISMO GIURIDICO
137 un mito platonico e non una persona reale, in- dubbiamente egli
è l’interpetre , sia pure imper- sonale e fittizio, di una corrente radicale
della sofistica. Egli è il Nietzsche della Grecia del tempo. Le leggi,
insegna egli, sono opera di gente plebea ed imbecille, opera della mandra
umana, che per finezza di calcolo maschera con la legge la sua impotenza.
Questa mandra denuncia come ingiusto l’esercizio della forza e dello
sfruttamento e predica la giustizia inviolabile dell’uguaglianza. Ed è naturale:
a lei che è inferiore, l’uguaglianza rappresenta un guadagno; essa, così, si
colloca alla pari dei forti e delle nature aristocratiche e su- periori. (1) Di
qui segue che unica cura la muove: predicare, per ministero di legge, che è
ingiusto ed immorale che un individuo si appropri più di quello che hanno gli
altri individui; che è ingiusto ed immorale che l’individuo superiore si
estolla sulla folla volgare e plebea degl’individui infe- riori. Eppure è la
natura, la stessa natura che Cinsegna essere equo che il forte abbia più del
debole ed i tipi superiori più dei tipi inferiori. È (1) ... dAA',
oîuai, oi tidéuevor toùs vòuovs oi dodevets dv- doewroi elio xai oi r0Aàol.
m0Òs abvroùs oùv xai tò abvrots cvu- peoov Tovs te vouovs tidevtar xai toÙs
ésrarvovs ÉrarvovoL xai toùs ywoyovs yweéyovor® éxpofotvtes TOÙs
ÉooWuevECTE00vS tOv avdoasrov xai dvvatoùs bvras sAéov Eyew, iva un) abr@ov
nAiéov Erwor, Agyovow, sg aloyoòv nai didimov tò sAgoventetv, xai tovt° Éoti tò
dbdixetv, tÒ AéO0v TOv diicov Ente Éyewv avaro. vao, oiuai, adtoi dv TÒ loov
Eywor pavAdtegor Svres. PLato, Gorg. XXXIII. Te n Mae ia OR
Le 138 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE lexge
universale della natura che il più forte do- . mini il più debole e lo sfrutti
e lo asservisca. Dovechè la legge nostra, la convenzione le- gale fatta da noi,
è contraria alla legge di na- tura. Noi, invero, miriamo ad una cosa sola: ad
agguagliare i deboli ai forti. E non potendo at- tingere la meta, i deboli
facendo forti, )’ attin- giamo altrimenti, i forti, cioè, facendo deboli. Noi
deprimiamo le nature superiori, noi le domiamo e le addomestichiamo , come il
domatore di fiere fa dei liberi e forti leoncini; noi le fasciniamo con
l'incanto delle nostre leggi e della nostra equità convenzionale, noi le
suggestioniamo , viziandole, e le traiamo in servitù. Ma, se uno di questi tipi
superiori insorge e si emancipa dalle catene ser- vili imposte dalle tradizioni
e dalle consuetudini, ‘ ed esplode nella sua selvaggia ed aristocratica natura,
rompendo il fascino e l’incanto delle no- stre leggi e delle nostre convenzioni
insidiatrici, certo in lui la natura plaude a sò stessa, perchè in lui si
effonde luminoso il diritto della vera na- tura, spastoiato dalle nostre leggi
fittizie ed in- teressate. (1) Perchè è buono e giusto per natura
(1) dià tavta è vbuo puév tovt’ didixov xai aloyoòv Aéyetat, tò màéov
Gntev Eyew tOVv s0hibv, mai ddixetv adtò xadodowr: î) dé ve, oluat, pio adr
dsopaiver aùrò, dt dixatov ott tòv dueiva tod yeigovos mÀÉéov Eye ai tòv dvvatoòtEROv
TOD dadvvatotEoov. ònAot dé tavta moAAayob dti obrws Eyer vai év tois diios
L00g nai tOv avdoobtor év bAiaig tTals bAeoi nat tols yéveow, dti odtw TÒ
dixatov Kéxoitai, TÒv KOEITTÒO TOÙ fjrtovos dozew xai rÀÉov Eyew. nei soip
dixaio yomuevos Zéosis Éri ti) v ‘EARdda, gotoatevoev; î) è stato adroD érrì
Zud- E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 139 che chi ha più
forza ed intensità di vita e chi ha il genio della combattività e della lotta
espanda al di fuori questa sua vitalità ed energia senza limiti nè freni di
sorta. L’intemperanza è te- nuta a vile e condannata dalla mandra dei tipi
inferiori, solo per invidia e per mascherare la temperanza coatta dell’
impotenza. È la moltitu- dine degl’impotenti, che, fatta forte dal numero,
rende in servitù le nature superiori e condanna le libidini che non può
so:ldisfare ed esalta come virtù le astensioni determinate dalla sua debo-
lezza. Dovechè, virtù e felicità vera è la libertà disfrenata della vita e dei
godimenti; ed il resto non è che sottilità da impotenti e convenzione contro
natura. (1) das; î dila uvoia dv ts Eyor tovavdta Aéyew. dAX',
oluai, ovtoL xatà puow tv tod dexaiov TadTta modTTOvOL, xai vai ud dia xata
vouov Ye TÒv TÎs puoeas, où uevtor l0ws xatà todTOv, $v fuets tWdéuEda smAdttOvTES'
toÙs feAtiotovs wai É00UEVEO- TAT0VS Nuov adtov éx véov Aaufàvovtes Woneo
Aéovtas xa- Ttendòovtés te xai yontevovtes xatadovAodueda Aéyovtes, © tÒ loov
Yor Éyew xai tovt’ Éoti tò xaddòv xai tò dixatov. Édv dé ye, olnai, gvow ixavyv
vévntai Eyaov arno, mavta tavi àrodeLdauevos xai diagoniéas mai diapuy@v,
xatarrati)0ag tà fjuéteoa yoduuata xai uayyavevuata xai énmddgs mai vouovs toùs
maga puow drravtas, Éravactàs avepavn deorotns iue- teoos 6 dovAos, xavtadd’
éEglampe TtÒ Tijs qpuoews dixaov. Gorg. XXXIX. | (1) .. d Rik tovr’ coti
tÒò xatà qpuow xaZòv xai dixawvov, Ò ya) G0L vuv smaponorabouevos Aéyw, dti der
tOv dodos fiwod- uevov tds uév émdvuias tds Éavrod éav @s pueyiotas elvai xai
un) xokdgew, tavta è’ ge ueyiotars oicais ixavòv elvat vampetetv dl dvògelav xai
podvnow xai dro siurmdidavar ©v dv dei f) émdvula viyvyrar. àhAid tovt, oluai,
totg st0kk0tg oò dv- 140 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE - % * * L’ analogia del pensiero del Nietzsche con
queste direzioni radicali della sofistica greca non ha bisogno d’illustrazione
ulteriore dopo quest’analisi diretta delle fonti. La divisione della morale in
due tipi fondamentali antitetici, la morale delle nature superiori e quella
della media umana, è perspicua in Trasimaco e nei suoi interlocutori e raggiunge
poi l’espressione più acuta nella dot- trina di Callicle. Il principio
che la morale e la giustizia è una struttura artificiale e convenzionale dei
de- boli, un’arma astuta di difesa contro la sete di dominio dei forti, una
espressione della Sklaven- moral, trova in Callicle un interpetre insupera-
bile. Finalmente l’apologia della forza e del do- minio, come condizione
essenziale e fondamentale di vita e di aumento di vita, quella, insomma, che il
Nietzsche chiama morfologia della volontà della forza, forma, ad un tempo, il
sottinteso e la di- mostrazione, il presupposto e la tesi di ambo i sofisti, di
Trasimaco e di Callicle. vatòv: ddev wéyovor Toùs Towvtovs òl'
alogivnv, àronovato- uevor tv adrov ddvvauilav, xai aloyoòv dn gaow elvar tiv
dxoAaciav. brreo èv tols Eunooodev ya Elepov, dovAovuevoi toùs BeAtiovs tI)v
qpiow àvIodraovs, nai adroi cò dvvduevor eusogileoda: tatg foovats TANOWOW
ÉmaLVODOI Tv 6(OPL00UvNv xai tv dixavocivyv did Tv Éavtov dvavòoiav, . ........
tovpi) xai dxoAhacia xai éAevdegla, édv Érmmovoiav ÈXn, Tovr' éoriv àoeti) te
xai eddaruovia* tà Ò' dAia tavr' goti tà Kad- Aoricuara, tà raoà puow cvviuara,
dvieomor pAvagia xai oddevòs déa. Gorg. XLVI. comin E
DEL MATERIALISMO GIURIDICO 141 Il Nietzsche ci presenta, adunque,
un tenome- no bizzarro di atavismo filosofico. Il suo stesso Uebermensch, i
suoi Freie Geister, i suoi Versucher dell’avvenire sono, dopo tutto, di vecchia
data. Sono il sospiro ed il sogno di tutti i periodi di dissolvimento scettico,
l’espressione più netta della bancarotta morale di una data generazione; e
ricorrono, quindi, periodicamente, a guisa di certe neoformazioni cancerigne in
organismi o in tes- suti viziati al di deniro ed infetti senza rimedio.
Questa indole atavistica e patologica del pen- siero del Nietzsche semplifica
di molto ]l’ ufficio della critica. La quale non si proporrà di confu- tare le
negazioni scettiche nuove ed antiche. Il più gran trionfo della critica, quello
di persua- dere e di rendere assenziente l’avversario, è reso impossibile della
natura stessa dello scettico. Que- sti rappresenta lo spirito della negazione
asso- luta. Al vostro «sì » egli risponderà sempre con un « no» risoluto; e le
vostre affermazioni egli denuncierà in anticipazione, come illusioni di ot-
tica intellettuale, come allucinazioni di prospet- tiva. In cambio di
affaticarsi a confutarlo, la cri- tica si terrà paga a mettere a nudo i suoi
prece- denti e la sua patogenesi; ufficio di analisi de- scrittiva e niente
altro. Lo scetticismo morale non si confuta, si mostra. Il filosofo non ha
bisogno d’insistere sulla sua indole dissolvitrice della vita morale: come
l’anatomista patologo non ha bi- sogno d’insistere sulla natura patologica e
mortale delle lesioni che egli anatomizza e riutraccia. L’uno e l’altro vengono
su, dopo che le lesioni 149 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE hanno prodotto già lo spegnimento della vita e la
disgregazione dei tessuti; e l’ufficio di entrambi sì traduce in una semplice
verificazione di fatto o in un’analisi patogenetica retrospettiva. . Tuttavia,
il Nietzsche non sì limita a negare. Egli annuncia, anzi, un dogma positivo,
che, per quanto sia di natura dissolvitrice della vita umana, a lui sembra
tuttavia il contrario: sembra, cioè, l’impulso primigenio ed il fremito stesso
della vita. La negazione del bene, della morale e della giu- stizia non è, per
lui, una tesi o una escogitazione di filosofo; è un dettato, un imperativo
spontaneo della vita umana. La volontà del dominio e dello struttamento è la
condizione stessa determinante della vita. Essa appartiene non alla
patologia, ma alla morfologia degli organismi viventi. Benchè
questa inversione radicale dei criteri della morale esprima al vivo la natura
incurabile dello scetticismo morale, è bene tuttavia che la critica la tolga in
esame; e non per persuadere lo scettico, ma per impedire che egli travii gli
altri. La natura stessa e la vita, complice del male e dell’ingiusto ! Ecco una
tesì troppo teme- raria, ma ad un tempo troppo insidiosa; e non può perciò
lasciarsi a sè stessa. Ritorcere contro lo scetticismo la sanzione morale
del dovere, è legittimo, senza dubbio, ma, tenuto conto dell’ indole dell’
avversario, è inop- portuno. Egli è lì pronto a rispondervi: Ammesso pure che
la vostra sanzione del dovere sia giusta e sacrosanta, voi mi ammetterete che
la sanzione stessa si traduce in una negazione della vita: la E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 143 vostra condanna della forza e del
dominio è, dopo tutto, una condanna della vita, un principio di degenerazione,
di decadimento, di morte. La critica, perchè sia immune dalle ritorsioni
dell’avversario, deve, con utile accorgimento di tattica, collocarsi nello
stesso punto di veduta di lui. Non è la metafisica della morale, ma la
morfologia stessa degli organismi viventi che essa deve contrapporre alle tesi
del Nietzsche. Il pro- blema che essa deve proporsi è semplicemente il
seguente: È vero che il dominio, l’appropriazione senza limiti dell’altrui, lo
sfruttamento egoistico, è legge elementare della vita? Ridotto il quesito
in questi termini, il còm- pito della critica è semplicissimo ed è, ad un
tempo, fecondo «di buon successo. La concordanza della morale con le leggi
universali della vita, è atte- stata, in vero, dall’analisi della morfologia e
della biogenesi. Momento fondamentale dell’esistenza e della vita è la
nutrizione e, quindi, l appropriazione degli alimenti e delle sostanze
esteriori, l’ assimi- lazione trasformatrice delle forze esterne. Di qui
parrebbe che, per naturale illazione dalla fisiologia alla psicologia umana, il
fenomeno della vita do- vesse coincidere col fenomeno dell’ assimilazione,
dell’appropriazione dell’altrui e dello sfruttamento, dovesse coincidere con la
formola del Wille zur Macht. Ma un’analisi più profonda della stessa fi- siologia
e dello stesso fenomeno della nutrizione ci mena a ben diverse conclusioni. La
nutrizione ‘ ha due aspetti. Per il primo, essa è un’appropria- 144
LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE zione degli elementi
esterni ed un accumulo di forza interna, una sorta di risparmio e di capita-
lizzazione degli elementi essenziali della vita. Ma per un altro aspetto, essa
è espansione e ricam- bio al di fuori di quell’eccesso di forza accumu- lata e
risparmiata: è una diffusione e, se si vuole, una differenziazione, un consumo
di energia. Il ritmo della vita è il ritmo della integrazione e della
disintegrazione, dell’assimilazione e del con- sumo, del risparmio e
dell'espansione produttiva. La vita, in certo senso, è un processo di rigene-
razione continua che presuppone la disintegra- zione dei tessuti; dico
disintegrazione, ed intendo con essa il consumo degli elementi fisio-chimici ed
il lento, graduale, tenace, corrosivo della vita organica. Se la
dissoluzione e la disintegrazione costi- tuiscono le condizioni stesse della
rigenerazione e della vita, noi, dunque, potremmo rispondere al Nietzsche che
la sua tesi fallisce alla meta; e che la dissoluzione degli egoismi individuali
e la ri- nuncia alla volontà del dominio appartiene alla morfologia della vita
ben più che l’appropriazione e l’esercizio brutale della forza e dello
sfruttamento. Tuttavia sembra, a prima giunta, che noi ri- marremmo da
meno di lui in qualche cosa. La dis- soluzione e la disintegrazione appaiono,
in verità, dei processi di diminuzione e di elisione della vi- ta. La rinuncia,
adunque, alla volontà del dominio sarebbe sempre una perdita, un consumo di
vita- lità e di energia. La morale e la giustizia sareb- bero espressione di
una disintegrazione, di un dis- E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 145
solvimento, di uno spegnimento dell’ individua- zione ! Ma è
evidente che i termini di differenzia- zione, di disintegrazione e di
dissoluzione hanno un significato ben altrimenti riposto e profondo, che
l’analisi superficiale e fonetica delle parole non lascerebbe supporre. La
disintegrazione, più che un’elisione della vita, esprime un processo di
gestazione continua di vita nuova, un processo di sostituzione e di
reintegrazione. E lo stesso fe- nomeno che appare una disintegrazione ed una
dissoluzione a quella visuale angusta che si limita ai rapporti interni di un
tessuto, si chiarisce invece come una integrazione superiore alla visuale più
ampia che si estende ai rapporti reciproci delle cellule e dei tessuti ed alla
loro unificazione e sintesi organica nella energia fondamentale della
vita. Del pari, la rinuncia alla volontà del dominio che sembra una
disintegrazione della vita dell’in- dividuo umano alla visuale angusta che si
limita agli aspetti interni di alcuni coefficienti isolati della vita di
quell’individuo, (uno di questi aspetti è, ad esempio, il potere di
acquisizione degli ele- menti esteriori), si traduce, invece, in una inte-
grazione superiore dell’ individuo stesso ad una visuale più ampia, e che tien
conto di tutte le energie e di tutti i coefficienti della vita dell’in- dividuo
e valuta le une e gli altri nel nesso che li armonizza nell’unità
dell’individuazione e della personalità morale. La rinuncia allo sfruttamento
esprime, ad un tempo, l’indice e la causa dell’in- I. Perrone. — Problemi
del mondo sociale. 10 gt 146 LE NUOVE FORME DELLO
SCETTICISMO MORALE tegrazione superiore dell’individuo. Indice,
perchè è documento e testimonianza di un eccesso di forza che sente più il
bisogno di espandersi ge- nerosamente al di fuori, anzichè di contrarsi e di
attrarre il di fuori nel di dentro. Causa, perchè senza rinuncia allo
sfruttamento sono impossibili quei fenomeni di produttività e di fecondità, che
elevano l’individuo e lo fanno vivere e rivivere negli altri e consentono alla
caducità nativa della sua individuazione una insperata sopravvivenza. La
morfologia ha già insegnato che la gene- razione è un fenomeno della stessa
nutrizione : della nutrizione in sovrabbondanza ed in
eccesso. Ed in linea generale può dirsi che il fenomeno
dell’assimilazione e della volontà di vivere non im- plica punto
necessariamente lo sfruttamento egoi- stico; ma procede, anzi,
associato ad un bisogno intimo che è la negazione stessa deilo
sfrutta- mento egoistico, il bisogno della fecondità, nel senso più ampio della
parola. Fecondità, che nelle forme della vita fisiologica è generazione, e
nelle forme superiori dell’essere è produttività ideale e morale, è rinuncia di
sè per altrui, è sacrifi- cio di quello che nel proprio individuo è caduco
a quello che in esso è duraturo e vitale, è sim- patia,
carità ed amore. « La vie, come dice egregiamente il Guyau, a deux faces : par Vune, elle
est nutrition et assimila- tion, par l’autre, production et fécondité. Plus
elle acquiert, plus il faut qu’ elle dépense : c’ est sa loi. La dépense n'est
pas physiologiquement un mal, c’est lun des termes de la vie. C'est
l’exspiration suivant E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 147
l’inspiration.... Vie, c'est fécondité et réciproquement la fécondité
c'est la vie à pleins bords, c'est la véritable existence. Il y a une certaîne
générosité inséparable de Vexistence, et sans laquelle on meurt, on se des-
sèéche intérieurement. Il faut fleurir; la moralité, le désintéressement, c'est
la fleur de la vie humaine. On a toujours représenté la Charité sous les traits
d’une mère qui tend à des enfants son sein gonflé de lait: c'est que en effet
la charité ne fait qu’ un avec la fecondité débordante : elle est comme une
maternité trop large pour s’arréter à la famille. Le sein de la mère a besoin
de bouches avides qui Vé- puisen : le coeur de Vetre vraiment humain a aussi
besoin de se faire doux et secourable pour tous ; il y a chez le bienfaiteur
méme un appel intérieur vers ceux qui souffrent. (1) Indubbiamente nella scala degli esseri si
nota un progresso crescente dell’individuazione. Quanto più alto si ascende
nella serie e nella graduazione delle forme, tanto più si esplica quello che lo
Schopenhauer, seguendo la terminologia della (1) Esquisse d'une
morale sans obligation ni sanction, Paris, 1885, pag. 24. Non dissento dallo
Spencer (Pr. of Biology, pag. 315-877), nè dal Vanni (Saggi critici sulta
teoria sociologica della popolazione, 1886) e penso anch'io che nella scala
degli esseri la individuazione proceda in rapporto inverso con la genesi, come
il diverso indice di fecondità delle specie animali e dell’uomo chiaramente
dimo- stra. Ciò vuol dire, per altro, che nel mondo umano il bisogno della
fecondità muta termine ed oggetto e si esercita non più nella sola sfera
materiale della riproduzione fisiologica, ma nel- l'ordine spirituale della
fecondità intellettuale e morale: nel quale ordine spirituale, a differenza che
nelle forme della vita materiale, il grado più eminente dell’individuazione è
espresso dal grado più alto. della genesi e della fecondità.
© 148 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
scuola, chiama principium individuationis. Un gra- nello di sabbia è
esattamente simile, o quasi, ad un altro granello di sabbia; un individuo
umano, invece, non è mai esattamente simile ad un altro individuo umano.
Accanto al fondamento ed al sostrato immutabile della natura comune, v'è la
serie delle circostanze individuanti, il principium individuationis, v'è la
differenziazione fisiologica, Vè la ineguale distribuzione dei poteri
fisiologici e dei poteri morali che distinguono nettamente l’un uomo
dall’altro. Doveecchè nel mondo della natura ciascuna forma è come l’esemplare
del- l’altra, e tutte, ad un tempo, esemplari del tipo specifico : in natura,
l’unità è omogenea e tipica, come fu già detto da altri, quando, nel mondo
umano, l’unità è eterogenea ed individuale. Tuttavia, questo progresso
nell’individuazione non coincide col preteso progresso della volontà del
dominio, del Wille zur Macht. Vero è, invece, che nel ritmo della vita umana
procedono inti- mamente associati il processo della individuazione ed il
processo della comunicazione morale degl’in- dividui nelle forme della
socievolezza. Quand’anche la vita psicologica e morale degl’individui umani si
traducesse nella sfera angusta del puro piacere, ossia della serie dei
sentimenti aggradevoli rela- tivi a ciascun soggetto senziente, non per questo
la tesi che. fa coincidere il progresso della indi- viduazione col progresso dello
sfruttamento egoi- stico sarebbe provata. Oltre ai piaceri sensibili, vi ha dei
piaceri intellettuali e morali; 1’ intellet- tualità, anzi, non è solo forma
costitutiva di una E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 149
serie irriducibile di piaceri morali, ma è anche una forma concomitante
degli stessi piaceri sen- sibili, quanto più questi progrediscono in inten-
sità ed in raffinatezza. Il progresso del piacere sensibile sta nel suo
spiritualizzarsi : come se an- ch’essa, questa forma inferiore degl’impulsi vitali,
sentisse la propria manchevolezza e l’ anelito di forme più alte! Ora se i
piaceri sensibili sono, in linea generale, soggettivi, individuali ed incomu-
nicabili, e se l’esercizio dei poteri eudemonologici è, di sua natura, geloso
ed esclusivo, i piaceri in- tellettuali e morali, che pure sono quelli in cui
vibra la nota più acuta dell’individuazione umana, banno, invece, il carattere
peculiare di essere, ad un tempo, i più individuali e i più comunicativi. Essi
sono tanto più sociali e caritativi, quanto più intenso ne è il godimento ed il
possesso in- dividuale. Nella scala degli esseri è visibile, accanto al
progresso della individuazione, il progresso della penetrazione reciproca
degl’individui e delle co- scienze individuali, il progresso della
socievolezza. Scendete nei gradi inferiori di quella scala, e vieppiù stretta
ed angusta vi si rappresenta la sfera in cui ciascuno degli esseri inferiori si
muove; salite ai gradi superiori, e più la sfera di vita, in cui ciascun essere
si muove, sì dilata e s’ irradia e vieppiù si compenetra e si confonde con la
sfera di vita degli altri esseri conviventi. E tra essi v’ è reciprocità di
azione e di reazione, v’ è come una risonanza psicologica ed una ripercus-
sione di emozioni, di sentimenti e di volizioni, = od
150 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE che segna come il
ritmo della vita sociale. Onde, se, per un verso, ciascun individuo vieppiù si
di- stingue da un altro individuo, può dirsi, per un altro verso ,. che ciascun
‘o individuale meno si differenzia e più si accosta a ciascun altro io in-
dividuale, perchè la sussistenza di ciascuno: è condi- zionata alla sussistenza
di tutti gli altrial un tempo. L'esistenza è individuale, ma la fonte a cui
quel- l’esistenza attinge il suo diuturno alimento non è più individuale, ma è
inter-individuale, è collet- tiva e solidale. Il progresso della vita
dell’essere non consiste, dunque, nella sola individuazione : esso consiste,
anzi nel prevalere dell’ universale all’individuale. L’individuazione è il simbolo
della manchevolezza ; ond’essa si sforza verso l’univer- sale, perchè
l’universale la integra e la sublima. Del pari, l'individuo si anela e si
sforza verso la società, senza il cui aiuto la sua stessa sussi- stenza
d’individuo è scossa e pericolante. E però il progresso di lui non sta nella
volontà di do- minio che lo trae a sfruttare il proprio simile, ma nella
volontà di vivere con gli altri e per gli altri, che lo trae verso le forme
superiori della socie- volezza ed è la condizione stessa dell’ incivili- mento.
L’antitesi fra la società e l’individuo è effetto di falsa rappresentazione, di
vera allucina- zione di prospettiva: l’uno dei termini è, a lungo,
inconcepibile senza l’altro. Nè la società è qual- cosa di estraneo e di
avventizio all’ individuo, e, come dire, un fenomeno di soprapposizione, di
accostamento, una sorta di statica morale. La so- cietà è il fremito stesso
della vita individuale. Vi E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 151
ha nell’individuo un impulso dinamico e come una gestazione intima della
socievolezza. Questo è il senso profondo delle classiche parole di Ari-
stotele. La gvo:s aristotelica, la natura che trae l’uomo alla società, è
l’impulso dinamico interiore dell’essere, è il mote attivo verso un termine in
cui esso rinviene il suo appagamento. Il Nietzsche non sembra alieno dal
ricono- scere l’ impulso caritativo e generoso della socie- volezza, ma lo
limita ai gruppi interni, ai mem- bri della stessa classe, dello stesso Stand,
lo limita alle forme della giustizia interna. L’essere aristo- cratico,
l’interpetre della MHerrenmoral riconosce, invero, degli esseri simili a sè, ma
solo tra i pari. È il ricorso puro della graduazione gerarchica dei tipi umani
nel mondo feudale. Ma, è evidente che l’esclusivismo della giustizia interna e
l’ esercizio dell’ingiustizia esteriore non è già simbolo di un progresso
dell’individuazione umana e della vo- lontà di vivere, bensì è documento e
testimonianza di difetto di vita, di debolezza e d’impotenza. L’esclusivismo è
stato sempre l’ arma ingenua di difesa dei gruppi deboli e scarsi di vitalità
inte- riore ed ‘autonoma. Ed il grado più alto dell’in- dividuazione è segnato
non già dall’esclusivismo, ma dal rispetto dell’ umanità universale, ma dal
sano cosmopolitismo. La lotta tenace contro il Baofagos, la formola « adversus
hostem aeterna auc- toritas esto », sono il simbolo di una vita defi- ciente,
che, inetta a sorreggersi nella penetrazione e nello scambio della
reciprocanza, invoca, con astuzia interessata, l’ausilio superstite dell’
impo- P.09 152 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE tenza, l’ausilio dell’isolamento. Quando, invece, il monito
« vae homini sli » è il dettato d’ una sa- pienza superiore, che conobbe il
segreto della vita; e perchè lo conobbe, lo possedette; e perchè lo possedette,
superò le angustie dell’esclusivismo antico e insegnò all’ individuo la vera
altezza a cui deve poggiare, come ideale di perfezione, l’in- dividuazione
umana. La formola del Nietzsche si traduce in una recisa smentita alla
storia dell’incivilimento. L’e- sclusivismo della giustizia interna è il
fenomeno dei popoli primitivi, dei Naturvolker, non dei po- poli progrediti a
maturità di vivere civile. È legge dello incivilimento appunto questa: 1’
estensione e l’irradiazione dalla giustizia interna alla giustizia esterna, la
conquista ed il rispetto dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani, senza
distinzione di tempo e diluogo, di ambito topogratico e di razza, di
professione e di gruppi. L'uomo che non sa ravvisare per esseri si- mili
a sè, che quelli i quali convivono con lui in uno stretto ambito topografico o
gentilizio, è un uomo, sarel per dire, sub-umano. Sotto le par- venze della
forza e della violenza, egli esprime, nella intonazione più acuta, la debolezza
e l’ im- potenza. La sua mente non si è emancipata an- cora dalla
rappresentazione dei particolari e non ha concepito l’ universale. Il che vuol
dire, che egli versa nel grado inferiore della percezione sensitiva. Inetto a
concepire ed a rappresentare vincoli ideali e spirituali, un solo vincolo egli
ri- conosce : il vincolo esteriore, materiale, appari- E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 153 scente della topografia o della razza o
della ca- sta! Di qui segue che il suo potere d’ individua- zione è meschino.
Egli è sì debole al di dentro che nulla 0 poco può espandere o restituire al di
fuori. Egli non può accettare lo scambio e la re- ciprocanza degli utili con
gli altri gruppi, perchè un atomo di vita esteriore, che penetri nell’ in-
terno del suo gruppo, lo perturba. E però, egli non può accettare lo stato di
pace. La pace, in vero, è figlia della forza e della sicurezza; ed egli questa
forza e questa sicurezza non l’ha. Si ap- piglia, invece, allo stato di guerra,
che, nelle ap- parenze, è forza, ma nella realtà è debolezza e paura, perchè
segue dal difetto assoluto del po- tere vitale dell’adattazione. Egli sfrutta
il membro dell’altro gruppo, perchè non ha nulla da dargli in ricambio. Egli,
cioè, non ha nulla di suo da poter dar luogo alla reciprocanza degli utili ed
al fenomeno della giustizia commutativa. È l’uomo di rapina, che ruba e non
compra, perchè è’ mi- | serabile. Non dite, dunque, che egli rappresenta il
grado più alto dell’ individuazione, del Wie zum Leben, del Wille zur Maeht.
Rappresenta, in- vece, il grado più basso e più sterile. Egli deve limitare il
circolo degli uguali, perchè non ha fecondità interna nè potere d’
irradiazione; cioè a dire, perchè è manchevole di vita. Il grado più alto dell’
individuazione è dato dal sentimento universale dell'umanità. È l’abundantia
cordis che trae il discepolo di Cristo a rappresentare tutti gli esseri segnati
dello stampo umano nella forma Ù n 1
I 154 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE
dell’uguaglianza. Egli è sì forte e sì indiviso in Sè stesso, che ama
comunicare e dividersi con gli altri. Egli ba tanto rispetto e’ tanta
estimazione di quello che nel suo essere è vitale e duraturo ed ha valore
oggettivo, che non può non rispettarlo ed estimarlo anche quando lo vede
esemplato ne- gli altri esseri. Egli sente la 'isua vita sublimata nel concerto
della vita dei suoi simili. Sublime egoista, egli negli altri onora e rispetta
sè stesso. Meglio ancora: in sè e negli altri onora e rispetta la comune
natura, la comune potenza dell’infinito, la comune aspettazione della
redenzione morale e della beatitudine! Il progresso, oppone il Nietzsche,
è qualifica- . zione crescente: ed ogni processo di
qualificazione è discriminante e differenziante. Ma io nego che Na
signoria e l’asservimento degl’ inferiori sia e- spressione di una qualsiasi
qualificazione etica, e trovo che il dominatore non si distingue in effetti
dalla plebe dominata e ne partecipa e ne risente, per la nemesi del rapporto e
l’ espiazione della complicità e del contatto, la contaminazione e la servitù
ingiustamente subita. Qualificazione è ascensione, e non discesa: è
redenzione degl’inferiori compiuta dall’ alto, ed è elevazione dell’ anima nel
mondo dello spirito puro. Il genio della vita, aggiunge il Nietzsche, è
genio della forza e della lotta. Senz’alcun dubbio, dico io, il grado più alto
della individuazione è segnata, appunto, dalla tensione più acuta della volontà
del dominio e della lotta. Ma nego reci- E DEL MATERIALISMO
GIURIDICO 155 samente che la forma più alta della volontà del
dominio sia quella della forza brutale e dello sfrut- tamento. È la lotta
contro di sè e delle proprie passioni, è il sacrificio e la negazione di quello
che nel proprio essere è caduco e manchevole, è l’interna erosione e l’interno
sfruttamento dei bassi appetiti che si annidano nel fondo dell’ani- mo nostro,
(sfruttamento sublime operato dalla ragione), che segna il grado più eminente
del ge- nio della combattività e della vita. Il capolavoro dell’individuo, la
sua sublimazione sta appunto in questo : nel negare in sè quello che è
puramente individuale ed eudemonologico, e quindi scarso di valore oggettivo,
per riaffermare in sè quello che è universale e vitale. La perfezione
dell’individuo sta nel sacrificio, spontaneamente deliberato e vo- luto, di sè
ad un ideale di vita superiore. In quel- l’atto della sua libertà, ond’egli si
estolle ad una no- vella vita, vibra il potere più alto dell’individuazio- ne,
della personalità autonoma, della fecondità del- l’io. È il vero Uebermensch,
che si emancipa dai bisogni inferiori della vita, che si libera dagl’ in- ganni
della rappresentazione fenomenica , che si sprigiona dalle seduzioni e dalle
suggestioni pe- rigliose dei poteri eudemonologici, che accoglie in sè il
segreto della vita vera. Il vero genio della lotta si esplica nel dominio di
sè, come il vero genio della vita si esplica nell’accettare spon- taneamente la
legge del sacrificio, nel morire a sè stesso per rinascere in una vita novella.
Il mar- tire del cristianesimo, vero Uebermensch della storia, segna
l’espressione più luminosa del genio 196 LE NUOVE FORME DELLO
SCETTICISMO MORALE della vita e della lotta. Egli non era lo
schiavo impotente che gemeva sotto la sferza dei perse- cutori : era
l’individuo che nella padronanza di sè conquistava la padronanza di un mondo.
Egli sfi- dava impavido la morte, perchè sentiva in sè il fremito di una vita
superiore. Egli anticipava la beatitudine futura; egli gemeva nell’aspettazione
della redenzione dagl’ inganni della vita terrena. Cioè a dire, la sua anima era
così grande, e la sua volontà così forte, ch’essa si sentiva a disagio nelle
angustie del mondo finito, e preoccupava un altro mondo e sentiva l’ arcana
preparazione dell’infinito. La sua individuazione poggiava sì alto, che
l’ambito fenomenico era inetto a con- tenerla: essa s’irradiava in una sfera
supe- riore. La sua visuale non era la visuale del finito e del fenomenico, ma
quella dell’infinito e dell’es- sere. In questo mondo essa era
peregrina: nes- suna voce che facesse eco alla sua, se non per
effondere insieme il muto dolore della manche- volezza delle cose e l’acuta
indigenza dell’ideale. Ma una voce superna la chiamava ad dere più spirabile, e
solo in quell’invito divino essa intrav- vedeva il segreto di una vita che appagava
le aspirazioni più intime e profonde della sua na- tura; solo da quell’invito
essa sentiva soddisratta la pienezza rigogliosa della sua fecondità inte-
riore. Si può, per triste follia, chiamare schiavo quell’uomo, ma non si
può impedire che la na- tura riconosca in lui il grado più alto
della indi- viduazione, e l’espressione più luminosa del
genio 2 RC 2 =— rr -_————r-—r—_——P_ ' k_2_r
nRn—————_T——————t—té—ittQ LL. — _. _. ______———————— eÈ um
È DEL MATERIALISMO GIURIDICO 157 della vita. La vita è la
disintegrazione apparente, che prepara l’integrazione reale , il
sacrifizio che | è arra d’una preziosa acquisizione; la carità, che
educa all’ effusione ed all’ amore, perchè nella effusione è espressa la
condizione stessa della vita e della combustione vitale. L’individuo
umano è mortale, ma esso tende . all’immortale, e vi approda con la
generazione. La sola immortalità che sia consentita alle po- tenze
mortali è l’ immortalità ritmica e ricorrente della riproduzione.
L’individuo muore, ma rivive. 9 negli altri. Questo pensiero
sublime di Platone (1) è vero nell’ordine fisiologico e nell’ordine psico-
logico : vero, soprattutto, in quella che il Nietzsche chiama morfologia del
volere e del dominio. La simpatia, l’amore degli altri, la carità fa rivivere
l'individuo negli esseri che egli ama e soccorre e nell’irraggiamento benefico
della sua operosità ge- nerosa, dispensatrice di bene, di calore e di luce. La
carità è la procreazione del bene, che assicura alla stessa individualità
fenomenica quella immor- talità relativa che è solo consentita alla caducità
dell’individuazione. Cioè a dire, la carità è germe di vita che germoglia,
fruttifica, rivive. * * * La morfologia della vita
smentisce, adunque, la formula del Nietzsche. Collocandoci allo stesso punto di
veduta di lui, noi siamo in grado di (1) Convito, XXV-XXVI.
158 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE scernere il
vuoto, il falso, l’ arbitrario della sua tesi; siamo in grado di superarla. La
concordanza della morale con le leggi universali della vita è il più gran
trionfo della morale stessa. Vuol dire ch’ essa non è determinazione voluta a
disegno, nè artificio v convenzione della debolezza, e nem- meno escogitazione
pura e semplice da ideologi, manchevole di valore oggettivo; ma è legge della
natura e dell’ordine cosmico, ed è, direi quasi, il fremito vitale delle cose.
Chi, dunque, la nega, non è d’accordo con la dinamica della vita, ma le
contrasta; nè procede all’unisono con la natura, ma con l’arbitrio soggettivo
che è negazione della natura. Ciò vuol dire che la morfologia della vo- lontà
di vivere e della volontà del dominio non è l’apologia dello sfruttaniento.
Vuol dire che la differenziazione e la eterogeneità delle unità in- dividuali
della specie umana , la irrefrenata irru- zione dell’egoismo e del potere di
assimilazione e di appropriazione, segna la parvenza e come la maschera della
vita, e non la realtà. Vuol dire, insomma, che il materialismo che restringe e
con- velle la vita dei gruppi umani nei limiti di un rapporto meccanico di
forze, ed insegna che fon- damento oggettivo della vita e della differenzia-
zione sociale è l’esercizio del potere di signoria e di sfruttamento dell’ uomo
sull’ uomo, assume le deviazioni ed i pervertimenti di fatto a legge e ideale
normale dell’umana convivenza. L’analisi profonda degli aspetti meno esplo-
rati della vita e della volontà di vivere segna la critica più efficace di
tutte le teorie e di tutti i » a x .. ve, “ i a ripa - ee
————_——————_——r- —_——_ ———————=—2211x1{#p14À__——@——@ ——rr———r—_-- —ìy _—
—_rr—_+_—__T-«vxvxv> ———————_-———— "" E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 159 sistemi, che traducono in rapporti
materiali di forze fisiche antagonistiche i rapporti morali della vita comune.
Oggidì queste teorie e questi sistemi hanno toccato l’ apogeo della
formolazione teore- tica in una dottrina unitaria ed universale della storia
umana: nella concezione materialistica della storia. Ben più che il
concepimento ideologico del Nietzsche, di un pensatore individuale, è que- sta
filosofia storica del comunismo critico che rap- presenta ai tempi nostri la
forma scientificamente più salda e praticamente più operosa e vitale della
morfologia della volontà del dominio, del Wille zur Macht. Ragione più che
legittima que- sta, perchè la critica le ritorca contro i sani inse- gnamenti
derivati dall’analisi della natura e degli elementi e delle forme della vita
universale. La concezione materialistica non si muove ve-
ramente, e nel senso rigoroso delle parole, jenseits / von
Gut und Bise. Essa è una dottrina ed una< spiegazione genetica
della storia, e non una teoria normativa dei rapporti della morale. Essa
prescinde del tutto da ogni forma di criterio o di giudizio di valutazione,
come i suoi più accorti interpetri esplicitamente professano. Essa è una
critica ed una skepsîs, che dichiara di aver superato l’an- golo visuale di
tutte le ideologie morali e giuri- diche. Ma, non ostante ciò, anzi in grazia
di ciò, essa è una critica dei rapporti positivi, storici, di fatto, della morale
e della giustizia; la qual critica non impegna punto, necessariamente, l’
estremo scetticismo, che nega il valore delle leggi della . morale e della
giustizia oggettiva ed assoluta. L 160 LE NUOVE FORME
DELLO SCETTICISMO MORALE Nel fatto, la concezione materialistica si
tra- duce in una negazione di quel valore; ma ciò accade meno per effetto
logico del suo punto di prespettiva o di veduta morale e giuridico,
‘che per effetto del presupposto universale della concezione
stessa. Quel valore si nega o si mu- tila, perchè lo s’interpetra come un
derivato, una proiezione ideologica, una superstruttura, una obbiettivazione
dogmatica delle stesse espe- rienze dei rapporti positivi, storici e di fatto,
del- la morale e del diritto. Lo si nega, perchè la teoria insegna che tutte le
forme della coscienza, e quindi anche le forme della coscienza morale e
giuridica , sono una derivazione dei rapporti ma- teriali ed esteriori
dell’essere. Ma non lo si nega per un giudizio etico-normativo che sia
istituito o si istituisca sovra di esso; il qual giudizio sa- ”'
rebbe. anzi, in contraddizione con l’assunto stesso b) ;) b)
oggettivistico e realistico, della concezione materia- listica della
storia. Indirettamente, in via di sot- tinteso ed incoscientemente, anzi, lo si
riafferma tutte le volte che si leva un grido di protesta
contro le forme storiche di signoria e di sfrutta- mento dell’uomo
sull’uomo, e si denuncia il di- ritto storico come auspice dell’ingiustizia, e
si af- ferma la superiorità morale della futura società comunistica, nella
quale si presume che i rapporti della forza, che nascono dalla differenziazione
eco- nomica, vengano elisi. Tuttavia, pur riconosciuta questa differenza
essenziale tra il materialismo storico e lo scetti- cismo morale radicale ed
assoluto, resta tra l’uno E DEL MATERIALISMO GIURIDICO
161 e l’altro un fondamento comune. Il materialismo storico, 0, per
dir meglio, la forma ond’esso rende la ragion sufficiente della storia, della
morale e della giustizia, è, pur sempre, un fenomeno parti- colare della
morfologia della forza e del dominio. I rapporti regolativi del diritto e della
morale, secondo il materialismo storico, nascono, invero, dal differenziarsi
dell’orda comunistica primitiva (1) in una classe che domina e sfrutta, ed in
una che è asservita e sfruttata; nascono dal dissolversi dell’ uguaglianza
primitiva nelle asperità, nelle ineguaglianze, nelle antitesi di classe,
consecutive alla divisione ed alla differenziazione degli uffici economici;
nascono dal venir su dei rapporti di signoria dell’uomo sull’ uomo, e si
traducono in (1) Morgan, Die Urgesellschaft (trad. ted.
dall’ingl.), Stuttgart, 1891; EneeLs, Der Ursprung der Familie, des
Privateigenthums u. d. Staats (6° ed., Stuttgart, 1894); Idem, Ueder den historischen
Mate- rialismus (Die neue Zeit, anno XI, vol. I); Marx-ExaeLs, Das kom-
munistische Manifest; Marx, Zur Kritik der politischen Oekonomie; Idem, Das
Kapittal; LaBrIoLA, In memoria del manifesto dei comu- nîsti; Idem, Il
materialismo storico. Anche per il Gumplowics il diritto e lo Stato (non
la morale, nè il costume) nascono dalla differenziazione sociale della banda
comunistica primitiva, e quindi dalla signoria dei forti sui deboli e
dall’attrito e dall’urto e dall’erosione dei gruppi sociali etero- genei.
(Grundriss der Sociologie, IV, $ 6-8; Idem, Der Rassenkampf, passim). Una
critica esauriente, minuta e ptofonda, della concezione materialistica della
storia—non scevra però di formalismo giuri- dico neokantiano — ha pubblicato di
recente il prof. R. Stammler, Wirtschaft und Recht nach der materialistischen
Geschichtsauffassung (Leipzig. 1896, S. VIII-668). I. Petrone. —
Problemi del mondo murale. 1 162 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO
MORALE un ordinamento forzato di un dato dominio di classe o di una
data accomodazione di classi. Anche per il materialismo storico, dunque, la
vita e la differenziazione vitale coincide col genia . della lotta, dell’
assimilazione, del parassitismo, dello sfruttamento. Il transito dall’amorfismo
del- l’orda comunistica primitiva alla morfologia so- ciale, giuridica e
politica delle società umane svi- luppatesi nella storia, non ha, per il
materialismo storico, altra spiegazione teoretica o altra ragione sufficiente
che la differenziazione economica e la serie delle ineguaglianze e degli
attriti e delle antitesi che ne conseguono. La morfologia, in- somma, coincide,
anche per il materialismo sto- rico, con l’accrescimento dell’individuazione,
con la superiorità e la conseguente signoria di alcuni individui, di alcuni gruppi,
sulla moltitudine dei consociati. Certo tra la morfologia del Wille zur Macht
di F. Nietzsche e la teoria del materialismo sto- rico vi ha differenze
radicali, Quella poggia sopra ‘ una base mitologica e trascendente: l’
oggettiva- zione ideologica della volontà nella natura; questa ) sopra una base
storica, oggettiva e realistica. | Quella è una teoria essenzialmente
psicologica; e ‘ la individuazione ed il genio del dominio si fonda, per essa,
nelle ineguaglianze e nelle asperità fisiche e psicologiche. Questa colloca a
centro di gravità della storia la struttura economiea sottostante, e la
psicologia inverte a derivato dell’ economia, e la morfologia sociale deriva
dalla differenzia- zione economica, e questa, in ultima istanza, dalla
E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 163 creazione di un ambiente
artificiale per via de- gl’istrumenti della tecnica produttiva. Non è il
mitologico volere della forza, ma il fatto esterno e materiale della
tecnologia, che questa assume a causa efficiente della differenziazione e della
mor- fologia sociale. Finalmente l'attitudine che serba l’una e l’altra al
cospetto della signoria dell’uomo sull'uomo e dello sfruttamento è radicalmente
di- versa. L’una applaude ed esalta, con lirismo dio- visiaco ; l’ altra nota i
fatti. L’una reputa la si- gnoria e lo struttamento condizione elementare ed
essenziale di vita per tutti i tempi e per l’ avve- nire, non meno che per il
passato; 1)’ altra preoc- cupa un futuro periodo dell’ umanità, in cui la vita
sarà, anzi, accresciuta e resa godimento di tutti dall’elisione dei rapporti di
signoria, delle ineguaglianze e dello sfruttamento. Tuttavia, ripeto,
queste differenze non tolgono che il materialismo storico, come spiegazione
teo- retica della storia ricordata, sì traduca in un caso od in un modo della
mortologia della forza. Si origini dalla eterogeneità degli uffici di produ-
zione economica, ovvero dalle ineguaglianze e dalle asperità psicologiche
native, è sempre la forza brutale che domina e che segna il suo stampo sui rapporti
regolativi della morale e del diritto. Del pari, si preoccupi pure una
disparizione av- venire dei rapporti della forza : la storia ricordata, la
storia del passato rimarrà sempre un fenomeno della dinamica universale del
dominio e dello sfruttamento. Questa, la significazione scientifica e teoretica
della concezione materialistica della 164 LE NUOVE FORME DELLO
SCETTICISMO MORALE storia; e di qui la opportunità di riannodarne
l’e- same ad una critica universale di tutte le teorie che traducono la genesi e
l’evoluzione della vita nella genesi e nell’evoluzione dei rapporti della
forza, e lo scambio della convivenza sociale in un’applicazione di un sistema
di forze ad un in- sieme di resistenze. Comipciamo dal dire che la tesi
generale della coincidenza della morfologia giuridica con la «dif-
ferenziazione economica e con la nascita degli at- triti, delle asperità, e
delle ineguaglianze di classe, è, in buona parte, fondata. Si può e si deve du-
bitare, dopo le indagini del Dargun, (1) della prio- rità universale dalla
proprietà collettiva alla pro- prietà individuale. Si può e si deve dubitare,
ad un tempo, della universale esistenza, agli inizi ed alle fasi preistoriche
dell’ umanità, della pretesa orda comunistica primitiva. L’archeologia storico-
- giuridica, che ravvisa come forma primitiva e prei- storica dell’umana
convivenza il gruppo e la co- munanza di famiglia, non è stata scossa nè trion-
falmente debellata dalla sociologia che conghiet- tura le forme sub-umane del
comunismo primitivo. Tuttavia non sono alieno, ripeto, dal riconoscere” la
parziale verità della tesi del materialismo sto- rico; perchè, anche punendo
agli inizi dell’ evolu- zione sociale la comunanza famigliare, la morfo- logia
sociale e giuridica coiucide sempre col risol- versi e col differenziarsi della
omogeneità del (1) Ursprung und Entwickelungsgeschichte des
Eigenthums, nella Zeitschrift fur vergleichende Rechtswissenschaft, 5° B.,
1884. E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 165 gruppo
primitivo, di qualunque indole questo gruppo si sia, coincide sempre col
processo della divisione del lavoro e della ripartizione ineguale dei poteri
eudemonologici. Il fenomeno del diritto. stretto o della giustizia, che
chiamerò differenziale, non nasce, ed è incencepibile che nasca, in una convivenza
di esseri perfettamente uguali, in un’ag- gregazione amorfa, disarticolata,
omogenea, indi- divisa. Una convivenza consimile, in via d’ipotesi, è
un’associazione meramente ideologica, ossia un aggregato mentale di poteri
teoretici non peranco concretati nel processo dell’individuazione. In via di
fatto storico, poi, una convivenza consimile è espressione pura e semplice di
una unione di es- seri giustaposti tra di loro, e governata dai rap- porti
normativi ed indistinti del costume o di. quella gerarchia naturale, che si
associa alla parentela di sangue, non già da quell’ articolazione com- plessa
di rapporti normativi di appropriazione, di subordinazione e di esclusione, che
esprimono, rigorosamente parlando, il fenomeno differenziale Jel diritto stretto.
Il diritto stretto esige, come condizione indeclinabile, la risoluzione dell’
omo- geneo e dell’indistinto primitivo nel processo del- l’individuazione
storica, esige l’erosione dell’ugua- glianza o della parità primitiva nelle
ineguaglianze e nelle antitesi che nascono dall’ineguale riparti- zione dei
poteri individuali, poteri di appropria- zione, di assimilazione e di dominio.
E la ragione; di ciò si è che il diritto stretto si traduce nel go- \ dimento e
nell’esercizio dei poteri eudemonologici, È ì quali sono da natura inegualmente
ripartiti, e,: ce RI JIUZRIAIV dim ne nie Pvg inn e e
er A ii da iaia STO w Fal 166 LE NUOVE
FORME DELLO SCETTICISMO MORALE per indole loro, sono essenzialmente
individuali, e non già comunicativi. Condizione fondamentale del diritto
stretto è il possedimento esclusivo d’una data cosa o d’ una data facoltà; sua
stessa sostanza è la esclusione degli altri da quell’ am- bito in cui si
escrcita la padronanza, e come la sovranità primitiva del soggetto. Alla
visuale della giustizia differenziale torna assolutamente incon- cepibile che
nel medesimo tempo e sulla medesima cosa si eserciti un medesimo potere
intensivo di assimilazione e di godimento da due soggetti di- versi, senza che
le due apprensioni simultanee ed aventi oggetto esattameute uguale si elidano
& vicenda. La logica rigida e angolosa dei poteri eudemonologici e del
diritto stretto si traduce nella logica irrefragabile del principio di
contradi- zione, e può formolarsi nel modo seguente : è as- . surdo che nello
stesso tempo e sullo stesso og- getto il mio coincida col tuo, perchè è assurdo
‘ che una cosa sia nel medesimo tempo un’altra cosa. Il quesito delle
condizioni a priori della giu- stizia differenziale, ridotto in questa
formolazione teoretica, semplifica di molto il problema, e ci educa a ravvisare
il solo aspetto che sia vero nella embriogenesi giuridica del materialismo
storico. Non solo storicamente la nascita del diritto stretto coincide col
risolversi e col differenziarsi dell’ u- nità omogenea primitiva nelle
ineguaglianze che sì associano al processo della individuazione, ma logicamente
è inconcepibile che accadesse diver- samente. La forza dimostrativa dell’
esperienza è ai e e nn ro nm me ST — ; ; N_" fata
* È DEL MATERIALISMO GIURIDICO 167 ravvalorata
da quella della deduzione. L’ipotesi dell’uguaglianza universale dei poteri
ideologici e teoretici dell’ umana natura, dissociata dalla con- siderazione
delle circostanze individuanti, ossia dei poteri positivi e di fatto d’individuazione
e di ac- : quisizione, è inetta a rendere la ragion sufficiente del fenomeno
giuridico. E fu gravé errore, il non averlo compreso, per gl’ideologi
del/diritto nat:1- rale del razionalismo astratto e déll’ Aufklirung; i quali,
movendo dalla tesi del’ uguaglianza uni- versale degli esseri umani g'
procedendo da una elisione rigorosa del processo multiforme e variato della
individuazione storiea e delle ineguaglianze concrete e di fatto, rimasero,
direi quasi, di qua dal fenomeno giuridico, perchè si preclusero l’a- dito a
contenerlo nell’ambito della loro teoria. Realisti abusati, essi trasterirono
1! universalità ideologica della natura umana nella concretezza. dell’
esperienza, e dimenticarono che 1’ universale ha bensì sussistenza ed
oggettività (ed è quindi erroneo il nominalismo che lo nega), ma tale sus- .
sistenza ed oggettività esso l’ha negli stessi indi- vidui. L’umiversale esiste
oggettivamente, ma in- dividuato e differenziato di già ; esiste, cioè, ma
associato e compenetrato cou i poteri ed i valori differenziali individuali. L’
uomo è partecipe del- l'umanità, ma è sempre un individuo; e la sna concretezza
sta appunto nel principium individua- tionss. - L’uguaglianza universale
dell’umana natura, considerata iu sè stessa e rigorosamente isolata
bi dal processo della individuazione, è sinonimo di
168 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE astratta
indifferenza logica, che esclude la nota stessa della realità e della
concretezza, la diffe- renziazione. Ponete, in ipotesi, una moltitudine ;. di
esseri esattamente uguali tra loro, e tra essi ‘\ voi non avrete mai il
fenomeno giuridico, perchè ‘ non avrete mai la traccia di un rapporto, ed il
diritto è «ssenzialmente posizione di ‘ relazioni o regola dei rapporti.
Nessuno di quegli esseri può far sua una cosa con esclusione simultanea di
tutti gli altri, perchè tutti, in ipotesi, hanno u- guale prerogativa ed uguale
aspettazione sulla cosa stessa. Non v’è tra essi, insomma, nessun a \ rapporto
di poziorità. Trasferite nell’ ordine dei tatti una moltitudine di esseri di
questo genere, e cercate di rendervi ragione, come per avventura possa nascere
tra essì il fenomeno giuridico, ossia il fenomeno della poziorità di taluni di
fronte agli altri. E voi vi persuaderete, che, per avere il fenomeno giuridico,
è uopo oltrepassare la tesi dell’uguaglianza e far capo ad un elemento novo e
perturbatore, l’ ineguaglianza concreta. Il di- rittu stretto nasce dalla
poziorità di fatto di al- cuni uomini di fronte ad alcuni altri; il diritto
nasce, insomma, dal fatto della superiorità, ossia dal fatto della ineguale
ripartizione della potenza fisica o fisiopsicologica di acquisizione e di assi-
milazione, dalla ineguale ripartizione della forza. La natura, ossia la potenza
ideologica dell’u- niversale e del comune, non è sollecita degl’indi- vidui;
essa non predetermina a quale di essi spetti una data prerogativa di fronte
agli altri. Sua mira è l’umanità e la specie. Nello stato di na- E
DEL MATERIALISMO GIURIDICO 169 tura (inteso in quest’alta accezione
ideologica, e non nel senso storico-mitologico dei vecchi Na- turrechtslehrer),
non esiste il diritto individuale, ossia il diritto stretto, perchè esiste la
piena in- differenza degl’individui ; dico esiste, ed intendo sempre in
ipotesi, come si conviene ad una tesi essenzialmente ideologica, qual è lo
stato di na- tura. Nessuno ha diritto su una data cosa, perchè )) tutti l'hanno
simultaneamente ed egualmente sulla ; ‘ cosa stessa: uguali, meno percLè
posseggono e- gualmente tutti, che perchè non possiede disu- gualmente veruno:
uguali nella negazione. Oc- corre che l’indifferenza ipotetica dello stato di
natura venga differenziata, perchè nasca il feno- meno giuridico; occorre che,
accanto ai poteri ideologici e teoretici ipoteticamente uguali, su- bentri un
elemento perturbatore, un potere con- creto e di fatto, che è oggetto di
pertinenza di- suguale; occorre la differenziazione, la disugua- ( glianza,
l’esercizio della forza. Il diritto, dunque, ra presuppone come a priori
ideologico 'agtagionee | di natura, l uguaglianza formale, ma domanda, ‘come
condizione determinante, l’ineguaglianza ma) teriale; esso si alimenta delle
asperità, delle diffe- renze e degli attriti; esso nasce, in una parola, f dal
fatto dell’ acquisizione e dall’ esercizio del] I forza. Questo è
l’aspetto di verità riconoscibile nella tesi del materialismo storico; ma
questo è il solo. Perchè nego recisamente che il genio della vita, » della
individuazione e della forza, che anima ed i avviva il diritto stretto o
la giustizia differenziale, e e n n me n e n Inii eita
ge e ognea rn 7 170 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE |
sia simbolo di sfruttamento. Il diritto introduttivo del mio e del tuo
non lede verun diritto poziore boa lo preceda; il diritto di tutti è una
pertinenza ideologica, e non una pertinenza oggettiva, un {potere teoretico,
come direbbe il Romagnosi, e non ‘nn potere pratico e finale. Appunto perchè 1’
u- guaglianza astratta è uguaglianza da indifferen- | x i za, appunto per
questo è indifferente che la I i \poziorità tocchi all’uno più che all’altro. E
tutti , gli altri non han ragione di levare protesta di : ifronte a me, appunto
perchè io, in ipotesi, ho ‘ ‘ugual diritto di tutti gli altri. Ohè, se lo non
ho | il diritto della prima acquisizione, non )’ hanno ‘neppure essi; e però
essi non hanno veste razio- Ù ‘nale e giuridica per sottrarre a me quello che
io ‘ho preso in soprappiù. Di fronte al diritto siamo “pari; di fronte al fatto
siamo dispari, e la dispa- - rità è precisamente in mio favore, e 2 pesare la
bilancia dal lato mio. A parità di tutto il resto, è perfettamente naturale che
prevalgano i poteri differenziali ed individuali, cioè a dire che pre- valga la
superiorità di natura e la forza. Il di- ( ritto segue da natura, ma dalla
natura concreta, ! dalla natura differenziata ed individuata. È que- | sto un
assioma della stessa giustizia differenziale (e e distributiva, la quale misura
le case ed i valori f non xat' aùtò tò agayua, ma mods Muas. (1) Che se
mettiamo da parte l’ipotesi ideologica dello stato di natura ed il procedere
razionalistico e geometrico che ne consegue, e guardiamo le (1)
Ethica Nicomachea, lib. II, cap. V. E DEL MATERIALISMO
GIURIDICO 171 cose nella loro concretezza primitiva, vieppiù ci
convinceremo che il fenomeno giuridico non è simbolo di sfruttamento, anzi tra
il diritto ed; ogni forma di sfruttamento e di parassitismo vi è un’ antitesi
radicale ed irriducibile. -Il diritto ci appare, invero, una consolidazione
della forza, solo’ perchè noi abbiamo anticipato d’avanzo uno stato! di diritto
ideologico ed astratto, che è la stessa: negazione fittizia della vita e della
forza. Il di- ritto ci appare una differenziazione posteriore e sopravveniente
degli egoismi, solo perchè abbia- mo presupposto uno stato anteriore di
assoluta indifferenza degli egoismi stessi. Noi traduciamo, ) per difetto di
discernimento critico, i contrapposti / ideologici in antitesi reali; e siamo
tratti ad im-; maginarci come due periodi di tempo, in uno dei quali vi sia
puramente e semplicemente il diritto, e nell’altro subentri puramente e
semplicemente la forza. Dovechè, iu realtà, due periodi non vi sono, come non
vi sono due nature a sè éd iso- late l’una dall’altra: una natura ideologica e
co-} mune a tutti, e una natura esclusivamente indì- viduale e differenziale.
La natura uguale e comune si effettua nel processo stesso della individuazio-
ne : l’universale, ripeto, è nella comunc natura! | individuata. Il diritto,
quindi, non è la forza, per-; chè quello stesso che voi assumete per torza non
'' è che l’espressione laterale del diritto. | L’ analisi dell’ evoluzione
giuridica conferma tale assunto. Essa ci dimostra che anche nell’am- bito del
diritto il processo della vita e dell’ indi- viduazione e della forza è ben
lungi dal coinci- - Lararni 17% LE NUOVE
FORME DELLO SCETTICISMO MORALE dere col processo dello sfruttamento
e del paras- sitismo. Il diritto stretto è in sforzo continuo verso un
contenuto di socialità che provvede ad epurarlo, e che è come il correttivo
naturale ed un coefficiente di elisione di quella iniquità apparente che
presiede alle sue origini. La subordinazione del diritto individuale al diritto
sociale, la sosti- tuzione della giustizia alla legalità, l’evoluzione del
diritto verso l’equità, la sicurtà vieppiù ga- rantita, col processo della
storia, ai diritti dei terzi, ne sono una prova. L’ evoluzione giuridica segna
l’attenuazione progressiva della signoria dell’ uomo sull’ uomo, segna la
elisione graduale della incidenza personale delle pretensioni e delle azioni
creditorie. Il transito dal contenuto bru- talmente personale al contenuto
patrimoniale ed economico delle obbligazic ni è un semplice feno- meno di tale
elisione. La stessa legge dello scambio e della riper- cussione sociale
contiene il germe latente di una elisione progressiva dell’angolosità e
dell’asperità della logica del diritto stretto. Nei rimbalzi e nelle revulsioni
create dalla convivenza giuridica e nel contrappeso reciproco che i diritti
indivi- duali si fanno e ricambiano, si nasconde un pro- cesso di compensazione
continua, una sorta di proporzionalità e di mutualità delle perturbazioni e
degli attriti determinati dall’esercizio del diritto individuale. La stessa
logica e la tecnica del di- ritto è il correttivo interno, che erode le tracce
originarie ed ipotetiche d’ingiustizia che sembrano sfigurarlo. Col progresso
della divisiore del lavoro iui siena O rr TELI, ehi salati GI i
aliniezzii rene all as atlittsi SR SS ce ssi o EI ca
inadientsteaiioneni se e n I 12- e A gi e aprite IIC A sona dra ile
E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 173 che consolida le funzioni e
gli organi, il diritto diventa una formolazione neutrale ed autonoma, una
logica razionalistica. Esso si traduce in una formola media, in una norma
tipica, che è come la specie ideale e formale dei fenomeni particolari e dei
rapporti fenomenici di fatto. Come materjy, perdura ad essere individuale e
differenziale; ma come forma, il diritto sì approssima all’universale.
Esso mira alle specie e non più agl’individui; alla persona, ossia all’aspetto
giuridico degl’ individui, non a questo o quell’ individuo particolare fisica-
mente considerato; al rapporto tipico , ideologico, medio, non ai rapporti
singoli ed alle varietà in- dividuali. Esso è affaticato da una contraddizione
interna, che è come una espiazione continua, una espiazione sublime, del
peccato delle origini. Na*to per soddisfare i poteri eudemonologici, esso si
ritorce ben tosto contro i poteri stessi, e nella bieca ed olimpica serenità
della sua formola ra- zionalistica ed astratta convelle c mortifica la va-
rietà rigogliosa degli edonismi individuali. Oc- casionato dall’utilità, esso
chiarisce, presto o tardi, la sua natura deontologica e razionale ,
nemica di . # - ogni utilitarismo.
Ma, anche nel suo contenuto iuateriale il di- ritto stretto palesa una sorta di
antinomia interna, che ne esclude ogni traccia di sfruttamento o di
pi.rassitismo. Di conserva con la legge della evo- luzione giuridica tracciata
dal SUMNER MAINE, la legge del transito progressivo dallo stato al con- tratto,
cioè a dire la legge dell’ individuazione, procede un’altra legge, quella della
penetrazione ar e = Hi ( tt nz.
174 LE NUOVE FORME DELLO SCETTICISMO MORALE reciproca dei
diritti individuali tra loro e col di- \ ritto sociale, quella
della interdipendenza solidale ‘e della subordinazione organica. E
la stessa_con- trattualità, espressione della individuazione, ha tal «natura da
escludere dalla sua stessa nozione il \ fenomeno dello
sfruttamento. La contrattualità non è l’appropriazione senza
correspettivo, non è il parassitismo, non è la rapina; ma lo scambio
bilaterale, la commutazione, la mutualità dei va- lori. E nell’ordine storico
la lex, di cui l’archeolo- gia giuridica ha conghietturata l’ origine contrat-
tuale, è un accordo, un compromesso, una pro- porzionalità, una mutualità degli
utili. La con- trattualità è il simbolo stesso del ritmo della vita del
diritto; il ritmo dell’assimilazione e della ripro- duzione, della nutrizione e
della combustione de- gli elementi vitali, della individuazione e della genesi
e della fecondità, dell’ egoismo e dell’ al- truismo, Rimarrà, sempre,
voi mi direte, nel fondo del diritto stretto il carattere della forza, e come
la traccia d’uno sfruttamento primitivo, rimarrà il peccato originale
dell’esclusivismo della prima ac- quisizione e della natura individualistica ed
anti- comunicativa dei poteri eudemonologici. Ed avrete, in un certo senso,
r:gione. Ma quella prima acqui- sizione e quel peccato originale sono i
naturali fe- nomeni di manchevolezza dell’ordine fenomenico, il qual ordine
fenomenico, può essere un baleno, una preparazione, un’aspettazione
dell’ideale, ma non può punto esaurire in sè stesso i termini della perfezione.
\E sono fenomeni di manchevolezza, Lia 1 i,
Li: E DEL MATERIALISMO GIURIDICO 175 si badi, rispetto
all’ordine superiore che li oltre-\° passa, non rispetto all’ ordine fenomenico
che il, / contiene. i.a prima acquisizione e l’esercizio esclu- sivo dei poteri
eudemonologici è un atto pertetta- mente conforme alle esigenze della giustizia
dif- ferenziale; e si chiarisce difettivo e manchevole, solo al lume d’una
giustizia superiore e, rigorosa- mente parlando, irriducibile nella forma
coerci- tiva della giustizia differenziale. Perchè, sopra, molto al di sopra
della giustizia differenziale, vi; è la giustizia che io chiamerei
universale; la cui visione non è quella dei fenomeni ma del- l'essere, non del
relativo ma dell’ assoluto, non L del reale ma dell’ideale, non dell’ empirico
e del materiale, ma dell’ ordine puro, razionale e spirituale. Formola della
giustizia universale è questa: Estima le cose e gli esseri per quello che essi
hanno di valore oggettivo e reale, per quel grado finito di partecipazione,
cioè, che essi hanno dell’Essere infinito. E poichè il potere di acquisizione e
di godimento ha men valore che l’amore disinteressato degli esseri, tu limita
quel potere con questo amore; e, se vuoi toccare la perfezione, immola l’uno
all’altro. Non tenere le cose e la proprietà delle cose da più che il bene
dell’uomo; perchè l’ uomo, sebbene essere finito, partecipa del valore dell’
Essere infinito ben più che le cose; e però sacrifica la proprietà delle cose
per estimazione ed amore dell’ uomo, e l’ uomo estima ed ama per estimazione ed
amore dell’Es- sere infinito. Ed in te stesso ama ed estima non i poteri
egoistici, non la cupidità dei godimenti, * Pi L ‘ 1
{pal He = + 09 gn gin c 176 : LE NUOVE FORME DELLO
SCETTICISMO MORALE non la brama di appropriazione dei mezzi
este- riori, che sono il fardello e la pesante zavorra della tua
natura materiale; ma ama ed estima quello solo che in te ha valore
assoluto: la su- bordinazione alla legge del bene e l’aspettazione
spirituale della beatitudine. | Questa giustizia universale non
condanna, , propriamente parlando , l’esercizio della giustizia \
differenziale, perchè altrimenti contraddirebbe a sè stessa, e sarebbe
ingiusta, estimando e misu- rando una cosa con uns unità di misura
superiore ( ed irriducibile alla essenza della cosa. Essa consiglia
ed invita e non obbliga, perchè segna uno stato v£_ \| di perfezione e
non uno stato. imperioso di do- i i vere: precisamente come la giustizia
differenziale Ri # * ‘segna soltanto un
minimum etico, un minimo di sufficienza e di necessità; segna piuttosto
l’elimi- \nazione dell’inginstizia che la pienezza di adem- -pimento
della giustizia positiva, e piuttosto la ‘negazione del male che l’ affermazione
attuosa e piena del bene. Non chiedete alle cose più di quello che esse
possono dare. L’esercizio dei poteri eudemonolo- gici, di lor natura esclusivi
e poco comunicativi, non è in rapporto necessario con i fini superiori della
natura razionale. I poteri eudemonologici - (acquisiti non sono, come i
diritti innati, perti- nenze essenziali e moralmente indefettibili dell’u-
‘mana natura. E però l’ineguale ripartizione di essi non è un argomento
d’ingiustizia. E con essi =. ill’uomo può adempiere il suo fine, e senza di
essi, —'' La loro manchevolezza è argomento della loro E DEL
MATERIALISMO GIURIDICO 177 indifferenza, e la loro indifferenza
esclude dalla ineguale ripartizione, di cui essi sono oggetto, la nota
dell’ingiustizia. Certo, la dottrina che professa esplicitamente la
manchevolezza e l’ indifferenza dei poteri eu- demonologici si traduce
anch’essa in una critica delle forme del diritto storico e della
giustizia differenziale. Quella dottrina mette capo anch’essa
. ad una oxéyis. Ma non è la oxeyis infeconda e sovversiva dello
scetticismo morale; nè è la cri- tica del materialismo storico. È la oxéy:s,
che si esercita sul relativo e sul finito e che intende alla riaffermazione
dell’assoluto e dell’infinito: la 0xéys, che prelude ad un dogmatismo supremo e
che è germe di vita e di forza vera. È la mala conten- tezza ed il muto dolore
dello spirito, che sente inappagate le aspirazioni superiori della sua na- tura
dalla caducità e dalla manchevolezza delle cose e geme nella sacra aspettazione
di una re- denzione superiore, liberatrice. Ma questa oxevis, la quale
oltrepassa i limiti angusti della giustizia differenziale, non procede di là
dai termini del bene e del male, nè sta fenseits von Gut und Bose. Essa supera
il diritto storico e tenomenico , uon il diritto ideale : essa supera le
rappresentazioni umane della giustizia, non la giustizia in sè stessa. Essa,
anzi, è una riaffermazione positiva della legge del Bene e del Giusto, depurata
dalle suggestioni ingannevoli della rappresentazione fenomenica e dalle insidie
dell’egoismo e dei poteri eudemonologici. E l’uomo, che educa in sè stesso
l’aspettazione e l’amore di ° I. Perrone. — Problemi del mondo sociale.
12 / \ 178 LE NUOVE FORME
DELLO SCETTICISMO MORALE quella somma Giustizia, non è la negazione
del genio dell’ individuazione del genio nella vita. In lui, anzi, la fecondità
produttiva, espressione luminosa del genio della vita, tocca il grado più
eminente. In lui la natura applaude e sublima sè stessa; perchè la natura stessa
non ha il pieno adempimento del desio che l’affatica che in quello che supera
la natura: nel soprannaturale. er LA VISIONE DELLA VITA
DI FED. NIETZSCHE E GL’IDEALI DELLA MORALE (Dalle Conferenze : —
Nietesche e Tolstoi — Idee morali del tempo (1). Nessun filosofo
scettico ha maturato un pen- siero così risolutamente contrario alle idealità
co- munemente ricevute della morale umana, come Federico Nietzsche. Egli
è il filosofo della negazione. Ohiuso nella sua solitudine intellettuale
(certo, una solitudine maestosa di sovrano, all’ occhio dell’esteta), egli ha
deposto con cura gelosa tutti i residui mentali dell’ eredità e della
tradizione. Egli si è separato con violenza dal vecchio mou- (1)
Queste conferenze furono scritte e pubbiicate (Ed. L. Pier- ro, Napoli) il
1902, cioè sei anni dopo la mia prima critica delle fonti elleniche del
pensiero di Nietzsche. Ne riproduco qui lar- ghissima parte, per rendere più
ampia ed intiera la rappresenta- zione del concepimento della vita del
pensatore di Réocken ed av- valorarne un più sicuro giudizio. 180.
LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE do; egli ha distrutto in sè
il vecchio uomo: di- sdegnoso ed incurante, se in questa dissennata opera di
demolizione venisse miseramente tra- volto non solo quello che vi è di caduco,
di con- venzionale, di falso nella nostra coscienza e nella nostra vita, ma
anche quello che è profondamente vero ed umano. Giudice universale ed
olimpico irrisore, egli è l’individualista assoluto del pensiero. La spa-
smodica concentrazione nella solitudine bieca del- l’Io lo isola dalle
direzioni generali e collettive della coscienza contemporanea. Refrattario a
quella legge sovrana del pensiero e della vita che è la legge della relatività,
egli pone la sua idea, il suo criterio, il suo giudizio come principio
assoluto. L'intelligenza normale, il sapere normale si accontentano di
una conoscenza relativa: riferi- scono, cioè, una cosa che è ignota ad una cosa
che è nota. Per edificare qualche cosa, non si credono in obbligo di cominciare
dal distruggere le basi dell’ edificio. Il Nietzsche procede diver- samente.
Egli vuole essere, anzitutto, un creato- re: e la creazione, sì sa bene, è un
salto nel buio o una improvvisazione dal nulla. Chi ha il diritto di
creare ha il diritto, altresì, di annientare ; la vita procede per ritmo di
con- trasti; ad un sì o ad un fiat assoluto risponde un no assoluto del pari.
Ed il Nietzsche anzitutto | annienta. La palingenesi del superuomo è prece-
duta dalla catastrofe, dalla ecatombe dell’uomo. Non gli dite che
l’individuo è un frammento della società e della storia: che
l’individuo non e rece | ri ri a o E GL’IDEALI DELLA
MORALE 181 è, nè può essere mai il suo centro di gravità, il suo
sostegno, la sua unità di misura: che l’indi- viduo è un prodotto e non un fattore,
una qual- che cosa che dev'essere spiegata e non una qualche cosa che spiega,
una qualche cosa che dev'essere superata e non una qualche cosa che supera.
Egli, ahimè !, non può intendervi. Un malsano abito imaginativo ha divelto,
ormai, il suo individuo da ogni legame con gli obbietti e le figurazioni della
vita reale. Egli vive in sè, e tutto quello che è fuori del suo Io e del suo
Ideale è, per lui, argomento di amara e disdegnosa rampogna. Il pensiero della
moltitudine , le idee comuni, la eredità della storia non lo stimolano, lo
irritano. Il suo grido di reazione, urlo di una profonda anima ferita, è un
grido di repulsa. Essere sovranamente sensitivo ed interiore, la vita gli
si concentra nell’ interno, in quel punto fosco e nero che è il centro dello
spirito. Di là codesto Io ipertrofico si dilata verso il di fuori e si sforza
di rischiarare la sua tenebra nativa. Crea il suo altro, il suo idolo, il suo
feticcio, e lo chiama il superuomo. Ma trattasi di una luce fosca e
crepuscolare: e quella creazione positiva è il residuo, spremuto con spasimo,
da una negazione infeconda. * * * Procediamo cou ordine
nell’ esposizione delle sue idee fondamentali (1). È un crescendu di de-
(1) Sono desunte dalle segg. opere e rispettive pag.: Menschliches,
Allzumenschliches. Ein Buch fur freie Geister, (I. p. 15-18, 81-89, 42, 50,
96). 1892 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
molizioni scettiche e di denegazioni aforistiche. Egli comincia dal
negare che l’nomo sia destinato alla ricerca ed al raggiungimento della verità.
E, prima d’invertire le tavole dei valori morali, egli inverte le tavole dei
valori conoscitivi. Tutte le forme della intuizione e della contemplazione,
dalla fede religiosa alla ricerca scientifica, si dis- solvono sotto il
corrosivo della sua analisi. Tutte queste estrincazioni del pensiero e del
sentimento sono denudate, smascherate, convinte di aperta reità. Esse non
appaiono più come l’ espressione fedele del perenne bisogno di verità e di vita
che agita l’anima umana. Ci si rivelano, invece, come l’espressione infedele,
traviata, bastarda del gran bisogno di vivere e di dominare che è il motore
sovrano di tutte le cose. Perchè, un nuovo principio ed una tavola nuova
Federico Nietzsche contrappone ai vecchi principî ed alle tavole tradizionali;
una nuova formola di filosofia della vita, che si chiama così: volontà di
dominazione. Ogni vita ed ogni funzione di vita è energia di possanza, è
sovranità della forza, è volontà di dominare, di signoreggiare, di superare, di
sopraffare. La signoria degli altri, il dominio, la sopraffazione, è il grido
stesso, il fre- mito stesso della vita ! Morgenrsthe. Gedanken
ueber die moralischen Vorurtheile; p. 52, 68-71, 76-78, 90, 145, 207).
Also sprechi Zarathustra; (13, 2° e 82 parte sas; Jenseits v. Gut u.
Bòse; (pag. 6, 14-15, 17, 49, 62, 107-108; 116-117, 201-202,
225-280, 248, 249). Zur Genealogie der Moral (p. 63, 12, 28
ecc.). sc E GL’IDEALI DELLA MORALE 183 La
volontà di vivere non è altro che volontà di dominare. In tutti i pensieri ed
in tutte le azioni dell’uomo voi potete colpire l’influenza, a volte occulta, a
volte visibile, della volontà di vi- vere e della volontà di dominare : anche
in quei pensieri che esprimono la rinuncia alle sollecita- zioni
della vita, anche nelle azioni che consacrano apparentemente la
condanna della sovranità della forza. Un grido di protesta si solleva
dalla coscienza contro questa parola, in cui è segnata l’ apologia della
dominazione e della violenza. Ma la volon- tà della dominazione, il Nietzsche
risponde, non è una nuova legge o un nuovo imperativo, che io esprimo dalla mia
mente. È il fatto stesso della sua natura e del suo essere che io rivelo all’
uo- mo, denudandolo di tutti i travestimenti multi- colori dell’ illusione. La
verità si è che tutto il grande e prezioso mondo ideale e morale e reli- gioso
foggiato dall’uomo è un tragittamento al di fuori della sua volontà di vivere e
di dominare, è una proiezione del suo egoismo. Prima d’iniziare al culto della
sovranità della forza, è bene ed è bello poter dimostrare che questo culto è
esistito sempre. Perchè l’uomo può gittare fuori di sé le sue illusioni, ma le
illusioni sue non possono na- scere che da lui, da quello che egli è
nell’intimo del-suo cuore. Ora egli è un essere vivente; ed ogni vita è forza,
è conquista, è assimilazione, è sopraffazione di altre vite; ogni vita è affer-
mazione di una volontà di dominio; di una so- 184 LA VISIONE DELLA
VITA DI FED. NIETZSCHE vranità profonda, rigogliosa, spesso
brutale, della forza. | | Da banda le vecchie categorie filosofiche sulla
destinazione dell’uomo alla verità. Non è il cri- terio del vero e del falso
quello che impera nelle forme del pensiero, come nelle forme della vita “umana.
È il criterio dell’ utilità, della produtti- vità vitale, della volontà di vivere
e di dominare; è il criterio egoistico. | L'uomo non dice: ciò esiste,
dunque è vero; ma dice: ciò mi è utile, ciò mi è necessario, ciò mi piace,
adunque è vero. E fa benissimo. La co- noscenza non ha che una sola funzione;
la fun- zione utilitaria. Ora non è detto che la così detta verità sia utile; e
1’ opinione che la verità valga più del suo contrario, valga più dell’errore, è
un volgare pregiudizio. Datemi un giudizio falso, ma che sia utile agli effetti
della vita; ed io dirò che esso è più vero del vero. Senza una certa dose di
falsificazione e di mistificazione, nessuna vita può reggersi. Rinunziare ai
giudizi falsi — eterno spasimo del filosofo — è tutt’ uno che ri- nunciare alla
vita. In vero, è una superstizione da filosofi il cre- dere che sia
condizione di vita la così detta ve- rità e che questa, quindi, vanti una
prerogativa sull’apparenza. Come se l’ apparenza e l’ illusione non fossero,
invece, il sostegno necessario della vita degli esseri! Come se la verità non
fosse, a sua volta anch’ essa, una forma di apparenza, e come se i cosiddetti
giudizi veri fossero qual- che cosa di più che dei gradi, come gli altri,
di - _— a E GL'IDEALI DELLA MORALE
185 probabilità e di verosimiglianza ! Come sela fede nella
certezza del sapere fosse qualcosa di meglio che una visuale illusoria, un
fenomeno di prospet- tiva dell’ottica della vita ! In verità vi dico, che
non vi è forma di vita che non si sorregga sovra gradazioni di appa- renza,
sovra illusioni ed allucinazioni di prosp :t- tiva ! Il mondo
rappresentativo foggiato dalla col- lettività umana, gl’idoli ch’ essa adora,
gli Dei che si crea, le fedi che s’ impone, le imagini che proietta, le idee
che contempla, sono, dopo tutto, nulla più che un tessuto d’illusioni e di
errori di prospettiva , il cui solo residuo utile ed utilizza- bile, il cui
solo valore, sta nella volontà egoistica di vivere e di dominare che vi circola
e ricircola per entro. Anche quello che voi credete mondo ideale— e lo
credete tale, perchè esso condanna e comprime la sovranità della forza—anche
quel mondo ideale, che, negli spasimi della vostra debolezza, voi in- vocate
tuttodì come la via della verità, la via della luce, la via della salute, anche
quel mondo ideale della fede, della religione, dell’ ascetismo cristiano, è
impregnato di volontà di vivere e di dominare. Peggio, ancora; quel mondo
è la contamina- zione, è la degenerazione, è la putrefazione della volontà di
dominio. È il prodotto di una voloutà di dominio impotente e disperata di
esserlo; la quale si contrae, si convelle, si consuma, si rode in sè medesima;
e si afferma proprio quando 4 I a -
LÌ Hg i Gf ga » IIS 5 ROERO SOT "e La sa
bet, l'inte 186 LA VISIONE DELLA VITA DI FED.
NIETZSCHE pare che si neghi, e, non potendo affermarsi in senso
positivo, si afferma in senso negativo, non potendo affermarsi come forza, come
godimento, come possanza, come tirannide, si afferma come umiltà, come
rinuncia, come SONIC, come obbe- dienza. Sottile iaia dell’egoismo,
morbosa in- versione della volontà di vivere e di dominare, soave
ipnosi della debolezza e dell’ accidia. è la fede religiosa.
L’uomo, talvolta in un’ estasi di rapimento, più spesso in uno spasimo di
desolazione, getta le sue illusioni fuori del mondo. Orea Dio a sua imagine e
somiglianza; e, vittima della propria illusione, adora la sua fattura.
Aumento di gioia ai forti ed a chi gode è proiettare al di
fuori la loro forza ed il loro go- dimento, ‘e toggiare degl’ Iddii in cui
rimirare, illuminata di luce nova, la propria imagine. In codesta
trasfigurazione, il piacere diventa come l’oggetto ed il duplicato ideale di sè
me- desimo; quasi una distillazione della beatitudine traverso il filtro della
immaginazione creativa. Nella pletora della vitalità non basta possedere
giocondamente sè stesso : occorre una elevazione ed una purificazione fallace
dell’ io: è uopo in- diarsi. In un primo grado di attività sensitiva e vitale,
l’uomo possiede il proprio godimento ; in un secondo grado, vuol esserne
posseduto. Gli si affina la potenza creativa. Egli ha l’ espansione largitrice
della ricchezza esuberante. È pregno della sua dilettazione. Crea il suo
fantasma, il — - Lai E GL’IDEALI DELLA MORALE 187
suo feticcio, il suo Dio: e lo adora. Nascono, così, le religioni,
imbevute profondamente del senso pagano dalla terra, e le quali consacrano le
gioie ed i piaceri della vita. Ma, se soave ai forti è gettare le proprie
il- lusioni al di fuori e foggiare degli Dei ad im- magine e somiglianza della
loro gioia di vivere, più soave, ancora, è alle anime deboli e soffe- renti, ai
tisici del mondo, gittare al di fuori la propria sofferenza e la propria
debolezza e solle. vare l’una e l’altra a legge di significazione celeste ed a
sostanza di vita divina. A chi soffre è dolce guardar lontano dai propri dolori
e dimenticare sè stesso; trasfigurare la propria sofferenza, obiet- tivandola ,
ed il dolore di sè tradurre in un do- lore del mondo. Più dolce, ancora, è
ipnotizzarsi in uva soave dedizione al dolore. Dolcissima cosa sopra ogni altra
è, poi, divinizzare il proprio do- lore, santificare il proprio
martirio. Ivi è il mas-. simo grado di possanza che sia consentito
alla debolezza: mascherarsi nei drappeggiamenti della forza, farsi un
piedistallo di gloria della propria miseria, la croce, strumento di abbietto
supplizio; ostentare come trofeo di vittoria, la propria schia- vitù incoronare
di diadema regale. Tale, e non altro, è il motivo della fede reli- giosa
; un’ allucinazione, a volta gioconda e pia cevole, a volta lugubre e funerea.
Non Iddio ha creato l’uomo, ma l’ uomo ha creato Dio, ripete il Nietzsche col
Feuerbach: e l’uomo sano e forte ha creato un Dio forte e sano e giocondatore e
terrestre; e l’uomo debole, morituro o schiavo ha i aiar
1 Se r* 188 . LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
creato un Dio cruciale e nemico del corpo e della terra, mortificatore
della carne, simbolo di un mondo inumano e disumanato, di un celeste
nulla. Uomini sani e forti erano i Greci ed i Romani, volontà sicure e
dominatrici, epperò essi crearono degli Iddii umani e pregni del senso della
terra. Intristiti nella miseria e nell’ abbiezione e nella schiavitù erano gli
Ebrei, ond’essi crearono la re- ligione della sofferenza e dell’umiliazione, la
fede dell’Ebreo Gesù, divinizzante il dolore che redi- me dal gran peccato
della vita, del mondo, della terra. Ai miserabili schiavi giudaici,
predisposti a sogni di ambiziosa grandezza dal messianismo profetico,
occorreva, sopratutto, un codice ed una fede che ne vellicasse la disperata ed
impotente volontà di dominio. Anche il debole è egoista; risente forte
l'impulso conservativo di sè e do- minatore degli altri e del mondo. Tale
impulso, anzi, lo urge e sollecita tanto più, quanto più è acuito ed irritato
dalla impossibilità di soddi- sfarlo. La violenza del desiderio perviene allora
al parossismo della disperazione. E dalla debo- lezza nasce un simulacro di
forza, la quale non è che esasperazione tormentosa e spasmodica. È un
raptus morboso, che può anche dare un folle momento di felicità. Una
sovreccitazione, che, nell’ estrema stanchezza della volontà, con- sente un
atto supremo di volizione. | È una disperata risorsa della debolezza, la
quale, non potendo volere alcunchè di positivo e di concreto, non le
resterebbe, in fondo, che E GL’IDEALI DELLA MORALE 189
cessare di volere. Ma no; essa si rifiuta a questa dedizione, che è
confessione esplicita d’impotenza. Essa vuole ancora, e non potendo volere il
posi- tivo, vuole il negativo : vuole il nulla. E del nulla sì fa un
tutto. Non potendo debellare il dolore che gli sovra- sta, il cristiano
se lo rende amico, cullandolo e vezzeggiandolo. Lo fa suo, ed in codesto
farselo suo afferma la sua possanza. Fa di necessità virtù, ed nna succumbenza
coatta trasforma in una qualche cosa spontaneamente accettata come pegno ed
assicurazione di gioia e di beatitudine. Egli redime la sua schiavitù,
idealeggiando co- . me legge della vita la rassegnazione e la rinun- cia. Egli
riscatta l’ obbedienza supina della sua anima servile, concependola come libero
omaggio di anima libera. L’ umiliazione coatta, così, di- venta umiltà; la
fermentazione e la putrefazione del vizio diventa virtù. Ed al mondo che gli
sfugge, gitta la suprema amara rampogna del- l’impotente, ferito nel suo
orgoglio vanitoso; una condanna rabbiosa, in cui freme un’ invidia torva ed
esasperata. | Egli condanna la sovranità della forza, con- danna la
volontà di dominazione, condanna tutto quello che è esercizio di possanza
creatrice, vin- citrice, sopraftattrice, perchè tutte codeste ener- gie si
affermano contro di lui. Il mondo e la vita e la carne sono peccato e miseria;
sola verità, sola virtù è il sacrificio del corpo, è la fuga dal mondo, è la
mortificazione della carne. La sua negazione è un dispettoso grido di
risentimento; 091 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
l’urlo tragicomico dell’oppresso, gemente sotto il sacro staffile del
padrone, che si sfoga contro la morale sana e vigorosa dell’oppressore.
Ma, condannare questo mondo, che si afferma contro di lui, non basta all’
asceta, al credente, al cristiano. Egli deve suggellare la condanna della vita
e della terra con la consacrazione del suo contrario, della morte e del
cielo. Questo mondo dell’esperienza e del tempo, il mondo dei dominatori
e dei ribelli, è il mondo del peccato e della contaminazione ed è la sede dei
reprobi. Il mondo suo, quello in cui egli tra- sporta, come in un asilo sicuro,
tutte le sue aspi- razioni insoddisfatte di egoistico dominio, è al- trove, è
fuori dell’ esperienza , è fuori del tempo, è di là. Ed è quello il vero mondo;
il mondo in cui la mandra dei miserabili e degli schiavi, ossia la moltitudine
anonima degli umili e dei poveri di spirito o dei buoni e dei giusti, saranno
bea- tificati, ed i forti, ì creatori, i guerrieri e le crea- ture dominatrici
e sopraffattrici saranno precipi- tate nella geenna; il mondo in cui le inegua-
glianze di elevazione saranno cancellate ed in cui sarà argomeuto di trionto l’
essere stati pu- silli. | Così la redenzione, la buona novella del biondo
Nazareno, è una rivincita degli schiavi contro i Signori. Il Dio di Gesù, il
Dio del giudizio uni- versale, il Dio che giudica i buoni ed i cattivi, è il
Dio di una vendetta servile e paurosa, proiet- tata, per ogni huon fine, in un
oltretomba ine- splorabile. E GL’IDEALI DELLA MORALE
191 In cotesto malnato istinto di riscossa si de- nuda l’intima
natura della fede nel soprannatu- rale. Non è la rimozione dell’ egoismo,
non è la rinuncia alla volontà di dominio, che caratterizza l’ascetismo. No; è
il pervertimento di una vo- lontà di dominio fuorviata, per effetto di debo-
lezza, dai suoi termini naturali di appagamento; è la profilassi di un profondo
istinto degenera- tivo ; una astuta ed ipocrita forma d’ immunizza- zione, in
cui si afferma, sotto le apparenze ingan- nevoli della rinuncia, un potente
istinto di con- servazione e di dominazione. L’ascetismo è, a seconda dei
casi, un potente derivativo di una forza fuorviata o traviata, o l’astuta
risorsa di una ingenita ed immedica- bile debolezza. Nel primo caso, è la
volontà di dominio dello schiavo, che aveva sortito una na- tura superiore al
suo destino, la qual volontà di dominio, acuita ed irritata da una inibizione
coatta, rifluisce e sì ritorce contro di sè, ed, in difetto dei sani piaceri
della creazione, esperi- menta l’acre sostitutivo della volontà della distru-
zione. Nel secondo caso, è la previdente capitola- zione di un fuggiasco della
vita, che nella prote- zione di una volontà soprammondana annega i ti- mori e
gli scrupoli dell'anima povera. In ambo i casi, è espressione pervertita
di egoismo e di volontà di dominazione. È pur sempre il satanico potere
creativo della forza che 8’ infiltra in queste glorificazioni della debolezza.
È pur sempre la voce del corpo che sale vaga
me A " lia = in ge e + ' da * wi i dae dada
' hai Yo *.ftei, “ne . 4 199 LA VISIONE
DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE vibra e freme in queste radiose, immacolate
e pudibonde epifanie dello spirito. L’ascetismo ha un bel cacciare la testa
nella sabbia delle cose celesti; ahimè! è di bassa provenienza terrestre
anch’esso. — « Ammalati e morituri », così dice alla lettera il Nietzsche:
«ammalati e morituri furono coloro che spregiarono il corpo e la terra ed
inventa- rono il cielo e le gocce di sangue redentrici; ma anche codesti veleni
dolci e tetri, essi li tolsero dal corpo e dalla terra. « Il fanciullo dice :
Io sono corpo ed anima. Ma l’uomo svegliato e cosciente dice: Sono com-
pletamente corpo, e niente altro all’infuori di ciò : e l’anima non
è altro che una parola per signifi- care qualche cosa che sì trova
nel corpo. Il corpo è una grande ragione; e quello che tu chiami spi- rito, o
fratello, ossia la tua piccola ragione, è un piccolo strumento del corpo ed un
piccolo trastullo della grande ragione. Strumenti e trastulli sono sensi e
spirito; dietro a loro si cela il proprio es- sere, il quale cerca con gli
occhi dei sensi ed a- scolta con gli orecchi dello spirito. Dietro ai tuoi
pensieri ed ai tuoi sentimenti, o fratello, sta un potente dominatore, un savio
ignoto, che si noma il proprio essere. Egli abita nel tuo corpo, è il tuo
corpo. « Persino, nella vostra stoltezza , nel vostro disprezzo, o
sprezzatori del corpo, voi siete servi del corpo. Io vi dico : il vostro stesso
essere vuole morire e si discosta dalla vita. Egli non può far ciò che amerebbe
far sempre : creare all’infuori di -—_ dii -
_1__r—r———_——_————_————_—_———————_—___——_rm—_—_——6€m6Pm6m€—_—wr _ E
GL’IDEALI DELLA MORALE 193 sè stesso. Ecco ciò che vorrebbe fare di
preferenza, con tutto l’entusiasmo. Ma, ormai è troppo tardi per lui: per il
che, il vostro essere vuole perire, o voi sprezzatori del corpo.... E perciò
voi odiate la vita e la terra. Un’invidia inconsciente leggesi nel torvo occhio
del vostro disprezzo. La vostra via non è la mia, o sprezzatori del corpo. »
(1) È stata, per altro, la via della umanità cri- stiana fino a noi. Il
virus ascetico ha avvelenato, per secoli, le sorgenti della vita; ed esso
corrode anche le intime fonti della filosofia, della morale e della scienza. Il
culto morboso della compas- sione, la religione della sofferenza e del dolore,
la morale dei giusti e dei buoni, cioè dei deboli, assursero a leggi sovrane
della condotta. L’astuto bisogno di puntellare la propria debolezza sì ma-
scherò delle sacre sembianze della simpatia e del- l’amore e del disinteresse.
E l’ altruismo fu solle- vato a norma del vivere, perchè conveniva all’e-
goismo dei fiacchi e degl’ impotenti. Il bestiame umano volle nobilitare il
fatto della sua servitù; e la sua obbedienza da schiavo consacrò col nome di
obbligazione. Nacque la malefica formula del tu devi. Il dovere etico,
l’imperativo categorico, sono lo spasimo della schiavitù che legittima,
legifera, adora sè medesima. La filosofia pigliò sopra di sè l’assunto di
continuare la religione, affinandola ed assottigliandola. Così il noumeno di
Emanuele Kant è il vecchio mondo spirituale e sopranna- (1)
Zarathustra (p. 25-29, passim. della trad. it. del Weisel). " I. Perrone.
— Problemi del mondo sociale. 13 - ta ke
‘ . ‘€ o * , FR 0 x . a, 1 ha dI de è Di LI Lal
na Mo verde : Ù (rr e nat cen da CA dd ii » La
gn n 194 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
turale dell’ascesi, divenuto sublime, trascendente, pallido ,
settentrionale, adombrato dalle nebbie del criticismo, offuscato dalle brume di
Kénigsberg. Così, il tu devi e la sovrana. devozione del- l'imperativo è
il vecchio monito della rinunzia, il vecchio grido funereo dei mortificatori
del corpo, distillato nell’astrazione ideologica, estenuato, de-
potenziato. E questa mortificante formula del dovere dalla filosofia
passò anche nella scienza, contaminan- dola. E la scienza deformò e snaturò la
natura per piegare anche lei, questa sublime anarchica, al pressoio di quel
mostruoso feticcio della legge e dell’imperativo. Sì, anehe nella natura, in
questo profonda ribelle, la quale ci rende ima- gine della più fiera ed
inesorabile sovranità della forza , la superstizione democratica della scienza
moderna è riuscita ad insinuare il suo morboso culto della legge. Anche della
natura si è creduto, ahimè !, che essa obbedisse ad un tu devi. Tutti sono
uguali dinanzi alla legge, anche i fenomeni naturali: così ha detto la piccola
etica e la pic- cola estetica della greggia umana, piegando la dominatrice e
tirannica natura ai suoi abiti di quieto vivere e di accomodamento
umanitario. Dovechè, se nella natura v’ha un ordine, que- st’ ordine non
ha luogo perchè vi dominino delle leggi, ma perchè, anzi, ogni legge vi
difetta, ed ogni forza, in ogni momento, vi trae il partito suo, senza regole,
senza limiti, senza freni. Ma, dove questa malsana religione della sof-
ferenza e del dovere ha recato maggiore inqui- E GL’IDEALI DELLA
MORALE 195 namento, è nell’ordine della vita morale. La mo- rale
dei deboli si è contrapposta alla morale dei forti; la morale degli schiavi ha
convinto di reità la morale dei signori. La morte ha condannato la vita; la
stanchezza impotente ha stigmatizzato la volontà di dominazione. È nata la gran
supersti- zione dei buoni e dei giusti, cioè a dire la reli- gione della mandra
: quella che culla il suo sonno nel beato languore delle virtù papaveriche e si
adagia placidamente nei cancelli protettivi del bene e del male. Laddove la
vita vera è afferma- zione di sovranità individuale, è sublimazione di dominio,
è creazione ex lege, è sopraffazione ed elevazione, è un santo no innanzi al
dovere, è la ripulsa di ogni legge che non sia il proprio vo- lere e
l’aristocrazia superumana, è il di là dal vecchio mondo, la superazione delle vecchie
ca- tegorie del bene e del male. I tipi umani superiori, le nature
signorili e dominatrici, i tipi superumani sono gl’ interpetri della vera vita.
Essi hanno varcato, con salto di- vino, il gran ponte; essi han toccata l’altra
riva; hanno attinto il di là; essi guardano cun riso super-omerico e
super-olimpico la folla che s’ in- dugia impotente di qua dal ponte dell’
eleva- zione. Per queste nature signorili e dominatrici, per questi
spiriti liberi, la vecchia superstizione de- mocratica degli armenti umani,
l’antitesi del bene e del male e la legge del dovere e dell’obbedienza, non han
sanzione di sorta, non han valore di sorta. In questa splendida élite di nature
aristo- To + 49--. |. - 1 + 196 LA VISIONE DELLA VITA
DI FED, NIETZSCHE cratiche , si effonde rigoglioso il genio della
pos- sanza, l’avidità della creazione e della invenzione di nuovi valori, la
sete dell’ assimilazione e del dominio. La morale aristocratica, la
morale dei signori ha anch’ essa la sua storia. Fu già il modo di vita delle
classi dominatrici del mondo pagano; ed un funesto irrompimento trionfale di
schiavi, che fu chiamato avvento del cristianesimo, ne troncò e recise il
processo ascendente. La morale aristocratica poggia non già sulle categorie del
bene e del male, ma sulle imagini di nobile e di basso, di signorile e di vile,
di elevato e di spre- gevole, di elegante e di volgare. Le volontà si- gnorili
non riconoscono per cattivo moralmente, se non quello che è mediocre, volgare,
comune, plebeo; e non riconoscono per moralmente buono, se non quello che è
nobile, aristocratico, signo- rile, combattivo, prepotente. Nello spirito «li
que- sta casta di signori e di guerrieri è radicato un olimpico dispregio dell’
orda, della moltitudine, della greggia umana, ed un’ estimazione profonda della
propria nobiltà e finezza di natura, della funzione dominatrice alla quale si
sente chiamata, dell’istinto possente di combattività e di dominio che
l’affatica. Essa non accetta passiva le vecchie tavole dei valori e le
imposizioni dei buoni e dei giusti : essa crea. Essa sa che solo criterio della
verità è lei stessa ed il suo volere: essa pone sè a centro dell’universo e
grida: chi assegna il valore ed il pregio alle cose, sono io ! IT
——-ranttenrenm E GL’IDEALI DELLA MORALE 197 La moralità
aristocratica non riconosce sensi di rispetto e di simpatia che per i simili e
per i pari. Verso gl’individui di ordine inferiore, ver- so la folla anonima
del bestiame umano, quella morale non riconosce doveri di sorta. Essi sono
strumento di abbiezione e di dominio: materia servile conculcata e travolta
nell’ascesa del super- umano. È questa morale aristocratica , che segna
l’e- levazione del tipo umano e vuole essere assunta a modello ed a tipo della
vita. Il progresso umano non è dovuto alla volontà democratica
dell’eguaglianza, ma alla lotta dei disuguali, al pathos delle gerarchie e
delle distanze, all’aristo- crazia dominatrice. E creatori ed interpetri del
progresso sono i signori, 1 sovrani, i sublimi : per- chè progresso è vita, e
vita è volontà di domi- nazione. Dov'è volontà di dominio, ivi è
superazione: chi supera è l’ infrangitore delle tavole dei va- lori, colui che
sì ribella al tu devi e dice — do voglio, — colui che crea: i superati, nella
trion- fale ascesa, sono i comuni componenti della man- dra umana. Vita è
elevazione e superazione; vita è vo- lontà della lotta. « Gli uomini non
sono eguali e non debbono diventarlo. Su mille ponti e sentieri essi devono |
slanciarsi verso l’ avvenire, e sempre più ci de- V’essere tra di loro guerra
ed ineguaglianza. Bene e male, e ricco e povero, ed alto e basso e tutti i
valori, comunque si chiamino, devono essere . e: aio ii MIR
cat dn n — a ini 198 LA VISIONE DELLA VITA DI FED.
NIETZSCHE armi e segnacoli sfolgoranti di questa verità : che la
vita deve sempre superare sè stessa. In alto la vita lotta a comporsi un
edificio con pilastri e gradini; essa vuole spaziare per grandi distanze e
godere di bellezze beate; epper- ciò ha bisogno di elevarsi. E, perchè ha
bisogno dell’altezza, le sono necessari i gradini, e le giova il contrasto tra
i gradini e coloro che salgono. La vita vuol salire, e, salendo e sorpassando
sè stessa, rigenerarsi. | O voi predicatori dell’ eguaglianza , voi siete
delle tarantole e v’ arde un celato desiderio di vendetta. Ma io voglio
discoprire i vostri nascon- digli; però vi lancio in volto il riso che viene
dall’alto. » (1) Quest’ ascesa trionfale nei gradi della subli- mazione
approda ad un supremo fastigio, approda alla formazione del superuomo. La
volontà di dominio gitta immane il suo grido di riscossa, nell’immensità dello
spazio infi- nito, e si slancia verso le inaccesse altitudini su-
perumane. Libero dalla beatitudine dello schiavo, redento dagli Dei e
dall’ adorazione di essi, impavido e terribile, grande e solitario, maligno e
profondo, sopravviene il creatore. Risuona nella solitudine il gran grido
pro- fetico e liberatore di Zarathustra, |’ annunziatore del novell»
Evangelo. « Io insegno a voi il superuomo. L'uomo è (1)
Zarathustra — ibid., p. 92-94 passim. E GL’IDEALI DELLA MORALE
199 N qualche cosa che dev’ essere superato. Che cosa
avete voi fatto per superarlo ? Tutti gli esseri crearono sinora qualche
cosa al di sopra di sè stessi: e voi volete essere il ri- flusso di questa
grande marea e ritornare piutto- sto al bruto, anzichè sorpassare l’uomo
? Che cosa è la scimmia per l’uomo? Un og- getto di riso e di dolorosa
vergogna. E questo, appunto , dev’ essere l’ uomo pel superuomo: Un oggetto di
riso o di dolorosa vergogna. — Voi avete percorso la via dal verme all’uomo, ma
voi tenete ancor molto del verme. | State attenti, io v’insegnerò il
superuomo ! Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà proclami :
il superuomo sia il senso della terra. Altre volte il delitto contro Dio
era il mag- gior dei delitti, ma Dio è morto, e con lui mo- rirono anche i
delinquenti di tal fatta. Peccare contro la terra è ora la cosa più terribile,
e stimar più le viscere dell’imperscrutabile che non il senso z
della terra ! x Non il vostro peccato — la” vostra modera- zione,
la vostra avarizia persino nel peccato grida contro il cielo! Dov’ è mai il
fulmine, perchè vi lambisca colla sua lingua ? Dov'è la follia con la quale
dovreste essere inoculati ? Ecco, io v’ inse- gno il superuomo : egli è quel
fulmine, quella follia ! IL’ uomo è una corda tesa fra il bruto ed il
superuomo, — una corda tesa su di una voragine. Pericoloso l’andar da una parte
all’ altra, perico- 200 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
loso il trovarsi a mezza strada, pericoloso il tre- mare, pericoloso
l’arrestarsi. Ciò che è grande nell’ uomo, è l’essere egli un ponte e non
già una meta; ciò che può essere amato nell’uomo, è l’essere egli una
transizione ed una distruzione. L’uomo è qualche cosa che dev’ essere
supe- rato » (1). * * * Queste le linee fondamentali
del pensiero di Federico Nietzsche. Quali nuovi abiti e nuove forme di
vita rechi nel mondo codesto nuovo tipo che chiamasi su- peruomo, non è facile,
dirò anzi, non è possibile determinare. | | È una ideale figurazione del
grande esteta della volontà del dominio, alla quale difetta un contenuto
concreto, saldo, coerente. La concezione del superuomo si riannoda ad uno stato
mentale morboso dell’autore, ad un delirio allucinatorio, ad una frenosi
progressiva e sistematizzata, e non è scevra di elementi paranoici. Sul terreno
del- l’allucinazione brillano, ondeggiano, s’ inseguono, s’ incrociano , sì
elidono le imagini torbide e sal- tuarie e le fallaci parvenze sensoriali, ma
non si afferma una nozione, non emerge un concetto o una qualsiasi
rappresentazione definita. L’ alluci- nazione è la percezione senza obbietto ,
è 1’ idea- (1) Zarathustra, ibid., p. 6-8, passim.
E GL’IDEALI DELLA MORALE 201 zione priva di
contenuto. Così la visione del su- peruomo si decompone, si disgrega, si
rifrange in una folla innumere di imagini, di colorazioni, d’iridescenze. Non
otterremo mai che da essa s'il- lumini e s’irradii un’idea, ]a quale domini il
tu- multo incomposto delle attività sensoriali e sgom- beri e rassereni i
foschi bagliori delle interne il- lusioni. Forzando, con tragica voluttà
di dissolvimento, una vaga visione originaria di sublimazione del- l’uomo,
Federico Nietzsche attinge e valica, ahi- mè !, quel punto limite, quel momento
irrazionale, quel centro oscuro ed opaco che è nel fondo di ogni figurazione
fantastica, anche la più lumi- nosa. E la limpidità della percezione lo abban-
dona e lo travolgono gli effimeri, fuggitivi, insi- diosi fulgori della
imaginazione sconvolta, bieca dominatrice superstite sulle rovine dell’ anima
erosa ! Il solo elemento intellettuale positivo che sia dato d’isolare e
di fermare, attraverso questa tra- gica rincorsa e questa ridda macabra
d’imagini e di ondulazioni figurative, è, dopo tutto, il vecchio e continuo ed
eterno motivo della teoria Nietz- schiana, quel tal motivo logico che solo
insinua una pallida trasparenza di luce nelle ombre di un concepimento
vacillante e crepuscolare; e questo motivo è, appunto, la solenne formula della
volontà di dominazione, la volontà inesausta creatrice della vita. Il
superuomo è, o vorrebbe essere, la volontà del predominio tatta persona,
divenuta maschera vivente e proiezione simbolica di sè medesima. A
o Sete ld —t___ e 202 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
..- L’ipereritico dell’ illusione e della credenza è, ] ‘anch'egli, un
illuso ed un credente a rovescio ; e "I tragitta egli pure le sue
illusioni fuori del udd fuori del tempo, fuori dello spazio. Anch’egli con-
templa, ammira, adora l’imagine reduplicata di s sè. In uno spasimo di
rapimento e di ebbrezza creatrice, anch’egli crea il suo fantoccio divino e lo
battezza il « superuomo » ! Se non che, superare e dominare si può con doppio
processo d’intensità e per doppia via : su- “perare la vita e l’esistenza degli
altri inferiore lla nostra, superare la stessa nostra esistenza e la stessa
nostra vita, perchè inferiore all’ideale del superumano. La logica
sistematizzata . della superazione è + fi una logica suicida. La superazione è
un processo all’infinito ed è un processo circolare : essa ingoia ! le sue
stesse creature, i suoi stessi apostoli, i suoi stessi martiri e, nell’acre
voluttà della distruzione, addenta le sue stesse carni emaciate ! >) Di qui
emergono due direzioni antagoniste, che si lasciano individuare mediocremente
nel tur- bine incomposto del concepimento ideale di Fede- rico Nietzsche; l’una
fascinatrice, ideale, sublime; l’altra, abominevole ed inumana. L’una è segnata
dal superuomo puro e radiante, in quanto supera sè stesso ed incide e recide in
sè il germe e le passioni dell’ umano e fa olocausto di sè ad un superbo e
supremo ideale di perfezione infinita. L’altra è segnata dal superuomo impuro e
per- verso, in quanto egli supera, sopraffà e comprime l’anonima, innumere
moltitudine, obbediente sotto i Ì E GL’IDEALI
DELLA MORALE 203 la pressura della miseria e dell’ abbiezione ser-
vile. Queste due direzioni si urtano, s’ incrociano, interferiscono nella
concezione di Nietzsche; e rappresentano, l’una l’ideale, l’altra il ghigno me-
fistofelico del reale; 1’ una l’ efflorescenza diretta, l’altra la
sovrapposizione parassitaria che la in- vade e soffoca; l’una il tragico,
l’altra il grotte- sco; l’una il lampeggiamento di una visione pura di bene,
l’altra }irruzione trionfale del male. Nella lotta interiore di queste
due direzioni e di queste due tendenze, nella mente e traverso l’opera di Fed.
Nietzsche, il trionfo progressivo e finale spetta, ahimè !, alla dittatura del
ghigno, all’ esibizione del grottesco, alla ostentazione del male. . La
visione austera del superuomo, come di un cruciale stilita dell’ ideale,
lampeggia ancora, in molte pagine, di suprema bellezza e di sopraf- fine
fattura, del libro « Così parlò Zarathustra ». Nelle opere che immediatamente
lo seguono, e che s’intitolano l’una « Di là dal bene e dal ma- le » e l’altra
« La Genealogia della Morale », quella povera gran visione superstite si
annunzia, viep- più, impallidita, estenuata, abbuiata. Il processo della
superazione si degrada e contamina nell’ a- poteosi invereconda della morale
dei padroni, de- . glimpuri, dei tiranni, dei criminali, dei perversi. Il
parassitismo della imaginazione ha ormai suc- chiato le intime radici
sostentatrici di quella vi- sione ideale. Là dove si apriva alle
blandizie della luce ed al calore del sole nna pura ed agile
par- 4 a fi Lia 2. si se su > a.
"e sy dda gala 1... ba sE: DI I » | . e dee ae
RARO » Li 1° mele n ge dg - «. a - Ù
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sor A - ) fu 9. 204 LA VISIONE DELLA VITA DI FED. NIETZSCHE
venza di vita, sopravviene ed invade una vege- tazione immane, morbosa,
putrescente | È la logica della tesi che soddisfa il suo po- tente
istinto di vendetta! Pur troppo il senso della terra è contaminato di tristizia
e di fango: e la salvazione, che esso prenuncia all’anima in- quieta e
sollecita di nuove forme di vita, è una lusinga menzognera e rovinosa |
L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE. (')
Nell’accingermi ad un esame critico del pen- siero di Fed. Nietzsche, non
mi nascondo che il successo di questo esame non può essere nè pieno nè
incontrastato. E ciò per molte ragioni. Il motivo della vo- lontà del
predominio ed il tipo ideale del super- uomo hanno esercitato ed esercitano un
gran fa- scino sopra anime elette di artisti e di esteti sa- pienti. L’ imagine
della elevazione e delli subli- mazione dell’ uomo è una forma elastica,
fluida, duttile, vaga. Nella sua capacità indefinita di ac- comodamento, essa
può accogliere così un altero e superbo, per quanto insano, ideale di
perfezione, come il malnato impulso della sopraffazione e della tirannide.
Finisce, per logica interiore di cose, finisce, dico, per piegarsi a
quest’ultima de- terminazione; ma a quella logica di cose ricalcitra la volontà
d’illudersi degli uomini, la quale si lu- singa di derivare la pura essenza
della vita spi- (1) Dalle Conferenze, di cui a pag. 179.
<- - di sed ra aste = © - ‘ i Piga 4 ui
DO 206 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO rituale da un
simbolo di caduta e di pervertimento dell’anima. In codesta
trasfigurazione estetica, la stessa effigie morale del dominatore si nobilita.
Si di- pinge sul suo volto un’ austerità maestosa; egli è, allora, concepito
come l’ uomo che si prepara alle lotte ed alle dominazioni terrene con la
stessa disciplina morale dell’asceta; come l’ uomo libero e sicuro che reca in
atto un supremo ideale. Il Signore degli altri diventa, per una illusione o
inversione di prospettiva, il Signore di sè; l’assi- milatore dell’ altrui sostanza
di vita diventa il generoso animatore delle coscienze morte e as- sonnate ed il
donatore magnifico, che versa l’ ir- raggiamento della sua anima doviziosa ed
eroica sulla povertà degli umili e dei sofferenti. La formola del
predominio è ambigua ed in- sidiosa. Essa trae al pervertimento attraverso una
via purpurea, seminata d’illusioni regali. | Sono le fallaci
purificazioni dell’egoismo edo- nistico e voluttuario, la raffinata ipnosi
dello istinto di dominio e di possesso, la consacrazione mistica a rovescio e
la distillazione estetica del- l’errore e del peccato. Sono, ad un tempo,
il capolavoro di coerenza della volontà di dominio, la quale, dopo aver
esercitato sull’ ascetismo la sopraffazione più cru- dele, non abbandona la
vittima esausta, senza prima aver espresso da essa la più pura sostanza di
vita, assimilandola ed offerendola altrui come cosa propria. Se non che
l’ inversione della prospettiva, il CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE
207 gioco delle illusioni ed il fascino delle consacra- zioni
ingannevoli non giova a forzare la logica malefica della volontà del
predominio, e riesce solo a renderla più raffinata, a forza di dissimu- larne
il fosco aspetto sotto le più gentili e deli- cate parvenze. Al dominatore
ingenuo, posseduto dal sogno delle altitudini superumane, la fredda e
penetrativa saggezza non può se non ripetere le parole che Anatolia — can un
dolente sorriso delle labbra aride — dice a Claudio Cantelmo: « Ah Claudio, la
vostra generosità v’illude. Una volontà di lotta e di predominio vi agita, e
voi vorrete con ogni mezzo costringere la vita a mantenervi le sue promesse.
Chi può assegnare un limite alla vostra conquista ? >». Dopo che egli
ha educato e nutrito in sò, con la disciplina dell’asceta a rovescio, un sogno
altero ed imperioso di perfezione e di orgoglio, niuna forza ormai tratterrà il
dominatore dal pro- tendere e dall’ imporre quel sogno nel dominio della vita
reale. Dalla consapevolezza e sicurtà di una perfezione menzognera, egli
attinge, anzi, novelli argomenti d’ immunità e di baldanza. Egli è in possesso,
di già, di un aroma prezioso che occulta ed oblitera tutte le malsane e sincere
esala- zioni del vizio, di un presunto segreto di risanamen- to e di vita che
faculta e riscatta tutte le colpe. — Abolisci ogni divieto — egli può
dire a sè medesimo — tutto ti è permesso, e nel bene come nel male; perocchè
tutto divenga nobile passando at- traverso la sincerità della fiamma (1).
(1) In — Le Vergini delle Rocce — di G. D'Annunzio. - Lal
PI 4 5 bio, . REI ve Ai hi A Li e 1, . ay
dle garde -: ' “ a n + rg e - + n A . = la) 208 L'UMANO
CONTRO IL SUPERUMANO Sotto il fascino di questa sublimazione este-
tica, la morale umile, semplice e pura si estenua ed impallidisce nella
coscienza degli esteti del superumano. L’intuizione artistica sopraffà , sof-
foca il discernimento morale; il bel lampo folgo- rante del delitto oscura la
luce fredda, scialba, continua della comune virtù; la visione lusin- ghiera
della nascita di nuove qualità e di nuovi valori in una piccola schiera di
privilegiati of- fusca, deprime, umilia la vecchia morale, questa grama
esigenza quantitativa e di massa, que- sto povero simbolo della, legge dell’
imitazione e dell’ obbedienza, questa uniforme, universale, egalitaria,
democratica, comunistica legge di as- sociazione fraterna delle unità della
moltitudine umana. Ed il fascino suggestivo di codesta estetica
idealizzazione delle emozioni del superumano si . ribella oltraggiosamente alla
illuminata ragione ed alla coscienza severa del moralista. Procedendo nel suo
freddo cammino, questo inviso interpetre della saggezza urta contro una prima
diffidenza; quella derivante dal contrasto che vi è fra l’emo- zione artistica
e la valutazione morale, fra lo stato di coscienza dell’esteta e lo stato di
coscienza del moralista. Le animazioni spirituali dell’illusione e del
sogno possono essere, per l’esteta, origine e sug- gerimento di nuove radianti
imagini di bellezza; non saranno mai, per il moralista, rivelazione e promessa
di nuove forme di bontà. Quello che nelle visioni dell’ arte si chiama
illusione ed è Ber HI. CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCE 209 principio e via di trasfigurazioni ideali, nel do-
minio della ragione e della morale si chiama er- rore e colpa ed è principio e
via di perverti- mento. | Non che tra il bello ed il buono non vi sia mai
stata, o non vi possa essere, un’ armonia dialettica superiore, e non vi sia
una suprema estetica della virtù ed una pura ed austera mo- rale
dell’ arte. Ma nel mondo dell’ esperienza do- minano la lotta e la
discordia; le sintesi dialet- tiche vi balenano, talvolta, ma sfumano e pas-
Sano. Anche la morale, dico, può ritradursi in una forma superiore di
estetica, ed il bel lampo di una pura e nobile intenzione purifica e redime
l’azione più malcauta e più malavventurata. » Ma notate, o signori, che
la sostanza reden- trice della intenzione morale è infinitamente di- versa
dalle parvenze purificatrici della emozione estetica. Quella sostanza ha un
valore oggettivo; queste parvenze sono il prodotto di nna illusione visuale.
Una buona intenzione incatena al suo dominio l’ ordine delle azioni; una
intensa emo- zione estetica rifluisce in sè, distillando in una ipnosi soave ed
infeconda la propria beatitudine. Il contrasto tra l’intenzione e
l’azione non è mai un dissidio reale ed interiore: una inten- zione magnanima
produrrà sempre un’azione ma- gnanima del pari. Quel contrasto vuol dire, solo,
che un’azione può apparire disutile o improvvida o folle, ossia censurabile
alla stregua dell’uiilità, ed essere malgrado ciò, anzi talvolta in grazia
di I. Petrone. -- Problemi del mondo morale. 14 e i...
ve di 9A palle >» ,, + 2 n © - 210 L’UMANO
CONTRO IL SUPERUMANO | ciò, eminentemente, intimamente buona per la
virtù dell’ animo che la produsse. Quel contrasto vuol dire, adunque, che può
esservi una lotta, ovvero una interferenza di azioni tra la volontà | dell’uomo
virtuoso ed il potere delle cause e delle contingenze esteriori della natura o
della fortuna. Quel contrasto, ridotto ai suoi minimi termini, vuol dire
semplicemente questo , che l’uomo non è meritevole e non è responsabile, che
per quello e di quello che egli abbia effettivamente voluto. E la redenzione
morale, che la bontà dell’inten- zione comunica all’ azione, significa solo che
la volontà buona è tutto nel campo della morale; perchè l’uomo non è signore di
sè e del mondo che nel dominio interiore della coscienza. Qui, come vedete, la
conciliazione e l’armonia è possibile, perchè una vera e propria lotta non vi
è. Il contrasto non è fra due termini interiori della vita dello spirito, ma
tra il mondo interno | ed il mondo esterno, tra l’uomo e la natura, tra | la
saggezza ed il destino. Non lotta nè disgre- | i | |
gazione interiore, ma armonia piena ed intiera è nella coscienza dell’uomo
virtuoso, il quale, dagli oltraggi che le forze ostili ed interferenti del
mondo esterno infliggono al suo nobile e magna- nimo volere, sì redime
trionfalmente nella solitu- dine della sua anima, lanciando al destino avverso
un grido supremo di sfida e di riscossa. Non così l’arte redime colle sue
figurazioni ideali il sogno morboso della impura volontà di predominio. Qui
l’armonia e la conciliazione non ha luogo che nelle apparenze; ma in realtà,
il n nen Y + mu SR Tute CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCHE 211 dissidio perdura, perchè si tratta di un dissidio
interiore. La bella parvenza estetica del peccato è un interno veleno,
che insidia la sincerità e l’auten- ticità del volere peccaminoso, ed, in
cambio di redimerlo e di purificarlo , lo corrompe e lo pro- fana di più nei
rapimenti e nelle ebbrezze dell’auto- adorazione. La sincerità della fiamma non
redimc, perchè essa stessa non è che una fascinazione il- lusoria, una soave e
perfida insidia tentatrice tesa all’anima del dominatore dalla fine astuzia
cor- rompitrice della sua Idea, del suo sogno di orgo- glio e di dominio.
La virtù interiore si redime dalle catene dello avverso destino, perchè quelle
catene hanno vin- colato il corpo, non l’anima. Ma qui è l anima che è suggestionata
e fatta prigioniera; qui è la virtù interiore che ha piegato al fascino
tentatore del nemico; qui è il destino che da esteriore è diventato interiore.
Non vi è più speranza di ri- surrezione e di riscatto, qui, perchè la verità è
diventata sogno, la virtù è diventata illusione, la redenzione è diventata,
progressivamente, fatal- mente, profanazione, simulacro, sacrilegio! Ed
ecco che il dissidio tra la intenzione mo- rale e l’emozione estetica perdura
vivace, e la lotta si perenna fra lo stato di coscienza dell’ e- steta e lo
stato di coscienza del moralista. £ la rigida austera morale, questa
impenitente zelatrice di un ideale amaro di verità, trovasi di fronte,
pericolosa nemica, la commozione artistica del- l'illusione e del sogno, in una
lotta perenne, nella \ -u _ x
212 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO quale le apparenze e le
verosimiglianze del trionfo non sono tutte per lei. In linea generale, il
sogno attrae più della verità , la libertà invita più del divieto, il pec- cato
seduce più della virtù. La ragione di ciò è semplicissima. Nell’ infrangimento
del divieto e nell’affermazione del male sembra che vi sia mag- giore e più
intensa virtù di sovranità individuale, che nella obbedienza ad una legge di
dovere. Il ‘bene è qualche cosa di oggettivo, di esistente,
qual- cosa che vuole avere valore di per sè ed imporsi di per sè.
La mente che lo riconosce , la volontà che lo pratica non fa che testimoniare
la sua umiltà innanzi a un ordine di cose, che ella ac- cetta come superiore a
lei medesima. Il male se- ‘ gna, invece, come la contrapposizione
dell’arbitrio del soggetto all’ ordine obbiettivo delle cose. È
l'orgoglio individuale, che si emancipa dall’abito di un riconoscimento passivo
dell’ essere. È l’ in- dividuo, che si ribella alla verità e dice: tu non sei |
| In fondo alla pura essenza della obbligazione morale vi è sempre una
qualche cosa di amaro; come un senso penoso di limitazione, di inibizione di
servitù sotto la pressione crudele d’un ruvido imperio. L’istinto della libertà
e della sovranità individuale non si arrende di leggieri a codesto
costringimento. Esso è sempre lì, in attesa impa- ziente, # sollecitare, con
desiderio angoscioso, una liberazione definitiva da questa eterna, cruciale
formola del tu devi ! Aggiungete che la virtù, come la felicità,
non CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 213 ha una stona. È
umile, semplice, laboriosa, sot- tile, talvolta, ed arida; la virtù, posseduta,
non è drammatica. Il dramma non è nella virtù conse- guita, ma
nell’aspettazione e nella gestazione della virtù da conseguire. Il dramma,
cioè, non è nella virtù, ma nella lotta tra la virtù ed il vizio. Si direbbe
che il male sia necessario per dare al bene colore e sapore; la luce, insegna
Me- fistofele, è nata dall’ombra; e ci vuole l’intervento . di Satana per
circoscrivere l’ eterno monologo di Dio e perchè sulla scena del mondo si
annunzi un dialogo. Di qui la freddezza apata dell’ canto. al cospetto
della umile virtù e la sua mal dissimu- lata simpatia verso i progressivi distruttori
delle tavole dei valori mvrali. Gli è che l'umanità ama, soprattutto, il genere
drammatico. L’ umanità vuole il dramma; onde, well’ intimo suo, essa nutre un
assentimento segreto verso tutte le forme di combattività e di ribellione,
comunque siano ispirate e dovunque approdino. Un santo no innanzi al dovere,
che sia il grido d’ un’ ani- ma profonda nell’ empietà e sublime nel sacri-
legio, la seduce e l’ affascina. E, nelle più dete- stabili esibizioni della
sofistica del male, vi è sempre una qualche cosa che non le dispiace del tutto
| Questo qualche cosa, questo intimo occulto) motivo d’indulgenza alla
illusione ed al male, s’insinua inavvertito, a volte, nelle pieghe stesse |
delle teoriche morali più sicure e baldanzose.: E ne nasce una
forma tutta propria, nella quale i 8 Tori
ia A z è ‘ 0 antico o + i. ; + sy dita è de
9214 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO ‘si legge quasi la tortura
di un pensiero, agitato ‘ed esausto in una lotta penosa contro un nemico
interno ed occulto. “ —’—Così, l’efficacia persuasiva delle sai mo- rali
è insidiata, minacciata, corrosa da tutte le parti. Ai teorici della morale non
resta che pren- dere atto di questa loro posizione d'’ inferiorità, che è, ad
un tempo, documento e testimonianza della superiorità infinita della fede alla
quale sono devoti. E, come si asterranno rigorosamente dallo apporre a loro
merito il plauso che nusce spon- taneo dal ripercuotersi, più o meno vivace,
più o meno fugace, nel cuore di tutti gli uomini, di certi universali e comuni
principî di vita e di amore, così non vorranno attribuire tutta a loro colpa la
scarsa efficacia suggestiva ed esemplare delle loro ingenue omelie.
* * * Il motivo fondamentale della filosofia della vita di
Federico Nietzsche è molto semplice e chiaro; la volontà di dominazione.
Arturo Schopenhauer aveva colpito, nelle ra- dici del mondo fenomenale o del
mondo delle apparenze, lo sforzo ed il conato improvvido ed effimero di una
certà volontà di vivere. Federico Nietzsche, a sua volta, ravvisa nei fenomeni
della natura, nelle figurazioni del pensiero, nei fatti della storia
altrettante forme » altrettante maniere di estrinsecarsi di quel sovrano motore
della na- tura e dell’uomo, che è la volontà del predominio.
CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 215 Volontà di vivere, dice il
Nietzsche, non è al- tro che volontà di dominare ; ogni vita è espres- sione di
dominio; espressione mascherata, fallace, inversa è l’ascesi, la fede e la
morale dei giusti e dei buoni; espressione sana e diretta di valido dominio è
la vita delle creature dominatrici , la vita che si agita di là dal bene e dal
male, la vita del superuomo. | Senonchè, Arturo Schopenhauer, ultimo e
fe- dele discepolo di Platone e di Kant, non attin- geva la nozione del valore
delle cose dalle fal- lacie della rappresentazione. La sua attitudine
verso la volontà di vivere è quella di una sovrana. condanna,
di una sovrana superazione da asceta. Egli sente al vivo il grido di dolore,
che si leva dalla radice delle cose sotto la pressura della cieca dinamica
della forza. Egli preannunzia la redenzione morale della coscienza dal cieco ed
improvvido impulso della individuazione. La sua intuizione della vita e la sua
morale è tutta un’a- poteosi del dolore diviso e superato, della com- passione
e della simpatia umana. Nel torbido e fosco concepimento di Federico
Nietzsche nessuna traccia, ormai, di questa sere- nità d’intuizione. Egli è
imbevuto di realismo ; c di realismo tale, che la sua rude violenza non riesce
nemmeno ad essere dissimulata dalle fi- nezze aristocratiche della forma. Egli
non cono- sce più la distinzione tra il mondo in sè e il mondo dei
fenomeni. Egli, l’ allucinato visivo del ponte : della elevazione, non ha
varcato ancora, ahimò!, il ponte della critica. Filosoto del
supernomo, ATA +. s db $ did Psi => — —]
co «n - | 2916 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO egli non
conosce quella forma classica di supera- zione del mondo fenomenale, che è
stata sem- pre prerogativa della metafisica della mente umana. Vittima delle
fallaci apparenze del principio di individuazione, l’attitudine di lui verso la
vo- lontà del predominio è quella dell’ apologeta, è quella dell’adorante. —
Nel fondo oscuro della impulsione umana , verso la cieca volontà di vivere e di
dominare vi è, pur sempre, un certo punto luminoso che è | spesso via di
salute. Una condanna, sia pure mal- ‘ ferma, della coscienza, una punta lieve
di rimorso, ‘an rimpianto nostalgico di una visione luminosa ‘ di bene
malaccortamente perduta! Contro la con- taminazione dell’azione compiuta e
della vita vis- suta si aderge l’imagine dell’ azione che andava ‘compiuta in
quella vece e di una vita da redi- mere e da rivivere: e questo primo ed
ingenuo rudimento di un giudizio di biasimo, contrappo- sto alla tristizia del
fatto, è la radice di ogni | ideale progresso della vita morale. È, almeno, un
‘ principio che antiviene le più profonile ed imme- ‘ dicabili degenerazioni
dell’ anima. Finchè la co- scienza leva un certo grido di protesta contro la
vita, sia pure un grido fioco ed isolato, tutto, forse, non è perduto ancora.
Qui inwece, tutto è | perduto, perchè è perduta la fede e soprattutto è |
perduta la speranza! ate i - i TT
= Ve n Pu Ma Federico Nietzsche potrebbe allegare
a sua discolpa le leggi delle vita. — Non è un co- CRITICA DI
FEDERICO NIETZSCHE 217 mando arbitrario che egli detta; è una
formula di vita che presume di rivelare. La volontà di vivere è una volontà di
dominare e di sopraffare. Le nu- stre istanze, le nostre recriminazioni sono
tacciate di infeconde: esse si dibattono nello sterile as- sunto di convincere
di reità l’ ordine delle cose. Non il filosofo, no, è la natura e la vita che è
complice del male e dell’ingiusto. Ora la vita non può essere condannata dal
suo contrario. La vita è principio di valutazione a sè medesima. Non la vita si
piegherà alla morale; è la morale che deve piegarsi alla vita. Ora la vita è
sostanzialmente appropriazione, soggiogamento di coloro che sono più deboli e
che sono estranei al nostro raggio di vita, oppressione, violenza, imposizione
altrui delle proprie forme e delle proprie abitudini, in- corporazione di
sostanza altrui, e, nella più blanda ipotesi, sfruttamento (1). Questa è la
vita e non altro; e chi ha dei dubbi in contrario, consulti la morfologia della
vita e degli organismi viventi; la quale gliene fornirà la più vigorosa confer-
ma. — Così, ripeto, potrebbe rispondere a noi Fe- derico Nietzsche; e noi
non negheremo già che questa posizione di tesi sia legittima e sacrosanta. Se
la volontà di dominare e di signoreggiare fosse una legge stessa del vivere,
riconosciamo, (1) Leben selbst ist wesentlich Aneignung,
Verletzung. Ueb- erwàltigung des Fremdem und Schwàcheren, Unterdrilckung,
Harte, Aufzwingung eigner Formen, Finverleibung und minde- stens Ausbeutung.
Jenseite. 8. 227. =" 218 L’UMANO CONTRO IL
SUPERUMANO anzi, anche noi, che essa sarebbe eminentemente,
sovranamente buona. Le leggi della morale non possono essere alcunchè di
diverso dalle leggi della vita. Ma, è proprio vero che la vita sia
codesto e non altro ? e che la volontà di vivere di ciascuna delle innumeri
esistenze della natura e della so- cietà non sia che un potente impulso di
domi- nare, di signoreggiare , di sfruttare, di assorbire le altre esistenze
? % * * La morfologia della vita e degli organismi
viventi — per usare la frase di Nietzsche — ri- sponde il contrario. Certo, la
vita di ogni esi- stenza è uno sforzo laborioso di appropriazione delle
sostanze esteriori per ritradurle nella pro- | pria, è uno sforzo
di assimilazione. Ma la vita è, altresì, un processo ritmico, bilaterale, a
doppia ‘ faccia; e l’assimilazione e l’ annessione degli ele- menti
esteriori non segna che un solo dei due aspetti della medesima. La vita non
procede sullo schema unilineare della mera conservazione: è un processo
continuo di ricomposizione dei suoi elementi, la sintesi di una integrazione è
di una disintegrazione, il limite tra una dissoluzione ed una rinascita, una
funzione circolare. È, ad un tempo, annessione delle condizioni ambienti alla
propria sostanza e cessione della propria sostanza alle condizioni
ambienti. La mutualità organica non consente la presa CRITICA
DI FEDERICO NIETZSCHE 919 in imprestito di elementi di vita senza
un corri- spondente e compensativo processo di restitu- zione. La vita è
volontà di vivere ed è volontà di morire per rivivere; è volontà di dominazione
,ed è volontà di dissoluzione. È volontà di do- minio ed è lotta per
l’esistenza; ma è, ad un tempo, volontà dell’associazione, ed è
simbiosi. La vita è, anche, cooperativa e coloniale; ogni esi-
stenza ed ogni organizzazione finita è il prodotto di un
consensus armonico di esistenze infinite- . sime. La vita non
si contrae nel centro oscuro di sè, ma si dilata verso la periferia; è
centrifuga, e non soltanto centripeta. Ogni essere, forse, è un frammento di
vita, in cui freme una sorda sensazione di manchevolezza ed un oscuro desi-
derio verso l’altro. | La vita, finalmente, è produzione e fecondità,
oltrechè essere assimilazione e nutrizione. L’ec- cesso dell’ assimilazione si
dissolve e si risolve nella fecondità generativa delle altre
esistenze. La. vita è specifica e non soltanto individuale, ripro-
duttiva e non soltanto conservativa. Quand’anche le leggi della vita morale e
so- ciale dovessero essere la copia esatta delle leggi della vita animale, il
Nietzsche, adunque, avrebbe torto lo stesso. Nel sordo fermento delle fun-
zioni organiche inferiori il fisiologo rinviene tutto un concerto di azioni
vitali , che nonsi ritradu- cono nella formula o nello schema unilaterale dell’
assimilazione nutritizia. Ma è evidente che pop PE ?
"A ti x ì } Va : — è
290 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO | l'assimilazione morale e
sociale non può essere misurata alla stregua dell’ assimilazione fisiolo- gica.
Nell’ assimilazione fisiologica trattasi di tras- formazione chimica di
elementi, la cui sostanza si elide traducendosi nell’altrui. Nell’assimilazione
morale trattasi, invece, di dominio, di possesso, di conquista di anime. Ora le
anime sonuv vite auto- nome, delicate e sensitive, le quali non sono 8-
similabili colla violenza, ma pel tramite delle leggi dell’attrazione similare
e della simpatia. Il modo dell’assimilazione spirituale non è l’ annes- sione
violenta assorbitrice delle altrui autonomie: è l’alleanza federale. Voi
non assimilerete a voi nessun’ anima umana, se non sapete renderla, anzitutto,
parte- cipe e cooperatrice spontanea e volenterosa di codesto lavorìo di
assimilazione. Se, per via di un irraggiamento spirituale e di una diffusione
be- nefica dell’ intimo della vostra sostanza di pen- siero e di vita, voi non
riuscirete a svegliare nel- l’anima dei vostri fratelli le vibrazioni stesse
che fremono nella vostra, fra essi e voi nessuna penetrazione di vita è
possibile, nessuno scambio di nutrizione morale. L’ assimilazione è consecu-
tiva ad una generosa largizione di sè; il dominio è il premio di una sublime
anticipata dedizione. Così, voi non assimilerete alla vostrale altre
anime, se non avete di già l’anima similare alla loro. Sarà dato & chi ha.
Se non avete educato in voi una grande capacità di amare e di soffrire all’
unisono cogli altri, questi altri non saranno CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCHE 291 mai vostri. Il vostro individuo riuscirà a domi- nare
gli altri, solo quando sia egli stesso divenuto come il senso e la vita degli
altri; quando l’ani- ma vostra, penetrando il velo opaco dell’ indivi-
dluazione, sia divenuta rappresentativa delle altre esistenze; quando l’ io
orgoglioso del superuomo sia disceso alle umili scaturigini della vita univer-
sale c si sia diffuso e dilatato nel seno dell’ ani- ma collettiva e nella
coscienza della moltitudine. La storia ci parla degl’ individui
dominatori, degli eroi e delle anime rappresentative. Ma la
grandezza vera e pura degli eroi non istà nella. intensità
acuta di un volere individuale. domina- tore, ma nella significazione
universale ed emi- nentemente, profondamente umana della loro co- scienza. Essi
segnano una compenetrazione , non una superazione dell’umano ; ed il loro
individuo è dominatore, perchè non è propriamente indivi- duale, ma è tipico ed
esemplativo dell’universale. Non il mondo è un riflesso della loro volontà, ma
la loro rappresentazione e la loro volontà è un riflesso del mondo.
Assimilarono le anime, perchè furono, anzitutto, similari agli esseri
assimilabili; perchè fu ad essi consaputo e luminoso quello che all’occhio
degli altri era latente ed oscuro. La loro grandezza è più un’ eco che un
suono: un giuoco di ripercussione e di risonanza spiri- tuale: un
riflesso ed un epifenomeno. Furono grandi, perchè squarciarono, con
una luminosa tra- sparenza divina, i veli dell’egoismo; perchè si spogliarono
del loro io ed accolsero in sè il fre- mito della vita di tutti. I più nobili
di essi fecero i Tan e pe DID
L'UMANO CONTRO IL SUPERUMANO olocausto di sè e del proprio essere
ad una causa comune: e non furono sovrumani egotisti ed ir- risori, ma eroiche
vittime lagrimanti sotto la sferza della legge universale del dolore e del-
l’amore ! La stessa buona novella redentrice piegò il suo divino
significato alle leggi della similarità e s’incarnò nelle viscere
dell’umano. Nè fu la volontà del predominio che stimolò la potenza
assimilatrice e le energie vitali degli individui creatori e delle anime
rappresentative: ma l’abbondanza e la pienezza di cuore. Essi amarono: e
soffrirono con gli altri e furono pro- fondi nell’amore e nella sofferenza:
onde risen- tirono in sè più intense le sollecitazioni e le aspettazioni dell’
anima collettiva. E, nella pleni- tudine dell’ abbondanza, furono sopraffatti
dal so- vrano bisogno di effondere sugli altri le pingui energie accumulate. La
loro fame di anime non fu l’agitarsi spasmodico dell’ avidità di possesso,
cercante al di fuori elementi d’integrazione e vit- time assenzienti e
deditizie. No : fu il prodigale espandersi di unaricchezza esuberante, che non
può più contenere sè stessa e guarda le mani tese verso di lei, con la
dolcezza, mista di grati- tudine, di chi si senta liberato da un gran peso
interiore. Ed i superuomini? Ahimè! Essi furono e sa- ranno usurpatori e
corrompitori malefici dell’ al- trui sostanza di vita, ma non sono nè assimila-
bili nè assimilanti, nel senso puro della parola; onde il dominio spirituale
delle anime e quell’ir- CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE . 233
raggiamento di vita che desta, suscita ed anima altre vite, non fu nè
sarà mai loro prerogativa. Fra il superuomo e l’umano non v’ha comuniche-
volezza, nè simpatia, nè consonanza di vita: per- chè, insomma, la legge
dell’assimilazione è la legge stessa della similarità delle anime. Ora il
superuomo è l’ Unico, l’isolato. Egli è il simbolo e la significazione
dell’essere non simile a nessun altro. Omne ‘individuum ‘ineffabile. Il
maledetto genio della individuazione lo ha differenziato , lo ha separato, lo
ha distanziato da tutto il resto della moltitudine umana! Egli ba varcato il
ponte dell’elevazione, lasciando dietro di sè , a distanza infinita, l’umanità
intiera. E si è collocato sopra una vetta inaccessibile, sulla quale nessuno può
seguirlo. Sotto la, sferza del suo dominio gemono, forse, anime schiave o
illuse, ma non gli sorride. una comunanza spontanea di sentimento da parte
delle anime libere, nessuna fraterna armonia di vita. Un superuomo è possibile,
forse, ma una’ società pacifica di superuomini è un assurdo. Di Dei non ve ne
può essere che un solo; e di due superuomini, uno, ahimè !, limita e, quindi,
supera l’altro. Lo stesso eroe di Nietzsche, Zarathustra, il precursore
del superuomo, danza e folleggia sui precipizi e non ha per compagni che l’
aquila ed il serpente. Egli è l’imagine e la similitudine del- l’inumano, il
quale espia col castigo di una soli- tudine glaciale la colpa di avere
inaridito in sè le sorgenti della similarità e della simpatia umana.. Egli è
incompenetrabile ai dolori, alle miserie, To fi;
” 24 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO alle debolezze
dell’umano; e, per non aver accon- sentito . ad essere assimilato dalla
moltitudine, non è, oggimai, più assimilante. Non è più domi- natore degli
altri, egli, il presunto, l’ allucinato dominatore; egli, la volontà di
dominazione dive- nuta fantasma vivente, divenuta persona |. A- troce ironia di
cose, questo presunto interpetre delle leggi della vita è fuori del processo
ripara- tore dell’assimilazione, è fuori del ricambio vitale. ,Egli
si alimenta e si attossica della sua stessa i sostanza, e, quando gli capita di
ridere e di fol- leggiare, ride e folleggia, huffone tragico, della
sua stessa follia ! * * * Codesto miserando destino è
l’auto-critica e (la condanna della super-umana volontà di dominio. Ed è una
saggia vendetta che la logica della vita va facendo della dottrina della carità
e della sim- patia così violentemente oltraggiate. La contraf- fazione e la
parodia inconscia, che Federico Nietz- sche ci foggia della vita e dei destini
futuri del su- peruomo, vendica e riscatta quell’ altra contraffa- zione e
quell’altra parodia che egli ci ha esibito ed intessuto attorno all’ intima e
pura sostanza della fede religiosa. Non impunemente l’ipercritica si
esercita so- vra le radici profonde della vita spirituale dell’u- manità.
L’acre voluttà della distruzione si ritoree, presto o tardi, contro di sè,
addentando la pro- pria sostanza. ti nni A cole miei nn N ni
CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 295 Nell’intimo della fede
religiosa Federico Niet- zsche non legge, nè coglie altro — come voi sa- pete —
che il pervertimento della volontà del dominio.—La fede, l’evocazione delle
potenze di- vine e dei numi tutelari della vita, è adunque,.
secondo il pensiero di lui, la ipnosi di un egoi- smo inferiore;
l’egoismo dell’accidia. La fede è lo spediente di salvezza di chi non vuole
fortemente o di chi non sa volere. La fede è 1’ aspettazione, il sospiro, lo
spasimo dell’altrui soccorso, dell’aiuto soprannaturale, delle predestinazioni
divine. La fede è la forza della debolezza, come a dire, il suo capolavoro di
finezza e di destrezza, il suo paradosso, il suo salto mortale ! Il
superuomo inimica, quindi, la fede, e la guarda passando , con occhio di sovrano
disprez- zo. Non crede, egli, non prega, non invoca il suo Dio. Egli dice
puramente e semplicemente: Io voglio! Invero, egli è la dominazione fatta per-
sona e si porge come un’antitesi psicologica della credenza. La credenza è
acconsentimento sponta- neo al verbo di un altro; ora il superuomo non
acconsente; egli è creatore e dominatore. La cre- denza è abbandono del proprio
io ragionante, del proprio io dubitante: ora l’attitudine del
superuo- mo è la critica ed il dubbio sempre presenti ed in istato
di perpetua tensione. La credenza è il salto dall’io al non io, dal me
all’altro; il superuomo è la significazione unica ed univoca dell’io. La cre-
denza è simpatia congeniale con le altre menti e gli altri cuori: la
super-umana volontà di domi- nio è impenetrabile costrizione dello spirito nel
I, PerBonE. -- Problemi del mondo morale. 15 A » -
-/ce-e | go i - » Li - ” x RA A sep daro glie 4
a. Barr e Are Mt 996 L’UMANO CONTRO IL
SUPERUMANO suo nulla interiore. La credenza è adorazione: il volere
del superuomo è disprezzo. | Quale fra queste due attitudini opposte del
pensiero e della vita ha ragione ? l’uomo che crede o l’uomo che ride? e la
fede è essa il sospiro spa- smodico della debolezza umana? la volontà di do-
minare è il grido squillante e trionfale della forza e della vita ?
* * * Signori ! anzitutto mi consentirete di dirvi che la
patogenesi dell’ ascetismo elaborata da Fede- rico Nietzsche non è una
psicologia. È il distil- lato di tutte le audacie, di tutte le violenze ac-
cumulatesi nei secoli a dileggio e strazio della fede religiosa, ma non è
un’analisi obbiettiva, serena, penetrativa, luminosa. È una contraffa- zione ed
una parodia, nella quale non difettano, certo, gli espedienti e gli
accorgimenti dell’ironia sapiente e mefistofelica. Ricorderebbe Voltaire, se il
ghigno amaro di Nietzsche non fosse superiore al riso frivolo ed ameno
dell’altro, e se la conce- zione del tedesco nostro contemporaneo non fosse
velata di quella spasmodica tristezza e di quella amaritudine cruciale, che è
qualità del tempera- mento dell’ autore, ed è anche un carattere del
tempo. Per altro, il ghigno amaro è, pur sempre, una varietà del riso, e
l’attitudine di Federico Nietz- sche al cospetto della fede religiosa, per
quanto impressa di elementi tragici, è tuttora quella del- l’umorista e
dell’irrisore. ate “ CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCHE 227 É vecchia quanto il mondo, dico meglio, quanto
l’umanità, la volontà del riso; e sempre la volontà di ridere ha assunto due
forme alquanto diverse e distanti fra loro : il riso ameno ed al- legro della
grande moltitudine degli inconsci e dei plebei, il ghigno amaro e l’irrisione
sarcastica | degli spiriti forti e dei superuomini. Universali ed Li inesauste
sono le radici di questa volontà di ri-‘ nd dere, la quale spesso si esercita
sovra le cose più | Ai pietose e più maestose, forse perchè è legge di ; ; 5;
natura che gli estremi si tocchino e che il sovra- i namente tragico sia a
distanza infinitesima dal h Da sovranamente comico; fofse perchè il riso non è
Di mai così basso, e quindi così pago e pregno di Du sè, come quando si
esercita sull’alto; forse perchè Pal la irrisione sarcastica profanatrice non è
mai così acerbamente voluttuesa, come quando invelenisce contro qualche cosa di
sacro. ue us - La critica della fede religiosa fornitaci da , Nietzsche è
tutta imbevuta di cotesto mefistofe- nei lico spirito della caricatura. — Nelle
sublimi ele- vazioni della fede, nei mistici rapimenti dell’ascesi, I vi è una
divina possanza del tragico, che nella coscienza opaca di anime corrose dal
dubbio - e dalla critica si trasfigura, senza difficoltà, in una
funzione del comico. Nei suoi slanci e nei È suoi oblii, l’asceta neglige
spesso certi moduli di Dda simmetria estetica e spesso determina degli effetti
nen di contrasto , ai quali si. connette, nel giudizio na degli altri e dei men
predisposti, una tal quale , associazione di elementi del ridicolo. Nelle sue !
‘impulsività e nei suoi spasimi di adorazione, tesse, bai seg dll
cad . (] af Prado, man N a 4 298 L’UMANO
CONTRO IL SUPERUMANO qualche volta egli stesso, sacrilego
inconscio, la parodia tragica della sua fede. Nella ossessione dell'amore e
dello zelo, egli trasfigura e perverte l'oggetto della sua adorazione. È
un pervertimento incolpevole e nobile , fi- glio dell’ingenuità e dell’anima
devota: ma altre infiltrazioni meno nobili si aprono, indi, la via nella
compagine dell’ascetismo. — Una pratica di fede, divenuta esteriore,
collettiva, universale, non in tutte le anime, che la partecipano visibilmente,
è espressione e documento di vita vissuta, è spa- simo di adorazione sentita.
Il parassitismo si ab- barbica, insidiandole, alle radici pure dell’ ascesi; la
fede si mineralizza in formula morta ; una ol- traggiosa ironia si organizza
contro di lei dalla sedicente credenza, ed è l’ironia più pericolosa, come
quella che viene non tal di fuori ma dal di dentro. Queste imperfezioni,
questi pervertimenti, que- ste degenerazioni non scemano la significazione di
salvezza e di vita, che è il lato eminentemente e profondamente divino ed umano
della felle. Queste imperfezioni, questi pervertimenti, queste degenerazioni
sono la fede già morta, non la fede operosa e vivente. Il filosofo, che guarda
le cose sub specie aeternitatis, indulge serenamente alle debolezze umane e
scevera la pura sostanza di vita dalle forme effimere e false, che la offuscano
alla visione degli inconsei e dei malevoli. Anche quello che è sovranamente
perfetto ha qualche punto manchevole: il centro della luce è opaco; il sole ha
le sue macchie. Come la morte non è CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE
GI9 una confutazione assoluta della vita, così l’ asce- tismo
degenere non è, nè può essere, la confuta- zione trionfale della fede
religiosa. Ma il genio mefistofelico della parodia non si piega a queste
considerazioni. Esso ha spiato, con arcana compiacenza, l’elemento umoristico
in- | sinuarsi nella maestosa ed ingenua altitudine tra- gica dello spirito
religioso; ed assapora di già e pregusta gli effetti del comico. Assiste di
poi, con bieca ammirazione, all’infiltrarsi di un altro ele- mento,
dell’elemento grottesco, — la deformazione, lo snaturamento , il falso che
insidia la sincerità della fede; e grida, allora, in un osanna di trionfo il
suo eureka : l’ho trovato! Dio è morto! la fede ha fatto la sua parodia!— E la
caricatura è fatta: la folla abbocca all’equivoco ed applaude ; la pa- rodia
trionfa; il falso ascetismo uccide il vero; il comico dà lo sgambetto al
tragico; il buffone sca- valca l’ eroe; la contraffazione. sopprime l’ origi-
nale ! * * %* È l'originale, invece, che noi vogliamo
guar- dare di fronte, non velato da nessuna tristizia, non contaminato da
nessuna ironia. Quell’ origi- nale ha vibrato e vibra ancora nel cuore dell’ u-
manità. L’ umanità ha creduto e crede : ecco il gran fatto della storia. La
credenza è uno stato di coscienza perennemente vivo nell’anima: ecco un sovrano
insegnamento della psicologia. Varia, nelle vicende de’ tempi , il contenuto
rappresen- @® «d& | la mn FI Cr 7 , È ‘o “»-
A de IO] Gi - ‘ 230 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO
tativo della credenza, ma la fede, come forma e qualità del sentimento,
non cangia nè muta. L’u- manità vuol vivere e vuole agire; ora alla vita ed
all’azione non soccorre la pallida luce del pensiero riflesso e dubitativo, ma
il calore di una cre- denza. Non è vero che il possesso di una fede scemi
l’energia e l’intensità del volere. Non è vero che l'io credo sia in antitesi
assoluta con 1’ io voglio. La credenza, anzi, è la radice stessa della volontà,
la credenza è l’atto. Ogni volontà ferma ed at- tiva, ogni volontà di pervenire
ad una meta o di attingere un ideale è, anzi tutto, un atto di fi- ducia ed un
atto di credenza in quella meta ed - in quell’ideale. Ogni volontà è animatrice
del suo oggetto; lo pone al di fuori, lo idealizza, lo tra- sfigura, se ne
innamora, gli erede. Estingue in questa fede ogni velleità di critica, ogni
indugio, ogni inibizione della ragione riflessa. L’ azione, per tal rispetto, è
figlia della credenza, non già della ragion ragionante, che miseramente s’invi-
luppa nei suoi se, nei suoi ma e nei suoi forse interminabili. Nè basta
dire io voglio, per volere in effetti. La volontà è energia spontanea ed
attiva; non ha, quindi, la malnata vocazione di Narciso, innam- morarsi di sè
medesima e cullarsi improvvida- mente in una beata ipnosi infeconda. La volontà
è espansiva ed effusiva; tende, cioè, al di fuori, non al dentro. Ohi dice io
voglio, pensa di volere, non vuole in atto. Il supernomo, il preteso cam- pione
autentico della volontà, non ha, in fonde, CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCHE 231 che delle velleità. E spesso gli capita di non vo-
lere in fatto, appunto perchè, fuorviato da un in- sano orgoglio, egli si
avvisa di voler troppo in idea. Egli vuol troppo il suo volere, ed
appunto per questo, vuol poco o punto. L’ oggetto, cioè, del suo volere non è
l’altro, è l’io; la vita di lui si ritrae e contrae dentro di sè; per eccesso
di disdegno o per difetto di simpatia e di fede. Ed egli avrà delle velleità e
non praticherà un atto solo di volere, finchè non si arrenda alle leggi della
vita e dell’azione; finchè non sommerga ge- nerosamente il suo io nell'oggetto
del suo desi- ‘ derio; finchè il presunto oggetto del "predominio non si
trasformi in oggetto di adorazione; finchè il dominatore ed il supercritico non
ceda il posto al eredente ed al devoto. Sì, egli ha delle velleità e non
della volontà, finchè il »xuo monologo infecondo non si traduce in un dialogo,
pieno di fervido abbandono, fra la sua volontà ed il Dio che la ispira, la
agita e la move. La fede è, quindi, una forma superiore, non inferiore
dello spirito, ed è di là, non di’ qua dai termini dell’ elevazione umana. La
credenza è signorile anch’ essa ed è prerogativa di anime signorili: ha toccata
l’altra riva con un atto di superazione più feconda che non sia quella se-
gnata dal superuomo. Il securo abbandono della fede è usbergo del sano orgoglio
morale ed è garanzia del dominio e del possesso spirituale, assai più
validamente che non lo sia l’ effimera, 932 L’'UMANO CONTRO IL
SUPERUMANO vanitosa, inconscia baldanza dell’ egotista super-
umano. . %* * * In questa attitudine di dominio della
fede è il segreto di quegli apparenti e visibili contrasti che la sottilità
psicologica di Federico Nietzsche colpisce nella pratica della fede religiosa.
Anche nell’intimo dell’ ascetismo sano ed attivo, egli, come abbiamo veduto
l’altra volta, scopre il gioco di una prepotente ed irresistibile volontà di
do- minazione. E, salvo il giudizio che ne formula, egli, certo, non ha torto e
ci dà modo di con- futarlo coi suoi medesimi argomenti. La fede re- ligiosa,
nella sua pura sostanza e significazione di vita, è così poco l’esasperazione
spasmodica di una certa stanchezza di volere, che è, anzi, il documento ed il
suggello di una grande vo- lontà, posseduta dalla luminosa visione dell’ in-
finito ed animatrice delle superne imagini di vita che ella adora. La volontà
degli asceti sublimi è impressa di possente e bene intesa energia di
dominazione e di superazione; è la conquista se- vera ed autentica del
superumano, ossia la ele- vazione dell’ umano al divino. La volontà dell’ a-
sceta è una volontà non di distruzione, ma di creazione; non di subbiettiva
contrazione nell’e- goismo fiacco ed inane, ma di obbiettiva espan- sione e
diffusione del proprio essere e del pru- prio volere. Il credente, se non crea
il suo Dio, lo ricrea, in un certo senso, dentro di sè, lo vive,
eee e . fl da <«U CD ij + Cio CRITICA DI
FEDERICO NIETZSCHE 933 lo fa suo. La fede è un commercio in cui le
due parti s’ invocano l’ una e l’altra; e se l’uomo ha bisogno di Dio, Dio, a
sua volta, ha come bisogno e desiderio dell’uomo. Siffatta penetrazione
dell’umano e del divino forma la pura essenza di vita dell’intuizione mi- stica
del mondo, — questa sovrana elevazione dell’ intelletto e dell’ anima, che
sfida da secoli il morso della critica e la contaminazione del sar- casmo
| Se la fede, come stato puro dello spirito, è argomento di volontà
sicura e signorile, è chiaro, o Signori, che l’antitesi posta dal Nietzsche fra
la capacità del dominio spirituale e le virtù della fede religiosa e della fede
morale è affatto insus- sistente. No: non è vero che l’adorazione del di- vino
o la devozione dell’imperativo educhi neces- sariamente alle passive virtù
della rinuncia ed alle angustie dell’ anima pusilla. Ogni grande azione dell’
umanità riconosce la sua scaturigine in un grande atto di fede. E se essa,
questa er- rabonda peregrina, potesse guardare indietro ai suoi passi, ad ogni
grande conquista attinta sulle vie infinite del'progresso spirituale, direbbe,
forse: io ti ho voluto, perchè ho creduto! Oggi si viole poco, e la coscienza e
la vita giacciono in un ma- lessere non sanabile per soverchia aridità e stan-
chezza di volere; e ciò, perchè si crede poco e si dubita molto, perchè non sì
prega ma si ride, perchè non si adora ma si disprezza! La volontà ha visto
inaridire le sorgenti di vita, dopo che ha respinto sdegnosamente da sè
l’eroica follia delle impulsività della fede |! 2934 L'UMANO CONTRO
IL SUPERUMANO * * * Codesta fiera ripulsa di ogni abito di
credenza è la radice vera di quell’inaridirsi di ogni senso di tenerezza verso
l’ umano e di quel :perverti- mento di ogni ideal visione ed imagine di amore,
che ha luogo nello spirito del superuomo, quando egli traduca nel pratica della
vita il suo sogno di orgoglio. | Invero, la simpatia e l’amore sono l’
equiva- lente emozionale e sentimentale della credenza, e l’ efflorescenza
gentile di una psicologia della fede. | | Perchè si soffra per l’altro e lo si
ami e ci s’ infervori pel bene suo, fino al punto da sa- crificarsi per esso,
occorre che l’altro ci. si raf- figuri in imagine di persona a noi similare e
fraterna. Occorre che nell’ intimo dei suoi stati di coscienza si vegga come un
riflesso puro e fedele dei nostri. Occorre che noi abbiamo fiducia in lui, come
ne abbiamo in noi. Occorre, in una parola, che noi gli crediamo. La
credenza e l’amore sono legati da una grande affinità elettiva. L’ una e
l’altro espri- mono, del pari, una generosa elargizione di sè, una devozione
incondizionata. L’ una e l’ altro idealizzano e trasfigurano il loro oggetto e
lo avvivano e ricreano in sè medesime, animan- dolo con pienezza di cuore. In
codesto processo di trasfigurazione ideale, l’ oggetto acquista una virtù di
suggestione e di fascino ed una forza di attrazione e di comando, che è la gran
molla CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 239 motrice della
volontà e dell’azione. L’ una e l’al- tro, nel fervore del rapimento e dell’
oblio y tes- sono, talvolta, la parodia inconsapevole di sè me- desimi.
Espressioni equivalenti del tragico e del divino che vi è nell’umano, ‘essi, la
credenza e l’a- more, sopportano, con pari destino, l’infiltrazione del comico;
e sono le manifestazioni classiche di vita su cui si esercita, di preferenza,
la volontà di ridere dellamanità, e che, in quella loro beata inge- nuità
indifesa, danno buon gioco al ghigno amaro degli uni ed al riso scurrile e
sguaiato degli altri. Per virtù di questa affinità elettiva, l’amore è oggetto
di contaminazione e di strazio pel su- peruomo, poco meno che non lo sia la
credenza. La logica del principio invano è scongiurata, ahimè !, dall’ austera
castità delle visioni radianti dell’autore di Zarathustra. Ed i discepoli
tolgono sopra di sè l’assunto di cancellare le benefiche e nobili inconseguenze
del pensiero del maestro. Nell’ amore il superuomo non reca una vo- lontà di
sofferenza, di devozione e di sacrificio; ma una volontà d’ integrazione e di
dominio. Il suo non è uno spasimo di tenerezza che persuade il generoso oblio
di sè, ma un sogno superbo di orgoglio e di conquista. Egli non ama, dico, ma
domina. Ora non è dominio l’amore, che è fu- sione dei due esseri e delle due
anime in una, che è compenetrazione ed unificazione delle due vite. L’io non si
eontrappone più all’altro : l’altro non appare più diverso dall’ io; la
presenza co- sciente e dominatrice del me è scomparsa; il do- minatore è un
dominato. Io sono tu — ecco la for- 236 L’UMANO CONTRO IL
SUPERUMANO mula dell’ amore. Il superuomo non può dire, e, se è-
sincero, non dirà mai altrettanto. Io sono io — egli dice e pensa dentro di sè:
onde la sua familiarità e la sua largizione spirituale non è mai intiera.
Attraverso l’ apparente oblio e le appa- renti follie della passione generosa,
egli è sempre donno e signore di sè, egli, il dominatore! Nel tenero sorriso,
nel sospiro suadente alle dolci ef- fusioni dell’ amore , nello spasimo
composito del desiderio e della dedizione, chi avesse il dono della visione
interiore vedrebbe facilmente spuntare l’ irrisione perfida e fremere il ghigno
sarcastico di Mefistofele ! A volte, è vittima inconscia egli stesso di
co- desta duplicità e di codesta purificazione fallace dell’istinto di possesso
e di conquista; perchè si tratta di ‘fenomeni interiori, che spesso giacciono
nell’intimo dello spirito e non cadono nel punto visuale della coscienza. Ma
l’amara verità sorge, presto o tardi, a smascherare i travestimenti mul-
ticolori dell’illusione; quel sogno, che non era cul- lato dalle serene e
perenni blandizie dell’ amore, ma che era offuscato dalle labili ed insidiose
lu- singhe dell’orgoglio, si dissipa e sfuma, come vo- litante farfalla che
nella stretta indelicata di mano profanatrice abbandoni il pulviscolo
iridescente; e, smarrita l’ideale visione del sogno, il domina- tore riprende
coscienza e possesso della sua na- tura, e respinge la vittima malcauta ed
esausta, dopo averne espresso dalle carni palpitanti e dal- l’anima in sussulto
ogni traccia e sentore di vita. Perchè il superuomo è !’ imagine di un Dio
inu- CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 237 mano, che
concede al mortale ed al caduco le briciole, non il pane della sua anima, e
riserva la sua inesausta sete di dominio ai trionfi del nuovo e dell’impreveduto
| Egli è, quindi, l’uomo che è amato (e ciò per una legge di perversità e
d’ironia, della quale basti qui il semplice accenno), ma non l’uomo che ama.
Egli è l’ usurpatore delle tenerezze e delle liquefazioni sentimentali e
sensuali delle anime bisognose di schiavitù e dei corpi posse- duti dalla
ossessione del piacere, ma nessuno dirà che egli ami, se amore è devozione e
largizione di sè, se amore è generosa effusione di vita in altre
vite. Egli è l’amatore di frodo ed è l’amato per inganno : onde il
valore propriamente este- tico e spirituale del dramma di amore, di cui egli è
il protagonista, è non già nell’animo di lui, freddo ed altiero, ma nella
generosa e passionale dedizione dell’altra. É, pur sempre, la volontà di
sacrificio della vittima che colora d’iridescenze purpuree la fosca imagine
dell’ usurpatore e le comunica un tal quale aroma di soavità e di pu- rezza!
Perchè il capolavoro sublime della dedi- zione sta appunto in ciò : adornare
con un sorriso di appagamento il trionfo del vincitore e fare di sè olocausto
alla redenzione ed alla consacrazione di lui! Noi prenderemo volentieri
nota di questi fiori del male e di queste sublimità eroiche del sacri- ficio;
ma, in qualità di psicologi, noi dobbiamo essere giusti. Noi dobbiamo
restituire alla fan- tasia inventiva ed ai sensi munifici e generosi
938 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO delle gentili dominate tutto
questo tessuto di pucificazioni ideali che esse ordiscono così volen- terose
attorno alla persona del dominatore. Noi dobbiamo guardare costui in faccia ed
esplorarne la vera e nuda natura, e diciamo allora: no, co- desto non è
conquista ardua ed eroica, è appro- priazione di un.dono inconsulto; non) la
volontà in te di dominare, ma la volontà in altrui di es- sere dominato è la ragione
ed il segreto del tuo ostentato ed effimero trionfo; onde, codesto non è
creazione e partecipazione di vita, ma sottra- zione di vita altrui; codesto
non è assimilazione spirituale, ma parassitismo; non amore è codesto, ma
profanazione e ludibrio e strazio dell’ amore; codesto non è invenzione di
nuove tavole o di nuovi valori, ma vecchia storia del modo. di vi- vere della
media degli umani impastati di tristi- zia e di fango! * * *
Se l’amore propriamente detto, o l’amore sessuale, si contamina e si
disgrega al contatto corrosivo della volontà di predominio del supe- ruomo,
raffiguriamoci che mai debba accadere di quell’altra forma più pura e nobile ed
elevata di amore, che è l’amore del prossimo e la carità verso l’umanità
dolorante e sofferente | È ivi che l’inumana alterigia e l’insano ego-
tismo del superuomo si manifesta nella forma più cruda e più ripugnante; ivi,
nel supremo dileggio e nello strazio supremo del bestiame umano !..Mai
CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 2399 come in questo essere, nel
quale sono inaridite senza rimedio le fonti vive della similarità e della
simpatia per l’umano, si è veduto così conculcato e bestemmiato il gran grido
perenne della morale universale: ama il tuo prossimo! Apologeta spa- simante
della sovranità: della forza e di quella gran superstizione scientifica che è
la lotta per l’esistenza, è il ghigno del sarcasmo, è la tortura dell'odio, — è
la guerra, è la distruzione che for- ma il suo sospiro, la sua visione
prediletta, il suo elemento di vita. Laonde, in un inno alla guerra ed ai
guerrieri, egli esce in quel paradosso « la guerra ha fatto più grandi cose che
non l’amore del prossimo (1) >», che sarebbe profondamente vero, se
esprimesse con fine significazione di sa- tira e d’ironia un giudizio
sull’umanità, la quale è stata, certo, più grande e più possente nell’odio che
nell'amore, ma che, formulato come legge di vita ideale di condotta,
costituisce un’offesa contro le più nobili aspirazioni della coscienza
morale. * * %* Certo, la morale. dell’amore universale
può degenerare anch’ essa, ove non sia contenuta nei debiti confini dalla
saggezza. Quella morale, per la debolezza e la tristizia degli uomini, degenera
a volte nelle virtù, meramente passive, della ri- nuncia e del sacrifizio ad
oltranza, le quali, dove non siano peccaminose, sono, quasi sempre, una
(1) Sono parole del Nietzsche : Zarathustra, p. 49. LI
Ì ; i & 240 L’UMANO CONTRO IL
SUPERUMANO dissipazione infeconda di vitali energie. La morale
della sofferenza ad ogni costo, la morale che di- stilla il dolore con acre
voluttà di dedizione, se- I gna un pervertimento dello spirito e può essere |
benissimo l’ipocrisia della stanchezza di vivere. . La generosità vera non
-consiste nell’annienta- mento dell’ essere proprio in favore dell’ altrui, ‘
ma nella partecipazione generosa della sostanza dell’ essere e della vita a chi
ne abbia bisogno ed abbia l’ anima amica e predisposta a questa irra- diazione
spirituale. Le leggi della saggezza con- sigliano , e spesso impongono in
formula di do- vere, il sacrificio fecondo, che moltiplica l’ essere e la vita
negli altri; condannano le dedizioni ste- rili, che cominciano dall’annientare
quell’essere e quella vita in chi già la possiede. Il sacrifizio ad oltranza,
quando sia l’ ideale i sospiro dell’ accidia, di questo fondamentale tra tutti
i peccati, di questa mineralizzazione dello spirito, è principio di rovina e di
caduta. Ed esso riesce soprammodo oltraggioso alle leggi della vita morale,
quando rappresenta l’ immolazione di un’anima pura ad un’anima perversa. Perchè,
non tutte le anime sono aperte alle insolazioni spirituali ed alle irradiazioni
di luce e di calore che emanano dagli spiriti infervorati del bene. In
"questa umanità misera ed abbietta abbondano le nature scese all’imo della
degradazione e del per- vertimento, abbondano le nature dalle quali è de-
finitivamente cancellata e sparita ogni superstite traccia di quel po’di divino
che vi è nell’umano. L’anima pura, che incontri, per avventura, una o
CRITICA DI FEDERICO NIETZSCHE 941 più di queste plebee
esistenze, divenute inacces- sibili ad ogni elevazione ed impenetrabili ad ogni
irraggiamento spirituale, non ha che un solo do- vere imperioso ed urgente:
fuggire inorridita dal loro contatto e custodire nell’ asilo della propria
coscienza ed educare in una solitudine ricca di vita interiore le fonti vive
dell’ attività e della perfezione. Del pari, non è da negare che la
nobilissima virtù cristiana dell’umiltà si è contaminata nei secoli, passando
attraverso alcune anime povere, più disposte a ripetere la lettera anzichè a
sen- tire lo spirito intimo della buona novella. E forse, per le inevitabili
deformazioni che la debole ed imperfetta realtà imprime nei più sacri ideali,
il significato orginario di redenzione dalle menzo- gnere parvenze del finito e
del caduco, che è l’es- senza più pura dell’ umiltà cristiana, si è venuto nei
più impallidendo ed obliterando. L’ umiltà è | divenuta, per una troppo umana
interpetrazione, | sinonimo e suggello di pusillanimità e di abito di / .
accomodamento. E quel sano ed illuminato Orgo- \ glio morale e quel sentimento
di estimazione della : propria dignità spirituale, che è la base prima e
perenne di ogni elevazione dello spirito, è stato insidiato e corroso nelle
radici dalle malsane sug- gestioni della rinuncia e della dedizione.
>» * * Ma il pensiero di Federico Nietzsche non si limita ad una
semplice e legittima reazione con- I. Perrone. — Problemi del mondo
morale. 16 DAD L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO tro questi
pervertimenti della morale del sacri- fizio e della mortificazione. È evidente,
ahimò!, che la filosofia della vita e l’analisi della fede. religiosa,
intessute dal pensatore tedesco , pro- cedono ben oltre. Non la morale,
soltanto, dell’u- miltà malintesa egli condanna, ma anche la mo- rale della
carità e dell'amore ! Nè agli snatura- menti della virtù della rinuncia, ei
contrappone il sano e nobile principio dell’ autonomia della persona morale, ma
l’impulso impuro ed egoistico della individualità, liberata da ogni disciplina
di dovere. La morale della volontà del predominio e del- l’egotismo
super-umano è tutt’altra cosa che non sia la morale sovrana dell’
orgoglio illuminato, cioè a dire dell’ orgoglio impersonale.
L’egotismo ‘celebra i trionfi della passione, della individua- zione, del
corpo, di quello, cioè, che nell’uomo è fuggevole e caduco, argomento di
inferiorità, di servitù, di tristizia e di dolore. L’orgoglio vir- tuoso ed
illuminato, l’ orgoglio impersonale cele- bra, invece, i trionfi dello spirito,
ed è inspirato dal senso vivo della dignità infinita dell’ anima, della dignità
infinita dell’essere umano, in quanto portatore ed interpetre di un principio
divino di vita. Un assoluto dissidio separa la filosofia del su-
per-umano dalla filosofia evangelica dell’ amore: epperò la logica della
dottrina di Nietzsche con- traddice e dileggia non solo talune delle deriva-
zioni pervertite della fede di Gesù, ma anche la più pura ed ideale sostanza di
quella fede. Troppo ne STONE né! fede egli
indulge al senso della terra, ed alle malsane emanazioni che ne derivano,
attossicando la co- scienza dell’uomo, illuso dalle vanità dell’orgoglio
individuale e materiale! Troppo lo domina il fa- scino delle emozioni dell’io e
troppo egli oblitera la carità, la simpatia, la fraternità dell’ umano! Non la
sola rinuncia passiva, ma anche la largi-/ zione feconda e generosa della vita
e dell’ esseré © è minacciata nella tumultuaria concezione di que- . sto pagano
filosofo dell’egotismo, di questo furente : apostolo della sovranità della forza,
della guerra ; | all’umano, della volontà della dominazione ! } Non
l’elevamento spirituale, non la immaco- lata purezza della coscienza illuminata
dalla com- prensione della vita, è la meta ed il sospiro finale della volontà
del predominio; ma è l’egotismo inu- mano e perverso, sdegnoso di ogni rapporto
di sclidarietà, di ogni commozione di pietà, di ogni legge di amore. | Nessun
sano ideale morale redime quella folle condanna del bestiame umano; e nessun
soffio vi alita di quella pietà e di quella simpatia, che è il fiore dell’anima
pervenuta alle radici della vita e del dolore del mondo. Ahimè! quel bestiame
umano ch'egli dileggia, non è la folla degli es- seri moralmente spregevoli, ma
la innumerevole moltitudine umana, che vive la vita vera e la vita morale,
nobilmente lavorando ed espiando a profitto della schiera parassitaria dei
privilegiati e dei dominatori! | | Li Severo è il giudizio che sgorga spontaneo
dal- l’anima al riconoscimento di questa amara verità; b CRITICA DI
FEDERICO NIETZSCHE 2943 > DS SO _ me
> I ” Ò6 é DAL L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO e certo,
quella sua apoteosi della morale dei pa- droni, quella sua oltraggiosa ed
insana offesa alla morale delle vittime o dei martiri rappresenta una
profanazione sacrilega, che solleverebbe un grido di abbominio in ogni creatura
senziente, se la tristizia morale del paradosso non fosse redenta dall’amarezza
dello spirito delirante di chi lo espres- se in forma sì rude! * *
%* In verità, Federico Nietzsche fu vittima di una insanabile
infermità dell’intelletto, che gli of- fuscò la visione limpida e serena delle
cose e che gli venne progressivamente intorbidando quell’i- deale originario di
elevazione signorile dell’ indi- viduo umano, che deve avergli sorriso negli
al- bori della giovinezza e della sanità dello spirito. La concezione del
superuomo, forse e senza forse, è argomento non solo d’indagine e di critica
fi- losofica, ma di esame patogenetico e psichia- trico. La patologia
dello spirito ci parla di alcune forme paradossali di alienazione e di mania,
in cui una superba gioia ed un giammai provato senso di benessere e di piacere
puro e di vera e propria beatitudine invade l’anima e si dipinge sul volto del
soggetto, e gli sorridono visioni di ambiziosa grandezza e lo lusingano forme
eccelse e super-umane di vita. I medici dicono che è una insidiosa
euforia, analoga a quella dei tisici in estremo grado e CRITICA DI
FEDERICO NIETZSCHE 245 degli agonizzanti, e che larva e dissimula
una de- vastazione profonda della vità organica e della psiche. La
concezione del superuomo è il capolavoro tragico a rovescio di questa insana
euforia, la quale germoglia sul fondo della disgregazione mentale di un genio
mirabilmente dotato di im- maginaziene creativa. Non si può, senza
provare come un senti- mento di angoscia paurosa, indugiarsi a lungo su questo
triste segreto d’ironia e di dolore. Sono molecole di sostanza pensante in
istato di decom- posizione e di dissolvimento, che si agitano e fremono sotto
il luccichìo delle immagini e la fosforescenza radiante delle visioni ideali !
Atteg- giato a beatitudine olimpica, crede di portare in sè un nuovo mondo ed
il messaggio di un nuovo essere, il superuomo, égli, in cui una legge d’i-
ronia sanguinosa disgrega sordamente la sostanza dell’uomo! Umorista tragico,
egli ostenta ed im- pugna con trionfale baldanza e supremo riso di appagamento
lo stigma del suo dissolvimento, della sua dannazione! Ed asseconda la bieca
ironia della natura, la quale, come ebbe ad osservare A. Schopenhauer, completa
la tortura con la de- risione e, mentre infligge i dolori della tragedia, si
rifiuta di consentire alla vittima dolorante la suprema dignità del personaggio
tragico e la con- danna ad indossare la divisa del buffone! Di codesta
specie di umorismo tragico è tutta impressa, da capo a fondo, l’opera di
Federico Nietasche, e le comunica una potente significa-
246 L’UMANO CONTRO IL SUPERUMANO zione estetica, che è fattore non
ultimo del ta- scino ch’ essa esercita sopra le più elette tempre di letterati e
di artisti. | Isolata dagli elementi di cruciale e spasmo- dica tortura,
i quali furono propri del tempera- mento dell’autore, la figurazione del
superuomo non si salva dalla punta del ridicolo; e, per quella legge del
grottesco che vi è nelle cose, e che as- socia il supremamente pietoso al
supremamente risibile, degrada nelle contaminazioni amene degli egotisti e
diventa ludibrio e strazio della carica- tura .plebea. Per fortuna,
questa oltraggiosa infiltrazione del comico, se colpisce la tesi obbiettivamente
considerata, non attinge la tragica altitudine per- sonale di Federico
Nietzsche. Egli fu un’anima pura: e la sua vita, che fu in assoluta
antitesi col suo pensiero, e che si ri- flette nell’ immacolata purezza dell’
arte sua im- peccabile , redime le aberrazioni della dottrina. L’evocatore del
senso della terra, l’ipercritico del- l’ ascetismo, fu, per fenomeno di
contrasto, un asceta, uno stilita, incatenato alla colonna della purità da un
ideale superbo di perfezione! Il fi- losofo del superuomo, l’ adoratore della
volontà di dominazione, l’ irrisore del dolore umano, du- rante tutta una vita
eroica e triste, ha reso te- stimonianza di una legge di dolore ed ha atteg-
giato e consumato ed espiato il destino della vit- tima! Si direbbe che egli
abbia offerto in olo- causto tutto il suo essere ed abbia sopportato che si
disintegrassero i tessuti della sua compa- CRITICA DI FEDERICO
NIETZSCHE 247 gine corporea e le fibre della sua anima, per
esprimerne il senso della terra, e lanciare ai ven- turi una parola che, nella
sincerità della com- mozione e del sogno, egli credè una parola vi- tale
! Qui, sì, tutto diventa nobile attraverso la sin- cerità della fiamma; e
noi, avversari della filosofia del super-umano, c’inchiniamo reverenti all’uomo
che la redense e la superò nell’ amore e nel do- lore dell’umano. Nella
solitudine intellettuale in cui egli si avvolge non germogliano i fiori della
tenerezza, ma freme pur sempre il grido di un’anima ec- celsa nel dolore,
sublime nell’ allucinazione , pro- fonda nella ferita ! iti
=== = e —gerre-———— Ir pr Tr rorooneeenze sermone — -
Ji “IL PROBLEMA DELLA MORALE © Dei problemi della
morale ve ne ha uno, che è il più grave di tutti e che va dibattuto prima di
ogni altro, perchè tutti gli altri non han senso e valore che da esso e per
esso e da una o per una delle sue soluzioni; e questo problema col- pisce le
ragioni e le radici della moralità e pone in disamina ed in contestazione le
basi del giu- dizio e del discernimento etico ed i dati stessi, fondamentali ed
immediati, della coscienza mo- rale. | s | Le differenze di valore che la
coscienza pone tra le varie azioni ed i varî modi di vivere e di agire — onde
taluui di codesti modi si giudicano preferibili a taluni altri, ed alcune
azioni si hanno per buone ed altre per cattive — queste differenze ) di valore,
dico, sono esse corrispondenti all’ordine obbiettivo delle cose? È fornita di
sussistenza reale la distinzione tra il bene ed il male e tra (1)
Prolusione al corso ufficiale di filosofia morale nella R. U- niversità di
Napoli, letta il 10 Dicembre 1901 950 IL PROBLEMA DELLA
MORALE la condotta morale buona e la condotta morale cattiva, ed ha
ragione di essere una legge del bene, che prescriva, imperativamente e categori-
camente, al volere umano il compimento di date azioni e la omissione o la
riparazione di date al- tre ? Ed il soggetto umano è egli fornito della potestà
di compiere quel dovere e di obbedire a quella legge, piegando all’imperio
della medesima così le sue determinazioni interiori, le quali, pure, appaiono
sottratte al suo arbitrio cosciente, come le forze e gli elementi esteriori
della natura, ma- teria sorda della sua azione e del suo potere?
Questo problema non nasce da un meditato disegno di escogitazione razionale,
nè è il sem- plice riflesso di un’abitudine malaugurata di scet- ticismo
sistematico, alla quale rispondono a sut- ficienza le spontanee reazioni
emotive della co- scienza morale e le ispirazioni del sentimento. No, questo
problema ha radici più profonde e nasce dal vivo della scienza e, dello spirito
scientifico moderno ed attinge il suo significato , il suo va- lore, la sua
colorazione di attualità dalla intui- zione naturalistica del mondo che domina
oggi i campi del sapere. (1) (1) Cfr. l’altro mio libro I limiti
del determinismo scientifico (p. 108-116 e passim), al quale immediatamente si
riconnette, e vi rin- viene esplicazione e chiarimento , quanto è detto e,
spesso, solo accennato in questo discorso. Il dissidio fra lo spirito scientifico
(strettamente detto) e lo spirito etico è, altresì, egregiamente esaminato ,
fra i nostri, dal De Sarlo in Metafisica, scienza e moralità (Roma 1898).
IL PROBLEMA DELLA MORALE dI Bandito il principio delle cause
finali dall’in-. terpetrazione della natura come da quella del
mondo umano, il naturalismo non riconosce come forma intelligibile
dell’universo che il rigido prin- cipio delle cause efficienti : onde i
fenomeni ed i cangiamenti tutti, e le azioni dell’uomo come gli accadimenti
della natuta , si porgono quali risul- tati necessari ed equivalenti del
determinismo dei loro antecedenti e delle loro condizioni. | Pertanto, la
sola attitudine legittima, che la nostra mente possa assumere verso l’ ordine
dei fenomeni, è di esaminarne il corso secondo la ra- gione di causa e di
effetto, o secondo la connes- sione causale degli elementi che concorrono a de-
terminarli; e la coscienza etica valutativa, la quale interpone fra quei
risultati equivalenti nina diffe- renza di valore, e li giudica alla stregua di
alcune esigenze e relazioni ideali, e gli uni loda ed ap- prova e gli altri
riprova e censura, è vittima di una nobile ed ingenua illusione,
perchè quei ri- sultati sono, & rigore, indifferenti e tutti
egual- mente legittimati dal principio di necessitazione delle cause
efficienti. Le sole categorie legittime dell’intendimento al cospetto dei reali
sono quelle della coscienza teoretica, quelle, cioè, della verità o della
non-verità, della realtà ovvero della ir- realtà; laddove le categorie della
coscienza pra- tica, ossia i giudizi e gli apprezzamenti in ordine alla
presunta bontà o malizia delle azioni, sono idoli del sentimento
subbiettivo. Non meno erroneo ed arbitrario si è il con- Gepire quei
risultati come termini o tendenze o dt PNE i E E DEI IL
PROBLEMA DELLA MORALE mete ideali v cause finali, in vista delle
quali ab- biano operato le cause efficienti, quasi sollecitate da una dinamica
interna e da un interno oscuro desiderio verso l’idea o il tipo dei risultati
medé- simi: perchè è l’effetto che «siste per dato e fatto della causa, non la
causa che esiste per virtù di anticipazione ideale dell’effetto. — Ciò che la
tilo- sofia finalistica reputava che fosse primo, rispetto alle intenzioni di
natura, coincide perfettamente con ciò che è primo rispetto a noi, ossia
rispetto alla serie successiva e temporale dei cangiamenti; ed, a rigore, non è
da purlare delle presunte in- tenzioni di natura, nè.di fini e di termini o
d’i- deali che quella, per avventura, si proponga di raggiungere o ai quali essa
sia inconsciamente sospinta, come se nelle cose e nei fenomeni vi fosse un
interno dissidio tra quello che esse sono e quello che vorrebbero essere, fra
l’attuale ed il . possibile, tra le cause efficienti e le cause
finali; perchè, anzi, v’ha, in natura, concordanza piena ed intiera
fra l’attualità dell’essere e la sua possi- bilità, e la direzione opérativa
delle cause effi- cienti è direzione univoca ed unilineare, e la no- zione
dello scopo o del fine è uno schema sovrap- posto all’ ordine di causazione, e
che nasce da quell’equivoco singolare, per cui le risultanze del processo
naturale sono astratte ed isolate artifi- ciosamente dal processo medesimo ed
obbiettivate e trasfigurate al di fuori in forma di entità auto- nome ed
indipendenti. | Le quali cose vanno dette non solo della na- tura, ma
dell’uomo, altresì, che è un prodotto, an- hl IL
PROBLEMA DELLA MORALE 953 ch’egli, della natura ed un anello della
catena dei fenomeni naturali: onde la nozione di una pre- sunta finalità dell’
uomo, posta come criterio va- lutativo delle sue azioni e come idea direttrice
o termine ideale delle azioni medesime, è da respin- gere anch’essa come una
fantasima della coscienza, perchè il termine cui pon capo la natura dell’uo- mo
non può essere alcunchè di diverso da quello a cui traggono necessariamente le
forze naturali in lui operose. E si noti che, tolte le finalità del- l’umana
natura, è tolta, ad un tempo, la ragione della bontà e della malizia delle
azioni; perchè il bene non è altro che una integrazione del fine, in quanto
esso esprime, appunto, la relazione di convenienza dell’ essere al suo fine, o
il rapporto di conformità dell’azione agli scopi ed agl’ ideali, universali e
necessari, dell’agente. Ed, in defini- tiva, l’ordine morale, o l’ordine dei
fini o delle valutazioni delle azioni in quanto rispondono a quei fini o ne
deviano e discordano, è una rap- presentazione subbiettiva dello spirito e non
una realtà obbiettiva, perchè è obbiettivo nella na- tura, solo ed esclusivo,
l’ ordine fisico , o il pro- cesso necessario degli accadimenti determinato dal
principio delle cause efficienti. E l’ordine mo- rale non è una realità
autonoma ed indipendente, ma una funzione dello stesso processo naturale
dell’operare umano, funzione che, per illusione di prospettiva, si astrae dal
processo al quale ine- risce, e sì solleva a sostanza ed a causa del pro- cesso
medesimo. La coscienza, la quale si pone a centro e misura dei cosmo e presume
di non es- 254 IL PROBLEMA DELLA MORAL sere mancipia
del giogo della causalità naturale e si arroga la potestà di foggiare tutto un
mondo ideale contrapposto al mondo della natura, la co- scienza, ahimè !, non è
che un tenue fenomeno, anch’essa, nella serie dei fenomeni, meglio ancora, essa
è un epifenomeno del movimento materiale, una trascrizione o una mediazione o
una riper- cussione simbolica del processo reale della natura, una iridescenza
delle vibrazioni molecolari, una spumeggiatura del meccanismo nervoso.
Negata, quindi, la causalità e l’ attività dello spirito, negata la capacità di
cangiamento dell*a- zione, negata la libertà del volere, che si rivela,
anch'essa, come una delle mediazioni secrete, tra- verso le quali operano,
dissimulate ed inconscie allo spirito illuso, le cause efficienti dell’ operare
o i motivi determinanti e necessitanti della serie delle volizioni: negato il
fondamento della ne- cessità morale e l’obbiettività del dovere, al quale vien
meno, ad un tempo, la materia e la forma: la materia, ossia la realtà del bene
da conseguire o del fine da raggiungere, la forma, ossia la fun- zione
imperativa della legge del bene e l’esigenza di una devozione incondizionata al
contenuto dei suoi precetti. * * * Grave, senza dubbio,
codesta soluzione nega- tiva del problema della morale e codesto non
dissimulato dissidio fra lo spirito scientifico e lo spirito etico; grave,
anzi, a tal segno, che ogni ict i de i in IL
PROBLEMA DELLA MORALE 255 più severo cultore del naturalismo si
dispensa volentieri dall’approfondire questa logica ineso- rabile del sistema,
senza che, per altro, la sua incoerenza devii di una sola linea il fatale
andare delle teorie verso le loro estreme conseguenze. Se non che la intuizione
naturalistica del mondo, così ricevuta ed intesa come un sistema dogmatico e
non ancora esperimentato da quella sapiente autocritica che
persuade un sano e le- ninteso agnosticismo, appare come una
novissima metafisica a rovescio, non legittimata da una ri- gorosa critica
della conoscenza, nè da una sintesi filosofica delle scienze, ovvero da un
processo d’integrazione sintetica ed organica di tutti gli aspetti del vero e
di tutte le forme del reale. Alla scienza, che nega la verità del mondo morale
ed oppone, in attitudine di trionfo, la verità delle categorie della coscienza
teoretica, è facile rispon- dere che, dopo tutto, le ragioni della certezza
morale, per essere primitive ed immediate , sono più salde e più sicure, che
quelle, derivate ed in- dirette, della certezza scientifica. Se la verità è
rapporto di concordanza del dato e della rappre- sentazione, dell’oggetto e del
soggetto , essa sarà una qualità nativa delle intuizioni della coscienza
morale, dove il soggetto coincide con l’oggetto ed il conoscere col fare, e nol
sarà, o non sarà così agevole dimostrare che sia, delle conoscenze atti- nenti
al mondo esteriore, le quali non rendono la realità assoluta del dato, ma solo
la relazione di esso alle forme costitutive del pensiero e della coscienza. Il
fondamento e la genesi di ogni Ai | t da di 956
IL PROBLEMA DELLA MORALE realtà e di ogni affermazione di esistenza
reale è in noi stessi, ovvero nella intimità e nella con- tinuità del nesso fra
l’oggetto e noi, o nella vi- vacità maggiore o minore onde l’ oggetto eccita,
stimola e punge il nostro interesse e diventa una funzione della nostra natura
attiva o un momento della nostra vita. (1) L’ideale morale è più vero per noì
che non qualsiasi presunta realità della natura, perchè esso esprime una
esigenza imme- diata del nostro vivere e tocca l’intimo dell’esser nostro e
colpisce le radici della nostra reattività emozionale e delle nostre vitali
energie. Le co- noscenze morali non sono astratte interpetrazioni e teorie, ma
il riflesso consaputo dell’azione; una scienza che nasce dall’i:.timo della
vita, una idea immanente nel fatto, un sapere che germoglia dall’operare.
Il fondamento sul quale si appoggia l’ ob- biettività deile scienze della
natura è il convin- cimento della realità dell’ estensione: il che non esce dai
termini della più rigorosa subbiettività e vuol dire, solo, che le nostre
sensazioni seconde (visuali, auditive, tattili e così via) si proiettano
permanentemente sulla trama del tempo e dello spazio, ossia sulla trama dei
nostri dati musco- lari. Credere, quindi, che il meccanismo sia il sub- strato
della realità delle cose; è, in ultima istanza, tutt'uno che presupporre che la
nostra natura mu- scolare sia la forma fondamentale ed adeguata (1)
James, Principles of Psychology. Ch. XXI. IL PROBLEMA DELLA MORALE
957 dell’essere in sè, o dell’essere assoluto led estra- soggettivo
delle cose: affermazione dogmatica, che trascende i limiti di ogni scienza e di
ogni cono- scenza. Le scienze sperimentali non superano, a loro volta, il mondo
delle apparenze o, per dir meglio , il mondo del subbiettivo, ovvero delle
forme permanenti costitutive della nostra vita spirituale; e la materia è così
lungi dallo spiegare la coscienza, che vuole esserne anzi spiegata, per- chè
essa stessa non può essere concepita che in termini di stati di coscienza.
(1) Tradurre questa serie di apparenze in un si- stema esatto di
equivalenze è il massimo degli assunti ed il massimo dei trionfi della scienza:
ma il dogmatismo scientifico, che ritraduce il sim- bolo nella realità e le
equivalenze logico-matema- tiche in presunte trasformazioni reali ed obbiet-
tive, non sì sottrae alla sorte che è storicamente toccata ad altre forme, più
ingenue ovvero meno intellettuali, di dogmatismo. In vero, il sereno
cultore delle scienze posi-, tive, il quale non contamina con preoccupazioni sistematiche
la severità della ricerca e del proce- dimento scientifico, sa bene che le
scienze non rendono una esplicazione fedele ed immediata; della
verità assoluta delle cose, ma attuano una Ò sostituzione dei dati quantitativi
e misurabili dei; », fenomeni ai dati qualitativi ed
incommensurabili;' una sostituzione comoda, che ha per genesi ul- tima e per
ultima giustificazione la necessità, i (1) Payot, De la croyance
(Paris, 1896), passim. I. Perrone. — Problemi del mondo murale. 17
di * 958 IL PROBLEMA DELLA MORALE meramente
pratica, di semplificare le conoscenze naturali, a costo del vero, per
agevolare il do- minio sulla natara, in grazia dell’utile. La rap-
presentazione che le scienze sperimentali rendono della realtà non è, quindi,
adeguata, ma simbo- lica, nè ordinata ad oggetto di sapere per sapere, ma
accomodata alle esigenze del nostro intendi- mento e destinata al conseguimento
dei nostri fini di utilità, o ad oggetto di sapere per potere. Il criterio
della certezza scientifica è meno quello della verità delle conoscenze, che
quello della conformità di esse ad un dato scopo pratico o ad un dato ideale.
Anche la coscienza teoretica è dopo tutto, una funzione protettiva della vita;'
ba ‘il criterio della fecondità vitale, ossia dell’attitu- dine a migliorare ed
accrescere le forme e le energie della vita, è il criterio comune che deter-
mina e misura l’obbiettività dei prodotti del pen- siero teoretico, come di
quelli della coscienza mo- rale. (1 ‘‘. Non si può, poi, in nessun modo acconsentire
ai due principî fondamentali sovra i quali si fonda la intuizione naturalistica
del mondo; voglio dire, |/ la eliminazione della coscienza dall’ ordine delle |
cause attive dei cangiamenti, e la condanna del- 5l’ antico principio delle
cause finali. Questa dop- ‘ pia negazione si rivela piuttosto come una istanza
(anticipata o una esigenza a priori del sistema, 4 che come il prodotto di una
disamina e di una {critica rigorosa e serena. Essa si appoggia, bensì, sopra le
inferenze analitiche delle scieuze parti- DA è n > n A è . 2: I
0% ur, FA Uto CO #, EAC ‘1 * : A i die a rie iii _ __ Sl
IL PROBLEMA DELLA MCRALE 259 colari della natura, ma non è
punto suffragata da ) una intuizione filosofica del mondo, che unifichi )
i dati e le conclusioni particolari e le raccolga in sintesi universale,
corrispondente alla concreta e complessa integrità del reale.
Trattasi, però, di una negazione, che io vor- rei qui dire
relativa e non assoluta; relativa, cioè, ai limiti delle scienze medesime e
dell’ufficio che esse sì propongono, ed è giusto che si propongano, di
adempiere, ma che può essere superata e riso- luta in altre forme di pensiero
che, allontanando o rimovendo quei limiti, procedano, non ad una temeraria e
vacua ricusazione, ma ad un’inte- grazione legittima dei processi e dei dati
delle scienze. Le scienze particolari esauriscono il loro com-.
pito nell’indagare e nel formulare le connessioni } causali dei singoli
frammenti del reale, e non col-| gono il nesso intimo e profondo che coordina
e collega a sistema organico le connessioni parti-' colari, nè
intendono o indagano il rapporto fra i dati del processo naturale e le forme
del pensiero. cosciente, nelle quali e attraverso le quali quel pro-\
LL ® LI ° e LL) ° . Ì cesso sì rifrange, direi quasi, e si rende
intelli-) gibile. Esula, quindi, ab initio, dall'ambito rigo- roso
tracciato alle scienze particolari dalla loro indole analitica, la doppia
nozione delle cause fi- nali e dell’attività della coscienza, perchè le scienze
medesime prendono le mosse da un doppio .pro- cesso di astrazione: l’una, per
la quale i singoli frammenti del reale sono isolati e come avulsi dalla
integrità dell’insieme; e l’altra, per cui l’og- ;, in simboli
intelligibili i 960 IL PROBLEMA DELLA MORALE getto si
distacca ed astrae dal soggetto e si dila- cera l’unità organica della
natura e del pensiero, del mondo e della coscienza. Le scienze
particolari si limitano a formolare i rapporti costanti di coesi-
stenza e di successione dei fenomeni; chè se, sol- lecitate dalla logica
immanente del processo spe- culativo, esse pervengono ad integrare la
mera notizia empirica della consecuzione dei cangia- menti nella
nozione di una coerenza causale dei | ‘medesimi , non procedono nè
avanzano più oltre, ‘e dalla nozione della coerenza causale non
assur- ‘ gono all’idea di una convenienza finale, nè alla | ‘contemplazione del
valore e del significato intimo e profondo di questa vicenda di accadimenti e
di ‘questo gioco di apparenze. Come, poi, se vi fosse così gran salto dall’una
cosa all’ altra o dall’ una forma all’altra di pensiero ! Come se il riconosci-
mento del rapporto di coerenza causale non do- vesse predisporre la mente a
riconoscere, con tutta spontaneità , la presenza di un rapporto di con- venienza
finale! Come se entrambi questi nessi ideali non fossero, e l’uno e l’altro del
pari, seb- bene in grado diverso, espressione e documento di una funzione a
priori dello spirito, la quale, o si accetta nella ‘integrità dei suoi
processi, o si nega del tutto! Come se il conoscere umano si esaurisse nella
ricerca del come e “del quanto e nol traesse una vocazione interna e nativa a
sa- pere il donde ed il perchè, e nol premesse il bi- sogno metafisico di una
interpetrazione razionale dell’universo ! IL PROBLEMA DELLA MORALE
261 La filosofia, la quale mira ad un’intuizione concreta
dell’ordine delle relazioni e dei fenomeni. e, componendo sinteticamente i dati
analitici delle scienze particolari, si solleva ad un’intuizione universale del
mondo, la filosofia reintegra le ra- gioni neglette della coscienza e dello
spirito u- mano, e restituisce al principio delle cause finali il
posto che gli spetta tra le forme intelligibili del pensiero e le direzioni del
processo induttivo.-. Essa c’ insegna che la natura di un singolo
elemento del reale non si conosce appieno che in riferimento a tutti gli altri
elementi, e che i sin- goli nessi causali dei fenomeni ricevono il loro
significato, il loro valore, la loro colorazione, direi quasi, dal rapporto di
subordinazione, di adatta- mento e di convenienza alle finalità del
sistema. Essa c’insegna che le connessioni causali segnano ‘. un
processo di approssimazione della ragione espli- cativa e non già
ne assolvono l’ intima e com. plessa contenenza, e che, come la causa
efficiente; è un modo di interpetrare e, dirò anche, di giu- dicare la
consecuzione dei fenomeni, così la causa, finale è un modo d’interpetrazione e
di estima-' zione ulteriore della causa efficiente medesima; e che doppia è la
direzione del processo induttivo, l’una che discende dalle cause agli effetti,
l’altra che ascende dagli elementi al sistema, dai dati alla funzione, dai
mezzi al fine; di guisa che la connessione finale non nega nè mutila le connes-
sioni causali, ma vi sì sovrappone, le interpetra, le anima. Essa c’insegna che
la scienza, in quanto non riconosce verun altro principio
d’intelligibilità <>» - - 269 IL
PROBLEMA DELLA MORALE dei roali all’infuori di quello delle cause
efficienti, è, di sua natura, analitica, frammentaria, disinte- gratrice, ed è
come una conoscenza sospesa ad una grande incognita: perchè la causalità è
legge /della successione dei cangiamenti, o delle forme ' consecutive e
derivate del divenire, non già del- \l’'essere, ovvero delle ragioni generative
o delle ragioni finali del divenire medesimo : perchè, dopo ‘ tutto, il
principio delle cause efficienti ci èduca ad intendere il modo onde operano le
cause o le forze della nafura ed il variato processo di scam- bio, di
distribuzione e di circolazione dei loro ef- fetti e dei loro movimenti, ma
sulla natura delle cause e delle forze, ma sul contenuto delle idee- limità
dell’ astrazione scientifica del mondo natu- rale, nulla ci dice, nulla, che
appaghi pienamente il profondo bisogno di intelligibilità che agita l’a- nima
umana. Essa c’insegna che l’ esplicazione causale dei fenomeni è manchevole ed
inadem- | piuta, come quella che importa il regresso all’in- finito nelle vie
del passato, il progresso all’infinito nelle vie del futuro, e, dall’un capo
all’altro del- l’ordine dei cangiamenti, pone un limite non va- licabile, che
segna come un vacuo immane, nel quale il pensiero teoretico sì smarrisce e la
co- iscienza pratica langue, sotto il peso della imme- ‘ dicabile inanità degli
sforzi e dei conati nelle vie ‘interminabili ed inattingibili del divenire.
Essa ‘c’insegna, finalmente, che quello che è ultimo. rispetto a noi è primo
rispetto alla natura, e che le vere ragioni delle cose sono non le cause ma i
fini, e le cause efficienti non sono che le me- IL PROBLEMA DELLA
MORALE 263 diazioni _fenomeniche. delle cause finali, simboli
subbiettivi pei quali noi accomodiamo la realtà alle forme della nostra
apprensiva e proiettiamo nel tempo e nello spazio ciò che è, in fondo, in-
finitamente superiore all’ uno ed all’ altro ed ap- partiene all’ordine delle
cose in sò, all’intima pro- fonda natura degli esseri. (1) Accanto e
attraverso le cause efficienti operano le cause finali, e quelli, che
all'angolo visuale delle scienze particolari appaiono come risultati ciechi ed
inconsaputi della serie delle condizioni determinanti, al lume di una
intuizione filosofica del reale si rivelano come termini dell’ interno moto,
che sospinge e sollecita le nature e le sus- sistenze e gli svariati principî
di azione di che 8’ intesse la trama dell’universo. Per tal rispetto, ogni
sostanza è causa ed è principio di azione e tende ad un fine, che è termine
adeguato della sua efficienza operativa, che è il bene della sua natura; ed
anche nelle gradazioni inferiori del- l’essere si discopre come un abbozzo od
un rudi- mento di quell’asvettazione e di quella gestazione del bene che forma
il substrato e l’anima del mondo morale. Così la filosofia ricostituisce, in
un’ intuizione idealistica del mondo, l’unità della natura e del pensiero,
facendo eco a quell’oscuro desiderio ed a quel muto anelito di redenzione dal
male e di liberazione dal giogo della necessità, (1) I limiti del
determinismo scientifico. In ispecie il 1° capitolo « Il determinismo
scientifico », ed il 8° «I limiti del determinismo biologico ».
vige ei, Pan 264. IL PROBLEMA DELLA MORALE che
un’anima profondamente metafisica sa cogliere attraverso le apparenze inerti,
inconsapevoli del processo della natura. Se non che, nell’ordine
della natura fisica le cause finali sono come inceppate e mortificate dal
principio di necessità, e gli aggregati ed i sistemi naturali sono non i
soggetti attivi, ma le media- zioni inconscie del fine in essi operoso , ond’
essi sono ad altrui e non a sè medesimi (1), e la notizia e l’intendimento del
fine è nel principio agente della natura e non nei corpi o negli enti. Un
progresso verso la consapevolezza del fine, e nella forma di semplici reazioni
emotive del sentimento di piacere e di dolore, si annunzia, bensì, nella serie
animale, ma l’ animalità è un’ autonomia di ordine inferiore, perchè
nell’individuo della serie animale opera tuttora un principio di necessita-
zione e di eteronomia, sebbene interiore all’ ani- male medesimo, che appellasi
l’istinto, nè vi brilla la luce piena della coscienza. È solo nell'uomo e nel
mondo umano (comunque s’interpetri il di- stacco visibile e permanente di esso
dalle esistenze inferiori della natura e del mondo animale, e sia che codesta
soluzione di continuo si voglia obli- terare e dissimulare in un infinito
processo di mediazioni evolutive, o che si ritorni a riaffer- marla e ad
individuarla, come atto per sè stante di sintesi creatrice o come assoluta
produzione del diverso), è, dico, solo nell’ uomo e nel mondo (1)
Rosmini, Principî della scienza morale, cap. II. IL PROBLEMA DELLA
MORALE — 269 umano che il principio di finalità celebra i suoi
trionfi e si emancipa pienamente dal giogo della necessità, perchè è solo nell’
uomo una forza ed un potere capaci di intendere e di superare le necessitazioni
naturali e d’inserire nella fitta trama dei fenomeni, collegati e saldati da un
reciproco determinismo, un nuovo e superiore principio di azione, che rompe la
cerchia della causalità natu- rale, della continuità dei cangiamenti e del pro-
gresso all’infinito, e pon termine al processo ascen- dente delle finalità e
delle autonomie della na- tura. E questo novello principio di azione è la
co- | scienza, per virtù della quale l’uomo, questo pro- dotto finale della
natura, si distacca dalla natura medesima, e la rispecchia nelle sue forme
intelli- gibili, derivando la luce della conoscenza sulla notte profonda della
sua inconscia esistenza. È la coscienza, che, diversamente da tutte
le altre forze. operose nel mondo della natura, le quali scor- rono
coi loro cangiamenti senza differenziarsi dai cangiamenti medesimi, distingue e
discerne in sè quello che è da quello che diviene, quello che
passa da quello che sta fermo , il fluido dal per- manente, il fatto
dall’idea o dal tipo o dalla legge, il relativo dall’assoluto. (1) E, come
tale, essa con- ferisce all’uomo il potere di riflettere sulle azioni,
differenziandole da sè come principio attivo di quelle, ed obbiettivandole,
dominandole, giudi- candole, lui, non termine transeunte e scorrevole
(1) Galasso, Saggio di fitusofia morale (Napoli, 1883), p. 232-239.
Bb IL PROBLEMA DELLA MORALE della serie fenomenica, ma causa
iniziatrice e mo- deratrice di quella. È la coscienza, grazie alla quale l’uomo
intende il fine al quale è adeguata la sua natura, e, differenziando l’idea del
fine dall’atto del concepirlo e del contemplarlo, la tra- gitta nell’ ordine
ideale e le riconosce una posi- zione ed una funzione indipendenti, un valore
autonomo ed assoluto, ed una ragione di autore- volezza e d’imperio
incondizionato — quasi causa seconda del mondo morale associata alla causa
prima nell’opera della creazione. È la coscienza, finalmente, mercòè la quale
l’uomo può liberarsi dall’ eteronomia della natura, superare le neces-
sitazioni organiche dell’impulso, piegare le solle- citazioni dell’appetito ai
comandi o ai divieti della ragione, e grazie alla quale egli è posto in grado
d’intendere, di misurare e di apprezzare le cose e le azioni, riferendone il
valore non più alle reazioni emotive del piacere o del dolore, ma ad una misura
e ad una norma ideale, fornita della intuizione dei fini e delle esigenze
universali e necessarie «dell’umana natura. Così, nel mondo umano, il
principio di fina- lità attinge il massimo grado di fecondità e di concretezza;
e, dove, nei fenomeni del mondo na- turale, o nelle forme della vita organica,
o ne- gl’individui della serie animale esso si dissimula, si oblitera e si
contrae, operando o come cieca reazione motrice, o come oscuro conato di svol-
gimento vitale, o come istintivo desiderio e bi- sogno, nel mondo umano esso si
anima, s’illumina e si determina come potere di conoscere e d’idea-
RESOR ORIONE TRIADE RESERO pi: IL PROBLEMA DELLA
MORALE 267 lizzare le perfezioni che convengono alla propria
natura, ovvero il bene a cui questa è ordinata e che è il termine del suo
irrequieto desio, e come facoltà di recare in atto, consaputamente e volu-
tamente, quelle perfezioni concepite in idea, tra- ducendone l’ imagine in
norma del vivere e del- l’operare. Ma, quali sono queste perfezioni
e quale è il fine e l’ideale dell’umana natura? E, se il bene è equivalente del
fine o del rapporto di convenienza dell’essere a quel fine, quale sarà,
adunque, il bene umano ? E quali, di conseguenza, i criteri onde riconoscere ed
identificare e giudicare la condotta morale buona e la condotta morale cattiva
? Signori, la risposta a queste domande, che in- vocano, a maggior
riprova dell’ assunto, una de- terminazione del contenuto della coscienza mo-
rale (1), è implicita di già in quanto si è detto fin qui per riaffermare il
valore della coscienza e la verità del principio delle cause finali. Se
la notizia del fine di ogni essere si desume, secondo il sovrano insegnamento
aristotelico, da una disamina delle forme e delle attitudini costi-
(1) È superfluo notare che la determinazione del contenuto della
coscienza morale è un’ esigenza alla quale può sfuggire, deve, anzi, sfuggire,
per logica immanente della tesi, il formalismo etico, non già una teoria teleologica
come la nostra. La quale reintegra il giudizio sul valore obbiettivo e
materiale dell’azione, posta in rapporto col fine supremo dell’operare , e lo
compone in armonia col criterio del puro apprezzamento subbiettivo e formale,
ed, in ultima istanza, non già ritraduce il bene nell’ obbligazione , ma fonda
l'obbligazione sul bene. 268 IL PROBLEMA DELLA MORALE
tutive ed essenziali dell'essere medesimo , il con- tenuto del fine umano
o dell’ideale dell’ umana natura ci sarà testimoniato da un’analisi diretta di
quello che forma il principio particolare di azione e la precipua prerogativa
ed autonomia onde l’uomo sì differenzia da tutti gli altri esseri del cosmo. Il
che vuol dire che, per penetrare i fini dell’ u- mana natura, bisogna far capo,
anche qui, al su- premo magistero della coscienza, perchè è dessa, appunto, che
segna il principio di azione dell’u- manità in quanto tale o il’ umana
autonomia nel sistema dell’ ordine universale. Il contenuto del bene umano ci
sarà reso, adunque, ed attestato da una disamina della coscienza; il termine,
al quale ella mira e nel quale le sue potenze rin- vengono il loro pieno
appagamento, segnerà il fine dell’ umana natura e la regola dell’ operare
umano, per virtù di quella legge ontologica uni- versale, onde ogni essere non
può rinvenire il pieno suo bene che nell’equazione di sè a sè me- desimo e nel
serbar fede alla propria natura. Ora, a chi penetri addentro le funzioni
proprie della coscienza, così quelle di ordine teoretico che si riassumono
nell’astratto termine della ragione, come quelle di ordine pratico ed attuoso
che si riassumono nel termine generale della volontà, si parrà evidente e
luminosa una specifica proprietà di esse ed uua vocazione precipua che le
anima: quella di superare l’àmbito delle rappresentazioni individuali e delle
apprensioni sensitive, e di ri- flettere l’ordine obbiettivo ed universale
degli es- seri; quella di assurgere e di liberarsi dai limiti IL
PROBLEMA DELLA MORALE 269 del soggetto, per divenire, quasi,
l’universo, e di oltrepassare i termini dell’ egoismo personale in
un’espressione ed effusione di simpatia verso le altre esistenze. Il fine
dell’ umana natura è, adunque, di tal sorta che urge e sollecita l’uomo a
superare i ter- minì della propria esistenza individuale, e, come spirito
logico, lo invita a contemplare in idea l’ordine obbiettivo degli esseri, senza
turbare l’ob- biettiva purità dell’idea con gli elementi subbiet- tivi della
rappresentazione, e, come spirito etico, gli prescrive di non collocare il
proprio io empi- rico ,- individuale, soggettivo, a centro e misura del mondo,
di non ripiegare e consumare in sè medesima l’attività, essenzialmente
espansiva, Cel volere; ma, in quella vece, di riconoscere con vo- lontà amica
le altre esistenze e le altre vite, giu- dicandole, apprezzandole ed amandole
in ragione del grado che ad esse si spetta nell’ordine e nella gerarchia delle
autonomie e dei fini. Le ragioni del bene e del male sono esatta-
meute determinate in questa concezione; e la ra-. dice del
bene morale sarà nel rispetto e nell’ a- more ordinato degli altri esseri, e la
radice del male morale nell’egoismo , ossia nel rigido, asso- luto, esclusivo
amore di sè, del proprio io empi- rico, della propria individuale esistenza.
Condotta morale buona sarà quella dell’ uomo che modera i moti e gl’impulsi
egoistici dell'appetito e vive in istato di comunanza e di correlazione
simpatica coi suoi simili, e nei suoi modi di agire osserva l’ordiue di
graduazione degli esseri e dei valori 270 IL PROBLEMA DELLA
MORALE ed ai mezzi riconosce la ragione di mezzi ed ai fini la
ragione di fini; e condotta morale cattiva quella dell’uomo che, per angustia e
ripiegamento di visione, invanisce di sè e dell’ orgogliosa indi- vidualità
sua, e si pone di fronte ai simili in at- titudine di ostilità e di contrazione
di spirito, ed all’ordine obbiettivo dei valori e delle autonomie sostituisce
l’arbitrio suo, gli esseri che han ragione di fine degradando a mezzi ed
istromenti del suo immoderato ed infecondo amore di sè. E poichè le vittorie
sull’egoismo radicato nell’individuale esi- stenza e le relazioni di rispetto e
di amore verso i simili sono suscettive di maggiore o minore in- tensità e
plenitudine, si ha come una gradazione ed una scala ascendente delle forme
della coscienza morale, ed ai gradi più bassi corrispondono quei modi della
condotta ch3 cadono sotto lo stretto dominio della legge e sono di perentoria
obbliga- zione — vale a dire, il riconoscimento ed il ri- spetto, meramente
negativo, dàlle esistenze e delle prerogative degli altri — ed ai gradi
superiori del- l'eccellenza morale corrispondono gli atti positivi di amore, di
carità e di sacrificio spontaneo, che non sono di stretta obbligazione, ma
rappresen- tano un ideale superiore di perfezione, al quale perviene la coscienza
dell’eroe e del santo. (1) Il massimo trionfo dello spirito etico è
nel sottoporre ad esame la legge dell’ individuazione e
dell’egoismo, alla quale la media delle coscienze (1) Rosmini,
«id., cap. IV. — a IL PROBLEMA DELLA MORALE 271
umane soggiace irriflessiva ed acquiescente, e di svelare la scarsità di
valore dei limiti e delle con- dizioni dell’ esistenza individuale e l’ inanità
e la radicale manchevolezza dell’io empirico e sogget- tivo. La coscienza dell’
eroe e del santo attinge questo supremo fastigio dello spirito etico e su- pera
definitivamente l’intuizione del mondo c della vita che giace nel seno
dell’anima egoista. A ttra- verso le apparenze della molteplicità e. della di-
versificazione individuale, essa riconosce la comu- nione e l’identità di
natura, ed intende che quello che differenzia gl’individui, e li colloca l’uno
fuori dell’ altro e l’ uno contro dell’ altro , è, non una legge dell’essere in
sè, ma un dato della rappre- sentazione fenomenica e della percezione empi-
rica ed immediata, ma la forma intuitiva dello spazio che ha valore
fenomenale e soggettivo. (1) Così ella perviene alla critica più
alta dei motivi onde s’informa la condotta morale dell’egoista; il quale non
penetra nelle profondità della sua ani- ma, nè, quindi, indovina l’ intima
parentela che l’affratella alle altre anime nell’ unità dell’ umana ‘natura,
perchè la sua visione è, non di dentro, ma dal di fuori, perchè egli non
contempla l’io con limpidità e traspareuza di visione, ma attra- verso la
rifrazione e la proiezione di esso nello spazio : coscienza opaca, nella quale
non penetra il lume della verità e della sapienza. L’eroe ed il santo,
pervenuto a questa critica (1) Schopenhauer — Ueder das Fundament
der Moral. IV. Zur - metaphysischen Auslegung d. ethsschen
Urphaenomens. # 272 IL PROBLEMA DELLA MORALE
dell’individuazione, comprende che l’ideale supremo dell’umana natura è
il sacrificio spontaneamente accettato della propria esistenza individuale alla
legge dell'amore, e l’immolazione di quello che nella nostra natura è caduco e
fallace a quello che è in essa d’immortale e di divino. Edotto dalla esperienza
crucîale del dolore e della morte sul vero significato e sul vero valore della
vita, egli intende che l’ultimo fine dell’ umana natura non può essere il culto
del piacere, o di quell’ef- fimero voler vivere che profonda le sue radici
nella coscienza bieca e greve dell’egoista, ma la devo-. zione del dovere e la
volontà di rivivere in una forma di vita superiore, che restituisca alla per-
sonalità individuale quella significazione e quel valore universale ed infinito
di che essa difetta. E gli par chiaro e luminoso che vivere nello spazio e
scorrere col tempo non è un vivere vero e du- raturo, ma un essere ed un
cessare di essere ad | ogni istante successivo della durata, (1) e
non è ;f propriamente un vivere ma un essere vissuti; e » la vita gli si rivela
e gli si discopre, non come | uno stato che si consumi nell’ esistenza
indivi- Auale, ma come un processo che si espande, si ‘rigenera e
si perenna nella similitudine degl’ in- {dividui, nella continuità
della specie e nell’unità germinale dell’umana natura, un processo
di con- tinua corrosione e di continua rinascita, una sin- tesì dialettica del
morire e del rivivere, un mo- rire alla vecchia vita per rinascere nella
nuova, (1) Laberthonnière, Le dogmatisme moral (Paris, 1898), p.
87. IL PROBLEMA DELLA MORALE 273 un disintegrarsi
dell’esistenza individuale per una reintegrazione nell’esistenza universale, un
morire a sò medesimo per rivivere negli altri. E rivivere negli altri è
recare in atto l’amore e la carità piena ed intiera, nel vario giro delle
relazioni sociali, nella famiglia, nella patria e nel- l’umanità: perchè, come
l’ amore fisico è la pro- creazicne nel bello, quale apparve al luminoso in-
telletto di Platone, così l’amore morale e la carità è la procreazione nel bene
, ed essa sola può as- sicurare all’esistenza individuale quell’infinito va-
lore e quell’esistenza immortale che è consentita alla caducità
dell’individuazione. Pervenuta a questo grado di perfezione ed a
tanta luce di visione ideale , la coscienza morale penetra la radice metafisica
delle cose e compie non solo un ufficio etico, ma, altresì, un altissimo
ufficio teoretico. | Superando le apparenze dei sensi e le illu- sioni
dell’esperienza immediata, essa oltrepassa la vicenda dei fenomeni e del
relativo, che forma l'oggetto delle scienze positive, e contempla l’or- dine
del mondo in-sè ed attinge le ragioni su- preme dell’assoluto. I La
ragion pratica risuscita il mondo ideale mortificato dall’analisi della ragion
pura: la virtù si rivela maestra come del vivere, così del sapere; la coscienza
morale, lo sterile ed inerte epifeno- meno respinto dall’ambito delle scienze
teoretiche in omaggio all’ obbiettività del dato, si annunzia come criterio
insuperato del vero. I. Petrone. — Problemi del mondo murale.
18 — i 274 IL PROBLEMA DELLA MORALE
Se non che, un nuovo problema, acuito e reso più arduo dalla stessa
nobiltà ed eccellenza di questa intuizione della morale, si presenta, qui, al
nostro esame. È il problema che tocca non più DO contenuto,
ma della forma della coscienza mo- rale, e per forma s’intende di
dire quella speciale ‘maniera di connessione o quel particolare
rap- : porto onde la coscienza morale è legata al fine o° al bene a cui ella
mira, ossia quella singolare at- ‘titudine di esigenza e di comando che le
finalità e le idealità dell’ umana natura, in quanto sono poste e
riconosciute come norme ed idee diret- trici dell’operare, assumono e
conservano verso le determinazioni e gli atti del volere. Forma, si noti,
essenzialmente costitutiva del- l’atto morale e che è comune, di conseguenza, a
tutte le gradazioni nelle quali procede la feno- menologia dello spirito etico
; perchè il gran fa- stigio della coscienza dell’eroe e del santo sta se-
gnatamente in ciò, nel riconoscere sotto forma di un irrefragabile dovere e di
obbligo stretto e pe- rentorio anche quello che non è se non un ideale
superiore ed inesigibile di perfezione. Donde nasce e perchè questo
sentimento a- maro e penoso cdi obbligazione, onde noi siamo . non dolcemente
invitati ed attratti, ma coattiva- mente e duramente vincolati verso le azioni
che sono connesse necessariamente col raggiungimento del fine
dell’umana natura ? Questo fine non se- gna, esso, la perfezione
dell’esser nostro, l’ideale della nostra natura, il termine del nostro irre-
quieto ed iinpaziente desiderio , il pegno della IL PROBLEMA DELLA
MORALE 275 nostra beatitudine? Perchè, adunque, esso non è sentito
che sotto la forma di un rude imperio, e non è operoso che attraverso il dolore
e lo sforzo, e non è tocco e raggiunto che da pochi eletti ed anche da questi,
dopo una laboriosa cruciale espe- rienza dello spirito? Come accade che quel
fine e quel bene, che, in un certo senso , è dentro di noi, perchè segna il
tipo esemplare della nostra vera e profonda essenza e l’ accordo o l’ armonia
di noi con uoi medesimi, è, tuttavia, collocato così in alto e sopra di noi, che
tra esso e la vo- lontà nostra non passi altro rapporto che quello segnato dal
comando e dall’imperio, da una parte, e dall’ obbedienza e dalla sudditanza,
dall’altra, un nesso non intrinseco, ma estrinseco, non im- manente ma
trascendente, non autonomo ma ete- ronomo ? Non è legge di ogni natura il
tendere neces- sariamente verso i termini di sua perfezione ed il conseguire
l’equazione di sè con sè medesima? Come e perchè, adunque, tale tendenza non
opera spontaneamente e necessariamente nel processo umano, ma è soggetta
all’azione di un potere, che, ponendosi in contraddizione di sè e della natura
e della destinazione dell’ essere al quale appar- tiene, ne devia, ne perturba,
ne contamina il pro- cesso ® E donde scaturisce e perchè questo interno dissidio
fra la natura e sè medesima, fra l’ essere ed il dover essere, fra la necessità
fisica e la ne- cessità morale, fra quello che si vuole e quello che si deve,
fra il reale e l’ideale ? | Ohe la legge del bene vanti, a buon
diritto, — 276 IL PROBLEMA DELLA MORALE una forza
autoritativa ed imperativa sul volere e sull’operare dei soggetti coscienti,
non v’ha dubbio di sorta, perchè il bene segna, appunto, il ter- mine ideale e
la perfezione finale degli enti, ed è legge di ogni essere, come si è cennato
innanzi, il serbar fede alla propria natura ed il non venir meno a sè medesimo.
Il valore assoluto del do- vere si porge, in tal caso, come una pura infe-
renza analitica del valore assoluto del bene. Ma il problema della legittimità
del dovere, risoluto e scongiurato in un senso, risorge, non meno im- perioso
di prima, in un altro. Donde si origina, adunque, quella sproporzione e quella
distanza infinita tra il bene e l’essere, sproporzione e di- stanza che, si
voglia o non si voglia, sta a base dell’efficienza categorica dell’imperativo e
dell’as- solutezza formale del dovere, ed è resa visibile e sensibile in quel
sentimento amaro di eteronomia che è inerente nell’obbligazione morale ?
Perchè, dopo tutto, è evidente che quell’attitudine di so- ‘vranità e di
dominio, che la legge morale assume ; verso la volontà umana, accenna ad un
distacco i infinito dell’ una dall’ altra, ed è manifesto che | l’imperativo
categorico segna come l’ eco miste- riosa e profonda di un di là inattingibile,
o di un volere e di un potere assoluto, che è irreduttibile ai modi
ed alle forme relative, nelle quali si con- . tiene e si convelle
il potere ed ii sapere ed il vo- .\Iere umano. A questa
forma nuova, nella quale a noi si porge il problema del dovere, risponde
adeguata- IL PROBLEMA DELLA MORALE 277
mente la psicologia umana. Il dissidio fra la con- dotta morale doverosa
e la condotta di fatto, fra l’ideale ed il reale, fra il dovere e le forme em-
piriche del volere, mette capo ad un dissidio più grave ancora, e più
complesso: al dissidio pro- fondo, radicale, immedicabile dell’umana natura:
alla lotta fra l’homo noumenon e l’homo phoenome- è a non, fra le potenze
superiori della coscienza e gl’impulsi inferiori dell’appetito , fra la ragione
e la sensibilità, fra quello che in noi è sovranamente valevole ed immortale e
quello che in noi è man- chevole e perituro. Nell'uomo si agitano, si con-
vellono, si urtano due volontà, due anime diutur- namente antagoniste: l’una,
che, affaticata dal- l’indigenza dell’infinito, mira ad un di là dal li- mite
umano; l’altra, che gravita in giù, soffocata sotto il peso greve della
materia. Come. tutte le esistenze superiori dell’universo, la natura
umana è complessa, bilaterale, disimmetrica, e e l’unità
del- l'individuo umano è lacerata da un’ ingenita dis- |
scordia interiore di elementi e di principî di a-!-* zione,
della quale non è possibile una composi-. ziune spontanea, ma solo una
composizione con- , sapevole, laboriosa e riflessa, quale è quella se- } gnata
dallo spirito etico e dalla coscienza morale. La moralità ed il
sentimento del dovere può; il gran momento dirsi che sia, per tal
rispetto, | dialettico della natura, ossia il saggio di riconci-
| liazione della natura cou sè stessa, dell’essere col fine, della
volontà col bene. Se non che, questa soluzione dialettica non è uno
stato ma un processo, non un possesso ma e RP Son IATERICNCO nale
alcol e lle ia lio pi n A AZZ I E PRETE
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(sE | +’ I { 278 IL PROBLEMA
DELLA MORALE un conato, non un atto ma una virtualità, non una
spontaneità ma uno sforzo: non una pace, sarei per dire, ma una tregua, una
tregua labile e passeggera, ma un’ assidua vicenda di trionfi e di sconfitte,
di esaltazioni e di cadute, un inces- sante divenire, in cui non si estingue
mai il senso della penosità, dello sforzo, del sacrificio, sotto la pressione
dolorosa di un ruvido imperio. Perchè, insomma, l’uomo è l’anima nobile,
s0- vra la quale esercita i suoi imperscrutabili espe- rimenti una legge di
sublime e paradossale signi- ;ficazione ; perchè l’ uomo, prodotto
dalla natura, ha in sè un potere che lo sollecita ad intendere, }&
superare, a negare la natura e, attraverso un la- borioso processo
di approssimazione verso un di \ là da esso, lo urge a valicare il
proprio limite ed a reintegrare il mancato equilibrio in una forma
superiore di esistenza. La subordinazione dell’ appetito alla volontà,
della sensibilità alla ragione, della materia allo spirito, non simboleggia un
idillio ma un dramma, {ed è una sintesi d’ improba acquisizione,
che ri- È dem sente tuttora le acri punture
dell’analisi, dell’anti- tesi, della lotta; lotta assidua, perenne, contro ton-
tazioni un istante superate e nell’istante succes- sivo rinascenti, scongiurate
mg non eliminate, at- tenuate ma non dome. “> Ogni gestazione è
laboriosa e non v’ha forma | di generazione che non proceda con
dolore e con ! sforzo; perchè ogni generazione è produzione d’un
\altro da sè e si annunzia come una disintegra- zione del generante nella
genitura. L’ ordine mo- Lr me PO IL PROBLEMA DELLA
MORALE 979 rale non si sottrae a questa legge ontologica uni-
versale, e l’eteronomia insidente nell’obbligazione è lo sforzo ed il dolore
che si associa alla gesta-. zione della virtù. si L'ordine morale non è
uno dei termini di una | / serie continua, ma un assoluto cominciamento : | ei
non una sintesi causale degli antecedenti della natura, ma una forma di vita
nuova, una sintesi creatrice che li supera e trascende di proporzione infinita.
(1) Come ogni sintesi creatrice, esso sa nunzia uma soluzione di continuo, una
lacerazione, : un hiatus: e segna non un facile e spontaneo ©»; passaggio da
una ad un’altra maniera del relativo, ma una elevazione malagevole e faticosa
dal re- lativo all’assoluto. L’imperativo ne è 1’ esponente fedele e la forma
costitutiva, perchè l’imperativo, come rapporto di trascendenza, di sovranità e
di comando, è, appunto, una relazione eteronoma dal- l’assoluto al relativo,
dall’infinito al finito. Come la creazione è lo scandalo delle scienze della
na- ‘ tura, così il dovere è lo scandalo delle scienze DI corali : nessì e
rapporti di termini incommensu- |; rabili, l'una e l’altro, e, quindi, salti
mortali, en- trambi, al cospetto del principio di causa efticiente ; e di
continuità dei cangiamenti. Epperò, il dovere è sentito dal soggetto come
una perturbazione ed una negazione ed un limite che incomba dal di fuori, come
un assoggettamento dell’essere ad un altro e ad un sopra di sè; e la mediazione
sublime che esso interpone tra la leuge x (1) Z limiti
del determinismo scientifico, cap. I. \- pr - 4 II 280
IL PROBLEMA DELLA MORALE del bene e la volontà nostra non perviene
che ben di rado a creare fra l’una e l’altra quel rapporto di intimità e di
comunichevolezza e penetrazione reciproca, che solo giova a scemare l’asprezza
del contatto, la pressione del dominio, il senso della limitazione e della
servitù, la puntura dello sforzo. Quest’immedicabile dissidio tra
la legge e noi, , ossia tra la legge e quella parte di noi che è l’a- ‘ spetto
manchevole della nostra natura, appare una | disarmonia nell’ordine
dell’universo e non appaga l’intendimento, ricercatore di simmetriche coe-
renze. La fatica cd il dolore che costa la virtù e I l'adempimento
del dovere, e donde sì originano . Î tutte le violazioni della legge della
morale chia- { ritasi troppo in antitesi alla spontaneità del voler
vivere ed all'impulso del piacere, trae lo spirito ‘ sofistico, e sollecitato
dalle insidie del senso, a | dubitare della verità e del valore della legge del
‘bene. Ed un fine superiore alle manchevoli po- tenze dell’essere non appare
più, allora, come un fine legittimamente prefiggibile all’ essere
stesso; e non s’intende che la nozione del fine involge }v per sè
una certa disarmonia tra la potenza e l’attualità dell’essere, e che il
rapporto dell’essere verso il suo fine non è assimilabile ad uno stato \ma ad
un processo, e non ad una equazione com- piuta ma ad un’approssimazione laboriosa
ed ine- sausta. E, certo, in sulle prime può parere desidera- bile che l’ordine
morale si avveri per legge inde- IL PROBLEMA DELLA MORALE 281
fettibile di necessitazione fisica, e che l’uomo sia costituito
siffattamente da tendere con tutta spon- taneità verso il bene dell’umana
natura. E cen- surabile sembra il principio agente dell’ universo
per aver confidato alla libertà, a questo potere bila- |
terale e passivo di direzioni antagoniste, a questo novo scandalo, a
questa nova dissimetria (1) dalla natura, che si afferma come il correlativo
indi spensabile di quell’altro scandalo e di quell’ altra dissimetria che è il
dovere, per aver, dico, con- fidato a questa libertà, ambigua, equivoca,
labile, capricciosa, l’attuazione di uno scopo così urgente e
rilevante, qual è l’adempimento del fine dell’u- mana ratura.
Ma qui si deve rispondere che, ove l’ ordine morale si avverasse per un gioco
di necessitazioni naturali o per virtù spontanea e necessaria ed u- nivoca direzione
delle potenze dell’ essere, esso cesserebbe, per ciò stesso, di essere un
ordine morale e diventerebbe un ordine fisico. L’ uomo non sarebbe egli più 1’
attore del mondo morale, ossia della virtù. e del merito, ma lo strumento e la
mediazione nell» quale opererebbe inconsaputo l’ordine necessario della
natura. La virtù non è meritoria che quando costa all’anima dolore e
fatica; e la condotta non è mo- rale che per l’idea e l’abito del dovere che
l’in- forma. La causalità creativa ed attuosa della co- scienza morale è tal
privilegio che l’uomo sconta con la pena e con lo sfurzo inerente al
sentimento (1) Z limiti ecc., cap. IV. I limiti del determinismo
psicologico. I O aa ia 282 IL PROBLEMA DELLA
MORALE di obbligazione ; ma la gestazione della virtù ed un atto
solo di bontà, di carità, di sacrificio, l‘- beramente voluto e compiuto contro
le male sug- gestioni dell’appetito, è così gran cosa nell’ordine dell’
universo e così infinitamente preziosa e ve- nusta, che esso basta da solo a
redimere il pec- cato e lo scandalo dell’eteronomia e dell’arbitrio.
E così noi abbiamo tracciato la soluzione del problema della morale,
quale sorge dall’ intimo di una intuizione del mondo, che reintegra le ra-
gioni dello spirito etico e riconosce alle cause fi- nali quel valore che
arbitrariamente si nega dal naturalismo. È certo — chi ne guardi il
contenuto — una soluzione pregna d’idealismo, la quale, se appaga le più
profonde e sane esigenze della coscieuza morale umana, non accontenta
l’irrequieto spirito d’indagine critica e dubitativa che torma l’ abito del
razionalismo scientifico. Essa sì fonda sovra principi contraddetti
dall’esperienza immediata ed annunzia esigenze ripugnanti a quella legge fon-
damentale e radicale di ogni esistenza individuale, che è la legge dell’egoismo.
Essa presuppone una visione del mondo che abbia definitivamente su- perato
gl’inganni della rappresentazione fenome- nica, le illusioni dell’io empirico,
le tentazioni e le sollecitazioni dell’appetito. La media delle co- scienze
umane ricalcitra alla legge della carità, dell'amore, del sacrificio; la media
delle coscienze umane protesta, in nome dell’ esperienza e della percezione
immediata, contro questa negazione delle differenze individuali, contro questa
ricusa- LI LEI II O] LS n ND nt ù i È Da Sn” afinani aac SR Ri ie
o IL PROBLEMA DELLA MORALE 283 zione spietata dei
diritti imperiosi. dell’ io empi- rico, dell'io personale. Questa
intuizione della mo- ralità è troppo alta per l’umana debolezza e
sembra sì poggi su quel sublime paradosso, per cui l’uma- nità, prodotto della
natura, supera e nega la natura medesima e la trascende di sproporzione
infinita. Se non che, niun sistema morale può essere giudicato alla
stregua dei criteri della certezza scientifica, e vittima di pericolosa illusione
sa- rebbe quel moralista che avvisasse di risolvere trionfalmente il problema
della morale con una data serie di argomentazioni dottrinali. La mora- lità dee
avere in suo favore delle prove dimo- strative, perchè non appaia
un ordine assurdo ed. irrazionale; ma, nel tempo stesso , non dee
poter essere tutta dimostrata con la ragione, perchè, ove lo fosse, la condotta
morale .buona sarebbe non più un atto meritorio di virtù e di rinunzia, ma
un’adesione o una capitolazione necessaria ad un ordine di evidenza
razionale. L’essenza dell’atto morale è in un acconsen- timento
volontario ed in un abito di fede attuosa e vivente, nella quale si estingue
ogni motivo d’indagine dubitativa, ogni punta di critica ra-
zionale, ogni stimolo di agitazione teorica. Lo spi- rito scientifico ha
per sua forma e condizione la ricerca, lo spirito etico la credenza: delle
quali, l’una è adesione dell’ intendimento per pienezza di dimostrazioni e di
pruove, l’altra è consenso spontaneo e vocazione amica della volontà per
simpatia ed amore. La credenza, invero, è fede per amore della cosa in che si
crede, ed è virtù e privilegio dell’ amore non chiedere all’ oggetto
CI Sn neniore VI * 984 IL PROBLEMA DELLA
MORALE amato i titoli e le prove del valor suo, ma obliarsi in
quello e smorzare, in un abbandono di sè, ogni acre puntura di diffidenza e di
dubbio. -. Se è vero, in un senso, che, per amare una cosa, bisogna prima
conoscerla, è più vero an- cora, in un altro, che, per conoscere una cosa,
bisogna prima amarla. Le esigenze imperiose della vita e dell’azione non
piegano nè acconsentono agl’ indugi ed alle inibizioni della critica; e nel-
l’uomo, che per credere ed agire aspetta di aver prima delle idee adeguate, la
ragione e l’ acuzie della coscienza ha inaridite, per volerle analizzare, le
sorgenti del vivere. La conoscenza adeguata, giova ripeterlo, non è l’effetto
calcolato di una riflessione orgogliosa, ma il premio inatteso di un atto di
fede e di rinuncia e di un abito di con- templare le cose con intelletto d’amore.
La moralità è il prodotto di una elezione me- tafisica tra le due ipotesi
antagoniste che il ma- terialismo e l’idealismo hanno enunciato in ordine
all’umano destino : una scelta metafisica, dico, e che solo in poca parte vien
determinata e suffra- gata da motivi e da prove di certezza razionale, ma,
nella parte maggiore e migliore di sè, segna un atto di libertà assoluta dello
spirito. Io non conusco nulla di più bello e di più schiettamente e
gagliardamente virile che lo stato di coscienza dell’ uomo, che, mirando il
proprio ideale, può dirgli: Io ti ho amato prima di averti conosciuto e
solo per un vago presentimento che avevo di te. Nessuno dei motivi più forti
dalla mia labile na- tura m’invitava a seguirti. I sensi ricalcitravano
vi PI I I n pn mn bd dro . e ir NS fanti mn Coal Peet peo IL
PROBLEMA DELLA MORALE 985 al tuo comando severo ; la ragione,
mortificando col veleno della critica le radici della vita, m’im- poneva di
domandarti le prove- della tua esistenza; l’egoismo, che si annida nel fondo
recondito della mia esistenza individuale, mi suggeriva che tu non eri che un
vano fantasma; ma io ti amavo troppo per non indovinare, attraverso le appa-
renze manchevoli, la tua bellezza invisibile, e le lacune, che altri vedeva in
te, ho colmato con abbondanza di cuore, ed ho fatto di te, nella mia anima, un
oggetto di culto ed un’opera d’arte. Altri si assideva, di fronte a te, in
veste arcigna di indagatore e di giudice; e tu gli sfuggivi, per- chè egli non
era in te ma fuori di te, e tu non ti riveli che a chi ti desidera e non ti
doni che a chi ti ha donato sè stesso. Io preferii amarti per ef- fusione di
fede semplice ed umile, e non ti giu- dicai dal di fuori, come un. altro da me,
ma ti ri- mirai come l’imagine radiante ed il tipo esemplare della mia
rinnovellata e redenta natura. E lasciai che gli uomini dall’anima greve ed
angusta chiu- dessero il loro cuore alle rivelazioni del nuovo e
dell’inaspettato e sì contraessero nello sterile or- goglio della venerazione
di un Dio conosciuto, e nella mia anima serbai un posto per l’ospite inat- teso
ed eressi un altare al Dio ignoto! (4) (1) Amiel, Fragments d’un
‘Journal intime. (Genève, 1898) I 86 — « Fais en toi la part du mystère, ne te
laboure pas toujours tout entier du soc de l’examen, mais laisse en ton coeur
un petit angle en jachères pour les semences qu’ apportent les vents, et
‘réserve un petit coin d’ombrage pour les ciseaux du ciel qui pas- sent: aze en
ton îme une place pour l’héte que tu n° attends pas et un autel pour le dieu
inconnu.... ù . RO lE “ LI ti
“ RS IL VALORE DELLA VITA ®
Il valore della vita è il problema umano per eccellenza , quello che
domina ed impronta di sè tutti gli altri problemi della scienza e della in-
tuizione del mondo. Il voler vivere ed il bisogno di vivere e di dare alla vita
un senso ed un va- lore qualsiasi è il fatto fondamentale della nostra natura,
la premessa delle premesse , la radice ed il termine di tutte le funzioni del
nostro organi- smo, di tutte le attività della nostra anima. Tutti ci
domandiamo, ogni giorno , che cosa è la vita, qual senso e qual valore si abbia
questa nostra esistenza caduca e fuggitiva, che pur deve averne qualcuno, e
tutti ci punge, al cospetto del dolore e della morte, il dubbio amaro, che essa
non ne abbia nessuno e che la vita, così com'è, non valga la pena di viverla.
| E la scienza, — la scienza si subordina an- ch’ella ai fini della vita
e non ha valore che per quelli. Essa non intende a conoscere per cono-
(1) Discorso letto nell’aula magna dell’ Università di Napoli, per la
solenne inaugurazione dell’anno accademico 1991-1902. 288 IL VALORE
DELLA VITA scere, ma a conoscere per fare. Le sue esperienze, ie
sue equazioni, ì suoi simboli mirano, in ultima istanza, ad assicurare all’uomo
l’ azione ed il do- minio sulla natura, ad assicurare, cioè, lo sviluppo
progressivo delle energie della vita. Nel corso del suo laborioso processo essa
oblitera visibilmente codesto nesso finale con la vita. Ma è una di- menticanza
passeggera, dovuta alle necessità del- l’analisi. Cooperare allo sviluppo della
vita, è il sottinteso di tutte le ricerche della scienza: sot- tinteso che
opera inconsaputo ed occulto, ma che si svolge al lume della consapevolezza,
non ap- pena la scienza ritorni sopra di sò e si renda ra- gione dell’esser suo
e comprenda che essa è, dopo tutto, una gran funzione ausiliare e protettiva
della vita. Per questo motivo, chiamato dalla benevo- lenza dei miei
onorevoli colleghi ad associare la . mia povera parola di studioso a questo
solenne rito augurale, io ho scelto a tema del mio discorso, il valore della
vita. Ho pensato di avvalorare l’u- miltà dell’ingegno con l’altezza del
soggetto ed ho voluto agitare un problema universale, che po- tesse interessare
tutti ad un modo, uomini di scienza ed uomini che non lo sono, un problema,
tolto il quale è tolto al sapere ogni significato ed ogni
valore. * * * Il proporsi la vita come un problema da
ri- solvere è una prerogativa, forse dolorosa, certo indeclinabile, della
natura umana. | Gli esseri inferiori vivono, senza domandare
IL VALORE DELLA VITA 289 il perchè della loro esistenza. Più
che viventi, si direbbe che essi sieno vissuti dalle spontanee e-'
nergie della vita. L’animale, fornito provvidamente . della sola intuizione
diretta, nou si rende ragion riffessa della sua esistenza. Non la contempla o
la pone al di fuori come un altro da sè, come og- getto di meraviglia, di
curiosità, di ricerca. La sua coscienza sorda ed opaca si compenetra con la
vita e fa tutt’uno con essa. È solo nell’uomo che la natura perviene alla
coscienza di sè e diventa oggetto a sè medesima di contemplazione, di
meraviglia, di esame. Ed è solo nell’uomo che l’unità indistinta ed originaria
della vita si spezza e rifrange in due parti o in due forme eterogenee ed
antagoniste, e crea, quasi, dal fondo oscuro della sua realità,
l’imagine o il, duplicato ideale di sè medesima. Da un lato, la‘ |
vita come fatto, dall’altro, la vita come idea; da un lato, la vita come forza
operosa e spontanea, come impulso cieco ed istintivo, che non sa nè di perchè
nè di come, che ha la sublime irresponsa- bilità e la sublime impassibilità del
fatto, che è senza ragione e senza fine, perchè è ragione e fine a sè medesima;
dall’ altro lato, la coscienza, non più assorta ed implicata nel fondo della
vita ma emersa e separata da essa, e che la riflette e con- templa
oggettivamente e le si pone di fronte in attitudine d’inquisitrice
e di giudice e non si ristà . dal domandarle la ragione ed il fine dei suoi
mi- steriosi processi. | L’unità e l’integrità funzionale dell’uomo
ap- pare come divisa in queste dune vite, l’una diretta, I.
Perrone. — Problemi del mondo murale. 19 Ù 290 | IL
VALORE DELLA VITA l’altra riflessa, l’ùna reale, 1’ altra ideale,
le quali seguono invariabilmente l’ una all'altra, come l'ombra al corpo. Egli
si dibatte nelle strette an- gosciose di questo interno ed originale dissidio,
ed indarno invoca e sospira dalle profondità del suo essere, quasi per lampo
d’intuizione o di re- miniscenza nostalgica, il ritorno all’ unità primi- tiva.
La ragione non cesserà mai di chiedere alla vita che ella abbia un senso ed un
valore; la vita, che è sottratta agli schemi della ragione, non ri- finirà mai
dal contristare la coscienza con lo spet- tacolo dei suoi assurdi, dei suoi
errori, dei suoi inesplicabili enigmi. Invano egli si sforzerà di ab- buiare la
coscienza nella vita: più invano ancora i egli tenterà di costringere la vita,
questa cinica refrattaria, ad arrendersi obbediente alle illusioni della
coscienza. La lotta perdurerà tuttora incon- ' ciliabile, inesorabile,
perchè la lotta è originaria, { perchè la coscienza si è contrapposta
alla vita, ‘dirò meglio ancora, perchè la vita si è divisa È ; 4; (dalla
vita. =, { A Da; dr (A3* i 7A re vnbnitpes L Live® ) ° » gta ca ele
Bueitalo: li ei fp Selle Gite TL PO. A II reati: PRU Ù i È vp ei 14
2° î Dei LUI Fi 1 i ce; LL La radice di questa antitesi
tormentosa e di questo ingenito malinteso, onde la vita appare come nemica ed
infedele a sè medesima, è nel ; grande errore e nella grande ed originaria
illu- sione della nostra coscienza; l’errore e l’illusione ;
individualistica. La coscienza, che riflette la vita, non è unica
ma plurima, nòn universale ma individuale. Ne IL VALORE DELLA VITA
291 segue che la vita rispecchiata dalla coscienza si colora
anch'ella dei fallaci riflessi dell’ individua- zione, e la vita individuale,
povero frammento di- velto dall’unità dell'insieme, povero nulla che si crede
tutto, si contrappone alla vita universale. Conoscendo il mondo e la
vita, l’uomo tende, di sua natura, a conzepire quel mondo e quella vita secondo
l’angolo visuale della sua personalità individuale, del suo io limitato e
soggettivo. L’in- telletto che lo illumina, e che è un elemento iso- latore e
discriminante per eccellenza, lo contrae e lo concentra nei termini della sua
coscienza im- mediata, dall’ alto della quale egli contempla e giudica il
mondo. Egli è, bensì, un oggetto ed un prodotto della SA come ogni altro
degli esseri, ma è, / | ad un tempo, il soggetto
conoscente della natura i medesima. In quanto oggetto, egli si
sente una quantità trascurabile nell’ infinitudine delle esi- stenze e dei
cangiamenti : ma in quanto soggetto, egli si sente di valore infinito. Egli fa
capo al mondo ed agli altri in quanto oggetto ed in quanto vita, ma il mondo e
gli altri fan capo a lui, in quanto egli è soggetto e coscienza. Egli non esi-
sterebbe come realtà, senza il mondo e gli altri: ma gli altri ed il mondo non
esisterebbero come rappresentazione, Lenza di lui. —Traviato da queste
apparenze della conoscenza, l'individuo umano pone sè a centro dell’universo,
ed immagina che il mondo e la vita sieno per lui, e non egli per la vita e pel
mondo. Chiuso nel- SERI GNSNZA di so, RAECRO inconsapevole, egli
si rea n° i a cn (E s LA La Rie Ò ao lago See 7 sp) peu
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\ Ello snniini fr io " 2992 IL VALORE
DELLA VITA figura che le leggi della vita universale sieno or-
dinate al benessere del suo io. E l’infinito dello spazio e del tempo gli par
poca cosa o punto a petto della sua povera persona effimera, fugge- vole,
caduca, la quale, per essere la sua, gli pare che sia o valga pressochè tutto :
e, sopra tutte le altre innumeri vite che si agitano attorno a lui, egli
colloca la sua vita, la sua coscienza sogget- tiva, la sua felicità, il suo
interesse. Che colpa ha egli, in fondo, sela vita universale gli si pluralizza,
| diversifica o rifrange nella individualità della co- ‘ scienza ? o se ella
proietta la sua immagine unica ed invisibile in una infinità di picciole
esistenze, ‘ le quali si credono tutta lei perchè ella è tutta ‘ in esse? * *
* Intanto, è appunto da questa naturale illu- sione della coscienza che
derivano le grandi con- traddizioni ed i grandi dolori della nostra esi-
stenza; ed è esclusivamente per essa che il valore della vita è per noi un
problema e non un as- sioma. Perchè le leggi della vita ‘universale sono
«indubbiamente ribelli ai bisogni della nostra co- ‘ scienza individuale. L’
individualità è, di sua na- tura, caduca e peritura, sottoposta alle leggi
della causalità e del cangiamento, al ritmo della nascita e della morte, ad un
divenire continuo in cui gl’individui appaiono e dispaiono, balenano e pas-
sano, travolti dall’onda inesorabile del tempo. La vita universale è una
suprema egoista che è sol- lecita solo di sè medesima, o di quelle sue forme
predilette che ne perennano l’imagine attraverso IL VALORB DELLA
VITA 293 il tempo e lo spazio; ond’essa mira alla conserva- zione
delle idee e delle specie, e non le cale del- l’individuo che condanna al
dolore, alla dissolu- zione, alla morte. La natura e la storia non sono
ordinate alla felicità del nostro individuo: esse sono troppo scettiche,
troppo indifferenti, fors’anco troppo po- , vere per mirare a così
gran risultato. La coscienza, che s’illude del contrario, si appresta le
delusioni più amare. La natura avara, pervertita ancora di più dalla
iniquità degli ordini sociali, pone bensì ed acuisce la sete della felicità in
tutti gl’individui, ma non ammette al godimento delle condizioni elementari e
materiali della felicità medesima che un nu- LI CI C) CI e . . . }
mero piccolissimo. Le sue disposizioni sono tali ; che il piacere degli uni è
il dolore degli altri; e,, per una vita sola da mantenere e da sollevare
: sulla scala ascendente della felicità e del piacere, molte altre
vite devono miseramente soccombere in un sacrificio violento e coatto. Di qui
uno stato generale di malessere che si riflette, in parte, anche su quelli cui
toccò, fortuito legato, un’ om- bra di piacere e di benessere. Perchè, dove la
vita degli uni è la morte degli altri, ivi quella ‘vita non è più un godimento,
ma un fallo ed un rimorso. Le leggi della responsabilità e della so- lidarietà
morale operano visibilmente, quand’anche non penetrino il velo opaco della
coscienza indi- viduale. Dove un uomo solo soffre, la società in- tiera è
minacciata e sofferente con lui. L’egoismo ha un bel dire che gli altri non
sono noi e che fer ite ene NI re da nr naità a a a n
PERE TARRA CIRIP CRECROEAMRE: "9°C PESI 294
IL VALORE DELLA VITA la nostra felicità non è macchiata dal
contatto dell’altrui sventura. Una voce della coscienza ci dice che quel
contatto v'è: esso fu posto il giorno stesso in cui fummo individualmente
felici: per- chè quella felicità, forse a nostra insaputa, fu comperata a
prezzo dell’altrui sofferenza. La con- taminazione di quel contatto resta
impressa sulle nostre carni come uno stigma incancellabile e, per un’anima sensitiva,
insinua una punta d’a- maro anche nei piaceri apparentemente più legit- timi
della vita. Che se, protetti questa volta dalla stessa ca- ducità del
nostro individuo, noi riusciamo ad elu- dere i colpi di quella Nemesi occulta
che associa al delitto il castigo, e comperiamo a prezzo della nostra
inferiorità morale la liberazione dalle pun- ture del rimorso, non per questo
otteniamo di es- sere veramente felici. La universale legge del do- lore impera
provvidamente anche sugl’ individui privilegiati per le condizioni del
benessere: per- chè è destino radicato nella stessa inquietezza in- finita
della nostra volontà; perchè ogni volere ha per suo principio un bisogno, ogni
bisogno ha per suo correlativo un dolore. E dove la pressione del dolore
sia, per con- dizioni peculiari di fortuna, così tenue e così scarsa che non
giovi a scemare l’ideale fascinatore e gio- condo che taluno di noi si foggia
dell’ esistenza, la previsione e la minaccia della morte, ultima istanza ed
ultima Nemesi della natura, è lì per ridestarlo duramente dall’effimero sogno
in cui si cullava, improvvida e cieca, la sua anima scialba IL
VALORE DELLA VITA 295 ed intristita. Le ombre si diradano dalla
coscienza che s’illumina di luce nova, i veli si dissipano, il destino
dell’esistenza individuale riappare all’uomo nella sua desolante evidenza. Egli
comprende la gran verità della vita: questa, che la individua- lità è povera
cosa ed inane; che la vita indivi- duale è un flusso continuo, cioè una
continua ca- duta nella morte; che il piacere è il fantasma del momento,
dell’attimo fuggevole, di un punto inesteso; che la vita dell’individuo non è
assoluta ma relativa, non fine ma mezzo, non vita che si perenna ma morte che
per un momento sì ar- resta. Egli intende che quello che perdura invaria-
bile nei processi della natura è la forma, non la materia, che è soggetta al un
flusso e ad una circolazione perpetua; che la sostanza dell’indivi- duo non è
che un inviluppo di materia, che in- cessantemente si dissolve ed
incessantemente si rin- novella, attraverso una forma specifica persistente
nella dissoluzione e nel ricambio degli elementi materiali; che, quindi, la
morte non è solo il co- ronamento ed il fine dell’esistenza individuale, ma è
il suo principio, il suo correlativo , il suo ausi- liare. Ogni giorno noi
moriamo a noi inedesimi nei processi di disassimilazione e di secrezione e
riviviamo a noi medesimi nei processi di assimi- lazione e di nutrizione. Il
che vuol dire che la vita non è una linea, ma un punto ed un limite: un limite
tra una morte ed una rinascita, di cui basta per un momento incommensurabile
turbare la ritmica simultanea ondulazione perchè soprav-
" 296 IL VALORE DELLA VITA venga la morte
definitiva e visibile. La quale, lentamente e fatalmente predisposta dal tenace
sebben parziale corrosivo della vita organica, se- gna l’abbandono finale della
materia ed è la su- prema caduta e la suprema disfatta di quella sin- tesi
fenomenale della materia e della forma che è l'individuo. La vita
individuale è, soil; di sua natura ordinata alla morte, e la morte, sublime
paradosso, è un momento della vita; e la vita è della forma, non della materia,
dell’ idea e non del fenomeno, della specie e non dell’ individuo, della
umanità, non dell’uomo. La coscienza si ritrae addolorata dinnanzi a
questa terribile novella, la quale le dice che la morte non è più un incidente
o un assurdo nel sistema della vita, ma un aspetto necessario della vita
stessa. È vano le si suggerisca che la vita in sè, che la vita universale è
immarcescibile ed im- mortale ; che l’abbandono della sostanza indivi- duale
non segna la caduta del tipo specifico; che la vita continuamente muore, ma
continuamente rivive. Ella, non ha, abimè! ed, in quanto si chiude in sè
medesima, non può avere altra rap- presentazione della vita che quella
individuale, quella, cioè, della sua vita. La vita universale non è coestensiva
alla nostra coscienza, nè da questa è sentita come propria: onde l’aspetto di
lei, in- vece di calmare il nostro ANNO, ci punge ed irrita. Le ombre
invadono l’anima sopraffatta da un’amarezza senza fine: la vita ci si scolora:
og- ne PO mene LAP PRC ie > x RR dm. IL
VALORE DELLA VITA 997 gimai noi la guardiamo corrucciati come una
de- bitrice insolvibile; i suoi beni positivi non ci pare che valgano il dolore
e la morte che costano. xx | Ma una suprema saggezza c’
insegna che la vita ha due aspetti e due momenti, dei quali alla coscienza,
abbuiata dal velo dell’egoismo, sfugge il più profondo ed il più vero. La vita
dell’uomo, come quella di tutta la natura, è un ritmo di pul- sazioni alterne ,
un equilibrio dei contrasti, una sintesi ed una correlazione dei contrari. Non
v’ha espirazione senza inspirazione, non v’ha consumo senza assimilazione
riproduttiva. Del pari non v’ha dissoluzione senza rinascita, non una elisione
qualsiasi di dati elementi della vita senza una corrispondente gestazione di
vita nova. Nella dialettica universale della vita non v’ha lotta senza
traccia o presentimento di armonia. Se è vero che l’individuo non è che
l’imagine fug- gitiva segnata sulla traccia del tempo e dello spazio infinito
dal genio sovrano della specie, è vero, altresì, che la specie non vive, non
s’incarna, non sì rinnovella che attraverso quell’imagine, la quale, quindi, si
colora dei suoi inestinguibili ri- flessi. Se è vero che la vita è ordinata
alla morte e che l’individuo muore di continuo a sè mede- sim‘, è vero,
altresì, che la morte dell’ individuo è riscattata dalla vita degli esseri nei
quali egli sì riproduce, si perenna e rivive. La legge dei compensi che
presiede alle crea- zioni della vita ha messo in essere un principio nuovo che
trionfa della dissoluzione e della morte. AR pn n n A de. _
L= SARI 2 Pi ni « da rr > pedi fee ci e A n 298 IL VALORE
DELLA VITA Questo principio è la generazione e l’amore : sim- bolo
della rinnovellata armonia e della unità pro- fonda della vita individuale e
della vita universale. E la generazione segna il trionfo dell’ individuo sopra
la insanabile caducità dell’ individuazione, il suo nisus creativo, il suo
salto mortale, ed è il coronamento e l’atto supremo e trascendente della
nutrizione, come la morte, la sua rivale, è una eliminazione ed una secrezione
trascendente e su- prema. L’individuo vive, adunque, due vite: delle
quali il nostro io è come il limite ed il punto d’inserzione; l’una, che si
consuma nei limiti an- gusti dell’irdividualità; l’altra, che si dilata e s’ir-
radia nella vita universale. Onde l’individuo è su- periore, direi quasi, a sè
medesimo, e le relazioni individuali e finite preoccupano ed anticipano le
relazioni universali ed infinite. * | * * Al lume di questa
intuizione la vita ci si co- lora di nuove tinte ed attinge una significazione
luminosa. Essa ci appare, bensì, scevra di valore, in quanto si contempla come
vita puramente in- dividuale, ma è dotata di valore infinito in' quanto si
dilata e si accommuna alla vita universale. L’in- finito e l’universale, che è
il suggello e lo stigma della nostra condanna, è, ad un tempo, la via della
salute. Basta che la nostra vita ne accolga, con vocazione amica e devota, il
monito tutelare. La radice del male e del dolore sta nella di- scordia e
nella lotta: la sorgente del bene e della felicità sarà nella ricomposta e
rivissuta comu- ite "Re RO i IO OOO ORTO CESSA RI SRR RE SUI
TANO Se RE SRG I SED IL VALORE DELLA VITA 299 nione col
principio di vita, nell’abbandono di sò e della propria individualità povera e
vana alle correnti purificatrici della vita universale. Il segreto della
vita e della felicità non è nella concentrazione egoistica e subiettiva
dell’io, ma nell’oblio di sè nell’armonia dell’insieme. E la vita vera non è
quella che rifluisce e ripiega in sè medesima, ma quella che si spande,
benefica, generosa irradiatrice di luce e di calore, in altre esistenze ed in
altre vite. Epperò, quel divino se- greto si allontana da noi, quando la nostra
anima si contrae in una bieca ed apata riflessione egoi- sta, e cì sorride,
invece, tutte le volte che, tra- sportati dalle energie spontanee della volontà
è dell’azione, cessiamo quasi di appartenere a noi medesimi, rapiti nella
nostra produzione e come sublimati nella effusione di una vita che si espaude
al di fuori, prodiga, rigogliosa. Noi non siamo ve- ramente felici che nei
momenti della creazione: perchè la creazione è fuoriuscita da sè e moto verso
l’altro. Noi non siamo veramente felici, se non quando ci liberiamo da noi
medesimi, come soggetto, obbiettivandoci nel mondo; quando de- poniamo da noi,
con uno slancio ed un abbandono supremo, quel parassita roditore della vita
spon- tanea che è la riflessione egoista della coscienza. La vita individuale
non s’impingua nè si feconda, se non attraverso una generosa rinuncia; come il
chicco di grano non fruttifica, se non muore nella putredine. | La via
della salvezza è in quello che il Goethe chiamò il metodo obbjettivo:
considerarsi, cioè, non Dina 300 IL VALORE DELLA
VITA come soggetto e come coscienza, ma come oggetto e come vita.
Ivi si celebra la rinnovellata armo- nia fra la vita e sè medesima e fra
l’uomo, la vita ., ed il mondo. Un’armonia che ricorda l’antica, ma
. che la supera infinitamente; perchè l’una era oc- ‘ culta, indistinta,
subcosciente, l’altra è opera no- stra e nostra fattura, nella quale
noi ci rimiriamo come illuminati e purificati di luce nuova. * *
* Nè mi si dica che la vita è possesso imma- nente del proprio individuo
ed è avvertimento in- timo di tale ‘possesso. Perchè il possesso di sè sfugge
appunto all’uomo che si rimira e contem- pla nelle imagini fallaci della
coscienza egoisti- sta. L’ intimo fondamento dell’ esser nostro è più
profondo e più ricco che non lo renda la coscienza subiettiva, efflorescenza
meramente superticiale delle profondità incommensurabili della vita. Come
l’occhio che vede tutto e non vede sè medesimo, così l’io cosciente vede le
altre cose e non vede la sua imagine. Come il corpo del sole è oscuro, così il
me è il punto nero della coscienza. Del pari nel tessuto della rètina
l’inserzione del nervo ottico è cieca, e la sostanza del cervello, centro di tutte
le sensazioni, è insensibile a sua volta (1). E come l’occhio si rimira
attraverso lo specchio, così la\scienza e la vita non si conoscono, o meglio
non si riconoscono, che attraverso le altre coscienze (1)
Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung.—Ergana. z. vierten Buch.
(Kap. 41). "osi dm - iene grate ea Dosi]
1L VALORE DELLA VITA 301 e le altre vite. Apparente
paradosso, l'individuo per ritrovare sè medesimo, deve anzitutto negarsi. Egli
non ha coscienza di sè, che attraverso il suo altro. L’ egoista, dunque,
che si fa vivo e che si. pompeggia di vivere in sè medesimo, è vittima. di
un’illusione. Egli ha vilmente calunniato la . sua natura e, per non voler
rivivere negli altri, non vive neanche in sè stesso. Egli vive nell’om- bra scialba
di sè, un’imagine esile, povera, ridotta dall’ingenito daltonismo della sua
coscienza spa- ziale. o * * % Il segreto della vita e della
felicità sorride, quindi, all'anima amante, perchè l’amore, in quanto ha di più
alto e di più puro, è oblio ed abban- dono di sè nella persona e nell’idea
dell’amato. Sorride al genio, che dimentica la limitazione individuale
nella contemplazione dell’ eterno e, specchio fedele dell’anima collettiva,
annunzia la parola vitale che trascende il tempo e genera una storia. Sorride
all’eroe, che avvalorandola di signi- ficazione infinita, consacra la sua
esistenza indi- viduale ad una causa universale, e la cui generosa coscienza è
coestensiva alla coscienza dell’ uma- nità intiera. Sorride all’ apostolo della
carità, che sente come suoi i dolori e le miserie degli altri e la cui capacità
di soffrire e di amare abbraccia. ed accoglie, pietosa e fraterna, tutta la
indefinita moltitudine delle esistenze diseredate. Sorride a tante vite, umili
o grandi che sieno, più grandi spesso quanto più umili, che nell’arduo lavoro
di 302 IL VALORE DELLA VITA ogni giorno, di ogni ora, e
nel sacrificio di sè spontaneamente accettato e sofferto, ripongono l’unico,
esclusivo ideale dell’esistenza; nobili vite silenziose, vereconde, che tolgono
sopra di sè di lavorare, di soffrire e di espiare per gli altri, senza
aspettazione di compenso e di lode , senza solen- nità e senza pompa e pure con
una giocondità in- genua e serena. Sorride a tutti, quando, liberi dal- l’egoismo
che c’irrigidisce e contrae, noi viviamo nella vita degli altri, accogliendo
nella nostra esi- stenza limitata e caduca una significazione ed un valore
universale. | Poichè la nostra vita è in sè peritura e fug- gevole, solo
espediente di renderla immortale è avvalorarla al contatto di un principio
perenne di giovinezza, di un eterno ideale. Noi trionfiamo idealmente
della morte, se e- duchiamo e produciamo nella nostra vita transe- unte dei
valori assoluti ed infiniti, che la morte, questa dea insidiosa del relativo e
del finito, non può travolgere nelle sue ondate distruggitrici. È questa,
c non altra, la via della salute: è questa, e non altra, la soluzione di un
problema della vita. | | Il resto, dirò col tragico inglese, non è che
silenzio ! PI . . . . . . n i . » L'ETICA COME
FILOSOFIA DELL'AZIONE E COME INTUIZIONE DEL MONDO. (1) Se le
esigenze dell’analisi e le distinzioni del- l’intendimento perpetuano il
dissidio fra lo spirito teoretico e lo spirito pratico, fra la scienza e la
vita, fra la conoscenza e l’azione, la visione filo- sofica e sistematica dei
nessi del reale e dell’ u- nità dello spirito non si ristà, nelle vie
successive della storia, dal risolvere quel creduto e protes- sato dissidio in
una sostanziale e remota conso- nanza di funzioni. L’intellettualismo etico di
Su- crate, di Spinoza, di Leibnitz ritraduce l’ attività morale nell’ attività
speculativa, la virtù nella scienza, o nel possesso delle idee adeguate, o
nella vision» ampia e rappresentativa dell’ universo. Così la discordia delle
due direzioni dello spirito è ricomposta in armonia: l’attività pratica si ri-
solve nella teoretica, la volontà nell’intelletto : la vita dello spirito si
assolve e si consuma nelle regioni della contemplazione e della perfezione e
della beatituuine contemplativa. È l’etica vien raffigurata come una qualche
cusa che non nasce da un fondo diverso dalla teoretica: la pratica
(1) Saggio inedito. 304 L'ETICA COME FILOSOFIA
DELL’AZIONE del ben vivere, insegnano anzi, germoglia dal sa- pere:
la scienza del bene è appresa come neces- sariamente attiva e necessariamente
produttiva della volontà del bene: l’attività della nozione è tutt'uno che
l’attività della vita: la teoretica è... etica. Una elisione a priorì del
perenne ed acuto dissidio fra gli elementi rappresentativi e gli ele- menti
emozionali presiede a codeste sovrane con- cezioni dell’intellettualismo etico.
La ragion pura e la ragion pratica vi celebrano imperturbate, non sì sa più se
inconscie o chiaroveggenti, la pie- nezza armoniosa della loro comunione
fraterna. * * * La mente si domanda: è legittima,
ovvero illusoria, codesta elisione del pathos interno dello spirito ? è il
prodotto di una comprensione pro- fonda della realtà, ovvero di una posizione
equi- voca dell’assunto ? E la risposta, evidentemente, è diversa a se-
conda del diverso modo onde s’interpetra il va- lore ideale dei termini nei
quali e coi quali le direzioni intellettualistiche esprimono la fecondità
morale dell’attività speculativa. Se la scienza del bene vien concepita
nello stretto e specifico senso di cognizione indifferente, passiva,
trans-subbiettiva, puramente ed astratta- mente teoretica, scevra d’ irteresse
o di adesione spirituale personale, niun dubbio che la scienza si rimarrà
sterile, vuota ed inerte nelle prominenze superficiali dell’intendimento, e non
assurgerà mai 4 E COME INTUIZIONE DEI. MONDO 305
a potenza produttiva dell’ azione nè diventerà massima e principio di
vita. La cognizione în quanto tale, cioè in quanto pura, isolata ed astratta
cognizione, così come essa è distillata e circoscritta nella sua indifferenza e
nella sua inanità formale dai processi dissociativi dell’analisi, non sarà mai
altro che... sè medesima, cioè pura ed astratta ed indifferente cognizione. Non
è nella natura della cognizione come tale la virtù di essere attiva, nè la
scienza del bene (intesa la parola « scienza » in questo angusto e specifico
senso) può ritradursi, senza provocare le più significanti e le più scan-
dalose smentite, nella volontà attiva del bene. Finchè il termine che designa
l’ attività spe- culativa e quello che designa l’attività
pratica sono rispettivamente concepiti all’ infuori della loro
interna ed originaria connessione sintetica, e sono indefinitamente distanziati
ed inimicati dal- l’analisi, che sospinge l’uno e l’altro alla loro con-
traddizione logica iniziale, nessun esperimento di mediazione, nessun tentativo
di accordo sarà più verosimile o proficuo. Le sole conciliazioni utili e le
sole conciliazioni possibili, nella scienza come nella vita, sono quelle che
non urtano nella con- traddizione : quelle, cioè, le quali intervengono fra
termini e modi, il cui dissidio è apparente e do- vuto meno ad interiore
ripugnanza che ad errore di percezione. Un’ antitesi, raffigurata come
necessaria ed assoluta, è irreduttibile a cagion della stessa ne- cessità ed
assolutezza che si è presupposta: due termini, che sieno collocati a distanza
idealmente I. Perrone. — Problemi del mondo murale. 20
306 L’ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE infinita, non potranno
mai essere vicini e cuuti- gui. L’unica via ed espediente di ottenere l’accordo
è quella di rimuovere in anticipazione il dissidio, risolvendo la
contraddizione: superando, cioè, quella veduta angusta e superficiale, che
lacera l’unità dello spirito, riconducendone le membra diverse alla
contraddizione logica artificiale fra esse interposta. Ciò vuol dire che,
se quei due termini ‘corri- spettivi che sono la scienza del bene e la volontà
del bene vengono concepiti secondo l’ accezione empirica ed analitica delle
parole, essi resteranno sempre in contrasto fra loro. L’analisi, che
disintegra l’unità dello spirito, concepisce la conuscenza come assolutamente
sce- vra dalle motivazioni e dalle emozioni della vo- loutà, e, del pari,
concepisce la volontà assoluta- mente isolata da elementi di rappresentazione e
d’intuizione. Vittima oscura di tale attitudine per- cettiva, l’analisi non può
ricostituire, per virtù sua, quell’unità e quell’armonia ch’essa ha dovuto de-
comporre, «lissociare e risolvere. La nozione del bene, in quanto pura
nozione, e la volontà del bene, in quanto puro ed astratto volere , non
coincideranno mai in uniea sostanza di vita. Io non opererò il bene, per averlo
in ipotesi conosciuto, se siffatta cognizione non di- venta sangue ed ani;na
della mia vita, e finchè il conosciuto mì appare come un altro da me, un
oggetto puro è semplice della mia percezione, una mera possibilità concettuale
veduta in astratto. Perchè la conoscenza diventi motivo di azio-
————=<=——————————_—._—_—_—_r—r_—_—_—zggww—t xm 1° ‘*
E COME INTUIZIONE DEL MONDO 307 ne, occorre che essa sia più
che mera conoscanza: occorre che l’intuizione intellettuale si accenda del
color vivo della passione: occorre che essa trapassi in abito di emotività, di
sentimento, di credenza. L’ adesione vuol essere consentimento, abbandono,
amore, perchè travalichi l’inerzia della contemplazione e si traduca in volontà
operosa del bene. Finchè si versa nel puro conoscimento astratto, l’uomo non è
posseduto intero dall’arida sottilità del precetto : l’anima non è ancor impe-
gnata all’accettazione ed all’obbedienza nella parte più intima ed ascosa di
sè. Nella conoscenza l’io empirico resta maestro e donno di sè, algido e
circospetto; non depone le sue*riserve, le sue re- ticenze,
il suo orgoglio; non si oblia nell’oggetto, non si libera alie energie della
vita. Perdura la dualità, l’eteronomia fra il soggetto e l’oggetto, fra
l’intellezione e l’anima, fra l’io, cioè, e la vita. Il conoscente sì serba
estraneo al conosciuto e sna- turato ed impervio alla sua creatura: l’analizza,
la riflette, la giudica come un diverso da sè. Essi non yi fondono in una
unità ed in un momegto solo: l’ altro non diventa me: la verità non penetra di
sè la coscienza: l’io non si di- mentica nel suo ideale o nel suo sogno.
Il che vuol dire che si è a distanza infinita dalla vita e dall’azione: perchè
la volontà di vi- vere è investita appunto dalla sacra follia dell’o- blio e
dell’entusiasmo. Ella è una grande ed una nobile allucinata, che nel suo
delirio, che pare di umiltà ed è di grandezza, celebra giorno per giorno
l'alienazione di sè nell’assimilazione del mondo. nu
ge vg 308 L'ETICA COME FILOSOFIA
DELL'AZIONE * * * Ma i termini corrispettivi della
conoscenza e della volontà possono venire assunti in un signi-. ficato e
secondo una comprensione ideale più am- pia e profonda, la quale cancella le
contraddizioni arbitrarie foggiate dall’analisi e restituisce l’unità reale dei
processi della coscienza. La conoscenza e la volontà appaiono, in tal caso, non
più come termini astrattamente divisi, ma come funzioni si- multanee e
concrescenti dell’ attività dello spirito. La conoscenza, in questo senso più
vero e pro- fondo, non è puro schematismo di possibilità con- cettuali, nè mera
fappresentazione psittacistica del reale (per usare una parola del Leibnitz),
ma sog- gettivazione dell’oggettivo, ma appropriazione spi- rituale del mondo.
Essa non è più, in tale ipo- tesi, un termine recettivo e passivo, ma simbolo
di una suprema attività e possanza di dominio. Essa è via e lume all’azione, in
quanto è l’azione stessa incoata, previssuta, illuminata, superata. La
conoscenza è azione; perchè è attiva produzione del mondo: perchè è la presa di
possesso dell’og- gettivo; perchè è la vittoria dello spirito sulla ma- teria,
dell’idea sulle cose; perchè è coestensione dello spirito all’universo
reale. La conoscenza del bene, in tal caso, coincide necessariamente con
la volontà del bene: perchè il bene non è più appreso come termine di astratto
sapere, ovvero come possibilità oggettiva o trans- subbiettiva, indifferente a
trapassare o meno nel- l’atto, ma come momento necessario e concreto
E COME INTUIZIONE DEL MONDO ©’ © 309 della sostanza medesima
del soggetto, come suo principio di vita. Il momento, cioè a dire, in che il
bene è conosciuto, è il momento stesso in cui il bene è voluto e germinato
dall’attività interiore dello spirito. La penetrazione e la trasparenza del
conoscimento del bene è il prodotto dello averlo voluto : e, viceversa, l’
alacrità operosa della vo- lontà e dell’azione è stimolata in gran parte du
quell’ innamoramento ideale che suole associarsi alla purezza di visione del
conoscimento. Non v’ha vera e profonda ed adeguata conoscenza che non sia
azione o anticipata, o riflettuta e superata: nè v’ha azione etica vera e
propria, che non sia documénto e testimonianza di una penetrazione profonda
delle realtà supreme sfuggite alla per- cezione immediata dei sensi ed alle
intuizioni dell’intendimento. * * * È in questo senso,
più intimo e più vero, che va interpetrato e risollevato il concetto fon-
damentale dell’intellettualismo etico nelle sue di- verse direzioni. La
conoscenza Socratica, come si lascia indurre meno dalla riproduzione empi- rica
di Senofonte che da quella metafisica di Pla- tore, è la sapienza (00gia) :
espressione, cioè, non di conoscenza pura e semplice, ma di conoscenza,
insieme, e di azione, di scienza e di virtù, di at- tività teoretica e di
attività pratica, espressione, cioè, di quel momento unico, indistinto,
dialettico dello spirito, in cui si compongono ad armonia i
310 L’ETICA COME FILOSOFIA DELL AZIONE due aspetti, divisi e
rifratti dall’analisi psicologica. Tale è l’idea adeguata di Spinoza, che supra
ed oltrepassa ogni forma di cognizione empirica e di distinzione analitica (la
quale versa nella disar- monia e nella contraddizione) e che concilia i dis-
sidi del processo e gli attriti dell’esperienza nella contemplazione
dell’eterno. Tale è la visione rap-. presentativa del Leibnitz, che segna la
superazione del puro soggettivo e del puro oggettivo în quanto tale, ed è, ad
un tempo, coestensione dello spirito . all’universo e contrazione dell’universo
nello spi- rito, momento indistinto, primigenio, dialettico dell’idea e
dell’attività, del pensiero e dell’azione. Ed appreso ed interpetrato in
questo ' senso, l'assunto dell’ intellettualismo etico appare piena- mente
legittimato. Il dissidio dell’attività pratica e dell’attività teoretica è
eliso a priori da questa . visione più ampia del problema. Esso è risoluto
nella sintesi dello spirito, in cui la conoscenza è intessuta e materiata di
azione ed in cui l’azione è viatico ad una superiore purificazione della co-
noscenza. Ego sum veritas et via: la sapienza è scuola di virtù : ed è, anzitutto
e soprattutto, virtù ella stessa. La bontà è una verità che lo spirito parla a
sè medesimo: la verità è la visione pura dello spirito redento dalla pratica
del bene. * * * Ma non sempre la forma adegua il conte- nuto:
e l’analisi, notomia necessaria dell’intendi- mento, offusca
spesso, anche nella mente dei più esperti, la compreensione limpida
dell’idea. E COME INTUIZIONE DEL MONDO 311 Le direzioni
dell’intellettualismo etico, germi- nate da una oscura percezione della sintesi
dello spirito e stimolate dall’oscuro bisogno di superare le antinomie
dell’esperienza, non hanno serbato fede alle loro origini ideali. Esse hanno
espresso un assunto sintetico in una forma analitica : hanno trascritto un
pensiero metafisico in termini empi- rici; ed han finito per ripristinare
quella contrad- dizione che pareva loro merito originario aver risoluto ed
eliso. Le necessità del linguaggio, qui come in altri casi,
traggono ad errori ed a traviamenti di perce- zione. L’intellettualista
comincia dall’ opporre i termini—scienza e volontà — per necessità di di-
stinzione concettuale, e finisce per ritradurre la di- stinzione concettuale in
distinzione reale. I due ter- mini, in cambio di apparire due modi, diventano
due sostanze. L’assunto della convergenza ideale e finale si oblitera; e spunta
una nuova contraddi- zione. Gioberti direbbe che l’accordo dialettico cede il
posto alla conciliazione sofistica. Allora l’intellet- tualista insegna che non
la scienza e la volontà del bene concrescono simultanee nei processi dello
spirito, ma che la scienza basta da sola, come quella che contiene ed assorbe
in sè la volontà del bene. Ossia, la.conoscenza è tutto e la volontà è il
suo duplicato o il suo equivalente pratico, la sua ancella fedele : ossia,
l'accordo è ottenuto non con la riaffermazione di ambo i termini in una unità
superiore, ma con la negazione di uno di essi a profitto dell’altro.
Soa dai ET fa 3192 L'ETICA COME F5LOSOFIA DELL'AZIONE
La penetrazione dell’ intelletto nella volontà è isolata dalla
corrispettiva penetrazione della volontà nell’intelletto, ed è veduta la prima,
non la seeonda ; e la prima è veduta nella sua disso- ciazione dalla seconda,
ossia nella sua formale inanità. Ripullula la cognizione superficiale, la co-
gnizione psittacistica, la cognizione che non è principio di vita, che è fredda
percezione di pos- sibilità concettnali, che è astratta cognizione, e non
concreta, perchè non è cognizione concresciuta con l’azione, perchè non è
cognizione vissuta. Ed allora il torto dell’intellettualismo etico si
avnunzia evidente: e risollevato e consolidato il contrasto fra i due momenti
dello spirito, soprav- viene a buon punto il volontarismo a rivendicare i suoi
diritti e ad elencare e celebrare le prove innumerevoli e significanti del predominio
che la volontà e l’ energia dell’ azione esercitano sulla conoscenza, questa
povera efflorescenza superficiale dell'essere, quale apparve ad Arturo
Schopenhauer. * * * Certo, l’analisi e la distinzione è
un espediente necessario del processo conoscitivo, e la riafferma- zione della
convergenza finale dei due termini vuol essere preceduta dalla posizione della
loro dualità logica. f superfluo qui ricordare che lo stesso continuo non è
percettibile e denominabile che ritratto in termini di discontinuità, e che la
sintesi, in quanto e perchè supera i contrasti, deve, per questo stesso,
contenerli o averli conte- E COME INTUIZIONE DEL MONDO 313
nuti. Ma è prodotto di una mentalità ingenua, e non ancora esperimentata
dalla crisî e dalla skepsi, codesto malo abito di ritradurre le neces- sità
superabili e transitorie del processo conosci- tivo in sostanza reale. Quando
si è pervenuti al momento della sintesi, l’analisi pura e semplice è stata
definitivamente superata; e la significazione stessa del processo, che,
dapprima e durante il processo analitico, era oscura ed incerta, s’illumina di
nuova luce. Lo spirito intende, cioè, che il va- lore dell’analisi era appunto
in ciò — nel terminare alla risoluzione ed alla sintesi. Il valore di cia- scuno
dei termini appare, allora, non già nella sua interiore inanità astratta, ma
nella sua con- nessione vitale all’altro termine. Il valore della conoscenza,
cioè, appare non dissociabile da quello della volontà operosa. La realtà è nel
nesso e nel- l’unità, cioè a dire nel rapporto, non già nei ter- mini
dissociati ed avulsi dalla loro correlazione e dal loro concrescere in seno al
rapporto. Vero è che la sintesi rifulge più luminosa, quanto più acuta e
pungente è stata la divisione. e la discordia insinuata dall’analisi. Ma
importa, intanto ed anzitutto , che la sintesi appaia e che la mente nou indugi
nei meri processi dissociativi dell’analisi, i quali sono, diloro natura, vie
di me- diazione e di transito, non termini di acquiescenza e di riposo.
Così la verità dell’ intellettualismo etico è stata insidiata dalla forma
empirica e rappresen- tativa nella quale fu espressa. Quella sintesi su-
314 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE prema della
conoscenza e dell’ azione, della sa- pienza e della virtù, della teoretica e
dell’etica è stata dimenticata e negletta per esserne sfuggita l’intima ed
ascosa significazione. E la dimenti- canza è stata ingiusta, perchè quella
sintesi rac- chiude pur sempre una comprensione profonda della scienza e della
vita, la quale domanda di essere solo risollevata ad espressione più pura per
riapparire nella sua luminosa evidenza. na Invero, il torto
degl’intellettualisti è non già ‘nello aver intravveduto la convergenza
terminale ‘fra i due aspetti e !e due forme dello spirito, ma ‘nello aver
seguito un processo inverso da quello ' reale per addivenire alla invocata
converginza. Salve le ragioni della sintesi finale ed ammessa la necessità
gnoseologica dell’intervento mediatore dell’analisi, essi avrebbero dovuto
procedere non | già dalla scienza alla vita o dalla cognizione alla Pica , ma,
viceversa, dalla virtù alla cognizione e dalla vita alla scienza. La
sostanziale armonia dello spirito sarebbe stata illuminata di luce nuo- va da
questa diversa orientazione del pensiero. Finchè si versa uella distinzione e
nella interpe- trazione analitica del reale, cioè a dire nella dua- lità dei
termini, è la cognizione che appar diretta verso l’azione e non viceversa: è la
scienza che è orientata verso la vita e non la vita che è orientata verso la
scienza. L’attività praticé sa- rà, adunque, il termine finale dell’ attività
teo- retica, e ne conterrà la ragion sufficiente. ” E COME
INTUIZIONE DEL MONDO 315 Se la cognizione può essere isolata e
distil- lata nella sua inanità formale e porsi come pura ed astratta
cognizione, dell’azione non può dirsi altrettanto, che essa, cioè, possa essere
concepita come pura ed astratta azione, scevra, ad esempio, di rappresentazione
e di consapevolezza del fine. Epperò, se la cognizione pura è indifferente
alPat- tività, ossia non è recessariamente attiva o propul- siva dell’azione,
non può affermarsi con pari fon- damento èhe l’ azione sia indifferente alla
cogni- zione o che sia vuota di contenuto e di signifi- cato conoscitivo. In
ogni azione (etica) è imma- nente e presente la rappresentazione del suo con-
tenuto di vita, cioè del suo fine ideale, ovvero del mondo che essa domina e
riflette. Ogni azione . ° 0 . C 1 possiede, non foss’ altro, una
intuizione prospet-. tica del suo ogget‘o. Ogni azione è una cono-
scenza o una riconoscenza del mondo modificato ed agito: ogni azione, cioè, è
una conoscenza posseduta e superata ed è n superiore cono- [e
scenza in atto. Ogni azione è una presa di pos-'.. sesso del
reale, un esercizio d’imperio dello spirito sul corso delle cose, una
espressione di dominio della volontà sulla rappresentazione. * *
%* La pura ed astratta conoscenza, la cognizione psittacistica di
Leibnitz, è una îridescenza effimera e caduca, che non illumina le profondità
dell’ es- sere e non penetra l’ intimo sustrato e tessutu di vita. Così essa si
ristà nella sua inerzia, beata e A) ")
j 316 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE .
contenta della sua vanità, e non investe di sè tutto l’uomo e non
infervora all’azione, nè com- muove all’esercizio delle virtù. È lettera
e non spirito; nome, non cosa; pa- rola, non azione; precipitato inerte, non
sostanza e principio di vita. Nessuna alchimia mentale spremerà mai da siffatta
cognizione un atomo solo di attività. L’intendimento, circoscritto nella sua
interiorità pura ed astratta, vi si adagia all’ infi- nito, non bisognoso nè
desideroso dell’azione. La conoscenza, in questo senso, non è virtù, come la
ignoranza non è tutt’ uno che vizio, e la cono- scenza si ristà separata dalla
vita, tanto più in- genva e secura, in quanto appunto essa è una scienza divisa
dalla vita e dilettata ed appagata di sè medesima. La scienza del bene non è la
vo- lontà del bene, e l’esercizio della virtù si troverà più presto associato
all’ ignoranza del povero di spirito, nel senso evangelico della immagine, che
alla pomposa dottrina professionale dei pretesi sapienti. Al contrario
della cognizione, che ne circo- serive le prominenze superficiali, l’azione
penetra le profondità dello spirito. Essa è dominatrice di tutto l’essere ed il
suo intervento è documento e testimonianza di una vita che si muove, di una
energia che si schiude e di una creazione che co- mincia. L’azione non è
parola, ma via e vita, ed è la sostanza stessa dell’essere in atto.
Mentre la cognizione non impegna e non ga- rentisce l’azione, l’azione è, a sua
volta, una cogni- zione confirmata, una cognizione divenuta costi-
E COME INTUIZIONE DEL MONDO . 317 tuzionale, una scienza
divenuta temperamento, carattere, abito, condotta, virtù, una scienza in-
corporata nella vita. Mentre la pura ed astratta cognizione è neutra ed
impersonale, l’azione è, di sua natura, suggello ed imperio «lella personalità,
ed è la stessa obbiettività del reale non più a- stratta, ma concreta, non più
schematizzata come possibile ma sperimentata come reale; è la cono- scenza
divenuta personale, la conoscenza appro- priata e consustanziata
all’essere. * * Y Epperò nella visione analitica delle
due forme dello spirito è giusto che lo spirito pratico riven- dichi la sua
preminenza ideale sullo spirito teo- retico. Lo spirito pratico contiene in sè
e supera lo spirito teoretico e non viceversa. Meglio ancora: lo spirito
pratico è uno spi- rito teoretico a volta sua : ossia uno spirito teo- retico
di secondo grado e di superiore potenza. L’azione etica è una penetrazione
delle ragioni superiori della esistenza: ed è una conoscenza altior che
riconosce la verità delle cose in sè di tra gli schemi dell’ intendimento e le
apparenze della rappresentazione. La ragion pratica, nel lu- minoso
concepimento Kantiano, non è solo etica pura, ma una superiore teoretica, lf
teoretica del- l’assoluto. L’azione segna la superazione dell’em- pirico, del
condizionale, del relativo, ed approssima ad una contemplazione dell’infinito e
dell’ eterno. L’esercizio della virtù è, in pari tempo, una
La 318 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE
esercitazione dello spirito nelle vie della sapienza; e la sapienza è la
beata visione terminale dell’e- sercizio e del sacrificio virtuoso. Così
i contrasti dello spirito si dileguano e si fondono in una suprema armonia. La
coincidenza intravveduta dagl’intellettualisti riappare, sebbene in forma nuova
ed inversa da quella foggiata da loro. Essi videro la verità, ma trasversale e
rifratta. Essi dissero che la saggezza è virtù, ed avrebbero dovuto dire, o,
forse, vollero dire, che la virtù è saggezza. Ed il fatto è che l’una e l’altra
pro- . posizione sono vere del pari, ed è vera più che mai \ la
corrispettività di entrambe. Se la virtù è via della sapienza, la
sapienza è termine della virtù : « |la visione beatifica, il punto in cui
s’acqueta ogni ‘ idisio, il riposo dello spirito, il premio, la
catarsi, - lla redenzione dalle esperienze espiatrici della vit t.
ìssì posero a principio quello che andava posto alla fine, ecco tutto.
Colpirono il vero, in quanto intravvidero 1’ armonia finale: ma errarono
nella disamina del processo intermedio e delle antino- mie.
L’unilateralità della loro visione è corretta, ai dì nostri, dal
volontarismo e dalla filosofia dell’a- . zione. Dissidio, forse, più
apparente che reale: , quello che l’intellettualista volle dire è, in
fondo, tutt’ uno che quello che il volontarista ha detto. Come
Giano bifronte, essi guardano a punti op- posti, ma i loro cuori battono
all’unisono. * * * . Adunque, la certezza speculativa del possesso
della verità è nu correlativo della certezza pratica I I ELIOT
PIGUNCE A ae li ira ila cino VD A lp Ani Lac i SOA E COME
INTUIZIONE DEL MONDO 319 ed una conquista dell’ azione. La
redenzione del- l’intelletto dagli schemi della rappresentazione
e dai dati immediati della percezione sensitiva è dovuta
all’esercizio dell’attività morale, all’ abito operoso del dovere,
della virtù, del sacrificio. La’ liberazione, cioè, dalle ORA rappresentative
/ è l’ultimo risultato ed il trionfo finale di una li: berazione
più alta e più significante: la libera-; zione dalle suggestioni dell’
appetito. Lo nia teoretico non attinge la limpidezza della visione, se non sia
passato per le prove, per gli esperi- menti, per le abnegazioni dello spirito
pratico. Così nella fenomenologia dello spirito dì Giorgio Hegel la superiorità
contemplativa della ragione “SI Sl a è
appresa come ultimo termine di un’ascensione . rappresentativa,
procede in alto ed avanti, traverso le mediazioni pratiche
(sociali, giuridiche ed eti- che) della coscienza di sè. Vuol dire
che l’ altitu- dine e la purezza della visione intellettuale è una catarsi
dovuta alla virtù educatrice ed illumina- trice dell’azione.
L’Etica, adunque, come fenomenologia © filo- sofia dello
spirito pratico, è, ad un tempo, filosofia e fenomenologia dello spirito
teoretico. L’ Etica, cioè a dire, è teoretica. * * % Se
lo spirito, secondo le belle parole di Hegel, può comportare la negazione del
suo essere im- | spirituale, che, superata la fase della
coscienza mediato individuale, il dolore infinito, ciò si de-
. I e “O Va. JN D+ 00] A 320 L'ETICA COME
FILOSOFIA DELL'AZIONE ve anzitutto all’ esercizio dell’azione
morale. La semplice coscienza immediata e rappresentativa non comporta nessuna
negazione e, finchè si ristà . nei suoi limiti, nessuna riaffermazione attrave
rso la negazione. Essa è vittima della percezione sen- sitiva ed è immersa
nell’ obbiettivo. Essa non è interiore, ma esteriore a sè medesima: non si
possiede come soggetto, ma si rifrange come og- getto. Essa si tragitta al di
fuori come entità spaziale e distinta: sostanza opaca, in cui ogni trasparenza
di visione ideale sì offusca. Essa si ( afferma come cosa e come
individuo: onde non ‘tollera la negazione e la morte: perchè la sua
sostanza caduca e mortale non è atta a rivivere. All’infuori dell’azione
etica, all’infuori della virtù che è abnegazione e sacrificio ed è esercizio
del morire e del rivivere, l’uomo non acquista la co- scienza di sè stesso. Il
yvot. osadtév Socratico, il carone dell’intellettualismo etico, non è un
portato dell’intendimento e della rappresentazione, ma un dettato dell’azione.
Questa suprema teore- tica dell’ essere umano è una illuminazione della virtù
operosa della carità e del bene. * * * Vi ha, invero,
una doppia forma di conoscenza: l’una, che procede secondo la rappresentazione,
l’altra, secondo l’ ordine delle cose in sè: V una che versa nel relativo,
l’altra che contempla l’as- soluto : l’una, empirica e ‘scientifica stricto
sensu; l’altra, ideale e filosofica. Di queste due forme di
6 E COME INTUIZIONE DEL MONDO 321 conoscenza la prima è
dovuta allo spirito come puro intendimento soggetto alle intuizioni ed ai
simboli dello spazio, del tempo, della causalità: l’altra, allo spirito
pratico. Or bene, l’antitesi delle due forme di cono- scenza non è
applicabile solo all’ esperienza este- riore, ma anche all’esperienza interna,
nè investe solo la natura ed il mondo, ma anche il dominio della coscienza.
Anche della coscienza può darsi una conoscenza secondo la rappresentazione ed
una conoscenza secondo l’ în sè, o secondo la natura. Non è a credere che
l’uomo conosca sè stesso meglio e più direttamente e fedelmente che non conosca
il mondo: e la conoscenza più ardua, perchè la più intessuta d’illusioni non
facili ad eliminare,è la conoscenza di sè. Anche lacoscienza, dunque, può
essere vittima delle rifrazioni spa- ziali e, viceversa, può essere vittoriosa
delle ap- parenze immediate della percezione. Anche la co- scienza, perciò, è
appresa dallo spirito teoretico, in una forma che non è la vera e l’adeguata ,
è appresa secondo la rappresentazione, e domanda le illuminazioni dello spirito
pratico, perchè rico- nosca la sua vera e profonda natura, perchè si penetri
come contenuto di vita e come cosa in sè. L’intendimento apprende la
coscienza ritratta attraverso lo spazio. La coscienza rappresentativa, quale
appare all’intendimento, è una determina- zione ed una obbiettivazione
spazialmente distinta che altera i rapporti ideali dello spirito. È la per-
cezione dello spirito come materia, dell’idea co- me cosa, dell’ essere come
individuale, dell’ unità I. Perrone. — Problemi del mondo sociale.
21 sla agi VE 322 L'ETICA COME FILOSOFIA
DELL'AZIONE come distinzione. La pura essenza dello spirito si
perde in codesta rappresentazione meccanica, che allivella il pensiero ai modi
dell’estensione e fog- gia l’anima alla stregua delle unità distinte ed
incompenetrabili della massa. La coscienza è idea, non cosa, universale,
non individuale. Il valore ideale della coscienza è nella
superazione dei limiti individuali e nella visione coestensiva all’universo
: è nella fuoruscita da sè e nella negazione del suo essere astratto: nel do-
lore infinito della morte e nella riaffermazione in- finita della rinascita.
Ora questa morte teoretica e questa teoretica resurrezione è l’equivalente ed
il prodotto di una morte e di una resurrezione pratica: è il prodotto della
virtù e dell’azione. Poichè è l’azione che segna la vittoria salle illusioni
dell’io spaziale, sulle lusinghe della in- dividuazione: ed è la virtù che
educa a negare ed a superare la propria immediatità, le imme- diate suggestioni,
cioè, dell’ egoismo. È le carità che trionfa delle ‘illusioni della
molteplicità, della differenza, della distanza, essa, che supera la per-
cezione del distinto, dell’eterogeneo, dell’incommen- surabile. È la carità che
dissolve ogni forma di egoistica discriminazione, che penetra la medesi- mezza
ideale degli esseri, che redime l’anima dalle obbiettivazioni sensitive e dalle
rifrazioni spa- ziali, che rischiara la nostra vera e profonda so- stanza di
vita, che illumina il me profondo, il me Fondamentale, il me
ideale, che ci fa davvero cono- scere noi stessi. Del pari, è
l’azione che rivela l’uomo a sè medesimo: l’azione che lo scopre, che
E COME INTUIZIONE DEL MONDO 323 lo denunzia e lo smaschera;
l’azione che, timida, denuda nella sua inopia la illusione del coraggio; .che,
perversa, svela 1’ insidia della rappresenta- zione e la perfidia dei
sentimenti; che, buona, il- lumina le tenebre della coscienza immediata, ri-
schiara la visione dell’ orizzonte intellettuale , te- stimonia la purezza
suprema dello spirito. * * * La scienza umana, se fosse
affidata ai puri simboli dell’intendimento e della rappresentazione, non
supererebbe mai il sofisma dell’individuazione e le opacità dell’egoismo. La
conoscenza di sè e, ad un tempo, la trasparenza di visione del mondo— questa
forma di adesione speculativa all’universo, questa specie di altruismo
teoretico — domanda un anteriore esercizio di altruismo autentico e pratico:
domanda una negazione, una superazione, una morte dell’egoismo sensoriale.
Io non vedrò la verità, se non l’avrò coltivata e cresciuta dentro di me con
gestione laboriosa : io non mirerò la vera sostanza di me stesso, se non avrò
rinnegato l’apparenza: io non affinerò la mia anima come visione e come dominio
del mondo , se non l’avrò estenuata ed assottigliata come quantità e come
massa. In simil modo, la filosofia, nel luminoso con- cepimento del
Fedone Platonico, è un derivato della liberazione suprema dell’ anima dai
vincoli del senso, una seconda vista che nasce dalla con- templazione e dal
sofferimento della morte del 324 L'ETICA COME FILOSOFIA
DELL'AZIONE corpo. All’ illuminato Socrate morituro la ragion
speculativa, cioè a dire l’intuizione delle idee e delle pure essenze
dell’anima, si rivela come una suggestione della virtù, che è abito ed
esercizio di distacco dell’anima dal corpo, che è abito ed esercizio del
morire. * * * Così, mentre la conoscenza secondo la
rappre- sentazione o secondo il puro intendimento ha perpetuato, nella dottrina
come nella vita, la di- visione delle coscienze e la lotta degli egoismi, la
conoscenza e la contemplazione del mondo in sè, la seconda vista dello spirito
pratico, ha pene- trato la vera sostanza del me fondamentale, } in- timo valore
e l’universa comprensione ideale della nostra coscienza. La dottrina dell’
universalità dell’io e della identità e comunione delle creature spirituali è
il programma ed il commento teore- tico di alcune sovrane intuizioni etiche del
mondo, di alcune religioni positive. Cioè a dire, la più grande e la più ardua
delle verità e la più ur- gente per noi si è velata e si vela costantemente e
continuamente alle forme dell’intendimento e si apre alle luminose
chiaroveggenze dell’azione. 2 Evidentemente, la vita non si conosce che
at- -1: traverso la vita, attraverso la negazione e la sof- ferenza,
attraverso il logoro e la corrosione della sua sostanza caduca! .Così la
ragion pratica si rivela, ancora una volta, una suprema ragion speculativa, la
cono- E COME INTUIZIONE DEL MONDO 325 scenza dell’io
secondo l’ în sè, la rivelazione, il possesso, il dominio di noi stessi.
* * * L’Etica è una fenomenologia dello spirito pra- tico ed
è, ad un tempo, una filosofia dell’ azione. Ora, se, come fenomenologia dello
spirito pratico, essa discopre e riafferma una suprema teoretica della
coscienza e perviene alla unificazione del me profondo ed ideale nella
diversità sensoriale del- l’individuazione, come filosofia dell’azione essa as-
surge ad una suprema teoretica del mondo. Essa supera il relativo ed il
condizionale non solo nel campo dell’esperienza interiore, ma altresì in quello
dell’ esperienza esterna, ed unifica l’una e l’altra sotto 1’ universale
dominio dello spirito. Essa ol- trepassa, ad un tempo, la conoscenza
relativistica, fenomenale, meccanica della coscienza, e la cono- | scenza
relativistica, fenomenale e meccanica del mondo. e * *x
* Il puro intendimento teoretico raffigura il mondo secondo la
rappresentazione, lo raffigura, cioè, secondo i modi del meccanismo, come
schema simbolico di relazioni astratte, o come serie di rapporti esteriori da
fenomeni a fenomeni. Esso non trascrive nè ritraduce nelle sue forme
intuitive (spazio e tempo), nè nei suoi prin- cipî d’intelligibilità (causa
efficiente), l’ordine delle art 326 L’ETICA COME
FILOSOFIA DELL'AZIONE esistenze concrete e delle determinazioni
qualita- tive, il mondo superfenomenale degli esseri e dei soggetti, la
fecondità produttiva delle cause finali, il rapporto di produzione e di sintesi
creatrice. Esso conosce il prodotto separato dal fattore , il fenomeno avulso
dal soggetto , i residui ed i de- triti di un’analisi ab extra, non le forze
produt- tive, non il principio agente della natura. Esso conosce, cioè , la
realtà nella sua forma squallida e povera di realtà fenomenale, omogenea ,
indi- stinta, indivisa; realità esteriore a sè medesima, cioè a dire, non
presente a sè, non immanente in sè, non consapevole di sè; la nuda realtà della
natura, che esiste a noi e non a sè medesima, e non ha esperimentato ancora la
crisi della sogget- tività e della interiorità , la crisi della coscienza, la
emersione del soggetto dalla serie dei fenomeni, la enucleazione e la
discriminazione del centro dalla periferia, la contrapposizione dell’ idea alla
sostanza, la plusvalenza del tutto alla somma delle parti, il dominio dello
spirito. La causalità efficiente è principio analitico, ‘non sintetico,
deduttivo, non produttivo : retrocede verso il passato, non procede verso 1)’
avvenire; elenca, classifica, categorizza i prodotti già for- mati, non
assecenda il momento genetico della formazione. Esso importa la continuità e 1’
equi- valenza fisico-matematica , l’ illimitazione quanti- tativa del
movimento, il regresso all’ infinito, e .non comporta l’ epigenesi
e la sintesi creatrice delle qualità, la plusvalenza e l’ascensione
gerar- chica, la visione del progresso. Esso trascrive e heal
E COME INTUIZIONE DEL MONDO 327 riflette con rigorosa e
fredda esattezza, 1’ ordina- mento esteriore e formale della pura causalità e
del puro movimento, l’ordine fisico-meccanico delle esteriorità
astratte, si direbbe con l’Hegel, o delle ‘ unità indipendenti ed
incompenetrabili di massa, o dei fenomeni di movimento molecolare transe- unte.
Ma non penetra e non illumina l’ordine su- periore ed ascendente delle
esistenze e delle de- terminazioni qualitative (vita-psiche-spirito), nel cui
dominio si asside, con variata gradazione d’in- tensità, di luminosità e di
possanza, il principio di interiorità, di soggettività, di finalità.
* *x * In vero il mondo fisico-meccanico è mondo di puri
fenomeni; non di soggetti, perchè vi di- fetta l’attività immanente del
principio di unifi- cazione. L’atomo è fenomeno, non soggetto: idea- limite
della pluralità e della divisione, non unità semplice. L’atomo non si
differenzia qualitativa- mente dall’ aggregazione e composizione degli atomi,
dal .corpo. Cioè a dire, non è soggetto: perchè il principio di soggettività e
d’ interiorità suppone il differenziamento qualitativo, la discri- “minazione
interna dell’indistinto fenomenale e l’u- nificazione dei fenomeni sotto un’
idea direttrice. Il soggetto non è fenomeno o modo, ma onni- presenza dell’ente
nei suoi fenomeni e nei suoi modi. Nell’ indistinto fenomenale emerge il sog-
getto per processo interno di evoluzione, che, con vece alterna, separa ed
unifica e dalla massa omo- ded 328 L'ETICA COME
FILOSOFIA DELL'AZIONE genea dei fenomeni svolge ed enuclea un punto
centrale, un principio di unità e d’individualità. Il mondo dei soggetti
e delle autonomie si afferma e si evolve procedendo dai modi del mec- canismo e
dell’estensione alle forme superiori del- l’esistenza spirituale. Così, è
soggetto, e non fenomeno, la vita, che è la prima espressione del distacco dell’in-
dividualità dall’ indistinto fenomenale ed è onni- presenza del principio
vitale nei suoi fenomeni. La vita non è la pura fenomenologia fisico-chi- mica
dell’organizzazione, ma è l’idea direttrice e la causa finale della medesima. È
la prima e visibile forma della crisi della realtà, della secessione in- terna
tra ìl fenomeno ed il soggetto, fra l’esterio- rità e l’interiorità, fra la
relatività e l’assolutezza fra il mondo astratto ed il mondo concreto.
Forma | superiore di soggettività e di autonomia è la co- |
scienza, nella quale si afferma più luminosa la \
penetrazione del soggetto nei fenomeni, il riferi- mento della periferia
al centro di coordinazione, l’unità sostantiva dell’anima. * *%
* Questo mondo ascendente e progressivo dei soggetti e delle
autonomie, in cui la realtà tocca il fastigio della verità e delle sue
determinazioni, sfugge al principio di causa ed all’ esplicazione scientifica e
meccanica dell’universo, perchè esso non si piega nè si arrende agli schemi del
con- tinuo e dell’equivalenza causale, perchè esso è il -
pre CNO® I des piana faro a E COME INTUIZIONE DEI, MONDO 329
mondo del cangiamento e della elevazione, perchè esso è il mondo della
plusvalenza e dell’ asimme- tria, della lotta e del progresso, della generazione
e del pathos. Per il principio di causa è uno scandalo ed un assurdo la
plusvalenza della vita ai fenomeni fisico-chimici, l’irreducibilità della
coscienza e dell’anima alle rappresentazioni ed al nesso delle
rappresentazioni, la presenza della libertà, il do- minio dello spirito.
Î t È i Ù Il principio di causa è principio
d’intelligibi- i lità fenomenale : epperò non comporta la divisione
tra fenomeno e soggetto, l’emergenza del soggetto dal fenomeno e la
subordinazione gerarchica del secondo al primo, non comporta, insomma, quel
processo di crisi della realtà per cui dall’indistinto fenomenale si
differenzia un principio ed un cen- tro di unificazione e di consapevolezza.
Esso, ri- peto, rende ragion dei fenomeni, in quanto tali, non penetra i
soggetti, cioè a dire le cose in sè. * * * Alle
angustie del principio di causa ed ai di- fetti dell’intendimento, ossia della
intuizione scien- tifica e meccanica del mondo, sopperisce 1’ Etica, come
filosofia dell’azione. L’azione è la forma tipica e la specificazione
suprema della sintesi creatrice. È la testimonianza vivente del principio
d’interiorità, di soggettività, di spiritualità, liberato dai vincoli che lo
incate- nano e lo mortificano negli ordini del meccanismo. Sa
pra, eni e e e e deg i *T + Ra reame \
\ \ 330 L'ETICA COME FILOSOFIA DELL'AZIONE
Il suo avvento segna la recisione e la disfatta del determinismo
fenomenale, l’inserzione dell’au- tonomia nella eteronomia delle cause
efficierti. La sua presenza è l’affermazior e più eloquente della crisi della
realtà, dell'interno disagio delle nature e della sollecitazione verso forme
più eccelse di vita, della secessione liberatrice del soggetto dai fenomeni,
della discriminazione del fine dal pro- cesso, della plusvalenza dell’ideale
sul reale, della gerarchia delle qualità e dei valori. L’ azione è
documentazione in atto della fe- condità del principio delle cause finali. Dire
azione . è dire tutt’ uno che produzione, sintesi creatrice, | libertà,
finalità esplicata e vivente. Ella ha, quindi, i una virtà eminentemente
significativa ed esem- lare e simbolica: e non spiega solo il campo «della
moralità, ma l’ ordine progressivo dell’ uni- “a verso. Essa
racchiude, non soltanto il fondamento dell’etica, ma, altresì, il
segreto d’ intelligibilità del cosmo. Essa svela e discopre gli occulti e pro-
fondi disegni dell’ esseie e deriva una luce retro- spettiva e generosa sulle
fasi buie ed inconscie del processo. L’ Etica, come filosofia dell’azione, non
è la sola e particolare filosofia dell’ azione umana, ma è l’ universale
filosotia dell’ azione co- smica, è la filosofia del principio agente della na-
tura. Essa è non solo la filosofia dell’ uomo, come coscienza e volontà operosa
nelle vie del bene, ma filosofia della natura come principio di fina- lità, di
produzione progressiva, di azione. Essa è ‘tutt'uno che la contemplazione
metafisica del N mondo, la quale, a differenza della
esplicazione i ‘ E COMB INTUIZIONE DEL MONDO 331
scientifica, asseconda il momento genetico e la sintesi creatrice. Essa
intende, cioè, il mondo se- condo il principio delle cause finali e ne segue il
‘processo ascendente nella gestazione delle qualità e dei valori e nel dominio
progressivo dello spirito. * * * La filosofia dell’
azione è la contemplazione del mondo in quanto attività operativa, o natura
naturans, così come la intuizione scientifica e na- turalistica è la
esplieazione del mondo in quanto’ prodotto formato, in quanto natura naturata.
L’ una è la visione della natura orientata prospet- tivamente verso il cangiamento
della serie e verso / il futuro : l’ altra, 1’ analisi della natura retropulsa»
verso gli equivalenti della serie antèriore e verso N il passato. L’ una, cioè,
è la natura veduta dal di dentro e come idea direttrice dei fenomeni e sin-
tesi creatrice del nuovo e del diverso : l’ altra è la natura veduta dal di
fuori e come coesistenza e successione di fenomeni; come persistenza e
conservazione. L’ una è il mondo rispetto alla na- tura o rispetto alla
generazione, l’ altra il mondo rispetto a noi (Aristotele): l’ una il mondo
come cosa in sè (Kam), l’altra il mondo come rappre- sentazione. *
* * È in questa virtù significativa ed in questa esemplarità dell’
azione come principio intelligibile b 332 L'ETICA COME
FILOSOFIA DELL'AZIONE dell’ universo, che si riafferma, più vera e
profonda, la fecondità teoretica dell’ Etica. La filosofia del- l’azione è, ad
un tempo, una scienza della morale ed una dottrina del mondo; una
metafisica uni- versale, nella quale si compongono ad armonia la
ragione speculativa e la ragion pratica. L’ Etica, intesa come intuizione
e come valu- tazione particolare dell’ operare umano, si reinte- gra e si
compie in una intuizione finalistica del- l universo. Essa
illumina, ad una volta, l’ opera. dell’ uomo e l’ opera del
principio agente della na- tura. È etica ed è teoretica. In questo senso ori-
ginale e profondo, essa può definirsi non solo co- me la scienza dell’ umana
condotta, ma come la scienza di ogni sintesi creatrice (naturale o umana che
siasi) che si annunzi secondo l’ ideale e le cause finali, la scienza
universale dell’ azione. L’E- Vv ‘tica è scienza dell’ azione umana, veduta
come pro- ,:+ lungamento e coronamento dell’ azione cosmica.
Al lume di questa nova intuizione, la Morale 8’ ingigantisce di
significazione e di contenuto. Ab- biamo già veduto innanzi che essa èduca alla
co- noscenza di sè: vediamo ora che èduca alla co- noscenza del mondo, Essa non
può derivare una luce qualsiasi sull’ umanità, senza rifletterne alcun raggio
più vivo sulla natura. E con ciò, essa ci apre una nuova visione di
armonia e di pace intellettuale, che sopisce le an- tinomie dell’ esperienza e
dell’intendimento. Acco- munando la natura e l’ uomo sotto l’ angolo visuale
delle cause finali e della sintesi creatrice, affra- tellando l’ azione umana
all’ azione universale, essa s E COME INTUIZIONE DEL
MONDO 333 supera definitivamente ogni superstite dualismo
fenomenale ed adempie una nuova sintesi del mondo fisico e del mondo morale,
una intuizione unitaria del reale. Vittoriosa del relativo e del con dizionale,
essa penetra l’ assoluto e la cosa in sè, in una contemplazione instar aeterni
smorzando le dissonanze e gli attriti frammentari dell’ empi- ria e della
transizione. | Così essa germina un nuovo monismo : un mo- nismo
spiritualistico e non materialistico e mecca- nico, che non abbassa il mondo
morale al fisico, ma eleva il fisico al morale: meglio ancora, illu- mina
entrambi sotto il comune principio del do- minio dello spirito, che nel mondo
fisico si dibatte fra i ceppi ed i vincoli fenomenali, e, attraverso mediazioni
laboriose, celebra la sua redenzione nel mondo morale. Grazie a questa
intuizione monistica, i vuoti aperti dal dualismo sono colmati : l’ azione
spiri- tuale umana non appare un soprintelligibile o un miracolo, ma un
coronamento ed un perfeziona- mento dell’ azione cosmica: le cause finali non
ap-\ paiono come supremo arbitrio della volontà umana, ; ma come legge di
cangiamento e di ascensione progressiva del mondo. In questa comprensione’
idealistica si compongono ad armonia la natura e l’uomo, la causa efficiente e
la causa finale, la rappresentazione e la cosa in sè, la natura natu- rata e la
natura naturans. In questa visione mo- nistica del mondo s’illumina l’ oscurità
del pro- cesso: ed il simbolo si avvalora della Ince che gli deriva dal suo
rapporto alla cosa significata 334 L'ETICA COME FILOSOFIA
DELL’AZIONE e la natura e le cause efficienti scoprono le loro
funzione di mediazione, di transizione, di viatico al dominio dello spirito. |
È tutto un sistema di nuove verità, adunque, è tutta una intuizione del mondo
che si occulta ai moduli dell’ esperienza ed agli schemi della rap-
presentazione e si dischiude al lucido sguardo del- l’ azione. È un segreto d’intelligibilità
universale, è una teoria nuova che sfugge allo spirito teore- tico puro, allo
spirito come rappresentazione e co- me coscienza, e si concede ed arrende allo
spirito pratico, allo spirito come volontà ed opera, come esercizio ed
esperimentazione di virtù nelle vie dell’ ideale. È tutto un insieme ed un
tessuto di { riprove che intervengono a suffragare il sovrano . paradosso : l’
azione è pensiero, la bontà è verità, il’ etica è teoretica. | { L’ armonia
intravveduta dall’ intellettualismo stico risorge «ncora una volta, ma è dall’
azione che si svolge ìl pensiero e non viceversa, è dalla ‘ ’cearità che
germoglia la sapienza, è dalla virtù che #’irradia la verità, è dalla volontà
del bene che emerge la scienza. | Così l’azione è la chiave di volta dell’
edificio della conoscenza umana, il principio intelligibile del reale. E la
morale accogliendo un duplice mi- rabile ufficio, si afferma ad un tempo, come
co- scienza della vita umana e come scienza della vita universale, come
filosofia dell’ azione e come in- tuizione del mondo. FINE. —
é dir EPSO INDICE.
_—————+——+-xz Î. La filosofia del diritto al lume dell’
idealismo critico . ; 0a Il valore ed i limiti di: una | psicogenesi della morale
. ; 1° Le nuove forme dello scetticismo ‘morale e del materialismo giuridico L.
La visione della vita di Fed. Nietzsche e gli i- deali della morale . . . 5.
L’umano contro il superumano. Critica di Fede- } rico Nietzsche u, Il problema
della morale. , Il valore della vita . ; L'Etica come filosofia dell’azione « e
come intul- zione del mondo. ‘ra Eri Vi sini Pag.
47 101 179 905 249 987 303 RESERO, CE ST AAA PIRO
i TRA bn pen pd pn VI Mis SD WO0O ni OI) Uta 5 KG ha
a REMO SANDRON, Editore — Libraio della R. Casa
bd pd Ut a IM n Oi Mi
Milano-Palermo-Napoli . De Felica G. Principi di Sociologia
criminale . Chiappelli A. Voci del nostro tempo . . Bonomi |. La finanza
locale e i suor problemi . Sorel G. Saggi dî critica del Marxismo . . Puviani
A. Teoria della illusione finanziaria . Loria A. Il Movimento operaio . .
Lo Vetare F. Il movimento agricolo siciliano . Jaurès G. Studi socialisti
j . Alongi G. La mafia . . Pantaleoni M. Scritti varii di economia
52. Rignano E. La Sociologia nel Corso di filosofia po: sitiva
d’Augusto Comte . N. B_I mumeri mancanti sono sit ME I I IZ °
i 05 GO Pi NO DI LO UO UO ItIT{I[ISI[$ % (CP
NITINTASTANTTANTTN PICCOLA ENCICLOPEDIA DEL Sì SECOLO
XX . Lo Forte G. La vita delle piante Ì . Corbino O. M. /
sistemi d’illunvinazione . Virgili. F. La statistica nella odierna
evoluzione sociale . Castelli M. Le macchine agricole . 3 . Porro F.
L'evoluzione cosmica . Terracciano A. Lo sviluppo delle forme ed i
rapporti sociali nella vila delle piante . Baccioni G.
B. Zgiene degli alimenti i . Mazzarelli G. La vita animale sulle terre
emerse. . De Sanctis S. La mimica del pensiero. Studi e ricerche . Briganti G.
La coltivazione della vite I. i id. La coltivazione della vite, II.
1 ; ; Campi C. La coltivazione delle piante erbacee . Pagnini P. La
trazione elettrica allo stato attuale del- l’elettrotecnica (in
lavoro) . Raffaele F. L'individuo e la specie i Rn) T. Le malattie
della memoria badia ca pub dt dt DO NY pd dna
Spine ‘ Xx x ‘ sy uv % v ‘ ro no | -
% — BIBLIOTECA DE DEI POPOLI” . Pavolini P. E.
Mahabharata, Episodi scelti e tradotti, collegati col racconto
dell’intero poema . Aristofane. Gli Acarnesi. Trad., Intr. e note
di Er- TORE RomagnOoLI . Eschilo. Il Prometeo
incatenato. Traduz. di Mario Fuockni. . Nagananda o îl Giubilo dei serpenti.
Dramma buddi- stico in 5 atti. Traduzione di FrancEsco
Cimmino . Canti popolari greci, trad. ed illustr. da Niccorò
Tom- MASEO, Con copiose aggiunte ed una introduzione di Paoto
EmiLio Pavotini . Il Canto Divino (Bhagavad-gtà) tradotto e
commen- tato da OrEstE NAzari | DI SCIENZE E
LETTERE . Lombroso C. Genio e Degenerazione (esaurito) a . Taormina
G. Ranieri e Leopardi. Osservazioni e ri- cerche con documenti
inediti î : 2 BIBLIOTECA * SANDRON : » — —
L. 1 50 555] 153 3153 — li iii ii a
Ma dida di e "i st REMO SANDRON,
Editore — Libraio della R. Casa Prezzo del presente volume:
L. 3,50. Milano-Palermo-Napoli 3. Sergi G. Leopardi al lume della
scienza . L. 383—- 4. Sighele S. Mentre il secolo muore. Psicologia contem-
poranea . ‘ ; ; . » 3 5. Patrizi L. M. Nell'estetica e nella scienza.
Conferenze e polemiche. ì : < . » 4 6. Fornelli N. L'opera di Augusto Comte
»> 3 - 7. Viazzi P. La lotta di sesso » 8350 8. Piazzi G. L’arte nella
folla. » 4_- 9. Marchesini G. La teoria dell'utile. Principi etici fon-
damentali e a OPPLICanIonI , »> 8 10. De Roberto F. Il colore del tempo ; .
ì » B_- 11. Morelio V. (Rastignac) Nell'arte e nella nua. i » 4—- 12. Caselli
C. La lettura del pensiero. Memorie ed appunti di un esperimentatore » 1 18.
Gentile G. L'insegnamento della filosofia nei licei. Saggio pedagogico 1 ; : »
B_- 14. Augias C. L'eredità del secolo XÌx i ‘ ; è: Sil 15. Venturi S. Le
pazzie dell’uomo sociale. i ì i » 250 16. Caselli C. L' afelio degli animali. »
1— 17. Lombroso C. Nuovi studiè sul genio. 1. Da Colombo a Manzoni ; » B- 18.
Nuovi studii sul Genio. II. Origine e na- tara dei Genii. > B_- 19. Croce B.
Estetica come scienza dell'espressione e lingui stica generale. Teoria e storia
i » 5 20. Stoppoloni A. Leone Tolstoi educatore x ; » 2 21. Sergi G. Problemi
di scienza contemporanea i ; » 2 50 22. Straticò A. Dell’educazione dei
sentimenti . » 250 23. Derada C. M. Gli uomini e la riforma della Rivoluzione
francese ; s i 7 ; » 250 24. Fulci L. La dottrina di Tolstoi . ’ ; » 1— 25.
Barzellotti G. Dal Rinascimento al Risorgimento. ; » 83 50 Nparo"i
|neeroraig;t)i apt
-paoosigiagiifgpigpo-lgpaggessngpiro--fagpo"ifpigli»-"[fijpo">g]pogin-gigioMtgpnigi»aigioe=rglegpiotgg;
gio "lpragge» "go ‘BIBLIOTECA RARA 1. Giuseppe Ferrari. La
rivoluzione e i Rivoluzionari in Italia. (Dalla «Revue des Deux Mondes»
1844-45), con ritratto dell’ autore e prefazione di A. Ghisleri e una notizia
biografica di C. Cattaneo. 120 2. Melchiorre Gioia. Sul caro dei viveri e sul
libero com- mercio dei grani. C. Cattaneo. L’ agricoltura inglese paragonata
alla. nostra . » 120 8. Mauro Macchi. Le contraddizioni di Vincenzo Gioberti,
con Gioberti filosofo giudicato da G. FerraBi =. >» 120 4. Carlo Pisacane,
Come ordinare la Ramone Armata, con prefazione di G. Rensi » 120 5. Angelo
Brofferio. I prim i quindici anni del regno di Carlo Alberto (dal 1881 ‘al
1846) . » 120 6. M. Gioia. Teoria Civile e Penale del divorzio (1808) . » 120
.7. La canzone di Garibaldi di GasrieLE D'Annunzio do- cumentata da AuserTto
Mario, GuERZONI, ANELLI ed altri contemporanei, con ritratto di A. Mario .» 120
8. Pecchio G. Storta dell’economia pubblica in Italia I. ». 120 9. Triulzi
P.ssa Belgioioso. La rivoluzione italiana nel 1848 (Dalla « Revue des Deux
Mondes» 1848) . » 120 Igino Petrone. Petrone.
Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe sannita, il sannio,
la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due direzioni dell’inerzia
della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano, non sovrumano,
filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il limite della
pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il principio della
benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza conversazionale, il
sentimento morale, filosofia del diritto, communismo giuridico, la
simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo, idealism critico,
meditazioni di un idealista, GENTILE contro Petrone., Croce contro Petrone; l’identita
sannia, psicologia del sannita, i romani contro i sannita, la prima guerra
sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra sannita; la repubblica
romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani contro i sanniti; bassorilievo
dei sanniti, i liguri e i sanniti, le popolazione italiche, economia e psicologia
del Molise, il sannio, la complessità dello spirito della filosofia italiana; il
linguaggio sannita; il linguaggio umbro, il linguaggio osco; il linguaggio
falisco, limosano, musanum, limosanum; un stato mercantile chiuse, Fichte
contro Marx, Nietzsche, il valore della vita, il problema morale, la filosofia
del diritto, diritto positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel
criticismo, azione, l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione,
l’energia dello spirito contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta
nell’elezione dei fini; l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il
spirito contro la volonta, i limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello
spirito, la causa dello spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito
umano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. Petrone.
Luigi Speranza -- Grice e Pezzarossa:
la ragione conversazionale della
fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano
discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome -- l’eloquenza lombarda – l’implicature conversazionali – la
scuola di Mantova – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo
italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or
‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian
philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the
soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In
which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella
repressione che porta al martirio di Belfiore. D’idee tendenzialmente liberali
e preoccupato sulle condizioni sociali
disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi
rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di
filosofia gli procura guai con la congregazione dell'indice. Partecipa
attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei XX che partecipano
alla riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della
filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana”
(Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla,
Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a
Mantova” (Milano, Angeli); Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don
Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo”
(Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scessi.
ALIGHIERI e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di
psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana
esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il
sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio; “La grammatica ideo-logica;
ossia, la legge comune d’ogni parlare dedotta da quella del pensare” (Milano); la
Facolta inventrice. I romani vinti dai longobardi conservano la proppia legge.
La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. Lo Spirito della filosofia italiana. Ragionamento.
Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè
a confutazione di scuole, ma lo vien cercando le varie fasi della italiana
filosofia e lo spirito, che la condusse al grande rinnovamento opera tosi nel
secolo di GALILEI. Da Pitagora a Leone X, durante la fortuna romana, nelle tenebre
della barbarie, esotto il giogo della scolastica, gli parve discontrare, quando
più, quando meno, sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e
positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, così semplicemente
come le ha a sentire. dome che dimostra la modestia dei padri nostri, i
quali, non del Pezza-Rossa, Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della
filosofia italiana, osserva come l'Italia è la prima che da a questa scienza un
sistema, e le impose un nome. Acume e vero conoscitori, ma
piuttosto amici del vero s'intitolarono. Le basi principalidelloro metodo
consiste nell'esperienza e nella osservazione. Fanno quindi un altro passo onde
meglio procedere nella investigazione delle verità, ed è quello di riconoscere
l'ufficio che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esteriore che
nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il
giudicare. Di questo modo l'antica nostra filosofia seppe dare ai sensi, si
sentimenti ed alla ragione ciò che loro compete, e impede che i primi si levano
al di sopra della seconda, e questa rifiuta l'autorità e la potenza di quelli. Così
dei secoli anteriori al dominio romano. Ma la prevalenza delle scuole straniere
non tarda molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie
la fa quasi dimenticare, sebbene del tutto non la spegna. Senonche, colla conquista
del mondo sube le influenze filosofiche dei popoli conquistati, accetta dottrine
d'ogni maniera, egizie, asiatiche, druidiche, ma greche sopra tutto; e de fe' tale
un amalgama che a stento potrebbe chiamarsi “filosofia”; o a meglio dire,
ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze.
Pare strano, ma è pur vero, Roma corrotta, e degenerata nei costumi,
affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla
daddovero, quanto per palliar meglio col suo manto la nutrita liceoza,
testimonio Sede ca. La scuola pitagorica, odiata, ma temuta e ammirata,
appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime
forti. E CATONE, il censore, va me a capo della nobile schiera. Il nome di pitagorico
non mai cessa dal significare uomo virtuoso e incorrotto. La qual indole morale
e severa, dice il Pezza Rossa, sotto cui presentossi la filosofia italiana, fa
si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo
furono tutte le altre. Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non
figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosofi, ma rivelatore
della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso,
e le poche verità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche
siffattamente svisate, che impossibile omai tornava l’osceverare con certezza il
vero dal falso. Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari
interessi; ricondurle alla pristina semplicità, è impresa da nemmeno tentarsi. Che
fa dunque il Cristianesimo? Egli indisse guerra a tutte più o meno le
speculative dottrine, mostra che fallacierano, disutilieper piciose, e colla
santità della propria morale fonda la prima di tutte le filosofie: quest'è la
filosofia delle azioni. Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all'
italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei coltivata sempre con
severa costanza e che meglio poteva rispondere agl'insegnamenti cristiani.
Apollonio infatti, di cui Girolamo dice ch'è un prodigio inudito, degno di
esser conosciuto in tutt’i secoli, avuto dal popolo in concetto di mago, ma
filosofo reputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa
vogliasi in un filosofo per essere veramente pitagorico? E quindi risponde. Richiedersi
elevazione d’animo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità,
pace, e virtù. Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si propone in
morale un lodevole fine, il perfezionamento della umana natura, risultante
dallo speciale perfezionamento di ciascun individuo. Nessun'altra filosofia
poteva meglio consonare al vangelo. I primi sapienti del Cristianesimo, prima
di edificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle
fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono
che, dopo il vangelo, non più mhaestieri
di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se
non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gl’uomini
al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi
tanto naturale quanto la scessi: e questa infatti mostrossi. È noto che sotto il
nome della scessi, spesso è insegnato a sprezzare vergognosi pregiudizii. Non
devesi scordare che il dubbio è il padre della civiltà; e che, se il secolo di
Cartesio è di GALILEI avesse ardito dubitare, le scienze e le arti non sarebbero
per anche ripste. Foperò una scessi di sola teoria, doo di pratica; stette del
pensiero, non nelle azioni: e perciò, s'egli da l'ultimo crollo alla filosofia
speculativa, non porta alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella
morale che la italiana filosofia sopravvive. Il grande BOEZIO vide l'estrema
bassezza, in cui la sapienza era caduta, e saggiamente pensa a raccorre in un
sol corpo le positive cognizioni, che dal gusto generale si sono salvate, e
qual breve enciclopedia de’ suoi tempi le presertò sotto l'smabile nome: De
interpretatione e Consolazione della filosofia. Nomeche in sè solo abbraccia il
carattere di tutta up'êra. Cbi cerca le cagioni, in forza delle quali stelte
viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo sparmiata: l'acqua
di Talete, l'infinito di Anassimaddro, il fuoco d'Eraclito, l'omeomeria di Anassagora,
l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gl’atomi di Epicuro, gl’elementi
di Empedocle -- tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate. I
santi padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, del Lizio, molti
di Platone delirii dell’Accademia. Ma in quello che gl’ecclesiastici scrittori
studiano le scuole per combatterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà
in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi
raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del vangelo, se ne
giovarono a comprovare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo
non sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari
invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bottino, occupano solo il
territorio, lasciando ai XX eleggi, e costumi, e religione, mutando l'aspetto
materiale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a
far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane, sebbene
meno forti di loro. Oode che procede codesta loro maniera di conquista, o da
calcolo, o da impotenza, egli è certo che recarono desolazione senza recare
alcuna propria filosofia: a tal che la italiana, accompagnata da toote altre in
epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e
prostrarsi, potè parificarsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi
di quelle macchie, che la fortuna le ha apportate. Passa quindi la dimostrare
come la buona filosofia pratica comincia a fruttare anche ottima teoria,
sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dall’accademia.
Or ecco le vie, egli ripiglia, per le quali gradatamente lo spirito filosofico
avanza, guadagnando sempre terreno. Il Leoni coavea, pel primo, portato allo stu
dio padovano la cognizione di Aristotile genuino del Lizio, e mostra to come
inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrine fatto maestro. Quando
sorge quel potente ingegno di Pomponaccio [POMPONAZZI (si veda)] che si dove
riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica italiana, dopo
Pitagora, CATONE, BOEZIO ed ALIGHIERI. Pigmeo di corpo, ma di spirito gigante, penetra
meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome, a farla
rinascere, convene, prim ad’ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico
del LIZIO, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile nel Lizio,
voluto sostegno della morale e della religione, potevasi dimostrare l'anima non
essere immortale, miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza, ma in ogni
cosa dominare il destino. Strabiliarono tutti a conclusioni di tanta
conseguenza, e pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine, dal peripato
del LIZIO non mai. Accagionarono di empietà il gran mantovano, che ha senza dubbio
incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della chiesa on
Leone X, e datogli un BEMPO per consigliere. La sapienza e la tolleranza
medicea permisero al POMPONACCIO quello che prima non è stato permesso,
separare dalla teologia la filosofia, conduce una linea di confine tra gl’obbietti
della fede e quelli della ragione. L'esempio del gran maestro fa seguito da
numerosi discepoli, tra quali hanno fama Scaligero, Sepulveda, Porzio,
Benamico, Giovio, e da Cardinali, Contarini, cioè, e Gonzaga. È imitato con
isforzi contemporanei da Cesalpino, da Cremonino, da Zabarella, e forse da quel
Vanini, che, mal comprendendo Pomponaccio, spinge lo sfrenato ingegno allo
stremo, e corge la miseranda fioe che tutti sanno. Imper ciocche, gli è pur
mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sinistra interpretazione
de'suoi principii, non solo a tutti ispira coraggio, ma ad alcuni fio an che
baldanza. Tale si fa CARDANO, a cui la fecondità del genio troppe più idee
somministra di quelle che il suo giudizio puo ordinare. Ma dice: loslu dio
della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato
come l'uomo delle invensioni. Tale BRUNO, che proclama sfrenatamente la
filosofia del dubbio, filosofia che ovunque dissemina, viaggiando Italia,
Francia, Alemagna, e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con
tanta gloria, com’ha a confessare lo giudice non sospetto, Leibnizio. Si
ridestarono allora i principali pensieri de’ pitagorici, e meravigliando si
conosce che la flosofia italiana, in tutte le sue fasi da CATONE IL CENSORE ad
oggi, e io tatte le sue manifestazioni, non ha all'ultimo che un fondo solo, il
metodo esperitivo e naturale. A questo metodo avvia l’Italia VALLA, e NIZZOLIO,
ed ACONZIO, e POLIZIANO, e finalmente CAMPANELLA, che, vent’appi, sale in
bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i
vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lo spirito di TELESIO. Egli
sostende che il senso è un fondamento della scienza, che dalla dimostrazione positiva
e sensibile vasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere. La ragione
tanto essere più certa, quanto più al senso vicina. Non però doversi andare
cogli empirici che pretendono ragionare per le sole apparenze variabili, accidentali,
sfuggevolissime, ma sìanche dietro verità costanti, che badoo principio
nell'anteriore sentimento, e del testimonio di tutti gl’uomini. Con longbe e perigliose
fatiche giunse quindi f palmente l’Italia a ridur in principii quello, che in pratica
ha sempre tenuto. Scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le
ipotesi, gl’a priori, con totti gl’altri vincoli della ragione, e sostenuto
dall' analisi e dall'esperienza, il nuovo metodo spiega il volo alle più
eccelse scoperie. Alla scuola italiana attiose Copernico il suo sistema
astronomico, da Galilei poscia rivendicato. Da GALILEI che mostra immobile e
improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato. Da Galileo,
che, per mezzo di nuove lenti, interroga l'armonia misteriosa dei cieli, e con
esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. RUBERTI
TORRICELLI, colla invenzione de’ barometri e de’ microscopii, apporta alla
fisica novella vita. Cavalieri, Maurolico e Tartaglia rendano fruttuose le
matematiche colle applicazioni. VINCI (si veda) dà buona legge all'estetica. Buonarotti,
l'uomo delle IV anime, fisa il buon gusto nelle arti. MACHIAVELLI scopre ai sudditi
ei ai regnanti i segreti della politica. L’accademia del cimento affatica senza
posa delle esperienze, le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde. La
fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano
discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. Ogoi
arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge. Ed è
cosa per verità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa
tanta copiosità di filosofie, da contenere, quasi in germe, tutte le altre
scoperte verificate dappoi. Conserviamo adunque, conclude l'autore, il prezioso
retaggio, che da’ nostri maggiori ci è tramandato e, che più è, adoperiamo di
renderlo fruttuoso. Accioc chè, dopo aver portata agl’altri la scienza, non
venghiamo giustamente paragonati alle nubi, le quali si disfanno in quel
medesimo che d'amica pioggia fecondano le campagne. Esponendo i proprii
pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia, non si erige a filosofo, ma
stimola ed invoglia gl’altri a frugare in questa materia, pago di poter
dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la
forestiera. Che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano. E che sarebbe
ingratitudine il disconoscere l’antica sapienza di CATONE IL CENSORE, da cui
tutto surge, per seguire alcune splendide fantasie oltra-montane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa.
Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione
italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The
Swimming-Pool Library. Pezzarossa.
Luigi Speranza -- Grice e Pezzella: la
ragione conversazionale -- Cesare deve morire – l’implicatura conversazionale –
la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del
possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin,
but mine!” Si laurea a Pisa con una
tesi su Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di
ruolo. Collabora a un seminario con Derrida. Consegue sotto la tutela di Marin
il doctorat a Parigi (Grice: “the reason why which few consider him Italian!”) e
il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal
documentarista Rouch a Nanterre. Insegna estetica ed estetica del cinema. Tenne
un seminario a Parigi in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista
Altra-parola e collabora col centro per la riforma dello stato a Firenze. La
filosofia di Benjamin e quella di Debord sono punti di riferimento della sua
propria. Studia la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità
-- e in tal senso si occupa di Bachofen, introducendo Il simbolismo funerario
degl’antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra. L’intersezione tra
mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del
pensiero di Hölderlin e della scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione della
filosofia dialettica, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene
data nella filosofia dopo i seminari di Kojève su Hegel. Di Benjamin considera
soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che
utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie
(cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per P., lo spettacolo –nella
formulazione teorica che ne da Debord -- è la forma di vita dominante del
capitalismo, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo
la terminologia usata nel saggio su estetica del cinema, distingue lo stereotipo
spettacolare dalla forma critico-espressive. Si è interessato all’intersezione
fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la
formazione della soggettività nel capitalismo, l’incidenza dei traumi storici
collettivi sulla psiche individuale -- cfr. il saggio sulla voce minima. Esplora
la filosofia politica d’Abensour, con cui condivide la rivalutazione del
pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica
alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di
Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della
Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS,
Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con
Narcisso – Conversazione con me” (Manifesto,
Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile”
(Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano,
“Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto,
Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il
volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere”
(Jaca, Milano); “Repubblica”; “Il bene
comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”;
“Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”;
“Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo
eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve
morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud,
Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin:
la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. Pezzella.


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