IL RINNOVAMENTO IN ITALIA mk musrsrDTiLSttsatD IN ITALU F/OPOSTO DAI. C, T. MAMIANl DELLA ROVEKE t/} {ESAMINATO APITOIVIO aO^nii^I-SEROATl MILANO Contrada di sant Alessandro MDCCCJXXyi' fJJ-. THN 'ITAAIRHN 4>lA0S0i6 delle idee, da quella della certecaa delle nostre cognizioni, e segreghi interamente Puna dalP altra. Che queste sieno questioni fra loro diverse, ninno, io credo, il vorr contraddire^ ma non penso, che molti si ac- conceranno con lui, in riputare la questione della certezza al tutto indipendente da quella delP origine , di niniera die si possa avere una dimostrazione fermissima delle cognizioni senza bisogno di penetrare i prncipj onde a noi derivarono: con- ciossiach fin a qui opinarono il contrario i maggiori filosofi (1)4 A questi risultamenti finali siam pervenuti, egli dice^ ren- (i) Ecco come il Mamiaoi parla di questa opinione comune de' filosofi di tutti i secoli j i quali hanno sempre considerate come questioni S9mma- mente affini quelle dell'orgine e della certezza delle cognizioni e perci hanno rsguardato anche quella prima come capitale iu filosofia ^ e strada alla soluzione della seconda: n Errano pertanto i filosofi i quali s'avvisano 9t per un loro giudizio assoluto ed anticipato > non poter rilevare la forma certa ed essenziale dell' intelletto ^ quando la generazione prima delie sue M idee e delle sue fiult rimanga congetturale. ( P. 1 e XVI , ^.'^ a(or. ). 8 M dendo noi la queattOAQ della realit (i) dello scibile Indlpen- u dente afiatto dall^ altra dell^ origine delle idee n (2). E altrove: u I fenomeni proprii dell^atto conoscitivo, comech rimanes- sero oscuri ed inesplicabili, non impedirebbero tuttavia di u cercare con buon successo la prova fondamentale di tutto lo scibile n (3). E per il nostro autore chiama la questione intomo air origine delle idee u tenebrosa ed arcana y> (4) , quando all^ incontro considera quella intomo alla certezza del sapere umano si come atta ad essere pienamente risoluta, e a risolverla mira una gran parte del suo libro. Dice ancora di pi sulle difficolt, che involge la questione circa F origine delle idee: egli avvisa, che, a malgrado che i filosofi di tutti i tempi abbiano trattata la questione del- r origine, tuttavia ninno P abbia potuta risolvere, e che per- ci quantunque falsa ^ ^ reale. Non si cerca daUa filosofia se lo scibile sia reale in s stesso j. che di questo niuno dubita ^ n meno gli scettici ^ ma se sia vero relativamente alle cose^ cio alto a farcele conoscere. Questa osserva- zione di grave momento ^ pi ch'ella non paja^'e necessaria di farsi ad qgni pagina per poco > del libro del Mamiani. (2) P. II > e. XX;, ui. (3) P. II, e. IV, V. (4) f Vedes pure da ci una conferma nuova del grande vantaggio che M si raccoglie a sceverare la quistione della realit dello scibile da quella M tenebrosa e arcana delle sue sorgenti primitive; perch quando pure di w aeune universali idee resti occulta l'origine, non per tal l'alto dee rima- la nere occulta di forza la loro realit, e il modo d bene avverarla m ( P. H^ e. X, v ). (5) P. II, e. IV, V. Anche pi soUo, cio nel e. XI, iv, aflenna il medesimo, cio che * fino al di d'oggi lo sguardo acuto dei filosofi non sa 9t rintracciare con sicurezza n gli atti primitivi , n le forme primitive f delle nostre cognizioni ff, (6) Ivi. CAPITOLO n. Maravigliomi Intanto qui, che il signor Mamiani usi di questa ragione cos in generale. Perocch ella vale assai contro i varj sistemi immaginaci da^ sensisti^ ma che vigore ha ella contro altri sistemi? che vigore ha contilo cpiello da me proposto? I sensisti soli , non ponendo nello spirito umano nessuna naturai luce, di necessit danno nascimento alla conoscenza tutta mediante una scyg di mentali opei*azioni. Ora qual la obbjezione che io ho fatta loro? Non ho io mostrato, che in quelle loro mentali operazioni appunto, ond^essi vo* gliono dare origine al nostro conoscere, s^ acchiude necessaria- mente Patto conoscitivo? non ho io mostrato, che la prima operazione compita della mente un giudizio^ che questo sup- pone sempre un^ idea pi^ecedente, e pei*ci che con degli atti mentali, senza pi, impossibile spiegar P origine delle idee ? Ond'io deducevo, che innanzi al primo atto della mente nostra, cio al primo giudizio, dee stare una idea non acqui- sita: ella dee stare in noi si come un fatto primo, un dono di natui-a , im elemento costitutivo della nostra iutelligenza ( i ). 11 C. Mamiani adunque non poteva affermare cos generalmente, come egli fa, che la generazione dell^atto conoscitivo non si co- nosce per la ragione che porzion di quelP atto sembra gi conte- nuta nella serie di operazioni, ond^esso si vuol derivare^ ma dovea, pare a me, limitarsi a dire, che i sensisti, e tutti quelli che non ammettono nello spirito qualche cosa di pre- cedente agli atti transeunti, non hanno modo di spiegare la generazione delle idee: che alPinconti'O tanto paiu'osa diffi- colt niente incomoda la dottrina di coloro , i quali ammettono nelP anima intellettiva un' intuizione immanente e connatu- rale delP essere. N dopo di ci, egli era obbligato ad abbrac- ciare il nostro sistema: potca rifiutarlo per altre ragioni, eziandioch avesse riconosciuto schiettamente , che nel sistema nostro sulla genesi delle idee non cade quella petizione di principio, che egli rinfaccia troppo largamente a tutti i sistemi in generale. (i) V. Nuovo Saf^io ecc., Sn. li. RosMisfi, // MinnovanuiU} u IO CAPITOLO m. Ma trattando delle difficolt, in cui ci avvolge la questione dell^ origine delle idee , egli procede pi innanzi. Non gli basta aver detto, che fin ora ella non fu potuta risolvere (affermazione che vale quanto la ragione di cui corredata, la quale non avendo forza che contro i sensisti, d motivo di ti*aduiTc quell'affermazione in quest' altra: non fu potuta risolvere da' censisti )^ dichiara di pi, la questione dell^ orgine esser di na- tura sua conghietturale, e per non potersi mai condurre al positivo ed al certo del suo scioglimento. Eia ella sempre ima grave asserzione quella, che fa un uomo a tutti gli altri, quando dice loro: Sappiate, che nelle vo- stre ricerche voi vi dovete fermar qui , e che V ingegno di tutti voi non pu passar questa linea che io tiro, usque hoc penies (i). C!onfesso, che il dir questo in alcune cose pos- sibile: ma chi lo dice, reputo io dovere aver in mano una ferma e invincibile dimostrazione colla quale provi assurdo a pensar pure il contrario di quello che dice. cresce il (i) U C. Maraiani dichiara francamente impossibili a rsolversi delle aU tre questioni . Al e. XIV della P. II afTenna insolubile la questione u in V che guisa la unit e la multiphcit , la identit e U differenza possono t insieme congiungers . E de' lavori de' filosofi sopra questa materia dice risolutamente cosi : w Tutti i sistemi apparsi fino al di d'oggi col pr** m posilo temerario di spiegare in alcuna maniera siccome l'assoluta unit si svolga nella rooltiplicit ^ come l'essere identico si differenzii per mille m modi e accidenti > e viceversa come tutta la multiplicit e tutti i modi 1* si riducano all'uno assoluto e all'identico assoluto > finiscono nel pretto 0t assurdo e dichiarano con deliramenti ingegnosi l'audacia inlellettualo dell'uomo m. In questo passo e in altri simili egli pare, che il C. Ma-. IBani non dubiti punto che l' essere identico sia quello che realmente si differenzi in mille modi e che l'impossibile stia solo nel dimostrare come ci avvenga. Checch ne sia dell'opinione del sig. Mamiani intorno a ci, sembrami incoerente, che in un altro luogo del suo libro (P. II, e. XIX )^ parlando di questioni somiglianti alla indicala^ si limiti a chiamarle f no*> H tizie le quali non sembrano cadere fin qui sotto l'impero dell'uomo m. Se sono insolubili , come vi caderanno mai? ScntesI adunque in questo titubanze dei G. Mamiani, che ove un autore afferma e non dimostra ^ U coscienza atessa gli dice dentro di non esser sicuro dei fatto suo. 1 1 bisogno di questa ciFCOspe^ione alloca, che il parere comune dei dotti, se non anco il comun senso degli .uomini, tiene il con trario avviso , come egli pare che sia nel fatto della questione nostra intomo all^ origine delle idee. Ora quale mai P invitta dimostrazione, onde il nostro autore munisce il suo assunto? Questa sola, che io reco nelle sue stesse parole: a Stante che K la nostra reminiscenza non pu rendere testimonio veruno delle prime cogitazioni, e che fra quelle e gli attuali f* nomeni non sembra correre alcuna identit necessaria , segue che la ricerca intomo le origini delF intelligenza sia i natura congetturale e non positiva (i) Questa sentenza non semb]^a ella troppo assoluta? Con essa non si dubita punto di dare per ^''^issimo , che una sola via possa esserci di venire a notizia dell^ origine delle nostre idee, cio quella di ricordarci i primi istanti di nostra vita^ quasi avessimo noi stessi assistito colla svegliata nostra atten* zione al processo delle cognizioni acquistate nella nostra in^ fanzia. Da vero , che se ci bisogna ricordarci di tutto ci che passato in noi ne^ primi momenti del nostro vivere , per venire in chiaro dell^ origine delle idee nostre, la cosa spacciata^ il problema intomo al quale hanno lavorato tutti i filosofi, ninno eccettuato, e che nella filosofia moderna d considerato il pi importante di tutti ( e tale fu considerato sempre ove fiorirono filosofiche scuole ) , ima chimera: tutti i savj si sono limati il cervello vanamente, e preso un er ror da fanciulli; non essendo giunti a conoscere quanto il G. Mamiani trova chiarissimo, che Puomo cio, non ri^ cordandosi di quanto ha operato ne^ primi istanti della vita^ non pu sapere come le sue conoscenze si sono in esso ori ginate n. n nostro autore trova cos chiaro tutto ci, che non si crede obbligato di darcene alcuna prova. Io per dubito assai, se il comune de^ filosofi gli vorr accordare, ch^egli s fat- tamente filosofando seguiti P ottimo metodo, di cui lunga-* mente ragiona nelP opera sua, un canone del quale sem- (i) P. I , e. XVI , 6 . fon 1 2 brami quello di non affermare cosa alrtina , che non sia debitamente provata . E ora se v' ha posizione diflcile a provarsi , e per degnissima di prova , egli par quella che pro- nuncia qui il nostro autore, cio, che u non vi abbia via d^ accertarsi dell'origine delle nostre idee, se non ricordandoci de' piimi lavori di nostra mente infantile ; imperciocch a poter ci affermare senza temerit, converrebbe aver prima tentate tutte P altre vie, e trovatele inutili^ di pii, esser bene assicurati, che ninna delle vie possibili a condiir noi alla soluzione di quel problema , ci sfuggita : e perch fossimo al tutto cerli , che ninna delle vie possibili a discuoprirsi dal- l'ingegno umano non fu dimentica e preterita, niente meno ci vorrebbe d' una di queste due cose : o che il nostro inten- dimento s' equiparasse a quello di Dio , a cui nulla nascoso ^ o che potessimo dimostrare cosa intrinsecamente assurda Pa- vervi una via diversa da quella delle reminiscenze dell'in- fanzia, a discuoprire le origini delle cognizioni. la prima di queste due cose l'autor nostro non vuole esigere sicura- mente : converrebbe adunque che egli producesse la dimostra- zione dell' assurdit ^ ma appunto questo che egli dimen- tica, lasciando la sua affermazione ignuda d'ogni valore di- mostrativo. N credo mai abbastanza ripetuto, quanto gi osservai, che le cose pi stravaganti , i paradossi pi sformati , che talora s'incontrano ne' sistemi de' filosoQ, il pi delle volte sono l' effetto di una proposizione gratuita non creduta per avventura di gran momento, e ricevuta a principio per vera nella mente del pensatore, senza prender sospetto di lei, n riputarla bi- sognevole di accurato esame. Cos lasciata passare, ed essa messasi dentro quasi di contrabbando nella filosofia , vi deposita il piccolo e fimesto seme dell' errore , che cresce poscia immen- samente nelle conseguenze , guastandola, e tutta snaturandola. Di che si mostra assai chiaro, vigilanza oculatissima che dee avere un filosofo, acciocch non ammetta per buone quelle proposizioni , di cui non ha certa prova , le quali egli non sa di che conseguenze possano andar feconde. E di moltissime e perniciosissime e madre quella del C. Mamiani. Che di vero, e l' origine delle idee pu trovarsi solo per ricordarci noi di i3 (jaello che passato ne^ primi istanti di nostra vita , i quali certo ricordar non possiamo ^ dmique tutti i sistemi de^ filo- sofi intomo a cpiesta questione son pi che vanissimi : dunque tutte le conseguenze, che i filosofi dedussero dalla soluzione di tanta questione, sono di pari atterrate, seuza bisogno d^ altri ragionamenti: dunque la filosofia intera fin qui conosciuta, crollata con una sola parola : tanto facilmente il G. Mamiani avrebbe fatto tavola rasa delF umana sapienza, e ci conver- rebbe ricominciare ad apprendere F alfabeto! Io ben credo, ch'egli non prevedesse simiglianti conseguenze. CAPITOLO IV. , E nella serie di queste conseguenze potrei continuare pi innanzi^ e dimostrare, che se quella afiiermazione gratuita dd C. Mamiani fosse per avventura erronea, erronea pui'c esser do\Tebbe la filosofia che la suppone e la seguita quasi stella polare. Ma qui io sono fermato da una risposta che sentomi fare, opponendomisi, che troppo torto io fo all^egregip autore u del Rinnovamento della filosofia antica italiana " , facendolo quasi dispregiatore degli antichi savj. Pure nel .firontispizio deir opera sua T egregio uomo dimostra la riverenza cVegli professa altissima alle opinioni de^ maggiori filosofi , segnata- mente italiani, de^ quali egli vuole, con nobile divisamento', rinfrescare le dottrine nelle memorie de^ suoi connazionali, e trae fuori da per tutto loro savie sentenze. Rispondo, che tutto ci non poco giova il mio assunto, che vuol mostrare danno che conseguita a una proposizione leggei^ mente intromessa ne' ragionamenti. Quella proposizione nuocer all'*atttor suo di tanto, che lo far oppugnatore di s medesimo. E veramente, due cose sono parimente vere nel fatto nostro: la prima, che il C. Mamiani si mostra in pi luoghi, e in tutta Tintenzione del libro, ossequioso agli antichi filosofi. che il precedettero^ P altra, che con quella sua pro}X)sizione spo- glia di tutte prove, che noi abbiam preso a considerare, egli viene a cancellare tutte le filosofie, prima in quella parte che tratta Torigine delle idee^ poscia in quella che a tal questione si attiene , se pure questa una parte e noa anzi la filosofia 4 tutta intera. E ravvisarsi di potere pur con un motto ^ con una sentenza^ ridurre a nulla i lavori di sommi ingegni, non cosa che possa per awentui*a cadere nel pensiero del C. Ma^ miani^ e pure cosa, a cui conducono irrepugnabilmente le sue parole, a cui conduce il suo sistema, che cosi rimane smentito da lui stesso, dal suo intimo sentimento. CAPITOLO V. Vorrei io dimandare se ninno trov mai, che i filosofi ita- liani , a^ quali il nostro autore si fa seguace , e a cui ora vo- lentieri restringo il mio favellare, ponessero quel muro di di- visione che il C. Mamiani vuol posto fm le due questioni deir origine e della dhnostrazione dello scibile : se riputarono la prima solo conghietturale , di piena certezza la seconda ^ o se anzi non videro V affinit strettissima e il legame indisso- lubile che lega insieme quelle due principalissime ricerche: se il vero capo, dal quale difieriscono massimamente i loro si- stemi, non sia il diverso modo da lor preso a sciorrc la que- stione intomo all^ origine del sapere : questione che caratte- rizza e determina, chi a fondo medita in sul nesso delle dottrine, tutte le filosofie^ Io qui spenderei troppe parole, ove volessi anche sol bre* vemente delineare i sistemi principali de^ filosofi di nostra na- zione , e mostrare s come V anima che tutti gV informa , e li fa essere quello che sono , la sentenza da lor seguita in- tomo air origine delle cognizioni ; e come il variare di opi- luone intomo a questo punto , produce il variare dell' intero sistema^ il che avvenir dee per lo naturai collegamento delle dottrine, quando anco il filosofo non si fosse egli medesimo accorto , che la tempera e il carattere di sua filosofia gli nasca da questo. Nulladimeno io non voglio trapassarmi al tutto so- pra di ci: ma toccher un motto di quattro di que' filosofi nostri che il Mamiani toglie a' suoi duci , e saranno s. Tom- maso, il Patrizio, il Bruno e il Campanella, i quali io li prendo cos come vengono , senza scelta : il medesimo che di questi, potrei fai'c agevolmente degli altri citati dal nostro autoi*e, aventi ciascuno una opinione sulF origine delle cogiii- i5 noni, la qual dirge o apertamente o copertamente tutto quant^ il loro filosofare. Chi dir che 8. Tommaso abbia stimato non potersi arer notizia certa della formazione delle idee? chi dir cVegli non insegni come quelle nascono in noi, o pure ci faccia per yia di conghicttura anzich di scienza? Il confessa lo stesso Mamiani dicendo N si stimi arere s. Tommaso paiv lato troppo in conciso della formazione dei generali e la- sciar luogo a interpretazioni diverse: imperocch quasi tutta la seconda decisione della prima parte della sua Somma (i) occupata da quella materia, senza dire cVegli vi toma sopra le mille volte nel corso dell^ opera. Laonde tutto quello m che ne sentiva fu scritto e spiegato da lui nettamente e con difiiso discorso (a). Il che un dire assai pi che noi non vogliamo. Perciocch a noi sembra, che di qualche interpretazione abbisogni F Angelico. E il Mamiani medesimo non coerente a quella sua firanca affermazione. Volendo dire che s. Tommaso da me dissen- ziente , alquanto dubitosamente egli si esprime cosi : u noi ne- ghiamo che le opinioni di s. Tommaso militino apertamente in favore del nostro filosofo (3): parole, dalle quaU po- trebbe inferirsi, che la dottrina di s. Tommaso , se non aper- tamente milita a favor mio, pure pu a mio favore essere in qualche modo interpretata. EgU stesso il confessa aperto di poi : u al primo aspetto parecchi luoghi di s. Tommaso sem- u brano in verit consuonare pi che molto con lui n (4) Non istaranno adunque que^ luoghi contro d me se non in* terpretandoU, e per d^ interpretazione essi sono bisognevolL Dice anche questo lo stesso Mamiani : (4 fa bisogno notare il (i) La I Parte della Somma di 8. Tommaso non ha prima e seconda decisioDe ; qui dee esserci corso qualche errore. (3) P. 11^ e. XI 9 VI. Il C. Mamiaui parla del sistema di s. Tommaso in* tomo l'origine delle idee in pi luoghi ^ lodandolo a cielo, e fra gli altri P. II, e. XX, IV > dove egli pare che n l'Aquinate n il suo lodatore il C. Mamiani ritenessero punto per impossibile la soluzione della questioue full' origine , anzi per bella e risoluta. (3) P. U, e. XI, VI. (4) Ivi. i6 u collegamento di quelle idee con le altre aflini, e Interpre- tf tare s. Tommaso con li suoi testi medesimi yy (i). E pi sotto 9 a sottrarre Fappoggio de^ testi di s. Tommaso alla mia filosofia, dice tuttavia: debbono aduncpie i testi che pajono concordare con tal dottrina essere intesi non sempre alla M lettera, ma secondo lo spirito loro e a norma delle mas- M 8me direttrici di tutto il sistema filosofico al quale appar* M tengono n (2). Resta dunque, che il dottore d^ Aquino abbia parlato chiaro della formazione delle idee , sebbene d^ inter- pretazione abbisogni, e di conciliazione seco medesimo^ e che nom si possa dirlo a me contrario manifestamente, ma solo mediante Pinterpretazione che ne fa il G. Mamiani , la quale non vogliamo a questo luogo esaminare se possa passar per buona , potendo essere che ci venga V acconcio di farlo in qual- che altro luogo (3) Qui vogliam fermo solo questo , che il grande quinate non riput insolubile e di pura conghiettura Porigine delle umane cognizioni. Il C. Mamiani pretende che s. Tommaso niente ammetta d^innato nella mente mnana, e tutto faccia venire da^ sensi, o immediatamente, o per induzione. Io sarei tentato di di- mandargli, se s. Tommaso insegni essere acquisita, per senso o per induzione , anche quella luce colla quale opera V intel- letto agente: ma noi vo^ fare, che qui non il suo luogo. Sia pure, che tutto tragga P quinate da' sensi. Come dunque pu scrvere tosto dopo il Mamiani, che u lasci s. Tommaso le orgini loro ( de' primi prncipj ) in quella incertezza in tf cui giacciono tuttavia n (4)? Se egli deriv da^ sensi anco i primi principi , come lasci nelP incertezza Porigine di questi ? Se poi s. Tommaso credette bens aver trovate e accennate le fonti delP umana cognizione, ma in ci credere cit, perche veramente non ispieg nulla, e lasci le cose nella prima in- certezza^ in tal caso, come pu dire il Mamiani ch'egli al tutto del parere medesimo di s. Tommaso , e che P angelico (i) P. II, e. XI, VI. (2) Ivi. (3) Questo noi facciamo ampiameote nel terzo Libro di quest' opera. (4) P. n,c.XI, VI. 7 Dottore a s^adagia colla dottrina da lui professata n (i)? O io m'^ inganno, o ^esto un brancolare nel bujo, dicendo e disdicendo: e questo fare s^ adagia egli col buon metodo filosofico? S. Tommaso credette di aver dato una sufficiente spiegazione dell^orgine delle nostre cognizioni: il C. Mamiani non crede questo problema possibile a risolversi , quanto a soluzione certa e non puramente conghietturalc ; dunque, concbiudo io, il Mamiani e s. Tommaso sono discordi e di opinione contrarj, come il s ed il no: cbi pu uscirne? E non cerco per da cbe parte si sta la ragione , se da quella del conte della Rovere , o di quel d^ Aquino : bastami d man* tenere cbe questi due valentuomini non pensano ugualmente, e cbe il primo non rinnova punto col suo libro, come egli pare ci prometta , V italica dottrina del secondo (2), Ma non solo Pquinate mostrasi sempre persuaso di asse gnare alle cognizioni umane una certa origine; ma ben anco parte da questa origine come da fermo principio, e vien de* ducendo da lei grandissima parte di sua dottrina. Dalla ma* (i) P. II, e. XI, VI. (p) n e. M . mol provare , i discepoli d s. Tommaso aver tenuto che il loro maestro lasciasse nelP incertezza la questione dell' origioe deU l'idee. Dura cosa a provarsi! Vediamone la dimostrazione. Tutta si riduce alla citazione di queste parole di Dante n L onde vegua Io 'ntelletto delle u prime notizie , uomo non sape h. Dante era discepolo di s. Tommaso* Dunque i discepoli di s. Tommaso tennero che il loro maestro non abbia sciolta quella questione, ^o A tal maniera di dimostrare, pi cose io avrei da opporre. Ma lasciandone molte a' lettori , dir solo, cbe Dante non fu discepolo ligio -a s. Tommaso, ma in pi cose si scost da lui. Egli ap^ prese la dottrina scolastica in tutta l'ampiezza sua, non dandosi alla di- sciplina d'un solo maestro; parte scelse fra le opinioni udite, e qualche volta pens da s stesso. Ma lasciamo ci. Pompeo Venturi commen- tatore di Dante opina, che in quel luogo il poeta si scosti al tutto dalle dottrine di Aristotele, w Nella scuola peripatetica m, dice commentando que' versi ^ e. XXV, art. II ). Ivi ho detto, la dottrina ari* tiotelica essere stata intesa in varj modi, perch oscura e non precisa; ed uno di questi modi esser quello di Dante. Ma quale questo? Non si pu desumerlo se non da tutto intero il brauO| e non daUe poche parole Rosmini^ // JOnnovamento, i i8 niera onde s^ originano le cognizioni umane, s. Tommaso de- tennina quale sia Poperare proprio del nostro intendimento , e da questo modo dell^operar nostro razionale egli definisce spe- cificamente la nostra natura. Definita e specificata la natura umana, egli trae quinci una serie immensa di conseguenze, lle quali costruisce tutto P edificio della teoria delPuomo. Or chi non sa, che la scienza dell^uomo per poco tutta la filo- sofia? Se adunque la filosofia di s. Tommaso si fonda quasi per intero nella soluzione del problema delP origine delPidce, a dichiarar questa incerta, un fare alla filosofia del grande italiano di cui parliamo, quello stesso servigio che si farebbe ad ima grandissima mole levandogli di sotto la pietra ango- lare che la sostiene e connette. Di pi; dopo avere determinata nel modo detto la natura mnan, s. Tommaso trae quindi la specifica difierenza fra Taomo e P angelo^ e s^apre la via ad una definizione della na- tura angelica, sulla quale definizione costruisce una mirabile teoria degli angeli^ ed ella gli poi scorta nobilissima, nel- recise che reca innanzi il M. S' oda dunque^ e si consideri bene , a vedere je r Alighieri suffraghi all' asserzione del nostro autore : \ $t Ogni forma sustanzlal , che setta M da materia , ed con lei unita , u Specifica virtude ha in s coUetU; u La qual tonza operar non sentita , M N si dimostra mai che per effetto , m Come per verde fronda in pianta vita : fc Per , l onde vegna lo 'ntelietto r Delle prime notizie , uomo non sape , H E de' primi appetibili V affetto , V Che sono in voi , come studio in ape M Di far b mele : e questa prima voglia H Meno di lode, o di biasmo non cape. * ( Pur^, xvm. ) Qui due cose manifestamenle dice il filosofo poeta. La prima , che la virt propria deU' anima, come di ogni altra forma suslanziaie che ha sus* sistenza propria e setto , cio separata da materia ( scbben trovisi anco unito a materia), occulto ed incognita fino a tonto che non opera e non i dimostra fuori ne' suoi alti ed effetti. Cosi, a ragion d'esempio, non si saprebbe mai dire se la pianto avesse in s quella virt che chiamasi Vito , 9 Tardine de' suoi concetti, alla sublime dottrina intomo all^es^ sere divino. Tutta adunque rovina la teologia, considerata nella sua parte razionale, dietro alla rovina del trattato del- Tuomo, il cpial gravita e posa sul gran punto delV origine ddle umane cognizioni. E qui bas^i aver detto questo poco deir Angelico. quaiulo non si vedesse il viver suo al di fuori nelle frondi verdi e rigo* girne. Medesiroamente V anima ha in s colletta , o sia accolta una virt , che le d notizia de' primi prncipi ; ma questa virt innata non apparisce , e non si sa ci eh' ella sia in noi , se non allora che noi fiKxiamo uso di essa , mediante gli atti di nostra mente. La seconda cosa conseguente afla prma. Egli si continua ragionando cosi: quando adunque la mente nostra fa gli atti suoi d'intendere^ di giudicare ecc. , dia trova gi d'aver belli e pronti alla mano i prmi prncipj : onde le sono venuti questi T L'uomo non lo sa , dice: non pu sapere il quando^ e il come gli sono venuti. E perch ? perch non sono a lui venuti onde che sia , non sono io lui acquisiti; do li ha sempre avuti con s; sebbene occulti si stessero prma ch'essi apparssero ne' loro effetti: la quale occulta esistenza de' prmi principi in noi non dee recarci maraviglia , perocch ogni forza e virt nello interore delle cose si asconde^ fino a tanto che operando non d si d a conoscere negli atti suoi. Non si pu dunque allegare nell' uomo una orgine fattizia de' prmi prncipj : questo il senso delle parole m l onde vegna lo 'ntelletto delle prme notizie^ uomo non sape . Ma che perci 7 Se Dante dice irreperbile la formazione delle prime notizie nell' uomo nega per questo assolutamente, che non si possa assegnare ad esse qualsiasi orgine ? Certo no ; in una parola, l' intelletto delle prme notizie Dante le pone innato, e per, dopo aver detto che non si dee cercare la spiegazione di esse nelle operazioni della mente, come quelle che suppongono quelle notizie prme e le adoperano quasi istnimenti , afferma senza dubitazione alcuna, che quello intelletto delle notizie prime nell' uomo , come nel- V ape lo studio di far lo miele, cio come sono g' istinti, i quali sono in# umbri* ideamm impUcanUbus artem quosrendi , ini^nUndi, Judi^ ctmdi , ordinandi, l applicandi ad internam scripturam , ei non vulgares per memoriam operationes , expUcaUs, Parisiis , apud jEgidium Gorbia mun i58a. (a) Da ScheUing. (3) Nel libro De compendiosa arehitectura , et complemento ariis Lulii ^ Parisiis i58aj dicct Conveniens nimirum est atque possibile^ ut eum ia iiodiun quo metaphjrsica unipersum ens , quod in substaniiam diuidilur et occidens, sibi proponit objectum , qutedam unica generaliorque ( ars ) ens r^iionis cum ente reali, quo tandem muUitudo, cujuscunqut sit generis, ad mplicem reduci posse unitatem , compectatuTn a4 nclie nella filosofia dunque di questo italiano la questiono dell^ origine delle idee non si vede o esclusa o riputata impos- sibile^ ma ella sola forma il cardine vero, in cui si volge tutta quanta la nolana dottrina. E potrei entrare particolarmente a mostrare quanto nella mente del Bruno stieno connesse inti- mamente le due questioni delP origine e della dimostrazione dello scibile ^ ma io vo^ anche qui astenermene , primo , per- ch da ci che ho detto appare assai chiaro, secondo, perch mi verr forse altrove in taglio il ragionarne. CAPITOLO Vili. Mi rimane finalmente quarto il Campanella. Veggiamo se al- meno la filosofia di questo pensatore calabrese convenga nel- F opinione del C. Mamiani. Nel sistema del Campanella, non meno che negli altri so- pra accennati, il filosofare prende cominciamento dall^ esame delle facolt onde Puomo conosce, il che quanto dire, dalla questione dell^ origine delle idee. La sentenza del Campanella intorno a questa questione il principio, onde dipende tutta la qualit di sua filosofia^ avverandosi anche qui ci che in tutta la storia delle filosofiche investigazioni egualmente . ma- nifesta, che dal modo di risolvere quella questione ricevono colore e forma e vita per cosi dire i sistemi. n Campanella deriva dal senso ogni cognizione. Ecco il punto di partenza. Quale il cammino eh' egli percorre ? La prima e immediata conseguenza si quella che risguarda la certezza dello scibile. Secondo costui, ne'' sensi che si dee cercare la certezza , appunto perch ne' sensi e pe' sensi s' o- rigina e si forma la cognizione. Essendo la memoria, l'im- maginazione, l'intelligenza, tutte le facolt umane alti*ettanti modi di sentire^ ed ogni cognizione generale avendo sempre il suo fondamento e l'origine sua ne' particolari percepiti co' sensi ^ seguita di giusta ragione, che a dar prova e dimostra- zione de' lavori di tutte 1' altre facolt non ci abbia altra via da quella di riscontrare ogni cosa al testimonio de' sensi, i quali hanno 1' oggetto presente, cui realmente percepiscono, a5 per non s^ ingannauo (i). Io non voglio qui approvare o disipprovare simigliante dottrina. Dico per(^, che in essa si vede jnaifestOj come P italiano filosofo sentisse un intimo nesso pas- sare tra le due questioni dell^ origine e della dimostraziont del sapere umano, che il C. Mamiani immensamente disgiunge, e dichiara indipendenti in quell^ opera nella quale ci si pre- senta come rinnovatore delP antica filosofia italica, e nella quale adduce i luoghi di molti filosofi nostri y ma di ninno pi q^so che di Tommaso Campanella. N sta qui tutta T influenza che la questione dell'origine esercita nella filosofia di quest' uomo famoso. Ella vi si fa duce di tutte le dottrine A varie ch'egli svolge in tanti suoi libri: ella fissa il metodo d' investigarle : ella determina V ordine in cui debbono procedere ne' loro sviluppamenti. Appunto perch da' sensi viene il principio del sapere e delP accertarsi, quella filosofia d mano prima di tutto alle cose fisiche o naturali, che cadono solto i sensi. Il trattato dello spazio, che diviene nelle mani del GampanelTa una prima e immobile sostanza recettiva di tutti i coi*pi, le investigazioni del modo onde si fonna e compone l'universo materiale, i principi elementari di esso, sono le ricerche che si afiacciano da pima al nostro investigatore. Il senso, onde muove il suo filoso(ai*e, viene quindi comunicato da lui con varia proporzione a tutte le cose, a^ JjTuti anche quel genere di sentire pi perfetto che intendere appella. Dopo di ci, egli si solleva a considerare l'ente stesso nella sua intima natura, dove trova quelle tre qualit dette in suo parlare primalit n , cio potenza, sapienza, e amore: il compimento e perfezion delle quali lo innalza al- Fente perfettissimo, a Dio. Ora chi non vede, come questo si- stema, vero o falso che sia, tutto per imito fra di s, e intimamente legato? e come questa armonia di sue paj*ti, e consentaneit con s medesimo, dovuta alla semplicissima sua origine^ cio a dire, alla sentenza professata dal Campanella intomp all' origine del sapere umano ? (i) Duce sensu pki1o9ophandum esse exisiimamus, Ejus enim cognWo tmuis certissima est, quiafii ohjecto presente. Si^um est, quod altee cogiti'- imes dubim ad sensum recurruni ptv certitudinc* Cciiup.j De rerum n^iut^a, Rosmini , // Rinnovamento, 4 CAPITOLO IX. Egli dunque manifesto , che i principali filosofi Italiani ci- tati dal G. Mamiani considerano la questione delP origina delle idee per cosa di gran momento, e di non Impossibile soluzione: manifesto, che Parte del metodo ad essi dett doversi premettere la questione dell^ origine a tutte F altre, ie con quella avviarsi a suo viaggio ben sicurata la filosofia: essi medesimamente considerarono siccome affine, e stretta* mente congiunta alla prima, V altra questione del fondamento della certezza. E per chi direbbe, che T antica filosofia ita-* liana rnnovellar voglia il Mamiani , e non pi tosto un nuovo suo domma annunziare, quando egli scomunica la questione dell'origine, e quasi la inimica con quella della certezza, sic* come d'indole al tutto diversa e solo conghietturalc ? CAPITOLO X, Pai il Mamiani non persevera in questa sua nuova opi* nione. Se neUuoghi allegati e in parecchi altri egli pare si lon- tano dal pensare de' nostri buoni antichi 5 loro si avvicina poi in un eguale o forse maggior numero di luoghi del suo libro , e tirato soavemente dalla Ineluttabile forza del vero, s'accom- pagna di nuovo con essi, consentendo loro in ammettere r intimo nesso delle due questioni , e la molto utile se non mico necessaria loro comunione. Io potrei provarlo assai chiaro con una sola sentenza, colla quale egli afierma , che il principio della certezza e II principio della scienza si possono ridurre ad un solo principio. Peroc- ch se d^ un solo fonte dee scaturire la cognizione e la certezza , quanto dunque non sono intime fra loro e per cos dire famigliari queste due questioni? e se si pu trovare uno inedesimo essere il principio di amendue, perch dunque la soluzione dell^ una sar certa , e dell' altra solamente conghiet- turale? Che cosa fu mai detto di pi efficace a dimostrare che o la solu^one della certezza Implica quella dell' origine , o ]fL soluzione dell'origine implica quella della certezza, e che in ogni modo sono questioni soi^Ue^ o pi tosto gemlle? Ma adianio le solenni parole del nostro autore. Per qualunque miracolo del setmo umano , mai non p* tra farsi sparire il primo ed essenzial postulato di lui, cio U fatto della coscienza 99 . Egli qui non parla conghietturaU mente^ ma con piena sicurt di dire il Tero: continua, Per a questo sol fatto potrebbero mettere capo insieme e il principio d^ogni scienza e il principio d^ogni certezza, vale a dire che i fenomeni costanti e semplici compresi in qualunque atto d'intuizione, potrebbero addivenire un giorno il solo prin* cipio sperimentale richiesto alla deduzione intera dell^ u- mana sapienza (i). Qui si mettono alla condizione stessa il princpio della certezza e quello della scienza ^ e se la sco- perta del primo solo conghietturale , non sar pienamente assicurata la certezza umana ^ se poi ella messa fuori di ogni dubbio , anche il principio o sia F origine della scienza sar txgualmente bene assicurata. Anche altrove dice il C. Mamiani, che alla perfetta teorica del sapere umano sta in cima un sol dato sperimentale, e dentro di questo dato si confondono insieme perfettamente il principio d^ ogni certezza e il principio d'ogni sapienza^ (2)4 Che vogliamo noi di pi? Se i due prncipi si confondano in mio, e per poco s'identificano, forz' che sieno di egual na tara, e che l'orgine delle cognizioni sia manifestsL di pari alla loro fermissima certezza* U C. Mamiani adunque qui ci toma italiano, raccostandosi alle avite nostre tradizioni filo aofiche da lui da prima abbandonate. CAPITOLO XI. E non per da ommettere di osservarsi una cosa^ Nelle parole surrferte non si contiene gi una dubbiosa opinione del G. M., ma ima sua ferma sentenza^ la quale sen- tenza ^ che l'intuizione immediata o mediata dello spirto sa il solo fonte delle cognizioni nostre, come medesima- (I) P. Il, e. XIX, it (a) P. II, e. XX, II. iai 28 mente della loro certezsa. Ora questo vale quanto afTermare che le cognizioni umane aono tutte acquisite coir atto d^ in- tuizione , e negare al nostro spiito ogni notizia congenita. E chi non vede come questo gi sia prendere un pai^tito nelle fazioni de' filosofi, e decidersi per uno de' sistemi che cor- rono nelle scuole intorno alP origine delle idee, escludendo in sieme necessariamente tutti gli altri possibili? A chi restasse qualche picciolo dubbio della mente del C. M^, potrei dir molte cose^ ma per esser breve basti, che se cos non fosse, egli non loderebbe senza condizione alcuna il Telesio per aver promesso di riconoscere per fonti imiche d' ogni tf sapere il senso, le cose dal senso notificate, o identiche a tt quelle perfettamente (i), citando ci fi-a i canoni di ot- timo metodo dal Telesio divolgati. Non avrebbe egli n pure dato altissima lode agli Italiani per questo , che a tenerli stretti ad Aristotele poterono assai sopra di essi due cose, u V una di riporre egli la prima fonte d' ogni sapere nel fatto sperimentale , V altra di pronunciare che gli imiversali tutti quanti si formano per induzione (2). Finalmente tutto il libix) dimostra , che il senso e V induzione , o per dirlo in im modo pi generale, gli atti intuitivi dello spirito umano sono pel C. Mamiani la sola indubitata origine di tutto il sapere lunano. Ed ella sia pm^e^ noi non vogliamo qui contendere con lui, ma osservare come egli contende con s medesimo. Se (i) P. I,c IV, VI. (a) P. I , VII , VI. Il G. Mamiani in questo , e in altri luoghi del suo libro, giudica della natura e dello spirito dell'italiana filosofa assar div(>r- sainente da quello > che altri scrittori ne giudicarono. L'opinione che ma- nifesta un altro scrittore recente iutorno ali* indole del filosofare della nostra nazione, riesce dirittamenle contraria a quella del Mamiani. Questi il prof. Baldassar Poli, di cui sono le parole seguenti : m h singolare la costanza e eausa del M variabile e del contingimle e non del vero assoluto. Questa tendenza 4J *( Pitagorismo o al Platonismo ci ha sempre preservati, anche nella foga : ella rimane egualmente vera, quando anco ninno spazio e niun corpo realmente sussistesse. Quella scienza non premette che il concetto dello spazio, o sia la semplice esistenza possibile dello spazio e delle limitazioni dello spazio ^ ed allo spazio reale , ed ai corpi realmente sussi- stenti, ella non fa che appUcare i suoi risultamenti, quasi fcm" pre per approssimazione, e nulla pi. Ma non questa la principale osservazione che intendo fare in sulFassunto del nostro autore. Dico, che la comparazione fra la geometria e la dottrina intomo alla certezza dello scibile da lui usata, non regge a martello. La geometria non la prima delle scienze ncll^ or- dine logico. Or tutte le scienze inferiori suppongono innanzi di s per belli e dimostrati alcuni principj, la dimostrazione de^ quali si trova in altre scienze precedenti. Ma la scienza prima, a cui appartiene la dottrina intomo alla certezza, ha per isGopo il trattai'e de' principj primi, e per non suppone nulla dinnanzi da s. Cos, a ragion d'esempio, la geometria suppone per dato, come dicevamo, u la possibilit dello spa- zio e delle sue limitazioni ^ n ella quindi obbligata ad entrare nella discussione della natura intima dello spazio, come n pure delle forze che limitano lo spazio, o de' corpi possibili^ cose tutte, la discussione delle quali appartiene ad una scienza superiore, cio aUa metafisica. Ma se la metafi- sica, invece di investigare la natura intima dello spazio, delle forze e de' corpi, dimandasse, che questi argomenti suoi pro- prj gli fossero dati e conceduti precedentemente quai postu- lati^ ella dimanderebbe quello che non gli pu essere conce- duto, perocch questo sarebbe un dimaudare di essere dispensata da far quello che dee fare;^ e tolto il suo scopo, sottrattasi la sua materia, ella ha con ci solo distrutta se stessa. In somma una scienza pu dimandare per postulato ci che ella stessa non obbligata di dimostrare; ma ove il postulato che di- manda cosa che in parte od in tutto entra a fonnare la sua materia, cosa ch'ella si dee acquistare e procacciare colle / 3 me industrie e ricerche^ la scienza, o pi tosto lo scienziato Almsknts*. qaello che non gli pu venire accordato, e che ac- cordatogli, r involge in un circolo, e distrugge la scienza. Ora applicando tali principj al postulato richiestoci dal C y^imaTii per la sua dottrina intomo alla dimostrazione dellcf scibile^ egli mi sembra, che prima di accordargli u Fatto co- noscitivo 99 per bello e fiaitto, senza necessit di sottometterlo a discussione, converrebbe esaminar bene, se nelPatto stesso di conoscere potesse appiattarsi qualche cosa che nuocesse alla dimostrazione della certezza del sapere. Intanto cosa certa , che a voler dare una dimostrazione esatta dello scibile, si conviene che lo scibile tutto intero sia esaiiiinatcy idativaniente alla certezza, e che non rimanga nessxma parte di lai senza chiarezza molta di prova. Ora se noi non sottomettiama a prova e dimostrazione lo stesso atto di conoscere, egli paref die rimanga non solo una parte, ma tutto in lei*o lo scibile sfornito di quella certa t evidente dimostrazione che si ricerca. E in vero, pu egli darsi conoscenza alcuna senza Patto del conoscere? e che cosa mai essa conoscenza se non Peffetto o' l'oggetto dell'atto con cui si conosce? e dato Patto del cono- scere, non egli data la conoscenza? e se quello passa per un semplice postulato, e si sottrae alPesame, non verr per On-' seguente, che debba trapassare insieme con lui per bella e ap provata la conoscenza, senza potersi di questa menomamente dubitare? non questa figlia dell^atto di conoscere legitti^ mata 9 tosto che conosciuto il padre? perocch finalmente an che circa le conoscenze , chech dica il G. Mamiant , si us' fin qui di riconoscerne la legittimit dall^ esame de' natali^ il che quanto dire, si prov la verit delle conoscenze dalla bont e veracit delle origini da cui elle derivarono : e questo^ in sostanza ci che vuol fieure medesimamente Pautor nostro;" sebbene il neghi ^ imperocch a qual fine dimanda egli che gli sia conceduto il padre. Patto di conoscere, se non a quello di{ poter dimostrare con ci legittima la figlia , cio la stessa, conoscenza? RosxiM , // Sirmovamcnto. 34 CAPITOLO XIV- Chi dubita 9 non forse noi con questo ragionamento aggra- diamo di troppo il G. Mamiani, prendendo il postulato n ck'egli dinianda, in altro ^spetto da quello sotto il quale il di- inanda, non ha che a raggiungere insieme la serie di tutte le dottrine del C. Mamiani, e vedere come noi non ci dipartiamo ponto dall^ unico senso che pu avere la sua dottrina. E certo, se il contesto delle dottrine del nostro autore non mi avesse scorto in tutto ci che ho detto fin qui, io avrei vo- luto intendere il postulato che dimanda, in altro modo: io avrei voluto intendere, ch^^li dimandasse Patto di conoscere non come provato e certo, ma come cosa da provarsi e da ac- certarsi, come materia in somma della sua dottrina, e non come un precedente all^ sua dottrina. Ma ci che mi vieta d^intenderlo a questo modo si Tosservare, cVegli si dispensa m tutto il libro dal provare e certificare Patto del conoscere, e lo ammette come indubitato e certissimo testimonio della ci^za umana. N poteya fare diversamente, avendo costituita la certezza ^ nella |alit ed eptita della cognizione : di che dovea av- venire) che data V entit de^^atto di conoscere, fosse pur data la m 9^rtezza. . i ayyerU^ bene, che ft^ anzi appunto perch il C. Mamiani xipqise la certezza nella realit ed enfiti del conoscere, che egli eiclu^e dalla dini^trazione del sapere la questione della sua origlila, u Nenite ci. vien provando, egli dice, che la notizia f deU^ orgip!^ in^ettij^li deU>a intervenire nell^ dimostrazioxiic f(. della presente realit del pensiero stesso " (i). E^ in &tto, se. la realit del pensiero il m^edesimo che la certezza del pei^- eco, a che gioya indagarne le origini? non basta egli accer- tame^ Q 9a collocarne 6iori di dubl:!^ la presente realit? i pensieri nostri presenti sono reali, dunque sono certi senza pin, on^c^k abbiano proceduto: ec(x> Pargoin^to 4ell nosb^ (0 P. 1, e. XVl,7*for. 35 autore , ecco ridotta a poche parole la sua teoria Intorno alla dimastrazione dello scibile (i). Riassumendo adnncpie : quando dato V atto Isonoscitiro , jata la cognizione^ quando data la cognizione, data tf l sua realit ed entit n ^ perocch se la cognlrione noii aress una sua realit ed entit, sarebbe nulla, non potendori esser cosa senza qualche realit ed entit sua propria: quando data la realit ed entit della cognizione, data la sua rerit e certezza. Dunque avendo il C. Mamianl dimandato per unico postulato della sua teoria della certezza Patto conoscitivo^ egli dimand con ci Pentita e realit di quest^atto, e per P entit e realit della cognizione , e per la verit e certezza della cognizione medesima, conchiudendo come un geometra^ il che era da dimostrare CAPITOLO XV- Intendendo io dunque come ho inteso la dimanda del po^ stillato dell^atto conoscitivo fatta dal si^or Mamiaiiii, Pho in (i) Ci duole assai di dover notare nel libro del G. Mamian una con* tinua iocoerenxa di parlare: ma posto che abbiamo tolto ad esaminare Topera som, dobbiamo sottometterci anche a questo penoso incarico. L'in coervosa conseguente a tutti quelli che non hanno una buona causa alle maoi, Siene pure oltremodo ingegnosi e valenti. Cresce poi l'incoerenza a disBusora per Toscurit delle idee e per un linguaggio improprio. In fatti come sarebbe possibile ad un autore il prendere costantemente questa pa- n>la di w realit dello scibile m nel significato di # verit dello scibile m^ senza addarsi mai dello sbaglio^ senza dar mai segni di conoscere che una cosa la reafitli, un'altra la verit e certezza , e che la prima non pti costituire la seconda 9 od esseme prova? Per anche nel libro del Mamiani trovo un luogo 9 che mi fa vedere come lampeggiasse a' suoi occhi la distinzione di queste due cose da lui perpetuamente confuse ^ cio la realit delio 8ci' prendendosi la realit dello scibile a sinonimo dell* prova e della certezza dello scibile I 36 tesa coerentemente a tutta la serie de^ suoi pensieri^ ne potevo intenderla altramente anco per altra cagione. Non riduce egli tutto il principio della certezza alP intuizione immediata dello spirito? non afferma egli questa intuizione im* mediata al tutto incapace di prova, e di prova non bisogne- vole? e non P intuizione quanto a dire Patto conoscitivo^ o come altrove la chiama, il fatto della coscienza (i)? noi ckiama questo il fatto eminente e primo della intelligenza ti guardata nelle condizioni pure attuali (2)? Non questo ci che dimanda per postulato? Veramente in altro luogo dice che questo fatto si pu anche cercare e scuoprire r^ (3): ma in tal caso perch di- mandai'lo per postulato? sarebbe ci un tacito avviso del suo buon senso, che la dimanda di quel postulato era alquanto indiscreta ? Ma lasciando passare queste brevi e sfuggevoli confessioni^ il suo costante dimando si quello, che gli sia dato P atto conoscitivo qual postulato. Onde per crede, che P atto co- noscitivo sia cosi sicuro da non dovere o potere aver bisogno di dimostrazione alcima? Prove di ci non arreca, ma le sue parole a quest^ uopo stanno tutte qui: u Nessuno, pensiamo noi, vorr credere che la mente affermando la sussistenza tt d^ alcuna cosa , crei quella medesima sussistenza, ma ognuno u invece rester certo che qualunque realit degli oggetti pen- u sabili indipendente affatto dalP affermare o dal negare di nostra mente (4). Egli discende qui, come ognun vede, dalla questione generale della certezza dello scibile, alla que- stione particolare intomo la certezza delP esistenza de^ corpi y che reca come un exempligratia y acciocch si conchiuda da questo caso particolare agli altri tutti. Or bene, accompagnia- moci pure con lui, e seguitiamone i passi. (i) P. II, XIX, IT. Le parole del G. Martiiani furono recate pi sopra. Or egli il medesimo pel G. Mamiani Tatto conoscitivo , e il fatto della coscienza? Potrei mostrare , che egli stesso in diversi luoghi del libro l prende per cose diverse , e che diverse veramente sono 2 ma basti averne notato qui un cenno. (2) P. I, XVr, 7.* afor. (3) I?i. (4) P. II, e. IV, v. ^7 "PTunieramentG giora riflettere, che quando il filosofo cerca 0 propone una dimostrazione dell^ esistenza de^ corpi, egli non la propone al volgo, il quale non ne abbisogna. Il volgo certo, e non dubita punto dell^ esistenza reale de^coipi , te- nendo per fermissimo, che la sussistenza delle- cose esteriori sia indipendente affatto dall^ affermare e negare di nostra mente. Alla dimanda adunque del C. Mamiani u Chi metter in tf dubbio ci fi hi risposta pronta, e non pu esser altra cbe questa : Niun uomo del volgo ft . Ma che? sar meno necessaria per ci una dimostrazione della verit delle nostre percezioni o giudizj sulF esistenza de^ corpi ? Io lascio che il nostro autore risponda s , o no , a suo piacimento. S^ egli mi dice di no ^ e bene, gli replico io, perch dunque fabbricare mia teoria della certezza? perch limarsi il cervello a provare contro gF idealisti resistenza attuale de^ corpi? Se mi risponde di s, perch adunque dimandarmi chi la mette in dubbio? perch giudicare, che non ci sia bisogno di provare che la mente affermando i corpi non li crei? Fatto sta, che degli uomini dotti e sommamente ingegnosi ri ebbero al mondo , i quali giunsero a mostrar di credere , che i corpi fossero produzioni dello spirito nostro, la cui virt creatrice opponeva quelle sue creature a s stessa, e cos dalle proprie viscere traeva mirabilmente il proprio oggetto. Non dubbio, che il G. Mamiani sa tutte queste cose^ non dub- bio, ch^ egli conosce la storia dell^ idealismo comune e del- r idealismo trascendentale, e che avr letto il celebre libro JeOa Dottrina della Scienza. Perch dunque pronunciare con tanta semplicit, che . nessuno vorr credere che la mente tf affermando la sussistenza d^ alcuna cosa, crei quella me- tf desima sussistenza t) , e che a ognuno invece rester certo che qualunc[ue realit degli oggetti pensabili indipendente af tf fatto dair affermare o dal negare di nostra mente n ? per- ch assicurare a questa strana affermazione, siccome a ferreo anello, tutta la teoria della certezza? Per me non so com- prendere in modo alcuno, come un autore, che produce in nn libro una faticosa dimostrazione dell^ esistenza reale de^ corpi, e che crede questa dimostrazione cos difficile, che non QK>lti altri e forse nessuno prima di lui V abbia potuta trofare, possa poi basare tutta la sua dottrina intorno la 38 certezza del sapere, sopra questo singoiar dato, che u mano inette in dubbio che le menti affermando alcuna cosa , la ven- gatio creando a s stesse n . Ma sia, che ninno ne dubiti, o n^abbia mai dubitato. E che perci? Si potr bene indurne per consegunza, che ima teoria della certezza delle cognizioni inutile , almeno per quella parte che risguarda la reale esistenza de^ corpi ^ ma rester per sempre vero, che ove si voglia comporre una tale teoria r> In forma rigorosa di scienza e dedotta per una serie di teoremi purissimi, cio somiglianti alla geometria ( i ), non convenga cominciare dal persuadersi, che ninno dar allo spirito la virt di creare i corpi (2), e che T intuizione im- mediata non abbisogna di dimostrazioni ^ (3): perocch anzi la questione sta tutta qui, a vedere cio, se P intuizione del nostro spirito c^ inganni, se il nostro vedere sia il vedere del sognatore, se un genio maligno, secondo che diceva Carte- ino, sia quegli che ci illuda continuamente^ e relativamente aVorpi, se questi sieno cose reaU, o creazioni e sviluppamenti di un nostro intern principio, e se raffermarli per diversi da noi, non sia forse nulla pi, che un dare sussistenza a* delle chimere. Egli par adunque, che il C. Mamiani non cogliesse bene il nodo della questione della certezza dello scibile, e che molto meglio di lui il cogliesse Cartesio, sebbene dal Conte licenziato tra quelli che non vi s'apposero. Ma torniamo a noi, conchiudendo : il modo onde fu da me intso il postulato chiesto dal C Mamiani, tutto in coe- renza di sue dottrine, e qul postulato cos iilteso avvolge e perde entro un vizioso circolo i ragionamenti s largamente 6Spo^ti dal nostro autore. CAPTOLO XVI. E pare, che a quando a quando egli medesimo se n^ av- vegga- Chi, avendo letto il libro del C. Mamiani, negher, ch'egli (1) P. l, e. X% , 11. (a) P. n, e. IV, v. (3) P. Il, e. XX, f ^9 ^ ioarga quasi da per tuttp agitato, e quasi malcoutento di s, dopo aver dimandato quel posti^ato dell^atto conosciti^ TD? Egli sente, e teme la da noi sopra toccata obbjezione: le i misteri dell^atto conoscitivo non si conoscono, non po^ trebber essi racchiudere in s qualche cosa di pregiudioevole alla dimostrazione della certezza dcUa conoscenza? come po ir dire, che quest^atto conoscitivo sia u^l certissimo testimo- nio del vero, quando non so che sis^, q on^c veng^? E toglie anche a rispondere t^ questa difficolt, che gli s^afl&ccia quasi vorrei dire pi alleammo che alla mente, mas- sime in due luoghi del suo libro. L^ unp dove ipagi^na de) modo col quale si compie la conoscenza (i): T altro dove tiene discorso degli, universali (2). Mirrta b^ne la pena, che noi veggiaifio accuratamente, come si adopera e si dibatte a cavani d^ impaccio. La via per la quale egli tenta a tutta fqzTa di salvarsi, parm^ alquanto ardua e singolare. Egli si accinge di tutta la sotti^ l^iiezza.a pp^v^ffe^ che Fatto conoscitivo non assolutamente ne- conno all'intendere ed al sapere, cVegli non altro che un istnunento di pi sopraggiunto all^ altre facolt intellettive, e che peijci ^ pu^ daire uno scibile che abbia una ^t^t e jreaUi al tutto 4iv^r|aL ^ quella tanto arcana e iifiis^^*io$a d^l t^ libile atto cpnpscitiyo, La cosa cosi nuova, che se a^Uvvq reco le parole del Itfamjqni per dare evidenza xpaggiore alle mifi ossero a^oni, uiu^ necessit assoluta qui mi stringe a^ farlo, gi^ji^ che il lettpre potrebbe qredere che io volessi per avventura ce-i liare. Elle dunque i^on queste: I fenomeni proprii 4 fenomenica (2)^ chi non vede, che il primo fonte delle cognizioni nel C. Mamiani quest'atto transeunte delFintui- zioi^e, esclusa necessariamente qualsivogUa notizia data a noi per natura? Di pi: chi non vede, che su questo sistema in , in vece che della verit e certezza , potrebbesi dii'e , che a (f) P. Il, e. IV e X. (a) P. Il, e. X, VII. 45 praiar qoelU prima , cio a la realit della conoscenza m , non d abbia di argomenti bisogno ^ bastando che ella sia, per esser miniente^ n il giudizio conoscitivo pu impedire la sua rea- lt, anche producendola egli stesso, tuttoch quel giudizio fosse ingannoso nel suo operare^ imperocch il produrla, un farla reale, senza un bisogno al mondo che sia fornita d** altra cer- tezza e verit. Ma perocch qui non posso permettere al Conte Mamiani , che col mutare la parola o&tezza in quella di realit, tragga, troppo agevolmente d^ impaccio^ io, uno de^ suoi lettori , sperando' di parlare col pieno consenso di tutti gli altri, gli chieder che egli mi provi, come Patto cono- scitivo, entrando a formare le conoscenze, non ne alteri punto la verit e la certezza^ e senza di questo non gli accorder ponto, ch^egli sia pervenuto a porre insieme, come pretende, una vera dimostrazione dello scibile* Non ci basta adunque ch^ egli abbia u notato n nel Capi- tolo rV, che il giudizio conoscitivo non altera la realit della coBoacenza^ vogliamo, sperando di non essere indiscreti, ch^e-* gli ci provi 9, che quel giudizio non altera la a -verit e certezza della conoscenza 99 , il che egli ha sfortunatamente di-* menticato di fare in tutto il suo libro. Veramente tutte le parole, che in quel Capo si riferiscono a fiur credere, che Tatto conoscitivo anche entrando a pro durre le conoscenze non ne alteri la verit, si riducono a que- ste semplici gratuite affemfiazioni : Nessuno creder che la mente affermando la sussistenza d^alcuna cosa, crei quella me- desimn sussistnza t ; Nessuno manterr senza paura di as- snrdo, che i segni delle idee e delle cose esteriori producano o cangino la realt di esse idee o di esse cose 9 ; ^ L^ appel- lazione generica dei predicati non ci asconde le condizioni individuali con cui quelli si trovano uniti dentro ciascun ft singolare 9 (1): le quali affermazioni destitute di ogni prova salgono, in bocca di un filosofo che vuol edificare una dimo- strazione dello scibile, quanto queste altre u Ninno dubita della projMria cognixicme, e per ella non c^ inganna, f. e. d. n. (i)P. IMV, V. 46 La maniera per colla quale il . Mamiani conchiude queH sue ignude alTermazioni, mostra quello che dicevo, cio che la sua coscienza noi lascia interamente tranquillo sulla loro piena autorit nell'animo de' lettori. Perocch egli corona il discorso con queste parole, le quali non mostrano avere alcuna coerenza colle precedenti: u Discende dal fin qui detto, chei fenomeni proprii dell'atto u conoscitivo , comech rimanessero oscuri ed inesplicabili, non impedirebbero tuttavia di cercare con buon successo la prova u fondamentale di tutto lo scibile 99 ( s' oda qui bene la ragione che adduce per la prima volta , non avendo toccato punto di ci precedentemente ) , conciossiach l' atto di conoscere , dee venire considerato siccome un istrumento di pi aggiunto alle pongono gi resistenza e Fuso di altri universali, onde pu dubitarsi, se questi idtimi sieno mai stati prodotti da particolari paragonati, e perdo se rispondano puntualmente ad alcuna realit (i). Converrebbe qui osservare, esser falso, che la verit degli universali consista nel riferirsi puntualmente ad alcune realit particolari. Anche quando non vi fosse alcun uomo al mondo, n vi fosse mai stato, anche allora Fidea universale di uomo sarebbe ugualmente vera, perocch ella non ha per oggetto che l'uomo possibile e necessario , e non V uomo reale : che la sus- sistenza di un uomo un puro accidente, il quale non altera per nulla l'immutabile e semplicissima idea di uomo , necessa- ria, senza contingenza, e indipendente da ogni accidentalit. Che se io applicassi Pidea di uomo ad un cane, affermando che questo bruto un uomo; io errerei nell'uso dell'idea di uomo, e la fallacia sarebbe mia, non dell'idea. E panni d'avere 2 pieno dimostrato in altri miei scritti , quanto sia vero quello che insegnavano gli antichi, cio che il falso non cade mai (i) P. II, e. X, VII. 48 nelle idee, bens ne^ giudizj nostri, co^ cpiali o malamente le- ghiamo le idee fra di loro, o malamente le applichiamo alle cose reali. E sebbene questo errore del nostro autore sia a lui di grarissimo danno, come vedremo appresso, tuttavia qui non vogliamo maggiormente trarlo in luce, contenti di averlo ae- ceimato al lettore. Lasciamo adunque intatta la obbjezione ch^egU fa a se stesso, ed udiamo come egli procaccia di risolverla. CAPITOLO XXU. Ek^GO fedelmente riferite le sue parole, degne di tutta F at- tenzione: tf Noi nel definire la idea universale abbiamo notato cVella u risponde alla certa realit dei fatti per lo squisito riferimento a che tiene coi termini del paragone, i quali debbono essere u costituiti da alquanti particolari concreti, di cui si giudica u come d'ogni vera e singola realit " (i). S'attenda bene al filo di questo singolare ragionamento. Riassumiamo in prima Pobbjezione. Ella diceva, che m si pu M dubitare se alcuni universali sieno stati prodotti da partico- lari paragonati, e perci se rispondano puntualmente ad al- cuna reaht 99. E perch si pu dubitare? perch essendo alcuni universali Topera del giudizio conoscitivo, suppongono tf gi resistenza e V uso di altri universali n , de' quaU non si conosce P origine. Or il Manani risponde negando che si possa mai dubitare, che vi abbiano degli universali che non rispondano puntual- mente ad alcuna realit. E perch ? perch a noi nel definire tf la idea universale abbiamo notato ch^eQa risponda alla certa m realit dei fatti ". E come fu, che voi avete ci notato? u per K lo squisito riferimento che tiene coi termini del paragone , w i quali debbono essere costituiti da alquanti particolari con- M creti, di cui si giudica come d^ogni vera e singola idealit . Spieghiamoci pi chiaro. Il C. Mamiani in questo X Capitolo deUa II Parte del suo libro parla degli universali, e toglie a (1) P. U, X, viu 49 duitraTiie rorgiiie mediante FasioaB aempUce e naturale lUle &colta ordinarie di nostra mente ^*{i)y cio principaL- amte della facolt di astrarre, e mediante u Patto del a giudicio il quale vi incluso (a), atto che u compicsi tf pel dimorare e per Y alternarsi dell^ attenzione sui termini u di esso giudicio 9 (3). In una parola, col paragone de^ par* ticolari si formano gli universali, secondo il Mamiani: la rea* lit o verit di questi nasce appunto dal conservare ch^essi fauno questa relazione coi particolari da^ quali sono nati: u II volgo e i filosofi concordano in credere che la realit ob ti bjettiva delle nozioni del simile o del dissimile consiste nella tf rispondenza e proporzione squisita che quelle nozioni man- tf tengono coi termini della rtdazione (4)- Di passaggio osservo, che poco prima egli avea messi alle pese alcuni filosofi col senso comune del volgo, cio tutti quelli che mettono le forme e le nozioni universali a priori^ e che non si contentano di spiegarle per via de^ pariicolari e dell'induzione da quelli^ ed or qui il Mamiani mette volgo e filosofi tutti d^ accordo nel definire in nto de^ particolari. o* joLanMum oi% Disegnilo. Rester dunque il dubbio sulla loro verit, la qual consiste nella rispondenza loro a^ particolari, che sono le iole cose reali. (i) P. II, X, m. (a) Ivi, IV. (3) Ivi. (4) Ivi ,iu. Rosmini , // Jlinnovamento. y 5o C ManUani. Questo dubbio non pu sollevarsi, peluche nel definire la idea universale noi abbiamo gi notato ch^ella r- sponde alla certa realit de^ fatti. Discepolo. Come l'avete provato? C. Mamiani. Ho provato che gli universali rispondono sem- pre alla realit de' fatti, perch essi si riferiscono squisita- mente a' particolari concreti. Discepolo. perch si riferiscono sempre cosi squisitamente a' particolari concreti? C. Mamiani. Perch questi particolari sono i termini para- gonati, dal qual paragone col giudizio conoscitivo si sono for- mati gli universali. Discepolo. Doh come questo? Udendo 'io, che gli univer^ sali sono formati, secondo voi, dal giudizio de' particolari pa- ragonati fra loro, io vi facevo appunto osservare, che una tale formazione supponeva degli altri universali precedenti d' altra formazione, de' quali non si potea sapere se avessero quella che voi chiamate vei*it oggettiva , perocch non potevano esser venuti dal paragone de' particolari^ e voi mi rispondete che questo dubbio non pu nascere, perch si riferiscono di neces sita a' particolari, perch da questi sono derivati? Ognuno giudichi di questo circolare ragionamento, che non dimanda certo da noi chiose o commenti^ e decida se ha ra- gione il maestro che insegna, o il discepolo che si trova im pacciato nell' intendere la dottrina di lui. CAPITOLO xxin. Il Mamiani stesso non credo rimanesse contento della so- luone della sua obbjezione. E il deduco da un u adunque y* , col quale egli lega un altro periodo a quello che ho citato di sopra contenente la soluzione deirobbjezione fattasi. Nel periodo primo avea risposto, come abbiamo veduto, al- l' obbjezione , dicendo che era gi stato da lui notato , come la idea universale risponda alla certa realit de' fatti, o sia de' particolari concreti, di cui in formandola si giudica come d'ogni vera e singola realit. Il pei'iodo soggiunto a questa so luzione e legato colla particella adunque >) il seguente; Si Adunque le idee universali j che non lasciassero scuopi*ire fii sj n altre idee universalizzate da cui si originino, n i ir rferinienti loro esatti a qualunque concreto , siccome ter-* MISI DI PARAGONE , uou lascicrcbbono credere n tampoco a alla loro certa rappresentanza di qualche fatto, e rimarreb- bono , all^ occhio del buon giudicio , un puro essere di ra- gione n (i). Or primieramente non si vede come stia bene in capo a que- sto periodo la particella congiuntiva a adunque n , la quale vuol indicare di slito una conseguenza di ci che si afTer** mato. Ma tanto lungi che ci che sta in questo ultimo pe- riodo sia una conseguenza di ci che fu detto nel primo, che anzi il contrario appunto di ci che fu detto in quello. Nel primo si diceva che nel definire la idea universale fu notato ch^eUa risponde alla certa realit de^ fatti " , cio de^ particolari paragonati, e che dunque non pu cadere mai caso^ che la idea universale non si riferisca squisitamente a^ partico- lari, perch ci entra nella stessa sua definizione, e perch ogni idea universale ha origine dal giudizio istituito su^ par- ticolari paragonati. Nel secondo periodo si suppone che vi possano essere delle idee universali, le quali non lascino scuoprre di s n altre idee universalizzate da cui si originino, n i riferimenti loro a qiialun Che cosa si volea provare? La realit delle idee univer- sali, o sia la loro verit. Ora questa collocata dal C. Ma- miani ncUa rispondenza e proporzione squisita coi termini u della relazione " (i) Perci il torre a provare, come fa il nostro autore in questo Capitolo che abbiamo alle mani, la verit o realit delle idee universali, il medesimo che il torre a provare che queste sempre si riferiscono a de' parti- colari concreti : Adunque , dice lo stesso C. Mamiani , oc- corre alla nostra filosofia dimostrare che le idee tutte a universali rispondono bene alla realit oggettiva f* (a)^ sona sue parole , dove non parla di alcune , ma di tutte le idee universali, nessuna esclusa. Adunque, dico io, se vi avessero delle idee universali, le quali non lasciassero scuoprire i riferimenti loro esatti ai concreti, e fossero un puro essere di ragione^ in tal caso queste idee non avrebbero la verit oggettiva che il Conte Mamiani assunse di trovare entro a tutte indifferentemente tali idee universali. Ci posto, e dopo aver preso tale impegno, conveniva egli al C. Mamiani, che, venendogli posto in dubbio se tutte le () P. n, X, in. (a) Ivi. 53 Utt universali si foimassero dal paragone de^ particolari e a qaesti si riferissero, conveniva, dico, ch^egli rispondesse, cba e tali idee, se ve ne sono, non lascierebbono credere alla loro certa rappresentanza di qualche fatto, e rimarrebbono un a puro eaaere di ragione ? Sia pure tutto ci^ ma rimarrebbe sempre vero, che non tutte le idee universali sarebbero nate da 'particolari, e che non tutte a questi si riferirebbero, e che non tutte avrebbero la realit o verit obbjettiva, e che per il C. Mamiani non avrebbe soddisfatto al suo assunto, il quale era di provare che le idee tutte universali rispondono bene alla realit oggettiva " , assunto dichiarato da lui necessario, accioce cono- scinto che appuri esseri di ragione cio alle idee tutte compete il servire di regola e di misura della verit delle cose, e che esse stesse perci non possono esser mai fake^ sebbene.possano malamente venir connesse insieme, e malamente venire alle cose applicate, nella quale connessione e torta applicazione, op9*a del giudizio , cade appunto il falso e V errore. CAPITOLO XXVI- Non , e non pu essere mio intendimento il descrivere tutta la lotta intima, perpetua, che il C. Mamlani fa necessa* Hamente con s stesso^ perch non mio intendimento di es- 54 sere infinito. Anzi desidero esser breve ^ e per delle molte osser* vazioni a cui mi d materia questo Capitolo X del N. A., io non addurr che alcuna delle principali risguardanti il princi- pale proposito nostro , che la relazione che hanno insieme le due questioni dell^ origine e della dimostrazione dello scibile. Certo, egli parr cosa singolare, dopo che abbiamo veduto il C. M. provare la verit obbjettiva, o, come egli la chiama, la realit degli universali dalla loro origine , cio dal confronto de^ particolari concreti^ e dopo aver egli preteso di sciorre le obbjezioni contro si fatta realit partendo di nuovo con vi- zioso circolo dalla medesima origine^ egli singolare, dissi, r udire il N. A. a vantai*si di aver al tutto eliminata la questione delP origine , e provata la verit degli universali senza entrar punto nel gineprajo di questa questione: ^ Ve- K desi da ci, ecco le sue parole, una conferma nuova del c( grande vantaggio che si raccoglie a sceverare la quistione tf della realit dello scibile da quella tenebrosa e arcana delle sue sorgenti primitive^ perch quando pure di alcune universali idee resti occulta P origine, non per tal fatto c( dee rimanere occulta di forza la loro realit e il modo di a bene avverarla rt (i). Tuttavia io vorrei essere indulgente sopra questa intrinseca incoerenza, quando il C. Mamiani, trascinato dalla serie de' ragionamenti, fosse entrato nel campo della questione circa la formazione degli universali, senza accorgersene^ come talora suole accadere a due amici, che passeggiando e in piacevoli ragionamenti intrattenendosi, trascorrono i confini che s'eran posti, senza avvedersene. Quello che io non posso capire n perdonare , si come il N. A. tanto insista sulla separazione di quelle due questioni, e sull^ indipendenza di quella della dimostrazione dello scibile, da quella delF origine^ quando poco innanzi, non solo per trattare della prima avea preso le mosse dal trattare della se- conda; ma, quello che il pi strano, prima di farlo, egli medesimo aveva confessato ingenuamente, che ci gli era ne- (i) P. n, X, VII. 55 coaro per le esigente della sua filosofia ! ! Le sue parole oa sono equi^odie, perocch sono queste: Occorre alla nostra filosofia dimostrare che: simili idee (universali) acquistano la universit e immutabilit loro non da foime ingenite e da giudicii a priori istintivi, ma per Fazione sem- a plice e naturale delle facolt ordinarie di nostra mente (i). Dunque alla filosofia del G. Mamiani, che versa tutta sulla prava ddlo scibile, occorre la questione dell^ origine dellMdee: diuiqoe non pu fisare egli medesimo a meno di questa : dun- que non vero, secondo lui stesso, ci che tanto ripete, che k prova dello scibile pos^ stare senza conoscersi Forigine, o derivazione delle cognizioni. CAPITOLO xxvn. Nelle parole or ora allegate del C. Mamiani si racchiudono due promesse. La prima di u dimostrare che le idee universali non acquistano la universalit e inmiutabilit loro ( il che K quanto dire, non hanno P origine) da forme ingenite e da a giudicii a priori istintivi ; questa la parte confutativa^ che intende a ribattere gli altrui sistemi intomo all^ origine degli universali: la seconda promessa di dimostrare che gli universali si formano per Fazione semplice e naturale delle K fcicolt ordinarie di nostra mente ^ questa la parte con* fiimativa, nella quale Fautor nostro propone il suo sistema circa Forigine degli universali, e il propone per fabbricarvi poi sopra la sua teoria della loro certezza. Non sar mica inutile, che noi sguardiamo un poco attenta- mente alla maniera colla quale combatte i suoi avversai*], cio i filosofi 9 che riputando impossibile il trarre gli imiversali dai sensi e dall'induzione, ammettono qualche elemento di naturai cognizione precedente all' esercizio delle facolt. L'argomento contro di essi il Seguente: Coloro che esclu- dono affatto F esperienza induttiva dalle cagioni efficienti . P. 11^ X, vh. 6i talmente diverse producenti uno stesso risultamento, sono die possibili, od involgono pi tosto intrinseca contraddizione? Io per me tengo questo per cosa al tutto ripugnante: e a Jimostrarlo, troncando la via ad ogni replica, cosi discorro: Cbe sono gli universali? quali sono i loro essenziali e pro- prj caratteri? Acciocch nello stabilire questi non si possa ca* Tillare, cercbiamoli nel libro appunto del G. Mamiani. Fra^ caratteri essenziali dell^idea universale, oltre la necessit t Pimmutabilit, v^ba quello da cui deriva il suo nome, cio la universalit: quelle idee dimostrano, dice il G. M., avere m una comprensione (i) senza limite, onde vogliono essere de- nominate non soltanto generali , ma universali e infinite (2). Poco JTTiafiM egli reca in esempio Fidea astratta della sfericit. Ella universale, dice. Imperocch la ragione medesima, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli oggetti onde fu ricavata (3), la fa convenire con tutti gli altri reali e a possibili, che fra le condizioni varie del loro essere inclu- dono la sfericit. perch il numero di questi non li- mitato , ma trascende la creazione medesima e spazia nel-* l'immensit del possibile, cosi Fidea astratta della sfericit ft vera idea universale e di comprensione (estensione) in finita, cio a dire cVella un tipo e un esempio, nel (i) Volea dire estensione m. Ognun sa che nellt lingua filosofica fu ge- DeraliDeale convenuto , che sotto la parola di r comprensione delle idee > 1^ indicasse il numero delle note comprese nell'idea^ e sotto la parola di estensione il numero degli oggetti possibili a cui V idea si stende : di maniera che una comune osserfazione che si trova in tutte filosofie quella die la comprensione e l'estensione delle idee stanno in ragione inversa fra loro M, e che perci le idee di pi comprensione hanno una minor estensione cio s'estendono a minori classi di oggettive viceversa. Sarebbe desiderabile che il C. Mamiani avesse pi famigliare il linguaggio de' filosofi: perocch aolto nuoce al trovamento e all' insegnamento del vero l' impropriet del parlare. (a) P. n, X, ni. (3) Suppone anche qui per indubitato il sistema de' sensisti intomo al- l'origine delle idee e sa di esso innalza i suoi ragionamenti. Sicch se ddl'orgine delle idee non si potesse avere una certa sentenza > come il no- ttro autore pretende ella sarebbe spacciata della sua filosofia : ella rimar* rebbe mortalmente ammalata del malore cronico che si chiana scetticismo. 62 quale vediamo rappresentata una forma di estensione pro- pria a smisurato numero di soggetti (i) . Dunque, secondo il N. A., ci che forma il proprio, il costitutivo dell'idea universale, si lo stendersi a tutti gli og- getti possibili da lei rappresentati , i quali sono infiniti. In questo convengono necessariamente tutte le idee universali, e senza di questo carattere non sarcbbevi universale. E per tornerebbe cosa assurda il partire le idee universali in due classi, le une che si stendessero quanto il possibile, cio al- r infinito, le aitile che non abbracciassero se non un certo numero di oggetti finito. Queste ultime non sarebbero pi uni- versali; e ove si desse loro questa appellazione, si abuserebbe con ci delle parole, si mentirebbe filosoficamente, perocch la menzogna de' filosofi appimto quella per la quale essi travestono un oggetto alla foggia d'un altro, e il fanno pas- sare nel discorso sotto un finto nome e non suo. Si ritenga bene tutto ci, perocch queste osservazioni ci debbono qua e col cader pi volte in acconcio. Per ora basta a noi di conchiudere, che formare un univer- sale, secondo la trovata definizione, quanto formare un tipo o im esempio , come dice il Mamiani, ove rappresen- tato un infinito numero di oggetti, cio tutti i possibili. Or bene: se cos , il processo della formazione di tali idee, dico io, non pu esser che uno. Perocch, lasciando quello che in tale processo pu caderci di accidentale, noi ci dobbiamo finalmente sempre ridurre a questo , di perve- nire colle operazioni dello spirito nostro a formai'ci una rap- presentazione o un pensiero, che si stenda a tutta l'infinit del possibile. Ora o questa operazione colla quale la veduta del nostro spirito si stende all' immensit del possibile con- tiene essenzialmente il giudizio conoscitivo , ovvero non lo con- tiene. Se lo contiene, dunque non ne pu fare giammai a meno; e per non si possono formai'C idee universali senza il detto giudizio. Se poi noi contiene, il giudizio non ha che fare in modo veruno nella formazione delle idee universali, e con- vien dire che si fanno tutte senza di lui. (i) p. n, X, IV. 63 Quando adunque il nosti*o G. M. forma prima le idee me- diante r opera del fpudizio conoscitivo, e poi toglie a mostrar^ che si possono fare anche senza quel giudzio, egli dice un assordo manifesto, nascente dal non avere osservato, opi to- sto dal non aver tenuto costantemente nella mente questo vero^ che la formazione delP universale in ultimo non che una opera- zione semplicissima, una veduta dello spirito, che in veggendo un oggetto il considera negli spazj infiniti della sua possibilit^ Non si danno dunque nello spirito due facolt degli univer* sali^ ma mia facolt sola, come uno solo U oggetto suo, una sola la vista dell^ infinito^ e questa facolt degli universali la facolt appunto che intuisce il possibile. CAPITOLO XXXU, E anche qui dobbiamo notare P incoerenza delle idee del nostro autore. Il Mamiani pone P essenza delle idee universali giustamente nella loro universalit; conosce altres ed insegna , che questa universalit non vi sarebbe, se ella non si stendesse a tutti i possibili^ e perch questi sono infiniti, attribuisce alle idee universali F infinit. In tutto questo si sente il filosofo che cei*ca e che tiova il vero, senza aver preso di lui timore o sospetto, che gli possa sconciare una opinione preconceputa. Ma vuoisi vedere tosta- moite il filosofo disparito , e rimastoci V uomo avviluppato in un pregiudizio sistematico che noi lascia pi scorgere il rag- gio che prima vedeva, riuscendogli troppo acerbo, che a quella luce di verit, la vagheggiata opinione siccome tenebra si di* sgombri? Ecco il nostro autore impegnato a mostrarci come nella formazione dell^ idee non ci bisogni il giudizio conosci-* tivo, venuto in timore, che se questo giudizio (dal quale per egh medesimo dedusse prima gli universali ) ci bisognasse, la sarebbe finita del suo sistema. Veggiamo come conduce la sua dimostrazione. Egli comincia a porre per fondamento di tutto il suo di- corso, che alla fonnazione delle idee universali coucoi*rono prodotta la medesimezza delle cose il pi- piccol nimiero di voi- te^ tuttavia soprabbasta all^uopo nostro di attenerci alla conl sapere se alla furmaaione degli uuiversali faccia bisoguo si o no il gi* dizio conoscitivo^ nel che sta tutto il nodo della questione. Come annunzia il nostro autore si fatto assunto? Con queste parole: fr Verremo sponendo sin dove crediamo che giunga l'azione diretta e necessaria At\ giudicto m conoscitivo sulla formazione delle idee universiili m ( P. If^ e. X, vii ). Or chi non vde che quella parola dircUa distrugge l'assunto medesimo? Non si tratta di cercare se il giudizio conoscitivo operi direttamente o ia- direttamente alla formazione degli universali , ma se la sua azione^ in qual- iiasi modo vi bisogni. O sia diretta, o sia indiretta l'azione che egli vi ercita; se questa necessaria, rimau vero che a formare gli universali iadinpensabile toma d giudizio couottcilivo RosMUii^ // JUnnoyammto. 9 66 ci verissimo il contrario, cio che le idee universali fatti- zie ne suppongono alcun^ altra universale dinnanzi ad esse non fattizia, coll^ajuto della quale quelle si formino. CAPITOLO XXXUI. Chi volesse rendere una qualche ragione di un si smip surato sgarrare, la troverebbe probabilmente in quel copiosis- simo fonte di sofismi, che il mutare concetto alle cose di cui si i-agiona, o piuttosto significato alle parole. Cosi nello sragionamento surriferito , egli par verosimile che il nostro au- tore, dopo avere collocato il concetto delPidea universale nello stendersi che ella fa allMnfinito, cio a tutto il possibile , abbia poi smarrito dall^ attenzione questo giusto concetto, per la preoc- cupazione della mente impegnata nel sistema careggiato, pi- gliando in quella vece Fidea universale per una idea di ci che hanno le cose di comune o d^ identico, ripetibile in un certo numero di oggetti, non per infinito. Come che sia, egli manifesto che non si pu con una sola voce nominar due cose infinitamente distinte fra loro, come sarebbero quelle due specie dUdee (se elle vi avessero), e che la questione non si volge che alla prima specie, dove solo sta il nodo, che non si dee gi nascondere o involare agli occhi proprj ed altrui, ma sciorre. CAPITOLO XXXIV. E qui egli necessario, che noi notiamo un^ altra cosa. In qual maniera il Maniiani ricorrendo a quel doppio processo di operazioni d^Uo spirito, riuscenti ad uno stesso fine, cio a produrre delle idee universali, crede di poterne persuadere i suoi lettori? Distinguendo i tempi dello sviluppamento umano. Egli liccord^ pienamente, che, parlando dello stato presente del nostro intelletto, noi non possiamo formare Tatto di conoscere 9enza un giudizio, n un giudizio senza idee universali (i)^ 0)P. II, e. IV, V. .6? t per toglie anco ad esporre la teoria degli universali nel modo che la si pu costruire e praticare attualmente, cio icon r intervenzione assidua dell^atto conoscitivo n (i). Ma se Bon cn fosse stata altra via che questa dell' atto conoscitivo a fannare gli universali ^ se F atto di conoscere fosse sempre stato lo stesso, e avesse avuti sempre i costitutivi medesimi che ha Q^d^ la sarebbe stata imbrogliata assai pel sistema abbrao dito tenacemente dal C. M . Adunque era a lui necessario il ricor-* rare indietro all'et dell'infanzia, e cercar nell'ombre di questa ilsoo rifugio: era necessario, che egli venisse prima ponendo il dnbbio, se forse siasi allora da noi conosciuto senza bisogno dell'atto conoscitivo, e giudicato senza il giudizio che adope ritmo presentemente: proseguendo poi su questa via del dubi- tare, allora avremo forse formati gli universali senz'accorger^ cene, per mezzo d'istinti e d'altre operazioni, che non esigono precedenti imiversali. Non bastava ancora tutto ci: era ne- cessario che questo dubbio si rendesse verosimile^ e che final* BKnte nell' animo de' lettori si venisse insinuando per certo : cosi su questa certezza si fabbricasse una dimostrazione di tttto lo scibile, dedotta per una serie di teoremi purissimi ^ somiglianti alla geometria n (2). CAPITOLO XXXV- E quanto al proporre come un semplice dubbio questo, che nell'et infantile avessimo noi un altro mezzo diverso da quello che presentemente abbiamo di formare le idee univer^ sali, egli crede di poterlo fare a sicurt- Perocch a tal uopo ha gi precedentemente insegnato in forma di aforismo, che la storia dell'intelligenza ha por legge dell' essere suo una porzione positiva ed un' altra congetturale , e m stante che la nostra reminiscenza non pu rendere testimonio ve- it runo delle prime cogitazioni e che fra quelle e gli attuali fenomeni non sembra correre alcuna identit necessaria ^ segue che la ricerca intomo le origini dell' intelligenza sia di natura congetturale e non positiva (3). 0) P. n, e. X, vn. (a) P. II, e. XX, 11. (3) P. I, e. XVI, 6* afor. 68 Su questo insegnamento aforistico potrei fra V altre cose osservare, che se la nostra reminiscenza non pu rendere testi- monio veruno delle prime cogitazioni , e se non ci ha un altro mezzo da conoscerne la natura , in tal caso la cognizione no-* tra intomo alla natura di que^ primi nostri pensieri non pur conghietturale , ma nulla afiatto. Se poi v^ ha qualche altro ai^o^ mento a poterli conoscere , non si pu pi affermare , che que^ sto argomento sia anzi conghietturale che certo, se non si dice qnal sia, e non si mostra il grado di forza e di autorit che egli possiede. Le riferite parole adunque, fino a che non si fiancheggiano di prove, nulla conchiudono, come quelle che gratuitamente furono dette. Ma or riceviamole per vere , e cerchiamo di conoscere qual profitto possa ritrarre da quelle il N. A. CAPITOLO XXXVI. Tutto il profitto eh' egli pu cavarne, se alcuno ne pu, si riduce a questo ragionamento. Ci che avvenuto in noi nella prima et, non si sa che dubbiosamente: dunque non si pu n affermare n negare che l'atto di conoscere fosse in quei primi sviluppamenti dell' uomo quale al presente , o che abbia inchiuso il giudizio, e avuto bisogno del lume di qualche uni- versale: dunque i filosofi, che affermano questo bisogno con- tro di noi che facciamo venire ogni idea da' sensi e dall'in- duzione, r afirmano temerariamente, peccando nel buon me- todo, perch danno per eerto quello che conghietturale. Ma qui io non veggo, che sicurt possano dare al N. A.- queste tenebre dell'infanzia. Convien considerare in primo luo- go , che per gli avversar) di lui dee valere la stessa logica che per esso ,e che per gli possono ritorcer contro l' argomento in questa maniera: Quando per noi sia incerto che i primi atti di conoscere sieno stati fatti con una precedente idea universale , non dee esser pi certo per voi che si sieno fatti senza di quella. Ma voi fondate tutta la vostra dimostra- zione dello scibile sul supposto , che quegli atti primi non ab- biano avuto bisogno di nessuna idea precedente, e per che non se ne debba ammettere veruna d'innata, ma tutte sicuo nostra formazione. Ihmqne anco la TOitra prova dello sci- bSe non pi che congluettnrale^ dunque la oerteua dello jt3>ile *non dimoetrata, dunqne siete scettico, bench il neghiate di tanta forza. CAPITOLO xxxvn. Che potrebbe rispondere a si fatto ragionare il C. Mamiani? Forse, che la formazione nostra di tutte le idee appartiene a noi , quando anco i primi atti di conoscere che fa il fanciul- letto involgessero il giudizio conoscitivo, e fossero della stessa natura con gli atti di conoscere che fa di presente lo spirito nostro? Non pu ^perocch egli accord che Tatto di conoscere nello stato nostro presente suppone sempre un giudizio, ed un^ idea universale anteriore. Forse non esser vero , ch^ egli appoggi la sua dimostrazione dello scibile sopra la teorica del- Porigine delle idee? Ma noi non abbiamo asserito questo, senza dame le prove cavate dal suo libro, recate nelle sue proprie parole. E se non basta, siamo presti d^'addume altre ed altre , e le recheremo di fatto pi sotto. Forse che la sua dimostrazione dello scibile rimanga intatta, quand^ anco si am- metta qualche notizia congenita 7 Ma egli stesso s^ accorge, ci non poter essere^ egli stesso si fa robbjezione, che se v^ha qualche cosa in noi, non prodotto da noi, questo non ap- partiene alla sua dimostrazione dello scibile, la qual comin eia colla certezza dellMntuizione immediata, alla quale intui- zione precederebbe quella notizia innata, e per non riceve* rebbe prova dalP evidenza della intuizione. Riman dunque fermo, che se dubbiosa pe^suoi awersarj r origine delle idee, dubbiosa ugualmente per lui , e in con- seguenza anche la sua prova dello scibile zoppica dello stesso piede, come quella che un oorollario della teoria dell^o- rgine del sapere. CAPITOLO xxxvm. Ma egli stesso confessa in un luogo, che anche per lui ri- nian dubbiosa la soluzione del problema dell^ origine, dicendo: 70 m non osiamo credere di avere rimosse le difficolt e le m tenebre che involgono la spiegazione della facolt conosci- tiva n (i)^ e pi sotto: ulo sguardo acuto dei filosofi non u sa rintracciare con sicurezza n gli atti primitivi , n le a forme primitive delle nostre cogitazioni u (2). Or come saremo noi certi, che la facolt conoscitiva non e' inganna, s'ella per noi involta nelle tenebre? e se gli atti primitivi, e le forme primitive delle nostre cogitazioni sono sfuggite sin ora allo sguardo acuto de' filosofi? Sfuggite al nostro sguardo, come saprerio eh' elle non ci sono mendaci? se non na veggiamo la natura , come potremo vederne la ve- racit? CAPITOLO XXXIX. In fine, tutte queste parole nostre sono soverchie, dopo aver noi mostrato, che cosa intrinsecamente assurda l'ammet- tere due processi di operazioni intellettuali nell'uomo, con entrambi i quali si formino le stesse idee universali (3). E perocch il Mamiani ammette per certo, che il processo che noi usiamo di presente a formare gli universali involge il giudizio conoscitivo, e con questo la precedenza di qual- che universale^ dunque non pu pi ammettersi n pure per dubbioso e per conghietturale quell'altro processo della for- mazicme. degli universali cercato nelle tenebre dell'infanzia, o pi tosto supposto in esse come possibile. Egli non pur possibile, ma si dee al tutto abbandonare^ nasca che sa na- scere delle teoriche del N. . Che se cos non fosse, e rimanesse al G. M. almeno la possibilit di que' due processi di operazioni intellettive ch'egli introduce a produrre gli universali ^ l'uno dello stato nostro presente, l'altro dell'infantile^ io credo tuttavia, che volendo il N, A. compire le parti di buon filosofo , egli non potrebbe a meno di appagare i suoi discepoli o i suoi lettori di alcune risposte a certe loro dimande, che ragionevolmente gh verrebber facendo^ n senza ci, egli potrebbe rendere il dubbio da lui proposto verisimile. (i) P. II, e- XI, IV. (a) Ivi; (3) C. XXXL A ragion d^ esempio, ben naturale, che la giusta curiosit a alcuno de' suoi uditori gli volgesse queste interrogazioni : ti Voi dite, che nel presente stato del nostro intendimento, noi formiamo gli universali col giudizio conoscitivo, e par mediante degli imiversali precedenti. Io vorrei sapere in qual et, o almeno in quale grado ed epoca di suo sviluppamento, k) spirito dell'uomo abbando^iasse il primo processo di opera- xoni mentali, onde egli formava gli universali senza univer- sali precedenti, e abbracciasse il secondo processo. O se ci non potete determinare, soddisfatemi almeno di un' altra cosa. Voi insegnate , che senza bisogno di giudizio conoscitivo , e di universali precedenti, lo spirito pu formare a s stesso delle idee che rappresentano un certo numero indefinito di oggetti , numero per altro sempre finito. Questi sono gli universali che in fine del conto voi trovate possibili a farsi senza V ajuto di idee universali precedenti, i quali, anche stando alla vostra stessa definizione, universali non sono, n osate pure di la- sciame loro il nome, imponendo ad essi in vece di questo, il nome di generali. Ma non contando ci, vi chieggo, e siete paimi obbligato d'appagarmi, che mi dimostriate possibile il passaggio dello spirito da idee che rappresentano un numero finito di oggetti, ad idee che ne rappresentano un numero infinito quant' il possibile, senza che lo spirito possegga l'i- dea universale e infinita del possibile stesso ^ e m' acconten- ter se dimostriate la possibilit di questo passaggio, bench non possiate assegnarmi il momento, nel quale lo spirito fece questo salto mortale. Un primo momento ci dee essere sta- to, se ella vera la vostra dottrina, nel quale un s terri- bQe salto fi tirato dallo spirito. A voi dunque spetta almeno di mostrarmene la possibiht^ perocch uno de' canoni del buon metodo vuole, che ove il filosofo introduce delle ipotesi, prima di tutto provi che sono possibili. Come rispondete voi al mio dubbio y ? U N. A. si troverebbe forte impacciato a trovare non un effigio, ma una risposta legittima alla dimanda del suo udi- tore. E se questi per avventui*a fosse un de' giovanotti acuti e ardltelli delle nostre Universit, cos gli prenderebbe for- 'anco a dire; 7 a Giacch voi esitate, Maestro 'mio, a provarmi eoa chiare ragioni la possibilit di quel passaggio, che volete pure far fare di forza alla povera mente umana, da idee non univer- saU ma finite, a idee universali e infinite^ vi dimostrer io in quella vece V impossibilita in cui voi siete di dimostrar- mela, e cosi vi torr dalla pena che V uom prova sempre, ove tenta di fare ci che non pu. Voi avete messo tutto in opera a rinvenire fin dove possano giungere le facolt in- tellettive, senza Fuso del giudizio conoscitivo e degli univer- sali , e per quanto vi siate dicervellato , per quanto le abbiate spronate queste povere facolt , cacciandole pi innanzi che non potesseit) andare^ tuttavia dove siete alla fin pervenuto? farle produrre delle idee non universali e infinite, ma delle idee che rappresentano un certo numero di oggetti indefi- nito si , ma sempre per finito. Che si dee conchiuder da ci ? cV elle non possono andare un passo pi innanzi secondo voi medesimo. Perocch non essendo elle riuscite a formarsi degli universali, esse facolt rimangono come prima, destitute di questo ajuto di univei*sali \ e per non possono andare pi di prima. voi stesso tirate questa conclusione , ove dite che tf colui , il quale raccogliesse qualche concetto d^ identit senza u possedere la idea del possibile e dell^ impossibile , non ver* u rebbe certo a concepire la multiplicazione infinita di quella K medesimezza (i), e per non verrebbe a concepire idee universali. A che pr adunque, soggiungeremo, entr il G. M. a cercare che cosa le facolt intellettive potessero senza ajuto di imiversali? egli non ne trasse pi'ofitto alcuno al suo sistema, perocch il nodo della questione rimase intatto, il qual nodo sempre ucome la mente possa formarsi gli universali senza uni- versali precedenti^ ed anzi pi che mai si rose palese, e fu suggellato dalle stesse confessioni ingenue del nostro autore questo vero, che la mente non pu produrre universali, senza l' AJUTO DI UN universale PRECEDENTE, ed qucUo del possi- bile^ e p^r che non tutti gli universali sono di nosti'a for (i) P, II, e. X, vu. 73 mazione, ma che uno almeno dee cssem dato da natura , ed come fanale della mente. CAPITOLO XL. Ma sebbene ilC.M. dichiari talora e senta, come vedemmo che alla sua filosofia occorre aver dimostrato, lo spirito no- stro intellettivo essere sfornito per natura di ogni prima noti- zia (i), tuttavia in altri luoghi toma poi a far solenni di- duanudoni dell^ indipendenza delle due questioni. E per fenno , egli dice in un luogo , che la nozione dell^ essere anteceda ogni altra idea generale., o sia loro tf contemporanea : cV ella sia innata, ovvero sperimentale , tf la certa realit trovata da noi fino qm nelle umane cono- c( scense, e in esse idee generali, rimane tuttavia la medesima: imperocch questa nozione dell^ essere pensata dal nostro au- tare (l^Ab. Rosmini) e descritta da lui , come idea affatto in- tf determinata, e che altro non pone se non la possibilit del- tf resistere, non pretende d stabilire a priori alcuna realit (2): che anzi vien dichiarato da esso Rosmini Pidea delF essere non avere nulla che fare col sussistere delle cose, il quale i conosciuto bens per mezzo di quella , ma non affermato tf e posto da quella n (3). ]Ma io non credo, che il lettore ricever per buona tale di-* chiarazione, ma la trover in molte parti viziata. (i) m Occorre alla nostra filosofia dimostrare che simili idee (univertali) acquistano U universit e immutabilit loro non da forme ingenite e da giudicii a priori istintivi , ma per V azione semplice e naturale delle fa- m colta ordinarie di nostra mente m. P. II, c. X , in. (a) Vorrei credere uu sospetto non temerario quello , che mi fa dubi- tare se il C. M amiani abbia letto molto innanzi nel Nuovo Saggio sult o- rigine deUe Idee che prende a confutare. La Sezione VII di quest' opera intitolata DtUe forze, del ragionamento a priori, e vi si dimostra lunga - nenie che a priori si pu stabilire la realit suprema e compiuta , cio* h sussistenza di Dio. Mostravisi ancora , che a ftriori non pu essere diottstrata vertin' ahra realit ; perch tutte le altre sono contingenti, e non ueessarie: ed essendo contingenti > ea^ non possono venir da noi cono* lolite che mediante una cognizione acquisita, e non necessaria. (3) P. II, e. XI, I. Rosmini , // Jnnovamcnto. 1 o 7 (5). In somma avendo stabilito che le nostre facolt operano in due modi, Funo come avviene nell^uomo adulto coll^atto conoscitivo. Tal' xo come avviene nell^infante senza Patto conoscitivo; egli non parla cbe dello scibile prodotto coU^ atto conoscitivo , dello (1) P. n, IV, VII. (a) P. n, X, VII. (3) Questo w quasi mai m dice molto: dice, che il G. Mamiani non Mro del fatto suo. Fino cbe si tratta di notizie conghietturali, la dottrina quelle fondata non sar mai certa. Il quasi suol essere per lo pi una gran parola antifilosofica I (4) P. Il, e V, li. (5) Ivi 78 scibile nostro presente^ parendo a lui, che il fondare i suoi ragionamenti sull^ altro modo di conoscere originario e infan- tile , sarebbe stato un fondarli sull^ arena , non dandosi di questo modo che incerte conghietture. Sicch riassumendo in fine la sua teoria della verit dello scibile, si compiace di que- sta solidit di base data al suo ragionamento coir aver tutto dedotto da ci che essenziale air atto conoscitivo : m A fine, dice, che la dimostrazione s^ appropriasse a tutti i casi reali e possibili, abbiamo ogni cosa dedotta non da qual- u che specialit del pensiero, ma da ci che in lui dimora perennemente, e costituisce Pessenza dell^atto conoscitivo (i). Dove non posso tralasciare un^ osservazione su quella frase specialit del pensiero . Rammentandomi io , che il N. A. insegn avervi un esercizio delle facolt intellettive, senza Patto conoscitivo^ mi trovo ve- ramente in impaccio a conciliarlo seco stesso, quando in questo luogo afferma non dedurre egli la sua dimostrazione dello scibile da u qualche specialit del pensiero " appunto perch la de- duce dair atto conoscitivo. Anzi quelP atto non pu esser per lui che una cotale specialit del pensiero, dopo che il dichiar a un istrumento di pi t?, aggiunto alle altre fa- colt intellettive, le quali operarono, e possono operare senza di lui. Per conciliare in qualche modo il N. A. seco stesso, non veggo altra via , che quella d' intendere questo suo passo in modo, ch'egli non s'applichi se non al pensiero del- l'uomo adidto, e cosi voglia dire, che l'atto conoscitivo non una specialit di questo pensiero dell'adulto , perocch non v'ha pensiero nell'adulto senza quell'atto. Ma non posso seguitare a leggere nel suo Ubro le parole che vengono appresso alle citate, senza che io non m'abbatta ad un'altra difficolt maggiore, la quale strugge la concilia- zione da me proposta. Perocch da prima egli annovera quali (i) P. II, XX, II. L'atto conoscitivo lo introduce per forma ch'egli anii il domanda per postulato senza pi. Si concluso , - dice , lo scibile M umano appoggiare ad una certezza immediata e indubitabile , e la di- M mostrazione de' varj aspetti nei quali trasformasi , domandare il sol vono" e LATO dell'atto conoscitivo *> ( Ivi ). 79 imo le disposizioni peipetue , com^ egli le chiama, delPatto conoscitivo: poi prendendo Fespressione di giudicio cono- iotivo (i) per sinonimo di u atto conoscitivo , cosi con- chiade: a Da si fatti essenziali del giudicio conoscitivo sca- tt turita nel nostro libro la spiegazione e la prova dei sette e modi costanti del vero, i quali alfine abbiamo veduto riu- sdre semplici variet e modi dell^ Intuizione immediata, di tf cui il giudicio conoscitivo pura e frequente specialit i> (2). Questo parlare sconcia intieramente la xx)nciliazione da me tentata. Imperoccli se il ^udizio conoscitivo una specialit dell^ In- tuizione ^ dunque non abbraccia tutte le specie e tutti i modi d^ intuizione. E se non abbraccia tutte le specie e modi d^ intui- zione, come deducendo il Mamiani la prova di tutto lo scibile dagli essenziali del giudizio conoscitivo afferma poi che questa prova non fi dedotta da una specialit del pensiero^ ma da ci che in lui dimora perennemente? Io non so onde uscire da qaesto labirinto, iui cui il N, A. mi ha preso seco, e fatto smarrire. CAPITOLO XLU. Ma torniamo in via. Dicevasi, che tutta la dimostrazione dello scibile lavorata dal N. A., risguarda quello scibile che (i) Nel cap. ly della P. Il , n,^ y, il nostro autore distngue il giudi* fio Goooscitivo ^ dall'aUo di conoscere, e fa che quello sia il primo ele- meolo di questo. Non si d buon metodo di filosofare ove non s conser* ^ioo i significati delle parole : perocch usando le stesse cose ed espressioni a significare cose difTerent, almeno senza avvertirne il lettore, Ja confiisionQ delle idee inevitabile^e in questa confusione allignano i paralogismi d'ogni maniera. molto da osservarsi, che anche nello stesso capitolo dove avea distinto il giudizio dall'atto di cognizione come una parte di questo , riepi- logando poi lo fa presso a poco una cosa con questo ; perocch dice h tutte quelle ( facolt ) che assistono immediatamente all' atto di cognizione son contenute ed epilogate nella facolt di giudicare m ( P. II, c. IV^ vn ). Cbi pu spiegare tanta incertezza ne' vocaboli , e nelle frasi ? chi sar ob Uigato di seguitare col pensiero tah frequenti variazioni? W P. II, XX, II. 8o fonnato dalPatto conoscitivo u tal quale risiede nella presente costituzione dei nostri intelletti (i). Ottimamente. Ma egli questo tutto lo scibile? questo non se non quello scibile che V uomo si forma colP atto cono- scitivo tal quale presentemente noi Pusiamo. Mi risponda dun- que il N. Autore Tuna di queste due cose: o non vi ha un altro scibile per noi, fuor di quello che vien formato da que- sto strumento delPatto e del giudizio conoscitivo^ ovvero vi ha un altro scibile, che Tuomo forma a se stesso, senza P inter- venzione di quel giudizio conoscitivo : qui non ci ha mezzo. Cosi adunque ragiono : se il N. . mi dice che tutto lo scibile umano proviene dall'atto e giudizio conoscitivo^ e bene, gli dico io, dunque Fuomo usa sempre di quest'atto di cono- scere^ dunque non v'ebbe mai un tempo nell'uomo nel quale egli potesse fame senza, dunque il giudizio conoscitivo non i gi un istrumento di pi aggiunto all'altre facolt intellettive, ma lo strumento unico , necessario, universale, col quale ope* rano le facolt intellettive, o almeno la prima di esse da cui tutte l'altre dipendono^ dunque falso, come voi sostenete, che senza il giudizio conoscitivo si possano formare delle idee^ dunque non tutti gli universali sono fattizj , ma ve n'ha almeno uno donato a noi per larghezza di natura, quello che indi- spensabilmente necessario acciocch si possa fare lo stesso primo giudizio conoscitivo, pel quale voi stesso conoscete la necessit di un precedente universale (2). Se poi il N. A. mi dice, che v'ha uno scibile formato da noi senza l'atto conoscitivo , coU'uso pi elementare delle facolt intellettive, come veramente talor dice e sostiene^ in tal caso io gir rispondo, che dunque lo scibile, di cui egli ha preso a di* mostrare la verit, non tutto lo scibile mnano, ma solamente una specialit di esso (com' egli suol parlare ), e per, che fugge (i)P. Il,c. IV, VI. (a) Vedi P. Il, IV. EgU dice fra l'altre cose ( P. II, e. IV, v ) die fc rinlinzioDe che presta materia allo scibile umano ha sempre hi forma u generale di conoscenza *. E prima avea detto m Due parti essenziali Cfh f stituiscono la conoscenza: Tatto del giudicare e dell' alfer mare, e l'o^* f getto giudicato e affermato . P. 11^ e. II , lu 8i Ha ma dimostrazione tutto queUo scibile^ che formato in . Od' prima che cominciamo a far uso delPatto e del giudizio coDOscitiTO. Di pi: il rimanere incerta e indimostrata questa pnma parte del saper nostro, taglia i nervi alla dimostrazione della certezza anche per la seconda parte: conciQ^iach il N. A, non tir una linea di divisione fra li due scibili cosi precisa e sensibile 9 che si possa subito sapere quale delle cognizioni nostre , o quali parti di esse appartengano a quello scibile che lia per suo fonte Fuso delle facolt intellettive senz^ atto cono scitivo, e quali a quello che da questo atto fu generato CAPITOLO XLIIL Un solo effugio potrebbe rimanere aperto al N. A. Egli probabilmente ci verr dicendo, che nel sapere pro ponga a s stesso fino a principio il problema della dimostra* zione dello scibile: egli dice cosi: (i) n C. M. riconosce in certi luoghi , che non vi ha maniera di certi' ficare il sapere umano , se non mettendo ad esame i mezzi di conoscere che finalmente sono i fonti, le orgini del sapere. Riassumendo le sue dot* trine , egli stesso dice di averne costruito r le basi sopra la critica dei no- r stri mezzi conoscitivi m ( P. II, c. XX^ nr ). Questo un riconoscere ma* ni&stameote la necessit di far giudizio m de' mezzi conoscitivi e per delle origini delle idee , questione , eh' egli dichiara cosi spesso di voler metter da parte. Lasciando ci^ egli ben certo, che la teoria del G. M., secondo il suo stesso giudizio sar mal condotta , se nel criticare i mezzi conoscitivi, ne abbia omroesso un solo. O convien dunque provare, che non ri abbia una conoscenza prima e naturale (innata); o convien sotto- mettere alla critica anche questa. Ma il G. M. dichiara quella cognizione innata non gi &lsa , ma incerta ; dunque rimane incerta la sua teoria. Il C. M. adunque prende errore, quando dice che la sua teoria riman femui euandjoch l' idea dell' essere fosse io noi naturale e coogenitii. 86 Provare le notizie umane rimovere ogni dubbiezza legittima dall^affermazione che includono : e ci non in quanto ai singoli oggetti di conoscenza, i quali sono infiniti ^ma in quanto alla forma loro comune. Imperocch facciam u caso che la forma generale di ricordanza sia dimostrata certa ed irrepugnabile, allora la verit di tutte quante le ricor- danze diviene possibile, e la fabit di alcune da recarsi ff a cagioni fortuite ed estrinseche r> (i). Ora che cosa questa forma comune n di cui si parla? Non altro, che un genere di cognizioni , le quali convengono in certi loro caratteri, che costituiscono appunto quella forma comune (2). Or come dunque sa il N. A., che dimostrata vera una forma di conoscenza, questa dimostrazione vale altres pe' singoli oggetti che sono ordinati sotto la idea generica che costituisce quella forma? E questo un vero tale, che non abbia bisogno di dimostrazione? in tal caso la sua dimostrazione dello scibile ammette prima di s molta parte di scibile non dimostrata, ma supposta e ricevuta gratuitamente per vera. E adunque falso, che la dimostrazione dello scibile esposta dal C. M. richiegga un solo postulato, quello dell'atto conosci- tivo: e che partendo da questo solo dato, ella venga poscia dedotta in una serie di teoremi purissimi simili a quelli della geometria. Qui non si suppone il solo atto conoscitivo , ma si suppongono le cognizioni ridotte in generi, e queste idee g-' nerlche, infallibili^ perocch se ci non si supponesse, non si potrebbe dire gi prima di cominciare la dimostrazione dello scibile, che dimostrata la verit di una forma generica di Co- noscenze, sono dimostrate altres le singolari conoscenze iti quella comprese. Lascio di osservare , che quand' anco ci tutto si dovesse ammettere senza prova alcuna, come pretende dover- glisi accordare il C. M. 5 ancora mancherebbe molto alla certezza: delle singole conoscenze^ imperocch a verificare ciascuna d (1) P. n, e. U, I. (a) Anche il nostro autore charma altrove ** (ortte geuercbe queste chissi in cui egli parte , per cosi dire, lo scibile. Riassumendo il suo libro dice M E cosi ci avvisiamo di avere compiuta la ricerca difficile di ognf M forma distinta e GNEaiC4 di verit ( P. Il, e. XVII^ i ). 87 esse, resterebbe a prorare ch^ella oompresa nella forma di- Bostrata^ e a ehi assume la dimostrazione dello scibile, spet* tcrebbe il provare che questa verificazione possibile, e non soggetta ad errore, almeno se fatta colla scorta di certe regole che rimarrebbero a stabilirsi. Ma ci postergando, cosi ragioniamo: il C. M., a dimostrare le cognizioni, prima le riduce in classi^ operazione arbitraria, perocch tale di cui non s^ ancor dimostrata la necessaria Yerit: ma tuttavia s^ ammetta. Or certo non avervi nes> suna idea, che non possa essere il fondamento di una classe di cognizioni singolari. Pi*endiamo pure la meno indeterminata delle idee, e sia quella d^un cavallo fornito di tutti i suoi ac- cidenti. Questa idea il mezzo, onde noi conosciamo tutti i cavalli sussistenti che esser possono, aventi quelle note nel- l'idea comprese, e questi cavalli reali e sussistenti possono es- sere infiniti. Quella idea dunque, sebbene idea della massima comprensione y come dicono i filosofi, e della minima esUn^ sione ^ per fondamento a singole cognizioni infinite. Ora se il C. M. non credette suo debito di provare la verit delle idee generiche, che fondano una classe pi estesa di cogni- zioni^ perch si creder poi egU obbligato a provare la verit delle idee specifiche, le quali fondano pure una classe di co gnizioni sebbene meno estesa? L^ arbitraria supposizione della veracit delle idee dee valere per le une e per le altre egualr mente ^ di che si trae la conseguenza, che la dimostrazione dello scibile del C. M* suppone precedentemente la verit di tutte le idee, nessuna eccettuata, come non bisognevole di di- mostrazione. Ora questo ben supporre di troppo : egli un farsi nessun caso dello scetticismo critico: e pure questo si pu dire Punica sbtcma scettico, di che sia necessaria la confutazione ne^ no-* stri tempi. Tirisi la conseguenza circa il metodo seguito dalP autor nostro nella sua dimostrazione dello scibile : ella questa: La via contraila a quella presa da lui Punica da battersi: le prime che debbonsi dimostrare veraci sono le idee , essendo esse i mezzi di conoscere i sussistenti: quando e converso eglj le vien prima supponendo : fra le idee poi la prima che esigei 68 dimostrazione la pi elementare di tutte ^ Tidea dell^cssere; ed egli se ne lava le md(xd (i). CAPITOLO XLVI. Ma sdbbene in pi luoghi il N. A. dia alle idee una pie** nissima fede, e quinci muova la dimostrazione dello scibile^ tuttavia in altri luoghi toma ad esse^ e toglie a dimostrarne la realit, cio la corrispondenza loro agli oggetti^ perch, dic^egli, u il reale caduto sotto la facolt nostra conoscitrice, u prende nome di verit (2). Dimostra duncpie le idee, in quanto, secondo lui, inchiu- dono un^ affermazione del reale (3)^ ma non in quanto ser- vono di principi direttivi della mente , cio in quanto sono fon- damento alle classificazioni delle cose, ecc. Questa distinzione Punico spediente che mi si dia innanzi a conciliare in qual- che modo una tale contraddizione dell^autor nostro, il quale comincia dal supporre le idee veraci, e poi a provarne la rea- lit loro lungamente favella. Se non che, di vero egli parmi non ben provveduto nella scelta del suo soggetto , quando da ima parte difende le idee rispetto ad un ufficio che esse non hanno, e dall^altra lascia lenza difesa il loro ufficio vero, proprio e naturale. V ufficio che le idee non hanno, e che loro attribuisce erroneamente il C. M., quello di rappresentare e affermare i sussistenti^ e in provare il legittimo adempimento di questo supposto loro ufficio egli s^ acuisce e si travaglia : Tufficio che hanno quello di dirigere lo spirito nostro nella percezione e nel ragiona* mento, del quale esse stabiliscono i principj^ e di questo egli non parla, ma incomincia a dirittura dal supporlo. (i) NoQ fi pu meUere in dubbio , che il G. M. non riconosca le idee anche generali per mezzi di conoscere. Anzi egli dice ^ r Si rileva eziandio fr da ci la cagione che hanno tutti gli uomini di ravvisare nelle idee g* f nerali non un mezzo soltanto di conoscere e concepire ad un tratto nu- * mero stragrande di singolari , ma un' immagine per cosi esprimerci del ff l'essenza stessa delle cose e una sorta di ricostruzione mentale di quella m (P. II y e. XrVf vi). Egli dice adunque di pi che noi non vogliamo. () P. U, e. II. (3) Ivi, 89 CAPITOLO XLVII. In che modo poi il N. A. difende P ufficio che le idee non hanno , e che egli chiama la loro realit ? Non mai altramente , che deducendo questa realit pretesa delle idee, dalla questione tanto hestemmata della loro origine* N solo fa ci^ ma egli insegna che non si pu fare altramente. Dopo essersi proposto la questione della reaUt delle idee in questa maniera In che guisa mai puossi affer* tf mare dell^ oggetto quel medesimo che della sua idea (i)? risponde a Noi affermiamo ed asseveriamo che questo si ottiene a o coi &tti del senso intimo, o non altrimenti . E perch ci? s^attenda bene alla ragione che ce ne d: imperocch tf in quelli soU il principio della cognizione (^)^ il che quanto dire, perch in quelli solo Torigine delle idee. Bla poich il Mamiani ha si sovente protestato di volere al tutto recidere dal suo ragionamento la questione arcana delle origini ddle idee, il mio lettore, che non avesse sott^ occhio il libro di lui, potrebbe tenersi alquanto sostenuto a credere alk mie parole, sebbene documentate sempre fin qui di fe- deli estratti dell^ opera che esaminiamo. Per ad acquistarmi pieiia fede, non mi sar inutile ribadire il chiodo di ci che osiervo, con una sopraggiunta d^ altre citazioni, che mostrino ({oanto poco abbia il Mamiani attenuta la sua solenne pr* messa di separare interamente le due questioni. CAPITOLO XLVIII. In prima vedemmo aver egli diviso questo sapere in certe classi o generi, o come egli le chiama, forme generiche di verit (3)^ e aver poi tolta ciascuna in mano, e datole prova. Ora secondo qual principio, o norma, divise egli queste (i) Dell'oggetto non s pu mai afTermare quel roedesroo, che della sua idea; perch T oggetto di una dea^ e l'idea, sono cose dispara tissl me e iooomunicabilL Quando adunque s* affermasse dell' oggetto quel medesimo cbe delF idem, noo saremmo noi gi pervenuti alla verit , ma si bene pre opitati nell'errore. (a) P. n, e. II, n. (5) P. U , e. XVU, I. Rosxun, B JRinnoyamcnto^ i% 90 sue varie forme del sapere? Principalmente secondo la lei varia origine. Non a me^ ma si creda alle parole di lui, ci riassume questa sua classificazione delle varie forme di sape cos dicendo: Guardando poi alla cognizione in se stessa e alle sue fom e ALLE SUE ORIGINI j ella DEE PROCEDERE o dalla intuizione ir tt mediata, ovvero dalla mediata: per giudicio semplice o p tf giudicio dedotto^ dal proprio esperimento ovvero dal det1 a altrui I (i). E secondo quest^ ordine si tolgono a provare nel libro del M miani le varie classi delle cognizioni nostre. La (questione adu] que dell^origine delle idee tanto lungi che sia eliminata ne r opera del Binnovamento della Jilosojia italiana^ che anz seguitando i passi de^ huoni autori della nazione nostra (a essa d il fondamento a tutta la trattazione. Di pit pel C. M. lo scibile non vero, se non in graz della sua origine, cio in grazia e in virt di quella origii che egli ad esso attribuisce. Questa origine V energia del mente, la quale crea lo scibile, e in quanto lo crea, esi scibile vero, in quanto poi non lo crea , egli riman qui lia tato nella sua verit. QueUo che limita la creazione del vero dalla par dell^ intelletto si T estema impulsione ( P impressione d gli oggetti corporei ) , e a tal confine appimto vien meno \ nostra certezza, stantech se noi produciamo sillogizzan seguilo un passo del platonico Francesco Patrisi ( P. II, e. VII, vi ). (a) P. Il^c. XIII, I. (5) Ivi. 9^ 8 remo ponto alla controyersia mll^estensa delle nozioni m s genite e dei gindicii a priori sintetici (i)7 Non veggo che rispondere in favor suo, se non, essersi alla sia mente rappresentati due sistemi intomo alP orgine delle idee^ Tnno che ammette qualche prima luce di verit rsplen* der n^^ anima per natura, F altro che d all'anima il potere (sebben cieca a principio) di produrre a s stessa, e for- marsi tutti i veri colle sensazioni, e altre sue operazioni. Ora il C. M. prescinde nlal primo di questi due sistemi , rilegan- dolo nel regno delle conghietture^ ma non prescinde mica dal secondo, anzi questo secondo il fa perno a dovervi inganghe- rare il suo sistema, che tutto si rivolge su di quello^ e questo ^li par che voglia dichiarare, ove afferma di non voler me- scolarsi nella controversia delle origini. Ma onde reputa egli necessario di rigettare il primo di que- sti due sistemi 7 La ricerca intomo le origini dell' intelli- genza di natura congetturale e non positiva (a): per ove su queste origini fosse basata la prova della conoscenza, eDa pure non riuscendo che conghietturale, non sarebbe prova. Il N. . vago di maggiormente giustificarsi $opra ci, e ren- dere questo suo argomento via pi forte, dice ancor pi, so- stenendo che quelle origini sono al tutto inescogitabili^ sebbene Teramente Tessere ad un tempo conghietturali e inescogitabili non s'accordi insieme, come osservammo: Non nostro intento^ cos egli, n nostro bisogno di svolgere e riandare in nulla i procedimenti naturali del senno umano nella formazione tf originaria di quelle verit che compongono il senso comune, tf Arcane e inescogitabili sono le genesi tutte della natura ? (3). Sarebbe stato dunque un cattivo metodo il nostro, vuole egli dire, se noi avessimo dimostrato lo scibile partendo da delle orgini che non si possono conoscere. maraviglia. Ma per la medesima ragione , n anco quelle origini sulle quali il C. M. fabbrica ^ il suo sistema possono essere fermissima base al medesimo,, se non sia provata pri- mieramente la loro certissima verit. E difficilmente elle po- li) P. II, e. m , VI. (2) P. I , e. XVI, 6. afor. (3) P. Il , e. IX , m. k 94 tranno aversi per certe, quando non sieno dimostrate false e impossibili le altre origini delle umane cognizioni ^ perocch la verit non mai doppia^ e se la scienza in noi ha un^ origine, non potrebbe essa averne un^ altra. E giacch il C. M. non re- puta cosa assurda , che V umano sapere si formi coll^ uso di (pial- che nozione ingenita , ma solo dice non potersi ci ben sapere ; supponiamo che la cosa sia. In tal caso non sarebbe pi vera la deduzione delle idee abbracciata dal Mamlani , n solido riuscirebbe quanto vi edifica sopra. Non d^e adunque bastare al Mamiani u di venir esibendo alcuni probabili, da cui sia u rimossa qualimque assoluta impossibilit " ( i ); perocch quello che si fabbrica sul probabile, none pi che probabile, e quello che si fabbrica sul possibile non pi che possibile : or il prin- cipio della certezza non s'erige n sul probabile , n sul possibile. N vale il dire, che l'altra strada congetturale, e imprati- cabile. Questo , se vero fosse , proverebbe, che V uomo non pu giungere alla certezza. Il volere evitare una ricerca necessaria allo scopo del ragionamento che si fa , perch ella arcana , non appartiene al buon metodo : egli un voler marciare a dispetto e a ritroso della natura: un voler violentare la verit: un fab- bricarsi innanzi im idolo del vero, anzich trovare lo stesso vero : uno scegliere le opinioni secondo Futile che se ne spera, non secondo il loro valore intrinseco, il quale indipendente da noi, e da' comodi nostri: perocch il valore delle opinioni il grado di loro verit^ e questa non lecito immaginarcela, ma dobbiamo umilmente impararla leggendola tale quale sta scritta nel gran libro della natura (2). (i) P. n, e. XI, IV. {2) n G. M. dice M Alla dimoftriizione della realt dello scil)ile non pos- M sono n debbono partecipare li giudicii istintivi , quando per avventure r alcuno ne esista nell' ordine puro conoscitivo m ( P. II , e. XVIII , ni ). Qui il G. M. vuol sicuramente dire non conviene prima 95 CAPITOLO U. Molto pi Tale tale osservazione pel caso in cui trovasi il S. .^ il quale confessa, che il solo esser possibile che il sa- pere nmano si formasse in virt di giudizj a priori sintetici, ^istraderebbe la verit dello scibile stesso. Indotto da questo timore, che non si perda questo preadosissimo tesoro della ve- rit dell^ umano sapere, il N. . stabilisce tre massime, che deb- bongli servire di scorta nell^ impresa di dimostrare lo scibile. La seconda questa: u se i giudicii a priori sintetici esistono, essi non convincono la ragione, bens la violentano 9. La terza poi: ogni prova circa la realit dello scibile, perch sia razionale e produca scienza, non pu appoggiarsi alla con- vinzione istintiva dei giudicii a priori sintetici " (i). Ognuno vede, che messo in un dialoghetto il modo di ra- gionare del N. A. , riuscirebbe pure alquanto curioso e pia- cevole. C. 3f. Voglio dimostrarvi la verit deUo scibile. D. In che modo il farete voi? C 3f. In prima conviene che mi spacci di quella molesta questione delle origini dello scibile stesso: io la dichiaro con- gfaietturale, e se mi permettete, anco di pi, al tutto inesco- gitabile. coooscere se esistano , e quali seno ? Star in arbtrio di un tal filosofo evitare questioni si necessarie , col pretesto che sieno difficili o solo con- ghietturali? Ancora, il nostro autore accenna sempre a questi giudizj a priori i ed all'incontro evita di toccare^ il pi che pu , le notizie naiU' 'tt^. o toccandole qualche rara volta, le accoppia co' giudizj a priori, )uasi fossero pasta di uua stessa farina. Questo egli > a quanto pare, Qn secreto timore che egli prova di non uscirne troppo hene , se mette in chiara luce la questione delle notizie ingenite^ e per la mantiene in ombra. Convien sapere, che tutto il danno che pu venire al sistema del C M., solo da queste; e non da' giudizj a priori, che sono cosa total- ente aliena. Questi ho io lungamente rifiutati , e mostrati assurdi. Bgli non dovea dunque coufonderli colla dottrina del lume innato dell'intelletto, Ula quale sono diversissimi : e quando il parlar di quelli nulla importava , il parbr di questa , e pienamente confuurla , se egli potea , gli era neces* trissimo. (i) P. II, e. IH, vi 96 D, vostro bel piacere: ma se non si pu saper nulla del modo onde le cognizioni sieno apparite nelle menti nostre ^ rimarr incerto ugualmente ch^elle ci sieno piovute di cielo colla rugiada, o che ci siano spuntate in sul cervello come i funghi su per gli greppi. C, M. No, no* Io non posso ammetter^ i gludizj a priori: queste origini intendo sbandeggiarle interamente dalla mia dottrina. D. E perch non li ammettete voi? per che lor colpa li sbandeggiate 7 C. M. Perch se i giudici! a priori sintetici esistono, essi non convincono la ragione, ma la violentano . Dunque non ci sarebbe pi la verit dello scibile. D. Bene sta^ ma c^ bisogno che questa verit dello scibile ci sia, anche se ella non c^? prima dimostrate che ci sia, e poi ditemi quello che volete della sua utilit e de^ suoi pregi. C M, Non la dimostro Io? D, Scusatemi, se mi vi oppongo. EgH pare a me, che voi non sentiate il bisogno 2K dimostrare la verit dello scibi- le: perocch voi P ammettete senza dimostrazione alcuna. E non cominciate voi dalP escludere i gludizj a priori per Pa- nica ragione, che quelli torrebber via la verit dello scibile? Dunque questa verit prima di tutto P ammettete, e con questo primo dato cVella ci sia, e che non si possa levare dal mondo, voi andate avanti, cacciando In prima i gludizj a priori^ o pi tosto condannandoli come rei di stato alla pena capitale. Ma- nifestamente adunque voi non dubitate di ammetter da prima siccome bella e dimostrata la verit dello scibile , . se vi spac- ciate cosi in favor suo d^ogni cosa che vi d molestia, od im- pedimento al vostro cammino. A che dunque dimostrare quello che avete posto per indubitato nel primo cominciamento del vostro discorso? CAPITOLO UI. N il Mamiani pu replicare , che quelli che si credono gi-* dizj a priori forse non sono altro che fatture nostre istintive rimasteci dall^ infanzia, de^ fatti della quale et non vuol par- lare: perocch 97 i.*" Noi provammo essere assurdo Passeguare al sapere mnano due origini essenzialmente diverse ( i ). 3.* Goll^aver egli detto y che i giudizj a priori ^ se veramente edstessero, gli sconcerterebbero la sua dimostrazione del sapere, ^li s'^ messo da s in obbligazione di mostrare, che quelli non sono, n posson essere^ abbattendoli in giusta e leale tenzone, non pugnalandoli, quasi direi, nelle tenebre. 3.** Dove poi gli accordassimo esser possibile, che nelP in- fanzia il sapere umano proceda per operazioni essenzialmente dlTerse da quelle che Tuomo usa in altra et^ tuttavia non gli basterebbe al suo intento questa mera ipotesi, questo yrse/ ma gli converrebbe provare, volendo trar proGtto dalla nostra concessione, che la maniera onde T adulto si forma lo scibile, diversa sostanzialmente da quella onde lo si forma il fan- ciulletto. E questo egli noi pu provare: perocch egli vuole, che le origini del sapere nel bambino sieno inescogitabili, o tutt^al pi congetturali : dunque impossibile di saper mai , o di provare con certezza, che sieno essenzialmente diverse dalle ori- gini del sapere nelP adulto. Possono esser diverse, dic^egli: dimqae possono essere le medesime , dico io. Ed ecco come la sua maniera stessa di parlare non eccede il congfaietturale , o pi tosto il possibile: u Qui ripetiamo, che le analisi e i ragionamenti prodotti da noi a prova d^una porzione dello scibile umano possono differenziare assaissimo da quelle analisi e da quei sillogismi, onde si tratti la prima volta a credere il mondo esteriore ed il mondo passato^ conciossiach non nostro intento, n no stro bisogno di svolgere e riandare in nulla i procedimenti naturali del senno umano nella formazione originaria di quelle verit, che compongono il senso comune r (2). G che panni singolare in questo passo si il trovare, ch^egli da al fanciullo delle analisi e de^ sillogismi co^ quali a venuto al conoscimento del mondo esteriore, e tutta- via mette in dubbio che le funzioni della sua mente sieno (1) Gap. XXXI. (a) P. II, e. IX, w. RosMUii, // Rinnovamento. i3 9 della specie medesima a quelle della nostra. Or qaelle analisi, e sillogismi, arranno si o no i costitutivi delle analisi e de^ sillogismi. Se no, non erano analisi, n sillogismi; se si, non dif- ferivano essenzialmente da quelli dell^uomo adulto. I costitutivi essenziali non debbono esser sempre i medesimi? I sillogismi del bambino, se sono sillogismi, non doveano essere della stessa forma e natura di quei d' Aristotele ? Tutto al pi pos- sono differire nella cagione che li muove, nascendo al bam bino istintivi i sillogismi o i giudizj, quando quelli dell^ adulto o pi tosto alcuni di quelli cW adulto son liberi o sia mossi da un decreto dell^arbitrio : ma ci per nulla altera o muta la loro natura, e la loro forma essenziale. CAPITOLO LUI. Perci quando dice il C. M.: a noi non pare verisimile e IV, art. iv. W P. n, e. IV. 100 del sapere primitivo si contengono nelle forme provate dal C. M. ^ o alla sua dimostrazione sfugge qualche forma di sa pere^ quale quella del sapere primitivo ed elementare. E pure egli non vuole che gli sfugga bricciolo del saper nostro, che non sia sommesso alla sua dimostrazione , di cendo egli : Perch V atto conoscitivo , ossia V istrumento u quotidiano ed universale di tutto il sapere veste un modo a costante e proprio , di cui ci conviene esplorare la realit e tf Fuso, accade di dovere illustrare il giudicio conoscitivo "(i). Qui Tatto conoscitivo chiamato w Fistrimiento quotidiano u ed universale di tutto il sapere 99 ^ il che non pu voler dir altro, se non che non si d sapere senza Tatto conosci- tivo, e che per anche il sapere infantile dee farsi coll^ atto conoscitivo. N pu dirsi, che quest'atto conoscitivo vani ne^ suoi costitutivi essenziali quando si usa dal bambino^ pe* rocche non senza cagione nota il N. A. , ch'egli u veste un modo costante e proprio , il quale non pu variare, perch esser variabile ed esser costante sono cose conti^additorie. Se egli dunque trascura di parlare dello scibile primitivo, e parla solo del presente^ giova credere che il Mamiani ritenga quello esser contenuto in questo, e lo scibile umano non va- riare essenzialmente secondo il vaiiare Fuomo d'et ^ e per av- visi, che dimostrato lo scibile nella condizione in che ora r abbiam presente all' animo , sia anco dimostrato in quella condizione in che l'avremo nell'ultima nostra vecchiezza, o in che l'avemmo nella nosti*a prima infanzia : perocch altramente converrebbe dimandare per quale et della vita umana abbia scritto il N. . la sua dimostrazione dello scibile : cosa che tornerebbe im vero imbroglio a definire. Per me ad ogni modo sto con Cartesio, il qual dicea, che una proposizione vera, sa- l'ebbe vera ugualmente non che veduta da bambini o da vec- chi, ma quando anche noi la trovassimo o la formassimo so- gnando (1) P. II, e. XX, n. 101 CAPITOLO LV. n contrario sarebbe cos strano, come a dubitare se V oc ckio del bambino non vegga allo stesso modo dell^ occhio del- Tadulto, o se Torecchio udendo i suoni, Inodorato fiutando i sapori, facciano nella prima et un^ operazione totalmente di- versa da quella che fanno in noi presentemente. Fondare simi- glianti dubitazioni, come fa il C M., sul non aver noi remini- scenza di ci che ci avvenuto nell'infanzia, cosa, a mio avviso, assai fiivola: perocch anco senza ricordarcene ^ possiam per sapere, che le potenze essenziali all'uomo sono sempie le stesse , ed hanno un loro operare proprio e immuta- bile: perci possiamo pure sapere, che quello che ci ha di es- senziale nelle operazioni di esse potenze , non potea nel primo tempo esser diverso da quello che ora troviamo essere, e da quello che sperimentiamo tuttod in noi: perci assai bene e con tutta sicurezza noi argomentiamo a quello che fu jer, o Tanno scorso, o venti anni prima, sebbene or noi l'abbiamo dimenticato^ perocch la mano ha fatto sempre da mano, il piede da piede, e l'intelletto da intelletto. E qui il C. M. stesso ci d ragione. Errano, dic'egU, i filosofi, i quali s'avvisano per un loro giudizio assoluto ed anticipato, non poter rilevare la forma certa ed essenziale dell'intelletto, quando la genera- zione prima delle sue facolt e delle sue idee rimanga con- getturale t (i). Osserver per intermezzo, che alquanto strana sembra quella maniera di dire: u la generazione prima delle sue facolt 9 ^ perocch io capisco assai bene come si possa parlare di una generazione, o formazione d'idee e di cognizioni^ ma in quanto a facolt, io per me le tengo manifestamente inserite nella nostra essenza, e non sopravvenute in noi dopo esser nati. Che forse il Mamiani ritenga ancora nell'animo suo il giocherello della statua condillachiana 1 alla quale potendosi attribuire tatto ci che meglio piace, perocch ella non mena lamento (i)P.I,c. XVI, 7. afor. lOl di sorte , ben piacque altrui di concederle prima le sensazioni che non le facolt di sentire^ e le si fece nascere fin ranima nel morto cuore, mediante certe impressioni esteme che in essa venian creando degli atti di un sentimento che ancora ella non avea? Per me non so come potenze al tutto nuove sur- gano in uno spirito che non le abbia seco a principio, quando il creatore stesso non ve le infonda^ perocch se si formano delle potenze veramente nuove , queste dovrebbero formarsi da degli atti di altre potenze^ e non so come atti di potenze pos- sano produrre delle altre potenze. Tuttavia non oso attribuire al Mamiani queste dottrine , che a me non pajono de^ pi leggeri strafalcioni in filosofia: ma non posso per tenermi dal notare di alquanta ambiguit il passo allegato , come pure que^ luoghi ( e sono frequenti ) ne^ quali scrive : u le origini dell^ intelli- genza " (i), o la generazione prima dell^intelletto (2), ed altre tali maniere ^ in vece di dire : le origini delle idee , 0 delle cognizioni, che sono effetti delle operazioni intellettive. CAPITOLO LVI. Ma ritornando al proposito, nel passo riferito il N. A. man- tiene , che si pu tf rilevare la forma certa ed essenziale del- Tintelletto . Or questa, se certa ed essenziale, non man- cher mai, dove vi abbia intelletto^ e per anche ne^ primi (i) P. I, e XVI, 6. afor. (a) Ivi.* Si consideri tuUo intero questo luogo del C. M., e si vedr esser molto difficile , per non dire impossibile , * interamente purgarlo da questo sospetto. Dopo aver egli detto, che la Geologa e la Cosmologia trattano (a): il che quanto I dire, convien mostrare che tutte le altre cognizioni hanno ^ (i) Dd Mmmovamenio P. 1, e. XVI, a. afor. (a) IfL Se vi SODO de' procipj non generati , n possibili a generarsi di niun senso da niun giudizio da niuna sperienza, onde saranno questi? NoQ farli la natura stessa quella che ce li avr dati senza V opera nostra? '' I Cod il Doitro autore , quando gii bisogna non si fa coscienza d' introdurre I ^principj innati che altrove esclude; e ne introduce per avventura pi i dkt noi non gli dimandiamo ; perocch noi non ammettiamo principj in* Diti , na solo an semplice principio de' principi j come noto. &0SMUI1, // Rinnovamento. i4 io6 mgine da quelle prime^ ma quelle prime non hanno oiigin altre cognizioni ad esse precedenti. Si fa dunque di qui mai bOj che la questione dell^orgine delle idee e delle cogniz quella sola che rende possibile a trattarsi P altra della tezza dello scibile. Ciascuno gi s^ avvede, che Fargomento or da me reca provarlo, non solo mio, ma di un autore a cui il C non pu negar piena credenza^ perciocch esso tolto libro del BinnoyamenU) della filosofia antica italiana^ F C. XVI, a.* afor.^ Adunque, secondo Fautore di quest^ opera, i.^ Le cognizioni mnane discendono le une dalle altre e conseguenze da principj \ ma ve n^ha per alcuna, cui i senso , niun giudicio , ninna esperienza bastevole a nerare 9. a.^ A dimostrare quest^tJtima, baster far conoscere che non ha origine in niun^ altra cognizione antecedente^ o tre a ^mostrare quelle prime, converr far conoscere la . derivazione da quella prima, a cui come a verit indimof bile ed evidente quelle si debbono rvocare e ragguaglii perci le une e le altre solamente nel discorso della loro gine trovano certa prova e ferma dimostrazione. LIBRO SECONDO DELL' ORIGIIfE DELLE COGNIZIONI UMANE. ( M Ci bisogna provare con la storia fenomenica M dell' intelletto j che niuna idea e niun prin* cipio rimane soperiore a quelli ( i primi r principi ) , e che muN ssvso , niun oiuoiao , M HIOVA SSFBaiXNZA B48TBT0LX A OBNBaAai.lM. C. Mjmjn, P. I, e. XVI, a.** afor. tinello elle noi abbiamo fin qui lungamente ragionato fa lo strettissimo nesso che tiene unite fra loro le due filoni dell^ origine e della certezza delle umane cognizioni* pova della verit di questo nesso ci venne offerta dallo stesso niani. In vano protest egli e dichiar troppe volte Tindi- denza di quelle questioni^ che interrogata diligentemente )era sua, egli rimase convinto e confesso del contrario: n lo io, che possa rimanere di ci il minimo dubbio, dopo x>8e dette. l'orse a taluno sar paruto minuzioso e limgo in rilevare M>ntraddizioni delP avversario^ ma lo feci a consiglio, e co^ dire, in prova. Perocch non credo averci una cagion ampia della peipetuit delle dispute filosofiche e del non ir mai i disputanti in uno accordo , quanto quel vezzo tenersi ragionando in sulle generali , e battere, come so- ni noi dire, la campagna: vezzo e modo, a cui e P altre ^ I nostra nazione ancora va oggid debitrice di tanti incerti atHi scrittori. Conciossiach egli non per avventura difficilis- 0, n fanno uopo lunghe meditazioni, e scienza sincera le- imamente acquistatasi a prezzo di vigilie, e travaglio d^in- ;no, a potere venir dissertando, e ampiamente scorrazzando le crepuscolari regioni delle generalit , mettendo fuori per io8 tmrentura grandi e misteriose frasi, ricucendole in grandi pe- riodi, e nulla finalmente facendone riuscire di chiaro, di pre- ciso, di evidente. Il che per vero un getto infinito di tanti pronti ingegni, di cui Tltalia fecondissima madre ^ i quali, dove sarebbero idonei di giimgere ad un saper solido ed utile a^ buoni progress delle scienze , utile alP umanit^ pre- feriscono in quella vece^ male istituiti, e imbaldanziti dal vigore che pur sentono nella immaginazione e nell^ intelletto, di avventarsi a cogliere, anzi che frutti, le prime frasche che rimirano verdeggiare , compiacendosi tosto in s medesimi quasi avesser gi un certo seggio tra^ pi grandi uomini, per solo aver messi, vogliam dire, alcuni articoli in qualche gior> naie, dispensatevi delle palme, versatevi delle idee immature, vaghe, false, e de^ sentimenti giovanili, talor generosi, ma tali, di cui essi stessi non hanno n calcolato il valor reale, n quello, pel quale si po^KSono spendere. * Il qual difetto gravisfssimo procede finalmente da una coiai negligenza e mollezza intellettuale, per la quale chi scrive do^ micchia, e non vigila sull^ esattezza e sulla precisione logica di ci che dice^ ma senza curarsi gran fatto n che le pa- ipole sien proprie, n che i concetti che con quelle esprime sten chiari, netti e costanti, n che i ragionamenti siano filati e conseguenti^ s* accontenta di metter fuori quanto per avventura gli riene in bocca, purch sia cosa che mo- stri e prometta assai, che abbracci in qualche modo P univer- sale, sia gigantesca nel concetto o nella frase, e talora mostruosa. Che se a costui fosse fatta, e facesse a s stesso una cotal ob- bigazione morale di pensare e di scrivei'e logicamente, non iscri- verebbe egli pi quello che non sa , e ogni cosa direbbe con aggiustatezza almeno apparente, almeno intenzionale , e sarebbe una verit, o un prudente e assennato tentativo di trovare una verit. Venuto in tal condizione, lo scrittore ha un fine, un fine nobile, sublime, una importante missione^ ma nella condizion contraria egli scrive, e non sa il perch^ empie di grandi fo- gli, e di grandi volumi, ma non ha per detto a s stesso che cosa si voglia col versamento di tanto inchiostro^ una piet il vedere , che egli non iscrive che per iscrivere, e perch gli altri dicano che egli ha scritto. log E per son io talora venato in desiderio, che come si fanno i^ giornali (mezzo tanto efficace, dal quale non 8^ cavato neora tatto il bene che si potrebbe) che tassano gli errori lingua^ cosi se ne facesser di qnelli, i quali intendessero lo a castigare negli scrittori gli errori di logica: giornali che Rii8cireU>ero forse alquanto minuziosi , e stucchevoli al palato (Bisto di molti, ma che varrebbero tuttavia assai meglio di tanti altri, i quali taglian si largo, e promettono mari e Bionti; conciossiach per me io antepongo una minuzia sola fi vero , a un monte immenso di falso , di vano, d' ambiguo , ii alterato e di contraffatto. E spero io bene, che un tal gioniale, se si scrivesse da qualche valente e discreto uomo, vonrdibe raddirizzare le gambe torte a molti che scrivono^ e arebbe per avventura una scuola di logica pubblica, solenne, nazionale. Or quali incrementi non potrebbero aspettarsi le seienze, che immenso profitto non dovrebbero averne gP in- teressi delle famiglie e quelli della nazione, ove aggiustassimo anco solo un po^ meglio le nostre teste ? Il perch da con- ioBure, averci certe cotali minuzie, se cosi si voglion chiamare, le quali arrecano dopo di s delle conseguenze tutt^ altro che minuziose. Volesse Iddio che gP istitutori della nostra giovent posse- dessero tanto di senno da poter insegnare a^ loro alunni questo solo, di essere coerenti ne^ loro ragionamenti ! Chi potrebbe dire spanti mali non s^ eviterebbero pur da questo , che gli uomini s^aOevassero in modo da dover sentire il bisogno di porre una fama coEREirzA ne' proprj pensieri? chi prevedere i beni, che procederebbero da si minimo principio? L'apprendere a' giova- netti questo solo, vairebbe loro assai meglio d'infinite cogni- aoiii positive che lor si dessero, le quali a che pr si danno i quelli, che non han l'arte d'usarle? Or venendo a noi, io debbo confessare, che in traendo a luce aon poche incoerenze del C. M., ebbi in animo, oltre che di noslrare la falsit della sua dottrina, di dare altresi un cotale CMmpio agl'italici scrittori di quella certa pigrizia e lassezza intelletto, che fa lo selettore indulgente seco stesso, e per filante ne' passi suoi, contrario a s nelle sue affermazioni^ 3 dice La ragione awdettfiia, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli oggetti, onde *fii ricavata, la (a convenire con tutti gli altri reali e possibili, che fra le condizioni varie del loro essere includono la sfericit. E perch il nu- mero di questi non limitato , ma trascende la creazione medesima e spazia nell'immensit del possibile, cosi l'idea astratta della sfericit 1 13 Venendo perci il N. A. a cercare quali sleno gli atti neces- sari alla mente che prende a formare gli universali, insegna, coerentemente a quanto disse Intorno alla natura di tali idee, a tre sorte di atti concorrere (nella loro formazione) conti- nuamente: la concezione dei termini particolari paragona- te bili: il paragone di quelli e F astrazione dell^ identico: il giudicio della possibilit d^una ripetizione infinita di esso identico '^ (i)* Ora in questo terzo atto a me basta di cbia- mar r attenzione^ il quale atto suppone appunto nella mente che il forma, Tidea del possibile, perciocch esso non al- tro , che il giudizio sulla possibilit (T una ripetizione itfinita di esso identico. Riassumendo adunque queste dottrine del C. M., dico, se- condo la mente sua chiarissimamente espressa, I .^ Che r idea universale si estende a tutti i singolari pos- sibili, i quali sono infiniti^ a.^ Che essa esige un giudizio sulla possibilit infinita di questi singolari; 3.^ Che essa quinci medesimo non pu esser fetta da una mente, la quale non abbia gi in s Pldea del possibile. CAPITOLO n. GOIISEGUEIVSKA DI Ci CHE IL C. MAMIAMI CI ACCORDA: L^IDBA DEL POSSIBILE NON k DI NOSTRA FORMAZIONE. Fin qui siamo pienamente d^ accordo. Ma se il G. M. ci concede, che uno spirito che non pos- sedesse ridea del possibile, non potrebbe mai glugnere a for- M vera idea universale e di comprensione (estensione) infinita (P. Ut e. Xy IV ) Delle idee astratte complesse dice parimente che sono eziandio ualf er- sali^ peit^ riferibili a tutte le cose , che rinchidono in s un grv^ppo m medesimo d'identit integrali e int^ranti: e qualora n manco uno di ft tali gruppi fosse veduto sussistere nel concreto, pur tuttavia appartiene 94 a loro r immensit del possibile m(P. II^cX^v). (i) P. n, X, vn. ii2 le idee unirersali^ onde poi lo spirito trarr o former (jHsta stessa idea del possibile? Eccoci al gran problema della filosofia, nel modo appunto che da me fu proposto nel Nuovo Saggio : ecco il varco , al pale noi aspettiamo i nostri awersarj. Questa idea del possibile non anch^ella unirersale? non ani la pi universale di tutte ? pon quella , chi ben consi- dera, cbe aggiunge all^ altre la universalit? perocch questa BiTersalit , che , secondo il C. M. stesso, se non F infinit propria non delle cose reali, che son tutte finite, ma del 9A0 possibile (1)? Se dunque tutte le concezioni si rendono imiversali unica- mente coll^aggiunger loro V idea della possibilit , questa dee precedere di sua natura tutte Taltre idee o concezioni univer- sali : ella dunque non pu essere di formazione umana , peroc- ch per esser formata avrebbe bisogno di se stessa^ non si forma la possibilit senza la possibilit : questa dunque non idea che il nostro spirito possa comporre , ma solo immediata- mente ricevere , o intuire, senza processo di formazione alcuna. Tale la dottrina esposta nel Nuovo Saggio^ la quale scendendo immediatamente da^ principj del C. M., parrebbe non dovesse esser da lui mal ricevuta, o tolta a impugnare. N voglio credere la parola d^ innata^ aggiunta da me a tale idea, essere stata altrui quello che a^ fanciulletti la befana o altro tale spaventacchio ^ perocch la voce innata final- mente non vuol dir altro , se non im! idea non di nostra for- mazione, ma dataci da natura, postaci innanzi allo spirito da imaire immediatamente. E che ella non sia di nostra formazione, si trae, come di- cevamo, da' principi del N. A. La differenza dunque fra lui e ne, star nelPaltra parte, cio nel non voler egli affermarla lalad per natura, 0 sia innata con noi. Quando ci sia, egli mie che la discordanza stia, pi che in altro, nelle maniere li dire. Accorda che vi hanno de' principj, che u niun senso, ( aiim giudicio, ninna esperienza bastevole a generarli n (2): che cosa vogliam noi di pi? (i) P. II, e. X. (a) P. I, e. XVI, a.* afor. RosMixn , // Rinnovamento, * 1 5 i4 Al C. M. tuttavia sembra di dire qualche cosa di diverso ds noi 9 quando afferma che le genesi di tali idee sono arcane ed inescogitabili 9 e che u la notizia di questi fatti essenziali n (cio di ci che vii a nelFidca d^ immutabile) u non pu emer a gere da un^ esperienza illimitata e perpetua, e la cagione prima ed efficiente d quelli resta sepolta all^ occhio nostrG intellettuale 99 (i). Ma che ? a noi pare di averlo qui pi vicino ch^ egli non creda. Imperocch quando noi abbiam detto, Pidea delPentfl possibile non esser di nostra formazione, e per dataci dalla madre natura; non abbiamo mica voluto spiegare in che guisa e con quale artificio essa natura ce T abbia inserita; ma pia tosto abbiamo solo considerate come identiche queste due pr* posizioni: non essere Fidea del possibile di nostra formazionei e: r esserci quella data per natura. CAPITOLO m. ALTRA CONSEGUENEA: LA NOSTBA DOTTRINA K09 PU ESSERE DAL MAXUVI RIFIUTATA SENZA CONTRADDIRE A SE STESSO. Ma io voglio far rilevare ancor pi, di quanta importana sia la concessione che mi fa il C. M. , convenendo meco in questo, che non si possono in modo alcuno da noi fonnar le idee veramente universali senza che prima noi possediamo Tidea del possibile: questa concessione contiene tutto intero il mio pistenuu E di vero , chi medita quale sia la natura delle idee, tron che non v^ha unMdea sola, la quale non sia universale, cio non 8^ estenda a tutti i possibili in lei rappresentati e detenni* liati: io ho dimostrato questo vero nel Nms^ ^^'ggT'^* Ci che pu far parere il contrailo, si solo il non confi" derarsi Pidea nella sua purit, ma mescolata con degli cfe* menti a lei eterogenei. Nella prima formazione delle nostre ideO] principalmente di cose corporee, che sono quelle a cui dianM quasi tin^ esclusiva attenzione, Pidea sempre applicata ad un (0 P. Il, e. X, VI. ti5 essere reale: ella , come dissi nel NuoH) Saggio^ una perce- none, e non unMdea pura (i). Conviene attentamente fissai-e b differenza che separa la percezione dallHdea. Quella com- postfL di pi operazioni; quando questa semplicissima. Si attenda a quello che fa il mio sp'ito allorch percepisce in lagion d^esempio un giglio. In me nascono due cose: io ricevo odia mente la forma del giglio, e di pi io acquisto la per- masione che sussiste un giglio reale corrispondente a quella forma da me ricevuta. Queste due cose, sebbene contempora-* nee, sono diversissime di natura; e la prima pu sussistere senza la seconda. E veramente , poniamo che ti*a.scorra buon tempo dopo la vista da me avuta del giglio ; io posso al tutto dimenticarmi di quel giglio particolare da me veduto , posso fin anco perdere la memoria di essere una fiata entrato nel giar^ dino del mio amico, dove vidi e percepii quel candido fiore; e tuttavia mi pu rimanere intatta nella mente la forma , la rappresentazione ideale di lui, rappresentanza che io non so pi riferire a ninno de^ fiori individuali da me veduti, e ritengo pure nell^ intendimento s come ima mera possibilit di fiore* Per tal guisa il tempo ha prodotto nel mio spirito la scompo sizione della percezione nelle due sue parti; Puua perita^ cio la persuasione che quel fiore individuale e reale di quella Atta natura e in quel dato giardino sussistesse; T altra si conservata, cio si conservata quella parte che in s rac- chiude tutto ci che vale a notificare alla mia mente, e rap' presentare il fiore, non a darle la coscienza della efiettiva sus-* sistenza di lui. Or questa parte che soprasta, evidentemente cosa distinta daDa prima che perita; e perci ella si vuol segnare con nome diverso dalla prima , e non usare un vocabolo eguale per tatte e due: il che non farebbe, e non fece c^e produrre in- finite equivocazioni ed errori nelle filosofie. n nome che fu posto dall^uso del parlare de^ volghi, non uno die delle scuole, a quella parte che rappresenta alla aente la cosa, senza indurre in essa alcuna persuasione di sua (i) Sei. V, e. IV, ari. v. f ii6 reale sussistenza, fu quello dHdea (elSa)^ e d Grecia cpiesto vocabolo fu comunicato a tutte le nazioni^ da^ Latini fu anco traslatato nelle voci species ^ forma ^ exemplar (i): voci tutte, che nulhi affatto esprimono della sussistenza reale d^una cosa, ma solo indicano la rappresentazione ideale, o notizia di una cosa nella sua essenza, cio nella sua possibilit. Che se poi si cerca di che condizione sia T altra parte della percezione, cio u la persuasione che surge nel nostro spirito della reale e individuale sussistenza dell^ oggetto percepito i . egli sar facile a conoscere, che la natura di essa quella di un intemo assenso, o sia di un intemo giudizio che noi fac- ciamo sulla sussistenza delPoggetto rappresentatoci nella mente (coir idea). E veramente il persuaderci che un oggetto sussiste, che cosa alt*o se non una parola intema che noi diciamo a noi stessi, un giudizio che suona cos: u la tal cosa (a me nota per Pidea o rappresentazione ricevutane ) sussiste ? Il giudizio adunque sulla sussistenza reale di una cosa individua, non si pu menomamente confondere colPidea della cosa: questa idea d Finter notizia della cosa, ma non pone ancora la sua reale sussistenza: viene il giudizio, ed afferma a noi, che quella cosa che conosciamo realmente sussiste: questo non aggiunge un minimo che alla cognizione della cosa, ma solo ci fa sapere che ella sussiste in s : tale operazione ha bens bisogno del- Tidea, ma Tidea non ha alcun bisogno, per esistere, di tale operazione del giudizio. Quello che rende quanto facile a intendersi, tanto difficile a ritener bene nella mente una s fatta separazione della idea pura dal giudizio sulla sussistenza della cosa individua , si il farsi da noi queste due operazioni contemporaneamente, e per cos dire indivisamente, e per il parerci assai facilmente una operazione sola, e non due. Ma convien riflettere che nell^uomo non opera necessariamente una facolt dopo T altra, e Fnna in s^>arato dall^altra-, ma che essendo Tuomo stesso il vero ope- ratore, egli pu mettere, e mette bene spesso in movimento pi faicolt insieme, e fa ad un tempo con un solo decreto ^ (i) Vedi Cic. De Univen. II, Top. vn. '7 con uno stesso impulso pi operazioni. Si spetta dunque alla sa- peit del filosofo il partire quegli atti che in natura sono si- nltanei, Pesaminarli a parte ciascuno da s, stabilire a eia-* scono la propria natura e le proprie leggi ^ e non attribuire ad ODO ci che ad un altro appartiene. Or venendo a noi, dico, che quando si abbia per tal modo scererala Pldea dal giudizio, e considerata quella prima nella sua purit, cio senza raggiunta di questo^ apparir manife^ stissimo, che ella per sua propria essenza universale, impe- rocch non racchiude in s alcuna persuasione di un individuo come realmente sussistente, ma solo la rappresentazione di un indTiJuo come possibile a sussistere^ e perci apparir, che l'idea pura si distende tanto in l, quanto la possibilit stessa, il che vuol dire, che abbraccia P infinito. Fermate queste cose, egli non difficile a dimostrare quanto affermavo, che la concessione fattami dal C. M., non potersi formare gli universali senza Tidea del possibile n , contiene in i Panmiissione del mio sistema per intero , il quale non para finalmente ad altro, che a questa sentenza: tutte le idee si formano mediante unMdea prima, che quella dell^ essere pos- sibile 99, Imperocch noi abbiamo veduto, i.^ che tutte le idee per loro propria essenza sono universali^ a.^ che P universalit di esse nasce dall^ idea di possibilit. Dunque, concludiamo noi, tutte hanno bisogno delPidea del possibile, a poter essere, o, ren- dersi presenti al nostro spirito. CAPITOLO IV. nFKDELTA^ COLLA QUALE IL C XAMIANI ESPONE LA NOSTRA DOTTRINA. Di qui discende, che a torto ed a suo proprio scapito ri- prova il G. M. la nostra sentenza sulla natura degli universali. Tanto pi , che egli la riprova ( dobbiam pur dirlo ) fi*ain- tendendola , o contrafiacendola. Io mi debbo qui un poco in- dugiare, per intramettere alcune parole sulla opinione che il Mamini mi attribuisce, e sul modo onde la rifiuta. Ecco come espone il mio pensiero: ii8 M Egli stima ( r Ab. Rosmini ) , rinnovando in parte la dot** u trina dei tipi platonici , che una idea singolare divenga uni- tf versalissima, con questo soltanto cVella sia guardata come tf esempio d'altre idee infinite, o reali, o meramente possibili, M e identiche a lei pure in ciascun accidente individuale f (i)* In quanto a quel tocco de' tipi platonici, esso tale, che farebbe nascere il dubbio se il N. A. , di cui per altro apprezzo la dottrina e Tingegno, siasi formato il vero concetto di quellL Ma senza di ci, osservo, essere un vezzo di molti scrittori il far nascere un pregiudizio a danno di quelle teorie che loro non piacciono, colF appiccar loro qualche odore di platonismo, dalla fama del quale odore v' ha di molti , che senza aver mai fiutato Fopere di Platone, fuggono a rompicollo, come il can rabbioso dall'acqua. Sto bene anch'io dunque presso cotestoro, con tanto puzzo adosso che m'ha messo il C. M. ! n credo egli basti a nettarmi di tanta infezione il Gap. I della Sez. IV del Nuovo Saggio ^ dove ho mostro quant' io m' allontani dal Bommo filosofo ateniese^ perocch chi mi assicura che quel capitolo sar letto? In secondo luogo, parmi strano a sentirmi affibbiare, che io ammetta alcune idee esser reali ^ ed altre meramente possibili. Non so dove possa aver trovato il N. A. questa nuova classificazione delle idee^ ma certo tutte altrove, che in cose scritte da me. In queste, e principalmente nel N. Saggio potrebbe aver veduto, se gli fosse bastata la pazienza di leggerlo, che le idee tutte per me sono reali, ove si considerino nella loro propria entit; ma l'oggetto delle idee sempre meramente possibile, e non mai reale o sussistente (2). N saprei immaginare un' idea pos- sibile^ questa veramente non sarebbe un'idea: ella tutt'al pi potrebbe essere l'oggetto di un'altra idea, quando quell'idea (i) P. n, e. X, IV. (2) Vedi iV. Saggio, Sez. V^ e. XXV , art. 1. La parola idea pigliasi dagli scruori in tre significati: i.* o per indicare l'intuizione delio spirito che termina in un ente possibile; a.* o per indicare l'ente stesso possibile in* tuilo dallo spirito ; 3.^ o per tutte e due queste cose insieme. Io questo ultimo significato molte volte io b uso. Talora per le attribuisco il se* condo significato ( il primo non mai ) ; dove il contesto basta a farlo in- tendere senza equivoco. '9 possibile 8^ immaginasse in una mente non sussistente attuai- unte , ma anch^ essa solo possibile. In terzo luogo non veggo a che gli possa valere quel super- lativo di tf universalissima n ^ giacch troppo potea bastargli r epiteto di universale n. H che mi bisogna notare non tanto come impropriet di parlare filosofico, quanto come un artificio ch^egli usa a far credere , cVio non mi accontentassi di ag- gimigere di tratto Tuniversalit ad una idea , ma ben anco una somma astrattezza che la rendesse comunissima (i): ma io par* ler di ci pi chiaro fra poco. In quarto luogo egli suppone, che io ammetta delle idee angolari, le quali diventino universali sol col pigliarsi a tipi o rappresentazioni di altri oggetti. Ma egli non i accorge, ben- ch in tanti luoghi io lo ripeta, che le idee singolari per me mm sono che idee impure , cio idee miste con un giudizio , la natura del quale afiatto aliena da quella delle idee^ e che tali idee singolari o impure , che pi propriamente si chiamano percezioni, considerate nella loro origine, si fanno universali con solamente spogliarle di ci, che non appartiene alla na- tura delle idee, ma che a quella del tutto eterogeneo. Non dunque ool solo guardar Fidea come esempio d^ infiniti og- getti, cl^ noi formiamo le idee universali: ma elle sono uni- versali per s , non perch le guardiamo sotto un tal punto di veduta, ma solo perch possono essere da noi in tal modo guardate ed usate, la quale attitudine non gliela diamo noi, Dia loro intrinseca e propria. Pi tosto potrei ben io rimettere a lui qui la palla, come si suol dire. Perocch io non comprendo, com^egli faccia a me un peccato di ci che egli nel suo libro s chiaro e di frequente insegna. Io ho gi recati pi passi del libro del C. M., dove si rende ragione del perch le idee si chiamano univer- sali; il qual perch non poi altro, se non il loro riferirsi ad infiniti oggetti possibili {2): se quelli non bastassero, eccone (i) A avii letto il N, Saggio Jar beo naoifesto che immensa dif- ieretaa oorra fra la (M:okli di universaiizzare le percezioui e quella di vinure le idee. Vedi Sex. V, e. IV, art. 1, } a e S. (9) Vedi add L. I, e. XXXI. un altro: Taluno pu andar foggiando nell^ animo suo i tipo astratto e auitastico dei mondi creati (i) stringendo piii idee universali un nesso arbitrario. E non pertanto q tipo dei mondi di sua natura nozione immutabile ed v ti versale: conciossiach egli non pu sofirire cangiamento ^ V. Qui si parla di u tipo che il nostro autore chta] non solo composto d'idee universali (che per lui equivalgono a idee astrati ma ch'egli stesso chiama anche astratto . Ora egli al tutto impi sibilo che dei mondi o creati o creabili w .si conformino a lui con perfiett sima identit . Perciocch se il tipo astratto^ e d'idee astratte eoi posto egli non potr gi rappresentare se non delle note comuni di qnc mondi, ma esso non conterr mai quelle loro note proprie , che l'un meo dall'altro distinguono. Questo periodo adunque del N. A. contiene di mo inesattezze* (3) Vuol dire estensione. (4) P. n, e. X, IV. n dire qui smisurato numero di soggetti, m do aver detto che di comprensione infinita m, un parlare inesatto: f rocche uno smisurato numero di soggetti , non e uu numero infinito. G questo vacillar continuo, e tramutar di espressioni, chi che non veg L^'dca dunque non universale se non perch ella un tipo rappresentatore di un infinito numero di oggetti , o sia perch dk tf ha relazione necessaria con quante esistenze reali o e ipotetiche si conformano a lei n . Ma snella co$ , onde i i mio errore , che non sia anche il suo 7 perch mi pu egli condannare dell^avef io detto ( se pur detto Pavessi ) che una idea universale quando si rsguarda come esempio d^infiniti og getti? non pare egli simile talora il nostro Conte a quel principe che segnando le sentenze senza leggerle pose il suo nome alla propia condanna? CAPITOLO V. COMTimjZIOHB. Ma io non ho finite le mie osservazioni sul breve passo, onde il C. M. espone la mia opinione sulla natura degli uni- fersali. Io debbo dirgli ancora molte cose^ e il lettoi*e mi per- doni la lunghezza, perocch potr vedere egli stesso, che sono entrato nel gineprajo. Adunque dico, che non io fo universale un^idea, per que- sto soltanto, ch^ella sia guardata da noi come esempio d^ infi- niti oggetti; ma egli bens fa ci, senza che io me gli faccia ccnnpagiio in tale opinione : il perch la sentenza da lui pr- nvnciafta ooljMSce lui solo, e me lascia and^r libero. La opinione di lui non veramente altra, che quella di CondiUac, da me confutata nel primo volume del Nwsfo Sag* p (i). Il CcHidillac, e non io, si quegli che sostiene con- Yertirsi Vi&m particolare in una universale, col risguardarsi che si fa quella prima per modello di ci che le assomiglia (2), II'*' . . - come il nostro autore vorrebbe asconder sotterra, s'egli potesse > quella terrbile parola d' ft infioito^ j* che gli si presenta da per tutto > quasi om- bra sempre miuaccevole, e inesorabile contro il suo sistema? (1) Sez. IH, e. IL (a) Noi non abbiamo alcuna idea generale cbe non sia stata particolare. Un primo oggeUo cbe noi abbiamo avuto occasione di osservare > u MODULO a cui noi riportiamo tutto ci cbe gii rassomiglia; e questa idea che non stala a principio che singolare , diventa tanto pi generale, quanto il nostro discernimento meno formalo , (Condiiiac^ Traile dcs semsations. Prcise) Kosiufii, Jl jRinnoy amento. 16 '191 Io dimostrai, che Pidca non si rende universale per >, perocch qneQa appunto che forma gli universali. L^operazione della se conda si rivolge sulle idee, gi universali, gi formate dalla ope razton prima, e astrae da esse qualche quaht o essenziale o acci" dentale. Ora si legge ancora in quel libro, che sebbene a tutte e dae queste funzioni possa competere in qualche modo il nome di astrazione, tuttavia questo nome da lasciarsi in proprio^ a fine di chiarezza maggiore, a questa seconda (i). Dopo di tutto ci, egli manifesto, che se il G. M., a cui sembrami dover tutte queste cose tornare novissime , non avendone egli fatto cenno nessuno, intende dire dover esser necessaria la prima astrazione perch sgabbiano gli universali^ egli dice ap punto quello che noi diciamo, e per la sua sentenza rispetto a noi proferita indamo. Se poi intende che faccia bisogno la seconda astrazione a costituire gli universali, egli sMnganna e si contraddice. S' inganna, perch vedenuno che ogni nota di un individuo, tosto che non sia pi nella sua realit ma nella nostra mente , . comune e possibile a replicarsi infini-* tamente. Si contraddice, perocch egli stesso ammette che V u* niversale non sia che il comune, e abbia bisogno, a formarsi nella mente , dcll^ idea del possibile* (i) Vedi il N. Saggio Sex. V, e. IV, art. i, ^ a. CAPITOLO vni. DISSIPATE LE OBBIEZIONI DEL C. MMIAMI, SI COMINCIA L^ ESAME DELLA SUA DOTTRINA, DANDO UN SAGGIO DEGLI ERRORI E DELLE CONTRAD- DIZIONI DI QUELLA. Le qaai cose ho dovuto dire per la difesa del vero. Ma ora io sono astretto di fare anco la parte di assalitore^ im- perocch senza questo, n la difesa fatta sarebbe intera. E ci che mi d lena di mettermi in cotali viluppi si la speranza, che fra via mi venga il destro d aggiunger qualche grado di luce maggiore a de' veri importanti. Piglier ad esaminare primieramente il Capitolo X della II Parte del Rinnovamento , il quale ha per titolo : Delle idee unwersali^ e poi delle generali. Dove prima di tutto, noto apparire, quello che ho gi detto, il Mamiani non aver conosciuto quel vero importantissimo, recato a piena luce nel Nuovo Saggio ^ che non avvi una sok idea pura, la qual non sia universale. Egli alF incontro seguita nel pregiudizio condillachiano, che le idee altre sieno vera" mente singolari, altre universali. Quelle prime facilmente le con- fonde colle sensazioni^ queste seconde (cio le universali) le confonde colle astratte. In s fatto modo gli sfuggono dalV at- tenzion della mente quelle idee universali che hanno luogo tra le sensazioni e le idee astratte, e nelle quali convien pur cercare e meditare il concetto della universalit delle idee. Il qual primo errore della massima importanza , e serpeggia menando guasto in tutta V opera del N. . Or egli s' introduce a parlar degli universali , considerandoli siccome una congiunzione delle cose simili in fra loro. Perci egli dice, u noi entreremo a considerare la relazione che passa tra le cose conformi e le non conformi, la quale pu de- a nominarsi relazione d^ analogia (i) e di differenza " E a in * posta qui contro la propriet filosofica, (a) P. n, e. X, II. i33 E noi conveniamo in affermare, che le idee universali sono ome un vincolo che lega le cose simili insieme , purch s^ in- oda per che questo legamento si fa nella sola mente. Ma ci in cui discordiamo dal Mamiani , si in far consi- terc la legittimit, o realit com^egli la chiama, delle idee miversali, nella relazione di queste colle cose concrete e sussi- tenti, termini della relazione o del paragone onde quero in noi Y origine (i). Avendo io gi detto e mostrato pi opra, che V idea non ha relazione necessaria con nessun essere astente, e che le sussistenze non sono che accidentali, e Tesser ijacste molte, o poche, o nulle, il durar loro lungo o breve, non leca la minima alterazione alFidea pura della cosa, la quale im- mutabile e necessaria, non dovrei ripetere questa osservazione j ma io stimo di toccarla per aggiungervene un^ altra, la qual netta in chiaro in quanti aggiramenti si perda un autore qualsiasi, quando smarrisce il cammino del vero. n C M. dichiara inutile alla dimostrazione dello scibile F origine delle idee: io mantengo, questa origine essere in istretta connessione con quella dimostrazione. Or bene , chi crederebbe che dopo tali nostre diverse sen- tesze , tuttavia nel fatto il G. M. fosse costretto di fisir uso del- l'orgine delle idee assai pi che io non faccia? La cosa manifesta, considerando le nostre due dottrine intorno gli universali. H Mamiani vuole che noi formiamo gli universali parago- nando le cose simili, ed estraendo da quelle ci che hanno di nmiglianza, o com^ egli dice , d^ identit. Spiegata in tal modo la generazione degli universali, egli non sa partirsi dal con- aderarli appunto in quest^ atto della loro generazione : egli um sa separare le operazioni e le occasioni in che quelle idee si brmarono in noi , e fissare la sua attenzione nella natura delle idee gi formate. Egli dice: le idee universali son nate nello spirito da de^ concreti, da delle cose sussistenti paragonate (i) Perci il volgo (non so a che fare entri qui il volgo) e i filosofi ' concordano in credere che la reali t2i ohbjettiva delle nozioni del simile o ' del dissimile consiste nella rispondenza e proporzione squisita che quelle 'ooftioni mantengono coi termini dellt relazione (P. I, e. X, ui). i34 insieme (i)*, dunque le idee debbono avere una perpetua re- lazione con queste cose paragonate , e in questa loro relazione consiste la verit o realit loro. Egli fa come colui, che, dopo essere stato da una femmina partorito un bambino, dicesse, questo bambino non potersi considerare in disparte da sua ma- dre, o neir essenza e realit del bambino entrare perpetuamente la sua l'elazione reale colla donna cbe Fha genei*ato. Considera adunque le. idee universali sempre nelPatto dell'origine, e nelle circostanze della loro formazione. Io all^ opposto non attribuisco tanto all'origine delle idee. Io distinguo i due tempi , quello in cui V idea si produce in me, e quello in cui ella gi prodotta. La esamino nel primo tempo, e la trovo circondata da delle circostanze cbe erano necessarie alla sua produzione, una delle quali circostanze, trattandosi d' idee positive di cose corporee , fu la presenza di certe sussistenze cbe hanno ferito i miei sensi. Ma poi la esamino nel suo secondo tempo , cio quando ella gi in me formata^ e m'accorgo, che per continuare a sussistere nel mio spirito, ella non ha pi bisogno di molte di quelle ci^ costanze di che ebbe bisogno nella sua prima generazione, per esempio , ella non ha bisogno della presenza e dell' azione sui miei sensi di quegli esseri sussistenti, n pure ha bisogno della memoria di loro sussistenza, o della persuasione che sieno una volta sussistiti , bastando che nella mente mia si conseni la forma rappresentativa, o come la chiamarono i maggiori filosofi, l'essenza della cosa. Quindi io raccolgo, che quelle circostanze che hanno accompagnato la generazione della mia idea, non formano parte della sua natura, ma sono ad essa estranee^ raccolgo, che quando io percepisco da prima l'idea^ ella mista con degli elementi stranieri a lei ^ quasi come la statua fusa, che appena uscita del cavo ha d'intorno de' ri- lievi ed escrescenze di metallo , dalle quali ella si dee rimoor dare e limare^ esamino poi quali sieno coteste superfluit, e trovo principalmente essere appunto la connessione cogh og- getti reali, coli' occasion de' quali ella nella mente mia s' (i) Non considera il M. che i sussstenti come tali non si paragonano in- sieme, e che ogni paragone nasce fra oggetti del nostro spirito. i35 mata , e che possono tuttavia perire senza che anch'* ella pe- ea^ A come la forma si pu rompere durando la statua fatane. Io vo molto pi innanzi continuandomi su ^esta i: perciocch argomento, che se l' idea, i>er duraimi nello irito , non ha alcun bisogno degli oggetti sussistenti che la odossero, dunque ella ha un modo d^ esistere suo proprio, ipialche cosa d^ indipendente affatto per natura da^ sussistenti^ mque questi sussistenti non hannole veramente dato nulla di s^ nnque essi non sono. stati vera causa della formazione dell^idea I me, ma solo occasione, per la quale il mio s2)into ve- ito alla visione di quella idea. in vero i sussistenti non K)tcano dare quello che non aveano : essi hanno contingenza, ingolarita, limitazione, variet, incostanza^ Pidea all'^incon- Q nella sua natm*a mostra manifestissime le contrarie doti, teoessita, universalit, infinit, unit, immutabiUt. Ma io OBo un soggetto pure contingente, singolare, limitato, vario, Qcostante. Dunque , io conchiudo , V esistenza dell^ idea in me KMi resistenza all^idea essenziale^ un puro accidente, ri- petto allMdea, ch^ella sia da me veduta: ella senza di me, aoa nessun uomo , senza tutti gli uomini ^ ella qualche Ma di etemo. Io non procedo innanzi, perocch non voglio ile di pi del bisognevole: ma dalle cose per dette fin qui IVO le seguenti conclusioni : L^analisi del C. M. non s''avanza tanto che basti a conoscere i vera natura delle idee. Egli non ha alle mani , che le idee icora rozze e impulite, quasi statue uscite appena di cavo, i cui non ha raschiato il soperchio, che sebbene congiunto dia prima formazione con esse, non appartiene per ad esse: Dglio dire, egli non ha separato le idee dagli oggetti acciden- di, che danno occasione a noi di acquistarle. Quindi a torto gli credette cercare e trovare nella relazione delle idee con [Qcsti oggetti la loro realit e veiit^ n vide quanto si le\i i natura della idea al di sopra da quella de^ contingenti , e ^ome questi non possano in modo alcuno esser causa delPidea. Concludiamo: il G. M. sta attaccato alP origine delle idee in latte le sue deduzioni sulla loro verit^ io alFincontro divido ttai queste due cose. Pure egli non fa ninna stima della que ^one delPorigine, e la dichiara insolubile e inutile alla dimo- i36 strazione del certo ^ io all^incontro riconosco almeno aver un intimo nesso colla (questione della certezza, sebben spiale e quanto mostra di tenere nel fatto il C. M. Chi Tede il grande imbarazzo di una cattiva causa? CAPITOLO IX. IL C. M. DOPO AVER NEGATA. L^ITTDIPENDENZA DELLE IDEE DALLE i SUSSISTEKTI, UL CONFESSA 9 SENZA CAVARNE PER GIOVAMENTO Ma rindipendenza degli universali dai particolari sussisti onde trassero P origine, non ella cosa piana e manifesta egli a credersi che sia sfuggita interamente alla mente del N. No: gli balen veramente questo raggio di luce^ ed egli stc confessa il vero che noi difendiamo, senza per renderi utile, traendone le conseguenze, che gli avrebbero potuto rizzare molti pensieri. Ecco il passo, dove egli fa la confessione di che parliai u Le idee universali avvenga che sieno astratte da pi t e mini di paragone individuali e concreti e che perci . la i u tura loro si adatti puntualmente alle condizioni di essi t u mini, tuttavolta da osservare ch^elle si mantengono enl M il pensiero, come staccate dai fatti, onde presero orgin u e mentre quelli mutano, o posson mutare, le idee univen restano identiche a s medesime " (i)* Qui le idee sono st cate dai fatti e dai concreti, sono considerate nella loro p pria natura. Chi poteva dirlo meglio? Le idee si afferma immutabili, le cose da cui sono dedotte mutabili: cose e id di contraria natura: queste adunque non effetto di quelle, i concomitanti a quelle, e da quelle solo a noi occasionate* 1 che perci? Udiamo le singolari parole che il N. . soggiuo immediatamente a quelle sopra riferite: Per ei bisognerebbe per nostro utile che le idee univi K sali continuassero sempre a rappresentare il comune di ta u i soggetti dai quali sono desunte, perch levata tale rapp (i) P. II, e. X,vi. 37 m sentanza, levata insieme ogni applicazione loro prossima ai casi concreti . Ora che mai quella frase: u bisognerebbe per nostro utile cbe le idee, ecc. n ? Cercbiamo noi quello che bisognerebbe che fosse per nostro utile, o quello che in natura? ovvero ci arroghiamo di sapere come dovrebbe essere la natura delle cose, perch ella fosse a noi utile? vogliamo noi dettar legge alla natura? o presiuniamo di sapere immaginare qualche cosa di meglio di quello che nel fatto? lasciamo a qualche pazzo prepotente il voler dare a Domeneddio de^ consigli migliori di quelli che egli ha creduto di seguitare nella creazione del- l'universo. Da vero, che questo cercare quello che bisognerebbe che fossero le idee universali, anzich quello che sono, una pia- cefole ricerca! Se non che, quando per dar gusto a noi elle ibasero diversamente da quel che sono, non sarebbero , pi le idee, ma qualche altra rarit di nostra invenzione. Vedesi qui ben chiaro dove ci conduca P amore di sistema. Il C. M. s pose in capo Pidea sistematica, che la veracit e Futilit deDe idee universaU consista nel loro rapporto ai termini con- atti del paragone onde si originarono : s^ accorge per che questo rapporto gli svanisce in mano: conchiude col dire, che sarebbe per utile e necessario che le idee continuassero a mantenere un tale rapporto . Non egU assai nuovo que- sto ragionamento? Seguitiamo ad udire qualche altro periodo di que' che se- guono nel suo libro : E nel vero questo si cerca di conseguire , serbando il pi che possibile una relazione costante e uni- forme fra le idee imiversali e gli oggetti da cui presero na- scimento come da termini di paragone . Questa relazione delle idee cogli oggetti da cui presero nascimento, che ha in eduta il N. ., non dunque cosa bella e fatta dalla natura, ma una cosa che si cerca di conseguire ^ e la costanza e uni- formit della quale soggiace a molte gradazioni, perocch ella si cerca di conseguire il pia che possibile. Pertanto questo del C. M. sembra anzi un consiglio che appartenga alFarte di pen- sare, che un fatto appartenente alP ideologia. La natui*a delle idee non c^ entra per nulla^ queste si sottraggono dal tenersi Jlusiu.Ni, // Ainttoyainento. i^ i38 legate cogli oggetti sussistente onde da principio si origina- rono^ perocch conviene u cercare di conseguire questa relazione il pi cKe possibile n : il che vai cpianto dire, che intera* niente non possibile a conseguirla. Ed ecco P esempio della 3ua teoria: tf Cosi vuoisi che l'idee astratte di albero, di minerale, u d'uomo, di bellezza, di sensibilit, e infinite consimili, non u istieno dentro di noi quali esseri semplici di ragione, ma quali rappresentanze continue d^un certo numero di singo- li lari concreti, e qual fonte di notizie vere ed esatte sulle u realit delle cose . Ritolsi? qual la significazione di questa parola? un de- siderio? un comando? una volont? una velleit? insomma che cosa ? Intanto per quivi manifestamente si confessa, che le idee possono stare nella nostra mente come esseri semplici di ra- gion6^ e che il rimaner elle rappresentanze continue d'un certo numero di particolari concreti , non pi che un baon desiderio, o una buona volont, almeno nell'intenzione, del C. M^ una cosa che si dee cercare, secondo lui, di ottenere, se non in tutto, almanco il pi che sia possibile: e questo buon desiderio nasce al C. M. dalla premura eh' egli ha che tali idee sieno fonti di notizie vere ed esatte sulla realit delle cose^ ufficio che non presterebbero, a suo parere, se un tal legame co* reali non si tenesse fermo e continuo nel pensiero. Quanto a me, con buona pace del N. ., intendo di dispen- sarmi da cotanta fatica che vorrebbe adossare il C. M. alla mia povera memoria, di tener ben ferma e continua la rela- Kon delle mie idee universali cogli oggetti da cid elle presero nascimento: e me ne dispenso per settantasette ragioni. La prima, e che mi varr per tutte, si , che gli oggetti reali, onde le mie idee universali presero nascimento, non me li ricordo pi ) n saprei pi ritrovarli per quanto indietro mi ri&cessi* Lui felice, se li ha registrati nella memoria! Caso che co^ sia| sar un uomo meraviglioso, il quale non potr pi seri* ttere, quello che spetta al primo sviluppo intellettuale successo a noi neir infanzia non potersi sapere : conciossiach egli al tutto se ne ricorderebbe: giacch la formazione degli univer^ i39 li SI perde appunto In quelle tenebre della prima et , e gli ^tti onde li traemmo furono certamente da noi percepiti ni per tempo. Finalmente, quand'anco io potessi conoscere e rammentare reali oggetti onde principiarono nel mio spirito gli universali i mia formazione, ancora non vorrei mantenerli nella mia lente ^ perciocch io non saprei da vero che fame^ essi mi sa v ). Non vi sono altri oom posti arbitrar) d' idee^ se non quelli che si fanno con idee ripugnanti : pe* roech tali unioni non possono esistere. Tutte le altre idee^ o semplici o OMBpletse, che non nchiudono contraddizione , sono necessarie: i loro og* ietti toa quelli che possono sussistere o non sussistere : il che pura nenie accidentale. ^tLnmtot accidemiale , ch'io m'abbia nella mente Tua o l'altra delle molte idee semplici o complesse/ ed arbitrario ch'io rivolga Fattuale attenzione ad una o ad un'altra delle idee che io m' ho. Ecco ci solo che v' ha d' arbitrario nelle idee i a parlare direUamente , fottio elemento arbitrario non nelle idee, ma egli in me, che mi ri* Ivo arbitrariamente di contemplare pi& tosto le: une che le ltre , pi tosto issortite in un modo che in un altro. i4o bono riscontrare a qae^ ^P^? ^ secondo quelli classificarle. Le riscontro io fedelmente? le classifico bene? cio le sottometto a sale: sotto questo aspetto egli potea avvedersi della contraddi- zione in cui s^ abbatteva; e se di essa si fosse avvisato, sarehbesi trovato incontanente sulla diritta via del vero. Non mi rimane quanto alla fonnazione degli universaU me- diante la giunta del possibile, che a notare una impropriet ii parlare. Il N. A. vuole, che la mente si stenda veramente agP in- finiti casi possibili: ci non regge, non potendosi aire in atto^ ma basta che si faccia ( per cos dire ) in potenza. Ella r avvertenza stessa da me fatta pi sopra contro il Condillac, che TuniversaUt di un^ idea non consiste nel conoscerla noi per modello d'infiniti oggetti , ma nell' attitudine eh' eli' ha 4 prestarsi a tale ufficio. $45 CAPITOLO XIL ^ BSIMB DE^ QUATTRO GRADI, CHE IL C. M. PONE REIX ASTRAZIONE DELLE IDEE. Ma non posso tralasciare di sottoporre ad esame quei quattro gradi di astrazione, pe^ quali il C. M. vuol pure che la mente nostra quasi per altrettanti gradini giunga all^astrazione completa. Egli dice da prima, clie colFosservare il simile e svincolarlo dal dissimile formasi una nozione astratta, per es. quella di sfericit. Poi dice ( questo il secondo passo ) che col separare il simile da^ concreti particolari, la nozione di sfericit diviene pi astratta e generalissima. Ma io gli addimando, con sua pace, egli possibile, che la nozione astratta di sfericit di* TCDga pia astratta della nozione astratta di sfericit? Assai bene io comprendo come vi possano avere pia gradi di astrazione , come vi possano avere delle nozioni pi o meno astratte^ p. e. k nozione di figura pi astratta della nozione di sfericit, perocch questa una specie di figura^ e la nozione di figura costituisce il genere di tutte le speciali figure tonde, quadre, trilatere, ecc. Ma ci che non comprendo si , come una no- sione astratta possa divenire pi astratta di s stessa. O con- rien dunque dire, che con quella prima operazione di sceverare 3 simile dal dissimile non si ottenga ancora veramente V astratto die si denomina sfericit^ o che, se si ottiene, egli non ha pi bisogno d^ altre operazioni , perocch non pu acquistare maggiore astrattezza di quella che gli propria ed ha gi ricevuta. CAPITOLO xm. COlITlllIIAZIOlfE. Che dunque bassi a dire delle tre operazioni che annovera 0 C. M. dopo la prima, e che reputa atte a produrre nelle idee im^astrattezza sempre maggiore? sono esse inutili? non esistono nella natura? Cerchiamo nella natura appunto la risposta, con una diligente osservazione di quanto avviene nel nostro spii'ito. Questa osservazione ci mostra primieramente, che la seconda Rosmini, J7 Rinnovamento, ic) i46 delle operazioni annoverate dal G. M . anzi la prima di tutte a farsi. La prima cosa che ci suggerisce di fare la natura del nostro intendimento quando noi percepiamo degli oggetti co^ sensi, si quella di considerarne la forma ricevuta nel nostro spirito separatamente dagli oggetti concreti e sussistenti. Questa operazione non sempre volontaria in noi^ ma, il pi, spon- tanea: non siamo noi che la facciamo^ ella si fa in noi na- turalmente. E di vero, solamente dopo di aver separato la forma degli oggetti ( idea ) dalla loro realita e sussistenza , possibile quella che il Mamiani pone come prima operazione, di sceve- rare da pi oggetti il simile : questa prima operazione suppone la seconda gi formata, ed una conseguenza di quella. Consideri, chi ne avesse dubbio, che il simile non si estrae dagli oggetti senza paragonarli fira loro^ e consideri bene, che gli oggetti, in quanto sono concreti e sussistenti, non si possono in modo alcuno paragonare^ che paragone non si fa se non fra le idee di quegli oggetti, e si compie non fuori di noi, ma solo dentro il nostro spirito. Io ho dimostrato lungamente nel NuoifO Saggio^ ohe degli esseri concreti in quanto sono con- creti non si possono in modo alcuno paragonare, ma che necessario, perch sia possibile un paragone, che almeno uno di quelli che dee servir di modello nel paragone, sia spoglio da ogni concrezione: altramente Topera mentale del paragone impossibile (i). Converi'ebbe rispondere alle prove ivi da me addotte, prima di procedere innanzi. Come che sia, la ragione che impedisce altrui di veder questo vero, si il prendere assai agevolmente l'oggetto quale da noi percepito, per l'oggetto quale sussiste in s. Gonvicn badare, che con tutti i nostri volgari discorsi noi crediamo sempre di ragionare delle cose come stanno fuori di noi^ ma veramente non ragioniamo delle cose esterne se non in quel modo che sono da noi conosciute ^ e le cose in quanto sono conosciute^ in quanto sono presenti al nostro spirito, hanno subito da noi stessi una ragguardevole modificazione colFatto del percepirle : sicch Topera nostra noi ialoiala crediamo natura degli oggetti. Questo inganno succede comunemente nel paragone: crediamo di paragonare le cosa (i) Si, in, e, IV > art. xz. i47 reali in se stesse, e veramente paragoniamo le cose reali nella loro esistenza mentale. disingannarci di ci, fa uopo sottiU mente considerare , che paragone non si d, se le cose non si compenetrano, per cosi dire, se elle non si applicano perfetta- mente a un comune esempio. Ora due cose materiali in nes* sona maniera compenetrar si possono^ n possono essere ap- plicate perfettamente ad uno stesso esempio materiale. Il geometra vuol vedere se due triangoli sono uguali : egli s^immagina di soprapporli Puno all^altro, e di osservare se (pielli si combaciano perfettamente. Similmente, il falegname soprappone una tavola air altra quando gli uopo vedera se due tavole sono della stessa grandezza. Ma V operazione del falegname ben altra da quella del geometra. Ci che vlia di osservabile si , che nulla varrebbe a questo, che t ^elle due tavole si ponessero P una aderente strettamente coll^ altra, senza pi: con quella sola materiale collocazione egU non vedrebbe se le due tavole sieno uguali, ove non possedesse oltracci in se medesimo uno spirito intelligente | ( atto a concepirle compenetrate appunto insieme, cio a dire^ tutte e due occupanti lo spazio medesimo. Se lo spirito vuol fi raffirontar due linee , egli dee mettere una linea nel posto t dell^altra: se vuol rai&ontar due superficie, egli dee imma- ginar Puna dentro nell^alti*a: se vuol confirontar due solidi, a lui necessario di concepirli Pun Paltro interamente pe- ti netrati: cosi, cVegli vede se sono uguali o se son disu- guaU, quale ecceda de^ due, e quale manchi. Per quanto i due solidi materiali si facciano vicini e coerenti, rimangono sempre Pun fuor dell^altro, e perci in se stessi non si con- frontano veramente. IP uno esiste, e. non ha un riguardo di sorte all^ esistenza deU^ altro n. Che fa dunque bisogno alla mente acciocch ella possa confrontare fira loro due o pi individui , e riconoscere in che sono uguali , in che sono disuguali , in che sono simili e in che dissimili? Perch lo spirito trovi che due indi- te vidui sono simili o sono dissimili, necessario al tutto cVessa, oltre le idee individuali (per favellare secondo il comun modo), abbia altres delle idee generali: ed ecco ^ come ci avviene. i48 u Si tratti di conoscere la simiglianza di due pareti bian- che, Puna pi, e P altra meno. u Le pareti stesse , n la bianchezza individuale delle pareti non si pu , come dicevamo , trasportare una nell^ altra ^ se si potesse , di quelle due bianchezze ne riuscirebbe una terza, la qual non darebbe ancora il confronto delle due bianchezze ne : non sarebbe un universale \ passerebbe ad essere un particolare: non sarebbe adunque quelP esser di ragione che 1 prima, ma un altro ^ giacch P essenza delP universale sta lidia sua universalit. Andiamo avanti: dicesi che questi esseri di ragione, rappre^ tentati dall^ essenza ideale, seguono i limiti e la contingenza deK^ umano esperimento, e per ci pi non compete loro il nome di universali. Egli certo, che se a questi esseri di lagione cess F attributo di universalit, non compete pi loro 3 titolo di universali. Ma in che modo degli esseri di ragione, nmutabili come sono, possono tutto ad un tratto seguire i fimiti e la contingenza dell^ umano esperimento? Per me sono tutte fitte tenebre ^ io mi perdo in questa notte profonda. CAPITOLO XVIL CONTinUZIONE* Seguita il C M. : Noi li chiameremo pi volentieri idee generali, cio tanto estese quanto il numero degli individui o noto o supposto del genere reale e concreto, a cui tengono riferimento^ cos in quelle idee poc^anzi citate dell^alb^o, del minerale, del" V uomo , della bellezza e consimili sta compreso infallibile* mente V universale, V immutabile e il necessario , sempre 30 u ch tu le gueurdi nell^ essenza loro mentale e perci ipote ( fica, ma per contrario, guardate nell^ affido , che lor viena a imposto di rappresentare al vero P essenza concreta de^ alberi, dei minerali, degli uomini e cos prosiegui, acquistano issofatto la limitazione inerente alle notizie sperimentali . Questo periodo esce un po^ dal caosse dell^ antecedente ^ ma la luce non ancora separata dalle tenebre. Quegli esseri di ragione del primo periodo, in questo secondo sono denominati idee generali. QuelP essenza ideale adunque nominata nel primo periodo, era P essenza ideale deUe idee ge- nerali. LfC idee generali adunque del N. . hanno bisogno di un^ altra idea precedente , o essenza mentale , che le rap- presenti ! Queste idee generali non fanno pi come nel primo periodo^ dove perdono i loro caratteri d^ universalit e di necessit^ in questo secondo uniscono insieme P universale e il necessario, il limitato e il contingente, secondo due viste o rispetti diversi da cui si sguardano : comprendono que^ primi caratteri ove si sguardano nell^ essenza loro mentale , e i loro contrarj guar- dati nell^ ufficio di rappresentare V essenza concreta della cosa. Egli bene strano, che cose cos contrarie, come ^unive^ ale e il particolare, il necessario e il contingente, P immu- tabile e il mutabile , si possano conciliare in un medesimo essere mentale, in una medesima idea, con pur solo riguardarla sotto due rispetti diversi ! L^ universale, P immutabile, il necessario, dice il N. A., si trovano in quelle idee guardate nella loro essenza mentale: in tal caso P universalit, P immutabilit , il necessario non sa- rebbero in essCy ma nella loro essenza mentale, cio in un'al- tra idea che le rappresenta^ e il rappresentante pur tutt' al- tro che il rappresentato. n particolare, P immutabile, il necessario si trovano in dette idee generali guardate nelP ufficio che loro viene imposto di rappresentare i concreti. Da chi viene loro imposto questo ufficio? chi pu loro imporlo? Di poi, altro P ufficio che s'impone ad un essere, altro P essere stesso a cui s'impone. Se que' caratteri nascono dal- l'ufficio che esercitano queste idce^ dunque non li hanno im tSj t stesse: T ufficio di quelle idee pu riferirsi a de^ particolari , (desse tuttavia rimanersi colla loro natura di universali: come n re non perde mica F autorit su tutto il regno, quando rende giustizia a un particolar suddito. Che da conchiudersi 7 I caratteri di universalit, di immutabilit e di necessit, non si trovano nelle idee generali del C. M., ma nella es- senza mentale, loro rappresentatrice (i). I caratteri di particolarit, di mutabilit e di contingenza, non si trovano parimente nelle idee generali del G. M., ma solo nel loro ufficio. Dunque le idee generali del C. M. non sono n universali , n particolari, n immutabili, n mutabili, n necessarie, n contingenti. Egli avea dato loro tutti questi contrarj attributi, ed ora a rimangon di tutti miseramente spogliate. CAPITOLO xvm. CSAME DI CI CHB DICE IL MAMIANI SULLA QUESTIONE: SE LA. FORMAZIONE DEGLI UNIVERSALI t^k L^USO DI UN PRECEDENTE UNIVERSALE. Continuando V . N. a ravvolgersi dentro la spinosa que-* sdone dell^ origine degli universali , giunge al gran nodo , alla dimanda a se la formazione di questi esiga V uso di qualche altro universale precedente n . Io procurer anche qui di venir raccogliendo il filo de^ suoi ragionamenti, e di mettere in aperto qual sia il logico valore del suo discorso. Accorda egli, che se a formare gli universali si esige Fuso del u giudizio conoscitivo , questo giudizio ha bisogno di un universale precedente^ e in tal caso la formazione di un nniversale ne presuppone sempre in noi resistenza di un altro. Di pi, nel dedurre gli universali, e spiegarne la generazione. (i) Se per questa essenza intendesse il M. ci che costituisce le idee ge- nerali , dovea dire la loro essenza reale ; 1* ideale sempre quella che rap* presenta 4 non quella che costituisce gli esseri. %^\^ egli area sempre nel suo libro Catto intervenire il giudizio co noscitivo: ma che? T accorgersi che questo giudizio suppone un universale precedoiite (i), il trattiene improvvisamente nd suo corso, e lo stringe a fare ogni sforzo di cacciar via questo u giudizio conoscitivo n che sconcia tutto il suo sistema sulla formazione di s fatte idee. Postosi a tanta impresa , dopo averci molto travagliato , viene a questa conchiusione , che senza questo giudizio si pos- sono formare taU idee, che se non rappresentano infiniti og- getti, cio tutti i possibili, ne rappresentano per di concreti e di sussistenti un numero che m si fa di per s, e a poco a poco indefinito . gli sembrerebbe che volesse dire, che se non si pu senza giudizio conoscitivo formare a de' veri universali , i quali cos si chiamano per estendersi alP infinito numero de^ possi- bili^ si possono almeno formare quelle idee d'invenzione tutta sua , che egli disse generali , u le quali seguitano i limiti e la contingenza dell' umano esperimento n . Ma se il C. M. vuol provare, che la formazione de' gene- rali che non abbisogna del giudizio conoscitivo, e non quella degli universali^ perch non dirlo chiaro? perch adoperare nella proposta in quella vece il vocabolo di universali ? (a) E egli questo un giocoUno di mano ? Ma poniamo che si trattasse solo de' generali. Il Mamiani ha detto, che questi sotto un aspetto mantengono la loro uni' (i^ Noi siamo venuti esponendo la teoria degli universali e dei generali H nel noodo che la si pu costruire e praticare attualmente, cio con V'vf w Urvenzione assidua dell'atto conoscitivo, pure ci accade di aggiungere H qui alcun' altra riflessione intorno al proposito. E di vero, pu taluno r osservare che essendo gli universali ed i generali formati con 1' opera del giudicio conoscitivo, suppongono gi l'esistenza e Muso di altri uni- w versali , onde pu dubitarsi , se questi ultimi sieno mai stati prodotti da w particolari paragonati , e perci se rispondano puntualmente ad alcuna realit * P. II, e. X, vii. (i) M Verremo sponendo , die' egli , sin dove crediamo che giunga l' azione w diretta e necessaria del giudicio conoscitivo sulla formazione delle idee M universali ( P. Il, e. X, vn ) : parla degli universali ^ e non de' g* strali. i59 forsalit, e immutabilit: riman dunque Posso forte, tanto folendo spiegare senza giudizio conoscitivo la generazione di questi, come volendo spiegare quella degli imi versali: imperoc- di ne' generali, come che sia, P universalit non intera- mente esclusa, ma anzi in essi supposta. CAPITOLO XIX. TIE TTI BECBSSia, SECONDO IL MKIUEII, FORMARE GU U1!IIVER SiU. SI. ESAJCUIiL IL PRIMO, GHB k LA GOHCEZIOMB De' TERMIHI PilAGONABILI. s Or poniamo alla prova dell^ analisi il suo discorso. 2 Da prima egli pone questa proposizione: pp. Diciamo tre sorte di atti concorrere in questa " ( cio [K nella formazione delle idee universali ) continuamente : la u concezione dei termini particolari paragonabili: il paragone K di quelli e P astrazione delP identico : il giudicio della pos- V sibiUt d'una ripetizione infinita di esso identico " (i). Poscia seguita: Ora quanto al primo , cio alla concezione dei termini , noi nel terzo Capitolo (2) di questa seconda parte facemmo osservare, che attendere ed avvertire semplicemente un par- ticolare sensibile non dimanda per s la forma compiuta ed universale dell^atto conoscitivo, quale praticato presen-* temente " (3). Acciocch queste parole avessero la convenevole chiarezza e precisione filosofica , dovrebbe il C. M. avere spiegato assai bene, in che differisca la forma compiuta e unii^rsale dell^alto conoscitivo , dalP altra che suppone essere non compiuta e non universale: dovrebbe pure dichiararsi un po^ su quella parti- cella, per j, che intxamette alla sua proposizione^ perocch ella supporrebbe che per accidente almeno, se non per s, la Ibima compiuta fosse necessaria. Ma di questo ho toccato al- trove. Rechiamoci pi tosto al luogo dovrei ci rimanda, cer- (1) P. 11^ e. X, VII. (2) Yolca dire uel quarto. (5) Ivi i6o cando iti le ragioni che adduce a provare che Toperazione di V attendere e deTiuvertire un particolare sensibile non ha I sogno della forma compiuta delP atto conoscitivo. Gonvien prima vedere la coerenza fra la proposta e la d mostrazione. La proposta era di cercare u fin dove gimi| Fazione diretta e necessaria (i) del giudizio conoscitivo : La dimostrazione poi parla dell^ atto conoscitivo 9 , e a ferma che non si esige questo nella sua forma compiuta. Pai aduncjue che n il giudizio e V atto conoscitivo f sia il medi Simo. Ma recandoci noi al luogo a cui ci rimette, troviam tutt*' altro: il giudizio conoscitivo non che una parte delibati conoscitivo, la prima parte di questo: odasi il luogo: Tre fenomeni si distinguono principalmente nel nostiti u atto di conoscere. Il primo che noi afiermiamo F oggetto M cui 8^ indirizza F attivit del nostro animo , e cos formiamo il ffudicio conoscidsfo per cui si aiTerma tale cosa di tak a altra n (i). CAPITOLO XX. GOllTUniAZIOIlE : FALSO CHE LA CONCEZIONE D^ TERMINI PARAGORllOJ NON ESIGA UN GIUDIZIO. Intanto in questo luogo si dice almeno assai netto, che c(M sia il giudizio conoscitivo : egli un affermare tale cosa & tale altra f. Riteniam hene questa definizione, perocch ella espriine F essenza del giudizio conoscitivo , che non gli pu mancar mal Quando anco vi avesse quella forma non compiuta e miste- riosa del giudizio, ch^ egli vien gittando improvvisamente frt mezzo alle sue parole, come il pomo della discordia, sena dirci per in che essa consista, anzi dichiarandocela inesplicfr* bile \ quando , dissi , quell^ essere mentale , sconosciuto alk logiche de^ nostri buoni padri, sussistesse veramente^ egli 0 non sarebbe giudizio, o sarebbe im affermare tale cosa di (i) E qual l'azione indireUa dei giudzio ? CoDvieae spiegarsi, altri* ment si cammina nel bujo, (Sl)P. II, e. IV, V- i6i a fi ^ perocch fra V afTennarc e il non freimarc non sno di sorte alcuna. e noi vogliamo raccogliere ancora pi chiaramente la el N. . intorno alP essenza del giudizio , consideriamo dice in altri luoghi, e ne troveremo di molti dove consistere nettamente il giudizio nelP affermare che L sia (i). itsa questa chiara definizione del giudizio , veggiamo a arreca a dimostrare quanto promise , cio che a alla me determini pai*ticolari paragonabili non fa hisogno io conoscitivo ". ecco la prova, che non fa bisogno questo giudizio a 5 i termini particolari , perch esso non fa bisogno ad e ad a^ertrcj come ha gi dimostrato altrove. In : reco tutte intere le sue parole: quello che s* appartiene alla facolt di attendere, noi IO che l'azione sua antecede di forza il giudicio co- vo, imperocch innanzi di affermare che un oggetto e, bisogna avvertirlo pi o meno distintamente n (^ji). i parla, egli e chiaro, di un'attenzione che non ha aggiunto il suo scopo ^ perocch non arrivata ancora ermare che un oggetto sussista y>. Convien dire pan- che r avvertire , di cui pure parla il C. M. , sia un ) di queir atto incipiente d'attendere che ci descrive I , e. II, li; e. IV , VI. litano queste altre parole , che tralascio nel testo perch non rac- pro^a alcuna 9 ma che pongo in nota, acciocch forse non mi si iiimo come di una infedelt a tacerle : r L' atto poi di avvertire rodere sembra a noi tanto semplice e nel suo primo moto cosi lente da qualunque nozione, oltre l'oggetto suo immediato, che ^ il contrario e sottoporre quell'atto alla direzione di qualche eriore ci sembra di mente imbevuta d'intempestivo platonicismo, ly^ Vi. Tutto il nerbo di questa afferma:une giace, come ognun in CI SEMBRA. Basta dunque opporgli un altro G SMBUA , riman elisa e annientata. E per sopra pi, le ragioni del nostro na M ognuno pu vederle nel testo, fi j // Riruoy amento. u i i6a senza conclasion e alcuna : perocch egli suppone, che con tutta Tavrertenza data alP oggetto, lo spirito nostro non sia giunti per ad accorgersi cVegli sussista^ conciossiach F accorgere; che vai oggetto sussiste, un affermare internamente la sua sussistenza; e fino a tanto che non abbiamo detto dentrc di noi che sussiste, egli non ancora da noi percepito, o pie^ ' namente avvertito. Ci posto, io osservo, che ella pure una grande impro- priet di parlare il dire che noi avvertiamo un oggetto , intendendo, che noi volgiamo a lui l'attenzione nostra, con un movimento di attenzione che ancora nel suo cominciare^ non bastevole a farci accorti dell'oggetto: perocch nel co- mun parlare, avvertire un oggetto, quanto accorgerci ddli sussistenza dell'oggetto, e nell' accorgerci di sua sussistenza, appunto V affermiamo'^ nel che sta, secondo il Mamiani, il giudizio conoscitivo. Ma lasciando Vavx^rdre^ che al tutto impropriamenlc usato, e parlando eW attenderei anch'Io credo, che si possa mentalmente distinguere quel primo volgersi dell' attenzione intellettiva ad una sensazione , da quell' effetto eh' ella poscia consegue, il quale la percezione dell' oggetto: quello il principio dell' attenzione, questo n' il fine: quel principio antecedente al giudizio conoscitivo ; ma questo fine riposa e si compie nel giudizio stesso conoscitivo , nell' affermazione d un ente, la quale affermazione appunto la percezione di lui. Ora ci che si cercava non era mica se noi potevamo (A' tendere senza giudizio conoscitivo : questo si sarebbe potalo in qualche modo difendere, restringendoci a parlare di un'at- tenzione incipiente, e non ancora completa: volevasi anzi pr vare, che noi senza giudizio conoscitivo possiamo concepire i termini particolari paragonabili, Parlavasi adimque di un'at tenzione finita : di un' attenzione , che doveva ottenere il suo ultimo effetto , la concezione de' termini : lo spirito nostro adunque dovea accorgersi, in conseguenza d'una s fatta atteii* sione, che gli oggetti sussistevano; dovea dirlo a s stesso, chbe coincidere, almeno in parte , colla concezione de^ teiv uni paragonabili, dal C M. dichiarata il primo de^ tre atti co^ quali perveniamo alle astrazioni. E ella veramente questa intuizione immediata, onde prendon le mosse i ragionari del N. A, il primo principio del vero umano, e del certo? Se ne riprenda la definizione: tf Chiamiamo intuizione la vista intellettuale delP oggetto pensato , astraendolo da qualunque riferimento a sostanza e guardato nella sua entit fenomenica 99 (3)^ ovvero: m Patto di nostra mente , il quale conosce le proprie idee e le atti-* nenze loro reciproche (4). (1) Quando al N. A. bisogno, dice il contrario. E non sua questa temenza, che * chi osserva ^giudica ? Osservare semplicemente ancor npDo di avvertire un oggetto, che 1* effetto dell' osservarci e pure in uu luogo vuole , che V avvertire sia senza giudzio ; e in un altro dice assolu* lasente, che m chi osserva giudica >f. Questa ultima sentenza nel suo libro 1 Dum. V del e. Vili, P. JI. (1) Vedi addietro y Gap. XIX di questo libro. (3) P. Il , e. I, IV. (4) P. II , e. Ili ,1. Or lU'Ua prima di queste due defniziuni, egli pare che rjn- iuiziouc supponga dinnanzi da se P oggetto pensato, e delie astrazioni fatte su questo oggetto. Nella seconda poi chiara niente si pongono le idee belle e formate, e T intuizione non le forma , ma solo le conosce , e conosce pure le loro attinenze reciproche. Il C. M. movendo ogni suo ragionare dalP intuizione imine^ diata, non s^ innalza dunque a cercare quali cose a questa piti- cedano, quali sieno le condizioni che rendano possibile T in- tuizione medesima. Egli ha ragione, in tal senso, di dire ch'egli trasalta la questione delF origine delle idee, perch lo fa ve'- ramente^ ma egli non avrebbe dovuto poi tornare mai pi su questa questione, avendone gi perduto ogni* diritto : j>erocch la questione delP origine al di l dalle sue ricerche: comin- ciando il viaggio dall'intuizione, non pu egli pi giungere per via retta sul territorio dell'* origine, quand"* anche viaggiasse tutto il cielo filosoGco; peroccli il pi eminente punto da cui discende , molto al di sotto della regione in cui si trova la discussione sull'origine delle nostre cognizioni. Tale questione si dovrebbe porre cos: P intuizione sup- pone ella nessunMdea precedente r> ? Egli alF incontro assume gi per indubitabile, che tutto dalP intuizione cominci: l'in- tuizione veramente il suo postulato. Ora avendo accordato a se stesso un tanto postulato, qual maraviglia, che in esso trovi tutto ci che brama? Neir intuizione egli trova la facolt di sentire distintamente u non una sola idea, ma pi, non sempre l'una dopo l'altra 5 ma Puna insieme con l'altra ad un tempo ^ la virt Ji astrarre, di comparare e di giudicare^ P esercizio della nostra spontaneit , ecc. ( i ) : in somma egli ha per bella e spiegata ogni operazione dello spirito : la sua spiegazione sta tutta nel supporre, che gli sia dato per primo principio quel grande atto d'intuire, che, come generalissimo, tutti gli altri racchiude. In somma debbo dire di lui , cpiello che ho gi detto di (i) P. II, e. IV. i65 Locke: egli parte dal fatto, elic Tuomo ha una potenza di pensare, senza attendere che tutta la questione filosofica consi- stea determinare, se questa potenza sia possibile, senza qual- che limie da essa posseduto, col quale ella operi (i). Che la filosofia dunque sia ancora al tempo di Locke? cVella non sia uscita ancora di quella povera fanciullezza? CAPITOLO XXU. L PERCEZIONE ANTERIORE ALL^ INTUIZIONE DEL C. M* ALLA PERCEZIONE ANTERIORE L^IDEA DELL^ ESSERE, SECONDO IL MAMIANI. Tidondc gli Oggetti del pensiero sono gi supposti dal N. . Egli non s^ avvede, che innanzi di contemplare gli oggetti for- mati in noi^ v^ha un primo atto che li forma nel nostro spi- rito, e che questa la percezione. Se egli avesse tolto ad esaminare questo atto del percepire I le cose, precedeute a quello ^intuire le idee, si sarebbe av- [ veduto, ch^esso il giudizio, onde gli oggetti da. prima si af- \ fermano per oggetti, o, che il medesimo, per enti (2)^ e che e ^esto giudizio ha bisogno, per farsi, di un^idea precedente, cio deir essere ideale o universale. E di vero, egli possibile paragonare due oggetti, senza saper prima che essi sono? e il sapere che sono, non quanto un affermare a noi che sono? e Pafiermare a noi che sono, , non il giudizio conoscitivo, secondo la definizione del N. A.? e il giudizio conoscitivo, non esige, giusta lo stesso A. N.^ un universale precedente ? Non solo il N. A. insegna, che il giudizio conoscitivo ha (i) V. il M Frammento di leitera sulla Classificazione de' sistemi filoso- fici ecc. M negli Opuscoli filosofici ^ Milano i 8^8, voi. IL (1) Fra i testi di varj fllosot italiani^ che il N. A. pone in testa di ogni capitolo 9 a mostrare ch'egli s'accorda colla filosofa antica italiana, v' ha por questo del Campanella m La percezione delle cose un giudicio (Um'i^ers. Philos. P. II, lib. VI, e. ix ). Tale sentenza avrebbe potuto dar molto lume al C. M., se ci avesse atteso. Egli la adduce in principio del e. y. della II Parte della sua opera. bisogno di un universale, ma ben anco accorda ch^egli l bi^gno del pi astratto di tutti, che, a sua detta, l'essere.* perch questa astrazione, la massima di tutte, non si pu far secondo lui, senza Puso di segni ^ egli insegna di pi, che i giudizio conoscitivo debbono preceder de^ segni. Il possiamo n avere pi mansueto e benigno? Le sue parole ci danno ass pi che non vogliamo, perocch elle dicono cos: u Non si sa comprendere in qual guisa potremmo noi con tt porre una mentale proposizione, e dire per es. a noi stess la tal cosa , ovvero noi siamo , senza di gi possedere Pus M di certi segni, che fannosi ajuto alle somme astrazioni: 1 per vero P astrazione delP essere, la quale inte/vierie in ck u scuna proposizione^ la massima di tutte P altre 99 (i). Una proposizione mentale, e un giudizio, il medesimo. I ogni proposizione mentale interviene la massima astrazione quella dell^essere: dunque questa massima astrazione intervien in ogni giudizio. Ma il giudizio , secondo il G. M., il primo f nomeno delPatto conoscitivo. Dunque Patto conoscitivo fino ne suo principio, nel suo primo fenomeno, ha bisogno dellMde; astrattissima di tutte, dell^ essere. Che cosa possiamo noi dir di pi? che cosa vogliam noi altro? CAPITOLO XXIII. AL PARAGONE DE^ TERMINI ANTERIORE L^ IDEA DEIX^ ESSERE. Continuiamo: il giudizio affermare a noi stessi che un cosa . Noi non possiamo paragonare due cose per trovare i esse le note simili , se non abbiamo prima affermato a noi stessi che quelle due cose sono. Dunque Patto del paragonare le cos richiede anch^esso precedentemente il giudizio, che si fa co Pidea dell^ essere universale. Ma il u paragonare le cose, tf astrarre da esse P identico 99 , il secondo de^ tre atti ai noverati dal C. M. necessarj alla formazione degli universali (a (i) P. II, e. IV , V. (a) P. Il, e. X, TU. b: 167 Dunque anche il secondo atto che fa la mente in formando gli QiuTersali, suppone prima di tutto nella mente formata Pidea iell^ essere. Q tutto conseguentemente alle premesse del N. A CAPITOLO XXIV. LIDRA DELL^ ESSERE NON UN PRODOTTO DELL^ ASTRAZIONE, COME TUOLB IL MAMIANI. FALSA DOTTRINA CHE MI ATTRIBUISCE. E&l 11.. P J Ma non posso ancora entrare a parlar di proposito del se- condo atto dichiarato necessario dal Mamiani alla formazione degli universali, cio del paragone delle idee, e dell'astrazione del simile^ perocch giova ch^io mi fermi a considerare quel- . l'asserire, che egli fa nel passo citato, ^ssef necessarj alla for^ inazione delF astrattissima delle idee, de^ segni come ajuto dell^ _ astrazioni (i). Anch^io ho detto che le astrazioni far non si possono dal nostro spirito, senza T ajuto di vocaboli o di segni (2). Ma dubito forte, se il Mamiani abbia colto il mio pensiero circa la natura delle astrazioni. Egli mi attribuisce il fare delFidea dell^ essere P ultimo ter? mine dell^ astrazione (3). Questo vero, ma in altro senso dal suo. Pretende egli, che colP astrazione si formi quella idea. Io comincio dallo stabilire, che Tessere intuito da noi natural- mente: pei dico, che non riflettiamo di intuirlo se non solo assai tardi, cio dopo che ci siamo bene esercitati nell^ astrarre, e che siamo venuti, per cosi dire, air ultima delle operazioni che possa fare la facolt astrattiva. Ora a sapersi, che nessuna idea, secondo il nostro modo di vedere, si forma in noi col- I astrazione: colF astrazione, che una funzione della n/les'^ ^ne, non si fa che sepai*are l'idea gi esistente, dalle altre notizie e sensazioni, fra le quali avvolta e confusa nelP animo nostro, considerandola nella sua primitiva purit e sincerit. Lfft il) ] (1) Egli li chianui h astratti m questi segni: ma i se^ni Don sono astraUi* Questa un' impropriet di parlare. (3) N, Saggio Sez. V^ e. IV^ art. iv, P)P. n,c. XI,M. 168 Ellla in noi: coll^ astrazione noi la troviamo in noi, la co* nosdamo, fissiamo in essa gli sgaardi del nostro intelletto: insomma ella per F astrazione diventa idonea di essere og- getto alle nostre meditazioni filosofiche , quando da priou si stava pure nello spirito nostro, ma senza tirare a s n molto n poco la nostra osservazione. E quante cose passano o dimorano nel nostro spirito inosservate? Quando io nel corso di quest^ opera n , cosi si legge nel N, Sa^ioj cliiamo l'idea deircssere in universale astrattissima, non intendo per che sia dalla operazione delP astrarre pro- le ciotta, ma solo ch'ella sia per sua natura astratta e divisa u da tutti gli esseri sussistenti n (i). Ora io dissi ancora, che i vocaboli sono necessarj a formare le astrazioni, ed anche quella dell' essere^ ma unicamente per questo, che senza i vocaboli, la mente non sarebbe da prima mossa e tirata a contemplare il simile, disunendolo dal dissimile. 60, che il Mamiani dona alla mente un movimento spontaneo a tali operazioni^ ma questo movimento dee avere una cagione; altrimenti porrebbesi un fatto inesplicabile, un fatto senza ra- gion sufficiente. Or bene : io ho creduto di dimostrare , che questa cagione, che muove l'animo e il fissa nel simile, non pu esser altro che il segno, il quale, posto in certe circo- stanze, fa r ufficio di vicario della cosa. Ma ci verr forse biso- gno di tornare su di questa materia altra volta. CAPITOLO XXV. CONTINUAZIONE. Intanto avendoci conceduto il Mamiani , che in ogni propo- sizione mentale, in ogni giudizio (2) dee intervenire la mas- (i) Sez. VII, e. VI. (a) Secondo il C. M. 9 Ima delle astrazioni , cio V essere ideale ^ ed avendo noi pi*o- ito, che i termini del paragone non si possono percepire aia un giudizio^ conseguita, che nel primo atto de* ti*e idiiesti dal Mamiani alla formazione degli universali , cio nella 3Qcezione degli oggetti da paragonarsi, a esiga V idea dei- essere gi formata. Egli non ha mica atteso, che percepire gli oggetti parago- ahili, equivale a formare a noi gli oggetti^ perocch gli og- ei non sono ancora al nostro spirito , fino a tanto eh* egli lon li abbia percepiti, e affermati. Ora , se egli accorda , senza controversia alcuna , che noi lan possiamo dire a noi stessi la tal cosa , senza K r astrazione delP essere che la massima di tutte Tal- tre (i)^ in che maniera poi si l dunque P astrazione dei- veliere? in che modo si acquista questMdea astrattissima ? Egli toma qui al paragone ^ ricorre di nuovo alP astrazione UT identico : parlando appunto della generazione di questa toribile idea, dice essere u aperto e notorio non potere le idee di medesimezza, ovvero di differenza, essere presenti e formate nel nosti'o spii*ito innanzi delP atto di paragone , onde sor- gono fi (2) ^ e censurandomi per aver io rifiutato alla rfles- Mne lockiana il potere di formare V idea delPessei'e, dice: Quantunque sia vero che la riflessione lockiana non pu aggiungere n scemare la materia prima dei nostri concepi- menti , pure non le si pu disdire la facolt del mettere in paragone pi termini, e con questa T altra d* ingenerare * le idee di attinenze, e di cogUere F identico per mezzo il vario , cos come il vario per mezzo V identico (3). Si vede da questi luoghi, e da pi altri del suo libro, eh* egli fatte come da un dato certo, che Pidea dell* essere sia un* idea di medesimezza, e che tutte le idee di medesimezza si formino dal paragone. Dove ci fosse certo, e dove questo appunto fultima nota di questo articolb). Il M. adunque fa pi complicata che noi loo lacciaiiio^ l'operaziooe dei giudizio, e per tanto pi bisognosa di esser receduta da qualche idea universale. (1) P. II, e. IV, v. (a) P. n^ e. XI, m. (3) Ivi, iv. RosMini, // Binnoy amento. 2'ji non fosse ci che bassi a provare, ogiii controversia inton alla genesi di questa idea sarebbe cessata. llMncoiitro in provar questo punto sta il nodo, a questo riduce tutto il problema^ di nuovo, non intese adunque il Mi miani quale fosse il vero stato della questione intomo rorigin delle idee. Trova egli naturalissimo ed evidente, che l'idea dell^ essere come tutte F altre astratte, si formi mediante il paragone de termini. Ma egli non s'accorge, che dovendo i termini essa prima dallo spirito concepiti, acciocch poi si possano pan- gonaife, deesi pi*ima spiegare come questi termini si concepi- scano. Or si dimostra, che questi teimini non possono cono pirsi dallo spirito, se non a condizione di affermarli a it stesso^ e che raffermarli a s stesso, im dire a la tal cosa i al che il G M, stesso confessa esigersi Pidea dell'essere. Cgi adunque cozza seco medesimo, e distrugge con una mano & che ftibbrica coll'alti*a. Quando adunque il Mamiani rifiuta l'argomento ch'io trajgo, a provare che l'idea dell'essere non fattura nostra, dat r esser questa 1' ultima delle astrazioni ^ egli non m' intend6; perocch intendendomi, egli vedrebbe, che la mia prova fon- data su quegli stessi pringipj che si trovano spaiasi qua e adii nel suo libro, Togliendo io a notomizzare per cosi dii*e un'idea concro- tata, per esempio, come ho fatto nel N. Saggio ^ Pidea di Mak tizio mio amico, il ragionamento che io instituisco questo: Tale idea. complessa, cio risultante di molte parti. Se di iion fosse, io non la poti*ei anaKzzare^ perocch l'analisi noa larea le parti in un concetto, ma ve le ti^ova. Analizsiaoio , cio scomponiamo quella idea nelle sue parti. Da prima separiamo da lei la sussistenza: non pi la notizia di un foniiso reale, ma di un amico meramente possibile, seb- benp di quella medesima statm*a, di quelle fattezze, di quel cplore di prima, ecc. ^ con ci l'idea si appurata, non pii concretata e priista, ma sincera. Leviamo da quelle forme umane pgni memoria di amicizia : rimane il tipo di un uomo. Separiamc gli accidenti , che finiscono qucst' uoipo : rima;i P uomo in isjie- '7' eie astiratta. Non pensiamo pi alla sua Intelligenza , ma solo aD^aiiImalit : resta nella mente P animale, ehe un genere a coi Fuomo come specie apparteneva. Seguitiamo a scarnare il ttstro pensiero dell^ animale, non fissandolo pi sull^ animalit ^ a sulla materia bruta, che parte delP animalit ^ pensiamo tattavia un corpo possibile. Restringendo ancora la vista del-* P intendimento, non veggo pi la corporeit, ma Pentita in genere. Il mio pensiero pensa nondimeno ancora qualche cosa, na cosa che ha pensato sempre, un elemento che ha trovato nell^ idea di Maurizio e In tutte F altre idee : non stato ag punto nulla all'oggetto del mio pensiero^ ma cpiest' oggetto i tuttavia diminuito , e scamato. L' idea di Maurizio era dunque sommamente complessa^ io vedeva complessivamente tante cose in quella: la ho scomposta, fino a restarmi presente aQ' intendimento un solo elemento semplicissimo di lei , e que- sto Pente. Posso Io levar quest'ultimo elemento dal pensiero?' Levandolo, non ho pi nulla. Che dunque conchiudo? Che per pensare a qualche cosa, il tnlo spirito abbisogna di ^nel primo elemento col quale s'Inizia II pensai*e: questo ele- nento quello che si trova colP astrazione, quello che rimane adla mente P ultimo dopo aver da lei tolti tutti gli altri ^ e Pente ideale appunto desso. Simigllante conclusione ella tanto aliena dal C. M.? No, certo: perocch equivale a quanto dice il Mamlani appunto^ die tt la massima astrazione che quella delP essere interviene in ogni posizione mentale , e che quell' Idea dell'essere porge r elemento precipuo del giudiclo conoscitivo , cio il ver- bo 99 (i): quindi non si. d percezione di oggetti parago* nabili senza di lei L' idea dell' essere non pu dunque formarsi col paragone^ na quella sola che precede e rende possibile ogni paragone^ Or dopo di ci dicasi, che cosa possa valere l'altra affer-* inazione pure del N. A., colla quale pretende che quest'idea dell'essere sia figlia della riflessione locklana^ perocch non * si pu disdire a questa la facolt del mettere in paragone (i) p. Il, e. xr. II. 17 M pi termini . No certamente , non si pu disdirle ci ^ ma si pu ben disdirle di farlo senza V idea delP essere^ si pu ben dire, che la riflessione lockiana posteriore a quest^idea; e che per, sebbene possa con questa idea far paragone delle cose gi percepite , non pu per dare origine all^ idea stessa che 1^ madre, o certo le necessario istrumento di suo operare. CAPITOLO XXVI. JL C. M. NON CONOSCE LA NATURA DELL^ IDEA DELL^ ESSERE. Ma il N. A. si adombra assai di quella proposizione, che ala M idea deir essere comune a tutte le idee singolari, in guisa M cVelle sono semplici maniere e determinazioni di lei n (i). Teme egli questa proposizione per gli assurdi che indi gli sembrano scaturire. Anche qui per il debbo io rivocare entro i limiti del giu- sto metodo filosofico ^ il quale prescrive, che trattandosi di fatti , non si cerchi come debbono essere , ma a dirittura si rilevi e certifichi come sono, se ne studi la natura e le leggi Hassi a sapere, se in ogni oggetto delle nostre idee noi veg- giamo s o no Tessere? mano air osservazione , mano alV analisi, senza tanti raziocinj ^ osservando e' scomponendo , noi vedremo agevolmente, che oggetto dell'idea ed essere un bel sinonimo. Ci non per tanto udiamo in che consistano i timori del N. A. Questo , se non erriamo , un vero trasmutamento dcl- *t Pidea in sostanza, ed un ragionare della prima nel modo e nei termini che lecito fare soltanto della seconda (a). Da vero, che se ci fosse , saremmo rovesciati in un dannoso errore I Ma di questa sua deduzione egli non d prova. In quella vece si allarga a mostrare, che, posto per vero che Fidea si cangi in una sostanza, noi siamo nell^ assurdo. tf Le idee sono tutte quante una pm*a modificazione AA ^ nostro principio cogitativo , e non avvi fra loro una idea (i) P. II, e. Xr, H. (a) Ivi. '73 cospicua, che divenga sostegno di tutte le altre e le riceva in s come attributi e affezioni della propria sostanza (i). Diffatto (continua) questo sostegno, quando vi fosse, o f dovrebbe potersi distinguere dalli suoi modi, ovvero non e egli pensato , di- stinto, e conosciuto da noi (2) ? Ma a che tanto scialacquo dMngegno? a provare che Fidea dell^ essere non ima sostanza? Per* rispondere a ci, basta una sola parola : ninno ha mai sognato una simiglievole ga- ^offeria. La sostanza dee avere , acciocch sia tale, quello che io chiamo realit o sussistenza^ ora Pidea (considerata nel suo oggetto ) non che la possibilit , o sia V iniziamento del mie e del sussistente^ di guisa che, nel N. Saggio ^ essere ideale (idea) ed essere reale (cosa) sono sempre opposti fira kro come principio e fine. Egli impossibile adunque il con* faidere Pidea colla sostanza. Ma che perci? se Pidea delP essere non sostanza, sar per questo meno vero che ella si trovi in tutte P altre idee? Per negarlo, converrebbe poter dimostrare, che se Pidea ^^ essere in tutte P altre idee, o pi tosto, se tutte r altre idee sono nelPidea dell^ essere, ci dee trar seco per conseguenza inevitabile, che fra quella idea prima e le altre possi quel nesso che fra la sostanza e gli accidenti : n ci i pu dimostrare, se non se dimostrando, che tutti i nessi possibili non sono se non quel solo, di sostanza, e di acci- dente. Ora, con buona licenza , io mi permetto osservare , che 3 provare questo, pur un troppo malagevole assunto. Pe- rocch non si potrebbe venirne a capo, che in due soli modi: 0 col conoscere a pieno la natura di tutti gU enti tanto reali (1) P. II, e. XI, li. (a) Ivi. che sono idee di MMtanza , ma di tutte le idee di soggetto in generale; e acciocch apparisca ci via meglio, odasi quello che seguita: Cotesta quarta specie verr * distinta e compresa assai facilmente , se metteremo in ricordo , che cono* (Score vuol dir giudicare, cio (listiijgucre ed afTermarc alcuu attributo ij6 a spiegare come potesse noiare al C. M. il fare dell^ idea di V essere una sostanza , e delle altre idee , degli accidenti quella. Ma io temo, che il lettore si lagni d^ essere in ta filosofiche inezie pi a lungo trattenuto. Per pi breve mi spaccer delle altre parole del N. i colle seguenti osservazioni. i.^ Egli falso, che le idee tutte quante siano una pur modificazione del nostro principio cogitativo. Il principio co gitativo il soggetto, e l'idea l'oggetto: fra soggetto o oggetto v^ ha opposizione ^ dunque V una non , e non pu essere una modificazione dell'altro. Cognizione non v^ ha, i non a condizione, che l'oggetto sia cosa diversa ed opposti del soggetto. Bens la sensazione una modificazione del sog getto senziente^ e per questo appunto ella non oggetto ella non cognizione, ella cieca. Il N. A. adunque attribni sce alle idee le propriet delle sensazioni : e confondendo quelli con queste , s' aduna colla schiera de' sensisti. a.^ Se egli intende per una idea cospicua n , una ida che sia una sostanza, vero che non v' ha nella mente nm idea-sostanza^ come non v'ha n pure un' idea-accidente^ pe* rocche l'applicare alle idee questi vocaboli e relazioni di so- stanza e di accidente, un mettere le cose fuori di luogo: come chi dicesse che v' ha un suono che pesa dieci libine^ ed un altro che ne pesa cento. All'incontro il negare che fi sia una idea cospicua fra tutte l' altre , che questa sia quella dell^ essere in universale^ il negare, che questa sia la pi uni- versale di tutte, e che le altre in lei si comprendano, non i quel modo che l'accidente aderisce alla sostanza, ma in quel modo proprio e particolare onde una idea meno universak sta nella pi universale (i), una specie nel genere, una con- M d'alcuo soggetto. Laoode oiuna coogiunziooe d'idee o di fatti pu cs- H sere conosciuta da noi , finch non riceve innanzi la congiunzione intcK* r leUuale #. P. II, e. X^ 11. Trattasi adunque d'un soggetto qualsiasi che regga un predicato. (i) Questo un vero, a cui ci abbattiamo per tutto ^ involontariamente: senza accorgercL Quando^ a ragion d' esempio ^ il G. M. ci dice che di- ff mostrare una verit generale si scuoprire certa sua identit' eoo alln Mguenza nel principio: il negare ci, negare i fatti pi ma- lifittti di natura , sostituire ad essi le proprie ipotesi , ed i poprj dlaci ragionamenti. 3.** L^ alternativa, che le altre idee, se fossero contenute in pella dell^ essere, o dovrebbero distinguersi da quella o non listinguersi, incompleta* Le altre idee si distinguono, e in ieme s^ identificano con cjuella dell^ essere, allo stesso modo some le q>ecie s^ identificano col genere, e anco si distinguono la lui ^ n in ci v^ha contraddizione alcuna. Ad intendere die non v^ ha contraddizione, basta considerare, che T intel- letto nostro ha pi vedute. Quando con un suo sguardo con Unpla Tessere al tutto indeterminato, (2). Si soleva credere ; in antico, che la coltura intellettuale degli uomini e delle na- . ibni si misurasse specialmente dal progresso della facolt di aitraire. Ma ora qui il N. A. ci assicura, che questa feicolt ; ghmge al massimo suo sviluppo prima che Puomo abbia pure l anpiistato la minima conoscenza, prima che sia uscito da uno tato intellettuale che sarebbe non solo assai inferiore a quello qualunque trib di selvaggi, ma molto prossimo a quello degli orang-outang. CAPITOLO XXIX. coHToruzioifE: cinque errori del mmini intorno le operazioni DEL PARAGONARE, E DELL^ ASTRARRE. E pure il C. M. s' obbligato a dimostrar tutto questo! Consideriamo i suoi sforzi: consideriamo come si dibatte per F (i) p. n, e. X, IV. (2) p. n, e. n, n. |8> venire a capo di persuaderci, che P astrarre non esige alcu giudizio conoscitivo. Prima di astrarre convien paragonare. Or egli fa passai per una sola maniera d^atti il paragonare e Pastrarre, dicend che quelli insieme pi*esi sono la seconda sorte di atti necessar alla formazione degli universali. Quanto al paragonare , noi abbiamo gi detto abbastanza i far manifesto, se egli sia possibile senza Videa deU^ essere: e abbiamo veduto, che non solo egli non possibile, ma sena quellMdea non n pure possibile la concezione de^ termini che dee precedere il paragone. Veniamo 9X* astrarre'^ ma prinu udiamo il N. . u Riguardo all^atto di comparare e di astrarre notammc u noi-^, che translatare la propria attenzione da un termim a un altro e da una qualit ad un^ altra operazione ch( non domanda di necessit la previdenza d^un qualche scojk tf determinato , e con ci la univcrsal nozione delP attinenzs u del mezzo al fine. Ma in tal modo di traslazione consistt tf appunto il paragonare i singoli termini , e il poiTe mente \ quello che in loro comune , in disparte da ci che in lon individuale (i). Qui il Mamiani fa consistere tutta la operazione del paia gonare e delP astrarre unicamente ne^ trapassi delP attenzioni da un oggetto all^altro^ e crede di provare, che non ci aU bisogno di alcuna idea universale , perch quell^ attenzione si tu sferisca d^ un oggetto alleai tro , movendosi ella per via d^impnli istintivi, senza bisogno delle idee universali di mezzo e di fine Ma basta egli questo a provare, che si pu paragonare 0 astrarre senza idee universali ? Io non posso accordare nessuni delle affermazioni che contiene il brano che ho trascritto dal suo libro, ma sono costretto di parer forse poco cortese ne- gandogliele tutte. Nego adunque, i. Che paragonare ed astrarre sia una sola sorte di atti: a." Che quando bene avess'egli provato, che a trasportare (i) P. II, e. X, VII. sudoiie da nn oggetto all^ altro non si richiedesse V idea rsale di fine e di mezzo, avesse provato perci, che quel sso far si potesse senza alcun^ altra idea universale : Che in quel trapasso consista la operazione del compa- i termini: ' Che molto meno in quel semplice trasferimento di at one si compia quella delF astrarre, assai diversa, come uno , da quella di comparare : ' Che basti un impulso fisico a dirigere P attenzione nel che necessario, perch lo spirito venga alle compara- . ed astrazioni maggiori, bono prove di ciascuna di queste nostre negazioni. CAPITOLO XXX, CONTIinJZIONE* .* u Paragonare ed astrarre non una sorte sola di atti 9> . nfondere due maniere di atti cos distinti, un errore le a quello che ho notato pi sopra, dove il M. confon- . V attenzione col giudizio.^ i questo mescolamento di pi potenze in una, sarebbe stato pialche modo perdonabile mezzo secolo addietro , quando invalsa P ambizione di giurare nelle parole di Gondillac* sto autore , lodevole per aver commendato V uso dell^ ana- P applic ben poco a discemerc le varie potenze dello ito. Ma or, dopo tanto che s^ detto su questo difetto liUachiano (i), dopo che quel sistema caduto, non si 91 aspettare dal M. ringiovanito lo stesso errore. [a che il paragone non sia V astrazione^ sar facile a vedrlo, derando, che ^flBcio dell' astrazione quello di raccorr imile dentro agli oggetti concepiti , e questo simile tuttavia i si pu talora discemere, n anco per molti e molti pa- wii. Quante volte avviene, che mes^ due cose a confronto. ) Yedi solla coofusione sislematica delle potenze che fa il GoDdiilac | . Saggio Sez. Ili, e. II > art. v e seg^. I a;x> ili conchiudere se elle seno della mede- a. a Kuo ? Questo dimostra, che talora il paragone .M.v!uiK> ili due o pi cose, non giunge ad ottenere .ciiw- ^'^^ *^^1 paragone si cerca ^ il paragone non .K- l mezzo, a cui poi fine l'astrazione che coglie ojui^; ora mezzo e fow sono cose lungamente diverse; .a vjuaudo il fine non seguita a quello di necessit, ma e -.om riman senza questo. E pure Tesser giunti a scep- ^v>v il somiglianza di due o pi cose, non ancora avere u>acL&ione compiuta^ compiendosi questa mediante un limi- u^.* e restringere P attenzione nostra alle qualit in cui gli ^>^ctti paragonati si assomigliano, senza ispanderla agli og- :;vCti in cui quelle qualit si ravvisano. Raccogliendo pertanto quello che abbiamo detto innaxui uUa differenza che corre tra V attemlere e il paragoiwie^ e quello che notammo qui sulla diflerenza fi-a il paragonart e V astrarre^ possiamo conchiudere, che v^ha nello spirito nostro lina serie di atti, che sebbene affini e spesso succedentisi, tut- tavia son di diversa natura, ne dal filosofo si posson con* fondere. Conviene adunque distinguersi accuratamente i.^ l'at- tendere intellettivo, 2." il percepire , 3.** P universalizzare , 4 il paragonare, 5.^ il trovare le somiglianze, e 6." rastraiT& a.^ Quando il C. M. avesse pur provato , che a traspo> tare P attenzione da un oggetto all'* altro non si richiedesse r universa! nozione delF attinenza del mezzo col fine, non avrebbe per provato, che ci si facesse senza idee universali La ragione di ci chiara. Acciocch P argomento del G. BL fosse efficace, egli dovrebbe aver provato prima, che Punici idea universale che pu rendersi necessaria in que' trasfer* menti di attenzione, sia quella delP attinenza del mezzo col fine. Ma ci non prov egli. Dunque non prov n pure, che que^ trasporti di attenzione far si possano senz^ altra idea uni- versale, come a ragion d** esempio quella dclP essere. 3.^ tf II comparare i teimini non consiste nel trasferire h nostra attenzione dalPuno alP altro frequentemente, come vuole il N. A. . Quando il C. M. parla di un frequente trasporto di nostra attenzione da un termine ad un altro , egli d grandissimo j85 a una circostaiiza che meramente accidentale. E di vero, il paragone di due oggetti da me si faccia con pi oc- ite, ovvero con una sola^ ci non costituisce la natura del igone. Vorr dire, che se im^ occhiata sola non mi basta mchiudere qual sia la differenza e la similitudine di pi etti chMo miro a fine di raffrontarli, dovr ripetere i miei irdi, o tenerli pi lungamente affisati in essi^ ma questo idente, che mostra il grado di mia ; attenzione, e di mio Offgimento in istringere pi o men - tosto, il paragone , non DOnoscere punto n poco la natDira di paragone medesimo, fa 9 ci che pi, il paragone non consiste e non pu con- CK tf In tal modo di traslazione n delP attenzione nostra mi termine all^ altro. Se io trasferissi P attenzione mia d^un Bine all^ altro ben mille e mille volte, tutto sarebbe in- no pel paragone^ non solo non potrei conchiuderlo, ma n o incominciarlo. A fine ch^ io possa venire ad im confix>ntu li oggetti , rchiedesi appunto il contrario, di qujsto-firequente ferimento di attenzione da uno lall^altio leriin: io debbo qr anzi ferma fermissima P attenzione sui due o pi oggetti voglio paragonare: debbo non solo attendere, ad essi si- itaneamente, ma dentro al mio spirita, immedesimarli^ ed le^ante questa spirituale immedelttmazicme , ohe io pokso mie loro differenze e lor somiglianze (). Sioci^ sottomessa MSCnnita analisi P operazione ^essa del paragone^ A divide. P9e; :parti , che sono i .^ fissare V attenzione simultaneamente W] oggetti che voglio paragonare, .? immedesimarli liearli.rono all^ altro nel.iio ^irito, 3'.*^ conchiudere quale xenza o somiglianza sia la loro. L^ essenza > del paragone lotta nella seconda di queste tre operazioni. Una tale ana- k troppo necessaria, a chi non vuol comtnettiere. gravi errori.* quello in cui cadde qui il.C. M.>, provenne mhnifestamente 'aver egli confuso quegli atti estemi, che noi facoiamo ido vogliam confrontare pi oggetti eUsibili^' cgli atti 311 che a quelli in noi cot^ispondono* Abbiamo noi' i due '...' Vedi il Jf. Set^gio Sei. Ili > e. IV > art. xx.- -...".! . i : : .' 95M1M, // Jiinoi^aniento, 2 4 qnaHr presso che ugnali, e non sappiamo quale sia la copia quale P originale. Egli verissimo, che noi li guardiamo e riguardiamo: ora miriamo P uno fisamente, ora P altro, ora sotto un angolo di luce, or sotto un^ altro, voltandoli a tutte b parti. Questo quello che avviene veramente quanto agli atti nostri estemi. Ma il paragone, non qui^ egli si consuma tutto dentro di noi. Quegli atti nostri esteriori non fanno che tm raccorre la materia del paragone , che poi lo spirito opera in l stesso: perocch lo spirito non pu paragonare con esatteata, se prima non ha raccolto diligentissimamente la forma di quegK oggetti. L^ osservazione esteriore iterata, alternata, prolungati| quella adunque che imprime nello spirito distintamente fi oggetti , i quali vi rimangono simultanei : e allora lo spirito K paragona. 4*'* tf L* astrarre non consiste nel trasferire firequentementfl la nostra attenzione da un termine alPaltro del paragone n. Discende da ci che ho detto. U trasferire P attenzione nostra da un termine alPaltro, non entra di sua natura nel discorso e\ paragomu^ e il^astrarm^ quando non s^ intenda di descrivere con ci non il paragiMii. ma quegli atti estemi che lo precedono e lo preparano. L^ astrazione succede al paragone. L^ osservazione esterna, dw ai compie mediante gli atti estemi che abbiamo toccato, non' aicora il paragone, ma ne dispone e rende possibile la fonnft* none. Dunque P astrazione opera dello spirito, assai rimoli aV osservazione esterna^ a cui sola appartiene quel trasferimeaU di attenzione che descrive il M. , e che confonde col /nw gone e cqW astrazione medesima. E non sar per inutile, k noi udiamo le parole onde il N. . descrive la virt P^f stnurre in nn altro luogo, dove abbiamo delle confessioni pi ziose, tutte al nostro uopo. Ecco il passo. M La mente nostra ha facolt di concepire il simile, omzt il dissimile^ il che riene effettuato dalla virt nobilissiiai dell- astrarre, secondo atto di nostra mente ^ del quak ci viene ora il tener discorso . Ecco il discorso che ne tiene A chiunque si pone a riflettere sul perenne fenomeno dd P evidenza intuitiva apparir questo di chiaro , che P atto di 187 gmdicio, il quale vi incluso., con^iesi pel dimorare 9 per r alternarsi dell^ attenzione sui tennini di esso giudicio (i) Or qui convien pure osseiTare, che altro il dimorare del- Tattenzione sui termini del giudizio, altro il venire a strin- (ere lo stesso giudizio. Potrebbesi dimorare lungbissimamente ni termini del giudizio, e giudicar tuttavia nulla^ come in certi (indizi imbrogliati addiviene, ne^ quali Puomo non si risolve a niuna parte. Non questo per cerco io di notare nelle parole del N A. la quelle mi accorda egli, che Viniuire^ e medesimamente astrarre si fa col giudicare^ e il giudicare poi per lui stesso raffermare: ma affermare non si pu senza avere almeno Tidea dell^ essere, che il vei'bo, com^egli dice, che lega il gmclizio.: dunque non ho bisogno che di lui stesso per confu- tare le sue dottrine. 5.' Non basta un impulso fisico a guidare P attenzione alle astrazioni maggiori, come quella dell^ essere, che il N. A. dice la massima di tutte Taltre . Crede il M. di provare il contrario coll^ esempio di un fan- ciullo lattante. La nuova immagine, dice, che entra per gli occhi di questo, is vegliando la sua attenzione, la terr volta a quella parte, donde muovono le impressioni pi vive: e po- niamo che tal parte sia il volto. La nutrice fa un cenno e sorride: F attenzione allora del fauciuUetto sar chiamata di preferenza agli occhi scintillanti, o alla bocca atteggiata al riso, e forse alPuno ed all^ altro in pi tempi, secondo die il variare dei minuti accidenti far avvertire ad ima parte piuttosto che ad un^ altra. Intanto questi diversi tra- passi dell^ attenzione rendono pi distinta e viva tutta la forma del volto, la quale non ha mai cessato di farsi pre- sente al pensiero, sebbene in inodo confuso e languido " (2). Or questo esempio prova tutto al pi, che le impressioni ^li oggetti estemi muovono V attenzione del bambino , e che (1) P. n, e. X, TV. Qui noti afirh> il r dimorare ^ f'W att^oxione sui tcrami d esao giudio ; e questo va bene, se intende un dimorare su tuti* e due i termini simultaneamente; ma T alternarsi che ci aggiunge, inutde. (a) P. Il, e. IV, VI. i88 il mutare di qusti fa cangiare direzione anche air attenzione di lui. Ci niun filosofo metter in dubbio; ma la questione deir astrarre non si risolve per cos poco. Quando anco potesse provarsi, che il bambino con qael tramutare di attenzione perviene a formarsi qualche astratto; il che pur non si prova : questo astratto si limiterebbe ad es- sere di cose sensibili. Or non si tratta di astratti sensibili, nel discorso del G. Mamiani; trattasi di provare, che Fuomo possa formarsi istintivamente quella astrazione , che il Mamiani me- desimo dichiara per la massima di tutte , per la pi spirituale, per la pi insensibile per cos dire, in una parola T astrazione j dellMdea delP essere. Che il bambino astragga il colore daOa forma della nutrice, passi per ora, sebbene il N. A. n por questo ci prova; ma tutt' altro quando si tratta dell'idea deir essere: quelPidea non colore, quella non ha forma cor- porea, non nulla di concreto, nulla di ci che entra per gli occhi, o per gli orecchi, o pel tatto del bambino, quando vede, ode, o palpa la nutrice. Riman dunque ancora troppo a provare all' A. W. , prima che dall'astrazione di cose sensi- bili , eh' egli suppone farsi dal fanciullo , possa inferire logica- mente, che l'uomo pervenga istintivamente all'astrattissima delle idee fra le insensibili. In secondo luogo, s^ inganna egli a partito^ credendo che i filosofi insegnino che Y asti*aiTe non sia pi che il dare al- M tenzione ad alcuna cosa in disparte e divisamente dalPal- tre (i). Se ci fosse, egli avreblie almeno ragi (a). Vedesi anche qui addurre V esempio di cose sensibili : e to- rda quelle conchiudere alle insensibili (i) Come l'autor Dostro SDHiura l facoltli dell' astrazione cangiandola m ft d poter dare attenzione ad una csa in disparte da iin' altra; ci Kpo TTenire anche entro la fera de > sensi corporei , giacch l'atten- e sensitiva si applica ad una cosa in disparte d'un' altra, o pi tosta i^.pu mai applicare se non ad una cosa singolarmente presa;.' cosi I snatura pure la facoltl^ del giudizio quando pretende che in questa mione per soggetto si debba intendere una totalitii di fenomeni e per riicM una parte di essi : sicch n nel predicato n nel soggetto amo alcuna idea universale ( P. II e. IV vu ). Io vorrei per cbe piegasse pi chiaro. Vorrei che mi dicesse se il suo giudizio suona cosi : k 'i parte di B w; perocch in tal caso almeno il verbo dee contenere ' idea universale anzi, secondo lui stesso la knassima delle astrazioni. Ired quella forma di giudizio conterrebbe' la relazione fra il tutto e pirte ; e questa relazione idea universale ella stessa come Ife parola parte m voce comune ed universale. Con queste riflessioni cade tutto ^ eh' egli fabbrica nel luogo accennato. WP. II,c. X, VII. 9o Di poi, in queste stesse cose sensibili, egli confonde la materur .dell^ astrarre somministrata da^ sensi, colla forma ^' in che coih .siste propriamente la virt dell^ astrarre. Or ninno ha mai ne i;aio, chela materia delle astrazioni risguardanti oggetti sensiUIp non ci venga dal sentimento: ci che il sentimento aoil. poi darci si Fatto steisso dell^ astrarre, che si esercita su d' quelli materia. Ninno ha mai .negato, ehe la sensazione , 4e^ odori non sia in s stessa diversa da quella de^ suoni; Chi ben If considera converr facilmente , che sono di pi' indipendenti Funa dall^ altra, e che prese come mere sensazioni non con derate colP intelletto ancora, esse non hanno la minima rela zione insieme, sicch Funa non sa nulla delF altra: le due seiir .sezioni adunque col solo esistere loro proprio non si paragonano^. Potrebbe anche avervi un soggetto comune delle due sensa^ .zioni, il quale non. fosse capace di fare questo paragone^ certo jnon assurdo a pensarlo*^ anzi egli fuori di dubbio, m .tutte le sensazioni che noi stessi abbiamo, sehben nomini , .non le paragoniamo fra loro^ ed ella sarebbe, a dir vero; tro{^ fatica a paragonarle tutte , ed inutile : eppure abbiamo anco, F intelletto. Dunque F esistere le sensazioni separate, in- dipendenti, F esistere in un medesimo soggetto, F esistere fii anco in un soggetto ii^telletUvo, tutto ci non ancora Federe paragonate. Che facciam noi? ne paragoniamo alcune, raoca^ gliamo le diiferenze maggiori , quelle che pi c^ interessano^ ^ quelle che pi ci abbisognano: e F altre stanno in noi stac- cate, senza che noi pur badiamo alle loro relazioni, le quali rimangono a noi sconosciute fino a che non ci facciamo attoi- zione. Io m^ astengo qui di parlare del sensorio comune. SA dir, che di questo sensorio altri si forma una assai tolta opinione. Sarebbe un assurdo F immaginare, cVegli fosse simik al senso del vedere, o delFudire, o ad altro organo simgliantfr Egli non pu essere un organo, non un senso distinto^ ntt dee essere un riferimento simultaneo delle sensazioni de^ cinqoa sensi al medesimo essere percipiente. Ma questo ritrimenta \ non necessario^ pu farsi, e non farsi ^ pu avvertirsi e non avvertirsi: io dico ancora di pi: F essere percipiente, sebbene uno e semplice, pu riferire a s tutte le varie sensazioni, senta che per questo sia assolutamente necessario che insieme k 9 pangoni. l parafftm d^unque degli oggetti e VastMdone del nmile non ima ^eonseguenza nDessairia u di im tsensorio' comime n di ' vn inteUetto. Se nott ' ima tonsegcni n^ cessarla, egli niniBii' dunque a mostniisi ili' che modo arrtega^' n egli sufficiente, a -spiegare qu^ssta opetazione, 1 aver dett ^ lonplioemente be T^ha un senaoro, o ii V^'ha un inteBtetfo. Sebbene, tono troppi al mio assunto questi miei lugionari,* qnaado w ho ai mio 'favore Tautort dello stesso G. M., be,' ove in bisogna, Sempre presto ^ ab^dldmi 'geneiioiriiihente qnnt desideM^ e nelle qui lo th>vo 'vi^rsb me assai liberale.' Egli incerto lugo'def suo Kbro- Ib fa'cano colla cagna , facciano con ci altrettante astrazioiii tejlettuali? Non bastava dunque al C. M. mostrare il l Giulio che volge gli sguardi suoi e U attento aspetto ora i occhi^ ora al riso, della balia ^ queste esterne dimostrai non. provano abbastanza quello che avviene nella mnte pmauUetto: dovea meglio il ,N. . mettersi dentto, inedia certi indubitati segni dMntelligenza , nell^ intelletto fancullet ^mostrarci il lavoro intellettuale che in quello viene si spiegano. Quand^anco adunque Va. avc^Bse egregiamente provato, che il blunbino mosso .dall^ itti ae^tiyo venis^ f^cej^ido delle astrazioni ^e non pnto mi c}ie r.intelletto tolga occasione ad operaJre da^ movimenti. , universalizzazione, 5.^ paragone, 6, trovamei^o del si* le, e 7.** astrazione. Eg^ poi evidente, che almeno queste ultime esigono un disio, e quinci stesso un universale preesistente o nelUa* Ilo, o anche nel bambino, se pure si vuole che ancVegli agga ; perocch la natura deU^ operazione , per dirlo di ovo, una e sempre la stessa. CAPITOLO XXXI. n TRAE CONFERMA ALLA NOSTRA DOTTRINA DALLE ASTRAZIONI CHE FANNO 1 BAMBINI. Par le quali cose tutti i sensitl, e il N. A., voglia apparte^^ re o no a questa scuola, parrebbero dover essere pi ch li impegnati a negarci nel fanciullo ogni astrazione. Porocch questa operazione, come vedemmo, intellettuale, diiude di forza il giudizio, al quale necessario sempre rcvbo, che, come dice il G. M., la massima delle astra- ili, perch Tidea dell^ essere. Diinque se il bambino fa delle astrazioni , egli n^ ha prima t stesso la massima, condizione di tutte le altre. come piegher ella? per qual guisa si mostrer ingenerata? Che on ingenerata, mi basta; tutto ho ottenuto: se la parola seguente fa noja, si taccia, si seppellisca nelF animo. Alla trina da me proposta dunque gran favore raccordarmi che fhiiciulletto faccia delle astrazioni: un accordarmi tutto. ia perch il M. me T accorda bens, ma, accordandomelo, scontenta di affermarlo, senza dimostrazione; mi continuer 1 ragionamento di lui, cio torr a dimostrare y I.* Che il bambino astrae intellettivamente; * Che il bambino astraendo non procede gi nelP ordine piesuppongono i sensisti, i quali il vorrebbero fare andare U minori alle maggiori astrazioni; ma viceversa e^li discende U massima delle astrazioni gi*adatamente alle minori. RosMifii, // Hirmovaniento^ u5 194 Se mi riuscir di provar ci, egli siir un rincalzo nov alla sentenza da me professata , che ogni iutelligenza ha natura qualche prima visione dclP essere, e per, che an Fuomo, intelligente com' , possiede fin dalP istante cV e. IV,artif> { 6 e 7). La nostra hembDs arrivata gi alPidea astratta d^ gatto* die kUa specifica astratta , e da questa come da punto fisso ai slancia >> genere degli animali piccoli , senza punto toccare i gradi intermedii. '97 dipinti, che mediante T astrazione del genere trot identici, e meritevoli dello stesso nome. Tutti gli uomini pulitamente vestiti sono suoi zii^ se dovessimo crederle, perocch il nome zio ella lo applica ugualmente a cascano di loro. E chi vuol vedere come, dopo essersi ella fermato nell^ animo cpiesto genere che racchiude tutte le pu lite persone , e che ella ferma nella sua mente mediante il [ nome di zio, discenda poscia ad una astrazione minore, cio i a&a specie^ badi al nome ch^ella pone alle persone vestite a Mro^ queste non le mescola pi colle altre, ma giimta og ': gimai a collocarle da parte in una specie separata, una specie '. per altro appartenente al genere de^ zii^ chiamandole zio prete* Quegli adunque che esigono minori impressioni a formarsi Bel suo spirito, minor lavoro di attenzione, minor attivit di mente, sono i generi: dopo questi vengono le specie astratte^ tUL al proprio non discende ella se non quando replicate e continue impressioni sensibili la costringono a fissare in esso k soa attenzione intellettiva , richiamando questa dallo sponta- neo volo che sempre atteggiata a riprendere verso l'universale. Perci nella nostra Manetta, di parole che sieno determinate t significare il proprio, non ne trovo che due; e queste sono i nomi di pi^ e di mamm : i quali ella non accomuna ad al- tre persone: appunto perch pap e mamm la portano, e Faccarezzano assiduamente, coli' affetto e co' modi proprj de* genitori affettuosi (i). Veniamo a' verbi , de' quali recher due soli esempj. llarietta, o sia che ella brami che l'uscio si chiuda, o che a apra, usa ugualmente la parola imperativa serra. Sar di foori, e picchiando, perch altri da dentro le apraiiio, grider: temu Ecco, come ella si tiene ad una sola parola; perch prima di distinguere il movimento che fa l'uscio quando si chiude, i quel movimento che fa quando si apre, ella considera (i) Aristotele osserv, che i bambini danno a tuUi gli uomini da prin- ^0 il Dome di padre Questo non si avvera nella fanciullina su cui ab- ivK) noi istituite le nostre osservazioni. Forse lo Stagirita avri fatta la "* ottenrazione su de' (anciulU, che non erano tratlati da' genitori si te* **ranjcirte come la nostra. 98 quel movimento pi in generale ^ senza questa specifica dii ferenza. Il verbo becca pure di grandissimo uso e di estesissimi significato nella bocca di Marietta. S' accosta ella al fuoco u po^ pi cbe non le faccia mestieri? la parola cbe pronimii si becca ^ per voler dire che scotta^ vede ella un ago, u coltello, e vuole esprimere clic quelP ordigno punge, o eli taglia? dice tostamente becca ^ un bue che trapassi per via, accostandolesi alquanto la impaurisce, becca\ ogni cosa insomn che produca disaggradevole o nocevole sensazione , consid rando ella V effetto suo genericamente senza alcun^ altra d stinzione, dice ugualmente che egli becca (i). E queste osservazioni sono una prova molto evidente, s condo me, che il progresso vero, e non descritto immaghiari mente, della mente umana, si quello di correre da^ partic lari sensibili immediatamente agli astratti pi estesi che esi vi possano, colPajuto de^ vocaboli, e da questi discendere pose a formarsi grado a grado le idee meno astratte, fino a quel che sono le pi prossime alle sensazioni ^ e ci perch nella i brica delle idee, le sensazioni non sono che V occasione e materia, ma tutto il formale delP operazione consiste nellV giunta dell^ astrattissima idea, di cui la natura stessa ci kst appunto a quest^uso. Il medesimo risulterebbe dalP esame delle lingue de^ selvag delle lingue antichissime, come pure di quelle de' nostri moi tanari, massime de' pi rimoti dalPuso delle citt, che ognui pu fare, come noi facemmo, da s medesimo. Ma perch questo argomento, veniente a conferma della n stra teoria da' fatti pi owii della favella infantile, sia al tntl convincente, io debbo farmi incontro ad alcune opposizion (i) Errerebbe chi credesse cbe un tal nso d vocaboli Rfarietta l'atei imparato dalle donne che la allevano. Elle non sogliono parlarle che lingua comune. E in ogni caso si consideri, che le madri, le nutrici, che se io 1 dalla sensazione reale qualche cosa , non ho che mezza sensazione , terzo ma per sempre la stessa sensazione di prima. Si prenda un perficie rossa, od il suono d' una canna d'organo. Che cosa posso vare a quel rosso reale? Io non posso se non o restringere la superi in che egli sparso^ e considerarlo dentro a pi stretti confini; o imw nara il colore pi languido che non . Tanto nel primo ohe nel secoi caso non mi resta che una sensazione reale , diversa dalla prima, raaf non altro che una sensazione reale. Che cosa posso levare al robusto su di quella canna d'organo? Posso immaginare un suono pi debole j o breve. Non fo che appicciolire la sensazione, anzi propriamente parlan mutarla in un'altra. Non sono adunque uscito dalla sensazione partiool ^ reale. L* operazione intellettiva comincia , quando io aggiungo il perni del possibile : o sia quando io , astraendo dalla sensazione reale tutta ioli la penso come possibile. Solamente sopra queste sensazioni possibili i essendo elle particolari e reali ^ ma tutte spirituali e ideali , io posso e citare T astrazione intellettiva. Inesattamente adunque il N. A. dice d provare l'esistenza di principj innati r fa mestieri provare che le k u inleUetlive, -*- come a dire, la memoria, l'astrazione , il giudido ed a M non valgono con V opera loro a svestire i fatti sperimentali della con u gonza della mutabilit e della limitazione m (P. I , e. XVI, i , 3.* ti dovea dire pi tosto, m valgono a vestirli della necessiti, imrootab f e universalit m ; e pi coattamente ancora , r non valgono a produrre aof pertanto della forma possibile della cosa, suppone ohe la mente possegga gi la vista dcIP esser possibile \ e la indeterminazione ^principio maggiore di quelle forme che la mente si fa delle cose (i), snppone che quest^ essere possibile sia nella mente in : m modo scevro da ogni determinazione: perocch se fosse de- terminato nella mente fino a principio, ella niente pi veder potrebbe d^ indeterminato, o di determinato in altra maniei*a. Ma vediamo come il N. A. risponde al ^esito propostosi. Noi sciogliamo cos la istanza. Le osservazioni snperfi- ciali e figaci intomo gli oggetti ci persuadono da principio correi*e fra quelli molte pi somigliante che non comporta l'essere loro: awegna ci per la fretta dell'osservare, onde il simile si fa sentire e non il disrsimfte, il quale, come os- e serv Campanella, rimane pi occulto: ovyero succeda per un bisogno e per un desiderio che abbiamo di trovare do- li nmque frequentissime analogie, senza le quali non avremmo capacit alcuna di scienza n (2). idee Decessa rie, imrnul abili , uDversali di essi faUt sperimentali m. S. Tom* Quo airiciconlro insegna ci che io dico assai chiaramente: il N. A. Itesso ne reca il luogo, e dice cosi: r Quella natura che nei singolari ri- siede eoo li prndpj individuanti, si fa universale dall' iolelletto astraendo da quei principj e AOGiunofiNDO la intenzione dell' uni ver :h Ut *>. Convieii dmque aggiungere alle sensazioni , e non solo levare. E che cosa ag- giioger loro T intelletto > se non ha niente da aggiungere? Gonvien poi riflettere eziandio , che cosa sino i prtncipj indMiianti di cai parli .Tommaso. In mille luoghi insegna il S. D., che il princpio individuante la jwalen'a. Ora che cosa vi resta delle cose sensibili, se loro togliete via la materia? Nulla ^ nulla affatto; perocch non si d cosa sensibile WUM materia. Quando si parla dunque di un oggetto sensibile ^ da cut tini astratta la materia , dee intendersi d' un oggetto di natura inter- OKote diversa dalle cose sensibili; d'un oggetto interamente spirituale, che risiede nell' intelletto ^ non formato dalle cose sensibili^ ma ben.**! atto a rappresentarle a noi> a farcele conoscere. L' esser esso il rappresentantt; a quelle, induce i sensisti in errore , facendo loro credere, eh' esso sia Ma stessa natura delle cose rappresentate. Ma un tale errore troppo vol- are dee finalmente sbandirsi dalla Glosofia (1) Quanto la mente si applica a simiglianze pti estese, tanto piii In fbnna disile cose simili indeterminata ; p. es. la similitudine dell' umauii bbrccia pia enti di quella deli' umanit gioiwte ; e quella prima pi io^Herminata di questa seconda. WP. II, e. X, HI. RosMwi, // Rinnovcuneiito. a6 ao2 Il N. A. riconosce il fallo. Le due ragioni poi, cir egli reca a dame spiegazione, sono al tulio per noi. La prima la fretta dell'osservare. Or questo osservare dee essere una operazione interamente diversa dalle sensazioni, le quali operano necessa- riamente, e con movimento istanlaneo: sono poi incredibil- mente acute e fedeli a rappresentare le differenze anche mi- nime delle cose. Lo spirito nostro tuttavia trasanda queste difTerenze^ ha una tendenza, che il porta ad osservare di pre- ferenza le somiglianze , o a suppome , lasciando neglette di os- servazione le dissomiglianze. Onde questa tendenza dello spirito? Egli pare, risponde il G. M. , che abbia a un bisogno ed un desiderio 9 di trovare ovunque frequentissime analogie, per le quali sole capace di scienza. Appunto: onde adunque questo bisogno, questo desiderio di analogia? Ecco ci che ti*attasi di spiegare. Egli nop solo non potrebbe avere un desiderio ed un bisogno si fatto, senza avelie nel suo spirito una forma univer- sale a cui riferire le cose tutte, ma n pure aver potrebbe senza una tal forma alcun concetto di analogia e di somiglianza: pe- l'occh V analogia o somiglianza Jellc cose ( lo stesso C. M. ce r accorda ) non pu essere che un elemento intellettuale. Or in questo elemento intellettuale si affigga bene il pensiero, e SI trover, non poter esser altro , che una. forma a cui lo spi- rito riferisca ugualmente tutti gli oggetti che feriscono i sensi SUOI, o a pai'lai'e pi propriamente ancora, a cui riferisca le I* cagioni prossime delle sue sensazioni (i). Cosi la similitudine degli uomini non ist, che nel conve- nir tutti in questa forma che si chiama umanit y^ , la quale non che una forma intellettuale, non avendo nessuna sus- sistenza fuori dello spirito. Di guisa che la similitudine degli uomini si pu definire u un riferirsi tutti gli uomini a quella forma che nel nostro intelletto e che si chiama umanit ^ (1) Ho gii dimostrato, che ? simililudioe * delle cose ha il suo oikI^ mento in una e VU ri. vili ? 2, 1 per la quale forma noi tutti li conosciamo ". Ma egli avviene pur troppo, ch^ella sia di6Scilissima a ben intendersi questa rdazione che le cose reali hanno coir universo intellettuale .* credesi comunemente , che elle sieno al tutto indipendenti da questo: e intanto elle hanno da questo una continua ed es-^ somale dipendenza: il che via meglio apparir, ove si consi- deri, che ogni ragionamento che noi facciamo delle cose, in volge questa relazione colle loro forme intellettive^ perocch non possiamo di esse ragionare se non in quanto, mediante appunto queste forme o idee, noi le conosciamo. d H CAPITOLO XXXIII. CONTINUAZIONE. d jg^ Ma facciamoci alle obbjezioni che, come toccammo, po e so ebbero volgersi contro le nostre considerazioni. Quella che un luogo di Tommaso Campanella pu nsve \\ sltre agevolmente nelP animo, parmi di tutte la maggiore^ e alt I per ne faremo diligente esame. Aiconosce il Campanella, e confessa il fatto, che Puomo ]iif Tolto per natura assai pi a notare le similitudini delle cose^ 1 J che non le loro dissimilitudini. Ma egli ci*ede di poter rendere jsaf di un tal fatto convenevole sj)iegazione col solo gioco de^ sensi* rdiamo il filosofo calabrese : u II senso percepisce meglio il generale che il singolai*e , perch quello si ripete infinitamente pi spesso e a s medesimo uguale, e termina per farsi sentire siccome imo (i). L^ osservazione del Campanella giusta: egli verissimo^ che ci che comune nelle cose , colpisce pi di frequente i sensi nostri di ci che proprio: appunto perch comune^ suppongono per certe molte cose negate tempre dagli avversarj? Certo il buon metodo vieta quel rt- gionare continuamente sopra de' pregiudizj gravissimi, che iu filosofa noa si hanno che per monete false. Ecco un altro de' luoghi dove il Mamianif oufortdendo le idee col soggetto^ sostiene che non V ha seenca se ikh di due cose , cio dell' oggetto e del soggetto : m Lo scibile umano ha v n termini, oltre i quaU non sa dar passo; da un lato ha le idee e dall' al- ci tro ha le cose. Qgni cognizione adunque o versa sopra il subbjetto ipca- 4 sante, o sopra l'oggetto pensabile * (P. Il, e. XX, 11). D'altra parte J^ M-'ieuza uon pu versare sopra altra cosa , che sopra l'oggetto pensabile* hi li tutto in fiiTor suo. Sicch questo benedetto senso comune gio- ver poco ad entrambi invocarlo, quando o Tuno o F altro non dimostri che sia pure per s. Or via dunque, se questi filosofi hanno torto a considerare Fidea astratta del simile, o delP identico, per cosa tutta in- teilettira, e fuor delle cose concrete,^ che pronuncia di essa il N. .7 Udiamo come si continua al rifiuto dato a que^ filosofi: Bla se invece diremo quello che di fatto, rappresentare cio tf la idea del colore certa forma d^ identit' vera e reale, ezian- H dio fuordef pensiere, chi pensa il colore, astraendo anche dalla sua idea, pensa una vera e certa realit obbiettiva, Tale a dire il continuo uno, indiviso e indeterminato, il ^ale sottost ai colori finiti determinati e divisibili n (i). Questo passo, perch abbia un senso, dee dire il contrario della sentenza di que^ filosofi da lui rifiutati: e per dee voler aSeimare, che non pure il bianco e il rosso e il ceruleo sia qualche cosa di reale appartenente accorpi concreti, ma che lo stesso colore astratto, cio preso in generale, trovisi vera- mente come un elemento componente i detti colori concreti. Il senso comune, a cui egli scappella, decida pure di ci; ma io credo che faccia bisogno ancor meno del senso comune, a disapprovare la contraddizione del Mamiani ne^ passi recati: nel primo de^ quali pronuncia per indubitato, che il simile e Fidentico non formi parte delle cose concrete; e in quest^ ul- timo dice tutto il contrario, temente di detrarre alla veracit delle idee, quando ci, che in esse si trova, non si trovi pa- rimente a puntino nelle cose. Del resto ninno intender mai, come ne^ crpi concreti e Teati non solo vi stia Fimo e P indiviso, ma ben anco Fln- determinato: io, e forse alcun altro meco terr, che tutto ci die nelle cose concrete e reali, debba essere essenzialmente determinato, e che sia fin anco impossibile a tutto ci che indeterminato, il sussister realmente: perocch egli dee sussi- stere 0 in un modo o nelF altro , e supposto il modo del suo rassistere indeterminato, egli non sussisterebbe n nelF uno n (i)P, II,c. XrV, VI. Rosmiii, Il Rinnovamento^ 27 dio neir altro modo. E chi potr mal concepire , come sotto al e lore finito e determinato di un corpo , p. e. al color ross v^ abbia pure, o sottostia, come dice il Mamiani, il colore e mune e indeterminato, o come in pi corpi ugualmente ro v^ abbia certa forma d^ identit vera e reale fuori del pensier quando cpiesta identit non pu essere n nelPujio u m r altro di que^ corpi rossi singolarmente presi, conciassiac 88a un rapporto che passa fra di loro? se dunipie tot qualche cosa di reale , dovrebbe piuttosto trovarsi in mezzo loro, ma sempre per fiori di ciascheduno. CAPITOLO XXXV. CONTINUAZIONE. A tali assurdi conduce indeclinabilmente una mala causa E come trarsi del terribile impaccio? come conciliarsi a g medesimo?' A dover riuscir fuori in qualche modo dalP involto labirint il C. M. s^ apprende ad un di que^ fili, di cui i filosofi sma riti nelle lor vie fanno uso frequente^ il qual filo una m niera di dire, che sembri aggiustare lo sconcerto delle do trine: tre sole voci compongono questa maravigliosa frase ^ e cola : in qualche modo, u Quelle unit ( cosi il C. M. u le quali si formano entro la nostra mente per la contes m {dazione del simile, abbiamo veduto essere una riproduzioi vera e certa delle unit originarie di subbietti e di azioni, perci darsi in qualche modo T universale in natura " (i). Fa un eifetto mirabile questo in qualche modo , pero che stringe in s stesso le due contrarie sentenze^ si affi o certo vuole affarsi ai due contrarj partiti. A quelli che fauE deir universale (preso dal Mamiani per sinonimo di astratti una parte concreta delle cose reali , dice : io sono con voi. quelli che nella natura non trovano altro che pai-ticolari , r universale non veggono possibile, che nella mente, dice pun (i) P. U, e. XX, I. ( io non son lontano da voi, perocch P universale non Y ho io messo nella natura assolutamente , ma in qualche modo. E pure non mi maraviglierei , se questo i qualche modo^ che vuol ficcarsi in tutte e due le parti j venisse dalP ima e dall^ altra assai male accolto. Ma certo finalmente, che tutti que' filosofi, i quali nella natura fisica e reale non possono concepire, che il comune, l'identico, F universale esista in nissun modo ^ diranno al C. M. che si spieghi meglio, e che non li tenga cosi travagliosa-* mente in ponte, ma dica senza pi, se T universale una parte si o no delle cose concrete^ perocch fra il s e il no non pu stare cosa alcuna di mezzo ^ n una maniera avver- biale ha virt d^ introdurre nelF universo una terza natura, che non sia n il si, n il no. Concludiamo colle parole del N. A.: egli ci avea promesso una dimostrazione dello scibile umano, egli avea posta la ve- tacita delle idee nel loro riferimento alle cose concrete, egli ci avea detto che la sua dottrina spiega molto lucidamente ' (i) E qui convieu darsi molla lode al C. M. per ci che dice nella P. {l, .1Y 1.^ dove combatte valorosaiuenle quella seuteuza de* seosisli^ i quiili cgano la potenza al pensiero di concepire pi idee fimultaDcament^ af- ietBMDdo li esaere questa una illusione comune ed assai scusabile^ starnf * cbe la rapidit dei moli nervosi tale da far parere simultanei i mimmi 'dd tempo che si su^cfdono j*..^ Qualora adunque m (egli coochiude), "oooibrme la sentenza dei fisiolo^isti, le idee non sieno mai simultanee^ M Boi ci facciamo a chieder loro ^ se al sopravvenire di 6 persevera q Bt alcuna memoria di A. Nel primo supposto esistono due percezioni' si- nulianei;^ novella Tuna^ l'altra riprodotta,, ovvero coatinata. Nel se^ ooodo supposto abbiamo notato quello che di necessit ne avverrebbe ^i ochc non si potrebbe mai dare alcuu confronto fra loro, giaccli non olirebbe ioniuzi alla mente 'in ogni minimo tempo pi di iui'uuic9 idea. ai6 indicano la sensazione nel suo essere materiale, ma la sens; zione come percepita dal iiostro spirito intellettivo. E Ter mente, se io dico, il verde di questo prato mi grato, par! della sensazione attuale e reale. Ma se io dico, mi piace ma questo verde, del colore azzurro ^ io paragono la sensazioi attuale e reale del verde che mi ferisce le pupille , con i colore che non ho presente e che solo intellettivamente coi cepisco : sicch V azzurro e il verde nel mio discorso soi presi in diversi significati. Concludendo adunque, dico es manifestissimo, che le sensazioni reali e attuali non possoi nel loro essere proprio e materiale venir recate a quella uniti in che noi dentro il nostro spirito raccogliamo le diver sensazioni, esteriori, e neUa quale ne formiamo il paragone. Ritenuto adunque per vero indubitato , che le sensazioi ^sterne, come. materialmente esistono in noi, non si possoi in alcun modo trasportare Pima nelP altra, unificare, pan gonare, n per conseguente trovare in esse il comune, Tidei tico^ ed essendo certo pel fatto, che noi pure le unifichiamc le paragoniamo, e ti*oviamo ci che han di comune^ convic dire che noi formiamo questa loro imificazlone non in loro stessi ma in qualche loro forma o rappresentazione , nelP intime e per cosi dire, nel centro del nostro spirito. Resta dunqi che noi esaminiamo, come ci siamo proposto , se questa unioi e immedesimazione delle sensazioni che si fa in noi , aweii| in una forma che sia un sensorio materiale, e bisognevole ( piagano corporeo , o pure in una forma del puro intelletto. Veramente nel libro del C M. vi hanno tali luoghi, i qua non ci dovrebbero lasciar dubitare , essere sua sentenza , d questo assembramento delle sensazioni non si faccia e non possa agre per modo veruno in nessun organo materiale, in nell^ intelletto. Noi tuttavia non vogliamo intralasciare di scatere brevemente la questione , primo , perch non uni( mira di questo scrtto V esame del libro del Jflmno^amcnio ddi Filosofia j ma qualche cosa pi in l^ secondo, perch se aku luoghi son chiar in detto libro, altri a noi sembrano no poco oscuri ed ambigui. Ci gioveremo adunque de^ primi a vai taggio del vero^ e li adduiTcmo s, come testimonianze ante revoli, e. s pel poUo dell^ ai-gomcntazione che raccluudoDO n C M. afTerma bene spesso, che u II principio nostro spon- taneo (i) non cessa mai di radunare le idee In un colai ccn* e tro d^intellezione perfetto ed indivisibile n (2). Qui si pai*la d^un centro d^ intellezione. Se dunque per intellezione si dee intendere ci che la parola suona, Fautorit del N. A. decide la questione, e quel sentimento indiviso 99 di cui altrove ha parlato, viene adire un sentimento non animale, ma intellettivo. Profittiamo ancora del robusto raziocinio del N, A. Ecco come egli prova la necessit, che le percezioni nostre sieno concentrate in un indivisibile pensiero: Questa esperienza imi versale e perpetua (3) delPatto d^in* V tnizione insegna di necessita , che le idee simultanee sono un multiplo raccolto nelP unit assoluta del nostro pensiero, a cagione che senza unit di pensiero assoluta non pu essere K multiplicit simultanea d^ idee sentite. Diciamo unit vera e assoluta, o come suole chiamarsi, unit metafisica, esclu* dente ogni parte fuori di parte , ogni modo e forma di di-* visione reale. per fermo, se Punita del pensiero non assoluta, ciascuna delle idee simultanee occupa isolatamente una porzione di lui : ove dunque risieder la concezione ih inteUet- t?Of sia fornito d'una idea primitiva e se privo al tutto di questa^ egli fi possa concepire . (a) P. II, e. X, in. . (S) La forza dell'argomento non viene dall' esperienza universale e per ^na^ ma ^ del principio di cognizione, e di contraddizione il quale nduce necessit. tt> p. n, e IV, I. RQ$imii , // JUnnovamento, aB di8 Bero, e per solo nelle sensazioni cangiate in idee, o per dir meglio^ non nelle sensazioni^ ma nelle loro idee. Tuttavia quando io considero que' luoghi del C. M. dove mi dice, che nelle stesse cose reali avvi l'universale e T iden- tico , e che per esempio sotto al colore scarlatto di questo panno ci sta proprio, quasi appiattato, il colore astratto , uno ed indi- viso^ mi fa tornare il sospetto, che la mente di lui da due venti contrarj sospinta, non abbia trovato ancora pienissima stabilit e pace in una ferma e ben chiara sentenza. Conciossiach se il comune, T identico, P universale esige concentrazione e uni- ficazione di pi cose, forz' il dire, che se questo identico ritrovasi negli oggetti materiali, gli oggetti materiali abbiano virt, di compenetrarsi , non so come , e d' immedesimarsi ^ e se gli oggetti possono fare tutto ci , ninna maraviglia , che possano simigliantemente rientrare Tuna nelP altra e identifi- carsi le sensazioni esterne, o almeno che questo addentrarsi Tuna nell'altra segua in un certo organo materiale denomi- nato sensorio comune. perocch ho mostrato, quanto agli oggetti e alle sensazioni esteme, l'infinita assurdit e grossezza di un tale pensiero, non sar inutile, a compimento del di- scorso, che io applichi tutto ci che ho detto, anche al pre- supposto sensorio comune organico. Si consideri dunque, che le sensazioni animali sono, come tali, inerenti all'organo, e che senz'organo aver non si pos- sono^ perocch d'altro non procedono, che da una impres- sione, modificazione, e movimento dell'organo stesso, o certo a questo movimento si accompagnano. Ora questo sens ^ perocch egli dice che u tutte le cose hanno una medesimezza necessaria fra loro riguardo all'esistere f> (4)- L' idea dell' essere si forma adunque col paragone , e coI . Or dopo tutto ci che abbiamo premesso, niente di pia facile che il definire, i. se egli deduca in tal guisa l'idea dell^ essere secondo la promessa fatta, senza proposizioni men- tali, senza affermazioni, e senza giudizio, quando e proposizioni e affermazioni e giudiz) s'acchiudono gi nella unificazione, (i) Vedi U cap. XVn. (3) fv Cotesto ritrarsi che fa l'attenzione da pi cose present nell'aniiiio f per raecorsi tutta e dimorare sopra un soggetto parsale co6tituisoe la fc virt dell'astrarre^ nel cui ufficio l'identico viene contemplato com f sciolto dal vario , e per conseguente il vario come non frammisto all' >-* dentice ( P. Il e. X iv ). (3) P. U, e. IV, V. nel paragone, e nelF astrazione ^ a.* se esentandolo dalle troppo dure condizioni poste a s stesso, egli tuttavia riesca a dedurre senza paralogismo V idea delP essere, quando egli ad ogni modo lia bisogno, in dedurla, di unicare, paragonare, astrarre, e tutte (pieste operazioni suppongono gi fonnata, come vedemmo, Tidea delP essere stessa, istrumento necessario alle medesime. CAPITOLO XXXIX. GOifTisrnZioifE: avviluppi iii cui si PEans il lUiuAifi. Ma in queste dottrine il Mamiani non costante: noi dob- biamo tornare al combattimento de^suoi concetti. Ricbiamiamocelo alla mente: in un luogo essendogli venuto iieU^ animo di cercare che fosse T identico delle cose, che co- stitaisce gli astratti, gli parve chiarissimo, quello dover essere m elemento cogitativo, e non alcuna parte reale e concreta delle cose stesse. E a confessarlo allora noi ritenne il dubbio, che le idee astratte potessero perci esser mendaci^ conciossia- che a chi ha mai creduto e pensato, che la identit e la variet. Pugnale e il disuguale, il molto ed il poco sicno parti concrete dei corpi n (i)? per non possono ingannare nessuno. Sotto r influenza poi d^ un altro pensiero gliene parve di* Tersanente. Il comprese timor fortissimo, non forse la realit oggettiva, o verit delle idee astratte, se ne andasse in fiuno, quando P identico che quelle in s raccolgono non fosse una parte realmente esistente nelle cose concrete. Vinto allora dalla gravezza del pericolo, cerc di ripararlo colla contraria sen* lenza, insegnando, che sotto al colore particolare e determinato di un corpo sta il cplor comune indeterminato, e pronun- ciando, che u chi dice o pensa questo giudicio: la vostra mano bianca, percepisce effettivamente due cose, cio: il modo K speciale della bianchezza inerente in quella singola mano, (i) P. II, e. X, ni. Rosmini, H Rirmov^ametUo. %^ 9a6 (licare i( numero delle bianchezze all'infinito. (5)P.n,p.xi,ii, sia7 tone (atta (2) CAPITOLO XLI. CONTINUAZIONE. Ma va, escluso il paragone de' simili, veggiamo qual si il nuovo processo dello spirito, secondo il quale, giusta il nuoT C. M., viie in noi generandosi l'idea dell'essere. ttenzion a tutte le parole : Diciamo che il paragone fra i contrarii, da' quali si ori xc gina P idea dell' essere , quello che P animo nostro ripct tf infinite volte fra gli stati suoi positivi e gli stati suoi ii( (1) Il C, M. dice anche queste parole: Se l' essere dee venire guardai u come identico a tutti i modi e a tutte le differenze di cose e d* idee , i f* qual maniera scuopriremo per via di confronto la sua somiglianza da in M cos ad un' altra ^ e da un'idea ad un'altra m. ( P. II, e. XI ^ n); e ce queste parole mostra la difficolta che si scontra a dedurre l' idea dell' e sere dal paragone. Tali parole io confesso di non intendere. Qual marav glia^ che si possa scuoprire la simiglianza dell'essere^ se egli iden alle cose tutte > e modi e differenze? anzi non si troverebbe si estesa som glianza se identica non fosse. Vorrebbe dir forse , che ponendo V identi dell' essere tanto larga , si struggerebbero le differenze delle cose? ma poi siamo noi fare, che la sua identit sia pi larga , o pi stretta di quei che ? Di poi> le differenze e i modi dell'essere non sono Tessere, n> sue limitazioni; e per a' intende assai chiaro come le differenze ed i flWf coesistano insieme coli' identit , nascendo esse da un principio diverso da un principio di limitazione. (a) P. Il, e. XI, u. 3'* o tf gatlvi, quando cio viene affetto da alcuna cosa, e quando pi non ne viene affetto. Tal confronto lo muove a sentire, che mentre gli stati positivi sono diversi V uno dall' altro , tf invece li negativi sono similissimi sempre e in tutto, cio elle una sola forma di sentimento si ripete per ciascuno di loro. Ma d^ altra parte li positivi quantunque diversi hanno questo di comune , clie si oppongono egualmente tutti a quel senso di privazione che abbiam descritto. L' in- telligenza nostra considerando in disparte tal forma di op- ti posizione viene a creare (i) Tidea astratta dell'essere. vve- gnach tutte le cose sono simili in ci, ch'elle differiscono tf tntte egualmente dalla privazione. Questa simiglianza , come si vede, non elemento integrale di lor natura, e non si tf distingue per s dalle variet loro individue, ma sorge in tf fondo del nostro animo per effetto del paragone fra li suoi tf stati contrarii ft (2). Ora a quante e quali osservazioni possa dar luogo questo passo, difficile a dire: io mi contenter di alarne. i.^ U rafirontare gli stati positivi, e gli stati negativi del- r animo nostro, potr bene darci un astratto, che ci dica quegli stati positivi esser tutti egualmente remoti da' nega- ti?i ^ ma questa idea astrattissima degli stati positivi del- Panimo nostro, non mica l'idea dell'essere. L'idea dell' es sere non esprime lo stato dell' anima u concreto , n astratto ^ P animo un essere particolare; i suoi stati non sono che modi di un essere particolare. Ora da' modi di un essere non si pu dedurre Tessere stesso, n da un essere solo si pu trovare P essale in universale. a." Gli stati negativi dell'animo non sono gi il niente. Il C. M. stesso suppone che sicno sentiti, che sieno un senti- mento , dicendo una sola forma di sentimento si ripete per K tiascuno di loro ff . Paragonando adunque gli stati positivi dell'animo co' negativi, non si paragona mica il qualche cosa col niente , ma un sentimento con un altro sentimento , un (1) Creare? non dunque l'idea dell'essere dedotta^ ma creata dalla metile? (a) P. n, e. XI, li. Boniiifi, jR Binnouamento. 3o a34 qualche cosa con un alti'o qualche cosa: e il qualche cos. non rimoto da un altro qualche cosa, come P essere da niente. Dunque ammesso anche per vero che Pidea delP esser consistesse nelP osservar noi che tutte le cose sono simi] u in ci, ch'elle differiscono tutte egualmente dalla privazione non si pob'cbbe per cavar mai quest^ idea dal confronto fri gli stati dell'animo positivi, e i negativi. 3.** Egli poi falso che gli stati positivi delP animo u siem diversi P uno dalP altro , e invece li negativi sieno simi- a lissimi sempre e in tutto . Perocch fra gli stati positivi dell' animo , e cosi pure fra i negativi si possono osservare molte somiglianze. 4-** Ma poniamo, che non si tratti nel passo del C. M. degli stati dell'animo^ che non sieno questi che si mettano a paragone^ ma che trattisi in quella vece, delle cose che al- r animo stanno presenti, o che dall'animo son rimosse: trat- tisi adunque di paragonare P entit di queste cose col nulla opposto. Rimarr a dimandarsi, egli il nulla che fa conoscere Pente, o P ente che fa conoscere il nulla? Presso i nostri buoni antichi sempre dicevasi che il nulla era nulla ^ e che paragone non si pu fare se non fra due cose , che per il paragone fra il qualche cosa e il nulla propriamente non che una cotale illusione delle mente. Dicevasi, che P intendi mento nostro, non potendo concepire cosa alcuna se non me- diante la forma di ente , egli vestiva di questa forma anco il significato della parola nulla ^ e a questa parola aggiungeva un cotal essere mentale che non esisteva fuori della mente (i). Definivasi questo essere mentale denominato nulla cos: h njgasdone dell'essere ^ sicch il nulla senza l'essere non po- tevasi concepire, ma solo concepivasi mediante l'essere. Se queste dottrine son vere, convien dire, che prima di parago nar^ le cose col nulla, quell'essere mentale (il nulla) debba (i) Non ens autem, dice s. Tommaso ^ ron habet ex se ut sit verumt 9ed slummodo ex intellectu apprehendente ipsum, S,l, XVI, vii, ad 4* E altrove: Non ens non iahet in se unde cognoscalurs sed cognoscUitr ^ quantum intellectus facit ilud cognoscibic, Unde verum fundalur in ent^ Ivi, tri. ui^ ad 3. !i35 esser formato^ e non formandosi esso se non mediante Fidea Jeir essere a cui si riferisce, conven dire, clie Videa delPes- sere sia formata in noi molto prima che quella del nulla* Egli adimque assurdo 1 ^immaginare , che Pidea dell' es sere nasca dopo quella del nulla, come sarebbe se fosse vero, cbe essa nascesse nel nostro spirito col confronto che noi Cociamo fra le cose, e la loro negazione. 5.** Di poi, se le cose messe a riscontro col nulla, si tro-* vano tutte convenire in questo, che differiscano da lui^ non si pu mica conchiudere, che u questa simiglianza non tt elemento integrale di lor natura n. Perocch il differire dal nulla necessariamente un elemento positivo ; come il dif- ferire dall' essere necessariamente un elemento negativo^ Non inganniamoci coli' abuso afille parole , colle quali talora si fa comparire per negativo quello che positivo, e viceversa* Consideriamo un po', che cosa voglia dire differire dall'es- sere. Chi differisce interamente dall' essere, nulla. Che cosa vuol dire all' opposto differire dal nulla ? Chi differisce dal nulla ha l'essere. Dunque ci, in cui le cose tutte differiscono dal nulla e dalla privazione, 1' essere, dunque un che positivo, dunque certamente ramente possibile mi suffraga, e m^ajuta a nulla. Ma io penso esserci corso errore di stampa, e doversi leggere a ai termini ti del paragone o reali, o possibili n . Sebbene non molto s* ac- comodi col suo sistema quel paragone, che nasce fra i mera- mente possibili. CAPITOLO XLUI. CONTINUAZIONE. Ma che? dopo tanti sforzi per dedurre V idea universalis- sima dell^ essere, la massima delle astrazioni, come il N. A* la chiama, chi crederebbe che in sulla fine entrando in campo un altro C M. ci atterrasse T edificio ( quand^anco stesse m piedi ) colle proprie mani ? Veramente si aspetterebbe che il N. A., dopo aver dedotta Pidea dell^ essere comunissimo a tutte le cose, col paragone de^ contrarj, cio del qualche cosa e del nulla, ci venisse poi di- cendo eccovi r idea universalissima bella e fatta n . Tutt^ altro: siamo lontani dalP averla bella e fatta queUft idea universalissima: ci bisognano ancora troppe lisciature , e grafliature d'intorno a questo capo-lavoro. Eccovi intanto buona trafila , per la quale ella dee ancor passare: La nozione dell' essere acquista poi maggiore astrattezza e semplicit a proporzione che vien guardata isolatamente u dall' atto comparativo che la produce, e dagli accidenti del a39 a soggetto pensante in cui ella giace , e in fine dalla conside- tf razione del suo contrario, cio del senso di prTazione > (i). Ma noi abbiamo gi esaminato, cbe cosa importino, e quanto conferiscano alla formazione degli astratti gli accidenti del soggetto pensante (2). Pure facciamo intorno a questa povera idea le funzioni cbe vengono prescritte dal N, A.; r avremo finalmente, quale la cerchiamo noi, universalissima ? y^ un G. M. che dice di no. u E non per questo ( cosi si esprime ) diventa universa- K lissima , bens pu ripetersi un certo numero indefinito di volte , conforme determinammo d^ ogni altra idea comune K la quale venisse ingenerata senza sussidio d^ antecedenti astrazioni n (3). Non siamo dunque giunti per anco al fine? E bene, tiriamo avanti. E a che miravamo noi, se non a formarci Pidea uni- versalissima dell^ essere 7 Questa non ancor trovata: ci sa* ranno deUe altre operazioni a farci intomo: dicasi, quali sono, altrimenti ci resteremo a mezza strada. Oib, non c^ verso: il N. A. non va pi innanzi, per ispronar cbe si faccia: qui s^ arresta, qui fa punto. Quale dunque la conclusione? La palese: il N. A. non arrivato a porgerci la generazione delP essere in universale | elisegli cercava, e cbe aveasi promesso di regalarci. CAPITOLO XLIV. CONTINUAZIONE. Ma sebbene nella conclusione il N. A. confessi, che non riuscito a far quello che di fare erasi accinto^ tuttavia egli si vanta per, che Fidea dell^ essere da lui dedotta imMdea comune, come tutte Paltre, e ch'egli la dedusse assai conve- nevolmente, senza sussidio d'antecedenti astrazioni! Io non credo bisogno di contraddire a questo. Se le ope- razioni da lui usate, non a formare, ma a tentare di formai^ quell'idea, abbiano si o no bisogno di antecedenti astrazioni ^ ogni discreto lettore il vorr decidere. (ij^ P. n, e. XI, II. (a) Vedi add. Gap. XV. (3) P. H, e. XI, n. Pi tosto noter gllano? chi limiter il suo uso? la volont d'un uomo? b determinazioni di un filosofo! Mi appello al C. M. (i) Vedi addielro Gap. XYI. (3) Vedi addietro Gap. XXV. LIBRO TERZO DELLA CERTEZZA DELLE COGNIZIONI UMANE. w penrenut una volta a distinguere e M definire con sicurezza la forma sem- M plice ed essenziale del Tero^ niuna *( cosa potrebbe impedire di ricono- M scerla per tutto ove sia presente . M AHI AVI, P. II, e XVII, II/ 'ar. Ma egli tempo che noi veniamo a quello che fonna I (omento proprio e deliberato del libro del Rinnovamento della fksofia italiana^ cio alla dimostrazione del sapere. Perocch deO^ origine del sapere noi vedemmo, che i) C. M. non parl ddiberatamente, ma da necessit indotto e tirato , disvolendolo egli, n accoi^endosene, dopo rifiutata la ricerca dell^ origine Mcome inutile all^uopo suo, conghietturle , impossibile. Che da vero non sempre chi scrve dice ci che vuole ^ talora ci die vorrebbe il meno^ e la lingua delPuomo, e la penna, uh- Misce alla seeretissima e naturalissima forza della coerenza della verit. Noi vedemmo il nesso fra la questione delPongi/ie e quella Ula certezza^ vedemmo, che il certo non pu avere il suo fon- damento che neir eindente y e che V evidente si dee cercare e si pu attigner solo alla solvente prima della cognizione e della iteisa intelligenza (i): ci innalzammo passo passo in cerca di fiesta fonte perenne e pura, seguitandone indietro i rigagnoli die da quella scaturendo discendono^ la trovammo^ n^ abbiamo contemplato, a cosi dire, il zampillo limpidissimo. Videa nella (i)Iib. L BosMiHi, U Rinnovamento. 3i sua purezza, Y intuizione deW essere^ spontanea, anteriore ad ogni esercizio di facolt, immanente in noi, luce sincera che procede dal volto di Dio (i).. Ora noi dobbiam cominciare a mettere a profitto cotesta nobile origine del conoscimento da noi rin- venuta, applicando il principio evidente del conoscere, la cO" gnizione essenziale ^ alla dimostrazione delle cognizioni tutte ac- cidentali e derivate^ richiamando in pari tempo ad esame, col- Tajuto di quella tessera prima ed originaria, le dottrine onde il C. M. tolse a garantire al genere umano la certa e assoluta verit di ci che egli conosce. Ninno che non s' accorga, come la teoria della certezza an- tecede, in ragione di ordine logico, ogni altra dottrina riflessa e filosofica^ e come la ricerca stessa dell' origine delle cognizioni non acquista effettivo e pieno valore se non a quel punto, che, essendo ella giunta a discoprire Y essenza del conoscere giacente nell'intuizione dell'essere, trova nella luce di questa prima ve- rit e la certezza propria , e quella di tutte Y altre scienze a s inferiori. Sicch Y ideologia e la logica hanno insieme un punto di contatto, in quanto che la prima rinviene il primo vero^ origine o pi tosto sede del sapere, e la seconda usa del primo vero come di regola e di misura a dare una ferma dimostrazione del sapere medesimo, inducendo da esso in noi una persuasione immobile, riflessa e libera. Indi, chi non vede l'importanza della questione che noi trattiamo? e come non all'una o al- r altra scienza , ma giova a tutte colui , che pone l' ingegno e l'opera a cacciare dagli animi lo scetticismo, il quale invidia all'umana famiglia tutto ci che la nobilita la sublima, il conoscimento^ colui che s'impegna a pronunciare il principio tlella certezza con parole s proprie, s scevre di ambiguit, ve- stite di una foima cos adeguata, che tutti quelli i quali vi dirizzino gli sguai*di, non possano non vederne il fulgore, e con- fessarsene dall'acutissima luce vinti e trionfati? E per lodevole Intenzione fu quella del G. M . , che col suo libro intese a com- porre una cotal difesa e dimostrazione del sapere, al cui vi- gore niupo possa sottrarsi, se non colui che la ignora. Poich (0 l.*. , a43 non si pu certo assicurare agli studj filosofici un progresso ferace, ordinato e diretto, se non per opera di qua' filosofi, i quali sieno pervenuti concordi almeno ad afiermare il prin- cipio deUa certezza. Che da vero, altra cosa quel progresso continuo che procede indipendente dall' uomo , anche a dispetto dell'uomo, e che non partiene all'ordine delle scienze, ma ad an altro pi sublime, immenso , alle cui leggi , a' cui secreti profano lo sguardo mortale, e cui tutto accelera, l'umana igno- ranza, l' errore, il delitto^ altro quel progresso scientifico y quello nrolgimento della verit, che a noi uomini dalla provvidenza commesso s come un nobilissimo ufficio, e un cotal sacro e dilettoso dovere , perci dipendente in parte dalle libere nostre &tiche, e di cui non deesi abbandonare il corso, volea dire, al caso, come terra senza mano di agricoltore, che colle delicate piante della vite e del fico, produce la lambrusca e lo spino finte esoperchiante,masbene da' buoni sapienti accortamente guidare e indirizzare. Ed egli dovrebbe esser pur tempo, che quelli i quali s' applicano agli studj presso di noi , deponendo una cotal maniera di pensare individuale e a s stessi ristretta, e volentieri accostandosi agli studj, alle meditazioni, alla lingua altmi, intendessero, mediante discussioni serie, di buona fede, e senza tanta lussuria e tant' ombra di pampini, con quella letteraria socievolezza di cui fra noi manca ancoi*a l'esempio, t porre in chiari termini le questioni, a facilitarne, ottenerne, perfezionarne lo scioglimento, a ridurle a quelle forme s adeguate e s naturali , che diventano poi da s stesse comuni , solenni e immutabili. In tal modo l'Italia, questa maestra de^ pc^li, ritornerebbe a cingersi ella stessa le tempie di lauri : perocch in vece di avere de' letterati minuti, divisi, spar- pagliati, che giornalmente rendon pubbliche delle opere non pubbliche per la lor indole e qualit, ma privatissime, cio n^resentanti una maniera di pensare esclusivo, casalingo, ignaro di ci che si dice e che si fa fuori della porta di casa^ airemmo per cos dire la nazione stessa che pubblicamente e solennemente insegnerebbe negli scritti de' suoi letterati : cio vedrebbesi in ciascun libro accentrati e riflessi i lumi di molti, esposte con somma fedelt e chiarezza le opinioni de' conna- zionali, esaminate con sagacit, un darsi carico di tutto ci M4 che merita attenzione e che fu da qualclie patrio scrittore pr* posto, una stima scambievole, un ragionamento sempre accu* rato e rigoroso, almeno quanto alP intenzione ^ e questo spirito di ragionevolezza e di sapienza, incredibile cosa quanto ami di accompagnarsi con una tranquilla pacatezza di favellare veramente ragionevole e umano, con una benevolenza concilia- trice , con vn amore fraterno, con una franca e piena manife- stazione e propugnazione di ci che si crede, che si sente nell^ intimo delP animo, verit. Laonde vorre' io poter togliere il nome di progresso a cotesto romoreggiare, a cotesto andirivieni di opinioni mal determinate, incalzantisi le une contro le altre, abortite e non partorite^ n la variet immensa di libri filosofici, che ci trapassano giornalmente sotto gli occhi, e dopo aver recitato in pubblico, per cos dire, la loro parte, rientrano tutto va nagloriosi di s nelle quinte, ci pu essere un segno sicuro da doverne argomentare i profitti grandi della vera scienza, e l'ac- cresciuta o diffusa a molti cognizione della verit. Perocch egli pur vano, e da lasciarsi agli economisti politici i pi materiali^ il cercarsi quanti libri ogni mese si sono pubblicati in una nazione, per indursene la ricchezza scientifica guadagnata: con- vien cercare pi veramente quanti di questi libri sieuo acconci a rendere oscuro quello che prma di essi era chiai'o , quanti a rendere controverso quello che prima d'essi era vero e certo, quanti a falsare il linguaggio, a renderlo indeterminato, flut- tuante, a confondere la lingua semplice, propria, fissata, quanti a cacciare in dimenticanza degli scritti pi sani e pi profondi, . quanti a dar corpo a delle ombi^, quanti a pascere e sollevare r immaginazione giovanile a danno delF intendimento, il quale s* empie a buon^ ora di pregiudizj che gV impediscono il volo , quanti a fare i sensali eloquenti di menzogne, piante diurne, notturne, mensili, annuali, di generi, di specie, e di variet innumerevoli. Ora se questo si chiama camminare, non per un camminare avanti, non un andai*e diritto allo scopo: in somma non un progresso in vero senso, in quel senso in cui gli uomini, fatti per la verit, dovrebbero e potrebbero progre- dire: e Dio volesse che cominciassimo, noi Italiani particolar- mente, a non lasciarci pi illudere come fanciulli al dolce suono i45 li questa parola progresso^ e che inrece della parola^ volessimo a cosa; inyece di lasciarci andare in estasi alle prime apparenze, i fiicessimo ad assicurarci bene bene della qualit della merce emiistata o importata, e poi ci rallegrassimo in ragione del DO prezzo, e non delle grida de^ venditori. Quando fossimo crvenuti a mettere per entro a^ nostri giudizj tanto di matu- It, ci accorgeremmo, cbe il progresso vero talora consiste nel ornare indietro; si, a tornare indietro; nessuno sia cosi scbiz- inoso da riprendermi per questa parola; perocch veramente pelli che abbandonano la verit, convien pure che tornino a idi, se vogliono andare innanzi; conciossiach il progresso del- Pcnore non finalmente che il progresso del gambero, il quale cammina dalla parte della coda. E questo documento e^ pare che ci volesse dare il Mamiani col suo libro, non mvitando Tltalia ad una nuova filosofia, ma richiamandola aQa sapienza de^suoi antichi maestri, sapienza che, sviati al FOlnisione di \xa falso progresso, noi meno apprezziamo per cerio, che non dovremmo. N quest^ apparente paradosso, che per andare innanzi convenga akima volta tornarsi indietro, cosa nuova; fi veduto sempre .da quelli, i cui sguardi rompono la corteccia delle cose; ma qoesti sono i pochi , e il secolo cacciato dalle grida di quelli die sono i molti, e che voglion parere pi molti, che non sono Gi fino dal seicento, epoca delle innovazioni filosofiche occa- sionate in parte dal protestantismo del cinquecento, Leibnizio, con quella sua potenza maravigliosa di mente, veniva di mano in mano scotendo da s i pregiudizj fra i quali fanciullo era cresciuto, e confessava negli ultimi suoi anni, che la prosun- aOQ de^ moderni trapassava il segno, e che a torto aveano essi abbandonate le sentenze deU^ antichit. Anche noi n , dic^egli in miluogo, abbiamo atteso, e non leggermente, agli studj delle matematiche, delle meccaniche, e degli esperimenti naturali, e da principio confessiamo che abbiamo inchinato V animo a quelle sentenze (de^ moderni) che accennanmio ( Cosi ftniene di solito alla giovent, la qual s^ apprende a ci che tit)va il pi nuovo, e se per isventura il nuovo erroneo, non Kmpre poi nelPet matura le basta la potenza mentale, o la volont di por gi, come fece Leibnizio, le prevenzioni dcll^ et a4G non matura). " Finalmente colla perseveranza del meditare ri u siamo trovati costretti di ripararci ancora ai dogmi dell' an- tf tica filosofia. E se licesse a noi espor qui tutta la serie a delle meditazioni , forse che si conoscerebbe da quelli che u non sono ancora occupati da' pregiudizi della loro immagina- u zione, non esser cos confusi e inetti quegli antichi pensieri, tt come volgarmente si persuadon coloro, a cui i dommi ri- a cevuti danno noja, e che tolgono a vilipendere Platone, tf Aristotele, il divo Tommaso, ed altri sommi uomini, trat- a tandoli come se fossero de' fanciulli (i). Certamente noi altri Italiani, anteriori a tant' altri popoli ci- vili, ricevemmo un ampio retaggio di sapere da' maggiori nostri, ed egli sarebbe empiet o disperderlo odiando, o non curarlo ignorando. Ne per questo ci si proibisce di aggiungere il frutto delle fatiche nostre all'avito patrimonio^ che anzi ciascimo tenuto d' imitare i maggiori nell' assiduo investigare della ve- rit, e nel dilatarne a molti il conoscimento^ acciocch e i coetanei ed i posteri ricevano qualche cosa anche del nostro, e noi non ci acquistiamo da essi la riputazione per avventura di uomini da poco , in quella che vogliamo evitare la taccia di te- merarj e di leggieri. Sicch non sia n meccanica n servile l'affezione nostra e lo studio posto negli antichi maestri', ma togliamo da essi per cosi dire lo spirito e il fiore della dot- trina: che n tutto vero quanto si trova detto da essi, n tutto chiaro, n hanno detto tutto, n hanno provato tutto ci che hanno detto, n hanno sviluppato nelle interminabili sue conseguenze tutto ci che hanno provato. Nondimeno tutto 81 dee raccogliere, tutto studiare con amore, di quanto essici (i) iUud tamen obiter attigisse suffeceri{, nos quoque non perfmdorii studiis mathemalicis mechanicisque , et naturae experimentis operam di' disse, et inaio in illas ipsas serUeniias quas paulo ante diximus, ineh' nasse Jaiendum estj tandem progressu meditandi , ad veteris philosophiae dogmala nos recipere fuisse coactos. Quarum meditationum seriem si expo nere liceret , Joriasse agnosceretur ab his qui nondum imaginationis sius praejudiciis occupati sunt, non usque adeo confusas et ineptas esse eas co- gitationes f oc iliis vulgo persuasum est qui receptorum dogmatum fastidio tenentur, et Fiatoni, Aristoteli, divo Thomae , aiisque summis viris t^ quam pueris insultani, System. Theolog. j47 lasciarono, tutto sottoporre ad imparziale esame, niente ammet- tere che non sia da noi convenientemente accertato, niente ri- fiutare che a sufficienza non sia riconosciuto per falso. Dove mi si lasci liberamente notare un pericolo, da cui si vuol guardare cautissimamente la nostra giovent bramosa di appli- carsi allo studio della filosofia. Commendevole P ammirazione de' grandi uomini , ove sia in noi suscitata da quel verace sapere che Puom grande ci comimic qual tesoro prezioso, n v'ha disposizione migliore di questa negli animi giovanili ad appren- dere le lezioni della sapienza^ ella bella questa ammirazione, cUa sacra come la virt della riconoscenza, come il gaudio della veriti. Ma egli v'ha un altro afietto, che prende pure il nome di ammirazione, ed d'indole afiatto diversa da quella: questa falsa anmiirazione noi denunziamo s come alla giovent italica^ che tanto sente, che tanto promette, funestissima. Ella cieca questa ammirazione, non smla alla vista di un saper vero, ma eccitata ttmiultuosamente negli animi da strepito volgare, da una celebrit cacciata, prezzolata, figliuola d'inettissima vanit, non sincera, divisa da intenzioni secondarie, straniere alla scienza e alla' verit: ammirazione di grandi uomini, sprczzatrice insolente di altri grandi uomini. La giovent nostra, la turba della giovent si travolge talora in questa cotale ammirazione come in un vortice^ e delle impressioni profonde, che lascia in essa anche quando n' passata la stagione, tolgono la libert agli ingegni, e li costringono a raggirarsi d'intorno ad un car cere, dove stanno a fem duri, impediti di spiegar l'ali per gli campi celesti dell'immensa verit. L' entusiasmo adunque non sia che per la verit : allora egli utile anche alla filosofia. Non e' impedisce allora di notare degli errori in quegli uomini che pi riveriamo, come pure di riconoscere e di ricevere con gratitudine delle verit dalla bocca di quelli, le dottrine de' quali nel loro complesso noi consi- deriamo s come erronee e funeste* Tali massime diressero sempre quegli studj filosofici che a noi ricrearon la vita: e pervenimmo a formarci delle opinioni ferme: e con queste credemmo di potere spesso interpretare senza parte, talora conghietturare le parole, i pensieri, le intenzioni stesse de^ nostri iwggiori, . a48 Or nella riverenza dovuta alla costoro sapienza, ci s ag** giunge compagno Fautore del libro del Rbmoxuxmento. E pure egli rifiuta allo stesso tempo quella filosofia che noi propone* vamo. Non solleva egli adunque una inutile controversia. Gio- ver certamente vedere, se v^ abbia una filosofia d^ orgine italica, e se questa s^ accordi a quella che io sono venuto esponendo ne^ diversi miei scritti, a quella che io pure stimo giacersi nel fondo di tutte le nostre avite tradizioni, risalendo fino a^ se- coli pi rimoti di cui siavi memoria, fino alle prime glorie deUa patria sapienza. N per mi cale tanto, che la filosofia da me proposta sia italiana, quanto ch^ ella sia vera, e per degna di essere italiana : di che io sar sollecito di provare ancor pi questo, che quello. Esaminiamo adunque senza pi, la dno- strazione dello scibile posta dal C. M., e con tale occasione ce^ chiamo di stabilire qual sia, e qual debba essere la vera ita- lica dottrina. ^49 CAPITOLO L DIFESA DB^ FILOSOFI CHB HHIVO CERCATO UN CBJTERIO DEL VERO. Tutta la questione della dimostrazione diel sapere isnand fA riduce, nella sua espressione pi semplice, alla ricerca di un criterio supremo e irrefragabile della verit. Il G. M. vStesso non pu non sentirne, e confessarne il bisogno. Perocch sebbene egli distingua sette forme di ven>, e prenda a dimostrare cia- scuna singolarmente^ tuttavia non consente meno nella sentenza degli altri filosofi, che a voler dare ferma prova detP umana co(pizione convenga muovere da un primo vero evidente, ifi^ negabile. Di che ancVegli si volge prima i tutto a dimandare qoal sa M la cognizione assoluta , o vogliam (re la certezza tf a cui non bisognano dimostrazioni n (i). Questa cognizione assoluta , questa certezza a cui non biso- gnano dimostrazioni, appunto il criterio della verit, che viene assiduamente cercato da^ filosofi; e come tale, ella diventa un segno, un Indizio della verit, applicabile a tutte P altre parti dello scibile. Non si pu adunque a meno di restarci alquanto maravi- gliati, sentendo il Mamiani medesimo a biasimare que^ logici i quali dopo avere scrutate le facolt e le condizioni del- ti r intelletto vogliono trarne alcun documento supremo-, e spe- rano condursi con esso al rin tracciamento del vcn), quasich ajatati da un segno visibile, come i piloti nelP alto oceano n (a). Peix)cch questi logici non fanno finalmente, che voler cercare la cognizione assoluta , la certezza evidente , che il C. M. ap- punto afferma doversi prima di ogni altra cosa investigare. N parimente con diritta logica, a mio avviso, egli soggiunge: ^ Non cercano essi dunque con si forte sollecitudine la ve- rt stessa, quanto cercano un segno e un indizio infallibile ^ per riconoscerla (3); perocch la prima verit ch^essi cer- , egU dichiara di non voler provare P in- tolzione immediata con veruno ragionamento! CAPITOLO VII. CONTINUAZIONE. Due pensieri adunque dividono la mente del G. M., e gli manc solo il raffrontare fra loro que^ due pensieri per trovarli npugnanti. (i) Pare che avesse pi tosto dovuto dire^ nou facciam precedere m. (a) P. n, e. lU, VI. Rosmini , // Rinno^wnerUo. 33 a58 L^uno deMue pensieri gli mostr la necessita, che il criterio del vero e del certo non fosse im semplice indizio o nota ca- ratteristica di lui, ma il vero stesso: l'altro gli sugger, che il criterio del vero non potesse esser altro che V intuizione, e l'evi- denza che Faccompagna^ ci che quanto dire l'operazione del conoscere , e una nota che nel vero conosciuto perpetuamente si ravvisa , e non punto lo stesso vero. Quel primo pensiero fti teoria nella mente del C. M. , rpiesto secondo fu pratica. Ma due pensieri opposti non possono dividersi l' impero i ima mente umana, senza metterci grande discordia e confusione, e senza che nelle pai'ole dell' uomo non apparisca quella per- petua mischia che hanno in fra loro le sue idee. Se noi vogliamo levare un saggio di questa cotal mischia, mettiamo a confronto ci che il G. M. dice in certi luoghi del criterio della certezza, con ci che dice in certi altri 5 e vedremo in molti prevalere il primo de' due pensieri, e dettare al Mamiani i ragionamenti; e in molt' altri prevalere il secondo, e il suo ragionare da questo interamente derivarsi. E primieramente udiamo la definizione che il C. M. ci d della verit e della certezza, tf II reale, dice, caduto sotto la facolt nostra conoscitrice, u prende nome di verit, e questa, esaminata e trovata cvi- dente, prende nome di certezza n (i). Questa definizione della verit e della certezza, volendola noi esaminare in tutta la sua estensione , e non solamente al fine di mostrare il contrasto intimo che giace ne' pensieri del N. A., ci potrebbe dar motivo di lungo ragionamento. Perocch ecco tosto sopra di essa tre osservazioni importanti: I. La verit per esistere ha bisogno, secondo una tale de- finizione, di esser conosciuta dall'uomo; perocch ella consi- ste nel reale caduto sotto la nostra facolt conoscitrice. Questo assunto contiene ne' suoi visceri la distruzione deUa verit, e ^mo scetticismo recato all'estremo grado. . 21.^ Se il reale col solo cadere sotto la nostra facolt co- noscitrice costituisce la verit, inutile quella giunta che o^ (1) P. II, e. II, I. (b*ua Ji esaminare la verit, e trovarla evidente, perch sixangi in certezza. Che cosa si pu bramare di pi della verit? Se dunque basta che il reale cada sotto la nostra facolt di co- noscere per essere verit, egli anche certezza per ci stesso che essenzialmente verit. 3.^ Se una verit per cangiarsi in certezza ha bisogno di essere esaminata e trovata evidente, ne verrebbe questa strana conseguenza, che T intuizione immediata intema del N. A. non potrebbe giammai produrre alcuna certezza perse, ma ella avrebbe sempre bisogno di prova, cio di essere esaminata^ circostanza richiesta dal N. A. alP essenza stessa della certezza. Ma lo scopo del nostro discorso non richiede se non che ci fermiamo un poco a considerare quella parola, reale ^ che mtroduce il Mamiani nella definizione del vero e del certo. Secondo noi, la parola u reale sta bene in opposizione coU^ altra ideale n: ella risponde a questa, come cosa (res) risponde ad idea. Il C. M. per non mostrasi costante nelP uso di questa parola, cbe gli cade di frequente dalla penna, e di cui non abbiamo trovato nel suo libro un^ accurata definizione. In qualche luogo egli la intende appunto come noi. A ragion d* esempio , l dove iaTella degli universali e degli astratti, che sono mentali pro- duzioni (1)7 e toglie a dimostrarne la verit, egli di tutta possa l'ingegna a persuaderci, che quelli rispondono alle cose sensi- bili^ nella quale rispondenza colloca egli la verit loro ^ e per ossame , che a le idee tutte universali rispondono bene alla e realit oggettiva (2). Da questo luogo conviene inferire, che la realit tutta po- sta nelle cose esteriori e sussistenti, e per, che ogni verit delle conoscenze a queste si riferisce. E veramente, se la realit degli wwersali consiste nel riferimento loro alle cose esteme , molto pi in tali realit esteme dee consistere la verit di ogni altro pensamento dell^uomo. Gonciossiach ogni pensamento nostro (t) P. n, e. X9 m. (a) Nel e. y,i9 della P. II, della reaiii oggettiva dice cosi: u Ci che esiste fuori di noi oello spazio addomaadato dai filosofi realit esterna ^ M ed anco realit obbiettiva m. si parte in due classi: o singolare ( pei*cczione, giudizio, ecc.), o universale (idea). I principi stessi, gli assiomi, le dignit, e in fine tutte le proposizioni universali, non sono che on^idea la qual si considera nell'ampia sua applicazione, come ho dimo stilato altrove (i). Se dunque la realit degli universali in un riferirsi agli oggetti estemi , molto pi (volendo egli esser coe- rente ) dee far consistere in ci la realit delle percezioni sin- golari^ e per non dee avervi altra realit per lui, che que- sta, n altra verit (per la definizione), fuori di quella che consiste nella cognizione di tali realit esteriori Ma d'altra parte, egli impossibile di non vedere, che non sempre la verit consiste nella realit oggettiva intesa in que- sto significato. Cos la venta di una proposizione consiste ma- nifestamente nella giustezza del nesso che lega insieme i suoi termini, eziandioch ella sia del tutto astratta dalle cose reali e sussistenti ^ p. e. la verit che u il tutto maggioi*e delle sue parti n^ vera quand'anche niun tutto e niuna parte esistesse, e cos si dica delP altre (2). Parimente le idee universali ed astratte, come ho indicato di sopra, non hanno alcun rap- porto necessario colle cose esterne ^ e credere il contrario , un errore in cui cadono non pochi filosofi, i quali non di- stinguono la loro generazione dalla loro natura (3). Veggono, che quasi tutte noi le formiamo mediante operazioni del nostro spirito sopra gli oggetti esterni percepiti co' sensi ^ e per le tengon con questi legate indivisamente : ' non avvedendosi , die gli accidenti della loro generazione non costituiscono punto la lor natura^ guardando nella quale vedesi manifesto, non aver esse niun nesso necessario, se non con oggetti possibili e non reaU. Il qual vero lampeggia anche agli occhi di quelle menti che di vederlo sono schive , e s' intromette in esse na* scosto. (jOS il G. M. confessa in pi luoghi, avervi degli esseri (1) V. il N. Saggio, Sez. V, e. V. (3) Ecco eoo quanta chiarezza il Mamiani confessa che v'hanno de' principj scevri da ogni relazione necessaria alle cose reali: r Ei sono dice, M pur tanto semplici m (i sommi universali)^ che appunto per ci tengono r la cima dell'astrazione , e nulla producono , finch stanno isolati dai x *t particolari j ( P. I, e. XVI, a.^ afor. ). (3) Ved. addietro, Lib. II, e. Vili. i6i puramente mentali, i quali non hanno bisogno di rappresene tare nulla di estemo (i)^ e talora reggendo un tal vero, e Tolendo pur mantenere la definizione da lui data della cer tezza e della verit, vien tirato ad ampliare il significato di (juella parola k reale ^ , in che egli ha collocata la verit, e a supporre che v^ abbia un reale tutto ideale l Tale l, do v^ egli parla del caso, in cui P oggetto sia tutto presente al pensiero, cio sia cosa soltanto pensata. In tal supposto egli dice, doversi a aflennare che esista, e simile afiermazione non ricever punto tt di dubbio, essendoch la realit sua e la concezione nostra fanno una cosa sola . Questa realit dunque qui una conce" mney u una pura e semplice idea , com^ egli tosto dopo la chiama , 0, come potrebbesi dire pi esattamente, un oggetto ideale. In questo luogo adunque la parola a realit n usata per sinonimo i^ideiditj il che non poco strano^ e pure nel periodo pre cedente egli ayea fatto il contrapposto di ci che reale^ a ci che soltanto pensato cio ideale (a). Talora dunque il C. M. pone la verit nel concepimento del reale ^ talora egli distrae il significato di questa parola a signi*- ficare ogni oggetto anche ideale e niente a&tto reale. Egli viene con ci ad ammettere, senz^ accorgersi , due serie o ca- tegorie di verit, cio le verit che risguardano gli oggetti esteriori e reali ^ e le verit che risguardano gli oggetti pura- mente ideali. Che dovea divenire da questa incostanza d^idee e di parole? Che dopo aver egli messo per unico criterio del vero Vintui'* one^ mostrasse poi di non accontentarsi punto di esso, e sen- tisse un bisogno di ricorrere a qualche altro ajuto starner dal- r intuizione. E veramente, P intuizione, come dicemmo, non una verit, ma solamente un segno deUa verit: un tal cri- terio non dice se non: il vero quello che s^intuisce . (i) P. II,c. X. (a) r GonsideriaiDo pertanto quello che avvenga entro noi della cono- aceosa , quando l'oggetto sia tutto presente al pensiero e quando no m vale a dire quando V oggetto sta cosa soltanto pensata 5 ovvero sia cosa u axALB FUOR BELLA MuiTs m ( Parte II, e n n ). Qui il m reale - r opposto di t cosa pensata m 262 Dall^ intuirsi si deduce che vero. La certezza in tal modo viene ad essere non altro , che una pienissima fede che si pre- sta alla facolt d^ intuire. Ma questa facolt non potrebbe ella esser fallace? Il C. M risponde di no. E perch? La ragione che adduce si , che u il vero nelF intuizione si converte colP ente ft ( i ) : V abbiam veduta. Ma chi ci dice che il vero nell^ intuizione si converta col- r ente ? L^ intuizione medesima, o una riflessione, un^ analisi che noi facciamo dell^atto dMntuire, di riflettere, di analizzare. Ottimamente. Dunque tutto si riduce a prestare una fede assoluta aUe nostre facolt d^ intuire , di riflettere , di analiz- zare: ma chi ci dice, che questa fede non c^ inganna? La risposta , che impossibile che noi non prestiamo fede air intuizione. Per quanto si cerchi , si trova sempre che il Ma- niani riassume P ultima ragione delP autorit dell^ intuizione in queste parole: u nessuno, pensiamo noi , vorr credere che la mente affermando la sussistenza d^ alcuna cosa , crei 4( quella medesima sussistenza, ma ognuno in vece rester cer- (i) Mi si permetta di osservare > che il significato che il C. M. d a ({ue- sta frase acolastica^ che ottore dice, verum quod est in irUeUectu^ onwer tiiur eum ente, ut manifestativum cum manifestato ( S. I, XVI^ m, ad i) , ci che sipotrdibe anche esprimere cosi: w l'essere ideale (il vero) manifestativo dell' essere reale ( la cosa ). 263 to, che qualunque realit degli oggetti pensabili incUpen- tf dente afiatto dallWermare o dal negare di nostramente (i). Ecco tutto ci che si pu dire in &yore dell^ intuizione : Tuomo non pu a meno di prestarle fede (2). Ma V esser necessitati ad un atto di fede, egli ragione e ferit? non potrebbe darsi una necessit ingiusta? una ferrea legge di natura ? una forse utile , ma per sempre cieca fa- taUt? Fino che non si va pi avanti col ragionamento, questi dubb) rimangono: e questi dubbj son quelli dello scetticismo (1) P. n, e. IT, V. (a) Nella P. Il , e. II, toglie a cercare qnal sa la prima certexsa , e prova che quella m d'iotuzione immediata m, o sia, come die' egli, quella che sottieDe co' fatti del senso intimo. Ora questa prova egli la cooduce per VI d'esdusioDe. Dice^ che cinque sole sono le fonti onde possiam trarre dimostrasione del vero, oltre a quella del senso intimo, che la stessa del- l'intuisone. Ora egli toglie a mostrare, che le cinque prime fonti suppongono tempre qualche verit precedente, da esse non dimostrata. Da d conchiude, che non possiamo aver ricorso se non al senso intimo, a dover noi trarre la dimostrazione di quelle verit , a provar le quali non giungono le altre cin- que fonti di dimostrazione : Or noi affermiamo ed asseveriamo che questo tt ottiene o coi fatti del senso intimo, o non altrimenti , imperocch in r quelli soli il principio della cognizione m. Che cosa vengono a dire tali parole che contengono l'estremo argomento della teoria sulla certezza del N.A.? Che non rimangono se non due vie, cioo di confessare che alcune prime verit rimangono indimostrate, e con esse, lasciandole indimostrate, cide tutta la certezza umana, o di credere al senso intimo , e nella testi- noDiansa di questo porre il sostegno della certezza. Tutta la prova dunque sta nella necessii che non perisca la verit e la certezza umana. Ma questo lappone, che la certezza e la verit umana esista. All'incontro si tratta qui di dimostrare che esiste. Si suppone adunque dal Mamiani quello^ rbe s vuol provare. Lo scettico , a cui faremo tale argomento , si rider iK noi. Egli d dir : il vostro argomento trae forza dalla supposizione che esista il vero ed il certo; vale adunque per voi, che ne ammettete l'esistenza ; per me non vale nulla, perch la niego. Ma la certezza e la verit ne- cessaria all'uomo ed alla societ. Io nego, risponde lo scettico, tale ne- cessit. E quando foss'anco necessaria, che perci? se non esiste verit e eertesza, potrete far voi ch'ella esista, perch' necessana? presumete troppo) converrebbe pi tosto rassegnarsi e fame senza; perocch l'immaginare una illusione e darle nome di verit, non gi un creare la verit slessa. Che potrebbe rispondere il Mamiani cosi gagliardamente incalzato dagli scettici? a64 il pi& consumato. Veramente il dimostrare la necessit di tu assenso, non un dimostrare la verit: Tuomo che forzato , non sempre giustamente convinto. Riman duncpie molto ancora a fare per la causa del veroj dopo aver prodotto il criterio u eW intuizione ; perocch con (juesto criterio non si possono solidamente ribattere le op- posizioni degli scettici. Il difetto e la limitazione di un tal criterio vien sempre dalla ragione che abbiamo toccata : dall^ essere egli un^ indi- zo e una nota della verit, e non la verit stessa, la verit evidente, e di prova non bisognosa, la prima, P iniziale verit; e (piesto difetto era impossibile a non sentirsi. L^aver fatto consistere la verit nella realit^ metteva sulla via a porre il criterio nella intuizione n , perocch la realit si percepisce y come noi sogliamo dire, o, come parla il Ma- miani, s^ intuisce. Un tal pensiero assai consentaneo a queUo de^ sensisti , i quali riducendo ogni conoscenza alle sensazioni ^ convennero di mettere il criterio del vero nelle testimonianze de^ sensi esteriori. L' avvedersi poi , che oltre gli oggetti esteriori, vi hanno de- gli oggetti puramente mentali, un avviso salutare che in- cammina la mente ad un altro criterio diverso dall^ intui- zione, ad un criterio che non gi, come questa, un sem- plice indizio del vero, ma che una verit prima, una luce che contiene in s stessa la manifesta essenza della verit. E di vero , fino a tanto che noi stiamo nella realit esterna, non abbiamo ancora colta la verit: la realit per s oscura e cieca ^ mentre la verit una luce spirituale: la realit ha bisogno di essere conosciuta^ ma la verit quella che fa co- noscere: la realit di sua natura aliena dalla mente ^ ma la verit nella mente: quella in una parola una forma di essere al tutto diversa da questa , che pel bisogno di sepa- rarle io le chiamo yrma reale ^ e forma ideale delP essere^ Puna delle quali cio la seconda cognita per s, quando P altra cio la prima cognita solo pel suo congiungimento e quasi fecondo connubio colla seconda. Non sar dunque inutile, che io faccia osservare nell^ opera del N. A. le traccie di questo tendere continuo della mente 265 ?erso una Verit ^rima e suprema, allorquando le si presen- tano a contemplare degli oggetti puramente ideali , (piali sona gli astratti od universali, o sia in forma d^idee, o in forma di prncipi . Nel Gap. Xn della P. II egli parla de'principj universali. Ora venendo a quelli cV egli denomina assiomi, cos dice: Parve a parecchi filosofi del nostro tempo, che la dimostra- zione degli assiomi riesca pi che sovente impossibile ; e per r evidenza loro essere un fatto primo , non esplicabile c( deir intendimento n . Se fossero un fatto primo, sarebbero d*^ intuizione immediata , e per apparterrebbero al criterio di intuizione proposto dal G. M. Ma qui egli non si contenta, e saviamente dice cos: Mal si conobbe da quei filosofi, che ce dimostrare una verit generale, si scuoprire certa sua iden- tit con altro principio via maggiormente astratto (i). Queste parole del N. A. dimostrano, che la sua mente nel pro- ferirle era incamminata verso un criterio supremo di tutte le verit , consistente non gi in un indizio di verit , ma in ona verit prima. E veramente , se la dimostrazione di una verit meno generale sta tutta in una verit pi generale colla quale quella prima s^i- dentfica , egli ne dee venire questa consegunza , proseguendosi dietro un tal cenno a ragionare , che, ordinate tutte le verit in una serie secondo il grado di loro universalit , si ascenda finalmente a una idea che sia di tutte la pi universale , e a cui niun^ altra stia sopra in ampiezza. Ora dato per vero, che in questa serie V inferiore o sia meno generale si provi col mostrarla compresa nella superiore e pi generale, ne viene necessariamente, che quella che sta sopra tutte e che Funi- versalissima, contenga la dimostrazione di tutte, e da ninna di esse possa essere dimostrata. Se si d dunque un criterio su- premo di verit, sar dessa questo criterio. Gonverr pertanto rinvenire questa verit prima e di tutte suprema^ e se noi trove- remo in essa una luce evidentissima, e una virt di provare con necessit, noi diremo d^aver trovato il criterio desiderato. (i) P. II, e. XII, IH. Rosmini, // Jiifmo^ametUo, 34 i66 In tal caso non sarebbe gi pi V intuizione in genere i criterio del vero ^ questo criterio sarebbe la prima e supremi verit da noi intuita^ verit ampissima, che le altre verit ab braccia virtnalmente in s stessa, e che perci a tutte supe- riore: noi non ci abbandoneremmo pi fiducialmente all^ atte delle nostre facolt, ma ci abbandoneremmo s bene, e da- renuno credenza alla stessa verit: non avremmo un semplici indizio di verit, sempre bisognevole di esser provato tale, ms si avremmo innanzi la stessa essenza del vero. n C. M. adunque mettesi talora sulla via di pcrvenin a qaesto criterio: ma occupato troppo la mente dalP altro non vi perviene giammai. Cos egli non giunge a conoscere che i primi principj si riducono tutti ad un solo, anzi ac una idea sola, e parla di essi come fossero molti. Di questi poi dice bens, che non si possono dimostrare, ma soggiunge che u ci bisogna provare con la storia fenomenica dell^ intel- letto, che ninna idea e niun principio rimane superiore a ti quelli, e che niun senso, niun giudicio, ninna esperienza i bastevole a generarli ( i ) : di che trae V aforismo , che la storia naturale delF intelletto dee precedere tutte quante le speculazioni della Filosofia n (2). Questa sentenza ricade nel criterio dell^ intuizione imme- diata, perocch dalP esser dimostrato che quei principj non possono essere generati da niun senso , da niun giudizio e da niuna esperienza, conchiude tosto il Mamiani, che dunque sonc d^ intuizione immediata , e per indubitabile. Io non dir se P aver dimostrati que^ principj non generati da^ sensi, dal giudizio e dalP esperienza , sia quanto un averii dimostrati dMntuizione immediata. Dico bens , che tutto ci, u ibsse, non basterebbe ancora a dimostrarli indubitatamente veri P^x>cch quale illazione necessaria sar questa, che dal non essen un principio generato n dal senso, n dal giudizio, n dalli esperienza, sia perci vero e necessario? Il non potersi spiegan r origine sua, noi rende vero n falso, perocch la verit do essere una luce intrinseca al principio stesso. Noi prova ni (i) Par. I, e. XVI, 2." afor. (a) Ivi. pur vero la sola intuizione di lui^ perocch noi possiamo in- tuire tanto il vero, come il falso. Se dunque si d P intuizione del vero e quella del falso , convien dire che V una si distin- gua dall^ altra solamente in virt della qualit dell^ oggetto intuito^ sicch se F oggetto sia vero, vera si chiami Pintui- lione ^ se r oggetto sia falso , falsa V intuizione. Da che retta- mente dobbiamo conchiudere, che P intuizione per s stessa non pu essere il criterio del vero, ma che criterio del vero dee esser sola P intuizione del vero^ e per ci vorr un altro cri- terio, che ci &ccia poi distinguere questo vero da noi intuito, e che lo distingua dal falso pure intuito. Il vero dunque intuito quello che rende vera P intuizione, e non P intuizione rende vero il suo oggetto^ come per P opposto il falso intuito rende falsa Tintuizione, eziandioch noi il giudicassimo falsamente per vero. Di che s trae una patente dimostrazione, che il criterio del vero non pu riporsi gianunai n nelle nostre facolt , n nelle loro operazioni o atti ( uno de^ quali sarebbe P intui- zione )^ ma conviene anzi riporlo in un oggetto di esse facolt fssenzialmente vero^ ossia costituente P essenza stessa della ve- rit, il quale oggetto dona egli appunto autorit e valore alle Scolta stesse , perocch noi argomentiamo, ch^ esse hanno que- ste doti solo per la natura delP oggetto a cui si riferiscono, che la verit. Aggiunger finalmente, che anche nel brano ultimamente fecato del libro del C. M. giace quella perpetua sua incoe- renza tante volte da noi notata, di rendere la questione della certezza dipendente al tutto da quella delP origine delle idee, dichiarando egli pur questa affatto straniera dall^ altra, e anche insolubile. Perocch come si pu dimostrare, che i primi prin- cipi ^^^ possano esser generati n dal sentimento, n dal- r esperienza, n dal giudizio, se non si rimescola fino al fondo tutta la dotti*ina dell^ origine (i)? (i) Come ho gi osservato^ nella mia filosofia la questione dell'origine pi staccata da quella della certezza, che non sia nella dottrina del Maroiani. Perocch al G. M. necessario di risalire alla genesi delle cognizioni per determinare quali appartengMuo all'intuizione immediata , quali no; quando io noo ho bisogno che di trovare l'ordine logico delle idee per iscuoprire qual sia la prima logicamente^ criterio di tutte l'altre. ^6S CAPITOLO Vili. CONTINUAZIONE. L' accorgersi, che la prova di una verit inferiore non con- siste in altro, che in dimostrarla contenuta in una verit su- periore cio pi universale, quanto un accorgersi , che senza verit universali non si d dimostrazione di sorte. Perocch se noi percorriamo la serie delle verit discendendo dalle pi universali alle meno universali, verremo finalmente alle verit singolain. Ora queste o contengono qualche ele- mento universale, o si vuole che non ne contengano alcuno. Sebbene questa seconda parte del dilemma sia assurda , tut- tavia supponiamola per un momento vera, e ne avremo que- sta conseguenza, che le verit supposte singolari si dimostre- ranno o col farle veder contenute in qualche verit universale, o con altro mezzo qualunque. Se anch'' esse si dimosti'ano ri- ducendole a verit universali , in tal caso il principio della di- mostrazione s de' veri universali, come de' veri singolari, uno stesso, cio il pi universale di tutti i veri. Se poi si vuole, che i veri singolari sieno dimostrati per qualche altro mezzo , come sai*ebbe per Y intuizione immediata , in tal caso noi avremo due principj di dimostrazione , ossia due critcrjy e non pi uno solo. Il criterio cio di tutte le proposizioni uni- versali consister nella proposizione universalissima, e il crite- rio delle verit singolari in quelP altro mezzo qualsiasi che si propone. Ora V ammettersi due criterj supremi e indipendenti del vero, assurdo (i)^ dunque convien dire, che anche i veri singolari trovino negli universali la loro dimostrazione e certeau&a. (i) Il C. M. (P. 11^ e. IT) reca molte autorit di filosofi a provare chf una la verit^ fra l'altre questa d Filippo Mocenigo : O non v'ha u certezza alcuna nel mondo ^ o se u trova una soltanto, da cui tutte Tal- M tre discendono m ( Universalium Instit. Contempi. I ^ e. II ) ; e in un altro luogo riconosce che u la verit semplice e identica con s stessa in per- ir fetto grado . P. II, e. XVII^ ii. a69 Questa osservazione riceve maggior forza, ove si consi- deri bene, che non ci hanno veramente verit cos singolari, le quali non contengano qualche elemento universale, come abbiamo voluto supporre. Imperocch ogni verit afferma o nega qualche cosa , e V affeimare o il negare esige sempre il verbo essere o espresso o sottinteso, il quale dallo stesso Mamiani riconosciuto per V universalissima delle idee , e per la mas- sima delle astrazioni. Di pi, 'A formale della cognizione non ist che nella parte sua universale ^ sicch ella sentenza co- munissima delle scuole e de^ maggiori filosofi italiani, che il singolare appartenga al sentire ^ e V universale costituisca P m- todere. U incatenamento adunque delle cognizioni non punto interrotto^ e dalla massima e pi astratta delle verit, egli di- scende gradatamente e senza salto alcuno a quelle che sem- bhno nel primo aspetto al tutto particolari, perch s' appren- dono col sensibile, che ne porge la materia^ e cosi tutti gli anelli di questa catena rientrano gli uni negli altri , di guisa, che le minime verit sono contenute nelle medie, e le medie sono comprese nelle massime, e le une si dimostrano per P altre, e tutte per la prima, che tutte in s le raccoglie. CAPITOLO IX. CONTINUAZIONE. Per non fa meraviglia se il N. A. di pari colP intui- zione fi intrometta sempre nel discorso alcuni principj uni- versali, che quella ajutino, e sustentino^ imperocch egli UDpossibile andar avanti collMntuizione sola, senza sorreg- gersi sopra verit, e principj universali. Gi in cima a quel capitolo dove parla della u prima cer- tezza fi , sebbene per entro ad esso non faccia menzione di principj , ma solo di fatti del senso intimo , tuttavia ci pone una sentenza del Tasso, che afferma avervi de^ a principj che non possono essere provati, ma sono noti per s stessi, i quali tutti si riducono ad un certissimo e primo principio col quale ciascun altro pu esser provato, e questo che u V affermazione o la negazione sia vera in tutte le cose ( i ) , che viene a dire il principio di contraddizione. E in vero^ senza questo principio universalissimo non si d ragionamento^ e il N. A. ne fa uso in tutta P opera ^ e sulla fine di essa ne fa la confessione, dicendo : a sola sorgente adun- ca que d^ogni nostra dialettica stata il principio della con- a traddizione 99 (2) : confessione preziosa, perocch dimostra assai chiaro il bisogno di aver degli universali nella mente, prima di muovere il pi piccolo passo del ragionamento, ne bastare una intuizione desti tuta di universali principi Vorrei tentare di conciliare su questo punto il N. A. con s stesso. Vorrei dire: la prima cosa che fa la sua intuizione, r atto con cui vede il principio di contraddizione , e ne sente la forza: quindi lo spirito fa uso di questo principio intuito ne^ successivi suoi ragionamenti. Ma se questa interpretazione vera , non conviene pi dire che il criterio della certzza sia T intuizione in genere, masi l'in^ tuizione speciale e detcrminata del principio di contraddizione: in tal easo non pi V intuizione quella che d virt e forza di stringere al principio di contraddizione, ma il principio di contraddizione che accerta e avvalora F intuizione^ e per il criterio della certezza starebbe in questo principio , e non nel- r intuizione, che non se non il mezzo di conoscerlo , di pa^ teciparlo. Oltracci se il principio di contraddizione V universalissima delle verit, e se egli si conosce pure col primo atto delP intuizio- ne, convien dire che questa maravigliosa intuizione giunga di vn salto all^ ultima di tutte le verit, e per ch^ella non cominci gi dal vedere i singoUui^ ma cominci dal vedere V oggetto il pia astratto di tutti: ci che ripugna al sistema del G. M., che deduioe gli imiversali dai singolari^ e non troverebbe verit m altri sistemi, se non nel nostro, il quale pone, che lo spirito abbia gi inerente un primo lume ond^ intellettivo, il qo (1) T. Tasso, // Porzio, ovvero della Virt, (a) P. U, e, XX, I. rimo lume T intuito, ossia la vista puiissima e astrattissima lVessere. E che il principio di contraddizione? Si esamini, si ana- Ezi un poco questo principio, come abbiam fatto noi nel ^iKM^o Sa^io{i): e si entrer tosto di piano nel nostro sistema. Noi abbiam fermato, che quando unMdea pia imiyersale si j^ca ad altre idee meno universali, queD'idea prende il ome di principio, sicch u un principio non altro se non na proposizione che esprime V applicazione di im^ idea n . )s, a ragion d^ esempio, questo principio, il tutto maggiore leUe sue parti, non altro che Pidea astratta di maggiorit applicata al tutto e alle parti. Cerchiamo adunque qual sia Fidea che si cangia, in appli- candola, nel principio di contraddizione. Vedesi assai mani- festo dall' analisi di questo principio, che essa non se non Tidea dell'essere, la qual si applica a tutti gli enti particolari: imperocch col dire : se una cosa , ella ^ ovvero col dire: una cosa non pu essere e non essere neUo stesso tempo ^ che sono le formole del principio di contraddizione^ non si fa che raf- frontare il non^essere all' essere , e vedere la contraddizione che sta fira Puno e l'altro. 12 essere dunque la misura^ che viene applicata, ossia la norma secondo la quale si giudica^ e tro- vando che una cosa pensata conviene a questa norma , cio che ha l' esistenza, noi concludiamo , che ella non nulla , o na, che a quella norma dell'essere non ripugna. Il principio di contraddizione adunque suppone nella mente l' idea dell' es sere universale, ed anzi egli non altro, che uno de' primi usi che noi facciamo di questa idea. La qual dottrina io gi feci conoscere essere antichissima, e recai a provarla un bellis- simo luogo di Alessandro di Ales, celebre scolastico del se- colo XIH (a). In vero, questo insigne teologo, commentando Aiistotele che pone per supremo criterio del vero il principio di contraddi- zione, s'avvide che a questo principio dovea precedere nella mmmmmmmim^ (i) Set. V, e. V. (a) y. Principi della scienza morale, cap. 1, art. ui, nota ultima. 3ya mente Videa delP essere: e per convien dire o che Aristotele stesso non coerente nelle sue dottrine , o che conviene inten- derlo assai diversamente da quello che T hanno inteso alcuni, i quali imputavano a lui V opinione, che niun lume n^urale s^ abbia lo spirito umano , ma solo de'' lumi acquisiti ( i ). Andando adunque per questa via, conviene di necessit per- renire a quello a cui pervennero gli antichi , cio a conoscere che lo spirito nostro informato da un primo lume (2), e che questo non pu essere altro, se non una visione delP essere, sebbene imperfettissima, perch priva delle terminazioni del- r essere stesso , come oggetto veduto in lontananza ^ conciossia- che dal solo essere procede il principio di contraddizione (1) Vedi che cosa noi abbiamo detto sopra di ci nel N. Saggio, Set, IT, cap. I. (a) Credo utile cosa sottoporre qui all' attenta considerazione de* lettori un passo di un celebre filosofo italiano ^ di un traduttore di Aristotele . che s cangia, a ragion d^ esempio, di verme in crisalide, e di crisalide in farfalla. Il principio di contraddizione comparisce da prima ne^ ragionamenti del N. A. come un qualche cosa di particolare: egli esiste in ogni singolo fatto, u bench in una maniera sempre detcrminata. Per la medesimezza tf poi necessaria che hanno fra loro tutte le cose, riguardo all^esistere , tal principio diviene subito universale, e questo il legame logico, onde vanno congiunti l pensieri e le cose, le apparenze e i noumeni n (i). Lo sviluppo celere: il principio diventa subito universale: ma per quanta fretta gli dia il N. A., cacciandol ratto dallo stato di particolare a quello di universale, potr egli aggiun- gere tanta firetta altres alle menti de^ lettori sicch trasandino non osservando che quel principio stato, sebben breve tempo, particolare? e se essi osservano ci, la cosa fatta ^ il marcio scoperto^ Passurdo di aver supposto un principio particolare, come a dire un principio non principio, trovato, e non si pu nasconderne la vergogna. CAPITOLO X. CONTINUAZIONE. Aggiunger una riflessione, che provi via pi chiaro come il criterio del C. M. non sia gi un slo , ma veramente due , ridotti ad una unit nominale. Egli distingue due specie di verit. Le prime sono le feno- meniche, o sia cpielle che appariscono immediatamente al senso intimo; le seconde quelle, che dalle prime sMnferiscono per necessit di ragionamento. Alle due specie adunque di ve- ce rit fi , egli dice , u abbiamo imposta un^ appellazione me** desima, e le chiamiamo verit e certezze d^ intuizione. Per la prima vien detta da noi intuizione immediata, la seconda intuizione mediata n (a). Or secondo questa maniera abusiva di parlare, tutte le (i) Parte 11^ cap. XX ^ i. (a) Parte 11^ cap. III^ i. 2y6 verit sarebbero verit J' intuizione , e solo si distinguerebbe! due specie d^ intuizione, immediata o mediata. La pai*ola inU zione aduncpie significherebbe Tatto di qualsiasi potenza iute lettiva, il quale abbia ad oggetto il vero^ e se T intuizione r infallibil criterio, verrebbe la strana conseguenza, che og atto delle nostre facolt intellettive essendo intuizione, sarebl dichiarato infallibile. Questa osservazione vale per tutti quei luoghi del libro d Jiniov^amento^ dove si d per criterio V intuizione in general Quegli altri luoghi poi, dove si pretende di richiamar tutl le cognizioni alla sola intuizione immediata , mi somministran la riflessione seguente, che quella a cui propriamente io tende questo capitolo. L^ Intuizione mediata si pu ella chiamare propriamente in tuizione? Questo quello che io credo di dovere assoluta mente negare. La intuizione immediata definita dal N. A. Y atto i nostra mente, il quale conosce le proprie idee e le atti nenze loro reciproche ; e vien detta anche una noti zia pura mentale, ristretta nei soli fenomeni del senso in u timo n (i). Della mediata poi egli d quest^ altra definizione: u L'atte di nostra mente , il quale per la certezza assoluta dell' intu u zione immediata, prova in modo altrettanto assoluto Tesi stenza dell' estrinseche realit r> (2). Or qual questo modi assoluto, onde dalT entit fenomenica, che colla intuizione in mediata scorta, si trapassa a conoscere le realit esteme sussistenti? Il principio di contraddizione, dice il Mamiani tf II passaggio dair una air altra fu ritro> ato nella impossibi w lit metafisica (3) di negare il fenomeno. Sola sorgente adui que d'ogni nostra dialettica stato il principio della coi traddizione (4). Chi non vede adunque manifestamente, che tutte le verii ch^ egli attribuisce all' intuizione mediata , non sono veramenl (1) Purte II, cap. Ili, i. (3) Egli volea dir logica. {1) p. ir, e. Ili, IV. (4) Parlo II, cap. XX., i. 377 intuite dallo spirito , ma solo argomentate da quelle altre che intuisce lo spirito? Or la parola intuizione non pu significare, propriamente parlando, che un'apprensione immediata^ e per il dire che v' ha una intuizione mediata , un far uso di quelle frasi vaghe, improprie e contradditorie, che sogliono confon- dere e sovvertire tutto il regno della filosofia. Le verit che il C. M. chiama "^ intuizione mediata ^ sono dunque le verit d' argomentazione , e non d' intuizione : e V in- tuione non fa, relativamente ad esse^ che prestare il punto femio, su cui s'appoggia la leva, per cos dire, del razioci- nio. Dunque conviene per queste seconde verit prestar fede al raziocinio , ond' elle si deducono^ dunque conviene aver ri- cevuti per autentici ed efficaci i primi principi, de' quali fa uso il raziocinio, e fra questi , in capo agli altri sta il prin- cipio di contraddizione ^ dunque conviene presupporre gi for- mate le idee universali dalle quali nascono i principj , e prima di tutte quella AxXC essere^ onde procede il principio di con- traddizione^ dunque il criterio del C. M. suppone molto pi, come dicevamo, che non faccia il criterio di Cartesio. Di qui pertanto manifesto, che il C. M., senza avveder- sene, adopera non un solo principio del vero , ma due , cio I.' r intuizione e 2.** il raziocinio : l'intuizione per la cono- scenza della parte ideale, il raziocinio per la conoscenza della parte reale. L'intuizione un indizio del vero: il principio di ( Parte II, cap. I, iv ). Yedrs ^M come all'intuizione generalmente presa egli applica una definizione , ( Ivi , ii ). Manifestamente si ved>y ma di t cooperazione m. (4) Non a farsi veruna conversione , perch ogni oggetto diverso da tioi per cos dire in direzione diretta della nostra attenzione. (5) La forza alleni iva dee essere stata adoperata fino dui pi itiio istauto che lo spirito ricevette l*aziouc interiore della sensazione. RsMiifi, // RumovamcUo. 36 a&zione (1)9 ^ distiiigue, la giudica^ e neir unita slnteli (a). Qui dunque V intuizione, o il senso intimo delN. A., non altro che la ragione che prova s stessa, a coi egli ha voluto dare un altro nome , senza che se ne vegga 3 Insogno. Altrove egli oppone al vero assoluto del senso intimo (cio (i) Il C. M. io confraddsiooe con s stesso nche \k dove dice^ che Vkinno dnque fonti, onde suol trarre la dimostrazione del vnt>, oitre 9*BMla che sorge mmediatamenie dalia cosdenta: ciu il sillogismo y l' espe* 'loaa de' (atti esteriori ^ 1' aulurit^ gli aMiomi e Tistinto ( P. II, e. Ilyii). Questi cinque fonti non sono fuori della cosciensa, ma dentro. Rispetto poi agli assiomi, che sono i principj pi uni^rsali , questi sono Unto neces- IMJ alla coscienza, che non si d^ cosdutai intellettiva sena di essi, pe* iNch essi formano il precipuo oggel|^'di lei. Non si dee adunque dividere licoscieiisa da' suoi oggetti, come se'quella fosse qualche cosa di separato^ i d'indipendente da questi. (a) P. Il, e. XVIII, HI. i84 deirintuizione) le verit istintive (i). Dunque il senso intim di cui egli parla^ non quello che appercepisce Istintivamei la Tci*Lt y ma la vista de^ veri razionali , e di nuovo , in u parola, non che la ragione (2). Che se egli fosse da per tutto coerente a queste dottrii noi ci potremmo a dir vero di molto a lui avvicinai'e^ e la dii renza fra lui e noi riguarderebbe tutt^ al pi V incatenamei delle verit, che egli non descrive nettamente, n il cond a quella semplicit di principio a cui noi credemmo di nto colle prime, proverebbero 9 elle nella intuizione mediaia non pu avervi il convincimento della ragione. Perocch se questo si ha l dove il cognito ed il conoscente diventano una medesima realit, e se nella me- diata ci non avviene punto, che anzi si distinguono sostan* talmente y o per divisione di tempo ; dunque in vano cercasi in ^esta il convincimento della ragione. . 2. Egli i^ero che il Mamiani soggiimge: u il passaggio dall^ una alF altra fu ritrovato nella impossibilit metafisica 0 di negare il fenomeno n (4) ^ la quale impossibilit metafisica appare pel principio di contraddizione. Ma tutto ci non fa mica avvenire, che il conoscente sia ima cosa medesima col ignito, ci che convertirebbe T intuizione mediata nella im^^ ''tediata j e per non procura giammai quella condizione che il Mamiani dichiara necessaria al convincimento della ragione. Piuttosto dunque da dirsi, che il Mamiant aggiunga all^ in- tnizione immediata, scorgendone F insufficienza , un altro cri- terio, come toccavamo, cio il principio di contraddizione, e che si serva di due criterj in vece che di un solo (5). (i) P. I, e. XVI, i5.' afor. (2) P. Il, e. II, 11. (3) P. II, e. XX, I. (4) Ivi. (5) Gap. X. !i8G 3.^ Gi fu per noi accennato, che il N. A. non intese in che senso gP Italiani antichi, o piuttosto gli scolastici tutti dicessero, che P ente si corn^rte col i^ero : maniera per la quale intendevano che il i^ro si pu prender per Venie ^ e Pente si pu prender pel i^ero^ essendo in sostanza la cosa stessa. Non volevano essi adunque dare con ci alcun criterio dells certezza, quasich questa ci fosse solo l dove Pente e il vero si convertono , sicch cpiando il vero coU^ ente non converte, non vi fosse certezza. AlP opposto essi con quella sentenza vol- lero solamente esprimere la metafisica natura del vero^ e feri non ammisero giammai il caso, in cui vi avesse il vero senzc convertirsi coll^ ente, ma insegnarono che il vero era sempn convertibile colPente, perocch non era egli altro che Pent^ medesimo conosciuto ( i ). La conversione dunque dell^ ente co vero non si fa nella sola intuizione immediata, ma sempre ovecch siavi il vero^ e non costituisce alcun criterio. 4-* Non veggo poi ragione alcuna, perch il N. A. creda nna cosa medesima il dire che Pente si converte col %^ro ^ e il dire che il conoscitore ed il cognito compongono una sola rea* lit: perocch egli usa a dir vero ora Puna ora P altra di que- ste due maniere a comprovare la veracit delP intuizione im mediata. A doverle interpretare siccome aventi tutte due no medesimo significato, converrebbe prender Pente per sinonimo del conoscitore, e il vero per sinonimo del cognito. Ma se noi stessi, soggetti conoscitivi, siamo quelP ente in cui il vero si con- verte (oltrech ci allontaneremmo vie pi le mille miglia dal modo in che intendevano questa frase gP Italiani antichi)) ne verrebbe , che il vero si convertirebbe in noi , o pare li convertirebbe con noi , sicch noi e il vero saremmo sino- nimi: cosa impossibile a concedersi, impossibile a concepirsi. Oltre a che il vero in tal caso non avrebbe alcuna sua propria entit diversa dalP entit nostra, e quindi sarebbe nulla ^ e come potrebbe il nulla convertirsi in noi o con noi? 5.^ Finalmente non mi parrebbe di passare i limiti della & (i) Convertirsi due cose, vuol dire, secondo il frasario della scuola, po- tersi sostituire V una air altra , potersi dire dell' una ci appunto che i dice dell' altra. 4 i screiione, chiedendo io al C. M. di spiegarmi, come o perch debbflsi aver la certezza solo alkmt che il conoscente ed il co- gnito sono divenuti una medesima cosa* E se non vuol dir* melo, mi dica almeno come sia possibile che vi abbia cei*tezza di scienza, o anche solamente scienza, quando il conoscente ed il cognito ianno una medesima cosa^ perocch io davvero non ci veggo, n intendo pure la possibilit di questa sua albrmazione. Secondo II veder mio, egli al tutto necessario) acciocch possa darsi una cognizione qiulsivoglia, che il cono* scente ed il cognito non fisicciano una medesima cosa, ma che ri- mangano anzi fira loro perfettamente distinti e inconfusi, sebbene congiunti insieme strettamente. Che se egli awemr potesse una ven immedesimazione del conoscente e dd cognito, come par dimandare rA.N., io non avrei pia n conoscente, n cognito, n (ti), farci vedere come questa cotale immedesima- zione possa e debba essere prova chiarissima di certezza. Di vero, non trovando il C. M. questa immedesimazione del ' conoscente e del cognito in tutte le conoscenze nostre , ma solo in quelle che appartengono alV intuizione immediata, forz^ dire che egli intenda per essa tutt^ altro da quello che intende s. Tommaso, ove afferma che il cognito dee essere nel conoscente^ perocch questo s^ avvera in tutte ugualmente le cognizioni. Egli par dunque che il Mamiani ponga la sua cer- tezza d^ intuizione immediata nelP esser questa un intimo e immediato s^timento ^ il che consentaneo col chiamarla die fa una certezza a cui non bisognano dimostrazioni (3), e molto pi con quella sua sentenza che dice u lo scibile umano u ha il principio suo nel fatto , e a egli perch , non perch debba essere (4). Ma in tal caso finalmente, P appagamento (i) quaod'anco lo dicesse^ non si potrebbe pigliare un tal detto alla Ietterai distinguendo costantemente s. Tommaso U specie della cosa che in* forma T intelletto, dallo stesso intelletto. (a) P. II, e. XX , I. (3) Ivi. (4) P. II,c. XIX, IV. 89 che noi troviamo nell^ intuizione immediata non sarebb^ egli tintiiH>7 non cesserebbe d^ essere razionale? giacch in quel- r intuisione dominerebbe un sentimento senza prova , lui sen- timento dove il rero sarebbe il fatto del sentiinento medesimo, e r oggetto divenuto una cosa col soggetto ? CAPITOLO xm. PAKAGOUE.DEL MAMIUI CO CARTESIO. La teoria per del N. A. vien cangiando colore, al cangiar dell^angolo di luce sotto a cui si ragguarda. Sguardiamola dun- que un poco d^ altro lato: paragoniamo nuovamente P intuizione delCM. col Cogito^ ergo swn^ di Cartesio. E prima diamo di piglio alla censura , che V A. N. fa alF entimema cartesiano. flEerma egli, che dicendo u Io penso, dunque esisto , Car- tesio introdusse nelP intuizione immediata quattro elementi a lei stranieri, cio i.'^il sillogismo, a. la proposizione generale non dimostrata: ci che pensa, esiste^ 3*^ VIo sostanziale, men- tre nell'^jb peiso non si trova che il fenomenico.^ e 4- Puso della memoria necessaria alPatto del sillogismo, senza averne prima dimostrata la veridicit. AlP opposto egli assai contento d^avere collocata la certezza in una intuizione immediata, pura da ^sti quattro elementi eterogenei. ella ben fondata questa sua cotentezza ? egli vero , che Fiotuizione sua sia scevei*a al tutto da que^ difetti? Noi Pab- l^ttmo veduto in parte: abbiamo veduto di qual sillogismo usi il C. M. a provare la sua intuizione, e ci che il pi, come quel sillogismo stia ne^ visceri delP intuizione stessa, la quale da lui pi^nde efficacia. Perci se il sillogismo ha sempre seco ^ proposizione universale, e se, come crede il C. M., ha l^isogno di memoria, noi dovrem dire che almeno tre degli tementi inchiusi nelP intuizione cartesiana sMnchiudono del pari nella mamianiana , cio a dire , P uso del sillogismo , una proposizione generale non dimostrata, e P uso della memoria (i) (i) RifpeUo al vizio aUribuilo all'entimema di Gurlesiot di contenere una . proposixiooe uoiversale, il C. M. dice: quesla verit ooo pelea poi con- RosMifii, // Rinnovamento. 3 7 ago Il quarto peccato di cui FA. N. aggrava Cartesio, si e nell^ entimema do penso , dunque sono , quell^ Io si prcn da Cartesio per un Io sostanziale, mentre non altro che i lo fenomenico. Vin ella vantaggiata da questa accusa Ab a Cartesio , la causa del Mamiani ? A far conoscere lo stalo di ima tal causa, conviene mette d^una parte ci che suppone vero Cartesio, e dall^alti*a ( che suppone vero il Mamiani. Cartesio suppone, che quando dico Io penso y quest^ Io ci pensa sia una sostanza. Il Mamiani suppone che quest^ Io che pensa sia un pu fenomeno, e non una sostanza, e che la sostanza aderen a quest^/o fenomenico convenga provarla con un ragionament A quale dei due scrittori sar pi favorevole, vogliam creder il senso comune? L^uomo che fa qualche azione, crede eg di essere nulla pi di un fenomeno ? L^ uomo che consapc vole di s stesso , quando dice Io sento ^ Io pejiso^ Io parlo ^ l motgioy credesi egli conscio di un^ apparenza, credesi nominar un fenomeno, una colai ombra, e di non sentire n nomina nulla di sostanziale? Il lettore giudichi fra Cartesio e i Mamiani. Quanto a me, parmi che con diritto eguale a quello, non anco con maggiore, onde il Mamiani chiede a Cartesii M Come voi supponete per vero che V Io che pensa sia so stanza e non pm^o fenomeno ? possa parimente Cartesio di mandare al Mamiani u E voi , come supponete per vero i contrario , cio che quelP Io che pensa e che parla sia ni puro fenomeno , e non anzi una sostanza ? Che se r uno o V altro de^ nostri due filosoG pretende che la sua supposizione non fosse bisognevole di prova alca na, gli converrebbe almeno provare questo stesso, che di prof) non bisognosa : altramente sarebbe pur questa un^ altra dett cose ch^ egli porrebbe di mero arbitrio, con manifestissimi petizion di principio, nel suo criterio della certezza. r sistei^ in altro , salvo che in una generalizzazione del concetto racchius tt oella iniDore e nella sua conseguenza , cosi provando , come pjilpabil M a ogQiuio, il medesimo col medesimo ( P. II, e. III, v ). Ma se a me toccasse di dispensare l\mo de^ due dal proTare ia stia tesi) panni da vero, che non potrei mai dispensarne il C. M.; perocch s^ intende assai bene, come questo sentimento che V uomo esprime col monosillabo /o, sia qualche cosa di sostanziale^ ma egli m^ impossibile al tutto di persuadere a me stesso, che Io non sia una sostanza , o pure che sotto al MS v^ abbia un altro me, sicch io non sia pi veramente un solo Jo^ ma due: conciossiach ad altra conclusione non ad- ducono le parole del N. A. La nozione dell' io , che trovasi ripetuta nei due membri delF entimema ( io penso y dunque ^ esisto)^ e la quale, secondo Cartesio, esprime il nostro es- ' sere sostanziale , viene confusa erroneamente con la nozione pura immediata del nostro me fenomenico " (i). Ma veramente io non posso esser giudice competente in ({uesta materia, essendomi gi dichiarato nel N. Saggio per r/o sostanziale di Cartesio, e contro V Io puramente fenome- nico del N. A. Per se non pu valere la mia autorit, val gftno almeno le ragioni che ci ho addotte: ed elle son l per essere esaminate e giudicate (i). Ad esse per io n'aggiunger qualche altra, che mt cade *. (2) P. n, e. n. 11. (5) P. U, e. U, ni. RosMiifi, n Rinnovamento^ 38 onde si raggiunge ad essa quella che da lui chiamata int zione mediata. Ora ecco le osservazioni che io presento al giudizio de^ sa sopra la dottrina del C. M. esposta ne^ due brani riporta I." Gi ho osservato, che se fosse vero, che la realit d V oggetto pensato , p. e. il triangolo ideale , fosse la nostra pi pria realit, come dice il N. A., ne verrebbe l'assurdo, che i saremmo de' triangoli ^ ilcheniuno dir: o pure che il triangc si transustanziasse in noi, e diventasse uomo, o anima ^ il ci pure ninno dir : o finahnente, che cessindo il triangolo d'c ser triangolo , e noi d' esser noi , di noi e del triangolo uscis un terzo essere misto, che non fosse n noi, n tinangok ma qualche altro nuovo essere ^ il che pure ninno dir. Tanl dunque lungi, che il formarsi del triangolo e di noi un sola reaKt (i), possa esser prova della realit del triangolo che una tale immedesimazione (2), se fosse possibile, torrebb via a) la possibilit d'ogni cognizione, b) e distruggerebbe 1 due nature immedesimate. i." Tutto il nerbo della certezza intuitiva si trova espressi dal N. A. in queste parole: impossibile alla nostra ment negare, ovvero dubitare ^ ma la semplice impossibilit di ne gare o di dubitare, quand' anco vi fosse , non sarebbe una di mostrazione del vero. La mente potrebbe dare l'assenso istin tivamente e necessariamente; e il N. A. conviene, che un assensi istintivo non forma alcuna prova di verit. 3.^ Egli parla u di nuove analisi dei fatti del senso intimo Io non conosco queste sue nuove analisi; ma io temo ch'esse qualunque sieno, debbano pregiudicare assai al criterio da lo proposto. Perciocch il pregio di questo criterio non potrebb stare in altro, se non in una somma semplicit, e in non di mandare od esigere altri veri dinnanzi a s. All'opposto dicendi egli che u la storia natm'ale delFintelletto dee precedere tati u quante le speculazioni della Filosofia " (3), e aggiungendi (1) Um spesso questa frase F autor nostro. Ved. P. 11^ e. II, it. (a) Usa il N. A. la parola e adunque il criterio del vero. Ognuno s^ avvede quanti precedenti dimandi il criterio del G. M.^ ognuno dica se il sorite che inchiude sia pi semplice, meno esiga dell^ entimema di Renato Cartesio. CAPITOLO XV. conrnru AZIONE. Ma di nuovo sgabbiano sott^ occbio i due passi aUegati. In quelli si afferma, essere impossibile alla mente il dubitare della realit di un triangolo pensato, u attesoch la sua rea- ^ lit la realit nostra propria , e il conoscente il cognito ^ stesso . Or ci quanto dire : come non possiamo dubitare della realit nostra propria^ cos non possiamo dubitare del triangolo, perch la sua realit la nostra, e il triangolo siamo noi stessi. Che cosa suppone questo ragionamento? L^ evidenza della nostra propria realit, P evidenza di noi stessi. La nostra realit dunque, la nostra entit, la nostra esi- stenza supposta dal N. A. senza dimostrazione, ed il vero principio da cui egli partC All^ incontro suppone egli tanto Cartesio? No certamente^ pe- lOcch egli si tiene obbligato di provare la propria esistenza, e la prova che ne adduce si Vatto del pensiero. Cartesio adunque dimostra pi cose, e ne lascia meno dMndimostrate del C. M. (I) P. I, e. XVI, i6.' afor. 302 Il e. M. mi risponde, esser vero ch'egli suppone nota a ne evidentemente la nostra propria realit, ma solo la nostra red fenomenica (i), non la nostra realit sostanziale. Cartesio all'ic contro dall'atto del pensiero induce a dirittura la nostra en tit e realit sostanziale. Quanto valga questa replica del C. M., si faccia ragione d^ sapersi gi quanto vale la distinzione de' due soggetti y V un sostanziale , l' altro fenomenico , da noi esaminata nel capitol precedente. Ella arbitraria, erronea, inintelligibile, assurda Se fosse vera una distinzione s fatta , oltre le conseguenze ac cennate ne verrebbe, che l'uomo, la prima volta che disse; s stesso fn Io sono , avesse inteso di dire: Io sono un' ap parenza , io sono un fenomeno ^ e che dopo essersi tenuto pei un^ omira uana^ fuor che nelP aspetto j dopo essersi creduto, come a dire, una fantasima, un vapore, una cotal magher e sparuta dipintura, finalmente a forza di raziocinio facesse la singolare discoperta di non essere poi egli cotale come si credeva, anzi di esser carne ed ossa vere, di essere una sostanza, seb- bene una sostanza del tutto a se nascosta, misteriosa, imper- cettibile. Mi si dica , se tutto ci sia conforme al senso comune. Mi si dica^ se v' abbia uomo al mondo, che ricordi pur un breve momento di sua vita, in cui siasi egli tenuto per una cotale ap- parenza, o che valga a segnare l'istante nel quale gli riusc di fiaire il grande ritrovamento, che a s stesso, apparenza come , sta per attaccato un altro se stesso, non appai^enza, ma proprio sostanza. Mi perdoni il C. M., se io dico apertamente, avervi qui un errore al tutto materiale. Troppo spesso avviene alla maggior parte de' filosofi, di ragionare dello spirito, secondo l' analogia di ci che essi notai*ono avvenire ne' corpi. Applicano le idee loro assai ristrette, tratte dalla sostanza corporea, ad ogni ar* gomento, ad ogni oggetto, bene o male a proposito. Sperimen- tano essi, che de' corpi noi non sentiamo che le superficie. Il solido o sia l'interiore del corpo noi lo immaginiamo, lo ar* gomentiamo, ma noi possiamo mai n toccare, n vedere, ani (t) Realit fenomenica sarebbero parole che fanno a cozzi, n piti n meo come quest' altre : realit 'tton realit. )o3 non visbile n tattile, Veniam dunque nella credenza, che sotto agli accidenti corporei, cio sotto quelle qualit che ope rane ne' sensi nostri , stia come appiattato un qualche cosa di resistente, di duro : questo lo immaginiamo di dietro, o di sotto le qualit sensibili, e gli diamo il nome di sub-stans^ volendo indicare quel non so che occulto che si sta sotto. Senza esa minare quanta veracit ella s'abbia una sim3e immaginazione, certo che noi la facciamo, che P hanno fatta i padri nostri, che hanno essi inventato il vocabolo di sostanza {^'Ctebmc)^ e che noi abbiamo ereditato questo vocabcJo colPidea annessa di un sostrato, e sostegno degli accidenti, r, dopo di ci, il primo movimento del nostro spirito, quando ragioniamo di esseri immateriali, pur quello d'immaginarceli parimente do- tati a) di accidenti sensibili, e &) di una sostanza insensibile, softegno di tali accidenti. Cosi nel nostro spirito nasce, goffamente dir vero, il pre- giudizio , che ogni sostanza debba essere occulta e insensibile^ e per, che tutto quello che si sente, non sia gi sostanza, ma puro accidente. Applichiamo tal pregiudizio allo spirito nostro, e ne avremo per risultamento la dottrina del doppio soggetto del C. M. Perocch noi argomenteremo con tutta sicurezza in questo M modo : Io sento me stesso: Ma quello che sento non pu essere sostanza, perocch la sostanza non pu esser sentita , ma ella qualche cosa di oc culto che si sta sotto a quello che si sente : Dunque lo non sono sostanza^ quest'io sentito non che un fenomeno, un accidente: Ma ogni accidente chiama una sostanza, come si vede ne' corpi ^ ogni fenomeno chiama un reale sostegno: Dunque sotto YIo sentito, fenomenico, accidentale, dee esi- stere un Jo sostanziale. Ecco tutta la singolare argomentazione! Si potrebbe conti- nuare tirando di molto belle conseguenze, e dire: dunque io sono due /o^ ed alti*ettali corbellerie. Chi non vede da che piede zoppichi questo modo di argo- mentare? per non mi trattengo a fame un pi intimo esame. Al 3o4 . Dico solo 9 che questa voce io sono n non pu essere pro- nunciata da un fenomeno, o da un accidente. Un accidenti^ o un mero fenomeno, se parlar potesse, non direbbe mai m i( sono f> : tutto al pi direbbe u qualche cosa in cui io sono perocch il verbo essere^ chiamato sostanziale da^ grammatici non pu convenire in modo alcuno agli accidenti ed a^ feno meni , precisi dalle loro sostanze. Oltrech egli troppo ma nifesto, che non P accidente che pensa, che parla, chi opera, ma il soggetto sostanziale che fa tutte queste cose: e per nell^ entimema di Cartesio Io penso, dunque sono n, la conseguenza dirittissimamente tirata. Pu dubitarsi ch^ ella non abbia i sudragi di ogni classe di persone. Volete consultare il volgo ? udite l'argomento di Car- tesio in bocca di un servo, delP idiota Sosia, il quale seco stesso argomenta : Sed quom cogito ^ eqiddem certe swn idem^ qui senh per fili (i),YoetG consultarci sapienti? udite lo stesso argomento in bocca di s. Agostino, il quale in un suo libro introduce Alipio a parlare con Evodio cos : u Prius abs te quaero^ ut de manifr' stissimis capiamus exordLwn ^ utrum tu ipse sis ^ an tu forte metuis ne hoc interrogatione fallaris ^ cum utque si non esses^ falU omnino non posses (2) ? Egli non dunque nuovo il modo di argomentare di Cartesio ^ ma quel modo fu usato e tenuto buono molti secoli prima di lui da tutti, cio dai dotti e da^ gV indotti (3). Che anco s. Agostino avesse colto un grosso (1) VeW jinfilrione di Plauto , dove Mercurio prende la figura del servo Sosia, e vuol dargli ad intendere d'essere egli Sosia , questi isguardando d'ogni lato Mercurio tutto simile a s , istupidito , e quasi per uscire del senao seco medesimo ragiona: Certe edepol^ quom illurn contemplo , et formane cognosco meam , Quemadmodum saepe in speculo inspexi , nimium smilis est mei; Itidem habet petasum ac vestilum ; tam consimilist atque ego : Sunif pes , statura, tonsus, oculi, nasum vel lahra, Malae^ merUum , barba, collum, iotus .... quid uerbis opusi ? Tergwn si cicatricosum , niliil lioc simili est similius, Sed quom cogito , equidem certe sum idem, qui semperfui, A et I, Se. I, V. 285 291. (2) Lib. U, De lib. arbitr. e. III. (3) Giacch ne' nostri tempi s' riputato necessario ricorrere al senso .comune degli uomini per emendare le dottrine de' filosofi^ nou credo cha % 3o5 marrone, quando egli credette di poter argomentare alla propria esistenza dagli atti del proprio pensiero? che nel secolo XIX gli si debba insegnare la logica , insegnargli che dagli atti del suo pensiero avrebbe dovuto argomentare ad un^ esistenza sua appariscente, fenomenica, non punto sostanziale (i)? Ma almeno avesse fatto un simigliante argomento il G. M. , cpando anco tutto questo argomento P avesse rinsei*rato n^ mondo, come egli lo chiama, fenomenico. Se non voleva pro- vare, come fa Cartesio, resistenza nostra sostanziale, avrebbe potuto provare resistenza apparente, posto che egli s^era messo nell'animo, che esser ci dovesse un' esistenza apparente, anteriore, sii qui a sproposito il riferire un luogo , il quale mi sembra assai sensato, di DO autore che scriveva un po' prima della met del passato secolo: questi BouUier. Ecco come egli d per ottima prova del vero il consenso de' dotti e degriodotti neJla medesima sentenza: w L' accora des sages uvee le peuple, c'est-'dire , de ceux qui examinent avec eeux qui n'examinent point, et celai des sages entre eux dans une mime opinion^ soni deux signes canctrisiiques de vrit, sous lesquels il est presqu'impossible que ta'reur Si cache. VouUz-vous distinguer exactement le vrai du faux dans un prjuge vui^abre 7 %H)us trouverez x>rdinairement que , dans ce qu'il a de vrai , les ffts s'accordent avec le peuple, et que, dans ce qu'il a dejaux, ib s*ac cctUnt tous cantre lui. Essai philosophique sur Fame des btes. Toni. 11^ Pan. il, chap. v. (i) L'avvitire che l'argomento onde comincia Cartesio la sua filosofa si trova io libri italiani molto prima che quel grand' uomo nascesse , mi sembra veramente una pccola vanit nazionale. Tuttavia esaiuinaiido noi il libro del C. M , che si propone il lodevole fine di eccitare gl'Italiaui a Cir pi stima che non fauno delle proprie ricchezze filosofiche^ recher ^ il principio d' un libro alquanto raro del secolo XVI , scritto da un ^HMDo di Siena moli' anni prima che nascesse Cartesio. 11 libro di cui parlo ^ il CatecJsmo del troppo noto Bernardino Ochino^ stampato in Basilea '3000 i56i ^ il quale comincia con questo dialogo: n Ministro, Se ben Tessere nostro infinitamente lontano dall'esser di ** Dio , non pu dirsi che l'uomo non sia: anzi cosa si chiara, che pi *" oota non pu dimostrarsi: et mostra d'essere in tutto privo di giudicio " chi non crede essere; per ti prego ^ Illuminato mio, che tu mi dica ** s'egli ti par essere o no m. w illuminato. Mi par essere; ma per questo non son certo che io sia : ** imperocch in parermi essere, forse m'inganno m. w Ministro. impossibile che a chi non , gU paja d'essere ; per, poi ch'ei ti par essere^ bisogna dire che tu sia m. w Illuminato. Cosi vero . RosMuii, B Rinnovamento^ 39 3o6 e per noi segno della sostanziale. Avrebbe potuto comincia il suo ragionamento dicendo: u io penso, o io sento ecc., du qua esisto fenomenabnente n-^ e quindi procedere innanzi. B quim^t^ Qose in quella vece non lascia egli indimostrate ! quai non ce le d come evidenti , e non bisognevoli di dimosti zione! quante non ne racchiude sotto questa parola u ccrtez assoluta della coscienza n ! Egli ammette per certo assolul mente, ed evidentemente, ed a cui ninna prova abbisogni, i.^ Resistenza del m, sia pur fenomenico se cos gli pai a.^ resistenza degli atti tutti del mb, i quali si compi*endoi pella coscienza, 3. gli oggetti tutti puramente ideali ^ perocch questi, di. egli, hanno una medesima realit con noi, e per identifica con noi hanno pure la stessa certezza del noi. Or in questi 0{ getti ideali molte e molte scienze si comprendono, tutte 1 astratte, e particolarmente le matematiche. Vorr dirci egl ^dunque che tutte queste cose, per appartenere alla intuizione immediata, non abbisognano di dimostrazione alcuna ? voni cacciare dalle matematiche interamente il raziocinio? saraiuK essi contenti i matematici, del N. A.? Vero , ch'egli non ti rer mai queste conseguenze troppo manifestamente assurde ma >ero altres, che tutte stanno ne' visceri della sua intui* zione inmiediata^ e se egli non se ne dichiara padre, ella, par torendole in faccia al mondo, non pu nascondersi d'essernt madre (i). (i) Da tutto ci si vede che n l'nluizione m del N. A. non che uoi loQte di veritii innumerevoli , le quali non cessano di essere incatenale fin loro per gli neasi logici di giudisj e di raziociuj. Dunque anche per eoin al mondo dell'intuizione mamianiana e in questo immensi, ansi iofioK Qovero d veritii ch'ella abbraccia , non tuite sono priMtc ; ma alcune sane dedotte da altre. Per es. chi dir che il teorema dell'ipotenusa sia una te rit prima, e non dedotta? e tuttavia ella appartiene ali* intuizione ini- mediata * secondo il Mamiani^ p*irocch ella una verit puramesli ideale, ella non che u attinenze d'idee * , e tutte le attioense d'idee ea traoo nella definizione della intuizione immediata che ci d il N. A. Ora se tutte le verit dell^ intuizione immediala non sono prime; duoque tutte possono dirsi euidenii, e non bisognevoli di dimostrazione^ afferma il G. M. dell'intuizione immediata. Con questa sua ptuiiioDi non aduuque (atto ancor niente per la diioostrazioue dello scibile, e pc CAPITOLO XVI. GOVflllUAZlOlfE. 3o7 Veniamo alT intuizione mediata ^ e i nesso oh^ elP ha colla Immediata, La pietra di paragone del vero nella intuizine immedia> ta, secondo il N. A^ la realit nostra propria^ di Cui, egli dice, non possiamo dubitare. L^ altre cose, che nelP intuizione immediata s^ accolgono , sono evidentemente certe , perch la loro realit identificata colla realit nostra propria ^ Don^e sono certe della nostra propria certezza , come sono Itali ddla nostra propria realit. Fra gli oggetti puramente ideali t^ il principio di contraddi'* tione, che secondo il C. M. come il ponte di comunicazione ffk noi e le realit esteriori ^ fra la intuizione immediata e la mediata. Damjue anche il principio di contraddizione riceve la sua dedita dalla l*elit nostra , la sua certezza dalla certezza nostra. trtnnieiito Jet criterio supremo del vero^ perocch riroane a classifi* c>ni queste verit d' intuizioDe , sott' ordiuando le une alle altre , distin* guend i prncipi dalle conseguenze, e investigando se fra tutte le verit ^ d'abbia una prima , s' ella sia evidente , se abbia in s tutta l' autorit iicoetsari per accertare tutto il sapere. Ecco quanto il N. A. Sia lontano v'ha pur quello col quale ce la fa un giudizio: carattere dell' intuizione abbiatto veduto essere la coscienza d'un giudicio m (P. 11^ e. XIX, i). Ora la convenienza de* termini di un giudizio si pu bene intuire: ma prapriameite pBrbndo,una tale intuitone non immediata, perch suppone prima di s P intuizione de' termini stessi. L' intuizione poi de' termini aoB purttsa sempre immediata , perocch i termini possono essere un r soltameoto di molte difficili ^ e anche fallaci operazioni dello spirito. 3o8 Dunque non vero ci che il N. A. dice in molti luoglii che il principio di contraddizione sia il primo e supremo d tutti i principi ^ egli non pi che un principio subordinato e dimostrato per mezzo della sua immedesimazione con noi duncpie noi siamo pi certi di noi che del principio di con traddizione, certi di noi prima che questo principio sia a no stessi applicato^ o se noi non siamo tali , se noi per awen tura non abbiamo un' intrinseca , necessaria ed evidente cer tezza , forz' che anco il detto principio partecipi de' nosti difetti , delle nostre limitazioni , della nostra contingenza. -Di pi, noi siamo certi di noi solo fenomenalmente^ peror che il NOI sostanziale, secondo il N. A. non si sente , ma s argomenta col principio di contraddizione (i). La certezza fe- nomenale non che certezza dell' apparenza. Dunque anche la certezza di contraddizione non avi' in s di certo pi che l'apparenza: il che viene a dire: certo che a noi appare certo ^ ma non sa|)piamo poi s'egli anche sia veramente, real- mente, sostanzialmente certo. Dunque anche le conseguenze che si cavano dall' applica- zione di tal principio, non eccedono la certezza apparente: e applicato , per esempio, al trovamento del noi sostanziale, il ri- sultato sar: certo che a noi par certo, che noi siamo so- stanze ^ applicato al trovamento della realit esterna , il n- sultamento sar pure: w certo che a noi par certo, che k cose esteme sieno reali ^^ ; e cos si dica di tutte l'altre indu- zioni. Non si uscir mai dal fenomenale, se l' Io primo a noi cognito puramente fenomenale ; non si giiigner mai alla certezza apodittica^ e noi saremo condannati in vita a vedere la lanterna magica. () Il C. M. dice espressampnlc rosi: t. Intanto queste parole stesse formano per lo meno una presunzione assai eRcace con- tro la sentenza di quelli che dicessero Y Io cognito per s stesso. Conciossiach questa locuzione u cognizione delV Io " ii forma' di due parti, cio i. della cogniziofte che pu esser comune a tante cose, e 2.** dell' /o che l'oggetto particolare della cognizione. Dunque nella locuzione stessa, nella maniera di esprimersi, specchio del pensar comune degli uomini, si di^ stingne e si separa il conoscere dall' /o, che la cosa cono* scinta: dunque V Io non e cognito per s stesso. * E chi direbbe mai, che l'idea dell' /o fosse V Io stesso? e senza l'idea d una cosa, si pu ella conoscere una cosa? altro 3ii nnque il dire, ahe VIo ha sempre seco Tidea di s stesso ^ Itro il dire ch^ egli sia V idea di s stesso. Chi dicesse la rima di questq due cose, distinguerebbe ancora YJq dalla sua ka, e hqr la confonderebbe insieme- Ci che qui si tratta OD dellit prima cjue^tione , ma della seconda^ cio se V lo a r idea di s stesso , ovvero se \ idea deU^ /o sia una parte eil^esseuaia delP /o, P^ quantunque strana possa parere una tale dimanda nel rimo aspetto , tuttavia che non giunge a dire il filosofo j Dando si trova impacciato nelle questioni ? da per tutto trova iii&ODlt^ vuol uscirne da qualche parte: egli allora s^appix^nde id mui sentenza, che per s fuormisura strana, e che ai lU occhi stessi , in altre circostanze , sarebbe sembrata falsa ino all^ evidenza, ma che allora, pel bisogno, per la volont ti prender pure una sentenza , la migliore di tutte per lui ^ !^ vi si addimestica , e finisce colP afiermarla sicuramente , d darle &de egli stesso: tanta la forza dell^umana volont! Garto tale sarebbe la sentenza, la qual dicesse, che Fidea kU' Io entra nelF essenza delP Io stesso* L^ osservazione pia icmplice la smentisce ^ e colP osservazione i accompagna a BOftrarla assurda il ragionamento Quando si dice idea delF io 99, si distingue manifestamcntt) 1 mezzo del conoscere, Tidea, d^lla cosa conosciuta, F/o.Se del i>eEzo del conoscere e dell^ oggetto conosciuto noi facciamo loa cosa sola, se leviamo la distinzione delle due cose fra lor(>, M^ abbiamo distrutta la cognizione umana, almeno nelW sud peeialit, TessenTia della quale esige sempre che sia distinto '* il conoicente, ji,** il mezzo del conoscere, e 3. T oggetto "^siosciutQ, D'altro lato, o l'idea dell' /o i tutto l7o, 0 solo una pajto ^dla sua essenza. Tutto VIo ella non pu essere^ perocch in tal caso ven'ebbe assurdo, che fra l' Io e l' idea dell' Io non avendovi pia di- "azione alcuna, Y Io non potrebbe conoscere nessuna delle Jtrc cose, giacch l'idea di una cosa fa conoscere quella cosa, u cui idea, e nulla pi. In vero la cognizione de' cieli, della erra, de' corpi e degli spirili, sono cognizioni essenzialmente b'ierac dlla cognizione dell' /o. Se VIo non fosse dunque ni* 3ia tro che Y idea di se stesso , egli sarebbe per propria natura mitato e determiuato a conoscere solo so stesso, e non potrei ricevere nessun' altra cognizione senza perdere e mutare sua essenza, cio senza cessare dalPessere Io: perocch la o un mero modo dell' anima stessa. All'opposto egli ne deduce la consegueuu , che noi non conusciamo , e non poisiaroo conoscere l'anima nostra, m Assurda dunque^ dice, la prelesa di cona^sto appunto , ogni cognizione essere puramente un atto ed un modo ^l' anima , e nulla pi m. (i) Hegel dimostra nella sua m Scienza della Logica, parte oggettiva , ^^. I M, che la filosofia non pu cominciare dall'io, o dalla sua coscienza. ^uilavia non parmi esser giunto n pur egli a separare interamente V Jo ^Ua cognizione dell' /o; imperocch egli pare ammellere una parte dell'io "1^ per se slessa ( Denn Ich , dies unmiUeibarts , Theils als ein in einem ^' hhertn Sinne Bekanntes, als eine sonsiige VorsUUungi tiwas sonst ^^4innUs gehrt zwar dem Ich an , aber isi noch ein von i/un untersclC" '^^^^r, damit sogUich tufklUger Inhaltj Ich hingegen ist die einfoiche Ge- ^^^fieit seiner selbs ) s senza accorgersi dell'assurdo che indi procederebbe. ^^ttava soggiunge, che l'io anche un concreto, o anzi V Jo il con ^""^tissimo ! la coscienza di s qual mondo moltiplice all' infinito ( convien '^^pre avvertire che siamo in un sistema d'idealismo) : * pensc e a cui non ho mai pensato. Questa strana proposizione no potrebbe essere pronunciata se non da quelli , che confondoc il sentimento col pensiero ^ e il sentire col conoscere. Io li indubitatamente il sentimento di me stesso : anzi, a parlare co Questo luogo chiama molte osservazioni; ne porr qui alcuna: i. Noe separasi abbastanza V io dalla cognizione sua. a.^ Parlandosi dell' iot quale si mostra nella propria coscienza , si distingue col modo stesio di parlare la coscienza dall' lo , e per abbiamo due cose in vece di una, il che contraddice alla supposizione del filosofo tedesco d'una pirle eWlo nota per s stessa. 3. Si suppone , che Vlo possa fare un tal atto, col quale purghi s stesjk) da ogni concreto. Or questo parlare avrebbe qualche valore 4 se Vlo fosse il medesimo che sapere, conoscere; perocch in tal caso verrebbe a significare, che si purghi la cognizione da ogni concreto; ma dell'/o ci non si pu m nessun modo. Se e^so si purga da ogni con- creto, non gi vero solamente che non pi quell'io che apparisce nella comune coscienza , ma vero altres che non rimane pi alcun lo di sorte alcuna, io meno lo , uguale a zero. 4*^ Finalmente si suppone che il puro sapere, dal quale si vuol partire , sia un atto dell'/o medesimo che si sol- leva per cosi dire sopra s stesso, e fa sparire le distinzioni dell'oggetto e del soggetto. Ma ci falso, ed inconcepibile. Fino a tanto che non si tratta se non di un atto dell'/o, quest'atto, qualunque sia, riterr sempre la natun sua soggettiva; ogni atto di un soggetto, suppone un soggetto agente j e dal soggetto riceve la sua natura. La dottrina hegeliana adunque, seb- bene faccia degli sforzi mirabili per disimpacciarsi dal soggetto, non le riesce per, n le pu riuscire, perocch ella muove sempre da un atto del soggetto, il quale, checch si predichi di lui, o lo si sublimi coll'im- maginazione , riman sempre un atto del soggetto : e ci solo basta a ren- derla ne' visceri suoi soggettiva , comechc si dissimuli , o aperto si ne* gb un COSI fatto peccato d'origine. 3i5 esattezza ) a io sono un sentimento sostanziale n (i): ma si tratta di sapere come questo sentimento passi ad essere cono- sciuto: ed egli indubitatamente diviene oggetto della cogni- zione in quel punto solamente, nel quale pensato. Se dunque niente pu essere da noi conosciuto di ci che non pensato, se io stesso ho bisogno del pensiero per conoscermi^ egli cosa manifesta, che VIo non conosciuto per s, ma per un suo atto speciale, cio per quell^ atto che si chiama pensiero^ Molti sono trascinati in errore dall^ osservare, che tostoch noi volgiamo il pensiero a noi stessi, ci accorgiamo che ci sen^ iiamo: or egli assai facile, ripeto, il prendere equivoco fra il sentirci e il conoscerci, e dalP accorgerci che ci sentiamo, conchiudere erroneamente che ci conosciamo. Ci* che dico delP/o, dee dirsi di tutti i sentimenti cHe nell'/o si contengono, e che formano la coscienza, a quel modo che vien presa da alami impropriamente questa parola. Come adunque egli impossibile , che la filosofia parta dall' Io solo^ cosi impossibile, che nelP/o solo (isolato dalla coffttxione) si rinvenga il principio della certezza^ perocch ^li solo non n pur conosciuto : e cos parimente impos- sibile il collocare ne' sentimenti accolti nella coscienza, cio nella natura sentimentale ^ il criterio : impossibile, in una parola, collocarlo nella coscienza presa nel senso di un atto di sen- tire, perch ella stessa ha bisogno di un mezzo che la illumini e la faccia conoscere. (2). (1) Io ho proposto diie defoizioni ddla sostanza , che possono > per la loro generalitji accomunarsi alle sostanze tutte ^ nel iV. Saggio, Sex. V^ e Vii art. X> Tuna delle quali era questa: m una cosa di cui noi ci pos- r siamo formare il primo concetto senza pensare a cosa diversa da quella m. Ora m' buon conforto a trovare, che il card. Gerdil, uomo di tanto senno^ propose una definizione pressoch simile alla mia: Tout ce, di* ^'^i> ^"^ f^ous con^euons, ijui a son existence propre et qui est par-la distingue de toute autre chose, e* est une substance. Questa eccellente defi- niaione trovasi nell'opera che il filosofo savojardo fece in difesa del P. Ma- lebranche, P. II 4 Sez. I. Egli non sari difficile applicare questa definizione al seoUmeiito Io, e riconoscerlo immediatamente per una sostanza. (a) Nel. N. Saggio sult origine delle idee ho adoperato anch'io la parola coscienza pel complesso de' sentimenti di un soggetto , accomodandomi alla 3ir> Se la cognizione diversa dall' Io cognito \ se V idea deW, non r /o ^ se a conoscere V Io ^ e a conoscere tutti i sen menti cLe racchiude, ci ha uopo di un mezzo di conoscere: mane a cercare qual sia questo mezzo : rimane a vedere se mezzo stesso che ci fa conoscere l'/o, ci faccia conoscere alti r altre cose. E in vero molte sono le singolari cognizioni : j esempio, come diceva di sopra, c' la cognizione del cielo, cognizione della teiTa, la cognizione del mare, ecc. Se queste so tutte cognizioni ^ convengono adunque tutte nelF esser tali, che differiscono? nella diversit degli oggetti a cui si rifc sce la cognizione. Vha dunque nelle singolari cognizioni u rosa in cui convengono tutte, ed quelP entit per la qu sono cognizioni ^ ve n'ha una in cui si distinguono, e sono oggetti diversi. Ora anche la cognizione di me una cognizio singolare. In che si distingue e singolai*izza dall' al ti'e ? nelP vere per suo oggetto me, anzich altra cosa. In che si accomin coir altre? nell'essere cognizione. Il cielo, la terra, il man ogni altro oggetto, sono cogniti per la loro propria essenti per la loro propria entit? no certo; e se fosse, la cogn zione non sarebbe pi una:^ non potrebbe esser chiamata co una sola parola, cio colla parola cognizione^ ma dovrebl chiamarsi cielo, mare, terra ecc., co' diversi nomi degli 0( maniera di parlare di alcim filosofi. In una nuova edizione di qneirope intendo di emendare una xAc inesattezza, che ho cercato di evitare nel opere posteriori , come ne' Principi della scienza morale. In questa , io u eccitantemente la parola coscienza uel suo vero e proprio sinificato etimol gico f che quello di co-scicnza , o sia scienza con noi , scienza riferita noi. In questo preciso significato apparisce^ che se T oggetto delle cogi zioni un sentimento ( p. e. V Io) , la coscienza in noi fatta tosto che fetta la scienza di esso: perocch tosloch noi conosciamo un senlimeB nostro, noi siamo di lui consapevoli. All' incontro nella cognizione de rose a noi esterrori non cos. La cognizione di queste non un esser codi pevoliy perocch gli oggetti di tah cognizioni non sono noi, n parte di in Si esige adunque iu tal genere di cognizioni, oltre la cognizione direHt anche la cognizione riflessa , acciocch noi n' abbiamo coscienza : la cogi xione riflessa ci rende consapevoli della cognizione diretta. La cosciema m rale finalmente appartiene alla riflessione di pi alto grado. Ved. i Pn tipi della seienza morate, e. VI ^ art. VIL 3.7 getti j nomi Indicanti essenze diverse , incomunicabili ^ non si tratterebbe in una parola di cognizioie^ ma di iforie sostane ze: la essenza dunque che si designa col nome di cognizione sarebbe annullata. Se dunque tutti gli oggetti particolari del conoscere, fira^ quali pure VIo^ non sono essi stessi per es- senza cogniti, percb non sono essenzialmente cognizione^ con- vien dire cbe v^ abbia un mezzo comune di conoscerli , nel- r unit del qual mezzo consista V essenza unica della cogni- zione. Ma snella cosi, come indubitatamente ^ ripeto, che con- viene cercare qual sia questo mezzo universale onde si co- noscono le cose e in cui V essenza formale della cognizione consiste, e nella evidente autorit di questo rinvenire la verit e la certezza. Vei*amente se la cognizione del mio esistere certa ^ non pu questa certezza consistere che nell^ essenza di questa cognizione, cio nel mezzo infallibile pel quale mi co- nosco. Ma dovendo questo mezzo essere uno per tutte le cogni- zioni , egli ne verr che la evidente forza di lui , trovata e conosciuta che sia, diverr il fondamento della certezza uni- versale : si vedr allora , che quella stessa certezza che noi abbiamo deir Io , anche quella che giace in tutte V altre cognizioni ^ e che la probabilit delle cognizioni non ha origine se non dal non potersi sempre le cose con quel mezzo infalhbilc sicuramente da noi accoppiare, e dal non poter esser da quello immediatamente illuminate, o sia rese cognite. Qui adunque, in questo gran mezzo del conoscere da cercare il solo criterio del vero e del certo. N mancarono uomini perspicaci, i quali or vedessero, or travedessero questo vero. Allegher un filosofo francese molto pregevole, del secolo XVII, il quale sent assai bene come V Io non ci noto per s, ed ha bisogno d^un mezzo che cel renda noto, sebben sia difficile a distinguerlo questo mezzo dalP /o, per chi non ha acume di vedere filosofico^ egli si avvide pure che questo mezzo dovea esser quello stesso pel quale si co- noscono tutte Paltre cose, di guisa che gli d acconciamente il nome di verit': questi il celebre oratoriano Tomassini. u L'anima (P/o), dice, non pu conoscersi senza conoscere in pari tempo e colla stessa proporzione la verit' etema e 3i8 u Immutabile di eui ella una pura capacit (i). Goneiossiacli tolto a difenderlo anche su questo punto. Ved. Sez. Vili, e. III. GERT il Altri xnis negli ^r I }. i aiti t|3- iiddi(ar',: ARTES10 19 o lo yoglon veduto immc diatarncnte i Dio MALEBRANCin i J 4 - 1 3i9 fa io non potea condurre ad effetto questo pensiero , se non avo prima di fissar bene in che consistesse il criterio pro- to dal C. M. ^ e questa ricerca appunto mi ha condotto in- izi fin qui. Ma ora confesso di trovarmi non poco impac- io. Perciocch con tutta Pindustria che io vi posi, non potei capezzare un concetto semplice e chiaro di cotesto criterio Mamiani, fuggendomi esso continuamente dalle mani sotto ra forma, quando io pensavo sotto la prima averlo ghermi- Di vero noi vedemmo che ne^ var) passi del suo libro, il A. si arrabatta colle sue proprie dottrine, n mai consente medesimo. E tuttavia per un punto luminoso e quasi direi promi- Qte mi si rappresenta ne^ diversi ragionamenti del Mamiani, [uesto la ragione che il pi spesso reca della certezza V intuizione , cio che gli oggetti ^ intuizione immediata si ruificano con noij e per a noi sono certi altrettanto quanto stessi. attenendomi perci fermamente a questo concetto, e la- ando andare ogni altra cosa cne con esso non possa avve- n, io mi rifar al primo mio divisamento, di tracciare cio i breve storia deNarj sistmi intomo al principio dell^ umana tezza , inserendo in essa anche quello u dell^ intuizione im- iiata fi. Perciocch questo cotale prospetto de^ pensamenti ani intomo al principio di certezza mi far due buoni uf- all^ intendimento mio mirabilmente opportuni, Tuno di e un mezzo spedito da poter equamente giudicare la dottrina C. M., r altro (e questo pi mi piace) di giovar forse di- amente la scienza filosofica, tentando ad un tempo, se mi ce , d' intendermela bene e fuor d^ ogni equivoco co^ miei reti e cortesi lettori. l comincer dal metter loro a dirittura sott^ occhio le sen- le degli scrittori nella qui annessa Tavola sinottica de^prin- di sistemi filosofici intomo al Criterio della certezza. 320 CAPITOLO XIX. SI COMINCIA AD ESPORRE LA CLASSIFICAZIONE DE^ SISTEMI FILOSOFICI. Or qui noi lasciamo da banda , come si vede volgendo uno sguardo alla tavola , quegli scettici o plrronianl , che e saoDO d^ esser tali , e se ne confessano aperto , ne vogliono perci udire d' investigare o d' ammettere qualche criterio di verit e di certezza. Questi non appartengono alla carta che noi abbiamo di- segnata, perciocch rifiutano ogni sistema^ e non avendone alcuno, ne vero ne falso, n consclenzioso ne subdolo, non v'ha posto a dar loro in cotale descrizione. Quelli airincontro, che o sono scettici senza saperlo , o sapendolo se ne disinfin- gono ^ proferendo pure un criterio, sia qual si voglia, anck vuoto di significato, anche racchiudente P opposto di ci che si pretende con esso, racchiudente lo scetticismo pienissimo; debbono esser segnati nella mappa nostra, se non come teire abitabili, almen come mari o acque correnti. Or dunque la prima, e la maggiore divisione che dob- biam fare di tutti I sistemi, appunto quella che noi ab- biamo accennata. Alcuni pongono il criterio del vero in una PRIMA verit' da cui tutte P altre discendano^ alcuni altri noi pongono in alcuna singolare verit, ma In un cotale indizio m verit', al quale indizio riportano ogni proposizione, quasi al suo paragone ^ finalmente altri distinguono queste due maniere di criterj, e danno P uno e P altro, come fecero i sottilissimi e a gran torto spregiati maestri della scuola. Insieme per noi osscrvanmio , che due criterj supremi noa ci possono avere , e che ogni criterio qualsivoglia, collocalo itt un indizio di verit ^ sempre sott' ordinato a quello, che n- slede in una prima verit. Perciocch quello che semplice in- dizio a conoscere la verit, non pu essere per se evidente^ appunto perch non una verit prima determinata. S in- tende assai bene , come vi possa avere una prima verit en- dente , perocch P evidenza non che la luce giustissimamente irresistibile di quella verit ^ ma quello che indizio di venta? 3ai non la verit stessa , ha bisogno della luce di questa a ren- ersi chiaro e giustamente autorevole alP intelletto. Dee adunque dirsi, col nostro C. M. appunto, che tutti ae^ filosofi , i quali hanno proposto un criterio del vero in Q indizio di lui, non sono pervenuti a trovare il criterio su- remo; e quando ce T hanno voluto dare per tale, hanno er- ito. Il ciiterio supremo dee essere immediatamente verit , rima venta, V essenza della irrita. CAPITOLO XX. CONTlZIUAZlOlfE. Tuttavia anche i criter j posti in un certo indizio di verit non nella verit stessa essenziale j bench dipendenti e Infe- iori a questa , hanno un ordine in fra loro , cio sono pi o Beno elevati^ pi o meno vicini al criterio supremo. Perci tentiamo di annoverarli, di classificarli, di parago- Horli insieme brevemente. poich fra questi viene a cadere 1 criterio del C. M. , potremo quinci conoscere qual posto egli i tenga, e se in questo genere di cri ter) inferiori occupi im Dogo prossimo al criterio supremo, o da questo lontano. Grindizj suggeriti da' filosofi a distinguere il vero, furon XMti o dentro, di noi, in qualche interior fatto dipendente da loisoli^ o in qualche segno al tutto a noi esteriore^ o, cam- minando per una via di mezzo, parte in noi stessi, e parte o cose fuori di noi. Cos questo primo genere si divise in tit grandi classi di sistemi intomo al principio della certezza. CAPITOLO XXI. coirrunrAzioHE. Le due prime per di queste tre grandi classi si suddivisero, ^crocch quanto allaprima, furono immaginati diversi cri ter j di ertezza, secondoch diversi filosofi si fecero un diverso con- etto deir uomo , di maniera che le diverse ideologie y psicologie antropologe produssero, come era necessario, diversi criterj i certezza. fiosMun, // Rinnovamento. 4i 3aa I principali di questi sistemi circa il criterio di certezza si possono ridurre a questi cinque: i. Quelli che deducono il criterio dagli atti delP anima, a.* Quelli che lo deducono dalle facolt^ 3.*^ Quelli che lo deducono dagPwti/itf, 4.* Quelli che lo deducono dalle ybr/we innate^ 5.** Quelli che lo ripongono semplicemente nella evidenza , senza determinare a quali operazioni o condizioni delP anima l'evidenza appartenga. Egli chiaro, che Cartesio, il quale dice Cogito ^ ergo sum, pai*te dagli atti deli-anima, e per appartiene alla prima di que- ste cinque specie. Cartesio parte dagli atti del pensiero ^ anzi da un atto singolare, non dagli atti in genere. Se alcuno partisse da qualche altro atto, o dagli atti di qualche altra facolt, non dell' intellettiva , questi formerebbe delle differenze che ap pai'terrebbero ad una variet della prima di queste clncpe specie. Quelli che sono compresi nella seconda specie, convengono tutti nel prestar fede alle facolt che ha V uomo di conoscere il verOj che quanto dire in riputarle infallibili, almeno otc elle s'adoperino secondo natura. Ma si dividono poi fra loro secondoch a pi facolt insieme prestano fede , o ad una sola; e in quest'ultimo caso, secondoch una facolt preferiscono ad un' altra, e ad una pi tosto che ad un' altra danno la loro piena e prima fiducia. A ragion d'esempio, I. Il celebre sofista di Abdera , Protagora , avendo stabilito che l'anima non che la facolt di sentire ^ non potea met- ter confidenza che ne' soli sensi. Ne' tempi nostri Elveoo rinnov la stessa opinione, come conseguenza di im princi- pio simile , cio che Y anima non sia che un cotal complesso di sensazioni. Chi volesse procedere innanzi colle suddivisioni , troverebbe de' filosofi che non a tutti i sensi diedero ugualmente fede, ma che alcuni o alcuno ne predilessero. La maniera di p^ lare degli antichi e di molti modeiTii, che propria d'on filosofia ancora volgare, dimostra assai chiaro, che fu attribniW^ 3^3 pili alla vista, che agli altri sensi (i). Si vedono allMnconti*o presso gli antichi i Cirenaici, che tatto diedero al tatto del pia- cere e del dolore (a)^ a cui si accost molto Condillac, che dopo aver ridotto ogni facolt al senso organico, attribu al solo tatto il giudicare y come anco V insegnare a giudicare agli altri sentimenti. II. Epicuro veggendo che Protagora passava per iscettico , e tolendone egli evitare la taccia , aggiunse a^ sensi V anticipa^ aoncy che non poi altro che P idea ideila cosa, che supponsi provenire da^ sensi ^ il che mi pare dover convenire colle idee della riflessione lockiana. Per in queste due cose mise egli il criterio, nelle sensazioni^ e nelle idee delle cose sensibili, che diiam antic^azioni ^ perch precedono ogni nostro ragiona- mento^ a cui per terzo criterio aggiunse T istinto, o la pas-* Aone, come egli lo chiam, la quale discemesse le cose mo- laU (3). ni. Vebbero di quelli che non risguardarono i sensi esteriori come Pinfallibile testimonio del vero, ma voller tale il sentimento (i) Gli antichi usavano la parola visa per significare ogni impressione ensibile ( Ved. Cic. iii LucuU, X e XI ) : essi parlavano di tutti i senti- xeoti corporei con uu linguaggio^ che in propriet non conveniva che al- Pocchio. Lia parola greca ^afrana, che Cicerone traduce per visum ha tigualroente una relazione alla luce corporea ^ perocch viene da ^Ar, in butrn edo, (2) Quid detactu, dice Gicrone, et eo quidem, quem philosophi iniC' nofwi pocant, aut doloris, aui voluptatis? in quo Cirenaici solo puiant veri fejudieium^ quia sentiatur ( in Lucuti, VII ). Diogene Laerzio in Ari' *fppo dhe, che questo flosofo ammetteva due soli movimenti dell' animo> il dolore ed \ piacerei Ji 9 a^n v^ nel Teeteto. Uno de' mezzi di dar luce alle questioni , si quello di notare accuraU- niente i diversi gradi pe' quali si avanz l'umana mente nella loro tratta- uone. Ne dar qui un esempio. Tutta l'antichit senti quanto era difficile a spiegare il modo> onde u essere solo e semplice, come lo spirito, potesse percepire e comprendere tante svariate cose, massime le corporee, che sono fuori di lu. Sembrava, che le cose non si potessero intendere se non portandole nello stesso no- stro spirito, o trasformando lo spirito nelle cose. Furono adunque inven- tati diversi sistemi; ed ecco quale manifesta gradazione tengano fra loro i tre, di Empedocle, di Protagora e di Aristotele, gradazione, dico, dal grossolano e volgare, al pi pensato e filosofico. I. Empedocle ( stando al modo onde lo intese Aristotele ) spieg il fatto mediante la supposizione, che l'anima fosse una composizione di tutti gli elementi dell'universo, ch'egli ridusse a quattro; e che per questo ella po- tesse intender le cose, perch ella avea in s la natura di tutte; sicch colla terra ( di cui composta F anima ) si percepisca la terra , coli' acqua l'acqua, e cosi dell'altre cose. Aristotele, nel lib. I de Anima ^ reca questi versi del filosofo d'Agrigento : Terrantnam terr, lymph cognoscimus aquam, JEUiera aethere sane, ignis dignoscitur igne; a coi aggiungeva pel discernimento del bene e del male due istinti : Sic et amore amor, ac tristi discordia lite. n pensiero d'Empedocle non era nuovo. I suoi precessori erano pirtiti dal medesimo principio, che l'anima dovesse constare di tutti gli clementi delle cose che ella conosceva; solamente variavano nel l'assegna re il numero di questi elementi. Perci Aristotele dice, che t* quelli che ammettenoo M pi elementi > facevano l'anima da pi clementi risultare, e quelli che db w solo, di questo pure volean fatta l'anima . \j, l de An. 3^7 Nel qual concetto conviene forse riporre il preciso punto , in ni Aristotele si divide da Platone. Questi distinse assai bene oggetto intelligibile dall^ animo intelligente^ Aristotele all^incon n. Protagora fece u passo pi avanti. Egli abbandon un'idea cosi iileriale. I quattro elementi di Empedocle erano enti materiali^ e non rasentavano il senso, l filosofo abderitano pose mente al sentire, e ri- usse tutte le cose ad altrettante modificaoni del sentire. L'uomo non n, secondo lui^ cb^ un sentimento il quale si modificava e cosi conver- iiisi in tutte le cose: quindi Tuomo era il criterio anche del vero e del ilsD secondo Protagora. UL Aristotele (ad intenderlo secondo ci die alcuni suoi passi danno credere ) fece il terzo passo in questa progressione d' idee. Egli , come idoe primi ritenne cbe l'anima per conoscere ha bisogno d'essere tutto ci che conosce. Senti per l'assurdit d'immaginar l'anima come una Dslura materiale alla guisa di Empedocle: trov anche &lso il ridurre ogni cosa al sentimento come Protagora ^ accorgendosi che molto di- imo il conoscere dal sentire, Cbe (a ? Gonchiude che l' animo intellet- tivo dee essex qualche cosa di diverso da' quattro elementi; che non pu cneren pure un sentimento vario- forme; egli dunque una essenza pro- pria una quinta essema, la quale ha virt di divenire tutte le cose e d'intenderle. Aristoteles , cosi Tullio , -~ cum quaiuor nota illa genera prin- piontm esset complexus, e quibus omnia orirentur, quintam quamiam no- e d'una quarta innominata^ che riputava essere M sensitiva e dotata della virt del sentire m (De PlacL lib. IV , e. Ili ). Quest'ultima qualit occulta pu avere svegliato nella mente di Aristotele il pensiero di quel suo quinto elemetito. Ancora osserver^ che non si dee gi credere, che il progresso delle idee mantenga sempre l'ordine cronologico materialmente preso: ci nan li avvera sempre^ e non converrebbe legarvisi rigorosamente ^ a chi volesse essere lo storico della filosofia , anzi che de* filosofi. Per esempio Aristo- tele era stato preceduto da Platone, il quale era andato pi avanti di lui, avendo conosciuto > che le idee non sono gi la mente stessa trasformata ^ ma bea Altro. Aristotele torn adunque indietro; torn a confondere l'og- getto col soggetto, come avean fatto i filosofi jonici che furono primi di Platone sebbene lo stagirila evitasse i loro errori pi grossi e manifestL Tuttavia l'ordine cronologico si mantiene, ove si consideri Aristotele Gome appartenente ad un' altra famiglia diversa da quella di Platone. finalmente si noti, che i tre passi indicati ne' tre filosofi, Empedocle, Protagora ed Aristotele , appartengono al progresso graduato dello spinto umano > e che per si trovano ripetuti nella storia della filosofia moderna. E veramente, i.^ Noi veggimo il primo passo ne' materialisti, a ragion d'esempio io Hook, che affermava le idee essere sostanze materiali, e il cervello un com* plesso di diverse materie corporee atte a formare le varie geoeratiooi d'idee. Cosi le idee della vista , egli voleva che fossero d'una materia sioiile a quella della pietra di Bologna. il pensiero di Empedocle, e anche piili grossolano. a.^ Veggimo il secondo passo ne' sensisti, per esempio in CondillK, che riduce tutto il sapere alla sensazion trasformata. 3.^ U terzo passo manifesto negl' idealisti trascendentali , per esempio in Fichte, pel quale il principio pensante si trasforma in tutte le cose. La legge dello spirito umano mantenuta. Non solo v' un progresso nelle funzioni dello spirito sano, ma anco le malattie dello spirito proce- dono con leggi fisse. E tuttavia non si dee confondere il progresso dello spirito sano col progresso dello spirilo infermo, come egli sembra cben voglia pur (are da taluni. larsi in mille dlv;rsi modi, e cosi per una cotale spontanea iri generare di s, senz^ altro principio, la propria scienza. Ma tomo a dire, che il principe delle Scuole non va con- entanco a s medesimo. VI. Finalmente alcuni credettero di dover riporre il criterio lei vero non in una facolt speciale, ma nella coscienza o onsapevolezza di tutto ci che avviene dentro di noi: come leinhold, in Germania, che parte dal fatto della coscienza: e alora il nostro C. M., il quale chiama il suo principio ora ntaizione immediata, ora evidenza del senso intimo, ora cor- iena della coscienza. CAPITOLO XXII. CONTINUAZIONE. bbiam detto, una terza specie di filosofi avervi, i quali diffidatisi delle facolt di conoscere, corsero a porre il criterio del vero in alcuni istinti razionali ^ che diedero alPanima imiana. Dichiararono questi istinti, inesplicabili^ dissero formar essi ^Uo che si chiama senso comune degli uomini, il quale po- sero infallibile. Cos essendo sembrato a questi pensatori, che sarebbe male affidato il tesoro del vero nelle mani delPuomo individuo, il quale lo manometterebbe e sperderebbe, s^ avvisa- rono di assicurarne il possesso col confidarlo alla natura. Felici legislatori del mondo intellettivo, se avessero tanto di potere, |uanto mostrano di buona volont! Ognuno s^ avvede, che qui i parla di Reid e della scuola scozzese. Figlie di questi istinti di Scozia sono e Jbrme germaniche. Egli manifesto, che se per la filosofia critica c^ una verit, Q qualsivoglia senso prendasi la parola, ella non pu trovarsi 'he nelle Jbrme. In queste adunque pu dirsi , che tali filo- ofi venissero collocando il principio di quel vero, qualunque ia, che concedevano alPuoino di conoscere. Finalmente v'ebbero alcuni , che credettero di aver indicato U sufficiente criterio colla parola evidenza : parendo loro, 'he questa evidenza appunto fosse la nota del certo. E ninno pu in questo contraddir loro:^ anzi tutti quelli che rivolsero Rosmini, // Binno^anterUo. 4^ 33o r animo a questa bella parola di evlenza^ non esitarono a confessare, che in essa dee cominciare ogn^ altra certezza: ma non s' accordarono perci meglio in fra loro , come ottima- mente osserva un filosofo nostro molto erudito, del quale (seb- bene io assai giovanetto conversassi con lui gi vecchissimo) m^ carissima la memoria, e gratissimo il ricordare Pailabi- lit, voglio dire, Cesare Baldino tti (i). Quelli adunque che ammettono nel? ev^idenza il criterio, pos- sono appartenere ad ogni altra classe delle annoverate, o di quelle che annovereremo; perocch resta loro a dichiarare in che pongano questa evidenza, e secoudoch in una cosa o nell^ altra la pongano, conviene dar loro compagnia: se poi niente dichiarano, forz^ lasciarli da parte, come cose che non possono &a T altre classificarsi. E per ho voluto accennar cotesti filosofi della evidenza, che restando da s , e dagli altri divisi , possono assai conve- nevolmente formare un di'appello speciale. Se non che forse alla loro schiera si debbono aggiunger di molti, i quali, dopo avere posto il criterio nella evidenza^ credettero di aver definito ab- bastanza dove questa evidenza si trovi, affermando risieder essa nella coscienza. Non s^ accorsero cotcstoro, che la coscienza abbraccia tutte le facolt mnane, tutti gli atti di queste facolt^ anzi non solo le azioni , ma ben anco le passioni tutte; siah col nominare la coscienza, non hanno ancora indicato dove peculiarmente Pevidenza si trovi; perocch la coscienza umana a guisa del mare, che larghissimo si distende e infinite isole e continenti circonda ; n altri avrebbe fatto conoscere in che parte di mondo si trovi una citt, od una terra, col dire solamente cVella si giace nel mare. Il che abbiamo gi prima notato avvenire del criterio del C. M. (2). (i) CrUerium, sensu quo muto de eo agimus iicceptum , omneSs ^ ^' tentias inUmius perscrutemur, in evidentia esse positum conscnsere, Disse^ sio est de criterio w per quod m, de principio nempe et fonte , a quo '' dentiam derivarunt ( Tentttminum Metaphysicorum Libri III, Tentameli h cp. VII, 2572). (a) Gap. XV. 33 1 CAPITOLO XXIII. CONTINUAZIONE. La seconda delle tre grandi classi di sistemi intomo al cri- terio della certezza da noi accennate, di quelli, che Pindizio del vero e del certo non posero nelF anima nostra individua, ma fuori di lei. . Questi, ribassata la ragione di ciascuno, danno tutto alP/m- tort'^ e si partono in quelli che danno tutto alP autorit di- Tina, e in quelli che danno tutto alP autorit del genere lunano. I primi nuovamente dissenton fra loro. Perocch ve n'hanno che attribuiscono ogni criterio all'auto- rit divina conosciuta per la rivelazione affidata alla tradizione di una chiesa^ e questi ancora variano secondoch questa chiesa la trovano qua o col, e dichiarano questa o quella societ per tale chiesa. Daniele Huet, a ragione d'esempio, disconobbe ogni principio di certezza, che non fosse posto nella divina rive- lazione in quanto confidata alla Chiesa cattolica. Altri poi riposero il solo principio di certezza nella divina rivelazione depositata nelle sacre scritture. Altri ancora convennero con questi nelPammettere il princi- pio della certezza nell'autorit divina , ma la vollero conosciuta per immediata interiore ispirazione^ i quali si possono dire ^Ormistici^ o fanatici. Ove bisognasse accennare alcuno di cotestoro fra gl'italiani, pronuncerei il nome di Bernardino Ochino (i). (i) Ecco il panegirico che Ochino fa alla ragione umana : La ragione adunque naturale , non sanata per la fede ^ frenetica et * aiolta. Si che puoi pensare come possi essere guida et regola delle cose ** soprannaturali^ et come la sua erronea filosofia possi essere fondamento ** della teologia, et scala per salire ad essa. Se la ragione umana non fusse ^ frenetica ben che habbi poco lume delle cose create > pure se ne servi- ^ rebbe, non solo in elevarsi alla cognitione di Dio, ma molto pi in co- ** gDoscere, con Socrate non solo che non sa, imo n pu alcuna cosa, ** senza la divina grada. Dove ora si superba, che con deprmere , sotter- ** rare, et perseguitare Ghristo, l'Evangelio, la gratta et la fede, ha sem- 33a Quanto poi a quelli che danno tutto airautorit del genere umano, potrcbbersi suddividere in pi fazioni, delle quali due sono le principali. L^una dichiara infallibile il genere umano, perocch le sue facolt conoscitive collettivamente prese non possono errare. Ualtra dichiara infallibile il genere umano, perch deposita- rio e testimonio veridico delle primitive verit da Dio conse- gnate agli uomini. Reid in Iscozia , e Giacobi in Germania, sembrano apparto- f pre magnHcato l'uomo carnale, il suo lume et le sue forze. Et d pi per essere frenetica in modo cervirnsa , che si* per fede non sanala, M non accetta per vero se non quello che gli pnre, n segli pu dare ad H intendere una verit, se iu prima sindacatH dalla sua frenetica ragione non conforme al suo cieco giudizio. La rilosuda adunque sia i^ii bassa, u nella oscura vmIIc de' sentimenti non pu alzare la testa alle cose alte et w soprannaturali, alle quali id tutto cicca > { La seconda Parte delle Pre- dicfie di Mess, Bernardino Oc h ino y^enese^ Pred. UT ^. E cosa degna di osservarsi ^ che gli eretici del secolo XVI comin- ciarono dal deprimere fino al fondo la ragione', e linirouo coirinnalz^irb al di sopra delle stelle, col dichiararla unica loro guida, col divinizzarla, si come veggiamo farsi oggid. L'Ochino, che tanto umiliava la ragione, in- tendeva in pari tempo T insufficienza della sola sacra Scrittura , senza un lume 'infallibile che la interpretasse. Or avendo egli rifuitata l'autorit delia Chiesa , cadde necessariamente nell' ullra-mistinsino, cio nell' ispirazione privata; non rimanendo veramente altro sistema, che questo, iu cui rifug- giarsi^Achi conosce l'insufficienza della ragione e della Scrittura, e ooo vuole negare all'uomo ogni verit : w Le Ikere sacre non bastano, dice, per avere lume di Dio a suflicieotia, M imper eh' ei potrebbe essere una persona , la quale per la sua felice me- M moria, avesse le scritture sacre et la loro inlerpretatioue a mente, et M per forza d'umano ingegno, l'intendesse humaoamente, et fosse seoia u fede, spirito j et vero lume di Dio. Perci ci bisogna spirito et lutne M soprannaturale, et che Dio col suo favore ci apra la mente et ce le facci w penetrare divinamente. Non abbiamo adunque ad avere le scritture SMre .... per nostro ultimo fiue, n per uosire supreme regme et imperatriOf M ma per mezi et ancille, che servano alla fede, allo spirito, et alla Tert M cognitione di Dio t mollo pi che le creature. ^ Di poi, beocb nella chiesa di Dio , per certificarci , fermarci , et stabilirci nelle verit M divine, re vela te, et soprannaturali, bisogni all'ultimo venire ali'iatemo M testimonio dello Spirito santo , sen?/ il quale non si pu sapere , qu*^ M scritture sieno sante et da Dio, e quali do w ( Ochino, Pred. IV ) 33i re alla prima fazione ( i ). La Mennais e Ronald alla seconda : bbene il concetto di questi ultimi scrittori non sia chiaro, coerente con s medesimo^ perocch ora parlano di una gne della specie umana come infallibile, ora di una tradii' ine universale della verit^ le quali due cose si oppongono UT fra loro , come si oppongono la ragione e F autorit. CAPITOLO XXIV. CONTINUAZIONE. La terza delle tre grandi classi di que' sistemi, che hanno itto il criterio della verit n dipendente solo dalP anima ndividua, n solo da qualche cosa esteriore, ma l'hanno vo- lto quasi un risultamcnto delle operazioni dell' anima, e di zioni esteriori all'anima stessa. Tra i moderni italiani qui ci si presenta Giandomenico [(Hnagnosi (2). Egli chiama il suo sistema, della compotenza (3)^ anco delV idealismo osociato (4)* Udiamo come egli esponga i fondamenti del suo sistema: Si pretende n (cio egli stesso cos pretende ) a che il sentire venga operato mediante la provocazione dei sensi attivamente corrisposta dalla potenza senziente , talch 1' atto di esterno t sentire non consista n in una visione di specie trasmesse , ( n in una meccanica mozione, n in una percezione passiva- mente eccitata (5) , ma bens nel prodotto di una funzione (1) Solamente che Reid meUe la ragione del senso comune negli istinti , iiiodo Giacohi pi si. avvicina ad un processo razionale, che s' incomincia (r dalla fede naturale religiosa. (3) Il Romagnosi si classifica da s stesso fra quelli che mettono il cri- no non in qualche verit prima, ma si bene in un semplice indizio di tit, dicendo cosi: siccome tante possono essere le verit quanti sono giadizj ben fatti , cosi il criterio non insegna veruna verit particolare, na solamente ne assicura le condizioni assolute che riscontrar si debbono nei gindizj positivamente pronunciati, senza le quali non vi pu essere verit . F'edute fondamentali sull'arte logica, lib. I, e. iv , 17. (3) Della suprema economia dell'umano sapere, P. Il, g xxvn. (4) Vedute fondamentali sull'arte logica, lib. II, cap. iv. (5) Non riflette il Romagnosi abbastanza al concetto della percezione issiva Quando si dice percezione passiva , si dice tutto. Nella parola JJ4 solidale di provocazione dei sensi (i) fatta alla potenza sen- a ziente, e di nazione di questa potenza, nella quale si verfica percezione si esprme (non v'ha dubbio) un grado di attivit dell' anima. Perci quando si dice m percezione passiva m, non si viene a dire gi uoa mera e semplice passivit. Nessun filosofo ha mai pensato cosi. H Roma- gnosi adunque si oppone ad una sentenza , che non fu mai al mondo. Che se il Roroagnosi intende di aggiungere all' anima nell' atto del sen- tire qualche attivit particolare , diversa da quella che si contiene gi nella r percezione passiva m; egli pone un'attivit al tutto superflua nell'anima senziente, e interamente gratuita. Come prover egli questa sua ipoUsi non per la necessit dell'eifetto^ non per una osservazione di fatto. Si pe- sino le sue ragioni, e si trover sempre^ che non valgbno a provare se non quel grado di attivit, che ogni buon filosofo riconosce nella per- cezione passiva M. Dovea il Romagnosi uscire dal maestoso padiglione delle tenebre, dalle quali si circonda; e per uscirne, gli era bisogno definire qual natura e grado di attivit egli ammetta nella sensazione; e se egli avesse definito questo, sarebbesi potuto raffrontare il suo sistema a quello degli altri filosofi, e vedere se egli ci dica qualche cosa di nuovo , o se l' attivit dello spirito da lui ammessa nella sensazione sia n pi n meno quel grado e quel genere di attivit che i filosofi ammettono nella percezione passiva . Ma non dichiarandosi su questo punto , tutto ci che egli propone , vestito di nebulosi vocaboli , rmane incerto ed equivoco ; n si sa ben dire, se nel fondo il suo sistema, quanto a questo punto, sia nuovo j o solo vestito di nuovo. Nel Nuovo Saggio io ho distinte le diverse attivit dell'anima , ed espressi la loro natura. Ho ammesso un'attivit prima nel sentimento fonda rneniaU' la sua natura definita colla natura del sentimento stesso rivelatoci dalla coscienza. Questa un'attivit immanente ^ non per un'attivit pura, pero^ che prodotta, quindi mescolata di passivit. Quanto alle sensazioni avven- tizie, ho dimostrato, che l'anima in queste non esercita una attivit nuova, ma quella stessa del sentimento fondamentale sempre in atto. La legge di questo fondamenta! sentimento si quella di m modificarsi a tenore dell1^ parte adunque degli agenti estemi non pu aver luogo il sistema di comr potenza : perocch i corpi esterni agiscono sulla materia del sentimento, ^ non sul sentimento; questo poi si modifica per una legge sua propria. Ora la ragione, per la quale il Pcomagnosi non pervenne a conoscere e definire la natura dell'attivit dell'anima nelle sensazioni , si fu perch ooo vide in che consista la essenziale distinzione fra il sentire e il conoscerti perocch niuno pensa a' suoi atti, ma solamente pensa agli og de' suoi atti: all' incontro nellVo penso di Cartesio, il filosofo che [ il pensiero, e niente s'intromette senza sua buona licenza, niente s'ii mette se non ci che si vuol porre espressamente all'esame. Non puc sece adunque un buon principio della filosofia l' Io sento di Romag I filosofi tedeschi sono quelli soli, ch'io sappia, che abbiano senti forza di questa osservazione; ed per ci, che ne' loro iiliri vg| fare tanti sforzi per isolare il pensare, e rinvenire quel sempfice pei che essi chiamano pensare come pensai-c. Conviene che diamo il uier Fichte di tale elevazione in Germania. Questi conobbe assai bene, Reinhold, partendo dal fatto della coscienza, partiva da un vago moltiplice da uu incognito. Fichte, fra i l'alti della coscienza scelse 337 Egli si fa dunque a porre tutta la sua meditazione nel fatto del sentire. Or veggiamo T analisi elisegli ne fa. Per primo ed immediato sentimento distinguo le segna- ture po5zVe 5 per le quali dico odore, sapore, suono, caldo, freddo^ figura, ecc., dalle segnature razionali^ per oui dico simile, dissimile, singolare, plurale, maggiore, minore, s, no, dubbio. Il sentire queste due segnature un fatto in- chiuso nel concetto generale del verbo io sento ^ astrazion fatta da ogni giudizio sulla causa o sulla derivazione del a mio sentire > (i). Vedesi quanto riesca facile a questo filosofo il trovare le idee astratte del simile, del dissimile, del singolare, del pla- nle ecc! Egli le chiama segnature ^ come le sensazioni del- P odore, del sapore, del suono ecc., e le considera come un fatto rinchiuso nel concetto generale del verbo io sento ". E tutto ci basta a lui di affermarlo, essendo cosa evidente, non bisognevole di prova, cosa che u si distingue per primo ed im- mediato sentimento " ! Nelle mani di questo autore la ge- Mnplice che potea rendersi cognito da s stesso , e questo non potca esser altro che V atto del pensiero. L'error suo consistette nel non essersi sollevato un passo pi in su: in vece d partire da quello che pub rendersi ^to da s f dovea partire da quello che noto per s. All'opposto non inteso per nulla il vero importantissirao di cui parliamo "untore delle quinte obbjezioni fatte a Cartesio^ il quale gli oppose: Non ^ideo libi opus fuisse tanto apparata ; quando aliunde certus eros , et ce- 'iMi erat te esse: poterasque idem \hI ex quavis alia tua actione colli' cre: cum lumine naturali notuin sit, quicqud agit esse (In Medit. II). Egli falso ^ che Cartesio potesse partire da qualche altra operazione e. Vili, 8. versale n. Come poi distingue i termini di quelle vibrazioni in quelli che non sono suscettibili , e in quelli che sono su- scettibili di versioni ? Se cangiando i termini si cangia la vi brazione , come dovrebbe essere , allora s' intende in che modo quelle vibrazioni or sieno il vero assoluto, or non sieno^ ma in tal caso falso che quelle vibrazioni non cangino. Se poi ri- mangon ferme le vibrazioni, anche mutandosi i loro tennini: allora egli par che debbano restar sempre quello che sono mia volta, e se sono il vero assoluto, debbano esser sempre il vero assoluto. Non ci veggo mezzo. Ma di nuovo, tiriamo innanzi nell^ esposizione de' pensieri del N. A.^ sperando che il lettore non pretender da noi che gli rendiamo chiaro V oscuro: e s' accontenter se noi , coir esporre qua e col i nostri dubbj. veniamo confessando, che il bujo ci par fitto da non poter in molti luoghi penetrare sguardo, ne pur di nottola. Di quel potere occulto egli favella in un altro luogo, de- scrivendol cos : Di lui dir si pu ci che scrisse Virgilio, spi' ritus intus ality totamque infusa per cutus nieris agitai molem. Questo verbo non la sensualit , ma risponde alle sue impressioni. Non 1' immaginazione , ma ne fa sentire le u convenienze e le sconvenienze: non la cognizione, ma ne u accompagna la formazione. Non dunque l'intelletto, ma la podest che ne autentica i prodotti n . u Egli non crea , non produce nulla , ma fa le funzioni di supremo censore che approva e disapprova, accogUe e n- u getta , ed anche col suo silenzio pone in guardia a non pr- u nunziare verun giudizio definitivo. A lui spetta esclusiva- mente di accordare la prerogativa del sapere e di investirne u le cognizioni nostre. In breve , V autenticit' scientifica d u solo ufficio competente di questo potere n (i). Ma se v' ha in noi questo potere intimo , questo giuclice. censore supremo del sapere , che cosa potr egli giudicare, che cosa pronuncier del saper nostro? secondo qual regola lo di- chiarer autentico o non autentico? Se U sapere umano non che un prodotto necessario oi (i) Vedute fimdameniali suWarle logica, Lib. II, cap. VI, n. i6, ; 34: i principj concomitanti, quel censore supremo non potr ; mai altro, se non: questo sapere prodotto dalla sua sa mentre ella si trov in istato normale : quest' altro pro- to dalla sua causa mentre ella fu in istato morboso, ifa lo stato normale^ e lo stato morboso della concausa i si pu conoscere se non dal prodotto stesso ^ cio dalla Jit del sapere prodotto. ^oale sar dunque questa qualit , o indizio della sanit [a causa? ^A Romagnosi trovo accennati due indizj, a cui conoscere il sapere prodotto generato dalla sua causa in istato nor- ie, o no. D primo: Come la sanit si sente per un cotal diletto che a, cos parimente si sente il sapere se autentico col senso ionale. Di qui si vede perch il Romagnosi dia nome di no a questo supremo giudice del sapere: u Esso dunque, dice , non un giudizio intellettivo , ma un sentimento pari a quello del piacere e del dolore. Volendo dunque trovare una denominazione pi propria, io lo chiamerei potere di darsi pace mentale ^ (i). U secondo: Come le potenze operano sempre pi spesso in Etto di sanit , che non sia in istato morboso , cosi ( al- mo secondo V analogia della sanit fisica) si giudicher au- itico il sapere, quando sar conforme a quello che tiene la i^oranza degli uomini: u Se P ordine mentale del tal |i) Vedute fondamerUali sulfarte logica, Lb. II ^ e. YIII^ i3. Poco sotto e: ar Questo sentimento propriamente pi estetico che razionale . erch dunque chiamarlo senso razionale ? e non dirlo a dirittura estetico ? le perch comparisca io parole razionale , quello che in fatto irrazio- e?) H Ma sotto qualunque forma ^ egli rassomiglia ad una vibrazione psicologica inevitabile ed irresistibile >. Siamo qui colle vibrazioni! Il x> una vibrazione, il potere che distingue il vero un'altra vibrazione! 1 DO; egli dice che solo rassomiglia ad una vibrazione. Se rassomiglia ad ^ vibrazione, e non una vibrazione, che cosa sar dunque ? una quasi- ^one? che linguaggio cotesto? ha egli nulla di filosofico? No certo; 'odo il linguaggio filosofico non si definisca : degli euigmi, che non ab* ino spiegazione alcuna. 344 u uomo corrlsponcle a quello col quale la natura conforma i a concetti della gran massa degli altri uomini, allora si v^ u rifica lo stato della ragionevolezza. Se poi V ordine mentale u del tal uomo non corrisponde a codesto ordine comune, u allora esiste lo stato di pazzia n (i). Perci la mente sana quella che ci d il potere di a agire come il pi degli uomini a sogliono fare n (2). Ecco pertanto i criterj del vero di Giandomenico Roma- gnosi. Il vero stesso , secondo lui , una cotal manifattura della natura, la quale adopera, quasi due suoi ordigni a formarlo, Fazione estema, e la reazione intema. Il criterio del vero, che ce lo rende certo , sono que' due indizj che ci possono far co- noscere se quella manifattm-a di buona qualit, o di rea, i quali sono i . il piacere che a noi viene da un cotal senso non tanto razionale quanto estetico, il quale si suppone essere in noi; "a. il consenso colla maggiorit degli uomini. Ho gi detto che non intendo di esaminai*e qui i varj cri- terj del vero, ma di csporU storicamente. Tuttavia , essendo necessario clie V esposizione sia chiara , convien pure accennai*c i passi equivoci , o dubbiosi , dimo- strando che r oscurit loro non procede dall^ espositore, ma che ad essi intrinseca. Per esempio, una cosa che io espositore non intendo si questa: I .^ Quando il giudizio che io fo sulP autenticit del mio sa* pere nasce dalla dilettazione che io ne provo , come posso ac- certarmi , come provare che questa dilettazione segno sicuro che il sapere sia un prodotto legittimo? a.^ Quando poi giudico , che il saper vero consentaneo al sapere e al fare del genere umano ; io, per eifettuare un tal pa- ragone, e un tal giudizio, ho bisogno pure di adoperare un in- finito numero di cognizioni e sensitive ed astratte. Or cowt posso provare che queste cognizioni , di cui fo uso a confrontare (1) Che cosa la mente sana? P. II, J XIV. (Q) Ivi, i XV. 345 mio sapere con quello del genere umano, sieno esse stesse utenticlie? forse col paragonai-le anch'esse alle cognizlohi del enere umano? non c'involgeremmo nel solito circolo (i)? CAPITOLO XXV. CONTINUAZIONE. A questa medesima classe di filosofi , che fecero dipendere risultare il vero, e il suo criterio, dall'azione associata di oi e della natura, si possono ridurre quasi tutti quegli antl- iussimi sistemi, i quali fecero del mondo un animale, e gli leder un'anima. Anassagora^ e alcuni venienti dalla scuola italica, rifiutati i aisi, ammisero la mente a criterio del vero, ma voleano essi che uesta fosse purgata, acciocch, diccano, potesse convenirsi ed lrsi colla mente comune. Per simgliante modo Eraclito volea he la mente comune fosse il criterio della mente particolare ^ i quale, dove si unisse a quella, era retta, dove da quella si iridesse , fallace. Di che deduceva la fallacia de' sogni 5 per- locch affcnnava, che nel sonno viene separandosi la mente ngolare dalla comune ^ e in questa cotale secrezione della lente singolare dalla universale poneva lo stato di chi as- )nna. Di qui pure credea di spiegare il senno maggiore de' cechi, dando all'anima nella vecchiaja una relazione maggiore olla ragione . comune e divina: hovv(; xc ^eiOQ ^yog (ti). (0 Chi domaudasse^ se il sistema del Roraagnosi sa suo proprio^ o mu- U); io il manderei a leggere il Leviatan dell'Hobbes^ e. XXXI^ e il Dt ^9 e. XY. Nelle diverse opere del Roraagnosi si vedono manifestissime tede dello studio che egli pose in questo autore^ pel quale scientia et ^i'o nihil uliud sunt , quam animi ab agentilms extemis per corporis ^ani parltS organicas excitatus tumnltus. Lascio a cui piace il fare un ugente confronto fra questi due autori. Io osserver solo, che anche un ro italiano, Ugo Foscolo, deriv dalFHobbes il suo sistema sulla Speranza 'ed. Saggio mila Speranza, negli Opuscoli filosofici, Voi. II). In que* ^pi s studiava quasi direi di furto da certi giovanetti il sofista di Mal- sbury, le cui opere non erano comuni in Italia , e lor pareva di fare un 'ode acquisto di scienza, giungendo a furargli a man salva qualche cou- ^ strano, senza bisogno di citarne il fonte, (a) Ved ArisU De Anima, I, 2, 3. RosMiiii , // Rinnovamento. 44 346 CAPITOLO XXVI. CONTINUAZIONE. Tutti i sistemi accennati fin qui non pongono il criterio della certezza in una prima inerita ^ ma in qualche indizio ddla irrita* Ci conTene ora annoverar gli altri , che cercarono non un indizio del vero, ma la verit stessa, V essenza della verit. Questi sono quelli che posero il criterio del vero nelle idee. Non sar difficile V avvedersi, che qui cadono i maggiori nomi. Volendo per noi classificare anche questo genere di filosofi^ come abbiam fatto del primo , troviamo una difficolt vie mag* giore. Perocch le difierenze loro procedono dalla diversa ideo* logia che suppongono ^ come i precedenti vallavano quasi sem- pre dalla xverssi psicologia che i loro autori avevano abbracciato. Converrebbe adunque sporre in prima i varj sistemi de' filo- sofi di cui parliamo intomo le idee, e venir quindi accennando i criterj che in esse ponevano. Ma questo ci conduiTcbbe oltre- modo a lungo. D' altro lato le diffijrenze di tali sistemi nascono principal- mente da due cagioni : i .^ dalF ammettere pi o meno idee come primitive^ in cui risieda il criterio della certezza^ a.'^dal- r attribuire a quelle idee, che tolgono a fondamento della ce^ tezza, pi o meno interiori qualit e virt. Or alcuni furon pi parchi nel numero delle idee dichiarate fonti di certezza; ma in vece eccedettero in attribuire a quelle pi di entit , che tc- ramente'non abbiano. Il perch non si pu n pure classificare questi sistemi secondo il maggior grado o minore di sempE' cita e di complessit che danno al criterio ; perocch alcuoi sono pi semplici di altri sotto un aspetto , e sono pi com- plessi sotto un altro. Tuttavia possiamo sempre affermare, generalmente parlando^ che r errore di quelli che mettono il criterio nelle idee, * o di eccesso, o di difetto, ovvero dell'uno e dell'altro in- sieme sotto aspetti diversi. Io mi limiter a dare qualche cscd' pio dell'uno e dell' altro sbaglio, pigliandolo si dall'antichit} che dalla storia della recente filosofia. 347 Fra quelli che peccarono di eccesso, per P antichit nomi- r Platone^ pel tempo moderno, Schelling. Fra cjuelli che peccarono di difetto, secondo certe mie con- ietture, penso di poter nominare, fra gli antichi^ Pittagora^ r r esempio poi moderno, Hegel. Tutti questi per sotto un certo punto di vista peccano di xsso. CAPITOLO xxvn. CONTINUAZIONE. Ho gi osservato , che le due grandi scuole in che si parte filosofia antica, la jonica, e F italica, hanno per base Puna speculazione individuale , V altra la tradizione del genere nano (i). Queste sono come due fiumane, che nel loro corso infondono qua e col le loro acque \ le quali per anche eicolate ritengono lungamente il loro colore, e il loro sa- ne originale. Quest^ acque si veggono unirsi e mescolarsi pia abbondanza al tempo di Platone^ ma non si per, che Al li vegga questo grand^ uomo maggiormente avere attinto la scuola italica e tradizionale, come Aristotele alla jonica speculativa. Gi ho notato il progresso che, stando alla testimonianza db.stagirita, si ravvisa da Empedocle, a Protagora, ad Ari-> dtde, circa la dottrina dell'origine e della certezza delle Ignizioni, n principio fondamentale di questa scuola si , che mima stessa conosce le cose per un cotal modificarsi che fa conformarsi ella stessa alla guisa degli oggetti che dee co- Moere, sicch ella diventa ogni cosa in virt della cogni- Mie, T ama icoq ^ma. Questi filosofi non erano adunque giunti a ben distinguere idee dagli old dell' anima, e dall'anima stessa^ ma le con- lenivano ancora come semplici termini dell'atto, della stessa tura dell'atto, modi in somma dell'anima. Nella scuola italica si and certamente pi innanzi : si giunse ;i) Ved. a Nuovo Saggio. Sex. IV, e. I, art. XXIV. 348 a intendere, clic V anima e le idee avevano propriet non solo diverse, ma contrarie^ e per, che potevano queste seconde essere bens unite alP anima , agire nelF anima , divenire ter- mine de' suoi atti^ ma non mai confondersi colPanima^ non potevano mai essere puri modi o accidenti dell' anima. Que- sta distinzione fra la natura delle idee e la natura dell' anima, II principio fondamentale della scuola italica, da cui, come dissi , discende massimamente Platone. Le idee, in quanto sono nostre, sono unite all'anima nostra; sono termini de' suoi atti. L' aver tuttavia conosciuto che non possono essere puri modi dell' anima , che son di diversa na- tura, che sono un termine distinto dall' anima essenzialmente come distinto un oggetto che tocco con una mano dalla mano ^ questo era un gran passo : e questo passo si trova dato gi dalla filosofia nostra nazionale fino dalle sue pi vetuste memorie. Tuttavia, dopo che si era fermato questo vero luminoso, in- con travasi tosto una terribile diflTicolt. La difficolt consister nella dimanda, che cosa sarebbe avvenuto separandosi le idee dalla mente umana; perocch essendo queste due cose di diversa natura, questa separazione non dovea dichiararsi impossibile a concepire. La difficolt di rispondere non istava dalla parte dell'anima umana. Peix)cch si avrebbe potuto dire, che l'anima intellettiva, separandosi da essa le idee, periva, come l'anima ^nsitiva perisce separandosi da essa la sua materia : n ci in- volgeva alcun assurdo, conciossiach la esistenza della nostr'a- nima intellettiva non necessaria. Con tale risposta si veniva a dire solamente, che le idee congiungcndosi ad un principio sensitivo, erano quelle che il rendevano intellettivo, cioFa- nima intellettiva con tale congiunzione crea vasi. NuUa di as- surdo in ci, nulla di difficile a intendersi. Ma il nodo forte stava dalla parte delle idee stesse. Qaeste non si potevano annientare, perocch la loro propria natala; quale si manifesta dalla sola osservazione , le mostrava fornite di una certa immutabiUt, necessit, eternit. Oltrach, fossero anche queste perite, non sarebbe stato al tutto rcro eh' elle avevano un' essenza sepai*ata, e de' caratteri opposti 349 deir anima. Che cosa potean dunque rispondere i filo- tanta difficolt? so bene, che cosa poteano rispondere questi filosofi : ma losta non fu trovata, e quella difficolt fu uno scoglio . s' infransero e si sommersero. ^ vetusti filosofi, e dopo di essi Platone, che diede il 0 nome al sistema, veggendo da una parte, che le idee distinte dallo spirito umano che le percepiva, n poteano riamente da lui dipendere^ dall' altra, che quelle idee solate, a quella guisa che splendono nella mente, non po 1 stare, aggiunser loro colla immaginazione la sussistenza, Eulero altrettanti enti per s, ci che equivale a dire, ante divinit (i). listinguere le idee dalla mente umana che le intuisce, nplice risultamento dclP osservazione. Ma il separare le alla mente, e dare a ciascuna una propria sussistenza, to dove Platone abbandona il buon metodo delP osser- e, e comincia a fabbricare un^ ipotesi, tone adunque divinizz le idee; e lo spirito, secondo lui, opla in questi Dei, che ad esso si congiungono e si co- ano, P etema verit. ino peccato d'eccesso in tale criterio del vero fu dop- jerocch egli non s^ accorse i. che tutte le idee rien- e s' accolgono in una idea sola, Itune della mente (2); e questa idea, questo lume non manifesta all'uomo, a comimica, una reale sussistenza in s, ma tenuissima- Sgl vero che ne' Platonici si parla di un Verbo divino; ma questo lo descrivono piuttosto come un complesso di tutte le idee , un Dio to di molti Dei^ che come un'idea prima, un Dio al tutto semplice* ^nroDO chiamati Dei intelligibili, vonroi 9tot\ Erano questi diversi da- inteliettuali voffo/ ^%ot* , e opposti agli Dei sensibili a^^wToi* ihro questo errore non di Platone: egli tradizionale, e la sua orl- perde neirantichit. Proclo lo attribuisce a Parmenide. Partendo da! io, che ogni idea sia un Dio, egli argomenta non potersi dare l'idea le, come quella che non potrebbe essere un Dio, omnis enim idea, id iParmenideSfDeus est, w dice che V animo purgato diveoU un' idea, chi non vede che s'avvicina d'assai alla contraria scuola, che diceva le idee essere altrettanti modi dell'anima? Ecco il passo del filosofo alessan- drino: L'animo purgato diventa idea, ragione, al tutto incorporeo, iolelli- M gente, e affatto divino. Laonde V animo trasportato ed alzato all' intelletto, egli fatto veramente e del tutto animo m) r'vT/* *^vx^ xa^af^ttoait^oif (Enn, 1,1. 6). Non si vede qui molta affinit con ci che diceva lo stoico Possidonio^ cio che Y animo era un'iV^? (Ved. Macrob. in Somn- Scip. I, XIV ) Tuttavia il luogo di Plotino pu intendersi del molto che partecipa della nobilt dell' idea 1' animo purgato che ad essa tutto ade- risce, sebben veramente in essa non si trasformi: il che si concilierebbe col pensare di Platone. (a) V'hanno veramente de' luoghi in Aristotele, dove questo filosofo s' attiene alle tradizioni italiche. A ragion d' esempio , nel lib. XIV dt'MtU' fisici, Vili, dopo aver recata la sentenza di quelli che tribuivano u divinit agli astri ed ai primi principj delle cose, egli cosi l'approva: Chi H considera nell'opinione di costoro sola quella parte che pronuncia essere H Iddii le prime sostanze , certamente conceder esser ci detto dino** H mente * t^r / nj x^f'^^i dur Xo/flo/ fuc'vov r Xfrfrair, ot# E0T fevro T?f rfMTa( ovviai i'v^i, 3'itii ap %i^itv^at viu9%tu lo per vo so- spettando , o che questi luoghi di Aristotele sieno stati interpolati pel guasto a cui soggiacquero i suoi libri, o che egli li scrivesse per tempo, quanoo DOD avea per anco ben fermi i pensieri ; se pur, come dissi, li ebbe lutto fermi giammai. 35 1 CAPITOLO XXVIIL CONTINUAZIONE. Veniamo a Schelling, che quel moderno che abbiam raf- firontato a Platone. La critica che Schelling fece a Fichte, sembrami che possa ^rsi cos: Il partire dall^ atto dell^ Jo pensante , che contemporanea- mente pone s stesso, e pone il mondo, come faceva Fichte, non mi cominciare la filosofia da nn^idea semplice, ma da una moltiplicit d' idee. Gi nel primo passo di questa filosofia le idee di imo, di pi, di difierenza , di opposizione sono com- prese, e di esse non si rende ragione; non si sa quale sia prima, e qual dopo : quelF atto cos ampio delP Jo ponente non dunque provato : quando non provata la generazione e la feracit delle idee , che ad afiermarlo sono necessarie. G)nvien dunque cominciare la filosofia da mi pensiero primo, semplicissimo, il qual non abbia bisogno di nulla, dove non a trovino differenze , dove perci non si possa distinguere n oggetto n soggetto, n reale n ideale, n essere n sapere, ni spirito n corpo, n finito n infinito, ma tutte queste cose stieno in lui unificate: di maniera che egli per s sia r indifferenza di ogni differenza, sia P identit assoluta del i^e e dell^ ideale, sia ad un tempo essere e sapere, uno e pi&, in una parola sia tutt^-uno. Schelling chiam questo primo concetto, da cui pretese che partir dovesse la filosofia, ^idea delP assoluto. Questo assoluto cos concepito era evidente per s stesso, ^n avendo nulla dinnanzi da s , e per era quello da cui 1^ filosofia dovea muovere per esistere, e a cui dovea essere adotta per dimostrarsi. Or^ una tale idea in cos fatto sistema faceva V ufficio del Spande criterio di ogni verit. La^critica fatta a Fichte, secondo noi, era giusta; ma non ^ben lavorata da Schelling Pidea delP assoluto, molto meno 'dea di quelP assoluto che dovea dar principio e fine alla 'losofia. 352 Sebbene non tolga io qui a fare V esame di questi sistemi che espongo, tuttavia non posso cessare dall' aggiungere alcune riflessioni anche al sistema di Schelling, per non dover poi tornarmi altra volta sopra di esso, o lasciai*e ingombrato di dubitazioni P animo de' lettori. Rifletto adunque, che I.* Schelling fu costretto di ammettere ima facolt, che percepisca immediatamente V assoluto in isti'etto senso : or chi conobbe mai V esistenza di questa facolt? v'ha egli qui evi* denza? o non pi tosto, quando pme si potesse proyane l'esistenza, non dimanderebbe una assai astrusa dimostrazione? 2.^ Schelling allorquando disse che il suo assoluto non dovea essere n oggetto ne soggetto, n alcuna differenza avere in s , fu tratto in errore dalla natura limitata del lin- guaggio. Il linguaggio pur sempre un fonte infinito d'errori; l' uomo costretto di fame uso , perch uno de' mezzi pin potenti dello stesso mentale ragionamento , e se non som- mamente vigilante in quest'uso, cade in errore. veramente , il linguaggio moltiplica gli esseri , d corpo ed esistenza a quello che non ne ha. Il nulla, per esempio, si concepisce per un qualche cosa^ mediante questa parola u nulla onde il cb'a- miamo^ sebbene esso sia nulla, o, se si vuole, la rimozione dell^ essere. Il finito e l' infinito ci vengono presentati alla mente come due cose appartenenti quasi direi ad una stessa categora, l'una limitante scambievolmente l'altra. DieesI, a ragion d' esempio , che il finito non 1' infinito , e questo non quello^ pare adunque che ad entrambi manchi qualche cosa. Intanto non vero che all' infinito manchi qualche cosa, appunto perch se gli mancasse , non sarebbe pi infinito; come non vero che all'essere manchi qualche cosa mancan- dogli il nulla, che anzi non gli manca, appunto perch non ha il nulla. Il persuadersi adunque, che a trovare l'assoluto sia necessaro sollevarsi sopra tutti questi opposti, a fine di bx s che questi opposti sicno in lui unificati , e un pensiero al tutto falso ed erroneo. 3.* Schelling credette di partire dal sentimento^ in luogo di partire dal pensiero^ come Fichte^ perocch l'assoluto e suiPaver voluto da questa dar la mossa alla filosofia. Osservasi riuscire di somma difficolt alle menti de' primi filosofi il peoitre a delle nature puramente spirituali: tutto si vestiva di corpo U loro immaginazione : ed egli pare^ che per Pittagora stesso non si fater anime separale. D'altro lato questi filosofi assai chiaramente vedevano che gli oggetti innediati del pensiero^ le idee> erano al tutto scevre di corpo. Rimossero Inique il corpo ; ma rimosso questo , il primo atto della loro mente fu di ooDcepire de' meri numeri privi di ogni entit spirituale, che venne pQieia aggiunta loro con una seconda operazione della mente. lo fondo questa conghiettura sopra alcuni passi degli antichi scrittori, beone uno. Stobeo ci conserv alcune cose di Mercurio volgarmente detto Tritmegisto. In un luogo ( Serm. XI ), Tazio domanda a Mercurio, che cosa Mi secondo lui la prima verit', rifr vfvriyV mXn'Buav. Questa veramente la ^Milione del criterio, perocch la prima verit quella da cui tutte l'altre pren- doDo l'esser vere. Or ecco come risponde Mercurio : m Quell' uno /e solo , che * non consta di materia, non contenuto da corpo, senza colore, senza figura, * non soggetto a mutazione o alterazione veruna , sempre esistente * CNA ^ HOHOi ri f ^n l'Ic/'Xirc, toV /uv ir atifjiari, rv ax9*''uaf"^9 , riv ^x^' MmrTMr, rv a'rfiTTsy, r9 fu dXXoioo^fdtvw, rv du ivra. In questo passo ^che si renda ragione dell' u/ii/^i/ pare che si mostri come que' filosofi, oHoch astraevano da' corpi, non si poteano fermare colla mente loro, se ^ giunti all' unit astratta. Io so, che si pu render ragione de' numeri di Pittagora sostituiti alle ^, anche mediante la scienza esoterica, o arcana. Ma mi sembra questa 356 D pi, V unit astratta non si pu in alcuna maniera con- cepire prima tV essere ^ da cui ella fu astratta^ e per i filo- sofi, che partirono dalP unit, come dal primo sapere della mente , furon tratti in errore al vedere , eh' essa pi sem- plice, astrattamente presa, delF essere. Di qui conchiusero, che sia anteriore a questo nella mente. Ma l'argomento non tiene; perocch ella non cosa che stia sepaiata dall'essere, e * per non cosa che possa veramente vantare una semplicit maggiore di quello , se non per una cotale Illusione della mente stessa, che si persuade di concepire l'unit distinta dall' essere^ ma veramente non la concepisce se non aggiungendole senza avvedersi V essere stesso , cio concependo l' essere dell' unit , e r unit dell'essere. Quindi , che filosofi di questa scuola, non potendo fer marsi nel? unit, o nei numeri astratti dall'essere, il che renderebbe la loro filosofia al tutto infeconda, sostituiscono poi all'unit V essere stesso, senza giustificarne il passaggio (i)) e rientrano cosi nel sistema che noi riputiamo pel solo vera via un po' gratuita; e per me sodo pi verisimili ]e due ragioni addottei n credo d'altra parte, che la logica appartenesse alla scienza arcana. Di pi 81 osservi , che il saho della mente di Pittagora nel troppo astratto, non cosa singolare, ma comune: una legge della umana mente non ancora forlificata nell'apprensione degli enti spirituali, lo esempio d'nosi* roile errore recher alcuni filosof tedeschi, e fra di essi V HegeL Questi 9\ formale della cognizione, al puro pensiero (noi diremo all' ei^ers ididt) danno il nome di nulla (Hegel, Logik). E perch?. non per altro, se dod perch, levata dall' essere ogni determinazione, sembra loro che non resti altro che il nulla , quando veramente resta ancora un lume preclaro delli mente. Sono poi costretti a distinguere questo nulla da un altro nulla preso nel significato comune, e dichiarare il primo nulla fonte del tulio Questo un parlare assai improprio. Ma egli mostra come l'intelletto umano dod a fermarsi nella via delle astrazioni : il nulla de' nominati filosofi no eccesso d'astrazione ancor maggiore de numeri di Pittagora. (i) Plutarco, sponendo il sistema dell'italiano Parmenide , seguitftore in questo di Pittagora, mostra, che la stessa cosa chiarsiava&i da lui fs^ ed ente: uno, per la similitudine o identit che tiene seco steaso, esdndetflo qoalaif oglia dilferenza ; ed ente , come quello che sta etemo e dentro ^ s a pieno sicuro: ON (uiw, J( aY^tov uai et^a^ov, EN ^i ffiorwri vfK tferf nut* r^ fui ^i^i^^ai ^tapofv, vf03-ar)0f%oca( (adv, Coloten). In questo passo di Plutarco si nomina prima T ente e poi 1' uno. Questo 1' ordioc 357 D fatti, V essere a c\d essi passano (sebben gratuitamente) tj^unto quello in cui noi facciamo consistere il principio della filosofia, cio non gi Tessere reale (cosa), ma Tessere ideale (idea) (i). Essi esprimono cbiaramente e senza equivoci questa distin- tone, designando quelT essere che sottentra cos furtivamente nella loro filosofia a tenere il luogo di principio , usurpato prima da quello sterile concetto dell^ uno , colla parola i^o^ri^, die possiamo tradurre per essere intelligibile^ o come noi di- ciamo, ideale (2). oalorale, ma la maniera di esprinoersi si diparte in questo da quella di Pittagora. Questa piuttosto espressa da Jamblico, quando dopo aver ac- cennato il primo bello j e il primo intelligibile viene a dire che cosa sia i|iiesto ramo ad intendersi ed a gustarsi , e dice che il numeros ri ii 9ffr9v S9 ixivp ( a Pittagon) 1^ rtv ti^i'^futf ri xsi Xoyuv ^Vic AIA IIANTAN AIABEOrrA ( in Fit, Pylkagorae, e. XII ). In queste ultime parole di Jaroblco viene espressamente accennato il modo^ onde si per- venne al concetto del numero ; cio per via di astrazione perch vi si dice^ r caso si osserva in tuUe le cose m. (i) Il passaggio dai numeri alle idee, viene indicato da Jamblico quando^ dopo aver detto che la dottrina di Pittagora si aggira intorno alle cose in- corporee e intelligibili ( rt9 vowrfv ), con che pare voglia signiGcare i numeri, smunge poi 9 che ella progredisce a trattare di quelle cose che sono sem- pre alla stessa guisa , e non ammettono corruzione e mutazione^ quanto a , con che pare che voglia indicare le idee} Xmicvoa ita ra avtau'r'ov Z9 90tnt'9, aCktif rt xm* Ct'mv ritv Tfox^f**^'^ W9ieyfx%\wy rtv rf ii xaroe rd dura* itoti dvavrt^ ^'*^*^ ^ai oWfVert, 9909 fv* duro^ ^^-Ofv ^ /ufTor- fitlkdw Wtitx9u9i^ 9 9uoiy r^ nnnufAivcti (in Protrept adsimb., e. XXI). E questi soggetti (vvwii/uffyti) a cui sono simili le idee, sembrano essere le sostanze immortali e divine. (a) Plutarco sponendo il concetto di Parmenide dice, che questo filo- fofo riducendo tutte le cose all'uno e sXV ente, non volle gi^ distruggere le diverse nature , come veniva fisicando Colete , ma voleva mostrar quello , onde tutte le nature si rendevano intelligbili , e questa l' idea dell' uno e deirenfe. Il passo di Plutarco preziosissimo per noi; conciossiach egli mostra , come la nostra dottrina intomo all' essere universale sia stata assai chiaramente veduta dagli antichi, e come altro non manc loro, se non di tenerla pura dagli errori, il che non seppero fare, a non pochi errori maritandola veramente, sicch ella si confuse col falso, simigliantea gemma rarissima nel fango convolta. Io pmgo i lettori di considerare il passo ori- ginale del filosofo di Cheronea, che reputo utile cosa metter qui sotto i loro occhi: Tkf NOHTOT iifrtfv it^9^ ({^n ^df 9dUfiX rt xoi* drfifiit. 358 Che anzi non contenti di aver cos abbandonata quella \niota unit j da cui banno dato principio, essi ben presto trapas- sano a convertire gli esseri ideali in sussistenze esterne, e pre- cipitano con ci sciaguratamente in quella idolatria delle idee, a cui abbiamo veduto essere stati addetti i Platonici , eredi di tale errore (i). irV yifurov, ti^ euiro^ f *firxf > xor/ Sfuotov iaur^ noi fxvtfxo tv r^ t^rai) rioru auKopavTttv l'x rff pvvn^ 9 KsXwTwf , xai* r^ qn'fjLart ioJxotv, 00 r^i nr^yftrif^ii Xoyw, dfrXti ^nr "wjvra avctifi r^ tw * Jvort'deTrat top Tiaffitriinv. i ^*apfli#fff fA V^trif99 ^9iy f'xarffoe i* nroiiivq r vfovnxov , ElS MEN THN TOT ENOE KAI ONTOr lAEAN TI0ETAI TO NOHTON. Queste ultime parole dicono senza equivoco, che l'idea dell'uno e del- l'ente quella che fa conoscere tutte le cose. Or questo quel vero che racchiude egli solo tutto il nostro sistema, e che, come apparisce da tali documenti , non si pu dire gi di fresca data , n d' altra nazione , idi e antichissimo , e italiano. (i) Il dottissimo card. Giac. Sigismondo Gerdil tenta di fare l'apologia di Pittagora , a cui non vorrebbe che fosse apposto l' errore d' aver eoo- ertite le idee in altrettante deit, imputando tale errore al solo Platcoei e anco a questo dubbiosamente. wAfTermando Pittagora*, cosi egli, che * Dio^ quanto all'anima , simile alla verit , ne segue per diritta con- Mclusione, che la mente divina fu da lui stimata della medesima natun, M d cui il vero intelligibile , oggetto della sua contemplazione , ed io M conseguenza scevra del tutto di materia. Il che si conclude pt roaniie- M stamente ancora da questo , che la serie ed etema connessione delle te- w rt intelligibili, la qual serie non altro che il numero intellettuale, ve- M niva da Pittagora riposta nella stessa intelligenza di Dio , e non gi in w alcune nature esistenti fuori di Dio ; siccome fece di poi Platone, se ha da prestarsi fede a coloro che hanno seguito Aristotele nella interprela- w zione che questi diede alle idee platoniche m (Introduzione allo studio della Religione, P. I, lib. II, J vui). Se io potessi accostarmi all'opinioDe di questo grand' uomo cosi favorevole a Pittagora, ci mi rallegrerebbe assai, e mi sarebbe nuova prova di quanto affermai , avere Platone pecato per eccesso, e Pittagora per difetto nello stabilire il criterio del vero. Ma l'amore della verit mi stringe a manifestare una opinione contraria; e > porre la divinizzazione delle idee non solo pii!i antica di Platone, ma di Pittagora stesso, non veggendo io modo di purgarne il filosofo di SamOi che ne viene incolpato in tante memorie antiche. I* Questa specie di deit {vonrot* 3'tot') sembra certo che si trovasse presM gli Egiziani. Orale antiche tradizioni affermano, che Pittagora ebbe da questi la sua scienza de' numeri. Potrei recare mohi luoghi di scrUor che d att^ stano. Diodoro Siculo dice, che Pittagora impar dagli Egiziani wtl sermooc sacro, e i segreti di geometria, e la sua dottrina intomo a' numeri (Lih. !) 359 CAPITOLO XXX. CONTINUAZIONE. Segei ci s fa innanzi: egli il filosofo che abbiamo alo a Pitiagora. Questo tedesco fu discepolo di Schei- 3me Platone fu di Pittagora^ ma dipartendosi egli dal i come qui s afTerma , che non solo impar la dottrina de' nu- ancora il sermone sacro, itfw X9ym. Questo esclude la benigna in- ione di quelli che volessero aver Pitiagora tolto bensi dagli Egi- lottrna de' numeri nella sua parte logica ma averla egli rigettata te roeta6sica e superstiziosa. Che anzi di questa dottrina supersti- ta da Pittagora agli Egizj, fanno espressa menzione per poco tutti r che parlarono di Pittagora. Porfirio nella sua vita narra , che Egitto M co' sacerdoti M. Isocrate {in Buside) di pi aggiunge, lendosi Pittagora recato in Egitto , e datosi alla disciplina di que' port primo in Grecia l'altre parti della filosofia, e pose segna- e uno studio maggiore d'ogni altro ne' sacrificj e nelle consecra- be si fanno ne* templi *. Apulejo parimente (L. II. Florid.) ci di- Itagora come dedito alle superstizioni egiziane : Celebriorjama obli" g sponte Pjrthagoram peUisse ^gjrptias disciplinas, atque ibi a sa* 9 cmremoniarum incredendas potentias ^ numerorum admirandas metra solertissimas formiUas didicisse. Qui non solo si accennano llaioni apprese da Pittagora, ma quelle numerorum admirandae virts i numeri stessi implicati in queste superstizioni. noto come I deUe idee fosse legata coli' idolatria degli astri. Or non attestano 3 memorie, quanto Pittagora fosse dedito alle superstizioni del- (ia 7 Non rammenta Porfirio , che w iniziato ne' secreti dell' Egitto |eni all'astronomia e alla geometria per ben ventidue anni (e. 4 )? or di dubbio^ che quinci anche trasse la dottrina delia trasmigra il nostro Vico fa un' osservazione, che mi sembra potersi assai ;ere a dimostrare la somma antichitli dell'idolatria delle idee. Certa lofersi tenere antichissima quella opinione, che si trova passata ara e ne' visceri del linguaggio stesso delle antiche nazioni, senza possa assegnare il quando. Ora Vico pretende, che le essenze fossero chiamate presso i latini Dii immortales, bench egli cer- ime i filosofi ed attribuire l' errore al solo volgo ( Delt anUchiS" enuL ecc., e. IV). Questo prova appunto ci che noi diciamo dei* i dell'opinicoe che le idee fossero altrettante deit, bene, che Gio. Lorenzo Moshemio s' affatica di purgare dalle dolatriche non solo Piltjtgora , ma ancora Platone , e fino gli scrit- Qici. Ma con quale argomento il fa egli ? nou da buon critico : 36o suo maestro 9 fece il viaggio contrarlo, secondo che a mene pare, da quello clie fece Platone partendosi dal suo. Plttagora cominci dai numeri, da troppo poco^ e Platone cominci dalle idee-sostanze , da troppo. Schelling per V opposto cominci la filosofia dal troppo , cominciando dal suo assoluto ; ed Hegel venne diminuendo il soverchio del suo maestro, riducendosi al troppo poco, al suo essere-nulla. tuUo ai riduce a dire, che m non a credere che quegli uomini fossero cm goffi dt non vedere V erroneit di tali dottrine, e che per convien dareu altro significato alle loro parole m. Non parmi che una tal ragione posta bastare: se valesse quel suo arbitrario principio a intendere gli autori d modo al tuUo diverso e contrario alle parole che usano costantemente, noi potremmo fare de' grandi e de' be' lunarj su tutti gli scrittori , ed assol- vere la filosofia de' pagani da tutte quante le stravaganze da essa insegnate e professate. Non ha meditato abbastanza il Moshemio in quelF incredibile ma verissima inclinazione che aggravava gli uomini innanzi al cristanesioM verso r idolatria o la divinizzazione di tutte le cose. Questa un gran frtti che appartiene alla storia della umanit. ( V. Frammenti di una siori Mia Empiet. Milano i834 ). 3.^ N basta, a purgare dall' errore di cui parliamo la scuola di Pittagorii lo scontrarsi negli autori di essa in alcune idee giuste e bellissime rca la divinit. L'errore non che una corruzione della verit. nella scuola italica ci massimamente si avvera, perocch ella d'indole principalmente tradisionale, come abbiamo osservato. Ora qual meraviglia , che framoeffl agli errori rimangano altres i frammenti di una antica verit? Tanto pi^ che al tutto conforme all' umana debolezza il contraddirsi ; e la contrad- dizione l'ingrediente di tutte le umane filosofie. Che poi Pittagora abbia collocate le idee in una mente divina^ ci non basta a nettarlo dalla taoaa di aver divinizzate le idee. Perocch egli noto > che in quella scuola li ammetteva una ragione prima di tutte le ragioni (Xoyew) , che era un altro dio (^saVffoy Mf) : ma questo dio poi veniva descritto come una coogori^ di dei minori i quali come sue parti il formavano; concetto a dir veroi mostruoso. Altri poi spiegarono in altro modo la sentenza pittagorica , do ehe il dio (Xt^^v) primogenito creasse o emanasse egli da s gli altri dfi intelligibili (le idee divinizzate). Cosi Plotino: r il qual dio generato geocv I seco insieme tutti gli enti , tutta la bellezza delle idee , tutti gli dei ifli** t ligibtli; y9fSfitP99 ii Hn rat Srrft 9W avrtS yipfitotti , DAN MEN 1^ TOM lAEnN KAAAON DANTAE AE BEOTE NOHTOTE. Converrei** adunque prima dissipare dalla memoria di Pittagora tutte queste nebbia' che la reodono , a dir vero^ non poco offuscata senza che si rimanga tut* tavia dall'eiier grande il suo merito nella parte puramente filoicficti * logica. lui Prima che io esponga il sistema di Hegel, debbo fare una ooservaiiome sul carattere generale della scuola tedesca. Questa osservazione V bo io gi toccata alla sfuggita , par- lando di Scbelling. I filosofi alemanni banno una grande potenza di mente, e hanno un bisogno di sollevarsi sopra le cose sensibili, e mu- tabili: essi tentano, con isfor/i erculei, di giungere ad un punto fermo, ad un incondizionato, in cui la filosofia trovi ad un tempo e il principio, e la vita, e la sicura quiete. Ma perch non poterono per mai giungervi? Panni di vedere nelP intimo seno della filosofia alemanna la cagione di ci. Questa filosofia eredit dal lockismo pi che non si crede comunemente, o che non dimostci la lingua solenne da essa adoperata. Io V ho gi altrove osservato. Ma il legato fatto dal lockismo alla filosofia alemanna, il legato divenuto un fedecommesso in quella filosofia si (ninno si stupisca di ci che dico, o lo rigetti prima di avere ben inteso il mio pensiero) si di non uscire mai quella filosofia interamente dal soggetto, e di ammettere per cosa certa, e non bisognevole di prova, che il sapere sia una produzione o modificazione del (Oggetto pensante 99 . Questo chiamerollo io il pregiudizio della filo- sofia alemanna, la quale ove giunga ad avvedersi di questo ospite entratole in casa illegittimamente, e di furto , sar quel d l'epo- ca, che prender un nuovo canmiino ampio, luminoso, salutare. Nella critica che Wilelmo Krug fa a Giorgio Hegel, dopo aver detto che questi mantiene, che V essere sia puro concetto y cbe il pfuro concetto sia il vero essere^ aggiunge, che per fin i ^ non ha mai dimos^ata questa unit dell'essere e del con- f cetto, u o sia (come propriamente dovrebbe dire, essendo il concetto una produzione dello spirito pensante) fSi^ essere '^ e del pensare " (i)- Ecco come si ammette da Krug fuori d'ogni controversia, che il concetto sia una produzione dello spirito pensante . Tutto P idealismo trascendentale fondato ^ questa gratuita supposizione. Ho gi osservato , che Schelling {)arti da im pensare senza oggetti^ che pi veramente un f (i) Vedi F opera Allgemeines Handwoerierhuch der philosophischen WusenschafUn all' articolo Hegel, Rosmini, Il Rbmovamento. 4^ sentire y un soggetto, un soggetto che s oggettiva ^ com'egli dice : indi trasse il suo assoluto. Or dunque il vero riman sem- pre Tatto di un soggetto, in qualsivoglia modo altri cerchi di mantellare o anche di negare espressamente questo peccato. Hegel medesimo dichiara , che P essere da cui egli parte il pensare (i): ora il pensare indica sempre un aito , e non un oggetto : un atto poi appartiene sempre ad un soggetto quand^anco si trattasse del primo ente ove V atto e il soggetto sono immedesimati. 1 fi- losofi tedeschi hanno una maniera di dire, che a noi manca, per indicare quella operazione supposta dello spirito, colla quale egli produce un proprio modo ^ che poi il suo oggetto^ e se noi dovessimo tradurla verbalmente, dovremmo inventare una parola nuova , la qual sarebbe u oggettivarsi " ^ che altramente direbbesi u V operare che fa V Io in modo da produrre di se nn oggetto n {obiectxdren des Ich ^ obiectiviren Tlmn des Ich), Que- ste maniere usate anche da Hegel e originate dal criticismo, inchiudono Terrore di cui parlo, perocch suppongono cbe gli oggetti del pensare sieno produzioni dellVo, e che P in- tuizione degli oggetti si debba ascrivere tutta all'attivit delirio stesso. Esse adunque sono false in s stesse^ e la filosofia in Germania non si rimetter sul buon cammino, se ella non si sveste di queste maniere di dire e di pensare, che la legano e la incatenano al soggetto con de^ ceppi ferrei, infrangibili. ^ Io sottometto agli uomini dotti della nazione germanica questa osservazione, che credo importante, sul carattere della (i) Hegel dichiara che h si dee prendere la parola pensare in senso as- r soluto come infinito , separato dal limite della coscienza : in una pirob pensare , pensare come tale m ( fVissenschafl der Logik. Einleitung. ). Ma io ben intendo come si possa concepire un pensare senza averne cosdenta; perocch ad aver coscienza del mio atto, io certo ho bisogno di ima riflessione diversa dall' atto stesso. Non posso per intendere n concepire n pure per qualsivoglia astrazione r un pensare * che non sia uo atlo: perocch il pensare essenzialmente un'attivit; e un'attivit non si pu concepire sensa una relazione col soggetto o principio dell'attivit, ift ratto non si pu concepire senza F agente. Per il partire w dal pensare* per quanto astrattamente esso si prenda, sempre partire da un atto di sb soggetto, partire da cosa, che involge essenzialmente una relazione ad un' altra cosa , ad un soggetto agente. Indi che la filosofia germaoici ooo si pot mai liberare, come dicevo, per quanti sforzi ella facesse^ daOa li* mitatione della soggetUi'ii, 363 ilosofia tedesca, acciocch ne giudichino. Gli stranieri non lossono proporre che conghietture^ i nazionali hanno di- itto di decidere se rettamente fu intesa la mente decotti lei proprio paese. Tuttavia ponendo il criterio del vero, io ho collocato Ichelling fra quelli che il posero nell^ oggetto , e non nel sog> jetto^ e ci m^ paruto di poter fare, poich a malgrado d lovarsi egli inceppato dalle tradizioni del criticismo entrate le^ visceri della nazione tedesca, egli per fece degli sforzi ttmordinarj per liberarsene, e se non giunse a farlo intera- mente, il che era pressoch impossibile ad un uomo, giunse per I contraddirsi, il che in tali circostanze merito. Dico che merito per lu il contraddirsi , perocch un arrivare almeno in parte alla verit. Egli part alVidea delTiissoluio ^ questuer partire dall'oggetto^ egli trov questMdea considerando il pen* are spoglio da' suoi oggetti, quest' era partire dal soggetto : la contraddizione adunque manifesta: ma io mi attenni alla prima parte della contraddizione, alF oggetti wt deiridea del- l'assoluto, e lasciai andare il rimanente, perocch la prima la pia onorevole al suo autore. E a maggior ragione io credo di collocare l'Hegel fra quelli che posero il criterio del vero nell'oggetto (nelle idee): seb- bene la soggettii^it non cessi d'accompagnar sempre le sue pa- iole e i suoi pensieri, per quantunque dichiarazione in conti*a- rio egli ci faccia. Ecco adunque com'' io concepisco la sua dottrina. Fichte avea tratto tutto dal soggetto^ dall' /o, senza nascon- lere questa derivazione soggettiva della sua filosofia, di cui i?ea avuto il germe in Kant. Schelling fece un passo verso V oggetto ^ dicendo, che conve- dva, volendo porre solidamente il principio della filosofia, ollevarsi tanto sopra l'oggetto come sopra il soggetto, venire ol pensiero ad na^ idea (questa parola tradisce l'autore), dove ! difiierenze del soggetto e dell' oggetto fossero disparite , rag- oaglate in una perfetta identit. Tale fu la critica fatta a Idite, nella quale si vede, che Schelling cerca pure di sfuggire soggetto, sebbene ugualmente pensi di doversi allontanare da gni oggetto. Ma con tutta la buona volont di lasciar da parte 366 M sia UI1O9 II tempo sia uno. la coscienza sia di uno. Indicate u ora come uno di questi tre uni in s stesso si moltipliclii r>(\). Mancava dunque nella ragione pura di Kant il principio del ragionamento, che suppone una pluralit, una moltiplicazione, delle differenze, e per non si potevano dare giudizj sintetici a priori. Conveniva adunque cercare un* idea prima , la quale non fosse cos sterile, ma feconda , e nello stesso tempo semnlice: queir idea dovea contenere in s il germe di tutto Io sviluppo scientifico^ ma quel germe non dovea mostrare differenza al- cuna, alcuna moltiplicit. Il pensiero di Hegel in traccia d^una tale idea si ferm^ credendo di trovarla, in quell'istante, in cui comincia Toggetto a formarsi nella mente: egli vide, o gli parve vedere In qael punto semplicissimo unificato Voggetto e il soggetto^ il pensare e Vesserei vide oltracci il cominciamento delP essere stesso, perocch questo essere in quel primo atto che la mente lo concepisce. Ma tosto che Pha concepito, quel primo momento cessato, e trovasi oggimai distinzione dell'oggetto e del sog- getto, trovasi determinazioni, limiti, differenze: cose tutte, cbe in quel primissimo tempo ed atto non sono distinte. Considerando adunque Tessere nell'atto del diventare (werden)^ (e Tesser diventa nel concepirsi, giacch siamo sempre in QS sistema d'Idealismo), egli trova delle proposizioni assai para- dossali, come quella che V essere s'adegua al niente^ e il nifftt 2Vessere; e tutti due si trovano uniti in quell'atto onde l'es- sere comincia o cessa. Non sar inutile recai*e qualche luogo di questo pensatore. Il comlnciamento , dice in un luogo, non il puro nulla% tf ma un nulla, da cui dee uscir qualche cosa: l'essere adun sapere sia il puro essere^ e il puro essere ia il ^11710 sapere: un sapere-essere in perfetta unit, nel nomento del cominciare : e quest^ unit dell^ essere e del sa- xre , e non ; perocch ci che comincia non ancora, se- rond il detto scolastico, in actu actus nonditm est actusj e tut- titia egli , perch non niente, nel senso volgare di questa rola. Tale, secondo il filosofo di Berlino, Tidea prima di tutte: m^ idea feconda , che ha una sintesi a priori in s stessa , un nonmento, il principio di ogni essere, e di ogni sapere: in Ma per contenuto anche T assoluto vero. Oli non vede , che un tale sistema tende pi tosto a stabi- iie qual sia il valore metafisico della verit, che a dame un riterio per rinvenirla? Or troppe cose si potrebbero osservare a proposito di que- to sistema. Restringiamoci alle principali. I.* Mi pare al tutto gratuita la proposizione fondamentale ti medesimo, che a essere e niente in fatto riescano al me- ttimo9 , ovvero, che u non ci abbia cosa che non sia uno stato i mezzo fra essere e nulla 9 (i): proposizione ch^ egli vuol era applicata a tutto senza eccezione , perocch dice espressa- kc&te: a Si dee dire delFe^^er^ e del niente quello stesso, che sopra fu detto del? immediato e del mediato sapere, che iggetio dalla mente ( convien sempre riflettere che siamo neil' ideab'smo ) , quindi chiama nulla ^ o annullato V ideale ^ il pensiero a cui stato 8ot itto l'oggetto, r Ci che si annulla , die' egli, non diventa nulla m (Ivi): ol dire che nel concetto di ci che stato annullato s' inchiude la rela- me con ci che prima era , e per non un puro nulla , senza relazione. (1) Scienza della Logica, L. I^ Sez. I^ e. 1. Dagegen isi aber gezeigi men^ dass Sejn und Nichls in der That dasselbe sind, oder um in jener adite zu sprechen, dass es gar nichts giebi^ das nicht ein MittehmUmd isch$n Sejm und Ifichis ist. 368 nulla v^ha In cielo o in terra che non contenga in s Tes* M sere e il niente (i). Questa proposizione non solo gi*atuita , ma falsa. Pare che V Hegel tema, che dalla sua contraria provenga un pan- teismo j o pi tosto uno spinozismo ^ perocch (cosi parmi che egli seco ragioni) se noi lasciamo solo Tessere, senza pi, egli non pu produrre un diverso da s ^ rimarr dunque una sola so stanza, con certe modificazioni (2). Ma il ragionamento non tiene. L^ Hegel non si solleva abbastanza sopra il tempo :ifa quanti sforzi egli faccia colla sua mente , ragiona sempre rin- serrato dentro la chiostra delle cose temporanee, dentro la quale solamente il suo principio vero. AlPincontro ov' egli con un pensare veramente libero dalle condizioni accidentali, si fosse trasportato al di l delle limitazioni del tempo , come hanno saputo fare molti altri antichi pensatori ^ ove fosse giunto col meditare, in una vita interminabile, perfetta, posseduta tntta insieme senza divisione, senza successione (3) ^ egli avrebbe al- lora agevolmente conosciuto, che il mutare delle cose contin- genti, il loro crearsi , il loro modificarsi e tutto accolto ed im mobile nella divina eternit : quivi tutto fatto quello che si fa^ quivi non si fa mai nulla di nuovo, e il nuovo non clie ima relazione che si trova nel tempo, la quale nella eternit pur essa etema. Per non punto necessario Timmaginare, che si mescoli il niente colla divina essenza , e che anche io questa si trovi il diventare, che ella stessa sia questo diventare, e che nel solo diventare v^ abbia V assoluto : quando anzi Id- dio non si pu confondere colle creature, appunto perch queUo 7 a parlare colle altrui frasi, non mescolato col nulla , col quale sono essenzialmente mescolate le creature. Che poi FHegel non mostri un pensare libero, ma vincolato (i) Scienza della Logica , L. I^ Sez. I^ e. i^ 6. (a) r La filosofica considerazione che afTernia , essere non essere ^^ w che essere , e niente non essere altro che niente ^ merita il nome di s- ^ w stema d'identit. Questa astratta identit l'essenza del panteismo ^ I,. Scienza detta Logica , h,!, Sez. I ^ e. i ^ G. ^ (3) la celebre definizione dell' eternit di Boezio : InterminabiUs viUf ^ iota simul et perfecta possessio. 36g u^cora colle condizioni del tempo e dello spazio , apparisce da Bolti altri latL Egli accennando i sistemi che hanno qualche agnazione col suo, parla del Buddaismo, nel (piale, dice, u il K nulla manifestamente il vuoto, TassolutO): parla della sen taua di Eraclito, che Tessere quanto il niente^ che tutto u scorre, niente , tutto si fa continuamente y> : parla de^ pro- rei])) orientali, che tutto ci che , ha nel suo nascere il germe del suo morire, e che la morte e la vita rientrano Tuna nel-* M Paltra n. Egli non vede in queste maniere di dire, e in jnesti sistemi altro vizio, se non quello, che non sono astratti athasfan/a, e che fanno succedersi il niente e Tessere, in vece di contemplarli insieme nella unit (i). In altro luogo trova la sua unit delP ess^^ e del niente Bq^' infinitamente piccoli de' matematici, grandezze, dice, che R considerano u nel loro svanire , non avanti il loro svanire , perch allora sono finite grandezze , non dopo il loro sva- niie, perch allora sono niente. C!ontro di questo puro con- cetto fi opposto e sempre ripetuto , che queste grandezze o tglio dire nel tratuto De Nihilo geometrico di Giuseppe Torelli. Sembre- bbe potersi inferire da alcuni luoghi dell' Hegel , che al filosofo tedesco sie stato noto il filosofo veronese. R0SM191, // RiuiovamciUo. 4/ O'JO della dmribilit infinita dello spazio, e delPinfinito crescer iil numeri che appartengono alla successione del tempo^ questi prin- cipj ipotetici poi non trovano aperta contraddizione nella con- tinuit fenomenale di esso spazio e di esso tempo , e per sono ammessi come de^ postulati. Ma la continuit dello spazio e del tempo non ha veramente il numero infinito che in potenza, e non mai in atto^ e per quelle ipotesi, che si pongono in fonna di postulati, non hanno in s metafisica ed assoluta verit, ma solo una verit condizionata , relativa , ristretta dentro i limiti prescritti dai principj supposti per concessione, e nulla pi^ Erra dunque V Hegel manifestamente, quando vuole applicare a tutto un concetto, che non pu appartenere se non alle coae soggette alle leggi fenomenali del tempo e dello spazio, ed alle supposizioni concepite dal matematico come possibili, cio a dire, come non contradditorie a quelle leggi e a quelle condizioni prestabilite. a.^ Di poi, V essere delP Hegel, considerato nell^atto del ivntone^ non prima, n dopo, non somministra veramente un con* oetto diverso da quello della materia prima degli antichi, una cosa al tutto in potenza. Or questo un^ estenuazione troppe grande delPassoluto di Schelling, questo un principio che pecca per difetto , un principio dal quale non si potr mai dednne n le altre idee, n le cose. Invano egli ci dir che nel con* cetto stesso c' il movimento, che c', com''egli la chiama, T quietudine (i): una cosa che non ancor fatta, che pari a nulla (ti), ha bisogno di un altro principio che la renda qualdie (i) Questa parola r d' iuquietudine m viene adoperata spesso dall' Hegd per esprimere quel conato di venire a sussistenza , che involge il coocdto dell' eiicrs considerato nell'atto del diventare. (2) In un luogo dice, che facile far capire che Tessere il quale a i fc posto al cominciamento della scienza niente , perocch si potrdibe fc astrarre da tutto, e quando si ha astratto da tutto, resta il 0161110 {Scitm%a della Logica, Lib. I^ Sez. I). Ma io dico, che vi hanno due specie di astratti. Noi formiamo certi astratti in modo, che restano ndh Doatra mente soli senza relazione apparente con altro : certi altri non sono propriamente astratti , ma sono pi tosto cose che consideriamo astrtl* tamente, cio sono astratti tali, che non ci restano mai nella niente ita* lati , ma involgono seco una manifesta relazione con altro, a cui non hi- diamo coA espressamente. Ora io capisco benissimo , che posso sslrant 3 % li 3yi cosa, come la materia prima, che potea esser fatta ogni cosa, ifea InsognoM^un altro principio che la facesse ogni cosa : non posaamo aduncjue in tal concetto evitare un dualismo, cio un Bstema di due prindpj. 3.* L'unificazione AtW essere e del sapere^ in cui Hegel fa consistere l'assoluto Tero,non ha mai luogo. Perocch, secondo Q filosofo tedesco, F unit si fa talmente perfetta, che vien di- itnitta ogni difierenza tra essere e sapere j i quali vengono perfettissimamente identificati (i). Ora nello stesso concetto di Dio, (piale il pu dare una metafisica cristiana (che anche h|n& sublime insieme e la pi razionale, cio pi coerente ditatte), sebbene il sapere essenziale e Tessere divino siano per* ftttamente unificati n ci abbia veruna differenza, tuttavia hwnoscibil dell'essere divino, o sia il Verbo ^ bench indi- s6ito dalla divina essenza, per realmente distinto dal suo finitale principio, che si potrebbe dire in qualche modo la nelk del divino essere considerata in relazione colla conosci" d primo modo da tutti gli oggetti determinati del pensiero , e concepire I pensiero che non abbia per suo oggetto se non V essere al tutto inde- tmiiato y il che non gi niente; ma io nego all'incontro, che si possa Mlnrre anche da questo essere oel primo modo. Se io mi sforzo di oon- npire V aUo del pensare privo affatto di ogni oggetto o sia determinato o n indeterminato , in tal caso questo mio concetto solamente un astratto leoondo genere , cio di quelli astratti che conservano un' intima re- IttioBe con altra cosa , bench essa non si faccia entrare nel calcolo. Perci pitr benissimo concepire Y astratto pensare , ma sottintendendo sempre per eh' egli abbia un qualche oggetto , sebbene questo oggetto io lo tra- ciiri, e non parli che dell'attivit pensante. dunque impossibile far par- lila la filosofia dal pensare al tutto vuoto di oggetti : la mente che s' af- BlM ndA' essere indeterminato non priva di oggetti, come l'occhio che lide sola luce non privo di visione , sebbene niente efjii miri di limitato sdi determinato. Quando poi fosse possibile > il punto di partenza rmar- nbbe sempre soggettivo, perch pensare essenzialmente aUo di un soggetto, (i) r Nella definizione delle cose finite differente^ concetto ed essere, concetto e realit, anima e corpo m (che c'entra qui anima e corpo? IMSta una caduta dal generale metafisico al particolare* fisico, il che nostra ci che diceva, che Hegel non ha un pensare abbastanza li- lero ); sono cose separabili, quindi passaggere e mortali (anche V ani- Mi?). L'astratta definizione di Dio all'incontro viene appunto qui, che il suo concetto sia concetto ed exsere inseparabili, e inseparati {Sciciua dia Logica g Lib. I, Sez. I, e. i.) bilit^ e non In s stessa , cio non in quanto quella realit ap partiene alF essenza. Era necessario che il filosofo alemanno si fosse sollevato fino a queste altezze^ volendo egli dar fondo alla scienza della Logica nclPaspetto In cui la prese : altezze a dir vero, in cui Pumano filosofo pu sperare di pronunciare pi tosto sentenze che non si contraddicano, di quello che sentenze che pienamente s^ntendano. 4.** lu essere evanescente ^ che V oggetto evanescente in unit coir o/to della mente evanescente pur egli, un concetto, che sembra semplice a prima giunta, perocch si ridotto il sno con- tenuto al minimo possibile prossimo al nulla. Ma questa ma* niera di stimare la sua semplicit, pi tosto matematica die metafisica : una stima simile a quella che si fa delle gran* dezze estese e de^ numeri, e non una stima di quelle che si fanno de^ concetti e principi logici ^ i quali si dicono sempUd , non quando il loro contenuto semplice o nullo, ma quando non involgono altre concezioni in s , n esigono pi atti dello spirito, e sopra tutto, quando non suppongono altri con- cetti ed altri principi dinnanzi da s. Or V essere di Hegel suppone per certo un cotal sistema d^ idealismo , e molte altre proposizioni preliminari, come quella che ho accennato, che le idee sieno produzioni del pensare^ le quali sono ricevute in Germania senza esame, ed influiscono secretamente nel sottik lavoro di quelle Filosofie. 5.^ Finalmente non si potr mai collocare il vero neWessen concepito da Hegel , perocch non pu servire per misura H vero altro che Tessere ideale ^ a cui si raffronta e commisoit Tessere reale. Ma n Tuno n T altro di questi sono in aito nelFesseredell^Hegel^ ma solo in potenza^ sicch dell' essere reak V ha troppo, sebbene v^abbia xm infinitamente poco, e ddFIdeak troj^o poco appunto perch v^ha un infinitamente poco. L^ uniti di Hegel rimane adunque infeconda, appunto come quella Pittagora, per eccesso di astrazione : sebbene quella di Pitta- gora era un celibe, dir cos, del mondo ideale-, quella di H^ gel un celibe che vive in sul confine de^ due mondi , delTi- deale e del reale. . Ma qui basti : queste poche osservazioni io non intenwF lanto rivolgerle ai miei connazionali, quanto di sottoporle) 373 come dicevo, alla meditazione e al giudizio de' profondi filo- 9ofi della Germania. CAPITOLO XXXI. ESPOSIZIONE DEL VERO CAITEBIO DBLUL CERTEZZA. Tali furono i pensamenti de^ filosofi intomo al criterio del imo; parte de^ quali volsero il loro studio a cercar puramente mi indizio ossia una tessera della verit, parte si approfondarono ndla ricerca dell^ essenza stessa della verit. Manca a compire tale sposizione ancora un sistema, quello che io proposi nella Soione VI del Nuovo^ Saggio sull^ origine delle Idee n , so itoiendo io, come a me parve, ufficio d^ interprete di un'aia tMitenitift nostra e sommamente venerabile tradiaone. n mio criterio un di quelli,clie intendono a fissare^ quid sia Vessenza della verit; e per esso appartiene al secondo de^ due (nndi generi di crterj accennati: appairtiene a quel genere che pone il supremo criterio nelle idee* Ftbl tutti i sistemi poi di qiesto secondo genere, quello che io proposi si trova occupare tti posto di mezzo^ sicch gli altri, ragguaghati a questo, si fiidbber peccare or di eccesso , ora, come vedemmo, di difetto. Conviene attentamente riflettere, che quando si parla di egniziomy vere o false che siano, noi siamo sempre nel mond ideale, o certo mentale^ e per , che se si d un criterio del Vtto, questo non pu cercarsi, e non pu trovarsi se non in quelle Me che passano nella mente. Conviene attentamente riflettere, die il mondo reale ^ il mondo delle sussistenze finite, non co- (luto per s stesso; di maniera che non assurdo pensare die il mondo , quanto alla sua real sussistenza, rimanga anche seniuno lo conoscesse (i) Il mondo reale ha bisogno dun- (i) Dico questo quanto al primo concetto che noi ci formiamo del mcmdo Vterore. G non toglie che esaminando noi a fondo un tal concetto ccdla fj/ktsitme, perveniamo ad una opposta conclusione , cio a rilevare , che le cose materiali brute non potrebbero essere senza che vi fossero delle cose tnsiiive^ e generalmente niente potrebbe sussistere dove non vi avesse delle COH intellettive. (Yed. Prmcipi Mia Seiema a^rvi^ Gej^ II, Art. I). 374 que di una mente per essere conosciuto ^ e per nella mente ditegli riceve luce, intelligibilit. La cognizione adunque! una cosa al tutto mentale ^ appartiene all^ ordine delle uln in cui si risolvono tutti i giudizj e i raziocinj : in queste sol adunque pu esser la verit ^ P essenza della verit, poich ii queste risiede la cognizione. Conviene ben riflettere ancora, che il sentimento stesso ap Jiartiene al mondo reale ^ o per dir meglio, lo costituisce (i) per non cognito per s stesso, come abbiam gi prima di mostrato del mondo reale, ma anch^esso viene conosciuto ud mnte, e per la mente ^ cio mediante le idee^ che sono ndl mente, qualunque cosa poi sieno queste idee. Volendo noi dunque cercare V essenza della inerita , la piio ^verit, che dee essere il criterio delle verit particolari, che so tali perch di quella partecipano ^ non dobbiamo, e non pot siamo uscire dal mondo ideale. Il cercar dimque un princ^ che sia ideale e reale insieme (sebbene queste due cose so possano essere giammai del tutto unificate), potr esserci otil per V ontologia^ dove si cerca di dar ragione del cominciai delle cose^ ma non menomamente opportuno per la /ogo, pecialmente per la questione del criterio della certezza ^ e no farebbe se non involgerci in ispeculazioni tanto pi coo^ cate ed inestricabili, quanto pi P ingegno nostro fosse potenti CSonciossiach un tal principio introdurrebbe un elemento ete rogeneo, il reide^ che non ha a far cosa alcuna coU^ della verity e che non farebbe altro ufficio che quello di sostanza crassa la qunle si mescolasse colla luce, e ci veiufli con essa insieme negli occhi. Convien dunque risolvere una questione alla volta, e aa avvilupparne molte insieme, per troppa fretta di ris])ondasi tutte. da cercar prima il criterio del vero nel mondo ite le^ di poi da mostrare come egli sia atto a farci conoscer con certezza tutte le cose reali. Gonciossiach la questione de criterio diversa da quella dell^ applicazione di questo crlB rio alla conoscenza del mondo reale. E questo ci pare boi ti (f ) La materia non si percepisce da noi se non od sentimenlos cU f^ ella un eoCal Umite e un principio che lo modifica. 3jS mxe basterolmente atrertito il C M. Non affarando egli bene i distinzione di queste due questioni, e volendo pur sod* lisfiure a tutte due con una sola risposta, si sfon di stabi* ire un nesso necessario fra le idee astratte e le cose , del qual lesso necessario abbiam gi dimostrata la falsiti. I tedeschi jurimente mescolarono, per la stessa impazienza di risolvere Atti i gruppi in una volta, VoUohgia e la logioaj ilsoggettivo iFoggettivo. Io credo all^ opposto importante assai al filosofo, che cerca il criterio della certezza, badare bene a^ limiti della questione^ ed intendere , come ella appartiene intieramente, per dirlo di Doim), al mondo ideale, perocch ella appartiene al mondo deik conoscenza^ e come la relazione della oonoscenMi colle mata A spetti interamente ad un^ altra questione, cio alla foeitione che versa intomo al mdo di applicare il crite* rio alla formarione e verificazione delle notizie degU esseri reali PtaMSse queste cose , dico che V ometto pensato come pos-- dUhj ci che costituisce Videa. E per se il criterio A fBO dee essere nelle idee, infallantemente avr la forma di aggetto. In vano si dice da^ tedeschi, che questa forma di og^ getto limitata , che esclude qualche cosa perch esclude il leggetto, e che conviene sollevarsi ad un principio che non ti u oggetto n soggetto , ma il talamo per cos dire di en* trttnbL Io confuter di nuovo pi sotto questo errore con ie^ alimenti diretti. Voglio intanto solo &re osservar di BOOTO quello che gi dissi, cio che il soggetto non che un mtmento sostanziale ^ e che per egli incognito per s, come sono incogniti per s tutti gli altri sentimenti. La sua conosci" lata dunque non egli stesso, ma qualche cosa diversa da fan: per in questa cosa da lui diversa , in questa conoscibi- Hnk sua si dee cercare anche la certezza che noi di lui aver poniamo. Il soggetto adunque viene eliminato necessariamente daDa teoria della cognizione e della certezza, come tutte le dtre cose che si debbono conoscere, e che non sono in s Messe conoscibili. Noi dobbiamo partire dalle sole cose cono uibili per sj perocch elle sole sono quelle che ci fanno co- noscere tutte V altre ^ e queste cose conoscibili , o pi tosto cognite per s, sono le idee'^ e le idee non sono che la cosa 376 nella sua possibilit, oggetto dellMntuizione dello spirito. Egli dunque in questi oggetti, s come quelli che sono le cose per s intelligibili , come dicevo , che bassi a cercare la natan della cognizione della verit, della certezza, e il criterio. Ponendoci ora a studiare V intima natura delle idee , e t raflSxmtare le une colle alb*e (senza badare alla loro prore* nienza), noi ci accorgiamo facilmente, che ve n^ hanno di pia e di meno nniversaU , di pi e di meno determinate : noi d accorgiamo, che le meno universali sono comprese nelle pia universali, le pi determinate nelle meno determinate: noi d accorgiamo , che, a ragion d^ esempio , nell^ idea di annak comprendono tanto i lupi quanto i cavalli , tanto i pesci quanta gli uccelli, e in somma tutto ci che compreso nelle idee delle specie e delle loro variet. V^ hanno adunque delle idee che dipendono da altre idee*, le idee minori dipendono daBe idee maggiori. Cosi io non posso sapere che cosa sia un liipo^ o una trotta , se insieme non so che cosa sia un animale^ giac- ch la sola vista del lupo o della trotta non gi ima cognH nonej ma una sensazione^ la quale per s appartiene alle cote non conoscibili in s stesse, ma conoscibili per mezzo d^ altre. ll^ opposto non niente impossibile , che io sappia che cosa sia animale , rimanendomi tuttavia occulte molte specie di ant- mali. La idea pi universale adunque mi abbisogna di neoe* sita, perch io abbia la meno universale: Pidea meno m* versale adunque ha la sua conoscibilit e la sua luce neUa jj universale. Chi pervenuto a fare queste riflessioni, e ne ha ben in- teso il valore, egh gi sulla strada che conduce all^inves- zione del criterio della certezza , che non altro che la prmi dea^ quella che conoscibile per s, e dalla quale ricevono tutte le altre la loro conoscibilit , non altro che la pan luce. Non dee trovar difficolt il filosofo ad ammettere che Fidea universalissima la conoscibiUt delle altre tutte, pensando dN quella differenza , che sta nelle idee minori , sembra non nud potersi conoscere mediante le maggiori. Per es., egli non dee mica dire a s stesso : se si ammettono alcuni astratti, non si pu pi negare anch r astratto del puro essere. Noi ci appelliamo sempre all' servazione immediata della cosa, la quale la nostra goid perpetua. Io bramo che gli uomini imparziali osservino ben come avviene il fatto della conoscenza, e converranno mec sicuramente, che la conoscenza non altro se non il pensici deir essere della cosa, il pensiero delP essere delle sue deCfl niinazioni ecc. , in somma sempre il pensiero delP essere. L^e sere adunque la luce conoscibile per s stessa: Pesseit quella idea sommamente universale che rende conoscibili toU le idee inferiori, tutte le differenze^ le quali non sarebbc conoscibili per s stesse, e rimaiTebbero occulte, quando andi tssie operassero e lasciassero qual si voglia impressione in m spirito che non vedesse Tessere: Tessere dunque illumina 1 diverse gerarchie, e quasi i diversi cieli delle idee, comuni cando il suo lume e trasmettendolo dall'una idea alTaltn r altre idee poi non fanno che rimbalzare la luce, per oof dire, ciasctma a quelle di una sfera inferiore, fino che oolk ultime idee e pi prossime ai sentimenti, vengono illuminiti e fatti conoscibili i sentimenti stessi, e con essi insieme lakfc materia , che V universo esteriore e insensitivo. Io per me ritengo , che una tale teoria non possa essere ri- fiutata se non da coloro che non la comprendono \ e che non possa non comprendersi se non da coloro che non sanno os* servare dirittamente e immediatamente il fatto del conoscere, e che alla semplice osservazione che loro manca , vogliono so- stituire una speculazione e un^ argomentazione vana ed vor portuna. S79 E nello stesso nostro C. M., ci che io trovo di dover de iderare non gi un pi complicato ragionamento^ anzi solo ma pi attenta osservazione. Egli ammette come principio primo quello di contraddizione, t non si accorge che nel suo libro esso un fuor-d^opera. Il vmcipio di contraddizione nel libro del G. M. un rottame ii un^ altra filosofia: la sua fabbrica delP intuizione imme* Eata non lo riceve, non saprebbe dove collocarlo. Io prego air incontro chicchessia di considerare come questo pincipio si affaccia bene alla teora sopra esposta, e come anzi eoatenga tutta quella teora nelle sue viscere. Il prncipio di cntraddizione dice : ci che , non pu non essere. Che cosa ugtme d che ? L^ essere. Che cosa esprme ci che non ? H non essere. Che cosa dice adunque tutto insieme il prnci- pio di contraddizione? Che V essere esclude il non essere. Come a pu sapere che Tessere escluda il non essere? Mirando nel* FeMort col pensiero, e badando quello che include e quello dw esclude. L^ essere adunque mirato dallo spirito (il che ^jiuito dire Pidea dell'essere) quel solo che ci fa sapere coiDe il non essere sia essenzialmente escluso da lui : e per il pincipio di contraddizione non si pone in atto che dalPif- ^idone deW essere. Perci V essere antecedente al prncipio di cantraddizione nella nostra mente, e il principio di contraddi-* sbne nasce da lui , tostoch in lui affissati noi ci accorgiamo tbe il non essere ci che gli dirttamente contraro. Or chi non vede qui che la vista delF essere la prma luce ti nostro spirito, e il fonte di tutti i principi del ragiona- Mito? Chi non s^ accorge, che da quella vista esce Pevidenza questi prncipi ? e che per V essere puro veduto da noi il ^nremo crtero della certezza? CAPITOLO xxxn. COHTINIJZIOVB. N io ho proposto questo sistema s come cosa nuova, una ^osa mia. E^li giace nel foudo delle tradizioni migliori del- ' umana sapienza , e il cristianesimo V ha ne^ suoi visceri. 38e Che adunque ho fatto io, si dimander? Forse nient^ altro che raccozzare i frammenti sparsi di un tal sistena ^ fors^ anco solo svestirlo , denudarlo da ogni in , chia- mando questa dottrina T Apice della Teoria (i)? Ugualmente quelli che avranno posto attenzione a cono^ scere la natura, la tendenza, il genio volea dire, del patria filosofare, potran dire, se il sistema nostro non sia d^ indole veramente italiana. Se non che molti nobili concetti sono de-* positati a libri italiani, ma ivi stanno a vergogna nostra iniH tili, come ricchezze chiuse nelle casse, non poste in circolft* zione. E a quanti de^ miei lettori sar noto per avventante che in un libro stampato presso di noi cinquanta o sessao' t^ann^fa^ si legge senza ambiguit alcuna, che m V intelletto non saprebbe pensare ad un essere particolare, se non ^ M fsse presente V idea delP essere in generale^ n saprebbe tf la volont amare alcim bene particolare, se portata noa fosse all^ amore del bene in generale 7 Non questo ap* punto che noi diciamo? Pure le parole riferite ognuno pu trovarle in un Ragio- namento di Vincenzo Chiavacci (2). (i) Vedi fra le sue opere l' opuscolo intitolato De apice theorim (a) Sopra un saggio ddla grandezza di Dio mani/statoci dalU sug arsi Ma di colali luoghi de^ nostri scrittori ci verr opportunit Itrove d^ arrecarne ben molti. Ora qui non ci abbisogna in- dugiare. CAPITOLO xxxm. n. XMIHI E IL ROMAGNOSI FATTI GIUDICI DB^ PROPKl SISTEMI. Credo adunque, per rimetterci in via, che nella premessa espo- bne de^ principali sistemi intomo al principio della certezza, non sar difficile a rilavare che luogo occupi quello del nostro CH., e come egli stia pur lontano dal potersi ricevere per criterio primo e supremo. Per abbandono le riflessioni, che si poison fare sulla descritta tavola, e sid valore comparativo de' sistemi in essa registrati secondo il pi basso o il pi alto porto che occupano, al senno di chi legger queste carte. Io procedo volentieri ad altro. Conciossiach parmi dover OKre prezzo dell^ opera P istituire qui un^ investigazione al- quanto curiosa ed ardua in apparenza, ma che non credo tut- tavia impossibile a farsi: e se ci riesce di poter condurla ad ef- fetto, noi avremmo per essa aperta una nuova via da poter giu- dicare con tutta equit gli annoverati sistemi. LMnvestigazione i questa: tf qual sia il giudizio che fanno de^propfj sistemi gli iitori stessi che li hanno prodotti n, o sia, a fino a che segno si confidino gli autori in quelli n , o finalmente, u che cosa da essi li ripromettano y> . Ognuno vede , che questo un afiare assai bilicato : si tratta d^ interrogare la coscienza de^ filosofi ^ si tratta di scuoprire i loro secreti pi gelosi ^ e di far tutto ci tema aver per Io sguardo di Dio, che penetra nel profondo de' cuori umani, n commettere tuttavia de' brutti giudizj te- i&erarj. E pure io non dispero di riuscirvi^ e tanto pi volon- ^mifoalla prova, che s'ella ci riesce bene, il giudizio fatto iQimobilmente ^ perocch non v' ha sentenza pi inappellabile li quella che pu cominciare dalle parole ex ore tuo te judico. Ora, secondo me, tutti i filosofi che non hanno sicura in Uino la verit, vacillano nella propria persuasione^ perocch teli' errore non penso io che si dia una persuasione al tutto ttunobile, come della verit, per la quale l'uomo fatto. Ora [uesti vacillamenti di persuasione sono quelli appunto che si 382 debbono raccorre con diligenza dal critico avveduto , come io- dizj talor chiarissimi, onde pu indursene ragionevolmente, (piai grado di fede diano i filosofi al proprio sistema . 10 sarei infinito, se volessi mettere a questo genere di pron tutti i sistemi circa il criterio della verit da me toccati : ma mi propongo di dame saggio con due, cio con quello del G.M., e con quello del professor Romagnosi. Le. promesse che entrambi ci fanno a certi luoghi de^ loro scritti, non possono non esser bellissime^ perocch avendo tolto a fermare la certezza umana , essi hanno tolto con ci stesso ad assicurarci y che il loro sistema stabilisce immobilmente uni tale certezza: e se dicessero il contrario, ninno ne vorrebbe di essi. Per il G. M. ci parla del i^ero assoluto^ promettendocelo lampante nelle sue dimostrazioni ( i ) e ne^ suoi discorsi , i quali egli poi conchiude cos : u La prova intera della certezza e realt dello scibile stata ordinata da noi, a quel che ci sembra, in forma rigorosa di scienza, e dedotta per una se- rie di teoremi purissimi, cio somiglianti alla geometria, la quale non premette altra cosa fuor che la reale sussistenza d^ un primo (atto e il principio di contraddizione (2). 11 Romagnosi parimente assume d^ insegnarci a conoscere oon verit , e a a provare con certezza n (3). Egli promette ancora di stabilire de^ u dati irrecusabili , onde procedere fer- u mamente e risolutamente in mezzo alla lotta delle opinioni^ e chiamarle a concordia , onde giungere finalmente alla teo- ria positiva di una intellettuale ginnastica , la quale solt raccomandar pu le elucubrazioni della filosofia del pen- siero ff (4). Le promesse non possono esser migliori*, e da otali luogbi de^ nostri due autori parrebbe , trovarsi in essi un fermissiiDO (i) Vedi le seguenti faocie del suo libro; face, xv, 184 t85, ij^ 49 e la parola certezza . Perocch se mai avvenisse , che questa parola irrita per lui non significasse vert , e che questa pa rola certezza in sua bocca non significasse certezza^ le sue ma- gnifiche promesse manifestamente varrebbei*o assai meno di quel che suonano. Cerchiamo dunque prma di tutto di qual vert o di qual certezza intendano parlare i nostr filosofi , per saper bene di che valore sia la difesa eh' essi ci presentano della vert e della certezza: cerchiamo quali sieno i caratteri di quella vert, e di questa certezza ch'essi dichiarano ac* cessibile agli uomini, e che tolgono ad assicurar loro compro* prj sistemi. Cominciamo dal C. M. Prmieramente egli pare, che questo autore rstringa la sfera del vero conosciuto dalla ragione, enti*o il mondo sensibile e' finito; concedendo ad un istinto morale le cose che trascen- dono la natura fisica. Imperocch dopo aver detto che u fonte del nostro scibile il fatto spermentale ajutato dal razio- cinio 99 (i), e che u sentire si sapere n (a), soggiunge: Perch poi vive nel nostro animo un desidero infinito del bene, e i germi della religione e della virt, quasi vestigio delle idee sempiterne d* Iddio , debbesi accanto ai pronun- ciati della ragione situare gli istinti morali (3). Qui gVistui morali sono quelli che ci rvelano Iddio e la virt, e questi sono jcontrapposti ai pronunciati della ragione^ non sono dun que pronunciati della ragione, ma pur istinti. Nel libro poi che noi abbiamo alle mani, egli non parla che de' pronunciati (i) P. n, e XX, v. (a) Ivi. (3) Ivi- 384 della ragione 9 promettendoci d parlare degli istinti morali ia un altro ^ e per la dimostrazione dello scibile data dal G. M. non pu valere per le cose morali e divine. In questa ma- niera si ristringe d^ assai la verit e la certezza che il N. A. toglie a propugnare, contenendosi tutta nelle cose della mate- riale e tsensibil natura. Egli dice che u n P istinto prova u V intelligenza , u questa apporta a quello la luce de^ suoi invincibili teoremi ( i ). Egli per vero, che soggiunge che la ragione u s'aflBretta a dimostrare che , quantunque i veri da esso predicati trascendano i termini dell^ umano ragionamento , pur tuttavolta abbondano i segni pe^ quali a pu giudicare che in essi non giace inganno (2). Ma queste parole difficilmente si conciliano colle precedenti. Primieramente 8 appellano veri i suggerimenti delP istinto ^ ma il vero non che oggetto della ragione e delP intelligenza, la quale appunto intelligenza per questo, che ha per oggetto il vero. Accomunando la parola vero n a ci che mette innanzi r istinto j questa parola perde il suo genuino significato , ed ella viene a significar cosa , che non pi il vero. N pu ap- pagare eziandio quella giunta, che u la ragione dimostra ab- bondare i segni pe^ quali si pu giudicare che in quegP istinti non giace inganno n. Per dimostrarlo user V autorit dello stesso G. M. Il Reid ammetteva delle verit istintive, aggiun* gendo per, che col ragionamento si potessero confirmare. Ora questo non garba al buon senso del N. . , il quale contro il Reid scrve cosi: u II Reid con li suoi seguaci ponendo i&- tf nanzi li giudicii istintivi a prova dello scibile , hanno in- a vece atterrata essa prova dai fondamenti. Imperocch lo scet- tico non nega punto le verit istintive, siccome fenomeni del pensiero, mostrandoli ed attestandoli il senso intimo ^ u bens nega doversi credere loro come a verit razionali r (3)* N il Reid trova grazia appo il N. A. col concedere eh' egfi la poscia alla ragione il discutere gli stessi princip) istintiri ] p^ rocche dice il Mamiani : Il Reid concede facolt di esaminare tf e discutere la legittimit dei princip j istintivi^ la qual cod (1) Vedi la Dedicaloria. (a) Ivi. (3) P. I, e. XVI, ly.^afor. 385 Impelata o TanlTnctterc clie si possa cpelli paragonare con qualche verit superiore assoluta, o che il ragionare con pe- tizione perpetua di principio sia buono e valido y (i). Questa sentenza pronunciata per gli veri istintivi del Reid, on pronunciata del pari per gli veri istintivi del G. M.? chi e limiter Tefficacia, una volta che sia pronunciata? Se il Mamiani ci dice adunque , che i veri toccanti le cose so nsensuali appartengono allMstinto, noi risponderemogli che oesto non basta a vincere gli scettici^ i quali, poniamo che ci ooordassero Y esistenza di tali istinti, il che vuol esser diffici- s, ce li accorderanno solo come fenomeni o apparenze, non m come veri razionali ^ e se egli chiama la ragione a discuterli ! provarli , accorda con ci alla ragione quello che prima le na negato , e toglie la necessit degP istinti per la cognizion li qne^ veri. Aggiunger io solamente , che ove trattassesi di m rivelazione divina esteriore delle dette venta, s^intenderebbe ni bene come se ne possa aver de^ segni indubitati, senza h^ ogno d^ intendere pienamente le verit stesse rivelate; ma trat- ttidosi di una rivelazione interiore e d^ istinto, ove pur si imigesse a provare resistenza in noi di una fiaicolt s mira- le, ci che pur solo dee esser difficile, non si perverr per ni a mostrarla infallibile. Perciocch a poter provarsi che B tale istinto non c^ illuda, o convien dimostrare quellMstinto adente c(a Dio e da lui guidato ; il che non si pu fare senza etizione di principio, poich Iddio stesso non si vuole a noi olo, che per quell^ istinto che ce lo rivela : ovvero conver^ be mostrare Tinfallibilit sua dall^ esame delle credenze chic- li suscita in noi ; ma n pur ci si pu fare , perocch si fpone, che quelle credenze sieno cotali, che travalichino tutte i forze della ragione , e quando tali prove dar si potessero odia ragione che le darebbe potrebbe anche trovare da so ne^ veri , senza un assoluto bisogno di una si nuova intema prazione. Non veggo adunque come nel sistema del C. M. possa an- ^ tolva la pi nobile e pi necessaria parte della verit , (i) P. I, e. XVI, 17.* afor. Ros|fiNi. H Rinnoyamento. * 49 386 . quella che ha per oggetto Dio , e i nostri eterni destini , ose si trovano i titoli egregi e ammirandi del genere umano , le cose altissime j i pensamenti sublimi nei quali il genere umano ha sovente gustato una sincera beatitudine y (i): colle quali nobili parole il N. A. descrive V altezza di questa classe di verit, che pur vuol sottrarre al dominio della ra- gione, air istinto abbandonandola. Tuttavia il libro cV egli e promette di pubblicare su di questa materia, ci porr meglio in istato di certificare queste nostre osservazioni. Il Romagnosi poi non mostra aver una maggior confidenza del C. M. , nella propria filosofia. Convien attentamente os- servare, che quando un autore dice, le forze della ragione non giungono se non fin qua, e qua , e non ne d delle prove inconcusse^ non pronuncia della ragione se non a quel modo cV egli la concepisce : piuttosto che pronunciare della ragione, pronuncia del proprio sistema filosofico^ e quelle sue parole ridotte al loro vero valore equivalgono a questuai- tre , il mio metodo di filosofare , e il principio del vero da me posto non giunge pi oltre che a questo limite 9. Siccli qui ci ha un ottimo mezzo a scuoprre quale opinione intima e sincera tenga un autore del proprio sistema logico , V ascoltare e notar bene le sue parole quando ci parla decimiti dell^u- mana intelligenza e delP umano ragionare: ascoltiamo allon la sua stessa coscienza, che ci si apre senza sospetto. Ora il Romagnosi pone quella stessa limitazione alla ragione, che fa il Mamiani. E tuttavia v^ha fra essi questa notabilis- sima differenza, cio che in quella parte di vero a cui non giunge la ragione, il G. M riconosce consistere la dignit umana e le ultime nostre speranze, e per salvarcela, non veggendo modo di farlo razionalmente, ricorre all^ istinto^ il Romagnosi all^ opposto, egli pare che quasi inutile e vana b spregi , e la voglia per poco cacciata dall^ umana cogitazione. Di pi, ove n Romagnosi dicesse questo suo sentimento aperto, noi potremmo almeno lodarlo di lealt. Ma ci costa assai a non potergli rendere questa testimonianza, quando noi veggiamo (1) Vedi la Dedicatoria. 387 suoi scritti una co tal maniera indiretta, tenebrosa , furtiva di tter fuori V animo suo , favellando siccome uno che tema a cuoprirsi , e insieme voglia pure comimicare altrui alcune se- te dottrine : il che ci pare al tutto indegnissimo non pure di savio 9 ma di qualunque onesto. imo di questi poco di- tesi artificj del Romagnosi si pur quello di avvolgere insieme imi sistemi manifestamente erronei e strani, con delle verit Igiose certe, ed anco dommatiche^ gittando poi queste e sUe in un &scio fira le cose inutili, e p^gio. A ragion d^e- ^pio , trae in beffii quelle che egli chiama ultra-astrazioni. IO che per noi non si sa che cosa egli intenda per cotesto n-astrazioni, ninno adombramoito ci nasce della sua dottrina: non cos ove si ricerchi che voglia significare con quel vo- olo nuovo, opportuno all^ intento d^ avvolgere in un cotal 0 quanto intende d'insegnare con esso. Udiamo noi adun* B la spiegazione che egli stesso d di quel vocabolo, tf Sotto il nome di uitra-astrazioni io intendo que' prodotti immaginar) (i) ne^ quali T uniformare e raggrandire vengono ipnti all' ultimo segno escogitabile. Tale per esempio la iOrtanza unica di Spinoza, lo spazio immenso per tutti i versi 3a Newton appellato sensorio di Dio^ la durata senza tempo. La perfezione sonmia astratta, infine l'assoluto. Tutti questi soncepimenti derivano in sostanza dal convertire una rela- ddie in entit, e ragionarvi sopra come appunto fanno i ma- tematici colle loro infinit, le quali appartengono appunto i queste ultra-astrazioni. Io non voglio per ora dir nidla del loro valor ontologico, e per non definisco se entrar pos- sano nel conto di merci logiche. L'btinto mentale non ba- sterebbe a soddisfiaire alla decisione^ perocch allora il poli- teismo e ogni altra illusione dovrebbero assumersi come fonti di verit: dir solamente ci che Leibnitz disse dell'infinito matematico, cio che queste ultra-astrazioni non istanno den- tro , ma fuori del calcolo. (t) Si noti bene, che queste uitra-astrazioDi son dichiarate tolte prodotti magUuuj, L' impropriet di questa espressione sar notata da quelli che QUO distinguere V inwiaginazione dtW intendimento. Quand'anco Tintea- mento erri nelle sue vie^ egli non diviene perci immaginazione. 388 u Ad ogni modo io sono autorizzato a lasciarle da una u parte e di fame conto come gli scolastici della loro chi- mera di cui cosi spesso facevano menzione nelle loro lo- gich^ dottrine^ e di lasciarle a chi vuole camminare nelle u tenebre e correre dietro ad ombre di morte n (i). Merita cpesto brano , che gli si dia tutta V attenzione , a fine dMntender bene la mente del Romagnosi, e di conoscere la sua maniera di esprimersi. Osserviamo adunque , che I .^ In esso egli ci mette insieme un sistema panteistico, quello di Spinoza, e una ardita e gratuita opinione di Newton, con due o tre proposizioni , ohe per molti altri filosofi sono verit delle pi inconcusse, e per tutti i cristiani sono deaeri dogmi religiosi, cio i.*^la durata senza tempo, o sia l'eternit, a.Ma perfezione sonmia astratta, e l'assoluto, o sia Dio. Questo amalgamento di veri cos rispettabili ed augusti non meno in filosofia che in religione , con delle empiet e delle stranezze, cosa che sola basta a dar notizia chiara di un uomo che non sciocco, e che non pu credersi non avvertire a quello che dice. a.^ Or egli dichiara di tutte queste dottrine di cos diverso genere afiastellate insieme, ch'egli a non vuol dir nuUa del u loro valore ontologico, e non vuol definire se entrar po9- 14 sano nel conto di merci logiche 9. Ma per notate bene, che nello stesso tempo che egli vi fa questa dichiarazione, n dice ancora firancamente , a) che quelle dottrine sono prodotti immaginar/} b) che tutti questi concepimenti derivano dal con- vertire una relazione in entit, il che quanto dire in e^ rori madornali, come appunto il prendere ima mera ida- sione per una cosa reale ^ e) che non istanno dentro, n:ia fuori del calcolo^ d) che si pu lasciarli da parte, risguardandoli come la chimera degli scolastici, cio come un essere fimUn stico, privo al tutto di realt; e) u finalmente ch'egli crede di poter lasciare quelle dottrine a chi vuol camminare nelk tenebre e correre dietro ad ombre di morte n ! ! Ora leggendo tutte queste belle cose, accompagnate dalla (i) VtduU/omiamcnUdi dell'arte logica, h. I C VI, Sez. IL . solenne protesta di non voler dir nulla sul valor ontologico e logico di tali dottrine ^ egli possibile, che ad un uomo di buon senso non corra tosto alla mente la filosofia befiiairda de^ sofisti firanoesi del secolo scorso, e che non ravvisi nel Ro- magnosi i vizj dell^et in cui crebbe, e i vestigi di una scuola die, per grazia di Dio, pute nauseosamente al nuovo secolo iu coi viviamo? 3.^ Dopo di tutto d, viene quasi superfluo P osservare, che il Romagnosi non solo limita la conoscenza dd vero alle cose ienribili, e n^ esclude le soprasensibili, ma non concede n pure, come fiat il C. M. che a queste si possa giungere col- Pistinto, il quale, dice, se aver potesse autorit, convalide- rebbe fin anco le stravaganxA del politeismo. Ma che d , dopo che egli gi disse, che T eternit, la somma perfezione, Fassoluto, sono tenebre ed ombre di morte ? N possiamo rispon* dere, che il Romagnosi nomina Iddio con rispetto in molti Inoghi delle sue opere ^ perocch, non d nam noi accorti di aver che fare con una filosofia beffarda? In un altro luogo dice il Romagnosi , che sulle disposizioni ddla economia divina riguardante la natura umana u convien fiur punto ff , soggiungendo di poco buon umore E che per- ii d ? Vorreste forse colle tenebrose vostre cosmologie gettar ancora la filosofia nelle larve analogiche niente pi valevoli te delle cosmogonie caldaiche, indiane, cabalistiche? A che pr trascinard in un pelago oscuro, infinito, inutile alla men- te tale educazione 99 (i)? Ora questa maniera di parlare , a dir vero, non poco equi- foca. Si nominano, vero ^ con dispregio le sole cosmogonie caldaiche, indiane e cabalistiche^ non si parla delP ebraica; ma che intende egli per cosmogonie caldaiche? io non voglio rilevame il mistero (a). Dico bens, che quella maniera di par- (i) FeduU fondamentali sdtarU logica, Uh. II, e. YI, 34. (a) CoD dolore io non posso occultare i miei dubb) sulle crederne reli* pose del P. Romagnosi. Questi^ che taati luoghi equivoci e nebbiosi ^elle me opere m' inducono in?olontariamenU nell' animo , sono pur troppo con- Irmati , anzich dissipali^ dai m Cenni sii limili e sulla direzione degli studj dorici M premessi al libro del Janelli $t sulla sdenza delle cose umane lare esclude tutte le cosmogonie, e non le sole nominate* Se ad ima sola egli facesse grazia , se avesse voluto serbare P e- hraica, e almeno come documento storico non potea preterir- la, r avrebbe assai probabilmente nominata* Ma egli vuole, che sull^ economia divina riguardante U genere umano si taccia del tutto. Or questo assoluto, questo profondo silenzio sopra ci cbe forma e former sempre P interesse massimo dell^u* manit, e di cui si parler sempre, checch si faccia o si dica, non solo impossibile, non solo non ist con chi professa la religione di G. C, ma non degno n pure di un filosofo: e chi proibisce ai suoi simili il ricercare onde provennero, e a quale destinazione vanno, U meno che dir si possa di costai si , che egli professa una filosofa assai povera, e al tutto in- In essi RomagnoM toglie a mostrare^ esser cosa impossibile ed assurda raro- meUere , che il mare abbia coperte le pia alte montagne ; ^ che equivale a negare il diluvio. N po6 rispondersi, che si dichiara impossibile filosofi- camente ragionando , e non pi; perocch non si discorre solamente se sa potuto essere secondo le leggi naturali, m^ del fatto, se sia stato si, o no; e si chiama un popolaresco errore h. Di poi si passa alla questione del- l'orgine delie umane popolazioni, e si decide cosi: Per poco che si pensi H alla questione dell'origine della specie umana si viene alla conclusione, n esser questa una questione insolubile da quabiasi filosofia , al pari della r questione sull'origine degli altri animali e de' vegetabili w. Or qui da osservarsi, che se si favellasse di una filosofa tutta speculativa , la proposi- zione sarebbe passabile; ma si tratta anzi d'una fiilosofia che (auso di tutti i monumenti di qualunque genere rimastici dalla pia rimota antichit, fra' quali esistono anche i libri di Mos , che ov' anco non fossero ispirati , vor- rebbero tuttavia essere autorevolissimi testimonj, cred'io, delle prime memorie. E pure dell' altre memorie storiche si fa menzione ; di queste no : scrvendo in queUa vece il Romagnosi cosi: w Circoscrtti gli studj sto* M nei M (si noti bene che si parla di studj storici, e non puramente filosofici) w alle notizie positive dell'umano incivilimento, il prmo argomento che r si presenta si l' orgine positiva di lui , non tratta da leggende caba- M listiche, ma da prove positive naturali che tradizionali w. Ora chi mai al tempo nostro, che venga traendo colali notizie storche dalle leg- gende cabalistiche? Non dun Libro uno di Girolamo Alberj >. Egli pregevole per una cotal lo- gica , b qual intendendo a mostrare , secondo i sensisti , che tutto il sapere umano si rinserra entro la sfera degli oggetti sensibili h, dimostra io pari tempo chiarissroaroente quanto una filosofia sensista immiserisca Tu* mana cognizione. Io poi dimostrai ^ che al tutto T annienta nel N. Sagpo Sez. ly, e. in^ art. v e vi. (a) Nel luogo ciUlo del N, Saggio (Sez. IV, cap. in, art v e vi) I dimostrato , che non resta pi nessuna certezza, n pur rbguardante le cose sensibili, quando si parta dal principio ogni cognizione nasce da' sensi - 393 ertzze (i) alla certezza imme^ata del senso intiio! e quando u ci non possa succedere, diciamo nessun^ altra specie di di-^ m mostrazione poter valere n (2). Questo argomento non riceve forza se non dalla condizio-* ale, tf se v^ha al mondo ima prova sicura dello scibile f. Pu dunque rendersi cosi: Una prova dello scibile aver ci dee, al-* tiamente noi caderemmo nel pirronismo. Ma questa non pu essere che quella del senso intimo. Dunque il senso intimo il fonte della certezza . Ma, di nuovo, che varrebbe un tale alimento a^ pirronisti, i quali dicono di non aver paura di cadere nel pirronismo: Odasi ancora come il Maniiani si faccia incontro ad una delle pi forti obbjezioni che si soglion fare dagli dettici, e indi deducasi che valore tenga, nella sua maniera di concepire ^ la parola certezza. Uobbjezione e la risposta vien fatta dal Mamiani stesso in queste parole : Quando si vglia instare ed u aggiungere che qualunque facolt e operazione delP animo ^ appartenendo a un essere limitato di sua natura e condi-' ac zionale, non pu produrre cosa. In cui splende il carattere K dell^immutabilit, della necessit e dell^ universalit ^ noi re-* K plichiamo all^istanza torcendola tutta contro gli autori suoi: conciossiach pure le forme ingenite della mente e i suoi giudicii a priori e tutta la ihacbhina della ragioh pura tf accidente ed operazione d'un essere limitato, mutabile e condizionale ^ quindi o conviene asserire che non siamo noi u quelli, i quali pensiamo la ragion pura, ovvero che la sua immutabilit e necessit apparente, e noU reale :f> (3). Questa risposta merita tutta P attenzione^ pei^occh in essa^ il Mamiani da una parte e i pirronisti d'un' altra vengono alle mani, struggendosi e annientaudosi scambievolmente, in ** (t) Pino che una opinione non riscontrata al senso intimo ^ non pu asier certa , secondo il N. A. , perocch da tal riscontro solamente nasce la iua prova. Per inesatto il dire , che conviene ridarre l' altre certezze alla certessa immediata del senso intimo; perocch non t pu essere chef una certezza sola; e se gi quelle sono certezze, a che fine ridurle ad un*aP tra certezza? (a) P. I, e. XVI , 17 . afor. (3) P. I, e. XYI, 3.* afor. R08M191, H Jtinnoyamenta. So 394 dopo la battaglia veggonsi i piiTonisti prendere il paciGco pos- sesso del campo abbandonato. Veramente l'obbjezione era forte: ella provava che niuna, e n pur tutte insieme le facolt delFuomo bastano, da s sole, a produr cosa che sia immutabile, necessaria, universale, requisiti Indispensabili alla verit (i). E di vero, onde si potr mai dimostrare che il contingente possa prodiure il necessario , e che una causa particolare possa produrre un effetto univex'salc? Niente suggerisce il C M., che vada direttamente contro questo argomento. Che risponde adunque egli? risponde, che se queirargomenlo efficace con- tro il suo sistema, ugualmente efEcace contro il sistema di quelli, che colle forme ingenite difendono Timiana certezza. E bene, che se ne conchiuder? La conclusione facile a vedersi : facile a immaginare che cosa i pirronisti soggiungeranno. Diranno assai lietamente: bene sta^ quelP argomento atterra entrambi i vostri sistemi; non rimane che il nostro solo: convenite dunque, amici cari, con noi^ fatevi coraggio^ dite francamente, che non v'ha sapere alcuno inunutabile , necessario , universale per V uomo ^ che non v'ha verit per un essere cos frivolo, fortuito e pa^saggero. So bene, che il C. M. vuol venire ad un'altra conclusione: so che la conclusione del C. M. si , che appunto perch con quell'argomento s' atteiTerebbe ogni sapere certo dell' uomo, perci esso non deesi ammettere, ma rifiutare: conciossiach non si dee rinunziare punto n poco alla certezza, attesi i gravissimi danni del pin*onismo. Ottimamente: ma non diranno i pirronisti, che questa maniera di ragionare mostra bens un'avversione contro di loro, ma non presenta alcuna razio- nale e giusta confutazione? Per mantenere all'uomo la certezza delle sue cognizioni, (i) Come mai il C. M. dice , che i pur*sti o razionalisti non dimostrano riropossibilitii in che sono le facolt umane di produrre il necessario s r ODTersale > quando egli stesso reca tosto dopo un loro argomento ^ oot ci provano invittamente, a tale, eh' egli non trova da far loro alcuna di* ritta risposta? Vedi questa inavvertenza del nostro autore P. II, e. XYl 3.*afor., ed in pi altri luoghi del suo libro. 0 mi son creduto obbligato nel N. Saggio di dimlt)f{trare due )se: i.^ ebe v^ba ima verit immutabile in s stessa^ 2.^ che ma parte di questa verit, la parte pi necessaria, e comuni* aia all^uomo per natura, cio legata alPumana natura per m nesso cbe non dipende dalla volont umana, n va soggetto U forze di questa, ma dipende solo dal creatore (i). Ho gi- iicato esser manifesto, cbe se Puna o F altra di queste due ose non fosse, non si potrebbe giammai garantire all^uomo era certezza: conciossiacb, se non ci avesse una inerita ^ man- herebbe P oggetto, per cosi dire, della certezza^ e se ima parte li essa verit, la pi essenziale almeno, non fosse congiunta t>ll'nmana natura con necessario e infrangibil legame, ma tutta 1 volere o al potere dell'* uomo fosse commessa e abbando- lata, noi non saremmo mai certi a pieno di possedere quella erit, attesoch limitata e fallace la nostra natura, il no* tro volere ed il nostro potere. Nulla di tutto ci egli pare cbe reputi necessario il C. M., e in vece d^ attendere a qualche sua affermazione isolata, goardiamo nelP intimo e al tutto de^ suoi ragionamenti. E quanto al concetto cb^egli s^ formato della verit ^ noi * investigheremo di proposito in aitilo capitolo: qui vogliam occare qualche cosa circa il nesso &a la verit, e Puomo co* loscitore di lei, e vedere scegli trova cosa che valga ad assi- urar bene^ e fermare un si fatto nesso. B se noi guardiamo ad una frase onde chiude i suoi di- corsi, pai*e di si, dicendo egli u lo scibile umano appoggiare i ad una certezza immediata e indubitabile n (2). Ma questa onchiusione viene ella diritta dalle premesse? veggiamolo. Le premesse sono: Sebbene Puomo possa aspirare a una scienza delPassoluto, i .assurdo dire che vi pu giungere con una scienza assoluta . Questa parola di scienza assoluta pu ricevere a dir vero arj significati, perocch pu intendersi per iscienza assoluta [uella che piena, ovvero quella che al tutto certa, o Puno Paltro. Ma ci che segue toglie Pambiguo, dichiarando me- lilo qual concetto il G. M. siasi formato della scienza umana. (i>Sez. VI. (2) P. U, e. Xl^,i>- 396 m E per fermo , i caratteri proprii e costitutivi dell' umana cognizione sono l'individualit e la contingenza: e prima u Yindiiddualit ^ perch d'ogni vero astratto o concreto, paj^ u ticolare od universale, l'anello ultimo e stabile vien legato tf a un modo del nostro essere proprio e individuo. Poi di- ciamo la cognizione umana essere contingente. Disfatto ella u muta, e il non contingente immutabile: ella conosce le 14 cose per V intermedio dei fenomeni, e questi son termini re- u lati vi: pu pensarsi distrutta senz'ombra di ripugnanza, e u il non contingente ba sussistenza necessaria (i). Le quali parole in parte son vere , ma non in tutto*, e perjnel tutto son false. Perocch conveniva dire veramente, che la cognizione umana risulta da due elementi^ l'uno indi- viduale, contingente, mutabile, e questo (salva l'eccezione che dir appresso) l'atto onde l'uomo vede il vero^ l'altro universale, necessario, immutabile, e questo il v^ro stesso veduto. Conveniva in secondo luogo distinguere fra vero e vero, e mostrare, che una parte di vero vedesi da noi con un atto al tutto accidentale^ ma un'altra parte vedesi da noi con un atto che non gi accidentale rispetto alla nostra natura, ma anzi nella stessa natura nostra inserito, e tanto fermo quanto la natura stessa, sicch non si pu abolire quest'atto senza abolir la natura^ e dopo di quest'atto primo e fermis- simo succedono ancora degli altri atti, che sebbene awentizj, tuttavia sono protetti da errore , perch provenienti da opera- zion naturale e infallibile (2). All'incontro non fa il Mamiani (i) P. II, e. XIX, 111. (a) I sensisti hanno generalmente questo errore che nolo nelle indiale parole 4el C. M. Io Deslull-Tracy senza velo. Non per nel Romagno; che ansi molto sentitamente egli ribalte il Tracy in queste parole : None m Vero che su tutti i nostri giudizj cader possa 1' errore , come disse D^ ff stutt-Tracy, ma ci avviene soIaineBle nei complessivi. Se ci non fos, n non sarebbe possibile criterio alcuno escogitabile , perch il criterio me- m desimo, consistente nei semplici giudizj di immediata, infallibile ed l^ e solata percezione, sarebbe consideralo fallace ^ ( Fedute fondamaUd itdtarU iogica, L. I, e. V, 2). E tuttavia per queste belle e fine parole noo si mij;lior la cus del Romagnosi, tutto riducendosi presso lui alTi* alcuna distinzione fira quella parte di vero che troviamo noi, e quella che ci d la natura^ anzi egli esclude espressamente questa distinzione , soggiungendo : u Quando pure ci awisas- ts simo di'dbcuoprire Pente per s o nel subbietto pensante, tf o nelFobbietto pensata, o in essa facolt di conoscere, nien- u tedimeno la conoscenza che ne prendiamo permane sempre individua e accidentale, imperocch ella nostra e non a dVltri , ella si muta nel tempo ed ella un puro fenomeno. N gi 8uBraga andar figurando per entro la cognizione me- u desima alcun che d'immobile e d'assoluto, avvegnach Patto, tf onde prenderemo notizia di quell'assoluto (posto che sia) m manterrassi sempre individuo e accidentale (i). Nelle quali parole non pur si d per cosa dubbia che un assoluto cada nel nostro pensiero, ma ben anco si afferma, che se ci cade, il pensiero rimane accidentale^ n si ammette nessun vincolo &860 e naturale fra noi e questo assoluto, n si parla di al- cun immobile nodo che lega noi con qualche prima verit. Finalmente da attender bene, che ogni cognizione nostra, senza eccezione alcuna, vien dichiarata im puro fenomeno , e dicesi che le . cose si conoscono per l'intermedio dei feno- meni fj ^ il che, prima, ha qualche cosa di ripugnante^ pe- rocch se ogni nostra cognizione un puro fenomeno, e se non si perviene alla cognizione delle cose se non per l'intera medio de' fenomeni, verrebbe di conseguente che i fenomeni ci condurrebbero a' fenomeni e nulla pi. Di poi , chiusi ne' fisnomeni, non troveremmo pi uscita da pervenire alla verace cognizione delle cose. In ultimo, o convien dire che i fenomeni sieno cogniti per s stessi, o per altro. Se per altro, i feno- meni dunque hanno bisogno di altro, che non sia fenomeno, per essere conosciuti. Se cogniti per s stessi , essi in tal caso sarebbero anco per s stessi^ cio nel loro concetto non s'in- volgerebbe ima relazione alla sostanza, e per questa non si conoscei^bbe giammai. Che se egli vero che la parola feno- possibilU di dubitare. Per altro ^ quanto al M., egli pure ainraeUe per in- dubitabile T intuizione immediata s ma non pu provarla per tale^ se tutto contingente e accidentale il sapere umano, (i) P. n, SIX, m. 398 meno ha un sig;nificato relativo j esso non s^ intender mai se non mediante la conoscenza del termine a cui ha relazione. Or consideri ogni sano intelletto, se i fondamenti che d il G. M. alla certezza, siano sufficienti a sostenerla: consideri Tintimo valore, che pu prendere la parola certezza ^ secondo il tenore de^ suoi ragionari. La certezza sua , che mai altro , se non una cotale neces- sit di assentire a qualche opinione, acciocch non c^ intrav- venga per disavventura di errare per entro agP immensi travia- menti degli scettici ? trovar cotale certezza volto il libro del G. M.^ ad essa, e non pi oltre, giunge dunque P efficacia ed il valore del suo criterio. a." Altre volte per egli confonde la certezza col fatto del non dubitarsi dagli uomini d^una sentenza. Nessuno vorr credere, vien egli ragionando, che la mente crei quella cosa che ella alTerma sussistente ( i ) : dunque certo, che la cosa reale. Non si dubita, che u conoscere e u misurare la successione delle esistenze non creai'e tal sue- a cessione n (2): dunque tal successione reale. Ninno scet- tico sa dubitare dellHdentica realit dell^atto del conoscere e dell^ oggetto su cui si dirige la conoscenza: dunque v^ha qui certezza. All'opposto si potrebbe osservare, che la questione della cer- tezza non ist punto a sapere , se v^ha una notizia intomo alla quale gli uomini comunemente non dubitino^ ma la questione anzi consiste a trovar la maniera di giustificare questa ferma e comune persuasione in certe sentenze . a mostrarne il perch y r ultimo perch^ acciocch quella persuasione si vegga ragih ftevoley e tutta conformata alla verit. Laonde la certezza, secondo quella nozione che si pu rac- corre dal libro del C. M., non certezza razionale; una persuasione ferma, una credenza utile ^ e necessaria anco, se si vuole , agli uomini ^ una grave paui*a di cadere nel pirronismo^ ma nulla pi. A provar solo questo si stende dunque il suo principio della certezza, ed esercita questa sua possa sempre (i) P. II, e IV, V. (2) P. 1,0. VII, IV. 399 lenir a qoella limitata periferia nella quale il vedemmo da ni medesimo circoscritto. Udiamo ora ci che promette di s i del sistema suo P altro de^ due, che ahhiamo tolto ad esa ninare, il Romagnosi. Conviene che, come abbiam fatto del Mamiani, cosi cer hiamo di rilevare qual sia il concetto che s^ formato della certezza il Romagnosi; da questo concetto argomentando noi rhe cosa egli intenda darci, dandoci il suo criterio della sertezza. Certo se col vocabolo di certezza il Romagnosi intendesse soca che certezza non fosse: il promesso criterio della certezza arebbe tale , che non ci condurrebbe gi al trovamento della ertezza, ma di quello stato dell'animo, o comecchessia di [nella qualit del conoscere, che all^ autore piacque di deno- iinare arbitrariamente certezza ^ e nulla pi. Ora questo appunto, come al Mamiani, cosi parmi essere atmwenuto al Romagnosi. Perocch la certezza del Romagnosi i trova tutta collocata i." or nella immutabilit di un giudi- io, 2.^ or nell' oc^uefomeTifo delP animo f le quali due cose 0!DO assai lontane dal costituire la natura della certezza, che tutta cosa lucida, e razionale. in fatti il Romagnosi dice, che u la cognizione vera con* ( siste in un s o in un no immutabile 9 , o come soggiunge p|Kresso, tf un si o un no specolativamente figurato come im t mutabile 9 (i). Ora questa bens la definizione di una ferma lersiiasione, non per della certezza (a). Conviene attentamente dare, che v^ ebbero de' filosofi, i quali c'insegnarono, che loi cogliamo il vero per istinto, e non per alcuna ragione che i lui ci luca nella mente. Ora se la natura nostra avesse in s ili istinti, questi come leggi naturali opererebbero immutabil- (i) Vedute fondamenUdi ecc., Lib. Ili, e. I, 4* (a) Nel N, Saggio la certezza defioita ** Una persuasione ferma e ra- gionevole conforme alla verit . Tatte queste parole sono essenziali alla efinizione della certezza, come si pu vedere nella Sez. TI, cap I, art. i, ove si analizza una tale definizione. Quasi sempre viene oramessa da' filo- fi*runa o l'altra di quelle note essenziali espresse nella definizione da le proposta ; e tali ommissioni fanno si , che quella che si definisce non ia pi la certezza. 4oo mente, e per il si, ed il no, che ci farebbero pronunciare, s' rebbe di natura sua per noi immutabile. Che per? sarebbe quella, vera certezza? non la potremmo dire tale giammai^ pe- rocch a quell'assenso non ci condurrebbe un lume di ragione, ma un indeclinabile istinto. Non basta dunque, che il s, ed il no che noi pronunciamo , sia immutabile ^ noi dobbiamo altres sapere infallantemente, ch^egli si conforma a pieno alla verit* Poco appresso il Romagnosi definisce la certezza cos : u quello stato di adesione o di assenso che l'anima prova nell'afa tf fermare o negare senza dubbio una cosa qualunque y; o anco , pi sotto : u uno stato unico ed indivisibile dell' anima n umana >> (i)* Ecco la certezza del nostro filosofo: un qualche cosa di soggettivo, di relativo al soggetto , e nulla pi. Ma nel- Taccettazione universale, la parola certezza non indica soltanto mio stato dell'animo , che esclude il dubbio ^ perocch ove aver i potesse un animo aderente ad una sentenza, senza provare alcuna sorte di dubitazione, direbbesi di lui, ch'esso ha una fisrma persuasione^ ma che ha certezza^ non ancora: acciocch y^abbia una certezza, la persuasione dell'animo dee essere ra- gionevole y e conforme al vero: la persuasione sola, per immo- bile ch'ella possa essere, non la costituisce. Le vedove dell'India^ che bruciano sul rogo de' loro mariti , persuase di fare un' azione virtuosa e santa , hanno , fuor di dubbio , una per* suasione talmente ferma, che vince l'amor della vita: lo stato del loro animo unico, indivisibile, privo di qualsivoglia dub- bio 5 e pure non si dir mai con propriet di linguaggio, ch'esse posseggano la certezza, perocch la persuasione loro non m- zionale n vera^ ma cieca ed erronea. E affinch niimo mi dica , che il Romagnosi , sebbene non esprma nella sua definizione della certezza questa razionalit e verit della persuasione, tuttavia la sottintende^ dichiarer , esser io ben certo, che interrogatone il Romagnosi, cos ap- punto risponderebbe^ ma dopo una tale sua risposta, di nuovo gli replicherei, chiedendogli, che intenda egli per razionalit per verit della persuasione : conciossiach non sono io inclinato (i) Vedute fondameniali ecc, Lib. Ili ^ e. I, 4* 4o:i i fidarmi troppo di belle, parole, ma bramo cercare mai sempre guai senso vi affiggano certi ragionatori non sinceri, n leali. B qui appunto a me sarebbe assai facile il dimostrare, che la razioruUit^ e ^erii del Romagnosi, non n razionalit, n rerit: ma il vo^ riserbare pel seguente capitolo. Mi spaccer pi tosto dell^ obbiezione brevemente, raccogliendo quelle pa- role che escono dalla bocca del Romagnosi pi spontanee, e che mostrano le nudit della sua dottrina, senza che egli se a* accorga. n Romagnosi parla di un poter radicale della ragione, del quale sia frutto la certezza imiana. G)nviene aver sott^ occhio oom^ egli descriva questo potere^ conciossiach dalla cognizione del padre , si potr rilevare anche la natura della figlia. u II poter radicale e naturale, dice, sempre uno, come la m personalit AeW insetto sempre la stessa (i). Ora volendo in M qualche modo qualificare il poter radicale della ragione bimana, in che esso si risolve? ( Udiamo attentamente in che si xsolva questo padre della umana certezza ) In una rea- li lit indefinita, universale ed inefiabile, in breve in un non m SO che che va compagno a tutte le fun^oni nostre mentali per imprimere (a) su di esse un carattere di approvazione, (i) Non ho mai saputo che l'insetto sia una persona 1 E cjuesto un esatto perkre filosofico l'aUrbuire all'insetto la personalit? Il Romagnosi procedendo nei suo stile con affettazione ^ e quasi sulle suste, fa credere a|^ nomini 9 che poco s'addentrano nelle cose e che giudicano dalle forme apparenti 9 ch'egli sia esatto e fino scrupoloso nell' uso delle parole. Niente pi fiilso. Egli contrari quasi per tutto il legittimo uso delle parole ^ e suppone infinite cose senza provarle. A ragion d' esempio, questa persona- lit data all' insetto una di quelle parole gettate a caso, che per contiene sola un sistema intero : e cosi furtivamente caccia dentro un sistema senza prova, fiicendol passare per indubitato. Di questi salti immensi si riscon- trano ad ogni faccia delle opere del prof. Romagnosi; e ad un bisogno, ne sazier d' esempj quanti il bramassero. (a) H potere radicale delia ragione w imprime sulle funzioni nostre men- tali un carattere di approvazione ecc. m ; questa una frase filosofica esatta? Questo potere radicale forse un suggello , un punzone , un torchio ! que- ste fiinzioni mentali che ricevono l'impressione, sono una pasta, un'argilla, una piastra metallica, o che cosa altro? Questo carattere di approvazione una figura, un'immagine? Queste funzioni mentali sono prima senza il potere della ragione, e poi ricevon esse un' impressione, una modificazione RosMiHi , // Rinnovamento. 5 1 I'* 'a ^ al L^ftfMWaoiie, o di nullit. Egli non agisce fuorch pr- . vov^Xii;^ laa juando agisce si spiega necessariamente, ed opera ^4V^ la produce, il quale opera, provocato che sia*, neces- ^icjurtABiente , irrefragabilmente ^ ma opera veramente egli se- condo ragione? Basta dire che questo potere non si conosce, e che non si pu dir altro di lui se non ch^ egli un non i so che 9 simile alla personalit delP insetto n. Con tale definizione di questo potere, io non sapr mai se potr affidarmi a lui , credere al suo prodotto ; non sapr se l' ef- fetto suo sar la ceilezza^ perocch quel potere tenebre, e le tenebre non producono la luce. Di pi^ difficilmente io posso credere che quel potere sia nulla di razionale, nel senso vero di questa parola , e non nel falso attribuitogli dal Romagnosi. Perocch dal dirmi , che il potere della ra- gione simile alla personalit d'un insetto, io non veggo cosa, che mi rassicuri intorno alla certezza elisegli mi dee produrre. Che se proseguo a leggere innanzi nel libro del Romagnosi, trovo ch'egli seguita a descrivermi l'operazione di questo a> cano potere, non gi come qualche cosa di veramente in- tellettivo, ma piuttosto alla foggia d'un istinto animale, se- guitando il Romagnosi cos : tf Quando tu saprai dirmi che cosa intrinsecamente sia la vita, allora pure dir mi potrai che cosa intrinsecamente sia questo potere. Forse fra amendue esiste una comunione ed u un nesso segreto che fin' ora non fu rivelato n (2). Con dei semplici^orje^sipu trarsi molto innanzi nell'indagine di un'as- soluta certezza ? Per altro queste parole assai chiaro dimostrano) da questo potere ? il carattere di approvazione , che ricevono le faniiooi mentali una loro qualit che si fa loro inerente, pi tosto che un gio* disio separato pronunciato intorno ad esse ? In somma la frase piena di metafore improprie^ le quali metafore possono solo tenere a bada di quelb che credono di conoscere qualche cosa anche dove non v' nulla a cono- scere: veramente qui non abbiamo che tenebre. (i) FuUUe fonduncnlali mlt arie logica j Lib. II ^ e. YIIIj ii. (3) Ivi. 4o3 ohe il Romagnosi non aOerr Pcsscnzale distinzione fra il co- fioscere e il vivere animale^ e per non vide P opposizione che n primo tiene al secondo per s fatta guisa , che la natura del- Tuno esclude la natura delP altro. Sospett dunque che il co- noscere sia qualche cosa di simile ad una funzione animale^ 11 che solo basta a mostrare che la sua certezza non con- cepita da lui come dotata di vera razionalit , e per non punto n poco certezza (i). (i) Quanta aUenzone io credo doversi porre a non attribuire agli scrittori opioioni men rette > le quali non appariscano chiaro nelle loro scritture, ihrettaoto estimo non doversi dissimulare o velare quello che v' ha d' er- roneo e di pernicioso per entro alle opere loro fiitte di pubblica ragione ; 1 che darebbe in noi mostra o di vile adulazione o di pusillanimit , .di piccolo amore pel pubblico bene. Dir dunque di nuovo, secondo 1 mio costume 9 assai francamente quello che io penso della dottrina id Romagnosi : penso eh' essa penda, e non poco^ al materialismo. In- tanto qui si vede , che fra il potere razionale , e la vita animale , egli non trova ona essenziale differenza, anzi vien sospettando fra loro una comunio- se j un nesso secreto. Questo gi molto; perciocch un disconoscere nel- l'intelligenza quell'elemento immutabile e veramente etemo che la costituii loe i quando nella vita animale nulla v' ha che non sia distruttibile. Ma che concetto s' poi egli formato della vita animale? quindi conosceremo il con- Detto che a' formato anche dell' intelligenza , che con quella sospetta aver legreta comunione. Il nostro autore d manifesto segno di credere, che la fila animale sia un risultamento di atomi e di gazi In un luogo egli vuol BOftrare, che tutte le idee sono derivate. Ora fa l'obbjezione a s stesso, dhe le idee hanno de' caratteri opposti a quelli delle sensazioni , p. e. la leroplicit. Ma egli risponde, che non si pu da questo dedurre, quelle idee non essere un prodotto di pik forze anche estese, perocch run efletto m di nozione semplicissima pu derivare da cause compostissime f ( Ve- iute fondamentali ecc. Lib. Il, e. V, i3^; e reca in esempio la vita che risulta dagli atomi e da' gaz, sebbene con essi ella non mostri alcuna ras- KNUglianza! m Vorreste forse , dice egli , darmi la vostra impotenza a con- m ciliare le cause delle cose esperimentali per pronunziare sulle origini? M Allora io comincerei col dirvi non esistere vita alcuna , perch cogli atomi e coi gaz non posso vedere come nasca la vita m (Ivi, i4)* Io un altro luogo esprime lo stesso pensiero , dicendo contro quelli che dall' analisi dalle idee vogliono indurne che non vengon tutte da' sensi: e Nei compo- Iti razionali di unit complessa, fanno scomposizioni dialeUiche , come te si trattasse di scoprire semplici rapporti di quantit. Ma noto che come sotto all' azione della chimica la vita sparisce e la forza vitale non Ma il RomagnosI stesso ci si apre anche pi cliiaro. No tate in prima , che II potere radicale della ragione, che egli chiama anco senso razionale y opera , secondo il Romagnosi , or M si coglie giammai^ cosi sotto la chimica dialettica si dissipa la forza ra- r xiooale , e la generazioDe mentale non si raggiunge giammai i (Della suprema Economia ecc. P. Il, | xxii^. Queste parole non avrebbero nes- sun senso e valore , dove non si supponesse per certo , che la vita un prodotto di elementi chimici ; ragionando V autor nostro cosi : m come gli elementi chimici e temperati insieme a certa foggia producono la vita, ma scomponendoli questa si perde, cosi scomponendo il pensiero umano ci restano tali elementi , coi quali non veggiamo il modo di rcostmirlo . L'argomento antilogico, come ognun vede; e a dire solo alcuni de' molti peccati che gli pesano adesso^ i.^ In esso si suppone per certo che la vita animale sia un rsultamento di elementi materiali; or questo meno che un'ipotesi, meno che una affermazione gratuita, un errore. La parit dunque non vale, non prova nulla ^ non esiste in natura, a.^ Nella scom* posizione chimica la vita ci sfugge , e ci restano in mano delle particelle materiali morte. Non gi cosi nella scomposizione dialettica. Anzi io questa ci restano in mano degU elementi vivi, e tanto vivi, che soo questi appunto, queste nozioni e idee che involgono una contraddi- zione in terminisi a volerle dichiarar sensazioni. L'argomento avrebbe qualche forza, se dopo aver noi analizzati e scomposti i pensieri, non d restasse che sensazioni, e ci svanisse tutto ci che razionale: allora si potrebbe dire in qualche modo: ecco qua gli elementi del conoscere: varo, che il razionale svanito, ma ci sar avvenuto , perocch egli tt essere un rsaltamento di questi elementi fra di s congiunti , noi non sap piamo in che modo. AH' opposto , facciasi ci che si vuole, la parte razio- nale non si perde mai ; sta sempre l innanzi agli occhi de' sensisti ferma come uno scogUo : taglia , assottiglia , lambicca ; la parte razionale non si fa che pi bella, pi pura dal senso, pi ioespUcabile. Il fatto adunqut riesce per appunto al contrario di ci che afferma il Romagnosi , e proia dirittamente contro di lui: convien riflettere, che le ultime, le pi el^neo* tari idee non hanno nulla di comune colla sensazione : ove fossero solo di^ ferenti da questa, si potrebbe rampinarsi; ma che nature intrnsecamente contrarie sieoo prodotte da altre nature intrinsecamente contrarie, ci coia non solo col principio di causalit , ma ben anco con quello di contraddi- sione. Molti altri errori potrei osservare, ma mei vieta la brevit di una noia. Raccoglier pi tosto l'argomento, e dir: i.' il Romagnosi sospetta una coronnil fra la vita animale, e il principio razionale dell' uonK>; a.* la vita animale considerata dal Romagnosi come un accoppiamento di particette al tutto materiali. Dunque la sua dottrina precipita verso il nutenalisoMN - Recher altrove dell' altra prove della medesima increscevole oondu- ume, e tutto ci in avviso alla buona giovent italiana. 4o5 colla {orma di giudizio (i), or senza questa forma (a), ma sempre quel potere che opera. Ora questo potere quello j come abbiamo veduto, cbe produce la certezza. Udiamo dun-* ^e come ci viene descritta questa certezza , questo stato det r animo privo di tutte dubitazioni, a Esso - non un giudi- te zio intellettivo , ma un sentimento pari a quello del piacere u e del dolore. Volendo dunque trovare una denominazione u pi propria y io lo chiamerei potere di darsi pace mentale. Gli antichi scettici ponevano il ripso delP anima come V ul- timo termine della ragione. Questo modo di qualificare que^ sto potere phe supplisce allMstinto (3) e forma tin dato on-* tologico (4)) parmi di infinita impoitanza ed estensione nella dottrina dell^ uomo interiore (5). Queste parole sono preziose , perch squarciano il velo, e fiomo vedere P intima dottrina del Romagnosi. In che consista la sua certezza? In una pace, in un riposo dell^anima Gli an tichi che ammettevano questo riposo dell^anima come P ultimo termipe della ragione, si chiamavano scettici^ e di buona fede H^vano che certezza ci fosse per Tuomo. Il Romagnosi fece Ima bella invenzione, a fine di potere d^una parte tenere la dottrina degli antichi scettici, daU^ altra negare d^ essere scet- tico egli stesso, anzi sostenere che v^ha per Puomo una certezza Verissima. Quale invenzione? Molto ingegnosa! dSmporre il nome di certezza al riposo o quiete delibammo degli antichi scettici. Concludiamo : il significato che il Romagnosi attribu alla (i) r Colla deoominaztone di giudizio taon si esprime l'indole propria > w ma solamente un effetto conseguente del potere della ragione m. Vedute Jcndamentali ecc. L. 11^ e. VIII^ i3. (a) r Ma sa oscure e indefinite idee pu forse cadere un intellettivo gi m disio T Eppure sopra siffatte cose il senso razionale si roinifesta. Esso dun M c|tie non un (pudicio intelletti yo ; ma un sentimento pari a quello del m piacere e del dolore m. Vedute ftmdameiUali ecc. L. II , e Vili j i3. (3) H Romagnosi esclude T istinto j ma che cosa il suo potere radicale ddU ragione se non un istinto? Egli dunque abolisce un nome^ e ne in venta un altro: ecco il tutto della sua filosofia. (4) &cile di accorgersi che ontologia dee esser quella del Romagnosi: un' ontologia del tutto fenomenale I (5) VeduU fimdammOaU eoe. L. 11^ e. Ym, iS. 4o6 parola certezza , non il concotto della certezza : decida orsi Puomo di buon senno, che valore possa avere il criterio della certezza del Romagnosi (i). CAPITOLO XXXV. CONTINUAZIONE. Non basta: ci resta a trovare qual sia Pintimo concetto che il Mamiani e il Romagnosi si fanno della Verit. Poich non dovendo essere la ceii:ezza che una indubitata cognizione della verit , noi potremo anche da questa via giungere a misurare il valor vero del criterio del Mamiani e del Romagnosi^ giacche il valore di quel criterio pari al valore della verit , che esso intende a farci conoscere con certezza. Or che valore avrebbe poi quel criterio , se la verit che intende a farci conoscere, non fosse per avventura verit, ma qualche cos^ altro vestito del nome di verit? Quello non sarebbe pi criterio di verit, ma qualcos^ altro vestito del nome di criterio : la cosa ma- nifesta. Accingiamoci dunque alla ricerca del fatto. Il Mamiani mette in capo alla II Parte del suo libro, come sentenza che riassume la sua dottrina, questo motto tolto dal Vico: Il vero il fatto. Criterio certo del vero farlo (a). (t) Gi sa il lettore , che il Romagnosi pone il criterio nel suo senso razionale, o potere radicale della ragione, r A questo potere n , dic'e);li espressamente in un luogo, r appartiene il criterio della certezza . f^ iute fondamentali ecc L. II, e. Vili, i3. (a) n G. M. non dice tutto il pensiero del Vico, ma solo una parte. E chi , leggendo il Mamiani e poi il filosofo napolitano di cui si (a di- scepolo, trovasse che la dottrina del maestro per appunto l'opposto di quella dello scolare ? Yeggiaraolo brevemente. G. B. Vico, nel libro Del- l'antichissima sapienza degli Italiani tratta dai latini parlari m, conua- da a dira che m presso i latini vero e fatto si adoperano promiscua- mente M. Qui^ come chiaro, non espone egli la sua opinione , ma ai quella degli antichi latini. Or l'approva egli questa opinione? an la rifiuta espres- samente. E perch? per un motivo assai grave, perch a suo giudizio ella e dirittamente contraria alla cristiana religione , procedendo essa di o" errore del paganesimo. Indi trae cagione di emendarla, il che quanto dire tramutarla in un' altra troppo diversa. Riferir le sue stesse p>* 4o7 Di vero, tutto ci ch^egli dice riesce a ^esta final con- clusione, che la verit opera nostra: una produzione delle nostre facolt f . Tale dottrina merita tutta V attenzione. role, che bramo da' mei lettori attentamente considerate, r Perci^ egli dice 4 gli antichi filosofi d' Italia avvisarono che vero e fatta fossero sino* nimi y perch il mondo stimarono etmo ; e quindi secondo i filosofi pa* * gini f Dio oper serbpre qualche cosa fuori di s : nella quale opinione Yerbo la sapienza di Dio, che in s contiene le idee di tutte le cose^ e in conseguenza di tolte le idee gli elementi; essendo in esso lui una cosa sola il vero e la comprensione di tutti gli elementi che questo ufiiverso compongono, e potendo egli innumerevoli mondi ^ solo che il yciesse, creare; onde co> oosoendo effi di ogni possibile idea gli element tutti nella sua onnipo teina compresi, viene in lui a generarsi un Ye*bo reale perfettissimo, il qoale essendo dalla eternit concepito dal Padi, daif eternit pur anche dee dirai che da esso lui sia stato generato ^Gap: I). Il Vico qui di- ingoe dunque il vero creato dall' mcrenfo, e vio del prihio egli dice, che Ci^iterio il farlo. Ma che il vero creato 7 il vero in s stesso uno lo ed eterno essenzialmente. Quando adunqtf si dice creato il vero, non rao dir ahro con questa parola se non il vero in quanto conosciuto die creature, conosciuto da esse con quelle rme e limitazioni ond' esse BBao conoscere il vero. Convien dunque intendere in sano modo Y e- ireiSione di G. B. Vico , convien intendre quel suo farsi dalla mente pero, per sinonimo di conoscerlo, e di (fedurre le conseguenze da' prin^ 1^ , colla qua! deduzione in cotl guisa eia lo si forma ^ cio gli d quelle ime e spezzature, che sono proprie delo spirito umano e'a lui necessa- e' perch possa intendere con piena penuasione e soddisfiizione. Per altro (li' al tutto cosa lontanissima dalla mente del profondo Vico il fiir l'uomo sramente autore e creatore del vero ' condossiach non isfuggiva certo alla m nobile mente, che il vero, ove foise diU'uomo creato, non sarebbe pi& ito. Per in cento passi deUe sue opere egli deduce il vero creato dal STO increato, cio da Dio; ed a questo fonte, ch'egli attigue la necessit, nttiversalit, e l'altre qualit divine della verit; con che egli appunto iiDostra di non opinare, che il vero creato sia qualche csti di diverso dal increato ndl' essenza, ma solo nelle forme ^ nella limitazione, e nella colla creatura , rimanendo n suo fondo identico coli' increato. ero il Vico insegna che r la mente umana viene ad essre come uno spec- chio deUa mente di Dio h ( Risposta di G. B. Vico all'Art. X, T. VII! d Giornale de' letterati d'Italia) : egli insegna che non v' ha che una ra wte sola, e quella dell'uomo non che ima partecipazione di quell'unica ifione, e questa opinione egli pretende essere antichissima ndl' Italia no- 4o8 n Tero, secondo il Mamiani, il fatto prodotto da noi : espo- niamo questo pensiero colle sue stesse parole. stra, e cominie> sicch negli stessi parlari latini se ne ravfisi manifesta U traccia i quali dicevano Tuonio un animale partecipe d ragione (par' ticepi rationis), quasi una sola parte gliene fosse comunicata, e non pi (DeWantiehisiima sapienza ecc. Gap. I, e Lib. I in difesa del libro l). Ora questo por tutto il contrario di ci che insegna il C M. il quale a torto vuol farci credere aver egli dedotto da questo illustre la sui teora del critero. Il Vico, e come italiano filosofo, e come interprete d^ gli Italiani antichissimi, da Dio^ da Do solo come dalla prma Yerle dalla prma ragione ^ che deduce tutte le umane scienze, della vert detta quali non Ca in modo alcuno creatore Tuomo, ma solo ricevitore e raccogli* tore. Ora posto ci , nuina difficoll s' incontra a trovare nel vero la immuti- bilit, la necessit, ra>itorit e T onnipotenza di cui splende fornito ;coie che non potr mai dare V uomo a s stesso, ma solo rceverne l'immaco- lata luce. Ed acciocch aicor pi chiaramente apparisca la mente del Yco, ft non si rpeia continuanente che i pi chiar nostri filosofi strscian per terra, e che il greUo sensi:mo sia la cara eredit che abbiam fatto da' padri nostri, mi si conceda di aldurre un altro luogo del filosofo stesso, i cui sensi malamente si pervertalo, e poi si decida se il fonte, da cui egli k provenire all' anima dell' unno il ^ero, sia o l' uomo o qualche altra creala cosa, e non pi tosto il prncpio supremo, infinito e sempiterno di tutte cose. Dice adunque egli, rbattenlo gli scettici, cosi; m Questa comprensione m di cause che raccoglie in s tutte le forme o guise onde sono prodotti gli M efietti, de' quali dicono gli soici di vedere i simulacri, ed ignoraa co M essi sieno; questa comprensone di cause appunto la prima tenti, u perciocch le comprende tutt sino all'ultime; e poich tutte le eoa* M prende infinita , e quindi aiteriore al corpo di cui cagione, e per m conseguenza spirituale: essa Dio, quello che si confessa da' crstiaai; M e alla norma di questa tenta bbonsi tutte le vert umane rapportare; H voglio dire che tra le umane cognizbni quelle sono vere, gli elementi delle H quali sono da noi medesimi s:elli e disposti e dentro di noi contenuti , e M per via di postulati in infinite protratti : e quando componiamo nseM w questi elementi , divenghiamo delle verit per tal composizione coa^ H scinte i iacitor, e quindi possediamo la forma o guisa con coi diaoM) $t loro il nascimento ( Dell' antichissima sapienza ecc. Gap. I^. Dal ifui passo si vede assai chiaramente, la mente sua esser non altra che quelli: 1.^ prma vert essere Dio; a. alla norma di questa verit doversi taUe le vert umane riportare; 3.^ noi creare il vero in questo solo senso, cbe confrontiamo o rapportiamo le cose alla norma della prma verit , e i facciamo a) scegliendo gli elementi, b ) disponendoli, e ) protraeodoli ^ diante de' postulati: il che non punto, in propro senso, creare, o 61^ brcare il vero, come par che supponga il C. M. Qual pariare potrebbe essere pi& chiaro di questo del Vico, che 8zioni, I .^ che la verit sia un prodotto dell'uomo, a.^ e che Ila possa imporre leggi non puramente fisiche, ma veramente aorali ed obbligatorie all'uomo. 5.* Distrutta la virt fino dalla sua radice, distrutta fino a possibilit di una obbligazione morale qualunque, allo 4ia stesso modo riman distrutta la scienza ^ perocch tutto rimane apparenza e inganno d^ una natura essenzialmente maligna , perch menzognera. Conciossiacli la scienza chiamasi scienza solo per questo, che ella reputasi vera d'una verit immu- tabile e al tutto indipendente dagli uomini. Che per, se provar si potesse eh' ella non foss' altro , se non una produzione della stessa natura umana ^ quella non sarebbe pi scienza, ma apparenza di scienza, colla quale la natm^a umana farebbe un infando ludibrio di se medesima. 6. L^uomo non sarebbe adunque nobilitato pi n dalla pratica della virt, che non esisterebbe, n dalla luce del vero, che sarebbe spenta. Onde traiTebbe la sua nobilt? Da- rebbe fors^ egli una qualche nobilt a quelle cose che portano i nomi di virt e di verit? a queste obbrobriose illusioni, a queste gigantesche e mostruose sue figliuole? Quale? se egli medesimo caduto , col cadere della virt e della verit , nel- r ignominia e nella derisione della natura? se non si distin- guerebbe dalle bestie, se non per essere atto egli solo di rice- vere dispregio e abbori'imento? n. La filosofia, nel sistema di cui favelliamo, verrebbe ad essere di tutte le invenzioni la pi crudele e disumana che aver vi potesse; perocch mirerebbe a rompere quel sogno continuo, in cui l'umanit giacerebbe assopita ed ignara della reit e della infelicit intrnseca di sua natura. Quando poi una volta ^ per la forza usatagli dalla filosofia, l'uom si destasse, e vedesse la virt e la verit esser divenute un prestigio, che gli rimarrebbe, se non l'odio di una natura snaturata, e un desiderio solo di distruggersi, di seppellirsi, e se fosse pos- sibile , di annichilarsi ? Tali conseguenze procedono indeclinabilmente dalla sentenza, di fuori cos benigna, che il vero una nostra creazione v. Pu esser che sembri ad alcuno, che io prenda la cosa troppo alla lettera. Bene sta: io il primo assento, che il Ma- miani alienissimo dalla tristezza di tali conseguenze : io pure rinvengo nel libro del Mamiani de' luoghi che contraddicono apertamente alla dottrina, che il vero sia una creazione no- stra: n d^ altro lato ho alcun desiderio d'intendere la sua dottrina a rigore di lettera. Dico solo, che intesa cos come iti nana (salva la sua mente occuha, clie io non veggo), quella trana dottrina gravida di terrbili sequele: dico che se in* esa alla lettera falsa, dunque vero il contrario di quel the suona: che dunque vero i/ che il vero non una creazione o produzione nostra^ a.* cVesso non il medesimo, che il fatto creato o {>ro- lotto da noi ^ 3.** che il criterio della scienza non , e non pu essere * intuizione creatrice^ 4* che il vero qualche cosa di maggiore dell* uomo, e lall^uomo indipendente^ .5.^ che il vero un principio, un^ entit, di cui pu ben partecipare e godere la umana natura, come gli occhi nostri lartecipano e godono della luce , ma nello stesso tempo egli ma cosa infinitamente pi sublime della natura umana, im* untalnle, etema, necessaria, dotata in sonuna di doti intera* mente opposte a quelle dell^ umano essere mutabile, contin- gnte, da tutte parti limitato^ e che solo dall^ altezza e dignit lei vero, a cui si congiunge, attigue Fumana natura tutti i itoli di sua grandezza. Fra la prima e la seconda serie di conseguenze non v^ ha Bezzo cVio vegga: o vera la' prima e falsa la seconda^ ) vera la seconda e falsa la prima: gli uomini onesti e in- ipegnosi considerino bene V alternativa ^ non si confondano nel tori>ido di alcune nozioni oscure, ma lealmente e francamente leelgano fra Puna e P altra: e anche il C. M. invitato a icegliere, con maggior cognizione di causa, fra cotesta gente inorata. E che cosa Fichte disse pi di ci che scritto nel libiK> lei C. M. ? Se noi produciamo le verit , esse sono necessaria- nente una emanazione del Noi: ed egli assai meno porten- toso il dire, che noi mandiamo fuori l'universo materiale, ;he non il dire, che noi mandiamo friori le verit matema- tiche e r altre tutte: perocch F Universo materiale finalmente lia dell'analogia col noi, attesa la sua limitazione, contin- l^enza e mutabilit^ e certo creare il finito,, il contingente, il mutabile si pu^ ma creare F infinito, il necessario, F immu- tabile non si pu metafisicamente, cio involge assurdo il pen* 44 sarlo. a Fichte pi s^ avvicina il G. M. con quella sentenza che fa sinonimi Pentita, o la realit, e la verit, il vero ed il fatto. Che sevuolsi investigare onde s^ origini un tanto paradosso, troverassi manifestamente proceder esso da due difficolt, offer- tesi alla mente del Mamiani e d^ altri, e non potute altra- mente vincere , che evitandole col dai*e una cotal giravolta^ le quali difficolt sono le seguenti: i.^ Ogni cognizione ed idea si ottiene con un atto del no- stro spirito: dunque ella dee essere qualche cosa di racchiuso nell^ entit dello spirito stesso : e come ne poti*emmo noi al- tramente ragionare (i)? (i) Cosi in un luogo il C. M. dice che m V oggetto (del pensiero) n- roane sempre nchiuso nell'unit assoluta di nostra mente m (P. IT, e. rVj IV ); ia qual sentenza^ secondo noi, si offerisce con gran forza alla menta di quelli che considerano i fatti dell' animo nostro materialmeote. Costoro si pensano che tutto ci che non nello spazio^ il che fieoe espresso col fuori di noi m, sia necessariamente m dentro di noi m; e che fra qneste due cose non ci abbia nulla in mezzo. Ma questa sentenza (fi quelle y a parer mio y che si ricevono ed intromettono nel ragionamento senza prova ^ e che per acconciamente s' appellano pregiudizf, AH' opposto la giustemi del ragionamento non s' ha giammai , se non mediante b somma vigilanza del ragionatore ohe in esso non trapassi di furto qual- che supposizione gratuita, che occultamente si sottragga alla prova; n questo si ottiene, se chi ragiona abbia gi lasciato entrare nelF animo suo ddle Tane prevenzioni. Tale il maggior fonte degli errori in cui ca- dono i sensisti s essi sono imbevuti precedentemente d' innumerevoli pro- posiiioni al tutto in aria , e che tengono per indubitate; e con que' pre- cedenti nell'animo si pongono ad osservare, e a ragionare. Veniamo al liatto nostro. E perch, dico io, non potrebbe essere, che vi avesse tal cosa , la quale non fosse nello spazio , e come dicono, /uori di noi , e die tuttavia non fosse noi, sebbene ella fosse aderente a noi? v' ha egli assordo a pensare j che un essere , bench non abbia la sua sussistenza nello spwor, tuttavia agisca in noi , senza punto n poco confondersi con noi , ma ri- manendo da noi distintissimo? perch fosse ripugnante e assurdo a pensar ci , converrebbe trovare in tale supposto qualche interna contraddizione, ci che non si pu fare certamente; converrebbe dimostrare^ che non V ha nessun essere inesteso, ci che quanto dire fuori dello spasio; converrebbe quindi negare la semplicit dell' anima , negar Dio, e venir sciornaDd altrettali di si fatte belle cose. Quelli all'opposto, che ricooo- scono la possibilit di esseri i tutto immuni da spazio non rnverranDO niente di cootradditoro in ammettere quello che d' altra parte attesta f ossenrasioiie interna ^ l'intimo senso ^ cio che gli oggetti del pensiero ili ^.^ G>me si pu immaginare che un'idea easta in s stessa, in separato did nostro spirito, ci che conrerrebbe che fosse, "e lo spirito nostra non la Creasse egli stesso? Gravi sono queste difficolt: cosi gravi, che appena v' ito naufragio nma filosofia, che non sia proceduto da tali tnte. Ma con buona pace^del nostro G. M., egli questa la via 1 buon metodo di filosofare da lui'stesso tracciata ? negher una cosa perch la ma ignoranza mi vieta d^ intenderne la itura , o di concepire il modo come possa essere ? Ganone principale del buon metodo quello di partire dal^ osservazione. questa osservazione, che io veggo con dis* acere trasandata e obliata da quelli che pi ne vantano oso: io crederei di essere in caso di far toccare con ma* I, che di tutti i filosofi, quelli che pi trascurano Posser- none sono i sensisti. Cotesti si persuadono alla leggiera , che Mtfervazione consista essenzialmente nel limitare la filosofia ai asi^ all^ opposto questa loro regola al tutto arbitraria ella 8a un sistema in aria, che ofiende, e che annienta Tos* nrazione. Chi osserva da vero , raccoglie tutti i fenomeni , e 01 ne esclude veruno, o sieno quelli estemi, o sieno intemi Ho spirito nostro (i)^ il limitarsi ad una classe prediletta n osservare, ma incatenare P osservare col proprio pregiu* tio. ffirontiamo adunque la questione toccata sulla natura tUa verit colla semplice osservazione: che forma prender al- ta quella questione? la seguente: La verit da noi conosciuta ella fatta da noi , o sempli mente da noi percepita? i> o sia: siamo noi consapevoli, lando veniamo al possesso di una verit, per esempio che il beech sieno) sodo cose affatto diverse dall'entit nostra propria: che i ci sentiamo bens da essi modificati per l'azione che esercitano nella sti^ anima ^ ma che non ayvien mai di essi con noi il minimo mescola- mo, o confusione: noi non li possiamo n creare, n distruggere, ma b intuire, e non intuire **. (i) Mi pare assai strano il veder fatta da alcuni opposizione a questa portante verit svolta assai chiaramente nel discorso del signor JoulBfro j g e fii premesso alla edizione italiana de' Principi di filosofia morale delio ewirt (Lodif dalla tipografia Orces nel i83i ). 4i6 quadrato dell' ipotenusa uguale a' quadrati de' due cateti , di produrre noi stessi quella verit o semplicemente di percepire una verit che gi esisteva prima che noi la percepissimo ? n Tale la questione : ella una questione tutta di fatto. Per risolverla non convien dunque cominciare dicendo, u ma se questa verit esisteva prima che Io la percepissi, come esisteva ella? come si pu concepire ch'ella abbia un'esistenza in s stessa 7 un linguaggio di tal maniera quello della ignoran- za^ la quale parla in fretta, e intromette il suo ragionamento male a proposito, obliando 1' osservazione che si dovea fare. Tomo duncjue a dire: osserviamo semplicemente: e se P os- servazione mi dice, che io sono consapevole di aver acqui- stata una verit nuova, ma non di averle dato io esistenza col mio concepirla^ affermiamo francamente anche questo , e noi teniamo nascosto, per una cotal vana e fanciullesca paura, che ci venga dimandato, come questa verit esister senza di noi, e senza l'atto dello spirito nostro. Perocch, alla peggio, quando ci venisse fatta questa interrogazione, noi risponderemmo che noi sappiamo^ e gonGandoci dentro qualche piccola prosunzione di dover saper tutto, ci verr anco un po' di color vermiglio sol viso ^ ma iGnalmente quel bel colore ander smontando in poco d'ora, e finir qui tutto il male che incontreremo. Dica dunqpe in buona grazia il mio caro lettore, Quando egli col suo intendimento giunge ad apprendere una verit matematica , per avventm*a consapevole d' esser egli colui che d l'essere a quella verit, o pm*e la coscienza gli dice, ch'egli non fa che intuire ima cosa vecchia, vecchia troppo pi di lui? Qui si tratta di un affare d fatto, di una deposizione della co* scienza. Quando Aristotele, che secondo l'interpretazione di molti sensista marcio, diceva che mP intendere un cotal patire 7 egli non intendeva gi di provarlo con un raziocinio, ma in* tendeva di annunziare una verit semplicissima di pura osser- vazione (i) E chi mai, non ischifando l'osservazione, n preii- (1) De anima L. VII, l. xii e xxyui. S. Tommaso (S.l, XIV, n, a)f e fulU la scuola seguita questa sentenza. E pure sola questa sententi sufficiente a dimostrare , che le idee o sono puramente atti dello spinto 1 I n sono pure sensazioni , n sensazioni manipolate dagl i atti dello spirita V 47 iidosi cura e Umore delle conseguenze, chi mai potrebbe lie a dire, di esser egli (juegli che fa esistere, che quanto che d la verit a (juesta proposizione: i tre angoli d^un angolo sono uguali a due retti? chi non sente anzi intima* aite come cpiesto un vero al tutto indipendente da lui, ch^egli non fa che vederlo, e riceverlo in s tale quale egli e quale fu sempre? Chi, non essendo preoccupato da si- nd, dimenticherebbe di fare una semplicissima distinzione i il conoscer egli una verit, e V esistere proprio della ve- da lui conosciuta? e chi non saprebbe notare, che aA nuova in lui la cognizione di quel vero, ma non nuovo tero stesso? per, che tutto quello ch'egli fa col suo nuovo to, di venire egli, persona contingente, a conoscere una rit per s esistente, e non mai e poi mai di creare quella rt. Egli pur facile avvedersi, che altro una verit esi- cre in s, ed altro esistere in me, che un esser da me Krtecipata. Quella verit che ora conosco , la conosco a con lixme che sia stata la medesima anche senza di me: niente Pliasofrerto col conoscerla io ^ non divenuta per questo nuova 'Vecchia, non divenuta pi n men vera, non ha acqui-* s^to pi o meno di autorit: sono io, io solo, quegli che sof- ni modificazione , io che mi permutai dMgnaro in sapiente, che dal non posseder prima quel bene della verit, venni i a possederlo ^ senza che il detto bene cominciasse ad essere lla mia cognizione, o non fosse senza di me. Ma e come dunque una verit pu esistere in s stessa? eco la terribile questione: ecco il guado che impaurisce ed ittra i filosofi nostri, e fa loro rinnegare per insino Tevi- aiza dell' osservazione pi iiTefragabile , di quella osservazione per altro essi ammettono per sola legittima fonte della Osofia. Ma di nuovo, e se vi rispondessi che io non lo so, ine vi dissi da prima , sarebbe egli questo un gran male ? per lesta mia ignoranza il fatto sar disfatto ? V osservazione ces- ^ d'essere la maestra de' filosofanti? che buon metodo di osofere sarebbe egli mai cotesto? metodo che distruggerebbe filosofia, tutte le scienze: i fenomeni della natura io dovrei garh tutti, ninno eccettuato, perch non ho tanto senno da plicarli! Rosxuii, // Rinnovamento, 53 4i8 Dobbiamo descriver ora la verit del Romagnosi, dopo dc- sci*itta quella del Mamiani. Gi precedentemente ne ho toccato^ e fu veduto, che la ve- rit del Romagnosi una manifattura naturale (i)^ il che so- prabasterebbe a conchiuderc, che la verit di qnesto filosofo non verit. Pure, attesa la celebrit ottenuta da quest'uomo in Italia, la quale trae di molti in errore, pigliando di troppa fede le sue dottrine, non sar inutile che io metta qui in maggior luce lo strano concetto che della verit d il Romagnosi nelle sue opere. E in vero , chi non rimarrebbe preso alla rete, quando badasse solo ad alcuni luoghi staccati, ad alcime di- chiarazioni ambigue, ad alcune parole senza coerenza col rima- nente di questo poco aperto e poco sincero scrittore ? Non pre- dica egli il valore del principio di contraddizione? non ce 1^ d pel criterio de' criterj ? Certamente (s). Questo tutto edifi- cante^ ma di queste buone e pie sentenze staccate non dobbiamo pascerci , se non vogliamo vivere di rugiada : dobbiamo andare al fondo, vedere dove va a parare il suo discorso, in una parola^ di che natura sia quel vero che col principio di contraddizio- ne, secondo il Romagnosi, noi possiamo accertare (3). Ora dunque questo vero pel Romagnosi non mai cosa asso- luta^ egli tutto relativo all'uomo, egli un effetto necessario (i) L. IU,c.XXIV. (a) V II sentire uno , semplice, assoluto, avvertito, forma 1' ultimo vero f appropriabile agli uomini. Da lui deriva il principio di identit detto i i contraddizione. gli supremo ed ultimo, perch sta sopra e domin* # tanto le verit di osservazione quanto quelle di riflessione : e per t^ i( il principio primo e la norma di verit del positivo e del razionala' f Ridurre i pensamenti a questo sentire, ecco il metodo critico che ooo pu fallare. Ecco il criterio dei criterj : ecco le condizioni desiderate ptf (t distinguere il controvertibile dall' incontrovertibile m ( p^eduU fondamela tali eccr L. Ij e. ly. ly). Non sono gi poste a caso queste parole, conti^ verUbile e incontrovertibile, in vece di Jalso e di vero: anzi in esse fi ip* piatta il genuino pensiero del N. A. (3) Il principio di contraddizione egli stesso una particolar venti 0 Romagnosi dunque qui si contraddice con ci che afferma nella if^ facci , cio che il criterio non dee essere una particolar verit^ d ^ indicazione delle condizioni che accompagnano le verit tutte. Io quesUI0^ telo egli fi divide dal Mamiaui, 49 prodotto da due cause concorrenti al medesimo, cio dalPazione della natura, e dalla reazione del principio senziente. Perci dice^ che il vero e V incontrovertibile sono tutt' uno (i) : ed egli incontrovertibile per noi , perch un effetto necessai io e naturale, u La verit non un ente sostanziale, ma altro non e , che una qualit dei giudizj di un essere senziente (2). Que- s sta qualit non intrinseca aV idea come il bianco ed il e rosso, il caldo ed il freddo, ma tutta relativa ad una data POSIZIONE INTELLETTUALE n (3). Ora uu vcro relativo, non ?ero: il vero qualche cosa di assoluto e dUnunutabile non solo per noi, ma in s* Le posizioni delP intelletto relativamente alle quali una opi- nione si fa vera, servendo u come modelli di confronto , le dice pi sotto ipotetiche n : e veramente, nel sistema del vero idativo , la posizione delPintelletto nostro qual modello di con- h>nto non pu assumersi che come un^ ipotesi. Egli dichiara ancor meglio il suo pensiero tosto dopo, ove toglie a mostrare, che la verit de^ nostri gudizj non si pu Quu desumere dalla loro conformit collo stato reale delle cose, na solo coUa posizione ipotetica del nostro intelletto. Qui apre pi& ingenuamente il suo sistema d' IdeaUsmo. Se col pensiero io salgo 6no al cielo, dice, o scendo fino * agli abissi, io non esco mai fuori di me stesso (4), e veggo ^ sempre le cose in me stesso (5). L^ universo dunque che sup- (i) FeduU fondamentali ecc. L. I , e. Vy 4. (a) Non si iraUa che di un essere senziente? (3) F'edute fondamentali ecc. L. I, e. Y, 4* (4) Y'ba un libro francese, che comincia appunto cosi: Soit que nous nous isviofii, pour parler mtaphoriquement, jusques dans es cieux , soit que nu descendons dans les abysmesi nous ne sortons point de nous^mmesi ce n'est jamais que notre propre pense que nous appercevons. Ognuno che questo libro l' Essai sur V origine des connoissances humaines Gondillac (5) U uscire di s slesso applicato allo spirito nostro una pura meta- ni tolta dalle idee dello spazio. Or chi non sa quanto sieno pericolose le etafore^ quando si usano non a chiarire un pensiero prima esposto in rel proprie , ma anzi a proporre una difficolt? V ha tutta la ragione dire ai filosofo che ci parla con parole traslate : o ragionatore , espo- temi i vostri pensieri fuor di|metafora^ e allora sar in caso di pesare 111- in 4^10 u pongo esstere altro non n esser pu, quanto a me, fuorcli a un fenomeno ideale prodotto dentro di me dalP azione de- a tei*minata dai rapporti reali clic passano fra il mio essere pensante e questo esteriore universo. In ultima analisi pc^ tanto tutta la questione si riduee fra T idealismo isolato, i u dipendente, o l'idealismo associato e fainulativo. Ma tutto i fine idealismo, e tutto rispetto air uomo si conosce e si fa u per via del solo idealismo ?? (r). Veramente tutti quelli i quali non anmiettono che v'abbia un essere ideale distinto dallo spirito nostro che ci faccia ro- noscer le cose, non ammettono la VEr.iTA\ che questo stes poich ella batte appunto in (|ueUa distinzione che io faceva della filosofia in volgare e dotta nel N. Sag- gio ecc. Vedi Sez. I. (3) Un' altra classe di sensisti distinguono V impressione dalla sensazione, ma confondono quest'ultima coV idea. 4^12 Questo ci che vuol significare il Romgnosi , dicendo clic Funi verso non altro fuorch un fenomeno ideale prodotto dentro di me dalP azione determinata dai rapporti reali che passano fra il mio essere pensante e cpiesto esteriore uni- a verso fi. Di che conchiudc Dunque io potr hens sentire u un risultato di questa reciproca azione la quale costituisce una legge reale, ma metafisicamente impossibile che io possa conoscere questo stato reale a guisa di originale di una copia. Pretendere di conoscere le cose in s stesse un u assurdo logico, perci stesso che la cognizione mia un^ azione mia, fatta dentro di me, e un mio modo di essere, e non una a trasfusione sostanziale di un ente e precisamente dell'entit dell'oggetto nella intelligenza mia r> (i). In queste ultime parole si contiene l'errore; difEnendovisi la cognizione semplicemente come un nostro modo di essere, una nostra azione, e disconoscendo che l'ente ideale qualche cosa di distinto da noi , e in noi , se cos si vuol dire , appunto trasfuso, il quale ente ideale (luce in cui si conoscono le cose) la verit delle cose, V essenza della verit. Che se taluno, abbandonando l'osservazione del fatto, pona sua fede in un vano ragionamento speculativo, gli parr questo certamente assai duro ad ammettersi , siccome cosa alienissima dalla comune maniera materiale di concepire. Tuttavia ad ogni intendente persona parr , io credo , di lunga mano pi duro , ed anzi al tutto impossibile il pretendere, che la verit che noi veggiamo sia semplicemente una modificazione dell'anima nostra n pi n meno, quantunque l'anima non s'accorga mai di mirare in s stessa una propria modificazione quando contempla la verit di una cosa (2). (i) Fedutejbndamentai ecc. L. I, e. V, 7, 8. (a) Non sar inutile che io qui riferisca il giudizio di Pietro Bayle sulla distinzione dell' ie^^a e della percezione fatta dal Malebranche, o pi tosto da lui resa illustre conciossiach prima di lui si ammise senza contrasto, r Secondo il sentimento del P. Malebranche, la percezione d'un' idea differente dall' idea stessa ; la percezione una modalit dell' anima do- stra, ma non l'idea. Ecco ci che pochi intendono. Ma e' non v'haiaag- gior ragione di rifiutarlo; perocch quegli che atto di andare un p fondo nelle cose , vede facilmente , che chi afTerma veder noi i corpi ^ 4^3 Che se la dottrina del Romagnosi si restringesse solo a dire^ sentimento delP universo esteriore, materia della cognizione ostra, non essere che un effetto di due cause, Pima diversa lanci, r altra noi stessi^ saremmo i primi a convenire nella oa sentenza; e abbiamo gi parlato a limgo della limitazione he riceve la cognizione nostra dal modo onde noi riceviamo a materia di questa cognizione (i). Ma il Romagnosi non re trnge al solo sentimento questa teoria; la stende a tutto; egli ri acchiude anche la parte formale della cognizione; il princi- pio stesso di contraddizione diviene nelle sue mani una sem- plice modificazione o vibrazione delPanima nostra; per tutto soggettivo, d'un valor relativo a noi: chi non intende avervi ^ la distruzione di ogni verit, un idealismo trascendentale? Che se noi cercheremo per che via un filosofo "pervenga in tali assurdi; sempre troveremo, lo sragionamento originarsi, Et dirlo di nuovo, da qualche prevenzione. La prevenzione dominante nella mente del Romagnosi appunto la pretesa s stessi , ed esser la vera cagione dell' idea che noi n' abbiamo, pronun- eia de' lermioi , che sono tanto incomprensibili quanto dicendo un r circolo quadrato ( De la Rpublique des Lettres , Mai i6B5, art. Z ), Velia sostanza io sono d'accordo col P. Malebranche in questa parte solo loo convengo con lui nell' uso eh' egli fa della parola percezione : io di- lioguo r atto con cui veggo, dall'idea veduta: ammetto che V idea o V es tre ideale indipendente dall'anima nostra , all'opposto dico che Vallo eit anima dipendente dall' idea , e senza di questa non esiste. Per l' atto I quanto si distingue dall' idea non che una pura astrazione , cio esiste ilo l'atto che termina nell' idea : quello non si pu divider da questa talmente senza distruggerlo, ma si pu dividerlo da questa mentalmente, io intendere eh' egli una parte di un tutto , diversa dall' altra parte P idea ) che entra a formar questo tutto. Oltracci io chiamo propria- lente intuizione quell'atto onde lo spirito nostro vede l'essere ideale l'idea)^ e percezione quello onde insieme sente ed afferma l'essere reale e lasistente (la cosa). Molte volte trovo necessario conservare questa propriet i lingua rigorosamente. Noto in fne che il Genovesi medesimo ammise e fese valorosamente la distinzione del Malebranche fra l'idea e l'atto dello pirite che la intuisce (Elemeni. Metaphys, P. II , prop. xzix, xxx)s e da uesto filosofo italiano il Romagnosi , che ne fa tanta stima , fino a pubbli- ame e commentarne la Logica pe' giovanetti , avrebbe potuto imparare n vero cosi importante. (i) N. Saggio Sez. YI^ e. XI. 4a4 impossibilit di avervi un ente ideale distinto e congiunto collo spirito, col quale noi vegliamo le cose , perci 1" aiiimettersi senza dimostrazione , senza esame alcuno , che la conoscenza non possa esser alti*o che una semplice modificazione deiran- ma. Non si trova la minima prova di si fondamentale proposi- zione in tutte l'opere del Romagnosi : per tutto eli' supposta come indubitata, evidente. All'incontro ci appunto quello che gli negano gli avversar]. Vuoisi vedere con che piena fidu- cia egli tolga a provare che noi non conosciamo le cose in s stesse? a Una funzione di risultato, dice, fra due cigenti potr tf essa forse diventare forma sostanziale di uno di quegli agenti? tt II senso poi di un mio movimento pu forse rappresentare la mia figura (i)? Certo no, rispondo io^ e appunto per que- sto voi dovreste vedere, essere al tutto impossibile che la co- gnizione umana sia il risultato di due agenti , consista nel senso d'un semplice vostro mo\imento. Un semplice vo.^ro movimento non potr mai farvi conoscere ne la vostra figura, n alcuna forma sostanziale, n darvi la minima idea di so- stanza o di figura. Ora, dato anche che voi non conosceste n la vostra figura, ne ninna forma sostanziale, come asserite^ tut- tavia voi ragionate e di figura e di forma, per ne avete almeno le idee generiche. Ma primieramente, egli possibile che abbiate le idee generiche di forma e di figura, se prima non avete percepite le forme o figure particolari onde coli' astra- zione (secondo il vostro stesso sistema) traete le idee generiche? Ancora, egli possibile che il senso d' un vostro movimento sia l'idea della forma e della figm*a in genere o in ispecie? (T per lo meno tanta assurdit a pensare che un movimento vostro sentito sia l'idea della figura e della forma in genere , quanta voi stesso ne trovate a pensare che un vostro movimento sentito sia l'idea della vostra vera e real figura particolare, o di una partjcolar forma sostanziale qualsiasi, vera o falsa. E potreste voi cono- scere che fra movimento e foima non ci ha similitudine alcuna, e che per quello non pu rappresentar questa, se voi non co- nosceste veramente e la forma e il movimento? (i) Fedute fondamentali ecc. L. I, e. V, 9. 4^5 Ma il Romagnosi non vedendo la possibilit di alcun altro [)artito, tiene per indubitato, e n pur bisognevole di prova, ie ogni idea nostra sia appunto il senso d' un semplice nostro Dovimento , ima semplice nostra modificazione ^ e di qui muove atto il discorso, come da punto fermo, a suo credere, n pos- ibile a porsi in controversia. Egli toglie fin anco a provare, Ile colla visione diretta delle essenze, noi saremmo meno assl- nrati della connessione reale fra noi e la natura, di quello Iie sia colPeffetto della azione e della reazione. Non vede qui, he la visione delle essenze non impedisce e non contraria al- * azione e reazione ( i ) , che si compie nel sentimento , il quale mesta materia alla visione stessa. Ma lasciando ci , udiamo atten- amente come egli ragioni della supposizione, che noi avessimo a vision delle essenze: Tanto la scienza quanto la ignoranza . che non pu essere P immagine di alcun che. Ancora , egli nette come fuor di dubbio , che in ogni caso si tratta d^ una iffezione nostra; ma questo il supposto da lui, che non si l la menoma cura di provarlo, o di esaminarlo; e tale sup- H>sto il fondo de^ suoi ragionamenti fabbricati sopra di esso; I perch appunto quel supposto ci che pi dee essere ci- Dentato con sottile esame , ed ci , dico io , che alP esame lon regge, ci dove si asconde il fracidimic del fondamento, :he cedendo fa crollare tutto PediBcio. Ma il Romagnosi sostiene tuttavia, che Tuomo possiede il rero. Qual ragione ce ne d? eccola, e si consideri qual forza (1) Questa espressione di m azione e reazione m un vero barbarismo in metafisica; ma mi si permeUa di usare qui T altrui linguag^jio che pi Botto porr alla prova della critica. (a) Vedute fondamentali ecc. L. 1, e. V. 10. Rosmini, // Rinnovamento. 54 4^6 ella possa avere: u perocch, dice, anche nella ipotesi del- ie Tidealismo isolato, la cognizione non essendo che un mero f atto variato infinitamente del me pensante, altro propria- u mente non rimane in ultimo fuorch Tidea d^un che inco- f gnito (i), autore di questi atti, e che noi connotiamo coi u vai^ segnali intrinseci di questi atti (2). Questo quanto un dire: non sono possibili che due si- stemi, Tidealismo famulativo, e P idealismo isolato. NelFuno come nell^altro la cognizione sempre un mero atto del me pensante 9 Fidea d'un che incognito. Dunque, se c' il vero nell'idealismo isolato, egli c' ugualmente nell'idealismo famo- lativo. Vi par egli questo un bel ragionare? E che ritirata trover il Romagnosi, quando gli sar risposto che il vero non c' n nell'uno n nell'altro idealismo? E che? si pian- ter forte col dire, che non si pu uscire dal circolo dell'uno o dell'altro de' due sistemi? Il pirronista glielo accorder vo- lontieri, e conchiuder: u s, e appunto perci non si d vero alcuno: io accetto di tutto buon grado la vostra concessione. Ma il vero difensore della verit gli dir per opposto: fi nego la maggiore del sillogismo, perocch accordandovela io, il pirronista l' avrebbe vinta su di voi e su di me ugualmente . Il Romagnosi si stupirebbe forse di tal negazione^ ma final- mente dovrebbe capire, che egli si era dimenticato di provare quello che innanzi tutto dovea provare, il perno della disputa, cio , che il conoscere sia e non possa esser altro che un mero atto o modo dello spirito senza un oggetto ideale distinto per natura dallo spirito stesso. Tirato a tutta forza sul vero ter- reno della lotta, egli dovrebbe sostenere, a mal suo grado, di veder posto al tormento logico quel pregiudizio sul quale egli edificava con tanto di sicurezza la mole del suo sistema. (t) Come c'entra qui ridca d'un che inco^ito? Io veggo benissDO come un atto dello spirito risultante da* rapporti delle due cause che lo producono sa un che incognito: ma ii dire che sia V idea d*UD che inco- gnito f, questo un salto mortale; l'idea vi intromessa nel ragionamento come un personaggio improvviso che apparisce sulla scena a porte chiosr: con tali apparizioni improvvise e senza nesso la buona logica de' nostn filosofi (a pur de* giochi maravigliosi! (a) Vedute fondamentali ecc. L. I, e. V, i5. 4^7 Bechiamo un altro passo del nosti^o filosofo y dove il con etto, che egli s fa del vero, viene ricapitolato: L'errore sta ' nella difformit fira i giudizj che si fanno e si possono fare. Tanto ' la Terit, quanto la falsit sono un s ed un no (i). Quelli del Tero sono immutabili quanto le essenze reali di fatto , e le azioni di queste essenze. Distinguasi la contingenza di queste azioni, dalla natura loro (2). Quelli del falso sono mutabili perch possono essere cangiati mediante un irrefragabile rag- {quaglio colla normale suddetta (3). Il colpo che deriva da una data forza sufficiente o insufficiente (4) 9 bene o male diretta (5), un risultato di fisica necessit. Il bene e il mal giudicare sono risultati di una stessa necessit (6). Correg- gere un errore sinonimo di riandare lo stesso oggetto e concepire un giudizio normale invece di un giudizio non normale, e di emettere un s nel normale, e un no nel non normale che prima portava il s. Ecco la ritrattazione su (7) Nelle quali parole apparisce manifesto , 1.* Che il vero ed il falso sono risultati di fisica necessit) orche effetti dclPazione di due forze, estema ed interna^ a.^ Che esso cosa, che viene prodotta di mano in mano ime una merce materiale^ 3.^ Che esso non ha alcuna necessit in s stesso se non ipo* stica, cio tale c[uale la natura delle cause che lo produ- moj le quali (T universo e noi) sono non solo nelle loro (1) n s non e che 1' approvazione che si d al vero , non il vero stesso (3) Egli pare che la natura m delle essenze reali di fatto m (maniera di uiare straniera alla filosofia) non sia contingente, ma necessaria. S vuol rse supporre le cose reali e di fatto immutabili ed eterne? (3) Purch il colpo, secondo la frase che segue, venga da una (orca suf- nente, sia forte abbastanza 1 (4) Un colpo pi forte fa il vero , un colpo men forte il falso 1 (5) Che cosa c'entra qui il e. Y, 18. 4'a6 azioni, ma ben anco nella loro natura contingenti, qnaiJo non SI voglia ammettere la natura eterna ecc.: e die jh-icI, diremo noi, il veix) non vero, quod crai dctnonstrandiun. Da queste dottrine debbono seguire tutte quelle conseguenze morali da noi sopra indicate, favellando del criterio del C. M.: proviene da esse la impossibilit di una morale obbligazione, appunto perch la verit , in cui ha propria sede V obbliga- zione morale, ridotta ad avere un pregio meramente rela- tivo, e non punto assoluto. Quindi il vero non vale pi per s, ma pe' vantaggi cbe ci apporta: ecco Futilit' messa nel luogo della verit' e della giustizia : questa ( cio il nome di questa ) diviene una servigiale di quella : ecco il piacere che caccia dal mondo il dovere, per regnarvi egli solo. Il Romagnosi non si trattiene dal cavalle egli stesso alcune di queste terribili conseguenze. La sua morale filosofica non mo- stra quasi mai alcun altro fondamento, se non quello dell'uti- lit, e dir anco deirutilit materiale. Egli dice espressamente cLe il pregio della verit consiste essenzialmente ed unicameste a nella efficacia di cogliere la realit eOettiva delle cose, onde ottenere i beni e schivare i mali n (i). Quindi insej;na pure, che Pignorare lo stato reale delle cose non male per noi, appunto perch tutto il bene, tutto il valore delle scirnze sta sempre unicamente nel poter operare sulla natura (2). Ma per quantunque operi io sulla natura , diverr io mai buono o cattivo ? sta chiuso ogni cosa ne' fisici beni ? non in- tende il Romagnosi, che i fisici beni sceverati dai morali (lu'I senso vero e non contraffatto della parola) sono la materia (1) Vedute fondamentali ecc.L. I , e. IV, io, 11. (3) f Quand'anche giungere si potesse a conoscere le cose in s stesse, r e poteste accertarvi che i vostri concetti sono rassomiglianti allo stato u reale delle cose , che cosa avreste voi guadagnato per V ultimo valoii u delle scienze? Nulla affatto fino a che non vi foste assicurato che prr f mexzo d queste somiglianze voi operar potete sulla natura ed essa sulla M mente vostra per ottenerne utilit' m {Vedute fondamentali ecc. Lib. I, e. V, 10). Alcuni col vocabolo di utilit comprendono anche i beni morali, cio la virt e la giustizit'). Il Romagnosi non parlai)do che di que' beni che na- scono dall' azione di noi sulla natura e della natura su noi, ci toglie fin anco la possibilit di interpretare il suo detto in uu scuso mcuo abbietto. 4^9 ell^umana infelicit? il tormento di un essere creato per Fil- mitato, per ci che puro e celeste? CAPITOLO XXXVT. continuztohe. I crtei^ adunque del Mamiani e del Romagnosi non condu* ono alla certezza, perocch none certezza quella che si appella on tal nome da^ nostri autori: que^ criterj non conducono alla ert, perocch non verit la verit del G. M. e del Ro lagnosi. Queste severe, ma irrepugnabili conclusioni a cui noi siamo enuti, cercando T intimo concetto che i nostri autori stessi ^giungono alle parole certezza e s^t^ possono ugualmente [^licarsi a tutti i sistemi ohe finiscono col riporre nell'anima mana o nella compotenza dell'anima colla natura il criterio: erocch tutti vengono diffinendo la scienza e la verit un odo ddPanimo nostro^ cio di un essere accidentale e senza onslstenza, senza dignit propria e senza autorit (i). (i) Quelli che posero il crtero nelP autorit non bisogno d ribatterli parte; poich dovendo esser sempre Y anima nostra quella che riceve le ottrine che ci venissero comunicate dall' autorit di chicchessia , essi deb- ono pure dichiararsi , dicendoci chiaro , se le dottrine dall* anima rice- ate sieno un semplice modo dell' anima , nel qual caso partenTOno a' pre- edeoti , o pure se queste dottrine hanno una entit ideale loro propria , el qual caso appartengono ad alcuno de' sistemi che formano la seconda arte della nostra Tavola sinottica de' criterj della certezza. Io dovrei bens por mano ne' sistemi tracciati in questa seconda parte ella Tavola indicata: e mostrar prima in che e perch io mi diparta dal [alebranche; e poi come coloro che hanno considerato il primo vero quale di' anima nostra noi il possiamo coli' osservazione rilevare, pecchino r di eccesso or di difetto; e come il sistema vero si debba allogare tra ittagora e Platone; non potendosi indicare un primo vero che essendo linore di quello ch'io pongo, far possa l'ufficio di criterio universale^ o be essendo maggiore, non sia soverchio a quest'uffizio. Ila l'entrare a mostrar ci, mi divagherebbe troppo dalla conversazione Ile ho preso a fare col G. M. ; nella quale d' altra parte continuandomi , err forse a capo di metter via meglio in chiaro il mio pensiero ; giacch itta b difficolt, a mio parere, sta nel bene intenderlo; e, dove bene sia Xeso, penso che non possa essere pi posto in controversia. 43o Per evitare un si fatto ti^acollo mortale , per salvare in qualche modo la natura divina della verit, mantenendo nello stesso tempo, difessa sia un modo delFanima umana, non si vede che un rimedio ; ma questo rimedio assai peggiore dello stesso male a cui si vuol riparare. Il rimedio di cui parliamo, s'intender subito, ove si prenda il sistema che abbiamo esaminato, da un altro manico, per cosi dire, giacch ogni cosa ha pure i suoi due manichi. Gli autori esaminati danno al i^ero le qualit delP uomo; si potrebbe fare il contrario: dare all'uomo le quaUt del vero: ecco r altro manico di cui parlavo. Dico, che si potrebbe sentir con essi quanto al principio, che il vero non sia altro che un modo delP essere umano , e tuttavia mantenerlo nel possesso delle sue divine qualit, cio della im- mutabilit, eternit, necessit, universalit ecc. Ma in che modo? Con un po' di coraggio. Basta osar di dire, che Fuomo stesso ha veramente tutte quelle sublimissime doti, e che la contingenza, la mutabilit ecc. non che Fuomo fenomenico ed esteriore , non il vero uomo , non quel mirabile lo^ soggetto occulto, che cosi comodo a potergli far fare tante beUe cose, senza che egli venga giammai fuori del suo nascondiglio a darci una mentita. Veramente, fra' nostri italiani non v'ebbe per anco alcuno, a mia saputa, a cui bastasse di tanto il co- raggio^ ma la cosa non va cosi altrove^ non va cosi, per esem- pio, de' filosofi tedeschi ^ ti^oppi de' quali hanno veramente un coraggio gigantesco pari all'ingegno. Di qui , che sebbene ne' lor sistemi, come ho gi osservato, giaccia sempre in fondo un elemento soggettivo, tuttavia essi mantengono al vero, me- glio de' filosofi di ogn' altia nazione , le sue qualit sublimissi- me, divine^ immaginando un soggetto che si oggettiva, e che riesce a vincere o sia ad assalire di nuovo in s il proprio oggetto: per il che tendono essi incessantemente a divinizzare il pensiero , e finiscono assai spesso in qualche sistema di paih teismo. 43 1 CAPITOLO XXXVII. GRAVI CONSEGUENZE DEL SISTEMA DEL C. M. Ora io non vorrei che per altri si credesse aver io in qual- che parte appiccicata al Mamiani una opinione non sua. seb- bene niente abbia io detto , che noi provassi con luoghi tratti fuori dal suo libro, tuttavia a dileguare ogni dubbio mi spie- gher meglio. Non volli io gi dire, che il C. M. nell^animo suo negasse alla verit quelle preclare doti, che tutto Puman genere le concede, e sempre le concesse, di essei*e cio una, universale, infinita, immutabile, etema ecc. Dissi solamente, che queste doti innegabili della verit, della quale Fuomo partecipa, non si possono mantenere a lei nel suo sistema, ma rimangono senza spiegazione, sono rese impossibili. I passi del libro del Mamiani che ho addotti mostrano quanto egli cedesse a questa conseguenza necessaria della sua dottrina. Ma que^ passi non impediscono che non ve n^ abbiano degli altri, dove il Mamiani confessa ingenuamente, che la verit Gomita di tutte quelle eccellenti prerogative^ ingegnandosi fin uico di spiegarle, e di conciliarle coi principj della sua filosofia. Ora Pudire dal Mamiani, che la verit per essenza immu- tabile, necessara, cogli altri pregi toccati, a noi cosa assai lieta; si perch ci troviamo qui consenzienti con un pre- dato uomo , e s perch quella concessione ci d diritto di do- mandargli qualche spiegazione di doti si eccelse, o almeno li chiedergli che non voglia rendercele impossibili col rima- nente di sua dottrina. non ripugnano esse quelle altissime propriet del Vero con ^tta Fintima e sostanziai parte della filosofia del Mamiani? Da prima, se, come egli vuole, le cognizioni nostre vengono uttc dalle cose esteme, e dalPuso delle nostre potenze che 'anno elaborando, per cos dire, le impressioni di quelle, enza che in dette potenze prcesista alcun lume naturale, al- cuna prima intuizione^ egli si pir niauifcsto, che le nostre idee 432 non potendo esser che analoghe alle cose onde originariamente procedono, non avranno nulla d** immutabile e di necessario, se anche queste non l'abbiano. Il C. M. sente la verit di que- sto principio, che pone, non potervi aver pi nelP effetto che nella causa ^ e perci dice cos: u Questo salire dello sciLile dal transitorio al durevole, dal vario all' immutabile , dal li- te mitato all'universale, e dal contingente al necessario mai u non avrebbe luogo qualora il necessario, Petemo, Pinfinito e a r immutabile non dimorasse veramente per mezzo tutte le trasformazioni della materia e dello spirito (i): parole molto osservabili, e che non dobbiamo credere sfuggite iuav- Tertitamente al nostro filosofo *^ perocch sono una conseguenza necessaria delle premesse. Le premesse sono: i. Che tutte le idee vengono dalla materia^ e dallo spirito nostro, che risponde colle sue inteme operazioni alle impres- sioni di quella^ 2.* Che nelle idee si trova il durevole , l' etemo , V immuta- bile, Puniversale, T infinito, il necessario. La conseguenza , Che dunque il durevole, l'eterno, l'immutabile, l'universale, Tinfinito, il necessario debbono trovarsi neUa materia e nello spirito nostro, per mezzo a tutte le loro permutazioni. Chi non sente quanta attenzione meriti una simigliante dot- trina? E pur questo l'unico partito a cui si possa appigliare ogni 61osofo sensista, o puro o misto, il quale non voglia negare alle idee quelle loro innegabili prerogative. E qui, se non erro, consiste forse la differenza pi notabile, che parte il Mamiani dal Romagnosi ^ perocch sebbene tutt' e due sensisti , pure il Mamiani non lascia dubitare di s circa ^ammettere candida- mente i subhmi caratteri propr j delle idee e della verit , quando all'incontro il Romagnosi egli pare, andando al fondo, che non li ammetta gi con ischiettezza , ma , mi si conceda il dirlo, subdolosamente al suo solito, come un'apparenza, di (l) P. II, e. XIX, IT. 433 vlla potendoci noi ben assicurare nel suo idealismo associato, enebroso e fatale (i). Il C. M. adunque si getta a questo pailito unico che gli rimane: accorda alle cose, cio alla materia ed allo spirito lostro, gli altissiuii caratteri delle idee. u Abbiamo ravvisata ( cosi riassume egli il suo pensiero ) un' aimonia perfetta tra il mondo nostro cogitativo e il mondo delle realit, imperocch in entrambi abbiam discoperto sub- te bietti immutabih e indivisibili che sono perno al circolar moto dei cangiamenti materiali e intellettuali. Quelle unit poi, le quali si formano entro la nostra mente per la con- templazione del simile (2), abbiamo veduto essere una ripro- duzione (3) vera e certa delle unit originarie di subbietti e di azioni, e perci darsi in qualche modo (4) l'universale u in natura (5). Cosi egli pretende che l'universalit, l'unit, l'immutabilit e l'indivisibilit siano di pari nelle cose, e nelle idee che dalle cose si derivano^ e che le idee acquistino quelle loro prerogative dalle cose reali, da cui egli le vuol provenute, (i) Il Romagnosi d vanto al suo sistema ^ come a quello che spieghi agevolmente il modo onde Tuomo pu agire sul mondo esteriore. Pure in ogni sistema qualsiasi nel quale si ammetta Y influsso fisico, come nel no- stro , queir azione sul mondo spiegata ugualmente. Sono per da consi* derarsi bene quelle parole del Romagnosi t La cognizione che vi perviene, m essendo un'azione reale che si fa in voi ^ voi non uscite da voi stesso , w dalla vostra mente per operare sulla realt (Predate fondamentali ecc. L. 1, e. \, 16): parole alquanto equivoche, perocch egli sembrerebbe da esse, che la stessa realit esterna ibsse qualche cosa appartenente a noi, alla nostra mente, come vuole T idealista puro, intendendosi allora perfetta- mente come tutta l'azione nostra dentro di noi si compia. In un sistema tensistico-ideale quelle parole non ammettono altra interpretazione. (a) Io ho mostrato che il simile delle cose non che una relazione che esse hanno colla mente nostra, e quindi niente che sia in esse di reale. Vedi. add. L. II, e. XXXIII-^XXXVII. (3) Se la mente riproduce le unit originarie delle cose, in tal caso queste unit che hanno bisogno di esser riprodotte non si trovano nelle singole sensazioni. Se non si trovano nelle singole sensazioni, sono una fattura della mente; se sono una fattura della mente, come si pu sapere ' che elle corrispondano alle unit che sono nelle cose? (4) Ho gi notalo che V m in qualche modo svela la titubanza del* r autore. (5) P. n, e. XX, I. Rosmini, // Binno^wnento. 55 434 Per de' soggetti, reali in un luogo egli dice : Nel fondo u d'ogni soggetto minutamente cercato ( i ) noi rinveniamo qual- V che porzione d'identit, clic persiste e non cangia, e la (juale, u si vedr a suo luogo procedere dalla natura eterna e immu- ti labile di certi subbietti (2), ove la unit sua reale e ri- u sponde all'unit intellettiva che aiidiam formando n (3). Nel qual luogo notisi, distinguersi la unit intellettiva ( delle idee) dalla unit reale ( de' soggetti reali): sicch la natura eterna e immutabile atti ibuita dal Mamiani a quc' soggetti, noa pu mica intendersi per quella che si trova nelle loro idee o possibilit eterne^ ma in una unit giacente in essi realmente sussistenti: trattasi anzi di spiegare l'unit intellettiva (delle idee) mediante l'unit reale (delle cose), derivando (juella da questa. E per in altro luogo generalmente dice, che ogni sostanza u dee risultare di modi mutabili, e d'un siibbietto uno, indi- li visibile, immutabile e perpetuo n (4): dove apparisce, che l'unit, l'indivisibilit, rimmutabilit e la perpetuit sono dal N. A. attribuite alle sostanze tutte, ninna eccettuata. Ora poi dall'aver egli dato l'immutabilit e l'eternit a' sog- getti reali, conveniva di conseguente, che dichiarasse pure (i) n G. M. dove avesse voluto ^ ed era desiderabile ^ mantCDcr sempre una stessa forma di parlare^ qui avrebbe dovuto dire r uel soggetto io* stanziale m^ in luogo di dire nel fondo d'ogni soggetto m. Perocch egli ammeUe pur sempre due soggetti maritati insieme^ T uno fenomenico e l'altro sostanziale, i quali ^ a dir vero, mi sembrano tutto simili a que' mostri che nascono giunti per le reni. (9) Secondo la dottrina de' nostri maggiori, il soggetto eterno non che Dici tutte 1' altre nature hanno avuto principio. (5) P. II, Xj in. Egli dalla perennit o continuit supposta, secondo il Mamiaoi^nel concetto del tempo, che scaturiscono quelle mirabili doti de' varj soggetti delle cose : f Cou tale scienza del tempo ci venuto aperto H l'ingresso (dice) alla cognizione delle sostanze e di ci che per entro le M cose immutabile, necessario, infinito m (P. II, e. XX, i). Egli si ap pella al senso comune; ma il senso comune ha mai pronunciato che ncUe cose v'^bia l'immutabile, il necessario, l'infinito? Povero senso comtui0| se avesse proferito s strana corbelleria ! (4) P. U,c XIV, n. 435^ etemo lo spazio ed il tempo (i); e cos egli fa veramente senza alcuna esitazione: ce La durata e lo spazi (dice egli) comunicano insieme la tf loro infinit rispettiva, cio a dire che la durata per tutto lo spazio, e questo persevera nella lunghezza etema della durata yf (i). E udiamo con che argomenti s'ingegni d provare cos gravi affermazioni: tf E prima, che la durata sia in tutto lo spazio Io provammo noi qui di sopra , l dove dicemmo ogni cosa dover comin- ciare o essere etema. Se comincia, nel tempo e quindi nella tt durata: se non comincia e pur coesiste con gli esseri tem- porali (3), essa dura perfettamente continua. Che lo spazi poi perseveri nella durata senza mai fine si trae da quello u che fu concluso intomo i subbietti immutabili. Ora, lo spa- zio vero subbietto. Perch da ima parte egli non un m fenomeno nato da azione e passione e accompagnato da al-* m cun movimento (4)* Ma semphce in s medesimo, e idcn (i) n tempo eterno 1 bel pensameoto da vero^ e aovlssmo; perocch fia qui il mondo us sempre di contrapporre come opposti fra loro il concetto del tempo e quello della eternit. (2) P. II, C. VII, IX. (3) Ma gli esseri temporali non sono temporanei ? E se son tali , la du* rata non pu coesister sempre con essi. Non e' verso dunque > altro che d'ammettere che gli esseri temporali sieno eternit Ninna maraviglia, giac- eh abbiamo veduto, che, giusta ilMamiani, in tutte le sostanze avvi la perpetuit, senza esclusione delle sostanze temporali. (4) L' argomento qut^sto : r Lo spazio non un fenomeno. Dunque egli uo soggetto. Ma i soggetti sono imroulbbili, eterni ecc. Dunque ecc. m Di questo passo si potrebbe andar Dio sa dove. Io osservo solo, i.^ che in fondo a quest'argomentazione giace una di quelle prevenzioni, dietro le quali i sensisti' conducono i loro ragionamenti, senza darsi carico di pr* varie, senza ne pure aimunziarle direttamente. La prevenzione di che [tarlo si questa proposizione, che r tutto ci che non fenomeno sia un soggetto M, sicch niente altro v'abbia, n aver vi possa, che non sia o soggetto o fenomeno. Un'affermazione cos rigorosa, cosi limitata, di quelle che solitamente si formano nell'animo per analogia di ci che si vede ne' corpi. Questi sono composti di fenomeni e di soggetto t dunque si conchiude , con un terribile salto , tutto composto di fenomeni e di sog* getti. Tali analogie fornata no spesso il ikietodo pratico (X filosofare deUa scuola, che s'aUribuisce il nome di sptntenUdc 'a!^ Che cosa un feiio- 436 M tico in perfetta guisa. D'altra parte, egli riceve in s tutti I modi deirestensionc e tutti i fenomeni del movimento (i). tt Adunque come vero suhbietto, lo spazio dura continuo, cio ETERNO e senza possibile mutazione >? (;). Dove ce n'andiamo noi ? se lo spazio eterno perch un soggetto, se i soggetti sono eterni ed immutabili ^ egli dee av- venire clic ogni ente abbia l'assoluto in se stesso^ peroccli qual cosa ci resta pi a ricreare dopo esser noi pervenuti al- l' immutabile ed air eterno ? Il C. M. vede, ed accetta di tutto cuore anche questa inde- clinabile conseguenza^ coraggio dunque! udiamo anche que- sta sua teoria dell'assoluto: tt Da ci viene manifesto, che si nel principio nostro pen- tt sante, e s nelle cose esteriori (3), risiede un essere necessa- meiio ? quello che apparisce. Ora lo spazio non apparisce egli? dunque un fenomeno, secondo lo slesso Mniniiini. P(t reiulcrlo un soggetto , do- vrebbe il Mamiani mostrare che scilo lo spazio apparente vi ha un altro spazio reale e non apparento: cosi avrebbe ct^'ll trovalo il soggetto sostan- ziale dello spazio, scgullanilo i suol propri prliirij)]. (i) Or ora dl^se che lo Sj>nzlo non un fenomi'uo accompagnalo da al- cun movimento. Or qui ri;li ricevi! in s tulli i modi dell' estensione e tulli i fenomeni del niovlmeiiio >. Cumo si concili.ino queste due proposi- zioni vicine? O quesli lenomcnl d- 1 movlnioiilo aifellano lo spazio, o no. Se lo affettano, e^li non pi vero , che non sia * un altro ve n'ha pure nel soggetto sostanziale: dunqe dovea dire, che nel principio pensante non v' ha un solo essere inTariahile, ma due. 4h i taniente Immune di variazione, e identico perennemente a i s stesso: il che porta e solleva al fine il nostro intelletto 5 alla vera nozione della sostanza (i), cio al snbbietto uno, (i) Qui il C. M. parla della vera nozione della sostanza^ poco appresso omina le sostante uere. Questa maniera di parlare involge relazione sUa falsa nozione della sostanza , e colle sostanze Jalse. Or a che mai ili distinzioni di sostanze vere e false, di nozioni vere e false? Vel dir io. l'ali distinzioni sono di prima necessit in una filosofa che si dispensa olentieri dall' osservare la propriet nell'uso delle parole^ e che le prende ai in uno, e qua in altro signifcato : ed egli poi di prima necessit il oo dare un fermo valore alle parole , quando la filosofa sia lontana dalla erl. Mi si permetta che illustri la cosa con un esempio. Torr questo sempio dal vario signifcato che le parole sostanza e soggetto tengono eli' opera del C M. I * In molti luoghi del libro del G. M., come nel sopraccitato, il carattere istintive ^ essenziale della sostanza V immutabilit. In altri per, egli i presenta I* istanza come cosa mutabile, e solo il soggetto ce lo de nrive per immu^ *^^le , come l dove dice m ogni sostanza dee risultare di modi mutabili, e .'* i subbietto uno, indivisibile^ immutabile e per* etuo *. ( P. II, e. xrv , ^. a * Ma in altri luoghi il so^^ '^ e la sostanza divengono una cosa sola tQtt' e due mutabili t come l Qu ^eve per buona quella definizione la sostanza un soggetto che si mou ^ ^* ( P. II, e. Y, viii). 3.^ In altri pure egli d dei modi espressati -"n te al soggetto, sicch come i sopra n la sostanza fu fatta risultare da dei modi mutabili e da un soggetto immutabile , cosi forza dire^ che questo soggetto immu ibile ha egli stesso dei modi mutabili, e qualche cosa tuttavia d' immu- ibile, come l dove dice che w la durata cade sempre in un solo essere , cio nel soggetto pensante e nei MODI di tal soggetto ( P. IIj .VII, n). 4.* Altrove dislngue due soggetti, tt l'uno fenomenale m, e l'altro - sostan- lale j che sta sotto al fenomenale (P. II , e. IV^ iv )^ e dichiara immu- ibile non solo il sostanziale y ma ben anco \\ fenomenale, dichiarando ri- porre egli la sua entit nella perpetua medesimezza, la quale si ripro* r duce in qualunque atto cogitativo m ( Ivi ). 5.* Egli per distingue la sostanza dal soggetto fenomenale y perocch lice M la realit sua (del soggetto fenomenale) non domandare, onde si r fccia conoscere, la realit della sostanza w (P. II, e. IV, iv ); sicch qui 'ha un soggetto che non pi sostanza , e non ha n pure bisogno dia sostanza per essere conosciuto. 6.^ Questo soggetto fenomenale per, che ha * la sua entit nella perpe- i medesimezza m, la spontaneit, che necessariamente si modifica, ^m' egli stesso dice ( P. II , e. IV, ni ) , di maniera che m qualunque atte d' intuizione pure un modo particolare e determinato del subbietta pensante , o dir si voglia del me fenomenico ( Ivi ) 438 u cpntinuo ed Immutabile, assoluto e non relativo, sostegno a di tutti i modi, o vogllam dire di tutte le mutazioni. n? Perci questo soggetto fenomenico che ha l'entit sua nella prr- petua medesimezza m, non cosi immuiRble come il soggetto sosltinziak: di guisa che, in quanto alle cose esterno , dice che error grave sarebbe w di reputare quelle identit fenomeniche ( nelle quali ripose il soggetio fenomenico ), M le quali vediamo sussistere per mezzo infiniti modi variabili, n come la costante e immediata manifestazione dei soggetti continui, iden- r tici ed assoluti m. E quanto al principio pensante dice pure, e L'idea* r fico fenomenico (cio il soggetto fenomenico ), il quale sentiamo giacere r m fondo a tutti i modi della nostra spontaneit, non pu dirsi immuoe r affatto da cangiamento (P. II, e VII, vii ). 8.^ Altrove poi ammette che la parola subbiotto sia estesa a significare eziandio certa totalit di fenomeni, congiunti per totalit di spazio, di M tempo, di solidit^ di colore, di moto, e d'altri accidenti m ( P. Il, e. IV, vii). Sicch m il subbictto termina con essere un complesso di accidenti. Dove Io spazio si fa un accidente, sebbene altrove il faccia u ioggetto sostanziale ( P. II , e. VII , ix ). 9.^ Ma non solo il soggetto fenomenale modificabile, ma ben anco quello che sta sotto alle apparenze, cio il sostanziale; scrivendo io un luogo: f Chi ben si ricorda il determinato da noi sull'obbiettiva condizione f delle idee , vedr che a un tale soggetto modificabile risponde forzat:i' m mente un soggetto MODIFICABILE estrinseco, il quale ed esiste per H s, e SOTTOSTA' ALLE APPARENZE SENSIBILI h ( P. II, e. V, vili). 10.^ Sparita adunque l'immutabilit del soggetto tanto fenomenale che sostanziale , converr ancora ricercarla, se essa in alcun luogo si ritrova, nella povera sostanza prima squarciata fra modi variabili e soggetto inva- riabile. Di fatto il Maroiani dice, che # s nel principio nostro pensante, t n si nelle cose esteriori, risiede un essere necessariamente immune di n- w riazione j e identico perennemente a s stesso: il che porla e solleva! r fine il nostro intelletto alla vera nozione della sostanza m ( P. H, e. VII, vii). 11.^ Se non che questa sostanza di nuovo si fa sinonimo di soggetto, cht diviene anch' egli immutabile, soggiungendosi alle surriferite parole queste altre: ^ cio al subbietto uno, continuo ed immutabile, assoluto e eoa relativo m ( Ivi ). la.* Ma che! non solo la sostanza ritornata immutabile; ma in un altro luogo anche i suoi modi acquistano d'un tratto l'immutabilit : m I inodi r proprii delle sostanze sono un atto perpetuo ed immutabile di esse. Dato r per possibile il caso contrario, avverrebbe che i modi cangiando e pr* r ducendo con ci un discontinuo^ non potrebbero mai riassumere la forai M lor peculiare senza un atto nuovo e distinto del lor subbietto, il n apporterebbe al medesimo un reale cangiamento (JP. II, e. XIY, o)* 439 t Ora si dice esistere di l dal fenomeno un reale assoluto, questa r (l'azione) non pu venir ricevuta immediatamente dal subbietto so- r stanziale j stante ch'ei muterebbe: avvi dunque nella sostanza alcun che r distinto capace di ricevere l'esterna azione m ( P. 11^ e. XIV> n); e [Ili ricorre a dire^ che ci che non muta il soggetto: sicch quando af- nnasi la mutabilit della sostanza, ci che immutabile il soggetto; [uando trattasi della mutabilit del soggetto, ci che non muta ia so* itanza : ora sono tutti e due immutabili, ora entrambi mutabili: ora im- uutabili pi o meno : ora sotto al soggetto mutabile ve n' ha uno d' im- Bulabile: ora mutabile anche questo: ora i modi stessi sono immutabili : permanenti. i4-^ Attese cosi opposte dottrine, appiccasi una terribile zuffa, nel libro lei Mamani , fra i diversi principi attivi da' quali procede il principio delle notazioni. D'una parte negasi che la mutazione venga dal soggetto: ^ Il V principio del cangiamento mai non pu uscire dal subbietto immutabile : M esso dunque estraneo al subbietto medesimo m (P. II, c. XIV, n ). Cosi pure si dice il medesimo della sostanza, che h ella non pu essere il principio del cangiamento m (Ivi). Dall'altra, come si nomina di so* pra una sostanza passiva , cosi qui parimente si trae in campo un soggetto passivo (Ivi). i5.* Questo mostrerebbe, che le azioni non appartenessero n ai sog* ^ti> n alle sostanze; cio che n le sostanze, n i soggetti fossero quelli che agissero. gli per facile a vedere, che se non operano n i sog- getti n le sostanze, non riman pi un principio che possa operare. Per il G. M. piegasi docilmente ad un nuovo pensiero. La sostanza rice- ver i movimenti , le azioni diverranno organi della prima efficienza , cio iel soggetto e questo per non operer se non mediatamente, per potere itarsi fermo e non muoversi : stante ch'ella non pu essere il principio del cangiamento: l'im- pulso poi immediato non pu venirle dalla prima efficienza, imperocch questa essendo immutabile non agisce con mutazione * (P. II, e. XIV, n). Questa maniera di ragionare pure oltremodo singolare. Dicesi che il '^^Sgetto, la prima efficienza non pu dare l'impulso immediato alla so* stanza passiva. Or bene, questa prima efficienza operer mediatamente; che cos' questo mezzo ? l' azione, organo della prima efficienza , del sog- getto. Ma Fazione ella moto o quiete? Se l'azione qniete , non l nulla. Se moto^ toma la difficolt , come il soggetto immutabile pr* 44o cangiamento (i)^ e poco pi sotto dice ancora, che sotto u i fenomeni o mutabili o identici esistono le vere sostanze, in cui risiede 1' assoluto di tutte le cose (2). Di pili ancora j lo spazio medesimo sar un assoluto (3), perch duca immediatamente razione. Vorremo noi supporre un altro mezzo fra l'azione e il soggetto? di nuovo ^ questo mezzo o sar mosso dal sog- getto > o no. Se no, egli non riceve alcun impulso n attivila ; se si, il sog* getto adunque gli comunica iinmedialamenlc il molo. Ognuno intende, che con un simile ragionamenlo si troverebbe una serie di mezzi iofioili fra il soggetto operante e la sostanza che riceve l'azione, seuza che qu^ 8t' azione giungesse per mai a penetrare uella sostanza. 16.^ Perci lasciato da parte questo operare mediato della prima sostanza, ci vengono innanzi i soggetti non pi inerti, ma operanti di tutta lena: r II cangiamento determinato dall' attivit del proprio subhietto (P.II,c. XIV, 11). i^. Medesimamente le sostanze diventano attive, tenendo in s la ca* gone de' cangiamenti: Il cangiamento dee venire determiuato, cio debbe m avere la sua cagione dentro T essere della sostanza a cui appartiene m (Iri). 18.^ N solo diventano attive le sostanze, ma solo ad esse appartiene tuUa r attivit. Quindi V immutabilit in questo nuovo stato di cose appar- tiene ai modi che prima venivano dichiarati mutabili, la mutabilit poi alle sostanze che prima immutabili si dichiaravano: w I modi della sostanza w non possono modificarsi. > Niente saprebbero efiettuare: da che manca w in loro il principio attivo, concedendo il quale ei divengono tosto vere w e reali sostanze m (Ivi, in). 19.* Ora siccome le sostanze e i soggetti attivi operando cangiano, cosi anche i soggetti passivi non sono immuni da cangiamento : ervenuto il t Timeo di Platone, quando ragionavano delle cose della natura, si so- H gnarono mai che la natura constasse di numeri ; ma s' ingegnarono essi M di spiegare il mondo eh* era fuori di essi loro, pel mezzo di quel mondo ^ CHE NELLA LORO MENTE S'ERANO COMPOSTO (Ivi, e. IV). La materia adunque metafisica del Vico non che la materia comune in iettigibile di s. Tommaso , la quale poi non che una pun idra astratta {S. I, Lxxxy^ i, ad i). Anzi quivi appunto il santo Dottore rifiuu Platone, che voleva sussistere veramente una tal materia, non consideraorlo ch'ella si forma da noi per un modo speciale di astrazione: Et quia PUio non considerava f dice l'Angelico, quod dicium est de duplici modo ab* stractionis, omnia quae diximus abstralU per intellectum , posuil abstracLi esse seeundum rem. Di qui si vede, che quando il Vico dice, che quella materia la sostanza de' corpi, non pu ragionevolmente intendere, se ooo che sia Videa della sostanza, ovvero che sia la sostanza riferita a' corpi, e non precisa da' corpi; il che mostrerebbe come il Vico tolse anche questo placito dall' Aquina te , il quale scrive appunto. Materia ^^intelligiilis diciiur substantia seeundum quod subjacet quanlitati (Ivi). Un nuovo conforto ri- ceve questa nostra maniera d' intendere il Vico , dal vedere che la sm materia d il soggetto alla matematica; il perch dice della doltrioi di Zenone f col quale pretende convenire, cos: h Erroneamente si stia* r la geometria depurare il suo soggetto dalla materia , o , per parbr cfBf r scuole, astraerlo da essa materia: perciocch gli Zenonisti erano ioli nella persuasione che niun' altra scienza trattasse la materia con maggior 447 mento debbono risultare di continuit e di successione n*^ e esto trova essenziale a tutti i subbietti, soggiungendo u cio a dire ch'elle sono vere sostanze e veri subbietti modifi- cabili n (i). Coerentemente a tale dottrina, conviene cbe ancbe nel pen- aro siavi inchiusa la percezione dello spazio , soggetto nniver- te^ e cos afferma: Nel sentimento (egli dice) il quale costi- tuisce l'oggetto perpetuo del pensiero sempre una perce- zione dello spazio, della solidit e del discontinuo, e un moto correlativo in alcuno dei nostri organi: dai (pali fatti poi riscuotono il lor principio immediato le nozioni gene- rali della causalit n (2). quindi esce il concetto del tutto assoluto, venendo ogni a, come vedemmo, ridotta a quel soggetto unico, immuta- le di tutte le cose mutabili : sicch dice , u Gotesta intima unione delPimpenetrabile e dell'obbiettivo risibile con l'esteso un fatto primissimo cos vero e certo, qnanto misterioso all'umano giudicio. Per simile fatto noi : siamo introdotti dalla natura a conoscere fuori di noi i com- posti inseparabili, o vogliam dire che alla Notizia dell' asso- predsione ed esattezza della geomet ria ; intendeDdo per di quella nia- tera che pura le yeniva somministrata DALLA MENTE, cio della wt deir eslenrione m {DeW antichissima sapienza ecc, e. IV). Or chi OH vede che i matematici non hanno per soggetto che una quantit pos- hile, delle idee astratte? E anco questo conviene a capello con s. Tom- laso, il quale insegna che species^mathematicae possunt ahstrahi per iniel- xium a materia sensibili, non tamen a materia inUUigibili communi, sed 9um individuali (S. XLVI , i, ad a.). Finalmente ci che pi Ali per- aade, il Vico intendere per cosa ideale la sua materia metafisica , si il ederlo sempre religiosamente aderente alla cristiana teologia. Ora egli non frebbe biasimato giammai Cartesio dell'aver posto la materia creata e ivisibile, come sembra di fare nel G. IV dell'opera citata, quando in- sndesse per materia qualche cosa di reale e di sussistente; perocch un rrore al grave contro il dogma de' cristiani non poteva il Vico proferirlo per ignoranza, n per volont. Egli dunque da dire, che in que' iogl> dove pare che alla sua materia metafsica aggiunga qualche rea- tdi , egli intenda di qualche propriet delle idee, o di qualche attitudine Idi' elemento materiale, quale giace ne' corpi, ed indivisibile da essi. (1) P. n, e. XIV, li. (a) Ivi. 446 / Conviene ossei*vare, clic il Mamiani so^ . . . .^ Jj mutabUi alle leggi della continuit, dice- '^ ^ ""^^^ tanto che esistono, qualora mutine .1 ^ iin il C. M. riconosce ^^__^___^^__^___^^____^___^__^^^^ confesso , che per [\x:^ si sue parole, non ne h'^ luoghi a me sembrano pi chiari d ,. dal principio di causa mcDlc la mente del Vico. E per f ajt 1 .. ., j r ^ essere. Ma primieramente parole ove dice w 11 mondo fisi . ^ H mente divisibai, dove il ro eteme e immutabili giammai lime, cio di virt indivi' applicare il principio (di causa) raniichiss. sapienza, e. T ^nc alla verit. Che qualora si pensi metafisico puFtmeatr ^ ^^^ ^^^^ ^^^ bisogno di venire dcter- sica non sembra o' . tendere il Tico r .co, e un altro essere coetemo con lui ed Uri luoghi pi ^jt, qual cosa ci far credere uno V effetto del- non censura r ^^ perch V uno esercita sopra V altro una virtii nostra "w' y'^.L-ttice ? ma se tal virtii nulla cans^ia e nulla princi- i^cei ma se lai viriu nuiia cangia e nuua pnnci- [ente le si compete il nome di azione causale (s). /j^j ^/^l^te cose immutabili che si pensano coctei*nc alla causa ai ''^ 5000 essi i soggetti dichiarati tutti dal nostro autore /^lihili? o la materia infinita, soggetto universale? o ^ffoella sua, una pura supposizione? jfi secondo luogo, io non rinvengo in nessuna parte del libro jel G. M. chiaramente espressa la creazione della materia dal iiulla^ anzi, se ci che dice della materia si dee intendere strettamente, ammettendola creata si contraddirebbe. Anco l'idea dominante d causa nelP opera del Mamiani una virt che determina gli esseri ne' loro modi , e non che li trae dai nulla^ e per chiama la causa resistenza dcterminatrice (3); alla prima causa , al primo ente attribuisce di essere quel (i) P. n, e. VI, vili. (a) P. U, e. Xm y IV. ^) P. II, e. XIII, III. Qui il G. M. dice bens m che Tesistenia deCcr- w minatrice, cio la causa m non pure antecede di piena necessita l'csi- M sterna nuova, ma eziandio la determina rispetto al modo e rispettosi r tempo M. Ma avendo egli fatti i soggetti eterni , non si vede come jiKSti appartengano alle esistenze nuove; sembra anzi, che nuove esisterne sieno nel linguaggio del G. M. unicamente i modi variabili de' soggelti|0 del soggetto universale. \ 449 ninan (i). Di pi, egli dice espressamente: Sono per- esseri tutti determinati da un primo ente^ per al loro dcterminazioue non pu costituirsi legge ve- dal solo principio di causalit n (2). -^ri bene ci che il Mamiani vuol dire. U principio di causalit non contiene altro ^ y. elle in una serie di termini , cio di ca- ^ .line posteriore sia sempre diverso da . una certa guisa prestabilita (3), e in .ai , sta il concetto della a ragione detcrmi- aella causa. Perci dice, che il principio di causa . a sapere se resistenza del termine posteriore venga jXdL o solo occasionata dal termine anteriore, o sia, se interiore che cjuella serie determina sieno esistenze valevoli 1 agire Puna sulFaltra intrinsecamente >? , sebbene questa ipo- si si verifichi nelFordine mondiale dell'universo (4). In terzo luogo , lo peno molto a rinvenire nel sistema del amiani resistenza di un Dio che sia veramente diverso dalla ateria, gi dichiarata soggetto immutabile, etema, prima Scienza, assoluto , principio del moto ecc. Ed ecco onde pro- tdono i miei dubbj. Da prima, se la materia ha quelle qualit, ella non pu meno che esser Dio, conciossiach le qualit che il Ma- liani, se ben lo intendo, le attribuisce, costituiscono un Dio. Di poi, se v^ ha Dio , e se con lui coesiste etema quella ma- fi) P. II j e. XIII y IH. Qui egli vuol trarre l'idea della prima cagione illa niente di un idiota ^ e a tal fine l'interroga sulla supposizione che Ido cangi un albero in fonte, e questa iu fiore, e il fiore in animale, e per la sua potenza creatrice. Ma quando anco la supposizione non fisMae dell'assurdo^ e non fosse grandemente anti-filosofica^ ella non servi- ^be per in alcun modo a chiarire Tidea di creazione, o a darne alcuno (empio, perocch il trasformare 1' una cosa nell'altra^ non gi cavare il nolla; n chi solamente avesse la virt di quelle trasformazioni, si p* ebbe chiamare creatore giammai. Non si pu adunque dire acconciamente le quell'ente che determina sia r la cagione prima, efficiente e nccessa* rie di tutte le cose m ( P. II, c. XIII ^ iv), perocch non isth l'esser igione eflicieDte nel solo concetto di essere un' esistenza determinante. (a) P. U, e. XIII , VII. (3) Ivi. (4) Ivi. Rosmini, // JUmioi^atnento. Sj 45o tcria soggetto di tutte le cose^ questo ha diviso T imperio; non pi vero Dio: saremmo in una idolatria, in un sistema di due principi. Appresso, se la materia l'immobile principio di ogni moto, ella che fa ogni cosa-^ non riman pi nulla che fare a Dio, il qual diventa la divinit oziosa di Epicui'o (i): tanto pi, che definendosi il primo essere cagione determinatrice , in vece che cagione vera, ci-eante nel proprio significato , basta il principio del moto a determinar le cose, senza bisogno d** altro. Ancora, Dio non si dimostra nel libro del C. M. che come la causa prima (2). La causa prima la determina tri ce degli esseri nelle esistenze loro variabili (3). Il principio del moto li determina, e questo la materia. La materia dunque h causa prima, la ragione determina trice, Iddio. Arrogi a questo, che fu detto dal Mamiani il principio di causa provare una serie di esistenze Tuna anteriore all'altra, nia non provare che Tuna agisca internamente nell'ai tra. Che potenza dunque avr mai questo principio , a provarmi im Dio vero, il qual abbia, nulla essendovi, fatto ogni cosa? Finalmente sguardiamo attentamente nclP argomentazione, colla quale il C. M. ascende alla dimostrazione dell' esistenza di Dio, e consideriamo se il Dio, che ci vien fuori dall' argo- menta^^ione da lui prodotta, sia s o no un Dio diflerente dalla materia, soggetto di tutti i corpi, immutabile, assoluto. JEgli comincia dal dire: I filosofi del pari che il volgo it chiamano tutto il complesso dei fenomeni naturali una suo ^ cessione di cangiamenti : il qual vocabolo cangiamento , se 'T.VF" .. . .II. I . . I. I I (i) Omnis enim per se divum natura necessc est Immortali cevo summa cum pace fruatur , Ipsa siiis pollens opibus , nihil indiga nostri, Lucr. I. (a) Da questo solp concello prelende dedurlo (P. II, e. XIII). j^ l>Da tuu' altra cosa V argomeula^cione a priori di s. Anselmo ( Ved* gDche il e. XIX della P. II). (3) l^iciipitolaDdo il Mamiani quello che avea detto ne* captoli prece- 4epti intorno la prima Ciigioiie cos si esprime: e Noi provammo nei capi- fr IqU XIU ^ XIV che v' ha necessariamente uu essere DKTiRiUHAjm M ff 1^ PiMej fO^TfiCNo e principio dell' universo m. 4Si u ben si guarda^ accusa la sussistenza di enti durevoli e non u soggetti a mutare (i). Questo, si noti bene, il principio cVegli stabilisce, cbe Pimi verso composto di fenomeni mutabili, e di soggetti im^ mutabili^ i quali soggetti furono tutti accolti prima in un sog- getto solo, quello dell^ estensione , la materia. Ora egli seguita in questo modo : u Noi dunque crediamo che in ogni cosa sia certa condizione durevole e inalterabile di esistenza^ ma in tal condizione m entra pure la facolt di ricevere Fazione degli altri esseri 9> . ^ tf Quindi le cose mantenendosi identiche con s medesime, u rispetto allMntrinseco , fuori mandano tuttavia diverse mani. a In s fatto ordine di esistenze domina pertanto una ca-* r gione prima assoluta, e una serie vasta e innumerabile di M seconde cagioni (2). Tale e non altra Pargomentazione ond^egli intende di pr* Fare resistenza di Dio , cio della prima cagione, a quel modo ditegli la concepisce. Ma in una tale argomentazione si pu egli distinguere, dopo te premesse dottrine, la prima cagione dal soggetto dell^esten none, la materia? Anzi quel ragionare mi trae a confonderlo inevitabilmente con essa^ mi trae quindi, come meglio piace denominai*lo , o in on panteismo ^ facendo Dio materia e soggetto di tutti i feno* meni, se alla materia do il nome di Dio, o in un materialismo , se a questo Dio do il nome di materia, o in un ateismo ^ se giungo aid intendere che quella materia, a cui io do il nome di Dio, non merita n punto n poco un tal nome. Perocch quelP argomentazione si riduce tutta a dire , I.* che in ogni cosa v'ha un soggetto immutabile e insensi- bile, e desmodi sensibili e mutabili^ 2. che dunque ci dee ftvere la cagione prima di queste mutazioni. Or dopo essere stato detto altrove, che il soggetto immutabile, eterno, uni- (1) P. n, e. XIII, vili. (a) Ivi. 4Si versale V estensione^ e Ae questa d ad ogni particella della materia il principio motivo o il conato^ chi non vede essere impossibile con quella argomentazione riuscire ad altro, fuor che a questo soggetto materiale, a questo Dio-materia? Io per dichiaro solennemente, che potrei male intendere le dottrine del C. M. in argomenti cos dilicati: che per io non vo' qui pronunciare sul vero significato da darsi alle sue parole, e molto meno sulla genuina intenzione delFanimo suo. Io ho posto quella diligenza che potevo, a raccogliere la serie de' suoi ragionamenti, col confronto de' passi paralelli^ ma non posso dire tuttavia, che la mia diligenza abbia colto nel segno. Confesso solo ingenuamente, e senza voglia d'offendere Tuomo che stimo , che quanto d\ina parte m' atterrisce 1' attribuirgli le gravi opinioni fin qui accennate, altrettanto elle mi sembrano conseguenze necessarie de' suoi principi, e indecUnabilmente procedenti da essi , e ci soprabbasta al mio intendimento , quand'anco al C. M. non appartenessero veramente (i). Veramente, in quel sistema, nel quale le idee non sono che puri modi delP anima , ed effetti del mondo esteriore che opera su di noi, lasciando in noi una modificazione conforme alla nosti*a natura (2), e nel quale tuttavia si riconosce nelle idee i loro caratteri sublimi e fulgenti, di necessit, di universa* (i) Coerentemente a* principi esposti il C. M. dichiara a pieno iraniuta' bili le leggi mondane: r E per fermo (dice), pongono queste ( le nostre u deduzioni ) che i subbictt tutti quanti sono immutabili e che i cangia* M menti debbono riuscire conformi ne pi A meno alla natura per|)fiua t dei subhielli attivi e passivi m. E soggiunge: Hanno capo iu questa im* w mutabilil universale tutte le nlire mnssime direttrici delle naturali spe* dilazioni y come a dire l'assioma che ogni eftetto dee seguitare T indole M della propria cagione, e che a identico effetto risponde cagione idrntira e ci in lutto lo spazio e per tutto il tempo ecc. * (P. Il, XIV, iv ). E fuori del tempo e dello spazio non v' ha dunque altro a cui applicare il pracpo di cagione? Ma mi si conceda un'altra osservazione. Onde de- dusse il G. M. la immutabilit delle leggi dell'universo? dall' immulabiliti ^^' soggclli. Onde l' esistenza de' soggetti ? dal principio di causa. Questo principio adunque anteriore alla scoperta dell' immutabilit delle leggi mondane. Come dunque dice ch'egli mette capo in questa mmutabiltM? (a) Il cangiamento, dice il C. M. , determinato dall'attivit del pio- prio subbietto ecc. (P. II, e. XIV, 11, 7.). 45S lit, di eternit ecc.; non rimane alcuna via a poter dare qualche spiegazione di questi caratteri, se non quella di trasportare i caratteri medesimi nella supposta cagione delle idee, cio nel mondo materiale, e in noi concause concorrenti a produrle. Il perch convien dire , che noi e il mondo in qualche modo siamo necessarj, etemi, immutabili ecc. E poich tutto ci che cade sotto il nostro sentimento mutabile e passaggero, convien ri- correre a una sottil distinzione fra il sensibile e Pinsensibile, fra il fenomenale e il sostanziale, dicendo, che tutto passa e si muta ci che ne apparisce, ma che per sotto a ci che ne apparisce n giaciono nascosti degP invariabili ed etemi soggetti, i quali formano siccome il nocciolo occulto, solido e midollare di tutta la grande macchina appariscente. I quali soggetti poi giover all^ eleganza del sistema di farli rientrare in un soggetto solo , immenso, dimostrandoli convenire tutti in una stessa universale e identica natura. Tali sono le conseguenze dirittissime, ine- vitabili, per chi non rinunzia alla logica, che discendono da quel principio, cui oggid molti abbracciano in Italia si incau- tamente, cio che ale idee sieno delle modificazioni o de' modi del nostro principio pensante 99 , e nulla in s medesime. Or di nuovo, vorr io attribuire al C. Mamiani cos strane dottrine? potr io deliberarmi a crederle veramente opinioni e sentenze del religioso cantore di quella diva, a cui un leg- giadro priego volgendo, dicea: u per fiorito Sentier di filosofica dottrina u Trammi a gustar del cibo, onde s larga u Mensa imbandivi al tuo dedaleo ingegno. u Fa tu pietosa almen che non m'asseti tf Un venefico nappo, al qual chi beve, tt Scorda la nobilt di sua natura, tf Tra i bruti si rassegna, e delle cose tf Al governo ripon muti elementi, fi Che forman gli astri e lo perch non sanno. ^ebbene adunque io ritrovi le sopra esposte dottrine nel li- ro recente del Rinnovamerto della filosofia y mi guarder tut- ^via dall'attribuirle all'autore degl'/zim j^icfi; e non penser 454 pure clie sieno sue ^ ma prima stimer d^ avere io stesso mala* mente intese le sue parole. Or poi mi fermer io qui a rifutare tali dottrine? Bastami averle esposte : conciossiach di rifutarle direttamente non ne veggo un bisogno al mondo. L'Europa, acciocch abbracciasse lina cotale filosofia, dovrebbe prima rinnegare il Cristianesimo; ed io stimo che FEiu'opa non sia per avventura presta ad ab- bandonare la sua religione. Parimente non pu aver vigore cosi fatta dottrina filosofica sull'animo di que' miUoni di Cristiani. che si trovano nell'altre parti del mondo. Per chi scriverenuno dunque una confutazione? o pi tosto da quai popoli potrebbe abbracciarsi una filosofia non voluta da' popoli cristiani? Ella pugna egualmente colla pi parte delle religiose credenze, per non dir con tutte. Pu essere, che si trovi una qualche ana- logia fra la dottrina esposta, e le religioni dell'Indie. Il Buddhismo, per esempio, in vece dell'ente supremo ammette uno spazio luminoso che in se contiene tutti i germi degU enti futuri , secondo il sig. Klaproth ( i ) : questo spazio , principio di tutti i modi dell'universo, ha non piccola similitudine col sog- getto unico y necessario , universale descrittoci ne' luoghi ad- dotti dal C. M.: e che perci? Agli apologisti del Cristianesimo, che hanno confutato il Buddhismo , rimetto di buona voglia la causa: scrivo per l'Europa, non per le Indie: amo di parlare a' Cristiani: amo di esporre agli occhi di questi una filoso6a cristiana, convinto, si come sono intimamente, che basti esporre una cristiana filosofia, basti ottenere che sia intesa, acciocch gli uomini tutti la sentano fatta per s^ convinto ancora, che non ve n^ha nessun' altra n vera, u umana, n benefica, n possibile. (i) NeHa Persia all'incontro pare che Zoroastro mettesse per primo pna* cipio il Tempo; giacch il sovrano essere potentissimo ed infinito Teiua Lettera a.* in difesa del libro DelP antichissima sapienza ecc. argomenti a rendere probabile assai, per non dir vero, il mio sospetto ', ma ripeto , che non amo qui di fai'e n pure il sag- gio d^ un si forte argomento. E d^altr parte il solo esser pos- sibile la toccata conghiettura, basta a mettere nel maggiore in- trico quegli, che volesse provare T immutabilit assoluta della materia corporea. Passer dunque ad un^ altra osservazione. Per ispiegare i su- Uimi caratteri delle idee, cio la necessit, F immutabilit, Fe- temit ecc., il C M. spinto ad attribuire essi caratteri alle cose stesse corporee, onde le idee si vogliono provenute. Ma se noi fermiamo gli occhi sopra un^ altra pagina della dottrina del N. A., troviamo agevolmente ch^ egli non avea bisogno di tanto. E veramente, che sono mai le idee nelle sue mani? Non pi che modi del me fenomenico (i). Ora qual la immutabilit che si trova nel me fenomenico? immutabilit perfetta, nessuna. Veramente nel concetto dMmmutabilit, propriapiente parlando, non si danno gradi, e per non maniera giusta il dire una immutabilit maggiore o minore, perfetta o imperfetta. Perci diremo, a parlar diritto, che nel me fenomenico non v^ha immatabilit , secondo la dottrina del N. A. Perocch egli ben vero, che in un luogo distinguendo i modi del soggetto fenomenico dal soggetto stesso, d a questo l'immutabilit (2); ma in un altro spiega il suo pensiero di- i^iarando, che F identico (3) fenomenico, il quale sentiamo u giacere in fondo a tutti i modi della nostra spontaneit, non u pu dirsi immune affatto da cangiamento (4). Se adunque 1 modi del me fenomenico si rimutano, se il soggetto stesso non immune da cangiamento; non v'ha dunque cosa in tal K>ggetto fenomenale, che immutabil sia, e tali per non pos- (1) P. II, e. IV, IV. W Ivi. (3) U identico non pu dirsi immune affatto da caogiainenlo ! L'identico dunque non pia identico. Mi si permetta osservare di passaggio, che il C. M. fa grande abuso delle parole w identico m e m identit >, usandole a lignificare continuamente non un' iigUHglianza (ii numero , come le Usano i filosofi, ma un'uguaglianza di specie, (4) P. U, e. VII, VII. RosHini, // Binnoy amento. 58 458 sono essere n pur le idee, modi di lui (i). Il perch non facea poi mestieri al Mamiani di erigere un s arduo e ruinoso edi- fizio a spiegare V immutabilit delle sue idee e della verit in esse racchiusa. Concludiamo : la coscienza del G. M. pugna continuamente contro il suo intendimento. Questo si perde in raziocinj, e vuol rendere le idee mutabili^ intanto che quella con un sem- plice lume di osservazione sente che sono immiUabili, Per sod- disfare all'intelletto 5 le idee sono dichiarate pm modi del no- stro me fenomenico, e come tali variabili. Per non ripugnare air invitta forza dell' intima coscienza ragiona come se elle fos- sero inmiutabili, e cerca di spiegarne Tlmmutabilit col ren- dere immutabili le cose esterne, da cui le vuole a tutta forza provenute^ pronuncia in fine, che sotto i fenomeni o mu- tf tabili o identici (2) esstono le vere sostanze ^ in cui risiede M l'assoluto di tutte le cose t) (3). CAPITOLO XXXIX. dell'immutabilit' delle idee. Ma se le idee nel libro del C. M. ora appariscono come qualche cosa d'immutabile e di eterno, ed ora come qualcbe (i) S dir che sebbene il C. M. ponga la mutabilit ne' modi^ e riffl* mutabilit nel soggetto^ tuttavia in qualche altro luogo insegna che mi anzi contingentemente, (2) JJidentit pu avere relazioni ? io capisco che s dieno due cose li- iDil e 9 se si vuole 4 anche uguali; ma due cose identiche! non so pen- sarle; e perci n pure alcuna relazione fra due o pi cose identiche: ti* meno nel sistema sensistico. (3) Nell'idea , come ho toccato prima , non cadono gli accidenti del sog- getto ove ella dimora. Questi accidenti sono forzati dal N. A. ad eotnre nell'idea , perch il suo sistema vuole cosi. Ma Fosservazione schietta dice il contrario. Nell'idea di un albero ^ o di un cavallo ecc., che io contemplo, vi si possono forse trovare degli accidenti di me soggetto pensante in coi dimora quest'idea? quale stranezza non cotesta ? che cosa ha egli a Un Falbero possibile ^ o il cavallo possibile da me contemplato, con rae che Io contemplo? Anzi appunto perch io contemplo que' possibili oggetti, io debbo necessariamente esser alieno da essi, n posso contemplarli se noni questa condizione, che da essi io stia separato. Non v*ha che una sola idet, in cui entri il soggetto, e questa Tidea del soggetto; non v'ha che un'idei, dove entrino gli accidenti del soggetto, e questa l'idea degU acddeoti del soggetto. Ma in queste idee, nelle q'oali sole cade in parte o io tutto il soggetto, non si pu astrarre da questo; perocch forma egli l'og- getto di quelle idee, costituisce l'idee stesse, e coU'astrarlo da quelle k si distruggerebbe. - Gonvien dunque osservare con accuratezza conne soa fatte le idee, e non parlar di esse a priori, come fanno i scnsisti, secondo le esigenie di un prediletto sistema. (4) P. II, e. X, V. 463 sere, il che vale quanto distruggerlo (i): attesoch Tessere non in s propriamente mutabile, ma nei soli suol modi: e ove non ha modi, non ha mutazione (a). In questi luoghi adunque si suppone che le Idee universali non si possano mutare, perch non hanno pi che un modo di essere, ma bens che si possano distruggere. Chi non vede che questo manifestamente un confondere Patto contingente dello spirito nostro coll^ oggetto necessario del medesimo 7 ll^atto della mente , che intuisce a ragion d'esem- pio la ragione dell'animale {ratio ammcUis)y'p\x convenire quella immutabilit impropria di cui parla il C. M.^ ma alla cagione stessa deiranimale conviene la vera e propria immutabilit da noi descritta ^ perocch quell'idea, o ragione dell' animale, non pu giammai venir meno, solo pu non essere da noi intm'ta. Cosi awien pure, che se chiudiamo gli occhi al sole, il sole spento per noi^ ma egli, per questo, tratto di cielo, e in s ottenebrato? E quale matta nostra prosimzione sarebbe ella co- testa, se noi pretendessimo di dare esistenza o di torla al sole, xm solo quanto ci costa ad aprire, ed a serrar le palpebre? i ogni giumento in tal caso sarebbe creatore e annichilatore lell^astro del giorno^ e men male se un giumento sei creda: ma a un filosofo, in un uomo, non comportabile che tutta creda gli contenersi e racchiudersi nel suo picciolo mondo sogget- ir la luce razionale che , come dice s. Agostino , pure qual- fae cosa di meglio che non sia quella che splende anche alle lecore^ e che quello che per lui non , voglia dichiararlo al atto non essere. L'animale fu dunque possibile, e conosci- ne da tutta l'eternit, e sar sempre^ e non pu non es- er tale, eziandio che io non avessi mai intuita questa possi- tlit, eziandio ch'io non fossi, n mai fossi stato. (i) Che cosa mulare un composto d'idee? non altro che rivolgere la leote ad un altro composto. questo un mutare ^ o un distruggere quel rimo? mai no. La mutazione tutta in noi^ e non punto nel composto Ielle idee; come il toglier gli sguardi da un cespo di fiori per mirarne un Itro, non distrugge gi quel primo > ma solo rimpressiouc che noi da quel irmo ricevevamo. (a) P. II, e. X, V. 464 E nelle parole citate egli agevole a notarsi un altro or- rore. Il Mamianl fa consistere il proprio essere dell' Idea uni- versale in certa relazione d'identit, che non patisce grado u n modo , o vogliam dire che viene astratta da tutti i modi e da tutti i gradi della sua specie n. Se cos fosse, non vi avrebbe gerarchia fra le idee universali: anzi non vi sarebbe di universale che un'idea sola, l'astrattissima dell'essere^ peroc- ch veramente in questa sola idea non entrano per nulla i modi ed i gradi ^ giacch, come dice lo stesso Mamiani, a l' es- ce sere non in s propriamente mutabile, ma nei soli suoi modi . Non sar dunque universale l'idea del cavallo? in questa idea si recidono al tutto le differenze, o sia i modi di questa essenza cavallo^ cio in essa non si pensa n alla razza araba, n alla razza inglese, n ad altra generazione speciale di cavalli. Ottimamente. Ma se l'idea di cavallo uni- versale, non sar universale anche l'idea di animale? e pure l'idea di animale rigetta pi modi e pi differenze da s, che non Pidea di cavallo : perocch in questa , oltre a' costitutiri dell^animale , si pensa per il modo speciale del cavallo. Dun- que questa idea di cavallo ritiene in s un modo, che da quella di animale escluso, e tuttavia l'idea di cavallo universale. Non dunque vero, che l'idea universale debba, per esser tale, gettar via tutti i modi : ma or ne rigetta meno ed or pi (i), e secondo che pi ne rigetta , eli' appartiene ad una classe di universali pi indeterminata, e ad una pi determinata riget- tandone meno. Vi sono nelle cose ( concepite ) , per usar la firase del Mamiani , varie relazioni d' identit (2), pi ampie 0 (i) La ragione perch i modi delle idee non impediscono che queste sieno universali si , perch gli stessi modi sono universali; a diflerema de' modi X* essere sussistente, che sono particolari come Tessere cai appartengono. (a) Ho gi notato prima, quanto la parola identit usata nel sistema del C M. sia impropria e non filosofica. Ella per pu avere una venia t propriet grandissima usata nel mio sistema. Gonvien badare, che seooodo la mia dottrina V astrazione non si fa sulle cose , ma sulle idee specifichi delie cose. E veramente, posso io formare un'astrazione sugli oggetti se non sono da me conosciuti? E gli oggetti conosciuti sodo appunto k idee^ riferite per alia sensazione e annesse al giudizio. Ora nelle i^ 465 pi strette; e secondoch queste identit hanno pi di esten- sione , elle si fanno fondamento a pi estese , cio a pi astratte idee universali. Negli animali, non mutando T esempio addotto, una relazione d^ identit pi ampia cpella posta ne^ costitutivi essenziali delF animale; pi strette relazioni d^dcntit sono quelle poste ne^ costitutivi essenziali de^ cavalli, de^ buoi, degli uccelli, de^ pesci, ecc. Queste pi anguste, che quanto dire, pi determinate relazioni dMdcntit costituiscono altrettante idee universali, pi limitate e pi compite delPidea pure uni- versale che contiene F essenza delP animale in genere. , Egli dunque manifesto, che T idea universale non de- scritta bene col dire semplicemente eh' ella viene astratta da lutti i modi e da tutti i gradi, non essendovi che Tidea del- l'essere che non ritenga alcun modo generico o speciale, e tutte l'altre, per astratte che sieno , ritenendone sempre alcuno. Conviene adunque cercare altrove la propria natura delle idee universali, e non rporla in questa illimitata astrazione che tocca il Mamiani. Quale dunque la nozione propria dell'uni- versalit delle idee? noi la riponemmo nell'avere le idee l'at-'' titudine di farci , una sola d'esse, conoscere un numero foss' anco infinito d'individui n , che in questo e non in altro si debba porre la vera nozione dell' imiversalit delle idee , il Mamiani stesso il viene a dire , cio gli fatto dire dal buon senso , in quel luogo ove volendo dar ragione del perch l'idea astratta di sfericit sia universale , la rende cos u Imperciocch la ragione te medesima, per cui essa idea conviene a ciascuno di quegli tf oggetti, onde fu ricavata, la fa convenire con tutti gli altri a reali e possibili, che fra le condizioni varie del loro essere u includono la sfericit " (i). troviamo anche la vera identlli ; imperocch ci che pi idee hanuo di simile , DOD che la relazione che tuUe hanuo con una idra unica pi astratta , che fa conoscere quella parte in che consste la smiglianza. Con- viene attentamente riflettere a questo vero tante volte da iie ripeinto. {l P. 11^ e. X, IV' Ciascuno che uu po' rifletta sentir il circolo vizioso che racchiude questa definizione dell'universit che nell'idea di sfciicii. li dire M gii oggetti che inchiudouo la sfericit m un'espressione che sup- pone questa qualit della sfericit esser inchiusa in molti oggetti , o sia ei- Rosmini, // Rinnovamento, Sy 466 Ora ridea di sfericit recata dal C. M. in esempio delle idee universali non gi astratta da ogni modo di essere: imj>eroc- ch la sfericit anzi un modo della forma de' corpi : ella non dunque divisa ed astratta se non da' modi a s subordinati, per "esempio da quelli di grandezza, conciossiach la idea di sfericit non acchiude o determina ne questa n quella gran- dezza. Per la nozione unica costituente V universalit delle idee si quella di esser elle a noi altrettanti lumi , onde pos- siam conoscere un influito numero di particolari o reali o im- maginar), come dice appunto il C. M. pailando dell'idea uni- versale di sfericit (i). sere universale. Perci il modo onde il C. M. si esprime riesce a questo, w la sfericil universale perch conviene a tutti gli oggetti die racchiudono la qualit uuiversale di sfericit *. Pi logica maniera sarebbe stata il dire, , h individuo m, ha due seusi. Perocch talora s'intende per essa il sussistente , il reale; e questo un uso improprio della parola, sebbene frequente nel libro che esami- niamo > e in altri : talora s'intende per individuo un particoliwe , sia poi egli reale j o solo immaginario, o possibile; e questo il suo vero e proprio si- gnificato. Se dunque per individuo il Mumlani intende il sussistente, o reale, egli noL J'U rimprocciarmi che io l'abbia ritenuto nella formatione dell'universale; Sbando anzi ho fatto consistere la funzione dell' universali!- zare neVastrarfe dall'individuo la sua sussistenza ( Ved. N. Saggio tee Sei. V, e. IV, art. I, J 2 ). In questo senso vcris.simo, che ogni i7 Falsa adunque , e contraria al C. M. stesso la nozione dcl- r tu^ersalit delle idee fatta consistere in esser elle astratte da tutti i modi n : falsa pure la nozione daWnmutabUit delle idee, che da quella dcW univ'ersalit si fa dipendente, ripo- nendosi r immutabilit in non potere l'idea aver pi modi appunto perch astrae da tutti i modi^ di che si trae poi un^ altra cosa falsa, cio che Tidea si possa distruggere, seb- bene non mutare perch mutandosi riceverebbe modi diversi. Da s falsi principi non poteano scendere che delle false conseguenze^ una delle quali si , che non tutte le idee sieno immutabili, ma solo alcune astrattissime. a Le idee universali comuni, cos 11 C. M., cio quelle che in a ogni umano intelletto hanno sede e natura ugnale, non oltre- u passano la categoria delle pi astratte e delle pi semplici, le quali per questa loro costituzione astrattissima e semplicis- tf sima non sopportano di avere pi che un modo di essere (i), tt individuo M vuol significare un particolare , sin poi egli possibile o sussi- fftente^ s'inganna di molto, avvisandosi che h ognuno iutenda m, come dice, psser Decessario all'universale di ommeUere l'individuo e l'individuale: molti non la intendono cos; e fra gli altri il suo Campanella; del quale trovo un testo, a lui ben noto, che dice c# L'uomo pensato nella realit w 5ngo]are nella cosa come nell* intelletto , ma nell' intelletto rappresenta m molli uomioi m ( {//iiV. PhiL P I, Lib. II, e. in ). Queste parole il po- tevano fare accorto, che l'uomo singolare, e per individuale nella mente cio nel suo stalo d'idea , pu esser rappresentativo di molti uomioi cio alto a farci conoscere molti uomini, e quindi medesimo un univei- ssale: giacch ha quella qualit, che forma l'essenza, come dicemmo, del- l'uni versatila. Medesimamente avrebbe potuto vedere, che la dottrina mia non s'Rllontana di troppo, com'egli vuol credere, da quella sentenza dd Campanella bene intesa^ che cio r la comunanza degl'individui delia w specie, la identit fra pi comunanze detta genere . Se l'idea ( seb- bene individuale) pu farci conoscere pi individui, forz' indubitatamente che ciascuno di quegli individui si accomuni con quell'idea , la quale al- tramente non poirebbeli a noi illustrare ( come dicevano gli scolastici ) e farli conoscere. (i) In questa propriet di non poter avere pi che un modo di essere, vedemmo poco sopra avere il Mamiani collocato l'essenza delle idee uni- versali. Secondo la coerenza logica unendo il passo che qui arreco a quel di sopra, ne seguiterebbe, che idee universali non sono altre che le semplicissime 9 le astrattissime, le comuni a tatti gli uomini. Or questo vorr essere difficihneuie conceduto da' tilosofi. Ma n pure il C. M. 4GS u e risultano dalla forma slessa costante e comune dell' inten- dimento e dei sensi n (i). All'opposto V immutabilit ^ come pure V uniuersalit goduta indistintamente da ogni idea: pcroccli l'idea , come tante volte diciamo, la possibilit logica, o sia la conoscibilit degli enti. Sieno queste idee o pi o meno astratte, cio facciano co- noscere gli enti pi o meno astrattamente: esse sono ugualmente semplici, ugualmente incapaci di ricevere mutazione, incapaci di essere annichilate. L'idea dclP essere, quella dell' animale, quella dell'uomo in generale , cos immutabile , come quella di un uomo possibile fornito di tutti gli accidenti, e privo solo della sussistenza e realit. Ognuna di queste cose possibili sono sempre Ftate tali, n mai poterono o potranno essere altra- mente 5 e per n pure si potr pensare il contrario. Il filosofo adunque , se sa , dee rispondere a questa interrogazione , Per- ch non si pu da me pensare che un essere possibile qualsi- voglia (il che quanto dire un essere ideale, un'idea) non sia possibile? onde viene a me questa necessit singolare che limita (per cos dire) la mia potenza cogitativa? onde questa invio- labile legge del mio pensiero? ecco la questione dell'univer- salit, della necessit, e deir immutabilit delle idee. il creder. Egli poco sopra distinse l' idee e i giudicii universali dalle M idee e da' giudicii universali e comuni n. Dunque riconobbe delle idee, che sebbene universali^ non sono comuni. Dunque, se il non potere a?cr pi d'un modo la propriet delle idee universali-comuni, questa non dee essere la propriet delle universali tutte. Dunque egli stesso riprova ci che avea detto innanzi, che la qualit di astrarre da tutti i modi sia il co* slitutivo delle idee universali. (i) P. II, e. XII, IV. Qui il N. A. d un'altra ragione tutta nuova, perch alcune idee sieno comuni a tutti gli uomini , cio perch risultaDO u dalla forma costante e comune deirintendimento e de' sensi m. Se fosse vera questa ragione, le idee sarebbero al tutto soggettive, n aver potreb- bero alcuna relazione cogli oggetti esteriori. Tuttavia passi. Ma come s'ac- corda questa ragione coll'altra della maggiore astrazione? L' una o T altra di queste due cause dee esser la vera : o che l'idea comune a tutti gli uomini perch astrattissima n pu avere alcun modo, o perch un effetto della forma comune delle facolt umane. Se vera la prima ra- gione vana la seconda; se vera la seconda, vana la prima. Se vana l'una e l'altra separatamente prese, sono vane anche tuU' e due insieme. 4Gg Quelli allHncontro che se ne vogliono spacciare alla leggeri , onfondono V intuizione dell^ essere possibile (idea), colPe^^er; ossibile intuito^ e dicono: P intuizione mia va, viene, si crea, i annienta: dunque la cognizione, Pidea contingente: dunque Ila non che un modo del nostro spinto. Io rimetto una ale filosofia con sicuro animo al tribunale del comune buon mso. CAPITOLO XL. :ohtinuazione: ahtic dottrina itjllin sull^ immutabilit^ delle idee, kicevuta poscia anche dalla filosofia greca. Non consiste adunque Y immutabilit delle idee in non aver isse che un modo solo, ma s u in non potersi pensare che Lon sieno >>. Questa impossibilita di pensare che le idee non iene 9 un fatto , il pi certo di tutti i fatti. Chi vorr venir ofistando, potr dire: forse questa immutabilit cosi assoluta, :osi necessaria, apparente e c'inganna y*. Bene sta^ noi Tesa- nineremo altrove. Intanto per convien confessare ingenua- Dente quello che sperimentiamo, cio che u noi non possiamo a alcun modo concepire le idee (la possibilit delle cose ) se lon accompagnate di una necessit logica n , per di una im- autabilit etema. Ninno scettico potr negare questo fatto , se lon giunge a negare il principio di coi\traddizione ^ perocch lon si pu negare u la possibilit degli esseri m , senza cadere n aperta contraddizione col pur nominarli, e col concepirli. It la difesa del principio di contraddizione contro quelli che l voiTebber negare, sta nel N, Saggio (i). Di tutte adunque le cose, quelle che veramente sono immu* abili, sole immutabili, non sono gi le sussistenti ^ eccetto Dio; aa le possibili y chiamate idee (2). (i) Scz. V^ e. VII , art. v. (a) Nel N. Saggio ho distinto Videa dkW essenza, dichiarando questa op;- ;etto di quella. Si potrebbe dire che l'idea Vessenza veduta. Questa di- itiozione trascurata dagli antichi pu essere utile in un argomento , dove 3gni minima impropriet di parlare pu esser principio di male intelligenze ? d'errori. 47 Questa una verit Italiana, essenzialmente italiana: dU form la base della prima filosofia indigena della patria nostra. Ognuno s'avvede, che io voglio richiamare la scienza nazionale a' suoi principj : che io rimonto fino alle glorie della Magna Grecia. O Pittagora (i), o, come a me sembra ancor pi pr- Labile, i savj pi antichi di lui, da' quali egli apprese (vt), \i- derOjChe di cose veramente iminutili non v^aveano chele idee {\e possibilit delle cose), e che tutto il rimanente era quaggi mutabile e perituro. Per divisero tutti gli enti in quelli ch\\ss chiamavano in- telligibili (r VOflT)^ e questi furono i possihili ^ o siano le es- senze, le idee, perocch queste sole sono intelligibili per s. sono rintelligibilit delle cose^ e in quelli che dissero sensibili (xty v^at rt yotl oii'>' ^uvtsXiy^v. Metaphys, Lib. II, Gap. VII. Altro adunque concedere , che nella divisione che si fa de' corpi convenga ridursi m de primi indivisibili, il che una verit fisica; altro il volere spiegare con questi elementi materiali tutti i generi di cose , e lo stesso pensiero. Questo il corroinpimento del sistema ; e simiglianti corrompiroenti avven- gono anche alle buone dottrine ogui qual volta si rendono esclusive e si por'ano all'eccesso. U sistema fisico degl'indivisibili pu dunque aver 473 mmutabili e mutabili, riponendo poi P immutabilit non tanto ielle idee quanto negli atomi , e la mutabilit ne^ loro diversi aggruppamenti. Ma che questa sia una corruzione delP antica lottrina, la coerenza di tutte le vetuste testimonianze noi la- ciano dubitare. N per questo ottenne P autore del sistema toniistico, che gli uomini di buon senno accordassero a^ suoi tomi quella usurpata immutabilit, la quale tutt^al pi era 'sica^ e non logica j cio non tale, che assurdo fosse a pensare ^ l contrario ^ di che Plutarco, canzonando Epicuro per tale im- antabilit data a^ principj materiali, dice: u Epicuro, pi savio t di Platone, chiama enti ugualmente tutte le cose, come per M Aristotele concedere l'esistenza delle idee, ma non riputar M tuttavia che esistiino per s separate, n manco che si possano da' corpi * separare ; O ^t y% Afio'rortXn^ rd /Ufy i%x*ra* ''''' nXaT*M^* r ii Vfor/trcif* cTvaf^iy /uiV ^etp iiuvi rati t^iat^' oC /uvV xoty iatmi^ iprnlvm ft) PJiilosophiiB foi'tna itisUtaUi est Acadernicorum et Pcnpateticorum , qui rebus coti^rucntes, nominibus differcbant (Acad. QutesL i). un simi- gliaule concello pone Plutarco nel libro che ;>cris5e contro Colole dieeodo: 477 tutte in certa guisa le cose , pu ricevere una interpretazione che tolga queir assurdo che a prima fronte ella presenta^ impe- rocch Aristotele veramente dice quella sentenza solo della mente passiva ( TVa^f^rixQ ) ^ cio di quella che riceve le idee, e non delle idee stesse, il cui complesso verrebbe a costituire la mente attiva ( icoirituec; vovq ) ( i ), la quale sarebbe per avventura la stessa ragione {^foc) di Platone, con solo questo, che vi si avrebbe cangiato nome. E veramente alla ragione di Platone appartengono le notizie o enti intelligibih (r^^^ara). Or se udiamo Aristotele, egli pure dice dell'animo, che il luogo dlie forme o specie (r'JtoQ i9op)'^ la qual maniera al tutto platonica; perocch il luogo viene ad essere distintissimo da ci che nel luogo si ritrova. E ove in tal modo s' intenda la mente atdx^a di Aristotele, cio pel complesso delle idee, tosta- mente si convertono in conferma della nostra dottrina molti luoghi che le sembrano i pi contrarj. Il principale di questi luoghi quello ove dice, che u ci che conosce e ci che co- ti nosciuto una e la medesima cosa (2). Perocch in questa sentenza, per ci che conosce non s' intenderebbe pi il sog getto (mente passiva), ma s bene le idee stesse (mente attiva). Ora questo concetto al tutto in Platone, e ne' filosofi che Fhanno seguitato. Plotino, a ragion d' esempio, distingue le percezioni sensibili, dalla cognizione intellettiva, e dice che colle sensa- zioni noi non percepiamo le cose esteme (i corpi), ma un loro effetto, un loro segno (3): all'incontro coli' intelletto noi perce- piamo le cose stesse inteme , cio le ide (4) : perci i corpi non sono per s intelUgibili, ma le idee si. E chi volesse fiancheg- giare questa maniera d' intendere Aristotele , co' passi paralelli Aristotele poi ripreodendo Tidee di Platone ne' libri Daturali e morali^ w ed in quelli che sono scritti popolarmente , \ quali chiam fTff ixa , w parso ad alcuni aver ci fatto pi per una certa ambizione e desiderio M di contrastare, che di cercarla verit delle cose; come quegli che s'aveva w proposto di sprezzar la filosofia di Platone; non che egli l'abbia seguito. (i) De Animo III, (a) To* uri t^i voouv xai* ri 00vfitfovm (3) T^ ytyvttvt.ifMvov ii* aiT^tfent^t ro Vfctyfjaroi it^caXov t'crr , xai oyx Offro ri nr^dyfja 4 aio'^wti Xaffidvts' fxini yf iVirm * Plot. (4) Aurtt r WfdyfJiaraf xm' ux tit\ei fivov. 478 dello stesso autore, sarebbe agevole il farlo. Perocch se da aos parte dice cbe ci che intende una cosa stessa con ci clie inteso y> , in altri luoghi, in vece di dire u ci che intende , pone , tf la cognizione stessa essere il medesimo colla cosa co- gnita (i)^ dove la cognizione si pu prendere per Videa^ pr- lando di una cognizione pura, e com'egli dice, teoretica (a); e per quanto dire, ^ l'idea veduta da noi o sia l'oggetto del nostro spirito la cosa slessa intelligibile . Altrove ancora, in luogo di dire u ci che conosce , o in luogo di dire u la co* gnizione , o m la cognizione speculativa, n dice a la mente r (3): sicch egli apparisce manifesto , che l'oggetto della mente , la idea contemplata ( cognizione teoretica ) (4) 9 e la mente, si prendono per sinonimi dal filosofo di Stagira ^ e per egli pare alraen probabile, che la mente attiva di questo corrispondi appunto alla ragione {^.yoq) del suo maestro (5). Che se altri vorr considerare come Aristotele stesso descrin la mente attiva, con animo disappassionato e giusto, trover forse abbastanza da cangiare in certezza questo che io do per verosimile. Gonciossiach lo Stagirita paragona questa mente of* tva allk passiva , come il lume all' occhio (6) ^ e lumi appunto sono chiamate le idee da Platone^ e dice che una s fatta mente sempre in atto d'intendere, e non gi tale che u or intenda or non intenda (7); ella sempre cognizione efficace (8): di che un uomo dottissimo, spiegando la mente di Aristotele , (1) T erro* iV*' ^ *'''' tvi^ytiav f 'rij-ir'/uif rf ^foy/iem, (2) if i'Wt^ifMn n Bttaftirtxtf xer/ ro* iVig-wreV ro uro #$/. (3) O f^i X9r 9tfytiav rat Vfeiy(artt totSv (4) Ognuno sa che teoretico viene da 9'f*>pif miro , contemplo, (5) Questa osservazione viene rinforzata da un'altra. Gli scrittori polo- nici chiamaDO anch' essi mente or le idee singole , ora il loro complesso. Plotino, Encad.Y, Lib. ix, e. viii , insegna espressamente , che le idee fio- golari, come pure il loro complesso, si possono chiamar mente (vovw). Ecc il luogo : E/ 9^9 4 9*ii9t( t* lineai , ixtTo to' iUo^ r h or , xxm i i^ vrn, ri otTr rfcTrt; rtcT^^xa 1? voffct oCat'x ovx ''?* "^^ ^^ i'xorti iV* XX' i%m9m 9oS(' nm oXmc /uiV 0' toCi t ra 9 avr ii^n ^nm9^99 # iT^* wti **am^*ti 1/ Ikti ivtcrrnfM, rat ftarrei ^tmftfAura. (6) ofov r ^c* (7) /t f9 999f ir% io PO 9itV, (8) Eflnr^ 9fykm9 iV/f fM. 479 considerati questi luoghi , concliiude con una firase aristo- , le sensazioni o i fantasmi sensibili non essere pel filo- lei peripato s non u simulacri espressi, e secondarie (i) nagini di una mente primaria e principale , che abbraccia amente tutte le ragioni e tutte le variet delle cose . li pare adunque, che al vero si apponessero que^ dotti mo- y i quali tolsero a conciliare Aristotele con Platone (a)) tra via parimente io ravviso onde si possa conciliare Ari e con s medesimo. in vero, come potrebbe conciliarsi seco questo filosofo ^ lo egli ammettesse che le idee o essenze non fossero piii aodi di una mente contingente come la nostra? Non insegna aunente, e in tanti luoghi, non pure resistenza di questi intelligibili (che cos chiama egli stesso le essenze delle ^ ma ben anco la loro immutabilit, la loro eternit, la ^istenza necessaria, immune cio da ogni contingenza? ibro III delPEtica dice, che le verit geometriche son cose e (3). E le chiama egli stesso vor^r^ cose intelligibili, idee. t si dica gi che Aristotele pone la sua mente attiva , o in- to agente , acciocch esso possa formare queste verit. Im- xh dicendo ci, precipiterebbe in una deforme contraddi- con s medesimo: conciossiach tali verit, tali enti in- [ibili non sarebbero pi eterni^ non pi necessarj, come pure li fa. E acciocch non rimanga alcun dubbio di ci, L che cosa dica egli stesso: P essenza della sfera non viene rata n (4) In un altro luogo dice : le forme delle cose rporee n si generano , n si corrompono n (5). E anco : la la n si fa da checchessia, n si genera n (6). N bassi a cr^ inff^^dytvftatm , ed txueiyficna, I Veggasi r opera di Giacopo Carpentari , professore alla facolt me* dell'Universit di Parigi ^ nella quale assume di paragonare e conci insieme i due maggiori filosofi greci (Parigi i573). Chi vorr leg* ?i trover nuove prove di quanto io qui affermo. I Gap. V. VI f / ^d ettilmv vu^ fiouktumi p 01*09 - vifi* r( im/n%rf99 I rm 9pBtrfm9 uveu ot/x ft yiwt^ii Melaph. L. VII e. viii> I Anv y99WMi %ai ^-Hfsc ^^ 'v ^ 9tin. Metaph. L. XI V, e. vin I va il% ovVt/c volti' f Hi ytnotrmt. Ivi. 48o dere, che per queste forme intenda le sostanze esteme, impe- rocch egli le pone, come vedemmo, nella mente agente ( tto; uov)i^ e di questo appunto fa colpa a Platone, cio dell' aver poste tali essenze fuor dell'anima^ bench veramente fu fermo pensiero del gran filosofo d' Atene , come io X intendo , che sempre fosser nell' anima (3). Finalmente tali enti intelligibili Aristotele li faceva universali, e l'universale lo sottraeva in- teramente da^ sensi. (i) Socrate dice espressamente nel Parmenide, che le notizie o idee (Mw^ora) DOD possono aver altra sede che negli animi: tmf it^ifp %%a^wnCtm iuduceva Platone all'esistenza di alcune deit in cui ciascuna idea avesse sede e dove noi le vedessimo^ le quali deit per andavano poi ad unifi- carsi in una sola che di tutte in islrano modo constava. L' indurre dille idee altrettante deit un errore certamente , ma^ secondo noi, un er- rore inevitabile quando si pongano pi idee essenzialmente Tuna dall' ahni distinte. Al nostro vedere^ la conseguenza logica, inevitabile dei sistema platonico una idolatria speciale o deificazione delle idee. Se Aristotela si ristringe a combattere questo errore, nulla di meglio; se non che egli combatte la conseguenza erronea, lasciando sussistere il principio onde quella conseguenza procedette , che, come dicevo, la pluralit delle esseoia o idee non distinte solo rispetto a noi , al nostro modo di vedere , ma di- stinte realmente in s stesse. Oltracci in alcuni luoghi , recando esempio di cfise eiome, adduce le verit matematiche, e insieme con queste il mondo. Ora se questo mondo eterno di Aristotele non il mondo ideale , coom cel farebbe credere il sentirlo da lui chiamato w immutabile essenza** (ivC* tu'wHTOi), se esso veramente il mondo reale e sussistente, Aristotele si- rebbe pur egli caduto nell'errore di confondere le cose logicamente necei- sare (le idee)^ con quelle solo immutabili fisicamente, le ideali colle sus sistenii. Ma sebbene ella sia opinione comune, che Aristotele ponesse il mondo reale fra le cose eteme , tuttavia questa dottrina riesce al tutto in- coerente con altri suoi principi ; e troppo ci verrebbe a pesare il valore e il significato de' luoghi diversi dove questo filosofo ragiona d'una si &tti questione, che all'uopo nostro non appartiene ( Ved. Ethicor. L. Ili, e. Vi De calo L. L e. x-, Metaph. L. Xlt ; PAjs/cor. L. Vili; De ortu et inUrU L. II). Osserver solo, che ad ogni modo quando anche si tenga avere Aristotele posto eterno il mondo materiale e sussistente, egli per sar difficile a provare che il ponesse eterno a quel modo stesso che pone eterne le essenze, le quali sono per s. Tutto al pi si perverr a qudlt entenza che gli attribuisce Simplicio ove dice : Aristotele non crede il w mondo esser generato^ ma non pertanto stahMi ch'esso ^ in altra guift V per, fluito da Dio . 48 1 Quando adunque Ai^stotele descrive la relazione che ha la sua mente attiva colla mente passiva mediante il paragone del- Tarte che fa ogni cosa dalla materia, e quando egli insegna come nascano a noi tutte le nostre cognizioni mediante F astra- zione da^ fantasmi ^ o vuol essere inteso in quel senso nel quale noi pure diciamo quelle stesse cose, ovvero in ti*a s diviso e combattuto. Imperocch anche noi diciamo, tutte le cogni- zioni universali venirsi da noi formando colP astrazione ^ ma questo il diciamo noi, perch nella percezione stessa, dalla quale si astrae, noi affermiamo trovarsi V universale ( il possibile ), non gi recatovi dalla impressione de' corpi esteriori , i quali sono tatti singolari, ma aggiuntovi dal nostro spirito, che lo pos- siede in proprio: sicch nella coscienza nostra, in virt di due cause, estema ed intema (e non per in virt di un agente o di un reagente), si forma una percezione, non semplice, ma complessa, o sia mista di sensibile (reale) e d'intelligibile (ideale): 3i guisa, che quella che noi chiamiamo ragione^ non ha da far litro poi che sceverarvi e astrar>'i P intellettuale che gi v' ientro, dal reale che v' pure, e con questa astrazione for- Biare la cognizione pura e libera dalle sensazioni. E un tale officio pu Aristotele averlo dato alla sua mente attiva confon- iendo insieme forse due qualit che noi diligentemente distin- i;iuamo, quella di conservare l'ente intelligibile (l'idea), e piella di congiungerlo o dividerlo dalle sensazioni e da' fan- asmi. Gonciossiach il nostro spirito in quanto possiede o in- ;iiisce l'idea, detto da noi intelletto^ in quanto poi egli usa li questa idea, unendola, o dopo unitala disunendola da' fan- asmi, ragione. Egli par dunque che Aristotele medesimo, non che tutta la cuoia italica, e l'ateniese gloriata figliuola di quella, si possa ri- lorre tra que' savj i quali affermarono l'esistenza di alcuni sseri d'un'indole loro propria, che costituiscono l'intelligibilit Ielle cose, e sono i chiamati possibili, essenze, notizie, idee, con altro nome qualsiasi^ che di pi egli volentieri ammct- jtsse l'antica distinzione fra gli enti e i non-enti, dando il lome di enti alle sole idee, e ad altre cose al tutto immuta- i>iU) e quello di non-enti alle cose corporee, le quali conti- tuiamente si mutano. Rosmini. // Rmovanumto. ' 6i 48! E poich ho cominciato in questo capitolo a mostrare s come i pi alti e pi perspicaci intelletti ammettessero cotesti esseri intelligibili di cui favelliamo , anzi ad essi soli stimassero convenire in proprio la denominazione di enti^ parmi bene di non chiuderlo senza rendere prima ragione di questa lor mente, conciossiach il non saperla impedirebbe la retta intelligenza di un principio cosi sublime e cos conteso. E veramente se noi sguardlamo superficialmente la ragione che, il pi comune, si arreca di quel decreto di tutta Y antica filosofia , noi ci arre- stiamo al carattere della immutabilit o mutabilit di que'due generi di cose^ leggendo spesso per gli antichi libri, che enti non si possono dir quelli che non si trovano in uno stato giam- mai, ma solo quelli che immutabilmente permangono. Diche noi potremmo dedurre, che quando nelle corporee cose si po- tesse trovar parte perfettamenfe quieta ed immutabile, anche ad esse dovrebbe attribuirsi, secondo gli antichi, il nome di enti Cosi veramente la intese Epicuro, ma il vedemmo canzonato dal filosofo di Cheronea^ cos pure egli pare che stravedesse Aristotele , se va spiegato co' sensisti , dove chiama il mondo tf immobile essenza n ( i ), i quali luoghi per forso intender si debbono del mondo intelligibile tipo del reale, o della deit vera sede e fonte delle essenze. Ma io non voglio, come ripeto, contendere a spada tratta per Aristotele^ questione meramente di fatto, e dove i deca- menti a risolverla son forse impiumi e illegittimi. Dico adunque, che la ragione per la quale gli antichi diedero V esistenza in proprio agli esseri intelligibili, non fu la loro immutabilit accidentale , la quale pu convenire anche a' corpi ( sebbene in fatto tutti si muovano, niente avendovi di quieto nelPuni verso); ma bens la loro immutabilit esseiizicde ^ cio logicamente ne- cessaria, di guisa, che non si pu pensare in modo alcuno che non $ieno^ o che non sieno sempre stati, o che sieno stati altra- (i) Se^ come dice Simplicio^ 1' opDone di Aristotele quella che il mondo reale sia fluito dalla deit, non potrehhesi giammai chiamar pro- priamente tmmo6i7e essenza: SfiTreriXni ouyi'nv^eit a^ioi rov zicrfjwfg^XX MT* tlXXw T^'WPV fiwi ^%ou vafayttT^ai (In Arisi, Phys, Lib. VIII> I V 483 mente da quel che sono. Onde avviene, che l'esistere entri nella loro essenza , sicch essenza ed esistenza sia il medesimo, rispetto ad essi. Indi nota Plutarco^ che chiamando le cose corporee non-enti , non intendevano gli antichi , che esse al tutto non fossero, ma bens che resistenza non era loro propria ed es- senziale 9 ma solo accidentalmente partecipata. E del dare al- Fantica dottrina un' altra interpretazione, cosi riprende Golote : u Ma Golote, come quegli che non ha cognizione alcima di filosofia, prende per una medesima cosa l'uomo non essere, u e l'uomo esser non-ente ^ ancorch Platone stimasse, che I molto differenti fossero fra loro quel non essere , e '1 non esser ente^ e che da quello si togliesse affatto tutta la so- ie stanza, con questo si accennasse la diversit del parteci- pante e del partecipato n (i). Il qual luogo di Plutarco parmi assai acconcio a dichiarare egregiamente l'intenzion degli antichi. E perch io penso poter conferire non poco al pro- gresso della filosofia il conoscere esattamente qual fosse la mente di que' nostri antichissimi maestri, reputo, ove me ne venga occasione , intramettere qua e col di quelle cose che la possan chiarire. Sicch aggiunger ancora qui alcune altre parole di Plutarco medesimo , che dichiarano meglio le prece-* denti. Ha la cosa partecipata, die' egli, alla partecipante quello m stesso risguardo , che la causa alla materia , l' esemplare al- ti l'immagine, la facolt all'effetto: nel qual modo principal- mente sono differenti fra s quello che ha l'essere di sua natura , ed sempre il medesimo , e quello che dipendendo da altro non tien mai uno stesso tenore : essendo che quello m n mai stato non-ente, n ha da essere, e per veramente u ed in effetto ente: laddove questo non ha pur fermo quello m essere che gli viene partecipato da altro ^ ma per la sua de- tf bolezza spesso mutato, cadendo lubricamente la materia d'intorno alla forma, e ricevendo molte alterazioni e mu- u tazioni in immagine di sostanza ^ di modo che grandemente agitato e commosso. Siccome dunque colui, che dice il simulacro di Platone non esser Platone, non nicga il senso (i) Contro Colote, XY. 484 u e l'essenza del simulacro , ma mostra la difTerenza che fi-a quello che da per s stesso ha V essere , e quello che V ha per rispetto di lui: cos non tolgono ne la natura, ne Fuso. u n il senso degli uomini coloro , i quali per partecipazione u d'una certa sostanza comune afi'ormano ciascun di noi essere stato fatto separatamente immagine di quella cosa, che portA nel nostro nascimento quella similitudine. Perciocch chi dice a il ferro rovente non esser fuoco, o la luna, o il sole^ ma, a come dice Pannenide, u Lume^ che con la luce altrui vagando u Va la notte d/ intorno a la gran terra ; nonniega per questo o Tuso del ferro, o la natura della luna: ti ma chi dice che non sia corpo, o illuminato, gi repugna al u senso, come quegli che non lascia il corpo, T animale, la generazione, il senso. Chi conosce poi che queste cose hanno la loro essenza per partecipazione, ed intende quanto siano tt lontane da quelle che sempre sono e donano loro Tessere 5 u non niega le sensibili altramente, ma mostra, che cosa sia tt r intelligibile (vo^^r;): n toglie le passioni, che ci avven- tt gono, e si comprendono col senso, ma d ad intendere ri- u trovarsi cose pi ferme di queste, e di pi eostante natura, perch non nascono, n muojono, n patiscono*, e pi sot- u tilraente esprimendo con parole tal diilerenza, insegnano doversi alcune cose chiamare enti, ed alcune Genti n (i). (i) Nel L. contro Colete , XV. N rinterprelazione che d Plutarco in questo lungo dell'antica dottrini sua particolare^ ma di frcqucatc si scontra negli scrittori antichi. Nicomaco a ragion d'esempio dice: u Queste cose prive di materia sodo, M e l'altre sono e si dicono equivocamente per partecipazione di qurile : Toc/r* itn, ra aVXa^ xor/ Sv xaro utrovffitv Ixarrof XoiTv , TtTv oftmnifuti ivrvf xa\9vuivti9 i ro t rt Xiyiroti xm iVr/. In Arith. ' Jamblico: Diceva (Pittagora) enti esser quelle cose che Vtinno'privc di materia ed eterne e per s operanti, come tutte le incorporee. Le It^ * si dicono enti equivocamente per partecipazione delle prime che con w verit si dicon tali m: Orra cf i yTcTif ut/ eXf>'f r auX xm df^im xai firn' ifstariK, dwif im rd da'ti (utarot, ofMvufivi ^9 Xoiwov urr xmrd fH^X*^ dt/tSf iTtm xfltXec/fiiya. yUa PUh, 485 CAPITOLO XLII. HIFORMl DELLA FILOSOFIA ITALICA FATTA DA^ PADRI DELLA CHIESA. Le pi grandi menti adunque delF antichit ( i ) videro assai chiaramente, oltre le cose materiali e sussistenti , che si perce- piscon co' sensi , avervi delle cose puramente intelligibili : vi- dero, i possibili non esser un mero nulla, ma vere cose spiri- tuali, essenze immutabili, eteme (2). N dee far maraviglia, che dopo aver trovata e fermata una cosi sublime verit , V abbiano poi circondata e mista d' errori. Conciossiach in qual dottrina umana la verit mai scevra li errori? Certo, non operano giustamente coloro che rifiu- tano tutto un corpo di dottrina perch qualche errore vi si contiene. Il che accade a quelli che classificano le filosofie co' domi de' loro autori , e poi, secondo la paura che lor prende de' domi resi odiosi da alcuni declamatori , come fu fatto di quello li Platone, da gente onorata le rigettano. Presso alcuni di- renato oggid veramente pauroso questo nome di Platone, almen quanto in altri tempi era la befana : e par che quest' uo- mo, il qual davvero non de' pi dozzinali, ninna buona cosa abbia mai insegnato, sicch per iscartare una sentenza basti il Sire, ella platonica, eli' uscita dalla scuola di Platone! Se cotestoro conducessero il mondo, davvero i bei progressi che in tanti secoli avrebbe fatti il genere umano! Ma io, che non ho poi tanti rispetti umani, dico, che la dot- trina di quelli che l'antichit ebbe giudicati sapientissimi, con- riene esaminarsi, prima di rigettarsi: conviene intendersi, prima di schernirsi con qualche epiteto generale: conviene anche, se siam da tanto , scemere dentro ad essa il vero dal falso , e migliorare quanto in essa rimane per avventura d'imperfetto. (i) Cicerone chiama questi ma/ores philosopki. (3) Solo roeditaodo questa inaniera di esseri, noi giuDgiamo a formarci ilcun concetto di Dio, dell'anima, degli spiriti. Per chi toglie dal numero l^li enti le essenze delle cose, si mette nell'assoluta impossibilit di avere In chiaro concetto di Dio e degli spiriti. Per qual maraviglia', dopo di io , se altri neghi esistere quello di cui non sa formarsi la minima idea T 486 Cos la pensarono i grandi scrittori della Cliicsa cattolica, fra i quali corre subito all' animo di tutti s. Agostino. S. Agostino non condann Platone inaudito ; il lesse , il me- dit j e tolse da lui (jualclie cosa di buono. N per questo s fece Platonico: Questi filosofi ^ scriveva de\scgaitatori di Platone^ u vinsero gli altri in nobilt e in autorit non per altro se non percb s'avvicinano pi degli altri alla verit, u sebbene le stieno tuttavia un buon tratto da lungi " (i). Ecco moderazione e saviezza onde ciascun uomo discreto dee procedere. E per io credo che qui torner utile non poco, se noi con- sideriamo le emendazioni successive cbe vennero facendo alla dottrina filosofica di Platone i maestri pi solenni del Cristia- nesimo: perocch quinci appai-ir se sono ad essi consentanee, e se nulla aggiiuigono ai veri conosciuti le ricerche che si conten- gono nel Nuovo Saggio sulP origine delle idee , e in altri miei scritti. S. Agostino adunque sent primieramente, che era altamente vero il principio fondamentale di tutta l'antica scuola italica, oo che u v'avessero degli esseri immutabili, non cadenti sotto i sensi , ne' quali consistesse la conoscibilit delle cose , di guisa che la cognizione nascesse in noi per Piuilone delP anima nostra con tali esseri. Ma vide in pari tempo , esser un errore annesso a questa verit, quello che Fanlma avesse preesistito a' corpi: e in un altro stato, in un altro mondo avesse ricevuta la scienza^ entrata poi ne' corpi , airoccasionc delle sensazioni , venisse di mano in mano rammemorandola. Questa era la parte ipotetica della dottrina platonica ^ era un'ipotesi, che, senza nidla spie- gare, non facea che addietrare d'un passo la difficolt: polche in vece che si dovesse spiegare come nasceva la conosccna delle cose a questo mondo w , rimaneva a spiegarsi a come fosse nata la cognizione nelle stelle n . La questione adunque, come nascesse la cognizione , rimaneva intatta. All'incontro l'altra parte della filosofia platonica, che u le idee o essenze fos- (i) isti philosophi caeteros nobilitate et auctorilate vicerunt , non oh aHiud, nisi quia ongo quidem intervallo, verunlamen rcliquis propinquiores suM vtrUaiL De G. D. XI, v. 487 ero degli esseri, sebbene al tutto incorporei; questa non era in^ ipotesi, ma un fatto contestato dall^ osservazione intema, ntenticato dalia coscienza, e dalla necessita stessa del conoscerei leroccb resistenza etema e necessaria di quegli enti intelUgi^ fili la condizione slne qua non di tutte le cognizioni umane, lifiut adunque s. Agostino quella parte erronea della dottrina li Platone, e ritenne la vera, che ricapitol dicendo, che il lostro spirito intende perch u connesso a cose non solo in- elligibili, ma immutabili n (i). Or si pu ben dire , che le idee prese in si fatto significato ano una dottrina comune de^ Padri della Chiesa (2). Ma i Padri fecero degli altri miglioramenti alla dottrina Ielle idee. Ed ecco in breve i loro pensieri. (i) Erano sfuggite a sant'Agostino delle maniere di dire appartenenti illa parte erronea della dottrina di Pbtone; ma di queste si richiam e n riprese , cosi scrivendo nel lib. I ^ e. vni delle Ritrattazioni: Illud, quod Uxi s omnes aries animam secum attutisse mihi videri j nec aliud quicquam *sse id, quod di citar discere, quam reminisci, ac recordari: non sic ac npiendum est, quasi ex hoc approbeiur anima, vel hic in alio corpore, fl alibi sive in corpore, sive extra corpus aliquando vixisse, et ea, quae interrogata respondei, cum hic non didicerit, in alia vita didicisse. Fieri mim potest, sicut jam in hoc opere supra diximus, ut hoc ideo possiti jmia natura intelligibilis est, et connectilur WOif SOLUU IVTELUGiBlUBVS MD BTIJU IMMUTJBILIBUS KEBUS. (a) S. Giustino^ filosofo e martire del secondo secolo della Chiesa^ trovava Boa si (atta convenienza fra le idee di Platone^ sanamente prese ^ e le sa- ere dottrine , che riputava averle il greco filosofo tolte dalle divine lettere (L contra Geni), Questa stessa opinione manifesta Clemente Alessandrino, icrittore dello sits^ secolo ( Stromat VI ) ; e nel secolo IV , Eusebio di Cesarea ( Preparaz, Evangel. lib. XI / Tutto ci prova quanto intimo si riconosceva essere il nesso fra quelle idee e la cristiana sapienza. Boezio, distinto filosofo e teologo, due secoli appresso cantava il mondo intelligibile o ideale con de' nobili versi : - tu cuncta superno Ducis ab exemplo : pulchrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similique in imaginejrmans, Perfectasque jubens perfectum absolvere paries, L. m de Cons. Phil. metr. ix. La Scuola non ha mai discordato sull'ammissione delle idee eterne; sebbene venga creduta, da' moderni^ seguace di un sensismo che ella veramente nou ha mai professato. 488 Queste idee, essendo esseri immutaLili , eterni, necessarj [\\ come intuitivamente si manifestano, sarebbero altrettante deit, (juando esistessero isolate in s stesse^ or qii*sto assurdo. Dunque convien dire che la loro esistenza sia nella mente divi- na. E di vero l'intuizione nostra delle essenze delle cose ci dice bens, che elle sono eteme, infinite ecc., ma non ci dice mica che abbiano necessariamente un' esistenza fuori della divina mente. Cos corressero la dottrina di molti Platonici , e la pur- garono dallMnfamissimo peccato dell' idolatria. u E queste ragioni, dice s. Agostino, dove crederemmo noi e essere se non nella mente del Creatore? Imperocch egli non e isguardava in qualche cosa posta fuori di se, per operare se- condo quella ^ il che sarebbe sacrilego ad opinarsi. Che se (i) S. Agostino distingue accuratamente le verit, dalla nostra nunU che le intuisce X e mostra quanto quelle sieno d'una natura superiore a questa; perocch la mente non pu giudicar di quelle, ma bens dee giudicare secondo quelle. Si badi bene , che questa maniera di argo- mentare non che un fino osservare ci che ci olTerisce V iotima nostra coscienza. Dice adunque s. Agostino cosi ; w Credi tu che questa 9t verit, della quale gi lungamente parliamo , e nella qual sola tante M cose veggiamo , sia pi eccellente della mente nostra , o uguale , o in- H feriore? m Di confonderla colla mente nostra, non crede n pur pos- sibile 8. Agostino. Solo dimanda se sia di natura pi sublime, o pari, o inferiore. Or egli prova in prima, che non inferiore, cosi: w Ma se fosse in- w feriore, noi non giudicheremmo secondo essa, ma giudicheremmo di essa, M siccome giudichiamo delle cose corporee. -^ E ne giudichiamo secondo r quelle interiori regole della verit, che comunemente veggiamo. Di esx r stesse, iti alcun modo ninno giudica. Imperocch ove alcuu dice, che le H eterne cose si vantaggiano sulle temporali, o dice sette e tre far diedi r non dice che cosi dee essere stato, ma solo, conoscendo che cosi , non r pone l cosa a sindacato siccome uno esaminatore , ma si rallegra siccome un trovatore *#. Poi dimostra che non n pur uguale, ma maggiore della mente nostra, perocch la mente nostra mutabile: E se fosse aguale r alle menti nostre, dice, ella stessa (la verit) sarebbe mutabile . Onde conchiude: Laonde non essendo n inferiore, n uguale, rimane ch'ella r sia superiore e pi eccellente m. Questo argomento, che s. Agostino fa nel iib. II de lib. Arbitrio, e. XI e XII, e in pi altri luoghi, inelutlabik*. Ora gli oppositori potranno bene spregiarlo, si come fanno, ma non nui confutarlo, credo io. E da questo solo punto, del sapere se b verit iatuiU dalla mente qualche cosa di diverso dalla mente, e superiore alla rotolei pende tutta la gran questione delle idee. 48.9 tutte queste ragioni delle cose da crearsi e create nella mente u divina sono contenute, n cade nella divina mente cosa M la qual non sia ctei*na e immutabile, e principali idee le chiama Platone 5 elle non pur sono idee, ma veramente sono; u perch sono eteme , e tali e incommutabili rimangono , e u ci che , in qualche modo si fa per loro partecipazione (i). Nel qual luogo e in tanti altri simili . dello stesso Padre si vede, come egli non ammette gi due maniere di ragioni, idee, od essenze delle cose, Tuna in Dio e Taltra in noi^ il che sarebbe assurdo, come pi sotto dimostrer^ ma s anzi, come al tutto egli sia persuaso , che le cose s^ abbiano le loro semplici essenze , o intelligibilit, onde sono conosciute e a Dio, ed a. noi, ed a tutti gli esseri che conoscono (2). Molti altri miglioramenti ricevette questa dottrina nelle mani de^ Padri. Si pu dire , che ella ebbe un progresso teo- logico^ imperocch i suoi incrementi nelle mani degli scrittori ecclesiastici provennero pi tosto dallo studio di Dio, che da quello dell^Uomo. Tostoch giunsero essi a fermare queste due Terit, i.^ che le idee erano indubitatamente, ed erano immo* (i) L. LXXXIII Quacst, Q. XLVI. (a) In alcuni luoghi Piatone meUe anch' egli le idee nella mente divina ; e cosi anco l'intendono alcuni Platonici. Eustrazio sebbene commentatore di Aristotele dice espressamente che pose le idee nella cognizione di Dio : Ufov^i^rtmra^ (iv rtv^i rtSv |V ^ifjta^tv fiVa^r, i^iffM/uiMC^ ^l' -nrmf *rdrrwi ir ry rov vifjuwfyoo ^ou iavotgi ^v^stf , in fa rtvot xar* at/roui ff'r rp t^Xn ;^arfarrorro( ( In I Ethic, Arist. fol. io). S. Cirillo Alessaudtiiio trova incerto Platone sopra di ci^ e in contraddizione con s stesso: m Ta- m lora Platone afferma- cosi egii^ esser (le idee ) sostanze separate e per m s sussistenti ; tal altra le definisce nozioni di Dio. Ma anco i suoi disce- m noli periti di questa materia dicono ch'egli non avesse in ci una ferma m sentenza m (L. II contro Giuliano). A me pare iudubiiato^ che Pialoue cadde^ co' suoi precessori nell'errore delle idee separatamente sussistenti; e que' luoghi dove le dice r nozioni di Dio - credo potersi conciliare cogli altri assai facilmente^ purch si consideri che delle idee egli faceva altret- tante deit. Ora di queste deit elle eran nozioni. parmi che acuta* mente Dionigio Petavio conghietturi , che il dubbio sul modo d'intender Platone sia stato posto in campo pi tosto da' suoi discepoli fioriti dopo la Tenuta di Ges Cristo , per cessare dal loro maestro il disdoro di tanto errore. RosKiNi, // JUnnovamento. 6u 49^ bili, eteme, necessarie ^ 2. die erano in Dio^ questa dottrina rimaneva oggimai connessa alla teologia cristiana indisgiungi- bilmente , e per dovea ricevere un lume , uno sviluppo , un progresso da essa teologia o naturale o rivelata. La nozione pertanto di Dio e de' suoi attributi metteva i pensatori in sulla via a ricercare come queste idee potessero trovarsi in Dio, e come conciliarsi alla divina natura ; ricerche di somma rile- vanza e per la teologia e per la filosofla stessa. I rsultamenti furono questi : I." Si vidcj che il complesso di queste idee in Dio non po- teva esser cosa diversa dal Verbo divino (i). 2.** Cbe esse non potevano avere in Dio alcuna distinzione (1) Nel ni secolo Origene comrneulaudo il principio del Vangelo di san Giovanni spiega la parola Xo>f( per ragione, quale sta nella niente dell'ar* tefice^ acciocch w si facciano le cose tutte secoudo la sapienza, e secondo m le figure del complesso delle intelligenze che sono in essa. Imperocch M io stimo^ che come una casa , o una nave si edifica o si fabbrica secondo w le figure e forme concepite nelle menti di quelli che presiedono all'opera, H prendendo la casa o la nave il suo principio da esse figure e ragioni, che 8on nell'artefice ; cosi le cose tutte seno state operate secondo le ragioni delle future cose gi prima manifestate da Dio nella sapienza. Gondos- r siacb tutte le cose egli fece nella sapienza. d da dire cbe avendo w Dio creata ( se mi lecito cos parlare) la sapienza, alla cura di lei com- m mise il dare agli enti e alla materia sussistenza , e impronta , e forme r dalle figure e specie (io penso) che ella aveva in s stessa w (In Jo. ci), sebbene questo passo alluda a de' luoghi delle sacre Scritture, tuttavii reputo necessario notare, che alcune maniere di dire non reggono, a no parere, colla cattolica verit. Imperocch non si pu dire che sia slata creata la sapienza ^ ove ella s'iutenda pel Verbo di Dio, n che b essa si trovino specie od idee da lei stessa realmente distinte. S. Agostino in modo simile comment le alte parole di s. Giovanni ove dice che m tutto ci che stato fatto nel Verbo era vita . m Tutto cif dice il vescovo d' Ippooa, * che Iddio volea fare nella creatura, era gi nel Verbo, n sarebbe nelle cose, se nel Verbo non fosse stalo: come r- m spetto a te, nulla sarebbe nella fabbrica che tu fai, se non fosse prna M nel tuo consiglio. Siccome dicesi nel Vangelo: Quello cbe stato Atto in esso era vita. Dunque vi avea gi quello che stato fatto, ma fi avet r Del Verbo > e tutte le opere di Dio erano ivi, e le opere ancora non r erano ( Tract. in Ps. lY, et in Jo, l),l luoghi degli scrittori ecclesia* stict che contengono la dottrina stessa sono comuni , e potrei recarne afe- Tolmente di tutti i secoli della Chiesa. 49' reale fra loro, perciocch ci avrebbe posto una moltiplicit nell^ esser divino contraria alla semplicit della sua natura^ ma dovevano tutte essere accolte in una idea sola indistinta dallo stesso Verbo, e cosi le idee in Dio venivano ridotte a perfettis- sima unit (i). 3.** E perciocch il Verbo non realmente distinto dall'es- senza divina, per quest'idea pure indivisa dal Verbo non do- vea avere alcuna distinzione reale dalla stessa essenza divina, di guisa che la stessa divina essenza fosse V intelligibile stesso (2). Questi veri erano stati trovati dagli scrittori della Chiesa cattolica non col solo lume della ragione, ma con quello della rivelazione. In fatti V esistenza delP idea nella divina mente , a detta di s. Tommaso e di s. Agostino, lon gi una mera opi- (i) S. Auselroo, uno de' maggiori lumi dltalia, nel secolo XI annunziava degantissimaroente questa verit , dicendo che Dio uno eodemque ( Verbo ) dicit se ipsum et quaecumque fedi ( Monl, e. XXXII). (a) S. Tommaso d'Aquioo nel secolo XIII scrivea , che > Dio, secondo m la sua essenza, similitudine di tutte le cose. Laonde l'idea in Dio non i altra cosa, se non l'essenza di Dio m. 9. I. XV, i, ad 3. Io prego il C. M. di volermi dire in qual modo egli crede di dover in- terpretare questo passo dell' Aquinate , acciocch si possa conciliare col sistema sensistico che gh' attrihuisce. Crede egli forse che questo gran dot- tore riprovi le idee di Platone? s'inganna assai se lo crede. Anche TAqui- mle le ammette , purch sceverate d'errore , con tutta la tradizione cri- stiana. Legga, o rammenti l'articolo III della citata Q. XV della P. I; il qoal trover , che comincia appunto colla dottrina di Platone, dicendo: Cum ideae a Fntone ponerentur principia cognitionis rerum, et generationis rpsa- rum , ad utrumque se habei idea , pr ut in mente divina ponitur. Ma come adunque il Dottore angelico si fa seguace di Aristotele ? La ri- sposta facile. Aristotele pu essere interpretato in varj modi , e s. Tom- maso non intende che il filosofo rigetti le idee, ma solo che rigetti il farle sussistenti fuori dell'intelletto. Aristotees , dice , improbat opinionem Pia' onis de ideis secundum quod ponebat eas per se existentes , non in inteU ectu ( S. I, XV, T^ ad i ). S. Tommaso adunque va d'accordo con Platone e con Aristotele nel riconoscere l'esistenza delle idee, la loro immutabilit e divinit, e le ripone nell'essenza divina. Egli dunque ben lontano il santo Dottore dal confonderle colla materia, o colle sensazioni; e se esige i fantasmi al nostro pensiero , egli per non ripone ne' fantasmi l'essenza del pensiero^ n li Cei causa del pensiero, e n pure condizione assoluta- mente necessaria, ma solo concomitaute, e occasioni accidentali del pensar nostro nello stato presente in cui ci troviamo, e nulla pi. 49* nione, ma bens una verit di fede. E Funo e Taltro di (|uesll grandi maestri della cattolica verit non dubitano di pvonun- ciai'e che infedele colui che nega esser V idea nella lucute divina " (i)* Per gli cattolici adunque ella cosa indubitata, e contenuta nella loro i-eligiosa credenza, che le essenze delle cose o idee sono, che sono eterne, necessarie ecc., e che risiedono nella mente divina. Di qui i maestri della Chiesa vennero ad un'altra ricerca, cio, onde fossero le idee delPuomo. E ad essi, avendo risoluta la prima questione, fu facile il risolvere questa seconda. Imperocch a nessuno cadde in monte giammai di dire, che le cose tutte avessero due essenze, Tona nella mente divina, e l'altra nell'umana^ ma quelli videro l'es- senza di ogni cosa esser semplicissima, una, identica a s stessa. Oltracci ond'era, ch'essi avevau dedotto colla ragione, dover essere le idee o essenze delle cose immutabili, eterne, neces- sarie ecc. ? Non altronde , che dall' osservazione che avean po- sto sulle idee intuite dall'uomo. Furono le idee nella lor pro- pria mente contemplate , che loro ebbero rivelato quella im- mutabile stabilit e necessit di che esse vanno fornite, e che gli ebbero condotti a riconoscerle siccome cose inQnitaniente su- periori alla natura umana, e a Dio solo appartenenti, in Dio solo sussistenti. Le idee adunque dell' uomo doveano essere ( quanto al fondo ) identiche alle idee della mente divina. Indi conchiusero, per una indeclinabile conseguenza, che le idee del- Fuomo erano un'arcana comunicazione delle idee divine, o sia che l'uomo vedeva le idee in Dio (2)5 che Dio, V intelligi- (1) Infidelis est qui negai ideam in mente divina, S. Aug. L. LXXXm QQ., Q. XLVI, e s. Tommaso De Verit. Q. Ili, art. i. (a) Questa maniera di dire dee iutendersi in sano modo^ perocch pren alla letlera, come Tha usata Malebranche^ io non saprei approvarla. E se noi consideriamo aUentamente, e rafirontiamo insieme i luoghi de' Pa il che era placito di Platone: Qaesto lo m riprovo 9 dice. Perocch pi probabile che gl'imperiti rispondano il i vero di alcune discipline^ quando son bene interrogati , per questo, che ad essi presente, quanto pu in essi capire, il lume della ragione M etema, dove veggono questi immutabili veri; non perch gli avesser co- m Doscinti altre volte, e se ne fosser dimenticati, come n' paruto a Pla- m ione ed altrettali . Qui si fa chiaro , che sebbene il santo Dottore dica presente all' anima intelligente il lume della verit etema , cio il lume di Dio come spiega in tanti luoghi, tuttavia vi pone la limitazione, quantum id capere possuni; e in questa vita naturale non capisce nell'uomo abba* stanza di lume , da potersi questo lume appellare col nome sostantivo Dio. (f ) Questa maniera di dire, m ogni uomo veniente in questo mondo m, sembrerebbe a primo aspetto platonica. Ma non si dee prender nel senso, che l'uomo fosse venuto in questo , da un altro mondo^ dove avesse preesi- stito. Ella mostra bens, che l'uomo preesisteva nella mente di Dio, cio nella divina idea ; ed un modo assai simile a molt' altri della Scrittura , e particolarmente a quello di s. Paolo , il quale per ispiegare la creazione dice che ex nvisihilibus visihilia facta sunt ( Hebr. XI ). Gli enti tutti che dovean poi crearsi esistevano ab eterno invisibili, secondo s. Paolo, cio esistevano gli enti ideali nella mente di Dio. Iddio creandoli non fece che aggiunger loro la realit, I Padri greci dicono talora , che Iddio creando, ha iosianthato , cio dato la sostanza reale alla propria notizia ( i u^anfrnfi^i^f)! Tale il passo di s. Massimo martire, dove dice m L'artefice di quelle i cose che sono, quando a lui piacque sostantiv (fece sussistenti), e pro- t dusse quella notizia che prima esisteva ab etemo in s stesso. Imperoc* % che assurdo dubitare di Dio onnipotente, se egli possa dare la sussi- r stenza a qualsiasi cosa egli voglia m. Queste autorit gravissime dimo* Mraoo l'originale identit dell'essere nelle due forme ideale e reale, (a) Jo. I. (3) Bibluth. SS. PP. eilit. Canon, T. I, ' 494 luce che Iddio cre il primo giorno, per la luce dv^lla iiiente, dice, che u era Dio stesso nella Iure, il quale abita una luce inaccessibile , ed era lume vero che illumina ogni uomo vc- u niente in (piesto mondo n (i). Ma in niun altro scrittore antico questa dottrina viene pi ampiamente trattata , che in quello de' celebri libri della Ce- leste Gerarchia e de' Divini Nomi , i quali furono il mag- gior fonte forse , oltre il gi*an vescovo d' Ippona , della scolastica teologia. Questo scrittore dice, che gli esemplari sono le essenze delle cose , ragioni cffettrici. che in Dio erano prima congiunte (2)^ cui gli scritti divini appellano predesti- a nazioni, e divine e buone volizioni (3) : le quali costituiscono e fanno tutte le cose, a quel modo che Dio delPessenza stessa pi eccellente (4) e prima fiss quelle cose che sono e le tf produsse in luce n (5). Or comunicando Iddio queste idee o lumi che sono in s, alle creature, le rende razionali: indi il perch nelle Scrittore Iddio venga chiamato ragione 99. (i) Brat quidem Deus ipse in lamine, qui ucem inhabitat inaceisibitm, ti trai lumen verum quod illuminat omnem hominem venientem in hMH mundum, Hexameron. (a) Questo luogo porge delle gravi difficoll a' teologi ( Vcd. il Petiiio Ve beo ecc. L. IV^ e. x ). Mi si permetta di aggiungere quale a me ne pi)a la convenevole intelligenza. Le ragioni o idee non sono in Dio septnic per natura > ma nell'essenza divina eminentemente sono tutte comprese. Col decreto per di creare le cose queste essenze venivano a distinguersi me- diante la relazione delle limitate creature alFessenza illimitata del Creatore, e in questa essenza il Creatore vedeva la moUiplict delle creature coli* atti tesso del crearle. Or veggendole in s collo stesso alto creatore, pu dirsi assai acconciamente ch'egli producesse ab eterno le essenze singolari delle cose in quanto che il termine dell' atto creante non sarebbe stato veduto da Dioy se l'atto stesso non fosse stato da lui posto, poich non pota edere ci che in nessun modo sarebbe stato. In questo senso io inteado, come la sapienza fosse la prima creata , cio qual termine della volont di Dioy che vedeva in s ci che stabiliva di creare e che creava. (3) La spiegazione da me arrecata riceve conferma da questa manen di parlare^ che Dionigio^ o altri qual siasi l'autore de' libri che citiamo, dice appartenere alle divine lettere. (4) Secondo la spiegazione data pu dirsi Iddio pi eccellente ddrct* senze singolarmente prese , e distinte pel vario rispetto alle cose create (5) De Div. Nomin. e. V. 495 Negli scritti divini ri , cos questo elevato scrittore j u Iddio chiamato con laude ragione {Xyo^) non solo per questo , cVegli somministra e la ragione, e la mente, e la sapienza^ u ma ben anco perch egli ha in s equabilmente le cause anticipate di tutte le cose , e perch va per tutto , toccando^ u come scritto, fino all^estremo termine d^ognl cosa^ e prima- m riamente perch la divina ragione appartiene a tutto ci che semplice^ ed in un cotal modo sopra-essenziale^ pura da tutte cose, e fuori da tutte cose. Questa ragione sem- plice, e tale che veramente inerita : e In essa avvi la scienza di tutte cose netta, e sciolta e libera da ogni errore " (i). Ecco che cosa la verit, secondo i maestri della cristiana dottrina, ecco dove il fonte unico della scienza umana, ecco il secreto ad essi non pi secreto delF origine delle idee. Sarei infinito se arrecar volessi tant^ altri di cotali documenti. Si pu dire , che in quanto a queste dottrine generali non cada Dcmtroversia alcuna fra i legittimi maestri della cristiana fede. Dove egli sembra che cominci la variet delle opinioni, iole a sapere se il lume onde Fuomo intende possa dirsi creato 0 debba dirsi increato (2)^ ma anco questa controversia compa* riflce assai tardi nella Chiesa, cio al tempo degli Scolastici, e chi a fondo la considera , vedr essere pi di parole che di cose. E veramente sebbene s. Agostino, s. Bonaventura ed altri chiamino increato il lume in cui P intelletto umano conosce^ e t. Tonmiaso II chiami creato ,- tuttavia questo secondo non istima di dissentire, ci dicendo, da^ primi, anzi giovasi delP autorit (i) De Div. Nomin, e. VII. (a) Fra gli scolastici. Durando (L, D. III^ q. v) pretende che non si possa MDffnettere un niellelto agente nell'uomo , il qual sia creato, ma il vuole iocreato. S. Tommaso tocca le due opinioni del suo tempo ( Q. unica de mdma, art. v ) : Ideo quidam catholici egli dice, potuerunt quod intellecUu egens sit ipse Deus, qui est lux vera, quae illuminat omntm hominem ce- Rjenlem in hunc mundum. Egli non riprova questa sentenza, ma soggiunge^ feSfer pi conveniente ammettersi uu intelletto agente creato, per conservare la subordinazione delle cause. Ognuno sente , che questa una ragione coo- {faiettorale. Pure ove si consideri , che all' intelletto agente si attribuiva inche la prima funzione della ragione ( Tuniversalizzazione ) , non pu ri- aaner dubbio ch'egli sia creato, eziandio che sia increato il lume che egli ipplica alle sensazioni. 496 di 8. Agostino a convalidare le sue sentenze. Il che s^intender quando si consideri due cose: I. Che s. Tommaso distingue due principi onde P intelletto conosce , cio gli oggetti intellettivi ( le idee ) che chiama prin cipium quody e le specie o il mezzo onde conosce, che chiama principium quo (i). Ora il principiwn quod sono le essenze deUc cose 9 le idee, e queste, tanto per s. Agostino come per s. Tom- maso, sono eteme, immutabili, necessarie, residenti in Dio, uni- ficate nell'essenza divina , e l'uomo non le pu vedere altrove che dove sono, per in Dio (2). Ma V nomo a vedere queste essenze ha bisogno anche dd mezzo di alcune specie^ le quali, per le cose corporee , hanno origine da' fantasmi ^ i quali sono ben lontani dal ricevere in s tutta la natura de' loro corporei oggetti , quando anzi essi non sono che parziali ciTetti operati in noi, e attestati dalla nostra coscienza, un risultato medio deiragentc estemo e della natura del paziente. Ora qual dubbio che i fantasmi, e le spe- cie che risultan da essi, le quali sole, se non vi avesse nel- Tuomo il lume delle essenze [lumen intellectus agentis)^ nulla iarebbon conoscere, sicno create e interamente diverse dal lume etemo ? In questo modo , a mio parere , si conciliano pienamente i diversi luoghi del dottore d'Aquino, |che sem- brano di primo tratto contrarj fra loro (3). Ma di ci pi a lungo altrove. (1) Vedi questa distinzione nella ^. I, XV, n. (a) Non solo ricusa s. Tommaso di fare scaturire, come taluni gli attr- buiscoDO , le verit dalle sensazioni , ma )*fiuta ben anco la sentenza di quelli, che vorrebbero che le angeliche nature comunicassero il lume iotd- lettivo agli uoroini; dicendo, che Tuomo in tal caso non sarebbe pi (atto ad Immagine di Dio, il che di fede: Si homo paHiciparet lumen inuBi^* bile ab Angelo, sequeretur, quod homo secundum mentem non esset ad tnui- ginem ipsius Dei, sed ad imaginem angelorum; contra id quod dicitur Gp- nesis primo ( Q. unica de spiritualibus creaturis art. X ). (3) S. Tommaso in assaissirai luoghi distingue essenzialmente /amUum dalle idee, di guisa che gli uni non hanno la minima comuDooe di natnn colle altre > n quelli sono essenziali a queste. Ma perch la nostra morte si rivolga a queste, perch le intuisca, eli' ha bisogno di essere ecdtaU di' fantasmi, i quali rimangono cosi illustrati dalle idee; cio questi veogooo dall' lo alle idee riferiti, come un cotal rcalizzamcnto o sostanzia mento ( si cosi ne lice parlare ) di esse. 497 II. Ella cosa iudubitala , che il lume clic Iddio comunica all^intelletto umauo, non tutto il lume divino, o per dir me- glio, non e comunicata all'* uomo, u pu essere comunicata mai a creatura, la divina essenza interamente, come quella che infinita. 11 lume adunque della divina idea, o propriamente del divin Verbo , in venendo all^ uomo comunicato , riceve una coiai limitazione determinata dalla volont del ci'eatore. La qual limitazione non controversa ^ e qui s. Agostino ili pienissimo accordo con s. Tommaso. Per chi vieta il chiamar questo lume creato j in qiuinto egli ha seco un modo , Bua legge, un limite che non tiene nella essenza divina? Pu dunque dirsi increato nella sua propra entit, ma ciccato nel modo e forma particolare in che rlsplende alP uomo , o ad altre quali si vogliano create intelligenze. Egli s. Tommaso che conciha s stesso in questo modo con s. Agostino. E V uno e r altro adunque nel fondo riconoscono , che il lume divino , r essenza , Tidea divina pu considerarsi o in s stessa , o come TODe partecipata all^ anima ^ in s stessa sole, partecipata luce. IE0CCO le parole di s. Tommaso a Ci che fa in noi le cose m intelligibili in atto per modo di lume partecipato , qualche cosa deir anima (i), e si moltiplica secondo la moltitudine delle anime e degli uomini. Ma ci che le rende intelligibili, per modo del sole che illumina , un sole separato (2) ed Dio. Laonde Agostino dice (3) : La ragione promette di di- mostrare Iddio alla incute mia come si dimostra il sole agli a occhi. Perocch gli occhi, per cos dire, della mente sono u i sensi delPanimo, e tutte le cose certissime delle discipline u son tali, quali son le cose cui illustra il sole acciocch si vg- tf gano. Dio poi quegli stesso che illustra (4)- Sicch se (1) S*inteDda bene: questo w qualche cosa deiranima u non pu voler 4ir altro > se non, che congiunto sostanzialmente all'anima; perocch si tratta di un lume etemo dall' anima partedpato : ora il lume eterno pu beasi unirsi intimamente coli' anima ^ ma non mai coli' anima confondenti ^ nel qual caso muterebbe la sua natura immutabile , e cesserebbe d' es- er lume. (a) n lume o separato od unito all'anima non muta mai in s stesso d'es- sere quello che . (3) Soliloq. I. (4) S, l, LXXIX , V, ad 3. RosaUM, // Rumo\f amento. 63 498 v^ha disparit di opluoni fra questi due sommi uomini^ ellao assai piccola, o nulla. E convien riflettere, che s. Tommaso era tenuto a seguitare la dottrina di Aristotele, come il maestro gi abbracciato nella scuola di quel tempo, e come a dire il testo prescritto. Tuttavia dov'cgli persuaso di trovarci errori, il ributta (i): dove poi non vede al tutto chiara la ragione d^una o dall'altra parte da potersi pronunciare risolutamente, lascia che ciascuno s'attenga a quella parte che vuole ^ e il veg- giamo non di rado ragionai^e in due modi, secondo Platone e secondo Aristotele , quando V una o V alti-a sentenza gli torna egualmente verisimile. Il medesimo fa nella questione indicata: egli considera come comportabile tanto la sentenza di s. Ago- stino che dichiara venir da Dio stesso le cose intelligibili (le idee) inmiediatamcnte, come l'altra che dice venir da Dio il lume dell'intelletto agente il quale poscia trova o forma le idee, sentenza pi acconcia alla dottrina aristotelica, com' era pro- fessata dalle scuole del suo tempo : purch si ritenga , che o gV intelligibili stessi , o il lume dell' intelletto agente venga da Dio inmiediatamentc. Sicch dopo avere esposta la sentenza consentanea a s. Agostino, e quella consentanea ad Aristotele, e non decisa risolutamente n Tuna n l'altra, conchiude: Non a importa poi molto il dire o che le cose stesse inteUigibili tf sieno partecipate da Dio (sentenza di s. Agostino), o che tf sia partecipato da Dio il lume che fa le cose intelligibili * (sentenza di Aristotele): Non multum autem refert dicere quo ipsa inteUiffUia participantiir a Deo y ue^ quod lumen fackns fnteUigbUia (2). Fin cp la Scuola teologica, la cui unanimit non mi fa dubitare di dire che le dottrine esposte appartengano all^ es- senza del Cattolicismo. Ora ognun vede che io pervenni agli stessi risultamenti, ma per un^ altra via. La Scuola teologica parti , come dissi , dalla meditazione di Dio : io partii semphcemente dalla medi* (1) In molti luoghi s. Toramaso contraddice ad Aristotele. Eccone akuoi' 8. I, q. XLIV, art. 11; q. XLVI, art. i; q. XLYIII, art. i, ad li q.Li art in; q. LII, art. 11. (2) S. l, LXXIX, z. u \ 499 tazione delFuomo , e mi trovai nondimeno pervenuto alle con- diinsioni medesime. Questo riuscire ad un medesimo termine da due opposte strade, egli , parmi, una conferma, una riprova della verit. Ma oltrac- ci la dottrina, se non erro, ricevette per tal modo una nuova illnstrazione , una maggiore evidenza, e fors'anco lo stesso lin- guaggio trov maggior precisione, e pi sicuro e fermo anda- mento il ragionamento. Io debbo spiegare, che cosa voglia io dire con ci: ecco in breve i principali punti di veduta, da' quali io esaminai la conoscenza umana. I. Primieramente posi una somma attenzione a distinguere in essa il materiale dal /ormale. Sebbene tutti facciano cenno di questa distinzione , tuttavia sono profondamente persuaso , cbe non v'ebbe un filosofo (parlo di quelli ch'io lessi) che ne ve- desse, non di lancio, ma con un pensiero veramente perseverante, la natura, e che ne sentisse l'importanza. Io notai che materia delle cognizioni non potevano chiamarsi se non i sussistenti in- dividui di una specie, la sussistenza sola formava la materia della cognizione (i): vidi che la specie sola (idea) (2) era l'oggetto dell' intelletto ^ e che la sussistenza non entrava in alcuno in- telletto , non era per s conoscibile. Ma se la sussistenza non per s conoscibile , non si percepir dunque? Si percepisce, ma con un atto essenzialmente diverso da quello onde si in- tuisce la specie od idea : con un atto che non egli stesso per s cognizione. Quest'atto appartiene al mondo delle realit, e non a quello delle idee. Il mondo delle realit tutto fatto di sentimenti^ di azioni e di passioni^ ma il mondo delle idee non (i) Qaesta sussistenza si pu anche solamente pensare coU'ajuto d quella che io chiamo immaginazione intellettiva, sebbene ella non sia; cio si pu da noi supporre^ si pu ammeUer che sa. L'oggetto proprio di quest'atto ancora materia, e non Jbrma deUa cognizione. V'ha dunque una materia mssistente, e una materia affermata mentalmente , a cui per non compete in alcun modo il titolo di materia ideale. Materia ideale non che l'idea della materia o della sussistenza in genere ^ e non mai la materia stessa particolare affermata come reale. (3) Qui io prendo idea e specie come sinonimi , sebbene propriamente parlando la specie Videa CQnsiderata nella sua hmitazone soggettiva. 5 5oo La n passioni ne azioni , egli lutto fatto di notizie o co ^uuM^m. La percezione adunque delle rose reali -una passione nostra. prodotta (nel sentimento) da una azione loro in noi. Ma fuKjiii non v''lia nulla di conoscitivo , siamo nel perfetto bujo. Conu passeremo alla luce? La percezione delle cose reali , delle sus- sistenze, fatta in noi. Ora essa ha in noi un rapporto colle idee. col mondo ideale , il quale pure in noi. Qual il fondamento di questo rapporto? L'unita assoluta del noi. Noi abbiamo da una parte la percezione al tutto oscura della sussistenza^ dall'altra noi stessi pure abbiamo l'intuizione clYidea: confrontiamo adun- que nella nostra unitala percezione, la passione nostra, coU'ideri intm'ta^ e mediante questo confronto diciamo a noi stesisi: la percezione una realizzazione dell'ideale da me Intuito. In tal modo la percezione riceve luce: e la sussistenza della cosa, seb- bene in s tenebre, viene illustrata, secondo la maniei^a di dire scolastica, nel quale stato piglia il nome di percezione intelletli\ti. Che cosa adunque quest' atto ? non semplicemente un' in- tuizione d'un' idea, ma nvi' affermazione^ un giudizio: l'idea riman quella di prima-, non si aggiunge veramente e propria- mente parlando un oggetto intellettivo , ma solo si fa una fun- zione di un altro principio , del principio applicante la cogni- zione ( l'idea ) , principio attivo , appai^tenente egli stesso al mondo reale, e non all'ideale, principio che, preso in generale qual attivit, che si parte poi in mi complesso di funzioni o di gloria. 5o4 3.* Questa limitazione delP essere da noi veduto, al tulio soggettiva^ cio nasce dalla parte nostra, e non dalla parie deir essere stesso, cio di Dio (i). (i) Vebbero noD pochi, come gi altrove accennai, che prima di me conobbero^ l'essere far rulEcio a noi di lume interiore delle menti, ma, per quanto mi pare, i pi lo confusero con Dio; n s'accorsero tampoco che l'idea dell'essere conteneva in s l'altre idee supreme di verit, di giusti- zia, di bellezsa , di unit , di ordine ecc. , sicch lasciarono queste indipen- denti da quella idea semplicissima che tutte le racchiude, ed ella stessa sotto diversi rispetti considerata. Ecco come parla un grand' uomo italianoi il Fidno : Le comuni notizie della bont , della verit , che gi prima provammo trovarsi in tutte le ment, per questo appunto che assidui- mente raffrontan fra loro le cose vere e le buone , insegnano essere Id- dio M. Vedesi qui come si mettono insieme le notizie della bont e della verit, senza unificarle nell' essere? Di poi prosegue a mostrare che quella bont e verit Dio stesso che luce alle menti , cos : Se Do la verit stessa e la bont, consegue che risplenda alle menti degli uomDi Iddio stesso ogni qual volta noi giudichiamo le cose vere e buone se- condo Dio fattosi norma nostra *. Ora In bont e la giustizia in quanto sono norma de' nostri giudizj, secondo noi, non si possono dire Dio, ma solo appartenenze di Dio. Poi viene all' idea dell'essere, e dice cosi : r Inse- gna il medesimo la nozione dello stesso essere inserita in tutti; perocdi tutti gli uomini giudicano quella cosa non esser punto , questa essere in f modo imperfetto, quest' altra essere in modo pi perfetto. Ora tal gn- dazione nell'essere n si fa, n si conosce, se non mediante un awia- narsi o allontanarsi delle cose dall'essere sommo, che Dio. N l'avrio- r namento a lui , o l'allontanamento non pu esser veduto se non da dii lui stesso vede m. Or noi diciamo, che basta a tutto ci che l'uom cobo- sca l'essere puramente ideale, il qual solo non Dio, perocch virtualmeiite e indistintamente in lui si contengono tutti gradi e modi di essere, i teti, od altra qualsiasi, la qual s^ intuisce dagli Americani, s o no una verit identica di numero con quella che intui- scono gli Europei^ non esiter un punto a rispondere a s stesso, che ciascuna di quelle verit una, identica assoluta- mente, semplicissima^ e che non ci potrebbe essere goffezza maggiore che il credere, fossero tante verit diverse, quanti sono i paesi in cui si contemplano , o quanti gli uomini con- templanti. Questo ci che suggerisce pur il primo pensiero^ questo ci, a mio credere, che tutti gli uomini tengono per indubitato, e per che un vero patente, indettato a tutti dal senso comune. Lo stesso si dica di un^idea qualsivoglia, per esempio, il cavallo intuito mentalmente, l'uomo, ogn' altra cosa , di cui si farebbe in Europa come in America una uguale definizione. So bene, che a questa semplicissima risposta delP imparziale e non prevenuto buon senso , a questo risultamento della pura osservazione interiore, succede a Intimar guerra il ragionamento. E quali sono le sue armi? il solito: come pu esser la tal cosa? io non la intendo. Cos il ragiofiamento caccia V esser* dizione; perch egli dice: u la tal cosa non pu essere, dunque 5io non . L'osservazione dice; u la tal cosa , dunque . Il ragionamento dice: u io non T intendo^ ma ci che non intendo io, non . L'osservazione ali 'incontro: " la tal cosa ^ s' in- tenda poi o non s'intenda, ella briga non si prende. Tuttavia facciamoci a seguitare, se ci possibile, le sotti- gliezze de' ragionamenti , che vorrebbero impugnare l'annunziala verit di osservazione. Primieramente io suppongo che il ragionamento oggimai non osi pi dire che il cavallo, o l'uomo possibile, o i rap- porti de' numeri , o degli spazj , o altra verit ideale sia un mero niente: perocch ci non credo cadere a niuno in animo: quando il niente non ha differenze, ma il cavallo pensato si vede aver differenze dall'uomo pensato, e cos dicasi dell'infi- nita variet degli enti ideali. Oltrach gli stessi nostri avver- sar], come il Mamiani e il Romagnosi, non pensano che siano niente quegli enti intelligibili, ma li dicono bene modificaoni dell' anima nostra. Posto dunque, che l'essenza conoscibile dell'uomo, del ca- vallo ecc. sia qualche cosa ^ il ragionamento , che va senza guida d'osservazione, dir al suo solito, e colla sua solita sicu- rezza: ciasctmo si forma un'idea diversa dell'uomo in genere, del cavallo ecc.^ ma riescono nulladimeno queste idee uguali , perocch sono formate tutte da oggetti uguali coli' astrazione, e secondo uguali leggi intellettive. Il ragionatore che cos ci oppone, non ha inteso sicuramente l'intima forza della nostra proposizione. A rispondere con pi chiarezza e brevit, io immaginer di ragionare col mio amico Maurizio, immaginazione che sempre mi alletta. Quel sottile ingegno mor giovanissimo , com' noto , e io mi ricreavo so- vente con lui nel giardino domestico ragionando di materie filosofiche; sebben egli, come meglio comportava l'et sua, pi che con me, tenevasi volontieri con quelli di Condilbc e di Bonnet; ma sempre il faceva con sonama modestia, e il trovavo pieno di una ammirabile ragionevolezza. Sarebbe dun- que assai verisimile che fosse intervenuto fra noi il seguente dialogo. jintonK Ho inteso l'opposizione vostra, o Maurizio (quella gi detta innanzi ). Ma permettetemi eh' io vi faccia un' altn Su questione. Voi avete parlato di oggetti uguali, di leggi uguali del pensare, di uguali idee. E bene, ditemi adunque se intendete parlare di una uguaglianza perfetta, o imperfetta. E prima di rispondermi pensateci bene* Maurizio. Perfetta, altramente non sarebbe uguaglianza, ma similitudine, analogia, o comecch altro si voglia chiamare. ^. Gli uomini dunque da^ quali s^ astrae Tidea delPuomo in genere, saranno tutti perfettamente uguali. M. No^ egli basta che sieno uguali in ci che forma la natura loro^ essi hanno una natura comune, e questa si astrae da tutte le variet , formandosi cosi Y idea generica del r uomo. ^. Bene sta^ dunque gli uomini, che si paragonano insieme a vedere ci che sgabbiano di comime, per astrarre questo co mune e formare Pente mentale dell^ uomo generico^ saranno almeno uguali in quelle propriet che, come voi dite, formano la natura umana, e che sono quelle che si estraggono. Jkf. Cosi . ji. Badate per quello che voi dite. Imperocch io dimando, se ne^ singoli individui v^ abbia una parte che sia veramente comune y e veramente uguale d^ima uguaglianza , come voi avete gi detto, perfetta. JSf. E perch no 7 qual dubbio che la natura umana non sia in tutti gli uomini uguale, perfettamente uguale? j4. Io ve P accordo pienamente, quando c^ intendiamo. Se per natura umana voi intendete un ente ideale, e non sussi- stente, intendete quelPidea, o essenza mentale che si chiama natura umana ^ e se voi, col dire che in tutti gli uomini nguale la natura umana, volete significare che in ciascuno avvi tal cosa, la quale, bench diversa in diversi individui, tuttavia risponde sempre a capello allMdea stessa, alla stessa essenza mentale colla quale noi la conosciamo^ io sono interamente con voi, o a meglio dire, voi pi tosto con me. Ma se per op- posto, voi, mio caro, per natura umana intendeste quella cosa che realmente sussiste in individui diversi, io non vi accorde- rei che ella fosse uguale in tutti. Imperocch vi dimanderei : la natura umana che sta in un individuo, ha ella quella medesima sussistenza che ha in un altro individuo? E se vogliamo cha 5i2 ^esta natura umana sia formata di corpo e di spirito, vi do mando : il corpo di un uomo ( prescindendo interamente dalle accidentali differenze , e intendendo la sostanza corporea ) egli identico al corpo degli altri uomini? occupa egli lo stesso luogo? o ciascun corpo occupa un luogo diverso? e cosi lo spi- rito di un uomo (sempre fatta astrazione dalle differenze, e supponendolo eguale in tutto il resto agli altri spiriti ) sar egli identico agli spiriti degli altri uomini? ogni spirito cio non avr egli una sussistenza propria e incomunicabile? si pu dunque dire che la natura umana veramente e realmente sus- sistente in un umano individuo^ sia uguale di pieno alla na tura umana sussistente realmente in altro individuo? M, Ma . .., io m'intendevo che la natm'a, la qual si trova in diversi individui della specie umana, sia uguale perfettamente nelP altre cose, fuorch nella propria e indl\idual sussistenza. Ed egli parmi che non ci debba esser bisogno di questa ec- cettuazione, sottintendendosi da s. A. Niente in filosofia si sottintende: e lo sragionare, o mio Maurizio, che fanno i filosofi s sformatamente, nasce appunto da ci che sott^ intendono, il che e quanto dire da ci che sot- traggono allVperto esame , a cui tutto nelle discussioni dee es- sere sottomesso. E vedetelo di presente. Voi dite adunque, che la natura umana uguale in tutti gP individui della nostri specie perfettamente, fuorch solo nella propria e individuai sussistenza di questa natura. M. Appunto^ tale il mio concetto. A. Bene sta^ or bramo che P acuto vostro ingegno m'at- tenda. Quando mi diceste che la natura umana uguale in tutti gP individui della nostra specie, in che maniera vi eravate voi formata Pidea di questa natura? AT. Col prendere appunto quello che in tutti gli uomini e ugnale e commic, mediante il paragone e l'astrazione , e col ri- gettare quello che ne' diversi individui variabile. A. E pure questa separazione di ci che uguale o comune, da ci che disuguale, non Tavevate fatta bene^ perocch io vi ho mostrato che anche in quello che mi deste per uguale, cio nella natura umana, vi il diverso. Convien dimque pro- eedere ad un^ altra separazione. 5i3 jlf. S^ voi m^ avete fatto osservar giustamente, che nella stessa natura comune che si trova negP individui , conviene astraixe ddlV individuale sussistetza di essa natura: tolto que sto, il resto che rimane . comune. ji. Ma quello che io vi domando, o Maurizio, appunto che cosa rimanga. Voi avete prima divisi gli accidenti dalla natura umana: poi avete ancora divisa ed asti*atta da questa natura umana la sMa sussistetza. Or io dimando , dopo tante divisioni e astrazioni , che cosa vi rimanga di uguale negP in- dividui: dimando che cosa sia una natura umana priva della sussistenza: sar ella pi qualche cosa di reale? entrer ella a formar parte reale degli umani individui? ecco il quesito, a cui io voglio che mi rispondiate, dopo ponderatolo quanto ab Insogna* M. Da vero, che mi sento stretto. Io sono sospinto a pro- nunciare il pi strano ed inaudito paradosso, cio che gli individui umani reo/i non abbiano firat diloro^ente di uguale, niente di veramente comune. Per quanto io ci pensi, vi confesso, non so spacciarmi. Credevo fin qui , che la natura umana fosse uguale in tutti gV individui^ or voi mi fate accorto, che se per questa natura umana io intenda un che reale e sussistente, ella non pi essere pi uguale in diversi individui^ anzi in ogni indi- viduo dee sussistere separatamente, individuamente, incomuni- cabilmente, senza la minima relazione con altro individuo. Se poi io tolgo alla natura umana la sussistenza stessa, veggo bene che non mi riman pi alle mani che una natura ideale, e per sono fuori dall^ordine delle cose sussistenti di cui io ragio- navo. jutatemi dunque voi stesso, traendomi di tanto impaccio. j. Quando si dice che u la natura umana uguale in pi individui 9 , si pronuncia una sentenza verissima. Ci che vi si suole aggiunger di falso, la interpretazione. Si suol cre- dere, che quella proposizione voglia dire, che vi siano delle cose reali veramente uguali per loro propria natura^ ci che un assurdo. Air incontro quella proposizione va intesa cos, che in ciascun individuo dell^ umana specie v^ha un che, il quale con*isponde ad un^ idea unica della mente umana , che appunto quella natura umana che .voi avete spogliata della reale RosMiMi, // JtinnovamentO 65 5i4 sussistenza, e che per vi s' cangiata in una mera rea . E di qui potete altres conclniidcrc, chi! Ylea della natura umana unica, sehbene gP individui son molti ^ e che appunto perch imica quell'idea onde molti individui si conoscono, avviene che le cose reali sieno uguali, consistendo in questa ugnale relazione coU'idea la uguaglianza de"* varj individui. M. Cotesta conclusione, che vien pur cosi facile, mi fa stu- pire. Ma sd:)I>ene gli oggetti sussistenti non sieno simili o ugnali, e non perch coiTispondono alla stessa ed unica idea, non parmi per questo ancora dimostrato che quelFidea sia unica e identica a s stessa in tutte le menti degli uomini. Ci che avete detto prova che gli oggetti si riconoscono per simili a cagione che corrisponde ad essi oggetti slmili un'idea comune, ma quest'idea comune ad ogni classe ( specie o genere ) di og- getti, non mica necessario che sia una anco rispetto alle menti che veggono l'uguaglianza degli oggetti^ bastando che ogni mente possegga un' idea uguale ^ sebbene non identica. Ed anzi cornee mai possibile che i milioni di uomini che sono divisi da' tempi e dagli spazj veggano tutti la stessa idea /h- mericamente unica? come si pu intendere che da Adamo in qua gli uomini che si sono succeduti, nati e morti in tanti se- coli, gli uomini nostri qui di Rovereto, e quelli d'Innsbrnck, di Vienna, di Roma, di Parigi, di Londra, di Wasington, e dite dell'altre citt e terre dlsgiuntissime , mirino l'idea stessa, quando per insino il sole, die locato in posizione s oppor tuna da esser veduto da molti, non pu per vedersi nello stesso momento da tutti gli abitatori del globo, ma dee anzi fare il giro del cielo per dimostrarsi loro, e privare gli uni della sua luce per rallegrarne gli altri? ji. Io debbo, Maurizio mio, chiamarvi all'ordine. Non d slamo noi intesi tante volte circa il giusto metodo di ragionare: non vi ricorda, avervi io insegnato trovarsi in filosofia due generi di questioni, e doversi in ogni disputazione considerare a quale de' due la disputa appartenga, per non incappar nel- r eiTore di trattar l' una cogli argomenti che sono propi dell'altra? M* Ricordami: che niente pi frequente sul vostro labbro^ 5i5 e si tratti di metodo, quanto la regola di distinguersi la uestione che dimanda se la cosa sia , dall^alti'a se debba ssere, e come possa essere . ji. Dunque, mio caro, non dovete uscire a chiedermi a come ossa essere che un^ idea unica di numero sia veduta in tutti tempi e in tutti i luoghi, da quanti uomini ci pensano e ci ensarono, eziandio che fossero infiniti n \ perocch la questione la noi intavolata non questa, ma bens Paltra, se il fatto ia veramente cos, che veggendo ciascun uomo la cosa stessa ieale, per esempio la natura umana comune a tutti gli uo uni, Pidea (T oggetto ideale) che veggono sia identica di imnero, o solamente uguale bens, ma per con una entit oropria, e diversa nelle diverse menti contemplanti. M. Avete ragione: io aspetto dunque che mi proviate -che [uest^ idea unica , giacch veggo non aver io diritto per ora li chiedere da voi di pi. A. Blaurizlo mio, il vostro ingegno ve llia fatto Iddio e la tatura s bello, che dovreste potere assai comodamente provar- Dvi da voi medesimo. M. In che maniera? A. Facendo circa le idee^ che supponete uguali in varie tienti, lo stesso ragionamento che io v'ho fatto fare circa ;li oggetti reali y che voi pure supponevate uguali. M. Farmi tralucere alla mia mente ci che voi volete dirmi, oa non anco mi luce. A. Uditemi dunque. Supponete, che molte menti s^accor* [ano come in tutti glMndividui della specie nostra vi sia di oxnune la natura umana ^ perch tutte quelle menti abbiano m'idea uguale delPumaia natura, sebbene ciascuna mente ibbia per un^idea sua propria di questa natura, e non Funa Dente abbia Tidentica idea ed una di numero con quella che 'altramente intuisce. Or dico io, se queste idee son tutte iguali, saranno perfettamente uguali? ^' Veggo, dove andate^ ma, debbo rispondervi di s. A Ma se hanno una entit ed una sussistenza propria in lascuna mente, non possono essere uguali anche in questa oro entit e sussistenza, che propria e incomunicabile. M. Vero . 5i6 A, Dunque, acriorch qurlle idee sieno uguali veramente. uopo prescindere ed astrarre dalla loro propria e peruliar sussistenza. M. Indubitatamente. A. Dunque non possono essere uguali in s stesse , se hanno una sussistenza propria e singolare in ogni mente. E se si dee renderle uguali colUastrazione, converr dispogliarle di questa loro propria e individuata sussistenza, e per tal modo renderle Oee purBy senza realit, e senza individualit alcuna. Or quando noi abbiam parlato della uguaglianza fra gli oggetti sussi- stenti, abbiam veduto necessario di far ci di essi, e, fatto ci, ci rimase Fidea pura della natura umana. Vorremo noi ora ripetere lo stesso gioco su questa idea? vorremo ricorrere ad un^ altra idea? Abbiamo veduto^ che l'uguaglianza degli indi- vidui consisteva nel riferirsi tutti ugualmente alF idea della umana natura. Se dunque or noi diamo una sussistenza pro- pria all^idea stessa della natura umana, facendola diversa iu ogni mente, cadiamo manifestamente in un^ illusione, ragionando delPidea come degli oggetti^ noi supponiamo, che Tidea non sia ancora appurata dalla sussistenza, come erasi creduto prima, e come s'era trovato necessario per ispiegare la cognizione che tutti gli uomini slianno ugualmente delP uguaglianza di natura fra gl'individui umani reali. IVTa oltracci, via, rafirontiamo &a di loro le idee della natui*a umana, supposte diverse in quanto alla loro entit nelle diverse menti , ma in quanto al resto uguali: noi, per conoscei*le uguali, dovremo formare un'altra idea, cbe le consideri astratte dalla propria lor sussistenza od entit. Or r operazione, che astrae dalla sussistenza propria di ciascuna di quelle idee, per vedere in essa ci che uguale, astrae mede- stmamente con ci stesso dalla loro moltipUcit supposta nelle diverse menti. Convien dunque, a riconoscere uguali quelle idee, considerare, che in esse vi sia l'unit perfetta di numero, non moltiplicata secondo gl'individui^ giacch questa moltiplica- zione secondo gl'individui , appai*tiene a quella pai*te delle idee che le rende disuguali e al tutto diverse fra loro, e non a cpella che le rende uguali. L' idea dunque , nella quale si vede l'uguaglianza delle idee della natura umana nelle varie ment, suppone di necessit wiCidcntit numerica nell'idea 5.7 della natura umana intuita da tanti uomini; perocch altra- mente non potrebbero in modo alcuno essei^ uguali. M. Parmi di sentire, che Pargomento ha una forza ineluttabile. Certo, contemplando io le idee della natura umana in diverse menti sussistenti, non potrei riconoscerle uguali, se non vedessi in tutte la cosa identica, una di numero , la stessa identica natura umana veduta di pari da molte menti. Gonciossiach ben m^ accorgo, che la natura umana contemplata cos in astratto una cosa semplicissima, da cui stata rimossa la sussistenza; e dalla quale per, in s stessa considerata, non si pu astrarre altra sussistenza, perch non ne presenta alcuna. Parmi anzi di riconoscere onde venga P inganno del credere fl contrario: penso che venga dal considerare unito colla natura umana contemplata da tutti gli uomini , Fatto con cui gli no mini la contemplano. Quest^atto reale e individuale, ma non la natura umana' astratta, in cui esso termina: le inUazioni della stessa idea son molte; Videa intuita una sola. ji. Dite assai bene. Egli certo che ciascun nomo intuente la natura umana astratta, fa un atto diverso, ed ha una fa- colt diversa da quella di un altro uomo: vi sono dimque tanti intendimenti quanti sono gli uomini , e tanti atti quanti i pensieri che ciascuno fa dell^umana natura: ma qaesV umana natura sempre la stessa, identica di numero, veduta da tutti i contemplanti bench disseminati e disgiunti per lo spazio e pel tempo quanto si voglia lontano. Dove voi veder potrete in die consista Ptirore di verros, e onde nacque. Questo cele- bre filosofo arabo affermava esistere un intelletto universale e comune a tutti gli uomini. U errore consisteva nel dire della facolt e eWatto^ quello che si dee dire delP oggetto (i): que Ito, cio Pessenze, le idee, o (che tutto il medesimo) lavERiri^ (i) L'errore di verros dovea nascere^ a mo parere, necessariamente dalk Mica precisione di Aristotele in parlare dell'inieUeUo (agente. Ho gi aoceo- lato^ che lo Stagirta parla talora di questo intelletto come fosse un com* flesso delle essenze o delle idee ( la ragione di Platone ) : in questo signi- kato doveasi dire ano e universale l'intelletto agente. Ma Aristotele in al- Lri luoghi il rende una facolt: questo diede luogo aU' errore dell'Araba^ :he il gran commento fto. 5i8 cosa unica, identica per tutti gli uomini , a tutti manifesta, e patente pi del sole, il che vuol dire, cosa universale: ma gli uomini che la veggono son molti, dunque molte le fa- colt , molti gli atti di questa facolt , sebben quella rimanga unica. E non sarebbe egli un goffo errore raffermare che molti sono i soli, perch molti sono gli occhi che lo veggono, e molti gli sguardi che a lui si rivolgono? ed egli si dee considerare, che quando gli uomini nominano il sole, e di lui favellano, non parlano gi delle specie luminose o sensazioni che feri- scono i loro occhi ^ ma propriamente del corpo luminoso, che distinguon da queste , e che ripongono in cielo e non in s stessi, n sole stesso dunque, contemplato intellettivamente e non sensibilmente, identico per gli uomini tutti, in qualunque terra o mare, et o secolo ne ragionino. Tanto ha d^unit, e d'identit a s stesso ogni oggetto, quando non si parli delF esser suo sensibile, ma solo deirintellettuale! Se non che torniamo, o Maurizio, alle idee della natura umana, e supponiamole en- tit diverse nelle diverse menti degli uomini^ e (lasciando quel che detto, che soprabbastcrebbe pure a risolvere la questione) consideriamo altra assurda conseguenza veniente daUa supposizione fatta della moltiplicit di esse idee. M. Ancora ne avete? A. Si, io voglio che facciamo delle idee uguali nelle varie menti, quello che abbiamo fatto prima de^ varj individui uguali sussistentL M. Volete dire l'astrazione della loro propria entit; avremo, ci fitto, un' idea della natura, comune a tutte le idee della natura iiTnana che stanno nelle diverse menti. Che diamm di costrutti mi fate voi fare? vorremo noi imbarbarirci nella favella? A. Maurizio mio, noi or cerchiamo la verit^ e questa, tal riverenza si merita, che non a pensare qui ad altro che ad essa, e ad essa dee ancillare la stessa lingua. Voi dicevate dunque bene; le idee nelle varie menti, supponendole diverse, non potrebbero dirsi uguali se non in virt d'un'altra idea a cui tutte si riferissero, e in cui tutte si conoscessero. Vi avrebbe dunque qui un^ altra idea comune , la quale dovrebb'ella csseiv identica ed una di numero, e cosi noi a>rcmmo tolta Punita Sig numerica alFIdea della natura umana, per darla poi air idea dell^idea della natura umana. M. Cio saremmo caduti, come si suol dire, dal pajuolo in sulle bragie. E gi veggo quello mi replichereste , ov^ io ponessi in campo lo stesso quesito di prima sullMdentit nu- merica dell^ idea delP idea della natura umana ndle menti di- verse. Voi collo stesso ragionamento mi costringereste a dover ammettere una terza idea costituente Fuguaglianza non nume- rica dellMdea delPidea, e poi una quarta, poi una quinta: skdi mi ridurreste a conchiudere, che se Pidea della natura umana fosse diversa di entit in diverse menti, e uguale solo di specie, questa uguaglianza non potrebbe risultare se non da un numero infinito d^idee. Ma il numero infinito non si termina mai, dunque non s^ha mai, per salire dMdea in idea die si faccia. Dunque mai non si giugnerebbe a conoscere quella uguaglianza^ anzi n pure a costituirla^ conciossiach IHignaglanza non identica deg? individui risiede essenzialmente ndl'unit identica di una idea, che giammai trovar non si po- trebbe, se le idee stesse nelle diverse menti aver potessero di- versa entit e sussistenza propria. Io intendo fino al fondo que- sto argomento, e mi convince a pienissimo, che Fidea dennita, come voi fatto avete, per Pente intelligibile od oggetto ideale del pensiero , non pu esser altro che una di numero sempre per tutti gli uomini che la intuiscono: e me ne chiamo ora pi certo che io non sia del grato olezzo che mandano questi m di fiori, o del bel verde di questi alberelli che adombrano ^pesta peschiera sul cui margo seggamo. Il lettore intende da s le rilevantissime conseguenze della verit stabilita nell^ esposto dialogo. Se Pidea intuita da tutti gli uomini in diversi tempi e in diversi luoghi essenzialmente una di numero, convien con- chiudere ch^ella sia un ente, di natura interamente diversa da quella di tutti gli enti che sono nel tempo e che occupano spazio^ convien dire, che questo ente ideale, che noi abbiamo scoperto al tutto diverso da quelli a cui continuamente pen- iamo , si sottragga per intero a tutte le leggi dello spazio e del tempo; conviene ii^erire, ch'esso non abbia n pure la pi Sto lontana dipendenza dalla natui'a di esso spazio e di esso lempo^ giacch n i pi lontani spazj, n i pi lunghi tempi, e n anco la indefinita moltipliclt delle anime lo impedisce dall'cs- ser tutto ugualmente presente a tutti , senza menomamente di- vidersi, senza distendersi, senza racchiudere ombra di succes- sione: oonvien dire altres, che lo spazio ed il tempo non sieno condizioni necessarie air entit di tutte cose , s come sembra a^ sensisti, e s come sembra a quanti non hanno molto me- ditato; inganno che nasce per ragione che gli oggetti a noi pi famigliari 9 quelli a cui pensiamo naturalmente, continua- mente, allo spazio e al tempo appartengono^ di che noi, per un falso e troppo frettoloso ragionamento di analogia, giudi- chiamo poi, che altri enti non possano esistere, universalizzando il nostro modo particolare di concepire, e argomentando da quello che sappiam noi, limitati che siamo, a quello che nell'ordine immenso delle cose, e a quello che nelle menti alle nostre maggiori, le quali veggono anche ci che per altri impossibile, o creduto impossibile di vederc.E in questa li- mitazione del concepire e veder materiale, dal tempo e dallo spazio ristretto, dalla quale pochi uomini escono (sebbene troppi pi il possn fare, educando a questo libero volo rumano intelletto), sta la ragione della dimanda che pi innanzi Mau- rizio mi faceva: a come pu esser ci? come fattibile che un oggetto identico e solo, sia a tutti i tempi, e a tutti i luogbi presente? L'ignoranza, il poco esercizio della facolt intellet- tiva che si fa fare a' giovanetti nelle pubbliche scuole di filo- sofia: ecco la ragione di questa dimanda; ecco la ragione, onde i aitti esposte incontrano tanta opposizione negli uomini; e anche dopo dimostratili ad evidenza, una incredibile ripu- gnanza, una rozza incredidit dura tuttavia: sono verit di cui si evita timorosi la famigliarit, s come i fanciulli (anno d'uno straniero, di un volto sconosciuto e agli occhi novissimo. Ma torniamo al proposito. Se gli enti intelligibili , le idee, sono natore immuni da spazio e da tempo; dunque esse non possono essere n end materiali^ n sensazioni ^ n mod^c*- rioni dell'anima, perocch in tutto ci avvi il determinato dal tempo o dallo spazio, avvi Tindividuale, il sussistente: le idee Sai non possono essere n sostanze, n accidenti di sostanze (i), perciocch questi nomi sono prima tolti da ci che noi osser- viamo ne^ corpi , poscia estesi a significare distinzioni che ca- dono solo in enti individuati e reali ^ essi non possono essere per conseguente n pure indeclinabili effetd di azione e reazione fira il corpo e F anima, quando anco quest'azione e reazione fossero maniere e concetti idonei ad applicarsi al commercio del corpo e deir anima (2): perocch queste azioni e reazioni non (i) Vha sempre una credenza o espressa o soUintesa oe' ragionamenti de" sensisti , che nell'universo , o per usare una espressione di Dante , nel gnau mare delteuere non v'abbiano che sostanze e accidenti , sicch tutto ci che non sostanza sia per conseguente accidente, e tutto ci che non accidente sia per conseguente sostanza. Ma questa una supposizione gratuita ; queste uno di que' pregiudizi che impacciano le filosofie , e le impediscono dal trovare la verit. Abbiamo gi notato un tale errore nel Mamiani. Che cosa sar lo spazio? Non un accidente. Dunque una sostanza, ooDchiudono costoro. Che cosa saranno le idee? Uno dice: non accidenti; e conchinde , dunque sostanze. Un altro : non sono sostanze, dunque accidenti* (n P. Scarella, uomo di non ispregevole ingegno, chiama accidenti le idccVed. la BomPsycolog. P. II, cV, art. i). Un terzo: non sostanze, non accidenti: dunque .. . niente. Cosi si argomenta, cosi s' argomentato cosi si argo- menter ancora un buon pezzo in avvenire , se non si comincia a diffidare di certe proposizioni e prevenzioni volgari che non si reputano n manco bisognevoli del pi leggero esame. Non tutto quello che , sostanza o accidente: e quando fosse, a provare una tale proposizione converrebbe su- dar molto , trattandosi di comprendere nel ragionamento tutta la sfera im- mensa degli enti anche possibili. Ma che non sia, basta a vederlo il lume che ci d una sana teologia naturale, la quale ricusa di trovare nell' Ente supremo alcuna distinzione di sostanza e di accidente , come pure ricusa di applicargli in senso proprio questi vocaboli. Solo un tale esempio basta a provar falsa l'ardita proposizione, che tutto debba essere o sostanza o accidente m. (a) I sensisti, e fra questi pi che mai il Romagnos, applica i vocaboli di azione e di reazione al commercio dell' anima coi corpo. Io ho posto Tinflusso fisico fuor d'ogni possibile controversia , perocch l'ho dimostrato un fatto, a condizione del quale solo si d il sapere umano (N, Saggio ecc. Sez. y, e. XI, art. ziy, e e. XKIV, art. v); ma ho dimostrato in pari tempo, che il corpo non pu agire menomamente nella parie intellettiva deiranima,ma solo nella parte sensitiva (N. Saggio ecc. Sez. V, e. XXIII, art. vii). Questo solo basta a conoscere, che un assurdo apertissimo il considerare le idee come produzione dall'azione del corpo e della reazione dell'atiimaj giacrli il corpo non agisce punto n poco su quella parte del- l'anima , che sede delle idee. L'afiermazione adunque , che le idee sieno RosMiiii , U Ruiofamefito. 66 potrebbero produr mai se non modiCcazioni de' due reciproci agenti, e perch le essenze n nascono, n muojono, n si pro- ducono o g^erano , quanto al loro intimo fondo , n si co^ rompono* Io mi appello agli uomini che, rimossi i pregiudizi) usano del puro e sincero veder della mente. CAPITOLO XLV. CONTINUAZIONE. L^ importantissimo e fecondissimo vero delP unit numerica delle idee fu veduto sempre, e ponderato dalle menti pi pe^ spicaci. Un autore Aon sospetto P avversario di Platone. Or bene, vn prodotto medio delle due cause anima e corpo ^ appartiene a que' sisteni iromagSoarj che, in vece di ragionare, suppongono. Io non posso rnf^nire nel Romagnosi quella potenza logica che gli si volle attrihuire ; rinveogo olo in quest'uomo dotto > e che io stimo, de'modi e delle forme logiche, una logica ioteniione; ma nulla , nulla pi. Oltracci a quanto egli dice sull'adone recproca delPaniroa e dei corpo sottost una di quelle proposizioni soppo- ste vere gratuitamente , che dirigono sempre in segreto i ragionamenti de' tensisti, i quali non sanno diffidarsene, e questa quella che il C. M.,a cui tal pregiudizio comune, esprime cosi: h sempre andare insieme Fagire ff ed il reagire, sempre la reazione essere proporzionata all'azione m (P. II, e. XIV, IV ). Una tale proposizione sembra evidente nel primo aspetto, perocch ne' fenomeni corporei noi veggiamo, o supponiamo di vedere sem- pre l'azione accompagnata da una corrispondente reazione. Ma quando anco ci foise, chi ci autorizza di trasportare le leggi de' corpi all'ordoe universale di tutti gli esseri? non questo un salto mortale, contro la lo- gica? E pure fa un tal salto il Romagnosi, lo fa il Mamiani, lo fanno i fensisti tutti. Goo un tal pregiudizio in testa , riesce impossibile per esenpio a concepire la possibilit della creazione, perocch in essa v'ha azione seon reasione ; riesce pure impossibile a concepire la possibilit dell'operare nei* fesaere aupremo, alla cui azione niente pu reagire. Quando io penso nel bajo della notte a una dimostrazione matematica, io fo un'azione; ma quale oggetto reagisce sopra di me, se non ve n'ha nessuno presente, almeno di seusibilit o se si vuol dire che l'idea agisce iu me; benissimo, si dica: ma noo si potr mica dire che io viceversa agisco sull'idea, il che per- itamente impossibile. II concetto adunque di azione e di reazione (che 900 a coofoudcrsi con quello di azione e di passione) materiale, e il InispwUrlQ a^U escori tulli un peccato mollale coutro la ludica. Aristotele riconosce pienamente (|uelia grande verit^ e insegli^ larlando degli astratti matematici, cbe u cosa assui*da asse- ;nar loro un luogo, come lo si assegna a^ solidi ^ dando di d questa ragione, che il luogo proprio delle cose singo- lari, le quali appunto per ci che son singolari possono es- X sere disgiunte da luogo o sia da spazio. Ma le cose mate- d matiche, dice, non sono in nessun luogo (i). E questo passo basterebbe solo a dimostrare quanto risto- :ele si lontani dal pensarla co^ sensisti de^ nostri tempi ^ egli :he riconosceva nelle idee una natura cos distinta da quella le^ corpi e delle sensazioni : di guisa che quelle non avevano, w* huttop ioi ii x^f'^^ rowtt rei 4i Ma^n - fMmrtxei, iv rod Metaphys, Lib. KII, cap. V. (2) Mi verrai spero^ occasione di dimostrare altrove^ come sia falsa l'opi- nioDe di quelli che credono che Aristotele ritenesse i fantasmi per es* jenziali al pensare^ o che facesse le idee di una natura simile ad essi. (3) Ei uil rauT^p Sp ro PWfOt ru Ji^avnopro^ luti fy" (Jietp^mp^proi* (4) Ei fili r/f HP iti poC^ %S TayTf( iKOtPttPOfiip- 5a6 rieme degli individui umani, senza averli noi intelleitivamente concepiti : questo paragone si fa al tutto nell^anima nostra, e non fuori di noi. Indi due conseguenze importanti. La prima^ che innanzi a questa analisi ( giacch Pastrazicme on^ analisi) precedette una sintesi fatta dallo spirito nostro, senza accoi^ercene, nel primo percepire degli individui sussi- stenti, nella qual sintesi il nostro spirito ha posto la parte uni- versale o comune , che indi poi ritiriamo : e questa parte ho dimostrato a lungo nel Nuouo Saggio ( i ) non esser altro che Pente possibile o Venie ideale^ sicch in percependo i sbigolar uomini, noi li abbiamo percepiti come enti, li abbiamo consi- derati come realizzazioni parziali delPente ideale indefinito e universale, e per, mediante questa relazione comune, come aventi una natura comune: abbiamo in una parola percepito questa natura comime indivisa dalla sussistenza di ciascheduno. La seconda conseguenza non meno rilevante : essa la Gon- futazione di ogni specie di nomolisnio. Conviene considerare il nominalismo nella sua grande imiversalit, conviene ridarlo ad una formola unica : e allora solo si pu rettamente giudicarlo. Questa formola, secondo me, la seguente: u Quel sistema, qualunque sia, il quale nega gli enti intelligibili , le idee ^ so- stituendo ad esse dei segni di altra natura , acciocch servano per mezzi del pensare, nominalismo n , pi*eso nel suo signifi* cat pi generale. Per tal modo si veggono ridotti allo stesso concetto assai sistemi creduti fin qui disparatissimi fra di loro, ma che, ove si penetrino al fondo, hanno veramente una natura comune. Chi crederebbe, per esempio, nel primo aspetto, che le segna- ture e i monogrammi di Romagnosi, gli atomi rappresentati di Democrito, i nonU sostituiti alle idee dei nominali del medio evo, la similitudine supposta ne^ concreti de^ sensisti, rs- ftressione scambiata colla sensazione de^ materialisti, sieiio sistemi peccanti dello stesso vizio, e aventi una comune natui^a? E pare la cosa cosi^ quando si considerano attentamente. E perch si possa cogliere ci che io voglio dire , mi bisogni (i) Sex. V, e. II, III, IV, VI, ari. vii. 5917 rima ritoccare quella verit che il fondamento delP esposto lalogOy ma che tuttavia pu non essere stata considerata sotto fai rispetto. Questa verit si , che a la similitudine non si trova negli enti concreti come concreti e sussistenti, perocch ime tali sono perfettamente divisi Puno dalPaltro e non hanno icnte di comune , ma la loro similitudine consiste in un rap* nrto che hanno tutti egualmente colla idea che a noi li ma* ifissta o sia li fa intendere, E veramente, pigliamo un uomo e il suo ritratto. Si suol tre, che il ritratto ci fa conoscere Puomo. Ma dimando io, ^ ;li il ritratto materiale che sta impiastrato sulla tela , senza l, che mi fa conoscere Fuomo, o pi tosto quel ritratto per- ipito col mio spirito? perch io m^ accorga che quel ritratto simile all^uomo, o sia, perch in quel ritratto io od altri vegga fiittezze dell'uomo rappresentato, basta egli che quel ritratto orto e insensato stia l affisso alle pareti dWa stanza solita 9Lj senza che nessuno P abbia veduto mai e n'abbia notizia? E il ritratto non rappresenta n a me n ad altri V uomo , se m a condizione che io od altri F abbia veduto, conosciuto: mque . non veramente quel ritratto materiale V ente intelli- ble, cio Pente che per s cognito, e che fa conoscere^ ma il ritratto intellettuale, cio Videa del ritratto ^ tutta spiritual ^ e di natura diversissima dalla materia, diversa da quel ca- pe o lino di cui tessuta la tela, da quegli elementi mine-* li o vegetabili che compongono que' colori. Sarebbe dunque L errore gravissimo, chi cercasse questa natura delPintelligi'* lit fuori delle idee, le quali solo danno intelligibilit alle le tutte, che non Fhanno in s. Ma molti non considerano a questa condizione in che sono cose tutte sussistenti, d'essere per s cieche e inintelligibili. Ma agendo che Funa assomiglia all'altra, pensano che l'una esse ci faccia conoscer l'altra^ senza badare, che quando noi :anio simili le cose, crediamo bens di parlare delle cose me e materiali, e come sono nella loro sussistenza^ ma ramente, noi parliamo delle cose come concepite, come esi^ no nel nostro spirito- le quali appunto perch concepite, punto perch vedute nel nostro spirito, hanno sempre con* mtp Fesscuza ideale, la quale il vero e solo lume che ce 5a8 le fa conoscibili 9 , come ho detto tante volte, la loro intel- ligibilit. Or di qui, cio da questa mancanza di osservazione (i), ven- nero ^ dico io, tutti i sistemi che io ho chiamati di sopra nomi' noli, e ridotti tutti a questa formola: quelli clie diedero Tm- telligibiliti) o Tattitudine di far conoscere, a cose che non hanno tale attitudine, a cose, in una parola, diverse dalle idee . I. Fra questi, di sopra ho nominato Democrito. Questi tutto esplicava cogli atomi corporei. Alcuni di questi atomi, deno- minati specie o idoli ( etdoXa ) , emanano da^ corpi , entrano per gli organi, e portano neiranima le sensazioni {cbia^riai^) e il pensiero (vri(n fosse semplice- ma egli sgraziatamente guidato e alterato da false prevenzioni. (a) V. N. Saggio Sez. V, e. XXIV, art. lu. 5^9 un essere che non abbia senso e intendimento: che per v^ha certo qualche cosa nell^ essere percipiente, che costituisce il mezzo onde resa rappresentativa quella impronta, la quale non tale per s sola. ni. La qualit dell^errore de^ sensisd la medesima. Questi intendono , che a percepire le cose fanno bisogno i sensi ^ ma non cosi intendono il bisogno delle idee astratte. Suppongono sempre, che sopra le stesse cose esteme lo spirito nostro eserciti la funzione delPastrarre, mediante la quale egli si affissa nella sola parte comune^ e cos formi a so stesso le nozioni uni 4i 6; C. V, lo, i4; C. VI, i5j L. II, e. II, 2; C. V, i5. 531 limehticato ci in cui consiste P intelligenza, e per Illusione Tattenuto sarebbesi in ci che non che una occasione, una Dateria cieca intomo a cui s^adopera essa intelligenza (i). (i) Panre che il Romaguosi stesso s* avvedesse talora , come il suo si- lema fosse inetto a esplicare il gran fatto del conoscere; dacch egli v'ag- ^Dge qua e col de' modi di dire , dove sembra che voglia prepararsi un sSagOy in caso d'attacco. Per esempio in un luogo dice^ che quelle sue lunature debbono essere riportate alla percettivit secondo la natura |i#icologica della sostanza senziente m ( Della suprema economia ecc. P. II ^ XIX ). Ma queste parole^ chi ben le considera , non sono altro che una :oafessione, che le sue segnature non valgono nulla affatto a spiegare il pensiero 9 perocch non sono percezioni^ ma sono cose che hanno bisoguo li essere percepite, di essere riportate alla percettivit. Ora egli in que- ite percettivit che sta tutto l'arcano , tutta la questione; in questa percetti- ril che il Romagnosi non nomina che di passaggio , trattenendosi in quella ieee nelle segnature morte, non percepite per s. Lascia adunque da parte il nostro filosofo il punto controverso, dimentica al tutto la materia di cui li tratta, che la m percezione, la cognizione m, e s' adagia contento nel- Pipotesi ( non pu mai esser pi di una mera ipotesi ) delle sue segnature rhe spiegano il pensiero tanto come lo spiegano delle aste, de' traui, de' pianti tracciati con inchiostro sopra una materia inanimata. Pure confessando il Romagnosi, nel passo accennato, che, oltre le segna- lare, ci vuole la percettivit a percepire e a conoscere; s'attenua in qual- die modo il suo errore. Ma egli non poi coerente con s stesso. Impe- rocch in altri luoghi egli vuole che queste segnature sieno esse stesse le MDSazioni e le idee confuse da lui colle sensazioni ( Della suprema eco- monda ecc. P. Il, } XIX ). Or se queste segnature sono esse stesse idee e nozioni , non dovrebbero aver pi bisogno di ricevere altronde la luce e la percettivit, essendo certo le idee quelle che ci (anno percepire e conoscer le cose. S'arroge a ci, che le idee e le nozioni non possono in modo alcuno es- segni o simboli, e molto meno poi geroglifici e monogrammi, com'egli le nozioni pi universali. I segni, come dicevamo, hanno bbogno, per essere intesi, di una mente che li confronti colla cosa segnata e a que* sta li rapporti: e una mente non pu far ci se non per mezzo d'idee noiche, identiche, comuni, come ho mostrato: altro dunque sono i segni, altro le idee che fanno intendere i segrU, Molto pi geroglifici, i mono- grammi, i segni stenografici, le cifre (delle quali espressioni giovasi il Ro- magnosi ad indicare le nozioni universali), hanno bisogno di una mente che g)i interpreti; di una mente perci, che sappia intendere al tempo stesso > ed essi, e la cosa da essi notata; di una mente quindi medesimo , che a concepire la cosa segnata non dipende punto da essi geroglifici, che le ser- vono solo a volgere l'attenzione sua olla cosa segnata , non a concepirla ; finalmente di una mente che abbia intelligenza: il fatto dunque dell' inteUi- 53a VI. Ma i Nomiiudi in senso stretto, i Nominali del medio evo, sono quelli che hanno sostituito alle idee ^ dc^ segni xfocaii, egualmente morti e inutili alla spiegazione del sapere, come lutti gli altri segni nominati fin qui. Romagnosi, il disccplo di Hobbes, congiunge alle sue segnature interne anche fpiisti segni della parola : Simloli di simboli, dicV'gli, segni ideali di cose, e segni di questi segni ideali, ecco tuttt) il corrcJ del saper nostro ridotto al suo ultimo nudo aspetto. La pa- a rola il segno esterno di questi ultimi segni o simboli mcu* tali dei segni reali corrispondenti delle cose ?? (i). I Nominali dell'et di mezzo, gi vinti da s. Anselmo (2). da 8. Tommaso e dal suo maestro Alberto Magno (3), risuscita- ganza supposto dalle teorie del Romagnosi, e da tuUe quelle che ToglioDo dare di lui spiegazione per viu di segni; suppusto quello che pretcndoM di spiegare. Noter ancora le stranezze a cui conduce il sistema della concausa di Romagnosi. Tutto dee venire, secondo lui, dall'azione e dalla reazione del corpo e deli' animo : tutte le notizie sono prodotti di questi due poteri cooperanti. Or dopo che hanno prodotto col loro agire una notizia > questo prodotto DOQ potr subire altre alterazioni ? Ci impedirebbe di spiegart l'ulteriore sviluppamento del pensiero. Dunque da dire, per seguitare l'analoga y che l'anima reagisce di })el nuovo sul prodotto drlla sua rcazioc^ e ndi un altro prodotto su cui pure reagisce ecc.: tutti questi prchloiL adunque diventano ( non si sa come ) tanti altri agenti contro T anima, e l'anima tintinna a reagire contro di essi. Cosi dee spiegare il Romai:ii'.>-^ la produzione delle diverse cognizioni umane meno, o pi olabon-^tc! E ih questa pretesa spiegazione della genesi : le cognizioni umanb^ tolto dal Vico ( DelVanlichiss, sapienza ecc. e. I) : nu il Vico non l'usa che in. forma di similitudine per ispiegare V imperfezione drl- l'umano sapere; e non a quella guisa che fa il Romagnosi, che vuol con css trarne la spiegazione del sapere stesso. Io mostrer pi sotto, qual pari' abbiano i segni ncU' umano sapere: essi appartengono tutti alb materia ^ ( non alla forma della cognizione. (i) VeduU fondamentali ecc. L. I, e. IH, sez. 1,5. (a) S. Anselmo nel Ub. de Incarnatione Verbi^ cap. Il, dichiara, che >i nominalismo non si pu conciliare in alcun modo col dogma cattolico. (3) Non so se prima di questi due grand' uomiui fosse iu uso il cbianur t nominali f quelli che sustiluivauo agli univeiah i vocaboli ( Vcd. AlberlC' M . iVt /jYi^og. Porphyiii P'iivf, Tract. I^c. I> . s. Tomm. S. 1,X1V;XV) \ 533 rono con pi vigore mediante il sottile ingegno di Guglielmo Ockamo (i). Ma Tillusione di questi sempre la stessa che abbiam preso fin qui a far palese ^ cio il pei^suadersi, che un segno possa sostituirsi ad una Hea: dando a quello T intelli- gibilit propria di questa : n badando che il segno suppone Tidea che il concepisca, che ne notifichi il significato, che Tap- plichi alla cosa significata. Che questo segno poi sia intemo od estemo , appartenga ad un senso o ad un altro , sia un co- lore od un suono, un geroglifico o un nome^ egli tutt^uno: un nome non meno privo d^intelligibiht che una cifra ^ non ha meno bisogno, oltre Forccchlo, d^una mente intelligente (a). Tuttavia a confessarsi, che i nominali scolastici ragiona- vano pi acutamente di Stewart, o di altri nominali de^ tempi nostri (3). per aggiungere maggior lume alla materia nostra, recher qui alcuno degli argomenti , onde Ockamo e i seguaci dii lui impugnarono le idee generali e sostituirono loro i vo- caboli, e torr questi argomenti dagU eruditi Commentar) so- pra la Prefazione che fece Porfirio alla Dialettica di Aristotele, pubblicati da^ Padri della Compagnia di Ges di Coimbra: io poi vi far le risposte (4)* Primo argomento de? Nominali. a Le cose universaU non sono definite n da certo luogo a n da certo tempo, come suona lo stesso nome di urivcrsali'). Ma ogni cosa che v^ha nella natura, eccetto Dio ottimo u e massimo, definito da luogo e da tempo ". (i) Logic. P. I^ e. XIV e XVj e Quodlib. V, q. XII e XIII; e in I Senient, Distinct 11^ quaest. IV. (a) S. Agostino colla sua solita acutezza esprime cosi questa osservazione: P^erbis igitur, nisi verbo non discimus; imo sonitum , strepitumque verborum, --^ Rebus ergo^cogiUis , verbormn quoque cogniiio perficitur: verbis vro auditis, nec verba discuntur. Nel libro de Magistro, da cui sono tratte que- ste parole, si mostra a lungo e iuvittamente, che m i segai m non sono quelli che danno l'intendere. (3) Io ho confutato il nominalismo d Stewart nel Nuoifo Saggio ecc. Sez. m, e. IV. (4) In Isagog, Porpjijrrii quaest. I, art. n. 534 u Dunque niente v^ha nella natui*a, che sia universale n, ti Ma perocch le scienze sono degli universali, e non delle u cose ( quando queste non sieno universali ) : dunque saranno di nomi, che soli ottengono Puniversalita . Risposta ed primo argomento. Qui convien notare, come questi antichi nominali accordavano pienamente i. che gli universali dovessero essere immuni da spazio e da tempo, 2. che le scienze non possono essere clic di universali. Or Tesser giunti a conoscere questi duo veri, dovea pur mei- terli in via a intendere, che dunque gli universali sono: j)e- tocche altramente come n^avreLhero avuto la nozione, e cos ben defiboitili? Avrebbero dovuto intendere parimente, che i vocaboli non poteano tenere il luogo degli universali ^ perocch ogni voca- bolo singplare in so stesso^ e universale non pu dirsi in alcun modo, se non perch sIgniGca cose universali, o sia qualit comuni. Ma le qualit comuni sono ideali, cio e sem- pre un^ idea il fondamento della uguaglianza e similitudine delle cose. Che se una parola si facesse significare solo una Collezione d^individui, ella non sarebbe universale, se non vi avesse una nota comune che contrassegnasse quegP individui; nel qnal caso questa nota sarebbe la nozione universale (i). Questi nominali adunque s^ illudono col sostituire alle idee loro segni arbitrar], cio i nomi (che sempre suppongono le idee): e assegni, che sono essenzialmente particolari, danno quell^ universaUt che compete solo alle idee, che sono essen- zialmente universaU. Quanto poi a quel dire , che nella natura non v^ ha nulla di universale , fuorch Dio ^ questo appunto ci che si nega, perocch le idee sono universali senza esser Dio. E tuttavia Vha un fondo di verit in questo detto de^ nominali, ed il conoscere per propriet al tutto divina P universalit. Ma lungi (i) V. N. Sa^o Scz. Ili, e. IV, art. v vii. 535 elle ciu rmovessc ranlmo loro dall^ ammettere le idee nniver- $ali^ dovean pi tosto argomentare, e dire: u giacch le idee universali vi sono, e di universale non v'ha che Dio^ dunque quelle idee debbono appartenere in qualche modo aU^ essere supremo, debbono almeno nel loro fondo essere una perti-^ lienza d^lla natura divina ^. Il ragionamento sarebbe stato lo-! gico, ed quello di s. Agostino. Secondo argomento degli antichi Nominali. a Se vi avesse una natura comune, la stessa in molti, ne a seguiterebbero due assurdi . a L^uno, che i singolari, i quali sonunamente sono in tra loro divisi f maxime inter se dissidentia}^ realmente sa u rebbero la stessa cosa. Conciossiach Fumana natura, verbi- m grazia , sarebbe una cosa identica con Socrate e con Platone. E perocch quelle cose che sona identiche con una terza, m sono identiche fra di loro, seguiterebbe di piano, che Sor ^ crate e Platone nella realt non difTerissero fra di loro . tf L^altro assurdo, che la cosa identica sosterrebbe allo stesso tempo molte affezioni contrarie e ripugnanti: sarebbe in luo- cc ghi opposti^ comincerebbe in uno, e finirebbe in un altro: il e anzi la stessa essenza in quanto si trova in uno individuo, differirebbe da s stessa in quanto si trova in un altro . Risposta al secondo argomento. Da questo argomento apparisce di nuovo , come i nominali antichi accordavano, che la stessa cosa identica non pu essere in pi individui sussistenti, e per che il comune e Tuniversale non pu trarsi menomamente da' singolari concreti mediante l'astrazione, perocch ivi non , n pu essere. L'errore loro nasceva pertanto dal non distinguersi abbar rtanza nelle scuole Tento reale dall' ente ideale. In fatti i rea- listi sostenevano veramente che la stessa identica natura ne' Jiversi individui sofferisse passioni diver5?c; quod esto rerum :onvnuniwn assertores fatewu^ir^ incredibile tamcn esse indctur^ ^cevano con buon se^so i nominai^ 536 Gli assurdi Indicali pertanto spariscono interamente nella teoria da noi esposta, in cui si distinguono accm^atamenlc le due forme dell' essere , ideale e reale. Negli esseri reali, diciamo noi, materialmente presi (cioiN nella loro realit e sussistenza), non v'ha niente di comune^ tutto diviso, e approprialo. Ma a mol esseri reali corrisponde un essere ideale solo ed unico identicamente. Or questo cpicllo clic ci fa concepire i molti esseri reali nel nostro spinto. Concepiti i molli esseri reali colla stessa idea, noi li giudichiamo simili od uguali fira loro; non ponendo noi con ci, che in essi materialmente presi vi sia qualche cosa che costituisca la loro uguaglianza, o so- miglianza \ ma volendo solamente dire , che essi hanno tutti l'uguale rapporto colFidea che ce li fa conoscere. Niente adunque di strano , che i varj individui non sieno la stessa cosa fra loro, o che subiscano diverse o contrarie pas- sioni (i). Conchiuder questo captolo dicendo quello clic dicono con pi sublime volo i teologi, clic il fonte di ogni similitudine risiede solo nell'ente essenzialmente intelligibile (2). (i) Si confrontino le nostre risposte con quelle che davano a' nominai' i professori di Coimbra^ e veggasi quanto noi siamo ajutati contro gli er- rori^ dal possesso che a))biamu del vero. Per altro que' professori intravidero la verit, e poco manc che non l'af- ferrassero, come si pu vedere da queste parole della loro risposta: Piata et Socrates pr ut repi f:\EyTJNTun tn conceptu iiomims omnino coii- veniunt: ettamen alujuid Uabcnt, per (juod diffcrant. Igiiur alqua juUuta est in uiroque RESPONDENS conceptui HominIS , ciique diversa a diffe- rentiis individuantibus. In queste parole viene toccata la relazione della natura amana reale di Socrate e di Platone , col concetto dell' uomo ; na tuttavia non colsero il vero; perch rifletterono bens alle diflercnze accideo- tali fra Socrate e Platone, ma non poser mente alla differenza noassiina, che quella della propria individuai sussistenza. Se a questa avessero riflet- tuto que' professori, si sarebbero accorti, che in Socrate e in Platone noe v'ha punto una reale natura comune, ma solo un puro rapporto coU'dea o concetto della natura umana. (2) celebre nelle scuole cristiane la sentenza colla quale s. Ilario ca- ratterizza le tre persone divine: Mlcrnitas in Patte ^ species tv iMAGUfE, usus in muncre, che vien coinnioutala da s. Agostino^ De Ttinit. VI, X Vt-'di il N Saggio ecc. Soz. VI, e. Vii, art. viu. 53; CAPITOLO XLVn. SOLA COIffFUTAZIOIlE POSSIBILE DELLO SCETTICISMO. Sfa gi ^U il tempo che noi usiamo delle dottrine da noi esposte, ad abbattere lo scetticismo dentro alle ultime sue trin- cee^ e che mostriamo, contro il Mamiani, che q[uelle dottrine, e solo quelle, possono distruggere interamente un errore cosi desolante. E da prima osservo, che scettica, secondo me, profonda- mente scettica, come gi toccai (i), quella sentenza che U C. M. ci oppone (2): (1) NessuDo tuttavia pensi che io voglia dichiarare uno scettico il C. Bf. Egli tult' altro: egli combatte per la -verit e per la certezza^ contro lo sceuicismo. Io non parlo dunque che del suo sistema ^ e delle conseguenze dei suo sistema ; e non mai delle sue intenzioni. Vorrei che mi calesse P aver fatta questa dichiarazione una volta per sempre. (a) Dico ci oppone: sebbene quivi non parli direttamente di me, ma di que' filosofi in generale i quali ammettono le forme ingenite della mente e i gudizj a priori. Tuttavia me pure accomuna con questi filosofi in pi luoghi dell'opera sua , come l ove dice della mia dottrina : m quella r teoria ci sembra offesa del vizio medesimo che oscura tutti i sistemi m i quali partono dalle forme deirintelletto m ( P. II e. XI y ). E altrove fi contro di me appunto l'obbiezione simiglievole a quella di sopra citata: r Rispondiamo al secondo argomento tratto dalla natura obbiettiva del- m ridea dell'essere che poich tale idea dentro di noi e inclusa di forza m neir assoluta uuit del pensiero non vediamo quello che faccia la d- M stinzione rilevata fra l'azione del conoscere e l'oggetto del conoscere m ( P. n, e. XI v). Il vederci pertanto confusi colla scuola di Kant e co' razionalisti germanici ci spiega perch nel novero delle opinioni sul principio della certezza ' (atto dal G. M. , non abbia accennata la nostra (P. II4 e. I) e cosi in molti altri luoghi prenda a difendere il suo si- stema contro il razionalismo in generale e non contro le obbiezioni che gli avvengono dal nostro particolare sistema. Questa confusione e ri- mescolamento di sistemi disparati come quello di Kant e il mio pu esser fiato nell'animo del G. M. dalla parola w forma che usa Kant , e di cui uso io pure. Ma io mi spiego; e dimostro quanto immensamente sia diverso il significato in cui adopero io la parola di forma della ragione, da quello in cui l'adopera Kant ( Sez. IV e. Ili art. xii xv; e. lY^ art. u; Sex.. V, e XXIY art. VII ). Non accetto adunque alcuna comuuioue con Kuul u alcuna insolidariet con quelli co' quafi convengo nella parola di forma , Rosxuriy // Rinnovamento, 68 538 a Quando si voglia instare ed aggiungere che qualunque fa- colta e operazione lelP animo, apj)artenendo a un essere li- milato di sua natura e condizionale, non pu produrre a cosa, in cui splende il carattere deirimmutabilit, ddla necessit e dell' universalit , noi replichiamo all' istanza u torcendola tutta contro gli autori suoi (i): conciossiact u pure le forme ingenite della mente, e i suoi giudici! a priori, e tutta la macchina della ragion piu-a accidente e opera- zione d'un essere limitato (2), mutabile e condizionale: quindi M o conviene asserire che non siamo noi quelli i quali pen- siamo la ragion pui'a (3), ovvero che la sua inunutaLilit e I necessit apparente e non reale (4). n favellare di tal modo , un diu'si vinto ^ un confessare di non aver nulla a replicare contro quella terribile obbiezione, che se la verit un atto dell'anima umana , ella dee es- sere contingente e instabile come questa. disconvenendo nel significato: ma erodo di domandare qualche cosa di eoo* forme all'equit > quando esigo che quelli che vogliono confutare il mio si- stema, si dieno la pena di s.ipere qual sia. (1) Gli autori suoi sono i pi grand' uomini che vissero sulla terra: uno de^ quali certo s. Agostino , che di frequente nelle sue opere dimostri come la verit veduta dall'anima cosa interamente superiore airanioit stessa^ la quale mutabile e contingente, quando la verit veduta di Datura immutabile ed eterna. Ved. lib. II de DocL ChrisL e. XXXVIlt (2) Io non so che niun filosofu abbia ammesso ingenite nelFanima delle forme che sieno m accidente e operazione dell'anima stessa : le operaxiooi non possono esser forme: ci ha un non-senso. (3) Questa obbiezione ha solo forza contro di quelli che ammettono nell'anima delle forme simili a qiH.-lIe di Kant, determinate , e detcrrnuumli', ma nulla pu contro la nostra teoria, che ammette una sola forma, ufe- terminata , la quale qnrila essenza che tutti gli uomini chiamano tsiita', come ho dimostrato nella Sez. VI del N, Saggio. Altro il principio pensante^ altro la cosa pensata. Conviene poter dimostrare, che il priiiQ- pio pensante d legge alla cosa pensata, la altera o contraini, perch li cosa pensata si possa dire una illusione. Basta che ci rimanga possibSe, perch il dubbio dello scetticismo sussista. E contrario, se si dimostra im- possibile che F oggetto del pensiero sia alterato dall'alto del (x*nsicro,b certezza e b verit mantenuta agli uomini : ecco ci clic couvicn dimo" strarsi contro gli sceltici. (4) P. I, e. XVf , 3." afoi 539 E 5n vero, quella obbiezione degli scettici non ha risposta, fino a che si mantiene esser la verit un morh ^ un atto , o comeecliessia appartenente alla natura delP anima. Questo ammonisce ogni amatore della verit, di non doverla porre nella natura deU^ anima, n farla da essa dipendente, ma si d riconoscerla per (jualcbe cosa distinta al tutto dalPanima^ e air anima infinitamente superiore* Ma il C. M. risponde, che quand^anco ella si ponga cosa distinta dalP anima, e non nutazione, una produzione, o un modo di lei, noi tuttavia non guarentiamo meglio alla verit le egregie sue doti di necessit, d^ immutabilit ecc., perocch ella finalmente sempre Fanima quella che la kituisce. Di qui conchiude , che la sua inmiutabilit e necessit o dipende dalFa- nima^ o apparente e non reale. Merita bene questa risposta del N. A. che noi la sottomet- tiamo ad una giusta critica , facendo apparire la diflerenza del suo sistema dal nostro, rispetto alle guarentigie della verit. E anche questa discussione, a maggior chiarezza, esporremo in un dialoghetto con Maurizio. Dialogo. M. Io non veggo come la verit stia meglio guarentita, col farla un oggetto dello spirito nostro, anzich una opcraziofie. d lui, o un suo modo ^ o insomma cosa a lui comecchessia partenente. Imperocch lo spirito c'entra sempre^ egli sempre quegli che la intuisce , e con ci la fa cosa sua : per egli dee aggiungere alla verit, in percependola , la propria contingenza e limitazione^ e se la verit non mostra al di fuori queste qua- lit, esse ci debbono esser sotto nascoste, e le sue contrarie di necessit e universalit essere apparenza, illusione. ji. Non siete solo, Maurizio mio, a discorrerla cosi: il vo- stro ragionare appartiene alla filosofia corrente. E io voglio farmi ad esaminarne con voi Pintrinseco valore, se egli vi piace. j8f. Sapete gi se mi piaccia, quando il maggior piacere di mia povera vita pur quello di starmi con voi , e di udirvi a filosofare^ u Ch'altro diletto che imparar non provo . 54o A> Bene adunque. Ditemi da prima, non egli fuori di controversia, che se la verit intuita un modo del nostro spirito, od una sua produzione, ella non pu essere se non contingente, limitata, e condizionata come il nostro spirito? M. Non pu negarsi. A. Poniamo dunque intanto fra le cose certe, che que' filo- sofi, i quali fanno della verit intuita dall'uomo un aXba del- Puomo, o un modo suo, non possono guarentire n TimmutaLi- lit, n la necessit, n P universalit del vero. M, Certo . A. E per, che distruggono la verit e la certezza; la quale non tale, se non a condizione d^ essere Immutabile, neces- saria, e Faltrc doti indicate. M, Cos; ma se ci voltiamo dall'altra parte, troviamo forse di meglio? Faremmo noi come l'ammalato Che con dar volta suo dolore schci-ma ? Quand' anco questa verit fosse cosa distinta dallo spirito , pur lo spirito quegli clic la intuisce: per lo spirito finalmente le d la sua propria forma e natura. A, Che lo spirito nostro contingente e limitato sia quegli che intuisce la verit, cosa fuori di controversia. Ma non nuca fuori di controversia , che , se intuisce la verit , egli debba per qnesto alterare la verit coll'atto di sua intuizione, e cangiale natura , dandole la propria. Quale prova ne potreste voi arre- care? Imperciocch egli non basta in filosofia l'afiermarlo.o il supporlo gratuitamente. ilf. A me sembra che non istia a me il provar ci ^ ma n bene a voi il contrario. Perocch se soprastessc un solo dubbio, non forse lo spirito, in vedere la verit , portasse in lei qualche alterazione^ ci solo basterebbe a rendere dubbiosa la cosa veduta, e priva di ogni certezza. E vi tocca a mostrare fin anco del tutto impossibile , che lo spirito rechi in essa qualche alterazione \ il che vuol riuscirvi difficile assai, a me pare. Che se pur volete lasciare a me il provare, vorrei dedurre una di- mostrazione del mio assunto da questo grande principio, che tt gli atti 8011 ricevuti secondo la forma del ricevente 9> , e che 541 ce ad ogni azione risponde la reazione " (i). Voi vedete, che queste sono di quelle dignit che a governano Fumana espe- rienza n (2). Or se Poggetto intuito dalla mente nostra, anche esistesse in s stesso, noi noi vedremmo punto in s, ma in quanto agisce in noi^ e se agisce in noi, dovendo Fazione esser ricevuta secondo la forma del ricevente , voi vedete , che il no stro spirito non vede che la passione che sofferisce, la quale un effetto delP azione estema dell^ oggetto e della legge ve* niente dalla natura del soggetto stesso. A. Maurizio mio, voi mi dite di molte cose: io ho bisogno di prenderne ad esaminare una alla volta. M. Qual vorrete la prima. A. Vi osserver in primo luogo, che mi toccate un tasto che mi stride, quando anche voi mi parlate, con tanta sicirezza, di tf dignit che governano Pesperienza umana y>. Sappiate, che in queste dignit, che si fanno govematrici dell^esperieiza 9 ^ sta la rovina delP esperienza stessa. Quelli che si dicom la scuola sperimentale t, niente meno seguono che Pespcrcnza^ imperocch hanno un mondo di dignit in testa, colle quali ac corciano, e protendono, e tormentano, e finalmente fannd spi- rare in sulla croce tutti i loro sperimenti. Ci vuole esperienza libera , non esperienza tiranneggiata da dignit arbitrarie^ fan- tastiche, le quali pretendono governare, e non mostrare i titoli di lor dominio. E pur questi titoli, se li avessero, averli do- vrebbero dall^esperienza stessa, a lei chiederli, e non iofipor- glieli. In sonmia i nostri sensisti prendono per dignit^ a gover- nar Pesperienza a loro senno , i pregiudizj di cui hanno pieno il corpo. M. Pur non veggo che troriate da appuntare sulle dignit indicate, che gli atti son ricevuti secondo la forma del rice- vente n , e che ad ogni azione risponde la reazione " . A. Volete voi che valgano per tutte le cose, o sussistenti o possibili? (i) Mamianl^ P. I, e. XI ^ v. U G. M. definisce la reazione cosi: la fa- r colta di ricevere l'azione esterna , e di riceverla nel modo congruo aUa r propria natura j. P. II, e. XIV, 111. (3) Mamiani, P. I, e. XI, vi. pussanj avtvt: a uui igiiunjuei luiiu, o coi da juelle a cui ubbidiscono gli enti a iv donate respcrenza, e volete andate col essa, eessateri dal dichiararvi scuola speri cbe L solete prender voi questo detto, iide la reazione . E Funa e Faltra pertanto di queste due proposi- zioni (che dovete assai guardarvi dal confondere insieme (i)) sono vere dentro a certi limiti, ma sono assai lontane dall^es- sere universali, come voi ve le facevate. M. Voi mi &te stupire, dicendomi che non volete che valga n pure per ispiegare ci che avviene ne^ sensi, la. proposizioiie che a alPazione risponde una reazione n. A. yP intenderete agevolmente. BT accordate voi che h sen- sazione non un semplice movimento del corpo, ma bensi una cosa solo concomitante al movimento delle fibre dell^ or- gano sensitivo? M. L^avete dimostrato irrepugnabilmente nel N. Sag^o (a). A. Or bene; quando una punta mi ferisce un faraocio, che cosa fa ella? M. Ella non fa che agire colle leggi di un corpo inanimato, cio di sospingere le particelle corporee in quel luogo ov' ella s^infigge. queste particelle corporee prima resistono, per Finer- zia, alla sua azione, e poi si ritirano sempre resistendo, secondo le leggi generali a cui sono sommessi movimenti di tutti i corpi: e qui appunto sta la reazione. A. Avete risposto egregiamente , o Maurizio. Voi avete tro- vata Fazione e la reazione consistenti in una spinta e in una resistenza, in un corpo che vuol comunicare il suo moto, ed in un corpo che ne riceve la comunicazione reagendo quanto pu. Ma con tutta questa azione e reazione per, avete voi ancora trovata la sensazione? siete arrivato a produrla mediante que- sto meccanismo? M. Io gi vi ho confessato, che in questo meccanismo non (i) n C. AL prende Tuna per l'altra, (a) Sez. V, e. XXIV, art. u. pu ri[K)rsi la scnsawone , poich in queslo meccanismo non c' che moto locale, e la sensazione tutt' allibo (i). ji. Dunque, dico io, nelle circostanze del fatto onde in noi sorgono le sensazioni, si trova azione e reazione indipendente- mente al tutto dalla sensazione. Se egli adunq[ue vero che nella sensazione v^ abbia una vera azione e una vera reazione, oonvien prima di tutto guardarsi dal credere, che questa azione e questa reazione sia quella che interviene fra il coi^ stimolante e V organo stimolato , consistente in modificazioni al tutto ma- teriali e di moto locale. La sensazione air opposto insorge a lato, per cos dire, di tal movimento, contemporanea aireffet- tuarsi della operazione meccanica, ma senza per che ella mostri di a /ere con essa la minima simiglianza, la minima ana- logia. Dir di pi ( cosa che si trascura al tutto di osservare), la sensazione non insorge, non si fa di nuovo, ma solo si mo- difica: giacch non v^ha che un sentimento continuo, fonda- mentale, che ci costituisce come animali^ le modificazioni del qnale sono poi le sensazioni transitorie (i). Finalmente, chi profondisce la cosa intende a pieno, che la sensazione e il mifimento son cose che si escludono insieme, perocch Tuna appartiene al soggetto, e Taltro all^ oggetto (3). Gonvien dun- que, volendo cercare Fazione e la reazione nel fatto della sen- sazione, prescindere da ogni corpo oggettivamente contemplato, e rinserrarsi neUa sensazione sola, quale ella nella sua intema semplicissima natura. Or qui egli certo, che noi troviamo una passione: sentire indubitatamente patire. Ma chi ci fa patire? dove questo agente? egli si nasconde, egli si fura agli (i) L'illusione sta sempre qai, di prendere il moto per U sensazione, il concomitante per la cosa conoomitata^ o se si vuole^ Vatiivo pel passivo, m* pedocle, volendo spiegare la sensazione dell'udito, disse che ella nasceva r dalla battitura dell'aria nella parte dell' orecchio , la quale a guisa di tt chiocciola torta in giro, stando sospesa dentro e come un sonaglio pei- 4 COSSO M. Questa stmiUtudine del sonaglio percosso appaga molti a primo tratto. Ma dato anco il sonaglio percosso, non fa ancora bisogno l'orecchio che ne percepisca il suono? Il sonaglio dunque non ispiega l'orecchio, senza ti quale esso non suona. (!) Ved. H, Saggio ecC. Sex.. V, e. XI, art. tu. (3) N. Saggio ecc. Sez. V e. XI, art; v. 548 occhi nostri^ e avviluppato nelle tenebre, come ^li , che cosa potiamo noi pronunciare di lui (i)7 La sensazione ci testimonia la sua esistenza, ma non la sua natura. Noi non sappiamo adunque se risenta egli stesso qualche reazione dal suo operare sopra di noi. Ma sarebbe cosa troppo gratuita il supporlo: tanto pi, che se noi reagissimo su di lui, egli parrebbe che 3 dovremmo sapere. Diremo forse, che la reazione nostra aDe sensazioni si consuma dentro di noi, e non passa nell^ agente esteriore da noi diverso? In primo luogo, o si parla di una reazione che si compie innanzi che la sensazione in noi sia suscitata, o dopo gi suscitata la sensazione. Innanzi suscitata, noi non siamo consapevoli di alcuna reazione, n di alcuna azione^ per non possiamo affermarla. Dopo che la sensazione transitoria suscitata, ella inutile ogni reazione^ e contro chi reagiremmo? contro la sensazione nostra, che gi abbiamo ammessa 7 * Sar dunque nello stesso atto del formarsi la sen- sazione. Ma trattandosi di sensazioni organiche, egli in no- stro potere, dato il movimento necessariamente concomitante, Fevitarle? in nostro potere Pimpedirle? possiamo &re ad esse la pi piccola opposizione? Intendo come mi possano spia- cere se son dolorose, come posso lamentarmene, come posso evi- tame Toccasione estema, come posso non prestar loro attenzione e fino sopprimerne in me la coscienza^ ma fare resistenza alla sensazione stessa (nello stato presente dell^uomo), non veggo io come. L^uomo sommesso alla legge del sentire^ n vak difesa o schermo veruno contro di lei, quando gi son poste tutte le condizioni del sentire. Non si pu adunque concepire nessuna specie di reazione^ dove non si pu concepire nessuna specie di resistenza'^ si pu solo immaginarla, cio si pu so- gnarla^ il che appunto si fa da^ nostri filosofi sperimentali ra- gionando a priori^ cio dal preteso principio universale che non si d azione senza che v^ abbia altres una corrispondente reazione. M. Da vero che io non mi aspettavo di veder prostrato in (i) ci che abbiamo chiainato il corpo soggeilivaineate coosdeFilo. jd. N, SaesLo ecc. Scz. V. e. XI. Ved. N* Saggio ecc. Scz. V, e. XI. 549 terra s fattamente un principio , che io mi tenevo , a dirvi il ero, come un articolo di fede filosofica. A. Dite bene, un articolo di fede, ma non una sentenza di*h)aBio la sen- sazione fisica del sole^ e dall^altra pensiamo a queitai sensa^ne del sole. Abbiamo dunque dentro di noi tutto : ci che si iri^ chiede a poter rilevare se il pensiero alteri o no .colla sua azione la sensazione^ o se la sensazione del sole resti in noi la medesima quando la pensiamo, o quando non la pensiamo. Vedete adunque qua Pesperenza fatta dentro di toi sulla ma- niera di operare del pensiero: Tesperienza vi fa eerta testimo^ nianzli, che Fazione del pensiero, al tutto diversa dall\ altre azioni reali, non altera punto gli oggetti su^ quali si adopera, n incontra da essi reazione veruna^ perocch io posso pensare qnant^ io voglio la mia sensazione , e per questo non la can- gio, n la modifico. M. Non mi aspettavo una prova sperimentale in tali argo- menti. Io mi convinco da ci che avete detto , essere il pen- siero un cotal modo di operare, che non altera punto n poco gli oggetti suoi. Per altro, dall^istante che il pensiero dipende dal senso, e il senso voi medesimo dite non ricevere in s se non una cotale azione parziale dalle cose, la qual produce in esso senso un efletto, che delle cose non alcun ritratto vera- mente, ma solo un cotal vestigio, o traccia tutta diversa dalle cose stesse; rimane che anco il pensiero, che abbisogna di que- sta materia a concepire, non possa mai dirci la verit. ji. Pi tosto dovrete farvi a distinguere nelle concezioni no- stre intellettive due parti, la loro materia e la loro forma, quello che pone il senso, e quello che pone il pensiero stesso. L^esempio della concezione ddl sola materiale, che cadde acci- dentalmente fira^ nostri ragionamenti, ci devi alquanto dalPar- ^mento propostoci. E non vi ricorda che noi parlavamo della Tcrit? or le sensazioni non sono quelle che costituiscono la Terit, ma il pensiero, Fidea, quello che la costituisce. Mm Ma come pensare senza sensazioni, senza materia di pensare? onde le idee nascono, secondo il vostro stesso sistema, se non per occasione delle sensazioni, almeno la maipslfna parte, e pigliando dalle sensazioni, per cosi dire, la loro oonfigu* razine? j. Maurizio mio, fra il saper tatto e il saper qnaldie eosa' fate voi differenza? M. Grandissima. j. Or credete voi, che quando si tratta di ribattere lo soet* ticismo, 6 di mantenere all^nomo il possesso della verit, si voglia con questo prendere a dimostrare, che Puomo sappia tutte le cte, e non ne ignori veruna? M. L* assunto sarebbe ridicolo. ~ j. Che dunque vuol dire mantenere all'uomo il possesio della verit? pensateci un poco. M. A me pare, or che ci penso, che quando anco dimo- strar si potesse , Puomo conoscere con certezza una verit sola, lo scetticismo sarebbe confutato appieno; perocch sarebbe pro- vato, che Puomo ha il lume col qual vedere e accertarsi ddla verit, sebbene questo lume noi potesse usare che per una ve- rit sola. Per intendo benissimo la differenza che mi fate no- tare fra il conoscere la verit, e il conoscere Puna o Paltra verit. A. Avete clto ci che io vi volevo dire. Che se poi si giunge non solo a provare che Puomo possiede con certezza una o pi verit, ma altres che egli possiede tante verit e di tal natura, quante e quali gli bisognano a porre i fondamenti in- concussi della giustizia, della perfezione, della felicit a coi destinato; non solo rimarrebbe confritato lo scetticismo, ma ben anco impedita ogni rea conseguenza che si volesse de- durre dalla conceduta ignoranza dell^uomo. M. Non a contraddire. Riman per, che mi mostriate, come alcuna verit almeno si rimanga salva, dopo quello che m^avete accordato circa la natura delle sensazionL A. Ripigliamo la concezione del sole, per non moltiplicare gli csempj. Vi pare egli a voi , che questa concezione racchiuda una notizia sola, o pi? M. Veggo che quando io concepisco coll^ intelletto ilsok, so, o almeno io credo di sapere due cose, Puna che il sole , e Paltra come o che cosa . 553 j. Ottimamente. Ora riflettete anche un poco : noi abbiamo letto, che il sole esercita da prima la sua azione sui nostri sensi, per esempio sul uosti'i occhi, mediautc i suoi raggi ^ e die r effetto che produce nel nostro sentimento, non una rap presentazione fedele e adeguata del sole, ma solamente un ef- fetto, e come un vestigio di lui, un cotal segno che lascia in noi del suo operare. Or qual principio v^ha in noi, che in- tende per cos dire questo segno, e dal segno argomenta alla cosa segnata, dalP effetto alla causa? M. Certo la virt di pensare che in noi. A, Ma questa virt di pensare, che cosa viene argomen- tando dal segno che il sole ci ha lasciato, cio dalla sensazione che ha in noi mossa? M, Primieramente, che il sole , e in secondo luogo, che egli quello che ha prodotta in noi quella sensazione o specie fisi va (i). A. Non potevate risponder meglio. Di queste due notizie fermiamoci alla prima. Dal segno adunque, cio dalla sensa- aone il pensiero argomenta che il sole ? il/. Indubitatamente. A, Vedete voi qui, o Maurizio, che altro il segno, la sensazione, e altro la cosa argomentata dal segno, cio resistenza del sole? M. Gharaiucnte lo veggo. A. Vedete anco, che il segno, la sensazione riman fuori e al tutto separata dalla notizia a cui si conchiude per suo mezzo , e non serve al pensiero se non puramente conie di un punto d^appoggio, per cosi dire, a spiccare il suo salto, e rag- giungere la verit dell^ esistenza del sole? M. Anche questo. A. E che perci stesso, tutto quello che v^ha dMnfedele e di limitato, o, se volete che dica, di falso nella sensazione del sole, non passa punto nella notizia della sua esistenza, la (i) Avvertasi che qui non si tratta gi^ di provare l'esistenza de' corpi esteriori^ o il principio di causalit; il quale si suppone provato; ma non si vuole che sciorre i' obbiezione che nasce contro al possesso della ve- rU dalle infedeli rappresentazioni del senso. Rosmini, // Jtiiiiovamento. jo 555 tilt! diceva U sole essere n pi n meno grande come ci ap- parisce a^ii occhi, or avr io indotto dirittamente dalla specie o apparenza visiva la grandezza del sole? M. Peggio tuttavia. ji. Or coll^avermi voi condannati tutti questi ragionamenti, sapete, voi che vi siete dato della mazza in sul pie? M. Come d? ^. Voi siete venuto confessando, che la spede o apparenza visiva, sebbene in s stessa infedele e non adeguata rappresen- tazione del sole , tuttavia non induce in errore necessariamente il mio pensiero^ perocch se m^nducesse in errore di neces sita, voi non avreste potuto accorgervi del mio sragionare, quando volevo indurre dalla spede o apparenza , che il sole fosse una congerie di carboni accesi , o una pietra infocata , o che fosse grande quanto una provinda di Grecia, o che avesse il diametro di due spanne. M. Verissimo, voi mi aprite qua uno spiraglio della diva luce . j. Dunque conchiudiamo : oltre la sensazione o apparenza visiva del sole, in noi un altro principio che giudica quel- r apparenza, e che ha virt in s di fard evitare ogni illusione che quell^ apparenza potesse produrd. Or un principio che giudica le sensazioni, superiore alle sensazioni e da esse ne- cessariamente indipendente. Altro dunque che la sensazione non ci rappresenti il sole tale quale , altro che ella ci co- strnga a credere che il sole sia come essa ce lo presenta. Se la sensazione avesse virt di fard credere il sole tale quale ella ce lo presenta, P errore sarebbe irreparabile, e la verit perduta^ ma non facendod la sensazione che presentare un segno, un vestigio del sole e nulla pi, tocca poi a noi F ar- gomentare dirittamente da questo segno ci che si pu de- durne e ci che non si pu (i). (i) Aristotele fa un argomento simile coatro gli sceUici seosisti del sao tempo. Questi dicevano : non altra cognizione , che il sentire. Ma questo mutabile, dunque non si d^ verit. Aristotele risponde fra l'altre cose, che anche intorno al mutabile si d vertii ; per esempio , r l' affermare eh' esso mutabile^ una verit immutabile m ( Metaph. Vf, Lect. Xm ). che non si pu ronosccr l'errore s rendendo generale questa vostra itin;^ue e ii ove l'uomo fosse dannato ad un giungerebbe mai ad accorgersene ^ Simo, e sicurissimo come fos^e nel S' Atenza dello scetticismo una prova tictsmo- Or venendo a noi . sar cgl lume della verit, cbc ci vai tanto erfezione di questo, anzi la riconosce, la giudica, la cessa da s; 6 alPerrore non rimangono legati se non coloro, i quali alla ragione sostituiscono i sensi, e credono a questi ciecamente^ arbitrariamente, n sanno prezzare il lume intellettivo che in essi, e dove solo Palt seggio della divina verit. Jf. Ora panni di entrare ad intendere , come voi siete solito dire , che le idee non sono segni delle cose , ma sono le cose atesse intellette, o, come anche vi esprmete, sono a P intelligi- bilit delle cose . udf. Questo, che toccate, un vero di sommo momento. Avete Veduto , come la specie visiva del sole un segno ^ dal quale noi possiamo cavare, mediante il lume della ragione, delle cognizioni, ca le quali annoverammo Inesistenza del sole, e Tessere egli un agente estemo o cagione ( sebben parziale ) delle nostre sensazioni. Le quali due notizie, che il sole sia un ente, e che questo ente abbiasi un^ attivit determinata dalP effetto 559 modo, tanto meglio; ditemela ad un altro; io son certo che v^intender pia coU^udire da voi due parole, che col leggermi quell^ immenso vostro volume. A. Poltroncello! fuggi-fatica! M. Eh non sono poi solo. A. Bella scusa! ma non perdiam tempo. Torniamo, se vi {ace, alla nostra immagine visiva del sole. Poniamo di trarre da quella un concetto del sole, e. trarlo a sproposito quanto volete. M. Per esempio, che il sole sia la lucerna del mondo n , come dice il divino nostro poeta, la qual consumi al giorno cento milioni di barili dell^olio del paradiso. A. 11^ delle vostre. Or separiamo due cose dentro a questo vostro bel concetto del sole. Intendete voi, che altra cosa pensare a questo grande lucemone, altra cosa il dire che il sole sia desso ? M* L^ intendo. A. Or dove pare a voi che consista Penorme sproposito? nel concetto di un si gran lucemone, o nel credere che sia desso appunto il sole? M. Veggo che P immaginarmi io una lucerna, grande o pic- cola cVella sia, purch non contenga nulla di logicamente ri- pugnante, non ancora cadere in errore alcuno; e che per Terrore non consiste se non nell^ applicazione che io fo al sole, di questo concetto astratto della lucerna , pensando che il sole da il realizzamento , per cosi dire, della lucerna da me con- cepita. A. Per eccellenza! Or considerate, che Pidea di una si sfor- nata lucerna ci che si chiama essenza, non gi P essenza lei sole (che nel crederla tale starebbe Perrore), ma una es- lenza quale ella , e nulla pi. Ecco adunque in che consista a intuizione delle essenze: come voi vedete, non altro che ?intuizione di una cosa possibile, e per scevra di contraddi- done; che se nVvesse in s, non sarebbe pi tale. -f Veggo ora assai chiaro, che chi dice non conoscersi le assenze, non intende che cosa sieno le essenze. A. E io cosi credo: si confonde, vedete, V essenza colla jo- ttanza e colla sussistenza delle cose. Ma ib vi vo^ fare osservare 56i M, Voi avete mostrato che il pensiero non altera n T og- getto reale, n la sensazione che pure agli oggetti reali appar- tiene^ ma non parmi abbiate dimostrato ancor bene, che egli non possa in modo alcuno alterare le stesse sue idee, he Toi chiamate essenze delle cose. A. E bene ^ facciamo che il pensiero , in volgendosi a in- tuire un^ essenza o un^ idea , le appoitasse cpialcke alterazione. L^ essenza cos alterata dal pensiero racchiuderebbe ella qual- che logica contraddizione? M. No^ perocch se racchiudesse una contraddizione, ella non potrcbbesi pi pensare. A. Dunque l'alterazione che il pensiero pu portare alle idee od essenze, in ogni caso non consisterebbe in altro che in cangiarsi un' essenza in un' altra. M. Come fate venir voi questa conseguenza? A. Se l'essenza alterata non racchiude contraddizione, an- ch'essa un'essenza. Imperocch abbiamo detto, che qualunque cosa si possa pensare come possibile, chiamasi essenza^ e tutto possibile ci che non involge contraddizione^ M. Ben m'accorgo che io confondeva nell'animo mio la questione de' sussistenti^ colla questione delle essenze y le quali costituiscono l'ordine delle cose meramente possibili. A, Tale l'en\)r comune de' filosofi moderni. Voi per ve- dete, che le essenze sono d'una natura essenzialmente ihalterst- bile^ imperocch ove si ponesse che il pensiero potesse alte- rarle, tutto ci non sarebbe una vera alterazione, ma la sosti- tuzione d'una essenza alPaltra. E il vedere pi tosto l'una che l'altra essenza, ninno en*ore contiene, ninna falsificazione della verit. Non si considera adunque abbastanza l'immenso numero delle essenze, non si considera che ogni concetto privo d'in- terna ripugnanza chiamasi essenza. Qual maraviglia perci, che il pensiero possa bens passare dal contemplare una essnza al contemplamento d'un'^altra, ma non mai possa alterarne al- cuna? Conciossiach ad andare il pensiero fuori delle essen- ze, ad affissarsi in qualche cosa che essenza non fosse, si richie- derebbe nulla meno, che di pervenire ad un oggetto che invol- gesse in s stesso contraddizione : cio ad un oggetto che non BosMim, // Rinnovamento. 71 56a potrebbe essere menomamente concepito dal pensiero. Le es* scnze adunque sono P oggetto necessario del pensiero^ di gui- sa, che pu bene il pensiero delP uomo cessare, ma fino cbe c^ pensiero nel? uomo, non pu esservi che a condizione che egli termini nelle essenze delle cose, senza poter mai uscire meno- mamente dalla sfera di esse : conciossiach nessuna potenza pu uscire da' suoi oggetti. Intendete voi, che questa condizione intrinsecamente necessai*ia al pensiero? e che per ella entra a formar parte dell'essenza del pensiero anche questa legge, achV gli non alteri i suoi oggetti ideali-, per s fatto modo, che s'e- gli li alterasse^ gi non sarebbe pi pensiero? 3f. Non ebbi mai posto attenzione a cos stretto argomento. jl. O sia adunque che voi consideriate la natura del pen- siero, o sia che consideriate la natura delle essenze oggetto del pensiei*o, voi pervenite allo stesso risultamento. Se consi- derate il pensiero, vi forza di convenire, che il suo oggetto sono tutte le essenze delle cose , e che gli lecito solo di tra- passare a contemplar Puna dopo l'altra, ma non mai di alteme possibile. Or la concezione suppone che si possa conce- pire il disperso da s, cio de' possibili, tutti diversi fra loro, e diversi da me medesimo. Per la concezione o Tintelligenza un fatto singolare, che o conviene negarlo al tutto, o pure ammettere che in esso avvenga, che gli enti possibili, le idee, le essenze delle cose giacciano nella mente di chi le intuisce senza confondersi con essa, senza diventare modificazioni di essa, o avere colle modificazioni di essa alcuna similitudine o analogia. M, Convengo, che dite assai bene. Conciossiach se la natura degli enti possibili sta appunto nell'' essere intelligibili, essi sono necessariamente quelli che appariscono, sono quelli che si conoscono essere, non consistendo in altro la loro natura, se non in ci che di loro si pu affermare e conoscere. Se dun- que si afferma di essi, che sono, o che sono d'uno o d'altro modo, purch senza contraddizione, forz' che sien tali. A. E or vedete quanto sia sbagliato il ragionamento di certi filosofi; T quali s'avvisano, chela natura oggettiva dell'en- te, intm'to dall'anima nostra, non g' impedisca punto d'essere qualche cosa d'interiore a noi, qualche cosa a noi apparte- 568 nentc, qualche nostra modificazione, perocch, dicono, noi con' cepiamo anche noi stessi come oggetto del pensiero, e tuttavia noi non ci facciamo estemi per questo a noi stessi (i). M. Certo. Conciossiach quando noi concepiamo o afTermiamo noi stessi, noi non ci affermiamo mica per diversi da noi^e Pente intelligibile che si concepisce quello appunto , come voi mi avete osservato, che da noi si afTerma, quello a cui si rife- risce la nostra affermazione^ e chi il fa qualche altra cosa, lavora d^ immaginazione. A. E aggiungete due cose. La prima, che F esempio arrecato della concezione e affermazione di noi stessi, prova che la con* cezione intellettiva delle cose fedele , e non ne altera punto la natura^ i la prova sperimentale da noi gi prima addotta^ pe- rocch d^una parte abbiamo la concezione di noi, dall'altra noi stessi sentiamo che cosa siamo *, e raffrontando il sentimato alla concezione^ veggiamo che quello non c^inganna, n punto si altera per questa. La seconda si ( e vorrei che ben la con- sideraste), che quelPesempio recato a tutto sproposito^ con- ciossiach non si tratta nel ragionamento nostro di cose sus- sistenti, nell^ alternazion delle quali ci potremmo ingannare, non mai per di necessit logica^ ma trattasi di possibili ^ o sia di cose meramente concepite. Hassi adunque a distinguere w stessi, dalla concezione o idea di un noi. L^idea d^ un ooi, non siamo noi. Non dunque vero che il noi concepito me- ramente, e non affermato sussistente, il noi nella stia possibi- lit, o, che il medesimo, nella sua essenza, sia una cosa identica con noi stessi sussistenti^ ma Tidea di un noi tanto diversa da noi sussistenti, quanto tutte V altre idee delle cose. Sicch si pu tanto ben dire, che Pidca di una stella, o di un fiore, o di un pesce sia da noi diversa, appunto per P oggettinti sua^ quanto si pu dire che sia diversa da noi Pidea di un (i) M E di vero la nostra spontaueit medesima non diviene a dascoB n istante oggeUo della conoscenza nostra riflessa , e perci non rimane (ii- stinta dal nuovo atto di conoscenza? nieutedmanco la spontaneit nostri per essere con oepita oggettivamente. nessuna idea si pu applicare la de- nominazione di esterna o dMntema, di dentro e di fuori. Ui^idea, come pure un^ anima quant^ intelligente, non ha (jueste relazioni collo spazio, che appartengono solo alle cose corporee. UnMdea in s stessa, e non in un luogo. Un^idea si pu dire nclPanima, quando intm'ta dalP anima ^ ma non gi nell^ anima, come la minestra nella pignatta^ ma in tut- t^altro modo, che non ha similitudine nelle cose corporee^ in un modo, che si dee dal filosofo guardare in faccia, per cosi dire, e cos riconoscerlo^ non di sbieco, cio indurlo per ana- logia de^ corpi, per immaginativa, per arbitraria argomentazione a priori. JH' E parmi ora di travedere anco, come lo spirito, sebben semplice, possa intendere le cose vestite di spazio. yi. Vi sar facile ; conciossiach V idea deU^ estensione semplice anch^essa come tutte Paltre idee, e per anche lo spazio vedesi dalP intelligenza in un modo al tutto semplice, e fiori dello spazio. M. Questo tocca da vicino quella terribile questione circa il ponte , che si dimandava fra la nostra mente e le cose. ji. Cos ^ era quello un materiale e al tutto falso modo di favellare messo innanzi da^ sensisti^ ed esso confondeva la mente, e le impediva di vedere il vero. Fatto sta , che la stessa esteriorit ( se cos si vuol chiamare il corpo, o Io spazio) non che uno de^ modi, onde quel genere di enti che si chia- mano estesi sono diversi da noi : e questa esteriorit ha la sua idea: e Pidea della esteriorit non n esteriore, n interiore: pura, semplice, spirituale, distinta dall^ anima, come tutte le altre. Or chi potr negare alla mente la concezione delle cose esteme, cio degli estesi, come di tutte Paltre cose diverse da noi, se ella pu concepire e veramente concepisce tutte queste cose? M. Verissimo. Rendovi grazie^ io n^ ho abbastanza per que- sta fiata , da meditarci un buon tratto. Rosmini, // RmovamerUo. 72 CAPITOLO XLVUL COME IL SENSISMO ABBIA SEMPRE CONDOTTO 1 FILOSOFI ALLO SCETTICISMO. Riassumendo le cose ragionate nel precedente Dialogo, noi veder possiamo F origine e la natura dello scetticismo de' seiH sualisti di tutti i tempi (i). Lo scetticismo diventa inevitabile, tostoch si abbiano levate dall'uomo le idee, nelle quali sta P intelligibilit delle cose, e lasciate le sole sensazioni. volendo segnare i passi di una mente cbe rovina in tanto errore, vedremo agevolmente, cbe I .** U primo sbaglio di essa avviene per poco acume in ossero vare, che quando parliamo noi di una cosa sentita, per esem- pio di un anello, di un fiore, di un vaso, quella cosa di- venuta oggetto di nostra attenzione per due atti nostri con- temporanei, e non per un solo, cio per Fatto del sentire e per Patto del concepire intellettivo. Ai sensisti all'incontro sfugge sempre, per negligenza d' osservare, questo secondo atto, cbe rimane loro coperto, per cosi dire, e occultato dal primo pi vivace ed eccitante l'attenzione : e si persuadono che la nostra percezione della cosa estema sia im fenomeno semplice, il quale avvenga pel solo atto della sensazione, a cui attribui- scono anche Pefifetto intellettivo, cbe da queUo del sentire non discemono. 2. Dopo questo primo sbaglio, ne viene un altro di con- seguente^ quello di credere, che noi non sappiamo nuDa della cosa sentita, pi di ci che si contiene nella sensaoiie. (i) Que' sensisti i quali DomiDano Aristotele come certo loro patrocina- tore^ ioli manderei a leggere attentamente il L. Vf de' M&iafisici , che ipi di loro probabilmente non hanno mai letto. Ivi molte cose troveranno^ idonee a modificare il concetto che a' ha volgarmente di questo filosofo; e fra l' altre il vedranno occupato a cercar l' origine dello sceitidsnio di alcuni filosofi che lo precedettero^ e trovarla tuUa nel loro sensismo. A M questi dubitatori 4 die' egli^ nasce dalle cose sensibili la loro opinione che sieno insieme cose contradditorie e contrarie veggendo (ne' semi) dallo stesso agente succedere conlrarj eifetti m. (Lect. X) 7' Si crede tuttavia, in questo perodo, di saper molto, perocch suppone che nella sensazione abbiavi una fedele immagine della cosa. 3.* Ma ben presto nasce il disinganno. Si rileva, meditando meglio, che nella sensazione non v'ha nulla di simile alla cosa concepita^ senza tuttavia riflettere, che non potrebbe ci affer- marsi giammai da colui che non avesse una concezione della cosa, diversa da essa sensazione. 4.* A questo rilievo tien dietro il terzo ed ultimo errore, che lo scetticismo stesso^ allora il Glosofo ci dichiara, che noi non sappiamo niente, niente al tutto della verit delle cose, e che il sapere umano una pura apparenza (i). Tutti questi anelli della catena delP errore che avvolge e strnge i sensisti, si possono agevolmente riassumere nell'erronea mredenza, che se v'ha cognizione, questa non sia o non possa esser altro che la rappresentazione delle cose, fattaci dalla sedazione ^ il che finalmente un abusare della sensazione, nn volere che ella ci dica quello che non ci dice, e che non nata a dirci. Venuti a questo termine, gli scettici si dirdono fra di loro in pi classL I .^ Alcuni conchiudono, che tutto ci che sa Pnomo, per- (i) Questo progresso di concepimenti erronei nasce dalla loro intrnseca coerenza; e per si Yede ripetersi nella storia della filosofia. Quanto attempi moderni^ ciascuno ne sentir , credo , la verit. Rechiamo un esempio tratto dalla storia antica. Aristippo di Cirene avea dato il primo e il secondo passo di quelli da noi sopra distinti, dichiarando soli oggetti del conoscere^ le sensazioni, e queste perci soli criierj di verit. Egli non s'era avveduto, die per lui non rimanea oggmai pi verit. Ma se n' avvide ben tosto un suo successore^ Teodoro pure di Cirene, discepolo di suo nipote ( del se- condo Aristippo); e qnesti diede il terzo passo, dichiarando aperto, le sensazioni non avere alcun valore oggettivo. Ritenendo adunque che qvelle fossero le sole nostre cognizioni, neg a queste stesse l'oggettiva ve- rit, e tolse di mezio ogni criterio della certezza. Prima ancora che nascesse la setta de' Cirenaici^ si vede lo stesso pro- gresso nelle idee di Protagora e di Teodoro. Adunque Protagora e Teodoro sono scenici confessi; Leucippo, Ari- slippo ed altri sensisti sono scettici non confessi ma convinti. sonale^ e che vi hanno tante sapienze apparenti, quanti sono gli uomini (i). a.* Altri considerano, che lo stesso sentire avendo le sue leggi costanti, vi dee avere nelle sensazioni di tutto il com- plesso degli uomini qualche cosa di comune , e questa imifor- mit nel sentire dee costituire uno stato normale ( espressione tolta da^ medici), e quindi una cotale verit relativa, a cui si dee riportare il sentire de^ singolari uomini^ e trovatolsi di- scordante, dichiararlo non-normale, morboso (2). 3^ Alcimi, dal vedere esser tolto all^uomo il possesso della verit assoluta, si gittarono in una cotale misantropia, in un odio della specie umana ^ di s stessi , dichiarando nulla avervi di buono, fuorch la morte (3). (i) DoUriaa i Protagora: afierinava m esser vero a ciascuno ci che a lui MpareM;T ^i>/ufey ^xdvrp rovro xoti* tvat nelle quali non si pu gi distinguere uua parte n* rabile, ed un'altra non variabile. (a) Platone nel Sofista parla di certi filosofi che negavano la perfetta immaterialit dello sprito, ma non osavano di far ci delle idee, deOe quali dicevano od esser nulla, o certo non esser corpi #2 avox^/mru rJv niv ^0X.'*9 t*y'*'>fy ^oxiv a-^t'a- a-tiO, ri xixT>fV>flri . pfitvtwiw dt* xa/ rm9 XkM9 iMi^Tor V9 fftirMXotq , i?vft ^f rrt9 ^vyx'^t*^^ vvfiarov ^ f*^fxf/*. In fatti dall'esistenza di enti dif non abbiano estensione n rapporto alcuno coll'estensione^ dipendono tutte le pi sublimi verit che nobilitano V umana specie : la moralit , la gene- rositf la contemplazione del bello , la religione pende a questo solo punto. B la semplicit stessa dello spirito e un conseguente di quella delle id* etwr 9 diw io^tvm Stob. Serra. XI. (a) Sd* di vitt olXh^U ' ^^^ '^i ffw ottitn Stob. Senti. XI. (,3) Vedi il iV. Sa^io ecc. Sci. VI , e. U. ^79 aversi peVduta la chiave^ anche qui non mi terr dallMndu- giare un poco, cadendomi in acconcio, a chiarire una distin- zione comunissima a^ primi maestri della filosofia, i quali dili- gentemente separavano la scienza dalla opinione. Dico, che mi cade in acconcio^ perocch vedemmo nel ca- |ntol precedente, che ove sole s^ avessero le sensazioni, non si potrebbe ragionare n pure delle sensazioni, cio non si potrebbe saper cos^ alcuna, reso impossibile, o pia tosto tolto via il sapere stesso: e cosi all^opposto, conservate le idee, . salvo il sapere^ il quale in ci che pronuncia immutabile e necessario, e dicesi scienza; ma sempre egli pronunciar non pa, attesa la natura de' suoi oggetti, 4d la limitata congiun- zione che l'uomo ha con essi^ e tale limitazione sua gli fa na- scer quella persuasione , che gi opinione venne denominata. Or questo ci che io voglio un po' meglio chiarire, in ser- vigio dell'antica filosofia, e delle dottrine che propugniamo. Gi dissi, che l'errore de' sensisti scettici ha il suo fonda- mento nella persuasione, formatasi loro nell'animo, che se v'ha cognizione per l'uomo , questa non possa esser altro che la rappresentazione delle cose fattaci dalla sensazione . Essi per un certo tempo prendono la sensazione, in vece che per un se- gno o efietto dell'azione deUe cose, per un loro ritratto^ e quando poi s' accorgono che questo preteso ritratto non ritratto , sdlora diventano scettici. Or bench, senza l'uso dell'intelli- genza, e per senza le idee, essi non potrebbero dire della sensazione n ch'ella ritratto n ch'ella segno; tuttavia, conceduta e ammessa l'intelligenza giudicante delle sensazioni mediante le idee, egli possibile l'uno e l'altro di que' due g^udizj: cio si pu giudicare tanto che le sensazioni sicno ritratti delle cose, come che eUe sieno meri segni di queste od efietti. Ma da notarsi , che l'uomo inclinato per natura a fare 11 primo giudizio, sebbene in un modo pratico e provvisorio. E inclinato, per ragione di esempio, a credere che i colori, [ suoni, gli odori ecc. appartengano in proprio ai corpi come juallt reali, loro Inerenti, e non come efietti in noi prodotti. Quando nasce la filosofia, ella ritiene alquanto di tempo questo pregiudizio^ e diviene nelle sue mani un vero errore, ci che 58o non era nella mente de^ volgari^ imperocch il filosofo consi- dera quella credenza come un vero rigoroso su cui argomenta, quando il volgo non la considera pi che come un vero pratico, secondo il quale opera (i). Ora argomentare non si pu a te- nore di quel pregiudizio, senza che ne consegua lunga catena di errori^ ma alF opposto, operare secondo lui, al tutto privo d'inconvenienti. Tuttavia quando la filosofia giunge a scuoprire che le seii' sazioni nostre non sono rappresentazioni delle cose, non pu per mutare subitamente il linguaggio comune degli uomini. Che fa dunque ella ? Pone delle dottrine : d delle interpreta- zioni nuove al linguaggio comune: sentenzia, che il principio della verit non sono le sensazioni considerate come rappresen- tanti gli oggetti esteriori, ma che questo principio al tutto diverso e superiore alle sensazioni, un principio che disceme e pesa il valore di esse sensazioni , le limita ad esser puri ef- fetti prodotti da ima forza estema in noi , indicanti bens, ma non rappresentanti la loro causa. Ora una concezione della sensazione, che la fa conoscere a noi non per quello che mo- stra ma per quello che , non per una rappresentazione ma per un segno, im^ idea. La filosofia dice adunque che la scienza sta nelle idee (a). Ma come si pu distruggere la cre- denza volgare, che le sensazioni rappresentino le cose? La filo- sofia, in vece di volerla distruggere, lascia ad una tale credenza un pratico valore, e la chiama opinione. Elcco la distinzione fra la scienza e V opinione j secondo il concetto pia comune degli antichi. (i) Nel N. Saggio fu parlato a lungo della natura de* gindizj prowiflorj e pratici che suol fare la massa degli uomini , e si sono assoluti da errore. Vedi Sex. VI , e. XIV, art. v. (3) r Allora noi filosofiamo , dice un antico spositore della filosofia ita- lica ^ r quando veramente , e senza V opera de' sensi e deDe corporali fon- zioni ( cio senza prestar fede alle loro rappresentazioni ) , usiamo della M pura mente al comprendimento della verit, che sta nelle Bssufzi stesse r in che sappiamo consistere la sapienza m: OcArwc ii r piX^^opit 4^ fi( xarsXif^iv rc i\ rot{ oj^tv Xn^u'a^ 9wf iwiyvmmn o-o^/s ffa* JanbL in ezposit. Symb. i5. 58t Noi abbiamo veduto, questa distinzione essere il fondamento della scuola italica. Volgiamo ora uno sguardo alla scuola di Elea, seconda glo ria filosofica d^ Italia. Noi troveremo anche in essa, abbracciata la medesima distinzione senza controversia, di guisa che le due scuole italiane di Pittagora e di Seno&ne si dividono per la variet degli sviluppamenti, non de^ principj. n preteso panteismo di Senofane svanisce, ove si raflGrontino i diversi passi degli antichi scrittori. Da questi risulta, che egli non confondeva gi nella natura divina il mondo materiale* Egli solo avea trovato, Tessere intelligibile o Videa dover esser Dio, perocch dotata di caratteri divini^ e meditando la na tura dell^idea, s^era avveduto, che ella era semplice ed una, e die tuttavia racchiudeva P essenza di tutte le cose, perci che era tutto. Quindi disse, X uno essere tuJttjR le cose, ed a essere immutabile, ed esser Dio, non nato ovecchessia, sempiterno 9)^ e a simboleggiare questa unit, eternit e semplicit, egli so leva usare, come i filosofi suoi contemporanei (i), la figura rotonda (2). La qual dottrina cos viene esposta da Alberto Fa- brizio: tf Senofane senti, che Dio fosse mente etema, una, immutabile, non soggetta a generazione n a morte, viva, piena di ragione e di senso, sempre stata e sempre futura ^ a e simile in tutto a s stessa : alFopposto quelle cose che ap- pariscono a^ sensi nostri, tutte constare di mutazione e di opinione, e di nuovo doversi risolvere in quell^ iim>, in cui (i) Anassimandro (Gic. De N, D.) e la stessa scuola pittagorca dava a Dio simbolicamente la figura rotonda. (a) Xenophanes (dixit) unum esse omnia, neque id esse mutabile^ et idesse deumy neque natum usquam et sempUemum, conglobata figura (Gic. in ImcuU. xiXFIl)' Quando anco Senofane avesse dato a Dio b figura ro- tonda, non come simbolo (comune a que' tempi siccome io credo)9macome sua vera qualit , ci non torrebbe la ferit delle cose da me accennate. Perocch non raro incontra, che nelle idee de' filosofi si trovino degli elo- menli pugnanti. Vorrebbe solo dire, che questo filosofo, che era giunto si- curamente al primo grado dell'astrazione, quello deUa materia, non era pervenuto al secondo, quello dello spasio, o come gli antichi dicevano^ della materia matematica. 582 M tutte sono contenute, e onde tutte profluirono (i)^ parole che m! sembrano contenere la vera mente di Senofane: il quale, secondo me, distinse al tutto Tessere intelligibile, cio Tidea, dair essere sensibile e materiale^ e quella disse essere il tutto j perch contiene il tutto ideale , e sola pu chiamarsi ente per s, come sola stabile ,, immutabile, necessaria, mentre le altre cose permutano, e non hanno Tessere per s, ma il debbono mutuare altronde. Nomin adunque quell^iea Dio, . e questo Dio il nomin tutto , senza confonderlo per colla natura con- tingente, dalla quale anzi in tal modo imimensamente lo di- videva (2). Laonde il suo Dio detto im Dio razionale ( Xof- xv) (3)^ e dicesi^ che voleva. che fosse in tutte le cose (4), in quanto che le cose rispondono all^ essenza ideale, e come dice- vano poco esattamente gli anticlu, la partecipano^ colle qoali (i) Nelle Dote a Sesto Empirico, ffjrpotyp, L. I^ 35. Questa sentema di Senofane, d fare Iddio cosa tutta intelligibile e immune afitto da ogni mate- riale elemento > come appunto sono le idee, manifestamente apparisce dai versi dello scettico Timone conservatici da Sesto , quali sono : r -^ insano un nume r Non all' uomo simil, ma d'ogni parte r A s conforme, e in ogni loco uguale, r Intelligibil tutto, e tutto mente m. ExT^ etnr* a9^fmwm 0 tWXaaur* 909 dwatm (i) Cicerone, dopo esposta ropinione di Anassimandro che faceva degli astri altrettante divinit srggiunge: r Tum Xenophanes, qui mente aJjuneta, cmne praeterea quod esset infinUum , deum volU esse (h. 1 de Nat, D.). In questo passo due cose si possono osservare ; i .^ che Senofane non icefi giii Dio tutte le cose anche finite, ma solo ci che era infinito (ttmneqitod esset infinitum ), il cbe risponde a quello di Diogene, che mette fra i pla- citi di Senofane, Dio m essere insieme tutte le cose, mente, prudema, eter- nit M (ov'/uvcn^TOi Tf i7raf, yo&y, * ^'np^#y, lo iitw)} a.^ che il priaci- pio delle speculazioni di Senofane fu l'aver preso a meditare la parte in- tellettiva della natura delle cose (mente adjuncta) ; il che appunto eh che aveva fatto Pittagora. L' errore adunque di Senofane consiste solo ad- r aver confuso con Dio V ente puramente ideale , ci che non ancort panteismo, (3) Sesto 4 Wypotyp, L. I, aa6* V (4) v fi'Mtr W vav, M* t^v 6f4y 9VfM^ rti wdvt Sesto Bjrpo^ L. I, 225. 583 maniere per egli distingueva manifestamente il Dio inesistente nelle cose, dalle cose stesse. Volendo credere a Diogene, il primo sarebbe stato Senofane a dire che ci che si (a soggetto ad u essere disfatto i> (i)^ ma anche questa veramente sentenza comune alla scuola di Pittagora, e tale che mostra Senofane lontano da un materiale panteismo. L^opinione adunque del panteismo di Senofane nacque dal- Paver egli distinto accuratamente Videa dalle cose sensibili e soggette a corruzione, e dall^aver notato che quella ha in s tutte le cose nella loro forma ideale. Questa mia interpretazione ri- ceve nuovo rincalzo dalla difesa fatta da Plutarco del disce- polo di Senofane, Parmenide (2). (1) Sri wav r ynfitvop ^^fro9 iori, (2) Ci che mi conduce a credere che Senofane ponesse la divisione fra le cose di scienza e quelle di opinione si la coerenza de' suoi pen- sieri, cio l'aver egli formato un dio razionale abitante in tutte le cose, e l'a- verlo non pertanto distinto da tutto ci che sensibile, mutabile, peri- luro. Vero che Diogene dice , che Parmenide non seguit il suo maestro Senofane (L. IS., 21); ma questo io credo doversi intendere solo nello stabilire gli elementi dell'universo, ridotti da Parmenide a due, mentre quattro ne voleva Senofane, e in altre cose simiglianti. Che se noi voles- simo prestar fede a Sesto, egli parrebbe che Senofane distruggesse la scienza, e lasciasse solo l' opinione ; e che Parmenide facesse il contrario , guarentisse la scienza ngli uomini, e togliesse di mezzo l'opinione (Sesto, Mv. Mathem, VII, no, in). Ma ci dimostrerebbe appunto, che la distinzione fra la scienza e Vopinione era fatta. Oltredich Plutarco purga Parmenide da quella taccia; e Senofime sembra che solo in fine di sua vita inclinasse allo scetticismo, come rilevasi da' versi di Timone alle- gati da Sesto: n potea certo dubitarne, allorquando riconobbe avervi qualche cosa d' immutabile e di universale. Sesto oltracci esponendo in tal modo la sentenza di Senofane, dichiara di farlo giusta il parere di alcuni che cosi r intendono. Ad ogni modo , quando anco Senofane nella sua vecchiaja avesse tolto a dubitare della certezza dell'umano sapere, rimarrebbe tuttavia fenna la distinzione del senso come rappresentazione, e del ragionamento che fa SO delle idee; n egli gi avrebbe prestata pi fede alle rappresentazioni sensibili , che sarebbe stato un rimbambire , dopo averne conosciuta la fal- lacia. Egli adunque sarebbe solo venuto a diffidare del ragionamento, osser- vando gli sbagli a cui va soggetto; e per l'avrebbe dichiarato buono a trovare la probabilit delle cose, in vece che la certezza. In questo sistema sarebbe sUto sempre la radane, e non il senso quello che avrebbe dato all'uomo tutto ci, che vi potesse aver di meglio nel conoscere, cio la 585 fiuaie pose almeno la base di quella distinzione , separando le cose immutabili e non generate , ma divine (le idee) , dalle mu- tabili, generate e periture, e alle prime sole concedendo di es sere sede alP intelligenza. Ma tornando a Parmenide, dice Plutarco cVegli metteva u V intelligibile nella, forma dell^ iim> e delFa/ite, chiamandolo u ente^ come a dire etemo e immortale, e uno per la simi- u glianza di s medesimo, e perch non ammette differenza tf veruna n , cio per Pimmutabilit sua. Nella forma poi inor- dinata, e che ti*ovasi in moto , mette la u natura sensibile " ( i ). stinte lecose sensibili come sensibili, e le cose sensibili come ombre o idoli delle cose. In quanto sono sensibili, il senso che le percepisce, roa iu quanto si pren- dono per ombre, idoli, rappresentazioni, V opinione, cio l'intendimento die erra, o se si vuol anco, la ragion pratica. Da ci sar facile accorger- ci, 1' opinione m degli antichi corrispondere ad im genere di ci che io cbiamo m persuasione m. La facolt della persuasione per me quel potere elle ha l'anima nostra di persuaderci una cosa anche senza fondamento ra* gionevole: di che l'origine degli errori (Vedi N. Saggio Sez. VI, e. XV). Presso i Pittagorici celebre la dottrina del quaternione attribuito al- l' anima , a cui si riferisce il luogo citato di Jamblico. Secondo Plutarco { De Placit l, hi) ed altri antichi, questo quaternione non era altro se don la distinzione de* quattro modi di percepire che davano all'anima, e che chiamavano co' nomi di mente, scienza , opinione e senso ( yo^y , iwt^iiunp, i^etv, a^ ^ u jcio, 6jega Plutarco, con mente che tocchi la natura ud' u ligibiley e stante sempre nell^istesso modo: u O per rumane opinioni, in cui u Certa fede non *> . a Poich, seguita Plutarco, P opinioni degli uomini sono nt' u tomo a quelle cose che ricevono mutazioni, moti e disa- tf guaglianze d^ogni maniera n (i). Sicch Parmenide dava alla ragione il giudicare de^ sensi stessi, e ammetteva che anche intorno ad essi si potesse co- noscere il vero (2)^ ma insieme dichiarava illusorio e fallace il volgare giudizio, che prende il senso come rappresentante le cose^ e il ragionare dietro a un si fatto principio, il chiamava opinare (3). E che la fallacia de^ sensi egli cosi la intendesse, manifestamente appare da due versi di Timone, che ci con- (i) Contro Golote. (a) Questa cognizione certa ed etema delle cose sensibili e mobili pu dirsi acconciamente r un vedere il mutabile nell' immutabile m, cio il sen* sibile nelle idee. Il pittagorico Archita dice appunto della meute^ che m ella e guastata la fiU)- sofia eleatica , recandone all' eccesso il concetto fondamenlale che era giusto. Imperocolic qiiand'anco egli fosse giunto a pro- vare, che niente di tuttcj ci clic ci mostra la sensazione presa come rappresentativa vero , ma anzi ingannevole tutto , rima- neva sempre a prendersi la sensazione come un mero segno: il che avrebbe dato luogo ad argomentare l'esistenza di un es- sere esteriore, sebbene tale di cui non ci sia offerta la forma e la intima natura : e questo potea e dovea guardare la scuola di Veggia dall'idealismo. Per altro ci che dissi abbastanza a dichiarare la celebre e antichissima distinzione fra la scienza e la opinione . distin- zione in cui convennero da prima le due pi illustri scuole filosofiche fiorite presso di noi, la pittagorica e la eleatica: dal- ritalia poi questa distinzione pass in Grecia, ed entr, per quanto io credo, nella scuola jonica. Anassagora, jonio, fu quello, a parer mio, che approfitt de' lumi di Pittagora e de' suoi discepoli. Si disputa assai cercando che cosa fosse la mente aggiunta da questo filosofo alle cose, quando anche Talcte avea riconosciuto la necessit di una mente. Io credo probabile, clic la mente di Talcte non fosse che un principio attivo posto nella natura delle cose; all'incontro Anassagora , approfittando delle recenti dottrine di Pittagora, pose l'animo suo a meditare non pure sopra un principio efficiente^ ma sopra una causa esemplare ^ cio sopra un'idea del mondo preesistente al mondo stesso. Mediante que- sta considerazione egli pot separare al tutto la niente ordi- natrice, dalla materia, ci che non si potea fare col concetto d'una causa solamente effettrice (i). Imperciocch non altra (i) Che il merito di Anassagora stia in aver sceverata e divisa la menti dalla mateina, che i suoi antecessori o confondevano con essa o a lei fo- levano per natura congiunta, apparisce dalle testimonianze degli antichi. Aristotele dice, che m egli pone la mente come princpio massimo di \^i\e 9* cose: e sola essa di tutte le cose essere semplice^ non mista ^ pura eso- * cera m: IlXirv oi^X'** y* '*'''' ^'^^ ri^trat (Xivra nravrtjv, fAvn y*vw o^i'^ jT tiv^f f;tf*>ve "ri '^ivfvxtiv xat* ri x Ma- tlem, FU, 91. (i) KfltTayvvTff; yp xHq a9^9t^^ h noXkoU wc diri^w^ tv X70V xpitif txfc iff Tolc ovdcv dXviBtiotg ini^vav, Sext. jdv. Math.^ VII, 90. (a) Quare Anaxagoras quidem conimuniUr dixU rationem esse id quo judicat. Pjrthagorici autem rationem quidem dicunt, sed non communiUr, perum eam quae accedii a disciplinis, quomodo dicebai eUam PhiloUmsi 0(Tff 6 ftv AvaS^cyjoac xocvc Tov ^/ov ffn ^pttiipiov clvocc- ol 9i nv3a- yoptxn^ Tv >7ov /xcv yao-iv, oO xocvwc ^t* tov Sk dito tv fucBmiivv t- ^(ycvfcrvov, ta^ntp I\ty$ xac 6 ^c>6Xaoc. Jdu, Mathem. , lib. VII, 91 > 99* Questo piacilo de' Pittagorici che non facevano la ragione idonea a giudi- care del vero se non ajutata dalla disciplina e dallo studio , accenna il et* ratiere tradizionale della scuola di Pittagora, carattere da me gi notato Del N, Saggio, Sex. Sex. IV e. l, art. zxvi. (3) vtt toO fio/ov ro /xocov. Sext. dv, Math*^ lb. VII 91 > 9^* (4) et cum (ratio) sit universorum naturae contemplatrix-, habere qusih dam cum ea cognationem , cum sit nature comparatum ui simile comprehen^ daiur a similii ^f/onT*av ti ovra tjc tv 1v f vvfwCt 3^X"^ ^**" vuT/t va ffjac raT^jv, inilmp w;r tov fAo/ov to fioidv xaTttXa/AJSavcv^ac ^fw- Ad*^. MaUi.,Vib. VII, 92. 593 le cose In s, e voleano dire, che le conteneva nella loro es- senza ideale. Or perch poi alla mente o idea davano , nel lor linguaggio, r appellazione^ di numero, perci afTermavano che tf i numero somiglian tutte cose 9 (i)* il qual numero, o idea, lume della mente nostra, appellavano anche deir etema natura Radice e schiuso fonte (2). Or, che Anassagora si adunasse cogl' italici in queste sentenze, confci'masi appunto dalV osservare, com^egli applicava allaspie gazione del conoscere umano, il principio generale che u il si- mile si conosce dal simile n , alla stessa guisa che facevano i Pittagorici. Conciossiach questi inducevano, come vedemmo, che l'anima avea la similitudine (Pidea) di tutte le cose: o, che il medesimo, che avea tutte le cose In s, non materialmente prese e nella loro sussistenza, ma nella loro idea o possibilit. Ora non altrimenti la intendeva Anassagora, come chiara- mente attesta Ai'istotele. Pei*occh tanto lungi, che dal hi* sogno che avea la mente di esser simile a tutte le cose per conoscerle tutte, inducesse che la mente fosse materiale, che anzi da ci appunto F argomentava semplicissima, il che quanto dire, non partecipe della natura individuata e sussl stente delle cose, ma pura e scevra da questa, e non avente che la loro similitudine o idea semplicissima: u Dice ( Anassa- u gora) (cos Aristotele), che tutte cose sono miste, eccettuato rintelletto : questo solo poi essere niente mescolato, e puro (3). Or qual ragione di ci adduce? Fece Pintelletto u non misto, soggiunge Aristotel'3, a acciocch superi e vinca^ che vuol dire tf acciocch conosca ? (/f). Ponea dunque Anassagoi*a nellWimo i.** la similitudine di tutte cose, cio Pente intelligibile, l'idea^ a.^ ponea che questa similitudine fosse semplicissima. Or tale quanto insegna T italica filosofia. (i) Vedi Sesto Adv. Math,, VI, 94. (a) Ivi. CS) ^fft ( Avcc^ay|oas ) d^ eivac /ic/ityfAvoc Travra^ it'ky toO iu. toOtov di dfAiyij fivov xal AOiOapy, De nimo ., L. 1, e. II. (4) A/xty^ eivae va '/.pTo * toto ^ ^xh Iva yvot)^^. De Animo j L. III^ e. IV RosMim, // Hinnoi^amento, ^5 pone quel sistema cHec risulta tlatla c Seito d assicura, che questo principio fu SgS t\ic u \\ Simile non pu essere i*onosdiuto che dal simile ^ , con- chiudeva, che r anima, la quale conosceva tutto, dovea esser slmile a tutto, e avere in s teri*a. acqua, aria, fuoco, discordia e concordia. Questa manieta di parlare porge certo Pidea di un grosso materialismo. Ma appunto perch egli sarebbe sforma- tamente grosso, e n pur degno di uu bifolco, non conviene senza gravi cagioni attribuirlosi ad uom dottissimo, sopra tutto fiorito dopo Anassagora, e dopo le alte speculazioni italiane^ D^ altra parte egli scrive decersi, pe^ quali si suole usare uno stilo metaforico, misterioso, portentoso^ e questo costume di usare il verso a sporre le filosofiche dottrine, deesi attribuite in gran parte Poscurit delle sentenze degli antichi greci. Dunque egli verisimile che Empedocle in que'suoi versi volesse dire nienf altro se non che la terra sussistente si conosce colla terra ideale, P acqua sussistente colPacqua ideale. Paria e il fuoco sussistente, coll^ariaecolfuoco ideale, la discordia e la Concordia reale , colla discordia e colla concordia idc>ale r^ ; per si fatto modo, che nella mente v' aveano tutte queste cose, non per materialmente prese (ci che sarebbe stato non pi ignoranza, che pazzia), ma prese idealmente, cio nelle loro idee: il qtial concetto, volendolo poi il nostro poeta vestire di tal foggia che il rendesse portentoso e misterioso, lo spose dicendo, che Pa- nima di tutte queste cose si componeva^ E ci che a intendere per tal modo Empedocle mi conduce, oltre le ragioni toccate sono anche le seguenti. I.* In s fatta guisa inteso, io veggo entrare il filosofo d'A- grigento nella storia progressiva della filosofia qual conveniente anello^ quando dalla serie di essa stona sarebbe al tutto stac-* cato, e come Un fuor d'opera, intesolo altramente. Perocch esso si mette in tutta concordia, a questa guisa, co^ filosofi che il precedettero^ cio colla scuola jonica modificata da Anassa-* gora per Pinfluenza delle scuole italiane^ ond'ebbe nuovo lume il discepolo di Anassimandro* a.^ Il principio da cui parte Empedocle quello antichis' Bimo, che u ogni simile conosciuto dal simile n ( imo rov ofioiov t Ofioioy). Or questo principio non esigeva gi di comporsi P anima di tutti gli elementi materialmente presi ^ ma 596 solo esigeva che nelP anima ci fos.^ero le similitudim di tutte le cosc^ o sia le idee. 3."* Se Empedocle avesse creduto che ci bisognasse la stessa materia per conoscere la materia, egli dovea porre neiranima tutto intero il mondo ^ perocch ne sarebbe seguito, secondo un tal modo di ragionare, che un poco di materia non avrebbe potuto bastare che a conoscerne un altro poco, e non pi. 4." Trovo che nell^ antichit stessa Empedocle venne inteso pi ragionevolmente di quello che faccia Aristotele. E vera* mente Sesto Empirico giunge a metterlo insieme con Platone e con tutta la scuola di Pittagora. Egli espone prima, come Platone, a mostrar Fanima incorporea e al tutto semplice, usasse quel modo di argomentare che abbiam veduto adoperato da Anassagora, e che sta in riconoscer P anima semplice perch intuente le idee, che sono essenzialmente semplici. Dopo di che soggiunge: a E tale essendo l'opinione di quelli che di molti a secoli ci hanno preceduto, fu sembrato trovarsi nella opinione tf stessa Empedocle^ e avendo egli posto, che le cose tutte con- stano di sei principj , pose altres sei essere i criter) del verO| ove scrisse, Colla terra la terra, e veggiam P acqua u Coir acqua, ed il divino aere apprediamo Coir aere, e il foco col lucente foco, tf E la discordia ed il concorde amore a Per discordia ed amor noti si fanno y (i). Questa interpretazione di Sesto a capello P interpretazione che noi diamo aVersi dell^ agrigentino filosofo. 5. Finalmente questa sola interpretazione pu conciliare Empedocle con s stesso, e porlo in accordo cllo. sviluppa- ci) TotauTfjc ^''ouojc rc7.pi to; Tr/soytveo-Tf/JOic ^^>}C^ ?oixff xal E^n-e^o- 'Xiyttv iaapt^na ravrac; vTrd^^ecv toc. npix^pioi^ 9i uv yiypaft^ VoLiri fjiv yp yaloLV TrwTra/xfv, u^art d^vSip^ Ai^pt ^'^ai^pot, ^tov, drap Tcvp nijp ott^vjXov, Ixopyhv 9i 9TopYn ^ vctxo; i ts vecxsl ^^yp^. Sext. Empir. Adv, Lag*, VII^ lao^ i3i. ^97 mento della filosofia nel suo secolo, a cui il sappiumo esser giunto. Perocch ci noto, che Empedocle pei'venne, con tutti i filosofi onii dopo Anassagora, a diffidarsi della rappresenta- zione de' sensi: e avea conosciuto, che non ne^ sensi, ma nella ragione sola si pu cercare il criterio del vero; solamente, che es^i distingueva la ragione divina, dalPumana; e a questa non attribuiva se non il potere di trovare il vero probabile, anzi che il certo, come vedemmo esser avvenuto di pensare a Se- nofane in sua vecchiezza. Odasi anche qui Sesto: u Altri vi fu- rono, che dissero, giusta la sentenza di Empedocle, non do- versi giudicare la verit consensi, ma colla diritta ragione: u la ragione poi esser parte divina, parte umana; delle quali u la divina essere ineffabile, atta a parlarsi l'umana (i). Per tutte le quali cose con senno scrisse lo Scin, che, a tt creder d'Empedocle, le sensazioni sono reali. Ma le medesime a non rappresentan mai le qualit che ne' corpi appariscono 5 nulFaltro essendo, che altrettanti modi del nostro sentire (7) E ancora: La scuola jonia avea talmente confuso le sensa- u zioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea a le une, non altrimenti che immagini fedelissime degli altri. a Non cos pensarono i corpuscolisti (3). Questi separarono, dir u cos, le sensazioni, dagli oggetti che le cagionano e muo- u vono, ed ebbero quelle come soli e semplici modi, quali di u fatto sono, del nostro sentire. Costoro quindi solean chia- u mare cognizioni di apparenza e di opinione^ e non gi di ve- rit e di realt, quelle che si traggon da' sensi (4). Ci) A.0 $s vivoLv l lyovrs^ xar rv EfArri^oxXa, x.trvipi(v s%9i riii >Y]Te/bec, oO rat atTS'T^Trtc, dW. rv ^5v Xyov. tov os jo5o yov^ tov ^iv Tiva 58lov V7r^5fiv tov J av3i6&)7rcvov uv rv ftv 5tov , djscoKTzo'J fi vai* TOV Si v5jow7rivov, ^otiTv, Adt^, Log,^ VII, laa. (2) Memorie sulla vita e filosofia d^ Empedocle, Palermo i8i3; l. II, face. g^. (3) I corpuscolist oon uacqiiero se oon quando le due scuole italiana e greca avevano gi mescolate, per cosi dire, le loro acque. Comparisce il jnstema corpuscolare in Anassagora , che ogni cosa dedusse dalle particelle jmili; e in Anassagora parimente si trova essere avvenuto il mescolamento ^elle due filosofie , come osservai \ e questa chiave di tutta la storia della ^osofia antica. (i) Memorie sulla vita e filosofia d! Empedocle. Vaermo i8i3,t. Il^facc 96. 599 u giudica, la qual ragione egli chiama genuina cognizione " (i), e clicliiara che ella u segregata da tutte le sensazioni n (2). Ti sar inutile altres (jui notare, come, secondo Laerzio, De- mocrito fosse discc:polo del vecchio Anassagora, dal quale sem- bra aver tolto, in parte o in tutto, la dottrina del criterio della verit (3). Per tutte le quali cose ragionate fin qui apparisce manifeste^ come le tre pi antiche famiglie della italiana e greca filosofia, alle quali si riconducono i dettami di quanti in Grecia poscia filosofarono, vennero concordemente a riconoscere, i.che le sensazioni come rappresentative delle cose esteme non meritano alcuna fede^ 2.^ cV esse perci non porgono allo spirito nitma cognizione, ma solo mettono in lui un SLgno^ dal quale pu Fudmo argomentare alcuna verit^ 3. che ad argomentare dalle sensazioni tali veri, essenzialmente diversi dalle sensazioni, uopo , che, oltre le sensazioni, sia in noi una facolt la qual giu^ dichi delle sensazioni mediante le idee^ e per tal modo costii^ tuisca il sapere umano. Questa facolt fu chiamata ragione^ (\) Ouxouv xal xr rourov X70C x tori ^ctq^cov ^ ov yYnvvn' yyo&jEiigv irot^ffi. Adif. Log,, VII, iSq. (2) Dicit autem (Democritus) adverbum: m Cognitionis duae sunt spe^ n cies: altera genuina, altera tenebriQosa, Et tenebricosae quidem sunt haec M omnia s visus , auditus, olfactus , gustus, iactus. Genuina autem, quae 9t est ab ea secreta n : hiyn Si xard Xfiv. yvwfxiic Si Svo tMv iSiott ^ 4 ffv, yyvKTvn* ri Si ^ (Txorivi' xa 9xot/i9C ftiv TCt^c oiiuTravra, oipic, xo^ , SfM ^ ysOfTti; ^ tauo-i?. >J Si yyviaivf ^ ccTrQxix^ufipfvi} Si raTiq;. Sext. ^pir, jidi*. Log. j VII , 1 39. (3) Laerzio, IX^ 34* Che pigliasse da Anassagora^ si dice in questo luogo di Sesto: Diotimus autem dicebal ex ejus sententia esse criteria veritaUs irta. Ad eorum quidem quae non sunt evidentia comprehensionem , ea quae apparenti utdi^it Anaxagorasf quem proplerealaudat Democritus. Quaestio^ ftis autem, notionem. m De quoibet enim, o fili, unum est principili m , sdre H idde quo est quaestio. Eligendi autem et/ugiendi criterium, affectiones z=; acTCfAOC Si^ TfixX, XaT^OtUTpV IXc^CV Ivat TUptrtpiOL^ T^QC fAiv TWV fl^^>.fl)V xot- rakh^if^^ ri yaiv/xiva, wc fijffiv Ava^ay/oac* 6v itti tovtw ij/eax^ctoc inacvel. ^Ti^asw; Si tviv vvotav. ntpt Travr; yp ta Trai fila pxh r si- Siateti mpt TOu e'^iv tf f^xfQti. al/Dfqrfw^ Si xa fvy;^;, x ni^vi. 4dv. l^gic., VII, i4o. o, nel seguente M. Voi mi mostrnstc, che le id verse dalle sensazioni, immiiiu e. Ci lic pensi Solo non trovo la via di conciliare stema dell' unico ente ideale. A. Clio difficolt ri avde? ^.Von ponete voi una sola idea ; per natura, quella dell' essere? ^. Si. M. E V altre non sono tutte aciju ^. S. 3f. Or come sono acqulhite, se si ji. Sono eterne, ma non per ipic; sempre dallo spirito: lo spirito le a 6oi M. Cio? jd. Lo spirito produce, o forma le idee che sono diterse lall^idea delP essere indeterminato, col determinare Fidea del* Tessere^ cio col restrignerla entro certi confini^ col farle per 50si dire il contomo di cui ella priva, tale quale si vede da aoi per natura. Sicch voi vedete, che tutte le idee non sono siltro, che sempre Vesser ideale variamente determinato^ e que- sta la ragione perch voi m^ avrete udito dire le tante volte, che v^ha un^idea sola. M. Piacerebbemi da vero una dottrina che semplificasse tutto il sapere umano ad una sola idea^ ma forte a me P intendere questo sermone. Quella pianta egli la stessa cosa con questa pietra? P acqua di questa peschiera ha ella nulla di comune col sole che in essa riflette? j4. Maurizio mio, noi parlavamo d^idee, e non di cose. M. Ma se son diverse fra loro le cose, non saranno diverse anche le idee delle medesime? ji. Non questo un diritto ragionare: ed opposto al buon pnetodo, conclossiach un ragionare dietro de^ prncipi sup- posti a priori y e non provati, che quell^ errore a cui io fo^ come sapete, tanta guerra. Che necessita trovate voi, che le idee sieno altrettanto distinte quanto le cose? e che Vesser ideale abbia le stesse leggi dell^e55ere reale? A poter affermar ci, il buon metodo prescrve di affissare T occhio osservatore dello spirto neir essere ideale, e nell^ essere reale, e con osser-> vare queste due forme delP essere attentissimamente, rilevarne le loro speciali propret. Le proprct o qualit delle cose e delle idee non conviene immaginarle , ma osservai*lc. M. Ma io dico : O V essere ideale mi mostra quello che nelFessere reale, o no. Se lo mi mostra, nelPessere ideale deb- bono cadere le stesse distinzioni che nel reale ^ se noi mi mo- stra, egli non atto a farmi conoscere Tessere reale, e torna falso ci che voi dite , nell^ essere reale consistere la conoscibi- lit delle cose. A. Maurizio dolce, sempre lo stesso errore di metodo, sempre uno sfuggire P osservare. Voi ben poti*este immaginarne di questi appariscenti ragionari a priori un monte, accavallare gli uni sopra gli altr, fame riuscire un viluppo ingegnosis- Rosmini, // Rihnovamcnto. 76 6o2 Simo, finissimo, ammirando. E poi? il vero abiterebbe in un alti'O luogo ^ e voi non n'avreste mai veduto la &Lccia. Permet- tete che vel suoni un' altra volta : Non con de' raziocinj co- struiti sopra alcuni principj generali, i quali bene spesso ven- gono supposti pi generali che non sono, che si trova il vero: ma si con delle accui*ate ossei*vazioni della natura. M. Ma che volete voi osservare nel caso nostro? A, Come veramente avvenga il fatto della conoscenza. Di- temi : quando voi nella vostra mente aveste concepito il di- segno di una casa, o, che il medesimo, Id casa ideale, non basterebbe questa sola idea perch voi poteste fabbricare anche una citt di case tutte uguali a quella vostra casa ideata? avreste voi bisogno d' altri disegni ? non basta un tipo solo a rappresentarle tutte nel vosti*o spirito, trattandosi di case ugnali? E pur le case reali son molte, quando P idea resta una sola : non fa bisogno adunque che tutte le distinzioni che vi sono nelle cose cadano altres nelle idee, e viceversa. M, Questo l'intendo io benissimo. Ma non veggo per, die quell'idea sola bastasse a farmi conoscere tutte le molte case che avrei fabbricato secondo quel tipo. Io debbo aggiungere qualche cosa a quella mia idea, acciocch io conosca che le case reali ad esempio, che compongono la citta di cui mi parlate, sono diecimila. Perocch io potrei anco aver il disegno in testa della casa, e non averne fabbricata alcuna, n pensare ad al- cuna di reali. A, Vero quello che dite, Maurizio mio, che io non posso conoscere le case reali e la loro moltiplicit, se io non aggiungo qualche cosa alla casa ideale che ho nella mente. Ma sta qui appunto la questione, a cercare che cosa sia questo qualche cosa che debbo aggiungere all'idea della casa. EU' la que- stione di fatto che si dee risolvere, e alla quale io vi richiamavo. M, Non pu essere che qualche altra idea. A, Il solito precipizio I il soUto non pu essere ! 9 il so- lito ragionare a priori^ in luogo di osservare: indovinare, in luogo d' interrogare la natura. Ditemi , quelle case non le abbiam supposte noi tutte uguali? M. Uguali. A. Sono fatte adunque secondo un'idea sola^ o secondo pi? 6o3 AL Secondo un' idea sola, secondo un solo disegno. A. V esser molte o poche , reali o possibili , moltiplica dunque i disegni ? M. No. A, Dunque non moltiplica le idee. M. Ma come si conoscono elleno adunque nella loro realt e moltiplicit ? A. Dovete conchiudere intanto voi stesso: non col molti- plicare le idee, non col moltiplicare i tipi^ perocch il tipo o Pidea ,un solo di tutte: dunqufe in altro modo: questa la prima conchiusione che dovete mettere a parte. M. Ma v' ha egli un altro modo di conoscere le cose fuori che per le idee? A. Ripetovi , consultate la natura, e il saprete. Chi vi auto- rizza a dire che non vi possa essere? M, Veramente io non so immaginarmi, che nulla si conosca senza che se n^ abbia V idea^ perocch che cosa io intendo di rio , di cui mi manca V idea ? A. Niente, niente al tutto intendete di ci, di che vi manca r idea. Ma questo prova bens , che vi bisogna sempre V idea a conoscere \ ma non* prova mica, che colla sola idea co- nosciate tutto. Notate bene la distinzione. E non potrebb' egli essere, che la cognizione nostra delle cose cominciasse coU^ idee, ma ella poi si rendesse compita con qualche altra cosa diversa dalle idee ? in tal caso V idea c^ interverrebbe sempre ^ ma non sola. M. Come fia possibile? A, Restringetevi a considerare V idea di un oggetto, pura da ogni altra aggiunta. Con tale idea voi vi avete, quasi direbbesi, la cosa in progetto \ ma la sola idea della cosa non dice cer- tamente che la cosa realmente sussista. M Se V idea di cosa sussistente, mi dice che sussiste^ se di cot possibile, non me ne mostra che la possibilit. . A. Noi entriamo nell^ un via uno. Io vi dimandavo prima , se r idea o il tipo d' tma casa sussistente sia diversa dall^ idea o tipo ideale d^ una casa possibile. Quando ho io concepito neir animo il disegno d^ una casa, questo disegno si cangia egli, pei'ch io fabbrichi la casa o non la fabbrichi? che io scambi il significato (11la parol fittemene avvisato, riprendetemi; ma ficaio sempre, non dovete averci che io ben credo , il significato che io quello appunto dell'uso universale d varr ci, sarebbe un uscire di filosofia dove io non voglio mettere il piede. razzolare ne' classici, come solete fa nel giusto e proprio valore dato dal per ora, egli pi corto che voi prei itUa come parola da me imposta a' cosa; e cos prendendola, voi vedret com sussistente, ma sempre di co! bilit sua. Sf. Al tutto m' arrendo a prcnt come voi volete; e intondo assai chia fa conoscere la cosa sussistente, n per altres, che il dire u idea favellare equivoco od inesatto. Ma r ghiate, con che altro me7.zo conosci] E poi, quando anco le idee non ci come sussistenti, ma solo le cose con non sono celino anco i possibili divf 6o5 come noi col collocpiio nostro abbam pur fatto qualche passo innanzi, verso quello che cercavamo. BL Non veggo. A. Non abbiam detto noi, che molte case uguali non hanno che un'idea sola? M, S. A. Dunque , sebbene un' idea sola di una cosa non ci dica se v' abbiano cose sussistenti, n se ve n' abbiano molte o poche; tuttava ogni qual volta conosciamo delle cose fatte al disegno di quella idea, noi ricorriamo sempre a quella identica idea; e diciamo, a ragion d'esempio, questa cosa risponde a questa idea. Non riman duncpie a spiegare se non la percezione di qmesta cosa reale e sussistente , la quale ci avvisi che la cosa y che abbiamo in idea, anco realizzata. M, Questo appunto quello che io cercavo. A. Non siamo noi stessi una cosa reale e limitata ? M, Indubitatamente. A, E le cose reali limitate, non sono divise per le proprie limitazioni le une dalle altre ? M. Anche questo parmi certissimo. A. Tuttavia non possono agire le une sulle altre? M. Il fatto lo mostra. A. Se la cosa dunque sussistente, ella divisa da noi, ma ellapu& per, comecchessia^ far pervenire a noi la sua azione, e cosi modificare il sentimento fondamentale di noi stessi. Or questa modificazione di noi stessi non certo la cosa sussistente fuori di noi , e per non ancora percezione distinta di cosa alcuna (sebbene si soglia chiamare percezione sensibile, ed io stesso adopero questa maniera di dire (i)). Ma non egli vero, che v' ha un principio dentro di noi, pel quale diciamo noi siamo modificati, dunque v'ha una cosa che ci modifica? n . (i) La ragione per la quale io ritengo ilnorae di w percezione sensibile m, e l'applico alle sensazioni considerate in relazione coli' agente che le oc- casiona si perch non si d passivit , dove non si senta veramente una forza, n corpo adunque che agisce nell' anima nostra : sebbene non ispie- ghi in essa la saa intera natura , entra per e comunica ad essa la sua forza. 6o6 Jlf . un fatto. A. E qui comincia la percezione delle cose sussistenti di- verse da noi. Ella non era ancora, quando esisteva solo la mo- dificazione nostra^ matostoch il principio ragionante da queUa modificazione ha conchiuso u dunque v^ ha un ente diverso da noi che ha operato in noi , la percezione di quest^ente com- pinta. Gonciossiach ci sarebbe egli percezione oggettiva, se non allora che noi cominciamo ad accorgerci delP esistenza di un ente? La parola percezione suppone Pente percepito^ e non percepito, se noi non abbiam detto a noi stessi che sia. Alla percezione adunque di una cosa sussistente diversa da noi, si richiede la modificazione nostra^ e il principio ragionante ^ che da quella modificazione induca un ente, che quanto dire un diverso da noi. M, Farmi fin qui d' intendere^ proseguite. A, Riman dunque a vedere, che sia questo principio ragionante che da una modificazione nostra induce un ente da noi diverso. Primieramente da badar qui con tutta attenzione, che un ente da noi diverso, e una modificazione nostra, sono cose di- sparatissime e contrarie; sicch non si pu mica dire , che V ente da noi diverso sia la stessa nostra modificazione lavo- rata da noi e trasformata. M. Mei diceste altra volta. A. Come dunque il principio ragionante da una cosa pu conchiudere alP esistenza di nn^ altra tutto diversa da quella ? onde ne piglier V idea di quest^ altra cosa , quando la prima nulla contiene che le rassomigli? Supponete la Sensazione del bianco, e tutte Paltre sensazioni che una casa in noi cagiona: certo , che non hanno a far nulla colla casa stessa murata a calce e sassi. E pure da quelle senisazioni noi passiamo tosto a dire u col c^ ima casa 9 ; e cosi celeremente abituai- mente facciamo questo passaggio, che peniamo ora molto a ere* dere che la casa non sia il complesso delle sensazioni nostre; di guisa che il bianco che veggiamo, V attribuiamo in proprio ^lla casa stessa, e non pensiamo che sia una modificazione nostra. M. Verissimo. A. Come adunque, dobbiam cercar noi , il principio ragio- .607 nante fa questo passaggio? onde trova egli Videa di un ente fuori di noi? M. Veggo bene, che la sensazione non la pu dare questa idea. Ma n pure oserei dire, che io avea Tidea di quella casa pri- ma di vederla. Perocch se io , dopo veduta la casa , so d^ a- veme V idea ^ non capisco io, come non dovessi saper d^ averla anche prima, quando Favessi. ji. E per questo appunto n pure io dico, che Pidea della casa preesista nelP anima nostra innanzi che abbiamo noi ve duta casa alcuna, (i) M, Come dunque dal non aver noi Pidea della casa, siamo pur venuti ad averla quando vedemmo da prima delle case^ sebben una cotal vista non sia pi che una modificazione nostra ? ^. A trovare un^ uscita conviene analizzare diligentissima- mente Tidea di una casa. Ditemi adunque, che cosa una casa? M, Un luogo da abitare, di una certa forma. ^. ella questa abitazione destinata al corpo, o alP anima? M. Non ha Panima bisogno di stanze da mangiare, dormire, ed altrettali usi. u^. E r uso che fa il corpo di una cosa , a che mai si riduce se non a ricevere da essa una cotal serie di movimenti , e di sensazioni necessarie al buono stato del corpo stesso? AT. Ad altro no. j. Dunque la casa finalmente un ricovero del corpo, dove pu esser difeso dalle sensazioni moleste, e acquistarne di pia- fievoli ^ un ordigno anch^esso materiale di certa forma e modo. E che questa forma e modo di cotale ordigno? M, Risponder come ho imparato da voi a rispondere. Que- sto modo, e questa forma della casa, determinata dalle sen- sazioni che ella produce in noi. Gonciossiach noi la diciamo (i L'argomento toccato da Maurizio ha forza applicato alle idee deter- niinate^ e molto pi alla percezione de' sussistenti ; perocch queste chia- inano tosto la nostra riflessione. Sicch se noi le avessimo , anche le avver- tiremmo facilmente. All'incontro l'idea indeterminata dell'essere non ha alcuna determinata vivacit e novit^ e per non iscuote o tira a s punto n poco la riflessione nostra. Tanto vero , che questa idea la pi dif- fcile a riconoscersi in noi^ anche dopo formateci le idee delle cose speciali. 6o9 altro che un ente cagione in noi di certe determinate modifi- cazioni. Ricevendo adunque in noi^ queste, concludiamo die un ente sussiste ^ l dove se Y ente comune non vedessimo, questa conclusione ci sai'ebbe impossibile. M. E or parmi oggimai d'intendere, che cosa sia quella cosa che si dee aggiungere all'idea per conoscere i sussistenti j questa cosa sono le sensazioni. * jd. Appunto. Ma badate bene a non confondere insieme i due ufficj che ci fanno le sensazioni* M. Quali? jd. Quando riceviamo delle sensazioni , noi diciamo tosto : a qui ci ha un ente . Il dir questo , suppone indubitatamente che preceda in noi l'intuizione dell'ente, perocch nelle sen- sazioni, come abbiam veduto , esso non . Ma l'ente che stava in noi, non era che l'idea, e questa non ci dicea se quell'ente sussistesse. Le sensazioni ci persuadono, che quell'ente che a noi cognito in disegno, anche sussista. Questo il primo officio delle sensazioni. Passiamo al secondo. Noi non diciamo solo, al sopravvenirci delle sensazioni, u vi ha qui un ente 99^ ma di Conseguenza gratuita. L** effetto delV azione del corpo sopra di voi sono le sensazioni. A queste appartiene lo spazio ( i ) Voi inducete Tesistenza di un ente, dal sofferire che voi fate le sensazioni. Non uscite dunque di voi. Ma perocch alle sen- sazioni appartiene il fenomeno dello spazio, voi dite che que- sta ente produce un tal fenomeno che si chiama spazio, e di lui lo rivestite, cio vi serve lo spazio della sensazione a misurare l'at- tivit di quell'ente che l'ha prodotta, e il modo di quest'atti- vit (i). Il^considerare il corpo come un ente, a vedere il quale lo spirito non ha bisogno di spazio, egli pi vero, che il conside- rarlo in relazione colle sensazioni estese. I volgari stanno nel mondo delle sensazioni^ e per non possono uscire col pensiero dallo spazio^ ma i savj abitano nel mondo metafisico, che quello degli enti^ e non dello spazio^ e in questo veggono lo spazio stesso fuori dello spazio. Ma io non amo, Maurizio, che noi ci solleviamo tant'alto; e se n'avrete vaghezza, vi soddi- sfer con pi agio: contentiamoci per ora di svolgere la ma- teria che da prima avevate proposta. il/. Appunto a quella appartiene la seconda delle difficolt che mi caleva proporvi. A. Udiamola. M. Io vi dimando: l'ente da noi intuito per natura, i uno U pi? A. V essenza dell'ente, per uno, come l'essenza del- Puomo una. (t) Circa questo argomento io rimetto i lettori al N. Saggio, Sex. V^ e. XYI , e e. XVII , art. m, e c XIX , dove ho provato la realit della estensione* Gii ^ iJf. Or per, secondo clie noi riceviamo de' diversi sistemi di sensazioni, concludiamo che molti enti sussistono. Ma se In tutti cniesti enti noi vegglamo sempre Io stesso ente ideale rea- lizzato, egli pare che tutte le cose sleno sempre lo stesso ente 5 il che ci recherebbe al sistema delP unica sostanza di Spinoza. A, Non punto: Il disegno uno; gli enti realizzati son pi. Se voi vedeste molte case cavate da un disegno solo, alcime delle quali fossero grandi, altre piccole, altre fabbricate solo per met, altre interamente 5 direste voi per tutto ci, che le case fossero una casa sola, perch hanno tutte un disegno solo? nialn. La cosa sussistente distinta dalla cosa pura- mente ideale: e quella pu esser moUIplIce, quando questa unica. Ecco adunque come un'idea sola, a cui s'aggiunga va- riet di sussistenti, e per variet di loro azioni sopra di noi, basti a farci conoscere tutta la moltlpHcit delle cose o reali o immaginate. M, Da questa parte non so andare innanzi. Ma mi s'affaccia altronde di nuovo la prima difficolt. Supponendo vero tutto ci che voi avete detto, potrebbesi conchiudere i.** che non vi che una sola Idea etema, 2." che l'altre idee non sono di- stinte essenzialmente dall'Idea dell'ente, ma sono quella stessa circoscritta e determinala, 3.** che queste circoscrizioni de- terminazioni, che la rendono tutte le idee generiche e specIG- che, non sono eteme, ma sono da noi stessi prodotte in occa- sione delle sensazioni: le quali si possono dire altrettante ^e- ffuiture , che prescrivono i limiti all' ente intuito , o altrettante misure determinanti la sua attivit, che a noi si rivela per que- sto modo: sicch l'Idea di cavallo, di uomo ecc., non sarebbero eteme, come volea Platone, nella loro entit speciale di cavallo, di uomo ecc. , ma solo nella loro universalit di enti. Ora in tal caso la teologia andrebb'ella contenta del vostro sistema? non dice s. Agostino, che singida propriis creata sunt rationihus? e che humana anima naturaliter diuinis ^ ex quihus pendete ratio nibus connexa (est)? che in somma eterne sono le idee proprie di tutte le cose, e in Dio, e noi in Dio le veggiamo? A, Maurizio mio , anche s. Agostino avete scartabellato? prima io mi credea che ogni vostra delizia fosse nel Vocabola- rio della Crusca^ poscia venni a sapere che macinavate anche fii3 delia filosofia; finalmenle mi vi scuoprite ora un vero Infari- nato d Teologa. M- Son tutte cose che apparai collo starvi sempre a' panni , e collo scrivere le cose vostre. A. Or bene. Io non vi nego mica, che le idee peculiari delle cose create , sieno in Dio da tutta V eternit. Ma dico , che le idee onde noi conosciamo le cose, quanto alle determinazioni particolari, non sono quelle stesse onde condsce Iddio, e solo nel loro fondo c^omune costituito dall'ente ideale, esse sono identiche a quelle che stanno in Dio , con questa immensa diflferenza per , che V ente ideale comunica a noi la sua luce in un grado infinitamente minore a quello che ha in Dio, dove egli Dio stesso. Verbo di Dio. E tuttavia vi aggiungo, che le nostre idee sono eteme, e sono in Dio. M, Mi sembran tutte contraddizioni. A. Non punto. Ditemi , le cose corporee che adoperano in noi, comunicano esse a noi tutta la loro attivit? M. No certo: per esempio, de' corpi noi non sentiamo che la superficie ; i nostri sensi non possono mai penetrare V interiore de' corpi. Oltracci gli effetti che producono in noi dipendono dalla nostra propria natura in gran parte: l'aria che ci ferisce tutto altrove che nell'orecchio' , non ci d suono, ma s quella che entra pe'fori degli orecchi a percuotere u il sonaglio che sta dentro appeso, s come diceva Empedocle; il che mo- stra essere il suono un effetto in gran parte dipendente dal- l' organo costruito in quella forma e non in altra , e dall'anima di cui quell'organo vive. A Ottimamente. Sicch dove l'organo del senso, o la tem- peratura della vita che l'informa fosse diversa, anche la sensa- zione riuscirebbe al tutto diversa. Or Iddio ha egli de' sensorj simili a' nostri? e le cose create possono esse esercitare alcuna azione sopra Dio? M, No, sicuramente. A, Dunque voi vedete, che noi, quando determiniamo l'es- sere in universale mediante un'attivit sperimentata nelle mo- dificazioni che producono le cose nel nostro sentimento, e cos dall'essere universale caviamo l'altre idee determinate, facciamo una cosa che non conviene a Dio; e per le idee onde noi Ri4 conosciamo le specie particolain di cose, debbono esser diverse assai da quelle onde le conosce Iddio : le nostre cio voglion essere infinitamente pi imperfette , debbono avere seco un elemento soggettivo^ perocch noi misuriamo il grado e il modo di entit che hanno le cose, dall^attivita che esercitano in noi; e r effetto che le cose operano in noi, in gran parte dipende, come dicevo, dalla condizione e indole della nostra stessa na tura sensitiva, che viene da esse modificata. M, Or a questo vostro discorso mi balena un raggio di luce. Udivo molti adire continuamente, che le cognizioni nostre non possono essere che soggettive. Intendo ora, che hanno bens un elemento soggettivo, ma non tutte intere son tali^ e quelli che non separano attentamente Puno dalFaltro questi due elementi, si danno al disperato partito di credere non averci per gli uomini verit se non soggettiva. Io veggo ora assai bene^ che Tente, che ci che si concepisce ugualmente in ogni idea, immutabile, oggettivo, assoluto: ma il grado di attivit sos* sistente, sperimentato nelle sensazioni, il qual noi adoperiamo come lineamento che ci fissa un confine dentro il quale con- sideriamo Tente , al tutto un grado soggettivo , cio relativo a noi , i quali non riceviamo dalle cose se non un^ azione limi- tata, e anche a quest^ azione diamo noi stessi un carattere e un modo veniente dalla natura nostra che patisce V azione, anzich dalP agente che in noi la produce. j. Levatevi dunque a considerare la cosa in generale. Con- siderate cio, che non il solo uomo creatura intelligente, ma ve n^ hanno, ve ne posrono avere delF altre assai. Supponiamone di queste, molte, le quali dovessero formarsi le idee delle cose a simil guisa che V uomo, dalF azione cio di esse cose sopra di loro, la qual azione recasse nel lor sentimento diversissime modificazioni dalle nostre. M. Come avvenir dee, se sono abitate le stelle. Imperocch essendo esse de^ mondi materiali, io non saprei immaginaimi altri abitatori, acconci ad esse^ se non composti di corpo e di anima come noi , sebbene per in mille forme diversi, e dagli uomini certo variatissimi si rispetto a^ corpi che air anime. j4. e bene ^ tali enti conoscerebbero le cose da effetti al tntto dissimili a quelli che proviamo noi da esse: quindi in quello 6iS che le cose da lor conosciute hanno di comune colle nostre, che l'esser enti, la loro idea sarebbe uguale alla nostra: ma in quello che avesser di proprio , cio nelle limitazioni e descrizioni di tali enti, sarebbe per avventura al tutto dalla nostra diversa: di maniera che quelP agente che per noi ha la forma e modo di cavallo, per essi potrebbe avere tutt'altra forma e tutt' altro modo , n ritener il minimo tratto di somi- glianza col cavallo. Lo stesso ente adunque, operando nel sen- timento di centc maniere di esseri intelligenti e sensitivi di varia natura , vi darebbe occasione a cento maniere d' idee di- vci'slssime, perocch lascerebbe in essi cento diversi segni o manifestazioni di sua attivit, e tuttavia tutte queste cento ma- niere d'intelligenze da quello che sofferiscono in s stesse argo- menterebbero ugualmente alla sussistenza di un ente da lor di- verso, procedendo in quest'argomentazione con passo uguale a quello che facciam noi, cio riportando tutte 1' effetto sofferto all' ente ideale in esse come in noi risplendente. M. Ma se queste cento maniere d' intelligenze avessero cento idee diverse dello stesso ente, tutte queste idee sarebbero in- gannevoli e false. ji. Non dovete dir cosi: anzi, se vi ricordate ci che noi abbiamo ragionato altra volta insieme, dovete dire che tutte quelle cento idee sarebbero vere. JH. Sovveiigomi, che voi mi mostraste come i sensi non c'in- gannano, perch non ci costringono a prendere i loro feno- meni come rappresentazioni delle cose, ma egli sta in noi a portarne colla ragione un retto giudizio. Ora se noi non pren- diamo le sensazioni per rappresentazioni, ma per segni, e per modi e gradi dell' attivit di un ente ^ non andiamo punto errati. Il qual principio applicando a quelle cento specie d'in- telligenze che voi avete supposto , io ben veggo , che appunto perch hanno il lume della ragione, esse possono guardarsi dall' errore , non abbandonandosi alle illusioni fenomenali , le quah invitano e provocano l'animo a prenderle per riti*atli e forme di cose reali. Per ciascuna di quelle intelligenze ha il modo di riconoscere , che quelle loro idee delle cose speciali ve- ramente non dicono altro se non, tf avervi un ente atto a r iotelligenza immane d'errore. E ne M. L'avrei caro. A. La prova di fatto ii il ragion Noi siamo una di queste nature iu perch siamo intelligenti , cuiioscifim non ci rappresentano l' ente che co 1 ma natura, ma non ci porgono ci un grado d sua attivit in relazioi noi l'intcadimento, e qucstt medesim sere intelligente, in cui i fenomeni fo 8 voglia da' nostri. Duur|iie le idee telligenti son tutte Iiniit;ile, e pur t ramente esprimono un diverso gi-ado a ciascuna natura in cui quell'ente lo stesso ente in relazioni diverse. Du son tutte eterne, essendo eterna la M. Ma come sono eterne, .so cias fa a r stessa, e so non sono le idee i come voi avete detto? A. Non abbiamo veduto, rho ogm verit, cio die spe ie di atti' ente di produrre un certo efTetto M. Si. 617 A. Prodotte propriamente sono le perceziom delle cose ^ ma le idee^ come idee, non si possono dire prodotte. M. Dichiaratemi, vi prego, questo concetto. A. La percezione non che attuale , e suppone che V ente agisca in noi attualmente. Ora questa azione attuale contini- gente , accidentale , passaggera. La percezione adunque cosa istantanea. Ma la percezione, anche dopo che Toggetto sussistente non ferisce pi i nostri sensi , lascia memoria di s, lascia in noi una specie , una ricordanza di ci che abbiam sofferto. Questa ricordanza di ci che si ha sofferto ci ai pensare che il me- desimo si pub sofferire ancora : la sofferta modificazione aduu que, considerata unicamente come possibile e come mism*a del- r attivit dell^ ente agente, ci che costituisce la nosti*a idea^ Ora la modificazione nostra, per esempio la specie del sole, che anche ad occhi chiusi o a mezza notte mi si presenta , questa specie che determina a me V attivit di quest^ente che chiamo Sole, non ella (considerata come meramente possibile) eterna? la possibilit delle cose tutte non ella etema? M. Ma dove ponete voi quesf idea a delP ente considerato come idoneo a produrre in voi quella modificazione ? in Dio, o fuori di Dio? A, Provato che una cosa eterna, egli anco provato che in Dio , unica sede di tutte le cose eteme. M Le nostre idee dunque, sebben limitate, sono in Dio. A. Si, in Dio sono tutte le idee nostre, e tutte le idee che avessero quelle centomila maniere d"^ intelligenze di cui a voi piace di far popolati gli astri innumei*abili del firmamento: di maniera che si pu dire con tutta verit, che Iddio conosce le cose in tutti que^varj modi, onde sono conosciute da tutte le maniere di intelligenze che sono o saranno nello smisurato universo. ^ M. Ma come diceste adunque poco innanzi, che non sono e non possono esser tuttavia queste le idee onde Iddio conosce le cose? A. Tutte queste idee^ sebben vere, sono limitate e imperfette, e non manifestano gli enti se non da un lato solo , non ce li danno a conoscere se non in una loro efficienza parziale, e i*e lati va alle intelligenze finite nelle quali esercitano la loro azione. KosMiNi^ // Rinnovamento. 78 Vt '[ in Dio; ma sono in Dio, pi^rch egli noi, e che in noi si generassero a qi generano. g1i a questo Ono appunto h stra. Imperoccli onde viene clic nr come le reggiamo ? otiilu viene che gli in noi quella impressione che ci fanno, e l'avere Iddio costruita in un modo e n umana; e per costruirla, egli dovea a della natura umana, e di tutto ci ci anche d tutte te impressioni sensibili e d tutte le idee speciali clic mediani potea formare a s stessa. E notate , e considerate nella parte lor soggettila, gette a variazione nel loro fondo, per dalla stessa natura umana, la quale han; Jff. Quali son dunque queste idee tengono alla mente divina in proprio, nostre e da quelle che tutte le creator loro nature? j. Come un ente operante in noi, n{ un grado di sua attivit e dell'esser su modo relativo al modo dell'esser nosti 6i9 siamo di ^elP ente prendete! altra cognizione se non al tutto parziale, cio ristretta a qiu^l suo effetto che sperimentiamo^ cos Iddio non conosce gi gli enti in una loro attivit limitata e relativa colla quale operino in lu , ma nell'intima loro sostanza. E questo quello che vide anco il Vico, con acutezza al suo so- lito, ma alquanto indistintamente, quando scrisse, se vi sovviene, che u il sapere sia posto nelP accozzare insieme gli elementi delle cose; sicch il pensare (i) sia proprio della mente uma* ic na , e Dio solo abbia V intelligenza (2) ; posciach egli legge u tutti gli elementi si estemi che interni delle cose , pei-ch li fc contiene e li dispone : laddove la mente umana eh' lmi- a tata, e perch tutte le cose che non sono dessa sono fuori tf di essa, non pu che raccoglierne gli elementi estemi, e per- ci non pu raccoglierli tutti; ond' ch'essa pu bens pen- sare, ma non mai intendere le cose ; per il che non della ragione perfettamente posseditrice, ma solamente partecipe w (3). M. E perch dite voi, che il Vico non vedesse questi veri con distinzione ? u4. Perocch tutto ci che dice vale bens per la parte sog- gettiva e determinante l' idea, ma non per lo fondo stesso dell' i- dea, che sempre l'essere ideale. Questo noi vide il valentuomo ; e per non distinguendo la parte assoluta, oggettiva e formale del sapere , dalla parte relativa , soggettiva e materiale , lasci r adito agevolmente a intendere la sua dottrina in un modo scettico, pigliandosi il limitato che hanno veramente le nostre idee , pel /also che non hanno. M. M'avveggo, che non pu uscirne altro che lo scettici- (1) Attribuisce il Vico alla parola m pensai'e ^ il significato di m andar raccogliendo . (a) Il Vico crede che inteltigere venga da ( i ), perch non hanno in Dio sussistenza fuori dcirulLo della divina volont. (i) Cosi rdulorc dell'opera celeberrima a Diifini Nomi : t* 1^ {;li esem- m pian uoi diciamo essere le ragioui che souo in Dio , le quali danno alle M cose Ti^ieuza^ e busmmoiko inoauzi d esjte ftini^olarnuMite: e i)(ie((* ra- ^ gioui butio ap(>elLtie dalla Teologia |u-edeiiiijazJoui, e divine e l>u{nu> vo- u Ionia (v^oof;tef4'j(;, xt! inu xeU a}atif i^tAit^MiiX j, ciie iiaiiuo vul Jj flicit sa ipsum et qiuecumqw fccit (i). di cpil ritraete una nuova conferma della dottrina che vi ho esposta. Imperocch che il Verbo, se non la conoscibilit di Dio (a), in virt della quale Iddio afferma se stesso? E che la creazione, se non come dicono i teologi, un atto volontario dell'intelletto divino, onde vede sussistenti le cose che vuol rendere sussistenti? Iddio u non conosce tutte le creature, dice sant'Agostino, e spirituali e corporali, perch elle sono^ ma anzi elle sono per questo, a che Iddio le conosce (3). ColPatto aduncpie col quale Iddio conosce le creature come sussistenti, con quell'atto medesimo egli le crea; ed egli conosce le creature con quelFatto identico, onde afferma e rende se stesso conoscibile, o sia genera il Verbo. Sic- ch con un atto solo Iddio cagiona e la conoscibilit di s stesso. (i) Monol. e. XXXII. (a) Si noti bene; non la conoscenza ^ che appartiene tX[\ssenza divina, ma la conoscibilit. (3) Universas creaturas et spirituales et corporaes non quia sunt ideo noi'it Deus, scd ideo sunt quia novit (DfTrInit. XV, xin). V'ha una sen- 1f*nzA di OrijTfine, 1 qual^* sembra dire n^respressione dirittamente il con- trario di qnrlla di s. Agostino, e pure ella, ben intesa , riesce al medesimo roncetto. Dice Origene: Nnn propierea aiquid erit, quia id scit Deus fu^ tunim : sed quia fuiurum est ^ ideo scitur a Deo antcquam fiat (In ep. ad Rom. L. VII, sup. illiid quos vocavit , hos et justificavit etc ). di netto SI contrario di ci che dice s. Agostino in apparenza. Ma si osservi , che Origene non potea mai voler dire , che Dio ricevesse la scienza dalle crea- ture; errore da fanciullo. Dunque il pensiero del grand' uomo era volto ad altro quando scriveva quel passo. E per intendere a che, si badi nelFultime parole , ove dice che n ci che verr fatto , si conosce da Dio avanti che M sia fatto, appunto perch da farsi. Dunque se non fosse da farsi ^ se- condo Origene^ non sarebbe da Dio conosciuto come da farsi cio in se- parato dall'essere infinito. Dunque Origene vuol dire: m perch Iddio de- cret di formare un ente, per questo lo conobbe ; o sia: u Iddio produce gli enti con un atto d'intelletto col quale li conosce; e se non volesse pr* darli- non f:irebbe n pur quell'atto intellettivo e creatore^ che ne costi- tuisce prima la loro intelligibilit, e poi ancora la loro sussistenza . Sicch tutto il passo intero di Origene cos l'interpreto: m Un ente non verr gi a sussistere perch Iddio conosce che egli verr a sussistere, quasi che il conoscere che egli verr a sussistere non dipenda da Dio; ma anzi da dire, che Iddio lo conosce appunto perch ha decretato che quell'ente venga a sussistere: e avendolo cos reso futuro, l'ha reso a s conoscibile . In tal modo inteso , Origene e s. Agostino dicono Io stesso, usando frasi al tulio coulrarie. e la conoscibilit di tutte le creature: solamente che, quanto al primo effetto della conoscibilit di s stesso, Iddio P opera anche necessariamente e naturalmente 5 quanto al secondo , libera- mente: quanto al primo, Patto divino tutto interno e si chiama generazione ^ quanto al secondo , questo effetto esce da Dio e si chiajna creazione . Tutto adunque coe- rente in questo sistema; e voi vedete come per esso si dissipi la terribile difficolt che vi avea toccato , cii^ca il numero infinito de' possibili. M. Certo , quella difficolt svanita : perocch sebbene gli enti che Iddio ha fermato di creare sieno di numero tanti che vincono forse la mente di tutte le creature intelligenti, tuttavia riman quel numero finito, e per finito riman pure il numero delle idee particolari e detenninate. Ma la difficolt mi rinasce sotto altro aspetto. Imperocch conseguenza delle cose dette si , che Iddio non conosce tutti i possibili. u4. I meri poFsll)ili li conosce tutti, ma virtualmente, come stanno unitamente accolti nella pienezza dell'esser divino. Se- paratamente per gli imi dagli altri non li pu conoscere, per la ragione semplicissima, che separati non sono. E volete che sia conoscibile quello che non e? M, Come dite , che i meri possibili non sono al tutto? non sono essi pensabili ? dunque sono qualche cosa. j. Maurizio, la materia degna della vostra sottigliezza. Fate voi differenza fra ima cosa pensabile e una cosa pensata? M, Si certo ^ se la cosa puramente pensabile, ella non e ancora pensata. ^. Egregiamente : per il pensabile non esiste come pensato ancora. M. No. j4. Qui avete la chiave da sciorrc la difficolt vostra. Per- ch un ente sia meramente pensabile ,^ ma non per ancora pensato y ha egli bisogno che sia prefinito, determinato, di- stinto dagli altri enti? o basta che colPatto del pensiero si possa prefinire, determinare, distinguere? M. Questo secondo. A, E cos vsono i possibili in Dio. Ove egli lo voglia , li di- stingue e li crea: ove non voglia, non li distingue^ e tuttavia ecle tutta la pTofondt di s stesso , mare d tutto V essere L'atto afliincpie, onde Iddio distnse gli enti, slmile, o anzi il medesimo di quello della creazione; egli produre colPatto stesso la loro conoscibilit ( V idea distinta ) e la loro sussi- stenza. E di vero, voi vedete Pente in universale. Immaginate clic tutte le intelligenze che sono nell' universo vedessero bens cpiestVnte, e molte cose in esso, ma non lo vedessero deter^- minato all'atto cbe lo restringe all'essenza dell'uccello. L'es- senza dell'uccello esisterebb' ella ? Virtualmente s-, peroccb ogni intelligenza potrebbe discemerla (aggiungendosi le con- dizioni opportune a rpiest' atto ) nelP ente in universale : ma ella tuttavia non sussisterebbe distintamente , poich ninna mente avrebbe contemplato l'essere ristretto alla forma dell'uccello. Applicate rii a Dio, che vede non solo l'essere ideale, ma l' essere reale ad esso pienissimamente adeguato. Non gli manca ninna condizione, altro che quella dell' atto del libero volere, al fine cV egli possa considerar l'essere ristretto alla forma dell'uccello, o ad altra forma qualunque, e cosi disegnare, per cosi dire, o sia determinare quella idea o quella essenza. flf. Ma questa esistenza virtuale ed unita de' meri possibili , mi pur forte cosa a concepire. E parmi, se cos fosse, che dire si potrebbe, non esserci tanto i possibili da tutta l'eternit, quanto la possibilit de' possibili? j4. Io accetto volentieri questo modo di dire, e parmi an- che conforme a quello delle sacre carte; le quali non mettono, a quanto rammento, nel novero degli enti i meri possibili, ma "pi tosto ve li escludono; come s puft vedere in Daniele, ove Susanna prega Iddio con quelle parole: Dio eterno, che conosci tutte le cose prima che sieno fatte (i). Qui voi ve- dete che si parla di quelle sole cose che devono esser fatte, e nulladimeno esse si chiamano u tutte , quasich non ve n'ab- biano altre fuor di quelle che saranno fatte. Ed il medesimo concetto ricevono le parole dell'Apostolo, che dice, Dio uchia- cc mare tanto le cose che non sono, come quelle che sono {^): dove il vocabolo chiamare indica manifestamente parlare l'A- (i) Dan. Xlir. (2) Rom. IV. 63 1 M, Avidamente F ascolto. A. La caveremo dalP intima natura del divino conoscere. Non abbiamo noi veduto che Iddio conosce tutte le cose in s stesso ? M, ammesso da tutti. A. Dunque conosce le cose come sono in esso lui . e non altramente. M. Se l'oggetto di tutto il suo sapere la propria sostanza, egli non pu conoscer le cose se non come stanno nella so- stanza sua. A. E bene^ or prescindiamo dall'atto creatore, onde le cose vengono a sussistere distinte fra loro, e consideriamole come elle stanno per natura nell' esser divino. Non insegnano i mae- stri delle divine cose, che l'esser divino pienissimo, ma in- sieme unitissimo, di guisa che non riceve in s differenza o distinzione reale alcuna, eccetto quella delle persone? M. Mei dice il Catechismo. . A. E per, che le cose tutte non sono nelP essere divino punto distinte, ma unite insieme, eopsi2,7^ , e insieme rispetto alle creature , immagine della bont di lui . Ved. S:ip. VII. (1) Tertulliano dice appunto: Printogenilus ut nntc omnia f*enitus : et unigeniius ut sotus ex Dea genitus. Contr. Praxeam, e. VII. E altrove dice chiamarsi /)rimo^c/ii7um conditionis per questo, che per ipsum omnia Jacta iunl. L. V. contr. Marciuu. e. XIX. (5) Lcibiiizio fece un' osservazione che ha qualche somiglianza con quella ;lie uoi facciamo qui sull'origine dell' arianesimo, e^ Sembra, cosi egli, che f alcuni padri ^ soprattutto i platonizzanti, abbiano concepito due (iltazioni g del Messa, prima che nascesse dalla Vergine Maria: quella che lo fece s Figliuolo unigenito j in quanto eterno nella divinit, e quella che 10 $ reude primogenito ilcUe crealtwej per cui fu vestito di una natura creala e la pi nobile di tutte, che rendevalo stiomcnto della divinit nella pro- RosMiiNi 5 // RiiinovaniCUo. 8 1 M. Contento s, sazio no; pare me n'ho pre$o una buona satolla, e ve i>e ringrazio. CAPITOLO LUI. GONTIMUZIOIIE, Appai'lsce dal precedente Dialogo, come convenga accuratat mente distinguere i.** la conoscibilit delF essere; 2.* le circo- scrizioni o limitazioni delP tessere , che vede Iddio nelP essere conoscibile creando le cose; 3.** le circoscrizioni che mettono air essere da esse intuito le create intelligenze, circoscrizioni variq secondo la natura di quelle; 4*^ ^ finalmente le circoscrizioni e determinazioni che mette all'essere intm'to la natura umana. La conoscibilit dell'essere, in Dio il Verbo divino; nel- r uomo r esseve possibile indeterminato , a cui in proprio e originiriamente compete il nome A'^idea. Le limitazioni sotto cui Iddio guarda T essere creando le cos^ limitata , sono le idee determinate di Dio. Le limitazioni sotto le quali veggono Tessere le create ior telligenze, sono le idee determinate delle create intelligenze. Le limitazioni sotto le quali vede l'essere la specie umana, mediante Fazione che riceve in s dalle cause create , e che le serve a determinarsi Tessere entro un certo grado o misura limitata, sono le idee de.teiininate delVuomo (1). (f duziono e direzione delle altre Dature. Gli Ariani teonero solo questa M seconda filiazione, diin(!iicarono la prima , e parve che alcuni dei padri ii favorissero opponendo il Figliuolo all' Eterno in quanto consideravano i( il Figliuolo per rapporto a questa primogenitura tra le creature; di cui parl s. Paolo, Coloss. e. I, v. i5. Ma per questo noo gli negavano ci che gi a vea in quanto Figliuolo unico e consostanziale al Padre m ( Spi^ rito di Leibnizio, t. , p. 49 ) (1) Si osservi, che questa dottrina suppone che ogni oggetto, oltre Tat- tivit onde a noi si rivela, abbia altres qualche altra attivit a noi oc- culta , culla quale possa nvelarsi ad altre intelligenze da noi diverse. Ci pirr non che una mera sup/fosizionc che noi abbiam fatto : n possedia^ nio una dimostrazione che la cosa sia cosi: per non vogliamo che ella si prenda per una ferma nostra sentenza | pr^a per tin mero postulalo 4^ AQi 5tro ragionamento. Gii jC Idee ili Dio risponit(> pienamente a tutta l'entit degli tTti sussistenti, perocch sono determinate dall'atto cheli creai pel quale sussistono. Le idee delle create intelligenze non rispondono a tutta Pen- tita degli enti sussistenti, ma solo ad una parte, e perci meglio s direbbero specie ^ che idee (i): ne verrebbe altres la conse- guenza , secondo questa maniera di favellare , che noi avremmo una lea sola ^ e molte specie. Le idee dell'uomo non manifestano degli enti sussistenti chd quella attivit colla quale agiscono in lui essere essenzial- mente senziente, e trattandosi de' corpi, quell'attivit che gli manifestano in cagionandogli le sensazini animali. Di qili molto acconcc si dimostrano le parole del Vico , il (Jual disse : Il vero divino come un' immagine solida delle a cose , ed un'effigie in rilievo ; il vero umano egli come uri monogi'amma od immagine piaia, a guisa d'una pittiu'a: e in quella guisa che Dio, mentre conosce il vero, ne coor- u dina gli elementi e lo genera^ cosi l'uomo, conoscendo il a vero, lo compone eziandio e lo forma (2). Ma se il pensiero di Vico ha un gran fondo di verit, indi-* cando che il modo del conoscere umano ha una cotale analo^^ gi col divin, in quanto che, cme Iddio conosce le cose raf- frontandole al suo Verbo e in lui veggendole, cosi 1' uomo pure le conosce raflVontando il sentimento da lor prodotto aV idea deW essere; tuttavia molto meglio e pi distintamente del Vico fu distinta da' Platnici la parte formale del sapere j quest'essere ideale a cui si raiironta il sentimento, che quella che pi facilmente si sottrae all' osservazione ^ come ho di sopra toccato. Plotino, a ragion d'esempio, d'una parte vede chiaramente che il senso non percepisce tutta l' attivit e l' entit dell' ente (1) A me piaceret3be assai di riserba re il nome d*idee a quelle di Dio f chiamando specie quelle delle inlelligeuze creale, che uon adegua uo l'eritil degli enti che fuiiao conoscere. San Tommaso dice qualche cosa di situile j nefando a Dio la molliplicit delie specie e non quella delie idee. 3. \ $ XV. II. (>) Dell* anlichissima sapienza ecc., e. I. cu corporeo: Quello che si conosce col senso, dice, la specie della cosa, e la cosa stessa non compresa dal senso " (i). Dair altra, egli consider la cosa stessa, V ente ^ e questo il disse compreso dalla mente. Cosi distinse la parte for- male , per s e Immutabilmente intesa , dalla parte materiale del sapere, dipendente tutta dalla condizione della natura no- stra e de' nostri sentimenti. Gli entipensati ( r vf^Ta ) secondo lui non sono le immagini delle cose , ma le cose stesse (i). Da questo egli conchlude , che u la percezione delle cose po- u ste fuori della mente non cognizione n (3), e che nel senso (cio nelle rappresentazioni sensibili, ei(foXov rov ^pdyfia' toc) non v' la verit delle cose, ma solo V opinione (4). Distinsero adunque questi antichi accuratamente la intuiziom deW ente ^ dall'atto onde V ente si determina e si restringe. L'uomo adopaf kupo tl^ca Ennead. V, Lib. V. (a) Ac/Tor rei 'WfdyfJiarfZy xai oux %i\et juoVeir. Enn, W , Lib. V. (5) O w5j r votna ytmaxuv euK Irifa iwra ytvtiaxii* Enn, V, Lib. V. (4) Aio? TCirTO V rarig dto'^fivia'tv dux iarip dX^l^tisf, aXXoc o^at. Etut. V, Lib. V. 645 (piali affermano, che tutto ci che si conosce, non secondo u la virt della cosa conosciuta, ma pi tosto secondo la fa colta del conoscente si comprende w (i). CAPITOLO LIV. SI CONFERMA LA TEORIA DELX,^ ENTE QUAL LUME DELLA RAGIONE COLl' autorit' di S, TOMMASO d' AQUINO. A tutte le quali dottrine sin qui per noi ragionate vorrebbe il C. M. levare l'autont di S.Tommaso d'Aquino, concedendo per loro senza controversia quella di s. Bonaventura, il quale ingegno non punto dispari, quanto io ne veggo, a quello dello stesso Aquinate. Ma ci rbe non parmi al tutlo equo in questa affermazione del C. M. si , cbe avendo io allegato in pi di cento luoghi del N. Saggio FAquinate, e quasi per tutto usato diligenza di mettere a confronto i passi paralcUi di quel grand' uomo, in- terpretando lui con lui stesso; il mio avversario reputi tuttavia bastevole a levare alla mia dottrina un suffragio ,s autorevole il produrre solamente alcune sue poche congbietture generali sull'intelligenza di alcuni luoghi dell' Aquinate, e nuli' altro. Quanto a me, anche dopo le conghietture del C. M. , non , parmi di esser pi vicino a s. Bonaventura che a s. Tommaso^ e se il volessi provare, crederei di farlo a pienissimo col solo ripetere quello che nel N, Saggio e gi detto, e che n fu confutato , n tampoco dal M. esaminato. E tuttavia io non vo' lasciare di aggiungere qui un nuovo cenno sulla mente di 5. Tommaso, e sul modo critico d'intenderlo, sopra quello che nel N, Saggio si contiene, dove ognuno che abbia voglia di leggere potr trovare di vantaggio su questa controversia. Al qual fine udiamo prima le congbietture del Mamiani. I. u Dichiarasi da s. Tommaso, in pi luoghi, che i generali u tutti sono per induzione, e in ispecie, nella terza della seconda Il . I (i) Boezio 4 De Consolationc Phil,, Llb. V, pKosa IV. ()46 u parte (i) della sua Somma, alla quistione ^g^ scrive che il M senso detto produrre V universale in quanto che l' anima a r universal cognizione riceve per via induttiva e dalla consi'- derazione di tutti i singolari n. Che anzi nella quistione 9 5 della terza della seconda par- te (2)5 ci fa espressamente sapere che F intelletto perviene a conoscere la nuda quiddit delle cose^ sceverando quella da sia il mezzo, la specie onde s'intende (il quo intclligitur)',, e il fargli dir que- sto, un trattare assai male il grand' uomo. Perocch sai^ebbe (1) (Ratio) abstraliit in corpotihus quae fundantur a cor/foribas non actione sed cnnsideralione. Cosi sapieuteinente s. Boua ventura, ud Centiloq. P. HI, Sccl. xxiii. (2) Ilo gi notato altre due volte, che r|U(!Sta terza parte non esiste. (3) la un altro luogo dice il Mainiani slesso : r E aucora pot voler dire M che TintelleKo ha per proprio ufficio il pensare V universale , e questo * il senso dell* altro passo ove le^yesi l* inUUctlo lui t optsnione ua circa u l'ente universale ( P. II, e. XI, vi ) Io rimetto al C. M. il conciliare questi due suoi passi. (4) Questa distinzione frequente in s. Tonnnaso. Ved S, I, XV, 11. (5) Spccics QUA inlelligitui* est forma facicns intellcctum in actu IS, 1, XV, 11). G49 pure la strana sentenza, quella che dicesse che V ente e il vero come sia nelle cose rautcriali fosse la specie del mio intelletto. San Tommaso adunque distingue accuratamente la cognizione materiata y dalla cognizione formale, Neil' ordine della cogni- zione materiata la prima cosa che si conosce P ente e il vero considerato nelle cose materiali, e non in separato da esse. E non questa la nostra dottrina appunto? non diciamo noi, che la prima funzione della l'agione la percezione delle, cose corporee? e che cosa questa nostra percezione, se non reiitc e il vero considerato nelle cose materiali? non certo costi- tuita dalle sole cose materiali la nostra percezione , nel cjnal caso saremmo sensisti, ma bens da tutti e due gli elemcnli, I.** l'ente e il vero (forjnale) 9,." consideralo nelle cose mate- riali ( materiale della cognizione ). iNoi dunque; quando ci glo- riamo di esser discepoli dell' Aquinate, crediamo di tenerci ben lontani daHa tenuit de'sensisti. Ma resta a vedere, che cosa sia pc;r s. Tommaso V altro prin- cipio quo cognoscitiir j la specie che informa F intelletto nostro e il fa veggente. Basta considerare, che principio di s. Tom- maso fermissimo, che l'intelletto s'estende a tutte le cose perch il suo oggetto l'ente e il vero comune (i)? ^ ^^^ V ente e il vero particolai^e. Di poi egli mette quest' altro prin- cipio , che u acciocch una potenza si compia perfettamente me- diante la sua forma , conviene che la forma sua sia cotale , u che sotto di s comprenda tutto ci a cui la potenza si esten- u de (2). Or si ritenga la definizione, che la forma intellettiva a ci onde l'intelletto intende , quo intelligit (3)^ la con- clusione sar facile, e sar questa: la forma adeguata delFin- tellctto non potr essere n l'essenza dell' angelo, n l'essenza (1) Objecium intellectus est ens, vel verum commune (S. I,LV.. i)- Seruus autem non cognoscU esse nisi sub hic et nunc, sed intellectus apprehendii esse absolute et secundum omne tempus (S. 1, LXX^ yi). (1) Oportet autem ad hoc quod potentia perfecte conipleatur performum , guod omnia coniineaniur sub forma j ad quae potentia se ertendit{S. I,LV,i). (3) Illud (pto intellectui inicUigit, comparatur ad intellectum ntclli^eH- tem , ut forma ejus , quia forma est quo agcns agii {S, l, LV, 1 ). RosMUii, // Rinnovamento. 82 65o d' altra qualsivoglia creatura , perch queste essenze sono parti' colori (i). Che riman dunque? che ella sia Tessere al tutto universale. Secondo adunque questa dottrina luminosa di s. Tommaso, r ente che primo conosciamo come oggetto^ V ente che cade sotto il senso e Y immaginazione , e propriamente la sua quid- dit o essenza (2)^ ma Tente col ^uoZe prima conosciamo si come specie^ Tente comunissimo. Egli vero che noi riflettiamo poscia sulle specie nostre, onde le conosciamo solamente dopo di aver conosciuti gli oggetti sussistenti ^ ma questo non toglie che la specie si trovi veramente in noi ^ perocch essendo ella il mezzo di conoscere, dee essere antecedente all^ atto steszj onde si conosce , e all^ oggetto materiato che con essa si con^ sce: la specie adunque, Pente ideale, la prima cosa che cade nel nostro intelletto, anteriore alFatto stesso del conoscere o^ altra cosa, ma tuttavia P ultima a cui rivolgiamo la nostra attenzione. (3) Ma il G. M. continua a inteipretare s. Tommaso al suo uopo, (1) Ipsa autem essentia angeli non comprehendit in se omnia, cum sii es* sentia determinala ad genus et ad speciem, Ei ideo solus Deus coffUh scit omnia per suam essentiam (S, 1, LV^ 1 ). (2) Intelectus enim humani propriwn objectum est quiddUas rei mate' rialis, qune sub sensu et imaginatione cadit ( .9. I, LXXXV, v). Io orrd che il G. M. considerasse quella parola proprium ohjectum , che relatita all'altra ohjectum commune. Dice dunque s. Tommaso che r tratlaodosi deirintellclto umano il proprio e specifico oggetto , la quiddit dell'ente materiale. Ma qual sar poi l' oggetto comune a tutti g' intelletti , a cui serve di specie universalissima se non Vente e il vero comune come dice l'angelico Dottore in tanti luoghi? E se l'ente e il vero comune l'uni- versale oggetto di tutti gl'intelletti : dunque anche dell'umano : e il proprio "non che la differenza del comune, e vien dopo ci che comune, come per \ui' aggiunta. (3) Quia intelectus supra se ipsum reflectUur: secundum eandem rejlexio- nem intelUgit et suum intelligere , et speciem qua intelligit. Et sic speet intellecta, secundario est id quod intelligitur. Se did quod intelligiiur primo, est res, cujus species inuUigibilis est similitudo {S. 1, LXXXV, n). Questo passo degno di attenzione, perocch dimostra, si come gli antichi ave vano osservato che giacciono in noi delle specie, di cui ooi facciamo oso prima ancora che sopra di esse noi abbiamo riflettuto. 65i dicendo : a Dove poi nomina V ente il primo notissimo alF in- telletto y si raccoglie dall' intera lezione eh' ei parla ivi in ordine dottrinale n. Cos il Mamiami. Ma non cosi s. Tommaso stesso , non cosi quelli che hanno posto un lungo studio nelle sue opere. Scegliamo un solo di questi^ il quale raccolse le dottrine filosofiche dell' Aquinate, e le ordin in un compendio di filosofia, voglio dire Antonio Goudin. Ecco che cosa egli dica all' uopo nostro circa l' ente come primo notOj secondo la mente di s. Tommaso: E qui tuttavia si dee diligentemente osservare , che noi P. n,c. XI, Tt. (a) V. iV. Saggio ecc. Set. V, e. IV, J 3. , (S) iLLVMllfJifTVB quidem ( phantasmaia )i quia phantasmata ex \ntiute UaellecUis ageniis redduntur hahiia , ut aft eis intentioncs inielUgi- 'i/ts ab^trahantur (S. I, LXXXV, 1 , ad 4 ). 653 fantasmi per s non si pu astrarre cosa alcuna , ma uopo , secondo s. Tommaso, che prima diventino esseri intellettuali y fa bisogno che ricevano il lume dell' intelletto agente. i)ra se a' fantasmi si dee prima di tutto aggiungere il lume deir intelletto agente, e se si pu solamente di poi esercitare sopra essi r astrazione , non egli vero , che , secondo s. Tommaso , dee precedere la sintesi ^T analisi 1 non questa illuminazione di s. Tommaso la nostra percezione intellettiva de' singolari ? i fantasmi non sono la modificazione individiude ? e il lume dell- intelletto agente, che vi s' aggiunge, non V ente di cui i fantasmi sono puri segni od effetti ? La dottrina di s. Tom- maso conviene dunque colla mia a capello, o a dir meglio, la mia con quella del santo Dottore. Ma muove il C. M. una novella istanza, facendo osservare, che s. Tommaso riduce tutto al principio di contraddizione ^ e non ?X)l intuizione deWente^ come fo io. tt S'egli avesse creduto, dice, a qualche principio innato, a avrebbe posto nelF animo qualche sintesi primitiva , la cui a evidenza non dimorasse nel principio logico della ripugnanza, tf il qual principio nondimeno presentato da s. Tommaso 9 u come il vero e il solo fondamento d' ogni certezza . u N manco avrebbe risoluto le proposizioni tutte assioma- u tiche in proposizioni identiche , o come suol dirsi oggid, in u giudicii analitici (i). Quanto a quest'ultima proposizione^ egli strano a vederla accampata contro di me. Crede forse il M . di disputare con- tro di Kant? E pure il M. sa troppo bene, che io ho rifiutai i giiidiz) sintetici a priori di Kant. Ella non merita adunque eh' io le faccia risposta. Quanto poi al principio di contraddizione, noi faccio io, come P.Tommaso appunto, il fondamento della certezza? non dimostro io, che il principio di contraddizione non altro che l'idea del- l' ente applicata (2) ? Non fa dunque bisogno nel mio sistema, che l' evidenza dimori altrove che In questo principio, perocch (1) P. II, e. XI, vi. (a) V. Nuovo Saggio ecc. Set. V, cap. V, art. i. 654 questo principio il medesimo che V idea dell' ente. Ma to fate precedere Fidea dell'ente al principio di contraddizione. S j questo vero ^ come la misura dee pi'eesistere all' uso che se ne fa^ come gli scolastici appunto mettevano innanzi V ope- razione del percepire^ a quella del comporre e del dividere (i)*, come s. Tommaso stesso fa precedere l'intuizione dell' cute, al principio che dice 1' ente non ammette iu s stesso V af- fermazione e la nefi;azione ad un tempo , clic e il principio di contraddizione. Volete aver sott'ochio le stesse parole del mae- stro d'Acquino? Eccovele lampanti: In quelle cose che ca- dono nell' apprensione degli uomini , si trova un ordine. Imperocch ci che in primo luogo cade nell'apprensione, Pente, l'intellezione del quale s'acchiude in tutte le cose, checch per altri s' apprenda (a). E per il primo principio tt indimostrabile , che l'affermare e il negare non istanno m- u sieme (3): il qual principio si fonda sopra la kagione del- u l'ente e del non ente: e sopra di questo principio si fott- io dano tutti gli altri (4) (i) In una nota ai Principj della Scienza Morale , e. I art. in, ho dimo- strato^ coll'autoril di Alessandro di Ales, come Tidea dell'ente fu riconosciiila precedere il principio di contraddizione dagli scolastici stessi, appunto per- ch T operazione deW* apprendere ( simplicium intelligentia ) riconosce?ano que' savj dover di necessit precedere V altra operazione del comporre e dello scomporre. Questo stesso ordine assegnato alle operazioni intelletti?e prova assai chiaro come la sintesi intellettiva presso gli scolastici si iacea preceder sempre all' anaisi. (2) Qui non si parla dell'ordine dottrinale^ come vuole il Mnmiani; egli evidente ; ma di ogni apprensione o degli indotti , o de' dotti. (3) Con questa formola s'annunziava il princpio di ripugnanza. (4) In his autem, quae in apprehtnsione hominum cadunt, quidam ardo invenUur, Nam illud quod primo cadit in apprehensione est ens , cujus in- tellectus includitur in omnibus , quaecumque quis apprehendit. Et ideo pri* nmm principium indemonstrabile est, quod non est simul affirmare et ne gare ni quod PUNDJTUR super RATiONBM ENT/S ET NON ENTIS : tt super hoc principio omnia alia fundantur (S, L II, XCIV, 11). Ratio entit viene a dire in italiano il concetto o l'idea dell'ente; o sia , che^ il mt^de- Simo, non l'ente particolare , ma l'ente in universale. Erra duuque il C. M. quando asserisce , che per l'essere e il vero si dee intendere eh' egli vo- w lesse significare sol questo^ doversi dalla mente chepeaM,ricevere sempre- ui>a qualche realit m: giacch aache il senso riceve una qualche realit; 655 Queste parole sono chiare, a me pare. In esse il principio di contraddizione si deriva dMCidea delT ente. E per vero, sa- rebbe pur cosa strana , che si sapesse u V ente non poter essei*e e non essere nel medesimo tempo , senza aver prima saputo cbe cosa sia l' ente ^ quando quella proposizione non altro che un' espressione che indica la propriet , la natura dell' ente stesso. E come si saprebbe, che tale la natura dell' ente , che escluda la contraddizione, se non intuendo V ente stesso? IV. E vide per il C. Mamiani, che il lume dell'in telletto agente, nomiuato tante volte da s. Tommaso , e da lui posto innato nel!'' uomo, romperebbe al tutto il suo sistema, e fiancheggerebbe il mio^ onde egli pensa di spacciarsene con questa interpreta- zione : u II lume innato di nostra mente a noi sembra volere indi- ca care non altro che la potenza conoscitiva n (i). Bisposta. Perch non citare i luoghi di s. Tommaso, che favorissero questa interpretazione? perch non porli a confronto? Non ab- biam fatto cos noi nel JVuok) Saggio? perch contentarsi di dire, che u fa bisogno notare il collegamento di quelle idee e con le altre aflSni^ e interpretare s. Tommaso con li suoi testi medesimi >9 ('^)^ ^ non farne nulla di tutto ci? Il nobile in- gegno del C. M. meriterebbe, che non si ponesse per tal foggia a imitare quelli che si chiamano sperimentali, i quali molto stanno in sul parlare di metodo, ma veramente pochissimo, ne' ragionamenti che risguardano la scienza dell'anima, ne man- tengono i precetti. ma r jit filetto , secondo s. Tommaso, non riceve solo Tenie reale, roa RATJONEBi ENTfs, che viene a dire, Tcnte idralt;, possibile , universale. Se duijque su questa idea delFente si fonda il principio di contraddizioDe , e sopra questo tutti gli altri principi , chi non vede, che il punto unico e fer- missimo sul quale, quasi sopra cardine, insiste e si volge il sapere umano ^ V unica idea dell' ente ? (i) P. II, XI, VI. (a) Ivi. 656 Faremo adunque noi, con sua buona licenza, rpiello che nou ha fatto egli, contentandosi di prescriverlo: il faremo per la seconda volta ^ e ai testi citati nel Nuo\fO Saggio y i quali so- prabbasterebbero a chiarire la mente delF Aquinate, ci conti- nueremo aggiungendone degli altri ancora, che ribadiscano ben bene il chiodo. Ecco adunque quello che dice s. Tommaso del lume del- r intelletto agente. Il lume intellettuale che si trova in al- a cuno per modo di forma permanente e perfetta, perfeziona Tintelletto. principalmente a conoscere il principio di quelle tf cose che per quel lume si fanno manifeste: a quella guisa u che mediante il lume deW intelletto agente, V intelletto pre- tf cipuamcnte conosce i primi principj di tutte quelle cose che naturalmente si conoscono ( i ) In questo passo s. Tommaso senza alcuna equivocazione o dubbiezza distingue V intelletto^ o sia la potenza, dal lume ^ che la (! intellectus cognoscii prima principia omnium illorum quae naturaliUr cognoscunlur {S.IL U, CLXXI^ ii) 657 ticolari, ma si conosce bens In esso e per esso il principio di tutto ci ^prncipium iUorum quae per illud lumen manifestantarj. Dunque, secondo s. Tommaso, pel lume delPintelletto agente si conosce pur qualche cosa, sebbene nulla di compiuto. E questo quello che diciamo noi, conoscersi per la forma delPintel- letto non gi le cose od i principi compiutamente, ma solo ini- ziarsi la cognizione loro in essa forma intellettiva, cio nelFap- prensione delP essere. Ma poich il G. IVI . ci inculca, doversi attendere alla coerenza de^varj passi; noi vogliamo raffrontare al passo di s. Tom- maso ultimamente citato, degli altri del medesimo autore, stando a vedere che conseguenze ce ne derivano. Intanto da ritenere, che il lunie delP intelletto agente, come si fa chiaro dal passo citato, aderisce alP intelletto come sua forma, per modurn formae pennanentis. Ora che cosa \sl /orma dell'intelletto, secondo s. Tom- maso ? Ella quel principio col quale V intelletto intende , quo inteUgit. Quindi con tutta coerenza in un altro luogo dimostra il santo Dottore, che all'anima dee essere inerente, come sua forma, un principio col quale ella intenda (i)*, ci che consuona a pieno con quello che disse del lume dell' intelletto agente. Veggiamo adunque che cosa sia questo principio, questa forma deirintclletto, colla quale esso intende. In un luogo ci dice chiaro, che la specie intelligibile ap- punto quel principio che informa l'intelletto, e col quale egli intende : species itelligibilis se habet ad inteUectum^ ut quo intel ligit intellectus. Che cosa rimane a conchiudersi dal confronto di questi passi con quel di sopra? Che il lurie dell'intelletto agente, es- sendo il principio oi)de l'intelletto conosce, una specie j ed es- sendo il principio onde l'intelletto intende tutte le cose, una (i) Nnlia autem actio convenit alicui rei, nsi per uUquod principium POR MALI TER EI INHMRENS. Ergo oportet virtutem , quae est principium hujus aciionis (illustrandi p/uuUusmata }, esse aliquid in anima. Et ideo Aristohles ( lib. 3 eie An. , text. 18) comparavU intelUcium agentem lumini , quod est ulquid receptuui in aere {S. 1, LXXIX^ iv). RosMiKi. // JUfuwi^atnetito. 83 1 Jinalmente ( San Tommaso risponde, che quc: u sione della prima verit h^ di che ( diamo tutto quello cliu iiiti:ndiamu, riti. E s'odano la sue parok-: da dirsi, die noi intcndianu cose KELLA LUCE DELLA PRIMA VERIT LUME dell'intelletto nostro, o sia n; altro se non una cutiil imi'fiessiom: Possono essere pi chiare queste ella i i senij)lice [i - Vh impressa in noi per natura, secondo s una mera potenza intellettiva, priva e tivo, quella che il santo Dottore aca Ma se in noi v' per natura Timprt (i) Per unum iaUUectam Jiiint ftiam alia (a) Anima intelUetiva est i/uii/eii adii imi, AD DBTBRUIKTJS SPECI EX RERV il (S.\, immateriale dell' aniiriH iiiulli'iiiv e il cnntra naso, dell'ewere deieniiiiialn .spei-ic ]irlici la raitera ii principio dell' iiMliviilu^iiune perceiione ia materia , era per cs^i ijuaiiio ; 659 qnal sar poi questa irrita prima^ s non quelP elemento che neir ordine del conoscere necessariamente il primo, e senza il quale non si comincia mai il conoscimento di nessuna verit? E questo primo noto , anzi questo primo notissimo ^ come lo dichiara s. Tommaso, Pente comunissimo, quello di cui anco dice, che cos cognito, che incognito non pu esse- re 99 ( 1 ) in alcun modo. Se dunque I.* U ente il primo noto, il necessariamente noto, sicch non pu essere ignoto " ^ a.** Se V ente s converte col v^ero ^ cio ente e vero sono la stessa cosa secundum rem^ e per Pente pruno noto anco il primo i^ero; 3. Se il lume dclP intelletto agente in noi innato^ 4. Se il lume delPintelletto agente V impressione in noi del primo vero^ 5.** Se nel primo uero noi veggiamo tutte le altre cose ; 6.** E se quanto conosciamo, lo conosciamo col lume del- Pintelletto, che l'impressione in noi di esso primo vero (2)^ Egli manifesto, che secondo la mente, o sia la coerenza de^ pensieri di s. Tommaso, ne risultano queste due fermissime con- seguenze : I .* L' ente in universale una idea innata nello spirito umano. 2.** NelPente, e per mezzo delPente intuito, come con prin- cipio quo cognoscitur^ conosce Puomo tutto ci che conosce. (i) (Ens communc) incognitum esse non potesL QQ. Disp. X, xii^ad io in contrarium. (a) Dopo aver detto s. Tommaso , che il lume dell' intelletto agente un'impressione in noi della prima verit, e che nella luce di questa noi veggiamo tutte le cose^ dice^ quasi conseguenza di tali premesse^ che il lume dell'intelletto il princpio quo COGNOSCIMUS e che per n pur egli la prima cosa cognita, non dando noi a lui attenzione, e giovandoci di lui solo come di stromento a conoscere l'altre cose. Per la prima cosa cognita, il priucipio QUOD, molto meno pu esser Dio, da cui il lume dell'intelletto ' discende ; Unde cum ipsum lumen intelectus nostri non se habeai ad intel* lectum nostrum sicut QVOD intelligitur^ sed sicut QUO intligitur , multo minus Deus est id quod primo a nostro intellectu intelligitur ( S. I, LXXXVIII^ 111^ ad I ). s. ^ 66o ; E tuttava dice s. Tommaso, che noi non riflettiamo su questo ente se non tardi, e lo caviamo per astrazione dalle cose (da noi concepite):; perocch solamente mediante la riflessione ci ac- corgiamo del principio QUO ^ quando il primo e P immediato oggetto della nostra riflessione il principio qvoD , il qual principio per gP intelletti tutti in generale ancor Pente, e per Puomo particolarmente la quiddit della cosa materiale (i). Che cosa adunque risponderemo a quelli che contro all'in- tuizione delPente, da noi posta a principio della filosofia, ci fanno questa obbiezione : u come Panima vedr Pente prima d' avere ancora ricevute le sensazioni delle cose esterne? e tuttavia si professano seguaci della dottrina di s. Tommaso? Risponderemo queste parole delP angelico Dottore : Questo lume non obbligato al corpo, sicch Poperazione u che gli propria si compia mediante qualche organo cor- u porco : e in questo ella si trova superiore ad ogni material tf forma, che non fa operazione se non tale, a cui la materia comunichi (i), E crediamo con ci averli a pieno soddisfatti. V. Ma seguita il C. M. la sua interpretazione di s. Tommaso, dicendo , che da lui innati furono detti I primi principii sic- (i) Alcuno mi dir, che io oon mi contento di far dell'ente il principium gitolo sa la specie prima e universale dell'intelletto, ma che Io chiamo anche o^^etto dell* intelletto. Lo confesso pienamente. Per me il primo e immediato oggetto dell'intelletto anco la prima ed universale specie di lui. Per altro a me piace di fare osservare, che anche s. Tommaso, il quale dice sempre che la specie il principium quo , in alcuni luoghi la chiama per oggetto proprio dell'intelletto, come l dove dice, perfectio nteVectus pnssibilis est per reccptinrtem ohjecti sui, quod est species inteligihilis in actu (In Uh. Il Seni. Dist. XX, quaest. ii, ad a). Io dico, che l'ente in universale vero og- getto dell'intelletto fino dal primo momento che a lui ferisce, quantunque niuna riflessione faccia su lui la mente, se uon assai tardi; ed per ci, che assai tardi di lui distintamente ci accorgiamo. (a) Hoc lumen ( inleUectus agentis ) non est corpori obigutum , ut ejus operatio per organum corporeum impealur: in quo invenitur superior omni materialt forma , quae non operatur nisi operationem, cui communicat ma teria, QQ. Disp. Q. XIX, art. i. 66f f come qaelli che si rincontrano anteriori sempre a qualunque e nostra cogitazione (i). Jiisposta, Le parole del C M. ci danno pi che noi non -vogliamo. Se i primi principj si riscontrano anteriori sempre a qualun (2}. E ancora: u ll^anima intellettiva non bisognevole il corpo u per la stessa operazione intellettiva considerata in se stessa a ma per la facolt sensitiva, che addimanda un organo equa- u mente complessionato (3). Anzi di pi: non si potrebbe dare, secondo s. Tommaso, operazione alcuna intellettiva, se V intelligenza dovesse essere impacciata colla materia. ii:i- jht ) Universale secundum quod accipitur cum intentione universalitatis , est quidem quodammodo prtncipium cognoscendi , prout intentio universalitatis consequitur modum inteligendi, qui est per abstractionem (S, I, LXXXV, 111, ad 4)- I^ice che il conoscere si fa per abstractionem , cio , come abbiamo spiegato, consideraodo l'ente posto dall' intelletto, e prescindendo dalla inaieriaiit e particolarit de' fnntasiTii. (5) Hoc ipsum quod est intelligi vel abstrahi, vel intentio universaitaiis est in intellectu (S, I, LXXXY, 11, ad 2). (4) Qune quidem intentio nihil aiiud est quam species intelligi bilis. QQ. Pisp. Q. X, art. vili. (5> V. II, e. XI, vi. 6yi fra il C. M. e s. Toimnaso circa un punto speciale di somma rilevanza, circa quelj>uiito, voglio dire, che e lo scopo diretto del libro del RuinovatnerUo ^ le guarentigie della certezza del sapere umano. Noi abbiam veduto il C. M. ridurre tutta la verit acces- sibile air uomo a certi modi delP anima, e cosi rendei-e Fu- mana cognizione soggettiva : all' obbiezione poi , cbe la verit diviene per tal modo una mera produzione di un essere contin- gente, e per eh' essa rimane spogliata de' suoi caratteri di ne- cessit e di assoluta certezza , rispondere , che anche il siste- ma contrario scoi\trasi nella medesima difficolt ; perocch quan- d' anco la verit fosse un oggetto indipendente dall' uomo > dovrebbe tuttavia esser sempre dalle facolt umane ricevuta, e perci partecipare al difetto e alle contingenze di queste. Io replicai esser vero, che la verit, perch all'uomo si co- munichi, debba essere accolta dalle facolt umane ^ ma non esser altrettanto vero, che queste facolt, in accoglierla , s' abbian tanto di potere, da manometterla ed alteiarla^ essendo ella im- passibile di natura sua ed immutabile. Sicch nella natura etema , immutabile , divina della verit, io riposi tutta la gua- rentigia della umana certezza. Vogliam vedere come la pensi l'Aquinate, e se con me, o col M. Anch' egli intanto l'Aquinate sente tutta la forza della difficolt toccata ^jna vorr per questo mantenere, che la certa Yerit si possa trovai*e o nelle sensazioni, o nelle modificazioni del soggetto umano, come fa il Mamiaui? Anzi egli s" accorge da ci stesso, come da nuovo argomento, cbe la certa verit non pu avere sua stanza e sua origine in nulla affatto di sensibile, in nulla di contingente, in nulla di creato: il santo Dottore non trova altro asilo alla verit, aitila sede consistente e sicura, se non l'infinito essere: egli intende, che tutto altrove la si faccia consistere, ella svanita^ ninna veit ci resta pi ^Ue mani, ma un ingannevole simulacro di quella, un nomc^ un' nome che dice una menzogna. dunque col far divenire la cognizione eia verit, di cui l'uomo partecipa, non da' scusi, non dall'anima umana, non da alcun essere creato, ma da Dio stesso, che egli crede potersi solo guarentire all'tiomo il certo possesso di questo inestimabile tesoro, la yerU^ e tiene 673 che non ci abbia altro modo al mondo fuori di questo. Tale la maniera di pensare di s. Tommaso. Si vegga s^io dico vero: si vegga se dalla materia de^ sensi deduca V quinate la certezza^ o da pi alta orgine. u Tutta la certezza della scienza nasce dalla certezza dei u prncipi . Peroccb le conclusioni allora con certezza si fanno, quando si risolvono ne' principi . E per , che qualche cosa si tt sappia di certo , nasce dal lume della ragione immesso inter- u namente a noi divinamente, col quale IDDIO in noi parla t) ( i ). Non tutto adunque V uomo ha da' sensi ! qualche cosa nel sistema intellettivo di s. Tommaso ci discende dall' alto! Cotesto lume della ragione, dice ancora, col quale (^QcroJ u tali prncipi ci sono noti , immesso in noi da Dio , come u una cotal similitudine in noi risultante della increata verit 9 (a). Si noti che V increata inerita per s. Tommaso una sola, ed in Dio, ed Dio stesso, e quivi ella ha la sua eternit (3), e per essa sono vere tutte le cose (4). Di che, veggano que' sensisti pi moderati , che professano a s. Tommaso grande stima, come fa il Mamiani, che non per avv'entui*a da' sensi, che noi raccogliamo e partecipiamo la verit y secondo l'An- gelico, ma si da Dio^ perocch veggendola noi veramente eterna , e non essendo ella eterna che in Dio ^ convien dire che in Dio la veggiamo , e che da Dio ci venga questa luce, secondo la quale giudichiam de' fantasmi e delle cose tutte , siccome con suprema norma ed infallibile (5). Il perch (i) QQ. Disp. De Verii. Q. XI ^ art. 1^ ad i3. E ancora poco appresso (ad 17) dice cos: Cerlitudinem scientiae, ut dictum est, habet aliquisa. SOLO DEO, qui nohis lumen rationis indidU , per quod principia cogFtosci- mas, ex quibus oritur scientiae certitudo. (2) Hujusmodi autem rationis lumen, quo principia ejusmodi sunt nobis nota, est nobis a Deo inditum , quasi quaedam simititudo INCREATJS VERITTIS, in nobis resultantis. QQ. Disp. De Ferii, Q. XI, art. i. (3) Si nullus intelleclu& esset aeternus , nulla veritas esset aeterna. Sed quia solus intellectus diifinus est aeternus, in ipso solo veritas ueternitatem habet (S. l , XVI, yii). (4) Omnes (res) sunt i*erae una PRIMA ventate, cui unumquodque assi- milatur secundum suam entitaiem (S. 1, XVI, vi)' (5) S. Tommaso a?ea detto che tutte le cose sono vere per la prima \ircrit M che nella mente divioa. Ora non si creda ^ che il santo Dottore Rosmini, // Rimovatii^nto. 85 674 s. Tommaso non fluisce di dire ^ che u ogni dottrina nmaDa u non pu aver efficacia se non in virt di quel lume; e che K per Iddio solo quegli che internamente e principalmente insegna, si come la natura quella che operando internamente u nelPinfenno, lo sana n (i): e acciocch ci non si possa fraintendere, n storcere con arbitrarie interpretazioni, il Santo si diffonde a mostrare, che Toperazione, onde Iddio imprime in noi il lume deirincreata verit, immediata, n pu avervi cosa alcuna di mezzo fra noi e Dio (2). Ma se non basta, veggiamo pi partitamente di quali ar- gomenti s. Tommaso si giovi a mostrare, che la verit da noi intuita colla mente nostra non ci possa venire da^ sensi, n dair anima nostra, n da un angelo, n da creatura veruna, ma solo immediatamente dalP intelletto divino (3)^ e si trove- ranno convenire n pi n meno con quelli sui quali noi ab- biamo in quest^ opera ragionato. togliesse air uomo la vista di questa veriti^; nel qual caso l'uomo non par- teciperebbe della verit, essendo questa una sola. Anzi egli fa, che ooi gudicbiaino delle cose appunto secondo questa verit prima : da dirsi, M cosi e^li', che l'anima non giudica delle cose tutte secondo qualunque sia verit, ma secondo la VB1ta' piuma: d quanto questa riflette Dell' aoiroa M siccome in uno specchio secondo i primi intelligibili m: Dicendum, quod tinima non secundum quamcumque veriiatem judicat de rebus omnibus , sed secundum veritatem primami inquantum resultai in ea, sicut in speculo, secundum prima inteUigibiUa (S, l, XVI, vi, ad i). E in altri luoghi, dal- l'essere in Dio la sede della verit argomenta > che ogni apprensione del- l' intelleUo ia da Dio: Si ergo in Deo sit veritas, ergo omne verum erit ab ipso, Omnisautem apprehensio intellectus a Deo est (S. I, XVI, T, ad 3). S consideri qui bene qual sia il preteso sensismo di s. Tommaso ! (i) Hujusmodi autem raiionis lumen, QUO principia hujusmodi sunt Wh bis nota, est nobis a Deo inditum^ quasi quaedam similitudo increatae veri' tatis in nobis resultantis. Unde cum omnis doctrina humana e/pcaciam ha bere non possit nisi ex viriate illius luminis , constai quod solus Deus est qui interius, et principaliter docet, sicu natura interius eitam principaiiter sanai. QQ Disp. De Ferii. Q. XI, ari. i. (a) Unde dcimus , quod lumen intellectus agentis est nobis IMME- DIATB impressum a Deo, et secundum quod discemimus verum a falso, et bonum a malo, Q. De spiritualib. creaturis^ art. x. (3) Egli insegna costantemente , che l' intelletto divino causa dell' o- mano: Suum intelligere, dice di Dio, est mensura et causa omnis aUerias esse^ et omnis aUerius intellectus {S. l, XVI, r, e LXXiX, iv). 675 I .* Uno Ae^ prinripali s. Tommaso il trae dxWunifersalit del- Tente intuito dal nostro inti^Uctto: dalla quale universalit del- Fentc appunto che nasce alla volont il desiderio universale , infinito . che Puomo sperimenta. Niuna delle cose create , cos argomenta s. Tommaso, l'ente universale: dunque Dio solo pu dare alFintelletto e alla volont umana il loro proprio og- getto. Ecco le sue preziose parole : L'oggetto della volont A bene unwerscde, come l'og- a getto deir intelletto l' ente unii^ersale. Ma ogni ben creato non pi che un particola r bene, e solo Dio il bene uni- versale. Laonde egli solo adempie la volont^ e suflBciente- u mente la muove come oggetto (i). E convien badare , che s. Tommaso intende di spiegare collo stesso argomento un fatto, che Tinclinazione al bene in uni- versale, che ha la volont, in conseguenza della notizia dei- Pente in universale che ha l'intelletto 5 anzi in questo fatto pone s. Tommaso consistere la propria natura della volont^ di che conchiude, che Dio solo pu essere l'autore della volont, come quegli che solo pu cagionare questa inclinazione al bene in universale (2), la qnal quella che produce poi tutte l'altre volizioni (3) , come dall'intuizione dell' ente in universale pro- cedono tutti gli altri atti conoscitivi. (1) JE'.*^ enim ejtis (voluntatis) ohjectnm honum universale, sicut et inteU lectus ohjectum est ENS UNIVERSALE Qnodibet. aufem hnnnm crentum ext quoddam pariicuore honum , solus auiem Deus est bonum universale. Unde ipse sous nplet voluntatem^ et sufficienter eam movet ut objecium (^. I, CV, iv). (3) Vluntas habet ordinem ad universale bonum: unde nihilaUud potest esse voluntatis causa, nisi ipse Deus, qui est universale bonum (S. I. II, IX, vi) (3) M Iddio muove la volont dell'uomo siccome universa! motore all'u- niversale oggetto della volont, che il bene, e senza questa unversal mozione l'uomo non pu volere cosa alcuna m (S. I. II, IK., ri , ad 3). V'ha dunque nella volont una inclinazione al bene in universale, antece- dente a tutti i movimenti particolari della voloqt, che sono effetti e appli. cazoni di quella inclin;)zionp. Ora V uriiversal bene non altro, secondo s. Tommaso > che V universal ente. Essendo dunque certo > che vluntas non fertur in incognitum. Iddio non potrebbe creare in noi quella inclinazione essenziale della volont , se non mostrando all' intelletto V ent^ in uni' versale j colia intuizione del quale riceve la sua forma ugualmente l'iatel^ GyG a.** Un altro principio, onde parte s. Tommaso a conrUin- dcrey che il fonte della cognizione umana e di sua certa verit non pu esser n il senso, ne l'anima nostra, ma solo Dio, si Funita' perfetta di essa cognizione in tutti gli uomini. E que- sto uno di que' solenni principj , che gi ])rima avea usato s. Agostino, come toccammo, a provare il medesimo, e che sono di una forza ineluttabile. Se entrambi noi veggiamo, avea detto il gran ve^scovo afrl- cano, esser vero ci che tu dici, ed entrambi veggiamo esser a vero ci che io dico, e dove, di grazia, lo veggiam noi? Ne u io certo in te, n tu in me^ ma s l'uno e Taltro nella stessa incommu ubile verit, che sta di sopra alle nostre menti (i). Questo luogo stesso recato da s. Tommaso, il qual ]>oi soggiunge: La verit incommutabile si contiene nelle ragioni eterne. Dunque l'anima intellettiva conosce tutti i veri nelle ragioni u eteme (2). E in quanti altri luoghi l'Angelico non fa uso di questo bellissimo argomento dell'identit della verit veduta da tutti gli uomini, a dimostrare la necessit di un intelletto unico e primo, ohe come sole irraggi ugualmente gli uomini tutti? Ne addurr ancor uno di cotai luoghi. u E conoscere i primi intelligibili azione conseguente all' u- letto e la volootli. Or come dopo aver l'intelletto l'intuizione dell'ente in universale, gli rimane ancora di ricevere le determinazioni degli enti putrii- colar da' scusi ; cosi medesimamente rimane alla volont da determinare e applicare quella sua tendenza verso il bene in universale , ai beni partico- lari: e questa V opera che appartiene allo sviluppamento dell'uomo, se- condo 9. Tommaso: * Senza questa universal mozione, cosi egli, V uomo M non pu voler cos' alcuna. Ma egli determina s stesso mediante la ra- M gione, a voler questo o quello, ci che bene veramente ^ o ci che bene d'apparenza m ( 9. I. II , IX , vi, ad 3 ). (f ) Si ambo videmus verum esse quod dicis , et ambo videmus verum esse quod dico; ubi quaeso id vdemus? Nec ego utique in te , nec tu in me: sed ambo in ipsa quae supra menies nostras est incommutabili veriiate. Con- fess. Xll, XXV. (a) Veritas autem incommutabilis in aetemis rationibus continetur. JEnp imima inteliectiva omnia vera cognoscit in RATIONIBUS MTERNIS {S. I, LXXXIV, V). ^77 e mana specie. Laonde uopo che tutti gli uomini comuni- eliiio in rpiclla vlvtii, clic princpio di quest'azione. E questa u la virt dcirintelletto agente. N fa bisogno per che questa u virt sia in tutti la stessa di numero, ma si che da un solo principio in tutti si derivi. E per quella comunicazione degli u uomini ne'^rimi intelligibili dimostra Tunit dell' intelletto u separato, che Platone paragona al sole, e non l'unit dcl- tf rintcllotto agente, che Aristotele paragona al lume (i). Da qual luogo, come da molti altri, si pu conoscere quanto sia erronea la credenza di cpielli , che hanno s. Tommaso per un seguace servile di Aristotele, a quel modo che molti inten- dono (piesto filosofo. Il vero s , che l'Aquinate, sebbene non potesse usare che la lingua di Aristotele, perch la sola cor- rente nette Scuole, tuttavia venne facendo un giudizioso e savio impastamento di Aristotele e di Platone. S'avvide egli, che l'in- telletto agente non si potea negare, e che non potea esser uno di numero in tutti gli uomini; per lo ritenne distinto. Ma s^av\^ide altres, che questo intelletto avea bisogno di un lume^ il quale non potea derivare che da un principio unico e identico, perocch in quello tutti gli uomini vedevano i veri identicamente uguali; e per ritenne anco l' intelletto separato di Platone, ma collocandolo in Dio, s come avea gi fatto s. Agostino (a). 3. Un terzo principio, onde induce s. Tommaso la prove- nienza divina della cognizione umana, si quello che noi ab- biamo toccato di sopra, che da'fantasmi l'intelhitto si forma le specie intelligibili , che ne' fantasmi punto non si contengono. Dimanda egli, come avvenga, che da'fantasmi, i quali nulla pi esprimono o contengono che alcuni accidenti delle cose, noi tuttavia trapassiamo a concepire le cose stesse ; e onde sia, (i) S. I, LXXIX, Y, ad 3. (a) Merita ben di notarsi^ che questo intelletto separato^ autore unico del lume naturale e soprannaturale delle nienti, si ammette da s. Tommaso come cosa partenente alla fede cristiana, e non come semplice opinione flosoHca:. Iniellectus separatasi dice j secundum nostraefidei documenta, est ipse Deus, qui est creator animae , et in quo solo beatificatur . Und ab ipso anima humana lumen intellectuale participat , secundum illud: Signatum est super nos lumen vultus lui Domine (S, l, LXXIX ^ iv). ^79 u IMPRIME A LUI LE SPECIE INTELLIGIBILI : e V uxxa e V altra cosa mantiene, e conserva in essere f (i). Or dicendo il Santo, che vengono queste specie impresse da Dio neirintelletto creato, acciocch egli attualmente intenda, non viene egli al tutto esclusa ogni interpretazione che potesse minuire la forza di questo passo? Ma se le specie intelligibili sMmprimono da Dio, a che dun- que serve Pintelletto agente? a che i sensi? come si conciliano gli altri passi del santo Dottore? Riassumiamo brevemente tutto il sistema di s. Tommaso, e sar;( fatta la risposta a questa istanza. (Conviene distinguere quattro cose: i.** il lume dellUntelletto agente, 2. i primi principi, 3." le specie intelligibili, 4- i fanta- smi che provengono dalle sensazioni. Il lume deir intelletto agente impresso in noi per natura, immediatamente da Dio (2). I primi principi ^^^ sono altro che lo stesso lume dell^intel- letto considei*ato nella sua applicazione. Perci dal santo Dottore si dicono aneli Vssi innati, in quanto che non si formano per in- duzione da^casi pai:ticolai*i, come vogliono i sensisti dc^ nostri tempi, ma immediatamente appariscono fino nelle prime e pi elementari operazioni intellettive dell'^uomo, ed appariscono come evidenti e indimostrabili , appunto perch partecipano, o pi tosto sono il primo elidente ^ il lume delV intelletto di cui si fa per noi uso. Ma perocch noi pronunciamo questi primi principi in una forma scientifica solo assai tardi, per questo i moderni si danno a credere, che noi veniamo lentamente e faticosa- mente formandoceli^ senza osservar punto, che noi ne facciam (i) Cum pse sii primum ens , et omnia entia preexistanl in ipso sivut in prima causa, oporiei quod sini in eo intelligibililer secundum modum ejus. Sicut enim omnes rationes rerum inleUigiinles primo existunt in Dea , et ah eo derivantur in alios inUUectus , ut actu intelligant: sic eliam deri" vantar in creaturas, ut.subsistant. Sic imitar Deus mo\>et inteleclum creatum, inquanlum dal ei virtutem ad inteUigendum vel naturalcm , vel supenidd- iam, et inquantum IMPRIMLT El SPECIES INTELLlGIBlLES: ei uirumque tenet , et conservai in esse (S. I , CV , in). (2) Docere dicitar dupliciier, scilicet principaUter infundcndo lumen, et in* trumentaliter dirigendo : primum autcm SOLI DEO (convenit). 68 1 manifestare^ ma col pur formarsi in noi delle specie intel- ligibili , cio col primo pensiero di esseri sussistenti, tosto quelli hanno un oggetto ove mostrare la loro efficacia. Preesistono in noi, cos s. Tommaso, certi semi di scienza, cio le prime concezioni delPintelletto, le quali incontanente, col lume deir intelletto agente si conoscono per le specie a astratte da' sensibili >5 (i). Sta adunque tutto a vedere chi forma in noi queste specie. San Tommaso sostiene , che a foiinarle entrano tre prin- cipj, o con-cause: i.** un piincipio interiore, che l'anima lunana o sia l'intelletto agente, 2.** un principio esteriore, che Dio, 3.** e un altro principio esteriore, che sono le cose sensibili (2). Le cose sensibili concorrono alla scienza umana col porgere i fantasmi^ e secondo ci, egli vero, dice, che la mente e nostra riceve la scienza dalle cose sensibili n (3). u U anima stessa nondimeno quella che forma in s le u similitudini delle cose, in quanto pel lume dell'intelletto a agente si fanno le forme, astratte dalle cose sensibili, attnal- u mente idonee ad essere intese , sicch possano essere ricevute nell'intelletto possibile (4). (1) SimUiler etiam dicendum est de sdentine acquisitione , quod praeexi siunt in nobis quaedam scientiarum semina , scilicet primae conceptiones in teliectus , quae statini lamine intellectus agentis cognoscuntur per species a sensibilibus abstractas , siue sint compier, ut dignitates, siue incomplexa, sicut ratio entis , et unius, et hujusmodi, quaestatim intellectus apprehendit. Ex istis autem principiis universalibus omnia principia sequuntur , sicut ex quibusdam rationibus seminalibus* Quando ergo ex istis universalibus cO' gnitionibus mens educitur ut actu cognoscat particlaria ^ quae prius in po^ ientia, et quasi in universali cognoscebantur , tunc aliquis dicitur scientiam acquirere. QQ. Disp. De Verit. Q. XI, art. i. (2) Rationabilior videtur sententa Philosophi , qui ponit scientiam mentis nostrae partim ab intrinseco esse,partim ab extrinseco, non solum a rebus a materia separatis, sed etiam ab ipsis sensibilibus, Ibid. , Q. X , art. vi. (3) Et secundum hoc verum est quod scientiam a sensibilibus mens nostra accipit, QQ. Disp. De Verit, Q. X, art. vi. (4) Ifihilominus tamen ipsa anima in se similitudines rerum format in^ quantum per lumen intellectus agentis ejjtcinntur formae a sensibilibus ab' stractae intelligibiles actu , ut in intelleclu possibili recipi possint, QQ. Disp. D Verit. Q. X, art. ti. Rosmini, // Rinnovamento- B6 68s il Ma questo lume dell'intelletto agente nelP anima razionale tf procede siccome da prima sua origine dalle sostanze sepa- tf rate, principalmente da Dio > (i)- u E cosi, concbiude, nel lume dellMntelletto agente a noi a in certo modo originariamente inmiessa ogni scienza, me- M diante le concezioni universali, che incontanente col lume u deir intelletto agente si conoscono, per le quali, siccome per universali principi, giudichiamo dell'altre cose, e le M preconosciamo in esse n (a). Ecco tutto il sistema mirabilmente connesso , e consentaneo. Ma non siamo ancora pervenuti a quello che cercavamo, come s. Tommaso potesse dire che anco le specie intelligibili ci sono impresse da Dio. Conviene dunque che noi investighiamo pi distintamente la mente del santo Dottore intorno quell'operazione che fa l'a- nima, formandosi le specie intelligibili, all'occasione de' fan- tasmi. Egli dice, che l'anima riceve dalle cose finite esteme la scienza in due modi ^ o i . mediante le parole di un precet- tore, a.^ o mediante ijantasmi. Dice ancora, che questi due estemi operatori non ci danno la scienza immediatamente ^ ma solo ci porgono dei segni sensibili, dai quali noi stessi passiamo alla scienza, o, che il medesimo, passiamo alle specie intelli- gibili, per quella argomentazione appunto, per la quale dai segni si passa a indun*e la cosa segnata. isp De Verit. Q. X , art. vi. (i) Et sic etiam in lamine iniellectus agentis nobis est quodammodo omnis scientia originaliter indita , mediantibus univcrsalibus conceptionibus ^ quae STATiM lamine iniellectus agentis cognoscuntur ^ per quas sicut per uni- versalia principia judicamus de aliis^ et ea praecognoscimus in ipsis. QQ. DIsp. De Verit, Q. X, art. vi. 683 e le scrive nelP intelletto possibile : laonde le stesse pa- ^ i*ole del maestro udite, o vedute scritte, rispetto al cagio- M nare la scienza nelP intelletto tengono lo stesso modo, come tf LE COSE CHE SONO FUORI DELL^ ANIMA " (l). Come adunque le parole non sono che segni delle cose, e non le cose stesse^ e a queste noi trapassiamo per interiore nostra virt , e non perch ci siano somministrate dalle parole del maestro : cosi pure le cose esteriori , le quali colpiscono i nostri sensi, non ci porgono gi le cose a conoscere , ovvero V en- tit loro, ma de^ puri segni, secondo s. Tommaso^ e siamo noi quelli tuttavia, clie pensiamo Ventila estema, clie non ne^ segni datici ^ siamo noi cbe la poniamo , da quelli argo- mentandola, con che ci formiamo le specie intelligihUi, Se non che s. Tommaso n pur tanto concede alle sen-^ sazioni e a^ fantasmi, quanto alle parole del maestro 5 peroc- ch, dice egli, le parole del maestro sono segni delle specie intelligibili > , e non cos i fantasmi , che non segnano le idee gi formate, ma solamente ci presentano gli effetti delle cose, acciocch da questi noi induciamo V esistenza delle cose , che appunto un formarci le specie intelligibili (1). Per il che manifesto , che V uomo viene a pensare alle cose argomentandole da^ fantasmi, loro effetti e loro segni. E a tal uopo egli dee dire seco medesimo : i fantasmi non potrebbero essere suscitati in me , se un ente non li suscitasse fi . Quest^ uno de' primi principi perse noti^ un di que'principj che, se- condo PAngelico, incontanente risplendono, quando si comincia a far uso dell'intelletto. (1) Dicendum, quod in discipulo describuniur format nteUigibiles , ex quibus scierUia per doctrinam accepia constituitur , immediate quidem per intellectum agentem , sed mediate per eum qui docci, Proponit enim doctor rerum intelligibilium signa, e quibus inteleclus agens accipit intentiones in-, telligibiies , et describit eas in intellectu possibili: unde ipsa verba doctoris nudila , vel visa in scripto ^ hoc modo se hahent ad causandum scientiam in intellectu, sicut res quae sunt extra animam : quia ex utrisque intellectus in- tentiones intelligibiles accipit. QQ. Disp. De F'eril. Q. XI, 1, ad 11. (2) Seguita al passo citato Della nota precedente cosi: Quamvis verba doctoris PROPJNQUIUS se habei^t ad causandum scientiam j quam sensi- bilia extra animam existentia, inquantum sunt signa intelligibilium inUrt- tionum. QQ. Disp, De VeriU Q. XJj 1, ad 1 1. 685 luce divina causa universale del nostro conoscere (i)) e ondis riduce le specie in Dio come nel supremo principio della co* gnizione (^)^ o come dice altrove, u le specie intelligibili, che u partecipa il nostro intelletto , si riducono come in prima M causa in qualche principio per sua essenza intelligibile, cio in Dio. Ma da quel principio procedono mediante le forme u delle cose sensibili e materiali, dalle quali noi raccogliamo u la scienza (3), nel modo detto. N credasi per avventura, che questo principio divino ^ onde procedono le specie , sia da noi cos rimoto , che niente di lui stesso partecipiamo. Sebbene ci che detto fin qui, e tutto il contesto delle dottrine, ci sforzi a non intender cosi fattamente la mente di s. Tommaso , tuttavia una nuova prova io ne voglio aggiungere. Stabilisce V quinate , che la verit delle cose non pu consistere nella relazione che hanno colP in- telletto nostro , ma a nelP aver esse conseguito la similitudine M delle specie che sono nella mente divina (4). Ora egli attri- ci) ///a lux vera illuminai, sicui CAUSA UNIFERSAUS (S. I^ LXXIX, IV, ad i). (2) Alio modo dicitur aliquid cognosci in aliquo , sicut in cognitionis prin cipio : sicut si dicamus , quod in sole videntur ea , quae videntur per so* lem. Et sic necesse est dicere , quod anima fiumana omnia cognoscat in ra tionibiK aeternis; per quarum participationem omnia cognoscimus. Ipsum enim lumen intellectuale , quod est in nobis, nihil est aliud, quam quaedam participata similitudo luminis increati , in quo continentur rationes aetema {S. I, LXXXIV, v). (3) Dicendum , quod species intelligibiles j quas participat noster intellectus^ rcducunlur sicut in primam causam in alquod principium per suam eS" sentiam intelligibile, scilicet in Deum, Sed ab ilio principio procedunt me* diantibus fnrmis rerum sensibilium et materialium , a quibus scientiam col* ligimus {S, I, LXXXTV, iv, ad i). (4) Res naturales dicuntur esse verae secundum quod assequuntur simi* litudinem specierum, quae sunt in mente divina {S, l, XYI, i . Osservo ^ che qui s. Tommaso usa la parola specie, in vece di quella ' idee,Eg\ avea in- segnato poco innanzi (AI, XV, 11), che in Dio non vi sono pi specie g ma pioggetli veduti, o idee* Queste inuguaglianze di parlare, non rade a trovarsi nelle opere di s. Tommaso, sono inevitabili in chi tanto scrive, di si varie materie , e per varj anni ed accidenti della vita. Ma ci stesso mostra il bisogno di non sofTermarsi all'una o all'altra maniera di dire usata da s. Tommaso, ma di prendere l'intero corpo delle sue dottrine. per eccellenti che sieno, ma in Dio solo possano aver sede, e per da Dio solo possano a noi comonicarsi. Anclie eramente afferma, che io deduco il mondo esteriore dalla passivit delle sensazioni ^ u ma il punto sta a dimostrai*c ch'elle sono e debbono esser passive " (i). (i) P. II,c. XI,v. 6,,5 u biotto piTseiile, e capace tli tener quivi congiunto lo spon ta- te nco e il non spontaneo -AT), provare appunto che dee esistere qualche cosa fuori di noi e soprano! operante (i) O). jNNOTJZIONI. A. Clic cosa vuol dire raccoglie nella sua unit P oggetto pensato ^^ ? Se intende che P oggetto pensato divien parte di noi , ci si ncga^ perocch pensando io al sole ^ il sole non diventa mica parte di me. In secondo luogo , che cosa ha egli da far qui V oggetto pensato, dove si parla di sensazioni? nclUi semplice sensazione non ci ha oggetto pensato. B. Fuori della nostra spontaneit^ lo concedo^ fuori della nostra mente y lo nego. Io posso avere nella mente il sole, e pure il sole fuori della mia spontaneit. Tutte le idee sono fuori della mia spontaneit. Le dimostrazioni matematiche e scientifiche d'' ogni genere, a cui io sono necessitato di dare r assenso , son tutte, fuori della mia spontaneit , e son tutte nella mia mente. Ma di nuovo, che cosa ha da far qui la mente, in un ragionamento in cui si parla di sensazioni? nelle sensazioni non la mente. C. Potrebbe questionarsi. Que' filosofi i quali pretendono che il senso del dolore sia una reazione della natura che lotta contro la distruzione, fanno il dolore spontaneo. Certo , che non voontnro^ imperciocch altra cosa egli Tessere spon- ta/icOj ed altra F essere volontofio. I piaceri fisici sono tutti spontanei , istintivi , e tuttavia in essi noi siamo passivi , e la volont nostra non ne la causa efficiente. S'aggiunga, che non basta, a dimostrare la passivit delle sensazioni, il dire che il dolore non spontaneo. Quando questa prova valesse per le .sens;\/joni dolorose, ella non varrebbe per le sensazioni pia- cevoli: anzi mostrerebbe di queste essere il contrario appunto. In quella vece fa uopo il dare una dimosti*azione , che in tutte ugualmente le sensazioni esteme noi siamo passivi, o sieno esse piacevoli , o sieno dolorose. D. Di sopra stato detto , che ci che non spontaneo (i) P. II, e. V, m. 6g6 giace fuori dell'unita di nostra mente . Qui si dice, che il dolore non spontaneo e giace dentro V unit subbiettiva di nostra mente . Questa una contraddizione vera^ e non ap- parente. Nessun fatto pu conciliare insieme le contraddizioni in temdnis come questa. Altramente ogni volta che s^ incappa in una contraddizione in cr/7U>i^ potrebbesi intavolare T'po- tesi d^un terzo fatto, atto ad accomodare quella contraddizioue. La logica non ce ne d licenza. Oltre di ci, il dolore non giace nella nostra mente n ^ egli giace solo nella nostra po- tenza sensitiva^ e il confondere la mente spirituale colla sen- sazione animale, un bel prendere le gambe per la testa. '-E. Falso. Dov', che avendo noi un dolore, il vogliamo? e se il volessimo e il disvolessimo insieme, non solo noi saremmo pi che matti, ma non-uomini^ perocch a questi di ci fare impossibile. jP. De' fatti veri, s*, ma de' fatti supposti, no. G. Perch dee esistere un fatto , che spieghi la contraddi- zione apparente? Che cosa la contraddizione apparente de' fatti della natura ? non altro se non la mia propria ignoranza , che non g' intende a dovere. La contraddizione apjarentc adunque sta tutta in me^ e non ne' fatti stessi , dov non pu mai essere alcuna contraddizione. Se dunque la contraddizione nelle mie idee, non fa pi bisogno d'un fatto estemo a spiegarla: ba- sta che io aggiusti le mie proprie idee; la lotta delle idee si appacifica scambiando le idee od opinioni difettose , con delle altre idee pi sane, pi giuste ed esatte, ovvero con delle me- diatrici delle prime che battagliavano insieme. La conclusione del N. A. adunque falsa , perocch dall' ordine delle idee in che stavano le prcmcsi^o , salta in quello de' fatti. H, Un fatto la cui esistenza si prova solo dalla necessit di spiegare altri fatti, una pura ipotesi. Quando adunque T ar- gomentazione del C. M. procedesse in tutto il resto diritta, pro- Tcrebbe l'esistenza de' corpi esterni come una ipotesi assunta a s{)iegare degli altri fatti , e nulla pi. E questa non la di- mostrazione che si cerca. /. Se il fatto assunto per ipotesi fuori della spontaneit^ come avr Virt di legare insieme nelP unit soggettiva lo spon- taneo e il non ispontanoo ? L, Quotidianamente? cio? una volta al giorno? il/. Qui dice in un subbietlo medesimo , ci clic di sopra ha chiamato unit del principio spontaneo , e anche unit subbiettiva di nostra mente . Questo variare di espressioni in. una medesima argomentazione, cosa contraria alle regole del metodo filosofico. Ma senza di ci , io dico , che qui egli pretende , che quella forza, che assume ipoteticamente a concih'are la contraddi- zione de' fatti, faccia l'impossibile. Di fatti, disopra disse clic tt il dolore fuori dell' unit soggettiva per sua natura , non essendo egli spontaneo, mentre l'unit soggettiva T unit del principio spontaneo. Se dunque il dolore essenzialmente fuori dell'unit del principio spontaneo, qual forza potr fare che il dolore medesimo sia dentro quella unit ? non sarebbe que- sto un fargli cangiar natura? Ma se a quella forza fosse possibile di tenere uniti in un subbietto medesimo quello che spontaneo e quello che no , questo soggetto si comporrebbe di un elemento spon- taneo e di un elemento non ispontaneo. Dunque l' unit di questo so{,getto diversa dall' unit del principio spontaneo. Dunque se queste due unit sono diverse, ninna maraviglia^ che nel principio spontaneo non si contenga ci che non e sj^ontaneo, celie all'opposto nell'unit del soggetto egli si contenga, risultando questo non solo dallo spontaneo, ma ben anco da ci che non spontaneo: dunque ninna contraddizione in ci, ne vera ne apparente: dunque niun bisogno di un terzo fatto , o di una forza esterna che tenga unito ci che spon- taneo e ci che non e spontaneo nel soggetto, con una ope- razione maravigliosa a dir vero, perocch questa forza dee far tutto ci, rimanendo essa fuori della spontanea unit, il che quanto dire, dee agire l dove ella non . N, Questo appunto quello che non si provato. O. jNego la conclusione. Quando si foss'anco provato il bi- sogno dell'ipotesi d'un fatto che legasse insieme in un sog- getto lo spontaneo e il non ispontaneo, non sarebbe provalo con ci, che questo fatto fosse propriamente l'esistenza di qual- che cosa fuori di noi e sopra di noi operante. Qui ci ha un Rosmini, // Ainnouofnenlo. 88 , 698 salto. Altro dimostrare che ci bisogni un fatto , altro che an fatto determinato sia quel desso che si assume per tale. In secondo luogo j il fatto assunto non soddisfa al bisogno ^ poich r esistenza di esseri esterni non giova a stringere e a tenere unito nell'unit del soggetto, lo spontaneo e il non ispontaneo : egli vale solo a dar ragione del non ispontaneo , 0 sia del passivo. In terzo luogo, vale a questo, solo a condizione, che prima siasi ben provato il principio di causa, cio il principio che, data una passivit, necessaria un' attivit che la produca . In quarto luogo ^ quando anche il C. M. avesse provato ec- cellentemente il principio di causa , egli non potrebbe provare dalle sensazioni la sussistenza di un essere diverso da noi, come ho toccato ancora, atteso la sua dottrina intomo alla duplicit del soggetto umano , del Noi fenomenale , e del Noi non-feno- menale, ma sostanziale. E di vero, acciocch F argomentazione sua potesse tenere, richiederebbesi che fosse ben certo, che tutto ci che fuori della nostra spontaneit, fosse fuori di noi. Ma all'opposto il M. c'insegna, che la spontaneit non che ima parte del NOL la parte fenomenale, e l'unit sua un' unit pure fenomenale; che v' ha oltracci un soggetto occulto , sostanziale , appiattato sotto quel fenomenale soggetto. Or non pu l' azione che sof- feriamo nelle sensazioni, venirci da questo soggetto a noi oc- culto e fuori della nostra spontaneit fenomenica ? Da tutte parti adunque vacilla la dimostrazione del mondo estemo , che ci d il C. M. CAPITOLO LIX. CONTINUAZIONE. Ci resta a vedere , se sia ragionevole la censura eh' egli la alla dimostrazione nostra. Secondo lui, ci che manca alla nostra dimostrazione del mondo esteriore, si il non aver noi provato la passivit delle sensazioni. E generalmente , di tutti quelli che tentarono dimostrare il mondo estemo , egli dice : se noi non pren- ^9 diamo abbaglio > quello che manc loro fa di notare e ril^ e vare pi esplicitamente il confondersi e compenetrarsi dei due sentimenti nella unit perfetta e assoluta del nostro a essere intellettivo 99 (0? ^ crede che la sua dimostrazione si vantaggi dall'altre per questo, che stabilisce bene questa unit. Ma qui ci si presentano diverse osservazioni. I.** Io ho gi osservato, che il M. confonde Punita del prin- cipio nostro spontaneo, coli' unit del soggetto^ la quale non si rompe per cadere nello stesso soggetto de' fatti attivi, e de' fatti passivi ^ quando anzi egli appunto un essere parte pas- sivo, e parte attivo^ e non pu esser altramente, perocch tali sono tutti i creati. 2.* Osservai ancora, che egli confonde l'unit del principio spontaneo , coli' unit dell' essre intellettivo , o della mente ^ quando le sensazioni non hanno sede nella mente, ma nella sensitivit. 3." Ma oltracci osservo, che il sentimento passivo e attivo non si dee mai confondere , n compenetrare l' uno nelP altro : anzi si debbono tenere ben distinti e separati questi due sen- timenti , siccome due modi inconfusibili, e che tuttavia si pos- sono trovare insieme, e si trovano in un soggetto. 4'^ Che se la censura del G. M. si restringe a dire, che u manc loro (a' filosofi) solo di notare e rilevare pi esplicita- mente n V unit assoluta del soggetto , dove s' adunano i fatti passivi ed attivi , ella censura assai leggiere ^ perocch viene a confessare, che questa unit fa notata, ed anco esplicita- mente, ma non tanto quanto esso C. M. avrebbe voluto. 5.* Quanto a me , il iV". Saggio stampato 5 per egli mi fa testimonianza appresso quelli che l'avranno letto, o vor- ranno darsi la pena di leggerlo, che a lungo favello dell'unit dell' Io , non solo come soggetto unico de' fatti attivi e pas- sivi che in esso avvengono, ma ben anco come soggetto unico delle sensazioni e delle intellezioni^ nella quale Unicit ri- pongo la possibilit di tutti i ragionamenti. 6. Ma voi non provate , che le sensazioni sieno passive. (1) P II, e. V, 111. Lo provo , e collo stesso argomento ohe usa il C. M. a provar- lo, e in un modo assai pi generale. L'argomento del M. dedotto da sole le sensazioni dolorose, e da noi non volute. Il clie non basta, come ho notato. Se le sensazioni fossero passive per esser dolorose e non volute, le sensazioni piacevoli sarebbero attive^ il che un assurdo. Le sensazioni sono passive perch sono necessarie e non dipen- denti dal voler nostro, le vogliamo poi noi o non le vogliamo. 7.** Le ragioni onde io ho provato la passivit delle sensa- zioni sono le seguenti : a) La coscienza^ la quale ci dice primieramente, che tanto 1 fatti attivi come i passivi cadono nelP unita' del soggetto, e che di aldini siamo noi la cagione , di altri no. Cos si legge nel N. Saggio : Tutti i fatti che in noi avvengono non sono che modifi- M cazioni dello sj)irito nostro. Il nostro spirito adunque il u soggetto di tutti que' fatti: la coscienza ce n'accerta, poicht a con essa dico " io sono quegli che sente, che gode, che u addolora _, che pensa , che vuole ecc. , il che un aflfer- mare che sono io il soggetto di questi avvenimenti . Pure Acjiuti passwi^ se siamo il soggetto, non siamo la cagione, poich non avvengono, come abbiamo detto, per a V azione nostra , ma noi li soflriamo , e li riceviamo da chec- u chessia in noi prodotti, contro, o almeno senza "nostra vo- tf lont (i). h) U osservazione intema, la quale ci mostra la necessit di alcuni fatti che in noi avvengono, o sieno dolorosi o piacevoU. u Cosi, se io mi sto cogli occhi aperti e volti rincon- tro al sole, egli per poco impossibile eh' 10 non vegga 1' abbagliante splendore, e non senta i raggi acuti eh' entrano nelle mie pupille: in mezzo di una strepitosa banda militare, io udr, anche contro mia voglia, il suono delle trombe e de' tamburi, ove pure non m' abbia gli orecchi otturati: tf punto da un feiTO o da uno stecco, io addoloro, sebbea non piacciami addolorare , poich a nessuno grato il do- (1) Sez. V, e. IX, ari. xii, 2 ^ 70I a lore : e per dir tutto in un motto , ov' io non fossi passivo a nelle sensazioni che nel mio corpo si suscitano, io potrei a mio grado cacciar da me tutte le sensazioni moleste , aver u tutte le dilettevoli, non soflRwnr mai, non morir mai n (i). e) Il ragionatiento ^ argomentando la passivit della scusa* zione dallo sforzo che noi dohbiam fare per evitarla. u L' astrazione e alienazion di mente mai sempre un co- tt tale sforzo da parte nostra, un' azion faticosa e violenta, talora essa di tal travaglio , che ci impossibile di reg- tt gervi. Ora a che mai tanta fatica? certo a ritirarci, e fug- tt gire dall' azion del dolore , o di alcun' altra sensazione che non vogliamo . u Dunque usiamo in cpiesto sforzo Fattivit nostra a sot tt trarci da una forza che ci vien contro , e ci vuol far soffe tf rire. Ma dov' bisogno d"* una forza a impedire un effetto j u ivi manifestamente la forza in contrario che tenta pro- diirlo: imperocch la reazione suppone l'azione, e la forza u elle elide suj>pone quella che viene elisa. L' attivit dunque a colla quale noi evitiamo talora l'esser passivi, prova della nostra passivit (2). Or a me pare, che questi tre argomenti siano sufficienti a fermare la passivit della sensazione. Laonde, non dimandandoci il C. M. che questa sola dimostra- zione della passivit della sensazione, per concederci che abbiam giustamente provata la sussistenza del mondo esteriore^ noi crediamo di avergli soddisfatto col mostrargliela in questi brani del N. Saggio ^ e col rimetterlo a molt' altri che gli fia agevole rinvenire nello stesso libro. CAPITOLO LX. DEL PRINCIPIO DI SOSTANZA E DI CAUSA. Intorno poi a quello che ci oppone il C. M. , rispetto alla seconda delle tre specie di prova che ci attribuisce , noi ab- biamo altrove ragionato. (1) Sez. Y, e. IX , art. xii , J i. (a) Ivi. 7o3 L^abbiam veduto, non ha inteso il mio pensiero. L^ essere possibile, per dirlo di nuovo, appartiene alP ordine ideale, anzi ci appunto che costituisce quell' ordine : in vano adunque cercherebbesi in lui un' estema realit. Non deesi giammai confondere T ordine delle idee e P ordine delle cose, la forma ideale e la forma reale delP essere. Ma sebbene alP esser pos- sibile noi non attribuiamo la forma reale, il che sarebbe con^ traddizione^ noi per diamo a lui una vera distintione dalla mente nostra, anzi una distinzione infinita. Ripete tuttavia la stessa accusa poco dopo , dicendo del prin- cipio di causa, che quantunque discenda dirittissimo dalla sua tesi fondamentale (dell' Ab. Rosmini), non pare a noi u che possa o debba considerarsi per ci quale verit obbiet- ti va e concreta, ma invece ch'ella rimanga una deduzione lo gica pura d'una forma intellettuale y* (i). Non abbiamo noi voluto fame di pi ^ e non potevamo vo- lerne di pi, poich sarebbe stato un volerne l' impossibile. Dei principi della ragione non lice a noi fare quel che vogliamo^ non avendo noi altro potere, che di esporre quello che sono. Or cercando che sia quel principio , l' effetto dee avere la sua cagiono, troviamo ch'egli cosa che appartiene tutta all'or- dine delle idee ^ per se noi volessimo fame una cosa estema, reale , non faremmo che sostituire al vero la creatura della no- stra immaginazione. Lo stesso si dica di tutti i principj generali: essi non eccedono 1' ordine logico , appunto perch sono gene- rali. Cos quando io dico ogni eifetto n , non determino n questo n quell' effetto reale, ma uso dell' idea di effetto a significare qualsivoglia effetto possibile. E tuttavia, sebbene le idee e i principj logici non appar- tengano all'universo reale, ma solo all'universo ideale^ non per a credersi , eh' essi , ajutati d' altri amminicoli , non val- gano a dimostrare pienamente e farci conoscere le cose reali e sussistenti. Ci che io ho dimostrato, non dunque, che la sola idea dell'ente, o i soli principj logici ne' quali ella si converte ^ / (i) P. II,c. XIII, V. 7^4 provino immediatamente la realit de^ corpi o degli esseri sus- sistenti: questo non trovasi nel mio \ihro. Ho dimostrato in quella vece il contrario. Ho dimostrato ancora, che Tessere ideale intm'to dalla mente non la mente, ma cosa interamente ed inBnitamente da lei distinta: ho di- mostrato che questo non prova ancora la sussistenza del mondo corporeo , ma che spiega bens la facolt che ha la mente di pensare, o d^ intuire un diverso da s, un mondo esterno POSSIBILE. questo il primo passo che si convien fare: egli difficile a spiegare questo solo , come la mente concepisca l possibilit^ d^ un qualche ente fuori di s. Concepire un ente possibile .diverso da s, gi concepire un diverso da s. Dopo di ci, rimane (e questo il secondo passo) che il diverso da se, che gi si vede nella sua possibilit, si percepi- sca nella sua realit. A compire questo passaggio della mente, pel quale ella si persuade, che quello che gi vede possibile, sia ancora sussistente , vengono in ajuto le sensazioni, o pi in generale i sentimenti. E i sentimenti appartengono al mondo i*eale, il quale con- siste appunto nel sentimento , e nei confini e modi di que- sto, lo spazio, la materia (i). V^ha unit o pi tosto identit fra il soggetto che intuisce Pente possibile, e il soggetto che sente Tente reale. Il soggetto dunque percepisce Pente possibile realizzato nel sentimento che prova: cio si persuade, che quelPente che prima intuiva come possibile, sussiste anco nella sua realit. Ecco in breve la dimostrazione del mondo esterno, che a lungo ho svolta nel N, Saggio ^ e in tutte le sue particolarit diffusa ed analizzata. In questo riassunto della mia dimostrazione si parla dc^ sen- timenti in generale, colP ajuto de' quali il soggetto sensi tivo-in- tellcttivo si persuade di un mondo reale. (i) Ho gik didioslrato , che Io spazio uon che un modo lirlU; seii^a zionif e la materia formata da spailo e da forza sentita. Vedi N, Sa^ii Sez. V, e. XVI, e XXIV, art. vii. Vogliamo specificare questi sentimeiiti ? Facilmente si fa oue-* sta specificazione. Vi ha un sentimento delP Io. Questo ci prova la realit del- r anima immediatamente. Vha un sentimento del proprio nostro corpo. Questo ci prova la realit del corpo nostro, con un argomento, in che r idea deir ente si trasforma in principio di causa. V ha un sentimento acquisito , che modificazione del sen- timento del corpo nostro. Questo ci prova la realit de' corpi estei'iori al nostro, con una forma di argomentazione, in cui si fa uso delPidea deirente sotto forma di principio di causa, e anco sotto forma di principio di sostanza. Come si giustifica il principio di sostanza? Con dimostrare, che negare la sua efficacia estema, un ne* gare che Pente sia possibile (i). Come si giustifica il principio di causa? Col provare, che negare la sua verit e il suo valore (estemo), un negare che Pente sia possibile (2). A che si riducono adunque tutte queste dimostrazioni? A quest"* ultimo principio: u L'ente possibile ^ che ci ch'io chiamo principio di cogniaone. Quelli che negano tf la possibilit dell'ente , sono i soli pertanto che possano rifiutare il nostro ragionamento, il quale muove dal pi cospicuo de' fatti, dal fatto per s evidente, dal fatto solo evidente , e nelP ordine logico anteriore a tutti i fatti. (i) Ses. y j e. T. (3) Ivi. FI MB. Rostfiin. // Binnwanwnto* 89 ^ .( ,ii- til- A^ INDICE DEGLI AUTORI CITATI IN QUESr OPERA Agostino (8.), face. 3o4^ 4^^^ 4^> 4^9" 493, 495-498, 533, 535-536, 538, ia, 627, 63i, 676. Alberj 3 495, 620, 625-626, 63 1. Durando, 495* E Egesias, 572-573. Elvezio , 3 1 8 (tau.) , 328. Empedocle, 326-328, 347, 475-476, 594-597. Epicuro. 3i8 (tau.)y 323, 328, 460, 473-474, 482. Eraclito, 3i8 (tat^.)> ^45, 369, 472- 4:3 , 5j8. Eusebio di Cesarea, 487. Eustrazio, 489. F Fichte, 295, 328, 336, 35 1-353, 363, 4i3-4i4' Ficino, 5o4-5o5. Foscolo (Ugo), 345. G Gassendi, 337. Genovesi, 4^^* Gerdil, 3i5, 358, 5o5. Giacobi, 332, 365. Giustino (s.), 487. Goudin, 65 1. H Hartley , 662. Hegel, 3i3-3i4, 3i8 (taf.), 347, 356, 359-372. Hoblcs, 3i8 (taf.), 345, 532. Hook, 328. Huet, 3i8 (taf.), 33i. I Dario (s.), 536. Ippocrate, 34o.- Isocrate, 359. Jainblico, 357, 47^ > 475, 4^4, 577, 58o, 584-585. Jouffiroy, 4i5. R Kant, 295, 3i8 (taf.), 363, 365-366, 537-538, 549, 653. Klaproth, 454* Krug, 36i. L Laerzio (Diogene) , 323 , 599. La Mennais 3 18 (taf.), 333. 7o8 Leibiiizio, 2> a4r>-'j4Gj ($4i- Lcucippo, 571. Locke^ i65^ 3i8. Lucrezia, i5o. Lullo (Raimondo)^ 23. M Marrobio, 585. Malebranche^ 3i5, 3i8 (e taf.), 4aa- 4a3, 429, 492. Massimo (s.), 49^^ ^^* Melisso^ 587. Mercurio Trismcgisto, 677. Mocenigo^ 268. Moniino^ S^o. Mosco, 473. Moshcmio^ 359-36o. N Newton, 388. Nicol di Cusa, 38o. Nicomaco, i'ji^i']^, 4^4' Nizolio^ 74* O Occello, /\6o. Ochino, 3o5, 3i8 (^fai/.^, 33i-332. Okcarao, 533. Orazj (Cesare degli), 324- Origene, 490^ 627. P Pacliimeni (Giorgio) , 626. Parmenide, 324> 349, 356-357, 4? '> 524- 5si5, 583-587, 694. Patrizio, 20, 90, i53. Petavio, 473.^ 489, 494 > ^2' Pittagora, ^iSYtat'.). 347, 353-36o, 364, 372, 429, 446, 470-474, 524,563, 58 1-584, ^9^ 596. Platone, 246,' 324 , 326-328,347, 35i, 358-359, 429, 446, 471-480,485-487, 489, 491, 5o5, 517, 524,576, 590, 596, 640-641, 644, 677. Piatito, 294, 3o4. Plotino. 35o, 36o, 477-47^5 643-644 Plutarco, 328, 356, ino'i'ji, ^'j'i, 476^ 483-484, 583-586, 589. Poli, 28. PorGrio, 359, 533. Possidonio, 35o, 47 5' Pristley. 662. Proclo, 349, 47 ' Professori di Coimbfa, 533-536. Protagora, 3 18 (tai*.), 3aa, 326-3a8, 347, 571-572. Pscllo, 47^' R Red. 284, 3i8 (taf,), 329, 332, 384- 385, 652. Reinhold 3i8 (tav,),3iig, 336. Romagnosi, 3i2-3i3, 3i8 (iai*.) , 335- 345, 382, 386-392, 396, 399-406, 4i8-43o, 432-433, 5io, 521-522, 526;, 529-532, 55o, 573-574. Rous&eau, 3 18, (tav,)^ 3a4* S Saint-Simon, 3 18 (tav,). Scarsella, 52 1. Schelling, 23, 295, 3i8 (tau.), 347, 5^- 353, 359-361, 363, 37. Scin, 597. Senocrate, 324* Senofane, 58 1 -583, 585, 594. Sesto Empirico, 582-584, S^ci-Sga, 594, 5q6 5oQ ^ Simplicio, 476, 480, 482, 5a5, Sinnesio, 47'* Socrate, 47>* 47^, 4^ Speusippo, 324. Spinoza, 388, 44a> 6ia. Stewart, 533, 662. Stobeo, 355, 577. Strabone, 47^* T Talctc, 588, 591, 694. Tasso, 261). Telesio, 28. Tcmistio, 523. Tenncmann, 47 "472 Timone, 582, 586-58^. Tomassini, 3 17-3 18, 5o5. Tommaso (s.) i5-i9, ai-2a, aoi, 234 246, 262, 270, 287-288, 324-32^ 4 16, 446-447,491-492, 49^-49^ 532^ 622, 643. Torelli, 369. Tracy, 396. V Venturi, 17. Vico, 3i8, so, 406.409, 444-447> 45S. 456, 532, 6i(), 643. Vittorino (Mano), 493. Z Zarata, ^iQ. Zenone, 44^> 58^. Zoroastro, 4^4* INDICE ' '> Introduzione . . p^^* ^ libro primo Del nesso fra la questione delT origme delle idee e quella della certezza deW umane cognizioni .... 7 LIBRO SECONDO DelP origine delle cognizioni umane 108 Cpit. I. Ordine secondo il quale procede questo libro, Quai cose U C. Mamiani ci accordi intorno alV origine delle idee . . . HI Capit. II. Conseguenza di ci che il C. Mamiani ci accorda: V idea del possibile non di nostra formazione m IIS Capit. III. Altra conseguenza : la nostra dottrina non pu essere dal Ma^ miani rifiutata senza contraddire a se stesso m Ii4 Cajpit. IV. Infedelt colla quale il C. Mamiani espone la nostra dottrina. 117 Capit. V. Continuazione * 99 lai Capit. VI. Esame degli argomenti che il C. Mamiani usa contro di noi. 134- Capit. VII. Continuazione w laS Capit. Vili. Dissipate le obbiezioni del C. Mamiani, si comincia l'esame della sua dottrina ^ dando un saggio degli errori e delle con- traddizioni di quella 99 iSa Capit. K. Il C. Mamialii dopo aver negata V indipendenza delle idee dalle cose sussistenti ^ la confessa j senza cauame per giova" mento sy i36 Capit. X. Continuazione i4o Capit. XI. Esame de' quattro gradi di astrazione pe* quali il Mamiani vuole che passino successivamente le idee jf^ Capit. XII. Esame de' quattro gradii che il C. Mamiani pone neW astra" zione delle idee >9 i45 Capit. XIII. Continuazione iVi*. Capit. XIV. Continuazione i5o Capit. XV. Continuazione 99 i5i Capit. XVI. La distinzione delle idee generali daUe universali introdotta dal Mamiani non ripara al difetto della sua dottrina . . . >' t5) Capit. XVII. Continuazione n i55 Capit. XVIII. Esame di ci che dice il Mamiani sulla questione: se la formazione degli universali esiga V uso di un precedente uni- versale 167 711 CiPiT. VI. Continuatione {Mg. aSG Cirn. VII. Conttuasioru k . a5j CiPiT. Vili. ContinuaMOTt 36ft Ofit. IX. Conlmuaziane 369 OriT. X. CintinuoMone ajS CiriT. XI. Coalinuaztone 3j8 Cirit. XII. Con>iua=iort. a83 CiPiT. XIII. Paragone del Hanuui con Cartfiuo iS} CuiT. XIV. Conliauaime ag6 CiFii. XV. Confiimoiio'ic . 3oi C*HT. XVI. Cnnftuiaiane a 3o7 CiMT. XVII. L'Io non i noto per ri tUito, Ka pel mtxao comune dtUa cogniane ... 3oj) CiPiT. XVIU. Esposizione de' vaij sMemi intorno la certezta ... 3i8 Tavola linoltca dei sittenii Jilosofiei intomo ai criterio della certesta. n iW CiPlT. XlTi, Si comincia ad esporre la elatiificasione de' sistemi filotojei. 33o CiPiT. XX. Continuazione 331 ' Camt. XXI. Continuazione -t CiPlT. XXII. Continuaiione 339 CipiT. XXIII. Contxnuaxion 33i Camt. XXrv. Continuasione 333 Caiit. XXV. Cantaiaiione 345 CPiT. XXVI. Continumione n 3^6 Capii. XXVII, Conliuazione. , 347 Cawt. XXVIII. Continuazione 35i CiPiT. XXIX. Continuatane 3S3 Capit. XXX. Continuazione BSg Capii. XXXI. Eipaiiiione del vero criterio della eerUsza h 373 Capii. XXXII. Continuazione 379 CAfir. XXXni. Wyianaa 4 il Homapm /alti giudici de' proprj sistemL 38i * Capii. XXXTV. Continuazione 3gi Capii. XXXV. Continuazione 4"'^ Capii. XXXVI. Continuazione {j Capii. XXXVII. Gravi conseguenze del sistema tM C, Mamiuti. . . n 431 Capii. XXXVIII. Continuazione 455 Capii. XXXIX. Dell' immucabaii deO idee 458 Captt. XL. Continuazione antica dottrina italiana suW immutatilu delle idee, ricevuta poscia anche dalla filosofia greca n 4'>9 Capii. XU. Continuazione 474 Capit. XLII. Riforma della flosiijia italica fatta da' Padri della Chiesa. 485 Capii. XLIII. DeW intima natura delle idee , e della cognizione . . n 5i>5 Capti. XLIV. Continuazione Ho-j Camt. XLV. Continuazione 5a3 Capii. XLVI. Con/iitazione radicale di ogni specie di nominalismo . 535 Capii. XLVII. &>la conjitaiione possibile dello scetticismo . . . a 53; Capii. XLVIII. Come il sensismo abbia sempre condotto i fdotofi allo iMftKmo > /i^n Capii. XLIX. Continuazione 57S Capii. L. t-a sola scuola italica trov, e fiss le tre condizioni della co- Capit. li. Si continua: antica distinzione fra la cicoza e /'opinione n 5^8 Pag. i6 lin. I iiVi 'eggi .118 a3 lune altrove H 576 4 (Idia cogiiizioui; della vi ^
Monday, June 23, 2025
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