Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rabirio: la ragione
conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Criticised by Cicerone for
oversimplifying the school’s doctrines in order to reach a wider audience –
“which reminds me of me.” – Grice.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Raimondi:
la ragione conversazionale e l’implicatura del gatto persiano – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Insegna
a Roma. Contribusce alla rinascita dell’idealismo contro il Lizio che domina la
filosofia. Pubblica la Data di Euclide. Le coniche di Apollonio di Perga. Autore
di molti commentari, specialmente su alcuni libri della Synagoge, nota anche
come Collectiones mathematicae, di Pappo d’Alessandria e sui trattati di
Archimede. Membro dell'accademia fondata da Aldobrandini, nipote di Clemente
VIII. -- è celebre soprattutto per essere stato il primo direttore scientifico
della Stamperia orientale medicea, o Typographia Medicea linguarum externarum, fondata
a Roma da Ferdinando de' Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia
e, con l'appoggio di Gregorio XIII, la pubblicazione di saggi nelle per
favorire la diffusione delle missioni cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di
ricerca costituito da Vecchietti, inviato pontificio ad Alessandria d'Egitto e
in Persia, dal fratello Gerolamo, da Orsino di Costantinopoli, neo-fita ebreo
convertito, e di Terracina. In un periodo in cui Roma intrattene buone
relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al potere in Persia essi riuscirono a recuperare diversi
manoscritti della bibbia in lingue orientali – “which were fun” – Grice. Sono portati
a Roma più di una ventina di testi biblici ebraici e giudeo-persiani, tra cui i
libri del Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai giorni nostri. La
tipografia si trasfere a Firenze, in conseguenza dell'elezione di Ferdinando a duca
di Toscana. E avviata la stampa delle opere. Sono pubblicate dapprima una grammatica
filosofica ebraica e una grammatica filosofica caldea. Seguirono: una edizione
arabo dei vangeli, di cui furono tirate MMM copie; un compendio del Libro di
Ruggero di al-Idrisi; Il canone della
medicina di Avicenna. Il duca gli vende la stamperia, chi a sua volta la cedette al figlio di
Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La stamperia chiuse poiché la
realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si è rivelata economicamente
conveniente (“The same happened with Austin’s attempt at Blackwell’s.” Grice).
Pubblica una grammatica araba intitolata “Liber Tasriphi”. Il suo grande
progetto e quello di pubblicare una bibbia poliglotta comprendente le VI lingue
principali del cristianesimo orientale: I siriaco, II armeno, III copto, IV ge'ez,
V arabo e VI persiano. I manoscritti appartenuti alla stamperia orientale
medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la biblioteca medicea laurenziana
di Firenze, la biblioteca nazionale di Firenze, la biblioteca apostolica
vaticana, la biblioteca nazionale di Napoli, la biblioteca marciana di Venezia.
Giovanni Battista Vecchietti, su iliesi cnr. L'editoria del principe, ovvero la stampa
ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la dedicazione al re
Ruggero II di Sicilia. Tipografia
Medicea Orientale, su thesaurus. cerl. Piemontese, La Grammatica persiana; Bibas,
La Stamperia medicea orientale, in, Un Maestro insolito (Firenze, Vallecchi); Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami:
Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Grice: “I tried to study
Persian once, but J. L. Austin said that it was useless!” -- Giovan Battista
Raimondi. Giambattista Raimondi.
Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Raio:
la ragione conversazionale e l’ermeneutica dell’io e del tu – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli. Insegna a Napoli.
Si occupa in particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e allegoria”; “Il
carattere di chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori); “Il simbolismo
tedesco. Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza, concetto,
cultura” (Firenze, La Nuova Italia); “Meta-fisica delle forme simboliche” (Milano,
Sansoni); L'io, il tu e l'es: saggio sulla "Meta-fisica delle forme
simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista "Studi filosofici". Giulio Raio. Raio. Keywords: ermeneutica
dell’io e del tu, Szondi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Raio” – The Swimming-Pool Library
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ranzoli: “going through
the dictionary” – “Non il Little Oxford Dictionary, come volleva Austin, ma il
Ranzoli! -- la scuola di Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano. Grice: “I think
I prefer Stefanoni!” – Mantova, Lombardia. R., Cesare Pensatore italiano, nato a Mantova, morto a
Genova. Professore liceale di filosofia, insegna nell'università di Messina e in
quella di Genova. -ALT L'opera più nota
del R. è il Dizionario di scienze filosofiche (Milano), assai utile pur nella
sua sobrietà. Tra gli altri scritti sono da ricordare: La religione e la
filosofia di Virgilio (Torino); La lingua dei filosofi (Padova); L'agnosticismo
nella filosofia religiosa; Il caso nel pensiero e nella vita (Milano: per
questi ultimi due libri R. fu premiato nel 1914 dalla R. Accademia dei Lincei);
L'idealismo e la filosofia (Torino); Nuova teoria dello spazio e del tempo
(Milano); Boutroux. Molti articoli furono dal R. pubblicati nella Rivista
d'Italia: egli collaborò inoltre alla Nuova Antologia, alla Rivista di
filosofia, a Scientia, a Logos. Postumo è infine apparso il volume Il realismo
puro (Roma), massima formulazione della concezione realistica propugnata da R. DIZIONARIO
DI FILOSOFIA MANUALI HOEPLI, DIZIONARIO di FILOSOFIA, LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO Pat. RS Tipografia L’Arlo della Stampa, Successori Landi Firenze. Via
Santa Caterina. Il dizionario di filosofia di R. è stato accolto dal pubblico
in modo estremamente lusinghiero. Di ciò attribuisco una minima parte ai pregi
dell’opera di R. Il resto, il più, all'essere UNICA del genere IN ITALIA e al
promettente risveglio filosofico. Ma, appunto per questo, R. sente più vivo il
dovere di ri-esaminarla con la più scrupolosa attenzione, per eliminarne quei
difetti e apportarvi quei miglioramenti, che la rendessero meglio adatta al suo
scopo. R. supprime tutti gl’argomenti che non riguardano davvicino la filosofia
o le sue parti. R. Mette accanto ad ogni vocabolo il corrispondente gallico – o
‘francese’, tedesco, ed inglese, talvolta anche LATINO e greco. R. pone in fine
alla maggior parte delle voci le opportune indicazioni bibliografiche. R. Aggiunge
gran numero di termini, sia nuovi sia previamente dimenticati, e da più ampio
svolgimento a quelli che lui pare richiederlo. Che in tal modo essa raggiunge
il suo assetto definitivo, sono ben lungi dal pensarlo. Un dizionario come
questo di R., specie se lavoro di uno solo, ha il poco invidiabile privilegio
di non essere mai compiute. Mende, sproporzioni, ripetizioni, lacune sone
inevitabili. Bisogna accontentarsi di ridurle via via al minor numero
possibile, Il dizionaro di R. s’ispira ai varii criteri. Tenersi al di sopra e
al di fuori d’ogni pre-concetto di scuola, presentando obbiettivamente le
questioni e le idee che ai vocaboli sono legate e i vari atteggiamenti da esse
assunti nella storia della filosofia. Sapere riuscire chiaro ed accessibile ad
ogni media cultura, senza falsare per questo i problemi e ridurre al semplice
ciò che di natura e di origine è complesso. Enumerare i diversi significati
attribuiti ad ogni termine, senza pretendere di imporne uno per conto proprio.
Tracciare, fin dove è possibile, la storia della parola e indicare, quando è
opportuno, quale dei suoi significati è il più legittimo, o il più accettato, o
il più accettabile. Ricordare, tra le espressioni proprie soltanto di un
sistema o di un periodo filosofico, quelle che, pur conservando un valore
storico e fisso, ricorrono con qualche frequenza nei saggi filosofici. Fare
un’abile scelta, nelle terminologie delle scienze più affini, delle voci la cui
conoscenza può essere utile e necessaria per lo studio della filosofia.
Accogliere, senza pregiudizi puristici, tutti quei termini nuovi che hanno
acquistato un certo diritto di cittadinanza, da qualunque parte essi vengano e
qualunque sia la loro composizione, perchè è specialmente delle voci nuove –
come l’ ‘implicatura’ di H. P. Grice -che si viene a chieder notizia al
dizionario ed è alle voci nuove che la registrazione nel dizionario può riuscir
utile per fissarne în modo definitivo il significato, pertanto stravagante.
Ispirarsi infine ad un certo criterio che direi della convenienza, per il
quale, svincolandosi dalle strettoie d’una geometrica proporzionalità, si
sappia a volta a volta e secondo l’importanza delle questioni trascorrer rapido
o essere diffuso, limitarsi a una frase concisa ο esaurire sufficientemente una
discussione. L’a designa nella logica la proposizione universale affermativa,
secondo i versi mnemonici classici, asserit a, negat e, verum GENERALITER ambo asserit
i, negat o, sed PARTICULARITER ambo, È anche adoperata nei trattati di logica
per esprimere simbolicamente il soggetto della proposizione. Hamilton se ne
vale per indicare la proposizione toto-parziale affermativa. Con la formola a =
a si suol esprimere il principio d’identità, e con la formula a = non-a il
principio di contraddizione. Colla prima formula s’afferma l’identico
dell’identico; con la seconda si significa che un giudizio che afferma quello
stesso che nega è uguale a zero, cioe falso e nullo. Prantl, Geschichte d. Logik;
Hamilton, Lectures on logic, -- quantificasione del predicato. Grice uses ‘a’
in ‘Vacuous Names’ – SYSTEM Q. Formation rules. Un’ABBITUDINE -- habitus, consuetudo; gowoknheit; habitude,
habit -- è una manifestazione d’una legge generale, che la forza tende a
dirigersi secondo la linea della minor resistenza, e si può definire come
l'attitudine a conservare e riprodurre più facilmente le modificazioni
anteriormente acquisite. Intesa in questo senso, l'ABITUDINE comprende sia i
fenomeni d’ adattamento fisico e biologico, sia la facoltà, acquistata
coscientemente coll’esercizio, di sopportare o di fare cid che non si poteva
sopportare o fare da principio, o anche di far meglio ciò che si faceva male e
con difficoltà. Stewart la definisce in facilità che la coscienza acquista,
mediante la pratica, in tutte sue esercitazioni, sia animali che intellettuali.
Si formano così le abitudini psichiche, le abitudini mentali e le abitudini
moral. Il vizio e la virtà, in ultima analisi, non sono altro che abitudini
morali; e il modo particolare che ogni individuo ha di considerare le cose,
dipende spesso dall’ordine di associazioni mentali in lui prevalenti,
Trattandosi di sensazioni cho accompagnano un atto, l'abitudine, diminuendo
l’attività necessaria alla loro produzione, le rende a poco a poco inavvertite;
nello stesso tempo però diventano più precise e distinte, se non più intense,
quelle che costituiscono il fine dell’atto. Si suol distinguere, da Biran in
poi, l’abitudini passive dall’abitudini attire. Le prime sono quelle delle
sensazioni, caratterizzate da diminuzione della coscienza, adattamento,
sviluppo del bisoguo corrispondente. Le seconde sono le abitudini dell’operazioni,
caratterizzato dalla facilità, dalla perfezione, dalla tendenza alla
riproduzione involontaria. Egger distingue l’abitudini particolari ο speciali,
che non concernono che un atto interamente determinato, sempre il medesimo, e l’abitudini
generali, in cui l’atto è variato, ma sempre di un medesimo genere. Questa
distinzione corrisponde alla distinzione fatta da Hòffding e Bergson tra le due
specie di memoria, la memoria libera e la memoria automatica. Ad es.,
l'abitudine di risolvere dei problemi, e l’abitudine di calcolare. Si suol
distinguere anche l’abitudine dall’abilità, che è l'abitudine diretta alla
produzione d'un lavoro e implica la variazione e il perfezionamento, e dall’attitudine, che è la semplice
possibilità di prestarsi a fare. Non si dà abilità senza abitudine, nè
abitudine senza attitudine. L’abitudine ha molta affinità coll’istinto, che si
può considerare come un’ abitudine ereditaria protettiva pell’individuo o per
la speci tuttavia alcuni filosofi moderni, ad es. Murphy, intendono per
abitudine la legge per la quale l’azioni ed i caratteri degl’esseri viventi
tendono o ripetersi non solo nell’individno ma anche ne’suoi discendenti. Nella
lingua scolastica habitudo significa attitudine, relazione, riguardo, capacità
a qualche cosa. Da qui l’espressioni quo ad habitudinem e quo ad entitatem.
Quando in una cosa si considera l’essenza, la quiddità, questa allora si
considera quo ad entitatem. Quando invece si considera la potenza o capacità di
fare che è nella cosa, si considera quo ad habitudinem. Così fra il divino e
l’uomo non ο) ὃ proporzione d’entità ma d’abitudine, perchè la distanza
dall’uno all’altro è infinita e non hanno fra loro proporzione d’entità, ma
l'uomo può giungere al divino mediante la conoscenza, e può aver relazione con
lui, e quindi si dice che ha con lui proportionem habitudinis. Biran, Influence de l’hab.
sur la faculté de penser; Stewart, Works, ed. Hamilton; Egger, La parole
intérieure; Dumont, De l’habitude, Revue phil.; Bourdon, L’habitude, Année
paychol. -- memoria organica, inclinazione, automatismo, csusalità. Nella lingua scolastica ‘ABSOLUTE’ equivale
talvolta a simpliciter, e si adopera quando una cosa è denominata assolutamente
come tale, senza aggiunte o limitazioni. cesi anche che una cosa è absolute
tale, quando ha natura e secidenti che richiedono quella e non altra
denominazione. Ad es.: la neve è bianca. Dicesi invece che è respective tale,
quando è tale non per natura sua e in sò, ma in confronto a un’altra. Ad es., un
macigno dicesi respective piccolo se lo si confronta con una montagna. CORNOLDI
(vedasi), Thesaurus philos. L’ABULIA -- ABouAla; abulie, willenslosigkeit ; I
His: aboulie -- è il sindrome di molte malattie mentali che consiste in un
indebolimento del volere e sembra dovuta all’atrofia dei centri motori.
L’ammalate vorrebbe, ma sente di non poter eseguire la propria volontà; senza
presentare alcuna impossibilità organica di movimento, ogli è incapace di
decidersi a compiere qualsiasi atto, come mangiare, vestirsi, camminare, ecc.
sebbene lo creda opportuno, desiderabile, persino necessario. Si parla di molte
forme d’abulia, non ancora ben definite, come 1’abulia motrice, che è quella di
cui ora abbiamo parlato, l’abulia intellettuale, che si manifesta con l’
indebolimento dell’attenzione, l’abulia sistematizzata, che riguarda solo uns
categoria di atti, ecc. Janet chiamato abulia delirante una speciale
ossessione, riguardante gl’atti stessi del soggetto, la quale, rispetto al suo
contenuto, si distingue in cinque classi: ossessione del sacrilegio, del
delitto, della vergogna di se stessi, della vergogna del proprio corpo, della
malattia. Dicesi infine abulia morale quella debolezza della volontà morale,
per cui 1’individuo, pur conoscendo il bene e desiderando seguirlo, non sa
resistere agl’appotiti e alle tendenze malsane; appartiene alla categoria delle
pazzie morali, e tingue dalla cecità morale in cui manca affatto la coscienza
morale, e dall’anestesia morale in cui il sentimento morale è torpido ο perciò
incapace d’influire sulla condotta. Quanto alla interpretazione psicologica
dell’abulie in genere, secondo Ribot esse sono dovute a un indebolimento della
sensibilità, legato alla depressione delle funzioni vitali; se gli ammalati
sono incapaci di volere ciò succede perchè tutti i proponimenti che essi fanno
non risvegliano in loro che impulsi deboli, insufficienti per spingerli ad
agire. Secondo Janet l’abulia è dovuta piuttosto ad una debolezza
intellettuale. Perchè la mente voglia un atto e lo eseguisca decisa, deve avere
l’idea chiara e completa dell’azioni richieste dal compimento dell’atto stesso.
Ora, tale capacità sarebbe diminuita negl’individui affetti da abulia, donde la
difficoltà di compiere certi atti, benchè l'intelligenza ne abbia una nozione
generale. Ribot,
Les maladies de la volonté; Janet, Névroses dica fires; Étude sur un cas d’aboulie,
Aca-Acc Revue philos.; Rivière, Contribution à l’étude des aboulies, Those de
Paris -- acedia, aprosechia, aprassia, agorafobia. L’acatalessia – axataXntia -- è l’incomprensibilità del
vero. È una delle tre parole che contengono le risposte ai problemi che si
propone lo scetticismo pirronisno. Possiamo noi comprendere che cosa siano le
cose? Noi, risponde Pirrone, non possiamo comprenderlo nè per mezzo dei sensi,
md per mezzo della ragione, perchè i sensi ce le mostrano come appaiono a noi,
non come sono, e la ragione #’ acquieta in ciò che le par conveniente. Nel
medesimo senso Bacone contrappone ln catalessia o dubbio scettico, alla eu-catalessia,
o dubbio metodico. Nos vero non acatalepsiam, sed eu-catalepsis meditamur.
Richter, Der Skeptisirmus în d. Philos.; Brochard, Les sceptiques grecs;
Bacone, Nov. Org. -- epoca, atarransia. Platone insegna negl’orti d’Academo, o
accademia, i quali rimasero poi la sede della sua scuola, detta perciò. Essa si
divide in tre periodi : la vecchia accademia, ingolfatasi, con Speusippo,
Xenocrate, Crantore, nella metafisica pitagoreggiante e in un astruso
dommatismo; la media, enduta nello scetticismo con Carneade e Arcesilao; la
nuova, tornata al primitivo dommatismo con Filone ed Antioco. Credaro, Lo scetticismo
degl’accademici. Usato sostantivamente, l’accadere -- Ereignen, Geschehen; happen
--, contrapposto all’essere, indi l’insieme dei fenomeni, dei caugiamenti che
si verificano nella realtà. Nella storia del pensiero filosofico il problema
dell’essere e il problema dell’accadere si svolgono parallelamente; ma il primo
ad imporsi è quello dell’accadere, giacchè la meraviglia suscitata dal mutare
incessanto delle cose fa il primo stimolo all’indagine filosofica. Cir.
Aristotele, Metaph. Nella logica, ACCESSORIO -- Nebonstohliok; accessory;
Acosswire – s’oppone a essensiale, fondamentale, neceesario e designa ciò che,
pur avendo una qualsisai relazione col soggetto di cui si tratta, non è nè
essenziale alla maniera attuale di considerare il soggetto stesso, nö
necessario alla intelligenza di ciò che se ne dice, cosicchè si può anche
lasciar da parte senza che per questo ne rimanga alterata l’idea ο diminuita la
chiarezza del discorso che deve spiegarlo. Per ciò nella discussione o nella
esposizione di nn argomento si deve far in modo che 1’accessorio non nasconda o
faccia dimenticare 1’essenziale. Accidente -- Acoidenz; Accident; Accident – è
un vocabolo usato nella filosofia aristotelica e scolastica. Si oppone a
essenza e a sostanza, e desìgna una qualità o modificazione che non appartiene
all’essenza della cosa, che non è l’espressione de’suoi attributi fondamentali.
Aristotele lo definì come ciò che aderisce ad un soggetto, ma non sempre nd
necessriamento; Goolenio, traducendo la definizione di Porfirio, in uso poi
presso tutti gli scolastioi peripatetici dell’eta di mezzo, determina l’accidente
come quod adent οἱ abest prate# subieoti corruptionem. In altre parole, l’accidente
è ciò che arriva alla cosa, quod accidit, ciò che in essa si riscontra, ouu$eBrxéç,
senza essere necessariamente legato alla sua idea. Così, si può concepire una
roccia senza concepirla arrotondata: essere arrotondata, uguzza, ecc. è,
rispetto alla roccia, un accidente. Alcuni filosofi distinguono due sorta di
legami tra la sostanza ο l accidente: l'uno, detto prioologico, è quello che interoedo
tra l'idea d’accidente e quella di sostanza, 1’altro, detto ontologico, è la
connessione che intercede tra In sostanza stessa ο l’accidente, cioè a parte
sui. Nella lingua scolastica si sogliono anche distinguere : l’aocidens
physicum, che ha entità distinta d’ogni sostanza, e può essere absolutum, cho
si riduco alla quantità ο allo qualità, e modale, che non può mai trovarsi
fuori di un soggetto; l’a. sepa-Ἱ -Acc rabile, che si può facilmente separare
dal soggetto, come il calore dal ferro, ο l’a. inseparabile, che non si può
separare, o almeno difficilmente, come il verde dalla foglia; l'a. artrineecum
che denomina un soggetto solo estrinsecamente, come l’azione, e l’a. intrinsecum,
che è inerente alla cosa di cui si chiama ncoidente, come il freddo della neve;
Pa. logieum o predicabile, che è una qualità inerente al soggetto in modo
contingente e non necessario, 6 l’a. metaphysicum ο pradicamentale, che è
quello che deve inerire al soggetto per esistere, ma nel concetto fa astrazione
dal modo di inerenza, se cioè sia necessario o contingente. Aristotele,
Metapk.; Porfirio, Isagoge; Goclenio, Lexicon philos. -- caso, essenza,
sostanza. Dicesi sofisma d’accidente quello che trae la sus origine da una
proposizione difettosa nel nesso tra il predicato e îl soggetto, il primo dei
quali non si congiunge a tutto il secondo nella sua unità, ma soltanto ad una
parte non costituente la sua unità, cioè ad un accidente d’esso soggetto. Es.:
L’arte oratoria ha spesso servito a trarre in inganno i popoli ο i giudici;
dunque, l’eloquenza è riprovevole. Dicesi comversione per accidente quella
operazione logica colla quale un giudizio universale affermativo, il cui
soggetto è meno steso dél predicato, si converte in un giudizio particolare
affermativo. Es.: ogni uomo è mortale; conv. per e., alcuni mortali sono
uomini. Port-Royal, Logique; Masci, Logica, . Si chiama accomodamento -- Accomodation;
Accomodation: Accomodation – o accomodazione l'atto fisiologico mediante il
quale i muscoletti ciliari dell'occhio dànno alla faccia posteriore del
cristallino la curvatura neeeesaria affinchè l’immagini degli oggetti, posti a
maggiore ο minore distanza, si proiettino sulla retina e siano così dormalmente
percepite. Quando la convessità del eristallino aumenta, l’occhio à accomodato
alla visione degli oggetti vicini, e viceversa quando scema, Un tempo si
credeva che l’accomodazione dell’ occhio avvenisso per uno spostamento della
retina in avanti e indietro, conforme alle diverse distanzo degl’oggetti;
Cartesio è il primo ad emettere il concetto che la nostra capacità di vedere
distintamente gl’oggetti collocati a distanza dipenda dall’attitudine insita
nell’occhio di poter modificare la lente cristallina. La dimostrazione di
questa veduta teorica si ha due secoli dopo con Langenbeck, Cramer e Helmholtz.
Si dice dottrina dell’ accomodamento quella di molti teologi protestanti, i
quali, basandosi sulla constatazione che il cristianesimo dove, giunto in
contatto coi vari popoli, modificarsi in parte secondo le loro tradizioni,
costumi, credenze, rigettano tutto ciò che nei documenti evangelici non
concordi colle loro vedute. Helmholtz, Handbuch d. phyeiol. Optik; Wundt,
Grundzüge d. physiol, Psychol., Techernig, Optique physiol. -- miopia, ipermetropia, punto prossimo, ecc.. Acedia
-- animi remissio, mentis enervatio -- così designavasi, nella teologia
medievale, quella specio di depressione malinconica, di torpore dello spirito,
che impedisce l’azione volitiva e coglie specialmente chi conduce vita
solitaria e di meditazione. Tale disposizione d’animo è afinovorata tra i
peccati cardinali, per opposizione alla SPERANZA posta tra le VIRTÙ CARDINALI.
Nella psicologia moderna è considerata come una semplice anomalia della
volontà. Höffding, Psychologie -- abulia. ACERVVS, mucchio, si dice così un
antico sofisma, che Aristotele fa risalire a Zenone di VELIA, e che consiste in
questa argomentazione. Un mucchio di frumento, cadendo, non può produrre nessun
rumore, perchè in tal caso si dovrebbe sentire il rumore d’ogni grano, e delle
particelle d'ogni grano, il che non accade. Ma il mucchio non è che la somma
dei singoli grani, che cadono senza produr rumore. Dunque, il mucchio di grano
cadendo non produce in realtà alcun rumore, il quale è soltanto una parvenza
sensibile. Codesto sofisma ha poi assunto varie forme, delle quali la più
comune è la seguente. Se a un mucchio di grano si leva un grano, resta ancora
un mucchio. Se se ne levano due, ugualmente, fino a conchiudere che CON UN SOLO
GRANO si ha un mucchio di grano. Se si osserva che un grano non basta a far un
mucchio, si risponde che neppur due, tre, quattro, fino a conchiudere che
cento, mille, ecc. grani. non fanno un mucchio di grano. Aristotele, Physica.
Il sofisma d’Achille è uno degli argomenti di Zenone di VELIA contro la realtà
del movimento. Aristotele lo espone così. Un mobile più lento non può essere
raggiunto da uno più rapido; giacchè quello che segue deve arrivare al punto
che occupava quello che è seguito ο dove questo non è più (quando il secondo
arriva); in tal modo il primo conserva sempre un vantaggio sul secondo. Zenone
assume come esempio il piè veloce Achille inseguente una tartaruga; da ciò il
nome dato all’ argomento. Esso è poi formulato matematicamente nel seguente
modo. Siano i punti A ο B distanti tra loro d’ una lunghezza 1, ο
mocontemporaneamente nella stessa direzione con velocità disugaali, il oni
rapporto sia 9. Supponiamo che il punto
B, più vicino alla meta, sia il meno veloce; dico che la distanza che li separa
docrescerà sempre, ma non diventerà mai
0. Infatti mentre il punto A in un primo movimento percorre la lunghezza
1, il punto B, che è 9 volte meno veloce, percorrerà una lunghezza =; ; così
puro mentre il punto A in un secondo movimento percorre la lun1 ghezza il punto
B ne percorre la ga parte, cioè è Dopo un numero qualunque di movimenti, la
distanza fra i due Aco 10 mobili non sarà mai = 0, ma sarà sempre
espresss dalla frazione En Questo argomento, insieme agli altri coi quali
Zenone nega la pluralità e il movimento, ba appassionato vivamente i filosofi,
da Aristotele a Horbat. Bergson lo confuta, dimostrando come esso abbia origine
dalla confusione tra il movimento e lo spazio percorso dal mobile, poichè
1’intervallo che separa due punti è divisibile infiuitamente, e s’il movimento
fosse composto di parti come quelle dell’ intervallo stesso, esso non sarebbe
mai sorpassato. Ma la verità è che ciascuno dei passi d’Achille è un atto
semplice, indivisibile, ο che dopo un numero dato di codesti atti, Achille
sorpassa la tartaruga. Aristotele, Phys.; Bergeon, Essai sur les données imm. de la conscience. A contrario, nella logica si designa così un
ragionamento nel quale, in luogo di conchiudere per analogia semplice, a pars,
si conchiude da contrario a contrario. Per es.: se lo stesse cause, nelle
stesse condizioni producono gli stessi effetti, è naturale aspettarsi che cause
contrarie produrranno effetti contrari. L’acosmismo. T. Akoemiemus; I.
Aoosmism; F. Aoosmiame è il trmine applicato da Hegel al sistema di Spinoza, in
opposizione ad a-teismo, perchè il sistema spinoziano non nega l’esistenza del
divino ma piuttosto fa ri-entrare il mondo in essa. Il termine è rimasto
nell’uso per indicare il pan-teismo, e, in generale, quei sistemi filosofici,
come ad es. quelli di Malebranche, Berkeley, Fichte ecc., che negano
l’esistenza del mondo come realtà indipendente. Secondo Windelband anche la
filosofia di VELIA è un a-cosmismo, in quanto essi nega la realtà delle cose,
che l’esperienza offro in co-esistenza e successione, per non affermare che la
realtà dell’essere uno ed unitario; AMORE per i fisio-psicologi moderni ogni
manifestazione più squisita del sentimento d’amore non è altro che la
manifestazione complessa d’un fatto semplicissimo 1’attrazione di due elementi
vitali, di due cellule, che tendono 8 completarsi e ringiovanirsi
vicendevolmente. Spencer analizza molto scutamente l’amore sessuale, cercandone
gl’elementi costitutivi. Egli dimostra come l’amore è il più irresistibilo dei
nostri sentimenti perchè è il più complesso, essendo un aggregato immenso di
quasi tutte le eccitazioni di cui siamo capaci. Infatti, oltre alle sensazioni
© ni sentimenti strettamente egoistici, entrano a costituirlo le impressioni
complesse prodotte dulla bellezza, la stima di sè, il piacere del possesso, l’amore
dell’ approvazione, la simpatia, l’ammirazione, la venerazione, l’affezione, il
rispetto, il sentimento della libertà d’azione. Già fin do ORAZIO Flacco si
sono distinti cinque gradi o fasi psicologiche dell’amore sessuale: rise,
auditus, taotus, osculum, concubitue, I due primi gradi sono i più degni
dell’uomo, i più adeguati alla raffinatezza del suo senso estetico; i tre
ultimi, nei quali In voluttà raggiunge successivamente le forme più intense, gl’uomini
hanno iu comune coi bruti. Nel primo grado l’uomo subisce per vin degli occhi
il fascino delle forme e delle movenze femminili; come esprime il nostro poeta
nei due noti versi: E vien dagl’occhi una dolcezza al core che intender non la
può chi non la prova. TI senso uditivo opera nella seconda fase, e con tanto
maggiore intensità quanto più l’uomo à civile e artisticamente colto. E par che
dalle sue labbia οἱ mova uno spirto gentile pien d'amore che va dicendo
all'anima: sospira. La fisiologia considera queste fari anecessive come
prodotte dal progres Amo sivo diffondersi dell’eccitamento afrodisiaco nelle
diverse sfere sensoriali; dai lobi posteriori del cervello, centri visivo e
nditivo, esso s’avanza ai lobi anteriori, centri sensitivo-motori, si sprofonda
nei lobi inferiori, centri olfattivi, e si diffonde infine a tutto l’asse
encofulo-spinale durante la consumazione dell'atto riproduttivo. In senso
teologico l'amore è il godimento che il credente prova nell’intuizione di Dio;
già per Platone l’amore, ἔρος, è l'entusiasmo puro, libero da ogni sensibilità,
verso la conoscenza dell’idee, e particolarmente per la più alta di tutte, il bene
divino. Per Plotino, l’amore pel divino è la felicità massima dell’uomo.
Agostino definisce lo stato dei beati come la più sublime delle virtù, 1’amore,
charitas. Nella beatitudine eterna, in cui non ο) ὃ da superare la resistenza
del mondo e della volontà peccatrice, e in cui l’amore non ha più bisogno di
acquietarsi, quest’amore è una contemplazione ebra di Dio, Per AQUINO la mèta
suprema d'ogni sforzo umano è la visio divine essentie, da cui segue eo ipso
l’amore del divino; concetto che trova il suo poeta in ALIGHIERI, che lo porta
a somma espressione di bellezza. Per il Cusano invece l’anima, se vuol conoscer
il divino, deve cessare d’essere sè stessa, deve rinunciare a sè stessa; tale à
lo stato del conoscere sopra-razionale, dell’ immedesimarsi dell’uomo nel
divino, stato di eni il Cusano dice: esso è l’amore eterno, charitas, che vien
conosciuto per mezzo dell’ amore, amor, ed amato per mezzo della conoscenza.
Per Spinoza l’amor dei intellectualis è il risultato della conoscenza delle cose
sub specie wernitatis; poichè da codesta specie di conoscenza nasce una gioia
accompagnata dall’idea del divino come causa, cioè l'amore del divino, non
nella misura nella quale ci imaginiamo il divino come presente, ma nella misura
nella quale comprendiamo ch’il divino è eterno: è ciò che io chiamo: amore
intellettuale del divino. Codesto amore è eterno, poichè tale è la natura della
conoscenza da cui nasce, 9 quantunque non abbia avuto cominciamento ha tutte le
perfezioni dell’amore. Esso è infino una parte dell’amore infinito con cui il
divino ama sè stesso. Il divino ama sè stesso d’un amore intellettuale
infinito. L’ amore intellettuale dell’ anima riguardo al divino è l’amore del
divino stesso, amore di cui ama sè stesso, non in quanto è infinito, ma in
quanto può essere spiegato dalla essenza dell’anima umana considerata dal punto
di vista dell’eternità: ossia 1’amore intellettuale dell’anima riguardo al
divino è una parte dell’amore infinito di cui il divino ama sò stesso. Per
Malebranche ogni conoscenza umana è una partecipazione alla ragione infinita,
tutte l’idee delle cose finite non sono che determinazioni dell’ idea del
divino, tutti i desideri rivolti all’ individuale non sono che partecipazioni
all’amore, inerente necessariamente nello spirito finito, del divino come
principio del suo essere e della sua vita. Amore ο odio sono la
personificazione delle due forze cosmiche con cui Empedocle di GIRGENTI spiega
la formazione e In dissoluzione del mondo: l’amore è la causa per oni i quattro
elementi originari, terra, aria, acqua ο fuoco, si mescolnno insieme ο dànno
luogo alle cose particolari, l’odio la causa per cui gli elementi si separano ο
le cose spariscono. Platone, Simp.; Rep.; Agostino, De trin.; Spinoza, Ethica;
Leibnitz, Nour. Eee,; LUCIANI (vedasi) Fisiologia dell’uomo; SFUMENI (vedasi), Arch.
di fisiologia, Firenze; Höffding, Psychologie; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol.
Amorfo -- T. morph; I. Amorphous; F. Amorphe – è ciò che non ha forma
sistematica, ordinata. I biologi dicono amorfa una sostanza organica ma non
organizzata in cellule. I sociologi, per analogia, chiamano amorfe lo società
costituite da un insieme di individui senza organizzazione nè differenziazione,
o gli etologi amori quegli individui che mancano di nn temperamento determinato
(sensitivo, volitivo o apatico) per mancanza di nnità nelle tendenze, negl’istinti,
nei desideri. L’smusin. T. Amusio; I. Amusia; F. .imusie – è una forma assai
rara di amnesia parziale, che si verifica nei musicisti, e consiste o nella
impossibilità di leggere la musica (a. vieira) pur rimanendo ln capacità di leggere
i caratteri tipografici; o nella impossibilità di cantare, ο di sonare il
proprio stromento (a. motrice); o nella impossibilità di comprendere con
l'orecchio le nrie musienli (a. uditira).
Brissaud, Malattie dell'encefalo. Nella religione greca anagogia designa
la festa per la partenza e il ritorno di un divino. Nella lingua teologica
indica quei processi che hanno per scopo di δυvreccitare il sentimento dei
fedeli, intensificandone le mistiche aspirazioni. Tali sarebbero i metodi per
raggiungere lo stato d’estasi religiosa. Leibnitz adopera il vocabolo anagoge
come sinonimo di induzione, ἀναγωγή. Dicesi anagogico quello tra i quattro
sensi della scrittura che è considerato come il più profondo e che consiste in
un simbolo di cose costituenti il mondo divino. L’analgesia -- analgesic,
Analgie; I. -tnalgesia, Analgia; F. Analgésie – è un sintomo frequente nelle
malattie del sistema nervoso; è sinonimo di algoanestesia, e consiste nella
completa ο incompleta insensibilità al dolore, co-esistente colla conservazione
d’altre sensazioni o di parte di ease. Essa può essere procurata anche per
ipnotismo, in seguito a comando dell’operatore. Non va confusa coll’anestesia.
La sua importanza, dal punto di vista psico-fisiologico, sta in ciò ch’essa può
verificarsi anche quando rimangano integri gli altri sensi cutanei (di
contatto, di pressione, di caldo, di freddo), comprovando con ciò la tesi di
Brown-Sequard, Funke, Mtinsterberg, che cioò esistano nella cute terminazioni
nerveo speciali e nel sistema nerveo centrale apparati sensitivi distinti per
le sensazioni del dolore, contro la tesi opposta, sostenuta da Latye, Wundt,
Richet, ecc., che gl’organi periferici ο centrali pelle sensazioni dolorifiche
siano gli stessi che funzionano per le sensazioni tattili e termiche. GRICE VERSUS PITCHER: Would I
be happy to accept a pain sense in the way in which sight or smell is a sense?
I think not. For to do so would involve regarding the fact that we do not
externalize our pains as a mere linguistic accident. Kiesow, Aroh. it. de Biol., Zeitsohr. für Peychol.;
Alrutz, Atti del Congr. di Psicologia, Roma -- dolore, modalità, tono. Il
significato della parola “Analisi. Τ. .inalyse; I. Analysis; F. Analyse -- è
molto vago molto vario. Ad ogni modo, ricorrendo alla sua etimologia, analisi
significa scomposizione di un tutto ne’suoi clementi, ἀνα-λύειν -~ decomporre,
sintesi composizione di un tutto per mezzo de’suoi elementi, 3uy-tidy1t =
comporre insieme. Trasportate nel pensiero, si dice analitica ogui funzione che
distingue in un tutto una o più parti, sintetica quella che combina parti
diverse e ricostruisce un tutto risoluto, ο di unità preesistenti forma un tutto
nuovo. Nella logica il procedimento 0 metodo analitico consiste nel partire dai
fatti particolari per nasorgere ad una legge, prima ignorata, che tutti li
abbracci e li spieghi; il procedimento sintetico consiste nel partire da nn
principio generale noto per trarne le conseguenze. Il primo procedimento, in
cui si va dal meno al più, costituisce ’ indusione ; il secondo, in cui si va
dal più al meno, la deduzione. Pure nella logica, dicesi analitica’ la prova
che va dagli effetti alle cause, sintetica © progressiva quella che va dallo
cause agli effetti; analitico il concetto le cui note sono sciolte dal loro
logamo logico, sintetico se sono pensate secondo quel legame. Nelle matematiche
la parola Analisi fu un tempo sinonimo di Algebra, la quale, in quanto metodo,
consiste infatti nel supporre il problema risolto per dedurre Je condizioni
della soluzione, cioè risalire dalla conseguenza cercata alle sue premesse;
oggi l’Analisi designa specialmente il calcolo infinitesimale, per opposizione
alla teoria delle funzioni. Wundt, Logik; Masci, Logica, Grice/Strawson, In defense of a dogma, in
Studies in the way of words. Per Aristotele l’analitica è l’arte dello
scomporre il pensioro nelle se porti; perciò dal si dice Analitica quella parto
dell'Organo di Aristotele che tratta dell’arte di ridurre il sillogismo nelle
sue diverse figuro (Prime analitiche) e dà le regole della dimostrazione in
generale (Ultime analitiche). Per Kant l’analiticn è la scienza delle forme
dell’intendimento ; essa decompone tutta l'opera formale dell’ intendimento e
della ragione nei suoi elementi e li presenta come i priueipt di ogni
apprezzamento logico della conoscenza, ed è quindi, almeno negativamente, la
pietra di paragone della verità, poichi bisogna secondo lo regole di essa controllare
e gindicare la forma di ogni conoscenza. L’analitica trascendentale è una delle
due parti in cui è divisa la logica del Kant. Essa ha per oggetto di scomporre
la nostra facoltà totale di conoscere a priori nei concetti elementari della
scienza pura »; si distingue in Analitica dei concetti dell’ intendimento puro
e Analitica dei principî dell’ intendimento puro: questa è la dottrina del
giudizio, quella l’analisi delle facoltà dell’ intendimento, che ha per scopo
di spiegnre In possibilità di concetti a priori, ricercandoli unicamente nell’
intendimento stesso come in loro fonte vera e naturale. Aristotele, Rhetor.;
Kant, Krit. d. reinen Fera., ed. Kehrbach. Analitici, sintetici, giudizi, Kant,
seguendo l’antica distinzione, chiama analitici quei giudizi il cui predicato è
necessariamente contenuto nel pensiero del soggetto – That child is not an
audlt – Grice/Strawson --, e che quindi si rica con una semplice analisi del
soggetto medesimo; sintetici quelli il cui predicato è preso fuori del soggetto
– That child understands Russell’s theory of types. Es. g. sint. Il triangolo
ha tre lati; g. an. Napoleone morì a S. Elena. I giudizi sintetici possono,
secondo Kant, essere a priori o a posteriori. Sono sintetici a posterioni quei
giudizi nei quali il fondamento del rapporto tra predicato e soggetto è l'atto
stesso della percezione; invec nei sintetici a priori, cioè nei principi
universali che danno la spiegazione dell’ esperienza, il fondamento è qualcos’
altro, che dev’ essere cercato. Ma per Kant l’apriorità è questo un punto
essenzialissimo della sua dottrina non significa qualche cosa che precede nel
tempo I’esperienza, bensì l’universalità di valore dei principi razioni
universalità che trascende ogni esperienza e non si può in alcun modo fondare
sul’ esperienza. Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach; Proleg.; Ewald, Kante methodologie, Grice:
Nothing can be green and red all over no stripes allowed. Nel suo significato commune, l’Analogie. T. Analogie;
I. Analogy; F. Analogie -- è la somiglianza più ο meno lontana esistente tra
due o più cose o fatti ; nel senso primitivo è ugnaglianza di rapporti o
proporzione matematica; nella logica l’analogia ο ragionamento analogico è un
razioeinio col quale, date due coso aventi un certo numero di caratteri comuni,
un nuovo carattere che si riconosca appartenere all’una di esse, viene
attribuito ancho all’ altra. In altre parole, l’analogia, a differenza dell’
induzione, conclude da particolare n particolare, inferendo da alcune
somiglianze note altre che non sono note. Il tipo dell’analogia è il seguente:
A (che è πι, n, 4) ὃ P Sèm,n,4 sıP. La conelusiono dell’ analogia è dunquo
soltanto probabile; giacchè, per esser certa, bisognerebbe che il termine
maggiore fosso convertibile semplicemente (ciò che è m, n, q è A) Il suo grado
di probabilità cresce col diminnire dei punti di differeriza e del numero delle
proprietà sconosciute. L’analogia può essere di identità o di coordinarione. La
prima ha luogo quando fra due coppie di concetti esiste identità di rapporto ο
di sostanza; ad es. l'estensione della legge della gravità terrestre a legge
della gravitazione universale. La seconda quando fra i due concetti esiste solo
una identità di rapporto; ad cs. le analogie tra lo spazio visivo e il tattile,
tra la propagazione del calore e quella del suono. E celebre 1’analogia d’
identità con la quale Franklin, movendo da alcune somiglianze fra il fulmine e
l'elettricità, argomentd che anche quello, come questa, doveva essere attirato
dalle punte metalliche. Analogie dell'esperienza chiama Kant le regole secondo
le quali dalle percezioni deve uscire l’unità della esperienza. Esse si
appoggiano su questo principio generale. L’esperienza non è possibile che per
la rappresentazione di un logame necessario delle percezioni. Tre sono i modi
secondo i quali i fenomeni esistono nel tempo, e ciod durata, successione, e
simaltaneità ; tre sono quindi le analogie dell’ esperienza. Prima anslogis :
principio della permanenza della sostanza: la sostanza persiste nel cambiamento
di tutti i fenomeni ela sus quantità non aumenta nè diminuisce nella natura.
Seconda: principio della causalità: Tutti i cangiamenti avvengono secondo In
connessione degli effetti e delle cause. Terza: principio di simultaneità
secondo la legge d’azione reciproca: tutte lo sostanze in tanto cho possono
esser percepite come simultanee nello spazio, sono in una azione reciproca
generale. Nella lingua scolastica
analoga sono quelle cose delle quali il nome è identico, mentre la ragione
significata dal nome è in parte identica in parte no, come il divino e la
creatura rispetto all’ arte. Analoga attributionia sono quelle cose a cui
conviene un nome comuno nel senso medesimo, ma per titolo diverso; analoga
proportionalitatis quelle cose a cui conviene un nome comune con significato
simile e con proporzione, come al mare, al cielo e all’animo dell’uomo la
serenità. Aristotele, Anal. prior.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kohrbach;
Wundt, Logik, PAGUINI (vedasi), Le analogie, Cult. filosofica; CHIDE, La
logique de l’analogie, Rev. phil., Sageret, L’analogie scientifique. Grice,
analogia come parte dell’escatologia. Analogismo -- T. Analogiemus,
Analogiererfahren; I. Analogiem; F. Analogieme – è, in generale, ogni indirizzo
che si vale del ragionamento analogico per giungere alla conoscenza di
qualsiasi categorin di fenomeni. E quindi analogismo quell’ndirizzo
sociologico, che concepisce la società come un organismo vivente, in cui gli
individui rappresentano le cellule, e ricava lo leggi dell'organismo sociale
dallo studio delle leggi dell’organiamo biologico. In senso più ristretto
analogismo equivale a idealismo realistico, monismo spiritualistico,
antropomorfismo, ecc.; ossia quell’indirizzo filosofico cho concepisce ln
realtà esterna per analogia con la realtà interna, cioè con la coscienza umana.
Nella sua forma riflessa esso comincia con Leibnitz. per il quale appunto la
natura delle monadi ci è resa intelligibile per via dell’ analogia con i nostri
stati interni; la legge dell’analogia ci impone di professare ovunque il
principio tout comme oi (simile ul tout comme chez nous di Holberg). Leibnitz, Nour. Essaie,
Erdmann; Hiffding, Hist. de la phil. moderne. Nella dottrina platonica, l’anamnesi. – Ανάμνησις -- è
la reminiscenza, ossia quel movimento per il quale lo spirito dall’opinione si
innalza alla scienza. Esso infatti si produce spontaneamente alla vista dei
vestigi della verità, della bellezza, dell'uguaglianza, dell’unità dell'essere,
che si riscontrano negli oggetti dell'opinione; sembra quindi che codesti
attributi ci siano conosciuti primitivamente e che noi non facciamo che
riconoscerli. Da ciò viene che per Platone la filosofia non è che una
reminiscenza. Con 1’esempio del teorema di Pitagora, egli mostra che la
conoscenza matematica non proviene dalla percezione sensibile, ma che questa
fornisce soltanto l'uccisione per cui l’anima richiama alla memoria la
conoscenza preesistente in essa, cioò avente un valore puramente razionale. Ora,
se le idee preesistono nell’ anima alla percezione, l’ anima deve averle
ricevute prima; e infatti le anime, prima della vita terrena, hanno, secondo
Platone, veduto nel mondo incorporeo le puro forme della realtà, © la
percezione di cose corporee simili richiama (secondo le leggi generali dell’
associazione e della riproduzione) il ricordo di quelle imagini, dimenticate
durante la vita corporea terrena; da ciò nasce l’ impulso filosofico, l’amore
per le idee (dpwg), con cni l’anima #'innalza di nuovo alla conoscenza di
quella vera realtà. Cfr. Platone, Men., 80 segg.; Fedro, 246 segg.; Fedone, 72
segg. Anarchia. T. Anarchismus; I. Anarchy; F. Anarchie. Secondo l'etimologia
greca (& priv. ἀρχή --comando) significa assenza di ogni autorità, di ogni
legge, di ogni capo. Nella sociologia ai distingue 1’ anarchiemo politico, che
ebbe per maestro Proudhon, e propugna l’ assoluta eguaglianza fra gli uomini,
l'abolizione di ogni proprietà e autorità, meno la familiare, e la spartizione
dei prodotti, ealcolati secondo le ore di lavoro; il comunismo anarchico,
fondato da A. Herzen, M. Bakunin, ecc., che vuol tutto abbattere, famiglia,
proprietà, stato, religione, per raggiungere V’ amorfismo politico; il
collettiriemo anarchico, che ammette un potere pubblico per la ripartizione dei
prodotti derivanti dallo sfruttamento delle terre e delle macchine, per opera
di associazioni di operai e d’agricoltori. Pietro Kropotkin tentò per ultimo di
unificare le varie dottrine anarchiche ; il suo armonismo sociologico, sia che
cerchi di fissare una presunta posizione scientifica dell’anarchia, o tenti una
valutazione critica dell’ ordinamento rociale e politico presente, 0 si
avventuri in previsioni sulla società avvenire, ha qualche parentela
formalistica ed estrinseca col sistema evoluzionistico dello Spencer, l’unico
filosofo che abbia posizione nel corso normale della acienza da cui gli
anarchici mntuino qualche detrito frammentario ANA-ANE li 46 di pensiero.
Tuttavia l’armonismo sociologico del Kropotkin ha, dimostra lo Zoccoli, un
carattere di troppo palese provvisorietà empirica per poter assorbire ed
acquietare le tendense di autonomia dottrinale, che si manifestano anche tra
gli anarobici; nn esempio tipico lo offre la dottrina dell'americano Tucker,
che giunge bensì allo stesso conseguenze estreme del comunismo del Kropotkin,
ma attraverso premesse aspramente individualistiche in politica, in economia e
in morale. Cfr. E. Zoccoli, L’anarekia: gli agitatori, le idee, i fatti, 1907.
Anatomia e fisiologia comparate. Scienze fondate dal Cuvier, ma già
intravvedute con precisione da Aristotele. Esse, fondandosi sullo studio
comparativo delle vario forme organiche, cercano stabilire le leggi generali di
parentela fra i diversi gruppi © i modi probabili di evoluziono dei vari apparecchi
dell’ organismo animale. Sebbene la natura delle due scienze sia molto nffine,
cosicchè spesso si confondono, tuttavia scopo specifico della seconda è lo
studio dello analogie esistenti tra i vari organi degli animali, della prima è
invece lo studio delle omologie. Si dicono analoghi quegli organi che, sebbene
djversi anatomicamonte fra loro, sono nei vari animali impiegati agli stessi
usi, ul es., le branchie dei pesci, le trachee degli insetti, i polmoni dei
mammiferi; si dicono omologhi quegli organi che, quantunque morfologicamente
uguali, compiono nei diversi animali funzioni diverse, ad es. le autonne degli
insetti, gli aculei dell’ istriee, le penne dogli uccelli. Cfr. R. Besta,
Anatomia ο fisiologia comparata, 23 cd., Hoepli. Anatreptica (évatpénw =
abbutto). L’ arte di rovesciare le proposizioni di un avversario. Fa parte
dell’agoniatica, che è quella parte della dialettica che consiste in veri e
propri certami o dispute (v. dialettica, erintica, maieutiva, ece.). Anestesia.
l. Anisthesie; I. Anaesthesia; F. Anesthésie. Insensibilità a qualsiasi
eccitazione, che pnd essere deter 47 ANF
minata da una lesione degli organi periferici (pelle) o dei centri nervosi
(enogfalo, midollo spinale). Nel primo caso si ha l’a. periferica, nel secondo
caso Va, centrale; è speciale se limitata ad una sola regione del corpo. Si
dicono poi sistematiche quelle anestesie in cni il soggetto, pure avendo tutti
i suoi sensi intatti, non percepisco che le sensazioni cho riguardano un dato
oggetto, oppure è incapace di percepiro quelle cho si riferiscono a un dato
oggetto. Anestesimetro è lo strumento con cui si misura il grado della
anestesia. In senso figurato dicesi
anestesia del senso morale (ethische Farbenheit dei tedeschi) la mancanza di
senso morale, che si riscontra in alcuni individui i quali pure non ignorano le
leggi della moralità, ma sono impotenti a seguirle appunto perchè la loro coscienza
morale non è sorretta e guidata da alcuna di quelle tendenze emotive, che
spingono 1 uomo verso il bene; essi appartengono alla entegoria dei folli
morali, © si distinguono dai ciechi morali (ethische Blindheit dei tedeschi),
che mancano affatto di coscienza morale, © dagli abnliei morali, nei quali le
tendonze emotive verso il bono esistono, ma sono troppo. deboli per lottare
contro quelle che spingono I’ individuo al soddisfacimento dei suoi appetiti e
delle suc passioni. Cfr. Kraft-Ebing, Die Lehre ton mor. Wahnsinn, 1871;
Dagonet, Folie morale, 1878; Bonvecchiato, Il senso morale e la pazzia morale,
1883 (v. analgesia), Anfibolia. T. {mphibolie; I. Amphibolia; F. Amphibolie.
Vocabolo greco, col quale si designa, nella logica, l'eq voco di senso risultante
dalla costruzione di una frase, © dall’ nso di termini di doppio significato.
Kant chiamava anfbolia dei concetti della ragion pura la possibilità di
nostitnire all’uso empirico dei principi dell’ intelligenza che non hanno
valore se non per rapporto agli oggetti dell’esperienza un uso trascendentale
illegittimo; percio egli la chiama amfbolia trascendentale o fa una critica
della monadologia leibnitziana, che considera come riposante au ANF-ANI 48
tale anfibolia. Cfr. Aristotele, Le soph. elench.; Kant, Krit. d. reinen
Pern., ed. Kehrbach, p. 245. Anfibologia. T. Amphibologie; I. Amphibology ; F.
Amphibologie. E una forma di sofisma molto simile all’ anfibolis, ma si usa
specialmente per indicare l’ ambiguità risultante dall’ uso di certe forme sintattiche.
Es. la frase latina dico lupum mordere canem » è un’ anfibologia, perchè può
significare tanto io dico che il lupo morde il cane » quanto io dico che il
cane morde il lupo ». Anima. T. Seele; I. Soul; F. Ame, Prima che comineinsse
la speculazione filosofica, l’uomo s'era già volto ad esaminare quale fosse il
substratum dei fenomeni dell’esperienza interna, e per prima cosa separò questo
dal corpo, spintovi forse dai sogni, poi l’identificò col soffio dolla
respirazione; tale infatti è il significato etimologico del latino animus, del
sanscrito dtman, dal greco φυχή. Sorta la filosofia, il concetto di anima
assunse via via vari ed opposti significati, che si possono tuttavia ridurre a
quattro fondamentali: 1° L’ anima è concepita come sostanza spi rituale,
semplice, inestesa, immortale, indipendente e distinta dal corpo; ciò
costituisce lo spiritualismo, detto anche dualismo perchè pone la dualità
fondamentale del corpo e dell’ anima, della materia ο dello spirito. 2° L'anima
è considerata non come esistente per sè, ma come una semplice funzione
dell'organismo; ciò costituisce il materialiemo, che è monistico quando ammette
la sola sostanza materiale e fa dello spirito una attività di ossa, dualistico
quando considera 1’ anima come una sostanza materiale simile alla corporea. 3°
L’ anima è considerata come I’ unica realtà, mentre tutte le altre cose non
sono che una parvenza o una derivazione di essa; tale è la dottrina sostenuta
dall’ idealismo o moniemo spiritualistico. 4° Infine l’ anima è identificata
col corpo, i fenomeni psichici coi fisici, considerandosi però gli uni e gli
altri come manifestazione di un principio auperiore che li contiene e li
domina, di un prinei 49 ANT pio che è la
sola roaltà; questa è I' ipotesi fondamentale di due sistemi, che, del resto,
differiscono molto nel fondo: il panteirmo e il moniemo. A queste quattro
vedute fondamentali si può aggiungere lu dottrina fenomenistica moderna, che
trae le origini dallo scetticismo di Hume e dal criticismo di Kant. Essa
abbandona alla metafisica ogni specalazione astratta sull'anima, limitandosi a
studiarne scientificamente le manifestazioni. Non afferma che l’anima esista o
non esista, ma soltanto che essu è un qualche cosa di sconosciuto, di
inconoscibilo forse; e che, in ogni caso, il problems non potrà essere risolto
con le ipotesi ο le congetture, ma con le ricerche minute, pazienti, positive
dei Senomeni peichici. Affine al fenomenismo è l’attualiemo, ılottrina
contemporanea che nega nella coscienza qualunque sostrato permanente,
affermando che i fatti psichici sono reali solo quando e in quanto sono
attuali, e che questi essendo in continua successione, la realtà della
concienza si risolve nella attualità dei suoi stati. Ad ogni modo la parola
anima implica, sia dal punto di vista empirico o fenomenico che dal metafisico,
una opposizione con I’ idea di corpo, e si distingue tanto dallo spirito quanto
dal me: da quello in quanto contiene P idea d’ una sostanza individnale ed ha
una estensione maggiore, applicandosi la parola spirito specialmente alle
operazioni intellettuali ; dal me in quanto questo non è di essa che una parte.
Aristotele chiama anima regetatica quella che produce la nutri zione,
l'accrescimento, la riproduzione degli esseri viventi ; a. pensante quella che
è il principio del pensiero, sin puro che discorsivo: a. sensitiea quella che è
il principio della sensibilità, anche negli esseri irragionevoli. Bacone chiama
a. sensibile uno sostanza puramente materiale, costituita dagli epiriti animali
e propria tanto dell’uomo che dei bruti. Cfr. Platone, Filebo, cap. 30; Fedone,
cap. 2: stotele, Je an., I, 2; Cicerone, De nat. deorum, III, 14, 3 Plotino,
Enneades, V, 5; Bacone, De augm., IV, 3; Carte» 4 Raxcout, Dirion. di scienze flosofiche. ANI 50
Principia philos., IV, 196; Holbach, System de la nature, 1770, vol. I,
p. 118; Kant, Arit. dor reinen Tern., ed. Kirchm., p. 324-337; Lotze,
Microkoemus, 1879, vol. I, p. 101170; Vogt, Physiol. Briefe, 1845; Lange,
Gesohichte d. Materialismus, 1874; Wundt, Grundsüge d. pysiol. Psychologie,
1880, vol. I, p. 8 segg.; II, p. 453-463; Ferri, La psychol. d. l'association,
1883, p. 286-293; Mausdley, La physiol. de Veaprit, 1878, p. 75 segg.;
Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900,
p. 8-23; Hamilton, Lectures on metaph., 1882, vol. I, p. 138 segg.; Spencer,
Princ. of. peyohol., 1874, P. 11, $ 58, 59, 63; F. Bonatelli, Disoussioni
gnoseologiche e note critiche, 1885; G. Sergi, L'origine dei fenomeni psichici,
1885; Ardigò, Opere ΠΙ., I, p. 189 segg.; VII, 17 segg.; G. Villa, La psiool.
contemporanea, 2* ed. 1911 (v. parallelismo, idealismo, priohe, io,
immortalità, semplicità, unità, identità). Anima del mondo. Gr. Ἡ τοῦ παντὸς
φυχή; Lat. Anima mundi; T. Weltseele, Wellgeiat; I. Soul of the world; F. Ame
du monde. Dottrina propria specialmente di Platone e degli stoici. Secondo
Platone, il mondo è opera della ragione; ina la ragione non può stare
senz'anima; di qui l’anima del mondo che fu creata da Dio per prima, ο serve da
mediatrice fra I’ indivisibile o il divisibile, fra le ideo ο le cose
sensibili. Per gli stoici, invece, il mondo è un immenso corpo organizzato,
fornito di un’ anima come gli organismi individuali: quest’ anima, costituita
da un fuoco etereo purissimo, è, nello stesso tempo, la ragion seminale del
mondo, il principio di universale attività, la provvidenza che sn tutto vigila,
in una parola Dio stesso. Cfr. Platone, Timeo, 34 b segg.; Aristotele, De
anima, 407 a; Cicorone, De nat. deorum, II, 8 (v. demiurgo). Animali (spiriti).
Lat. Spiritus animales; T. Tiergeister, Nercengeister ; F. Esprits animaur.
Secondo un’ antica dottrina, durata lunghi secoli ma da tempo abbandonata, I’
attività sensoriale e motrice dell’ anima sarebbe determinata dagli spiriti
animali, sostanza gassosn prodotta dal sangue
51 ANI e scorrente attraverso i
nervi al cervello. Erasitrato, nipote di Aristotele, considerava gli spiriti
snimali come provenienti dal cervello, gli spiriti vitali dal cuore; secondo
Galeno gli spiriti animali derivano da una mescolanza dell’aria aspirata dalle
narici con gli spiriti vitali condotti dal cuore ai ventricoli laterali del
cervello mediante le arterie, ed erano trasmessi dal cervello ai nervi per
determinare il movimento e la sensazione. Tale dottrina, più o meno modificata,
fu accolta da S. Agostino, 8. Tommaso, Telesio, Bacone e Descartes, per il
quale gli spiriti animali sono secreti dal cervello attraverso dei pori cho
s’aprono nei ventricoli, e, sccumulandosi in queste cavità, eccitano I anima
situata nella glaudola pineale; la volontà, a sus volta, muove gli spiriti
animali dei ventricoli per mezzo della glandola pineale, e li distribuisce per
la via dei nervi a tutte le parti del corpo: Notum eat, omnen hos motus
musculorum, ut omnes sensus, pendere a nervis, qui sun! instar tenuium
filamentorum aut instar parvorum tuborum, qui er corebro oriuntur; et
continent, ut et iprum cerebrum, certum quendam aërem aut ventum subiilissimum,
qui apirituum animalium nomine ezprimitur. Lunghe discussioni seguirono poi tra
gli scienziati intorno alla natura, all’ origine, alla sede degli spiriti
animali; ma solo verso la fine dell’ ottocento si cominciò a sostituirli con I’
ipotesi della vis nervosa, o corrente meurilica, che propagandosi lungo il
cilindrasse delle fibro trasporta le eccitazioni sensorie dalla periferia all’
encefalo ο le motorie dall’ encefalo alla periferia. Cfr. Telesio, De rer. nat., V. 5;
Bacone, Nov. Org., Il, 7; Hobbes, De Corp., C. 25; Descartes, Pass. an., 1, 7;
Vulpian, Leçons sur la physiol. du syst. nerreuz, 1868: Bastian, Le cerveau
org. de la penade, trad. franc. 1888, II, Ρ. 111 segg. Animismo. T.
Animiemus; I. Animiem; F. Animisme. Nella
storia delle religioni, dicesi animismo la credenza nell'esistenza degli
spiriti, da cui ogni cosa è animata: à ANN una delle forme della religiosità
primitiva. Si distingue dal fetieismo, che consiste nell’ adorazione degli
oggetti materiali in oui si crede dimori uno spirito. Una forma affine di
animismo consiste nella credenza che tutta la natura sia animata, senza che ciò
implichi l’esistenza di agenti distinti dai corpi. Nella filosofia, designa
quella dottrina che spiega tutti i fenomeni della vita ponendo a causa
originaria di essi l’anima, principio ad un tempo della vita e del pensiero. L’
animismo filosofico 6’ oppone all’organicismo, al meccaniciemo ο al vitaliemo,
obbiettando al primo che la forza direttrice e creatrice, ch’ esso pure ammette
negli organi, se distinta dalla materia vivonte è una pura concezione
metafisica, se identificata colla materia stessa, è, in fondo, l’anima; al
secondo, che in ogni essero vivente esiste un’ idea direttrice e creatrice
inesplicabilo colla semplice trasformazione del movimento ; al terzo, cho I’
esistenza di due anime, la vitale e la ponsante, Puna accanto all’ altra ©
ignorantisi a vicenda, è incomprens bile e, ad ogni modo, più difficile a
spiegare che non l’esistenza di un’ anima sola. Si distinguono due specie di
animismo filosofico: 1’ nna considera il corpo come prodotto © organizzato
dall’anima, l’altra, più consona αἱ risultati della scienza moderna, e
contraddistinta col nome di ani. miamo polizoista, considera ogni elemento
anatomico vi vente (cellule), come un piccolo animale, cosicchè il corpo
sarebbe prodotto dal consonso di tutte queste anime elementari. Cfr. Tylor, La
première civilisation, 1875; H. Spencer, Principî di sociologia, trad. it.
Bibliotoca dell’ economista, p. 145 sogg.; Hans Driesch, Il vitaliemo, atoria e
dottrina, trad. it. 1911; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1904, p.
264 segg. (v. cellulare pricologia, vita, duodinamismo). Annientamento. T.
Vernichtung; I. Annihilation; F. Annihilation. Si distingue dal semplice
cangiamento © designa il passaggio dall’ Essere al non-Essere; è quindi il
contrario di oreazione, che è il passaggio dal non-Essere 53
ANO-ANT all’ Essere. Non sempre però il vocabolo è preso in senso
assoluto (v. ecpirosi). Anoetico e dianoetico. Aristotele distingue le virtù in
dianoetiche ed etiche, cioè virtù dell’ intelletto ο virtà del sentimento
(4806): il loro carattere comune sta nel diventare qualità stabili della
persona, ma mentre le prime provengono dall’ esperienza e dalla educazione, le
seconde devono nascere dall’abitudine pratica dell’azione, che loro
corrisponde. Due sole sono, in fondo, le virtù dianoetiche, cioè prodotte
specialmente dall’intelletto: la sapienza (σοφία) © la prudenza (φρόνησις),
secondo che l’operare normale dipende più dall intelligenza filosofica o da
esperienza ο pratica. Il Rosmini, risuseitando con diverso significato i
vocaboli già usati da Platone e da Aristotele, chiama modo anoetico il modo di
pensar I’ essere prescindendo da ogni sua relazione con la mente, ed essere
anoetico l’ essere così pensato; chiama invece essere dianoetioo ο modo
dianoetico quando 1’ essere è pensato colla sua relazione essenziale alla mente,
per mezzo della riflessione colla quale l’uomo s’accorge che I’ essere è
essenzialmente intelligibile. Cfr. Aristotele, Eth. Nio., I, 18, 1103 a, 5; II,
1, 1103 a, 15 segg.; Rosmini, Nuovo saggio, 1890. Anomalia. T. Abnormität,
Anomalie; I. Anomaly; F. Anomalie. Vocabolo ormai fuori d’ uso, preferendosi ad
esso V altro di anormalità. Esso significa eccezione alla legge (a priv. ο
vipog= legge); ma le leggi naturali non soffrono eccezioni, e quelle che si
dicono tali nou sono, in fondo, che leggi particolari esse medesime,
avverantesi sia pure in un numero ristrettissimo di casi, ma sempre logate al
determinismo causale. In generale per anomalia si intende ogni fenomeno che si
allontana dal tipo ordinario; in an senso particolare designa le deviazioni gravi
d’un organo o di una funzione. Antagonismo. T. Antagoniemus ; I. Antagonism ;
lagonieme. Si dicono antagonistiche due rappresentazioni che, nel momento della
deliberazione volontaria, si manifestano alla coscienza con forza l’ una
impulsiva l’altra inibitoria. Si dicono antagonistici due muscoli che,
contraendosi, danno luogo a movimenti inversi. Sono antagonistiche due forze
quando il momento della risultante è uguale alla differenza dei momenti dei
loro componenti; sono invece sinergiohe quando il momento della risultante è
uguale alla somma dei momenti dei loro componenti. Antecedente. T.
Vorhergehend, Antecedens ; I. Antecedent; F. 4ntéoédent. In un rapporto
qualsiasi, logico o metafisico, dicesi antecedente il primo termine,
conseguente il secondo. Così lo 8. Mill ha definito la causa come l’antecedente
invariabile e incondizionale di un fenomeno »; l’effetto in tal caso è il
conseguente. Nel giudizio ipotetico dicesi antecedente lu prima parte, che
enuncia la condizione, conseguente la seconda che enuncia il condizionato; nel
giudizio se S è vero, P ὁ vero, 8 è l’antecedente, P il conseguente. Nella
psicologia e nella teoria della conoscenza cesi antecedente d’un fatto ο d’uno
stato di coscienza, ogni fenomeno che li precede nel tempo. Nella medicina diconsi
antecedenti gli avvenimenti individuali o ereditari che possono spiegare certe
anomalie attuali in un dato soggetto. Antecritico. Si suol designare così quel
periodo della vita del Kant, che è anteriore alla pubblicazione della
dissertaziono latina sul mondo sensibile e intelligibile, e alla libri
pubblicati dal grande filosofo nel periodo antecritico, è manifesta l’iutluenza
della filosolia wolfiana ο inglese. Ante rem. Che preesiste alla cosa. Alcuni
scolastici realisti, che ammettevano cioè la realtà degli nniversali, dicevano,
conformandosi alla dottrina platonica, che codesti universali sono ante rem,
preesistono alle cose individuali idealismo, realismo, terminismo). Anteriore.
T. Früher; I. Anterior, prior; F. ‘intérieur. In generale ciò che precede, che
vien prima. Tuttavia occorre distinguere I’ anteriore aronologico, con cui si
designa ciò che precede nell’ ordine del tempo, dall’anteriore logico, che
indica il termine da eni un altro dipende. Es. nella formazione geologica il
periodo eolitico è cronolo; camente anteriore al paleolitico; nel ragionamento
sillogi stico la maggiore è logicamente anteriore alla conclusione.
Antesubietto. In generale, ciò che precede cronologicamente o logicamente il
soggetto. Il Rosmini chiama così l'essere, che è il soggetto dei soggetti, e
distingue un antesubietto dialettico e un antesubietto ontologico. Il primo è
quello che la mente prepone, nell’ atto del concepirle, a entità che sono
supposte tali mentre non sono, come al nulla e all’ assurdo; ο, in altre parole,
quell’antesubietto di cui la mente abbisogna per concepire le cose. Il secondo
è invece quello che la mente prepone ai veri atti successivi o ai termini dell’
essere. La mente concepisce poi le cose per I’ atto dell’ essere, e questo le
appariace come assolutamente essente ©, ad un tempo, come per sò intelligibile;
dunque esso costituisce un antesoggetto ad un tempo ontologico ο dialettico.
Cfr. A. Rosmini, Nuovo saggio, 1830. Anticipasione. T. Anticipation; I.
Anticipation; F. Anticipation. È il greco πρὀληψις, che Seneos tradusse con
presumptiones. Secondo gli stoici, non esistono in resltà che i singoli, mentre
gli universali non sono che concetti soggettivi, formati per astrazione. Alcuni
di questi concetti, nati dalla percezione, sono comuni a tutti e perciò essi li
chiamavano anticipazioni, non perchè li credessero innati come a torto si
interpreta da molti ma per contrap porli a quelli la cui formazione richiede le
norme della dialettica. Gli epicurei, che adottarono pure questa dottrina, la
intesero in modo alquanto diverso: secondo essi la conoscenza si fonda
semplicemente sulle percezioni sensibili © sulla rappresentazione di più
percezioni simili che rimangono nella memoria; le prime chiamavano sensazioni,
le secondo anticipazioni. Il Gassendi ha ugualmente definita l’anticipazione
oomprehensionem animi, opinionemve quandam congruam, sive mavis intelligentiam
menti defizam,existentemque quasi memoriam monumentumve cius rei, qua extroreum
sapius apparuerit. Anticipazioni
dell'esperienza si soglion dire quelle congetture provvisorie, concepite a
priori, che dovranno più tardi essere confermate o distrutte dai fatti e che
servono intanto come idea direttiva, come punto di partenza delle esperienze.
L'ipotesi sarebbe appunto un’ anticipazione sull’ esperienza. Kant chiamava anticipazione della percezione
îl secondo dei principi delintelletto puro », che si formula coeì : ogni
fenomeno ha una quantità intensiva, vale a dire una gradazione. Nella fisica
codesta quantità intensiva costituisce lu forza; dunque tale proposizione è il
principio a priori della dinamica. Cfr. Diogene Laer., VII, 154; Cicerone, De
nat. deorum, I, 16; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 162, 169 (v.
ipotesi, senso comune). Antiegoismo v. Altruismo. Antilogia. Gr. “Avtoyia; T.
Antilogie; I. Antilology ; F. Antilogie. Artificio del linguaggio, mediante cui
si riuniscono due parole di opposto significato, o due giudizi che si
escludono. L’ antilogia è uno dei tropi degli antichi filosoti scettici: tra le
due proposizioni contradditorie e di ugual valore, che si possono sempre
profferire d’ogni cosa, essi non affermavano nè l'una nd l’altra. Tale dottrina
era riassunta nella seguente formola: Παντὶ λόγῳ λόγος ἀντιχεῖται. Alcuni psicologici moderni designano con 1’
espressione antilogia della volontà il fatto per cui, anche negli individui
normali, la volontà cosciente e razionale è spesso turbata da impulsi oscuri,
da tendenze inesplicabili, che, quantunque ordinariamente represse, spingono
talvolta ad azioni irragionevoli e di cui non si aa dare spiegazione. Il fatto
è spiegato mediante I’ azione che l’ incosciente esercita sulla deliberazione
volontaria. Cfr. Spitta, 57 ANT Die Willenbestimmungen und ihr
Verhältnisse su dom impulsicen Handlungen, 1881; Höffding, Peychologie, trad.
frane. 1900, p. 447 (v. inooscionte). Antinomi. Setta di eretici cristiani, non
molto diversa dal quietismo francese del secolo XVIII, la quale sosteneva che
per salvarsi non è necessaria l’ osservanza della legge, ma basta la fede. Cfr. Dorner, Syst. of. christ.
doctrine, 1. IV, p. 24 segg. Antinomia. Gr. Αντινομία; T. Antinomie; I. Antinomy; F. Antinomie. Vocabolo usuto
originariamente nella teologin e nelle scienze giuridiche, per indicare In
contraddizione tra due leggi ο principi nella loro applicazione pratica a un
caso particolare. Goclenio la dice adoperata pro pugnantia seu contrarietate
quarumlibet sententiarum sew propositionum. Kant adoperò per primo questo
vocabolo, per designare le opposizioni contradditorie in cui incorre necessariamente
la ragione quando si esercita sopra certi concetti (&vri contro, vépog
regola). L’ antinomia è composta di due proposizioni (tesi ο antitesi), le
quali, sebbene siano contradditorie, possono essere giustificato da argomenti
d'ugual forza. Quattro sono le antinomie della ragion pura, nelle quali cioè
nrta V idea cosmologica, l’iden del mondo considerato come ultima condizione
dei singoli fenomeni; le prime due sono dette dal Kant antinomie matematiche,
le altre antinomie dinamiche: 13 tesi, il mondo ha un cominciamento nel tempo e
un limite nello spazio antitesi, il
mondo è infinito nel tempo e nello spazio; 2° t., In materia è composta di
parti semplici a., nessuna sostanza è
assolntamente semplice; 3° {., si dà la libertà, cioè un’attività che non
suppone alcuna causa anteriore, ο che determina tutta la serio degli effetti
che κ’ intrecciano nel mondo a., non vi
è libertà nel mondo, ma tutto avviene secondo le leggi naturali; 4* t., vi è
nel mondo un essere assolutamente necessario, sia como parto sin come causa di
esso a., nulla esiste di assolutamente
necesANT 58 sario, nd nel mondo na fuori di esso come sus
causa. Oltre queste quattro, vi è un’ antinomia della ragion pratica, che
consiste in cid: noi consideriamo come necessario l’ a0cordo tra il bene e la
felicità, ma questo accordo è irrealizzabile nelle condizioni della vita
presente. Questa antinomia si risolve facilmente con la credenza in un mondo
futuro, ove 1’ accordo potrà realizzarsi, mentre le antinomie della ragion pura
sono insolvibili dalla ragione o dalla esperienza, essendo proprie di quel
mondo metafisico dei noumeni, in cni c'è vietato entrare. Cfr. Eucken,
Geschichte d. philos. Terminologie, 1878; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
Dialettica trascend., parte 2°; Krit. d. Urthetlekraft, $ 54 segg.; F. Evelin,
La raison puro et les antinomies, 1906 (v. antitesi, critiolemo, dialettica).
Antipatia. T. bneigung, Antipathio; I. Antipathy; F. Antipathie. Opposto a
simpatia; come dice la derivazione etimologica (ἀντί-οοπίτο, πάθος-οπιοσἰοπο)
significa una repulsione istintiva e cieca che allontana certi individui da
certi altri individui o cose. Secondo Spinoza essa è un prodotto dell’
associazione delle idee, come la simpatia; egli spiega il loro carattere
irrazionale, ammettendo che quando l’anima è eccitata da uno stimolo doloroso o
piacevole dopo averne provato uno indifferente, il ripresentarsi di questo è
seguito da dolore o piacere per pura contiguità nel tempo: Da ciò comprendiamo
come può accadere che noi amiamo 0 odiamo certe cose, senza alcuna cagione »
noi nota, ma semplicemente, come si suol dire, per sil patin ο per antipatia ».
Cfr. Spinoza, Ethica, teur. IX, seolio. | Antitesi. T. Antitheso; I.
Antithesie; F. Antithèec. Nella retorica si dice così quella figura che consiste
nella opposizione non solo di due parole, ma anche di due pensieri; è un’
antitesi il detto di Socrate: tutti gli uomini vivono per mangiare, io mangio
per vivere. Quindi, più che un ornamento retorico, I’ antitesi è un vero ©
proprio stro 59 ANT mento di prova, di
cni molto si valsero i filosofi. Così, le antinomie kantiane constano ciascuna
di una tesi e di un’ antitesi, la prima che afferma un dato principio, la
seconda che, con argomenti d’ ugual forza, lo nega. Nella filosofia di Fichte,
l’antitesi è il non-Io, che si contrappone all’ Io fenomenico, tesi, e che |’
Io assoluto, vale a dire la sintesi, identifica con I’ Io fenomenico. Nel
sistema Hegel }’ antitesi è il secondo momento del divenire. La sintesi, come
si vede, è la proposizione che concilia la tesi e l’antitesi. Cfr. Aristotele,
Phys., V, 1, 225 a, 11: Kant, Erit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 349;
Hegel, Enoykl., $ 48; Fichte, Grund. d. gesamiem Wissonachaftslehre, 1802, pag.
35. Antitipia. T. Antitypia; I. Antitypia; F. Antitypie. Indica la proprietà
della materia di essere impenetrabile e resistente. La parola, ricavata dal
greco, fu dapprima usata dal Gassendi, per provare, contro Cartesio, che
l'essenza dei corpi non è soltanto l'estensione, ma anche l’impenetrabilità.
Anche il Leibnitz adopera, in senso più largo, questo vocabolo, che per lui
significa quell’ attributo della materia per il quale essa esiste nello spazio,
rimane immobile senza un intervento esterno, © oppone una resistenza passiva.
Codesta antitipia costituisce la forza passiva della monade; in ciò il Leibnits
fa consistere la materia prima: materia est quod consistit in antitypia, sen
quod penetrandi resistit ». Cfr. Leibnitz, Op. fil., ed. Erdmnann, 1840, p.
466, 691. Antropismo. T. Anthropismus; I. Anthropism; F. Anthropieme. Con
questo nome l’ Haeckel designa quel complesso di idee erronee, con cui l’uomo
si contrappone 4 tutto il resto della natura e considera sò stesso come il fine
voluto della creazione organica e cume un essere perfettamente diverso da
quella e simile a Dio. L’antropismo comprende l’antropocentrismo, la credenza
cioè che I’ umanità sia il centro e la causa finale dell'universo; l’antroANT
pomorfismo, © la credenza in un Dio creatore del mondo, perfettamente uguale,
nel pensiero e nell’ opera, all’ uomo ; © Vantropolatria, o |’ adorazione
divina dell’ organismo umano. Cfr. E. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad.
it. 1902, p. 17 segg. Antropocentrico. Τ. Anthropocentrisoh; I.
Anthropocentrio; F. Anthropocentrique. È quasi sinonimo di teleologico, e si
applica a tutti quei sistemi che fanno dell’ uomo il centro dell’ universo,
vale a dire il fine per il quale ogni cosa è stata creata e al quale ogni cosa
è subordinata, Quindi, secondo l’antropocentrismo, gli occhi sarebbero stati
dati alV uomo per vedere, il sole la luna © le stelle per illuminarlo di giorno
e di notte, i minerali e i vegetali per nutrirlo, ece. In un senso più
filosofico e più moderno è antropocentrico il pragmatismo o umanismo, il quale,
subordinando la verità delle conoscenze al loro valore pratico, alla loro
utilità, fa della natura umana e dei suoi bisogni fondsmentali il centro
dell'universo; il Troiano lo definisce infatti come un sistema antropocentrico
del sapere filosofico, sul fondamento d’una teoria delle attività, delle
reazioni e dei prodotti dello spirito, studiato nella sua realtà di fatto,
immediata ο storica ». Cfr. F. Ο. 8. Schiller, Humanism, 1903; P. R. Troiano,
Le basi dell’ umanismo, 1906 (v. fine, geocentrismo, teleologia). Antropoidi.
T. Menschenaffen, menschenähnliche Affen : I. Anthropoid; F. Anthropoides. Nel
suo senso più generale indica l'ordine dei primati, che comprende l’uomo; in un
senso più stretto, soltanto la famiglia delle scimmie somiglianti all’ uomo. È
il vocabolo dato dal Broca alla famiglia delle scimmie più vicine all’ nomo,
preferito all’ altro di antropomorfe. Secondo le classificazioni dei
naturalisti moderni, questa famiglia appartiene alla classe dei mammiferi e
all’ ordine dei primati, a capo della quale sta l’uomo. Il Cuvier invece fa
dell’ nomo un ordine a parte, © così pure il Canestrini, il quale colloca l’
nomo nell’ordine dei bimani. Alla famiglia degli antropoidi appartengono i
generi: Gorilla, Chimpanzé, Orango e Gibbon. Cfr. Broca, Sur Pordre des
primates, 1869; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 24, 43 © sogg.;
Canestrini, Antropologia, 1898, Ρ. 112 segg.; Morselli, Antropologia generale,
1888-1900. Antropolatria. T. Anthropolatrie; I. Anthropolatry: F.
inthropolatrie. Fenomeno religioso assai raro, che con siste nell'attribuire
onori e potenza divina a nomini viventi. Un esempio ci è dato dalle antiche
tribù dell’ Asin, che veneravano pubblicamente i microcefali, collocandoli
sugli altari e facendoveli rimanere lungamente immobili. Il voenbolo si usa
anche per designare |’ adorazione cieca delle folle per certi uomini politici,
agitatori, conquistatori, 900. (v. antropismo). Antropologia. T. Anthropologie;
I. Anthropology; F. Anthropologie. Per antropologia s'intende oggi la storia
naturale dell’ uomo, ossia una monografia zoologica del genere umano. Essa
appartiene dunque allo scienze naturali. 1! Topinard dice: La parola
antropologia è di vecchin data ed ha sempre significato lo studio dell’ uomo;
all'origine dell’ uomo morale, più tardi dell’ uomo fisico. Oggi essa li comprende
entrambi ». Il Broca la definisce: la scienza che ha per oggetto lo studio del
gruppo umano, considerato nel suo insieme, nei suoi dettagli e nei suoi
rapporti col resto della natura ». Il De Quatrefages: In storia naturale dell’
nomo fatta monograficamente, come Vintenderebbe un zoologo studiante un animale
». Il Bertillon: una scienza pura e concreta avente per fine la conoscenza
completa del gruppo umano considerato : 1° in ciascuno delle quattro divisioni
tipiche, confrontate fra loro e con gli ambienti rispettivi, 2° nel suo insieme
© nei suoi rapporti col resto della natura ». Secondo il Morselli,
l’antropologia come scienza naturale comprende quattro gruppi distinti di
scienze: 1° scienze aventi per oggetto L’umana natura (antropologia propriamente
detta); 2° scienze aventi ANT 62 per oggetto le ranze (etnologia); 3° scienze
aventi per oggetto i tipi ο gli individui nmanf (antropografia) ; 4° scienze
aventi per oggetto i popoli (stnografia). Al terso gruppo appartiene anche
l'antropologia criminale, che è la storia naturale dell’uomo delinquente, di
cui studia la costituzione organica e psichica e la vita sociale o di
relazione, confrontandolo coi caratteri offerti dall’uomo normale e dall’ uomo
alienato. Essa quindi comprende una craniometria, una sociologia e una
psicologis criminali. Nella speculazione antica e nella filosofia tedesca,
specie dopo Kant, la parola antropologia ha un significato ancora più largo e
metafisico, designando tutte le scienze che studiano una parte qualsiasi della
natura umana, l’anima o il corpo, gli individui o la specie, l'umanità presente
o la passata, Nella teologia designa quella parte della teologis dogmatica che
ha per oggetto l’uomo nelle sue attuali e ideali relazioni con Dio, o l’uomo
come soggetto del regno di Dio. Cfr. Kant, Anthropologie, 1872, Vorrede ; P.
Topinard, L'anthropologis, 1884; A. Rosmiui, Antropologia in servisio della
scienza morale, 1857; E. Morselli, Antropologia generale, 1888-1900; G.
Canestrini, Antropologia, 1898; F. Del Greco, Vecohia e nuova antr. criminale,
1908; A. G. Haddon, Lo studio dell’ uomo, trad. it. 1910 (v. Antroposooiologia,
biologia). Antropometria. T. AntAropometrie; I. Anthropometry ; F.
Anthropométrie. Fa parte dell’ antropologia e designa V insieme dei processi di
misurazione del corpo umano ο delle sue parti. Essa non si restringe però a
studiare i caratteri morfologici esteriori, ma entra anche nel campo
psicologico, misurando la forza muscolare, le asimmetrie sensorie, la capacità
respiratoria, ecc. L’ antropometria moderna, dice il Livi, studia metodicamente
le misure del corpo dell’ nomo per metterle in rapporto colle varie facoltà
umane, per ricercare le leggi del suo sviluppo e le modificazioni di questo a
seconda della razza, dell'ambiente, dello stato di sainte o di malattia, e per
trarne deduzioni seientifiche le quali, oltre a giovare alla scienza
speculativo, possano pur portare un indiretto contributo al migliora. mento
sociale, mostrando in quali condizioni lo sviluppo del corpo è meglio favorito,
ed aver poi anche qualche applicazione pratica nel campo della medicina legale
ο dell'amministrazione della ginstizia ». La denominazione è dovuto al
Quetelet. Cfr. Charles Roberts, Manual of anthropometry, 1878; R. Livi,
Antropometria, 1900. Antropometrismo. T. Anthropometrismus ; I.
Anthropometrism; F. Antropométrieme. Si adopera talvolta per indicare quella
forma estrema di soggettivismo, ο scetticismo, che consiste nel fare dell’ uomo
la misura di tutte le cose; F uomo non conosce le cose come sono, ma le conosce
come sono per lui, e solo per lui, nel momento della percezione: in questo
momento esse sono per lui quali egli se le rappresenta. L'espressione ha
origine dalla sentenza di Protagora: l’uomo è la misura (μάτρον) di tutte le
cose, sin di quelle che sono per quanto riguarda il conoscere come sono, sia di
quelle che non sono per quanto riguarda il sapero come non sono ». Però non
tutti gli storici della filosofia greca concordano nell’ attribuire a questa
sentenza un significato scettico. ‘lutte il suo valore filosofico consiste
infatti nell’estensione che si dà al concetto di uomo: se si assume come
massima, la proposizione ha un significato generico, abbracciando tutti gli
nomini in quanto tali, se si assume come minima ha significato individuale e si
riferisce a ciascun uomo per sò stesso; col primo ci troviamo innanzi ad una
dottrina relativistica che, esoludendo la possibilità della conoscenza
all'infuori delle nostre facoltà di conoscere, non nega la possibilità di
raggiungere il vero ο quindi la legittimità della scienza; col secondo il vero
è ridotto ad una mutevole apparenza individuale ed abolita effettivamente la
conoscenza ο la scienza. Questa seconds interpretazione è siata fino ad oggi
accolta quasi ANT universalmente; ma contro di essa sono sorti in questi ultimi
tempi il Peipers, il Lans, il Gomperz, ece., che fondandosi in parte sopra
l’esame dei frammenti protagorei, in parte sopra una critica del Testeto
platonico, credono invece di poter dimostrare rigorosamente la legittimità
della prima. Tutto ciò prova, in ogni modo, che I’ uso di questo vocabolo può
dar luogo ad equivoci se non accompagnato dalla dichiarazione del valore che ad
esso si attribuisce. Cfr. Lans, Idealismus und positirismus, 1879-94, vol. I, p. 188 seg.;
Grote, Aristotle, 1872, vol. II, p. 148 seg.; Gomperz, Les penseurs de la
Grece, 1904, vol. I, p. 477 segg.;
A. Levi, Contributo ad una interpretazione del pensiero di Protagora, 1906; C.
Ranzoli, Sul preteso agnosticismo dei presocratici, Rendic. del R. Ist. lomb.
di scienze e lettero », vol. XLVII, fase. 19, p. 1068 segg. Antropomorfismo. T.
Anthropomorphiemue; I. Anthropomorphism ; F. Anthropomorphisme. È, come indica
I’ etimologia (ἄνθρωπος uomo, µορφή forma) la dottrina che concepisce e
rappresenta la divinità colla forma e gli attributi umani. Esso succede al
naturalismo, e designa uno stadio già abbastanza evoluto della religiosità,
giacchè il concepire Dio sotto forma umana è qualche con di superiore al
concepirlo sotto forma di una rozza forza naturale. Dicesi antropopatia quel
modo o fase dell’antropomorfismo, che consiste nell’ attribuire alla divinità
affezioni e passioni umane, © antropopoieri l’uttribuirle azioni umane, Nel
cristianesimismo primitivo la concezione della divinità è ancora
antropomorfica; i Padri e i Dottori della Chiesa si sforzarono di purificarla
spiritualmente, con l’applicazione dell’ interpretazione allegorica alle
Scritture e del metodo negativo, o ria eminentiae, nella doterminazione degli
attributi divini. Tuttavia, non sempre la teologia cattolien ha saputo evitare
lo scoglio dell’ antropomortismo, pur facendo di Dio l’ essere invisibile,
inconoscibile, incomprensibile, ineffabile; I’ nome non può in fine rappresen
65 AST tarsi Die che con forme simili
alle proprie, od è per questo che alcuni teologi, per evitare lo scoglio dell’
agnosticismo, ammettono la legittimità di un prudente e limitato
antropomorfismo. Nella filosofa la
parola antropomortismo si adopera talvolta, con valore nettamente polemico, per
indicare tutte quelle forme di monismo spiritualistico ο idealismo realistico,
che, in quanto tali, interpretano il mondo per analogia con lo spirito umano; a
ciò si suol rispondere che, ove non si voglia rinunziare a conoscere, non si
può far di meno di concepire la realtà in termini di coscienza, e che quindi
sono antropomorfici tutti i sistemi filosofici, con l'aggravante in alcuni
(materialismo, naturalismo, ecc.) di easer tali senza saperlo. Il Rosmini chiama sofiema antropomorfita quel
falso ragionamento con en gli epieurei e i pagani in genere attribuivano agli
dei forma umana; gli dei sono beatissimi e non potrebbero essere senza aver la
virtà; nd potrebbero aver la virtù senza la ragione; ma la ragione non si trova
che in quell’ onte che ha forma umana, dunque gli dèi hanno forma umana. Il
Rosmini considera tale ragionamento un sofisma, in quanto si fonda sopra la
cognizione erronea e confusa del soggetto, traendo da esso delle conclusioni
che ne sorpassano il valore. Cfr. T. Caird, Evolution of religion, vol. I, p.
289 segg., 367 segg.: Guelpe, Apologie den anthropomorphischen u.
anthropopathischen Darstellung Gottes, 1842; R. Eucken, Geistige Strömungen der
Gegenwart, 1909, p. 347 segg.; Ronouvier, Le personalisme, 1903, p. 49 e segg.;
Rosmini, Logica, $ 714 segg... 1853; A. Aliotta, L'aocusa di antropomorfismo, Cult.
filonofica », nov. 1907 (v. analogiemo, ignoratio elenchi, infinito).
Antroposociologia. T. Antkroposooiologie; I.Anthroposociology; F.
Anthroposouiologis. Nome col qualo oggi ni indien lo studio dell’uomo, in
quanto tale studio comprende © forma il punto di partenza di tutte le scienze
morali, della psicologia, dell’ etica, dell'estetica, della sociologia,
dell'etnografis, della demografia, della storia, della politica. Si distingue
dall’ antropologia, scienza puramente zoologica, ed è affine all’ antropologia
filosofica quale era concepita nella speculazione antica. L’antroposociologia è
sorta da principio con carattere prevalentemente storico, che appare in particolar
modo nelle opere del Gobineau sull’ ineguaglianza delle razze umane; attraversò
poi una fase biologica, corrispondente ai grandi lavori di Darwin, che pose
innanzi il principio della lotta per la vita e della selezione naturale,
facendone la prima applicazione alle razze umane; in una terza fase
bio-peioologioa, inizinta dal Broca, la legge della selezione sociale » è
assunta come principio esplicativo di tutti i fenomeni che si svolgono nella
società e tra lo società umane; nella sna fuse attuale essa ha carattere
antropometrioo, è rappresentata specialmente dal Lapouge, dall’Ammon, dal
Muffang, dal Livi, e tende con le misurazioni e le statistiche a dare base
sperimentale alle leggi » dell’antroposociologia, che sono soprattutto la
selezione naturale applicata all’ uomo nella sua modalità di selezione sociale,
e la superiorità etnica intellettuale e morale delVelemento dolico-biondo. Cfr. Ammon, L’ordre social
ei ses bases naturelles, 1900; Lapouge Vaoter, L’aryen, son rôle social, 1899;
D. Folkmar, Loçons d'anthropologie philosophique, 1900; Enrico Morselli, 1,
antroposociologia, Riv. di fil. e scienze affini », ott. 1900. Apagogia. In Aristotole l’äraywyr non significa
che la riduzione di un problema ad un altro. Tuttavia comunemente designa una
forma di ragionamento, che consiste nel provare la falsità delle proposizioni
che si vogliono confutare, deducendone delle conseguenze assurde e necessarie.
Si dice anche deductio ad impossibile o ad absurdum in quanto doriva la verità
della tesi da provare dalla impossibilità della sua negazione, Il Wundt ammette
tre forme di prova npagogica, la disgiuntiva, la contraria, la contradditoria;
la seconda però non è che una specie della prima, consistendo in uua
diagiunzione che ammette due sole possibilità, le quali in quanto contrarie si
escludono, mentre la terza è quella che suol dirsi riduzione all’ assurdo. Il
Masci mette pure una prova apagogica disgiuntiva, la quale consiste nell’
esaminare tutte le possibilità diverse da quella che si vuol dimostrare, e
dagli assurdi che ne derivano conchiude alla loro falsità, e da questa alla
verità delln tesi. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 25, 698, 20 © segg.; Wundt,
Logik, 1893, vol. II, p. 68; Masci, Logica, 1899, p. 345 segg. A pari v. a
fortiori. A parte ante, post rei. Termini propri della scolastica, che si
applicano all'infinito, all’ eternità. L’ eteruità non ha limiti nel passato,
ed è I’ eternità a parte ante; non ha limite nel futuro, ed è l’ eternità a
parte post. Dio contiene ambedue queste parti dell'eternità, l’anima umana
soltanto la seconda. Pure nella scolastica dicevansi a parte rei quegli
universali che vengono dalla natura della cosa © non dalla natura dello spirito
che la conosce (v. aerum, idealirmo, realismo). Apatia. (ἀπάθεια). Significa,
come dice |’ etimologia, mancanza di sentimento, d’attività mentale e morale,
indolenza. Ha qualche cosa del quistismo. Per Epicuro essa vale assenza di
dolore, ed è sinonimo di starassia da lui più frequentemente usato: si
distingue solo dall’ atarassin in quanto indica specificamente quella
imperturbabilità, che il sapiente raggiunge liberandosi dai sentimenti e dalle
passioni (πάθη, affectus), che la vita ed il mondo suscitano nell'uomo. Anche
per gli stoici la virtù coincide con l’apatia, con l’ essere scevro da affetti;
se l'uomo non può impedire che la sorte gli procuri un piacere o un dolore, può
però impedire che questi sentimenti diventino affetti, cioè passioni, negando
loro il consenso con la forza della ragione, non reputando il primo come un
bene e il secondo come nn male. Seneca determina così la differenza tra P
apatia stoica e quella megarica: Noster sapiens vinci! quidem incommodum omne,
sed sentit; illorum ne sentit quidem. Clemente Alessandrino adopera questo
vocabolo per indicare la mortificazione della carne, la rinunzia ottenuta dopo
le lotte contro i sensi. Cfr. Diogene Laer., V, 1, 8; Se neca, Ep. mor., I, 9,104.
Apodittioa. T. Apodiktik; I. Apodiotio; F. Apodiotique. Quella parte della dialettica, che insegna il modo di
dimostrare la verità di un priucipio per mezzo del semplice ragionamento, senza
ricorrere a prove di fatto. Secondo il Bouterwek l’apodittica è la scionza dei
fondamenti ultimi del sapere 6 in generale delle convinzioni assolute ». Le
altre due parti della dialettica sono l’elenctioa, che ha l’officio di
confutare le affermazioni dell’ avversario, ο l’apologetica che ha lo scopo di
difendere la verità contro le negazioni dell’ avversario. Cfr. Bouterwek, Ides
einer Apodiktik, 1799 (v. maioutioa, ironia, anatreptioa, agonistica).
Apodittici (gindisi). Vocabolo già usato da Aristotele (Ἀποδεικτικός) e di
nuovo introdotto nel linguaggio filo sofico da Kant, per contraddistinguere
quoi giudizi che sono al disopra d'ogni contraddizione ed esprimono una verità
di diritto, in essi pensandosi il predicato come necessariamente pertinente al
soggetto. Insieme agli assertori © ai problematici appartengono alla categoria
della modalità, od hanno la formola: A deve esser B. Possono anche essere
negativi, nel qual caso hanno la formola: A non può esser B, mentre i
problematici negativi hanno per formola: A può non esser B. Cfr. Aristotele,
Anal. pr., I, 1, 24a, 30; Kant, Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, pag. 54.
Apologetica. T. -{pologetik ; 1. Apologetics; F. Apologétique. Quella parte
della teologia che ha per cémpito di provare la perfezione e la verità della
religione cristiana, contro le religioni e le dottrine avversarie. Gli
scrittori dei primi secoli della Chiesa essendosi per la maggior parto ocenpati
di cid, son detti appunto apologetici. Essi compaiono già nel secondo secolo,
nel qual tempo la pubblica 69 APo-APP opinione veniva eccitata contro i
cristiani da ogni sorta di calunnie, e lo Stato romano, strettamente unito alla
religione pagana, cominciava a procedere giudizialmente contro la nuova
religione: gli apologeti respingono le accuse dei pagani, mostrano l’iniquità ο
l’immoralità dei miti degli dèi, difendono il monoteismo e il dogma della
resurrezione, provano la verità della dottrina cristiana mettendone in rilievo
gli alti effetti morali. Si dice anche spologetica quella parte della
dialettica che ha lo scopo di difendere la verità, di qualunque ordine essa
sia, contro le negazioni dell’avversario. Cfr. Bardenhewer, Patrologie, 1901;
Harnack, Geschichte d. altohristlichen Literatur, 1898-1897; A. Rosmini,
Apologetica, 1845. Aporema. Gr. Απόρημα, Una delle quattro specie in cui
Aristotele distinse il sillogismo, considerando il fine logico che si propone
chi lo adopera, L’ aporema è il sillogismo dubitativo (ἀπο-ρέω = dubito),
quello cio’ che mostra 1 ugual valore di due ragionamenti contrari. Cfr,
Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 17. Aporetica v. Zetetica. Appercezione. T.
Apperception; I. Apperoeption; F. Apperception. Parola di senso molto vario e
molto vago. Cartesio la adoperò per indicare l'ufficio della volontà nel rendere
distinti e precisi gli stati della coscienza: Rien qu'en regard de notre âme ce
soit une aotion do vouloir quelque chose, om pout dire, que c'est aussi en elle
une passion @apperceroir co qu'elle veut ». Ma la parola fu veramonto
introdotta nel linguaggio filosofico dal Leibnitz, ο usata poi, nel suo
primitivo significato di un aocorgersi interno, immediato, da Kant, Herbart,
Maine de Biran. Por Leibnitz, infatti, le appercezioni sono percezioni chiare,
caratterizzato dalla riflessione © proprie soltanto dell’ uomo; come tali si
distinguono così dalle percezioni propriamente dette, che noi proviamo senza
riflettere ο che ci possono essere ripresentate dalla memoria, come dalle
percezioni Ave πο oscure, quali possiamo
provarle nel sogno. L’ appercozione non è, per il Leibnitz, il prodotto di una
facoltà speciale, bensì la percezione stessa allo stato più perfetto,
rischiarante ad un tempo I’ Io ο gli oggetti esteriori. Per Kant invece essa è
completamente distinta dalla sensibilità, è l'atto fondamentale del pensiero e
non rappresenta che sò stessa. La validità obbiottiva del rapporto temporale ο
spaziale non può fondarsi, per Kant, che sulla sua determinazione mediante una
regola dell’ intelletto; ma la coscienza individuale non sa nulla di questo
concorso delle categorie nella esperienza, o non assume cho il risultato di
questa funzione come la necessità obbiettiva della sua concezione della sintesi
spaziale ο temporale delle sensazioni. Quindi la produzione dell’ oggetto non
avviene nella coscienza individuale, ma si trova in questa como sua base; ogni
oggettività che l’ individuo sperimenta ha radico in un nesso che lo trasconde,
e che, determinato dalla forma pura dell’ intuizione e del pensiero, pone ogni
prodotte immodiato dello spirito in un complesso di relazioni determinate;
quosta attività sopraindividuale della vita rappresentativa è chiamata da Kant
nei Prolegomeni coscienza in generale » (das Bewusstsein überhaupt), © nella
Critica . Agire su qualche coss è volere che qualche cosa sia, nel senso che la
volontà se ne serve come mezzo per realizzare sò stessa, per penetrare nell’
intimità chiusa d’altri soggetti © interesearli a sè; la scienza del renlo è du
que la scienza del soggetto dell’azione. Ma agendo n AzI-BAM 128
estraiamo da noi stessi il principio della nostra azione, e questo
principio oltrepassa le esperienze nostre passate ; V operare genera la
riflessione, ma questa non rimane sterile, bensì fa dell’azione una volontà
libera: il nostro pensiero attuale non è dunque che l’effetto e il mezzo
dell’azione. Da queste premesse il Blondel ricava importanti applicazioni di
natura sia filosofica che religiosa. Cfr. Blondel, L’Aotion, 1893; Id., Annales
do la phil. chrétienne, giugno 1906; Cesca, La fil. dell’asione, ed. Sandron;
Lamanna, La fil. dell’azione, in Cultura filosofica », luglio 1913. BB. Nella
logica formale questa lettera si dà per iniziale ai nomi mnemonici dei modi
delle varie figure del sillogiamo, che devono modellarsi sul modo Barbara,
quando si vogliono ricondurre alla prima. E anche ussta nelle argomentazioni
logiche per indicare il predicato della proposizione. Bamalip o Bramalip.
Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica si designa un modo della
uarta figura del sillogismo, in cui la maggiore e la minore sono universali
affermative, la conclusione particolare affermativa, come indicano le tre prime
vocali. Es. le rondini sono uccelli migratori gli uccelli migratori tornano la
primavera dunque qualche rondine torna di primavera. Come si vede, la
conclusione è falsa; ma la lettera B indica che, per esser provato, questo modo
deve essere ricondotto a un Barbara della prima figura; e la lettera p che
questa operazione si dovrà fare convertendo per accidente la conclusione.
Questo modo può anche essere designato col termine Baralipton; in tal caso I’
ultima sillaba ton non ha alcun senso, essendo stata aggiunta per la misura del
verso mnemonico. Corrisponde al γράµµασιν dei greci (v. conversione). Barbara.
Termine di convensione maemenies, con eni i lo, designavano un modo della prima
figura del sillogismo, nel quale la maggiore, la minore e la conelusione sono
proposizioni universali affermative, come indicano le tre vocali. Per es. tutti
i corpi sono soggetti alla legge di gravità tutte le stelle sono corpi dunque
tutte le stelle song soggette alla leggo di gravità. Corrisponde al vpénnata
dei greci ο rappresenta il tipo perfetto del sillogismo categorico. Barbari.
Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica si designa un modo della
quarta figura del sil logismo. Come indicano le tre vocali, la maggiore e la
minore sono universali affermative, la conclusione particolare affermativa. È
un modo analogo a Bamalip, colla differenza che non può essere ridotto al
Barbara della prima figura. Baroco. Termine di convenzione mnemonica, che
desigua un modo della seconds figura del sillogismo, nel quale la maggiore è
universale affermativa, la minore ο In conclusione particolari negative. La
lettera B indica cho, per provare questo modo, bisogna ridurlo a un Barbara
della prima figura, la lettera ο che questa operazione si deve fare convertendo
la minore per contrapposizione; r è eufonica. Es. Tutte le esagerazioni sono
riprovevoli vi sono delle passioni che non sono riprovevoli dunqne vi sono
delle passioni che non sono esagerazioni. Corrisponde all’ ἄχολον dei greci.
Baroestesia. (βάρος = peso, αἴσθησις := sensazione). Il senso della pressione,
che è dato dagli organi del sono tattile, di cui fa parte. Su questo senso il
Weber aperimentò la legge psico-fisica, che fa poi verificate anche negli altri
sensi e che suona così: il rapporto in cui devono trovarsi due stimoli della
sensibilità tattile di pressione perchè abbia luogo la distinzione intensiva è
di 1 a 14/5. Per ottenere una sensazione di pressione sul palmo della mano occorre
almeno il peso di cinque cen9 RaszoLi,
Dizion, di scienze filosofiche. tigrammi ; per poter percepire distintamente
due sensazioni suocessive di pressione, queste devono suocedersi con un
intervallo di tempo, che non sia minore di una data quantità, variabile negli
individui ο nelle località della pelle. Cfr. Fechner, Elements der Paychophysk,
2° ed. 1889. Bastoncini. T. Stibohen; F. Bätonnet. Corpuscoli cilindrici che
rivestono la parete esterna della retina, ove sono disposti nel senso dei raggi
della efera oculare. Non sono altro che le terminazioni dei nervi ottici, ed è
solamente da essi che, secondo il Wundt, è ricevuta e trasmessa l’ eccitazione
della luce, mediante un processo chimico analogo # quello onde rimane
impressionata la lastra fotografica. Questo processo dicesi asione fotochimica.
La maggior parte dei psico-fisiologi condivide questa dottrina, considerando il
complesso dei bastoncini della retina come P apparecchio recettore che funziona
durante la visions crepuscolare, e il complesso dei coni come 1’ apparecchio
che funziona durante la visione diurna. Cfr. Wundt, Grundsüge d. physiol.
Ῥοψολοῖοθίο, vol. II, 1902; Horing, Zur Lehre vom Liohtsian, 1878. Bentitudine. Gr. Maxapiéing; L.
Beatitudo; T. Seligkeit; I. Blossednose; F. Béatitude. Stato di godimento continuo ed uguale, che alcuni
filosofi ripongono nella contomplazione delle verità eterne, altri nel pieno
possesso di sò stessi, altri nell’esser liberi da passioni e da dolori. Così
gli stoici consideravano la beatitudine come stato caratteristico del saggio,
che racchiude tutti i boni nell'animo, disprezza le cose che gli altri
desiderano, non si turba nè si piega per mutar di fortuna, segue la natura come
maestra, conformandosi alle sue leggi, vivendo come essa preserive ». Per Spinoza
la beatitudo seu felicita» è il riposo doll’ anima, riposo che nasce dalla
conoscenza intuitiva di Dio ». Por la teologia cattolica la beatitudine à il
premio che gli eletti ottongono nella vita celeste, e consiste nella visiono
intuitiva, immediata di Dio uno e trino (risio beaBer tifica), del Padre nella
sua stessa natura e sostanza: vident divinam oesontiam visions intuitiva et
etiam facials, nulla medianto oreatura in rations obiecti visi 8ο habente, sed
divina essontia immediate se, nude, olare et aperte eis ostendente; quodque sio
videntes, cadem divina essentia perfruuntur, neonon quod ex tali visione....
sunt vere beata, ci habent vitam et requiem cternam. Però, la determinazione
dello stato futuro di beatitudine ha subito ‘delle oscillasioni nella filosofia
cattolica; così 8. Agostino, malgrado il suo volontarismo, lo faceva consistere
nella visio divina cosentie, seguito in ciò da Alberto Magno e da 8. Tommaso,
ma Ugo di 8. Vittore aveva già definito il supremo coro degli angeli mediante
l’amore; ο S. Bonaventura aveva identificato la intuizione eterna con l’amore;
Duns Scoto, procedendo oltre, insegnò che la beatitudine è uno stato della
volontà, e precisamente della volontà tutta rivolta a Dio, cosiechè l’ultima
trasfigurazione dell’ uomo non ènella intuizione, nella contemplazione, ma
nell’ amore. Si distingue da feHoità in quanto designa uno stato di gioia
spirituale ottenuto mediante uno sforzo, e implica 1’ idea della divinità ©
della vita futura. Alcuni psichiatri lo adoperano anche per indicare certi
stati di intima contentezza, che si accompagnano talora all’ estasi, alla
catalessia © alla ma Cfr. Spinoza, Ethica, I, teor. 49, scolio; IV, cap. 4; L.
Billot, De Deo uno ot trino, 1845, t. I, thesis XV, art. 11; H. Siebeok, Die
Willensichre bei D. Scotus u. seinen Naohfolgern, in Zeiteobr. f. Philos. u.
philos. Krit. », vol, 112, P. 179 segg. (v. amore, euforia). Bellezza. T.
Schônkoit; I. Beauly; F. Beauté. Si suol distinguere la bellezza fisica, che è
una riunione di forme, di contorni e di colori che piace all’ occhio, dalla bellezza
morale, che è propria dell’ anima, dei sentimenti © dello azioni; e la bellezza
statica, che risulta dalle lince, dalle forme, dalle proporzioni, dalla
bellezza dinamica, che risulta dai movimenti © dalla forza. Bri. "=
182 Bello. T. Schön : I. Beautiful; F.
Beau. Si può definire, formalmente, come ciò che suscita negli uomini quel
particolare sentimento che dicesi emozione estetica; oppure, ciò che piace
universalmente. Infinite fnrono le definizioni del bello, che forma l’ oggetto
di tutta una parte delle filosofia, l'estetica. Tuttavia queste definizioni si
possono tutte ridurre sotto due grandi categorie: lo une pongono il bello come
esistente in sè, e lo considerano come una proprietà dell’ oggetto; le altre
invece lo considerano come un semplice prodotto della nostra attività mentale,
che non esiste in sì stesso ma in noi. Per le prime il bello è dunque uni:
versale, assoluto, per le seconde è relativo e mutabile coi tempi, coi luoghi e
cogli individui. In Platone l’idea del bello 9 quella del bene sono strettamente
congiunte; se ciò che attira da principio 1’ ammirazione dell’ anima è il hello
fisico, le forme, i suoni, i colori, è perchè il bello risveglia in noi la
reminiscenza d’un bene perduto, un bene che lo nostre anime possedevano quando,
mescolate al coro dei beati, contemplavano il magnifico spettacolo delle Idee o
essenze eterne, tra le quali brilla la Bellezza: Caduti in questo mondo, noi 1)
abbiamo riconosciuta più distintamente di tutte le altre, per mezzo del più
luminoso dei nostri sensi. La vista è infatti il più sottile degli organi del
corpo, e tnttavia non percepisce la saggezsa! ». Di quale ineffabile amore la
suggezza empirebbe le anime nostre se la sua imagine si presentasse ai nostri
occhi distintamente come quella della bellezza! ma la bellezza soltanto ha
ricevuto in sorte d’ essere al tempo stesso la cosa più manifesta ο la più
amabile » (Fedro, 58, 250, a, b, ο). Aristotele non trattò del bello che
incidentalmente, mentre vece penetrò con mirabile acume nell’ essenza dell’
arte; ma dal poco che egli lasciò seritto in proposito, sembra al Siebeck di
poter dedurre che si può già scoprire in Aristotele, come condizione essenziale
del bello artistico (ed alla fine d'ogni bello in generale) quella proprietà,
che 133
BEL cored poi d’esprimere Kant con la formola finalità sonza scopo, 9
che Schiller espresse chioramente nella sua dottrina, secondo la quale il segno
distintivo e il carattere formale del bello consiste nell’ impressione della
libertà det fenomeno ». Per Plotino il bello è il tralucere dell’ essenza
spirituale, ideale, attraverso la sia apparenza sensibile, © grazie appunto a
questo irradiarsi della luco spirituale nella materia è bello tutto il mondo
sensibile, ed è bello in esso l'individuo rappresentato ‘secondo il suo
modello:, 1889. Catalettico (καταληπτικὀν). Secondo gli stoici, il eriterio
della verità è la rappresentazione che coglie con pienezza e con chiarezza
l'oggetto, ο risiede nel catalettico, cio nella forza di convinzione immediata,
ed insita ad una data rappresentazione. Cosi per Crisippo la rappresen-,
tazione vera 0 concopibile, φαντασία καταληπική, non si manifesta soltanto essa
stessa, ma manifesta anche il suo oggetto; essa non è altro, egli dice, che la
rappresentuzione prodotta da un oggetto reale ο in una maniera anuloga alla
natura di codesto oggetto. Cfr. Plutarco, De plac. phil, IV, 12; Diogene
Laerzio, VII, 46 ο 50; Zeller, Philos, der Griechen, IID, p. 85. Cataplessia
(xaté οπλἑσσω colpisco). T. Kataple. F.
Cataplerio. Scomparsa repentina e violenta della sensibilità e del movimonto in
qualche parte del corpo, in se 157 Car
"guito a qualche emozione intensa, specialmente la paura. Designs anche lo
stato di torpore prodotto negli animali con processi analoghi a quelli dell’
ipnosi, quando codesto torpore determina nello membra degli animali dei
fenomeni catalettici (v. analgesia, anostoria). Catari (x&tapo; --puro).
Setta di eretici oristiani, che si proclamavano gli unici depositari della pura
dottrina. Secondo il Tocco le dottrine del catarismo, una delle eresie più
infeste al cattolicismo, avrebbero avuto origine dall’antico manicheismo,
diffuso in gran parte d’ Europa, fornendo alla lor volta i materiali a tutte le
successive eresie dell’ evo medio. Il catarismo si fonda essenzialmente sul
dualismo religioso: il mondo è opera di due divinità, una buona e una cattiva;
il bene deriva dal primo, il male dal secondo; nell’ uomo il corpo © l’anima
sono prodotti dal primo e peroiò mortali, lo spirito dal secondo, quindi
immortale. Cristo non è che puro spirito, quindi non ha corpo umano, nè soffrì
passione © morte; egli è un arcangelo, mandato dal principio del bene a
disperdere le menzogne del vocchio Testamento, opera del dio cattivo, e ad
insegnare agli uomini la schietta verità. Cfr. F. Tocco, L'ereria nel medio-evo,
1884 (v. manichelemo). Catarsi (κάθαρσις --pargazione). Grecismo col quale
talvolta si designa il periodo di purgazione a cui, secondo V orfiemo, il
pitagorismo e la filosofia platonica, erano sottomesse le anime dei defanti
prima di essere ammesse alle sedi dei besti, o prima di dar vita a un nuovo
corpo. Secondo Platone la cntarsi durava mille anni, perchè di quante mai
ingiurie ogni anima e a chiunque le abbi fatte, di tutte partitamente (deve)
scontare la pena; ciò fare che cisscuna pena duri cent’ anni, tale essendo la
misura della vita umana affinchè scontino decupla la pena del loro peccato ».
Virgilio ha seguito in questo, come in altri concetti, il filosofo greco,
stabilendo così In durata della vita oltremondana: Has omnes, ubi mille rotam
rolCat 158 vere per annos Lethaoum ad fluvium deus svocat agmine magno
Soilioat immemores, supera ut convera revisant
Rurews, et incipiant in corpora velle reverti. Aristotele usa la stessa
parola in un particolare significato, prendendolo dalla medicina, dove per
catarsi s’intendeva la cura di certi stati di eccitazione psichica col suono di
melodie orgiastiche, ciod di melodie che producevano un maggiore eccitamento ;
applicando questo concetto alla influenza della tragedia sull’ animo, egli dice
che l’opera tragica mira, col modo onde rappresenta i suoi soggetti, a
raggiungere con la paura © la compassione la catarsi di codesti effetti ». E
ciò deve intendersi nel senso, che l'efficacia psicologica della tragedia
consiste nel risolvere i suddetti affetti in un gradevole fluire, che ingenera
il sentimento di una depurazione progressiva dal dolore, di una liberazione
crescente di ciò che in esso è di opprimente, senza perciò eliminare |’ affetto
stesso: quindi la tragedia non suscita soltanto la paura e la compassione, ma
le purifica anche in modo ds far loro perdere il carattere di emozioni dolorose
per convertirle in piacevoli. Cfr. Platone, Fedone, 67 C, D, Rep., XIII, 615;
Aristotele, Poet., VI; Bernays, Ueb. die arist. Theorie des Drama, 1880;
Siebeok, Zur Katharsis-frage, in Unters. z. Philos. d. Griechen, 1888, p. 163
segg.; C. Ranzoli, La religione e la filosofia di Virgilio, 1900, p. 185 seg.
Catatonia. ‘I. Katatonic; I. Catatony; F. Catatonie. Nome creato dal Kahlbaum
per indicare una malattia mentale, caratterizzata specialmente da disturbi
psicomotori. Si verifica più frequentemente nelle donne che negli uomini, tra
il quindicesimo o il trentesimo anno. Più che una malattia a si i moderni
psichiatri la considerano, insieme alla cbefrenia, come una forma della demenza
precoce. Si inizi con accessi di esaltamento e di depressione, cui segnono
stadi di stupore, di catalessia, stereotipia, ecolulia, negativismo: il malato
rimane lungamente immobile 159 Cat in posizioni trane ed incomode, i suoi
muscoli sono rigidi e di un caratteristico color cereo, i suoi movimenti sono
lenti, incerti, legati, come se ad ogni istante una folla di rappresentazioni
antagonistiche si facessero equilibrio nella sua mente, così da allontanare il
periodo della determinazione. L'intelligenza può restare lucida ο sveglia, ma
di tratto in tratto vengono a intorbidarla idee deliranti, stadi di stupore,
atti impulsivi e violenti. Cfr. Kahlbaum, Die Katatonie, 1874; J. Finzi,
Compendio di psichiatria, 1899, p. 57, 121. Categoria. Lat. Predicamentum; T.
Kategorie; I. Category; F. Catégorie. Nel senso primitivo, usato da Aristotele,
le categorie sono i predicati delle proposizioni. In senso generale sono le
classi più alte in cui sono distribuite le idee o gli esseri reali, in seguito a
un certo ordine di subordinazione e a certe vedute sistematiche. I primi
filosofi che abbiano ammesse delle categorie, furono, per non parlare dei
filosofi indiani, i pitagorici, i quali ne contavano dieci, procedenti per
opposizione: il determinato e l’ indeterminato, il pari e il dispari, l’unità e
la pluralità, il diritto e il sinistro, il maschio e la femmina, la quiete e il
moto, ritto e il enrvo, la luce © le tenebre, il bene e il male, il quadrato ο
le figure dai lati disuguali. Aristotele, ponendosi dal punto di vista
grammaticale, distingue pure dieci categorie: la sostanza, la qualità, la
quantità, la relazione, il luogo, il tempo, la situnzione, In possessione,
l’azione, la passione. Gli stoici non ne ammettevano che due: la sostanza e la
qualità. Plotino cinque nel mondo sensibil la sostanza, la relazione, la
quantità, la qualità, il movimento; cinque nel mondo intelligibile: la
sostanza, la quiete, il moto, I’ identità e la differenza. Tra i filosofi
moderni, che hanno formulato delle categorie, tralasciando quelle del
Descartes, di Porto Reale, eco., ricorderemo Kant, Jo Stuart Mill ο il
Renonvier. Per il Kant le categorie sono Cat
160 dodici e rappresentano non le
classi più generali nelle quali si distribuiscono le nostre idee, ma i modi più
generali secondo i quali la ragione costituisce i suoi giudizi; esse
costitaiscono i concetti fondamentali dell’ intendimento puro, le forme a
priori della nostra conoscenza, rappresentanti tutto le funzioni essenziali del
pensiero discorsivo. Ora quattro sono lo classi generali dei giudizi, quindi
quattro le categorie principali: 13 qualità, 2* quantità, 83 relazione, 43
modalità; ognuna di queste contiene tre categorie subordinate: 1° l’unità, la
moltiplicità, la totalità; 2* la realtà, la negazione, la privazione; 83 la
sostanza, la cansalità, la reciprocità; 4° la possibilità, l’esistenza, la
necessità. Il Mill riduce tutte le cose nominabili a quattro classi, che
propone di sostituire alle categorie aristoteliche; sentimenti o stati
psichici; la mente o anima che li esperimenta; i corpi esterni con le loro
proprietà che eccitano tali sentimenti; le succession e cocsistenze, le
80miglianze e dissomiglianze tra i sentimenti stessi. Il Renouvier, che le
definisce come le leggi prime e irreducibili della conoscenza, distingue nove
categorie: relazione, numero, posizione, suocessione, qualità, divenire,
causalità, finalità, personalità. Ogni categoris esprime, secondo il Renouvier,
una relazione nella quale si può trovare una tesi, un’ antitesi e una sintesi:
ad es. nella successione In tesi è l'istante, l’antitesi il tempo, la sintesi
la durata. Secondo l’Ardigò le categorie sono idealità strumentali, di origine
empirica al pari delle altre idee, com’ è dimostrato dal fatto che esse pure
variano da individuo a individuo, © nella storia della cultura, per vari
rispetti; sembrano a priori perchè si vengono formando con processo inavvertito
nei primordi della vita psichica individuale, cosicchè al cominciare della
riflessiono, lo troviamo già costituite in noi stessi. Secondo lo Schuppe le
categorie, senza lo quali nulla può essere pensato, non sono una creazione
dell? io, non vengono applicate ai dati dell’ intuizione, como credo 161
Kant, ma sono fin da principio esistenti nella nostra coscienza come
determinazione dei dati, che non potrebbero divenire contenuti di coscienza
senza essere distinti e connessi causalmente; si può dire dunque che le
categorie sono a priori, in quanto non abbiamo bisogno di aspettare questo o
quel dato particolare per dire che deve conformarsi alle leggi universali del
nostro pensiero, ma ci sono date a posteriori, perchè non abbiamo altro modo di
ricavarle se non dalla riflessione sul contenuto della nostra coscienza.
Secondo il Cohen, il pensiero è spontanea produzione di sè stesso, perchè il
pensiero e l’essere sono identici; quindi è erroneo sostenere che la conoscenza
si produca col plasmarsi di una materia empirica nella forma delle categorie,
ma si deve riconoscere che il pensiero, non potendo aver nulla prima di sd da
cui prends le mosse, produce con la sua stessa attività il suo indivisibile
contenuto: questo è l’ unità attiva del gindizio, il cui contenuto non è la
cosa (Ding) ma l'oggetto (Gegenstand), e che produce, con le sue diverse
specie, le diverse formo di conoscenze e di oggetti. A questo tentativo di
deduzione trascendentale delle categorie, la nuova scuola del Fries sostituisce
l’analisi e l’osservazione dell’ intellotto umano, nella sua struttura comune n
tutti gli individui; con essa risale dai comuni giudizi ai principî
fondamentali che in essi sono impliciti (categorie), e la cui unità e
complessità prova il loro essere conoscenze immediate di natura non empirica.
Cfr. Aristotele, Categ., 4, 1 b, 25; Top., I, 9; Simplicio, In cat., 16;
Plotino, Fam. VI, 1, 25 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 95
segg.; J. 8. Syst. of logio., 1865, vol. I, 83; Renouvior, Kesaie de crit.
générale, Logique, I, 184; Trendelenburg, Geschichte d. Kategorienlehre, 1841;
Schuppe, Grundriss d. Erkenninistheorie, 1894, p. 36 segg.; Cohen, System d.
philosophie, 1902, p. 14 segg., 79-100: Nelson, Die kritische Methode, 1906,
vol. I; Ardigd, Op. AV, p. 7 segg. 11
Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Cat 162
Categorioo. 'T. Kategorisoh ; I. Categorical ; F. Catégorique. Nella
metafisica si dice categorico un giudizio che non dipende da alcun altro
giudizio esteriore. Nella logica il gindizio categorico appartiene alla
categoria dei giudizi di relazione ed esprime il rapporto di sostanza ed
inerenza ; esso rappresenta la forma più generale di analisi e di sintesi del
pensiero. Alla categoria dei giudizi di relazione appartengono inoltre il
giudizio ipotetico e il disgiuntivo (v. imporatico). Categorumeni. Aristotele
distingueva, oltre le dieci categorie, che sono i predicati, anche cinque
categorumeni, ossia i predicabili, i predicati dei predicati. Sono: genere
(Ὑένος), specie (εἴδος), differenza (διαφορά), proprio (Ἴδιον), acoidente
(συμβεβηκός). Gli scoliasti greci li chiamavano generalmente le cingue vooi
(rèvte φωνάς), appunto per indicare che sono epiteti cho si possono dare allo
dieci categorie, le quali invece sono le cose stesse che si predicano. Ciascuna
di queste cose, se si considera iu relazione con le idee esprimenti la sua
divorsa catensione, può essere specie, differenza, genere, proprio, accidente o
tutto questo insieme; così la quantità può essere un proprio di quantità, come
del corpo è propria una quantità figurata, o un accidente, come è un accidente
la quantità determinata di materia componente il corpo di un uomo, il quale può
essere più o meno grande. Il Rosmini ammette invece sette predicabili, divisi
in due classi, di cui la prima ha per base l’ estensione, la seconda la
comprensione : alla prima classe appartengono l'onsenza universalissima, essere
ideale indeterminato, idea dell’ essere (che è non solo fuori di tutti i
generi, in quanto si predica di tutti, ma è anche a tutti superiore, 9 come per
#2 esente dà una differenza mussima da essi), l’essensa generica, idea
generica, genere, e l'essenza specifica, idea specitica, spocie; alla seconda
la differenza specifica, che è ciò che la specie comprendo più del genere, il
proprio, che è ciò che l'individuo comprendo di necessario più della
specie, 163 Cau l’aocidente, che è ciò che di non
necessario 1) individuo comprende più della specie, il reale, che esce dal
novero delle idee, ed è il massimo comprensivo come 1’ essere ideale è il
massimo estensivo. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 1534; Prantl, Gesohichle
d. Logik, 1885, I, 395; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 97;
Rosmini, Logica, 1853, § 413-416. Causa. T. Ursache; 1. Cause; F. Cause. La
parola causa è adoperata comunemente per designare ciò che produce una cosa o
un fatto, le loro condizioni necessarie, ciò, insomma, senza di cui cosu e
fatto non sarebbero. Boezio la definisce: causa est, quam de necessitate
sequitur aliquid, seilicet oausatum. Guglielmo di Occam: causa sunt quibus
positis sequitur effectus. Cartesio: Jam vero lumine naturali manifestum est
tantumdem ad minimum esse debere in causa efficiente et totali, quantum in
eiusdem causa effectu. Hobbes: una causa è la somma o l’aggregato di tutti
quegli accidenti, sia nell’ agente che nel paziente, i quali concorrono alla
produzione dell’ effetto ». Malebranche: La vera causa è quella tra la quale e
il suo effetto lo spirito percepisce un legame necessario ». ('. Wolff: oausa
est principium, a quo eristentia sive actualilas entis alterius ab ipso diversi
dependet tum quatenua existit, tum quatenue tale existit. James Mill: Una causa,
o il potere di una causa, non sono due cose, ma due nomi per la stessa cosa; I’
idea di causa come esistente è seguìta irresistibilmente dall’ idea di effetto
come esistente ». Kant: una particolar specie di sintesi,... per cui da un 4
vien posto un Β da esso totalmente diverso secondo una regola generale >;
egli considera la nozione di causa e di effetto come una delle forme dell’
intendimento, una delle condizioni sotto cui dobbiamo pensare; noi siamo
costretti da una legge della nostra mente a disporre le impressioni della
esperienza secondo ‘questa forma. Ora codesta idea comune di causa è costituita
da altre idee, di oni la critica filosofica, cominciando Cav dal Hume, ha
esaminato il valore, La prima idea è quella di produzione: dicendosi che il
fatto 4 è causa del fatto B, si intendo che il fatto 4 abbin prodotto il fatto
B; così nel fatto del riscaldarsi di un pezzo di ferro (effetto) in seguito a
colpi ripetuti di martello (causa), il primo di codesti fatti sarebbe prodotto
dal secondo. Ora questa iden è errones : essa ha le sue radici nel sentimento
dello sforzo volontario, mediante il quale sentiamo in noi la capacità di
produrre un fatto nuovo che altrimenti non si produrrebbe. Codesta capacità,
codesta attitudine soggettiva noi la obbiettiviamo ponendola nelle cose. La
nozione di causa, dice Maine de Biran, ha origine dalla coscienza del potere
della nostra volontà, che riconosce la volontà come causa delle nostre azioni;
e con nna specie di analogia trasportiamo questo potere personale a tutte le
operazioni della natura». Ma un'attività produttiva nelle cose è affatto
inintelligibile: i colpi del martello e il riscaldamento del pezzo di ferro
sono due fatti eterogenei, cosicchè per ammettere che il primo abbia prodotto
il secondo, bisognerebbe ammettere che questo fosse contenuto in quello o ne
facesse parte; il che è nssurdo. La seconda idea è quella di necessità, ed essa
pure è illegittima, in quanto non fucciamo che collocare nelle cose ciò che non
è che un puro prodotto logico della nostra attività mentale. Fuori di noi non
esiste necessità, ma soltanto qualche cosa di analogo da cui quell’ idea
deriva; 6 ciod la costanza nella successione dei fatti. Dacchè due avvenimenti
d’ una certa specie, dice Hume, sono stati sempre ο in tutti i casi percepiti
insieme, noi non ci facciamo più il minimo riguardo di presagire l’uno alla
vista dell’altro allora chiamando I’ uno di essi causa e l’altro effetto, li supponiamo
in uno stato di connessione: diamo al primo un potere per eni il secondo è
infallibilmente prodotto, una forza che opera con la maggior certezza 9 con In
più inevitnbile necessità ». La terza idea che entra a costituire 165
Cau il concetto di causa è appunto l’idea di successione. Essn è
perfettamente legittima, e senza di essa non sarebbe nemmeno concepibile la
nozione di causa, che è ciò per cui un’altra cosa è: se B precedesse 4, non
potrebbe in nessun modo esser concepito come effetto. Da ciò la definizione
dello Stuart Mill, che la causa non è altro che l’antocedonte invariabile e
incondizionato di un fenomeno. Che 1’ antecedente debba essere invariabile, è
implicito nella nozione stessa di causa, perchè se la causa è quella che pone
l’effetto, non può esser causa un antecedente al quale non sempre segue
l’effetto, quando una causa negativa non intervenga; che debba poi essero
incondiziunato lo prova il fatto che due fenomeni possono succedersi
invariabilmente, come il giorno e la notte, quando siano effetti collaterali di
un altro fenomeno: nel qual caso, se v’ ha successione invariabile, non v’ ha
però causalità. Aristotele distingueva quattro sorta di cause: la formalo o
essenza, la materiale o sostrato, la efficiente o movente e la final; lo prime
due furon anche dette talora intrinseche. Queste quattro cause si trovano
attuate in ogni cosa, perchè esse costituiscono, secondo Aristotele, i quattro
prineipt fondamentali ed universali delle cose. Si abbia una statua: essa è
fatta d’una certa materia, sia marino ο bronzo; è secondo un certo modello ο
idea, giacchè lu statna non sarebbe statua senza una forma; © per mezzo della
mano, ossia di uno stromento operante, efticiente; © dietro un dato scopo,
giacchò non vi sarebbe la statua se lo scultore non si fosse proposto un
qualche scopo. In Iti casi la causa efficiente, la finale la formale si
medesimano; infatti l’idea può costituire ad un tempo lo scopo, la forma e la
causa efficiente d’ un essere. Quando la parola causa è adoperata senza
qualificativo, essa designa sempre la causa efficiente, che Aristotele chinma
la cansa nel senso primo e principale della parola. Si dice causa prima quella
che non è, alla sua volta, eftetto d’ un'altra causn antecedente; cause seconde
quelle invece che sono effetti di cause anteriori. La causa prima è Dio. La
causa si dice prossima o immediata quando fra essa e il proprio effetto non
v’ha termine o serie di termini intermedi; se questi termini vi sono la causa
si dice lontana o mediata. Causa strumentale si disse il mezzo, lo stromento di
cui si serve una causa intelligente per raggiungere il proprio fine. Causa
esemplare si disse invece il modello, il tipo che I’ artista cerca di imitare:
nell’ idealismo platonico la causa esemplare à l’Idea. Causa univoca è quella
che produce un effetto della medesima specie o natura, come il calore che
riscalda; causa eguivoca, quella che produce un effetto di natura diversa, come
l’alcoolismo che è causa di pazzia; cnusa estrinseca quella che si distingue
realmente e adeguatamente dall’ effetto, causa intrinseca le parti di cui un
composto risulta, come l’anima e il corpo rispetto all’ uomo. Cfr. Aristotele,
Meth., V, 2, 1013 a, 24 segg.; Sesto Emp., Ade, Math., IX, 228; Goclenio,
Lezioon phil., 1618, p. 355; Cartesio, Mod., III, 18; Bossuet, Traité des
causes, 1875; Chr. Wolff,
Ontologia, 1736, $ 881; James Mill, Analysis of the phen. of mind., 1829, ο. 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108; Hume, Essais philos., 1790, 1,
129 segg.; J. S. Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, ο. V (v. composizione
delle cause, condizione, sofiemi di falsa causa, causa finale, causa
occasionale, causalità, determinismo, ecc.). Causa finale. Lut. Causa finalis;
T. Zweckursache ; I. Final cause: F. Cause finale. Lo scopo, la ragione per cui
una coms è compiuta, per cui un fatto avviene. Lo scopo è il termine iniziale;
ma siccome esso determina, come cuusa efticiente, la serie dei fatti che deve
condurre al termino finale, così il termine iniziale diviene la causa finale.
Finis ext prior in intentione sed posterior in ezocutione, dicevano gli
scolastici. Si oppone a causa meccanica o naturale, che è quella che si
realizza inconsciamente, senza la concezione del fine: nella causa finale si ha
un 167
Cav rapporto di mezzo a fine, nella naturale un rapporto di causa ad
effetto. Dicesi teleologico ο finalistico il metodo che consiste nello spiegare
le cose mediante il fine per cui furono create, e teleologia la dottrina delle
cause finali. Nella storia della filosofia le cause finali furono intese
principalmente in tre modi; da principio I’ uomo considera sò stesso come
centro dell’ universo, e crede che tutte le cose siano state create per servire
di mezzo ai suoi fini; poi consi dera la natura come creata in vista di un
fine, che non è l’uomo, che anzi trascende l'intelligenza umana, ma che si
rivela nell’ ordine ο nelle leggi dell'universo; infine la finalità à ristretta
agli organismi nei quali tanto gli organi che le funzioni tenderebbero alla
conservazione della vita. La scienza moderna respinge come dannosa la ricerca
delle cause finali, e dimostra che l'illusione teleologica trae origine
dall'azione volontaria, nella quale realmente si ha la rappresentazione di un
fine che diventa a sua volta causa, La nostra meraviglia alla vista della
perfezione infinita e della finalità delle opere della natura, dice lo
Schopenhauer, . deriva dal fatto che noi Ja consideriamo come consideriamo le
nostre proprie opere. In queste la volontà ο l'opera sono di due specie
differenti: poi, tra queste due cose, ce ne sono ancora due altre: 1°
l'intelligenza, straniera alla volontà in sò stessa, e che è un mezzo che
questa tuttavia deve attraversare prima di realizzarsi; 2° una materia
straniera alla volontà 9 che deve ricevere da essa una forma e riceverla per
forza, perchè codesta volontà lotta contro un’altra che è la natura stessa di
tale materia. Tutto diversamente accade nelle opere della natura;... qui la
materia, quando la si separa dalla forma, come nell’ opera d’arte, è una pura
astrazione, un essere di ragione del quale non v’ ha alcuna esperienza
possibile. La materia dell’opera d’arte è, al contrario, empirica. L’ identità della
materia e della forma è il carattere del prodotto naturale; la loro diversità
del prodotto dell’ arte >. E assai prima aveva seritto lo Spinoza: Cau 168 Tutte
le cause finali non sono altro che pure finzioni imaginate dagli uomini. Il
primo difetto di codesta dottrina è di considerare come causa ciò che è
effetto, e viceversa; in secondo luogo, ciò che per sua natura possiede
l’anteriorità, essa gli assegna un luogo posteriore ; infine essa abbassa all’
ultimo gradino della imperfezione cid che v’ ha di più elevato e di più
perfetto ». Cfr. Platone, Filebo, 54 0; Aristotele, Metaph., V, 2, 1013 u, 29
segg.; Cicerone, De nat. deorum, |. 2; Spinoza, Ethica, I, appendice; P. Janet,
Final causes, trad. ingl. 1883; Sully Pradhomme, I! problema delle cause
finali, trad. it. 1903; E. Regalia, Contro una teleologia fisiologica, Archivio
per l’Antropologia », 1897, XXVII, fasc. 3; Ardigò, Op. fil., II, 254 segg.;
III, 288 segg.; IV, 244 segg. (v. antropooentriemo, geocentrismo, teleologia,
finalità, fine). Causale. T. Causal, ursächlioh; I. Causal; F. Causal. ‘Tutto
ciò che si riferisce alla causa: così ai dice legame causale, necessità
causale, rapporto causale, eco. Con 1’ espressione complessità causale si
indica che molte sono le cause che contribuiscono a determinare un fenomeno,
cosicchè duto nu effetto non è data assolutamente la sua causa; n determinare
la causa vera di un fenomeno vale I’ eliminazione delle accessorio. Causalità.
Lat. Causalitas ; T. Cansalitàt; I. Causality, Causation ; F. Causalité. Esprime
il rapporto della causa all’ effetto. Dicesi causalità immanente quella di uns
sostanza o di un essere che produce, per propria azione, le proprie qualità ο
modi; dicesi transitiva quella in cui l’azione enusatrice è concepita come
passante da una sostanza ad un’altra. Dicesi causalità empirica quella in cui
In causa è l’insiomo delle circostanze o dei fatti mediante i quali un fenomeno
avviene sempre, e senza dei quali non avviene mai; dicesi invece metafisica
quella in cui la causa non è già nu fenomeno, ma una sostanza attiva come Dio,
un potere spontaneo come la volontà. Il principio o legge 169
Cau di causalità è uno dei postulati fondamentali del pensiero, ο può
enunciarsi semplicemente così: ogni fenomeno ha una causa; oppure: nulla vi ha
senza causa. Lo Spinoza lo formula così: Essendo data una determinata causa, ne
risulta necessariamente un effetto; al contrario, se non è data alcuna causa
determinata, è impossibile che un effetto si produca ». Leibnitz: Nulla accade
senza uns causa 0 almeno una ragione determinante, cioè qualche cosa che possa
servire a render ragione a priori del porchè ciò è esistente invece che
inesistente © del perchè ciò è così piuttosto che in tutt'altro modo ». Kant lo
formula in due modi differenti: 1° Principio della produzione (Erzewgung):
tutto ciò che accade, o comincia ad essere, suppone prima di lui qualche cosa
da cui risulta secondo uua regola »; 2° Principio della successione nel tempo
(Zeitfolge) secondo la legge di causalità: tutti i cangiamenti succedono secondo
la legge del legame tra la causa ο l’effetto ». Schopenhauer lo chiama
principio della ragion sufficiente del divenire, principium rationis
suficientie flendi, e lo enuncis così: Quando si produce un nuovo stato d’ uno
0 oggetti reali, è necessario che sia stato preceduto da un altro stato, da cui
risulta regolarmente, vale » dire tutto le volte che il primo ha Inogo ». Anche
per il Lippe il principio di causalità è un caso speciale del principio di
ragion sufficiente, ο si formula così: Ogni cangiamento nel contenuto di una
rappresentazione imposta, suppone un cangiamento nelle condizioni della
rappresentazione stessa ». Il Wundt fa originare il principio di cansalità da
un'azione reciproca (Weokseltoirkwng) tra il nostro pensiero e l’esperienza, e
lo considera egli pure come una spplicazione del principio di ragion
sufficiente al contenuto dell’ esperienza: La leggo di causalità non è una
legge d’ esperienza nel senso, che sin ottenuta mediante l’esperienza, ma
soltanto nel senso che vale a priori per ogni esperienza, poichè il nostro
pensiero può riunire e ordinare le esperienze solamente in quanto Cav 170 le
raccoglie secondo il principio di ragion sufficiente. Percid il principio di
causalità porta in sò il doppio carattere d’una legge e di un postulato >.
Il principio di causalità, comunque enunciato, importa dunque due fondamentali
conseguenze. Primo: negazione della possibilità di un comineiamento assoluto ;
tutto ciò che incomineia ad essere ho la propria ragion d’ essere in qualche
cosa d’ anteriore: nessun cangiamento si può produrre nel vuoto ο nel riposo
ussoluto. Secondo: gli avvenimenti non derivano gli uni dagli altri senza
regola © senza ragione, ma con universale costanza ed uniformità; la causa A
che ha prodotto un effetto 8, lo produrrà sempre, qualora, #’ intende, non
intervenga l’azione d’una causa negativa; oid per l'assioma fondamentale, che
cause simili, in circostanze simili, producono effetti simili. Il principio
della uniformità della natura, come pure quello della continuità naturale e
dell’ inerzia, non sono dunque che oorollari del principio di cuusalità, il
quale trova la sua più profonda espressione nella legge della conservazione
della forsa. Accanto alla causalità
fisica ο obbiettiva alcuni filosofi pongono la causalità psichica ο soggettiva
: Noi possiamo, dice il Wandt,. esaminare le nostre rappresentazioni, per un
canto in rapporto al significato obbiettivo che loro attribuiamo: allora le
portiamo nella connessione della causalità naturale; ma noi possiamo anche ricercare
le condizioni soggettive dei loro rapporti di simultaneità ο di successione ;
allora entriamo nella sfera della causalità psichica, che procede sompre
parallelamente alla causalità naturale ». La causalità psichica si distinguo
dalla naturale o fisica in quanto non si risolve in un rapporto invariabilo di
mutazioni, ma si rivela come nn principio di azione tendente sempre al
conseguimento di un fine, e per di più è suscettibile di accrescimento e di
sviluppo: gli atti e le funzioni psichiche appaiono come una vera © propria
creazione del soggetto ο non hanno realtà fuori della sfera della coscienza
indivi 171 Cau duale. La causalità
psichica si distingue dalla causalità psivofisica, che intercede reciprocamente
tra psiche e organismo : secondo le dottrine materialistiche tale causalità è
una vera trasformazione o continuità di nzione tra luna e l’altro, secondo le
altre dottrine è un puro rapporto di corrispondenza, o di successione, ο di
fanzione (nel senso matematico della parola) tra atti appartenenti a due
realità eterogenee, la peichica e l’organies. La causalità psichica si
distingue infine dall’ interpsiohica che è la risonanza o il consenso tra lo
varie coscienze individnali, per cni nella coscienza di ciaseuno si riflette lo
stato mentale della totalità, Cfr. Spinoza, Ethica, 1. I, ase. 3; Leibnitz,
Teodioca, $ 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108 seg.;
Schopenhauer, l'eber die vierf. Wurzel d. Satzes v. e. Grund., cap. IV, $ 20;
Hamilton, Lectures on metaph., 1859, vol. II, p. 376; J. Petersen, Kausalität,
Doterminiemus und Fataliemus, 1909; Lipps, Grendthatsachen d. Soolenlebons,
1873-94, p. 443; Wandt, Logik, 1893, I, p. 549-565; De Sarlo, La causalità
psichica, Coltura filosofica >, luglio 1909; B. Baglioni, 1 principio di
causalità e' la causa, 1909. Causa occasionale. Lat. Causa oocasionalis; T.
Gelegenheitsursache ; I. Oocasional cause; F. Cause ocoasionelle. E la dottrina
con eni la scuola cartesia spiega i rapporti tra Dio e il mondo, e tra l’
anima, sostanza puramente pensante, e il corpo, la cui essenza consiste nell’
estensione. Data l’opposizione assoluta esistente fra queste entità, tali
rapporti non sono spiegabili se non ammettendo che Dio, cioè la causa prima,
all’ occasione dei movimenti dell’anima eccita nel nostro corpo i movimenti che
a loro corrispondono, e all’occasione dei movimenti del corpo fa nascere nell’
anima le idee che li rappresentano © le passioni di cui essi sono l'oggetto.
Dice Malebranche: Non v’ ha aleuff rapporto di causalità tra un corpo ο uno
spirito. Che dico! non ve n’ha alcuno da uno spirito a un corpo. Dico ancora
più, non ve n’ha alcuno da corpo a corpo, nè du Cau 172
uno spirito ad un altro apirito.... Non v'ha dunque cho un solo vero
Dio, e uns sola vera causa, che sia veramonte causa, 6 non si deve imaginare
che ciò che precede un effetto sia la vera causa ». L'importanza di questa
dottrina sta in ciò, che essa prepara la sostituzione del concetto critico di
causalità sl concetto volgare, che cousiste nel pensare la causalità nella
natura in base a quella del volere, e credere che tanto negli effetti del
nostro volere quanto in quelli delle cause fisiche, noi cogliamo propriamente
una connessione necessaria ; 1’ occasionalismo pone invece in evidenza la
mancanza di un tale nesso, o l’incomprensibilità di esso, o meglio la pura
effettività d’ ogni relazione causale tra fenomeni; il parallelismo tra anima ©
corpo; la costanza e uniférmità effettiva o sperimentale delle leggi naturali.
I due maggiori rappresentanti dell’occasionalismo furono Geulinex e
Malebranche. Cfr. Land, rn. Geulincr und seine Philosophie, 1895; Malebranche, De la
rech. de la verité, 1678, part. II,
8; Id., Pensieri metaAsici, trad. it. Novaro, 1911, pag. 40-48; M. Novaro, La
teoria della causalità in Malebranche, 1893. Causa sui. T. Selbetursache; I.
First cause; F. Cause première. Nel
linguaggio scolastico è la causa prima, la causa che non è essa pure un
effetto. Concepito 1’ universo come uns catena di cause ed effetti,
retrocedendo ο si va all'infinito, ο si deve arrestarsi ad una causa che non è
causata, la causa prima dalla quale discendo tatta lu serie degli effetti, Dio.
Ogni fenomeno deve avere unn causa, dice il Jevone, e questa causa di nuovo uns
causa, finch? noi siamo perduti nella infinità del pussato e costretti a
credere In una causa prima, da cui sia stato de_ terminato il corso della
natura ». A ciò si obbietta, che in primo luogo è per noi incomprensibile che
una cosa sin causa ed effetto di sè medesima, e che secondariamente la nostra
esperienza non ci dà che fenomeni, dei quali vedinmo soltanto il orescere, lo
svilupparsi, il trasformarsi, 178 Cau-Crc non mai il nascere, e quindi il
parlare di causa o origine prima è illegittimo e illusorio. ‘Nella dottrina del
libero arbitrio anche la volontà umans è concepita come causa sui, Cfr.
Alfarabins, Fontes quastionum, cap. III; Jevons, The principles of science,
1879, p. 221. Causazione. Vocabolo improprio, che designa l’azione per mezzo
della quale una causa produce un determinato effetto; se la causa è mediata o
lontana, si usa anche l’espressione di proceso causativo. Cecità. T. Blindheit;
I. Blindness; F. Cécité. Può ensore totale, e cioè assenza congenita o
acquisita del senso della vista. Può essere parziale, e in tal caso può essere
limitata alla metà verticale degli oggetti, emianopsia, ο riguardare soltanto
il color rosso, daltonismo, o alcuni colori, disoromatopsia, o tutti i colori,
acromatismo. Il Munk chiama cecità psichica e lo Charchot cecità mentale lo
stato degli animali in seguito alla distruzione o alla lesione grave dei lobi
cerebrali; per effetto di tale distruzione l’ animale non comprende più il
senso di ciò che intende e vede, non si spaventa se minacciato, non ascolta
quando lo si chiama, mangia anche il cadavere d’un individuo della sua razza,
ecc. Il Munk spiega tali fenomeni con la perdita delle imagini della memoria,
che permettono di riconoscere e comprendere le nuove eceitasioni. Dicesi ocoità
verbale 0 alessia. uns forma di amnesia verbale che consiste nella perdita
della memoria visiva della parola in quanto scritta, e dipende da lesione o
atrofia dei centri visivi superiori. 11 soggetto può parlare ma non leggere,
queutunque le parole siano scritte sotto i suoi occhi ed egli ne comprenda
perfettamente il significato. La cecità verbale si distingue dalla ceoità
letterale, che consiste nella pordita della memoria delle lettere soritte, ©
dalla cooità peichica delle parole, che consiste in ciò che l’ammalato può
leggere le lettere e le parole, senza però capirne il significato. In senno
fignrato naasi anche l’espressione ceità morale, per CEL designare V’assenza ο
la degenerazione del senso morale, che si osserva in individui mentalmente
deboli; i ciechi morali si distinguono dagli anestetici del senso morale che,
al contrario dei primi, possiedono una coscienza morale, ma sono incapaci di
obbedirla, perchè mancano delle tendense emotivo necessarie, e dagli abulioi
morali che, pure possedendo tali tendenze, sono troppo deboli per lottare
contro quelle che li spingono invece al soddisfacimento dei loro appetiti e
delle loro passioni. Cfr. Ribot, Les maladies dela memoire, 1909; Id., Payohol. des sentiments,
p. 298, 349; E. Brissaud, Malattie dell’ enogfalo, trad. it. 1906, p. 107 seg
Celantes. Termine di convenzione
mnemonica con cui si designa nella logica formale uno dei modi indiretti della
prima delle tre figure del sillogismo, riconosciute da Aristotele. Come
indicano le tro vocali, questo modo ha In maggiore e la conclusione universali
negative, la minore universale affermativa. Questo modo è lo stesso del
Calentes della quarta figura, ma è ricondotto alla prima per la conversione
della conclusione ο la trasposizione delle premesse. Celarent. Termine
mnemonico di convenzione, che desigua un modo della prima figura del
sillogismo, in cui, como indicano le tre vocali, la maggiore ¢ la conclusione
sono proposizioni universali negative, la minore universale negativa. Es.
Nessun essere mortale à infallibile -tutti gli uomini sono esseri mortali
dunque nessun nomo è infallibile. Corrisponde all’&ypaye dei greci.
Cellula. T. Zelle; 1. Cell; F. Cellule. È Vindividualita organica elementare;
fu detta anche otricolo, granulo, ece.; Virchow la denominò focolare di rita.
La parte essenziale della cellula è il protoplasma, sostanza granulosa,
semifinida, elastica, in cui si verificano la maggior parte dei fenomeni vitali
della cellula, cioè le funzioni della vita vegetativa ο le funzioni della vita
di relazione. Tali funzioni sono considerate dalla biologia moderna come ensen
175 το ὅσν zialmente chimiche: la
costituzione chimica della collula è determinata ma variabile, poichè allo
stato normale eusa subisce delle continue diegregazioni e riparazioni; tra i
molteplici fenomeni chimici che in essa si notano, il principale è una
grandissima affinità per l'ossigeno, sia libero sia debolmente combinato. In
seguito a questa instabilità chimica, ogni cangiamento di stato della cellula
determina una eccitazione, e per conseguenza una risposta della cellula stessa
alla irritazione, di temperatura, di elettricità e di pressione, secondo le
quali possono operarsi le reazioni chimiche in cui consiste la vita della
cellula. Tale è il punto di partenza di tutte le azioni di cui gli esseri
viventi sono i produttori. La forza vi è condensata sotto la forma di energia
chimica, e si manifesta al di fuori sia per nn movimento, sia per la luce, sia
per l'elettricità, sia per il calore, sia per il pensiero. Ogni essere vivente
è costituito ο da una cellula (unicellulari) o da un aggregato di cellule
(pluricellulari); negli individui pluricellulari l’unità è data
all’aggregazione del sistema nervoso, che generalizza le irritazioni e
raccoglie in un centro le ecoitazioni sensibili e da esso tramanda le
eccitazioni motri Cfr. Henneguy, Leçons sur la morphologie et la reproduotion
de la cellule, 1896; Année peychologique, tomo II, 1896; Werworn, Fisiologia
generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. animismo, rita, vitaliemo). :
Cellulare (pricologia). I. Collular psychology; F. Paychologie cellulaire. La
psicologia delle cellule, di cui specialmente si ocenparono I’ Haeckol, il
Werworn, il Binet. Secondo questa teoria, ogni cellula, sia vegetale che
animale, sia isolata che facente parte d’un organismo pluricellulare, ha una
vita psichica, ciod la fucoltà di sentire le eccitazioni di varia natura e di
reagire a questi eccitamenti con determinati movimenti. La tesi fondamentale su
cui la psicologia colInlare si fonda è: siccome la psiche dell’ animale è la
risultante di tutto 1’ organismo in funzione del quale si Cer ~ 176
svolge e si complica, così necessariamente tutti gli elementi dell’
organismo, che concorrono a formare questo prodotto, parteciperanno della sua
proprietà generale, che è di essere cosciente, 9 le cellule di tutti i corpi
avranno perciò la coscienza dei loro atti. A questa tesi perd fu opposto che un
prodotto qualsiasi non è dato dalla semplice somma delle sue unità elementari, e
le qualità che lo accompagnano non corrispondono all’addizione delle qualità per
cui si distinguono i suoi elementi ; ogui fenomeno, dice il Lewes, è un fatto
emergente non semplicemente risultante, emerge cioè dalle unità combinate come
un nuovo fenomeno con caratteri propri e specifici e irreducibili ; perciò è
falso cavare dal fatto che la coscienza è il prodotto dell’ intero organismo,
la conseguenza che anche lo parti di questo organismo saranno coscienti. Cfr. Werworn,
Psycho-pAysiologischen Protisten, 1889; Haeckl, Essai de payohol. cellulaire,
trad. frano. 1880; Binet, La vie
peychique des micro-organiames, in Lo félioleme dans Vamour, 1891; Lewes,
Problems of Life and mind, 1879, cap. II; A. Groppali, Sociologia e psicologia,
1902, p. 103-180; G. Bilancioni, Za psicologia cellulare, 1903. Cellulari
(teorie). Le teorio con le quali si è cercato di spiegare sia l’origine delle
cellule, e quindi della vita, sin la formazione cellulare degli orgaui.
Rispetto al primo problema, i moderni biologi propendono in geueralo a ritenere
che la prima formazione cellulare non sia stata che rina semplice combinazione
chimica; ciò sarebbe comprovato dai tentativi fatti da alcuni fisiologi
(Mantegazza, Monnier, Virchow), tentativi in parte riusci nere artificialmente,
modiante combinazioni chimiche, una sostanza analoga al protoplasma e cupace di
movimento. La vita si originerebbe per tal modo dalla materia inorganica.
Quanto alla seconda questione, due sono le teorie principali: quella della
Hibera formazione cellulare e quella della moltiplicazione cellulare. Secondo
la prima, da un liqnido formativo dotto Mastema, si forma liberamente ogni 177
CEN cellula, © cioè prima il nucleolo, poi il nucleo, poi la membrana,
infine il liquido che riempie la cellula. Questa teoria è combattuta dalla
maggior parte dei moderni biologi, perchè la smentiscono vari fatti, fra cui
quello che molte cellule giovani mancano di nucleo, e che nelle formazioni
morbose molte cellule si formano per moltiplicazione di ‘altre preesistenti ; è
quindi preferita l’altra teoria, che cioè ogni cellula non può originarsi che
per moltiplicazione da un’altra cellula ad essa preesistente: omnis cellula ο
cellula (Virchow). Così questo secondo problema si riconnette al primo. Cfr.
Delage, La structure du protoplasme et les théories sur Vhérédité, 1895;
Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. cellula,
duodinamiemo, meccanismo, protoplaema, vitalismo, vita). Conestesi (xoivi comune; αἴσθησις = sensazione). Lat.
Coenassthesis; T. Gemeinempfindung, Gemeingefühl; I. Com: mon sensibility ; F.
Sensations internes, Coencathéoie. Si adopera per designare tanto la
sensibilità generale, sia interna che esterna, quanto l'insieme delle
sensazioni interne ο della vita organica. Questo secondo è il significato più
in uso. La cenestesi è quindi la totalità delle sensazioni prodotte nel
cervello dagli stimoli che provengono da tutte le parti © da tutti gli organi
del corpo. Il Wundt la definisco il sentimonto complessivo nel quale ’ esprime
lo stato generale della nostra buona o cattiva disposizione sensibile ».
Solitamente infatti codeste sensazioni non sono che gli elementi di an
sentimento generale di benessere 0 di malessere, che corrisponde allo stato
degli organi medesimi ο la cui tonalità è in rapporto diretto con la
composizione e la circolazione del sangue, con la secrezione maggiore ο minore
delle glandule, con la rapidità o difficoltà della respirazione e della
digestione, col rilassamento ο contrazione dei mnscoli volontari ο involontari.
Questi fattori agiscono tutti contemporaneamente, ed è perciò che il senso generale
che ne risulta ci appare come semplice ed omogeneo, mentre 12 Raxzots, Dirion. di scienze filosoficlie.
CEN 178
in realtà è molteplico e quindi in sò medesimo vario. Le sensazioni
cenestesiche sono le più oscure ed indeterminate, anche perchè, a differenza
dello sensazioni esterne, non sono distinguibili nettamente nd allo stato
normale, perchè troppo deboli, nd allo stato anormale, perchè troppo forti.
Ordinariamente il senso generale è intonato dall’ azione predominante di questo
o quell’ organo, senza però che ciò appaia alla coscienza. Cfr. Sully, Outlines of
peychol., 1885, p109 sogg.; Wundt, Grundrise d. Peychol., 1896, p. 55, 189;
Beaunis, Les sensations internen, 1889; Ardigd, Op. All, I, 423 segg.; IV, 378 segg. Cenogenesi. La teoria
che ammette anche nell’ embrione 1’ aduttamento a nuove condizioni di vita, che
dà luogo a nuove forme mancanti nella figura originaria, trasmessa dalla
eredità, della forma stipite. Per tal modo i fenomeni dell’ ontogenesi, ο
evoluzione individuale, si dividono in due gruppi: il primo, detto palingenesi,
ci presenta dinanzi quelle antichissime condizioni di struttura che sono state
trasmesse per eredità dalle forme-stipiti primitive; il secondo, detto
conogenesi, altera l’ aspetto originario del processo evolutivo con
l'introduzione di nuovi caratteri, mancanti nelle forme stipiti, e acquistati
dalle forme embrionali per adattamento alle condizioni speciali del loro
sviluppo individuale. Tali caratteri nuovi diconsi cenogenie. Cfr. Haeckel,
Antropogenia, trad. it. 1895, p. 621. Centrale. 1. Central; I. Central; F.
Central. Si dice, per opposizione a periferico, di tutto ciò che è o avviene
nel cervello, nel cervelletto, nel midollo allungato e spinale. Così per la
visione si hanno degli organi periferici (occhio © sue parti, nervi ottici,
ecc.) e degli organi centrali (i tubercoli quadrigemini del cervello, ecc.); lo
stimolo che agisce sulla retina e determina, nel nervo ottico, una cortento
nervosa centripeta, è un fenomeno periferico; la coscienza di questo stimolo (sensazione),
che si desta nel cervello, è un fenomeno centrale. | Centralissasione (legge
di). Una delle leggi di progresso nel mondo organico: nell'evoluzione degli
organismi, accanto al differenziamento, si verifica una subordinazione sempre
maggiore delle parti e una crescente centralizzazione delle fanzioni e degli
organi. Centripeto e centrifugo. Dicesi centripeta una forza diretta verso il
centro di curvatura della traiettoria d’un punto materiale, e che mantiene il
mobile su questa traicttoria; e forza centrifuga la reazione che un mobile
assoggettato a descrivere una curva fissa, esercita contro questa curva. Dicesi
corrente nervosa centrifuga, ο, semplicemente, fenomeno centrifugo, quello che
#’inizia in un centro nervoso e si trasmette attraverso il cilindro assile d’
una fibra fino ad on muscolo o ad una glandola. La corrente centripeta è invece
quella che s’ inizia in un qualsiasi organo posto alla periforia del corpo e di
IA si trasmette ad un ganglio ο ad una muses di sostanza grigia. Centro. T.
Centrum; I. Centre; F. Centre. Nella psicologia fisiologica diconsi centri
ideatiti, per opposizione ai motori, quei centri della parte anteriore del
cervello ove si fissano le imagini, e da cui partono le correnti intercerebrali
per i centri motori; e centri percettivi, quelle areo della superficio
corticale del cervello in cui si raggruppa un maggior numero di cellule, e
quindi di fibre nervone, legate ad un determinato organo di senso, dal quale
rice. vono le eccitazioni. L'estensione di codeste zone è naturalmente in
rapporto coll’ importanza del senso cui presiedono, ciod maggiore per il tatto,
la vista, l'udito, minore per il gusto e l'olfatto. La loro costituziono non
esclude che esistano in altre regioni del cervello altre cellule ed altre fibre
collegate col senso medesimo. Dai centri percettivi sarebbero separati i centri
motori, dai quali soltanto partono gli impulsi ai movimenti e in cui si fissano
le imagini dei movimenti stessi. Nella meccanica razionale dicesi centro dei
momenti il punto per rapporto al quale si prendono CEN-CER 180 i
momenti d’ un sistema di forze situate in uno stesso piano, ϱ centro delle
forse parallele il punto per il quale passa costantemente la risultante di un
sistema di forze parallele, quando si fa variare la loro direzione comune senza
far variare la loro intensità o facendole variare proporzionalmente. Cfr. Bastian, Le cerveau
organe de la pensée, trad. franc. 1888;
G. Sergi, La peychologie physiologique, 1888, 1. II (v. ciraonvoluzioni,
localiszazione cerebrale). Centro di creazione, Alcuni segunci della dottrina
del trasformismo biologico, tra cui il Darwin e l’ Haeckel, ritengono che ogni
specie animale e vegetale non sia nata che una sola volta nel corso del tempo
(origine omocrona) e in un solo punto del globo, detto perciò il sno centro di
creazione. A questa legge si sottrarrebbero però, secondo V Haeckel, gli ibridi
e gli individui di struttura semplice. Cfr. De Quatrefages, La specie umana,
trad. it. 1871; Haeckel, I problomi dell’ unteereo, trad. it. 1903, p. 340 (v.
monogenismo). Cerebraxione. L’insiemo dei processi fisiologici del cervello che
corrispondono alla attività psichica, Si dicono fatti di corebrazione
incosciente, quei processi fisiologici del cervello che si svolgono senza dar
luogo ni fenomeni psichici relativi, i quali appaiono improvvisamente solo alla
fine dei processi medesimi @ come risultato di essi. Il problema della
cerebrazione incosciente, aftacciato da principio dal fisiologo Carpenter, è
oggi assai discusso dai psicologi e dai fisiologi, e può formalarsi così:
dobbiamo ritenere che alcuni stati del sistema nervoso, normali ο patologici,
rappresentino vere interruzioni dei processi mentali, oppure che i detti
processi, pur subendo grandi oscillazioni d’intensità ο di lucidezza, da un
massimo ad un minimo, non subiscano mai durante la vita alcuna interruzione
assoluta? La prima dottrina è sostenuta oggi du autorevoli psicologi come il
Mtinsterberg e il Ribot; la seconda specialmente da coloro che adottano
l'ipotesi del parallelismo 181 Cen psico-fisico, estendendolo a tutti i
processi specificamente vitali, o almeno a quelli del sistema nervoso, e in
special modo alla parte del sistema impegnata nelle funzioni della vita animale
o di relazione. Cfr. Max Dessoir, Das Unbewussten, 1910; Boris Sidis, Studies
in mental dissociation, 1905; B. Hart, The conception of the subconscious, Journal
of abnormal psych. », IV, 1909-910; Aljotta, Atti del V Congr. int. di peicol.
a Roma, 1906. Certezza. T. Gewissheit; I. Cortitude, Certainty ; F. Certitudo.
Sia positiva che negativa, è sempre uno stato mentale, e quindi soggettivo, che
consiste nella persuasione assoluta della verità cui l'intelligenza aderisce.
8. ‘Tommaso dice: Cortitudo nihil aliud ost quam determinatio intellectus ad
unum. Essa ha per condizioni: la presenza di due o più mentalità dotate di un
certo grado d’intensità; il legame di una mentalità, o d’un gruppo di esse, a
un’altra; la coscienza di un legame energico, associativo, tra le due mentalità
considerate. Si può avere anche la certezza della falsità di un giudizio o di
una idea: si cognoscimus, dice Cr. Wolff, propositionem esse veram vel faleam,
propositio nobis dioitur esse certam. Si suole distinguere; sebbene
impropriamente, la certezza soggettica dalla oggettiva : quella è data dalla
testimonianza della nostra coscienza, irrecusabile per ciascuno di noi, ma che
non può essere comunicata agli altri, non essendo fondata su ragioni valide per
tutte le coscienze; questa, che è la certezza scientifica, e dicesi piuttosto
eridenza, non dipende da circostanze soggettive e può quindi essere condivisa
da tutti. La distinzione tra certezza cd evidenza è posta talvolta in modo
diverso, ad es. dul D’Alembert: L’ evidenza appartiene propriamente alle idee
di oui lo spirito percepisce immediatamente il legame; la certezza a quelle il
cui legame non può essere conosciuto che con l’aiuto d’un certo numero d’idee
intermedie, o, che è lo stesso, alle proposizioni la cui identità non può
essere scoperta che con un circolo più o meno Ces 182 lungo
». Si distinguono ancora varie specie di certezza: 1° quella logica ο
metafisica, che riguarda l’ ordino immutabile dell’ ideale, dei supremi
principi, ο si divide in intuitiva, quando 1’ idea uppare immediatamente come
evidente, e in razionale o discorsiva quando non diviene evidente che in
seguito ad altre idee, cioè mediante un raziocinio; 2° quella fisica, che
riguarda le coso sensibili, e può essa pure essere razionale se si ricava
indirettamente dalla percerione, peroettita se si ha immediatamente; questa poi
è psicologica quando la percezione si riferisce ad un fatto interno o psichico,
eetefica quando si riferisce ad un fatto esterno; 3° quella didascalica, che si
fonda sopra la testimonianza ο autorità altrui, e pnd essere dottrinale 0
storica a seconda che riguarda fatti attestati da persone o dottrine tramandate
da un maestro; 4° quella morale, che non bn un significato preciso, cosicchè
per alcuni logici antichi designa ciò che solitamente dicesi certezza
dottrinale e storica, per altri è la certezza subbiettiva ο psicologica, per
altri ancora quella che aderisce agli impulsi del sentimento e dell’ istinto,
ο, per i più, la certezza con cni si aderisce alla verità dell'ordine morale. Cfr. S. Tommaso, In Hb. sent.,
III, dist. 23, qu. 2, 2; Cr. Wolff, Philos. rationalis, 1732, $ 564;
D'Alembert, Disc. prélim. de 0 Enciolopédie, § 51; Joh. Volket, Die Quellen der
menschlichen Gewissheit, 1906; Rosmini, Logioa, 1853, $ 217-220; A. Farges, La
orisi della certezza, trad. it. 1911 (v. criterio). Cesare. ‘Termine mnemonico di convenzione,
corrispondente all’&ypape dei Greci, con eni si designa, nella logica
formale, quel modo della seconda figura del sillogismo, che lia la premessa
maggiore universale negativa, la minore uni versale affermativa, ὁ la conclusione
universale negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero, I pipistrelli sono
mammiferi. Dunque i pipistrelli non sono uccelli. Si riconduce al Celarent
della prima figura mediante la conversione della premessa maggiore. 188 Cat Chiaro.
T. Klar, deutlioh; I. Clear, evident; F. Clair. Nella terminologia cartesiana è chiara l’idea che è
presente e manifesta allo spirito, è distinta l’idea che è precisa ο ci fa
differenziare l'oggetto a cui si riferisce da tutti gli altri di cui abbiamo
conoscenza; tutto ciò di eni si ha una idea chiara e distinta è vero. Perciò la
verità fondamentale è nel cogito ergo sum »; esso infatti ha entrambi i
caratteri della chiarezza, perchè |’ Io è immediatamente presente et sò stesso,
della distinzione perchè 1’ Io è pensante e il pensiero costituisce la nota per
la quale si distingue da tutte le altre conoscenze. Alle idee chiare si
oppongono le oscure, alle distinte le confuse. Il Leibnitz ha adottato la
stessa differenza, spostando un poco il significato delle espressioni: per
chiara egli intende la rappresentazione che, diversa dalle altre, è atta al
riconoscimento del suo oggetto; per distinta quella che è chiara fino nei suoi
eingoli elementi e fino alla conoscenza del loro rapporto. Le verità @ priori
geometriche o metafisiche sono chiare e distinte, quelle a posteriori invece,
ossia le verità di fatto, sono chisre ma non distinte: le prime sono quindi
perfettamente trasparenti, congiunte con la convinzione dell’ impossibilità del
contrario; nelle seconde si può ancora pensare il contrario. Cfr. Cartesio, Prino.
phil., I, 45; Med., III, p. 15; Leibnitz, De cogn., Erdm. p. 19; E. Grimm, Das
Lehre von den angeborenen Ideen, 1873. Chimici (consi). Si dicono tali, per
distinguerli dui meccanici, quei sensi sopra i quali gli stimoli esercitano una
asione chimica: tali sono la vista, il gusto © l'olfatto. Chirognomia. Gr.
χείρ--mano; Ύνῶμα = contrassogno, cognizione. La pretesa di predire il futuro
relativamente a una persona e indovinarne il carattere e le attitudini,
coll’esame della mano e delle linee di essa. La psichiatria © l'antropologia
hanno soltanto stabilito che Pirregolarit& dei solchi palmari, le dita in
soprannumero © in numero minore, e la torsione o l’atrofia delle dita, Cix 184
specie il mignolo, rappresentano una stigmata degenerativa, e sono
frequenti negli idioti, nei pazzi e nei criminali. L’arte della chirognomia si
crede tniziata dal filosofo Anassagora, Cinematica. (Gr. Κίνημα = movimento);
T. Kinematik ; I. Kinematios; F. Cinématique. Vocabolo introdotto nell’ uso
dall’ Ampère, in luogo dell’antico di foronomia, per designare lo stadio del
movimento considerato astrattamente, prescindendo dalle cause e dalle
circostanze nelle quali si produce. Essa si occupa di tutte le considerazioni
che riguardano gli spasi percorsi nei differenti moti, i tempi impiegati a
percorrerli, la velocità, eco. Fa parte della meccanica. Cfr. Ampère, Essai sur
la philosophie des sciences, 1834. Cinestetiche (sensazioni). (Gr. Κίνησις
movimento; αἴσθησις sensazione); T. Bewegungsempfindungen
; I. Kinaesthetio; F. Sensations kinesthésiques. Le sensazioni provocate dai
movimenti, e specialmente dalla contrazione dei muscoli volontari. Alcuni
psicologi ammettono che noi sentiamo non lo sforzo delle contrazioni muscolari,
ma il grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per produrre una data
contrazione. Che esista questo senso dell’innervazione è provato dal fatto che
noi comunichiumo ai muscoli l’innervazione necessaria per produrre lo sforzo
muscolare corrispondente alla resistenza che deve essere superata. D’ altro
canto la psicologia sperimentale ha provato 1) esistenza del senso muscolare,
con la scoperta di fibre muscolari sensitive e della sensibilità dei tendini, i
quali, stimolati, danno movimenti riflessi. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne, 1907,
p. 21 seg.; E. Mach, Grundlinien der Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1875;
H. C. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, 1888, p. 279 segg.; Beaunis, Les
sens. internes, 1889 (v. articolare, muscolare). Cinici. T. Cyniker ; I.
Cyniques; F. Cyniques. Una delle scuole soeratiche minori, fondata da Antistene
al Cino 185 IR sarge. I cinici
esngerarono le dottrine di Socrate, avondo per sola mira di affrancarsi dalla
schiavitù esteriore ; infatti la loro dottrina si compendia tutta in una sola
massima: vivere secondo natura, Essi sostenevano che la virtù basta per sè
atesss a rendere felici, in quanto è appunto quella norma di vita che rende
l’uomo indipendente fino al possibile dalle vicende del mondo esterno,
insegnandogli a sopprimere i desideri ο a limitare fino all’ estremo i bisogni.
I cinici si possono riguardare come i precursori degli stoici. Nel linguaggio
comune le parole cinico e cintemo sono rimaste per designare il disprezzo delle
convenzioni sociali, dell’ opinione pubblica e anche della morale, sia negli
atti sin nell'espressione delle opinioni; e ciò per il fatto che i filosofi
cinici ponevano una radicale opposizione tra la natura e la legge o
convenzione, conformendosi s quella nella condotta pratica. Cfr. Diogene L.,
VI, 2; K. W. Gôttling, Diogenes der Kyniker, Ges. Abhandl. », I, 125 segg.;
Zuccante, Diogene, Cultura filos. », gennaio 1914; Windelband, Storia della
filosofia, trad. it., vol. I, p. 101 segg. (v. autarohia). Circoli tattili. T.
Tasteirkel. Il Weber chiamò così quelle superfici della pelle ove le due punto
del compasso, più o meno divaricate, si sentono come una punta sola; la
distanza fra le due punte rappresenta il diametro del circolo tattile. Quanto
maggiore è il grado d’acutenza della sensibilità tattile, tanto minore è il
dismetro del circolo tattile. Il punto più sensibile del corpo è l’ apice della
lingua, il cui il circolo hu il diametro di nn mm.; poi vengono le punte delle
dita della mano che sentono le due punte dell’ estesiometro quando sono
divaricate poco più di dne millimetri; seguono poi le labbra, la punta del
naso, le guance, eoc., fino a che si arriva alla coscia e al braccio, ove il
circolo tattile ba, secondo il Wundt, un diametro di 68 mm. Cfr. E. H. Weber,
Annotationen anat. ot phys., 1834; Fechner, Elem. d. Poychophyeik, 1860; Wundt,
GrundCir 186 silgo d. phys. Psychologie, 3* ed., I, 391,
II, 10 segg.; Kreibig, Die fünf Sinne, 1907, p. 32-34 (v. esteriometro).
Ciroolo solido. Lat. Ciroulus materialis. Nella logica dicesi così quella
operazione mentale, che consiste nel passare dalla cognizione virtuale o
implicita del tutto, alla cognizione e all’ essme delle parti, per poi risalire
alla cognizione attuale ed esplicita del tutto medesimo. Così lo zoologo al al
quale si presenta un animale sconosciuto, prima lo conosce in modo implicito e
indistinto, poi ne studia distintamente i caratteri, gli organi, le funzioni,
ecc., infine raccoglie i risultati di questi suoi studi, in modo da avere dell’
animale una conoscenza più compiuta e sicura. Il circolo solido è detto anche
regresso. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, pag. 242 segg. Circolo vizioso. Lat.
Ciroulus vitiosus ; T. Zirkel, Zirkelbeweis; I. Cirole; F. Cercle ricieur. È un
sofisma di ragionamento, il quale consiste nel provare una proposizione,
appoggiandosi sopra una seconda, la quale non può provarsi se non appoggiandosi
sulla prima. Ad es. : alcune idee sono innate perchè anteriori dell’
esperienza, e sono anteriori all’esperienza perchd innate. Oggi lo si denomina
più comunemente petizione di principio, appunto perchè consisto nel postulare
fin da principio quello stesso che si vuol dimostrare; nel linguaggio
scolastico il circolo vizioso dicevasi anche oiroulus logious, Dicevasi poi
ciroulus materialis © regressus demonstrationis il ragionamento con cui si prova
la causa per gli effetti, e poi si provano gli effetti stessi mediante la
causa, considerata più attentamente e meglio conosciuta, Cfr. Aristotele, Anal.
pr., II, 5, 576, 18; Masci, Logica, 1899, p. 374 seg. (v. diallelo).
Circonvoluzioni cerebrali. F. Circonvolutione cérebrales. Rilievi a forma di
pieghe che rivestono la superficie del cervello, o mantello cerebrale,
determinato da solchi corrispondenti ο solssure. Si distinguono in cire.
profonde, limitate dalle scissure primarie e secondarie, e circ. di pasCir
raggio, che risultano da ramificazioni delle prime. Sembra esistere un certo
rapporto tra lo sviluppo della intelligenza e la profondità e quantità dello
scissure e circonvoluzioni cerebrali. La loro origine fu spiegata varismente :
1° per l’azione vascolare, cioè per l’azione meccanica esercitata dui rami
arteriosi corrispondenti alle scissure; 2° per I’ ineguale accrescimento della
superficie cerebrale, crescendo la superficie nel foto più presto in direzione
sagittale, ο determinando in tal modo una maggior tensione trasversale (Wundt);
3° per la sproporzione di acorescimento filogenetico tra oranio e cervello,
poichè crescendo di più il cervello (specie nella corteccia grigia, in cui si
esplica l’attività psichica) della scatola cranica che lo contiene, il primo è
costretto a pieghettarsi dovendo rimaner compreso nella seconda. Questa ultima
è forse la spiegazione più attendibile. Cfr. L. Clarke, Notes of researches on
the intimate struoture of the Brain, Proceed of the R. Society », 1863;
Bastian, Le cerveau organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 14 segg. Cirenaici.
T. Kyrenaiker; F. Cyrénaiques. Una delle scuole socratiche minori, fondata da
Aristippo di Cirene. Essi ponevano come bene incondizionato, come fino n sè
stesso, il piacere attuale ο presente; fra i piaceri del corpo © quelli dello
spirito preferivano i primi, come più intensi e più vivi, non trascurando però
l'educazione dei secondi. Fondatore della scuola fu Aristippo, nato à rene
intorno al 435 a. C., da famiglia ricchissima, e vissuto qualche tempo ad
Atene, dove divenne.scoluro ed amico di Socrate. Per quanto possa parer strano,
egli non fece con la sua dottrina che svolgere nn elemento già contenuto nella
filosofia del maestro. Per il quale, com’ et noto, non c’è contraddizione tra
virtà ο felicità, anzi la virtù è il più delle volte indicata come il mezzo più
sicuro per arrivare alla felicità; in un luogo dei Memorabili, Socrate
dimostra, ad esempio, che la tempeCLa
188 ranza ci fa godere molto più
della intemperanza, e che perciò quella, anche sotto il rispetto del piacere, è
da preferirsi a questa: a seguire la virtù piuttosto che il vizio si trova
sempre da ultimo, se non da principio, il tornaconto. Aristippo prese dalla
dottrina socratica questo concetto, che conveniva alla sua natura ο al suo
temperamento, ~ portandolo alle estreme conseguenze. Egli però, se riteneva che
ogni piacere, in generale, è buono per sò stesso © merita di essere cercato,
insegnava anche che certi piaceri devono essere fuggiti per i dolori che arrecano,
che non conviene violare le leggi per non incorrere nelle leggi penali e nella
disistima pubblica, e sovrattutto che l’uomo deve essere il signore del piacere
non lo schiavo: È siguor del piacere non colui che se ne astiene e lo fugge, ma
colui che ne usa senza lasciarsi trasportare, come è signore della nave o del
cavallo non già colui che rifagge dall’adoperarli ma colui che li conduce dove
vuole ». Morto Aristippo, la scuola continuò col nipote, poi con Teodoro
l’ateo, con Anniceride e finì circa due secoli dopo con Egesia: ma
l’insegnamento primitivo subì trasformazioni radicali, tantochd Teodoro pose
come scopo dell’ uomo non più il piacere ma la gioia e la serenità dell’ anima,
Egesia giudicò la felicità come irraggiungibile © descrisse con tanta officacia
i mali della vita, che molti furon tratti dal suo insegnamento al suicidio,
ond’ egli ebbe il soprannome di avvocato della morte, Πεισιθάνατος, e le
autorità di Alessandria ebbero a proibirgli per questa ragione di tenere
scuola, I cirenaici possono considerarsi i precursori dogli epienrei. Cfr.
Cicerone, Aoadem., IV, 24; A. Wendt, De philosophia Cyrenaioa, 1841; G.
Zuccante, I Cirenaici, Riv. di fil. », marzo 1912 (v. edonismo, morale). Clan.
T. Sippe; I. Clan; F. Clan. Nella sociologia si dà questo nome a tutte quello
forme primitive di società, che ripossno sopra la parentela ed hanno
costituzione guerriera © proprietà comune; in senso più ristretto, che è
anche 189 Cia il primitivo, designs le tribù delle
isole britanniche, e particolarmente gli Irlandesi e gli Higlanders di Scozia,
viventi sotto il regime patriarcale. Cfr.. Durkheim, Année sociologique, I, 9 e
31; Powell, ibid., IV, 125. Classificazione. T. Classification; I.
Classification; F. Classification. È un'operazione logica, che consiste nel
distinguere più oggetti o fatti in classi o gruppi, secondo i rapporti di
somiglianza ο differenza. La classificazione dicesi sintetica quando parte da
un oggetto complesso per discendere 9 oggetti meno complessi e agli elementi
primi componenti; analitica se inverssmente; artificiale quando le completa
conoscenza degli esseri che si classificano, si fonda sopra un numero ristretto
di caratteri, scelti non secondo la loro importanza ma secondo la facilità di
conoscerli; naturale quando è fondata sopra la cognizione dei caratteri più
importanti, palesi o occulti, permanenti ο evolutivi. Il concetto di
evoluzione, divenuto fondamentale nella scienza moderna, ha dato luogo ad una
nuova forma di classificazione, detta genetica, che è la più perfetta in quanto
considera le classi come il prodotto più o meno stabile, ma non assolutamente
invariabile, delle variazioni causali delle proprietà ; perciò tutte le scienze
tendono a costruire sul tipo genetico le proprie classificazioni, che hanno
però diverso valore nelle scienze teoriche costrattive e nelle sperimentali: in
quelle la genesi delle forme è una costruzione nostra e quindi può essere
varia, in queste la genesi non è una costruzione nostra, ed è una, 9 quindi è
una anche la classificazione genetica possibile. Cfr. Wundt, Logik, 1898, II,
40. Classificazione delle scienze. Per Aristotele, che fu il primo ad occuparsi
del problema scientifico, tutte le scienze sono subordinate alla filosofia
prima (φιλοσοτία πρώτη) detta poi metafisica, 9 queste scienze sono: la
ieoretica di cui fanno parte la matematica, la fisica, la atorin naturale; la
pratica ciod la morale; In poetica cioè 1’ enteCia tica. Per gli stoici invece
tutte le scienze si riducono a tre fondamentali: fisica, etica e logioa. La
classificazione di Aristotele rimase in vigore fino a che durò incontrastata
l'autorità della sua filosofia, vale a dire fino al Rinascimento. Bacone, primo
nell’ evo moderno, volle tentare una classificazione diversa, fondata sopra le
tre grandi facoltà in oui egli divideva lo spirito : memoria, imaginazione,
ragione. Opers della prima è la storia, della seconda la poesia, della terza la
filosofia ; quest’ ultima ha un triplice oggetto: Dio (teologia), l’uomo
considerato sia genericamente che nel corpo e nello spirito, e la natura, onde
abbraccia lo matematiche, la filosofia naturale e la meta‘ fisica. Per Cartesio
lo spirito nmano è come un albero, di cui la fisica è il tronco, la metafisica
le radici, i rami le altre scienze, che si riducono a tre più importanti, ciod la
medicina, la meccanica © la morale; la filosofia è tutto l’ albero. Notevole
poi fu il tentativo di classificazione fatto dal Diderot, nel I° vol. dell’
Enciclopedia; genialissimo e compiuto quello dell’Ampère, che qui sarebbe
troppo lungo ricordare, giucchè di suddivisiono in snddivisione egli giunge ad
enumerare 128 scienze. Augusto Comte classificò le scienze a seconda del loro
grado di complessità e la rispettiva subordinazione, stabilendo la serio
seguente: matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia. La
matematica vien prima, perchè Ja più generale ο più semplico e meno
subordinata; la sociologia ultima perchè più particolare, più complessa, ©
richiede la conoscenza di tutte le altre. Lo Spencer, tenendo conto delVoggetto
delle scienze, le distingue in astratte, che studiano i rapporti
indipendentemente dai fenomeni e dagli esseri, come la logica e la matematica;
conorste, che studiano gli stessi esseri naturali, come l'astronomia, la
biologia, la psicologia, la sociologia; astratte-conorete, che studiano i
fenomeni indipendentemente dagli esseri, como la mecca nica, la fisica © la
chimioa. Tra i molti tentativi dei filosofi
191 CLa-CLE contemporanei per
risolvere 1’ arduo problema, ricorderemo ancora quello del Naville, che divide
tutto il sapere in tre grandi gruppi: 1° la teorematica, che comprende tutte le
scienze delle leggi, e ciod la nomologia, le scienze matematiche, fisiche e
psicologiche, fra oui è la sociologia; 2° la storia umana; 3° la canonica, che
comprende tutte le scienze delle regie ideali d’azione, e cioè le teorie dei
mezzi ο delle arti, le scienze morali e l'etica propriamente detta. Ad ogni
modp, la olassificazione più comune e praticamente usata, benchè poco
scientifica, è la seguente: 1° sciense matematiche (aritmetica, geometria,
algebra, meccanica, astronomia); 2° soiense fisiche (fisica e chimica); 3°
acienze naturali (mineralogia, geologia, botanica, zoologia, antropologia,
anatomia, fisiologia, etnologia, patologia, nosologia); 4° scienze morali
(scienze sociali, politiche, storiche e psicologiche). Claustrofobia. T.
Alaustrophobic; 1. Claustrophoby ; F. Claustrophobie. Con questo nome,
introdotto nella terminologia scientifica dal Ball, si denomina quello stato
patologico che consiste nell’ orrore per i luoghi chiusi. Gli ammalati non
possono sopportare d’essere chiusi in una stanza, e certe volte nemmeno passare
sotto una galleria o per una via stretta: essi dicono di soffocare, di non
poter respirare, di sentirsi opprimere. La cluustrofobia è l'inverso dell’ agorafobia,
ο l'una ο l’altra non sono che casi particolari della fobia dei luoghi, o
topofobia. Cfr. A. Verga, La Claustrofobia, Rend. Ist. lombardo », 1878.
Cleptomania. T. Kleptomanie, Stehltrieb; I. Cleptomany; F. Cleptomanie.
Fenomeno patologico, che consiste nell’ impulso irresistibile a impossessarri
di oggetti appartenenti ad altri, anche se di nessun valore e pur essendo nell’
ammalato la coscienza dell’ atto delittuoso che commette. In ciò sta la
differenza tra il cleptomane e il pazzo morale: questi ruba seguendo i suoi
istinti perversi, obbedendo volontieri ad nna volontà viziata per abitudine;
quegli CLi-Con 192 invece cede ad un bisogno morboso
intermittente, contro il quale cerca di lottare ο al quale non cede che a
mnalincuore, come costretto da una forza più potente della sua volontà. Cfr.
Tamburini, Riv. oliniea, 1876; E. Brissaud, Malattie del? enogfalo, trad. it.
1906, p. 108 segg. Clinanem. Con questo nome Lucrezio designa quella
deolinazione degli atomi, che è I’ ipotesi fondamentale del sistema epicureo.
Secondo Epicuro, nello spazio infinito sono diffusi in numero infinito gli
atomi, che, essendo dotati di peso, cadono verticalmente con la stessa
velocità. Ma come si spiega allora la formazione delle cose e del mondo? In
questa eterna pioggia di atomi bisogna ammettere che alcuni, in momenti © posti
non determinati, deviino spontaneamente dalla linea verticale e per quel tanto
che basti a nrtare contro altri atomi vicini; questi, alla lor volta, producono
per rimbalzo altri urti, e così via via finchè si producono degli addensamenti
atomici, che, nell’infinita varietà delle combinazioni possibili, dànno luogo
ai mondi e alle cose. Su questa infrazione della legge di causalità fisico,
Epicuro fondava il libero arbitrio del volere, che egli riteneva indispensabile
alla felicità : I’ atto volontario è in relazione coi motivi; così il primo
come i secondi si riducono a moti atomici interni; mia siccome nei moti atomici
c'è la libertà, così il passaggio dai secondi ai primi non è una trasformazione
meccanica di movimento, bensì i primi si determinano spontaneamente, come
spontanea è la declinazione atomica. Cfr. Diogene L., X, 184; Lucrezio, De rer.
nat., II, 251-293; Brieger, Urbewogung der Atome, 1884; Giussani, Studi
luoreziani, 1896, p. 124-169; Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella rita, 1913,
p. 26-33 (v. atomo, atomismo, coniunota). Codivisione. Quando, nella divisione
logica, il concotto dividente viene diviso successivamente sotto più d’un
rispetto, l'insieme di tali divisioni costituisce una codivisione. La qualo per
tal modo non è possibile, se non quando
193 Cox-Coa ciascan termine
dividente sia atto ad essere suddiviso sotto il medesimo rispetto ο fondamento
(v. divisione). Coesione psichica. Il legame maggiore o minore che unisee gli
elementi da cui risultano le formazioni psichiche. Secondo 1’ Ardigd, la
coesione massima à la percettiva, e specialmente quella che si forma tra una
idea e la parola che l’esprime; è media la coesione che si ha nelle formazioni
ideali, come è provato dalla varia significazione che una stessa parola riceve
nell’ ideazione degli individui; minima è la coesione logica, che si avvera nel
sogno, nella riflessione, nel ragionamento. La legge fondamentale è che la
coesione sta in rapporto inverso con la complessità del lavoro mentale. Cfr.
Ardigò, Op. fil, VII, 40 e segg. Cogito, ergo sum (penso, dunque esisto). È il
principio dal quale prende le mosse la filosofia di Cartesio. Dopo aver
rigettato come dubbie tutte le verità accettate o per autorità o per testimonianza
del senso, trovò che una cosn sola era fuori d’ogni dubbio e poteva quindi
servir di base inconcusss su cui fondare tutte le altre cognizioni: il dubbio
medesimo, vale a dire il pensiero, e quindi anche In certezza della nostra
esistenza. Di tutto possiamo dubitare, egli diceva, ma non dubitare di
dubitare, nè dubitare di esistere noi che dubitiamo. Lo stesso principio era
stato altre volte affermato prima di Cartesio, ad es. da Β. Agostino, per il
quale pure la conoscenza che I’ essere pensante ha del proprio esistere è
immediata: Quando quidem, etiam si dubita, vivit, si dubitat, cogitat.
Ugualmente 8. Tommaso: Nullus potest cogitare se non esse cum assensu in hoc
enim, quod cogitat, percipit se esse. Campanella: Si nogas et divis me falli,
plane confiteria, quod ego sum; non enim possum falli, si non sum.... Ergo nos esse et posse
scire et volle est certissimum principium, deinde secundario, nos case aliquid
et non omnia. Però, mentre per S.
Agostino, 8. Tommaso e Campanella la certezza che |’ anima ha di sò à In più
sicura di tutte le esperienze, il carattere fondamentale 13 RaxzoLt, Dision. di scienze filosofiche.
CoL 194
della percezione interna, per cui questa ha il sopravvento gnoseologico
sopra la percezione esterna, per Cartesio invece la proposizione oogito sum ha
il significato di prima fondamentale verità di ragione più che di esperienza;
la sua evidenza non è nemmeno quella di un sillogismo, ma quella di una
immediata certezza intuitiva: prima quaedam notio quae ex nullo eyllogismo concluditur.
La formula cartesiana fu spesso modificata in sdguito, dandole maggiore
impersonalità ed estensione: Cogito, ergo est (Schopenhauer); Cogito, ergo sum
αἱ est (Richl); Cogito, ergo res sunt (Boutroux). Cfr. 8. Agostino, De Trin.,
X, 14; 8. Tommaso, Quaest. disp. de ver., 10; Campanella, Universalis philos.,
1688, I, 3, 3; Cartesio, Med., II, 10, 11; Resp. ad. Obj., Il; Schopenhauer,
Die Welt als. W. und Vorat., suppl. cap. IV; Riehl, Die philos. Kritioiemus, 1887, II, 2,
p. 147; Boutroux, Rerue des Cours, 1894-95, II, 370. Collettivismo. Kollektivismus; I. Collectiviem; F.
Coliectivieme. Termine creato al Congresso di Bâle, nel 1869, per opporre al
socialismo di Stato, rappresentato dai marxisti, il socialismo non
centralizzatoro. Oggi perd il termine ha assunto un significato più largo, e
indica la dottrina sociale e politica, che propugna l’avvento di una società
nella quale sia abolita la proprietà privata, sia seso comune lo stromento del
lavoro, ed ogni individuo abbia una ricompensa proporzionata così alla sua
capacità come all’opera sua, ma in maniera che ognuno abbia il sufficiente, in
modo degno della umanità. La propriotà è amministrata direttamente dallo Stato,
il quale ne distribuisce il frutto tra i suoi membri. Cfr. Schwflle, Bau und
Leben d. socialen ‚Körpers, 1874; Y. Guyot, Le oolleotivieme futur et le
sooialisme présent, 1906; F. E. Restivo, Il socialismo di Stato, ed. Sanron;
Ant. Labriola, Discorrendo di filosofia ο socialismo, 1898. Collettivo. T.
Gesammnt, kollektir ; I. Collective; F. Colleotif. Si oppone a distributivo e
si distingue da generale. È collettivo ciò che è comune ad un numero
determinato 195 Com di individui ed è una proprietà dell’ insieme
; è generale ciò che è comune ad un numero indeterminato di individui e
appartiene a ciasouno d’essi. Perciò nella logica dicesi collettivo il termine
che abbraccia una moltitudine d’individui senza riferirsi a ciascuno di essi
(es. il 19 reggimento), generale il termine che abbraccia una moltitudine
indefinita di individui a ciascano dei quali si riferisce (es. soldato). Quindi
il termine collettivo è individuale, perchè, sebbene poses esser detto d’una
moltitndine individuale presa insieme, non pud esserlo di ciascuno degli
individui presi n parte. Combinatoria (ars). Quella parte della matematica, che
ha per oggetto di formare per ordine tutte le combinazioni possibili di un
numero dato di oggetti, di numerarle e studiarne le proprietà ο le relazioni.
Con la stessa espressione il Leibnitz designava la medesima scienza, applicata
ad ogni categoria di conoetti, costituendo così la parte sintetica della logica
(v. probabilità). Comico. T. Komische (das); I. Comical; F. Comique. Termine
generico in cui si comprendono tutti quei sentimenti che, nella ricca varietà
delle loro sfumature, ai presentano a volta a volta come umoristico, ridicolo,
ironico, grottesco, satirico, arguto, scherzoso, ecc., ed hanno quasi sempre
per linguaggio emozionale il riso o il sorriso. Secondo In teoria di Platone,
svolta poi da Hobbes e da Lamennais, e accettata fra noi dal Troiano, il
sentimento del comico si risolve nell'orgoglio prodotto dalla percezione
improvvisa della nostra superiorità; così chi ride alla commedia si crede privo
del difetto di cui ride e si sente superiore al personaggio che ne è macchiato.
Invece per Aristotele il comico è un difetto che nd fa soffrire nà nuoce;
questa definizione fu poi modificata da Cartesio ο svolta recentemente dall’
Ueberhorst, che risolve il comico nel segno @ una caftiva qualità d’una
persona, se abbiamo In coscienza di non possedere un difetto della steran perio
e Com 196 non sono provocati in noi sentimenti
fortemente sgradevoli ». Analoga a questa è la definizione del Bergson, per il
quale le oomique est 06 oôté de la personne par lequel elle ressemble à une
chose, ost aspeot des événements humaine qu'imite, par sa raideur d'un genre
tout partioulier, lo mécanieme pur et simple, Vautomatieme, enfin le mouvement
sans la vie; esso sorge infatti quando negli atti che non sono essenziali per
Is vita manca quella vigile agilità di corpo, di spirito e di carattere che la
società richiede; ossia quando l’automatismo imita la vita. Secondo un’altra
dottrina, accennata prima ds Cicerone e da Quintiliano, svolta oggi dal Penjon,
il comico è la libertà, ciò che rompe la regolarità e l'uniformità della vita,
sense spaventarci nd danneggiare noi ο altri; » questo tipo si possono
ricondurre molte dottrine, come quella di Kant, che fa originare il comico
dall’improvviso risolversi in nulla di una grande aspettazione; quella dello
Schopenhaner, che lo riconduce ad un disaccordo subitamente avvertito tra un
concetto ¢ gli oggetti reali che esso ha suggerito; quella di Giampaolo, cho lo
risolve nell’ assurdo roso sensibile perchè manifesta una contraddizione;
quella dello Spencer, che lo riconduce ad un contrasto tra oggetti grandi ©
piccoli; quella del Lipps, che lo fa originare da un contrasto tra la cosa
attesa © quella che si presenta. Invece per il Sully il comico non è che il
giuoco, cioè il considerare quel che si presenta davanti al? anima nostra como
un oggetto di divertimento, un oggetto che non si deve prendere sul serio; per
il Bain è l’accrescimento di energia prodotto dalla liberazione di una gravità
forzata; per il Philbert è un errore subito rettificato, nascendo quando noi
siamo ad un tempo ingannati e disingannati, quando con un solo sguardo vediamo
I’ errore, tutte le sue cause © il vizio di queste cause >. Tra le dottrine
più recenti ricorderemo infine quella di A. Momigliano, che, dopo aver
esaminato con nentezza le forme fondamentali dol comico o lo definizioni fino
ad ora proposte, conclude 197 Com che il sentimento del comico nasce dal
compiacimento estetico col quale si rileva inaspettatamente il lato debole di
un oggetto o nn contrasto che rende manifesti un’ imperfezione © un malanno
imputabili all’ uomo o alla sorte ». Cfr. Franz Jahn, Das Problem des
Komischen, 1905; Ueberhorst, Das Komische, 1896-1900; Lipps, Payohol. d. Komik,
Philos. Monatshefte
», 1888, XXIV; Dugas, Peyohol. du rire, 1902; Sully, Essai sur le rire, 1904;
Bergson, Le rire, 1904; Bénard, La théorie du comique dans l’esthétique
allemande, Revue philos. », 1880-81, vol. X, XII; C. Hanau, Del riso e del sorriso, Riv. di fil.
scientitica », 1889, vol. VIII; F. Masci, Psicol. del comico, Atti della R.
Acc. di s. 11. e p.», 1889; A. Momigliano, L'origine del comico, Cultura
filosofica », luglio ο sett. 1909; Giulio A. Levi, Il comico, 1912 (v. ironia,
umorismo). Comparazione. T. Vergleichung ; 1. Comparison; F. Comparaison.
Alcuni psicologi, tra oui 1’ Höffding, considerano la comparazione come la
forma fondamentale dell’ atto di conoscere, il carattere che distingue il
pensiero dagli altri fatti di coscienza; pensare è comparnre, cioò trovare
della diversità o della somiglianza. È una comparazione di differenza la
sensazione, una comparazione di somiglianza 1’ atto del riconoscimento, una
comparazione di somiglianza © differenza’) associazione, ecc. Nella logica
diconsi comparative quella specie di proposizioni implicite o complesse, che
costituiscono un paragone ed equivalgono 8 due proposizioni. Ad es.: l’altruismo
è il più nobile dei sentimenti (l’altruismo è un sentimento nobile questo
sentimento è più nobile di ogni altro). Cfr. Haffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p.
61, 148 (v. pensiero). Complesso. T. Zusammengesetzt, complex; I. Compler; F.
Complexe. Nella logica si dice
complesso un termine quando designs due o più idee, e complesss una
proposizione quando consta di due o più membri. Un sillogismo è complesso,
quando uno almeno dei termini della concluCom
198 sione essendo complesso, le
parti componenti questo termine si trovano separate nelle premesse.
Complicazione. T. Complication ; I. Complication ; F. Complication. Il Wundt,
seguendo 1’ Herbart, chiama complicazione quella forma di associazione
simultanea che avvieno fra imagini di specie differenti. Nella scolastica il
termine complicazione era adoperato nel senso di implicito; perciò dicevasi che
Dio è la complicazione del mondo e il mondo l’esplicazione di Dio. Cfr. Nicola
Cusano, Docta ign., 11, 3; Herbart, Lehrbuch s. Peychol., 1850, ο. 3, p. 22;
Wundt, Grundriss d. Psyohol., 1896, p. 275. Composizione delle cause. Principio
logico, analogo al principio fisico della composizione delle forze. Esso si
formula in questo modo: I’ effetto totale di più cause riunite insieme è
identico alla somma dei loro effetti separati. Sarebbe però arbitrario dare a
questa legge la stessa estensione della legge fisica sopra accennata, e
applicare a tutti i fatti, specie a quelli d’ordine fisiologico e psicologico,
il concetto della composizione puramente meccanica delle cause (v. p. es. legge
di Weber). Compossibile. T. Compossibel; 1. Compossible; F. Compossible. La
relazione tra due esseri possibili simultaneamente e di fatto. Due esseri
separatamente possibili non sono sempre e necessariamente compossibili, in
quanto la possibilità di fatto di ciascuno d’ essi può distruggere la loro
compossibilità logica, Il termine, giù conosciuto dagli scolastici, fu
adoperato specialmente dal Leibnitz. Cfr. Goclenius, Lexicon philos., 1613, p.
425 a; Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 718 segg. Composto. Lut. Compositum ;
T. Zusammengesetst ; I. Compound; F. Composé. Ciò che risulta di più parti.
Nella logica diconsi composti quei giudizi che esprimono una relazione di
giudizi e si possono perciò risolvere in due o più giudizi semplici senza
alterarne il valore. Quindi i giudizi composti si suddividono soltanto secondo
le forme della relazione, cioè 199 Com la categories e l’ipotetica, ο secondo la
composizione di ciascuna di queste due forme con l’altra. Si avranno dunque due
classi di giudizi composti: quelli a relazione semplice © quelli a relazione
composta ; più una terza di giudizi contratti. La prima classe contiene i
gindizi : categorico-congiuntivi, categorico-copulativi, categorico-divisivi,
ipotetico-congiuntivi, ipotetico-copulativi, ipotetico-divisivi; la seconda i
giudizi: categorico-ipotetici, categorico-disgiuntivi, ipotetico-disgiuntivi ;
la terra i giudizi: entimematici © tetici. La forma disgiuntiva non dà luogo a
forme composte, se non congiungendosi alle altre due, dalle quali differisce
soltanto per la natura del predicato.
Gli scolastici dicevano compositum physioum quello che risulta da parti
reali tra loro realmente distints; compositum metaphysicum quello che risulta
di parti reali, distinte soltanto razionalmente ; substantiale compositum
naturale quello che risulta di sostanze, le quali per intenzione di natura sono
ordinate a costituire qualche cosa, ad es. P uomo, che consta di snima e di
corpo; substantiale compositum supernaturale quello che risulta di sostanze le
quali, benchè non ordinate per natura loro a costituire qualche cosa, hanno
però attitudine ad essere innalzate da Dio a questo, ad es. l’unione delle due
nature, umana e divina, in Cristo. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 186 segg.;
Goclenio, Lericon phil., 1613 (v. giudizio). Comprensione. Lat. Comprehensio;
T. Inhalt; I. Intension ; F. Comprekension. Dicesi comprensione, 0 tenore, o
contenuto di una idea l'insieme dei caratteri ο delle qualità che essa designa;
vale a dire, in altre parole, l’insieme delle determinazioni o degli elementi
da cui quelV idea risulta. Così la comprensione dell’ idea triangolo è data
dalle determinazioni di figura, estensione, tre angoli, ecc., che entrano a
costituirla. Siccome ciascuna di queste determinazioni può determinare tutte le
altre, così i logioi significarono Il rapporto che lega tra loro le parti della
Com 200
comprensione col simbolo algebrico della moltiplicazione, nella quale
ogni fattore moltiplica tutti gli altri. Quindi: comprensione di A = a x LX c,
ossia abc. L'operazione con cui si aggiunge qualche nota ad una idea,
accrescendono la comprensione, dicesi determinazione; V oporazione inversa
dicesi astrazione. Cfr. Aristotelo, Anal. post., I, 4, 738, 35; Drobisch, Neue
Darst. d. Logik, 1887, $ 25 (v. estensione). Comune, T. Gemein; I. Common ; F.
Commun. Ciò che appartiene contemporancamente a più oggetti; si appono al
proprio, che è il carattere che appartiene a un individuo e non si riscontra in
nessun altro. Si distingue il comune reale o fisico (ad es. il sole è il centro
comune del sistema solare) dall’ ideale o logico (ad es. le leggi biologiche
sono comuni a tutti gli esseri viventi). Il nome comune è quello che denota un
insieme di qualità; si oppone al nome proprio, che non indica alcuna proprietà,
ma soltanto designa. Per idea o nozione comune si intende tanto quella che può
essere attribuita ad un numero indefinito di oggetti differenti, quanto quella
che si trova in tutti gli spiriti. Gli scolastici distinguevano i sensibili
comuni dai sensibili propri: i primi sono i fenomeni che possono essere
percepiti da più sensi, come la forma, 1’ estensione, il movimento, ecc., i secondi
i fenomeni che non possono essere percepiti che da un solo senso, come il
suono, il sapore, il colore, l'odore (v. senso comune). Comunismo. T.
Kommunismus; I. Communiem ; F. Communirme. Quella dottrina politica od
economica, che ripeto le sue origini dal Morus, Campanella, Morelly e propugna
un ordinamento sociale in cui siano comuni tanto lo strumento del lavoro come
la ricchezza prodotta, cosicchè ciascun uomo lavori per quanto può © consumi
secondo i suoi bisogni. Secondo alcuni Platone sarebbe il padre del comunismo,
avendone esposto il disegno nella Repubblica; mu, in realtà, l’idosle platonico
dello Stato si fonda sul prin 201 Com
cipio dell’ aristoorazia della oultura, che appare specialmente in questo: per
la gran massa del terzo stato non si pretende se non l'abilità ordinaria della
vits pratica, mentre 1) educazione che lo Stato ha il diritto e il dovere di
avere nelle suo mani per formare i cittadini socondo i suoi fini, si volge
soltanto alle altro due classi, degli insegnanti ο dei militari. Questi debbono
avere comunanza di vita e di beni, affinchè nessun interesse personale faccia
ostacolo all’ adempimento dei propri doveri a profitto della collettività. Vero
padre del comunismo può invece considerarsi il Morelly, che a sua volta ο) ispirò
alle utopie di Moro e Campanella, 8 il cui sistema può riassumersi così :
proprietà comune dei terroni, del domieilio, degli strumenti di lavoro © di
produzione; educazione accessibile a tutti; distribuziono del lavoro secondo le
forze © dei prodotti secondo i bisogni, senza tener conto alcuno della capacità
ο dell’ ingegno; riunione degli individui in numero di mille almeno, affinchè,
lavorando ciascuno socondo le proprie forze e consumando secondo i propri
bisogni, si stabilisca una media di consumo cho non sorpassi le risorse comuni,
© una risultante di lavoro che le renda sufficientemente abbondanti ;
abolizione delle ricompense pecuniarie; istituzione di un codice pubblico di
tutte le scienze, nel quale non αἱ uggiungerà nulla alla metafisica © alla
morale oltre i limiti prescritti dalle leggi; l'istruzione dei fanciulli è
fatta in comune, in un vasto ginnasio, è impartita dai padri e dalle madri,
comincia si cinque e termina ai dieci anni, dopo di che i giovani passano nelle
officine ove ricevono I’ istruzione professionale, Il comunismo si distingue in
comunismo autoritario e comunismo anarokioo. Non va confuso col collettivismo.
Cfr. Pöhlmann, Geschiohte des antiken Sozialismue und Kommunismus, 1901; A.
Sudre, Histoire du communieme, 1850; Marx © Engel, Man. dei comunisti, 1847 (v.
anarchia, rocialiemo). Comunità v. reciprocità. Con 202
bile. ‘T. Begreiflich; I. Conoerable ; F. Conoevable. Tutto ciò di cui
lo spirito può formarsi la nozione, quindi tutto ciò che non racchiude
contraddizione. Il campo del concepibile è illimitato, entrando in esso tanto
l’éntelligibile, vale a dire ciò che è oggetto soltanto del pensiero astratto,
quanto il sensibile, vale a dire ciò che è oggetto della sensazione. Nella
possibilità logica si ha la concepibilità dei contradditorii, ma soltanto
perchè manca la ragione di decidere quale dei due sia vero, non perchè siano
veri entrambi. Secondo alcuni filosofi la concepibilità è testimonio di verità,
ad es. Cartesio: Avendo notato che in questa proposizione: io penso, dunque
esisto, non vi è nulla che mi assicuri che io dica la verità, se non il vedere
chiarissimamente che per pensare bisogna essere, gindioai di poter prendere
come regola generale, che lo cose che noi concepiamo in modo chiarissimo ο
distintissimo, sono tutte vere, ma che vi è solo qualche difficoltà nel Len
discernere quali siano quelle che noi concepiamo distintamente >. Anche per
Hume è una massima stabilita nella metafisica, che tuttocid che la mente
concepisce, include l’idea dell’ esistenza possibile, ο, in altre parole, che
nulla noi imaginiamo che sia assolutamente impossibile ». Cfr. Cartesio,
/iscorao al metodo, trad. it. 1912, p. 73-74; Hamilton, Discussions ou
philosophy, 1852, p. 596 (v. inconcepibile, incomprensibile, inconosoibile).
Conospire. T. Hegreifen; I. Conceive; F. Concevoir. Alcuni logioi distinguono
I’ atto del ragionare e del giudicare dall’ atto del concepire, che sarebbe il
semplice pensare una data cosa senza nd negare nd affermare. Altri obbiettano
che nella coscienza non può essere separato 1’ atto del concepire da quello del
giudicare, perchè concepire una qualsiasi cosa è un rappresentarsela, e quindi
affermare qualche cons che le uppartieno. Il Baldwin propone di restringere il
significato del vocabolo, usandolo solo per designare la conoscenza del
generale in quanto distinto dagli oggetti
203 Cox particolari cui si
applica. Cfr.
Logique de Port-Royal, ed. Charles, p. 37; Taine, De U Intelligenoe, 1870, II,
76 (v. concezione). Concetto. T.
Begriff; I. Conception, Concept ; F. Concept. È la tradnzione latina del
σύλληψις greco (συν = con, λαμβάνω =: prendo), con cui si volle indicare che
mediante il concetto apprendiamo il significato della cosa. Ordinariamente per
concetto si intende la sintesi ideale o tipica di una cosa ο d’un fatto,
ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni ο |’ astrazione delle
note identiche. Secondo altri, il concetto, essendo l’unità delle note
essenziali dell'oggetto, ottenuta mediante l’astrazione e la determinazione,
presuppone il giudizio e si definisce appunto come il sistema dei giudizi, che
su quell’ oggetto si son fatti ο si possono fare, Il principio unificatore del
concetto può essere intrinseoo, cioò l’unità fisica ο ideale della cosa stessa,
od estrinseoo, cioè una rappresentazione schematica o una parola o una
espressione composta di più parole. Gli elementi del concetto si dicono rote ο
determinazioni. Bisogna però distinguere il concetto logico dal psicologico;
questo è per lo più costituito da imagini frammentarie, da aspetti dell’
oggetto che più interessano un dato individuo, per la sus cultura, il sno
temperamento, le sue abitudini mentali, la sua educazione, e varia perciò da
individuo a dividuo ο durante la vita dello stesso individuo; invece il
concetto logico, sintesi di tutto le note dell’ oggetto, è uguale per tutti i
pensanti, ossia obbiettivo ο universale, 1] concetto logico esprime l’essenza
della cosa; secondo lo Stuart Mill quella che noi diciamo l’ essenza della cosa
è 1’ insiemo delle note del concetto; secondo altri l’ essenza è data soltanto
dalle note permanenti dell'oggetto; per altri ancora V essenza è il complesso
delle qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è nell’ ordine
delle altre cose © in relazione ad esse. I caratteri fondamentali del concetto
logico sono tre: 1° di essere costituito non tanto da conCox 204
tenuti qualificativi che stanno da sò, quanto da indi relazione, cioè di
somiglianze e differenze, di essere insomma un sistema di rapporti; 2° di
essere universale, sia soggettivamente in quanto non si ha che un solo concetto
d’una cosa, sia oggettivamente in quanto vale per tutti gli oggetti che denota;
3° di essere neoessario soggettivamente, appunto perchè non si può avere che un
solo concotto d’una cosa, oggettivamente in quanto esprime la legge intima
della cosa. Kant distingue il conostto, che è ogni relazione generale senza
essere assoluta, dalle idee ο dati assoluti della ragione, e dalle intwisioni,
che sono le nozioni particolari dovute ai nostri sensi. Egli li distribuisce in
tre classi: ο. puri, che non tolgono nulla dalla esperienza (es. la nozione di
causa); ο. empirici, che sono formati esclusivamente coi dati dell’ esperienza
(es. la nozione generale di colore); ο. misti, formati in parte sui dati dell’
intelletto puro, in parte su quelli dell’ esperienza. Come le intuizioni sono
impossibili senza una forma sensibile, così le cognizioni vere e proprie sono
impossibili senza una forma intellettuale, cioè senza i concetti : perciò, egli
dice, le intuizioni senza i concetti sono cieche, i concetti senza le
intuizioni sono vuoti. Nel pensiero filosofico il concetto cominciò ad assumere
grande importanza con Socrate. Opponendosi al relativismo dei sofisti, egli
cercò un sapere che dovesse valere per norma ugualmente per tutti, un elemento
costante ed unitario che ognuno deve riconoscere, e lo trovò nel concetto
(λόγος); la scienza è quindi pensare per concetti, e il fine di ogni lavoro
scientifico la determinazione dei concetti, la definizione. Per Platone
l'oggetto della scienza è l’idea, 1’ essere incorporeo che viene conosciuto
mediante i concetti; poichè i concetti, in cui Socrate aveva trovato l'essenza
della scienza, non sono dati come tali nella realtà percepibile, essi devono
formare una seconda realtà, una realtà inmateriale, e la conoscenza loro non
può essere che una remi 205 Cox
niscenza, onde l’ anima richiama alla memoria conoscenze preesistenti in essa.
Per Aristotele invece ogni concetto si forma analiticamente da un concetto
superiore, 0 genere prossimo, mediante l’aggiunta di una nota speciale, ©
differenza specifica: questa deduzione del concetto è la definizione;
naturalmente, la definizione dei concetti inferiori si riferisce a concetti
generalissimi, che si sottraggono ad ogni deduzione e spiegazione. Gli stoici
cercarono di analizzare psicologioamente il concetto, che per essi ha origine
dalla percezione, o per sè stesso o mediante parlari motivi psicologici, aut
wen, aut coniunotione aut similitudine aut collatione; solo i concetti più
generali, κοtiones communes, sono innati. Nel sistema dell’ Herbart il concetto
ha una grande importanza : egli infatti, opponendosi agli idealisti che
sostenevano esser compito della filosofia di derivare la realtà da un principio
unico, attribmì alla filosofia uno scopo essenzialmente oritico, e cioè l'esame
© l'elaborazione dei concetti su cui è fondata la scienza rperimentale, per
ripulirli da quelle contraddizioni che falsano la giusta rappresentazione della
natura; i concetti stessi sono per lui delle idealità logiohe, che non esistono
che nella nostra astrazione, non essendo che rappresentazioni nelle quali
astraiamo dal modo come psicologicamente si sono prodotte. Per Hegel invece il
concetto non è semplicemente una rappresentazione soggettiva, ma |’ essenza
storsa della cosa, il suo in sò;... le forme logiche del concetto sono il
vivente spirito della realtà »; egli lo definisce come la libertà e la verità
della sostanza », l’ assolutamente concreto >, l’universale in cui ogni
momento è il tutto, perchè esso è il per sò ed in sò determinato ». Per
Schopenhauer il concetto è la rappresentazione di una rappresentazione, in
quanto non è nessuna rappresentazione data, ma ha In sna natura nel rapporto
con le rappresentazioni ; esso costituisre classe particolare, diversa toto
genere dallo rappresentazioni sensibili ed esistente solo nello spirito nmano.
Per il Con 206 Wundt il concetto è la fusione di una singola
rappresentazione dominante con una serie di rappresentazioni omogenee, fusione
compiuta mediante 1’ appercezione attiva »; osso infatti sorge © si sviluppa
mediante il prevalere di elomenti, che sono percepiti con la maggiore
chiarezza, la scelta delle rappresentasioni da sostituire, 1’ oscuramento degli
elementi rappresentativi mescolati con gli elementi dominanti, l’oscuramento
degli elementi stessi e la loro sostituzione con segni verbali esteriori. Per
l’Avenarius anche il concetto ha un valore psicologico, non essendo che un caso
particolare del principio dell’ inerzia dominante nella vita psichica; esso infatti
rappresenta un risparmio di energia, rendendo possibile alla coscienza di
abbracciare con un minimo sforzo un gran numero di oggetti, e di condensare
economicamente concetti © leggi particolari in concetti e leggi più universali.
Per lo Schuppe è concetto tuttociò che 1’ uomo pensa come significato di una
parola, in quanto vengono pensati come unità molteplici predicati realmente
conosciuti »; esso esiste obiettivamente perchè contenuto nella percezione,
nella quale lo cogliamo come un elemento di essa; la realtà concreta è la
qualità sensoriale in un punto determinato dello spazio ο del tempo; ciascuno
di questi elementi (qualità, spazio, tempo), isolato dagli altri è un concetto
astratto. Secondo il Croce il concetto puro deve distinguersi dai paeudoconoetti
ο finzioni concettuali: queste hanno per contennto o un gruppo di
rapprosentazioni (es. gatto, casa, rosa) o nessuna rappresentazione (es.
triangolo, moto libero); di quello invece è da dire n volta a volta che ogni
imagine 6 nessuna imagine è simbolo di easo »; il carattere fondamentale del
concetto puro è la conoreterza; il concetto è universale-concreto; chè se è
trascendente rispetto alla singola rappresentazione, è, poi, immanente nella
singola, ο perciò in tutte le rappresentazioni. Cfr. Platone, Terteto, 201 D e
sogg.; Aristotele, De an., IT, 1, 412 b, 16 © segg.; Cicerone, De fin.. TIT, 381 207
Cox Acad., U, 7; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed. Reolam, p. 77, 88;
Herbart, Psychologie als Wissenschaft, 1887, 1; J. Stuart Mill, Examination of Hamilton,
1867, p. 274 segg.; Hegel, Enoyol., 6105, 108, 154, 157-164; Schopenhauer, Die
Welt ala W. und V., 1. 1, 69;
Wundt, Logik, 1893, 1. I, p. 46 segg.; Aven: Philosophie ale Denken, 1903, p.
24 segg.; Schuppe, frrundriss d. Erkenntnistheorie, 1894, p. 81 segg.; B.
Croce, Logica come soiensa del concetto puro, 1909, p. 15-84; A. Marueci, Di
aloune moderne teorie del concetto, Riv. di fil. », maggio 1914 (v. idealismo,
nominalismo, realismo, sermonismo). Conoettualismo. T. Conceptualiemus ; I.
Conceptualiem ; F. Conceptualisme. Dottrina della scolastica, che sta fra il
realismo e il nominalismo, e fu creata da Abelardo. Conciliando la teoria dei
nominalisti, che sostenevano essere gli universali e le qualità astratte dei
corpi un puro nome, un semplice flatus rocis, e quella dei realisti, che
consideravano gli universali come le sole e vere realtà, Abelardo sostenne che
codesti universali, sebbene non posseggano nna realtà a sè, indipendente dal
nostro spirito, hanno tuttavia, in quanto concetti o nozioni astratte, una
esistenza logica e psicologica, Ogni individuo, dice Abelardo, è composto di
forma e di materia. Socrate ha per materia l’uomo 9 per forma la socratità.
Platone è composto d’ una materia simile che è l’uomo ο d’una forma differente
che è la platonità, e così degli altri uomini. E come la socratità, che
costituisce formalmente Soorato, non è in nessuna parte fuori di Socrate,
ngualmente codesta essenza d’uomo che, in Socrate, è il sostrato della
socratità, non è in nessuna parte altrove che in Socrate, e così degli altri
individui. Per specie io dunque intendo, non codesta sola essonza d’ uomo che è
in Socrate o in qualche altro individuo, ma tutta la collezione formata da
tutti gli individui di codesta natura ». L’ universale esistente nella natura è
appunto, per Abelardo, codesta collezione, codesta molteplicità identienmente
determinata, che diventa concetto unico solo nella Cox concezione del pensiero
umano; ο poichè tale molteplicità degli individui si spiega col fatto che Dio
ha creato il mondo secondo imagini preesistenti nel suo spirito, così nel
concettualismo abelardiano gli universali esistono anzitutto in Dio come
conoeptus mentis prima delle cose, poi nelle cose stesse come identità dei
caratteri essenziali degli individui, infine nell’ intelletto umano quali suoi
concetti. Alcuni considerano anche la dottrina di Kant come un vero © proprio
concettualismo. Concettualisti nel vero senso della parola furono, oltre
Abelardo e Durand de St. Pourgain, Locke, Reid, Brown. Dice il Reid: Quella
universalità che i realisti considerano essere nelle cose stesse, e i
nominalisti nel solo nome, i concettualisti considerano essere nd nelle cose nè
nel nome soltanto, ma bensì nelle nostre concezioni >. Cfr. Abelardo, Opera, colleg.
Cousin, p. 542; Reid, Works, 1863, p. 406; Windelband, Storia della fil., trad.
it, 1913, p. 349. Concezione. T.
Konoeptior, Begriffebildung; I. Conception: F. Conception. Non ha un
significato ben definito nella paicologia. Alcune volte si adopera in
opposisione a giudizio, per indicare l’atto con cui pensiamo o ci
rappresentiamo un oggetto senza nd affermare nd negare. Altre volte è ussta in
opposizione a percezione, per significare l’atto con cui ei rappresentiamo un
dato oggetto che non è presente; in tal caso sarebbe analoga »
rappresentazione. Codesta opposizione è adottata specialmente nel realismo
razionalistico, secondo il quale noi non percepiamo che fenomeni e qualità, sia
fuori che dentro di noi, ma, eccitata da essi, la mente concepisce la sostanza;
tale concezione, del tutto irreducibile ai fatti che ce la suggeriscono, è la
condizione della nostra conoscenza delle cose, è una delle leggi necessarie del
pensiero, per cui non possiamo pensare al fenomeno Renza riferirlo all’ essere.
Altre volte ancora il termine concezione à nento per designare le idee astratte
e i concetti, per opposizione a sensazione e rappresentazione sensibile.
Diconsi 209 Cox talvolta concezioni comuni i principi del
ragionamento, in quanto tutti gli uomini li concepiscono e li seguono. Cfr. Boirac, L'idée de
phénomène, 1894, p. 294 (v. concepire). Concesionismo. T. Konceptioniemus ; I.
Conoeptioniem ; F. Conceptionisme. Designa
tutte quelle dottrine che, come le intermediariste, considerano il mondo
esteriore non come percepito immediatamente tal quale, ma come concepito dal
nostro spirito mediante processi particolari. Si adopera quindi per opposizione
al peroesionismo, dottrina sostenuta specialmente dagli scozzesi e dagli
eolettici francesi, i quali consideravano come irreducibile il sentimento di
obbiettività contenuto nella sensazione, e a codesta oredenza accordavano un
valore rappresentativo. Cfr. Mac Cosh, The intuitions of the mind, 1882. Conclusione. Lat.
Conclusio; T. Schluss, Sohlussate, Conclusion; I. Conclusion ; F. Conclusion. O illasione; à la terza proposizione di un
sillogismo, tratta dalle premesse in cui è contenuta. Perchè il raziocinio sia
giusto, la conelusione deve derivare, e necessariamente, dallo premesse, nè
deve enunciare cosa diversa da quella che nelle premesse è enunciata. Da
premesse entrambe particolari ο entrambe negative, non si pnd ricavare alcuna
conclusione, nè si può ricavare una conclusione negativa da premesse
affermative. La conclusione è negativa quando una delle premesse è negativa,
particolare quando nna delle premesse è particolare. Cfr. Wandt, Logik, 1893,
vol. I, p. 270 segg. (5. conseguenza, sillogiemo). Concomitansa. T.
Konkomitanz; I. Concomitance; F. Concomitance. Quando due circostanze si
sccompagnano "uns l’altra, e sono ο simultanee ο immediatamente
successive, diconsi concomitanti. La concomitanza può essere diretta o inversa:
p. es. |’ altezza della colonna di mercurio nel barometro è in ragione diretta
del calore; il volume dei gas è in ragione inversa della pressione. l’ud ossere
ancora accidentale, p. es. il crescere dei matrimoni ο della 14 Raxzorı, Dizion, di scienze filosofiche.
Cox 210
criminalità, e necessaria p. es. il crescere del tono del suono e il
crescere del numero delle vibrazioni nell’ unita di tempo. Cfr. C. Ranzoli, Il
caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 80 © segg. Concordanza (metodo di). T.
Methode der Uobereinatimmung: I. Method of agreement; F. Méthode de
concordance. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva proposti dallo Stuart
Mill. Esso consiste nel paragonare tra loro difforenti casi in cui il fenomeno
che si studia avviene, © si fonda su questo canone logico: se due o più casi di
un dato fenomeno hanno comune soltanto una circostanza, questa circostanza,
nella quale soltanto tutti i casi concordano, è la causa o l'effetto di quel
fenomeno. Ad es. dovendosi cercare la causa della combustione dei corpi, si
vede che alcuni bruciano neil’ aria, altri nel cloro, come il fosforo ©
l’arsenico, altri nei vapori di zolfo, come il rame e il ferro, ma hanno in comune
una circostanza : la viva combinazione chimica della sostanza che brucia con
quella nella quale brucia; essa sarà dunque la causa della combustione. Questo
metodo serve specialmente nei casi in oni l'esperimento è impossibile, ma non
da il criterio decisivo della causalità, perchè la semplice concordanza di due
fenomoni non basta per autorizzarci a porre il primo come causa © il secondo
come effetto: essi potrebbero essere entrambi semplici effetti collaterali di
due altri fenomeni, oppure il secondo potrebbe essere effetto di una causa
rimasta occulta, per quanto presente in tutte le osservazioni. Cfr. J. 8. Mill,
System of Logic, 1865, 1. III, o. 8, $ 1. Concordanza nella differenza (metodo
di). I. Joint method of agreement and differenco. Detto anche dell'accordo
nella differenza, di differenza indiretta, di concordanza negatira, della
concordanza ο della differenza riunite. È un metodo complementare di ricerca
induttiva, suggerito dal Mill, consistente nella riunione del metodo di
concordanza e di quello di differenza. Esso si fonda su questo canone 311
Con logico: se due o più casi in cui il fenomeno avvione hanno soltanto
una circostanza comune, mentre due ο più casi in cui quello non avviene nulla
hanno di comune tranne |’ assenza di questa circostanza, la circostanza nelln
quale soltanto le due serie di casi differiscono è l’effetto © la causa o parte
essenziale della causa di quel fenomeno. Ad es. strofinando in un ambiente
asciutto con un panno di lana della ceralacca, della resina, dell’ ambra, del
vetro, essi attirano i perzetti di carta essendo cattivi conduttori dell’
elettricità; strofinando nelle stesse circostanze un metallo, che è buon
conduttore della elettricità, la carta non resta attirata; dunque, I’ essere
cattivi conduttori dell’elet. tricità è la cansa per cui quei corpi attraggono
i pezzetti di carta. Cfr. J. S. Mill, System of Logic, 1865, 1, III, ο. 8, ϕ 4. Concorrensa vitale. Ha lo stesso valore della
espressione lotta per l’esistenza » più frequentemente usata, Concreto. T.
Concret; I. Concrete; F. Conoret. Secondo il Trendelenburg, questa parola à
d’origine latina ο significò da principio denso, spesso. Si adopera infatti in
opposizione di astratto, per designare un soggetto che è rivestito di tutte le
sue qualità, ed ha una esistenza reale indipendente e non quella che spetta ad
un puro prodotto del pensiero quale è l’astratto. Nella terminologia scolastica
dicevasi coneretum il composto di sostanza ο forma, da cui si attribuisce al
soggetto una qualche denomina zione; concretum metaphysicum quello in cui la
forma non si distingue realmente dal soggetto; concretum physicum quello in cui
si distingue veramente, ma pure gli è inerente; conorelum logioum quello in cui
non gli è inerente. Per Schopenhauer il termine ha un significato speciali I
concetti che non si applicano alla conoscenza intuitiva in modo immediato, ma
solamente con I’ intermediario di uno ο più altri concetti, furono chiamati
astratti per eccellonza, mentre al contrario quelli che hanno il loro fondaCox 212
mento immediato nel mondo dell’intuizione sono stati chiamati conoreti
». Cfr.
Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Schopenhauer, Die Welt als eoe.,
ed. Reclam, I, ὁ 9. Condizionale.
T. Bedingt; I. Conditional; F. Conditionnel. Una proposizione ο giudizio è
condisionale quando la posizione del predicato è condizionata ο dipendente
dalln posizione del soggetto; la sua formula è: se A à B, C à D. Un sillogismo
è condizionale ο ipotetico quando ha per premessa maggiore una proposizione
condizionale; esso è soggetto alle seguenti regole: se la minore afferma la
condizione, la conclusione afferma il condizionato, ma se la minore nega la
condizione non ne segue necessariamente che la conclusione neghi il
condizionato ; se la minore nega il condizionato, la conclusione nega la
condizione, ma se la minore afferma il condizionato, non ne segue che la
conclusione affermi la condizione. Kant chiama imperativo condizionale ο
ipotetico quello che enuncia che un atto è un mezzo relativamente a un certo
fine. Condizione. T. Bedingung; I. Condition; F. Condition. Si suol distinguere
condisione da causa: questa è la potenza attiva che produce l’effetto, mentre
la condisione è ciò senza di cui la causa non agirebbe. Es. il crescere della
temperatura è la cansa del crescere della colonna di meronrio nel termometro:
1’ essere il termometro stesso esposto alla temperatara, la condizione del
crescere del mercurio. Ma questa distinzione vale soltanto quando si consideri
la causa come un quid che produca I’ effetto; se invece, secondo il concetto
fenomenistico, la causa è riguardata come il semplice antecedente invariabile e
incondizionato di un fenomeno, la causn del fenomeno stesso non è che l'insieme
delle sue condizioni. Altri intendono la condizione negativamente, e cioò come quella
che non produce l’effetto, mn modifica o anche elimina |’ azione di una causa:
p. es. l'umidità rispetto all’ esplosività della polvere. Ma la distinzione, in
questo caso, è puramente soggettiva, dipen 218
Con dendo dal fissarsi dell’ osservazione sopra l’azione di una
piuttosto che di un’altra causa: così volendosi studiere, invece che
l’esplosività delle polveri, l’ azione della umidità sopra I’ esplosività di
esse, la medesima umidità che prima appariva semplice condizione appare come
causa. In un senso più preciso dicesi condizione la circostanza mancando la
quale un fatto non può prodursi. In questo senso usaai l’espressione conditio
sine qua non, abbreviazione del1’ antica formula dello Zabarella: conditio
necessaria sine qua non Zabarelle est causa αυοταλική, sine qua res esse non
potest. In senso kantiano, spazio e tempo sono condizioni dell'esperienza,
perchè soltanto per esse noi possiamo rappresentare la varietà delle sensazioni
con unità sintetica: tempus non esi objectioum.... sed subjectiva conditio per
naturam montis humana necessaria qualibet sensibili certa lege sibi
coordinandi. Nel linguaggio matematico le condizioni di un problema sono
tuttociò che particolarizza una soluzione generale; si suppone quindi che il
problema, rimanendo il medesimo nella sua essenza, potrebbe essere ristretto
nelle sue soluzioni mediante altre proposizioni limitative. Cfr. Goolenius, Lezioon
phil., 1613, p. 435 a; Kant, De mundi sonsibilis, III, 14, § 5. Conflitto dei doveri. Widerstreit; I. Confliot;
F. Conflict. Bi verifica quando alla scelta dell’ individuo si presentano due o
più doveri fra loro inconciliabili; il confitto dei doveri è quindi un
conflitto di motivi, ossia un conflitto di rappresentazioni (v. deliberazione).
Confasione mentale. T. Hallucinatorisohe Verwirrtheit ; I. Hallucinatory
confusion; F. Confusion mentale. Sindrome di varie malattie mentali,
caratterizzata da disordini sensori, disorientamento rispetto al luogo, al
tempo, alle persone, turbamento nel decorso delle rappresentazioni, incoerenza
nel linguaggio, annebbiamento del pensiero. Secondo alcuni storici della
psichiatria, essa è ciò che Ippocrate chiamava frenite, Sauvage paraphrosyne,
Ploquet paracope. Con Si distinguono tre forme-di confusione mentale: una
allucinatoria, caratterizzata dall’insorgere di gran numero di allucinazioni
che dominano il malato; una astenioa, che ri presenta prevalentemente con l’
esaurimento; e una logorroica o maniaca, caratterizzata da fuga d’ ideo, e
quindi di parole, senza aleun ordine o nesso logico. Cfr. Dagonet, Nouv. traité des
maladies mentales, 1894, p. 328-347; Chaslin, La confusion mentale, 1895. Congenito. T. Angeboren ; I. Congenital ; F.
Congenital. Per opposizione ad aoguisiti, diconsi così quei caratteri che
l'individuo porta con sè dalla nascita, e che ha ereditato dai genitori o
acquistato accidentalmente nel corso della sua esistenza embrionaria.
Congettura. T. Vermuthung; I. Conjecture; F. Conjecture. Ha molte affinità con
l'ipotesi e consiste in una conelusione che si cava da dati incerti, ο che per
sò stessa, pur essondo certi i dati, non è nd legittima nd sicura. La
congettura ha un grado minore di probabilità dell'ipotesi, della quale è una
anticipazione. Si dicono razionali quelle congetture che dipendono da principi
logici ο outologici. Secondo il Cusano, il pensiero dell’uomo, non conoscendo
se non ciò che ha in st, non possiede per la conoscenza del mondo se non
congetture, ossia i soli modi di rappresentazione che scaturiscono dalla sus
propria natura; 8 la conoscenza di questa relatività di tutte le affermazioni
posilive, il sapere del non sapere, come primo gradino della dotta ignoranza, è
|’ unica via per arrivare, oltre la scionza razionale, alla comnnione
conoscitiva inesprimibile, immedinta, con la divinità. Cfr. Cusano, De doota
ignorantia, 1884; F. Fiorentino, ZI rinaacimento filonofico nel quattrocento,
1885, cap. IL Congiuntivi (giudizi). Diconsi tali, per opposizione a
copulatiri, quei giudizi che sono composti nel predicato, che hanno cioè più
predicati i quali possono tutti convenire, per quanto disparati, allo stesso
soggetto. Possono 215 Cox essere affermativi ο negativi, categorici
ο ipotetici; la lore formula è: A è tanto B che C e D (v. composti). Coni. T.
Kegel; I. Cone; F. Cône. Corpuscoli di forma conica che, insieme ai bastoncini,
formano lo strato superficiale della retina; sì gli uni come gli altri non
sarebbero che un prodotto di secrezione, una formazione eutioulare delle cellule
visive. Sono in numero minore dei bastoncini e servono alla sensaziene del
colore; quella della luce ha luogo nei bastonoini. Questi costituiscono 1)
apparecchio che funziona durante la risione orepuscolare, quelli 1’ apparecchio
che fanziona durante la risione diurna ed ha la capacità di destare le
sensazioni cromatiche quando è stimolata da raggi di media intensità, e di
produrre la sensazione del bianco quando è stimolata da determinate miscele di
raggi luminosi o da raggi monocromatici di eccessiva ο di debole intensità.
Cfr. Wundt, Grundzüge der physiol. Psychol., vol. II, 1902; Hering, Zur Lehre
vom Lichtsinn, 1878. Connotativo. T. Connotativ, mitbezeichnend; I.
Connotative; F. Connotatif (da notare cum, cioò notare una cosa con ο più
un’altra cosa). Lo Stuart Mill, risuscitando una vecchia © opportuna
distinzione scolastica, disse connotativi quei nomi che designano un soggetto
ed implicano un attributo, non-connotatiri quelli che significano un soggetto
solamente o un attributo solamente. Quindi non sono connotativi i nomi propri
(America, Napoleone...) perchè designano un soggetto solamente, e i termini
comuni astratti (bianchezza, virtù...) perchè designano un attributo aulamente.
Sono invece connotativi tutti i nomi conoreti generali (bianco, virtuoso...)
perchè designano una intera classe per mezzo di uns qualità comune. Così bianco
designa tutte le cose bianche e implica ο connota I’ attribute bianohesza ; il
termine bianco non è affermato dell’ attribato, bensì delle cose bianche; ma
quando noi |’ affermiamo di questi soggetti (le cose bianche) implichiamo o
connoCox 216 tiumo che l'attributo bianchezza loro
appartiene. In altro parole il nome connotativo esprime il soggetto
direttamente, gli attributi indirettamente, esso denota i soggetti © connota
gli attributi. Cfr.
Prantl, Geschichte d. Logik, 1. III, Ρ. 364; J.
8. Mill, Syetem of logic, 1865, 1. I,
3, § 5. Conoscenza. T. Erkenninise, Konninisa; I. Knowledge; F. Connaissance.
Per quanto in sd stessa indefinibile, si può dire che la conoscenza esprime un
peculiare rapporto tra la mente © qualsiasi oggetto, per eni quest’ultimo,
oltre ud esistere per sò, esiste per una coscienza. Essa è dunque una
operazione attiva dello spirito, che si' compie sotto determinate condizioni e
suppone tre termini: un soggetto che conosce, un oggetto conosciuto e una
determinate relazione tra l’uno ο l’altro. La conoscenza dicesi: a poatoriori,
se acquistata mediante l’esperienza; a priori, ο pura, o trascendentale se
consiste di cognizioni innate; intuitiva, se ottenuta direttamente ο per sè
stessa; discorsiva, o razionale, ο inferenziale se ottenuta mediante altre
conoscenze. Il problema della conoscenza, il problema cioè del rapporto tra V
essere e il pensiero, 1’ oggetto e il soggetto, la cosa conosciuta e ciò che
conosce, fa sempre oggetto delle ricerche dei filosofi, ma andò sempre più
allargandosi col progredire del pensiero ed è divenuto fondamentale nella
filosofis moderna specialmente dopo Kant. I primissimi filosofi della Grecia
non gli diedero molta importanza; essi infatti lo risolsero nel modo più ovvio,
dicendo che lo spirito riceve l’ imagine o l'impronta delle cose come uno
specchio o un pezzo di cera; per tal modo le sensazioni non sono che copie
fedeli delle cose sensibili. Mn prima ancora di Socrate, i sofisti #’avvidero
della differenza tra le nostre sensazioni © lo cose esterne, e, dirigendo la
speculazione dei filosofi sopra il soggetto che sente, spostarono il centro di
gravità del pensiero umano, facendolo convergere dalla natura, intorno alla
quale fino a quel tempo s'era affaticato, sopra di sè. L'importanza della
riforma 217 Con socratica sta nell’ aver essa determinato
I’ essenza della conoscenze in maniera chiara e decisiva. I sofisti insegnavano
che vi sono soltanto opinioni, che valgono solo per ogni individuo; Socrate
cercò un sapere che, di fronte al mutamento ed alla moltiplicità delle
rappresentazioni individuali, dovesse valere come norma ugualmente per tutti, e
lo trovò nel concetto. Anche gli antichi pensatori avevano avuto un senso vago
del fatto che il pensiero razionale, cui dovevano la loro conoscenza, fosse
qualche cosa di essenzialmente diverso dall’ ordinaria rappresentezione
sensibile del mondo e dall’ opinione tradizionale; ma non avevano potuto
elaborare questa differenza di valore nè psicologicamente nd logicamente.
Socrate intuì chiaramente che, se dev’ esservi un sapere, bisogna trovarlo
soltanto in ciò in cui coincidono tutte le rappresentazioni individuali. Da
allora comincia ad impostarai il vero ο proprio problema della conoscenza, da
allora si costituisce, se non di nome, di fatto, quel ramo importantissimo del
supere filosofico detto gnossologia 0 toria della conoscenza. La gnoseologia ha
appunto per oggetto la ricerca dell’origine, della natura, del valore e dei
limiti della nostra facoltà di conoscere; si distingue quindi dalla peicologia
propriamente detta, che si limita a descrivere i fatti psichioi nel loro
sviluppo e nel loro intreccio, senza ceroarne il valore in rapporto alla
realtà, ο dallo logica, che non fa che determinare le norme dell’applicazione
dei principi gnoseologici senza cercarne l’origine. Dalla scuola dei sofisti
venendo sino αἱ criticismo lantisno, sl fenomenismo dello Stuart Mill, al
realismo trasfigurato dello Spencer, al realismo psicologistico dell’Ardigò, al
solipsismo degli idealisti contemporanei, il problema della conoscenza ebbe
soluzioni ed orientasioni infinitamente diverse, che qui aurebbeimpossibile
risasumere. Ci limitiamo quindi ad esporre, seguendo una chiara e sintetica
classificazione del Musci, i prineipali sistemi gnoseologiei. Questi si distinguono
inCon 218 nanzi tutto secondochè ripongono la verità
nella sensazione © nel?’ intelligenza, © considerano lu sostauza ultima del
reale come materiale o spirituale; secondo il primo rapporto i sistemi si
distinguono in sensisti o empiristi ο in razionalisti, secondo il secondo in
materialisti e idealisti. Se l’oggetto è considerato come trascendente, il
razionalismo e V idealismo prendono la forma del teiemo, se è considerato come
immanente prendono la forma del panteismo ο del naturalismo. 1 idealismo può
essere a sua volta o particolarista 0 universalista, secondo che ammette, come
Platone, idee reali ο distinte ο archetipi, o ammette un processo logico, uno
sviluppo o sistema ideale uno e continuo; © può essere spiritualismo, se ripone
la realtà ultima in una forma di coscienza, 9 considera tutte le relazioni
esteriori, e il mondo naturale in generale, come fenomeno di realtà, che sono
coscienze elementari. All’ idealismo si oppone il realismo, che ripone l’
essonza della realtà nell’ individuale assoluto, che non può essere oggetto di
nessuna percezione, nella monade, nell’ ente semplice, nell’ atomo inetafisico.
A tutti questi sistemi, che possiam dire positivi, si possono aggiungere quelli
negativi, i cui tipi principali sono: la sofiatioa, che afferma la potenza
della ragione indifferente alla verità, lo soetticismo, che considera la
ragione incapace della verità, 6 il misticismo, che, negando alla ragione il
potere di raggiungere le verità ultime, lo attribuisce al sentimento o alla
rivelazione soprannaturale. Cfr. Nutorp, Forschungen sur Geschichte des
Erkenntnieproblom bei den Alten, 1884; Β. Muene, Die keime der
Erkenninistheorie in der vorsophistisohen Periode der griechischen Philosophie,
1880; Freitag, Die Entrioklung der griechischen Erkenntniathoorie bir
Aristoteles, 1905; De Wulf, Histoire de la phil. médierale, 1905; H. Höffding,
Histoire de la phil. moderne, trad. franc. 1906; A. Franck, Pilosophes modernes
étranger ot francais, 1893; I. E. Merz, History of europ. thougt in the 19 century,
1904; Masci, Logica, 1899, p. 17
219 Con negg. ; C. Guastella,
Saggi sulla teoria della conoscenza, 1905 ; B. Varisco, La conoscensa, 1904;
Ardigò, Op. ΛΙ., V, 15 segg.; VII, 26 segg.; IX, 237 segg. (oltre ai vocaboli
citati, v. ancora: assoluto, agnosticiemo, eoomomioa teoria, percesioniemo,
conoazionismo, intermediariste, nativiemo, solipsiemo, critioismo, dogmatismo,
pluralismo, soggettivismo, parallelismo, pampeichismo, fonomenismo, soggetto,
oggetto, noumeno, ecc., ecc.). Conoscibile. T. Erkenndar; F. Connaissable.
Tutto ciò che realizza le condizioni necessarie per essere conosciuto, sia
mediante la ragione, sia mediante la sensazione e l’immaginazione. La sfera del
conoscibile è uguale a quella del concepibile, ma molto più vasta di quella
dell’ intelligibile, che è ciò che può essere conosciuto soltanto dalla
ragione, dall’ intelletto puro. Conseontiva (imagine). T. Nachempfindung, Naokbild : I. Afterimage,
after sensation; F. Image conséoutive. Con V espressione imaginé ο sensazioni consecutive si suol designure la
persistenza allucinatoria d’una sensazione, dopo l'arresto della eccitazione
che l’ha provocata. Il fenomeno si verifica specialmente nel senso della vista,
ove si distinguono imagini consecutive positive © negatice. Le prime sono
quelle che presentano una pura e semplice continuazione della sensazione
provocata dallo stimolo luminoso; così, movendo rapidemente un tizzone ardente,
si ha la sensazione di una linea luminosa, che è dovuta al prolungamento della
sensazione che il tizzone provoca nei diversi punti della retina. Le negative
si distinguono dalle positive, perchè gli oggetti luminosi che hanno provocata
la sensazione paiono oseuri, e gli oggetti colorati paiono del colore complementare;
così se si chiudono gli occhi dopo aver gnardato una finestra, dopo un certo
tempo essa pare oscura; se si chiudono gli occhi dopo aver fisssto un oggetto
rosso, esso pare di color verde azzurro. Questi fatti si spiegano per mezzo
della stancherza della retina. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne des Mensohen, 1907,
p. 121 segg. Cox 220 Consecuzione. T. Consecution; I. Consecution
; F. Consécution, Termine usato dal Leibnitz per designare’ |’ associazione
delle idee, che è fornita dalla memoria e imita la ragione, dalla quale però
deve essere ben distinta. Nella consecuzione, infatti, una imagine richiama
automatica mente un’altra imagine, ma tra le due non v’ha alcun legame logico. La
memoria fornisce una specie di conseouzione alle anime, che imita la ragione,
ma che vuol esserne distinta. Noi vediamo che gli animali, avendo la percezione
di qualche cosa che li colpisce e di cui hanno avuto la percezione simile in
precedenza, s’ attendono per la rappresentazione della loro memoria ciò che vi
è stato unito in codesta precedente percezione, e sono portati a sentimenti
simili a quelli che avevano allora, Ad es.: quando si mostra il bastone ai
cani, ‘ai ricordano del dolore che ha loro causato 9 guaiscono e fuggono ». Nel
suo significato somune, la consecuzione è la successione immediata di due
fatti. Cfr.
Leibnitz, Monadologie, $ 46. Conseguente. Lat. Consequens; T. Konsequent,
folgend: I. Consequent; F. Conséquent. Un atto qualsiasi dicesi conseguento quando sta in rapporto con altri
che lo precedono; un ragionamento è conseguente quando le idee che lo
costituiscono derivano logicamente l’una dall’ altra e tutte insieme da un
principio comune. Nella logica si dice conseguente il secondo termine d’un
rapporto, ο antecedente il primo. Conseguenza. Lat. Consequentia; T. Folgerung,
Consequenz; I. Inference, Consequence; F. Conséquence. Una proposizione che
risulta logicamente da un’ altra proposizione © du più proposizioni, ed è così
strettamente legata ad esse, che non si può affermare o negare quella senza accettare
o respingere questa. Una conseguenza è sempre formalmente vera, purchè,
s'intende, sia stata dedotta conforme alle norme logiche; ma può essere
materialmente falsa, se tali sono le premesse. La conseguenza si distingue 221
Cox dalla conclusione perchè questa risulta necessariamente, la
conseguenza risulta semplicemente; tuttavia, perchè un atto, una ides, una cosa
possano dirsi la conseguenza di un antecedente, non basta che esse lo seguano
accidentalmente e casualmente, ma bisogna che risultino da quello, e che quindi
a lui siano legate ds una relazione costante, vale a dire da una legge. Consenso. Lat. Consensus,
Consensio; Τ. Übereinstimmung; I. Consent; F.
Conséntement, Agrément. Molte
volte, come prova della verità di determinate dottrine, libero arbitrio,
immortalità dell’ anima, realtà del mondo esterno, ecc., ai invoca il consenso
universale, cioò il convenire della maggior parte degli uomini in quella
credenza. In omni re consensio generis humani pro veritate habenda est, dico
Cicerone. Ciò però non basta per provare la loro verità; il consenso dei più è
accordato solitamente alle idee tradizionali e alle attestazioni immediate,
spesso illusorie, del senso; tutte le verità nuove debbono infatti combattere
contro il consenso del maggior numero.
Alcune volte consenso 0 oonsensue si adopera figuratamente, e vale
armonia, solidarietà delle parti d’un tutto, degli organi d’un organismo. Cfr.
Aristotele, Eth. Nioom., X, 2, 1173 a; Cicerone, Tusoulano, I, 15 (v. senso
comune). Conservazione. T. Erhaltung; I. Conservation ; F. Conservation. Con
questo vocabolo si designa il problema della conservazione del mondo dopo la
oreazione, problema molto discusso nella teologia e nella vecchia metafisica, e
che si riassume tutto nello spiegare in che cosa consists l’azione di Dio nella
conservazione. Secondo gli uni (cartesiani) In conservazione non è che una
creazione continuata, Omnia qua exiatunt, a sola vi Dei conservantur, dice
Cartesio; vi ha la sola differenza, che mentre colla creazione Dio ha prodotto
la nostra esistenza dal nulla, colla conservazione rostiene in ogni istante
codesta esistenza affinchè non rientri nel nulla. Secondo gli altri, invece,
Dio ha conferito ml Cox ogni essere, dalla creazione, la facoltà di continuare
la propria esistenza; il mondo è quindi un orologio che, una volta caricato,
continua a camminare per tutto quel tempo che Dio s'è proposto di lasciarlo
andare. La prima soluzione è conforme alla dottrina ortodossa, già sostenuta da,8.
Tommaso, per il quale,tutte le cose create sono così strettamente congiunte al
creatore, che se per poco egli si restasse dal conservarle, cesserebbero di
esistere rientrando nel nulla donde uscirono: dependent esse oujuslibet
orealurae a Deo ita quod nec ad momentum subsistere possent, sed in nihilum
redigerentur, nisi operatione divinae virtulis conservarentur in esso. Come lu
trasparenza Inminosa dell’aria scompare appena che i raggi del sole cessano
d’illuminarla, così, dice Β. Tommaso, ogni cosa creata si dileguerebbe se la
potenza divina si ristasse dall’ animarla. Cfr. S. Tommaso, Sum. theol., I, qu.
CIV, srt. I; De Potentia, qu. V, art, I; Cartesio, Prino. phil., I, ΧΙΙ (v.
oreazione). Conservazione dell'energia. T. Erhaltung der Energio: I.
Conservation of energy: F. Conservation de l'énergie. Uno dei principî
fondamentali della scienza moderna, detto anche delln persistenza della forza.
Siccome però il vocabolo forsa ha nella meccanica un significato preciso,
indicando la massa moltiplicata per 1’ accelerazione, si suol preferire la
prima espressione. Fsso afferma che in tatti i fenomeni la somma delle forze
vive e delle energie potenziali è costante >. Questo principio, che è }
espressione più profonda della legge di causalità, e la base della teoria
dell'evoluzione, fu in origine constatato dal Mayer soltanto nell'equivalenza
tra il movimento meccanico e il calore; poscia fu esteso a tntte le altre forme
di energia, che costituiscono la luce, il calore, 1’ elettricità, il
magnetismo, eco. Non bisogna tuttavia scordare, che ciò non autorizza a
considerare l’ energia cinetica come il fondamento di tutte le altre, perchè
con ugual diritto si potrebbe conchiudere che calore, Ince, 600, non sono che
manifestazioni diverse della 223 Cox stessa energia elettrica; l’equivalensa
di tutte le forme di energia, nota l’Ostwald, lungi dall’autorizzarei a ridurre
una di queste forme all'altra, le pone tutte sullo stesso piano. Di più, il
principio della conservazione dell’ energia, per quanto serva a rendere
concepibile la natara, in sè stesso è una ipotesi indimostrabile, in quanto non
è applicabile che ai sistemi chiusi, a quei sistemi cioè che non ricevono
alcuna azione dal di fuori, nd agiscono al di fuori; ora la nostra esperienza
non ci offre nè potrà mai offrirci delle totalità assolutamente chiuse ed isolate.
In secondo Inogo, per essere una esplicazione generale dei fenomeni naturali,
dovrebbe aver avuto una conferma sperimentale in tutte le forze della natura,
mentre noi non conosciamo nè conosceremo mai il contenuto totale della natura.
Cfr. A. E. Haas, Die Entwickelungsgeschichte des Satz von der Erhaltung der
Kraft, 1909; W. Ostwald, L'énergie, trad. franc. 1910, p. 87 segg.; E. Naville,
La physique moderne, 1890, p. 14 segg.; B. Varisco, Scienza e opinioni, 1901,
p. 205 segg. Consoggetto. Ciò che è percepito unitamente al soggetto. Secondo
il Rosmini, nella percezione che noi abbiamo del nostro corpo come consoggetto,
si sente il paziente, 08sia il paziente sente sò stesso in esso © con esso;
invece uella percezione di un ente come straniero al soggetto si sente
l’agente. L'ente estraneo al soggetto dicesi esérasoggetto; come tale, © quindi
come agente, può essere percepito da noi il nostro corpo, quando cioò determina
come ogni altro corpo esteriore un’ azione su qualcuno.dei nostri cinque sensi.
Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846, vol.I, p.97 segg. Contatto. Lat. Contactus ; T.
Berührung, Kontact ; I. Contact; F. Contact. Posizione relativa di due corpi la
cui stanza è la più piccola possibile. Il problema se vi siano azioni a
distanza, o se tutte avvengano per contatto, fu dn principio un problema
metafisico e religioso, in quanto si connetteva con l’altro dell’azione di Dio
sul mondo: se si considera quale condizione del movimento il contatto Con 224
del motore col mosso, come può conciliarsi la pura spiritualità, che
costituisce l’ essenza dell’ essere divino, con la materializzazione dell’
azione sua, οἱοὸ col movimento della materia? Nei tempi moderni esso è divenuto
un problema essenzialmente scientifico, la cui difficoltà sta in ciò, che un contatto
geometrico rigoroso non è osservabile, perchè non potrebbe aver luogo che tra
due corpi continui senza parti distinte, mentre è noto che tutti i corpi
percettibili, senza eccezione, constano di particelle separate; mentre, d’
altro lato, per accertare un’ azione veramente a distanza bisognerebbe
sperimentare nel vuoto assoluto, ο assicnrarsi che all’ azione il mezzo non
prenda alcuna parte essenziale, due cose del pari impossibili. Le sensazioni di coutatto appartengono al
senso tattile, come pure quelle di temperatnra e di pressione: per mezzo di
esse si apprezza la natura dello stimolo, cioè dell’ oggetto, il duro, il
molle, il gnssoso, il liquido, il levigato, l’aspro, l’appuntito. Nella terminologia scolastica si distinguono
due specie di contatto: 1) contactus suppositi ο immediatio suppositi, che si
verifica quando colui che opera è immediatamente, per l'entità sua, congiunto a
chi riceve l’azione, quale è Dio a qualsiasi cosa su cui operi; 2) contactus
virtutis ο immediatio tirtutis, quando l’ agente, mediante la sua virtà, arriva
a chi riceve |’ azione, come il sole all’ aria mediante la luce. Cfr. 8.
Tommaso, Summa theol., I. qu. 75, 1; Avenarius, Philosophie ala Denken der
Welt, 1908, 2* ed., pag. 3 segg.; Wundt, Logik, vol. II, p. 268; Windelband,
Storia della fllorofia, trad. it. 1918, I, p. 302 segg.; R. Varisco, Scienza ο
opinioni, 1901, p. 182-145. Contemperasione. È la dottrina, detta anche della
soarità vittoriosa, con la quale alcuni teologi hanno cercato di conciliare la
libertà del volere umano con la provvidenza © la prescienza divina. Le nostre
azioni sono libere; ma Dio, nella ana infinita bontà, riesco a farci compiere
certe azioni determinato ο ponendoci in circostanze tali da ren 225 Cox dere quelle azioni necessarie, ο suseltando
in noi pensieri ο sentimenti che a quelle azioni ci spingono. E dunque una
suggestione, o, meglio, uns seduzione che Dio esercita su di noi, e dalla quale
ci lasciamo docilmente condurre per la soavità © l'abilità onde è esercitato.
Cfr. C. Jourdain, La filosofia di δ. Tommaso, trad. it. 1860, p. 132 segg.; L.
Friso, Filosofia morale, 1898, p. 210. Contemplazione. Lat. Contemplatio; T.
Contemplation : I. Contemplation ; F. Contemplation. Termine proprio del
misticismo, che designa quello stato nel quale } anima, libera da ogni
tarbamento dei sensi, esercitata da lunghe meditazioni, si assorbe tutta nella
visione serena e bentifica del mondo spirituale, della sorgente d’ogni verità.
Per Ugo di 8. Vittore i tro gradi dell'attività intellettuale sono cogitatio,
meditatio, contemplatio, e corrispondono ai tre occhi dati all’ uomo: il
corporeo, per conoscere il mondo materiale; il razionale, per conoscere sè
stesso nella propria intimità; il contemplativo, per conoscere il mondo
spiritusle ο la divinità. Anche la contemplazione è una risio intellectualis,
un vedere spirituale, che solo comprende direttamente la verità suprema, mentre
il pensiero a tanto non arriva. La contemplazione si distingue dall’ estasi e
dalla riflessione ; dall’estasi perchè non annienta, come questa, ogni attività
dell’anima, dalla riflessione perchè, mentre questa implica la ricerea di una
verità non ancora interamente conosciuta, quella invece à la visione della
verità già posseduta ο splendente in tutto il suo fulgore dinanzi agli occhi.
Cfr. Plotino, Enn., VI, 9, 3; R. di 8. Vittore, De cont., V, 2 ο 14.
Contiguità. I. Contiguität, Berührung; I. Contiguity; F. Contiguité, Nol
linguaggio comune designa la vicinanza di due oggetti nello spazio. Per
analogia, nella logica In contignità indica la relazione tra due concetti,
compresi sotto un terzo comune e tra i quali passa la minima difforenza
possibile: ad es. tra il violetto e 1’ indaco nei sette 15 RaxzoLi, Dizion. di scienze filosofiche.
colori dello spettro solare. La relazione di contiguità (che alcuni dicono con
minor precisione di contingenza) è quindi possibile soltanto in una serie
discreta, potendosi sempre, in una serie continua, concepire tra i due termini
uno intermedio. Pure per analogia, nella psicologia la contiguità di due fatti
di coscienza è la loro simultaneità o il loro succedersi immediatamente. Quando
i due fatti sono simultanei, cioò contigui nello spazio, ciascuno dei due tende
poi a richiamare I’ altro; quando sono successivi, cioè congiunti nel tempo, il
primo tende n richiamare il secondo; ciò costituisce appunto In legge di
contiguità, che è una delle leggi dell’ associazione, già descritta da
Aristotele ο elevata poi a grande importanza da Hume e dalla scuola scozzese. Cfr. Aristotele, Je memoria,
II, 451; Hume, Essay on human understanding, sez. III; Bain, Mental and moral
science, 1884, p. 150 sogy.; Höffding, Paychologie, trad. frane. 1900, p. 205 segg. Contingenza. T. Contingenz,
Zufälligkeit: I. Contingency; F. Contingence. Si oppone a necessità; questa si
applica a tutti gli esseri o agli avvenimenti che non possono non essere,
quella agli esseri o avvenimenti che potrebbero anche non essere: quod potest
non esse. Un avvenimento futuro è contingente quando, allo stato presente delle
cose, ln sus realizzazione o non realizzazione sono ugualmente compossibili. Un
fatto si considera, per rispetto ad una legge generale, contingente, quando
consiste non nell’ applicazione di questa legge, ma in qualche circostanza
particolare a questo ο quell’ oggetto individuale a cui si applica. La
contingenza è dunque, in generale, la possibilità della esistenza. Possibile
quidem et contingens idem prorsus sonant, dice Abelardo. Si tratta però di nna
possibilità pura ο indeterminata, cio di una vera e propria indifferenza tra l’
essere e il non essere, ben distinta quindi dalla possibilità concreta, la
quale si oppone non alla necessità ma alla attualità, ο conduce, in assenza
di 227
Cox fattori negativi, alla compiutezza finale dell’ essere. Tale
possibilità pura, come capacità di ricevere determinazioni contradditorie, fu
aramessa da Aristotele nella materia; come la forma priva della materia è
l'atto puro, l'essere che permane identico a sè stesso, così la materin priva
della forma è la para possibilità del? essere © del non essere, che nulla vieta
si determini in tm modo o in un altro. Quindi per Aristotelo nella materia è la
vera causa dell’ accidente, del fortuito; in essa stanno lo altime differenze
che separano individuo da individuo, poichè discendendo dai generi alle specie
via vin più particolari, scompaiono le differenze essenziali 9 nou restano
infine che ‘nelle accidentali di colore, grandezza, cor. Andando anin là, Duns
Sooto definisce P’individualitä come il contingente, ossia quello che non si
deve derivare da una ragione generale, ma solo constatare come attuale; lo
forma particolare è per lui qualche cosa di originariamente reale, di cui non
si deve chiedere il perchè. Come contingenza assolnta è concepito l’atto
volontario nella dottrina tradizionale del libero arbitrio di indifferenza ;
dice ad es. Pietro Lombardo: arbitrium quia sine coactione et necensitate valet
appetere rel eligere, quod ex ratione deorererit. E Goclenio : roluntan ut
fertur sine coactione in aliqua re; nam roluntar potent relle vel non velle. E Malebranche: la
puissance de rouloir ou de ne par vouloir, ou bien de vouloir le contraire. Secondo il Leibnitz vi sono due sorta di
verità: le verità di ragionamento, che dipendono dal principio di
contraddizione e sono necessario; lo verità di fatto, che dipendono dal
principio di ragione sufficiente e sono contingenti. Secondo il Mill questa
distinzione non si può faro perchè tutte le verità, in quanto tali, sono
necessario; se nelle verità di ragionamento il contrario sembra inconcepibile,
mentre è concepibile nelle verità sperimentali, ciò dipendo dal’ essere lo
prime effetto di una forte associazione stabilitari fra due {deo in forza dell’
abitudine, mentre per lo cora Cox 228 seconde quest’ abitudine non si è ancora
formata. Infatti le verità razionali, ad es. gli assiomi matematici, sono le
generalizzazioni più facili e più semplici, la cui esperienza non fu mai
contraddetta, e che perciò hanno in sè tutta la forza di cui la nostra credenza
istintiva è capace. Del resto, la storia del pensiero umano dimostra che ciò
che è inconcepibile in un’ epoca è concepibile in altra epoca, ©
viceversa. Dicesi dottrina della
contingenza dei futuri quella secondo la quale gli atti e gli avvenimenti, che
dipendono dal libero arbitrio dell’uomo ο dall’ intervento della Provvidenza,
non sono necessari, perchè nè sono retti da leggi naturali, nè hanno la loro
ragion d’essere in atti antecedenti. Quindi possono realizzarsi ο non
realizzarsi. Cfr. Aristotele, Meth., IX, 7, 5; VI, 2, 2; Trendelenburg,
Logische Untersuchungen, 1862, vol. II, p. 198 segg.; J. S. Mill, Examination
of Hamilton, 1867, p. 560 segg.; Ο. Ranzoli, IL caso nel pensiero e nella vita,
1913, p. 31 segg., 114 segg. (v. causalità, necessità, ragione). Contingenza
(filosofia della). F. Philosophie de la contingence. O anche contingentismo, 0
idealismo conténgentiata : quell’ indirizzo della filosofia francese
contemporanea, che nega la necessità delle leggi della natura, sostituendo la
spontaneità, la creazione libera, lu contingenza al determinismo meccanico.
Essa si riconnette per un lato con la filosofia della libertà, per l’altro con
la nuova critica della scienza: dalla prima, iniziatasi con la dottrina
kantiana del primato della ragion pratica e svolta in Francia da Paul Janet,
Secrétan, Ravaisson, accetta la concezione morale ed estetica dell’ universo;
dalla seconda, promossa in special modo dal Mach, trae gli argomenti contro la
necessità della legge. Secondo il Boutroux, il più tipico rappresentante di
questo indirizzo, i principj superiori delle cose anrehbero ancora delle leggi;
ma delle leggi morali ed ostetiche, espressioni più o meno immediato della
perfezione di Dio, preesistenti ai fenomeni e anpponenti degli agenti 229
Cox dotati di spontaneità »; codeste leggi non hanno in sò nulla di
assoluto e di eterno, non sono che abitudini provvisorio contratte dall’
essere, il quale tende a persistervi riconoscendo in esse l’impronta dell’
ideale; ma il trionfo completo del Bene ο del Bello farà scomparire queste
imagini artificiosamente fisse di un modello vivente e mobile, soatituendo alla
legge necessaria il libero sforzo della volontà verso la perfezione con la
libera gerarchia delle anime. La scienza, con la rigidità delle sue formule,
non hw valore obbiettivo; essa è soltanto lo sforzo per adattare le cose alla
legge d’identità del pensiero e per renderle docili al compimento della nostra
volontà. Codesto adattamento appare già nella logica, Il pensiero porta in sò
le leggi della logica pura, ma poichè la materia che gli è offerta non si
conforma ad esso adattamento, cerca di adattare la logic alle cose creando un
insieme di procedimenti e di simboli che rendano intelligibile la realtà. Le
leggi della logi pura, ed eme sole, sono necessarie ed obiettivamente valide;
però lasciano indeterminata la natura delle cose a cui si applicano. La
sillogistics invece non ha in sò alcuna garanzia di validità obbiettiva, ma il
fatto che i nostri ragionamenti riescono, ci prova che, nel fondo delle cose,
c'è un che di analogo all'intelligenza umana; e come in noi, accanto alla
intelligenza, v’ ha un complesso di facoltà attive, così possiamo pensare nelle
cose un principio di attività ο di spontaneità. Salendo poi dalle scienze
astratte verso le più concrete, ci allontaniamo sempre più dalla nocessità ed evidenza
logica. Dalle leggi matematiche allo leggi della meccanica ο da queste alle
leggi della fisica, della chimica, della biologia, della psicologia, della soci
logia, ecc., crescono la complicazione ο il grado di conti genza. Il che prova
dunque che la realtà viva ο conoreta non può esser racobiusa nei nostri quadri
mentali; che la necessità della legge vale solo per i principj logici, mentre
nei processi della natura dominano la libertà ὁ la spontaCox 230 à;
che In scienza, se soddisfa il nostro bisogno d'eviο d universalità logica, è
condannata a lasciar fuori che v ha di più reale nelle cose, ossia il loro
aspetto qualitativo, la loro trasformazione incessante, U atto di creazione che
è nella loro essenza come nel fondo dell’ anima umano. Tra gli altri maggiori
rappresentanti del contingentismo, il Poincaré ha cercato in special modo di
mostraro il carattere puramente convenzionale, economico, delle leggi e dei
concetti scientifici; il Milband di porre in luce il valore soggettivo della
certezza logica, che non può estendersi al dominio della realtà perchè, senza
il contributo dell’esperionza, i principj logici non possono darci
deduttivamente il contenuto di nessuna conoscenza; il Bergson, portando all’
estreme conseguenze lu reazione contro l’intellettualismo, risolve la realtà in
un flusso cessante di forme nuove senza direzione determinata, flusso che la
nostra intelligenza ba, per i suoi bisogni pratici, immobilizzato, e che noi
non potromo quindi conoscere se non spogliandoci il più possibile d’ ogni forma
intellettuale, ritirandoci nella nostra aninia profonda per innuedesimarci con
la stessa attività creatrice. Cfr. P. Janet, Lex causes finales, 1874;
Ravuisson, La fil. en Franco au XIX siècle, 1889; Boutroux, De la contingenoe
des lois de la nature, 1899; Id., De l’idée de loi naturelle, 1901; Milhaud,
Exsai sur les conditions et len limites de la certitude logique, 1894; Bergson,
L'érolution créatrice, 1907; F. Masci, L’idealirmo indeterminiata, Atti della
R. Acc. di s. mor. e pol. di Napoli », 1898; A. Levi, L'indeterminismo nella
fil. franc. contemporanea, 1904; Petrone, 1 limiti del determinismo
scientifico, 1900; Tarozzi, Della necesnità nel fatto naturale ed umano, 1896;
©. Rauzoli, Sulle origini del moderno idealiemo. Riv. di fil. e scienze affini
», maggio 1906; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 19 p.
133-196 (v. economica teoria, empirinmo, esperienza, idealinmo, intuizione,
tempo, vitaliamo). 231 Cox Continuità (principio di). T. Stetigkeit;
I. Continuity; F. Continuité. La gloria di aver primo intuito ed esposto questo
principio è universalmente atiribuita al Leibnitz (di cui è celebre il detto in
natura non datur saltus), che considerava la natura come una serie continua di
mona quali sono in numero determinato, ed h loro, e tutte insiome costituiscono
una serie continua di differenze infinitamente piccole: ogni monade tiene il
suo luogo, nessuna nasce di nuovo, nessuna perisce ; due mouadi identiche non
si possono trovare; quindi levata una inonade, tutta la cutena si rompe. Questa
bella legge della continuità, come il Leibnitz stesso la chiamò, importa dunque
che nel mutamento non vi hanno salti fra i due stati, il vecchio e il nuovo,
perehè 1’ intervallo tra l’uno e l’altro è riempito da un numero infinito di stati
intermedi; e che non esiste una dirersità senza che esista pure una intinità di
intermediari. Fra le applicazioni particolari più importanti che il Leibnitz
fece di questa legge, vi ha la scoperta del calcolo, differenziale, in virtù di
cui la disuguaglianza è come una infinitamente piccola uguaglianza, la parabola
un’ ellissi, di cui un foco sia infinitamente lontano dall'altro. Applicata
alla meccanica, la quiete nou è più I’ opposto del moto, ma non è che un
movimento infinitamente piccolo, e la forza morta non è che un ris elementaris,
una forza viva sul cominciare. Applicata alla natura, il Leibnitz ammette non
solo una connessione graduale tra le varie specie d’animali, ma anche una
gradazione intermedia tra il vegetale ο l’animale. Nella scienza contemporanea, il principio
della continuità dinamica, uni: versale, dei fatti, è il fondamento del
concetto del della natura, in cui il fatto biologico continua il fatto tisico,
ο il fatto psichico il biologico, e il fatto sociale il psichico, così nel rispetto
doll’attualità come in quello della potenzialità. Integrazioni di questo
principio sono la logge di causilità, di evoluzione, dell’unità della materia,
della persistenza, unità Con 232 trasformazione, equivalenza e unità della
forza. Cfr. Loibnitz, Nour. Ess., ed. Gerhardt, IV, 398; V, 49; Monad., 61;
Kant, Krit. d. reinen Vernunft, ed. Reclam, p. 165 segg.; Dithring, Logik und
Wissenschaftstheorie, 1878, pag. 198. Continuo. Lat. Continuum; T. Stetig; I.
Continuous; F. Continue. Si dice
continuo un oggetto le cui parti ο elementi costitutivi sono legati tra loro in
modo che non rimanga tra essi alcun vnoto. Essendo gli oggetti materiali ©
ideali, così si distingue il continuo corporale e il coftinuo ideale. Sono
continui lo spazio e il tempo, la materia e la forza; discontinui il numero e
la quantità. Nel linguaggio scolastico distingnevasi il continuum permanens dal
ο. successioni : il primo è quello le cui parti esistono insieme, come un
bastone; il secondo quello le cai parti passano senza interruzione, ed hanno la
continuità nel senso di non interrotta, successione, come il creato. Secondo 1’
Herbart, è continuo soltanto lo spazio fenomenale, quello ciod dove sono
rappresentate le nostre sensazioni e che è in noi; è invece discreto lo spazio
intelligibile, nel quale esistono i reali, e che è quindi reale. Cfr. Herbart,
Lohruch sur Peychol., 1850, p. 67 segg.; Varisco, Scienza e opinioni, 1901, p.
136 segg.; E. Borel, Le continu mathém. et lo cont. physique, Scientia », 1909,
VI. pp. 21-85 (v. quantità). Contradditorio. Lat. Contradictorius; T.
Widersprechend, oontraditorisch ; I. Contraditory; F. Contradictoire. Due
proposizioni si dicono contradditorie quando, avendo entrambe lo stesso
soggetto e lo stesso predicato, differiscono in qualità ο quantità; tutti gli A
sono B, qualche A non è B, oppure: nessun A è B, qualche À è B. Non possono
essere entrambe vere, nd entrambe false; quindi se luna è vera l’altra è falsa,
se luna à falsa l’altra è vera. ‘Trattandosi di due proposizioni singolari,
basta che difteriscano nella qualità per essere contradditorie: A è B, 4 non è
B (v. contrario). 233 Cox Contraddisione. Gr. ‘Avtipuotc; Lat.
Contradiotio; T. Widerspruch, Contradiction ; 1. Contradiotion; ¥. Contradiction. Quell’ atto dello spirito
mediante il quale si afferma ο si nega la stessa cosa; il suo schema è dunque
il seguente 4 = non A. La contraddizione può essere formale, implicita e in
adjeoto. La contraddizione è formale, ο in terminis, quando i due giudizi ο le
due nozioni contradditorie sono espresse ; implicita quando uno dei due giudizi
o nozioni, pure non comparendo, deve essere supposto come priucipio o come
conseguenza di ciò che si enuncia; in adjeoto quando attribuisce al soggetto
una qualità che ne è esclusa per la sua stessa definizione. La contraddizione
tipica è la formale; ma il pensiero non vi incorre mai, quando trovasi in
condizioni normali; può bensì incorrervi per la complessità dell'argomento, che
non gli permette di avvertire la contraddizione. L’ antinomia è una forma di
contraddizione in adjeoto, dipendente dall’ essero una proprietà, che si
attribuisce a un soggetto, inconcilinbile con esso per altra proprietà che gli
è essensiale, u che è affermata nel suo concetto. Cfr. Aristotele, De
interprot., C. 6; Herbart, Hawpipunkte der Metaphysik, 1806, p. 6-14 (v.
assurdo). Contraddizione (principio di). Aristotele, che lo considerava come il
principio più certo di tutti, lo formulò in questo modo: non è possibile che la
stessa cosa inerisca e non inerisca nella stessa cosa, simultaneamente ο sotto
il medesimo rispetto. In altre parole, questo principio esprime che due
proposizioni, di cui l’una afferma ciò che I’ altra nega, non possono essere
considerate come vere entrambe, e che quindi in tal caso il pensiero è nullo:
A= non À = sero. Il Leibnitz formulò diversamente il principio di
contraddizione in questo modo: À non è non A. Come si vede, mentre questa
formula concerne il rapporto tra soggetto e predicato contradditori d’uno
stesso gindizio, quella aristotelica concerne il rapporto tra due giu 234 contradditori d’identico contenuto; perciò la
formula leibnitziana integra 1’ aristotelica, estendendo il valore del detto
principio non al solo giudizio ma a tutto il campo della conoscenza. Secondo
alenni filosofi, ad es. gli elentici, il principio di contraddizione, come
quello di identità, non ha un solo valore formale e soggettivo, ma anche uno
realo ed oggettivo; vale a dira che esso non sarebbe un semplice canone cui il
pensiero si deve conformare, ma un principio obbiettivo con cui si può
determinare la natura del reale. Invece gli eraclitei negarono loro ogni
valore, sia logico che obbiettivo, e l’antien disputa, spontasi col prevalere
della logica aristotelica, fa rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel e dall’
Herbart. Per Eraclito l'unica cosa permanente nel diveniro incessante delle
cose è l'armonia degli opposti; nella sau retorica poetica il flutto delle cose
è una lotta incessante dei contrari, e questa lotta è la madre delle cose;
tutto ciò che sembra essere è il prodotto di movimenti ο di forze opposte, che
mercà In loro azione mantengono |’ equilibrio ; così I’ nniverso è ad ogni
momento un’ unità, che si suddivide e poi ritorna in xè, una lotta che trova la
sun conciliazione, un difetto che trova la sua compensazione. Nei tempi
moderni, questo concetto della coincidentia oppositorum fu ripreso da Giordano
Bruno e dalla metafisica idealisticn succeduta n Kant. Così per Fichte, se il
mondo deve esser concepito come ragione, il suo sistema deve essere sviluppato
da un problema originario, da una esigenza che ciascuno deve essere nello stato
di adempiere : questa esigenza è l’autocoscienza. ossia pensa te stesso. Questo
principio può svilupparsi solo fino al punto, in cui si mostra che fra ciò che
deve avvenire e ciò che avviene c'è ancora una contraddizione, da cui nasce un
nuovo problema, ¢ così di sèguito : il metodo dialettico è così un sistema in
cui ogni problema ne produce uno nuovo; di fronte a ciò che la ragione vuol
fornire, sta in essa stessa un ostacolo, © per superarlo essa 235
Cox sviluppa una nuova fanzione; questi tre momonti sono detti fesi,
antitesi © sintesi. Così il mondo della ragione diventa l’infinità dell’
ontogenesi, e la contraddizione tra il dovere e il fare viene spiegata come 1’
ensenza realo della ragione stessa; tale contraddizione è necéssaria ed
inevitabile, appartenendo alln natura della ragione; e poichè soltanto la
ragione è reale, la contraddizione viene cost spiegata come reale. In tal modo
il metodo dialettico, trasformazione metafisica della dialettica trascendentale
di Kant, si mette in opposizione con la logica formale; le regole dell’
intelletto, che hanno il loro fondamento nel principio di contraddizione, sono
sufficienti per l’ elaborazione ordinaria delle percezioni in concetti, gindizi
ο sillogismi, ma insufficienti per la costruzione speculativa. Il metodo
dialettico fu perfezionato da Hegel, per il quale l’ essenza dello spirito è di
sdoppiarsi in sè stesso e di ritornare da questa separazione alla sua unità
originaria; la ragione è non solo in sè come semplice realtà idenle, ma anche
per sè: essa manifesta 6 stessa come qualche cosa di altro, diventa un oggetto
diverso dal soggetto, e questo esser altro è il principio della negazione. Il
cancellare questa diversi il negare la negazione, è la sintesi di questi due
momenti: così ogni concetto si converte nel suo opposto, ὁ dalla contraddizione
di ambedue deriva il concetto più elevato, che ha poi la stessa sorte di
trovare uu’ antitesi, che richiede una sintesi ancora più alta, e così di
sèguito. Per I’ Herbart, tutto al contrario, il principio più alto di og sare
è, che ciò che è contradditorio non può essere verumente reale. Ora, poichè i
concetti con cui pensiamo l’esperienza sono in sè contradditori, ne viene che
la filosofia, la quale ha per compito di rintracciare il reale vero, assoluto,
dovrà essere una elaborazione dei concetti dell’ esperienza; ossa deve
trasformarli secondo lo rogole della logica formale (ο non v’ha altra logica
che quella formale) finchi sia conosciuta la realtà scevra di contraddizioni.
Cfr. AristoCon tele, Metaph., III, 2, 996 b, 28 ο segg.; Leibnitz, Monadologie,
31; Theod., I, § 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 151 segg.;
Herbart, Hauptpunkte d. Motaph., 1806; Id., Einleitung in die Philos., 1813, p.
72-82; Hartmann, Ueber did dialektische Methode, 1868; F. Paulhan, La logique
de la contradiction, 1909; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913,
I, p. 176, 108, 173; II, 69 segg. (v. essere, nulla, realtà). Contrapposizione.
Lat. Contrapositio; 'T. Kontraposition; I. Contraposition ; F. Contraporition.
Quell’ operazione logica per cui si converte una proposizione, aggiungendo il
segno della negazione ai due termini. La contrapposizione della proposizione
particolare negativa è poco utile © poco usata; maggiore importanza ha invece la
conversione delle universali affermative, perchè dà modo di controllare se I’
attributo è legato necessariamente al soggetto, vale a dire se l’ universale
affermativo enuncia una verità. Così, convertendo per contrapposizione la
proposizione: tutti i pesci sono muniti di branchie, si ha tutti gli animali
non muniti di branchie sono non pesci, da cui si vede che l'essere muniti di
branchie è un carattere essenziale dei pesci. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik,
1855, vol. I, p. 584; Masci, Logica, 1899, p. 225. Contrario. Gr. 'Evavriov;
Lat. Contrarius; T. Conträr: I. Contrary; F. Contraire. Si dicono contrarie due
proposizioni che, avendo uguali soggetto © attributo ed essendo entrambe
universali, differiscono nella qualità, vale a dire l'una è negativa l’altra è
affermativa; tutti gli 4 nono B, nessun A è B. Possono essere entrambe false,
non entrambe vere; dato dunque che sia falsa una, non si può iuferirne che
l’altra è vera; ma dato che sia vera una si deve inferirne che l’altra è falsa.
Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 107-109 (v. contradditorio). Contrasto. T.
Kontrast ; I. Contrast ; F. Contraste. Nella psicologia designa quel fenomeno
ottico, che il Chevreul 287 Cox ha espresso nella legge seguente: quando
I’ occhio vede contemporanesmente due colori contigui, li vede nel modo più
dissomigliante possibile quanto alla loro composizione ottica ο quanto alla
altezza del loro tono. Infatti, se si pongono vicine delle striscie di carta
coperte d’ una tinta uniforme di grigio di diverse intensità, ogni striscia
sembra più chiara dal lato ove essa tocca una striscia più scura, e più scura
dal lato ove tocca una striscia. più chiara; se si metto una riga bianca su nn
fondo nero, questo fondo pare più nero in prossimità della riga. Ciò per
l'intensità; quanto alle sfumature, se noi collochiamo una striscia di carta
verde sopra un fondo grigio, questo fondo sembra rosso, essendo il rosso il
colore complementare del verde; le nubi bianche in cielo azzurro sembrano
giallognole; le ombre degli oggetti al momento del tramouto sembrano turchine,
perchè la Ince inviata in tal momento dal sole è aranciata, Tutti questi
fenomeni di contrasto si spiegano colla teoria di Joung e Helmholtz, che cioè
nella retina si trovino tre specie di fibre, ognunn delle quali viene stimolata
a preferenza da uno dei tre colori fondamentali (rosso, verde, violetto), e che
quindi tutte le possibili sensazioni di colore risultino dalla combinazione
delle tre sensazioni fondamentali.
L'associazione per oontrasto è uno dei tre casi fondamentali d’
associazione delle idee descritti da Aristotele. Nella psicologia moderna non
la si considera che un modo subordinato dell’ associazione per rassomiglianza ο
per contiguità ; infatti i contrasti rientrano sotto una medesima idea comune,
ad es. fl nano e il gigante sotto quella della statura media; di più, il corso
della vita implica dei contrari che si succedono, si toccano rasformano l’nno
nell’ altro, come il giorno succede alla notte, la gioia alla tristezza.
Secondo I’ Hüffding, nello associazioni per contrasto avrebbe parto prevalente
il sentimento, determinato sempre dall’ importante contrasto del Pincere ο del
dolore; a una forte tensione succede or: Cox
238 riamente un periodo di
stanchezza e tendenza a dirigere il nostro interesse in senso opposto: Così
potrebbe spiegarsi il bisogno che si prova di passare. dall’ imagine della luce
a quella della oscurità, dall’imagine del grande a quella del piccolo ». Cfr. Wundt, Grundriss d.
Psychol., 1896, p. 302 seg.; Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p.
113-115; James Mill, Analysis of the phenomena of the human mind, 1869, I, p.
113 segg.; Höffding, Paychologie, trad. franc. 1900, p. 213 segg. Contratti (giudizi). Quelle forme di
giudizio in cui è taciuto il predicato o il soggetto, o in cui il soggetto è
puramente indientivo, o in cui tutto il giudizio è contratto in un nome. Bi
distinguono in entimematici © tetici (v. composti). Contratto sociale. F.
Contrat social. Espressione entrata nel linguaggio filosofico dopo la
pubblicazione dell’opora del Rousseau, Del contratto sociale, ο principio di
diritto politico (Amsterdam, 1762). Il contratto sociale è il tacito patto che
gli uomini primitivi fecero tra di loro, rinnnziando ai propri diritti, per
affidare ad un potere pnbblico e supremo la tutela degli individui ο il
mantenimento della pace sociale. Secondo il Rousseau, il problema fondamentale
che s'impone agli uomini, quando lo stato primitivo di natura non può più
sussistere, è il seguente: Trovare una forma d’associazione, che difenda ο
protegga con tutta la forza comune la persona o i beni di ogni associato, e
mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sè
stesso e resti libero come pri Tale è il problema fondamentale di cui il
contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di questo contratto sono
talmente determinate dalla natura dell'atto, che la più piccola modificazione
le renderebbe vane e di nessun offetto; per guisa che, sebbene non siano forse
mai state formalmente enunciate, sono dovunque le stesse, dovnnque tacitamente
ammesse e riconosciute, finchè, essendo il patto sociale violato, ognuno
rientri nei suoi primitivi 239 Cox riprenda la propria libertà naturale ».
Questa dottrina era giù stata svolta precedentemente da Epicuro, dal (irozio,
dal? Hobbes. Il contrario del contratto è lo statuto sociale, cioè i rapporti
legali che si stabiliscono tra gli nomini per il solo fatto che essi
appartengono a una determinata classe sociale, oppure si trovano in una data
situazione alla quale la loro volontà non può nulla mutare. Cfr. Rousseau, Du contrat
social ou principes du droit politique, 1762 (v. contrattualiemo, società). Contrattualismo. ‘I. Kontraktualismue; I.
Contractualism ; F. Contraotualisme. Sotto questo nome si raccolgono tutte le
dottrine che fanno originare la società, e quindi la morale, il diritto, lo
Stato, da un generale contratto ο da primitivi accordi contrattuali. Questa
idea trovasi già esplicitamente formulata in Epicuro, per il quale la società
politica non è una formazione naturale, ma è creata a ragion veduta dagli uo!
in base ad un contratto, συνθήκη, che essi fanno per non danneggiarsi
scambievolmente; perciò le leggi sono derivate in ogni singolo caso da un
accordo rispetto alle comuni utilità; in sò non v'è niente di giusto ο d’ingiusto,
e poichè è evidente che nel contratto fa prevalere il proprio vantaggio chi ha
intelligonza maggiore, così sono in generale i vantaggi del sapiente che si
presentano come i motivi della legislazione. ‘Tale concetto fu poi ripreso da
Occam, da Marsilio, da Hobbes, che gli diede il massimo sviluppo: egli pone
l’egoimo come fondamentale nell’ uomo, e considera lo stato naturale come il
bellum omnium contra omnes, nel quale si dice bene ciò che soddisfa il proprio
egoismo, male ciò che lo contrasta; ma poichè una condizione simile offendo lo
stesso egoismo, recando morte e danno, gli nomini s' accordano tacitamente di
trasferire il proprio diritto naturale ad un terzo, che rappresenti, la forza
di tutti: questo è lo Stato, che fa la zione, non più relativa ma nssolnta, tra
bene © male, tra lecito e illecito, tra religione Cox e superstizione: il bene
à l’ azione legale, il male l’azione illegale; la religione è l'adorazione
legale di Dio, la superstizione |’ adorazione illegale ; entrambe le autorità,
civile e religiosa, sono incarnate nel sovrano. Mentre Hobbes giunge così alla
giustificazione dell’ assolutismo, Rousseau ricava dalle stesse premesse delle
conseguenze democratiche e liberali: per lui l’ uomo è originariamente buono e
dominato da sentimenti sociali, quindi il principio della traslazione e della
rappresentanza deve essere limitato fino al possibile, mentre a tutto il popolo
si deve riconoscere direttamente |’ esercizio della sovranità. Dopo la
rivoluzione francese il contrattualismo decadde, ma per risorgere ai giorni
nostri sotto diversa forma, Oggi non si ammette più, in generale, un contratto
alle origini della società, ma alla fine, cioè come mata da raggiungere non
come punto di partenza; la storia dell’ incivilimento dimostra infatti che all’origine
non sono gli individui arbitri dei propri destini, ma certi gruppi complessi
tenuti saldi dall’ autorità di un capo, e che l’ autonomia individuale si viene
mano mano attuando col perfezionarsi della vita sociale fino a rendere I’
individuo artefice consapevole delle proprie situazioni giuridiche e delle
stesse forme vincolanti del vivere civile. Questa nuova concezione è dovuta
specialmente al Summer Maine, che, a conelusione dello sue ricerche sulle
società primitive, fa consistere il movimento delle società progressive nel
trapasso da un primiero regime di status ad un regime di contratto; ed è svolta
poi in varie forme dallo Spencer, dal Fouillée, dal De Greef, dal Bourgeois,
occ, Cfr. Diogene L., X, 150 segg.; Jellinek, Allgemeine Staatalehre, 1905; G.
Del Vecchio, Su la teoria del contratto sociale, 1906; G. Dallari, I! nuoro
contrattualismo nella filosofia sociale e politica, 1911; P. Gentile, Sulla
dottrina del “contratto sociale, 1913 (v. contratto sociale). Controprova. T.
Gegenbeweis; I. Counterproof; F. Contre-éprenve. Una delle applienzioni del
metodo di differenza, A1 Cox che Bacone chiamò inrersio erperimenti.
Consiste nel ripetere inversamente una esperienza per confermarne i risultati.
Es.: per determinare la funzione dei nervi periferici, si fa agiro uno stimolo
sui nervi periferici di un animale, ed è facile accorgersi che detto stimolo ha
dato luogo alla sensazione. Controprova: ai recide la fibra stessa ο si fa
agire ancora lo stimolo; in tal caso non si ha più la sensazione. Si conchiude
che la continuità della fibra è necessaria per avere la sensazione. Cfr.
Bacone, Nuovo organo, 1810, p. 66 segg. Controversisti. I Padri del secondo
periodo della Patristica, così designati perchè non si limitano, come quelli
del primo periodo, a difender la religione cristiana dagli assalti del
paganesimo, ma attaccano anche le dottrine avversarie ο specialmente il
gnosticismo. I principali controversisti farono Ireneo e Tertulliano (v.
Patristica). Convenienza. T. Ubereinstimmung, Angemessenheit, Conrenione ; I.
Propriety; F. Convenance. Significa, in generale, accordo o armonia tra due ο
più termini. Nella morale ln convenienza è ciò che non ha un carattere di
obbligatorietà costante, ma conviene soltanto a certe circostanze în virtù
d’una regola normativa. Così gli stoici dicevano azione conceniente In giusta
scelta e il retto uso che il saggio sa fare di quelle cose che stanno fra il
bene e il male, che non possono nè giovare nè nuocere, che non meritano di
essere cercate nè fuggite, come la vita, le ricchezze, ecc. Leibnitz chiama
prinotpio della convenienza, la saggezza divina rivelantesi specialmente nelle
leggi del movimento : E meraviglioso che, con la sola considerazione delle
cause efficienti o della materia, non si potrebbe dar ragione di tali leggi del
movimento. Poichè io ho trovato che bisogna ricorrere alle oause finali e che
codeste leggi non dipendono dal principio della necessità, come le verità
logiche, aritmetiche e morali, ma dal principio della conreniensa, vale a dire
dalla scelta della saggezza ». Kant chiama principia con16 Raxzom, Dirion. di scienze filosofiche,
Cox 242
venientiæ quelle proposizioni, che non trovauo la loro giustificazione
nè nell'esperienza, nè in deduzioni a priori, ma si raccomandano per la loro
opportunità, facilitando ed estendendo V uso empirico dell’ intelletto; tali
principî, da lui esposti nella Dissertazione, divengono poi nella Critica della
r. pura i principî dell’intelletto puro, come quelli della regolarità del
divenire e della permanenza della sostanza.
Il Rosmini chiama convenienza metafisioa gli argomenti, per lo più
morali, sui quali si fondano le persuasioni delle verità dell’ ordine etico ;
la convenienza metafisica non riguarda in fatti P uno ο l'altro ente, ma
l'essere universale stesso, ο Dio. Sebbene tali argomenti si fondino
sull’idealità della cosa, importano una necessità e servono di fondamento alla
fede. Cfr. Diogene L., VII, 130; Stobeo, Kel., 11, 158; Cicerone, De fin., III,
6; Leibnitz, Prino. de la nat. οἱ de la grace, 1714; Rosmini, Logica, 1853, $
1124-26; L. Nelson, Unters. üb. die Entwickelungsgeschichte d. kantischen
Erkenntniatheorie, in Aband. d. Fries'schen Schule », 1909, fuse. I.
Convergenza. T. Conrergenz. Zusammenlaufen ; I. Convergency; F. Convergence.
Una delle leggi dell’ evoluzione del mondo organico, che si contrappone alla
legge della divergenza. Mentre per questa da forme uguali si vengono svolgendo
forme differenti, come adattamento a differenti fanzioni ο condizioni
biologiche, per la logge della conrergenza du forme originariamente (lifforenti
si svolgono gradatamente forme somiglianti, in seguito all’ adattamento a
fanzioni © condizioni di vita uguali. Aleuni biologi, col vocabolo convergenza
indicano invece le rassomiglianze non ereditarie tra gli esseri organizzati,
che hanno una ragione nell’ adattamento ad analoghe condizioni di
ambiente. Nolla matematica dicesi
convergente una serie la cni somma tende verso un limite finito, quando il
numero dei suoi termini aumenta indefinitamente. Conversione. Gr. Αντιστροφή:
Lat. Conversio; T. Conversion, Umkehrung; 1. Conversion; F. Conversion.
Quell’opo 243 Cor razione logica con cui
da una proposizione 8ο ne forma una seconda, la quale ha per soggetto il
predicato della prima, e a predicato il soggetto della stessa. Es.: qualche A è
B, qualche B è A. Dicesi conversione semplico quella che ni fu conservando la
quantità stessa del soggetto, il quale ha la medesima estensione del predicato;
conversione per accidente quella in cui la quantità del nuovo soggetto muta,
avendo esso maggiore estensione del soggetto della prima propojone; conversions
per contrapposizione quella che si fa nggiungendo il segno della negazione si
due termini. Es.: 1° tutti gli organismi respirano; tuiti gli esseri che
respirano sono organismi; 33 tutti gli uomini sono mortali; alcuni mortali sono
uomini; 33 tutti i pesci hanno branchie; tutti quelli che non hanno branchie
son sono pesci. Si convertono sempre semplicemente le proposizioni universali
negative, non si convertono le particolari negative. Gli scolastici hanno
espresso le leggi della conversione nei due seguenti versi innemonici: F E I
Simpliciter conrertitur, E v A per accid.
Alto por Contrap. Sio fit converaio tota. Cfr. Kant, Logik, 1800, p184
vegg.; l'oberweg, Logik, 1874, $ 80; Masci, Logica, 1909, p. 215 segg.
Coprolalia. T. Koprolalie; 1. Coprolalia ; F. Coprolalie. Stato patologico, che
appare in varie malattie mentali, talvolta anche nella pubertà, ο si manifesta
con nn impulso continuo e irresistibile a pronunciare bestemmie ο a tener
discorsi osceni. L’impulso a diro bestemmie si suol anche denominare
teoblasfemia. Cfr. G. Pontiggia, Osservazioni pricologiohe intorno alla
coprolalia, Riv. di filorofia ο acienze affini », maggio 1901. Copula. T.
Copula; I. Copula; F. Copule. Quella parte del giudizio che unisce il predicato
al soggetto. Spesso In copula è compresa nell’ attributo, quando questo è
eapreaso da un verbo attributivo; ad es. : l'umanità progrediace l'umanità è
progrediente. Alcuni logici sostennero che non può esservi una copula negntiva,
perchè In negnzione è il Cop-Cor
244 toglimento della copula non
una copula, e perchè officio suo è di unire il predicato al soggetto non di
disgiungerli. A ciò altri logici risposero che la unità domandata dal giudizio
non è un amalgama materiale di più cose, ma la semplice relazione di due o più
elementi concettaali, che il pensiero può abbracciare in un solo atto; ora tale
unità si ha tanto con l'affermazione quanto con la negazione. La copals,
espressa dal verbo essere, è detta dai logici terzo elemento del giudizio,
essendosi essa formata dopo il predicato © il soggetto; infatti, nel periodo
intuitivo delle lingue, il concetto del predicato è verbale, esprime cioè tanto
la qualità come l’attività; in seguito i due concetti si staccarono, e
l’attività astratta, separata da ogni qualità, costituì fl terzo elemento del
giudizio. Cfr. B. Erdmann, Logik, 1892, vol. I, p. 860; Ch. Sigwart, Logik,
1873, vol. 1, P. 119 (v. grammatica, linguaggio). Copulativi (giudizi). Per
opposizione ai oongiuntivi, diconsi tali quei giudizi che sono composti nel
soggetto, in cui cioè un solo predicato è affermato ο negato di più soggetti.
Il suo tipo è: tanto 4 che B che C sono D. Il giudizio copulativo negativo è
detto anche remotivo. Oltre la forma affermativa e negativa, può assumere anche
quella categorica 6 ipotetica (v. composti). Corollario. Lat. Corollarium ; T.
Corollar; 1. Corollary: F. Corollaire. Verità che risulta naturalmente da una
proposizione già dimostrata, e non ha bisogno di appoggiarsi su una
dimostrazione particolare. Si adopera anche per indicare una proposizione di
minore importanza ο di minore estensione dedotta da una proposizione
principale. Corpo. Lat. Corpus; T. Körper; I. Body: F. Corps. Per corpo si
intende un reale che ha una data forma, una data massa ed occupa un dato posto
nello spazio. Gli elementi costitutivi del corpo sono dunque: estensione,
massa, imponetrabilità. Riguardo ai suoi rapporti con noi, i metafisici
oggettivisti definiscono il corpo come In causa este 245 Cor riore alla quale attribuiamo le nostre
sensazioni ; in altre parole, nn dato corpo è da me conosciuto per il numero
delle sensazioni che da esso ho avuto, ma codeste sensazioni le considero come
prodotte da qualche cosa che non solo esiste indipendentemente affatto dalla
mia volontà, ma che è anche esterno ai miei organi e alla mia coscienza; ora,
codesto qualche cosa di esteriore, codesto qualche cosa che permane anche collo
scomparire delle mie sensazioni e che determina le leggi secondo cui le sensazioni
stesse sono legate, è il corpo. La spazialità o estensione è generalmente
considerata come l'attributo fondamentale dei corpi; così I’ Hobbes definisce
il corpo: quioquid non depondens a nostra cogitatione cum spatii parte aliqua
coincidit vel ceztenditur. Per Cartesio il concetto di corpo coincide con
quello d’ una grandezza spaziale, ogni corpo è un frammento dello spazio; per
Spinoza il corpo è un modo che esprime in‘ maniera certa © determinata 1’
essenza di Dio, in quanto questi è considerato come la cosa estesa ». Per altri
invece il corpo non è che un gruppo di sensazioni, o pinttosto di possibilità
di sensazioni, riunite insieme secondo una legge costante; non v’ ha quindi in
esso alcun substratum che serva di sostegno agli attributi. Secondo il Berkeley
il corpo è ciò che vien percepito, ciò che si vede, si tocca, si odora; il suo
ose coincide col suo peroipi, con la somma delle sue proprietà, dietro le quali
non esiste una sostanza che in esse appaia; la realtä dei corpi consiste nol fatto
che le loro idee sono comunicate da Dio agli spiriti finiti, © la serie in cui
Dio suol far questo è da noi detta legge naturale; la differenza tra i corpi
reali e i corpi imaginarii o sognati sta in ciò, che questi ultimi vengono
rappresentati solo în uno spirito singolo, in seguito a una imaginazione, sia
meccanica sia volontaria, senza che essa gli sin comunicata da Dio. Secondo il Condillao un
corpo è uno collection de qualités que vous touchez, toyes, etc. quand l'objet
est présent: quand l'objet est Cor
246 absent, c'est le souvenir des
qualités que vous aver touchées, rues, eto. Secondo Kant i corpi sono un’ unione, una sintesi di
forme intellettuali e di sensazioni, le prime delle quali vengono dal nostro
intendimento, le seconde dalla suscettività del nostro senso. Il Rosmini
definisce il corpo una sostanza che produce in noi un’ azione, ch’ è un
sentimento di piacere o di dolore, avente nn modo costante, che chiamiamo
ostensione ». Gli Scolastici distinguevano : il corpus organioum, o corpo istramentale,
cioè il corpo che consta di parti, di cui l’anima sensitiva si serve come di
strumento; il corpus mathematioum, nns quantità che consta di tre dimensioni,
lunghezza, larghezza ο profondità; corpus naturale, nna sostanza composta di
materia prima e forma sostanziale, naturalmente esigente lo tre dimensioni. Cfr. Aristotele, Phys.,
III, 5, 204 b, 20; Goclenius, Lex. philosophicum, 1613, p.481; Hobbes, De
corp... 8, 1; Cartesio, Princ.
phil, I, 4; Spinoza, Ethica, II, def. I; Locke; Ess., III, cap. 10, $ 15;
Berkeley, Princ.. XVIII; Condillse, Extrait raisonné, 1886, p. 50; Kant,
Proleg., $ 49; Rosmini, Nuoro saggio, 1830, IT, p. 366 (v. atlante, conoscenza,
essenza, 80stanza, materia, attualismo, fenomenismo, realismo, idealismo,
dinamismo, energismo, ecc.). Corporale. Si oppone generalmente a spirituale,
per dosignare tntto ciò che partecipa della natura dei corpi, che ha una
estensione, che occupa nno spazio determinato e che può esser causa di
sensazioni. Si nppone anche a morale per indicare 1’ insieme dei bisogni, dei
sentimenti, dei desideri, degli appotiti provenienti dal nostro organismo,
inerenti alla nostra natura materiale e contrastanti colla nostra natura
spirituale. Corpuscolo. T. Corpuskel, Körperlein; 1. Corpuscle; F. Corpusoule.
Termine assai vago, con cui si designavano, per il passato, le porzioni minime
del mondo corporeo. Così per Descartes i corpuscoli sono gli elementi del mondo
muteriale, ossia lo parti dello spazio non più realiter divisi 247 Con bili, ma anch'esse, matematicamente,
divisibili all'infinito; quindi non esistono atomi. Oggi si adopera per
desiguare alcuni piccoli elementi corporei, anche visibili, come: i corpuscoli
tattili, che si trovano in alenne papille della cute, contengono la
terminazione d’unn fibra nervosa, e sono considerati come organi del tatto: e i
corpuncoli del Paoini, visibili anche ad occhio nudo, cho contengono le
ramificazioni d’ una fibra nervosa sensitiva, © sono consideruti come organi di
sensibilità generale. Dicesi dottrina ο
filosofia corpuscolare la teoria cho spiega i fenomeni fisici complessi
mediante particolari aggruppamenti o posizioni di particelle invisibili per la
loro piccolezza. Correlazione delle forze. Questa espressione è analoga all’
altra di trasformazione dei movimenti, adoperata più frequentemente. Col nome
di forza si designa infatti lu causa di un movimento; ma una causa di movimento
non può essere determinata altro che per i suoi effetti, che sono movimenti, e
per la leggo della sua azione, che non è che lu legge del movimento.
Corrispondenze (ἰοογία delle). Lat. ('orrespondentia : T. Entaprochung,
Übereinstimmung; 1. Correspondence; F. Correspondance. La teoria che considera
l’ universo come composto d’un certo numero di regni analoghi, i cui clementi
rispettivi si corrispondono, e possono quindi servirsi reciprocamente di
simboli, rivelare le loro proprietà, o anche agire l’ uno sull'altro per
simputia. Cfr. Swedenborg, (lavia héerographica aroanorum per riam
representationum el correspondentiarum, 1784. Corruzione. Gr. Bsopd: Lat.
Corruptio; T. Vergehen : 1. Corruption; F. Corruption. In seuso tisico indica comunemente l'alterazione delle
sostanze, in senso morale la degenerazione del costume. Nella filosofia si usa
specialmente per indicare la dottrina greca della distruzione opposta alla
generazione (γένεσις). Secondo Aristotele, la corruzione, che è l'avvenimento
per cui una cosa cessa di Con 248 esser tale che si possa ancora chiamarla con
lo stesso uome, avviene in tutte le cose terrestri, mentre i cieli soltanto sono
incorruttibili; infatti i corpi materiali sono tutti costituiti di due specie
di elémenti, di cui gli uni sono dotati di movimento rettilineo all'insù, gli
altri di movimento rettilineo all’ ingitt; la sostanza dei cieli è inveco
dotata del solo movimento circolare; essendo i due movimenti dei corpi
terrestri contrari, e la contrarietà implicando corruzione, i corpi terrestri
sono corrattibili, mentre i corpi celesti sono incorruttibili perchè ove à un
movimento solo non può esistere contrarietà. Però tanto Aristotele quanto gli
altri filosofi greci intendevano per corruzione non ls sparizione della
materia, ma soltanto la sus dissoluzione e disgregazione; gli elementi delle
cose non nascono nò spariscono. Cfr. Aristotele, De generatione et corruptione,
trad. franc. 1866. Corsi e ricorsi. La celebre dottrina sullo svolgimento della
storia, esposta dal Vico nella Scienza nuova, specialmente nella seconda
edizione (1735). Socondo il filosofo napoletano, il peccato originale ο la
caduta spinsero gli uomini ad un primitivo stato innaturale di abbrutimento, ©
stato ferino; ma la divina Provvidenza, valendosi di certi sensi naturali
radicati nel loro animo, come il senso religioso e il pudore, © mediante gli
stimoli dell’ utilità ο del bisogno, li guidò alla vita sociale, e quindi,
gradatamento, all’ incivilimento. Tre sono i gradi e le età uttraverso cui
passa ogni popolo per giungere alla civiltà; lu prima è l'età degli dei ο
patriarcale, in cui, non essendovi un potere sociale, i deboli sono
perseguitati dai forti empi © si rifugiano sotto la protezione dei forti pii, i
quali riuniscono tra loro, dando così luogo ai primi stati; la seconda è l'età
degli eroi, ed è caratterizzata da lotte continuo tra i nobili discendenti dei
forti, e i plebei, discendenti dei deboli; la terza è degli womini, ed è
iniziata dalla vittoria dei plebei, che ottengono I’ eguaglianza ciCorvile e
politica, è retta a governo popolare o monarchia civile e governato da leggi
dinanzi alle quali tutti i cittadini sono uguali. Ora, non solo ogni popolo è
passato attraverso questi tre periodi, ma siccome la loro civiltà va soggetta a
dissolvimento, così ogni popolo deve ripercorrere gli stessi stadi. La storia
non è dunque che un avvicendarsi di queste tre età, con un ciclo fatale di οογ
e ricorsi. Va notato però che questa periodicità di ripetizioni non ha nulla,
nel pensiero del Vico, di quella rigidezza matematica che venne ad essi
obbiettata, ο che si trova invece in sociologi modernissimi, ad es. nel
Gumplowicz : Identità in sostanza d’ intendere, dice il Vico a tal riguardo,
diversità nei modi di spiegarsi ». Cfr. Vico, Prinoipî di rienza nuova, 1735,
1. I; R. Flint, G. B. Vico, trad. it. 1888; B. Croce, La filosofia di G. B.
Vico, 1911; Gumplowiez,= La lutte des races, 1893 (v. palingenesi). Corteccia ο
strato: grigio, 0 sostanza corticale ο grigia, è una sostanza di colore
grigiastro, costituita specialmente di cellule, la quale riveste la superficie
del mantello cerebrale e nell’ interno ne forma i gangli. Il suo spessore varia
tra i 22 © i 28 mm.; il massimo si ha in quel tratto che è attorno alla
scissura di Rolando (ivi sarebbero i centri peico-motori), il minimo nel lobo
occipitale; ha più spessore nel maschio che nella femmina e diminuisce con
l'avvicinarsi della veochiaia. E costituita di vari strati sovrapposti, diverai
per I’ aspetto delle cellule ο per la disposizione delle fibre nervose che fra
quello si intromottono: lo strato più superficiale dicesi molecolare, quello
sottoposto dicesi delle piccole cellule piramidal delle grandi cellule
piramidali, l’ultimo delle cellule simorfe. Cfr. Bastian, Le oerveau organe de
la pensée, 1888, vol. II, Ρ. 4 segg. Corticale. Dicesi di tutto ciò che avviene
nella corteccia grigia del cervello, nella quale sembrano localizzarsi le
funzioni psichiche superiori. Cosa. T. Ding; I. Thing; F. Chose. Questo termine
ha un significato latissimo, indicando tutto cid che può essere penssto,
supposto, affermato o negato. Nella dottrina della conoscenza si adopera tanto
in apposizione a fatto per designare una realtà statica, costituita da un
sistema supposto fisso di qualità e di proprietà coesistenti, quanto in
opposizione a pensiero per designare il reale esteriore in genere, sia statico
sia dinamico, coesistente ο successivo. Può significare tanto il reale esterno
quale apparisce alla nostra esperienza sensibile, quanto ciò che riesce
inaccessibile al nostro ponsiero ed è quindi fuori d’ogni esporienza. In questo
secondo caso si usa, specialmente dal Kant in poi, I’ espressione di cosa in #2
0 noumeno. La cosa in sè si oppone alla cosa per noî, alla cosa in quanto ci
appare, cioë al fenomeno: esen à quindi il sostrato assolutamente fisso delle
qualità, il soggetto che permane sotto il mutare dei fenomeni, il reale,
insomma, di cui noi non cogliamo che le apparenze. Perciò metafisicamente la
cosa in sè è sinonimo di sostanza; ne differisce solo in quanto questa può
essere applicata anche allo spirito (sostanza spirituale), quella invece
importa sempre una certa idox di obiettività. Il concetto della cosa in sè è
molto antico nella storia della filosofia; così già Pitagora parla di ciò che
esiste per sè stesso, καθ΄ αὐτὸ; Democrito ascrive agli atomi una esistenza per
sè stessi, ἑτεῖ ; Aristotelo distingue l'essenza concettnale della cosa da ciò
che è in sò stestia; uguale opposizione è posta poi dagli scolastici tra ese in
ro è in intelleotu; Gregorio di Nissa nega che noi possiamo conoscere 1 essero
in sè stesso delle cose esteriori: guardando le cose cho ci appaiono, non
dnbitiamo che esistano per ciò che vediamo, ina siamo tanto lontani dal
comprendere 1’ essenza di ciascuna di esse, quanto se non conoscessimo col
senso il principio che ci appare ». Cartesio afferma che le impressioni
sensibili non si riferiscono alle coso come sono in è stesse: Satis erit, ai
advertamus, sen 251 Cos euum
percoptiones non referri, nisi ad istam corporis humani cum mento
coniunctionem, et nobis quidem ordinarie exhibere, quid ad illam externa
corpora prodesso possint, aut nooere; non autem, nisi interdum et ex accidenti,
nos docere, qualia in seipeis existant. Condillac afferma ugualmente che noi
non vediamo lo cose in sè stesse. Forse esse sono estese e provviste di sapore,
suono, colore, odore, forse anche non hanno nulla di tuttocid. Io non affermo
nè I’ una cosa nè l’altra, e attendo la prova che siano come ci appaiono © che
siano invece totalmente diverse ». Ma la differenza tra cosa in sè © cosa per
noi o fenomeno diviene fondamentale nella filosofia di Kant; dato cho l’ unico
oggetto della conoscenza umana è l’esperienza, il fonomeno, data cio la natura
delle forme dell’ intaizione © del pensiero, ne segue che nulla in generale di
ciò che è intuito nello spazio è una cosa in sè, e che nemmeno lo spazio è una
forma della cosn,... bensì che gli oggetti non sono da noi conosciuti in sè
stessi e che ciò che noi conosciamo non sono che pure rappresentazioni
(Forstellungen) della nostra sensibilità, la cui forma è quella dello spazio e
il cui vero correlato, ossia la stessa cosa in sè, non è perciò da noi nè
conosciuta nè conoscibile ». Tuttavia, dice Kant, non ο) è contraddizione a
pensare la cosa in sì; se si pensi una intuizione di specie non ricettiva, una
intuizione produttiva non solo delle forme ma anche del contenuto, i suoi
oggetti dovrebbero essere non più fenomeni ma cose in sè; la possibilità di
questa facoltà non si può negare più di quel che se ne possa affermare la
realtà, Le cose in si sono dunque pensabili in senso negativo © quali oggetti
di una intuizione non sensibile, come concetto-limite dell’euperienza. Ma la
dottrina kantiana della cosa in sè, intorno alla quale si sviluppa poi tutta la
filosofia tedesca, fu variamente intesa, daalcuni accolta, da inolti
combattuta. Cfr. Aristotele, Metaph., I, 5; V, 18, 1022 a, 26; Gregorio Niss.,
Contra Eun., XII, 740; Cartesio, Prino. phil., Il, 3; Cos 252
Condillac, Traité des sensations, 1866, IV, 5, § 1; Kant, Krit. d.
reinen Vern., ed. Reolam,
p. 57 segg.; A. Tumarkin, Kante Lehre vom Ding an sich, Archiv fur Gesch. d.
Phil. », aprile 1909; Th. Loewy, Die Vorsellung des Dinges auf Grund der
Erfahrung, 1887; O. Liebmann, Kant und die Epigonen, 1865; Ardigd, Z’
inoomosoibile di H. Spencer ο il noumeno di E. Kant, 1901
(v. agnostioismo, conoscenza, corpo, limite, orilicismo, neo-oriticismo,
realismo). Coscienza. T.
Bewusstsein, Gewissen; I. Consciousness, Conscience; F. Conscience. È questo
uno dei vocaboli di signifloato più vario e incerto nella terminologia
filosotica, Etimologicamente (consoientia da consoire = conoscere insieme) non
designa altro che un accordo tra diversi individui nel conoscere le stesse cose
o fatti; poi, per analogia, V’ accordo, l’unità che si rivela in uno stesso
individuo tra i suoi stati attuali e quelli che non lo sono più, tra il
presente e il passato. Noi possiamo distinguere tre significati fondamentali
che si attribuiscono alla parola coscienza: quello volgare, quello morale ©
quello peicologico. Va notato, però, che la coscienza non è propriamente
definibile, essendo la radice di ogni conoscenza, il dato fondamentale del
pensiero, irreducibile in elementi più semplici. Volgarmente, si usano le
espressioni avere coscienza dei propri atti, del proprio valore », coscienza di
scienziuto >, coscienza nazionale, popolare, umana, storica», ece., per
indicare ln consapevolezza piena che un individuo o un gruppo di individui può
avere di qualche cosa, Ancora più comune è l’uso della parola coscienza nel
significato morale, espresso nei modi di dire lo speochio della propria
coscienza » il testimonio della coscienza » la voce della coscienza » mancanza
di coscienza », ecc. Ora, la coscienza morale, che i tedeschi distinguono col
nome di Gewissen, si rivela principalmente nell’ individuo col compiacimento
per le buone azioni compiute, col rimorso per lo cattive, e col giudizio
interno sopra un conflitto di 253 Cos motivi. Essa dunque accompagna le azioni
morali, e non ci dà soltanto il criterio per giudicare gli atti nostri, ma è
pure la base del nostro giudizio intorno alle azioni sltrai, in quanto sono
buone o cattive; questo giudizio, riferendosi sempre all’antore dell’ ato,
dicesi imputasione. La coscienza morale è quindi concepita come il tribunale
davanti a oni sono giudicati affetti, pensieri ed azioni: non bisogna però
credere che essa sia qualche cosa di stabile, esistente in sò e indipendente
dai sentimenti e dai giudizi pei quali si avverte il carattere morale degli
affetti, ecc. ; al contrario, essa ei identifica cogli stessi fatti psichioi
nei quali si manifesta e con essi è varia © mutahile. La coscienza psicologica,
che i tedeschi chiamano Bewusstsein, non è altro che la nota caratteristica dei
fenomeni interni o psichici, per cui essi si distinguono da quelli esterni o
fisici : ad un grado assolutamente inferiore, essa consiste nel pnro fatto di
avvertire una data modificarione avvenuta in sò stesso; ad nn grado superiore
implica la distinzione dell’ oggetto modificante; nel suo massimo aviluppo è la
contrapposizione dell’ oggetto sentito al soggetto senziente. Quest’ ultimo
grado di coscienza non esiste nell’ animale ed è proprio soltanto dell’ uomo
adulto normale: esso dicesi anche autocoscienza, 0 suicosciena, 0 coscionsa
personale, 0 coscienza dell’ Io. Riguardo alla sua natura, le ipotesi
principali possono ridursi a tre: quella apiritualiatioa, secondo cui la
coscienza è la sostanza stessa dello spirito, che è tale in quanto ha coscienza
di sè; oppure una facoltà originari dello spirito, un’ entità metafisica
spirituale, unica, semplice, identica, esistente in sè © per sè; quella
materialistios, secondo cui la coscienza non è che un fenomeno secondario
(epifenomeno) nel meccaniamo della vita psichica, la quale invece è costituita
essenzialmente dall’ attività nervosa, dal fenomeno fisiologico ; quella
positfvistica, che, opponendosi sia allo spiritualismo che al materialismo, la
considera come un fatto nuovo e Cos
254 distinto di cui si devono
studiare i rapporti, senza confonderlo coi fatti materiali, che l’ esperienza
ci rivela come opposti agli spiritnali, ο senza trascendere l’esperienza, che
non ci può far conoscere nd la sostanza dello spirito nè una facoltà originaria
di esso. Quanto alla genesi della coscienza, secondo l'ilosoiemo primitivo
tutto il mondo è animato, e tutto quanto è fornito di movimento è pure fornito
di coscienza. A questa dottrina dei primi filosofi greci, si accosta il
pampsichiemo moderno di Ernesto Hiickel, secondo il quale ogni atomo materiale,
‘come centro di forza, è dotato di un’ anima costante, di movimento ο di
sensibilità, cosicchè la coscienza o anima dell’uomo non è che la somma delle
anime elementari delle sue cellule, composte appunto di protoplasmi molecolari
ο queste di atomi. All’opposto il cartesianismo o automatismo attribuisce In
coscienza soltanto all'uomo, negandola anche agli animali, che debbono essere
considerati come macchino ο automi. Per altri invece, la coscienza non è una
proprietà esclusiva dell’uomo, ma si estende a tutti gli animali e persino alle
piante. Secondo altri ancora, la materia inanimata possiede nna vita psichica
latente, potenziale, che diviene attuale per effetto dell’ organizzazione
biologica. Infine nell’ evoluzionismo dello Spencer, la coscienza sorge da una
differenziazione dell’ energia universale, fondamentalmente unica, e fa la sua
prima apparizione nell’ atto riflesso, considerato como il crepuscolo della
vita psichica. Quanto poi alle dottrine psicofisiologiche sulla sode della
coscienza, possiamo ridurle a due: quella che la pone soltanto nel cervello, e
quella che la considera come proprietà di tutto il sistema nervoso, e cioò
anche del midollo spinale ο dei centri inferiori. Cfr. Malebranche, De la rech.
de la verité, 1712, III, 2, 7; James Mill, Analysis of human mind, 1869, I, p.
224: Kant, Κε. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76 segg., 127 segg.; Fechner,
Über die Seelenfrage, 1861, p. 199 segg.; Hneckel, Der Monismus, 1898, p. 23
segg.; 255 Cos Wundt, Grundrim d. Psychol., 1896, p. 238
segg.; Joël, Lehrbuch d. Peychol., 1896, p. 111 segg.; Sergi, La peyool.
physiologique, trad. franc. 1881, p. 223 segg.; Bonatelli, La coscienza e il
mocoanesimo interiore, 1870; Ardigo, L'unità della coscienza, 1898; Id., Op.
fil., III, p. 68 segg.; IV, p. 373 segg. (v. cellulare psicologia, anima,
autocoscienza, psiche, spirito, io, dualismo, monismo, parallelismo, ecc.).
Cosmogonia. T. Kosmogonie; I. Cormogony ; F. Cormogonie. Dottrina scientifica,
filosofica o religiosa che spiega l'origine e la formazione del mondo. Tatte le
religioni antiche, specie le orientali, hanno fatto larga parte alla
cosmogonia. La scienza moderna ha sostituito alle poetiche immaginazioni
primitive 1’ ipotesi di Kant, Herschel e Lapiace, la quale, sebbene non possa
ritenersi definitiva, esclude ogni intervento sovrannaturale © spiega la
formazione del mondo con le leggi puramente meccaniche. Secondo questa ipotesi,
lo spazio nel quale si muove il sistem solare era occupato da una materia
cosmica gassosa, ugualmente tesa © indifferenziata, la quale, irraggiando continuamente
calore, si condensò a poco a poco intorno a un punto centrale destinato a
diventare il sole. Per virtù della condensazione le molecole dei gas erano
attratto con velocità sempre maggiore in un immenso giro Întorno all'asse del
sistema; ma, nello stesso tempo, lu forza centripeta eresceva in proporzione,
cosicchè bilanciandosi le due forze, si venne a costitnire intorno al nucleo
centrale un primo anello rotante, poi un secondo, poi un terzo... i quali erano
destinati a divonire i futuri pianeti del sistema solare. In virtù di qualche
perturbazione astronomica, alcuno dei segmenti di codesti corpi anulari
diventava più denso degli altri, esercitando una forza di attrazione sempre
crescente, finchè rompeva a suo profitto la zona d materia gassosa © la condensava
intorno 4 sd sotto forma di atmosfera concentrica. Nel nuovo pianeta, per la
forza d’impalsione primitiva delle sue molecole, il moto era diCos 256
venuto doppio: il pianeta continuava a girare intorno al sole e
incominciava nello stesso tempo a rotare intorno al proprio asse. Così l’intero
sistema planetario avrebbe in tempi remotissimi fatto parte del sole. Alla
dottrina 00smogonica del Laplace furono rivolte molte obiezioni, che
giustificano i numerosi tentativi sia di perfezionarla sia di sostituirle
ipotesi più soddisfacenti. Così secondo il Faye V universo si riduceva in
origine a un caos generale, estremamente rado, formato da tutti gli elementi
della chimica terrestre; questi materiali, sottomessi alle loro mutue
attrazioni, erano da principio animati da movimenti diversi, che hanno
determinato la sua separazione in brandelli o nuvoloni, i quali hanno
conservato uns traslazione rapida © rotazioni intestine più o meno lente: da
tali miriadi di brandelli caotici sarebbero nati per progressiva condensazione
i diversi mondi dell’universo. Secondo il Du Ligondòs, al principio esiste un
vero e proprio caos costituito da un gran numero di masse moventesi a caso e
che per caso vengono ad urtarsi tra di loro; essendo tali urti inevitabili, ne
risulta una concentrazione della nebulosa con la tendenza alla formazione di un
nucleo centrale, e un appiattimento dello sferoide, che è la nebulosa caotica
iniziale: dal nucleo centrale avrà origine il sole, e i materiali esterni
formeranno intorno ad esso una specie di disco lenticolare equatoriale che,
appiattendosi sempre più, diverrà anch’ esso instabile e potrà finalmente
trasformarsi in anelli donde nasceranno poi i pianeti. Invece secondo il See i
pianeti non sono stati formati da frammenti della nebulosa solare, ma sono di
origine esterna, ossia corpi estranei che, venendo a passare vicino al sole,
sono stati da esso catturati per effetto della resistenza della vasta atmosfera
di cui un tempo era circondato ; allo stesso modo la Inna non proverrebbe da un
frammento della nebulosa terrestre, ma ad una certa epoca sarebbe stata
catturata dalla terra. Secondo PArrhenius gli astri si scambiano Ince, 257
Cor elettricità, materia e persino germi viventi; la pressione di
radiazione che emana dai corpi luminosi ο che ha la proprietà di respingere i
corpi leggeri, caccerebbe dal sole piccolissime particelle, spingendole fino
alla terra, ai pi neti e alle più lontane nebulose ; queste particelle
finirebbero per agglomerarsi formando le meteoriti, le quali, penetrando nella
massa delle nebulose, diverrebbero centri di condensazione intorno ai quali la
materia comincerebbe a concentrarsi: donde I’ evoluzione stellare, che va dn
una prima fase di oscurità quasi completa attraverso un periodo di splendore a
una fase di decadenza, che si chinde con an inorostamento finale. Cfr. Kant,
Allgemeine Natur gesohiohte u. Theorie des Himmels, 1755; Laplace, Exposition
du système du mondo, in Œuvres, 1884, t. VI, p. 498 segg.; H. Faye, Sur
l'origine du monde, 1896; Du Ligondèe, Formation mécanique du système du monde,
1897; Seo, Rescarohes on the erolution of the stellar system, 1910; Arrheniua,
L'évolution den monde, 1910: Ardigd, La form. nat. nel fatto del sint. solare,
1876; A. Aliotta, Le nuove teorie v0amogoniche, Cultura filosofica >, maggio
1912. Cosmologia. T. Kosmologie; I. Cosmology ; F. Comologie. Termine entrato
nel linguaggio filosofico e scientifico specialmente dopo Kant; significa
dottrina del mondo considerato come un tutto armonico. Nel Wolff designa lo
studio delle leggi generali dell’ universo e della sua costitazione
complessiva, sia dal punto di vista metafisico che da quello scientifico:
cosmologia generalia eat soientia mundi neu universi in gonere, qualenus
soilicet ona idquo comporitum atquo modificabile est. Per Kant la cosmologia
razionale » è la scienza dell'oggetto, vale a dire il Invoro della ragione per
cogliere nella sna unità ’ insieme di tutti i fenomeni; invece In psicologia
razionale » è ln scienza del soggetto pensante. La cosmologia ha per oggetto
l’iden razionale del mondo, come la psicologia l’idea del Me. Nella lingua
filosofien classicn 1’ espressione cosmologia razionale designa 17 Ἠλκκοια, Dision. di scienze filosofiche.
Cosla parte della metafisica che tratta della natura fondamentale ©
dell’origine delle cose sensibili. Cfr. Wolff Chr., Coamologia generalis, 1737, $ 1;
Kant, Metapk. Anfangagrunde d. Nat., 1876, Vor. Cosmologico (argomento). È uno degli argomenti a
posteriori dell’ esistenza di Dio, che dalla caducità e contingenzu del mondo
conclude alla esistenza di un Essere assoluto come creatore 0 primo motore
dell’ universo. Si può anche formulare nel modo seguente: il mondo è un sistema
di mezzi e di fini, come dimostrano |’ ordine ο l'armonia che vi regnano; ogni
sistema di mezzi e di fini è l’effetto di una causa, e d’una causa intelligente
che sappia disporre i mezzi a quei fini, e che sappia concopire il fine quando
non esiste ancora in realtà; dunque il mondo è l’effetto d’una Causa
intelligente, Dio. Esso fn formulato la prima volta da Aristotele, il quale
afferma la necessità di un primo motore immobile, πρῶτος κινοῦν ἀκίνητος, che
muova il mondo, non per una specie di impulso meccanico che ad esso comunichi
-nel qual caso sarebbe insieme movente © mosso ma per l’ irresistibile
attrattiva della sua bellezza, per l’inestinguibile desiderio che suscita di sè
nelle cose. Da allora I’ argomento fu formulato in modi diversi, e il suo
valore spesso combattuto. Kant lo respinge perchè trova in esso questi due
principali errori: 1° Ἡ principio trascendentalo che conchiude dal contingente
a una causa, principio che non ha valore che nel mondo sensibile, ¢ che non ha
più nemmeno significato Suori di questo mondo. Infatti, il concetto puramente
intellettuale di contingenza non può produrre alcuna proposizione sintetica
come quella di causalità, il principio della quale non ha valore oi neo che nel
mondo sensibile; vece bisognerebbe che sorvisse appunto a uscire da questo
mondo. 2° Il ragionamento che consiste nel conchiudere dal’ impossibilita d’
una serie infinita di cause date le une sopra le altre nel mondo sensibile, ad
uns cansa prima; i principi d’ uso razionale non οἱ antorizzauo a conchiudere
così, nemmeno nell’ esperienza, là ove codesta catena non può essere prolungata
». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 6 6 segg. ; Cartesio, Prino. phil., I, 14,
20, 21; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 476 seg. (v. oause finali,
storico, fisico, ideologico, ontologico). Cosmopolitismo. T. Kormopolitismus ;
1. Cormopolitiem ; F. Conmopolitieme. La dottriua della fratellanza universale,
che respinge ogni distinzione di nazioni e di razze, considerando tutti gli
uomini come cittadini d'una sola città, come appartenenti ad una sola
patria,.il mondo. Il casmopolitismo, prima che dal oristianesimo, fu bandito
nella società pagana dalla scuola stoica, che di fronte allo smembramento
politico dell’ umanità, insegnò che lo Stato ideale non conosce limiti di
nazionalità o di Stato storico, ma è ina comunità razionale della vita di tutti
gli uomini, alla quale appartiene ogni uomo, purchè saggio, sin esso barbaro,
ro, ο schiavo, perchè tutti gli uomini sono fratelli. Cfr. Sencen, Ep., 95, 52; Ogereau,
Le ayntème phil. den Stoioiens, 1885, cap. VIII. Cosmos (κόσμος == nniverso). L'univers
considerato come un tutto armonico e ben ordinato. L'espressione, che in
origine significava ordine, fu attribuita per la prima volta al mondo dai
pitngoriei, per i quali U’ armonia, simholeggiats dall’ ottava musicale,
risultava dall'unificazione del molteplice e dall’accordo dei dissenzienti. Cfr. Plutarco, Plas., II,
1; Renouvier, Manuel de phil. ano., 1, 200. Cosmotetico (ideulismo). I. Cosmothetic idealism. Termine creato dall’
Hamilton, per designare la dottrina che si rifiuta di ammettere una coscienza
immediata di qualche cosa fuori dello spirito, civ’ In conoscenza del non-io.
Gili idealisti cosmotetici si distinguono, alla lor volta, in due classi:
quelli che ammettono una entità rappresentativa presente allo spirito, ma non
nua semplice modificazione mentale, come Democrito, gli scolastici,
Malebranche, Newton; © quelli che non riconoscono altro oggetto immediato della
percezione che uno stato dello spirito, come Leibnitz, Condillac, Kant. Cfr. Hamilton, Lectures on
metaph., 1859, I, p. 295 (v. idegliemo). Costume. T. Sitte, Sittlichkeit ; I.
Custom; F. Coutume. Una
ripetizione regolare di atti, comune ad una intera collettività ed alla quale
nessuno degli appartenenti alla collottività stessa può sottrarsi, senza
incorrere nel biasimo degli altri o nella punizione inflitta dal Potere. L’
importanza del costume appare dal fatto che du esso deriva, per graduale
evoluzione, la moralità e che ad esso si conforma V ideale etico. Il costume si
distinguo dall’ abitudine, in quanto questa è puramente individuale, © dall’
uso, che, ‘pur essendo comune a tutta una società, manca tuttavia di quel
carattere di imperatività che è proprio del costume. Cfr. Kunt, Krit. d. pr.
Vern., ed. Reclam, p. 37; Wundt, Grundries d. Peyohol., 1896, p. 359 segg.
Creazione, T. Schöpfung, Schafen; I. Creation; F. Création. Termine teologico e
metafisico, col quale si designa Vatto per cui la Divinità ha prodotto il mondo
e gli esseri che in esso si trovano, senza l’aiuto di alcuna materin
preesistente. Quanto al modo di questa creazione, secondo il racconto mosaico
essa fu successiva, avendo richiesto sei giorni; secondo altri invece fu
istantanea, non compor‘tando la potenza di Dio il bisogno del tempo: quindi
tutto avrebbe ricevuto in un medesimo momento la vita e 1’ esistenza, ο i sei
giorni non dovrebbero intendersi che come lo sei mutazioni attraverso le quali
passò la materia, per formare l’ universo quale oggi lo vediamo. Ad ogni modo,
nella filosofia cristiana la derivazione del mondo da Dio è posta non come
necessità fisica 0 logica dello sviluppo dell'essere, ma come un atto di libera
volontà, e quindi la ereazione del mondo non è per essa un processo eterno, ma
un fatto isolato, temporaneo. Il concotto di libertà del volere aveva
significato da prima, con Aristotela, In capa 261 Cre cità di una decisione fra diverse
possibilità date, indipendentemente da ogni costrizione esteriore; con Epicuro
aveva pot assnnto il significato metafisico di una attività acausale
dell'individuo; applicato all’assolnto ο considerato come proprietà di Dio,
divieno nella filosofia cristiana il concetto della orcasione dal nulla,
trasformato nella dottrina di una generazione acausale del mondo dalla volontà
di Dio. Mentre per la maggior parte dei filosofi anteriori al cristianesimo, In
materia preesiate alla Divinità, la quale non fa che ordinarla e plasmarla come
un artista (Demiurgo); per i tilosofi cristiani creare vuol dire trarre qualche
cosa dal nalla, non in maniera da fare che il nulla sia la materia la causa
dell’ essere, ma facendo che l’essere succeda al nulla, fit post nikilum, come
il giorno succede all’ aurora, viout post mane fit meridice. Alls massima,
comune nel mondo pagano, che er nihilo nihil fit, essi oppongono che la onnes
prima, universale ed infinita, si distingue appunto dalle cause seconde per
codesta potenza, che esclusivamonte le appartiene, di trarre le cose dal nulla.
Tra le molte prove dirette a dimostrare la potenza creatrice della divinità,
basti ricordare questo due: 13 gli esseri finiti non esistono per forza propria
e spontenes; essi dunque ricevono I cnistenza da un essere infinito, che la
possiede per eccellenza ; ora, essendo Dio il solo essere esistente per sò,
tutti altri esseri hanno ricevuto da lui l’esistenza ; 2° gli effetti sono
proporzionati alle loro cause; il primo di tutti gli effetti à l'essere, sia
perchè è il più generale sin perel procede tutti gli altri; dunque, como gli
effetti particolari dipendono da cause seconde, la partecipazione dell'essere
rimonta fino alla causa prima, e come un re, signore supremo nei suoi Stati,
sovrasta a tutti i depositari della sua autorità, così Dio vince tutte le cause
inferiori, ο mentre questi danno origine ad accidenti fugaci, In sua potenza
giunge fino u dare esistenza al nulla. La scienza moderna considera la dottrina
della creazione come assurda e contradditoria e lo oppone V evolusione, che
implica lo sviluppo dell'essere per cause © leggi proprio. Tuttavia alcuni
teologi cercano conciliare il dogma della creazione con la dottrina dell’
evoluzione, distinguendo una oreatio prima, detta anche creazione vera, cioè la
creazione diretta della sola materia informe, la quale, essendo dotata di certe
ragioni causali, diede luogo alla oreatio secunda, detta anche creazione
derivatica, cioè allo sviluppo delle innumerevoli forme esistenti, per cui le
creature multiformi farono create indirettamente e mediatamente per opera di
cause occasionali. Con I’ espressione
oreatio continua gli scoluatici e i cartesiani designavano l’azione con cui Dio
conserva il mondo nell’ esistenza, azione che è ugualo a quella con cui
primitivamente 1’ ha prodotto dal nulla: Dal fatto che nel momento precedente
esistevo, dico Cartesio, non segue in nessun modo che io debba esistero anche
nel momento attualo, cosicchè una qualche causa deve avermi creato di nuovo
pure per questo secondo momento, cioè deve avermi conservato ». Ugualmente
Spinoza: Da ciò segue che Dio non è soltanto la causa per cui le cose
cominciano ad esistere, ma anche quella per oni perseverano nell’ esistenza,
ossia, per servirmi del termine scolastico, Dio è la causa essendi delle cose
». Dicesi teoria delle creazioni
periodiche la dottrina con cui l'Agussiz spiega l'origine e la diversità delle
specie: ogni specie è stata crenta da Dio e ne rappresenta un particolare
concetto; ma poichè sulla superficie terrestre vi sono rapporti di continua
convivenza fra specie ο specie, fra piante ed animali, fra i viventi e le
condizioni di vita, il suo intervento si effettua ad intervalli di tempo e in
deminati punti della terra, cosicchè si hanno creazioni pejodiche in differenti
centri di creazione, Cfr. Alberto Maguo, Sum. de creat., I; S., settembre 1910
(v. agnosticimo, cononcenza, corpo, 0088, noumeno, neo-oriticirmo, dommatismo).
Cromatiche (sensazioni). Si dicono tali le sensazioni visive date dai sette
colori dello spettro solare : rosso, arancisto, giallo, verde, turchino,
indaco, violetto. Al rosso, corrisponderebbero cirea 450 bilioni di vibrazioni
al m”, della lunghezza di 688 milionesimi di mm. ciascnna; al violetto 790
bilioni della lunghezza di 393 milionesimi di mm. Da Aristotele fino ai giorni
nostri sono state formulate molte ipotesi per spiegare la percezione dei colori
; lo più accreditate sono quella di ‘I. Joung, perfezionata da Helmboltz,
quella del Wundt e quella di Hering. Secondo la teoria Joung-Helmholts,
esistono nella retina tre distinte fibre nervose recettrici, © nei centri
differenti elementi percettori, quelli pel rosso, pel verde e pel violetto ;
ciascun colore fondamentale sarebbe capace di eccitare i tre elementi recettori,
ma in grado differente secondo la diversa * lunghezza d'onda. 11 Wundt ammette
invece che ogni qual volta la retina è eccitata da uno stimolo esterno, ai può
eccitare sia un processo cromatico, in funzione specialmente della lunghezza
d'onda, sin un processo acromatico, in fimCro-DaB 272
zione specialmente dell’ ampiezza delle vibrazioni} l’eccitamento
cromatico sarebbe un multiforme fenomeno fotochimico, gradualmente varinbile
colla lunghezza d’ onda delle vibrazioni e provocato da stimolazioni di media
intensità. Secondo Hering esistono negli elementi sensibili della retina tre
diverse sostanze fotochimiche visive, sede di due opposti processi
contemporanei, uno assimilativo, l’altro dissimilativo: quando prevale quello
si hanno le sensazioni del nero, del verde, dell’aszurro, quando prevale questo
le sensazioni del bianco, del rosso, del giallo; quando i due opposti processi
si fanno equilibrio, si ha In sensazione del grigio ο del bianco, Cfr. Wundt,
Grundeüge dor phys. Paychologio, 1903, vol. II; Hering, Zur Lehre vom
Lichtsinn, 1878; Schenck, Pflügers Arch., 1907, vol. 118 (v. aoromatiche,
acromatopsia, bastoncini, coni). Cronotopo (xpévor --tempo τόπος spazio). Questo termine si adopera qualche
volta per indicate I’ unità dello spazio e del tempo ideali. Cruciale v.
erperimentum orucia. D Dabitis. ‘Termine mnemonico di convenzione, col quale
nella logica formale si indica quel modo indiretto della prima figura del
sillogismo, in cui, come indicano le vocali, ls maggiore è universale
affermativa, In minore © In conclusione particolari affermative. A questo modo
pnd ossere ricondotto il Dibatis della quarta figura, mediante la conversione
della conclusione e la trasposizione delle premesse. Es. Dabitis : i
delinquenti nati sono individui anormali qualche uomo d’ingegno è delinquento
nato dunque qualcho nomo d’ingegno è individuo anormale. Es. Dibati: qualche uomo
d’ingegno è delinquente nato tutti i delinquonti nati sono individui anormali
dunquo qualche individuo anormale è uomo d’ ingegno. Il daltonismo e una delle
forme più comuni della discromatopsia. Consiste nella cecità per il color
rosso, o nella difficoltà di distinguerlo dal verde. È così chiamata dal
chimico inglese Dalton, che ne fu affetto © per primo la desorisso o la definì.
L’ Helmholtz lo chiamò aneritropsia. In
senso figurato dicesi daltonirmo morale (ethische Farbenblindheit dei tedeschi)
quella forma di pazzia morale, in ui I’ individuo non ignora ciò che la probità
impone e la moralità proibisce, ma è incapace di tradurre le sue conoscenze
teoriche nella condotta pratica, perchè non sorretto da quelle tendenze emotive
che spingono l’uomo verso il bene. In
senso pure figurato e polemico usasi talvolta 1’ espressione daltonismo
intellettuale per indicare l'incapacità di comprendere certe idee, di valutare
la gravità e I’ catensione di problemi, che altri giudica invece importanti.
Cfr. J. Dalton, Res. della soo. fil. di Manchester, t. I, ottobre 1794;
Dagonet, Folie morale, 1878; Mendel, Die moralische Wahnsinn, 1876. Darapti
Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa quel modo della terza
figura del sillogismo in cui la maggiore e la minore sono proposizioni
universali affermative, la conelusione particolare affermativa, Fs, Tutti i
pesci sono vertebrati. Tutti i pesci sono animali acquatici. Dunque alcuni
animali acquatici sono vertebrati. Si riconduce al Darii della prima figura mediante
la conversione parziale della premessa minore; corrisponde all’&rast dei
logici greci. Darii. Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa
quel modo della prima figura del sillogismo, in cui la maggiore è una
proposizione universale affermati la minore e la conclusione particolari
affermativo. Es. Tutte le azioni automatiche sono incoscienti. Qualcheazione
umana è automatica. Dunque qualche azione umana è incosciente, A questo modo
vengono ricondotti tutti { modi delle altre 18
Ranzots, Dizion. di scienze filosofiche. Dar 274
tre figure comincianti per In lettera D; corrisponde al γραφίδι dei
logici greci. Darwinismo. Τ. Darwiniemus; I. Dariciniom; F. Darwinieme. Non
dovrebbe mai usarsi in luogo di trasformismo cd evolusionismo ; esso infatti
indica la teoria del trasformismo biologico come fu inteso ed esposto da Carlo
Darwin, il quale spiegò l’origine comuno di tutte le specio di animali o piante
da semplici forme stipiti primitive, mediante il principio della selezione
nuturalo 0 sopravvivenza del più adatto, necessaria conseguenza della rapida
riproduzione degli organismi ο della concorrenza per la vita: tra gli organismi
sopravvivono soltanto quelli che, nella lotta che devono sostenere per la
sproporzione completa tra il loro accrescimento e la misura del mezzo di
nutrizione disponibile, possono variare in modo ad essi favorevole, cioè
conformo allo scopo. Il presupposto della teoria è quindi, accanto al principio
della eredità, quello della variabilità : a ciò κ) aggiunge la concezione, che
oggi è modificata dalla dottrina delle variazioni improrvise del De Vries, di
grandissimi spazi di tempo per l’accumularsi delle variazioni infinitamente
piccole. Il Lamarck invece, esponendo prima del Darwin la teoria della
discendenza, poneva come fattore principale lo condizioni esterne di vita e 1’
uso e nonuso degli organi. L'importanza filosofica del darwinismo consiste
nell’ aver dato una spiegaziono puramente meceanien dello finalità, che formano
il problema della vita organica; così il concetto della soleziono fu applicato
poi alla sociologia, alla psicologia, alla storia ο da molti è con#iderato come
il solo metodo scientifico. La dottrina darwiniana ha molti precursori fino
dall’antichità. Anassimandro ammetteva la trasformazione degli organismi per
adattamento alle mutate condizioni di vita; Empedocle insegnava che gli animali
hanno avuto origine qua ο là senza regola, in formo strane ο grottesche, ¢ che
poi sopravvissero solo gli adatti alla vita; Aristotele riconosceva il
principio della 275 Dar lotta dell’esistenza, scrivendo che gli
animali sono in guerra tra loro, quando abitano gli stessi luoghi ο si cibano
dello stesso nutrimento, ο se il nutrimento non è sufficiente, essi si battono,
anche tra quelli della stessa specie »; Lucrezio ebbe chiaro il concetto della
variabilità della specie e descrisse con grande esattezza lo sviluppo
intellettuale progressivo dell’ uomo; Francesco Bacone intui la possibilità di
trasformazione delle specie vegetali, ο propose anzi 1’ esperienza di variare
le specie per vodere come esse si siano moltiplicate ο diversificate; Cesaro
Vanini riconobbe la variabilità delle piante domestiche, suppose perciò che
anche gli animali possono tramutarsi, intuì il parallelismo tra embriologia ed
evoluzione e dichiarò esplicitamente che 1’ uomo deriva dalla scimmin per la
graduale trasformazione dell’ atteggiamento quadrupede di questa nella stazione
bipede di quello; Giordano Bruno lasciò scritto l’ aforisma che compendia tutta
In dottrina, una epecio alterins est principium, © affermò persino il
parallelismo tra lo sviluppo della specie ο quello dell’ indi duo. Tra i
precursori più immediati basti ricordare il Buffon, che segnalò nettamento In
verosimiglianza delle variazioni lente e progressive per gradi sfumati, spesso
imperce bili > e fu un trasformista convinto; Diderot, Goethe, Erasmo
Darwin, che sostenne prima del nipote Carlo il princi pio del trasformismo,
accennando all’origine di tutte le specie da forme-stipiti primitive, estremamente
semplici € analoghe al filamento embrionale », cio all’ovolo e allo
spermatozoo. Ἡ massimo rappresentante del darwinismo classico è, oggi, Ernesto
Haeckel. Cfr. Darwin, Origin of speciea by means of natural selection, 1859;
Id., The deacent of man, 1883: G. Novicow, Critica del darwinismo rociale,
trad. it. 1910: C. Fenizia, Storia ο bibliografia evoluzioniatica, ediz. Hoepli
(v. neo-daricintemo, neo-lamarckismo, traaformirmo, ecc.). Datisi. Termine
mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo
della terza figura DAT-Drc 276 del sillogismo, in cui la maggiore è una
proposizione universale affermativa, la minore e la conclusione proposizioni
particolari affermative. Es.: ogni azione umana è determinata dallo stato
psico-organico dell’ agente qualche azione umana sfugge all’imputabilità dunque
qualche cosa che sfugge all’ imputabilità è determinato dallo stato
psico-organico dell’ agente. Questo modo corrisponde al} ἁσπίδι dei logici
greci, e può essere ricondotto al Darii della prima figura mediante la conversione
semplice della premessa minore. Dato. T. Gegeben; I. Given: F. Donné. Indica in
generale ciò che è immediatamente presente alla coscienza, prima che lo spirito
lo elabori; nella scienza i dati sono i fatti ο i principi indiseutibili che
servono come punto di partenza. Dicesi dato della sensazione il contenuto della
sonanzione stessa, prodotto dal funzionamento dei centri” nervosi in seguito
all’azione di uno stimolo centripeto, interno o esterno. I daf della conoscenza
sono, alla lor volta, i dati delle sensazioni stesse, cioò i materiali sui
quali opera l’attività sintotica dello spirito. In un problema diconsi dati gli
elementi cogniti, mediante i quali si debbono determinare gli elementi
incogniti. Decisione. T. Entscheidung; I. Decision; F. Ireision. Quel momento
della volizione, ossia dell'atto singolo di volere, che segue alla
deliberazione © risolve il conflitto dei motivi mediante il definitivo
prevalere di una idea-fine. Solo determinate rappresentazioni hanno in un dato
individuo potenza impulsiva all'atto, e nello stesso individuo l’impulsività di
tali rappresentazioni può variare colla disposizione sua del momento. In
generale la massima impulsività è propria delle idee fisse, la minima delle
idee astratte; ma per essere normalmente impulsiva, un’ idea dove essere
organizzata nolla psiche dell’ individuo. La deeisione, detta anche scelta ο
risoluzione. è preceduta dalla deliberazione 0 seguita dalla esecuzione. 277 -Dec-bkb Deolinazione. La deviazione
degli atomi dalla loro linca verticale, secondo la dottrina di Epicuro. Bacone
chiama tarola di declinazione, oppure tarola d’ assenza, quel metodo che
consiste nel confrontare i casi in cui il fenomeno nvviene, con altri, simili
nel rimanente, in cui quello non avviene. Corrisponde al metodo della
differenza di Stuart Mill (v. caso, olinamen, differenza). Deduzione. T.
Deduction, Ableitung; I. Deduotion; F. Deduction. Forma di ragionamento, che
consiste nel partire da un principio generale noto per trarne delle conseguenze
particolari; si oppone all’ inducione, che consiste invece nel partire dai
fatti particolari per ascendere a un principio, prima ignorato. La deduzione
rappresenta dunque il procedimento sintetico, Ι’ induzione V’ analitico. Si
κυgliono tuttavia distinguere due forme di deduzione, la sintetica © V’
analitica; la prima procedo da principi semplici e trae dalle loro combinazioni
conseguenze complesse, la seconda consiste nella risoluzione di un concetto
complesso nei suoi elementi, o nella trasformazione di un concetto mediante una
diversa disposizione o combinazione dei suoi elementi (nd es. la risoluzione
delle equazioni), ο nella soatituzione di un elemento del concetto complesso
dal quale dipende la verità che si vnol dimostrare. La deduzione analitica à
usata specialmente nelle matematiche, gin essa si applica a quelle verità cho
possono essere dimostrato con semplici operazioni logiche sopra altre verità in
cui sono contenute. La forma della deduzione, sia ossa analitica o sintetica, è
il sillogismo. La deduzione, come metodo di ricerca, occupa un posto centrale
nella logien aristotelica, posto cho essa ha conservato finchè durò, να]
pensiero filosofico e scientifico, il dominio di Aristotele. Accogliendo la
dottrina socratico-platonica delle idee, Aristotele ammette che il vero essere
è I’ elemento universale, ϱ la sua conoscenza è il concetto; mn laddove Platone
aveva fatto dell’ universale, che il concetto conosce, a del Der 278
particolare, che viene percepito, due mondi totalmente diversi, senza
rapporto tm di loro, Aristotele pone invece come ufficio fondamentale della
scienza di cercare quel rapporto di derivazione del particolare dall’
universale, che renda capace la conoscenza concettuale di comprendere o
apiegare l'oggetto della percezione e al tempo stesso di dimostrarlo o
provarlo. Lo spiegare e il provare sono, per Aristotelo, la stessa cosa e si
esprimono con la stessa parola deduzione », ossia «derivazione: infatti 1’
universale che, in quanto vero ente, è la causa dell’ accadere, quello da cui
il particolare, oggetto della percezione, deve essere spiogato, è nel pensiero
la ragione da cui il particolare deve essere provato; per tal modo la deduzione
dol dato della percezione dal suo principio universale costituiaco tanto la
spiegazione scientifica dei fenomeni del mondo reale quanto il processo logico
della loro dimostrazione. Du cid si comprende l'importanza data da Aristotele
al sillogismo, che è la deduzione di un giudizio da due altri; ο come egli non
#bbia rivolto la sua attenzione se non a quella forma di sillogismo, che
esprime la subordinazione del particolare all’ universale, e come infine abbin
considerata più valida di tutte ed originaria la prima figura del sillogismo,
nella quale il principio della subordinazione è espresso puramente ©
chiaramente. Kant chiama deduzione
trascendentale la giustiticazione del fatto, che dei concetti a priori sono
applicati agli oggetti della esperienza; tale one dicesi trascendentale per
opposizione alla empirica, che consisterebbe nello scoprire tali concetti
mediante riflessione fatta sull’ esperienza stessa. Ufr. Aristotele, anal. pr.,
II, 25, 69 a, 20; Wundt, Logik, 1893, II, p. 29 segg.; Kant, ΑΗ. d. reinen
Fern., ed. Reclam, p. 103-104; H. Majer, De Syllogistik des Aristoteles, 1900;
Rosmini, Logica, 1853, p. 170 seg., 270; Masci, Logica, 1899, p. 423 segg.
Definito. Come contrario di indefinito, è ciò a cui possono essere © sono dati
dei limiti, essendo indetinito ciò
279 Der che non ha dei limiti
assegnabili. Si distingue dal finito, che è ciò che ha dei limiti assegnati.
Nella definizione dicesi definito ο definiendo il concetto da definire, cho
funge da soggetto nel giudizio con cui è formulate la definizione. Definizione.
T. Definition, Begriffabestimmung; I. Definition; F. Définition. E l’ analisi o
la determinazione del contenuto di un concetto, espressa in un giudizio il cui
soggetto è il concetto da definire (definito ο definiendo), ο il predicato
(definiente) quel gruppo di note mediante le quali il primo vien definito. ‘Tra
queste note basta scegliere quelle che sono sufficienti a distinguere il
concetto sia dai concetti congeneri sia da quelli che fanno parte di altri
generi; a tal uopo servono il genere prossimo, cioè quel genere che più
s'avvicina, come tale, alla comprensione del definiendo, e la differenza
specifica, cioè l’ insieme delle qualità che lo distinguono dai concetti
coordinati. Codesta determinazione risale ad Aristotele, per il quale la
definizione è la formula che esprime l’ essenza della cosa, essenza che si
compone appunto di genere e di differenza. Il metodo della definizione può
essere positivo ο negativo ; il primo consiste nel riunire nella definizione
l’intero gruppo di note che il definiendo abbraccia, il secondo nel determinare
i caratteri che devono da esso escludersi. I logici chiamano nominale la
definizione che spiega il significato di una parola, che determina soltanto ciò
che si deve intendere con una data espressione; reale quella che si riferisco
invece al valore intrinseco del definiondo ; analitica ο determinativa quella che
espone gli elementi costitutivi del detiniendo in quanto sono per sò stessi
determinativi ; genetica quella che espone il processo con cui la cosa definita
si forma, © può essere genetica indicativa ao la formazione della coss è da noi
indipendente, genetica costruttiva se noi stessi possiamo formarla, Però il
significato di questi termini è ben lungi dall’ essere fisso; così per Leibnitz
le definizioni nominali sono quelle che permettono solamente di distinguere
Der 380
un oggetto dagli altri, le reali o causali quelle che mostrano la
possibilità del definito, cioè la sua assenza da contraddizione. Kant distingue
ancora le definizioni analitiche, che anaizzano un concetto anteriormente
formato, e le definizioni sintetiche che servono Α formare primitivamente un
concetto ; egli chiama poi reali le definizioni che non solo rendono chisro un
concetto, ma anche nello stesso tempo la sua obbiottiva realità ». Nella logica
algoritinica si distinguono due specie di definizioni indirette; l’ una per
astrazione, che cousiste nell’ indicare a quali condizioni si ha l’uguaglianza
d’una funzione logica, come quando si defigisce la massa ο la temperatura
indicando le condizioni d’ uguaglianza di tali grandezze ; l’altra per
postulati, che consiste nel definire un insieme di nozioni enunciando, come
assiomi ο postulati, le relazioni fondamentali che questi termini verificano ©
che costituiscono i fondamenti necessari e sufficienti della loro teoria. Il
Liard distingue due gruppi di detinizioni : le une geometriche, o formali, ο
sintetiche, vervono a costituire la materia d’una scienza ὁ ne rappresentano
quindi il punto di partenza; le altre empiriche, o materiali, o analitiche,
servono u riassumere le conoscenze ottenute induttivamente e costituiscono
perciò un punto d’urrivo. Gli errori più comuni della definizione sono
l’angustia, che consiste in ciò, che il definiente contiene qualche nota che
non appartiene a tutta I’ estensione del definito ; V ampiezza nell’ inverso ;
la sovrabbondanza, nell’ aggiungere note superflue rispetto al fine di
distinguere il concetto dato da tutti gli altri. Cfr. Aristotele, Top., VII, 5;
Anal. post, 11, 3, 7, 10; Leibnitz, Nour. Eusais, 1. III, cap. 3, $ 19; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Roclam, p. 225, 55%; G. Burali-Forti, Congrès de
philos., 1900, III, 289; L. Liard, Des défin. géometriques οἱ dea déf.
empiriques, 1903; G. Vailati, La teoria aristotelioa della definizione, Riv. di
fil. ο scienze aftini », novembre 1903 (v. tautologia, diallelo, indefinibile).
Degenerasione. T. Entartung; 1. Degeneration; F. IXgénérescence. Indica in
generale l'alterazione d’un organo © d’un orggnismo, per oni esso è condotto ad
uns forma giudicata inferiore. In modo più preciso si può definire: un’
alterazione organica e funzionale, che degrada dal tipo normale ed è
trasmissibile per eredità; o anche: l’indebolimento dei caratteri iniziali
della specie a cui un essere appartiene. Il merito di aver introdotto nella
psicologia il concetto della degenerazione è dello psichiatra francese B.
Morel, che ne trattò in un libro rimasto celebre. Tuttavia il significato della
parola non è ancora molto preciso, dandole alenni, come il Max Nordon, una
grande estensione, ed usandola altri per indicare così il processo come gli
effetti della deviazione di uns specie o di un organo dal suo tipo normale.
Secondo il Sergi, la degenerazione consiste nel fatto di individui e di loro
discendenti, i quali, nella lotta per 1’ esistenza non cssendo periti,
sopravvivono in condizioni inferiori e sono poco atti a tutti i fenomeni della
lotta susseguente. La degenerazione è un fatto essenzialmente ereditario ; l’
ereditarietà morbosa indebolisce a lungo andare il potere di una famiglia,
cosicchd il decadimento fisico ο mentale si trasmette nei discendenti finchè la
famiglia scompare. Ma è anche un fenomeno acqui potendo derivare dall’ambiente,
da uno stato patologico costituzionale, dall’ arresto o deviazione di sviluppo,
dalV alterazione di un viscere più o meno importante alla vitalità
dell'individuo; è merito del Morel di aver dimostrato appunto come vi siano
delle cause deyencratrici della specie © della famiglia, quali le
intossicazioni con a capo I’ alcolica, U ambiente sociale, lu miseria, certe
professioni industriali insalubri, certi climi, con a capo il palustre, ecc. La
degenerazione si imprime con stimmate somatiche, fisiologiche e psicologiche.
Tra le prime sono più appariscenti la microcefalia, le deformazioni del cranio,
1’ asimmetria facciale, le orecchie ad ansa, la dentatura irregolare, il Deo 282
progenoismo, il prognatismo; tra lo seconde In balbuzie, lo strabismo,
il mancinismo, l’analgesia, il ritardo di sviluppo nelle varie funzioni, |’
esagerazione dei riflessi, speciali idiosinerasie del gusto e dell’ odorato, la
gracilità, V idrocefulo, i sogni spaventosi, il sonnambulismo. Tra le note
psichiche, 1’ onicofagia, l’onanismo, la mancanza d’armonia tra le tendenze, il
difetto di attenzione, la mancanza di volontà, la tendenza alla menzogna, I’
egotismo, la criminalità, la scarsezza di senso morale, l'avidità del
meraviglioso. Il Sergi distinguo una piccola e una grande degenerazione del
carattere : nella prima 1’ individuo si mostra indeciso nelle sue azioni, cade
spesso nel turpe e tutto urrischia per coprire lo sconvenienze della propria
condotta ; nellu seconda rimane annullata la personalità morale e l’individuo
si trascina nel più completo servilismo. Dal punto di vista dello sviluppo
intellettuale i degenerati si sogliono distinguere in due categorie: i
degenerati inferiori (idioti, imbecilli, futui) e degenerati superiori
(squilibrati, mutidi). I degenerati superiori non presentano, a differenza dei
primi, insufficienza di sviluppo mentale, chè anzi non à raro rilevare in ossi
una notevole attitudine alle arti, ad es. alla letteratura, alla pocaia, più eccezionalmente
alla scienza; ciò che li caratterizza è invece lo sviluppo ineguale delle
diverse facoltà, per cui, a lato di alcune eminenti, altre sono rimaste allo
stato embrionale, cosicchè nella loro mente si originano con somma facilità
dello idee morboso di grandezza, alimentato dal vivo sentimento di vanità che è
in tutti i deboli. Cfr. B. J. Morel, Traité des dégénérencenes de V'expèce humaine, 1857;
Moreau de Tours, La psychologie morbide dane ses rapports aveo la philos. de
Vhistoire, 1860; E. Reich, Veber Entartung des Menschen, 1868; Dallemagne,
Dégénéré et déséquilibrés, 1895; Maguan et Debove, Les dégénérés, 1895; G.
Sergi, Le degenerazioni umane, 1888; F. Mugri, La degenerazione oonsiderata
nella sua ouusa, 1891; Max Norduu, Degenerazione, trad. it. 1894 (v. atariemo,
reversion’). 283 Dei-Det
Deismo. T. Deirmun; I. Deiem; F. Deine. 1 vocaboli deismo è teismo, derivanti
il primo dal latino, il secondo dal greco, hauno etimologicamente lo stesso
significato. ‘Tuttavia, benchè entrambi indichino la credenza nell’ esistenza
di una Divinità personale, intelligente, distinta dal mondo, col primo, usato
la prima volta dal Toland, si suol più propriamente designare una credenza
filosofica che non poggia sulla rivelazione e non riconosce vincoli di dogmi.
In modo diverso lo intendeva il Kant; egli infatti chiama teismo la credenza in
una Divinità libera, creatrice dol mondo sul quale esercita la sun Provvidenza,
e deismo la semplice credenza in una forza infinita e cieca, inerente alla
mutoria © causa di tutti i fonomeni che in essa avvengono, Il Clarke stabilisce
invece quattro spocie di doisti: quelli cho ammettono puramente I’ esistonza di
una Divinità, negandole ogni azione sul mondo e sull’uomo; quelli che ammettono
anche la Provvidenza divina, ma pongono l'indipendenza della moralità dalla
religione; quelli che ammettono l’idea del duvere © della Provvidenza divina,
ma nogano ogui sanzione oltremondana; quelli che ammettono tutte le verità
della religione naturale, rigettando il principio di autorità e lu rivelazione.
Quest’ ultimo è forse il significato oggi più in uso. Cfr. Clarke, Traité de Vertstence
et des attribute de Dieu. 1828, 6. II, p. 21 segg.; Kant, Arit. d. reinen
Vern., ed. Reclam, p. 494-495; Eucken, Geschiote d. philos. Terminologie, 1879,
p. 94; Ueberwog, Die Neue Zeit., 1896, I, p. 153. Deliberazione. I. Ueberlegung; 1. Deliberation : F. I
liberation. Il primo dei momenti dell’ atto volontario. oppone in generale a
impulsione. Esso è costituito dal pe riodo di esitazione tra la
rappresentazione dell’ atto pensato come fine, o tra l'eccitazione, e il suo
compimento. Le rappresentazioni che in questo periodo di tempo entrano fra loro
in conflitto diconsi motiri: i sentimenti, le tendenze, gli istinti che a
quelle si uniscono, prendendo parte al conflitto medesimo, diconsi mobili. 11
prevalere di Den 284 uno ο di un gruppo di motivi ο mobili dà poi
Inogo alla decixione, cui consegue 1’ esecuzione. Cfr. Jodl, Lehrbuch d.
Paychologie, 1896, p. 742. Delirio. T. Delirium; 1. Delirium; F. Délire. Sotto
il me di stati deliranti si comprendono quei disturbi psichici, che si
manifestano nello malattie infettivo, negli avvelonamenti acuti, negli stati di
profondo esanrimento, e i cui sintomi principali sono : ottuudimento della
coscienza, vovitazione motoria, confusione mentale, allucinazioni, spevie
visive e uditive. Possono durare poche ore come alcune settimane. Quando questi
sintomi hauno' intensità maggiore e sono accompagnati da febbre più ο meno
alta, insonnia nssoluta, contrazioni fibrillari, rifinto di cibo, oce si ha il
così detto delirio acuto. Quando poi lo ideo deliranti non sono fugaci ©
sconnesse, ma formano un tutto organizzato in serio logica, si hanno i delirii
sistematizzati, i cui tipi principali sono: delirio di negazione, delirio di
persecuzione, delirio ipocondrinco, delirio di grandezza, delirio di
antorimprovero, ece. Si distingne infine un delirio di gelosia, che apparisce
nella paranoia alcolica. Cfr. Kraepelin, Peyohiatrie, 4* ed. 1893, p. 254
segg.; Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 352 segg. Delitto. T. Verbrechen; I.
Crime; F. Crime. Designa in generale ogni infrazione alla legge penale, ed
implica u utto che tendo in qualsiasi modo a nuocere alla vita sociale. I
criminalisti però sono ben langi dall’intendersi circa la dofinizione del
dolitto, la sun natura ei suoi ratteri costanti. Così per il Franck è dolitto
qualunque uttucco alla sienrezza ο alla libertà sia della società sia degli
individui; per il Carrara il delitto si definisce la infrazione della leggo
dello Stato promulgata per proteggere la sicurezza dei cittadini, risultante da
un atto esterno dell’uomo, positivo o negativo, moralmente imputabile ; per il
Garofalo è delitto ogni offesa ai sentimenti della pietà e della probità; per
Ferri il delitto è un attacco alle condizioni naturali d’esistenza dell’
individuo e della società; per il Colajanni e il Berenini sono delitti le
azioni determinate da motivi individuali e antisociali, che turbano le
condizioni @ esistenza e offendono la moralità media d’un popolo a un momento
determinato ; per il Tarde I’ idea del delitto implica essenzialmente,
naturalmente, quella d’un diritto ο d’un dovere violato; il Durokheim definisce
il delitto ogni atto che, et un grado qualunque, determina contro il suo autore
quella reazione caratteristica che chiamasi pena, ecc. Tutte queste definizioni
si bassno su caratteri variabili, come i sentimenti, i diritti, i doveri, le
leggi penali, le forme sociali, mentre, per servire di base sicura alla scienza
penale, dovrebbero dare della nozione in discorso 1) elemento fisso ο valido in
qualunque luogo e a qualsiasi epoca. Sembra percid preferibile a tutte la
definizione dell’ Hamon : ogni atto cosciente che lede la libertà d’agire d’ un
individuo della stessa specie dell’ autore dell’ atto è un delitto. Cfr. F.
Carrara, Programma del corso di diritto criminale, 1871; A. Marucci, La nuova
filosofia del diritto criminale, 1904; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto
ο della procedura penale, 1884; R. Garofalo, Il delitto come fenomeno sociale,
nel vol. Per lo onoranze a F. Carrara, 1899, p. 321 segg.; Colajanni,
Sociologia oriminale, 1889; A. Hamon, Déterminiame et responsabilità, 1898.
Demagogia (δῆμος -= popolo &ywyé =
che conduce). T. Demagogie; I. Demagogy; F. Démagogie. Etimologienmente designa
quella forma di governo in cui il potere è in mano della moltitudine; ma si
adopera quasi sempre in senso cattivo per indicare la tirannia esercitata dalla
Plebe, giunta al potere, sopra le altre classi sociali. Demenza. T. Psychische
Schicdchezustinde, Blödsinn, Schwachsinn; 1. Mental weakness, dementia; F.
I)tmence. Termine molto generale, con cui si indies l’indebolimento ©
Vottundimento acquisito e irrimediabile delle facoltà intellettnali. Si
presento come sindrome di diverse malattie Dem
286 mentali, e può essere
generale e parziale, permanente e progressiva. Va notato però che l’
indebolimento caratteristico della demenza colpisce quasi sempre
contemporaneamente le tre grandi funzioni psichiche, l'intelligenza, il
sentimento, la volontà. I disturbi della intelligenza si manifestano col
diagregarsi del legame associativo delle idee, con P incoerenza del lingnaggio
ο della scrittura, con In perdita della capacità di fissare e rievocare i
ricordi; i disturbi dell’ affettività con 1’ indebolimento di tutti i
sentimenti ideali o rappresentativi, e col distraggersi progressivo degli
affetti familiari ο del senso morale; i disturbi della volontà con } apatia ο
l’indifferentismo che caratterizza gli stati dissociativi della personalità. Le
forme principali di essa sono: la d. precoce, cho si presenta nella gioventà e
si può esplicare con stadi di esaltamento di depressione ο di delirio; la d.
senile, caratteristica della tarda otà e che si accompagna naturalmente agli
altri fenomeni d’ involuzione fisiologica della vecchiaia; In d. paralitica,
che è la più ricca e la più varia di fenonieni psicologici. Infine la demenza
si può presentare come stato terminale dell’ alcoolismo, dell’ epilessia, dell’
antenza, © della frenosi circolare. Cfr. Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 335
segg. Demiurgo. Nel sistema di Plutone, il demiurgo (3nwovpy4¢ = operaio) è
Dio, la ragione divina, che guardando alla idea del Bene dà forma al mondo,
ordina la materia che già prima esisteva, gli impone il movimento cireolare,
gli infonde l’anima e, per renderlo rompre più simile all’esemplare suo eterno,
lo dota infine del tempo: «Quella cosa di cui il demiurgo effettua la forma e
la funzione, guardando sempre, per servirsene come di modello, a ciò che è allo
stesso modo, è necessario che riesen per questo sempre bella. Se dnnque questo
mondo è bello © il demiurgo è buono, è evidente che questi ha gnaraato
l'esemplare eterno.... Ma questi era per sna natura eterno, 287
Dex e ciò non poteva adattarsi in alcun modo a chi aveva avuto nascimento.
Egli escogita quindi di fare una imagine mobile dell’ eternità, e mentre ordina
il cielo, fa dell’ eternità, che resta sempre nell’ uno, una imagine dell’
eternità (αἰώνιον εἰκόνα), che si muove secondo il numero, quello che noi
abbiamo chiamato il tempo ». Anche gli gnostici adottarono la dottrina del
demiurgo, il quale anche per essi è il mediatore tra lo spirito © la materia,
che trovansi in originario contrasto. Tale ufficio è a lui attribuito in quanto
è l’ultimo degli eoni, quello cioè che è più vicino alla materia e perciò in
immediato contatto con ébsa. Cfr. Platone, Timeo, 37 d, 41 A; Senofonte, Mem.,
IV, 11, 13; Fraccaroli, I! Timeo. 1906, p. 220, n. 3 (v. Dio, esemplare.
creazione). Democrazia. T. /emocratie: I. Democracy; F. Démoeratie. Per Aristotele
è quella forma di governo in oui i liberi e i non ricchi costituiscono la
maggioranza e occupano il potere supremo; l’oligarchia è, all'opposto, quella
forma di costituzione politica in cui il potere è nelle mani dei pochi © dei
ricchi. Oggi designa lo stato politico, nel quale la sovranità appartieno alla
totalità dei cittadini, senza distinzione di nascita, di fortuna o di capacità.
Aristotele è favorevole al governo popolare, specialmente per la ragione che
esso utilizza In maggior somma di attitudini individuali; anche in ciò egli si
pone contro a Platone, che considerava lo Stato democratico come peggiore
d’ogni altro, la libertà ο 1’ uguaglianza como origine perenne di turbamenti,
d’ingiustizia, di corruzione, persino nel seno delle famiglie: Io voglio dire
che il padre #’abitus n trattare il figlio come uguale, e persino a temerlo;
che questi s’ nguaglia al padre e non ha rispotto nd paura per gli autori dei
suoi giorni, perchè altrimenti la sua libertà ne soffrirebbe; che i cittadini e
i semplici abitanti o gli stessi stranieri aspirano agli stessi diritti. Sotto
un tale governo il maestro tome e tratta con riguardo i suoi diDem 288
scepoli: questi si ridono doi loro maestri ο dei loro sorveglianti. In
generale, i giovani voglion essere pari ai vecchi e lottare con essi in
propositi e in azioni. Ma I’ ultimo eccesso della libertà in uno Stato popolare
è quando gli schiavi dell’ uno e dell’ altro sesso non sono meno liberi di
quelli che li hanno comperati ». Nei tempi moderni Montesquieu, ponetrando il
vero spirito del governo popolare, dice che nella democrazia il popolo è, sotto
un certo riguardo, il monarca, sotto certi altri il suddito; esso non può
essere monarca che per i suoi suffragi, che sono le sue volontà; la volontà del
sovrano à il sovrano stesso »; perciò mentre non occorre molta probità nel
governo monarchico e nel dispotico, perchè la forza delle leggi nell'uno, il
braccio del principe nell’ altro, reggono tutto, nella democrazia è necessaria
la virtù. Cfr.
Platone, Rep., Ve VI; Aristotele, Polit., 1. III, c. 5, 6; Montesquieu, Esprit
des lois, 1748, 1. II, 11 © 111
(v. aristocrazia). Demone, demoniaco. Nel linguaggio filosotico la parola
demone è usata talvolta per indicare il genio familiare da cui Socrate dicevasi
ispirato e che egli stesso chiamava, con parola da lui creata, δαιμόνιον. Sulla
sua precisa natura molto si è disputato e si disputa ancora; secondo alcuni
essa ha in Senofonte, il più diretto discepolo di Socrate, lo stesso
significato di Θεός, come la parola Baluov in Omero, laddove in Esiodo i
δαιµόνες sono geni intermediari tra l’uomo e la divinità; altri invece,
fondandosi sopra i dialoghi platonici, sostengono doversi ammettere cho Socrate
credesse davvero all'esistenza di geni familiari; altri ritiene che Socrate
usasse questo neologismo per significare 1’ analogia esistente tra i suoi
presentimenti interni, ispiratigli dalla divinità, e i demoni della mitologin
greca; altri, specialmente psichiatri e fisiologi, upinano che Socrate
softrisse di allucinazioni visive ο uditive ϱ #’imaginarso di parlare con uno
spirito; altri infine, fondandosi sui della psicologia, risolvo le 385
Dew ispirazioni demoniache avvertite da Socrate nelle suggestioni del
subcosciente, che in tutti i mistiei assumono una speciale vivacità e si
presentano all’ introspesione nella forma di un fantasma, di una individualità
estrinseca, di cui essi sentono continuamente la presenza negli strati profondi
della loro anima. In un senso analogo a
quello . sonofonteo, Goethe chiama demonisco (das Zimonische) la rivelazione
del divino nel mondo, I’ inaccessibile che ci circonda e del quale’ sentiamo
dovunque l’affiato misterioso; esso si manifesta nei modi più diversi in tutta
la natura visibile e invisibile, nella pittura, nella poesia e più ancora nella
musica perchè essa sta così in alto cho nessuna intelligenza le si può
avvicinare, e gli effetti che produce dominano ciascuno senza che nessuno sin
in grado di rendersene ragione ». Cfr. Senofonte, Mem., I, 1v; Platone, 4pol.,
31 D; Cicerone, De dirin., I, 54, 122; Fouillée, Hist. de la phil., 1884, p.
74; Luciani, Fisiologia dell'uomo, 1913, vol. IV, p. 499; Eckermann, Gesprioke
mit Goethe, ed. Reclam, 1, 207 segg.; II, 166; C. Ranzoli, 1 agnosticiemo nella
fil. religiosa, 1913, p. 48 segg. Demoniaci. Setta di erotici cristiani, i
quali ritenevano che alla fine del mondo sarebbero stati salvi ancho i demoni,
cioè gli angeli ribelli a Dio. Demonismo. M. Dimonismus; I. Demoniem ; F.
Démonisme. Con questo nome si designa quello stadio della ev luzione religiosa,
in cui i fenomeni naturali sono spiegati come effetto della lotta continua di
spiriti, alcuni buoni ed altri cattivi, di cui è popolato il mondo. Il
domonismo è anteriore al politeismo; in esso gli spiriti non hanno nome, non
hanno forma umana, non hanno storia personale, sono adorati negli alberi, nel
vento, nelle nubi. Quando, sotto In spinta del bisogno religioso, egsi
acquistano un nome, forma umana e storia personale, il demonismo si trasforma
in politeismo e in mitologia. Cfr. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie
religieuse, 1912; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religion’ primi dualiemo). Demonstratio quo, dem. quid. Termini della
scolastica, con cui si desigus quell’ argomentazione nella quale si va dall’
effetto conosciuto ancora imperfettamente alin causa, © si trova l’ esistenza
della causa ma non la ana natura (demonstratio quo, cioè quod est). La natara
della causa si scopre per mezzo delle considerazioni della mente, che la
confronta con tutte le parti e condizioni dell’ effetto. Dalla causa di cui
così si conosce In natura, si argomenta poi all'effetto (demonstratio quid o
propter quid) cosicchè tanto nell’ una quanto nell’ altra argomentazione si va
dal più al meno noto. Cfr. Goclenius, Le. phil., 1618, p. 504; Rosmini, Logica,
1853, $ 708. Denotazione. I. Denotation; F. Dénotation. Lo Stuart Mill, facendo
rivivere una abbandonata distinzione scolastica, chiama connotativi quei nomi
che servono a denotare un soggetto o una classe di soggetti, e nello stesso
tompo implicano, οοπποίαπο un attributo. Sono connotativi tutti i nomi comuni
astratti ο i nomi propri. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865, vol. I, cap. II, § 5 (v.
connotatiri). Deontologia (τὸ δέον
--ciò che si deve fare). T. Ixontologie, Pflichtenlehre; 1. Deontology; F.
Déontologie. O trattato dei doveri, è il titolo dell’opera postama del Bentham,
nella quale è esposto il suo sistema di morale. Exsondo fine della vita il
piacere, cho chiamasi utilità in quanto diventa regola delle nostre azioni, la
misura del valore morale di una azione si dove basare sul valore effettivo che
essa ha di promuovero il piacere ο la folicità. Un piacere © un dolore, dice il
Bontham, possono essere produttivi o sterili. Un piscere può essero produttivo
di piaceri o di dolori, o di entrambi: per contro, un dolore può esser
proluttive di piaceri, di dolori, ο di entrambi. Il compito de contologin
consiste nel pesarli ο nel tracciare, in, 1914, p. 19 segg. (v. religione. 291
Drr-Drs base al resultato, la linea di condotta che bisogna tenere ». In
tal modo la scienza morale si riduce tutta al calcolo deontologioo. Oggi la
parola deontologia è adoperata per designare la teoria dei doveri, e di quelli
specialmente relativi ad una data situazione sociale. Cfr. Bentham, /eontology or the
mience of morality, 1834 (v. intoresne). Depersonalissasione. F. /)épersonalisation. Fenomeno di sdoppiamento
della personalità, che si presenta in vario malattie mentali © in cui il
soggetto ha l'illusione di divenire un altro, pure sentendosi rimanere lo
stesso divenendo due. Il vocabolo è anche usato per designare quella speciale
ossessione, in cui V individuo sente come sparire la propria personalità,
perdersi il proprio io. Cfr. Dugas, Un cas de depersonalisation, Revue philos. », maggio 1898;
Bernard-Leroy, Sur Pillusion dite dépersonalisation, Tbid., agosto 1898. Descrittivi (giudizi). Alcuni logici chiaman
tali quei giudizi in cui il predicato è una proprietà del soggetto ο snole
essere espresso grammaticalmente da un aggettivo. Descrizione. T. Beschreibung;
I. Description: F. Description. Nella logica designa quella operazione per cui
si definisce una cosa dai segni apparenti che sono propri di essa. La
descrizione non è una vera e propria definizione, ma una indicazione
definiente, ο si uen appunto per quelle nozioni che, o in sè stesse o perchè
imperfettamente conosciute, non si possono definiro. Minus acourata definitio,
descriptio dicta, ea est, secondo i logici di Porto Reale, quae rem facit notam
per aocidentia, propria, atque ita determinat, ut nobis possimua illius ideam
formare, quae illam ab omni alia re distinguat. Le definizioni della storia
naturale sono per la maggior parte indicazioni definienti per carattori
estrinseci. Cfr.
Logique du Port-Royal, ed. Charles, II, 12; Hamilton, Lectures on logic, 1860,
lez. XXIV, pp. 12, 20 (v.
definizione, locazione, distinzione, indefinibile, cavatteristica). Des 292
Desiderio. T. Begehren, Begehrung ; I. Desire; F. Désir. La
rappresentazione effettiva di un atto sperimentato direttamente o
indirettamente come piacevole, il quale tende per conseguenza a rinnovarsi. Il
desiderio è quindi qualche cosa di meno generale e di più specifico della
tendenza; il desiderio, dice I’ Höffding, non è che una tendenza comandata da
rappresentazioni chiare. Del resto esso fu variamente inteso dai filosofi; per
Leibnitz è la tendenza a’ una rappresentazione all’ altra, per Condillac una
attività dell’ anima rivolta alla soddisfazione di un bisogno, per Cr. Wolff
una inclinazione dello spirito verso un oggetto percepito come un bene. Secondo
Kant, la facoltà di desiderare sarebbe la facoltà di esser causa, mediante le
proprie rappresentazioni, della realtà delle rappresentazioni stesse ». Per
Hobbes è un movimento che si compie nella sostanza cerebrale, «tale movimento
si chiama appetito ο desiderio quando l’ oggetto è gradevole, avversione quando
è naturalmento spiacevole, timore rispetto al dolore che se ne attende »; per
Locke il desiderio è il disagio che si prova per l’assenza di qualche cosa il
cui presente possesso reca con sè l'idea di un piacere »; per Bain è uno stato
mentale costituito da un motivo di agire, sia esso un piacere o nn dolore,
attuale o ideale, senza averne la capacità; esso è quindi uno stato di
intervallo ο sospensione tra motivo ed esecuzione »; per lo Spencer è un
sentimento ideale, che si manifesta quando il sentimento reale, a cui
corrisponde, non è stato per lungo tempo sperimentato ». Il desiderio si
distingue dall’ appetito, il quale non è che la tendenza fondamentale a cercare
il piacere © fuggire il dolore; e dalla volontà, perchè mentre questa implica
l'attuazione del fine, quello è semplicemente la tendenza all’ atto e non ne
implica I’ effettuazione. In altre parole, mentre il desiderio è passivo la
volontà è attiva; perciò il primo è per il Kant una eteronomia, la seconda una
autonomia. Cfr, Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 714 a; 293
Des-beT Condillac, Traité des sens., 1886, I, 3, 1; Wolff, Pryohol.
empirica, 1738, 6579; Kant, Krit. d. prakt. Vern., ed. Reclam, p. 67; Hobbes, Human nature, 1650,
cap. XI, $3; Locke, Human understanding, 1877, II, xx, 6; Bain, Mental and mor.
science, 1884, p. 368; Spencer, Princ. of peychol., 1881, 1,$51; Höffding,
Psyohologie, trad. frano. 1900, p.
312, 422. Desitive (proposisioni). Si oppongono alle incettire, ed esprimono
che una cosa ha finito di essere, o di possedere una dats proprietä,.ad un dato
momento. Contengono perciò due proposizioni, che possono essere contestate
sepsratamente, e di cui una riguarda lo stato anteriore, I’ altra lo stato
posteriore. Determinativo. T. Bestimmend; 1. Determinative; F. Déterminatif.
Diconsi determinative quelle proposizioni incidentali © composte, implicite o
esplicite, le quali contengono un inciso che ne determina il significato e cho
non si può togliere: ad es. l’uomo, che ha commesso delle colpe, merita
punizione. Se l’inciso non fa che spiegaro il significato, e può esser tolto,
lu proposizione dicesi esornativa. Pure nella logica, dicesi determinative 1’
addizione che sumenta la comprensione di un termine semplice, e, quindi, ne
restringe l'estensione. Cfr. Logique du PortRoyal, ed. Charles, II, cap. vi. Determinazione. T.
Bestimmung; I. Determination: F. Détermination. Indica in generale la specificazione dei caratteri che
distinguono un concetto da altri concetti del medesimo genere. Si oppone ad
astrazione rerticale, © designa 1’ operazione logica con cui si aumenta la
comprensione di an concetto, dimiauendone I’ estensione. Consiste nell’
aggiungere una nota al concetto; ma questa aggiunta non è affatto arbitraria,
dovendo tale nota essere compatibile colla sostanza logica del concetto. Ad es.
al concetto governo si potrà aggiungere la nota costituzionale o assoluto, ma
non la nota verde ο salato. Dicesi
ancora determinazione o decisione quel momento dell’ atto volontario, Der 294 in
cui si risolve il conflitto dei motivi per il definitivo provalere d’ una ides
fine. Determinismo. T. Determiniemue; I. Determiniom; F. Déterminieme. Termine
di uso recente nel linguaggio filosofico, nel quale fa introdotto
primitivamente dalla filosofia tedesca. Si oppone 4 indeterminiemo ο
libertiemo, e designa la dottrina secondo la quale ogni fenomeno, compreso
quello della volontà, è determinato dalle circostanze nelle quali si produce, è
l’effetto necessario di una causa, per modo che, dati quegli antecedenti, ne
risultano necessariamente quei conseguenti. 11 determinismo non è dunque altra
cosa che il principio di causalità : le stesse cause nelle stesso circostanze
producono gli stessi effetti. Si suol distinguere il determinismo cosmico o
fisico, dal determinismo psicologico o volontario; il primo riguarda i fenomeni
fisici © del mondo esterno, il secondo i fenomeni psichici ο del mondo interno.
I] primo è il postulato di tutte le scienze della natura: esse infatti non hanno
altro oggetto che In ricerca delle leggi; ora la legge, cioè il rapporto
invariabile tra due fenomeni, può essere ricercata solo a condi zione che si
creda che ogni fenomeno è invariabilmente preceduto, © invariabilmente seguito,
da altri fenomeni; ο tale appunto è la formula del determinismo. Nella sua
espressione più rigorosa, esso porta a considerare il passato ο l'avvenire come
valutabili in funzione del presente, cosicchè, per usare l’ esempio dell’
Huxley, una intelligenza sufticionto conoscendo le proprietà delle molecole di
cui ora composta la nebulosa primitiva, avrebbe potuto predire lo stato della
fauna dell’ Inghilterra nel 1868, con pari certezza di quando si predice ciò
che accadrà al vaporo della respirazione durante una fredda giornata d’ inverno
»; ο, secondo l’esempio non meno celebre del Du Bois-Reymond, si potrebbe dallo
stato attuale del mondo conchiudere sia in qual momento I’ Inghilterra brucerà
il sno ultimo pezzo di carbone », sin chi ora la maschera di ferro », sia
tutt'e 295 Der duo le cose. Il determinismo volontario
non è che nn caso 0 una specie del determinismo universale: esso onuncia che
tutte le azioni dell’ numo sono determinate dai suoi stati anteriori, senza che
la sus volontà possa cambiare nulla à questa determinazione; l’uomo dunque non
ha li bitrio, e, se egli crede di possederlo, non ne possiede che V apparenza.
Gli atti volontari sono determinati dal potere impulsivo e inibitorio dalle
rappresentazioni : la scelta dipende dalla rappresentazione che ha impulsività
maggiore. Se si potessero conoscero, disse Kant, tutti gli impulsi che muovono
la volontà di un uomo, anche i più leggeri, ο prevedere tutte le occasioni
esterne che agiranno su lui, si potrebbe calcolare la condotta faturn di questo
uomo con quella stessa esattezza con cui si calcola un eclissi di sole o di
luna. Si distinguono varie forme di determinismo volontario : il d. teologico,
per cui i nostri atti sono un prodotto dell’azione divina, della
predestinazione, della grazia, della provvidenza; il d. intellettualistico,
detto anche peicologico, che ripone l’asione determinativa nell’ intelligenza,
facendo di ogni atto la pura conseguenza di un giudizio, cosicchè l'atto è
buono o cattivo a seconda che il giudizio è logicamente retto o errato; il d.
sensistico 0 sensualistico. che fa delle sensazioni |’ unica causa necessaria
degli atti; il d. idealistico, nel quale |’ idea in sè, nssoluta, agisce
liberamente e determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la resltà
materiale. Molte volte si è confuso e si confonde il determinismo col fataliemo
: ma mentre in questo gli avvenimenti sono predeterminati ab eterno in mod
nocessario da un agente esteriore, in quello il potere è collocato nell’ agente
medesimo; in altre parole meutre nel fatalismo la nutura è sottomessa ad una
necessità trascendente, nel doterminismo la necessità è immanente e si confonde
con la natura stessa. Oltre al determinismo per il quale il conseguente è
determinato dai suvi antecedenti ο } insieme dalle sue parti, che è il
determinismo meoeamico, το ar-Der-Dia
296 Claudio Bernard ha mostrato
che per spiegare gli organiemi viventi bisogna faro appello a un’ altra specie
di determinismo, ove l’ insieme determina le suo parti e il conseguente i suoi
antecedenti; questo determinismo nuovo, che il Bernard chiama un determinismo
superiore, si può anche chiamare un determinismo finalista. Cfr. Kant, rit. d. reinen
Vern., ed. Rechun, p. 481 segg.; Laplace, Introd. à la théorie dea
probabilités, 1886 ; CI. Bernard, Introduotion à Pt. de la physiol., 1865;
Fouillée, La liberté οἱ le déterminisme, 1873; A.
Hamon, Déterminieme et responsabilité, 1898; A. Lalaudo, Note sur
Vindétermination, Revue de métaph. », 1900, p. 94; Petrone, I limiti del
determiniamo scientifico, 1900; Ardigò, La morale dei positiviati, 1892, p. 118
segg. (v. autonomia, contingenza,
equazione, indeterminismo, predeterminismo, libero arbitrio). Determinismo
economico v. materialismo storico. Dialettica (διά attraverso, λέγω raccolgo). T. Dialektik; I. Dialectic; F.
Dialeotique. Per gli antichi era |’ arto di raggiungere © cogliere il vero
mediante la discussione delle opinioni. Infatti Platone, nel Cratilo, dice: colui
che sa interrogare e rispondere, come lo chiameremo, se non dialettico » E
Aristotele, nella metafisica: la dialettica tasta, dovo la filosofi conosce ».
Non va dunque confasa con la Logica (quantunque nel medio evo designasse
appunto la logica formale per opposizione alla retorica) che è una scienza vera
e propria, la scienza del ragionare. La dialettica non è che un’ arte polemics,
con la quale si apre la via alla scienza; essa muovo dalle opinioni comuni
intorno ad un dato oggetto, le prova sl martello della critica, ne mostra lo
lacnne, le difficoltà, gli errori, in modo da apparecchiare il terreno alla indagine
scientifica. Nell’ emanatismo di Proclo
il principio dialettico è quello in base al quale si altera In derivazione
logien del particolare dall’ nniversale, della pluralità dall'unità; tale
derivazione implica da un Into la somiglianza
297 Dia del particolare all’
universale e quindi la permanenza dell'effetto nella causa, dall’ altro la
contrapposizione di questo prodotto come qualche cosa di nuovo e indipendente,
€ infine, per questo rapporto antitetico, la tendenza del particolare alla sua
origine; i tre mumenti del processo dialettico sono dnnque il persistere, il
derivare, il ritornare, ossia unità, differenza © unità del differente. Nel razionalismo di Abelardo la dialettica ha
per compito di distinguere il vero dal falso; quindi, mentre per Anselmo la
dialettica si limita a rendere comprensibile all’ intelletto il contenuto della
fede, per Abelardo essa ha anche il diritto critico di decidere, nei casi
dubbi, secondo le sue regole: così nel suo seritto Sic et mon egli oppone luna
l’altra le opinioni dei Padri, per distraggerle a forza di dialettica e per
trovare infine ciò che è «degno di fede in ciò che è dimostrabile. Per Pietro Ramo la vera dinlettica ha
anzitutto per compito di scoprire ciò che può la natura 6 come essa procede
nell’ impiego della ragione, poscia di insegnare ad esporre con ordine, metodo
ed eloganza il proprio pensiero: In tal modo la dinlettica, dopo esser stata
allieva della natura, ne diventerà per così dire la maestra; poichè non v’ha
natura così energica © forte, che non lo diventi ancora più medianto In
conoscenza di sè ο la descrizione delle proprio forze; ο non v’ha natura così
debole e Innguente che non possa, col soccorso dell’ arte, acquistare maggior
forza ed ardore ». Kant, nella terza
parte della Critica della ragion pura, che egli chiama Dialettica
trascendentale, esamina l'illusione naturale che ci spinge alla metafisica,
cioè a cercare l’Assoluto e penetrare nel regno dei noumoni; la fncoltà che ci
spinge a ciò è la Ragione, la quale può mantenersi entro i limiti dell’ esperienza,
ridncendo alla maggiore unità possibile In molteplicità delle cognizioni, ma
può anche pretendere di trarre da concetti puri delle cognizioni sintetiche,
indipendentemente du ogni intuiDia zione; è in questo modo che sorge la
dialettica, cioè la metafisica dogmatica, ed è in questo modo che la ragione
diventa trascendente. Quindi per Kant la parola dialettica significa non solo
|’ illusiono della ragione, ma anche lo studio e la critica di codesta
illusione. Per Schleiermacher la
dialettica è la dottrina del sapere in quanto diviene, la filosofia. Ogni
sapere è volto a rilevare l’identità del pensiero e dell’essere; ma nella
coscienza umana essi procedono separati come fattore ideale ο fattore reale di
essa, come concetto ¢ come intuizione, come funzione organica e funzione
intellettuale; solo il loro piono accordo darebbe la conoscenza, perciò tale
accordo, non mai pienamente raggiunto, rappresenta lo scopo assoluto,
incondizionato, remotissimo, del pensiero, il cui sapere vuol diventare, ma non
mai diventa, completo. La dialettica, come dottrina del sapere che diviene,
suppone però In realtà di tale scopo irraggiungibile dal nostro pensiero :
questa realtà, identificazione del pensiero con l'essere, Dio. Per 1’ Hegel la dialettica è I’ applicazione
scientifica della logica inerente alla natura umans »; siccome poi le forme del
pensiero sono le forme del reale, così la dialettica è la vera e propria natura
delle determinazioni dell’intelletto, delle cose e, in modo generale, di tutto
il finito »; 0488 consiste essenzialmente nel riconoscere |’ inseparabilità dei
contradditori e nello scoprire il principio di codesta unione in una categoria
superiore. Egli chiama momento dialettico sia la contraddizione stessa, sia il
passaggio da un termine all’altro di codesta contraddizione. ll Balnsen chiama dialetticg reale la
contraddizione posta nella stessa essenza delle volontà individuali (nelle
quali la realtà si risolve) per cui uns è sdoppiata in sè stessa, essendo con
ciò irrazionale e infelice; tale contraddizione è inaccessibile al pensiero
logico, il quale per tal guisa è incapace di abbracciare un moudo che consiste
nella volontà contradditoria di sè; ciò rende impossibile anche la liberazione
parziale 299 Dia ammessa da Schopenhauer, e quindi la volontà
in indistruttibile dovrà soffrire indefinitamente in esistenze sempre nuove il
tormento di questa autolacerazione. Il
Gourd chiama dialettica la serie delle fasi successive percorse dallo spirito
che, allontananilosi per gradi dalla coscienza primitiva, costruisce
progressivamente il mondo della scienza, quello della morale e quello della
religione. Il Rosmini distingne il dianoetioo dal dialettico: quello è ciò che
la mente suppono nelle sue operazioni, e che non è tale in sè stesso, cioè
prescindendo dall’ operazione della mente; questo è ciò che Ia mente produce
nolle cose in sé essenti, per modo che la mente stessa concorre colle sue
operazioni a fare che la cosa sia tale in sè stessa com'è. Quindi, mentre il
dialettico è il prodotto di una mera finzione mentale, il dianoetico è il
prodotto vero di una causazione. Cfr. Senofonte, Memor., IV, 5, 12; Platone,
Sof., 258, C, D; Republ., 598 E, 534 B; Aristotele, Anal., I, ıv, 468; I, v, 77
a; Metaph., Il, 1, 995b; H. Kirchner, / Prooli metaphysica, 1846; Abelardo,
Dialeotica, ed. Cousin: P. Ramus, Institutionen dialeoticae, 1549;
Sobleiermacher, Dialektik, 1908; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 88
segg.; Hegel, Enoycl., $ 10, 81; Hartmann, Ueber die dialektische Methodo,
1868; Jal. Bahnsen, Der Widerpruch im Wisson und Wesen der Welt, 1881; J.
Gourd, Les trois dialeotiques, Revue de metaph. », 1897, p. 1-9; Rosmini,
Idcologia, 1858, t. IV, pag. 313 segg.; F. De Sarlo, Un ritorno alla
dialettica, Cultura fil. », febbraio 1907 (v. contraddizione, divenire,
oriatica, ironia, maieutica). Diallelo (ἀλλήλων ’uno per l’altro, mutunmente).
Ha due significati un poco diversi; nel linguaggio degli scettici antichi esso
è uno dei tropi ο motivi di dubbio, ο consiste in ciò che non è possibile la
dimostrazione di alcun prin: cipio, di alcuna verità, perchè In dimostrazione
deve foudarsi sopra un criterio, e il criterio ha esso pure bisogno di essere
dimostrato. Più tardi il significato della parola Dis-Dic 300 8’
à venuto generalizzando, cosicchè con essa si intende ora qualsiasi circolo
vizioso, qualsiasi definizione d’ una cosa per sò stessa. Cfr. Prantl,
Geschichte der Logik, 1855, I, 494. Dibatis. Termine mnemonico di convenzione,
con cui nella logica formale si designa uno dei modi della quarta figura del
sillogismo, che ba la maggiore e la conclusione particolari affermative, la
minore universale affermativa. Esso si riconduce al Dabitis della prima figura.
Dicotomia. T. Dichotomie: I. Dicotomy; F. Dichotomie. E l'argomento attribuito
a Zenone di Elea, e col quale egli voleva dimostrare che se |’ essere è
multiplo, deve cesere infinitamente grande e composto di un numero infinito di
parti. Infatti ciascuna delle parti dell’ essere deve avere una grandezza ed
essere separata dalle altre; ora, siccome lo spazio è il luogo dei corpi, e il
vuoto non può quindi esistere, è necessario che tra codeste parti separate
altre ne esistano per separarle; e tra queste altre ancora, ο così via via all’
infinito. Egli perciò concludeva che la pluralità è impossibile e che non
esiste che I’ unità. Nella logica dicesi
dicotomia la divisione che consta di due soli membri dividenti. Ogni divisione
può essere ridotta a una dicotomia per opposizione logica, ponendo come primo
membro il genere con l’ aggiunta di una differenza specifica e contrapponendo a
questo il genere stesso più la negazione di quella; ad es., gli animali sono
vertebrati o non vertebrati. La dicotomia si può fare ancora per distinzione,
quando il fondamento della divisione non consente che due modalità: ad es. gli
orgunismi sono piante o animali. Cfr. Aristotele, Physica, V, 9; Plutone,
Polit., 262 A; Masci, Logica, 1899, p. 304 seg. Dictum de omni aut de nullo. E
la formola con cui gli scolastici esprimevano il principio fondamentale del
sillogismo, traducendo l’ espressione aristotelica: κατὰ πάντος À μηδενὸς
κατηγοραῖσθαι. Esso significa che: ciò che si afferma di un tutto molteplice,
si afferma pure dei Dip-Drr singoli, e ciò che di un tutto molteplice si nega,
si nega anche dei singoli. Cristiano Wolff lo formula più esplicitamente così:
Quicquid de genere vel specie omni afirmari potest, illud etiam afirmatur de
quovis sub illo genere rel illa specie contento: quioguid de genere vel specie
omni negatur, illud etiam de quovis sub illo genere vel illa specie contento
negari debet. A questo principio altri preferiscono quollo proposto dal Kant:
nota note est nota rei ipsins; questo principio però è la stessa cosa di quello
aristotelico, che cioè: ciò che si afferma si nega del predicato si affermerà o
negherà pure del soggetto. Gli stessi
scolastici, con l’espressione: a dicto simpliciter ad dictum secundum quid, e
viceversa, designavano quella specie di sofisma di ragionamento, che consiste
nel passare dul senso assoluto di un termine al relativo, e dal relativo all’
assoluto; ad es. una piccola dose di stricnina può essere salutare (a dioto
secundum quid) ina non ne deriva che la stricnina, in qualunque dose, sia una
sostanza benefica (ad dictum simp! citer). Cfr. Aristotelo, Topie., I, 3;
Reth., I, 2, 3, II, 1, 22; Cr. Wolff, Philos, rationalis sive logica, 1732, $
346 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 253; Rosmini, Logica,
1853, p. 166 segg. (v. rillogismo). Didattica. 1. Didaktik ; I. Didaotios; F.
Didactique. 1 signa propriamente la scienza dell’ insegnamento; stingue dunque
dalla pedagogia, che è vocabolo assai più recente e il cui significato odierno
fu espresso in passato con In parola diduttica. La didattica si divide in due
parti: una generale, che tratta della scuola, dei suoi fini, del suo
ordinamento, dei suoi metodi ; l’altra particolare, che riguarda le singole
materie d'insegnamento (v. pedagogia, pedologia). Differente. T. Perschieden;
I. Different; F. Different. Si dice di un'entità che possiede qualche cona di
comune con un’altra, ma che ha pure qualche cos di proprio, per cui si
distingue dall’ altra: questo proprio è la difere Dir 302 Il
differente si distingue dal diverso, che si adopera per distinguere due entità
senza però indicare che differiscono in qualche cosa ο in tutto tra esse. A
designare poi la più generale varietà che possa notarsi tra lo entità, fu
adoperato nella terminologia scolastica il termine altro, che signified il
fatto di entità che non variano punto di essere, ma variano di semplice
relazione. Cfr.
Aristotele, Met., V, 10, 1018 b, 1 segg.; Hume, Treatiee on human nature, 1874,
I, seg. 5, p. 27 (v. alterità). Differenza.
Gr. Διαφορά; T. Unterschied, Liferenc ; I. Difference ; F. Différence. Tutto
ciò che serve a distinguere una cosa da un'altra, un concetto da un altro. Si
suol distinguere in formale e materiale: quella è il più che risulta dal
paragone di un concetto meno astratto con un altro più astratto, questa il più
che risulta dal paragone di due quantità. Gili scolastici distinguovano ancora
la difietonza in: oostitutica, che è quella onde un dato genero si costituisco;
dibisiva, quella per la quale un genere si divide; communis, la semplice
differenza di luogo ο di tempo, per cui una cosa differisce da sò ο dalle
altre; propria, 1’ ncoidente inseparabile dal soggetto, per il quale differisce
dal resto; propriissima o maxime propria, quella per la quale un essore è
essenzialmente distinto dagli altri. 11
metodo della differenza è uno dei quattro metodi di riceren induttiva sugxeriti
dal Mill. Esso consiste nel paragonaro i casi in cui un fenomeno avviene con
altri, simili nel resto, in cui quello non avviene, e si fonda su questo canone
logico: se un caso nel quale il fenomeno da osaminarsi s' avvera e un caso in
coi il medesimo non si verifica, hanno comuni tutte le circostanze ad eccezione
d’una sola € questa s’ incontra soltanto nel primo caso, questa circostanza per
In quale soltanto i due casi differiscono è l'effetto o la causa ο una parte
nocessaria della cansa del fenomeno. Eeso riposa sul principio, che tutto che
non può essere eliminato è collegato al fenomeno 1 rapporto di enusalità, ed è
molto utile quando con l'esperimento si può riprodurre, modificondola, una
serie di fenonieni. Così, nelle esperienze fisiologiche, il taglio della fibra
essendo seguito dall’ assenza della sensazione nonostante In presenza dello
stimolo, prova che la continuità della fibra è parte essenziale della causa
della scnsazione. Ma quando la produzione e la soppressione della causa non è
in nostro potere, o quando la soppressione della cansa trae con sò
necessariamente il subentrare d’una causa nuova, al metodo di differenza si
deve sostituire quello di concordanza, o quello di concordanza e differenza
riunite. Dicesi differenza specifica
quell’ insieme di qualità per cui una specie ai distingue da un’ altra,
appartenente allo stesso genere. Essa perciò riguarda la connotazione delle
idee: ciò che alla connotazione del genere si deve aggiungere per avere la
specie, costituisce la differenza specifica. Nell’ idea di uomo, che è
connotata dall’ idea di animale (genere), la differenza specifica à data dalle
qualità di ragionevole, a posizione eretta, ecc. Cfr. Stuart Mill, System of
logic, 1865, III, cap. 8; Masci, Logica, 1899, p. 284 segg. Differenza personale
v. equazione personale. Differensiamento. T. Diferenzierung; I.
Differentiation; F. Différenciation. Una delle leggi che reggono I evoluzione
stories del mondo organico. Essa esprime tanto la tendenza comune a tutti gli
esseri del mondo organico di avolgersi differentemente in grado sempre più
elevato, e di ullontanarsi perciò dal tipo comune primitivo, quanto il
risultato di tale operazione. Il differenziamento è tanto fisiologico, ossia
divisione di lavoro, quanto morfologico, ossia divisione di forma. Secondo il
Darwin tale tendenza ha la sua causa nella lotta per In vita. Cfr. Spencer,
Firat principlos, 1884, cap. XV. Dilemma (31ç due volte, λήµµαproposizione). T.
Dilemma; I. Dilemma ; F. Dilemme. Forma di argomentazione, che consiste nel
porre l'avversario tra due alternative dalle quali si cava una conelnaiono
medesima e contraria all'avDim 304 versario stesso, che per ciò non ha più via
d’ uscita. Dicesi anche argomento cornuto, e le due proposizioni corna del
dilemma; se invece di duo le proposizioni sono tre si ha il trilemma, se
quattro il quadrilemma, ecc. Ha due forme fondamentali: nella prima, detta modo
ponente ο dilemma di costruzione, la premessa maggiore ipotetico-congiuntiva
stabilisce una conseguenza unica per tutti i casi possibili dell’ ipotesi, la
minore mostra che non sono possibili altri casi fuori di quelli considerati, la
illazione afferma la necessità della conseguenza ; nella seconda, detta modo
tollente ο dilemma di distruzione, la maggiore è ipotetico-diegiuntiva ο
determina tutte le conseguenze possiLili dell ipotesi, la minore è remotiva e
mostro che nessuna di esse è possibile, la conclusione nega quindi la validità
dell’ ipotesi. Schema della prima: tanto se è «4, quanto se è Bo C.... à M; ma
à 4 0 Bo C; dunque à M. Schema della seconda: se M è, d0 4 0 BoC; ma non è A,
nè B, nè C; dunque non è M. Perchè il dilemma sia valido occorre che la
disgiunzione sia completa e siano considerati tutti i casi possibili; ο che il
rapporto di condizione a condizionato sia vero © necessario, cosicchè la
conclusione non si possa ritorcere. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1885, I,
110: Masci, Logica, 1899, p. 266 segg. Dimaris o Dimatis. Termine di
convenzione mnemonica, con cni nella logica formale si designa quel modo della
quarta figura del sillogismo, nel quale la maggiore © la conclusione sono
proposizioni particolari affermative, la minore universale affermativa. Es.
Qualche azione virtuosa resta senza premio.
Tutte le azioni virtuose sono lodevoli.
Dunque qualche cosa che è lodovole rimane senza premio. Si riconduce al
modo Dari della prima figura mediante la trasposizione delle premesse e la
conversione semplice della conclusione. Dimensione. T. Dimension: I. Dimension;
F. Dimension. Nella geometria designa nna grandezza renlo che, si 305 i
Dim-Dix sola sia con altre, determina la grandezza d’una figura misurabile.
Nell’ aritmetiea generale designa un numero reale, che è uno degli elementi
costitutivi d'un numero complesso. Dimostrazione. ‘I. Demonstration, Boweis ;
I. Demonatration: F. Démonstration. 11 ragionamento mediante il quale si
verifica quali conseguenze dipendono da certe premesse, © da premesse vere si
deduce la verità di una conclusione : le premesse diconsi argomenti, la verità
da dimostrarsi tesi 0 teorema. A seconda del modo di derivazione può essere
diretta ο indiretta : nel primo caso la derivasione è dai principi e dalle
cause reali, nel secondo dalla impossibilità del contradditorio. La diretta pnd
essere deduttiva, induttiva, entimematica, analogica ; la indiretta può avere
la forms contradditoria e la disgiuntiva. La indiretta dicesi anche apagogioa ©
riduzione all’ assurdo. Si dice dimostrazione ad hominem quell’ artifizio della
discussione per cui si parte da un principio, non in quanto sia vero in sè, ma
in quanto è ritenuto vero dall’ avversario, cosicchè questo è costretto ad
accettaro la tesi se non vnol cadere in contraddizione con sè stesso. Cfr.
Lotze, Logik, 33 od. 1881, p. 271; Rosmini, Logica, 1853, $ 539 segg. (v.
demonatratio, entimema, analogia, apagogia, prora). Dinamica. T. Dynamik; I.
Dynamics; F. Dynamique. Quella parte della meccanica razionale che studia la
composisione dei moti a cui danno luogo le forze motri l’altra parte è la
sfatioa, che stadia invece la composizione delle forze (indipendentemente dai
moti che sono capaci di produrre) considerate come grandezze e riferite ad una
unità di misura della medesima specie. La dinamica si distingue alla sua volta
in cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla
traiettoria, che essi determinano nello spazio, ed in energetica, che studia la
composizione dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre
lavoro. Metaforicamente 1’ }ler20
RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. Dix . 306
bart chiama dinamica degli stati di coscienza il loro rapporto allo
stato di trasformazione © di movimento, © il Comte dinamica sociale il
progresso delle società umsne. Dinamismo. T. Dynamismus; I. Dynamism; F.
Dynamisme. Ogni sistema filosofico che pone come sola realtà le la forza, riducendo
la materia a un semplice centro inesteso di forza, © spiegando la diversità ο
l’ armonia del mondo mediante le leggi della forza. Si oppone al meccanismo,
che pone come distinti l'essere e In forza,, considerando il primo come passivo
rispetto alla seconda, la quale agisce su di esso dal di fuori; il meccanismo
riduco quindi tutti i fenomeni naturali al movimento della materia ponderabile
ed eterea. È nn dinamismo il sistema del Leibnitz, che considera |’ estensione
come una pura astrazione ο riduce la materia alla monade, forza semplice,
originaria, differenziata in sò stessa, considerando pure l’anima come una
monade o una forza. Una moderna forma del dinamismo è 1’ energismo (Ostwald)
che considera l’energin come una vora e propria sostanza, come |’ unica resltà,
© si distingue dal dinamismo perchè al concetto antropologico di forza
sostituisce quello scientifico di energia, e dal meccanismo perchè nega la
realtà della materia e la riduce all'energia. Cfr. W. Ostwald, Chemische
energie, 1893 ; Die Überwindung d. wissenschaft. Materialiemue, 1895 (v.
attiviemo, attualismo, mobilismo, meccanismo). Dinamogenesi. T. Dynamogenetisch
; I. Dynamogenetio ; Dynamogène. Generazione della forza. Deve intendersi senso
relativo, cioò il passaggio dell’ energia dallo stato potenziale allo stato
attuale; unn generazione di forza dal nulla contrasterebbe col principio della
conservazione delVonergia. Nella
psicologia dicesi logge della dinamogenesi, quella per cui ogni stato di
coscienza tende a continuarsi in un movimento. Questa legge costituisce il
fondamento dello moderno dottrine fisio-psicologiche sulla volontà, la quale si
considera come il risultato di due forze antagoDix-Dro nistiche; un movimento è
eccitato ο inibito per l'azione dinamogenetica del piacere ο inibitoria dol
dolore, secondo comporta l’esperienza per la quale l’individuo distinguo il
danno dall’ntile. Cfr. Ardigd, Opere fil., V, p. 503 segg.; VI, 213 sogg. (v.
ideeforze). Dinamometro. Strumento destinato a misurare le forze, 6 quindi il lavoro
che producono. Si conoscono varie specie di dinamometri, che si fondano però
tutti sullo stesso principio. La parte essenziale di essi è costituita da una
molla di cui si può notare la flessione; ogni forza che, applicata allo
strumento,. produce la stessa flessiono di un peso di n chilogrammi è detta una
forza di » chilogrammi. Applicando all’ apparecchio stesso un grafografo, si ha
il dinamografo, il quale traccia schematicamente il gra di forza © di tonicità
muscolare e indica il grado di perfezione del senso muscolare. Cfr. Année psyohologique,
1899, p. 337 segg. Dio. T. Gott; I. God; F. Dieu. La natura di Dio, la sua esistenza, i suoi rapporti col
mondo, i suoi attributi, farono e sono concepiti in modi infinitamente diversi
nelle varie religioni e nei sistemi filosofici. Quasi tutti, è vero, lo
considerano come 1’ Ente supremo, del quale è impossibile pensare il maggiore ;
ma quest’ Ente pnd essere concepito come creatore del mondo (creazioniemo,
emanatismo) © come un semplice ordinatore della materia, osistente ab eterno
come lui, © per il cui ordinamento si vale d’un intermediario (demiurgo); può
essere concepito come immanente al mondo, con la cui sostanza è identificato
(panteiemo), e come trascendente il mondo, du cui è sostanzialmente distinto;
si può negargli ogni azione sul mondo e sull’ uomo (deismo, epioureismo), 9 si
può farne un'entità personale, intelligente, che interviene incessantemente
negli avvenimenti naturali ed umani (teismo, proveidenca) ; si può credero in
una divinità unica e soln (monoteismo), o in vu’ unien divinità in tre persone
(triploteismo, mistero della trinità), o in dno divinità di cui una rappresenta
il prinDio 308 cipia del bene, l’altra quello del male
(dualismo, manioheiemo) ο in più divinità fornite di diversi attributi ο
gerarchicamente disposte (politeiemo); si può oredere che la sua esistenza non
abbia alcun bisogno di essere in alcun modo provata, in quanto I’ intuizione di
Dio è conereata alla nature intelligente, così da essere il fondamento e
Pinisio di ogni altra cognizione (ontologismo), ο si può soatenere I’
incapacità della ragione umana a dimostrare tale verità, che essa deve ricevere
dalla rivelazione ὁ dalla tradizione che la trasmette (rivelacioniemo,
tradisionalismo), ο si può invece dimostrarne l’esistenza sia con argomenti a
priori (ontologico, ideologico, morale) sia con argomenti a posteriori
(metafisico, teleologico ο cosmologico). Quanto al modo come Dio fu concepito
dai principali filosofi, per Socrate esso è uno, immenso, eterno, presente nel
mondo come l’ anima è presente nel corpo: esso vede nello stesso tempo tutte le
cose, comprende tutto, è presente ovunque e voglia sopra ogni cosa ». Per
Platone è l’idea del Bene, l’iden più elevata a cui tutte le altre αἱ
subordinano come mezzo © quindi la causa finale di ogni accadere. Per Aristotele
è il primo motore immobile, la forma più alta © il fine più alto, che muove
ogni cosa non per impulso meccanico ma per 1’ irresistibile attrattiva della
sua bellezza; esso è una attività che risiede puramente in sò stessa, ossia il
pensiero puro, che non richiede niente altro come oggetto ma che ha sè stesso
per contenuto sempre uguale, dunque il pensiero del pensiero; con ciò
Aristotele pone lo basi del monoteismo spiritualistico, giacchè Dio è posto
come Essore antocosciente distinto dal mondo e come I’ elemento immateriale.
Per gli stoici è la forza originaria universale, in cui sono contenute
parimente la causalità e la finalità di tutte lo cose e di tutto I’ accadere;
come forza proAuttrice © formatrice Dio è la ragione seminale, il principio
della vita cho si svolge nella molteplicità dei fenomeni, e in questa funzione
organica Dio è anche In ragione cho
309 Div crea e guida secondo uno
scopo e quindi, rispetto a tutti i processi particolari, è la provvidenza
sovrana. Nel neoplatonismo è 1’ essere primitivo assolutamente trascendente,
l’unità perfetta snperiore anche allo spirito, intinito, incomprensibile,
inesprimibile. Per S. Agostino è 1’ unità assoluta, la verità che tutto
abbraccia, 1’ Essere supremo, la suprema bellezza, il supremo bene: Prendete
questo ο quel bene particolare, 9 vedete lo stesso Bene se potete; così voi
vedrete Dio, che non è buono per un altro bene, ma che è il Bene di tutto cid
che è buono ». Per Scoto Erigena è l'essenza sostanziale di tutte le cose, i
quanto possiede in sò stesso le vere condizioni dell’ essere: Nulla di ciò che
è, è veramente in sò stesso; Dio solo, che solo è veramento in sè stesso,
dividendosi in tutte le cose, comunica ad esse tutto ciò che in esse risponde
alla vera nozione dell’ essere ». Per Nicolò Cusano è I unità di tutti gli
opposti, la coincidentia oppositorum, 1’ aseoluta realtà in cui le possibilità
sono realiszate come tali, mentro ognuno dei molti finiti è solamente possibile
in sè, ο reale solamente per lui; in ognuna delle sue manifestazioni il Deus
implicitus unico è insieme il Deus explicitus diffuso nella molteplicità, il
finito ο l’infinito, il massimo e il minimo. Per Boehme è il primo principio e
la causa del mondo, il quale non è che l’essenzialità di Dio stesso fatta
creatura; ugualmente per Giordano Bruno, Dio è la causa formale, efficiente ο
finale dell’ universo, l'artista che agisce senza interazione e trasforma il
suo interno in vita rigogliosa. Per Cartesio è 1’ ens perfeotisnimum, 1’ essere
i finito che lo spirito umuno comprende con certezza intu tiva nel suo proprio
essere imperfetto ο finito. Por Spinoza è l'essenza universale delle cose
finite, 1’ ens realissimum che consta di infiniti attributi, ma che non esiste
se non nelle cose, come loro essenza generale, e nel quale tutte le cose
esistono, come modi della sua realtà. Per Malebranche Dio è il ἔκορο degli
spiriti, come lo spazio è il Inogo Dir
310 dei corpi ; ogni conoscenza
umana à una partecipazione alla ragione infinita, tutte le idee delle cose
finite non sono che determinazioni dell’ iden di Dio, tutti i desideri rivolti
all’individusle non sono che partecipazioni all’ amore di Dio come principio
dell’ essere e della vita. Per Leibnitz è lu monade centrale, la monde suprema
nella serie ininterrotta che va dalle più semplici fino agli spiriti, e che
pere rappresenta 1’ universo in tutta la chiarezza e la distinzione. Per Fichte
è I’ Io universale assolutamente libero, l'ordinamento morale del mondo; per
Scheiermacher è l'identità del pensiero con Vessere, che, in quanto tale, non
può ossere oggetto nè della ragione teoretica nd della ragione pratica, ma che
tuttavia costituisce lo scopo ussoluto del pensiero ; per Schelling è la
ragione assoluta 0 l'indifferenza di natura e di spirito, di oggetto e
soggetto, perchè il principio più alto non può essere determinato nè realmente
nd idealmente e in esso debbono cessare tutti i contrasti; per Hegel è lo
spirito ussoluto, 1’ Idea, delle oui determinazioni il mondo è uno svolgimento.
Cfr. 8. Reinach, Der Ursprung des Gottesidee, 1912; Allen, Grant, Theevolution
of the idea of God, 1897; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religioni
primitive, trad. it. 1914; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913,
passim (v. assoluto, ateismo, agnosticismo, creazione, essere, fede, fideismo,
panteismo, teismo, ecc.). Diplopia. T. Doppelsehen ; I. Diplopia; F. Diplopie.
Anomalia della visione, che consiste nel vedero gli oggetti doppi. Ciò deriva
dal mancato parallelismo degli assi visuali, per cui l’iminagine dei due
oggetti, che si produce sul centro della macchia gialla, non è quella di uno
stesso punto dell'oggetto. Dicesi unche ἀΠίοροία. Dicesi diplopia monoculare la
visione doppia degli oggetti con un solo occhio in determinate condizioni ;
secondo G. Miiller essa dipende dai diversi campi di fibre di cui si compone
ciascuno strato del cristallino; secondo Brücke dalla aberrazione di 311
Dir sfericità dello superfici dell’ apparecchio diottrico ; secondo
Verhöff dalla aberrazione stessa associata a un certo grado di astigmatismo,
Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik, 2° ed. 1886-96 ; Techering, Optique
physiologique, 1898. Diritto. T. Recht; I. Right; F. Droit. In generale è tutto
ciò che è permesso, sis moralmente, sia dalle leggi scritte ο dai regolamenti
riguardanti gli atti considerati, virtà di una espressa dichiarazione o anche
del principio che ciò che non è proibito è permesso. Già l’Alighieri lo definì
come realie ot personalis hominis ad hominem proportio, quae servata hominum
sorvat socictatem, et corrupta corrumpit. Positivamente αἱ può definire come
quelY insieme di norme irrefragabilmente obbligatorie, le quali, munite di
sanzione e fatte valere dall’ autorità dello Stato, regolano le azioni degli
individui e dei gruppi sociali, allo scopo di assicurare il rispetto, la
retribuzione, il soccorso reciproco e la subordinazione delle persone nei
rapporti più importanti della vita sociale; più brevemente, il diritto è una
facoltà o pretesa cut la legge ο la consuetudine assicurano un carattere
ooattivo, per il caso che venga disconosciuta. Il diritto presuppone il dovere
e viceversa: ad ogni dovere in una persona corrisponde un diritto, il diritto
necessario per il compimento di questo dovere. Carattere essenziale di entrambi
è che implichino la responsabilità. Dicesi diritto naturale quello
assolutamente intrinseco alla natura umana, e che quindi non può esser tolto in
nessun modo; diritto positivo quello che risulta da una convenzione e non
esiste se non in forza di questa. Per diritto naturale s'intende anche il
diritto virtuale, e por diritto positivo quello riconosciuto fissato e
garantito. Il problema del diritto naturale sorge con la sofistica greca,
quando 1’ esperienza della vita pubblica e la conoscenza delle differenti
legislazioni dei diversi popoli, spinse u ricercare se esiste qualche cosa di
valido sempre ὁ dovunque; © poichè i filosofi anteriori avevano chiamato
natura, Dir 312 φὺσις, l'essenza delle cose eternamente
uguale sotto tutti i cangiamenti, così si argu) che da questa. natara sia
determinata anche una legge superiore ad ogni cangiamento © differenza, ben
distinta dai precetti fondati per convenzione umana © validi solo temporaneamente
© in un ambito ristretto. Nel diritto romano questa legge naturale è poi
definita quod natura omnia animalia doouit, e il diritto delle genti quod
naturalie ratio inter omnes homines constiinit. Per 8. Tommaso il principio
fondamentale del diritto naturale è il bisogno della socialità, essendo l’uomo
maturaliter animal sociale; lo stesso principio vale, più tardi, anche per il
Grozio, che fa consistere il jus mafurale in ciò che la ragione conosce come in
un armonia con la natura socievole dell’uomo e che quindi è deducibile da essa.
Per Hobbes il diritto naturale è la libertà che cisseuno possiede di adoperare
ad arbitrio la propria potenza per la conservazione della propria natura, e
quindi di faro tutto quelle cose, che sembrano condurre a tale scopo : Nello
stato di natura è permesso di fare a ciascuno ciò che @ lui piace; nulla di ciò
che l’uomo può fare è in sè stesso ingiusto ; 4ο una persona danneggia
un’altra, non esistendo tra esse alcun patto, si potrà dire che quella fa torto
a questa, ma non che le faccia un’ ingiustizia ». Analogamente, per Spinoza il
diritto naturale è In stessa potenza della natura: Ezistit unuaguisque summo
naturae jure, et consequenter summo naturae iure unuaquisque oa agit, quae ex
suae naturae necessitate sequuniur; atque adeo summo naturae iure unusquisque
iudicat, quid bonum, quid malum sit, suacque utilitate ex suo ingenio consulit,
seseque vindioat, et id, quod amat conservare, et id, quod odio habet,
destruero conatur. Per Locke il diritto è una potenza morale; il diritto
naturale ha tre gradazioni : ins strictum, che si esprime col comando neminem
ledere; probitas ο equità, col comando suum ouiquo tribuere; pistas col comando
honeste vitere. Per Kant e per Fichte il principio del diritto naturale è 313
Dir la reciproca limitazione delle sfero di libertà nella vita esteriore
degli individui, cosicchè, per usare lo parole di Fichte io debbo riconoscere
in ogni caso fuori di me l'essere libero come tale, debbo cioè limitare la
libertà mia mediante il concetto della possibilità della libertà sua ».
L’Herbart fonda il diritto sopra l’iden pratica della disapprovazione che
consegue alla perturbazione dei rapporti armonici tra la propria volontà e
l’altrai; il diritto è perciò l’ unanimità di più voleri, pensato come regola
che evita i conflitti ». Per il Wundt il diritto, al pari del linguaggio, del
mito e del costume, coi quali da principio è strettamente connesso, non è il
risultato di un accordo arbitrario, ma un prodotto naturale della coscienza,
che lia la sus fonte perenne nei sentimenti © nelle tendenze suscitato dalla
convivenza degli uomini »; esso si sviluppa in tro stadi auccessivi, dei quali
il primo è quello delle intuizioni giuridiche naturali, il secondo della
codificazione, il terzo della sistematizzazione dei diritti. Secondo l’Ardigò
il diritto naturale è la stessa giustizia potenziale astratta, da cui deriva la
giustizia legale, è lo stesso ideale del diritto, solo imperfettamente
realizzato nelle singole formazioni storiche della società; il diritto naturale
corrisponde quindi alle idealità sociali universe, ossia tanto avverate già
nella coscienza umana, quanto a quello che potranno avverarsi in sèguito. Da
ciò deriva: 1° che il diritto positivo è determinato ο giustificato dal
natnrale ; 2° che il diritto naturale è imperscrivibile ed ba un valore
truscendente assoluto, corrispondendo al ralore trascendente axsoluto della
natura di cui è il prodotto; 3° che il diritto naturale è universale al pari
della natura umano, con In quale si svolge parallelamente ; 4° che il diritto
naturalo è infinito, essendo una potenzialità inesauribile nella serie e nelle
forme dei suoi svolgimenti. Esistono
varie specie di diritti: quello pubblico, che è il diritto garantito dalla
minsecia d’ una pena ο ogni sna infrazione è colpita di314 rettamente dal Potere;
quello privato, per il quale il Potere non ha azione diretta, ma che è
interesse stesso dei cittadini osservare e fare osservare; quello
costituzionale, che determina la forma politica dello Stato e i rapporti
giuridici tra i governanti ο i governati per l'esercizio della sovranità; quello
ecclesiastico, che regola materie riguardanti la Chiesa; quello internazionale
0 diritto delle genti, che può essere pubblico o privato, a seconda che regola
i rapporti tra i vari Stati, o tra i cittadini di uno Stato estero © lo Stato
nel quale essi dimorano. Cfr. Puffendorf, De jure nature et gentium, 1672;
Lasson, Syst. d. Rechtsphilosophie, 1882; B. Brugi, Introd. enciclopedica alle
scienze giuridi. che, 1907, p. 66-194; Ardigò, Opere fil., vol. III, p. 181-257
; vol. IV, 173 segg.; G. Delveochio, I! concetto del diritto, 2° ed. 1912.
Disamis. Termine di convenzione mnemonica, con cui nella logica formale si
designa quel modo della terza figura del sillogismo, nel quale la maggiore e la
conelusione sono proposizioni particolari affermative, la minore universale
affermativa. Es. Qualche fibra nervosa trasmette delle onde centrifughe. Tutte
le fibre nervose provengono dalle cellule. Dunque qualche cosa che deriva dalle
cellule trasmotto delle onde centrifughe. Corrisponde all’ioéxig dei logici
greci, e può essere ricondotto al Dari della prima figura mediante la
trasposizione delle premesse e la conversione semplice della maggiore e della
conclusione. Disattensione. T. Unachtsamkeit ; I. Inattention; F. Inattention.
È un complemento necessario dell’uttenzione alla quale non possono pervenire
tutti gli stimoli. Si suole distinguere la disattenzione primitira, che è la
semplice assenza d'attenzione, e la secondaria. che è determinata dall’ essere
l’attenzione concentrata sn un oggetto, ed à tanto più forte quanto più intensa
è la concentrazione dell’attenzione. Quando la disattenzione diviene
persistente © si presenta come effetto di esaurimento nervoso assume 315
Dis carattere patologico e dicesi aprovessi 0 aprosechia; in essa I’
attonzione non può mantenersi anche per poco, e, se forzata volontariamente,
determina nel soggetto capogiri, cefaleo, vomiti, ecc. Nei casi di demenza,
come nell’idiotismo, imbecillità, ebefrenia, ece., l’attenzione è totalmente
soppressa. Cfr.
Ziehen, Leitfaden der physiol. Paychologie, 2% ed. 1893, p. 166 seg.; Ribot,
Prychologie de l'attention, 1889. Discorsivo.
T. Discursir; I. Disoursive; F. Disoursif. Si oppone a fntuitivo, per designare
In conoscenza o il ragionamento mediato, mentre la conoscenza intuitiva è
quella che avviene per un atto immediato, subitaneo, di cui il processo sfugge.
Nel ragionamento discorsivo, il pensiero passa dal principio alla conseguenza,
dalle premesse alla conolusione; nel ragionamento intuitivo, invece, il
pensiero non formula alcuna dimostrazione, © la conclusione appare
immediatamente nella sua evidenza. Gli scolastici avevano già distinto queste
due forme di procedimento mentale; essi chiamavano cognitio disoursira,
paragonandola ad un movimento, quella che trascorre da idee note a idee meno note;
cognitio intuilira sia quella fatta per la specie propria, ossia per l’imagine
propria dell'oggetto stesso, sia quella riferenteni all’ oggetto realmente
presente; così è intuitica la cognizione del sole mentre lo vediamo, e quella
che i beati banno di Dio. Cfr. Cr. Wolf, Philosofia rationalis, 1732, § 51;
Wundt, Logik, 1898, vol. I, pag. 139. Discreto. T. Diskret; I. Discrete; F.
Discret. Latinismo che significa diviso, separato, e αἱ applica tanto allo
spazio come alla quantità dei numeri; in questo caso ha il valore di
discontinuo. Dal punto di vista filosofico, una grandezza è discontinua se è
composta di elementi dati, mediante i quali essa è costruita nel pensiero.
Nella logien diconsi discretire quelle proposizioni composte ed esplicite,
appartenenti al tipo delle congiuntire, che esprimono una Dis 316
distinzione avversativa; ad es. non è nuvolo ma sereno. Diconsi anche
avversative. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Charles, II, 9 (v. continuo,
numero, quantità). Discriminazione. T. Unterscheidung; I. Disorimination; F.'
Discrimination. Termine d’origine inglese, che indica V atto con cni si
distinguono l’uno dall’ altro due oggetti del pensiero concreto. Si adopera specialmente
nella psicologia per significare il differente grado di intennità avvertito in
due momenti di una medesima sensazione. Per mezzo di opportuni esperimenti, la
psicologia fisiologica cerca appunto di determinare quali sieno le più piccole
differenze percepibili di sapore, di temperatura, di peso, d’ intensità
luminosa, di altezza o intensità di suono. Secondo il Bain, la discriminazione
è una proprietà delle sensuzioni muscolari, per mezzo della quale ha origine la
coscienza. Essendo la coscienza unità e differenza insieme, noi mancheremmo
delle sue condizioni se avessimo una sensazione sola o due sensazioni con un
intervallo in mezzo. Cir. Bain, The senses and the intellect, 1890; Wundt, Grundzüge d.
physiol. Psychologie, 1893, I, p. 348. Discromatopsia. T. Dyschromatopsie; I.
Dyschromatopsia; F. Dyschromatopsis. Acromatopsia parziale, 0 cecità per alcuni colori (specie il rosso, il
verde ο il violetto) mentre gli altri sono normalmente percepiti. La forma più
comune della diseromatopsia è il daltonismo, o cecità per il color rosso (v.
cromatiche). Disgiunzione. T. Disjunction ; I. Disjunction ; F. Disjonction.
Carattere d’ una alternativa i cui termini si eseludono reciprocamente. Il
giudizio disgiuntivo è una forma dei giudizi di reciproca dipendenza; la sun
formola è: 4 è Bo Co D; oppure, nella forma negativa: 4 non è nv B, nè €, nd D,
Per essere valido, è necessario che non vi siano altro possibilità oltre quelle
espresse nella disgiunzione, ο, in altre parole, che l'enumerazione disgiuntiva
sia completa; e che le parti disgiunte si escludano, cioè siano 817
Dis coordinate e non subordinate. I sillogismi disgiuntivi sono quelli
nei quali la maggiore è una proposizione disgiuntiva ; se è
categorico-dingiuntiva (A è ο Bo Co D) il sillogismo ‘esi
oategorico-diagiuntivo; ne In maggiore è ipotetico diegiuntiva (se A è ΗΒ, oC è
D, 0 E è F) dicesi ipoteticodisgivntivo. Regola comune a tutte le forme dei
sillogiemi disgiuntivi è che se la minore nega tutti i membri disgiunti della
maggiore, la conclusione nega l’antecedente della maggiore. Il dilemma non è
che un sillogismo disgiuntivo, in cui la minore negando tutti i dne membri
disgiunti della maggiore, la conelusione nega il soggetto della maggiore. Cfr.
Wandt, Logik, 1898, vol. I, p. 154 segg.; Rosmini, Logioa, 1858, $ 445 (v.
remotiro). Disgrafia. T. Dyegraphie; I. Dyographia; F. Dyagraphte. Una delle
forme dell’ amnesia verbale, che si vorifien nella demenza, nell’ alcolismo,
nella paralisi. 1’ ammalate non è più capace di tracciare che una serie di
lineo incerte ed inintelligibili, oppure la sua scrittura vien nasumendo una forma
elementare, inzaccherata da continui agorbi, come nei bambini. Dicesi disgrafia
emozionale quella che non dipende da alterazioni centrali, ma da sentimenti,
come timore, soggezione, ecc., ed è transitoria al pari di questi. Cfr. Séglas, Les troubles
du langage, 1892; Lombroso, Grafologia, 1895, p. 111 segg. (v. agrafia). Dismnesia. T. Dysmnesie: I.
Dysmnesia ; F. Dyemnesic. Anomalia dolla memoria che consisto nell’ abolizione
di particolari categorie di ricordi, come i nomi propri, i segni, i numeri, le
figure e così via via. Nella paralisi progressiva essa si verifica sempre,
attuandosi secondo le leggi psicologiche illustrate dal Ribot: 1° i ricordi più
recenti scompaiono prima degli antichi; 2° i ricordi più complicati si
disgregano prima dei più semplici, e quindi gli astratti prima dei concreti; 3°
le ideo scompaiono prima dei sentimenti; 4° i ricordi che più resistono sono
quolli organizzati fin dalle primo fasi dello aviluppo mentale. Dis Cfr. Sollior, Les
troubles de la memoire, 1894; Ribot, Les maladies de la memoire, 9* ed. 1904. Disparato. Lat. Disparatus; T. Disparat; F.
Disparate. Nella logica diconsi disparati due tormini, fra i quali non esiste
alcuna relazione. Però la disparatezza non si'può mai dire assoluta, potendosi
sempre trovare un qualche rispetto, sotto il quale i due concetti cessano di
essere tra loro disparati. Per Boezio i termini disparati sono quelli diversi
ma non contrari. Per Leibnitz due concetti sono disparati quando nessuno dei
due contiene 1’ altro, quando cioè non sono nella relazione di genero a specio.
Cfr. Prantl, Gesohichte à. Logik, 1855, t. 1, 686; Leibnitz, Inédita, ed.
Conturat, p. 53 ο 62. Dissociazione. T. Dissoziation ; I. Dissociation; F.
Dissociation. Alcuni psicologi distinguono dissociazione da astrazione; la
prima consiste nell’ analizzare o separare gli elementi che compongono la
percezione o la rappresentazione senza alterarne il valore; la seconda invece
nel ricavare dagli elementi stessi una nozione generale, che non può più essere
un oggetto di percezione o di rappresentazione. Si suole anche opporla alla
associazione per designare l’operazione negativa e preparatoria della
immaginazione creatrice, mentre l’ associazione è l'operazione positiva e
costruttiva. La dissociazione trovasi già in germe nella sensazione 6 nella
percezione, come prova il fatto, dimostrato dell’ Helmholtz, che nell’ atto
della visione molti particolari non vengono perccpiti, essendo indifferenti ai
bisogni della vita; ma nell’immagine tale lavoro si intensifica, ed è soltanto dopo
un’ opera incessante stinzioni, soppressioni e corrosioni, che gli elementi
dissociati di un tutto possono entrare in molte combinazioni a alla
dissociazione succede l'associazione. 11 Renda distingue tre forme principali
di dissociazione: la d. conoscitira, cho, smussando le imagini, decomponendo
l’integralità dello serio rappresentative, permette che la reviviscenza 319
Dis degli stati passati sia, in parte, una nuova creazione, e che
sintesi novelle rinnovino incessantemente il contenuto dello spirito,
elevandolo dall’angusta percezione dell’individuo alle idee astratte; la d.
effettiva, che, rompendo ‘ l'equilibrio dei sentimenti, pone alla nostra
attività nuovi valori ed imprime ad essa nuove direzioni; la d. conatira, che,
agendo sulle coordinazioni motorie, dovute ad annociazioni anatomo-fisiologiche
tra centri del sistema neuromotorio e centri del sistema neurosensorio,
permette nuovi adattamenti e nuovo serie sinergiche. Nella psicologia
patologica dicesi dissociazione il disgregarsi degli elementi della personalità
unitaria, per cui la coscienza si soinde in due coscienze separate, che
coesistono o si succedono alternativamente. L’ espressione è usata specialmente
da quei psicologi e psichiatri che considerano la nostra attività psichica
complessiva come risultante dalla continua collaborazione coordinata del
cosciente col subcosciente, dell’ io supraliminale con l'io subliminale; in tal
caso gli edoppiamenti della personalità risulterebbero dalla dissociazione
ubnorme dei processi psico-fisici coscienti dai subcoscienti, ο
dall’esaltamento funzionale di questi ultimi, in modo da costituire un nuovo
centro psichico cosciente, vale a dire una nuova personalità distinta. Altri
psicologi, fondandosi sopra la dottrina segmentale, considerano la dissociazione
della personalità come primitiva e propria di tutti gli nomini anche in
condizioni normali; essa si rivelerebbe nel dissenso che talvolta si produce in
noi tra l’io cosciente che ragiona e il subcosciente che si esprime in forma di
vaghi sentimenti, nelle ineguaglianze di carattere e di condotta proprie
specialmente dei giovani, nel fatto, illustrato da W.James, del senso di
presenza che continuamente avvertono le persone dotate di sentimento mistico
religioso. Cfr. Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1902 ; Myere, The
human personality, 1902; Morton Princo, The dissociation of a personality,
1906; J. Sully, Les illusione der senses Dis
320 et de l'esprit, 1889; W. James, Prinoipî di psicologia, trad. it.
1901; A. Renda, La dissociazione peicologioa, 1905. Distanza (percezione o
giudizio di). T. Abatand: I. Distance; F. Distance. Secondo la dottrina
nativista, le nostre sensazioni ci fanno apparire fin dal principio l'oggetto ©
della percezione sensibile come situato ad una certa distanza. Secondo la
dottrina genetica ο empirica, primitivamente enunciata dal Berkeley, la
percezione della distanza deriva da un'associazione che si stabilisce tra le
sensazioni e le rappresentazioni della vista, del tatto e del senso
cinestetico, associazione cho diviene poi abituale e indissolubile. Ciò è
provato dal fatto che 1’ apprezzamento della distanza rimane imperfetto nel
bambino fino al secondo o terzo anno, e che i ciechi nati, sppena operati, non
sono assolutamente capaci di apprezzarla. In codesta valutazione la base è nel
senso tattile e nelle sensazioni muscolari che vi si accompagnano: la distanza
è data per noi dalla serio più o meno grande di sensazioni cinestetiohe che noi
proviamo quando moviamo le nostre mani ο il nostro corpo intero verso un oggetto.
À queste poi si associano le sensazioni del movimento che gli occhi devono fare
per accomodarsi agli oggetti più ο meno lontani. Cfr. Bérkeley, Theory of vision, 1709; W. James,
Perception of space, Mind », 1887; Höffling, Peyohologie, trad. franc, 1900, p.
254 segg. Disteleologia. T.
Dysteleologie. Significa in generale mancanza di finalità. L’ Haeckel chiama
così la dottrina darwiniana degli organi rudimentali, perchè essa, dimoatrando
I’ esistenza di organi che si sono atrofizzati perchè non compiono più alcuna
funzione, prova che gli organi stessi ‚non esistono per un fine predeterminato,
ma sono creati dall’ esercizio ο che quindi la dottrina delle cause finali
(feleologia) è insussistente. Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it.
1902, p. 359 segg. Distinto. T. Verschioden, Deutlich; I. Distinot; F.
Diatinot. Intrinseenmente è distinto ciò di eni lo spirito vedo 321
Dis nettamente tutti gli elementi costitutivi, e in senso proprio si
dico della visione ὁ delle imagini visuali. Nella terminologia cartesiana è
chiara una conoscenza che è presente e manifesta a chi la considera con
attenzione; è distinta invece la conoscenza che non contiene nulla più di ciò
che è chiaro, che è quindi precisa e differente da tutte le altre. Peroid a
chiaro si oppone osewro, a distinto confuso; unn idea è confusa quando può
essere scambiata con altre, come avviene delle idee complesso; ma l'essere
confusa non esclude che possa essere chiara, mentre non può mai essere distinta
senza essere chiara. Cfr. Descartes, Princ. phil., I, 43. Distinzione. T.
l’atersohoidung, Verschiedenheit; I. Distinction; F. Distinotion. Questo
termine ha, nella logica, vari significati. Innanzi tutto designa quella forma
di definiziono approssimativa esplicativa, che si adopera per quei concetti che
sono, per qualsivoglia ragione, propriamente indefinibili, e dei quali, quindi,
non si può far altro che distinguerli dai concetti affini. Il modo migliore
della dizione è l'opposizione coi simili, purchè il concetto negativo ο il positivo
abbiano lo stesso genere prossimo ο Puno sia determinato dalla negazione della
diferensa dell'altro, Es.: le parallele sono rette, che giacciono sullo stesso
piano e prolungate indefinitamente dai due lati, non # incontrano mai. In senso
analogo intendevano In distinzione gli scolastici, per i quali però essa aveva
un uso essenzialmente dialettico: essi infatti chiamavano distii zione l’
operazione per cui, prima di rispondere ad un dato argomento nel quale si era
adoperata una parola in doppio senso, si distinguono questi due sensi e si
definiscono esattamente, e poi si mostra come la conclusione, vera per un
senso, non conviene per l’altro, o come è falaa per entrambi i sensi e non
sembrava vera che a motivo della confusione. Per ricordare questo genere di
risposta, gli scolastici avevano fatto questo verso: Diride, defini, con21 Ranzoti, Dizion, di scienze filosofiche.
Dis 322
cede, negato, probato. Descartes,
e prima di lui gli scolastiei, ennmeravano due forme di distinzione: la
distinzione di ragione, cioè quell’ operazione mentale per cui si considerano
separatamente cose che nella realtà sono unite ed inseparabili; la distinzione
reale, che è quella che si fa negando uns cosa di un’altra, ed esiste nelle
cose stesso, indipendentemente cioè da ogni operazione mentale; questa seconda
distinzione aveva tre specie; da oosa a coda, come da Dio all’ uomo, da modo a
modo, come da bianco à nero, da modo a cosa come da corpo a movimento. Nel sistema filosofico dell’ Ardigò la legge
della distinzione è la legge suprema di ogni formazione naturale. Tanto nella
psiche come nel cosmo, l'evoluzione formativa consiste in un passaggio
incessante da un indistinto a un distinto, che in quello era contenuto; quindi
ogni momento della fase evolutiva è un «distinto verso la precedente e un
indistinto verso la susseguente; e risalendo indietro per le diverse fasi che
si sono succedute, si trova sempre che l’ ultimo è una distinzione sul
precedente, all’ infinito. Così tutte le formazioni distinte dell’attuale
sistema solare sono ottenute mediante la distinzione da un unico indistinto
primitivo (nebulosa) donde a poco a poco emersero e nel cui seno giacevano; e
tutta la ricchezza del contenuto psichico della coscienza individuale è un
distinto operatosi a poco a poco coll’ esperienza del primitivo indistinto, con
cui s’ inizia la vita psichica di ogni individuo. Ma questi indistinti
primitivi non sono tali che relativamente; infatti la stessa nebulosa solare
apparisce formatasi da un tutto immensamente più grande, }’ universo, ed è un
distinto rispetto ad un indistinto che le sta sopra, dal quale procode: 1’
indistinto supremo dato dall’ assoluta uniformità fondamentale della materia e
della forza, che è quindi medesimezza e continuità; 1’ indistinto, in un altro
senso, della continuità dello spazio e del tempo, in quanto la mutazione della
materia implica la continnità dello spazio, e lo sviluppo della forza
rappresenta Ja con 323 Dis-Div tinuità
del tempo. Da ciò consegue che ogni cosa ο fatto, compresa la rappresentazione
psicologica, è contenuta nel continuo dello spazio e del tempo, ed è
rappresentata dal punto d’intersecazione di due linee infinite, la linea dello
spazio e la linea del tempo. Cfr. Descartes, Princ. phil.,I, 60; Goolenio,
Lezicon phil., 1613, p. 595; Ardigò, Opere fil., IT, 81 segg.; III, 437 segg.;
IV, 43 segg.; VI, 190 segg.; Espinas, La phil. expérimentale en Italie, 1880,
p. 81 segg. ; Hòffding, Philosophes contemp., trad. franc. 1908, p. 37 segg.
Distributivo. Lat. Distributéous; T. Distributin; I. Distributico; F.
Distributif. Si oppone a collettivo ed indica ciò che è comune ad una pluralità
di individui ed appartiene a ciascuno di essi, mentre collettivo indica ciò che
è comune ad un insieme determinato di individui ed è una proprietà del gruppo.
Dicesi perciò giustizia distributiva quella che riguarda i rapporti fra i
singoli cittadini di uno Stato e la distribuzione dei beni comuni da
condividere, che si debbono distribuire proporzionatamente ai meriti. Diteismo.
Sistema religioso che consiste nell’ ammettere l’esistenza di due divinità,
rappresentante I’ una il principio del bene, l'altra il principio del male,
ugnalmente primitivi ed eterni. La lotta continua tra queste due divinità, e il
prevalere dell’ una o dell’ altra, spiega I’ esistenza del bene e del male nel
mondo: Secondo l’Ardigò, il diteismo rappresenterebbe il secondo periodo dell’
evoluzione religiosa. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 73 (v.
catari, dualiemo). . Divenire. Lat. Fieri; T. Werden; I. Becoming: F. Devenir.
Si contrappone ad Essere inteso come ciò che permane immutato, e designa lu
mutazione, il cangiamento, la serie dei passaggi da uno stato all’altro. Il
problema se la realtà consista nel rimanere o nel mutarsi, nell’ Essere o nel
Divenire, fu già posto dai primi filosofi greci. Secondo Parmenide ο In senola
elentica, soltanto I’ Eanore Div 824 _ è
reale, quindi il non-Essere non è possibile, come non è possibile il diventare;
I’ Essero è unico, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile; esso è
il sostrato del cangismento, la sostanza che rimane mentre le qualità mutano.
Secondo Eraclito, invece, il reale consiste nel mutarsi, nel trasformarsi
continuamente, nel Divenire ; la permanenza dell’ Essere non è che pura
illusione; la realtà è come un fiume che sempre scorre. L’ antica disputa tra
eleati e eraclitei fu rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel © dall’ Herbart:
questi negò il Divenire in quanto credette implicasse la realtà del nulla;
quello negò l’ Essere, ponendo l’ equazione: Essere affatto indeterminato ==
non-Essero. Si prenda il divenire, dice Hegel, ciascuno può rappresentarselo.
Si accorderà che, quando lo si analizza, vi si trova la determinazione
dell'essere, come anche del suo contrario, il nulla; si accorderà infine che
queste due determinazioni si trovano riunite in una sola e medesima
rappresentazione. Il divenire è, quindi, l’unità dell’essere e del nulla». Il
divenire sarebbe soppresso se si ammettesse la verità del principio che nulla
può renire dal nulla; ma Hegel considera tale proposizione come fondata
sull'identità astratta dell'intelletto: Non sarebbe difficile provare che
l’unità dell’ essere © del nulla si trova in tutti gli avvenimenti, in tutti
gli ogguiti 9 in tutti i pensieri. Bi deve dire, dell'essere e del nulla....
che non v’ha nessuna cosa nel cielo e sulla terra che non li contenga entrambi.
Quando si parla d’una cosa reale, queste due determinazioni, essere ο nulla, vi
si tradncono mediante l'elemento positivo ο l'elemento negatiro ». Cfr.
Platone, Cratyl., 1402 A; Aristotele, Metaph., IV, 5, 1010 a, 12 segg.; Hegel,
Encicl., § 88 segg.; Logik, $ 88, 89 (v. cangiamento, mobilismo, essere, nulla,
ente). Divergenza (legge della). 'T. Divergenz; 1. Divergence; F. Divergence.
Una delle leggi che ai verificano nell’ evoluzione del mondo organico, per In
quale In molteplicità Div e la varietà
delle forme viventi s’ à venuta costantemento aumentando dai tempi più remoti
sino al presente. Dicesi divergenza personale quella che intercede tra gli
organismi © conduce alla formazione di nuove apecie ; essa ha origine dalla
divergensa dei tessuti, per cui da cellnle primitivamente uguali si sviluppano
tessuti disuguali; e la divergenza dei tessuti si basa a sua volta sulla
divergenza cellulare, che ha origine dal fatto fisiologico della divisione di
lavoro delle cellule stesso (v. convergenza). Diverso. Gr. “Etepoc; Lat.
/τεγονο; T. Versohioden ; I. Divers; F. Divers. Nel senno aristotelico il
diverso è tutto ciò che, essendo reale, non è identico. Gli scolastici dicevano
primo-dirersa quelle cose che non convengono in nessun genere, tranne in quello
universalissimo dell’ essere; diversa © differentia solo numero le cose che
hanno entità diverso in una specie medesima, come gallo e gallinn; diversa ο
differentia εροοίο le cose che hanno diverse definizioni essenziali nello
stesso genere, come, nel genere animale, l’uomo e il bruto; diversa o
differentia genere quelle che si classificano in predicamenti diversi, come il
coraggio e la pietra. Distinguevano poi la diversitas physica, che nei termini
delle proposizioni negative, in quanto dire con verità che l’una cosa non è
l’altra, dalla diversitas logica, che si ha in quei termini delle proposizioni
affermative i quali, sebbene non differiscano da parte della cosa indicata,
pure vengono intesi sotto nn concetto differente. Alcuni distinguono il diverso dal differente,
ii quanto, pure implicando una differenza intrinseca ο qualitativa fra due
oggetti, non determina lu specie o il grado della differenza stessa. Cfr.
Aristotele, Mefaph., V, 10, 1010 b, 1 seg.; Crist. Wolff, Ontologia, 1736, $
188 (v. alterità, altro, differente, indiscernibili). Divinità. T. Gottàeit; I.
Dirinity; F. livinitd. Si adopera quasi sempre come sinonimo di Dio; tuttavia
alcuni distinsero il significato dei due vocaboli, intendendo col Divprimo 1)
essenza divina e col secondo Dio in quanto essere personale. Tale distinzione
trovasi ad es. in Eckhart, per il quale la Divinità, causa prima di tutte le
cose, trascende V esistenza ο la conosgenza, manca di ogni determinazione, è il
niente; essa si rivela nel Dio unitrino, e il Dio esistente e conoscente crea
dal nulla le creature, le cni idee egli conosce in sè, perchè questo conoscere
è il suo creare. Questo processo di autorivelazione appartiene all’ essenza della
Divinità, la quale, come essenza creatrice, non è reale se non in quanto
conosce sè stessa in Dio e il mondo come realtà creata. Cfr. Stöokl, Geschichte
d. Phil. des Mittelalters, 1864-66, vol. II, p. 1098; Leibnitz, Monadologie,
47. Divisibilità. T. Theilbarkeit; I. Dirinibility; F. Divi sibilité. La
proprietà di un essere di poter venire scomposto in un certo numero di parti.
Si suol distinguere la divisibilità fisica dalla matemation: questa, essendo
una pura operazione mentale, non ha limiti assegnabili ed è quindi indefinita;
quella invece è definita, ciod può avere dei limiti, arrivando un punto in cui
non è più praticabile. Secondo l’atomismo la divisibilità dei corpi è
concretamente limitata, in quanto essi consistono di parti ultime indivisibili,
atomi. Per Cartesio, dalla incapacità del nostro intelletto a rappresentarsi
una divisibilità i finito, non segue che essa non debba realmente darsi.
Secondo Spinoza la sostanza infinita è indivisibile, e non si può concepire con
verità nessun attributo della sostanza, dul quale risulti che la sostanza possa
essere divisa »; infatti, la sostanza così concepita sarebbe divisa in parti,
che © conserveranno la natura della sostanza, 0 non la conserveranno: nel primo
caso ogni parte dovrebbe essere infinita, e causa di ad, ο costituita da un
attributo speciale, cosicchè da una sola sostanza si potrebbero costituirne
molte, il che è assurdo, e di più le parti così ottenute non avrebbero nulla di
comune col tutto da cui provengono, e il tutto potrebbe esistere secondo lo suo
parti; nel 827 Div socondo caso ne risulterebbe che,
dividendo tutta In sostanza in parti uguali o disuguali, essa perderebbe la
natnra della sostanza ο cesserebbe di esistere. Secondo Hobbes lo spazio e il
tempo non sono divisi all’ infinito, ma si dà soltanto un minimum divisibile.
Secondo Leibnitz il continuo è divisibile all’ infinito, cosioch® non esistono
atomi ma monadi spirituali inestese. Berkeley combatte l’idea della
divisibilità infinita, perchè è una palese contraddizione dire che una
estensione o una grandezza finita constino di infinite parti »; quando noi
diciamo che una lines è divisibile all'infinito, intendiamo solo una linea di
lunghezza infinita. Kant rappresenta il dibattito sotto forma di antinomis, la
seconda delle antinomie della ragione: tesi: ogni sostanza composta consta di
parti semplici, ο non esiste nel mondo che il semplice 0 ciò che di esso si
compone; antitesi: non esiste alcuna cosa semplice nel mondo. Kant risolve
questa, al pari della precedente antinomia, affermando che spazio, tempo,
semplicità, complessità sono soltanto determinazioni che hanno valore per la
cosa in quanto fenomeno, cosicchè il principio del terzo escluso perde il suo
valore quando si faccia oggetto della conoscenza qualche cosa che non può mai
diventar tale, come 1’ universo. Cfr. Aristotele, Phye., III, 7, 207 b;
Spinoza, Ethios, 1. I, teor. ΧΙΙ, x11; Hobbes, De corp., ο. 7, 13; Berkeley,
Prinoipl., ΟΧΧΙΝ segg.; Kant, Krit. d. reinne Fern., ed. Reolam. Divisione. Gr.
Ataigesig; Lat. Divisio; T. Hinteilung : 1. Division; F. Division. L'operazione
logica per mezzo della quale si determina l’ estensione di un concetto,
enumerando gli oggetti a cui si riferisce. Essa consiste in una proposizione in
cui il soggetto (dividendo) è il genere, e il predicato 1’ enumerazione delle
specie contenute sotto quel genere. Perchè l'operazione sia perfetta, occorre
che i membri dividenti esauriscano tutta l'estensione del diviso e che il
concetto da dividersi possegga una nota, detta funDiv-Doc 328
damentum divisionis, la quale sia suscettibile di varietà. So questo
fondamento è preso tra le note essenziali del concotto, la divisione dicesi
naturale, so è preso tra le accidentali artificiale. Dicesi divisione del lavoro 1’ organizzazione
economica in cui il lavoro totale da compiere è ripartito tra i cooperatori, in
modo che ciascuno compin sempre uno stesso genere di lavoro, per il quale
acquista così una abilità particolare. Il
Rosmini chiama sofisma dell’ assurda divisione quello in cni cadde Zenone quando
sostenne che, se un moggio di miglio cadendo in terra manda rumore, dove
mandarlo anche ogni granello di miglio; ed il Leibnitz. quando pretese che, se
peroepiamo il fragore del mare, dobbiamo percepire anche quello d’ ogni goccia
d’acqua che lo compone. Cfr. Hamilton, Lectures on logic, 1860, 11, 32 segg.;
Wundt, Logik, 1898, II, p. 40; Rosmini, Logica, 1853, pe 384 κ. (v. sorito,
nota, dicotomia, tricotomia, suddivisione, codivisione). Divisivi (giudizi).
Forma di giudizio composto, che esprime la risoluzione completa del concetto
del soggetto nelle sue parti; ad es. i lingnaggi sono parte monosillabici,
parte agglutinanti, parte a flessione. Possono essere divisivi anche i giudizi
ipotetici, e tanto nell’ ipotesi come nella tesi, indicando nel primo modo in
quanti casi la tesi è vera, nel secondo a quale condizione è sottoposto nn
certo numero di cose o di eventi: es. 1° se un uomo sente rimorso per il male e
compiacimento per il bene fatto, è responsabile delle proprie azioni; 2° se un
animale è vertebrato, possiede uno scheletro interno cartilaginco od osseo, una
colonna vertebralo, un tubo intestinale complesso, sangue rosso che circola
entro vasi e simmetria bilaterale evidente. Docta ignorantia. Espressione resa
celebre da Nicola Cusano, per il quale l’uomo, di fronte alla vera essenza
delle cose non possiede che congetture, cioè solo i modi di rappresentazione
che scaturiscono dalla sua propria natura;
329 Dor la conoscenza di questa
relatività di tutte le affermazioni positive, il sapere del non sapere, come
primo gradino della dotta ignoransa, è l’unica via per arrivare alla comunione
conoscitiva inesprimibile, indesignabile, immediata con I’ Essere vero, cioè
con la divinità. Dio infatti, mancando di attributi positivi, non può essere
conoscinto che in questo modo: 44 hoc ductus sum, ut inoomprohensibilia
incomprehensibiliter amplooterer in doota ignorantia.... Supra igitur nostram
apprehensionem in quadam ignorantia nos doctos case convenit. Perciò la doota
ignorantia è la perfoota soientia. L'espressione era già stata adoperata da 8.
Agostino, 8. Bonaventura e in genere da tutti i teologi che, nella
determinazione dell'essenza divina, adottavano la teologia negativa. Cfr. N.
Cusano, De doota ignorantia, ed. P. Rotta, 1913, 1, 26; II pref.; III, peror.;
P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa nei suoi rapporti storici, 1911 (v.
agmostiolemo, Dio, teologia). Dolore. T. Schmerz; I. Pain; F. Douleur, Uno dei
due poli opposti del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto forma di
piscere o di dolore e nel numero infinito degli stati intermedi che li
ricongiungono. 11 dolore’ e il piacere, essendo dati immediati della coscienza,
sono per sè stessi indefinibili; soltanto se ne possono stabilire le cause 6 le
condizioni. In generale, il dolore dipende dalla intensità degli stimoli;
quando l’ eccitazione è troppo intensa, cosicchè essa passa il limite di
adattamento dell’ dividno, si ha uno stato di dolore determinato dall’
alterazione dei tessuti. Oltre che da eccesso di funzione, il dolore può essere
anche determinato da innzione di un organo, cioò da mancanza di funzione ; lo
Spencer ha chiumato questo dolore negativo, il primo dolore positivo. Va notato
però che, mentre per alcuni psico-fisiologi, Lotze, Wundt, Richet, ecc., gli
stessi nervi ed organi di senso che servono per le sensazioni cutanee sono
capaci di destare sensazioni di dolore, per ultri, come Milnsterberg, Frey,
KieDor. 330 sow, esistono invece nella cute terminazioni
nervee speciali, © nel sistema nervoso centrale apparati sensitivi distinti per
le sensazioni di dolore. Gli studi più recenti tendono à far prevalere quest’
ultima dottrina, che si bass specialmente su queste constatazioni : a) nell’
uomo può scomparire per cause anormali la sensibilità dolorifica, restando
integre le altro modalità specifiche del senso cutaneo ; d) alcune regioni
della cute mancano del tutto di punti dolorifici, tantochè non reagiscono con
sensazioni di dolore neanche con l'applicazione di stimoli meccanici od
elettrici assai intensi; ο) la soglia della sensibilità per gli stimoli
dolorifici è diversa, ossia più alta o più bassa, di quella per gli stimoli
meccanici. La sede anatomica del dolore sarebbe, secondo alcuni, il midollo
allungato, secondo altri il midollo spinale: ad ogni modo, per avere una
sensazione di dolore è necessario che l’ eccitazione sia trasmessa nd un centro
nervoso da una fibra afforente; ove queste fibre mancano (cervello, polmoni,
ecc.) si può avere qualsiasi alterazione senza che ossa sia avvertita come
dolore. In gonerale, i tessuti organici interni posseggono una sentà al dolore
minore degli esterni. Il dolore suscitato du uno stimolo lungo il decorso di
una fibra, viene riferito alla periferia, e non solamente allo parti malate ma
anche alle vicine; questa proprietà di érradiarei del dolore, ne rende
difficile la localizzazione. Diconsi appunto dolori riflessi quelli
erroneamente proiettati alla superficie corporea dagli organi interni malati;
questo fatto, già osservato dal Lange, fu ampinmente studiato dallo Head, che
formulò la legge seguente: Quando uno stimolo doloritieu viene applicato ad un
punto poco sensibile, il quale sia in intima connessione centrale con un altro
punto più sensibile, il dolore che si desta è sentito più intensamente nella
sede di maggiore sensibilità, invece che là ove la sensibilità è minore © in
cui lo stimolo fu effettivamente applicato ». Le principali modificazioni
fisiologiche accompa 331 Dom guanti il
dolore sono: diminuzione delle fanzioni vitali, rallentamento dei battiti del
cuore, turbamento delle funzioni digestive, brevità delle inspirazioni, arresto
dei movimenti v agitazione motoria. Però la sensibilità dolorifien non è uguale
in tutti gli animali; alcuni negano che essa esista negli infimi, mentre è
certo che aumenta proporzionalmente all’ elevarsi della loro struttnra fino a
raggiungere il suo massimo nell’ uomo; perciò il dolore è considerato come una
funzione della intelligenza, una sovrapposizione psichica ai riflessi
protettivi subcoscienti. La distinzione comune tra dolore fisico e dolore
morale si considera illegittima, essendo entrambi da un lato fatti fisici e
organici (in quauto anche il dolore morale implica un processo fisiologico
corrispondente) e dall’ altro fatti psichici, in quanto non sono conosciuti che
come stati di coscienza. La sola differenza è nella complessità: il primo
infatti è semplice ο risulta da sensazioni immediate (ad es. il dolore dei
denti), il secondo è inveoe indiretto e accompagnato da un certo numero di
rappresentazioni e di ricordi (sd es. il rimorso). Cfr. Wundt, Grundries d.
Psyohol., 1896, p. 55; Killpe, Grundriss d. Peyohol., 1893, p. 93; Kiesow e
Penzo, trchi für Payohologie, vol. XVI, 1910; Höffäing, Peyohologie, trad.
franc. 1900, p. 294 segg.; Penzo, Atti della R. Aco, delle Scienze di Torino,
vol. LXV, 1911; I. Ioteyko, Peycho-physiologie de la douleur, 1908 (v. piacere,
male, sentimento). Domma (da δόγμα, che significava da principio semplicemente
opinione plausibile e poscia le decisioni politiche dei re o delle assemblee
popolari). T. Dogma; I. Dogma; F. Dogme. Nel suo significato comune questa
parola designe una opinione imposta da un'autorità collocata al di fuori © al
di sopra d’ogni critica e d'ogni esame. Nella religione cristiana il domma è
una verità rivelata ds Dio © come tale direttamente proposta dalla Chiesa alla
nostra credenza. La rivelazione, sorgente del domma, è sia quella Dom 332
completamente esplicita, manifestante la verità divina nel suo proprio
concetto, sie quella parzialmente esplicita ο implicita, che contiene οἱοὺ le
verità stesse come parti costitutive ina non le fa conoscere formalmente.
Perchè una verità rivelata sin un domma, deve essere proposta direttamente da
una definizione solenne della Chiesa o dall’insegnamento del sno magistero
ordinario 6 universale; suo carattere fondamentale è l’immufabilità, per cui
deve ri. manere fino alla fine dei tempi senza subire nel suo contenuto alcuna
modificazione sostanziale. Essendo comunicato al? uomo da Dio stesso. il domma
fornisce una conoscenza obbiettiva delle verità divine. Contro questo carattere
di obbiettività, lo Schleiermacher prima, poi il Ritschl, il Sabatier, ece.,
sostennero che la rivelazione divina è in ogni uomo un fatto di esperienza
intima, e il domma un’ imagine ο un simbolo che traduce approssimativamente i
sentimenti dell’ individuo ο esprime, In via media, le impressioni degli
individui formanti una comunità, ed è quindi essenzialmente mutabile. Tra i
cattolici, il Loisy considera i dormi como una semplice interpretazione dei
fatti religiosi e la riveluzione come la coscienza acquisita dall’ uomo dei
suoi rapporti con Dio; il Laberthonnière ammette l’esperienza religiosa come
sorgente prima di tutte le verità religiose e considera la rivelazione come una
conoscenza di Dio nella nostra stessa realtà vivente; il Le Roy attribuisce al
domma un puro senso negativo, in quanto esso esclude © condanna certi errori
piuttosto che non determini certe verità, e un valore essenzialmente pratico,
in «quanto enunoia delle prescrizioni di condotta. Cfr. G. Goyan, L'Allemagne
religieuse, 1898, p. 96 segg.; Loisy, Autour Wun petit livre, 1903, p. 195
segg. ; Id., Quelques lettres den questione actuelle, 1908, p. 162;
Laberthonnière, Essai de phil, religieuse, 1908, p. 120; Le Roy, Dogme et
critique, 1907, p. 6-15; Ch. Guignebert,
L’érolution dee dogmes, 1910 (v. fideimno, immanentiemo, modernismo,
ecc.). 338 Dom Dommatica oristiana. È 1’ insieme dei
dommi su cui poggia la religione cristiana, e che vennero preparati, definiti ο
sviluppati dai Padri della Chiesa, dai Concili o dai Papi. Essi si possono
ridurre a tre fondamentali: Gesù è uomo e Dio; Dio è uno e trino; l’uomo,
caduto per effetto del peccato, è redento per mezzo della grazia. Gli altri
dommi non hanno che una importanza secondaria ο sono semplici corollari di
questi tre. Dommatismo. T. Dogmatismus; I. Dogmatiem ; F. Dogmatisme. Nel
linguaggio comune indica la tendensa a considerare come assolutamente vere le
proprie opinioni, a non accettare su di esse alcuna discussione, rigettando a
priori come false tutte le opinioni opposte.
Inteso come metodo, il dommatismo consiste nel partire da principii
aprioristiei, sui quali non si ammette dubbio nd discussione, e ricavarne delle
conseguenze senza curarsi se sono 0 no d’accordo coi fatti e con l’esperienza.
Questo metodo fu in onore specialmente nella filosofia scolastica. Nella dottrina della conoscenza si adopera il
termine dommatiemo in opposizione a sosttioismo © misticismo ; il primo, cioè
il dommatismo, ammette la possibilità della scienza, vale a dire la possibilità
di conoscere la realtà qualo essa è; il secondo la pone in dubbio e crede
quindi che l’ uomo debba astenersi da qualsiasi affermazione; il terzo afferma
che la verità è bensì conseguibile dall’ uomo, ma purchè egli, abbandonato I’
uso della ragione, sappia assorbirsi tutto nella contemplazione della divinità
(cioè della verità suprema) perdendo il sentimento della propria esistenza. Il
oriticismo, sorto con Emanuele Kant, ruppresenta un’ attitudine intermedia tra
il dogmatismo ο lo scetticismo : la critica, dice Kant, non è opposta al
procedimento dogmatico della ragione nella conoscenza pura in quanto
scienza.... ma al dogmatismo, cioè alla pretesa di avanzarsi in una conoscenza
pura ricavata da semplici conoetti (la conoscenza filosofica) appoggiandosi su
principî che In ragione impiega Dor
334 da lungo tempo, senza
ricercare in qual modo e con quale diritto essa è arrivata ad affermarli ». Alonni distinguono il dogmatismo propriamente
detto, positivo, dal dogmatismo negativo, ο scetticismo; la filosofia antica è
sempre dogmatica, in un senso © nell’ altro, © in ciò si distinguo dalla
filosofia moderna. Dicesi dogmatismo
morale quella forma di prammatismo sentimentalistico, la quale afferma che:
tutte le nostre conoscenze spontanee sono l’ espressione dei nostri desideri,
delle nostre azioni ; tali conoscenze servono a proporre alla nostra attività
morale dei problemi che, secondo la solazione volontariamente scelta,
determinano dei nuovi stati, una nuova attitudine intellettuale; il valore metafisico
o realistico della nostra conoscenza è dunque legato alla maniera morale con
cui noi ci comportiamo riguardo ad esseri, che non subordiniamo al nostro
egoismo, ma trattiamo come fini in sò atessi. Cfr. Ch. Wolff, Philos.
rationalis, 1732, § 40; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed, Reclam, p. 46 segg. ;
Laberthonnière, Le dogmatieme moral, in Essais de phil. religieuse », 1908, p.
76 (v. oriticismo, neooritioiemo, realismo, idealismo, solipeiemo, conoscenza,
ecc.). Dottrina. T. Lehre; I. Dootrino; F. Doctrine. Nel suo significato più
generale designa il complesso degli insegnamenti d’ uno scienziato, d’ un
filosofo ο d’ una scuola acientifica o filosofica, Si distingue perd da
sistema, che è un organismo ideale in cui le parti sono logicamente coordinato
fra loro 9 subordinate ad un principio generale, e da teoria, che ha valore
propriamente speculativo mentre la dottrina può averne anche uno pratico. Kant distingue In dottrina dalla critica:
questa ha per oggetto di determinare il valore e la portata delle nostre
conoscenze a priori, ossia puramente razionali; quella le raccoglie in un sol
tutto e le coordina in un sistema. La dottrina si distingue alla sua volta in
metafisica della natura, che considera i principi della ragione nella loro
applicazione al mondo esteriore, © metafisica dei costumi, cho li considera
mella loro applicazione alle nostre azioni. Nella dialettica trascendentale
Kant dimostra che nè la psicologia razionale, nd la teologia razionale, nè la
cosmologia razionale sono possi bili come dottrine ma soltanto come discipline,
poichè sin V idea psicologica, che la teologica e la cosmologica sono principi
regolativi, non mai costitutivi. Nella
teologia per dottrina s'intende: a) oltre l’ insieme delle verità dogmatiche,
anche 1’ insegnamento non rivelato, oggetto non di un atto di fede ma di
assentimento fermo, che la Chiesa definisce come necessario per la difesa ο 1’
esplicazione delle verità rivelate; 5) ciò che la Chiesa non definisce
esprersamente, ma solo loda o raccomanda come utile per la proposizione dell’
insegnamento rivelato. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 18 segg. Dovere (τὸ dioy= l’obbligatorio). T. Pflioht ; I. Duty; F.
Devoir. Non è altra cosa che
l'obbligazione morale, ο, come tale, è implicito nell’ idea di giustizia, in
quanto questa ha una efficacia diretta sul soggetto. In senso concreto un
dovere è una regola determinata d'azione, una obbligazione definita. Nella
storia della filosofia il concetto del «dovere comincia ad essere determinato
con gli stoici; esso si presentò loro necessariamente, in quanto riconducevano
l’attività particolare alla legge generale della natura e quindi l’attività
appariva prescritta dalla legge. Essi distinguevano due specie di doveri,
assoluti © medi, corrispondenti alle due specie di beni: quantunque solo il
bene sia comandato incondizionatamente, tuttavia può essere moralmente’
consigliabile anche ciò che è desiderabile. Dico Cicerone: Porfeotum ofleium
rectum, opinor, vocemus, quoniam Grasci κατόρθωμα, hoc autem commune officium
vocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfeotum esse
definiunt; medium autem officium id ease dicunt, quod cur faotum sit, ratio
probabilis reddi posit. La più comune ed antica classificazione dei doveri è
quella fatta a seconda dei loro oggetti: verso noi stessi, verso i nostri
simili, verso Dio. Fra i primi sono quelli verso la nostra integrità fisica ο
psichica, verso la nostra costituzione organica, intellettuale, morale; fra i
secondi, quelli verso la famiglia, verso la società, verso lo Stato, o di
fratellanza morale verso le altre nazioni, cioè doveri internazionali. Altra
classificazione importante è quella in doveri atretti ο perfetti, © doveri
larghi ο imperfetti; i primi sono quelli che non lasciano alcuna libertà nella
applicazione, i secondi quelli la cui applicazione è lasciata invece all’
apprezzamento dell’ individuo. Si distinguono anche i doveri positivi, che
consistono in azioni che si devono compiere, dai negativi, azioni da cui si
deve astenersi. Ricordiamo infine la distinzione fondamentale fra doveri
giuridici, che sono imposti dalle leggi, si appoggiano sulla forza, ed hanno
una sanzione definita nelle leggi punitive, e doveri morali, che hanno una
sanzione indefinita nella pubblica opinione © nella coscienza dell’ individuo.
Dicesi materia 0 contenuto del dovere l’atto che si deve compiere, e forma il
carattere di necessità pratica che tale atto riveste nella nostra coscienza.
Per Kant la materia del dovere si deduce dalla sua forma; il dovere è infatti la
necessità di faro un'azione per rispetto alla legge, ο dn qui sgorga la suprema
legge morale, ossia 1’ imperativo categorico, cho si formula così: agisci in
modo che la massima della tua azione possa diventare una norma universale di
condotta. Ma perchè siavi una legge che comandi senza eccezione, occorre che
siavi in natura qualche cosa di valore assoluto, che cioè si imponga sempre
come fino; tale è l’uomo, unico essere ragionevole della natura; perciò
l'imperativo categorico si modifica così: agisci in maniera da trattar sempre
I’ umanità come fine, sis nella tua che nell’ altrui persona, © dn non
servirtene mai come mezzo, Occorre ancora che la volontà dia la legge a sò, sia
autonoma, perchè solo a tal patto accetterà la legge senza alcun altro interesso;
da ciò la terza formola doll’ imperativo categorico : opera in modo 337
Dua che la tua volontà possa considerare sè stessa come dettante, con le
sue massime, leggi universali. Per Fichte V’Io è la volontà morale e il mondo è
il materiale sensibile del dovere, ossia tale che in esso noi possiamo essere
attivi; quindi non l'essere è la causa dell’ agire, ma per l'agire 1’ essere è
sorto, ο tatto ciò che è non pnd concepirsi se non per ciò che dere essere: L'unico
sicuro e definitivo fondamento di tutte le mie conoscenze è il mio dovere.
Questo è l'in #è intelligibile, che, mediante la legge della rappresentazione
sensibile, si converte nel mondo dei sensi ». L’urto (Anstoss) che ci obbliga a
porre il mondo esterno, non è altro che il nostro dovere, o il mondo stesso il
materiale per l’attività della ragione pratica. Per l'Ardigò l’imperativit del
dovere ha la sun ine naturale nella impulsività delle idealità sociali,
mediante un processo formativo di cui non s’accorge l’individuo, il quale solo
avverte la formazione già compiuta ed è perciò indotto a credere nella
primitivita del sno rentimento del dovere; in breve, l'obbligatorietà del
dovere non è che la ricordanza assommata e indistinta, ma inevitabile, del
dolore incontrato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci; il dovere
morale nasce quindi dal dovere giuridico, fino a diventare una forma
contitutiva della psiche dell’ individuo, avverandosi così il fatto, che sembra
paradossale, del convertirsi dell'attività volontaria da fondamentalmente egoistica,
qual'è da principio, in virtà disinteressata. Cfr. Diogene L., VI, 1, 107-109;
Cicerone, De ofleis, I, 3, $ 8; Kant, Arit. d. prakt. Vern., ed. Reolam, p. 103
segg.; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 224; G. Marchesini, La dottrina
positiva delle idealità, 1913, p. 93 segg.; Ardigò, Op. /l., III, p. 132 segg.
(v. autocoscienza, autonomia, dialettica, etico, idealismo, moralismo, realtà).
Dualismo. T. Dualiemus; I. Dualism; F. Dualisme. Si oppone a monimo, e designa
qualsiasi dottrina, sia filo22 RaxzoLi,
Dision. di scienze filosofiche. Dua
338 sofica che religiosa, che
spiega o un dato ordino di cose © di fatti, o tutto l'insieme delle cose © dei
fatti, I’ universo, come la risultante di due principi, di due tendenze, di due
canse distinte ed opposte, ο perciò irredueibili 1’ una all’ altra. Un dualismo
religioso è la religione di Zoroastro, che attribuisce tutti gli avvenimenti
del mondo alla lotta di dne potenze contrarie, primitive, eterne, indipendenti
l'una dall'altra, di cui l’una, Ormurd, è l’autore del bene, l’altra, Abrimane,
del male. Il dualismo filosofico, qnale fu inteso dai filosofi greci, da
Pitagora a Platone, da Aristotelo agli stoici, consiste nel considerare
l’origine ο la natura dell’ universo mediante due principi ο sostanze affatto
opposte: la materia, assolutamente amorfa e passiva, © lo epirito, potenza
attiva ed animatrice. Dicesi dualismo spiritualistico la dottrina, posta sotto
forma precisa da Cartesio, che considera l’anima ο il corpo come due sostanze
etorogenee, agenti reciprocamente l’ una sull’ altra, Questa dottrina, detta
anche dell’ influsso fisico, si oppone alle vario forme di monismo, sia
spiritualislico : il corpo non è che uns forma ο un prodotto d’ uno ο più
esseri psichici ; sia malerialietico : l’anima non è che una forma ο un
prodotto del corpo; sia pricofisico : l’ anima © il corpo non sono che due
aspetti differenti di un solo e medesimo essere. Nella teoria della conoscenza
dicesi dualismo ogni dottrina che faccia originare le nostre conoscenzo da due
fonti; ad es. quella del Locke, che dalla sensazione fa derivare la conoscenza
del mondo corporeo, dalla riflessione In conoscenza dolle attività dello
spirito. Spesso il términe dualismo è adoperato in opposizione a naturaliemo ©
a panteismo, per indicare la dottrina che pone due ordini distinti di realtà :
una spirituale, trascendente, eterna, senza causa, l'altra, che della prima è
un riflesso, materiale, temporanea, creata. Cfr. Th. Hyde, Historia rel. ret.
Pers, 1700, ο. 9; Cartesio, Princ, phil., I, 60; L. Stein, Dualiemus oder
Moniamua, 1909 (v. anima, coscienza, manicheiemo, parallelirmo). 339
Dus Dubbio. T. Zweifel; I. Doubt; F. Douts. Lo stato di perplessità in
cui trovasi l'intelligenza quando rimane sospesa senza negare nè affermare. Il
dubbio presuppone l’esistenza di due gindisi contradditori, considerati
entrambi come possibili, tali cioè che nessuno dei due porsegga ragioni
sufficienti per essere aocettato ο respinto. Il dubbio si oppone alla certessa,
che è una persnasione ferma conforme alla verità, © ni distingue dalla
probabilità, che è una specie di avviamento alla certezza. Si distinguono due
sorta di dubbio: quello assoluto ο definitivo, che è il vero e proprio dubbio
scettico, e non ammette possibilità di conoscenza e di soienza; quello
provvisorio, o metodtoo, © filosofico, che, da Cartesio in poi, è divenuto il
‘principio fondamentale del metodo scientifico, e consiste nel respingere
qualsiasi opinione anteriormente accettata, 80spendendo ogni giudizio fino che
la verità non siasi imposta allo spirito con evidenza assolata. I! dubbio
metodico trovasi già in Socrate: opponendosi al dubbio scettico dei sofisti,
che riguardava la possibilità della scienza e la realtà delle cose, egli
proolama la necessità di sottoporro a revisione ogni opinione, per antica ed
antorevole che sia, per eliminarne le contraddizioni, correggerla, completarla:
così il dubbio, che nella sofistica era stromento di distruzione dell’ antica
filosofia, diventa con Socrate il punto di partenza della filosofia nnova. Più
tardi, anche 8. Agostino cerca la via della certezza attraverso il dubbio, e le
stesse teorie scettiche gliene aprono la via; dubitando, egli dice, io
dubitante so di esistere, di ricordare, di conoscere, di volere, perchè il
dubbio contiene gid in sè la preziosa verità della realtà doll’ essere
cosciente, e le ragioni del dubbio si fondano sulle nostre rappresentazioni
anteriori, ο nella valutazione dei motivi del dubbio si sviluppa il nostro
sapere, il nostro pensare, il nostro giudicare, Analogamente per Cartesio, la
ricerca è figlia del dubbio © generatrice della conoscenza e delle convinzioni
salde © coDus 340 scienti. Nel Discorso sul metodo ogli dice
come dal dubbio gli sia derivato il primo impulso alle sue meditazioni : tot
enim mo dubiis totque erroribus implicatum coso animadverti, ut omnes diacendi
conatus nihil aliud miki profuisse judicarem, quam quod ignorantiam meam magis
magisque detezisse. L'unica via di liberazione dal pregiudizio ο dall’ errore,
che ingenerano il dubbio, è questa: non aliter videmus posse liberari, quam si
semel in vita, de ite omnibus studeamus dubitare, in quibus vol minimam
inoortitudinia euspicionem reporiomus. Il dubbio deve in primo luogo attaccare
le cose sensibili © la loro esistenza, invadere le dimostrazioni matematiche e
i loro principî, non risparmiare alcuna delle nostre conoscenze, finchè non
incontri un limite insuperabile in sè stesso, il dubbio, dellaycui esistenza
non è possibile dubitare; e da questo punto fermo cominois in Cartesio, col
cogito ergo sum, tutta la fase ricostrattiva delle conoscenze chiare ο distinte
non più attaccabili dal dubbio. Si suol
distinguere anche il dubbio normale dal patologico, il quale a sua volta è
distinto dal Ribot in dubbio drammatico ο Sollia del dubbio. Il dubbio
drammatico è quello che precede le grandi conversioni (S. Paolo, Renan, ecc.)
ed è costituito da un lavono intellettuale lungo e da principio latente, che
scoppia alla fine col crollo delle credenze antiche © il costituirsi delle
nuove. Cfr. ΒΑ. Agostino, De vita beata, 7; Solil., II, 1 segg.; De rer. rel.,
72 segg.; Cartesio, Specimen philos. seu dissertatio de methodo, 1764, p. 3;
Princ. philos., IV-V; P. Sollier, Le doute, 1909; G. Zuccante, Intorno al
principio informatore e al metodo della filosofia in Soorate, Riv. di fil. »,
febbr. 1904 ; Alemanni, Intorno a una psicologia del dubbio, Ibid., maggio
1908; R. Mondolfo, Il dubbio metodico e la storia della filosofia, 1905 (v.
acatalesnia, autocoscienza, ironia, epooa, testimonianza, achepsi, dommatiamo,
diallelo, dicotomia, tropi). Dubbio (follia del). T. Zweifelsuoht, Grübelsucht
; I. Doubting mania; F. Folie du doute. Stato morboso di perplessità
Duocontinua, che ha tro gradazioni diverse; nel primo il malato si sente
continuamente irresoluto, non sa giungere ad alcun risultato definitivo, è
sempre tormentato dal bisogno di corcare il perchè di tutto, di rivolgersi
domande senza fine (mania del perchè); questa ruminazione psicologica, come la
chiamò il Legrand du Saulle, si traduce poi negli atti, cosicchè il malato non
osa far nulla senza timori, ansie © precanzioni infinite; da ultimo questi
fenomeni possono assumere carattere ipocondriaco, che si rivela con il dubbio
eterno di non poter far nulla, di essere affetti da una malattia cronica, di
aver mancato al proprio dovere, di essere male edncati, importuni, indisoreti.
A seconda poi del contenuto dei problemi, che l’ammalato si propone, si hanno
casi: di dubbio metafisico, quando riguardano l’ essenza delle cose, l’origine
ο il perchè della creazione, οσο. di dubbio realista, quando le questioni
mentali più comuni si riferiscono alla ragion d’ essere di certi organi, perchè
l’acqua bagni, perchè la terra non sia assorbita dal more, ecc.; di sorupolo,
in cui 1 dividuo è nella continna preoceupazione di non aver adempiuto bene ai
propri doveri, o di non aver fatto bene ciò che ha fatto, ο d’ essere
responsabile di qualche sciagura tocestn alla propria fantiglia, Cfr. Legrand
du Saulle, La Jolie du doute, 1875; Ribot, Les maladies de la volonté, 1883, γ.
60 segg. Duodinamismo. Quel sistema vitalistico, che spiega il fenomeno della
vita come il prodotto di an principio o anima distinta dagli organi corporei
non solo, ma anche dal!’ anima pensante. Esso si trova per la prima volta in
Platone. Le dottrine sue furono poi riprodotte da Galeno, e, più tardi, da
Bacone, Gassendi, Buffon. Tra i filosofi moderni il duodinamiemo, variamente
modificato, fu wguito specialmente da Maine de Biran, Jouffroy, Ahrena (v.
animismo, archeismo, meccanismo, elettrovilaliemo, vita, protoplasma,
vitaliemo). Der 342 Durata. T. Dauer; I. Duration; F. Durée. Di
solito indica il tempo in cui avviene un fenomeno senza interruzione, ossia una
lunghezza determinata, costituita dai mutamenti continui della successione; |’
interruzione della durata di un fenomeno dicesi intervallo. Invece gli
scolaatici, ispirandosi al concetto comune, secondo il quale una coss che dura
non cambia e non ha quindi, in quanto dura, nè prima nè poi, intendevano la
durata come un permanere in ezistentia. Essi distinguevano la duratio
intrinseca, che è In permanenza della coss nell’ esistenza sua, ossia
l’esistenza perseverante, dalla duratio extrinseoa, che à il movimento del
primo mobile, da cui sono regolate le durate intrinseche. Per Spinoza è la
continuazione indefinita dell’esistenza » ; per Locke è l’ intervallo tra l’
apparire di due rapprosentazioni nella coscienza ». Per Cartesio la durata si
distingue dal tempo, in quanto questo non sarebbe altro che la misura della
durata di un fonomeno, o la parte della duruta, durante la quale un fenomeno avviene:
quindi il tempo sarebbe una cosa soggettiva, la durata avrebbe uno realtà
oggettiva, in quanto le cose realmento durano. Leibnitz oppono il tempo alla
durata come lo spazio alla estensione: la durata è l’ordine di successione tra
percezioni reali, come la massa estesa è ens per aggregationem, sed ex
unitatibue infinitis; il tempo è invece un continuum quoddam, sed ideale, in
cui possono essere prese frazioni pro arbitrio. La genesi delle due nozioni è
inversa: in aotualibus nimplicia aunt anteriora aggregatis, in idealibue totum
est prius parle. Per Clarke il tempo è una durata senza principio ο senza fine
nella quale si succedono i fenomeni »; da cui seguo che la anecesione è il
rapporto delle durate finite comprese nella durata infinita del tempo, e che il
tempo è metatisicumente anteriore alle durate successive che lo riempiono. Per
Cristiano Wolff è la eristentia. qua rebus pluribus nuocemivis quid cœnietit,
veu eristontia rimultanea cum rebus pluribus xuccesiris ». Per Berkeley la
durata di uno spirito 343 Dur finito deve essere valutata secondo il
numero delle idee 0 delle attività che in esso si succedono |’ una all’ altra
». Anche per Hume la rappresentazione della durata discende sempre dalla
successione di oggetti matabili e non può mai essere introdotta ‘nello spirito
da qualche cosa di uniforme © di immutabile >. Per Kant il permanente (das
Beharrliche) è il sostrato della rappresentazione empirica dello spazio; mediante
il permanente soltanto 1’ essere ricevo quella grandezza costituite dalle
diverse parti della serie temporale, che si chiama durata ». Per il Boirno la
durata in abetraoto è la concezione della possibilità di successioni nelle
cose, perchè, senza un rapporto con la successione, la durata non sarebbe
misurabile e xi confonderebbe con l’esistenza; la durata concreta involge, di
più, un rapporto di simultaneità col successivo, ossia il permanere identico
della cosa, mentre le altre cose mutano. Per il Bergson la durata si oppone al
tempo in quanto la prima è il carattere stesso della successione, quale è
immediatamente appresa dalla coscienza, mentre il secondo è l’idea matematica
che noi ce ne facciamo per ragionare e comunicare coi nostri simili,
traducendola in imagini spaziali ; quindi In durata è per lui il tempo
concreto, il tempo reale, costituito da una pura successione di cangiamenti
qualitativi senza alcuna tendenza ad esteriorizzarsi gli uni rispetto agli
altri, senza alcuna parentela col numero, l'hétérogeneité pure sane aucune
parenté aveo le nombre. Cir. Suarez, Metaph. disputationes, 1751, 50, 1,1;
Spinoza, Cog. metaph., I, 4; Ethica, 1. II, def. 5; Locke, Ese., II, cap. 14, $
3; Cartesio, Princ. philos., I, 57; Leibnitz, Nouv. Een, II, cap. 14; Letiren de
Leibnitz οἱ de Clarke, ed. Janet, t. II, p.
647; Ch. Wolf. Philosophia prima, 1736, $ 578; Berkeley, Prino., XCVIIL; Hume,
Treat., Il, ser. 3; Kant, Krit. d. reinen Vern., p. 176: Boirac, L'idée du
phénomène, 1894, p. 128 segg.; Bergson, Essai sur lee données imm. de la
conscience, 1904, p. 74-78 (v. aevum, cangiamento, istante, mobiliemo. tempo). Ebk-Ecc
344 E. Nollu logica formale si
adopera per designare la proposizione universale negativa (nessun 4 è B), e,
nelle proposizioni complesse e modali, 1’ affermazione del modo e la negazione
della proposizione. Nella dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del
predicato, designa la proposizione toto-totale negativa (nosrun 1 è nessun B). Cfr. Hnmilton, Lectures on
logic, 1860, app. II, p. 288. Ebefrenia. T. Hebephrenie; I. Hébéphrénie. Una dello forme sotto cui si manifesta la
demenza precoce. Compare soltanto nell’ età giovanilo e più frequentemente
nell’ nomo che nella donna. Ha gradazioni che vanno da disturbi insignificanti
dell’ intelligenza ο dell’ affettività alle alterazioni più profonde della
psiche, manifestantesi con allucinazioni e idee deliranti malinconicho,
esaltamenti improvvisi, movimenti senza scopo e sonza ordine, logorrea. Il
curattere più tipico dell’ ebofrenia è 1’ indifferenza assoluta per l’ambiente,
verso il quale il malato uon reagisce che debolmente e lentamente. Cfr.
Daraszkiewiez, Ueber Hobephrenic, 1892 (v. demenza, oretinismo, idiotiamo,
imbecillità). Bcoeità. T. Diesheit; I. This-nes; F. Eoceité. Giovanni Dune
Scoto opponendosi a 8. Tommaso, che poneva la forma intellettiva come base
della individualità, sostenne che la sorgento vera della individuazione non
consiste in determinazioni accidentali ed esteriori, ma nel profondo stesso
della ossenza, in una ultima realitas, che nella persona umana è la volontà.
Questa ultima e profonda nota differenziule, che si può solo constatare come
attuale ma non derivare da una ragione universale, che trascende la conoscenza
οἱ è peroiò indefinibile, fu detta dagli scolari dello Scoto haccoeitas, o anche
ecocitas : exsu è la traduzione del τὸ τοδέ τι di Aristotele, e, per quanto sia
intraducibile, come indefinibile è la realtà, si potrebbe tradurre come: 345
Ecc questa cosa qui, il qui. L’ecceità degli Scotisti si contrappone
alla quidditä dei Tomisti, che è perfettamente traducibile. Cfr. Prantl,
Gesohiohte d. Logik, 1855-70, III, 219, 280; Goclenius, Lex. philos., 1613,
pag. 626. Bocettuative (proposizioni). T. Auenchmend; I. Ezceptive; F.
Ezoeptice, Quelle proposizioni implicite 9 composte, che di un soggetto
generale affermano universalmente un predicato, ad eccezione d’ nna ο più
specie d’ individui. La sua formula è: tutti gli 4, fuorchè a, sono B.
Eccitazione, T. Reis, Erregung; I. Ezoitation ; F. Ezcitation. In generale
significa risvegliare, mettere in azione una forza, ma si usa specialmente per
designare quello stato caratteristico delle cellule nervose, che consiste in
particolari modificazioni di natura ancora ignota, determinate dall’ azione di
speciali agenti che si dicono stimoli. La modificazione costituisce lo stato di
eccitazione; I’ attitudine a subirla costituisce 1) eccitabilita. L’ estremità
delle fibre eccitate dicesi estremità di eccitazione, l’altra estremità cui
l'eccitazione viene trasmessa dicesi estremità d'azione. Il limite minimo di
intensità dello stimolo, che è necessario varcare per ottenere I’ eccitazione,
dicesi soglia della ecoiaumento minimo dello stimolo al di sopra della soglia,
capace di produrre un aumento della eccitazione, dicesi soglia della
differenza. L’ eccitazione nervosa, entro certi limiti, cresce col crescere
dell’ intensità degli stimoli L’ occitazione di una celluls ο di una fibra
nervosa non si può arguire che dai fenomeni da essa provoesti nei centri
nervosi © negli organi periferici (sensazione, contrazione muscolare,
secrezione delle glandole, ecc.) non essendo note le condizioni fisiche e
chimiche che costituiscono lo stato di eccitazione. Il grado di eccitabilità si
desume dal grado della eccitazione prodotta da uno stimolo di intensità inferiore
a quella necessaria per produrre una eccitazione di grado massimo: il grado di
eccitazione xi desume dagli μοι,
946 effetti della medesima. L’
eccitazione si trasmette lungo le fibre, purchè in esse non sis avvenuta alcuna
discontinuità anatomica; tale trasmissione si fa tanto in via centripeta che in
via centrifuga. L’ eccitazione delle cellule nervose può essere di tre forme:
riflessa, prodotta dalla eccitazione d’una fibra centripeta ; automatica,
prodotta dall'azione dei liquidi che bagnano i centri nervosi; prichica,
emozione, volontà, ecc. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, p. 299;
Höffding, Peyohologie, trad. frane. 1900, p. 140 segg.; Richet, Reckerches sur
la sensibilità, p. 42 segg., 168 segg. (v. irritabilità, quantità, atimolo).
Eolettiamo. T. Eklekticismus; 1. Eolecticism ; F. Eoleotime. Sistema che
risulta da un insieme di dottrine sparse nei differenti sistemi e coordinate
armonicamente tra loro; quando la coordinazione manca non si ha più I’
eclettismo ma il sinoretismo. Nella storia della filosofia 1’ eclettismo
comincia a manifestarsi verso la fine del II secolo d. C.; col diffondersi
delle scuole nei grandi rapporti della vita dell’ impero romano, svanì lo
spirito scolastico, venne meno la polemica e sottentrò invece il bisogno dell’
adattamento © della fusione: platonismo, aristoteliamo e stoicismo presero a
base comune la concezione teleologica del mondo per combattere l’epicureismo.
Minore importanza filosotica, ma maggiore importanza storica ebbe 1’ eclettismo
a Roma: accogliendo la filosotia greca i Romani, con criterio essenrialmente
pratico, dedussero 1’ una dopo I’ altra dai sistemi delle vario scuole le
dottrine da loro accettato: così avvenue in Cicerone, in Varrone ο in parte nel
gruppo dei Sestii. Nel pensiero moderno l’eclettismo risorge, oltrechè nei
seguaci del Leibnitz, nella scuola psicologica francese restaurata da Vittorio
Cousin (1791-1867) col nome di eclettica, consolidata dai seguaci di lui col
nome di spiritualiatica: essa ha avuto un dominio quasi incontrastato in
Francia per gran parte del secolo XIX, costituendo la filosofia ufficiale delle
accademie ed avendo a rappresentanti
347 Eco uomini illustri come Jul.
Simon, E. Vacherot, C. Secrétan, Ad. Franck, E. Caro, ecc. Il suo punto di
partenza è il seguente: ogni uomo possiede un senso del vero, che si suol
chiamaro senso comune, ragione, coscienza, spirito umano, ecc. ; esso è
competente ο infallibile rispetto alle verità eterne, che giacciono inconscie
‘e latenti in ciascuno di noi; i sistemi filosofici non sono che frammenti di
codesta verità, portati alla piena coscienza dalla riflessione; dato il grande
numero e la grande varietà dei sistemi filosofici fino ad ora succedntiei, si
può conchiudere che, frammento per frammento, essi hinno portato alla luce
tutta la verità filosofica, la quale dunque esiste oggi sia inconscia nel
nostro senso comune, sia chiara ma dispersa nella storia della filosofia; per
scoprirla non può esserci che un metodo: la storia, unn volta giudicata dal
senso comune, lascerà un residuo che sarà lo stesso senso comune, la verità
allo stato di coscienza piena e chiara. Eclettica quanto alla sua formazione,
per le fonti svariate cui ha attinto, ms esclusiva ο dommatica pel sno fine, di
rinnovare col metodo psicologico la tradizione spirituali stica interrotta dsl
predominio del sensualismo, la scuola eclettica francese ha potuto, in grazia
al suo metodo, frazionarsi in tanti centri minori, senza perdere una costante
intonazione spiritualistica e senza ricorrero ad altra rivelazione che a quella
psicologica. Cfr. Windelband, Geschichte d. Philos., trad. it, 1913, vol. I, p. 203
seg.; Saphary, L'école colootique et V éoole française, 1844; A. Fresnean,
L'éclootisme, 1847; Jouffroy, De l’éolectisme on morale, 1825; P. Junet, Victor
Cousin et son œuvre, 1885, cap. XVII;
De Ruggero, L'eoletiismo francese, Riv. di filosotia », aprile 1910. Boolalis.
T. Echolalie, Echonprache; I. Echolalia, Echophasia; F. Hoholalie. Fenomeno
psicologico che si verifica in alcune malattie mentali, specialmente nella
catatonia, nel? afasio, disfasia, ecc. Consiste in ciò che 1’ ammalato neynists
una tale suggestibilità, du ripetero fedelmente ogni parola che in sua presenza
è pronunciata, ο, in luogo di rispondere alle domande rivoltegli, ripete le
domande stesse. Aleune volte, poi, si dà il caso curiosissimo che Vammalato,
sentendo pronunziare dei numeri in somma, moltiplicazione, oce., non ripeta i
numeri stessi, ma il risultato della operazione. Cfr. Séglus, Les troubles du
langage, 1893; Morselli, Manuale di semejotica. Nel suo significato più generale, si può definire l’ECONOMIA
come la disposizione delle parti di un tutto necessaria n far sì che, con i
minimi mezzi, il tutto medesimo raggiunga una determinata finalità. In questo
senso si può quindi parlare tanto di economia della famiglia, dello Stato,
della società, quanto di economia doll’ universo, del corpo umano, di un
sistema filosofico, di un’opera scientifica ο letteraria. Per coonomia politica
intendesi la scienza dei fenomeni e la determinazione delle leggi che
concernono la distribuzione delle riochezze, nonchò la loro circolazione e
consumazione in quanto questi fenomeni sono lognti a quello della
distribuzione; ο, più brevemente, la scienza dell’ ordine sociale della
ricchezza. Nelle grandi controversie,
sorte prima e dopo la tissazione del dogma cristiano della Trinità, si
designava con questo vocabolo l'uguaglianza delle tre persone in una sola
natura divina. Economica (concezione della scienza). Con 1’ espressione
concezione economica ο biologioa della scienza o della conoscenza, si indicano
tutte quelle dottrine contemporanee, sostenute specialmente da scienziati come
Maxwell, Hertz, Mach, Avenarins, Dubem, Poincaré, eco., che muovono dal
concotto che l’origine e quindi anche l’essenza dell’attività conoscitiva, come
di qualsiasi altra attività e funzione organica, ha il suo fondamento nel grado
d’utilita per l’ organismo, nella rispondenza ad un bisogno vitale; cosicchè le
idee, i principi, lo ipotesi, ecc. non sono se non convenzioni, stro-* menti il
cui valore sta soltanto nel loro grado di utilità 349
Eco © di comodità, non nella loro correlazione con una realtà per sè
stante. E le varie forme di conoscenza, mentre sono in relazione con i nostri
bisogni, rappresentano le vie per agire in modo più efficace e proficno; noi
arriviamo a costrnire i vari oggetti dell’ universo e ne determiniamo le
qualità, le proprietà, le attitudini, riferendoci sempre alle maniere în cui
riescono a farci operare in un modo piuttostooh® in un altro, considerandoli come
occasioni ο motivi della nostra condotta. L’Avenarius, ad esempio, riduce tutto
lo sviluppo della conoscenza al principio delP inerzia ο del minimo consumo
d'energia: l’anima non impiega in una percesione più forza di quella che
necessaria e, quando si trova innanzi a una pluralità di appercezioni, dà la
preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto o con
uno aforeo uguale prodnce un effetto maggiore. Il Mach assegna alla scienza un
solo ufficio biologico, quello ciod di daro all’uomo un orientamento completo
in mezzo al complicato intreccio dei fatti naturali; così i concetti non sono
che schemi suggestivi di azioni adatte, il valore delle ipotesi delle
definizioni ο degli assiomi scientifici sta tntto nel modo semplice ed economico
di ordinare le leggi ricnvato dall’esperienza, il principio di causalità non è
che un inolamento arbitrario delle circostanze che più ci interessano per i
nostri fini pratici, il tempo scientifico o astratto è una semplice parola con
cni ci risparmiamo la fatica d’una serie complessa di relazioni. Per il Duhem
la scienza fisica non altro si propone che di darci un sistema di proposi zioni
matematiche, dedotto da un piccolo numero di principi, che hanno per fine di
rappresentare più semplicemente, più completamente e più esattamente che sia
possibile 1’ insieme delle leggi sperimentali. Il principio comune da ‘ni
muovono i sostenitori di questa dottrina, è che la conoscenza emerga da quel
fondo di esperienza diretta, in cni propriamente consiste la realtà e in cui,
non essendoci dintinEoo-Ecr 350 zione tra jo e non-io, non è nemmeno da
parlare di conoscenza © di realtà: quest’ultima è appresa nell’ atto stesso che
è vissuta. La conoscenza vers ο propria, in quanto si pone di faccia alla
realtà, all’ esperienza genuina, non è che una sovrastruttura, che diviene più
artificiale a misura che ¢’ allontana dal dato immediato (sensazione), e quindi
anche più convenzionale, più simbolica, più astratta, Cfr. Mach, Erkenninis und
Irrthum, 1905, p. 162 segg.; Id., Dio Mechanick in ihrer Entwickolung, 1901, p.
6 segg., 80 segg.; Avenarius, Philosophie als Denken der Welt, 1903, p. 3
segg.; Duhem, L'évolution de la mécanique, 1908 1 A. Aliotta, La reazione
idealistioa contro ia scienza, 1912, p. 68-110; H. Höffding, Philosophes
contemporaine, trad. franc. 1908, p. 93 segg.; F. De Sarlo, I problemi
gnoseologici nella fil. contemp., Cultura filosofica », nov. 1910; Masci,
Scienza e conoscenza, 1911. Economismo storico v. materialismo storico.
Eopirosi (ἐκ-πυρόω abbrucio). È la dottrina dell’ imbraciamento universale, che
gli stoici tolsero da Eraclito, facendone unn purte essenziale del loro
sistema. Secondo gli stoici, Dio è ad un tempo fuoco, anima del mondo, e
ragione seminale: all’ origine delle cose, la materia universale assorbita nel
fuoco divino, è uniformemente tesa © occupa un immenso spazio nel vuoto
infinito; ma poi, per via di graduale raffreddamento e condensazione, da
codesto fuoco vengono formandosi i diversi elementi, la terra ο gli astri, gli
uomini © le coso; costituito così il mondo, esso attraversa tutte le età e
tutti gli avvenimenti possibili, dopo di che ritorna di nuovo nel seno del
fuoco divino, che tutto invade e tutto penetra. Dio allora regna solo ο si
concentra nella contemplazione di sò stesso; ma Len presto egli si accinge alla
formazione di un nuovo mondo, che si risolverà esso pure nel fuoco, e poi ad un
altro, ο così via via all'infinito: ο ogni nuovo mondo corrisponde esattamente
a quelli che l'hanno preceduto e a quelli che lo seguiranno, perchè l’esenza
divina è sempre la medesima. Cfr. F. Ogereau, Le syst. philosophique des Stoiciens,
1885, cap. III (v. πιοπίηπιο, cosmogonia, palingenesi,
panteismo, stoioimho). Edonismo.
T. Hedoniemus; I. Hedoniem ; ¥. Hédonisme. Dottrina morale che identifica la
virtù col piacere (ἡδονή) © sostiene non esistere altro bene che il piacere e
ultro male che il dolore. Nella storia della filosotis 1’ edonismo è
rappresentato specialmente dalla dottrina di Aristippo di Cirene, secondo il
quale unico bene per I’ uomo è il piacere attuale ο presente, il piacere più
vivo e immediato; è indifferente quale sia l’oggetto del piacere, tntto dipende
solo dal grado del piacere, dalla forza del sentimento di soddisfazione, che si
trova per lo più nel godimento sensuale dell’ immediato presente; la speranza
d’ an bene futuro è sempre unita all’ ingnietudine dovuta all’ incertezza del destino,
© perciò non è un vero bene. L’ edonismo non va confuso nd con I’ atilitariemo,
nè con l’ eudemoniemo, poichè il primo al piacere immediato sostituisce
l'interesse ο P utile, il secondo pone come fine ultimo la felicità, che
consiste in un piacere il cui valore deve essere giudicato dalla ragione (v.
Cirenaioi). Educazione. T. Ersichung; I. Education; F. Education. Fu variamente
intesa e definita. Secondo Kant, è lo s luppo nell’ uomo di tutta la perfeziono
che comporta la sua natura; per lo Spencer è la preparazione alla vita
completa; per lo Stein è I’ evoluzione armonica ed uguale dello facoltà umane;
per il Joly è la totalità degli sforzi che hanno per scopo di dare all’ uomo il
possesso compiuto ed il buon uso delle sue facoltà, ecc. Come è facile vedere,
si confonde bene spesso il fatto della educazione con In scienza della
educazione ; questa è la serie delle operazioni con le quali si educa, quella
il risultato di tali operazioni. In questo secondo senso, che è il solo
legittimo, si può dire che l'educazione non è altro che un’ abitudine buona
EFR-EFF e perfezionatrice, sia negativa che positiva: negativa in quanto
contrasta con le tendenze riprovevoli, positiva in quanto crea delle speciali
attitudini ed abilità fisiche, intollettuali e morali già possedute dalla
società in genere. Si distingue perciò un'educazione fisica ο del corpo, una
educaziono éntellettuale ο dell’intelligenza, e una educazione morale ο del
carattere. All’ efficacia dell’ educazione possono contrastare I’ eredità ο V ambiente;
tuttavia so codesti fattori spesso si rivelano con forza irresistibile (specie
nelle nature estreme, idioti, geni, degenerati), più spesso ancora l'educazione
riesce a modificarli radicalmente.
Dicostruite mediante le sensazioni si trasformano, si precisano, si
completano e ϐ) organizzano con gli altri fenomeni psichici ; con la stessa
espressione si indicano anche i mezzi con cui s' insegna a correggere gli
errori (illusioni) che derivano dalla costituzione stessa degli organi sensori,
a distinguere lu diversa qualità e intensità delle sensazioni, a conoscere le
sensazioni simili, ad apprezzare le distanze, ecc. Nol linguaggio teologico dicesi eduoazione
dirina quella che l’uomo riceve da Dio, per effetto della rivelazione; essa
coincide con l’origine del mondo, à data e continuata parte con parole parte
con fatti; ha quattro fasi, Poriginaria, la patriarcale, la mossica e la
cristiana; quantunquo queste fasi si debbano riguardare come un solo tutto
strettamente connesso, poichè attraverso esse si svolge il piano divino
dell'educazione, tuttavia le prime tre si considerano come fasi preparatorie
dell'ultima, la più perfetta di tutte, perchè manifestazione diretta di Dio (v.
pedologia, didattica, pedagogia). Efettici (épextixot). Con questo nome furono
designati qualche volta gli scettici (v. zetética). Effetto. T. Wirkung,
Effekt; I. Effect; F. Effet. Ciò che è prodotto da una causa. Un avvonimento
qualainai ai co cepisce come effetto quando lo si considera come cominciante ad
esistere, ossia quando si pensa la sus nuova esistenza come una mutazione o
come una operazione: L'effetto i distingue dall’ accidente perchè, mentre
questo si considera come una cosa sola colla sostanza e ls determina, l’effetto
si concepisce invece come separato dalla causa cd appartenente ad altro essere.
Gli scolastici chiamavano effectus primarius o intrinsecue il composto concreto
0 In denominazione, che risulta dalla forma unita ad un soggetto capace: ad es.
l’effetto primario del calore, per cui l’acqua si riscalda, è l’acqua calda
stessa; effectua secondarius © extrinscous qualsiasi effetto positivo ο
negativo, che risulta dall’ unione della forma nel soggetto, in modo da essere
adeguatamente distinto dalla forma o da restarle estrinseco, ad es.
l'allontanamento del freddo dall’ acqua. Efficace. T. Firksam; I. Efficace; F.
Efficace. Usato come sostantivo, designa il potere che ha la causa’ di produrre
l'effetto; non è dunque che I’ obbiettivazione dello sforzo che proviamo nell’
agire, la virtualità dell’ effetto nella causa, costituita dall’ aspettazione
di B che abbiamo visto segnire costantemente ad A. Si suol opporre l’ efficace
alla condizione, che è ciò senza di cui la causa non agirebbe, e alla
occasione, che è il semplice concorso delle circostanze in presenza delle quali
la causa agisce (v. causa). Efficiente. T. Bewirkende; I. Efficient; F.
Eficiente. Du Aristotele in poi dicesi causa efficiente, per opposizione alla
finale © alla oocasionale, il fenomeno che ne produce un altro, o l’ essere che
produce un’ azione. Alcuni distinguono la causa efficiente dalla efficace:
questa produce I’ effetto senza nulla perdere o cedere della propria natura, o
della propria efficacia d’agire ulteriormente, quella produce I’ effetto
trasformandosi in esso parziahnente ο totalmente. Gli scolastici dicevano concorrere eficienter
ο effeclire ad alcunchè, l’operare immediatamente I’ azione; concorrere
directive, dare le norme dell’azione; concorrere finaliter dare la ragione
finale dell’azione. 2A RarzoLi, Dizion,
di scienze filosofiche Eco 354 Egoismo. T. Egoiemus, Selbatliebe,
Selbateucht ; I. Egoiem, Selfishness} F. Égoïsme. Nel suo senso più proprio
designa V amore di sb stessi, che è naturale ed inevitabile, che nocompagna
l'individuo dalla culla alla tomba e che, se può dar luogo a sentimenti bassi e
volgari, è anche 1’ unico fondamento delle azioni 6 dei sentimenti più
generosi. Nel suo significato più comune, per egoismo si intendo invece l'umore
assoluto ed esclusivo di sè, onde I’ individuo non cura che sd stesso anche a
prezzo del danno altrui. All’ egoismo si oppone l’alfruismo o antiogoismo, che
consiste nel} esercizio dell'attività propria al benessere altrui, ed è pure,
come l’egoismo inteso in senso proprio, fondamentale, primordiale ed essenziale
nella condotta umana, avendo la sua origine nell'organismo stesso, in quanto
comincia con la propagazione della specie. Secondo Hobbes l'egoismo è l'impulso
fondamentale dell’uomo, ognuno tendendo a conservare sè stesso o ad estendere
In propria forza fin dove può; nello stato di natura esso domina sfrenato, e
cià che lo soddisfa si chiama hene, ciò che lo contrasta si chiama male; ma
poichè da ciò ne deriva la lotta di ciasenno contro tutti, che offende lo
stesso egoismo indivi duale, è stato fondato lo Stato come contratto per la
mutua garanzia dell’ anto-conservazione. Lo Spinoza accettò questa teoria, ma
introducendola nella sua metafisica le diede una importanza più ideale: anche
per Ini P essonza «ogni volere è il suum esse conservare, ma poichè ogni modo
finito appartiene ugualmente ai due attributi, spirito e corpo, così il suo
istinto di conservazione αἱ rivolge tanto alla sua attività cosciente, ossia al
sto sapere, come alla sus affermazione nel mondo corporeo, ossia al sno potere:
per tal modo Pimpulso fondamentale di ogni vita volitiva individuale vien
riferito all'identità baconiana di sapere e potere. Nella filosofia sociale
dell'illuminismo 1? egoismo è assunto pure come fondamentale; per il
Mandeville, ad es., la vitalità del sistema sociale si fonda tutta sopra In
lotta dl interessi degli 355 Eco individui, e la forza impulsiva nella
civilizzazione è solo l'egoismo; non è quindi da meravigliare se la cultura si
manifesta non mediante nn elevamento delle qualità morali, ma solo con un
raffinamento dell’ egoismo; la felieità dell'individuo non »' accresce per
effetto della civiltà, perchè se ciò accadesse, l'egoismo ne rimarrebbe
indebolito, mentre su questo punto si fonda il suo progresso. La morale
evoluzionistica dello Spencer è basata tutta sopra il gioco di questi tre
sentimenti: Pegoismo, cheha per oggetto l’ interesse individuale; 0 allrujemo,
che ha invece per oggetto il benessere degli altri e della società:
l'ego-altruiemo, che rappresenta una via di merzo tra il primo e il secondo ο
mediante il quale si produce 1 armonia tra l’ individuo e il suo ambiente. Ora
la evoluzione morale non tende a sacrificare l’egoiamo all’altruismo, bensì a contemperare
le due forme tra loro: e cioè I’ individuo si modifica per adattarsi sempre
meglio all’ ambiente rociale, e questo si modifica a sua volta per soddisfare
sempre meglio alle necessità dell’ individno. E tanto immorale l’assoluto
altruismo come I’ egoismo esclusivo: l'individuo non deve vivere soltanto per
sè, ma neppure soltanto per gli altri, poichè neppure agli altri può essere
debitamente ntile se non cerca nella cura di sè stesso le condizioni adatte a
tal fine. Dall’ egoismo pratico o morale, del quale abbiamo ora parlato, si
distingue l'egoismo teoretico 0 aolipsiamo, dottrinn gnoseologica secondo la
quale ogni singolo apirito non è certo che della sun propria esistenza, non può
atfermare che sè stesso; lu realtà di tutto il resto è problematica, nè pnd
essere affermata: Un egoista, dice Ch. Wolft, è nello stesso tempo un
idealista, e non considera il mondo colloeato in altro spazio che nel proprio
pensiero ». Però questo significato della puroln egoismo, comune nel secolo
18°, oggi non à più in nao, ndoperandosi invece le espressioni solipsismo,
idealismo soggettivo, nihiliamo, eve. Cfr. Ch. Wolff, Fernünflige Gedanken, 1725; Sidywi
EGo-ELa 366 Methods of elhios, 1877, p. 88, 116, 194;
Bain, Mental and moral soience, 1884, p. 598 seg.; Spencer, The data of ethice,
1879; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 323 segg.; Ardigò, Opere fil., vol. III, p.
11-14, 204 segg. (v. odoniemo, egotismo, idealismo, illuminiemo, unioismo,
utilitarismo, intorease). Egotismo. I. Egotism; F. Égotisme. Gli inglesi
chinmano così il grado più profondo dell’ egoismo in cui, per una specie di
ipertrofia dell’ io, ogni sentimento nobile, ogni tendenga altruistica è
distrutta, I’ affettività è quasi annientata e predominano soltanto le passioni
più basse. I’ egotiamo è una delle stimmate psicologiche della degenerazione,
anzi la fondamentale secondomolti psichiatri, i quali riconducono ad essa tutti
i caratteri propri della condotta dei degenerati, come lo sviluppo eccessivo
della sensibilità morale, la smania di richiamare su sò stessi l’attonzione
altrui, la misantropia e la diffidenza che ri‘sultano dal non trovare nei
rapporti sociali le desiderate soddisfazioni dell’ amor proprio. In un altro senso, più letterario che
filosofico, per egotismo s’ intende l’analisi particolareggiata fatta da uno
scrittore della propria individualità fisica e mentale. Quest’ uso risale allo
Stendhal: «Se questo libro non annoia... si vedrà che I’ egotismo è un modo di
dipingere questo cuore umano, nella conoscenza del quale abbiamo fatto dei
passi da gigante dal 1721 in poi, ecc. ». Cf. Stendhal, Souvenirs d’ égotieme,
p. 81; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 480 segg. ; Lombroso, Pazzi ο
anomali, 2° ed. 1889. . Eguaglianza v. uguaglianza. Elaborazione. T.
Ferarbeitung ; I. Elaboration; F. Elahoration. Le attività ο facoltà di
elaborazione della conoscenza si distinguono da quelle di acquisizione: queste
sono costituite dall’ esperienza, sia interna che esterna, mediante cui si
acquistano i materiali della conoscenza, quelle dall'astrazione,
dall’immaginazione costruttiva ο ELE riproduttiva, dall’ associazione, ecc.,
che trasformano e organizzano i materiali stessi. Bleatismo. T. Eleatirmua; I.
Hleatiom: F. Eloatiome. Senola filosofica greca, iniziata da Senofane (569 a.
Cr.) © proseguita da Parmenide, Zenone e Melisso. 11 problema che essa cerca
risolvere è quollo del cangiamento. Opponendosi ad Eraclito, per il quale la
realtà è lo stesso cangiamento, il moto, il puro diventare, gli eleati
sostengopo che il vero Resle è uno ed immutabile e che lo cose molteplici ο
variabili non sono se non illusioni del nostro senso. Per Senofane codesto Uno
immutabile, eterno, perfottissimo è Dio, 1’ nnico Dio e l’ unico reale ad un
tempo; per Parmenide invece è 1’ Essere assolutamente intelligibile, che
riempie lo spazio: Bisogna ammettere in maniera axsoluta, egli dice, o l'essere
o il non-essere; la decisione su questo soggetto è tutt’ intera in queste
parole: è 0 non è. Ora, non si può conoscere il non-essere, poichè è
imporsibile, nd euprimerlo con parole; non resta dunque che una cons: porre l’
essere © dire esso è, ἔστι. In questa via, molti sogni si presentano per
mostrare che I? essere è senza nuscita © senza distrazione; che è un tutto d’
una sola specie, senziî limiti, immobile, che non era nd sarà, poichè frattanto
è tutto intero ad un tempo, e che è nno, senza discontinnità ». Melisso e
Zenone, discepoli di Parmenide, ne svolsero lo dottrine, il primo in modo
diretto e positivo, con rigoroso ordine scientifico, il secondo in modo
indiretto, corcando di dimostrare gli assardi nei quali si cade inevitabilmente
se si ammette la pluralità del reale e la possibilità dol moto. Cfr. Ritter,
Geschichte d. jonischen Philosophie, 1821: G. Fraccaroli, I lirici greci, 1910,
p. 139 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, vol. I, p. 42
segg. ‘Elemento. T. Element; I. Element; F. Élément. Deriva, secondo il
Trendelenburg, dalla corrnzione del latino olomentum, che il Vossio fa venire
da una antica voce cleo per oleo= cresco; secondo altri deriverehbe invece dal
EL 358
greco Όλημα (Όλη = materia) ο da ἄλημα
pulviscolo di farina. Nel suo significato proprio designa le parti
ultime, costitutive della materia, che non sono passibili di ulteriore
decomposizione, e in questo senso è adoperato dai fisici. Nel suo significato
astratto si adopera per designare le parti più semplici ed essenziali di
qualunque scienza ο dottrina. I filosofi antichi chiamavano elementi le
sostanze ogiginarie da cui ogni cosa deriva e in cui ogni cosa si corrompe ;
per Empedocle tali sostanzo erano quattro: aria, acqua, terra © fuoco, ὁ questa
dottrina fu seguita fino al Lavoisier. Con la parola elemento alcuni intendono,
nella psicologia, una faccia o una particolaro qualità di un fenomeno © di uno
stato di coscienza; i sonsisti e gli empiristi intendono invece la sensazione
pura e semplice ; altri infine, come l’Ardigò, intendono per elemento psichico
la sensazione minima (protoestema). Ad ogni modo, è chiaro che anche nella
psicologia, come nella nostra conoscenza presa nel sno insieme, la nozione di
elemento è aftatto relativa, perchè il limite dinanzi al quale ci arrestiamo
non è un limite se non per noi, che può essere sorpassato dugli altri
osservatori e nelle epoche successive. Cfr. Goclenius, Lexicon philosophicum,
1613, p. 145; Trendelemburg, Élementa logioes aristoteleæ, 1878; H6fding,
Psychologie, trad. franc. 1900, p. 24, 112; Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896,
p. 3336; V. Alemanni, L'elemento peichico, 1903; Ardigò, Op. fil. vol. VII, p.
34 segg. (v. protoestema). Elenoo (ἔλεγχος
confutazione). È l’esume contradditorio col quale Socrate confuta gli
errori © distrugge la falsa sapienza. La parola è rimasta appunto per indicare
il ragionamento refutativo ; dicesi anche redarguizione. Por ignoratio elenchi
intendesi quella specie di sofisma, che consiste nel dimostrare ο refutaro una
cosa diversa da quella che è in questione. Cfr. Aristotele, Anal, pr., II,
20, 66 L, 11; Logique du Port-Royal, parte III, cap. XIX (v. elenotica, ironia). 359
Elenctica. Una delle tre arti speciali della dialettica, intendendo per
dialettica l’arte del ragionamento. Essu ha l'ufficio di confatare le
proposizioni false, ed ha per antecedente opposto l’ affermazione dell’
avversario, che si deve abbattere. Si distingue dall’ apodittica, altra parte
della dialettios, in quanto suppone un avversario, fauso di sillogismi
puramente formali in cui le premesse, o una di esse, sono tolte all'avversario,
e può risalire ai pri principi. Essa si vale dell’ spioherema e dell’ elenco:
il primo obbliga l'avversario a cadere nella contraddizione, il secondo lo
convince d’ esservi caduto. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 841 (v. maieutica,
ironia, anatreptica, agonistica, apologetica). ‘Eliminazione. T. Elimination;
I. Elimination; F. Élimination. L'operazione logica che si compie nella ricerca
scientifica, per fissare i rapporti di causalità tra i fenoineni, sceverando le
circostanze essenziali dalle non essenziali alla produzione del fenomeno
stesso. Consiste nel moltiplicare il più che sia possibile le ‘osservazioni ©
gli esperimenti, in modo da ottenere la separazione degli elumenti causali da
quelli che non lo sono, cioè dalle circostanze accessorie e dai concomitanti
casuali. L’ eliminazione ha il suo fondamento logico sopra questi tre assiomi
della causalità: ogni antecedente, che non può essere eliminato senza che
l’effetto scompaia, è causa ο fa parte di essa; ogni antecedente, che può
essere eliminato senza che l’effetto scompaia, non è causa nd fa parte di essa;
un antecedente e un conseguente, che variano correlativamente in qualità e
quantità, sono in rapporto causale tra di loro. I quattro metodi induttivi
dello Stuart Mill, si basano cssenzialmente sopra l'eliminazione: il metodo di
concordanza ha il suo fondamento sopra il secondo nssioma della causalità; il
metodo di differenza sul primo; il metodo delle variazioni concomitanti sul
terzo; il metodo dei residui è il risultato della applicazione di tutti tre. Cfr. Hncone, NoELi-Ema 360 vum organum, II, 18; Stuart Mill, System
of logic, 1865, III, 8, $ 3 (v. causa). Eliocentrico. (#Atoç = sole). È detto così il sistema astronomico di
Copernico e Galileo, che pone nel centro del nostro sistema planetario il sole,
e della terra fa un pianeta che gira intorno a sò stesso © al sole. Geocentrico
era invece il sistema astronomico degli antichi, che poneva la terra come
centro dell’ universo. Elioteismo. T. Eliotheismus; I. Eliotheism; F. Eliova di
monoteismo naturalistico, che riconosce nel sole l’incarnazione di Dio; forma
analoga, ma meno importante, è il selenoteismo ο culto della luna. La scienza
moderna riconosce, secondo alcuni, il fondamento dell’elioteismo, in quanto la
vita umana, come ogni altra forma di vita organica, si deve ricondurre in
ultima analisi al sole raggiante: 1’ astrogenia dimostra che ogni corpo
celeste, compresa la terra, è una parte staccata dal sole; e la fisiologia
insegna che l’origine della vita organica sulla terra è la formazione del
plasma, e che questa sintesi da semplici combinazioni inorganiche avviene
soltanto sotto l’azione della luce solare. Cfr. Haeckel, I problemi dell’
universo, trad. it. 1902, p. 885 seg. (v. vita). Emanatismo o emanazionismo v.
emanazione. Emanazione. T. Emanation; I. Hmanation; F. Emanation. Dottrina
filosofica e religiosa dell’ Oriente, secondo la quale da Dio sortirono e
sortono tutti gli esseri che costituiscono l’ universo, senza che per questo la
sostanza divina diminuises o si esaurisca mai. L’ emanatiswo si trova nella
religione di Zoroastro, nella Cabbala e nella mitologia ebraica. Esso assume
formu veramente filosofica nel neoplatonismo di Plotino, secondo il quale il
Tutto nasce per l'irraggiamento intorno a sò (nepidapdtc) delP Uno immobile,
cioè dell’ Unità suprema incomprensibile e ineffabile. L’immediata produzione dell’
Uno è il Noo (9οῦς), cioè I’ intelligonza, che emana da quella come la 361
Ens-Enı luce dal sole; dal Noo emana l’anima del mondo, ο da questa
emanano le anime individuali. Qui si ferma il graduale irraggiamento dell’ Uno
; perchè se è vero che l’ anima produce il corpo, la materia, che ne è il
sostrato, non è più Ince ma ombra. Distingnendo emanazione dell’ essenza ed
emanazione della forza, la filosofia di Plotino è definita come un emanatiemo
dinamico. Cfr. Plotino, Enn., II, 4,10 segg.; V, 1, 3 segg. (v. oreasionismo,
cabbala, logos, x00, demiurgo). Embriologia. I. Embryologie; I. Embryology; F.
Embryologie. Quella parte della biologia che studio il modo di generazione e
sviluppo degli esseri. Con questo termine si designa aucora lu formaziono embrionale
© lo sviluppo dell’ essere medesimo, che consisterebbe nella ripetizione
compendiata delle vicende storiche attraversate dalla specie, dal genere, dalla
famiglia, dall’ ordine o dalla clusse rispettiva, durante la sus evoluzione
diflerenziativa: in altre parole l’ embriologia, ossia la morfogenesi
individuale, non sarebbe che il risssunto della genealogia, ossia della
morfogenesl atavica. Cfr. Bergh, Vorles. üb. allgemoine Embryologie, 1895; (i.
Cattaneo, Embriologia e morfologia generale. od. Hoepli (v. filogenesi).
Emianopsia o emiopia. T. Hémianoprie, Cecità parziale, in cui il soggetto non
vede che In metà destra ο In meta sinistro degli oggetti che guarda; resta
abolita per tal modo metà del campo visuale. Dipende da una lesione delle fibre
del nervo ottico, nel tratto che va dal chiasma alla corteccia cerebrale. La
lesione determina |’ aboliziono della visione nella parte corrispondente del
campo vinivo, ο cioè destra se la lesione è a destra, sinistra se è n sinistra.
Cfr. Techernig, Optique physiol.. 1498 (v. aocomodamento, binooulare,
diplopia). Eminente. T. i/berragend, Hervorragend: I. Eminent; F. Éminent.
Nella teologia dicesi ria eminentiæ, per opposizione alla via remotionis o
negationix, la determinazione Emo
362 della natura © degli attributi
divini mediante 1’ aflermazione in grado sommo di tutto I’ essere e di tutte le
perfezioni che esistono nelle creature. Nella Scolastica unn causa è detta
contenere eminenter I’ effetto quando è molto più perfetta di esso, non
contenendone i difetti e le imperfezioni; lo contiene invece formaliter quando
ha la stessa natura dell’ effotto. Nel linguaggio di Cartesio, 1’ esistenza
ominente è l’esistonza in tutta la sun realtà; I’ esistenza ‚formale è V
esistenza in sè; l’esistenza obbiettira è l’esistenza per il pensiero e nel
pensiero, cioè come oggetto doll’ iden. L'esistenza eminente possiede quindi
tutta In renltà o perfezione che è nell’ esistenza formale, e oltre. Siccome
tutto ciò che vi ha di resle nel mondo vieno da Dio, così il mondo esiste
eminentemente in Dio. Il Berkeloy, dopo aver negata I’ esistenza dei corpi,
pone, ispirandosi a Cartesio, una causa eminente delle idee che loro
corrispondono; questa cansa è Dio, cosicchè le idee del mondo esterno non sono
che il linguaggio col quale Dio parla agli spiriti finiti, per regolarli nella
loro vita pratica. Cr.
Heinrich, Dogm. theol., 1879, t. III, $ 166; Goclenius, Lexioon phil.. 1613, p.
146; Descartes, Troirième meditation, $ 17 © 18; Berkeley, Treat. on the
prino., 5 segg.; Ch. Wolf, Philos.
prima site ontologia. Emozionale (lingua). T. Ansdruoksbewegungen; 1.
Expression of emotion; F. Expression de l'émotion. Quell’ insieme di
modificazioni organiche e di movimenti istiutivi, cho costituiscono l’aspetto
fisico delle emozioni, ο, in quanto appaiono esteriormente, servono a indicare
le corrispondenti emozioni, per l'esperienza che ne abbinmo. ‘Tali
modificazioni e movimenti, appunto perchè possono richiamare per wwociuzione
negli altri individui lo stato psicologico corrispondente, diconsi segni
emozionali, o patognomici, v eapressiri. Il Darwin ha spiegato I’ espressione
delle emozioni con questi tre principi: 1° associazione delle abitudini utili:
le azioni che sono utili a soddisfare certi desideri ο Emo bisogui, si
associano cou questi in modo che, riprodu dosi questi anche in circostanze
diverse, quelle pure si riproducono; 2° azione diretta del sistema nerroso:
quando un centro nervoso è fortemente cccitato, la sua energia o ribocca in
certe determinate direzioni v è apparentemente sonpesa; 3° l’antitesi: quando
si hanno stati opposti ni precedenti, tendono a prodursi movimenti opposti ni
precedenti, benchè inutili. Questi princip non sono da tutti accettati, ed il
Wundt ha ad essi sostituito i tre seguenti: dell’ associazione delle sensazioni
analoghe, dell’ innervazione diretta e del rapporto del movimento colle
rappresentazioni sensoriali. Ad ogni modo, le espressioni organiche delle
emozioni hanno una ragione protettiva, anzitutto perchè servono di deviazione
alla forte eccitazione nervosa, secondariamente perchè, specio nelle
popolazioni primitive, esse avevano lo scopo della difesa, orano l’inizio della
lotta. Questo fatto si riferisco alla legge seguente: un sentimento represso e
quindi non troppo intenso, dà luogo al principio di quell’ atto u cui darebbe
luogo il sentimento stesso qualora raggiungesse un certo limite d’ intensità, e
non forse frenuto. Cfr.
Darwin, The expression of the emotions, 1865, cap. 1; Spencer, Principles of
psychology, 1881, vol. II, p. 545 segg.; Wundt, Grundzüge der physiol.
Peyohol., 1893, vol. II, Pp. 504 segg.; Hiffding, Psychologie, trad. frane. 1900, Ρ. 126 segg. Emosione (e che vien da,
motio movimento). T. Affekt, Gemiithabewegung ; I. Emotion; F. Emotion.
Dosigna, nella psicologia moderna, uno stato della medesima natura del
sentimento, ma molto più forte di esso in quanto sorge d'improvviso e durante
un certo periodo di tempo κ’ impone allo spirito, arrestando l'associazione
libera e naturale delle rappresentazioni. La passione non à che una emozione
divenuta irresistibile 6 persistente. Secondo alcuni psicologi moderni (Lange,
James, Ribot, Mosso) l'origine dell’ emozione si ricondurrebbe a movimenti
organici; l’cleEmo 364 mento affettivo, che fa parte di esse, non
sarebbe così attribuito al pensiero, ma si ridurrebbe alla sensazione, alla
cenestesi, in altre parole al riecheggiare nella coscienza di più o meno
profonde alterazioni somatiche. Per tal nudo l'emozione risulterebbe di questi
tre momenti : rappresentazione della cansa; movimenti puramente riflessi del
corpo, modificazioni vasomotrici, contrazioni muscolari; coscienza dei movimenti
organici. Ad appoggio di questa teoria si osserva che, se di un'emozione
qualsiasi, ad es. la gioia, si tolgono le sensazioni organiche, 1’ emozione
svanisce e non rimane che un'idea pura; ο che, d’altro canto, se si producono
artificialmente i concomitanti fisiologici dell’emozione stessa, non solo si
vedrà apparire l'emozione medesima, ma essa cercherà e troverà una causa
immaginaria, come avviene negli ubriachi ο nei malinconici. Tra questa teoria
somatica della ernozione e la teoria tradizionale ο intellettualieta (secondo
la quale lo stato mentale sarebbe la oansa delle modificazioni organiche) sta
la dottrina intermedia, secondo la quale l’emozione sarebbe la sintesi
complessiva di un particolare stato organico e di un particolare stato
psichico, agenti reciproca mente l’uno su l’altro. Le emozioni farono
classificate in depressive e diesaltamento, che sono le due forme principali
sotto cui si manifesta il loro carattere fisiologico ; Kant chiamò le prime
steniohe, lo seconde asteniche. Si dicono emozii potiori quei piaceri ο dolori
intellettuali, che si godono per la sola superiorità della intelligenza: tali
sono Ve. logica, che è esaltativa quando è costituita dal piacere della ricerca
e della scoperta del vero, depressiva quando risulta dalle pene dol dubbio e
dall’ avversione dell’errore: Pe. entetica, che risulta dalla contemplazione
del bello naturale ed artistico (esalt.) e del sublime (depres.); Pe. morale,
che sorge dalle azioni conformi (esalt.) o non conformi (depres.) all’ ideale
del bene; l’e. religiosa, che ha origine dal sentimento del legame che unisce
il nostro allo spirito misterioso, di cui riconosciamo la dominazione sul mondo
¢ sn noi stessi. Cfr. Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, p. 130; Anthropologie,
1872, § 71, 72, 74; Wundt, Grundzüge d. physiol. Payohol., 1893, II, p. 405 segg. ; Grundriss d.
Paychol., 1896, p. 199 ; Jodl, Lehrbuch d. Payohol., 1896, p. 692; Bain, The
emotions and the will, 1865; Spencer, Prino. of peyohol., 1881, II, p. 514
seg.; Sully, Outlines of peychol., 1885, p. 454; W. James, La théorie des
émotions, 1908; Lange, Les émotions, trad. franc. 1895; Th. Ribot, La Φεγολοὶ. des sentiments, 6* ed. 1906; Sergi, Lee émotions,
trad. franc. 1901; Mosso, La peur,
trad. franc. 1886; Ardigd, Op. fil., V, p. 506 segg.; F. B. Jevons, L'idea di
Dio nelle rel. primitive, 1914, p. 24-27 (v. emosionale, sentimento, passione).
Empirioo. Gr. Ἐμπειρικός: T. Empivisch; I. Empi cal; F. Empirique. Vocabolo
usato nei primi secoli dell'era nostra per indicare nna scuola di medici, che
si dicevano ἐμπειρικοί per opposizione ad altri detti λογικοί. Entrò poscia nel
linguaggio filosofico, per designare ciò che nppartiene all'esperienza, sia
esterna che interna; si oppone quindi a innato, rasionale, a priori. Talvolta
si oppone anche @ sistematico per indicare ciò che è un risultato immediato
dell'esperienza e non si deduce da alonna altra legge ο proprietà conosciuta,
Nell’ uso kantiano empirico si contrappone a puro, © indica ciò che
nell'esperienza totale non deriva dalle forme o dalle leggi dello spirito
stesso, ma allo spirito è imposto dal di fuori. Cfr. Sesto Empirico, Aypot.
pyrr., I, cap. 34; Ade. Logiooa, II, $ 191, 327; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
od. Reclam, p. 49. Empiriooritieismo. T. Empiriokritioiemus; I.
Empirioeritieism ; F. Empiriocriticieme. Il sistema filosofico dell’Avenarius,
detto anche filosofia dell'esperienza pura, in quanto si propone di ristabilire
l’esperienza pura con un processo di eliminazione di tuttocid che è un'aggiunta
arbitraria del pensiero, di spiegare psicologienmonte e fisiologicamente la
genesi dell’ illusione metafisica. Secondo Emp esso, tutto lo sviluppo della
filosofia © della conoscenza si riduce al principio dell’ inerzia, del minimo
consnmo di forza, che in rapporto alla vita psichica si esprime corì: il
contenuto delle nostre rappresentazioni dopo una nuova appercezione, ha la
massima somiglianza possibile col contenuto anteriore. In quanto poi l’aninia è
soggetta alle condizioni dell’esistenza organica e ai bisogni dell’adattam
questo principio diviene una legge di sviluppo: Pani non impiega in una
percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova innanzi a
una pluralità di apporcezioni, dà la preferenza a quella che con nuo sforzo
minoro produce lo stesso effetto, o con uno sforzo uguale produce nn effetto
maggiore. Questa tendenza dell'anima al risparmio di forza, spiega la legge di
assimilazione, per cni il nuovo è ricondotto all’antico, il noto all’ignoto; e
spiega la creazione dei concetti, che con un unico sforro di coscienza ci
rendono possibile di abbracciare nn grande numero di oggetti. In tutte le
scienze agisce questo principio, facendo sì che i concetti e lo leggi
particolari siano condensati in concetti e leggi più universali; la filosofia,
che vuol darei un concetto universale del mondo, è In meta ultima a cui conduce
il bisogno di risparmiare l'energia della coscienza. Man mano che si procede
innanzi, si minano le aggiunte inutili all'esperienza, aggiunte che sono di tre
specie: le mitologiche, che pongono nel dato reale In forma di tutto il nostro
essere; le antropopatiche, che attribuiscono agli oggetti i nostri sentimenti;
le intellettnali o formali, che aggiungono all'esperienza certe forme proprie
dell’ intelletto umano (causa, sostanza, ece.), La pnrificazione delle due
prime è oggi quasi completa per effetto dell’evoluzione scientifica; purificare
l’esperienza anche dalle terze, ecco il cémpito della critica dell’esperienza
pura, la quale «i contrappone quindi alla critica della ragion pura di Kant,
che ha affermato invece la nedi tali forme por la spiegazione dei fenomeni, Que
867 Emp sti tre momenti della
conoscenza, al pari d’ogni altra forma di attività psichica, anche rudimentale,
si riducono a tre fasi successivo della serie vitale, cui corrispondono tre
fasi della serie psichica. Le tre fasi vitali sono : 1° turbamento
dell'equilibrio organico normale ; 2° processi intermedi per ristabilirlo ; 3°
ristabilimento di esso e delle condizioni favorevoli alla conservazione
dell'organismo. Le tre fasi paichiche corrispondenti sono: 1° momento di
insoddisfazione, per il presentarsi di valori psichici, che, in contrapposto n
ciò che tinora si è caratterizzato reale, vero, abituale, ecc., hanno il
carattore dell’ inaspettato, del nuovo, del problematico, ecc.; 2° ricerca di
ciò che è reale, evidente, noto, sicuro; 3° chiusura della ricerca col
raggiungimento del vero. Cfr, Avenarius, Kritik d. reinen Erfahrung, 1888-90;
Der menschliche Weltbegrif, 1891; Philosophie ale Denken der Welt gemass dem
Princip des Kleinston Krafimasses, 1908 ; Petzold, Einführungn in die Philos.
d, reinen Erfahrung, 1904; Hôtiding, Philosophes contemporains, 1908, p.
119-122; Aliotta, Riccardo Avenarius, Cultura filosofica », maggio 1908; Id.,
La reazione idealistira contro la sciensa, 1912, p. 68-110 (v. economica
concezione). Empirismo. T. Empirimus; 1. Empiriciem; F. Empirisme. Dottrina psicologica,
che fa derivare tutte le nostre conoscenze dall'esperienza sia esterna che
interna (riflessione). Bi dice quindi empirismo, o anche sperimentalirmo
«_positiviemo, quell’ indirizzo scientifico e filorofico che considera come
solo oggetto di conoscenza il fenomeno, ο come solo metodo di ricerca
l'osservazione, l'esperimento © induzione. L’empirismo psicologico si oppone
all'innatiemo e nl razionalismo, che considerano alenne idee fondamentali ο i
principi supremi della ragione, como anteriori all'esperienza e ad essa
irreducibili. Si distinguo anche dal sensiemo, che pone la sensazione esteriore
come la fonte unica di tutte le nostre conoscanze, mentre l'empirismo
propriamente detto lo fa derivare dn due sorgenti: END 368
l’esperienza esterna, ciod le sensasioni, © l’esperienza interna, cioè
la riflessione. Il massimo rappresentante dell’empirismo fu Giovanni Locke, del
seusismo il Condillac. Dicesi empirismo radicale la dottrina che, considerando
i principi, le leggi, ο le forme della conoscenza come convenzionali, o come
aventi un puro valore economico di comodità, d’uso, vuol liberarne la
conoscenza stessa per risalire all’esperienza pura, al fatto bruto che solo La
valore reale, ossia alla sensazione; per essu infatti l'universo è ito di clementi
sensoriali, i quali, secondo che si uns ο in altra maniera, ci danno le
determinazioni più diverse della realtà, quali l’io, da una parte, © il non-io
dall'altra, nelle sue varie forme ο specificazioni (v. economica,
empiriocriticiemo, innatismo, prammatismo, sensazionalismo). Endictioa. Quella
parte della dialettica che ha per scopo di stabilire le proposizioni
(ἐνδαικτική) ; appartiene all’agonistica, cioè l’arte dei certami dialettici.
Oggi è vocabolo poco usato. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 841. Endofasia. T.
Endophasie; I. Endophasy; F. Endophasie. E la successione delle immagini
verbali, con le quali si suole esprimere una successione di pensieri, ma che
rimangono allo stato psicologico, senza dar luogo si movimenti vocali, quando
tali movimenti importerebbero nna perdita di tempo e di forza. Dicesi anche
linguaggio interiore ed ha nei vari individui tipi fissi, a seconda che caso è
costruito su imagini acustiche, visive, motorie, ece. In alcune malattio
mentali codesto linguaggio interno si intensifica a poco n poco, finchè,
estendendosi I’ eccitazione all’ elemento psico-motore, l’individno, pensando,
dovo articolsre intensamente nel suo interno le parole; se l’irritaziono cresce
ancora, si ha la formazione di un impulso prico-motore che va agli organi
esterni della favelia, a l'infermo ha delle vere allucinazioni verbali
paico-motrici: da ultimo la stimolazione si scarica per le vie mo 369 END-Exr trici, © si ha l’articolazione
completa © la pronunzia distinta delle parole. Cfr. Ballet, Le langage intérieur
et lee formes do l'aphasie, 1886; Saint-Paul, Finde sur le langage intérieur,
1892; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438 segg. Endogamia. T. Endogamie; I. Endogamy: F. Endogamie.
Forma di costituzione famigliare, in cui più nomini ai uniscono con la stessa
donna scelta nel seno della tribù. Secondo Mac Lennan l’endogamia rappresenta
una delle primissime fasi dell’ evolnzione della famiglia: essa narebbe infatti
snoceduta immediatamente alla promiscuità, perchè, praticandosi nelle tribù 1’
infanticidio ed essendo più frequente il sacrificio delle femmine, più deboli,
ne segni che, per rimediare a questa deficienza di donne, si dovette ricorrere
ο al matrimonio poliandrico nell’ interno della stessa tribù, o al rapimento di
donne a tribit nemiche. Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history, 1878 ;
Starke, La famille primitive, 1891 (v. emgamia, elerimo, lerirato, matriarcato,
poliandria, famiglia). Endolinfa. T. Endolymphe; I. Endolymph; F. Endolymphe.
Liquido trasparente, che riempie le cavità del labirinto membranoso dell’
orecchio interno. È più denso della perilinfa, contenuta nel labirinto osseo,
in cni stanno lo terminazioni nervose del nervo acustico. Secondo molti
psicofisiologi, Cyon, Mach, Ewald, essa avrebbe una grande importanza nel
produrre le sensazioni di equilibrio e della orientazione nello spazio. Cfr.
Cyon, Recherches our ler fonctions des canaux nemi-circulatres, 1878; Mach,
Grundlinien der Lehre von den Bewegunsenpfindungen, 1874; R. Ewald, Pflügers
Arch, vol. LV, 1895. Energia. T. Energie: I. Energy: F. Énergie. Por Aristotele
la materia è la potenza (ὀύναμις) © ad essa si contrappone l’onergia, che è
l’atto, l’effetto realizzato nell'opera (νέργεια): questa si distingne alla sus
volta dalla entelechia (ἐντελέχεια), che accenna propriamente allo tato di
perfezione in cai la sostanza si trova nituata, mentre 24 RanzoLI, Dizion. di acienze filosofiche.
Ένα 370
Penergia accenna alla reale attività che essa esercita. Nella scienza moderna dicesi energia la forza
capace di lavoro; ed è attuale o cinetica quando il punto materiale cui è
applicata trovasi in moto effettivo; potenziale 8e il punto materiale non è in
moto, ma può effettivamente imprenderlo ; Venergia totale di un sistema
materiale ad un momento dato è la somma delle sue energie potenziali.
Energetica dicesi perciò quella parte della dinamica, che studia la
composiziono dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre
lavoro. Cfr. Aristotele, Metaph., IX, 6; Phys., VIII, 5; De an., II, 5; Georg Helm,
Dio Energetik nach ihrer geschichtlichen Entwickelung, 1898 (v. energiemo,
forsa, morimento, laroro). Energie specifiche (legge delle). T. Specifische
Sinnesenergie; I. Specific energy; F. Énergie xpeeifique des sens. Sotto la
denominazione di legge delle energie specifiche degli organi di senso » si
intende la dottrina svolta primitivamente da Giovanni Müller nel 1840, secondo
la quale le diverse modalità delle sensazioni non dipendono dalla differenza
degli stimoli esterni che le eccitano, bensì dalla natura specifica degli
orguni. Essa è sinteticamente riassanta nello seguenti proposizioni : a) Per
effetto di canse esterne noi non possiamo avere alcuna specie di sensazione,
che non possiamo ugualmente avere senza dette canse per la sensazione degli stati
dei nostri nervi (ad es. nella allucinazione, nel sogno, nelle sensazioni
soggettive); 5) La medesima causa interna, 0 la medesima causa esterna, produce
sensazioni differenti nei diversi sensi in ragione della loro propria natura o
delln sensibilità specifica di essi (nd es. l’iperemia produce fosfeni agli
occhi, tintinnio agli orecchi, ece.); 0) Le sensazioni proprie a ciascun nervo
sensoriale possono essere provocate da molteplici influenze sin interne sia
esterne; la sensazione è la trasmissione alla coscienza non di ana qualità o di
uno stato dei corpi esterni, ma di una qualità, di uno stato del nervo
sensoriale, determinato da una causa esterna, o queste qualità sono differenti
nei differenti nervi sensoriali (la sensazione del suono, ad esempio, è Venergia
o qualità del nervo acustico, e non ha nalla di comparabile con le vibrazioni
dell’aria); d) È ignoto se le cause delle energio diverse dei nervi sensoriali
abbiano sede in loro stessi ο nelle parti del cervello o del midollo spinale in
cui terminano; ma è indubitato che le parti centrali dei nervi di senso nel
cervello sono capaci di provocare le sensazioni proprie di ciascun senso,
indipendentemente dai cordoni nervosi. Questa dottrina, svoltasi sotto 1’
influenza della teoria kantiana delle forme a priori della sensazione, ha
suscitato molte discussioni ο ancor oggi è assai dibattuta sin dai psicologi
che dai fisiologi. Cfr. J. Müller, Manuel de phyeiologie, trad. franc. Jourdan
et Littré, I, 711; Goldscheider, Die Lehre ron den spezifischen Energien, 1881:
Weismann, Die Lehre v. d. per, Sinnesenergien, 1895; Jodl, Lehruch d. Payohol.,
1896, p. 182 segg. Energismo. Ί. Energismus; F. Energieme. Nella filosofia
morale si oppone a edoniemo, e designa quella dottrin che pone come fine della
volontà l’attività della vita; tale dottrina è specialmente sostenuta dal
Paulsen. Nella metafisica o filosofia
generale, designa quella dottrina che tutta la realtà ridnco all’ energia,
considerata come una vera e propria sostanza (intendendo por sostanza ciò che v'ha
di permanente nel mondo esterno). Si contrappone tanto al mecoaniemo, in quanto
nega la realtà della materia, che si riduce alla energia, quanto al dinamismo,
in quanto al concetto soggettivo di forza sostituisce quello obbiettivo e
scientifico di energia. Tale dottrina è sostenuta oggi specialmente
dall’Ostwald, che la fonds su queste considerazioni: la sola cosa conosciuta e
conoscibile è l'energia, nella quale si esaurisce lo stesso concetto di
materia; infatti ogni nostra conoscenza del mondo esterno non è dovuta che
all’azione sui nostri sensi delle energie; poichè non solo noi ENE 372
abbiamo dell’energia una esperienza diretta nello sensazioni dello
sforzo muscolare, ma ciò che noi vediamo non è che un lavoro chimio, prodotto
dall'energia luminosa, ciò che noi udiamo è il lavoro che le oscillazioni
dell’aria compiono nell’orecchio interno, se tocchiamo un corpo fermo sentiamo
il lavoro meccanico che è impiegato nella compressione della punta del nostro
dito ο dell'oggetto; mentre gli altri concetti fisici, massa, quantità di moto,
ece., la cui grandezza sottostà alla legge della conservazione, si applicano
solo a un determinato campo di fenomeni naturali, tutto ciò che noi ssppiamo
del mondo esterno lo possiamo esprimere in termini d’energia, la quale ci
apparisce dunque come il concetto più generale che la scienza abbia finora
formato ; esistono delle energie specificamente diverse, oltre le quali non è
necessario andare per cercare il sostrato della materia nella forza o nella
cosa in sè, essendo tali energie la realtà ultima e unica. Queste energie specifiche
sono di forma, di volume, di distansa, di movimento: nd es. si può diminuire il
volume di un corpo con una compressione fatta in modo da consorvarne la forma,
spendendo dell’ energia, che sarà restituita dal corpo, quando esso riprenderà
il volume di prima, e che possiamo chiamare energia di volume. Ma il concetto
di energia offre ancora il mezzo di sistemare sia i fenomeni biologici, che si
riducono à trasformazioni di energie le quali, a differenza di ciò che accade
nel mondo organico, hanno la proprietà di conservare il sistema; sia i fenomeni
psichici, i quali non devono già considerarsi come concomitanti dei processi
energetici del cervello, socondo la teoria del parallelismo psico-fisico, ma
comeun’energia dovnta alla trasformazione dell’ energia chimica del corvello, e
che sottostà alle stesse leggi delle altre forme. Il fatto che tutti i processi
Bsici si possono rappresentare come trasformazioni d'energia, si spiega appunto
ammettendo che In coscienza è esan stessa energia la forma
373 ENO-ENT più alta e più rara
che ci sia nota e comunica questa sua proprietà all'esperienza esterna. Cfr. F. Paulsen, Ein leitung in
die Philos., 2° ed. p. 482; W. Ostwald, Chemische Energie, 1893; Die
Uberwindung d. wissenschaftl. Materialismus,
1895; Aliotta, La reasione idealiation contro la scienza, 1913, p. 468 sogg.;
R. Nasini, La chimica fisica, 1907, p. 31 (v. attivismo, materia, meccanismo,
dinamismo). Enoteismo. T. Henotoinnue. Max Müller .chiama così quello stadio
primitivo della religione, in cui si adorano oggetti diversi presi a volta a
volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio (alç-évéç). Si distingue
quindi tanto dal monoteiemo, che è la credenza in un Dio unico © solo (μόνος),
quanto dal politeiemo che è ls credenza in più divinità gerarchicamente
disposte a seconda della loro potenza e dei loro attributi. Cfr. Max Müller,
Forlesunyen κ. d. Entw. d. Rel., p. 158 sogg., 291 segg. Ente. Lat. Æns; T. Sein; Dasein;
Woson; I. Boing; F. Être. Tutto
ciò che è. Ha quindi lo stesso significato di essere, col quale è sempre usato
promiscuamente, sebbene alcuni filosofi, tra cui il Rosmini, credano debbano
distinguersi. Gli scolastici chiamavano ene per se quello che ha una essenza
sola, ad es. l’uomo; one por acoidens quello che consta di più enti in atto, o
di enti di diversi predicamenti, ο di un predicamento solo ma ordinati fra loro
naturalmente, ad es. un bosco di alberi; ene rationis logioum quello che si
finge col pensiero pur avendo qualche fondamento nelle cose; ene rationis pure
obiectum una chimera impossibile a realizzarsi.
Lente crea I’ esistente è la formula fondamentale dell’ ontologismo
giobertiano, necondo il quale oggetto dell’ intuito intellettuale è lo stesso
Ente (Dio), che crea le cose particolari. Infatti Dio solo 3, perch’ egli solo
ha in sè stesso la ragione del suo essere; il mondo non è, ma esiste, perchè la
ragione del sno essere non l’ha in sò, ma fuori di sè, cio in Dio, che produce
il mondo per creazione. Per tal modo l’origine della conoENT 814
scenza si connette all’ origine delle cose, e l'atto creativo, quale ci
vien fornito dall’ intuito, è ad un tempo la radice da cui germogliano tutte le
conoscenze ¢ tutte le esistenze. Mentre
il soggetto della formula giobortiana è l'Ente reale, il soggetto di quella del
Rosmini è l'Ente possibile indeterminatissimo, vale à dire l'essere spogliato
di qualsi determinazione. L’ idea di quest’ Ente risplendo di coni nuo nella
nostra mente, e per mezzo dei giudizi primitivi (giudizi percettivi) noi la
riconosciamo attnata negli oggetti particolari; per tal modo 1’ Ente cessa di
essere puramente possibile o ideale e diventa reale ed attuale. L’ idea
dell'Ente non è dunque soggettiva, ma oggettiva, in quanto il suo oggetto si
identifica da ultimo col Reale assoluto. Cfr. Gioberti, Introd. allo studio
della filonofia, 1840; Protologia, 1857; B. Spaventa, La filosofia di Gioberti,
1863; B. Labanca, La mente di Ῥ. Gioberti, 1871; Rosmini, Nuoro saggio
sull'origine delle idee, 1855; A. Paoli, Esposizione r gionata della filosofia
di A. Rosmini, 1789; Th. Davidson, The philosophical xyatem of 4. Rosmini, 1882. Entelechia. Lat.
Entelechia: T. Enteleohie; 1. Entelechy:
F. Entéléchie. Aristotele distingue. nel riguardo delVoperare, la materia, che
chinma potenza (δύναμις), forma che chiama entelechin (ἐντελέχεια). e l'energin
(2vépyeta). L’entelechia si distingue dall'energia, in quanto quella ncconna
propriamente allo stato di perfezione in cui la sostanza si trova attuata,
questa alla reale attività che exsa esercita. Però Aristotele adopera la parola
entelechia in due significati: 1° come atto compiuto in opposizione ad atto che
sta per compiersi, ὁ come perfezione che risulto da codesto compimento; 2° come
forma o ragione che determina l'attualità d’una potenza. Perciò chiama l’anima
ora la forma, ora l'entelechia di ogni corpo naturale organizzato, avente in sè
la vita in potenza. Il Leibnitz diede il
nome di entelechie alle monadi, perchè esse non agiscono una sull'altra, mu
bastano a sè stesse, 375 ENT avendo in sò la sorgente delle loro
azioni interne. Si potrebbe dare il nome di Entelechie a tutte le sostauzo
semplici ο monadi create, perchè esse hanno in sò una certa perfezione (ἔκουσι
τὸ ἐντελές); c'è una sufficienza (αὑτάρχεια) che le rende sorgenti delle loro
azioni interne, © per così dire degli automi incorporei ». Come si vede,
Leibnitz usa la parola entelechia nel significato di potenza prossima. Cfr.
Aristotele, Metaph., II, 4, 415 b; IX, &, 1058 a; Leibnitz, Theodicea, I, $
89; Monadologie, $ 18. Entimema (ἐνθυμέομαι
ripensare). T. Enthymem ; I. Enthymeme; F. Enthymème. Aristotele chiamò
così una brevissima argomentazione sillogistica in cui, da un verosimile ο da
un segno, si ricava una conclusione non ussoIntamente certa. Siccome in queste
forma di argomentazione era tacinta une premessa, supposta come nota, così i
logici posteriori, cominciando, paro, da Quintiliano, che enumerò i vari
significati della parola, chiamarono e chinmano entimema quella qualunque forma
di sillogismo euntratto in cui sia sottintesa una delle due premesse. Quando In
premessa taciuta è la maggiore, l’entimema dicesi di primo grado, quando è la
minore di secondo grado. Es. 1° grado: Anche gli animali sono di carne e
d’ossa dunque soffrono se maltrattati;
qui è taciuta la maggiore: tutti gli esseri di carne e d’ossa soffrono se
maltrattati. Es. 2° grado: Tutti i fenomeni naturali sono soggetti alla
emusalità dunque anche la volontà; qui è
taciuta la minore: la rolontà è un fenomeno naturale. Aristotele chi poi
sentenza entimematica quella in cui le due proposizioni dell’entimema sono
contratte in una, e reca fra gli altri questo esempio: mortale, non serbare
odio immortale. Diconsi infine giudizi entimematici quei giudizi categorici
contratti, che mancano di soggetto o che hanno un soggetto puramente indicativo
(questo, quello); altre volte tutto il giudizio è concentrato nel verbo, il cui
soggetto è indeterminato nella mente (piove, lampeggia). Cfr. AriExr 376
stotele, Anal. pr., II, 27, 70 a, 10; Quintiliano, Inst, or., cup. X, $
1; Masci, Logica, 1899, p. 258 seg. Entimematica (prora). Aristotele chiama
così la prova dal probabile e dai segni: per probabile intende una proposizione
ritenuta vera dall’opinione comune, ma non vera assolutamente, per segno
intende una proposizione o necessaria o probabile, che ha la proprietà di
dimostrarne un’ altra. E necessario il segno che à effetto necessario o causa
unica della cosa significata, in modo che solo posto il segno sia la cosa, e
posta la cosa sia il segno; in tal caso la prova è certa: ad es. lo psichiatra,
dalla presenza in un individuo di deliri organizzati, che durano lungamente e
non terminano in demenza, trae la prova che l’individuo è un paranoico. È
probabile il segno quando non indica necessariamente una cosa sola, sia perchè
è un particolare cui si dà un valore generale, sia perchè è un generale che si
assume per provare l’esistenza di un individuale: la prova basata su questi
segni può quindi condurre in errore, come, ud es. se dall'essere stato il
Cellini grande artista e rompicollo si conchiudesse che tutti i grandi artisti
sono rompicolli, ο se dall’uver scoperto un'arma indosso a un imputato si
conchiudesse senz'altro che è colpevole. Ad ogni modo, la prova dai segni ha
uso larghissimo nella scienza ed è assai utile: tutta una parte della medicina,
la semiotica, prende nome da essi. Cfr. Aristotele, Top., I, 1, 100 a, 27;
Anal. pont., II, 24, 85 b, 23 segg.; Masci, Logica. Entità. Lat. Entitas; T.
Wesenheit, Entität; I. Entity: F. Entité. Vocabolo proprio della filosofia scolastica, ricavato
dal participio del verbo esse (il τὸ ὃν dei greci). Vale essenza o forma. Gli
scolastici lo usavano infatti per designare il genere, il modello supremo
immutabile di cui gli individui non sono che le copie imperfette ο pusseggere,
la natura indeterminata che rivesto tutto le forme senza esaurirsi mai. Così
l'umanità era l'entità dell’uomo.
377 ENT-ENU D vocabolo è usato
oggi in un senso ben diverso: ussu designa un essere sostanzialmente distinto e
indipendente, per opposizione alla qualità, alla proprietà, all’ attributo,
all’aceidente, che non possono esistere che in un essere 0 per un essere.
Entoptiche (imagini) v. imagine. Entusiasmo. T. Enthusiarmus, Begeisterung ; I.
Enthusiam; F. Enthowsiasme. In Platone e Aristotele significa ispirazione o
esaltazione divina dell’ anima. Per Shaftesbury l'entusiasmo per tutto ciò che
è vero buono e bello, l'elevazione dell’anima ai valori più universali, la
rinunzia alla vita egoistica dell'individuo, costituisce la sorgente prima
della religione naturale; la quale è così una vita superiore della personalità,
un sapersi una cosa sola coi grandi nessi della realtà. Locke oppone
l’entusiasmo, ossia l’impeto dell imaginazione, alla ragione, che è la
rivelazione di quella parte di verità che Dio ha messo alla portata delle
facoltà naturali dell’ nomo: voler scoprire il vero con l’entusiamo, vorrebbe
dire perciò distruggere la ragione ο la rivelazione, sostituendo ad esse le
vane ombre della fantasia umana. Barthelemy Saint Hilaire distingue
l'entusiasmo dalla spontaneità: questa è la potenza interiore a cui l’anima
s’abbandona ciecamente, ed è un fatto generale che appartiene a tutti gli
uomini: quello ne è uns particolarità ed avviene solo in alcuni uomini. Cfr.
Kant, W. W., V, 280; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, II,
179. Enumerazione. T. 4ufedhlung ; I. Enumeration; F. Enumération. L'induzione
non è che un sillogismo in cui in luogo del termine medio è data l’enumerazione
incompleto ο completa delle sue specie. Quando l’enumerazione dei concetti
specifici del genere non ne esaurisce l’estensione, l’ induzione è imperfetta e
la conclusione è soltanto probabile. La probabilità aumenta quando l’
enumerazione nou è dei concetti specifici, ma degli esemplari di un'unica
Eon-Epı specie. Secondo alcuni, le prime nostro induzioni, non potendo fondarsi
sopra un principio che non è ancor dato, si sostengono semplicemente sul numero
dei casi, che presentano la proprietà che si attribuisce al genere; porciò tali
induzioni furono dette per enumerationem simplicem. Cfr. Bacone, Noe. org., I,
$ 105; De Dignitato, V, cap. II; J. 8. Mill, Syst. of logio, 1865, 1. III, cap.
3, § 2; Rosmini, Logica, 1853, $ 726 (v. induzione). Boni (aiöveg -le
eternità). Lat. derum; T. don. Gli gnostici chiamavano così, a causa della loro
eternità, le emanazioni ο proiezioni che, secondo la loro dottrina, colmavano
l'intervallo tra la materia e lo spirito, mettendo in contatto questi due
principi, da essi concepiti come opposti ϱ irredueibili. Gli eoni si
combinavano in sisigie ο in pleromi. Cfr. Eusebio, Praep. ev., XI, 18;
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 313 weg., 330 seg.
Epagoge, epagogico. 'T. Epagogik ; I. Fpagogio; F. Épagogique. Con questo
termine, ancora in uso, Aristotele designava il procedimento induttivo; la
parola induzione (induotio), fa, secondo Quintiliano, introdotta nel linguaggio
filosofico da Cicerone, come corrispondente alla greca ἐπαγωγή (da ἐπί = verso,
ἄγω = conduco). Tuttavia, il significato primitivo del termine non è sicuro;
secondo alcuni designava quel modo di ragionare nel quale si sostiene una tesi
con più ragioni ed esempi; secondo altri (Buddeo, ‘Trendelenburg) fu tolto
dalla lingua militare, nella quale indicava il procedere d'una schiera di
soldati in fila serrata. Ad ogni modo, oggi essa indica I’ induzione formale o
aristotelica, che va dalle leggi particolari alle generali, e si distingue
dall’induzione baconiana che va dui fatti alle leggi. Cfr. Aristotele, Top., I,
12, 105 a; Anal. pr., Il, 25; Cicerone, De intent., I; Trendelenburg, Elementa
logicer aristoteleae, 8" cd. 1878. Epicherema. Gr. Ἐπιχείρημα: T.
Epicherem; I. Epicheirema: F. Épiohéràme. Come dice la radice etimologica, 379
Epi è un sillogismo nel quale è aggiunta la prova di una ο di entrambe
le promesse. Es. I pesci sono vertebrati (perchè hanno una colonna spinale). La
triglia è un pesce. Dunque la triglia è un vertebrato. È detto anche dai logici
sillogismo catafratto ; Aristotele, che lo considerava come una forma di
ragionamento sul verosimile, lo disse sillogismo dialettico. Il Rosmini
distingue due specie di epicherema, il probabile ο il dimostrativo, il primo
ooncludente a probabilità, il secondo a necessità; entrambi sono usati dall’
arte di confutare ο elenotica, ed hanno per scopo di obbligare l'avversario a
cadere nella contraddizione. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15;
Rosmini, Logica, 1853, p. 314 segg. Epicureismo. T. Epikureismus; I.
Epiowreanism ; F. Epicureisme. Scuola filosofica fondata da Epicuro in Atene
tre secoli a. C., e durata fino sl quarto secolo dell’ era nostra. 1 suoi
seguaci più noti sono Metrodoro, Ermarco, Polistrato, Apollodoro, Diogene di
Tarso. Fedro; in Roma Amafinio, Pomponio Attico e T. Lucrezio Caro, che ne
espone le dottrine del suo insuperabile poema De rerum natura. L’epicureismo,
come quello che fu 1’ unica filosofia irreligiosa dell’antichità, fu oggetto
d’ogni sorta di acense © d’una guerra accanita prima da parte delle altre
scuole filosofiche, poi della Chiesa cristiana, cosicchè ancor oggi epicureo è
sinomino di eretico, crapulone, gaudente. Lu critica ha dimostrato non solo
infondato codeste accuse, ina ha fatto risaltare come nell’epicureismo aleggi
lo spirito scientifico proprio dei tempi moderni. Esso infatti oselude ogni
intervento divino e ogni finalità nella natura, nella quale non imperano che
cause naturali; pone il criterio del vero nella certezza data dalla sensaziono,
e il fine supremo della condotta fa consistere non già nel piacere grossolano e
immediato dei sensi, ma nella felicità, che è data, per ciò che riguarda il
corpo, dall’ assenza del dolore (ἀπονία), per ciò che concerne l’ animo
Epi 880
dalla tranquillità (&tapafia). Per questi suoi caratteri, quando
l’ascetismo cristiano comincia a declinare coll’aprirsi dell’ età moderna, la
dottrina d’ Epicuro risorge : essa fa capolino prima in Montaigne, poi
apertamente è diffusa in Francia dal Gassendi ; ricostratte in Inghilterra
dall’ Hobbes, rinasce più tardi in Helvetius, D’ Holbach, Saint-Lambert e
ispira infine gli utilitaristi inglesi da Bentham a Stuart Mill. Delle varie
dottrine epicuree è fatta esposizione in questo vocabolario alle parole
anticipazioni, alarassia, canonica, caso, coniunola, eventa, olinamen,
oacumina, Dio, eudemonismo, intermundia, inane, idoli, atomi amo, ecc. La
parola epicureismo è anche adoperata per designare, in opposizione et stoicismo,
tutti quei sistemi di morale che pongono come norma suprema dell’operare il
piacere o l'interesse. Cfr. Gizycki, Ueber das Leben und die Moralphilosophis
des Epikur, 1879; W. Wallace Epiouroanimm, 1880; Guyau, La morale d’Epioure,
1878; Giussani, Studi luoreziani, 1896. Epifenomeno. T. Begleiterserscheinung;
1. Epipkenomenon: F. Epiphénoméne. Dato un insieme di fenomeni, costituenti una
specialità fenomenica distinta, se a questi s’aggiungo un fenomeno nuovo, che
può anche mancare © che, colla sua presenza ο colla sua assenza, non muta il
carattere precedente dell’ insieme, codesto fenomeno dicesi più propriamente
epifenomeno ossia fenomeno sovreggiunto. Quindi nella medicina si dà questo
nome ad un sintomo, che si manifesta in una malattia già riconosciuta © si
aggiunge agli altri sintomi presentatisi prima. Nella psicologia si chiama
epifenomeno il fatto di coscienza, la coscienza, quando si crede che essa non
sia costitutiva della attività psichica, ma semplicemente un fenomeno
addizionale, aggiunto al fisiologico, e che può anche non comparire senza che
per questo ln funzione psicologica sia distrutta. I segusci del materialismo
psico-fisico, considerando il fatto psicologico e il fatto fisiologico cioè lu
funzione del si 381 Err stema nervoso
centrale come due diversi aspetti, il primo interno e il secondo esterno di una
medesima attività, considerano i fatti di coscienza come semplici epifenomeni.
Per i seguaci della dottrina somatica dell’emozione, questa, risolvendosi
essenzialmente in una alterazione organica, in una reazione vasomotoria, lo
stato di coscienza emotiva è un semplice epifenomeno. Cfr. Ribot, Les maladies de la
personalité, 163 ed., 1899, Introd.; Les maladies de la mémoire, 313 ed., 1909,
cap. I, 1; W. James, La théorie de l'émotion, trad. franc. Dumas, 1903, Introd.
Epigenesi. T. Epigencse; I.
Fpigenesis; F. Épigénène. Dottrina che sostiene essere ogni nuovo individuo
l’effetto di un progressivo e regolare sviluppo del corpo organico, che fu
formato dalla fecondazione nel seno dell'organismo generatore; in contrasto
colla dottrina detta della preformazione dei germi, secondo la quale il germe
sarebbe un individuo estremamente piccolo, ma già completamento formato,
esistente attualmente nel generatore, e contenente alla sua volta una serie
indefinita di altri germi sempre più piccoli, gli uni involti negli altri, di
modo che ogni individuo conterrebbe in sè stesso tutte le generazioni cho da
lui possono sortire. Per la dottrina dell’epigenesi, dovata a G. F. Wolff, lo
aviluppo embrionale non consiste in uno svolgersi di organi preformati, ma in
una catena di neoformazioni, in cui ciascuna parte si forma dopo l’altra e
tntte compaiono in una forma semplice, che è affatto diversa da quella
ulteriormente evoluta. Cfr. (i. F. Wolff, Theoria generationis, 1759; E.
Haeckel, Anthropogenie, 4° ed. 1891, p. 28 segg. Episillogismo. T.
Epieyllogiemus; I. Episyllogiem; F. Episyllogisme. Sillogismo aggiunto, che ha
per premessa maggiore o minore Ia conclusione d’un sillogismo (v.
poLisillogismo). Epistematico (ἐπιστήμη --scienza). Qualche volta si adopera
per designare il procedimento deduttivo, che dai Eri-Ero 382
principi generali ricava delle conseguenze particolari; in opposizione
ad epagogico, che è il procedimento inverso, © induttivo, per cui dai fatti o
dalle leggi particolari si sale ai principi © alle leggi generali. Quindi
dicesi epistematica quella scienza che procede per deduzioni e per sillogismi,
in opposizione 8 scienza sperimentalo ο induttiva. Epistemologia. T.
Wissemschaftslehre ; I. Epistemology; F. Épistémologie. La filosofia delle
scienze. Essa stabilisco gli oggetti d’ogni scienza, determinandone i caratteri
differenziali, ne fissa i rapporti e i principt comuni, le leggi di sviluppo e
il metodo particolare. Si distingue dalla teoria della conoscenza ο
gnoseologia, in quanto questa studia la conoscenza nell’ unità dello spirito,
nelle forme universali © nel meccanismo interiore, mentre I’ epistemologin
unalizza le conoscenze a posteriori, nella diversità dello scienze © degli
oggetti. La distinzione però non è sempre osservata, specie dai filosofi
inglesi. Cfr. R. Flint, Agnoaticiem, 1903, p. 10, 13. Epoca (da ἐπόχειν sospendere, tacere). Gr. Ἐποχή: T. Epoche. La
famosa dottrina dello scetticismo pirroniano; significa sospensione ο
astensione dall’affermare ο dal negare intorno all'essenza di qualsiasi cosa,
In altro parole l’epoca è il dubbio scettico. Constatato le antinomie della
ragione e la disparità delle opinioni umane, Pirroneconsiglia l’uomo a
sospendere il suo assenso circa la natura delle cose in sè stesse, le leggi e i
rapporti invisibili degli esseri; egli deve aooontentarsi di considerare le
cose semplicemente secondo la diversa impressione che gli arrecano. L'epoca ha
una portata teorica © pratica; teorica perchè preserva l'intelligenza dalle
contraddizioni; pratica perchè l'assenza della contraddizione significa la pace
© la serenità dello spirito. Cfr. Sesto Empirico, Pyrrà. Hypot., I, 188 segg.;
Galluppi, Lezioni di logioa e met., 1854, II, p. 250-55 (v. aoatalesia, afasia,
diallelo, dicotomia, dommatiemo, tropi).
383 Epo-Equ Epoptico. Si adopera
talvolta in significato di esoterico. Infatti nella scuola di Pitagora gli
epopti erano quelli fra gli allievi che, avendo sostenuto le prove stabilite ο
possedendo in modo completo la dottrina del maestro, fucevano parte della
società stessa; gli altri erano considerati come esterni alla scuola, come
semplici aspiranti ad : entrarvi. Così dicesi epoptioa quella parte del sistema
filosofico di Platone e anche di Aristotele, che era destinata soltanto agli
scolari più fedeli e più intelligenti (v. aoroamatioo, esoterico, ezoterico).
Equabilità. Con questo vocabolo, riferito al tempo, il Rosmini designa ls
medesima quantità d’ azione ottenuta con un grado costante di intensità.
Infatti la durata successiva è da noi concepita come lu possibilità, che
mediante un grado dato di intensità, si ottenga una data quantità di azione; in
altre parole, dentro una durata qualsiasi, la quantità di azione sarà
proporzionata alla intensità dell’azione. Questo rapporto costante può essere
espresso Zi cui 1° desigi @ la quantità d’azione, 8 la durata successiva. Cfr.
Rosmini, Nuovo raggio sull'origine delle idee, sez. V, par. V, ο. VI; Id., Peioologia,
1848, vol. II, parte II, p. 189-205 (v. durata, momento). Equazione. T.
Gleichung ; I. Equation; F. Equation. Nella matematica si chiama uguaglianza
l’espressione algoritmica composta di due membri, in cui il valore dell’uno è
il risultato delle operazioni eseguite nell’altro. Si chiama poi equazione
quella uguaglianza, specialmente letterale, nella quale in uno dei due membri
si ha una lettera il oui valore non è conosciuto (incognita) e lo si vuol
determinare a mezzo della espressa uguaglianza. Equazione del mondo. T.
Weligleichung; F. Equation du monde. La formula del determinismo rigoroso, che
concepisce l’accadere così definito in ogni ana fase, da consinella seguento
formola: T= il tempo, Equ 384 derare il passato e l’avvenire come
esattamente valutabili in fanzione del presente. Il Laplace la esprime così : Una
intelligenza che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui
la-natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono,
se fosse abbastanza vasta per sottoporre codesti dati all’analisi,
abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’
universo ο quelli dell'atomo più leggero; nulla sarebbe incerto per essa, ©
l'avvenire, come il passato, sarebbe presente a’ snoi occhi ». E l’Huxley, in
modo ancora più concreto: Se la proposizione fondamentale dell’ evoluzione è
vera, che cioè il mondo intero, animato ο inanimato, è il risultato della mutua
interazione, secondo leggi definite, delle forze possedute dalle molecole di
cui era composta la nebulosa primitiva dell’ univereo, allora non è men certo
che il mondo attuale riposava potenzialmente nel vapore cosmico, e che una
intelligenza sufficiente avrobbe potuto, conoscendo le proprietà delle molecole
di codesto vapore, predire ad esempio lo stato della fauna dell Inghilterra nel
1868, con pari certezza di quando si predice ciò che accadrà al vapore della
respirazione durante una fredda giornata d'inverno ». Il determinismo viene
così a convertirsi in un predeterminiamo, che si distingne dal teologico solo
perchè la necessità è posta come immanente alla natura. Molti però intendono il
determi nismo causale non come una monotona ripetizione dell’identico, ma come
una mutazione incessante nella durata, come uno svilnppo continuo di forme nnove;
e non lo fanno cominciare arbitrariamente dalla nebulosa primitiva, ma lo
estendono all’ infinito nel tempo e nello spazio. Così inteso il determinismo è
la negazione perfetta al predeterminismo e la sua espressione il contrario
preciso di quella del Laplace: ogni fenomeno naturale, emergendo dal seno dell’
infinito e rappresentando il realizzarsi di nna serio infinita di possibilità,
è l'equazione dell'infinito, ossin i 0
385 5 Equ l’imprevedibile,
l’indeterminabile; cosicchè l’ipotesi di uno spirito infinito, che in base alla
conoscenza attuale della natura ne ricostruisca a priori la storia passata, e
lo svolgimento futuro, è, oltrechè inutile e indimostrabile, anche assurda. Cfr. Laplace, Introd. à la
théorie analytique des probabilités, 1886, p. VI; Renouvier, Hist. et solution
des problèmes metaphysiques, p. 168 segg. ; Bergson, L'érolution créatrice, 103
ed. p. 41 segg.; Stanley Jewons, The principles of science, 1877, vol. II, cap. XII, $ 9; C. Ranzoli, Il caso nel
pensiero e nella vita, 1913, p. 130 segg. Equazione personale. T.
Personalgleiohung ; I. Personal equation; F. Equation personelle. È la
differenza di tempo con cui uno stesso stimolo è'sentifo da diverse persone. La
constatazione di questo fatto, che diede il primo impulso alle ricerche della
psico-fisica sulla durata dei fenomeni psichici, fa fatta la prima volta all’
Osservatorio di Greenwich. Si osservò che un assistente incaricato di segnare
il momento del passaggio delle stelle sul filo, teso sopra Voculare del
canocchiale e coincidente col meridiano del luogo, notava costantemente il
passaggio delle stelle un minuto secondo più tardi dell’Osservatorio stesso.
Fatte le opportune indagini, si potd constatare che codesta differenza si
verifica sempre quando osservazioni simili vengono fatte do diverse persone, e
si inventarono apparecchi appositi per misurare 1’ equazione personale, diversa
nei diversi individui, ma pressochè costante nello stesso individuo; la
misurazione di essa serve a correggere i dati «lolle osservazioni individnali.
Cfr. Fechner, Elemente der Payohopysik, 1860 (v. tempo di reazione). .
Equilibrio. T. (lechgewicht, Aequilibrium; I. Fquilibrium ; F. Équilibre. È la
relazione esistente fra due corpi contigui, i quali, pur possedendo uno stato
determinato di tendenza al movimento, rimangono tuttavia in riposo. In un senso
più generale, e non puramente meccanico, si ‘lice che esisto equilibrio fra dne
cause di canginmento, 25 RANZOLI,
Dizion, di acienze filosofiche. Eu
388 qualunque siano queste cause
e quel cangiamento, quando un sistema semplice o complesso, sottomesso a queste
cause, non ne subisce alcun canginmento. Non bisogna tuttavia confondere
l'equilibrio col riposo: un sistema è in riposo quando non è sottomesso ad
alcuna causa nè interna nd esterna di canginmento. L'equilibrio si distingue
ancho dall’ inerzia, perchè, mentro il concetto di equilibrio è una pura
costruzione dello spirito, possibile solo in quanto esiste il concetto negativo
di assenza di equilibrio, il concetto negativo di energia è d'ordine puramente
ideale, non esistendo materia sprovvista d’ inerzin. Nel dinamismo volontario 1’ equilibrio
corrisponde alla perplessità in cui ci troviamo, quando la nostra volontà è
sollecitata in senso opposto da motivi e mobili uguali ; la possibilità, in
simile caso, della scelta, costituisco una prova di quella che dicesi libertà
d’equilibrio. Alouni psicologi chiamano
senso dell'equilibrio quel sentimento particolare, che avrebbe sede nel
cervelletto o nella base dei canali semi-circolari, per cui è possibile
conservare al proprio corpo la giusta posizione © orientazione nello spazio;
questo senso scompare in alonne malattie, © può essere sperimentalmente abolito
negli animali mediante la distruzione di determinate parti del sistema nervoso
centrale, Cfr. Mach, Grundlinion d. Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1878;
Grasset, Los maladies de l'orientation et de l'équilibre, 1901; Paulhan, Esprit
logiques οἱ caprite Sanz, parte II, cap. I, $1; L. Amoroso, Sulle analogie tra
l'e. meccanico e l'e. sconomico, Riv. di filosofia », aprile 1910.
Equipollensa. T. (‘leichgeltung: I. Equipollence; F. Équipollence. È la
relazione che intercede tra due concetti che si contengono a vicenda, che hanno
cio la stessa entensione. Per alenni logici, due concetti equipollenti non sono
che il medesimo concetto espresso con parole diverse; per altri, invece, sono
equipollenti due concetti che hanno In stessa estensione ma divers
comprensione, che cioè con 387 Equ-Ere
notano diversamente lo stesso oggetto che denotano. Cfr. Rosmini, Logios, 1853,
$ 389-391 (v. oonnotatiri). Equivalenza. T. Aequiralenz ; I. Equivalenoy ; F.
Equivalence. Si dicono equivalenti due cose, ad es. due figure geometriche,
quando non differiscono in nulla relativa mente all'ordine di ideo o al fine
pratico che si considera. Equivalente meccanico del calore dicesi il numero dei
kilogrammetri necessari in un corpo o in un sistema termicamente isolato, per
accrescere d’una caloria la sus quantità di calore. Siccome la legge della
conservazione della forza fu scoperta ο formnlata primitivamente nell’
equivalenza tra il lavoro meccanico e il calore, così la logge stessa dicesì
anche legge di equivalenza. Equivoco. T. Aequivok ; I. Equivocation; F.
Équivoque. E equivoca una parola quando ha più significati diversi, univoca
quando non no ha che uno. Sopra il significato equivoco d’una parola si possono
fondare molti sofiemi verbali, come l’anfibologia, la fallacia divisioni,
l'accento, eco. Cfr. Aristotele, Categ., I; Metaph., IV, 4 (v. omonima).
Eredità. T. Vererbung; I. Heredity; F. Hérédité, 11 fatto del trasmettersi
delle proprietà degli organismi nei loro discendenti per mezzo della
riproduzione. La aus formula ideale è: il simile produce il simile; oppure,
como propone l’ Haeckel: l'analogo produce l'analogo. Vi sono d specie
principali di eredità: la immediata, ciod la trasmissione diretta dei caratteri
fisici ο psichici dei genitori ai figli; la atavioa, ciod la riapparisione di
caratteri scomparsi da tempo più o ineno lontano. Vi sono pure due forme principali:
la similare cioè la trasmissione inaltorata degli stessi caratteri, e la
dissimilare, cioè la metamorfosi dei caratteri da una generazione all'altra.
L'eredità può trasmettere tanto i caratteri normali che gli anormali; questa,
che è detta eredità patologica, può avere due forme: l'una, detta eredità di
germe, è la trasmissione diretta della malattia : l’altra, dotta eredità di
terreno, è la tramminione ERE 388 di una predisposizione speciale a determinate
malattie; alcuni biologi esclndono però l’esistenza della eredità di germe, non
ammettendo che la seconda forma. Fra le leggi più generali dell'eredità sono:
quella della eredità adattata ο aoguisita, per cui l'organismo può tranmettere
ai discendenti delle proprietà che egli stesso ha acquistato durante la ana
vita, © quella dell'eredità costituita ο iasata, per cui tanto più sicuramente
si trasmettono le proprietà acquisite quanto più a lungo durano le cause che le
determinarono. Dicesi eredità omoorona, quella che si manifesta alla stessa
età; e. omotopa, quella in cni i caratteri si riproducono in siti
corrispondenti del corpo ; ο. anfigona, quella per la quale tanto il padre che
la madre riproducono nei figli i loro caratteri personali ; ο, sessuale, In
logge per cni eiasonn sesso trasmette soltanto »’ suoi discendenti del medesimo
sesso i suoi caratteri sessunli socondari ; e. abbreviata, per cui si saltano
nell’ontogenesi alcune fasi o forme della filogenesi. Varie sono le ipotesi
escogitate per spiegare i fenomeni ereditari, ma si può dire che nessuna ha
raggiunto la certezza di una vera © propria dottrina scientifica. Sembra però
indubbio che la trasmissione ereditaria avvenga per un passaggio diretto, dagli
ascendenti ai discendenti, di una sostanza materialo apportatrice, se non dei
singoli caratteri, almeno di una disposizione primigenia, onde quei caratteri
vengono poi detorminati nel successivo differenziamento della cellulafiglia
(quando l'organismo è monocellnlare), nella moltiplicazione e nell’ ulteriore
differenziamento dei blastomeri © delle cellule elementari dei tessuti ed
organi (quando l'organismo è pluricellulare). Questa sostanza materiale è il
plasma germinatito, che la maggioranza dei biologi pone nel nucleo delle
cellule sessuali, nucleo che perciò è stuto denominato l'organo della eredità.
Quindi In trasmissione caratteri sarebbe dovuta alle minime particelle della
sostanza vivente, siano esse le gemmule di Carlo Darwin. 389
Ekk-Eki le plastidule di Haeckel, i biofori di Weissmann, i granuli di
Altmann, i eitoblasti di Schlater, ecc. Cfr. A. Weissmann, Das Keimplasma, eine
neue Theorie d. Vererbung, 1894; P. Lucas, Traité de V'hérédité naturelle,
1847-50; Yves Délage, La structure du protoplasme et les théories de
V'hérédité, 1895; ‘Th. Ribot, L’hérédité payohologique, 1884; G. Portigliotti,
L'erodità comsanguinca, 1901 (v. pangonesi, perigenesi, idioplasma,
germiplasma, epigencsi, embriologia, filogenesi, ecc.). Ereditarietà. La
potenzialità ο la virtualità degli orgnnismi a trasmettere i loro caratteri ai
discendenti per mezzo della riproduzione. Si distingue dall’eredità, che è il
fatto reale ed attuale della tramissione dei caratteri dai genitori ai figli.
In altre parole, l’ereditarietà indica una facoltà di cui l'eredità è
l'esercizio. Eristica. Gr. Ἐριστική: T. Eristik; I. Erietio; F. Eristique,
L’arte di disputare per disputare, di contraddire l’avversario ad ogni
affermazione, senza l'intenzione positiva di provare qualche cosa. Sarebbe la
degenernzione della dialettica. L’eristica trasse l’origine, secondo il
Winokelinann, dagli enigmi e dai logogrifi che i savii della Grecia usnvano
proporsi, ancora prima che sorgesse la filosofia ; fiorì specialmente nella
scuola di Megara, fondata da Euclide; i filosofi che appartennero a codesta
scuola furono detti eristici, appunto perchè disputatori sottili e spesso
sofistici. Tattavis non bisogna confondere l’eristica colla sotistica, giacchè
quella è una derivazione di questa. Tra gli argumenti dell’ oristica rimasero
celebri specislmente due, il «mucchio » e la testa calva », la cui idea si fa
risaliro n Zenone, adattandosi alle argomentazioni per cui si dimostra che è
impossibilo la formazione delle grandezze mediante parti piccolissime. Uno dei
più inosanribili nel trovare simili bisticei fa il megarico Diodoro Crono, del
quale è rimasta la dimostrazione contro il concetto di possibilità: possibile è
solo il reale, perchè un possibile, che non diventa reale, si dimostra appunto
per ciò impossibile. Un Erm-Ekk 390 esempio di ciò che fu l’eristica ci è rimasto
nell'Eutidemo di Plutone 6 nel nono dei Topici d’Aristotele. Malgrado il
significato cattivo del vocabolo, il Rosmini usa Ta parola cristioa per
indicare quolla parte della logica, che insegna l’arte di contendero con
ragioni ed argomenti. Cfr. Diogene L., II, 107; Sesto Empirico, Adv. math., X,
85 segg.; Cicerone, De fato, 7, 13; A. G. Winckelmann, Platonie Buthydem.,
1833, Prolegom. ο. Il; Rosmini, Logica, 1853, p. 310-315 (v. agonistica).
Ermetismo. T. Hermelismus; I. Hermotiem ; F. Hörmétisme. L'insieme delle
dottrine religione, scientifiche ο filosofiche contenuto nei libri attribuiti
dagli Egiziani a Hermes Trismegisto o Mercurio. Questi libri, in cui è
riussunta l’antica sapienza egiziana, furono riuniti la prima volta © tradotti
in lingua latina da Marsilio Ficino ; però la loro antenticità è nessi dubbia.
Cir. Marsilio Ficino, Morcurii Triemogisti liber de potestate et sapientia Dei,
1471. Errore. T. Irrtum; 1. Error; F. Erreur. E un ragionamento falso ο
un'opinione erronea, cho si distingue dal sofiema, in quanto, mentre quello può
essere involontario © nou dissimulato, in questo invece l’errore è più o meno
abilmente rivestito delle apparenze del vero, ¢ come vero si cerca di farlo
accettare agli altri. Da ciò seguo che l’errore non è mai affermato come tale;
per una mente che erra, tutto quello che è affermato sembra vero e l'errore non
esiste. Esso comincia ad esistere solo quando è stato scoperto. Nessun
giudizio, quindi, può essore un errore per sè, ma tale divonta solamente dopo
che è stato corretto. Per Cartesio il problema dell'errore sorge dal princi pio
della reraoitas Dei, non potendosi comprendere come la divinità perfetta abbia
potuto formare la natura umana tale che possa errare; egli ammette che solo le
idee chiare © distinte esercitano una forza così preponderante sullo spi rito,
che questo non può non riconoscerle, mentre di fronte alle rappresontazioni
oscure © confuse esso conserva illi 391
Ekk mitata l’attività del suo libero arbitrio: così nasce Perrore,
quando l'affermazione © la negazione si snccedono arbitrariamente, dato un
inateriale di giudizio indistinto e oscuro. Per Spinoza Perrore è una mancanza
di cognizione, cosicchè l’anima, in sè stessa considerata, non commette mai
alcun errore: Cus) quando guardiamo il sole, imngininmo che si trovi a una
distanza di circa cento piedi da noi, e tale errore non consiste in codesta
imaginazione sola, ma in ciò che noi, mentre imaginiamo così il sole, ignoriamo
la causa di tale imaginazione, così come la vera lontananza del sole ». Per
Leibnitz l’errore è una privatio: «Io vedo una torre, che di lontano mi pare
rotonda montre è quadrata. Il pensiero che la torre sis quale mi uppare,
discende in modo naturale da ciò che vedo, ο quando rimango fermo in tale
ponsiero, tale affermazione è un falso giudizio ». Per Hume invece l'errore
consiste in uno soambio di rappresentazioni tra loro somiglianti; per Kant in
un inavvertito influsso della sensibilità sopra 1’ intelletto, che fa sì che noi
ritenismo per oggettivo il fondamento puramente soggettivo dei nostri giudizi ©
scambiamo quindi la pura apparenza della verità con la verità stessa ». Per il
Rosmini l'errore consiste nell’assenso dato in senso contrario alla ragione;
può quindi essere tanto un assenso gratuito, quando si dà ad un giudizio che pu
esser falso, quanto uns conseguenza dell’assenso gratuito, quando è concesso
sopra una ragione falsa; quando l’uomo dà l'assenso mosso da una ragione falsa
e mediante un atto di libero arbitrio che dichiarò falso il vero, e vero il
falso questo libero arbitrio, che invece di soguire la ragione data
dall’intelligenza ne crea una (falsa) da vt, collocandosi nel luogo
dell’intelligenza, è la facoltà dell’errore. La forza di questa facoltà dell’
errore è tale che non si può assegnarle limiti determinati, e però In storia
della umanità dimostra che, verificandosi certe condizioni, ella si estende a
dare l’assenso alle cose più strane e in 392
credibili, ο a negarlo alle più credibili e certe ». Por il Bradley
tutto è upparenza nel mondo del pensiero umano, quindi tutto vi è errore, ma in
ogni errore c’è una parto di verità, come in ogni verità c'è una parte di
errore; onde si possono distinguere vari gradi, secondo che è nocossario
sottoporre l'apparenza ad una nuova sistemazione per trasformarla in esperienza
assoluta. Nel panteismo del Royce l’errore consiste nella inadeguatezza dello
stadio attuale del processo volitivo ad esprimere il suo vero fine; poichè il
fine non è sempre chiaramente presente alla coscienza, ma si passa da uno stato
vago e indeterminato di inquietudine ad uno definito di volontà e di
risoluzione, uttraverso il quale sono possibili gli errori riguardo
all'intelligenza del nostro fine; in breve, l’errore è un contrasto tra la mia
volontà parziale e il proposito finale che ho liberamente scelto. Con l’espressione errore dei sensi, si
designavano una volta quelle che oggi si dicono illusioni naturali dei sensi,
come quella del sole che a noi sembra veder girare intorno alla terra, di un
bastone per metà immerso nell'acqua che appare piegato, ecc. Nella psicologia
sperimentale dicesi metodo degli errori un metodo che serve per stabilire i
rapporti che passano in una scala di sensazioni tra ognuna di queste © gli
stimoli corrispondenti. Esso può avere due procedimenti : uno, detto degli
errori medi, è fondato sul principio che, quanto più piccola è la difforenza
dell’eccitamento percettibile nella sensazione, tanto piccola sarà anche quella
differenza di eccitamento, che non è percettibile; il secondo è fondato sul
futto, che quando si fanno agire su un dato organo di senso due stimoli poco
diversi I’ uno dall'altro, per le oscillazio della sensibilità di difforenza, o
per altro, ora appare più forte il primo del secondo, ora all’inverso. Cfr.
Descartes, Med., IV; Prine. phil., I, 31 segg.; Spinoza, Ethica, II, teor.
XVII, XXXIII, XXXV, scol.; Leibnitz, Theod., I, B, 432; Hume, Treat., Il, sez.
5; Kant, Log., p. 77; Rosini, Logica, 1853, p. 25, 53 sogg.; Royce The world
and tho individual, 1901, vol. I, p. 327, 384, 389; F. C. 8. Schiller,
L'errore, Riv. di filosofia », aprile 1911; A. Marchesini, L'arte dell'orrore,
1906; E. Mach, Conoscenza ed errore, trail. it., Sandron. Esatto. T. Ezakt; I.
Exact; F. Exact. Dicesi esatta una enunciazione, quando è adeguata a ciò che
essa deve enunciare; in questo seriso esatto αἱ oppone quindi ad ambiguo. Nelle
enuneiazioni che si riferiscono alla misura, l’esattezza consiste nell'essere
la misura nd inferiore nd auperiore alla grandezza misurata. Diconsi esatte
così le scienze matematiche, perchè, secondo la profonda intuizione del Vico,
della materia di queste scienze, cioè le forme e i numeri, noi stessi siamo gli
autori, noi stessi creandole per mezzo del ragionamento puro: esse quindi sono
assolutamente vere 9 certe, mentre ciò non può dirsi delle scienze
sperimentali, le cui conoscenze non sono che approssimative, essendo
subordinate al grado di acutezza dei nostri sensi o alla perfezione dei nostri
strumenti. Escatologia. T. Eschatologie; I. Eschatology; ¥. Esohatologie. Nella
teologia dogmatica si designa così la dottrina delle ultime cose, le quali,
secondo alcuni teologi, sono tre: risurrezione, giudizio, caugiamento della
terra. In generale dicesi escatologia ogni dottrina che riguardi il destino
finale dell’uomo e dell'universo, ο in questo senso il vocabolo è adoperato,
oltrechè nella teologia, anche nella scienza e nella filosofia. Esclusive
(proposizioni). Quelle proposizioni complesse © implicite, le quali esprimono
che un dato predicato conviene a quel solo soggetto: ad es. Dio è uno solo.
Possono essere rese esplicite, equivalendo a dne proposizioni: ad es. Dio è
uno, e non più di uno. In generale, tutte le proposizioni affermative sono
implicitamente esclusive, perchè negano tutto ciò che ripugna alla coesistenza
col predicato attribuito al soggetto; questa negazione impliEst 394
cita è di due maniere: 1° Rispetto ad alcune cose, il predicato che si
afferma del soggetto ha semplicemente la relazione di esclusività, onde quelle
cose rimangono escluse semplicemente; ad es. dicendosi questo è un circolo »,
si esolude l’altra prop. contraria questo è un quadrato ». 2° Rispetto ad altre
cose, ciò che si afferma nella proposizione non ha semplicemente la relazione
di esclusività, ma anche quella di correlatività, in quanto ciò che viene
affermato, nello stesso tempo che esclude quelle cose, implicitamente le
afferma esistenti come correlativo; ad es. l'affermazione dell’effetto inchiude
implicitamente l’affermazione della causa. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 152.
Esecuzione, T. Ausführung, Ezeoution; I. Ezeoution ; F. Erdoution. Nel processo
d'ogni singolo atto volontario (rolisione) dicesi esecuzione il momento
terminale del processo medesimo, ossia l’atto che consegue al prevalere
definitivo d'una idea-fine nel conflitto dei motivi. L'esecuzione rappresenta
nol processo volitivo il lato meceanico o materiale; la parte psicologica ed
essenziale di esso è costituita invece dalla deliberazione ο dalla scelta (v.
deliberazione, volontà). Esemplare. T. Exemplar; I. Exemplary; F. Exemplaire.
Nei processi di finalità intelligente, in cui l’attività dell'ossere è diretta
con mezzi noti ad un fine noto, dicesi causa esemplare il fino alla cui
realizzazione l’essero tondo, © causa efficiente l’attività stessa che tale
fine realizza. Si suol distinguere anche la causa esemplare dal fino: quella si
ha quando l’attività dell’agento è essa stossa lo scopo, questo quando invece
l’attività non è che un mezzo di cui lo scopo prefisso sarà l’offetto. Nella
filosofia platonica lc idee sono modelli, paradigmi, cause esemplari delle cos,
© quindi esistono per sò; ma esse non hanno causalità officiento e perciò
questa deve trovarsi accanto a loro e concorrere con loro alla formazione del
mondo; tale causa efficiente, che Platone toglie dulla credenza religiosa, è il
Demiurgo (v. causa finale, finalità, fine, teologia). 395
Est Esistenza. T. Existenz, Dasein; I. Existence; F. Kzistence. Lo stato
di una cosa in quanto esiste. Ha una maggiore ostensiono dei concetti di realtà
ed attualità; si oppone al concetto di nulla, ed anche a quello di essenza in
quanto questa è soltanto l'insieme degli attributi senza i quali la cosa non si
potrebbe concepire, ma che non bastano n far sì che in realtà sia; in altre
parole, l'essenza della cosa, una volta concepita, basta per dimostrarne lu
realtà intrinseca, ma non la sussistenza. Dicosi esistenza per sè 0 in sè il
fatto d’essere indipendentemente dalla conoscenza, sia dalla conoscenza
attuale, sia da ogni conoscenza possibile; esistenza contingente, quella che
non è contenuta nell’ossenza, esistenza necossaria quella che è contenuta. In
questo senso il realismo dell'età di mezzo insegna che tra l'essenza e
l’esistenza osiste un rapporto diretto, cosicchè quanto maggiore è
l'universalità tanto maggiore è il grado della realtà, e Dio, che è l’essere
più universale, è anche l’essere assolutamente realo, ene realissimum ; su ciò
Ansolmo di Canterbury fonda, nel suo Monologium, la prova ontologica
dell’esistenza di Dio, che si può riassumere così: mentre ogni singolo ente può
anche essere pensato come non esistente, e perciò deve la realtà del suo essere
ad un essere assoluto, questo, in quanto tale, devo essere pensato come
esistento unicamente per sun propria essenza (ascitae), dove osistero ciuè per
necessità della sua propria natura. In questo senso ancora, dice Spinoza: Alla
natura della sostanza appartiene l'esistenza. Infatti una sostauza non può
essere prodotta da alcuna altra cosa; essa sarà dunque causa di sò, ossia la
sun essenza involgo necessariamente |’ esistenza, cioò alla sua natura
appartiene d’osistore. L'esistenza di
Dio © lu sua ossonza sono una sola e medesima cosa. L'essenza delle coso prodotte da Dio non
involge l’esistenza ». Per Spinoza quindi, come per gli scolastici, l’esistenza
è un predicato della coën ; per Kant invece essa non può essere un predicato,
gineEsı-Esp chè il soggetto deve essere presupposto come esistente da tutti i
predicati: L'esistenza è l'assoluta posizione di una cosa e si distingue da
qualunque predicato, che come tale può essere posto sempre ad un’altra cosa in
modo puramente relativo... Quindi l’esistenza non è manifestamente un predicato
reale, cioè il concetto di un quid che possa essere mentalmente aggiunto al
concetto di una cosa. Essa è la pura posizione d'una cosa o di certe
determinazioni in sò stesse.... Cento talleri reali non contengono la minima
cosa di più che cento talleri possibili ». Psicologicamente, il concetto di
esistenza ha le sue radici nel sentimento del proprio io, che rimane
continuamente presente fra il comparire e scomparire delle altre cose ; sentimento
che viene poi trasportato per astrazione alle sensazioni stesse, riguardate
come oggetti fuori di noi, e csteso infine a tutti quegli oggetti i cui effetti
ci indicano un rapporto qualunque di distanza o d'attività con noi stessi. Cfr.
Prantl, Geschichte d. Logik, 1855-70, t. III, p. 217 segg.; Spinoza, Hthioa, 1.
I, theor. VII, XX,
XXIV; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 472 segg. ; H. Spencer, Princ. of psychology, 1881, $ 59, 467
(v. es sere, ento, divenire, realtà, nulla, sussistonca). Esistenziali
(giudizi) v. tetici. Esogamia. Quella forma primitiva di matrimonio
poliandrico, in cui le donne vengono rapite alle tribù nemiche. Il matrimonio
per cattura pare fosse determinato dalla scarsezza delle donne, poichè,
praticandosi presso quelle tribù l’infanticidio, le più spesso sacrificato
erano lo femmine. L’esogamia segna un passo nell’ evoluzione della famiglia, in
quanto porta una limitazione alla poliandris. Cfr. Starke, La famille
primitive, 1891 (v. endogamia, Ἰοτίγαίο, eterismo, matriaroato, famiglia). Esoterico v. esoterico.
Esperienza. T. Erfahrung; I. Experience; F. Experience. Nella logica designa il metodo sperimentale, ο
comprende 397 Esp quindi tanto l'esperimento propriamente
detto quanto l’osservazione. Nella psicologia per esperienza s'intende In
nostra facoltà di conoscere i fenomeni e si distingue in esperienza esterna
cioè la sensazione, ed esperienza interna, ossia la coscienza; in un senso
ancora più generale, ma sempre psicologico, per esperienza #’intende il fatto di
provare qualche cosa, in quanto ciò non è nn fenomeno transitorio ma qualche
cosa che arricchisce il nostro pensiero, ad es. esperiensa sociale, esperienza
religiosa, ecc. Nelle scienze biologiche il termine ha un significato assai più
vasto, intendendosi con esso l'insieme dei caratteri che l'individuo viene
acquistando, nel sno adattamento all’ambiente © alle condizioni d’ osistenza;
siccome tali caratteri possono trasmettersi per eredità nei discendenti,
rimanendo acquisiti alla specie, così ai distinguo nna esperienza individuale ©
una esperiensa specifica. Nell’empiriocriticismo © nelle dottrine economiche
della conoscenza, dicesi arperienza pura la conoscenza liberata da tutte le
sovrastrutture e le aggiunte inutili, dalle forme artificiali proprie soltanto
dell'intelletto umano (cansa, sostanza, tempo, ecc.), e ridotta in tal modo al
puro dato immediatamente vissuto (sonsazione), a quel fondo di esperienza
genuina e diretta in cui propriamente consiste la realtà. Cfr. Hodgson, The meta-physio
of experionoe, 1898; Avenarius, Kritik d. reinen ErSahrung, 1904; Ardigò, Opere
fil., vol. III, p. 266 segg. ; VI,
196 segg. Esperimento. T. Experiment; I. Experiment; F. Erpérience,
Ezpérimentation. Coll’osservazione noi non facciamo che assistere allo
svolgimento dei fenomeni, quali si producono in natura; l'esperimento consiste
nell’intervonire nei fenomeni stessi, riproducendoli nelle condizioni più
favorevoli per essero studiati. L'esperimento è dunque nina osservazione
artificiale, e costituisoo un mezzo di ricerca superiore all'osservazione;
infatti con esso possiamo produrre ripetutamente un fonomeno, isolurlo dalle
cause Esp 398 perturbatrici, variare indefinitamente le
circostanze della sun produzione, studiarlo partitamente sotto tutti i suoi
aspetti. Il merito di aver introdotto l’esperimento nella ricerca scientifica,
più che a Bacone e a Cartesio, vuol essere attribuito ai grandi genii del
nostro Rinascimento, specio a Galileo; a lui si deve se la scienza, abbandonato
il metodo aprioristico, adottò quell’ indirizzo sperimentale che doveva
squarciare tanta parte del mistero ond’ era avvolta la natura; con lui 1’
esperimento non è solo una accorta domanda alla natura, ma à una operazione
consapevole del suo scopo, onde le forme semplici dell’ sccadere vengono
isolate, per essere sottoposte alla misurazione. Va notato però che non sempre
l'esperimento è possibile, perchè in moltissimi casi In causa non è in nostro
potere o non possiamo adoprarla in modo che la ricerca sia fruttifora. Cfr. J.
Stuart Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, cap. VII; A. Valdarnini, It metodo
aperimentale da Aristotele a Galileo, 1909. Esplicativo. T. Erklärend,
erplioativ; I. Erplicatire : F. Ezplicatif. Che serve ad esplicare, vale a dire
a descrivere ciò che era sconosciuto o a mostrare che un dato di conoscenza era
implicito in una o più verità già ammesse. Per distinguerle dalle normative
(logica, etica, estetica, ecc.), si dicono esplicative tutte le scienze
naturali, le quali non hanno per compito di stabilire una norma suprema, ma
invece di cercaro la causa per cui certi fenomeni naturali ei producono e per
cui essi si spiegano. Alcuni logici chismano esplicativi quei gindizi in cui il
predicato comprende nella propria estensione il soggetto, sta a sè, e suole
grammaticalmente essere espresso da un sostantivo. Esplicito. T. Explicit,
ausdrücklich ; I. Explicit; F. Explicite. Una nozione o un giudizio si dicono
espliciti quando sono formalmente espressi nella proposizione. Le proposizioni
esplicite appartengono alle proposizioni composto e possono essere congiuntive,
disgiunlire, causali, condizionali e incidentali, Diconsi exponihili quelle
proposizioni impli 399 Ess cite ©
complesse, che si possono rendere esplicite. Si distinguono in esclusire,
ecoettuative, comparative, reduplicatire, determinatice, esornative. Essenza.
T. Wesen; I. Essence: F. Essence. Come la parola sostanza (substantia) è la
traduzione del greco broxslpsvoy, così l'essenza (essentia da cars = essere) è
la tradazione esatta, data da Cicerone, del greco οὐσία (da εἷva: ossere). Ma
nella filosofia greca essa non ebbe mai un significato preciso; usata per
designare ciò che è sotto l'apparire dei fonomeni, ciò che persiste identico
sotto la varietà ο la molteplicità di quelli, ciò che esce dal dominio della
osservazione sensibile per entrare in quello della conoscenza razionale,
l'essenza fu per tal modo identificata colla sostanza. Qualche volta soltanto
fn adoperata per indicare ciò che αἱ aggiunge alla sostanza per darle
determinazione e concretezza, e senza di cui la sortanza rimano una vuota
astrazione, una semplice possibilità. Kant ne precisò meglio il valore,
riducendola tuttavia ad una pura nozione logica; egli infatti distinse In
essenza una cosa dalla sua natura; quosta designa ciò che v'ha di reale nella
cosa che ci rappresentiamo, e non può essere constatata che per mezzo
dell'esperienza ; quella invoce è determinata dalla semplice nozione che noi
abbiamo della cosa, 9 può essere pienamente illusoria : L'essenza, egli dice, è
il primo principio interno di tutto ciò, che appartione alla possibilità di una
con... L'essenza è il contenuto di tutte le parti essenziali di una cosa, o In
sufficienza (Hinlängliohkeit) del loro carattere di coordina zione e di
subordinazione... Pereid αἱ riduce al primo concetto fondamentale di tutti i
caratteri necessari di una cosa ». Ugualmente il Fries: L'insieme dei
caratteri, che stabiliscono il contenuto di un concetto, ai chiama ancho
l'essenza logica di questo concetto ». Codesto carattere logico e puramente
astratto dell’ amenza tant verso da
quello attribuitole dalla filosofia green
ai trova Ess 400 per la prima volta negli scolastici. I quali
considerarono la sostanza, sprovvista di ogni forma, come una realtà attuale,
una esistenza positiva, ο l’essenza come l’ insieme delle qualità espresso
dalla definizione, o dalle idee che rappresontano il genere e la specie, Così
per G. Seoto l’essenza è quod perfootionem nature, quam definit, complet ac
perficit. Per Duna Scoto, substantia duplex cet esse, sc. cose ementice et
existentiæ. Individuum.... per se et primo ezietit, ossentia nonnisi per
aocidene. Anche Cartesio conservò In distinzione fra i due vocaboli; ma,
opponendosi agli scoInstici, considerò l'essenza non come una semplice
astrazione, ma come il sostrato vero e reale di tutte le qualità ed i modi
sotto i quali noi percepiamo un essere particolare, riserbando l’idea di
sostanza, che è il grado più alto della realtà © dell'essere, a Dio. Ora,
sottraendo dai corpi cid che non è essenziale, ciod i modi e le qualità
sensibili, noi giungiamo u coglierne la vera essenza, ed è l'estensione ; come
sottraendo ciò che non è essenziale dalla coscienza, si giunge a coglierne
l’essenza, cioè il pensiero. Per Spinoza l'essenza d’ una cosa comporta ciò
che, essendo dato, fa necessariamente che In cosa esista, © che, essendo tolto,
fa necessarinmente che la cosa non esista, vale a dire ciò senza di cui la cosa
non pnd nd esistere nd essere concepita, e reciprocamente, ciò che senza la
cosa non può nd esistere nd essere concepito; quindi all'essenza dell’uomo non
appartiene I’ essere della sostanza perchè l’essere della sostanza comporta
l’esistenza necessarin, cosicchè se appartenesse all'essenza dell’ uomo, data
la sostanza anche l’uomo sarebbe dato necessariamente, cosicchè l’uomo
esisterebbe necessariamente, il che è assurdo. Da ciò risulta che l'essenza
dell’uomo à costituita da certe modificazioni degli attributi di Dio ». Per
Malebranche l'essenza di una cosa è ciò che si conce pisce di primitivo in
codesta cosa, da cui dipendono tutte lo modificazioni che in ossa si notano ».
Locke, riforen 401 Ess dosi alla noziono
scolastica della essenza, dice: La parola essenza ha quasi perduto il suo
primitivo significato, e in luogo della reale costituzione delle cose è stata
quasi interamente applicata alla costituzione artificiale di genere © specie »;
rifacendosi perciò al significato proprio ο primitivo, che si riferisco allo
stesso esse della cosa, per essenza egli intende ciò per cui una cosa è quello
che è, la reale costituzione interna, per lo più sconosciuta, della cosa, da
cui dipendono le sue qualità conosciute ». Per Leibnitz è «la possibilità di
ciò che si pensa »; per.J. Stuart Mill «la totalità degli attributi designati
mediante la parola >; per Rosmini ciò che si comprende nell’ iden di una
qualche cosa »; per Ardigò un gruppo più o meno stabilmente connesso di dati
fenomenici, ossia l’aggruppamento di quegli atti coscienti, che accade si
trovino costanti nella rappresentazione dell'oggetto ». Cfr. Prantl, Geschichte
der Logik, 1855-70, III, 116 segg.; Aristotele, Met., VII, 4, 1030 a, 18 segg.;
Cartesio, Princ, phil., I, 51 segg.; Spinoza, Ethica, II, def. II, teor. X,
corol.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, 11, 1; Locke, Essay, 11,
cap. 3, $ 15; Leibnitz, Mouv. Kes., III, 3, $ 19; Rosmini, Nuoro saggio
sull'origine del idee, 1830, II, p. 217; Ardigò, Op. fil, I, p. 63 segg.; 128
segg. (v. aocidente, sostanza, materia, forma, concetto, modo, attributo,
ecc.). Essore. T. Sein, Soiendes, Wesen; I. Being; F. Être. L'idea di essero è
considerata come la più universale ο quindi come la più semplice; perciò è in
ad stessa indefinibile. Si è contrapposto all’essere: il nulla, considerato
come principio ugualmente necessario ο primitivo dell’exsere, ma che non è,
come idea, concepibile dalla nostra intelligenza se non in un senso puramente
relativo; il direnire, ciod il cangiamento, mentre l’essere è la stabilità:
Vesistere, ossia 1’ essere renle distinto dall'essere inmagi into Vexsera in
sò, insomma ehe non nario ο semplicemente possibilo. Si è d vale a dire In
sostanza, il soggetto, 28 Raxzon,
Dizion. di scienze filosofiche, ha bisogno per essere di essere in un’altra
coss, dall’essere per #2, che è ciò che, oltre essere in ad, non deriva la
propria esistenza da un altro essere. Dicesi essere puro quello che è
considerato indipendentemente dai suoi modi © dalle sue determinazioni; essere
supremo, Iddio, concepito come assoluto, realissimo, infinito, necessario, immutabile
ed uno, riassumente in sò sia la forma ideale che la reale e la morale; essere
intelligibile ο logico, l'essenza © l’idea della cosa, cui si attribuisce una
unteriorità logica rispetto all’essere conoreto nel quale si manifesta. Il
concetto dell'essere comincia ad elaborarsi con la scuola elentica, e
specialmente con Parmenide, per il quale l’essere è l'unico reale, l’unico
nesoluto intelligibile, principio, condizione, legge e oggetto essenziale del
pensiero, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile, perfettissimo,
identico con la sua iden. Per Democrito l’ossere si fraziona negli atomi, per
Platone #' identifica con le idee ; Aristotele definisce l’esistente como
l’essere che ei sviluppa nei fenomeni stessi, cosicchè l’essere delle cose,
conosciuto nel concetto, non possiede nessun’ altra realtà oltre l’insieme dei
fenomeni in cui esso si realizza. Per Stratone © per gli stoici 1’ essere è
determinato come la più alta delle categorie; per 8. Agostino l'essere reale è
soltanto quello che permane immutabile, quindi la divinità; per 8. Tommaso il
nostro intelletto conosce naturalmente l’essore, sul quale si basa la
conoscenza dei principi primi: per Leibnitz noi possediamo l’idea dell’essere,
perchè noi stessi siamo degli esseri e quindi troviamo l'essere in noi; per
Kant essere non è il concetto di qualche determinazione che possa aggiungersi
all’ idea di una cosa, ma è solo il fatto di porre una cosa o certe
determinazioni in # «tosse. Per Hegel l'essere puro è l’astrasione pura, V’
essere assolutamente indeterminato ; ma l’ essere nasoIntamento indeterminato è
1’ essere che non è nulla, 1’ essere ὁ altra corn che l’essore, l’essoro e ciò
cho non è 403 Est l'essere, in una parola 1’ essere e la
sua negazione, il nonessere ». Secondo il Rosmini l’idea d’essere è innata e
tutte le idee acquisite procedono da essa; egli distingue l’ensere necessario
in sè, in tre forme; essere ideale, in quanto comparisce come oggetto e
illumina le menti: es sere morale, in quanto determina il soggetto a sentire ed
operare, secondo la norma dell’essero ideale; essere reale, in quauto
comparisce come soggetto attivo che sente passioni ed azioni. Cfr. Kant, Krit.
d. reinen Vern., cd. Roclam, p. 237, 472; Hegel, Logik, $ 86 segg.; Dauriac,
Farai sur la cat. d’être, Aunée philos. », 1901; Rosmini, Nuoro saggio null’
origine dell’ idee, 1830, II, p. 15 segg. (v. ento, ontologia, divenire, nulla,
esistenza, essenza, sussistenza, acvidente, sostanza, vuoto, ecc.). Estasi. T.
Ekstase; I. Kontaxy; F. Eztase. 1 teologi la definiscono come un rapimento
dello spirito, nel qualo l’anima umana, chiusa ad ogni voce terrena, comunica
direttamente con Dio. Si chiama estasi, dice il Bontronx, uno stato nel quale
ogni comnnicazione col mondo esterno è rotta e l’anima ha il sentimento di
comunicare con un oggetto interno che è l'essere perfetto, l'essere infinito,
Dio.... L’estasi è la riunione dell’anima e del suo oggetto. Neasun
intermediario più tra essi : l’anima lo vede, lo tocca, lo possiede, è in lui
come l'oggetto è in Ini. Non à più In fede che crede senza vedere, à più della
scienza stessa, la quale non coglie I’ essere che nella sua idea: è una unione
perfetta, nella quale l’anima si sente esistere pionamente, per ciò atesso che
si dona e si rinuncia, poichè quello a cni si dons è l’essere ο In vita stessa
». La scienza In considera come un semplice stato di monoideismo, di
annientamento della volontà e della personalità, in cui l’individno è fuori di
ad, (ἀξίστημι = uscir di sè stesso). Un’unica rappresentazione,
straordinariamente intensa, domina l’individuo assorbendone tntta l’attività e
staccandolo dal mondo sonsibile. Questo stato pnd casera raggiunto ο naEst 404
turalmente o con processi artificiali, di cui abbonda la letteratura
filosofica © religiosa dell'Oriente. Gli estatioi si distinguono in santi e demoniaci,
a seconda del genio che li invade.
Plotino e Filone ebreo ponevano il supremo grado della virtù speenlativa
nell’estasi, cioè noll’assorbimento del nostro essere individuale e del nostro
pensiero stesso, in Dio o nell’Uno: L'anima non vede Dio, dice Plotino, che
confondendo, facendo svanire l'intelligenza che in essa risiede.... Nessun
intervallo più, nessuna dualità, tutt'e due non.fanno che uno; impossibile
distinguere l’anima da Dio, finchè essa gioisce della sua presenza; l'intimità
di questa unione è imitata quaggiù da coloro che, amando ed essendo amati,
cercano di fondersi in un solo essere ». Cfr. Plotino, En». III, 11; A. Merx,
Idee und Grundlinien einen Allgemeiner Geschichte d. Myatik, 1893; P. Janet,
Une extatique, Bull. Inst. psychol. », 1901; Boutroux, Le myeticisme, Ibid.
>, 1902 (v. monoideismo, ipnotismo, misticismo, suggestione). Si distingue
alcune volte l'ESTENSIONE dallo spazio; quella ci è data dalle sensazioni
tattili © cinestetiche, muscolari e visive, che noi abbiamo sia della forma e
dimensione degli oggetti, sia del rapporto esterno tra di loro, in quanto
coesistono, ossia della distanza; questo non è altro che l’oggettivazione del
rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza e l'estensione.
Oppure, lo spazio è il luogo reale, o ideale di tutti i corpi, la cui
estensione non è che una porzione limitata di spazio; questo è illimitato, e le
sue parti sono capaci di qualsiasi forma, senza averne, per sò stesso, alcuna.
Secondo Hume l'estensione è idea di punti visibili o tangibili distribuiti
nello spazio »; secondo Kant essa non appartiene alle coso in sò, ma è nna
forma » priori dell’ intuizione; secondo Hartmann e Lotze l’estonsione non
appartiene alle sensazioni primitive, ma è il prodotto di una funzione del
405 Est l’anima, che colloca
spazialmente gli oggetti esteriori; secondo il Bain l’estensione risulta dal
movimento delle nostre membra, a cui s’associano i movimenti d’accomodazione
degli occhi. Il Rosmini distingue 1’ estensione dall’ esteso : con la prima
intende lo stesso spazio considerato indipendentemente dai corpi, col secondo
il corpo che occupa una parte dello spazio, vale a dire della estensione; la
prima è infinita, immobile, indivisibile, ossia continus ed immodificabile, il
secondo è invece misurabile, mobile, divisibile, modificabile. Quanto al
concetto di estensione, inteso in senso generale, come comprendente ciod anche
l’esteso, esso risulta secondo il Rosmini da due relazioni essenziali:
considerata in sò stessa, l'estensione risulta da un rapporto di esterioritä di
parti, per cui le une sono fuori delle altre ο tra un punto e l’altro è un dato
continuo maggiore ο minore, per cui i punti non si possono toocar mai;
considerata in rapporto col principio senziente, essa è n Ini condizionata e a
lui inesistente, perchè il principio senziente apprende l’esteso in un modo
inesteso. Dicesi estensione, ο afora, ©
ambito di un concetto, l'insieme di tutti i concetti di oui il concetto dato è
una determin: zione; ο, in altre parole, l’insieme di tutti i concetti nei
quali il concetto dato è compreso e dei quali può essere affermato come
attributo. Ad es. l'estensione del concetto uomo è data dai concetti europeo,
asiatico, africano, francese, ecc. I logici esprimono il rapporto delle parti
dell'estensione tra di loro mediante il simbolo dell’ addizione; ciò perchè,
come gli addendi, le parti dell’ estensione xi escludono tra loro, e sommate
insieme costituiscono il tutto. Cfr. Bain, The »ensen and the intellect, 1870, p. 371 sogg.; Ueberweg,
System der Logik, 1874, $ 53; Rosmini, Psicologia, 1848, vol. II, p. 177 segg. (v. comprensione, distanza,
spasio). Estensivo. ‘I. Ertonsir; I. Extensive; F. Ertensif. Tutto ciò che
occupa uno spazio; si oppone quindi ad intensiro. Est 406 I
fatti di coscienza sono per loro natura inten: surazioni psicometriche non
rappresentano quindi che una rappresentazione estensiva dell’intensivo. Secondo
Kant una grandezza è estensiva quando la rappresentazione delle parti rende
possibile la rappresentazione del tutto, e quindi la precede necessariamente; e
intensiva quando non è appresa che come unità, e la quantità non vi può essere
rappresentata che avvicinandosi più ο meno alla neguzione. Soglia estensiva del
tatto, dicesi il diamotro dei oircoli tuttili, rappresentato dalla superficie
del derma in cui le due punte del compasso di Weber, o estesiometro, sono
sentite come una punta sola. Cfr. Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p.
164 seg.; Fechner, Elemente d. Paychophyeik, 1860. Esteriore. T. scussor,
Aussen; I. External; F. Estirieur. In generale, ciò che sta al di fuori di un’
altra cosu. Dicesi mondo esteriore o non-io il mondo sensibile, vale a dire
l'insieme degli oggetti distinti da noi ο che sono la cause delle nostro
sensazioni; il mondo interiore o Vio ci è conosciuto invece per mezzo della
coscienza. Secondo il realismo ingenuo, che s'accompagne invincibilmente
all'esercizio della nostra attività conoscitiva e pratica, il mondo esterno, le
sue leggi e proprietà hanno una esistenza altra dal nostro pensiero o indipendente
dallo percezioni che ne sbbiamo, le quali percezioni appsiono come la copia più
ο meno osatta del mondo reale. Ma fin dal priucipio i filosofi groci cercarono
di doterminare, sotto le mutevoli apparenze dol mondo esteriore, il fondo unico
e permanente, il vero reale da cui tutte le mutazioni provengono e in cui tutte
di nuovo si risolvono; stabilirono così un'antitesi tra ciò che @ © ciò che
appare, tra esperienza ο riflessione, tra verità e opinione. Da allora, due
problemi si imposero con forza sempre maggiore al pensiero filosofico: dato che
noi sinmo chiusi nella nostra coscienza, dato che nella coscienza non ci sono
che stati di 407 Est coscienza, come possiamo affermare
l’esistenza di un mondo esteriore alla mostra coscienza? Dimostrata l’esistenza
di questo mondo, qual'è la sua natura, quali le sue proprietà © in qual modo
sono da noi conosciute? Naturalmente, le risposte furono diversissime: per
alcuni filosof noi non possiamo affermare con certezza che gli stati della
nostra coscienza, cosicchè l’esistenza di un mondo esterno è per lo meno
ipotetica; per altri la sua esistenza è in dubbio, ma quale sia in sò stesso
noi non potremo mai conoscere; per altri il mondo esterno, essendo pure di
natura ‘spirituale, è conoscibile per analogia col nostro spirito, ece. (v.
conoscenza, soggetto, oggetto, realirmo, idealismo, semelipsismo,
percesionismo, ecc.). Esteriorità (giudizio di). Con questa espressione, usata
specialmente nella filosofia francese, si desigua quell’ atto con cui
proiettiamo fuori di noi le modificazioni produtte in noi dai sensi,
attribuendole ad esseri distinti da noi ο di cui le nostre sensazioni sarebbero
le qualità. È dunque la credenza nella esistenza del mondo esteriore, che si
unisce alla sensazione e ci dà la percezione esteriore. Si contrappone al
giudizio d’ interiorità, che è l’atto con cui gli stati psichici vengono
riferiti al soggetto, cioè come propri di Ini (v. percesione).
Esteriorissasione. T. Veriusserlichung ; I. Externalieation; F.
Extériorisation. Con 1’ espressione estertorizzazione della sensibilità si
designano alcuni fenomeni, non bene chiariti, nei quali la sensibilità di un
individuo, durante il sonno ipnotico, si trasferirebbe fuori di lui, così da
sentire, ad es. il dolore d’una puntura in una data regione del corpo, quando
la punta non sia giunta aueoru a contatto con essa © sia tenuta alla distanza
di qualche centimetro dalla regione stessa. Col termine esteriorizzazione si
suol anche designare la proiezione della modificuzione determinata dal senso,
cioè dal dato della sensazione, fuori di noi, all'oggetto che di essa è In
causa oggettiva; Esr 408 è con tale esteriorizzazione, che avviene
specialmente per le sensazioni visive e uditive, che noi acquistiamo la
conoscenza del mondo esterno. Cfr. Ardigò, It fatto psicologico della
percezione, in Op. fil, IV, p. 343 segg. (v. percezione, soggetto, oggetto,
realismo, idealismo). Estesiometro. Strumento assai semplice, che servo a
misurare ln sensibilità tattilo, ed è derivato dal compasso di Weber. Esso si
compone di dne punte di metallo, fissate a perno sopra un’asticella divisa in
millimetri : le due punte, messe più o meno divaricate a contatto col derma,
sono sentite come una o come due, a seconda della maggiore o minore sensibilità
della parte toccata. Cfr. Fechner, Elemente d. Peychophysik, 1860 (v. circoli
tattili). Estetica (αἴσδησις = sensazione). T. Aesthetik; I. doathetios; F.
Esthétique. La scionza del hello, o filosofia dell’arte, Il nome e la dignità
di scienza le vennero dal Baumgarten, discepolo di Cristiano Wolff; tuttavia,
fuori che per coloro i quali, come il filosofo tedesco, considerano il bello
come una sensazione o un sentimento, il nome non sembra molto appropriato, data
la sua etimologia; infatti fu pdoperato dal Kant nella Critica della ragion
pura per designare lo studio della sensibilità ο delle forme pure del senso.
Nell'antichità le questioni relative al bello, non si distinguono da quelle anl
bene ο sul vero; perciò lo studio di esso fa parte della morale, della logica e
della politica. Il solo Plotino ci ba lasciato un trattato veramente importante
intorno al hello, che egli considera come il trionfo dello spirito sulla
materia: degli altri Platone non se ne oconpa che saltuariamente, Aristotele lo
studia soltanto in rapporto alla tragedia, 8. Agostino nella musica, Longino
nella rettorica, Orazio nella poesia, Quintiliano nell’arte oratoria. Nei tempi
moderni lo studio più poderoso intorno all'estetica fu fatto da Emanuelo Kant,
che si giovò delle ricerche compiute precedentemente dai sensisti inglesi, dal
Winckelmann e dal Les 409 Est sing.
L'estetica di Kant, che entra nella Critica del giudizio, si distingue in due
parti, di cui l’una si occupa del Bello l’altra del Sublime; tanto l’uno che
l’altro sono oggetto dei giudizi estetici, che hanno per carattere comune di
essere disinteressati, di non dare conoscenza, di riguardare l'oggetto solo in
quanto è rappresentato, e di pretendere al consenso universale sebbene non
siano logi: Kant distingue accuratamente il bello dal sublime, dal vero, dal
buono e dall’aggradevole; quanto al criterio del bello, egli lo fonda sopra uns
particolare sensazione, rendendolo così affatto soggettivo. L'estetica, intesa in senso largo, comprende
tre parti: una generale, che determina i caratteri dell’ idea del bello, la
natura e il fine dell’arte in generale; una spooiale, che fissa la natura, i
limiti, la posizione e le norme delle arti particolari; una storica, che studia
l'evoluzione dell’arte nelle diverse epoche dell'umanità, Cfr. Baumgarten,
Aesthetica, 1759; Kant, Krit. d. Urteilakraft, 1878, p. 39 segg., 56 segg.;
Lipps, Grundlegung d. Aesthetik, 1903; Id., Die aesthetisohe Betraohtung, 1906;
Dessoir, Aesthetik und allgemeine Kunaticissenschaft, 1906; M. Neumann,
Einführung in die Acsthetik d. Gegenwart, 1908; Ch. Lalo, Introd. à
l'esthétique, 1912; Id., L'esthétique experimentelle contemporaine, 1908; 8.
Witasek, Prinoipi di estetica generale, trad. it. Sandron; Manfredi Porena, Che
cos'è il bello, 1905; G. Fanciulli, La cosoienza estetica, 1906; A. Rolla,
Storia delle idee estetiche in Italia, 1904; B. Croce, L'estetica come scienza
dell’ capressione, 1909; A. Tari, Saggi di estetica ο di metafisica, a cura di
B. Croce, 1910 (v. dello, comico, sublime). Estetismo. T. Acethetismus; I. Acstheticiem;
F. Esthefirme. Nell’ estetica dicesi estetismo o estetioismo, per opposizione a
storicismo, quell’ indirizzo che attua la critica d’arte con criteri
esclusivamente estetici; per esso l’arte è opera d’ intuizione e quindi dev’
essere oggetto d’ intuizione da parte del critico, mentre i dati storici sono
un iugombro e un ostacolo alla impressione immediata, In filosofia dicesi così,
in senso dispregiativo, quel modo di ragionare, di speculare, di discutere il
quale consiste in un semplice giuoco di parole ὁ di idee, in un formalismo
vuoto ed astratto che, per quanto possa sembrare talora clegante, non fa
procedere d’un passo la ricerca del vero. Esso è dunque più che altro una
tendenza, che ha lo sue origini nella coltura e nello attitudini mentali dell’
individuo. Kant la chiamava filodozia. Infine, la parola estetiamo usasi talora
in senso non dispregiativo, per denominare quei sistemi filosofici che pongono
nell’ universo una finalità morale ed estetica, che considerano come vera
realtà non la necessità dol fenomeno ma il mondo illuminato dalla luce
dell’idea di libertà © di bellezza, e fanno quindi dell’ ispirazione artistica
il vero stromento della filosofia; in tal senso è estetismo la filosofia del
Ravaisson, per il quale la bellezza, e specialmente la più divina e la più
perfetta, contiene il segreto del mondo », e il processo cosmico, anzichè un
meccanismo di moti necessari ed eterni, è la perenne creazione di un’opera
d’arte meravigliosa; ed è un estetismo il sistema del Boutroux, per il quale le
leggi naturali non hanno nulla di assoluto e di eterno, risolvendosi în «leggi
morali ed estetiche, espressioni più o meno immediate della perfezione di Dio,
preesistenti ai fenomeni e supponenti degli agenti dotati di spontaneità >. Cfr. Kant, Krit. d. r.
Vern,, prof. alla 33 ed., § 16; Ravuisson, La phil. on France, 1889, p. 322;
Boutroux, Science et phil., Revue do metaph. >, nov. 1899; A. De Rinaldis, La coscienza
del‘Parte, 1909; G. Natali, Storicismo ed estetioismo, Riv. di filosofia »,
ottobre 1909 (v. verbaliemo). SERBATI designa estra-soggetto l'insieme delle
cose estranee al soggetto intelligente, e che come tali vengono da lui
percepite al di fuori; però, appunto per questo atto percettivo,
l’estrasoggettivo diviene in qualche modo soggettivo. Il nostro stesso corpo
può venir percepito da noi sia soggettivamente, mediante il sentimento
fondamentale per cui sentismo la vita essere in noi, sia estrusoggettivamente
mediante i cinque sensi per cui esso è percepito come qualunque altro corpo ©
non come partecipe egli stesso di sensibilità. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846,
vol. I, p. 97 segg., 157 seg. (v. oenestesi, ente). Estrinseco. T. Auesserlich;
I. Extrinsio, extrinscval ; F. Extrinedque. In generale, ciò che non è compreso
nel. l'essenza dell'essere © nella definizione dell’ides di cui si tratta.
Nella logica diconsi estrinseche o esterne le denom nazioni, che consistono in
rapporti della sostanza con qualche altra cosa che non è essa stessa. Bi dice
che una cosa © un'azione hanno un ralore estrinseco, quando non sone per sè
stesse un fine, ma valgono soltanto come mezzo ad un’altra cosa. Cfr. Logique de
Port-Royal, parte 1, cap. 2. Eterismo. T. Heterismus ; I. Heteriem; F.
Hélérieme. Il Bachofen designs con
questo nome, entrato ormai nella terminologia sociologica, lo stato iniziale di
vita promiscua in cui si trovò l’umanità. In tale stato, descritto gid u colori
tanto vivi da Luerezio, non esisteva alcuna forma di istituzione sociale o
familiare, e gli uomini vivevano in lotte continue tra di loro, fomentate
sopratutto dal possesso delle donne. All’ eterismo sarebbe succeduto il primo
embrione di famiglia, a base materna. Cfr. Bachofen, Jas Mutterecht, 1861 (v.
matriaroato, esogamia, endogamia, lerirato, famiglia). Eternità. T. Ewigkeit ;
I. Eternity; F. Éternité. In senso filosofico, l'eternità è l’immutabilità, ciò
che è superiore ud ogni variazione. Perciò il tempo, anche se concepito senza
principio e senza fine, è infinito ma non eterno, perchè esso perpetuamente
trascorre è diviene. L’eternita è l'essere, quale fu già concepito dai filosofi
greci, 1’ essere perfetto, uno, immutabile, senza successione, e quindi senza
tempo. In questo senso Boezio distingue |’ eterno dal perpetuo : Eternità è
l’intero e simultaneo possesso Ere
419 di una vita interminabile;
ciò meglio si paless dal confronto di essa con le cose temporali. Tutte le cose
che vivono nel tempo presente procedono dal passato ‘e’ vanno al futuro, ©
ninna è collocata nel tempo in modo da poter abbracciare tutto lo spazio della
propria vita, poichè non possiede ancora il domani, ha già perduto I’ jeri, e
nella vita d’oggi vive un incerto e transitorio momento. Se adunque si misura
la vita di chi è soggetto al tempo... alla stregua della eternità, non giungo a
tal punto ds doversi stimare eterna; e quantunque comprenda uno spazio
infinito, pure non tutto lo abbraccia, mancandogli il passato © il futuro....
Se pertanto vogliamo dar nomi giusti alle cose, chiameremo Dio eterno e il
mondo perpetno ». Una distinzione analoga è fatta da 8. Agostino: Si recto
discornuntur acternitas ot tempus, quod tempus sine aliqua mobili mutations non
est, in aeternitate autem nulla mutatio cal, quis non videat, quod tempora non
fuissent, nisi oreatura fierot, quae aliquid aliqua mutatione mutaret? » In un
senso più comune, l’eternità è invece il tempo senza limiti nd nel passato, nd
nel futuro. Nella scolastica l'eternità era appunto concepita in questo modo, ©
perciò era distinta in aeternitas a parte ante, ossia il tempo infinito già
trascorso, © aeternitas a parte post, ossia il tempo infinito che deve
trascorrere; all'anima umana non era attribuita che questa seconda eternità, a
Dio entrambe. Per Giordano Bruno il mondo è eterno e soltanto lo sue forme sono
mutabili; per Spinoza l'eternità è propria della divinità e dei suoi attributi,
che perciò sono immutabili; Kant sopprime la contraddizione tra an tempo
infinito e l’origine del teınpo, considerando il tempo come una forma
oggettiva, valida soltanto nel dominio dei fenomeni: perciò le due
proposizioni: il mondo ha prineipio nel tempo », il mondo non hs alcun
principio » sono ugualmente false. Cfr. Aristotele, Phys, IV, 12, 221 b; Boezio, De consol.
phil, V, 6; 8. Agostino, De cir. Dei,
XI, 4, 6; Bruno, 413 Ers-Erı De la causa, disl. V; Spinoza,
Ethica, I, def. vin, teor. 7, 19, 20, ece.; Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reolam, Ρ. 354 ségg. (v. aevum, durata, tempo). Eterogeneo. I. Heterogen, ungleiohartig ; I.
Hoterogencous ; F. Hétérogene. Ciò che è composto di parti che diversificano
tra loro in qualità; 1’ omogeneo è invece ciò di cui tutte le parti sono della
stessa natura. Secondo lo Spencer, l’evoluzione consiste in un passaggio dall’
omogeneo all’ eterogeneo, dall’ indifferenziato al differenziato. Cfr. Spencer,
First principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v. indistinto, evolusionismo).
Eterogenesia. T. Heterogenesie; 1. Heterogenesy ; F. Hétérogènesie. Nella
biologia si designa con questo termine una qualsiasi deviazione organica,
consistente in una anomalia nel numero degli organi ο nella loro posizione. Por contrapposizione ad omogenesia, che è la
proprietà per cui due organi di sesso opposto tendono a fecondarsi
reciprocamente, il Broca chiama eterogenesia 1’ impossibilità di fecondazione
tra due germi di sesso opposto, pur avendosi I’ nccoppiamento. Col termine eterogenia si designa invece la
generazione animale senza genitori, cioè la generazione spontanea (v.
omogenesia, teratologioo, ibridismo). Eteronomia (ftep0¢ = diverso, νόμος =
legge). T. Heteronomie; I. Heteronomy; F. Hétéronomie. Può essere adoperata in
due modi diversi: nell’ uno vale anomalia, deviazione delle leggi ordinarie,
nell’ altro si contrappone ad autonomia e designa il fatto di un essere che non
ha in sò stesso la ragione e la possibilità di operare, ma è sottoposto
passivamente all’azione di cause esterne, che gli si impongono ο lo dominano
(v. libero arbitrio, delerminiamo, autonomia). Etica, Gr. Ἠθική; Lat. Ethioa;
T. Kthic; I. Ethica; F. Ethique. E sinonimo di Morale; questa infatti vieno dal
latino mos, quella dal greco 790g, che significano entrambi costume, abitudine.
Aleuni vorrebbero forse riservata a deErn
414 signore la scienza morale,
serbando la parola Morale a designare il fatto della morale, la moralità; altri
chiamano etica ogni dottrina naturalistica senza principj speculativi nd
obbligazione mistica, morale ogni dottrina che pretende fondare sopra principj
teorici una teleologia ideale e nna obbligazione; altri ancora propongono di chiamare
etica la scienza cho ha per oggetto immediato i giudizi di valutazione sugli
atti detti buoni o cattivi, etologia o etografia la scienza che ha per oggetto
la condotta degli uomini, indipendentemente dal giudizio che gli nomini fanno
di codesta condotta, e morale l’ insieme delle prescrizioni ammesse ad un’
epoca e in ‘una società determinata, lo sforro per conformarsi a codeste
prescrizioni, l'esortazione a seguirle. I filosofi kantiani distinguono
generalmente l'etica dalla morale, ponendo la prima al di sopra della seconds: La
morale in generale, dice Schelling, pone un comando che non si rivolge che
all'individuo, e non esige che l’assoInta personalità dell’imdividuo; l’etien
pone un comando che snppone una società d’ esseri morali e assicura la
personalità di tutti gli individui per ciò che essa esige da ciascuno d’ essi
». Per Hegel l'etica designa specialmente il regno della moralità, la morale il
dominio dell’ intenzione soggettiva. Cfr. Schelling, Sämélioho Werke, I, 25
Bulletin de la soo. frang. di philosophie, Anno V, n. 7 (v. bene, morale).
Etnografia. T. Etnographie; 1. Ethnography: F. Ethnographie. Questo vocabolo si
cominciò sd usare etl principio del secolo scorso, specie dal Campe, come
sinonimo di descrizione dei popoli e delle razze umane. Il Wiseman la definì
come la classificazione delle rarze per mezzo dello studio comparato dei
linguaggi. L’etnografia appartiene allo scienze antropologiche, e nella parte
generale tratta le questioni relativo alle origini, alle migrazioni, ni
caratteri fisici © psichici dei popoli; nella parte speciale studia i rapporti
dei vari popoli coi tipi fondamentali, la storin, le manifestazioni
sociologiche e religiose, i fenomeni biologici. Cfr. Topinard, Anthropologie,
1884, p. 7, 433 (v. antropologia). Etnologia. T. Ethnologie; I. Ethnology; F.
Ethnologie. Questo vocabolo sorse
più tardi di etnografia ο designa, secondo il Broca, quel ramo delle scienze
antropologiche che s’occnpa della descrizione particolare ο determinazione
delle razze, lo studio delle loro somiglianze ο differenze, così sotto il
rapporto della loro costituzione fisica come sotto quello dello stato
intellettuale e sociale, la ricerea delle loro affinità attuali, della loro
ripartizione nel presente e nel passato, del loro compito storico, della loro
parentela ‘più ο meno probabile ο della loro posizione rispettiva nella serie
umana ». Non bisogna dunque confonderla con l'etnografia, che è la parte
descrittiva ο generale della scienza dei popoli. Cfr. Topinard, Anthropologie,
ethnologie et ethnographie, Bull. soc. d'anthropologie », 1876; Id.,
Anthropologie, 1884, p. 8 seg.; F. Griibner, Methode der Ethnologie, 1911. T. Ethologie; I. Ethology: F. Ethologie. Nome
dato dallo Stuart Mill alla scienza dei caratteri individuali, che altri
designa col nome di caratterologia. Si fonda Λοpra la psicologia, ma se ne
distingue in quanto questa hn per oggetto la conoscenza delle leggi semplici
dello spirito in generale, ed è peroid una scienza d'osservazione e d’
esperimento, l’etologia invece è una scienza interamente induttiva, cercando di
seguire le operazioni dello apirito nelle combinazioni complesse determinate
dalle circostanze. Lo scopo fondamentale della etologia è la classificazione
dei tipi dei caratteri. La classificazione più antica ο comune è quella
ippocratico-galenica che, basandosi sulla credenza che 1’ indole degli
individui dipendesse dal prevalere nell’ organismo degli umori (sangue, flemma,
bile gialla ο bile ner) riconosce quattro caratteri fondamentali: sanguigno,
bilioro, melanoonico, flemmatico. Molti filosofi moderni accettano, Eup-Eur HR
consistere la felicità nella calma, nella tranquillità, nella
liberazione dalle passioni e dai desideri, ο nell’ estasi, che è una
immedesimazione con Dio (stoicismo, neoplatoniamo); infine l’eudemonismo
pessimistioo ο negativo, per il quale la vita è intrinsocamente infelicità e
non merita quindi di essere vissuta. Per Kant la morale eudemonisticn è il tipo
della morale falsa, perchè è eieronoma, ossia perchè rende la ragione pratica
dipendente da qualche cosa data esteriormente ad essa; la morale vera non può
dipendere da nessuna volontà esistente empiricamente, non dove essere un mezzo
in servizio di altri scopi, è, in altre parole, un precetto puro, un imperativo
categorico ; lo sforzo verso Ja felicità non è un bisogno della ragione, esisto
empiricamente, cosicchè ogni morale eudemonistica mena alVesplicito imperativo
ipotetico, risolvendo le leggi morali precotti della prudenza ; se, dico Kant,
la natura avesse voInto destinarci alla felicità, avrebbe fatto meglio a
fornirei di istinti infallibili, invece che della ragion pratica della
coscienza, che è incessantemento in conflitto con i nostri impulsi. Cfr. Aristotele, Ethica, 1. 1 ο 10; Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten,
1882, IV, 395; Paulsen, System der /hik, 1888, t. I, 1. 11, cap. 1; M. Heinze,
Der Eudämoniemus der Griechischen Philosophie, 1383; Bain, Mental and moral
science, 1884; A. Marrot, Life and happines, 1889; Wundt, Eihik, 1892, p. 508
segg. (v. attivismo, energiemo.
interesse, piacere). Eudemonologia. T. Kudämonologie; I. Eudaemonoloyy; F.
Eudemonologie. Dottrina che tratta della felicità che consegue al bene morale,
e del modo di svolgerla, Coscienza endemonologica, si dice il giudizio che gli
esseri intelligenti fanno del proprio stato di piacere; 6 bene endemonologico
la stessa felicità che κ’ accompagna al bene morale. Enforia. Termine usato
especialmente nella psichintri per designare quello stato di intima serenità ο
di contentozza, che è proprio di alenne malattie mentali, specie della mania e
della forma espansiva della demenza paraica, ma che può anche ensere l’effetto
iniziale di corte sostanze, come l’oppio, la morfina e la cocaina. Lo stato di
euforia varia da un soggetto all’altro, secondo I’ eccitabilità individuale del
sistema nervoso contrale, l’educnzione, la cultura, ece.; in generale, caso
consiste nella soppressione di ogni percezione dolorosa, eccitamento delle
funzioni intellettuali, dimenticanza di ogni noia ο dolore morale, senso di
dolce calore al capo e di leggerezza delle membra. Cfr. Quincey, Confensions of a
english opiumeater, 1890; Chambord, I morfinomani, trad. it. 1894. Evemerismo. T. Euhemerismus; I. Euhemeriem ; F.
Erhémérisme. Dottrina religiosa, che ebbe molti partigiani cos fra gli antichi
come fra i moderni. Ni denomina così dal nome del suo fondatore Evemero,
filosofo della scnola cirenaica, che visse nella seconda metà del secolo IV n.
C. Egli sosteneva che tutte le leggende intorno agli dei erano stato
avvenimenti reali, ma terrestri e umani; 6 cho gli dei stessi altro non erano
se non uomini vissuti in tempi remoti, i quali, avendo colpita l’imaginazione
degli uomini o per la loro virtà, ο per il loro coraggio, 0 per ln loro forza,
erano stati dopo morte divinizzati. Così Giove sarebbe stato un antico ro di
Creta, come proverebbe l’esistenza in codesta isola della sua culla. Ma la
moderna scienza mitolo; ha dimostrato falso codesto modo di spiegare l'origine
dei miti. Cfr. Cicerone, De nat. deorum, 1, 42. Eventa. Lucrezio, traducendo i
συμπτώματα di Epieuro, chiama così, distingnendolo dai coniunota, lo proprietà
o qualità eventuali delle cose, che sono estranee alla corporeità di esse, che
cioè possono anche mancare sonza cho perciò una cosa cessi di exsero quello che
è ». Tali sarebbero, per l’nomo, lo schinvità, In povertà, In ricchezza, la
libertà, ecc. Siccome poi tali erenta noi li pensiamo in relazione al tempo,
così il tempo e V erento Evi-Evo
420 degli eventi; vale a dire che
il tempo si concepisce non in relazione coi corpi, ma coi caratteri eventuali
dei corpi, ο che mentre questi si conoscono per mezzo dei sensi, il tempo non
si conosce che per una inferenza dai sensi. Cfr. Lucrezio, De rer. natura, 1.
I, v. 449-463; Diogeno Laerzio, X, 38, 51 (v. accidente, attributo, adiafora).
Evidenza. T. Evidenz; I. Evidence; F. Evidenoe. Bi può definire come una verità
così chiara e manifesta per sè stessa, che lo spirito non può rifiutarvisi.
L’evidenza dicesi razionale quando risulta da un ragionamento, sensibile ©
sperimentale quando risulta dalla constatazione di un fatto. Si distingue dalla
certezza, che è nno stato puramente mentale, © cioò lo stato del pensiero che
si crede in possesso della verità; ma questo può esser dato anche dall’errore,
mentre soltanto la verità può essere evidente. Epicuro pone come criterio del
vero il sentimento della necessità con cui la percezione entra nella coscienza,
ossia quell’ esser manifesto, quell’ evidenza (ἐνάργεια) con cui l'ammissione
del mondo esterno è legata nella funzione dei sensi; ogni percezione come tale
è vera ed incontestabile, sussisto per sò stessa indipendentemente da qualsiasi
motivo. Cartesio pone l’evidenza come criterio della verità ; nulla è vero se
non ciò che è evidente, e tutto ciò cho. è evidente è vero; a sua volta è
evidente tutto ciò che è chiaro e distinto come la coscienza di sò, quod lumine
naturali clare et distinote percipitur; ora, essendo solo giudice dell’
evidenza delle cose lu ragione, essa dove infine decidere tanto di ciò che è la
verità come di ciò che è l'errore. Questo principio della certezza egli lo
contrappone al principio d’antorità, che aveva dominato durante tutta P etd di
mezzo. Cfr. Diogene L., X, 32, 52; Descartes, Princ. phil, I, 45; Wundt, Logik,
1893, I, 74-78 (v. cogito ergo sum). Evoluzione. T. Evolution, Entiriokelung:
1. Evolution; F. Frolution. Termine dal significato molto vago, che può
in421 Evo dicare tanto lo sviluppo lento
e graduale per opposizione a rivoluzione, quanto la trasformazione da forme
basse © semplici a forme più alte e perfette, quanto lo svolgimento di un
principio interno, originariamente latente e che a poco a poco si manifesta
all’esterno. Nel linguaggio filosofico il vocabolo è usato più spesso ad
indicare un processo di trasformazione, diretto in un senso costanto ©
percorrente una serie di fasi, delle quali si può assegnare in precedenza la
successione; questo processo può attuarsi tanto nella roaltà materiale (mondi,
organismi) quanto nella realtà spirituale (diritto, moralità, linguaggio, arte,
religio ne), ma implica sempre una variazione così in senso qualitativo come in
senso quantitativo; e poichè ogni sistema che si svolge è unità ‘nella
molteplicità, 1’ accrescimento si riferisce così all’unità come alla
molteplicità (intograzione e differenziazione). Cfr. Richard Gaston, L'idée
d’érolution, 1902; Romanes, L'evoluzione mentale dell’ uomo, trad. it. 1907; De
Sarlo, Il significato filosofico dell’ eroluzione, Cultura filosofica », Inglio
1913 (v. eroluzionismo, darwinismo, neo-lamarkismo, progresso, trasformismo,
ccc.). Evolusionismo, T. Ecolutioniemus, Entwiokelungatheorie; I. Evolutioniem;
F. Frolutionisme. Dottrina filosofica, da non confondersi col trasformismo, e
che pone l'evoluzione per spiegare tutti i fenomeni naturali cogli organici. Lo
Spencer, che si considera come il capo dell’evoluzionismo definisco
l'evoluzione così: un'integrazione di materia accompagnata da una dispersione
di movimento, durante la quale la materia passo da una omogeneità indefinita ©
incoerente ad una eterogeneità definita ο coerente, ο durante la quale anche il
movimento, che è conservato, subisco una trasformazione analoga ». Mediante
tale processo dalla nebulosa primitiva, che rappresenta il mussimo dell’
indeterminatezza ο della omogeneità, si è formato il sistema solare; poi sul
piccolo globo della terra si sono venite distendendo masso viventi le quali,
sottoEy EXO 422 poste a diverse influenze, si sono
differenziate, dando luogo alle specie multiple delle piante ο degli animali;
in questo mondo animale, per una differenziazione sempre crescente, s'è venuta
svolgendo la vita dello spirito: linguaggio, religioni, istituzioni politiche,
arti, scienze, ecc. Si hanno così tre forme principali di evoluzione:
inorganica, organica, e superorganica. Ma va notato che lo Spencer considera
l'evoluzione come l'ipotesi più accettabile, non come una legge avento valore
ussoluto; e che per di più ossa non ci svela, secondo lo stesso filosofo, la
natura intima e la genesi delle cose in sè, ma soltanto la loro genesi in
quanto si manifestano allo spirito umano. Cfr. Spencer, First principles, cap.
XVII; Baldwin, Derelopement and erolution, 1902; Richard Gaston, L'idée
d'évolution dane la nature et dans l'histoire, 1902; Delage et Goldsmit, Les
théories de l'évolution, 1910; E. Clodd, I pionieri dell'evoluzione, trad. it.
1909; V. Ducceschi, Evoluzione morfologica ed er. chimica, 1904; C. Fenizia,
L'evoluzione biologica e le sue prove di fatto, 1906 (v. cosmogonia). Ex
concessis. Termine della scolastica, con cui si designa quella forma di
argomentazione sillogistica nella quale la premessa maggiore, quantunque falsa,
è accordata per vora. Tale argomento non dimostra quindi per sè ma
relativamente, 0, come dice Clemente Alessandrino, concludere ex concessia est
raliooinare, conoludere autem ex veris est demonatrare. Cfr. Clemente A.,
Strom.. VIII, 771. Exoterico. Gr. Ἐξωτερικός; T. Ezoterisch ; I. Eroteric; F.
Exoterique. Da principio il vocabolo, che signitica esterno, fu adoperato per
indicare i libri aristotelici d’ argomento non strettamente scientifico, per
opposizione ai libri enoterici. In generale dieosi esoterica una dottrina che
vien insegnata soltanto agli iniziati, mentre ai profani ne è resa impossibile
la conoscenza per ln voluta oscurità sotto cui è velata. Più specialmente
dicesi esoterico I’ insegnamento filosofico che Aristotele impartiva la mattina
ai propri di 423 Exr-ExT scepuli, i
quali venivano ammessi nell'interno della scuola dopo aver assistito
all'insegnamento più elementare: questo, detto per contrapposizione ezoterico,
era impartito invece la sera, e trattava questioni più facili ο d'interesse più
generale, assistendovi un pubblico più largo. Codesta distinzione sembra fosse
esistita anche nell’ insognamento di Platone e nella scuola di Pitagora. In
questa infatti erano detti esoterici gli alliovi cho avevano penetrata
pionamente la dottrina del maestro, eroterioi i novizi. Cfr. Bonitz, Index
aristotelious, 104 a, 44-105 L, 49 (v. epoplico). Experimentum crucis. Quando
lo scienziato cuncepisce un dubbio sul valore reale d’una causa presunta, o
trovasi incerto tra due ipotesi ugualmente possibili, dove produrre dei fatti
che si possono spiegare soltanto con l'intervento di quella causa, o che lo
costringono a respingere una delle due ipotesi, e ad accettare l’altra, ‘Tale è
l’esperienza che Bacone disse oruciale pigliando la similitudine, come dice
egli stesso, da quelle croci alzato nei bivj, le quali segnano le separazioni
delle strade ». Cfr. Nov. organon, 1, II, cap. XXXVI (v. instantiae, crucis).
Extrasensibile, I. Eztrasensible; F. Extrasensible. Non bisogna confonderlo col
sorrasensibile. La sensibilità ci rivela soltanto uns piccola porzione del
mondo, esterno, puichò vi sono nella nostra conoscenza di esso degli elementi
non presenti ai sensi; questa parte dell'ordine esterno cle nou ci è data
direttamente dalla sensazione, e che noi crediamo esistere, costituisce un’
esistenza extrasensibilo, lu quale ci è rivelata, secondo il Lewes, da varie
induzioni, | È infatti tra le infinito impressioni che colpiscono i nostri
sensi, soltanto alcune di esse corrispondono agli stati di coscienza, sicchè la
sfera sensibile è troppo limitata per abbracciare sia la totalità obbiettiva
sia quella piccola parte di essa che si trova in contatto con l'organismo : ne
consegue che la sfera della conoscenza non è limitata solo alle impressioni
sensibili, ma si estende anche alle Exr-Fac
424 inforenze, che sono
ricombinazioni e riproduzioni di tali impressioni; quindi la conoscenza
sensibile è estesa all’extrasensibile. Oltre poi questo mondo sensibile ο
extrasensibile, i metafisici ammettono una terza regione sovrasensibile, che è
preclusa affatto all'esperienza dei'sensi ed sporta soltanto alla fede ο alla
intuizione intellettuale. Cfr. Lewes, Probleme of life and mind, 1875, vol. I, pr. I, cap. III, p. 253 sogg. F. Nellu logion
formale è adoperata nei tro ultimi dei quattro versi mnemonioi che designano lo
figuro del sillogismo, per indicare cho ogni modo espresso in una parola
cominciante per codesta iniziale, può ossore ricondotto, con processi logici
speciali, a qual modo della prima figura, cho è espresso in una parola
cominciante per l’ iniziale medesima (Ferio); tali sono: Festino, Felapton,
Fesapo, Fresison. Facoltà. T. Vermögen, Seelenvermögen; I. Faculty; F. Faculté.
Per facoltà dell'anima s'intendono quelle forze speciali cho esistono nell’ anima,
per cui essa è atta a fare qualche cosa, quelle potenze misteriose © spontaneo
di cui i fatti psichici sono l'effetto. Si sogliono distinguere in pamire, come
la sensibilità, ο attire, come In volontà. Le facoltà passive sono dette più
comunemente capacità, risorbando il vocabolo proprietà alla semplice
predisposizione della materia inorganien a divenire soggetto di un dato
fonomeno, o ancho alla capacità della materia organica di dar luogo a fenomeni
fisici e chimici. Dice ? Hamilton: Facoltà, facultas, è derivato dal latino
arcaico facul, la forma più antica di facilée, du cui è formato facilitas. Fssa
è limitata in senso proprio al potere attivo, e quindi è applicata abusivamente
alle più passive affezioni dello spirito, alle quali capacità è più propriamente
limitato ». An 425 Fac che per il Murphy
le facoltà sono essenzialmente attive: . Boirae, L'idée de phénomène, 1894 (v.
altualivmo, fenomenismo, mobilismo, sostanzialivmo). Perio ο ferioque. Termine
mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo
della prima figura del sillogismo, nol quale la maggiore è universale negativa,
la minore particolare affermativa, la conelusione particolare negativa. Es.: I
pazzi non sono esseri normali. Qualche
uomo di genio è pazzo. Punquo qualche
uomo di genio non è essere normale. Corrisponde
439 FER-Fis al τεχνικός dei
logici greci ο ad esso vengono ricondotti tutti i modi delle altre figure che
cominciano con la stessa lettera (v. sillogismo, figura, termine). Ferison.
Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella logica formale quel
modo della terza figura del sillogismo, che ha la maggiore universale negativa,
la minore particolare affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.:
Nessun delinquente è virtuoso. Qualche
delinquente è uomo colto. Dunque qualche
uomo colto non è virtuoso. Corrisponde al φέριστος dei logici greci, ο si può
ricondurre al ‘Ferio della prima figura mediante la conversione semplice della
minore. Fesapo. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella
logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo, in cui la maggiore
è universale negativa, la minore universale affermativa, la conclusione
particolare negativa. Es.: Nessuna azione volontaria è priva di fine. Ogni fenomeno privo di fine è meccanico. Dunque qualche cosa che è meccanico non è
azione volontaria. Si può ridurre al Ferio della prima figura mediante la
conversione semplice dello due premesse e la conversione per accidente della
conclusione. Fespamo. Termine mnemonico di couvenzione, con cui nella logica
formale si designa quel modo dalla quarta figura del sillogismo, che ba, como
indicano le vocali, la premessa maggiore universale negativa, lu minore unive
sale affermativa, la conclusione particolare negativa (v. fosupo, fapesmo).
Festino. ‘Termine muemonico di convenzione, con cui nella logica formale si
designa quel modo della seconda figura del sillogismo, nel quale la maggiore è
universale” negativa, la minore particolare affermativa, la conclusione particolare
negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero.
Qualche animale che vola è mammifero.
Dunque qualche animale che vola non è uccello. Corrisponde nl pétptov
dei logici groci ο si può ricondurre al Ferio della prima figura mediante la
conversione semplice della promessa maggiore, Feticismo (faotitiue = fattizio).
T. Fetischglauhe, Fetischimus; I. Feticiam ; F. Fétichieme. La forma più
grossulana dell’animismo, quale si riscontra nelle religioni dei popoli
primitivi e selvaggi. Esso consiste nell’adoraziono di un oggetto inanimato
(feticcio) che si crede dimora di uno spirito. Soltantochè, mentre
nell’animismo gli spiriti degli esseri naturali possono staccarsi dal loro
involuero visibile e spaziure liberamente por l’aria, nel feticismo invece lo
spirito del feticcio © la sua forma sensibile costituiscono una sola ο medesima
cosa. E poi errore designare col nome di feticismo la semplice ailorazione
degli oggetti naturali, come il sole, i fiumi, gli alberi, gli animali, poichè
il feticcio ha per carattero essenziale di appartenere materialmente all’ uomo,
di essere da lui scelto e lavorato ο d'essere trusportabile a volontà. Il Comte
attribuisce al feticismo una estensione particolure. Egli lo considera como la
faso inizialo ¢ più importante dello stadio teologico, il fondamento di ogni
sistema religioso, ο riguarda lo stesso panteismo germanico dei suoi tempi come
un feticismo più generalizzato © sistematizzato. Nella sua religione posi tiva,
egli colloca la Terra col sistema solare nella trinità positiva chiamandola il
maggiore dei Feticci, mentre lo spazio è il Gran Mezzo e I’ Umanità il Grand’
Essere, Cfr. F. Schultze, Der Fetisohismue, 1871; A. Comte, Catéchieme
ponitiviete, 1851; Système de politique positive, 1854, vol. IV (v. animismo,
elioteismo, pantelismo, religione). Fideismo. T. Glaubensphilosophie ; I.
Faith-philosophy ; © F. Fidéieme. Con questa parola si indicò, sul principio
del secolo scorso, il tradizionalismo religioso promosso dalP Huet, dal Bautain
ο dal Lamennais, cho faceva dell’ intelligenza una facoltà snprema e speciale,
contrapponendola alla ragione: questa ci fa conoscere soltanto le
apparenze dl Fip senza nulla dirci
intorno alla vera natura dello cuse, quella invece, prendendo per baso la
parola rivelata, della quale permette di cogliere il senso esoterico, dà
all'uomo Ii tuizione diretta della realtà spirituale, dell’assoluta verità. Più
precisamente furon detti fideisti quei seguaci del Lamennais, che attribuivano
alla fede, all’autorità della rivelazione divina, un officio esclusivo
nell'acquisto d’ una vera certezza dei principj della ragione. Per estensione,
oggi la parola fideismo viene applicata a tutte le dottrine che ammettono delle
verità di fede accanto o sopra le verità di ragione; quindi è spesso
identificato con 1’ imma-ı nentismo, col prammatismo, con |’
anti-intollettualiemo, ο si riconduce, sotto tutte le sue forme, alla dottrina
della fede | fiduoiale propria del luteranismo primitivo. La fede fiduciale ο
giustificante, che Calvino chiama agnitio erperimen| talis, è un'esperienza
interiore, che si distingue come tale dalla fede nei dogmi, e sussiste
anteriormente ad ogni atto intellettaale ; è insomma una certezza immediata,
non legittimata da un motivo, che possa formularsi con un giudizio che la
preceda. Qui si rivela il senso delle espressioni comuni al fideismo
contemporaneo: Dio è il riassunto delle nostre esperienze religiose; la
religione è una vita; lo formule religiose non forniscono che l’espressione
esteriore © formale dell’impressione interiore, ecc. Poichè la fede tiduciale è
di sua natura soggettiva, in quanto l'oggetto di essa si risolve nel contenuto
degli stati rappresentativi dell’esperienza interiore. Il fideismo, già
condannato più volte nel passato, subì ugnal sorte ai giorni nostri sotto il
pontificato di Pio X, che nell’enciclica Pascendi dominici gregis così lo
definiva: Dinanzi a questo inconosoibile, 0 sia esso fuori dell’uomo oltre ogni
cosa visibile, 0 si celi entro l’uomo nelle latebre della suboosciensa, il
bisogno del divino, senza alcun atto previo della mente, secondo che vuole il
fideismo, fa scattare nell'animo già inchinato a religione un certo particolare
sentimento; il Fie 442 qualo, sia come oggetto, sia come causa
interna, ha imPlicata in sò la realtà del divino e congiunge in certa guisa
l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di
fede, e lo ritengono quale inizio della religione ». Per queste ripetute
condanne, che dànno alla parola un carattere peggiorativo, molti fra gli stessi
fideisti vorrebbero fosse abbandonata. Cfr. Calvino, Institution chrétionno,
1562, 1. III, cap. II, p. 385; Lamennais, Ewai wur Vindifférence on matière de
religion, 1820, t. II, p. 37, 70, 80 sogg.; A. Richard, Zamennais ot son école,
1881, p. 139 segg.; C. Ranzoli, Il fideiemo, in Linguaggio dei filosofi, 1912,
p. 213-227 (v. oredenza, fede, modernismo, ragione). Figura. T. Schlussfigur:
I. Figure; F. Figure. Nella logica dicesi figura (σχῆμα) d’un sillogismo, la
disposizione cho essa presenta riguardo alla posizione del termine medio nollo
premesse. Essendo quattro le posizioni possibili, quattro sono le figure. Nella
prima il termine medio è soggetto nella promessa maggiore © predicato nella
minore: nella seconda è predicato in entrambe le premesse; nella terza soggetto
in entrambe ; nella quarta predicato nella maggiore e soggetto nella minore.
Per ricordare facilmente la definizione delle quattro figure, fu costruito il
seguente verso mnemonico, nel quale eub è abbreviazione di audiectum © prae di
praedicatum : sub prae: tum prac prac; tum sub sub; denique prae sub. Le prime
tre figure si debbono ad Aristotele; l’ultima venne attribuita da Averroò a
Galeno, ma essa si considera concordemente come inutile et artificiale. Il
sillogismo di prima figura è il vero tipo del ragionamento deduttivo, perchè va
dalle condizioni al condizionato, dalla causa all’ effetto, dalla leggo al
fenomeno: per esser valido deve aver sempre la maggiore universale © lu minore
affermativa. Quelli di seconda figura debbono aver sempre la maggioro universale
ο una delle due premosse negativa. Quelli di terza figura debbono avere la 443
Fin maggiore uffermativa © la conclusiono particolare. 1 sillogismi di
seconda e terza figura possono essere ridotti alla prima, secondo le regole già
fissate da Aristotele. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 4, 5, 6; Kant, Logik,
1880, $ 67-69; Masci, Logica, 1899, p. 244 segg. (ν. sillogivmo, modo, termini,
premessa, conclusione, forma). . Filodoxia. T. Philodozio; 1. Philodozy; F.
Philodorio. Kant chiama così quella specie di dilettantismo filosofico, che
oggi dicesi estetiemo filosofico, il quale consiste nel ridurre la filosofia ad
un vacuo simbolismo, in cui più che la verità d’una dottrina se ne riceroa
l'eleganza e alla ricerca del vero si sostituiscono le discussioni sottili ed
oziose: Quelli che rigettano il suo metodo (del Wolf) ο tuttavia non ammettono
nemmeno il procedimento della critica della ragion pura, non possono avere
altra intenzione che quella di sbarazzarsi completamente dei legami della
scienza, di cangiare il lavoro in gioco, la certezza in opinione, e la
filosofia in filodossia ». Anche Platone aveva adoperato il vocabolo filodossi,
contrapponendolo u filosofi, ma non nel medesimo senso di Kant. Per filodossi
(Φιλόδοξοι) egli intendeva coloro che si compiacciono ο s’accontentano
dell’apparenza delle cose, della moltitudine dei fatti particolari e relativi,
mentre i filosofi risalgono all’ossenza © all’ idea. Cfr. Platone, Repubblica,
1. V, 480; Kant, Krit, d. reinen Vern., prof. alla 33 vd., § 16 (v. estotirmo,
verbalismo). Filogenesi (yivasıs τῶν φυλῶν). T. Philogencse; 1. Phylogeny; F.
Phylogénèse. Indica l'evoluzione ο lo sviluppo della apecio, in opposizione ud
omtogenesi, che indica lo sviluppo dell’ individuo. Socondo Haeckel ο i
darwinisti moderni, l'evoluzione ontogenetica è il riassunto della ovoluzione
filogenetica, l’embriologia uns ricapitolazione molto rapida e breve della
geneologia ; vale a dire che un individuo di una data specie, prima di
raggiungere il suo completo sviluppo, deve trascorrere in breve tutte lo fusi
Fin MM di ovoluzione organica e psichica attraverso cui passò precodentemente
la specie alla quale appartiene. Questa è detta dall’Haeckel legge biogenetica
fondamentale. Cfr. Vialleton, Un problème de l’évolution, 1908; Haeckel, I
problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 100 segg. (v. embriologia,
ontogonesi, darwiniemo, trasformismo, eredità, ecc.). Filoneismo (φίλος =
amico, viog = nuovo). L'amore per il nuovo, che si contrappone al misoneismo,
che è l'odio per tutto ciò che è nuovo. Quando il filoneismo diviene esagerato,
dicesi più propriamente neomania, a cui si contrappone la neofobia. Filosofema.
Gr. Φιλοσόφημα; T. Philosuphem ; I. Philosophema; F. Philosophème. Una delle
quattro specie nelle quali Aristotele distinse il sillogismo, per rispetto al
fine che si propone chi lo adopera. Esso è il sillogismo dimostrativo, che si
propone la dimostrazione della verità, Nell’uso comune indica dottrina o teoria
filosofica; ma per lo più è adoperato in senso dispregiativo, e vale
sottigliezza da filosofo dialettico. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a,
15. Filosofia. Gr. Φιλοσοφία; I. Philosophie; I. Philosophy; F. Philosophie.
Stando ad una antica leggenda, raccolta da Diogene Laerzio e da Cicerone, il
primo a chiamare la filosofia con questo nome fu Pitagora, secondo il quale Dio
soltanto poteva essere sofo, ciod sapiente, e 1 uomo semplicomente filosofo,
cioè amante della sapienza, desideroso d’imparare; per spiegare questo termine
nuovo, avendo paragonata la vita alle grandi fiere a cui la gente aecurreva da
ogni parte della Grecia, gli uni per concorrere nei giochi, gli altri per
vendere e per comperare, gli altri infine per il solo piacere di vederne lo
spettacolo, aggiungova: qui ceteris omnibus pro nihilo habitis, rerum natura
studiose intuerentur, hos se appellare sapientiae studiosos ; id est enim
philosophos. Di tale racconto dubitano i critici moderni; ma è certo, ad ogni
modo, che quelli che poi si 445 Fin dissero filosofi furono chiamati soff e
sofisti fino a che tale vocabolo non cadde in discredito; cho le parole
filosofia e filosofare si trovano usate, nel significato che poi ebbero sempre,
soltanto nelle scuole socratiche, delle quali è proprio anche fl concetto della
incompiuterza del sapere umano; © che, infine, l’uso delle parole medesime,
ancora fluttnante in Platone ο in Aristotele, non si fissò definitivamente che
cogli stoici. Da quel tempo in poi, della * filosofia fu dato un numero
grandissimo di definizioni, e in modi diversissimi furono intesi il suo
compito, il suo oggetto, le sue parti, i suoi metodi, i suoi rapporti con le
altre branche dello scibile; tuttavia, attraverso la diversità degli indirizzi
ο dei sistemi, ha conservato uu carattere fondamentale ο costante, cho la
differenzid sempre da ogni altra forma di sapere. Dalle scuole indiane agli
ionici primitivi e da questi ai positivisti e ai neo-criticisti moderni, In
filosofia rappresentò sempre 1’ unificazione snprema delle conoscenze, la
sintesi totale dei risultati particolari d’ogni altra soienza, la matrice perenne
dei problemi scientifici, lo studio delle verità più alto o più complesse, che
riguardano l'essere e il conoscere, il mondo © Pesistenza, il reale ο l’ideale,
lo spirito e la materia. Secondo il vecchio paragone, l'universo è per le
scienze uno spocchio in frantumi; la filosofia, raccostando i frantumi, cerca
di intravedere l’imagine comune. Il compito della filosofin è dunque quello
dell'unità; essa è l’organizzazione dei pronunciati ultimi d’ ogni altra
scienza, e dei concotti problematici che ne sorgono, in un sistema esplicativo
ottenuto mediante la subordinazione loro ad un dato unico, che ne dà ragione.
Ciò, come ha dimostrato l’Ardigò, attraverso tutta la storia della filosofia,
dagli inizi ai nostri giorni. Agli inizi della filosofia le cognizioni furono
sistemate nel concetto generico del mondo, che si cercò spiegare prima col
principio dell’animazione, poi con quello del numero, indi con quello
dell'ente; In sintesi o il problema filosofico fn perFr 446
ciò da prima fisico, poi matematico, indi metafisico. Formatisi poi
dall’indistinto primitivo del mondo i concetti distinti della materia, del
pensiero e della moralità (da cui la fisica, 14 logica e l'etica) sorse il
problema del loro accordo, che la filosofia ceroò spiegare unificando i tre concetti
nel principio del trascendente, concepito ora como intelligenza ordinatrice,
ora come forza creatrice, ora come sostanza dei fenomeni. Nella filosofia
moderna i dati offerti dalle scienze sperimentali vennero unificati nel
concetto della natura, spiegata ora come attività logica, ora come pura materia
dotata delle sue proprietà fisiche. Nella filosofia attuale, infine,
l’esplicazione della natura è fatta mediante il principio dell’evolusione, in
cui la natura appare come un'entità primitiva trasformantesi nelle sue forme
definite ascendenti. Da tutto ciò si possono ricavare aleuue eonelusioni, che
pongono in maggior luce il carattero fondamentale e perenne della filosofia: 1°
la filosofin è soltanto la concezione del problema da essa riguardato © il tentativo
non ancor riuscito della sua soluzione; in altre parole l'unificazione
filosofica non ha che un valore problematico, relativo, provvisorio mentre la
soluzione dei problemi stessi costituisce le scienze particolari ; 2° la
filosofia precede quindi le scienze, offrendo loro i problemi da risolvere,
succede alle scienze, come complesso dei problemi superiori generali ai cui
presupposti le scienze si riferiscono, durerà finchè dureranno le scienze,
raccogliendo il problematico insorgente perennemente allato della scoperta
positiva; 3° la filosofia non consiste dunque în un semplice inventario
generale dei dati ultimi delle scienze particolari; 4° non consiste, come altri
credono, nel semplice insieme delle scienze non fisiche, quali l’etica,
l’esteca, la psicologia, eco.; 5° non consiste nemmeno in un insieme di
principi aprioristici, imponentisi per la loro intrinseca evidenza metafisica,
anteriori alla scienza positiva essa inattacenbili; 6° 0 neppure si risolvo,
come molti 447 Fin credono, in tante filosofie speciali
quante sono lo scienze particolari. Per ricordare ora alcune delle principali
definizioni della filosofia, nella Grecia sei erano specialmente celebri,
secondo Hamilton : la filosofia è la conoscenza delle cone esistenti, in quanto
esistenti ; è la conoscenza delle cose divino ed umane; à una meditazione della
morte; una somiglianza della divinità in quanto è competente all’ nomo; l’arte
delle arti e la scienza delle scienze; l’amore della sapienza. Per Cicerone la
filosofia è la conoscenza divinarum humanarumgue rerum, tum initiorum
causarumque cuiuaque rei. Por S. Tommaso la filosofia abbraccia tutte le verità
accossibili mered il solo lume naturale, ed è l’opera della ragione applicata
alla ricerca della verità: de quibus philosophicae diaciplinae tractant,
secundum quod sunt oognoscibilia lumine naturalis rationis. Per Bacono, come
già per Aristotele, essa è sapere razionale, scienza nol significato più
generale della parola: Philosophia individua dimittit; neque Impressionen
primas individuorum, sed notiones ab illis abstractas compleotitur... atque hoc
proreua ofleium atque opificium rationin. Anche per Cartesio la filosofia è
sapienza, sia pratica ain scientifica: Philosophiae voce sapientiae studium
denotamus, et per sapientiam non solum prudentiam in rebue agendis
intelligimus, verumetiam perfeolam omnium eorum rerum, quan homo potest
novisne, sciontiam, quae et vitae ipsine regula rit, et valetudini
comservandae, artibusque omnibus inveniendin inserviat. Per il Shaftesbury è lo
studio della felicità »; per il Berkeley lo sforzo verso la sapienza e la
verità»; per Cristiano Wolff la scienza dei possibili in quanto porsono essere
». Per Kant è la conoscenza razionale da concetti puri, la scienza degli scopi
ultimi della ragione umana », una solenza dello più alte massime aull’ uso
della nostra ragione ». Per Hogel la filosofia è, formalmente, la
considerazione dell’oggetto mediante il pensiero >, dal punto di vista del
contenuto In scienza dell'assolnto l’iden cho pensa sò stessa, In verità
connaFi 448 pevole ». Per Galluppi è la scienza del
pensiero umano »; per Rosmini la disciplina che tratta de’ primi principî », ed
è ideologia se si considera l'ordine che ha col pensiero umano, teologia
razionale se si considera 1’ ordine assoluto degli oggetti cogniti; per Comte l’esplicazione
dei fenomoni dell’ universo »; per Spencer «il sapere completamente unificato
»; per Lewes la sistemazione delle concezioni fornito dalla scienza »; per
Renan lo studio della natura e dell'umanità »; per Paulsen il contenuto di
tutte le conoscenze scientifiche »; per Wundt è lo sforzo di raggiungere una
intaizione universale del mondo e della vita, che soddisfi le osigenze della
nostra ragione e i bisogni del nostro sentimento >. Dicesi filosofia naturale l’ interpretazione
sintetica dei fatti fisici o del mondo esterno; filosofia prima o generale la
filosofia propriamente detta, cioè l’interpretnzione totale dell'universo,
della sua origine, della sua nntura, del sno fine; filosofia della storia
quella che studia In società nel sto movimento e cerca interpretaro i fatti
storici riconducendoli ad un principio unitario ; filosofia del diritto quella
che ha per oggetto la ricerca dell origine del diritto, delle sue forme, della
sua evoluzione; filowofia delle scienze quella che stabilisce gli oggetti
d’ogni scienza, determinandone i caratteri differenziali, fissandone i rapporti
e i principi comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare; filosofia
scfentifica quella che, basandosi sopra la relatività della conoscenza, rigetta
ogni dato aprioristicn, esclade ogni dottrina dogmatica intorno al reale
assolnto, e corca costruiro la sintesi filosofica appoggiandosi sui riaultati
dello scienze particolari: in senso analogo si usano le espressioni filosofia
dell'esperienza © filosofia epertmentale. Con le espressioni filosofia
zoolagica, filorofia biologica, filosofia della chimica, ecc. si sogliono
designaro quelle parti di ciascuna scienza che, per la loro astrattozza e
genernlità, perdono il loro carattere strettamente scientifico ο sperimentale,
per nequistare un valore speculative e filo 449
Fix sofico. Alcune volte si usano le espressioni filosofia morale in
luogo di etica e filosofia dell'arte in luogo di estetica. Altre volte il
termine filosofico è adoperato in luogo di sistema o indirizzo filosofico, come
quando si dice filosofia dell'azione, filosofia della contingenza, filosofia
dell''immanensa, 909. Con le espressioni filosofia verbale 0 filosofia
letteraria si suol designare ciò che Kant chiamava filodozia, ο che altrimenti
dicesi rerbaliamo o catetiemo filosofico, vale a dire quella filosofia che si
compiace delle vacne esereitazioni rettoriche, che ricerca più 1’ eleganza
della forma che In solidità della sostanza, che si esaurisce, insomma, nello studio
delle parole trascurando quello delle cose. Cfr. Hamtiton, Lectures on
metaphysica, 1859, vol. 1, p. 51 segg.; Ucherweg-Heinze, Grundries d.
Geschiohte d. Philosophie, I, $ 1; F. Paulsen, Einleitung in die Philosophie,
1896, p. 19 seggi; Waundt, Einl. in die Philos., 1901, p. 1-10; Windelband,
Storia della filosofia, trad. it., Sandron, I, p. 1-28; Id., PräIndien, 3% ed.
1907, p. 1 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e met.,1854, vol. I, p. 7-61;
Rosmini, Ideologia e logica, 1853, vol. IV, p. 308 seg.; Ardigò, Op. fil., II,
p. 442 seggi; IV, 285 segg. (v. metafisica, sociologia, psicologia, logica,
morale, estetioa, pedagogia, didattica, dommatismo, ontologia, teleologia,
teonofia, epistemologia, assoluto, conoscenza, anima, criticiemo, positivismo,
ccc., ecc.). Finale. T. Letst, endlich; I. Last, final; F. Final, Lo scopo per
cui una cosa è compiuta, per cni un avvenimento è determinato; si oppone a
causa mecoanica 0 naturale, che è quella che si reulizza incoscientemente,
senza la concezione del fine. Talvolta finale si oppone a iniziale, per
indicare ciù che riguarda la cessazione d’un fenomeno nel tempo. Scopo finale
dicesi quello che non è mezzo per rapporto ad aleun altro fine ulteriore (v.
oguae finali, finalità, fine, teleolog Finalismo v. teleologia, cause finali,
fine, finalità. Finalità. T. Zeokmässigkeit, Finalität: I. Finality: F.
Finalité, Una serie di cause od effetti, che fa capo nd um 20 Ranzo14, Dizion, di scienze filosofiche FIN 450
determinato scopo con l’azione di determinati mezzi. Dicesi finalità
immanente quella che #’ identifica con l’attività dell'essere che, con
determinati mezzi, realizza determiti fini; finalità trascendente quella che si
realizza in un essere per una attività diversa da lui; finalità organica quella
che si realizza negli esseri organizzati senza 1’ intervento di alcun fattore
psichico, in virtù soltanto della loro struttura organica; finalità effettiva
quella che si realizza nell’animale in seguito all’appetito fondamentale, che
lo spinge a cercare il piacere e fuggire il doloro; finalità intelligente
quelin degli animali superiori e dell’uomo, che sî rivolge con mezzi noti ad un
fine noto. Il principio di finalità, col
quale alcuni filosofi vogliono integrato quello di causalità, si enuncia così:
ogni fatto ha il proprio fine. Esso trovasi già in Aristotele, che lo esprimeva
dicendo: ἡ φὺσιξ οὐδὲν µάτον ποιεῖ = In natura non fa nulla in«arno. Occorre
notare però che Aristotele non dava alla pafola φύσις il senso universale che
oggi si dà alla parola natura, e che molti filosofi escludono che l’esistenza
della finalità possa dar Inogo ad un principio, vale a dire ad una proposizione
universale e necessaria. L'esistenza della finalità, in quanto distinta dalla
causalità efficiente, sembra casere una verità d'esperienza, specialmente
interna; perciò Kant ne fa un'ipotesi direttiva, un concetto normativo: Il
concetto di una cosa considerata come un fine in sè della natura, non è un
concetto costitutivo dell’intendimento o della ragione; ma può servire di
concetto regolutore per il giudizio riflesso e, secondo una analogia lontana
con la nostra propria causalità, nella sua tendenza generale verso i fini,
servire di guida alla riceroa d’oggetti di questa speci ». Altri invece, come
il Lachelier, considera che l’esistenza di cause finali nel mondo è un
principio razionale, che, senza avere il carattere assoluto del principio di
causalità, ο però sin un elemento indispenanbile del principio dell’ induziono,
sin una logge che B 451 risulta, como quella delle cause efficienti,
dal rapporto dei fenomeni col nostro spirito. Cfr. Aristotele, De an., III, 12,
434 a, 31; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, I, § 65; J. Lachelier, Du
fondement de induction, cap. VI; Goblot, Fonotion et finalité, Revue phil. »,
1899, II, p. 505 (v. cause finali, fine, pantelinmo, teleologia). Fine. Gr.
TéAoç; Lat. Finis; ‘Il’. Zweck,
Endzweck; 1. End; F. Fin. Lo scopo per cui una cosa è compiutn; trovasi al
principio non alla fine della serie causative. In ogni processo di finalità si
distinguono, infatti, tre momenti successivi: un termino iniziole, un termine
finale, e uno o più termini intermedi, che diconsi messi. Siccome il termine
iniziale determina come causa efficiente la serio dei fatti che debbono
condurre al termine finale, così il termine iniziale stesso dicesi fine. Il
concetto di fine, dico l’Hartmann, si forma primamente dall’esperienza che
ognuno fa sulla propria attività spirituale cosciente. Un fine è per mme un
processo futuro da me concepito e voluto, il qualo io non sono in grado di
attuare direttamente, ma sì solo per vin d’intermedii causali (mezzi). Se
questo processo futuro io non lo penso, per me ora non esiste ; se non lo
toglio, io non me lo propongo n fine, anzi m'è ο indifferente o repugnante; se
io posso attuarlo direttamente, scompare il termine causale intermedio, il
mezzo, e con ciò sfuma anche il concetto di fine, che consiste unicamente nella
relazione verso il mezzo, poichi: in tal caso l’azione consegue immediatamente
dal volero ». Ma per quanto riguarda la natura intrinseca del fine, per nlcuni
esso non può essere che un pensiero, un'idea, cioò l’idea del termine finale;
secondo altri può anche essero chiamato fine un fatto incosciente, come
l'istinto, il bisogno, la prieazione. Nella morale dicesi fino ogni bene soggettivo
ο oggettivo In eni acquisizione determina la volontà all’atto ; dicesi fine
primario quello senza del quale l'atto non avverrebbe; fine secondario quello
che alletta soltanto ad agire; fine dell'opera (finin operis) quello cho è
inerente all'essenza stessa dell’atto che si compie; fine dell’operante (finis
operantis) quello che è il vero © proprio fine ed è estrinseco all’azione,
essendo liberamente voluto dall’agonte; finis cujus quello per raggiungere il’
quale l'agente si muove; finis qui il bene che si vuol conseguire ; finis cui
la persona 0 il soggetto a cui si procura il finis qui. Dicesi regno dei fini, per opposizione a
regno della matura, l’insiome degli esseri ragionevoli come fini in sò stessi,
© i fini obbiettivi che questi esseri debbono proporsi, ciod i loro doveri.
L'espressione risale a Kant, il quale per regno (Reich) intende il legame
sistematico degli esseri ragionevoli mediante leggi obbiettive comuui >;
ora, gli esseri ragionevoli sono, per la loro ragione, degli esseri enpnei di
porsi dei fini, e, per il carattere incondizionato di talo ragione, dei fini in
sè stessi; può dirsi quindi regno dei fini il sistema che comprende sotto una
medesima legislazione i fini degli esseri ragionevoli, che sono essi stesai dei
fini in 62, e anche i fini che questi esseri possono proporsi sotto la
condizione di rispettare in sò medesimi e negli esseri loro simili la dignità
di essere dei fini in sè. Noll’azione volontaria Kant distingueva i fini
materiali, ο oggetti particolari del desiderio, e che sono tutti relativi alla
natura particolare della facoltà di desiderare, dai fini formali ο obbiettivi,
che sono presentati dalla ragione come ‘oggetti assoluti del dovere. I primi
dànno luogo agli imipotetici, i secondi all’imperativo categorico. Diconsi fini
secondari o relativi quelli che non sono che merzi al raggiungimento di altri
fini; fine ultimo ο assoluto quello nel quale #’nrresta definitivamente
l’attività, non essendo un mezzo per rapporto nd un fine ulteriore. Va notato
però che molti respingono codeste espressioni come intrinsecamente
contradditorie ; infatti il fine, se è veramente tale, non può non essere
sempre ultimo per rispetto alla volontà che se lo propone, @ se si ummotte che
possa esservi un fine che non sia ultimo, esso non è più nn fine ma un
mezzo, 453 Così puro, se per fine assoluto » s'intende sciolto
da ogni legame o rapporto », non si capisce come possa ponsarsi un fine
assoluto dal momento che il fine è, per definizione, pensabile soltanto in
rapporto con la volontà; quindi fine assoluto non può significare altro che
fine in sè, fine senza rapporto con la volontà, oggetto non più del volero mu
del pensiero, che in tal caso deve ammettersi come identico col volere stesso.
Cfr. Goclenius, Lezicon philosophicum, 1613, p. 583; Kant, Grundlegung zur Met.
der Sitten, 1882, § 97-111; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 3° ed.
1869, Introd.; Wundt, Logik, 1893-95, 1, 577 segg.; Sigwart, Logik, 1889, vol.
II, p. 251 segg.: Riehl, Der philosophische Kriticismus, 1887, vol. II, t. 2,
p337; Vidari, I concetti di fine e di norma in etica, Riv. di filosofia »,
aprile 1911 (v. cause finali, toleologia). Pinito. T. Endlich; I. Finite; F.
Mini. Come opposto ad infinito, dicesi di ciò che ha limiti assegnati. Si
distinguo dal definito, che è ciò cui possono essere dati o sono dati dei
limiti (v. infinito). Fisica. T. Physik; I. Physics, Natural philosophy; F.
Physique. Per i lunghi secoli nei quali dominò la classificazione aristotelica
del sapero, questa parola fu usuta in contrapposizione a metafisica, per
designare tutto l'insieme di cognizioni riguardanti i fenomoni esterni, l’
universo sensibile. Il termine fisico si adopera ancor oggi in opposizione a
priohioo, spirituale, morale, per indicare l’insiome doi fenomeni che appartengono
al corpo, alla materia, ο sono oggetto dell’osservarione esteriore. Con
Paccrencersi delle cognizioni, mediante l'applicazione del metodo sperimentale,
l'antica fisica si venne dividendo in due gruppi distinti: la storia naturale,
che si limita alla semplice deserizione della natura, © la filosofia naturale,
che stadia le cause ο le leggi dei fenomeni di natura. La fisica, intesa nel
sno significato moderno, appartiene a questo secondo gruppo, in quanto è la
scienza che ha per oggetto le proFis
454 prietà generali dei corpi nei
loro stati diversi e le modificazioni che ossi subiscono per lo varie azioni
cui possono cavere assoggettati. La distinzione della fisica dalla chimica ©
dalla meccanica va sempre più attenuandosi, ed esse surebbero destinate, secondo
alcuni scienziati, a divenire tanti capitoli d’ una scienza più generale, la
meccanica molecolare. Alcuni teologi
chiamano argomento fisico quella fra le prove a posteriori dell'esistenza di
Dio, che dalla constatazione delle cause seconde, conclude alla necessità d'una
Cavea prima. Questo argomento si può formulare sillogisticamente cos): so si ha
una serie o una concatenazione di fenomeni, che sono ad un tempo causa ed
effetto, è necessario ammettere una Causa che non sia cansata, cioè che non sia
un effetto, che sin insomma una Causa prima; ora nel mondo si osserva appunto
questa serie di euuso; dunque è necessario ammettere una Causi prima esistente
in virtù propria, cioè Dio. Cfr. Bacone, Notum Org., II, 9; L. Poincaré, La physique
moderne, ed. Flummarion (v.
filosofia, materia, causa sui, Dio, assoluto, © gli argomenti ontologico,
ideologico, morale, metafisico, storico). Fisiognomica. ‘I. Physiognomik ; I.
Physioynomonics ; F. Physiognomonie. O fisiognomonia. In Aristotele
φυσιογνωμονεῖν significa giudicare dei caratteri in base ai segni esteriori.
Per G. E. Schulze è l’arte di conoscero dai caratteri esteriori del corpo le
abilità, le inclinazioni, naturali ed acquisite, le buone o le cattive qualità
di un individuo ». In generale, la fisiognomonia è la scienza dei rapporti tra
il carattere e l’aspetto fisico dell'individuo, e in particolar modo tra il
carattere e i tratti del viso. Cfr. Schulze, Paychische Anthropologie, 1819, p.
74; A. Borse, L’Aysiognomische Studien, 1899. Fisiologia. T. Physiologie: 1.
Physiology; F. Physiologie. Anticamente era lo studio della natura sia animata
che inanimata; nei tempi moderni è divenuta la scienza che descrive, localizza
e interpreta i fenomeni della vita, se 455
Fis condo la legge della causalità nataralo. Essa è il fondamento di
tutte le soienze biologiche, e nella parte generale studia i problemi della
vita in genere, nella parte speciale esamina le funzioni dei diversi spparati
in una determinata specie organica. Come scienza fisico-chimiea dei viventi, la
fisivlogia comprende lo studio comparato dei fenomeni vitali dei regetali,
degli animali, dell’ uomo ; vi sono infatti dei fenomeni vitali comani a tutti
i viventi, fenomeni che hanno per sostrato materiale le cellule, valo a dire le
unità morfologiche più semplici. La fisiologia cellulare rappresento quindi il
fondamento di tutta la fisiologia, perchè le funzioni dei tessuti, degli organi
e degli apparati, si riducono in ultima analisi all'attività vitale degli svariati
elementi cellulari da cui risultano; tanto la fisiologia vegetale, che la
fisiologia animale ed umana, attingono dalla fisiologia cellulare le conoscenze
relative alle funzioni elementari, e se ne valgono come basi per lo studio
delle funzioni complesse e speciali dei diversi tessuti, organi ed apparati.
Cfr. Luciani, Fisiologia dell’uomo, 3" ed. 1908, vol. I, Introd. (v.
animiemo, cellula, cellulari teorie, meocanismo, protoplaema, vita, vitaliemo).
Pissazione. T. Zwang-Vorstellungen ; I. Imperative ideas : F. Obsessions, Stato
mentale caratterizzato obbiettivamento dall’ indeoisione dello spirito, dalla
tendenza al dubbio, agli sorapoli esagerati e senza fondamento, da una specie
di debolezza della volontà, che rende l’indi viduo incapace di resistore à
certi impulsi, oppure di decidersi e di compiere certi atti fra i più comuni e
semplici. Psicologicamente pare dovuto ad una diminuzione della facoltà di
sintetizzare le impressioni e i ricordi, per compiere quegli atti coordinati e
voluti che costituiscono la regolare manifestazione della nostra uttività
mentale. Caratteristica di tutte le fissazioni è d’ essere ncoompagnate da
consnpevolezza di sè stesse ο quindi du angoscia più ο meno viva; l’ammalato ha
perfetta conoscenza del proprio stato, riconosce la natura patologica dei
fenomeni cui va soggetto, ma è impotente a liberarsene. Fos 456 G.
Folret, partendo dal concetto psicologico, ammette tro categorie di fiesasioni:
le intellettuali, le emotive, le istintire, u seconda che si tratta di una idea
fissa, di una paura, o di un impulso irresistibile. Il Morselli, accettando in
parte quosta olassificazione, le distingue in quattro grappi: 1° follin del
dubbio, ο paranoia indagatoria © interrogatorin; 2° fobie ο paure morbose ; 3°
impulsi, che determinano ud atti per il predominio morboso di una tendenza: 4°
abulie, ο impotense generali o parziali nel funzionamento della volontà. Cfr.
Folret, Congr. int. di psichiatria di Parigi, 1889, p. 33 segg.; Morselli,
Manuale di semejotica, 1885, vol. I; Pierre Janet, Hist. d’une idée fire, Revue philos. »,
febbraio 1894. Fobia. T. Phobie,
neurasthonische Angesustinde; I. Phobia; F. Phobie. Nel linguaggio comune
equivale a pauni osagorata o ingiustifienta; nel linguaggio scientifico è una
forma di psicosi degenerativa, consistente in un timore istintivo irragionevole
cho assale l’ammalato in certo circostanze, in presenza di dati oggetti, al
pensiero di corti possibili avvenimenti, ed è sempre accompagnato da un sonso
di ansia più o meno vivo. La natura delle fobie vuria infinitamente o ogni
giorno so ne descrivono nuove varietà; tutte però rivelano lo stato mentale che
loro serve di substrato, cioè l’emotività eccessiva, tantochè alcuni psichiatri
la designano col nome di paranoia rudimentaria. Possono raggrupparsi in sei
classi: 1° paura dei contatti, caratterizzata dalla oppressione che l’ummalato
prova nel toccare determinati oggetti, monete, pomi delle porte (metallofobia),
spilli (belonefobia), oggetti a punta (aoutofobia), pezzi di vetro o perle
(oristallofobia), ecc. ; 2* paura morbosa degli spazi o topofobia, si tratti di
spazi larghi e aperti (agorafobia), o di spazi chiusi e oscuri (claustrofobia),
di precipini (cremnofobia), di alture (aorofobia); 3% paura morbosa di esseri
viventi o biofobie, si tratti di certi animali come ragni, topi, rospi
(zoofobia), ο della presenza di una
457 Fon donna (ginefobia), ο di
un uomo (pirifobia); 43 paura morbosa concernente l’ambiente fisico esterno da
cui si temono danni, como lu vista dell’acqua, dei flumi e ruscelli (idrofobia),
del fuoco dei fiammiferi (pirofobia), dei lampi ο dei tuoni (astrofobia); 5*
timori istintivi riferibili ad atti Asiologici od a possibili impotenze, come
la puura di non poter stare in piedi (stasofodia), di non poter cammivare
(basoSobia), di non poter muoversi dal letto (atremia), ecc.; 6* infine il
gruppo numeroso delle patofoble © delle nosofobie, fra cui la paura di essere
avvelenati con gli alimenti, con tossici imaginari contenuti negli abiti o
negli oggetti esterni (tossicofobia), di essere deformi (diemorfobia), di esser
sepolti vivi (tafefobia), ecc. Secondo la moderna psichiatrin, le fobie
costituiscono quasi sempre delle stigmate psichiche della degenerazione, ma
possono anche essere conseguenza di un semplico stato neurastenico, sia
ereditario sia prodotto du stati di esuurimento leggero, e rimediabile, del
cervello. Cfr. Friedmann, Ueber den Wahn, 1894; Gélineau, Les peur morbides,
1894; Lombroso, Alcune nuore forme di malattio mentali, Arch. di peichistria »,
1881; Morselli, Kir. di freniatria, 1887. Pondamento.T. Grund, Begründung,
Grundlage; I. Foundation; F. Fondement. In generale, significa ciò su cui
riposa un certo ofdine di conoscenze; più specialmente, indica sia ciò che
giustifica un'opinione, che determina l’assentimento dello spirito ad una serie
di affermazioni, sin In. proposizione più generale ο più semplice, da oui si
può dedurre un insieme di conoscenze ο di precetti. Fondamonto dolla morale
dicesi il principio da cui si deducono le verità morali particolari in un dato sistema
otico; ο, più in generale, ciò che legittima per la ragione il nostro
riconoscimento d’una verità morale. Il fondamento della divisione logica
(fundamentum divisionis) è quella nota del concetto dividendo, che è
suscettibile di varietà. Il fondumento del1’ induzione è quel principio
generale, che rende possibile © For
158 legittiuo l’attribuire a
tutta l’estensione del genere che s'è riconosciuto soltanto in alcune sue
specie. Tale principio sarebbe, secondo gli empiristi, quello della costanza e uniformità
delle leggi naturali; anche eso però si forma per induzione, quindi è
uecessario ammettere che le prime nostre induzioni si facciano per
enumerationem aimplicem, si appoggino ciod soltanto sopra il numero dei casi,
Per gli aprioristi invece anche le verità sperimentali si fonduno sopra le
verità originarie, i principi supremi di ragione, nei quali è contenuta la
giustificazione dei processi induttivi (v. enumerasione). Forma. T. Form, (iestalt; I. Form; F. Forme.
Aristotele dlistinse per primo in ogni cosa la materia (Όλη) dalla forma
(1806), considerando la prima come l’ente in potenza, τὸ Zuväneı ὄν, 9 la
seconda come l’ente in atto, τὸ évepyeta ὃν. Egli distinse anche la forma dalla
figura (µορφή) cho è la più semplice determinazione della materia, ciò che v ha
di più elementare nella forma; e la materia dalla sostanza, che è ciò che
esiste in sè © non in altro. Ora le sostanze sensibili sono prodotte dall’
unione della materia colla forma; perciò la materia è una sostanza potenziale,
© per divenire attuale occorre che sia limitata e determinata, e tale carattere
le è dato dalla forma. Dunque lu forma è la sostanza in attualità, la materia à
la sostanza in virtualità. Il dualismo posto da Aristotele fra queste due
entità oggettive, materia e forma, non fu superato nè ila lui nò dai filosofi
successivi. Nella filosofia scolastica il termine forma ha un uso larghissimo,
servendo a tradurre εἴδος, µορφή, obsia, παράδειγµα. Per determinarlo, gli
scolustici aggiungevano al termine stesso un gran numero di epiteti, come: f.
metaphysica, l’ essenza sostanziale d’ ogni cosa; f. corporeitatia,
l’organizzazione delle parti del corpo degli esseri viventi, onde questi sono
atti a ricevere l’anima, organizzazione considerata quale sostanza distinta dal
corpo e perciò detta organizationem substantialem ; f. accidentalie. quella che
sopraggiunge ad un soggetto completo nel suo essere di sostanza; f.
eubstantialis, una realtà sostanziale distinta dalla materia, ordinata per sò
in modo da costituire colla materia prima la sostanza corpo naturale, cui «dà
il suo essere ο la sua operazione specifica; f. materialis, quella che è
inseparabile assolutamente dalla materia, che dipende da essa nella sua
esistenza e nella sua operazione; J. spiritualia U anima intellettiva, che
oltrepassa la materia, © se dipende da essa per alcune operazioni inferiori, ne
è indipendente quanto alla esistenza e nelle operazioni più elevate; f.
assistons quella che non è porzione della cous, mu presiede soltanto al moto di
essa; f. informane quella che è ricevuta dalla materia e costituisce una cosa
sola con essa, Giordano Bruno accetta l’ iden aristotelico-scolnatica di forma;
soltanto le forme esterne mutano, egli insegna, tuentre le forme interne o
forze permangono immntabili; si devono distinguere la forma prima, che dà la
figuro, si estende parzialmente ed è dipendente dalla materia (ad os. la forma
materiale del fuoco), dalla forma inestess (anima) © indipendente dalla materia
(intelletto), come parti di un medesimo principio; dove è la forma, ivi in un
certo senso è tutto; dove è l’anima, lo spirito, la vita, è il tutto, Bacone
spogliò il termine del suo significato antico, cercando di dargli un senso
nuovo, che servisse di base ad una teoria della natura: Nos enim, quum de
formis loquimur, nil aliud intelligimus, quam leges illas et determinationes
aotus puri, quae naturam aliquam rimplicem ordinant et constituunt… Qui formas
novit, is nalurae nnitatem in materiis dissimillimis complectitur. Nella
filosofia moderna, specio dal Kant in poi, i due vocaboli, materia © forma,
farono trasportati dall’ essere al conoscere, e perciò il loro significato mutò
radicaliente: infatti per materia della conoscenza intendesi oggi tutto il
contenuto obbiettivo di essa, © per forma della conoscenza intendesi, nel senso
logico, nou altro che il modo dell’ attività del pensiero che si fissa come
proFor 460 dotto logico, e, in senso gnoseologico, la
funzione formatrice della sensibilità ο del pensiero. Così nel giudizio dicesi
forma lu relozione di convenienza o discrepanza tra suggetto © predicato; nella
proposizione la forma è il verbo che esprime la relazione dei due termini,
soggetto ο predicato; nel sillogismo dicesi forma il nesso intrinseco e la
mutua dipendenza che hanno fra loro le tre proposizioni; nella legge morale In
forma è il modo con cui essa impone i suoi principi, che si manifesta in un
comando (imperativo positivo) o in un divioto (imperativo negativo). Cfr. Aristotele, Metaph.,
IX, 6; De an., II, 1; De ooolo, IV, 3, 4; Goclenius, Lexicon phil., 1613, p.
588-593; 8. Tommaso, Sum. theol., ΠΠ, 18, 1.0.; Bacone, N.
Org., II, 3, 17; Bruno, De la causa, dinl. II, IV; Kant, Krit. d. reinen Vern.,
ed. Reclum, p. 49 (v. formalismo).
Formale. T. Förmlich, formal; I. Formal; F. Formel. Ciò che è indipendente
dalla materia, © riguarda soltanto la forma, Dicesi verità formale 1’ armonia
del pensiero con sò stesso, © verità materiale la conformità del pensiero con
la cosa a cui si riferisce. Dicesi logica formale quella che considera soltanto
la forma del pensiero, cioè il modo come gli olementi di questo sono tra loro
combinati, e logica materiale quolla che considera anche il contenuto del
pensiero, e cioò i rapporti delle idee in relazione con le cose. Cartesio disse
esistenza formale quella in sè, fuori d’ ogni idea, per opposizione
all'esistenza obbiettiva, che è l’ esiatenza per il pensiero © nel pensiero,
Kant distinse i fini delle azioni in materiali o soggettivi © formali ο
obbiettivi: quelli sono gli oggetti particolari del desiderio, questi sono presentati
dalla ragione ad ogni essere razionale come gli oggetti assoluti del dovere; i
primi dànno luogo agli imperativi ipotetici, i secondi all’imperativo
categorico. Formalismo. T. Formalismus; I. Formalism: F. Formalisme. Nella
filosofia si adopera per designare quei sistemi o quelle dottrine che si
fondano sopra un principio puramente formale, e che scambiano le parole con le
cose. Ad es. dicesi formaliemo matematico, la dottrina di Pitagora, che facendo
dell’ unita il principio formale e della molteplicità il principio materiale
d’ogni esistenza, cambin tutte le differenze di essonza in semplici
determinazioni di grandesza. Dicesi pure formaliemo la filosofia naturale di F.
Bacone, per il quale ogni conoscenza della natura ha lo scopo di comprendere le
canse delle cose, le prime delle quali sono le cause formali, perchè 1’
necadere ha radice nelle forme, nelle nature delle cose; così, quando |’
induzione baconians ricerca la forma dei fenomeni, ad es. la forma del calore,
per forma e’ intende l’essenza permanente dei fenomeni. Il vocabolo formalismo
fu usato originarinmente per indicare la particolare soluzione del problema
degli universali sostenuta da Duns Scoto; per codosto filosofo, tra
l’individualità della cosa ο la sua essenza univerrale non esiste che ana
distinotio formalie; l'individuo è V ultima forma di ogni realtà, mediante il
quale soltanto esisto la materia universale © che quindi non si può derivare da
una forms generale ma solo constatare come nttuale. Cfr. Duns Scoto, In lib. sent.,
2, dist. 3, qn. 6, 15; Bacone, Novum organum, 1. II; Sigwart, Logik, 2° od.,
vol. II, 6 93, 3 Formaliter.
Termine usato specialmente nella filosofia scolnatica, e con significati assai
differenti. Talvolta ha idontico significato (li ensentialiter, ο per
correlativi aooidentaliter © materialiter : si dice infatti che un predicato
appartiene ad nn soggetto formaliter, quando non potrebbe sussistere nè osser
concepito senza di esso, ad es. la ragionevolozzn all'uomo; si dice che gli
appartiene aooidentaliter quando } easenza è raffrontata con predicati
accidentali, materialiter quando è raffrontata con attributi o parti della com,
che sono come materia del soggetto indifferente a cost tnire quella cosa o
quell’ altra. Talora ha il significato mentalmente, vale n dire accondo le
formalità che distinFor 462 guiamo soltanto col pensiero, e in tal caso
ha per correlativo realiter. Altre volte formaliter si dice della cosa
considerata in sè, e allora ha tanti correlativi quanti sono quelli coi quali
una cosa pnd confrontarsi : se si confronta con l'oggetto, obiective; se con
l'esemplare secondo cui una corn è fatta, eremplariter; se col fine
correlativo, finaliter, ece. Altre volte ancora val quanto tere e proprie, ed
allora ba per correlativi apparenter, metaphorice. Si adopera infine, assieme
con virtualiter ed eminenter, per riferirlo alle cause in quanto contengono la
perfezione dell’ effetto: quando nella causa si trova la natura dell’ effetto,
come nel fnoco il calore, l’effetto dicesi contenuto formaliter nella cansa;
quando non si trova, come la statua nella mente dello scultore, l’effetto
dicesi contenuto rirtualiter nella causa; quando la causa è molto più perfetta,
cioè scbvra del tutto dalle imperfezioni che si trovano nell’effetto, come Dio
rispetto alla creatura, allora dicesi eminenter. Cfr. Goclenio, Lextoon
philos., 1613, p. 593 seg.; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande,
1855-70, vol. III, 216. Fortiori (a). La dimostrazione a fortiori è quella che
prova al di là della tesi o verità da dimostrarsi. Però se il provar troppo,
quando è esatto, è utile, bene spesso costituisce un vero e proprio sofisma (v.
argomento, quod nimis probat). Forza. T. Kraft, Gewalt; I. Force; F. Force.
Intesa nel senso psicologico, essa non è altro, secondo molti filosofi moderni,
che la sensazione di resistenza, ο ciò che è supposto casere la causa della
sensazione di resistenza; ed anche volgarmente è sinonimo di aforzo. Esiste in
noi, dice il Condillac, un principio delle azioni nostre, che sentiamo ma non
possiamo definire: è chiamato forza. Noi siamo attivi del pari in relazione a
tuttooid che codesta forza produce in noi ο al di fuori. Lo siamo, ad esempio,
quando riflettiamo e quando facciamo muovere un corpo. Per nnalogia noi
supponiamo in tutti gli oggetti che producono
463 For qualche cangiamento, una
forza che conosciamo ancor meno, e siamo passivi in relazione alle impressioni
che essi fanno su di noi ». Il Maine di Biran riconduce il concetto di forza
alla coscionza della propria capacità attiva, alla appercezione interna
immediata o coscienza d’ una forza, che è il mio mo e che serve di tipo
esemplare tutte le nozioni genorali e universali delle cause, delle forze ». Il
Bain, analokamente al Mill e allo Spencer, la definisce. il sentimento che noi
proviamo quando spieghiamo la nostra energia muscolare, sia resistendo, sia
producendo noi stessi il movimento ». Nel senso meccanico la forza è una
grandozza suscettibile di misurazione, il che sarebbe impossibile se si
riducesse ad un puro conoctto psicologico. Ma, anche nel senso meccanico, essa
fu intesa e definita in modi diversi. Per Cartesio è ciò che dicesi oggi più
propriamente impulsione o quantità di movimento; per il Leibnitz nel concetto
di forza era compreso anche quello di lavoro e di energia: La forza attiva, che
sta di mezzo tra la facoltà di agire e l’azione stessa, suppone uno sforzo, ©
con questo entra in operazione da sò stessa, senza aver bisogno @ altro
ausiliare che la soppressione dell’ ostacolo. Il che si può rendere
comprensibile con 1’ esempio d’un corpo grave teudente la corda che lo sostiene
». Nella meccanica modern la forza è definita comunemente come la causa che
modifien o tende a modificare lo stato di movimento o di riposo di un punto
materiale; quando il punto materiale non è sottomesso nd alcuna forza, ο è in
riposo, ο, se si muove, il suo movimento è rettilineo ed uniforme, e ciò perchè
egli non pnd modificare da sè stesso la propria velocità nò in grandezza nè in
direzione. Tuttavia, anche il definire la forza come la causa del movimento non
sembra esatto, innanzi tutto perchè la causa non è misurabile, in secondo Inogo
perchi la forza esercitata da un sistema su un mobile non dipende solamente
dallo stato intrinseco del sistema, ma anche dullo stato dol mobile ο dalle ano
relazioni col sistema esteriore. Fre
464 Due forze si dicono uguali
quando, applicate ad uno stesso corpo nelle stesse circostanze, producono il
medesimo effetto ; forze mutue le forze uguali e contrarie che due punti
esercitano V uno sull’ altro; forza omtrifuga la reazione che un mobile,
assoggettato a descrivere una curva fissa, osercita contro questa curva; forza
contripeta In forra diretta verso il centro di curvatura della traiettoria di
un punto materiale, © che mantiene il mobile su questa traiettoria; forza
d'inerzia una forza uguale ο opposta a quella che produce l’accolerazione di un
mobile. Cfr.
Condillac, Traité den sensations, 1886, I, cap. 2, $ 11; Leibnitz, Op. phil.,
Erdm., p. 121; Maine de Biran, Oeuvres phil., 1841, vol. ΠΠ, 5; Spencer, First princ., 1870, $ 31; Ardigò, Op.
fil., I, p. 104 segg.; IL, p. 49 segg. (v. materia, energia, potenza, lavoro,
dinamismo, ecc.). Freison o fresinon. Termine mnemonico di convenzione, con cui
si designa nella logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo,
che ha In premessa maggiore universale negativa, la minore particolare
afformativa, la conolusione particolare negativa. Es.: Nonsun savio è
superbo. Qualche superbo è dotto. Dunque qualche dotto non è savio. Prenastenia
(φρήν -mente, ἀσθένεια =debolezza). T. Phrenaathenie ; I. Phrenasthonia; F.
Phronasthenie. Mancanza ο deficienza di vita mentale, determinata da arresto di
sviluppo. Comprende due forme o gradazioni fondamentali: V imbecillit& ©
l’idiotismo, più tutte quelle forme di debolezza di mente, congenita 0
acquisita, che attira volgarmente in chi la possiede il titolo di scemo,
zuccone, testa dura, eco. Cfr. A. Verga, Frenastenici ed imbecilli, 1877 (v.
ehefrenia, catatonia, idiotiemo, demenza, eco. Frenologia. T. Phrenologie; I.
Phrenology; F. Phrénologie. Questo nomo, che non dovrebbe mai usarsi in luogo
di psichiatria, designa In dottrina di Gall e Spursheim, che ebbe gran favore
nella prima metà del secolo scorso ed
465 Fre-Fox è ora quasi
completamente abbandouata. La fronologia è V arte di scoprire il carattere ο
l'intelligenza dell’ individuo mediante l'esame della forma del suo cranio, e
si fonda sopra la supposizione che lo spirito sia costituito di tante facoltà
innate, emozioni © tendenze affatto distinte tra di loro; che ciascuna di esse
abbia la propria sede, pure indipendente ο distinta, in una regione o organo
della corteccia corebrale; che quanto più sviluppata è una di questo facoltà,
tanto più voluminoso sia il centro cerebrale corrispondente ; che, infine, il
maggiore o minor volume dei singoli centri si riveli ulla superficie dol
cranio, mediante corrispondenti rilievi, bozze, depressioni, prominenze, ecc.
Le facoltà ammesse dal Gall, e i corrispondenti organi, sono ventinove, delle
quali una si trova nel cervelletto (senso sessuale), cinque nel cervello
posteriore, sette nel medio, sedici o diciassette nell’ anteriore. Quantunque
In frenologia si fondasse su presupposti assurdi giustifica bili con
l'ignoranza in cni trovavansi allora la fisiologia © l'anatomia del sistema
nervoso essa ha contribuito tuttavia n perfezionare la moderna dottrina delle
localizzazioni cerebrali. Cfr. Bastian, Le cerveau org. de la pensée, trad. franc. 1888, vol. 11; Ch. Blondel, La
peycho-physiologio de Gall, 1914. Fresison. Termine mnemonico di convenzione,
con cui nella logica formale si designa uno dei modi della quarta figura del
sillogismo. È lo stesso che freison. Frisesomorum. Termine mnemonico di
convenzione, con cui nella logica formale si designa in modo indiretto della
prima figura del sillogismo. Come indicano le vocali delle tre prime sillabe,
la premessa maggiore è una proposizione particolare affermativa, la minore
nniveranle nogativa, la conclusione particolare negativa. Lo due ultime sillabe
sono semplicemente eufoniche. Funzione. T. Funktion; 1. Function; I. Fonction.
I norale, l'esercizio di nos determinato forma di atti 30 Rawzout, Dizion, di scienze filosofiche. Fus
più particolurmente, l’attività propria e caratteristica esercitata da un
organo in un insieme le cui parti sono in rapporto di mutna dipendenza. Nella
fisiologia dicesi funzione ogni fenomeno che si comple nell’organiamo e
concorre a realizzare un determinato risultato, necessario alla conservazione
dell’ individuo e della specie. Si distinguono fanzioni di tessuti, di organi,
di apparecohi. Le fanzioni generali della vita sono: la nutrisione per cui gli
individui, nei limiti assegnati alla loro specie, crescono e si mantengono in
vita; la riproduzione per cui la serie degli individui si perpetua
moltiplicandosi nel tempo e nello spazio; le fanzioni di relasione, per cui gli
individui sentono e si muovono, ponendosi così in relazione col mondo ambiente.
Per analogia il termine stesso fu poi estero agli elementi e agli organi
sociali; perciò si parla dolla funzione sociale nel genio, della funzione
‘dello Stato, ecc. Nella matematica due quantità variabili sono dette funzioni
l’una dell’altra, quando |’ nna è legata all’ altra per modo, che variando
l’una varia anche l’altra in modo perfettamente determinato, ma diverso a
secondn dei casi. Così, considerando z, variabile indipendente, come tale che
possa assumere tutti i valori possibili sd ognuno di questi valori dovrà
corrispondere un valore determinato di y. Tale proprietà, dal Lagrange in pol,
si indica con In formula y == f(x). Cfr. Goblot, Fonotion et finalità, Revue philos. », 1899,
II, 695; Lebergue, Legona sur 7’ intégration, 1904. Fusione delle sensazioni. F. Fusion des sensations. Tl
carattere qualitativo unitario che risulta da due senanzioni in determinati
rapporti quantitativi. Così è possibile ottenere nna sensazione olfattiva
qualitativamente nuova dalla fusione psichica di due o più odori applicati
contemporaneamente nella mucosa nasale. Ma è specialmente nel campo dell’ adito
che essa ha importanza, e lo Stumpf se ne serve per spiegare, contro 1’
Helmholtz, la consonanza 467 Fer ο la dissonanza degli intervalli
musicali. Sarebbero dissonanti quegli intervalli che non sono capaci di
fondersi in una percezione sonora unitaria, di guisa che anche un orecchio non
musicale è capace di distinguere due suoni simultanei; consonanti quelli capaci
di raggiungere una fusione perfette. Però non tutti i psico-fisiologi accettano
questa spiegazione, e molti, pur accettando il concetto che dotti fenomeni
stiano in rapporto con la maggiore o minore fusione delle sensazioni
elementari, fanno dipendere la furiono stessa non da processi psichici
centrali, ma da un fatto periferico, consistente in un nuovo fenomeno
periodico, riaultante dalla composizione delle vibrazioni di duo suoni. Cfr.
Stumpf, Tompeyokologie, 1890, 1. II, p. 64, 128; Helmholtz, Die Lehre von den
Tonempfindungen, 5° ed. 1896; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 133;
C. Zambiasi, Un capitolo di acustica musicale, Nuovo Cimento », serie V. vol.
IX, 1905. Futuro. T. Zukunft; 1. Future; F. Futur. La noziono di tempo risulta
di tro elementi, che rispondono ad atteggiamenti diversi del nostro pensiero:
il passato, cioì la memoria, il presmte cioè il fatto attuale, il futuro ossin
il fatto atteso. Il passato è già il non-essere, il presente è l'essere, il
futuro è il possibile concepito relativamente alla nostra esperienza. Diconei futuri contingenti, per opposizione a
futuri necessari, quegli avvenimenti che, essendo opera della Provvidenza
divina o del libero arbitrio, non hanno un legame necessario coi fatti
precedenti : «1 filosofi convengono oggi, dice il Leibnitz, che la verità dei
faturi contingenti è determinata, eiod che i futuri contingenti sono futuri,
oppure che essi accadranno, che esai si verificheranno: poichè è ugualmento
sicure che il futuro sarà, come è sicuro che il passato è stato ». Cfr.
Platone, Timeo, 37 e, 88 a; Aristotele, Paye, IV. ο, 1x e segg.; Leibnitz,
Teodioen, I, 36 (v. durata, intante, tempo). Generale. T. Allgemein; I. General;
F. Général. T'ermino generale è quello che abbraccia un numero indefinito di
individui, » ciascuno dei quali ai riferisce: ad es, scolaro. Si distingue dal
termine collettivo, che abbraccia un numero determinato di individui senza
riferirsi a nessuno di essi, ad es., scolaresca. Si distingue anche da
wnirersale, che si può attribuire soltanto ai giudizi, i quali diconsi
universali quando V attribute è affermato ο negnto di tatta 1) estensione del
soggetto : perciò è universale ogni gindizio che abbia per soggetto un termine
singolare ο individuale (che sono l’ opposto di generale) in quanto
l’individno, che possiede l' estensione minima, non può esser preso in parte
dell’ estensione. Cfr.
J. S. Mill, System of logio, 1865, 1. I, $3; Wundt, Logik, 1898, vol. I, 96. Generalizsasione. T. Verallgemeinerung;
1. Generalization; F. Généralisation. Quell’ operaziono mentale con oni si
estende un dato astratto a più oggetti indefinitamente. La generalizzazione
implica dunque 1’ astrazione; isolato, con l’analisi mentale, dagli elementi
che compongono un tutto, un dato elemento, questo che è un astratto; diventa un
generale quando, appartenendo a più altri oggetti, ne estondiamo la nozione
anche ad essi, cioò lo pensiamo come ad ossi proprio. Cfr. H. Ebbinghaus, Psychologie,
trad. franc. 1912, p. 176 segg.; Arohiv. f. (esante Psychologie, vol. 8, 9, 12
(v. idea, astrazione). Generazione. T. Erzeugung, Generation ; I. Generation :
F. Génération. L’atto del generare, sia in senso biologico sia in senso logico
ed epistemologico; nel suo senso più largo è il cambiamento da un termine
negativo a uno positivo, o dal non essere all’ essere. Definizione per
generazione 0 genetica à quella che costruisce una figura con nn movimento
determinato di un’altra figura già conosciuta; ad“es.: il cerchio è una fignra
piana generata dalla rivoInzione d’una retta rigida intorno nd una delle
proprie estremità. Generatio æquirooa 0 generazione spontanca è una espressione
che ha due significati ben diversi: per il passato desiguava il nascere
spontaneo di esseri viventi, specie insetti, senza bisogno di ova o di germi
preesistenti; e questa cosa fu dimostrata falsa dalle esperienze del Redi e
dello Spallanzani. Oggi per generazione spontanea ο abiogencsi si intende
l’origine sulla terra della sostanza viva dalla sostanza inanimata; tale
origine spontanea, che è un presupposto della concezione monistico-meccanica ο
materialistica della vita, è intesa in due modi: ο gli esseri viventi nascono
direttamente dalla materia inorganica per una improvvisa aggregazione di
composti chimici evoluti a buso di carbonio, i quali si oristallizzano attorno
ad un contro di forza, così de assumere subito i caratteri di forme
riproducibili ; oppure, e questa è l’ ipotesi più accettata, alla compares di
esseri monocellulari organizzati precede un periodo di combinazioni chimiche
fra gli stessi elementi, per le quali si formano gradualmente quelle sostanze
che si dicono proteiche ο la cui molecola complessa si costituisce attorno ad
un atomo di carbonio. Quantunque lu dottrina dolls generazione spontanen si
presti a molte obbiezioni, è tuttavia ammessa ds molti scienziati perchè
preferibile a quella della oreasione dell’ essere vivente dal nulla, per opera
d’un potere esterno al mondo, o a quella dell’ilozoismo, cioè In esistenza
eterna ὁ continua della vita. Nella terminologiascolasticadistinguevansi varie
spocie di generazione: generatio conversiva, quella per la quate un soggetto
viene trasportato da una forma ad un’altra, ad es. il calore in movimento
meccanico; g. mufativa, per la quale la materia presupposta nella generazione
passa dalla negazione di qualche forma alla sua realizzazione, ad es. l’acqua
che da torbida diventa limpida; g. pura, simpler, pracoiea, per la quale viene
prodotto un corpo dalla muGun 470 torfa allora creata, in cui cioè non
precedette forma ο privazione di sorta, nd es. le generazioni avvenute nel
primo istante della creazione del mondo. Cfr. Richerand, Nuori elem. di
fisiologia, trad. it. Dall’Aqua, pref., $ v; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I,
p. 246 segg.; G. Pfitiger, Ueber die physiologische Verbrennung, Archiv für
gesammte Physiol. », 1875, vol. X; Id., Élém. de physiol. générale, trad.
franc. 1884; Haeckel, I problemi dell’ univereo, traduzione jana 1903, p. 353
segg. (v. monera, organiciemo, vita). Genere. Lat. Genus; T. Gattung, Genus; I.
Genus; F. Genre, In sonso generale il genere, come lo definisce lo Stuart Mill,
è € una classe che si distingne dalle altre, non solo per qualche proprietà
definita, ma per una serie sconosciuta di proprietà in numero indefinito, di
cui le prime sono V indice ». In senso logico il genere è quello che si predica
di molte specie differenti in qualche cosa, 0, come brevemente lo definisce Cr.
Wolff, eimilitudo specierum: in una serie di idee, in cui l'estensione va
decrescendo ed aumenta quindi la comprensione, l'idea più ostesa ὁ meno
comprensiva è nn genere rispetto alle meno estese e più comprensive, 6 l’idea
meno estesa è una specie rispetto alle più estese di cui comprende tutte le
proprietà. Ad es. nella serie: materia, organiemo, animale, vertebrate, uomo,
curopeo, V iden di organismo rappresenta il genere rispetto ail animale, che è
In specie e che dell’ organismo comprendo tutti gli attributi. Nella stessa
serio diccni genere promimo quel genere cho più #i avvicina, come tale, ad uns
data idea; ad es., animale rispetto a vertebrato, muteria’ rispetto ad
organismo. Ciò che sotto un rispetto è genere, sotto un altro rispetto è
specie; ad es, uomo è gonere rispetto ad europeo, ed è specie rispetto a
vertebrato. Ora, i metafisioi dicono genere sommo (τὸ γενικώτατον γένος summum genus) quello che contiene tutti gli
altri generi © non è contenuto in nessuno, ossia l’idea assolutamente
estensiva; tale sarebbe, socondo alcuni, I’ essere, secondo «τι GEN altri la sostanza, ο l’ unità, ο il bene,
eco. L’ idea assolìelmente specifica, ossia assolutamente comprensiva, è I’
dividuo. Nella biologia il genere à pure
1’ insieme di pi specie presentanti qualche punto di contatto; l'insieme di più
generi è la famiglia; tra il genere e la famiglia si ainmettono talvolta dei
sottogeneri. Nella nomenolatura binomia © denominazione duplice stabilita da
Linneo, ogni specie di animale o di pianta è designata con due nomi, di cui il
primo esprime il genere, il secondo la specie e serve n stinguerla dalle
oongeneri. Cfr.
Aristotele, Metaph., V, 28, 1024 a, 29 segg.; Crist. Wolff, Philos. rationalis
sive logica, 1732, $ 234; Kant, Logik, 1800, p. 150; J. 8. Mill, System of
logie. Genesi. Gr. Γένεσις; T.
Genese; I. Genesis; F. Genèse. Significa generazione, origine, formazione,
principio. Iu greco indicava più specialmente divenire, produzione; in tal
senso si distingue da origine, in quauto ogni genesi suppone una realtà preesistente
e un punto di partenza, che ne è l’origine. Genetico. T. Genetisch ; I.
Genotio; F. Génétique. Che riguarda la genesi di un essere, di un concetto, di
una istituzione. Il metodo genetico consiste nel ricercare le orig; © la
formazione di un dato fenomeno, di una data dottri o scienza. La definicione
genetica è quella che definisce un concetto nel modo stesso onde esso si
costruisce; dicesi gonetica indicatita, se il costituirsi degli elementi non
dipende da noi ma è opera della natura, genetica ricostruttiva se possiamo
congiungere noi stessi gli elementi costitutivi dell'oggetto, come quando si
definisce il ciliudro: una figura generata da un rettangolo, che compio una
rivoluzione completa girando intorno ad uno dei suoi lati. La olassificasione
genetica è quella che dispone i gruppi secondo una diversificazione
progressiva, e considera le classi come prodotto più o meno stabile, ma non del
tatto invariabile, delle variazioni causali delle proprietà. GEN Μο | itrine
evolutive ha reso genetiche tanto } © naturali quanto le sociologiche e moÈ.
Philos. rationalis, 1732, $ 195; Maso 8 segg. | om 2. vende; L Genius; F.
Genio, Esistono molte definizioni del genio, cho riflettono i modi diversi di
intenderne e spiegarne la natura: tutti però convengono nel considerare il
genio come la forma più alta di sviluppo che l'intelligenza, l’imaginazione, il
sentimento o il volere possono raggiungero in un individuo umano, come la più
compiuta espressione della psiche umana. Si distingue dal’ ingegno, che è più
comune e, so comprende e crea, non è nelle sue crensioni così spontaneo e
originale come il genio, nd suscita intorno a sè, tra i contemporanei ο presso
i posteri, quel consenso ο quell’ammirazione, che rendono immortale il genio.
Si distingue anche dal falento, che è in un uomò quella inclinazione
complessiva, che gli è propizia a causa delle speciali diresioni delle sue doti
di fantasia e d’intelletto. Le ricerche teoretiche sul genio non cominciano che
con la psicologia moderna; nei tempi antichi esso è studiato piuttosto
biograficamente, come în Plutarco, e in Platone, che nei suoi dialoghi fa
rivivere la figura del maestro immortale. Secondo la nota definizione,
attribuita dal Littré al Buffon, il genio non è altra cosa che una grande
attitudine alla pazienza ». Secondo d’ Holbach è la facilità di cogliere
l'insieme e i rapporti negli oggetti vasti, utili, difficili a conoscere ». Per
Cristiano Wolff è soltanto la-fcilità di osservare la somiglianza delle cose ».
Per Kant il genio artistico è una intelligenza cho opera come la natura »; il
segreto ο la caratteristica delle creazioni geniali sta in ciò, che lo spirito
che crea con uno scopo, lavora tuttavia come la natura che crea senza uno scopo
e senza un interesse; nel campo dell'attività razionale umana, il genio è la
sintesi della livertà e della natura, della finalità » della necessità,
della 473 GKN funzione pratica e della funzione
teoretica. Anche per Schelling il genio, come la più alta sintesi di tutte le
attività della ragione, consiste nella finalità senza scopo del creare; in
altre parole, l'essenza della ragione si realinza pienamente soltanto mediante
1’ attività cosofente-incosciente del genio arlistico, in quanto esso supera
quei contrasti tra attività cosciente © incosciente, che fanno sì che Pio
teoretico e l’io pratico, tra essi racchinso, non raggiunga mai, normalmente,
il suo scopo. Per Schopenhauer il genio è la capacità di penetrare con la pura
intuisione nella realtà obbiettiva delle cose, di sepnrarsi per un certo tempo
dalla propria personalità per essere puro soggetto conoscente. Per il Cousin il
genio, specie quello artistico, è caratterizzato da due cose: anzitutto dalla
vivacità del bisogno di creare, poi dalla potenza creatrice ; il vero genio non
riesce a dominare la forza che ha in sè, soffre nel contenere cid che prova,
cosicchè se è stato detto che non v ha uomo superiore senza un grano di follia,
tale follia, como quella della croco, è la parte divina della ragione ». Per
Lombroso il genio è, con la delinquenza e la pazzia, uns sottospecie di una
specie psicologica abnorme, unu nevrosi degenerativa di natura epilettoide;
questa teoria ha suscitato un vivace dibattito, non ancora chiuso, 0sservandosi
da alcuni che la genialità non è certamente In coratteristica dei folli, da
altri che il dispendio mentale da cui sorge l’opera del genio espone facilmente
a forme nervose degenerative, le quali dunque non sarebbero causa ma effetto
della genialità, da altri ancora che alle condizioni di assoluta squisitezza ὁ
delicatezza del sistema nervoso si debbono sia le attitudini geniali sia le
degenera zioni nervose, ma che le une e le altro, se sorgono su un terreno
comune, non si debbono perciò considerare come vincolate tra loro da un
rapporto di causalità. Cfr. Holbach, Syst. de la nature, 1770, vol. I, p. 127; Cr. Wolff, Paychologia emp. 1198, $
476; Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, Geo
AU p187; Schopenhauer, Die Welt
als, oce., suppl., 1. IIT, cap. XXXI; V. Cousin, Du vrai, du beau οἱ du bien, part. III, cup. V; Moreau de Tours, Payool. morbide, 1859; Lombroso, L'uomo di
genio, 1888; Id., Genio e degenerazione, 1908; Id., Origine e natura dei genii,
1902; Padovani, Che cox’ è il genio, 1907; Id., Le origini del genio, 1909.
Geocentrico. 1. Geocentrisoh; F. Géocentrique. L’antico sistema tolemaico, che
poneva la terra come il punto centrale fisso dell'universo, intorno a cui si
muovono il sole, la luna e le stelle. Il geocentrismo si ricollega strettamente
all’altro errore antico dell’antropocentrismo, per cui l’uomo considera sò
stesso come scopo finale prestabilito della creazione, e crede che tutta la
natura sia stata creata per servire et lui (v. oause finali, finalità,
oliooentriemo) Geografia. T. Erdkunde, Geographie; I. Geography; F. Géographie.
Scienza che ha per oggetto la descrizionc della superficio della terra, la
determinazione della sua veru forma, la distribuzione delle piante e degli
animali, delle zone occupate dai diversi popoli, linguaggi, religioni, ecc. Si
distingue perciò la geografia fisica, matematica, biologica (zoologica,
botanica, etnologica), sociologica (econo-, politica, linguistica, ece.).
Geologia. Ί. Erdbildungskunde, Geologie ; I. Geology; F. Géologie. La, scienza
che studia la struttura interna della terra, i suoi periodi di formazione,
desumendoli dall’ esame della crosta terrestre e dalle leggi fisiche e
chimiche. Eas sorse quando cominciò seuoterai la fede nelle leggendo n saiche
sulla creazione, verso la fino del secolo diciottesimo, οἱ è giunta oggi u
stabilire i periodi principali nella storia della terra, a spiegure la
formazione dei fossili, a escludere l’ intervento dei miracoli e delle cause
sovrannaturali nella formazione del nostro pianeta. Cfr. K. A. Zittel,
Geschichte d. Geol. und Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia). Geometria. T. Geometrie;
I. Geometry; F. Géométrie. Quella parte delle scienze matematiche che ha per
oggetto 475 Gro lo studio delle forme ο delle -figure che
si possono tricciare nello spazio. Secondo il Comte l'oggetto della geometria è
la misura indiretta delle grandezze; infatti nelle «quantità non direttamente
misurabili, conosciuti alcuni dei rapporti tra gli elementi di cui una figura è
composta, essendo tali elementi necessari, mediante essi αἱ determimano tutti
gli altri. La geometria distinguesi in pura e analitica: quella, senza valersi
delle formule algebriche, studia direttamente le figure mediante spostamenti,
sovrapposizioni ed uguaglianze; questa allo studio diretto delle figure
sostituisce delle semplici formule algebriche, fondandosi sulla scoperta di Cartesio,
che cioè ad ogni figura corrisponde una equazione e ad ogni equazione una
figura. Alla geometria pura si connette la descrittiva, cioè 1’ arte di
rappresentare delle figure solide mediante le loro proiozioni sopra due piani
perpendicolari. Fino ol principio del secolo XIX la geometria enclidea era
considerata il modello porfetto d’ogni certezza scientifica; il razionalismo
cartesiano, ispirandosi al detto di Keplero, ubi natura ibi yeometria, l'aveva
posto # fondamento d’ogni sapere intorno alle cose idealizzate nella pura
estensione ed aveva persino preteso con Spinoza di costruire una morale more
goometrico demonstrata. Ma con l'Helmbolte, il Lobatchewsky, il Riemann, il
Bolyai, ecc. cominciò ad affermarsi la ponsibilità di altri spazi oltre quello
euclideo, e quindi di geomotrie diverse da quella di Euclide. Ciò diede origine
à vivact discussioni filosofiche, non ancora sopite, tra empiristi e
neo-kantiani, intorno alla natura dello spazio, nlY origine degli assiomi, alla
possibilità 0 meno di rappresentarsi intuitivamente lo spazio non euclideo.
Altre vedute non meno importanti si annunziarono in questi ultimi tempi circa
la natura e il metodo della geometria. Così secondo il Pieri la geometria deve
affermarsi sempre più come lo studio d'un certo ordine di relazioni logiche,
liberandosi dai legami che ancora la legano all’ intuizione e divenendo con
Gen 476
ciò scienza puramente deduttiva ed astratta. A questa nuova elaborazione
logica della geometria, contribuì specialmente, tra noi, il Peano; secondo il
quale il calcolo geometrico consiste in un sistema di operazioni da eseguirsi
su enti geometrici, analoghe a quelle che l’algebra fa sopra i numeri ©
permette di esprimere con formule i risultati di costruzioni geometriche, di
rappresentare con equazioni proposizioni di geometria e di sostituire una
trasformazione di equazioni a un ragionamento ; come si vede, questo calcolo ha
analogie con la geometria analitica, dalla quale però differisce in quanto i
calcoli non si fanno, come in quella, sui numeri che determinano gli enti
geometrici, ma sngli enti stessi. Cfr. Klein, Porlesungon über nicht-suolidischen
Geometrie, 1893; Halstead, Bibliografy of hyperspace and non-ewolidean
geometry, American journ. of. math. », vol. I, p. 261 segg.; Veronese, Fondamenti di geometria a
più dimensioni, 1891, p. 565 segg.; Vonola, La geometria non-cuolidea, 1905;
Peano, I prinoipii di geometria logicamente esposti, 1889, p. 3 segg.; Aliotta,
La reazione idealistios, 1912, p. 389 segg. (v. euclideo, matematica, metageometria,
spazio, superficie). Gerarchia. T. Hierarchie; I. Hierarchy; F. Hiérarchie. Una
serie di esseri ο di fatti, sia reali cho ideali, disposti in modo che ciaseuno
dipende dai precedenti e comanda ai susseguenti o li determina, li spiega. In
tal senso parlusi di gerarchia delle scienze, gerarchia delle funzioni xin
fisiologiche che sociali, gerarchia delle specie biologi che, ece. (v.
olagnifoazione delle wienze, seriazione dei fen. sociali). Germiplasma (teoria
del). E la teoria con la qualo il Weissmann spiega l'eredità. L’ essere
organizzato è costituito di soma 0 plasma somatico, da cui si sviluppano tutti
i tessuti del corpo, ο di germiplasma, o plasma germinale, di cui una parte
viene impiegata nella riproduzione οἳοditaria, dando luogo ai nuovi individui.
Ora, non essendovi aleuno scambio, nessuna comunicazione tra queste due 417 Go
specie di plasma, e le qualità acquisite interessando esclusivamente il primo,
ne viene come necessaria conseguenza la negazione dell’ ereditarietà dei
caratteri acquisiti. Ed è appunto per questa conseguenza, che la teoria del
Weissmann ha suscitato infinito discussioni e critiche nel mondo scientifico.
Cfr. A. Weissmann, Des Koimplaema, cino neue Theorie d. Vererbung, 1894 (v.
eredità, panmizia, neolamarkismo). Gionchiti o gioachimiti. Setta di eretici
medioevali, fondata dall'abate Gioacchino e originata, secondo il Tocco, dalle
dottrine della Chiesa greca 9 ancor più da quelle del catarismo. Il gioachismo
divide In storia dell’ umanità in tre grandi periodi, nel primo dei quali regnò
il Padre, nel secondo il Figlio, nel terzo sarà per regnare lo Spirito; questo
terzo periodo sarà contrassegnato della luce piena della grazia, della libertà
ο della carità, impererà un vangelo più perfetto e la verità sarà colta attraverso
le molteplici allegorie della Bibbia, abbandonandone | interpretazione
letterale. Cfr. Tocco, L'eresia nel medio oro, 1884 (v. alimariolans). Gioia.
T. Freude; I. Ioy; F. Joie. È un sentimento di piacere, che non è localizzato
in nessuna regione determinate dell’ organiamo, e al quale s’unisce, secondo
l'Hôffding, una tendenza involontaria a mantenere e conservare l'oggetto del
piacere. Fa intesa e definita variamento dai filosofi. Per Spinoza è la
passione per la quale l’anima passa a una perfezione maggiore », mentre la
tristezsa è la passione per cui discende sd una minore. Por Cartesio à una
gradevole passione dell'anima, nella quale consiste il godimento che essa ha
del bene, che le impressioni del cervello le presentano come suo »; esiste
anche una gioia puramente intellettuale, che viene nell’ anima per la sola
azione dell’ anima e che si può dire essere nnn gradevole emozione eccitata in
lei stessa, nella quale consiste il pincere cho essa ha del bone, cho il suo
intendiGiu mento le presenta come proprio ». Per Locke la gioia è un piacere
che l’anima prova quando considera il possesso di un bene presente o futuro
come assicurato ; e noi siamo in possesso di nn bene quando esso è talmente in
nostro potere, che possiamo goderne quando vogliamo ». Per il Galluppi la gioia
è una passione, che nasce quando |’ oggetto nmato si riguarda come presente;
quando si riguarda invece come vicino, e certo ad ottenersi, si ha l’allegrezza
alla gioia si oppone la tristezza, all’ allogrezza lx mestizin. Per il Godwin è
uno stato di piacere mentale, detorminato specialmente da sensazioni piacevoli
e dai loro oggetti, dalle conoscenze di ogni specie, da ogni sorta d'esercizio.
Il Bergson insiste sul carattere di pienezza o totalità della gioin, per oui
essa si estende a tutto il contenuto della coscienza La gioia interiore non è,
più che la passione, un fatto psicologico isolato, che occuperebbe da principio
un angolo dell’ anima e a poco a poco gundagnerebbe terreno. Nel suo grado più
basso, essa somiglia molto ud una orientazione dei nostri stati di coscienza
verso l'avvenire. Poi, como se codesta attrazione diminuisse la loro
pesanterza, le nostre idee © sensazioni si succedono con maggiore rapidità; i
nostri movimenti non costano più lo stesso sforzo. Intino, nella gioin estrema,
le nostre percezioni ei nostri ricordi acquistano una qualità indefinibile,
paragonabile a un calore 0 a una luce, e così nuovi che a certi momenti,
ritornando su noi stessi, proviamo come uno stupore di ensero ». Cfr. Cartesio, Les
passions de l'âme, II, 91; Spinora, Ethica, lib. IIT, teor. XI, scolio; Locke,
Essay, II, cap. 20, $ 7; Galluppi, Lesioni di logioa e metafisica; Godwin,
Active principles, 1885, p. 9, 18; Bergson, Essai sur les données imm. de la
conscience, 1904, p. 8; G. Dumas, La tristesse é la joie, 1908. (Giudizio. T. Urteil; 1. Judgement; F.
Jugement. Essendo un atto primitivo della mente, ο quindi nasolntamante mi
generis, non è propriamento detinibile. La dofinizione più 479
Gru comune, già usata da Aristotele, quell’atto per cui ni afferma ο si
nega » è essa pure una tautologis, perchè I’ affermare ο il negare costituisce
appunto il giudizio. Nè più felici sembrano le altre definizioni, che citiamo a
caso e senz’ ordine cronologico rigoroso; Malebranche : la percezione del
rapporto che si trova tra due 0 più cose; Baylo: l’atto col quale affermiamo o
neghiamo qualche cosa di un’nltra; Locke: l’atto con cui si uniscono ο ri
separano due idee; Kant: è l’idea dell’ unità di coscienza di difterenti idee,
ο l’idea del loro rapporto in quanto compongono una nozione; Hobbes: è
l’espressione del rapporto tra il significato di due nomi; Wuridt: è la
decomposizione d’ una rappresentazione nei suoi elementi; Hamilton : giudicare
è riconoscere la relazione di congruenza o di incongruenza in cui stanno tra di
loro due concetti, due cose individuali, ο un concetto e un individuo; Munsel:
un atto di comparazione tra due dati concetti riguardo la loro relazione ad un
oggetto comune ; J. 8. Mill: la pertinenza di un attributo o di un grappo di
attributi, ad un altro attributo o gruppo di attributi; Galluppi: un pensiero,
col quale noi pensiamo che un oggetto è o non è di tale o tal maniera; Rosmini
P affermazione (possibile o reale) d’ un atto in sò, che si fa, sia poi un atto
essenziale, ο sostanziale, ο accidentalo, positivo ο negativo, occ.; Masci: un
rapporto predicativo tra concetti; Hòfiding : un legame di nozioni fatte con
coscienza © limpidezza; Volkelt: un semplice atto di relazione; Bergmann: la
decisione sul valore di una rappresentazione. Nel giudizio si distinguono tre
elementi costitutivi: il soggetto che è il concetto da determinarsi ; il
predicato che è il concetto che serve a determinare il soggetto; la copula che
è la relazione tra il predicato e il soggetto. Secondo alcuni logici, quest’
ultimo non è elemento essenziale del giudizio © può anche mancare. Varie furono
le classificazioni proposto dei gindisi, perchò vario fu il modo onde il
giudizio stato considerato; ma la classificazione più universalm Gv 480
accettata è quella che, abbozzata primitivamente da Aristotele,
completata dai logici posteriori, fa poi raccolta in una tavola dal Kant. Essa
divide i giudizi in quattro classi, secondo la qualità, la quantità, la
relazione, la modalità. Sotto il primo rispetto i giudizi sono: affermativi,
negativi. infiniti; sotto il secondo universali, particolari, individuali :
sotto il terzo calegorici, ipotetici, disgiuntivi; sotto il quarto
problematici, assertori, apodittici. La qualità © quantità doi giudizi vengono
designate per brevità colle lettero a, ο, secondo i versi mnemonici: Asserit a
negat €, verum generaliter ambo. Assorit i negat ο, sed partioulariter ambo. Il
Kant distingue anche i giudizi in analitici ο sintetici. Alla classificazione
kantiana alcuni vogliono aggiungere questa: giudizi narrativi, esplicativi,
descrittivi. La classificazione kantiana dei giudizi vale porò soltanto per i
giudizi semplici; i giudizi composti furono da altri divisi in tre classi: a
relazione omogenea, a relazione etorogonea, giudizi contratti (v. le rispettive
definizioni). Cfr. Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reclam, p. 33 segg.; Logik,
$ 17; Hamilton, Lectures on metaph., 1859, I, p. 204 segg., II, 271 segg.;
Mansel, Metaphysios, 1866, p. 220 segg.; Hôffding, Peyohologie, trad. franc. 1900,
p. 285; Id., La base peyohologique des jug. logiques, Revue philos. », 1901, t.
II; Ueberweg, System der Logik, 1874, § 67; Volkelt, Erfahrung und Denken,
1886, p. 157 segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. I, p. 136 segg.; Gulluppi, Lezioni
di logica e motaf., 1854, vol. I; p. 65; Roamini, Logica, 1853, p. 87; Masci,
Logica, 1899, p. 158 segg.; Calò, Conoezione fetica ο conoesione vintetioa del
giudizio, Cultura filosofica », agosto 1908; S. Tedeschi, Sulla funzione
conoscitiva del giudizio, Ibid. », gennaio 1910. Giustizia. T. Gerechtigkeit;
I. Justice; F. Justice, È la più grande delle virtà sociali, l’espressione più
alta del sentimento di simpatia, Essa trae origine dal concetto di uguaglianza
ο di reciprocità, e si compendia nel precotto evangelico: non fare agli altri
cid che non vorresti fosse 481 Gru fatto a to stesso. Infatti già i
pitagorici, cioè i primi filosofi che studiarono il concetto della giustizia,
ls fecero consistere nel contraccambio, nella proporzione, 6, in conformita al
loro simbolismo matematico, 1’ assimilarono al numero quadrato, ἡ δικαιοσύνη
ἀριθμὸς ἰσάχις ἴσος. Con ciò è dato, quantunque in modo generalissimo, il
concetto della giustizia come di una combinazione fra termini uguali ©
contrapposti; essi facevano consistere la giustizia nel1’ uguale moltiplicato
per 1’ uguale, ο nel numero quadrato, perchè essa rende lo stesso per lo
stesso. Anche Aristotelo affermava che il giusto è il legittimo ο 1’ uguale, 1’
ingiusto l’illegittimo ο l’inuguale; e i Romani, col termine ginstizia,
designavano ciò che è esatto, imparziale, proporzionale. La giustizia
scaturisce dal seno stesso della 80cietà, assumendo forme sempre più pure e
perfetto, ο si personifica nel Potere, che ha l'ufficio di tutelarne il
rispetto e l’applicazione anche con la coazione materiale. Si distingue quindi
la giustisia sociale, che risiede nel Potere, dalla giustizia potenziale (ο
equità), corrispondente alla idealità che nasce da prima nell’ individuo ο si
riflette nella società. La giustizia si distingue ancora dalla carità ο
beneficonza, che si compendia nel precetto: fa agli altri ciò che vorresti
fatto a te stesso. Fra le classificazioni delle varie forme di giustizia, la
migliore sembra ancora quella aristotelica, che distingue: 1. la ginstisis
distributiva (τὸ δίκαιον daveperix6v) che riguarda i rapporti fra i cittadini
d'uno stato ei beni comuni da condividero, che si devono distribuiro secondo il
merito; 2. la ginstisia correttiva (τὸ δίκαιον διορθωτικὀν) che riguarda
specialmente l’applicazione delle leggi e veglia non alla loro formazione ma al
loro adempimento; 3. la giustisia retributiva (τὸ δίκαιον αντιπαπονθός) che può
essere o penale o civile o comniutativa in quanto è l’ uguaglianza pura e
semplice, ο l’equivalenza dei beni scambiati, dei mutui servigi. Cfr.
Aristotole, Motaph., I, 5, 985 b, 29; EtMoa, V, 1, 1129 a, 6 segg.; 31 ;
Gra-Gno 482 Zeller, Phil6s. d. Griechen, I, p. 391-426;
Diels, Die Fragm. der Vorsokratiker, 1906, vol. I, p. 239 segg.; Romagnosi,
L'antica morale filosofica, 1838, p. 195 segg.; Troiano, Dottrine morali di
Pitagora ο di Aristotele, 1897, p. 58 segg.; Ardigò, Opere fil., IV, p. 54
segg.; Z. Zini, Giustizia, 1906; B. Donati, Dotirina pitagorica e aristotelica
della giustizia, Riv. di fil. », novembre 1911. Glandola pienale. T. Zirbeldrüse;
F. Glande pinéale. Organo atrofizzato ο rudimentario, di forma conico-ovolare,
di colore rossastro, che si alsa davanti ai lobi ottici, tra l'encefalo
anteriore e quello posteriore. Cartesio od altri filosofi ne fecero la sede
dell'anima: Kem acourate eraminando, dice Cartesio, mihi videor ovidonter
cognovisse, partem cam corporis, in qua anima ezerosi immediate suas
functiones, nullatonus osso oor, neque etiam totum cerebrum, sod solummodo
mazime intimam partium eius, qua est certa quaedam glandula admodum parva, sita
in medio subatantiae ipeius, et ita suspensa supra oanalem, por quem spiritus
oavitatum cerebri anteriorum communicationem habent cum spiritibue pouterioris,
ut minimi motus, qui in illa sunt, multum possint ad mutandum oursum horum
spirituum, σὲ reciproce minimac mutationes, quae accidunt cursui spirituum
multum inserviant mutandie motibus huiue glandulae. Invece per i moderni
naturalisti essa non è che il rudimento di un occhio impari, mediano, chiamato
occhio parietale per la sua posizione rispetto alle ossa omonime, In parecchi
vertebrati inferiori, ad os. nei rottili, esso è più che rudimentale,
potondovisi discornere le varie parti degli occhi ordinari. Cfr. Cartesio,
Pans, an., I, 31 seg. (v. animali spiriti). Gnomica (filosofia). Nel suo
significato generale designa quella forma di sapienza che non è sistematizzata
in un tutto logicamente coordinato, ma s' esprime in proverbi, sentenze,
aforismi, con forma popolare sia in prosa che in poesin. In un significato più
ristretto, designa la primitiva morale dei Greci, quale trovani già esposta nei
versi di 483 Gxo Omero, nel poema di Esiodo, nella poesia
gnomica propriamente detta di Solone, di Focide, di Teognide e nelle sentenze
de’ sette Savi, conservate dalla tradizione. Cfr. Diogene Laerzio, I, 1, 40
segg.; Aristotele, EtMoa Nie., V, 3. Gnoseologia. T. Gnoseologie,
Erkerntnistheoris ; I. Gnos0logy ; F. Gnostologie, Guosiologie. Nome dato dal
Banmgarten a quella parte della filosofia che tratta della dottrina della
conoscenza, vale a dire dell’ origine, della natnra, del valore e dei limiti
della nostra facoltà di conoscere. La parola è caduta quasi in disuso nella
terminologia tedesca, che preferisce la parola Erkenniwistheorie teoria della conoscenza; è invece d’ uso
comune negli altri linguaggi filosofici, sebbene con qualche oscillazione di
significato. La gnoseologia non va confusa nd con la peicologia nd con la
logica: sebbene abbiano per oggetto comune lo studio del pensiero, tuttavia la
psicologia considera il pensiero stesso come un'attività dello spirito; la
logica lo riguarda come mezzo delle conoscenze mediate, il quale condnoe alla
verità ο all'errore a seconda che è usato bene o male; la gnoseologia lo studia
in rapporto all’ oggetto, per vedere se © in che limiti ce ne può dare In
conoscenza. La gnoseologia si distingue anche dalla epistemologia, che è lo
stadio critico dei principi, delle leggi, dei postulati e delle ipotesi
scientifiche. Circa la sua importanza, è indubbio che da Kant in poi casa
occupa una posizione centrale nella filosofia, tantochè per alcuni essa è tutta
quanta la filosofin ; nessun filosofo oggi può accingersi a discutere di
questioni metafisiche senza aver prima chiarita la sua posizione riguardo ai
problemi gnoseologici. I quali, trascurati ο sottomessi a presupposti
metafisici nella filosofia antica ο medievale, cominciano ad assumere unu
posizione autonoma ο fondamentale con l’ empirismo inglese, specialmente con
Locke: La mia intenzione, egli dice, è di ricercare 1’ origine, la certezza ο 1’
estensione del sapere umano, come pure i fondamenti e lo fasi gradunli della
credenza, della Gyo 484 opinione e dell’ assenso ». Mentre Cartesio,
Malebranche, Spinoza, eoc., si erano affaticati intorno al problema del
rapporto tra anima e corpo, tra spirito e materia, Locke, giudicando tale
problema come insolubile, si propone invoce di determinare con quali mezzi
giungiamo a conoacere tanto lo spirito che il corpo, e, con la distinzione tra
le qualità primarie e le secondarie, con l’analisi distruttiva dell'idea di
sostanza, getta le prime basi di tutte le discussioni gnoseologiche, le quali
terranno occupata Ja mente dei filosofi nei due secoli seguenti. Occorre però
aggiungere che non tutti i filosofi moderni convengono sulla necessità, anzi
sulla legittimità della gnoseologia. Hegel aveva già osservato: L’esame della
conoscenza non può farsi altrimenti che conoscendo ; questo cosidetto stromento
richiede di essere esaminato non altrimenti che conoscendolo. Ma voler
conoscere, prima di conoscere, è cosa tanto assurda quanto il sapiente
proposito di quello scolastico, di imparare a nuotaro prima di arrischiarsi
nell’acqua ». Oltre la scuola dell’ Hegel (la quale però non è tutta concorde
nel seguire in questo il maestro) anche quella del Fries nega la legittimità
della gnoseologia, considerando In possibilità della conoscenza non come un
problema, ma come un fatto, in quanto il criterio della verità dei giudizi ata
nella conoscenza immediata, quale ci è data dalla percezione che è
originariamente assertoria: se la possibilità della conoscenza fosse un
problema, per risolverlo dovremmo avero un criterio, mediante l'applicazione
del quale si potesso decidere se una conoscenza è vera o no; questo criterio
sarebbe una conoscenza 0 no; nel primo caso richiederebbe a sun volta un altro
criterio per poter decidere della sus validità, nel secondo caso, se cioò non
fosse conosciuto, come potremano conoscere che è un criterio della verità? Cfr. Locke, Essay, I, cap. I, $
2; Hegel, Enoyol., $ 10; A. Phalen, Das Ærkenninisproblem in Hegels
Philosophie, 1912; Riehl, Die philosophiache Kriticismus, 1879, vol. II, 1. I,
p. 11; Eigler, 485 Gxo-Goc Einführung in die Erkenntnistheorie,
1906; È. Cassirer, Das Erkenntnisproblen in d. Philos. u. Wissenschaft,
1906-1907 ; .ibhandlungen der Friewechen Schule, 1909-1912, vol. III, fase. IV; Ardigò, Op. jil., vol. I, pref.:
V, 15 segg.; Do Sarlo, I problemi gnoseologici nella. fil. contemp., Cultura
filosofica », settembre 1910. Gmosi. T. Guosis; I. Gnosis; F. Gnose. Indica
quella scuola teologica e filosofica, sorta nei primordi del oristinnesimo, la
quale voleva giungere dalla pura fede nel fatto (πίστις), alla vera conoscenza
(γνῶσις) di Dio, della natara e dol destino degli esseri, mediaute lo studio
dello diverse religioni ο il confronto della religione cristiana colle
precedenti. Varie sono le forme di gnosticismo, che si distinguono a seconda
della religione a cui ciascuna dà la preferenza: quindi si ha una gnosi
cristianizzante, cui appartennero Saturnino e Marcione; una paganizzante, cui
appartennero Carpoerate e Manete; una giudaizzante, cui appartonnero Valentino
e Basilide. Combattuta dalla Chiesa cristiana, da cui la separavano profonde
divergenze, essa si spenso dopo un breve periodo di apparente fecondità. Perd,
secondo aleuni scrittori cattolici, la gnosi ha gettato nelP atmosfera
intellettuale una quantità di idee teologiche © di idealità morali, che hanno
contribuito potentemente alla diffusione del cristianesimo dopo averne
minacciato l’esistenza ». Le origini della gnosi fnrono attribuito dui SS.
Padri a Simon Mago; i caratteri fondamentali di talo scuola sono: il dualismo
tra spirito e materia, e la dottrina del Demiurgo. Cfr. Harnach, Lehrbuoh der
Dogmengeschiohte, 1894, I, p. 220 segg.; F. Bonaiuti, Lo gnosticismo, 1907 (v.
eoni, Noo, Logo, Demiurgo, pleroma, nisigia). Gnosticismo v. gnosi. Goclenico
(eorite). Il tipo progressivo del sorite, In cui formola si deve a Rodolfo
(ioclenio; è 1’ inverso del tipo regressivo, formolato da Aristotele. La sua
formola è: C= D, B C, 4 == B, dunque A= D. Ad es.: l’ovoGra 486
luzione è perfezionamento ; la civiltà è evoluzione; la moralità è
civiltà; dunque la moralità è perfezionamento. Cfr. Goclenius, Isagoge
inorganon Aristotelis, 1598, p. 2, ο. 4; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 46
(v. sorite). Graduasioni medie (metodo delle). Uno dei metodi adoperati per
verificare lu leggo di Weber sul rapporto tra la sonsaziono ο lo stimolo.
Siccome 1’ intensità della sensazione cresce in proporzione aritmetica, quando
l’intensità degli stimoli cresce in proporzione geometrica, così, trovando una
sensazione media tra due sensazioni a’ intensità differente, l'intensità
aritmeticamente modia tra le duo sensazioni dovrà corrispondero ad una
intensità geometricamente media tra i due stimoli. In ciò consiste il metodo
dello gradazioni medie, proposto dal Wundt. Cfr. Wundt, Grundzüge d.
Psyoologie, 1893, p. 356 segg.; Id., Grundriss d. Payohol., 1896, p. 299. Grafico (metodo). T.
Graphische Methode; I. Graphio mothod; F. Méthode graphique. Consiste nel rappresentare mediante traccinti o
grafiche i fatti che si stanno studiando. Il metodo grafico ha ricevuto e
riceve sempre nuovo applicazioni, estendendosi esso sia ai fatti puramente
fisiologici che ai psicofisiologici, nei quali i movimenti corrispondono a
particolari stati psichici. A seconda dei fenomeni di cui si vogliono
raccogliere le indicazioni grafiche, variano naturalmente gli strumenti, fra
cui ricordiamo gli psicografi, gli ergografi, i grafografi, i miografi, gli
sfimografi, i pletismografi, i pressiografi, ecc. In tutti, ad ogni modo, le
grafiche sono fissate in bianco sul fondo nero di una carta annerita per mezzo
d’una fiamma fuliginosa, ο rese indolebili mediante un bagno di vernice.
Grafologia. ‘I. Graphologie; I. Graphology ; F. Graphologie. Quantunque }
etimologia della parola sembri indicaro come oggetto di questa scienza lo
studio della scrittura sotto tutti i suoi aspetti, tuttavia, nel concetto dei
suoi più noti cultori, essa si restringe a cercare i rapporti che 487
Gra esistono tra il carattere di un individuo e la sua scrittura, per
cavarne norme generali onde poter inferire in ogni caso dalla scrittura -che è
la traduzione immediata dal pensiero la conosconza del carattere dello
scrivente. Tre sono le ricerche che la grafologia compio in ogni seritto: 1. i
sogni generali, dati dall’ insieme dello scritto; 2. i segni particolari, dati
dalla punteggiatara, dalle paraffe, dai filetti, dalle lettere; 3. le
risultanti, vale a dire lo conclusioni generali derivanti dal confronto dei
vari se grafologici. La grafologia studia, oltre agli soritti degli individui
normali, anche quelli dei delinquenti, dei geni e dei pazzi. Cfr. Erlenmayer,
Die Schrift, 1879; Goldscheider, Dio Physiologie und Pathologie ste
Handschrift, 1891; Cropieux-Jamin, L'écriture οἱ le caraotère, 1879; Lombroso,
Grafologia, 1895. Grafo-motore (centro). Il centro grafo-motore è situato sotto
il piede della seconda circonvoluzione frontale del1’ emisfero cerebrale
sinistro ; la sua distruzione determina la agrafia, ossia la perdita della
memoria dei movimenti necessari alla scrittura. La scoperta di questo centro è
dovuta ul Broca, allo Charcot e alla sua scuola: alcuni fisiologi, però, non
ammettono I’ esistenza di un centro psichico distinto per l’impulsione e la
coordinazione dei movimenti della scrittura, altri lo ripongono nel midollo
all’ altezza del rigonfiamento anulare. Cfr. Ch. Bastian, Le cerregu organe de la pensée,
trad. franc. 1888, vol. HI, p. 64
#ogg. Grammatica. 1. (irammatik, Sprachlekre ; 1. Grammar; F. Grammaire. E la
forma del linguaggio, mentro il vocabolario no è la materia. Le forme
grammaticali esprimono lu funzione essenziale del pensare, la quale consiste
nel porre in relazione; quindi esse sono in continuo reciproco rapporto con lo
sviluppo del pensiero stesso. Da principio non esistono che parole, cioò segni
per rappresentare gli ogget: © le relazioni logiche sono significate sia con la
disposizione delle parole sis adoperando certe parole ad esprimere, Gra 488
oltrechè oggetti, anche rapporti. In seguito le disposizioni di parole
diventano costanti e le parole adoperate ad esprimero rapporti perdono il loro
significato indipendente fino ad aggiungersi come affissi alle parole dinotanti
oggetti. Intine I’ orguuismo grammaticale, sotto l’azione incessante del
pensiero, si fa completo: mediante il solo cambiamento del suono (/lessione)
ogni parola è un’ unità modificata secondo le suo relazioni grammaticali, ed
una parto del discorso determinata, avente un’ unità sia lessicale che gramiuaticale.
Lu grammatica, come scienza delle regole che le necessità logiche, l’uso e la
vita sociale hanno imposto agli individui nol?’ impiego del linguaggio,
comincia con i sofisti, specialmente con Prudico, Ippia ο Protagora; quali
maestri d’ eloquenza politica essi dovevano insegnare, in prima istanza, come
si parla bene e trasformando la retorieu da arte tradizionale in soienza, si
dedicarono a ricerche intorno alle parti del discorso, all’ uso dello parole,
alla sinonimia e all’ etimologia, e furono così i creatori della grammatica.
Cfr, Marty, Ueber eubjeotlose Sätze und das Verkäliniss der Grammatik zu Logik
und Paychologie, Wiert. fur Wiss. Philosophie >, VIII, Jahrg. 1884, 1° art. p. 73; A.
Marty, Rech. sur lee bases de la grammaire οἱ de la phil. du langage, 1908; Binet et Salmon, Langage οἱ pensée, 1909 (v. linguaggio, giudizio, emozionale,
eco.). Grazia. T. Gnade, Anmutk;
I. Grace; F. Grice. Questo vocabolo ha due significazioni ben distinte, una
teologica ο l’altra estetica, Nella teologica la grazia divina è uno dei dogmi
della religione cristiana, definito dai teologi come il dono sovrannaturale e
gratuito concesso da Dio agli uomini, per condurli alla eterna salvezza. Esso
si ricollega strottamente col dogma della caduta dell’uomo ο del peooato
originale; questi due dogmi sono dovuti entrambi a 8. Agostino, che li difese
dagli assalti © dalle false interpretazioni delle sette ereticali. Grande
estensione diede poi al dogma della grazia S. Tommaso, che la considera
necessaria al 489 Gra PP uomo per
compiere quella parte sovrannaturale del suo destino, che consiste nella
visione divina; © tale necessità, inerente alla sua condizione di creatura, si
è ostesa, per il peocato originale, anche a quelle azioni che non oltrepassano
la natura delle sue forze: Nello stato di natura innocente l’uomo non aveva
bisogno che una virtà di grazia si aggiongesse a quella di natura, se non per
fare © per volere il bene sovrannaturale; ina nello stato di natura corrotto,
ne ha bisogno per due riguardi: primo per rimanere terso dalla macchia della
colpa, secondo por cor piere un beno di ans virtb sovrannaturale che sia mei
torio ». Così l’aiuto della grazia è nocessario per osserva i precetti della
leggo divina, per amare Dio, per non peccaro, per uscire dai lucci del peccato,
per perdurare nel bene © infine per rendersi degni di ricoverla allorchè non si
possiede. A che wi riduco allora il compito dell’uomo e la libertà del suo
volere? Per conciliare questo dogma con la dottrina del libero arbitrio, i
teologi distinsero varie specie di grasin: la grazia interiore, che ispira all’
nomo buoni pensieri, pie risoluzioni, © lo porta a fare il bene; la grazia
abituale, cho risiede nella nostra anima, rendendolu cara a Dio © meritevole
dell’ eterna felicità; la grazia attuale, che è una operazione per la quale Dio
illumina la mente e muove la volontà nostra a fare un’opera buo: superare una
tentazione, adempiere un precetto; la grazi afficace, che opera infallibilmento
sulla volontà e alla quale l'uomo non resiste mai, malgrado la libertà che ba
di resistere; la grazia sufficiente che dona alla volontà abbastanza forza per
fare il bene, ma alla quale l’uomo può resistere, rendendola così
inefficace. Nell’ estetica la grazia è
qualche cose di distinto ο talora indipendento dalla bellezza, tantochè, come
osservò già il Winkelmann, ossa si trova anche in quelle forme che non sono
belle ed è un mezzo di supplire alla mancanza del bello. Generalmente, la
grazia è considerata come la bellezza di ciò che è piccolo, fragile, Gus 490 gentile;
oppure come la bellazsa del morimento, comprendendo in questa espressione anche
le forme fisse, nelle quali la suggestione del movimento sia non solo assai
viva, ma anche principale. Per lo Schelling la grazia nell’ arte à P
espressione dell anima: Dopo che l’arte ha dato alle cose il carattere che loro
imprime l’ aspetto dell’individualità, fa un passo ancora; dà loro la grazia
che le rende amabili, facendo che esse sembrino amare. Oltre questo secondo
grado, non ve n’ha che uno, che il secondo annuncia ο prepara; è di dare alle
cose un’ anima, con cui esse non sembrano più soltanto amare, ma amano. La
grazia nelParte è l’espressione dell’ anima ». Per lo Spencer invece la grazia
è la bellezza del movimento, che non riveli uno sforzo ο che sia vario di
direzione, di volocità ο di composizione: questa varietà spiega l’etorna
freschezza della grazia. Il Guyau, accostandosi allo Schelling, fa consistere
la grazia in uno stato della volontà, della volontà soddisfatta o che è portata
a soddisfare altrui: ovvero nell espressiono del?’ amore, perchè par che amie
perciò è amata. Secondo il Masci, il sentimento del grazioso è un sentimento
gaio, che rifugge dalla serietà ο dalla gravità, © suppone un contrasto
oggettivamente e felicemente superato, di forma non di sostanza, di sò stesso
inconsapevole; esso ha per fattore psichico essenziale la porcezione
dell’ingenuità che non confini con la dabbenaggine, che non offra motivo di
disistima ο di sprezzo. Cfr. 8. Tommaso, 1*, 33, qu. CIX, art. 2,3 e segg.; Jourdain,
La fil. di S. Tommaso, trad. it. 1860, p. 203 segg.; Schelling, System d.
transcend. Idealiomus,
1801; ‘Taine, Philosophie de Vart, 1880; Guyan, L'art au point de vue
sociologique, 1884; Masci, Psicologia, 1904, p. 392 segg. (v. bello, comico, estetica, provvidenza, premozione,
scienza media). Gusto. T. Gesohmach ; I. Taste: F. Goût. Senso chimico col
quale si percepiscono i sapori. Di questi si distinguono quattro fondamentali:
l'amaro, il dolce, l'acido, il salato, ai quali alcuni aggiungono il metallico
© V alcalino. Le sen 491 Gus sazioni
gustative sono molto complesso; quelle che ordinariamente si riguardano come
sensazioni di gusto, sono un misto di sensazioni di gusto, di tatto, di olfatto
© di temperatura. Infatti la mucosa boccale possiede papillo gustative solo in
alcune parti, come la punta e i margini luterali della lingua, ls parto
superioro 6 la superficie auteriore dol palato; nelle altre parti non vi sono
che corpuscoli tattili. I nervi del gusto sono il linguale, che servo per il
gusto della parte anteriore della lingua, e il glossofaringeo per le altre
parti della lingua ο della bocca. In,
per gusto ο buon gusto ο) intende la coltà di gindicare intuitivamente ο
sicuramente i valori estetici, specialmente in ciò che essi hanno di corretto ©
delicato. Per il Shaftesbury ο l’ Hutcheson il gusto è lu facoltà fondamentale
non solo estetica ma anche eticn; l’uomo possiede, secondo essi, un sentimento
naturale ο profondo tanto per il buono quanto per il bello, che non sono quindi
oggetto di conoscenza razionale, ma di un intimo consenso insito nella stessa
natura dell'individuo. Per il Reid anche il gusto è sottomesso a leggi: Quelli
che sostengono che non v’ ha nulla d’assoluto in materia di gusto, e che il
proverbio che dei gusti non si devo disputare è di applicazione illimitata,
sostengono un’opinione insostenibile ; con le medesime ragioni si potrebbe
sostenere che non c'è nulla di assoluto in materia di verità ». Kant inveco
distingue il buono dal bello, in quanto il primo è ciò che coincide con la
nonna finale rappresentata nella legge morale, il bello invece à ciò che piace
senza concetto, come godimento affatto disinteressato ; quindi è impossibile
una dottrina estetica, v'è soltanto una critica del gusto, ciod nua ricerca
intorno alla possibilità del valore aprioristico dei giudizi estetici; il gusto
è infatti per Kant la facoltà di giudicare di un oggetto o di una
rappresentazione mediante un piacere o uno stato sgradevole, senza ‘alcun
interesse ;... una capacità puramente regola 492 tiva di giudicare la forma nell’ unione dol
molteplice nella fantasia »; pord, la sentenza che dei gusti non si può
disputare, vale solo nel senso che in questioni di gusto con la prova
concettuale non si ottiene nulla, il che non esclude che sia possibile in ciò
nn appollo a sentimenti di valore universal. Per l'Herbart i giudisi del gusto
hanno un valore necessario ο universale, d’ indimostrabile evidenza, © «si
riferiscono sempre ai rapporti dell'esistente; quindi In morale è per lui un
ramo dell’ ostetica, in quanto questa si risolvo nella dottrina doi giudizi
estetici intorno ai rapporti della volontà umana. Cfe. Hutcheson, Philosophiae
mordlis institutio oompendiaria, 1754; Reid, Works, 1817, V, 215 seg.; Kant,
Krit. d. Urteilskraft, 1878, 1, $5; Blencko, Kants Unterecheidung den Sohönen
rom Angenchm, 1889; Wundt, Vòlkerpsychologie, 1900, vol. 1; Kiesow, Atti del IV
Congr. int. di pricologia, 1906; Windelband, Storia della fil., trad. it
Sandron, 1, 328; Höflding, Prychol., trad. frane. 1900, p. 130 ο segg. 1. Nella
logica formale designa le proposizioni particolari affermative (qualche À è 3).
Nella teoria della quantificazione del predicato indies lo proposizioni
parti-parziali afformative (qualche οἱ è qualche 1), mentre la lotters greca ı
designa le proposizioni parti-totali afformative (qualche .1 è tutto B).
Ibridismo. F. Hybridisme: I. Hybridiem. 1, accoppinmento fecondo di due
individui più o meno diversi tra di loro. Diconsi ibridi i prodotti stabili ο
instabili delle specio tra loro, e meticci i prodotti delle varietà o delle
razze. Nel linguaggio comune, però, ai riserba il nome di meticci prodotti
della fecondazione fra le diverse razze umane. Sembra eselusa la possibilità di
fecondazione tra individui appartenenti a ordini differenti ; è invece
accertata fra indiviIpe dui di differenti generi, i cui prodotti sono
indefinitamente fecondi, © di differenti speoie, i oui prodotti possono essero
infecondi, come i mali ei bardotti, 0 fecondi, come i piocoli della lepre ο del
coniglio, del cane e del lupo, del cano e della volpo. Si ha 1’ ibridiemo
unilaterale quando il maschio d'una specie dà Inogo et meticci fecondi con la
femmina @ un’altra specie, mentrechd una femmina della prima con un maschio
della seconda è sterile; 1 ibridiemo collaterale quando i meticci di primo
sangue sono sterili, mentro quelli di secondo sangue sono indefinitamente
fertili, così da dar luogo mediante i collaterali a una nuova razza; P
ibridiemo diretto quando i meticci di due ordini sono indefinitamente fecondi.
I fenomeni di ibridismo, non ancora pienamente spiegati, vi intrecciano ad
altri importanti problemi della filosofia zoologica, riguardanti la fissità,
l’unità, l’origine della specie, il concetto delle olassifionzioni zoologiche,
l'eredità, 1’ affinità sessuale, eco. Cfr. A. Suchotet, L'hydridité dana la
nature, 1888 (v. omogenesia, monogenismo, poligeniemo, varietà, specie, ecc.).
Idea. T. Idee, Vorstellung; I. Idea; F. Idee. Comunemente per idea si intende
ciò che non è reale se non in quanto è pensato, ciò che esisto soltanto nel
pensiero © per il pensiero; e si suol anche opporla alla sensazione, alla
percezione, alla imagine, in quanto designa i prodotti generali ed astratti
dell’ attivita dello spirito. Ma nella storia della filosofia l’ides assume
significati assai diversi ed implica varie ed importanti questioni riguardanti
la sun origine, la sua natura, i suoi rapporti col reale, eco. Quanto alla
varietà dei significati, da principio Ἴδέα equivale nella lingua greca a forma
visibile, aspetto; da ciò anche il significato di forma distintiva, di specie
nel significato cho questa parola ebbe presso gli scolastici : perciò Democrito
chiama gli atomi anche ἰδέαι, e Dionigi Massimo definisce le idee species vel
formas aelernas et incommutabiles rationes, secundum quas et in quibus
visibilio mundus formatur et regitur. IDE
494 Affine a questo è il
significato che Platone dà alla stessa parola, come vedremo più avanti; il
passaggio si può cogliore in questa definizione di Goclenio : Idea signifioat
speciem seu formam, sou rationem rei eziernam ; generatim idea est forma seu
exemplar rei, ad quod respiciens opifez affoit id quod animo destinarat. Per
Kant invece ha un valore differente: Per idea io intendo un concetto necessario
della ragione, al quale nessun oggetto adeguato pnd esser dato nei sensi »;
tali idee sono, per Kant, quelle d’unità assoluta del soggetto, di
sistematizzazione completa dei fenomeni (comprondente le quattro idee
cosmologiche ») e di ridusione all’ anità di tutte le esistenze, ideo alle
quali corrispondono rispettivamente l’anima, il mondo e Dio. In senso
psicologico l’idea equivale al concetto, considerato come fenomeno mentale in
una determinata coscienza; alcuni psicologi la distinguono dal concetto solo
perchè, mentre l’idea astratta può essere d’una qualità o d’ una proprietà, il
concetto è l’idea d’ una cosa ο d’un fatto, e in quanto tale raccoglio in sè,
come in una sintesi ideale, quegli elementi che devono costantemente associarsi
per costituire la conn 0 il fatto. Già con la tarda scolastica, ma più
specialmonte a partire dal sec. XVII, la parola idea si adopera anche per
indicare ogni oggetto del pensiero in quanto pensiero, în opposizione sia al
sentimento, all’ istinto, alla volontà, ciod ai fenomeni psichici non
intellettuali, sia alla cosa, all'oggetto esistente per sè, indipendentemente
dalla conoscenza che ne abbiamo. Infine, tanto nel linguaggio comune che in
quello filosofico, ides è adoperata ad indicare progetto, disegno, invenzione,
opinione, teoria, come appare dallo espressioni aver ’ idea di compiere qualche
com », idea della filosofia trascendentale », le idee filosofiche dominanti », le
ideo politicho di un uomo >, ece. Per questa varietà di significati, 1’
Hamilton dichiarava giustamente che è impossibile serbare a questa parola un
uso tecnico, e che non si può usarla se non nel senso vago 495
Ipr nel quale racchiude le presentazioni dei sensi, le rappresentazioni
dell’ imaginazione e i concetti ο nozioni dell’ intendimento: Le idee, parola e
cosa, sono state la orur philosophorum, dacchè Aristotele lo mandò nd imballare
fino ai giorni nostri >. Quanto alla natura 6 all’origine delle idee, per
Platone esse sono i veri reali, che non esistono come semplici enti del
pensiero, ma sono sostanziate in sè, immutabili ed universali; esse
costituiscono i tipi, i modelli esemplari ed eterni delle cose, le quali non
sono che imitazioni delle idee, e partecipano del reale solo in quanto
partecipano delle idee ; esse non possono venir apprese che dalla ragione, e
costituiscono una gerarchia al sommo della quale sta l’idea del bene, cioè il
bene stesso, dal quale le altre idee ricevono realtà e intelligibilitä. Per
Aristotele invece le idee non hanno una realtà separato dalle coso individuali
© sd esse anteriore, ma son poste in esse medesime; soltanto gli individui sono
i veri sussistenti sò, vere sostanze; l’universale esiste, ma nell’ individuo;
V idea non è un semplice vocabolo, ma associata ad un vocabolo viene a fissare
ciò che hanno fra loro di comune più individui della medesima specie. Da allora
in poi le due teorie rimasero sempre di fronte, ο si combntterono specialmente
nella scolastica sotto il nome di realismo la prima, conosttualismo o
nominalismo la seconda. Più tardi sorsero le varie dottrine circa l’origine
delle idee: secondo l’ innatiemo esse sono contenute nello spirito
anteriormente ad ogni esperienza; secondo il seneemo sono invece il prodotto
della nostra esperienza sensibilo; secondo 1’ empirismo derivano pure dall’
esperienza, ma non soltanto da quella esterna o sensibile, ma anche da quella
interna ossia dalla coscienza; secondo la dottrina pricogenetioa dello Spencer,
derivano non solo dall’csperionza dell’individuo mn ancho da quella della
specie, accumulata, organizzata ο traamessa sotto forma di virtunlitä psicologica.
La dottrina generale della ovoluzione, dico lo Spencer, concilia 1’ ipoIne 496
tesi sperimentale e quella intuisionistica, ciascuna delle quali è
parzialmente vera, ma insostenibile per sò stossa. Nel sistema nervoso certe
relazioni prestabilite esistono attraverso la trasmissione, rispondendo a
relazioni dell’ ambiente assolutamente costanti, assolutamente universali. In
questo senso esistono ‘‘ forme dell’ intuizione ”, ciod elementi di pensiero
infinitamente ripotati finchè sono divenuti automatici e impossibili ad
abbandonarsi. Queste reInzioni sono potenzialmente presenti avanti la nascita
nella forma di determinate connessioni nervose, antecedenti e indipendenti
dalle esperienze individuali, ma non indipendenti da ogni esperienza, essendo state
determinate dall'esperienza di precedenti organismi ». Secondo il Condillac,
sensista, non esiste una demarcazione netta tra sensazioni ed idee; queste non
sono iu fondo che sentimenti esistenti nella memoria che li riproduce; così,
parlando dell’ idea di spazio, ogli dice: La sensazione sia attuale che passata
di solidità è sola per sè stessa sontimento ed idea ad un tempo. È sentimento
per la relazione che ha con l’anima, che essa modifica; è idea per la relazione
che ha con qualche cosa @ esteriore.... Tutte le nostre sensazioni ci appaiono
come lo qualità degli oggetti che ci circondano; esse dunque le rappresentano,
e perciò sono dello idee ». Secondo il Locke, empirista, le idee si dividono,
quanto alla loro origine, in semplici 9 composte : le primo nascono dalla
sensazione sola, ο dalla riflessione sola, ο dall'una e dall'altra unite; le
seconde invece derivano dalle primo; colle idee semplici noi ci rappresentiamo
le qualità dei corpi, sis primarie che secondarie, le composte si distingnono
in modi, sostanze ο relazioni, Però alla parola idea Locke dà un significato
assai vasto: Tuttocid che lo spirito percepisce in ad stesso, o è l'oggetto
immediato della percezione, del pensiero, o dell’intendimento, io chiamo idea.
La parola serve per qualunque oggetto dell’ intelletto, quando l’uomo pensa,
qualunque sin ciò che ocenpa lo spirito nel suo pensare ». 497 Ir
Lo stesso significato dà alla parola il Berkeley, per il quale non esistono che
gli spiriti e le loro funzioni, cioò idee e volizioni; ma idee astratte, in
quanto tali, non esistono nello spirito, non sono che finzioni scolastiche, la
loro apparenza deriva dalla espressione verbale; in realtà non esistono che
rappresentazioni singole, e alcune di queste, grazie alla somiglianza ο all’
uguaglianza della denominazione, possono rappresentare anche altro, simili a
loro. David Hume si appropriò questa dottrina, e distinse le impressioni
originarie dalle loro copie : le idee non sono che copie di impressioni,
imagini sbiadite (faint images) ο non c’è idea che si sia prodotta altrimenti
che come copia di una impressione, 0 che abbia altro contenuto fuori da quello
che ha tolto dall’impressione. Secondo Kant, esistono nello spirito leggi e
forme invariabili, che sono ls condizione necessaria del pensiero: di queste
forme le une, le categorie, si applicano al mondo fenomenico e sensibile, le
altre, le idee, hanno un oggetto trascendente e puramente intelli gibile: ora,
siccome le idee sorpassano i limiti dell’ esperienza, non sono che forme
logiche che regolano l’intelligenza, ο tutt'al più non esprimono che uns
possibilità. L’ Hegel invece, accostandosi a Platone, non considera P idea come
una mera entità logica, bensì come la più alta realtà, per mezzo della quale
tutto si spiega, 1’ essero 9 la conoscenza, la natura e il pensiero, e nella
quale tntto ha la propria ragione e il proprio fondamento; da idea in sò,
potenza non ancora evoluta, diventa idea per sà, ossia natura, che si evolve
per gradazioni infinitesime e continue, finchè torna in sè, si fa spirito
cosciente, dando luogo alla filosofia dello spirito, alla famiglia, alla
società, alla moralità e al diritto. Per il Rosmini I’ idea è I’ essere
possibile presente allo spirito; la sua presenza è appunto l’esser noto: non ha
altro effetto che far conoscere che cosa è essere »; l’idea e il sentimento
sono i duo primi clementi di tutto le cognizioni, che sono alla lor volta
anticip: 22 Ranzotı, Dizion. di acienze
filosofiche. IE 498 @ ogni deduzione e d’ogni argomentazione;
ogni applicazione dell’ idea dell’ essere nd uns data notizia è una
riflessione, Per il Gallappi l’idea è un elemento del giudizio »; egli
distingne le idee in accidentali od emensiali: sia le une che le altre sono, in
quanto idee, un prodotto della meditazione sui sentimenti, ma mentre per le
prime non tutti gli uomini hanno i sentimenti necessari alla loro formazione,
nessun nomo manca dei sentimenti necessari per la formazione delle seconde;
sono ideo essenziali quella dol proprio io, quella del proprio corpo e quella
di un corpo esterno, nonchè tutte quelle idee che l’azione feconda della
meditazione può sviluppare da queste e che si trovano in tutti gli nomini i
quali hanno 1’ uso della ragione. Per l'Ardigò l’idea è una reduplicazione
della sensazione »; la sua disformità dalla sensazione dipende unicamente dalla
ripetuta elaborazione specificatrice onde è uscita, ma i caratteri di
universalità ο di infinità, che all’ idea si attribuiscono con significazione
metafisica, sono propri anche della sensazione, che è riproducibile senza
terntine ο riferibile ad un numero illimitato di oggetti; gli uffici principali
dell’ idea sono tre: 1° è il campo mentale dei particolari, che in essa si
inquadrano como în una rappresentazione unica comnne, per il rapporto
fondamentale dolla loro somiglianza ; 2°è una rirtualità infinita di
rappresentazioni ulteriori; 3° è un segno di operazioni già eseguite o di
formazioni già ottenute. Quanto alla
classificazione delle idee, essa è impossibile nei riguardi dei loro oggetti,
che variano all’infinito ; per rispetto alla qualità ο forma si distinguono in
vere e false, chiare ο oscure, distinte e confuse, semplici e composte,
astratte ο concrete, individuali e collettive, particolari e generali ;
riguardo ai loro caratteri, si sogliono distinguere in contingenti, che hanno
per oggetto cose che possono essere e non essere, © necessarie, che hanno per
oggetto cose che non possono non essere : le prime sono determinate,
particolari, individnali, le secondo sono invece universali; nn’ idea con 499 IDE tingente e particolare dicesi idea
relativa, una necessaria ο universale dicesi idea ansoluta. Cfr. Platono, Tim.,
51 D; Rep., VI, 507 B; Fedr., 247 C; Aristotele, Met.;I, 9, 991 n, 11 segg.;
Bacone, Nor. Org., I, 23; Cartesio, Med., III, 4 5; Locke, Essay, I, cap. 1, $
8; Berkeley, Prino., I; Hume, Treat., I, sog. 1; Kant, Arit. d. reinen Fern.,
p. 274 segg.; Hamilton, Discussions on phylosophy. 1852, p. 69; Spencer, Prino.
of psychology, 1881, I, p. 467 negg.; Romini, Peioologia, 1848, t. II, p. 264
segg.; Id., Logica, 1858, Ρ. 85 segg.; Galluppi, Elem. di filosofia, 1820-27,
t. II, p. 9; Id., Lezioni di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 999 segg.;
Ardigò, Op. fl.. I, 219 segg.; II, 461 segg. (v. associazione, archetipo,
entelechia, idealimmo, ecc.). Ideale. T. Ideel, Ideal; I. Ideal, Standard; F.
Ideel. Quando si oppone a reale, designa ciò che non ha una esistenza
obbiettiva, ma esiste soltanto come idea, cioè in quanto pensato. In questo
senso Goclenio lo definisce esse alicniun in mente secundum epeciem, in qua, ut
obiectiro prineipio, res cognoscitur. Per i platonici l'ideale costituisce una
specie di mondo perfetto ed eterno, anteriore e auperiore al mondo visibile,
ove quello talora si riflette fugacemente ϱ sempre in forma molto lontana dalla
perfezione. Per ideale si intende ancora il modello astratto, il tipo generale
ο perfetto della cosa; © nell’ agire morale cd artistico, il tipo di perfezione
che lo apirito costrpisco come fine da raggiungere, l’idea che si vuole
rappresentare nella materia. Nell’ arte I’ ideale risponde, secondo Hegel, al
bisogno di uscire dal finito, di volgere lo sguardo ad una sfera superiore più
pura ¢ più vera, dove spariscono tutte le opposizioni ο le contraddizioni del
finito, dove la libertà, svolgendosi sonza ostacoli e senza limiti, raggiungo
il ano scopo supremo. Questa è Ia ragione dell’arto ο la sua realtà è l'ideale:
La necessità del bello nell’ arte ο nella poesia risulta perciò dalla
imperfezione del reale. La missione dell'arto è di rappresentare, sotto forme
sensibili, lo ariluppo Ie 500 libero della vita © sovra tutto dello
spirito. Allora soltanto il vero è liberato dalle circostanze accidentali e
passeggere, sciolto dalla legge che lo condanna a percorrere la serio delle
coso finite; allora giunge ad una manifestazione esteriore, che non lascia
scorgere i bisogni del mondo prossico della natura, ad una rappresentazione
degna di lui, che ci offre lo spettacolo d’ una forza libera, non dipendente
che da sò stessa, avente in sò stessa la propria destinazione © non ricevente
le proprie determinazioni dal di fuori ». Nella moralità I’ ideale è più
propriamente un modello proposto al nostro agire sociale; ma ciò cho lo
sorregge è, anche qui, il senso dei limiti opposti dalla realt& che ci
circonda al nostro volere, e il bisogno di snperarli. Il sentimento di questa
limitazione, dice il Wandt, risveglia, riguardo alla attività creativa del
volere, la rappresentazione che il nostro volere è I’ organo di un volere
infinitamente perfetto, per la cui attività sol. tanto diventa intelligibile l’
illimitata capacità di sviluppo del pensiero ο della attività umana. Così si
convertono le norme volitive nell’ ideale, che, non mai raggiungibile, deve
esser sempro oggetto di aspirazione ». 1,’ ideale si sposta infatti da ogni
istante; la realtà di oggi è l’incarnazione dell’ ideale di ieri, come l'ideale
di oggi sarà In realtà di domani. In questo senso l’ ideale è In concezione del
possibile © dell’ infinitamente possibile; quantunque non esista che nell’
idea, è vero in quanto sia fondato sulla conoscenza positiva di quanto I’
essere ha di essenziale. Cfr. Goclenius, Lex. philosophioum, 1618, p. 209;
Hogel, Poétique, trad. frano., p. 45 segg.; Wundt, Logik, 1893, II, p. 514;
Colozza, 1) imaginasione nella acienra, 1900, p. 104 segg.; Gaultier, L’ideal
moderne, 1908. Idealismo. T. Idealismus; I. Idealiem ; F. Idéalieme. Termine di
significato molto generale e vario, con cui si designano quei sistemi
filorofici che considerano la sostanza ultima del roale come spirituale; oppure
cho considerano 501 Ip 1 idea sia come principio della
conoscenza, sia come principio tanto della conoscenza quanto della realtà.
L’idealismo si oppone quindi al materialismo, che considera la sostanza ultima
del reale come materiale, © al realismo, cho sostiene la validità della
percezione immedista del mondo esteriore come tale, l’esistenza dell oggetto
sia quale noi lo percepiamo, sia come causa delle nostre sensazioni. L’ idealiemo
si divide anzitutto in due specie; luna, detta idealismo gnoseologico, psicologico,
soggettivo, spiega il mondo per l’attività immanente dello spirito sulle
proprie rappresentazioni; l’altra, detta idealismo obbiettivo, metafisico,
realistico, ammette, al contrario del primo, un mondo realo indipendente dalla
conoscenza che ne abbiamo, ma lo considora di natura spirituale, cioò come una
forma di coscienza: perciò è detto anche spirifualiemo, ο monismo
spiritualislico, iu quanto per esso non v'ha altra realtà che quella
spirituale. Le forme dell’ idealismo metafisico sono varie: se il principio
spiritunle è da esso concepito come trascendente, l’idealismo dicesi teistioo,
se immanente panteistico © aucho naturalistico; ο particolarista se ammette con
Plutono idee reali distinte ο archetipi, unirersalista so ammette con Hegel uno
sviluppo o sistema uno e continuo, deterministico in quanto per esso l’idea in
sò, assoluta, lo spirito, determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la
realtà materiale (natura). A quest’ ultimo si oppone l’idealismo
contingentistico o indeterministico, che estendendo ni fatti del mondo fisico
la libertà colta direttamente noi fatti della coscienza, considera il
determinismo scientifico v la necessità naturale come illusioni della nostra
mento, e riduce gli stessi principi logici ad nn semplice stromento soggettivo,
col quale cerchiamo di rendere intelligibile la realtà ponendo in essa un
ordine che corrisponda alle nostre esigenze conoscitive ; fiorisce attualmento
in Francia, è sorto da lontane origini kantiane e da un più diretto influsso
sia dell’ idealiamo pluralistico del Lotze sia delIpE 502 1°
idoalisiuo finalistico, ο teleologion, 0 estetico del Ravaisson, del Lachelier
e di Paul Janet. A seconda poi della forma di coscienza posta a fondamento
della realtà, l’idealiemo può essere sensistion 0 empirico, volontaristico,
razionalistion 0 panlogistico; il primo risolve la materia in una possibilità
permanente di sensazioni e lo spirito nella possibilità permanento degli stati
interni (J. 8. Mill); il secondo concepisce la volontà non solo come il principio
della vita dello spirito ma anche como il fondamento reale ed assoluto di tutte
lo cose (Schopenhauer); nell’ ultimo il mondo esteriore risulta dallo sviluppo
sia di esseri pensanti, di ragioni individuali sia di una ragione cosciente
universale, sia infino di un sistema di idee indipendenti dalle coscienze,
incosciente almeno per lo coscienze umane, © che si pone come un oggetto per
rapporto ad esse: è il movimento dialettico dello spirito obbiettivo (Fichte,
Schelling, Hegel). Ma nelle scuolo filosotiche che succedettero a Kant, © per
designaro lo scuole medesime, si è fatto ο si fa un vero abuso del termine
idealismo. La stossa dottrina kantiana che il suo autore chiamò idealismo
trascendentale dei fenomeni, porchd considera tutti i fenomeni come rappresentazioni
¢ non come cose in sè, 6 ritiene il tempo © lo spazio come condizioni nostre è
denominata ora idealismo critico, perchò risulta da un'analisi ca dei poteri
umani di conoscenza; ora idealismo razionalistico, perchè risolve la sostanza
in un rapporto, che il pensiero impone a priori ai fenomeni; ora idealismo
agnostico, in quanto ammette l’esistenza in sè dello cose ma nega all’uomo la
possibilità di conoscerlo. Le dottrine di Fichte, Schelling, Hegel ο
Schopenhauer sono complessivamente denominato ora idealismo metafisico, ora
idenlismo trascendentale, in quanto negano con Kant che spazio, tompo, materia,
ece. siano determinazioni del realo o coudizioni delle cose in sè; ora
idealismo assoluto, in quanto per essi le cose sono interamente prodotte
dall'attività del pensiero individuale ο universale ; ora idealismo
noumenico 503 lo (noumenal idealiem), in quanto
interpretano il mondo noumenico come un conoscibile mondo mentale. Ciascuna di
tqueste dottrine ricevo poi delle denominazioni non meno oscillanti ; la più
comune è quella che caratterizza la dottrina di Fichte come idealismo
soggettivo, o etico, in quanto colloca V’ ideale, principio d’ ogni esistenza,
nel soggetto morale considerato come assoluto; quella di Schelling como
oggettiro, © esletico, in quanto fa della natura ο dello spirito due
manifestazioni di un essere originario, superiore all'oggetto © al soggetto e a
tutti i contrari che in esso coincidono; quella di Hegel come assoluto, o
logico, in «quanto, mediante la tesi della convertibilit del reale nol
razionale © del razionale nel reale, rappresenta la formulazione ultima v
compiuta dell’idealismo metatisioo. Oggi però si dà un significato un po’
diverso alle espressioni idvalismo critico e idealismo etico, che designano due
importanti indirizzi della filovofia contemporanea; entrambi muovono dal
concetto kantiano, che non la realtà dotermina l'atto conoscitivo, ma questo
mira a costruir quella, o, come diceva Kunt, che non la natura detta le suo
leggi al ponsiero, ma questo et quella: ma mentre I’ idealismo eritico non si
propono la giustificazione del processo crentivo della realtà, limitandosi a
spiegare l’illusorietà dei concetti di realtà, di obiettività, di sostanza,
ecc., I’ idealismo etico crede di poter indicare il motivo fondamentule dell’
esplicuziono dell'attività dello spirito nelle sue vario forme, motivo che
sarebbe appunto l'esigenza morale; per l’idenlismo etico non è I’ essere la
categoria fondamentale atta a servirci di guida nella costruzione del mondo, ma
il dorer essere, come risulta sia dall’ esame della funzione conoscitiva
(essendo ogni giudizio una decisione volontaria che richiede un apprezzamento),
sia dalla riflessione critica au) concetto di realtà (la quale realtà,
indipendentemente dall'atto mentale che la pone e l’afferma. non è cho nna
possibilità, e si riduce quindi a ciò che Ipk
504 roclamu l’atto mentale).
Idenlismo ontologico, o anche idealivmo teologico, fa detto il sistema del
Rosmini e del Gioberti, secondo cui l’idea dell’ Essere, che s’ identifica in
ultimo col reale assoluto, splende di continuo alla nostra mente, è oggetto
d’un atto ο visione immanente del nostro spirito, in quanto la applichiamo in
ogni nostro atto intellettivo. L’ idealismo guoseologico, portato alle sue
estreme conseguenze, dicesi più propriamente soliprismo 0 semetipsismo: esso
sostieno la realtà non dei soggetti, ma del solo soggetto pensante; dato
infatti che il mondo osteriore non esiste, non è che la nostra
rappresentazione, anche gli altri soggetti non avranno altra realtà che il mio
pensiero, di modo che io non posso affermare che una cosa: la mia usistenza
porsonale. Affine all’ idealismo solipsistico è quello che oggi dicesi
idealiemo personalistico 0 anche pluralistico ; accanto alla mia coscienza
personale esso riconosce I’ esistenza di altre coscienzo, risolvendo così la
realtà in tanti centri spirituali o persone, in rapporto di coesistenza e di
interazione. Esso ha molti punti di contatto con la dottrina del Berkeley, che
comunomente si denomina idealismo s09gettito © metafisico ο ancora
spiritualiemo assoluto, montre Kant lo chiamò idealismo dogmatico,
contrapponendolo all’idealismo problematico di Cartesio. Finiamo avvertendo
ancora che, per tutte queste espressioni, In terminologia filosofica è
estremamente vaga, arbitraria e fluttuante. Cfr. Laas, Idealismus und
Positiviemus, 1884; R. B. Perry, Prosent philosophical tendencies, 1912; A.
Fouilléo, Le mouvement idealiste οἱ la reaction contre la soience positite,
1906 ; L. Branschwiog, L'idéalieme contemporain, 1905; Masci, 1) idealismo
indeterminista, Atti della R. Aco. di Napoli », vol. XXX, p. 96 segg.; Villa,
Z’idealismo moderno, 1905 ; A. Chiappolli, Dalla oritica al nuovo idealismo,
1910; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 1912; C. Ranzoli,
Le forme storiche dell’ idealismo ο del realiemo, in Linguaggio dei filosofi,
1918, pp. 59-104. 505 Ipk Ideasione. T. Ideation; I. Ideation; F.
Idéation. Si ulopera talvolta per designare genericamento il lavoro cogitativo,
il processo psicologico e logico per cui si vengono formando e svolgendo lo
idee; oppure il processo per cui una sensazione diventa idea. Altre volte ha
significato più ristretto ancora, designando lo sviluppo di una determinata
serio di atti mentali. Il Rosmini, in base al suo idealismo antologico,
definisce l’ ideazione quella funzione della mento ner mezzo della quale nella
specie piena di nn ente indi vile, ο considerato como tale, ossa trova altre
spocie picne, aon perchè si comprendano in casa belle © formate, ma Derchè sono
in essa contenuti i loro rudimenti, dei quali la mente si servo por formarle.
Cfr. Rosmini, Pricologia, .848, vol. II, p. 272 segg.; Sergi, La psychologie
physiol., irad. franc. 1888, p. 143 (v. ente, essere, specie). Idee-forze. F.
Idées-foroes. Il Fouillée chiama filorofia lello idee-forze la propria
dottrina, che attribuisce alle idee in quanto tali una azione sugli altri
fenomeni, per opporiziono a tutto le altre dottrine evoluzionistiche (Spencer,
3oin, Maudsley, Huxley) che nell’ evoluzione non introdusono alcun fattore di
ordine mentale, e considerano i fatti pichici come semplici risultati
collaterali senza influonza propria, como fenomeni sovragginnti ο epifenomeni
supericiali, incapaci di contribuire in nulla al corso delle cose. V
espressione di idee-forze egli 1’ usa per racchiudervi tutti i modi d’influenza
possibile che l’idea può avere, per opjosizione alle ideo inattive che non
entrano per nulla nel isultato finale e non sono che simboli. La parola idea
poi, 10n è presa nel senso stretto di stato di coscienza rappreæntativo d’un
oggetto, ma nel senso largo di stato oscienza intellettualo, affettivo e
appetitivo. La forza di questo idce non consiste nel creare dei movimenti nuovi
€ direzioni nuove di movimenti ; essa non è cho l’attività osciente, la legge
psichica cho collega la volizione col pensero © col sentimento; questa forza
psichica è infatti la Ink 506 sola propriamento detta, perch’ le forze
meccanicho uon sono che movimenti. Cfr. A. Fouillée, Morale des ideesforces, 1908 ; Id., La
psychologie des idées-forces, 1893; 1d., L'évolutionnisme des idées-forces,
1890. Idee rappresentative. F.
Idées représentatives. Dicesi teoria delle idee rappresentative la teoria
secondo la quale tra la coscienza ο l'oggetto esteriore conosciuto da essa, non
c'è relazione immediata, ma soltanto relazione indiretta per mezzo d’un fertium
quid, l’idea, che è ad un tempo lo stato ο l'atto della coscienza, da una
parte, ο la rappresentazione dell’ oggetto conosciuto dall'altra. Quosta tworia
fu sostenuta da Cartesio, Locke, Reid; ma 1’ ospressione con cui si indica
sembra aver avuto origino dalla polemica di Arnauld contro Malebranche. Cfr. Arnauld, Dee vraies
ot des fausses idées, od. J. Simon, p. 38-39. Identità. Gr. Tastöryg; Lat. Identitas; T. Identität;
1. Identity; F. Identité. Il porsistere dell’ nuità della cosa, attraverso il
variaro degli attributi, degli accidenti o dei modi. L'identità di due cose è
la luro medesimezza, la mancanza di qualsiasi differenza tra loro; tale
identità assoluta è giudicata impossibile da molti filosofi, in quauto, perchò
duo coso siano realmente due, occorre che almeno siano fuori l'una dall’ altra,
cioè difteriscano almeno nella situazione; due cose assolutamente identicho non
potrebbero duuque essere che la stessa cosa. L'identità nel primo senso, cioè
la persistenza dell’ unità della cosa, è considerata como il carattere
essenziale della sostanza, ciò che distingue la sostanza dai fenomeni. Si suol
distinguere l'identità della materia inorganica, da quella dell’ organica ©
del? anima umana; la prima non è che la persistenza delle molecole di cui la materia
si compone, la seconda risiede nella organizzazione e nella vita stessa. Quanto
al. l'identità dell’ anima, ο identità personale, essa è, seconde molti
filosofi, la sorgente medesima della nostra idea d’identità: L'identità
personalo, dice il Reid, è l'identità per 507
Ins fotta; essa non ammetto gradi diversi; essa è il tipo ο la misura
naturale di tutte lo altre identità, che sono imperfette. La nozione generale
d’identità deriva dalla credenza nella nostra identità personale. Dove
percepiamo una grande somiglianza, siamo indotti a collocare codesta identità
reale con cui siamo tanto familiari. La credenza nell’ identità delle altre
persone non è che una congettura; la credenza nella nostra propria identità è
nna certezza invincibile. L'identità degli oggetti del senso non è mai
perfetta, poichè tutti i corpi sono divisibili e in porpetuo cangiamento; ma,
quando il cangiamento è graduale, noi lasciamo all'oggetto il suo nome di prima
e diciamo che è il medesimo oggetto ». Secondo gli spiritualisti, U identità
dell’ anima è uns conseguenza della sua natura spirituale, semplice, inestesa,
che non può dar luogo nd ad aggiunte ο sostituzioni nd a cambiamenti successivi
; © ci è anche confermata, sin dalla percezione dell’ Io, sia dalla memoria,
sia dalla previsione del futuro, per il quale lnvoriamo in rapporto alla nostra
coscienza del passato, sia dalla possibilità dell’imputabilità morale delle
uzioni compiute in ogni tempo © condizione della vita. L' dell’ anima è nogata
dai materialisti ο dai fenomenisti, per i quali V anita dell’ lo non è che la
tà della coscienza, il connettersi dei fatti psichici successivi; quin PP Io,
se è uno, è nello stesso tempo molteplice, in quanto è la sintesi effettiva per
cui ogni singolo fatto psichico è riforito 0 alla somma dei precedenti © alla
sorio cui appartione: in tale costante riferimento risiede il sentimento
dell'identità del proprio Io: Lo spirito, dice Hume, è una specio di teatro ove
ogni percezione fa la propria comparsa, passa e ripassa, in un continuo
cangiamonto.... E questa metafora del teatro non deve ingannarci; à In
successione delle nostre percezioni che costituisce il nostro spirito, ο noi
non abbiamo alcuna idea, nemmeno lontana e confusa, del teatro in cui codeste
scene sono rappresentate. Il fondaIps
508 mento della nostra credenza
nell’identità personale è in codesto legame e in codesto passaggio facile delle
nostre idee, prodotto dai principi di associazione, di causalità, di
contiguità, di somiglianza >. Gli
scolastici distinguevano due spocie d'identità: P identitae realis, che compete
alle cose indipendentemento dalla operazione dell'intelletto, come quella che
compete agli attributi divini; 1’ identitas rationalie, cho deriva da un atto
della ragione o in esso consiste, come quando concepiamo medesima la natura di
due uomini, sebbene l'abbiano realmente distinta. Dicosi filosofa dell'identità
(IdentitätsPhilosophie) ogni dottrina, in generalo, che ammetto l'identità
originaria ο sostanziale dello spirito e della matoria, del pensiero e dell’
essere, del soggotto ο dell’ oggotto in un terzo quid, oppure li considera come
due aspetti di un solo e medesimo essere. Più particolarmente, dicesi filosofia
dell’ identità 1’ idealismo assoluto dello Schelling, che pone come fondamento
del reule un Assoluto, suporiore a tutti i contrari che în esso coincidono :
esgo è quindi P identificazione perfetta e l’unità del soggetto © doll’oggetto,
del reale e doll’ ideale, dello spirito ο della natura, che si attun poi
nell'universo, passando per tutto le ditteronziazioni possibili: La untura,
egli dico, deve ossoro Jo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile.
Qui adunque, nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori
di noi, deve risolversi il problema, del come una natura fuori di noi sia
possibile ». Il primo passo alla filosofia ο la condizione senza la quale non
si può entrare addentro in essa nemmeno una volta, è questa veduta: che I’
assoluto Ideale sia anche l’ assoluto Renle ». L’idontità ansolata fu ammessa
anche da altri filosofi, che la concepirono sia, come il Bruno, qualo immanenza
dell’ uno nel molteplice, sia, come lo Spinoza e l’ Hegel, ‘qual immanenza del
molteplice nell’ uno. L’ordine © la concatenasione delle idee, dico Spinoza, è
identico all’ ordine e alla concatenazione delle cose... Da ciò risulta che la
potenza del pen 509 IDE siero di Dio è
identica alla sua potensa attuale d'azione, ossia che tuttocid che risulta
formalmente dalla natura infinita di Dio, risulta obiettivamente, in Dio, dall’
idea di Dio nell’ identico ordine e nell’ identica concatenazione. ... La
sostanza pensante © la sostanza estesa non sono che una sola e medesima
sostanza, compresa ora sotto un attributo ora sotto 1’ altro. Così un modo
dell’ esteso e l’idea di codesto esteso non è che una sola e medesima cosa, ma
espressa in due maniere differenti ». L’ essere, dice Hegel, è nella sun
essenza intima pensiero, © il pensiero nelle sue prodazioni è una cosa sola con
} essere: questa unità del concetto e dell’ essere è ciò che stabilisce il
concetto di Ρίο». 11 primo filosofo che affermò I’ identità assoluta del
pensiero con l'essere fu Parmenide, per il quale non ο) ὃ pensiero il cui
contenuto non corrisponda all’ essere, pensare ed essere sono lo stesso, τὸ γὰρ
αὐτὸ vosty ἐστίν τε xal εἶναι. --Nella matematica diceei identità una
uguaglianza, sis quando i termini sono interamente espressi, sia quando
l'eguaglianza sussiste qualunque sia il valore attribuito alle lettere. Cfr. Aristotele, Phye., 25r,
116 D; Met., V, 29, 1024 b, 32 segg.; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. VII,
corol., scolio; Humo, Treatiso on human nature, 1739, V, 6; Roid, Works, 1827,
vol. III, cap. IV; Schelling, Naturph., 1803, p. 64 segg.; Hogel, Enoyol., $
51; Rosmini, Psicologia, 1846, t. I, p. 90 segg.; Ardigò, L'unità della
coscienza, 1898; A. Rey, Identité et réalité, Rev. de metaphysique », luglio
1909 (v. anima, spirito, indiscernibili, emanatiemo, panteiemo, s0atanzialità,
ecc.). Identità (principio di). Il
principio razionale che afferma l’identico dell’ identico: ciò che è, è, ciò
che non è, non è; oppure: il medesimo è il medesimo, l’altro è l’altro. Si
anole esprimere con In formula: A -= 4. Tuttavia questa formula, che esprime
una identità nssoluta, non sembra propria, in quanto è applicabile solamente ai
giudizi noi quali il secondo termine è la ripetizione del IDE 510
primo; ora tali giudizi sono semplici tautologie, non esprimono la
formula generale del pensare ma ne sono la negazione. Perchè l'identità riesca
feconda nel lavoro conosoitivo deve essere intesa relativamente, ciod secondo
certi limiti del contenuto e dell’ estensione dei concetti. In altre parole non
il riferimento dello stesso allo stesso, bensi il riforimento di nozioni o
cose, che in parte e sotto un rispetto coincidono, mentre nel resto e sotto
altri rispetti diversificano. In questo caso soltanto, infatti, non è soltanto
logica ma legittima ed utile la sostituzione dell’ identico, Il principio
d'identità fu formulato in diversi modi dai filosofi; G. Buridano : quodlibet
eat vel non est; Cartesio: impossibile est idem simul esse ot non ease ; Locke:
lo steso è lo stesso; Leibnitz: ogni cosa è ciò che essa è; Cr. Wolff: idem ene
est illud ipsum ens, quod ene, seu omne A est A; Schelling: la proposizione A =
A è possibile soltanto mediante l’atto espresso nella proposizione Io = Io;
Lotze: ogni contenuto pensabile è uguale a sè stesso ο diverso da ogni altro.
Por l Hamilton la sua importanza logica sta in ciò, che esso è il principio di
ogni affermazione ο di ogni definizione logica: Esso esprime la relazione di
totale medesimezza (eameness) in cni un concetto sta con tutti i suoi caratteri
costitutivi, e la relazione di parziale medesimezza in cni sta con ciascuno di
essi. In altre parole, esso dichiara l’ impossibilità di pensare il concetto e
i suoi caratteri come reciprocamente diversi ». Nell’ ontologismo del Rosmini
il principio d'identità acquista un valore particolare: esso infatti esprime I’
ordine dell’ essere e deriva dal principio di cognizione (I essere è oggetto
dell'intelligenza), perchè si conosce l'ordine dell’ essero in quanto la mente
conosce V’ essere, si conosce che 1’ essere è essenzialmente uguale a sò stesso
in quanta si conosce l’essenza dell’ orsere. Cfr. Schelling, Syet. d. trans,
Idealismus, 1801, p. 55 segg.; Lotze, Grandziige d. Logik, 1891, Hamilton,
Lecturer on logic, 1860, p. 79 segg.; Ra 611
Ipe smini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 15 sogg.; Id., Logioa, 1853, $
337-349. Ideologia. T. Ideologie, Denkgebilde; I. Ideology; F. Ideologie. Con
questo nome il Destutt de Tracy ed altri con Ini designano la soienza del
pensiero, in quanto non implica, come la psicologia, lo studio dell’ anima, che
è una delle cause su cui specula la metafisica, nè, come la metafisica stessa,
riguarda la natura degli esseri, le cause prime piuttosto che le loro
manifestazioni fenomeniche, ma comprende soltanto lo studio degli effetti,
l’analisi dei fonomeni, l'inventario metodico del contenuto della coscienza.
Secondo il Galluppi, l'ideologia è la scienza delle idee essenziali all’ umano
intendimento >, quali sarebbero I iden del proprio me, quella del proprio
corpo, quelle di possi bilità, durata, sostanza, attributo, eco.; egli dichiara
di preferire questo vocabolo a quello più antico di ontologia, © scienza dell’
essere in generale, perchè l'ontologis suppone che le nostre idee corrispondano
esattamente agli oggetti in sò stessi: questa supposizione non è niente
filosofiea: sarebbe stato necessario premettere una questione preliminare sul
valore di queste nozioni di cui tratta 1’ ontologia. Bisognava cercare come lo
spirito umano può permettersi di passare dalla regione del suo pensiero ο delle
aue idee a quella dell’ esistenza. L'ideologia stessa, spiegando l’origine di
queste nozioni essenziali allo spirito nmano, avrebbe somministrato i dati per
la soluzione del proposto problema... L'ideologia dunque non è che ¥ ontologia
ragionata e filosofica. E un’ ontologia poggiata sopra una base solida ».
Secondo il Rosmini è la scienza del lume intellettivo, col quale l’uomo rendo
intelligibili a sè stesso i sensibili, da cni trae l’universo sapero >; essa
è scienza formale, ha per principale fondamento 1’ osservazione interna ©
tratta dell’ essere oggetto della mente, vale n dire dell'unione dello apirito
umano coll’ essere intelligibilo sotto forma d’ iden e di concetto. Secondo il
Franck l'ideologin Ipe-Inı 512 à la scienza delle idee considerate in sè
stesse, cioè come semplici fenomeni dello spirito umano ». Secondo il
Windelband, non è improbabile che il Destutt de Tracy abbia tolto il nome di
ideologia dalla Wiseonschaftelehre del Fichte. Alcane volte però alla parola
ideologia si dà un significato diverso, angi opposto, in quanto designa una
scienza di pura astrazione, un insieme di ragionamenti aprioristici, di idee
pure. Cfe. Destutt de Tracy, Éléments d'idéologie, 1801, I, p. 5; Galluppi,
Elementi di filosofia, 1820-27, U, p, 2; Id., Lezioni di logica e metafisica,
1854, t. III, p. 982 segg.; Rosmini, Ideologia e logioa, 1853, t. IV, p. 458
segg.; Id., Pricologia, 1846, t. I, p. 23 segg.; Windelband, Storia della
filosofia, trad. it. Sandron, II, p. 142 4, 369 segg. Ideologioo. Ί.
Ideologisch; I. Ideologioal ; F. Idéologique. Tutto cid che riguarda le idee,
il pensiero in generale; così dicosi evolnzione ideologica, fattore ideologico,
ecc. Dicesi argomento ideologico una delle prove a priori dell’esistenza di
Dio, ricavata dalla eternità delle idee. Esistono delle verità, che sono
indipendenti dal mondo in cui si realizzano © dalla coscienza nostra che le
contempla; deve dunque essorvi una mente eterna di cui sono oggetto essenziale,
ο in cui risiedono ab aeterno, altrimenti la loro nocessità ed oternità non
avrebbe fondamento (v. Dio, ontologico, morale, fisico, cosmologico, storico).
Ideorrea. Stato di disgregazione mentale, costituito da fuga di
rappresontazioni e da ideazione confusa, esuberanto, senza legame logico, Si
manifesta in alcune malattio mentali e costituisce il lato interno della
logorres. Cfr. Dagonet, Nour. traité des maladier mentales, 1894, p. 828 segg.
Idiosinorasia (ἴδιος: == proprio, civ = con, xp&atg temperamento). T.
Idiosynorasie; I. Idiosynorasy, Idiocrasy; F. Idiosynerasie. In sonso proprio
designa le disposizioni individuali n sentire in modo particolare l’azione
degli agonti esteriori, apecio dei medicamenti; ma si adopera anche per
designare l'insieme dolle varietà individuali cho 58 , Ini-Ipo si incontrano negli individui di
una medesima specie, e costituiscono il temperamento. Non va confusa con I’
idiosincrisi, con cui si designano un insieme di fenomeni diversi che si
manifestano spontaneamente in uno stesso individuo. Idiotismo. T.
Blödeinnigkeit; I. Idiotiem ; F. Idiotisme. Uno doi gradi infimi di debolezza
mentale; appartiene al gruppo delle frenastenie ο arresti di sviluppo. L'
idiota fu definito come un essere estrasociale ; esso infatti presenta una
inettitadine assoluta al lavoro ordinato, non prova alcun interesse per
l’ambiente che lo circonda, è incapace di concepire rapporti sociali elevati ο
di provare sentimenti nltruistiei, non ha altra preoconpazione che di
soddisfare i propri bisogni fisici; i suoi sensi sono straordinariamente
ottusi, specie il tattile e il dolorifico ; 1’ affettività rudimentaria ο
irregolare; i movimenti lenti ed impacciati. L’idiota si distingue
psicologicamente dall’ imbecille, perchè, pur essendo l’uno e l’altro dei
deboli di spirito, il secondo ha imaginazione disordinata, associasioni rapide
e incoerenti, attenzione desta ma instabile, grande concetto di sè stesso unito
ad insofferenza per ogni lavoro ordinato. Per idiotiamo morale si suol
intendere la cecità morale, ossia l’assenza totale © Patrofia degli impulsi
altruistici, sociali, estetici ; si distingue dalla follia morale, che consiste
invece in impulsi anormali. Cfr. Sollier, Psychologie de l’idiot et de T'imbéoile,
1891 (v. obefrenia). Idolatria. T.
Abgötterei; I. Idolatry; F. Idoldirio. Consiste nell’ adorazione delle imagini
come se fossero le stesso persone divine, ed è propria delle religioni
primitive o dei popoli selvaggi. Essa ha origine dal simbolismo religioso. Da
principio imagine divina, appena fabbricata, non è compresa che como un
semplice simbolo; poi a poco a poco, continuando ad essere adorata, perde la
sua natura di emblema ο di semplico analogia, per identifienri con l'oggetto
reale del culto. Cfr. F. B. Jevona, L' idea di Dio 23 Raxzorı, Di . di scienze filosofiche.
Ino 514
nelle vel. primitive, trad. it. 1914, p. 4, 14 (v. feticiamo, religione,
simbolismo). Idoli. Lat. Idola; Gr. Et2oXa. Bacone chiama così, nella prima
parte del suo Organo, quelle anticipazioni ed errori che la mente umana
aggiunge alla esporienza, falsando in tal modo il concetto della natura. Gli
idoli e le nozioni false, che invasero l’intelletto umano e vi gettarono radici
profonde, non solo ingombrano le menti degli uomini in modo che la verità a
mala pena vi può trovare accesso; ma anche se lo trovasse, ricompariranno di
nuovo nella riforma delle scienze e saranno moleste, qualora gli nomini, preavvisati,
non si muniscano al possibile contro di esso ». Egli enumera quattro classi di
idoli da cui bisogna guardarsi: 1. idola tribus, che sono inerenti alla stessa
natura umana in generale, perchè l’anima dell’ uomo è come uno specchio male
aggiustato, che, mescolando la propria natura a quella degli oggetti, li altera
e li deforma; 2. idola spocus, che derivano dall’ individualità propria di
ciascuno, perchè ciascuno di noi è prigioniero nello speco profondo dei suoi
pregiudizi; 3. idola fori, che sono dovuti al lingnaggio e si assorbono col
commercio degli altri nomini ; 4. idola theatri, che s’imparano nelle varie
scuole filosofiche, le quali sono appunto come tante finzioni teatrali, che
l'autore ha cercato di rendere verosimili senza riuscirvi. Purificata
l’esperienza da tutte queste illusioni, cossa il cömpito della parte negativa
della logica (pars destruens) e comincia quello della parte positiva, che
consiste nel riordinare i materiali ottenuti con l’ esperienza. Cfr. Bacone,
Novum Organum, I, ΧΧΧΝΙΙΙ segg.; Do Dignitate, 1. V, cap. ıv, $ 8-10.
Idolologia. T. Eidolologie. Una delle quattro parti cni dividesi, secondo l’
Herbart, la metafisica. Essa move dall’ Io, di cui cerca levare In
contraddizione, ο contiene quindi le fondamenta essenziali della psicologia. La
parola idolologin si adopera anche con significato dispregiativo, per indicare
una scienza di fantasmi, nna scienza costituita di astrazioni e di imagini
vnote. Cfr. Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, 1, p. 71. : Ignava ratio
(ἀργὸς λόγος). Gli antichi logici chinmavano così quel sofisma, che si fonda
sopra una cognizione confusa ed erronea del soggetto. Cicerone ne reca questo
esempio: se il fato ha predestinato che tu guarisca, guarirai, se ha
predestinato che tn muoia, morrai, adoperi o no il medico; ma è certo che si
compirà P ana o l’altra di queste due predestinazioni del fato, dunque à
inutile che tn adoperi il medico. Il Rosmini chiama tale sofiama il pigro e lo
pone nella categoria dei sofismi che derivano dall’ infinito non compreso: con
esso infatti si parte dalla presupposizione di conoscore la maniera di operare
dellente infinito, non volendo confessare d’ignorarla, ο αἱ attribnisce quindi
alla causa prima la maniera d’operaro delle canse seconde, che sole si
conoscono. Cfr. Cicerone, De fato, 12, 28; Rosmini, Logica. Ignorabimus e la
celebre formula con cui il fisiologo Reymond esprime l’insolubilità assolta dei
problemi metafisici, opponendola all’ ignoramus provvisorio della scienza
intorno ai problemi d'ordine materiale. Codosti problemi insolubili ο enigmi
dell’ unirersn sono sette: l'essenza della materia ο della forza; l’origine del
movimento; l’origine delle sensazioni elomentari ; la libertà del volere;
l’origine della vita; la finalità della natura; l’origine del pensiero ο del
linguaggio umano. La parola ignorabimua è divenuta poi il simbolo usuale dell’
agnosticismo scientifico. Va notato, infine, che il punto di partenza
dell’agnosticismo sia di Reymond sin di molti altri scienziati, è il
presupposto che la sola vera scionza rin In meocaniea e cho conoscero
significhi soltanto formulare meccanienmento: ogni voluta teleologien, estetica
o valutativa è nna concezione antropomortica, dalla quale bisogna liherarsi per
non considerare il mondo che sotto l'aspetto Ton 516
quantitativo del movimento delle masse materiali. Cfr. Dubois-Reymond,
Über die Grenson des Naturerkennens, 1872; 1d., Die sieben Welträtsel, 1882; De
Sarlo, Studi sulla fil. contemporanea, 1901, p. 2 segg.; C. Ranzoli, L’
agnosticiemo, i suoî significati e le sue forme, in Linguaggio dei filosofi,
1913, p. 105-154. Ignoranza. Lat. Ignorantia; T. Unwissenheit; I. Ignoranco; F.
Ignorance. Assenza di conoscenza intorno a qualche cosa. Gli scolastici ne
distinguevano tre specie: ignorantia negativa ο simplicis negationis, la
semplice mancanza di una conoscenza che non si è obbligati a possedere, ad es.
In filosofia per una donna; i. privativa ο privationis, la maneanza della
conoscenza in chi è atto o obbligato ad averla, ad es. la storia della
filosofia per un filosofo; i. pravae diapositionis, U’ errore contrario alla
conoscenza che uno devo avore, ossia l’ ignoranza colpevole. Con I’ espressione dotta ignoranza (doota
ignorantia), già usata da 8. Agostino, S. Bonaventura e resa celebre da Niccolò
da Cusa, s'intende quel sapere di non sapere, che, nelle cose inacceı alla
mente umana, come la natura di Dio, costituisce I unica forma di conoscenza ©
il segno della vera sapienza. Cfr. S. Agostino, Epist. ad Probam, Migne, ep.
130, C. 15, $ 28; Uchinger, Der Beyrif docta ignorantia in seiner geschichil.
Entwicklung, Arch. f. Gesch. d. Phil. », vol. VIII, 1895;. P. Rotta, Il
pensiero di Niccolò da Cusa, 1911. Ignoratio elenchi (ἄγνοια ἐλέγχου). Termine
della scolastica, con cui si designa quel sofisma, detto anche della questione
sbagliata, che trao origine dal credere falsamento che l'opinione dell’
avversario sia contradditoria alla propria, mentre non è. Con lo stesso nome si
sogliono designare anche quei sofismi che si fondano sopra I’ ignoranza delle
regole della contraddizione e della confutazione: come, nd esempio, se uno
ignorasse che fra 1’ esser doppio dell’ uno © non esser doppio del tre non v’
ha contraddizione, perchè non è esser doppio e non doppio sotto lo stesso
rispetto : ILL 517 1 por tal modo la confutazione
cho uno vi fondasse su non sarebbe che apparente. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II,
20, 66 b, 11; De soph. elench., 6, 168 a, 18; Logique de PortRoyal, III, 19. Ignotum per ignotum. Espressione della
scolastica, con cui si designa quella fallacia di ragionamento che consiste nel
pretendere di dimostrare nna cosa ignota per mezzo di un’altra ugualmente
ignota, Questa pretensione di far conoscere una cosa nota per un'altra ignota,
osserva SERBATI (vedasi), è frequente ne’ semidotti, che nl ragionamento
sostituiscono un gergo, che sorprende gli inesperti, una delle tanto arti della
vanità umana ». Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 278. Illasione v. conclusione.
Illuminismo. T. Aufklärung. Si denomina così quel largo e complesso movimento
degli spiriti, verificatosi nel sec. XVIII ed estesosi a tutti i popoli di
cultura europea, che ha questi principali caratteri: disdegno per le
sottigliezzo dialettiche, conceziono pratica della filosofia come sapienza
della vita, studio apparsionato dei problemi riguardanti l'essenza dell’uomo 6
la sua posizione nel mondo; ricerca della possibilità e dei limiti della
conoscenza scientitica; penetrazione della filosofia nella cerchia della
cultura generale e sua fusione col movimento letterario. L’ illumimo 8'inizia
in Inghilterra, ove, dopo il periodo rivoluzionario, la lotteratura e la
filosofia avevano raggiunto un grande sviluppo; di qui passa in Francia,
acquistandovi un carattere più vivace e una tendenza decisamente ribello contro
l'ordinamento contemporaneo dello Stato ο della Chiesa; dalla Francia si
diffonde poi in Germania, già intollettualmento preparata a riceverlo e dove
esso raggiungo la sun più nobile espressione nella poesia tedesca. Corifeo
dell’ illuminismo inglese è Giovanni Locke, perchè seppe trovare una forma
piana e popolare di esposizione empiricopsicologica per le linee generali della
concezione cartesiana. ILL 518 Del’ illuminismo francese è pioniere Pietro
Bayle, il cui Dizionario promuove la tendenza della cultura verso lo
scetticismo religioso; Voltaire è il grande scrittore che a questa tendenza
diede la più eloquente espressione. La Germania era già conquistata al
movimento dell’ illuminismo mediante la filosofia del Leibnitz ο il gran
successo cattedratico ottenuto da Cristiano Wolf ; qui, per mancanza d’un
pubblico interesse unitario, lo idee dell'illuminismo assunsero nel campo
psicologico, politico e religioso una grande varietà, ma senza un nuovo spirito
creatore, finchè non furono portate a maggiore altezza dal movimento poetico ο
dalla grande personalità di un Lessing e di un Herder. «Cfr. E. Zeller, Geschichte d.
deutschen Philosophie seit Leibnilz, 1873; Leslie Stephen, History of english
thought in the 184 contury, 1876; Ph. Damiron, Mémoires pour servir à l'histoire de la
philosophie au 18me sidole, 1858-64; Windelband, Storia della flosofia, trad.
it. 1913, vol. I, p. 85 segg.; II,
p. 115 segg. Illusione. T. JUusion, Täuschung; I. Ilusion; F. Illusion.
Fenomeno psicologico, che dipende, como l'allucinazione, da una sovreceitazione
dei centri corebrali ο periferici; ma mentre l’allucinazione consiste nel porre
come realo ciò che è puramonte mentale, 1’ illusione consiste invece nol
percepire l'oggetto diverso da quello che realmonto è, assuciando alla
sensazione di esso imagini latenti nei centri sensitivi. L'illusione si può
dunque definire quel fenomeno per cui s’intograno i dati sensibili attuali con
dati mentali preformati, non conformi alla reale natura dell'oggetto. «Ρος
illusione s’ intonde, dice lo Zichen, quella sensazione per la quale esiste
realmente uno stimolo esteriore, ma cho non corrisponde qualitativamente a
codesto stimolo ». Secondo I’ Ebbinghaus, il processo psicologico
dell'illusione può svolgersi in due modi diversi; nell’ uno vi è contraddizione
tra la realtà obbiettiva, quale noi la prevediamo in base alle leggi della vita
psichica, ed uno dei 519 IuL suoi stati occezionali dovuto alle loggi
della natura >; nell’altro le impressioni prodotte sono modificate e deviate
nel senso delle rappresentazioni esistenti, cosicchè le stesse eccitazioni
obbiettive sono percepite in modo diverso a seconds doi pensieri © delle
conoscenze relativo a quelle che già si posseggono ». La distinzione fra
illusione e allucinazione non è sempre praticamente possibile, perchè non
sempre si può dire se si tratti di nn oggetto esterno falsamente percepito, o
di una rappresentazione formatasi noi centri cerebrali indipendentemente dal
mondo esterno. D'altro cuuto, spesso le illusioni si convertono gradatamente in
alIncinazioni: Il grado dell’ illusione, dice il Sully, cresco
proporzionalmento al orescere della forza dell’ elemento imagiuntivo rispetto
alle impressioni attuali, finchè nelle illusioni sregolste del pazzo la
quantità delle impressioni attuali diventa evanescente. Quando questo punto è
raggiunto, l’atto della imaginazione si mostra come un processo puramente
creativo, ossis come una allucinazione ». L’ illusione apparisce in parecchie
malattio mentali, specie nella paranoia tipica ο nella mania. In quest’ ultima
gran parte della sintomatologia è costituita appunto dalle illu V ammalato vede
gli oggetti rovesciati, impiccioliti o smisuratamente ingranditi, scambia 1)
infermiore con un amico, un parente, una persona illustre; un mobile, un
bicchiere, assume ai suoi occhi delle proporzioni fantastiche © spaventose; i
minimi rumori che giungono al suo orecchio diventano schiamaszi sssordunti o
musica piacevolissima ; le bevande hanno talvolta il gusto di nettaro
delizioso, tal’ altra di un liquido avvelenato. Ms l'illusione può avvenire anche
negli animali e nell’ uomo solo per offetto di distrazione o di suggestione. Si
dicono iMusion gli amputati quelle per cui, per un tempo più o meno lungo dopo
l’amputezione di uu arto, l'individuo sente |’ arto stesso al sno posto
abituale e prova acuti dolori, specio alla ana estremità. Questo fatto, secondo
alcuni, è di naIL 520 tura puramente intellettuale; secondo altri
dipenderebbo dalla irritazione delle fibre nervose contenute nella cicatrice
del moncone. Diconsi illusioni della memoria, per distinguerle dalle
sensoriali, quelle per cui i ricordi non sono più giustamente associati fra
loro nella loro successione nel tempo, ο ai ricordi esatti si mescolano
prodotti della fantasia; e quelle per cni si riconosce falsamente ciò che in
realtà è percepito o conosciuto per la prima volta. Dicosì #llusione di
Aristotele quella per cui, quando #’ incrocin il dito indice col medio ο
s’interpone tra i polpastrelli delle due dita una pallina posta sul tavolo,
sembra di tovcare due distinte pallino; illusione paradossale quella che si
verifica talvolta nella misura della sensibilità tattile per mozzo del compasso
di Werber e che consiste nella falsa percezione di duo punte, quando in realtà
vi è lo stimolo d’una sola punta; illusione del Rivers quella nella quale,
toccando con due baochettino i due bordi dello ditu che nell’incrociamento
guardano lateralmente, si ha l’impressione di una bacchetta nelle dita;
ilusioni ottiohe-geometriche, tutti quegli errori di giudizio che commettiamo
sorvendoci dell’ occhio come misura della grandezza, errori il cui studio entrò
nella scienza spocialmente con l’Oppel ο P Helmholtz, od è oggi oggetto
importante di ricerca in tutti i Inboratori di psicologia sperimentale ; osso
sono spiegato como prodotte sia dai movimenti degli occhi (Wundt, Binet), sia
dall’ irradiaziono (Lehman), sia da cause psicologiohe (Lippe, Benussi).
Infine, estendendo illegittimamente il significato della parola, si parla
talora di illusioni logiche, metafisiche, estetiche e morali : le prime sarebbero
i sofismi, le seconde gli scambi dei fenomeni con le cose stesse, le terze gli
scambi dello rappresentazioni artistiche degli oggetti con gli oggotti stessi,
dolle apparenze gradevoli con la verità, lo ultime quelle con cui circondiamo
la vita di speranze, desideri, aspirazioni, ecc. Cfr. Mach, Sitsungaber. d,
Wiener Akad., 1861; Lipps, Raumäntelik u. geom. opt. Täuschungen, 1897 ; 521
ILL-ILo Th. Zichen, Leitfaden d. physiol. Psyoologie, 1893, p. 182;
Wandt, Grundries d. Peychol., 1896, p. 274 segg.; Sully, Outlines of Paychol.,
1885; Id., Illusions, 1881, p. 120; Ebbinghaus, Préois de psychologie, trad.
franc. 1912, p. 168171; M. Foucault, 1 illusion paradozale, 1910; Ardigò, Op.
fil., IV, 381 segg.; Botti, R. Aco. delle scienze di Τοrino, 1908-1908; A.
Pegrassi, Le illusioni otticho nelle figure planimetriche, 1904 (v.
riconoscimento, poramneria). Illusionismo. T. Iusioninmus; I. Illusioniem ; F.
Ilusionisme, Con questo termine, che ha sempre significato peggiorativo, #’
indicano talvolta le dottrine che risolvono la conoscenza nel fenomeno, o non
ammettono altra certezza che quella che l'individuo ha dei propri stati di
coscienza, considerando quindi il mondo esterno como nn puro fantasma mentale.
S’applica anche alla dottrina di Cartesio, Malebranche, Fénelon, che pono il
mondo esterno como problematico. Dico il Fénelon: Tous ces 6ires, dis-je,
peurent avoir rien de réel et n'être qu'une puro illusion qui κο passo toute
entière on dedans de moi seul, Talvolta è dotta illusionismo anche la dottrina
dello Schopenhauer, in quanto considera la natura estoriure, così come ci
appare estesa nollo spazio o perdurante nel tempo, come un fantasma, un
fonomeno cerebrale. Cfr. Fénelon, De Vezistenoe et des attr. de Dieu, 1861, p. 120. Ilosoismo (Όλη = materia, {Gov
animale). T. Hylozotemus; I. Hylozotem; F. Hylozoisme. Dottrina filosofica la quale considera come
inseparabili la materia ο il principio della vita e pono quindi la materia come
vivente, sin in sò stessa sia in quanto partecipa all’azione di un’ anima del mondo.
Il vocabolo fu usato la prima volta dal Cudworth, la cui dottrina delle nature
plastiche è ilozoistica. L’ ilozoismo si distingue dal materialismo ο dallo
spiritualismo in quanto nè fa risultare la vita da una combinazione meccanica
di parti preesistenti, nd la fa derivare da un principio superiore o separato,
Dio, Idea, Spirito, cho formi © vivifichi la maIma teria, ma considera la
materia come attiva 0 vivente, dotata cioè di spontancità ο di sensibilità. L’
ilozoismo è dottrina propria della scuola ionica, e più tardi della stoica.
‘Tra quella e questa sta l’ilozoismo di Stratone di Lumpsco, che concepisce la
forza divina come immanente nella natura stessa, In quale contiene in sò le
cause della generazione e della dissoluzione : Strato, qui omnem vim dirinam in
natura sitam esse censet, dice Cicerone, quae oausas gignendi, augendi,
minuendi habeat, sed careat omni sensu et figura, Esso ricompare poi, con
caratteri diversi, nei filosofi naturalisti del Rinuscimento, e in F. Glisson,
H. More, Diderot, Buffon, Robinet. Nei tempi moderni I’ ilozoismo ha assunto,
specialmente con Czolbo, Noiré ο con 1’ Haeckel, la forma più scientifica del
pampsichismo. Cfr. Aristotelo, De An., I, 1,3; Cicerone, De nat. deorum, I, 13;
A. G. Pari, Ricerche analitico-razionali sopra la fisica, l'analisi ο la vita
della molecola chimica, 1834; Hacckol, Natürliche Schopfungageschiohle, 1889,
p. 20 segg. (v. genorazione, mediatore plastico). Imaginazione. T.
Einbildungskraft, Phantasie; 1. Imaginalion; F. Imagination. Nol suo senso più
largo è l'attitudino a riprodurre delle sensazioni passate; in senso stretto è
la facoltà di croare delle nuove rappresentazioni concrete. Il primo
significato è il più antico; così Hobbes dico che imaginatio nihil aliud est re
vera quam propter obieoti remotionem languoscena vel debilitata sensio ; Cr.
Wolf: faoultas producendi perceptiones rerum sensibilium absentium faoultates
imaginandi seu imaginatio appellatur; Galluppi: l'imaginazione è In potenza
dello spirito di avere nell’assenza di un oggetto sensibilo la sua idea ». Il
Reid restringeva ancor più il significato del vocabolo, ritenendo che soltanto
le sensazioni visive potessero servire di materia alla imaginazione. Per 1’
Hamilton l' imaginazione, nel suo più largo significato, è la facoltà
rappresentativa dei fenomeni sia del mondo esterno sia dell’ interno »; egli
nota giustumente cho imaginazione è parola ambigua, in quanto esprime sia 1’
alto dell’ imaginare, sia il prodotto dell’ atto medesimo, ciod 1’ imagine
imaginata ». La stessa osservazione fa James Mill: L'imaginazione ha due
significati. Essa designa sia una certa attività, sia la potenzialità di una
attività. Sono due significati che è assai necessario non confondere ». Per
materia 0 contenuto dell’ imaginazione si intende l’insieme delle sensazioni che
entrano a costituirla; por forma dell’ imaginazione si intendono invece lo
operazioni di accrescimento, diminuziono, sostituzione, dissociazione e
associazione con cui lo spirito trasforma le imagini. Quasi tutti i psicologi
moderni sono concordi nel distinguere due forme fondamentali di imaginazione :
l'una, detta riproduttita ο rappresentativa, è quella che consisto nella
semplice riproduzione delle imagini passate; l’altra, detta oreatrice,
novatrice, incentiva, produttiva, costruttica è quella che si vale del
materiale offerto dall’ esperienza per oreare imagini nuove, medianto le
operazioni psicologiche dell’ astrazione, della determina zione e della
combinazione. Tra questo due forme princi pali, alcuni pongono una forma intermedia,
detta com! natrice, che consiste nel decomporre e ricomporre, più o meno
coscientemente, le rappresentazioni, in modo da 80stituire al reale il
fantastico. Le ricerche della moderna psicologia dimostrano che I’ imnginaziono
non crea nessun nuovo contenuto; così il cieco nato non può avere imagini
visivo; anzi il Jastrow ha provato che se la vista si perdo fra il quinto e il
settimo anno, i centri visivi subiscono un regresso funzionale, per cui la
facoltà della imaginazione visiva si perde gradatamente. Molti psicologi
unificano l’imaginazione riproduttiva alla memoria, riserbando alla creatrice
il nome di imaginazione: altri invece la voglion distinta dalla memoria in
quanto montre in quella è assente ogni idea del passato, e la rappresentazione dell’oggotto
è talmente viva e distinta da sembraro cosa presente, nella memoria è
essenziale ο caratteristico il riforimento al Ima 524
passato. Il Wundt distingue invece 1) imaginaziono in attira © passiva:
l’attiva è quella in cui la volontà opera una scelta fra le varie
rappresontazioni che si offrono alla oocasione di una uguale dissociazione, e
per tal modo compara, conforme a un piano, il particolare per convertirlo in un
tutto; è passiva quando noi ci abbandoniamo al gioco delle rappresentazioni eccitate
nel nostro spirito da una rappresentazione generale qualunque. Analoga a
questa, è la distinzione dell’ imaginazione in rolontaria ο anlomatica, oppure
quella in sensitiva ο intelletlica ο riflessa. Altra divisione comunissima è
quella dell’ imaginaziono in viviva, uditica ο motrice: essa si fonda sul fatto
che lo imagini dotate di maggior chiarezza o precisione sono quelle provenienti
dalla vista, dall’ udito e dal senso muscolare, o che individuo prevale quella
di queste tre forme di imaginazione, che corrisponde alla maggiore finezza d’
uno dei suoi sensi. Ricordiamo infine che, rispetto all’ oggetto cui si
applica, l’imaginazione inventiva à stata distinta nello tro varietà di
artistica, scientifica ο pratica, ciascuna delle quali comprende tante speoie
quanti sono i gruppi di arti, di scienze ο di attività in cui si estrinseen In
vita dello spirito. Cfr. Hobbes, De corp., ο. 25 ; Crist. Wolf, Payohol.
empirica, 1738, 692; Galluppi, El. di filosofia, 1820, vol. I, p. 181;
Hamilton, Reid's Works, 1863, p. 291, 809; J. Mill, «Anal. of the hum. mind,
1871, II, 239; Wundt, Grundzüge à. phys. paychol., 1893, vol. II, p. 1 segg.;
Ribot, Kesai eur l'imagination creatrice, 1900; L. Dugas, L'imagination, 1903;
A. Schöppa, L’imagination, sa nature et son importance pour la vie mentale,
1909; G. A. Colozza, 1 imaginazione nella scienza, 1900; A. Murchesini, 1?
imaginazione creatrice nella filosofia, cd. Paravia (v. imagine, fantasia,
dissociazione). Imagine. T. Bild, Vorstellung; I. Image; F. Image. In senso ristretto
è il contenuto d’una presentazione ο rappresentazione, specialmente visiva. In
senso generale è sinonimo di rappresentazione e di percezione mediata, © indica
il 525
Ins fatto del riprodursi di sensazioni passate senza lo stimolo diretto
dell’ oggetto sensibile. Il sorgere delle imagini è determinato non da uno
stimolo esterno o interno, ma da ımo stimolo intorcerebrale, e condizionato al
persistere dello impressioni sensibili. Le sensazioni che più facilmento si
riproducono sono quelle della vista e dell’ udito; ma si hanno anche imagini
tattili, olfattive, termiche, muscolari, occ. Dicosi imagine retinica quella
proiettata dagli oggetti culla retina; imaginé postume quelle prodotte da un
oggetto in movimento, la oni velocità è tale che, prima che sia esanrita
l'eccitazione prodotta da una località dell'oggetto medesimo, sorge I’
eccitazione della località vicina; imagini ipnagogicke quella serie di imagini
allucinatorie ο illusorio che costituiscono il sogno; imagini entoptiche le
sensazioni visive prodotte da una eccitazione della retina, detorminata «a un
qualunque stimolo che non siano le vibrazioni Inminose, come l'alterazione dei
tessuti, l’ applicazione di sostanze chimiche, la pressione, ecc.; fmagini
conecoutire quelle che persistono nell’ occhio quando è cessato lo stimolo
diretto dell’ oggetto esterno. Lo imagini consecutiv dovuto forse ni processi
chimici della retina, per i quali si ha la visione, sono dapprima negatire ο
complementari, per divenire poi positire ο di ugnal colore; vale a diro cho da
prima gli oggetti chiari appaiono neri, i nori chiari, i colorati del colore
contrario o complementare ; poi le im gini sia eromatiche che acromatiche
tornano a comparire colle stosso proprietà di colore e di chiarezza degli
oggetti reali. Cfr. J. Philippe, L'image mentale, 1903 ; E. Peillanbe, Les
images, 1911 (v. contrasto, stroboncopio, stimolo, imaginazione). Imbecillità.
T. Schwachsinn; I. Imbecillity, Mental weachness; F. Imbécillité, Appartione al
gruppo delle frenastenie o arresti di sviluppo psichico, ¢ presenta una grande
varietà sin di formo cho di gradi. Vi è l’imbecillità morale, in cni, rimanendo
intatta o quasi l'intelligenza, è profondamente Im 526 turbata
l’affettività, scarso e quasi nullo il senso morale, debole V inibizione;
l’imbecillità geniale, in cui, fra mezzo al turbamento di alenne attività
psichiche, altre presentano un grado anormale di sviluppo, come la memoria,
specie musicale, e ’ attitudine a determinati lavori manuali; 1’ imbecillità
parziale, che colpisce solo una sfera della vita psichica; l’imbecillità totale
che la colpisce tntta. Si può dire che tante sono le forme d’imbecillità quanti
i caratteri umani ο che gli elementi comuni a quasi tutte sono I’ instabilità
dell’ attenzione, la debolezza delle capacità logiche, la mancanza d'iniziativa
ragionata e l'irregolarità della condotta. Cfr. Sollier, Payohologie de
l’idiot et de Vimbécile, 1891 (v. ebafrenia, idiotiemo). Imitazione. T. Nachahmung; I. Imitation; F. Imitation.
Psicologieamente indica ogni fenomeno psichico, cosciente © no, che ha per
carattere di riprodurre un fenomeno psichico anteriore. Nell’ estetica, 1’
imitazione della natura fu considerata per lungo tempo, cominciando da Platone
e da ‘Aristotele per venire fino al Batteux, come l'essenza delParte. Così per
Aristotele la radice psicologica dell’ arto sta nel piacero che si prova nell’
imitazione, piacere che, in ultima analisi, non è che un effetto dell'impulso a
conoscore, in quanto noi riconosciamo nell’ imagine 1’ oggetto rappresentato ;
1’ imaginazione artistica ai elova al di sopra dell’imitazione comune in quanto
Jo sue imagini non ritraggono gid le cose e le azioni, offerte dalla realtà,
come pure copie o riproduzioni, ma come rappresentazioni della vera essenza di
esse, non come sono, ma come potrebbero ο dovrebbero essere, ola ἄν γένοιτο; in
tal modo l'imitazione estetica ottiene che i sentimenti, suscitati dall'opera
d’arte secondo la sua particolare natura, abbiano nello spettatore un’ eco di
purità e di pienezza. La teoria dell’arte como imitazione è ancora accettata da
molti, a malgrado delle gravi obiezioni rivolto contro di essa in ogni tempo;
si è detto infatti che l'imitazione della natura è non solo una inntile 527 Im
ripetizione di ciò che la natura stessa offre spontaneamente, ma è anche
umiliante per l’uomo, che di fronte ad essa sento tutta la propria inferiorità;
1) imitazione è tanto più fredda quanto più vicina all’ originale, e, come ha
fatto notare Kant, il canto dell’usignuolo, imitato dall’uomo, ci dispiace non
appena ci accorgiamo che è opera di un uomo; limitazione può forse
giustificarsi nella pittara ο nella scultura, ma come sarebbe possibile
nell’architettura, nella musica, nella poesia? Si è osservato ancora che nella
natura 0’ anche del brutto, e che, come scrisse lo Schelling gli imitutori
hanno l'abitudine di appropriarsi i difetti dei loro modelli piuttosto e più
facilmente delle loro bellezze, perchd i primi sono più facili a cogliersi, più
evidenti, più afferrabili; perciò noi vediamo che, in tal senso, gli imitatori
della natura imitano più spesso il brutto che il bello ed hanno persino una
notevole predilezione verso il primo ». Hegel ha osservato che il vero piacere
dell’uomo è nel creare non nell’imitare, e che l’arte risponde anzi al bisogno
di sorpassare la realtà, idealizzandola: Il principio dell’ imitazione, essendo
puramente esteriore e superficiale, è distrutto «quando si spieghi dandogli per
fine l'imitazione del dello quale esiste negli oggetti. Limitazione deve essere
fedele e nulla più. Parlare d’ una differenza tra gli oggetti come belli o
brutti, è introdurre nel principio una distinzione che non contiene... La
missione dell’ arte è di rappresentare, sotto forme sensibili, lo sviluppo
libero della vita, e specialmento dello spirito. La verità nell’ arte non può
dunque essere In semplioe fedeltà, a cui si limita quella che dicesi l’
imitazione della natura ». Tra le argomentazioni dei moderni segnaci dolls
teoria della imitazione, rtporteremo soltanto questa d'un psicologo
contemporaneo, l’Höffding: La forma più semplice dell’ imaginazione artistica,
è l’imifazione della natura, e, in un certo senso, non la sorpassa mai. Ben
cogliere ο ben rendere il roale in tutta la sua ricchezza ο la sua
individualità è un compito che non si può assolvero IMM 528 se
non a condizione che l’intuizione e |’ imaginazione abbinno raggiunto il loro
più alto sviluppo. È questa la parte di realismo contenuta in ogni arte e che
si manifesta ora come studio del dato, freddo ed imparziale, ora come una
cenriosità simpatica e desiderosa di ben comprenderlo. Senza questa parte di
realismo, l’arte vaga nel vuoto ». Nella
sociologia l’ imaginazione ha assunto una grande importanza col Tarde, per il qualo
la legge dell’ imitarione à il principio fondamentale su oui la vita sociale si
regge: come il fotto meccanico elementare è la comunicazione e la modificazione
di un movimento determinato dall’azione di una molecola ο di una massa sopra
un’ altra, così il fatto sociale elementare è la comunicazione e la
modificazione di uno stato di coscienza per l’azione di un essere cosciente
esercitata sopra un altro ». I} Baldwin, che in parte concorda con le idee del
Tarde, distinguo queste forme di imitazione: imitazione cosciente, in cui
quello che imita sa che imita; suggestione imitativa, in cui chi imita non ha
coscienza d’ imitare; imitazione plastica, ossia la conforinità subcosciente a
tipi di pensiero e di azione, come avviene nelle folle; autoimitazione, o
imitazione di sò stesso con sò stesso; imitazione semplice e i. persistente, la
prima delle quali si compie rapidamente, mentre la seconda richiede una serie
di sforzi per riusciro; imitazione istintiva ο i. volontaria, determinate da un
atto di volontà o da un istinto. Cfr. Siebock, Arietotele. trad. it. Sandron,
p. 140 segg.; Hegel, Système des beauzarts, trad. franc. Bénard, t. I;
Höffding, Psychologie, trad. frane. 1900, p. 240 segg.; Battenux, Les beauz-arte réduits à un
même principe, 1747; Tarde, Les lois de l'imitation, 1890-95; Id., La logique
sociale, 1895; Baldwin, Mental derelopment in the child and the race, 1895;
Id., Social and ethical interpr. in mental development, 1897; G. Pistolesi,
L’imitazione, 1909. Immanente. T.
Immanent; I. Immanent: F. Immanont. Si oppone n trascendente ο n transitiro,
qualche volta anche a esterno, e designa in generale ciò che risiede nell’
essere, 529 Imm l’azione per cui essere produce degli
effetti in ed stosso. In un significato metafisico si applica a Dio,
considerato como la causa sostanziale ed immanente di tutte le cose
(panteismo); quindi tra Dio e il mondo non v’ ha alcuna distinzione. In senso
psicologico si applica alle azioni umane, ο precisamente a quelle che non escono
dai limiti della coscienza, che non si manifestano con effetti esteriori : così
è immanente il pensiero, transitiva la volontà, almeno quando muove il corpo.
L’ilozoismo consiste nel considerare In vita come una proprietà della materia ο
quindi immanente alle cose; il dinamismo considera invece la forza come
immanente all’essere. Gli scolastici contrapponevano l’aotio immanens all’actio
transiens ; le azioni immanenti sono quelle, dice Goclenio, per quas passim, id
est, subiectum non trasmutatur. Spinoza dice che Dio è la causa immanente e non
transitiva di tutte lo cose. Tutte le cose che eslstono, esistono in Dio e
devono essere concepite da Dio. Dunque Dio è la causa delle cose che esistono
in lui;... inoltre fuori di Dio non esiste alcuna sostanza, alcuna cosa che
esista in sè;... dunque Dio è la causa immanente di tutte le cose e non la loro
causa transitiva ». Per Kant sono immanenti i principî la cui applicazione è
strettamente racchiusa nei limiti dell'esperienza possibile; e l’uso di questi
principi nel mondo dell'esperienza si chiama uso 4mmanente. Cfr. Goelenio,
Lezicon phil., 1613, p. 1125 ; Spinoza, Ethica, 1. I, teor. 18; Kant, Proleg.,
§ 40 (v. immanentismo, immanenza). Immanentismo. T. Immanentimus; I.
Immanentiem : F. Immanentisme. Quell’ indirizzo della filosofa religiosa
contemporanea, che considera la religione come nn risultato spontaneo di
esigenze inestinguibili dello spirito umano, esigenze che trovano la loro
soddisfazione nell'esperienza tima e affettiva della presenza del divino in noi
; esso perciò rigetta come convenzionale la rappresentazione astratta ©
frazionaria del reale, e non ammette le prove concettuali e discorsive dell’
esistenza di Dio. Esso si proclama in per34
RanzoLi, Dizion. di si ‚nze filosofiche. Imm 530
fetto accordo con la tradizione, sia patristica, sia acolnstien: la
prima infatti, considerando Varistotelismo como esizialo alla professione
dell’ortodossia cristiana, ritenne la fede suftìciente a sd stessa; la seconda,
pur caratterizzata dal sopravvento preso dal realismo logico sull’intuizionismo
mistico, non dimenticò mai l'argomento morale quando volle provare le realtà
dello spirito, i loro valori e i loro destini. Tuttavia V immanentismo fu
condannato dall’ enciclica Pascendi dominioi gregis, che ne fissa così i due
errori caratteristici : a) l'opinione che il sentimento religioso sorge per
immanonza ritale dalle profondità della subcoscienza, e cho in tale immanenza
sta il germe di ogni religione; b) l'opinione cho Dio è immanente nell’uomo, il
che implica logicamente cho l’azione di Dio si confonde con quella della natura
ο che non csiste sovrannaturale. Contro queste acense gli immanentisti
obbiottano che esse falsano In loro dottrina, la qualo non è quel grosso errore
che 1’ enciclica sembra credere, ma anzi è la via seguita per giungere al
divino da tutta la migliore tradiziono cristiana. Cfr. E. Thamiry, Les deux
aspeots de Vimmanence et le problème religieux, 1908; Laberthonnière, Saggi di
filosofia religiosa, trad. it. 1907; It programma dei modernisti, 1908, p.
97-112 (v. agnosticiamo, credenza, fode, fideiemo, immanensa, modernismo).
Immanenza. T. Immanens ; I. Immanence; F. Immanence. Carattere di ogni attività
che risiede nell’ essere, e trova nell’ essere stesso il suo principio e il sno
fine. Si può considerare sotto due aspetti : quello dell’ immanenza assoluta,
che esolude la possibilità di qualsiasi influenza esteriore snl soggetto
dell'attività immanente, il quale sarebbe come un sistema chiuso in sè,
indipendente, sufficiente a sò stesso; quello dell’immanenza relativa, per cni
l’attività immanente nel soggetto ha bisogno, per esplicarsi, di arriochirsi di
dati esteriori ο implica per ciò stesso l’ esistenza di un trascendente. Dicesi filosofia dell’ immanenza
(Immanensphilosophie), l'indirizzo rnppresentnto da W. Schuppe, Rehmke, 581
Imm Leclair, Schubert-Soldern, eeo., sorto nella seconda metà del secolo
scorso in Germania, secondo il quale l’ universo è immanente nella coscienza
dell'individuo, non essendovi altro realtà che la percezione immediata della
coscienza personale. Per esso non è quindi vera scienza se non quella del
fatto, cioè della sensazione pura; l'oggetto non è conosciuto che come
contenuto della coscienza e il soggetto non è che il centro delle relazioni
degli oggetti; i concetti sono di origine sensibile e la loro obiettività non è
altro che la permanente possibilità di certi gruppi di sensazioni, di fronte al
variare di tutto il resto: Per la teoria della conoscenza, dice lo
Schubert-Soldern, il mondo non è altro che ciò che è dato immediatamente nel
complesso della coscienza (Betrusstecinezusammentang).... È vuota pretesa
quella di poter andare oltre.... La coscienza è rilevabile soltanto per il suo
contenuto; nulla è per sì, nd come cosa nd come proprietà... ciod come la cosa
atta ad avere corcienza di altre cose, als die Fähigkeit dieses Dinges sich
anderer Dinge bewusst zu sein oder zu werden ». Questa dottrina ha stretta
affinità col fenomenismo e con l'empirismo radicale ο empiriocriticismo : tutte
queste dottrine tendono infatti a ridurre tutta la realtà a quella
sperimentale, identificando poi l’esperienza col complesso dei fatti e stati di
coscienza, ed escludendo sia la trascendenza dell'oggetto rispetto alla
coscienza individuale, sia la trascendenza di esseri ο cause sottostanti all’
insieme dei fenomeni costituenti l’universo.
Dicesi principio d’immanenza la proposizione che sta a base
dell’immanentismo; essa è espressa in modi differenti dal Le Roy e dal Blondel.
Secondo il primo, essa esprime che la realtà non è fatta di porzioni distinte,
sovrapposte; tutto è interiore a tutto ; nei minimi dettagli della natura o
della scienza, l’analisi ritrova tntta la natura e tutta la scienza; ciascuno
dei nostri stati e dei nostri atti involge la nostra anima intera e la totalità
dello sue potenzo; in una parola, il pensiero s'implica totalmento in ciasenno
Imm 532
dei suoi momenti ο gradi »; quindi per noi non esistono mai dei dati
puramente esterni, ο l’esperienza, anzichè un’acquisizione di cose a noi
straniere, è invece un passaggio dall’implicito all’ esplicito, un movimento in
profondità che rivela ricchezze latenti nel sistema dol sapere. Per il Blondel
il principio d’immanenzs consiste in questa affermazione, cho N. Tommaso
enuncia senza alcuna restrizione, gisechd lu formula persino a proposito dell’
ordine sovrannaturale : Nihil potest ordinari in finem aliquem, nisi
pracezistat in ipso quaedam proportio ad finem. Io non ho fatto altro, dice il
Blondel, che tradurre codesta verità essenziale ed universale, ricordando che
nulla infatti può entrare nell’ uomo se non corrisponde in qualche modo αἱ suo
bisogno d’ espa sione, qualunque sia del resto l’origine e la natura di desto
appetito ». Cfr. Le Roy, Dogme et oritique, p. 9-10; Blondel, Lettre eur
l’apologetique, p. 28; Bulletin de la Société française de phil., agosto 1908,
p. 325 segg.; Schubert-Soldern, Grundl. d. Erkenntnistkeorie, 1884, p. 64-67;
Schuppe, Erkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63-69; Lans, Idealiemus und
Positiviemus, 1879, vol. I, p. 183; A. Polazza, Guglielmo Schuppe e la
filosofia dell’ immanenza. 1914. Immaterialismo.T. Immaterialiemus; I.
Immaterialiem ; F. Immaterialisme. Termine erento da Berkeley per opposizione a
materialismo. Si dice di tutte quelle dottrine gnoscologiche e metafisiche, che
considerano 1’ osistenza della inatoria come una semplice parvenza, una
illusione dei nostri sensi; l’esistonza dei corpi si riduce al loro esser porcopiti:
esse est percipi. È immatorialiamo la dottrina di Platone, per il quale la
realtà superiore dell’ essere, la ver essenza (οὐσία) conosciuta dal pensiero,
è il mondo immnterinle delle idee; montre il mondo materiale costitaisee uns
sfera inferiore, la sfera del divenire (Ὑάνεσις), oggetto della percezione @
della opinione. Anche l’idealismo metnfisico del Berkeley è un vero o proprio
immaterialismo. Cr. Berkeley, Dialogues betwen Hylas and Philonous, 1713, 533
IMM d. 111; B. Croce, L’immaterialismo del Berkeley, La Critica», 1909,
p. 77-81. Immediato. 1. Unmittelbar ; I. Immediate; F. Immédiat. Ciò che si
realizza senza bisogno di intermediari. Perciò dicesi inferenza immediata
l'operazione logica con cui da un giu termedi ; conoscenza immediata o intui
alla discorsiva, dicesi quella che lo atto unico © non con una successione di
atti; successione immediata quella in cui il finire del primo fenomeno è
l’istauto stesso in cui il secondo comincia ; contatto immediato quello che
osiste fra due corpi sovrapposti che coincidono gevmotricamente per una
superficie, una linea o un punto. Immediazione. Lat. Immediatio. Nel realismo
ontolugico si designa con questo termine la conoscenza immeiliata, cioè
l'identità del soggetto e dell’ oggetto. Immediatio virtatin, nel linguaggio
scolastico, si ha quando V’ agente si congiuuge al paziente nell’operare per
virtù ed energie propria, senza intervento di altra virtù intermediaria,
Immensitä. T. ('nermesslichkeit ; I. Immensity; F. Immensité. Uno degli
attributi di Dio, che consiste nol trovarsi egli presente in ogni luogo per la
sua potenza, senza tuttavia essere esteso nello spazio, e nell’ agiro sopra
tutti i punti dello spazio, senza trovarsi sostanzialmente in alcenno. Secondo
altri tilosofi 1’ immensità divina non sarebbe che lo spazio infinito, che è
puro un attributo di Dio (v. elernità). Immoralismo. T. Immoralismus; I.
Immoraliem ; F. Immoralismo. Termine creato dal Nietzsche, che con esso vuleva
intitolare la terza parte del suo libro sopra La rolontà di potenza. Ora si
applica sia alla dottrina dol Nietzsche stesso, sia ad ogni dottrina che
sostenga che la moralità, nel significato comune della parola, debba essere
sostituita da una scala di valori affatto diversa, e anche opposta nella
maggior parte dei punti, In questo senso il termine jo se ne ricava un altro
senza il sussidio di giudizi ina, per opposizione Imm 534
immoralismo non sembra usato adeguatamente, giacchè tali dottrine,
anzichò sopprimere la moralità, vogliono sostituirla con una nuova, Il Fouillée
distingue l’ immoralismo dalV amoraliemo ; questo non ammette che giudizi di
fatto, negundo i giudizi di valoro, e în tal modo nega esplicitamente la
morale; quello, invece, non solo noga l’esistenza della morale, ma pretende che
la condotta debba essere regolata da valori che sono én opposizione con la
morale, che sono antimorali. È chiaro, ad ogni modo, che il significato del
termine amoralismo à relativo al senso attribuito alla purola moralità. Cfr. A.
W. Benn, The morale of a immoraliat, «Int. jurnal of Ethics », gennaio 1909; A.
Fouillée, Nietzsche et Pimmoralisme, 2° ed. 1902. Immortalità. T.
Unsterblichkeit; I. Immortality ; F. Immortalité. Crodenza antichissima, che si
congiungo a quella dell'esistenza di Dio, ο che fu esposta per la prima volta
in tutta la sua purezza da Platone. Essa osprime la proprietà essenziale dell’
anima umana di non vivero una vita legata alle leggi del tempo, di non avere
ciod nd principio nè fine. Si riconnotte alle altre proprietà essenziali
dell’anima, che sono l’unicità, l'identità, 1’ inestensione, V immaterialità.
Le prove principali per dimostrarla sono tre: 1. prova ontologica o metafisica:
l’anima principio inesteso della vita intellettiva distinto del corpo, non
potrebbe esser fatta perire nd da Dio, come dimostra la teodicea, ne da un’
intima corruzione, perchè semplice, ud dagli agenti naturali, perchd l’atto,
con cui essa è unita al corpo, è immodiato © nulla potrobbe frapporvisi ; 2.
prova pricologica : essondo la natura di un ossere appropriata al suo destino,
© la brevità o gli ostacoli della vita non permettondo di raggiungere quello
sviluppo per il quale ogni funzione psichiea sembra csser fatta, bisogna
ammettere una nuova vita sovrasensibile ο infinita în oui s’attui codesto
ideale di perfezione; 3. prova morale: la logge morale ci obbliga a praticare
la virtù: prima delle virtù è la giustizia, che
535 Imm dev’ essero osservata non
solo nei rapporti recipruci degli nomini, ma ancho dallo stesso autore della
legge morale verso tutti; ora, siccome in questa vita non sempre la virtà è
premiata © il vizio è punito, è forza ammettere l'esistenza di un’ altra vita
in cui si attui l'ideale di giustizia. Quanto al modo come 1’ immortalità è stata
intesa dai principali filosofi, Socrate si comportò da scettico di fronte alla
fede nell’immortalità personale, come appure doll’ Apologia platonica. La
dottrina filosofica dell’ immortalità personale è prosentata per la prima volta
da Platone, per il quale.l’ anima, se appartiene al mondo inferiore del
divenire come principio della vita e del movimento, mediante la vera conoscenza
partecipa anche delle idee della realtà superiore, dell'essere permanente: essa
ha quindi uns posizione intermedia, ο cioè non l'essenza infinitamente immutata
delle idee, ma una vitalità che sopravvive al cangiamento, vale a dire
l'immortalità, le cui prove più efficaci Platone deduce appunto, nel Fedone,
dallo parentela dell’ anima con I’ eterno per la conoscenza che essa ha delle
idee. Per Aristotele è immortale solo una parte » dell'anima, cioè l'intelletto
attivo, che rappresenta l’unità pura, comune » tutti gli nomini, della ragione,
e, in quanto non divenuto, è imperituro; invece l'intelletto passivo, in quanto
è il modo fenomenico individuale dato nella disposizione naturale
dell'individuo © determinato dalle circostanze della aus esperienza personale,
passa con gli individni stessi. Por gli stoici l’anima individuale, non ossendo
che una parte dell’ anima generale del mondo, ha una autonomia limitata nel
tempo e la sua ultima sorte è di essero riassorbita, nell’ eepirosi finale,
nello spirito divino univoreale ; quanto alla durata dell'immortalità
individuale, alcuni stoici Pattribuirono a tutte le anime fino alla conflagrazione
finale del mondo, altri la riserbarono solo ai sapienti. Per gli apologeti
cristiani 1’ immortalità dell’ anima è una grazia divina, per 8. Agostino è una
conseguenza della sua partecipazione Inn
536 alle verità eterno, per
Alberto Magno deriva dall’ casero Vanima ex se ipsa causa, indipendente dal
corpo, per 8. Tommaso dall'essere l’anima una forma separata, cioè una
intelligenza pura, immateriale. Per Spinoza l’anima umana è oterna perchò v’ ha
necessariamente, in Dio, un concetto o un’ idea cho esprime l'essenza del corpo
umano, e codesta idea è perciò nocessariamente qualcho cosa che si riferisce
all'essenza dell'anima; poichè ciò che è concepito dall’essenza di Dio con una
necessità eterna è qualche cosa, questo qualche cosa che si riferisce
all'essenza dell’anima, è neccssariamonte oterno ». Per Leibnitz non v’ha mai
genorazior intra nd morte porfetta, consistente cioè nella separazi dell’
anima, 0 cid che noi diciamo generazioni sono sviluppi © acerescimenti, cid che
diciamo morti sono involuzioni ο diminuzioni; perciò si può dire che non solo
l’anima, specchio d’ un universo indistruttibile, è indistruttibile, ma tale è
anche l’animale, sebbene la sua macchina perisca sovente in parte ο lasci o
prenda delle spoglio organiche ». Por Kant è un postulato della ragion pura
pratica, della possibilità ciod, per un essere finito, di realizzare la
perfezione moralo, sotto la forma di un progresso indefinito vorso la santità: La
conformità della volontà alla legge moralo, ossia la santità, è una perfezione
di cui nessun ossere ragionevole è capace nel mondo sensibile, in nessun
momento della sua esistenza. E poichò casa è tuttavia una osigenza praticamente
necessaria, bisogna dunque cercarla in un progresso indefinitamente continuo
verso codosta perfotta conformità; 0, secondo i principi della ragion pura
pratica, è necessario ammettere codesto progresso pratico come l'oggetto reale
della nostra volontà. Ora, codesto progresso indefinito non è possibile che
supponendo una esistenza 9 una personalità dell'essere ragionevole persistenti
indefinitamente, ossia ciò che si chiama immortalità dell’anima, Il sommo bene
non è dunque praticamente possibile che con la supposizione dell'immortalità
dell'anima, 537 | Ina la qualo, essendo quindi
inseparabilmente legata alla leggo morale, è una possibilità della ragion pura
pratica ». Per lo Schopenhauer solo l'individuo muore, mentre la specie è
immortale; l’ individuo è 1’ espressione nel tempo della specie, che è fuori
del tempo: La specie rappresenta uno degli aspetti della volontà come cosa in
sd; essa rappresenta, a tal riguardo, cid che v’ ha d’ indistruttibile nell’
individuo, vivente;... essa contiene tutto ciò che è, tutto ciò che fu, tatto
cid che sarà ». Per Lotze |’ immortalità non può essere teoreticamente
dimostrata; solo si può ritenere come universalmente valido il principio, che
tutto ciò che una volta è nato, devo durare eternamente, finchè ha uu
immatabile valore per rapporto all’ universo. L’ immortalita dell’ anima è
naturalmente negata da tutti quei sistemi che funno dell’ anima una funzione
del corpo; è ammessa, ma nel senso di una sopravvivenza impersonale, dal
panteismo; non è negnta nd affermata dal fenomenismo, dal parallelismo
psico-fisico © da tutti quei sistemi di psicologia scientifica, che dell’ anima
studiano soltanto le manifestazioni, abbandonando alla metafisica il problema
della sua origino, della sua essenza ed immortalità. Vi sono però due fatti
positivi, ammessi dai segusci della psicologia empirica (Spencer, Ribot, Wundt,
ecc.) che possono corrispondere al concetto religioso e metafisico
dell'immortalità dell’ anima: uno è l’oredità psicologica per cui l'individuo,
insiemo al sistema nervoso, erodita anche l'attitudine a riprodurre certi stati
di coscienza acquisiti dalla specie. L'altro, ben più importanto, è che ogni
coscienza individuale, passando sulla terra, lascia di sò una traccia sia pur
lieve, la quale si concatenn con tutta la serie dei processi psicologici della
storia; si ha così una trama psicologica, cho, passando da una generazione
all’altre, abbraccia tutta la storia dell'umanità, costituendo una vera ed
eterna continuità morale. Cfr. Platone, Fed., 84 C-95, 78-80, 62 segg.; Mon., 80
sogg.; Aristotele, De an.. IH, 5, 430 a, 22 segg.; Ogereau, Le syat. phil. des
stoiciens, Inv 538 1885, cap. IV; Haruach, Dogmengesohiohte,
1894, I, 493 vegg.; Kant, Krit, d. prakt. Vern., dialect., 2* parte, IV; Lotze,
Grundsüge d. Peychol., 1894, p. 74; W. James, Human immortality, 1898; J.
Frazer, The belief in immortality and the worship of the dead, 1913; O. Lodge,
La survivance humaine, 1912; F. H. Myers, La personalità umana ο la sua sopravvivenza, trad. it. 1908; Fournier d’Albe,
L'immortalità escondo la scienza moderna, trad. 18. 1909; Chambers-Janni, La nostra vita dopo la morte,
1910; A. Crespi, Il concetto dell’ immortalità ; stato attuale del problema, Il
Rinnovamento », IV, p. 229 sogg.; F. De Sarlo, Il problema dell’ immortalità, Cult.
filosofica », marzo 1910 (v. anima, coscienza, materialismo, spiritualiamo,
ecc.). . Impenetrabilitä. T. Undurohdringlichkeit; I. Impenetrability; F.
Impendirabilité. Una delle proprietà fondamentali ed essenziali della materia,
per cui due corpi non possono occupare nello stesso tempo un medesimo spazio.
Si distingue dalla resistenza, che è una nozione d’origine sperimentale,
derivando, secondo le analisi del Condillac, Bonnot, Maine de Biran, dall’
esercizio del nostro potere motore. Alcuni filosofi, in Inogo della nozione di
impenetrabilità, adottano quella della resistenza nello spazio per l’espressione
dell'essonza della materia, in quanto essa non pregiudica la soluzione di un
altro grande problema riguardante la materia: se cioò gli elementi della
materia hanno una grandezzu fissa o se la loro estensione è puramente virtuale.
Una moderna dottrina considera infatti gli elementi della materia como semplici
centri di forza, comprossibili fino ad essere ridotti ad un punto materiale,
vale a dire ad unu sfera il oui raggio è zero: però l’annientumento del volume
non toglierebbe ad essi il loro potero d'espansione, cosicchè, diminuita la
compressione, la loro forma, rimasta virtuale, potrebbe attuarsi. Cfr. Uphues,
Paychol. der Erkennens, 1893, I, p. 84; Condillac, Traité des sensations, 1886,
p. 15, 45 (v. dinamismo, energismo, meccanismo, materia). 539
Imr Imperativo. T. Imperatir ; I. Imperative; F. Impératif. Una
proposizione che esprime una determinazione della volontà sia mediante una
formula (tu deri), sia per mezzo dol modo imperativo di un verbo, I comandi-o
imperativi sono per Kant di due specie: ipotetici, quando consigliano un'azione
come mezzo per ottenere un dato fine: categorici, quando enunciano un’ azione
buona per sè stessa, che ha cioè un valore intrinseco e deve quindi compiersi
indipendentemonto da qualsiasi altra considerazione. Gli imperativi ipotetici
possono poi alla lor volta essore problematici © axsertori: i primi sono delle
regole, che esprimono nn fino che può essere proposto, ma non necessariamente,
i s0condi non sono che consigli, ed enunciano un fine che non è necessario ma
che tutti si propongono. L’imperativo categorico, in cui la leggo morale si
esprime, non è nè una regola nò un consiglio ma un ordine, quindi è apodittico,
vale a dire incondizionato 0 assoluto; esso nou nasce dall'esperienza, ma è un
fatto della ragiono, è I’ elemento a priori della moralità, la forma che tutte
le nostre azioni debbono rivestire perchè abbiano il nome di morali; la sua
formola è: opera in modo che la massima della tua azione possa diventare una
norma universalo di condotta. Ma l'esistenza d’ una legge assoluta implica
nella natura l'esistenza di un qualche cosa di valore pure assoluto, che cioè
8’ imponga sempre come fine; ora questo qualche cosa à appunto l’uomo, come
l’unico essere ragionevole della natura, o quindi la forma dell’ imperativo
categorico si può modificaro così: agisci in maniera da trattar sempre
l'umanità como fine, e di non servirtene mai como mezzo 0 strumento. Ma perchè
la volontà non accetti la legge spintavi da alcun altro interesse, occorre che
tale leggo essa stessa la dia a sè, che sia cioè autonoma; da ciò la terza
forma dell’ imperativo categorico : agiaci in maniera che la tua volontà possa
considerarsi da νὸ come dettatrice di leggi naturali. Por Fichte l'essenza
dell’ Lo è l'atto Imp 540 rivolto in sò stesso ο determinato da sò
stesso empirica con tutti i suoi oggetti nou è che il materiale per l’attività
della ragion pratica, è l'Io che esplica la sua tendenza n crearsi un limite,
che esso supera, per obbiettivarsi; quindi l'essenza dell’ Io è l autonomia
della ragione pratieu ο culmina noll’imperativo categorico, in quanto tntto ciò
che esiste non può concepirsi che per ciò cho deve essere, è il materiale
sensibilo del dovere: Non appena Io è posto, tutta la realtà è posta; tutto
devo osser posto nell’ Io; l'Io deve ossero assolutamento indipendente, ma ogni
cosa deve da lui dipendero. E dunque richiesto l’accordo degli oggetti con
l'Io; o l’assoluto Io, appunto per il suo assoluto casero, è cid che esso
richiede, l'imperativo categorico di Kant ». Quindi Fichte accetta l'imperativo
catogorico kantiano nolls formula opera secondo la tua coscienza », come punto
di partenza per una dottrina morale, cho deduco i doveri dal contrasto dell’
impulso naturale e di quello morale, che si presenta in ogni lo. Cfr. Kant, rit. d. prakt.
Vern., 1898, p. 22; Fichte, Grundlage d. ges. Wissonackafislehre,.1802, p. 240;
Cresson, La morale de Kant, 1897, p. 1-50. Impersonale. I. Unpersönlich; I. Impersonal; F.
Impersonel, Obbiettivo, imparziale, non individuale. Dicosi teoria della
ragione impersomale, quella cho ammetto che la ragione d’ ogni individuo non è
che il riffesso di una Ragiono univorsale alla quale esso partecipa; questa
Ragione può essero intesa como trascendente, ο in tal caso è la stessa Di nella
quale lo verità eterno sono sempro sussistonti, o como immanente in quanto è In
stossa in tutti e non è propria di ciascuno, ossia è in ciascuno,
ossenzialmente, In concezione dell’ infinito, dell’ universale, dell’
immutabile. Impersonalismo. 'T. Impersonaliemus; I. Impersonaliom; F.
Impersonalisme. Dottrina che nega ο distrugge la personalità. Alcuni filosofi,
fra cui il Renouvier, danno 541 Imp questo epiteto alla filosofia
evoluzionistica, la quale nega la personalità ponendola come transitiva (v.
personaliamo). Implicito. T. Mitinbegrifen; I. Implicit; F. Implicite. Si
oppone a eeplicito © a formale, e designo una noziono © un giudizio che sono
contenuti in un’altra nozione e giudizio, senza essere formalmente espressi. I
giudizi impliciti ο complessi, detti anche esponibili perchè si possono rendere
espliciti, possono assumero varie forme: esclusivi, ecoottuativi, comparativi,
redaplicativi, determinativi e esornativi. Dicesi contraddizione implicita
quella che si riconosce deducendo dalle proposizioni formulate una
contraddizione nei termini. Nella terminologia scolastica impliite © explicite
valgono quanto confuse © distincte: così le note essenziali dell’uomo si
conoscono implicite nel definito homo, ed explicite nella detinizione animale
ragionerole; negli atti della volontà le due stesse parole equivalgono a
directe e indirecte: chi vuole bere troppo vuole 1’ ubriachezza implicite, chi
vnol bere per ubriacarsi vuole l’ubriachezza stessa explicit Impossibilita v.
possibile. Impressione, T. Eindruck, Reiz; I. Impression, Feeling: F.
Impression. Si snol distinguero 1’ impressione dalla sensazione: quella è il
semplice fatto fisiologico della eccitazione di un organo di senso in seguito
all’azione dello atimolo, «esta è Il fatto di coscienza che aogne all’ eccitazione
modesima. Talvolta si usa invece di cocitazione: tal’ altra, specie nel
linguaggio comune, si usa per opposizione a riflessione ο a giudizio, per
indicare uno stato complessivo di coscienza, presentante un tono affettivo
caratteristico, che risponde a una azione esteriore: n questo uso si
ricollegano i termini imprersioniemo © impressionista. In un senso analogo, per
impressione #’ intende qualche volta I’ impronta fatta dagli oggetti esteriori
sulla coscienza: Corpus Aumanum, dice in tal senso Spinoza, multa pati potent
mutationes, et nihilo minus relinere obiectorum Impressionen veu Imp 542
vestigia el consequenter casdem rerum imagines, Hume oppone
l’impressione, considerata como presentazione, alla idea, considerata come
rappresentazione: la prima d il fatto di coscienza che si presenta per la prima
volta, la seconda è il riprodursi dol fatto medesimo: Sono improssioni, egli
dice, tutte lo nostre sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro
prima comparsa nello spirito ». Tutte le rappresentazioni derivano dalle
impressioni, dalle quali ei distinguono soltanto per un minor grado di
vivacità; perd le impressioni possono essere di due specie, ciod originali ο
riftessive, a seconda che sono impressioni di sensazioni o impressioni di
passioni : Le impressioni originali ο impressioni di sensazioni sorgono nello
spirito senza nessuna percezione autecodente, dalla costituzione del corpo,
dagli spiriti animali ο dalla applicazione degli oggetti agli organi esterni.
Lo impressioni secondario ο riffessite derivano da alcune di codeste
impressioni originali o immediatamente per l’interposizione della loro idea ». Cfr. Spinoza, Ethica, 1. III,
post. II; Hume, Treatise on human nature, 1874, I, sez. I. Impulso. T. Trib, Impuls; I. Impulse; F. Impulsion, In
un senso generale, il Destutt de Tracy lo definisco como «la proprietà per cui
i corpi, quando sono in movimento, comunicano il proprio movimento ogli altri
corpi che incontrano ». In senso psicologico, per impulso s' intendo
comunemento una spinta irriflessa ο irrefrenabile ad agire: in questo senso si
parla di atti impulsivi, caratteri impuleiri, ecc. In un senso più ristretto,
l’impulso è l’inizio d’ ogni atto volontario positivo, il comando volontario
onde l’idea si traduce in movimento. Se esso è in eccesso ο in difetto si
hanno, secondo il Ribot, due forme anomale del volere: nel primo caso le forme
d’ impulsività irresistibile, cosciente © incosciente, nelle quali l'individuo
è como trascinato da un volero diverso dal suo, e al qualo, in taluni casi,
vorrebbe, ma non può resistere; nel secondo caso le varie forme doll’ abulia,
dell’ agorafobin, della follin del dubbio,
543 Txp-Inc in cui l'individuo è
incapace di mnovere la propria volontà. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, p. 35
segg., 71 segg. Imputabilità. T.
Zurechendarkeit; I. Imputability; F. Imputabilité, Si confondono spesso la
colpabilità © la responcon In imputabilità. Questa pnd essero intesa in due
modi: 1° ciò che permette di stabilire il conto d’un agente; la responsabilità
si riferisce, in questo senso, al carattere dell’agente, l’imputabilità implica
in più la considerazione dell’atto © quella dell’ intenzione; 2° ciò che
costituisce pro-priamento il rapporto dell’ atto all’ agente, astrazion fatta,
un lato, del valore morale di questo, e, per l’altro, della sanzione che può
seguirno. Cfr.
J. Hoffe, Die Zurechnung., 1877; Landry, La responsabilité pénale, p. 118 ogg. (v. delitto, pena, responsabilità). In adjeoto.
Termine della scolastica, con oui nella logica ai designa quella forma di
contraddiziono, cho esiste fra il sostantivo e la qualità che gli viene
attribuita. Corì, secondo alcuni filosofi, la dottrina che sostiene l’
esistenza dei fatti psichici incoscienti è una contraddizione in adjeoto,
poichè ogni fenomeno psichico, in quanto tale, à necessariamento avvertito dal
soggetto, ossia è cosciente. Cfr. (ioelenio, Lezicon phil., 1613, p. 983.
Inane. In Lucrezio significa vuoto, ed è, come in Epieuro, sinonimo di spazio e
di luogo. Infatti secondo gli atomisti lo spazio à, come la materia, un reale:
à il puro luogo o l'estensione pura dove i corpi materiali, che sono estesi,
possono trovar posto, ciod possono estendersi. Vuoto © materia sono due realtà
fondamentali opposte : I’ essonzu del primo consiste nella penetrabilità, nella
intangibilità, l’essenza della seconda nella impenetrabilità e nella
tangibilità (v. epieuroismo, vuoto). Incertessa. T. Ungewissheit; I.
Unoertainty; F. Incertitude. Non bisogna confonderla col dubbio © colla
probabilità. L'incertezza è quello stato mentale in eni trovasi Inc 54 la
mente quando ragioni contrarie si disputano l’ assenso, © quando l’assenso
stesso non è che provvisorio ο accompagnato da timore di sbagliare. Se fra
queste ragioı contrarie esiste perfetto equilibrio, allora si ha il dubbio; se
una ha qualche preponderanza sulle altre, si ha la probabilità (v. oertessa).
Incettive (proposizioni). F. Propositions inoeptives. Quelle proposizioni
composte, implicite o esplicite, le quali affermano che un dato predicato
appartiene ad un dato sug‘getto, © che esso ha cominciato ad appartenergli ad
un termina o spiega il significato, ο si può ο non si può tosi può togliere l’
inciso diconsi determinatire; quelle che gliere diconsi esornatice. . T.
Neigung; I. Inclination; F. Inclina. Si può definire come la tendenza spontanea
ο costante la definisce: determinatio generalis appetitus ab aliquie zioni: le
egoistiche, o personali ο individuali, che mirano soltanto all’appagamento dei
propri desideri; lo altruiatiche, rivolte al bene altrui; le superiori, cho
hanno per oggetto dei fini impersonali, © possono essero estetiche,
scientifiche, morali, religiose. Malebranche no distinguo tre specio, cho αἱ
trovano più o meno in ogni uomo: 1° I clinazione per il bene in generale, che
costituisce il principio di tutto lo nostre inclinazioni naturali, di tutte
nostre passioni ο persino di tutti gli amori liberi della nostra anima, perchè
da questa inclinazione per il bene in generale ricaviamo In forza per
sospendere il nostro consenso riguardo a beni particolari »; 2° 1’ inclinazione
per 545
Inc la conservazione del nostro essere; 3° l’inclinazione per le altre
creature, che sono utili a noi stessi o a quelli che amiumo. Kant distingue
l'inclinazione «dalla propensione (Hang): questa è la possibilità soggettiva
del sorgere di un dato desiderio, che precede la rappresentazione del suo
oggetto; quella è il desiderio che abitualmente occupa un individuo; in altre
parole, la propensione è la predisposizione a desiderare un piacere, che,
dopochà è stato sperimentato dal soggetto, produce 1’ inclinazione. Analoga
distinzione si fa tra inclinazione e istinto : questo consiste nella immediata
suggestione di atti o di sentimenti determinati, anche senza la coscienza del
fine a oni mirano; quella pone un fine, in modo più o meno determinato, senza
che vi sia necessariamente la rappresenta zione dei mezzi da impiegare per
raggiungerlo. Si distingue infine l'inclinazione dalla passione, in quanto
questa è una delle forme intense di quella, ed è caratterizzata dalla rottara
dell'equilibrio che esiste normalmente nell’ insieme delle inclinazioni umane.
Cfr. Wolff, Phil. practica, 1739, vol. II, $ 985; Malebranche, Rech. de la
rerité, IMI, 11; Kant, Anthropologie, 1800, v. 78 (v. attitudine, tendenza).
Incommensurabile. T. /ncommensurabel ; 1. Incommensurable; F. Incommensurable.
Due grandezze diconsi incommensurabili quando non hanno una misura comune,
quando non possono essere espresse in funzione della stessa unità, quando non
esiste alcun numero, nè intero nè frazionario, il quale, essendo contenuto un
numero intero di volte nelluna, sia contenuto un numero intero di volte anche
nell'altra. Siccome quanto più l’unità presa a misura è piccola tanto
maggiormente essi s'accosta alle quantità incommensurabili, così si può dire
che due quantità incommensurabili hanno per comune misura una quantità
infinitamente piccola (v. infinitesimale, integrale). Inconcepibile. T.
Unbegreifbar: I. Inconceivable; Inconcerable. Termine usato specialmente dal
Reid, da 35 RavzoLI, Dizion. scienze
filosofiche. Ixc 546 l Hamilton e dallo Stuart Mill; indica in
generale ciò che la mente non può rappresentarsi. Si distingue
dall’inintelligibile, che è ciò che non soddisfa la ragione, quantunque sia
perfettamente concepibile, e dall’ inconoscibile, che è ciò che, per sna
natura, trovasi fuori della sfera d’ ogni conoscenza possibile. Alcuni filosofi
intendono per incomprensibile ο inconcepibile cid che è ultimo, quindi
irreduoibile ; così i concetti supremi della scienza, essendo ultimi, resistendo
cioè ad ogni ulteriore analisi, riduzione ο ragionamento, sarebbero per sè
inconcepibili, quantunque mediante essi ogni cosa si renda concepibile. Quanto
alla distinzione dell’ irreducibile ο inconcepibile dall’ inconoseibile, essa
non è adottata da tutti i filosofi; mentre per V Hegel, ad es. l'essere è
l'assoluto incomprensibile in quanto è presuppostò da tutti i concetti (da
tutte le determinazioni logiche) ma non presuppone nessun altro concetto, è poi
= lo stesso essere -l’ assolutamente oonoscibile come risultato dell’ assoluto
processo logico, analitico e sintetico: per lo Spencer, invece, i concetti
ultimi delle scienze (spazio, tempo, materia, forza, coscienza) sono
inconoscibili perchè inconcepibili, e non costituiscono che dei simboli o segni
di un quid, che non si sa che cosa sia. Cfr. J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. VI;
Spencer, Prine. of paychol., 1881, vol. II, p. 406 seg. (v. assoluto, agnosticixmo, inconoscibile, noumeno).
Incondizionato. T. Unbedingt: I. Unconditional, Unconditioned; F.
Inconditionné. Ciò che non è soggetto ad alcuna condizione, e che quindi ha in
sè stesso le ragioni di essere, © di essere ciò che è, Tuttavia il termine che
fu introdotto nel linguaggio filosofico dell’ Hamilton, come comprendente i
significati di infinito e d’ assoluto è anche usato in senso relativo, per
designare il rapporto di condizione a condizionato esistente fra due fenomeni,
che non sono poi condizionati da un altro fenomeno, di cui siano effetti
collaterali. Per I’ Hamilton invece I incondizionato 547
Inc oppone ul condizionato, ο condizionalmente limitato, il cui
contradditorio, cioè l’incondizionalmente limitato, inchinde evidentemente due
casi : 1’ incondizionalmente limitato ossia l'assoluto, e l’ incondizionalmente
illimitato ossia V infinito: Quattro opinioni, dice l’ Hamilton, si possono
enumerare riguardo all’ incondizionato come oggetto immediato di conoscenza e
di pensiero: 1° L'incondizionato è inconoscibile ed inconcepibile, essendo la
sna nozione puramente negativa del condizionato, il quale soltanto può essere
in modo positivo concepito ο conosciuto. 2° Esso non è oggetto di conoscenza,
ma la sua nozione, come un principio regolativo della mente stessa, è più di
una mera negazione del condizionato. 3.° Esso è conoscibile ma non concepibile;
può essere conosciuto mediante uno sprofondarsi nell’identitä dell’ assoluto,
ma è incomprensibile per la coscienza e per la riflessione, che sono soltanto
del relativo ο del differente. 4° Esso è conoscibile e concepibile dalla coscienza
e dalla riflessione, sotto la relazione, la di ferenza ο In pluralità ». L’
Hamilton afferma la prima di queste quattro opinioni, considerando l'infinito e
l’ assoluto, cioè Dio, come impensabili e oggetto solo della certezza morale,
che dà la credenza; pensare è infatti condizionare, il pensiero non può
trascendere la coscienza, la è possibile soltanto sotto le antitesi di un
soggetto e di un oggetto del pensiero, conosciuti solo in correlazione e
limitantisi a vicenda; poichè tutto ciò che noi conosciamo del soggetto e dell’
oggetto è solo, in ciascuno la conoscenza del differente, del modificato, del
fenomenale ». Perciò la filosofia non può essere che una filorofia del
condizionato. la quale nega all’ uomo la conoscenza sia dell’ assoluto sia
dell’ infinito, © sostiene che tutto ciò che noi immediatamente conosciamo, ο
possiamo conoscere. è soltanto il condizionato e il relativo, il fenomenico, il
. La dottrina del condizionato è una filosofia che professa la relntività della
conoscenza, ma confessa I’ assoluta Inc
548 ignoranza ». Questo
agnosticismo dell’ Hamilton fu messo poi a servizio della teoria della
rivelazione dal Mansel, che considerò i dogmi come affatto inconcepibili per la
mente umana; ed esercitò In sua efficacia anche in altri indirizzi filosofici
dell’ Inghilterra, per esempio sulla dottrina dello Spencer e sui
rappresentanti del positivismo. Cfr. Hamilton, Discussions on philosophy, 1852, p. 12-14;
Stuart Mill, La philosophie de Hamilton, trad. franc. 1869, p. 4 sogg.; Monk, Sir W.
Hamilton, 1881, p. 83 segg.; Mansel, The limite of religious thought, 1858 (v.
condizione). Inconoscibile. T.
Unerkennbar ; I. Unknowable; F. Inconnaissable. Ciò che per sun natura non può
essere oggetto di conoscenza. Si distingue dall’ ignoto, che è lo sconosciuto ©
può sempre divenire oggetto di conoscenza; dall’ inintelligibile, che è ciò che
non soddisfa In ragione ; dall’ inconcepibile, che è ciò che non si può nemmeno
pensare. L’ inconoscibile è invece ciò che, pur essendo reale, sfuggirebbe per
ipotesi a tutti i modi della conoscenza, sia intuitiva, sia discorsiva, sia
immediata, sia mediata, sia fondata sulla coscienza e sull'esperienza, sia
fondata sul ragionamento. Per alcuni l’affermazione della realtà dell’
inconoscibile è assurda, tale affermazione racchiudendo già una qualche
conoscenza di ciò che è dichiarato inconoseibile; altri ne ammettono la
legittimità, osservando che, allorchè si afdi non veder nulla nella notte
completa o nella luce accecante, si sa pure che la notte e lu luce esistono ; altri,
come l’Ardigò, lo respingono sia perchè ricavato da una errata concezione della
relatività della conoscenza (ogni stato di coscionza essendo per sd stesso una
cognizione, che non diventa relativa se non a posteriori, ciod dopo che
l'esperienza associatrico ha costituito i due concetti opposti del me e del
non-me) sia perchè il preteso inconoscibile si risolve nell’ iguoto, ossia nel
generico mentale dato dalla owervazione e ricorrente per associazione colla
rappresentazione della realtà; altri infine, come il Berg 549 Isc son, sostengono che essendo l’ universo
della stessa natura dell’Io, è possibile conoscerlo mediante uno sprofondamento
sempre più completo in sò stessi, cioè con una conoscenza che coglie il suo
oggetto dal di dentro, che l’appercepisce tal quale ϱ) appercepirebbe esso
stesso ne c la sua esistenza non facessero che una sola ο medesima cosa, © che
è quindi una conoscenza nssoluta, una conoscenza d’assoluto ». Lo Spencer pone
a base del suo sistema l’inconoscibile, che egli considera come una realtà,
ricavandolo dai quattro modi della relatività del pensiero: 1° la cognizione di
un dato consiste nel suo riferimento ad un genere superiore; ora, perchè
possiamo conoscere il dato del genere massimo al qualo arriviamo, è necessario
cho tale genere non sia riferibile ad uno superiore, sia cioè inconoscibile; 2°
la cognizione di un dato implica che se ne pensi la relazione, la difterenza e
la somiglianza con altri dati; ora, siccome In causa, l'infinito e 1’ assoluto
non possono essere comparati ad altro perchè unici, così sono inoonoscibili ;
3° la cognizione di un dato implica il riferimento di un soggetto ad un
oggetto, quindi, se la manifestazione soggettiva appare relativa alla
oggettiva, © questa a una condizione sua non conoscibile, ne segue che I’
inconoscibile è la condizione della conoscenza; 4° le sensazioni non sono che
un semplice relativo ad un diverso che ne è causa; ne viene la conseguenza che
tale diverso, del quale non possiamo conoscere che 1’ effetto in noi, è un
inconoscibile. Cfr.
Spencer, First principles, 1900, cap. IV; Id., Princ. of poychology, 1881, cap.
XIX; W.
James, À world of pure experience, Journal of philosophy », sett.-ott. 1904;
Bergson, Introd. à la métaphysique, Revue de métaph. >, gennaio 1903 ; J. Laminne, La philos. de
Vinconnatssable, 1908 : 8. De Dominiois, La dottrina dell'evoluzione, 1881, p.
56 segg.; Mor-, I conostti ultimi della rel. e della fil. secondo E. Spencer, Riv.
di fil. scientifica », genn. 1884 ; G. Carini, II problema Inc 550
dell inconosoibile nella fil. scientifica, Id. », dic. 1891; Ardigò,
L'inconoscibilo di H. Spencer, in Op. fil., II, p. 239 segg.; Id., La dottrina
spenceriana doll’ inconoscibile, Ibid., VIII, p. 18 segg.; Id., It noumeno di
Kant ο U inoomoscibile di H. Spencer, Ibid., p. 117 segg.; C. Ranzoli, La
fortuna H. Spencer in Italia, 1904, p. 41-60 (v. agnostioiemo, inconcepibile,
incondizionato). Incosciente. T. Unberwsst; I. Unconscious; F. Inooseient.
Parola di valore molto vario, tantochd Willy Hellpach ne enumera otto
significati. Nel suo senso più generale si dice d’ogni essere che non possiede
alcuna coscienza, ad es: gli stomi materiali, i vegetali, ecc. In senso morale
si dice d’un uomo incapace di riflettere, di ripiegarsi su sè stesso, di
rendersi conto di ciò che fa © delle conseguenze dei propri atti. In senso
scientifico si dice di quei fatti psicologici che, come i sociali, i giuridici,
gli estetici, eec., possono essere studiati al di fuori della coscienza, come
cose, perchè s’ impongono alla coscienza di ciascuno e sono soggetti ad un
determinismo. In senso psicologico s’applica a quei fenomeni ο processi
psichici, non sono avvertiti dall’ individuo in cui si svolgono; questi
processi molti psicologi contemporanei attribuiscono una grande importanza,
spiegando con essi la telepatia, il medianismo, l’sutomatismo, i sogni, le
dissociazioni della personalità, ecc. Si confonde spesso l incosciente col
suboosciente, generando non pochi equivoci : il subeoseiente è propriamente ciò
che è oggetto di coscienza debole e perciò sfugge, oppure ciò che attualmente
non è avvertito dal soggetto, ma che il soggetto stesso può affermare come tale
che fu cosciente nel passato, sia perchè diviene chiaramente cosciente in
séguito, sia perchè riconosciuto come la condizione di fatti successivi
chiaramente coscienti ; Vincosciente è invece ciò che sfugge interamente alla
coscienza, che è radicalmente inconscio, anche quando il soggetto cerca di
coglierlo © vi applica la propria attenzione.
551 Inc Così inteso, possiamo
distinguere con il Dwelshauvers sei grappi di fatti psichici ai quali si
applica l'appellativo di incoscienti: 1° L’inconsciente nell’ atto del pensiero
(ad es. l’attività sintetica che trasforma le sensazioni in rappresentazioni, e
queste in concetti); 2° L’ incosciente della memoria nella percezione ; 3° L’
incosciente della memoria per impressioni e sentimenti latenti (ad ex. il
motivo che fa apparire un dato ricordo e non un altro, rimane incosciente); 4°
L’ incosciente dell’ abitudine ; 5° L’ incosciente della vocazione
(disposizione a un’arte, a un mestiere, manifestantesi imperiosamente nell’
infanzia); 6° L’ incosciente nella vita affettiva. Ma altri psicologi, sia
fenomenisti sia spiritualisti, ammettono che ogni fatto psichico, anche della
natura più elevata, può sussistere allo stato incosciente; i primi però, dal
Carpenter in poi, cercano di ricondurli al fatto fisiologico, al chimismo
nervoso, alla cerebrazione incosciente. I fenomenisti si fondano, in generale,
su questi fatti: 1° alcune volte ci sentiamo o tristi o lieti senza avvertirne
il motivo; riflettendo, scopriamo poi codesto motivo, che esisteva dunqne anche
prima di essero avvertito allo stato incosciente; 2° la soluzione d’ nn
problema o @’ una questione è apparsa alcune volte improvvisamente al pensiero
degli scienziati; ciò vuol dire che tale soluzione è scaturita da un lavoro
mentale incosciente; 3° alcune volte, discorrendo o pensando, si giange a
conclusioni di cui non si avvertono le premesse; ciò significa che codeste
premesse esistono, ma allo stato incosciente; 4° nn’ idea, presente, al
sopraggiungere di altre idee scompare per poi ricomparire nuovamente: non
avrebbe potato se in tutto questo tempo non avesse continuato ad esistere allo
stato incosciente. A ciò si suole rispondere genericamente che la coscienza non
è gid un epifenomeno, un qualche cosa che s’agginnge al fatto psichico ο pnd
anche mancare, ma è il carattere essenziale dei fatti psichici, cosicchè fatto
psichico vuol dire fatto cosciente: porInc
552 ciò l’espressione fatti psichici
incoscienti » è assurda come quella di vita morta, movimento fermo, ecc. Questa
opinione è ammessa anche dagli spiritualisti, i quali però negano che la
coscienza sia il carattere distintivo di tutto ciò che è psichico; infatti l’
anima, secondo essi, esiste al di fuori dei fenomeni, come principio non solo
dei fatti psichici ma anche di tutta la vita animale, cosicchè le operazioni
profonde dell’ anima, essendo pur sempre di natura psichica, dovranno sfuggire
alla coscienza, Il Leibnitz, con la sua teorin delle petites perceptions
incoscientes fu il primo a impostare nella tilosotia il problema dell’
incosciente. Bisogna considerare, egli dice, che noi pensiamo, tutto in un
tempo, ad una grande quantità di cose, ma non porgiamo attenzione sc non ui
pensieri più distinti; nè potrebbe essere altrimenti, chè se tenessimo conto di
tutto, dovremmo pensare attentamente ad una infinità di cose nello stesso
tempo, che seutiauo ugualmente e fanno impressione sui nostri sensi. E non
basta: qualcosa rimane di tutti i nostri pensieri passati, e nessuno di essi
potrebbe mai venire cancellato completamente. Ora, quando dormiamo senza aver
sogni, o quando siamo storditi da qualche colpo, da una caduta o da qualche
altro accidente, si forma in noi una quantità di piccole percezioni confuse; e
la morte stessa non potrebbe avere effotto diverso sulle anime degli ani-, le
quali debbono senza dubbio prima o poi ripigliare percezione distiuta ». Tutte
le impressioni hanno il loro effetto, ma non tutti gli effetti son sempre
osservabili ; così, quando mi volto da un lato piuttosto che da un altro, è
xpesso a cagione di un complesso di piccole impressioni, di cui nou ho
coscienza, le quali rendono un movimento un po' più malagevole di un altro.
Tutte le nostre azioni indeliberate resultano da un concorso di piccole
percezioni, dalle quali anche procedono le nostre abitudini e passioni, che
hanno tanta influenza sulle nostre deliberazioni; queste disposizioni
percettibili si formano a poco a poco, e senza
558 Inc le piccole percezioni
inafferrabili non le avremmo in nessun siero privo d’ogni coscienza: è così
assolutamente inintelligibile dire che un corpo è esteso senza parti, come dire
che qualche cosa pensa senza averne coscienza ». Anche per Kant avere delle
rappresentazioni e non averne coscienza, sembra una contraddizione, perchè come
sappiamo di averle senza esserne coscienti ? » Però egli ammette che possiamo
avere una coscienza indiretta di certe rappresentazioni; egli le chiama
rappresentazioni osoure. Per 1 Herbart esistono delle rappresentazioni
assolutamente in-, sprofondate sotto la soglia della coscienza. Per V Hartmann
1’ Incosciente è una vera realtà, anzi 1 essenza della realtà, il principio
unico comune, attivo ed intelli gente insieme, che si manifesta nella materia e
di cui gli non sono che l'apparenza; per rapporto a noi esso è incosciente, in
sè è supracosciente. Del resto, con V espressione Incosciente » l’ Hartmann
intende anzitutto l’attività psichica in genere, in quanto resta fuori della
sfera della, coscienza, ο più propriamente 1) unità del rappresentare © del
volere (alle quali due attività si riducono secondo lui le funzioni psichiche)
in quanto sono inconsapevoli, e perciò anche I’ unico soggetto degli atti psi
chici inconsapevoli; ma questo soggetto, essendo uno solo non pure per ciascun
individuo, rua anche per tutti gli individui, ne viene che I’ Inconscio » da
ultimo risulta essere non tanto I’ astratto di tutti i soggetti psichici
inconsapevoli e il nome collettivo di questi, quanto piuttosto l’unico
principio sostanziale di cui i singoli non sono se non manifestazioni
fenomeniche. Secondo il Paulsen V essenza delle rappresentazioni incoscienti
sta nella possibilità di divenire coscienti. Sono potenzialmente percezioni
interne, proprio come i momenti fisici che sono peresterne potenziali >.
Secondo l’Ardigò, fatto psichico essendo sinonimo di fatto cosciente, poichè il
fatto psichico è l’avvertimento di una modifienzione, dire fatto psichico
incosciente val quanto dire vita morta 0 movimento fermo. Anche W. James si
schiera contro i sostenitori dell’ incosciente, combattendo i dieci presunti
argomenti o gruppi di argomenti che sono stati addotti in sostegno di esso.
Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 77, 80; Locke, Essay, 1. II, cap. I, sez. 19; Kant,
introp., I, $ 5; Hartmann, rit. Grundlegung d. transo. Realismus, 1886, p. 70;
Id., Philosophie de l'incoscient, trad. franc. 1877, vol. II, p. 287 segg.; A.
Faggi, Filosofia dell’ incosciente, 1900; F. Bonatelli, La filosofia dell’ inconscio
di E. von Hartmann, 1876; Paulsen, Einleitung in die Philos., 1896, Ρ. 127 segg.; Willy Hellpach, Unberousstes oder
Wechaelioirkung, Zeitzchr. für Paychol. », XLVIII, p. 238; Patini, Coscienza,
nubooscienza, incoscienza, Riv. di psicol. applicata », VI, 1910, p. 24; W.
James, Prine. of Payohol., I, cap. VI;
Dwelshanvers, La ayntése mentale, 1908, p. 78-1145 Ardigò, Op. fil., V, p. 56
segg. (v. automatismo, dissociazione, subcosoienza, subminimale). Indefinibile.
T. Unerklärlich, unbestimmbar ; I. Undefinable; F. Indéfinissable. Un’ idea,
una nozione, un oggetto possono essere indefinibili in senso assoluto e in
senso relativo. Sono assolutamente indefinibili i dati della sensibilità,
perchd del tutto soggettivi e incomunicabili ; le idee più generali ed
astratte, che si possono spiegare soltanto per mezzo delle idee opposte ο degli
esempi; i concetti astratti semplici, che non includono nè genere nè
differenza. Sono indefinibili in senso relativo quegli oggetti delle scienze
sperimentali, che, allo stato attuale del sapere, non sono ancora conosciuti in
modo sicuro e preciso, © quelle nozioni che posseggono un numero grandissimo di
note di uguale importanza, cosicchè riesce impossibile enunciarle nel
definiente in modo da individuare il definiendo (v. definizione). Indefinito.
T. Unbegrenzt, unendlich; I. Indefinite; F. Indifini. Si oppone a finito e si
distingue da infinito. In 555 Inp fatti
da Cartesio in poi per indefinito si intende ciò che non ha limiti assegnabili,
sia relativamente a noi, sia nella natura delle cose stesse; ciò che col
pensiero si può moltiplicare o dividere, estendere o restringere, senza trovar
mai alcun ostacolo cho possa arrestare tali operazioni; quindi il definito è
ciò di cui il limite © la forma sono ο possono essere fissati. Per infinito si
intende invece ciò che manca affatto di termine, di fine, ciò di cui non solo
non si possono assegnare i limiti, ma che ha appunto per carattere ο natura di
non soffrire limitazioni. Distinguo inter indofinitum οἱ infinitum, dico
Cartesio, iludque tantum proprie infinitum appello, in quo nulla ex parte limites
inveniuntur, quo sensus solus Deus est infinitun; illa autem, in quibus sub
aliqua tantum rationem finem non agnosco, ut ertensio epatit imaginarii,
multitudo numerorum, divieibilitas partium, quantitatia ct similia, indefinita
quidem appello, non autem finita. quia non omni ex parte fine carent. L'
indetinito di Cartesio è dunque un infinito parziale e relativo, che si
contrappone alla infinità totale ed assoluta di Dio. Una distinzione in parte
analoga si trova in Spinoza, che tra l’assoluta infinità di Dio e il finito
pone come termini intermedi, che li colleghino, i modi infiniti, che
partecipano dell’ infinito e del finito ad un tempo; questi modi, ad es. lo
spazio, sono infiniti solo sotto un certo aspetto, mentre Dio è infinito sotto
tutti gli aspetti, in tutti i suoi attriDuti, ene absolute infinitum, hoo est
eubetantia constane infinitie attributie, quorum unnmquodque aelernam et
infinitam cesentiam exprimit. Secondo il Renouvier, 1’ indefinito è V infinito
in potenza e in quanto tale s’ oppone all’ infinito in atto: Per opposizione
all'infinito attuale, 7’ infinite dei possibili è ciò che si chiama indefinito
». Lo spazio, sccondo alcuni, è infinito, perchè non si potrebbe concepirlo
come limitato; la serio dei numeri è invece indefinita, perchè l'operazione
mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioè l’aggianta di una unità, è
sempre identica Inp 556 a sò stessa; e pure indefinita è la
divisibilità matematica, giacchè non sono concepibili le parti d’ una grandezza
senza grandezza, nè che sia indivisibile ciò che ha una grandezza. Cfr.
Cartesio, Resp. ad I obi., $ 10; Id., Prinoipia phil., I, 26, 27; Spinoza,
Æthioa, def. VI; Pillon, Année philos., 1890, p. 112; Ardigò, Infinito ο
indefinito, Riv. di filosofia », genn., marzo 1909; R. Menasci, Infinito ο
indefinito in Cartesio, Ibid. », maggio 1911 (v. infinito, indeterminato,
numero). Indeterminato. T. Unbetimmt; I. Indeterminate: F. Indéterminé. Ciò che
può assumere un numero indefinito di determinazioni differenti. Non va confuso
con I’ indefinito, che si dice in special modo della quantità, mentre P
indeterminato si riferisce alla qualità. Un problema è indeterminato quando le
soluzioni soddisfacenti alle condizioni sue sono in numero indefinito. Un
numero è indeterminato quando si sa che è un numero, senza sapere quale numero.
Il Rosmini chiama sofiemi dell indeterminato quelle fallacie che derivano dalla
indeterminazione del soggetto. Tali sono, ad esempio i sofismi che si formano
sulla divisibilità dello spazio, del quale si conclude che è composto di punti
semplici perchè è divisibile all’ infinito; ora, è erroneo supporre che la
divisione indefinita dello spazio debba essere di necessità finita ο infinita,
come è erronea la supposizione che esso sia veramente divisibile, poichè le
parti gliele dà l’uomo con 1’ imaginazione, e con I’ imaginazione può
presentarsi un numero indeterminato di queste parti, cioè un numero finito ma
sempre aumentabile, perohè dopo ogni atto d’imaginazione se ne può fare un
altro. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 71T (v. indefinito). Indeterminismo. T.
Indeterminiemus; I. Indeterminism ; F. Indéterminisme. La dottrina che
considera l’atto volontario come assolutamente spontaneo, come un fenomeno
senza causa. Si oppone al determinismo, che è In dottrina che considera ogni
fatto, compresa la volontà, come legato ai suoi antecedenti da una legge
necessaria e costante. Si distingue, secondo alcuni, dal libertismo, che è la
dottrina che non considera l’atto volontario come un fenomeno senza causa, ma
sostiene essere la volontà stessa una causa prima. Dicesi indeterminiemo
idealistico 1’ indirizzo, rappresentato in Francis dal Bontroux e dal Bergson,
che estende la libertà e la spontaneità anche si fenomeni del mondo fisico,
considerando la necessità naturale e il determinismo scientifico come illusioni
della mente, © riducendo gli stessi principi logioi ad un semplice stromento
soggettivo, col quale cerchiamo di rendere intelligibile la realtà, ponendo in
essa un ordine che corrisponde alle nostre esigenze conoscitive: se si
ammettesse l'impero della causa sn tutto il reale, non si potrebbero spiegare
la varietà, la novità, i processi ascendenti dell’ evoluzione, tutto si
ridurrebbe a combinazioni meccaniche di elementi identici preesistenti; nella
realtà si verificano dunque sintesi creative, produzioni originali, la vita
sussiste per sè, per sò sussiste lo spirito ο l'uno e l’altro principio si
attuano spontaneamente, per un dinamismo che è a loro intrinseco. Cfr.
Boutroux, La contingence des lois de la nature, 1899; Bergson, 1) érolution
créatrice, 1907; A. Levi, L’indeterminismo nella filosofia JSranoese
contemporanea, 1904 ; F. Masci, L’ideatinno indeterminista, 1898; Windelband,
Storia della filosofia, trad. it. 1918, I, p. 423 sogg. (v. autonomia,
contingenza, determiniamo, libero arbitrio, nocessitiemo). Indifferensa. T.
Gleichgültigkeit : I. Indifference ; F. Indifférence. Questo vocabolo ba valori
differenti nella psicologia, nella morale e nella metafisica. Nella psicologia
diconsi stati indifferenti quegli stati psichici che non contengono nè piacere,
nd dolore, nd una mescolanza dell’uno e dell’altro. 19 esistenza di simili
stati è ancora discussa tra i psicologi. Secondo il Reid oltre le sensazioni
che sono gradevoli o sgradevoli, esistono ancora un gran numero di sensazioni
indifferenti. A queste noi prestiamo sì scaraa attenzione, che Inn 558
non hanno nome e sono immediatamente dimenticate, come se esse non
fossero mai avvenute; occorre molta attenzione ai propri stati mentali per
essere convinti della loro esistenza». Anche il Bain ne ammette l’esistenza,
considerando come tipico in proposito il sentimento di sorpresa: Uno stato
affettivo può avere una considerevole intensità, senza essere nè piacevole nè
doloroso; tali stati sono nentri ο indifferenti. La sorpresa è un esempio
familiare. Ci sono sorprese che ci rallegrano, altre che οἱ addolorano; molte
sorprese non producono nè l’una cosa nè l’altra ». Quasi tutte le sensazioni ed
emozioni passano, secondo il Bain, traverso un momento d’indifferenza; fra le
emozioni sgradevoli, l’amore e la gioia del potere hanno delle fasi di puro
eccitamento ; l’amore della madre per il suo bambino è per lungo tempo un puro
stimolante, che assorbe l’attenzione di lei senza arrivare al piacere.
L’Hamilton e il Sully pongono in dubbio l esistenza di tali stati; il Ribot,
dopo aver analizzata la questione, conclude io inelino verso In tesi degli
stati d’indifferenza »; PHöffding invece, dopo aver confutata la tesi,
conclude: La supposizione di stati neutri proviene non solo dal negligere gli
stati più deboli di piacere 9 dolore, ma anche dal confondere uno stato
generale di spirito con l’ effetto prodotto da alcune rappresentazioni ed
esperienze particolari. Molte impressioni e rappresentazioni vanno 9 vengono
senza suscitare sentimenti valutabili © senza avere una influenza ben netta sul
nostro stato affettivo generale, ma questo stato generale è ugualmente
determinato in ogni istante dal predominio sia del piacere, sia del dolore
». Secondo i moralisti antichi esiste
una categoria di cose, che stanno fra le buone e le cattive, lo quali si
possono fare o non fare con uguale sicurezza di coscienza: tali cose indifferenti
gli stoici chiamavano adiafora, 9 designavano col nome di adiaforia lo stato di
indifferenza dell’ anima del saggio, che non prova nè desiderio nd avversione.
Lo stesso stato era anche designato col
559 Ixp nome di apatia e di
ataraseia. Con |’ espressione libertà di
indifferenza si sono intese, nella storia della filosofia, cose ben diverse:
che la volontà è libera di determinarsi senza alcun motivo o ragione; che la
volontà, avendo presenti due beni commensurabili tra loro, può rimanere
indifferente al maggiore o minor valore di essi ed operare senza tenerne conto:
che la volontà ha la libertà di scegliere tra due beni fra loro uguali, ossia
non differenti; che, infine, la volontà posta tra i due ordini
incommensurabili, s’ appiglia all’ uno pur potendo operare differentemente da quello
che fa. Col vocabolo indifferentismo ο dottrina doll’ indifferente (nel senso
di non differente) 8’ intende quella forma attenuata di realismo scolastico,
rappresentata specialmente da Abelardo di Barth, il quale ammetteva come
veramente esistente soltanto il singolo, ma, al tempo stesso, sosteneva che
ogni singolo porta in sè, come determinazioni della sua propria natura, certe
proprietà o gruppi di proprietà, che ha comuni con altri; questa somiglianza
reale, consimilitudo, è 1’ indifferente in tutti questi individui; ο così pure
il geuere si trova indiferenter nella sua specie, e la specie indifferenter nei
suoi esemplari. Nella filosofia dell’
identità dello Schelling, 1’ indifferenza è il pri cipio comune per la natura 9
per lo spirito, per l’ oggetto e per il soggetto, vale a dire per la ragione
obbiettiva e per la ragione soggettiva; esso è perciò la ragione assoluta, che,
essendo il principio più alto, non può essere determinata nò realmente nò
idealmente, e in essa devono cessare tutti quei contrasti, che nel mondo dei
fenomeni hunno origine dal preponderare nei singoli individui del fattore reale
o di quello ideale: Il primo passo alla filosofia, dice Jo Schelling, e la
condizione, senza la quale non si può penetrare in essa nemmeno una volta, è la
veduta, che I’ assoluto Ideale è anche l’assoluto Reale». Cfr. Diogene L., VI,
104; Seneca, Ep., 13, 10; S. Agostino, De 140. arb., 1; Alberto Magno, Sum.
theol., II, qu. 58; Leibnitz, Theodiode, Inp I, $46; Reid, Intel. powers, 1863,
p. 311; Schelling, Säm. Werke, vol. V, p. 353 segg.; Prantl, Geschichte d.
Logik, 1855-70, vol. II, p. 188 segg.; Bain, The emotions and the will, 1865, p. 13: Sully
Peyoology, 1885, p. 449; Ribot, Peychol. des sentiments, 63 ed. 1906, I parte,
cap. V; Héfiding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 380 segg. (v. libertà, libero arbitrio, indeterminiemo,
determinismo). Indiscernibile. T. Ununterscheidbar; I. Indisoernible : F.
Indiscernable. Sono indiscernibili due oggetti del pensiero quando non si
distinguono I’ uno dall’ altro per nessun carattere intrinseco. Secondo il
Leibnitz due esseri reali differiscono sempre per qualità intrinseche, non
possono mai essere totalmente simili, perchè la qualità d’un essere non essendo
altra cosa che la sua essenza, questa perfetta somiglianza non sarebbe altra
cosa, che l'identità; in altre parole, due cose indiscernibili non sono che
una: due cose, per esser due, debbono avere qualche differenza di qualità: Bisogna
sempre che, oltre la differenza di tempo e di luogo, v'abbia un principio
interno di distinzione, ο, sebbene v’ abbiano parecchie cose della medesima
specie, è pur sempre vero che non se ne danno mai perfettamente simili; perciò,
nonostante il tempo e il luogo (cioè a dire la relazione esterna) ci servano a
distinguer le cose che non distinguiamo sufficientemente per sò medesime, esse
non sono meno distinguibili in sò ». In ciò consiste il principio identitatis
indincernibilium, al quale Kant obbietta che due cose, anche perfettamente
simili, non possono confondersi quando non esistano nè nel medesimo Inogo nd
nello stesso istante; la differenza numerica, cioè la ditferenza temporale e
spaziale, basta alla distinzione degli esseri, e senza di essa tutte le altre
non contano nulla. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 208 segg.;
/d., Monadologia, 9; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclami, p. 253 segg. (v.
identità). Individuale. T. Individuelle; I. Individual; F. Individuel. Cid che
appartiene all’individuo. Dicesi individuale
561 Inn il termine che non si può
predicare che d’un solo soggetto; si oppone al termine collettiro, che designa
un tatto composto d’un numero determinato di individui, considerato come
indiviso. Dicesi individuale fl gindizio, in cui il concetto del soggetto è
preso nel senso di unità indivisibile: questo À è B. Può essere tanto singolare
che σοῖlettiro: questo afferma che il prodicato conviene al soggetto solo in
quanto è una totalità numericamente indeterminata © determinata di parti ad es.
tutti gli scolari sono la scolaresca quello che il predicato conviene al
soggetto come unità indivisibile, che non può esser posto nella forma
quantitativa discreta, ad es.: Garibaldi fn il più grande condottiero italiano
(v. generale, universale). Individualismo. T. Individualiomus; I. Individualiem
; F. Individualisme. Indica in generale ogni dottrina e ogni tendenza che
afferma il valore irreducibile dell’ individualità, sin fisica sia morale, In
sua autonomia intrinseca, sin di fronte ai gruppi sociali sia nell’ordine
naturale sia in quello esplicativo. Come tendenza pratica 1’ individualismo può
essero sin manifestazione del carattere personale (ad es. le grandi personalità
dell’arte, della scienza, della politica, eoc.), sia impronta di tutto un
popolo (ad es. i popoli latini) ο di un’ opoca storica (ad es. il
Rinascimento). Come dottrina l’individualismo può essere metafisico,
metodologico, sociologico ed etico. Il primo consiste nello spiegare la realtà
come un insieme di elementi eterogenei, ausaistenti per sè; è sinonimo di
pluralismo. Il secondo è la dottrina che spiega i fonomoni sociali e storici
con le leggi della psicologia individuale, con gli effetti risultanti dalla
attività cosciente degli individui; tale ad es. la dottrina del Tarde, che
considera come fatto sociale elementare limitazione, ossia la comunicazione di
uno stato di coscienza per l’azione di un individuo cosciento sopra un altro.
L’ individualismo sociologico è la dottrina per la quale In società non è fine
a ad stossa, nd atromento d’un fine 36
RANZOLI. Dirion. di scienze Alosofiche. Inn 562
superiore agli individui che la compongono, ma ha per oggetto il bene di
questi, la loro felicità ο il loro perfezionamento: non dunque gli individui
per la società, ma la società per gli individui. L’individualismo etico ο
politico si oppone al comunismo, al socialismo, al collettiviemo, e designa
ogni dottrina sociale e politica che propugnn una maggioro libertà dell’
individuo, una limitazione all’azione dello Stato nella tntela ο nella
protezione dell’ individuo. Condotto alle sue estreme conseguenze, acquista la
forma dell’ individualismo anarchico. Cfr. E. Fournier, Essai sur Vindividwalieme, 1901;
A. Schatz, L’individualismo économique et social, 1908; G. Palante, Combat pour
Pindividu, 1904; G. Calò, 1? individualiemo etico nel oc. XIX, 1906; G. Vidari, 1? individuatiemo nelle dottrine
morali del seo. XIX, 1909. Individuazione (principio di). Lat. Prinoipium
indiciduationis. Il fattore doterminante dell’ individualita, il carattere
intrinseco che costituisce 1’ esistenza individuale. La determinazione del
principio d’ individuazione fa uno dei problemi più discussi, specialmente
nelle scuole realistiche del tredicesimo secolo. Aristotele, per il quale le
cose tutte constano di materia © di forma, fa consistere anche l individuo
nell'unità dell’ una ο dell’ altra, nel ei nolo, com’ egli diceva, dei duo
universali. Però il problema non era in tal modo risolto, e risorgova sotto
altra forma : se l'individuo risulta dall’ intreocio della materia e della
forma, quale dei due fattori è il determinante © quale il determinato, quale,
insomma, il prinoipium individuationie? Per Alberto Magno prima, e per S.
Tommaso poi il principio individuante è la materia, che è incomnnicabile e deve
csistere in un dato tempo e Inogo, mentre la forma è comunicabilo a più
individui; ma non la materia indefinita, bens quella determinata in un luogo ο
in un istante (hic et nunc). Inveco per Duna Scoto ο gli scotisti
l’individunlità non pnd consistere nella materia, come quella che ο 563
Inp è indefinita, o non può distinguere un individuo da un altro, o è
definita per la quantità che ha, e in tal caso V individuazione è fondata sopra
una dimensione accidentale ο mutabile; le vere sorgenti dell’individuazione
stanno nel profondo stesso della essenza, in un’ ultima realitas, che è
indefinibile © che per ciò con parola intraducibile dissero hacocoitas ο
ecceitas. Questa fu contrapposta alla quiddità dei tomisti, che si può inveco
definire. Quanto alla persona umana, mentre il fondamento della sua
individualità è, per i tomisti, nell’intelletto, per gli scotisti invece è
nella volontà, concepita come affatto indipendente sin da motivi esterni, sia
da quelli dell’ intelletto, sia dalla stessa azione divina. Per Npinoza il
principio dell’ individuazione è una limitazione dell’ infinito: omnis
determinatio est negatio. Per Leibnitz consiste nell’ esistenza stessa, che
fissa ciascun essere a un tempo particolare, in un luogo incomunicabile a due
esseri della medesima specie: Il principio d’indiriduasione si riduco negli
individui al principio di distinzione... Se due individui fossero perfettamente
simili ed ugnali, e, in una parola, indistinguibili per sò medesim non ai
avrebbe principio di individuazione; ed oso pur dire che non si avrebbe
differenza individuale o distinzione a’ individui, posta quella distinzione ».
Per Schopenhauer i principt d’ individuazione sono il tempo e lo spazio grazie
ni quali ciò che è simile ed identico nolla sua essenza e nel suo concetto
appare tuttavia come diverso, come multiplo, l'uno accanto all’ altro © l’uno
dopo l’altro: easi sono dunque il principio d’ individuazione ». Cfr.
Aristotele, Metaph., XII, 8, 1074 ο, 33; S. Tommaso, Summa theol., I, + qu. 86,
1; Id., De principio indiriduationie, opp., Romac, 1750, t. XVII; Duns Scoto,
In Hb. sent., 2, dist. 8, qu. 6, 11; Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 209;
Schopenhaner, Die Welt, 1, § 23. Individuo. Gr. "Atopoy; Lat. Individuum Eingelding, Etnsehoesen ; I.
Individual; F. In Indiridunm, du, Nel xuo Inp
564 senso più generalo è
individuo ogni essere distinto da un altro e persistente il medesimo. Quaedam
separari a quibuadam non possunt, cohaerent, individua sunt, dice Senoca. Che
esistano individualità assolute, cioè esseri aventi ognuno in sè la ragiono del
proprio sussistere e persistenti lo medesime eternamente, è ammesso da alcune
dottrine, ad es. l’atomismo, il pluralismo, οσο.’ ed è negato invece dal
monismo, per il quale ogni individnalità è una coordinazione più ο meno
unitaria e sempre transitoria di parti, il cui sussistero ο il cui operare è un
riflesso dell’ ossere e dell’ agire universale. In senso strotto per individuo
#’ intende ciò che vive per sè stesso, ed ha un tale accentramento e
coordinamento di fanzioni, che non può essere diviso in parti senza perdere il
suo nome e lo sue qualità distintivo. Si sogliono distinguere lo condizioni
generali dell’ individualità, ossia i limiti oltre i quali nessuna esistenza
individuale è possibile, da ciò che costituisce il principio stesso della
individuazione detto dagli scolastici principio d’ individuazione © haccceitas
0 quidditas ciò insomma che distingue l’individuo d’ una specie da tutti gli
altri individui della medesima specie. Tale principio d’individuazione varia
col variare delle categorie degli esseri. Infatti, se negli esseri intelligenti
esso consiste nella coscienza della propria persona distinta da qualunque
altra, negli esseri incoscienti è costituito essenzialmente dal punto che essi
occupano nello spazio © dall’istante in cui hanno cominciato nel tempo. Alle differenze
di spazio e di tempo, dette anche difforonze numeriche, si aggiungono poi le
diversità di forma € di natura, onde le condizion generali della vita ο
dell'organismo si realizzano negli individui di una med specio. Nella biologia
la nozione di individuo, che si riconnette ad altri importanti problemi della
biologia gonerale, fu distinta dall'Ilaeckel in tre spocie: 1. individuo
morfologico 0 formale, dato da ogni manifestaziono unitaria di forma che
costituisce un tutto, i eni clementi costituonti Inp 565 non possono separarsi, nè dividersi in
parti, senza sopprimerne il carattere essenziale; 2. individuo fisiologico o
funzionale, detto anche bion, consistento in quella manifestazione unitaria di
forma, che può, per un tempo più o meno lungo, avere in modo perfettamente
indipendente nna esistenza propria, esternata in ogni caso colla più generale
di tutte le funzioni, la conservazione di sè stesso; 3. individuo genealogico,
che non è più, come questi dne, una unità di-spazio ma di tempo, ed è costituito
dalle serie chiusa delle sue variazioni spaziali. Cfr. Ardigd, Opere fil., IT,
233 segg.; VI, 139 segg.; F. Puglia, L’indiriduo in nociologia, Riv. di
filosofia», sett. 1902; G. Brunelli, ZI concetto di individuo in biologia, Ibid.
», nov. 1904; Do Sarlo, La nozione d'individuo. Cultura filosofica », genn.
1908 (v. individuazione, indiscernibili, personalità). Indivisibile. T.
Untheildar; I. Indivisible; F. Indivisible, Nella filosofia aristotelica sono
chiamati indérisibili gli oggetti della cognizione diretta ο sintetica, i quali
si presentano come un tutto senza divisione d’una parte dall’altra;
l'intelligenza è appunto la facoltà di conoscere gli indivisibili. S. Tommaso,
seguendo le traccie di Aristotele, distinguo due scienze: la prima degli
indivisibili, che è poi la cognizione diretta delle essenze © nella quale non
ο) è mai errore, poichè non può esistere il falso nella conoscenza di ciò che è
semplice; la seconda delle cose divise ο composto dall’ intendimento, ed è la
scienza riflessa, poicl V intelligenza riflettendo sulle prime sue percezioni ο
ideo, le analizza 9 compone, ¢ in tali operazioni cade in orrore. Gli
scolastici chiamavano indirisibile quantitatie quello che manea di corpo; i.
secundum quid quello che manca di corpo quanto ad una o ad un’altra dimensione,
come la linen © la superficie; i. simpliciter quello che manca di corpo sin in
sè, sia quanto ad ogni division; i. negatire quello che non ha parti nd può
averle, e é. priratire quello che non ha parti ma può o deve averle. 566
Indusione. Gr. Ἐπαγωγή: Lat. Induotio; T. Induction ; 1. Induotion; F.
Induction. Nel suo significato più ampio è quel procedimento di riduzione dalle
conseguenze al principio © dagli effetti alla causa, il quale mira a scoprire e
formulare le premesse dallo quali le conseguenze e i casi singoli si possono
dedurre ; è dunque l’operagione inversa della deduzione. Ma nella storia della
filosofia l’induzione fu intesa in modi diversi. Per Socrate è il processo con
cui, mediante il confronto delle idee particolari e delle rappresentazioni
sensibili individuali, si ginnge ad una determinazione generale astratta, che
si possa applicare al problema speciale proposto. Per Aristotele è il
ragionamento che procedo dal particolare all’ universale, che afferma d’ un genere
ciò che si a appartenere a ciascuna delle specie di questo genere ; ossa sta in
rapporto inverso alla deduzione, perchè per Aristotele cid che secondo la
natura della cosa è l'originario, quindi il generale, appare per la conoscenza
umana come P elemento posteriore, da acquisire, mentre il particolare,
l'elemento che è più vicino a noi, è, secondo la vera ossenza, l’elemento
derivato, I’ elemento posteriore. Bacone criticò questa dottrina, mostrando
come codesta induzione per onumerationem simplicem non sia scientifica e non
possa mai escludere completamente la possibilità d’un caso particolare che la
distrugga. Egli concepisce invece l’ induzione come il procedimento che va dal
fatto alla legge, da ciò che fu osservato in un tempo e in un luogo a ciò che è
vero sempre od ovunque: Poichè quella induzione che segue ad ima semplice
enumerazione è alquanto puerile; conchiudo così come può da quei pochi
particolari, che lo vion fatto di avere alle mani, sempre in pericolo che un
caso contrario la distrugge. Ma quella induzione, che farà a dimostrare lo
acienzo e le arti, deve disgregare le qualità collo necessarie eccezioni ed
esclusioni, e, fatta la conveniente separazione delle negative, giudicare a
tenore delle affermative ». L’induzione baconiana è anche dotta soien 567 Inv tifica, quella aristotelica formale. Più
tardi Hume la ridusse ad un semplice procedimento psicologico, fondato sulla
tendenza della nostra mente a credere, anche sulla testimonianza di un caso solo,
che i casi futuri saranno simili a quelli sperimentati ; tendenza giustificata,
a sua volta, dalla nostra esperienza del passato: Esiste nua specie di armonia
prestabilita tra il corso della natura ο la successione delle nostre idee; e
quantanque le potenze e le forze onde la prima è governata ci siano del tutto
sconosciute, i nostri pensieri e le nostre concezioni non cessano, alla fine,
d’aver sempre seguìto lo stesso cammino delle altre opere della natura. L’
abitudine è il principio con cui tale corrispondonza è stata effettuata ».
Infine lo Stuart Mill, persuaso che l’induzione completa non ha altro valore
che quello dell’ induzione per semplice enumerazione, diede la teoria logicu
dell’ induzione, mostrando come il suo fondamento sul quale si accese una
discussione non ancor chiusa sis il postulato dell’ uniformità delle leggi di
natura, fondato a sua volta su quella formula del principio di causalità, la
quale esprime che cause simili in condizioni simili producono effetti simili.
Egli distingue quattro forme che sembrano di induzione ma non sono tali: l’
induzione descrittiva, che è la semplice ricostruzione di nna imagine
complessiva da iniagini parziali ; I’ induzione per enumerationem simplicem,
che è una semplice raccolta di osservazioni; 1’ induzione completa, che
constata una pura uniformità di fatto; infine l’induzione dal modo attuale
d’azione di una causa sl suo modo d’nzione in altro tempo, che è piuttosto
l’applicane deduttiva di unu legge nota a un caso particolare. Esclusi tutti
questi procedimenti, rimane |) induzione incompleta, quella cioè che non scopre
il fatto soltanto, ma che da un certo numero di fatti osservati trae una logge,
la quale ui estende a tutti i casi omogenei possibili. Cfr. Senofonte, Mem., IV, 6, 13
segg.; Aristotele, Anal. pr., II, 23, 25; Bacone, Novum org., 104 sogg.; Hume,
Essais, Ink 568 1790, t. II, 89, 69; J. 8. Mill, Syst. of
logic, 1865, 1. III, cap. 2;
Galluppi, Lesioni di logica ο metaf., 1854, I, pagg. 190-205; F. Enriquez,
Problemi della scienza, p. 201 (v. enumerazione, epagoge, metodi indullivi).
Ineffabile. Gr. "Abbnoc; Lat. Ineffabilio. Nell’ emana zionismo filosofico
proprio dello gnosticismo e della scnola d’ Alessandria, è ordinarismente
designata in questo modo perchè non può essere definita, non possedendo alcun
attributo determinato la sostanza unica dalla quale sortono l’essere e il non
essere, lo spirito © la materia, il principio di inerzia e quello della vita.
Lo stesso vocabolo passò poi nella Patristica e nella teologia cattolica por
esprimere l’innominabilità divina. Così per Β. Clemente, Dio è indimostrabile e
incomprensibile perchè ineffabile, où è ineffabile perchè non è nd genere, nè
differenza, nd specie, nd individuo, nè accidente, nd ciò in cui qualche cosa
accada; ora, poichè per nominare una cosa qualsiasi è necessario che essa
appartenga a uno di questi predicati, così Dio non può essere nominato, Cfr. 8.
Clemente, Strom., 1, cop. XXIX. Inerensa. T. Lukdrenz; I. Inherence; F.
Inhérence. Lu relazione che passa tra il fenomeno e la sostanza, fra la qualità
e il soggetto. Inhaerero est existere in aliquo, dice Goclenio, ut in subjeoto,
a quo habet actualem dependentiam inhaositam ; aocidens ease in subieoto per
intimam prassentiam. Perciò l’ inerenza del fonomeno ο accidente si oppone alla
sussistenza della sostanza. Kant: Quando si attribuisce un'esistenza separata a
codeste determinazioni reali della sostanza (agli accidenti), per esempio al
movimento in quanto accidente della materin, si chiaina questa esistenza
inerensa, per opposizione all’ esistenza della sostanza, che si chiama
sussistenza. Ma da ciò nascono molti malintesi e si parla con maggiore
esattezza se non si designa I’ accidente che come il modo onde l’esistenza
d’una sostanza è determinata positivamente ». Si dicono quindi giudii 569
Inn @ inerenza tutti quelli che affermano 1’ appartenenza di una qualità
ad un soggetto, ad es.: Tizio è buono. Cfr. Goclenio, Lezioon philos., 1613, p.
244 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed. Reclam, p. 178 (v. giudizio).
Inerzia. T. Trigheit, Beharrungecermigen ; 1. Inertia; F. Inertio. La legge
dell’ inerzia della materia, che à il centro di tutte le concezioni della
fisica moderna. L’ espressione risale a Keplero, il quale pose il principio che
un corpo non può passare da sè stesso dall’ immobilita al movimento. Galileo lo
complet, aggiungendo che un corpo non può modificare da sò stesso il proprio
movimento nd passare dal movimento alla immobilità. Un movimento, dice Galileo
nei Discorsi, non può crescere che se gli si comunica ana forza novella, nd può
diminuire che se gli si oppone un ostacolo, in entrambi i casi, quindi, sotto
l’azione di cause esterne; se queste cause sono tolte (dum externas causas
tollantur), il movimento continuerà con la velocità acquisita. E ciò si
riconduce, per Galileo, ad un principio più generale, il principio delle
semplicità, per il quale «la natura non opera con molte cose quello che può
operar con poche ». La legge dell’ inerzia fu formulata dal Newton nel modo
seguente: ogni corpo persevera nello stato di riposo o di movimento uniforme in
linea retta nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca eu lui e lo
costringa a cambiare stato. Tuttavia, non esistendo nella natura il riposo
assoluto, essa può essere più brevemente esposta così: nessun corpo ha il
potere di modificaro il proprio movimento. Per inertiam materiae ft, dico
Newton, ut corpus omne de statu suo vel quiescendi vel movendi difloulter
deturbetur; unde etiam vie incita nomino significantisrimo vis inortiae dici
possit. Perd, anche formulate in questo modo, è sempre una ipotesi
indimostrabilo, gincchè l’ esperienza non può offrirci il movimento senza fine
d’un corpo sottratto all’azione d’ ogni causa straniera. Ma essa ha grande
importanza filosofica, giaochè esclude nella Ink 570
materia l’esistenza di alcun elomento psichico, di alcuna possibilità di
produrre dei fonomeni psichici, ο d’alenua spontaneità. D'altro canto essa
costringe a ridurre la concezione dei corpi a degli clementi meccanici, e
quindi è lu base dell’unità della materia, della trasformazione e conservazione
della forza © dell’ esplicazione matematica dei fenomeni. Non tutti gli
scienziati accettano questa leggo, che rende impossibile la spiegazione
meccanica della vita © della coscienza; così per il Moleschott uno dei
caratteri più generali della materia è di potere, in circostanze propizie,
mettersi in movimento da sd stessa ». Nella filosofia contemporanea il
principio dell’ inerzia è stato trasportato dai fenomeni naturali ai procossi
mentali, ο considerato come uns vera 9 propria legge generale della coscienza.
Così por il Mach la storia del processo scientifico è uno svolgimento razionale
e continuo di un processo permanente di semplificazione © di abbreviazione, che
permette in ultimo di condensare tutto il sapere riguardante il mondo naturale nelle
poche formule della meccanica, la quale scienza segnerebbe il massimo della
semplicità e dell’ armonis meutale. Per l’Avenarius tutto lo sviluppo della
filosofia e della conoscenza si riduce al principio dell’ inersia, cioè alla
tendenza dell’ anima al risparmio di forza: l’anima non impiega in una
percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova di fronte
ad una molteplicità di appercezioni, dà la preferenza a quella che con uno
sforzo minore produce lo stesso effetto, 0 con uno sforzo uguale produce un
effetto maggiore. Per l'Ardigò la legge d'inerzia ο del laroro abbreriato, che
rendo possibile lu scienza, si attua nel mondo delle idee, in quanto ogni idea
“« à un segno di operazioni già eseguite ο di formazioni giù ottenute, © quindi
è il mezzo del lavoro mentale abbrevinto; onde gli abiti mentali in genere ο la
scienza propriamente detta ». L'idea può infatti richiamarsi come un semplice
niews, come un semplice sentimento vago di un
57 In ritmo rappresentativo,
senza la coscienza distinta dei moltissimi dati in esso e con esbo associati e
dei quali contiene quindi la virtualità; tale sentimento può dunque
considerarsi, dice l’Ardigò, come la formula mentale cho indica in modo
abbreviatissimo il lavoro ripetuto, lungo e faticoso, onde si ottenne, e che
per essa può rifarsi in modo agevole e pronto ogni volta che si voglia. Cfr.
Galileo, Opere, ed. Firenze 1842, XIII, p. 200 segg.; Nowton, Nat. phil,
principia math., 1687, Introd., def. III; Moleschott, La ciroulation de la rie,
1870, lett. 17; E. Naville, La phyrique moderne, 1890, p. 199 segg.; Wohlwill,
Die Entdookung dos Beharrungagesetzee, Zeitschr. f. Vülkerpaychologio »,
XIV-XV; Avenarius, Philosophie ala Denken der Welt gemase dem Princip des
kleisten Kraftmaavees, 1876; Höffding, Philosophes contemporains, 190%, p.
93-122; Ardigi, Opere filosofiche, vol. V, pag. 327-361 (v. empirioeritioiemo).
Infantilismo. Termine generico, con cui si desiguano quegli stati di deficienza
ο insufficienza intellettuale ο affettiva, che dipendono da arresto ο
involuzione di sviluppo psichico, e si manifestano nelle forme © nei modi di
sentire, di pensare e di agiro propri dell'infanzia. Quindi l'incapacità di
raccogliere ed elaborare le esperienze della vita, la mancanza di continuità
nelle rappresentazioni mentali ο΄ di legame logico nelle idee, il difetto di
inibizione © di impulsi sociali, che può esistere accanto ad una perfetta
conoscenza delle leggi della morale, Ad un grado più pronunciato si hanno le
vere e proprio frenasteuie, che possono assumere le forme dell’ imbecillità ο
dell’ idiotismo (v. ebefrenia). Inferensa. Lat. Illatio; T. Inferiren: 1.
Inference, Illation; F. Inférence, O raziocinio, è 1’ operazione mentale per
cui si passa da uno ο più giudizi dati ad un nuovo giudizio che ne risulta. La
maggior parte dello proposizioni, dice lo Stuart Mill, nelle quali noi
crediamo, siano Inv 572 esse afformative o negative, universali,
particolari ο singolari, non sono eredute per la loro propria evidenza, ma sul
fondamento di altre allo quali abbiamo già dato l’ussonso e dalle quali si dice
che esse sono inferite. Inferire una proposizione da una ο più proposizioni
precedenti; prestare ad essa credenza o esigerla come conclusione da qualche
altra; è ragionare nel senso più generale del termino ». ; più precisamente I’
intendimento è la facoltà posseduta dallo spirito di conoscere gli oggetti
esterni senza formarne imagini corporee nel cervollo per rappresentarseli ».
Per Locke si chiama intondimento In capacità di pensare ». Per Leibnitz l’intendimento
corrispondo a quello che presso i latini è dotto inteleotus, e l'esercizio di
questa facoltà si china intellezione; consistento in una percezione distinta,
congiunta n quella facoltà di riflettere cho manca alle bestie ». Per il
Robinet «à la facoltà d’ appercepire un oggetto, di averne P idea, mediante la
vibraziono d’ una fibra intellettuale ». Por il Reid I’ intendimento comprende
i nostri poteri contemplativi, per cui percepiamo gli oggetti, li concepiamo o
ricordiamo, li analizziamo ο li associamo, giudichiamo e ragioniamo intorno ad
essi ». Dopo di Kant il significato del vocabolo torna di nuovo ad oscillare.
Per Fichte è una enpacità station, in quanto è la fissazione dei prodotti della
imaginazione; per Schopenhaner è la facoltà di legare tra loro le
rappresentazioni intuitivo conformemente al principio di ragion sufficiente,
montre la ragione è la facoltà di formare dei concetti astratti ο di combinarli
in giudizi e ragionamenti; per Herbart è la capacità dell’ nomo, di 601
Int collegare il suo pensiero con la proprietà del ponsato ». Per il
Rosmini P intendimento è la sola facoltà che ha per termine un oggetto;
intendendo per oggetto un termine veduto o intuito per modo, che non abbia
alenna relazione con l’intuente in modo assoluto. Per questa sua proprietà
l’intondimento si distingue specialmente dalla sensibilità, che involge una
relazione immediata del sentito col senziente, di maniera che non si può
concepire che quello stia senza questo. Cfr. Malebranche, Rech. de la vérité, 1712, 1. III,
cap. I, ὁ 3; Locke, Ess., II, cap. VI, § 2;
Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 145; Robinet, De la nat., 1766, I, p.
288; Reid, Works, 1863, p. 242; Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76
eegg., 129 segg. ; Fichte, Grundlage d. ges. Wiss., 1802, p. 201 segg.;
Schopenhauer, Die Welt, 1,$ 4 ο 8; Herbart, Peyohologic
ale Wiss., IT, $ 117; Rosmini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 73; Id., Logica,
1853, p. 78 segg. (v. intelletto,
intelligenza, intuizione). Intensità. T. Intensitàt; I. Intonsity ; F.
Intensité. Ogni quantità che non è la durata, nd l’ estensione, nd la qu tità
discreta, ο che quindi non può essere nd misurata, mediante unità omogenee, nd
numerata, Nella psicologia dicosì quantità della sensazione la sua maggiore o
minore intensità: ma tale quantità non è traducibile o misurabile essendo, come
la sensazione, affatto soggettiva. Essn nta in rapporto con l'intensità degli
stimoli, e varia da un grado minimo, dotto soglia della coscienza, a un grado
massimo, detto vertice ο cima della coscienza. I,’ intensità della sensazione
sta in rapporto inverso con l’intonsità del sentimento: più è forte l’ elemento
affettivo e più svanisce l’elemento di percezione sensibile o di conoscenza.
L'intensità della volontà, cioè il suo grado di energia, sta in rapporto
inverso dell'estensione dei motivi, ciod del loro numero. Secondo alcuni
psicologici, non si pnd parlaro di intensità degli stati di coscienza, e quelle
che sembrano differenze di intensità non sono che differenze di Int 602 qualità; così il Brentano, F. A. Müller,
Bons, ecc. s0stengono che l'apparente intensità delle sensazioni non è che una
certa loro qualità, mediante la quale apprezziamo le quantità degli stimoli, e
che il carattere quantitativo delle sensazioni è una ripercussione del loro uso
sulla loro natura. Con maggior vigore quosta tesi è sostenuta dal Bergson, per
il quale i fatti psichici sono delle pure qualità, che mancano quindi di
granderza; se a noi sombra di percepirne la varia intensità è perchè le
riferiamo ad una quantità esteriore, cioò ad una estensione, quasi di uno
spazio compresso che si dilati ; così la luce di due candele è una sensazione
qualitativamente diversa dn quella di una, ma noi, ponendo la causa nell’
offetto, diamo a questa differenza, che è solo qualitativa, un carattere
quantitativo; lo stesso si verifica anche nolle afere più alte della vita
psichica, nelle emozioni estetiche e morali, che la nostra coscienza, rivolta
all’esterno, traduce erroneamente in termini di spazio. Altri psicologi, come
il Fouillée, sostengono per contro che ogni atto o stato di coscienza è dotato
essenzialmente d’un grado d’intensità irreducibile sia all’ estensione, sia
alla qualità, benchè sia sempro accompagnalo da variazioni estensive e
qualitative. Cfr. Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 36 segg. ; Fouilléo,
Psychol. des iddes-foroes, 1893 t. I, cap. I, $ 2; Bergson, Essai sur les
donneds imm. de la conscience, 1904, p. 1-55; Masci, Quantità e misura nei
fenomeni psichici, Atti della R. Aoc. di Napoli », 1915 (v. estensivo,
intenaivo). Intensivo. T. Intensiv; I. Intensive; F. Intensif. Si oppone a
estensivo © designa ciò che non ha estensione ma soltanto una intensità, e che
quindi non può essere numerato, uè misurato con quantità omogenee.
Intenzionale. T. Absichtlich ; I. Intentional; F. Intentionnel. Si oppone a
involontario, casuale, ecc., 9 designa l'azione determinata da una intenzione,
vale a dire preconcepita e voluta, Nel linguaggio scolastico
intentionaliter 608 Int significa il modo con cui la cosa
conosciuta trovasi nel conoscente; l'i. primo si ha quando la cosa conosciuta
si considera direttamente come è in natura, ad es. il cavallo è animale; l’i.
seoundo quando la cosa si considera non secondo il modo di essere in natura, ma
secondo qualche rapporto attribuitogli dall’ intelletto, ad es. il cavallo è
specie. Intenzione, T. Intention, .ibsicht; I. Intention; F. Intention.
L'insieme dei motivi psichici determinanti 1’ individuo ad un atto, Consiste
nell’ associare all’ idea dell'atto, concepito come fine, le idee che vi si
riferiscono che riguardano non solo i mezzi necessari per compierlo, ma anche i
motivi per cui si compie, i quali sono spesso una sola cosa con le conseguenze
dell'atto. Nell’ apprezzamento morale di un'azione non basta quindi la considerazione
della sus natura esteriore, ma è essenziale la valutazione dei motivi psichici
che l’hanno determinata nel quali è il primo fondamento della responsabilità.
Un solo pensiero che baleni nel concerto mentale disponente ad un atto, può
alterare il grado della responsabilità pro ο contro il soggetto operante.
Alcuni filosofi, ad es. il Bentham, distinguono tra intenzione e motivi :
quella comprende tutta la preparazione psicologica dell’ atto, le ragioni pro e
contro, questi soltanto le prime, ossia le cause che ci inducono all’ atto. Il
problema dell’ intenzione consiste nel sapere se, per giudicare il valore
morale di un atto, si deve fondarsi esclusivamente sopra l'intenzione che l’ha
promosso, oppure se si deve tener conto ugualmente delle conseguenze che l’atto
ha avuto © del suo carattere specifico; la dottrina che sostiene la prima
soluzione dicesi intenzionalismo. Nel
linguaggio della scolastica intenzione, intentio, valo quanto cognizione ;
intenzione formale si diceva l’ applicazione dello spirito ad un oggetto di
conoscenza, intenzione obbiettiva il contenuto stesso del pensiero al quale lo
spirito si applica; intenInt 604 zione roluntatis l'atto della volontà che
presuppone |’ ordino della ragione ordinante alcunchè ad un fine; intenzione
intellootus il concetto con cui l’ intelletto conosce una cosa; prime
intenzioni quelle qualità concepite nelle cose, per le quali le coso stesse si
distinguono, e che consistono © in relazioni della sostanza con qualche cosa di
diverso © sono concepite in una sostanza sola; lo studio delle prime intenzioni
appartiene alla metafisica, Si dicevano invece seconde intenzioni le qualità o
denominazioni esteriori, ricavato non dai rapporti tra le cose, ma da qualche
maniera di concepirle ; il loro studio appartiene alla logica. Cir. Martineau, Types of
ethioal theory, 1866, vol. Il, p. 252 sogg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1870,
III, p. 149, 293 segg. (v.
responsabilità). Interesse. T. Interesse; I. Interest; F. Intérét. La sua
formula più comune è: procurarsi la più grande somma di piacere possibile per
il tempo maggiore possibile. Secondo alcuni filosofi, esso è il fine supremo di
tutto le azioni umane, il criterio col quale si misurano il bene ο il male, il
giusto © l’ingiusto, il vizio e la virth : Se l’ universo fisico è soggetto
alle leggi del movimento, dice 1’ Helvetius, l'universo morale è soggetto del
pari allo leggi dell’intoresse. L’ interesse è sulla terra il potente
incantatore, che trasforma davanti agli occhi d’ ogni crentura la forma di
tutti gli oggetti ». Non bisogna confondere però l'interesse col piacere, ϱ la
morale dell’ interesse ο utilitarismo con la morale del piacere o edonismo.
Questo, rappresentato specialmente da Aristippo o dalla scuola cirenaica, pone
come unico bene per l'uomo, e quindi come principio supremo della morale, il
piacere attuale e presento, il piacere più vivo © immediato. Quello,
rappresentato da Epicuro, Bentham, Stuart Mill, ecc., pure non separando il
bene dal re, insegna che talora bi sogna sapersi privare d’un piacero immediato
e sottomettero ad un dolore attuale, in vista d’ un piacere più grande 605
Int © d’un dolore minore; e che nei piaceri bisogna saper distinguere
non solo la quantità ma anche la qualità, preferendo ai pinceri del senso
quelli dello spirito e del cuore, più nobili e duraturi quantunque meno
intensi. Per raggiungere l'interesse è quindi necessario saper frenare le
proprie inclinazioni naturali, apprezzare le conseguenze dei propri atti e fore
un calcolo razionale dei fini; per rnggiungere il piacere basta abbandonarsi
all'impulso dei propri istinti animali. La formula completa dell’ interesse è
dunque questa: cercare il pincere seguito dal minor dolore, ο il dolore seguito
dal maggior piacere; fuggire il pincere seguito da un maggior dolore o il
dolore seguito da un minor piacere. Cfr. Diogene L., X, 129, 141: Helvetins, De
V Esprit, 1758, 11; Bentham, Deontology, 1834; J. S. Mill, Utilitarianism, 1863
(v. aritmetica, egoismo, eudemonimo, utilitarismo, ecc.). Intermediariste. Si
designano così tutte quelle dottrine realistiche, proprie della filosofia
antica e medioovale, che fanno della percezione l'intermediario fra due realtà
distinte: le cose da un lato ο lo spirito dall’ altro. Tali sono la teoria
degli idoli, sostenuta da Democrito ο dagli epicurei, © la dottrina delle apeci
sensibili, assai diffusa nelVevo medio. Le dottrine intermediariste si dicono
anche della percezione mediata, per opposizione alle dottrine percezionistiche,
o della percezione immediata (v. conoscenza, concesionismo). Intermondi. Gr.
Metaxéopta ; Lat. Intermundia; T. Intermundien. Così chiamavano gli epicurei
latini gli spazi noti, o spazi intercosmici, che separano gli infiniti’ mondi
tra di loro. Questi mondi erano abitati dagli dei, in numero pure infinito, ο
formati di atomi finissimi, ma imimutabili, scevri di bisogni, di cure ο di
pericoli, così du porgere al saggio 1’ ideale della felicità compiutamente
attuato. Cfr. Diogone L., X, 89; Luorezio, De rer. nat., V, 146 segg. INT 606
Intimo. T. Innern, Innig; I. Internal, Inmost; F. Intime. Essendo il superlativo del comparativo
interior, indien sempre ciò che v’ha di più intimo in una data cosa © fatto.
Per senso infimo il Maine do Biran e ia maggior parte degli eclettici francesi
intendevano la coscienza, ossia la conoscenza immediata che ciasenno ha dei
propri fatti psichici. Secondo il Maine de Biran, noi non apprendiamo mai negli
oggotti esterni direttamente 1’ essere, ma soltanto le parvenze di questo;
mentre di noi stessi apprendiamo in qualche modo 1’ essere in quanto ci
sentiamo atti lonti, in quanto abbiamo il sentimento immediato di fare uno
sforzo per vincere non solo la resistenza dei corpi esterni, ma del nostro
corpo stesso: Questo fatto è primitivo, perchè non possiamo ammetterne nessun
altro prima di esso nell’ ordine della conoscenza, ο i nostri stessi sensi
esterni, per divenire gli stromenti delle nostre prime conoscenze, devono osser
messi in azione dalla atessa forza che crea lo sforzo. Questo sforzo priniitivo
à di più nn fatto di senso intimo; poichd si constata interiormento dn sè
stesso senza uscire dal termine della sua applicazione immediata © senza
ammettere alcun elemento estraneo all’ inerzia stessa dei nostri organi ».
Anche per il Galluppi, senso intimo equivale a senso interno, e consiste tanto
nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sul’
io; esso ci dà la verità primitiva io penso, cioè io sono esistente allo stato
di pensiero, principio d’ evidenza immodiata e perciò indimostrabile. Cfr.
Maine de Biran, Fondements de la peyohol., 1859, p. 49; Galluppi, Lezioni di
logioa ο metaf., 1854, I, p. 84 segg. Intrinseco. Ί. Innerlich, eigen; I.
Intrinsical; F. Intrinsèque. Si dice che una cosa ha un valore intrinseco
quando por sè stessa è un fine, non un mezzo per altra cosa; si dico
dimostrazione dall’ intrinseco quella che dimostra la convenienza dei termini
estremi della tesi, e analizzandola col mettere a fronte lo parti, no fa
sortire la verità dal 607 Int suo stesso contenuto, mentre la
dimostrazione dall’ estrinseco dimostra che la proposizione è vera con
argomenti estranei al suo contenuto, come ad esempio l'autorità altrui; si
dicono denominazioni intrinseche o interne quelle qualità della cosa che le
sono essenziali e cho vengono concepite in una sostanza soln, ed estrinseohe
quelle che, pur essendo essenziali, consistono in relazioni della sostanza con
alcunchè di diverso. Introspezione. T. Selbstbeobachtung ; I. Introspection ;
E. Introspection. Nella psicologia designa 1’ osservazione di sè stessi mediante
la riflessione. Il metodo introspettito, ο soggettivo, ο diretto consiste
appunto nel valersi della ossorvazione interna per lo studio dei fenomeni
psichici. Fu specialmente il Wolf, la cui scuola dominò in Germania per tutto
il secolo diciottesimo, che avviò In psicologia per la strada del metodo
introspettivo; egli infatti eredeva che solo osservando sè atesso l'individuo
può arrivare a cogliere la natura intima dei fatti della propria coscienza, e
tale principio derivava direttamente dalla distinzione tra senso interno od
esterno, per cui solo al primo spettava la conoscenza dei fatti dello spirito,
mentre il secondo apriva all’ uomo la conoscenza della natura esterna. Poi
furono elevate molte obiezioni contro la legittimità del motodo introspettivo:
1° Ogni osservazione richiede una dunlità di osservante e di osservato, mentre
nell’ introspezione la coscienza dovrebbe essere ad un tempo ossorvanto ed
osservata; il Comte insiste sulla profonde abrurdité, que présente la roule
suppowition ni évidemment contradictoire de l’homme se regardant penser. 2°
L'osservazione introspettiva è limitata agli stati di media intensità, giacchè
quelli troppo deboli le sfuggono, quelli troppo intensi assorbono tutta la
nostra energia psichica, 3° I fatti psichici non esistendo che nel tempo, cioè
come pura successione, non possono mai essore osservati che come riproduzione,
come ricordo: Non è in poter nostro, dice lo Stnart Mill, di neINT 608
certaro, con qualsiasi diretto processo, ciò che la coscionza ci dice
quando le sue rivelazioni sono nella loro pristina purezza, Essa si offre alla
nostra ispezione soltanto come esiste ora, quando codeste rivelazioni originali
sono soverchiate © sepolte sotto una montagna di nozioni acquisite © di
percezioni ». 4° L'osservazione introspettiva, essendo racchiusa nel soggetto,
non può avere valore scientifico, cioè universale: A cagione delle differenze
individuali degli osservatori, dice 1’ Höffding, nulla ci garantisce che essi
veggano realmente una sola e medesima cosa; poichè, qui, l'oggetto non è
situato fuori di loro nè dentro di loro, ma ciascuno lo porta in sè stesso ».
5° La coscienza è soggetta ad nn gran numero di illusioni di lacune, che la
rendono uno stromento assai imperfetto : La coscionza, nostro principale
stromento, dico il Taine, non è sufficiente, nel suo stato ordinario ; non è
più sufficiente nelle ricerche psicologiche di quello che sia I’ occhio nudo
nelle ricerche ottiche. Poichè la sus sfera non è grande; le sue illusioni sono
molte e invincibili ; è necessario provare e correggere continuamente la sua
evidenza, assisterla sempre da vicino, presentarle gli oggetti in una luce
vivida, ingrandirli, e costruire per suo uso una specie di microscopio e di
telescopio ». A malgrado di ciò, la maggior parte dei psicologi ammette il
valore dell’ introspezione, che sola ci dà il fatto psichico in sè stesso,
riconoscendo però che essa dove essere completata e integrata dalla
osservazione esterna. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalie, 1872, § 31; Id., Peyohologia empirica,
1738; A. Comte, Cours de phil. pos., 1830, III, p. 766 segg.; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton, 1867,
p. 171; Taine, On intelligence, trad. ingl. 1871, p. X; Höffding, Prychologie, trad. frane. 1900,
p. 20 © sogg.; A. Padoa, Legittimità e importanza del metodo introspettivo, Riv.
di filosofia », aprile 1913 (v. osservazione, riflessione, ppicologia).
Intuitivo. T. Jntuitir, anschaulich ; I. Intuitive; F. Intuitif. Kant chiama
intuitiva ogni cognizione cho si basa
609 INT sopra la intuizione, che
ciod è ottenuta immodiatamente ; discorsiva quella che è formata dal passaggio
da un’ idea ad un’altra, o che risulta dalla comparazione di più nozioni ο
termini. La prima è simultanea, la seconda snccossiva; con questa conosciamo i
rapporti degli oggetti tra di loro, con quella cogliamo gli oggetti stessi.
Dicosi ragionamento intuitivo quello in cui la conolusione è ottenuta
immediatamente, senza bisogno di ricavarla dalle premesse; si ammette da alcuni
che in tal caso la conclusione sia preparata da nn lavoro cerebrale
incosciente, che, dal lato fisiologico, corrisponde a ciò che sarebbero le
premesse dal lato psicologico. Gli assiomi matematici non sono ragionamenti
intuitivi; se in essi manca la dimostrazione, non è perchè questa non sia
necessaria, ma perch’ non è possibile (v. incosciente, intuisione). Intuizione.
Lat. Fntuitus, Intuitio; T. Anschauung; I. Intuition; F. Intuition. Una delle
parole dal significato più vago e fluttuante, sebbene essa esprima sempre ed
essenzialmente un atto psicologico immediato, una manifesta zione subitanea e
indubitabile di cui il processo sfugge. Intuizione è adoperata, dice l’
Hamilton, a denotare l’apprensione che noi abbiamo delle verità evidenti per sè
stosse, l'immediata coscienza di un oggetto, una conoscenza intima ». Noi
possiamo distinguere quattro accezioni diverse di questo vocabolo, volgare o
pratica, artistica, teologica e filosofica. Nel senso rolgare l’ intuizione è
una disposiziono naturale a cogliere subito e bene il lato pratico © vero di
nna cosa, a comprendere ciò che è da farsi © da evitarsi. Nol senso ardstioo
non è se non cid che dicesi anche creazione geniale, estro, © che tradotto
nell'opera d’arte la rende tanto più suggestiva quanto meglio riesce ad essere
dagli altri evocata. Nel senso feologico, che è l'originario, esprime una
conoscenza immodiata di Dio ottenuta non mediante I’ intelligenza ma por virtù
dolla grazia divina, prima ο dopo la morte. Nel senso ‚flo39 Ranzoti, Dizion. di scienze filosofiche. Int 610
sofico, infine, pur esprimendo sempre un atto immediato di conoscenza,
ha assunto aspetti cd importanza diversa nei vari sistemi. Per Cartesio è
intuizione ogni atto per mezzo del quale lo spirito considera un’ idea,
comprendendola non successivamento ma in un medesimo momento e tutta intera;
quindi l'opposto dell’ intuizione è la deduzione, nella quale lo spirito
inferisce successivamente un dato da un altro. Hz quibus omnibus colligitur....
nullas vian hominibus patere ad cognitionem certam veritatis preter eridentem
intuitum et necessariam deductionem : item etiam, quid sint nature illa
simplices de quibus in octava propositione. Atque perspiouum cat intuitum
mentis tum ad illas omnes ertendi, tum ad necessaria illarum inter se
conneriones cognoscendas, tum denique ad reliqua omnia qua intellectun pracine,
vel in ne ipro, rel in phantasia esse experitu. Locke © Leibnitz danno
all’intuizione il significato cartesiano : Talvolta, dico il Locke, lo spirito
coglie la somiglianza o l’incongruenza di due idee immediatamente e per sd
stesse, senza l'intervento di null’ altro; e ciò io penso che possiamo chiamare
conoscenza intuitiva. Perchè in essa lo spirito non fatica a provare o a
esaminare, ma percepisco la verità come gli occhi percepiscono un punto
Inminoso soltanto con I’ essere diretti verso esso. Così Ja mente percepisce
che il bianco non è nero, che un circolo non è un triangolo, che tre ὃ più di
dne ed uguale ad uno più due. Da queste intuizioni dipendo ogni certezza ed
evidenza di tutta la nostra conoscenza ». Por In scuola scozzese, 9 così puro
per l’eclettismo francese, è una credenza che si prosenta in modo spontaneo al
nostro spirito, anteriormente a qualsiasi riflessione ο ragionamento, che anzi
la presnppongono; sono conoscenze intuitive la nostra credenza incrollabile
nella renltà degli oggetti ostoriori e della nostra cristonza, o la nostra
spontanen partecipazione allo verità supreme, che dominano regolano I’
esperienza. L'anima doll’ umanità, dice il Cousin, è un’ anima poctica che
scopre 611 Int in sè stessa i segreti degli esseri, e li
esprime con canti profetici che echeggiano d’ età in età. Allato dell’ umanità
è la filosofia, che ascolta con attenzione, raccoglie le sue parole e, per così
dire, le nota; e quando il momento delV ispirazione è passato, le presenta con
rispetto al mirabile artista, che non aveva la coscienza del proprio genio ©
che spesso non riconosce la propria opera ». Per Kant à intniziono ogni
conoscenza che si riporta immediatamente a degli oggetti, quindi è sempre uno
stato passivo della coscienza, intuitus nompe mentin nostre semper est
passirun. Egli distingue due specie di intuizioni: lo empiriche, che si
riportano agli oggetti per mezzo delle sensazioni, sia interne che esterne, e
quelle pure che sono la forma delle empiriche, e rispondono alle nozioni dello
spazio e del tempo. Kant nega l’esistenza di ana intuizione intcllettuale vale
a diro di una intuizione di natura tale, da daro l’esistenza stessa dell’
oggetto, ο che, per quanto noi possiamo comprenderlo, non può appartenere se'
non all’ Essere supremo ». Le intuizioni sensibili non dànno vera cognizione;
anzi lo forme dello spazio ο del tempo, in esse contenute, non hanno valore
necessario ed universale se non quando diventano materia di una sintesi
superioro tellettualo, facendo in queste la parte modesima che in esse fanno le
sensazioni. Fichte e Schelling ammettono invoce delle intuizioni intellettuali;
ma per Fichte tali intuizioni non sono quelle negate da Kant, ciod intuizioni
doll’ essere, delle cose in ad, bens) intuizioni degli atti: To non posso fare
un passo, nd nn movimento della mano ο del piedo, senza l'intuizione
intellettuale della coscienza di me stesso in queste azioni. Non è che mediauto
V’ intuizione che io so di agiro; mediante essa soltanto distinguo la mia
azione ο, in questa, mi distinguo dall’ oggotto proposto alla mia aziono ».
Talo intuizione è il fondamento della vita cosciente, in quanto ci fa
comprendere che questa, in ad modosima, non è cho atto puro. Schelling
atInt 612 tribuisce, al contrario di Kant, la massima
importanza nel proprio sistema alla intuizione intellettuale. La quale egli
considera come un atto indefinibile, trascendente, mediante il quale
l'intelletto coglie, nella sua identità, l'assoluto, nella cui natura
assolutamente semplice ed ina ‘riunisce tutti i contrari, como spirito e
materia, reale ed idealo, libertà e necessità: Una intuizion è una produzione
libera e nella quale sono identici ciò che produce e ciò che è prodotto. Una
tale intuizione sarà detta intuizione intellettuale, in opposizione con l’
intuizione sensibile, che non appare come producente il suo oggetto e nella quale
perciò il fatto d’ applicare l'intuizione è differente da ciò sn cui codesta
intuizione porta. All’ intuizione intellettuale corrisponde l’io, poichd non è
se non mediante la conoscenza dell’ io per sè stesso che l’ io medesimo come
oggetto è posto.... L’ intuizione intellettuale è l’ organo di ogni pensiero
trascendentale. Poichè il pensiero trascendentale consiste nel * darsi
liberamente un oggetto che, altrimenti, non è oggetto ». Anche per Schopenhauer
ο) è una intuizione intellettuale; anzi ogni intuizione è intellettuale, valo a
dire ci mette in presenza della realtà, facendocela cogliere di colpo © senza
concetti : L’ intendimento solo conosce intuitivamente, il modo immediato e
perfetto, la maniera d’ agire di una leva, di una carrucola, ecc. ». La forma
più perfetta delV intuizione è la contemplazione estetica, nella quale colni
che contempla lascia momentaneamente tuttociò che fa la sua individualità, e
non agisce più che come nn puro soggetto conoscente, nello stesso tempo che
coglie la natura metafisica dell’ oggetto contemplato, vale a dire la sua Idea.
Per Rosmini e Gioberti |’ intuito intellettuale è un atto © visione immanente
del nostro spirito, e oggetto suo è per il primo 1’ Ente possibile, da cui
traggono realtà tutti gli oggetti, per il secondo lo stesso Ente che crea gli
oggetti particolari, cioè Dio. L’atto della intelligenza è duplice, dice il
Rosmini, cioè |’ atto primo che ha per sno
613 termine I’ essere
indeterminato e gli atti secondi. Coll’atto primo, col quale è costituita l’
intelligenza, il soggetto non fa che ricevere irredistibilmente, cioò aver
presente l’essere... In tutti gli atti secondi, opera il soggetto già
costitnito intelligente. Se dunque per cognizione si intendono quelle notizie
che gli vengono dalle sue proprie operazioni mentali, non si può dare il nome
di cognizione alla notizia dell’ essere indeterminato, quale sta presente nell’
intuito. Pare che anche il comune degli nomini riserbi a questo solo (atto
implicante il giudizio) il nome di cognizione: chè certo il comune degli uomini
non pensa alla prima intuizione e però del tutto non ne parla. Comeochessia
importa distinguere bene la prima intuizione dalle intellezioni che vengono
approsso, nelle quali solo si ravvisa movimento intellettuale ». Por il Bradley
V’ intuiziono à un’ esporienzs spirituale dell’ assoluto, un’ esperienza
immediata © conoreta nella quale tntti gli elementi dell’ univorso sensazione,
emozione, pensiero, volere sono fusi in un sentimento comprensivo; però di
questa intuizione noi non possiamo avero che un'idea astratta, perchè è
impossibile ad esseri finiti vivere pienamente la vita dell'assoluto; a noi è
dato soltanto formarcene una certu idea, risalendo a quel sentimento primitivo
ο diffuso, in cui non è ancora sopravvenuta nessuna distinzione di soggetto e
oggetto e nessuna differenziazione di elementi. Infine il Bergson dà all’
intuizione un valore analogo all’ istinto ο al senso artistico, in quanto ci
rivela ciò che gli esseri sono in sò stessi, per opposizione all'analisi ο alla
conoscenza scorsiva che ce li rivela dal di fuori: Si chiama intuizione quella
specie di simpatia intellettuale per cui οἱ si trasporta all’ interno di un
oggetto, per coincidere con ciò cho bn di unico 9 per conseguenza
d’inesprimibile. Al contrario. P analisi è l’operazione che riporta l'oggetto a
elementi già noti, cioè comuni a questo oggetto ο ad altri. Anulizzare consiste
dunque nell’ esprimere una cosa in funInt
614 ziono di cid cho essa non è
». La funzione abituale della scienza positiva è V analisi, mentre la
metafisica deve fondarsi sull’ intuiziono; ora c'è una realtà che noi after
riamo tutti dal di dentro, per intuizione e non per semplice analisi: è la
nostra propria persona nel suo scorrere attraverso il tempo è il nostro io che
dura. Noi possiamo non simpatizzare intellettualmente con nessuna altra cosa,
ma simpatizziamo di certo con noi stessi ». Cfr. Descartes, Regule, XII;
Locke, Kes., IV, 11, 1; Leibnitz, Nowe. Ees., IV, cap. 2, $ 2; V. Cousin, Frag.
de phil. contemp., p. 34; Kant, De mund. sens, son. I, $ 10; Krit. d. reinen Vern.,
od. Reclam, p. 76, 88; Fichte, Thatsachen und Bewusstseins, in 8. IP., 1845,
vol. IL, p. 541 segg. ; Schelling, Säm. Werke, 1856, I, p. 316 seg.; III, 369;
Hamilton, Lect. on logic, 1860, I, p. 127; II, p. 73; Rosmini, Psicologia, II,
pag. 275 s0gg.; Teosofia, IV, p. 388-391; Sistema filos., $ 16, 17; Bradley,
Appearance and reality, 1883, p. 159 segg.; Bergson, La fil. dell’ intuizione,
trad. it. 1909, p. 17-19; Me Cosh, The intuitions of the mind, 1882; C. Pint,
Insufficence des philos. de l'intuition, 1908; M. Winter, Note sur Pint. en
mathématique, Rev. de metaph. », nov. 1908; E. Lugaro, La base anatomica dell’
intuizione, Riv. filosofica », 1908, p. 465 sogg.; P. Carabellese, Intuito e
sinteri primitiva in 4. Rosmini, Riv.
di fil. », genn. 1911, genn. 1912. Intuisionismo. T. Intuitionismus; I.
Intuitionalieme ; F. Intuitionisme. Ogni dottrina che si fonda sopra l’
intuizione, nei vari significati che questa parola può assumere © nelle diverse
sue applicazioni sia alla teoria della conoscenza, sia all'etica, all’
estetica, alla religione. Si oppone à razionalismo, intellettualinmo,
empirismo. Storicamente si applica all'indirizzo rappresentato dalla scuola
scozzese e dall’ eclettismo francese, indirizzo detto anche filosofia delP
intuizione, in quanto fonda la conoscenza sopra I’ intuinmediata delle verità
razionali e superiori all’esperienza, e considera V’ esistenza della realtà
materiale come zione 615 Inv direttamente conosciuta, non inferita o
costruita. Oggi l’intuizionismo è rappresentato, nella religione, da alcuni
indirizzi del modernismo cattolico e protestante, nella filosofia dalla maggior
parte delle dottrine neo-idealistiche. Cfr. E. H. Schmitt, Kritik d. Philon. rom Standpunkt
der intuitiven Erkenntnis, 1908; J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. XIV,
$ 1; F.C. 3. Schiller, Humanism and intuitioninn,. Riguardo all’origine e alla natura dell’ Io, per gli
spiritualisti in genere esso è un principio sostanziale, assolutamente nnico e
identico, è l’anima in quanto percepisce sò medesima percipiente come identica
a νὰ percepita. Dice Cartesio: Eraminantes enim, quinam simus nos, qui omnia,
quae a nobis diversa sunt, supponimus falsa esse, perspisque videmus, nullam
eriensionem, neo figuram, nec motum looalem, nec quid simile, quod corpori
tribuendum, ad naturam noatram pertinere, sed cogitationem solam. Per gli
empiristi invece non è un primum ma un poi, che risulta dal connettersi dei
fatti psichici successivi, ed è quindi nello stesso tempo uno © molteplice.
Così, secondo il Condillac l'Io non è che la collezione delle sensazioni; per
il Taine la proprietà, comune a tutti i fatti di coscienza, di appurirei come
interni, astratta da questi fatti o trasformata dsl lingnaggio in sostanza; per
il Ribot è il sentimento complesso e confuso del nostro organismo individuale.
Nel sistema di Fichte e di Hegel, l'Io ha un significato particolare. Con esso
il Fichte non intende l'Io individuale, ma lo stesso essere assoluto, che non è
originato da altra cosa ma pone originariamente sò stesso, ο quindi per
determinarsi pone il non-Io; determinatosi così, ne resta Io 618
determinato anche il non-Io, cosicchè l'Io e il non-Io si determinano
reciprocamente; per tal modo dal seno dell’ Io ο del pensiero hanno origine lo
spirito ο la materia, l’anima ο il corpo, l'umanità e la natura, L’Io al pari
del non-Io sono prodotti entrambi dall’ attività originaria dell'Io... L' lo
come intelligenza in generale dipende da un non-Io indeterminato, ὁ solo
mediante e in virtù di tale non-Io è intelligenza... L’Io, considerato come
abbracciante lu sfora totale, assolutamente «determinata, delle relazioni, è
sostanza ». Per I’ Hegel l’Io è quella estrinsecazione dell’assoluto per cui
esso, raccogliendosi nella umanità depo @ essersi sparso nella natura, si
rivela a sè medesimo: Il pensiero come soggotto rappresentato è pensante, e
l’esprossione semplice del soggetto esistente come pensante è I’ Io. Ma } Io
astratto come tale è il puro rapporto con sì stesso, in cui si fa astrazione
dal rappresentare, dal sentire, da ogni situazione, come da ogni particolarità
della natura, del talonto, dell'esperienza, vce. ». Schopenhauer distingue l'Io
teoretico dall’ Io rolitivo ο pratico : il primo consiste nel punto unitario
della coscienza e non è che la funzione conoscitiva del secondo: «Il volere
rappresenta la radice, l'intelletto la corona dei rami, mentre la ceppaia,
punto di indifferenza di entrambe, sarebbe 1’ 1ο, che, come punto finale
comune, appartiene così al volere come alla intelligonza. Questo Io è il
soggetto identico pro tempore del conoscere e del volere... Esso è il punto
temporale d’inizio e di collegamento della totalità dei fenomeni, vale u dire
della obbiettivazione del volere ». Secondo il Galluppi Posistenza dell'Io è
una verità primitiva di fatto, che no: si può dedurre o dimostrare per razi i
Plo, cioè il mio essere, il soggetto di ciò che sento in mo, fa parte dello
stesso atto semplice per il quale ho coscienza delle mic modificazioni ; solo
in séguito V analisi separa il soggetto dalle modific la sintesi riconduce
questo a quello, e le diverse verità primitive doll’ intellettuale ο del 619 lo
morale dell’ uomo si mostrano ». Secondo il Rosmini, gli atti mentali con cui
l’anima giunge ad esprimersi nell’ Io, sono anzitutto una percezione
intellettiva che il soggotto ha della sua propria anima, in secondo luogo, le
varie operazioni di cui l’anima è principio; infine, la coscienza che ha l’anima
della propria identità fra sè percipiento ο sè operante ο atteggiata a operare.
Per I’ Ardigd I’ lo e il non-Io sono un punto d'arrivo non uu punto di
partenza, sono cioè una distinzione operatasi per 1’ esporienza nel medesimo
indistinto primitivo, la sensazione: il primo risulta dal raccogliersi e
riprodursi in un ritmo comune delle sensazioni costanti prodotte dall'attività
organica, il secondo dal raccogliersi delle sensazioni accidentali o
discontinuo prodotte dagli stimoli esterni. Ancho per i seguaci della dottrina
economica o biologica dolla conoscenza la distinzione tra Io © non-lo è uno
sdoppin mento che la coscienza, per i suoi fini pratici, opera sugli elementi
sonsibili, che per sè non sono nö oggettivi nè soggettivi: Non I’ Io è
primario, dice il Mach, bens) gli elementi (sensazioni). Gli elementi formano
l'Io. Io sperimento sensibilmente del verde, significa che l’elemonto verde si
manifesta in un certo complesso di altri elemonti (sensazioni, ricordi) ». 11
Bergson distinguo 1’ lo superficiale © simbolico dull’ Io profondo : questo è
durata reale, libera creazione di qualità sempre nuove, quello una
soprastruttura artificiale imposta dallo esigenze della vita pratica: «ΛΙ
disotto della durata omogones, simbolo ostensivo della durata vera, una
psicologia attenta scopre una durata i cui elomenti si componetrano; al disotto
della molteplicità numorica degli stati coscienti, una molteplicità qualitativa
; al disotto doll’ Io a stati ben definiti, un Io in cui successione implica
fusione ο organizzazione. Ma noi ci contentiamo il più spesso del primo, cioè
dell'ombra dell’ Io proiettata nello spazio omogeneo ». Molti psicologi
contemporanei chiamano Io subliminale l'insieme delle sensazioni interne
Ive 620
oscure ο dei motivi subeoseienti, che costuiscono in noi una personalità
sotterranea la quale influisce continuamente sopra 1’ Jo eupraliminale,
costituito dall'insieme dei pensieri, delle sensazioni ο dei motivi coscienti;
socondo il Myors ο i suoi soguaci, P Io subliminale è il nucleo fondamentale ο
il motore della personalità umana, tantochè da esso deriverebbero in massima
parte le tendenze abituali ο istintive, gli impulsi delle nostre azioni, i
prodotti spontanei del genio, © con esso si spiegherebbero i fenomeni di
disintegrazione della personalità, di sdoppiamento della coscienza, di
suggestione ipnotica, di telepatia. In senso analogo si distingue nella
psicologia patologica l'Io primario, normale © costituito di stati di coscienza
lucid dall' Jo secondario, anormale ϱ subcosciente; questi duo Io covsistono
nell’ individuo ignorandosi totalmente, come si verifica nella così detta
scrittura automatica e nei casi di personalità alternante. Cfr. Cartesio,
Prino. phil., I, 7; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 294, 302; Fichte,
Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 110 segg.; Grund. d. ges. Wissenschaftslehre,
1802, p. 9-11; Hegel, Enoyol., $ 20; Schopenhauer, Die Welt, vol. II, ο. 19, 20; Galluppi, Lezioni di logica e metafisica,
1854, II, p. 617 segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, I, p. 52 segg.; Bergson,
Essai eur le données, 1904, p. 96 segg. ; Ardigò, Op. fil, I. 144-50; V, 161
segg.; Mach, Beit. z. Anal, d. Empfindungen, 1886, p. 17; Myors, The human
personality, 1902; G. Geley, L’étro suboosciente, 1905; M. Princo, The
dissoolation of a personality, 1906; P. Janet, L'automatiome peychologiguo,
1910; A. Aliotta, Atti del V Congr. intern. di pric. a Roma, 1906 (v. essere.
soggetto, oggetto, dualismo, coscienza, spirito, spiritualismo, monismo,
parallelismo, ecc.). Iperalgesia.
T. Hyperalgesie: I. Hyperalgesia; F. Hyperalgosio. Sovreccitazione della
sensibilità dolorifica. Secondo aleuni psico-fisiologi esistono nella
superficie della cute delle zone o arco iperalgesiohe, le quali non corrispon
621 Ire dono ai territori di
distribuzione periferica dei nervi cutanei, © la cui sensibilità si desta
quando gli stimoli dolorifici ragiscono in aree, ad esse congiunte
centralmente, di minore sensibilità; ciò dimostrerebbe I’ esistenza di nervi ed
organi specifici del dolore, cosicchè la sensibilità dolorifien sarebbe un
quarto senso, che insieme a quelli del caldo, del freddo e del contatto,
costituisce la sensibilità cutanoa generale. Cfr. Kiesow, Arok. it, de Biol.,
vol. XXXVI, 1901; Alrutz, Atti del V Congr. int. di peiool. a Roma, 1906.
Iperestesia. T. Hyporüsthesie ; I. Hyporacstesia; F. Hyperesthésie.
Sovreceitazione anormale della sensibilità di un organo o di una regione; essa
prende dei nomi diversi a seconda degli organi sensori nei quali appare: così
dicesi iperormia l’iperestesia del senso olfattivo, iperacusia quella del senso
acustico, ipergeusia quella del senso gustativo, iperafia quella del senso
tattile. Si manifesta 80litamente con una grande intensità delle sensazioni,
che le rende moleste al soggetto. Il Myers chiama iperesteria della visione
cerebrale l’esasperata attività delle sfere visive corticali, promossa da
stimoli interni di ignota natura, che agiscono durante il sonno incompleto
risvegliando dei #ogni costituiti da visioni subbiettive vivaci, nette,
colorate. Cr. Myers, The human personality, 1902 (v. anestesia, sogno).
Ipermetafisica. T. Hypermotaphysik. Il Kant oppone alla vera metafisica, che
conosce i limiti della ragione umana, l’ipermetafisica che tali limiti vuol
sorpassare vagando nel campo delle imaginazioni senza fondamento. Un senso
analogo ha la parola metempirica, oggi più usata, proposta dal Lewes. Cfr. Kant, W. W., t. VIII, p.
576 seg. Lewes, Probl, of life and mind, 1875, t. II, pag. 17. Ipermetropia. T. Übereightigkeit. Difetto della
visione, che consiste in cid che i raggi paralleli dell’ asse ottico non fanno
foco sulla retina, come nell’ occhio normale, ma al di quo di essa. Quindi il
punto di lontananza, che per l'occhio normale si trova all'infinito, per I’
ipermetropico si trova al Ing 622 di là dell'infinito, cioè non esiste, perchè
solamente i raggi convergenti possono fare foco sulla lente senza sforzo di
accomodazione. L’ipermotropis è prodotta da poca enrvatura dello superfici di
rifrazione e da eccessiva cortezza dell’ asso ottico. Cfr. G. Abelsdorff, Das
Auge des Menschen, 1907, p. 59 segg. (v. aocomodamento, emmetropia,
presbitiemo, punto). i Ipermnesia. T. Hypermnesie; I. Hypermnesia; F.
Hypermuésie. È il contrario di amnesia, e designa uno stato di sovreccitazione
anormale della memoria. Può essere gonerale o parziale: quella consiste nel
subitanco e passeggero ritorno di un gran numero di ricordi, dipendente dalla
maggior rapidità della circolazione cerebrale; si verifica frequentemente noi
casi di febbre acuta, nell’ eccitazione maniaca, nell’ estasi, nell’ipnotismo e
talvolta anche nelV isterismo e nel periodo d’incubazione di certe malattie
mentali. Lo ipermnesie parziali consistono nel ritorno di alcune categorie di
ricordi, ad es. di un fatto, di una lingua dimenticata, © risultano quasi
sompre da cause morbose. Cfr. Ch. Bastian, Le oeroeveau, trad. franc. 1888, vol.
IT, Pp. 220 segg.; Ribot, Les maladies de la memoire, 313 ed. 1909 (v.
amnesia). Iperorganico. I.
Hyperorganical; F. Hyperorganique. Alcuni sociologi della scuola analogico-organica,
fra i quali lo Spencer, chiamano la società iperorganismo o auperorganismo, in
quanto travano in essa un legame di analogia con l'organismo individuale e in
quanto essa continua l'evoluzione organien. Generalmente iperorganismo desigua
ciò che è superioro all'organismo; così nel dualismo spiritualistico, l’anima,
lo spirito, è un principio iperorganico, in quanto domina il corpo (v.
analogico-organico). Iperpiano v. iperspazio. Iperspazio. I. Hyperspace; F.
Hyperespace. Spazio ipotetico, superioro a quello tridimensionalo che i aqusi
rivolano, e che ha proprietà diverse dello spazio ancliden. 623
Ipr-Ipn Date » variabili, ogni gruppo di valori particolari di queste
varinbili è nn elemento (punto) in uno spazio a n dimensioni (6 κ). Invece di
considerare » variabili, se ne possono considerare n + I, © i rapporti di n di
esse all’ ultima; il punto di 6 n resta determinato dai valori di tali rapporti
© i valori corrispondenti della n + 1 variabili possono chiamarsi coordinate
omogenee del punto: ora, una equa zione lineare omogenen fra queste coordinate
dicesi iperpiano ed 8 n iperspazio. Cir. Klein, Vorlesungen über nichteuclidischen
geometrie, 1893; Russel, An essay on the foundation of geometry, 1897;
Halstead, Bibliografy of hyperspace, Amorican journ. of math. », vol. I, p. 261 segg.; II, p. 65 segg.; Veronese,
Fondamenti» di geometria a più dimensioni, 1891; Vonola, La geometria
non-suclidea, 1905; M. Boucher, Essai sur Vhyperespace, 1903 (v. metageometria,
non-euclideo). Ipertrofia. T. Uobernährung; I. Hypertrophy; F. Hypertrophie.
L'aumento della nutrizione, ο quindi della dimensione degli organi, in seguito
all’ attivo esercizio di ossi. Ipertrofia dimensionale: la legge stabilita dal
Roux, secondo oni l’anmentata attività di un organo determina nm ingrandimento
di esso in quella ο quelle direzioni, nelle quali avviene l'aumento di lavoro;
ad es, nelle ossa lunghe la sostanza ossea si concentra alla periferia che deve
sostenere lo sforzo maggiore, ritirandosi dal centro dove } eceitamento fanzionale
è minimo, per cui l'osso diventa tubolare. Nel senso contrario agisce la leggo
dell’ atrofia dimensionale (v. biomeccanica). Ipnotismo.T. Hypnotiemus; I.
Hypnotism; X. Hypnotisme. Vocabolo creato dal Braid, che fra i primi lo studiò,
vorso la seconda metà dol secolo scorso. Designa l’ insieme di quoi fenomeni
che si riattaocano al sonno artificiale 0 provocato nei nevropatici. Il merito
di aver sottomesso codesti fonomeni ad una accurata analisi sperimentale spetta
allo Charcot ο alla ana scnola. Egli distinguo nel sonno ipnotico due stati, il
grande ο il piccolo ipuotismo. Ἡ grande Ipo
626 Ipostasi (ὑπό = sotto, στάσις
= dimora). T. Hypostase; I. Hypostasis; F. Hypostase. Nella filosofia, specie
in quella alessandrina, e nella teologia, si usa per designare la sostanza che
sta sotto i fenomeni, ciò di cui i fenomeni non sono che la manifestazione
esteriore. Infatti la parola latina sub-stantia è la traduzione letterale della
parola greca ipostasi, Così secondo i teologi, nella SS. Trinità vi sono tre ipostasi
distinte, mentre la divinità di Gesù Cristo è l’unità ipostasica, sotto la
dualità delle nature divina ed umana,
Nel linguaggio filosofico corrente, fare un’ ipostasi o ipostatizsare,
significa dare concretezza ο realtà esteriore ad un dato, che è proprio
soltanto del pensiero, che è una pura astrazione. Cfr. Alberto Magno, Summa
theol., I, qu. 43, 2; S. Tommaso, Summa theol., I, 29, 1 ο. (v. κοatanza,
essenza, astrazione). Ipotesi. Gr. Ynößeoıs; Lat. Hypothesie; T. Hypothese ; I.
Hypothesis; F. Hypothèse. Secondo Platone l’ ipotesi è la supposizione di un
principio universale, che si mette a fondamento di un altro. Per Aristotele è
un ragionamento che riposa sopra l'assunto che, se 4 è vero, B deve essere
ammesso in conseguenza; se dunque À è vero, B à ricavato per ipotesi. Secondo
Cartesio l'ipotesi è una proposizione accolta senza constatarne la verità o la
falsità, come principio da cui ricavare un insieme di proposizioni : Affinchè
ciascuno sia libero di pensare ciò che gli piacerà, desidero che quello che
scriverò sia preso solo come ipotesi, molto lontana forse dalla verità; ma
anche se ciò fosse, crederei aver fatto molto se tutte le cose che ne sono
dedotte sono interamente conformi alle esperienze ». E contro questo metodo che
Newton protesta, rifiutando di usare di simili ipotesi: Rationem vero harum
gravitatis proprietatum ex phanomenis nondum potui deduoere, et hypotheses non
fingo. Quicquid enim ex phanomenis non deducitur, hypothesis vocanda est; et
hypotheses seu metaphysioæ, seu physica, scu qualitatum occultarum, seu
mechanicæ in philosophia 627 Ipo N experimentali locum non habent. Secondo
il Turgot invece, lo ipotesi sono una condizione del progresso intellettuale;
se ve ne sono di false e di arbitrarie, si distruggono da sè medesimo: Tutte le
volte che si tratta di trovare la causa di un effetto, non è se non per via
d’ipotesi che si può giungervi, quando l’effetto solo è conosciuto. Si risale,
come si può, dall’ effetto alla causa per cercare di conchiudere a ciò che è
fuori di noi. Ora, per divinare la cansa di un effetto, quando le nostre idee
non ce la prosentano, bisogna imaginarne una; bisogna verificare più ipotesi ο
provarle ». Secondo A. Comte le ipotesi veramente filosofiche devono presentare
costantemente il carattere di semplici anticipazioni su ciò che l’esperienza e
il ragionamento avrebbero potuto svelare immediatamente se le circostanze del
problema fossero state più favorevoli ». Secondo il Lotze l'ipotesi è una
congettura con cui cerchiamo di indovinare un dato di fatto non contenuto nella
percezione, ma che erediamo debba esistere in realtà perchè la perceziono co lo
presenta come possibile. Secondo la definizione del Mill, l'ipotesi è una
supposizione imaginata senza prove o con prove insufficienti, în vista di «dedurre
delle conclusioni che siano d’ accordo coi fatti reali. Constatato questo
accordo I’ ipotesi è verificata. Si sogliono distinguere lo ipotesi «peoiali ο
ideo direttrici, dallo grandi ipotesi ο ipotesi esplicative: quello stanno al
principio dello scienze, in quanto servono come idea direttiva delle
investigazioni, queste stanno al culmine della scienza e sono una
interpretazione generalo delle esperienze. Infatti le conclusioni ultime di
molte scienze, come I’ unità delle forze fisiche, I’ unità della materia, la
formazione del sistema solare ο del nostro pianeta, |’ atomiamo, l’ evoluzione,
ecc. non sono che grandi ipotesi, più o meno probabili ed alcune affatto
inverificabili. Molti scienziati si mostrano contrari all’ uso dell'ipotesi, in
quanto introducono nello sperimentalismo scientifico un elemento arbiIo. 628
trario ed a priori; va però notato che, mentre l’a priori della pura
ragione è, ο pretende di essere, immutabile © assoluto, quello dell’ ipotesi è
di sus natura mutabile, provvisorio, relativo, e non ha valore se non in quanto
può essere direttamente o indirettamente comprovato dall’esperienza. Quindi non
ogni ipotesi è legittima, e la sua introduzione è sottomessa a leggi rigorose,
che costituiscono lo condizioni d' ammissibilità dell’ ipotesi. Le principali
di queste condizioni sono: che l'ipotesi non inchiuda contraddizione nè in sè
stessa, nd con altri principt noti ¢ certi, nd coi fatti che deve spiegare; che
sia semplice, scelta tra quelle che hanno più diretta attinenza coi fatti: che
riguardi possibilmente una causa reale, non agenti imaginari, o non abbia una
forma troppo affermativa. Quanto alla sua verificazione, essa varia, secondo il
Naville, a seconda che l'ipotesi è razionale, sperimentale ο esplicativa : nel
primo caso si deve far concordare logicamente il principio razionale supposto
coi principi già stabiliti; nel secondo non si deve che constatare la realtà
del fatto prima imaginato ; nel terzo si devo dedurre le conseguenze ©
conıparare queste coi fatti. Secondo il Poincaré vi sono ipotesi verificabili
con l'indagine matematica e sperimentale, ipotesi valide solo come mezzi per
fissare le nostre conoscenze, ο ipotesi che non sono vere ipotesi, ma
definizioni o convenzioni mascherate. È da queste ultime che le acionze traggono
il loro massimo vigore; noi non concepiamo il numero, la grandezza, lo spazio,
la materia, se non traverso ipotesi le quali sembrano avere dell’ arbitrario e
che sono accettate, non già come la rappresentaziono della realtà, bensì come
un mezzo comodo, naturale, logico (per la logica umana) di rappresentarei la
realtà; non è la realtà che ci dà quei concetti, senza dei quali nulla
sapremmo, siamo noi che ce li creiamo © li usiamo per convenzione. In generale,
l’oggettività della conoscenza è in ragione inversa della sua universalità; il
fatto bruto è il più og 629 Ipo gettivo,
ma da questo in là l’oggettività diminuisce gradatamente a misura che cresce la
generalizzazione; il fatto stientifico è già meno oggettivo e più ipotetico del
primo, e dal fatto scientifico alla legge, ο da questa ai principt è un
procedimento continuo verso il soggettivismo © verso il convenzionalisno.
Questi concetti del Poincaré sono condivisi ed anche accentnati dai
rappresentanti dell’ empirismo radicale, dell’ empiriocriticiemo ο dell’
energismo. Così per l’Ostwald non si può ragginngere il fondo vero delle cose
se non attenendosi alla pura constatazione dei fatti offerti dall'esperienza, e
costruendo una scienza libera da ipotesi, eine Aypothesenfreio Wissenschaft; le
ipotesi sono, infatti, delle semplici imagini con cui arbitrariamente si
aggiungono ni fenomeni dei caratteri che non ci sono dati dall’ esperienza ο
non potranno mai dimostrarsi oggettivamente, imagini scelte in guisa da
rappresentare con le loro proprietà le proprietà analoghe dei fenomeni; ora, il
solo modo adeguato di rappresentare completamente un fenomeno à il fenomeno
stesso ; ogni rappresentazione per mezzo di altri fenomeni, più o meno
analoghi, contiene necessariamente elementi estranei. Cfr. Platone, Fed., 100 A
segg.; Kep., VI, 510 B; Aristotele, Anal. post., I, 2; Anal. prior., I, 10, 30
b, 32; Cartesio, Prino. phil., 11, 44, 45; IV, 204206; Newton, Philos. mat.
prino. math., 1687, ad finem; Comte, Cours de phil. pos., I, lez. 28; Lotzo,
(irundsiige d. Logik, 1891, p. 84; Stuart Mill, Syst. of logic, 1865, II, 17;
È. Naville, La logique de l'hypothèse, 1895; Ostwald, Porlesungen über
Naturphilosophie, 1902; Id., Die Uberwindung des wissenehohaft. Materialismus,
1895 ; Poincaré, La valeur de la science, 1908; Id., La science et l'hypothèse,
1909; C. Ranzoli, Leggo, principio, ipotesi, in Linguaggio dei filosofi »,
1913, p. 228-244. Ipotetico. T. Hypothetisch; I. Hypothetical; F. Hypothétique.
In generale si riferisce a tutto ciò che è supposto arbitrariamente, che ha
bisogno di essere dimostrato con Ips
630 prove. I giudizi sono ipotetici quando esprimono che
la posizione del predicato è condizionata ο dipendente dalla posizione del
soggetto. La loro formula è : se 4 à, è (non è) B. in cui la prima parte, che
contiene la posizione del soggetto, dicesi ipotesi, la seconda, che contiene
quella del predicato, tesi. Il giudizio ipotetico, insieme al categorico e al
disgiuntivo, appartiene alla forma dei giudizi di relazione. Diconsi ipotetici puri quei sillogismi in cui
In maggiore, la minore e la conclusione sono giudizi ipotetici: essi hanno,
teorioamente, tanto figure © modi quanti il gindizio categorico, ma sono
praticamente d’uso assai limitato. Diconsi ipotetico-categorici, quei
sillogismi di eni la maggiore è un giudizio ipotetico, la minore un gindizio
categorico che afferma l’antecedente o nega il consegnente della maggiore, e la
conclusione un giudizio categorico che afferma il conseguente o nega
l’antecedente della maggiore; esso ha quindi due modi fondamentali: il ponente
(ponendo ponens), che seguo il tipo della prima figura del sillogismo
categorico, © il tollente (tollendo tollens) che segue il tipo della
seconda. Nella matematica si di cono
ipotetici quei problemi la cui validità dipende dal-" l’analisi necessaria
a risolverli, ed assoluti quelli che sono indipendenti dall’analisi. Kant chiama ipotetici quegli imperativi che
sono subordinati ad una condizione, ed enuncinno che un atto è un mezzo
relativamente ad un certo fine. Cfr. Kant, Logik, 1800, p. 163; Wundt, Logik.
1893, I, p. 182. Ipsedicitismo. Vocabolo creato dalla espressione ipre dizit,
adoperato per designare In tendenza a jurare in verba magistri, nd ammettere in
tutta la sua estensione il principio di autorità (v. testimonianza). Ipse
dixit. Durante il medio evo, Aristotele era riguardato como giudice
inappellabilo del vero, perchè si credeva che egli nvesse raggiunto il limite
massimo della sapienza, conoscendo tutto quanto all’ nomo è dato co 631 Iro noscere. Quindi il criterio assoluto
della verità d’ ogni dottrina era 1’ essere contenuta nelle opere d’
Aristotele, l'essere stata detta da lui: ipse dixit, egli disse. Questa
espressione fu creata forse dal più grande commentatore arabo d’ Aristotele,
Ibn Roschd conosciuto sotto il nome di Averroè, il quale faceva precedere ai
propri commenti un compendio del testo d’ Aristotele, preceduto sempre dalla
parola Κάῑ = disse. Col Risorgimento ο col decadere della scolastica finisce
codesta cieca sottomissione all’autorità del filosofo greco, 9 si comprende che
la verità va cercata, come disse il Galilei, non nei libri d’Aristotele, ma nel
gran libro sempre aperto della natura. La inza moderna non esclude del tutto il
valore della testimonianza, ossia del principio di autorità, perohè se chi
coltiva una data disciplina dovesse rifare da capo tutto ciò che prima di lui è
stato fatto, sarebbe impossibile il progresso scientifico; tuttavia essa si
uniforma pur sempre alla massima di Bacono: veritas filia temporis non
auotoritatie (v. aristoteliamo). Ironia. Gr. Εϊρώνεια; T. Ironie, Ferepottung ;
I. Irony; F. Ironie. Si definisce come quella forma del comico, nella quale
inaspettatamente ci compiacciamo di trovar celato il biasimo sotto la lode o
sotto la rappresentazione oggettiva, oppure l’ incredulità sotto la credenza,
ο, viceversa, la lode sotto il biasimo e la credenza sotto la credulità. In
ogni forma d’ironie (pura, satirica, benevola, ecc.) è infatti essenziale un
compiacimento più o meno esagerato, col quale si rileva un difetto o un
contrasto, ο che, nella sua esagerazione, cela un compiacimento affatto opposto
a quello rivelato dall’ironista. Nella
storia della filosofia la parola ironia è usata ad indicare il processo
metodico confatativo, ο negativo, adoperato da Socrate nelle sue dispute. Esso
consisteva nel fingersi ignorante davanti a persone che godevano fama di essere
sapienti o si presumevano tali ; tale ignoranza egli la sapeva sostenere per i
tratti stessi del suo viso e Ink 632 con la semplicità delle domande, ingenue in
apparenza ma così sottilmente incalzanti nella sostanza, da far cadere infine
l'interlocutore in un viluppo di assurdità manifeste ο da costringerlo a negare
quanto prima aveva asserito. Così gli avversari vedevano rovinare la loro
pretesa scienza, smantellata sotto i colpi della dialettica socratica. E tale
era l'intento che Socrate proponevasi col suo metodo critico dell’ ironia:
comunicare agli altri quel dubbio che era anche in lui intorno alla verità
delle proprie ed altrui opinioni. Credi tu, dice Socrate a Menone, a proposito
dello schiavo che aveva preso a catechizzare, ch’ei si sarebbe messo a cercare
ed imparare ciò che si credeva di sapere pur nol sapendo, se prima non fosse
caduto nel dubbio, accorgendosi di non sapere e sentendo desiderio di saper
veramente? Pon mente adesso come egli, movendo da questo dubbio e facendo la
ricerca con me, ei ritroverà il vero, non altro che io l’interroghi, non già
che gli insegni >. Nei dialoghi socratici di Platone è l’ironin che prevale;
in quelli di Senofonte è invece il metodo positivo o maieutica, Cfr. Senofonte,
Mem., I, 3, 8; Acad., II, 15; Platone, Menone, XVIII, 84 CD; Zuccante, Metodo
di filosofare di Socrate, in Saggi filosofici, 1902; Paulhan, La morale de P
ironie, 1909, p. 142 segg.; G. Palante, 2’ ironie, Revue philos. », feb. 1906;
A. Momigliano, L'origine del comico, Cultura filosofica », sett. 1909 (v.
agonistica, anatreptica, endiotica, eristica, ecc.). Irraggiamento v.
emanazione. Irrazionalismo. T. Irrationalismus ; I. Irrationalism ; F.
Irrationalisme. Nella filosofia religiosa è quell’ indirizzo che considera la
ragione impotente a penetrare nelle cose divine ed estrasensibili, e può avere
tante forme quanti sono i mezzi o stromenti che esso ritiene idonei alla
conoscenza religiosa, siano essi la fede fiduciale o giustificante (fideismo),
la tradizione (tradizionalismo), il sentimento (sentimentalismo), ecc.: si
oppone sia al razionalismo as 633 Iur
soluto, che ritiene la ragione capace di costruire, con le sole sue forze, un
sistema di conoscenze che ha valore non solo di scienza © di filosofia, ma
anche di religione; sia al semi-razionaliemo, che riconosce due stromenti ο
fonti della verità, la ragione e la fede, e quindi due ordini di verità, le verità
di ragione ο le verità di fede. Nella metafisica l’irrazionalismo è dottrina
per la quale l'universo è irrazionale, ossia tale che non pud essere ridotto
ngli schemi logici della ragione ; si oppone specialmente al panlogiemo, per il
quale invece tutto ciò che è razionale è reale, © tutto ciò che è reale è
razionale. Forme di irrazionalismo sono l’ idealismo oggettivo dello Schelling,
il rolontarismo dello Schopenhaner ο il mobiliemo contemporaneo. Cfr. C.
Ranzoli, I! linguaggio dei filosofi, 1913, p. 217 segg.; Windelband, Storia
della filosofia, trad. it., vol. II, Ρ. 343-351. Irritabilità. F. Irritabilit.
Questo vocabolo fu introdotto nel linguaggio filosofico dall’ Haller, per
designare ‘quella proprietà dei muscoli che oggi dicesi contrattilità, © cio
l'attitudine dei muscoli stessi di reagire allo stimolo con uns contrazione.
Poscia passò a designare I’ attitudine del muscolo a reagire allo stimolo,
attitudine che con la contrattilità non costituisce che due forme di un’unica
proprietà: il muscolo non si contrae se non è irritabile, © non si può dire che
sia irritabile se non si contrae. Presentemente per irritabilità si intende la
proprietà fondamentale della materia organica di reagire ad eccitamenti, per
rispondere con una reazione propria agli stimoli. La reazione di ogni tessuto è
il risultato delle reazioni minime dei singoli elementi di cui il tessuto si
compone: Virritabilita è dunque la proprietà fondamentale delle cellule
viventi. Variando le reazioni minime, varia anche la reazione complessiva: così
|’ irritabilità del tessuto muscolare consiste nel contrarsi, quella del
tessuto vascolare nel necernere, quella del tessuto nervoso nel sentire. La
natura Iso-Ist 634 specifica della reazione della cellula non
dipende dalla natura dello stimolo, ma da quella della cellula stessa.
L’attività delle cellule ο dei tessuti è sempre determinata da uno stimolo.
Tuttavia gli organismi hanno la proprietà di muoversi da sd stessi, senza In
eccitazione immediata del di fuori: questa proprietà dicesi «pontaneità ed è
costituita dalla scarica della forza muscolare immagazzinata, in seguito
all’azione di modificazioni interne, che costituiscono lo stimolo. La
spontaneità è dunque relativa non assoluta ; essa differisce dall’irritabilità
non qualitativamente ma quantitativamente. Cfr. Werworn, Fisiologia generale,
trad. it. 1907, p. 50 segg. (v. protoplasma, rita, vitalismo, eccitazione).
Isostenia. Vocabolo dell’antico scetticismo, ancora usato per indicare il
bilanciarsi delle ragioni pro e contro in un dato argomento. La conclusione
ultima cui giunse tutta l’antica scuola scettica, da Pirrone d’Elide a Sesto
Empirico, fu infatti che lo ragioni pro ο contro, intorno a qualsiasi oggetto,
si equilibrano ed hanno forza uguale; ‘Timone di Flio, discepolo di Pirrone,
disse ciò isostenia delle ragioni (ἰσοσθένια τῶν λόγων), 9 tale vocabolo è
rimasto nel linguaggio filosofico. Cfr. C. Wachsmnth, De Timone phliasio, 1859.
Istante. Gr. Τὸ viv; T. Augenblick ; I. Instant; F. Instant. L'attimo attuale,
il punto determinato e indivisibile della durata, © che quindi sfugge ad ogni
misurazione: esso è il limite comuno tra due durate successive. Il presente è
un istante, che sta fra il passato, che è già un non-essere, © il futuro, che è
il possibile pensato in relnzione alla nostra esperienza. Tra tutti i filosofi,
Aristotele è senza dubbio quello che ha analizzato con maggiore acutezza il
problema dell'istante, nel quale #’ accentra il problema del tempo. Per
Aristotele l'istante è sempre diverso per la sua forma, perchè ora è in questo
punto ora in altro punto diverso del tempo, ma è sempre lo stesso per la
sua 635
Ist materia, cioè in quanto istante, perchè implica sempre un anteriore
e un posteriore, o, in altre parole, perchè è sempre ugualmente fine del
passato e principio del futuro. Così si spiega come il tempo, al pari del
movimento, sia sempre diverso e sempre lo stesso. Se l'istante non fosse il
tempo non sarebbe, come se fl tempo non fosse l'istante non sarebbe; non solo,
ma è per l'istante che il tempo è continuo ed eterno. Tempo ed istante si
implicano a vicenda come il movimento e il corpo mosso; infatti sono entrambi
simultanei; © come il movimento e il corpo mosso sono simultanei, tali sono
anche il numero del corpo mosso € il numero del movimento; poichè il tempo è il
numero del movimento, e 1) istante, come il corpo mosso, è in certo modo
l’unità del numero, μονὰς ᾽αριθμοῦ ». L’ istante è ul tempo come il punto alla
linea: come I’ istante dete nina U’ anteriorità e lu posteriorit del movimento,
e quindi divide il prima e il dopo, così il punto divide la linea essendone il
principio e l’ estremità; come l'istante non è una porzione del tempo,
quantunque determini il tempo, così il punto non è una parte della linea,
quantunque generi la linea. Da ciò si comprende come Aristotele chiami
l’istante un semplice accidente del tempo; infatti sotto un certo rapporto esso
non è numero, ossia non è tempo, perchè mentre il numero serve a numerare le
cose più disparate, l’istante serve solo a limitare cid di eni è limite; ma
sotto un altro rapporto esso pure è numero, perchè può applicarsi
indifferentemente a tutti i movimenti e a tutti i corpi. Cfr. Aristotele, Phys.
IV. 10-12; Covotti, Le teorie dello spazio ο del tempo nella fil. greca, Annali
della R. Scuola Norm. di Pisa », 1897, vol. XII (v. fempo). Istanza. Lat.
Instantia; T. Instanz; I. Instance; F. Instance. Cartesio dava questo nome al
nuovo argomento che si aggiunge alla risposta ad una obiezione : Ho traseurato
di rispondere al grosso libro d’ istanze che 1’ autore Ist 686
delle quinte obbiezioni ha prodotto contro le mie risposte... ».
L'istanza, così intesa, può consistere sia in una nuova obbiezione, sia in una
confutazione della replica. Bacone dà a questa parola il valore di fatto
osservato ed accertato, caso particolare, esempio. Egli divide le istanze in
positive, negative e prerogative; le prime sono quelle che danno luogo ad una
induzione per enumerationem simplicem, le seconde sono i casi o il caso
particolare contrario, che la distruggono; le ultime il fatto o i fatti di tal
natura, che bastano a garantirla. L'istanza prerogativa, che à il fondamento
della legge, può offrirsi da sola alla osservazione; ma per lo più lo
scienziato deve andarla a cercare, e tale ricerca si opera per mezzo dello
esperimento. Cfr. Descartes, Lettre à Clerselier, ed. Ad. et Tannery, IX, 202; Bacone,
Nor. Org., Il, 21 segg. ; De Augmentis, V, 2 (v. istantie, induzione,
experimentum cruoie). Isterismo.
T. Hysterismus; I. Hysteriem, Hysteria; F. Hystérieme. Forma di malattia
nervosa, ricca dei più svariati fenomeni psichici, che si manifesta
specialmente nella gioventù, più nelle donne che negli uomini, e colpisce
profondamente la personalità. Secondo gli studi più recenti, esso sarebbe
determinato da una specie di intorpidimento, diffuso o localizzato, passeggero
o permanente, dei centri cerebrali, che si traduce con manifestazioni trofiche,
viscerali, sensitive © sensoriali, motrici © psichiche, a seconda dei centri
colpiti; ο con crisi transitorie, con stimmate permanenti o con accidenti
parossistici, a seconda delle sue variazioni, del sno grado e della sua durata.
Si distingue il grande isterismo dal carattere isterico; questo si rivela nella
grande mobilità dell’ umore, nella forma vacillante © instabile della volontà,
nella leggerezza dei giudizi ο degli affetti, nella incostanza dei propositi,
nella facile distraibilità ed emotività, nella tendenza alla bugia e
all’inganno. Il grande isterismo è caratterizzato da oscuramento della
coscienza, idee deliranti, illusioni ed allucinazioni, muta 637 Ist bilità massima dell’nmore, convulsioni,
nevralgie, anestesie e iperestesie locali e generali, insonnia, vertigini, ece.
In tutte le forme di isterismo si osservano poi : le lesioni più © meno gravi
della personalità, la grande attitudine a ricevere la suggestione (che agisce
nella subcoscienza) e il sonnambulismo naturale. Tuttavia gli autori che in
questi ultimi tempi hanno tentato di definire I’ isterismo, cercarono di
raccogliere tutti codesti sintomi intorno ad un fenomeno morale; Moebius e
Stritmpell considerano come isteiche le modificazioni patologiche del corpo
determinate da idee, da rappresentazioni, e lo definiscono un insieme di
malattie da idea, da rappresentazione mentale » ; altri insistono sullo
sdoppiamento della personalità, sui fenomeni di dissociazione mentale, sull’
ufficio delle idee subcoscienti, ecc. Si può dire con Pierre Janet che
l’isterismo è una psicosi appartenente al gruppo delle malattie mentali da
insufficienza cerebrale, ed è specialmente enratterizzata da sintomi morali, il
principalo dei quali è un indebolimento della facoltà di sintesi psicologica ».
Ne viene che un certo numero di fenomeni elementari, sonsazioni ed imagini,
cessano di essere percepite e sembrano escluse dalla percezione personale,
donde una tendenza alla scissione permanente e completa della personalità, alla
formazione di parecchi gruppi indipendenti gli uni dagli altri: questo stato
favorisce la formazione di idee parassitarie, che si sviluppano isolatamente
all’ infuori della coscienza personale e si manifestano coi disturbi più
svariati d’apparenza fisica. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, pag. 115
segg.; Moebius, Ueber d. Begriff d. Hysterie, 1888 : Pierre Janet,
L'automatisme psychologique, 1889; Id., Anesthesie et dissociation, Revue
philos. », 1887 (x. autncosoienza, autosoopia, suggestibilità). Istinto. Τ. Instinkt; I. Instinct; F. Instinct,
È un insieme di abitudini protettive, formatesi lentamente a traverso
l'evoluzione della specie e fissatesi progressivamente negli Ist 688
individui della specie medesima. Il Reid lo definisce un impulso
naturale a certe azioni senza avere nessuna nozione del fine, senza
deliberazione e assai spesso senza nessun concetto di ciò che si fa ». Kant: la
necessità interiore della facoltà di desiderare il possesso di un oggetto prima
di conoscerlo; ossia un bisogno affettivo di fare o godere qualche cosa, di cni
tuttavia non si ha alcun concetto ». Bain: il nome dato a ciò che si fa
anteriormente all'esperienza e all’educazione ». Spencer: un’ azione riflessa
appropriata; esso può essere più descritto che definito, perchè non si può
tracciare una linea netta di demarcazione tra esso © la semplice azione
riflessa ». Romanes: termine generico comprendente tutte quelle facoltà
psichiche le quali conducono alla esecuzione cosciente di azioni che sono
adattative nel carattere, ma sono perseguite senza necessaria conoscenza delle
relazioni tra i mezzi impiegati 9 il fine raggiunto »; egli chiama istinti
primitivi quelli che risultano direttamente dalla struttura primitiva dell’essere
vivente, o che non sono dovuti che alla selezione, e istinti secondari quelli
che costituiscono un automatismo derivato, acquisito mediante adattamenti
intelligenti, Il Bastian invece raggruppa gli istinti in tre grandi classi, a
seconda «he dipendono da stimoli provenienti direttamente o in«direttamente dal
canale alimentare (ad es. il modo di ricercare © catturare la preda), ο dagli
organi generatori (ad es. la costruzione dei nidi, I’ incubazione, ece.), 0 da
tutto intero l'organismo, sia nella parte esterna che nell’ interna (ad es. lo
svernamento e |’ emigrazione). Carattere essenziale dell’ istinto è l'utilità,
sia per l'individuo che per la specie; un istinto nocivo non è più un vero
istinto. secondo il Bergson questo carattere di utilità (che però è uegato da
alcuni biologi, che citano esempi di istinti inutili © addirittura nocivi)
consiste nell’ uso degli organi, laddove il carattere della intelligenza sta
nella capacità di fabbricare degli stromenti artificiali: 7’ istinto compiuto è
una fa 639 Ist coltà di utilizzare e
anche di costruire degli atromenti organizzati, l'intelligenza compiuta è la
facoltà di fabbricare e impiegare degli stromenti inorganici. Il carattere
meccanico dell'istinto è apparso così prevalente, che per lungo tempo è prevalso
il concetto, elevato a legge, che I’ istinto fosse in ragione inversa dell’
intelligenza; oggi però la maggior parte dei psicologi e dei naturalisti
conviene col Romanes nel respingere codesta legge, e nell’ ammettere invece che
V istinto s’ accompagna a quel grado d’ intelligenza che procede per singoli
casi, e che è in continua cooperazione con la scelta naturale © col meccanismo.
L’ atto istintivo si distingue dal riflesso, perchè mentre questo è puramente
fisiologico e riguarda solitamente un solo organo, quello ha anche un fattore
psichico, ciod il sentimento, e implica l’impiego di più organi; si distingue
dal volontario perchè è d’ ordinario uniforme e non snppone la netta
rappresentazione del fino; si distingue infine dall’ abitudine perchd questa è
acquisita quello è innato. Tuttavia è indubitabile che 1’ istinto, oltre che
fatto ereditario, è anche fatto d’ acquisizione, nd si potrebbe comprenderne
l’origine ammettendo la sola trasmissione ereditaria: infatti l'eredità non
crea, ma soltanto conserva ciò che già esisto; 1’ eredità soffre numerose
eccezioni, mentre l’ istinto non ne soffre alcuna; l'eredità trasmette anche le
tendenze nocive, mentre l’istinto è sempre utile. Dol resto, che l’istinto
possa ossere acquisito è dimostrato, oltrechè dalle modificazioni che esso
subisce per gli adattamenti locali, anche dall’ efficacia dell’
addomesticamento, che può deprimero o distruggere istinti esistenti ο crearne
di nuovi. Ora, i principali fattori che concorrono a formare l’istinto
sarebbero: l'imitazione, l'adattamento, l’intelligenza e l’esperienza
individuale, intesa, quest’ ultima, come qualche cosa di più semplice dell’
esperienza riflessa e pienamente cosciente, che è propria soltanto dei
vertebrati superiori © dell’uomo. Cfr. Reid, On the intell. powers of man, 1785, MI, 2;
Kant, Anthropologie, 1872, I, $ 78; Bain, Menta? Isı-Ira 640
and moral science, 1884, p. 68; Spencer, Prino. of psychology, 1881, I,
p. 482 segg.; Romanes, L’évol. ment. chez los animauz, cap. XII; Bastian, The
brain as an organ of mind, 1884, p. 227 ; Bergson, L’évol. ordatrice, 1912,
cap. IL: G. Bohn, La nouvelle
peychol. animale, 1911; T. Wasmann, Istinto e intelligenza nel regno animale,
trad. it. 1908; F. Mi sci, La formazione naturale del? intinto, Atti della R.
Acc. di Napoli », 1898. Istologia. T. Hystologie; I. Hystology; F. Hystologie.
L’anatomia microscopica, che studia gli organi del corpo umano nei loro
elementi componenti e stabilisce i rapporti dei vari tessuti (hista ο tela). L’
istologia moderna si fonda sulla teoria cellulare, per la quale sia nell’ uomo
che nell’animale, sia nell’ organismo sano che nell’ammalato, tutti i tessuti
si compongono degli stessi elementi morfologici microscopici, le cellule, le
quali nascono tutte per una divisione ripetuta spesse volte, da una cellula
unica, semplice, dalla cellula stipite o dalla cellula ovo fecondata (v.
cellula, cellulari teorie, vita, generazione). Istorismo. O storicismo. T.
Historiemus; F. Historisme. Scuola filosofica ο suciologica, che gli
avvenimenti della storia, il diritto, i costumi, le azioni umane, le diverse
dottrine, vuole siano giudicate non nel loro valore intrinseco, ma nel loro
clima storico, vale a dire in rapporto all’ ambiente sociale, di cui esse sono
il prodotto. In questo senso l’istorisno si oppone al razionalismo; ma essendo
talvolta usato anche a indicare la concezione hegeliana, per cui l’accadere è
un processo essenzialmente storico spirituale, si oppone a naturalismo. Cfr. Andler, Les origines
du socialisme d’État en Allemagne, 1. I, c. I, $ 2-4 (v. eatetiomo, storicità).
Italica (scuola). Talvolta si
chiama così la scuola pitagorica perchè fiorì nella Magna Grecia, e
specialmente a Crotone, colonia dorico-achea. 641
Lav-LecL Lavoro. T. Arbeit; I. Work; F. Travail. In senso generale è
ogni attività legata ad uno sforzo ο diretta ad uno scopo utile, oggettivo o
soggettivo; in senso meccanico il prodotto di una forza costante per il cammino
che percorre il suo punto d’applicazione nella direzione di quosta forza.
Dicesi lavoro elementare il prodotto di questa forza per il cammino che
percorre il suo punto d’applicazione e per il coseno dell’angolo che la
direzione della forza fa con la direzione del cammino. Dicesi lavoro virtuale
il lavoro elementare d’una forza in un movimento virtuale ο ipotetico; il
principio del lavoro virtuale, usato nella statica e già intravvisto da
Galileo, consiste in ciò, che quando un sistema di pnnti materiali è in
equilibrio, se gli si imprime un movimento virtuale compatibile con i legami
stabiliti tra i suoi differenti punti, la somma algobrica dei lavori virtuali
di tutte le forzo al quale è sottomesso è uguale a zero. Diconsiipotesidi
lavoro o idee di lavoro (working ideas) quelle ipotesi e quei concetti
scientifici, che non rappresentano la vera natura delle cose, non corrispondono
a nulla di reale, ma hanno il semplice valore di finzioni utili, di simboli
artificialmente costruiti per agire sulla realtà; secondo alconi indirizzi
filosofici contemporanei, tutte le leggi scientifiche e persino le categorie
intellettuali (causalità, sostanza, forza, spazio, tempo, ecc.) non sarebbero
che ipotesi di lavoro. Cfr. Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 284 (v.
economica concezione, empirioeriticiemo, ipotesi). Legalità. T. Gesetzlichkeit,
Genetemässigkeit; I. Legality; F. Légalité. In senso generale, conformità alle
leggi positive. Per rapporto alla legge morale, Kant distingue In legalità
dalla moralità: questa è la conformità soggettiva ο volontaria dell’atto con la
legge morale, quella la con41 Rawzout, Dirion.
di scienze filosofiche, Lea 642 formità oggettiva dell’ atto alla legge
stessa, in quanto cioè l’atto compiuto è quale appunto doveva compiersi. Può
dunque aversi nello azioni la moralità senza la legalità ο viceversa: si ha il
primo caso quando in buona fede si fa ciò che essa proibisce di fare, il
secondo quando si fa ciò che la legge comanda per un motivo diverso che
l’obbedienza dovuta alla legge. Cfr. Kant, Krit. d. pr. Vernunft, D 126 segg.; Id.,The monist, gennaio
1910. Legge. Gr. Nönog; Lat. Lez; T. Gesetz; I. Law; F. Loi. Il concetto di legge ha subito molte variazioni
nella storia del pensiero umano, le quali tutte permangono como gnificazioni
diverse dello stesso vocabolo. Agli albori della speculazione filosofica, la
leggo era considerata come un comando impartito ai fatti naturali da virtà
divine occulte © dirpotiche; poscia prevalse il concetto etico-giuridico, per
cui si considerarono le leggi naturali come norme impartito ai fatti da una
volontà sovrannaturale, alla stessa guisa che il legislatore impone ai
cittadini, con regola immutabile, i propri voleri. Con gli stoici, l’idea di
legge è trasportata per la prima volta dai fatti morali si naturali, con la
scuola epicurea essa cominciò a considerarsi come la manifestazione spontanen
della realtà intima dei fenomeni. Ma il concetto naturale di legge nel senso
moderno non comincia che verso il seicento; allora per loggo #' intese il
rapporto costante fra termini, che sono rispettivamente condizionati e
condizionanti. Ai nostri giorni la nozione di legge ha assunto una generalità
anche maggiore, ο significa uniformità di rapporto, o anche solo di posizione,
tra più cose, fatti, proprietà. La logge non è altro, per la acienza modorna,
che la concordanza dei fatti in una medesima condizione, vale a diro il fatto
stesso portato allasuamassima goneralitä. Così l’Ardigò definisce la logge
; 648
Lee il De Greef il rapporto necessario esistente fra ogni fenomeno e le
condizioni nelle quali esso apparisce >; il Vignoli «l’ invariabilità nell’
evoluzione © molteplicità dei fenomeni », eoo. Però non tutti i filosofi
concordano nel dare alle leggi naturali un valore rappresentativo della realtà;
secondo alcuni indirizzi filosofici contemporanei (contingentismo,
empiriooriticiemo, prammatiemo, ecc.) esse sarebbero delle semplici ipotesi,
dello idee di lavoro, senza alcuna correlazione con una realtà per sò stante e
costruite solo per ordinare în modo semplice ed economico le esperienze © per
servire si bisogni dell’azione. Si sogliono distinguere: leggi
etico-giuridicho, naturali, matematiche e storiche. Le prime non sono causali
come le leggi naturali, ma riguardano un’ azione possibile © sopportano la
contraddizione; le leggi matematiche non sono causali ο quindi non soffrono
eccezioni; le leggi storiche sono causali come le naturali (per chi considera
la storia come scienza), ma assai più complesso e meno precise per il maggior
intreccio © la maggior dipendenza dei fatti storici tra di loro. Secondo alcuni
pensatori, le leggi sociali, che appartengono al gruppo delle leggi storiche,
non sarebbero assolute, fisse ο immutabili come le leggi fisiche, ma soltanto
empiriche, di tendenza © di gruppo ; empiriche perchè non fondate su un numero
sufficiente di fatti; di tendenza perchè esprimono soltanto la direzione
generale delle forze socinli, sonza poter affermare se la loro direzione
perdurerà ο inuterà, ο in qual modo muterà; di gruppo perch? possono essero
appliente soltanto a masse o aggregati di individui. Cfr. Kant, Krit d. pr.
Vernunft, 1. I, ch. I, § 1; Wundt, Logik, 33 ed., 1. II, p. 22; E. Boirac,
L'idée de phénomène, 1894, p. 198 s0gg. ; L. Weber, Sur diverses acoeptions du
mot loi, in Revue philosophique, maggio ο giugno 1894; A. Pagano, Vicende del
termine e del concetto di legge nella filosofia naturale, Riv. filosofica»,
sett. 1905 (v. diritto, determinismo, empiriocriticiemo, ipotesi. Lem-Lis 644
Lemma. Gr. Λῆμμα = proposizione; T. Lehnsats, Hüdfssate; I. Lemma; F.
Lemme. Proposizione che si ammette come dimostrata in quanto serve a preparare
la dimostrazione di un'altra proposizione, che bisogna provare e con la quale
tuttavia non ha alcun rapporto diretto. Quest’uso della parola sembra risalire
a Euclide; mu già Aristotele Vadoperava per indicare le premesse del
sillogismo, τὰ AFppara τοῦ συλλογισμοῦ. Oggi si usa anche ad indicare una
proposizione press a prestito da un’altra scienza o da un’altra parte dello
stesso sistema, dove ha la propria dimostrazione. Cfr. Aristotele, Top., VIII,
1, 156 b, 21; Fries, System der Logik, 8 Auf. 1837, p. 294 (v. dilemma,
dimostrazione). Letargia. Gr. Ληθαργία, da λήθη = oblio, ἁργία inazione; T.
Lethargie, Schlafeucht; I. Lethargy, Trance; F. Léthargie. Una delle fasi del
sonno ipnotico, la seconda stando alla teoria dol grande ipnotiemo, sostenuta
dallo Charcot ο dalla sun scuola. Lo stato letargico è caratterizzato da
ancatesin quasi generale, esagerazione dei riflessi © risoInzione muscolare
completa, cosicchè ogni più debole eccitazione meccanica determina la
contrazione (v. ipnotiemo, catalessia, sonnambuliemo, suggestione, 900.).
Levirato. Mac Lennan chiama così quel sistema di matrimonio praticato dalle
antiche tribù a famiglia poliandrica esogamica, secondo il quale un uomo doveva
sposare In vedova del suo fratello morto senza prole, per assicurargli una
posterità. Il levirnto segna un passo notevole nell'evoluzione della famiglia,
in quanto un gruppo di uomini prima nomici © poi succossivamente tra loro
fratelli, coabitano con uno stessa donna, stringendosi al patto prima detto.
Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history. 1878 (v. esogamia, endogamia,
matriarcato, famiglia, cco.). Liberalismo. T. Liberalismus; I. Liberalism; F.
Liberalisme. In senso politico-roligioso è la dottrina compendiata nella nota
formula cavonriana «libera Chiesa in libero
645 Lis Stato ». In senso
strettamente politico, la dottrina secondo la quale ai cittadini dev'essere
garantita libertà di pensiero e di parola, sicurezza da ogni arbitrio governativo;
il che significa che il potere legislativo e giudiziario debbono essere
indipendenti quanto è possibile dall’esecutivo. In senso economico, la dottrina
che sostiene non dover lo Stuto intervenire nelle relazioni economiche tra
cittadini, grappi sociali, nazioni (mediante premi, dazi protettivi, ecc.), le
sue funzioni non essendo nd industriali nd commerciali. Cfr. Royce, Psiohol.
Rev., V, 1898, 188; © una serie di art. di vari autori in Reo. de metaph. et de
morale, 1892-1893. Libero
arbitrio. Lat. Liberum arbitrium indifferentia ; T. Willenafretheit; I.
Freewill; F. "Libre arbitro. La
libertà del volere, ossia la possibilità conoreta che l’uomo posscderebbe di
determinarsi in modi svariatissimi ο indifferentemente, vale a dire senza
legami con la necessaria azione delle cause determinanti. In altre parole,
libero arbitrio vuol dire che la decisiono tra duo possibilità opposte
appartiene esclusivamente alla volontà dell'individuo, senza che per nulla
possano influire su tale docisione la pressiono multiforme ο continua
dell'ambiente esteriore © la lotta interna dei diversi motivi e mobili.
Arditrium, dice Pietro Lombardo, quia sino coatione et necessitate valet
appetere vel eligero, quod ex rations decreverit. È Malobrancho : la puissanoe do
vouloir ou de ne pas rouloir, ou bien de voulvir le contraire. E Bossuet: plus
je recherche en moi-mémo la raison qui me détermine, plus je sens quo je n’en
ai auoune autre que ma soule volonté; je sens par là clairement ma liberté, qui
consinte uniquement dans un tel choiz. Libero arbitrio significa adunquo spontaneità, assenza di causalità ;
ogni dottrina che ammette nell’ uomo il libero arbitrio dicesi indeterminiemo,
contingentismo, 0 libertiemo. Anche i deterministi ammettono lu libertà del
volere, ma semplicemento come una possibilità astratta: infatti essendo In
libertà la possibilità di coordinaro i mezzi al compimento del fine, ed essendo
la Lis 646 volontà non altro che la possibilità di una
simile coordinazione cosciente, è chiaro che senza libertà non ο) ὃ nemmeno
volontà non essendoci possibilità di coordinazione. Ma tale possibilità è
puramente astratta, perchè nel caso conereto una data decisiono è l’effetto
necessario di determinati motivi: astrattamente io posso ora scrivere e non
sorivere, ma in realtà perchè smetta di scrivere occorre si verifichino quelle
condizioni che non si verificano mentre scrivo. Oltre la maniera tradizionale
di intendere il libero arbitrio ciod quale assoluta spontaneità, quale
libertà@indifferenza,quale eocezione del principio di causalità ve n’ha una più
moderna che lo intende come autonomia della ragione, dalla quale la volontà
dipende. Per Kant l'autonomia è la volontà che, indipendentemento da ogni
mobile, si determina da sò stessa ad agire, cioò in virtà della sola forma
univeraalo della legge morale, fuori da ogni motivo sensibile; come la nostra
conoscenza si regge sopra condizioni @ priori, così anche la nostra condotta
morale deve dipendere dalla volontà morale © dalla sua legge morale; quindi
drückt das moralische Gesetz nicht anderes aus ala die Autonomie der reinen
praktischen Vernunft, d. i. der Freiheit, ossia la legge morale non esprime che
l'autonomia della ragion pura pratica, vale a diro In libertà; l'autonomia del
volero è quella proprictà del voloro, por cui osso è una logge a sè modesimo
(indipondento da ogni propriotà dell’ oggetto del volere) ». Il principio
dell’autonomia è dunque: scegliere in modo, che le massime della propria scelta
siano nollo stesso tempo comprese nel volere medesimo conic legge nnivorsale.
Secondo l’Ardigò ogni attività specitica è un'autonomia in quanto è la
trasformazione della forza esteriore, dovuta alla proprietà di cui ogni essere
è dotato, cioè alla costituzione naturale dell’ essere stesso: è un’ autonomia
perchè la forza esteriorehadovutotrasformarsi secondo la proprietà dell’
essere, il quale per tal modo trova in sè
647 118 stesso la ragione e la
possibilità di operare. L’autonomia del vegetale è la vita, del bruto è la
priche, dell’uomo è l’idea, che è l’autonomia massima, perchè è la formazione
naturale più complessa, che si sovrappone, in quanto tale, alle formazioni
inferiori, dominandole, e rappresenta la maggiore specializzazione ο
indeterminatezzs di azioni. L'autonomia è dunque libero arbitrio, pur non
negando la legge universale della causalità: è arbitrio, in quanto è la forma
speciale di attività, che ha in sò stessa la ragione di essere e domina le
sottoposte, è libertà perchè non è la possibilità unica della eteronomis, ma è
un numero svariatissimo di possibilità. Per il Bergson, invece, la libertà è lo
stesso potere onde il fondo individunlo ο inesprimibile dell’ essere si
manifesta © si crea nei propri atti, potere di oui noi abbiamo coscienza come
d’una realtà immedintamente sentita, © che caratterizza un ordine di fatti in
cui i concetti doll’ intelligenza, in special modo l’idea di determinazione,
pordono ogni significato: si chiama libertà il rapporto dell’ io concreto con
l'atto che osso compie. Questo rapporto à indefinibile, precisamente perchè noi
siamo liberi: si analizza infatti una cosa, ma non un progresso; si decompone
l'estensione, ma non la durata... Per ciò ogni definizione della libertà darà
ragione al doterminismo ». Cfr. P. Lombardo, Opera omnia, 1855, t. II, d. 25, 5;
Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, I, p. 1; Bossuet, Traité du libre
arbitre, 1872, e. II; Kant, Arit. d. prakt. Vorn., 1878, 1, $8, e Grundl. 2. Met. d. Sitt., 1882,
p. 67; Fonsegrive, Eseat sur le libro arbitre, sa théorie et son histoire,
1889; G. Biuso, Del libero arbitrio, 1900; Ardigò, La morale dei positivisti,
1892, p. 118 sogg.; Bergson, Essai sur les données imm. do la conscience, 1904,
p. 167 (v. determinismo, indelerminismo, libertà, epontaneità, fatalismo,
scionza media, motivi, causalità, ecc.). Libero esame. È una delle forme della
libertà di coscienza, e consiste nella facoltà di costruire da sè stesso
Lis 648
il sistema delle proprie credenze, o nello scogliere quelle tra le
credenze già costituite cho più talentano, senza che alcuna autorità le imponga
con violenza sia fisica che morale. Libertà. T. Freiheit; 1. Liberty, Freedom;
F. Liberté. Designs, in generale, l'assenza di ostacoli al compimento di un
fine: siccome poi all’ assenza di ostacoli corrisponde la possibilità di
coordinare i mezzi al fine, così per libertà si può anche intendere la
possibilità di coordinare i mezzi necessari al compimento di un fine. Quando
però à attribuita agli esseri incoscienti, non essendo quivi possibile la
concezione del fine, designa soltanto l'assenza d’ ostacoli al compimento d’una
azione: ad es. un corpo dicesi libero quando nessun ostacolo si oppone al suo
movimento. Kant chiama libertà intelligibile, 0 nowmenica, ο trascendentale,
quella che consiste in ciò, che l’esplicazione d’ogni fonomeno dato è duplice:
a) in quanto questo fenomeno appare nel tempo, si deve collegarlo a fenomeni anteriori
dai quali risulta, secondo leggi che lo determinano rigorosamente in rapporto a
questi; b) i fenomeni così collegati non essendo cose in sà ma semplici
rappresentazioni, hanno inoltre delle cause non temporali che non sono
fenomeni, © il loro rapporto a codeste cause costituisce la libertà. Riguardo
alla libertà umana si suol distinguere: 1° la libertà psicologica ο libertà
morale, che non è altro che la libertà del volere, ossia la possibilità di
determinarsi senza motivo o di scegliere liberamente fra motivi di egual forza;
2° la libertà fisica che non è se non la semplice possibilità dei movimenti del
corpo; ne è privo chi è colpito du paralisi, atassia locomotrice, acinesia,
eco.; 3° libertà personalo che è la stessa cosa della precedente, ma dipendo da
cause esteriori all’individuo; manca di essa chi è in carcero; 4° libertà
cirile cioò la possibilità di esercitare i diritti civili; 5° libertà politica
che consiste nella facoltà dei cittadini di governarsi con proprie leggi. Alla
libertà politica, 649 Lis-Lin intesa in senso largo, cioò quale
facoltà concessa come tto universale agli individui di esercitare la propria
uttività con la maggior sicurezza, appartengono: la libertà di coscienza 0 di
pensiefd, che è la libertà degli individui di manifestare le proprie opinioni,
di difenderle, propagarle criticando le contrarie, tenendosi lo Stato
assolutamente neutro, specie in materia religiosa; la Ubertà di stampa, che è
la forma più alta ο più moderna della libertà di coscienza; la Ubertd di
parola, la libertà d’ associazione, 900., che sono tutte forme della libertà di
pensiero. Cfr.
Spiποσα, Ethica, IV, 68, ο tutto il 1. V De liberiate; A. Comte, Catéohieme,
positiviste, 4e entretien; Déolaration dee droite de l'homme, 1879 art. 11;
Kant, Krit. d. prakt. Vernunft,
Kritische Beleuchtung, dal $ 7 alla fine; A. Fonillée, Liberté et determinisme,
5° ed. 1907; F. Masci, Coscienza, volontà, libertà, 1884. Libertismo. I.
Libertarianiom ; F. Libertieme. Si adopera talvolta invece di indeterminiemo,
per designare tutte quelle dottrine che ammettono la libertà del volere. Fn
usato dal Bergson per designare la categoria di dottrine di cni fa parte il suo
sistema. Cfr.
Revue de métaph. et de morale, vol. VIII, p. 661 (v. necessitiemo). Linguaggio. T. Sprache; I. Language; F.
Langage. Iu senso generale è linguaggio ogni espressione degli stati interni di
un essere vivente ad un altro, mediante sogni o movimenti. In senso più stretto
è un sistema di segni, adeguato a significare i pensieri che i membri d’una
società vogliono comunicarsi; codesti segni, essendo sempre uguali, servono
appunto a legare e rievocare gli elementi sempre diversi delle
rappresentazioni, da cui si formano le idee generali: Ciò cho la natura, dice l
Ebbinghaus, non offre all’uomo, cioò dei segni costantemente simili, congiunti
regolarmente alle percezioni per metà identiche e per metà variabili, egli l’ha
creato ricavandolo da sè stesso. L'uomo ha trovato così il mezzo per estendere
il Lin 650 pensiero astratto e condurlo al più alto
punto di perfezione imaginabile. Codesta creazione è il linguaggio ». Porò
secondo la dottrina religiosa il linguaggio non sarebbe già una creazione
dell’uomo, bensì ffn dono immediato fatto da Dio all'uomo; secondo un’altra
dottrina il linguaggio sarebbe una scoperta ο una invenzione fatta da principio
da un uomo di genio; invece per la moderna psicologia il linguaggio è un
prodotto psicologicamente necessario ed evolutivo della coscienza collettiva. I
linguaggi si distinguono in naturali © artificiali ο convenzionali: nei primi
l'associazione tra il segno e l’idea è spontanea, involontaria, tanto per colui
che significa, quanto per quello cui vien significato ; nei secondi invece
questa doppia associazione è arbitraria. Sono linguaggi naturali la mimics,
l’onomatopea, e, in genere, i segni emosionali o patognomici, che esprimono al
di fuori le emozioni dell’animo; sono artificiali tutti gli algoritmi e i
linguaggi articolati evoluti. Secondo 1 ipotosi di Darwin e Spencer, il
linguaggio convenzionale ha origine dal naturale: dapprima gli uomini si
servivano del gosto indicativo ο imitutivo, poi nd esso accompagnarono il suono
pure imitativo (onomatopea), infine, utilizzati più largamente i movimenti del
gesto e dell’ articolazione, sorso il linguaggio a forma fonetica, in oui
ciascun carattere è il segno d’un suono. La forma fonetica fu preceduta dulV
ideografica, in cui ogni carattere osprime direttamento un’ idea, o dalla
mimica cioò dal gesto. Si distinguono anche tro tipi fondamentali di linguo: le
monosillabiche composte di sillabe ciascuna delle quali rappresenta un’ idea
ustratta; lo agglutinanti composte di radici ciascuna delle quali esprime o una
idea generale o una accessoria; lo lingue a flesione composte di parole
ciascuna delle quali esprime un’ iden principale modificata da una accessoria.
Dicesi linguaggio emozionale quell'insieme di modificazioni organiche e di
movimenti istintivi, che costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in
quanto appaiono este 651 Lim riormente,
servono a indicare le corrispondenti emozioni, per l’esperienza che ne abbiamo.
Dicesi linguaggio interiore la successione dello imagini verbali, con cui si
suole esprimere una serie di pensieri, ma che rimangono allo stato psicologico,
senza dar luogo ai movimenti vocali, quando tali movimenti importerebbero una
perdita di tempo e di forza. Cfr. Marty, Uber den Ursprung der Sprache, 1896; H. Paul,
Prinzipien der Sprachgeschichte, 3* ed. 1898; Renan, L'origine du langage,
1858; Saint-Paul, Étude sur le langage intérieur, 1892; H. Bachs, Cerveau et
langage, 1905; Ebbinghaus, Psychologie, trad. franc. 1912; H. Piéron, La nuova concesione dell afasia, Rivista
di scienza », 1909, VI, 420 segg. (v. grammatica, emosionale, grafo-motore,
amnesia). Limitativi (giudizi). T. Beschränkonde Urthcile. Sotto il rispetto
della qualità il Kant distingue i giudizi in affermativi, negativi, e
limitativi ο indefiniti, la cui formula è: .4 è un non B. Questi giudizi hanno
il predicato negativo a differenza dei negativi che hanno la negazione nel
verbo; perciò il soggetto è pensato nell’ estensione di un concetto
indeterminato, che ha la sola determinazione negativa di essere al di fuori di
un concetto positivo e determinato. Quindi tali giudizi sono limitativi in
quanto limitano l’estonsione del predicato possibile di 4, essendo enso
predicuto posto al di fuori della estensionedi 8; ο sono indefiniti in quanto
non determinano a quale nozione, posta fuori dell'estensione di B, si riferisca
il soggetto .1. Ora, siccome l’includere una nozione nella sfera, sia pure
indefinita, degli esclusi dall’estensione di un’altra no: costituisce un atto
positivo del pensiero, così il giudizio limitativo non può confondersi col
negativo. l’erò questa dottrina fu molto combattuta e per molti logici il
giudizio indefinito è la stessa cosa del negativo. Cfr. Kant, Krit. d. rei.
Vernunft, ed. Reclam, Osservazioni sulla tavola delle forme del giudizio, $ 1.
Lim-Loc * 652 Limitazione. T. Beschränkung, Limitation; I.
Limitation; F. Limitation. Una delle categorie di Kant; essa si subordina,
insieme alla realtà e alla negazione, alla categoria della qualità. Limite. T.
Grenze; I. Limit; F. Limite. Originariamente il punto, la linea o la superficie
assunta a determinare la separazione tra due porzioni di spazio; esteso poi per
metafora al tempo, all’azione, alla conoscenza, 900. Terminus sive limes est
id, dice Chr. Wolff, ultra quod nihil amplius iure conoipere licet ad candom
pertinens. Nella psicologia dicesi
limite dell? eccitamento il grado minimo d’ intensità dell’ eccitazione al
quale corrisponde l'intensità minima della modificazione di coscienza, e sotto
il quale la sensazione non ha più luogo; d’uso più comune è l’espressione
soglia della coscienza, proposto dall’ Herbart.
Nella gnoseologia dicesi limite della conoscenza, la determinazione
della sfera del conoscibile. Perciò Kant chiama il noumeno, e precisamente
quello in senso negativo, un concetto limite, in quanto, sebbene si presenti
necessariamente al nostro pensiero, tuttavia è affatto indeterminato, servendo
a limitare le nostre cognizioni entro i fenomeni: Der Begriff eines Noumenon
ist bloss cin Grenzbegriff, um die Anmassung der Sinnlichkeit einzuschränken,
und also nur von negatirem Gebrauche.
Nella matematica dicesi limite una grandezza finita a cui una grandezza
variabile può avvicinarsi indefinitamente senza poterla mai superare. Cfr.
Wolf, Philosophia prima site ontologia, 1836, $ 468; Kant, Kr. d. rei.
Vernunft, p. 235; Wundt, Physiol.-Paychol., 43 ed., I, }. 334 segg. (v.
inconcepibile, inconoscibile, subminimali). Localizzazione. Ί. Localisation ;
I. Localisation ; F. Localisation. Processo psicologico con cui ci
rappresentiamo lo qualità sensibili, e quindi gli oggetti percepi occupanti nel
nostro corpo, o in rapporto ad esso, una posizione spaziale determinata. Dicesi looalizzazione nel passato il processo
psicologico mediante il quale si determina
653 Loc il tempo relativo ai
nostri ricordi. Nella logica dicesi
localizzazione o looasione quest’ operazione mentale, che consiste nel
richiamare l’idea della classe alla quale l’oggetto appartiene, o, in altre
parole, nel collocare un’ idea in una più generale in cui è compresa. È una
delle indienzioni definienti, e viene usata per quelle nozioni che in sò stesse
sono indefinibili o che non sono ancora sufficientemente conosciute per poter
essero definite. Cfr. Ribot, Maladies de la memoire, C. 1; Bain, The Senses and
the Intelleot, 8° ed., p. 415 segg. Localizzazione cerebrale. T. Corticale
Localisationen ; I. Cerebral Localisations; F. Looalisations cérébrales.
Dottrina secondo la quale le diverse attività psicologiche, sensazione,
memoria, linguaggio, ece., corrispondono al fanzionamento di centri o zone
determinste della corteocia cerebrale. Il Gall fa il primo a considerare il
cervello come un’ insieme di organi distinti, in ciascuno dei quali ha sede una
determinata facoltà; ma la sua frenologia, fondata su eriteri * cervellotici,
non è più accettata da alcuno. Tuttavia, con la scoperta fatta in seguito’ del
centro della favella nella seconda circonvoluzione frontale sinistra, e cogli
ulteriori progressi dolla fisiologia sperimentale, il concetto delle
localizzazioni cerebrali è risorto: nel senso però che, so esistono gruppi
cellulari distinti con speciali fanzioni psichiche, ciò non esclude che a un dato
fatto psichico, specio fra i più elevati, non contribuiscano più centri,
essendo il cervello un'unità, una associazione di parti sinergiche, non già nn
mosaico di piccoli cervelli. Quanto alla determinazione locale dei vari centri
psichici, essa è ancora molto incerta, ο varin a seconda degli osperimentatori.
Cfr. Broea, Sur la siège de la faculté du langage articulé, 1861; Nothnagel u.
Nauyn, Ueber die Localisation d. Gehirnkrankheit, 1887; Ferrier, The Funotions
of the Brain, 1876; Mnnk, Ueber die Functionen der Grosshirnrinde, 2* ed. 1890
(v. frenologia, grafo-motore, centro). Loe
654 Logica. Gr. λογική; T. Logik; I. Logic; F. Logique. Si può definire
come la scienza delle forme del pensiero in quanto sono ordinate alla
conoscenza; oppure come la scienza che ha per oggetto di determinare quali, tra
le operazioni mentali dirette alla conoscenza del vero, siano valido © quali
no; è dunque una scienza normativa, o precettiva, o dimostrativa. Altri la
considerano come scienza ed arte ad un tempo, o come la scienza dell’arte del
pensare; scienza in quanto fissa dei principi, arte in quanto insegna ad
applicare delle norme. Secondo alcuni la logica è scienza puramente formale,
cioè considera soltanto la forma del pensiero, il modo come gli elementi di
questo sono fra loro combinati; secondo altri è anche materiale, cioò riguarda
anche il contenuto del pensiero. Forse l’opiniono più ragionevole è quella di
coloro che nella logica riconoscono entrambi questi caratteri, inscindibili l’
uno dall'altro, e giudicano che una logion puramente formale non servirebbe
alla scienza, ο una logica puramente materiale si confonderebbe col sapere
obbiettivo, cioè con la scienza. Si suol distinguere là logica naturale, ossia
la logion spontanen che ciascun omo porta con sò, dalla logien riflessa ο
scientifica; la logica docens © la logica utens, In prima dello quali à la
scienza delle forme del ponsiero, la seconda l’arte delle forme stesse in
quanto praticata. Dicesi logica pura sia la logica formale, sin la logica
propriamento detta in quanto distinta dalla psicologia delle funzioni mentali
dirette alla conoscenza, sia, in senso kantiano, l’analisi critica dei principî
puri dell intendimento; login genetica lo studio genetico della conoscenza,
considerata come funzione psichica; logica reale il modo di ragionare in quanto
effettivamente #’asereita. Ordinarinmente la logica è distinta in duo parti: Ja
prima tratta dello forme logiche elementari, cioè del concetto, del gindizio e
del raziocinio, la seconda tratta dell’ applicazione dello forme logicho ni
fini spociali delle scienze, e costitui 655
Loe sce la metodologia. Aristotelo è considerato a buon diritto come I’
inventore della logica, la quale, tolti i metodi inventivi, è rimasta fino ai
nostri giorni quale egli la concepì ed espose nei sei libri ad essa dedicati,
che i suoi discepoli chiamarono poi Organo. Prima di lui se ne ha soltanto
qualche scarso accenno nei sofisti e nella dialettica platonica; la logica
indiana del Nyäya di Gotama, se fu anteriore ad Aristotele, non fa certo da lui
conosciuta, nè alcuna efficacia ebbe sul movimento intellettuale europeo. Dopo
di Aristotele, lo stndio della logica continuò sia nei suoi discepoli ο
continnatori, sia nelle scuolo contrario, specialmente negli stoici, che per i
primi le diedero il nome che poi ebbe sempre; nel loro sistema essa contituiva
la parto fondamentale, procedendo la fisica ο l’etica. Attraverso tutto il
mondo antico l’antorità della logica aristotelica durò immutata; e si accrebbe
ancor più durante Veta di mezzo, specialmente dopo che Alberto Magno © S.
Tommaso so no fecero commentatori, valendosi degli importanti Invori degli
Arabi. Col cadere del dispotismo aristotelico, verso la fine del sccolo XV,
anche 1’ Organo decadde. Bacone, incolpandolo di aver arrestato fino allora il
progredire della scienza, gli contrappone un Nuoro Organo, una nnova logica,
che si fonda non più sul sillogismo ma sull’induzione. Per vero, la teoria
dell’ induzione era conosciuta anche da Aristotele, che l'aveva ancora
applicata; Bacone non fece che allargarno l'applicazione e fiasarne le regole,
che più tardi furono ridotto n forma più rigorosa ο precisa dallo Stuart Mill.
Ancho la riforma del metodo propugnata da Cartesio, o seguita poscia dai suoi
fedeli discopoli di Porto Reale, non intaccava la logica aristotelien, in
quanto non facova cho aggiungervi un metodo per scopriro la verità. Ma da
allora in poi lo studio della logica decaddo: ridotta a una semplice arte, fu
confusa colla psicologia, e soltanto la chiara distinzione fatta dal Kant tra
la forma e la materia della conoscenza, valse à Loc 656
ricondurla alla primitiva purezza di scienza formale. Nel secolo XIX
molti ed importanti lavori furono pubblicati sulla logica, rimanendo pur sempre
intatto il fondo aristotelico: basterà ricordare, oltre quelli dello Stuart
Mill, del Bain, del Wundt, Ia teoria della quantificazione del predicato
dell’Hamilton, e il tentativo di applicare alla logica i metodi ο le formule
della matematica. Questo tentativo ha dato origine a un largo movimento di
studi, in virtà dei quali la logics formale, prendendo in prestito dall’algebra
il metodo e il simbolismo, si è costituita sotto la.doppia forma di calcolo
delle classi e di calcolo delle proposizioni, ritrovando tra i due rami
sorprendenti anslogie ed estendendosi in modo da divenire una logica genorale
di tutte le relazioni; e siccome i rapporti più semplici © più elementari si
trovano nelle teorie matematiche, era naturale che si applicasse ad analizzare
ο verificare il concatenamento delle proposizioni e a dimostrare gli assiomi
matematici, riducendoli a principi puramente logici. Questa parentela tra la
logica 6 la matematica, già intuita dal Leibnitz, si converte per alcuni in una
vera e propria identità originaria; tale concetto è sostenuto ad os. dal
Russel, per il quale tutte le proposizioni matematiche ai fondano su otto
nozioni indefinibili e venti principi indimostrabili, che sono anche le nozioni
primitive ο i principt della logica. Altri filosofi contemporanei vanno ancora
più in là, facendo della logica la base non solo della matematica, ma anche
dell’otica e dell'estetica, e in generale d'ogni forma di cognizione; così per
il Cohen anche nel campo della moralità ο dell’arto vi sono conoscenze pure, il
cui fondamento deve ricercarsi nel pensiero e che solo nell’ idea ritrovano la
consapevolezza di sb medesimo, die Idee dat dar Selbstbewusstsein des Begriffe.
Un nuovo indirizzo della logica, opposto, în certo senso, a quelli ora
ricordati, è rappresentato dalla logica psicologica, che allo studio astratto
del pensiero puro vuol sostitnire l’ analisi della realtà 657
Loa concreta e vivente del pensiero cho si svolge negli individui
singoli, la conoscenza della funzione conoscitiva nelle sue forme ascendenti di
sviluppo, e non solo nel momento strettamente logico o discorsivo, ma anche
nelle suo forme prelogiche. Questo concetto è sostenuto specialmente dai
prammatisti, secondo i quali la logica è stata finora una pseudoscienza di quel
processo non esistente e impossibile, che suol chiamarsi pensiero puro, in nome
del quale ci si è imposto di bandire dalla nostra mente la più piccola traccia
d'interesse, di desiderio, d’ emozione, come la più perniciosa causa d’errore;
invece non v’ ha ragionamento che non abbia origine da una interna passione dell’animo,
che non si fondi sopra una credenza più o meno sentimentale, sopra un bisogno
soggettivo. Anche per il Baldwin accanto alla logica formale ο aristotelica,
che si propone di riconoscere le leggi del ragionamento valido partendo da
alcuni presupposti psicologici, e alla logica deduttiva © dialettica, che cerca
d’identificare il pensiero e la realtà, anzi di dedurre uno dei due termini
dal’ altro, deve sorgere una logica induttiva, psicologica, genetica, che deve
considerare il pensiero come un principio vivente, attivo nel mondo, che compio
il lavoro che è destinato a fare, © costituisce uno sforzo nel movimento
dell'universo dello cose, che la scienza © la filosofia aspirano a conoscere
>. Cfr. J, Stuart Mill, A System of Logic, 63 od. 1865; A. Bain, Logic,
Deductive and Inductive, 1870; Hamilton, Lectures on Logic, 1860; Wundt, Logik,
33 ed. 1893-1895; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 1855-1870;
Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Rosmini, Logica, 1853 ; Galluppi,
Lezioni di logica e metafisica, 1854; Masci, Logica, 1899; Liard, Les logiciens
anglais contemporains, 1878; Dewey, Logioal conditions, 1903; Baldwin, Thought
and thing, vol. I, 1906; Russel, The principles of mathematics, vol. I, 1903;
B. Croce, Logica come acienza del concetto puro, 1909 ; P. Harmant et A. Van de
Waele, Les principales théories de la 42
RanzoLı, Dizion. di scienze filosofiche. Loa 658
Logique contemporaine, 1909 (v. oanonéoa, geometria, logistica,
dialettica). Logicismo. T. Logieismus; I. Logioism; F. Logioieme. Dottrina che
fa della logica il principio ο il fondamento @ ogni filosofia; tale sarebbe, ad
esempio, la dottrina del Cohen, per il quale la logica è la base non solo della
matematica, ma anche della morale, dell'estetica ο di tutte la filosofia,
perchè il pensiero puro è l’attività generatrice @ ogni processo reale 6 d’
ogni suo fondamento. Però è termine d’uso raro ed equivoco; 8’ applica
talvolta, impropria» mente, al sistema hegeliano. Non è da confondere con
logiamo, vocabolo col quale ο) indica ogni pensabile, in quanto promuove
l’attività raziocinativa, deliberativa, riflessa delV individuo: Un fenomeno
psichico, dice l’Ardigò, è un eatema o un conscio sotto un riguardo ; è un’
idea ο un tipo sotto un altro; od è un logiomo o una cogitazione energetica
sotto un altro ». Cfr. Cohen, Syst. d. Philosophie, 1902, I, p. 37 segg.;
Ardigò, Estoma, idea, logismo, Riv. di filosofia », maggio 1911 (v.
panlogiemo). Logico. T. Logisch; I. Logioal; F. Logique. Qualcho volta si
oppone a pricologico 9 a gnoseologioo, per indicare il pensiero in quanto non
lo si considera in sò stesso, come un'attività dello spirito (psicologico) nd
in rapporto all'oggetto (gnoseologico), ma come mezzo delle conoscenze modiate,
che condnco alla verità o all’ errore a seconda che è adoperato bene o male. Si
oppone anche a morale: In certenza logica è quella che si fonda sopra dei
ragionamenti dednttivi, la certerza morale invece quella che non può essore
dimostrata, fondandosi sul sentimento dell’ individno. In generale dicesi
logico tutto ciò che è conforme alle esigenre dolla ragione. Logistica. T.
Logistik; I. Logistic; F. Logistique. Nome proposto al Congresso di filosofia
di Ginevra, 1904, da Itelson, Lalande e Couturat, per indicare la logica
simbolica, Ὁ matematica, 0 algoritmica. Cfr. L. Conturat, Compte rondu 659
Loe du deuxieme Congrès de philosophie, Revue de métaph. et de moral »,
1904, p. 1042. Logorrea (λόγος ==
discorso, péw = scorro). È un fenomeno che si avvera in varie malattie mentali
o consiste in una fuga di parole, determinata da questi tre fatti: 1°
incapacità del malato di tener ferma la propria attenzione sopra le singole
immagini; 2° seguirsi di idee associate tra loro soltanto da rapporti esterni;
3° eccessiva facilità con cui queste idee si traducono nell’ espressione
verbale. La logorrea non è da confondere con la logoclonia, che indica quel
disturbo del linguaggio, che si osserva nella paralisi progressiva, e consiste
nella frequente ripetisione di parole come da una serie di movimenti clonici
degli organi della favells. Cfr. E. Kraepelin, Trattato di psichiaria, trad.
it., p. 158 segg. (v. ideorrea). Logos. Gr. Λόγος; T. Logos; I. Logos; F.
Logos. Significa, in greco, parola
e discorso; ora, siccome la parola è la. rivelazione del pensiero, e il
pensiero stesso è, come dice Platone, il discorso che la mente fa con sè
intorno alle coso che considera, così lo stesso termine passò a significare
l'intelligenza, la ragione: quod graece λόγος dicitur osserva S. Agostino -latine et rationem et
rerbum significat ». Eraclito chiama λόγος la ragione cosmica, in virtà della
quale tutto accade ο alla quale ogni cosa à sottomessa. Aristotele intende per
λόγος sia il concetto sia la ragione, e distinguo l’é£w dal ἔσω λόγος, che è
nel“l’anima; l'2pSòc λόγος è poi la retta ragione, il giusto senso morale.
Platone distingue nell’ anima umana tre parti: la ragione o Logos, che è la
signoreggiante ed abita nel capo; l’animo ο θυμός (l’animus dei latini) che ha
sede nel petto; infine la parte appetitiva, o ἀπιθυμία, che ha sede nella
regione addominale. Per gli Stoici il Logos è ad un tempo il principio attivo
intrinsecato nel mondo, Dio, e il fuoco artefice: esso raduna le ragioni
individuali © le ragioni seminali, perciò è Logos comune 9 Logos
sperLor-Lum 660 matico. In Filone il concetto del Logos non è
ben definito, essendo ora una funzione di Dio, ora un’ ipostasi ; esso è Logos
inarticolato in quanto racchiude le potenze di Dio, Logos articolato in quanto
manifestazione particolare del mondo delle idee. Per Plotino, infine, il Logos
è l’immediata produzione dell’ Uno, l'intelligenza che rappresenta l’immagine o
la parola di Dio, Col cristianesimo il Logos diventa l’eterno figlio di Dio, in
cui la sapienza e il potere di Dio sono manifestati, e che s'incarna nella
persona del Gesù storico. Hegel chiama Logos il concetto, la cosa esistente in
sè © per sè, la ragione di ciò cho è: diean und für sich seiende Sache, die
Vernunft dessen, was ist. Cfr. Heinze, Die Lehre vom Logos in d. griech.
Philos., 1872; Eraclito, Fram. 2; Aristotele, Anal. post., I, 10, 76 ὃ, 24;
Stein, Die Psychologie d. Stoa, 1886-1888, t. I, 49 segg.: Harnach, Dogmengeschiohte,
3° ed. 1894, I, 488, 491 segg. (v. omanatiemo, demiurgo, noo). Lotta per la
vita. Con tale espressione (struggle for life) il Darwin designava la
concorrenza per le condizioni necessarie d’esistenza, che si verifica tanto tra
gli animali come tra i vegetali, e che, determinando la selezione naturale, è
fattore essenziale dell'evoluzione tanto in un regno che nell’ altro. Infatti
in codesta lotta per l’esistenza soccombono i meno adatti, i quali perciò
muoiono senza lasciare discendenti, mentre vincono, sopravvivono ο si
riproducono i più adatti: ne sortiranno quindi delle generazioni che
recheranno, sempre più rafforzati per l’eredità, quei caratteri per cui i loro
antenati riportarono la vittoria sui loro competitori. Darwin, On the origin of
Species by means of natural Selection, 1859; De Lanesson, La lutte pour
l’ezistence et l’évolution des sociétés, 1903 (v. adattamento, selezione,
variabilità, darwinismo, ecc.). Lume naturale. Lat. Lumen naturale; T. Natürliches Licht;
I. Natural light; F. Lumière naturelle. Sinonimo di ragione, in quanto insieme di verità evidenti per sò stesse
; 661
Luo si oppone al lumen gratia, che ha origine dalla rivelazione largita
da Dio agli nomini; quella è detta anche lumen inferins, quosta lumen superius.
L'espressione è di largo uso presso gli sorittori cristiani dei primi secoli, e
rimase poi sempre, sia nel linguaggio teologico che in quello filosofico. Così
Cartesio chiama lumen naturale la capacità di aver ideo chiare ed evidenti
delle verità teoretiche, anche indipendentemente dall’osperienza. Fénelon: cette lumière
ait, que les objecte sont vrais; il ne faut point la chercher au dehors de soi:
chacun la troure en soi-même. Leibnitz: pour revenir au vérités neossaires, il
cat généralement vrai, quo nous ne le connoissone que par cette lumière
naturelle, ot nullement par les expériences des sons. Cfr. Β. Agostino, De baptismo parv., I, 25; Cartesio, Medit.,
III; Fénelon, De Vexistence ot des attribute de Dieu, 1861, p. 152 segg.;
Leibnitz, Nouveau essais, 1704. Luoghi comuni. Gr. Τόποι: Lat. Loot communes; T. Gemeinplätze; I. Commonplace
topics; F. Lieux commune. Nella
logioa si designano con questo nome i titoli generali sotto cui possono essere
riportati i differenti modi d’argomentazione che si usano nelle discussioni. L’
espressione di luogo comune è propria dei latini (loci communes) ; con essa
infatti Cornificio tradusse per la prima volta, secondo V Encken, la parola
topica che Aristotele aveva adoperato per intitolare un suo libro, nel quale
sono appunto indicati i Inoghi ove si trovano gli argomenti, che si adoperano
nella ricerca non del vero, ma del verosimile. I luoghi comuni onumerati da
Aristotele, ciod la definizione, il genere, il particolare, 1’ accidente, eco.,
furono poi detti intrinsoci, ai quali si aggiunsero gli estrinseci, cioè le
leggi, i titoli, il giuramento, la testimonianza, eco. Cfr. Logique do Port-Royal, parte
93, cap. XVII; R. Eucken, Gesohichte d. philosophisoen Terminologie, 1879, p.
51. Luogo. Gr. Τόπος! T. Ort; I.
Place; F. Liew. Indica in generale In situazione, il posto occupato dai corpi;
si Luo-Mac 662 distingue quindi dallo spazio e
dall’estensione. Per gli atomisti invece, luogo è sinonimo di vuoto ο di
spazio, essendo da essi lo spazio concepito come un reale, al pari della
materia, ciod il puro luogo, l'estensione pura. Cartesio distingue il luogo
esteriore dal luogo interiore: questo è lo spazio occupato da un corpo, vale a
dire il corpo stesso in quanto ha per attributo l’estensione, quello è la
semplice situazione di tale spazio, determinata dallo relazioni che ha con gli
altri corpi. Cfr. Cartesio, Principes de la philosophie, II, 14 (v. estensione, inane). M M. Nolla notaziono usuale dei sillogismi
designa il tormine medio. Nei versi mnemonici i cui termini designano i modi
validi delle quattro figure del sillogismo, è adoperata per designare che la
ridnzione d’un modo delle tre ultime figure ad uno della prima, deve essere
fatta medinnte la metatesi delle promesso. Ad es. il modo inCalemes della
quarta figura deve in tal guisa essere ridotto al modo in Celarent della prima
(v. sillogismo, modo, premessa, termini, conversione). Macrocosmo.Gr. paxpò; =
grande, κόσμος = universo ; T. Macrocosmus; I. Maorocosm ; F. Macrocosme.
Questa parola si trova da principio nei medici greci e fu popolarizzata in
Occidente da Boezio, secondo 1’ Eucken. Si usa solitamente per designare 1’
universo, in corrispondenza al microcosmo, che è }’ essere individuale, il
quale considerato isolatamento presenta un tutto sistematico, come un colo
universo. Il concetto della corrispondenza tra V individuo ο il tutto trovasi
già in Platone, in Aristotele, negli Stoici, poi in Boezio, Cusano, G. Bruno,
Leibnitz. Così per Bruno, non solo l’uomo ma ogni monade o sostanza individuale
è una manifestazione immediata dello vita infinita: l’universo ha in ed tutto
l'essere ο tutti i modi di ca 663 Mac
sere;... ed ogni cosa dell’ universo comprende in suo modo tutta l'anima del
mondo, la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Ugualmente per
Leibnitz ogni monade individuale riflette in sò come uno specchio tutto }
universo, Cfr. Stein, Die Psyohol. d. Stoa, 1886-1888, I, 207, 441; G. Bruno,
De la causa, principio e uno, in Dialoghi metafisici, 1907, p. 242, 244;
Leibnitz, La monadologia, 1714. Maggiore. T. Oberiegrif, Maior; I. Major term;
F. Majeur. Nel sillogismo dicesi maggiore il termine che ha l'estensione
maggiore, © maggiore la premessa che contiene, come soggetto o come predicato,
il termine maggiore. Nei sillogismi ipotetici o disgiuntivi la maggiore è
quella delle due premesse cho contiene l'ipotesi o la diagiunzione. Nella
conclusione il termine maggiore fü sempro da predicato (v. termini). T. Magie;
I. Magic; F. Magie. Nollo religioni primitive è un insieme di pratiche
(incanti), che conferiscono ad un individuo o ad un gruppo di individui il
potere eccezionale di operare miracoli e prodigi, sia nell’ interesse dell’
individuo sia in quello della comunità. Secondo una dottrina ormai caduta, la
religione sarebbe derivata dalla magia e non ne rappresenterebbe che una specio
; secondo un concetto più scientifico, i riti magici non sono che una
degenerazione dei riti roligiosi, operatasi, in virtù di cause particolari,
solo in alcuni popoli orientali. Nel Rinascimento la magia assunse carattere di
dottrina filosofica e religiosa, e si diffuso nel mondo occidentale specie por
opora di Cornelio Agrippa; essa era un insieme di principi o di norme pratiche
tendenti a sviscerare o dominare lo forze divine che si occultano nella natura.
Si distingueva in: elementare, cho scrutava lo forze occulto degli elementi
corporci ; celeste, che ricorcava l’ influsso dello stello; dirina, cho si
valeva della fede e delle cerimonie religiose. Alla prima ricerca era di
sussidio l’ alchimia, alla seconda l'astrologia, alla terza la tenrgia. Magia
naturale dosignò per lungo . MAG-Mar
664 tempo la fisica sperimentale;
Bacone indicava con tale espressione delle operazioni che dipendono dalla
conoscenza della causa formale, in opposizione a quelle che non richiedono che
la conoscenza d’ una causa efficiente, mentro il meccanismo intimo del fenomeno
da produrre resta οὐculto, Cfr. M. del Rio, Disquisitionee magice, 1599, 1. I,
cap. 2; Porta, Magia naturalis, 1558; Bacone, De dignitate οἱ augmentis
scientiarum, 1829, 1. III, ο. 5; Frazer, The Golden Bough, 2*
ed. vol. I, p. 62 segg., 220 segg.; C. Fossoy, La magie assyrienne, 1902; A.
Lang, Magic and religion, 1901; Hubert et Mauss, Faquisse d’une théorie
générale de la Magie, Année sociologique, VII, 1902-1903. Magnetismo animale. T. Thierischer magnetismus; I.
Animal magnetism ; F. Magnetismo animal. Fluido che si credeva emanare dal
sistema nervoso di certe persone, e inediante il quale si cercavano spiegare i
fenomeni detti oggi di ipnotismo, di suggestiono © di telepatia. Ἡ nome ο
l’idea di questo fluido, causa pretesa dell’ azione del pensiero a distanza, fu
tolta per analogia del fluido magnetico, cui si attribuiva l’azione a distanza
dei corpi elottrizzati. Cfr. Sallis, Der thierischo Magnetismus, 1887.
Maieutica. Gr. Μαιευτική; T. Maieutik; I. Maieutios ; F. Maieutique. Nelle sue
conversazioni filosofiche, Socrate usava due metodi o procossi: quello negativo
dell’ ironia © quello positivo della maieutica, detta poi anche ostetricia.
Dopo aver distrutto, col primo, le ragioni degli avversari, o averli convinti
della loro ignoranza, egli li conduceva, per mezzo di opportune interrogazioni,
a scoprire i vori che tenevano nascosti nelle profondità dello stesso loro
spirito, li aiutava, insomma, a partorire (yatebopat) quelle idee che
esistevano latenti in loro medesimi. Perciò l’ arto di Socrate non è di
infondere in altri le idee proprie, ma di risvegliare nogli altri le loro
stesse idee; |’ arte sua 80miglia dunque a quella di sua madre, la levatrice
Fenarote, anzi è senz'altro un’ arte di lovatrice. Come le le 665 Mar vatrici aiutano a partorire le donne,
dice Platono nel Teeteto, così egli gli uomini, con questa differenza però che
egli non fa da levatrice ai loro corpi, ma alle loro anime partorienti ». E ciò
prova come Socrate non avesse dottrine filosofiche determinate, che potesse ϱ
volesse comunicare come maestro; aveva invoce vivissimo il sentimento della necessità
del sapere, e questo voleva formaro ad ogni costo, facendo per ciò assegnamento
sopra la suaabilità dialettica e sulla spoutaneità naturale, sulla primigenia
attività dello spirito umano, che appunto con quella sua abilità si proponeva
di secondare e di svolgere. Cfr. Platone, Teeteto, VI, 148 E segg.; Senofonte,
Memor., IV, 4, 5-52; G. Zuccante, Intorno al principio informatore ο al metodo
della filosofia di Socrate, Riv. di fil. ο scienzo af. », fobbraio 1902 (v.
agonistica, eristioa, endeictioa, elenotica). Male. T. Uebel, Böse; I. Evil,
Wrong; F. Mal. In senso genorico è tutto ciò che è oggetto di biasimo o di
disapprovazione, tuttociò a cui la volontà ha diritto di opporsi per reprimerlo
o modificarlo. In senso astratto, o metafisico, il male non è che una
negazione, una imperfezione, una mancanza, 1’ opposto cioò del bene che è la
perfezione, l'accordo tra il fine degli esseri e il loro sviluppo. Così per
Plotino il male non è per sò stesso qualche cosa di esistente positivamente, ma
è l'assenza del bene, il non essere; il non essere a sua volta è la materia
priva di proprietà, lo spazio vuoto e oscuro. Anche per S. Agostino solo il
bene ha una esistenza reale nel mondo, e il male nelle creature è una caduta,
una mancanza, una privazione del bene; dottrina accettata poi da S. Tommaso,
che considera il malo come la perdita di quel beno che un essere dovrebbe
possedere, remotio boni privative aocepta malum dicitur, out privatio visue
cavitas dicitur. Furono distinte due specie di mali: il male fisico, cioè il
dolore, derivante sia da una alterazione del corpo, sia dai bisogni non
soddisfatti della intelligenza e dell’affettività, ο il male moMax il 666
rale, che fa inteso in vari modi, o come trasgressione volontaria della
legge prescritta dalla coscienza, o come il demerito, cioè il diritto al
castigo come conseguenza dell’azione immorale compiuta, ο come l’ abbassamento
della dignità individuale in seguito all’azione stessa, Nelle religioni
dualistiche il male è concepito come un principio necessario, eterno ed
assoluto come il principio del bene, © gli avvenimenti del mondo attribuiti
alla lotta dei due principi contrari. La teodicea è quella parte della teologia
che cerca scagionare la divinità dell’esistenza del male. Già con Platone o con
gli stoici il problema della toodicen comincia ad essere trattato: si Deus est,
unde malum? si non est, unde bonum? La soluzione più celebre di questo problema
è dovuta al Leibnitz, che, raccogliendo ο coordinando gli argomenti svolti in
precedenza dagli altri pensatori, sostiene casere il male una conditio sine qua
non del bene: Il male, egli dice, si può intendere metafisicamente, fisicamente
ο moralmente. Il male metafisico consiste nella somplice imperfezione, il male
fisico nella sofferenza, il male morale nel peccato. Ora, quantunque il male
fisico e il male morale non siano necessari, basta che in virt delle vorità
sterne siano possibili. E poichè codesta immensa regione di verità contiene
tutte le possibilità, è nocessario ci una infinità di mondi possibili, che il
male entri in molti di ossi, ο che persino il migliore di tutti ne contenga; è
ciò che ha determinato Dio n permettere il male ». Cfr. 8. Agostino, De civit.
Dei, XI, 22; 8. Tommaso, S., I, q. XLVIII, art. 3; Chr. Wolff, Verniinftige
Ged. v. Gott, 1733, I, § 1056; Leibnitz, Fesais de Théodicee, 1710, I, $ 23, 25
(v. ottimismo, pessimismo, dolore, sentimento). Mania. Gr. Mavia; T. Manie; 1.
Mania; F. Manie. Per quanto sia vario il significato di questa parola, tuttavia
la maggior parte degli alienisti la considerano ormai come una sindrome di
malattie mentali, che può anche non aocompagnarsi a disturbi di coscienza, ed è
caratterizzata da 667 Max grande varietà di umore, agitazione
motoria, facile distraibilità, logorrea, esaltamento. Può essere oronica e
transitoria; nel primo caso può durare non ostante lievi oscillazioni qualche
anno, nel secondo caso poche settimane soltanto ο anche pochi giorni. Alcuni
psico-patologi amnfettono anche una mania idiopatica, come psicosi autonoma
caratterizzata da un accesso di stato maniaco, stabile ο “permanente, e la
distinguono in due ‘gruppi: ipomania, ο eccitazione maniaca, consistente in una
semplice esaltazione delle funzioni cerebrali e soprattutto del tono
sentimentale, senza incoerenza, senza delirio, senza allucinazioni; delirio
aouto, caratterizzato da grande agitazione, obnubilazione intellettuale,
incoerenza caotica delle parole ο degli atti. Dicesi mania ragionanta
quell’anomalia mentale, che si rivela con una sovrattività delle funzioni
in-tellettnali, bisogno imperioso di agire e di muoversi, continua concezione
di nuovi progetti in gran parte assurdi © ridicoli, prodigalità senza limiti,
mendacio; mania degenerativa una psicosi degenerativa, caratterizzata
specialmente da perdita più o meno completa del senso morale, idee ambiziose,
tendenze distruttive. Cfr. Mendel, Die Manie, 1881; Krafft-Ebing, Die Melancholie, 1874; Magnan,
Leçons oliniques sur les maladies mentales, 1899, p. 379 segg.; Campagne,
Traité de la manie raisonnante, 1869; J. Finzi, Compendio di psichiatria. Manicheismo.T. Manichäismus; I. Manicheirm; F.
Manichéieme. Dottrina filosofica e religiosa, insegnata nel terzo secolo dell’
dra nostra da Mauicheo, sacerdote cristiano. Il fondamento di questa dottrina è
il dualismo, per cui tatti i fenomeni dell’ universo sono attribuiti alla lotta
fra due principî ugnalmente primitivi, eterni ed assoluti, il bene e il male;
perciò dicesi anche manicheismo ogni dottrina filosofica che ammette due
principi cosmici eoeterni, l'uno del bene, l’altro del male. Sembra però che
nel manicheismo genuino il principio del male non fosse altro che la
Man-Mas 668 materia, considerata come eterna, ma
concepita come la negazione (privazione) opposta all’ affermazione,
conformemente ad idee filosofiche già diffuse nel mondo antico. Cfr. 8.
Agostino, Confese., VII, 3; F.C. Bauer, Manichälsches Religionssystom, 1881 (v.
catari, dualismo, maedeiemo). Mantica (Μαντεύομαι --profetizzo). L’ arte di
prevedere il futuro, arte che negli stadi inferiori della religiosità : è
tutt'uno con la magia. Nella filosofia stoica ha grande importanza e
costituisce una parte della fisica: secondo gli stoici, una causalità
ineluttabile collega nel mondo tutte Je cose e gli avvenimenti, © tutti li
conduce ad una causa prima, che è la causa delle cause, ciod Dio ο la
necessità; dato questo legame, ogni avvenimento è segno di quello cho gli
succede, lo preindica; ora l’anima umana, essendo una parte dell’ anima del
mondo, della divinità, è capace di questa preindicazione o predizione, nella
quale può essere anche affinata dallo studio ο dalla osservazione. Cicerone,
nei libri De divinatione, ci ha lasciato molte notizie intorno a codesta arte. Cfr. F. Ogereau, Le
systéme philosophique des Stoiciens, 1885, cap. IX (v. magia, profetismo). Marginale. T. Grens; I. Marginal; F. Marginale.
Ciò che trovasi ai confini d’una regione, sia essa la coscienza, lu
personalità, eco. In questo senso usansi anche in economia le espressioni
utilità marginale, margine di coltivazione, eco. Cfr. F. Myers, Human Personality, 1903, I,
Introd. $ 14; Fawcott, Manual of political theory, 1863, L II ο. IL. Massa.
T. Masse; I. Mass; F. Masse. Nol linguaggio comune designa la quantità di
materia contenute in un corpo, © questo fu anche il significato attribuitole
dalla scienza. Però, siccome gli stati della materia sono molteplici, codesta
quantità non può essero misurata dal volume dei corpi, che è mutabile, ma
soltanto dal loro peso (p). Anche il pesa varia col variare del luogo ovo è
valutato, 669 Mas-Mar mentre la quantità di materia rimane
costante; ma siccome col variare del peso varia, e nello stesso rapporto, anche
l’ accelerazione (9) dovuta alla pesantezza, e quindi il quoziente del peso d’
un corpo dovuto all’ accelerazione è una quantità costante, così nella meccanica
razionale per massa si intendo: il quoziente che si ottiene dividendo il peso
di un corpo per l'accelerazione dovuta alla pesantezza, essendo il peso e 1’
accelerazione misurati in un medesimo luogo: + = m. Però le nuove dottrine
sulla costituzione elettronica della materia vengono modificando sempre più la
nozione classica di massa; gli elementi degli atomi che si dissociano perdono
non solo le qualità specifiche dei corpi da cui provengono, ma anche la massa,
misurata dal peso, cosicchè ogni distinzione tra ponderabile © imponderabile
viene a scomparire. Cfr. G. Le Bon, L'evolution de la matière, 1905, p. 14-15.
Massimizzazione della volontà. È la formola suprems della morale utilitaria di
Geremia Bentham. Ogni tomo è spinto ad agire dalla ricerca del massimo
interesse proprio; ma siocome l'interesse di cisseuno è legato n quello di
tutti per ls simpatia © la sanzione, così procacciando la felicità nostra noi
sumentiamo la somma totale della felicità umana; perciò si diranno morali
quegli atti che mirano a procacciare la massima felicità del massimo numero.
Cfr. J. Bentham, Deontology. Matematica. Gr. Μαθηματική; T. Mathematio; I.
Mathematics; F. Mathématique. La scienza delle relazioni astratte. I
pitagorici, che usarono primi questo nome, designavano con esso tutto il
conoscibile, tutta la scienza da loro possednta; e ciò è naturale, poichè essi
consideravano il numero come l’ essenza stessa della cosa, e tutte le cose ed i
fenomeni riducevano si numeri, alle combinazioni ο proprietà dei numeri. Mutati
poi 1 criteri scientifici, ο sérte, con Aristotele, le scienze natnrali, l'oggetto
della mateMar 670 matica fu ridotto ai numeri, alle figure,
alle grandezze in genere, © alla determinazione dei loro rapporti. Tale è
rimasto poi sempre l’oggetto della matematica, il cui o6mpito consiste, secondo
il Comte, nella misura indiretta dei valori: tutti i calcoli matematici
consistono nella risolazione di alcuni valori sconosciuti ο ricercati in altri
conosoiuti ο dati; tra questi ultimi ο i primi deve esistere un rapporto reale
o supposto ». Essa si differenzia da ogni altra scienza non tanto perchè si
occupa soltanto della quantità, come perchè è scienza non causale, essendo lo
sue verità fuori del tempo e indipendenti dalla nozione di forza. Nelle
matematiche si distinguono: la matematica propriamente detta e la
fisico-matematica, formata di elementi di matematica pura e di fisico, come la
meccanica ο l'astronomia. La matematica propriamente detta si divido a sua
volta in due gruppi, il primo dei quali comprende 1’ aritmetica, 1’ algebra
elementare, 1’ algebra superiore, e riguarda soltanto le idee di quantità, di
numero e di rapporto, senza supporle in alcun oggetto particolare © senza
riferirsi alle nozioni di forma o di grandezza concreta; il secondo è
costituito dalla geometria, che è la scienza delle proprietà dell’ estensione.
Il metodo proprio dello scienze matematiche è quello deduttivo; 1’ induzione
non ha in esse che rado applicazioni di cui 1’ esompio più importante è quello
del Bernouilli, detto della conclusione da n ad n + 1. L'importanza della
matematica tra le altro scienze va sempre più crescendo, 9 sempre più generale
si va facendo l’ applicazione dei suoi metodi agli altri campi del sapere. Ciò
massimamente perchè la quantità è una proprietà essenziale della realtà, © le
qualità doi fenomeni sono quasi sempre dipendenti dalla quantità. Ciò non
toglie che non sia arbitraria 1’ applicazione universale delle matematiche da
alcuni tentata, poichè, osserva il Masci, non esistendo la quantità a sò, ma
come quantità di qnalche cosa, la spiegazione quantitativa delle qualità deve 671
Mar arrestarsi ad un punto in eui le qualità devono essere supposte
indipendentemente da ogni ragione quantitativa. Cfr. Comte, Cours de
philosophie positive, 1830-1842; Poi caré, articoli in Revue de métaph. et de
mor. », 18981901; Masci, Logica, 1899, p. 474-484; Cohen, Logik der reinen
Erkenntnis, 1903, p. 102 segg.; A. Lalande, Letturo nella filosofia delle
scienze, 1901, p. 66 segg. (v. funzione, geometria, integrale, iperspario,
numero, problema). Mateologia (µάταιος = vano; inutile). Significa scienza
vana, che non ha fondamento nella realtà, come l’ alchimia, la magia,
l'astrologia, la mantica, eco. Dicesi anche matoosofia. Materia. Gr. fry; T.
Materie, Stoff; I. Matter; F. Mafière. Questo termine hs due significati
affatto distinti, a seconda che si contrappone a forma o a spirito. La
contrapposizione di materia a forma è propria della filosofia antica,
specialmente aristotelica; in essa per materia ϱ) intende non una sostanza in
generale, ma una certa specie di sostanza, οἱοὸ la sostanza materiale, quella
che si manifesta ai nostri sensi, in contrasto con la nostra attività
cosciente: in altre parole, 1’ oggetto in quanto lo si oppone al soggetto. La
contrapposizione di materia a forma è rimasta tuttavia anche nella filosofia
moderna, ma con diverso significato : trasportate, specie dopo Kant, dall’
essere al conoscere, per materia della conoscenza si intende ora tutto il
contenuto oggettivo di essa, vale a dire lo sensazioni, le percezioni sensibili
e intellettuali, i concetti, ece.; per forma della conoscenza #’ intende poi,
nel senso logico, il modo dell’ attività del pensiero che si fissa come
prodotto logico, e nel senso gnoseologico, la funzione formatrice della
sensibilità e del pensiero. Tornando ora alla filosofia antica, la materia è
dunque per ossa 1’ essere indeterminato in generale, che la forma poi
determina, è il fondo comune delle cose, da cui tutte sortono e in cni tutte
riposano: tale fondo comune per gli ionici primitivi Mar 672 è
l’acqua, l’aria, ο il fuoco, per Anassimandro l’ infinito miscuglio primitivo,
per Democrito un composto di pieno © di vuoto, d’ atomi e di spazio. Platone fa
della materia l'opposto dell’ idea: questa è 1’ essere, quella il non-essere,
questa à il medesimo, quella 1’ altro. Aristotele la considera come I’ ente in
potenza, mentre la forma è l’ente in atto: l’attuale è dunque la materia
determinata ο configurata mediante la forma. Codesto dualismo posto da
Aristotelo tra forma © materia non fu mai superato dalle filosofie auccessive;
ma con lo schiudersi dei tempi moderni, il problema assume una orientazione
diversa, e la materia, contrapposta allo spirito, non designa più che 1’
insieme dei corpi, ciò di cui i corpi sono fatti, l'essere ο la sostanza alla
quale attribuiamo le qualità sensibili. Per Cartesio materia © spirito sono
realtà ugualmente sostanziali, ma essenzialmente distinte per natura; 1’
essenza della prima à P estensione, della seconda il pensiero. Sorse quindi il
problema se noi possiamo conoscere realmente le qualità di codesta materia.
Esso fu risolto dai cartesiani con la distinzione delle qualità della materia
in primarie o assolute, e secondarie o relative: le prime, cioè l’ estensione,
la figura, la divisibilità, il movimento, sono inerenti si corpi stessi e
quindi indipendenti dai sensi; le seconde come i colori, i sapori, gli odori,
sono variabili e semplici modi della nostra sensibilità. Questa distinzione fu
accettata anche dal Locke ο dalla scuola scozzese: il Leibnit la completò,
aggiungendo all'estensione l’antitipia come complemento necessario dell’
essenza della materia. Ad entrambe queste soluzioni si oppone la filosofia
critica: l’ estensione non è che una forma della sensibilità; la conoscenza
della materia in sò stessa è irraggiungibile; i fenomeni materiali da noi conosciuti
sono puramente soggettivi e dipendenti dalla natura ο dalle forme della nostra
sensibilità. Kant distinse infatti la materia come fenomeno, dalla materia come
nowmeno, ossia la materia in sò: questa è nasoluta 618 Mar mente inaccessibile alla nostra
conoscenza, rimane fuori dal campo delle nostre idee; il nostro spirito non
coglie che il fenomeno relativo e variabile, e completa la conoscenza
imponendogli le forme assoluto della sensibilità. 11 neo-criticiemo ha
accettato i risultati generali del criticismo: la materia non è che una nostra
supposizione necessaria per spiegare i fenomeni cho si manifestano ai nostri
sensi, ma non ci è direttamente conosciuta nella sua realtà; noi non potremo
mai concepirla quale à in ed, ma solo in rapporto alle nostre sensazioni e alla
necessità del nostro pensiero. Ma oltre al problema gnoseologico ο metafisico,
la materia involge anche un problems fisico, riguardante la natura di codesta
materia. La scienza moderna risolve il problema in tre modi principali: con l’atomismo,
ciod la dottrina che concepisce la materia como composta di sostanze realmente
distinte, infinitamente piccole, indivisibili e tuttavia estese, separate da
intervalli vuoti, impenetrabili le une alle altre, incapaci di movimento
spontaneo e capaci soltanto di trasmetterlo, influenzandosi reciprocamente con
forze attrattive e repulsive; col mecoaniemo, che nega l’ esistenza degli stomi
materiali e riduce la materia al movimento, ad un finido cioè continuo,
omogeneo, nel quale il movimento determinerebbe delle unità apparenti, dei
vortici, degli anelli turbinanti ; col dinamiemo, la dottrina ciod che pone
come ultimg elemento della materia, non l'atomo ma il centro di forza, ossia un
punto invisibile intorno a oui irraggiano in tutte le direzioni delle linee di
forza, per mezzo delle quali ogni punto è in relazione con tutti gli altri
punti dell’ universo. Cfr. Platone, Timeo, 48 E, 49 A, 50 C, D; Aristotelo,
Metaph., VII e VIII; Cartesio, Prino. phil., II, 23; Locke, An essay conc. hum.
understanding, 1877, 1. III, c. 10, $ 10 ο 15; Leibnitz, Nouv. Essais, 1704,
IV, ο. III; Kant, ΚΙ. d. r. Vernunft, od. Reclam, p. 31 segg.; Ostwald, Ch ache
energie, 1893, p. 5 segg.; Le Bon, L’evolution de la ma43 RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche.
Mar 674
tière, 1905; E. Naville, La matière, 1908 ; Ardigò, Opere filosofiche,
I, Ρ. 103 segg., II, p. 49 segg. (v. energismo, materialiemo, dualismo, monismo,
spiritualismo, inerzia, energia, impenetrabilità, massa, essenza, sostanza,
ecc.). Materiale. Τ. Stoflich, körperlich; I. Material; F. Matériel. Tutto ciò
che riguarda la materia, che è della natura della materia; può essere
contrapposto tanto a formale quanto a spirituale, con signiflcasioni
naturalmente diverse. Così nei sistemi filosofici dell’antichità il principio
materiale è la materia prima e originaria delle cose; ad 98. per Anassagora il
principio materiale sono le omeomerte, il principio formale il vodg ο
l'intelligenza; per Parmenide i fenomeni fisici si spiegano con due principj
materiali, la Ίμοο e le tenebre, e un principio formale che li combina in
differenti rapporti, l’amore. Si dice poi verità materiale la conformità del
pensiero con la cosa a cui si riferisce, ϱ verità formale l'armonia del
pensiero con sò stesso ; logioa materiale quella che riguarda la materia o il
contenuto del pensiero, ο logica formale quella che ne considera esclusivamente
la forma, cioò il modo come i suoi elementi sono fra loro combinati. Nella
meccanica dicesi punto materiale il corpo di cui le dimensioni sono supposte infinitamente
piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della materia, quali
l’impenetrabilità ο il peso. Materialismo. T. Moterialienas ; I. Materialiem;
F. Matérialieme. Il termine compare per la prima volta all’epoca di Roberto
Boyle. È la dottrina che nega l’esistenza di sostanze spirituali e non ammette
altra sostanza che la materia, concepita in vari modi nei vari sistemi
materislistici, ma che ha sempre per carattere fondamentale d’essere un insiemo
di oggetti individuali, rappresentabili mobili, figurati, occupanti ciascuno un
luogo dello spazio. Matertaliste dicuntur philosophi, dico il Wolff, qui
taniummodo enti a materialia sive corpora eziatero affirmant. E Baumgarten: Qui
negat erisientiam monadum cat materialista uni 675 Ματ versalis. Qui negat eziatontiam monadum
universi, e. g. huiue partium est materialista cormologione. Questa dottrina,
como mostra il Lange, si incontra tra i più antichi tentativi d’una concezione
filosofica del mondo. Si distingnono perd nel materialismo due forme o fasi: il
primitivo, che potrebbe anche dirsi dualistico, il quale, pur distinguendo il
corpo dall'anima, considerava sì l'uno che l’altra come sostanze materiali;
esso si trova nella filosofia presocratica, nello stoicismo, nell’epicureismo e
persino nei 88. Padri anteriori a S. Agostino; il moderno o monfstico, che
sopprime codesta dualità tra materia e spirito, tra corpo ed anima, riguardando
la seconda come una funzione ο un aspetto del primo. Con estensione forse
illegittima del vocabolo, molti filosofi moderni chiamano materialismo ogni
dottrina che, pur riconoscendo l’irreducibilità del fatto psichico al fatto
fisico, considera tuttavia la nature, il mondo esteriore în genere, come
sprovvisto di coscienza ο retto da leggi puramente meccaniche. Così per lo
Schopeuhauer ogni controversis sopra l ideale si riferisco all esistenza della
materia, perchè, in fondo, è la realtà ο l’idealità di questa che è disoussa: La
materia, come tale, esisto puramente nella nostra rappresentazione, ο è
indipendente da essa? In quest’ultimo caso sarebbe la materia la cosa in sò, e
chi ammette una materia esistente in sò, deve essere, per conseguenza,
materialista, ciod deve fare della materia il principio di esplicazione di
tutte le cose ». Con l’espressione materialismo peloofisico, si intendono sia
le dottrine che, basandosi sull constatazione empirica del parallelismo
esistente tra la serio dei fatti psichici e la serie dei fatti fisiologici o
fisici, considerano però i primi come semplici epifenomeni; sia le dottrine
che, pur ammettendo la perfetta originalità delle due serie, la psichica e la
fisica, © considerando quindi la prima come irreducibile alla seconda, dà però
la preferenza dal lato teorico o scientifico alla serie fisica. Il materialismo
si Mar 676 basa, in generale, su due argomenti
fondamentali: 1° sui rapporti tra corpo ed anima, ossia tra sistema nervoso ο
coscienza; ovunque si abbia sistema nervoso αἱ ha coscienza. mancando il
sistema nervoso manca la coscienza, variando il sistema nervoso varia la
coscienza; dunque il sistema nervoso è causa della coscienza; 2° sulla dottrina
della conservaziono della materia e dell’ energia; nella natura nulla si crea e
nulla si distrugge; ogni fenomeno non è che In trasformazione di un’altra forza
prima in altro modo esistente; il fenomeno psichico non sorge quindi dal nulla,
ai riconduco esso pure ad una trasformazione di materia ο di forza. Oltre a
questi argomenti positivi, ve ne hanno due negativi: 1° l'impossibilità di una
rappresentazione spaziale in un’ anima semplice ο inestesa; 2° l’
inconcepibilità di una azione reciproca fra due sostanze oterogenee. Cfr. Chr.
Wolff, Peychol. rationalis, 1738, § 33; Baumgarten, Metaphyrica, 1739, $ 395;
Büchner, Kraft und Stoff, 1883; Schopenhauer, Die Welt ale W. und Vorst., ed.
Reclam, II, p. 30 segg.; Eucken, Geschiokte, d. philon. Terminologie, 1879, p.
132, n. 3; Höffding, Peyohologie, 1900, p. 11-15, 75 segg.; Lange, Geschichte
der Materialismue, 1896; A. Faggi, I! ma_terialiemo peicofisico, 1901; F.
Masci, Il materialismo peioofisico, Atti della R. Acc. di Napoli », 1901;
Ardigd, Opere fil., I, 209 segg., IX, 306 (v. anima, coscienza, spirito,
monismo, dualismo, parallelismo, influsso fisico, ecc.). Materialismo storico.
Espressione creata dall’ Engels per designare la dottrina di Carlo Marx. Oggi
si applica ad ogni indirizzo sociologico, che considera tutti i fenomeni
sociali come produzioni scaturenti dal sottosuolo dei rapporti economici
(rapporti di produzione, di distribuzione e di circolazione della ricchezza). Per
dimostrare la cansalità dei fenomeni sociali, esso si fonda principalmente su
queste tre condizioni: il fatto economico è di sua natura esclusivamente umano;
è il più somplice di ogni altro fatto sociale; precede cronologicamente tutti
gli altri 677 Mar fenomeni della convivenza umana.
Conseguenza immediate di tale dottrina, è che l’espandersi continuo dell’
energie produttivo determina coi rapporti sociali esistenti molteplici
contrasti, i quali, divenuti a poco a poco irreconciliabili, erompono in un
conflitto che si enuncia in un cangiamento dello forme politiche, religiose,
artistiche, scientifiche, filosofiche © si compie collo spostarsi dei rapporti
economici. In tal modo procederebbe il cammino ascendènte della storia e della
civiltà. Va notato però che, oltre coloro che sostengono rigidamente codesta
causalità diretta ο immediata del fenomeno economico (Loris, Lafargue, ecc.),
vi sono altri che la concepiscono come un rapporto di interdipendenza,
ammettendo che i fenomeni giuridici, politici, religiosi, ecc. si svolgano sì
in funzione del fenomeno economico fondamentale, ma che, una volta prodotti,
possano per reazione esercitare una efficacia determinatrice sopra il fenomeno
onde hanno tratto I’ origine (Engels, Labriola). All’ espressione impropria di
materialismo storico, dovuta al fatto che esso sorse come opposizione all’
idealismo storico, alcuni vorrebbero che si sostituiasero lo altro:
determinismo sconomico, sconomiemo atorico, concezione materialistica della
storia, ecc. Il Croce, ad es., sconsiglia questa denominazione di materialismo,
che non ba ragione d’ essere nel caso presente, © che fa nascere tanti
malintesi », mentre potrebbe utilmente sostituirsi con quella di concezione
realistica della storia. Il Labriola trova invece ln denominazione opportuna,
in quanto compendia l’origine storico-psicologica della dottrina, nata nol
pensiero di Marx e di Engels quando trovarono che il matorialismo tradizionale
sino al Feuerbach non spiegava la storia; dal panto di vista della crisi
interna, che subirono il Marx e P’Engels, il nome dunque non è secondo il
Labriola indifferente, anzi rileva 1’ origine della dottrina e la sua posizione
di fronte # quelle contemporanee, che si sforzarono disuperare i limiti
delMat-Maz 678 V idealismo. Cfr. Engels, Horn Eugen
Dühring’s Umwalsung dor Wissenschaft, 83 ed., p. 12; Marx, Zur Kritik der
politi schen Oekonomie, 1859, pref.; P. Lafarguo, Le dsterminisme économique de
K. Marz, 1909; E. Rignano, Le matérialieme Mstorique, Riv. di scienza », 1908,
V, p. 114 segg.; A. Loria, La sociologia, 1901, p. 192; B. Croce, Materialismo
storico ed econ, marz., p. 34 seg.; Ant. Labriola, Soritt di filos. ο di
politica, ed. Croce, p. 242-6; A. Asturaro, 1 mat, storico ¢ la sociologia, 2°
ed. 1910; E. Fabietti, Il mat. storico, 1910; R. Mondolfo, Il mat. storico in
F. Engels, 1912, cap. X. Matriarcato. Dal Bachofen în poi fu chismata così dai
sociologi quella fase primitiva dell'evoluzione sociale, in cui la famiglia fa
centro non al padre ma alla madro, cho ha nell’organiszazione domestica
l'autorità suprema, governa essa sola la casa, adempie le funzioni religiose ed
impera nelle deliberazioni della comunità. Il matriaroato, che vive ancora tra
le tribù Irochesi dei Seneca, e le oui reminiscenze si trovano in tutti i miti,
le leggende e le letterature primitivo, sarebbe dovuto, secondo alcuni, alla
promiscuità primitiva, che rende impossibile la ricerca della paternità,
secondo altri alla struttura organica dell’economia primitiva, in cui la
produzione, che si riassume tutta nell’ agricoltura, rimane affidata
esclusivamente alle donne. Cfr. J. J. Bachofen, Das Mutterreoht, 1861; Starke,
La famille primitive, 1891; Westermark, Lo matriarkat, in Annales d. l’Inst.
int. de Sociologie, t. II, 1895; G. Mazzarella, La condizione giuridica del
marito nella famiglia matriaroale, 1899 (v. famiglia). Masdeismo. 0 religione
di Zorosstro ο dell’ Iran. E un politoismo mitologico, dominato dal principio
del duatismo, in cui il Dio che comanda le divinità buone è Ormurd, quello che
comanda le onttive è Arimane. L’obbligazione morale consiste nel dovero
dell’uomo di allearei alla divinità buona nella sua lotta continua contro la
divinità cattiva (v. dualismo, manicheismo).
679 Μκ-Μκο Meo v. D. Meccanica. T. Mechanik; I. Mechanics; F. Mecanique. La scienza che ba per oggetto lo studio dei
movimenti e delle forze che li producono. Si divide in meccanica rasionale ed
applicata: la prima non è che la teoria astratta delle leggi dei moti e delle
forze, la seconda è la teoria delle macchine. Lo studio del moto
indipendentemente dalle cause che lo producono (forze) costituisce la
cinematica. La meccanica razionale si divide poi in statica e dinamioa: la
prima studia la composizione delle forze considerate come grandezze riferite ad
una unità di misura della medesima specie, la seconda studia la composizione
dei movimenti cui dan luogo le forze motrici. La dinamica si divide a sua volta
in cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla traiettoria
che essi determinano nello spazio, e in energetica, che studia la composizione
dei moti delle masse che nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro. Cfr.
Hertz, Die Prinsipien der M. in neuem Zusammenhage dargestellt, 1894; Mach, Die
M. in ihrer Entwickelung, 1883; Dühring, Kritische Geschichte der allgemeinen
Prinsipion der M., 8" ed. 1887 (v. energiemo, massa, movimento).
Meccanico. T. Meohanisch; I. Mechanical; F. Mécanique. Opposto a telcologioo
indica ciò che si attua indipondentemente da ogni finalità, per virtù di leggi
necessarie. Opposto a dinamico © a energetico, cid che escludo dalle cose la
nozione di forza, considerata come un residuo di nozioni antropomorfiche. Si
dicono sensi meccanici, per distinguerli dai chimici, quei sensi sopra i quali
gli stimoli esercitano un’azione puramente meccanica: tali sono il tatto e
l'udito. Cfr.
A. Rey, L’énergetigue et lo mécaniene au point de vue de la connaissance, 1907.
. Meccanismo. T.
Mechanismus, Mechanistische Weltan‘echauung; I. Meoanism ; F. Méoanieme. In senso metaforico, ogni processo nel quale si
può determinare, con l’analisi, Mec
680 una serio di fasi subordinate
ο dipendenti l’una dall'altra; così dicesi meccanismo della coscienza,
meccanismo della memoria, meccanismo dell’ imaginazione. Dicesi anche
meccanismo o meccanioismo la dottrina fisica © filosofica, che escludendo ogni
potenza occulta, ogni finalità, ripone nel solo movimento la natura intima
della materia ο tutti i fenomeni dell’ universo riconduce al movimento: omnis
materiao variatio, sive omnium eins formarum diversitas pendet a motu
(Cartesio). Il meccanismo concepisce la materia 0 come un composto di atomi, o
come un fluido continuo e omogeneo; tutte le modificazioni che avvengono in
essa, tutti i cambiamenti, la diversità dei corpi e dei fenomeni, non sono dovuti
che a diversità di movimento. Si oppone, in questo senso, al dinamismo, che
identifica la materia con la forza, © spioga ogni fenomeno naturale con le
leggi della forza; si oppone anche all’energiemo, che tutto riconduce a
manifestazioni di un’ unica energia. Nella filosofia antica il meccanismo à
rappresentato nella sua forma più precisa dall’atomismo di Democrito © di
Epicuro; nei tempi moderni dalla fisica © fisiologia di Cartesio, che poteva
affermare: terram totumque huno mundum instar machinae descripsi. Dicesi mecoaniemo vitale ο iatromeocaniemo la
dottrina fisiologica che riconduce pure i fenomeni biologici al movimento,
considerandoli come il semplice risultato delle stesse leggi che governano il
mondo inorganico: questa dottrina, che forma la base della moderna fisiologia,
opponendosi all’ antico e al nuovo vitaliemo, fu intravvista già nel seicento
dal nostro Borelli, per il quale animalium operationes fiunt a causis et
instrumentia et rationibus mechanicis ». Quando poi anche i fenomeni psichici
sono considerati como semplici movimenti molecolari della sostanza nervosa,
come pura funzione organica, si ha il materialiemo. Cfr. Cartesio, Prinoipia
phil., parte II, art. 3; Lamettrie, L'homme machine, 1848; J. Ward, Naturalism
and agnosticism, 1903; A. Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 173 segg.; 681
Mep J. Loeb, The mechanistic conception of life, 1912; C. Guastella,
Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. LXXXVI segg. Modiato. T. Mittelbar,
vermittelt; I. Mediated; ¥. Μέdiat. Ciò che si compie con qualche
intermediario. La nostra conoscenza del mondo esteriore è mediata, perchè si
compie per mezzo della sensazione; la coscienza è invece la conoscenza
immediata dello modificazioni che avvengono in noi. Il sillogismo dicesi
inferenza mediata, perchè si compie con |’ intermediario di una proposizione
che esprime la constatazione della natura di ciò cui il principio generale,
espresso nella maggiore, si applica. La rappresentazione dicesi anche
percezione mediata, perchè, a differenza della percezione sensibile, si rinnova
nell’ assenza di uno stimolo esterno che direttamente la provochi. Mediatore
plastico o natura plastica. F. Médiateur plastique. È il principio col quale il
Cudworth, opponendosi tanto alle dottrine meccaniste quanto a quelle che fanno
intervenire la divinità in ogni fenomeno naturale, spiega i movimenti dei
corpi, la forma di cui essi sono snscettibili, i fenomeni della generazione e
della vita. Codesto principio, intermedio tra Dio e il mondo, è di natura
spirituale ma privo di libertà, di sensibilità e d'intelligenza; esso penetra
in tutte le parti della materia e lavora senza posa sotto la guida della di a
realizzaro l’ordine del mondo. Il Le Clere lo definisco come un essere, il
quale ha in sò stesso un principio di attività, e che può agire per sò stesso
egualmente sull’anima che sul corpo; un essere, il quale avverte l’anima di ciò
che accade nel proprio corpo per mezzo delle sensazioni che esso vi produce, ο
che muove il corpo agli ordini dell’ anima senza nondimeno sapere il fine dello
sue azioni ». Questa dottrina, dopo aver suscitato gran numero di discussioni,
è caduta da tempo, per la sua stessa contradditorietà; come già notava il
Galluppi, codesta sostanza media, che non è nè semplice nò Mxp-Mra 683
composta, nd spirito nd corpo, si risolve in un assurdo; non vi è mezzo
tra due proposizioni contradditorie, ο perciò il mediatore plastico deve
necessariamente essere semplice o non semplice, ma in qualunque dei due casi la
difficoltà di spiegare il commercio tra l’anima e il corpo rinasce. Cfr. P.
Janet, De plastica natura vi apud Cudworthum, 1848; Id., Essai sur le médiateur
plastique de Cudwort, 1860 ; Le Clero, Bibliothèque choisie, t. II, art. 2, n.
XII; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. II, p. 606-609 (v.
demiurgo, meccanismo, vita). Medio. T. Mittel (Begrif); I. Middle (term); F.
Moyen (terme). Nel sillogismo dicesi medio il termine che ha la estensione
media e serve come termine di confronto tra il termine maggiore e il minore.
Esso si trova tanto nella premessa maggiore che nella minore, ed è escluso
nella conclusione. Tutto il valore del sillogismo dipende dalla scelta del
termine medio (v. termini). Megacosmo v. macrocosmo. Mogalomania. Gr. μέγας =
grande, pavla = follia; T. Mogalomanie; I. Megalomania; F. Mégalomanie. Detta
anche delirio di grandezza, o delirio ambizioso. E costituita da una specie di
ipertrofia della personalità, per cui l’ammalato, in grazia dell’ aumentata
attività psichica, si ritiene di alta nascita, di elevata posizione sociale,
provvisto di grandi ricchezze, capace di riuscire in ogni più difficile
impresa. In molti casi si trova associato al delirio di persecuzione. Cfr.
Kraepelin, Trattato di psichiatria, trad. it., p. 182 segg.; T. Regis, Précis
de psychiatrie, 1909, p. 434. jopsichia. Vocabolo usato già da Aristotele per
designare quel giusto sentimento di sò stessi, del proprio valore e delle
proprie attitudini, che è condizione indispensabile per lo sviluppo delle
virtualità contenute nella propria natura; è vocabolo poco in uso, quantunque
serva et designare assai moglio della parola orgoglio quel retto apprezzamento
della propria capacità, il quale suppone non
688 Mel soltanto che l’individuo
si giudichi degno di grandi cose, ma che lo sia in effetto. Col vocabolo
mioropsichia lo stesso filosofo designava il sentimento opposto, ciod la
sfiducia in sò stessi, per cui l'individuo non compie tutto il bene e le belle
azioni che egli avrebbe potuto compiere, giudicandosene incapace. La
megalopsichia non è da confondere con la megalopsia, anomalia del senso della
visione, per cui gli oggetti sono peroepiti di dimensioni più grandi del reale.
Cfr. Parinaud, Ancsthéste de la rétine, 1886; G. Marchesini, Il dominio dello
epirito ο il diritto all'orgoglio. Melanconia. T. Melancholie, Ticfrinn,
Molina; I. Molanoholia; F. Mélancolie. Psicosi che si manifesta ad accessi,
talora improvvisamente in seguito ad un grave dispiacere © ad una viva
emozione, talora dopo un graduale aumento di impressionabilità © di depressione
affettiva. Essa può assumere varie forme, ma in tutte il carattere fondamentale
consiste nell’ esistenza morbosa di una emozione spiacevole, di un senso vago
più o meno cosciente di oppressione, di ansietà, di tristezza, d’impotensa; è
dunque una malattia della sensibilità morale, iniziantesi con una alterazione
dél tono sentimentale, e che non diventa se non in via secondaria ο episodica
ung malattia della intelligenza. Gli antichi 18 chiamarono così perchè
credettero che fosse determinata da un annerimento della bile (µέλας =: nero,
χολή = bile). Da Esquirol in poi è chiamata anche lipemania (λύπη =tristezza);
però molti psicopatologi distinguono le due forme, in quanto nella melanconia i
disturbi mentali sono appunto derivati, mentre nella lipemania sono primari. La
melanconia semplice è costituita dal rallentamento dei processi psicomotori, e
quindi dalla lentezza dello azioni, dalla fatica che esse importano, per cui il
soggetto è assalito da un senso generale di impotenza che lo abbatte 6 ne rende
triste l’umore. Nella melanoonia allucinatoria a questi fenomeni si aggiangono
idee deliranti ο specialmente allucinazioni cenestetiche di vaoto, Mem 684 ©
dolls mancanza di qualche organo. Nella melanconia ausiosa ο agitata lo
allucinazioni conestetiche determinano uno stato di ansia, idee ipocondriache
di negazione, di piccolezza ο d’auto-rimprovero; l’ammalato credo d’ essere
perseguitato, rovinato nei propri interessi, tradito nei propri affetti,
colpevole dei maggiori delitti e meritevole dei più grandi castighi ο della
eterna dannazione. Infine nella melanconia stupida la difficoltà delle
espressioni motorie determina gli stati stuporosi. Cfr. Krafft-Ebing, Die
Molanoholie, eine klinische Studie, 1874; Christian, Etude sur la mélancolie,
1876; Roubinowitech et Toulouse, La mélancolic, 1897; Morselli, Manuale di
somejotios, II, 210 segg. Momoria. T. Gedächtnis, Erinnerung ; I. Memory; F.
Mémoire. Nel suo significato più elevato, che è anche il più comune, designa la
funzione o la facoltà per oui si conservano, si riproducono, si riconoscono e
si localiszano gli stati psichici passati; per generalizzazione, ogni
conservazione del passato d’un essere vivente nel suo organismo. Gli psicologi
distinguono però varie forme di memoria; la memoria organioa o muscolare, la memoria
affettiva ο la memoria propriamente detta ο intellettiva. La memoria organica,
che è più semplice, consiste nella proprietà appartenente ai tessuti
dell'organismo, specialmente al muscolare © al nervoso, di conservare e
riprodurre automaticamente dei movimenti già eseguiti; questa proprietà è
generalmente spiegata con l’ammettere nell'elemento nervoso la persistenza
della modificazione avvenuta, sia dinamica, fisica ο chimica. La memoria
affettiva consiste nel riprodursi, insieme agli stati intellettuali, degli
stati affettivi (omozioni ο sentimenti) coi quali erano primitivamente
associati; si ossorva però che è più facile l’evocaziono degli stati
intellettuali che non quella dei sentimenti associätivi, ο che, in ogni caso,
gli stati affettivi ricordati hanno sempre minore intensità degli attuali;
altra logge generale è che i sentimenti associati ai sensi della vista ©
dell'udito, alla 685 Μαν rappresentazione libera e all’attività
libera del pensiero, sono più facili a riprodurre che quelli che οἱ vengono dai
sensi inferiori © specialmente dall'esercizio delle nostre fanzioni vegetativo.
La memoria propriamente detta è un fatto assai complesso, quantunque
presupponga la stesss baso fisiologica della memoria organica, ο si risolve,
come vedemmo, nelle operazioni della conservazione, riproduzione,
riconoscimento © localissazione; condizioni generali delle due prime sono la
durata e l'intensità degli stati psichici, per cui questi tanto più facilmente
persistono e rivivono quanto maggiormente e più a lungo hanno agito; il
riconoscimento è il confronto e il rapporto d’identità stabilito tra lo stato
psichico attuale e lo stato psichico analogo cho fa attuale nel passato; la
localizzazione è il riferimento dello stato psichico ad un punto preciso del
passato, rievocandone il luogo, I’ ora, le circostanze. Nella memoria
intellettuale si distinguono anche in vari tipi: il tipo visivo, nel quale si
fissano © si riproducono più facilmente le imagini visive, quali il colore,
l’aspetto, In forma estel tipo uditivo meno frequente, in cni tutto ciò a cui
si pensa è rappresentato nella lingua dei suoni; il tipo motore, in oui la
memoria è prevalentemente costituita da imagini di movimenti. Per Aristotele la
memoria nasce dalla sensazione al pari della fantasia, © si spiega come questa
mediante il movimento che la sensazione lascia nell’anima e che dura un certo
tempo; si distingue dalla rappresentazione sensibile, in quanto è accompagnata
dal sentimento che la rappresentazione stessa è esistita già prima nel nostro
spirito, il che spiega come la memoria non esista che negli animali che
posseggono il senso del tempo. Per S. Tommaso la memoria è una facoltà
dell’anima, e serve al giudizio come la fantasia ai sensi: la fantasia
raccoglie le sensazioni ο le raggruppa man mano che si presentano, la memoria
riunisce ο conserva gli atti stabiliti dal giudizio, per riprodurli o
spontaneamente o Mau 686 per mezzo della riflessione. Per Spinoza la memoria
non è altra cosa che una certa concatenazione delle idee, che involgono in 68
stesse la natura delle coso esistenti fuori del corpo umano, concatenazione che
si produce nell'anima secondo l’ordine e il legame delle modificazioni del
corpo umano ». Per Locke la ‘memoria è una specie di retentiVità
(refentivenese), 9 consiste in una forza particolare posseduta dalla coscienza,
di risvegliare le rappresentazioni già possedute, ma poscia svanite ο poste in
disparte; perciò le idee che sono più spesso rinfrescate da un frequente
ritorno degli oggetti ο delle azioni che le producono, si fissano meglio nella
memoria e vi rimangono più chiaramente e più lungamente ». Per Kant la memoria
può essere meccanica, consistente nella semplice ripetizione letterale,
ingegnosa, consistente nel fissare mediante l’associazione certe rappresentazioni
con altre, che non hanno con le prime alcuna parentela intellettiva, ©
giudiziosa, che non è se non la tavola d’una disposizione sistematica nel
pensiero; in generale la memoria si distingue dalla semplice imaginazione
riproduttiva, in quanto, potendo riprodurre spontaneamente le rappresentazioni
passate, l’anima non è con ciò un puro gioco di esse ». Per James Mill la
memoria è un’ ides, formata mediante l'associazione di particolari in un certo
ordine: quando penso a qualsiasi caso di memoria, trovo sempre che l’idea o la
sensazione, precedente il ricordo, era una di quelle destinate, secondo la
legge dell’associazione, a richiamare l’idea involta nel caso di memoria; ο che
appunto per l’idea ϱ sensazione precedente, l’idea-ricordo è stata realmente
portata nella coscienza >. Per l’ Hamilton la memoria è la conoscenza
immediata di un pensiero presente, conoscenza che implica una credenza
sssoluta, che questo pensiero rappresenta un altro atto di conoscenza che è
stato ». Anche per J. 8. Mill l'atto della memoria implica una simile credenza
più una speciale aspettazione: la rimembranza di una sensazione, 687
Mem anche se non riferita a nessuna data particolare, involge la
suggestione e la credenza che una sensazione, di cui quella è una copia o
rappresentazione, esistette attualmente nel passato; © l’aspettasione involge
la credenza, più ο meno positiva, che una sensazione o un altro sentimento, a
cui direttamente si riferisce, esisterà nel futuro ». Per il Galluppi, il
riferimento al passato, o riconoscimento, ottenuto mediante l'associazione del
ricordo con un altro stato di coscienza, è l’unico carattere per cui la memoria
si distingue dall’ imaginazione: Chiamo memoria la facoltà di riprodurre le
percezioni degli oggetti, che sono stati altra volta sentiti, e che nel momento
attuale sono assenti, © di riconoscerle. La memoria non è dunque una facoltà
diversa dall’ imaginasione, ma è la stessa imaginarione, la quale nel suo
esercizio eseguisce esattamente la legge dell’ associazione delle idee ». Per
l’Ardigd la memoria è un fatto fisico-psichico, consistente nel ridestarai
delle impressioni per il rinnovarsi in una data ares cerebrale di un ritmo
fisiologico; ogni atto memorativo è una totalità di parti concorrenti, di
eccitamenti cerebrali che confiniscono, e il ridestarei di un’ idea consiste
nel riprodursi di questi moti sinergioi ; il riconoscimento, essenziale nella
memoria, nasce dal sovrapporsi di due atti psichici, ed ha esso pure la sua
base fisiologica nella persistenza delle disposizioni cerobrali. Cfr.
Aristotele, De an., I, 4, 408 b, 17; 8. Tommaso, Summa theol., I, qu. 79, 6;
Spinoza, Ethioa, Ἱ. II, teor. 18, scol.; Locke, Eas., II, ο. 10, $ 2; Kant, Antrop., I, $
32; James Mill, The hum. mind, 1871, p. 821; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton,
1867, p. 241; Galluppi, Lezioni, 1854, II, p. 744 segg.; Wundt, Grundriee der
Peyohologie, 1896, p. 290 segg.; Höffding, Esquisee d’ une ‚psychologie, 1900,
p. 186 segg.; Ardigò, Opere fil., V, p. 212 segg., VI, 23 segg., VII, 252
segg.; G. Dandolo, La dottrina della momoria nella psicologia inglese, 1891; H.
Bergson, Matière οἱ mémoire, 2° od.; W. F.
Colegrave, Memory, an Men 688 induotice
study, 1899; Van Biervliet, La memoire, 1902; P. Sollier, Le problème de ta
memoire, 1900 (v. amnesia, automnesia, automatismo, punti di ritroro, riconoscimento,
riproduzione delle sensazioni, eco.). Mentale. T. Seclisoh, psychisch; I. Mental; F. Mental. Termine vago, che
si contrappone ad organico, fisico, sensibile, eco., per designare tutto ciò
che concerne lo spirito, o appartiene allo spirito, mentre alcune altre volte
si riforisce all’ intelligenza, come distinta dalla attività psichica in
generale. Mentalità. T. Mentalität, Geistesriohtung; I. Mentality; F.
Méntalité. Qualsiasi fenomeno ο atto della mente. Però si adopera quasi sempre
por indicare soltanto le produzioni della intelligenza più lontane dalla
sensibilità ο più complesse, quali la rappresentazione, l’idea, il concetto. Ha
quindi un’estensione minore del termine prichicità. Spesso si usa anche ad
indicare l’insieme delle disposizioni intellettuali, delle tendenze affettive ο
delle credenze fondamentali di un individuo o di ün popolo; ad cs. la mentalità
di Mazzini, la mentalità tedesca. Mensogna. T. Lüge; I. Lie, Falsehood; F.
Mensonge. Si definisce come un fatto psicologico, di suggestione o nou (si può
mentire con gesti, lacrime, ecc.), con cui si tende più o meno intenzionalmente
a introdurre nello spirito degli altri una credenza, positiva o negativa, che
non sia in armonia con ciò che l’autore suppone essere una verità. Vi sono due
specie di menzogne: le negative, che consistono nella dissimulazione di ciò che
può fornire un indice della realtà; lo positive, che consistono nella crearione
di finzioni intercalate dall’immaginazione della realtà. La menzogna, che è
quasi fenomeno normale nella prima infanzia, pnd assumere aspetto patologico in
alcune malattie mentali, come I isterismo e la mania ragionaute : 1) ammalato
prova una vera voluttà nel dire bugie, ο questo bisogno è in lui tanto
radicato, che spesso diventa e si 689 Mer-MRT serba bugiardo anche contro il
proprio interesse. Cfr. Heinrot, Die Lüge, 1834; Max Nordau, Die
konventionellen Lügen der Gegenwart, 1893; Delbrück, Die pathologische Lüge und
die psychische abnormen Schwindler, 1891; G. Marchesini, Le finzioni
dell'anima, 1905. Merito. T. Verdienst; I. Merit; F. Mérite. E, in senso largo,
il diritto ad una ricompensa, che compete all’ agente in seguito ad un’ azione
buona compiuta. In senso teologico è ciò che sorpassa lo stretto dovere, e
costituisce una specie di eredità morale dell’ individuo. Siccome esso implica
il libero arbitrio © la responsabilità, così le dottrine deterministiche al
concetto di merito sostituiscono quello di accrescimento nella dignità, che
l’azione morale compiuta conferisce all'agente, e che, accrescendo il suo
valore sociale, allarga la sfera de’ suoi diritti e quindi della sua libertà.
Mosologia. T. Mesologie; I. Mesology; F. Mesologie. Scienza che studia i
rapporti e le reciproche influenze che uniscono gli esseri all’ ambiente
tellurico, climatico, fisico, ecc., in cui vivono. Metafisica. T. Metaphysik;
I. Metaphysics; F. Métaphysique. Questa parola fa usata primitivamente da
Andronico di Rodi, per designare quelli dei libri di Aristotele, da lui
ordinati, che vengono dopo i libri fisici: τὰ μετὰ τὰ φυσικά. Nel medio evo l’
espressione fu adoperata per indicare la σοφία o φιλοσοφία πρώτη di Aristotele,
che ha per oggetto τὸ By 7 ὄν, ο che egli stosso definisce ἡ τῶν πρῶτων ἀρχῶν
xal αἰτιῶν θεωρητική. Perciò In parola metafisica rimase ad indicare in
generale quella parte eccelsa del sapere umano, che tratta dell’ essenza ultima
delle cose, © cerca spiegare il mondo ο l’esistenza valendosi del metodo
aprioristico, partendo cioè dall’ essere in sò, dall’ ente necessario ©
perfetto, e quindi reale. Ma il suo significato è ben lungi dall’ essere fisso
: ora indica la conoscenza degli esseri che non cadono sotto i sensi, come Dio
e l’ anima; 44 RanzoLt, Dizion. di
scienze filosofiche. Mer 690 ora lo studio delle cose in sò stesse, per
opposizione alle apparenze che esse presentano; ora la conoscenza delle verità
morali, dell’ ideale, del dover essere, considerati come costituente un ordine
di realtà superiore a quello dei fatti © contenenti la loro ragion d’ essere;
spesso per metafisica β΄ intende la conoscenza sssoluta che si ottiene con I’
intuizione diretta delle cose, per opposizione al pensiero discorsivo, oppure
la conoscenza mediante la ragione, considerata come l’ unica capace di
raggiungere il fondo stesso delle cose. Alcune volte è adoperata per designare
il complesso delle questioni filosofiche più generali e più difficili, altre
volte per indicare la tendenza a sillogizzare, sd astrarre, a cavare delle
conclusioni da premesse arbitrarie. Così per 8. Tommaso la metafisica è la
scienza di tutto ciò che manifesta il sovrannaturale, ossia le cose divine:
Aliqua scientia adquisita est circa res divinas, soilicet scientia metaphysica.
Per Bayle à la soience spéoulative de l’étre. Per Platner essa ricerca non ciò
che è reale secondo U esperienza, ma soltanto ciò che è possibile e necessario
secondo la pura ragione. Per l’ Herbart è invece la dottrina dell
intelligibilita dell’ esperienza; per Galluppi la scienza delle sotenze; per
Schopenhauer ogni conoscere che si presenta come sorpassante la possibilità
dell’ esperienza, 6 quindi la natura, o V apparenza delle cose quale οἱ è data,
per apriroi uno spiraglio su ciò da cui questa è condizionata; per il
Trendelenburg à la scienza che considera ciò che v' ha di universale negli
oggetti di ogni ceperienza; per il Mo Cosh è la scienza che investiga le
intuizioni originali ο intuitive della mente, per esprimerle, generalissarle, 6
determinaro quindi che cosa sono gli oggetti rivelati da esse; per il Ribot è
una collesione di verità poste al di fuori e al di sopra di ogni dimostrazione,
perchè sono il fondamento di ogni dimostrazione ; per il Ferrier è la
sostitusione delle idee vere cioè delle verità neosssarie di ragione agli errori dal. l'opinione popolare; per il
Liard è la determinazione dell’as- soluto che sta sotto ai fenomeni, la
scoperta della ragione del- 691 Ματ V osistenza; per W. James un ostinato
tentative di pensare ohlaramente e coerentemente; per il Bergson è la scienza
ohe non si ferma al relativo, oggetto doll'intelligenza, ma raggiunge
l'assoluto mediante l'intuizione. Nella storia della filosofia mo- derna furono
molte le obbiezioni mosse alla metafisica ο vari i modi onde fu considerata:
Bacone ne fece una parte della scienza della natura, separandola dalla
filosofia prima ο ri- ducendols alla conoscenza sperimentale delle cause
astratte ; Locke e Hume ne dimostrarono la nullità, in quanto si occupa di
problemi che trascendono l'intelletto umano ; Kant la ridusse alla cognizione
filosofica dei concetti în unità sistematica, mostrando come la cosmologia, la
psi- cologia e la teologia razionale non facessero che aggirarei in continue
contraddizioni, ο come l’ ontologia fosse di- stratta dalla relatività della
conoscenza: Tutti i nostri ragionamenti che pretendono uscire dal campo dell’
espe- rienza sono illusor! ο senza fondamento... Non solo l’idea di un Essere
supremo, ma anche i concetti di realtà, di sostanza, di causalità, quelli di
necessità nell’ esistenza, perdono ogni significato, 6 non sono più che dei
vani titoli di concetti, senza contenuto alcuno, quando ci arriechiamo 8 uscire
con essi dal campo delle cose sensibi L'in- tendimento, quindi, non può fare
de’ suoi principt a priori, © persino di tutti i*suoi concetti, che un uso
empirico, © mai un uso trascendentale.... L’uso empirico d’un con- cetto
s’applica semplicemente ai fenomeni, cioò a degli oggetti dell’ esperienza...
Tutti i concetti, e con essi tutti i principî, per quanto a priori, si
riferiscono dunque a delle intuizioni empiriche, vale a dire si dati d’una
espe- rienza possibile ». Più tardi la metafisica fa combattute dalle scienze
naturali, dal materialismo tedesco e dal po- sitivismo, specie da Augusto
Comte, il quale la conside- rava come un semplice stadio storico, ormai
sorpassato, della conoscenza umana. Tra i positivisti posteriori manifestò tuttavia
una spiccata tendenza a ridonare alla Mer
692 metafisica il suo valore:
alcuni infatti, specialmente i po- sitivisti italiani (Angiulli, Villari,
Ardigò, ecc.), credono possibile una nuova metafisica, la quale, abbandonato il
vecchio apriorismo, stia o come critica logios della cono- scenza, 0 come
investigazione ‘degli elementi primitivi, o come coordinazione totale dello
scienze; altri, come i neo- kantiani, la considerano come un bisogno inerente
alla ragione di completare il mondo reale con un mondo ideale, © la collocano
quindi tra la religione e la poesia. Un ten- tativo di trasformare la
metafisica compì il positivista in- glese Lewes. Egli distingue nella cosidetta
metafisica due parti: la empirica, che è la sistemazione ultima dei risul- tati
delle scienze, e la metempirica, che designa ciò che sta oltre i limiti dell’
esperienza. La prima è legittima, ed ha nn valore simile alle scienze, poichè
se queste hanno per oggetto le leggi dei fenomeni, quella ha per oggetto le
leggi delle leggi; la seconda, cioò la metempirica, è ille- gittima perchè non
ha alcuna base e dev’ essere esclusa dal dominio della filosofia, lasciandole
soltanto un valore soggettivo psioologico-estetico. Perciò non è vero che i
problemi metafsici siano insolubili : essi sono solubili, pur- chè in essi si
separi la parto metempirica dalla empirica, © s’applichi a questa il metodo
scientifico o positivo. Oggi si può dire ormai scomparso il senso dispregiativo
della parola metafisica, conferitole dalle critiche di Kant e del positivismo
primitivo; essa è infatti adoperata comune- mente per indicare la filosofia
propriamente detta, la filo- sofia în quanto non si identifica nò con la
psicologia, nò con la logica, nd con l'etica, ma è una riflessione sui problemi
generali relativi ai somni principi dell’ interpre- tazione del mondo e all’
intuizione universale della realtà che su di essi si fonda. Cfr. Aristotelo,
Metaph., III, 1, 982 b, 9-10; 8. Tommaso, Contr. gent., I, 4; Bayle, Système de
philosophie, 1875, p. 149; Platner, Philosophische Aphori- amen, 1790, I, $
817; Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828,
693 Mer I, 215; Galluppi,
Elementi di filosofia, 1820-27, II, 5; Scho- ponhauer, Die Welt a. W. u. Vorst;
ed. Reclam,
I, suppl. cap. XVII; Liard, La soîenoo positiro et la métaphyeique, 3° p., cap.
VII; W. James, Textbook of peychology, 1906, epilogo; Bacone, Do dignilate et
augmentis soientiarum, 1829, 11, 4; Kant, Krit. d. r. Vernunft, 1% ο 2" pref. e Metodol. trascend. ; Fouilléo, L'avenir
de la métaphysique, 1889; Vol- kelt, Über die Möglichkeit der M., 1884; Ardigd,
La peico- logia come scienza positiva, 1882, p. 130; Id., Il rero, 1891, p. 10
segg.; Id., La ragione, 1894, p. 465 segg.; A. Comte, Cours de philos.
positive, 1877, I, p. 15 segg.; Angiulli, La Alosofia ο la ricerca positiva, 1869; Lowes, Problemes of life and
Mind, 1875, I, p. 5 segg.; Bergson, Introd. à la mé- taph., in Revue de métaph.
», 1903, p. 4 segg.; F. De Sarlo, I diritti della metafirica, Cultura
filosofica », lu- glio 1913 (v. assoluto, filosofia, metodologia,
ipermetafisica, poritiviemo). Metafisico.
Dicesi argomento metafisico quella prova dell’ esistenza di Dio, che consiste
nel partire dalla consta- tazione dell’esistenza di qualche cosa, del mondo ο
di noi stessi, per concludere all’ esistenza dell’ Essere necessario, cioè di
Dio. Infatti, se questo qualche cosa che esisto è contingente, dovrà la sua
esistenza ad un altro essere, ο questo ad un altro, finchè perverremo a dover
ammettere P esistenza di un Essere necessario; se questo qualche cosa è
necessario, allora è Dio stesso. Che 1’ Essere necessario, sia Dio, si prova
col fatto che essendo necessario, cioè in sd stesso e in modo assoluto, è anche
perfetto;. non pnd quindi essero il mondo, cho è imperfetto e contingente;
dunque sarà Dio. Punti metafisici chiamò il Leibnitz lo monadi, perchè, a
differenza dei punti fisici, sono inesteso. Il Comte chiama metafisico il
secondo doi tre stadi successivi attravorso i quali passa l'intelligenza umana;
in esso i fonomeni non sono attribuiti, como nel primitivo stadio teologico,
alla volontà di esseri sovrannaturali. imaginari, Mer 694
ina sono spiegati mediante entità astratte, cioò cause, forze, sostanze.
Bisogno metafisico dicesi |’ aspirazione dell’anima umana verso l'invisibile,
il sovrannaturale, il trascendente, aspirazione che, secondo alcuni pensatori,
non può essere distrutta dalla scienza o dalla ragione, perchè si muove in
un’orbita che alla ragione non è dato ponetrare: L'uomo à il solo essere, dice
lo Schopenhauer, che si meraviglia della sua propria esistenza; 1’ animale vive
nel suo riposo e non’ si meraviglia di nulla. Codesta meraviglia, che si
produce specialmente in faccia alla morte, © alla vista della distruzione e
della sparizione di tutti gli esseri, è la sorgente dei nostri bisogni
metafisici; è per essa che l’uomo è un animale metafisico ». Cfr. Leibnitz, Die philos.
Schriften, ed. Gerhardt, IV, 398; Comte, Cours de phil. positive, 1889-42, vol.
I; Schopenhauer, Die Welt, vol.
II, ο. 17 (v. gli argomenti ontologico, ideologico, morale, fisico,
cosmologico, storico). Metageometria. T. Metageometrie e Metamathematik; I.
Metageomeiry; F. Métageometrie. La geometria che, considerando falso il postulato
di Euclide delle parallele, concepisce diversi spazi possibili, che non hanno
le proprietà dello spazio euclideo. Il postulato euclideo ai enuncia così: 11
giugno 1910; Th. Flournoy, Archives de Psychologie, V, 1906, p. 298 (v.
dissociazione, incosciente). Metempirico. T. Metempirisok ; I. Metempirical; F.
Métempirique. Indica etimologicamente ciò che è al di là della natura, © quindi
tatto ciò che sorpassa i limiti d’ ogni esperienza possibile. Altro volte si
oppone a metafisica empirica, © designa quella parte della metafisica cho
tratta i ciò che sta oltre i limiti dell’ esperienza, e non ha quindi un valore
scientifico, ma soltanto estetico e psicologico. Il termine fu proposto appunto
con questo significato dal Lewes, che alla motafisica empirica ascrive lo
studio degli oggetti ο delle loro relazioni in quanto ci sono conosciuto ed
esistono nel nostro universo; alla metafisica metempirica le costruzioni ideali
dell’imaginazione. Cfr.
G. H. Lewes, Problemes of life and mind, 1875, I serio, I, p. 5, 10, 17 (v.
ipermetafisica). Motempsicosi. T.
Scelenwanderung, Metempaychose; I. Metempsyohoses; F. Métempeychose. Dottrina
secondo la quale l’anima, dopo la morte del corpo, trasmigra succossivamente a
rivestire altri corpi 6 a dar vita ad essi. Questa dottrina, che nella eua
forma rudimentaria fa propria di tutti i popoli primitivi, si trova
specialmente nelle antiche religioni filosofiche dell’ Egitto, dell’ India ©
della Grecia, in ciascuna delle quali assumo aspetti differenti. Secondo gli
Egiziani l’anima umana, dopo la morte, entra suceossivamente e per il corso di
tre millenni in tutti gli animali che vivono sia nell’ aria, sia nell’ acqua,
sia nella terra; alla fine del terzo millennio ritorna a vivificare un corpo
umano, per poi ricominciare lo suc trasmigrazioni attraverso il rogno animale,
e così via via all’ infinito. Secondo gli Indiani, inveco, l’anima umana passa
da un corpo ad un altro finchè non s'è del tutto purificata, così da poter
ritornare a componetrarsi con la divinità da cui è 697
Mer discesa; se durante queste successive esistenze essa pratica la
penitenza e segue la scienza, passa in corpi sempre più perfetti e quindi torna
più presto a Dio; se invece segue il male, al contrario. Nella Grecia la
dottrina della metempsicosi fu insegnata da Pitagora e nei misteri, od esposta
anche da Platone: l’ anima umana, dopo la morte del corpo che la racchiude, va
nei regni d’ oltretomba per ritornare poi, dopo mille anni di purgazione, a
rivestire un nuovo corpo in armonia con la vita precedentemente trascorsa;
soltanto l’anima pura del saggio non compie queste trasmigrazioni, ma vola ad
abitare con gli Dei per tutta l’ eternità. Verso la metà del secolo scorso la
dottrina della metempsicosi fu rimessa in onore da tre pensatori di idee assai
diverse: Pietro Leroux, che sostenne la rinascenza eterna delle stesse
generazioni ο quindi dellostesse anime umane in diversi individui ; Carlo
Fourier cho allargò la cerchia delle trasmigrazioni dell’ anima oltro i confini
del mondo, in una sfera sovramondana ove ogni essere avrebbe natura più sottile
e sensi più delicati; AllanKardec, il fondatore dello spiritismo metafisico,
che pone la metempsicosi a base delle sue invenzioni sul mondo degli spiriti.
Cfr. Platone, Timeo, 90 E segg.; Diogene Laerzio, VIII, 1, 31 segg.; Schlosser,
Über die Seelenwanderung, 1781; P. Leroux, De l'humanité, de son principe et de
son avenir, 1840; Fourier, Théorie de l'unité universelle, 1841; G. Athius,
Idea vera dello epiritiemo, 1895, p. 65 segg. (v. apoteosi, catarsi, nirvana,
immortalità). Metessi. Partecipazione. La usò Platone per esprimero che le cose
sono una partecipazione (µέθεξις) delle Ideo. Ai tempi nostri questa parola fu
adoperata, con lo stesso significato, dal Gioberti (v. mimesi). Metodi
induttivi. Quei metodi che conducono alla determinazione delle leggi causali
doi fatti. Allo Stuart Mill si deve la dimostrazione più precisa di codesti
metodi, che prima di lui erano gid stati intuiti da Bacone, Mer 698 ο
che altri, come ad es. l’ Herschel, avevano esposto con molto minor precisione.
Quattro sono i metodi suggeriti ed illustrati dal Mill per la ricerca della
causa dei fenomeni: metodo di concordanza, di differenza, dello variazioni
concomitanti ο dei residui, ai quali si aggiunge un quinto metodo
complementare, detto della concordanza nella difSerenza. Tutti questi metodi si
fondano sull’ eliminazione: infatti per essi è causa ciò che non può essere
eliminato senza che sia pure abolito l’effetto, non è causa ciò che può essore
eliminato senza che 1’ effetto sia abolito. Da ciò appaiono le lacune dei
metodi induttivi, poichò non sempre la causa è capace di produrre I’ effetto.
D’ altro canto ossi hanno il difetto di presupporre che ad ogni effetto
corrisponda una sola causa, © che possano essere distinti nettamente gli
effetti di ciasonna causa da quelli di tutto le altro. Perciò nella ricerca
scientifica i quattro metodi del Mill vogliono ossere integrati da norme
complementari d’indagine e dal metodo deduttivo. Cfr. J. Stuart Mill, A System
of Logio, 1865, I, o. VIII segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 segg. Metodo
(µετά ο 626ç in via). T. Methodo; I. Method; F. Méthode. La direzione che si
imprime ai propri pensieri per giungero ad un risultato determinato, ο
specialmente alla scoperta della verità e alla sistemazione delle conoscenzo.
Methodus nihil aliud esse videtur, dice lo Zabarella, quam habitus
intelleotualis instrumentalis nobis inserviens ad rerum cognitionem
adipiscendam. E la Logica di Porto Reale: ars bene disponendi seriem plurimarum
oogitationum. Vi è il motodo naturale, che è quello che vien suggcrito a
ciascuno nei singoli casi dalla propria intelligenza, © il motodo riflesso 0
scientifico che è una parte della logica. Questo si divide in sistematico ©
inrentivo: il primo studia le forme mediante le quali si ottiene I’ ordinamento
più utile delle conoscenze, il secondo studia i procedimenti per cui questo
conosconze si possono ostendere, passando dal noto all’ ignoto. Il primo, oltre
alla coordinazione delle conoscenze, ha anche il cémpito di determinare le
prove della dimostrazione, di analizzarne i procedimenti, studiarne il valore:
ciò costituisce il metodo dimostrativo. Il secondo può exsore analitioo 0
sintetico : quello consiste nel sopararo, in un complesso di relazioni note tra
il noto ο Y ignoto, le relazioni ignote che vi sono dissimulate ; quello nel
ricercarle al di fuori delle relazioni note © comporro con queste. Dicesi
didascalico il metodo che à volto a comunicare © insegnare altrui la verità;
deontologico quello che guida lo studioso alla ricerca del perfetto esemplare
delle cose; apologetico quello che insegna a difendere la vorità contro le
obiezioni, © elenctico quello che insegna a confutare gli errori. Dicesi metodo
maieutico quello adoperato da Socrate, consistente nel condurre gli uomini, per
mezzo di opportune interrogazioni, a scoprire i veri che tengono nascosti nelle
profondità del loro stesso spirito, a risvegliare le loro stesse idee; metodo
risolutivo © compositivo i due momenti del metodo galileano, il primo dei quali
consiste nell’investigare i processi più semplici matematicamente determinabili
e ricavarne un'ipotesi, il secondo nel mostraro deduttivamente che l’ipotesi
posta concorda con altre esperienze; metodo geometrico l'applicazione ai
problemi filosofici del processo dimostrativo euclideo procedente per
definizioni, assiomi, teoremi, corollari, applicazione fatta specialmente dallo
Spinoza nell’ Etica; metodo oritioo 0 trascendentale, per opposizione al
dogmatico, quello adoperato da Kant, consistente nell’ assumere come punto di
partenza l'indagine della forma sotto la quale i principi razionali si
prosentano di fatto, ed esaminarne il valore secondo la capacità, che essi
posseggono in sè, di essere applicati universalmente e necessariamente
all’esperienza; metodo dialettico, sin l’arte polomica che, movendo dalle
opinioni comuni intorno ad un dato oggetto, le prova al martello della oritica,
ne mostra gli errori, in modo da preparare il terreno all’ indagine
soiontifica, sia il metodo usato da Fichto e da Hegel, consistente nel
procedere per tre momenti, tesi, antitesi ο sintesi, ossia nel convertire ogni
concetto nel suo opposto ο derivare dalla loro contraddizione il concetto più
elevato, il qualo poi trova un’altra antitesi, che richiedo una sintesi ancora
più alta, così di seguito. Metodo dei rapporti chiama 1’ Herbart il proprio
metodo di eliminazione delle contraddizioni, che sono nel fondo dei nostri
concetti più generali; siccome la contraddizione deriva sempre dall’esseroi
dati come unici dei concetti i cui elementi opposti non possono realmente
pensarsi come uno, così il metodo dei rapporti consiste nel considerare il
soggetto non come uno, ma come un insieme, cioò come un sistema di rapporti;
esso si compondia in questa regola: quando una cosa deve essere pensata, © non
può essere ponsata come una, si pensi come molte. Cfr. Zabarella, Opera
philosophica, 1623, De meth., I, ο. 2; Logique d. P. Royal, IV, 2; Cartesio,
Discorso sul metodo, trad. it. 1912; Fries, System der Logik, 1837, p. 508
segg.; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 11 segg.; Rosmini, Logica, 1853, $ 749
segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 sogg. (v. agonistica, dia lettica, eristica,
maieutica). Metodologia. T. Methodenlehro; I. Methodology ; F. Méthodologie.
Quella parte della logica che studia le regole generali per mezzo delle quali
le varie discipline estendono ed ordinano le proprio conoscenze. La metodologia
si divide dunque in due parti; la parte ordinativa ο sistematica, che fissa lo
norme della definizione, della divisione, della classificazione, della prova
induttiva ο dodattiva, diretta © indiretta, e la parte estensiva o inventiva,
che fissa lo norme doi metodi di ricerca, induttivi e deduttivi, propri @ ogni
scienza, Per metodologia trascendentale Kant intende la determinazione dello
condizioni formali di un sistema perfetto di ragion pura; © per metodologia
della ragion pura pratica l’arte con cui le leggi dolla ragion pratica
pura 701
Mer-Mrz possono entrare nell’ animo umano e influire sulle sue massime,
ossia l’arte onde la ragion pratica obbiettiva può anche diventare ragion
pratica soggettiva. Nel sistema dell’
Herbart, la metodologia è la prima delle quattro parti in cui distinguesi la
metafisica: ossa tratta del metodo dei rapporti, col quale si possono togliere
le contraddizioni che viziano i nostri concetti fondainentali della natura. Le
altre tre parti sono l’ontologia, la sinecologia ο 1’ idolologia. Dalla metodologia distinguesi la metodica,
che è quella parte della pedagogia che tratta in generale del metodo d’
insegnamento ; l'applicazione della metodica alle singole materio da insegnarsi
costituisce la didattioa. Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p.
544; Krit. d. prakt. Vernunft, 1878, p. 181; Herbart, Einleit. in die Philos., 1834, $ 13;
Bain, Eduo. as. a science, 1% ed., p. 230-357; E. Wagner, Darstellung d. Lehre
Herbarts, 1896, $ 30 segg.; Wundt, Logik, II, 1881; Sigwart, Logik, 1890, IL. Metriopatia. La misura del piacere mediante la
ragione. Nella morale platonica la natura del bene è fatta consistere nella
metriopatia : la felicità non consiste infatti nè nel solo piacere nè nella
sola ragione. Porfirio contrappone la metriopatia all’ apatia ο alla teoria: la
prima è il cémpito delle virtù politiche, ed è propria dell’ uomo giusto, la
seconda è lo scopo delle virtù catartiche e propria dell’uomo demoniaco; la
terza è il mezzo per oui l’anima si rivolge al Noo ed è propria di Dio. Cfr.
Porfirio, Ieagoge, 1887 (v. catarsi, edoniemo, eudemoniemo, morale). Mezzo. T.
Mitte, Umgebung; I. Mean; F. Milieu. Cid che è collocato tra due o più cose, e
in special modo ciò che è ad ugual distanza tra duo estremi; tale, nol senso
aristotelico, è la virtù: µεσότης τις ἄρα ἐστιν ἡ denti. Due secoli prima
Confucio aveva detto: L’ uomo superiore si conforma alle circostanze per seguire
il mezzo... L'uomo volgare non teme di seguirlo temerariamento in tutto e per
tutto. » Talvolta adoperasi anche, in modo improprio, per Merz 702
ambiente, ad indicare 1’ insieme delle condizioni e dei fattori tra i
quali un fenomeno si produce o un essere vive. In un processo di finalità, il
mezzo è il termine intermedio o la serie dei termini intermedi, che sta fra il
termine iniziale, con cui il processo stesso comincia, ο il finale, con cui
finisce. Cfr. Confucio, Tokoung-young, trad. franc. Remusat, 1817, XI, 3, II,
2; Aristotele, Etica a Nicomaoo, II, 5, 1106 b, 27. Mezzo escluso (principio
del). Lat. Prinoipium eziusi tertii; T. Satz des ausgeschlossenen Dritten ; I.
Principle of excluded middle; F. Prinoipe de milieu ezolu. O anche principio
del terzo escluso, è uno del principî logici fondamentali © principî supremi di
ragione. La sua formula è: 4 è ο non è B; cioè tra questi due giudizi uno deve
esser vero, perchè essendo essi contradditori, non vi ha una via di mezzo, una
terza possibilità, Secondo il Fries esso si esprimo così: ad ogni oggetto
appartiene un conoetto ο il suo contradditorio. Secondo Hegel: di due prodicati
contradditori uno soltanto appartiene a un qualche cosa, 9 non si dà un terzo.
Secondo B. Erdmann: quando un giudizio affermativo è dato come vero, il suo
contradditorio negativo è falso, ο viceversa. Secondo il Rosmini: tra due note
contraddittorio non c'à alown mezzo. Contro questo principio furono mosse molte
obbiezioni. Si disse, ad esempio, che alcune volte è possibile la vis di mezzo;
così se si dicesse che un oggetto può essere © bianco ο nero, si può rispondere
che può anche esser grigio. In questo caso però le due idee sono contrarie non
contradditorie, essendo non-bianco il contradditorio di bianco, 9 non è
possibile che un oggetto colorato, se non è bianco, sia neppure non-bianco. Fu
obbiettato ancora che due giudizi contradditori possono essere entrambi falsi
quando il soggetto non esiste (es. Garibaldi passeggia Garibaldi non passeggia) ma un giudizio è
sempre formulato nell’ ipotesi che al soggetto si attribuisca una qualche forma
di realtà, anche puramente imaginativa. Cfr. Fries, 708
Mic-Mia System der Logik, 1837, p. 176; Hegel, Enoyklopädie, 1870, $
119; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 366 ; Rosmini, Logica, 1853, § 345; Masci,
Logica, 1899, p. 56 segg.; Herbart, De principio logico exlusi medii, 1842.
Microcosmo. T. Mikrocosmos; I. Microcosm; F. Mioroccsme. Si usa generalmente in
opposizione a macrocosmo (universo) per designare l’uomo, che, considerato in
sò stesso, presenta un tutto organizzato, un piccolo universo. 1) espressione
trovasi per la prima volta in Aristotele: ἂν μικρῷ κόσμφ ylvetat, καὶ dv
neydAp. Per il Leibnitz ogni individuo è un microcosmo, in quanto ha per sò un
valore universale, contiene tutto l'universo; in ogni individuo si ha
continuità di stati, come in tutto l'universo si ha una continuità di monadi: Codesto
legame di tutte le cose create con ciascuna, e di ciascuna con tutte, fa sì che
ogni sostanza semplice ha dei rapporti che esprimono tutte le altre, © che essa
è quindi un perpetuo specchio vivente dell’ universo.... Ogni corpo risente
dunque tutto ciò che si fa nell'universo; talmente, che colui che vede tutto
potrebbe leggere in ciascnno ciò che si fa dovunque, e persino ciò che s'è fatto
ο si farà, osservando nel presente ciò che è lontano sia secondo i tempi sia
secondo i luoghi ». Cfr. Aristotele, PAys., VIII, 2, 252 b, 26; Leibnitz,
Philos. Schriften, ed. Gerhardt, III, 349; Lotze, Microcosmo, trad. it. 1911
(v. maorocosmo, monade, monadismo). Micropsia. Alterazione patologica del senso
della visione, per eni gli oggetti sono percepiti con dimensioni minori del
vero. È il contrario della megalopsia, in cui gli oggetti sono percepiti di
dimensioni maggiori del vero. Si verifica talvolta nell’ isterismo. Cfr. Pierre
Janet, Nevroses et idées fixes, 3" od. 1904, I, 277 segg. Migliorismo. T.
Meliorismus; I. Melioriom ; F. Méliorieme. O ottimismo relativo, è la dottrina
che non considera il mondo come il migliore dei mondi possibili, alla maniera
dell’ ottémismo assoluto (Leibnitz), ma sostiene che il Mir 704
mondo, pur potendo contenere un po’ meno di male, è tuttavia buono, Il
vocabolo sembra dovuto a Giorgio Eliot; fu adoperato in senso analogo dallo
Spencer (the melioriat tiew.... that life... is on the way to become such that
it will vela mor pleausure than pain) © diffuso da James Sully : con questo io
intendo la fede che afferma non solo il nostro potero di diminuire il male, ma
anche la capacità di acorescere la somma del bene positivo. Si contrappone al
pejoriemo ο pessimismo relativo del? Hartmann, il quale sostiene che il mondo
val meno che niente, l’ordine vi è continuamente turbato dalla volontà, ma vi è
un potere incosciente che tenta di ristabilirlo © vi riesce eliminandone la
coscienza; si distinguo quindi dal pessimismo assoluto (Schopenhaner) per il
quale il mondo è il peggiore dei mondi possibili e la vita non è che un pianto
continuo, essendo 1’ uno e l’altra opera di una volontà assurda. Cfr. Spencer, in Contemporary
Review, luglio 1884, p. 39; I. Sully, Pessimism, a History and Criticiem, 1877,
p. 399. Millenarismo. T.
Milleniumslehre; I. Millenarianiem, millenarian doctrine; F. Doctrine
millénariste. Dottrina cho, fondandosi sulla predizione dell'Apocalisse,
insegnava che Gesù Cristo doveva regnare temporaneamente sulla terra, insieme
ai santi, durante un periodo di mille anni, che si sarebbe chinso col giudizio
universalo. L'origine di questa credenza nel millenium, che sorse nei primi
secoli del Cristianesimo e trovò seguaci in molti Padri della Chiesa, è in
parte ebraica e in parte cristiana. Già le profezio contenute nelle sacre
scritture, promettovano agli Ebrei che Dio, dopo averlì dispersi tra le varie
nazioni, li riunirebbe un giorno di nuovo in un regno di pace e di felicità;
ora, avvicinando queste previsioni alle parole con cui Cristo annunciava il suo
ritorno e il suo regno glorioso, molti ebrei, convertiti al cristianesimo,
fondarono il millenarismo. Il quale, sebbene combattuto dai Padri che fondarono
il dogma, non scomparve mai del tutto; esso risorse verso 706
ΜΙΝ-ΜΙΟ la fine del secolo IX dell’era nostra, predicando la fine
imminente del mondo, e, più tardi, alleatosi col oomunismo, preparò, insieme
con altre sètte di esaltati, la rivoluzione inglese del 1648. In tempi ancora
più vicini a noi, il millenarismo risorge specialmente nella società inglese,
ove scrittori come Worthington, Bellamy, Towers profetizzarono per l’anno 2000
l’inizio del nuovo millennio di felicità © di giustizia, annunziato dall’Apocalisse.
Cfr. Apooaliese,
XX, 1-3; Schürer, Lehrbuch d. nontestamentlichen Zeit-Geeoh., 1881, $ 28, 29;
Towers, Illustrations of profecy, 1796, t. II, cap. I; A. Sudre, Histoire du
communisme, 1850, p. 182 segg. Mimesi. T. Nachahmung, Naohiffung ; I. Mimetiem
; F. Mimétisme. Imitazione,
Platone adopera questa parola per indicare che le cose sono un’imitazione
(µίμησις) delle idee; anche il Gioberti usò lo stesso vocabolo nello stesso
significato. Per i pitagorici invece le cose erano una imitazione dei numeri. Per mimesi o mimetismo s'intende nelle
scienze biologiche il fenomeno per cui certi animali rivestono, sia
temporaneamente sia stabilmente, il colore dell’ ambiente nel quale vivono; o
anche la somiglianza superficiale tra animali anatomicamente diversi gli uni
dagli altri, dovuta sia alle medesime condizioni d’esistenza sia ad altre
cause. Cfr. Platone, Parmen., 132 d.; Sesto Emp., Pyrr. ip, III, 18; Gioberti,
Protol., 1858, II, p. 3 segg. (v. idea). Minore. T. Unterbegrif, Untersats, Minor; I. Minor; F.
Mineur, Mineure. Nel sillogismo
dicesi minore il termine che ha l'estensione minore, e minore la premessa che
contiene, come soggetto ο come predicato, il termine minoro. Nella conolusione
il termine minore fa sempre da soggetto © viene perciò designato con la letters
8. Nel sillogismi disgiuntivi la minore è quella delle due premesse che esclude
uno dei membri disgiunti; nei sillogismi ipotetici quella che afferma la
condizione o nega il condizionato. Miopia. T. Kurssiohtigkeit; I. Myopia; F.
Myopie. Difetto della vista, determinato da eccessiva curvatura dello 45 Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche.
Mie-Mis 706 superfici di rifrazione, o da maggior densità
dei mersi diottriei, per oui i raggi paralleli fanno foco non sulla retina,
come nell’ occhio normale, ma al disopra della retina. Quindi il punto di
lontananza, anzichè all'infinito, si trova poco lontano dall’ occhio, cosicchè
riesce impossibile distinguere gli oggetti lontani. Cfr. I. 8. Wells, Dis. of the
Eye, 1883, p. 629 (v. accomodamento, emmetropia, punto). Miracolo. T. Wunder; I. Miracle, Wonder; F. Miracle.
Originariamente, tutto ciò di cui l’uomo si meraviglia, ogni fatto che desta
sorpresa; poscia, un fenomeno che è considerato, per il suo carattere,
superiore ai poteri della natura o dell’uomo, e perciò manifestazione di una
volontà sovrannaturale, della quale è segno ο testimonianza. Que prater ordinom
communitor statutum in rebus quandoque divinitus flunt, dico 8. Tommaso. David
Hume lo definisco: la trasgressione d' una legge di natura, eseguita per una
tolizione particolare della divinità ο per la mediazione di qualche agonte
invisibile. Secondo il Le Roy la nozione di miracolo s'appoggia su questi
quattro punti: 1° non si dà il nome di miracolo che a un fatto sensibile, e a
un fatto eccezionale, straordinario; 2° non si dà il nome di miracolo che a un
fatto significativo nell’ ordine religioso; 8° perchd un fatto sia detto
miracolo deve essere inserito nella sorio fenomenica ordinaria, pur facendo
contrasto con essa; 4° perchè un fatto sia detto miracolo, bisogna che non sia
nè prevedibile nè ripetibile a volontà. Cfr. 8. Tommaso, Contra gentiles, III,
101; Hume, Eeeaia, 1790, II, p. 234 n; Le Roy, in Annales de philosophie
chrétienne, ottobre 1906 ; Μο Cosh, The Supernatural in relation to the Natural,
1872 ; R. Schiattarella, Miracoli e profeste, 1899. Mistero. Gr. Μιστήριον; T.
Mysterium; I. Mystery; F. Mystère. Nello religioni antiche i misteri erano un
insieme di pratiche, di riti ο di dottrine di natura segreta ο riservate agli
iniziati. Nella teologia cristiana i misteri sono 707
Mis verità indimostrabili ο incomprensibili, rivelato da Dio © come tali
imposte direttamente dalla Chiesa ai fedeli. Anche nella scienza si parla
talvolta di misteri, ma in senso relativo; nel senso cioè di un ignoto qualsiasi,
che può venir conosciuto © spiegato, e non è quindi contrario alla ragione; 1’
introduzione del mistero assoluto ο religioso nella sclensa costituisce il
misticismo. Tuttavia i teologi sostengono che i misteri della religione non
sono contrari alla ragione, ma al disopra della ragione, ciod ad essa
trascendenti: la ragione non vede, con le sole sue forze, la verità che essi
esprimono, ma non vede per questo l’impossibilità di tale verità. Il concetto
del mistero cominciò infatti a determinarsi nella teologia, quando si rese
palese il dualismo tra la soienza ellenistica ο la tradizione religiosa, tra la
filosofia d’Aristotele e le dottrine specifiche del cristianosimo. Con piena
coscienza di questo dualismo, Alberto Magno cercò di dimostrare, che tutto ciò
che in filosofia si conosce mediante il lumen naturale è valido anche in
teologia; ma che l’anima umana non può conoscere pienamente se non ciò, i cui
principî porta in sò stessa, e che perciò in quei casi in cui la conoscenza
filosofica non è in grado d’arrivare a una decisione definitiva © deve restare
indecisa davanti a possibilità diverse, decide la rivelazione. Duns Scoto,
andando più in là, pose una separazione netta fra filosofia © teologia, allargò
la cerchia dei misteri della teologia, inchiudendovi persino il principio della
creazione © quello dell’ immortalità dell’ anima. Cfr. Maywald, Die Lehre von
der zweifachen Wahrheit, 1871; Sainte-Croix, Recherches hist. ot orit. eur les
myslöree du paganieme, 1817; Le Roy, Dogme et critique, 1907; I. A. Pioton, The
mystery of matter, 1873; A. D'Ancona, Le origini del teatro italiano, 1891;
Chiappelli, La dottrina della doppia verità ο i suoi riflessi recenti, Atti
della R. Acc. di Napoli >, 1902. Mistica. Scnola filosofica e teologica
sorta, sotto I’ influsso delle idee neo-platoniche, nel seno della Scolasticn
Mis 708
del secondo periodo, e importantissima perchd diede luogo, per puro zelo
religioso, alla separazione e al contrasto tra le verità di ragione e le verità
di fode, che prima si fondevano in un’ unica verità. Per la Scolastica la
rivelazione è fissata come autorità storica, per la Mistica è invece un
tuffarsi, libero da ogni mediazione esterna, dell’ individuo ‘umano nel
primitivo principio divino. La Mi distingue nella fede due elementi: la
cognizione, ossia il contenuto (fides quae oreditur) © l’affetto, ossia l’atto
soggettivo del credere (fides qua oreditur). Ora, nella fede è importante
soltanto questo secondo elemento, quindi si rende affatto inutile ogni ricerca
razionale sul contenuto della fede stessa. Tuttavia non è da disprezzare anche
la cognizione, che passa per tro gradi: cogitatio, meditatio, contemplatio; la
prima guarda il mondo con 1’ occhio del corpo, la secondn guarda in noi stessi,
la terza, che è la cognizione vera, lo affissa in Dio; questi tre gradi
corrispondono rispettivamente alla materia, all’ anima, a Dio. Sotto tal
rapporto può dirsi che la Mistica ο la Scolastica si integrano a vicenda: come
la contemplazione mistica può benissimo diventare un capitolo della dottrina
del sistema scolastico, così anche 1’ estasi mistica può presupporre I’
edificio dottrinale como suo sfondo teorico. Cfr. H. Router, Geschichte d.
religiosen Aufklirung im Mittelalter, 1875; Helfforich, Die christliche Mystik
in ihrer Entwickelung und ihren Denkmalen, 1842; H. Delacroix, Études
d'histoire et de psychologie du mystioieme, 1908; R. Steiner, Il oristianesimo
quale fatto mistico, trad. it. 1909 (v. conoscenza, credenza, fideiemo),
Misticismo. T. Mystik, Mysticismus; I. Mysticiem; F. Mysticisme. Nel suo
significato più generale è la credenza nella possibilità di conoscere Dio,
l'infinito, la verità assoluta immedistamente, senza il sussidio dell’
intelligenza, con un puro impeto di sentimento o con uno sforzo di volontà. Il
termino fu diffuso nel linguaggio religioso ο filosofico dallo pseudo Dionigi
l’Areopagita, cho, nol trat 709 Mir tato
eni nomi divini, dopo aver dimostrato che per raggiungere 1’ essere in sò
stesso bisogna sorpassare le imagini sensibili, le concezioni e i ragionamenti
dell'intelletto, afferma che codesta perfetta conoscenza di Dio risulta da una
sublime ignoranza ο si compio in virtà di una incomprensibile uniono;...
codesta assoluta ο felice ignoranza non è dunque una privazione, ma una
superiorità di scienza. Tale scienza Dionigi chiama la dottrina mistica che
spinge verso Dio e unisco a lui pev una specio d’inisiazione che nessun masstro
può insegnare. Il punto culminante del misticismo è l’estasi, stato nel quale,
essendo interrotta ogni comunicazione col mondo esteriore, l’anima ha
l'impressione di comunicare con un oggetto interno, che è l’essere infinito,
Dio. Tale fenomeno, che i teologi considerano come un effetto della grazia
divina, è spiegato dalla scienza come uno stato di monoideismo, analogo al
sonno ipnotico, ottenuto mediante la concentrazione dell’ attenzione in un
unico pensiero © spiegabile mediante la leggo psicologica notissima che: uno
stato completamente uniforme e sempre uguale conduce alla soppressione della
coscienza. Per estensione dicosi
misticismo ogni dottrina, sia filosofica che scientifica, cho si ispiri più al
sentimento e all’intuizione che alla osservazione e al ragionamento; e
misticismo ancora ogni credenza a forze, influssi © azioni impercettibili ai
sensi ο tuttavia reali. Cfr. Heppe, Geschichte der quietistischon Mistik in der
katholisohen Kirche, 1875; R. A. Vaughan, Hours with the Mystics, 3° ed.; E.
Boutroux, Le mysticieme, Bulletin do PInst. psychologique, gennaio 1902; J.
Pachen, Peychologio des mystiques chrétiens, 1909; E. Troilo, Il misticiemo
moderno, 1899; Ernesto Lattes, II misticismo nelle tendenze individuali ο nelle
manifestazioni sociali, 1908; R., L' agnosticiemo nella filosofia religiosa.
(v. comoscenza). Mito. Gr. Müdoc; T. Mythus; I. Myth; F. Mythe. IL Vignoli lo
definisce come la spontanea e fantastica forma Mir 710
nella quale ’ umana intelligenza e le umane emozioni raffigurano sè, ©
lo cose tutte; © l’ obbiettivazione psico-fisica dell’uomo nei fenomeni tutti,
che egli può apprendere e percepire ». Per il Simrock il mito è la forma più
antica nella quale lo spirito popolare pagano conosce il mondo © le cose
divine». In senso generale è mito ogni racconto favoloso, d’origine popolare e
non riflessa, in cui gli agenti impersonali sono rappresentati sotto forma d’
esseri personali; in senso stretto è la descrizione d’un fenomeno naturale
considerato come l’espressione di un dramma divino, ο P incorporazione d’una
idea morale in un racconto drammatico. Nei due casi, ciò che è permanente ο
frequente nella natura o nell’umanità, è ricondotto ad un avvenimento compiuto
una volta per tutte, e il dramma, sebbene inventato, è ritenuto come reale.
Questo carattere d’ingenua credulità, per oui si tengono come reali dei fatti
puramente immaginari, è essenziale nel mito, e lo distingue nettamente dalla
favola, dall’allegoria © dalla parabola. In queste si ha pure un’ idea morale
racchiusa in un racconto drammatico; ma esse sono opera di riflessione
metodica, e non pretendono di essere credute reali, Il mito si distingue anche
dalla leggenda, che non ha per carattere necessario l’interpretazione d’un
fenomeno naturale ο l’incorporazione d’un’ idea morale, Nolla scienza
contemporanea, del mito sono date tre spiegazioni diverse: sociologica,
psicologioa, psico-sociologica. La prima, sostenuta dal Durkheim ο dalla sua
scuola, si fonda sul principio metodico fondamentale che i fatti religiosi, al
pari dei fatti giuridici, morali, economici, non sono che fatti sociali,
prodotti di stati d’ anima collettiva, spiogabili quindi non in base alla
natura umana in generale, bensì in base alla natura delle società allo quali
vengono riferiti; ogni gruppo sociale pensa, sente, agisce diversamente da quel
che farebbero i suoi membri isolati ; diotro il mito si scorge sempre il gruppo
sociale che sogna, desidera e vuole; il mondo dei miti ο degli dei non è cho
l’obbiettivazione m1 Mir del pensiero collettivo, la proiezione al
di fuori che la coscienza del gruppo sociale fa delle rappresentazioni, che
essa stessa si è formata sotto lo stimolo dei suoi desideri e delle sue
esigenze. La dottrina psicologica, sostenuta dal Tarde, sostiene invece che i
miti, al pari di tutte le altre produ» zioni sociali, sono di origine individuale
e si sono diffusi per imitazione dapprima esclusiva, poi espansiva ©
proselitistica; i miti e le religioni non si compongono di altri elementi che
non siano desiderii ο credenze: il bisogno di certezza, il bisogno di sicurezza
costituiscono la duplice fonte della religiosità, il cui fine è quello di
stabilire negli individui © nei popoli un’ immense convinzione », quella
dell’esistenza di Dio, e un’ immensa speranza », quella dell'immortalità dell’
anima. Tra queste due opposte dottrine sta la dottrina intermedia, o
psico-sociologica, del Wundt, per il quale mito, linguaggio e costume sono
prodotti della psiche collettiva e ripetono, in forma più ampia ed elevata, gli
elementi tutti della vita psichica individuale; il linguaggio infatti contiene
la forma generale delle rappresentazioni viventi nell’ anima sociale, © le leggi
delle loro connessioni; il mito racchiude in sò il contenuto originario di
quelle rappresentazioni, costituito dalla concezione complessiva dell’
universo, quale la coscienza del popolo se I’ è formata sotto l’azione dei suoi
sentimenti e impulsi; il costume contiene le direzioni generali della volontà
collettiva risultanti da tali rappresentazioni ο sentimenti. Ciò che
contraddistingue il pensiero mitico è la facoltà personificatrice, che
proviene, secondo il Wundt, dalla fantasia, la quale hu due fattori essenziali
: l’appercezione animatrice », per cui si proietta nell’ oggetto la coscienza
del soggetto, sì che questi si sente uno con quello, e la forza
intensificatrice del sentimento propria dell'illusione, forza per la quale tra
tutti gli elementi di cui risulta P’intuisione di un oggetto, non quelli
obbiettivi, bene) quelli subbiettivi determinano il grado d’ intensità delle
impressioni emotive che accompagnano I’ intuizione dell'oggetto. Ciò spiega
quel carattere importantissimo delle rappresentazioni mitologiche, per cui gli
oggetti di essi appaiono come realtà immediatamente date; caraitere che
dimostrerebbe, secondo il Wundt, l'infondatezza delle teorie che considerano i
miti © come simboli o come tentativi di spiegazione dei fenomeni. Un secondo carattere
del pensiero mitologico è la sconfinata facoltà associatrice, derivante dalla
mancanza di impedimenti, che la riflessione poi oppone. Cfr. Wundt, Grundriss der
Psychologie, 1889, p. 356 segg.; Id., Fölkerpsyohologie, 1900-1909, t. Il;
Simrock, Handbuch d. deutschen Mythologie, 1869; Tardo, Les lois de
l’imitation, 1890; Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, 1895; 1d.,
De la definition des phénomènes religieux, in Année sociologique », anno II, p.
1 segg.; Saussure, Lehrbuch d. Religiongesch., 1887-89; Bréal, Mélanges de
mythologie et de linguistique, 1877; E. Vignoli, Mito e soiensa, 1879; Edward
Clodd, Mito e sogni, trad. it. 1905; 8. Reinach, Cultes, mythes ot religions, 1905-12; E. Lamanna, Mito e
religione nelle dottrine socio-prichiohe contemporanee, Cultura filosofica »,
gennaio 1912. Mixoteismo. L’Hasckel chiama così tutte quelle formo della
credenza in Dio, che contengono mescolanze di rappresentazioni religiose di
specie diversa ed in parte direttamente contradditorie. Più che una forms di
religione teorica, il mixoteismo è una forma pratica che risulta dalle varie
influenze di natura diversa cui va soggetta la psiche religiosa dell’individuo.
Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1913, p. 389 segg. Mneme, T.
Mneme; F. Mnème. Termine proposto dal Semon per indicare la proprietà inerente
alla sostanza vivente di conservare, come tali ο nelle loro relazioni, I’
insieme delle eccitazioni ricevute dal mondo esteriore. Il Loeb «9 l’Ardigò
adoperano invece il termine isteresi per indicare la traccia lasciata nel
protoplasma dalle eccitazioni anteriori. Cfr. Semon, Die Mneme, 1904; Id., Die
mnemischen 13 Mxe-Mos Empfindungen, 1909; Loeb, Fisiologia
comparata del cervello, trad. it., p. 967; Ardigò, L’inoosciente, Riv. di
filosofia. Mnemonica. T. Mnemonik, Gedächtnisskunst; I. Mnemonice; F.
Mnémoteohnie. L’ arte della memoria: essa consta di un insieme di norme
pratiche e processi artificiali, diretti a rendere integra, pronta, tenace la
memoria delle cose e si fonda essenzialmente sopra le leggi dell’associazione
delle idee. Il primo dei metodi mnemonici conosciuti, inventato da Simonide,
dicesi topologico : esso consiste nell’associare le idee astratte ad altre
idee, i cui modelli sono oggetti sensibili o presenti in un medesimo tempo.
Cfr. Plebani, 1) arte della memoria, 1899. Mnemotecnia. Lo stesso che
mnemonica. Mobile.
T. Bewegliohes, Boweggrund; I. Moveable body, Mover; F. Mobile. Ciò che può esser mosso. Aristotele chiama ogni
cosa mobile, xivobpevoy, in quanto cangia, e motore, κινοῦν, in quanto è causa
del cangiamento. Nella psicologia
diconai mobili tutti quei fenomeni affettivi -desideri, predisposizioni,
istinti, abitudini che entrano nella deliberazione volontaria, esercitando la
loro influenza nella determinazione all’atto; si distinguono dai motivi, che
sono i fenomeni intellettuali (rappresentazioni) i quali entrano tra loro in
conflitto al momento della deliberazione. Oltrechd nell’atto volontario, il
mobile entra anche negli atti compiuti per tendenza, ed è costituito, secondo
P’Höffding, dal sentimento provocato dall’idea del fine, non dal sentimento
provocato dall'idea che la realizzazione sarà seguita per noi da un
piacere. Nell’ astronomia antica
dicevasi primo mobile la volta celeste, che credevasi solida e recante
incastrate le stelle: essa si moveva intorno alla terra, quindi nel suo giro
portava seco gli astri. Cfr. Aristotele, Περὶ φυχῆς, III, 10; Höffding, Psychologie, 1900, p. 424; P. Janet,
Traité de philosophie, 4° ed., Psychologie, o. IV, p. 311. Mos-Mop
TU Mobilismo. F. Mobiliene.
Termine proposto dal Chide e accolto dalla Società francese di filosofia, per
indicare la dottrina secondo la quale il fondo delle cose è non soltanto
individuale e multiplo (pluralismo), ma in continuo movimento, in continua via
di trasformazione e senza leggi fisse, così da rendere inefficace ogni
tentativo d’organizzazione razionale. Il Chide considera tale dottrina come la
conclusione necessaria di tutta la filosofia moderna, tendente a esoludere dal
reale ogni unità, immutabilitä e razionalità, a fare della realtà stessa una
creazione continua non diretta ad uno scopo determinato, ma avente valore per
sè, e a porre quindi la durata, il cangiamento, come la sostanza stessa delle
cose. Tre dottrine avrebbero condotto specialmente, secondo i mobilisti, a tale
posizione: la dottrina hegeliana, che colloca il movimento nel senso stesso
dell’ universo, il quale si sviluppa perciò in sintesi sempre nuove e con leggi
che forse non raggiungeranno mai la loro formula definitiva; la dottrina
darwiniana, che toglie dal cangiamento ogni finalità e pone l’irrazionale ovo
prima imperava la ragione; la dottrina bergsoniana, che libera infine il
cangiamento dalla sun ultima crosta deterministica e meccanica, facendo della
contingenza, della durata pura, la stoffa stessa del reale. Ad ogni modo tale
concetto è già espresso nel πάντα ptt di Eraclito. Cfr. Chide, Lo mobilieme
moderne, 1908; Do Sarlo, I diritti della metafisica, Cultura filosofica »,
luglio 1912, p. 450 segg. (v. attiniemo, attività, asione, cangiamento,
encrgismo, vitaliemo). Modali (proposizioni). T. Modal; I. Modal; F. Modales.
Quelle proposizioni che osprimono la modalità, ossia i punti di vista più
generali sotto cui possono presentarsi alla nostra intelligenza gli oggetti del
pensiero. Tali punti di vista essendo quattro, cioè la possibilità,
l'impossibilità, la contingenza © la necessità, le proposizioni modali
fondamentali, quali Aristotele stesso le definì, sono quattro. Siccome poi ogni
modo per esser affermato o negato, ad ogni pro 715 Mop porzione modificata può ugualmente essere
affermativa ο negativa, così vi sono sedici specie di proposizioni modali, che
gli Scolastici espressero in quattro termini mnemonici di convenzione:
purpurea, iliaco, amabimus, odentuli. Le quattro proposizioni espresse in
ciascuno di questi termini sono equivalenti ed hanno lo stesso significato: nei
termini stessi A indica l'affermazione del modo e quella del diotum; U la
negazione di entrambi; ZV’ affermazione del modo e la negazione del dictum; I
viceversa. Cfr.
Aristotele, Anal. pr., I, 2, 24 b, 31; Logique de Port-Royal, 2 p., o. VIII;
Hamilton, Leotures on Logic, 1860, ο. XIV. La modalità e una delle categorie del
criticismo, sotto la quale si comprendono le tre categorie subordinate della
realtà, della necessità ο della possibilità. Questa classificazione fu tojta da
Kant dalla classificazione dei giudizi, che rispetto alla modalità, cioò al
modo onde è affermata o negata la relazione tra predicato e soggetto, si
distinguono in assertori (4 è B), apodittioi (A deve esser B) © problematici (A
può essere B). Gli assortori esprimono dunque la realtà della relazione tra
predicato © soggetto, i problematici la possibilità, gli apodittici la
necessità. Ora la realtà non è altro che il contenuto dell’ osperienza; la
necessità, logicamente, è V inconcepibilità del contradditorio, obbiettivamente
1’ unità delle condizioni non impedite; la possibilità dal puuto di vista
logico è la conoepibilità dei contradditori in quanto manca a noi la ragione
per decidere quale di esai sia vero, e dal punto di vista obbiettivo è la
presenza di parte soltanto delle condizioni necessarie perchè una cosa sia. La
classi ficazione dei giudizi secondo la modalità risale ad Aristotele, ma egli
non usò tal nome e nemmeno i suoi commentatori. Avendo poi i grammatici detti
modi del verbi le significazioni di realtà, possibilità e necessità ottenute
mediante modificazioni dei verbi stessi, i logici, da Boezio in poi, tradussero
con la stessa parola 1) espressione sopra Mop
716 riferita dei commentatori
aristotelici. Nella psicologia, per
modalità della sensazione #’ intende, dall’ Helmholtz in poi, la natura
irreducibile delle sensazioni date dai diversi organi, per cui non è possibile
il passaggio dall’ una all’altra, nd è possibile col confronto di stabilire tra
loro una maggiore o minore somiglianza, e anche un semplice rapporto di
intensità. La gualità è invece una differenza meno profonda, cosicchè le
differenze qualitative tra sensazioni della stessa modalità non esoludono il
passaggio dall’ una all’ sltra nè il confronto per giudicare della loro
maggiore o minore somiglianza e intensità (ad es. tra i colori dello spettro).
Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 92, 202-3; Wundt, Logik,
1893, I, 199; Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1864, II, 156 segg.;
Helmholtz, Physiol. Optik, 2* ed., p. 778 segg., 372 segg.; Wundt, Physiol.
Poycologie, 3* ed. I, p. 491 segg. (v. intensità, qualità). ‘Modelli (teoria
dei). La dottrina, sostenuta specialmente dai fisici inglesi (Faraday, Thomson,
Lodge, Maxwell) e implicante gravi problemi gnoseologici, secondo la quale non
è possibile comprendere i fenomeni, la natura delle cose materiali, senza
formarsene una rappresentazione concreta, senza costruire un modello meccanico
che la imiti. Si oppone alla dottrina sostenuta dal Rankine, Mach, Ostwald,
Duhem, che vorrebbe invece bandire qualsiasi imagine concreta per ridurre le
teorie fisicho ad un puro sistema di nozioni astratte ο di rapporti matematici.
Il mio oggetto, dice il Thomson, è di mostrare come si possa in ogni categoria
di fenomeni fisici, che dobbiamo considerare, ο qualunque siano questi fenomeni,
costruire un modello meceanico che soddisfi alle condizioni richieste. Quando
noi consideriamo i fonomeni d’ elasticità dei solidi, sentiamo il bisogno di
presentare un modello di questi fenomeni... Io non sono mai soddisfatto finchò
non ho potuto costruire un modello meccanico dell’ oggetto che studio; se ho po
717 Mop tuto fare un modello meccanico,
comprendo; finchè non ho potuto fare un modello meccanico non comprendo; ed è
per questo che io non intendo la teoria elettromagnetica della luce». Però,
secondo altri soguaoi della stessa dottrina, il modello non consiste in un
meccanismo vero e proprio, che simula in qualche modo i fenomeni, copianfoli,
ma in una imagine simbolica del fenomeno, tale che le conseguenze logiche di
essa siano sempre le imagini delle conseguenze necessario del fenomeno nell’
ordine naturalo; cosa possibile, questa, appunto perchè esiste una certa
armonia tra la natura e il nostro spirito, come l’esperienza di tanti secoli oi
dimostra. Da noi il Pastore, applicando queste vedute alla logica, dà loro un
più largo significato filosofico: egli considera In ragione umana come un
modello tra gli altri modelli, che fanziona deducendo da certi principî tutte
le consoguenze possibili, allo stesso modo come il fisico mette in funzione il
proprio modello per scoprirne le proprietà; i modelli, una volta costruiti
ragionano, come la mente umana, sempre © solo in una maniera, dandoci quella
stessa evidenza di verità che il nostro pensiero riconosce al calcolo © alla
dimostrazione logica astratta. Cfr. Hortz, Die Princ. der Mechanik, 1899,
Einl., p. 133 segg.; Thomson, Notes of lectures on molecular dynamics, 1884, p.
131; Duhem, Les théories modernes de l'électricité, 1891, p. 16; A. Pastore,
Logica formale dedotta dalla considerazione dei modelli meccanioi, 1906 ; Id.,
Del nuovo spirito della scienza e della filosofia, 1907 (v. concetto, imagine,
empiriocritioimo). Modernismo. T. Modernismun; I. Modernism; F. Modernieme.
Quell’ insieme di tendenze ο di dottrine, filosofiche, teologiche © sociali,
che sono venute svolgendosi in questi ultimi anni dal seno del cristianesimo
cattolico ο protestante, mirando a porlo in armonia coi bisogni della vita ©
del pensiero moderno. Dal punto di vista filosofico ο teologico molte sono le
dottrine comprese sotto questa denoΜου
718 minazione (immanentismo,
fideismo, sentimentalismo, ecc.), derivate però quasi tutte dall’ idea
fondamentale del card. Enrico Newman del primato della coscienza ». L’enciclica
Pascendi dominioi grogis (8 sett. 1907) le condannò tutte in blooco,
additandole come sintesi di tutte le eresio, come prodotto di superbia e
d’ignoranza, e riassumendone gli errori in due fondamentali, I’ agnosticismo e
l’ immanenz& vitale. Per il primo la ragione umana è ristretta interamente
nel campo dei fenomeni; .... per la qual cosa non è dato a lei d’innalzarsi a
Dio, nd di conoscerne }’ esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E
da oid si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne
oggetto diretto; riguardo alla storia, non deve mai reputarsi oggetto storico
». Negata così la teologia naturale, i motivi di credibilità, la rivelazione
esterna, la religione non può trovarsi che nella vita, nel cuore dell’uomo; di
qui l’immanenza vitale: il bisogno del divino, senza verun atto previo della
mente, secondo che vuolo il fideismo, fa scattare nell’ animo già inclinato
alla religione un certo particolar sentimento ; il quale sia come oggetto sia
come causa interna, ha implicata in sò la realtà del divino e congiunge in
certa guisa l’uomo con Dio: A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il
nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione ». Cfr. Ritschl,
Reokifertiguag und Versöhnung, 3° ed. 1888; C. Ranzoli, L’ agnosticismo nella
filosofia religiosa, 1912; R. Murri, La filosofia nuova e l’enciolica contro il
modernismo, 1908 ; *** Il programma dei modernisti, risposta all’ enciclica,
1908; Tyrrel, Modiosvalismo, 1909; Id., II cristianesimo al bivio, 1910;
Laberthonnière, Saggi di filosofia religions, trad. it. 1907; *"* Lettere
di un prete modernista, 1908; E. Newman, Lo sviluppo del dogma oristiano, trad.
it. 1908. Modificazione. T. Zustandsänderung, Modification; I. Modification; F.
Modification. In senso proprio, dicesi modificazione ogni modo che ha la sua causa
non nella natura 19 Mop essenziale del soggetto, ma è l’effetto
d’ uns causa esteriore o distinta dal soggetto medesimo. Perciò la
modificarione non va confusa col cambiamento, in quanto essa non cambia nd
distrugge la natura specifica della cosa, che non cos di essere quello che è.
Modo. T. Modus, Sohlusemodue; I. Mood, Modo; F. Mode. I modi ο aocidenti d’un
essere sono le qualità non essenziali ο mutabili, quelle che possono esistere,
non esistero e variare senza che per questo l'essere scompaia 0 cessi di essere
quello che è; le qualità essenziali si dicono invece attributi. L'estensione è
un attributo della materia; P aver essa una forma 0 un’altra è un modo. In
senso più generale per modo s'intende qualsiasi modificazione d’un soggetto.
Così Goclenio lo definisce come roi quadam determinatio; © Spinoza: substantia
affectiones, sive id quod in alio est, per quod etiam concipitur. Dicesi modo del'sillogismo la forma che egli
ha riguardo alla quantità ο alla qualità dolle due premesse e della
conclusione. Ora, le combinazioni della qualità e della quantità nei giudizi
dànno quattro specie di giudizi, indicati con le vocali 4, E, I, 0; queste
quattro specie dànno sedici combinazioni binarie; essendo quattro le figure del
sillogismo, si avranno sessantaquattro modi per tutte lo figure. Ma di questi,
quarantuno sono contrari alle regole del sillogismo e non dànno conclusione:
quindi i modi coneludenti ο cioè validi si riducono 8 diciannove, dei quali
quattro appartengono alla prima figara, quattro alla seconda, sei alla terza,
cinque alla quarta. Tali modi validi sono enunciati nei seguenti versi
mnemonici, che, con qualche variante, si trovano per la prima volta nelle
Summulæ logicales di Pietro Ispano: Barbara, Celarent, Darii, Ferioque, Priors Cesare, Camestres, Festino, Baroco
Seounde Tertia, Darapti, Disamis,
Datisi, Felapton Bocardo, Ferison habet.
Quarta insuper addidit Bramantip, Camenes,
Dimaris, Fesapo, Fresison, L’artifizio di questi versi sta in ciò, che le
voMor 720 cali di ciascun vocabolo denotante un modo
indicano la qualità e la quantità delle premesse © della conclusione ; le
consonanti meno nella prima indicano, se sono iniziali, a qual modo della prima
figura quel dato modo si deve ridurre per dimostrarne la validità (così
l'iniziale di Calomes indica che deve esser ridotto a Celarent), se non
iniziali (e, m, p, ο) con quale operazione logica la riduzione relativa deve
esser fatta: e cioò, 4 per conversione semplice, m per metatesi delle premesse,
p per conversione accidentale, ο per proposizione contradditoria. Cfr.
Goclenio, Lezioon philosophioum, 1613, p. 694 segg.; Spinoza, Ελίσα, def. V}
Locke, Essays, 1877, 1. II, ο. XII, $4 (v. figura, premesse, termini,
conclusione e le vocali 6 consonanti indicate). Molecola. T. Moleküle; I. Molecule;
F. Molécule. La più piccola porzione di materia costituita di atomi, alla
quale’ si concepisce poter giungere nella divisione d’un corpo omogeneo,
semplice o composto, senza alterarne In natura. Secondo 1’ Eucken, la molecola
fa distinta nettamente dall’ atomo per la prima volta dal Gassendi. Da Avogadro
in poi si sogliono distinguere le molecole éntegranti, che constano di atomi,
dalle molecole costituenti, cho sono gli atomi stessi; nei corpi composti le
molecole integranti constano di molecole costituenti eterogenee, nei corpi
semplici di molecole costituenti della stessa specie. Nella chimica dicesi
molecola la quantità più piccola di un corpo che possa esistere allo stato
libero, © che è chimicamente divisibile. Il Buffon chiamava molecole organiche
i complessi atomici possedenti la capacità della conservazione ο della
riproduzione; con questo presupposto, egli considerava tutta la vita organica
come una attività di tali molecole, sviluppata per contatto col mondo esterno.
Più tardi il Lamarck, elaborando questo principio, tentò di spiegare la
trasformazione degli organismi dalle forme inferiori alle superiori con la sola
azione meccanica del mondo esterno, mediante l’ adattamento all’ ambiente. Con
significato ana 721 MoL-Mom logo il
Verworn chiama molecole biogene le particelle dotate di attività vitali
elementari, cioè di assimilazione, dissimilazione e riproduzione ; nella
concezione monistico meocanica della vita esse rappresenterebbero un ipotetico
stadio di transizione tra il formarsi delle sostanze proteiche, la cui molecola
complessa si costituisce attorno ad un atomo di carbonio, e il formarsi dei
primissimi organismi, costituiti appunto da una aggregazione di molecole
biogene. Cfr.
Eucken, Geschichte der philos, Terminologie, 1879, p. 86; Nanmann, Über
Moleküle, 1872; Würtz, Histoire des doctrines chimiques, 1872; Th. Fechner,
Über die physikal. und philosophische Athomenlehre, 1864; Svedberg, Die
Existenz der Molekille, 1912 (v. atomica, vita, vitalismo, cellulari teorie). Molteplicità. T. Vielheit, Mannigfaltigkeit; I.
Multiplicity; F. Multiplioité. Carattere di ciò che comprende elementi diversi
e separabili. È il correlativo di unéfa, senza la quale sarebbe inconcepibile,
la molteplicità non essendo altro che il complesso di più unità, Secondo alcuni
filosofi la molteplicità è 1’ essenza della natura corporea; altri invece
distinguono la molteplicità reale dalla potenziale: la prima è accidentale,
essendo il semplice rapporto di coesistenza di più oggetti, e non è proprietà
reale della natura corporea se non quand’ è possibile imaginarla
nell’estensione continus di cui il corpo è fornito (v. pluralismo, unità,
quantità). Momento. T. Moment, Augenblick; I. Moment; F. Moment. Non è che
l'abbreviazione di movimento; e siccome la durata si misura per mezzo del
movimento, così nel linguaggio comune il momento è quella parte di durata, che
si misura per mezzo del più piccolo movimento percepibile. Però questo momento
si concepisce spesso come qualche cosa di provvisoriamente statico, che rimane
per un istante fermo: quindi l’ idea comune di momento è contradditoria. Nella
meccanica il momento di una forza rispetto ad un punto è il prodotto della
stessa forra per la 46 RANZOLI, Dizion:
di scienza Alosofichs. Mon 722 distanza da quel punto. Nella filosofia fa
nsato spesso come sinonimo di stadio, fase, periodo di una successione o
processo di fenomeni: con ciò il vocabolo fa condotto al suo significato
etimologico. Nel sistema dell’ Hegel gli elementi ο le esistenze diverso non
sono che momenti o forme transitorie del movimento universale dell’ Idea, la
quale ha tro momenti fondamentali: idea in sò, idea per sò o natura, idea che
torna in ed o spirito. Lo spirito a sua volts ha tre momenti: soggettivo ο
individuale, oggettivo o universale, assoluto ο divino. Cfr. Locke, Essay,
1877, 1. II, ο XIV, $ 10; Hegel, Enoyolopädie, 1870, $ 145 (v. dialettica,
istante, idea, pantetemo). Monade. Gr. Μονάς
unità; T. Monade; I. Monade; F. Monade. Termine antichissimo, già usato
da Pitagora, che nell’ unità fa consistere il principio e l’ essenza d'ogni
cosa: ἀρχήν μὲν ἁπάντων µονάδα. Platone lo applioò poi alle idee, Sinesio e
Sabellio a Dio, monado delle monadi ; Giordano Bruno fa della monade il minimum
indivisibile della sostanza, monas rationaliter in numoris, essentialiter in
omnibue. Ma il termine fa reso celebre dal Leibnitz. Questo filosofo,
opponendosi al dualismo di Cartesio e al monismo di Spinoza, sostenne che le
sostanze sono più d’una e tutte attive, cioò forze, che l'estensione non è
l'essenza del corpo ma un qualche cosa di derivato e suppone quindi gli
elementi dalla cui opposizione si forms. Se anche questi elementi sono estesi,
bisogna dividerli in altri, e così via via finchè si arrivi ai punti non più
fisici ma metafisici, agli elementi primi delle cose, alle monadi. La monade,
dice il Leibnitz, non è altra cosa che una sostanza semplice, che entra nei
composti; semplice, cioè senza parti. Ed è necessario esistano delle sostanze
semplici, poichè ci sono dei composti; infatti il composto non è che un ammasso
0 aggregatum di semplici. Ora, là dove non ci sono parti, non ο) è nd
estensione, nè figura, nd divisibilità possibile; © codeste monadi sono i veri
atomi della natura e 723 Mon in una parola gli olementi delle cose....
Non c'è mezzo per spiegare come una monado possa essere alterata 0 cangiata nel
suo interno da qualche altra creatura, perchè non si potrebbe trasportarvi
nulla, nd concepire in essa alcun movimento interno che possa ossoro eccitato,
diretto, aumentato ο diminuito là dentro, come può avveniro nei composti dove
c’è cangiamento tra lo parti. Le monadi non hanno finestro attraverso le quali
qualche cosa possa entrare in osse © uscire. Gli accidenti non potrebbero
staccarsi nd girare fuori delle sostanze, come facevano nel passato lo specio
sensibili degli scolastici. Così, nd sostanza nè accidento può entrare dal di
fuori in una monade. Bisogna che ciascuna monade sia differente da ogni altra;
poichd non si danno mai nella natura due essori cho siano l’uno porfettamente
como l’altro, ο dove non sia possibile trovaro una differenza interna o fondata
sopra una denominazione intrinseca ». La monade è danque una forza semplice,
originaria, differenziata in sò stessa, ο non dal di faori ; quindi noi non
possiamo sapere per esperienza quale sia questa determinazione interna di
ciascuna monade, ma soltanto indurlo per analogia, attribuendo alle monadi ciò
che troviamo nell’ anima nostra. E siccome nell’ anima noi troviamo la
percezione ο rappresentazione (vocaboli che per il Leibnitz sono sinonimi) così
ogni monade avrà una forza rappresentativa. Che cosa rappresenta? Sè, © tutte
le monadi. Sè, in quanto attiva, e tutte lo monadi in quanto limitata. Cfr.
Diogene Laer., VIII, 25; Stobeo, Kol., I, 2, 58; Goclenio, Lezicon phil., 1613,
p. 707; G. Bruno, De tripl. minimo, 1591, I, 2, 4; Leibnitz, Monadologie, 1714;
Id., Discourse de métaphysique, 1686. Monadismo. T. Monadismue; I. Monadiem; F.
Monadieme. La dottrina leibnitziana delle monadi. Essendo la monade, cioè 1’
elemento primo delle cose, un punto metafisico inesteso, una forza semplice,
originaria, differenziata in sè stessa, consogue dal monadismo il dinamismo ;
Mon 724
essendo invece I’ atomo il punto fisico, dotato di proprietà meccaniche,
la conseguenza dell’ atomismo à il meccanismo. Per monadologia «’ intende
invece qualunque trattato ο dottrina sulle monadi; tale nome fu dato dall’
Erdmann al libro del Leibnitz nel quale era esposta la dottrina delle monadi. Mondo. Gr. Késyog; Lat. Mundus,
Orbie; T. Welt; I. World; F. Monde. In
senso generalissimo V’ insieme di cid che è, la totalità delle cose e dei
fatti. Primitivamente, il sistema ordinato costituito dalle terra ο dagli
astri. Nella teologia, la vita sociale degli uomini, contrapposta alla vita
spirituale ο religiosa, considerata come il dominio degli appetiti carnali,
della dissipazione e del peccato. Mondo sensibile dicesi 1’ insieme delle cose
che sono 0 possono essore oggetto di percezione, quale 1’ individuo se le
rappresenta anteriormente ad ogni critica; mondo intelligibile è invece l
insieme delle realtà ο essenzo corrispondenti alle apparenze sonsibili, e quali
1’ esperienza scientifica ο filosofica conduce a pensarle. Anima del mondo
dicesi il principio dell’ unità e dell'ordine del mondo, concepito per analogia
con l’ anima individuale ; fu ammessa da Platone, dagli stoici, da Plotino.
Monera. Il più semplice degli organismi viventi, s00perto e descritto dall’
Haeckel. Le monere hanno forma sferica, mobile, © risultano costituite di una
piccola masss mobile di plasma senza struttura, ο protoplasma. Si distinguono
in fitomonere, vegetali, e soomonere, animali; queste, secondo 1’ Haeckel,
deriverebbero da quelle, le quali alla lor volta sarebbero nate per generazione
spontanea. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1903, p. 506 (v.
generazione spontanea, cellula, cellulari teorie). Monismo (μόνος --solo). T.
Monismus, Einkeitalehre, Monistische Weltanschauung; I. Monism; F. Monieme.
Termine molto vago, col quale si sogliono designare in genere quel sistemi filosofici
che ammettono una unità o 725 Mon identità fondamentale, e spiegano quindi
tutti i fenomeni per mezzo d’un solo principio o d’ uns sola sostanza. Fu
introdotto nella terminologia filosofica da Cristiano Wolf, che con esso
designava quelle dottrine che pongono una essenza unica di tutte le cose, sia
lo spirito puro o la pura natura: moniste diountur philosophi, qui unum
tantummodo aubstantiæ genus admittunt. In generale si oppone a dualismo, e
spesso designa la dottrina panteistica, secondo la quale il tutto è uno. Si adopera anche, in special modo nella
lingua inglese, per designare quella moderna dottrina del parallelismo
psicofisico, secondo la quale l’anima e il corpo, la coscienza © il cervello,
il mondo dello spirito e quello dei corpi, si sviluppano come espressioni
differenti di un solo e med essere: dato, da un lato, il parallelismo © la
proporzionalità esistenti tra l’ attività cosciente e l’attività cerebrale, e
riconosciuta, dall’ altro, la differenza tra queste due forme di attività, si
conchiude che entrambe devono avere per base una identità fondamentale, che si
esprime sotto una duplice forma. Il
monismo psicofisico differisce dal moniemo materialistioo, secondo il quale lo
spirito non è che una forma o un prodotto del corpo, e dal moniemo
spiritualistico, secondo il quale il corpo non è che una forma o nn prodotto d’
uno ο più esseri psichioi. Monismo
concreto chiama 1’ Hartmann la propria dottrina, secondo la quale solo gli
attributi dell’ essere sono vari ο molteplici; © moniemo energetico 0 energiemo
dicesi la dottrina dell’ Ostwald, per la quale non v’ha che una sola realtà,
l'energia, di cui materia, gravitazione, calore, elettricità e pensiero non
sono che modi. Moniemo meccanico è }
espressione con cni viene indicata la dottrina di Ernesto Haeckel, secondo il
quale la forza e la materia, in virtà della loro inseparabile unione, sono i
due principi primitivi di ogni esistenza; Dio è identico al mondo; nulla è
superiore alla natura; ogni atomo, come centro di forza, è dotato di un’ anima
costante, di movimento e di sensibiMon
726 lità: dai loro incontri
fortuiti ο dallo loro combinazioni si formano le anime-molecole (inorganiche) e
le animo dei protoplasmi molecolari (organiche) o da queste risultano le
anime-cellule; l’anima umana non è che la somma delle anime elementari delle
cellule. Con l’ espressione di monismo
concettuale vien designata la dottrina del De Roberty, secondo il quale non v’
ha alcuna distinzione fra spirito © materia, tra mondo esterno © mondo interno,
uniti da un rapporto di perfetta uguaglianza; il movimento non è che uno degli
aspetti dell’osistenza successiva © discontinua, è tempo oggettivato, coscienza
proicttata nello coso che riempiono il fuori di noi; il monismo meccanico non à
che una ripercussione del monismo logico.
Il Fouillée e il Guyau chiamano il proprio monismo immanente e
naturalista, per distinguerlo da quello dello Spencer che essi designano come
trascendente © mistico: secondo il Fouillée, il pensiero e il suo oggetto non
sono che un’ unica entità; ogni cosa contiene già il germe del pensiero o delle
volontà che in noi si manifestano; la volontà dispersa in tutto l’ universo non
ha che da riflettersi progressivamente su sè stessa, ed acquistare così una
maggiore intensità di coscienza, per divenire in noi sentimento e
pensiero. hegeliana, infine, la parola
monismo è adoperata a designare quel sistema generale di filosofia, che
concilia le antitesi in una sintesi superiore. In senso analogo, per opposizione
a pluralismo, dicesi monismo I’ idealismo inglese d’origine hegeliana, specio
quello del Bradley, che afferma l’unità del mondo, l’esistenza dell’ assoluto,
1 intelligibilità essenziale dell’ essere, il carattere puramente apparente e
superficiale della molteplicità sensibile, dell’individualità e della
durato. In un senso molto più largo, in
quanto designa non una dottrina ma una tendenza generale, è inteso il monismo
dalla rivista The Monist », fondata nel 1900 da Hegeler ο da Paul Carus per
sostenere questi concetti: 1° sopra ogni oggetto non esiste che, una
verità 727 Mox sols, determinata virtualmente dal
principio, intemporale, indipendente da ogni desiderio e da ogni azione individuale;
2° tutte le verità concordano tra di loro, qualunque sia il loro dominio e la
loro origine ; 3° la conoscenza scientifica © la fede religiosa possono essere
conciliate integralmente senza nulla perdere del loro contenuto essenziale.
Cfr. Cr. Wolff, Peychologia rat., 1732, $ 32; MASCI (vedasi), Il materialismo
psico-fisico; Haeckel, Der Monismus ale Band swischen Religion u. Wissenschaft,
1893; Eucken, Die geistige Sirömungen dor Gegenwart, 1909, sez. C, cap. I;
Ostwald, Die ‚Energie, 1908; Id., Vorlesungen über Naturalphilosophie, 1901;
Güschel, Der Monismus des reinen Godankens, sur Apologie der gegenwärtigen
Philosophie, auf dem Grabe ihres Stifters, 1832; Wartenberg, Die monistische
Weltanschauung, 1900; A. Fouillée, La pensde et les nouvelles écoles
anti-intelleotalistes, 1911; Le volontarisme intelleotualiste de M. Fouillée,
in Rev. philosophique >, gennaio 1912; e in The Monist >, Haeckel, Our
monism, 1912; Morgan, Three aspects of monim, 1894; Woods Hutchinson, The
Holiness of instinct, 1896; R. Benzoni, Esame orit. del concetto moniatico ο
pluraliatico del mondo, 1888; G. Nicolosi, La psicologia del monismo, 1899;
Ardigd, Monismo metafisico e monismo scientifico, in Opere fil., IX, p. 426
segg. (v. anima, assioma d’eterogenoità, ideo-forse, materialiemo,
spiritwalismo, 600.). Monofisiti. T. Monophyeiten; I. Monophysites; F.
Monophysites. Setta di eretici cristiani, che neguvano a Gesù Cristo la duplice
natura umana e divina, sostenendo aver posseduto soltanto la seconda. Cfr.
Dorner, Christliche Glaudenslehre, LI, 1880. Monogenismo. T. Monogenismus; I.
Monogenism; F. Monogénisme. Dicesi così, in opposizione a poligenismo, la
dottrina ortodossa che ammette che tutte le razze umane derivano da un solo
centro di produzione, e furono determinate dall’ influenza dell'ambiente nel
breve spazio di tempo trascorso dalla creazione del mondo, conforme all’
attestaMox 728 zione della Bibbia (Genesi). Tutte lo razze
umane discenderebbero infatti da una sola coppia, Adamo ed Eva, e poi dalle tre
coppie salvate dal diluvio; ο tutte le specie animali discenderebbero pure da
un numero corrispondente di coppie salvate nello stesso tempo. Fra gli ultimi e
più autorevoli difensori dell’ unità della specie umana è da ricordare il De
Quatrefages, secondo il quale le specie zoologiche sono immutabili nel loro
tipo fisico © delimitate nelle loro circoscrizioni dal loro carattere
d’omogenesia nel proprio seno ο d’eterogenesia al di fuori; l’uomo sarobbe
stato creato, da principio, in condizioni sconosciute, per I’ intervento d’ una
volontà soprannaturale; le razze umane non sono che varietà dovute all’
influenza dell’ ambiente ο agli inoroci; per il loro posto elevato © la
religiosità che è soltanto loro propria, esse occupano nella serie zoologica un
posto a parte, il regno «mano. Col comparire successivo dolla dottrina del
trasformismo, il problema dell’ unità ο della molteplicità della specie ha
perduto ogni importanza, ο meglio, va posto in altri termini: dato che le
specie variano all'infinito passando dall’ una all’ altra per una infinità di
transizioni, © ammessa la derivazione dell’uomo da qualche forma animale
anteriore (scimmie), resta a vedere se i tipi umani elementari sono usciti da
più antenati pitecoidi o antropoidi, o derivano da un solo ceppo rappresentato
da un solo dei loro generi. I partigiani del moderno monogenismo sostengono
questa seconda ipotesi, che sembra però suffragata da ùn numero minore di prove
dell'ipotesi contraria. Col nome di monogenismo 0 monogonia si dosigna anche
quel modo di generazione animale, che consiste nella separazione dal corpo
dell'individuo generatore di una parte di esso, che si sviluppa poscia così da
dar luogo ad un nuovo individuo. Cfr. A. De Quatrefages, La spocie umana, trad. it. 1871;
Id., Rapport sur le progrès de Vanthropologie, 1867; Id., Leçons professées au
Muséum, Revue des cours scient. », 1864-1868 (v. poligenismo). 729 Mon Monoideismo. T. Monoideismus; I.
Monoideism; F. Momoïdeisme. Vocabolo cresto dall’ Horwiez, col quale si designa
quello stato psicologico, proprio del sogno, dell’ estasi € del sonno ipnotico,
in cui una sola idea ο rappresenta zione prevale, e quindi un solo ordine di
associazione mentale. Il Ribot lo adopera per indicare lo stato di concentra
zione e d’ organizzazione della coscienza intorno ad una idea dominante, che à
proprio dell’attensionc; ma si usa anche per indicare lo stato patologico dell’
ides fissa. Cfr. Pierre Janet, Nevroses ot idées fizes, 2° ed. 1904; Preyer,
Die Entdeckung des Hypnotismus, 1881, p. 14 segg., 81; A. Lehman, Die Hypnose,
1890, p. 44 segg. Monolatria. Secondo alcuni storici della religione, il
monoteismo sarobbe stato preceduto nell’ evoluzione del sentimento religioso
dalla monolatria, cio’ 1’ adorazione di un solo idolo. Monomania. T. Monomanie;
I. Monomania; F. Monomanie. Anomalia mentale, in cui l'intelligenza e |’
affottività sono alterate in un solo e determinato ordine di sentimenti e di
idee, rimanendo sane in tutti gli altri. La psichiatria moderna ha abbandonato
il nome e il concetto di monomania, dovuto dall’ Esquirol; essa la considera
come un semplice gruppo di sintomi della follia degenerativa, comprendendoli
tutti sotto il nome di passia impulsiva, o, come vorrebbe il Morselli, di
parabulie costitusionali coatte. Tra le forme più comuni sono da ricordarsi la
cleptomania, ο tendenza morbosa e irresistibile al furto; la dipsomania,
impulso a bere specialmente bevande forti od alcoliche; l’onomatomania, bisogno
imperioso di ripetere una parola sempre presente alla monte, o tendenza ad
attribuire a certe parole un significato funesto ο una influenza preservatrice
; la piromania, impulso ad appiccare incendi; la olastomania, impulso a
compiere atti di distrazione; la monomania suicida, quasi sempre ereditaria e
manifestantesi alla stessa età nei vari individui della stossa famiglia;
Mon 730
1a monomania omicida, che si attua con la mancanza di qualsiasi motivo
per spiegar l’atto ο alla quale l’ammalato, che ne comprende tutta l’orridezza,
non sempre è capace di resistere; costituite tutte da impulsi irresistibili a
fare qualche cosa senza averne chiaro motivo. Cfr. Esquirol, Des maladies
mentales, 1839; Prichard, Treat. on Insan., 1836, p. 26 segg.; Krafft-Ebing,
Psychiatrie, 1883; Ribot, Le maladies de la volonté, 1888; Morselli, Manwale di
som., t. II, p. 635; Tamburini, Monomania impulsiva, Riv. di freniatria >,
1877. Monoteismo. Gr. μόνος = solo, $aög--Dio; T. Monotheismus ; I. Monotheiem;
F. Monothéieme. La credenza in un Dio unico e solo; non è da confondersi con
l’enofeirmo, che è quel primissimo stadio della religione in oui si adorano
oggetti diversi presi a volta a volta isolatamente come rappresentazioni di un
Dio. Si oppone al dualismo orientale, che è la credenza în due principi
supremi, ugualmente primitivi e irreducibili, il principio del bene © quello
del male; © al politeismo, cioè la credenza in più divinità. Becondo aleuni il
monoteismo conterrebbe come sue spocie il panteismo, il teiemo.e il deismo;
però, quantunque la parola monoteismo non implichi nd escluda V idea della
personalità, contiene almeno l’idea di unità, e la forma più alta e più reale
di unità di cui noi abbiamo esperienza è la personalità; quindi, allorchè si
parla di monoteismo sì pensa sempre, e con ragione, a un solo Dio personale. L'
Haeckel distinguo un monoteismo naturalistico e un monoteismo antropistioo: il
primo consiste nell’ incarnazione di Dio in un fenomeno della natura solenne,
dominante su tutto (sole, luna); il secondo consiste nell’ umanizzazione dell’
ente supremo, al quale, sia pure in forma altissima, sono attribuiti
sentimenti, pensieri e attività come ul? uomo. Cfr. P. D’ Ercole, II toismo,
1884; Haeckel, I problemi dell’ unicerao, trad. it. 1908, p. 384 segg.;
Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909, p. 148 sogg. (v.
elioteismo, monolatria, mosaiciemo). Il montanismo e una setta cristiana del
secondo secolo, fondata da Montano, che combinsva la credenza nella continuità
dei doni miracolosi degli Apostoli e nella ispirazione personale di Montano,
con l'attesa della prossima seconda venuta di Cristo e la pratica di un
rigoroso ascetismo. Cfr.
Bonwetsch, Geschichte d. Montaniemus, 1881. Morale. Gr. Ἠθικός: Lat. Moralis; T. Sittlich, ethisch, moralisch; I. Moral, ethical; F.
Moral. Può significare tanto ciò
cho è conforme alla morale, quanto ciò che riguarda sia i costumi, sia le norme
d’ azione ammesse in una data epoca in una doterminata società. Opposto a
fisico, materiale, corporale, indica ciò che è relativo allo spirito e alla
coscienza; opposto a logico o a intellettuale ciò che riguarda l’ azione e il
sentimento. Dicesi giudizio morale quello che si pronunzia sopra il valore
etico d’una azione; argomento morale quelle provo tradizionali del libero
arbitrio © dell’esistenza di Dio che si ricavano dall’ esigenza morale; senso
morale il particolare sentimento che fa distinguere il buono dal cattivo, il
giusto dall’ingiusto; statistica morale quel ramo della statistica che si
occupa delle azioni volontarie dell’uomo; pazzia morale una perversione
patologica della coscienza e del carattero morale, senza alterazione notevole
delle funzioni intellettuali ο specialmente senza illusioni o allucinazioni. Cfr. Cabanis, Rapports du
physique et du moral de l'homme, 1802 ; Kant, Krit. d. prakt. Fernunft, ed.
Reclam, p. 149 segg.; Quetelet, Physique s0ciale, 1869; Drobisch, Die moraliste
Statistik, 1867; F. Hutcheson, Inquiry into the original of our ideas of beauty
and virtue, 1725; Delbrück, Die pathologische Lüge, 1891; Bleuler, Über
moralische Idiotie, Vtljsch. fur gerichtl. Med. », 1898. Morale. T. Sittenlehre, Hthio; I. Ethice;
F. Morale. O filosofia morale o etica, è quella parte della filosofia che
determina le leggi della condotta umana; essa infatti ha per oggetto di
stabilire il fine verso il quale devono rivolgersi Mor 782 le
azioni degli individui, ο di giudicare in qual rapporto stiano le azioni stesse
col conseguimento di quel fine. Si definisce anche la teoria razionale del bene
ο del male; oppure la scienza della volontà e della condotta morale. Si
sogliono distinguere: la morale pura, o toorioa, 0 generale, che tratta dei
principî generali, della natura ed essenza del bene morale; la morale pratica,
o speciale, o applicata, che è l'applicazione dei principi generali ai casi
partico lari, lo studio dei mezzi atti a raggiungere il bone morale, a
mantenerlo e a svolgerlo; la morale eudemonologica, che tratta della folicità
che consegue al bene morale; la morale psicologica, che studia l’azione morale
nel suo moccanismo interno, nelle suo basi psichiche, e cioè la coscienza
morale, il sentimento morale, la volontà, il carattere e In personalità morale
; la morale sociale, che studia l’ azione stessa nelle sno basi e nei suoi
fattori esterni o sociologioi, il costume, la famiglia, le classi sociali, lo
stato, eoc. Si suole infine distinguere la morale individuale, che tratta dei
doveri verso sò stessi, dalla morale sociale che tratta dei doveri verso gli
altri, e dalla morale religiosa che tratta dei doveri verso Dio; questa parte
della morale che tratta dei doveri dicesi anche morale deontologica ο
deontologia. Quanto alla classificazione dei diversi sistemi di filosofia
morale, ricorderemo anzitutto quella acutissima del nostro Rosmini, cho
partendo dal principio che la moralità risiede nel rapporto di convenienza che
passa tra l'ordine razionale e l'ordine fisico, divide tutti i sistemi in
soggettivi e oggettivi; alla prima categoria appartengono quei sistemi che
traggono comunque il principio della morale dagli elementi costitutivi della
natura umana, siano questi le forzo fisiche, le tendenze sensitivo-animali o le
inclinazioni ο affezioni razionali (edonismo, materialismo, sensismo,
sentimentaliamo, associazionismo, utilitariemo, eudemonismo, ecc.); alla
seconda categoria appartengono quei sistemi che pongono l'imperativo della
moralità, la forza obbligante del prin 133
Mor cipio morale in qualche cosa di estraneo e superiore all’ uomo
(ontologismo, morale teologica, legiemo, ecc.). Una classifica zione meno
minuta, ma fatta con uno spirito sasai più eritico e positivo, è quella del
Wundt, che, ponendosi dal punto di vista del fine imposto alla condotta umana,
dietingue i sistemi morali in eferonomi ο autoritativi, nei qnali il fine della
condotta è imposto da un comando esteriore, © in autonomi nei quali il fine
stesso soaturisce dalle disposizioni originarie e da condizioni materiali di
sviluppo; gli autonomi si dividono alla lor volta in evolusionistici ο
eudemonistici, a seconda che 1’ azione morale fa parte di una evoluzione il cui
termine ultimo è lo scopo veramente supremo dell’ attività, ο ba invece per
scopo il possedimento di beni immediati che 1’ individuo stesso ο i suoi
compagni devono godere; infine ambidue questi sistemi si dividono in
individualisti © universalisti, a seconda che i beni o la perfezione da
conseguire si restrihgono all’agente ο si estendono a tutti i soci e all’
umanità. In questi ultimi tempi una geniale e comprensiva classificazione fu
proposta da Giovanni Vidari che, distinte le dottrine morali in metafisiche ©
scientifiche, a seconda che poggiano la morale sopra una concezione filosofica
del mondo e della vita o sullo studio dei fatti, divide le prime in
materialistiche, pantetatiche © teistiche, le seconde in
individualietiche-psicologiche © sociologiche; la concezione materialistica dà
luogo all’edonismo individuale (Epicuro, D’Holbach), la panteistica all’
edonismo universale se il panteismo è materialistico (stoici, Spinota) all’
odonirmo universale se è idealistico (Hegel), la teistica al perfarioniemo
(Leibnitz) ο all’ edonismo individuale (Paley); le concezioni individualiste
psicologiche (Bentham, 8. Mill, Bain) hanno per carattere comune di proporsi la
ricerca non della natura del bene, ma degli impulsi e dei processi dai quali la
moralità deriva; le concezioni sociologiche, allargando I’ indagine dall’ individuo
alla specto e alla società, danno Inogo al biologiemo (Spencer, Stephen)
Mor 734
al determiniemo economico (Marx, Loria) e alle dottrine
storico-psicologiche (Ardigd, Wundt, Höffding, Baldwin, Paulson, 000.) che sono
oggi le prevalenti ο cercano di stabiliro le basi scientifiche della morale
dallo studio delle condizioni storiche di sviluppo della vita associata,
considerata sotto l'aspetto psicologico. Cfr. Ständlin, Gesch. 4.
Moralphilosophie; Sidgwick, Outlines of the history of Etichs, 1886; Id., The
methods of ethics, 2* od. 1877; Lecky, History of european morale, 2* ed. 1869;
Wundt, Ethic, 2° ed. 1892; Paulsen, System der Ethio, 3" ed. 1893;
Rosmini, Principî della scienza morale, 1857; Id., Storia comparativa e critica
dei sistemi intorno alla morale, 1837; Ardigd, La morale dei positivisti, 1892;
L. Friso, Filosofia morale, 1893; Vidari, Etica, 1902 ; Marchesini, La dottrina
positiva delle idealità, 1913. Moralismo. T. Moralismus ; I. Moraliem; F.
Moraliame. Opposto a immoraliemo, il riconoscimento d’ una legge morale
obbligatoria. In senso generale, ogni dottrina o tendenza etica, che considera
la perfezione morale non soltanto come l’idealo supremo, ma anche come la
suprema renltà. Questa dottrina proviene forso dalla influenza esercitata dalla
filosofia di Kant, il quale elevò per primo la perfezione morale al di sopra di
tutte lo realtà possibili e di tutte le nozioni concepibili, ponendola come
irreducibile a tutto il resto e come fondamento di tutto il resto. Fichte
chiama la propria dottrina moralismo puro, in quanto pono a fondamento supremo
della filosofia una legge dell’ azione ο non dell’ essore. In quest’ ultimo
senso il moralismo coincide, nella speculazione contemporanea, con 1’
cnergismo, l’attivismo, l’ idealismo etico; una delle sue forme più
caratteristiche è il moralismo umanistico, il quale parte dal concetto che
l’uomo, essendo un essere sociale e morale, deve subordinare al dovere sia il
conoscere che l’agiro, pur riconoscendo la distinzione tra la verità e la
virtù, tra l’ essere e il dovere. Cfr. Krug, Handbuch. d. Philos., 1832, p.
271; Fichte, Darstellung der Wissenschaftslehre, 1801, 735
Mor $ 26; A. Fouillée, Le moralismo de Kant et l'amoralieme
contemporain, 1905; Id., Nietzsche οἱ Vimmoralieme, 2° ed. 1902 (v. attivismo,
energiemo, prammatiemo). Moralità. T. Sittliohkeit; I. Morality; F. Moralité.
Si può definire come la conformità soggettiva © spontanen all’ ideale morale;
si distingue © in parte si contrappone alla legalità, che è In conformità
oggettiva alla logge giuridica. La determinazione dei caratteri della moralità,
ο In sua distinzione dal diritto, costitnisco una dello questioni più
importanti e più discusse dalla filosofia etico-ginridica. Secondo la dottrina
di Kant, che forse è ancor oggi la più aocettata, si è nel dominio della
moralità quando si ubbidisce alla legge per un sentimento interno, che ci
spinge a compiere il dovere per il dovore, si è inveco nel campo del diritto
quando si compie nn dovere non per un impellente motivo psicologico, ma per la
coazione propria delln legge ο per altre cause. Secondo il Romagnosi la
moralità non mira, come il diritto, a rafforzare la colleganza ma a santificare
la umanità; ha una maggiore estensiono del diritto, contemplando l’uomo in
tutte le sue posizioni e relazioni; considera soprattytto gli eterni motivi doi
volori umani gli effetti buoni o cattivi che ne derivano. Secondo lo Spencer,
nella sfera della moralità impera la beneficenza positiva ο negativa, mentre in
quella del diritto domina la giustizia, che impone doveri esclusivamente
nogativi; la beneficenza, che è sempre libera e spontanen, rappresenta una
leggo secondaria e deve rimanere una funzione privata, in quanto mira ad
aumentare la prosperità sociale, mentre la giustizia rappresenta la legge
primaria dell’ armonica cooperazione sociale, e viene perciò imposta
coattivamente dallo Stato. Secondo l’Ardigò, infine, tanto ‘ la moralità cho il
diritto germogliano dallo idenlitä socia] ma mentre la giustizia propriamente
detta (cioò quella esercitata dallo Stato, con sanzione punitiva e
responsabilità corrispondente) importa nell’ individuo subordinato
P’idenMor-Mos 736 lità corrispondente al dorere giuridico, la
giustizia impropriamente detta (cioò quella delle reazioni della convenienza,
con sanzioni indefinite e responsabilità morale) importa negli individui
coordinati lo idealità corrispondenti al dovere morale. Cfr. Kant, Krit. d. pr.
Vern., 1878, p. 37, 39 segg.; Spencer, The data of ethics, 1879; Romagnosi,
Gemosi del diritto pubblico, 1805; Ardigd, Opere fl., I, 211 segg., IV, 18
segg. Morfinismo. T. Morphiumsucht; I. Morphiniem ; F. Morphinisme.
Intossicazione cronica, accompagnata da disturbi psichici 6 determinata dall’
uso continuato della morfina. L'azione paralizzante di codesto veleno sull’
apparato neuromuscolare, modifica profondamente il carattere dei malati,
indebolendone la memoria e la volontà, rendendoli proclivi all’ ozio ο alla
fantasticheria, ο determinando talora il sorgere di allucinazioni tattili e
cenestetiche ; anche la sfera affettiva viene alterata, i sentimenti familiari
ο morali si ottundono, fino a condurre talvolta ad azioni delittuose. Cfr.
Levinstein, Die Morphiumeucht, 3° ed. 1883; Pichon, Le morphinieme, 1890; J.
Finzi, Compendio di peiohiatria, 1899, p. 84, 87. Morfologia. T. Morphologie;
I. Morphology; F. Morphologie. Scienza che studia le forme degli animali e dei
vegetali, la loro struttura, il loro significato e la loro origine. Tali forme,
già spiegate o mediante una forse soprannaturale creatrice, o per mezzo della
forea vitale ο della causa finale, si considerano nella moderna biologia
evoluzionistica come somplici fenomeni naturali spiegabili per mezzo di leggi
meccaniche. Cfr. Haeckel, Gen. Morphologie, 1868. Mosaicismo. Il monoteismo giudaico,
quale fu fondato da Mosd sedici secoli avanti Cristo, © il oui valore storico
consiste nell’aver dato origine alle due grandi religioni mediterranee che
dominano il mondo: il cristianesimo e il maomettismo. Gli studi di storia
comparata delle religioni hanno ormai assodato che anche il monotelrmo
giudaico 737 Mor è il prodotto d’ una lunga evoluzione, le
cui fasi pit importanti furono prima 1’ animismo poi il politeismo. Cfr. Gruenesein, Der
Ahnencultue n. die Urreligion Yeraels, 1900; Charles, 4 critical Aystory of the
doctrine of a future life in Israel, 1900; E. Ferrière, Paganisme des Hébreux
juequ'à la captivité de Babilone, 1890. Motivo. T. Motir, Beweggrund; I. Motive; F. Motif. In generale ciò che
muove; psicologicamente ogni impulso che produca ο tenda a produrre un'azione.
Negli antecedenti della volizione, si dicono motiri, per distinguerli dai
moDili, i fenomeni intellettivi (rappresentazioni) che entrano in conflitto e
determinano quindi l'atto volontario ; i moDili sono invece i fenomeni
affettivi, che s’ accompagnano sempre, secondo alcuni psicologi, agli
intellettivi. Cr. Wolf definisco i motivi come ratio suffioiene volitionis ao
nolitionis. Per Holbach sono motivi gli oggetti esteriori o le idee interiori
che fanno nascere codesta disposizione (di volere) nel nostro cervello ». Per
il Bentham sono motivi in senso largo tutte le cose che possono contribuire a
far sorgere qualsiasi specie d'azione, o anche a presentarla »; în senso
stretto qualunque cosa che, influenzando la volontà di un essere sensitivo, è
supposta servire come mezzo por determinarlo ad agire, o per trattenerlo
volontariamente dalVagire in qualsiasi ocensione ». L’ Hüffding distinguo il
motivo come forza determinante differente da noi e dalla nostra natura, dal vero
e proprio motivo volontario, che non è che noi stessi presi sotto una forma o
sotto una faccia detorminata: I nostri motivi sono delle parti di noi stessi,
che appartengono ora al nostro io reale, ora al lato del nostro essere più
vicino alla periferia ». Il Wundt distingue i motivi attuali dai potenziali: Noi
chiamiamo attuali tutti quei motivi che raggiungono concretamente una efficacia
nel volere, potenziali invece quelli che, in quanto elementi della coscienza
poveri di sentimento, rimangono inefficaci ». Il Sergi definisce i motivi come gli
stimolanti della vo47 Raxzout, Dizion.
di scienze filosofiche. Mor 738 lizione, quando sono passati nella coscienza
dell’ agente sotto una forma psichica ». Cfr. Wolff, Psyohologia empirica, 1738, $ 887
;eBentham, Introd. to the prino. of moral, 1823, p. 161 segg.; Höffding,
Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 450; Wandt, Etik, 1892, p. 440; Sergi, La
psyohol. physiologique, trad. frano. 1887, p. 419. Motore. T. Beweger, Bewegend ; I. Mover,
Motor; F. Moteur. In generale, ciò
che muove. Come sostantivo si usa quasi solamente per tradurre I’ espressione
aristotelica: τὸ πρῶτον κινοῦν, τὸ κινοῦν ἀκίνητον, il primo motore, il motore
immobile, cioò Dio, che è causa d’ogni mutamento ο d’ogni divenire nel mondo,
senza essero egli stesso s0ggetto ad alcun mutamento: C’ ὃ qualche cosa che
muove eternamente;... è un essere che muove sonza esser mosso, essere eterno,
essenza pura, © attualità pura. Ora, ecco come esso muove. Il desiderabile ο l’
intelligibile muovono senza esser mossi; e il primo desiderabile è identico al
primo intelligibile. Poichè l'oggetto del desiderio è ciò che par buono, e
l’oggetto primo della volontà è ciò che è buono, Noi desideriamo nna cosa
perchò ci sembra buona, piuttostochò ci sembri tale perchè la desideriamo. II
principio, qui, è dunque il pensiero; ora, il pensiero è messo in movimento
dall’ intelligibile... L'oggetto immobile muove come oggetto dell’amore, e ciò
ch’ esso muove imprime il movimento a tutto il resto. Ora, per ogni essere che si
muove ο) ὃ possibilità di cangiamento. 1 essere che imprime questo cangiamento
è il motore immobile. Il motore immobile è dunque un essere necessario; ο, in
quanto necessario, è il bene ». Diconsi
centri ρείσο-πιοίογέ, o semplicemente centri motori, o sono motrici, quelle
regioni della corteccia cerebrale che presiedono ai movimenti diversi del
corpo. La loro esportazione o distruzione determina delle paralisi, la cui
estensione corrisponde all’estensione della zona corticale distrutta. Sul’
esistenza di zone motrici distinte dalle sensorie, sembrano concordare i fisio
739 Mor-Mov logi, i quali però
discordano circa l’ ubicazione delle zone stesse. Diconsi fibre motrici ο efferenti quelle che
trasmettono l’impulsione nervosa centrifuga ai muscoli e alle ghiandole;
sensazioni motrici ο cinestetiche le sensazioni che accompagnano i movimenti
del corpo, dovuti alla contrazione dei muscoli o alla trazione esercitata sni
legamenti muscolari ; imagini motrici le sensazioni stesse che si riproducono
senza lo stimolo periferico che direttamente le provochi; memoria motrice la
memoria dei movimenti ; imaginazione motrice, quel tipo d’imaginazione che
consiste nel predominio delle imagini di movimento ed è specialmente
caratterizzata, per quanto riguards le parole, dal fatto che l'individuo le
rappresenta sotto la forma dei movimenti d’articolazione con cui le
pronuncerebbe. Cfr. Aristotele, Metaph., III, 8; XI, 6-7; Albertoni ο Stefani,
Fisiologia umana, ed. Vallardi, p. 590 segg.; Ribot, Maladies de la colonté, 153
ed., cap. III; Haffding, Peychologio, 1900, p. 235 segg. (v. localizzazione).
Motorium commune. Per analogia al sensorium commune, alcuni psicologi designano
così quell’ insieme di centri motori cerebrali, che si troverebbero nella parte
parietale © nella posteriore della corteccia corebrale, ο la cui stimolazione
per parte dei centri percottivi ο ideativi, posti nella parte anteriore del
cervello, dà luogo ad uns corrente centrifaga, che determina i movimenti
volontari. Il motorium commune sarebbe quindi un magazzino di movimenti
virtnali organizzati. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pensee, trad. franc. 1888, vol. II, p. 169-200.
Movimento. T. Bewegung; I. Morement, Motion; F. Mourement. Cambiamento di posizione nello spazio
considerato in funzione del tempo e possedente quindi una velocità definita, Si
sogliono distinguere tre specie di movimenti : quelli dei corpi formanti una
massa più o meno coerente, che è trasportata da un luogo dello spazio ad un
altro; quelli che si prodncono nell’ interno di un corpo di cui l'insieme
continua ad occupare relativamente lo stesso luogo di spazio, ma di cui le
molecole e gli atomi si muovono; quelli del fiuido (etere) che si suppone
riempiro gli intervalli che separano i corpi gli uni dagli altri, e le molecole
o gli atomi di ogni corpo. Il movimento è di sua natura continuo, poichè se un
punto materiale è trasportato da una posizione ad un’altra, deve passare
necessariamento per tutti i ponti della linea che unisce le due posizioni
considerate. Il movimento dicesi assoluto quando è riferito a degli oggetti
realmente fissi nello spazio; è rélatiro se è riportato ad oggetti considerati
come fissi dall'osservatore, ma trasportati con lui in un movimento comune.
Questa distinzione è però affatto teorica, non essendo il movimento assoluto
cho un’ astrazione: infatti nell’ universo quale ci è dato dall’ esperienza non
esiste un punto realmente fisso οὗ al quale si possa riportare In posizione
degli altri punti. Dicesi movimento istantaneo quello compiuto da un corpo
solido durante un tempo infinitamente piccolo; uniforme quello in cui gli spazi
percorsi sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli ; uniformemente
rariato quello in cui la velocità cresce ο decresce di quantità proporzionale
ai tempi. Il concetto del movimento
comincia ad assumere importanza nell’ esplicazione della natura già con i primi
filosofi greci, con Eraclito che lo pone come essenziale della realtà, con la
scuola eleatien ο con Zenone, che lo nega mediante argomenti ancor oggi discussi,
con Democrito, che lo considera una proprietà originaria dell’atomo, con
Platone che lo distingue dal cangiamento, infine con Aristotele, che lo
introduco a spiegare il momento del passaggio dalla potenza all’energia. Per
Aristotele il movimento non è il puro cangiamento esterno di Inogo, ma ogni
processo di passaggio dalla materia alla forma, che presuppone però sempre,
nell'incontro del fattore attivo col passivo, un mutamento anche spaziale,
cosiechè in questo senso il movimento consiste alla nl Mov fine nell’attività della forma che è
nella materia; è il movimento che fa passare 1’ essenza ο il contenuto della
materia dallo stadio della pura possibilità alla realtà. Il movimento, quindi,
è già energia, essendo il processo d’ attuazione di ciò che nella materia
esisto come disposizione ; ed è anche, per lo stesso motivo, il passaggio da
uno stato al sno opposto. Aristotele distingue poi queste specie di movimento ©
cangiamento: il quantitativo, 0 d’ accrescimento e diminuzione; il qualitativo,
ο di trasformazione d’ una sostanza © d’uno stato in un altro; e lo apasiale; ο
di traslazione, che è continuo (συνεχής) © può essere rettilineo, circolare e
misto. Gli scolastici accettarono quasi tutti la concezione aristotelica del
movimento: Movers est ezistere do potentia in actum, dice Β. Tommaso; movens
dat id quod habet mobili, inquantum facit ipsum esse in actu. Cartesio non
ammetto invece altro movimento che quello di traslazione, come proprietà della
materia sia animata sia inanimata, e lo definisce : actio qua corpus aliquod ex
uno loco in alium migrat. Egli vuol costruire con figura 6 movimento tutta la
realtà fisica, considerando quest’ultimo come il fenomeno che contiene la
spiegazione di tutti gli altri; ammettere invece delle, novembre 1899. Neutri
(stati). Gli stati psichiei caratterizzati dalla indifferenza del sentimento, e
ciod privi di qualsiasi stato di piacere o di dolore. Molti psicologi negano
l’esistenza di tali stati, poichè, secondo essi, ciò condurrebbe ad ammettere
implicitamente la discontinuità della vita psichica, la quale è invece
costituita da un flusso continuo di piaceri e di dolori. Fra coloro che
ammettono l’esistenza degli stati neutri si possono distinguere due indirizzi
diversi: gli uni sostengono col Wundt che essendo il piacere e il dolore i due
poli opposti della coscienza, si dovrà andare dall’ uno all’altro passando per
uno stadio di assoluta indifferenza; gli altri, come il Bain, si appoggiano
sull’esperienza interna, che ci attesta l’ esistenza di molti stati privi affatto
di tono e colorito sentimentale. Cfr. Reid, Intellectual Powers, 1863, p. 311; Wundt,
Grundzüge der physiologischen Psychologie, 1893; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p.
380 segg.; Horwiez, Psychol. Analysen, 1878, II, 2, p. 26; A. Bain, The
emotions and the will, 1865, p. 13. Nevroglia
o cemento nervoso. È un tessuto di sostegno che tiene fermi gli elementi
nervosi centrali e degli organi di senso. Consta di cellule speciali molto
ramificate: codeste ramificazioni, a forma appiattita ο filiforme, entrano fra
gli elementi nervosi ed hanno varia disposizione nelle varie porzioni del
sistema nervoso centrale o degli organi di senso. Cfr. E. W. Taylor, A
contribution to the study of human nerroglia, in J. of exper. med. », 1897, II.
Nihilismo. T. Nichilismus; I.
Nihiliem; F. Nihilisme. In generale qualunque dottrina conchiuda all’
annientamento, alla negazione, al nulla. Così si dice nihiliemo moNir 760
rale la dottrina dell’antico buddismo, che predicava la soppressione
della sensibilità, il disperdersi della persona. lità per gli infiniti abissi
dell’essere; nihilismo logico quello di Hegel, che nelle prime categorie della
Logica afferma V identità dialettica dell’ essere e del non-essere; nihilismo
gnoseologico quello che nega la possibilità della conoscenza e della verità. L’
Hamilton dico nihiliete, per opposizione a realiste, quelle dottrine che non
ammettono una realtà sostanzialo corrispondente alle percezioni esteriori ; in
questo senso equivale perciò a solipriemo ο idealiemo soggettivo. Nel
linguaggio comune per nihilismo si suol intendere il comunismo anarchico dei
rivoluzionari russi, Cfr. W. Hamilton, Leotures on metaphysics, , I, p.
293-294; Nietzsche, Wille zur Macht, 1. I, cop. I. Nirvana. Dottrina propria
della religione buddistica; secondo le parole di Buddha stesso, il nirvana à l’esistenza
spogliata di ogni attributo corporeo e considerata come la suprema ed eterna
beatitudine ». Il nirvana non à dunque l’ annientamento, ma 1’ identificazione
dell’ io individualo col principio supremo dell’ universo, lo sprofondarsi © il
confondersi della personalità nell’ esistenza universale. Questo è il fine
supremo ο la suprema felicità cui l’uomo deve aspirare: egli non la raggiunge
subito dopo la morte, ma dopo un periodo di trasmigrazioni successive dell’
anima sua in altri corpi, periodo che è tanto più breve quanto più esso si
sottopone alla penitenza, quanto più pratica la virtà, la carità, l'umiltà, la
rassegnazione. Il vocabolo nirrana fu popolarizzato nei linguaggi occidentali
dallo Schopenhaner, che lo usò per esprimere il nulla del mondo: «I buddisti
impiegano con molta ragione, egli scrive, il termine puramente negativo di
nirevîna, che è la negazione di questo mondo (sansira). Se il nirvana è
definito come niente, ciò non significa se non che questo mondo © sansira non
contiene alcun elemento proprio, che possa servire alla definizione o alla
costruzione del nirvana... 761 NoL-Nom Noi riconosciamo volentieri, che ciò
che rimane dopo l’abolizione completa della volontà non è assolutamente nulla
per quelli che sono ancora pieni di volontà di vivere. Ma per quelli nei quali
la volontà s’ è negata, il nostro mondo, questo mondo reale con i suoi soli e
con la sua via lattea, che cos'è? Nalla ». Cfr. Max Müller, Die Bedeutung von
Nirwana, in Essays >, 1869, vol. I, p. 242 segg.; Obry, De nirvana
bouddhique, 1863; R. Davids, Buddhiem (William and Norgate), p. 170 segg.; G.
Lo Forte, Budda, 1904, p. 50 segg.; Schopenhauer, Die Welt ale IV. und. Vorat.,
ed. Reclam, 1. IV, suppl. cap. XLI (v. catarsi, metempsioosi). Nolontà. Lat.
Noluntas (Ennio, 8. Agostino, 8. Tommaso); T. Noluntas, Nolentia, Nolitia ; I.
Nolition; F. lonté. Termine poco in uso, ma proposto da alcuni filosoti moderni
per indicare non la mancanza di volontà, ma la volontaria resistenza ad una
impulsione, l'arresto d’un atto in via di compiersi se la volontà non |’
ostacolasse. Chr. Wolff: nolitio et aversio sensitiva non sunt actiones
priratiræ, sed positive. Il Renouvier la contrappone alla rertigine normale,
che nel meccanismo volitivo è l’attività spontanea sorgente del movimento
muscolare, attività diretta dall’ uomo con un’ azione di arresto, analoga a
quella @ un regolatore che apra o chiuda I’ uscita ad una energia che esso non
crea. Molti però non approvano l’ uso di
questo termine, anzitutto perchò è un duplicato inutile di inibizione, poi
perchè si oppone per la sua forma a volontà, mentre impulsione © inibizione
sono i due fattori da cui la volontà risulta. Cfr. Chr. Wolff, Philos. pratica
universalis, 1738, I, $ 38; Renouvier et Prat, Nourelle monadologie, 5* parte,
art. 91. Nominalismo s’oppone a
realismo, e designa quella dottrina secondo la quale gli universali, cioò i
generi e le specie, non hanno alcuna esistenza nella realtà, © soli reali sono
gli oggetti individuali e particolari. Vi ha un nominalismo Nom 762
medievale o scolastico, e un nominalismo moderno. Il nominalismo
scolastico, che trasse origine da un passo dell’Isagogo di Porfirio, è di due
specie: P uno, che è il nominaliemo in senso stretto, considera le idee
generali come semplici flatue vocis, ciod nomi coi quali ci riferiamo ai vari
ordini di cose, sebbene in realtà noi non possiamo mai rappresentarci che degli
individui; l’altro, che prende il nome di concettualiemo, sostiene che gli
universali, pur essendo nomi tomuni designanti qualità che non esistono che
negli individui, hanno tuttavia, in quanto concetti, una realtà nello spirito
di chi li pensa. Entrambi però si oppongono al realismo, ed hanno per motto:
unitersalia post rem. Il campione più risoluto del nominalismo fa Roscelline,
del concettualismo Abelardo. Nella filosofia moderna il problema della realtà
delle idee generali si è spostato: infatti i nominalisti moderni sostengono che
il significato del nome generale non è che un sapere virtuale, essendo la
possibilità dei singoli conoreti dalla rappresentazione dei quali risulta, e
con ciò s’ oppongono ai concettualisti, pei quali il significato del termine
generale è un concetto tuale. Fra il numero indefinito dei singoli conereti di
cui il nome richisma l’imagino, esso deve essere, secondo i nominalisti,
affermato degli uni e negato degli altri; per tal modo il suo significato non
consiste che in tendenze e ripugnauze, che risultano da una moltitudine di
associazioni anteriori. Una forma radicale
di nominalismo è sostenuta oggi in Italia dal Guastella; per esso non esistono
concetti; noi non possiamo avere altro che rappresentazioni di oggetti o fatti
particolari, determinati nello spazio © nel tempo; ciò che chiamiamo idea
generale ο concetto è semplicemente un nome che può riferirsi a più oggetti
individuali simili, un nome di classe, col corteggio delle rappresentazioni
associate, pronunciato ο inteso mentalmente ».
Dicesi nominalismo scientifico 1’ insieme delle dottrine contemporanee che,
nella teoria della scienza, 763 Nom sostituiscono le idee di convenzione, di
comodità, di abbreviazione del lavoro mentale, a quelle di verità e conoscenza
del reale; con l'antico nominalismo logico esso non ha in comune che di
rifiutare ogni valore obbiettivo ai nostri concetti, e quindi alle leggi
scientifiche. Dicesi nominalismo
sociologico non già, come potrebbe sembrare, la teoria che definisoe la società
come una somma d'individui accidentalmente avvicinati, ma quella dottrina che
riconduce analiticamente il fatto sociale alla relazione inter“ personale,
reciproca e consolidata. Essa fa poggiare la sociologia comparata sulla
psicologia interpersonale. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik im Abendiando, 1855-70,
II, 78 segg.; Haureu, Histoire de la phil. soolastique, 1872-80, I, 260 segg.;
Exner, Über Nominalismus und Realismus, 1841; Köhler, Realismus und
Nominalismus in ihrem Einfluss auf die dogmatischen Systeme der Mittolalters,
1858; Woodworth, Imagelees thought, Journal of philos., psychol. and 8. meth.
», 1906, n.° 26; Hoernlé, Image, idea and meaning, « Mind », gennaio 1907;
Binet, La pensée sans images, nel vol. L'étude exp. do l'intelligence, 1903; Le
Roy, Soience ot philosophie, « Revue de métaph, », nov. 1899; Sur la valeur
objeotire den lois physiques, « Bulletin de la Soc. de philosophie », 1901; C.
Guastella, Saggi eulla teoria della conoscenza, 1907, I, p. 78; A. Levi, La
resurrezione del nominalismo, « Cultura filos. », aprile 1907 (v. concetto,
imagine, universali, terminiemo). Nomogonia. L’Ardigd chiama così quella parte
della scienza positiva delle leggi morali, che studia la formazione storica,
graduale e progressiva, delle idealità umane. La parte puramente descrittiva, o
delle forme osservate nel presente, dicesi nomografia; la parte che studia le
loro trasformazioni relative al tempo © al luogo, dicesi nomologia. La
nomografia si divide poi in geografica e etnografica, in quanto studia la
distribuzione delle diversità nomografiche per le varietà dei luoghi e delle
razze umane. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 162 segg. "
Nox 764
Non-essere. T. Nichtseiendes, Nicht-sein ; I. Non-being ; F. Non-être. Sinonimo di nulla, non-ente, non-reale, Inteso
in senso assoluto, è impensabile e indefinibile come non è definibile 1’ Essere
assoluto. Il nostro Bertini lo comprendeva fra le sue quattordici categorie;
altri ancora lo considerano come la categoria suprema, superiore all’ Essere.
Gli eleatici, ammettendo che ogni pensare si riferisce ad un ente, che forma il
suo contenuto, consideravano il non-essere o non-ente, τὸ μὴ éév, come tale che
non può essere © non può essere pensato; siccome però per ente essi intendevano
la materialità, lo spazio pieno, così per non-ente intendevano lo spazio vuoto,
τὸ xevév, e la loro proposizione equivaleva a ciò che lo epasio vuoto non può
essere. Gli atomisti, da Democrito a Lucrezio, ammettevano inveco l’esistenza
tanto del reale, dell’essere inteso materialisticamente come il pieno, il
solido, quanto del non-essere, cioè il vuoto, che è indefinito, e nel cui seno
turbinano gli atomi; le cose risultano da una mescolanza del reale e del
non-reale. Kant analizzd il concetto del non-essere, distinguendone quattro
specie, a seconda che rappresenta la negazione di una delle sue quattro categorie:
nell’ordine della quantità, si ha il nessuno, l’ons rationis; nella qualità la
privazione, il nihil privativum; nella relazione il vuoto, ene imaginarium;
nella modalità il contradditorio, cio il nihil κοgaticum. Per Hegel 1’ essere
puro è identico al non essere, perchè di esso non si può nulla affermare senza
con ciò negarlo, « quindi I’ essere puro è 1’ essere assolutamente
indeterminato. Ma l’essere assolutamente indeterminato è l'essere che non è
nulla, è l'essere e altra cosa che l’eswere, l’essore e ciò che non è 1’
essere, è in una parola Vessere e la sua negazione, il non-essere ». Nel
divenire, Vessere come tutt’ uno col nulla, il nulla come tutt’ uno con
l'essere, sono soltanto evanescenti (rerachwindende); il divenire coincide,
mediante la sua contradizione in sò, con l’unità nella quale entrambi sono
tolti : il suo risultato à 765 quindi l'essere determinato. Cir. Hegel,
Logique, trad. franc. Vera, $ 87 sogg.; Encykl., $ 89; Ormond, Basal concepts
in philosophy, 1896 (v. dialettica, essere, divenire, inane, nulla).
Non-euclideo. La geometria euclidea è fondata sul postalato di Euclide delle
parallele, postulato che si enuncia così: se una retta ne incontra due altre,
contenute in uno stesso piano, e forma con queste angoli interni da una stessa
parte la cui somma è minore di due retti, tali due rette prolungate
indefinitamente #’ incontreranno da quella parte ove la somma dei due angoli è
inferiore a due retti La geometria detta non-enclidea presenta idee nuove sulla
teoria delle parallele, assumendo per principio fondamentale che il postulato
di Euclide non è, in quanto tale, una verità che possa dedursi logicamente
dalle altre, ma ne è indipendente; esso quindi si può supporre falso, e da tale
supposizione si può venire alla concezione di diversi spazi possiDili, che non
hanno le proprietà dello spazio euclideo. Ctr. Helmholtz, Urprung u. Bedeutung
d. geom. Ariome, 1876; Gino Fano, La geometria non euclidea, « Rivista di
scienza », vol. IV, 1908 (v. iperapazio). Non-io v. Io. Non-me v. Io. Noo ο
Nous. È I italianizzazione del greco νοῦς. che signitica intelletto, pensiero.
Fu usato da alcuni, ad es. da Platone, indifferentemente con Logo; tuttavia
quest’ ultimo designa più specialmente il pensiero in quanto è unito alla sua
espressione verbale. Per Anassagora il vodg è il principio ordinatore e
moderatore del mondo; esso è un elemento corporeo, omogeneo in sè, increato,
imperituro, jaso in una fine distribuzione in tutto il mondo, ma diverso da
tutte le altre materie non solo per grado, essendo la più fine, la più
leggiera, la più mobile, ma anche per sostanza, essendo materia pensante, che
si muove da sù e muove gli altri elementi nel modo che si dà a conoscere nell’
ordine del mondo. Per Platone il νοῦς (ο λογιστιχὀν). Noo-Nor 766 ©
è quella delle due parti dell’anima che corrisponde al mondo dell» idee, quindi
l'elemento razionale, la sede del sapere e della virtù corrispondente. Per
Aristolele il vo5ç è l’intelletto, che può essere attivo © passito ; il primo è
la pura attività intellettuale, l’unità pura, comune a tutti gli nomini ©
fondamentale, della ragione ; il secondo invece è il materiale della
percezione, che deriva dall’ esistenza corporea dei singoli uomini, varia col
variare delle loro esperienze, e fornisce alla ragione le passibilità ο le
circostanze della sua funzione, Cfr. Platone, Fed., 97 B; Aristotele, Met., I,
3, 984 b; Simplicio, Phys., D., 38 (v. emanazione, intelletto). Noologia.
Trattato intorno alla mente; per il Crusius noologia è la psicologia, per l’
Hamilton la solenza della ragion pura, per 1’ Eucken la scienza della vita
creatrice dello spirito, per il Mentré l’analisi ο la classificazione dei
differenti tipi di spirito, la ricerca dei loro legami e dello loro
interazioni. Noologico dicesi di tutto ciò che si riferisce al pensiero, alla
intelligenza, alla ragione. Ampère distingueva le scienze in due categorie
fondamentali : noologiohe, che trattano delle cose spirituali e di tutto ciò
che ha rapporto con lo spirito; cosmologiche, che trattano delle leggi della
materia. Cfr. Reid, Works edited by sir W. Hamilton, 1848, nota A, $ V; Mentré,
Lo Spectateur, giugno 1911, p. 284; Ampère, Philosophie des scionoes, 1834.
Normale. T. Normal, gewöhnlich ; I. Normal, Customary; F. Normal. In senso
rigoroso, è normale ciò che à quale dev’ essore, cid che è conforme alla
regola, In generale è normale ciò che si verifica più frequentemente, ciò che
si presenta abitualmente col presentarsi di determinate circostanze. Nella
biologia dicesi normale un organo, una funzione, una struttura, quando, pur
rappresentando una eccezione, sia tuttavia protettiva per l'individuo ο per la
specie, risultando dall’ adattamento dell’ essere vivente all’ ambiente e alle
condizioni d’esistenza (v. anomalia, toratologia). 767
Nor Normativo, Norma. T. Vormatir, normgebend ; I. Normative; F.
Normatif. Dicesi normatiro tutto ciò che concerne una norma, o che corrisponde
et una norma, Si adopera talvolta come sinonimo di imperativo e di
obbligatorio, ma erroneamente, perchè la norma non ha di necessità carattere
obbligatorio. La norma si distingue infatti dalla legge, che esprime ed
esaurisce la natura propria della cosa, e dalla regola, che è l'enunciazione
del rapporto espresso dalla legge, ma colla trasformazione della causa in mezzo
e dell'effetto in fine, quindi col riferimento ad una attività che può
intervenire rendendo attuale il rapporto espresso dalla legge; la norma
rappresenta invece la modificazione possibile di un soggetto, la quale è
avvertita come una esigenza, come un qualche cosa di desiderabile, ma la cui
assenza non implios per sè stessa la non esistenza del soggetto alla cui
attività essa si riferisce. La norma implica, secondo il Liebmann, la libertà
del volere, ossia una potenza capace di elevarsi al di sopra del meccanismo
naturale; le stesse leggi logiche ed estetiche intanto si trasformano in legge,
in quanto il pensiero e la fantasia sono considerate in dipendenza della
volontà, che si propone di raggiungere i fini propri del pensiero e delle
funzioni estetiche. Il Wundt designa con
questo nome quelle scienze le quali, come la logica, la morale e l'estetica,
stabiliscono al pensiero o all’azione una norma suprema, che è la verità per la
logica, il bene per la morale, il bello per 1’ estetica. Si distinguono dalle
altre, dette naturali ο esplicative, perchè non ricercano la causa dei fenomeni
ma indagano il fine degli avvenimenti e non hanno una applicazione che nella
sfera umana, nella quale soltanto codesti fini possono essere concepiti e
raggiunti. Si distinguono anche dalle scienze pratiche, perchò queste non si
occupano tanto di stabilire una norma suprema, quanto di dettare i mezzi per
raggiungere un determinato stato ο abilità. Cfr. W. Wundt, Ethio, 1886, $ 1
dell’ Introd.; Id., Logik, 1893, II, 513 segg.; Nor 768
Liebinann, Gedanken und Thatsachen, 1899; De Sarlo, Causa ο legge
naturale, « Cultura filosofica », aprile 1908. Nota o determinazione. Gr.
Texuyptov; T. Merkmal ; I. Notion, Nota; F. Notion, Nota. Dicesi di ogni
elemento che serve a costituire il concetto. Questo infatti si definisce come
la sintesi ideale o tipica d’una cosa o d’un fatto, ottenuta mediante il
confronto delle rappresentazioni e l’astrazione delle note identiche. L'insieme
delle note di un concetto costituisce, secondo il Mill, quella che noi diciamo
I’ essenza della cosa; secondo altri |’ essenza à data soltanto dalle note
permanenti dell'oggetto; per altri ancora 1’ essenza è il complesso delle
qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è nell’ordine delle
altre cose e in relazione nd esse. Fra le note del concetto si dicono comuni
quello che si trovano in più altri concetti, proprie quelle che lo distinguono
dagli altri con cui ha note comuni, disparate quelle che se si riducono a
concetti a sò non presentano alcun elemento comuno, disgiunte quelle che
importano reciproca negazione. Riguardo al valore dello singole note rispetto
al concetto, si dice genere quel complesso dello note di un concetto, che sono
considerate come sostanziali rispetto a tutte le altre; differensa la nota primaria
costitutiva ed esclusiva di un concetto; proprietà quella che non è primaria ma
costitutiva ed esclusiva; attributo quella che è soltanto esclusiva; modo
quella che è costitutiva soltanto di una particolare specificazione del
concetto ; accidente quella che può essere e non essere, contenendo il concetto
soltanto la possibilità indeterminata di essa. Ad es., nel concetto di
triangolo, il genere è la nota essere una figura chiusn rettilinea; la
differenza è d'avere tre lati e tre angoli; la proprietà è che i suoi angoli
interni sommati sono uguali a due retti ; 1’ attributo che gli angoli esterni
presi insieme sono uguali a quattro retti; il modo la proprietà pitagorica; l’
accidente l'essere grande © piccolo, disegnato ο reale. Dicesi deferminazione
1’ ope 769 Not-Nou razione con cui si
aggiunge una nota ad un concetto, acerescendone la comprensione e diminuendone
1’ estensione; astrazione l operazione inversa. Cfr. Aristotele, Rethor., I, 2,
1357 b, 14; Fries, System der Logik, 1837, p. 120 segg.; Masci, Logica, 1899,
p. 105 segg. Nota notae est nota rei ipsius. Formula esposta in più luoghi da
Aristotele come principio generale del sillogismo. Alcuni filosofi, come Kant ο
Hamilton, la opposero al principio scolastico espresso nella formula: diotum de
omni aut de nullo. Tuttavia la formula kantiana si riduce facilmente a quella
scolastica, che ciod: ciò che si dice del predicato si predica pure del
soggetto, pradicatum pradicati est pradicatum subieoti. Cfr. Aristotele,
Kateg., 3, 1 b, 10; Hamilton, Leotures on Logik, 1860, app. VI, 11; Kant, Krit.
d. r. Vern., ed. Kehrbach, 253. Noumeno (τὸ νοούμανον = ciò che è concepito
dall’ intelligenza). Vocabolo reso comune dal Kant e già adoperato da Platone
parlando delle idee (voobpeva). Se io ammetto, dice Kant, delle cose che siano
dei puri oggetti dell’intendimento (Verstand) ¢ che tuttavia possono, in quanto
tali, esser dati ad una intuizione, quantunque non intuizione sensibile,...
tali cose sarebbero chiamate noumeni (Intelligibilia). Il noumeno è dunque l’intelligibile,
la cosa in sè, l'oggetto quale noi supponiamo che esista in sò stesso, senza
alcuna relazione con noi; si oppone al fenomeno, che è la parvenza, l’oggetto
quale è formato per mezzo della esperienza © quale possiamo rappresentarcelo
mediante le impressioni del senso. Però Kant distingue due specie di noumeni:
nowmeni in senso positivo, cioè gli oggetti di una possibile intuizione
intellettuale, che 1’ uomo non solo non ha, ma di cui non può vedere nemmeno la
possibilità; noumeni in senso negativo, ciod tutte le cose non percepibili coi
sensi, quali sarebbero appunto gli oggetti cui noi riferiamo le nostre
parvenze. Nè la prima nd la seconda specie di noumeni sono conoscibili, poichè
di essi non v’ ha 49 RaxzoLI, Dizion. di
scienze filosofiche. Noz 770 nd intuizione intellettuale nd intuizione
sensibile; chd sebbene il concetto del noumeno negativo si presenti
necessariamente al nostro pensiero (in quanto |’ apparenza della cosa
presuppone la cosa) esso tuttavia è affatto indeterminato, è un concetto che
serve a limitare le nostre cognizioni nella cerchia dei fonomeni. È da notare
però che Kant ed è questo il punto oscuro della sus dottrina concepisce la cosa in sò come tale, che si
trova in relazione necessaria col fenomeno, di cui è il sostrato intelligibile;
nella Critica della rag. pura egli afferma spesso « che le cose hanno una
duplice esistenza, fenomenica e noumenica; che esso esistono prima in sò
stesse, poi nei loro rapporti con noi; e che la loro esistenza noumenica è il
fondamento doi fenomeni che ce le rivelano ». Ora, ciò è fare più che un uso
limitativo del concetto di noumeno; infatti, fenomeno e nonmeno sono così
posti, in un certo senso, come una sola e medesima cosa còlta sotto due
aspetti, ora quale è in sò, ora quale appare alla sensibilità ο al pensiero.
Cfr. Kant, Krit, der rein. Vern., A 248, 287; B 334, 307; Krit. d. prakt.
Vern., ed. Kirchmann, « Beleucht. der Anal. », 114-115; Platone, Timeo, 51 D
(v. agnosticiemo, conoscenza, limite). ‘Nozione. Lat. Noscere conoscere; T. Gedanke, Voretellung, Begriff;
I. Notion; F. Notion. Ha un significato molto vasto 9 molto vago; forse per
questo è frequentemente usato in filosofia. Può infatti adoperarsi come
sinonimo di iden, di oggetto presente nel nostro pensiero, ma del quale nulla
affermiamo o neghiamo; e come sinonimo di principio supremo di ragione, cioò di
concetto esprimente una verità universale © necessaria. Qualche volta indica l
insieme delle conoscenze elementari che si hanno intorno à un fenomeno o
insieme di fenomeni. Nella logica si adopera per designare gli elementi che
costituiscono la materia del giudizio, e che si esprimono nel linguaggio per
mezzo dei termini, come il giudizio stesso per mezzo della ΤΠ -Ne. proposizione. L’ Helmholtz distingue
nel senso della vista la intuizione ο la nozione (Anschauung), che è la
percezione accompagnata dalle sensazioni corrispondenti, dall’ impressione
(Perception), che è una nozione che non contiene nulla di ciò che non proviene
immediatamente dalle impressioni del momento, ossia una nozione tale che
potrebbe formarsi senza alcun ricordo di ciò che prima si avrebbe veduto, e
dalla rappresentazione (Vorstellung), che è l’imagine che la memoria ci
presenta di un oggetto assente; quindi una sola e medesima nozione può essere
accompagnata da sensazioni corrispondenti a gradazioni diversisnime; 9 per
conseguenza la rappresentazione e l’impressione possono combinarsi in rapporti
molto differenti per formare una nozione, Cfr. Helmholtz, Physiolog. Optik, 1867; Wundt, Grundriss
d. Payohol., 1896, $ 17 B; Berkeley, Princ. of Human Knowledge, 1871, part. I, $ 142. Nulla. Lat. Nihil; T. Niohte,
Nicht-sein; I. Nothing, Non-being; F. Rien, Néant. O'non-essere; fu ammesso da
alcuni filosofi e negato da altri. Gli elesti, che primi formularono i
principii d’identità e di contraddizione, dettero a tali principii un valore
ontologico, obbiettivo, cercando di determinare con essi la natara del reale;
perciò sostennero che l’essere soltanto è, che il nulla non è possibile, © che
quindi è impossibile il mutamento e il diventare, i quali implicano la realtà
del nulla. Gli atomisti identificarono il nulla col vuoto, cioè il puro luogo ο
l'estensione pura; Platone, come ammette il correlativo oggettivo di idea, così
ammette anche la realtà del nulla (non = materia) come correlativo della idea
del nulla; gli eraclitei, infine, opponendosi agli eleati, considerano il nulla
come principio del diventare. L'antica disputa tra gli elenti © gli eraclitei
si rinnovò nei tempi moderni tra 1’ Herbart, che nega il divenire in quanto
implica In realtà del nulla, © 1’ Hegel che identifica l'essere affatto
indeterminato col nulla, « Il puro essere, dico 1’ Hegel, forma il NUM 772
cominciamento, perchè esso è così pensiero puro, come è, insieme,
l'elemento immediato, semplice © indeterminato; ο il primo cominciamento non
può essere niente di mediato e di più precisamente determinato. Ora, questo
puro essere è la pura astrazione, o, per conseguenza, è l’ assolutamente
negativo, il quale, preso anche immediatamente, è il nulla, Reciprocamente, il
nulla, considerato come codesto immediato eguale a sò stesso, è il medesimo che
l'essere. La verità dell’ essere come del nulla è perciò l’unità d’entrambi.
Questa unità è il divenire ». Ad ogni modo, si può osservare contro la teoria
eleatico-herbartiana, che il principio di continuità elimina dal divenire la
nozione del nulla introducendovi quella del differenziale, e cho d’altro canto
la realtà del divenire senza il nulla è provata dai princi, della persistenza
della forza, della indistruttibilita della materia, ece.; contro 1’ Hegel, che
il correlativo oggettivo del nulla è la negazione, e che l'essere affatto
indeterminato è una negazione satratta, la quale non si pensa nel divenire
reale, ove ogni negazione (della realtà preesistente) è un nuovo essere e una
nuova determinazione. Cfr. Sesto Empirico, Adv. Math., VI, 65, 77 sogg.;
Diogene Laerzio, IX, 44; C. Wolff, Vernitnftige Gedanken, 1738, I, $ 28; Hegel,
Eneyklopädie d. philos. Wissensoh., 1870, $ 86-88; Rosmini, Pricologia, 1846,
vol. I, p. 274-75; MASCI (vedasi), Logica. (v. essere, divenire, inane,
negazione, non-essere). Numero, T. Zahl; I. Number; F. Nombre. Data l'idea di
unità © la proprietà che essa possiede di poter essere aggiunta a sò stessa, da
questa successiva addiziono si ottiene una serie di quantità determinate, che è
il numero. Numerus est acervus ex unitatibus profueus, dice Boezio. La serie
dei numeri è #llimitata © discontinna o disoreta: illimitata perchè
l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioò l'aggiunta di una
unità, è sempre identica a sè stessa; discreta perchè si passa da una unità a
un’altra senza transizione, per quanto il passaggio possa 773
Num essere impiccolito mediante numeri frazionari; questo passaggio non
potrebbe sparire se non nel caso in cui l’unità su cui si opera fosse nulla, ma
ciò è contro l'ipotesi. Il numero è quindi una quantità discreta, ο perciò da
principio il numero è concepito come avente un carattere essenzialmente
conoreto; solo più tardi si concepirono numeri astratti, i cui elementi, se
sono semplici unità senza comprensione, mantengono però il loro carattere di
unità, cioè d’individualità distinta da tutte le altre. Soltanto nel calcolo
differenziale il numero è concepito come una quantità continua, colla
supposizione arbitraria d’una quantità infinitamente piccola, minore d’ogni
quantità data senza però essere nulla.
Nella storia della filosofis al numero fa ‘attribuita una importanza
metafisica, specie nei sistemi di Pitagora, di Platone e di Giordano Bruno.
Peri pitagorici i numeri non sono soltanto la forma secondo cui son fatte le
cose, ma costituiscono la vera essenza delle cose stesse, talchò tutto in
sostanza è numero; il numero dispari ο illimitato è l’imperfetto, cioè il male,
il numero pari ο limitato è la perfezione, cioè il bene; l’arinonia, cioè
l'unione dei contrari, forma le singole cose ο il mondo intero. In Platone la
teoria dei numeri non è che la traduzione della teoria delle idee; egli
distinguo i numeri sensibili, cioè le coso reali © contingenti, i numeri
matematici, immobili ed eterni, propri del mondo intellettuale, ο i numeri
ideali, ciascuno dei quali è essenza e corrisponde ad una determinata classe di
esseri; i numeri ideali generano quindi i sensibili ed i matematici, ed essendo
concreti non possono-dar luogo ai calcoli. Giordano Bruno, infine, considera
l’universo come un sistema di numeri; l’ ui verso è uno, sebbene sia infinito ©
consti d’infinite parti, in ciascuna delle quali abita la forza infinita, la
quale si presenta come triade: Potenza, Sapienza, Bontà. In ciò Bruno riflette
lo spirito del Rinascimento, nel quale, per P intlusso delle antiche dottrine
platoniche ο neo-platoniNum T4 che, i numeri @ il loro ordinamento si
ripresentano come elementi essenziali del mondo fisico, contro la dottrinn
aristotelico-stoica delle forze qualitativamente determinate, delle forme
interne degli oggetti, dello qualità occulte. Il libro della natura appare
scritto in cifre ο I’ armonia dello cose quella del sistema dei numeri; tutto è
ordinuto da Dio secondo la misura ο il numero, ogni vita è uno sviluppo di
rapporti matematici. Questo matematicismo rasionalistico -che diventa una
fantastica mistica dei numeri in Bouillée, in Cardano, in Pico, in Reuchlin non
mancò di continuatori nei secoli successivi; ancor oggi Ermanno Cohen proclama
che « il’detto profondo di Pitagora, fl numoro è la misura di tutte le cose,
rimane sempre V’ eterna guida del pensiero, perchè il numero è il principio
della produzione del contenuto, è la sorgente perenne onde scaturisce l'oggetto
». Ma nel pensiero moderno e contemporaneo, il problema del numero è un
problema essenzialmente gnoseologico, la cui soluzione è cercata ora nel
razionalismo leibniziano, ora nell’ intuizionismo kantiano. Per il Wundt il vero
sostegno dell’ idea di unità, da cni ha origine il concetto del numero, è il
singolo atto del pensiero, der einselne Denkact ; la funzione del numero non è
che una particolare manifestazione della funzione logica del pensiero, che
collega i singoli utti mentali, astraendo totalmente dal loro contenuto ; ogni
cifra rappresenta quindi una serio di atti mentali di qualsivoglia contenuto, o
che si sono realmente succeduti, 0 la cui successione si indica come un
problema, la cui soluziono deve avvenire nella stessa maniera onde il nostro
pensiero riunisce continuamente rappresentazioni singole in una aggregazione di
unità: « Il concetto di numero è ciò che rimane come costante dopo
l'eliminazione di tutti gli elementi variabili, il legame dei singoli atti di pensiero
in quanto tali, astrazion fatta da ogni contenuto ». Per il Jerusalem l’origine
del concetto di numero sta da un lato nelle proprietà ob 1% Num biettive delle cose, dal’ altro nella
funzione del giudizio; gruppi di oggetti somiglianti debbono prima attrarre la
nostra attenzione; l'osservazione di tali gruppi ci obbliga poi a ripetere un
identico giudizio denominativo; ma la ripetizione non è arbitraria, bensì è
determinata dal numero degli individui compresi nel grappo: « Ogni numero è una
sintesi. Esso consiste di unità, ma è un tutto che riunisce in sè i singoli
oggetti ο mediante tale riunione diventa un nuovo centro dinamico, nel quale
sono immanenti le forze create primitivamente con tale riunione. Ma tale
sintesi raggiunge sufficiente stabilità solo a condizione che il gruppo
permanga sempre riunito e con la ripetizione dei singoli atti giudicativi venga
di nuovo intuito ο concepito insieme come una totalità ». Per il Masci il
numero non è una intuizione ma una epicategoria, in quanto è una forma generale
della quantità senza individualità propria, una determinazione implicita nell’
idea di qualsivoglia ente reale come tale: « Tutto ciò che è reale è
numerabile, e insieme il namerare è la forma pid generale e più estrinseca
della funzione di sintesi e di analisi in cui consiste il pensare. Ma come
sintesi ed analisi estrinseca è indifferente alla qualità ¢ alla natura della
realtà. In questo carattere estrinseco, aggregativo, che distingue quel pensare
che è numerare, sta la differenza tra l’idea di numero e le altre due categorie
(di sostanze e di causa), e per questo si può dire che il numero sia una
categoria avventizia, una epicategoria ». Cfr. Aristotelo, Metaph., XIII, XIV; Alb. Magn., Summa
thool., I, qu. 42, 1; Kant, Arit. d. rei. Fern, A 143, 147, B 182, 186;
Michaëlis, Über Kants Zahlbegrif, 1884; Id., Über Stuart Mille Zahlbegriff. 1888; Helmholtz, Zahlen und Messen, in Philos.
Aufaiitze, E. Zeller gewidmet, 1887; Wundt, Logik, 1898, I, 468; Jerusalem, ie
Urteilafunotion, 1895, p. 254; Couturat, Je l'infini mathématique, 1896 ; Id.,
art. in Revue de Métaphysique, 1898, 1899, 1910; Whitehead et B. Russel,
Principia Num-0BB 776 mathomatica, 1910; A. Lalande, Letture sulla
filosofia delle scienze, trad. it. 1901, p. 66 segg.; F. Masci, Sulla natura
logica dello conoscenze matematiche, 1885 (v. infinitesimale, matematica,
quantità). ο O. Nella logica formale designa le proposizioni particolari
negative (qualche 4 non è B); nella logica dell’ Hamilton designa le
proposizioni parti-totali negative (qualche 4 non è nessun B). Obbiettivare. T.
Objektiviren; I. To objective; F. Obiectiver. Considerare il soggettivo come
oggettivo, porre fuori di noi ciò che è in noi. Obbiettivare il dato della
sensazione (percezione) significa proiettare al di fuori della coscienza le
modificazioni prodotte dai sensi sulla coscienza medesima; o in altre parole,
riferire la sensazione ad una causa oggettiva. L’allucinazione consiste
nell’obbiettivare falsamente le modificazioni della propria coscienza, nel
riferire il dato soggettivo ad una causa oggettiva che non esiste. Schopenhauer
chiama il mondo un obiettivarsi del volere, e il mondo la sua obbiettità. Cfr.
Riehl, Der philosophisohe Kriticiemus, 1876, II, 2, p. 56; Ardigò, 1 fatto
psicologico della percezione, in Opere fil., IV, 1907, p. 357 segg.;
Schopenhauer, Die Welt a. W. u. Vorst, ed. Reclam, I, $ 45, 30 (v. oggetto).
Obbiettivismo v. oggettivismo. Obbiettività. T. Objektivität; I. Objectivity;
F. Objecticité. Carattere di ciò che è obbiettivo. Designa comunemente
l'attitudine a cogliere il significato reale delle cose ο dei fatti, a
giudicare gli uomini ο gli avvenimenti indipendentemente dalle proprie
attitudini mentali, dai propri sentimenti, inclinazioni e passioni. Nella
psicologia per obbiettività della percezione s'intende il suo riferimento della
modificazione organica (sensazione) alla causa che T7 Ons
VP ha prodotta, per cui si pone come esterna al soggetto senziente la realtà di
un oggetto che agisce come stimolo. Cfr. Ardigò, Il fatto psicologico della
percesione, Op. til., IV, 1907, p. 357 segg.; Laas, Idealismus und
Positiviemus, 1884, III, p. 45-68. Obbiettivo v. oggettivo. Obbietto v.
oggetto. x u Obbiezione. T. Einwurf, Einwand; I. Obieotion; F. Objection.
Argomento che si pone innanzi per abbattere una opinione, una dottrina, ο per
dimostrarne la parziale falsità. Del suo uso nelle discussioni, dice il
Rosmini: « Chi obietta deve produrre un’ obiezione alla volta, e non passare ad
una seconda fino che la prima non è chiarita efficace ο inefficace ». Cfr.
Rosmini, Logica, 1858, $ 856. Obbligasione. T. Verpflichtung ; I. Obligation;
F. Obligation. Da principio l'obbligazione è un legame di diritto, in virtù del
quale una persona è costretta verso un’altra a fare o non fare qualche cosa:
vinoulum jurie quo necessitate adstringimur alicujus rei solvende. Dal punto di
vista morale l'obbligazione è la coscienza che l’uomo, in quanto essere capsce
di scelta tra il bene e il male, ha di dover obbedire a una norma; si suol
definire come una restrizione della libertà naturale, prodotta dalla ragione, i
cui consigli sono altrettanti motivi che determinano gli uomini ad agire in un
modo piuttosto che in un altro. L’obbligazione è dunque la necessità propria
delle leggi morali, e della massima fra tutte, la giustizia. L’obbligatorietà
propria della giustizia, è la giustizia interiore, che non differisce
sostanzialmente dalla esteriore o sociale; il rispetto che si ha dentro di sò
per la giustizia, non è infatti che un’eco del rispetto che si ha per ogni
idealità sociale che la rappresenti. Ora tale rispetto s’ impone tanto, che la
giustizia è, nell’ uomo morale, obbligatoria per sè stessa, cioò acquista un’
etticacia morale direttiva nel dominio stesso dello pure intenzioni. È, dice
l’Ardigò, Occ 778 un senso di tensione, un’espansione interna,
invincibile, un bisogno di compiere le nostre ideo mediante gli atti, senza di
che il senso di obbligazione non è perfetto e non è propriamente completo il
pensiero; la sua origine sta nella ricordanza assommata e indistinta del dolore
provato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci, cosicchè il dovefe morale,
in ultima analisi, nasce dal dovere giuridico fino a diventare una forma
costituzionale della psiche dell’individuo. Cfr. Planiol, Traité de droit
civil, 3* ed., I, p. 678; Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 122
segg.; R. Bianchi, L’obbligasione morale, ; G. Fulliquet, Essai sur Vobligation
morale, 1898; Fred Bon, Über das Sollen und das Gute, 1898. Occasionali (cause)
v. cause occasionali. Occasionalismo. T. Ocoasionaliemus ; I. Oocasionalism ;
F. Ocoasionalisme. La dottrina delle cause occasionali, secondo la quale causa
vera e prima d’ogni accadere è Dio, mentre i singoli eventi sono soltanto
occasioni per altri eventi, ma non li producono; con essa specialmente si ceroò
di risolvere il dualismo posto da Cartesio tra l’anima e il corpo. Questa
dottrina, sostenuta dal Clanberg, Geuliner e Malebranche, si oppone a quella
cartesiana delVinflusso fisico, fondandosi specialmente sopra la ragione che,
non essendo possibile che operi chi non ha la coscienza di operare, un influsso
reciproco tra anima e corpo è impossibile, perchè I’ uomo non può averne
coscienza. D'altro canto, nessun corpo ha la forza di muovere sè stesso, e uno
spirito finito non può col mezzo della propria volontà muovere nessun corpo.
Tra spirito e corpo non c'è dunque alcun rapporto. Essi soffrono ed operano
quei cangiamenti, che in loro avvengono, ognuno da sè, nell’ambito proprio e
secondo leggi proprie. Eum, qui corpus et mentem unire roluit, simul debuisse
statuere et menti dare cogitationes, quas obsercamus in ipsa ex oocasione
motuum sui corporis esse, el determinare corporis eius ad eum 779
Occ modum, qui requiritur ad eos mentis voluntati subiciendos. Davanti
al mondo lo spirito è un inerme spettatore ; ma Dio fa sì che quando succede un
cambiamento nello spirito, cioè nel pensiero, ne succeda uno di corrispondente
nel corpo, cioè nell’estensione, e viceversa; i due orologi costruiti allo
stesso modo dallo stesso artefite ~ secondo l’imagine del Geulinox, che più
tardi Leibnitz volle rivendicare a sò 8’ accordano perfettamente ma non per
virtù loro, absque nulla oawsalitate, qua alterum hoo in altero causat, sed
propter meram depentiam, qua utrumque ab cadem arte et simili industria
constitutum est. Cfr. Clauberg, Opera philosophioa, 1691, p. 219, 221;
Pfleiderer, Leibnitz und Geulinez, 1884; La Forge, Traité de Vesprit de
l'homme, , Pp. 129; Geulinox, Opera philosopkioa, 1891, I, sez. Il, § 2;
Malebranche, De la recherche de la verità, 1712, II, 6, 7, III; L. Stein,
Antike und mittelalterliche Vorläufer des Ocoasionaliemus, (v. occasione, cause occasionali). Occasione.
T. Gelegenheit, Veranlassung; I. Oocasion: F. Oocarion. Nel linguaggio comune è
il concorso fortuito di circostanze favorevoli alla produzione di un
avvenimento. Si distingue dalla condisione, che è una circostanza senza la
quale l’effetto non si sarebbe prodotto, e dalla causa, considerata come la
produttrice diretta e necessaria dell'effetto. Il Malebranche per occasione
intendeva semplicemente l’antecedente costante di un fatto, non la causu
efficiente del fatto. L'unica causa efficiente è Dio; nel mondo sensibile o
materialo non vi sono nè forze, nè forme, nd capacità, nd vere qualità da cui
possa risultare l’effetto; vi sono soltanto occasioni che Dio fa succedere
affine di operare in questa o quella materia. Cfr. Malebranche, Entretione
métaphysiques, 1871, VII, 159 segg. Occulto. T. (ieheim, Occult; I. Ucoult; F.
Ocenlte. Si dicono occulte le
scienze, o pretese scienze, che hanno per oggetto la conoscenza del futuro, la
sua predizione, e il compimento di azioni che escono dalle leggi ordinarie
della Occ 780 natura. Si distinguono in dirinatorie, che
cercano scoprire l'avvenire mediante }’ interpretazione di certi segni ο
avvenimenti, e tali sono la mantica, la chiromanzia, l’astromanzia, ecc.; e in
taumaturgiche, quali la cabbala, la magia, l’ermetica, la demonologia, che
hanno lo scopo di allontanare il male e procurare il bene, mediante regole e
pratiche speciali. Diconsi potense ocoulte gli esseri imaginari e nascosti con
cui si spiegarono i fenomeni naturali, qualità ooculte quelle che si presentano
allo spirito come una proprietà data, irreducibile © inesplicabile, cause
occulte quelle forze inosservabili, sia sovrannaturali che naturali, con cui,
nella filosofia medievale, si credeva spiegare la natura delle cose. Ls
dottrina delle qualità occulte, delle forze qualitativamente determinate, è
caduta nel Rinasci mento, il quale, sotto l'influsso della letteratura antico,
specialmente delle opere neo-pitagoriche, sostituisce ad essa il concetto
quantitativo ο numerico : il libro della natura è seritto con cifre, l'armonia
delle cose d'quella del sistema numerico, tutto è ordinato da Dio secondo la
misura e il numero, ogni vita è uno sviluppo di rapporti matematici. Questo
principio, liberato dallo strano simbolismo che raggiunge il vertice in
Bouillé, Cardano, Pico, ece., costituirà poi la base metodica della scienza
moderna. Tuttavia, V espressione qualità ooculte è sopravvissuta per molto
tempo, e fu adoperata anche dal desismo agnostico per indicare le forze prime e
sconosciute dei fenomeni: On dest moqué fort longtemps, dice il Voltaire, des
qualités oooultes ; on doit se moquer de ceux qui n'y croient pas. Répetons cent fois que
tout principe, tont premier resnort de quelque autre que ce puisse être du
grand Demiourgor, est occulte et caché pour jamais au mortels. Ce plomb ne
deviendra jamais argent; cet argent ne sera jamais or ; cet or ne sera jamais
diamant Quelle physique corpusoulaire, quels atomer déterminent ainsi leur
nature? Voun n’en sarez rien; la cause sera éternellement occulte. Tout ce qui
vous entoure, tout ce qui est dana vous,
781 Ori-OG& est un énigme
dont il went pas donné à l’homme de deriner le mot ». Cfr. Voltaire, Œurres
complètes, 1817, t. II, par. II, p. 1471; Schopenhauer, Satz rom Grunde, 1878,
$ 20; Nettesheim, Philosophia occulta, 1510. Ofiti. Uno dei nomi col quale fu indicata la Gnosi nel
primo nascimento, e col quale si alludeva al culto del serpente, la cui
dialettica aveva talmente intrecciato il bene col male, che l'uno non poteva
distinguersi dall’altro. Dicesi
offolatria una specie della zoolatria, ο adorazione degli animali, propria di
alcune religioni dei popoli primitivi e selvaggi; essa consiste nel culto dei
serpenti, e si riscontra nell'antica religione egiziana e nelle religioni di
alcuni popoli selvaggi dell’Africa. Cfr. Honig, Die Ophiten, 1889. Oggetti
(teoria degli). 'T. Gegenstandtheorie. Espressione usata primitivamente dal
Meinong, e adottata poi dalla sua scuola, per indicare quella forma contemporanea
di razionalismo, che sostiene la necessità dello stadio dei puri oggetti del
pensiero, come le somiglianze, le uguaglianze, le diversità, i complessi, le
relazioni matematiche; ossia di quelle essenze razionali, che si possono
elaborare a priori, indipendentemente da ogni considerazione d’esistenza
obbiettiva, e che non possono quindi essere oggetto delle scienze empiriche, le
quali trattano invece della realtà esistente obbiettivamente. La teoria degli
oggetti non esistenti (tra i quali il Meinong include persino gli oggetti
impossibili, come il quadrato rotondo, la materia inestesa, ece.) ha una sfera
propria, che, tende ad allargarsi sempre più, fino a raccogliere tutte le
conoscenze a priori; queste non stanno in antagonismo con le conoscenze empiriche,
ma le integrano, come mostra la matematica applicata; ma per quanto le due
forme di conoscenza in pratica possano compenetrarsi, si devono tener distinte
teoricamente le due afere, per poter meglio elaborare e raffinare i mezzi di
ricerca, tenendo presenti i loro caratteri Oa
782 distintivi. Cfr. Meinong,
Ameseder, Mally, ecc., Untersuchungen sur Gegonstandtheorie und Psychologie,
1904; 8. Tedeschi, Un’ equivalente aprioristica della metafisica, « Riv.
filosofica », 1908, vol. XI, p. 289 segg.; Losacco, La teoria degli obietti ο
il rasionalismo, « Cultura filosofica », 1910, fasc. IV, p. 184 segg.; Aliotta,
La reazione idealistica contro la soienza, 1912, p. 372-385. Oggettivismo. T.
Objektiviemus; I. Objoctiviem ; F. Obiecticieme. Dati i vari © spesso opposti
significati della parola oggetto, anche il termine oggettirismo può essere
variamente applicato. In generale designa quei sistemi filosofici che
identificano la cognizione con l’Essere, e pongono quindi come unica la verità
e la scienza nell’oggetto ο nel soggetto; e quelle dottrine morali che
ammettono che la moralità ha una esistenza propria, al di fuori e al di sopra
delle opinioni, della condotta e della coscienza degi individui. Nel linguaggio
comune, l’oggettivismo è l’attitudine a vedere le cose come sono, a giudicarle
serennmente, a non deformarle per partito preso o per ristrettezza di spirito.
Oggettivo s’oppone a soggettiro © designa tutto ciò che riguarda I’ oggetto ο
che esiste come oggetto. Avendo il termine oggetto mutato radicalmente di
signifiesto, anche il termine oggettivo assunse significazioni diverse. Nella
lingua della scolastica, da Duns Scoto in poi, per oggettivo #’ intende non una
realtà sussistente in sò stessa, bensì ciò che costituisco una rappresentazione
della coscienza; questo significato rimane fino al Baumgarten, ma alcuni, come
il Renouvier, vorrebbero continuar a chiamare oggettivo « ciò che si offre come
oggetto, ciod viene rappresentativamente nella coscienza, e soggettivo ciò che
è della natura del soggetto, sia d’un rappresentato qualunque in quanto la
conoscenza vi scorge qualche cosa di distinto dal suo atto proprio, e d’un
supposto dato în qualche 783 Oca modo fuori di essa, senza di essa ». In
generale però oggi dicesi oggettivo ciò che è esteriore alla coscienza, che è
al di fuori del pensiero, che esiste indipendentemente dal pensiero. Il metodo
oggettiro nella psicologia, si contrappone al soggettivo ο introspettico, e
consiste nello studio dei fatti psichici quali si manifestano negli altri
uomini, negli animali, nell’individuo normale e nell’anormale, nel fanciullo ο
nell'adulto. Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 68, 203, 134;
Renouvier, Essais de Critique gen., Logique, cap. I; Bechterew, Les problèmes
et les méthodes de la peychologie objective, « Journal de Peychologie », nov.
1909; Kostyleff, Les travaux de l’école peychologique russe, « Revue
philosophique », nov. 1910; Liard, La science positive οἱ la métaphysique, 1879, 1. II, cap. I, II. Oggetto. T. Gegenstand, Objekt;
I. Objeot ; F. Objet. Si oppone a
soggetto, ed è la traduzione latina del greco ävzıxelpevoy, usato dla
Aristotele. Però lo Stagirita usava questo termine in un senso affatto opposto
al nostro e ciod per designare ciò che è pensato, ciò che è rappresentato ©
nella coscienza; usava invece il termine 5xoxelpevoy (che i latini tradussero
subiectum) per indicare ciò che è reale, la sostanza che è il sostrato
dell’azione, l'essere unico © identico che si manifesta nei fenomeni multipli ο
mutabili. Tale siguificato si mantenne durante tutto il medicevo ο si trova
ancora in Cartesio e Spinoza. Così per Cartesio la realtà oggettiva è quella
dell’iden sola, ο della cosa in quanto non è considerata che nel pensiero; egli
chiama poi realtà formale ο attuale quella dell'oggetto stesso delle nostre
idee © realtà eminente quella che è superiore sia all'idea che all'oggetto, e
contiene in potenza ciò che in essi è di fatto. Spinoza l’ usa nello stesso
significato: « Un'idea vera deve corrispondero esattamente all'oggetto che essa
esprime, ossin (e ciò facilmento si comprende da sè) che ciò che è contenuto
oggettivamente nell’ intelligenza deve necessariamente esistero nella naOcc
* 784
tara ». E anche il Berkeley: « I fenomeni naturali non sono che
apparenze naturali, ο son dunque quali li vediamo e li percepiamo. La loro
natura reale e la loro natura oggettiva sono dunque identiche ». Ma nel sec.
XVIII ο al principio del XIX, il significato dei due termini mutò radicalmente,
ο d’allora in poi per oggetto si intese ciò che è reale, che esist in sè,
indipendentemente dal pensiero, © per soggetto l'io che pensa, che rimane uno ©
identico attraverso i suoi fenomeni mutevoli e multipli. Questo cambiamento nel
significato assunto dai due termini, è dovuto principalmente a Kant e a Fichte,
col primo dei quali assunse tanta importanza il problema della conoscenza,
ossin dei rapporti tra il pensiero e la realtä. « Spatium non est aliquid
obiectivi, seu realise, dice ad es. Kant, sed eubjectioum et ideale, et natura mentis stabili
lege proficiscens ». Però la
distinzione tra soggetto © oggetto deve essere intesa come una distinzione di
diritto; ossia l'oggetto non può essere, in senso assoluto, cid che è in sò
stesso, fuori del nostro spirito e d’ogni spirito, perchè un'esistenza che non
è affermata da una coscienza ο spirito è inconcepibile; © nemmeno ciò che è
rappresentato in comune da tutti gli spiriti, perchè tale accordo può anche
verificarsi per ciò che è falso; bensì, ciò che è il fondamento stesso
dell’accordo degli spiriti, ciò che è in «2 nella nostra coscienza © in tutte
le coscienze, per opposizione non a ciò che è fuori d’ogni coscienza, ma a ciò
che, in una coscienza qualunque, è pura rappresentazione contingente e
passeggera. Cfr.
Aristotele, De an., III, 2, 426 b, 8; Id., Metaph., IV. 5, 1010 b, 33 segg.;
Encken, Gesch. d. phil. Terminologie,
1879, p. 134, 204; Cartesio, Medit., 1685, III, 11; Spinoza, Ethica, 1677, 1.
I, teor. xxx, dimostrazione; Berkeley, Siri, $ 292; Kant, De mundi sensibili
atque intelligibilio forma et principiie, $ 15: Id.. Krit. d. rein. Vern., A 780, B
808; Fichte, Grundlage d. ger. Wissenschaftelehre,
1802, p. 20-40, 131 segg.; Bulletin de la
1785 ους soc. française de phil.,
giugno 1912 (ν. conoscenza, coscienza, criticiemo, io). Olfattive (sensazioni). T.
Geruchsempfindungen; I. Sensations of emell; F. Sensations olfaotives. Hanno per organo la regione superiore delle
cavità nasali, per stimolo le particelle delle sostanze odorose trasportate
dalla corrente aerea a contatto con le superfici olfattive, per contenuto
l’odore. Le qualità degli odori sono, a differenza dei sapori, in numero
straordinariamente grande, tantochè non solo manca una vera classificazione
scientifica e una scala degli odori (la classificazione più accettata è ancora
quella di Linneo) ms non siamo neanche capaci di segnalare con appellat diversi
le qualità differenti degli odori, e per esprimerci dobbiamo servirei dei nomi
delle sostanze vegetali ο animali che li emanano. Si suol distinguere la
finezza dell'olfatto, ossia la cnpacità di distinguere le piccole differenze
d’intensità degli odori, dall’acuità olfattiva, ossia la capacità di percepire
minime quantità di sostanze odorose; quest’ultima si misura per mezzo
dell’olfattometro, determinando i valori liminali dell’eccitamento olfattivo
rispetto ai singoli odori. Dicesi ogfresologia (ὄσφρεσηις = odorato) quella
parte della psicologia che ha per oggetto lo studio delle sensazioni olfattive;
anosmia (ὀσμή =. odore) l’incapacith, congenita o aequisita, di percepire gli
odori; paraosmia le sensazioni olfattive allucinatorie; iperosmia
l'abbassamento abnorme della soglia della sensibilità dell'olfatto, per cui
possono essere avvertiti odori che normalmente non si avvertono. Una
caratteristica delle sensazioni olfattive, sta nel loro legame con la sfera dei
sentimenti; tutti gli odori che funzionano come stimoli determinanti riflessi
nella sfera della vita vegetativa e riproduttiva determinano costantemente un
sentimento di piacere. Un’altra caratteristica sta nella loro capacità di rievocare
per associazione l’imagine visiva di Inoghi e di avvenimenti. Cfr. Cloquet,
Osfresologie, 2° ediz. 1821; Zwardemaker, 50
RanzotI, Dizion. di scienze filosofiche. OLI-OnE 786
Physiologie des Geruches, 1895; Nagel, Revue scientifique, 8 « 15 maggio
1897. Oligarchia (ὀλίγος = pooo). Forma di governo, in cui il potere supremo
risiede nelle mani di pochi individui appartenenti all’aristocrazia. Platone la
distingueva però dall’aristoorasia, perchè mentre in questa una classe governa
nell’ interesse comune, nell’oligarchia governa invece nell'interesse proprio.
Cfr. Platone, Repubblica, V ο VI (v. aristocrazia, demoorasia). Omeomeria
(ὁμοιομέρεια). Elementi primitivi non percettibili, divisibili all’ infinito e
qualitativamente differenziati, con la cui aggregazione Anassagora spiegava la
formazione dei vari esseri. Le omeomerie sono dunque verse dagli atomi di
Democrito, indivisibili e privi di ogni differenza qualitativa, e diverse pure
dagli elementi di Empedocle, differenziati in quattro sole qualità primitive.
Per Anassagors ogni qualità è originariamente sostantiva: il ferro, il legno,
le ossa, il sangue, ecc., sono composti di particelle similari ed
originariamente costituite così. Da principio queste particelle erano mescolate
tutte insieme, in una specie di caos universale; perchè le diverse cose
potessero formarsi, era necessario che il movimento si introducesse nella massa
infinita e indifferenziata, distinguendo ciò che era confuso e producendo le
forme diverse; ora, la causa di questo movimento è, per Anassagora, un’altra
materia speciale e singola, più leggera e più fina degli elementi, capace di
muoversi da sè e quindi di natura peichica, autrice della bellezza e
dell’ordine del cosmo e quindi intelligente: tale materia pensante Anassagora
chiama ragiona ο intelligenza, vodg. Dal momento in cui essa penetrò nel caos,
il turbine della vita si estese in successive spirali in tutte le regioni del
mondo, continua ancora, come indica la rotazione del cielo, ο continuerà senza
interruzione. Il nome di omeomerie fu dato alle qualità primitive da
Aristotele; Anassagora le chiamava invece semi (σπέρ 787 OMN para). Cfr. Aristotele, De gen. et corr.,
I, 1; Simplicio, In Phys. Arist., {. 38; Lucrezio, De rer. nat., I, 890.
Omniscienza. T. Allwissenheit ; I. Omniscience ; F. Omniscience. Uno degli
attributi della natura divina. Si deve intendere nel senso che Dio conosce non
solo ciò che è accaduto nel passato e che socade nel presente, mn anche ciò che
accadrà nell’avvenire; e che codesta conoscenza è diretta, immediata, perchò
Dio non vede gli avvenimenti del mondo fuori di lui, come uno spettatore, ma li
conosce in sò stesso, perchè egli n'è l’autore. L’omniscienze si basa sal
principio della perfezione divina. Aristotele, infatti, aveva già detto: « Dio
non è altro che l’attualità dell’i telligenza; tale attualità presa in sò
stessa ne costituisce la vita perfetta ed eterna ». E 8. Tommaso: « Intendero e
conoscere è la essenza medesima di Dio, éntelligere Dei est sua essentia ». E
da notare però, che la concezione aristotelica di Dio come pensiero che pensa
sò stesso, come pensiero del pensiero, era stata sviluppata da alcuni suoi
discepoli nel senso, che Dio non conosce nessun altro oggetto che non sia il
suo stesso pensiero, e quindi non conosce il mondo. Contro questa illazione
insorsero prima i Padri, poi S. Tommaso, per il quale Dio, che ha distinta
coscienza di sè medesimo e delle sue perfezioni, conosce anche le cose create e
periture, vedendole però nella sua infinita essenza. L’uomo non può conoscere i
corpi se non fanno impressione sopra i suoi sensi; ma a Dio basta contemplare
ln propria illimitata potenza, perchò in lui, fonte prima ed sesoluta della
vita, tutti gli esseri si concentrano come offetti nella loro causa, unde cum
virtus divina ne estendat ad alio, eo quod ipse est prima oausa effectiva
omnium entium, necense est quod Deus alia a #2 cognoncat. Analogamente dice il
Bossuet: « Dio non intende che sò stesso, e tutto intende in sè stesso, perchè
tutto quello che egli è, ο da lui si distingue, si ritrova in lui come nella
propria causa ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 9; Gerson, De consol.
theologie, in Omo 188 Opera omnia, 1706, t.1; 8. Tommaso, 8.
Yheol., I, q. 22, a. 2; Leibnitz, Essais de Théodioée, 1710, © la
Corrispondance aveo Clarke, 1715-16; Bossnet, De la connaissance de Dieu, ο.
IV, art. 8 (v. prescienza). Omogeneo. T. Gleichartig ; I. Homogeneous; F.
Homogène. Cid che è composto di parti ο elementi qualitativa mente identici ;
si oppone ad eterogeneo, che è ciò le cui parti sono di natura differente. Lo
spazio ed il tempo sono, secondo alcuni filosofi, essenzialmente omogenei,
perchè la differenza delle loro parti può essere nella grandezza non nella
qualità. Secondo lo Spencer il processo evolutivo, sia 00smologico che biologico
e sociologico, consiste in un passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo, mediante
un processo continuo di differenziazione e quindi di specificazione. Cfr.
Spencer, First principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v. eroluzioniemo). Omogenesia.
F. Homogenesie. Il Broca chiamò così, in opposizione a eterogenesia, quella
proprietà organica in virtù della quale due germi di sesso opposto tendono a
fecondarsi reciprocamente, dato che tra di loro non intercorra una distanza
zoologica troppo pronunciata. L’ omogenesia è abortira quando la fecondazione
avviene, senza però che il feto giunga a maturità; agenesica quando dà luogo a
prodotti, i quali però sono sterili tra di loro o con gli individui dell'una ο
dell’altra razza madre; disgenerica quando i prodotti sono infecondi tra di
loro, ma fecondi con individui del’ una o dell’altra razza madre, dando luogo a
prodotti pure sterili; paragenesica quando i prodotti sono sterili tra di loro,
ma fecondi con individui dell’ una o dell’ altra razza madre, dando luogo a
nuovi prodotti indefinitamente fecondi, così da originare una nuova razza;
eugenssioa quando i prodotti sono indefinitivamente fertili, cosicchè la nuova
razza si produce direttamente. Cfr. Topinard, L’anthropologie, 1884, pag. 382
segg. (v. ibridiemo, dimorfismo sessuale, razza, pecie, varietà). 789
Omo-Ont Omonimia. Uno dei sofismi verbali, che si fonda sopra
l'ambiguità dei termini. Consiste infatti nell’ adoperare una parola in più significati
senza distinguerli. Tale sarebbe il ragionamento per cui il Berkeley, basandosi
sulla constatazione che una medesima idea può sparire dalla mente ο poi
tornarvi, concludeva alla esistenza di uno spirito universale in oui tutte le
idee avessero la loro sede permanente; qui è confuso evidentemente il medesimo
in quanto numero, col medesimo in quanto specie. Cfr. Aristotele, Metaph., IV,
4; Id., Categ., 1 (v. incosciente). Onirologia. T. Onirologie; I. Onirologg; F.
Onirologie. Può designare tanto quella parte della psicologia che si oocupa dei
sogni, quanto il discorrere che si fa sognando. Viene usata comunemente nel
primo significato, nel quale non vuol essere confusa colla omérocrisia o
oniroorifica, che è la pretesa arte di interpretare i sogni. L’onirologia, come
stadio psicologico dei sogni, si basa essenzialmente sull’osservazione
introspettiva; il suo metodo classico, divenuto tale dal Maury in poi, è quello
della notazione immediata, che consiste nel trascrivere immediatamente,
essendosi risvegliati all'improvviso, le imagini del sogno che sono ancora
fresche nello spirito. Altro metodo è quello della notasione ripetuta, che
consiste nel constatare l'evoluzione subita dal sogno nella memoria,
traserivendo il medesimo sogno a diversi intervalli di tempo. Si sono infine
proposti dei metodi che sembrano scostarsi dai precedenti, in prima linea
Vexperimento: il soggetto che si addormenta in condizioni speciali (sottoposto
alla pressione di guanti ο di nastri, ο dopo una viva impressione ottica, οσο.)
deve riempire, al risvegliarsi, un apposito questionario. Altri ha raccomandato
le inchieste; ma i risultati sono sempre scarsi, perchè i questionari
comportano solo un numero limitato di domande assai semplici, Cfr. Tissié, Les
révee, 1890; 5. Freund,
Die Traumdentung, 1900; J. Bigelow, The mystery of sleep, 1897; Jastrow, Le
subcoscient, trad. franc. 1908; Vascide, ONT
790 Le sommeil οἱ les réres, 1911; M. Foucault, Le rêve, études et
observations, 1906; De Sanctie, I sogni, studi prie. e clinici, 1899. Ontogenesi. T. Ontogenesis; I. Ontogenesis,
Untogeny : F. Ontogénèse, Ontogénie. Si adopera per opposizione a filogenesi, ο
indica lo sviluppo dell’ individuo vivente dalla sun primitiva forma
embrionaria allo stato adulto. Tale sviluppo non sarebbe altro, secondo l’
Haeckel, che una ricapitolazione, una ripetizione abbreviata dello sviluppo
della specie, ciod della filogenesi. Cfr. Haeckel, I'problemi delV universo,
trad. it. 1904, p. 81 segg.; Vialleton, Un problème de l'évolution, 1908 (v.
embriologia). Ontologia (tv, ἔντος + ciò che è, ente). T. Ontologie: I.
Ontology; F. Ontologie. La scienza che studia 1’ essere come tale, P essere
considerato in sè stesso, indipenden-temente dai suoi modi di manifestarsi. Fu
detta anche ontosofia ο filosofia prima. Il Clauberg la definisce quale
soientia que contemplatur ens quatenus ens est, hoo est, in quantum communem
quamdam intelligitur habere naturam.... (qua) omnibua οἱ singulis entibus suo
modo inest. Cristiano Wolff, più brevemente, scientia entis in genere, seu
quatenus ens est ; suo cômpito è di dimostrare que entibus omnibus sive
absolute, sito eub data quadam conatitutione oonveniunt. Spesso ontologia è
sinonimo di metafisica, quando si considera 1’ essere in sè come principio di
tutte le cose; ma per 1’ Herbart, ad es., essa non costituisce che una delle
parti della metafisica, la quale ha il cömpito generale di liberare i concetti
dalle contraddizioni. Al nome ontologia il Galluppi vuol sostituito quello di
ideologia, perchè la stessa nozione di essere, nonchè quella di esistenza, di
possibilità, di sostanza, di attributo, ecc., sono idee essenziali dello
spirito umano, delle quali si deve esaminare l’origine e il valore, per vedere
con qual diritto noi affermiamo la loro oggettivit «L'ideologia dunque non è
che l’ontologia ragionata e filosofica. È un'ontologia foggiata sopra una base
solida ». Al 791 ONT tri filosofi
soppressero l’ontologia, incorporandola nella teologia, altri ancora ridussero
la prima alla seconda. Il Rosmini, opponendosi ad entrambi, ne distingue i
domini, definendo l’ontologia la teoria dell’ essere comune, oppure la teoria
dell’ essere in tutta l'ampiezza della sua possibilità, e la teologia la teoria
dell’ essere proprio, cioè Dio stesso. Egli formula il problema ontologico in
questi cinque modi: trovare la conciliazione delle manifestazioni dell’ ente
col concetto dell’ ente ; trovare una ragione sufficiente delle diverse
manifestazioni dell’ente; trovare la equazione tra la cognizione intuitiva e
quella di predicazione; conciliare le antinomie che appariscono nel pensiero
umano: che cosa sia ente e che cosa sia non ente. L’ontologis, secondo lo
stesso filosofo, precede la cosmologia, che è la scienza dell’ ente finito, il
quale è possibile soltanto dopo la conoscenza dell’ essere in universale,
oggetto della ontologia, e si distingue dall’ ideologia, che si riferisce pure
all’ essere, ma lo considera come pura ed assoluta idea, nella quale tutte le
altre si contengono. Cfr. Clauberg, Motaphysica, 1646, cap. I, 1-2; Cr. Wolff,
Philosophia prima sive ontologia, 1736, $ 1, 8; Baumgarten, Metaphysica, 1739;
$ 41; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. III, p. 982 segg.;
Rosmini, Nuovo saggio aull’origino delle idee, 1830, vol. II, p. 1 segg.; Id.,
Logica, 1853, $ 847 (v. essere, ente, assoluto, anoetico, possibile, filosofia,
metafisica, metodologia, eco.). Ontologico (argomento). Una delle prove a
priori dell'esistenza di Dio. Essa fu enuncista la prima volta da 8. Anselmo
d’Aosta in questo modo: quando lo stesso ateo pronuncia la parola Dio, se sa
quello che dice deve avere il concetto di nn essere del quale îl maggiore non
si può pensare (quo nihil maius cogitari potest); ma questo essere non sarebbe
tale, non sarebbe il massimo degli esseri, se fosse solamente pensato, se
mancasse di esistenza, poichè in tal caso noi potremmo pensarne un altro
esistente, ed ONT 792 esso sarebbe certo maggiore; dunque non si
può supporre che Dio non esista: « Se dunque codesto oggetto al disopra del
quale non ο) ὃ nulla, fosse solamente nell’ intelligenza, sarebbe tuttavia
tale, che avrebbe qualche cosa al di sopra di lui; conclusione che non potrebbe
essore legittima. Esiste dunque certamente un essere al di sopra del quale non
si può nulla imaginare, πὸ nel pensiero, nd nella realtà ». Descartes diede più
tardi un’evidenza matematica a questo argomento, partendo dalla nozione che
abbiamo di un Essere perfetto: come nell’ idea di triangolo è conte nuta l’idea
che la somma dei suoi angoli valga due retti, così nell’ idea d’un essere
perfetto è contenuta l’idea di esistenza, essendo l’esistenza una perfezione.
Spinoza prende l'argomento ontologico come base e proposizione iniziale del suo
sistema: Per oausam sui intelligo id, ouiue cssentia involvit existentiam, sive
id, ouius natura non potest concipi nisi eziatone. Deus sive substantia neosssario existit,
perchè posso existere potentia est; quindi de nullius rei exiatentia entis
absolute infiniti seu perfeoti, hoo est Dei. Infine il Leibnitz formulò
l'argomento così: Dio è per definizione Vessere necessario; ora l'essere
necessario esiste perchè il suo concetto racchiude necessariamente 1’ esistenza
; dunque Dio esiste. Infine l’ argomento ontologico fu criticato da Kant, il
quale, pur riconoscendolo il migliore di tutti, negò ad esso qualsiasi valore
oggettivo. L'esistenza, dice Kant, non fa parte del contenuto del pensiero, ma
bens? lo controlla © lo necessita; il possibile non contiene nulla più del
reale, e cento talleri reali nulla più di cento talleri possibili, hundert
wirkliche Thaler enthalten nicht das Mindesto mehr als hundert mögliche; se jo
penso un essere come la massima realtà, rimane pur sempre da chiedere se esso
esista 0 no: « Il concetto di un essere supremo, conchiude Kant, è un’ ides
utilissima per molti riguardi; ma appunto perchò non è che un'idea, è del tutto
incapace di estendere da sola la nostra conoscenza per rapporto a ciò che
esiste.... Codesta prova ontologica tanto vantats, che pretende dimostrare per
via di concetti l’esistenza di un essere supremo, perde dunque tutta la sua
fatica, e non si diventerà più ricchi in conoscenze con delle semplici idee, di
quello che diventerebbe ricco in denaro un mercante se, nel pensiero
d’aumentare la sua fortuna, aggiungesse alcuni zero al suo libro di cassa ».
Cfr. 8. Anselmo, Proslog., 2, 3; Cartesio, Medit., V; Spinoza, Ethica, 1. 1
def. I, teor. XI, scol. ; Leibnitz, Mém. de Trévour, 1701; Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 468-475; C. Guastella,
Filosofia della metafisica, 1905, vol. I, app. al cap. VI, $ 6 (v. gli
argomenti cosmologico, fisico, ideologico, morale, storico). Ontologismo. T.
Ontologismus ; I. Ontologiem; F. Ontologisme. Non deve confondersi con
ontologia, che ha un significato più generale. Designa talvolta quella scuola
filosotica, che vuol far precedere l'ordine reale all’ ordine psicologico delle
conoscenze, ossia che i metodi e i principt della filosofia vuole siano cercati
nell’ oggetto ο non nel soggetto. Ma più comunemente il vocabolo è adoperato a
denominare la filosofia del Gioberti, che, opponendosi allo psioologismo
iniziato da Cartesio e continuato dalla filosofia moderna, sostiene che noi
dobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva intuizione della mente: Ens
oreat existentias ; il prendere come punto di partenza |’ esame della coscienza
ο dei processi del conoscere, trasporta la filosofia al di là della sua sfera e
conduce logicamente al sensismo, al protestantismo, all’ ateismo, Cfr.
UeberwegHeinze, Grund. d. Gesch. d. Phil., 83 ed., II, p. 328; Cournot, Essai
sur les fond. de nos conn., 1851, t. I, p. 307; Gioberti, Introduzione allo
studio della filosofia, 1850, t. I, p. 272 segg. (v. ente, psicologismo).
Ontosofia. Sinonimo poco usato di ontologia. Opinare. T. Meinen, Vermuthen; I.
To opine; F. Opiner. Consiste nel ritenere per vero ciò che si presume soltanto
Orr 794
probabile, cid di cui non si possiedono le ragioni per essere
perfettamente certi. È quindi un atto soggettivo, che si distingue dal sapere,
che consiste nella certezza di una verità o di un ordine di verità, basste
sulla ragione o sulla esperienza; © dal credere, che consiste nell'accettare
come vero ciò che è indimostrato ο ciò che l’ autorità altrui ci impone di
considerare come vero. Quindi si hanno due forme del credere: quella
scientifica, in cui l’indimostrabilità di un dato proviene dall’ essere esso
fondamento di ogni dimostrazione (assiomi, postulati), e quella religiosa, in
cui il dato manos di ogni prova e non si accetta che per l'autorità altrni. E
falso dunque voler porre questa seconda come base della prima (v. critica,
dubbio, fede). Opinione. Gr. Δόξα; Lat. Opinio; T. Meinung; I. Opimion; F.
Opinion. Non bisogna confonderla con la conoscenza, con la oredenza, con la
conrinsione. La conoscenza è determinata da motivi sufficienti; la credenza da
motivi insufficienti, che però non tolgono la persuasione di possedere la
verità; la convinzione è una credenza spiccatamente tenace e sicura; l'opinione
infine non è che una credenza incompleta, in quanto si fonda su motivi che sono
insufficienti e si riconoscono come tali. « L’ opinione, dice Kant, è il fatto
di ritenere qualche cosa come vero, con la coscienza d’ una insufficienza
soggettiva e obbiettiva di tale giudizio ». Già prima Cicerone l’ aveva
definita imbecillam assensionem, 8. Bonaventura assenzio anime generata ex
rationibus probabilibue, ο Cristiano Wolff propositio inaufficienter probata.
L'antica sofistica aveva ridotto ogni pensiero ad opinione; se la verità è
l'opinione individuale, ogni cosa prende norma e valore dal soggetto; da ciò il
detto di Protagora: « l’uomo è la misura di tutte le cose ». A codesto
scetticismo 6’ oppose da prima Socrate, che foce consistere il vero sapere non
nell’ opinione, ma nel conoscere i concetti delle cose; poscia Platone, che,
mantenendo il divario tra l'opinione (δόξα) che deriva dai sensi 1795
OPP-ORD € la cognizione (ἐπιστήμη) che è data dai concetti, feco
corrispondere all’ opinione i fenomeni mutevoli, ai concetti ciò che v' ha di
costante nell’ avvicendarsi dei fenomeni, cioè la realtà, 1’ essenza, l’ Idea.
Cfr. Platone, Zepubl., V, 477 B, 478 B, Meno 97 E; Aristotele, Met., VII, 15,
1039 b, 33; Cicerone, Tusc. disp., IV, 7; 8. Bonaventura, In lib. sontent., 3,
d. 24, art. 2, 2; Cr. Wolff, Philosophia rationalis, 1732, $ 602; Kant, Krit.
d. r. Vern., A 822, B 850 (v. antropometrismo, concetto). Opposizione. T.
Gegensatz, Gegensetzung, Opposition; I. Opposition; F. Opposition. Una delle
tre specie principali di relazioni immediate tra le proposizioni ; essa ha
luogo tra le proposizioni identiche di contenuto, ma diverse di qualità, o
diverse di qualità e modalità insieme, potendo essere identica ο diversa la
quantità. L'opposizione può essere contraria, contradditoria ο suboontraria.
Sono opposte contrarie le proposizioni universali d’identico contenuto ma di
qualità opposta, e le proposizioni apodittica negativa e apodittica
affermativa. Sono opposte subcontrarie le proposizioni particolari d’identico
contenuto e di qualità opposta, e ngualmente le problematiche affermative e le
problematiche negative. Sono opposte contradditorie quelle d’identico contenuto
ma diverse di qualità e quantità, e ugualmente l’apodittica negativa e la
problematica negativa, Si dicono infine opposte subalterne le proposizioni d’
identico contenuto e qualità ma di diversa quantità, e ugualmente le
apodittiche e le problematiche della stessa qualità e contenuto. Cfr. Ueberweg,
System d. Logik, 1874, $ 97; MASCI (vedasi), Logica (v. contrappoxizione,
conversione). Ordine, T. Oränung; I. Order ; F. Ordre. Una delle idee
fondamentali della intelligenza. Si pnd definire come la nozione o la
comprensione d'una coerenza qualsiasi, fondata sopra un rapporto quantitativo,
qualitativo, meccanico o teleologico. Il
Cournot ha distinto I’ ordine logico dall'ordine razionale: il primo consiste
nell’ incatenare i ORG 796 fatti secondo I’ ordine lineare, che è quello
del discorso; il secondo nel mettere in luce la relazione secondo la quale i
fatti, le leggi e i rapporti, oggetto della nostra conoscenza, si concatenano e
procedono gli uni dagli altri. Nella
logica matematica l’ ordine seriale è l’ esistenza tra più termini d’ una
relazione transitiva asimmetrica.
L’ordine della natura è l’ insieme delle ripetizioni manifestate sotto
forma di tipi o di leggi dagli oggetti percepiti. 1) ordine sociale è l'insieme delle regole alle
quali i cittadini debbono conformarsi, e la sottomissione dei citta dini a
codeste regole. I giuristi distinguono l’ordine giuridico dall’ ordine
pubblico, considerando questo come un fine rispetto al quale il primo è un
mezzo; mentre, infatti, l'ordine giuridico è un sistema di condizioni che non
possono non esistere in ogni società, l'ordine pubblico è un bene, che si
ottiene © si mantiene solo a patto di osservare certe determinate condizioni, è
quello stato di cose che rappresenta la normalità della vita collettiva di una
determinata società. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de n. connais., 1851, $ 17, 24, 247; L.
Couturat, Les principes des mathématiques, cap. II; Bergson, L’évolution
oréatrice, 1912, cap. III, Le désordre et les deux ordres; A. Levi, La société
et l'ordre juridique, 1911; Ardigd, Opere fil., I, 88-91; II, 263-265, 269-277.
.L’organicismo è il sistema o
dottrina che spiega i fatti della vita, della sensibilità ο del pensiero come
pure funzioni organiche, senza ammettere l'intervento nd del principio
spirituale, nè del principio vitale. Gli organicisti non riconoscono che
l’esistenza della materia organizzata, provvista però di forze e proprietà che
non esistono negli esseri inorganici; ogni organo è animato da una forza
particolare che, componendosi con tutte le forze simili, mantiene la vita
totale: la vita è U’ insieme delle forze che resistono alla morte, dice il
Bichat. Questa dottrina ebbe ed ha illustri
1797 ORG sostenitori, fra oni it
Bichat, Robin, Broussais © Claudio Bernard.
Nella sociologia dicesi organicismo la dottrina secondo la quale le
società sono organismi analoghi agli esseri viventi, e la sociologia un ramo
della biologia. Platone ο Aristotele tra gli antichi, Spinoza, Herder,
Schelling ed altri filosofi della storia, raffigurarono la società come « an
corpo vivente » sottoposto alle leggi indeclinabili della nascita, della crescita
e della morte; il Comte e lo Spencer cercarono di dare una consistenza
scientifica a codesto concetto, determinando le analogie e le somiglianze tra
l’organismo individuale e quello sociale; lo Schüfie spinse l’analisi ancora
più in là, e trattò addirittura della anatomia, fisiologia, psicologia,
patologia e terapia del corpo sociale. Cfr. Snisset, Recherches nouvelles sur
l’dme, « Rev. d. denx-mondes », 15 agosto 1862; Espinas, Les sooistés animales,
1878, Introd. ; Comte, Cours de phil. pos., 1877, t. IV, p. 172 segg.; Schüfle,
ita ο struttura del corpo sociale, « Biblioteca degli economisti », serie IIT,
vol. VII; A. Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 177-78; Novicow, Les castes
et la sociologie biologique, « Rev. philos. », 1900, II, 373 segg.; Bouglé, Le
proods de la sociologia biologique, Ibid., 1901, Il (v. anima, materialismo,
moniemo, paralloliamo, ritalirmo, meccanismo, organico). Organico. T.
Organisch, Organisirt; I. Organio; F. Organique. Tutto ciò che appartiene all’
organismo; si oppone 3 inorganico, psichico, intellettuale, eco. Ad es., una
malattia mentale presenta delle alterazioni organiche, come l’atrofia d’un
organo o la distribuzione d’un tessuto, e dei fenomeni psichici corrispondenti,
come le idee deliranti, le alIneinazioni, 900, Il concetto di organico si
contrappone a quello di inorganico: infatti, sebbene i corpi inorganici e gli
organici siano soggetti alle stesse leggi generali della materia, tuttavia gli
elementi costitutivi dei primi o sono mescolati meceanicamente 0 entrano in
combinazioni chimiche binarie, i secondi contengono principalmente comORG 798
binazioni ternarie e quaternarie con carbonio; le particelle ultime dei
primi si attengono reciprocamente sia per forza di attrazione che per affinità
chimica, quelle dei secondi sembrano invece combinate, sostenute, elaborate,
consumate, trasformate da un agente di natura diversa di quelle inorganiche,
agenti che alcuni chiamano forza organica o vitale, pure considerandola come un
semplice concetto astratto, ipotetico e provvisorio. Organico si distingue
infine da organizzato 9 da aggregato: sono organiche tutte le sostanze prodotte
dalla vita di qualche organismo e che non esistono nel mondo inorganico (linfa,
albumins, proteina, siero del sangue, ecc.); tuttavia possono essere omogenee,
indivisibili, giacenti 1’ una accanto all’ altra, cioò non organizzate ο
amorfe. I muscoli, i nervi, le glandole sono invece sostanze organiche e
organizzate insieme, perchè in essi si ha la riunione di sostanze eterogenee in
un tutto, la cui ragione sta in un tipo razionale. Infine, le particelle
aggregate di un corpo inorganico esistono semplicemente le une accanto alle
altre, senza cercare di riunirsi a vicenda, © senza cessare d’ essere quello
che sono se separate. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de nos connaissances,
1851, t. I, p. 269 segg.; Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909, sez.
B, $ 2 (v. fisiologia, generazione, cellulari teorie, duodinamismo, meccanismo,
organioismo, vita, vitaliemo). Organo. T. Organ, Werkzeug ; I. Organ; F.
Organe. Una doterminata unione di tessuti per una determinata funzione, della
quale sono strumento; la riunione di tessuti uguali per una funzione più
elevata costituisce il sistema: così si ha il teseuto nervoso, degli organi
nervosi (es. il cervello) e il sistema nervoso. Quando un organo è formato di
un solo tessuto dicesi semplice (es. alcune glandole) quando di più tessuti
composto (es. il fegato). La riunione di tutti gli organi in un tutto, capace
di vita, dicesi organismo; ora, nessun organo ha in sò la ragione della propria
esistenza, ma la trae dal tutto al quale appartiene, 799
ORI perciò il fine ultimo dell’ organo non è la sussistenza propria, ma
quella di concorrere al mantenimento dell’ intero organismo. Nella logica il termine organo o organum
significa trattato di logica. Gli antichi commentatori diedero questo nome ai
libri logici d’Aristotele, intendendo con ciò di significare che la logica è lo
strumento (ὄργανον = stromento) per la ricerca della verità. Bacone intitolò la
propris opera principale Novum Organon appunto per signiticare che egli vuol
contrapporre una nuova logica a quella aristotelica; oggetto di questa nuova
logica è, come dice il sottotitolo, I’ interpretazione della natura ossia del
regno dell’uomo (de interpretations naturae, sive de regno hominis). Kant
distinse l'organo, ossia il metodo di ogni disciplina in particolare, dai
canoni del pensiero in generale. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 43;
Fries, System der Logik, 1837, p. 13. Orientazione. T. Urientirung ; I. Orientation; F. Orientation. In
generale, la coscienza delle relazioni spaziali del nostro corpo con gli
oggetti che lo circondano, coscienza dovuta sia alle sensazioni visive, sia
alle tattili, muscolari, uditive, eco.
Dicesi senso della orientasione la coscienza che hanno molti animali e
alcune razze umane inferiori, della direzione da seguire per recarsi attraverso
luoghi sconosciuti ad un punto noto. Questo senso avrebbe sede nei canali
semicircolari dell’ orecchio, e funzionerebbe mediante avvertimenti dati dalla
differenza di pressione dell’ endolinfa contenuta nei canali stessi. Dicesi ilusione della orientasione quell’
anomalia della coscienza normale della direzione, che consiste nel mutarsi dei
punti dello spazio circondante il soggetto, in modo da esser cambiato tutto il
suo ambiente fisico, ma senza che sia alterata la nozione dei rapporti spaziali
degli oggetti gli uni rispetto agli altri. Cfr. Cyon, Recherches sur len
fonct. des oanaux »emioiroulaires, 1878; Peychol. Rer., 1897, IV, 341, 463;
Hüfiding, Esquisse d’une paychologie, 1900, p. 256 ORI-ORO 800
segg.; Grasset, Les maladies do l'orientation et de Vequilibre, 1902. Origine. T. Ursprung; 1. Origin; F. Origine. In
generale cominciamento, prima manifestazione d’ un fatto, qualche cosa che 6’
inizia nel tempo; talvolta però significa la ragion d’ essere di un
avvenimento, il fatto elementare che ne spiega un altro. Tra i problemi
tradizionali riguardanti l'origine sono da ricordarsi i seguenti: Problema
dell’ ori gine delle idee: sono esse un prodotto di esperienza sensibile ο, le
fondamentali almeno, fanno parte della costituzione stessa del nostro spirito
e, in quanto tali, esistono a priori? Problema dell'origine della oosoiensa: è
essa un attributo dello spirito, o una proprietà dell’ organizzazione evolntiva
della materia organizzata, o la concentrazione d'una coscienza diffusa in tutto
l’ universo? Problema del. l'origine del male: se Dio esiste, donde ha origine
il male? Problema dell'origine della vita: è la vita il prodotto del semplice
gioco di reazioni fisico-chimiche, o di un principio che ha natura e leggi
proprie, diverse da quelle meocaniche? Problema dell'origine della specie: le
specie viventi, animali ο vegetali, furono prodotte tali e quali da una
creazione, e restano immutabili, ο ei trasformano in modo che rin’ unica specie
sia passata storicamente dalle une alle altre? (v. idea, oosoiensa, male, vita,
specie, innatismo, empiriemo, 600.). Orismologia (ὡρισμός definizione). Trattato intorno ai vocaboli
tecnici e alle espressioni proprie d’una data scienza ο arte. È sinonimo di
terminologia. Orottero. La linea o il punto che congiunge i punti dello spazio che
fanno imagine su punti identici delle due retine, in una data posizione dell’
occhio. L’ esistenza dei punti identici si ammette per spiegare la visione
semplice degli oggetti, benchè le loro immagini si formino su ambedue le
retine, ed è provata dal fatto che, se si sposta l'occhio con un dito mentre si
guarda un oggetto, l’og 801 Osc-0ss
getto è visto doppio. L’ orottero varia perciò a seconda della posizione degli
occhi: così quando gli assi visuali si trovano sul piano orizzontale e sono
convergenti, 1’ orottero è rappresentato da un circolo che passa per il punto
fissato e i due centri ottici; quando invece gli assi visuali si trovano nel
piano orizzontale e sono fra di loro paralleli (come allorchè si guarda il
lontano orizzonte) l’orottero è rappresentato dal piano che passa per i
medesimi. Cfr. Tschering, Optique physiologique, 1898 (v. binoowlare, campo,
emianopsia, diplopia). Oscuro. T. Dunkel; I. Obscure; F. Obsour. Nel linguaggio
cartesiano oscuro si oppone a chiaro e si distingue da confuso: un’ idea è
oscura quando per essa non riusciamo a differenziare un oggetto dagli altri, è
confusa quando per ossa differenziamo un oggetto dagli altri, ma non abbiamo la
conoscenza degli elementi di ouf è composto. « Dico che una idea è chiara,
scrive il Leibnitz, quando è sufficiente a distinguere la cosa e riconoscerla;
così, se avrò un’ idea ben chiara di un colore, non mi avverrà di prendere un
altro colore per quello che cerco, e, se avrò l’idea chiara di una pianta, la
discernerò dalle piante consimili; e, se ciò non è, l’idea è oscura ». Gli scolastici designavano con l’espressione
obscurum per obscurius quella forma di petizione di principio, che consiste nel
dimostrare ciò che è oscuro per sè con ciò che è ancora più oscuro. Cfr. Leibnitz, Nouveaux
essais, 1704, 1. II, cap. 29, $ 2; Peirce, Comment rendre nos idées olaires, «
Rev. philosoph. », genn. 1879.
Osservazione. T. Beobachtung; I. Observation ; F. Observation. È l'atto
mediante il quale lo spirito si applica a un fatto o a un insieme di fatti,
allo scopo di conoscerli e di spiegarli. Si distingue dallo sperimento in
quanto questo è attivo, perchè sperimentando si interviene nei fatti
producendoli o modificandoli, mentre |’ osservazione è passiva, in quanto
consiste nella semplice constatazione dei fatti; la distinzione però non è
assoluta. Si diversifica anche dal51
Raxzorı, Dizion. di acienze filosofiche. Oss 802
l’attensione, perchè mentre in questa può mancare in quella è essenziale
il desiderio di una esplicazione ulteriore del fatto osservato. Si distinguono due forme d’osservazione: la
comune, abbandonata all'esercizio degli organi di senso individuali, © la
metodica, assistita da speciali mozzi che ne accrescono la portata, integrata
da ragionamenti che ne svolgono il valore, conformata a regole costanti per la
scelta degli oggetti e delle condizioni opportune d’ esame, controllata dai
risultati ottenuti da diversi osservatori.
L'osservazione può anche essere esterna e interiore © psicologica.
L'osservazione esterna è la base delle scienze fisiche ο naturali, ed è
essenziale in alcune di esse, come ad es., nell’ astronomia. L'osservazione
esterna deve essere metodica, cioè procedere regolarmente da nA oggetto
all’altro, precisa ciod fare un giusto calcolo della quantità dei fatti, esatta
ciod nulla trascurare. L'osservazione interiore © introspezione fu adoperata
nello studio dei fenomeni psichiei, primamente dalla sonola scozzese, indi
dagli eclettici francesi ο dagli associazionisti inglesi, ma fa combattuta da
A. Comte, il quale sostenne essere assurdo che si possa nello stesso tempo
essere il soggetto osservante e l'oggetto osservato. Con ciò il Comte veniva a
negare la possibilità di ogni conoscenza dello spirito per mezzo della
coscienza. Tuttavia codesta conoscenza à un fatto d’esperienza comune, ed oggi
il metodo introspettivo, aiutato fin dove è possibile dall’ esterno, è ancora
il metodo proprio della psicologia. Cfr. Senebier, L'art d'observer, 1802;
Ribot, Contemporary english psychology, 1873, p. 84, 323; Sully, Outlines of
peyohology, 2° ed. 1885, p. 6, 7; C. Bernard, Introd. à V étude de la med.
ezpor., 1865, 1. I, cap. 1; Masci, Logica, 1899, p. 402 segg.; A. Padon,
Legittimità € importanza del metodo introspettivo, « Riv. di filosofia »,
aprile 1913 (v. introspezione, riflessione, psicologia). Ossessione. T.
Besessenheit; I. Obsession; F. Obsession. La presenza nello spirito di una
rappresentazione, o d’una 803 Orr associazione d'idee, che la volontà non
riesce ad allontanare se non momentaneamente, che impedisce agli stati
antagonistici di presentarsi e intorno alla quale vengono a raccogliersi tutte
le associazioni. Si verifica spesso nella malinconia religiosa, caratterizzata
da un delirio di onsessione o di possessione, in cui l'individuo si sente
circondato da demoni o tutt’ nno con essi. Secondo il Régis e il Tamburini
tutte le varietà di ossessione si riferiscono ad un disturbo della volontà e si
possono raccogliere in due gruppi: 1° ossessioni impuleive, in cui la volontà è
lesa nella sua forza di arresto; 2° ossessioni abuliche, in oui la volontà è
less nella sua energia generale di attività. Cfr. Pitres et Régis, Les
obsessions οἱ les impulsions, 1902; Raymond et
Janet, Les obsessions αἱ la peychasthénio, 1903;
Régis, Manuel de méd. ment., 3" ed., p. 257-296; Tamburini, Riv. aper. di
Fren., IX, 1883, p. 74 ο 297; Pierre Janet,
Névroses οἱ idées fixes, 2* ed. 1904, cap. I. ο Ottimismo. T. Optimismus; I. Optimiem ; F.
Optimieme. Vocabolo usato per la prima volta dai padri gesuiti di Trevoux nel
render conto della teodicea del Leibnitz, e reso più tardi popolare dal
Voltaire col suo Candide ou Poptimismo (1758). Vi ha un ottimismo naturale © un
ottimismo filosofico. Il primo si può definire come là disposizione, quasi
sempre innata, dovuta allo stesso temperamento, a cogliere il lato buono delle
cose, a giudicare benevolmente degli uomini e degli avvenimenti. Il secondo,
che ha forse le sue intime radici nel primo, è la dottrina secondo la quale
sull'universo tutto va per il meglio e noi viviamo nel migliore dei mondi
possibili. Esso ha una data relativamente recente nella storia del pensiero, ed
è più che altro una dottrina teologica e metafisica; esso infatti consiste
nello scagionare la divinità, creatrico del mondo, dell’esistenza del male nel
mondo e nel dimostrare Ja necessità del male medesimo. Noi troviamo accennato,
è vero, il problema dell’ottimismo in alcuni filosofi antichi e Orr 804
dell’ eta di mezzo. Così, già Platone insegnava che il Demiurgo non ha
potuto creare che ciò che è più bello e più buono; Plotino che il male e il
dolore non sono che specie negativo e conducono ancor meglio al bene; 8.
Clemente che il male è solo azione, non sostanza (οὐσία), e che il mondo quale
Dio l’ha creato è perciò originariamente buono; 8. Agostino che in quantum est,
quidquid est, bonum est. Ma una trattazione compiuta del problema sotto tutti i
suoi aspetti, nelle sue relazioni con l’idea di Dio, di Grazia e di Provvidenza
divina ο di libertà umana non si ha che col Leibnitz. Secondo il filosofo
tedesco, la continuità e l'armonia che si osservano nel mondo sono prestabilite
da Dio, il quale, nell’ opera sua creativa, non ha agito a caso, ma ha scelto
tra le creature possibili quelle che corrispondevano meglio al suo fine: «
Dalla perfezione suprema di Dio consegue che, producendo l'universo, egli ha
scelto il miglior piano possibile, nel quale esista la più grande varietà col
più grande ordine; il terreno, il luogo e il tempo meglio governati; il maggior
effetto prodotto coi mezzi più semplici; la maggior potenza, la maggior
conoscenza, la maggior felicità e bontà nelle creatare che l'universo potesse
comportare. Poichè tatti i possibili pretendendo all'esistenza nell’ intelletto
divino, in proporzione delle loro perfezioni, il risultato di queste pretese
deve essere il mondo attuale il più perfetto che sia possibile. E senza di ciò
non sarebbe possibile spiegare perchè le cose siano avvenute così piuttostochè
altrimenti ». Ma se Dio ha scelto il miglior mondo possibile, perchè esiste il
male? Il male, risponde il Leibnitz, può essere metafisico, fisico o morale. Il
male metafisico è la limitazione, che non può non esistere perchè ogni monade
creata deve averla. Il male fisico è il dolore, che è pure necessario perchè
senza di esso non csisterebbe il piacere; infatti il dolore nasce dallo sforzo
per passare da uno stato all’altro, e senza questo sforzo non ci sarebbe azione
© quindi nemmeno piacere, 805 Orr-P che consiste appunto nella coscienza
dell’ azione. Infine il male morale è il peccato, ed è esso pure una condizione
indispensabile: il peccato nasco da una rappresentazione oscura; dalla
rappresentazione oscura si sviluppa la conoscenza chiara, la quale è la
condizione prima della morslità; dunque, senza il peccato non esisterebbe la
moralità, e quindi neanche il bene. Così Dio è pienamente giustificato. Oggi il
problema dell’ottimismo ο del pessimismo ha perduto il suo primitivo significato:
si è infatti riconosciuto che il bene e il male, il piacere e il dolore sono
condizioni necessarie l'uno dell’ altro; che il dolore ha un officio biologico,
in quanto ci avverte dell’alterazione degli organi, e ci è di stimolo al
perfezionamento fisico e morale. Ad ogni modo si pud dire che la scienza
moderna, essendo a base evoluzionistica, ammettendo οἱοὸ un perfezionamento
indefinito della specie e della società, è essenzialmente ottimistica. Cfr.
Platone, Zimeo, 30 A; Plotino, Enn., III, 2, 5; 8. Clemente, Strom., IV, 13,
605; 8. Agostino, De vera relig., 21; Id., Confess., VI, 12; Leibnitz,
Prinoipes de la nat. et de la grâce, 1879; Id., Theodioea, 1710, $ 416; I.
Duboc, Der Uptimiemus ala Weltanschauung, 1881;Sully, Pessimism, 1877, p. 399
segg. (v. dolore, piacere, migliorismo, pereimiemo, bene, male, armonia,
teodicea). P. Nei versi mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo
categorico, questa lettera indica che la riduzione al modo della prima figura
deve essere fatta mediante conversione per accidente di una delle due premesse
o della conolusione ; ad es.: Darapti della terza figura si converte nel Darii
della prima mediante la conversione per accidente della minore. La stessa
lettera si usa nello espressioni simboliche delle proposizioni per indicare il
predicato, e nelle espressioni simboliche del sillogismo per PAG-PAL 806
indicare il termine maggiore, che nella conclusione fa appunto da
predicato (v. figura, modo, termini, sillogismo). Paganesimo. T. Paganismus; I.
Paganism; F. Paganisme. Termine generico per indicare tutte le religi teriori
al cristianesimo, o diverse dal cristianesimo, fatta eocezione però del
giudaismo e dell’ islamismo. Esso ebbe origine nei primi secoli del
cristianesimo, per il fatto che il politeismo romano conservava i suoi più
tenaci difensori tra gli abitanti delle campagne. Ancor oggi il termine è usato
spesso in senso dispregiativo, applicandosi a tutte le forme più basse della
religiosità, Paleontologia. T. Palsontologie; I. Paleontology; F. Paléontologie.
La scienza dei fossili. Essa ha origini recenti, da quando cioè col Convier e
col Lamarck, si cominciò a riconoscere che le impronte e le reliquie di animali
© vegetali estinti conservateci in stato pietrificato sono veri e propri
documenti per la storia degli organismi: essi infatti ci dànno notizia della
forma ο della struttura di piante e di animali, che sono gli antenati o i
precursori degli organismi ora viventi, oppure linee laterali estinte. Prima
invece s'era creduto che le pietrificazioni di piante ο di animali non fossero
che scherzi di natura (ludus naturae) o prodotto di uno sforzo creativo (vis
plastica), «ο modelli inorganici di cui si servì il Creatore prima di creare
gli esseri organici. Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d. Paläontologie, 1899 (v.
cosmogonia, geologia). Palingenesi. Gr. πάλιν = di nuovo, γένεσις =
generazione; T. Palingenese; I. Palingenesis; F. Palingenèse. E vocabolo
proprio della filosofia religiosa e vale rinascimento, rigenerazione. Si
applica tanto all'individuo, come all’umanità e all'universo. L'idea della
palingenesi si trova nel fondo di quasi tutte le religioni filosofiche. Così
nel bramanismo il mondo passa attraverso continue alternative di creazione e di
distruzione, corrispondenti alla veglia ¢ al sonno di Brahma; in esso Vichnou
rappresenta il prin 807 Par cipio della
palingenesi universale, in quanto interviene in certe epoche per salvare il
mondo da Civa, principio della distruzione: « Mentre Brahma veglia il mondo
vive e si muove; ma quando il Dio dorme, quando il suo spirito è in riposo, l’
universo svanisce; tutti gli esseri cadono nell’inersia; essi sono dissolti
nell’ anima suprema, perchè colui che è la vita di tutto l'essere sonnecchia
dolcemente, privato della sua energia. Così, passando a volta a volta dal sonno
alla veglia e dalla veglia sl sonno, esso fa nascere costantemente alla vita
tutto ciò che ha il movimento ο tutto ciò che non l’ha; poi esso lo annienta e
rimane immobile ». Nel cristianesimo l’ umanità risorge dalla sua caduta per
opera di Gesù Cristo, © risorgerà tutta intera alla fine dei tempi, sotto nuovi
cieli e in una nuova terra; nelle antiche religioni orientali, il male fa
discendere l’nomo, dopo morto, nel corpo di nn animale irragionevole, mentre il
bene può farlo in seguito salire nelle sfere luminose della felicità. L’ idea
della palingenesi si trova anche nel sistema di Pitagora e più in quello degli
Stoici: « L'anima razionale, dice Marco Aurelio, vaga sull’ali della
speonlazione per l’ universo intero, comprende e vede che nulla di nuovo
vedranno quelli che verranno dopo di noi e che nulla di nuovo videro mai i
nostri maggiori, ma bensì che in un certo qual modo chi è giunto alla età di
cinquant’anni, per poco ingegno che abbia, può dire di avere già visto tutte le
cose passate e future, poichè esse saranno della medesima sorte ». Nei tempi
moderni, Scho. penhauer ha sostenuto la rinascita degli stessi individui nell’
umanità. In Federico Nietzsche la palingenesi eterna costituisce ad un tempo la
base e il coronamento della filosofia del superuomo, la grande idea che
Zarathoustra annuncia da prima ai discepoli raccolti intorno a lui davanti alla
caverna della montagna, e che poi rivela alle masse convocate in festa: « Tutti
gli stati che questo mondo può raggiungere, esso li ha già raggiunti, e. non
Par-Pa 808 solamente una volta, ma un numero infinito di
volte ». Alcuni scienziati moderni, ispirandosi al principio fonda mentale
della termodinamica, concepiscono la storia dell'universo come un processo
ciclico di degradazioni ο di rigenerazioni della materia e dell’ energia,
processo nel quale le identiche fasi si ripeterebbero eternamente a distanze
immense di tempo: «Se i mondi muoiono, dice il Becquerel, è sempre per far
posto a dei nuovi mondi. Diventa così possibile all'evoluzione dell’ energia,
della materia, e dei mondi, di percorrere un ciclo perpetuo, un ciclo nel quale
noi non vediamo nè cominciamento nd fine ». Cfr. M. Aurelio, I ricordi, 1. XI, 1; Schopenhauer,
Die Welt als W. und Vorst., Reclam, suppl. VI, cap. LXI; Nietzsche, Werke, 1895-97,
VII, p. 80, XII, p.122; G. Beoquerel, L’évoIution de la matière et des mondes,
« Rev. scientifique», 25 nov. 1911; 8. Arrhönius, L'évolution des mondes, 1910,
p. 218, 223; G. Le Bon, L'évolution des forces, 1907, p. 99 segg.: ©. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita,
1913, p. 169-1 (v. anamnesi, metempsicosi, nirvana, palingenetici).
Palingenetici (caratteri). Fra i caratteri ereditari, alcuni sono dovuti alle
condizioni di sviluppo o all’adattamento all'ambiente esterno, che si
manifestano negli individui di una data specie; altri invece sono dovuti ad una
trasmissione abbreviata o semplificata, e partecipano delV intima
organizzazione dell'individuo e della specie: i primi si dicono cenogenetici, i
secondi palingenetici. La denominazione è stata proposta dall’ Haeckel. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 107, 193 (v. filogenesi,
variabilità). Pampsichismo. T. Panpeychismus; I. Panpsyohiem; F. Panpsychisme.
Ha due significati fondamentali. In senso stretto, è la dottrina filosofica
secondo la quale la coscienza o psiche non è proprietà dei soli organismi
superiori, ma è comune a tutta la materia. Fra i moderni, il principale
sostenitore di codesta dottrina è Ernesto Hae 809 Pam ckel, il quale considera ogni atomo
materiale come provvisto di un’anima costante: dalle combinazioni multiple di
questi atomi si formano le anime-molecole, e le anime dei protoplasma
molecolari, organiche, da cui risultano le anime-cellule ; per tal modo tutta
la natura è cosciente, sia l’organica che l’inorganica. Questa forma di
pampsichismo si riconnette all’ iloroismo dell’antica scuola ionica. In senso
largo, ma con significato polemico, si adopra come sinonimo di monismo
epiritualistion ο idealiemo realistico, 9 indica perciò tutti quei sistemi
filosofici che considerano la materia come un complesso di fenomeni psichici,
sppoggiandosi sia sopra il concetto della subbiettività delle qualità della
materia, sia sopra 1’ impossibilità di concepire il mondo se non per analogia
con noi stessi, cioè col nostro spirito. Così il Guastella definisce come
pampsichismo ogni sistema « che afferma che la materia non esiste, ma che tutto
è spirito; che ciò che ci apparisco come mondo materiale non è in sò stesso che
un mondo di esseri psichici; che non vi hanno in realtà particole di materia e
movimenti, ma in luogo di essi spiriti e fenomeni psichici ». Inteso in questo
senso, il pampsichismo ha lo stesso punto di partenza dell’ilozcismo, in quanto
entrambi identificano la forza fisica con la psichica; ma mentre questo fa
dello spirito una proprietà costante della materia, il pampsichismo aggiunge
che la materia è una apparenza, e il realo non è che lo spirito. Si distingue
anche dall’ idealismo soggettiro © dal fenomenismo, sppunto perchè, lasciando
agli oggetti materiali un’ esistenza indipendente, afferma che non sono
materiali che in apparenza, mentre in realtà non sono che spirito. Quests forma
di pampsichismo ha, a differenza della prima, un posto assai largo nella
metafisica moderna, sopra tutto nel periodo più recente, per la cresciuta
coscienza delle difficoltà del realiamo comune ; esso è ammesso da Leibnitz,
Schopenhauer, Maine de Biran, Rosmini, Gioberti (nella seconda forma della sua
filoPan 810 sofia), Lotze, Want, Clifford, Wallace,
Taine, eco. Cfr.
Haeckel, Naturliche Sohopfungageschiohte, 1889, p. 20 segg.; in C. r. del
Congrès de Phil. de Genève, 1904, C. A. Strong, Quelques considérations sur le
panpeychieme, Th. Flournoy, Le
panpsychisme ; Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. I, p. 144 segg.
(v. coscienza, anima, monismo, peicologia cellulare). Panenteismo. Gr. x2v=
tutto, iv = in, θεός = Dio; T. Panentheismus; I. Panentheiem ; F. Panenthéieme.
Vocabolo creato dal Krause per denominare la propria dottrina, che cercava di
conciliare il teismo col panteismo. Per il Krause il mondo non è che lo
svolgimento dell’ ossenza divina impressa nelle ideo; ma queste idee sono
l’autointuizione dalla più alta personalità, in quanto l’essere di Dio non è
ragione indifferente, ma il principio personale del mondo. Al pari dello
Schelling, egli considera tali anche le forme del complesso sociale ο il
cammino della storia. Oggi il termine panentoiemo si adopera per indicare in
genere quelle forme di panteismo, in cui la sostanza divina è concepita come
avvolgente il mondo, che ne è contenuto. Cfr. Krause, System der Philosophie,
1828. Pangenosi. T. Pangenesis ; I. Pangeneris; F. Pangenèse. L'ipotesi con cui
il Darwin spiega la trasmissione ereditaria ο eredità dei caratteri. Da tutte
le cellule dell’ organismo vivente, che sono unità biologiche, si staccano dei
granuli minutissimi, detti gemule, le quali, per la loro affinità reciproca, si
riuniscono e si accumulano negli elementi sessuali. Codeste gemule, trasmesse
alle generazioni immediate, si sviluppano e si evolvono così da costituire le
cellule, i tessuti, gli organi, o, in una parola, i nuovi individui; in tal
caso si ha l’eredità immediata. Se invece le gemule rimangono latenti per un
corso più o meno lungo di generazioni, nascoste, a così dire, nelle profondità
degli organismi, sviluppandosi poi nelle generazioni venture, si ha l’eredità
atavica o atavismo. Cfr.
Darwin, 811 Pax Animals and Plants under Domestication,
1. II, cap. XXVII; W. K. Brooks, The law of heredity, 1883 (v. eredità,
endogenesi, porigenesi, panmizia, germiplasma). Panlogismo. T. Panlogismus ; I.
Panlogiem; F. Panlogisme. Appellativo
dato a quei sistemi filosofici, che identificano, come lo stoico e l’hegeliano,
il pensiero con l’essere, la ragione (λόγος) col tutto (πᾶν). Il vocabolo fu
creato da J. E. Erdmann per denominare appunto In dottrina di Hegel « che non
pone nulla di reale se non la ragione; all’ irrazionale non accords che una
esistenza transitoria, che si sopprime da sò stessa ». Cfr. Erdmann, Geschichte
d. nou. Philos., 1853, t. III, parte 2°, p. 858 (v. logos, noo, io, panteirmo).
Panteismo. T. Pantheismus; I. Pantheiem; F. Panthéime. Il termine panteisti fa
usato la prima volta da Toland nel 1705; il termine panteismo non si trova che
nel 1709, nel suo avversario Fay. Il panteismo è la dottrina filosofica che
identifica la divinità col mondo, e concepisce l'uno e il molteplice, il finito
ο l'infinito, la natura natarata ο la natura naturante come due aspetti
differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’ essere divino. Però questa
identificazione di Dio col mondo sostenuta dal pantelsmo, non va intesa in
senso assoluto, come accade volgarmente. Il panteismo filosofico distingue Dio
dal mondo, in quanto il primo è uno, è il principio dell’ unità delV universo,
mentre il secondo è molteplice, è una totalità di elementi diversi; in altre
parole, quello è l'essenza, questo il fenomeno, quello l’ universale, questo la
collezione dei particolari. Della nozione volgare del panteismo scrisse Hegel:
« Comunemente si ha del panteismo questo concetto: che Dio sia tutte le cose,
il tutto, 1’ universo, codesta somma di tutte lo esistenze, codesta infinita
molteplicità delle cose finite, e si fa alla filosofia il: rimprovero di
affermare che ogni cosa è Dio, cioè 1’ infinita varietà delle cose singole, non
I’ universo in sò e per sè, ma le Pan
812 cose individuali nella loro
esistenza empirica, come esse sono immediatamente.... Ma questo fatto (ossia)
che una qualche religione abbia insegnato tale panteismo, è completamente
falso; non è mai capitato a nessun uomo di dire: tutto è Dio, cioè (Dio è) le
cose nella loro individualità e contingenza; tanto meno ciò è stato affermato
in qualche filosofia... Lo spinozismo stesso, come tale, © anche il panteismo
orientale, insegnano che in tutte lo cose il divino non è che I’ universale del
loro contenuto, l'essenza delle cose, ma in modo che questa essenza à
rappresentata come essenza determinata delle cose stesse >. Il panteismo si
distingue quindi tanto da quei sistemi che considerano la sostanza divina come
distinta dalla sostanza del mondo (ereasionismo, dualismo), quanto da quelli
che pongono una o più divinità personali (teismo, monoteismo, politeismo),
quanto infine da quelli che negano |’ esistenza della divinità (ateismo). Va
notato però che, storicamente, il panteismo si allea talvolta con qualcuna
delle dottrine ora nominate; così lo stoicismo, nella sua fase eclettica,
accoglie il politeismo della credenza popolare, ammettendo una schiera di
divinità inferiori, emananti dall’ unica forza divina universale, considerate
como organi intermedi e che, ciascuna nel proprio campo, rappresentavano la
forza vitale ο la provvidenza della ragione universale; e nel panteismo logico
di Scoto Eriugena, il mondo è Dio svoltosi nel particolare, con un processo
degradante di universalità logica, per cui da Dio procede anzitutto il mondo
intelligibile come Natura, che è creata © che crea, © il regno degli
universali, delle idee, che formano le forze attive nel mondo sensibile dei
fenomeni. Il panteismo assume due aspetti diversi: l’orientale, che immerge Dio
nel mondo e lo concepisce come riposo, come essere; l’occidentale, che im-
merge il mondo in Dio e lo concepisce come movimento, come processo. Si
distinguono ancora: il panteismo matertalistico, per il quale è la semplice
materia dell'universo, con 813 Pax le sue forze, la sua vita, il suo
pensiero come prodotto dell'organismo, che costituisce l’ Uno-Tutto, Dio; il
panteismo idealistico, che risolve ogni cosa, tempo, spazio, materia, forza,
divinità, in oreazioni dello spirito; il panteismo sostanzialistico, che
afferma l’esistenza di un potere spirituale operante nella forma materiale,
potere infinito ed eterno che è la ragione di tutto. Fra i più importanti
sistemi panteistici, sono da annoverarsi: 1° lo stoico, che considera 1’
universo come un vasto organismo penetrato în tutti i sensi da una sostanza
eterea finissima, che è ad un tempo la ragione seminale da cui tutti gli esseri
sono usciti, 1’ anima del mondo, la divinità; 2° l’alessandrino, secondo il
quale Dio, che è P’Ente primo e |’ Uno, genera la mente, da cui emana l’Anima
universale, che a sus volta produce le anime individue in lei contenute, e
tutte le parvenze del mondo materiale; 3° lo spinosiano, in cui il pensiero e
l'estensione non sono che due attributi di una sola sostanza infinita, Dio,
cosicchè le anime e i corpi, e ciascun fenomeno di quelle e di questi, non sono
che modi di codesti due infiniti attributi di Dio e ne esprimono in diversi
aspetti l'essenza; 4° l’Aegeliano, in cui l'assoluto, il tutto, la divinità, è
l’Idea, che per un processo di eterno divenire si sviluppa prima come potenza o
germe, poi come natura, infine come spirito cosciente. Cfr. Eucken, Geschichte
d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Hegel, Vorlesungen über die Philos. d.
Religion, 1840, p. 94; C. E. Luthardt, The fundamental truths of Christianity,
, p. 65; R. I. Wilbeforce, The doctrine of the Holg Eucharist, 1853, p. 423; J.
M. Cosh, The intuitions of the mind, 1882, p. 449452; Jaesche, Der Pantheismus
nach s. Hauptformen, 1826; "Schuler, Der Pantheismus, 1884; F. Hoffmann,
Theismus und Pantheismus, 1861; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1911,
Ῥ. 155-174 (v. assoluto. panenteismo, emanazione, panlogiemo). Pantelismo s’adopera
talvolta per designare la dottrina di Schopenhauer, la quale considera la forza
come l’essenza dell’essere e identifica la forza stessa con la volontà; questa
volontà cosmica è da principio incosciente e cieca, ma obbiettivandosi via via
nelle gerarchie degli esseri sempre più perfetti, giunge infine alla piena
coscienza di ad, cioè all’uomo. Si può adunque dire che l’essere è un voler
essere. « La finalità, dice lo Schopenhauer, deriva essenzialmente dalla
volontà, © poichè la volontà è il fondo d’ogni essere vivente, poichè ogni
corpo organizzato non è che la volontà divenuta visibile, ne viene che codesta
volontà è coestensiva all’ essere stesso, gli è interiore, immanente. La nostra
meraviglia alla vista della perfezione infinita e alla finalità delle opere
della natura, deriva da ciò, che noi le consideriamo come consideriumo le
nostre proprie opere.... Ma le opere della natura sono invece una
manifestazione immediata, e non mediata della volontà. Qui la volontà agisce
nella sua natura primitiva, senza conoscenza; la volontà e l’opera non sono
separate da alcuna rappresentazione intermedia; esse sono una cosa sola ». Il
Guyau propone di sostituire la parola panteliemo a quella di feticiemo per
designare quella fase psicologica della evoluzione del sentimento religioso, in
cui 1’ uomo concepisce il mondo come una società simile alla sua, proiettando
in esso la propria volontà ed intenzioni. Cfr. Schopenhauer, La rolonté dans
la nature, trad. franc. 1836, p. 59; A. Guyau, Z’irreligion de l'avenir, 1887;
F. De Sarlo, Metafisica, scienza 6 moralità, 1898. Parabulia. Stato anormale della volontà, che si
verifica in alcune malattie mentali. Si distingue dall’abulia perchè il volere
non è totalmente abolito, ma incerto, vacillante, imperfetto. Però alcuni
psicopatologi preferiscono riunire sotto l’espressione di parabulie ooatte
tutte le anomalie del volere, distinguendole poi in due gruppi: 1° parabulie
coatte impulsive, costituite da impulsi irresistibili contro i quali
l’individuo sente la propria volontà impotente, e ai quali cede spesso a
malincuore (dipsomania, clep 815 Par
tomanis, onomatomania, ecc.); 2° perabulia coatta inibitoria, costituita
dall’impossibilità di decidersi ad una azione volontaria ο ad eseguirla, pur
volendola interiormente ο mentalmente. Cfr. Kraft-Ebing, Lehrbuch d. gerichtlichen
‚Psychologie, 83 ed., 1892; Ribot, Maladie de la personnalité, 2° ed., cap. II Paradigma (δείκνυµι mostrare). Si adopera talvolta come sinonimo
di arohetipo per designare le idee platoniche, esemplari o modelli immutabili e
perfetti di oui le cose singole non sono che imitazioni imperfette e
transitorie. Dicesi paradigma logico quella figura di cui si serve la didattica
per rappresentare in modo concreto e preciso un lavoro mentale, così da averne
una intuizione diretta altrimenti impossibile. Paradosso. Gr. παρά contrario a; δόξα opinione; T. Paradoze, Paradozon ; I.
Paradox; Y. Paradoze. Un’ affermazione 0 una negazione recisa e di solito
indimostrata, che contrasta colla verosimiglianza, colle credenze del maggior
numero e col così detto senso comune. Il paradosso può quindi racchiudere una
verità; esso si distingue dal sofiema, che è un ragionamento falso rivestito
dei lenocini dell’arte col fine di farlo accettare come vero; e dal
paralogisma, che è un ragionamento involontariamente scorretto e che può anche
condurre ad una conclusione vera. Dicesi
paradosso del Cournot la dottrina del caso del Cournot, in quanto essa,
riducendo il caso ad un incontro ο coincidenza di serie causali non solidali
tra loro concilia la necessità © la libertà, il determinismo e la
contingenza. Nella psicologia dicesi
eccifamento paradosso il fenomeno consistente in ciò che, in alcune zone della
pelle, il contatto dei punti pel freddo coll’ estremità di un cono metallico
riscaldato, produce sempre non dubbie sensazioni di freddo, che aumentano con
l’elevarsi della temperatura del cono al di sopra della temperatura media del
corpo; paradosso ottico di estensione il fatto che, se le due metà perPar 816
fettamente uguali d’una linea retta orizzontale sono divise da linee angolari
rivolte all’esterno nella prima metà della retta e all’interno nella seconda
metà della stessa, la prima metà sembra più lunga e la seconda più breve. Cfr.
Kiesow, Archiv fur ges. Payohol., 1906; Botti, R. Acc. delle scienze di Torino,
1908-909; A. Pegrassi, Illusioni ottiche, 1904; P. Bellezza, Dell’uso della
voce « paradosso » specialmente nol linguaggio scientifico, « Riv. rosminiana
», V, 1912; Max Nordau, Paradossi, trad. it. 1913, Prefazione. Parafasia o
paralalia. Si distingue dall’ afasia in quanto la memoria motrice della parola
non è perduta completamente ma soltanto turbata, cosicchè l'individuo, pur
potendo parlare, adopera i vocaboli impropriamente, pronunziando a stento e
interrompendosi frequentemente. Cfr. Ch. Bastian, Le cerveau organo de la pensée; G.
Saint-Paul, Le langage intérieur et les paraphasies, 1904 (v. amnesia). Parallelismo psico-fisico. T. Peyohophysicher
Paraltelismue ; I. Psychophysioal Paralleliem ; F. Parallélieme
peycho-phytique. Dottrina psicologica per cui si pongono in relazione puntuale
le due serie dei fatti psichici e fisici (fisiologici), cosicchè ad ogni
elemento della serie psichica corrisponde una particolaremodalità di movimento.
L'espressione sembra sia stata usata la prima volta dal Fechner: der
Paralleliemue des Geistigen und Körperlichen der in unteres Ansicht begründet
liegt (il parallelismo dello spirituale e del corporale che trova il suo
fondamento nella nostra visione delle cose). Del resto, il concetto d’ una
corrispondenza delle due funzioni c'è giù nell’occasionalismo, quantunque fatto
psichico © fatto psichico non siano causa Puno dell'altro, ma pura occasione:
Toute l'alliance de Vesprit οἱ du corps, dice Malebranche, qui nous est connue,
consiste dans une correspondance naturelle et mutuelle des pentes de Véme aveo
les traces du cerveau, οἱ des émotions de T'âme ateo les mouremente des esprito
animaux. Anche nella 811 Par dottrina leibnitziana dell’armonia
prestabilita è contenuto il concetto di un parallelismo tra spirito e corpo:
omne corpus est mons momentanea, seu carena recordatione. Più osplicitamente
tale concetto esisteva già nella filosofia di Spinoza, che pensiero ed
estensione, spirito e materia considera come due attributi paralleli di una
sola e medesima sostanza: sive naturam sub attributo extensionis, sive sub alio
quocumque concipiamus, unum oumdemque ordinem, sive unam eandemque causarum
connezionem, hoc est casdem res invicem sequi reporiens. Questa relazione tra
le due serio di fatti ο di realtà è un dato dell'esperienza, la quale ci mostra
che ovunque si abbia sistema nervoso si ha coscienza, mancando il sistema nervoso
manca la coscienza, sviluppandosi il sistema nervoso si sviluppa la coscienza,
variando o alterandosi il sistema nervoso varia ο si altera la coscienza. Per
questo suo carattere empirico, la dottrina contemporanea del parallelismo
psico-fisico si distingue dal parallelismo metafisico, spinoziano, che importa
non solo la concomitanza costante tra i fenomeni psichici e certi fenomeni
fisici, ma ancora: 1° che ogni fatto fisico ha un concomitante psichico e
viceversa; quindi non vi ha corpo senza spirito nè spirito senza corpo, ma
tutto è animato, ogni cosa vive, sente e pensa; 2° che il fisico e il psichico
sono, come dice Spinoza, due espressioni differenti di una sola e stessa cosa,
cosicchè la serie fisica e la serie psichica non si corrispondono soltanto pei
loro rapporti di concomitanza costante, ma fra i termini delle due serie vi ha,
insieme alla loro differenza, una identità parziale, come se fossero modellati
sovra un tipo comune, che entrambi rappresentano, quantunque ciascuno in modo
diverso. Invece l’attuale parallelismo psico-fisico importa: 1° 1 wmilateralità
del rapporto, per cui, se al fatto psichico è concomitante sempre ¢
necessariamente il fatto fisico, al fatto fisico non è sempre nè
necessariamente concomitante il fatto psichico; 2° il principio o assioma
d’eterogeneitä, che si può 52 Ranzott,
Dizion. di scienze filosofiche. Par
818 enunciare così: i corpi e lo
spirito, la coscienza e il movimento molecolare del cervello, il fatto psichico
e il fatto fisico, pure essendo simultanei, sono eterogenei, disparati,
irreducibili, invincibilmente due. Altre dottrine si hanno se invece si
considera l’una o l’altra delle due serie como funzione variabile indipendente
o dipendente dell’ altra. Se la funzione indipendente è la fisica, la dottrina
dicesi materialismo psico-fisico, di cui i principali rappresentanti sono lo
Ziehen e il Mach, © cui fanno anche adesione molti psico-fisiologi francesi e
italiani. Si distingue dal vecchio materialismo in quanto, a differenza di
esso, ammette la irreducibilità del fenomeno psichico al fenomeno fisico,
nonostante la dipendenza. In questi ultimi tempi molte e gravi critiche furono
rivolte contro il parallelismo, specie " da parto delle nuove scuole
idealistiche. Uno dei più importanti argomenti portati contro di esso è la
discontinuità della vita psichica e l'impossibilità di abbracciare causalmente
il passaggio da percezione a percezione, anche con la più larga applicazione
delle rappresentazioni inconsoie. Cfr. Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, pag. 210; Id.,
ZendAvesta, 1. II, cap. XIX; Malebranche, De la rech. de la vérité, 1712, 4.
II, 5; Leibnitz, Theoria motus abetracti, 1671, IV, 230; Spinoza, Ethica, 1.
II, teor. VI, VII; Wundt, Grundries der Psychologie, 1896, p. 373 segg.; F.
Jodl, Lehrbuch d. Paychol., 1896, p. 57 segg.; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 63-90; Bergson, Le
parallélisme prychophysique et la métaphysique positive, « Bulletin de In Soc.
frangaise de philos. », giugno 1911; Villa, La psicologia contemporanea, 1899;
C. Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. 360 segg.; L. Chiesa,
Il parallelismo prico-fisico 9 de sue interpretazioni nelle diverse scuole
filosofiche, « Riv. stor. crit. scienze teolog. », 1908, p. 25-56; Eisler, Der
prycho-physioche Paralleliemus, 1894 (v. anima, dualismo, materialismo,
moniemo, spiritualiemo, psicologia, funzione, infuso fisico, ecc.). 819
Par Paralogismo. T. Paralogismus; I. Paralogiem; F. Paralogisme.
Ragionamento scorretto, cho si usa talvolta como sinonimo di sofiema, ma che in
realtà se ne distingue perchè, mentre il sofisma consiste in un ragionamento
falso a cui si cerca dare l’ apparenza del vero, e di far accettare come tale,
il paralogismo è invece un errore involontario, che deriva da ignoranza, da
difetto di riflessione o di raziocinio, o semplicemente da distrazione. Questa
distinzione non esisteva in greco, dove παραλογισμός e παραλσγίζεσθαι sono
usati spesso in senso cattivo. Il Masci ritiene invece che la distinzione
poteva avere importanza pei Greci, presso i quali fiorì I’ arte del falso
ragionamento (Sofistica), ma non ne ha alcnna dal punto di vista logico; perciò
egli adopera la parola sofisma per indicare il genere, la parola paralogismo
per indicare quella specie di sofismi che dipendono non dalla falsità materiale
dello premesse, ma dal cangiamento del significato ο del valore dei termini nel
procedere da essi all’illazione. Kant, in quella parte della Critica della
ragion pura che tratta della Dialettica trascendentale, chiamò paralogismo
trascendentale quello per cui la psicologia razionale, dall'unità
dell’io-soggetto considerato come uno rispetto alla molteplicità dei propri
oggetti, conclude alla unità, considerata come reale ed assoluta, del1’
io-sostanza. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 365 n; Kant, Κι. d. reinen Vern., A
341-405, B 399-427 (v. dottrina). Paramnesia. T..Paramnesia; I. Paramnesia ; F.
Paramnesie. Anomalia della memoria, in cui 1’ ignoto appare noto e si riconosce
come già veduto ο sentito ciò che in realtà si vede e si sperimenta per la
prima volta. Consiste dunque in un falso riconoscimento ed è l'opposto dell’
oblio, in cui il noto appare ignoto. Essa può verificarsi tanto nello stato
anormale che nel normale: negli alienati, infatti, accade spesso che per
settimano, per mesi ed anche per anni persistono sempre nell’ idea di trovarsi
in circostanze nelle quali per l’addietro s'erano già trovati, e di Par 820
essere anzi in istato di poter predire ciò che dovrà accadere. Ma anche
nella vita normale, specie nella gioventù, avviene spesso che in qualche
congiuntura ci si imponga improvvisamente l’idea di esserci già trovati nelle
identiche circostanze, e a questa idea e’accompagni il presentimento oscuro di
ciò che forse accadrà. Codesti fenomeni furono spiegati in vari modi: o che si
confonda il simile con l’identico; o che si ridesti una imagine da noi ricevuta
durante uno stato di subcoscienza o di incoscienza, la quale quindi non
produsse in quel momento che una modificazione fisiologica, o che l’imagine
stessa si sia avuta nel sogno. Cfr. Ribot, Maladies de la mémoire, 1885, p.
149153; Revue philosophique, serie di articoli nel 1898, 1894 ; E.
Bernard-Leroy, L’illusion de fausse reconnaissance, 1898; G. Pontiggia,
Ricerche intorno al fenomeno della paramnesia, 1899; G. Fanciulli, Intorno al
falso riconoscimento, in « Cultura filosofica », 1907 (v. amnesia, incosciente,
memoria, riconoscimento). Paranoia. T. Paranoia; I. Paranoia; F. Paranoia.
Termine creato dal Vogel (1772) e ripreso dal Kahlbaum (1863), per denominare
una forma di monomania affettante specialmente l'intelligenza. Oggi, in grazia
specialmente del Kraepelin, per paranoia s'intende una psicosi costituzionale
degenerativa, caratterizzata dal sorgere lento e graduale di un sistema di idee
deliranti e durature, senza passaggio a demenza. Da essa si distinguono gli
stati paranoidi, costituiti da deliri simili ai precedenti ma accompagnati da
allucinazioni e terminanti in demenza. Sotto il nome generico di paranoia si
comprendono dagli psichiatri numerose forme di alienazione mentale, come la
paranoia originaria, rudimentaria, primaria e secondaria, cronica, erotica,
religiosa, alcoolica, semplice, allucinatoria, persecutoria, senile, ecc. Le
idee deliranti del paranoico hanno generalmente origine da fatti veri, da
osservazioni reali, falsamente interpretate e combinate dall’ ammalato. Cfr.
Wer 821 Par ner, Die Paranoia, 1891;
Kraft-Ebbing, Lehrbuoh der Paychiatrie, 1879; Ziehen, Peyohiatrie, 1894, p. 341
segg.; Morselli e Buocola, Paszia sistematiszata, 1883; Tanzi e Riva, Paranoia,
1884; Amadei e Tonnini, La paranoia e le sue forme, « Archivio it. per le
malattie nervose », 1884. Parassitismo. Il significato di questa parola, alla
quale alcuni preferiscono l’espressione di simbiosi antagonistica, non è ancora
ben precisato nelle scienze biologiche. In generale, il fenomeno del
parassitismo può considerarsi come una specie di associazione forzata,
vantaggiosa per uno solo dei componenti, il paraesita, dannosa per l’altro,
cioò l'ospite, alle spese del quale il parassita vive, senza però determinarne
la morte immediata. Alcuni animali sono parassiti soltanto in qualche stadio
della loro vita, altri invece per tutta la vita; in questi ultimi si osserva
sempre un degradamento dell’ organismo in confronto degli animali liberi,
appartenenti ai medesimi gruppi. I parassiti che vono sulla superficie dell’
ospite diconsi ectoparassiti, quelli che vivono nel sup interno endoparassiti.
Cfr. Espinas, Les societés animales, 1878 (v. mutualiemo). Parestesia. Stato
anormale della sensibilità (rapà = anormalmente), da non confondersi colla
paresia (paralisi parziale). Quando la parestesia riguarda i sensi specifici,
prende nomi diversi: se riguarda l’odorato dicesi parosmia, se il tatto
parafia, se l’udito paracusia, se il gusto parageusia. Parlamentari (sofismi).
Nome dato dal Bentham ad una specie di sofismi, che sono usati spesso nelle
discussioni parlamentari, per far trionfare interessi di partito. Tali sono i
soflemi d’ autorità, di confusione, di pericolo e di dilazione. Cfr. Bentham, Essai sur la
taotique des assomblées legislatives, 1815. Parola interiore. T. Innere Rede; I. Inner Speech; F. Parole
intérieure. Espressione divenuta comune dopo il libro di Vittorio Egger, che
reca appunto questo titolo. Essa indica il fatto generale del pensiero che si
presenta alla coPar 822 scienza sotto forma d’imagini uditive, o
uditivo-motorie, formante parole o frasi che la parola esteriore ripete con più
o meno fedeltà. La parola interiore è in tal modo una fase intermedia tra la
parola sonora e il pensiero mnto, e scorre ora più ora meno veloce. Secondo
l'Egger essa è propria di tutti gli uomini normali, ed è continuativa in
ciascuno d’essi; ma molti psicologi contemporanei sono d’opposto avviso. Cfr. V. Egger, La parole
intérieure, 1881: Ballet, Le langage intérieur, cap. V, 1886; Baldwin, Internal
speech and song, « Philos. Review », luglio 1893; G. SaintPaul, Le langage
intérieur et les paraphasies, 1904; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438
segg. (v. endofasia). Parsimonia
(legge di). T. Prinzip der Sparsamkeit; I. Law of parsimony; F. Loi de
paroimonie. Detta anche legge @economia, ο del minimo sforzo, o dell'azione
minore. Essa si verifica tanto nel mondo inorganico, come nell’ organico ο nel
superorganico. Tutti i fini della natura si attuano infatti coi mezzi più
semplici, con quelli che esigono cioè la minore quantità sia di materia che d’
energia, e quindi di tempo. La sua prima formulazione, con valore
epistemologico, si fa risalire a questa formula di Occam: entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem. Galileo ne fece largo uso e l’espresse con
queste parole: « La natura non opera con molte cose quello che può operare con
poche ». Tra gli scienziati contemporanei, il Mach le dà un valore
fondamentale: « La scienza può essere considerata come un problema del minimum,
che consiste nell’ esprimere i fatti nel modo più perfetto possibile col più
piccolo dispendio di pensiero ». Ugual valore le attribuisce anche l’Avenarius,
che riduce tutto lo sviluppo della conoscenza al principio della parsimonia o
del minimo consumo d’energia, così formuluto: l’anima non impiega in una
percezione più forza di quella che kia necessaria, e, quando si trova innanzi a
una pluralità di percezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo
minore produce lo stesso effetto,
823 Par © con uno sforzo uguale
produce un effetto maggiore. Nella psicologia comparata la legge di parsimonia
dicesi anche principio del Morgan: secondo esso non si devono spiegare le
reazioni di un animale con una facoltà psichica superiore (ad es. intelligenza,
ragione), quando per giustificarle basta riferirle ad una capacita psichica
meno elevata nella gerarchia delle funzioni mentali. Cfr. Galileo, Opere, VII,
143; Leibnitz, Discours de métaphysique, 1686, $ VI; Avenarius, Philosophie als
Denken der Welt gemäss dem Princip des kleinsten Kraftmaasses, 1903, p. 3
segg.; E. Mach, Die Mechanich, 3% ed., p. 480; L. Morgan, dn introduction to
comparatire psychology, 1884, p. 53; E. Claparède, Arch. de psychologie,
giugno, 1905 (v. empiriocritioismo, tpotesi, leggo). Partenogenesi (παρθένος =
vergine, γένερις = generazione), Fenomeno assai raro, che consiste nel
riprodursi di certi animali per uova non fecondate, sia per accidente sia con
regolare periodicità. Certi artropodi, ad es., sono partenogenetici durante I’
estate, mentre nell’ autunno depongono uova fecondate. Cfr. Y. Delage,
Structure du protoplasme, Biol. gen.. 1895. PARTICOLARE è ciò che conviene ad
alcuni individui o ad alcune cose. Si oppone a universale, che è ciò che
conviene senza eccezione a tutti gli individui o a tutte le persone. Si
distingue da individuale, che è ciò che appartiene ad un solo individuo, e da
speciale, che è ciò che appartiene ad una specie. Il giudizio particolare è
quello il cui soggetto è preso solo con una parte della sua estensione. Insieme
con I’ universale e con I’ individuale è contenuto sotto il rispetto della
quantità. Il suo valore muta a seconda che la parte di estensione in cui à
preso il soggetto è deterja (molti A sono B
pochi À sono B) o indeterminata (alcuni 4 sono B). Nel primo caso può
essere un giudizio di limitazione, o di eccezione di un giudizio universale
(soltanto alcuni 4 sono B), oppure un giudizio induttivo che prepara
Par-Pas 824 un giudizio universale (almeno alouni 4 sono B).
Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 54; Masci, Logica,
1899, p. 175 segg. Parti-parziale. Nella dottrina di Hamilton sulla
quantifleazione del predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui tento
il soggetto come il predicato sono presi in parte della loro estensione.
Possono essere tanto affermative es.: alcune figure equilatere sono (sleuni)
triangoli -quanto negative, ad es.: qualche triangolo non è (qualche) figura
equilatera, Cfr. Hamilton, Leotures on logio, 1860, Append. II, 283.
Parti-totale. Nella dottrina dell’ Hamilton sulla quantificazione del
predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui il soggetto è preso in
parte della sua estensione, il predicato in tutta l'estensione. Possono essere
tanto affermative es.: alcune figure sono (tutti i) triangoli quanto negative,
ad es.: qualche figura equilatera non è (nessun) triangolo. Cfr. Hamilton, Lectures on
logio, 1860, II, 283. Parusia. Gr. παρεῖναί = essere presente; T.
Parusie ; I. Parousia; F. Parousie. Termine
usato da Platone per esprimere i rapporti tra I’ essere assoluto 0 essenza e il
mondo sensibile; esso sta in stretta relazione con la partecipazione ο metessi
(µάθεξις) © la coinonia (κοινωνία). Fu adoperato anche da Plotino per esprimere
le relazioni del‘Vanima col corpo: mediante la parusia l’ anima anima e pervade
il corpo senza confondersi con esso. Cfr. Platone, Polit., 509; Plotino,
Enneadi, VI, 4, 12. Pasigrafia. Lingua universale ed uniforme per tutte le
scienze, vagheggiata dal Leibnitz, che usava anche a tale riguardo l’
espressione di caratteristica unirersale © are combinatoria. In codesta lingua
scientifica ogni concetto doveva essere rappresentato da un simbolo grafico, ed
ogni flessione, relazione, particella da un segno. Cfr. Leibnitz, De arto
combinatoria, , Nouveaux Essais, IV, cap. VI, $ 2. 825 Pas io al limite, È un'applicazione
particolare del metodo induttivo delle rariazioni concominanti. Quando una
lunga serie di esperienze intorno a determinati fenomeni, che variano
correlativamente in modo parallelo, ha autorizzato a credere che tali
variazioni non hanno limite, si può conchiudere anche al di là dei limiti
segnati dall esperienza. Così la legge d'inerzia si considera come vera,
quantunque I esperienza non ci dia esempio di nessun movimento il quale, non
incontrando alcun ostacolo, continui indefinitamente nella stessa direzione e
colla stessa velocità. Secondo il Mill si può conchiudere col metodo del passaggio
al limite solo quando si conoscono le qualità assolute dei fenomeni che variano
correlativamente, © si sappia che il variare dell’ effetto dipende soltanto dal
variare della causa. Cfr. J. Stuart Mill, À system of logio, 1865, 1, ο. 8 segg. Passione. T.
Leidenschaft, Affekt; 1. Passion; F. Passion. Non è che una emozione divenuta
irresistibile e persistente: ad es. la panra non è che una emozione, l’
avarizia è una passione. Essa è costituita da un’ idea predominante e da
speciali movimenti organici. Così per Cartesio le passioni si possono definire
come « percezioni ο sentimenti o emozioni dell’anima che si riferiscono
particolarmente ad essa © che sono prodotte e conservate e rafforzate da
qualche movimento degli spiriti animali ». « L'impressione che viene chiamata
stato passivo dell’anima, dico Spinoza, è un’ idea confusa per la quale l’anima
afferma la forza di esistere, vale a dire la potenza di agire, maggiore o
mirlore di prima, del proprio corpo o di una delle sue parti, e che essendo
data, determina l'anima a pensare una speciale cosa piuttosto che un’altra ». Condillac la definisco un
desir qui no permet pas d'en avoir d'autres, ou qui du moine est le plus
dominant. Helvetius: les passions
sont dane la moral ce qui dans lo physique est lo mouvement, Kant: « le
passioni appartengonoalla facoltà del desiderare (Begehrungerermigen) Pas 826 e
sono delle tendenze che rendono difficile ο impossibile ogni determinazione
della volontà modiante principi ». Höffding: «la passione, al contrario dell’
emozione, è il movimento affettivo radicatosi mediante I’ abitudino e divenuto
una seconda natura ». Malapert e Ribot: « la passion est une inolination qui e'ezagère, surtout
qui s'installe à demeure. se fait centre de tout, se subordonne lee autres
inclinations et les entraine à sa suite». Il sorgere della passione può essere determinato sis da
cause esterne, come l’ ambiente, limitazione, la suggestione, sia da cause
interne, che si riducono a una sola: il temperamento e il carattere degli
individui (passionali). Essendo esagerazioni di tendenze elementari, tutte le
pnssioni si possono teoricamente ricondurre, secondo il Ribot, a queste tre
tendenze: 1° tendenze che hanno per fine la conservazione dell’ individuo, ad
es. la gola, l’alcoolismo; 2° tendenze che si riferiscono alla conservazione
della specie, ad es. l’amore, la gelosia; 3° tendenze che contribuiscono all’
espandersi dell’ individuo, alla affermazione della sus volontà di potenza, ad
es. l'ambizione, l’avarizia, la vendetta, la passione per le avventure. Le
passioni possono estinguersi per esaurimento, sia lento sia improvviso, per
trasformazione, per sostituzione, per follia, per morte. Nella storia della
filosofia molte sono le dottrine metafisiche sulla passione: ma lo studio
veramente scientifico non è stato fatto che dai psicologi moderni. Per Platone,
le passioni sono la forza che solleva il sensibile e lo conforma all’
intelligibile : vi sono le passioni inferiofi, dovute alla parte più bassa
dell’ anima, l'inidopla, collocata nel ventre; le passioni nobili ο caste,
costituenti la seconda parte dell’ anima, il θυμός, che occupa il cuore; infine
il νοῦς, impassibile, che occupa il capo; la virtù consiste non nel distraggere
le passioni, che sono indistruttibili, ma nel rispettare l'armonia essenziale
delPanima, nel mantenere l'autorità del voie sul θυμός ο sulla ἐπιθυμία. Nella
sua parte essenziale la dottrina pla 827
Pas tonica è condivisa da Aristotele, mentre invece sia gli stoici che
gli epicurei negano, per vie diverse, che lo passioni partecipino della essenza
dell’ anima, considerandole come semplici turbamenti accidentali: divengono
quindi possibili nella pratica la felicità e l’atarassia, ciod l’assenza d’
ogni turbamento, che soltanto 1’ esercizio dell’ intelligenza può procurare, 8.
Tommaso, attenendosi alla dottrina aristotelica, fa sorgere le passioni dall’
appetito, che è la facoltà dell’ anima per la quale essa è portata verso gli
oggetti esteriori come suoi propri fini; perciò tutte le passioni si
riconducono infine ad una sola, l’amore: « L'amore è naturalmente il primo
passo della volontà e dell’ appetito, conicchè da esso hanno origine tutti gli
altri atti della passione. Ognuno desidera il bene che ama, gode di esso € si
rallegra; il contrario della cosa amata produce I’ odio. Lo stesso può dirsi
della malinconia e delle altre pa tutto partono dall’amore « possono in esso
confondersi e riunirsi ». Bossuet, riepilogando più tardi la dottrina di 8.
Tommaso, dirà: « Sopprimete l’amore e tutte lo passioni spariranno, rimettetelo
al suo posto ed eccole apparire tutte di nuovo ». Nella filosofia di Cartesio
la passione ha un significato peculiare; essa è una emozione dell’ anima
originata dagli spiriti animali, © non nasce dagli oggetti esterni ma dalla
loro valutazione: « noi riferiamo all’ anima i movimenti del nostro corpo, ma a
codesto riferimento va unito il sentimento che questi moti dell’ anima non sono
voluti, ma subìti, ed è così che si forma l'idea della passione. » Cartesio
pone come c6mpito dell’ Etica il liberarsi delle passioni, che contraddicono
alle esigenze dello spirito. Tuttavia egli considera tutte le passioni come
date da natura, e tutte buone; per tal modo si contrappone per primo al
concetto ascetico e teologico, che tutte le passioni condannava come nocive, e
prepara la dottrina spinoziana e moderna sulla utilità delle passioni. Ogni
essere, secondo Spinoza, ha una tendenza n Pas
828 perseverare nel proprio
stato; questa tendenza, divenuta cosciente, dicesi oupidità, alla quale si
associano due passioni, © ciod la letizia per tutto ciò che è favorevole alla
nostra esistenza, la tristezza per tutto ciò che tendo a diminuirla. Non
diversamente nella scienza moderna è inteso l'ufficio biologico dell’
affettività in generale, ο quindi anche della passione. La quale per di più ha
il cémpito di fornire l’ eccitazione per il funzionamento delle varie serie
psichiche, così negli uomini come negli animali ; e, quando non sia smoderata ©
patologica, di conferire energia © costanza alla volontà, acutezza alla
intelligenza, forza al compimento degli ideali generosi. « Nulla di grande è
mai stato compiuto nò potrà mai compiersi, dice Hegel, senza la passione. È una
moralità morta e persino troppo spesso una moralità ipocrita quella che « eleva
contro la passione per il solo fatto che è passione ». Uguale valore
attribuisce alle passioni il Galluppi, che le considera come desideri violenti,
riconducendole tutte a due fondamentali : |’ amore e V odio, di cui le varie
passioni non sono che modifica zioni, determinate da giudizi diversi sull’
esistenza dell’oggetto amato ο dell’ oggetto odiato; quando l’amore per
l'oggetto della propria passione è maggiore dell’ amor natarale della propria
personalità, si hanno le passioni forti, senza le quali nulla vi sarebbe di
grande e di sublime nelle imprese degli uomini. Per il Rosmini le passioni sono
afSezioni che lasciano nell’ anima un’ abituale inclinazione a riprodursi ; a
lor volta le affezioni sono modificazioni generali dell’ anima, prodotte in
questa dall’ associazione di più sentimenti; nel? uomo si dànno passioni
razionali e passioni animali: le prime l’uomo ha in comune coi bruti,
quantunque ne differisoano sia perchè si associa }’ intelligenza a modificarle,
sia perchè possono esser mosse da una _ causa razionale; le seconde sono proprie
esclusivamente dell’uomo ed hanno per unica causa l'intelligenza, quali la
meraviglia, lo stupore, l'estasi, eco. Cfr. Platone, Polit.,
829 IX; Aristotele, Do An., I, 3,
407 b, II, 5, 417 segg.; 8. Tommaso, Summa theol., I, qu. XX, art. 1; Cartesio,
Des passions, 1649; Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. II, 1. V, teor. III, VI, XVII, XX;
Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. III, $ 3; Helvetius, 1758, III,
4; L. Limentani, Le teorie psicologiohe di Helvetius, 1904, p. 33 segg.; Kant,
Ærit. der Urteilskraft, 1878, p. 121 n; Héftding, Psychologie, trad. franc.
1900, p. 376 segg.; P. Malapert, Les éléments du caractére, 1898, p. 229;
Hegel, Phänomen. des Geistes, 1832, consid. sul $ 474; Ribot, Essai sur les
passions, 1907 ; Boigey, Introd. à la medicine des passions, 1914; W. James,
Principi di psicologia, trad. it. 1909, ο.
xxv; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. II; Rosmini, Psioologia, 1848, vol. IT, p. 165 segg.;
Ardigò, Opere fil., III, 84 segg., VI, 364 segg.; A. Renda, Le passioni, 1905
(v. affettivi, emozione, sentimento, sentimentalismo, intellettualiemo).
Passività. T. Passivität; I. Passiveness; F. Passivite. Opposto ad attività,
designa lo stato dell’ essere che ricove V azione, ossia le modificazioni
prodotte in un essere da un altro essere che agisce su lui. Il concetto di
attività © passività sarebbe, secondo alcuni, puramente psicologico, e quindi
non applicabile alla realtà naturale. « Tra il dare e il ricevere, tra
l’attività ο la passività, dice il Jodl, non esiste nella coscienza alcuna
separazione (Trennung), ma soltanto una opposizione (Gegensatz) logica e
concettuale ». L'uomo avverte in sò stesso delle sensazioni, che egli'riceve
dalle cose, ο perciò sotto tal riguardo considera sè come passivo e le cose
come attive; nello stesso tempo avverte la propria azione sulle cose, che
rimangono da lui modificate, e sotto questo riguardo considera sò come attivo e
le cose come passive. Proiettando al di fuori questi due concetti, l’uomo
attribuisce alle relazioni delle cose tra loro le forme di attività e passività
che ritrova in sè stesso. Ciò è, secondo alcuni filosofi, illegittimo,
anzitutto perchè la sensibilità non è recettira ma attiva, in quanto PAT 830 il
fatto esterno rimane esterno, e quindi il soggetto ha soltanto stati propri; in
secondo luogo perchè la concezione della realtà non può modellarsi sopra un
fatto assolutamente psicologico. La realtà naturale in quanto è divenire, în
quanto è unità © continuità, esclude in sd ogni sostanziale
contrapposizione. Nella teologia la
passività designa non già uno stato di dolore opposto al piacere, nè uno stato
di inerzia o indolenza, ma bensì lo stato contemplativo dell’anima sottomessa
all’azione di Dio. L'anima si trova allo stato passivo quando Dio agisce sopra
le sue potenze -pensiero, sentimento, volontà le quali non fanno che patire,
ricevere V opera divina. Cfr. F. Jodl, Lehrbuch der Psychologie, 1896, p. 105;
Marchesini, Il simbolismo nella conoscenza e nella morale, 1901, p. 295 segg.
(v. attività, azione, patire). Patarini Setta di novatori cristiani, fiorita in
Lombardia © così denominata dal luogo ove si radunavano in Milano. Essi
combattevano il matrimonio del clero, il lusso degli alti gradi ecclesiastici,
e predicavano il disprezzo delle ricchezze e della gloria mondana. Non è
improbabile, a giudizio del Tocco, che ad essi si sia moscolata la setta
eretica dei Catari, allofa molto diffusa in Lombardia. Cfr. F. Tocco, Le eresie
nel medioero, 1884. Patire. T. Leiden; 1. To be passive; F. Patir. Ricevere
un'azione. In Aristotele è una categoria (πάσχειν), che si assimila a quella
dell’ agiré (roteiv), in quanto sono fra loro nello stesso rapporto del movente
ο del mosso: il mosso è anche il movente, il secante è il secato. Come termine
d'una relazione sono distinti; ma la relasione è un’ unica categoria. Cfr. Aristotele, Top., I, 9;
Id., Metaph., IV, 28, 1024 b, 9, VIII, 1, 1045, ecc. (v. passione, azione). Patologia. T. Pathologie; I.
Pathology; F. Pathologie. La scienza che ha per oggetto la conoscenza delle
malattie. Si divide în generale e speciale; quest’ultima in interna 831
Par ed esterna. Nella patologia speciale, Specht o Münsterberg hanno
distinto la patopsicologia, che studia i fatti psichici presentanti un
carattere morboso, e la psicopatologia che è propriamente quel ramo della patologia
che studia le malattie dello spirito. La patologia non divenne vera scienza che
nel secolo scorso, quanto cioè la malattia non venne più considerata come un
ente speciale, ma come un fenomeno naturale, sottomesso alle leggi di natura. A
tale risultato contribuirono specialmente gli studi sulla patologia cellulare
del Virchow, che trasportò per primo la teoria cellulare dall’organismo sano a
quello malato, dimostrando come la cansa delle malattie risiede nell’
alterazione, più ο meno vasta, dei varii territori cellulari. Cfr. Münsterberg, Zeitschrift
für Pathopayohologie, 1° vol., 1911; G. Storring, Mental pathology, 1907;
Lustig, Patologia generale, 1901, vol. I, p. 9 segg. Patristica. T. Patristik; I. Patristic; F. Philosophie
patristique. E il primo dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia del
medio evo, e comprende i primi otto secoli dell'era volgare; il secondo è
rappresentato dalla scolastica. La patristica si distacca profondamente dalla
filosofia precedente, e, in generale, da tutta la filosofia antica, in quanto
vi prevale la fede sulla ragione, ogni sforzo è ridotto alla elaborazione del
dogma, e la filosofia ha perduto il suo potere sovrano, non vi è più
considerata che un’umile ancella della religione. Si divide in tre periodi: al
primo, detto degli apologeti, appartengono principalmente 8. Giustino,
Atenagora ο ‘Teofilo, che dirigono ogni loro sforzo a difendere la dottrina
cristiana contro la filosofia e la religione pagana; il secondo, detto dei
oontroversisti, è principalmente occupato a difendere la religione cristiana
contro gli assalti della gnosi e delle ultre eresio; nel terzo periodo, detto
dei sistematici, la dottrina cristiana, che aveva vittoriosamente combattuto lo
dottrine avverse, è ridotta a sistema filosofico. QuePau 832
st’ ultimo periodo, che è il più importante, si svolge da prima in
Alessandria con Panteno e Clemente Alessandrino, ed ha per cémpito principale
di definire il dogma della Trinità; passa di poi in Occidente, ove 8. Agostino,
l’intelletto più robusto della Chiesa occidentale, costituisce il sistema
completo e definitivo della filosofia cristiana. La patristica non deve confondersi con la
patrologis. La parola patrologia cominciò ad usarsi nel secolo XVII, ο servì
allora a designare la scienza della vita © degli scritti dei Padri della
Chiesa; poi il suo significato andò sempre più allargandosi, ed oggi essa si
occupa di tutti gli scrittori ecclesiastici, ne analizza gli scritti con
particolare riguardo alle loro opinioni dogmatiche, cosicchè può dirai non
esser altro che la storia dell’ antica letteratura oristiana. Nella patrologia
i protestanti comprendono anche i libri del Nuovo Testamento e l'antica
letteratura eretica; i cattolici invece lasciano i primi alla scienza
dell’introduzione biblica e non inoludono nella patrologia gli scritti eretici
se non in quanto è necessario alla intelligenza delle opere ecclesiastiche,
Cfr. Harnack, Lehrbuch d. Dogmengeschichte, 1890; Möhler, Patrologie, 1840;
Stökl, Geschichte d. Philos. d. patristischen Zeit, 1859; F. Chr. Baur,
Vorlesungen über die ohrist. Dogmengeschiohte, 1865; Ritter, Histoire de la phil,
chrétionne, 1843; Bardenhewer, Patrologia, trad. it. Mercati, 1903; Rauschen,
Manuale di patrologia, 1905; R., L’ agnosticiemo nella filosofia religiosa,
1912, p. 125-192 (v. dommatica, domma, neotomismo, scolastica). Paura. T.
Furcht; I. Fear; F. Peur. Fu definita come la reazione organica che succede
alla rappresentazione viva di un pericolo reale o possibile. Cicerone la
definisce: reocssus ot fuga animi. S. Agostino: perturbatio animi in
exapeotatione mali. Hobbes: aversio cum opinione dammi soouturi. Spinoza
l’accosta alla speranza, che definisco una gioia instabile, nata dall’ imagine
d'una cosa futura ο passata, del cui realizzarsi noi dubitiamo, mentre la paura
è una fri 833 Pec atesza instabile,
nata, del pari, dall'imagine d'una cosa dubbia. Essa rappresenta la prima
reazione emotiva della vita, comparendo, secondo il Perez, al secondo mese di
esistenza. Vi sono due spocie fondamentali di paura: quella istintiva, che
compare più spesso nei bambini ο negli animali, e quella cosciente o riflessa,
che è sempre posteriore all’esperienza ο si fonds sopra il ricordo d’un
pericolo ο d’un dolore provati o evitati. Quando la paura è sproporzionata alla
causa efficiente, cronica, 9 accompagnata da movimenti troppo intensi, diventa
un fenomeno patologico e dicesi fobia. Cfr. S. Agostino, De cir. Dei, Il;
Spinoza, Ethica, 1. III, teor. XVI, scol. 2; Th. Ribot, Essai sur les
passions, 1907; A. Mosso, La peur, trad. franc. 1888. Peccato. T. Sünde; I. Sin; F. Péché. Nel suo
senso generale ο primitivo, il peccato è il male morale; in senso religioso, è
la trasgressione volontaria della legge divina, © quindi l'offesa alla
divinità. Il dogma del peccato originale afferma che Dio creò l’uomo morale,
libero ϱ fallibile; che per un atto della sua libera volontà 1’ uomo disobbedì
al volere divino; che l’uomo, essendo libero, è responsabile delle sue azioni,
© che quindi la sua disobbedionza ha determinato il giusto castigo di Dio; che,
infine, 1a pena del fallo è ereditaria. Secondo l’Ardigò, il concetto del
peccato originale sorse come interpretazione dell’ esistenza del dolore,
considerato da principio quale vendetta d'una potenza superiore inclemente e
capricciosa, poi quale castigo inflitto da una divinità giusta: « In pari
tempo, per la osservazione che il dolore, ossia la punizione, si verificava
anche nei non colpevoli, si dovette, affine di liberare in qualche modo il
concetto religioso fondamentale dalla contraddizione, ricorrere allo spediente,
suggerito anch’ esso da una osservazione di fatto, del peccato originale». Cfr.
I. Müller, Christl. Lehre r. d. Sünde, δ3 ed. 1887; Ardigò, La morale doi
positieisti, 1892, p. 73-74 (v. male, ottimiemo, religione, teodicea). 58 RaNzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. PED 834
Pedagogia. T. Pädagogik; I. Podagogios; F. Pédagogie. La scienza del
fatto della educazione; vale a dire quel sistema di cognizioni teoriche fra
loro coordinate, da cui derivano le regole pratiche che guidano 1’ educazione.
Si deve dunque distinguere la scienza pedagogica, che è un complesso di regole
derivanti da principi, dall’arte pedugogica, che è la semplice applicazione di
norme suggerite dalla pratica ο tramandate per tradizione, ο dalla dottrina
pedagogica, che è un insieme di regole delle quali non si spiegano le ragioni.
La pedagogia nel sno primo significato è ad un tempo scienza ed arte. Al pari
di ogni altra scienza, essa è passata nella sua evoluzione storica attraverso
tre grandi periodi, empirico, precsttivo 9 organico ο ideale; nel primo periodo
non è che una serie di tentativi, governati dal bisogno; nel secondo un insieme
di precetti, di aforiemi ο di leggi parziali, dettate più che altro daluito
pedagogico ; nel terzo, che è il più perfetto, le cognizioni vengono
logicamente organizzate in un tutto ideale. La pedagogia è puro © grossolano
empirismo nei popoli selvaggi © primitivi; diventa precettiva nei popoli delY
Oriente, della Grecia © di Roma, come attestano le loro leggi, le loro
letterature, i loro libri religiosi; si eleva infine a vera organizzazione
ideale coi grandi filosofi greci. Cfr. Herbart, Pädagog. Schriften, her. O.
Willman, 1880; Credaro, La pedagogia di F. Herbart, 1900; A. Angiulli, La
pedagogia, 1882; A. Gabelli, La pedagogia, lo stato e la famiglia, 1876;
Ardigd, La scienza dell’ eduoasione, 1893; E. Celesia, Storia della pedagogia
italiana, 1893 (v. educazione, didattica, metodica, pedologia, ccc.).
Pedologia. T. Paidologio; I. Paidology; F. Pédologia. Vocabolo creato dal
Chrisman per designare In scienza completa del fanciullo, studiato così sotto 1
aspetto fisiologico ed antropologico, come sotto quello psicologico e
psichiatrico. Essa quindi non sarebbe che una parte, per quanto fondamentale,
della Pedagogia. Per altri la Pedo 835
PEN logia designa invece la vera scienza sperimentale della educazione,
distinta nettamente dalla Pedagogia, che è considerata come una speculazione
puramente astratta e filosofica. Per altri ancora la Pedologia non è che una
parte della psicologia individuale: come questa ricerca ed esamins le
differenze che mostrano i singoli individui nelle diverse funzioni psichiche,
così In Pedologia non studia la vita psichica generale dell’ infanzia, ma le
differenze per mezzo delle quali un fanciullo si distingue dagli altri, sia
nelle funzioni inferiori psicofisiologiche e sensoriali, sia nei processi
superiori della memoria, del ragionamento, delV emotività, eco. Cfr. O. Chrisman,
Paidologio, Entwurf zu einer Wissenschaft des Kindes, 1894; E. Blum, La
pédologie, Pidee, le mot, la chose, in « Année Paychologique », 1899; Sur les
divisione et la méthode de la pédologie, C. r. del Congrès de phil. de Genève,
1904; G. Cesca, Pedagogia ο pedologia, « Riv. di fil.
ο scienze aff. », sett. 1902. Pena. T. Strafe, Bestrafung; I.
Punishment; F. Peine, Punition. Ha tre significati distinti: in senso generale
esprime qualunque dolore, o qualunque male che cagiona dolore; in senso
speciale indica un mule che si soffre per causa propria, e comprende quindi
tutte le pene dette natwrali; in un senso ancora più speciale, indica la
sanzione della legge, ossia quel male che l’ autorità civile infligge ad un
colpevole per causa del suo delitto. Secondo la maggior parte dei criminalisti,
la pena, intesa in quest’ ultimo significato, ha origine dal sentimento della
vendetta, che spinse gli uomini primitivi a infliggere un male s chi aveva ad
altri recato male, © che fu elevato all’ altezza di un diritto, ereditario,
redimibile a piacere dell’offeso ed esclusivo dell’ offeso stesso e dei suoi
familiari. In seguito, penetrata l’idea religiosa nella penalità, al concetto
della vendetta privata venne sostituendosi quello della vendetta divina, e il
diritto di infliggere © misurare la pena affidato al sacerdozio. Sorta infine
l’idea dello Stato, a questo fu PEN
836 affidato l’ufficio di punire,
riguardandosi il delitto non più come offesa al privato o alla divinità, ma
come offesa alla società intera, e quindi la pena come vendetta della società
offesa. Quanto al fondamento e allo scopo della pena, molto diverse sono le
dottrine dei filosofi ; però, secondo una classificazione generalmente
accettata, tutte codeste dottrine si possono distribuire in tre gruppi. Al
primo appartengono le dottrine assolute, che pongono lo scopo della pena
unicamente nel principio morale e quindi non al di là della pena stessa; si
punisce quia peoatum est, perchè la pena è giusta in sd; un simile concetto fu
sostenuto in Italia dal Mamiani, ed elaborato ulteriormente nell’ idea della
retribuzione giuridica dal Pessina. Al secondo appartengono le dottrine
relative, che dànno tutte alla pena uno scopo fuori della pena stessa, ma
differiscono grandemente tra di loro nella determinazione dello scopo stesso.
Così, secondo la teoria del contratto sociale (Hobbes, Rousseau, Beccaria,
Fichte), scopo della pena è l'utilità: « La sola necessità, dice il Beccaria,
ha fatto nascere dall’ urto delle passioni ο dalle opposizioni degli interessi
l’ idea della utiUtd comune, che è la base della giustizia umana... Il fine
delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile nd di disfare
un delitto già commesso... ma d’ impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi
concittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali ». Secondo un’altra
dottrina relativa, la pena ha per scopo tenere i proclivi al reato; essa
esercita, dice il Fenerbach, una cazione pricologioa, ed è perciò necessario
che il male della pena superi il vantaggio o il piacere proveniente dal
delitto. Analoghe alla precedente sono le teorie dette della premonisione (la
legge deve ammonire a non delinquere), della prevensione (la legge deve
distruggere la volontà inclinata al delitto), del risarcimento (il colpevole
deve risarcire, con 1’ espiazione della pena, i danni morali o ideali prodotti
col reato), del ravvedimento ο miglioramento (scopo 837
PEN della pena è specialmente di far ravvedere il colpevole ο @ impedire
quindi la ricaduta nel delitto), e della difesa. Quest’ ultima dottrina ebbe un
valido sostenitore nel Romagnosi, per il quale il diritto penale non è che
diritto di difesa, ed ha il fondamento nel diritto che hanno tatti gli uomini
di conservare la loro felicità e nell’ uguaglianza legale naturale, che passa
fra uomo'e uomo; I’ uno e Paltro diritto sono posti in moto dalla
considerazione di un male derivante dsl facinoroso; fine immediato e proprio
d’ogni pena, tanto minacciata quanto eseguita, è d’incutere timore affinchè non
si commettano delitti. Al terzo ed ultimo gruppo appartengono le dottrine
miste, che cercano di conciliare le assolute e le relative, dando alla pena un
fondamento nel principio morale e uno nella dottrina sociale. Così secondo il
Carrara, il diritto di punire riposa su tre principi, dell’ utilità, della
giustizia, della simpatia, compresi tutti nella legge dell’ ordine prestabilita
da Dio all'umanità; il fondamento è nella necessità di difendere i diritti
dell’uomo, la giustizia è il limite, la simpatia il moderatore della sua forma;
la forza tutelatrice del diritto deve esercitarsi mediante la coazione morale,
che legittima la minaccia della pena; © poichè tale minaccia non raggiungerebbe
il suo scopo se non ne seguisse Vapplicuzione, così la necessità e la
legittimità della minaccia portano seco la necessità ¢ la legittimità dell’
applicazione effettiva del castigo; non sono perciò punibili se non quei fatti,
che abbiano il doppio carattere di essere lesivi del diritto e siano riparabili
mediante la repressione. Secondo la nuova souola criminale positiva (Lombroso,
Ferri, Garofalo), essendo il delitto un prodotto di fattori antropologici,
fisici e sociali, la pena non ha carattere di colpa morale, di retribuzione
morale, di castigo; la scelta ο la misura della pena devono esser fatte in
rapporto allo speciale carattere del delinquente e alle peculiari condizioni
dell’ ambiente; lo Stato, adottato il magistero repressivo, deve agire in
PEN 838
via preventiva per eliminare o modificare e diminnire i fattori della
delinquenza (igiene sociale). Quanto allo scopo della pens, la scuola positiva
accoglie il concetto, proprio di altre scuole, della difesa sociale: la società
è un organismo che, come tale, deve vivere e conservarsi, respingendo e, ove è
possibile, prevenendo ogni lesione; si applicano le pene perchè i delinquenti
siano posti, temporaneamente ο perpetuamente, nell’ impossibilità di nuocere,
per ottenerne l’ ammenda, per trattenere altri dal delitto. Cfr. Beccaria, Dei
delitti ο delle pone, 1764; Romagnosi, Genesi del diritto penale, 1837;
Carrara, Programma di dir. oriminale, Parte generale, 1871; Feuerbach, Lehrbuch
d. gem. in Deutschland gült. peinlichen Rechte, 1874; H. Sidgwick, The elemente
of politics, 1897; Jhering, Der Zweok im Recht, 1899; Letournean, L'érolution
juridique, 1891; R. Saleilles, L'individuation de la peine, 1898; G. Tarde, La
philosophie pénale, 1890; Lombroso, L’ womo delinquente, 1896; Garofalo,
Criminologia, 1905; Ferri, La sootol. criminale, 1892: Antonini, Antropologia
criminale, 1906; Frassati, La nuora souola del diritto penale in Italia ο
all'estero, 1891; Aless. Levi, Delitto ¢ pena nel pensiero dei greci, 1903; C.
Picone Chiodo, I nuori orizzonti della soc. criminale, 1914 (v. delitto, libero
arbitrio, responsabilità). Pensiero. T. Gedanke, Denken ; I. Thought; F.
Pensée. In senso largo comprende tutti i fenomeni conoscitivi © intellettivi,
per opposizione a quelli affettivi ο volitivi. Nel suo significato proprio è
l’attività dello spirito che analizza e pono tra loro in relazione i dati
complessi della esperienza sia reale che possibile. AI pensiero è dunque da
riferire ogni maniera di conoscenza mediata, che si ottiene cioè mediante il
paragone e il riferimento cosciente de’ suoi termini; si oppone quindi alla
sensazione, alla quale si riferisce ogni maniera di conoscenza immediata. I
dati della esperienza sensibile costituiscono ciò che si dice In materia del
pensiero, mentre il modo della comprensione dei dati 839
PEN stessi ne costituiscono la forma. Quando il pensiero è opposto all’
asione, designa in genere l’attività ideale o psichica per opposizione alla
volontaria; quando è opposto alla realtà, alla cosa, designa il soggetto
conoscente come contrapposto all’oggetto conosciuto. Nel linguaggio di Cartesio
© de’ suoi seguaci, nel termine pensiero sono compresi tutti i fatti psichici;
come l'attributo o proprietà fondamentale dei corpi è l'estensione, cos)
l’attributo dello spirito è il pensiero, ο quindi tutti gli atti interni non
sono che modi del pensiero. « Tutti i modi di pensare che osserviamo in noi
stessi, dice Cartesio, possono essere riportati a due generali, l'uno dei quali
consiste nel percepire con l'intelletto, l’altro nel determinarsi con la
volontà ». Così sentire, imaginare e persino concepire delle cose puramente
intelligibili, non sono che modi differenti di percepire; ma desiderare, sentire
avversione, aaserire, negare, dubitare, sono modi differenti di volere. In
seguito il significato del vocabolo andò sempre più restringendosi e
determinandosi. Secondo Hobbes « ogni pensiero consiste in un combinare e
separare, aggiungere © togliere di rappresentazioni mentali; pensare è
calcolare (to reokon) ». Per Hume è « la facoltà di combinare, trasporre,
aumentare o diminuire il materiale fornito dai sensi ο dalla esperienza; tutti
i materiali del pensiero ci sono dati dall’ esperienza interna ο esterna, solo
la loro combinazione è opera dell’intelligensa ο del volere ». Per l’Holbach è la facoltà
che ha l’uomo @appercevoir en lui-même ou de sentir les difforentes
modifications ον idées qu'il a rogues, do
les combiner et de les δέparer, de les éteindre et
de les restreindre, de les comparer, de les renouveler. Kant considera il pensiero come giudizio, come
conoscenza mediante concetti, come l’azione di riferire una data intuizione ad
un oggetto (die Handlung, gegebene Anschauung auf einem Gegenstand zu
beziehen). Lotze considera il pensiero come « una continua critica che lo
spirito esercita sul materiale delle rappresentazioni succedentisi PEN 840
(Vorstellungeverlauf), in quanto esso separa le rappresentazioni, e le
collega secondo un rapporto non collocato nella natura del loro contenuto ». L’
Hamilton crede che Js peculiarità distintiva del pensiero in generale sia che
esso involge la cognizione d’ uns cosa mediante la cognizione di un’altra; ogni
pensiero è quindi una cognizione mediata ». Per il Galluppi, come per Cartesio,
col termine pensiero si indica qualunque atto © qualunque modificazione dell’
anima umana, modificazione che consiste nel sentire, nel conoscere, nel
desiderare © nel volere; l’ attenzione sul proprio pensiero costituisce la riflessione.
Secondo il Rosmini il pensiero è l'insieme degli atti delle facoltà
intellettive, vale a dire dell'intelletto, costituito dall’intuizione dell’
essere, ο della ragione, che è la potenza generale d’ applicare l’essere; In
legge suprema del pensiero è quindi: il termine del pensiero à l'ente; il che
equivale a dire « il pensiero è così fatto che ha per leggo primitiva di sua
natura di avere a termine l’ente, di modo che o ha Vente a suo termine ovvero
non è; l’ente considerato sotto questo aspetto è dunque la condizione a cui è
legata l’esistenza del pensiero ». Secondo 1’ Ebbinghaus il pensiero si può
considerare come un termine di mezzo tra la fuga delle idee ϱ le idee fisse, ©
consiste « in una successione di rappresentazioni, che non sono soltanto
riunite per associazione le une alle altre in elementi di una serie, ma che nel
tempo stesso sono auche coordinate ο subordinate ad un’altra rappresentazione
direttrice; quindi esse hanno tutte dei rapporti con una rappresentazione
superiore, per il fatto stesso che vi figurano come parti di un tutto ».
Drobisch lo definisce brevemente come « il compondio d’una pluralità e
molteplicità in una unità >; il Wundt come un appercepire attivo, come-«
ogni rappresentare possedente un valore logico »; l'Hüffding: « se noi
cerchiamo una definizione generale del pensiero possiamo dire: pensare è
comparare, è trovaro della diversità o della
841 PER somiglianza ». Cfr.
Cartesio, Princ. phil., I, 9; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. I; Hume, Essais,
II, 27'segg.; Holbach, Syst. de la Nature, 1770, I, cap. VIII, p. 112; Kant,
Krit. d. r. Vern., ed. Kehrbach, p. 88, 89, 229; Lotze, Grundzüge d. Logik;
Hamilton, Lectures on Logis, , t. II, p. 75; Drobisch, Neue Darstellung d.
Logik, 1887, $ 4; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. I, p.
18; Rosmini, Logica, 1853, $ 36 segg., 64 segg.; Id., Peiovlogia, 1848, II, p.
272 segg.; Ebbinghaus, Paychologie, trad. franc. 1912, p. 199 segg.; Liepmann,
Sur la fuite d’idées, 1904; J. Dewoy, How we think, 1912; M. Stern, Das Denken
w. sein Gegenstand, 1909; Wnndt, Logik, , I, 71; Hôffding, Peyokologie, trad.
franc. 1900,
p. 232; Id., La pensée humaine, ses formes et sea problèmes, trad. franc. 1911; A. Fouillée, La pensée et les nouvelles
éooles anti-intelleotwalistes, 1911; A. Faggi, Il pensiero, « Riv. di filosofia
», maggio 1912 (v. essenza, intelletto, intelligenza, noo, logos, ragione).
Percetto. T. Empirische Anschauung; I. Percept; F. Percept. Neologismo usato
talvolta, per analogia con concetto, per designare il contenuto della
percezione. Si stingue dalla percezione, in quanto questa designa 1’ atto © il
processo del percepire, mentre quello è il risultato del processo medesimo. Il
Romanes chiama percetto l’idea semplice, recetto l’idea composta o combinazione
di rappresentazioni, concetto l’idea generale ο astratta; i recetti derivano
dai percetti più o meno simili, e la loro associazione ha carattere passivo; le
somiglianze tra i percetti sono così distinte, così cospicue © così
frequentenente ripetute che, nel momento stesso della percezione, si
classificano tra di loro e, per così dire, cadono spontaneamente nelle loro
appropriate classi, senza uno sforzo cosciente da parte del soggetto che
percepisce. Cfr. Romanes, L'eroluzione mentale dell’ uomo, trad. italiana 1907,
Ρ. 33 segg. PER Percezione. T. Warknemung, Perception ; I. Peroeption ; F.
Peroeption: Uno dei vocaboli filosofici dal significato più vario ed
oscillante. Spesso è usata come sinonimo di sensazione, per designare il
fenomeno psicologico provocato dalla eccitazione d’un organo di senso; altre
volte è distinta dalla sensazione per il giudizio d’obbiettività che essa
implica, in quanto cio’, mentre la sensazione non è riferita ad un oggetto
determinante, la percezione invece è una sensazione integrata dall’ esplicito
riferimento del soggetto all’ oggetto; e vien distinta ancora dalla sensazione
perchè, mentre in questa il fatto psichico provocato dalla eccitazione di un
organo di senso ha carattere puramente afettivo, nella percezione ha carattere
intellettuale. E usata ancora come sinonimo di rappresentazione; ma da altri ne
è distinta perch’, mentre la rappresentazione è un fatto mentale, che si
rinnova nell’ assenza d’ uno stimolo esteriore che direttamente lo provochi, la
percezione non si ha che mediante l’azione su noi dell’ oggetto sensibile.
Perciò alcuni chiamano la rappresentazione percezione mediata. Alcuni
distinguono la percezione semplice dalla percezione esteriore: quella non è che
la pura coscienza delle nostre sensazioni, questa è la coscienza dell'oggetto,
cioò la nostra sensazione divenuta una qualità dell’ oggetto esteriore, Si
soglion chiamare peroesioni acquisite quelle percezioni di un senso, che
risultano non dalla eccitazione immediata che quel dato organo di senso ha
dall’ oggetto (percezioni naturali), ma dalla eccitazione di quell’organo
avvenuta mediante un altro organo di senso. Nella terminologia cartesiana per
percezione #’ intende qualunque fatto intellettuale ; essa è opposta alla
rolisione, che designa ogni atto di volontà ο di desiderio; percezioni e
volizioni costituiscono l’intero ambito dei fatti di coscienza. Ommes modi
cogitandi, quo in nobis experimur, dice Cartesio, ad duos generales veferri
possunt, quorum unus est poroeptio, sive operatio intelleotua.... Nam sentire,
imaginare ot pure intel 843 PER Ἱέροτο
sunt tantum diversi modi peroipiendi, Nella filosofia del Leibnitz la parola
percezione ha un significato pure anıplissimo, abbracciando ogni specie di pensieri:
egli chiama percezioni insensibili, o piocole percezioni, gli stati di
coscienza esistenti nel nostro spirito ma non attualmente pensati, ο in questo
stato incosciente suppone esistano tutte le idee delle cose, cosicchè lo
sviluppo delle facoltà intellettuali non consisterebbe che nel lavorio dell’
anima di rendere chiare © coscienti le idee che sono in essa quasi abbozzate.
«In ogni momento, dice il Leibnitz, esiste in noi una infinità di percezioni,
ma senza appercesione © senza rifleesione, cioè dei cangiamenti dell’ anima
stessa, dei quali non οἱ accorgiamo; perchè queste impressioni sono ο troppo
piccole e numerose, o troppo unite; per modo che esse non hanno nulla di
sufficientemente distintivo separate, ma, unite ad altre, non mancano di fare
il loro effetto, e di farsi sentire nella riunione, almeno confusamente....
Queste piccole percezioni sono assai più importanti che non si creda. Sono esse
che formano quel non s0 che, quei gusti, quelle imagini delle qualità dei
sensi, chiare nell’insieme ma confuse nelle parti; quelle impressioni, che i
corpi che ci circondano fanno su noi © che racchiudono l’infinito; quel legame
che ogni essere ha con tutto il resto dell'universo. Si può dire persino che,
dunque, il presente di codeste piccole percezioni è gravido dell’ avvenire
carico del passato, che tutto cospira © che degli occhi penetranti come quelli
di Dio potrebbero leggere nella più piccola delle sostanze tutta la serie delle
cose dell'universo ». Anche per Locke la percezione ha significato molto ampio,
essendo « la prima operazione di tutte le nostre facoltà intellettuali e Padito
(the inlet) di ogni conoscenza dentro la nostra mente ». Per Berkeley « avere
un’ idea è la stessa cosa che percepire ». Condillac: La peroeption et la
conscience ne sont qu'une même opération sous deux nome. En tant qu'on ne la
considère que comme une impresrion de l'âme, on PER 844
peut lui conserver celui de perception; en tant qu'elle avertit Vame de
sa présence, on peut lui donner celui de conscience. Il Reid distingue la percesione, che ci dà l’esistenza
e la qualità dei corpi, dalla sensazione, che sorge nel nostro spirito in
seguito alla impressione fatta sugli organi di senso dai reali esteriori; la
percezione dell’esistenza dei corpi, quantunque sorga in noi contemporaneamente
alla sonsazione, pure non ne è l’effetto, ma è bensì un giudizio istintivo
della realtà dei corpi esteriori ο delle qualità di eni ci si presentano
forniti. Per Kant la prima cosa che ci è data è il fenomeno © sensazione, che,
quando è legato alla coscienza, si chiama percezione ; quindi « In percezione à
la coscienza empirica, cioò la coscienza nella quale c’è nello stesso tempo
sensazione ». Per |’ Hamilton la percezione è soltanto una specie di
conoscenza, la sensazione una specie di sentimento: « la percezione è
propriamente la coscienza, attraverso il senso, delle qualità d’un oggetto
conosciuto come differente dall’ io; la sensazione è propriamente la coscienza
dell’ affezione subbiettiva del piacere o del dolore, che accompagna questo
atto di conoscenza ». La distinzione tra sensazione e percezione è ammessa, per
quanto in modi diversi, da quasi tutti i filosofi contemporanei. Cosi lo Ziehen
considera la sensazione come il materiale greggio, la percezione come lo stesso
materiale rielaborato : « noi indichiamo come percezioni quelle. sensazioni
sulle quali s'è esercitata la nostra attenzione ». Per questa rielaborazione le
percezioni si accostano al pensiero: « Poichè la percezione, dice 1’ Höffding,
riposa su un processo che si può chiamare un confronto involontario, si presenta
a noi come una funzione del pensiero, mediante la quale ci appropriamo ciò che
è dato nella sensazione, © incorporiamo la sensazione nel contenuto della
nostra coscienza. Se dunque una funzione del pensiero si manifesta nella
percezione sensibile, è chiaro che la percezione e il pensiero non possono
essere due funzioni affatto differenti della coscienza. Non 845
PER c’è alcuna percezione sensibile che sia assolutamente passiva». Una
distinzione analoga fa il Sally: « nella sensazione la mente è, relativamente,
passiva e recipiente; nella percezione è non solo attenta alle sensazioni,
discriminandole ο identificandole, ma passa dalla impressione all’oggetto che
esse indicano o fanno conoscere ». Il Galluppi riteneva invece la distinzione
tra percezione e sensazione affatto arbitraria, una semplice astrazione che, se
fosse reale, οἱ trarrebbe allo scetticismo, in quanto condurrebbe seco la
necessità di credere ciecamente a tutto ciò che la percezione ci presenta. Egli
quindi identificava la percezione colla sensazione: ogni sensazione è di sua
natura la percezione di un oggetto esterno, © quindi la percezione dei corpi,
anzichè distinta, è inchiusa nella sensazione. Il Rosmini distingue la
percezione in sensitiva © intellettiva: quella è la sensazione stessa ο un
sentimento qualunque, in quanto si considera unito a un termine reale, questa è
un giudizio col quale lo spirito afferına sussistente qualche oggetto percepito
dai sensi, ὁ, in altre parole, è la visione del rapporto che passa tra un
sentito e l’idea di esistenza. Egli distingue ancora nella percezione dei corpi
la percezione soggettiva, che si ha sia col sentimento corporeo, per sò stesso,
sia collo sue modificazioni, e la percezione estrasoggettiva, che è fondata
sulla prima, è fornita dai sensi e ci da il sentimento dell’azione ο
l'estensione di un corpo fuori di noi. L'Ardigò distingue la sensazione pura
dalla percezione : quella è la semplice osservasione, vale a dire l’atto
psichico avvertito come proprio della coscienza individuale nel presente della
successione dei suoi atti, questa invece è l'esperimento, cioè la sensazione
stessa accompagnata da altre sensazioni e verificata per mezzo di un altro
senso: queste sono appunto le circostanze oggettivanti, per cui il dato
sensitivo è proiettato all’esterno, ossia per cui l'oggetto ci è dato come
esistente realmente fuori di noi. Il Sergi ha cercato di spiegare
fisiologicamente l’oggettività della PER
846 percezione, riconducendola ad
un’onda nervea di ritorno, cio’ alla riflessione dell’ onda centripeta che ha
dato luogo alla sensazione; mentre nella sensazione l’ onda nervosa, prodotta
dallo stimolo, va dall’organo periferico al cervello, nella percezione l’onda
stessa è riflessa dal cervello lungo la medesima fibra allo stesso organo; ciò
darebbe ragione, secondo il Sergi, della proiezione del dato sensibile e della
sua localizzazione nell'oggetto esteriore: come l’eccitaziono centripeta tende
a dare ad ogni mutazione che ne segue un carattere soggettivo, così
l'eccitazione centrifuga tende a far uscire dal soggetto la modificazione
prodotta. Il Jerusalem considera la percezione come la forma più semplice ©
primitiva del giudizio, in quanto consiste nel dar forma e obbiettività al
contenuto disordinato dejle sensazioni. Il Wundt, infine, contrappone la
percezione alla apperoesione : questa è quel fatto psichico che è da noi
percepito con uno sforzo particolare di volontà, detto attenzione, quella è
ogni fatto psichico che si trova, a così dire, situato nello sfondo della
nostra coscienza. Cfr. Cartesio, Principia, I, 32; Leibnitz, Monadologia, $ 14,
21; Id., Nouv. essais, I, passim ; Locke, An. essay cono. hum. understanding,
1705, 11, cap. 15; Berkeley, Treatise on the princ. of human knowledge, 1871,
VIL; Condillao, Essai sur l’origine des connaissances, 1746, I, sez. II, $4;
Reid, Works, ed. by Hamilton, 1863, p. 876 segg.; Kant, Krit. d. rei. Vern., B 207; Hamilton,
Leotures on Metaphysics, 1859, vol. II, p. 98 segg.; Th. Ziehen, LeitSaden dor physiol.
Peyohologie, 1893, p. 17, 170; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 167; Sully, Outlines of Psychology,
1892, p. 148; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820; Id., Lezioni di logioa 6
metafisica, 1854, vol. I, p. 166 segg.; Rosmini, Nuoro saggio sull’ origine
delle idee, 1830, $ 481 segg.; Id., Logica, 1853, $ 307 segg., 701 segg.; P.
Carabellese, La teoria della percezione intellettiva di 4. Rosmini, 1907;
Ardigò, Il fatto psicologico della peroezione, Op. fil. IV, 1897, p. 347 segg.;
G. Sergi, Teoria fisiologica della 847 PER percezione, Milano, 1884; Jerusalem, Die
Urtheilefunotion, 1895, p. 219 segg.; Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, Ρ.
245 sogg. (v. distanza, integrazione, rappresentazione, cateriorità, volontà,
ecc.). Percezionismo. T. Perceptionnismus ; I. Perceptionism; F. Perceptionnisme.
La dottrina della percezione immediata, che ebbe per principali sostenitori i
filosofi della scuola scozzese e dell’ eclettismo francese. Il percezionismo è
una forma di realismo. Esso consiste nell’ammettere come un fatto irreducibile
il sentimento d’ obbiettività contenuto nella sensazione e nell’ accordare a
codesta credenza un valore rappresentativo: la prova che esistono delle cose
fuori di noi è data dal fatto che la percezione ci mostra delle cose esistenti
fuori di noi. Cfr. Cousin, Fragments philosophiques, 1840, t. II, p. 30 segg.;
Paul Janet, Victor Cousin et son oeuvre, 1885, p. 73-81; Mao Cosh, The
intuitions of the mind, 1882, p. 108 (v. intermediariste, concezioniemo,
conoscenza, senso comune). Perfezione. T. Volkommeheit; I. Perfection; F.
Perfeotion. Il concetto di perfezione ha subìto non pochi mutamenti nella
storia del pensiero filosofico. Per Platone è perfetto soltanto ciò che non
contiene alcuna contraddizione, alcuns mescolanza, ciò che è assolutamente uno
pur comprendendo in sè gran numero di attributi. Per Aristotele la perfezione
consiste nel corrispondere esattamente a un concetto, a un tipo, a una norma,
nell’ esser tale che non si potrebbe concepire nulla di migliore. S. Tommaso
distingne due specie di perfezione: prima, quae est ipsum esse rei, secunda
vero est eius operatio et haso est maior quam prima; illud igitur dieitur
simplieiter pefectum, quod pertingit ad perfeotam sus operationem. Per Cartesio
invece la perfezione è l'essenza stessa della divinità; Dio è, per definizione,
|’ essere assolutamente perfetto: La substance que nous entendons être
souverainement parfaite et dans laquelle nous ne conoevons rien qui enferme
quelque defaut ou PER 848 limitation de perfection, s'appelle Dieu.
Spinoza considera la perfezione © l’imperfezione come due semplici modi di
pensare « ciod delle nozioni che abbiamo l'abitudine di formulare perchè
confrontiamo, gli uni con gli altri, gli individui d’una stessa specie e d’uno
stesso genere >; perciò, egli aggiunge, io comprendo « per realtà e
perfezione la stessa cosa; noi abbiamo infatti 1 abitudine di ricondurre tutti
gli individui della natura sd un sol genere, che si chiama generalissimo; ciod
alla nozione delP Essere, che appartiene a tutti gli individui della natura senza
eccezione. Così, in quanto noi riconduciamo gli individui della natura a questo
genere e li confrontiamo tra loro e troviamo che gli uni hanno più di Essere e
di Realtà degli altri, diciamo che gli uni sono più perfetti degli altri....
Infine, per perfezione in un genere io comprenderò la realtà, ossia l'essenza
d’una cosa qualunque, in quanto questa cosa esiste ed agisce in un modo dato ο
determinato ». Il Leibnitz la concepisce quasi matematicamente come «la
grandezza della realtà positiva presa precisamente, mettendo da parte i limiti
nelle cose che ne hanno». Ad ogni modo, il concetto di perfezione è puramente
astratto ο relativo. Quando noi giudichiamo perfetto un oggetto qualsiasi, lo
facciamo riconoscendo che esso oorrisponde al fine per il quale esiste, o
realizza il tipo della specie cui appartiene; in altre parole, non facciamo che
istituire un rapporto fra due termini.
Le perfezione non va confusa con la perfettibilità: quella è statica,
questa è dinamica, quella è una realtà, o è assunta como tale, questa è una
idenlitä. L'idea della perfettibilità, è, come quella di evoluzione e di
progresso, essenzialmente moderna; nell’antichità e nell’evo medio era concetto
comune che la natura delle cose è immutabile, © che, se in qualche coss muta,
codesto mutamento è sempre peggioramento. Nè meno estranea è l’idea di
perfettibilità all’ ottimismo filosofico : se il nostro mondo è il migliore dei
possibili, cio’ 849 Per il più perfetto, non vi ha possibilità di
un miglioramento ulteriore, la perfezione escludendo la perfettibilità. Il
merito di aver introdotto il concetto e la parola di perfettibilità spetta
specialmente al Condorcet, che ne fece 1’ essenza stessa dell’uomo. Secondo
alcuni la perfettibilità è contenuta anche nella dottrina della evoluzione; ma
ciò può sembrare, secondo altri, inesatto, inquantoch® la perfettibilità
dell'essere non è illimitata, all’ evoluzione corrispondendo inevitabilmente la
dissoluzione. Cfr. Aristotele, Met., V, 16, 1021 b, 12 segg.; S. Tommaso, Contra gent.,
II, 46, 2; Cartesio, Réponses aux secondes objections, def. VIII; Spinoza,
Ethica, Prefazione al 1. IV; Leibnitz, Monadologie, $ 41, De rerum originatione
radicali, $ 3; Condorcet, Esquisse des progrès de l'esprit humain, 1794 (v.
idea, progresso). Periferia, T.
Peripherie; I. Periphery; F. Peripherie. La superficie esteriore di un corpo
solido. Sistema nervoso periferico, dicesi quello costituito dai gangli e dalle
fibre nervose, per opposizione al centrale, costituito dall’ encefalo ο dal
midollo spinale; perciò dicesi periferico qualunque fenomeno nervoso, normale o
patologico, che avvenga in un punto qualunque della fibra che unisce l'organo
esterno al suo centro cerebrale. Sensazioni periferiche, per opposizione ad
interne, diconsi quelle determinate dagli stimoli esteriori. Perigenesi. T.
Perigenese. L’ ipotesi con cui 1’ Haeckel spiega la trasmissione ereditaria o
eredità dei caratteri. Secondo questa dottrina, in ogni atto riproduttivo una
data quantità di protoplasma o sostanza albuminoide viene trastuessa dal genitore
al figlio, 9 nello stesso tempo viene trasmesso al protoplasma il movimento
molecolare individuale, che gli era proprio. In altre parole, 1’ eredità
consisterebbe nella trasmissione del movimento dei plastiduli, che costi
tuiscono il plasma. Cfr. Y. Delage, La structure du protoplaame et les théories de l'érédité,
1895 (v. eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi). 54 RanzoLi,
Dizion. di acienze filosofiche. PER
850 Poripatetici. T.
Peripatetiker; I. Peripatetica; F. Péripatéticiens. I seguaci di Aristotele,
così detti perchè studiavano e insegnavano passeggiando al Liceo. Fondatore
della scuola peripatetica fu Teofrasto di Lesbo, che con l'insegnamento e con
gli scritti diffuse la dottrina aristotelica, non senza allargarla,
specialmente nella scienza della natura; mantenne la separazione dell’
intelletto fatta dal maestro, ma lo vollo congenito all’ nomo (σύμφυτος), ed in
generale piegò più per la immanenza che per la trascendenza. Gli successe
Stratone di Lampsaco, che, più risoluto del predecessore, tolse di mezzo le
antinomie aristoteliche, negando l'intelletto separato ed il concorso di Dio
nella produzione del mondo; egli concepì il pensiero dell’ intelletto come un
movimento, e fa quindi condotto a negare l’esistenza d’un essere immobile, collocato
al di fuori della natura e origine d’ogni movimento. Meno importanti furono i
successori di Stratone, che seguirono a preferenza o le ricerche fisiche, o le
trattazioni morali in forma popolare (v. aristotelismo). Nella filosofia
scolastica dicevasi quantità PERMANENTE lo spazio, per opposizione alla
quantità successiva, cio il tempo. Perseità. Lat. Perseitas; T. Perseität; I.
Perseity; F. Perséité. Cid che sussiste per se, καθ᾽ αὑτό. È quindi l’attributo
della sostanza: aubstantia est per ae, dice Goclenio, accidens per aliud. La parola
perseità si adopera però quasi esclusivamente ad indicaro la dottrina tomistica
delle relazioni tra il bene e il volere divino. Secondo S. Tommaso il volere,
nella sua espressione adeguata, è mosso essenzialmente dal concetto del bene
come presente alla ragione, © ciò sia nella natura umana che nella divina: la
perseitas boni è dunque la razionalità essenziale del bene. Per Duns Scoto
invece il bene è creazione arbitraria del volere divino, che al bene è
superiore, Egli distingue due 851 PER specie di perseità: uno modo pro esse
incommunicabili, et sic per se esse cat incommunicabiliter esse; alio modo...
pro esse subristontiae, et sic per sè esse est per sè subeistere. Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I,
2, q. XVIII segg.; Goolenio, Lez. philosophicum, 1613, p. 809. Persona. T. Person; I. Person; F. Personne.
Questo termine originariamente designava la maschera (πρόσωπον = viso, aspetto)
con eni nell’ antico teatro greco si rappresentava un dato personaggio. Quando
cadde l’uso della maschera, indicò il personaggio stesso, e così passò nell’uso
per indicare l’uomo, in quanto non è soltanto individuo, cioò unità organica di
parti solidali, ma è un essere cosciente ed intelligente, un’ unità
fondamentale di pensiero, di sentimento e d’azione. Perciò persona si oppone a cosa;
il vegetale, il minerale, l’animale, e, si può aggiungere, il demente e
l’idiota, sono cose, mentre l’nomo cosciente soltanto è persona. Dicesi persona
morale l’uomo in quanto, per le capacità del suo spirito, può partecipare della
80cietà morale e intellettuale degli spiriti; persona fisica 1’ organismo dell’
uomo, considerato come manifestazione della sua persona morale; persona
giuridica l’ uomo che possiede doveri ο diritti fissati dalla leggo. Cfr.
Trendelenburg, Zur Geschichte des Vorter Person, « Kant Studien », 1908;
Eucken, Geistige Strömungen der (Gegenwart, 1909, sez. D, § 5; C. Piat, La
personne humaine, 2* ed. 1912 (v. io, personalità). Personalismo. T.
Personaliemus; I. Personaliem; F. Personnalisme. Il Renouvier designa col nome
di personalismo relatiristico la propria dottrina della personalità, che si
contrappone all’ impersonalismo della filosofia evoluzionistica. Origine della
personalità umana sarebbe, secondo il Renouvier, lo spirito personale di Dio,
che è congiunto in un sistema fisso di relazione universale con lo personalità
umane. In un senso più generale dicesi
personaliemo ogni forma d’idealisnio metafisico, che pone la realtà ultima in
una coscienza unica, universale, eterna, fondandosi spePER 852
cialmente su queste due argomentazioni: 1° esiste una stretta analogia
tra il modo di comportarsi delle idee nella mente individuale, ο la maniera
onde ciascuna mente si connette con le altre menti; 2* il rapporto conoscitivo
© pensativo por eni la mente è volta a questo o a quell'oggetto, è un rapporto
del tutto peculiare, che non si può identificare nd col rapporto causale nd con
quello di somiglianza, © che implica la presenza, sia pure latente,
dell'oggetto stesso nella coscienza. In
un senso più generale ancora dicesi personalismo, per opposizione a panteismo,
ogni dottrina che ammette Dio come persona. Cfr. Renouvier, Le personnalieme,
1903; Feuerbach, Das Wesen des Christenthume, 1841, p. 185; De Sarlo, I diritti
della metafisica, « Cult. filosofica », luglio 1912 (v. fenomenismo,
idealiemo). Personalità. T. Persönlichkeit; I. Personality; F. Personnalité. È
la coscienza della propria individualità distinta da qualunque altra, « La
personalità è V sutocoscienza, dice l’Herbart, nella quale l’io considera sè
stesso come uno © medesimo in tutti i suoi molteplici stati ». E il Wundt:
«Come I’ io è il volere interiore nella sua separazione da tutti gli altri
contenuti della coscienza, così la personalità è Vio che si risente con la
molteplicità di quei contenuti ο in tal modo si eleva al grado
dell’autocoscienza ». La personalità presuppone dunque la individualità, ed il
principio d’ individuazione è l'organismo. Infatti il senso organico è V
elomento fondamentale della personalità, la quale muta col mutare di quello:
così si spiegano i fenomeni patologici di sdoppiamento della personalità
fisica, in oui l’individuo crode d’avere due corpi, di cui uno cammina ©
l’altro sta fermo, uno è sano e l’altro è malato. A costituire la personalità
entrano anche i sentimenti e lo tendenze, cho hanno pure sede nell’ organismo ;
col mutarsi e V alterarsi di quelle si muta quindi e si altera anche la
personalità. L'identità della propria persona è data dalla 853
Per continuità delle coscienze successive, dall’unificarsi dei ricordi
in un’ unica serie: Persona dicitur ens, quod memoriam sui conservat, hoc est,
so esse idem illud, quod ante in hoo vel isto fuit statu (Chr. Wolff). Se
quindi le basi organiche della memoria si alterano, può darsi che 1’ io passato
scompaia dalla memoria, e allora si hanno gli sdoppiamenti della coscienza,
costituiti da due io, da due persone distinte che s’alternano nello stesso
organismo. Dicesi appunto fenomeno delle personalità alternanti quello
sdoppiamento della personalità, nel quale all’ io primario si sostituisce un io
secondario e viceversa, in periodi successivi più ο meno durevoli; le due
personalità che si alternano sono del tntto separate rispetto alla memoria; la
personalità 4 è incapace di rievocare tutto ciò che è avvenuto durante il
periodo in cui era attiva la personalità B, ο viceversa; sono due personalità
che s’ignorano reciprocamente come se fossero separate da un diaframma
impermeabile. Per personalità morale non
s'intende soltanto quella coscienza della propria individualità che ha per base
1’ organismo, ma quella specialmente che deriva dalla propria capseità
razionale, dalle qualità che si sono acquistate con la forza del volere, che ci
dànno il sentimento della dignità nostra e ci fanno degli esseri superiori,
autonomi, liberi. Il problema della
personalità dirina è la forma assunta nel pensiero contemporaneo dalla
controversia tra teismo e panteismo, Il teismo cristiano si regge
essenzialmente sopra la credenza in un Dio personale, © codesta personalità
compete all’essere perfettissimo in quanto essa rappresenta appunto la suprema
perfezione; ma, d'altro canto, la personalità è individuazione, e
l'individuazione è limitazione nel tempo e nello spazio; di più la persona è
opposizione e relazione, in quanto è coscienza del proprio io distinto da tutto
ciò che è altro da lui e sussiste come rapporto di vari stati ad un soggetto
identico: come può dunque Dio essere persona, se è eterno, infinito, atto puro
PeR-PES 854 escludente ogni opposizione e relazione? Le
soluzioni proposte dai filosofi contemporanei sono varie, ma tutte oscillano
tra il panteismo, il teismo e l’agnosticismo. Cfr. Wundt, Ethic, 1892, p. 448;
Hamilton, Lectures on metaphysics, 1859, t. I, p. 166; Ribot, Les maladies de
la personnalité, 1885; P. Janet, Automatisme peyohologique, 1888 ; A. Binet,
Les altérations de la personnalité, 1892; Myers, The human personality, ;
Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; Dugas et Montier, La
dépersonalisation, 1911; Hébert, Études sur la personnalité divine, « Rov. de
métaphysique », giugno 1902 e marzo 1903; H. L. Mansel, The limits of religious
thought, 1858, p. 59 segg.; Mac Taggart, Studies in hegelian cosmology, 1901,
p. 76 segg.; Royce, Lo spirito della filosofia moderna, trad. it. , e The world
and the individual, 1904, t. I, p. 425 segg., II, p. 419 seggi; Bradley,
Appearance and reality, 1902, p. 135, 531 segg.; A. Chiappelli, La critica
filosofica e il concetto del Dio virente, « Riv. di filosofia », anno I, n. 4;
C. Ranzoli, L’agnostioiemo nella filosofia religiosa, 1912, cap. IV (v.
dissooiazione, temperamento). Persuasione, T. Ueberzeugung; I. Persuasion; F.
Persuasion. Si suole da alcuni distinguerla dalla certezza, perchè mentre
questa è fondata su motivi adeguati e conformi al vero, la persuasione può
essere anche di cosa falsa, oppure di cosa vera ma fondata su ragioni false.
Dicesi naturale la persuasione spontanea che ogni uomo ha dei principi supremi
di ragione, e riflessa quella che consiste nel riposo della intelligenza in un
assenso dato volontariamente ad uns proposizionPessimismo. T. Pessimismus ; I.
Pessimism; F. Pessimieme. Vocabolo usato la prima volta dal Coleridge per
indicare « lo stato peggiore », adottato poi nel 1819 e reso comune dallo
Schopenhauer. Può essere, come l'ottimismo a cui s'oppone, tanto naturale o
intuitivo, quanto sistematico o filosofico. Il primo è una semplice
disposizione 855 Prs dovuta sia a cause organiche ed
ereditarie sia ad una dolorosa esperienza della vita a veder tutto nero nel
mondo e nell'esistenza, a giudicare ogni cosa per il suo lato triste. Il
secondo è invece una dottrina la quale sostiene © dimostra che tutto è male
nell’universo, e che noi viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Sebbene
questa seconda forma di pessimismo tragga spesso origine dalla prima, che è antica
quanto l'umanità, e sebbene essa esista più o meno latente nel fondo di ogni
religione in quanto l'aspirazione verso un'esistenza oltremondana è sempre
accompagnata dal malcontento dell’esistenza terrena tuttavia il pessimismo
filosofico non data che dal secolo appena scorso. Schopenhauer ne è il più
grande maestro, come Leibnitz può dirai il maestro dell’ottimiamo. Secondo
Schopenhauer, l'essenza del mondo è la volontà, la quale è stimolo di
oggettivarsi, forza cieca ed incosciente; perciò il mondo è pieno di mali; è il
peggiore dei mondi possibili. L'uomo è in sus balla, ed è, per conseguenza,
infelice: la sua vita oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia. Nè egli
può liberarsi dalla vita, perchè la vita è volontà essa pure, cioè volontà di
vivere: « Volere è essenzialmente soffrire, e poichè vivere è volere, ogni vita
è nella sua essenza dolore. Più l’essere è elevato, più esso soffre... La vita
dell’uomo non à che una lotta per I’ esistenza, con la certezza d'esser
vinto.... La vita è una caccia incessante nella quale, ora cacciatori ora
cacciati, gli esseri si disputano i brandelli d’un orribile pasto; una specie
di storia naturale del dolore che si riassume così: volere senza motivo,
soffrire sempre, sempre lottare, poi morire, e così di seguito per i secoli dei
secoli, tinchè questo nostro pianeta si frantumi in piccoli frammenti ». Unico
rimedio è che l’ uomo cerchi di negare questa volontà, rintuzzando l'egoismo
sul quale si fonda lo stimolo di continuare a vivere, © ciò potrà ottenere non
già col suicidio, ma colla vita rigorosamente ascetica e contemplativa, che
conPer 856 durrà al lento suicidio della specie umana. I
discepoli di Schopenhauer trasformarono ο alterarono il suo sistema. Il
Banhsen, più esagerato del maestro, esclude che la volontà di vivere possa in
alenn modo negare sò stessa; la volontà, essendo essenzialmente cieca, non pud
sottomettersi all’idea, e all’nomo non rimane quindi alcuna possibilità di
liberazione. Invece per l’Hartmann l’ incosciente è nello stesso tempo volontà
e idea, cosicchè, quando col tempo dominerà l’idea, quando la volontà di vivere
si sottometterà alla logica, essa rinuncerà volontariamente a sò stessa, Si
avrà allora il suicidio cosmico, dopo il quale regnerà la pace del nulla. Ai
nostri giorni il problema del pessimismo e dell’ottimismo, che è essenzialmente
metafisico, non ha più ragione di esistere: il dolore e il piacere sono la
condizione stessa della vita, la quale non è nd tutto dolore nè tutto piacere.
D’ altro canto, se questo mondo fosse davvero il peggiore dei mondi possibili,
esso non potrebbe continuare ad esistere; ma esso continua ad esistere, e la
ragione che rende la vita possibile è, dice il Gnyau, la medesima che la rende
desiderabile. Cfr. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Forstellung, ed.
Reclam, t. II, $ 162; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 1890; I.
Bahnsen, Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt, 1880; Sully, Pessimiem,
1877; W. Thomson, Modern pessimism, 1878; G. Palante, Pessimieme et
individualieme, 1913 (v. dolore, piacere, ottimismo, migliorismo, incosciente,
sentimento). Petizione di principio. Lat. Petitio prinoipii; T. I Ia.; F.
Pétition de principe. E il sofisma che Aristotelo designava con le frasi τὸ ἐξ
ἀρχῆς, ovvero τὸ ἐν ἀρχῇ altetoda:. Esso consiste nel prendere come principio
di prova la tesi stessa da provare. Aristotele ne distingue cinque specie: la
prima, che si nasconde sotto le sinonimie, si ha quando si assume come
principio di prova la tesi stessa da provare, sotto altra forma; la seconda si
ha quando, dovendosi dimostrare una tesi particolare, si ritiene dimostrata la
tesi generale che la comprende; la terza è l’inversa della pre cedente; la
quarta non è che la terza estesa a tutti i casi possibili; la quinta, che è la
tipica, consiste nel provare una proposizione mediante un’altra, la quale non
può essere a sua volta provata che mediante la prima. Aristotele stesso cadde
in quest’ultima forma di petizione di principio, quando volle provare che la
terra è il centro del mondo, partendo dalla premessa che la natura delle cose
pesanti è di cadere al centro del mondo. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 24, 41
b, 8; Id., Τορ., VII, 19. Piacere. T. Vergnügen, Lust; I. Pleasure; F. Plaisir.
Essondo un dato immediato della coscienza, è in sò stesso indefinibile. Esso
rappresenta uno dei due poli del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto
le due forme opposte del piacere e del dolore, collegate fra loro da un numero
indefinito di stati intermedi. A malgrado però di questa opposizione, alcune
volte i dolori intensi sono a0compagnati da un senso di piacere, dovnto alla
vivacità dello stato affettivo. In generale, il piacere è determinato dal
funzionamento normale dei differenti organi del nostro corpo, sia che
appartengano alla vita psichica che a quella vegetativa. La stessa eccitazione
che produce dolore se eccessiva, può produrre piacere se d’intensità moderata:
questo fu detto piacero positivo, 9 piacere negatiro quello che deriva dalla
cessazione del dolore. Il piacere è sempre accompagnato da aumento delle
funzioni vitali: celerità nella circolazione del sangue e nella respirazione,
abbondanza nella assimilazione delle sostanze nutritive, maggiore secrezione
delle glandole, vivacità di movimenti, ecc.; a ciò devesi forse il fatto,
constatato dalla psicometria, che il tempo di reazione delle sensazioni di
piacere è minore di quello delle sensazioni di dolore. Si distingne comunemente
il piacere fisico (ad es, quello che si prova gustando un cibo) dal morale (ad
es. quello che si prova ammirando Pia
858 un’opera d’arte). Però la
differonza tra I’ uno e l’altro non è di natura, in quanto entrambi implicano
un fatto fisico ο organico e un corrispondente fatto psichico, ma soltanto di
complessità, essendo il secondo associato ad un maggior numero di dati
rappresentativi o intellettuali. Per Aristippo il piacere, ἡδονή, #’accompagna
al movimento calmo dell'organismo, il dolore al movimento violento, l’
indifferenza al riposo; esso importa il sentimento della soddisfazione, che
deriva dall’appagamento del desiderio; la difforenza tra i piaceri non sta nel
loro oggetto, ma nella forza del sentimento di soddisfazione, forza che si
trova per lo più nel piacere sensuale, corporco, che si riferisce all’
immediato presente. Per Aristotelo il piacere è la conseguenza e il
completamento dell’ atto, il che spiega come esso sia fugace e cerchi la
novità; esso completa anche la vita degli uomini « i quali hanno dunque ragione
di amare il piacere, poichè per ciascuno d’ essi è il completamento di quella
vita alla quale sono sì fortemente attaccati ». Per Epicuro il vero piacere non
si trova « nelle gioie dell’amore o nel lusso e negli eccessi della buona
tavola, como hanno voluto insinuare alcuni ignoranti e i nemici della nostra
scuola », ma nella tranquillità dello spirito libero da agitazioni, e nella
quiete del corpo esente dal dolore:, aprile 1905; A. Lalande, Pragmatismo et
pragmatioisme, « Revue philosophique », febbr. 1906; L. Laberthonnière, Saggi
di filosofia religiosa, trad. it. 1907; A. Schinz, Anti-pragmatisme, 1909; R.
Berthelot, Le romantieme utilitaire, 1911; W. James, Lo pragmatismo, trad.
frane. 1911; E. Boutroux, William James, 1911; F. Masci, Intellettualiomo e
pragmatismo, in « Atti della R. Accademia di Scienze m. e pol. », Napoli. (v.
azione, attivismo, attualismo, antropocentrico, moralismo, umanismo).
Prammatico (πραγματικός = che si riferisco ad una azione). Ciò che si pratica
per lunga consuetudine; oppure che concerne l’azione, il successo, la vita, in
opposizione sia alla conoscenza astratta © speculativa, sia alla obbligazione
morale. Dicesi anche di una credenza che si accetta non perchè riconosciuta
vera, ma perchè ritenuta utile. In questo senso Kant chiama prammatioa una
storia « quando rende pradenti, ciod quando insegna al mondo d’ oggi come possa
aver cura dei propri interessi meglio o almeno tanto bene quanto il mondo
passato »; prammatici gli imperativi che consistono in consigli di prudenza
riferentisi al benessere, distinti dai tecnici ο regole d’abilità, e dai
pratici o comandi morali. Kant chiama ancora fede prammatica una credenza che
si aunmette accidentalmente come
883 Pra fondamento ai mezzi d’un
fine determinato, e fede pratica una credenza che si ammette perchè è postulata
dalla legge morale: il precetto d’aspirare al sommo bene è obbiettivo e la sua
possibilità obiettivamente fondata, ma la credenza nei postulati che ne
derivano (divinità, libertà, immortalità) è soggettiva, quindi una fede puramente
pratica della ragione che in sò non è il dovere, ma sorge prima del sentimento
morale e può quindi diventare incertezza, ma non mai degenerare in inoredulità.
Il Blondel chiama prammatica la scienza dell’azione, in quanto questa
costituisco un ordine di realtà sui generis, l’atto, il xp&ypa, nel quale
s’ uniscono l'iniziativa dell’ agente, il concorso che esso riceve, le reazioni
che subisce. Il Windelband chiama fattore prammatico della storia della
filosofia quello pro- dotto dalla necessità interiore dei pensieri ο dalla
logica delle cose, per cui nella storia stessa si ripetono non solo i problemi
capitali ma anche le principali correnti della loro soluzione e le dottrino
germogliano incessantemente luna dall'altra. Cfr. Kant, Grundlegung sur Met.
der Sitten, 2 Absoh.; Krit. d. reinen Fernunft, Transc. Met., sez. III; Blondel,
L’Action, 1893, p. 206; Hermann, Der pragmatische Zusammenhang in der
Geschichte der Philosophie, 1836; Windelband, Storia della filosofia, trad. it.
Zaniboni, vol. I, D. 14 segg. (v. azione, attiviemo, pragmatismo). Pratica
(πρᾶξις azione). T. Praktisch, Ausübung;
I. Practical, Praotice; F. Pratique. Come dice I’ etimologia, pratico non
significa altro che attivo; si oppone perciò tanto a teorico, che a
speculativo, i quali derivano entrambi da radici che significano mirare,
guardare, e indicano quel lavoro indagativo e osservativo della intelligenza,
che sono l'operazione propria della scienza e della filosofia. La pratica ha
per fine l’azione, quindi il bene; essa è prodotta dalla volontà ο costituisce
la materia dell’ etica. Già in Aristotele troviamo la distinzione della
filosofia in teoretica, pratica e poetica; il Wolff la distinse pure in
teoPra 884 retica e pratica, comprendendo sotto questa
la filosofia pratica generale, il diritto naturale, l'etica, la politica e
l'economia, e dandole per fine supremo il perfezionamento di sò stesso e degli
altri. In Kant la critica della ragion pratica ha per c6mpito di rispondere ai
due quesiti: che cosa io debbo fare? che cosa io posso sperare? Il primo
quesito è oggetto della analitica, il secondo della dialettica della ragion
pratica, Nell’analitica sono principî pratioi quei postulati, che contengono
una determinazione universale della volontà a cui sono subordinate regole
pratiche; essi sono soggettivi o massime, se la determinazione è riguardata dal
soggetto come obbligatoria per la volontà propria, oggettivi ο leggi pratiche
se è riconosciuta come obbligatoria per la volontà d’ogni essere ragionevole.
L’Hartmann pone come cémpito della filosofia pratica di portare a fini della
coscienza i fini dell'inconscio ; tali fini si riassumono tutti nella rinuncis
al volere, che porterà all’ annientamento dell’ universo. 11 Windelband chiama
problemi filosofici pratici quelli che hanno origine dall’ esame dell’ attività
umana rivolta ad uno scopo, problemi teorici tutti quelli che si riferiscono in
parte alla conoscenza della realtà, in parte allo studio della conoscenza; dei
pratici si ocoupano l’etica, la sociologia, l'estetica, la filosofig del
diritto, della storia e della religione. Comunemente, per sapienza pratica, o
filosofia pratica, o senso pratico della vita, 8” intende quella saggezza tutta
particolare che non si apprende studiando ma operando e riflettendo, che non
attinge alla sola ragione, ma al sentimento, alla fantasia e al raziocinio
insieme, che non è soltanto prudenza, ma, a volta a volta, prudenza ο coraggio,
ardire © cautela, temporeggiamento © decisione. In altre parole, savierza
pratica significa equilibrio, misura; essa dà quindi all’ imprevisto il posto
che gli compete nella preparazione del futuro, ma si comporta al tempo stesso
come se ogni cosa fosse esattamente prevedibile; sa quanto d’ inevitabile prema
sui destini umani, 885 PRE ma procede come se tutto dipendesse dai
decreti del nostro volere; riconosce tutta l’importanza che gli accidenti
esteriori hanno sulla nostra felicità, ma è ancora più convinte che ogni
avventura esterna si veste dei colori della nostra anima e che la pace
interiore, bene supremo, non dipende alla fin fine che da noi, Cfr. Aristotele,
Met., II, 1, 998 b, 98, VI, 1, 1025 b, 18; Chr. Wolff, Philosophia praotica
univerealie, 1738, $ 2; Kant, Krit. d. prakt. Vernunft, ed. Reclam, p. 15
segg.; Hartmann, Phil, dee Unbewussten, 1890, III, 748; Windelband, Storia
della filosofia, trad. it. Zaniboni, I, p. 25 segg.; C. Ranzoli, It caso nel
pensiero ο nella vita, 1913, p. 218 segg. (v. dottrina, dotore, imperativo,
prammatico). Precisione. T. Präcision, Bestimmthoit; I. Precision; F.
Précision. Iu senso generale, ciò che non lascia adito ad alcuna indecisione
del pensiero; si oppone a vago e si distingue da esatto, che equivale a vero
sia nell’ ordine logico che in quello obbiettivo. Con questo termine gli
scolastici designavano l'operazione logica della astrazione orizsontale ©
verticale, che consiste nel diminuire la comprensione di un concetto, di una
nozione, togliendo alcune note per ritenere soltento quella o quelle che si
vogliono cont derare. Precoce. T. Frühzeitig, Voreilig; I. Precocious; F.
Precoce. Dicesi tale un fenomeno, fisico, fisiologico, psichico o sociale, che
si manifesta prima del momento comune e normale, o anteriormente alla
previsione basata sul tempo d'azione delle cause. Gli zoologi chiamano la prole
degli uecelli precoce 0 inetta secondochè può o non può provvedere subito da sò
al proprio sostentamento, Gli psichiatri, col nome di demenza precoce designano
quelle forme, sia catatoniche, che ebefreniche e paranoidi di debolezza
mentale, che derivano da arresto di aviluppo psichico. Predestinazione. Lat.
Praedestinatio ; T. Pridestination; I. Predestination; F. Prédestination.
Dottrina teoloPRE 886 gica, secondo la quale ogni individuo è
destinato, in modo infallibile ed eternamente vero, ad essere salvato o
dannato. Si collega alla dottrina della prescienza divina. Come riferisce S.
Agostino, secondo i Pelagiani presoiebat Deus. qui futuri cosent sanoti et
immaculati per libera roluntatis arbitrium et ideo eos ante mundi
constitutionem in ipsa sua prascientia, qua tale futuros esse prascivit,
elegit. Leibnitz distingue la predestinazione dalla destinazione, in quanto .
Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I, 2, qu. X, a. 3, e q. XIII, 6, ecc.; Boursier, De l’action
de Dieu aur les creatures, Dise. prélim., I, 8; Malebranche, Réflerions sur la
prémotion physique, 1715 (v. libero arbitrio). Predeterminismo. T. Prädeterminismus; I.
Predeterminism; F. Prédéterminisme. Dottrina teologica, secondo la quale gli
eventi sono considerati come risultanti dalla prescienza e dalla onnipotenza
divina. Si distingue dal determinismo perchd in questo, a differenza di quello,
la necessità è immanente agli stessi fenomeni. Però secondo alcuni, ad es. il
Renouvier, il determinismo ben compreso si identifica col predeterminismo ed ha
la sua vera espressione nell'equazione del mondo del Léplace; data la ferrea
necessità causale che lega i fenomeni del mondo, in ogni momento della sua
esistenza sono potenzialmente contenute tutte le sue fasi successive, cosicchò
una intelligenza infinita potrebbe agevolmente calcolarle. Kant oppone il problema del determinismo a
quello del predeterminismo : il primo consiste nel domandare come la volontà
può essere libera, pur essendo determinata da una ragione sufticiente interiore
all'agente, il secondo nel ricercare in qual modo la determinazione di ogni
atto mediante ragioni anteriori e fatti che non sono più in nostro potere,
possa conciliarsi con la libertà, la quale esige che l’atto, nel momento
dell’azione, sia in potere del soggetto. Cfr. Ch. Renouvier, Histoire et sol. des probl.
métaph., 1*ed., p. 168-9; Kant, Religion inneralb der Grenzen des blossen
Vernunft, ed. Rosenkranz, parte I,
p. 57 (v. equazione del mondo, fataliamo, determinismo). Predicabile. Gr.
Kazyyopospevov; T. Praedicabile; I. Predicable; F. Prédicable. Tutto cid che ad
un dato soggetta può essere attribuito. Aristotele, oltre alle dieci categorie (praedicamenta),
diede anche una classificazione di cinque categorumeni (praedicabilia), che
sono i cinque PRE 888 universali, di cui i due primi, cioò il
genere e la specie Crévog e εἶδος) riguardano la estensione delle idee, gli altri,
cioè la differenza, il proprio e I’ accidente (διαφορά, Toy, συμβεβηκός)
riguardano la comprensione. Kant chiama
predioabili della ragion pura tutti i concetti a priori, ma derivati, che
possono essere ricavati dai predicamenti © categorie, come la forza, l’azione,
la passione, la presenza, la resistenza, l’origine, la distruzione, il
cangiamento. In un senso ancora più
lontano dal primitivo, Schopenhauer chiama praodioabilia a priori le
proposizioni generali che possono essere affermate 4 priori relativamente al
tempo, allo spazio, alla materia; esse sono diciassette per ciascuna di queste
tre categorie. La prima relativa al tempo è la seguente: non v’ha che un tempo
solo, e tutti i tempi diversi sono parti dello stesso; la seconda: tempi
diversi non sono contemporanei, ma successivi. Cfr. Aristotele, Top., I, cap. 4, 101 b, 17-25;
Porfirio, Isagoge, 1; Kant, Krit, d. reinen Vern,, A 82, B 108; Schopenhauer,
Die Welt als W. u. Vorst., ed. Reclam,
Ergänzungen z. ersten Buch, cap. IV; Rosmini, Logica, 1853, § 413-418 (v.
oatogorie, oategorumeni). Predicato. T. Prädioat ; I. Predicate; F. Prédioat.
Ogni ides che può essere predicata, negata o affermata di un’altra. Logicamente
ha lo stesso valore di attributo, giacchè i latini tradussero il greco κατηγόρηµα
ο κατηγοροὺµενον tanto con praedicatum quanto con attributum ; ma mentre il
predicato non ha che un valore logico, determinato dal posto che esso occupa
nella proposizione, l’attributo è adoperato anche in un senso metafisico, per
designare quelle qualità d’una sostanza, senza le quali essa non potrebbe
essere, mentre le qualità accidentali diconsi modi. Preesistente. T.
Prüeristent ; I. Preeristent; F. Preszistent. Ciò che esisto anteriormente ad
altra cosa. Platone, ispirandosi allo dottrine teologiche dei misteri
dionisiaci, estende l’esistenza immortale dell’ anima oltre i due limiti 889 ©
Pre della vita terrena, nella preesistenza e nella postesistenza; nella prima è
da cercare la colpa per cui l’anima è ricacciata nel mondo sensibile, nella
seconda la sua sorte dipende dal grado con cui, nella vita terrena, si è resa
libera dalla cupidigia del senso e si è rivolta alla sua missione più elevata,
alla conoscenza delle idee. Anche secondo alcuni dei primi Padri della Chiesa,
come Tertulliano, Ireneo e Gregorio di Nissa, l’anima è preesistente al corpo;
la materia è pure preesistente alla divinità cosicchd queste non la crea ma la
organizza. Nella tilosofin gmostica gli coni non sono altro che spiriti
preesistenti, che giungono alla vita terrena dopo una serie di crescenti
degenerazioni. Cfr.
Platone, Fedr., 246 vegg.; Id., Gorgia, 523 segg.; Id., Rep., 614 segg.; Id.,
Fedone, 107 segg.; 8. Ireneo, Adv.
haer., V, 12, 2. Preformasione dei germi. Dottrina ora abbandonata, secondo la
quale ogni individuo vivente conterrebbe attualmente preformati i germi di
tutti i nuovi individui che potranno sortire da lui. Codesti germi non
sarebbero che individui estremamente piccoli, ma già formati, cosicchè il loro
svilupparsi non sarebbe che un ingrandire. Ogni germe, per quanto piccolo,
contiene avviluppati in sò stesso altri germi ancor più piccoli, e questi altri
più piccoli ancora e così via via indefinitamente. Questa dottrina fu già
sostenuta da Malpighi, Haller, Bonnet. Nella sua Monadologia Leibnitz dice: « I
corpi organici della natura non sono mai prodotti de un caos o da una
putrefazione, ma sempre da sementi, in cui o'era senza dubbio qualche
preformazione ». Oggi il preformismo è sostenuto dal Weismann, nel senso però
che gli organi e i caratteri ereditari degli esseri viventi esistono nel germe
allo stato di parti differenziate, quantunque non simili agli organi e ai
caratteri che produrranno. La dottrina più accettata attualmente è quella
dell’epigenesi, per cui si ammette che lo sviluppo embrionale dell’ individuo
consiste PRE © 890 in una oatena di neoformazioni, che si
presentano per gradi ο non preesistono già formate nel germe. Cfr. C. Bonnet,
Consideratione sur les corps organisés, 1776; Leibnitz, Monadologia, $ 74; C.
S. Wolff, Theoria generationis. 1774;
A. Weismann, Das Keimplasma, eine neue Theorie d. Vererbung, 1894; Haeckel, I
problemi dell’ universo, trad. it. 1902, p. 81 (v. eredità, endogenesi,
germiplasma, pangenesi, perigonesi). Premessa. Gr. Πρότασις; Lat. Praemissa; T.
Prämisse, Vordersatz; I. Premise; F. Prémisse. Le due proposizioni del
sillogismo, che contengono il medio e da cui risulta la conclusione. Quella che
contiene il termine maggiore dicesi premessa maggiore, quella che contiene il
minore premessa minore. Circa il modo di cavare dalle premesse la conclusione
si hanno cinque regole: 13 non si conchiude da premesse negative, perchè posto
che nd il termine maggiore nè il minore convengono col medio, non si può
conchiudere nd che convengano tra loro nd che disconvengano; 2* non si
conchiude negativamente da premesse affermative, perchè in tal caso la
conclusione non deriverebbe, evidentemente, dalle premesse; 3° non si conchiude
da premesse particolari, perchè il sillogismo consiste invece nel procedere
dall’ universale ; 4* la conclusione segue sempre In parte più debole delle
premesse, intendendosi per debole la proposizione negativa rispetto all’
affermativa, ο la particolare rispetto all’ universale; 5* non si conchinde da
premesse delle queli la maggiore sia particolare e la minore negativa; tale
regola si basa essenzialmente sulle precedenti. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $
545 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 241 segg. (v. figura, modo, sillogiemo,
termini). Presciensa. T. Vorherwissen; I. Foreknowledge; F. Prescience. Uno
degli attributi della natura divina. Esso si basa sul principio dell’ assoluta
perfezione di Dio. Se Dio è perfetto, deve essere intelligente; alla sua
intelligenza nulla deve essere nascosto, nè il prosente, nd il passato, 891
Pre nd l'avvenire. La prescienza di Dio deve essere sicura, perchè se
fosse incerta potrebbe farlo cadere nell'errore, e ciò è incompatibile colla
sua perfezione; e deve essere immediata, perchè se fosse ottenuta per mezzo di
ragionamenti o di intermediari, bisognerebbo supporre che egli, almeno per un
istante, ignorasse l'avvenire, non fosse presciente, cioè fosse imperfetto. La
prescienza divina non è infatti una previsione ma una visione : da tutta
l'eternità Dio contempla tutto ciò che dovrà accadere in tutto il tempo
avvenire. La sua prescieuza è dunque una omniscienza, che abbraccia tutte le
verità simultaneamente, e, insieme al presente, al passato, all’ avvenire,
anche ciò che non fu e non sarà mai; donde la distinzione, ammessa da tutti i
teologi, tra la scienza della visione, nella quale si comprendono i futuri
contingenti, e la scienza di pura intelligenza, che si riferisce agli esseri
che non verranno mai all'esistenza. Cfr. S. Agostino, Ootoginta trium quest.,
q. 24; S. Bonaventura, Opera omnia, t. I, p. 800 segi Tommaso, Summa theol., I,
qu. XIV, art. 5,
6; Id., C. Gentes, I, dist. 38, qu. I, art. 5, e spec. Quaest. de acientia Dei, art. 12. Presentazione. T.
Präsentation, Forstellung ; I. Presentation; F. Présentation. Per opposizione a
rappresentazione alcuni psicologi adoperano questo termine a designare tutti
quegli stati di coscienza in cui un dato oggetto è presentato allo spirito;
quando lo stesso oggetto si presenta di nuovo, si ha una ripresentasione o
rappresentazione. In tal senso V Hamilton denominava presentazionismo reale la
dottrina, propria del Locke e della scuola scozzese, secondo la quale le
qualità primarie delle cose, ad es. la resistenza e la forma, sono
immediatamente da noi percepite, quindi sono realmente nei corpi quali noi le
percepiamo. Sull’utilità del vocabolo presentazione, come opposto di
rappresentazione, si è molto discusso; secondo il Bergson la parola
rappresentazione è equivoca e, in base alla sua etimologia, non dovrebbe mai
designare un oggetto intellettuale presentato PRE-PRI 892
allo spirito per la prima volta: « Bisognerebbe riserbarla alle idee o
alle imagini che recano |’ impronta di un lavoro anteriore effettuato dallo
spirito. In tal caso si potrebbe introdurre il vocabolo presentazione
(ugualmente impiegato dalla psicologia inglese) per designare in generale
tuttociò che è puramente e semplicemente presentato all’ intelligenza ». Anche
il Claparède crede all’ opportunità ‘di distinguere in tal modo gli stati
psichici a seconda che il loro contenuto è attuale ο imaginatico. Si può osservare
però che coi vocaboli sensazione 0 percezione si indica abbastanza chiaramente
l’attualità dei fatti psichici. Cfr. W. Hamilton, Dissertations on Reid, 1860, p. 825; J. 8. Mill, An
exam. of sir Hamilton'e philosophy, 3° ed. 1867, cap. LIL; J. Ward, Psychology, Eneycl.
Britannica, 1° sez.; Bergson, Bulletin de la soc. frang. de phil., giugno 1901,
p. 102; Ed. Claparède, Ibid.,
giugno 1913, p. 213; Lachelier, Ibid., p. 214. Presentimento. T. {knung,
Vorempfindung; I. Presentiment; F. Pressontiment. La previsione oscura di un
avvenimento che può accadere; non è quindi da confondersi con la previsione
scientifica, che è sicura in quanto è fondata sulla costanza ο l'uniformità
delle leggi naturali. Il Leibnits intendeva per presentimento la facoltà di
prevedere ragionando degli avvenimenti; tale facoltà proveniva, secondo lui,
dal possedere lo spirito umano la rappresentazione di tutte le cose
dell’universo, e quindi la possibilità di trarre dal proprio fondo delle verità
sia astratte che concrete. Secondo Fries ο Jacobi il presentimento (Ahnung) è
«la convinzione fondata sul solo sentimento, senza concetti determinati » a cui
corrisponde la credenza nel divino. Cfr. Fries, System der Logik, 1837, p. 423
segg. (v. percezione). Presenza v. Tarole di Bacone. Prestabilita (armonia) v.
Armonia. Primario. T. Erst, Elementar ; I. Primary; F. Primaire. In un sistema
di classificazione per ordine di generalità
893 Pri diconsi divisioni primarie
sia le divisioni che hanno l’estensione maggiore, sia le divisioni che hanno
l'estensione minore. Dicesi formazione
primaria, sia nell’ordine psicologico che in quello fisico, ciò che è più
antico, ο ciò che è composto del minor numero di elementi. Si dicono primarie o
originali quelle qualità dei corpi senza di cui i corpi stessi non possono
essere concepiti: tali |’ estensione, la figura, la resistenza. Secondarie
invece quelle che si possono sopprimere senza sopprimere al tempo stesso la
nozione della cosa: il colore, il sapore, l’odore, il suono, ecc. Delle qualità
primarie le nostre sensazioni sono, secondo il Locke, copie fedeli di cui le
cose sono gli originali: le qualità secondarie sono invece affatto relative. Il
Berkeley invece ridnce le qualità primarie alle secondarie, dimostrando che
quelle non sono meno relative di queste, entrambe derivando dai sensi ¢
risolvendosi tutto in stati del nostro spirito: « La volta rilucente del cielo,
1’ ornamento della terra, in una parola tutti i corpi che compongono questo
mondo, non esistono che in uno spirito che li percepisce; essi non hanno altra
esistenza che la possibilità d'essere percepiti; quindi tutte le idee esistono
attualmente in me o in qualche altro rpirito creato, 0, se non vi esistono, non
esistono affatto o esistono nello spirito divino ». Cfr. Locke, Ess., II, cap.
8, $ 8-15; Berkeley, Principl., I, VIII, XI (v. attributo, essenza). Primitivo.
T. Ur... Grund...; I. Primitive; F. Primitif. Si oppone tanto a secondario che
a derirato, e dicesi di ciò che sta all’origine di una serie di fatti, o che in
ana cosa ha il primo luogo, ο che si ottiene per primo. Dicesi senso primitivo
quello del tatto, perchè esso precede nella specie tutti gli altri sensi, i
quali si considerano come semplici differonziamenti subiti nel corso della
evoluzione biologica dalla sensibilità tattile, per effetto della varia natura
ο del vario modo di agire degli stimoli esterni. Il Rosmini chiama giudizi
primitiri quelli dati solamente dal senso e PRI
894 anteriori alla formazione del
concetto; si dicono primitivi appunto perchè sono i primi che noi facciamo
sulle cose, e mediante i quali delle cose stesse formiamo i concetti. Egli
chiama poi sintesi primitiva l’attività spiritnalo onde il senso fondamentale
unisce la sensibilità ο l’ intelletto e ne vede il rapporto; questa attività
non è altro che la ragione, sesi considera più generalmente l’attività nascente
dall’unità intima del sentimento fondamentale, in quanto cioò l'Io è atto a
vedere i rapporti in generale: quindi la sintesi primitiva è la prima funzione
della ragione. Cfr. Rosmini, Logioa, , $ 212 segg.; Id., Psicologia, 1848, t.
II, § 452 segg. Primo o primum. T. Eret; I. First, Early; F. Premier. È tutto
ciò che non ammette alcun antecedente. Però il primo può essere anche relativo,
cioè un primo eupposto : ad es. il primo costitativo nella biologia è la
molecola οοstituente le cellule; nella fisica è I’ atomo, costituente le
molecole; nella chimica la monade eterea, componente dell’atomo stesso; e
questo primo della chimica è tale soltanto perchè esso è l’ultimo indistinto
del quale non occorre sapere in qual modo sussista, come il biologo si arresta
alla molecola organica, non occorrendogli indagarne la costituzione. Si
distingue poi il primo logico dal primo eronologioo : quello riguarda 1’ ordine
del tempo, questo l’ordine della relazione di principio a conseguenza; ad es.
nel penso dunque esisto di Cartesio, il penso è il primo logico Pesisto il
primo cronologico. Dicesi primo noto
quella nozione prima, dalla quale si deducono tutte le altre idee ο
principi. Nel linguaggio
aristotelico-tomistico primum e pris differiscono, in quanto quello si dice per
privazione di antecedente, questo per confronto a posterius; dicesi poi primum
alterans il primo cielo, il cui moto era ritenuto come principio di alterazione
© di corruzione degli enti terrestri, e primum mobile il primo cielo in quanto
per mezzo degli altri cieli dava moto ai corpi celesti. Primo motore (πρῶτον
κινοῦν) chiama Aristotele la divinità, causa
895 Pri iniziale immobile del
movimento; la materia, il puro possibile, è ciò che è mosso senza muovere, mentre
Dio, il puro reale, è ciò che soltanto muove senza esser mosso e senza divenire:
tra i due termini v'è tutta la serie delle cose, che subiscono o suscitano il
movimento, e il oui insieme Aristotele chiama natura. Nell’ ontologismo ai distingue il primo
psicologico che è quella qualsiasi nozione, prodotto della intelligenza, dalla
quale ogni altra deriva, dal primo ontologico, che è l’essere in sò stesso come
distinto ed opposto alle intelligenze, e il primo ideologico che è il medesimo
essere assoluto in quanto è oggetto della intelligenza umana. Nell’ innatismo o razionalismo si distinguono
i primi universali, che il nostro spirito porta con sè stesso, © che sono
quindi anteriori ad ogni esperienza, dagli ultimi universali, o principi
scientifici, i quali risultano dall’esperienza sensibile ο si formano appunto
da ciò che nell’ esperienza vi è di costante e di comune. Filosofia prima (φιλοσοφία πρώτη) chiama
Aristotele la ricerca della realtà prima e dell’ essenza immutabile delle cose;
essa poi fu detta metafisica. Causa
prima (causa sui, causa causarum, 900.) dicesi quella che non è l’effetto d'una
causa antecedente e dalla quale procedono le altre cause, dette perciò
seconde. Verità prime, primi prinoipî,
nozioni prime, ecc., sono quelle che non sono ricavate deduttivamente da altre. Diconsi qualità prime della cosa quelle senza
di cui la cosa non potrebbe concepirei. Principio. Gr.'Apx#; Lat. Principium ;
T. Grund, Grundsatz; I. Principle; F. Principe. Ha tre significati
fondamentali, uno logico, uno normativo, l’altro metafisico ο obbiettivo. Nel
primo indica una proposizione generale dalla quale derivano e alla quale si
subordinano altre proposi zioni secondarie. Nel secondo designa una massima o
regola d’azione, chiaramente presentata allo spirito ed enunciata mediante una
formala; a seconda del loro contenuto, si hanno principi morali, religiosi,
artistici, politici, ecc. Nel terzo indica una realtà dalla quale dipendono ο
derivano altre realtà: in questo senso gli atomisti chismavano principia gli
atomi, i teologi chiamano Dio principio del mondo, e gli psicologi l’anima
principio dei fatti psichici. Una dottrina scientifica può essere allo stesso
tempo un principio logico, un'ipotesi e una legge. Così la conservazione della
materia e dell'energia è un principio, perchè in base ad esso noi cerchiamo
degli equivalenti ad ogni quanti di materia e d'energia che sembra nascere o
sparire; una ipotesi, perchè non è stato sperimentato e non potrà mai esser
sperimentato su tutti i corpi e su tutte le energie della natura; una legge,
per il gran numero di corpi e di energie riguardo a cui fu sperimentalmente
constatato. Diconsi principt logici ο
principî supremi di ragione, il principio d'identità, À è 4; il principio di
contradizione, 4 non è non-4; il principio del mezzo o terzo escluso, 4 è ο non
è B; il principio di ragion sufficiente, per cui nessuna verità esiste che non
sia giustificabile. Il principio di
individuazione è il fondamento della individualità, per cui essa è quello che
è; il principio degli indiscernibili è quello per cui due cose, per esser due,
debbono avere qualche differenza di qualità; il principio di causalità, per cui
nulla vi ha senza causa; il principio di finalità, per cui ogni essere ha un
fine. Il principio della minima azione,
o del minimo mezzo, 0 di economia, o principio di semplicità, fa formulato in
modi diversi; così per Galileo « la natura non opera con molte cose quello che
può operar con poche »; per Voltaire «la natura agisce sempre per le vie più
corte »; per Maupertuis « quando nella natura avviene un mutamento, la quantità
di azione necessaria a produrlo è la più piccola possibile ». Nel linguaggio aristotelico-tomistico diconsi
prinoipia generationis quelli di cui tutte le cose sono fatte, mentre essi
stessi non sono fatti da altri, e sono la materia, la forma, la privazione;
principia compositionis ο della cosa generata, quelli dalla cui permanenza vien
generato il corpo naturale; principia metaphysica quelli da cui si intende
composta metafisicamente ed intellettualmente la cosa; prinoipia in habitu
quelli che regolano i sillogismi senza che ne faccian parte, ad es. le coke che
convengono ad una terza convengono tra di loro. Dicesi ancora principium quod
la persona ο il supposito oui si attribuisce V operazione, o la denominazione
dell’ operante (ls persona di Tizio è il prinsipium quod delle sue volizioni);
princi pium quo ciò onde viene elicita immediatamente l’azione (la volontà di
Tizio è il principium quo delle sue volizioni). Cfr. Goclenio, Lerioon phil.,
1613, p. 870; Chr. Wolf, Philos. prima sive ontologia, , $ 866-876; Kant, Krit,
4. reinen Vern., ed. Reclam, p. 265 segg. Privativo (termine). T. Privato; I.
Privative; F. Privatif. La privazione è, secondo Aristotele, una causa negativa
che agisce per la sna stessa assenza, Quindi il termine privativo si distingue
dal positivo e dal negativo, in quanto è l’una e l’altra cosa nello stesso
tempo; è detto privativo perchè limito, nega una qualità ο un attributo di cui
il soggetto fu possessore, ο di cui è naturalmente capace; ad es. analfabeta,
cieco, anormale, ecc. Cfr. Mill, Syetom of logio, 1865, 1. I, cap. II, $ 6 (v.
negativo, negazione). Privazione. T. Mangel; I. Privation, Want; F. Privation.
E una qualità che consiste nella’ mancanza di una qualità positiva, ed agisce
come una causa negativa per la sua stessa mancanza : cieco, mortale, povero,
ecc. Così il Wolff la definisce: defeotus aliouiue realitatie, quae esse
poterat. Secondo Aristotele la materia è, sotto un certo rapporto, la
privazione; ad es. l’uomo sarà musicista, ma non è autor tale; in questo
momento è il non musicista; il non-musicista non è una materia senza forma,
poichò è già un uomo, ma è una materia ancora privata della sua qualità;
codesta materia è dunque la privazione della qualità di musicista. Anche il
Leibnitz usò questo vocabolo 57 RaszoLI,
Dizion, di acienze filosofiche. Pro
898 ma nel senso di limitazione,
imperfesione. Cfr. Aristotele, Metaph., X, 4, 1055 b; Chr. Wolff, Ontologia,
1736, $ 273. Nella morale il PROBABILISMO – H. P. GRICE, PROBABILITY,
CREDIBILITY, DESIRABILITY -- à quella dottrina casuistica, secondo la quale per
non cadere in colpa basta agire conformemente ad una opinione approtata, ossia
che ha dei partigiani rispettabili e non è contraria all’autorita. Nella gnoseologia il probabilismo è una
dottrina che sta di mezzo tra il dogmatismo e lo scetticismo. Questo nega la
possibilità di ogni conoscenza, quello invece unifica verità e certezza,
considerando la prima come una proprietà intrin* seca delle cose e la seconda
come un prodotto della verità sullo spirito. Il probabilismo, sia antico che
moderno, crede possibile il possesso della verità, ma non di quella assoluta
bensì della verità probabile, che è in noi e per noi, della verità che nasce
dell’ accordo durevole delle nostre rappresentazioni tra di loro e con quelle
degli altri. I probabilisti sostengono che il valore di questa verità
dipendente da noi è superiore a quello della verità in 88 © per sè, poichè le
cose che da noi dipendono valgono più di quelle che non dipendono, Nella
filosofia antica la teoria del probabilismo fu sviluppata specialmente da
Carneade, che distinse tre gradi della probabiltà: il grado più basso è quello
che conviene all’ idea singola, che non si trova in nessi più larghi; un grado
più alto sppartiene all’ idea che si può unire con altre, con cui si trova in
connessione; il terzo grado è raggiunto dove un intero sistema di idee in tal
modo connesse è riscontrato nella sua perfetta armonia e nella sua conferma
sperimentale. Nella filosofia moderna il probabilismo ricompare, con tinte più
o meno scettiche, prima nel Montaigne, poi in Hume, infine nel Cournot. Cfr. Mentré, Cournot et la
renaissance du probabilieme au XXe sidole, 1908 (π. oritioiemo, prammatismo, nominaliemo). Probabilità. T. Wahrsoheinlichkeit,
Probabilità; I. Probability; F. Probabilité. La certezza che una cosa si
avveri 899 Pro è data dal suo avverarsi sempre, quando
si avverino determinate circostanze; la probabilità invece è data dal suo
avverarsi non sempre ma qualche volta. Questa dicesi probabilità qualitativa ο
filosofica, per distinguerla dalla quantitativa ο matematica, che si fonda sul
numero dei casi; si chiama anche soggettiva ο psicologica, in quanto è l’espressione
di un atteggiamento del pensiero e dell’azione, che appartiene allo stesso
dominio del dubbio, dell’ esitazione, dell'incertezza, In essa si possono
distinguere due gradi: il primo, che chiameremo probabilità volgare, è la
semplice fiducia nel verificarsi di un avvenimento, fiducia basata sa pure
impressioni e perciò indimostrabile; la seconda, che chiameremo probabilità
scientifica, è ugualmente soggettiva ma possiede un maggior fondamento
razionale. Esempio dei due gradi, il giudizio che un profano e nn medico
possono esprimere sulla probabilità che un ammalato guarisca. Matematicamente
la probabilità è espressa da una frazione, che ha per numeratore il numero dei
casi favorevoli, per denominatore il numero dei casi possibili; ciò costituisce
il calcolo delle probabilità ο teoria dei rischi Ware conieotandi degli
antichi) che si applica tanto alle questioni di pura possibilità, che sono di
natura oggettiva, quanto a quelle di probabilità, che dipendono dal non
conoscere tutte le circostanze del fatto supposto. Nella frazione che esprime
la probabilità, quanto maggiore è il denominatore rispetto al numeratore, tanto
maggiore è la probabilità ; se il denominatore è zero si ha la certezza; so è
zero il numeratore si ha l'impossibilità. Il calcolo delle probabilità non pnò
essere applicato alla probabilità filosofica, poichè essa non riguarda la
quantità ma la qualità, non il numero ma il valore dei casi. Si distingue
infine la probabilità atatietica, che sta di mezzo tra la probabilità
filosofica © la probabilità matematico ; essa è il rapporto del numero dei casi
avvenuti in passato con quelli che per estrema ipotesi avrebbero potuto
verificarsi, rapporto supPro 900 posto costante e applicabile ai casi futuri;
è quindi probabilità matematica, in quanto fondata sul rapporto dei casi reali
© possibili; probabilità filosofica perchè implica la supposizione (soggettiva)
che detto rapporto si conservera invariato nel futuro, © che i singoli casi
siano possibili in ugual grado mentre in realtà non lo sono. Cfr. Moivre, Doctrine of
chances, 1718; Cournot, Essai sur les fondements de nos connaissances, 1851, $
31; Id., Exposition de la théorie dee chances et des probabilités, 1843;
Bertrand, Caloul des probabilités, 1907; Borel, Élémonts de la thdorie des probabilités,
1909; H. Poincaré, Calcul des probabilités, 1912. Problema (xp6 avanti; βάλλω =lanoio). T. Problem ; 1.
Problem; F. Problème. Significa originariamente una incognita da determinare,
la quale, benchè si trovi connessa dal rapporto di principio e di conseguenza
con uns conoscenza posseduta, difficilmente si può decifrare; si contrappone
quindi a teorema, che è il risultato chiaro e provato di una dimostrazione. In
senso largo, il problema è la necessità nella quale trovasi il nostro pensiero
di spiegare un fatto qualsiasi, realo o supposto. Se il fatto che si deve
spiegare è reale, il problema dicesi assoluto, in quanto esiste
indipendentemento dall’ analisi, che può risolverlo o non. Se il fatto è
supposto, il problema dicesi ipotetico, in quanto la sua validità dipende
dall’analisi che è necessaria per risolverlo. Alcuni dei problemi assoluti
possono essere anche antitetioi, quando cioè esiste opposizione tra
ragionamento e ragionamento, o tra effetto e causa. L’Avenarius considera il problema come il
segno d’un rapporto di tensione, d’una « differenza vitale » tra V individuo e
l’ambiente, determinate dalla sproporzione che esiste tra l’ energia
dell'individuo ο quella richiesta dalle eccitazioni dell’ ambiente. Se 1’
eccitazione (R) ο la energia (E) sono assolutamente corrispondenti (R = E) si
ha il massimo vitale di conservazione, l'individuo si sente a proprio agio e
pieno di fiducia nelle proprie percezioni
901 Pro © rappresentazioni. Se
invece, per variazioni dell'ambiente, si produce la situazione R> E, allora
appare un problema e l’individno trova delle divergenze, delle eccezioni e
delle contraddizioni nel dato, che gli danno I’ impressione d’essere straniero
nel mondo; ogni vero problema è una nostalgia, che fa tendere tutti i nostri
sforzi a togliere codesta impressione. Inversamente, se si produce la
situazione E> R, un problema appare per là ragione contraria: in questo caso
esiste dell’energia che non è impiegata e che, divenuta libera, esplode in
direzioni insolite, non determinate dal dato; si hanno allora le epoche
d’emancipasione, d’effervescenza, d’idealinmo pratico. Dicesi problema di Molyneux quello esposto
dal Leibnits nei Nouv. Essais (1. II, cup. IX, $ 8): « Supponete un cieco dalla
nascita, che sia ora uomo maturo, al quale siasi insegnato a distinguere col
tatto un tubo da una sfera dello stesso metallo e circa delle stesse
dimensioni... Supponete che codesto cieco venga a godere della vista. Si
domanda se, vedendoli senza toccarli, potrebbe distinguerli ο dire qual sia il
cubo e quale la sfera ». Cfr. R. Avenarius, Kritik der reinen Erfahrung,
1888-90; Id., Die menschliche Weltbegriff, 1891; B. Varisco, I massimi
problomi, 1909; Masci, Logioa, 1899, p. 451 segg. (v. economica teoria,
empiriocriticismo). Problematico (giudisio). T. Problematisch; I. Problematic;
F. Problématique. Nel linguaggio comune problematico equivale a incerto,
dubbio, affermato senza prove sufficienti e tale quindi che deve considerarsi
come rimanente in questione. Nella
logica dicesi problematico il giudizio che esprime la possibilità, cioè la
concepibilità dei contradditori per la mancanza di ragione di decidere quale
sia vero. Può essere affermativo e negativo; nel primo enso la sua formula è: 4
può esser B; nel secondo: A può non esser B. Il giudizio problematico negativo
nega infatti la necessità; la possibilità della affermazione è invece negata
Pro 902
dal giudizio apodittico negativo, la cui formala è: 4 non può esser B.
Nella classificazione kantiana i giudizi problematici appartengono, insieme
cogli assertori, 0 della realtà, © gli apodittici, o della necessità, alla
categoria della modalità. Nella
metafisica dicesi problematica quella forma di realismo, che partendo da un
dualismo realistico di soggetto e oggetto, pone tuttavia quest’ ultimo come
incerto: «noi siamo uniformemente certi, dice ad es. il Wenn, dell'esistenza
dell'idea ο del concetto nei nostri spiriti, e uniformemente incerti (da un
punto di vista logico) che un fenomeno vi corrisponda ». Alcune volte dicesi
problematico anche il realismo che meglio si direbbe ipotetico, e che lo
Spencer definisce «come la dottrina secondo la quale la realtà dell’oggetto non
può essere affermata come un fatto, ma deve essere accettata come un'ipotesi
necessaria ». A questo tipo appartiene ad es, la dottrina delV Hodgson, per il
quale la materia, pur non essendo per noi che un complesso di percezioni
obbiettivate, presuppone tuttavia una condizione reale, senza di cui le
sensazioni non esisterebbero, e una condizione dell’ esistenza della materia,
cioè Dio, la cui natura può essere inforita mediante la ragion pratica dalla
coscienza. Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, A 75-76; B 100-101; Wenn,
Symbolic logic, 2* ed. 1894, p. 150; Spencer, Principles of prychology, 3* ed.
1881, t. II, § 473; Hodgson, The metaphysio of experience, 1898, t. I, p. 296;
F. De Sarlo, La metafisica dell esperienza dell’ Hodgson, 1900. Processo. T.
Prozess; I. Process; F. Processus. Una conentenazione o serie di fenomeni
successivi, che presenta caratteristiche particolari e determinate. Dicesi
anche processo la serie dei mezzi che si mettono in opera per arrivare al
conseguimento di un fino; quando il fine è la scoperta del vero scientifico, il
processo è quasi la stessa cosa del metodo; no differisce solo in quanto le
specie del processo si desumono dalla diversità del mezzo, quelle de 908
Pro metodo dalla diversità del fine. Perciò il processo è subordinato e
relativo al metodo. Nella metatisica
alessandrina il processo o processione è 1’ atto eterno con cui Dio produce il
mondo, e l’atto pure eterno con oui l’Uno produce il Noo e questo } anima, Nel linguaggio scolastico dicesi processus
resolutions quello per cui si dimostra la causa dall'effetto, processus
oompositivus l'inverso; l’espressione esprime la natura dell’ operazione
mentale, che nel primo caso consiste nel risolvere la causa nell’effetto, nel
secondo nel comporre l’effetto con la causa, Progresso. T. Fortschritt; I.
Progress; F. Progrès. Si usa generalmente come sinonimo di evoluzione, e
designa quindi un processo di differenziazione e specificazione. Alcuni però lo
adoperano soltanto per opporlo 8 regresso ο regressione, che è il processo
inverso, ossia il ritorno di un organo, di un individuo, di una specie, di una
società ad uno stato anteriore, meno differenziato © meno specificato. Peroiò
la regressione in un organo o in un individuo è un fenomeno degenerativo
d’atavismo. Il progresso, inteso come lo svolgersi di un processo di
perfezionamento, può essere sia meccanico, sia intellettuale, sia sociale o
civile; e, in ciascuna di queste forme, può esser concepito come possibile ο
impossibile, reale o spparente, continuo o per fasi, limitato o illimitato. Per
Ruggero Bacone, ed es., il progresso del sapere umano è non solo innegabile, ma
indefinito: « L’ avvenire saprà ciò che noi ignoriamo, e si meraviglierà che
noi abbiamo ignorato ciò che esso sa. Nulla è finito nelle invenzioni umane, e
nessuno ha l’ultima parola. Più gli uomini sono di recente venuti nel mondo,
più estese sono le loro cognizioni, perchè, ultimi eredi delle età passate,
entrano in possesso di tutti i beni che il lavoro dei secoli aveva per essi
accumulato ». Anche secondo il Leibnitz non esistono limiti nel miglioramento
progressivo dell’universo spirituale, perohè, sebbene la perfezione sia stata
raggiunta in alcuni suoi elementi, nelPro
904 l'abisso delle cose restano
sempre delle parti addormentate che devono risvegliarsi e svilupparsi: « È così
che una parte del nostro globo riceve oggi una cultura che sumenterà di giorno
in giorno. E per quanto sia vero, che talvolta certe parti ritornano selvagge ο
si rovesciano e si deprimono, tale rovesciamento e depressione concorrono a
qualche fine più grande, cosicchè noi profittiamo in certa guisa del danno
medesimo ». Il Turgot contrappone la stabilità della natura al progresso
incessante dell’ umanità : «1 fenomeni della natura, soggetti a leggi costanti,
sono chiusi in un ciroolo di rivoluzioni sempre uguali. Tutto rinasce, tutto
perisce, e in queste generazioni successive, onde i vegetali e gli animali si
riproducono, il tempo non fa che ricondurre ad ogni istante 1’ imagine di ciò
che ha fatto sparire. La successione degli nomini, al contrario, offre di
secolo in secolo uno spettacolo sempre diverso. La ragione, le passioni, la
libertà producono senza posa nuovi eventi. Tutte le età sono incatenate da una
suocessione di cause e d’ effetti che legano lo stato del mondo a tutti quelli
che ’hanno preceduto. I segni moltiplioati del linguaggio o della scrittura,
dando agli uomini i mezzi d’assicurarai il possesso delle loro idee e di
comunicarle agli altri, hanno formato di tutte le conoscenze particolari un
tesoro comune, che una generazione trasmette all'altra, come un’ eredità sempre
accresciuta delle scoperte di ogni secolo; © il genere umano, considerato dalla
sua origine, appare agli occhi del filosofo un tutto immenso, che ha, al pari
d’ ogni individuo, la sua infanzia ο il suo progresso >. 11 Condorcet
considera il progresso sociale e morale delV umanità come svolgentesi specialmente
intorno a questi tre punti : Ja distruzione dell’ ineguaglianza tra le nazioni,
il progresso dell’eguaglianza in un medesimo popolo, infine il perfezionamento
reale dell’uomo; quest’ ultimo sarà determinato « sia dalle nuove scoperte
nelle scienze © nelle arti, e, per necessaria conseguenza, nei mezzi di
benessore 905 Pro particolare e di prosperità comune, sia
dal progresso nei principî di condotta ο di morale pratica, sia infine dal
reale perfezionarsi delle facoltà intellettuali, morali ο fisiche, che pnd
essere ugualmente la conseguenza del perfe zionarsi degli stromenti che
aumentano l'intensità di codeste facoltà o ne dirigono l’impiego, ο del
perfezionarsi dell’ organizzazione naturale dell’ uomo ». Kant deduce la legge
storica del progresso nmano dall’ ipotesi del determinismo; in qualunque modo
si concepisca il libero arbitrio, è innegabile che le azioni umane sono
determinate dalle leggi universali della natura, al pari d’ogni altro fenomeno
naturale, 9 che si può, in certo modo, considerare la storia della razza umana
come il compimento d’un piano nascosto della natura, tendente a produrre uno
stato umano perfetto, così interiormente come esteriormente: « Come la specie
umana è in continuo progresso quanto alla cultura,. che è il fine naturale dell’
umanità, ‘così deve essere in progresso verso il bene quanto al fine morale
della sua esistenza, © se questo progresso talvolta può subire interruzioni,
non può esser mai interamente arrestato ». Fichte ha tanta fiducia nel
progresso civile ο morale dell’ umanità, da profetare un giorno in cui persino
il pensiero del male si cancellerà dalla mente degli uomini, © tutte le potenze
della loro anima graviteranno verso il bene: « Il momento giungerà in cui il
malvagio, nella sua patria, in paese straniero, sn tutta la superficie della
terra, non troverà a chi nuocere impunemente, e si troverà quindi spogliato
della libertà e della stessa volontà di fare il male; poichè non possiamo
supporre che continuerà a amare il male, se il male dovesse aver sempre per lui
delle conseguenze faneste ». Schelling invece, pur riconoscendo che la nozione
di storia implica quella d’ una progressività infinità, sostiene che il
progresso morale dell’ umanità non può essere per noi una certezza, non potendo
essere provato nd teoricamente nd con l’esperienza, ma Pro 906
soltanto una credenza «un eterno articolo di fede dell'uomo, nel mondo
dell’azione ». Per Hegel 1’ evoluzione universale si compie col ritmo della
dialettica speculativa, «ο questo ritmo si riproduoo in tutti i dettagli, in
tutte le sfere: tutto si riproduce, si determina, si differenzia, e tutto
ritorna alla identità primitiva. E uno sviluppo continuo, che ritorna senza
posa su sò stesso, con un più alto grado di realtà determinata e di conoscenza,
una esplicazione eterna, infinita, il oui fine, per lo spirito che presiede
senza coscienza a questo movimento, è la coscienza esplicita della sua assoluta
sovranità ». Per Comte il progresso sociale dell’ umanità si compie attraverso
tre fasi : militare, giuridica e industriale, corrispondenti ciascuna alle tre
fasi intellettuali: teologica, metafisica ο soientifica e positiva; è infatti
il modo di pensare degli uomini che determina il loro modo di essere sociale, «
è per l’influenza sempre più forte dell’intelligenza sopra la condotta generale
dell’uomo e della società, che il cammino graduale della nostra spocie ha
potuto realmente acquistare quei caratteri di costante regolarità e di
continuità perseverante, che la distinguono profondamente dal movimento vago,
incoerente e sterile delle specie animali più elevate». Anche per J. 8. Mill,
la testimonianza della storia e quella della natura umana concordano nel
mostrare che, tra i fattori del progresso sociale, quello che possiede 1’
efficacia preponderante è l’intellettuale, ossia « lo stato delle facoltà
speculative della razza umana, stato manifestato nella natura delle credenze a
oui essa è arrivata per qualsiasi via riguardo sò stessa ο il mondo che la
circonda »; perciò il progresso sociale, per quanto lento, è illimitato, ο « di
fronte alle cure ο agli sforzi degli uomini tutte le principali cagioni della
sofforenza umana possono cedere in gran parte, molte possono cedere quasi
completamente ». Dicesi progresso all’
infinito (progressus in infinitum) il movimento dello spirito che, poste certe
condizioni, passa necessaria 901 Pro
mente da ciascun termine ad un termine nuovo; ad es. nella serie dei numeri o
nella ricerca delle cause efficienti. Gli scettici antichi, specialmente Carneade
e Agrippa, lo usarono come uno dei tropi o motivi di dubbio: ogni prova
presuppone, per il valore delle sue premesse, altre prove, ogni principio altri
principi più generali e così via senza poter mai raggiungere la certezza. Cfr.
R. Bacone, Opus majus, cap. VI; Turgot, Diso. sur les progrès du genre humain,
1750; Condorcet, Esquisse des progrès de V esprit humain, 1804; H. Spencer, I!
progresso umano, trad. it. 1907; G. Sorel, Le illusioni del progresso, trad.
it. 1910; A. Matteucci, Il progresso umano nella sua più intima economia, 1910;
A. Loria, Che è il progresso? « Riv. it. di sociologia», 1911 (v. eredita,
teratologia). Proiezione. T. Projektion: I. Projection; F. Projection. L’atto
mentale con cui si riferisce il contenuto della sensazione ad una causa
oggettiva, localizzandolo in punti dello spazio diversi da quelli nei quali si
colloca in imaginazione lo spirito pensante. Spinoza lo esprime nel seguente
teorema: « Se il corpo umano è affettato da una modificazione che involge la
natura di un corpo esteriore, qualunque esso sia, l’anima umana si
rappresenterà codesto corpo come esistente in fatto o come presente per essa
-finchè il corpo umano sia affettato da un’altra modificazione che escluda
l’esistenza o la presenza del corpo in questione ». Condillac riferisce
l’origine della proiezione alle impressioni tattili: « Come il sentimento può
estendersi al di là dell’ organo che lo prova e che lo limita? Considerando le
proprietà del tatto, si riconobbe che esso è capace di scoprire codesto spazio
e di insegnare agli altri sensi a riferire le loro sensazioni a corpi che in
codesto spazio sono distribuiti ». Ugualmente il Riehl: « La proiezione dell’
imagine non è altro che l’associazione della stessa con sensazioni
contemporanee del senso tattile ». Per l’Ardigò invece la proiezione è una
forma d’ integraPro 908 zione d’inquadramento nello schema dell’
eterosintesi o non-Io; integrazione che si compie mediante un esperimento, il
quale a sua volta consiste sia nell’ accompagnamento di altre sensazioni, sia
nella verifica per mezzo di un secondo senso. Per il Sergi la proiezione è il
ripereuotersi psicologico di un fatto fisiologico, costituito dal fatto che
l'onda nervosa centripeta, che aveva prodotto la sensazione, torna indietro per
la medesima via percorsa prima; quindi, come l'eccitazione centripeta tende a
dare carattere soggettivo ad ogni mutazione psichica che ne segue, così }
eccitamento riflesso centrifugo tende a far uscire dal soggetto la mutazione
prodotta, perchè si spinge per le vie esterne. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. II, teor.
XVII; Condillae, Traité des sensationis; A. Riehl, Der philosoph. Kriticismus, 1879, II, 2, p. 58; Ardigò, Op.
fll., IV, p. 343 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica della percesione, 1884.
Prolepsi v. anticipazione. Propedentica. T. Propädeutik; I. Propaedeutica; F.
Propédeutique. Quell’ insieme di nozioni che sono necessarie per prepararsi
allo studio di una scienza; così l’anstomia e la fisiologia del sistema nervoso
sono la propedeutica alla psicologia; la logica generale e speciale è, ο
dovrebbe essere, la propedentica di tutte le scienze. Cfr. Kant, Krit. der
reinen Vernunft, pref. della 2° ed., $ 3. Proporsione. T. Proportion; I.
Proportion: F. Proportion. Nella logica è quel modo d’ argomentazione per cui,
date tre quantità, conoscendosi il rapporto che passa tra due, si trova il
rapporto che passa tra la terza ed una quarta incognita in correlazione con
esse. Il rapporto fra dette quantità è diretto, quando col crescere di nna
cresce proporzionatamente anche l’altra; ad es. il giovane deve saper
padroneggiare sò stesso, dunque tanto più l’ adulto (col crescere dell’ età
cresce il dovere di padroneggiare sò stessi). Il rapporto è inrerso quando col
crescere d’ una 909 Pro delle due quantità l’altra decresce
proporzionalmente: ad es. il ricco non deve essere imprevidente, dungue tauto
meno deve esserlo il povero (il dovere di essere previdenti cresce col
diminuire della ricchezza). Gli scolastici chiamavano la prima argomentazione a
minori ad maius, la seconda @ maiori ad minus. Nel linguaggio scolastico dicesi
ancora proportio entitatis ο commensurationie 1’ ordino d’una cosa ad un’altra
per ragione del suo essere (ad es. la proporzione tra due uomini per ragione
dell'umanità); © proportio habitudinis l'ordine di una cosa all’ altra per
ragione della loro mutua convenienza (p. es. I’ intelletto all’ intelligibile).
Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 678-679 (v. analogia). Proposizione. Gr. ᾽Απόφανσις, πρότασις; Lat. Propositio; T.
Sate, Proposition; I. Proposition; F. Proposition. Non è altro che il giudizio espresso con parole; il
giudizio è un processo mentale, la proposizione un processo linguistico che
l’esprime. Ora, 1’ espressione formale perfetta del giudizio consta di due
termini, soggetto e predicato, e del verbo o copula che esprime la loro
relazione; quando è cost costituita si ha la proposizione binaria. La quale
però non è l'unica espressione possibile di un giudizio, in quanto anche le
parole si, no, gui, rado, ecc. esprimono pure dei giudizi. Secondo alcuni
logici qualsiasi parola esprimento un concetto è, per sè stessa, un giudizio, e
ciò sia perchò il concetto è sempre il riferimento reciproco di due termini,
sia perchè quando si pensa si ha la coscienza di averlo, e quindi è
implicitamente e necessariamente l’affermazione di sò stesso. Del resto la
proposizione binaria è propria specialmente delle lingue a flessione; nelle
lingue agglutinanti basta un termine solo, e nelle monosillabiche ne sono
necessari ben più di due. Cfr. Aristotele, Περὶ éppyy., 4 ο 5, 17 a 1 segg.;
Masci, Logica, 1899, P. 149 segg. (v. concetto, giudizio, grammatica,
linguaggio). La PROPRIETÀ non va confusa colla qualità. Vi sono due specie di
qualità: quelle che costituiscono l'essenza stessg della cosa, come
l’estensione nei corpi, cosicchè non è possibile pensare quella cosa astraendo
da tali qualità; e quelle che derivano da queste, o che almeno le suppongono,
come la porosità dei corpi. Ora le prime diconsi più propriamente attributi, le
seconde proprietà. Così infatti Wolff definisce le proprietà: attributa, quae
per omnia essentialia simul determinantur, diountur propristates. E Wundt: in
senso esatto devono valere come proprietà d’un corpo solo quei predicati, che
gli appartengono stabilmente come caratteri suoi propri, non come effetti che
il corpo produce ο riceve quando sia posto in determinate condizioni. La
distinzione però non è osservata nella lingua comune, e talvolta neanche in
quella filosofica. Wolff, Philosophia rationalie; Wundt, Phil. Stud. (v.
qualità, attributo, essenza, modo). Proprio. Gr. Ἴδιον; Lat. Proprium; T.
Eigene; I. Proper; F. Prope. Il carattere ο l'insieme dei caratteri
appartenenti a tutti gli esseri d’una classe, e ad essi solo; tali caratteri
possono essere tanto essenziali quanto accidentali. Il proprio è uno dei cinque
categorumeni o predicabili, enumerati da Aristotele. Esso designa il carattere
accidentale ο essenziale, fondamentale o derivato, che appartiene ad una specie
o ad un individuo. Gli altri predicabili sono il genere, la specie, la
differenza ο l’accidente; il proprio si distingue dalla differenza, perchè
questa, oltrechè un carattere proprio, è anche sempre essenzialo e
fondamentale, e si distingue dall’ accidente, che è sempre passeggero mentre il
proprio può essere anche permanente. Aristotele distingue cinque sensi del
proprio: 1° ciò che, senza esprimere l’essenza della cosa, le appartione
tuttavia ο οἱ reciproca con essa; ad es. l'essere medico è proprio solo
dell’uomo, ο reciprocamente, solo un uomo pud essere medico; 2° ciò che
appartiene alla cosa sempre © per sò
911 Pro stessa, ma non ad essa
soltanto; ad es. I’ esser bipede all'uomo; 3° ciò che appartiene alla cosa non
per sò stessa, ma per il suo rapporto con un’altra; sd es. per l’anima di
comandare e per il corpo di servire; 4° ciò che appartiene sempre alla cosa ma
per rapporto ad altre cose dove si trova una parte del suo stesso proprio; ad
es. il proprio dell’uomo rispetto agli animali è d’essere bipedo; 5° ciò che
appartiene alla cosa, ma solo a un certo momento, e quindi in relazione ad
altri momenti 6 ad altri individui; ad es. per un uomo il passeggiare nel
ginnasio © nell’ agora. Porfirio le riassunse poi con qualche differenza. Cfr.
Aristotele, Topiei, 1. I e V; Porfirio, Isagoge, IV, 4 a 14 seg.; Logique de
Port-Royal, parte I, cap. VII; Rosmini, Logica, 1853, $ 408-416. Prosillogismo
v. polisillogiemo. Prossimo. T. Nächst, Nächste; I. Next, Neighbour ; F.
Prochain. Il più vicino. Usato come sostantivo ha significato morale, indicando
l'insieme dei nostri simili considerati come fratelli; infatti la parola
prossimo (meus prozimus) è la traduzione della parola biblica, che designa
l’uomo della stessa famiglia o della stessa tribù: « Tu non userai vendetta
contro i figli del tuo popolo, ma amerui il tuo prossimo come te stesso » (Levit.,
XIX, 18). Nella logica dicesi genero
prossimo l’idea che, in duo idee o in una serie di idee disposte in ordine
discendente di estensione e ascendente di comprensione, contiene un’altra idea
(specie) che la segue immediatamente in quanto meno estesa; causa prossima
quella che precede immediatamente l'effetto; effetto prossimo quello che segue
immediatamente la causa. Es.: 1° dovendosi definire la giustizia, il suo genere
prossimo è virtù non qualità morale, perchè virtà è immediatamente superiore a giustizia,
mentre qualità morale, essendo più estesa di virtù, le è superiore; 2° la causa
immediata del dolore prodotto dalla scottatura non è il calore del corpo che ha
scottato, ma la conseguonte Pro 912 irritazione delle terminazioni nervose e la
sus trasmissione ai centri spinali; 3° l’ effetto immediato dell’ azione della
luce sull’ occhio non è la visione, ma il processo fotochimico determinato
nella sostanza purpurea della retina, al quale segue poi la sensazione visiva.
Protasi. T. Fordersate ; I. Protasis; F. Protase. Aristotele chiamava così il
giudizio che serve nel sillogismo di fondamento alla dimostrazione. Tale
giudizio fu detto poi premessa. I grammatici, per analogia, dicono protasi la
prima proposizione di un periodo. Protensivo. Si adopera talvolta in
opposizione a estensiro ciò che ha una grandezza nello spazio per designare ciò che ha una grandezza
(durata) nel tempo. L’ uso filosofico di questo vocabolo risale a Kant: « La
felicità è la soddisfazione di tutte le nostre tendenze, sia estensive, quanto
alla loro molteplicità, che intensive, quanto al loro grado, che protensive,
quanto alla loro durata ». Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, Methodenlehre,
vom Ideal des hchsten Gute, A 805, B 833. Protoestemi (xpHto¢ =primo, αἴσθσις =
sensazione). Con questo nome l’Ardigò designa le sensazioni minime o
elementari, dalla cui somma ogni sensazione, che non è un fatto semplice ma
complesso, risulta. I protoestemi sono analoghi ai singoli minimi da cui
risultano per reduplicazione gli elementi delle altre formazioni naturali: le
molecole della biologia, gli atomi della fisica, le monadi eteree della
chimica. Come questi, i minimi protoestematici sono dati ipotetici, perchè non
sperimentabili direttamente; e come questi, sono unità relative, perchè lo
psicologo si ferma ad essi quale ultimo unico, non occorrendogli di ricercare
come sussistano e quale sia la loro costituzione. Così si avvera per il
pensiero ciò che avviene nella natura ‘universale, in cui nulla si trova essere
solamente un tutto, e nulla solamente una parte, ma ogni tutto per quanto
grande è sempre parte di un tutto maggiore, e ogni parte 913
Pro Per quanto piccola è sempre un tutto di parti minori; in modo che,
preso dovunque un tutto, oltre di esso se ne trova un altro più grande, e poi
un altro più grande ancora, e così via all'infinito; e dentro di esso si
trovano delle parti componenti, poi delle parti di queste parti, ο così via
all'infinito. Cfr. Ardigd, Op. fil., VII, 34 segg., 62 segg., 80 segg. (v.
elementi psichici). Protologia. T. Protologie; I. Protology; F. Protologie.
Vocabolo ormai in disuso, che può designare tanto la scienza Prima o dei primi
principi, quanto il diritto di priorità a discorrere in una adunanza, quanto un
trattato intorno ai pit semplici organismi viventi. Nell’ ontologismo del
Gioberti la protologia è la scienza ο filosofia della prima attività del
pensiero, vale a dire dell'ente intelligibile intuito Per via del pensiero
immanente; peroid la protologia è scienza Pura, esclude ogni mescolanza di
soggettivo e serve anzi di regola per sceveraro nelle altre conoscenze gli
elementi soggettivi dagli oggettivi. Si differenzia dalla ontologia, che
contempla I’ ente nell’ atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del
pensiero successivo ; e dalla pricologia, che analizza il pensiero successivo
considerato soggettiva mente, mentre la protologia contempla il pensiero
nell’atto primo e come principio creativo e costitutivo dello spirito, quindi
nell’ intuito puro dell’ intelligibile. Cfr. V. Gioberti, Della protologia, ,
t. I, p. 154 segg.; E. Pini, Saggio sulla protologia, 1870. Protoplasma (πρῶτος
= primo, πλάσσω formo). T. Protoplasma;
1. Protoplasm; F. Protoplasme. Termine creato dal Mohl, e tosto largamente
diffuso, per indicare la materia viva fondamentale, che ha la proprietà di
contrarsi. È costituito da un insieme di sostanze organiche, chimicamente
indefinibili perchà di costituzione assai variabile. Quanto alla sua
morfologia, queste sono le prin.cipali teorie avanzate in proposito fino ad
ora: che sia formato da un reticolato di sostanza omogenea, che eser58 Raxzou, Dizion, di scienze filosofiche.
Pro 914
cita la fanzione fondamentale e contiene grannlazioni non viventi; che
tali granulazioni o microsomi siuno invece gli organi elementari viventi
costitutivi d’ogni protoplasma; che sia costituito da un reticolato di sostanza
ferma, ο da una sostanza amorfa e viscosa (sostanza vitale) contenuta nelle
maglie; che detto reticolato sia formato di fibrille intrecciantisi; che il
citoplasma sia composto di piccoli alveoli le cui pareti, prementisi tra loro,
formano il protoplasma. Cfr. Schwarz, Die morphologische und chemische
Zusammensetzung des Protoplasmas, 1887; E. B. Wilson, The structure of
protoplasm, 1899; Y. Delage, La structure du protoplasma et les théories sur
U’herddite, 1895 ; Luciani, Fisiol. dell’ uomo, 8" ed. 1908, vol. I, p. 16
segg. (v. generazione, cellula, vita, organismo, pionosi). Protozoi. T.
Protosoon, einzelliges Tier; I. Protosoon ; F. Protozoaire. Gli animali dalla
struttura più semplice, simili per la loro forma e per il loro modo di vivere
agli elementi costitutivi degli animali superiori. Essi sono costituiti da una
singola cellula o da un gruppo di cellule similari. Non dovrebbero confondersi
coi protisti, nome proposto dall’ Haeckel per designare gli organismi
costitaiti da protoplasma senza nucleo. Cfr. Haeckel, General. Morphol., 1866; Calkins, The
protozoa, 1901. Provvidenza. T. Vorsehung ; I. Providence; F. Providence. La suprema saggezza e bontà di Dio, che si
esercita nella natura e nella storia; la sua azione permanente che governa il
mondo e l'umanità. Providentia totue mundus administratur, et ita nihil fit,
quod non pertineat ad opus providentiae. La Provvidenza però non esclude,
secondo la teologia cattolica, l’attività delle cose e la libertà del volere: «
Secondo certi filosofi, dice S. Tommaso, l’azione divina in ciascun essere si
deve intendere in questo senso, che cioò nessuna forza creata realmente agisca,
ma che ogni azione proceda immediatamente da Dio. E questa una teoria assurda;
prima perchè in tal caso la causalità delle
915 Pro creature verrebbe ad
essere distrutta, il che imprimerebbe alla potenza divina il carattere di
debolezza, giacchè è proprio di Dio produrre tali effetti, che siano capaci di
dare origine a degli altri; in secondo luogo perchè le facoltà attive, di cui
vediamo esser fornite le creature, invano sarebbero state a loro concesse, se
dovessero rimaner prive di ogni effetto vero e reale. Chè anzi le creature
stesse, prive di ogni operazione propria, diventerebbero inutili, poichè il
fine dell'esistenza di ogni essere è l’azione ». La Provvidenza si collega
strettamente agli altri attributi divini; infatti non è possibile concepire in
Dio una Provvidenza, se non si suppone in lui una conoscenza originaria
perfetta dell'avvenire © delle azioni libere degli uomini (prescienza); e Dio,
essendo per definizione l’essere assolutamente necessario ed esistente per ad,
non deve aver limiti nella sua potenza (onnipotenza) e tutti gli attributi
della sus essenza debbono essere assoluti o infiniti. In due modi si esercita
la Provvidenza divina: se non si considera che l’organizzazione permanente
delle cose, la costituzione di leggi fisse i cui benefici effetti sono stati
previsti ο in. ragione dei quali codeste leggi farono scelte, si ha la
provvidenza generale; l’ intervento personale nel corso degli avvenimenti
suocessivi, dicesi provvidenza particolare. Nel concetto cristiano i disegni ©
gli soopi della Provvidenza sono ignoti all’ uomo: « Dio, dice 8. Agostino,
distribuisce i beni della terra ai buoni e ai malvagi secondo l'ordine dei
tempi ο delle cose, ch’ egli solo conosce >. Tale concetto fu essgerato dal
Malebranche, © più ancora dal Bossuet, nel cui fataliamo mistico ogni avvenimento
è dovato ad un piano predeterminato da Dio, ad un ordine segreto della
Provvidenza; 1’ umanità, perfettamente cieca, cammina verso una meta che non
conosce, condotta da Dio che solo vede e solo sa. Asssi diversa ο più geniale
è, a tal proposito, la dottrina del nostro Vico, il quale, pur facendo operare
la Provvidenza sulla storia dell’umanità, ne esclude PRU 916
l’azione cieca ed arbitraria nei fatti particolari degli uomini. Secondo
il Vico, la Provvidenza opera sulla natura e sulla storia per mezzo delle cause
seconde (rebus ipsis dictantibus), create da Dio stesso colla natura loro
propria e colle proprie leggi, ch'egli lascia svolgere liberamente; la sua
Provvidenza consiste quindi nel mantenerle sempre in questa loro natura. Cfr.
Gerson, De consol: theologiae, 1706; 8. Tommaso, S. theol., I, q. XVIII, art.
4, q. CII, art. 1; Malebranche, Méditations chrétiennes, med. VII, $ 17; Vico,
Principi di una scienza nuova, ed. P. Viazzi, 1910, p. 59 segg. (v.
omniscienza, prescienza, corsi ο ricorsi, fatalismo). Prudensa. T. Klugheit; I.
Prudence; F. Prudenoe. Nel suo significato più comune indica quella capacità di
riflettere e di prevedere, per cui si ovitano i periooli della vita © si
adoperano i mezzi più acconci per il conseguimento dei propri fini: « La prudenza,
dice il Martineau, è un affare di previdenza (foresight): il giudizio morale à
inveco una questione di conoscenza intima (insight). L'una valuta ciò che sarà,
l’altra ciò che immediatamente è; l'una decide tra condizioni future
desiderabili, l’altra fra intime e presenti sollecitazioni ». Intesa invece
come una delle quattro virtù cardinali, la prudenza (φρένησις) consiste nella
forza dello spirito © nella conoscenza della verità; da essa derivano, secondo
Β. Tommaso, i precetti morali. Per Kant invece la prudenza è « l'abilità nella
scelta dei mezzi d’ ottenere per sè stessi il maggiore benessere »; © poichè la
tendenza al proprio benessere non è un bisogno della ragione, ma esiste solo
empiricamente, una morale fondata su ossa risolve le leggi morali in tanti
precetti della prudenza. Por il Rosmini la prudenza può essere tanto una virtù,
quanto una semplice « abilità di arrivare alla conoscenza di un fine qualsiasi
>; ma al all’una come all'altra 8’ applica la suprema regola della prudenza,
che si può formulare così: opera a tenore del pensare intero e complessivo, non
a tenore del pensare astratto e parziale. Cfr. 917 Psr-Psı 8. Tommaso, S. theol., I, 33, q. LX,
art. 1 segg.; Martineau, Types of ethioal theory, 1866, vol. I, p. 65; Kant, Grundlegung sur Metaph. d.
Sitten, 1882, IV; Rosmini, Pricologia, 1848, t. II, p. 342 segg.; Id.,
Filosofia della politica, 1837, t. I (v. pratica, virtà). Psendoestesia. Falsa
sensazione, che può essere generale oppure specifica. In questo secondo caso
assume nomi diversi: quando avviene nella vista dicesi pseudoblepsia ο
pseudopia, nell’ udito pseudaooe, nel gusto pseudogeusia, nell’ olfatto
peoudoemia, nel tatto peeudafia. In generale si preferiscono lo espressioni di
allucinazione o illusione tattile, uditiva, cenestetica, gustativa, ecc.
Psiche. Gr. Ψυχή; T. Peyohe; I. Psyche; F. Payohé. Attualmente è usato come
sinonimo di anima, spirito, ο talvolta anche di coscienza, io, personalità.
Presso i greci dei tempi omerici la psiche era invece concepita come un’ ombra
simile al corpo, un soffo di natura corporea ma più tenue, più sottile, che
funzionava come principio animatore della vita e abbandonava quindi il corpo
all’ istante della morte, uscendo dalla bocca o dalla ferita, per vivere poi
una vita indipendente e libera. In seguito, codesta indipendenza della psiche
dal corpo si afferma sempre più, fino ad essere considerata come permanente nel
corpo solo per un tempo determinato, ma avente la sua vera patria oltre le
stelle e capace di lasciare il corpo anche per breve tempo, come nell’ estasi ο
nel sogno. I filosofi cosmologi primitivi 1’ identificarono col principio animatore
ο con I’ elemento originario dell’ universo : così per Anassimandro ὃ aria, per
Eraclito e Parmenide fuoco, per Diogene aria calda esalata dal sangue, per
Anassagora una parte del nous cosmico, per i pitagorici un numero, l’ armonia
del corpo, da cui però è separata, tantochd sopravvive alla sua morte © passa
da corpo a corpo (metempsicosi). Con Platone il concetto dell indipendenza
della psiche, © del suo valore etico-religioso, raggiunge la piena espressione:
come principio del penPst 918 siero la paiche è immortale nella sua
ragione, come principio del movimento è immortale nella sua attività, come
principio della virtù è immortale nella sus sensibilità. La pura essenza della
psiche è, per Platone, la ragione; la pura essenza degli oggetti le Idee; ragione
e Idee sono semplici, indissolubili, quindi immortali : noi siamo dunque
immortali nella nostra Idea e nella nostra ragione. Ma, osserva Simmia a
Socrate, la psiche non è simile all’armonia della lira, che svanisce quando la
lira è rotta? No, risponde Socrate; la psiche è piuttosto il musico invisibile
che fa vibrare la lira, alla quale preesiste, dalla quale è distinto, alla
quale sopravvive; è la sorgente e il principio del movimento; il movimento
eterno suppone quindi una psiche eterna, nella quale le nostre erano già
contenute e da cui non si sono staccate che per entrare nei corpi : la nostra
psiche partecipa dell’ eternità dell’ anima universale. Ma l’anima nostra deve
anche essere ricompensata © punita secondo il suo valore, che la giustizia
umana è incapace di giudicare; occorre dunque un’altra giustizia, occorre un’
anima che si rivolga alla nostra faccia a faccia, e pronunci la saa sentenza
con un decreto infallibile: è l’anima divina, In qual modo si compirà
l’espiazione ο la ricompensa nell’ altra vita, Platone non determina in modo
uniforme, abbandonandosi alle ipotesi ο ai miti poetici; dai quali traspare
però un’ idea dominante, V idea della Provvidenza vigile, cho dà a ciascuno
secondo le opere e dispone tutte le parti dell’ universo nell’ ordine più
proprio alla perfezione dell’ insieme. Per Aristotele la psiche è la forma, che
fa del corpo ciò che esso è; la psiche è dunque la piena realtà del corpo, la
sua enteleohia, e, como tale, ciò che ne fa un corpo vivente, la possibilità
permanente dello funzioni vitali. Questo concetto aristotelico di psiche può
anche tradursi, secondo il Siebeck, in quello di forza vitale, se si considera
quest’ ultima non come risultato della funzione organica nelle sue singole
produzioni, 919 Pat ma come causa di essa, anzi causa nel
senso che non solo da ess dipendono gli effetti organico-corporali, ma anche
gli psichici © spirituali. Quindi per Aristotele le diverse specie di funzioni
vitali sono come diversi gradi della vita psichica, che, non ostante la loro
diversità, formano nell'organismo nn tutto unico: l’anima opera sempre nell’
organismo come una determinata specie di funzione, come anima nutritiva,
sensibile, motrice, intellettiva, o come parecchie di esse insieme. Nel medio
evo la rappresentazione della psiche torna ad oscurarsi di nuovo, tantochè si
ritrovano tracce di rappresentazioni materialistiche anche nei Padri della
Chiesa. Solo con Cartesio 1’ ides della peiche come essenza puramente
spirituale torna ad acquistare la sua chiarezza: « Lo stesso rapporto che
esisteva nell’antichità tra Platone e Omero, dice 1’ Héffding, esiste nei tempi
moderni tra Descartes, che fa consistere l’ essenza dell’ anima nella
coscienza, 9 la concezione dell’ età di mezzo ». E da questognomento cominciano
a delinearsi © precisarsi lo dottrine fondamentali intorno alla natura dell’
anima: materialismo, spiritualismo monistico e dualistico, fenomenismo e
attualismo. Cfr. Platone, Fedone, 245; Id., Gorgia, 493; Id., Timeo, 41 E;
Aristotele, De An., 1, 421 a, 27 segg.; Siebeck, Aristotele, trad. it., p. 84
segg.; Id., Geschichte d. Peychol., 1880-84; Volkmann, Lehrbuch d. Pryohol., 43
ed. 1894, vol. I, p. 66 segg.; Chaignet, Histoire de la paychol. ohes les
Grecs, 1887; Cravely, The idea of tho soul, 1909; J. G. Frazer, Peyche’s task,
1909; Héffding, Psychologie, trad. franc. 1910, p. 11; G. Sergi, La peiche nei
fenomeni della vita, 1901; Ardigd, Opere fi, III, 76 segg. (v. anima, animiemo,
coscienza, io, noo, ecc.). La psichiatria è la scienza che ha per oggetto le
malattie mentali, di cui ricerca le cause ο stabilisco i rimedi. Il Morselli la
definisce ampliamente : quella parte della medicina che studia le deviazioni
della mente umana, prodotte dalle anomalie Psr
920 ο malattie primitive e
secondarie del suo fondamento (cervello), © che indica i mezzi per prevenirle e
curarle. Una definizione strettamente scientifica e materialistica è quella del
Meynert: clinica delle malattie del cervello anteriore (in quanto sembra ormai
accertato che le parti anteriori delPencefalo, e soprattutto il mantello degli
emisferi, siano la sede delle funzioni psichiche più elevate). Per lungo tempo essa
si abbandonò alle speculazioni filosofiche per cercare la natura dell’ anima
umana; oggi ha abbandonata tale ricerca alla metafisica, e, constatato il
rapporto e la proporzionalità esistente tra i fatti fisici (fisiologici) e i
fatti psichici, cerca invece di stabilire la sede dei fatti psichici stessi.
Essa quindi si ricongiunge da una parte alla fisiologia, dall’ altra alla
psicologia. Si distingue dalla psicologia patologica propriamente detta, in
quanto questa non si propone lo studio della prevenzione delle malattie mentali
e dei loro rimedi. Cfr. E. Morselli, Introdusione allo studio della peiool.
patologies, 1881; Id., Manuale di somejotica delle malattie mentali, 1885-94;
Meynert, Peychiatrie, 1884; Kraepelin, Psychiatrie, 5° ed. 1896; Krafft-Ebing,
Lehrbuch der Psychiatrie, 5* ed. 1898: 8. Lugaro, I problemi della psichiatria,
1907. Psichici (fatti). T. Psychische Erscheinungen ; I. Paydhical processes;
F. Phénomènes peyohiques. Essendo semplici © primitivi sono in sò stessi
indefinibili. Solo αἱ può dire che i fatti psichici sono i fatti di coscienza,
poichè ogni fatto psichico è necessariamente avvertito dal soggetto: come le
espressioni fatto fisico e fatto meccanico si equivalgono, così pure si
equivalgono le espressioni fatto paichico e fatto cosciente, Il loro primo
carattere è dunque di casero interni ο d’ essere conosciuti immediatamente ο
direttamente; con ciò si oppongono a tutti gli altri fatti, i quali, avvenendo
fuori di noi, sono esterni e non sono conosciuti che mediatamente, ciod per
mezzo di un fatto psichico, Il secondo carattere, che si ricollega al
precedente, 921 Psi è d’ essere conosciuti direttamente solo
da colui in oui avtengono ; i fatti psichici che si svolgono in altri non sono
da noi conosciuti che mediante un ragionamento d’analogia. Terzo carattere è di
essere situati solo nel tempo e non avere dimensioni spaziali; si possono
quindi misurare nella loro durata e intensità, non nella loro estensione. Altri
caratteri secondari e derivati sono i seguenti: non Possono ridursi a
movimento, per quanto siano sempre accompagnati da un movimento; sono reali
solo quando sono attuali, presenti, giacchè anche il ricordo del passato © il
pensiero del futuro sono stati presenti della coscienza ; valgono per sò
stessi, laddove ogni fatto materiale deve essere spiegato con un altro fatto
materiale; costituiscono sempre un’ unità che non esclude la molteplicità, il
cangiamento ο la diversità, ο, inversamente, una molteplicità che non esclude
l’unità; presentano un continuo sumento qualitativo e una continua novità,
mentre i fenomeni materiali sono uniformi e regolati dal principio della
conservazione della materia e della forza; modificano il soggetto in cui si
compiono, mentre i fatti esterni, in quanto avvengono nella materia, modificano
soltano le relazioni esterne degli atomi componenti, non l’atomo in sò stesso;
essendo inestesi non possono localizzarsi, sebbene se ne possano localizzare le
condizioni fisiologiche. Del resto, il numero e la natura dei caratteri
differenziali del fatto psichico, nonchè la loro maggiore o minore importanza
sono concepite diversamente nei vari sistemi: materialismo, spiritualismo,
dualismo, parallelismo, attualismo, volontariemo, intellettualiemo,
sensazionismo, monismo, incosciente, 900. Quanto alla loro classificazione, la
più comune è quella che li distribuisce nelle categorie del sentimento, del
pensiero ὁ della volontà; gli psicologi antichi fecero di queste categorie
delle potenze spirituali (facoltà) con le quali vollero spiegare i fatti
stessi; i moderni le considerano invece come pure astrazioni. Cfr. Münsterberg,
Grundzüge der PsyohoPsi 922 logie, 1900, cap. VII; Id., Psychology and
Life, 1899, cap. X; Spencer, Prinoiples of peychol., 1881, P. VIII, ο. 2;
Baldwin, The story of the mind, 1896, p. 6 segg.; Wundt, System der
Philosophie, 2° ed. 1897, p. 305 segg.; G. Villa, La psicologia contemporanea,
1899; Id., 1) idealismo moderno, 1905, p. 29 segg.; Höffding, Peyohologie,
trad. franc. 1900, p. 37 segg.; Ardigd, L'unità della cosoienea, in Opere fll.,
vol. VII, 1898, p. 39 n; M. Pilo, La olassificasione naturale dei fenomeni
psichici, 1892; A. Baratono, Sulla olassif. dei Jatti priohici, « Riv. di fil.
», febbr. 1900 (v. anima, coscienza, elemento, facoltà, sensazione, volontà,
percezione, sostansialiemo, 600.). Psichicità. Termine generale con cui si
sogliono designare tutti i prodotti dell’ attività psichica dell’animale, dai
più semplici ai più complessi, sia dell’ ordine puramente intellettivo come di
quello affettivo. Esso ha quindi un'estensione maggiore dei termini mentalità,
sensibilità, affettività, eco. Psichico. T. Peyohiech ; I. Psyohical; F.
Payohique. Che concerne la psiche, lo spirito, inteso questo in senso empirico
come sintesi dei fenomeni mentali. Non dovrebbe mai confondersi con peicologico,
che è ciò che riguarda la psicologia, mentre psichico è ciò che riguarda la
coscienza. Si adopera anche, specialmente nel linguaggio anglo-americano, per
indicare quell’ insiome di fenomeni spirituali ancora molto oscuri e che si
presentano come una manifestazione di facoltà nuove della coscienza (telepatia,
medianiemo, divinazione, eco.); tale è il senso del vocabolo nel nome della
Society for peychioal research di Londra, ο nel titolo dell’ opera di I.
Maxwell, Les phénomènes peyohiques, 1903. Psichismo. T. Psyohismus; I.
Peyohiem; F. Payohieme. Termine molto vago, che a’ adopera talvolta per
indicare la vita psichica totale, sia nelle sue forme più alte che nelle più
basse, specialmente però in queste ultime. Altre volte il termine psichismo è
adoperato per denominare le dottrine filosofiche, le quali trascrivono il mondo
coi ca 923 Pst ratteri dell’ esperienza
psichica, ossia interpretano la realtà esterna mediante l’analogia con la
realtà interna, psicologica ed umana; in tal caso psichismo è quindi sinonimo
di idealismo realistico : « Per idealismo noi non designamo, dice il Fouillée,
nd la negazione degli oggetti esteriori, nd la rappresentazione puramente
intellettualistica del mondo; intendiamo la nozione di tutte le cose sul tipo
psichico, sul modello dei fatti di coscienza, concepiti come sola rivelazione
diretta della realtà. Da ciò, presso i filosofi contemporanei, codesto
idealismo, il cui nome sarebbe piuttosto psichismo ». È evidente però che, in
questo caso, il termine racchiude un apprezzamento critico e un’ intenzione
polemica. Cfr.
Grasset, Le peychieme inférieur, 1906; G. Bohn, Le payohismo ches les animauz
inférieurs, « Riv. di scienza », 1909, vol. V, pp. 86-101; Fouillée, Le mouvement idéaliete, 1896,
p. vi; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1913, p. 66-69. Psico-dinamica.
T. Peychodynamisoh; F. Peycho-dynamique. Quella parte della psicologia che
studia gli effetti dinamici dei fenomeni psichici. Già il Wundt aveva accennato
alla possibilità di misurare i fenomeni psichici per mezzo dei movimenti che
eseguiamo; il Loeb per primo ha tentato di farlo, cercando nella forza
muscolare, determinata col dinamometro, una misura dell’attività psichica; su
questa via proseguirono poi il Feré, il Lehmann, il Wolff, ece., estendendo le
ricerche nel campo della memoria, dell’ associazione, dell'attenzione, della
stanchezza mentale, Cfr. Wundt, Phys. Payo., I, p. 6; Loeb, Pflüger’s Archiv,; Feré,
Sensation et mouvement, 1887, p. 33; Lehmann, Die Phys. Aequiv. d. Bewusstseinserscheinungen, 1901; Aliotta, La
misura in pic. sperimentale, 1905, p. 167-228, Psico-fisica. T. Peychophysik;
I. Peychophysics; F. Paychophysigue. Fechner designò in questo modo quel ramo
della psicologia che studia sperimentalmente i rapporti tra i fenomeni psichici
e i fenomeni fisiologici. Oggi si dice Ps
924 più comunemente peicologia
sperimentale, usando il termine psico-fisica soltanto per indicare i lavori del
Fechner. Alcuni però vorrebbero conservata la distinzione tra psicofisica ©
psico-fisiologica, la prima delle quali studierebbe precisamente i rapporti che
corrono tra i fatti psichici © i fatti fisici nel senso stretto della parola,
ad es. il grado di eccitazione neoessario per avere una data sensazione, mentre
la seconda avrebbe per oggetto i rapporti dei fatti psichici con le
modificazioni fisiologiche dell’ organismo. Cfr. Fechner, Elemente der
Peychopysik, 23 ed., 1889; Id., Revision der Hauptpunkto der Peychophysik,
1882; Foucault, La psychophysique, 1901; Tolouse, Technique de peyoh. experimentale,
1904; A. Baratono, Elementi di peic. sperimentale, 1901; A. Aliotta, La misura
in psicologia sperimentale, 1905, p. 15-110. Psicofisiologia o psicologia
fisiologica v. peicofisica. Psicogenesi. T. Peychogencse, Seolenentwicklung ;
I. Peychogenesis; F. Peychogénèse. Origine e sviluppo della psiche, sia nell’
individuo che nella specie; questa dicesi psicogenesi filetica, quella
psicogenesi individuale ο diontioa. Secondo la legge biogenetica, stabilita
dall’ Haeckel, i due processi psicogenetici, individuale e specifico, si
oorrispondono, in quanto lo sviluppo della psiche individuale non à che una
ricapitolazione abbreviata di quello della specie. La psicogenesi filetica
sarebbe passata attraverso quattro gradi principali: 1° citopeioke ο anima
cellulare; 2° oenopsiche, o anima delle associazioni cellulari; 8° istopsiohe,
o anima dei tessuti così vegetali come animali; 4° neuropeiche, ο anima nervea,
che appare negli animali superiori e nell’uomo.
Con l’espressione psioogonesi dell’ a priori si suol indicare la
dottrina dello Spencer e del Lewes, secondo la quale le forme del pensiero
sarebbero innate nell'individuo, acquisite nella specie: tale dottrina
presuppone 1) la legge generale dell’ intelligenza, la quale implica l’ac 925 Pst cumulazione e l’organizzazione dell’
esperienza; 2) l’eredità Psichica, la quale implica l’ esistenza di fenomeni
psichici inconsci e la correlazione tra i fatti fisici ο i psichici, Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 207 segg.; Spencer, Principles
of peyohol., 1881, vol. I, p. 467 segg.; Lewes, Probl. of life and mind, 1879, III serie, vol. II, cap. X; Ribot, L’Aérédité, 1873, p. 72
segg., 122 segg.; F. Masci, Le forme dell intuizione, 1881, p. 121-24 (v.
biogenta). Psicografia. T. Psychographie; I. Payohography; F. Psychographie.
Termine introdotto dall'Ampère per indicare quella parte della psicologia che
descrive i fenomeni della coscienza senza spiegarli. Oggi si adopera anche per
indicare l’arte di procedere alla descrizione psicologica di un individuo;
pricogramma dicesi il risultato della descrizione stessa. Dicesi pricografo uno stromento adoperato
nelle ricerche psico-fisiologiche. Ogni idea implica un movimento © tende a
continuarsi in un movimento, che si manifesta Spesso con una contrazione
debolissima dei muscoli periferici; lo psicografo è lo strumento che raccoglie
codesti movimenti esterni (delle mani, dei muscoli facciali, eco.)
corrispondenti al lavoro cogitativo interno, e li fissa con tracciati sopra la
carta affumicata distesa sopra un cilindro in movimento. Cfr. Ampère, Essai sur la
philosophie des sciences, P. LvI; Ostwald, Peychographische Studien, « Ann. der
Naturphilosophie», 1907; Baade e Stern, Uber Aufgale d. Payohographie, « Z. far
Angew. Paych. », III, 1909 (v. grafografo). Psicologia. T. Peychologie; I.
Psychology; F. Psychologie. Si
definisce comunemente come la scienza dell’ anima. Questa definizione è però
affatto provvisoria e vale solo in quanto designa la scienza di ciò che sente,
pensa e vuole, in opposizione alla fisica, che è la scienza di tutto ciò che si
muove nello spazio e lo riempie. E come la fisics non è obbligata a comineiare
collo spiegare che cosa è la materia, così la psicologia, osserva 1’ Höffding,
non è obbligata a spiegare che cosa è l’anima. Ma oltre Pst 926 la
definizione comune, accettata del resto anche da psicologi contemporanei di
grande valore, altre ve ne sono che ne differiscono sensibilmente. Così nei trattati
vecchi, e in quelli che seguono l'indirizzo del « senso interno », la psicologia
è definita come la dottrina dei fatti interni dell’uomo; per Baumgarten è la
scienza dei predicati generali dell’ anima; per Kant è la metafisica della
natura pensante; per Galluppi la scienza dello facoltà dello spirito ; per
Beneke lo studio di tutto ciò che conosciamo mediante V interna percezione e
sensazione; per Lotze 1’ oggetto della psicologia è l'insieme delle condizioni
e delle forze per le quali sorgono i singoli processi della vita spirituale, il
loro reciproco collegarsi e modificarsi così da costituire la totalità
dell’esistenza psichica; per Haeckel la psicologia non è che una parte della
fisiologia, ossia la dottrina delle funzioni e delle attività vitali degli
organismi; per Lewes è l’analisi © la classificazione delle fanzioni e delle
facoltà senzienti, rivelate dall’ osservazione e dall’induzione, completata
dalla loro riduzione alle loro condizioni d’ esistenza, biologica o
sociologica; per William James la psicologia è la scienza della vita mentale
tanto nei suoi fenomeni quanto nelle sue condizioni; per il Jodl è la scienza
delle leggi e delle forme naturali del corso normale dei fenomeni della
coscienza; per il Sully è la scienza che mira a darci la descrizione dei
fenomeni mentali nelle loro molteplici varietà, e l'esposizione delle leggi per
cui possiamo spiegare tali fenomeni; per il Wundt è la scienza della esperienza
diretta, mentre le scienze naturali riguardano 1’ esperienza indiretta; per
Külpe è la scienza dell'esperienza soggettiva, ossia dell'esperienza in quanto
dipende dagli individui che sperimentano; per Schuppe è la scienza di quei
contenuti della coscienza che appartengono alla individualità; per il Meunier
la psicologia ha per oggetto lo studio di tutta la mentalità, sia dinamica sia
statica, valo a dire tanto degli stati di coscienza instabili con cui
l'organismo rea 927 Psr gisce all’
ambiente che lo circonda, quanto degli stati mentali estra-coscienti e più
stabili, che stanno in rapporto coi Primi; per Sergi 1’ oggetto della
psicologia è 1’ insieme dei fenomeni organici, che hanno per carattere
predominante la coscienza della funzione, i quali fenomeni si producono nei
centri di relazione, e nello stesso tempo degli antecedenti immediati dei
medesimi fenomeni coscienti. Il nome di psicologia sembra essere stato usato
per la prima volta dal Guelenius (1594) come titolo di un libro sulla
perfezione; ma soltanto con la scuola del Leibnitz il quale usava anche il
termine pneumatologia -esso comincia ad essere adoperato per desiguare la parte
della filosofia che riguarda |’ anima, Tuttavia, se la parola è relativamente
recente, la cosa ch’esaa designa, cioè lo studio dei fatti psichici, risale
molto addietro nella storia del pensiero filosofico, Cominciata con Socrate la
distizione tra il mondo interno e l'esterno, con Aristotele la filosofia è già
distinta in quattro grandi parti: logica, etica, fisica ο metafisica; la
psicologia non è nessuna di esse, ma fa parte di tutte, in quanto è lo studio
sia delle operazioni del pensiero, sia delle attività spirituali pratiche che
si estrinsecano nella condotta morale, sia dei rapporti che corrono tra anima e
corpo, sia infine dell’ essenza, dell’ origine e del destino dell’ anima umana.
Tale fu il posto e l’ufficio della psicologia fino a che durò l'impero della
filosofia aristotelica, vale a dire fino al Rinascimento. Con Cartesio e la sua
scuola essa si costituisce come una parte distinta della filosofia; con Hobbes
e Spinoza si afferma il principio della concomitanza dei processi organioi e
psichici, e la legge d’associazione è chiamata a ridurre la complessità della
vita spirituale ai suoi elementi componenti; con Hartley, James Mill,
Condillac, Herbart ο Beneke i problemi psicologici assumono gradualmente una
forma più definita e specifica, © si viene accumulando il materiale
sperimentale per la loro soluzione; infine coi positivieti dell’ultima metà del
secolo XIX diviene una scienza Pst
928 sperimentale a sò, come la
filologia e la fisica, senza alcuna dipendenza dalla filosofia, e senza
speciali rapporti con Ia metafisica, la logica e la morale. Questa dottrina
però non è oggi condivisa da tutti: molti considerano ancora la psicologis come
una parte della filosofia e le chiedono i dati necessari alla soluzione dei
problemi logici, ontologici ο morali; altri, pure negandole la dignità di
scienza pura e riconoscendola come parte della filosofia, credono tuttavia che
essa sola possa risolvere quei problemi che stanno alla base di tutte le
scienze. Cristiano Wolff divise per primo la psicologia in empirica e
razionale, © questa rimase la divisione classica della psicologia: l’empirica è
quella che si limita a studiare i fenomeni psichici e le loro leggi, la
razionale quella che si occupa della essenza stessa delP anima e attinge i suoi
principi dall’ ontologia e dalla cosmologia. Ma codesta partizione è combattuta
oggi tanto dai positivisti, per i quali non esiste che la prinia, quanto dai
metafisici, i quali sostengono che nello spirito fenomeni © sostanze sono
indissolubilmente uniti. Gli psicologi moderni s’accordeno nel distinguere una
psicologia generale, che tratta dei fatti della coscienza nelle loro forme più
generali ed astratte, 9 una speciale, che si applica a determinare le forme ο
le leggi delle differenti combinazioni dei fatti psichici. Questa psicologia
speciale si distingue a sua volta in psico-fisica © psicologia-fisiologica ; pricologia
sociale ο collettiva; psicologia patologioa ο oriminale; psicologia pedagogica
; psicologia storica ed etnografica ; peicologia ontogenetica © filogenetica ;
peicologia soologica o comparata; psicologia segmentale; psicodinamica;
psicometria ; psicostatistioa; onirologia; ipnologia ; psicologia dei sensi. Da
alcuni si suole distinguere una psicologia descrittiva; che dei fatti psichici
si limita a descrivere la natura e il processo, © una psicologia esplicativa,
che dei fatti stessi rintraccia le leggi di produzione e di sviluppo. Altri
distinguono invece la psicologia soggettiva ο introspettica, che 929
Pst studia i fatti psichici direttamente in sò stessi, dalla oggettiva
(che comprende la fisiologica, zoologica, sociale, ecc.) che si basa
essenzialmente sopra un ragionamento analogico. Cfr. Höffding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 1 segg.; Baumgarten, Metaphysica, 1739, $ 501; Kant,
Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 638 segg.; Galluppi, Elementi di fil, ,
vol. I, p. 141; Beneke, Lehrbuch d. Peyohol., 1861, $ 1, 12; Lotze, Grundeiige
d. Peychol., 1894, p. 5 segg.; Haeckel, Der Monismus, 1893, p. 22; Lewes,
Problemes of life and mind, 1874-1879, serie III, vol. I, p. 6; W. James, Principles
of peyoh., 1890; Sully, Outlines of peychol., 1885 ; Jodl, Lehrbuch d.
Peychol., 1896, P. 5; Wundt, Grandsüge d. physiol. Peychol., 1893, p. 1 segg.; Külpe,
Grundriss d. Paychol., 1893, p. 3-4; Sergi, La peychol. physiologique, trad.
franc. 1888, p. 12; Cr. Wolf, Psychologia empirica, 1738, § 1; Siebeck,
Geschichte 4. Peyohol., 1880-84; Windelband, Ueber den gegenwärtigen Stand der
psychologischen Forschung, 1876 ; H. Mtinsterberg, Ueber Aufgabe und Methoden
der Peychol., 1891; Id., Grundsiige der Peychol., vol. I, Die Prinzipien, 1900;
Hartmann, Die moderne Pryohologie, 1901; Chaignet, Hist. de la peychol= chez
les Grecs, 1887; R. Meunier, Les soiences peychologiques, leurs méthodes et
leurs applications, 1912; Ardigd, La paicologia come scienza positiva, 1870;
Id., L' unità della coscienza, 1898; G. Villa, La psicologia contemporanea,
1911. Psicologia collettiva o
sociale. T. Socialpsychologio, Vilkerpsychologie; 1. Social peicology; F.
Psychologie sociale, colleotire. Quella parte della psicologia che ha per
oggetto lo studio dei fenomeni psichici collettivi, Il fatto psichico è
essenzialmente individuale, quindi per fatti psichici collettivi devono
intendersi quelli che, pur avendo per tentro la coscienza dell’ individuo, si
collegano direttamente, in sò e nel loro processo, con P’ ambiente sociale, fuori
del quale riescono inconcepibili. Tali fatti psichici possono essere sia
normali che patologici; quindi la psi59
Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Psr 930
cologia collettiva αἱ divide in normale ο patologica. Per molti autori le due espressioni psic.
sociale © psie. collettiva si equivalgono, designando entrambe lo studio delle manifestazioni
peichiche di un gruppo, di una pluralità di individui viventi insieme. Altri
invece le considerano come duo scienze distinte. La psicologia sociale o demopsicologia
ο psicologia dei popoli ha per proprio oggetto lo studio del meccanismo o della
tecnica interiore dei processi 80ciopsichici; sorse in Germania intorno al 1860
col Lazarus e lo Steinthal, che la concepirono come disciplina intermedia tra
la psicologia e la scienza morale, avente per scopo di spiegare i fenomeni
complessi che si producono nella società, mediante le leggi semplici della
psicologia individuale; dal Wundt è intesa invece come uno dei metodi di cui la
psicologia si vale per studiare nei suoi vari aspetti i prodotti dello spirito,
ο deve occuparsi esclusivamente dei prodotti primordiali che αἱ sviluppano
nelle condizioni più semplici della convivenza sociale (mito, linguaggio,
costume); per altri invece, come l’Ellwood, essa deve esaminare e spiegare
tutti i processi psichici di gruppo, dai più semplici ai più elevati, come le
istituzioni social le tradizioni, l’opinione pubblica, ecc. La psicologia
collottiva ο psicologia delle folle ha invece per oggetto lo studio delle
riunioni di individui avventizie, accidentali ο inorganiche; ne trattò per
primo Enrico Ferri, che la concepì come scienza intermedia tra la psicologia
individualo © la sociale; fu poi sviluppata da Scipio Sighele, specie sotto
l’aspetto criminale, dal Tarde, dal Lo Bon, «co. Cfr. Lazarus-Steinthal, Einleitende
(edanken ii. Völkorpsych., « Zeitschrift f. Wölkerpsych. und.
Sprachwissenschaft », vol. I; Wundt, Pôlkerpeychologie, 1900, parte I, p. 1-31
dell’ Introd. ; Ellwood, Prolegomena to social Psychology, « Tho american
journal of sociology », marzo-rettembre 1899; Ferri, Soc. criminale, 1900, p.
374 segg.; Sighele, La folla delinquente, 1895; Id., La delinquenza settaria,
1897; 931 Psr Tarde, Études des peychol. sociale, 1898;
Le Bon, Peych. den Soules, 1896. Psicologia comparata. T. Ferglcichende, Psychologie ; I.
Comparative paychology ; F. Psychologie comparée. Si comprendono sotto questo nome la psicologia
zoologica, putologica, pedagogica, ccc., perchè ogni conoscenza sulla natura
psicologica dell'animale, dell’ammalato, del bambino, oce., è possibile
soltanto per mezzo della comparazione, del ragionamento analogico, I fenomeni
psichici non possono essere constatati direttamente, per mezzo
dell’osservazione intoriore, che dal? nomo adulto e civilizzato, dal psicologo
; ma stabilito il rapporto che corro tra codesti fenomeni con le struttnre
organiche cui corrispondono e con gli atti esteriori ondo si manifestano, si
può, dallo differenzo ox servate tra le strutture o gli atti negli altri esseri
(selvaggio, bambino, animale, ecc.) indurne ragionevolmente le differenze
psicologiche, Va notato però cho molti intendono por psicologia comparata
soltanto In psicologia z0ologica, altri soltanto la otnografica. Cfr, E. Claparède, La
prych. comparée est-elle légitime, « Arch. de paychol. >, giugno 1905; I. Locb,
Comparatire physiol. of brain and comparative prychology, 1902. Psicologia etnografica. Ί. Raseenprychologie; I. Race paychology: F. Psychologie
éthnographique, Paychologie des races. Per alcuni 9’ identifica con la demopsicologia ο con la psicologia
collettiva; per altri se no distingne, in quanto indien quella parte della
psicologia che ha per oggetto lo studio dei caratteri psichici dei diversi
popoli ¢ che, in quanto tale, sorve da fondamento della psicologia collettiva ο
della sociologia, 11 fatto paichico, per sè stesso, è eguale in tutti gli
uomini, in quanto tali: sensazioni, rappresentazioni, vol zioni, associazioni,
senti ece., si prodncono ο si avolgono con leggi generali identiche. Tuttavia
In vita paichic nella sua complessità ¢ nel ano dinamismo, #' intona vari Itre
parole, ogni popolo, ogni Psr 932 razza, ogni nazione, per la diversità delle
origini sue, della sua costituzione fisica, dell'ambiente geografico in cui
vive, delle vicende attraverso le quali è passato, ha un carattere © una
personalità propria, fissate nella psiche d’ogni individuo, che distinguono
tale popolo, meglio dei caratteri fisici, da tutti gli altri popoli, e che si
rivelano in ogni esplicazione della sua attività. Lo studio di tali caratteri è
l'oggetto della psicologia etnografica. Cfr. Worms, Paychol. collective et individuelle, «
Revue int. de sociol. », aprile 1899; Ch. Letourneau, La psychologie éthnique, 1901 (v.
antroposociologia). La psicologia patologica o psicopatologia è quel ramo della
paicologia che studia le affezioni morbose e le malattie mentali. Si distingue
in individuale e sociale, perchd le anomalie psichiche possono verificarsi così
nell'organismo individuale, come nell'organismo sociale (psicosi epidemiche,
folle delinquenti, ecc.). Una parte importante della psicopatologia è la
peicologia criminale. La psicopatologia non si confonde con la psichiatria, la
quale comprende, oltre lo studio delle malattie mentali, anche le norme per la
loro prevenzione, cura e guarigione. Si distingue anche dalla patologia mentale
in quanto questa ha per oggetto di costruire dei tipi clinici, di seguire l’eziologia
e il decorso, di prepararne la terapoutica, mentre lo scopo essenzialo dolla
psicologia patologica è di determinare tra i fenomeni delle leggi elementari,
che valgano così per gli stati normali come per quelli morbosi. Lo Specht e il
Miinsterberg distinguono anche la psicopatologia dalla patopri cologia: questa
ha per oggetto lo studio dei fatti psichici presentanti un carattere morboso,
quella è propriamente un ramo della patologia speciale, ed ha per soggetto lo
studio delle malattio dello apirito. Cfr. Miinsterborg, Zeitschrift fur
Pathopaychologie, 1° vol. 1911; A. Marie, Traité 933
Pst international de paychologie pathologique, 1912; G. Storring, Mental
pathology in ite relation to normal peyohology, 1907. Psicologia pedagogica. T.
Pädagogische Peyohologie ; I. Pedagogical peychology; F. Peyohologie
pedagogique. Quel ramo della
psicologia che studia il modo come si vengono formando e svolgendo le diverse
attività psichiche nel bambino, allo scopo sia di conoscere la natura primitiva
della psiche umana e rieostruirne la lenta evoluzione, sia di trarre da tali
conoscenze le norme per contribuire più efficacemente allo sviluppo psichico,
intellettuale e morale del bambino. Cfr. Perez, Les trois premières années de L’enSant, 1878;
Baldwin, Le développement mental chez Ponfant et dans la race, trad. franc. 1897; Preyer, Die Seele des Kindes, 3° ed. (v.
pedagogia, pedologia). Psicologia segmentale. Quella nuovissima parte della
Psicologia, che fondandosi sopra l'anatomia e la fisiologia segmentalo, studia
i fenomeni abnormi, subnormali ο supernormali, della coscienza umana, L'uomo,
che à al vertice della scala animale, presenta la costituzione più
profondamento unitaria di tutti i viventi, rivelata dai fonomeni del suo io e
basata specialmente sulla centralizzazione dol sistema nervoso; tuttavia anche
nell’uomo la fusione dei sogmenti (metameri), da cui originariamente deriva
l’encefalo, è lungi dall’essero porfetta dal punto di vista fisiologico, como è
dimostrato dalla moderna dottrina dello localizzazioni corebrali, mentre,
d’altro canto, i fenomeni osservabili in soggetti isterici di disgregazione o
frazionamento della personalità, lo sdoppiamento della coscienza, la scrittura
automatica, l'ipnosi sperimentale, le pratiche dell’ occultismo, la collaborazione
continua che, nell’ tome normale, esiste tra cosciente © subcosciento, tra io
sopraliminale © io subliminale, rivelerebbero l’ incompleta fusione ©
coordinazione dei presunti segmenti, che concorrono a formare la personalità
unitaria. Cfr. Max Dessoir, Das Doppelt-Ich, 1896; Myers, The human
personality, 1902; BoPst 984 ris Sidis, Studies in mental dissociation,
1902; Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; A. Binet, Les
altérations de la personnalité, 1892. Psicologia sociologica. Alcuni designano
in questo modo, per opposizione a fisiologica, quella parto della psicologia
obiettiva che considera In vita psichica in quanto si rivela col movimento ϱ
con l’azione, colla parola e con l’imagine. Essa ha per materia la vita degli
animali, dei fanciulli, dei solvaggi, la storia generale dell’ umanità, i
poemi, le biografie. È quindi affine a quella che altri chiamano pricologia
comparata. Psicologia
zoologica. T. Tierpsychologie; I. Animal prychology; F. Paychologie zoologique.
Quella parte della psicologia cho
studia i fenomeni psichici come si vengono manifestando negli animali bruti.
Essa si fonda sopra il concetto che la coscienza non è un privilegio
escInsivamento umano, ma esisto anche negli animali, sia superiori che
inferiori, nei quali si vorifica lo stesso fatto clementare che, negli esseri
superiori, si complica per nuovi processi. Essa presuppone anche che il modo di
manifestazione esteriore del fenomeno psichico sin analogo nell’animale ο
nell’nomo. Cfr. Wundt, Porlerungen über die Monschen-und Tiersecle, 2% ed.;
Lloyd Morgan, Animal life and intelligence, 1890-91; Romanes, Mental erolution
in animale, 1883; F. Franzolini, I’ intelligenza delle bestie, 1899 (v.
coscienza, automatismo). Psicologismo. T. Paychologiemus; I. Paychologiem; F.
Peychologisme. Vocabolo non privo di senso dispregiativo, col qualo*sì snol
designare non tanto una dottrina determi nata, quanto il metodo o la tendenza
generale cho consiste nell’ assumere il punto di vista psicologico come unico o
fondamentale, nel ridurre tutti i problemi filosofici a problemi psicologici e
quindi nell’ assorbire la filosofia nella psicologia. Così il Gioberti
denominava psicologismo la filosofia del Rosmini, in quanto ammetteva nella psi
935 Pst che umans la facoltà di produrre
I’ ente indeterminato presente allo spirito. Il De Sarlo lo definisce: « un
orientamento o atteggiamento dello spirito, per cui questo, rivolto su sò
stesso, crede di trovare nell'esperienza interna non soltanto le indicazioni
per pronunziarei su ciò che è reale, su ciò che è obbiettivo e su ciò che ha
valore, ma unche il fondamento, la giustificazione, la garanzia di qualsiasi
affermazione e credenza. Lo peicologinmo esprime la tendenza a cercare nella
coscienza e nei suoi fenomeni i princip! esplicativi e le norme direttive per
una comprensione piena, perfetta della realtà ». Così inteso, lo paicologismo
ha le sue origini prime da Socrate, che richiamò la mente umana a volgere lo
sguardo en sò stessa; ma non diventa un metodo che con la Rinascenza, nella
quale, per il rinnovarsi della cultura ο per il richiamo all'autorità della
coscienza individuale contenuto nella protesta di Lutero, si afferma saldamente
la tendenza a porre nell’ individuo la misura dei valori © nella coscienza
umana 1’ espressione più completa ο genuina della realtà, Nel oogito ergo sum
di Cartesio lo pricologismo ha gettato lo sue salde basi; con Locke ο Berkeley
tende a ridurre le forme più elevato dell'attività dello spirito a quelle più
semplici ο ai dati sensoriali i prodotti più complessi, mirando a dimostrare
l’unità di composizione dei fatti psichici © la perfetta identità tra fl fatto
psichico ο il suo oggetto (esse --percipi); con Hume diventa scettico, negando
tutto ciò che non sia contenuto puntuale della cosoienza in un dato istante;
con la scuola scorzese cessa di essere fenomenistico e diventa intuizionistico
; con Kant, di fronte al sogKotto è aimmessa una cosa in sò, di fronto alla
forma si trova la materia, ma da un canto la cosa in sò è dichiarata
impenetrabile © dall’ altro la materia, riducendori a sensazioni, è pur sempre
qualche cosa di soggettivo, cosicchè anche per Kant la realtà e l’esperienza si
risolvono in fatti di coscienza. Si
possono distinguere due forme Psr
936 di psicologismo : uno, che
possiam dire relativo 0 temperato, si appoggia sulla constatazione innegabile
della posizione centrale che la coscienza umana occupa nel mondo, per affermare
l’importanza della psicologia nella soluzione dei problemi riflettenti lo
spirito e dei suoi principali prodotti; questa forma di psicologismo è parte
integrante di tutta la cultura del nostro tempo © figura come la premessa
necessaria di qualsiasi indagine sull'attività umana e gli oggetti a oni può
esser rivolta. L’ altro, che possiam dire assoluto o metafisico, 6 che si suol
anche denominare peichiemo, 0 pampsiohismo, o idealismo realistico, ecc.,
considera la psiche come la stessa realtà, come l’ unica realtà; l’universo si
risolve per esso in contenuti delle coscienze indivi-. duali els metafisica
nella psicologia del pensiero. Lo psicologismo assoluto ha poi aspetti diversi
a seconda del campo a cui s’ applica: psicologismo gnoseologico e logico, che
riduce tutta la conoscenza alle forme date dall’ esperienza paicologica, ogni
attività del pensiero alle leggi della vita psichica; morale, che fa oggetto
della sua ricerca il dato psicologico della coscienza morale, studiandolo come
un fatto tra gli altri fatti della natura, di oui si debbano studiare le cause
e lo leggi di sviluppo con gli stessi procedimenti delle scienze ompiriche;
religioso, che spiega la religiosità come un derivato di condizioni
psicologiche particolari (senso di debolezza, bisogno di protezione) o come un’
applicazione di leggi psicologiche generali (rapporto tra desiderio, speranza,
0 aspettazione © credenza nell’ oggetto corrispondente); estetico, che spiega
la natura propria della coscienza estetica con cause psicologiche come I’
abitudine, l’ associazione, lo influenze ataviche, ece., ο fonda il valore
estotico su necessità d'ordine biologico, ο riduco l’arte al bisogno di
esplicare 1’ eccesso di energia, Cfr. Mikaltechow, Beitr. sur Kritik des
modernen Pychologiemus, 1908; Gioberti, Protologia, 1857, vol. I, p. 91 segg.;
F. De Sarlo, To psicologismo nelle sue principali forme, « Cult. filosofica
», 937
Pst marzo 1911; A. Levi, Lo paicologismo logico, « Ibi gennaio 1909.
Psicometria. T. Peychometrie; I. Peychometry; F. Peyohométrie. Nome dato dal
Wolff alla misurazione matemstica dei processi psichici, Oggi è usato per
indicare sia la psicologia sperimentale, sia i fenomeni detti parapsichici
(previsione, telepatia, eco.) sia quella parte o metodo della psicologia che
misura i fenomeni psichici nella loro intensità, frequenza, durata, eco. Quest’
ultimo significato è il solo veramente legittimo. Secondo una classificazione
dell’Aliotta la psicometria si divide in: psicofisica, peicocronometria,
psicodinamica © psicostatistica. La psicofisica ha per oggetto la misura delle
sensazioni, dell’esattezza dei giudizi sensoriali e della chiarezza delle
sensazioni ; la seconda la misura del tempo di reazione semplice e delle
reazioni complesse (tempo di ricognizione, di distinzione, di scelta, di
associazione, di giudizio); la terza la misura dinamogenica della memoria e
della forza di associazione, dell’attenzione, dell’arresto psichico, del lavoro
e della stanchezza mentale; la quarta le leggi di frequenza dei fenomeni della
vita psichica, sia normali che patologici, sia indivi duali che sociali. Cfr.
A. Aliotta, La misura in psicolo, sperimentale, 1905; Bucoola, La legge del
tempo nei fenomeni del pensiero, 1883; Münsterberg, οὐ. Aufgabe und Methoden à.
Psychologie, 1891; Binet, Introduction à la peychol. expérimentale, 1894;
Duchatel, Enquéte sur des cas de peychométrie, 1910; Clapardde, Classification
et plan des méthodes psychologiques, « Arch. de psych. », giugno 1908. Psicomonismo. Nome dato dall’ Hucckel a quella
forma estrema di idealiamo che si suol chiamare solipsismo ο semelipsismo. Cfr.
Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 315 segg.; B. Rutkiewiks,
Il psicomoniemo, trad. it. 1912. Paiconomia. T. Psyohonomik; I. Psychonomics ;
F. Paychonomique. Vocabolo poco usato; indica la dottrina delle Psi 938
leggi che governano l’anima, o anche quella parto della scienza, che
studia le relasioni della psiche individuale col suo ambiente specialmente
sociale. Talvolta infine è adoperata per denominare quel ramo della sociologia
che tratta dei fattori © delle leggi psicologiche contenute nell’organizzazione
e nell'evoluzione sociale (v. antroposcoiologia, peicologia collettira).
Psicosi. T. Peyohose; I. Peyohosia; F. Peychose. Si nea, in senso generale, per
designare qualsiasi malattia mentale, oppure in senso ristretto per opposizione
a nevrosi, per indicare quelle anomalie della psiche di cui si ignorano le
corrispondenti lesioni organiche. Alcuni però riservano il nome di psicosi alle
così dette forme degenerative, che sarobbero specialmente le ereditarie e le
costituzionali, comprese quelle create dalle neurosi gravi; e chiamano perciò
peicopatic tutte le malattie e anomalie mentali in genere. Ad ogni modo l’uso
di questo vocabolo è assai largo nella psicopatologia, ο si trova quasi sempre
unito ad altri che lo determinano : così dicesi psicosi affottiva la
malinconia; psicosi morale i pervortimenti del senso morale; psicosi tossiche
tutte le alienazioni mentali prodotte da intossicazione; psicosi epidemiche i
disturbi mentali collettivi. Cfr. G. Ballet, Le psicosi, trad. it. 1897; G.
Sergi, Psicosi epidemica, « Riv. di fil. sciontifica », marzo 1889.
Psicostatistica. T. Peyohostatietik; I. Peyohontatistics ; F.
Payoo-statistique. Quella parte della psicologia sperimentale, 0, come vuole
l’Aliotta, della psioometria, che misura le proporzioni degli individui che
presentano nn fenomeno psicologico dato. Molti metodi della psicofisica e della
paicodinamica si fondano indirettamonte sulle determinazioni statisticho dei
casi veri ο falsi, dello sillabe appreso, degli errori commessi, delle cifre
calcolate, ecc. Un’ altra applicazione indiretta della statistica alla
psicologia, ha luogo quando dalle leggi di froquenza di alcuni fenomeni ctici ο
sociali (suicidi, omicidi, ecc.) si cerca di risalire alle interne 939
Psr cause psicologiche. Applicazioni più dirette dello stesso metodo
fece il Fechner, studiando la frequenza della udizione colorata, il Kriipelin
sul sonno ο sui sogni, il Galton sulle associazioni e sull’eredità psicologica
del genio. Cfr. Galton, Brain, luglio 1879, p. 149; Ribot, Z’heredite, 1873, p.
268; Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 233-237.
Psicoterapia. T. Psychotherapie; I. Psychotherapeutics; F. Psychothérapie. La
cura nelle malattie mentali fatta agendo direttamente sulla psiche dell’
individuo per mezzo della suggestione ipnotica o allo stato di veglia. Essa è
stata praticata presso i diversi popoli fino dalle epoche più remote; secondo
il Löwenfeld essa è anzi « la forma prima © più originaria in cui fa praticata
l’arte medica ». Ma la psicoterapia scientifica non comincia propriamente che
verso il 1884 con la « seuola di Nanoy » per opera del Liégeois e del Bernheim;
da allora ha avuto uno sviluppo sempro più rigoglioso, e all’unico metodo
originario, I’ ipnosi, si aggiunsero la suggestione allo stato di veglia, la
ginnastica della volontà, la psicoanalisi del Freud, la psicosintesi del
Bezzola, la psicocatarsi del Frank, la persuasione del Dubois, la terapia
associativa del Moll, ecc.; ο infine una curiosa riapparizione in veste
scientifica della psicoterapia religiosa per opera dell’ Emmanuel movement, per
non parlaro della mind-cure ο di altri motodi estrascientifici in gran voga in
questi ultimi anni in America. Cfr. Bornheim, De la sugyestion, 1891;
Liwenteld, Lehrbuch der gesammten Psychotherapie, 1897; P. Dubois, Les
psychonéeroses et leur traitement moral, 1909; A. Thomas, l’eyohothérapie,
1912; Portigliotti, Psicoterapia; Assagioli, Paicologia ο psicoterapia, «
Psiche », maggio 1913. Psittacismo. T. Prittaciemus; 1. Psittaciam; F.
Peitta«πο, Dal greco 4irtaxi; = pappagallo. Nel linguaggio comune designa
semplicemente l’abitudino di ciarlare a sproposito ο ripetere le stesse parole
dotte da altri. Nella Pux 940 filosofia questo vocabolo fa usato la prima
volta dal Leibnitz per designare quella forma esagerata di nominalismo, che
considera ogni idea generale ed astratta come una semplice parola, come un puro
flatus voois. Se così fosse in realtà, il linguaggio dell’uomo non differirebbe
da quello del pappagallo, il quale ripete meccanicamente una serie di suoni
insegnatigli, cho per Ini sono privi di ogni significato. Ora, se è vero che il
rapporto tra la parola e l’idea è puramente convenzionale, è anche vero che tra
una ο l’altra esiste una certa proporzionalità; la parola è infatti la
virtualità dell’ idea, ed è per meszo della parola che le idee complesse sono
fissate, illuminate ο richiamate. Ofr. Leibnitz, Nour. Essais, II, xxı, 31; M.
Dugas, Le peittaoieme et la pensée simbolique, 1896, Pref.; G. Marchesini, Il
simboliemo nella conoscenza 6 nella morale, , p. 71 segg. (v. Lingua, realiemo,
universali). Panto. T. Punotum, Punkt; I. Point; F. Point. Dicesi punto fisico
il minimo di spazio percepibile; punto materiale il corpo le cui dimensioni
sono supposte infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà
generali della materia, quali il peso e l’impenctrabilità ; punto matematico
l’indivisibile avente una posizione nello spazio, oppuro P intersezione di due
linee. Punti metafisici chiamò Leibnitz
le monadi: « Essi hanno qualche cosa di vitale 6 una specie di percezione, e i
punti matematici sono i loro punti di vista per esprimere l'universo; ma quando
lo sostanze materiali sono rinserrate, tutti i loro organi insiome non formano
che un punto fisico a nostro riguardo ».
Diconsi punti di ritrovo quei ricordi che, essendo per la loro natura
automaticamente localizzati nel tempo, servono poi à localizzaro gli altri
ricordi. Essi non sono scelti arbitra riamente ma s’impongono a noi, in quanto
per la loro intensità lottano meglio contro l'oblio, ο per la loro complessità
possono suscitare un maggior numero di rapporti entare quindi la propria
capacità di riviviscenza. 941 Pur Dicesi punto di vicinanza 0 punctum
prozimum il punto che segna il limite di accomodamento dell'occhio per la
vicinanza; negli occhi normali esso trovasi alla distanza di 100 a 120 mm.
dall’ occhio. Dicesi punto di lontananza ο punctum remotum la distanza da cui
debbono venire i raggi luminosi per far foco sulla retina senza nessun sforzo
d’accomodazione; negli occhi normali questo punto trovasi al infinito, nei
miopi invece a pochi metri dall’ occhio, negli ipermetropici al di là dell’
infinito e ciod non osiste perchè soltanto i raggi convergenti possono far foco
sulla retina senza sforzo d’accomodazione.
Punto cieco dicesi Pareola circolare della retina, priva dello strato
dei coni © dei bastoncini, © affatto insensibile, formata dal nervo ottico dove
esso sbocca nell’ occhio. Diconsi punti
di pressione quelle piccole aree della cute, che sono la sede Periferica della
sensibilità tattile ; punti termici quelli della sensibilità pel caldo e pel
freddo; punti dolorifici quelli della sensibilità periferica dolorifica. Puro.
T. Rein, bloss; I. Pure; F. Pur. Nella filosofin con questo termine, da Kant în
poi, s'intende ciò cho è a priori, indipendente dall'esperienza, spoglio d’ogni
elemento dovuto alla esperienza. « Si chiama pura ogni nosconza cho non è
mescolata con nulla di eterogeneo. Ma si dice specialmente d’una conoscenza che
è assolutamente pura, quando, in modo generale, non vi si moscola alouna
esperienza o sensazione e che, per conseguenza, è possibile interamente a
priori ». Perciò per Kant l'intelletto puro è . Cfr. Leibnitz, Monadologia, $
60, 62; Cr. Wolff, Vernunftige Gedanken ron Gott, 1733, I, $ 774; Mendelssohn,
Morgenstunden, 1786, vol. I, 6; K. Ο, E. Schmid, Empirische Peychologie, 1791,
p. 172-179; Wundt, Grundsüge d. physiol. Psych., 3% ed., II, p. 1, 100, ecc.;
Sully, Outlines of peycho 968 Raz logy,
1885, p. 224, e 219 nota 2; Höffding, Psychologie, trad. franc. , ; O. Hamelin,
Essai sur les élémente Princ. de la représentation, 1907; P. Köhler, Der
Begriff der Repr. bei Leibnitz, 1913 (v. percezione, presentazione,
riproduzione delle sensazioni). Razionale. T. Fernünftig, Rational ; I.
Rational; F. Rationnel. Ciò che fa parte della ragione. Si oppone ad
irrazionale, © talvolta anche ad affettivo, volontario, sensibile,
sperimentale, eco. Razionale si dice anche di ciò che è conforme alla ragione,
intesa come facoltà di ben gindicare, © di conoscere in modo diretto il reale e
l'assoluto, o anche come sistema di principi a priori la cui verità non dipende
dall’ esperienza. Numero razionale è quello che può esser messo sotto la forma
di un rapporto tra due numeri interi. Mecoanica rasionale è l'insieme di tutte
le questioni della meccanica, che sono trattate con metodo puramente deduttivo
partendo dalle nozioni di massa, forza, relazione, inerzia. Nel linguaggio scolastico dicesi rationale
materialiter ciò che ha in sè il principio di raziocinare, come luomo;
rationale formaliter il principio del raziocinare e la differenza costitutiva
dell’uomo, come la razionalità. Razionalismo. T. Rationalismus; I. Rationaliem;
F. Rationalisme. Ha significati molto vari. Alcune volte è usato in senso
dispregiativo, per designare V abuso che in certi sistemi filosofici si fa del
ragionamento puro, 1’ eccessiva fiducia concessa alla ragione, a scapito sia
dell'esperienza sia del sentimento e dell’ intuizione. I teologi applicano
questo nome a tutti quei sistemi nei quali è esoluso l’intervento della
rivelazione e della tradizione, e viene assunta la ragione come unico principio
di conoscenza. Nel suo significato più generale designa l’ impiego della
ragione nello studio dei problemi filosofici o religiosi; in questo senso non
si può dire che il razionalismo sia una dottrina ο un sistema, ma soltanto un
metodo, o meglio ancora, una tendenza, un indirizzo gonerale. Il razionalismo
religioso si Raz 964 contrappone al eupernaturaliemo 0
irrasionalismo, che ritiene la ragione incapace di penetrare nelle cose divine,
che po; giano essenzialmente sulla fede, unico fondamento di ogni religione:
tra lano e l’altro sta il semirasionalismo, per il quale le fonti della verità
sono due, la ragione e la fede, ma le verità di fede non sono contrarie alle
verità di ragione, bensì al di sopra di esse. L’ idealismo greco ο l’idealismo
assoluto della filosofia moderna sono razionalistiei; il cattolicismo, dopo la
sistemazione scolastico-aristotelica di S. Tommaso, è semirazionalistico; sono
irrazionalistioi tutti quei sistemi che, dentro e fuori dol cristianesimo,
credono di poter giungere alla possessione immediata del divino con altri mezzi
che non sieno la ragione, il pensiero, Y intelligenza (tradizionalismo,
autoritarismo, fideismo, ontologismo, immanentismo, sentimentalismo, ecc.). In
senso metafisico 0 ontologico, per razionalismo, ο idealismo rasionalistico, o
razionalismo panlogistico 8’ intende quella forma di spiritualismo assoluto,
che fa risultare il mondo esteriore dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di
ragioni individuali, sia di una ragione cosciente universale, sia infine d’un
sistema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente almeno per le
coscienze umane, 9 che si pone come un oggetto per rapporto ad esse (Fichte,
Schelling, Hegel). Infine razionalismo si adopera per opposizione a sensiemo:
questo sostiene che le nostre percezioni, e persino le nostre idee universali ο
necessario e i principi costitutivi di ogni scienza non sono che lo sviluppo
dello nostre sensazioni ; il razionalismo invece considera i principî
fondamentali della ragione come innati e crede quindi la ragione irreducibilo
all'esperienza. Perciò opposti sono i metodi del razionalismo e del sensismo;
quello aprioristico, in quanto fa derivare da idee a priori le leggi supreme
dell’ essere e le spiegazioni ultime d’ogni scienza, questo sperimentale o
empirico in quanto si fonda sopra l'osservazione e l’esperienza, organizzandone
i materiali mediante l’induzione e la goncra 965 Raz lizzazione. Il razionalismo, come metodo
filosofico, assume nomi differenti a seconda del suo contenuto e della sua Posizione
di fronte agli altri indirizzi : così dicesi razionalismo matematico quello dei
pitagorici, per i quali le cose sono comprese solo quando è conosciuta la
determinaziono matematica che ne è il fondamento; razionalismo teorico quello
di Democrito, per il quale la conoscenza della vera realtà è essenzialmente una
rappresentazione dell’ essere costante, ma tale per cui la realtà dedotta,
conosciuta nella percezione, deve essere resa comprensibile; razionalismo etico
invece quello di Platone, per il quale la conoscenza della vera realtà ha il
suo scopo morale in sò stessa, e tale conoscenza deve essere la virtù, che non
ha col mondo dato dalla percezione se non un rapporto di recisa limitazione;
razionalismo pratico quello del Bayle, per il quale la ragione umana, incapace
di conoscere l'essenza delle cose, è provvista però della coscienza del proprio
dovere, ossia della conoscenza dei principi morali, che sono verità eterne e
immutabili. Cfr. Stäudlin, Geschiohte d. Ration. u. Supranatur., 1816; Wundt,
Einleitung in die Philosophie, 1901, Pp. 323 segg.; F. Maugé, Le ration. comme
hypothèse méthodo. logique, 1909; F. Enriques, Scienza e razionalismo, 1912.
‘Razza. T. Rasse; I. Race; F. Race. Questo vocabolo ha accezioni diverse,
implicando la risoluzione che può farsi in modi diversi -di altre complesse
questioni della filosofia zoologica. Secondo alcuni per razza deve intendersi
un gruppo di individui nei quali si perpetua, per eredità e indipendentemente
dall’ azione attuale dell’ ambiente, un insieme di caratteri biologici,
psicologici e sociali che li distingue dagli individui appartenenti ad altri
gruppi ai loghi. « La razza, dice il Quatrefages, è l’ insieme degli individui
somiglianti che appartengono ad una medesima specie ed hanno ricevuto e trasmesso
per via di generazione i caratteri d’una varietà primitiva ». Ma la permanenza
dei caratteri attribuiti all’eredità biologica, è invece REA 966
riferita da altri alla educazione, alla imitazione, all’ ambiente, ecc.;
mentre altri ancora considerano lo varietà come combinazioni di razze più
elementari, caratterizzato da una eredità semplice ο invariabile. La
definizione più larga e nella quale tutte le scuole possono accordarsi, è forse
quella del Prichard: « sotto il nome di razza si comprendono tutte le
collezioni di individui presentanti un numero maggiore o minore di caratteri
comuni, trasmissibili per eredità, prescindendo affatto dall’origine dei
caratteri medesimi ». Cfr. Agassiz, De l'espèoe et de la classification en zoologie, 1862; G.
Pouchet, De la pluralité des races humaines, 1864; A. De Quatrefages, La epecie
umana, trad. it. 1871; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 199 segg. (v. monogenismo, poligeninno, trasformismo,
specie, varietà). Beale (rea = cosa). T. Wirklich, real; I. Real; F. Reel. Si
oppone a ideale © designa tutto ciò che è, e che per sussistere non ha bisogno
di essere pensato. Questo per ciò che riguarda il reale oggettiro ; dal punto
di vista logico e soggettivo, il reale si può definire come il contenuto
dell’esperienza. Reale si oppone anche a illusorio, apparente, fenomenioo, e
indica cid che concretamente è, ciò che agisce effettivamente, Si opppone
infine, nella conoscenza, et formale, e indien ciò che della conoscenza stessa
costituisce la materia, il contenuto.
Diconsi definizioni reali, per opposizione alle nominali ο terbali,
quelle che si fanno per il genere prossimo e la differenza specifica, ο si
propongono per fine di individuare completamente il concetto della cosa
definita mediante l'indicazione del comune sostrato, che lo collega con gli
oggetti simili, e della differenza che da essi lo sopara (v. idea, ideale,
realismo, realtà). Realismo. T. Realismus; I. Realiem; F. Realieme. Ha due
diversi significati, socondochè si oppone a nominalismo 0 n idealismo. Se si oppone
a nominalismo designa quella dottrina scolastica secondo la quale gli
univereali ο ideo generali esistono realmente. Il realismo è la prima
soluzione 967 Rea data dalla scolastica al problema degli
universali, nato da un luogo dell’ Isagoge di Porfirio, nel quale erano
proposte ο non risolute queste tre questioni: gli universali hanno un’
esistenza propria o esistono soltanto nel pensiero? se hanno esistenza propria
sono corporali ο incorporali ? 66 sono incorporali sono accompagnati o
scompagnati da circostanze sensibili? Il realismo risponde che gli universali
hanno una esistenza propria; ma fra i realisti alcuni dicono, conforme alla
dottrina platonica, che gli universali preesistono alle cose individuali (ante
rem) come prototipi eterni di cui tali cose non sono che-imitazioni temporanee,
altri invece sostengono, conforme alla dottrina aristotelica, che esistono
nelle cose individuali (in re) come loro attività medesima. Quando il realismo si oppone all’ idealismo
designa tutte quelle dottrine, che ammettono la realtà obbiettiva del mondo
esteriore. Si possono distinguere in esso tre periodi ο fasi: 1° il realismo
primitico, proprio della filosofia antica, che considera lo spirito come uno
specchio sul quale si rifletta fedelmente l’imagine degli oggetti esteriori;
secondo esso vi è adunque lo spirito da una parte e la natura, il mondo esterno
dall’ altra; il problema da risolvere è quindi se entrambi siano costituiti in
tal modo, che il secondo possa essere oggetto di conoscenza per il primo; 2° il
realismo peroerionistico o naturale, proprio della scuola soozzese e
dell’eclettismo francese, secondo il quale noi abbiamo la percezione immediata
del mondo esteriore come tale; le cose esistono fuori di noi perch’ la
percezione ci mostra delle cose che esistono fuori di noi; in altre parole, il
realismo naturale pone il sentimento di obbiettività implicito nella percezione
come un fatto irreducibile, ο a tale credenza attribuisce un valore
rappresentativo; 3° il realismo moderno, nel quale il problema è posto
diversamente, în seguito sovra tutto alla critica dello Stuart Mill sulla
nozione di obbiettivita fornitaci dalla coscienza. Codesta nozione si riduce
alla obbiettivazione Rea 968 dell’ idea d’ una possibilità permanente di
sensazioni, obbiettivazione determinata anzitutto dal presentarcisi di codesti
gruppi di sensazioni possibili come permanenti, al contrario delle sensazioni
isolate che hanno un carattere fagace; secondarismente dall'azione che codesti
gruppi sembrano esercitare gli uni sugli altri secondo leggi costanti, che
appaiono indipendenti dalla nostra volontà. Sostituita così all’ idea di
sostanza quella di legge, il problema di cui il realismo ο l’idealismo
propongono due soluzioni opposte è il seguente: come spiegare la costanza 9 la
realtà di certi gruppi di sensazioni da una parte, e delle relazioni tra questi
gruppi dall'altra. ‘Tra le forme principali del realismo ricorderemo: il
realismo idealistico, che riconosce una realtà indipendente dalla conoscenza
che ne abbiamo, ma considera tale realtà di natura ideale, spiritnale; esso è
dunque una forma di moniemo epiritualistioo, ed ha il suo primo rappresentante
in Platone, che consi. dera le Idee come realtà eterne, universali, immutabili,
di cui le cose individuali non sono che il riflesso ο l’imagine. Il realismo
trascendentale, detto così perchè in esso la causalità, che ricollega la
rappresentazione alla cosa in sè, diviene una causalità trascendentale in
quanto permette appunto d’ inferire dalle rappresentazioni un oggetto che non è
oggetto di rappresentazione, l’ inconscio (Hartmann). 1 realismo
individualistico ο pluralistico, che afferma che l'essere è costituito da una
molteplicità di enti semplici ο primitivi, il cui numero è proporzionale al
numero delle nostre sensazioni, poichè ogni sensazione indica un essere
particolare (Herbart). Il realismo empirico, che pone la sostanza come distinta
dai fenomeni e da noi immediatamente conosciuta per uns intuizione positiva
(Ravaisson). Il realismo dialettico, che consiste nel realizzare le idee
generali e dedurre le une dalle altre, in modo che la catena logica continua
delle idee è anche una catena ontologica continua della realtà, 11 realismo
ontologico ο metafisico, che 969 Rra s’oppone al realismo gnoseologico, in
quanto questo afferma semplicemente l’esistenza d’una realtà esterna,
sussistente come oggetto del nostro pensiero, quello spiega la natura di
codesta realtà affermata come sussistente, e può essere tanto spirifualistico
quanto materialiatico e naturalistico. 11 realismo razionale, che ammette una
ragione assoluta la quale si manifesta così nell'esistenza delle cose come
nella coscienza dell’uomo, e per la quale all’ assoluto, che si manifesta nel
nostro pensiero, corrisponde perfettamente l'ordine esterno del vero essere
(Bardili). Il realismo ragionato (reasoned realism), che afferma la realtà di
ciò che è dato dal senso, e giustifica questa affermazione con l’indagine
filosofica o razionale dei fondamenti della conoscenza (Lewes). Il realismo
trasfigurato, che afferma |’ stenza dell’ oggetto separata e indipendente da
quella del soggetto, nonchè la corrispondenza tra i mutamenti del primo e
quelli del secondo, senza però affermare che alcun modo d’ esistenza oggettiva
«in in realtà quale a noi appare (Spencer). Il realismo problematico 0
ipotetico, che parte dall’ ipotesi che, se noi non conosciamo se non stati
mentali © soggettivi, ne inferiamo però qualche cosa di corporeo e di
oggettivo. Fuori della sfera della
filosofia, il realismo significa: nella matematica l’ opinione secondo la quale
le forme e le verità matematiche non sono create dallo scienziato, ma da lui
scoperte; nell’estetioa la dottrina che all’arte impone di non idealizzare il
reale, ma di esprimerne soltanto i caratteri effettivi, oppure la tendenza artistica
a rappresentare nell’uomo specialmente i caratteri naturalistici, ancora se
bratti o degradanti ; nel linguaggio comune il senso della realtà delle cose,
la capacità di agire conforme ai dettami dell’esperienza concreta e
indipendentemente da ogni vincolo del sentimento, della tradizione, dell’
imaginazione, dei principi astratti. Cfr. E. von Hartmann, Kritische
Grundlegung des transoendentalen Realismus, 1875; J. H. Löwe, Der Kampf
zwischen Nominalismus und Rea 970 Realismus, 1876; Holt, The new realiem, 1912;
C. Ranzoli, Le forme storiche del idealismo ο del realismo, in Linguaggio dei
filosofi, 1911, pp. 59-104 (v. arte, conoscenza, intermediariste, realtà, materia,
nominalismo, pluralismo, sostanza, essenza). Realtà. T. Realität, Wirklichkeit;
I. Reality; F. Réalité. Si oppone tanto a possibilità, quanto a idealità e ad
apparensa; designa tutto ciò che esiste, che permane fuori di noi e
indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo, La concezione della realtà è
passata per tre stadi principali. Da principio è identificata colla
sensibilità, ο non si concepiscono come reali che gli oggetti percepibili ed
estesi nello spazio, considerando pure come tali, ma più tenui e sottili, gli
oggetti © le cose che non cadono sotto i nostri sensi. In seguito, per
l'osservazione che i sensi ci ingannano spesso e che fra le qualità sensibili
degli oggetti alcune sono essenziali altre mutabili e faggitive, il reale si
concepisce come qualche cosa di diverso dal sensibile, e cioè come un quid
assolutamente identico a sò stesso e immutabile, che serve come di sostegno
ultimo alle qualità © che non può sparire senza che anche la cosa sparisca.
Questo quid è la sostanza, che per tal modo è considerata come la sola realtà.
Per alcuni codesta sostanza è ancora qualche cosa di conoscibile per mezzo dei
sensi (elementi, atomi, ecc.), dato che essi possano attraversare lo mutevoli
apparenze che la nascondono; per altri invece non può essere che l'oggetto di
un intuito razionale, in quanto, consistendo essa nell’ identità e nella
permanenza, tali caratteri non possono riscontrarsi nei rapporti. Si ha così,
accanto alla spaziale, un'esistenza intelligibile, che, obbiettivata,
costituisce la vera realtà (il Numero, le Idee, ecc.). Infine, col progredire
della rifiessione e col delinearsi del problema gnoseologico, le basi della
questione si spostano: si comprese che non era possibile parlare di una realtà
in sè, assolutamente fuori dello Rspirito, perchè tutto ciò che conosciamo è
interiore e non reale che in noi, e che quindi si trattava di risolvere non più
come si potesse passare dall’ apparente al reale, ma dal conosciuto al reale.
Le soluzioni date al problema sono molte e diverse: riducendosi tutto alle
sensazioni e alle loro leggi, per alcuni (Kant) queste leggi, superiori alle
nostre esperienze ed immanenti ad esse, si impongono alla materia sensibile e
multipla delle nostre impressioni come tante forme unificatrici, universali e
necessarie; per altri le leggi dei fenomeni sono esse stesse fenomeni. Per il
positiviemo non vi è altra realtà oltre quella determinata dalle scienze, e non
v'è realtà per le scienze oltre quella attinta all’esperienza diretta e
genuina, ossia all'esperienza sensoriale; sostanza, causa, efficienza,
soggetto, oggetto, essere, ecc., sono tutte aggiunte fatte dal pensiero n cui
nessuna realtà corrisponde. Due sono le forme principali assunte dalla conla
monistico-meccanica, cho risolve tutta la realtà in movimento e modalità di
movimento; la empirico-sensazionistica, che identifica la realtà ultima con la
così detta esperienza pura o radicale (sensazione), alla quale si arriva
mediante l'eliminazione di tutte le aggiunte del pensiero. Affine a quest’
ultima, anche la filosofia dell’immanenza riduce tutta la realtà
all'esperienza, identifica l’esperienza stessa col complesso degli stati di
coscienza, esclude ogni trascendenza, sia quella dell’oggetto rispetto alla
coscienza individunle, sia quella di esseri ο di cause sottostanti all’ insieme
dei fenomeni che costituiscono l’universo: essa non diversifica dall’empirismo
puro se non in quanto rileva ed accentua la cooperazione della coscienza nella
costituzione della realtà. 1 idealismo critico, che si ricollega a Kant, nega
pure ogni valore al concetto di realtà quale è posseduto dalla comune degli uomini;
le idee di essere, di sostanza, di ente sono pure escogitazioni mentali; vi è
il fare, il produrre, ma non vi è nè l'agente ο il producente e nemmeno il
prodotto come qualcosa di fisso Rea 972 e di solido. L’idealismo etico muove esso
pure dal concetto che non la realtà determina l’atto conoscitivo, ma questo
mira a costruir quella; di più spiega codesto atto costruttivo come un'esigenza
morale, affermando che non l'essere, ma il dover essere costituisce la
categoria fondamentale atta a serviroi di guida nella costruzione del mondo;
nulla esiste per sò, ma solo in quanto mezzo per l'attuazione del dovere.
Spingendosi ancora più innanzi su questa via, il prammatismo, eliminato il
correlato del dover essere, fa della realtà una costruzione pura della volontà,
un mezzo oreato per il raggiungimento di scopi pratici, i quali poi si
riassumono nella conservazione e nell’accrescimento dell’esistenza ; non è a
parlare di ‘una realtà per sè stante nd di una verità valida, ma solo di azioni
e dei loro effetti. Di fronte a questi indirizzi sta P idealismo metafisico,
che muove dal presupposto che ogni forma di realtà si risolve in fatti mentali,
appunto perchè per definirla © parlarne non si può fare a meno di ricorrere ad
elementi ideali: tali fatti mentali, che costituiscono l'essenza della realtà,
sono per alcuni la volontà, per altri il pensiero, per altri imaginazione, per altri ancora la
rappresentazione, Le ultime forme assunte dall’idealismo volontaristico sono:
l’attualismo o mobilismo, che risolve la realtà nell’agire, nell’energia, nel
movimento, nell'evoluzione, in un processo insomma che è libero e
imprevedibile, ma che attinge valore dall’ideale che è destinato ad attuare; il
vitalismo metafisico, che concepisce la realtà come vita, coscienza, cangiamento,
durata e quindi come uns creazione continua non diretta ad uno scopo
determinato, ma avente valore per sè, rispondente solo ad un impulso originario
infinito. Cfr. Killpe, Die Philos. d. Gegenwart in Deutschland, 3* ed. 1905;
Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909; G. Villa, L'idealiemo moderno,
1905; C. Ranzoli, Sullo origini del moderno idealismo, « Riv. di fil. e scienze
aff. », maggio 1906; F. De Sarlo, I diritti della metafisica, « La cultura 973
Rka-REc filosofica », luglio 1912; 8. Mackenzie, The meaning of reality,
«Mind », genn. 1914 (v. conoscenza, rerità, dogmatismo. scetticismo,
criticiemo, empiriooriticismo, fenomenismo, realiamo, idealiomo, peroczioniemo,
semetipsismo, soggetto, oggetto. valore, vita, vitaliemo, eco.). Reazione. T.
Reaktion, Gegenwirkung; I. Reaction; F. Réaction. Forza uguale ο contraria
all’azione, che un punto materiale dato riceve da un altro punto materiale. Il
principio d’eguaglianza tra azione e reazione, divenuto un assioma di
meccanica, fu esposto e dimostrato la prima volta da Leibnitz nei suoi Prineipf
matematici della filosofia naturale. Nella biologia la proprietà fondamentale
d’ogni cellula vivente di rispondere con una reasione propria ad una
eccitazione, costituisce l’irritabilità. Nella psicologia è roazione ogni stato
di coscienza determinato da uno stimolo sia esterno sia interno. Recettività.
T. Reoeptirität, Empfanglicket ; I. Receptirity; F. Réceptivité. L’attitudine a
ricevere delle impressioni, a provare delle modificazioni per l’azione di uno
stimolo esteriore. Questo vocabolo fu usato specialmente da Kant: «La facoltà
di ricevere delle rappresentazioni (recettività delle impressioni); la facoltà
di conoscere nn oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei
concetti) ». Reoettività è dunque sinonimo di passiritd. Secondo alcuni
filosofi la sensibilità è una recettività, perchd consiste appunto nella
facoltà del soggetto di ricevere delle impressioni. Tale dottrina ha origine
dall'antica teoria, che spiegava la sensazione col mezzo degli idoli ο delle
idee, che si portano o al cervello o all’ anima; teoria che si fondava eu
semplici analogie lontane, le quali, come mostrò il Reid, non sono neppure di
alcuna utilità nello spiegare il processo della sensazione. In realtà, se gli
stati della sensibilità si dicono passivi è perchò sono effetto di una fazione
causativa; ma non è escluso con questo che siano essi attività, poichè ogni
effetto è pure un fatto e ogni Rec 974 fatto è attivo. Cfr. Reid, Œuvres complètes, trad.
Jouffroy, 1829, t. III, cap. XIV; Kant, Krit. d. reinen Vernunft, A 50, B 74
(v. capacità). Becetto. Vocabolo
creato per analogia con concetto e percetto; designa ciò che il soggetto riceve
dall'esterno, ο, in altre parole, le modificazioni della coscienza in seguito
all’azione dello stimolo esteriore. Il Romanes dà questo nome all’ idea composta,
o combinazione di rappresenta zioni non ancora denominata ; essa deriverebbe
dalla ripetizione di percetti più o meno simili, che si associano insieme
spontaneamente, senza intenzione, tantochè si può considerare un’ astrazione
non peroepita ; il suo nome di recetto significa appunto che nel riceverlo la
mente è passiva, mentre nel concepire idee astratte ο concetti è attiva. Cfr.
Romanes, L'evoluzione mentale dell’uomo, trad. it. 1907, p. 33 segg., 376 segg.
Reciproche (teoria delle). T. Reciprok; I. Reciprocal, Converse; F. Reciprogue.
Nella logica si designa con questa espressione la teoria dei raziocinii
immediati per mutata posizione dei termini del giudizio. Il problema che tale
teoria si propone di risolvere è il seguente: dato che un soggetto abbia o non
abbia un predicato, trovare, senza bisogno di una dimostrazione speciale, entro
quali limiti si può ritenere che il predicato possa esser soggetto del suo
soggetto. Se il giudizio reciproco ha la stessa quantità del giudizio diretto,
la conversione si dico semplice: 98. tutti gli 4 sono B tutti i B sono 4; se ha quantità diversa la
conversione è accidentale: es. 4 è B
qualche B è A. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 216 segg. + Reciprocità. T.
Wechselseitgkeit, Wechselwirkung; I. Reciprocity ; F. Réciprocité. O comunità,
è uno dei termini della categoria della relazione, secondo la classificazione
kantiana. La reciprocità non è altro che l’azione di due sostanze l’una sull’altra.
Da essa il Kant fa derivare la terza delle analogie dell'esperienza: tutte le
sostanze, in quanto 975 Ren-Rec si possono percepire come simultanee
nello spazio, sono in una azione reciproca generale. Cfr. Kant, Ærit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 170-196 (v. analogia, relazione). Beduplicative
(proposizioni). Quelle proposizioni composte e implicite, in cui un termine,
solitamente il soggetto, è ripetuto con l’espressione in guanto: ad es. il
veleno, in quanto veleno, non produce necessariamente la morte. Si può rendere
esplicita; il veleno, in quanto è soltanto veJeno, non produce necessariamente
la morte. Registro fisiologico. Sull’orientazione del pensiero, del sentimento
e del volere di ogni individuo, intluiscono in vario modo anche le eccitazioni
che provengono dall’organismo, sia centrali che periferiche. L’insieme di
queste eccitazioni, dipendente dallo stato degli organi, fu detto dall’ Ardigò
registro fisiologico, per analogia del registro (pedali) che si trova in quel
grande stromento che è Porgano di una chiesa: in questo il suonatore, col fare
agire i pedali, può far suonare a piacere l’una o l’altra serie di canne, e
ottenere suoni diversissimi sempre adoperando gli stessi tasti. Nel registro
fisiologico le canne che suonano sono i centri cerebrali, i registri sono i
visceri, e a seconda che trovansi in attività piuttosto quelli che questi, a
seconda che agiscono in un modo piuttosto che in un altro, il concerto mentale
riesce diverso. Cfr. Ardigd, Op. filosofiche, V, 93-96, VII, 276-302 (v.
conestesi). Regola. T. Regel; I. Rule; F. Règle. Precetto pratico © specifico
di condotta, formula indicante o prescrivente ciò che si deve fare in un caso
determinato. Cr. Wolff la definisce come propositio enunoians determinationem
rationi conformem. Differisce dalla norma in quanto questa ha maggiore
estensione; infatti la norma, se vien riferita al giudizio dell'intelletto, è
il criterio secondo cui questo distingue e attribuisce agli oggetti suoi l’uno
o l’altro predicato, se viene invece riferita all’opera della volontà è la
regola secondo cui questa sceglie i snoi fini, o i meszi per Ree 976 il
conseguimento dei snoi fini. Nel linguaggio teologico dicesi regola di fede
(regula fidei) la norma finale e sufficiente per la determinazione della verità
in materia di dottrina e di fede religiosa.
Con 1’ espressione regulas philosophandi, rimasta famosa, il Newton
designa, nella terza parte del suo trattato sui Prinoipf matematici di filo
sofia naturale, le quattro regole nelle quali riassume tutto il metodo della
filosofa naturale. Sono: 1° non bisogna ammettere altre cause naturali che
quelle che sono vere © sufficienti a spiegare i fenomeni; 2° bisogna assegnare,
per quanto è possibile, le stesse canse agli effetti naturali dello stesso
genere; 8° le proprietà che convengono a tutti i corpi sui quali è possibile
l'esperimento, devono essere riguardate come proprietà generali dei corpi; 4°
le proposizioni ricavate dalla osservazione dei fatti devono, non ostante le
ipotesi contrarie, esser ritenute come vere o verosimili finchè non giungono
altri fatti mediante i quali divengono ο più esatte o soggette a eccezioni (v.
legge, norma, principio). Regressione. T. Regression, Rückgang, Zurüokgehen ;
I. Regression; F. Regression. Bi oppone a progresso ed equivale a ritorno
all’indietro, trasformazione in senso inverso al progresso. Nella logica indica
il processo dello spirito, © il metodo, che consiste nel risalire dalle
conseguenze ai principi, dagli effetti alle cause, dal composto sl semplice.
Nella psicologia dicesi legge di regressione il fatto che i ricordi, quando
scompaiono in seguito a un indebolirsi progressivo della memoria, si perdono
nell’ordine inverso della loro acquisizione, e cioè dal semplice al complesso,
dal presente al passato, dal vicino al lontano. Nella biologia diconsi
regressioni ataviche il ritorno di organi o di funzioni ad uno stato più
rudimentario, corrispondente cioè à fasi evolutive già trascorse; peroid la
reversione è sempre un fatto di atavismo e di degenerazione. Regresso v.
circolo solido. 977 Rrei-ReL Beintegrazione, 1 T.
Wiederherstellung; I. Redintegration; F. Rédiniégration. Termine creato
dall’Hamilton per indicare quells legge della riproduzione mentale, che
conSiste in ciò, che intorno ad un elemento della nostra vita Psicologica
anteriore, quando sta per riprodursi, tutto l’insieme dello stato di coscienza
di cui esso faceva parte tende a riprodursi integralmente. Insieme allo leggi
di associazione, di ripetizione e di preferenza, essa costituisce Per
l’Hamilton una delle quattro leggi generali della successione mentale
riproduttiva. La legge di reintegrazione è detta anche legge di totalizzazione;
secondo l'Hôffäing essa è la legge fondamentale dell’associazione, dalla quale
tutte le altre derivano. Cfr. Hamilton, Ed. of. Reid, , II, nota D“; Höffding, Psychologie, trad.
franc. 1900, p. 210 Segg. (v.
associazione, associazionismo). Relative (proposizioni). Specie di proposizioni
composte, che esprimono una proporzione o una comparazione ; ad es.: i
caratteri ereditari si trasmettono tanto più fedelmente quanto più sono antichi
; dove è virtà, ivi è felicità. La verità di queste proposizioni dipende dalla
esattezza della relazione da esse affermata. Cfr. Logique de Port-Royal, ed.
Aulard, p. 132. Belativismo. T. Relativismua; I. Relativiem; F. Relatitisme. Ogni dottrina che considera la nostra conoscenza
di sua natura relativa, in quanto è la conoscenza di un rapporto, e nega quindi
la possibilità della conoscenza della cosa in sò, ciod indipendentemente da
ogni relazione con un’altra cosa. Il relativismo ha la sua prima formula nella
celebre frase di Protagora: l’uomo è la misura di tutte le cose. Per il sofista
greco tutta la vita psichica non consta che di sensazioni; ogni sensazione è
determinata da un movimento della cosa percepita e da un altro movimento
dell’organo di senso; quindi la sensazione, prodotto dell’incontro di due moti,
non solo è diversa dall’ Sggetto sentito © dal soggetto senziente, ma è vera
solo in quel 62 Ranzout, Dizion. di
scienze filosofiche. momento, cosicchè l’uomo non conosce le cose come sono, ma
come sono per lui nel momento della sensazione, ed anche solo per lui. Il
positivismo è pure relativistico; per il sno fondatore, A. Comte, non soltanto
la conoscenza umana è indirizzata ai rapporti dei fenomeni tra loro, ma non
v’ha nulla di assoluto che ne formi la base ignota ; l’unico principio assoluto
è che tutto è relatiro; soltanto, questo relativismo (ο, come fu detto poi,
correlativismo) cede alla pretensione universalistica del pensiero
naturalistico-matematico, con l’assegnare alla scienza il cémpito di ridurre tutte
le relazioni alla loro uniformità spaziale e temporale. In un significato
ancora più generale, o metafisico, per relativismo s’ intende ogni dottrina
che, negando un qualunque sostrato permanente all’ accadere del mondo sia
fisico, sia psichico, risolve la realtà in relazioni più ο meno costanti tra i
fenomeni, concependo tali relazioni come realtà in sò stesse, distinte e
indipendenti dalla conoscenza che ne abbiamo. Diogene Laerrio; Comte, Cours de
phil. positine; R., Sul preteso agnosticismo dei presooratici, « Rend. del R.
Ist. lombardo di s. e lett. », vol. XLVII, faso. 19; A. Levi, Contributo ad una
interpretazione del pensiero di Protagora (v. attualismo, fenomeniemo,
relazione, relatività della conoscenza). Sebbene l’espressione sembri
abbastanza chiara, la RELATIVITÀ DELLA CONOSCENZA designa tuttavia dottrine
diverse, che debbono essere distinte per evitare equivoci dannosi. Nella sua
portata generale, la dottrina della relatività della conoscenza implica che
tutti gli elementi della conoscenza estesa hanno un valore soggettivo, non oggettivo,
in quanto la sensazione non è considerata che come un semplice segno della cosa
esterna, la percezione come la posizione di un rapporto tra questi segni,
l’ides come un simbolo della sensazione, cioò
979 Rel un simbolo convenzionale
d’un segno. La relatività della conoscenza è intesa in quattro modi principali:
1° ogni conoscenza è relativa al soggetto che conosce, ne è possibile la
conoscenza di alcuns cosa in sò, cioò indipendentemente dalle nostre facoltà
conoscitive; 2° ogni conoscenza consiste nello stabilire una relazione fra due
elementi © nell’appercezione della loro differenza; è dunquo impossibile
conoscere alcuna cosa in «è, cioò indipendentemente da ogni relazione con
un’altra cosa; 3° la conoscenza è relativa perchò ci dà solo il finito, il
limitato, non l’infnito, l'assoluto; 4° la conoscenza è relativa perchè non
adegua mai perfettamente la cosa, ma ne è un puro simbolo. Si può dire che
ciascuno di questi quattro modi di intendere la relatività della conoscenza
rispecchi, tolto forse Pultimo, un lato reale del processo conoscitivo. Secondo
l’Hamilton la conoscenza è relativa: 1° perchè l’esistenza non è conoscibile
assolutamente e in sò stessa, ma soltanto nei suoi modi ο fenomeni; 2° perchè
codesti modi possono essere conosciuti soltanto se stanno in una particolare
relazione con lo nostre facoltà; 3° perchè i modi, così relativi alle nostre
facoltà, sono presentati e conosciuti dalla mente solo con modificazioni determinate
dalle facoltà stesse. Lo Stuart Mill classifica in modo an poco differente i
motivi della relatività della conoscenza: 1° noi non conosciamo una cosa se non
in quanto distinta da un’altra cosa; 2° noi non conosciamo In natura che per
mezzo dei nostri stati di coscienza, il che conduce a queste due tesi
subordinate: a) non ci sono che stati di coscienza; b) vi sono delle cose in
sè, ma inconoscibili, sia nel senso di Kant e dei razionalisti, sin nel senso
degli empiristi. L’Ardigd enumera sei ragioni della relatività della
sensazione, e quindi dolla conoscenza, che è intessuta esclusivamente di
sensazioni : 13 l’oggetto stimolante è un esteso vibrante con una certa
ampiezza ο rapidità di oscillazioni delle parti componenti, mentre la
sensazione RRL 980 corrispondente è un quale assolutamente
diverso; 33 l'oggetto medesimo corrispondono forme di coscienza verse secondo
che esso stimola apparati sensitivi diversi; 83 la stessa forma specifica
propria di un dato senso si modifica, pure rimanendo identica la stimolazione,
per una alterazione che esso subisca; 4° codesta forma spocifica si può
produrre nel senso stesso anche senza la stimolazione operata da un oggetto, e
solo per irritazione endogena, il che prova che la forma stessa non proviene
dall'oggetto ma è solo il modo di funzionare dell’apparato sensibile, qualunque
sia la causa da cui dipenda; 5* le sensazioni prodotte per la stimolazione
dall’interno dell'animale sono fatti analoghi a quelle prodotte per la
stimolazione dall'esterno, cosicchè se è assurdo considerare una cosa in sè ad
es. la fame, lo è pure considerar tale ad es. il snono, © il caldo; 6° il
sensibile non è una forma apatica 6 statica, come dovrebbe essere il puro
ritratto dell’oggetto, ma è essenzialmente un certo sentimento, un certo agire,
© quindi essenzialmente una soggettività. Cfr. Hamilton, Lootures on Metaphysics, 1859, vol. I,
p. 148; Stuart Mill, Ezamination of Hamilton, 33 ed. 1867, p. 30-31; Ardigò,
Opere filosofiche, I, 160-162, II, 352-355, V, 546 segg., IX, 89 segg., 426
segg. (v. assoluto, agnosticismo,
antropometriamo, relativismo, inconoscibile, conoscenza, cosa, noumeno).
Relativo, T. Relatir, Verhältnissmässig ; I. Relative; F. Relatif. Ciò che non
sta per sè, ma dipendo da altro, esiste soltanto come relazione o in virtù
d’una relazione: si oppone ad assoluto, che è ciò che esiste per sè, che non ha
nd relazione, nd limitazione, nd dipendenza. ‘Relazione. T. Beziehung,
Relation; I. Relation; F. Relation. Essendo un’idea semplice, non è
propriamente definibile; si può dire soltanto che è quell'idea che nnisce ©
distinguo due altre idee, presentatosi simultaneamente al nostro pensiero. 11 Destutt de Tracy la
definisce cette vue de notre esprit, cet aote de notre faculté de penser
par 981
Rei lequel nous rapprochons wne idée d’une autre, par lequel nous les
lions, les comparons ensemble d'une manière quelconque. Nè sembri assurda la menzione di un rapporto che
disgiunge Poichè si tratta d’un rapporto pensativo, di natura affatto diversa
da ogni rapporto materiale. Si distinguono però delle relazioni essenziali ο
delle relazioni non essenziali ο accidentali. Le relazioni essenziali sono
costituite da elementi correlativi, tali, cioè, che a ciascuno è essenziale la
sua relazione con l’altro; ad es. bello e brutto, sopra © sotto, alto e basso,
maggiore e minore, ecc. Ora tali elementi non sono oggetti di cognizione ma
fatti di conoscenza, vale a dire concetti nostri, Invece le relazioni
accidentali sono condizionate agli elementi; ad es. questo libro è sopra il
tavolo, ma il tavolo può stare senza il libro, e il libro senza il tavolo,
mentre il sopra non può stare senza il sotto. Per Aristotele il rapporto o
relazione (πρός τι) è una categoria; tuttavia egli considera soltanto i
rapporti fondati sulla reciprocanza, e non il rapporto in sò stesso ma le cose
tra le quali il rapporto esiste. Hume distingue invece due significati diversi
nella parola relazione: l’uno designa il fattore per cui le rappresentazioni
appsiono collegate nell’imaginazione, cosicchd l’una trae seco l’altra; il
secondo indies i momenti riguardo ai quali, anche con arbitraria unificazione
di due rappresentazioni nella imaginazione, si confrontano casualmente l’una
con l’altra: il primo significato prevale nell’uso volgare, il secondo nel
filosofico; le fonti di ogni relazione filosofica sono la somigli4nza,
l'identità, lo spazio, il tempo, la quantità, la qualità, la contrarietà, la
causa, l’effetto. Per Kant l’idea di relazione è una delle categorie, ma egli
non considera che tre specie di relazione: quella della causa all’effetto,
quella della sostanza al fenomeno, quella di due cose agenti reciprocamente
l’uns sull’altra. Il Locke è forse il filosofo che ha dato la classificazione
più completa delle relazioni, ch’ egli distingue in: relazioni temporali,
ReL 982
spaziali, causali, proporzionali, che dipendono cioè dall’uguaglianza o
dal più e dal meno, naturali, fondate cioè sui leganıi stabiliti dalla natura
stessa tra le cose, d’istituzione, stabilito dall'accordo degli uomini tra di
loro, e morali, fondate sulla conformità o non delle azioni volontarie con la
regola onde le stesse αἱ giudicano. Nella filosofia moderna e contemporanea il
problema delle relazioni è un problema insieme gnoseologico e metafisico, la
cui importanza appare da ciò, che le leggi naturali sono generalmente concepito
come semplici uniformità di relazioni, e la realtà sia fisica, sia psichica è
concepita da molti come un puro tesunto di relazioni tra fenomeni, senza alcun
sostrato permanente. Si presenta quindi la domanda: le relazioni esistono come
realtà in sò stesse, indipendentemente dalla conoscenza che possiamo averne, o
non sono che una forma di conoscenza, una categoria che lo spirito, in virtà
della sua struttura, applica spontaneamente ni fenomeni? La soluzione realistica
urta contro gravi difficoltà : se si ammette che le relazioni sono in sd quali
le conosciamo, si cade nella contraddizione, in quanto le relazioni non sono
tali nel nostro pensiero che perchè noi le pensiamo ; se si ammotte che sono in
sò stesso divorse, si cade nell’ agnosticismo. La soluzione idealistica, a sua
volta, non riesco a spiegare come le relazioni, pure categorie del pensiero,
s’impongano a noi con la stessa forza © la stessa fissità dei fenomeni: se la
facoltà di giudicare del simile © del differente, del simultaneo ο del
successivo, è una legge costitutiva del nostro spirito, lo applicazioni
particolari di tale facoltà non sono regolate dagli oggetti stessif Una, terza
soluzione sembra evitare queste difficoltà, collocando le relazioni in Dio: «
Le relazioni hanno una realtà dipendente dallo spirito come la verità, dice il
Leibnitz, ma non dallo spirito degli uomini, poichè v’ ha una intelligenza
suprema che le determina tutte in ogni tempo ». Perd, anche a questa dottrina
fu obbiettato cho essa conduce al pan 983
Rew teismo e che, d'altro canto, colloca in Dio la successione, il
cangiamento e quindi 1’ imperfezione.
Nel linguaggio scolastico dicesi relatio in, ο relatio fundamentalis,
quello su cui la relazione si fonda, in quanto è inerente a quello solo, ad es.
il verde d'una foglia in quanto è in quella foglia; relatio formalis, quello
stesso su cui si fonda la relazione riguardata in quanto si riferisco ad altro,
ad es, il verde d’una foglia riguardata in confronto a quello di un’altra;
relatio aoquiparantiae quella di somiglianza ο di uguaglianza, relatio
disquiparantiae quella che domina gli estremi in modi diversi, ad es. maestro ©
scolaro; relatio proprie realis quella i oui termini sono entrambi non solo
realmente esistenti, ma hanno anche in sò qualche cosa per cui si riferiscono a
vicenda, ad es. la relazione tra causa ed effetto; relatio rationis o logioa
quella per cni un cosa si riferisce ad un’altra non secondo la ragione di
esistere, ma unicamente nell’ordine che |’ intelletto pono tra i concetti delle
cose. Cfr.
Destutt de Tracy, Eléments d’ideologie, , I, 4, p. 51; Leibnitz, Nouveaux
essays, 1. II,
cup. XII, $ 3, e cap. XXX, $ 1; Locke, An essay cono. hum. understanding, 1877,
IL, cap. 12, 28, 30; Hume, Treatise on hum, nature, 1874, I, sez. 5; Kant,
Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 96 segg.; Stuart Mill, Syst. de logique, trad.
franc. Peisse, 1. I, cap. III, $ 10; Boirac, L'idée du phénomène, 1894, p. 166
segg. (v. attualiemo, fenomenismo,
sostanzialirmo). ‘Relazione (concetti, sentimenti di), Il Drobisch chiama
concetti di relazione quelli che si formano mediante una sintesi dei singoli
membri, che costruiseono un concetto. Con la stessa espressione il Wundt
designa quei concetti che hanno per contenuto lo relazioni del pensiero logico,
per essere poi trasferiti da esso all'oggetto del pensiero ; essi costituiscono
gli ultimi gradi della trasformazione logica del contenuto delle
rappresentazioni, che comincia con la costruzione dei concotti empirici
individnali. Diconsi sentimenti di relazione la paura (sent. difensivo), la
collera (sent. offensivo), la solidarietà (simpatia). Il Bain e l'Hôftding
chiamano emozioni di relazione ο di relatività lo stupore e la sorpresa, il cui
carattere essenziale è d’ essere determinate dall’opposizione del nuovo
all’abituale ο, se intervengono delle rappresentazioni, dall’opposizione di ciò
che accade a ciò che si attendeva. Cfr. Drobisch, Noue Darstellung der Logik,
5° ed. 1887; Wundt, System d. Phil., 1897, p. 289; Hôfding, Peyohologie, trad.
franc. 1900, p. 731 segg. ‘Relazione (legge di). La legge psichica
fondamentale, secondo molti psicologi contemporanei. Sostituito al vecchio
concetto della sostansialità quello dell’ attualità psichica, per cui i fatti
della coscienza valgono solo in quanto esistono in un dato momento 9 non si
possono riferire ad alcun sostrato fisso di cui siano le manifestazioni ο le
modalità, la loro unità è spiegata mediante il rapporto che li unisce: tutti i
fatti psichici che formano la trama della coscienza sono in relazione tra loro,
relazione che lega i processi psichici in una connessione ininterrotta nella
coscienza individuale e conferisce loro un significato particolare a secondadel
posto che occupano e della relazione in cui stanno con gli altri. Questa leggo
di relazione, fissata già dal Leibnitz col suo principio di continuità, è però
variamente intesa dai moderni psicologi : così per il Bain essa riguarda
propriamente la parte soggettiva della coscienza, ciod i sentimenti, ο si
riconduce al carattere originario dello spirito, che è quello di cogliere una
differenza, di percepire un cambiamento ; l’Hôffding la estende tanto alla
sfera delle sensazioni come a quella del sentimento, ο distingue una relazione
simultanea, ciod fra le parti di uno stesso stato, e una relazione suocessiva,
cioè tra due stati che si determinano reciprocamente ; per lo Spencer anche la
vita psichica, come la vita in genere, consiste in un progressivo adattamento
dello relazioni interne alle esterne; per il Wund la relazione che intercede
fra i processi psichici è di causa ed effetto (osusalità peichica), © insieme
alle leggi delle risultanti e dei contrasti costituisce il gruppo delle leggi
dei rapporti psichici. Cfr. Bain, The senses and the intelloot, 3* ed. p. 8 segg.; Id., Les
émotions et la volonté, trad. franc. 1885, P. II, ο. 13; Hòftding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 145
segg., 367-393, 412; Wundt, Grundrisa d. Psychologie, 1896, p. 294 segg.;
Spencer, Prino. of Peyoology, 33 ed., $ 65 (v. risultante, sintoi peichioa,
attualiemo, sostanzialimo). Relazioni
(problema delle). Uno dei problemi fondamentali della gnoseologia ο della
metafisica, che ha la aus origine dalla constatazione: che funzione
fondamentale del pensiero è quella di porre delle relazioni, di riferire I’ uno
all’altro gli elementi della realtà ο di considerare in sò codeste relazioni.
Ora, porre una relazione significa definire un elemento o un aspetto della
realtà per mezzo di un altro: in tal caso la relazione trascende o non
trascende la realtà delle cose tra le quali è stabilita? La relazione sembra
non abbia senso se non presupponendo la realtà delle cose; ma a lor volta le
cose sembrano non poter essere mai colte all’ infuori di una relazione,
cosicchè la loro realtà si esaurisce nol complesso delle relazioni di cui
possono essere termini e con cui possiamo definirlo. Tre sono le principali
soluzioni del problems: 1° le qualità delle cose si risolvono in relazioni,
perchè se le qualità 4 ο B sono quello che sono anche indipendentemente dalla
relazione che passa tra esse, la relazione medesima è arbitraria ο senza
significato per la realtà; 2* le cose si risolvono in complessi di relazioni,
cosicchè essere reale non significa altro che essere riferito; 3° la
relazionalità è il carattere della realtà fenomenics, ma al di sopra del
pensiero comune esiste una forma diversa di conoscenza, nella quale le
relazioni non hanno più senso, © che è la rivelazione della realtà metafisica.
A queste si può aggiungere una quarta soluzione, che consiste nel consiReL 986
derare la realtà come costituita di termini in 0 con relazioni, gli uni
© le altre ugualmonte reali, sebbene in diverso senso. Però anche quest’ ultima
veduta ha suscitato, come le precedenti, gravi obbiezioni. Il Bradley, ad es.,
dice che i concetti di materia, tempo, spazio, energia, essendo concetti
relativi, che caratterizzano le cose per rapporto le une alle altre, non ci
dicono nulla delle cose stesse, © conducono a delle serie infinite; infatti si
può sempre chiedere qual’ è la relazione dei membri in rapporto alle relazioni
nelle quali si trovano, e studiando i membri si vede che essi possono
collocarsi in ciascuna di codeste relazioni. Cfr. B. Russel, The principles of mathematics,
1903, p. 218 segg.; Id., À oritioal exposition of the philosophy of Leibnite,
1900, p. 12 segg.; Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 25 segg.; Tailor,
Elemente of metaphysio, 1903, 1. II,
p. 120 segg.; G. Calò, L'intelligibilità delle relazioni, « Riv. di fil. »,
aprile 1910; R. Heller, La dottrina delle rel. nella critica della scienza
contemp., « Cultura filosofica», marzo 1911; Ladeväze, La loi d'universello
relation, 1913. Religione (dal latino religio che, secondo alcuni, ei riconduce
al termine relegore = raccogliere di nuovo, e se condo altri a religare rilegare, secondo altri ancora ad un verbo
scomparso religere, opposto a negligere. La prima etimologia è sostenuta da
Cicerone e dai moderni filologi, la seconda da Servio, Lattanzio, Agostino, Max
Müller). T. Religion; I. Religion; F. Religion. Il merito di aver compreso che
cosa sia in sò stessa la religione, indipondentemento dalle suo forme storiche,
spetta esclusivamente al pensiero moderno. Soltanto nella suola platonica
troviamo una nozione filosofica della religione. Per Platone, infatti,
l’essenza e il fino della religione à 1’ assimilazione a Dio, fondata sopra
l’unità di essenza dell’ anima umana e della divinità. Codesto concetto,
intravisto già dai pitagorici e da Socrate, domina in quasi tutta la filosofia
antica si ritrova nello stoicismo, nel giudaiamo © nel oristianesimo 987
ReL alessandrino, e nel neo-platonismo. Ma, in generale, il mondo antico
non ebbe nè poteva avere una nozione sperimentale, storica della religione in
sè, poichè per esso la religione non aveva storia. La vittoria del
cristianesimo doveva perpetuare, per ben altri motivi, codesta condizione di
cose; © infatti, data la rigorosa ortodossia della Chiesa, non era possibile
alcuna distinzione tra religione in sò © cristianesimo cattolico. Con l’aprirsi
della età moderna ο collo svincolarsi del pensiero dalle catene del dogina,
cominciano infine ad accumularsi gli elementi che dovranno più tardi servire
alla storia delle religioni; ma è soltanto col Lessing, in Germania, che
#’inizia uno studio veramento soientifico del fenomeno religioso, perchè il
lavoro compiuto s tal riguardo dai filosofi francesi del diciottesimo secolo,
non esclusi il Voltaire © il Rousseau, è più che altro negativo. Per il Lessing
la storis religiosa non è che l'educazione dol genere umano, che si eleva a
nozioni sempre più puro della divinità © del dovere; tutte le religioni hanno
quindi una relativa legittimità. Dal Lessing in poi è continuo lo sforzo dei
pensatori per rendersi un concetto adeguato del complesso fenomeno religioso ;
noi non ricorderemo qui che alcuni dei tentativi più importanti. Per Kant la
religione è il riconoscimento dei nostri doveri come ordini divini ; soltanto
la coscienza morale attesta l’universalità © la necessità nel rapporto col
sovrasensibile. Per 1’ Herbart è la credenza, teoreticamente incontestabile, in
una intelligenza suprema come fondamento dei rapporti fra gli elementi reali da
cui deriva il mondo fenomenico, la cui finalità non sapremmo altrimenti
spiegare. Per I’ Herder è 1’ appropriazione intorioro dell’ sttività divina
ordinatrice delle cose, di modo che noi οἱ suVordiniamo scientemente a codesto
ordine divino. Per Schelling non è altra cosa che la divinità che cerca sè
stessa attraverso tutta la sorie degli intermedi, che vanno dalla materia brata
allo spirito. Per Schleiermadher si riconduce Ret. 988 al
sentimento, che tutti abbiamo, della nostra dipendenza assoluta da una potenza,
che ci determina ma che non possiamo determinare. Comte e Feuerbach riducono I’
essenza di ogni religione all'adorazione dell’uomo fatta dall’uomo: dell’uomo
come specie il primo, dell’uomo come individuo il secondo. Per l’ Hegel la
religione è il sapere che lo spirito finito ha della sua essenza come spirito
assoluto. Per il Miiller è una facoltà mentale che, indipendentemente e spesso
auche a dispetto del buon senso e della ragione, rende l’uomo capace di
cogliere l’infinito sotto differenti nomi e diverse forme. Per il Guyau è una
manifestazione sociologica universale a forma mitica; per l’Hòffding è il
sentimento della conservazione dei valori dello spirito nella realtà; per il
Bontroux è la rivendicazione, allato al punto di vista della scienza, del punto
di vista del sentimento e della fede: per il Durkheim è un sistema solidale di
credenze e di pratiche relative a cose sacre, credenze e pratiche che uniscono
in una medesima comunità morale tutti quelli che vi aderiscono. Ora, nessuna di
codeste definizioni pare veramente comprensiva del fenomeno da definire.
Ciascuna di esse contiene piuttosto una parte di verità, in quanto fa risaltare
uno degli elementi costitutivi della religione. Raccogliendo ciò che esse hanno
di essenziale, si potrebbe definire la religione come la determinazione della
vita umana per mezzo della coscienza di un legame che unisce lo spirito umano
allo spirito misterioso, di cui egli riconosce la dominazione sul mondo sopra
lui stesso, ο al quale egli ama sentirsi unito.
L’antichissimo e dibattuto problema del valore conoscitivo della
religione, ossia dei rapporti tra religione e scienza, tra ragione e fode, è
risolto nella moderna filosofia della religione in sei modi principali: 1° La
religione ha un dominio a sè, fuori del controllo della scienza e della
filosofia; quella è affare di fede, queste di conoscenza. La filosofia è una
conoscenza astratta, mentre la religione è una realtà essa stessa, è una forma
di vita spi 989 Rew rituale. La scienza
osserva e collega tra loro le apparenze esterno dei fenomeni, l’uomo pio vive
in Dio e nelle anime dei suoi fratelli, prega, ama, spera. 2° Religione,
filosofia ο scienza sono tronchi germogliati da una radice comune: la fede, la
credenza non dimostrabile. La scienza è una fede perchè le sue definizioni sono
pure forme dell’ intelligenza, non abbracciano che una parte impercettibile
della realtà infinita e quindi non sono dimostrabili, non hanno che un valore
ipotetico, provvisorio. La filosofia ha bisogno non di un atto di fede, come la
scienza, ma di più: fede nell’oggettività dei simboli mentali rispetto ai
fenomeni, fede nell’ oggettività dei medesimi rispetto all'essenza, fede
nell’oggettività del sistema dei simboli mentali rispetto alla totalità
sistematica e all’unità della realtà. Dunque, nd la scienza nd la filosofia
possono negare la validità di quelV unico atto di fede, la fede in Dio, su cui
la religione si fonda. 3° Le verità religiose sono di ordine diverso dalle
verità scientifiche, ο nel loro proprio dominio non possono essere contraddette
dalle verità della scienza. La scienza, infatti, studia i fenomeni nei limiti
della conoscenza finita, la religione penetra intuitivamente nell’ essenza
ultima del reale. La scienza usa necessariamente di ideo che sono simboli di
una realtà che le sfugge; questa realtà è l'oggetto proprio della religione. 4°
Ogni sapere essendo indirizzato all’azione, la differenza tra il pensiero
scientifico e il religioso deriva dalla differenza di funzione e di finalità
che essi rappresentano. La scienza è una manifestazione della ragione umana; la
religione è specialmente una manifestazione della volontà. Ora la volontà umana
tende al di là dell’ esperienza finita, che non la appaga; quindi si dirige
verso un essere, verso una realtà, che se è adeguata alla potenza della
volontà, è inadeguata e trascendente rispetto all'intelligenza. 5° La verità
religiosa è certa per sd stessa, come verità che è una realtà vissuta, intorno
alla quale la ragione si può esercitare ma unicamente per riconoscerla Reı. 990
non per dimostrarla. La religione si appunta necessaria mente nel
sovrannaturale, ms la necessità del sovrannaturale non è logica o causale ma
vissuta; credere significa possedere la verità sovrannaturale in modo da
introdaris nella propria vita per vivere sovrannataralmente. Il metodo della
scienza non può quindi valere nella religione: in questa vale un altro metodo,
il metodo immanente, che fa quello già adoperato da Pascal. 6° La religione in
quanto conoscenza, e per quella parte di conoscenza che solo la interessa, ciod
la concezione spiritualistica del mondo, non soggiace necessarismente alla
critica scientifica © filosofica, perchè è una specie di filosofis; e
propriamente quella che meglio corrisponde alle esigenze ideali ο morali dello
spirito umano, Fra i molti tentativi di
classificazione delle religioni, la più scientifica ci sembra quella del
Reville, il quale le divide anzitutto sotto due grandi categorie: politoiate e
monoteiste. Alla categoria delle religioni politeistiche appartengono cinque
gruppi: 1° religione primitiva della natura, cioè il culto semplice degli
oggetti naturali rappresentati come animati e infinenti sul destino umano; 2°
religioni animistee Jeticiate, che si sviluppano sulla base precedente, proprio
dei popoli rimasti allo stato selvaggio; 3° mitologie nazionali. fondate sulla
drammatizzazione della natura © supponenti tra gli esseri divini delle
relazioni uguali a quelle della vits umana; di questo grappo la mitologia
vedios rappresenta la forma più ingenua, la mitologia greca la forma più
raffinata; 4° religioni politetste-legaliate (che impongono cioè 1) osservanza
di una legge così morale come religiosa), il mardeismo, il bramanismo e le due
religioni filosofiche cinesi di Kong-fou-tzeu e di Lao-treu ; 5° il Buddismo,
religione di redenzione e, teoricamente, monoteistica, ma fondantesi nells
pratica sui politeismi locali. Alla seconds categoria appartengono tre
religioni : 1° il giudaismo, uscito dal mosaismo, legalista © nazionale; 2° }
islamiemo, legalista e interna zionale; 3° il oristianorimo, religione di
redenzione, inter 991 Rer.
nazionale. Si sogliono spesso
distinguere le religioni in due grandi gruppi, naturalistiche ο
spiritualistiche : a queste ultime appartengono le quattro grandi religioni,
giudaismo, buddismo, cristianesimo, islamismo, nelle quali il problema della
vita dello spirito, e del suo destino nel mondo, soverchia il problema della
natura ed è la sostanza della religiosità. Teoricamente si distinguono ancho
in: religioni della logge, nelle quali è recisamente affermata la trascendenza
della divinità e insieme il governo diretto del mondo dalla volontà divina
onnipotente; © religioni della redensione, nelle quali la divinità, pur
conservando la sua distinta essenza, è accostata all’uomo, e l’uomo alla divinità,
sia per natura sia per l’opera della redenzione. Nella lingua comune dicesi religione positiva
quella che consiste più particolarmente in un insieme di insegnamenti dogmatici
© nelle pratiche del culto; religione razionale quella che risulta dall'esame
razionale delle oredenze; religione flosofica quella che si fonda sopra una
interpretazione generale © metafisica del mondo e dell’ esistenza; religione
naturale l'insieme delle credenze nell’ esistenza di Dio, nella spiritualità e
immortalità dell'anima, considerate come una rivelazione della coscienza e
della luce interiore che rischiara l’uomo. Cfr. Diogene L., VII, 138, X, 123
segg.; Lnerezio, De rer. nat., IV, 38 segg., V, 1159-1238; Leibnitz, Theodicea,
pref. I, $6; Lessing, Duplik, 1778; Kant, W. W. ‚Rosenkranz, VII, 336, VIII,
508, VI, 201; Schleiermacher, Dialektik, 1903, p. 111, 157, 186-193; Id.,
Reden, 1859, p. 104 segg.; Hegel, Vorlesungen über die Philos. d. Religion,
1901; Feuerbach, Das Wesen des Christentum, 1841; Guyau, L’irreligion do l'avenir,
1887 ; Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909; Bontroux, Science
et religion, 1909; Durkheim, Les formes elementaires de la vie religieuse, cap.
I, p. 65; W. James, The varieties of religious experience, 1902; L. R. Farnell,
The evolution of religion, 1905; F. B. Jevons, Introduction to the history of
religion, 1906; J. Baisssc, Les Rem
992 origines de la religion,
1899; John Caird, Introd. alla flowfa della religione, trad. it. 1909; O.
Pfleiderer, Religione e re ligioni, trad. it. 1910; S. Reinach, Orpheus, storia
nat. delle religioni, 1912; C. Puini, Saggi di storia della religione, 1882: C.
Ranzoli, L'agnostiotemo nella filosofia religiosa, 1912; F. Masci, La filosofia
della religione e le sue forme più recen 1910 (v. Dio, mito, delemo, teiemo,
fideismo, panteismo, ritualiemo, ecc.). Beminiscenza (rursus © mominissee ricordarsi una seconda volta). T. Anamnese,
Reminisoens, Naokklang ; I. Reminisoenoe; F. Réminiscence. Non ha significato preciso.
Pet alcuni designa un ricordo confuso, che manca di ricono scimento ο di
localizzazione nel passato; in tal caso però è più esatto dire oblio. Secondo
altri invece è 1’ atto con cui il nostro spirito, risalendo da una idea attuale
e giovandosi di dati frammentari, completa e ricostruisce un ricordo o una
serie di ricordi. In questo senso fa sdoperata da Aristotele, il quale la
spiega mediante 1’ abitudine che riunisce nella nostra anima lo nostre idee ed
impre» sioni, nello stesso ordine con oui si sono presentate, quando esse non
sian già collegate secondo le leggi necessarie dells logica. In Platone ha un
significato tutto speciale: è una forma mitica di razionalismo, secondo oui
ogni nostro potere di conoscere la verità è il ricordo di uno stato antico nel
quale, vivendo con gli dei, noi possedevamo una visione diretta ο immediata
delle idee: « L’anima essendo immortale, ed essendo nata molte volte, ed avendo
veduto ciò che accade qui, tanto in questo mondo che nell’ altro. ο tutte le
cose, non v'ha nulla che non abbia apprese. Perciò non è da meravigliare se,
riguardo alla virtà e 4 tutto il resto, essa possa ricordarsi di ciò che ha
saputo: poichè, tutto essendo legato nella natura e tutto avende l’anima
imparato, nulla vieta che ricordandoci una sola cosa, il che gli uomini
chiamano imparare, possiamo tro vare da soli tutto il resto ». Egli lo prova
specialmente con 993 Rem-Res l'esempio del teorema di Pitagora, il
quale mostra che la conoscenza matematica non proviene dalla percesione
sensibile, ma questa fornisce soltanto l'occasione per cui V anima richiama
alla memoria la conoscenza proesistente in essa, cioè avente un valore
puramente razionale. Per Condillac la reminiscenza è l’atto stesso per cui si
riconosce un ricordo. Il Rosmini considera la reminiscenza e la memoria come
due facoltà distinte: questa conserva le cognizioni formate, quella le richiama
in atto, rieccitando le imagini e rinforzandone la vivezza. Invece al Galluppi
« non sembra necessario riporre la reminiscenza tra le facoltà elementari dello
spirito: essa è una imaginazione in oui si eseguisce in un certo modo la legge
dell’ associazione delle idee »; per remin iscenza egli intende non la semplice
riproduzione di uno statto passato A, ma la riproduzione di A riconosciuto
mediante la riproduzione degli stati Be C, che con 4 erano associati; quindi ls
reminiscenza non è che il riconoscimento mediato. Cfr. Platone, Fedro, ) Id.,
Menone, XV-XXI, 81 c segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, p. 164 segg.; Galluppi,
Lesioni di logica ο metafisica, 1854, II, p. 744 segg. (v. anamnesi). Bemotivi
(giudizi). Diconsi tali i giudizi copulativi negativi, la oni formula può esser
tanto: nè 4, nà B, nè C sono D, quanto: A non è nè B, nè C, nè D. Nel primo
caso il giudisio è remotivo nel soggetto, nel secondo nel predicato. Essi
compiono la fanzione logica di escludere alcuni gruppi di oggetti da uns
classe, mostrando che ad essi manca la proprietà essenziale a tutti gli oggetti
in quella compresi. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 182 segg. (v. congiuntivî).
Residui (metodo dei). T. Rückstandsmethode; I. Method of residues; F. Métode
des résidues. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva indicati da I. F. W.
Herschell, Whewell 9 Stuart Mill. Secondo i due primi, codesto metodo consiste
nel levare da un effetto, e specialmente da un effetto numerico, la quantità
che risulta da leggi già note, 68
Ramzoti, Dirion. di scienze filosofiche. Res 994
ridurre il fenomeno ad una specie di residuo, che si es minerà per
scoprirne la spiegazione ο la legge. Per le Stuart Mill, invece, esso si fonda
su questo canone logico: se da un fenomeno si sottrae quella parte che, per
indu zioni anteriori, si sa essere effetto di certi anteoedenti, cid che resta
dei conseguenti sarà l’effetto di quello ο quell degli antecedenti che
sopravanzano. Tale metodo consiste dunque nell’ eliminazione degli antecedenti
ο dei conse guenti il cui rapporto causale è conosciuto; i conseguenti residui
saranno, in generale, effetto degli antecedenti re sidui. Molte sooperte
scientifiche sono dovute a questo metodo, il quale fu adoperato anche, ed
utilmente, a onoscere la causa ignota di un effetto residuo noto: co dalle
anomalie inesplicabili nei movimenti di Urano si arguì l’esistenza di Nettuno,
che fu poi scoperto dal telescopio. Cfr. Herschel, 4 prelim. discourse on the study of
natural philos., 1831, cap. VI, $ 158-161; Whewell, Philos. of the induotive
science, 1840, af. XLVII; 8. Mill, System af logic. 6* ed. , III, cap. VIII, $
5. Resistenza. T. Widerstand, Widerstandfähigkeit; I. Reristance; F.
Résistance. Una delle qualità
della materia, dataci dallo sensazioni cinestetiche o di movimento, e
specialmente dal senso dell’innervazione. Noi infatti comunichiamo si muscoli
l’ innervazione necessaria per produrre lo sforzo muscolare, che corrisponde
alla resistenza che deve essere superata; se il grado di innervazione non
corrisponde alls resistenza, l’azione muscolare riesce inadeguata ο eccessiva.
Nella meccanica la resistenza è uns forza misurabile, designando tutto ciò che
si oppone al movimento; essa varis col variare della velocità dei corpi, dell’
ampiezza della loro superficie e della loro forma; nei fiuidi la resistenza è
pro porzionale al quadrato della velocità del corpo in moto (v. articolare,
impenetrabilitä). Responsabilità. T. Verantwortiohkeit; I. Responsability; F.
Responsabilité. Situazione di un agente cosciente s 995
Rus riguardo degli atti che esso ha compiuti, dei quali deve dare i
motivi e attendere biasimo o lode, pena o premio, a seconda della loro natura e
del loro valore. Non va confusa con l’imputabilità: la responsabilità è infatti
la qualità dell’agente di essere capace delle conseguenze, che la legge morale
ο giuridica fa derivare dall’ atto, che gli viene imputato; l’imputasione è il
giudizio che nn determinato atto è attribuibile a quell’ uomo. Un essere è
responsabilo quando deve rispondere della propria condotta; quindi la
responsabilità implica indipendenza assoluta del volere, suppone che la volontà
si determini da sò stessa all’azione, indipendentemente da una forza che la
costringe. Ed infatti il concetto della responsabilità sorse. accanto a quello
del libero arbitrio; se da principio, nell'infanzia della umanità, essa era
estesa alle cose inanimate, agli animali, persino ai cadaveri, in seguito fu
ristretta agli esseri in cui αἱ riconosceva la facoltà di conoscere il bene ο
il male e la possibilità di scegliere tra I’ uno e l’altro. Ma anche V idea
dell’assoluta indipendenza del volere si dimostrò errones ο fu abbandonata;
caddo perciò anche il concetto di responsabilità, e se oggi il vocabolo è
rimasto ha però un significato diverso del primitivo, tanto che, forse non a
torto ei proclama da alouni la necessità di abolire una parola che non adegua
l’idea ed è cagione di equivoci. Alla responsabilità assoluta, che
corrispondeva alla libertà assoluta del volere, alonni vogliono sostituire una
responsabilità limitata corrispondente alla limitazione della libertà e
distinguono una responsabilità parziale ed una responsabilità attenuata ; per
la prima un individuo è responsabile soltanto degli atti emananti dalle sue
facoltà mentali normali, irresponsabile per quelli emananti dalle anormali ;
per la seconda la responsabilità d’un individuo debole intellettualmente e
moralmente è diminuita in ragione di tale sua debolezza. Altri tentativi furono
fatti per mantenere l’ idea di responsabilità, dandole una base che potesse
sostituire quella caduta del libero arbitrio. Fra le dottrine a tal rignardo
più importanti ricorderemo: 1° quella, oul #’iepira anche il codice penale
zanardelliano, che pone per base della responsabilità la volontarietà; perchè
vi sia responsabilità l’atto deve essere stato commesso volontariamente;
l’azione à repntata volontaria, se agente, compiendola, voleva realmente
compierla; 2° quella che le pone per base l'intelligenza, considerata come
direttrice della volontà: è responsabile soltanto 1) individno la cui volontà è
determinate, in generale. dalle idee, e, in particolare, dalle nozioni della
religione, 8 della morale, del diritto, della prudenza; 3° quella che le pone per
base l’intimidabilità per mezzo della pena; essendo tutti gli uomini, tolti gli
‘alienati, intimidabili, tatti debbono essere considerati responsabili dei loro
atti; 4° quella che lo dà per base In personalità ; ogni nomo, agendo sulle
circostanze, che a lor volta agiranno su lui, può modificare la propria
personalità e quindi dirigere il sno spirito verso un dato ordine di idee e di
sentimenti, distogliendolo da altre idee e da altri sentimenti, contraendo
insensibilmente l'abitudine delle azioni e dei pensieri ai quali desidera
sollevarsi; in questo potere di modificarsi ha la sua radice la responsabilità.
Ricordiamo infine la soluzione data al problema dalla scuola criminale
italiana; l’uomo, essendo la risultante fatale di determinati fattori antropologici,
sociologici, economici, tellurici, ecc., non è moralmente responsabile delle
proprie azioni, poichè non poteva non volerle. tutte le condizioni essendo
date; ma siccome I’ uomo vive in società, la quale ha il diritto di difendersi
ο conservarsi. e siccome ogni azione umana produce nella vita della società
degli effetti e delle reazioni sia individuali, aie sociali, che ricadono
sull’antore dell’azione ο gli saranno utili ο nocive secondo che l’azione
stessa sarà stata utile o dannosa alla società, per questi motivi l’uomo è
socialmente responsabile delle proprie azioni. Come si vede, il termine
responsabilità assume qui un significato affatto diverso dal 997
Res primitivo, e ad esso si può utilmente sostituire quello di difesa 0
reazione sociale. Comunemente si distingue la responsabilità morale, la r.
civile e la r. penale. La r. civile consiste nell’ obbligo di riparare, in una
misura e sotto una forma determinata dalla legge, il danno causato ad altri; la
r. penale è la situazione di chi può essere giustamente colpito, a titolo
penale, per un crimine o per un «delitto. Nella stessa responsabilità morale si
distinguono due forme: quella da noi definita sopra, e l’ obbligazione morale,
sanzionata o non dalla legge, di riparare al torto causato ad altri. Ad ogni
modo, il fatto fondamentale è sempre il medesimo; riunendo ciò che ν΄ ha di
comune nei diversi significati, il Calderoni definisce la responsabilità col
fatto che certi atti ; essa si attua in due processi : 1’ uno, che diocesi
riflessione astraonte, consiste nel confrontare le idee degli enti tra di loro
per fissare il più comune, che viene poi applicato agli enti stessi : l’altro,
che dicesi riflessione integrante, consiste nel confrontare le idee degli enti
con 1’ idea dell’ essere in universale. Per il Cousin la riflessione è un
ritorno sopra uno stato precedente : « se non avesse avuto Inogo alcuna
operazione anteriore, non ci sarebbe posto per codesta operazione, cio’ per la
riflessione: la riflessione non crea, ma constata e sviluppa ». Per il Galluppi
è l’attenzione sul proprio pensiero, ossia la percezione interiore volontaria;
essa ci dà la verità particolare, primitiva, indimostrabile, io penso, ciod
Ru 1004
io sono esistente nello stato di pensiero; non dove confondersi con la
coscienza, che è la percezione interiore involontaria. Dalla riflessione il
Locke fa derivare tutte le idee del nostro mondo interno, di ciò che si dice
percepire, pensare, dubitare, credere, ragionare, conoscere, volere, e di tutte
le differenti azioni del nostro spirito; dalla sensazione fa provenire le idee
concernenti il mondo esterno, tutto ciò che noi chiamiamo le qualità sensibili.
Per il Locke la rifleesione equivale all’ attenzione interna: « per riflessione
io intendo la conoscenza che lo spirito prende delle sue’ proprie operazioni, e
del modo di esse; in tal modo le idee di queste operazioni vengono a formarsi
nell’intelletto >. Per Condillac invece anche la riflessione non consiste
che in nna sensazione trasformata, e tutte le nostre ideo non hanno che un’
unica fonte: il senso. Perciò il sistema del Condillac dicesi sensiemo, quello
del Locke empiriemo. Cfr. Leibnitz, Nouveaux essais, Pref. $ 4; Cr. Wolff,
Peyoh. empirica. 1738, $ 257; Baumgarten, Metaphysioa, 1739, § 626; Kant, Kit,
d. reinen Vern., A 261, B 316; Maine de Biran, Fond. de la peych., ed. Naville, II, 225; Cousin,
Fragments de ‚Philos. contemporaine, 1846, p. 34; Hamilton, Leot. on
metaphysios, 1859, vol. I, p. 326;
Rosmini, Nuovo saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 77 segg.; Galluppi,
Lezioni di logioa ο metaf., 1854, I, p. 27-83; Locke, Human understanding, II,
1, p. 4. Riflesso. T. Reflex, Reflerbewegung; I. Reflex; F. Riflere. Detto
anche atto 0 movimento riflesso. Nella sua forma più semplice e tipica, è il
seguire immediato di una sola eccitazione ad una sola contrazione. Essa implica
un organo ecoitabile per una stimolazione sia interna che esterna, un nervo
centripeto ο afferente che trasmetta l'eccitazione al centro nervoso (ganglio
spinale), un centro nervoso che trasmetta 1’ eccitazione al nervo centrifugo ο
motore, e infine an muscolo che si contragga o una glandola che secerna. La
sede centrale dei riflessi è il midollo spinale, 1005
Rie tuttavia pud intervenire nella produzione loro anche il cervello; in
questo caso si hauno i riflessi psichici ο coscienti (ad es. il soldato che in
battaglia abbassa la testa al fischiare delle palle) nel primo caso si hanno
invece i riflessi spinali ο incoscienti (ad es. il restringersi o il dilatarsi
della pupilla in seguito al crescere ο al diminnire della luce). Si dicono poi
riflessi primari quelli che nella serie filogenetica non sono mai stati
coscienti, e riflessi sscondari quelli che negli Antenati erano azioni
volontarie coscienti, ma che sono divenuti più tardi incoscienti per abitudine
o per scomparsa della coscienza. Rispetto alla complessità loro i riflessi
furono distinti in: 1° semplici, che definimmo sopra; 2° difSusi incoordinati,
che si manifestano in forma di contrazione di tutti i muscoli ed hanno per
csuss l’ aumento della eccitabilità spinale; 3° diffusi coordinati, che
manifestano un fine (ad es. i movimenti che si fanno dormendo per prendere una
posizione più comoda). Il cervello esercita una asione inibitoria sui riflessi,
come mostra il fatto che si possono talora abolire mediante la volontà, e che
l'asportazione sperimentale del cervello è seguita da esagerazione di riflessi.
Cfr. Höffding,
Psychologie, trad. frano. 1900, p. 49 segg.; Wundt, Grund. d. Psychologie,
1896, p. 227 segg.; Sully, Outlines of peych., 1885, p. 593 segg.; D. Ferrier,
The funotions of the brain, 1876, p. 16 segg. Rigorismo. T. Rigorismus; I. Rigoriem ; F. Rigorieme.
Severità eccessiva nell’ apprezzamento delle azioni umane; affettazione di
abbracciare, in fatto di morale o di fede, le opinioni più rigorose. Il termine
fu usato da Kant per designare l'indirizzo antiedonistico ο ascetico della
morale: « È in generale importante per l’ etica di non ammettere via di mezzo
per quanto è possibile, nd nelle azioni (adiafora) nd nei caratteri umani....
Quelli che s’ attengono a questa stretta veduta sono comunemente chiamati
rigoristi (nome che sembra racchiudere un rimprovero, ma che in realtà è una
lode); ο i loro opposti possono esser chiamati Rısı-Rur 1006
indifferentisti, o latitudinarii del compromesso, e possono esser
chiamati sinoretisti ». Cfr. Kant, Krit. d. prakt. Ver nunft, od. Reclam, p.
88; Id., Religion innerhalb d. Grenzen d. blossen Vernunft, 1879, p. 21 segg.
Rimorso. T. Gewissensbise; I. Remorse; F. Remords. Sentimento complesso di
dolore, che deriva dal riconoscimento d’aver violato le leggi della morale e
dal conseguente disprezzo di sò a sò stesso, da un mal dissimulato interiore
disprezzo. Per Spinoza conscientiae morsus est tristitia concomitante idea rei
prastoritae, quae practer spem evenit. Esso è la proiezione nel campo della
coscienza del fatto esteriore della punizione inflitta dalla società per la
violazione della legge positiva: osservato costantemente che nella società nn
genere di atti è seguito da una punizione, si forma nella mente una
associazione inevitabile per oui quell’ atto si pensa necessariamente come
punibile, e quindi come tale da evitarsi, cosicchè compiendolo si ha quel
sentimento che dicesi rimorso. Esso è relativo quindi al grado di moralità ο alle
abitudini mentali ο pratiche dell’ individuo ; quanto più un’azione immorale è
ripetuta, tanto minore è il rimorso che l’accompagna. Cfr. Spinoza, Ethioa, 1.
III, teor. LIX, def. 17; Ardigò, Op. filosofiche, IV, p. 120 segg. Riposo. T.
Ruhe; I. Repose, Rest; F. Repos. In senso psicologico e morale è lo stato di
calma in cui trovasi lo spirito, quando è libero dalle agitazioni che derivano
specialmente dalle passioni e dai desideri. Per Spinoza il riposo intimo, o
soddisfazione di sè stesso, è « la gioia nata dal fatto che 1’ uomo contempla
sò stesso e la propria potenza d’agire »; e poichè la vera potenza d’agire
dell’uomo, ossis la sua virtù, è la ragione stessa che l’uomo contempla
chiaramente, così « il riposo intimo può nascere dalla ragione, e solo il riposo
che nasoe dalla ragione à il massimo che possa esistere >; esso è il supremo
bene che noi possiamo sperare, è la beatitudine stessa. In senso fisico il riposo è lo stato di un
corpo che conserva la sua po= 1007 Rip-Ris sizione nello spazio. Il riporo
dicesi assoluto se il corpo è riportato a degli oggetti realmente fissi; è
relativo se i punti ai quali è riferito sono animati da un movimento al quale
questo corpo partecipa. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. LIT; Appendice, cap.
IV (v. atarassia, equilibrio). Riproduzione. T. Reproduction; I. Reproduction;
F. Reproduotion. Il ripresentarsi alla coscienza degli stati ο dei processi
passati. Kant chiama legge della riprodusione quella secondo la quale le idee
che si sono presentate insieme nello spirito si richiamano V una l’altra alla
coscienza. Secondo Th. Ziegler, si riproducono soltanto quegli stati « che
armonizzano coi nostri attuali sentimenti ο stati d’ animo, mediante oni
conservano il loro stesso valore affettivo ». Il Jodi descrive la riproduzione
come quel processo paicologico mediante il quale « una primitiva eccitazione
della coscienza (sensazione, sentimento, volizione) dopo essere stata
soppiantata ο resa incosciente da un’altra eccita zione, rientra di nuovo nella
coscienza come copia o imitazione della eccitazione primitiva, per virtù della
sola energia psico-centrale, vale a dire senza causazione immediata dello
stimolo corrispondente alla eccitazione primitiva ». La riproduzione di uno stato di coscienza
passato può essere volontaria e automatics ο spontanea ; nel primo caso è
l’effetto di uno sforzo mentale, nel secondo l’effetto immediato di una
eccitazione periferica o centrale. L’ esercizio può rendere la riproduzione
volontaria sempre, più facile, fino a farla diventare automatica. Cfr. Kant,
rit. d. reinen Vern., 13 ed. p. 101; Th. Ziegler, Das Gefühl, 1893; Jodl,
Lehrbuch d. Payohologie, 1896 (v. revivisoenza). Risoluzione. T. Resolution,
Entechluse; I. Resolution; F. Résolution. Nel processo volitivo dicesi così il
momento che segue alla deliberazione © precede l’eseourione. Esso dicesi anche
scelta ο determinazione ο decisione. Tuttavia questi vocaboli designano tanti
aspetti del momento medesimo, il quale è risoluzione perchè è la forma attiva
con cui si riRis-Rir 1008 solve il conflitto dei motivi; è scelta in
quanto fra tutte le diverse possibilità una soltanto è ritenuta, mentre le
altre sono scartate dopo uns resistenza maggiore o minore; è determinazione
perchè si designa netta I’ idea fine, emergente vittoriosa dal conflitto dei
motivi. Nella logica dicesi risoluzione il processo con cui si scompone un
tutto nelle sue parti, o un giudizio in giudizi più semplici di cui è la
conseguenza; esso è l'inverso del processo di composizione ο deduzione
sintetica, e fu chiamato analisi (ἀνάλυσις
scomposizione) dagli antichi geometri greci, che lo ritenevano inventato
da Platone. Cfr.
Wundt, Grund. d. Payohol., 1896, p. 221; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 430 segg.; Conrnot, Essai, 1851, cap.
XVII, $ 259. Risultante. T. Resultanten; I. Resultani; F. Réeultant. Si dice di
una forza, di una velocità, d’una accelerazione, che può da sola sostituire più
forze, velocità, e accelerazioni simultanee. Risultante di traslasione è la
risultante delle forze applicate a un sistema materiale, supposte come
trasportate in uno stesso punto dello spazio.
Nella psicologia dicesi legge delle risultanti psichiche (Wundt) la
legge per cui ogni fatto psicologico un po’ complicato è un prodotto della
congiunzione di più elementi psichici ο quindi una sintesi psichica,
analogamente a ciò che avviene nei fenomeni chimici, in cui due sostanze
congiungendosi insieme danno luogo a una nuova sostanza avente proprietà
diverse da quelle degli elementi componenti. Ad es. la rappresentazione di
spazio risulta da sensazioni muscolari, tattili ο visive, le quali non hanno
quella proprietà spaziale che è posseduta dalla rappresentazione complessiva.
Le risultanti psichiche variano naturalmente col variare dei relativi processi
e sono diverse nei diversi individui. Cfr. Wundt, Grundriss d. Payohol., 1896,
p. 375 (v. relazione, legge, ninteri psichica). Ritmo. T. Rhytmus; I. Rhythm;
F. Rythme, Nel suo significato più stretto, è una successione di impressioni
udi 1009 Rir tive che variano
regolarmente nella loro intensità obbicttiva. Wundt: « Un solo e medesimo suono
può esser reso più forte ο più debole. Quando tali aumenti e diminuzioni
seguono con una certa regolarità P’ uno all’ altro, il suono diventa articolato
ritmicamente ». In un senso più largo, il ritmo è il carattere d’ un movimento
periodico, in quanto produce un effetto di bellezza o almeno di espressione.
Séailles : « L'armonia dei colori è il ritmo d’ una azione, che mette in gioco
le fibre ottiche senza affaticarle, per uns sapiento disposizione di intervalli
di sforzo e di riparazione ». Nel suo
significato scientifico e filosofico il ritmo è il carattere periodico d’un
processo, il modo caratteristico di svolgersi d’ una funzione. Per ’Ardigd la
legge del ritmo è la legge universale, che domina nella natura e nel pensiero,
e per la quale così in quella come in questo si verifica la varietà nell’
ordine; pensiero ed organismo costituiscono un unico ritmo, il ritmo pricofisico,
che nella età del suo svolgersi riflette l’azione ritmica della natura, da cui
in ultimo risulta. Cfr. Wundt, Grundzüge d. physiol. Peych., 1893, II, 72
segg.; Séailles, Le génie dans l'art, Paris, Alean, p. 236; Ardigò, Op. fl, II,
227 segg., V, 232 segg., VI, 226 sogg. Rito. T. Ritual; I. Rite; F. Rite. Un
insiemo di simboli raggruppati intorno ad una idea o ad un atto religioso, allo
scopo di renderne paleso il senso ο ingrandirne il carattere solenne. Si ha
così il rito del battesimo, il rito dei funerali, ecc. Anche il rito si
ricongiunge quindi al bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri
sentimenti ο lo proprie impressioni. Per ciò il rito, rispetto alla religione,
è stato paragonato alla lingua nel suo rapporto col pensiero. Fin dal principio,
dice Jevons, il bisogno e il desiderio di avvicinarsi a Dio si sono manifestati
o han trovato il loro simbolo in atti ο in riti esterni. L’ esperienza del
genere umano è la prova che i riti sono indispensabili, nello stesso modo e per
la stesso ragione, che la lingua è indispensabile al pensiero. Questo non si
svilupperebbe se non vi fosse la lingua, mediante il quale il pensiero si
affina al contatto col pensiero. E la religione non si è mai sviluppata, in
nessun luogo, senza i riti ». I riti di tutte le religioni possono dividersi in
due grandi categorie: quelli-di carattere collettivo, compiuti da un insieme di
individui raccolti in assemblea (sacrifiri, danze sacre, processioni, ecc.);
quelli di carattere indiriduale, che mirano ο a propiziare la divinità ο a
conse crare la fede religiosa personale (la preghiera individuale, il
battesimo, la cresima, ecc.). Cfr. 8. Reinach, Culte, mythes et religione,
1905-12; Jevons, L'idea di Dio nelle religioni primitive, trad. it. 1914, p.
104 sogg. (v. ri tualismo). Ritualismo. T. Ritualismue; I. Ritualiem; F.
Ritualiame. Nella storia religiosa si rivelano due tendenzo affatto opposte
rispetto alla adorazione da rendere alla divinità. L’ una consiste
nell'attribuire una grande importanza al compimento delle cerimonie simboliche,
che costituiscono il rito; l’altra nell’ abolire tutte le manifestazioni
esterne del culto, che sono considerate come profanazioni. La prima tendenza
costituisce il ritualismo ed è spiccatissima, ad es. nel? antica religio romana
© nel cattolicismo, la seconda costituisce il puritanismo ο spiritualismo
religioso. Quanto all'origine del ritualismo, secondo alcuni (Brinton) è da
ricercarsi nel mito, secondo altri (Max Mtiller e gli indianisti) sarebbo
dovuta a una trasformazione di antiche usanze e di pratiche magiche ; secondo
altri ancora (F. B. Jevons) ogni forma di rituale, sorgendo dal desiderio dell’
adoratore di rendersi accetto al suo Dio, ha le sue origini dal sacrificio, che
è appunto l’atto mediante il quale tutti gli uomini si pongono in più stretta
relazione coi loro Dei. Cfr. Mettgenberg, Ritualiemus und Romanismus, 1877; J. Marquardt, Le culte
chez les Romaine, 1889; G. d’Alviella, Croyances, rites,inatitutiona, 1911 (v.
mito, religione, rito). . 1011 Riv
Rivelazione. Lat. Revelatio ; T. Offenbarung; I. Revelation; Y. Révélation. In
generale, ogni manifestazione o comunicazione del pensiero ο della volontà
divina, operata per mezzo di agenti naturali o sovrannaturali. Dicesi
rivelazione esterna il manifestarsi della divinità sia nelle leggi ο nei
processi della natara, sia nella vita dell’ individuo ο dei popoli; rivelazione
interna il suo manifestarsi nella ragione ο nel sentimento morale degli
uomini. Secondo la dottrina cattolica,
ufficio della rivelazione è di far conoscere agli uomini i principali elementi
dell’ ordine sovrannaturale che, nel piano provvidenziale, è il fine che oceupa
il primo posto perchè tutto converge verso di esso © da esso riceve la luce. La
rivelazione coincide con l’origine del mondo ed è data e continuata parte con
parole parte con fatti, per via mediata ο per via immediata; le sue fasi sono
quattro (originaria, patriarcale, mosaica e cristiana) © quantunque si debbano
guardare come un solo tutto strettamente connesso, le tre prime non si considerano
che come fasi preparatorio dell’ ultima, la più perfetta di tutte perchd
manifestazione diretta di Dio. Così, a differenza delle rivelazioni fatte da
Dio sotto l'Antico Testamonto, la rivelazione cristiana ha por proprio
carattere l’immutabilità; essa deve rimaner tale sino alla fine dei tempi,
senza essere modificata da alcuna rivelazione pubblica ο senza subire nel sno
contenuto integrale alcuna alterazione sostanziale. Secondo Giustino, Dio si è
servito fin dall'origine di una rivelazione generale, sia esterna sin interna;
di una rivelazione speciale appare» in Mosè, noi profeti e negli uomini della
scionza greca; di una rivelazione piena ο completa mediante il Figlio suo, Con
ciò In rivelazione valo come il vero elemento razionale, che però non deve esser
dimostrato ma soltanto creduto; si cren così un’ antitesi tra rivelazione e
conoscenza razionale, che si acnisco sompre più nei Pndri successivi, i quali
insistono nel porro in Inco In necessità della rivelazione per 1’ inenRiv 1012
pacità dell'anima umana, limitata all’ impressione dei sensi. a
raggiungere da sola la conoscenza della divinità e della sua propria
destinazione. Per Tertulliano, ad es., il contenuto della rivelazione non solo
è soprarazionale, ma in certo senso anche antirazionale, in quanto per ragione
bisogna intendere l’attività conoscitiva naturale dell’uomo; l'evangelo non
solo è incomprensibile, ma è anche in necessaria contraddizione col sapere
naturale : credibile est quia ineptum est; cortum eat quia impossibile est;
oredo quia abaurdum. In seguito, con Β. ‘Tommaso, la rivelazione è ancora
affermata come superrazionale, ma però in accordo con la ragione, della quale è
l’ integrazione necessaria ; vien rive lato ciò che In ragione non può trovare
da sè, perchè di gran lunga superiore alle sue forze. Questo concetto si regge
sopra l’unità della ragione divina: in Dio non οἡstono due ordini di verità ma
una sola, che all’ uomo è partecipata parte per mezzo della ragione, parte per
mezzi della rivelazione; quindi, se le verità rivelato sono sujxriori a quelle
di ragione, in quanto emanano direttamente dalla divinità, tra le une e le
altre non può esistere contra ato, perchè appoggiate entrambe sopra una ragione
eterna, che è Dio; e pur essendo la rivelazione l’ultima pietra di paragone
della verità, la ragione può du sò stessa preparare il cammino alla
rivelazione; cos la ragione sostiene la fede, che a sua volta conferma la
scienza: Minus lumen non ofascatur per majus, dice Β. Tommaso, sed magis
augetur, ricut lumen auris per lumen solie ; et hoc modo lumen soientiae nor
offusoatur, sed magie clarescit in anima Christi per lumen scientiae divinae. 1
Sociniani andarono ancora più in là; per essi nulla può essere rivelato che non
sia accessibile alla | conoscenza razionale, e perciò nei documenti religiosi
non si deve considerare come naturale se non oid che è razicnalo. Con ciò la
rivelazione diveniva in fondo superfina © non restava legittima che la
religione naturale: © queste infatti fu il punto di partenza del deismo
inglese, che spo 1013 Rom gliò il
Cristianesimo dei suoi misteri per ridurlo alla verità del « lume naturale
>, ossia ad una intuizione filosofica del mondo. Cfr. Liicke, Versuch einer
vollständingen Einleitung in dio Offenbarung, 1852; S. Ginstino, Apol., II, 8;
Tertulliano, De carne Chr., 5; Id., De pracsor., 7; 8. Tommaso, C. Gentiles, I,
ο. 1, 11, 111, 1V, 1X; Id., Summa theol., III, qu. IX, a. 1; Laberthonnière,
Saggi di filosofia religiosa, trad. it. , p. 264 segg:, 295 segg.; C. Ranzoli,
L'agnosticiemo nella fil. religiosa, 1912, p. 30 segg. (v. oredenza, fede,
ragione, religione, fideismo, modernismo, razionalismo, tradizionaliemo).
Romanticismo. T. Romantizismus; I. Romantioiem ; F. Romantieme. Nella filosofia
si denomina così tutto il periodo della speculazione, specialmente tedesca, che
comincia col Fichte © termina con Schopenhauer. Esso trae il suo impulso dalla
convinzione, suscitata da Kant, dell’originalità ο dell’ attivita della natura
spirituale, per cui αἱ credetto possibile di cogliere il principio unitario
della realtà universale e di abbracciare in un sistema solo la scienza, l’arte
o la religione: « Simile ideale della conoscenza, scrive 1’ Hiftding, può a
buon diritto esser chiamato romantico. Esso rimane nelle nubi e nella
lontananza, risvegliando il dosiderio e l'entusiasmo, © agisoe più con codesta
sublimità che non con la prospettiva di trovarne uns realizzaziono ra ο
positiva ». Oltre all’ influsso kantiano, contribuirono ul sorgere del
romanticismo filosofico la religione, In ieuza, gli avvenimenti politici ο
specialmente la letteratura: Novalis, il rappresentante più caratteristico
della poesia romantica, considorava la poesia come l’ essenza più intima di
tutte le cose e faceva della filosofia una semplice tcori della poesia. Il
metodo del romanticismo filosofico fu principalmente deduttivo ο costruttivo;
esso mise in evidenza molti problemi nuovi, ma fu inferiore per originalità ο
vigore di metodo al periodo dei grandi sistemi del secolo XVII; inoltre la sua
influenza venne diminuita dalla terminologia adoperata dalla maggior parte dei
filosofi Rom-Sac 1014 romantici, terminologia capricciosa, oscura,
che rende le loro opere difficili a chi non abbia appreso a pensare in codesto
linguaggio. Cfr.
Höffding, Histoire de la phil. moderno, trad. franc. 1900, vol. II, p. 139 segg.; R. Berthelot, Le romantisme
utilitaire, 1911; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. , vol. II, p. 233, 327, 338; F.
Loliée, Hist. des littératures comparées, 2° ed., p. 295 segg. 8. Nelle espressioni simboliche delle
proposizioni si usa per designare il soggetto. Nol sillogismo designa il
tormine minore, che nella conclusiono fa sempre da soggetto. Nei versi
mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo categorico, indica che la
conversione di quel modo a un modo della prima figura, si deve fare per
conversione semplice (v. figura, disamis, datisi, eco.). Sabeismo (dal siriaco
tsaba = adorare). T. Sabäismur: I. Sabeism; F. Sabeieme. Antica setta
filosofica e religiosa, sparsa nei paesi dell’ Oriente, la quale considerava
gli astri come tante divinità, governate dal sole che è la divinità suprema.
Ogni astro è costituito dall’ anima e dal corpo sì Puna che l’altro hanno
sempre csistito e sempre steranno; ma soltanto la prima è di natura divina, e
costituisce l’anima del mondo. Cfr. Ehwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismua,
1856 (v. elioteiemo, panteismo). Saggezza. T. Weisheit; I. Wisdom; F. Sagesse.
Se non è ancora la virtù, dice il Rousseau, è almeno la via per raggiungerla.
Essa è ciò cho gli antichi chiamavano pradenza o sapienza. Per Pintone essa è
una delle virtù cardinali, sia dell'individuo sia dello Stato. Per Aristotele
esistono due specie di saggezza: la speculativa (σοφία), che è sinonimo di
scienza, così intuitiva come dimostrativa, e si rivolge alla natura assoluta
delle cose; e la pratica (¢pévyate), che ha per oggetto i dettagli della vita e
della 1015 Ban condotta, le relazioni contingenti e
particolari dell’ esperienza umana. Dopo Aristotele, uno degli argomenti più
discussi nelle scuole filosofiche fu di determinare il criterio della saggezza,
V’ ideale del saggio, ciod dell’ uomo che deve la sua virtù, e quindi la sna
felicità, soltanto al sapere; stoici, epicurei e scettici s’ aocordano nel
fissare come tratto caratteristico del saggio 1’ imperturbabilità (ἀταραξία),
vale a dire l'assenza dai perturbamenti prodotti dalle passioni. Ma per gli
epicurei l’ imperturbabilità, e quindi la saggezza, consiste in un godimento
raffinato; per gli scettici nell’astenersi per quanto è possibile dal giudicare
e quindi anche dall’operare; per gli stoici nel vivere secondo natura, ossia
conforme alla ragione, Nel suo
significato comune, non filosofico, la saggezza è equilibrio, misura,
contemperastone di prudenza e di coraggio, di ardire ο di cautela, di
temporeggiamento e di decisione ; riguarda dunque piuttosto la ragion pratica
che la ragion teorica, si basa sopra 1” esperienza del passato e la riflessione
sul presente per provvedere all’ avvenire, e consiste nel cercare, trovare ©
porre in opera i mezzi necessari e più convenienti all'adempimento della virtà.
Cfr. Sidgwick, The
methode of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Wiudelband, Storia della filosofia,
trad. it. 1913, vol. I, p. 208
segg.; C. Ranzoli, J2 caso nel‘ pensiero ¢ nella vita, 1913, p. 218 segg. (v.
cardinali, pratica, prudenza, virtù). Sansimonismo. T. Saint-Simonismus ; I.
Saint-Simonism ; F. Saint-Simonisme. La dottrina religiosa ο sociale di Enrico
di Saint-Simon, che ebbe molti e fervidi adepti in Francia, Il sunsimonismo
vagheggiava I’ istituzione di un ordino sociale, nel quale I’ individuo non ha
altro valore che per la fanzione che compie nello Stato, vale a dire il
sacerdozio, la scienza ο 1’ industria, e in cui il supremo potere è esercitato
dispoticamente dal padre, che è allo stesso tempo ro e sommo sacerdote, ed
assegna a ciascuno tanto la funzione che deve esercitare nello Stato, quanto la
retribuzione che San-SAT 1016 gli compete per la funzione esercitata. Cfr. Janet, Saints Simon
et le Saint-Simonisme, 1878; Charléty, Hist. du SaintSimonisme, 1896 (v.
collettiviemo, falanstero). Sanzione,
T. Sunktion ; I. Sanotion; F. Sanction. Nel suo signiticato più comune, morale
e giuridico, è la reazione con la quale la società provvede alla propria
conservazione e ai propri fini, contro quella violazione delle sue leggi di cui
gli individui si rendessero colpevoli. In questo senso la sanzione ha un valore
negativo, essendo essenzialmente una repressione. Se ne sogliono enumerare
varie forme: la sanzione naturale 0 fisica, che è l'insieme delle conseguenze
buone ο cattive, che risultano dalle azioni virtuose © viziose; ha la sua
origine nella naturale tendenza delV organismo alla propria conservazione, per
la quale reagisce col dolore a ciò che tende ad alterarlo o distruggerlo, © col
piacere a ciò che può conservarlo ; la sanzione interna © della coscienza, che
è costituita dal compiacimento pel bene praticato, © dal rimorso per la legge
morale violata; la sanzione della pubblica opinigne, che è la stima o il
disprezzo, la lode ο il biasimo che le azioni dell’ individuo gli meritano per
parte degli altri individni; la sanzione politica, 0 penale, o delle leggi, che
è preceduta dalla sanzione dell’ opinione pubblica, ed à costituita tanto
dall’insieme delle pene per chi infrange in qualche modo (prestabilito)
l'ordine morale e sociale, quanto dalle ricompense morali o materiali con cui è
premiato chi allo stesso ordine presta utile concorso; la sanzione religiosa o
superumana, derivante dai premi ο dai castighi promessi ο minaceiati dalla
roligiono nel mondo ultraterreno. Cfr. Sidgwick, Methodèn of ethics, 2* ed. 1877, p.
229; Pope, Christian theology, 1877, vol. III, p. 159; J. S. Mill, Utilitarianiem, 1879, cap. III
(v. delitto, pena, responsabilità). Sapere v. opinare. ‚turazione. T.
Sättigung; I. Saturation ; F. Saturation. Dicesi saturasione del colore il
grado secondo il quale la sen 1017 Sck
sazione scromatica, o incolora, si unisce ad una sensazione cromatica. Il grado
di saturazione è tanto maggiore quanto minore è la quantità della luce
incolore, che entra nella combinazione.
Nella scuola criminale positiva (Ferri) dicesi saturazione oriminosa la
legge per la quale in un dato ambiente sociale, con date condizioni individuali
e fisiche, si deve commettere un dato numero di renti, non uno di più, non uno
di meno, allo stesso modo con cui in un dato volume di acqua, ad una data
temperatura, si deve sciogliere una determinata quantità di sostanza chimica,
non una molecola di più, non una di meno; ciò perchè anche il delitto è un
fenomeno collegato al determinismo universale, ed ha i suoi fattori necessari
nelle varie condizioni dell’ ambiente fisico © sociale, combinate con gli
impulsi occasionali degli individui e colle loro tendenze congenite. Cfr.
Wundt, Grundriss d. Psychol., 1896, p. 68; E. Ferri, Sociologia oriminale, 43
ed. 1900 (v. delitto, pena, responsabilità). Scetticismo (σκέπτομαι esamino). T. Skepticiemus ; I. Soepticiem; F.
Soepticieme. Si adopera nel linguaggio comune per indicare la tendenza a dubitare,
o la mancanza di fiducia nella verità di una data affermazione, dottrino,
previsione, o la negazione dei principi ammessi dal maggior numero. Ma nel suo
significato preciso, esso designa il dubbioesteso deliberatamente,
sistematicamente, a tutti quanti gli oggotti della conoscenza umana, © quindi
la sospensione di ogni nostro giudizio intorno ad essi, Nella storia del
pensiero filosofico si contano varie forme di scetticismo, cominciando da
Pirrone, Protagora e Sesto Empirico, venendo fino al Montaigne; ina tutte si
fondano ugualmente sopra la tosi fondamentale della impossibilità di un
criterio assoluto della verità, essendo la ragione condannata per sun natura
alla contraddizione, e mancando ad ogni modo un qualsiasi testimonio che provi
la legittimità della ragione stessa. La conclusione di tutto lo scetticismo
antico i riassunta in quella che si disse l’ isostenia delle ragioni, ο cioò
Scu 1018
l'equilibrio e la forza uguale delle ragioni pro e contro, intorno a
qualsiasi oggetto. E il Montaigne dimostrava così l'inesistenza di un criterio
assoluto per lo conoscenze sensibili © razionali: « per giudicare delle
apparenze cho noi riceviamo dagli oggetti, ci sarebbe necessario nno strumento
giudicatorio; per verificare questo stromento ci è necessaria una
dimostrazione; per verificare la dimostrazione uno stromento.... Poichè i sensi
non possono arrestare la nostra disputa, essendo pieni essi medesimi di
incertezza, occorre che ciò faccia la ragione; ma nessuna ragiono si stabilirà
senza ragione, ο così via via all’ infinito ». Ai nostri giorni, se è possibile
lo scetticismo come tendenza dello spirito, non è più possibile come dottrina,
essendo dimostrata In possibilità della scienza a malgrado della relatività
della conoscenza, anzi in grazia di questa relatività stessa, poichò la scienza
è del relativo non delP assoluto.
Soetticiemo oritico fu detto quello contenuto nella critica della ragion
pura, o anche sostticiemo trasoendontale perchè trnpassava i limiti della pura
esperienza esterna; e scetticismo mistico quello di chi nega alla ragione ogni
possibilità di conoscere il vero, riponendola invece nella fede, nella
rivelazione sovrannaturale. Occorre però distinguere lo scetticismo dal
misticismo © dalla sofistica : tutti tre sono sistemi negativi rispetto alla
conosconza, ma mentro il primo tiene la ragione incapace della verità, il terzo
afferma la ragione indifferente alla verità, ο il socondo nega alla ragiono il
potere di raggiungere la verità suprema, trasferendo tale potere nel sentimento
ο nella fede. Cfr. R. Richter, Der Skeptiziemus in d. Phil., 1904; C. Stumpf,
Vom eblischen Skept., 1909; Credaro, Lo scetticismo degli accademici, 1889 (v.
dommatismo, dubbio, pirronismo, tropi, relatività, sokepsi, scienza, setetica).
Schema, Schematico (σχῆμα figura). T. Schema; I. Schema; F. Schöme. Per Kant
gli schemi sono quelle rappresentazioni o concetti che servono da intermedi fra
le 1019
Scu dodici categorie che non possono applicarsi direttamente ai sensibili
e i sensibili stessi. Gli schemi, forme pure del tempo e perciò di natura sensibile,
sono tuttavia omogenei alle categorio. Ed è appunto dalle categorie e dagli
schemi corrispondenti che derivano quei principî dell’ intelletto puro, coi
quali noi intellettualizziamo le intuizioni empiriche, traendone le cognizioni. Alcuni psicologi chiamano schemi fantastici,
distinguendoli dai concetti, quelle imagini, assai povere di contenuto, le
quali contengono solamente le parti identiche di moltissime altre (ad es.
l’imagine di casa, di albero, ecc.). La loro formazione è spiegata comunemente
col fatto che gli elementi comuni, fissati dalla ripetizione e fusi in uno, si
mantengono intensi e vivi, mentre gli elementi diversi a poco a poco se ne
staccano ο scompaiono. Si dicono
schematiche quelle rappresentazioni non identiche alle effettive, ma che hanno
soltanto con esse maggiore o minore somiglianza, in quanto ne raccolgono i
tratti caratteristici. Servono a scopo diduttico, poichò giovano a mettere
sott’ occhio l'essenziale di una cosa, lasciando da parte l'accessorio, che può
nuocere alla chiarezza di quello che si deve specialmente considerare e
ritenere. Oltre la figura schematica propriamente detta, si ha la figura
simbolica, che ne differisce in quanto casa rappresenta l’oggetto con un segno
che può differire anche totalmente, e che ha solo un valore convenzionale (ad
es. la bandiera con oui si rappresenta la patria). Una terza specie di
rappresentazione schematica è In simbolico-ipotetica, nella quale il simbolo
rappresenta una cosa che non si è certi che sia in realtà, ma solo si suppone.
Così, ad es. il chimico rappresenta gli atomi, che non ha mai veduto, mediante
un piccolo cubo, e, disegnandoli variamente disposti, rappresenta la molecola
secondo la specio degli atomi componenti e secondo il numero loro per ogni
specie. Cfr. Kant,
Krit. d. reinen Fern., od. Kehrbach, p. 142-149; A. Riehl, Die philos. Kriticiemus, 1887, II, 11, p. 61; Ardigò,
Scr 1020
La wiensa dell’ educazione, 1893, p. 151 segg. (v. simbolo,
categorumeni, conoetto, dissociazione). Lo SCHEMATISMO è la dottrina del
criticismo dell’uso dell’imaginazione truscendentale como intermedia tra la
sensibilità e l’intendimento. Il critiismo distingue i giudizi della percezione,
Wahrnemungeurteile, in cui non viene espresso che il rapporto spaziale o
temporale delle sensazioni per la coscienza individuale, ο i giudizi dell
esperienza, erfahrungeurteile, in cui un simile rapporto viene affermato come
obbiettivamento valido, come dato nell'oggetto stesso. La differenza tra lo due
specie di giudizio è provata dal fatto, che nei secondi il rapporto spaziale o
temporale è regolato per mezzo d’una categoria, ciod d’un nesso concettuale,
mentre nei primi manca. Ed è così che, di fronte al meccanismo della
rappresentazione, in cui le singole sensazioni si riuniscono o si separano a piacero,
il pensiero oggettivo, valido ugualmente per tutti, è legato con nessi
doterminati e concettualmente regolati. Questo vale specialmente per i rapporti
temporali. Tutti i fenomeni si trovano infatti sotto la forma del senso
interno, del tempo, in quanto anche i fenomeni del senso esterno appartengono
all’interno come determinazioni dell'animo nostro (Bestimmungen unsere Gemüle).
Perciò Kant dimostra che tra le forme dell’ intuizione del tempo e le categorie
c’ à uno schematismo, che solo rendo possibile di applicare le forme
dell’intelletto ni prodotti dell’intuizione, © che consiste nel fatto che ogni
categoria ha una somiglianza schematica con ogni forma particolare del rapporto
temporale. Nella conoscenza empirica noi ci serviamo di questo schematismo per
significare il rapporto temporale percepito medianto la corrispondente
categoria. Invece la filosofia trascendentale deve cercare la giustificazione
di questo procedimento nel fatto, che la categoria come regola dell'intelletto
fonda obbiettivamente il corrispondente rapvorto temporale come oggetto dell’
esperienza. Cfr. Kant, 1021 Scr-Ser
Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 142 segg.; W. Jerusalem, Die
Urteilsfunction, 1895, p. 170 (v. eriticiemo, intuizione). Schepsi (σχέφις =
dubbio, indagine). O anche scepsi. Designa in generale il dubbio degli
scettici. Più propriamente, secondo lo Zeller, è la neutralità fra le opposte
dottrine, ritenendo di entrambe quello che hanno di comune tanto nel principio
quanto nel termine, cioè l’ astratta individualità che vuol riposare in sò
stessa. L’ Herbart chiama schepsi la riflessione dubitativa che deve servire di
preparazione alla filosofia, e la distingue in sohepsi inferiore, che pone in
dubbio la natura delle cose, e schepsi superiore, che ne pone in dubbio anche
il dato; colla prima ci persuadiamo che difficilmente possiamo riuscire coi
nostri sensi et formarei una esatta nozione di ciò che sono le cose, colla
seconda ci persuadiamo che le forme dell’ esperienza sono date realmente, ma ci
somministrano delle idee contradditorie. Cfr. Herbart, Einleitung in die
Philorophie, 1813; Schwegler, Geschichte d. Phil., ed. Reclam, p. 386-7 (v.
dommatismo, dubbio, tropi, scetticismo). Sciamanismo, T. Schamanismus; I.
Shamaniem ; F. Chamanisme, Setta religiosa © sacerdotalo della Siberia, ai cui
misteri religiosi non si è iniziati che dopo un lungo e strano noviziato, sotto
la direzione di speciali ancerdoti (shamans). Siccome codesta religione
consiste ersenzialmente nel culto degli spiriti, così tutte le religioni
animistiche furono classificato sotto la categoria dello sciamanismo. Cfr.
Tylor, Primitive culture, 1877 (v. animismo). Scienza. T. Wissenschaft; I.
Science; F. Science. Nel suo senso generale equivale a conoscenza; in un senso
più riStretto è un insieme o l’insieme delle conoscenze logicamento coordinate.
Cr. Wolff lo definisco habitum anserta demostrandi, hoo est, ex principiis
certis et immotis per legitimam conaequentiam inferendi. Per Kant « dicesi
scienza ogni dottriua che costituison un sistema, cioò una totalità di
coScr 1022 noscenzo ordinate in base a principi ». Per
lo Spencer è «la conoscenza parzialmente unificata >. Fu definita dal
Naville come lo stato del pensiero che possiede la verità; ha per condizione il
dubbio filosofico, ossia lo spirito di esame. La scienza infatti non può essere
nò uno stato del sentimento nè uno stato della volontà; e perchè il pensiero
progredisca nel possesso della verità, è necessario che non s' accontenti delle
apparenze ma le sottometta ad essine, cioè le interpreti con la ragione; che
ogni affermazione di fatti sin sottomessa alla critica, 6 che lo dottrine
ammesso siano abbandonate quando non forniscono più una esplicazione dei dati
dell’ esperienza. Essa ha due scopi: uno teorico e speculativo, cio la
conquista e il possesso della verità, uno pratico e utilitario, ossia le infinite
sue appli-cazioni alla industria. Aristotelo fu il primo ad occuparsi della
natura della scienza, determinandone con grande chiarezza il metodo, l'essenza
e 1’ oggetto. Secondo il filosofo greco, il primo carattere della scienza è il
suo differire dalla semplico esperienza: questa è fondata sulla sensazione,
l’imaginazione © In memoria, non conosce che il particolare, non coglie la
causa e In prova dei fatti; quella ha un carattere generale, impresso dall’
intelletto attivo agli elomenti forniti dalla sensazione all’ intelletto
passivo, per cui la scienza fornisce la prova di ciò che avanza. La prova si fa
per merzo della dimostrazione, cioè modiante il ragionamento di cui la forma è
il sillogismo. Oltre i principi generali, forniti dall’ intelletto attivo, e
dai quali ogni scienza particolare deduce le conreguenze, vi sono dei principî
che dominano tutte le scienze ο i principi di tutto le scienze: sono gli
assiomi, o verità evidenti, il più importante dei quali è il principio di
contraddizione. Oltro ad aver determinato la natura della scienza, Aristotele
fu pure ricercatore ed osservatore meraviglioso: ma sia per il fondamento
puramente deduttivo dato alla riceren wrientifien, sin por altre cause di
varia 1023 Set natura, nd l’antichità greca e latina, nd
l'età di mezzo ebbero vera e propria scienza. Soltanto nel rinascimento, caduto
il principio di autorità, sostituiti, nello studio della natura,
l'osservazione, 1’ esperimento ο l’ induzione ai metodi deduttivi ο
aprioristici, il sapere scientifico potd costituirsi e progredire. Nello
sviluppo del metodo delle scienze naturali conversero allora le due direzioni
dell’ ompirismo e della teoria matematica; Bacone pose il programma della
filosofia dell'esperienza, Descartes abbracciò il movimento scientifico del sto
tempo in una nuova fondazione del razionaliemo, riempiendo il sistema
concettuale scolastico col ricco contenuto delle scoperte di Galileo. Bacone
insegna come la mera experientia, la sola scientificamente utile, debba essere
depurata dalle aggiunte erronee ond’è inquinata, come l’induzione sia il solo
modo esatto dell’ elaborazione dei fatti e col suo aiuto si debba procedere
agli assiomi generali, per potere con questi spiegare deduttivamente altri
fenomeni. Leonardo intravede che il vero ufficio delP induzione naturalistica
consiste nel trovare quel rapporto matematico, che è costante in tutta la serie
dei fenomeni di determinata misura; Keplero scopre, mediante una grandiorn
intuizione, le leggi del movimento dei pianeti, cho confermano nella
convinzione dell’ ordine matematico delVP universo; Galileo, con intuito
metodico assai più profondo di Bacone, crea la meccanica, quale teoria
matematica del movimento, investigando col metodo rieolutiro i processi più
semplici matematicamente determinabili, ο dimostrando nel metodo compositivo
che la teoria matomatica, col presupposto degli elementi semplici del
movimento, porta agli stessi risultati che presenta l’esperienza. Cartesio,
partendo dalla convinzione che Ja coscienza razionalo è la matematica, aggiunge
ai pensieri metodici di Bacone ο di Galileo questo postulato: cho il metodo
indnttivo © risolutivo debba condurre ad un unico principio di anproma ed
assolnta certezza, partendo dal quale tutta PexpeScr 1024
rienza trovi, grazie al metodo compositivo, la sua perfetta spiegazione.
Il cogito ergo sum di Cartesio ha infatti non tanto il significato di
esperienza, quanto quello di prima fondamentale verità di ragiono, la cni
evidenza è quella di una immediata certezza intuitiva; il metodo analitico
cerca qui, come in Galileo, gli elementi semplici, intelligibili per sò stessi,
coi quali tutto il resto deve esser spiegato, ma invece di trovarli nelle forme
semplici del movimento, li scopre nelle verità elementari della coscienza. Per
Kant la scienza della natura ha bisogno, oltre alla sua base matematica, d’ un
certo numero di principi universali intorno al nesso dello cose, i quali sono
di natura sintetica ο perciò non possono fondarsi sull’ esperienze, anche so
per via di questa arrivano alla coscienza; in altre parole, anche per Kant il
cémpito della scienza natarale è la riduzione galileiana dell’ elemento
qualitativo al quantitativo, in cui solo può trovarsi necessità ο validità
universale su base matematica, ma questa rappresentazione matematica della
natura è per Kant fenomeno essa pure. perchè spazio © tempo, se hanno realtà
empirica, hauno idealità trascendentale. La natura, infatti, non è un puro
aggregato di forme spaziali e temporali, ma un nesso che noi intuiamo
sensibilmente, è vero, ma che nello stesso tempo pensiamo mediante concetti; se
la natura, come oggetto della nostra conoscenza, fosso un nesso reale delle
cose indipendente dalle nostre funzioni razionali, se essa stessa prescrivesse
le eue leggi al nostro intelletto, noi non ne avremmo che una conoscenza
empirica, insufficiente ; possiamo avero invece una conoscenza universale ©
necessaria, in quanto le nostre forme concettuali della sintesi doterminano la
natura stessa, in quanto cioè è il nostro intelletto che prescrive ad ossa lo
suo leggi. Ma questa è la natura solo in quanto essa appare al nostro pensiero.
quindi una conoscenza a priori della natura è possibile solo so anche il nesso,
che noi pensiamo fra le intuizioni, 1025 Sor sia nd più nd meno che il nostro modo di
pensare la natara: anche i rapporti concettuali, in cui la natura è oggetto
della nostra conoscenza, nom possono essere che fenomeni. I concetti
riassuntivi del pensiero contemporaneo, risultato della critica kantiana,
intorno alla natura, ai limiti, all'oggetto ο al valore della scienza, possono
ridursi a tre: 1° la scienza umana riguarda soltanto i fenomeni, vale a dire il
campo del sensibile; ciò è la conseguenza della negazione della possibilità di
una conoscenza a priori trascendente l’esperienza; 2° la scienza non è una
trascrizione della realtà ma una costruzione ideale, astratta, e il suo valore
consisto nell’ essere i suoi astratti generali una trasformazione dei concreti
sensibili, dei fatti reali, per cui il mondo del senso si trasforma nel mondo
del pensiero, il particolare nell’ univorsalo; 3° il valore della scienza, © la
sua certezza, consistono appunto nell’ essere lo sue astrazioni costituite
dagli elementi dell’ esperienza sensibile, nei quali possono essere risolti e
dai quali traggono la loro verità,
Dicesi dottrina della scienza media, la dottrina con la quale il
Molinos, e i Gesuiti in generale, tentano conciliare la libertà del volere
umano con la provvidenza e la prescienza divina. Dio non conosce soltanto ciò
che è semplicemente possibile e ciò che avviene attualmente, ma conosce anche
ciò che è condizionatamente possibile, vale a dire ciò che sta fra la pura
possibilità e l'attualità: la prima è in Dio semplice intelligenza, la seconda
è visione, la terza è scienza media o condizionata. Le azioni umane sono di
questa terza specie, cioè condizionatamente possibili: tuttavia sono libere, ο
Dio, che le ha prevedute, predispone anche la grazia che spetta a ciascuna di
ease. Con l’espressione Wissenschaftslehre,
dottrina della scienza, il Fichte indicò il proprio sistema, in quanto esso è
costruito sopra una riflessione avente per oggetto le fasi immanenti di
sviluppo del sapere: « La dottrina della scienza dev’ essere una storia
pragmatica dello spirito umano ». 65
RanzoLI, Dirion. di scienze Alosoficha. Sco 1026
L’ espressione è poi rimasta nel linguaggio filosofico, ma con diverso
significato : con essa infatti si designa oggi ciò che dicesi anche
episfemologia, ossia lo studio dei principi comuni delle scienze, dei loro
oggetti e dei loro metodi. Cfr. Aristotele, Anal. post., I, 3, Τ1 a, 21; Id., Met., I, 9812, 5; Cr. Wolff, Logica, 1732, Disc. prael. $
30; Kant, Me taph. Anfangegrinde
d. Naturwissensohaft, 1786; H. Cohen, Kante Theorie à. Erfahrung, 1871; E.
Naville, Nouvelle class. des soienoes, 33 ed. 1901 ; Pearson, Grammar of science,
33 ed. 1899; L. Favre, L'organisation de la science, 1900 ; Poincaré, La valeur
de la science, 1908; C. Frenzel, Ueber die Grudlagon d. exaoten
Naturwissenschaften, ; F. De Sarlo, Le modificazioni nella conossione della
scienza, « Cultura filosofica », maggio 1907 (v. dommatiemo, economica teoria,
empiriocriticismo, ipotesi, legge, filosofia, metafisica, classificazione dello
scienze). Boolastion. T. Scholastik; I. Soholastio; F. Soolastique. Il secondo
dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia medievale, e va dall’ 800
al 1400; il primo è rappresentato dalla Patristica, Questo secondo periodo, che
#’ inizia con Scoto Erigena, distinguesi nettamente dal primo, poichè mentre i
Patres eoolesiae movevano direttamente dalla rivelazione, i dootores della
Scuola prendon le mosse dal domms, vale a dire dalla rivelazione già elaborata;
mentre i primi avevano rivolto ogni loro studio nel formulare un domma solo, i
secondi mirano a organizzare l’insieme dei dommi; mentre la Patristica si
svolse massimamente tra i popoli dell’ Oriente, la Scolastica si svolse tra i
popoli dell’ Oceidente, ed ebbe per centro Parigi. Però così l'una come l’
altra dottrina s'accordano in un punto: nel prendere cioè le mosse da una
proposizione imposta e accettata como verità assoluta, Rispetto alla filosofia
dei Santi Padri quella della Scuola rappresenta, secondo alcuni, un regresso.
in quanto è ancora più schiava della religione, e fa nm parte ancora minore
alla ragione e alla scienza. Secondo
1027 Sco altri rappresenta invece
un progresso, in quanto comincia col porre una distinzione tra il domma, o
l'oggetto, e il sapere soggettivo ο il ragionamento, ο quindi tra il credere e
l’intendere: da ciò lo sdoppiamento dell’ unica verità in verità di fede e
verità di ragione, le quali, dopo essere procedute d’accordo per un certo
tempo, daranno poi luogo alla lotta che finirà con la vittoria definitiva della
ragione. La Scolastica si divide in tre periodi: il _ primo va da Scoto Erigena
a S. Anselmo di Aosta, od è caratterizzato dalla prevalenza data alla ragione
sulla fede; nel secondo, che va da S. Anselmo a Duns Scoto, è dato invece il
primato alla fede sulla ragione; il terzo va da Duns Scoto a Occam, e
rappresenta la dissoluzione della Scolastica, Più fiorente di tutti è il
secondo periodo, in cui endono le controversie tra realisti e nominalisti ed ha
per massimo rappresentante S. Tommaso d’Aquino. Cfr. Karl Werner, Die Scholastik
d. apat. Mittelalters, 1881; A. Stökl, Geschichte d. Phil. d. Mittelalters,
1864-66; B. Hauréan, Histoire de la phil, scolastique, 1872; De Wulf, Histoire
de la phil. médiévale, 4* ed. 1912. Bootismo.
T. Scotiemue; I. Scotism; F. Scotieme. Il sistema e la scuola filosofica di
Giovanni Duns Scoto; si oppone al tomismo, sistema 9 scuola di Β. Tommaso. Lo
scotismo è caratterizzato dalla tendenza a separare profondamente la teologia,
disciplina pratica, dalla filosofia, pura teoria; a porre il principio d’
individuazione non già nella materia, come Β. Tommaso e Aristotele, ma nella
forma, in quanto afferma esistere in ogni essere, distinti I’ uno dall’altro
non solo virtualmente ma formalmente, il carattero generale, lo specifico e
l’individuale, ossia ciò che lo Scoto chiama haeoceitas © che fa essere un
individuo quel tale e determinato essere. Ma ciò che distingue ancora più
profondamente lo scotismo dal tomismo è il suo indeterminismo volontaristico,
che 8’ oppone al determismo intellettualistico di 8. Tommaso, Secondo quest’
ultimo l’intelletto Sco 1028 è quello che comprende ciò che è bene, e
siccome la volontà ‘ tende necessariamente al bene, così la volontà dipende
dal1 intelletto ; invece per lo Scoto la volontà, essendo la forza fondamentale
dell'anima, non subisce la costrizione dell’intelletto, bensì determina essa lo
sviluppo delle attività intellettive, intervenendo a rendere chiare ed intense
quelle tra le rappresentazioni alle quali essa rivolge la sua attenzione: la
volontà, non l'intelletto, è sempre rivolta al bene come tale, e solo cémpito
dell’ intelletto è dimostrare dove il bene sin nel caso singolo. Cfr. W. Kahl,
Die Lekre rom Primat des Willene bei Augustinus, Dune Sootus und Descartes,
1886; H. Siebeck, Die Willenslehre bei Dune Scotus und seinen Nachfolgern, in «
Zeitschr. £. Philos. u. philos. Krit. », volume 112, p. 179 segg. (v.
indiriduazione, intollettualiemo, rolontariemo). Scotomi. Specie di
allucinazione delle vista, per cui gli oggetti appsiono di color nero ο si
vedono macchie nerastro immobili; è dovute all’alterasione di una parte più o
meno estesa della retina, In altri casi, per alterazioni centrali, si ha il
cosidetto scotoma scintillante (blindheadache degli inglesi); l’individno crede
di vedere una specie di atmosfera in movimento circoscritta da lineo speszate ©
colorate, oppure una pioggia di scintille o figure simili a ruote infuocate, ο
più spesso linee luminose a zig-zag, come oro splendonte e stendentesi a poco a
poco alla linea mediana, che di rado oltrepassano. Cfr. Wundt, Grundsüge d.
physiol, Peyohol., 1902, vol. II (v. illusione). Scozsismo. T. Soottischo Philosophie;
I. Scottish Philoaophy; F. Philosophie écossaise. O filosofia scossese, 0
ancora filosofia del senso comune; scuola fondata nel settecento da Tommaso
Reid, e continuata dal Ferguson, Dugal Steward, Tommaso Browe e William
Hamilton (1788-1856). I concetti
fondamentali di questa scuola si possono riassumere così: gli oggetti esterni
ci sono dati da un suggerimento immediato sn cui si fonda la nostra certessa;
codesto suggeri 1029 Scu-Sec mento è il
senso comune, i cui principi sono accettati naturalmente e spontaneamente da
tutti gli uomini; la filosofia e la scienza debbono procedere con metodo
sperimentale, ο la prima si costituisce stadiando con l’introspezione le cause
e le leggi dei fatti interni. Cfr. Mac Cosh, The soottish philosophy, 1875; E.
Grimm, Zur Gesch. des Erkenntnisproblem von Bacon su Hume, 1890; G. L. Arrighi,
L'equiroco fondamentale della filosofia scozsese, « Cultura filosofica »,
maggio 1913 (v. peroasionismo, concezioniemo). Scuola (la). Talora si designa
con questo nome la filosofica scolastica, che viene anche indicata con l’
espressione filosofia della souola. Secondarie (qualità). T. Secunddren Qualitäten; I.
Secundary qualities ; F. Qualités seoundaires. Le qualità primarie dei corpi sono quelle senza le
quali i corpi non possono concepirsi, come la figura, la estensione, la
resistenza. Le secondarie sono quelle che si possono sopprimere, senza
sopprimere nello stesso tempo la nozione dei corpi, come il sapore, 1’ odore,
il colore. Secondo il Locke, le qualità primarie appartengono ai corpi in sò, ©
di esse le nostre sensazioni costituiscono le copie fedeli; le secondarie sono
invece relative, sono copie senza originali, poichè nei corpi nulla v'è di
simile. Si dicono secondarie immediate se si riferiscono a noi, e tali sono
tutte le qualità senbibili; secondarie mediate se si riferiscono tra loro, e
tali sono le forze, ciod le relazioni che intercedono tra le qualità di un
corpo e quelle di un altro. La distinzione fra le qualità primarie ο realmente
esistenti e le secondarie o relative risale agli atomisti greci. Hamilton pose
come intermediarie fra le qualità primarie e le secondarie un nuovo gruppo di
qualità, ch’ egli denominò secondo-primarie; esse sono costituite dalle
proprietà meccaniche delle cose, come la massa © la resistenza, e vengono
conosciute sia immediatamente, come oggetti di percezione, sin mediatamente
come cause di sensazioni. Cfr. Locke, Essay, 1879, IT, cap. 8, 48, 9, 10; Βκο-θκα 1030
Hamilton, Dissertations on Reid, 1863, vol. II, p. 845 seg. (v. qualità). Secundum quid. Termine
degli scolastici, con cui designavano il senso particolare o il particolare
rispetto secondo il quale un vocabolo è preso. La cosa considerata sotto un
rispetto particolare rimane limitata e ristretta, quindi ciò che convieno a
questa in quanto è così ristretta non conviene sempre alla cosa presa
semplicemento ; molti sofiemi si fondano infatti su questo cangiamento di
senso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 1740. Segmentale (ieoria). La dottrina
fondata nel 1827 da Moquin Tandon e Dugèt, secondo la quale gli animali
risultano da una serie di aggregati morfologici complessi. zoomiti 0 metameri,
ciascuno dei quali rappresenta e ripete in compendio l’organizzazione dell’
animale a cui appartiene. Essa ha assunto oggi importanza anche psicologica.
per il fatto che si cerca di spiegare con essa i fenomeni di disgregazione
della personalità, di sdoppiamento della coscienza, d’ipnosi sperimentale,
nonchè i rapporti che normalmente interoedono in ogni individuo tra io
sabeosciente ο subliminale © io cosciente o supraliminale. La dottrina
segmontalo ha le sue basi nell’ anatomia ο nell’ombriologia: il sistema osseo ©
muscolare, il sistema nerveo © la cute dei vertebrati, presentano nei primi
stadi di sviluppo ο in tutta la vita, in alcune parti o in tutto l'organismo,
una divisione più o meno manifesta in segmenté simili disposti in serio
lineare, Salendo In scala animale I’ unificazione dei vari segmenti, operata
specialmente dal sistema nervoso, si va facondo sempre maggiore fino a
raggiungere il suo massimo nell’uomo; ma anche in esso la centralizzazione dei
segmenti da cni originariamente deriva l’encefalo, se quasi completa dal punto
di vista anatomico, è imperfettissima dal punto di vista fisiologico, come è
mostrato dalla moderna dottrina delle localizzazioni cerebrali. Questa
incompleta coordinazione funzionale dei
1031 Ska segmenti che concorrono
a formare la personalità unitaria, si rivela psicologicamente nei fenomeni
sopra ricordati, e nelle incoerenze e irregolarità di condotta e di carattere
proprie specialmente della prima gioventù, quando l’attività funzionale dell’
encefalo è ancora incompleta. Cfr. Max Dessoir, Das doppelt-Ich, 1896; Boris
Sidis, Studios in montal dissociation, 1902; Luciani, Fisiologia dell’uomo,
1913, vol. IV. Segni locali. T. Lokalzeichen ; I. Local sign; F. Signes locaux.
Lu dottrina con cui prima il Lotze, poi il Wundt cercarono di spiegare la
localizzazione della sensazione v della percezione. Ogni percezione 0
sensazione è riferita a una certa parto del corpo, se tattile o interna, e a
una certa parte del campo visuale se visiva. Perchè ciò avvenga, bisogna che
ogni punto della pelle ο della retina abbia un carattere proprio, e si
distingua qualitativamente da ogni altro punto. Ora, codesto carattere
speciale, che dà alla sensazione il posto particolare e determinato che
l’eccitazione viene a colpire, è quello che il Lotze chiama segno locale della
sensazione. Esso non è altro che una sensazione secondaria, che accompagna la
sensazione principale, e che varia col variare del punto toccato dalla
eccitazione. In quanto al tatto, i segni locali sarebbero determinati, secondo
il Lotze, dalla differenza di spessore © di tensione della pelle; per la vista
consisterebbero nelle impulsioni motrici che variano secondo ogni punto, e che
tendono a volgere l’occhio in modo che la eccitazione luminosa cada sulla fossa
centrale. Cfr. Lotze, Mikrokormus, 1884, I, 332segg.; Id., Medicinische
Psychologie, 1852, p. 296 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 1886, p. 539 segg.;
Wundt, Grundriss &. Peyoh., 1896, p. 129 segg. (v. atlante). Segregazione (teoria della). La teoria che
Maurizio Wagner voleva sostituire a quella della selezione naturale, da lui
ritenuta insufficiente a spiegare I’ origine delle forme organiche. Quando un
gruppo di individui, che offrono fra loro certe particolari analogie
fisiologiche ο morfologiche, SEL
1032 emigra dalla madre patria in
altri pnesi, si forma da ουdesto gruppo una nuova specie con un processo di
segregazione ο di isolamento naturale; ciò per le diverse coudizioni di vita ο
per la necessità di riprodursi mediante unioni che sccentuano sempre più quelle
date particolarità. Più che una teoria a sè, i biologi considerano questa del
Wagnor come una integrazione della teoria darwiniana della selezione naturale. Cfr. M. Wagner, Die Entstehung
d. Arlen durch räumlichen Sonderung, 1889 (v. atlante). Selezione. T. Auswahl, Selektion ; I. Seleotion; F.
Sélection. Significa in generale scelta, in particolare il processo onde, nella
lotta per 1) esistenza che gli organismi devono sostenere per la sproporzione
completa fra il loro acerescimento e la misura del mezzo di nutrizione
disponibile, sopravvivono quelli la cui variazione è rispetto ad essi
favorevole, cioè conforme allo scopo. La selesione artificiale è la scelta con
la quale gli agricoltori e gli allevatori perfezionano le razze vegetali e
animali. Essa si fonda su due proprietà fondamentali degli organismi, la
variabilità ο l'ereditarietà : fra gli individui di una specie alcuni
presentano più degli altri la prevalenza di dati caratteri ; sciogliendo per la
riproduzione soltanto questi individui, dopo un certo numero di generazioni, in
base alla eredità che accumula € trasmette, si avranno prodotti in oni tali
caratteri sono al massimo grado spiccati. Accanto alla artificiale, Darwin ha
mostrato esistere anche una selezione naturale, determinata dalla « lotta per
lu vita » che rappresenta nella natura cid che nella selezione artificiale è
rappresentato dalla volontà deliberata dell’uomo: ogni organismo, sia animale
cho, vegetale, deve lottare per raggiungere le necessarie condizioni di
esistenza; in tale lotta sopravvivono e si riproducono soltanto gli individui
più adatti, cosicchè nella serie delle generazioni si hanno individui che
presentano progressivamente caratteri sempre più perfetti. Casi particolari
della solezione naturale sono: In selezione aresale. 1033
SEM determinata dalla lotta fra i concorrenti per ottenere gli animali
dell’ altro sesso; la selezione omooroma, che determina in molti animali la
stessa colorazione dell’ ambiente in cui vivono; la selezione cellulare, data
dalla lotta fra le cellule d’uno stesso individuo, per cui sopravvivono i
tessuti ο gli organi più adatti. Il Weismann distingue la eelesione personale ©
la selezione di gruppo: la prima è il sopravvivere di individui forniti di
caratteri d’ adattamento sufficienti a renderli capaci di sfaggire all’
eliminazione, la seconda il sopravvivere di gruppi animali in virtù di
adattamenti risultanti da relazioni coordinate nel gruppo stesso. Il Weismann
chiama selezione germinale il fatto che nella sostanza germinale i «
determinanti » di certi caratteri assorbono nutrimento più rapidamente di
quelli di altri caratteri e producono in tal modo discendenti più forti. Il
Baldwin chiama selezione funzionale il processo con cui gli individui, mediante
prove ripetute ed errori, giungono a compiere quei movimenti con eni possono
ottenere utili risultati. Cfr. Darwin, Origin of species, 1859; Weismann, Das
Keimplasma, eine newe Theorie der Vererbung, 1894 ; Baldwin, Developement and
evolution, 1902; Plate Ludwig, Ueber die Bedeutung des darwinischen
Belektionsprinzip, 1903; P. Jacoby, Études sur la selection, 2* ed. 1905.
Semantica o Semasiologia. T. Semantik; I. Semantice ; F. Sémantique. Detta
anche semiotica dal greco σῆμα = segno. È la dottrina del significato storico
delle parole, la ricerca sistematica delle variazioni e dello sviluppo del
senso dei vocaboli. Nella medicina semiotica ο semiologia è la scienza dei
segni ο sintomi delle malattie. Locke usò la parola semiotica in un senso più
largo, ciod quale scienza dell’uso © del significato delle parole © dei segni
in generale. Con l’espressione concezione semiotica della conoscenza si
indicano tutte le dottrine gnoseologiche, le quali non identificano la
conoscenza con la realtà, nè la considerano come un’ arbitraria costruzione
della mente, ma la rignardano come SEM
1034 un segno mentale rispetto a
ciò che è posto como indipeudente dal soggetto conoscente, segno costituito di
processi e forme logiche (concetti, giudizi) che si formano naturalmente ο in
virtà dei quali la realtà diventa intelligibile; ver tale dottrina la conoscenza
è dunque diversa da ciò cho semplicemente è, ma è connessa organicamente con la
realtà, in quanto per opera sua la realtà stessa (che è conoscenza solo
potenzialmente, civd attitudino ad essere cunosciuta) diventa di fatto
conoscenza: in altre parole la realtà, pure non assorbendosi nella nostra
rappresentazione mentale, pnd essere raggiunta solo attraverso tale
rappresentazione e deve quindi possedere certe condizioni, lo quali, trovandosi
in rapporto con la mente, dànno la conoscenza: «Il progressivo sviluppo della
conoscenza, dice il De Sarlo, è determinato dal bisogno di fissare tutto ciò
che vi ha di conforme alla ragione, o quindi di assimilabile da essa, mediante
la traduzione in rapporti razionali della realtà, presa questa nel più largo
senso... Trovare nella realtà ciò che la monte s'aspetta ed esige da essa, eoco
il eémpito della scienza nel suo divenire. Il che però non vuol dire che lu
scienza 8 misura che diviene più profonda e completa, non riconosca l’
impossibilità di risolvere la realtà nell’ intelligenza ο di cancellare ogni
differenza tra conoscenza od obbietto, tra pensiero ed essere ». Cfr. Locke,
Eway, 1877, 1. IV, cap. 21, $4; Trench, Study of words, 1888; Bréal, Essai de
sémantique, 1901; Fries, System der Logik, 1837, p. 370; Do Sarlo, 1 problemi
gnoseologioi nella filosofia contemporanea, « Cult. filosofica », novembre
1910. Semetipsismo. T. Solipsismus; F. Soliprism; F. Solipsieme. O
psicomonismo, o anche solipsismo. E 1’ esageraziono dell’ idealismo: posto che
il mondo esteriore non è altro che la rappresentazione stessa che è in noi,
posto che l’esistenza dei corpi si riduce al loro essere perecpiti, se ne
ricava la conseguenza che il soggetto pensanto non può affermare alcuna
esistenza fuori della sua 1035 SEM osistenza personale, e che anche gli
altri soggetti pensanti non esistono se non in quanto sono in lui rappresentati
ο rappresentabili. II solipsista nega quindi non la sola materialità, me anche
ogni personalità distinta dalla sua, ogni psichicità che non sia un fatto della
sua coscienza. Lo Schopenhauer cita questa formula del solipsista: Hae omnes
creaturae in totum ego sum, et praeter me one aliud non est, οἱ omnia ego
creata foci. Il Bradley espone così la posizione del solipsismo : « Io non
posso trascendero 1’ esperienza, 0 l’esperienza non può essero che la mia
esperienza. Da ciò consegue che nulla esiste al di fuori del mio io, perchè ciò
che è ospàrienza è stato del mio io >. Questa posizione è sostenuta oggi da
alcuni seguaci della filosofia dell’ immanenza, od es. dallo Schubert-Soldern,
il quale dico che guoseologicamente, non praticamente, il solipsiamo è
inconfutabile: « Per la teoria della conoscenza il mondo non è altro che ciò
cho è dato immediatamente nel complesso della coscienza
(Berusstscinezusammenkang).... È vuota pretesa quella di andar oltro.... La
coscienza è rilevabile soltanto per il contenuto; nulla è per sì, nè come cosa
nè come proprieta,... cioè come la cosa atta ad avere coscienza di altre cose
». Kant adopera il vocabolo solipsismo in senso morale, per indicare l’egoismo
pratico, 1’ amore esclusivo di sè stessi. Cfr. Schopenhauer, Parerg., 11,1,$13;
Bradley, 4ppearance and reality, 1902, p. 248 ; Schubert-Soldern, Grundlagen d.
Erkenntnistheorie, 1884, p. 64-67; Schuppe, £rkenntnistheoretische Logik, 1878,
p. 63, 69; J. Potzoldt, Dax Weltproblem vom positivistischem Standpunkt aus,
1908, p. 98; Renouvier, Les dilemmer de la métaph., 1901, p. 210; VILLA
(vedasi), L'idealiemo moderno; F. . δ. Schiller, Solipsism, « Mind », aprile
1909 (v. fenomenismo, idealismo). Semplice. Quosto vocabolo pud-csser preso in
vari siIn primo luogo è adoperato por escludere In mol-, © in questo senso
equivale ad unico; in serondo Ben
1036 luogo è preso per escludere
1’ estensione, ο in quosto senso equivale à inesteso; infine è adoprato per
escludere la materialità, ο allora equivale a incorporeo ο spirituale. Quando
si dice che l’anima è semplice, la parola è presa in tutti 9 tre questi
significati. Nella logioa diconsi tali, per opposizione ai composti, quei
giudizi i cui termini sono concetti, © che non possono quindi risolversi in altri
giudizi. Cfr. Rosmini, Psicologia, 1846, vol. I, p. 212 sogg. Sensazione. T.
Empfindung; I. Sensation; 1. Sensation. Nel suo significato preciso è il fatto
psichico elementare. © consiste nella coscienza d’ una modificazione avvenuta
nel proprio organismo in seguito ad una stimolazione interna o esterna, Perciò
è stata generalmento concepita ¢ definita come passività; così per 8. Agostino
è pasrio corporis por se ipsam non latens animam ; per Campanella passio per
quam soimus quod est, quod agit in nos, quoniam similem sibi entitatem in nobis
faoit; per Condillac l’anima « è passiva nel momento nel quale prova una
sensazione, perchè la causa che Is produce è fuori di lei». Per Hobbes invece
la sensazione è un’ imagine prodotta dalla reazione degli organi di senso
contro una impressione dall’ esterno : Sensio est ab organi sensorti conatu ad
extra qui generatur a conatu ab obiecto versus interna, eoque aliquandiu
manente per reactionem factum phantasma. Per Kant è « una percezione che si
riferisce solamente al soggetto come modificazione del suo stato ». Per il Bain
è « una impressione mentale, un sentimento ο stato cosciente, risultente
dall'azione di cose esterne su qualche parte del corpo, detta per tal ragione
sensitiva ». Per il Sergi è « un fonomeno che si produce quando la forza
psichica è provocata ad agire dalla forza esteriore della natura, in un modo
che le è proprio, con una manifestazione comune e costante ». Per il Masci «
uno stato di coscienza correlativo alla eccitazione di una fibra norvosa afferente
prodotta da uno stimolo, ad esa esterno, anlla ana torminaziono, la quale
eccitazione ai pro 1037 Sen paghi fino
ai centri sensitivi della corteccia cerebrale ». Per il Wundt è « quello stato
della nostra coscienza, che non può essere scomposto in parti più semplici »;
perciò la sensazione purs è un’astrazione, ed è indefinibile come dice anche
Mae Cosh: « la sensazione non è positivamente definibile; ciò dipende dal suo
essere una semplice qualità, © dal non esservi nulla di più semplice in cui possa
essere scomposta ». Di essa si può dire soltanto che è il primo fatto interno,
conosciuto senza intermediari, accompagnato da imagini associate che lo
localizzano, eccitato da un certo stato dei nervi ο dei centri nervosi, stato
sconosciuto e che è ordinariamente provocato in noi dall’ urto degli oggetti
esteriori. Alcune volte il vocabolo sensazione è usato per designare il fatto
psichico in generale, ο quella qualsiasi modificazione dell’ io determinata da
uno stimolo sia interno ed esterno che intercerebrale: in quest’ ultimo caso si
usa anche I’ espressione di sensazione riprodotta ο imagine. Altre volte è
preso in significato ristretto opponendolo @ percezione: in tal caso per
sensazione si designa sia il fenomeno affettivo distinto dal fenomeno
intellettuale, sia lo stato puramente soggettivo distinto dallo stato
conoscitivo, in cui ciod si ha I’ esplicito riferimento del soggetto
all'oggetto. Spesso si confondono le proprietà dell'oggetto (qualità sensibili)
con le sensazioni che appartengono al soggetto: così coi vocaboli sapore,
odore, suono si designa tanto una proprietà, più o meno conosciuta, dei corpi,
delle particelle liquide ο volatili, delle vibrazioni aeree o luminose, quanto
le specie ben note delle sensazioni che tali corpi, particelle e vibrazioni
eccitano in noi. Non bisogna confondere, se non si vnol cadere in un grossolano
materialismo, la sensazione col funzionamento dei nervi e dei centri nervosi
che ne sono la condizione: il primo è un fatto psicologico, il secondo un fatto
fisiologico, quello ci è noto immedistamente e completamente, questo è
constatato indirettamente, incompletamente, e ancor oggi assai SEN 1038
pooo conosciuto. Diconsi sensazioni interne 0 della cita organioa quelle
che ci avvertono di uno speciale mutamento dovuto alle condizioni interne dei
nostri organi, indipendentemente da stimoli esteriori (fame, sete, fatica,
nevralgia, eco.); sensazioni esterno ο periferiche ο obbiettire quelle che
provengono da un organo situato alla periferia del corpo ο riflottono un
cangiamento del mondo esteriore: sensazioni soggettice, quelle che provengono
da un organe esterno di senso ma riflettono un mutamento avvenuto nelP organo
stesso (scotomi, fosfeno, ecc.). Le sensazioni si distinguono anche in
sensoriali © sensitive: le prime sono quelle che hanno sede nel capo, in organi
speciali, connessi direttamente col cervello per mezzo di nervi afferenti di
breve decorso; le seconde quelle che mancano di apparati terminali delimitati,
ο i cui nervi conduttori si diffondono per il corpo, agli organi interni e alla
superficie esterna. Dicosi sero della sensazione il minimo di eccitazione
necessario a produrla; qualità della sensazione il contenuto della sensazione
stessa, suono, sapore, eco., deter. minato dalla struttura dei diversi organi,
e dalla qualità e intensità degli stimoli; quantità della sensazione
l’intensità della sensazione stessa, dipendente dall’ intensità degli stimoli;
tono o colorito della sensazione il grado di piacere ο di dolore che ncoompagna
la sensazione. Cfr. 8. Agostino, De quant. animo, 25; Campanella, Universalis philos.,
1638. 1, 1v, 1, 2; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. 11, $ 11;
Hobbes, Lev., I, 1; Kant, Krit. d. r. Ῥ.,
ed. Kebrbach. 278; Bain, Mental science, 1884, p. 27; Sergi, La Ροψολοῖ. phyeiol., trad, franc. 1888, p. 17; Wandt,
Grundries d. Payc.. 1896, p. 45; Μο Cosh, Exam. of S. Milde
philosophy, 1866, p. 71; Mach, Analisi delle eensazioni, trad. it. 1903, cap. I: Höflding, Psychologie, trad. franc. 1900, p.
129 segg.; Ma. sci, Psicologia; Ardigò, Opere fil., I, 200 segg. III, 76 segg.,
V, 50 segg. (v. eooitasione, elementi prichici, Sacoltà, stimolo, peichioi
fatti, ecc.). 1039 SEN Sensibile. T. Sensibel, Empfndlich; I.
Sensible; F. Sensible, Quando è opposto a intelligibile designa tutto ciò che
può divenire oggetto di percezione, vale a dire il mondo dei fenomeni; per
opposizione a ciò che è oggetto dell’ intendimento puro, ossia il mondo delle
idee e delle relazioni astratte. Gli scolastici distinguevano le speci
sensibili e le speci intelligibili; la specie sensibile era distinta a sua
volta in impressa ed espressa. Por specie impressa s’ intendeva Vimagind degli
oggetti, che si forma per l’azione da essi esercitata sui sensi © per
l’attività dei sensi stessi, cho aspirano al loro completo sviluppo; questa
prima imagine, agendo sul senso interno, dà luogo a sna volta ad una 80conda
imagine, espressa in qualche modo dalla prima e detta perciò espressa, ossia la
sensaziono. A questo punto termina 1’ officio della sensibilità ο comincia
quello dell’ intelletto : 1’ imagine sensibile è accolta infatti dall’
intelletto attivo, che la spoglia dalle sue condizioni materi ibuti fisici, e
la trasmette quindi, divenuta ormai specio intelligibile, all’ intelletto
passivo. Gli scolastici distinguevano
poi tre sorta di sensibili: i sensibili comuni, fonomeni che possono essere percepiti
con diversi sensi, come il movimento e la figura; i sensibili propri, che non
possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono, il sapore, il
colore; i sensibili per accidente, che sono sensazioni risvegliate per mezzo di
altre sensazioni. Cfr. A. Stöckl, Geschichte der Phil. des Mittelalters,
1864-66; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46, 85, 2; Id., Contra gent., I, 46;
Duns Scoto, Quaent. de rer. prine., 14, 3; Goclenio, Lex. phil., 1613, p. 1068
segg. Sensibilità. T. Empfindlichkeit, Sensibilität; I. Sensibility; F. Sensibilité,
Nel suo significato più generale designa In facoltà di sentire, ciod di
avvertire le modificazioni che avvengono nel proprio organismo. Sotto questo
rispetto è dunque sinonimo di coscienza (nel suo significato più largo) ο ad
essa pure si connettono le questioni che ne riguardano l’origine, lo sviluppo ο
l'estensione: secondo alcuni à In Sen
1040 proprietà essenziale di ogni
organismo, riconducendosi alla irritabilità per cui la materia organica è
capace di ricevere le eccitazioni e di rispondervi con una reazione; secondo
altri è una manifestazione dell’ anima o spirito; per altri ancora è una
proprietà generale dell’ essere o della materia. Altre volte per sensibilità si
intende: 1° la facoltà di provare piacere o dolore, e in questo senso equivale ad
afJettività, si oppone a intelligenza © a volontà; 2° la facoltà non solo di
sentire, ma anche di percepire, di discriminare, di distinguere; 3° l'insieme
di fenomeni complessi, che contengono elementi intellettuali, come lo tendenze,
le passioni, gli appetiti. Dicesi sensibilità generale 1’ insieme delle
sensazioni interne ο della vita organica, © sensibilità ape ciale le sensazioni
periferiche; tuttavia molte volte per sensibilità generale o cenestesi si
intende l'insieme delle sensazioni così interne come esterne. Si suol anche
distinguere la sensibilità superficiale ο cutanea dalla sensibilità profonda o
dei muscoli © tessuti interni; che queste due forme di sensibilità siano tra
loro distinte, e, in un certo grado, indipendenti, sarebbe dimostrato dal fatto
che in alcuni casi patologici la prina è completamente abolita mentre la
seconda è conservata, e da altri casi nei quali la sensibilità tattile e
dolorifica della cute permane mentre scompare quella dei tessuti profondi. Cfr.
Wundt, Grundstigo d,' physiol. Paychol., 8" ed., vol. I, p. 341; Beaunis,
Les sensations internes, 1889 (v. coscienza, senso, volontà, meccanismo,
ilosoismo, ecc.). Sensilli. Con questo nome vengono designati da alcuni
fisiologi gli organi specifici di senso, detti da altri esteti ο esteteri,
Sensismo. T. Sensualismus ; I. Sensationalism, Sonsualiem: F. Sensualieme. Non
dovrebbe mai confondersi nd col semsazionismo 0 sensazionalismo, nd col
sensualismo. È sensismo ogni indirizzo gnosoologico e filosofico che spiega
colla sola vansazione i fenomeni della intelligenza umana, ο fuori 1041
SEN della sensazione non riconosce altra fonte delle nostre conoscenze.
Il sensazionismo è una dottrina metafisica, che fa della sensazione 1’ elemento
costitutivo non solo della realtà psichica ma anche della realtà fisica; il
mondo è per esso un insieme di sensazioni, che stanno fra loro in determinati
rapporti, cosicchè non le sensazioni sono simVoli delle cose, ma al contrario
le cose sono un simbolo mentale per un complesso di sensazioni, le quali hanno
solo una stabilità relativa: i vari elementi di cui la realtà è costituita non
sono dunque gli oggetti, i corpi, le s0stanze, bensì i colori, i suoni, le
pressioni, gli spazi, le durate (Mach, Petzoldt, Avenarius). Per sensualismo 8’
intende invece, nella lingua italiana sia comune sia filosofica, ogni indirizzo
edonistico della morale, ogni dottrina che identifica il bene col piacere
sensibile. Il sensismo si oppone al nativiemo ο innatiemo, che considera alcune
idee fondamentali (ad es. di spazio, di tempo, di infinito, eco.) come
anteriori ad ogni esperienza sensibile, e al razionalismo, che considera i
principî supremi di ragione (ad es. quelli di causa, di sostanza, di identità,
di ragione sufficiente, eco.) come irreducibili all'esperienza. Il sensismo si
distingue dall’ empirismo, col quale è spesso confuso, in quanto questo fa
derivare tutte le nostre cognizioni da due sorgenti, e cioò dall’esperienza
esterna, ossia dalla sensazione, e dall’esperienza interna, ossia dalla
riflessione; e dal materialismo, che consiste nel negare l’esistenza dell’
anima come sostanza spirituale, mentre nel sensismo questa negazione non è
necessaria, Uno dei massimi rappresentanti del sensismo puro fu il Condillao,
il quale pure ammettendo l'esistenza di Dio e Vimmortalita dell’anims, fa
derivare dalla elaborazione meccanica delle sensazioni tutte le attività dello
spirito, che egli riduco a due ordini: intellettive, cioè attenzione, memoria,
giudizio, raziocinio, e affettite, cioè il desiderio, le passioni e la volontà.
Ma il sensismo è dottrina molto antica ο risale alla stessa origine della
filosofia. Tutti i filosofi greci del pe66
RanzoLI, Dizion. di sotenze filosofiche, SEN 1042
riodo cosmologico sono sensisti. Malgrado la differenza da essi posta
tra l’esperienza sensibile e la riflessione, tra la verità © l’opinione (δόξα),
non ammettono che una sola porta dalla quale il sapere penetra nell’ uomo: la
porta dei sensi: « Eraclito non sa indicaroi, dice Windelband, una differenza
psicologica tra percepire e pensare, così recisamente in antitesi nei loro valori
gnoseologici ; e tanto meno Parmenide... Ancor più esplicitamente, Empedocle
dichiara che pensare 9 percepire sono la stessa cosa; che il cambiamento del
pensiero è dipendente da quello del corpo; e considera la miscela del sangue
come quella, che determina la capacità intellettuale dell’uomo. Entrambi non
esitarono a render più evidente questa concezione mediante ipotesi
fisiologiche. Parmenide, nella sua tisica ipotetica, insegnò che l’uguale vien
percepito da per tutto mediante l’uguale, ed Empedocle sviluppò il pensiero che
ogni elemento nel nostro corpo percepisce 1’ elemento uguale nel mondo
esteriore... Questi razionalisti metafisici rappresentano tutti, nella loro
psicologia, un grossolano senewaliemo ». In seguito il sensismo ricompare con
Protagora, per il quale l’anima non è nalla fuorchè sensazione; con gli Stoici,
che considerano la coscienza come una tabula rasa che il senso riempie dei suoi
caratteri; con gli Epicurei, che fanno originare la conoscenza unicamente dalle
sensazioni; con Campanella, per il quale omnes seneus simul causant totius rei
cognitionem ; con Bacone, Hobbes, Montaigne, che sostengono pure l’origine
sensibile d’ ogni stato ο fatto della 00scienza. « La sensazione è il principio
della conoscenza, dice Hobbes, e ogni specie di sapere ne deriva. La sensane
stessa non è altra cosa che un movimento ‘di certe parti che esistono
all’interno dell’ essere senziente, © queste parti sono quelle degli organi col
cui aiuto noi sentiamo. La memoria consiste nel sentire ciò che si è sentito.
Quanto alla imaginasione, essa è la sensazione continuata, Sevolita ». Nel
pensiero contemporaneo il sensismo
1043 SEN ha un geniale
rappresentante in Roberto Ardigò, che alla sensazione riconduce così le
formazioni psicologiche come i ritmi logici © le idealità morali. Cfr.
Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 79-81, 112, 257
sogg.; Campanella, Univ. phil., 1638, I, 194; Bacone, Nov. Org., 1, 41; Hobbes,
Human καὶ., cap. X, $ 3; Locke, Essay, 1858, II, osp. I, $ 2 segg.; Condillac,
Extrait raie. ed. par Lyon, 1886, p. 35-10 (v. idea, empiriooritiolemo,
esperienza, nativiemo, ragione). Sensitivo. T. Empfindlich ; I. Sensitive; F.
Soneitif. Cid che appartiene alla sensibilità generale; non va confuso con
sensoriale, che designa tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale; si
oppone spesso a motore, che è tutto ciò che riguardala fanzione centrifuga o
efferente dei nervi. Nella classificazione dei caratteri, diconsi sensitivi ο
emotivi quelli nei quali predomina la sensibilità, 1’ impressionabilità, simili
a stromenti in perpetua vibrazione; gli individui sensitivi vivono sempre
interiormente, sono portati a provare maggior dolore per una lieve contrarietà
che piacere per una gran fortuna, e sono quindi nativamente in 1 pessim sino.
Diconsi fibre sensitive, quelle fibre nervose che conducono le impressioni
dalla periferia al centro; radioi sensitive, le radici posteriori dei nervi
rachidei ; fasoio sensitiro, quel cordone hianco del midollo spinale che #’
interna nell’ encefalo superiore, e stendendosi nella corona raggiante giunge
fino alla sostanza grigia degli emisferi cerebrali. Cfr. N. R. D’Alfonso, La
dottrina dei temperamenti nell'antichità ο ci mostri giorni, 1904 (v.
cenestesi). Il SENSO è la facoltà di provare uno certa classe di sensazioni. Si
distinguò perciò dalla sensibilità, che è, in generale, la facoltà di sentire;
alcune volte però è usato in luogo di sensibilità ed opposto ad intelligenza, E
si distingue anche dalla sensazione che è il fatto particolare di cui il senso
è la facoltà. Faoultas sentiendi sive sensus, dice Wolff, est facultas
percipiendi obieota externa mutationem organis sensoriis qua talibus
induoentia, convenienter mutations in organo faotac. Più brevemente Krug lo
definisce la facoltà della rappresentazione immediata; Hegel « il più semplice
sistema della corporeità specificata »; H. Ritter « la facoltà di accogliere
degli stimoli ». Si soglion chiamare specifici i cinque sensi esterni della
vista, dell’ udito, del gusto, dell’ odorato, e del tatto. Quest’ ultimo vien
anche designato con 1’ espressione di senso generale, perchè è il più esteso
sia nell’individuo, di cui occupa tutta la superficie del corpo, sia nella
specie, nella quale appare anche nei più infimi gradini; ο con l'espressione di
senso intellettuale, perchè esso ci fornisce, associandosi al senso muscolare e
visivo, le nozioni intellettuali di figura, volume, estensione, distanza, 900.
Il senso visivo ed auditivo vengono anche detti sensi estetici, perchè le
armonie dei colori e dei suoni ci procurano i godimenti estetici più intensi 6
completi. I sensi specifici furono anche distinti in mecognici e chimici, a
seconda che lo stimolo agisce come semplice movimento, oppure si trasforma
mediante un'azione chimica; sono meccanici l’udito e il tatto, chimici la
vista, l'olfatto ο il gusto. Con l’ espressione sesto senso, alcuni psicologi
designano talvolta il senso della direzione, ο il senso vitale, o quello
muscolare, essendo ciascuno considerato come aggiunto alla classificazione
tradizionale dei cinque sensi specifici.
La parola senso si usa anche in luogo di significato, di accezione d’ un
vocabolo ο d’una proposizione, © si suol distinguere in senso assoInto, quando
è preso semplicemente, relatito quando la cosa significata si considera sotto
un rispetto particolare, collettivo quando si riferisce ad un insieme di cose o
di individui, distributivo quando si riferisce a ciascuna delle parti d’un
tutto, diviso quando si riferisce ad un dato soggetto mediante qualche sua
qualità o relazione, composto quando la qualità o relazione con cui si denomina
la cosa entra essa stessa a formare il soggetto della proposizione. Perciò 1045
SEN i logici dicono sofismi del senso diviso quelle fallacie di
ragionamento, che si fondano sopra una proposizione la quale, presa in quel
senso, è falsa, e soflsmi del senso composto quelli che si fondano sopra una
proposizione che è falsa presa in quel senso, Nel linguaggio scolastico si
distinguono tre significati dell’ affermazione: in sensu formali, quando si
assevera ciò che entra nel concetto e nella definizione del soggetto, di cui si
assevera, ad es.: la giustizia è virtà in Dio con cui punisce la colpa e premia
il merito; in sensu pure reali 0 in sensu identico οἱ materiali, se si afferma
quel predicato che è identico col soggetto, ma non è del concetto detinitivo di
esso, e non è predicato quale aggettivo di quel concetto, ad es.: la giustizia
di Dio è misericordia; in sonen denominativo, quando si affermano quelle cose
che non appartengono al concetto definitivo dell’ essenza metafisica del
soggetto, ma ne sono proprietà accidentali ο secondarie. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia
empirica, 1738, $ 67; Krug, Fundamentalphilosophie, 1818, p. 166; H. Ritter,
System d. Logik, 1856, vol. I, p.
181; Hegel, Encykl. im Grundrisse, 1870, $ 401 (v. atercognoatico,
cinestesiche). Senso comune. Gr. Κοινὴ αἴσθησις; Lat. Sensus communis; T.
Gemeineinn : I. Common sense; F. Sono commun. Si può definire come il consenso
di quasi tutti gli uomini in un insieme di credenze praticamento invincibili.
Tuttavia il valore di questa espressione varid assai nella storia della
filosofia. Secondo la dottrina aristotelica, nell’ interno dell’uomo v’ha
qualche cosa che giudica delle sensazioni, ο questo si chiama senso comune,
perchò non può giudicarne se egli da solo non sente ciò che sentono tutti gli
altri sensi; anche il senso particolare sente e giudica, ma soltanto nella
sfera delle cose sensibili che da Ini possono essere percepite, ο perciò seneus
proprius participat aliquid de virtute sensus communis. Per Cicerone il
consenso comune à il criterio della verità, in omni re consensus generis humani
pro ceritate habenda est. Avicenna definisce il senso comune come Sen 1046
quella capacità quae omnia sensu porcepta rocipit et (prope corum formas)
patitur, qua in ipea copulantur. Per il Descartes è sinonimo di buon senso e di
ragione, vale a dire di quella facoltà di ben ragionare che tutti gli uomini
posseggono, almeno virtualmente; egli lo definisce anche come potentia ®
imaginatrice cognoscere. Per il Vico invece è la stessa cosa di Provvidenza, la
cui azione, che egli fa intervenire tanto spesso nella sua Scienza nuova,
consiste « nel fare delle passioni degli uomini, tutti attenti alle loro
private utilità, per le quali viverebbero da fiere bestie dentro le solitudini,
gli ordini civili per li quali vivono in umane società». Anoor più grande è il
valore dato al senso comune da Tommaso Reid e dalla scuola scozzese. Infatti,
secondo il Reid, la nostra certezza nella realtà del mondo esteriore non ci è
data nd da un ragionamento, nd da una inferenza, nd da una abitudine, ma da un
suggerimento interno, immediato, elargito a tutti gli uomini da Dio,
suggerimento che costituisce il senso comune (common sense), innanzi alla cui
autorità debbono inchinarsi tanto il filosofo che lo soienziato. I principi
suggeriti dal senso comune, secondo gli scozzesi, sono molti, sia grammaticali
che logici, matematici, morali, metafisici; di essi non è possibile’ cercare il
fondamento logico, ma si debbono accettare tal quali; la stessa filosofia non
consiste che nello scoprirli e porli a fondamento delle nostre conoscenze. I
principi metafisici, più importanti di tutti, sono tre: 1° ogni qualità
corporea ha per sostanza un corpo, ogni penaiero uno spirito; 2° ciò che
comincia ad esistere deve avere una causa; 3° dove si mostrano segni
d'intelligenza nelle operazioni, la causa deve essere non meccanica ma
intelligente. Si comprende da ciò come per il Reid « la filosofia non ha altre
radici che i principi del senso comune; da essi germoglia, da essi trae il suo
nutrimento. Staccata da queste radici, i suoi pregi avvizziscono, i suoi succhi
si asciugano, essa muore e marcisce ». Molti altri filosofi, fra cui il
Cousin, 1047 SEN il Collard, ece., cercarono poi di far
rivivere la filosofia del senso comane. Secondo il Galluppi, l’esistenza del
senso comune è incontrastabile, ma esso non è altro che la logioa naturale,
ossia la disposizione naturale dello 8 umano a dirigere le operazioni delle
facoltà di conoscere conformemente a certe leggi costanti; ma non bisogna
perciò confondere il fatto che tntti gli uomini convengano su alcune verità,
con l’altro, che l'ammissione di tali verità non abbia altro motivo legittimo
che il consenso comune, laddove, in realtà, tale ammissione avviene per motivi
personali, perchè tutti i mezzi di conoscere ci sono personali : così ogni uomo
crede nell’ esistenza dei corpi perchè i suoi sensi particolari gliela
attestano, e crede alla propria identità personale perchè ha fidncia nella veracità
della propria memoria; di più, se vi sono delle verità generalmente ammexse,
non si può dire che tutte le proposizioni generalmente ammesse siano verità, e
tutta la storia del pensiero umano dimostra anzi che vi sono dei giudizi falsi
universalmente ricevuti. L’Ardigd nega ogni valore al senso comune, dimostrando
come esso sia un fatto di mera suggestione la quale può anche avere a
fondamento il falso -che ciascuno subisce fino dall’ infanzia dall'ambiente ove
nasce, e alla quale difticilmente uno può sottrarsi; trovando tali idee e
credenze già fatte all’età della riflessione, familiari, spontanee, consentanee
fra loro e nelle applicazioni loro ai casi particolari di ogni momento,
ciascuno le crede il naturale portato del senso comune, errando in tal modo
come chi credesse che una montagna sia stata fatta addirittura come si vede. La
storia del pensiero umano mostra infatti come le credenze tradizionali si siano
venute successivamente formando ed accumulando, e di quali errori esse siano
imbevute. Cfr. Aristotele, De an., III, 1,4258, 15; Cartesio, Mod., II; Reid,
Words ed. by Hamilton, 1863, p. 101 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e
metafisica, 1854, I, p. 222 segg.; Ardigò, Op. fil., IV, 375 segg.; F.
Harrison, The philosophy of common renne, 1907. SEN 1048
Senso fondamentale. O sentimento fondamentale, è chiamata dal Rosmini la
coscienza primitiva © perenne che l’anima ha del corpo e dei suoi organi, nello
stato in cui essi si trovano, Codesto sentimento fondamentale corporeo è
essenzialmente «no per ciascun uomo, essendo uno il principio senziente, che
con un solo atto sente contemporaneamente tutto il termine corporeo 8 sò unito;
universale, in quanto comprende tutte le parti del corpo; piacevole, come
quello che è conforme alla natura umana; immoto © infigurato, in quanto così il
moto come la figura sono relazioni esistenti solo tra le parti esterne del
corpo; uniforme, in quanto è il fondo omogeneo e indistinto sul quale spiccano
i sentimenti particolari, che seguono all’ azione degli stimoli. La vita
corporea à per I’ uomo non altro che l’incessante produzione del sentimento
fondamentale corporeo. Cfr. Rosmini, Psicologia, 1846, vol. I, p. 136 segg.,
vol. II, p. 69 segg.; Id., Nuovo saggio, 1880, sez. V, par. V, ο, III segg.
Senso intimo. Lat. Sensus intimus, interior; T. Innerer Sinn; I. Internal
senso; F. Sons intime. O sentimento intimo, in opposizione a senso esterno, è
chiamata da alcuni paicologi la coscienza, che ci dà la conoscenza immediata di
noi stessi, © di ciò che in noi stessi avviene: « Sensus intimns est perceptio
qua mens de praesenti suo stato admonetur. Dicitur etiam conscientia, quia per
sensum intimum anima praceentis affootionis, verbi gratia, doloris, sibi
consoia est ». Perd il valore di questa espressione ha variato nel linguaggio
filosofico. Così per Cartesio non v’ha un solo senso interno, ma molti: Nempe
nervi, qui ad ventrioulum, assophagum, faucee, aliasque interiores partes,
explendis naturalibus desidertis destinatus, protenduntur, faciunt unum ex
sonsibus internis, qui appelitus naturalis vocatur; nervuli vero, qui ad cor οἱ
prascordia, quamcis perezigui sint, faciunt alium sonsum internum, in quo
consistunt omnes animi commotiones. Il Locke, con la sua distinzione tra
sensazione e riflessione, dà un nuovo aspetto
1049 SEN alla teoria del senso
interno, il quale è per Ini « la conoscenza che la mente soquists delle sue
proprie operazioni », e, in quanto tale, dà origine in noi a delle
rappresentazioni determinate, cosicchè a ragione può essere chiamato senso per
analogia con quello esterno. Analogo valore dà all’ espressione G. E. Schulze,
il quale osserva che « alla coscienza degli stati interni si dà il nome di
senso, perchè noi ci sentiamo obbligati a conoscere gli oggetti di esso, cos
come a sentire gli oggetti del senso esterno ». Per il Galluppi esso consiste
tanto nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria
sull’io: esso ci dà la verità primitiva indimostrabile io penso, ciod io sono
esistente allo stato di pensiero, principio d’ evidenza immediata e perciò
mdimostrabile: « L’ evidenza immediata consiste nella percezione chiara della
convenienza o ripugnanza delle nostre idee fra di esse. Ora, il solo senso
intimo può assicurarci di questa percezione immediata, perciò tutti gli assiomi,
i quali non sono che proposizioni necessarie evidenti per sò stesse, hanno per
motivo immediato 1’ evidenza immediata, per motivo mediato ed ultimo il senso
intimo ». Cfr. Cartesio, Prino. phil., IV, 190; Locke, Ees., II, cap. 1, $ 4;
G. E. Schulze, Psychische Anthropologie, 1819, p. 114 segg.; Galluppi, Lezioni
di logioa ο metafisica, 1854, vol. I, P. 84 segg. (v. autocoscienza,
cenestesi). Senso logico. Il Romagnosi, modificando il sensismo condillachiano,
denomina così quella funzione subbiettiva per cui siamo operatori del fenomeno;
esso è distinto dall’attenzione e dal giudizio, e anteriore alla coscienza
stessa, nella quale noi siamo soltanto contemplatori del fenomeno. Al senso
logico il Romagnosi attribuisce quella doppia fanzione differenziale e
integrale, in cui lo Spencer, venuto poi, ripone il processo dell’intelligenza.
Cfr. Romagnosi, Pedute fond. sull’arto logica, § 600 segg. Senso morale. T.
Sittliches Gefühl; I. Moral sens; F. Sens moral. Questa espressione non ebbe
mai un significato BEN 1050 preciso, se non nella scuola dei moralisti
inglesi, capitanata dal terzo conte di Shaftesbury. Secondo questo filosofo il
senso morale è V insieme di quegli affetti riflessi, per mezzo di cui si
apprende il giusto e l’onesto ; esso è nativo nell’individuo, è di natura
principalmente émozionale nella sua forma spontanes, ma, poichè esso ammette
una costante educazione e uno sviluppo, l’elemento razionale ο riflessivo diviene
in esso gradualmente prominente. « Così, per mezzo di questo senso riflesso,
sorge un’ altra specie di affesioni rispetto alle vere affezioni, che sono già
state sentite, e sono ora divenute il soggetto di un nuovo aggradimento o
avversione ». L’ Hutcheson, che appartenne pure a questa scuola, esagerò la
dottrina del maestro attribuendo al senso morale non più un’ energia riflessa,
ma specifica, e togliendogli quell’ elemento attivo, il risentimento, per cui
si distingueva dal senso estetico: « Mediante un senso superiore, che io chiamo
morale, noi proviamo piacere nella contemplazione di tali azioni negli altri
(azioni buone), e siamo determinati ad amare chi le ha cumpiute (e molto più
proviamo piacere nell’ esser consapevoli d’aver compiuto noi quelle azioni)
senza alcuna mira di ulteriore naturale vantaggio da esso ». Cfr. Shaftesbury, Inguiry conc.
virtue, 1. I, parte I, $ 9; Hutcheson, Inquiry into the orig. of our ideas of
beauty and virtue, , p. 106, 124; T. Fowler, Shaftesbury and Hutcheson, 1882
(v. sentimentalismo, intellettualismo, volontarismo). Bensoriale.T. Sensorisch; I. Sensory; F. Sensoriel,
Soneitif. Tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale, ciod visiva,
tattile, olfattiva, ecc. ; si distingue da sensibile, che è ciò che appartiene
alla sensibilità generale. Il vocabolo sensorio è usato alcune volte per designare
un organo specifico di senso. Sensorium commune. O semplicemente sensorium.
Tale espressione fu già usata da Aristotele per l’organo nel quale si
riuniscono i dati di tutti gli altri sensi specifici. Più tardi fu estesa a
designare la sede non solo del 1051 SEN senso comune, ma dell'anima intera. Tale
sede, che per gli antichi era il cuore, per i moderni è il cervello, e più
precisamente la corteccia grigia del cervello. Però fra gli psicologi e
fisiologi contemporanei, alcuni, col Vulpiav, intendono per sensorium commune i
centri cerebrali della sensibilità comune, altri invece, col Mandsley, i centri
comuni della sensibilità, quali i talami ottici, i tubercoli quadrigemini, i
bulbi olfattivi, ecc. Cfr. Darwin, Expression of emotions, 1890, p. 69;
Bastian, Le cerveau drgane de la pensée; Wundt, Physiol. Psyohol., 4° ed., I,
p. 213 segg. (v. senso comune). Senso spirituale. T. Geistiger Sinn; I.
Spiritual sense: F. Sens spirituel. In generale, l’operazione con cui l’anima,
secondo alcuni filosofi, percepisce immediatamente la verità spirituale. Anche
il Rosmini usa questa espressione per indicare |’ immediata intuizione che fa
|’ intelletto della verità. Esso differisce dal senso corporeo perchè non ha,
come questo, dei termini somatici determinati e reali; ma ha un termine
spirituale e perfettamente indeterminato ; e si dice tuttavia senso, in quanto
lo spirito intuisce con esso immediatamente l’essere, allo stesso modo come
ogni altro senso riceve l'impressione del sensibile. Cfr. Rosmini, Nuovo saggio,
sez. V, p. V, ο, 111 segg.; Psicologia, 1846-48, I, p. 136 sogg., II, p. 69
segg. (v. senso intimo, autocoscienza). Sensualismo. Τ. Sensualismus; I.
Sensualiem; F. Sensualisme. Non si dovrebbe mai, imitando i francesi, usarlo in
luogo di sensismo, che è la dottrina gnoseologica che pone la sensazione come
unica fonte delle nostre conoscenze, mentre nella lingua nostra il sensualismo
designa piuttosto una tendenza pratica o una dottrina morale, che consiste nel
considerare il piacere fisico come l’unico scopo della vita, come il solo
criterio del bene e del male. Sentimentalismo. Nella filosofia morale designa
quella dottrina che attribuisce al sentimento morale la suprema efficacia
nell'attività etica dell'uomo; si oppone all’intelSEN 1052
lettualismo, che tale officio riconosce invece alla intelligenza. L’uno
e l’altro indirizzo si svolsero specialmente in Inghilterra, dalla seconda metà
del secolo diciottesimo fino alla prima del diciannovesimo, I prineipali
rappresentanti del sentimentalismo furono David Hume, Adamo Smith e David
Hartley. Nella psicologia per sontimontalismo, in opposizione a
intellettualismo e volontarismo, si intende la dottrina che considera il
sentimento come l’attività più primifiva della coscienza, dalla quale si
svolgono tutte le altre. Tale dottrina, sostenuta dal Barrat e dal} Horwiez,
sembra essere confermata dal fatto che, fino ad un periodo avanzato
dell'infanzia, l’uomo è interamente dominato dai sentimenti di piacere e di
dolore, determinati specialmente dalle sensazioni organiche. Nella filosofia
della religione il sentimentalismo è l’ indirizzo che, opponendosi al
razionalismo, fa originare la religione da una facoltà distinta, il sentimento,
collocandola così in una sfera dello spirito diversa dalla intellettuale, autonoma,
irraggiungibile ai metodi ο ai processi del pensiero rasiocinativö. Questo
indirizzo, che riappare oggi nel modernismo cattolico e nella psicologia
prammatista, ebbe già per rappresentanti il Pascal © il Rousseau, che, sia pure
con metodi e intenti diversi, sostennero la sovranità delle ragioni del cuore,
l'autonomia della fede, l’originsrietà del sentimento ο la sua indipendenza
dalla ragione; ma il vero dialettico © teologo del sentimentalismo religioso fa
lo Schleiermacher. Egli sostenne che l’idea di Dio è fuori d'ogni possibile
conoscenza, perchd efagge così alla forma del concetto come a quella del
giudizio; Dio non è dato a noi che nel sentimento, ossia nell’ immediate
autocoscienza; il sentimento è infatti una modificazione dell’ io, dovuta all’azione
di un oggetto esterno sulla nostra coscienza, ed esprime perciò una dipendenza;
la religione è appunto il sentimento della nostra assoluta dipendenza da Dio,
0, che è lo stesso, la coscienza di noi stessi come 1053
Sex essenti in rapporto con Dio. Cfr. Schleiermacher, Dialektik, 1903,
p216 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella fil. religiosa, 1912, p. 228
segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, II, p. 203 segg. (v.
fidoismo, religione, sentimento). Sentimento. T.Gefükl; I. Sentiment, Feeling;
F. Sentiment. Uno dei termini filosofici di significato più vasto e più vario.
Per lungo tempo fu sinonimo di sensazione, cosicchè il Descartes classificava
fra i sentimenti la luce, il calore, il suono, l'odore, 909. Oggi si adopera per
designare sia una tendenza, accostandolo per tal modo all’appetito e al
desiderio; sia un qualanque stato affettivo, comprendendo in esso tanto i
diversi stati semplici di piacere e di dolore, quanto le emozioni e le
passioni: sia infine una conoscenza oscura la quale tuttavia ci dà la credenza
e la certezza, In quest’ ultimo significato il dominio del sentimento viene non
solo distinto, ma anche opposto a quello dell’ intelligenza © della ragione;
ciò che questa distrugge (credenze morali e religiose) quello può ricostruire
su basi incrollabili. Ma il significato più diffuso della parola sentimento, e
il più usato nella psicologia, è quello che si riferisce si diversi stati di
piacere ο di dolore, ο agli stati misti di piacere ο di dolore, che #’acoompagnano
alle operazioni così semplici come complesse della nostra coscienza. Così il
Jodl lo definisce come « un eccitamento psichico, nel quale il valore di una
mutazione nelle condizioni dell’ organismo vivente o nello stato della
coscienza, per il vantaggio ο il danno del soggetto viene immediatamente
percepito come piacere o come dolore ». Per I’ Ebbinghaus la caratteristica dei
sentimenti sta « nel rapporto delle loro cause obbiettive col bene e col male
dell’ organigmo e della vita psichica che l’anima ; mediante i sentimenti, le
impressioni che ci orientano nel mondo esteriore ricevono una estimazione, che
è necessaria affinchè la coscienza possa impiegare convenientemente le cose
obBEN 1054 biettive nella lotta per la sua propria
conservazione ». Per il Masci « il sentimento è una eccitazione psichica, nella
quale il valore di un mutamento dello stato dell'organismo © della coscienza in
rapporto al soggetto è avvertito immediatamente come piacere o come dolore ».
Secondo tale accezione, il sentimento è un fatto che pare abbia le sue radioi
nelle stesse proprietà elementari dell'organismo, rappresentando la
specificazione ulteriore della proprietà fondamentale della sostanza vivente,
detta irritabilità o anche sensibilità protoplasmatica 0 precosciente, la quale
consiste nella reazione particolare dell’ organismo ad una eccitazione
ricevuta. Appartiene dunque alla sensibilità, ma si distingue dalla sensazione
in quanto questa viene riferita al non-io, quello invece all’io, apparendo come
uno stato assolutamente soggettivo ; fra l'uno e l’altra esiste tuttavia una
certa proporzionalità, poichè 00] crescere e diminuire delV intensità della
sensazione, cresce e diminuisce anche I’ intensità del sentimento. Questo
rapporto non è però costante, potendosi persino mutare ad un certo punto la
qualità det sentimento stesso, © cio di piacere passare in dolore: in generale,
infatti, le eccitazioni moderate determinano uno stato di piacere, mentre le
eocitazioni che sorpassano il limite di adattamento dell’ individuo sono
seguite dal dolore. Ciò rivela l’officio biologico ο protettivo del sentimento,
il quale serve all’animale come guida della sua vita, come stimolo necessario a
soddisfare adeguatamente i suoi bisogni, come indice dello stato normale o
patologico dei suoi organi. Quindi, quantunque il sentimento sia relativo allo
stimolo, alla sua durata © intensità, all'individuo ed al suo stato attuale ο
precedente, segue tuttavia attraverso la specie una costante © regolare
evoluzione, affinandosi e complicandosi col perfezionarsi ο complicarei degli
organiami. Si sogliono distinguere, sebbene non da tutti i psicologi, i
sentimenti fisici ο sensitivi dai morali ο ideali, e, tra questi ultimi, i
sentimenti superiori : i ο. sociali, che variano col 1055
SEN variare delle forme di convivenza sociale, e che si esplicano nella
società evoluta col sentimento morale, e quelli della simpatia, della
solidarietà, della beneficienza; ο. intellettuali © logici, che variano,
secondo il Wundt, a seconda che accompagnano gli atti semplici del pensiero, le
concordanze o le contraddizioni, oppure gli atti complessi, la verità,
l'errore, il dubbio, e si manifestano nel piacere della ricerca del vero, nella
gioia della verità conquistata, nelle pene angosciose del dubbio, nella
avversione all'errore: s. estetici, che sono costituiti dal piacere che desta
il bello nelle sue molteplici forme, e, secondo alcuni, precedono il giudizio
estetico, secondo altri lo seguono, secondo altri ancora αἱ presentano
contemporaneamente ad esso; il e. della natura, che sorge dalla contemplazione
del bello naturale, in quanto la natura esprime nel modo più grandioso le
armonie della vita, del movimento e della materia, e i bisogni del cuore; #.
religiosi, che variano col variare delle credenze religiose, ὁ sono esaltativi
nell’individuo compreso ed ammirato dall’onnipotense e dalla grazia divina,
depressivi quando la coscienza dell'individuo è colpita dalla paura della
collera e della vendetta divina. Quanto all'origine e alla natura del
sentimento, cui sopra accennammo, si può dire che soltanto la psicologia
contemporanea se ne sia occupata : fino a quasi tutto il secolo diciottesimo,
la psicologia fu dominata dal concetto che l'intelletto, la conoscenza, fosse
la facoltà dominante dell’uomo, e sotto di essa erano collocate le altre
facoltà considerate come inferiori © comprese sotto il nome di appetiti o
facoltà desiderative, Le dottrine della psicologia contemporanea sulla natura
del sentimento si possono ridurre a cinque: la più diffusa è quella che considera
il sentimento come una funzione psichica avente origine autonoma, al pari della
intelligenza ο del volere, dai quali è indipendente, pure avendo con essi
strettissima relazione (Hòffding, Wundt, Sully, Baldwin, Külpe); secondo gli
herbartiani il sentiSER 1056 mento à invece non una attività originaria
della coscienza, me il risultato di un’azione scambievole delle
rappresentazioni (Nablowsky, Volkmann, Drobisch); per i seguaci del
materialismo psico-fisico il sentimento semplice è una qualità inerente alla
sensazione (tono sentimentale) mentre i sentimenti complessi non sono che il
risultato del combinarsi di sentimenti elementari, che accompagnano quelle
sensazioni che contraddistinguono le emozioni (Münsterberg); secondo i
sentimentalisti puri il sentimento è l’attività più primitiva della coscienza,
dalla quale si svolgono poi tutte le altre (Barrat, Horwicr); infine, secondo
la scuola detta somatica o fisiologica, il sentimento non sarebbe che la pura
espressione delle funzioni organiche, scaturente dai processi fisiologici
(Ribot, James, Lange). Cfr. Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 293
segg.; Sully, Psychology, 2° ed. 1885, p. 687; Bain, Mental science, 1884, Ρ.
215-17; Külpe, Grund. d. Peychol., 1893, p. 236; Wundt, Grund. d. Paych., 1896,
p. 34-43; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol., 43 ed. 1894, vol. II, p. 302; Münsterberg,
Aufgabe u. Meth. d. Peyohol., 1888; Horwicz, Peychol. Anal., 1872, II, 2, p. 1; Ardigò, Op. fil., V, 151
segg.; Masci, Peicologia, 1904, p. 114 segg.; Ebbinghaus, Peychologie, trad.
frano. 1912,
p. 114 segg.; W. James, Principles of payohol., 1890, cap. XXIV; Id., La
théorie de l'émotion, trad. franc.; Lange, Les emotions, trad. franc. 1902;
Ribot, La psychol. des sentiments, 1896; Id., La logique d. sent. ; Th. Lipps,
Vom Fühlen, Wollen und Denken, 190: F. Rauh, De la méth. dans la payohol. d.
sent., 1899; F. Paulhan, Les phenomends affootifs et les lois de leur
apparition, 1887; L. Dumont, Il piacere e il dolore, trad. it. 1878 (v.
piacere, dolore, neutri, sentimentalismo, senso fondamentale, senso
spirituale). Sermonismo. T.
Sermoniemus ; I. Sermoniem; F. Sermonisme. La dottrina di Abelardo, secondo la
quale gli universalì non esistono che nel discorso (sermo). Mentre il 1057
Srr-Sro realismo affermava l’esistenza indipendente degli universali, ed
il nominalismo non vedeva in essi se non denominazioni collettive, Abelardo
sosteneva che, se non possono essere cose, non possono nemmeno essere semplici
vocaboli; la parola (rox) come complesso fonico è già per sè qualche cosa di
singolare, può avere significato generale solo essendo pronunciata, diventando
ciod sermo. Una tale applicazione della parola non è però possibile se non
mediante il pensiero concettuale (conceptus) che, dal confronto dei contenuti
percettivi, prende ciò che per la sua natnra si adatta ad essere espresso (quod
de pluribus natum eat praedicari). L’universale è dunque l’enunciazione
concettuale (sermonismo) o il concetto stesso (conoettualismo). Cfr.
Windelband, Storta della filosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 382 segg.
Sfenoidale (angolo). È determinato da tre punti: il punto basilare, il punto
nasale, corrispondente al centro della sutura fronto-nasale, il punto
sfenoidale corrispondente al chiasma doi nervi ottici. Un tempo si credeva da
molti scienziati, fra cui il Welckere ο il Vogt, che esso fosse molto
importante per stabilire la misura della intelligenza, così da servir di base
alla classifienziono della specie umana; oggi invece, pure non trascurandolo,
gli si attribuisce dagli antropologi scarso valore. Cfr. C. Vogt, Mémoire sur les
microcéphales, 1867; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 300 segg. Sforso. T. Anstrengung; I. Effort; F. Effort.
Sentimento intraducibile di tensione, che s’accompagna ad ogni forma di
attività volontaria. Fra le sensazioni di movimento si sogliono distinguere
quello puramente passive, d’origine periferica, derivanti dalla contrazione dei
muscoli, ο quelle attive, detto di aforzo ο d’innerrazione, di origine
centrale, derivanti dal grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per
produrre una data contrazione. Occorre tuttavia distinguere lo sforzo positito,
col quale si tende ad accrescere l'eccitazione o si dirigo l’attività nd un
fine, 67 Ranzota, Dizion. di acienze
filosofiche. Sro 1058 dallo sforzo negativo, che tende a diminuire
1’ eccitazione ed inibire un movimento o una tendenza. Si distingue ancora lo
aforzo muscolare, di cui parlammo, dallo sforzo mentale, diretto a promuovere
od inibire un’idea o una serie di idee, e dallo sforzo morale onde si attua I’
ideale etico contro la resistenza proveniente dal fondo del nostro io ο
dall'esterno. Ad ogni modo lo sforzo, per il dispendio di energia che richiede,
dà sempre un criterio di conoscenza del proprio valore, rivela il dinamismo
dell’essere proprio. E se, per la legge della minor resistenza, lo sforzo che
accompagna gli atti va diminuendo quanto più si ripetono, rimane pur sempre
che, qualora essi debbano assumere una direzione nuova, lo sforzo è pur sempre
necessario; 00sicchè esso è una condizione indispensabile di progresso. Secondo
il Maine de Biran, il sentimento dello sforzo è il fatto primitivo della coscienza
e da esso hanno origine le idee di causa ο di forza: « Noi troviamo impressa
profondamente in noi la nozione di causa o di forza; ma il sentimento immediato
della forza procede la nozione ed è lo stesso sentimento della nostra
esistenza, da cui quello di attività è inseparabile. Poichè noi non ci possiamo
conoscere come persone individuali, senza sentirei cause relative a certi
effetti o movimenti prodotti nel corpo organico. La causa, o forza attualmente
applicata a muovere il corpo, è una forza agente che noi chininiamo volontà. Ἡ
me #'idontifica completamente con codesta forza agente. Ma l’esistenza della
forza non è un fatto per il me che in quanto si esercita, ed essa non #’
esereita che in quanto si può applicare ad un termine resistente o inerte. La
forza non è dunque determinata o attuata che nel rapporto col suo termine
d’applicazione, come pure questo non è determinato come resistente ο inerte se
non nel rapporto con la forza attuale che le muove ο tendo a imprimergli il
movimento. 11 fatto di codesta tendenza è ciò che noi chiaminmo aforzo, 0
azione roluta, ο rolizione, e io dico che codesto sforzo è il vero fatto
primitivo del senso intimo ». Il sentimento dello sforzo appartiene, secondo il
Maine de Biran, al senso intimo, perchè si constata da sè stesso interiormente,
senza uscire dal termine della sua applica zione immediata © senza ammettere
alcun elemento estraneo all’inerzia stessa dei nostri organi; ed è anche il più
semplice di tutti i rapporti, il solo veramente fisso, invariabile, sempre
uguale a sò stesso, in quanto non ammette alcun elemento variabile straniero, è
il risultato costante dell’azione d’una sola ο medesima forza spiegata da un
solo e medesimo termine. Cfr. Sully, Outlines of peych., 2° ed. 1885, p. 109 segg.; Hòffding,
Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 150; Bastian, The brain as an organ of mind,
1884, Appendice p. 691; Delboef, Revue philos., t. XII, ; Maine de Biran,
Ocurres indites, ed. Naville. (v. cinestesiche). Billogismo (συλλογισμός da συλλέγω--metto insieme). T.
Syllogiomus ; I. Syllogiom ; F. Syllogieme. Consiste in un complesso di tre proposizioni, collegate
tra loro in modo che dalle due prime, dette premesse, se ne ricava una terza,
detta conseguenza o illazione. La parola sillogiemo trovasi già in Platone, ma
nel semplice significato di ragionamento ; con Aristotele assunso il
significato speciale che ha poi sempre conservato. Egli lo defini « un
ragionamento nel quale, poste alcune cose, si conclude necessariamente qualche
cosa di diverss, por ciò solo che quelle sono state poste ». Sembra tuttavia
che la scuola Nyaya dell’ India, fondata da Gotama sei o setto secoli a, C.,
conoscesse già il ragionamento sillogistico. Le definizioni del sillogismo date
dopo Aristotele concordano più o meno con la sua. Per Hobbes il sillogismo è
oratio, quae oonatat tribus propositionibus, er quarum duabus sequitur tertia,
como additio trium nominum ; per Cr. Wolff è una operatio mentin, qua ex duabus
propositionibus terminem communem habentibus formatur tertia, combinando
terminos in utraque diverSit soe; per
il Dühring « un rapporto di due concetti ad un terzo concetto »; per il Wundt «
una relazione mentale mediante la quale da giudizi dati proviene un nuovo
giudizio ». Il principio fondamentale su cui si basa il sillogismo fn
determinato già da Aristotele, sia sotto il rapporto dell’estensione che della
comprensione dei concetti. Sotto il primo ha avuto poi nella logica
tradizionale la formula: quidquid de homnibus valet, valet etiam de quibuadam
οἱ singulis ; quidquid de nullo valet, neo de quibusdam nec de singulis valet.
Sotto il secondo fu poi formulato da Kant così: nota notae est nota rei,
repugnans notae repugnat rei ipei. La prima formula è quantitativa, la seconda
qualitativa; contro la prima il Bain obbiettd che essa, anzichè del sillogismo,
è piuttosto la formula dell’ inferenza immediata per subalternazione; contro la
seconda, che non determina l'estensione dell'identità che afferma. Il Bain
propose questa nuova formula, che concilierebbe le due precedenti: « ciò che è
detto della classe indefinita così com’ denotata per la sun connotazione, è
vero di tutte le cose la cui connotazione speciale le rende riferibili alla
classe ». Il Lambert ammise come vera la formula quantitativa, specificandola
però variamente per ogni figura; altri fondandosi sul fatto che ogni sillogismo
esprime una identità, hanno creduto che il principio generale del sillogismo
sia quello d’ identità, ’Hamilton quello dell’egua: glianza delle parti col
tutto, lo Spencer quello della sostituzione dell’ identico. Nel sillogismo si
distingue la materia, che è o prossima, cioè le tre proposizioni, o remota,
cioè i tro termini; e la forma, cioè il nesso reciproco che hanno lo
proposizioni. I sillogismi si ripartiscono in cinque classi principali:
cafegorioi puri in cui tutte tre le proposizioni sono categoriche ;
oategorico-ipotetici in cui tutte tre le proposizioni sono ipotetiche;
épotetico-categorioi in eni la premessa maggiore è ipotetica, la minore e In
conelnsione categoriche ; categorioi disgiuntiri in cni la maggiore è di
1061 Sim sgiuntiva, la minore e la
conclusione categoriche ο catetegoriche-disgiuntive; ipotetici disgiuntiri in
cui la maggiore è ipotetico-disgiuntiva, la minore e la conclusione categoriche
o categoriche disgiuntive. Il sillogismo può avere quattro figure e
sessantaquattro modi, di cui diciannove soltanto sono validi. Oltre al
sillogismo deduttivo, del quale fin qui si è discorso, si ha il sillogismo
impropriamente detto induttivo, nel quale, in luogo del termino medio, è data
la serie completa o incompleta delle sue specie. Per lungo tempo il sillogismo
fu tenuto in grande onore; sul finire della scolastica esso era considerato
l’unica forma di ragionamento ed applicato all'espressione di ogni produzione
del pensiero. Ma coll’età moderna si ripresero le critiche contro il
sillogismo, già cominciate con gli scettici antichi: e da Lorenzo Valla,
Rodolfo Agricola, Frun«esco Bacone fino allo Stuart Mill e allo Spencer è tutta
una schiera di pensatori che, con argomenti di varin natura, cercarono negargli
ogni valore, o di ridurlo ad un semplice mezzo di controllo per chiarire i
ragionamenti oseuri o svelare i difetti d’ una argomentazione capziosa. Nè
ancora si può dire che la discussione sia chiusa. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I,
1, 24 b, 18; Id., Anal. post., I, 2,72 a, 5; Platone, Filebo, 41 C; Id., Teet.,
186 D; Id., De corp., 4 C, 1; Cr. Wolff, Logica, 1732, $ 50, § 332; Kant, Lo,
1800, $41-43; Dühring, Logik, 1878, p. 54; Wundt, Logik, 1893, I, p. 270 segg.;
Sesto Empirico, Pyrrh. Hyp., II, 194 segg.; Mar. Nizolius, De rer. prino., I,
4-7; Bacone, Nor. org., I, 13-14; Stuart Mill, Logic, 6° od. 1865, II, 3, 2;
Bain, Logic, 1870; Spencer, Prine. of. Peychol., 3% ed. 1881, II, Pp. 99; Rosmini, Logica, 1853, $ 545 segg.;
Masci, Logica, 1899, p. 278 segg.; A. Pustore, Sillogiemo e proporzione, 1910;
U. Della Seta, La dottrina del sillogismo in Aristotele, 1911 (v. conclusione,
figura, termine, modo, nota notae). Simbolismo, Simbolo. T. Symbolismus; I.
Symbolism ; F, Simbolieme. Nella gnoseologia dicesi simbolismo ogni dotSm 1062
trina che fa dell’ idea un semplice simbolo della cosa, negando quindi
che la conoscenza adegui la realtà e che il pensiero possa cogliere |’ essere
quale è in sò stesso. Nella psicologia dicesi simbolismo sensoriale il fenomeno
della trasformazione automatica in imagini uditive ο visive delle impressioni
sensoriali di modalità differente, tattili, olfattive, gustative, ecc.: in tali
casi l’imagine visiva © uditiva diviene simbolo di sensazioni di ordine
diverso. Il simbolismo sensorialo si verifica costantemente durante la voglia,
ma diviene prevalente nel sogno, perchd nel sonno le vie sensoriali ordinarie
sono chiuse, l’attenzione © Pinibizione volontaria sono torpide, cosicchè si
ve: cano in esso le condizioni proprie alla formasione di imagini simboliche,
cioò d’imagini sostanzialmente diverse du quelle che dovrebbe evocare lo
stimolo che le produce. Nella religione dicesi simbolismo la tendenza a
rappresentare per analogia con un atto o un oggetto materiale sia le forme
diverse del sentimento religioso, sia l'oggetto della credenza. Esso ha origine
dal bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri sentimenti e le proprie
emozioni, specie quando esse raggiungano un alto grado di intensità. Vi sono
molte specie di simboli religiosi: e. di purificazione come l’acqua del
battesimo, la luce delle torce, le vesti bianche, ece.; a. di sottomissione,
come l’inginocchiarsi, il prosternarsi, lo scoprirsi il capo, ece.; a. di gioia
religiosa, come le danzo, i baccanali, 1’ inghirlandarsi, ecc.; a. di tristezza
religiosa, come il vestirsi di nero, il gettarsi la cenere sul capo, il
digiunaro, ecc.; mistero, como il bendarsi gli occhi, fare la penombra, ece.;
a. di imilazione, come le stimmate di Β. Francesco d'Assisi e i diversi
riti. In generale, per simbolo »’
intende un sogno il quale fissa l’idea o la rappresentazione d'una cosa ο d’un
fatto, che, convenzionalmente, a quel segno si associa. Per dirla in altre parole,
e ricorrendo alla sua otimologia, la parola simbolo designa la connessione
logica di due termini o dati, cia 1063
Sim scuno dei quali partecipa con l’altro di un particolare rapporto. Vi
sono infinite specie di simboli; tuttavia, considerandone la finalità
psicologica ο logics, possiamo col Marchesini distinguere quattro classi:
rapprosentativi, che hanno affinità ο perfetta somiglianza con la cosa, ad es,
il ritratto d’una persona: significativi che, pur valendo a richiamare un
ordine di idee, sono sostituiti da altri dati, ad es. la parola, i numeri, gli
algoritmi ; ricostruttivi che, come parte di una cosa. o momento di un fatto,
richiamano alla mente il tutto della cosa ο del fatto, ad es. la penna in
quanto richiama l’idea dell'atto di scrivere; esplicativi, che ci danno la
conclusione di una serie di operazioni, ο, nello stesso tempo, la ragione di
conclusioni nuove, ad es. una formula matematica. Inspirandosi invece ad un
criterio storico, Guglielmo Ferrero ne fece la seguente classificazione: #. di
prora, come i nostri documenti o le citazioni : 3. descrittivi, cho significano
la cosa mediante la sua figara o quella d’un oggetto affine, ad es. la leonessa
di bronzo eretta dagli Ateniesi in ricordo di Leona; 4. di sopraveitenza, al.
es. l'uniforme militare di certe autorità civili, che è il ricordo del
predominio del potere militare; s. di riduzione, ad. es. l'investitura di una
proprietà per il simbolo d'una foglia di quercia; s. emotivi, i distintivi del.
l’untorità, come la corona e lo scettro; 4. mistici, come l’incanto, che un tempo
era una formula à cui si attribuiva ana potenza superiore. Cfr. Ochler, Lehrb.
d. Symbolik, 1876; G. Ferrero, I simboli, 1892; G. Marchesini, 17 simbolismo
nella conoscenza ο nella morale, 1901 (v. ritualigmo). Simile. T. .ihnlich,
gleicharting ; 1. Similar; F. Semblable. In generale due cose si dicono simili,
quando presentano un corto numero di caratteri identici e un certo numero di
caratteri differenti. Nella geometria due o più figure sono simili quando sono
costituite dallo stesso numero di parti, della stossa forma e nel medesimo
rapporte; Sim 1064 le due figure sono sempre simili qualunque
sia la distribuzione, diretta o inversa, delle parti che le costituiscono, purchè
il rapporto sia costante secondo la propria forma delle analoghe parti. I filosofi
greci credevano che il similo possa essere prodotto soltanto dal simile (talis
effeatus qualis causa): da ciò derivarono molti pregiudizi popolari, ad es. che
Vortica faccia guarire l’orticaria, che il zafterano, per il suo colore, sia il
rimedio contro le itterizie, ecc. (v. somiglianza). Simmetria. T. Symmetrie; I.
Symmetry; F. Symétrie. Nel suo senso più generale è la giusta distribuzione
delle parti nella formazione di un tutto armonico. Dicesi leggo di simmetria la
legge formulate dal Bichat, secondo cui nel nostro corpo sono simmetrici gli
apparati della vita animale della riproduzione, sono invece asimmetrici quelli
della vita organica. Il piano mediano taglia il nostro corpo in duo metà
simmetriche, considerandole esteriormente ; però codesta simmetria non è
perfetta, perchd lo due motà non sono geometricamente uguali, cio se
sovrapposte non si corrisponderebbero. La causa della asimmetria mediale deve
attribuirsi alla curvatura laterale della colonna vertebrale (v.
degenerazione). Simpatia. T.Sympathie; I. Sympaty; F. Sympathie.
Etimologicamente designa lu tendenza fondamentale a dividere lo emozioni e i
sentimenti altrui, interpretandoli dal loro linguaggio esteriore. Nel suo
significato più comuno è la tendenza, i cui fattori sono spesso oscuri, ad
amare una determinata persona o cosa. Nel primo caso è un fenomeno assai
complesso, mediante il quale ciascuno è solidalo delle gioie e dei dolori de’
suoi simili; molti elementi entrano a costituirlo, fra oni l'egoismo ὃ
prevalente, anzi unico secondo degli utilitaristi. Nel secondo, che al primo si
ricollega, il fondamento è dato dal sentimento d’un certo insieme di contrasti
ο di somiglianze tra due persone, e può evolversi nell'amore e nell’amicizia.
Il Plat 1065 Sim ner definisce la
simpatia « la proprietà dell’umana natura nd accordare le proprie sensazioni
con le sensazioni di altri individui, il cui stato noi percepiamo o pensiamo ».
IBain ugualmente: « La simpatia è l’entrare nei sentimenti di un altro ©
trattarli completamente come se fossero nostri. È una specie di imitazione
involontaria, o di assunzione dei sentimenti espressi in nostra presenza, che è
seguita dal sorgere dei sentimenti stessi in noi ». Secondo l’Hôffding la
simpatia suppone che « gli interessi comuni prevalgano sugli interessi
divergenti; poscia suppone che tali interessi comuni possano giungere a
manifestarsi con maggiore o minore coscienza nel campo delle rappresentazioni
dell'individuo. Se l’esperienza, l’intelligenza ο l’imaginasione sono limitate,
la simpatia sarà pure limitata. La storia ci mostra che la simpatia si sviluppa
da principio in sfere ristrette © irraggia poscia in più vaste.... Da ultimo la
simpatia deve poter estendersi a tutti gli esseri viventi, alla natura intera;
ensa finisce col prendere allora un carattere religioso e diventa ciò che
Spinoza ha chiamato l’amore intellettuale di Dio ». Anche secondo il Bastian la
simpatia ha carattere evolutivo, ο . 8. Freund, Die Traumdeutung, 1900; Id.,
Ueber d. Traum, 1091 SoL 1901; I. Bigelow, The mistery of sleep,
1897; Myers, The human personality, 1902; A. Maury, Le sommeil et les rêves,
1878; Max Simon, Le mondo des réves, 1888; M. Foucault, Le réce, ; I.
Tobolowska, Etude sur les illusions du temps dans les rêves, 1900; Vaschide, Le
sommoil et les réves, 1911; De Sanctis, I sogni, studi peio. e olin., 1899;
Ardigò, Op. fil., vol. IV, p. 388 segg., vol. IX, pag. 283 segg. (v.
alluoinazione, illusione, onirologia, telepatia). Solidarietà, T. Solidaritàt;
I. Solidarity; F. Solidarité. Nel senso più generale è la dipendenza reciproca
che esiste sia tra gli esseri che costituiscono l’ universo, sis fra le varie
parti di un medesimo essere, e costituisce una delle condizioni tanto della
vita cosmica come della vita individuale. In un senso più particolare è la
dipendenza reciproca tra l'individuo ο la società, tra ogni uomo e tutti gli
uomini. Il solidarismo, che forma la base dei moderni sistemi sociali e
politici, è molto antico nella filosofia ed implicito specialmente nei sistemi
panteistici, che scorgono una funzione dell’ essere assoluto nella coesistenza
degli esseri particolari, nella successione dei loro movimenti ο dei loro
pensieri: da ciò una interdipendenza completa di tutte le esistenze
solidarizzate nell’ unità cosmica. Perd sul concetto di solidarietà non tutti i
pensatori sono concordi: per il Fichte è un’ esigenza della ragione, il
principio d’ intelligibilità della nostra condotta e la condizione onde ai
realizza l’ unità della ragione nello sviluppo dell’ umanità; per Augusto Comte
la solidarietà è In grande legge naturale, che governa la generalità dei fatti
sociali nella loro simultaneità e nella loro successione, cosicchè l'individuo,
il quale per sè stesso non è che un essere biologico, diviene uomo solo in
quanto partecipa dell’ umanitd ed ha il sentimento del legame che lo unisce «
ad una immensa © oterna unità sociale »; per Pierre Leroux, che si vanta
d’avere per primo pronunciata la parola solidarietà, traSportandola dal linguaggio
ginridico in quello filosofico, BoL
1092 la solidarietà è non solo un
sentimento ma un dovere e su essa si fonda il diritto, in quanto « l’uomo,
sentendosi parte di un gran tutto, si mette in rapporto con tutto, e arriva
finalmente a comprendere che ha diritto a tutto »; per il Bourgeois la
solidarietà è un fatto di carattere universale non solo per riguardo agli
esseri inferiori ma anche per rispetto alla società umana, cosicchè non si può
prescindere da essa nel determinare il contenuto dol concetto di giustizia,
consistendo il dovore sociale nel debito che ciascuno ha verso gli avi e verso
i posteri, il diritto nell'esigenza di ciascuno d’avere parte proporzionata
nella somma degli averi e dei benefici sociali; per il Gide non ha valore etico
nd la solidarietà che deriva dalla divisione del lavoro, nò quella che deriva
dallo scambio dei servizi e dalla concorrenza, ma quella che si compie per
mezzo della associazione cooperativa di consumo, nella quale si ha l’attuazione
non tanto della giustizia quanto della fratellonza © dell'amore. Cfr. A. Comte, Cours de
phil. positire. t. IV, lez. 48; L. Bourgeois, Keeai d’une phil. de la solid. 1902; L. Fleurant, Sur la solidarité, 1908.
Solido. Lo spazio fornito di tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità.
L'idea del solido risulta psicologicamente dalle sensazioni muscolari,
associate a quelle della vista e del tatto. Infatti le tre dimensioni
corrispondono a tre specie di movimento, che sono poi relative alle
disposizioni stesse dei nostri organi, onde il concetto di spazio implica un
sopra e un sotto, una destra e una sinistra, un avanti e un indietro. Nell'uso
comune, per sotà s'intende invece la resistenza offorta dai corpi, resistenza
la quale impedisce che altri corpi occupino lu spazio di cui un corpo è
attualmente în possesso; in questo senso fu usata anche dal Locke: «.... ho
creduto che il termine solidità sia assai più adeguato ad esprimere tale iden,
non solo perchè è comunemente neato in ta! senso, ma anche perchè importa
qualche cosa di più pe 1093 SoL-Som sitivo del termine impenetrabilitd,
che è puramente negativo, © che, forse, è più nn effetto della solidità che non
la solidità atessa ». Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, cap. IV, $ 1-6 (v.
spazio, iperspazio, estensione, superficie, stereognostico, distanza).
Solipsismo v. semetipsismo. Somatico (σῶμα corpo). Tutto ciò che si riferisce
al corpo; si contrappone perciò a peichico, spirituale, morale, intellettuale,
ecc. Così dicesi somatica, per opposizione a intellettualistica, quella teoria
dell’emozione che spiega l’emozione stessa come il ripercuotersi nella
coscienza di alterazioni organiche più o meno profonde; somatologia quella
parte dell’antropologia che ha per oggetto lo studio della struttura del corpo
umano, dello scheletro © degli organi interni, la proporzione delle sue parti,
il suo sviluppo, ο V applicazione dei dati così ottenuti alla differenziazione
sia dell’uomo dagli animali a lui più prossimi, sia delle differenti razze
nmane, popoli, nazioni e classi. Somiglianza, T. Aehnlickeit ; I. Likeness,
Resemblanoe; F. Ressemblance. Tu generale dicousi somiglianti due oggetti che
presentano un certo numero di caratteri identici e un certo numero di caratteri
diversi; Ja proporzione maggiore © minore dei primi rispetto ai secondi dà il
grado maggiore o minore di somiglianza. Nella psicologia dicesi legge di
somiglianza, quella per cui, quando due stati di coscienza xi rassomigliano, l
uno dei due può richiamare l’altro, È un caso della legge generale
dell’associazione, e da alcuni psicologi è ricondotta alle leggi dell’
associazione por simultaneita © per successione continua. Si distinguono varie
specie di associazione per somiglianza : la somiglianza qualitativa, che ha
luogo fra proprietà che non possono identi carsi, ma appartengono alla stessa
famiglia; lu somiglianza dei rapporti, o analogia, per la quale lu
rappresentazione d'un rapporto tra le parti o le proprietà d’un oggett« suscita
la rappresentazione d’ un altro oggetto, tra le parti Som-Son 1094 ©
proprietà del quale esiste un identico rapporto; la mmiglianza di
sovrapposizione, che è il più alto grado di ~miglianza associativa, e per la
quale una rappresentazione ne evoca un'altra che, per la coscienza, è identica
alla prima. Cfr.
Bain, The senses and the intellecte, 3* od., p. 327; Hüfding, Psychologie,
trad. franc. 1900, p. 202 segg.
(v. simile . Sommo bene v. bene. Sommolisti v. vittorini. Sonnambulismo. T.
Somnambulismus, Schlafwandeln: I. Somnambulism, Sleep-walking; F.
Somnambulisme. Stato patologico,
proprio specialmente degli isterici, e che si pe trebbe definire un sonno
parziale. Nel sonnambulismo funzionano soltanto alcuni sensi, cosicchè il
soggetto, senra svegliarsi dal suo sonno naturale, può alzarsi, lavorare.
compiere ogni sorta di atti come se fosse desto. Tali azioni non sono un
prodotto della volontà, bensì dell’ impulsività delle rappresentazioni e dell
abitudine; l’amnesia completa che si verifica al momento del risveglio, la
sorpresa ο lo spavento che coglie i sonnambuli interrotti nel corso delle loro
azioni, provano che la volontà non ha parte nello stato psichico nel quale si
trovano. Il fatto della aicurezza con cui il sonnambulo supera i pericoli, è
spiegato dal Maudsley con l’iperestesia in cui trovansi i sensi rimasti desti.
Il sonnambulismo può essere naturale e prorocato: in questo secondo caso
costituisce una delle fasi del grande ipnotismo. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peyool., 1896, p. 321
segg.; Tuke, Sleep-walking and hypnot., 1884 (v. ipnotismoi. Sonno. T. Schlaf; I. Sleep; F. Sommeil. Stato
di incoscienza assoluta ο di subcoscienza, durante il quale l'organismo
ricostitnisco le forze esausto nelle sne relazioni col mondo esteriore. Se le
perdite e le riparazioni dell’ attività nervosa si facessero di istante in
istante, dice lo Spencer, non ci sarebbe l'alternativa tra la veglia e il
sbnno; ma siccomo ciò non avviene, e durante il giorno si ha un consumo
superiore all’approvvigionamento, così
1095 "gon si rende
necessario un periodo alterno, determinato dall'esaurimento, in cui la provvista
sia superiore al consumo. Le principali teorie sulle cause normali ed immediate
del sonno sono: quella che lo attribuisce ad uns specie di intossioazione dell’
encefalo, dovuta ad alcuni prodotti del lavoro organico, agenti in modo analogo
agli anestetici (etere, cloroformio, ecc.); quella che lo fa derivare da uno
stato passeggero di snemia cerebrale, e quella che, all’ opposto, lo
attribuisce ad uno stato di iperemia degli emisferi. Secondo il Verworn,
siccome la coscienza accompagna i processi di disintegrazione delle cellule
corticali, il sonno, che è un processo più intenso di assimilazione, sarebbe
scoompagnato dall’ inibizione dei processi dissimilativi. Secondo il De
Sanctis, la causa del sonno sarebbe non l’ esaurimento cerebrale ma il muscolare,
© la riparazione dei muscoli verrebbe favorita dal sonno perchè la soppressione
della conduzione degli stimoli esterni sopprimerebbe il cosidetto fono chimico
dei muscoli. Ultimamente duo nuove dottrine sul sonno sono state proposte,
raccogliendo molti consensi tra psicologi e fisiologi: la dottrina istologica,
sostenuta tra noi dsl Lugaro, secondo la qualo il sonno sarebbe determinato da
una retrazione dei prolungamenti centrali dei neuroni sensoriali ο quindi dal
loro isolamento dai neuroni contigui; e la dottrina biologica, sostenuta
specialmente dal Claparedo, secondo la quale il sonno è una funzione di difesa,
imposta dal principio come fenomeno di adattamento, sviluppata nella lotta per
1) esistenza ο divenuta poi un istinto per la trasmissione ereditaria, Le cause
anormali si distinguono în organiche, come i narcotici, le grandi altezze delle
vette alpine, lo compressioni sul cervello, ecc., © in peichiche, come la noia,
l'allontanamento delle eccitazioni © la suggestione propria © altrui, come l’ipnotismo,
detto anche sonno provocato. Cfr. Preyer, Uerber die Ursache des Soklafes, 1877; A.
Marvand, Le sommeil et Pinsonnie, 1881; H. Pléron, Le probl. Sop
physiol. du sommeil, 1913; A. Mosso, Sulla ciro. del sanguc nel
cervello, 1880; De Sanctis, I sogni, studi psichioî ο olimici, 1899 (v.
incosciente, neurone, sogno). Soprannaturale. Τ. Übernatürlioh; I. Supernatural
; F. Surnaturel. Ciò che sorpassa In natura, ossia ciò che nel suo essere o nel
suo agire trascende i poteri di quelle forze materiali che costituiscono la
natura. Il soprannaturale è quindi essenzialmente spirituale, il regno dello
spirito; la natura è materiale, ma include lo spirito (anima umana) © può esser
oggetto d’azione dello stesso spirito infinito (miracolo). Cfr. Chr. Wolff, Vernünftige
Gedanken. Il SOPRANNATURALISMO è la dottrina che fa dipendere il mondo da un
essere che trascende, per la sua essenza e per il suo potere, la natura e che
non può essere identificato con le sue forze e le sne leggi. La dottrina che sostiene essere il cristianesimo
di origine soprannaturale, cosicchè non può essere spiegato coi soli fattori
naturali, ma riferito a Dio come suo autore.
La tendenza a sorpassare i limiti della natura, a cercare la spiegazione
del mondo oltre il mondo, a porre il fine dell’esistenza oltre l’esistenza. SERBATI
(vedasi) divide tutti i sistemi filosofici in rasionalisti e soprannaturalisti,
determinati da due opposte maniero di pensare ο di sentire: entrambe queste
tendenze sono naturali nell’uomo per quello che c'è nella sua natura, il
soprannaturalismo è naturale per quello che manca. Cfr. Stäudlin, Geschichte d.
Rationaliemus u. Supornaturalismus, 1826; Rosmini, Storia comparativa e oritioa
dei sistemi intorno alla morale, 1837 (v. natura, naturaliemo). Sopraordinazione
v. subordinazione. Soprasensibile. T. Ubersinnlich; I. Supersensible. Può
designaro tanto ciò che non può esser còlto ο conosciuto mediante i sensi,
quanto ciò che trascende per sua natura il mondo dei sensi; nel primo caso
equivale spesso a rasio 1097 Sor nale,
mentale, nel secondo a intelligibile, spirituale. 11 soprasensibile non va
confuso con l'ezirasensibile, che è quella parte del mondo esterno che non ci è
data direttamente dalle impressioni sensibili, bensì da inferenze risultanti da
rivombinszioni e riproduzioni delle impressioni stesse. Cfr. H. Ritter, System
d. Logik, 1856, I, p. 229 (v. extraseneibile). Sordità. T. Taubheit; I.
Deafness; F. Sourdité. Assonza del senso dell’udito, che può dipendere da
lesione o imperfezione dell’ apparecchio uditivo o del nervo acustico, oppure
da una lesione della zona di corteccia cerebrale ove sono localizzate le
sensazioni uditive; in questo secondo caso si ha la sordità centrale ο
psichica, nel primo la sordità periferica. Dicesi sordità verbale una delle
forme di amnesis parziale, che consiste nella perdita della memoria della
parola in quanto è pronunziata; quindi l’ ammalato, pur udendo le parole, non
ne comprende più il significato. Si manifesta specialmente nella demenza
paralitica, è dovuta a lesione della parte mediana della prima circonvoluzione
temporale sinistra, e va unita sempre ad altri disturbi della lettura e della
scrittura. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, 1888, vol. II, p. 220
segg.; Brissaud, Malattie dell’ encefalo, trad. it. 1906, pag. 100 segg. Sorite
(σῶρος acervus = muechio). T.
Kettenachluss, Sorites ; I. Sorites; F. Sorite. Una forma di ragionamento,
costituito da una catena di proposizioni collegate tra loro in modo, che il
predicato della prima fa da soggetto della seconda, il predicato della seconda
da soggetto della terza, © così via via fino a che nolla conclusione si unisce
il soggetto della prima col predicato dell’ ultima, Il sorite si può adunque
considerare come una catena o un muoohio di sillogismi, in cui sono soppresse
tutte le conclusioni e lu premesse minori intermedie; si può anche considerare
come un sillogismo solo, avente come premessa maggiore l’ultima proposizione,
come minore la prima, e come termino medio tutta la catena delle proposizioni
intermedie. Esso Sos 1098 si adopera quando non si può dimostrare,
adoperando un solo termine medio, il nesso immediato tra il soggetto e il
predicato di una tesi che ei vuol dimostrare e quindi ai devono assumere più
termini medi, procedendo per via di successive identificazioni. Es.: essere è
agire; agire è fare sforzo; fare sforzo è tendere verso un bene di cui si è
privi: tendere verso un bene di cui si è privi è soffrire; dunque essere è
soffrire. Il sorite può avere due forme: la forma regressiva o aristotelica,
quale fu definita più sopra e che è la più comune, e la forma progressiva o
goclenioa, che comincia con la premessa che contiene il predicato della
conclusione ed ha come ultima premessa quella che contiene il soggetto. Si
distinguono ancora il sorite deduttivo, a cui appartengono tunto 1)
aristotelico che il goclenico, e il sorite induttiro, costituito da una catena
di sillogismi abbreviati della terza figura. Primitivamente il sorite aveva
valore non di ragionamento logico, ma di sotisma, e si applicava a tutto ciò
che presentasse una transizione uguale e continua: così Zenone di Elea diceva
che se si toglie un grano da un mucchio di frumento, esso resta ancora un
mucchio di frumento; se se ne toglie un altro, lo stesso; e così via via finchè
si conclude che basta un solo grano di frumento per formare un mucchio; facendo
lo stesso ragionamento con l’aggiungere, diceva che un grano uon forma un
mucchio, due grani neppure, 9 così via via fino a coneludere che mille o più
grani non formano un mucchio. Gli secttici greci si valsero molto di tale forma
di sofisma, per dimostrare l'impossibilità di distinguere il vero dal falso.
Cfr. Aristotelo, De soph. elenok., 24, 179 a, 35; Cicerone, 4oad., II, 49;
Lotze, Grundzüge d. Logik, , p. 46 (v. tropi). SOSTANZA (sub = sutto, © stare =
stare: ciò che sta sotto; substantia è la traduzione esatta della parola
Sroxelpsvoy usata da Aristotele, © composta di ὑπό -= sotto, ο xetpat = stare,
giacere). E il sostrato permanente e irreducibile delle varie 1099
Bos qualità, il soggetto che persiste idontico sotto il mutare delle
qualità, come il colore, la forma, il peso, eco., ed è uno mentre i fenomeni e
le qualità sono multiple. Il pensiero filosofico si è sempre affaticato intorno
al problema della sostanza ο della sua conoscibilità. Aristotele fu il primo a
definire il concetto di sostanza, determinandola come qualche cosa che sussiste
per sè stesso ο si realizza nelle determinazioni particolari, che in parte sono
i suoi stati (πάθη), in parte i suoi rapporti con le altre cose (τὰ, πρὸς tt);
ma già in Talete ο nei presocratici si ha I’ iden di una realtà prima, ἀρχή, da
cui tutto deriva e che pure nel suo fondo rimane identica. Per Platone, le
essenze intelligibili sono le realtà sostanziali (οὐσίαι), e cioè l’unità sotto
cui si raccoglie ln moltiplicità delle cose sensibili, gli archetipi di esse.
Per gli stoici ln sostanza è l'essere, come sostrato permanente di tutti i
possibili rapporti; essa è il sostegno di proprietà stabili (ποιόν), e solo per
questo riguardo si trova sotto condizioni mutevoli ο quindi anche in rapporti
con altre sostanze. Gli scolastici la definirono ciò che per sò sussiste (ena
quod per se subsistit), ciod non per qualche altra cosa, come gli accidenti,
che sussistono nella sostanza, e quindi per la sostanza. Per Cartesio è reale
ciò che è di essenza semplice e indecomponibile, cioè il pensiero nella
coscienza, l'estensione nei corpi: Per substantiam nihil aliud intelligere
possumus, quam rem quae ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum
;... Possunt autem substantia corporea, et mena, sive substantia cogitans,
creata, sub hoc communi concepta intelligi; quod aint res, quae solo Dei
concursu egent ad ezistendum. Per Spinoza non v’ha se non un’ unica sostanza,
Dio, che si mostra in due attributi, l'estensione ο il pensiero, i quali,
essendo ciascuno uel suo genere infiniti, cioò Innumercvoli, contengono a
titolo di modi (cioè come natura naturata, mentre sostanza ed attributi sono
natura naturante), tutti gli spiriti e tutti i corpi. Per Malebranche non
esiSos stono sostanze sensibili, e il
mondo esterno è percepito in Dio, nel quale è riposta l’idea di estensione;
anche | per Berkeley non esistono sostanze sensibili, ma il mond esteriore è
prodotto dall’asione di Dio sul nostro spirito. Invece la scuola scozzese,
seguendo il realismo volgare. considera la sensazione come un segno naturale
della so stanza, Noll’empirismo di Locke e nel fenomenismo di Hume. Stuart
Mill, eco., l’esistenza della sostanza è negata: ciò che noi diciamo sostanza
non è che il eubstratem, da cui supponiamo che sortano, per poi ritornarvi,
quelle sensazioni semplici che sono raggruppate insieme, cosicchè la
consideriamo come un'idea; questa però non è altro che l’unione di un numero di
idee semplici che αἱ prendono unite come in una cosa, mediante P unione di un
me in cui coesistono e di cui non si ha una ides chiara. « La nostra mente;
dice il Locke, è fornita d’un gran numero di idee semplici, recate ad ssa dal
senso ;... essa osserva che un certo numero di tali idee stanno sempre insieme:
crede perciò che appartengano ad una sola cosa, ed essendo le parole adattate
alla comprensione comune e usate per un rapido disbrigo, le chiama, così unite
in un solo soggetto, con un solo nome; per disattenzione noi siamo inclini poi
a usarla 6 considerarla come una semplice idea, mentre in realtà è un complesso
di molte; e poichè, come dissi, non imaginiamo come tali idee semplici possano
sussistere per sò stesse, ci abituiamo a supporre un qualche sostrato sul quale
sussistono e da cui risultano; tale svstrato noi chiamiamo perciò sostanza ».
Questa critica fu accettata in parte dal Kant, il quale della sostanza fa una
cutegoria © pone come prima analogia dell’ esperienza che sotto ogni mutamento
dei fenomeni permane la sostanza: in tal modo essa è come un principio a priori,
cho costituisce la base della nostra esperienza ma non ha alcun valore fuori di
essa, essendo un prodotto della nostra mente, Il problema dell’esistenza della
sostanza si subor. 1101 Sos dina donque, in tutta la storia della
filosofia, a quello della sua conoscibilità: così per Platone noi conosciamo la
sostanza mediante un intuito razionale; per Aristotele la sostanza è la prima
delle categorie, l’atto logico onde il pensiero riporta ogni attributo ad un
oggetto ; per Cartesio la sostanza è il semplice che si soopre con l’analisi al
di sotto delle qualità seconde o sensibili, colori, odori, sapori e suoni; per
Spinoza ciò che è in sò ed. è percepito per sè; per il Leibnitz le sostanze
sono molte, e tutte quante attive e rappresentative, perchè ogni monade
rappresenta con maggiore o minor chiarezza, sò © tutte le altre monadi; per il
Galluppi la nostra idea di sostanza risulta ds una analisi riflessiva, per cui
anzitutto distingniamo il nostro soggetto dalle modificazioni di cui è fotto ο
il soggetto esteriore dalle qualità particelari di oui lo rivestiamo, poscia «
paragonando queste dne nozioni di soggetto-io e di soggetto esterno, noi
scopriamo con un nuovo atto di analisi in ambedue una nozione identica, cioù
quella del soggetto, ο quest’ ultima risultato dall’analisi è In nozione di
sostanza »; per gli empiristi non è che una idea astratta dell’impressione di
resistenza, e per i fenomenisti un’abitudine mentale determinata
dall’esperienza di una costante coesione di un certo peso, un certo colore, un
certo sapore, ecc., ciascuna delle quali sensazioni evoca, in base alla legge
d’associazione, tutte le altre. Nella filosofia contomporanea il concetto di
sostanza è ancora largamonte disensso, ο si può dire che dal vario
atteggiamento di fronte a tale problema derivino le più profonde differenze tra
i vari indirizzi speculativi, per quanto nessuno, o assai pochi tra essi,
accetti l’idea tradizionale di un sostrato irreducibile e immutabile. Il
progredire delle conosconze he e chimiche ha anzi diffuso la convinzione che,
in ordine alla realtà vera ο profonda, non sia lecito parlare di sostanza, ma
solo di attività, di energia, e che il concotto di sostanza, o esprima niente
altro cho nna legge Sos 1102a all’
equivalenza dei cangiamenti, ο sia una struzione fatta dalla mente per comodità
ο per un q siasi motivo soggettivo.
Alcuni logici chiamano sestezz: logica il sostrato al quale aderiscono
le note di un concetto, sostrato costituito dalla categoria alla quale il
concetto stesso appartiene; per tal modo, se con l’astrazione ascendente si
tolgono tutte le note di un concetto, resterà sempre in ultimo una delle
categorie. L’Ardigò chiama sostanza
psico-fisica l’iudistinto dal quale emergono, spec:ficandosi, i fatti molteplici,
materiali ο spirituali, fisici e psichici; tale indistinto è poi null’altro che
l’unità reale cosmica, intrinsecamente e infinitamente complessa, comprendente
in sò stessa quei due ordini di fatti che costituiscono l’uno il mondo esterno,
l’altro l’ interno, e che in quanto tale, può essere pensata come sottostante
ad entrambi e colla virtualità di presentarsi tanto nell’ uno quanto nell’
altro. Con l’espressione sostanza del
sense della vista Y. Müller e H. Helmholtz designano quelia parte della
sostanza nervosa dell’ apparecchio visivo interno, la cui eccitazione può
produrre sensazioni luminose 6 di colore: essa comprende la retina, il nervo
ottico e la parte del cervello nella quale penetrano le radici del nervo
ottico. Cfr.
Aristotele, Met., VII, 2, 1023 b, 8 segg., 3. 1029 a, 1; B. Bauch, Der
Substanzproblem in der griech. Philos.
bis zu Blützeit, 1910; Cartesio, Prino. phil., I, 51-53: Spinoza, Eth., 1. I, teor. II-XIV; Leibnitz,
Phil. Seriften, ed. Gerhardt, II, 57, VI, 488; Locke, Essay, 1877, 1. II. cap.
XXIII, $ 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 174-192; Wundt, Logik, 1893, I, p. 483
segg.; Gallappi. Lesioni di logioa e metafisica, 1854, III, p. 1007 segg.;
Ardigò, Op. fil., VI, 153-165, VII, 446 segg., I, 184 segg. (v. essenza,
energismo, attualismo, mobiliemo, dualismo, fenomenismo, sostanzialiemo,
idealiemo, materialismo, spiritualiemo. Sostanza (principio di). Come principio
supremo di ragione si onnnein così: ogni qualità ο accidente dere arere 1108
Sos una sostanza, A questo principio alcuni riconducono quello della
conservazione della massa. La massa è il quoziente di ogni forza che si applica
al corpo diviso per l’accelerazione che esso gli imprime; questa quantità
m f/g è costante. Senza questo sostrato
solido, che rimane invariabile e serve da termine di confronto, ogni
trasformazione sarebbe inintelligibile. Allo stesso principio si riconduoe la
teoria del Lavoisier: in ogni reazione chimica la massa dei composti è uguale
alla somma della massa dei componenti. Il Rosmini riconduce il principio di sostanza
a quello di contraddizione: se l’accidente esistesse senza la sostanza, sarebbe
sostanza esso medesimo, vale a dire sarebbe accidente e sostanza nello stesso
tempo, il che è contradditorio. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 413.
Sostanzialismo. T. Substantialitàtstheorie, Substantialismus ; I.
Substantialiem ; F. Substantialisme. Ogni dottrina che ammette l’esistenza di
un reale assoluto, di una sostanza, di un soggetto che persiste identico ed uno
sotto la mutabilità e molteplicità dei fenomeni. È quindi sinonimo di realismo,
e si oppone ad empirismo, energismo, mobilinmo © fenomenismo. Nella psicologia
il soslanzialismo, ο dottrina della sostanzialità dell'anima, si oppone
all’attualismo, © dottrina dell’attualità dei fatti psichici: secondo la prima
dottrina, concepita già da Platone ma posta su basi precise solo da Descartes,
l’anima è una sostanza spirituale, immutabile, di cui tutti i fatti psichici
(pensieri, sentimenti e voleri) non sono che manifestazioni ; secondo
l’attualismo, prevalente nella psicologia contemporanea, i fatti psichici
valgono per sò soli, in quanto hanno un valore attuale e non in quanto si
riferiscono ad un ipotetico substrato, che, se è ammissibile nei fenomeni
fisici i quali rimangono immutabili nella quantità, essendo sottoposti alla
legge della conservazione dell’ energin non è invece riferibile ai processi
spsichici, cho valgono Per sè soli e sono in continuo aumento. Cfr. Hòfding,
Sos-Spa 1104 Psychologie, trad. franc. 1900, p. 79, 87; De
Sarlo, Cul. filosofica, luglio 1912, p. 438 segg. (ν. anima, sostanza.
risultanti poiohiche, vintosi). Sostrato. O substratum, si adopera talvolta per
designare la sostanza, vale a dire ciò che sta sotto agli ac cidenti, che serve
di fondamento alle qualità, ai fenomeni. Sottrasione. T. Subtraction; I.
Subtraction ; F. Soustraction. Nella logica designa quella forma di
argomentazione per cui, enumerati i caratteri di un determinato tutto. «
dimostrato che un singolo è di essi totalmente o in parte sprovvisto, si
conchiude che esso o non appartiene a quel tutto, o gli appartiene soltanto in
parte. Questa argomentazione si fonda sopra il principio dialettico che « il
residuo è uguale al tutto meno la parte ad esso tolta ». Ad es.: perchè un uomo
sia virtuoso deve amare il prossimo, praticare la giustizia, astenersi dai
piaceri dannosi, ecc.; ma Tizio nd ama il prossimo, nd pratica la giustizia,
ecc.: dunque Tizio non è virtuoso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853. ». 225 segg. (v.
addizione, divisione). Sovrintelligenza. Nei sistemi teologici e mistici si
designa così quella funzione della ragione per cui questa, paragonando il campo
del possibile che le è dato nell’ idea al campo del reale datole dal
sentimento, vede che quello eccede infinitamente questo, e che in quella parte
di realtà non c'è la ragione suprema, che solo può esser tipo e ragione di
tnite le realtà finite. La sovraintelligenza umana è dunque l’atto per cui la
mente s’accorge che vi è qualche cosa oltre a tutto quello che essa conosce, un
al di là sconosciuto e inoonoseibile. Cfr. Rosmini, Logis, 1853. Ρ. 493 segg.
(v. agnosticiemo, misticisino). Spazio. T. Raum; I. Space; F. Espace. Secondo
il realismo lo spazio è un continuo a tre dimensioni illimitate, tutte le parti
del quale coesistono nello stesso momento; esso si ricollega strettamente col
tempo, che è un continuo illimitato avente una sola dimensione, di 1105
Bra cui noi occupiamo un punto determinato, che si sposta continuamente
nella stessa direzione. Secondo l’empirismo l’idea di spazio non è che il
rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza ο l’ estensione, e
l’idea di tempo il rapporto della suocessione dei fatti. Tanto lo spazio che il
tempo implicano molte questioni metafisiche © psicologiche, variamente risolte
nella storia della filosofia. La prima e la più importante di tali questioni è
la seguente: lo spazio esiste in sò, come luogo ove sono collocati corpi, è una
proprietà delle cose stesse, 0 è semplicemente un modo subbiettivo sotto il
quale percepiamo certe proprietà e certe relazioni dell’ essere? La filosofia.
antica, in generale, risolve la questione nel primo modo, la filosofia critica
moderna nel secondo. Così per Leucippo e per i suoi seguaci della scuola
atomistica, esiste nno spazio infinito, parte vuoto e parte ripieno di atomi;
il vuoto è lo spazio puro, che ha per proprietà essenziale l'estensione, e la
cui esistenza è provata dalla possibilità del movimento. Parmenide e gli eleati
negano l’esistenza del vuoto; l'essere occupa lo spazio in tutto e per tutto,
perchè non può venir limitato dal non-essere. Platone considera lo spazio vuoto
come la concansa (ξυναίτιον) nel non essere, che sta accanto al mondo dell’
essero ο della causa, al mondo delle idee e dell’idea del bene; per lui lo
spazio è quindi il « niente » di cui per l’iden del bene e della divinità è formato
il mondo fenomenico, Questa formazione consiste nella formazione matematica ;
egli insegna nel Filebo che il mondo della percezione à una miscela
dell'infinito dello spazio e del limite (πέρας) delle forme matematiche, e che
la cansa di questa mescolanza è l’idea del bene: per diventar simile al mondo
delle idee lo spazio assume la forma matematica. Anche per Plotino lo spazio
vdoto è il non essere, la materia, che forma la possibilità per l’esistenza dei
corpi, pur non essendo esso stesso corpo e non essendo determinato dn 70 RanzoLI, Dizion. di scienze filosofiche.
SPA 1106
alcuna proprietà; anche per Plotino lo spazio vale dunque come il
presnpposto per la riproduzione, che le idee trovano nel mondo fenomenico
sensibile. Aristotele si oppone alla identificasione platonica dello spasio con
la msteria, osservando che la materia e la forma sono inseparabili dalle cose,
mentre lo spazio è separabile e contiene le 0086; egli lo definisce invece come
il primo limite del corpo contenente, in quanto il corpo che vi è contenuto è
sascettibile di movimento locale; lo spazio è un vaso immobile, ma ciò che esso
contiene può esser mosso, da eni segue che non può esservi che un corpo
contenuto in ur altro nello spazio e che un corpo che non è contennto in un altro
non è nello spazio; la terra è nell'acqua come in suo Inogo naturale, l’acqua
nell’ aria, l’aria nell’etere, Vetere nel cielo, il cielo in nessun'altra cosa;
per Aristotele lo spazio è dunque qualche cosa di obbiettivo, di fisico,
qualche cosa che indica un ordino determinato nei mondo. La dottrina della
realtà obbiettiva dello spazio persiste ancora in Cartesio, Spinoza, Locke,
Newton. Per Cartesio l'estensione dei corpi, ossia lo spazio, costituisce non
solo l'essenza dei corpi, ma è infinitamente divisibik nelle sue parti; per
Spinoza } estensione è un attributo ino; per Newton lo spazio assoluto è reale,
e deve considerarsi come il sensorium, in oui Dio ha la percezione immediata
dell’ universo materiale; per il suo seguace Samuele Clarke lo spazio è una
conseguenza immediata e necessaris dell’esistenza di Dio, la proprietà d’una
sostanza incorporea, il posto non solo dei corpi ma anche delle idee. « Noi
abbiamo delle idee, come quella di eternità e di immensità, dice il Clarke,
idee che ci è assolutamente impossibile di distruggere o di bandire dal nostro
spirito, e che devono perciò essere gli attributi d’un essere necessari»
attualmente esistente.... Lo spazio è una proprietà della sostanza che esiste
per sò stessa, e non una proprietà di qualsiasi altra sostanza. Tutte le altre
sostanze sono nello Bra spazio, © lo
spazio le penetra, ma la sostanza che esiste per sò stessa non è nello spasio e
non è da esso pene trata. Essa è, per così espremirmi, il substratum dello
spazio, il fondamento dell’esistenza dello spazio ο della durata stessa ». Per
il Leibnitz lo spazio è invece null’altro che 1’ ordine delle coesistenze e
quindi non esiste indipendentemente dalle cose; è un fenomeno soggettivo, in
quanto l'estensione corporea si risolve nella rappresentazione che le monadi
inestese hanno della loro forza passiva. Per il Berkeley lo spazio assoluto è
un mero fantasma, lo spasio puro è la semplice possibilità del movimento dei
corpi, ο l'estensione, insieme con gli altri attributi sensibili della materia,
una nostra idea. Per Hume 1’ idea di spazio o di esteso non è se non l’idea di
panti visibili o tangibili distribuiti in un certo ordine, idea ottenuta
mediante sensazioni tattili ο visive e che esclude, in quanto tale, la
concepibilità di uno spazio vuoto. La dottrina della soggettività dello spazio,
riconfermata poi dal Condillac, Cr. Wolf, Baumgarten, James Mill e, infine, da
Emanuele Kant, dà origine ad un secondo problema: la nozione di spazio sorge
come prodotto della nostra esperienza sensibile, ο la troviamo insita a priori
nel nostro spirito? Secondo la dottrina empirica o genetica l'idea di spazio è
un astratto, che risulta dalla percezione di distanza (lunghezza) © di
estensione superficiale (larghesza © profondità): la prima è data specialmente
da una associazione tra le sensazioni della vista, del tatto ο del senso
muscolare, la seconda dalle sensazioni tattili cni si dssocia la
rappresentazione visiva della parte toocata; I’ idea di spazio, così ottenuta,
costituisce lo spasio prioologioo o Ottico, che è affatto relativo, e le cui
parti non appaiono mai perfettamente continue e omogenee; lo spazio assoluto, 0
spasio puro, di cui tutte le parti sono omogenee © continue, e che non lascis
alcuno spazio fuori di lui, è una pura astrazione matematica, non una vera e
propria realtà concettuale; la pretesa infinità dello spazio non significa
altro che ogni limite dello spazio è aceidertalo e può essere superato
dall’immaginazione. Second: la dottrina nativista lo spazio è invece un dato
assolutsmente a priori, che noi troviamo nel nostro spirito e ehr applichiamo
alle cose; le sue proprietà essenziali, che sono l'omogeneità o identità
perfetta delle sue parti, ll grandezza e la divisibilità illimitata proprietà di low natura inafferrabili alla
esperienza -provano che esso è un dato naturale ο a priori del pensiero. Così
per Kant lo spazio è il molteplice @ priori come forma del sens esterno; ogni
rappresentazione di un di fuori suppone infatti per base la nozione di spazio;
l'originaria rapprsentazione dello spazio è necessaria, perchè quantunque si
possano astrarre gli oggetti dallo spazio, non si pu però mai fare astrazione
dallo spazio stesso, ed è la rap presentazione di una quantità infinita, la
quale come concetto comprende infinite altre rappresentazioni : è dunque una
visione sintetica a priori, che in sò congiunge la realtà empirica e la
idealità trascendentale. Per Hegel Ίο spazio è mera forma, l’astrazione della
esteriorità immediata; 1’ Idea come natura comincia appunto a porsi come l’
essere che è esteriormente ed è altro: « La prima o immediata determinazione
della natura è l'universalità astratta della sus eseriorità; la cui
indifferenza priva di mediazione è lo epazio. Lo spazio è la giustaposisione
del tutto ideale, perohd è l’esser fuori di sd stesso, e semplicemente
continue. perchè questa esteriorità è ancora del tutto astratta, e non ha in sd
alcuna differenza determinata >. Per P Herbart lo spazio è l'apparenza
obiettiva prodotta dal meccaniamo della rappresentazione e precisamente da un rapido
sucoedersi di qualità, prive per sò stesse di ogni estensione; allo spazio
empirico corrisponde uno spazio intelligibile « che noi aggiungiamo
inevitabilmente col pensiero all’ andare ο al vedelle sostanzo,... e che la
metafision costruisce per le 1109 Spa mutazioni di situazione della realtà
intelligibile ». L’ Helmholtz riconduce la rappresentazione dello spazio alla
organizzazione psicofisiologica; ma oltre allo spazio apparente © soggettivo
dobbiamo ammettero una spazio reale « perchè nella realtà devono esistere dei
rapporti di qualche genere ο dei complessi di essi, tali da determinare il
luogo dello spazio nel quale un oggetto appare »; questi rapporti sono i
momenti topogeni; i momenti ilogeni fanno sì) « che noi crediamo di percepire
in tempi differenti cose materiali diverse nei medesimi Inoghi ». Per il
Diibring lo spazio reale è « quello per il quale le cose hanno una distanza lo
une rispetto alle altre »; ora, è per virtù delle stesse forze naturali che le
distanze reciproche dei corpi e delle particelle materiali sono come sono e non
altrimenti, ο si mautanò; la posizione spazialo ο la distanza spaziale espri
mono dunque un rapporto dinamico, e le forme spaziali non possono mai per tal
guisa realizzarsi senza una grandezza determinata; l’ordine spaziale delle
parti si distingue pereid come un ordine di parti in cui gli clementi sono gli
autori di un aggruppamento schematico: « ora, lo schema, che per tal guisa
diventa percepibile, è appunto lo spazio ». Il Wundt definisce lo spazio « una
grandezza permanente, infinita, congruente in sè stessa, nella quale il singolo
indecomponibile è determinato mediante tre direzioni ». Contro Kant egli nega
la rappresentabilità di uno spazio vnoto, pure riconoscendo che lo spazio nella
forma in cui lo intuiamo non può avere realtà obiettiva; contro le dottrine
nativistiche ed empiriche dello spazio egli pone la propria dottrina dei segni
locali, in virtù della quale V intaizione spaziale apparo come una sintesi
associativa © fusione di un sistema di segni locali fissi della retina, con un
sistema di segni locali uniformi di movimento, e quindi come un prodotto delle
nostre condizioni psichiche ο dolla nostra organizzazione fisica; ciò porta ad
escludero tanto una corrispondenza fra la nostra intuizione spazialeSpa 1110 ©
l’ordine esterno delle cose, quanto l’arbitrarietà dell’intuizione stessa: « La
necessità, proveniente dall’ esterno, ondo la nostra coscienza è obbligata a collocare
gli oggetti in ordine spaziale, dimostra ansi l’esistenza di fondamentali
determinazioni obbiettive sotto il cui influsso l’ intuizione spaziale è
formata. Se noi designano tali de terminazioni come spazio obbiettivo, dobbiamo
considerarlo come qualche cora di sconosciuto, che non ci è dato
immedistamente, ma al quale potremmo giungere, se riusci» simo ad eliminare i
processi soggettivi, che ci hanno condotto alla intuizione spaziale ». Il Masci
ammette invece con Kant che.lo spazio non è un concetto discorsivo ο ge nerale
di rapporti delle cose, ma una pura intuizione, anzitutto perchè il concetto è
universale mentre l’intuizione ha per suo termine l’individuale, © gli spazi
singoli sono appunto intuiti come parti non costitutive ma distributive ©
limitative; poscia perchè, mentre gli elementi dello spazio (punti) non hanno ordine
logico e non si esigono ma si escludono, carattere dei concetti è di avere
organisme e misura; infine perchè i concetti sono prodotto di comparazione e
astrazione, mentre gli spazi non hanno nulla di diverso tra loro e si
distinguono soltanto nello spazio: egli aggiunge ancora che lo spazio rende
conce] il principio di causalità, © non può quindi essere, al pari di questo,
un concetto, formando lo schema per cui il concetto stesso diventa
rappresentabile. Il Varisco ammette uno spazio reule, a tre dimensioni,
omogeneo, euolidev; # uno spazio puro o astratto, formatosi nella nostra mente
allo stesso modo di tutte le altre nozioni astratte, cioè per V aggruppamento
spontaneo dei dati sperimentali, con la conseguente eliminazione degli elementi
che non siano compatibili; l’esistenza dello spazio reale è provata dal fatto
stesso della ‘rappresentazione determinata, che gli uomini ne hauno, nonchd
dalla impossibilità di sostituire i simboli spaziali con altri: «
Oggettivamente, quello che ll Bra si
chiama lo spazio si risolve: primo, nell’ avere cisscun elemento materiale un’
estensione. L’ elemento non essendo composto di parti distinte, nd scomponibile
in modo alcuno, la sua estensione è assolutamente inseparabile; è uno dei
caratteri essenziali, dal cui complesso inseindibile risulta V elemento,
appunto come la sua massa, 9 la sua attitudine a essere determinato
psichicamente. Secondo, nell’ ensere gli elementi a distanza tra loro, il che
significa soltanto che le loro estensioni non si continuano ». Per l’Ardigò lo
spazio non è che l’astratto del rapporto di coesistenza, ossia dell’ ordine col
quale si presentano associati insieme i sensibili nella percezione dei corpi: «
I corpi ο le sostanze del mondo esterno, distribuiti in questo nello stesso
ordine secondo il quale sono sentiti gli organi onde li percepiamo; ossia la
proiezione, nello stesso mondo esterno, non solo dei sensibili relativi, ma
anche dell’ ordine secondo il quale li sentiamo; e la stessa proiezione di
questo ordine per la medesima legge di oggettivazione della sensazione esterna:
ecco il fondamento della idea dello spa zio ». Si tratta dunque d’un concetto
empirico, alla cui formazione concorrono insieme sensazioni visive, tattili,
muscolari, e che non richiede quindi per essere spiegato il concorso della
facoltà dell’ intelletto o del soprasensibile ; l'argomento della infinità
dello spazio, e quello soeraticoplatonico della presenza intera dell'idea dello
spazio già al principio della vita cogitativa, non valgono contro la concezione
empirica, sia perchè I’ infinità spaziale non si intuisce veramente, sis perchè
l’idea di spazio, al pari d’ogni altra ides, si va formando a poco a poco nella
nostra nente col progresso dell’ esperienza e del lavoro di associazione, di
distinzione, di costruzione logica. Cfr. Platone, Timeo, 49; Aristotele, Phys.,
IV, 5, 212 b, 27 seggi; Plotino, Enx., III, 6, 7 © 18; Cartesio, Medit., IV;
Id., Prine. ΡΜ. II, 10 segg.; Spinoza, Ethéoa, II, teor. II; Locke, Éssay, II,
cap. XIII, $ 2, 11, 21 segg.; Newton, Naturalia SPE phil. prino. math., 1687,
p. 6. II, III; Leibnitz, Op. fi. 1840, p. 602, 241; Berkeley, Dial. b. Hylas a.
Philonows, I: Hume, Treatise, 1874, II, sez. 3; Kant, De mund sesis., 1882,
sez. III, $ 15; Id., Krit. d. reinen Fern., ed. Kehrbach, p. 50e segg.; Hegel,
Enoiclopedia, trad. it. , p. 205 segg.: Herbart, Peyohol. als Wissenschaft, 33
ed., I, p. 488 segg.: Id., Allgemeine Metaphysik, 1828, II, p. 199; Helmholts,
Pàiayol. Optik, 1867, p. 442 segg.; Dühring, Logik, 1878, p. 199-201; Wundt,
Logik, 2° ed., I, p. 442-461; Id., Grundsiigo, d. physiol. Peychol., 2° ed., t.
II, p. 28 segg.: Baumann, Die Lehren von Raum, Zeit und Mathematik, 1869; B.
Erdmann, Die Aziome d. Geometrie, ; Schlesinger, Substantielle Wesenheit des
Raumes und der Kraft, 1885; 8. H. Hodgson, Time and space, 1865; G. Lachalas,
Etude aur l'évpace ot le temps, 33 ed., 1910; B. Bourdon, La perception
visuelle de Véapace, 1902; A. Covotti, Le teorie dello spario e del tempo nella
fl. greca, « Annali della R. Scuola Nor. di Pisa », vol. VII, 1899; Tocco,
Della materia in Platone, « Stud. it. filol. class. », IV, 1895; Varisco,
Soiemsa e opinioni, 1901, p. 60 segg; Masci, Le forme dell? intuizione. 1881;
Ardigd, Op. fil., II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88 segg. (v. intuizione,
iperspacio, estensione, superficie. distanea, stereognostico). Specie. T. Art;
I. Species; F. Espèce. In una serie di due o più idee subordinate le une alle
altre, le meno estese si dicono specie rispetto alle più estese, che diconsi ge
nere; © siccome l’estensione e la comprensione stanno fra loro in rapporto
inverso, così sotto il rispetto della comprensione la specie è invece maggiore
del genere, cosicchè essa comprende gli attributi del genere. E facile
comprendere che una idea può essere generica sotto un rispetto, specifica sotto
un altro: così nella serie di ossere, materia, organismo, animale, vertebrato,
uomo, l’iden animale è specifica rispetto a quelle più estose 9 meno
comprensive di organismo, materia, cescre, è gonorioa rispotto alle idee meno
cstese © più comprensive di vertebrato © uomo, Diminuendo sempre più
l'estensione, si arriva all’ idea assolutamente specifica ultima species -; compiendo l'operazione
inversa si giunge all’ idea assolutamente generica summum genus ossia all’ idea di essere, di sostanza, di
qualche cosa, ecc. Nello scienze fisicho
per specie κ’ intendono gli stati o fatti primitivi, fondamentali,
irreducibili; lo sforzo del pensiero scientifico è, a tal riguardo, di ridurre
le specie al minor numero possibile ο di eliminarle. Nella concezione meccanica
dell’ universo, le varie specie di fenomeni si fanno derivare da combinazioni e
complicazioni di movimenti, eseguiti da moviili ο regolati da un numero
limitatissimo di principi; in tal modo però l’unità e l'identità reale dei fenomeni
è raggiunta solo apparentemente, giacchè per dar ragione della diversità
occorre ammettere dello profonde differenze tra le proprietà dei movimenti, le
quali, dovendo avere anch’ esse una causa, implicano necessariamente
l’esistenza di specie diverse di condizioni. Una più profonda unificazione
raggiunge la dottrina elettromagnetica, la quale, eliminato ogni dualismo tra
materia ed etere, ponderabile © imponderabile, risolve le varie specie di
sostanze materiali che noi percepiamo in forme diverse di aggregamento di
elementi omogenei; in tal modo il fondamento delle distinzioni in specie o in
aggruppamenti di vario ordine (si tratti di sostanze semplici o composte) non
può esser posto in qualità esolurive degli elementi singoli, ma nelle maniere
di aggrupparsi © di ordinarsi di elementi identici, e quindi nelle leggi che
intervengono e spiegano la loro efficacia nei vari casi. Nello scienze biologiche la definizione dalla
specie, collegandosi alle questioni fondamentali della filosofia zoologica,
varia a seconda dei diversi autori: per il Prichard essa è una collezione di
individui somigliantisi tra di loro, discesi da una coppia primitiva, e le cui
lievi difSPE 1114 ferenze si spiegano con l'influenza degli
agenti fisici. Per il Cuvier è la collezione di tutti gli esseri organirsati,
nati gli uni dagli altri e da parenti comuni, ο da quelli che loro somigliano
tanto quanto essi si somigliano tra di loro. Per il Lamarck è la collezione
degli individui somiglianti che la generazione perpetua nello stesso stato,
finchè le circostanze della situazione non cambino sufficientemento per
cambiare le loro abitndini, i loro caratteri, le loro forme. Ad ogni modo, il
criterio prevalente è che si dicono della stessa specie gli individui che
possono inorociarsi meglio tra di loro e dar Inogo a prodotti che si perpetuano
all'infinito; invece V inerociamento fuori della specie, nel genere, o è
sterile 0, so dà luogo a riproduzione (come tra la lepre ο il eoniglio) essa
non si perpetua all'infinito. In questi ultimi tempi il concetto di specie ha
subìto però nuove modificazioni, in seguito agli studi del Heincke sullo
deviazioni dei caratteri dalla media, e più ancora del De Vries sulla
variabilità nel mondo vegetale e sull’ ibridismo. Secondo il De Vries, i
caratteri della specie presentano nell’ individno una certa indipendenza l’uno
dall’altro ed una varinbilità fluttuante ο statistica, cioò una oscillazione in
più o in meno, intorno ad un valore medio (ideale) del carattere, entro limiti
che non sono mai oltrepassati : assolutamente infondata, egli dice, l’ opinione
che la variazione lineare (in un senso ο nell’altro) di un dato carattere sia
illimitata, in modo che si possano produrre nel corso di secoli ο di millenni
trasformazioni, più importanti che non nel corso di pochi anni. Per il
miglioramento di ciascun carattere preso per sò, bastano in condizioni
favorevoM 2-3 ο per solito non più di 3-5 generazioni ». Mentre lo speoie
elementari, anche quelle più affini tra loro, non differiscono per un solo
carattere, ma in quasi tutti i loro organi e in tutte le loro qualità, nessun
essora dà in eredità ai suoi discondenti i snoi caratteri come 1115
SPE un tutto unico. Mediante procedimenti sperimentali fu possibile
separare uno o più caratteri, seguendone poi lu sorte attraverso una
generazione di ibridi. Il Rosmini chiama
specie piena, o anche esemplare dell’ oggetto, il concetto pienamente
determinato, che ha cioè la massima comprensione e la minima estensione; quando
con l’astrazione si tolgono da questa specie piena gli accidenti, lasciando la
sostanza, si ha la specie astratta sostanziale; quando si fa 1’ operazione
inversa si hanno lo specie astratte accidentali. Nel linguaggio della filosofia scolastica per
species a’ intende I’ imagine rappresentante l'oggetto. Species sensibilis è
quella della percezione, species intelligibilis quella del pensiero: « Species
sensibilie non est illud quod sentit, sed magis id quo sensus sentit. Ergo species
intelligibilie non est id quo intelligitur, sed id quo intelligit intellectus.
Per apeoiem intelligibilem fit intellectus intellegens actu, siout per apociom
sensibilem sonsus est aotu sentiene » (8. Tommaso). Species praedivabilis è la cosa atta ad esser
predicato di molte, differenti di solo numero, nella domanda quid est; ad es.
animale predicato di cavallo, pecora, eco. Species subiicibilia è il
particolare che si colloca propriamente sotto il genere e di cui si predica
immediatamente il genere in quid; ad es. animale rispetto ad un vivente.
Speoies ezpressa è la percezione © rappresentazione dell’ oggetto, detta così
perchd è espressa ο tratta fuori e dalla potenza; species impressa è la qualità
prodotta dall’ oggetto quale vicaria rirtus obiecti che si imprime nella
potenza e la completa ο l’aiuta a trar fuori la percezione dell’ oggetto, cioè
In specie espressa; entrambe le specie vengon dette talora anche speoies
intentionalis, perchè per essa la potenza tendo all'oggetto. Cfr. A. Righi; La
moderna teoria dei fonomeni fisici, 1904; Hugo De-Vries, Specie ο varietà, trad.
it., Palermo, Sandron ; Raffaele, Riv. di Sciensa, anno I, n. 102; De Sarlo, La
nozione di specie, « Cult. filosofica », giugno 1908; S. Tommaso, Sum. phil.,
I, qu. 46; GocleSPE 1116 nius, Lexicon philosophicum, 1613, p. 1068
segg.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, III, 2, 2 (v. darwinismo,
razza, trasformismo, ibridismo, sensibile). Specifico. T. Speoifisch; I.
Specific; F. Spéoifique. oppone tanto a generico quanto a individuale; così
dicesi differenza specifica tutto ciò che serve a distinguere uns specie da
un’altra; esperienza specifica quella fatta da tutta la specie attraverso il
succedersi delle generazioni, e fissata per l'eredità nell’individuo ; memoria
specifica |’ istinto che è un insieme di atti protettivi accumulati e trasmessi
dalla eredità; legge delle energio specifiche, la dottrina, secondo la quale le
diverse modalità delle sensazioni dipendono dalla natura specifica dei diversi
organi di senso, non dalla differenza degli stimoli esterni che le eccitano (v.
energie specifiche). Specioso. Un argomento specioso non è che un ragionamento
sofistico, con cui si tende a persuadere altrui della verità d’una conclusione
falsa. Speculare. Dicesi allucinazione speculare quel fenomeno psicologico che
si verifica durante gli stati profondi del sonno ipnotico, e che consiste nella
visione interiore del proprio organismo acquistata dal soggetto e proiettata al
di fuori. Dicesi scrittura speculare o a specchio, quella che va da destra a
sinistra, come la scrittura che si legge per riflessione in uno specchio. Può
essere così istintiva come naturale (Leonardo da Vinci); nel primo osso dipende
da una anomalia, non ancora bene conosciuta, dei centri motori encefalici (v.
autosoopia). Speculativo. T. Speculativ ; I. Speoulative; F. Speoulatif. Si oppone
tanto a sperimentale, empirico, positivo, quanto a pratico © designa il sapere
astratto ο che è fine a sè stesso, e non serve quindi di mezzo a fini utilitari
o pratici. Diconsi speculative le scienze filosofiche, ο quelle, in genere,
nelle quali più che l’esperienza hanno parte la forza indagatrico della ragione
e la sua potenza dimostrativa. Dicesi ragione speculativa la ragione in quanto
ha per fine la ricerca del vero, e ragion pratica la ragione in quanto ha per
fine il bene e fornisce i principi dell’azione. Speculasione (speculari =
guardare attentamente). T. Speculation ; I. Speoulation ; F. Spéculation. E la
traduzione latina del greco θεωρία da Sewpsty, che significa osservare,
indagare. Quindi speculazione vale indagino, ricerca, ma spesse volte si
adopera per indicare il sapere puro, l’indagine razionale, per opposizione alla
ricerca sperimentale e positiva. Così per Aristotele la speculazione è la forma
più alta e intuitiva del concepire, ed appartiene anche alla divinità. Per Kant
una conoscenza teoretica è speculativa quando ha per oggetto cid che non si pud
cogliere in alcuna esperienza; la conoscenza dell’universale in astratto è
conoscenza speculativa; la conoscenza filosofica è la conoscenza speculativa
della ragione. Cfr. Aristotele, Met., VI, 1, 1025 b, 18; Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 497. Spirito. Lat. Spiritus, Mens; Τ. Goist; I. Spirit;
Ἑ. Esprit. Pnò avere vari significati. Nel senso metafisico, lo spirito è la
sostanza immateriale, distinta dal corpo ο ad enso opposta, semplice,
indivisibile, imponderabile, incorruttibile, immortale; essa non ha alcuna
forma sensibile, nessuna proprietà della materia, 9 si rivela come pensiero,
sentimento e volontà. La nozione di sostanza spirituale, intravveduta
nell'antichità soltanto da Platone, è relativamonte recente nella storia del
pensiero. Da principio per spirito si intendeva il soffio della vita, ciò che
l'essere animato sembra esalare col suo ultimo respiro, e per lungo tempo
rimase a designare non ciò che è assolutamente incorpoTeo e immateriale, ma
bensì una materia estremamente sottile, attenuata, penetrante e impalpabile
come il soffio; tale concezione materialistica si mantenne anche nella
filosofia greca, cosicchè per Anassimandro 1’ anima è gassosa, Ser 1118 per
Ippone è un’ umidità, per Senofane è aria, per Eraclito, per Democrito e per
gli stoici è fuoco, per Epicuro à un corpo consistente di materia serea ο di
fuoco. Anche per Anassagora lo spirito (νοῦς) ordinatore dell’ univers secondo
un fine e moderatore del movimento, è una materia, un elemento corporeo,
omogeneo in sè, inoreato ο imperi turo, diverso da tutte le altre materie solo
per grado, in quanto è la più fine, la più leggera, la più mobile, e per la
sostanza, in quanto si muove da sò e muove gli altri elementi. Per Tertulliano
lo spirito è una particolare svstanza: epiritus enim corpus sui generis in sua
effige. Per Alberto Magno apiritus potest dici is qui active apirat. Per
Melantone vapor ex sanguine expreseus. Questo concetto durò fino a tutto il
medio evo, e la stessa religione cristiana non seppe spogliarsene, come è
dimostrato dalle pane materiali che essa infligge alle anime condannate al
fuoco eterno. Soltanto col dualismo cartesiano si distinsero nettamente le due
sostanze, che esistono entrambe per sò stesse, ma di cui una, lo spirito, è
pensiero ο attività, l’altra, la materia, è estensione e inerzia: questi due
opposti si uniscono solo in Dio, fondamento reale della conoscenza e del moto,
e nell’uomo, che è spirito e corpo, pensiero ed azione: Non autem plura quam
duo genera rerum agnosco: unum est rerum intellectualium, sive cogitativarum,
hoc est. ad mentem sive ad substantiam cogitantem pertinontins : aliud rerum
materialium, sive quas pertinent ad substantiam, hoc est, ad corpus. (Cartesio).
Una nozione ugualmente esatta dello spirito si ha nel Berkeley: « Uno spirito è
nn ee sere semplice, individuale, attivo, che si chiama intelligenza in quanto
percepisce le idee, volontà in quanto le produce o è attivo in rapporto ad esse
». Naturalmente, il materialismo ha sempre combattuto il concetto della
sostanza incorporea, dello spirito, che per l'Hobbes è una vor insignificans, ©
per i materialisti del secolo soorso uns semplice fanzione della sostanza
cerebrale; ma la critica 1119 fer più acuta fu fatta da Locke ο da Hume, il
primo dei quali dimostrò l’inconcepibilità di una sostanza in sè stessa, il
secondo sostenne che, essendo ogni idea derivata da una impressione precedente,
se abbiamo un’ idea della sostanza del nostro spirito dovremmo aver pure un’
impressione di questa sostanza, il che è inconcepibile perchè V impressione
dovrebbe esser simile alla sostanza; perciò egli risolve lo spirito in « un
sistema di percezioni diffe- renti, che sono collegate le une alle altre da un
rapporto causale e reciprocamente si producono, si distraggono, si influenzano
© si alterano ». Tale critica fa accettata da Kant, che additò i paralogiemi
nei quali onde la peicologia razionale quando vuol provare la spiritualità
dell’anima; da J. 8. Mill, che risolve lo spirito in una possibilità permanente
di sentimenti; dal Bain, che lo considera come « un residuo, che si trova
dopochè si è separato il mondo obbiettivo dalla totalità della nostra
esperienza »; dal Wundt, che ne fa un semplice soggetto logico dell’esperienza
interna; dallo Spencer, che lo pone come inconoscibile, come un simbolo di ciò
che non pnd mai cadere sotto il pensiero; dall’Ardigò, che lo considera come il
ritmo comune o generico mentale, costituito dallo reminiscenze e dalle
sensazioni interne, ritmo che ci si presenta come inesteso e immateriale,
perchè nei suoi ele«menti non apparisce il riferimento con la meccanicità del
fatto fisiologico, della quale gli elementi stessi sono la manifestazione
cosciente. Nel senso puramente
psicologioo lo spirito può designare sia 1’ insieme delle attività psichiche
dell’uomo, senza riferimento ad una sostanza permanente, © in tal caso ha il
significato generico che si attribuisce alla parola coscienza, psiche, anima,
io, eco.; ein l'insieme delle sue facoltà intellettuali, e in tal caso ha
significato più ristretto, ο si oppone alle facoltà affettive ο Volitive. Cfr.
Aristotele, Phys., VIII, 1, 250 b, 24; Diogene Laerzio, II, 3, 6; Platone,
Rep., IV, 435; Tertulliano, Spr
1190 Adv. Praz., C 7; Cartesio,
Prino. phil., I, 11, 48; Berkeley, Prino. of hum. know., 1710, XXVII; Locke,
Enquiry, 1. II,
cap. 23, $ 18 segg.; Hume, Treatise, P. IV, ses. v; J. è. Mill, La phil. de
Hamilton, trad. franc., cap. XII, pag. 228 segg.; Bain, The sonsca and the intellect, 3* od., cap. I;
Spencer, Prino. of Peychol., 1881, P. II, cap. 1, § 58; Wandt. Handbuch d.
physiol. Peyohol.,
, vol. I, p. 8; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 10 segg.; Tylor,
La cirilisation primitive, trad. franc, 1876, vol. I, p. 497 seggi, Lubbock, I tempi prolstorioi ο
l’origine dell’ incivilimento, trad. it. 1875, p. 557 segg.; Ardigò, Opere
fil., I, 209 segg. IX, 306 segg. (v. anima, psiche, attualiemo,
sostanzialismo). Nel suo significato più largo, lo SPIRITUALISMO è la dottrina
che ammette l’esistenza di Dio e dell'anima come sostanze immateriali, © cioè
semplici, inestese, attive, identiche a sè stesse, © che non cadono sotto i
sensi; si oppone perciò al materialismo, il quale non ammette altre sostanze
che le materiali, e nega l’esistenza di sostanze spirituali distinte dalle
sostanze materiali. Si distingue dall’idealiemo, in quanto mentre questo fa
dello spirito, come del corpo, un semplice modo del pensiero, un’ idea pura,
quello considera invece l’idea come un modo o una forma dello spirito. La
distinzione però non è sempre osservata, usandosi spesso le espressioni
idealismo realistico, o metafisico, © cosmologico, ο assoluto, per indicare il
monismo spiritualistico. Tre sono i principali argomenti dello spiritualismo
per dimostrare la necessità di un principio immateriale che produca i fatti di
coscienza: 1° la coscienza non pnd nascore dalla materia corporea, perchè
mentre questa è per sua nature molteplice e composta, quella è per sua natura
semplice ed una; 2° la coscienza, essendo dotata di ai vità spontanea e libera,
non può derivare dalla materia. cho à inerte © incapace di modificare sò
stessa; 3° la coscienza non pad derivare dall'organismo, perchd mentre essa
sente di rimanere sempre identica a sè, l’organismo si rinnova © varia
continuamente. Quest’ ultimo è l’argomento sul quale si appoggiano,
specialmente dal Lotze in poi, gli spiritualisti moderni: se nel corso della
vita psichica, nel succedersi continuo di sensazioni, rappresentazioni,
emozioni ο voleri, l'individuo si sente sempre identico a sò, sempre il
medesimo, vi deve essere nn sostrato permanente sotto la vicenda dei fatti
psichici, i quali per ciò non sono che fenomeni molteplici e variabili d’una
sostanza unica © immutabile. Ammessa l’esistenza della sostanza spirituale, due
soluzioni fondamentali αἱ rendono possibili. Si può considerare lo spirito come
unica realtà, di cui la materia non è che un semplico fenomeno, e in tal caso
si ha lo epiritualiemo puro o monistico. Si può consideraro invece lo spirito e
la materia come due principi ο sostanze opposte e irreducibili, esistenti ab
aeterno I’ una accanto all'altra, e agenti reciprocamente l’ans sull'altra, 6
in tal caso si ha lo apiritualiemo dualistico. Le principali ragioni su cui lo
spiritnalismo monistico si fonda, sono: 1° poichè l'universo non si rivela a
noi che sotto forma spirituale, devo essere di essenza spirituale; 2° poichè
l'universo è conoscibile, deve eniatere tra esso © il nostro spirito un legame
essenziale, giacchè sarebbe inesplicabile una corrispondenza tra il pensiero ο
ciò che gli è del tutto estraneo; 3° poichè nella coscienza non c'è che
coscienza, se non si vuol rinunsiare a conoscere si deve concepire l’universo
in termini di coscienza, ossia per analogia con la nostra esperienza interna.
Le varie forme del monismo spiritualistico germogliano infatti da una
particolare traserizione del mondo in termini di esperienza psicologica, sia
che faccia dell'universo un processo organico e consideri 1’ ovoluzione cosmica
come In necessaria attuazione d’unn idea immanento nella natura, sia che riduca
il divenire della realtà all'esplicarsi d’ un: tendenza impulsiva, sin che la
faccia rampollaro da un ferace istinto di reazione. Platone cho eleva ad
immutabili #1 Ranzout, Dizion. di
scienze filosofiche. Spo 1122 essenze i concetti dello spirito umano;
Fichte che vede nel processo cosmico lo sforzo perenne dell’ Io morale per
rendere efficace la sua libertà; Hegel che dà valore di realtà assoluta al
movimento dialettico del pensiero; Schopenhauer che pone al fondo delle cose la
volontà; Schelling. Froschammer, Bergson che contemplano nell’eterno dive nire
del mondo l’opera d’una fantasia inesauribile, traggono tutti dalla esperienza
interna il principio del low spiritualismo. Cfr. F. Kirchner, Grundprinzip des
Weltprezesees, 1882; Wachrot, Le nouveau spiritualieme, 1882; A. Aliotts, Linee
d’una concesione spiritualistica del mondo, « Cultura filosofica >, Anno
VII, n. 3, 8, 4-5 (v. anime, monismo, influsso fisico, neo-spiritualismo,
parallelismo, #stanza, sostanzialismo, spirito). Spontaneita. T. Spontaneitàt;
I. Spontaneity; F. Spor tandité. Leibnitz la definì brevemente contingentia
sine cos tione; Cristiano Wolff principium asse ad agendum deterninandi
intrinseoum. Nel suo senso proprio, è il potere che ha un essere di modificare
da sè stesso lo stato proprio. indipendentemente da ogni causa esterioro. Si
oppone quindi alla inersia, che è invece la tendenza di un essere a perseverare
indefinitamente nel suo stato di riposo o di movimento, finchd non sia
modificato da una causa este riore. Per Aristotele gli oggetti che
costituiscono la na tura hanno în sò stessi il principio del proprio moto, ©
tali oggetti sono non solo i corpi, ma anche quelli che sono legati con corpi,
come l’uomo, © quelli che al corp? sono principio di movimento, come l’anima.
Epicuro pe neva nell’atomo una spontaneità, una determinazione individuale, per
oui esso può deviare nella sua caduta rettilines (clinamen) e produrre quegli
urti con gli altri atom. che danno origine alle cose. Anche il Leibnitz pone ln
spontaneità nella monade, che è una forza semplice, originaria, determinata in
sò stessa e non dal di fuori, Nella filosofia moderna la spontaneità è da molti
considerats essa è sostituito il determinismo cosmico, 1’ universale ο
necessaria continuità del movimento, che si trasforma in modi infiniti. Quando
la spontaneità è apposta alla recettirità, non significa più libertà: si dice
infatti che la sensibilità è una recettività, l'intelletto invece una
spontaneità, in quanto è la facoltà, dice Kant, di produrre in noi stessi delle
rappresentazioni. Cfr.
Leibnitz, Philos. Scriften, ed. Gerhardt, IV, 483, VII, 108; Kant, Krit. d.
reinen Vern. (v. caso,
contingenze, necessità). La STATICA è quella parte della meccanica razionale che
studia la composizione delle forze (indipendentemente dai movimenti che sono
capaci di produrre) considerate come grandezze riferite ad una unità di misura
della stessa specie. Statistion. T. Statistik; I. Statistica; F. Statistique.
Può designare tanto la scienza dei fatti sociali espressi con termini numerici,
quanto i termini stessi. La statistica come scienza ha per oggetto la
conoscenza della società considerata nei suoi elementi, nella sua economia,
nella sua tuazione; essa si può definire come l'osservazione e l’induzione
appropriate allo studio quantitativo dei fenomeni collettivi, suscettibili di
variare senza regola assegnabile a tutto rigore. Nei fenomeni collettivi essa
deve sceverare ciò cho v’ha di tipico nella varietà dei casi, di costante nella
variabilità, di più probabile nell’apparente accidentalità, e decomporre, fino
al limite che la natura del metodo consente, il sistema di cause ο di forze di
cni essi fenomeni sono la risultante. La statistica è deserittica, quando si
limita a raccogliere i fatti, matematica quando li rappresenta e confronta per
dedurne lo leggi. Cfr. Morpurgo, La statistica e le scienze sociali, 1872;
Gabaglio, Teoria generale della statistica, 33 ed. ; N. Colaianni, Manuale di
mtatistioa teor., 2* ed. 1907 (v. sociologia). Stato. T. Staat: I. State; F.
État. Ogni società organizzata snlle basi della giustizia; ogni società i cui
membri STA 1124 prestano abituale obbedienza ad una autorità
posta nel. società stessa e che non presta obbedienza abituale ad un autorità
esterna. Il Brugi lo definisce « un istituto che tr tela il diritto nella
società civile, induce a unità le classi > ciali, ed à il mezzo con cni si
manifesta l’azione colletti»: del popolo »; così inteso, lo Stato è distinto
dalla società ti vile, che è l’ ordinamento degli individui appartenenti a vi
dato popolo in classi fondate sugli interessi economici, tisi © intellettuali.
L'origine, la natura e le funzioni deliv Stato furono © sono spiegate in modi
diversi. Per Prots gora gli dèi hanno elargito a tutti gli nomini in misun
nguale il senso della giustizia e il timore morale (2ixr © αἴδώς) affinchd
possano conchiudere patti durevoli per i conservazione reciproca nella lotta
per la vita. Per Pis tone lo Stato ideale deve rappresentare in grande l’uomo.
ο deve perciò constare di tre parti, che corrispondono alle tre parti
dell'anima: la classe insegnante, la classe mil: tare e la classe guerriera;
solo alla prima spetta di gu: dare lo Stato, di fare le leggi e di vegliarne
l’eseenzior mentre cömpito della seconda à la conservazione dell dinamento
dello Stato, interno ed esterno; alla gran mass del popolo, operai e contadini,
che col lavoro provvedono alla creazione dei mezzi esteriori dello Stato,
s’addicono solo l'obbedienza e la moderazione. Per Aristotele l’attività morale
dell’ uomo, ζῶον zoAtttxév, non può trovare la sus perfezione se non nella vita
in comune, quindi anche per lui non e’ è nessuna moralità concreta fuori dello
Stato, come scopo essenziale del quale anche Aristotele considerava l’educazione
morale dei cittadini; ogni costituzione politica è giusta, quando il governo ha
presente, come scopo più elevato, il benessere della umanità. Cfr. Combotheern, La
conospt. jurid, de Etat, 1899; Spencer, L’individu contre?" État. trad. frane. 1885; Cavagnari, Psicologia
dello Stato, 1901:Brugi, Introd. alle acience giuridiche e sociali, 1907, p. 1
sogg. (v. contrattualismo, diritto, pena, società). sre Stereognostico (senso). Espressione
introdotta nel linguaggio filosofico dall’ Hoffmann, con la quale si designa il
senso che ci dà la nozione della forma degli oggetti e delle loro proprietà
fisiche, quali la temperatura, l’estensione, la consistenza. Più che una forma
di sensibilità semplice esso è costituito dall’associazione di nozioni fornite
specialmente dal tatto attivo ο dal senso muscolare. In generale si ammette che
la nozione della solidità e della forma degli oggetti a distanza ci è data
dalla visione bioculare, per la differenza delle due imagini retiniche prodotte
dall’oggetto solido. Perciò alcuni psicologi ritengono sia più proprio parlare
d’una percezione atereognostica piuttosto che di un senso stereognostico ;
altri lo chiamano invoce fatto attivo, 0 percezione tattile dello spazio.
Dicesi storeoagnosia il fenomeno psichico, che consiste nella perdita del
riconoseimento della forma degli oggetti: sembra dovuta ad una rottura delle
fibre d’ associazione leganti il contro sensoriale muscolo-tattile col centro
dello imagini visive delle forme. Cfr. Helmholtz, Physiol. Optik, 2° ed. p. 782
segg.; Wundt, Physiol. Paychol., 4° ed., vol. II, p. 227; E. B. Titchener,
Exper. psychol., 1901, I, p. 257 segg.; Bourdon, La perception visuelle de
l'espace, 1902; Id., «Inndo peyohologique, , p. 65 segg. Stereoscopic. T. Sterooskop; I. Stereoscope; F.
Stéréoscope. Stromento col quale le figure piane sembrano solido, valo a dire a
tre dimensioni. Esso si fonda sulla constatazione che l'apprezzamento della
solidità dei corpi è dato dalla visione bioculare, per il fatto che l’imagine
di un dato corpo solido, proiettata su una retina, non può essere ngnale
all’imagine che lo stesso corpo proietta nel medesimo tempo sull’altra retina.
Esistono vario forme di stereoscopi, di cui il primo è dovuto al Weastone.
Mediante questo stromento si fw cadere sopra una retina il disegno dell’imagine
che un dato corpo solido proietterebbe su essa, e sui punti identici dell’altra
retina il disegno delSTE-STO 1126 l’imagine che il medesimo corpo proietterebbe
contempo raneamente su di essi; quindi, benchd ciascun disegno sia
rappresentato da una superficie a due sole dimensioni, si ba la stessa
sensazione che si avrebbe guardando il corpo solido, che tali disegni
rappresentano, con le sue tre dimensioni (lunghezza, larghezza, profondità). Se
i due disegni sono uno nero © l’altro bianco si ha la sensazione dello
splendore. Cfr.
Weastone, Philos. Transact., 18%: Stolze, Die Stereoscopie und das
Storeorscop., 1894 ; Breuster. The
stereosoope, 1857 (v. retina, peeudoscopio, spazio, risire. solido,
stereognostico). Stereotipia. Sintomo di alcune malattie mentali, com la forma
catatonica della demenza precoce, 1’ imbecillità. l’idiotismo. Consiste nella
ripetizione continua degli stesi movimenti e delle stesse frasi, nella
monotonia del tono di voce, nel ritorno incessante dei medesimi periodi ο delle
medesime parole quando l’ammalato scrive. Cfr. J. Finzi. Compendio di
psichiatria, 1899, p. 101,123 (v. ecolalia, stupore). Stimolo. T. Keiz; I.
Stimulus; F. Stimulus, excitant. Tutto ciò che produce lo stato di eccitazione
d’una cellula, d'un tessuto o d’un organo. Senza l’azione dello stimolo
l'attività funzionale della cellula, e quindi del tessuto o dell'organo, non si
produce. L'intensità della eccitazione prodotta è, generalmente, proporzionale
all’intensità dello stimolo. Ogni organo reagisce allo stimolo in quel modo che
è conforme alla sua struttura. Gli stimoli della cscienza si distinguono in
esterni, che agiscono sugli organi situati alla periferia del corpo, interni,
che provengono da una modificazione inerente agli organi, ο inferoerebrali, che
consistono nell’ irradiarsi della eccitazione nervosa da vu centro superiore ad
un altro (v. eccitazione, aubminimali). Ston (στοά = portico). Grecismo usato
talvolta per designare lo stoicismo, dicendosi la filosofia dello Stoa, o
seuplicemente lo Stoa. La filosofia stoica ebbe infatti la sus prima sedo nel
Portico pecile. 1127 STO Stoicismo (στοά -= portico). T.
Stoiciemus; I. Stoiolem; F. Stoicieme. Sonola filosofica fondata da Zenone di
Cizzio, in Cipro. Il suo nome le venne dall’essere stata aperta, tre secoli a.
C., nello Stoa pecile, un portico ornato di pitture del celebre Polignoto. Essa
ebbe più di cinque secoli di vita rigogliosa, durante i quali attraversò due
periodi nettamente distinti l’uno dall’altro: il primo ha per centro esclusivo
Atene, il secondo si svolge specialmente a Roma, ove conta fra i suoi seguaci i
cittadini più illustri. Mentre nella prima fase l'insegnamento originario di
Zenone è conservato intatto, nella seconda esso tende all’eclettismo, specie
con Cicerone, Seneca, Marco Aurelio, che attinsero largamente alla filosofia
platonica. I caratteri fondamentali della filosofia stoica sono, a giudisio
dello Zeller, il materialismo in quanto essa pone Dio e l’anima come sostanze
corporee; il dinamismo perchè considera come inseparabili la materia ο la
causa, cioò il principio passivo e l’attivo; il pantelsmo perchè il principio
attivo è uno solo, ed è Dio. Secondo gli stoici la filosofia non è che lo
studio della virtà, ed ha per centro la vita morale dello spirito; tuttavia
essa si distingue in tre parti: logica, fisica, ed etica. Di ciascuna di queste
parti sono date sufficienti notizie in questo vocabolario alle parole
anticipazioni, anima nel mondo, anapodittioi, ecpirosi, mantica, adiafora,
tabula rasa, noo, logos, catalettico, visa, eco. La parola stoicismo si adopera
anche in opposizione ad epicureisino, per designare tutti quei sistemi di
morale che pongono come norma suprema della condotta il dovere. Cfr. H. Arnim, Sloicorum
voterum fragmenta, 1903-1905; L. Stein, Die Psychologie der Stoa, 1886-88; A.
Dyrof, Die Hthik der alten Stoa, 1897; P. Ogereau, Le syatime philos. des
Stoiciens, 1885; 8. Talamo, Le
origini del cristianesimo e il pensiero aloico, 1892. Storia. T. Geschiohie; I.
History; F. Histoire. Può ossere intesa come fatto, 0 come dottrina o
disciplina. La Sto 1128 storia come fatto può a sua volta esser
intesa in tre sensi: generalissimo, generale 6 particolare. Nel primo per
storia s'intende l'evoluzione di tutto l’universo fisico ο morale, in quanto
tntto ciò che esiste, essendo soggetto a cangiamento, esiste nel tempo ed ha
quindi una storia; in questo sonso si usano le espressioni storia della terra,
storia della specie, storia dei mondi, ecc. In un senso meno generale per
storia s'intende lo spirito umano nel suo movimento, ossia 1’ evoluzione
complessiva dell’ umanità, nelle suo istituzioni politiche ed economiche, nelle
ane forme giuridiche, religiose, morali, eco. In senso partioolare, e più
comune, per storia s'intende lo svolgimento di quegli avvenimenti umani, che
hanno esercitato una azione visibile sul corso generale della società. La
storia come dottrina ο storiografia, è la ricostruzione, la narrazione e
l’interpretazione di tali avvenimenti; in’ modo più rigoroso è, come la
definisce il Bernheim, « la scienza degli sviluppi degli uomini nella loro
attività come esseri sociali », sebbene questa definizione inchinda nella
storia anche la sociologia. La storiografia è passata attraverso quattro fasi:
13 primitiva o mitioa, in cui mancano i mezzi di fissazione degli eventi
sociali, che sono raccolti dall’imaginazione fervida del popolo ο trasformati
in miti e leggendo; 2° istruttica o prammatica, che ba per mira non tanto la
ricostruzione fedele del passato, quanto la determinazione delle regole e degli
insegnamenti morali, politici o religiosi, che dal passato si possono ricavare,
per guidaro i contemporanei e illuminare il futuro: la storia è dunque la
maestra della vita; 3% medievale ο religiosa, in cui, per il prevalere del
pensiero cristiano, la suocessione dei fatti storici è considerata come lo
svolgersi d’un piano provvidenziale rivolto a fini lontani 6 imperserutaDili;
4* moderna ο naturalistica, in cui la storia è considerata come sapere naturale
di puri fatti umani, nei loro rap porti di causalità reale, indipendentemente
da qualanqne 1129 Sto preoccupazione morale, politica o
religiosa. Ma intorno alla vera natura della storia regnano profonde divergenze
tra i pensatori moderni, alcuni dei quali la considerano scienza vera ο
propria, «altri arte, altri disciplina a sè, distinta così dalla scienza come
dall’arte. Per i primi i fatti storici sono causali, ed è quindi possibile ricavarne
delle leggi che, al pari di quelle scientifiche, non varranno soltanto a
interpretare il passato, ma anche a prevedere il faturo storico e sociologico;
la storia adotta lo stesso metodo positivo delle altre scienze, e le sue
spiegazioni si ottengono per via deduttiva; alcuni credono anzi possibile
dedurre tutte le leggi storiche da uno o de pochi principi generali, come il
fattore economico, l'analogia biologica, l'interesse, la simpatia, l'influsso
dell’ ambiente, dell'eredità, della lotta per la vita. Per i secondi i fatti
storici non sono causali, cosicchè la costruzione di leggi storiche è
impossibile, e il passato, anzichè interpretato scientificamente, può essere
soltanto artisticamente ricreato o rifatto; però a tale conclusione gli uni arrivano
collocando l’accidentalità nella storia, perchè in essa molto può il fattore
individuale, e da cause lievi possono derivare grandi effetti, e effetti molto
diversi derivare da cause simili, gli altri collocandovi invece la libertà, in
quanto nel divenire peichico, di cui il divenire storico è un riflesso, si ha
una vera © propria creaziono continua di valori, una varietà incessante dovuta
all’eterogenesi dei fini, ai contrasti e alle sintesi psichicho. L'indirizzo
intermedio nega che la storia sia arte, al pari della musica o della poesia,
perchè mentre l’arte ha per fine il bello ο crea essa stessa la propria realtà,
sin puro imitandola dalla natura, la storia invece ha per fine il vero, per
quanto brutto possa essere, © ricerca ln propria realtà servendosi di processi
che le arti ignorano totalmente; e nega che la storia possa essere scienza,
ciod un sistema di leggi, perchè mentre legge significa univerSTO 1130
salità © ripetizione, storia significa individualità e muiazione, mentre
la legge è lo stesso fatto esteso oltre i limiti dello spazio e del tempo, la
storia è I’ individua zione dei fatti nello spazio e nel tempo, e mentre infine
le soienze della natura sorgono ο si sviluppano solo in quanto ciascuna può
prescindere dal rapporto di solidarietà che unisco il proprio oggetto con
quello di tutte le altre, la storia umana è un frammento della storia cosmica e
il suo procedere è interrotto ed accresciuto ad ogni istante dal confluire di
innumerevoli fattori esterni, che non si possono, in quanto tali, calcolare in
base alla pura conoscenza dei momenti precedenti. La storia è dunque una
particolare disciplina, la quale, per l’irreducibile singolarità dei fatti che
formano il suo oggetto, singolarità dovuta all’ infinita complessità del loro
determinismo. devo procedere da caso a caso, rinunziando ad ogni
generalizzazione mediante le leggi; nell’aocertamento critico doi fatti essa
segue il metodo positivo di tutte le scienze ο doi sussidi che la glottologia,
l'archeologia, la paleografia, l'antropologia, ecc. possono offrirle; ma poichè
l'oggetto della storia non à la realtà inconscia, bensi la stessa coscienza
umana nel suo movimento, essa richiede in chi la coltiva quell’ intuito
psicologico e quelle virtù di prosatore, che sono indispensabili per indagare
lo spirito del passato ο per farlo rivivere. Cfr. Bernheim, Lehrbuch d.
historischen Methode, 1903; Simmel, Problem der Geschiohtsphilosophie, 1907;
Flint, History of the philosophy of history, 1893; Bourdeau, Z’histoire et les
historiens, 1888; Lavolléo, La morale dans Vhistoire, 1892; Langlois et
Seignobos, Introd. aux éludes historiques, 1898; Altsmira, La inseianza de la
historia, 1891; Croce, It concetto della storia, 33 ed. 1896; Crivellucci, Il
concetto della storia, in «Studi storici », fasc. I ο II, 1899; Ant. Labriola.
11 problema della filosofia della storia, in Scritti varî, 1906: A. Rava, It
valore della storia di fronte alle scienze nat.. 1131
Sro-STR 1910; C. Ranzoli, Il caso nel pensiero ο nella vita, 1913, Ρ.
199 segg. : Storicità. La caratteristica del fenomeno sociale secondo alcuni
filosofi. 11 Comte la designa come « una successione © filiazione di stati e
momenti storici, come intluenza graduale © continua delle generazioni le une
sulle altre ». Il Littré, precisando il pensiero del Comte, fa consistere la
storicità per la quale il passato
determina il prosente, © il presente l'avvenire nella accumulazione, nella
preservazione © trasmissione dei prodotti, sia matoriali sia immateriali, dell'attività
sociale, nella creaziono di un fondo comune di cose da apprendere, fatto questo
esolusivamente sociologico, che non trova riscontro di sorta in biologia (v.
estetismo, istoriemo). Storico (argomento). Alcuni teologi chiamano così quella
fra lo prove a posteriori dell’esistenza di Dio, la quale, dalla constatazione
che la religiosità è propria di tutti i popoli in tutti i tempi e in tutti i
gradi di civiltà, conchiude all’osistenza di un Ente supremo che risplende
nella intelligenza umana. Questo argomento perderebbe ogni valore qualora fosse
mostrato che vi sono o vi furono popolazioni prive affatto di religiosità;
alcuni antropologi infatti lo sostennero, altri lo negarono, nd può dirsi che
la questione sia definitivamente risolta in un senso o nell’ altro (v. gli
argomenti ontologico, ideologioo, morale, fisico, metafisico). Stratonismo. T.
Stratonismus; I. Stratonism ; F. Stratonisme. L’indirizzo naturalistico ©
panteistico della filosofia aristotelica, iniziatosi prima con Teofrasto e
poscia più energicamente con Stratone. Secondo quest’ultimo, l'intelletto ο
l’attività rappresentativa costituiscono un tutto unico: come non v'è pensiero
senza intuizione, così non v'è percezione senza la cooperazione del pensiero;
tutt'e due uppartengono all’unica coscienza. Applicando lo stesso concetto
all’analogo rapporto metafisico, Stratone insegna che STR-SUB 1132
la coscienza o ragione della natura non può esser considorata come
qualche cosa di separato da essa: Dio non può essere pensato trascendente, come
non può essere pensato il voîg. Così esso nega il monoteismo dello spirito, ed
insegnando che non si può pensare la semplice materia © nemmeno una forma pura,
respinge l’elemento platonico della metafisica aristotelica, che era rimasto
nella separszione della ragione dalla materia, e lo respinge tanto lungi, che
ridiventa ‘libero l’ elemento democriteo: nel divenire universale lo
stratonismo vede soltanto la necessità immanente della natura e non più
l’effetto di una causa spirituale, fuori del mondo. Cfr. Cicerone, De nat.
deorum., I, 13, 35; H. Diels, Beriohte der Berliner Akad., 1893, p. 101 segg.
Stroboscopio v. cinetoscopio. Stupore. T. Stupor; I. Stupor ; F. Stupeur. Nel
suo significato comune designa lo stato di immobilità peichica, a così dire, in
cui trovasi chi è colpito da qualche cosa di meraviglioso © d’inaspettato.
Nella psicologia patologica designa un rallentamento delle espressioni motorie
portato al massimo grado. Esso non è per sò una malattia, ma una sindrome che
comparisce frequentemente nello malattie mentali: se è accompagnato da paralisi
psichica si ha lo stupore epilettico, se da intima serenità lo stupore maniaco.
se da tensione interna © da stato di ansin lo stupore melanconico, se da
negativismo o da intoppo psichico lo stapore catatonico. Cfr. Whitwell, 4 study of stupor,
« Journal of ment. scie. », 1889, XXXV, p. 360 segg. (v. atereotipia, confusione). Subalterne (ὑπάλληλαι).
Due proposizioni che hanno lo stesso soggetto e predicato sono subalterne
quando hanno la stessa qualità ma differiscono nella quantità del soggetto, di
cui l’uno è universale l’altro è particolare : ossia 4 ed I, E ed O. La
proposizione particolare dicesi subalternata, Vuniversale subalternante. Dalla
verità della universale si inferisce la verità dolla particolare, ma dalla 1133
Sup falsità della universale non #’ inferisce la falsità della
particolare. Inversamente, dalla verità della particolare non 8’ inferisce la
verità dell’universale, ma dalla falsità della particolare si inferisce la
falsità dell’universale. Tutti i ragionamenti a fortiori, sia di prova che di
refutazione, hanno il loro principio fondamentale in questi due ragionamenti,
che ne costituiscono il tipo più semplice. Cfr. F. Ueberweg, Syst. der Logik,
1874, § 95 (v. conversione, inferenza). Subcontrarie (ύπεναντίαι). Due proposizioni
che hanno lo stesso predicato sono subeontrarie quando sono particolari ed
apposte nella qualità: ossia I ed O. Possono essere entrambe vore ma non
entrambe false. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 225 segg. Subcosciente. Τ.
Halbbewusst, unterbewusst; I. Subconscious; F.Subconeoient. Parola d’uso
recente nella psicologia, ma di valore molto incerto, tantochè Morton Prince ne
espone sei significati differenti. Alcuni psicologi moderni chiamano così
quegli stati particolari di oscuramento psichico o di semisogno determinati da
una diminuita fanzionalità dei processi corticali ο manifestantisi
frequentemente nella pazzia nei quali le impressioni del mondo esterno sono
raccolte con difficoltà ο imperfettamente obbiettivate. Si dicono anche stati
orepuscolari, e possono estendersi a tutta la vita sensitiva, o ad alcune parti
di essa soltanto. Vi sono però molti psicologi che non ammettono tali stati di
subcoscienza, e li considerano o come stati di osonramento psichico o come
semplici processi fisiologici senza il loro correlativo psicologico. Por subcosciente 0 conoosoiente e intende
anche l’attività psichica dissociata dalla personalità ma provvista di
coscienza, ossia l'insieme dei fenomeni psichici rappresentanti la manifestaziono
di coscionzo secondarie che coesistono accanto alla principale. Secondo alcuni
psicologi contemporanei, il subcosciente, così inteso, avrebbe larga parte
nella vita psichica norSus 1134 male e anormale: la nostra condotta, le
nostre opinioni. il nostro umore, i nostri sentimenti sarebbéro grandemente
influenzati da una quantità di fattori psichici di cui moi non siamo coscienti,
ma si quali non si può negare una coscienza, come provano ad es. i fenomeni
della scrittura automatica e come è rivelato dalla stessa introspezione, che ci
testimonia il persistero di una attività coordinata ο intelligente, dalla quale
abbiamo distolto I’ attenzione. Maggiore efficacia ancora avrebbe il
subcosciente nella produzione degli stati psichici anormali 6 supernormali,
come gli sdoppiamenti della personalità, l’ipnotismo, la telepatia, il
medianismo. R. Assagioli propone di
adoperare le espressioni : subcosciente, por designare in generale ed in blocco
tutto ciò che esiste e si svolge nella nostra psiche senza che noi no siamo
coscienti ; attività psichica concoacionte ο dissociata per indicare l’attività
psichica dei centri secondari di coscienza; coscienza latente (6, secondo i
casi residui psichici latenti, patrimonio psichico latente, ecc.) per designare
tutti i nostri ricordi, idee, ece., accumulati ed a nostra disposizione, ma
fuori del campo della nostra coscienza attuale. Cfr. Gross, Die cerebrale
Sekundärfunction; W. Hellpach, Unbewusstes oder Wechseheirkung, « Zeitschrift
für Psych. », XLVIII, p. 238; Morton Prince, The aubconscious, VI* Congr. int.
de psych, Geneve, 1910, p. 71 sogg.; Id., The dissociation of a personality,
1906; Myers, The human personality, 1902; Janet, L’automatieme payohoique,
1889, p. 84 segg., 223 segg., 316 segg.; Patini Concienza, aubooscienza,
incoscienza ο apeichla, « Riv. di psicologia applicata », , VI, p. 24; R.
Assagioli, It eubcosciente, « Rivista di filosofia », aprile 1911, p. 197-206:
C. Ferrari, Le emozioni e la vita del eubcosciente, 1911: J. Jastrow, La
suboonscience, trad. franc. 1908 (+. confusione, incosciente). Sublime, T.
Erhaben ; I. Sublime; Ε. Sublime. Un valore ‘tico che, in tutte lo ste
sottospecie (terribile, tragico, SUB orrido, solenne, grandioso), è prodotto
dalla percezione o rappresentazione dell’immensità nel tempo ο nello spazio, ©
della potenza fisica o morale. Già Enrico Home determinò il sublime come il
bello quando è grande, e Edmondo Burke lo intese come ciò che con un brivido di
benessere οἱ ‘incute terrore, mentre noi stessi ci sentiamo lontani dal
pericolo d’un dolore immediato, distinguendolo dal bello, che è ogni cosa atta
a suscitare piacevolmente i sentimenti dell’amore umano in generale; ma il
merito di aver fatto l’analisi di questo sentimento spetta a Emanuele Kant, che
pose l’essenza del sublime in una convenienza dell’azione degli oggetti col
rapporto tra la parte sensibile e la soprasensibile della natura umana. Il
sublime, come il bello, si rivolge alle due principali facoltà dello spirito,
l’imaginazione e l'intelletto; ma mentre nel bello queste facoltà agiscono
d’accordo, nel sublimo si trovano in contrasto |’ una coll’ altra. Infatti
l'oggetto non è sublime che perchd colpisce i sensi, ma i sensi o
l’imaginazione si sentono impotenti a raggiungerlo, como di qualche cosa che
sorpassi infinitamente la sfera sensibile e che soltanto l’intelletto può
comprendere. Dinanzi al sublime il selvaggio fugge perchè in esso teme la
divinità. L’ uomo civile non fugge, perchè nulla ha a temere; tuttavia egli non
può sottrarsi ad un senso d’ angoscia, perchè il sublime gli fa sentire tutta
la sua pochezzu materiale; l'emozione del sublime è quindi, nel suo ini
depressiva. Ma al senso primitivo di terrore segue poi un senso di intima
soddisfazione, perchè il sublime desta in noi il senso della nostra morale
grandezza; è così che da depressiva l’emozione diviene esaltativa, e
dall’angoscia passiamo all’ entusiasmo. « Delle roccie sospese audacemente
nell’ aria e quasi minaccianti, dice Kant, delle nubi procellose che si
ammassano nel cielo tra lampi ο tuoni, dei vuleani che scatenano tutta la loro
potenza di distruziono, degli urngani che seminano la distruzione, l’ oceano
immenso solSUB 1186 levato dalla tempesta, la ostoratta d’un gran
fume, sono cose che riducono ad una insignificante piccolezza il nostro potere
di resistenza, confrontato con tali potenze. Ma l’aspetto ne è tanto più
attraente quanto più è terribile, purchè noi siamo al sicuro; e noi chiamiamo
volentieri queste cose sublimi, perchè elevano le forze dell’ anima sopra la
loro mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi un potere di
resistenza di specie al tutto diversa, che ci dà il coraggio di misurarei con
l'apparente onnipotenza della natura.... Il sublime non risiede dunque in alcun
oggetto della natura, ma solo nel nostro spirito, in quanto possiamo avere la
coscienza d’ essere ‘superiori alla natura che è in noi, ο per tal via anche
alla natura che è fuori di noi (in quanto essa ha influenza su noi). Tutte le
cose che eccitano questo sentimento, e ad esse appartiene la potenza della
natura che provoca le nostre forze, si chiamano allora sublimi ». Vi hanno due
forme di sublime: il matematico, dato dallo spettacolo della grandezza sotto la
forma della estensione, ed il dinamico datooi dallo spettacolo della potenza.
Questa distinzione, già fatta da Kant, è accolta dalla grande maggioranza degli
estetici; alcuni però ammettono invece tre forme di sublime: il naturale, a cui
assegnano le tre forme subordi nate dell'estensione, della successione, della
forsa; il sublime intellettuale, che e’ inizia col sentimento di una sorta di
annientamento intellettuale davanti ad un oggetto del pensiero, che non
riusciamo ad abbracciare nella sua complessità, ο si completa col sentimento
della riscossa, della reazione incalzante doll’ intelligenza ο della fantasia
che la sostiene; il sublime morale, che ha origine dall'idea della libertà
consapevole che s’inchina al dovere, ο se ne fa l'organo nella vita © nella
storia. Cfr. Home,
Elements of criticism, 1761; Burke, Esgay on the sublime and beautiful, 1756;
Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, $ 23 seggi; Herart, Lehrbuch ©. Payoh.,
1850, p. 99; Ribot, Peychol. den
1137 Sur sentiments, 1896, p. 339
segg.; Hüffding, Paycologie, trad. franc., p. 282 segg., 393 segg.; Masci,
Pricologia, 1904, Pp. 396 segg. Subliminale
e supraliminale. I. Subliminal, supraliminal. Con l’espressiono io subliminale,
diffusa nella terminologia filosofica e religiosa dal Myers, #' intende un io
suboosciente, dotato di meravigliose proprietà fra cui quella di essere
indipendente dal corpo e di sopravvivere ad eso; con esso si spiegherebbero i
fenomeni estranorınali della telepatia, dell'ipnotismo, del medianismo, della
ispirazione geniale. Senza accettare le vedute mistiche del Myers, molti
psicologi ammettono l’esistonza di stati subliminali, o subeoscienti, 0
concoscienti, che sarebbero provati sia dai fenomeni normali del sogno, delle
disposizioni innate, ece., come da quelli anormali della dissociazione della
personalità, dell’ automatiamo psicologico, della pazzia, ecc. Io mpraliminale
o stati supraliminali sarebbero quelli della coscienza principale, dell’io
empirico. Cfr. Myers, The human personality and its survival to bodily death,
1902; Janet, L’automatisme peichologique, 1889; R. Assagioli, 11
subcosciente, un’arena spianata: abrasa,
aequalio mentis arena. Per il Rosmini la tavola rasa è l’idoa indeterminata
dell'ente, che è + in noi dalla nascita. Cfr. Plutarco, Plac., IV, 11; Locke,
Essay, 1. 1, cap. 1, $2; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1830,
II, p. 118 (v. a priori, empirismo, natirismo, sensismo). Talento v. ingegno.
Tattile (sensazione). T. Tastempfindung; 1. Touch senvation; F. Sensation
tactile. Le sensazioni tattili si distinguono in sensazioni di pressione, per
cui si avverte la pressione e il contatto degli oggetti sugli organi tattili; ο
sensazioni di luogo 0 di spazio, per cui si avverte la località del corpo che
viene compressa; dalla associazione di queste due specie di sensazioni
risultano le nozioni della forma e della consistenza dei corpi. Perchè sia
possibile una sensazione di pressione, è necessario che il peso del corpo sia
almeno da 2 milligrammi a 5 centigrammi; perchè si possa avvertire il crescere
della intensità della sensazione stessa è necessario che gli stimoli successivi
stiano fra loro in rapporto come di 1 ad 1 +1}; ciò costituisce la legge di
Weber, che fu poi estesa a tutte lo altro spocio di sonsazioni © suona nel modo
seguente: la sensazione cresce più lentamente dello stimolo, crescendo di
minima differenza quando gli eccitamenti crescono di quantità proporzionali; ο,
in modo più preciso: In sensazione sta allo stimolo che la determina come il
logaritmo sta al suo numero. Quanto alla localizzazione delle sensazioni
stesse, essa è tanto più perfetta quanto minore è la distanza in cui devono
trovarsi le dne punte di ‘an compasso (compasso di Weber) per produrre duo
sensazioni distinte; la Tas-Tau
1146 massima sensibilità si trova
sulla punte della lingua, la minima sul dorso, le braccia e le coscie: in
quella, per ottenere due sensazioni distinte, le due punte del compasso devono
distare di 0,5 linee di Parigi, in queste di 30 linee. Gli organi del tatto
sono le terminazioni nervose contenute nel derma ; nel capo il senso tattilo è
esercitato dal 5° paio dei nervi cerebrali, nel resto del corpo dalle fibre
sensibili dei nervi spinali. Nel
linguaggio aristotelico-tomistico dicesi taotue quantitatie quello per il quale
una cosa si unisce con un’altra in modo che le parti aderiscono tra loro;
tactus virtutis quello per il quale una cosa opera sopra un’altra. Cfr. Wundt,
Grundzüge d. phys. Psych., 3* ed., II, p. 10 segg.; Hüfiding, Peychologie,
trad. franc. 1900, pag. 137, 199, 255 segg. (v. circoli tattili, corpuscolo,
estesiometro, distanza, spazio, superficie, stereognostico, ecc.). Tassonomia.
T. Taxonomie; I. Tazonomy; F. Tazonomie. Dal greco τάξις = ordine, νόμος =
legge. Le leggi e i principi della classificazione degli oggetti naturali;
quella parte della scienza che tratta della classificazione. Dicesi tassonomica
ogni classificazione fatta per tipi astratti; ad essa si contrappone lu
classificazione genetica, nella quale gli oggetti sono invece disposti secondo
la loro genesi formativa o il principio causale della loro formazione.
Tautologia. T. Tautologie; I. Tautology; F. Tautologie. Del greco taité =
medesimo, λόγος = discorso. Si dicono così quelle definizioni erronee, in cui
il concetto da definirsi è contenuto, sia palesemente sia copertamente, nel
definiente. Così la comune definizione del giudizio l'atto mentale per cui si
afferma o nega è una tautologia, perchè ciò che costituisce il giudizio è
appunto l’affermare o il negare. Secondo alcuni logici la definizione
tautologica non sempre è illegittima, essendo in alconi cusì l’unico modo di
determinare un concetto primitivo (v. circolo vizioso, diallelo, petizione di
principio). 1147 Tav-Tkc Tavole di Bacone. Sono in numero di
tre, di pre senza, di assenza o declinazione, di comparazione o gradazione;
corrispondono rispettivamente ai tre metodi di concordanza, di differenza e
delle variazioni concomitanti dello Stuart Mill. Codeste tavole hanno lo scopo
di rappresentare il risultato complessivo delle ricerche fatte iutorno alle
cause di un dato fenomeno. Quella di presenza riunisce tutti i fatti nei quali
si trovano le cause presunte; in quella di assenza sono enumerati i casi in cui
una di queste cause sarà mancata; in quella di comparazione sono indicate le
variazioni corrispondenti degli effetti e delle cause. Come esempio delle tre
tavole, Bacone si propuno di ricercare la causa dal calore: nella prima espone
tutti i casi conosciuti nei quali si osserva produzione di calore; nella
seconda enumera i casi in cui manca il calore pur essendovi la luce (luna,
stelle © comete); nella terza indica i casi in cui il calore cresce o
diminnisce col crescere © diminuire del volume dei corpi, del loro movimento,
della distanza dalla sorgente di calore, ecc. Cfr. Bacone, Nov. organum, 1856,
1. II, XI segg. Tecnica La tecnioa d’una scienza sperimentale non è che
l'insieme delle operazioni manuali che le esperienze richiedono ; il metodo è
invece l'insieme delle norme logiche proprie della scienza medesima.
Tecnologia. I. Technologie; I. Tecnology; F. Technologie. La scienza che si
oceupa delle regole pratiche, delle arti ο tecniche che si osservano nelle società
umane adulte e provviste d’un certo grado di civiltà. Alcuni la distinguouo
dalla prazeologia, cho ha un senso più generale e riguarda tutte lo
manifestazioni collettive del volere, sin spontanee che riflesse. La tecnologia
comprende tre sorta di problemi: 1° la descrizione analitica delle arti, le
loro varie specie, la loro classificazione sistematica in un piecolo numero di
tipi essenziali; 2° la ricerca delle leggi per eni ogni gruppo di regole appare
© dello cause cui Tri-TEL esse devono la loro efficacia pratica; 3° lo studio
del divenire di osse, sia in uns data società sia nell’ intera umanità, dalle
più semplici alle più complesse, attraverso lo alternative di tradizione ο d’
invenzione. Teismo. T. Theismus; I. Theism; F. Theisme. Consiste nell’
ammettere l’esistenza di una divinità personale, liDera od intelligente, cui
devesi la creazione © la conservazione del mondo e la provvidenza. J! deista,
dice Kant, credo in Dio, il teista oredo in un Dio viento (summam
intelligentiam). Perciò ei distingue non solo dal deismo, ma anche dal
panteismo, dal politeismo, dal dualismo religioso, ecc. Secondo lo Zeller, il
fondatore del teismo fu Aristotele, per il quale Dio è pura forma, pensiero doi
pensieri, primo motore immobile. Ma più che un essero dotato di volontà © di
personalità, il Dio aristotelico è ancora un semplice concetto astratto, un
pensiero teorico. Il vero teismo religioso si ha nelle tre grandi religioni,
giudaismo, islamismo, oristianesimo e più spiccatamente in quest’ ultima;
infatti nello due prime domina la tendenza ad affermare l’unità e la
trascendenza divina, a scapito degli attributi personali, mentre nel
cristianesimo la personalità divina è il concetto fondamentale, che ne informa
così il contenuto dottrinario come quello pratico. Cfr. A. Campbell Fraser,
Philosophy of Theiem, 1903; P. D'Ercole, Il teismo,1884; C. Ranzoli, 1)
agnostioiemo nella filosofia religiona, 1912, p. 193 segg. (v. Dio,
personalità, deiemo, religione). Telegonia. T. Telegonie; I. Telegony; F.
Télégonie. Il trasmettersi nella prole di un dato maschio doi caratteri propri
di un altro maschio antecedentemente accoppiatosi con la stessa fomminn, per la
supposta modificazione stabile apportata dal primo alla matrice di questa. La
telogonia è uno dei fonomeni più oscuri ο incerti dell’ eredità. Alcuni casi
osservati in animali inferiori ο in pianto attesterebbero la possibilità del
fenomeno. Cfr. J.C. Ewart, The Penyouik erper., 1899. 1149
TEL Telencefalo. Nella divisione dell’ encofalo adottata dalla
Commissione per la nomenclatura anatomica divisione basata sugli abbozzi
embrionari dell’ encefalo stesso = il telencefalo è tutto il cervello
anteriore, ο comprende V’iufandibolo, l’ipofisi, il tratto ottico, il chiasma,
il corpo striato, il setto lucido, i ventricoli laterali e il mantello
cerebrale. Insieme al diencefalo, 0 cervello intermedio comprendente i corpi
mamillari, i talami, i corpi genicolati, il corpo pineale e il terzo
ventricolo costituisce il prosenogfalo,
corrispondente ad una delle tre vescicole cerebrali primitive. Le altre due
vescicole dànno luogo al mesencefalo, o cervello medio, e al rombencefalo, che
si divide alla sua volta in metenoefalo ο cervello posteriore, e mielencefalo ο
retrocervello. Teleologia. T. Teleologie; 1. Teleology: F. Téléologie.
Etimologicamente significa: scienza dei fini. Per Kant è la scienza che si
occupa della finalità di quegli oggetti naturali, ch'egli chiama fini di
natura, i quali non si possono pensare realizzati se non secondo un concetto
finale; tali oggetti sono gli esseri organici. Qualche volta la parola
teleologia è anche adoperata ad indicare la finalità di un carattere ο di un
avvenimento, la proprietà di un essere o di un oggetto in rapporto alla causa
finale: così dicesi teleologia del sentimento il suo carattere protetticioè il
suo ufficio di conservazione dell'esistenza animale. Più spesso designa quella
parte della filosofia che si applica allo studio sia dello scopo finale delle
cose, sin del fine d’ogni essere particolare. In generale, però, per teleologia
non s'intende nè una scienza a sè nè una parte distinta della filosofia, ma
soltanto il sistema di esplicazione dei fenomeni dell'universo mediante le
cause finali o intelligenti, © in questo senso ai oppone a meccanismo, à
fataliemo © talvolta anche a casualimno. Così intesa, la teleologia ο
teleologismo 8) inizia nella storia della filosofia con Anassagora, celebrato
anche da Platone o da AristoTer
1150 tele come il primo che, con
la sua dottrina del vo5g ordinatore del mondo, elevasse teoreticamente il
concetto di valore della bellozza e della perfezione a principio di
spiegazione. Una orientazione diversa ha In teleologia in Socrate: mentre in
Anassagora essa si riferisce all’armonia del mondo celeste, non alla vita
dell’uomo, le osservazioni che sono attribuite a Socrate, specialmente da
Senofonte, fanno dell’ utile dell’ uomo norma dell’ammirazione dell’ universo.
Quindi la teleologia socratica à tutta esterna, riferendo ogni cos al bene
dell’ uomo come al suo fine supremo. Nella morale Socrate si rappresenta la
sapienza che deve regolare l’attività umana como una riflessione tutta esterna
sulla utilità degli atti particolari; non altrimenti, la sapienza divina che ha
formato il mondo, ha regolato ogni cosa per il vantaggio dell’ uomo, il sole
per rischiararlo di giorno, la luna e lo stelle per rischiararlo la notte, gli
animali per nutrirlo, eco. Più profonda è la teleologia di Platone: come causa
finale di tutto |’ accadele egli pone le idee, ma specialmente l’idea più
elevata, a cui tutte le altre si subordinano come meszo, l’iden del bene, che è
contrassegnata poi come ragione del mondo (νοῦς), come divinità. Le cose
partecipano del bene perchè sono ombre, imitazioni, copie delle idee, e le idee
mettono capo tutte all’idea suprema del bene, che è Dio stesso. Lo spirito di
Socrate e di Platone rivive in Aristotele, nel quale la teleologia ha pure
grande importanza: il passaggio dalla potenza all’atto, dalla materia
indeterminata alla forma determinata, non può effettuarsi che per mezzo del
moto d’una causa efficiente, la quale nella sua azione tende a raggiungere un
fine; causa efficiente © causa finale sono dunque i due principi che, insieme
alla materia ο alla forma, ci dànno un'adeguata spiega zione delle cose e della
natura. Adeguata, ma non per fetta: come spiegare il moto incessante verso il
meglio che agita tutto le cose della natura? Se ο) ὃ moto, dice 1151
TRL Aristotele, dovrà esserci un principio primo da cui il moto derivi,
un motore, che senza esser mosso muova il tutto: questo primo motore immobile è
Dio, la forma più alta ο il fine più alto, che, appunto perchè tale, muove il
mondo per l’irresistibile attrattiva della sua bellezza, por l'inestingnibile
desiderio che suscita di sè nelle cose. La teleologia di Aristotele durò
attraverso tutta l'età di mezzo accanto a quella cristiana, nella quale a Dio e
alla sua provvidenza è fatto risalire il mondo e tutto ciò che in esso accade,
e fu combattuta insieme con questa dal meccanismo naturalistico del
Rinascimento. Leibnitz prima, © Lotze più tordi, tentarono di conciliare 1’
intuizione meccanica e la concezione teleologien del mondo; Kant sostenne che
la scienza della natura non può essere se non meccanica, ma che, d’altro canto,
vi sono dei limiti oltre i quali la spiegarione meccanica non può andare, dei
punti nei quali è innegabile l'impressione della finalità, e questi sono la
vita © le leggi spoviali della natura, che necessitano per essere comprese di
una considerazione teleologica; per Fichte il problema della dottrina della
scienza è di comprendere il mondo come una connessione necessaria di attività
razionale, e la soluzione si ottiene da ciò, che la riflessione della ragione
filosofica riconosce il proprio fare e quel che per esso è necessario, cosicchè
la necessità che prevale in questo sistema della ragione non è cansale ma
teleologica ; per Schelling In spiegazione causale-meccanica della natura è una
pura mppresentazione intellettualistica, mentre l’unità del piano che la natura
segne nella serio degli esseri viventi è l’espressione di una graduale
realizzazione dello scopo. Ogni forma di idealismo realistico o spiritualismo
monistico è, del resto, teleologica; il suo problema fondamentale è appunto di
dimostrare come le leggi meccaniche formulato dalle scienze della natura possano
essere il veicolo o la rivelazione del realizzarsi dei fini. Lo Stuart Mill adopera questo termino
TEL 1152
per designare l’arte della vita, cho comprende tre branche distinte: la
morale, la politica e l'estetica, ο cioè l’onesto, l’opportuno e il bello nelle
azioni e nelle opere dell’uomo. Cfr. Senofonte, Memorabili, IV, 7, 6; Platone,
Rep., VI, c. 19, VII, ο, 3; Id., Leggi, X, ο. 8, 10, 11; Aristotele, De aa.,
MI, 12, 434 a, 31 sogg.; Id., Metaph., I, 3, 983 a, 31 segg.; Leibnitz, Phil. Schriften, ed. Gerhardt, IIT,
p. 607; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, II, $ 61; Schelling, Fom Ich als
Princip der Philos., , p. 206 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad.
it., II, 310 segg. (v. causa
finale, finalità, fino). Teleologico (argomento) v. fisico. Tolepatia. T.
Telepathie; I. Telepathy; F. Télépathie. Neologismo introdotto nel linguaggio
psicologico e comune da Gurney e Myers per caratterizzare la loro posizione
indipendente di fronte sia agli spiritisti sia agli scettici. Significa,
etimologicamente, sentire a distanza: ma oggi si designano specialmente con
questo nome tutti quei casi nei quali un individuo percepisce, o crede
percepire, a distanza, e senza il concorso dei sensi ordinari, ciò che accade
ad un altro individuo da lui più o meno lontano. Il fenomeno può avvenire tanto
nel sonno, sotto forma di sogno, quanto allo stato di veglia, sotto forma di
visione. Alcune volte è lo stesso individuo, oggetto della visione, che sppare
innanzi al veggente, non come fantasma ma come essere reale; altre volte è il
veggente stesso che si sente come trasportato ad assistere alla scena. che si
svolge nello stesso tempo, lontano; altre volte ancora è un avvenimento
inatteso e inesplicabile, che si produce d’un tratto ο sembra essere il simbolo
telepatico del fenomeno che si svolge da lungi. Quanto al valore dei fenomeni
telepatici, una inchiesta promossa dalla Società per le ricerche psichiche di
Londra e comunicata al terzo Congr. int. di psicologia del 1896, condusse alla
conclusione che vi è un caso di coincidenza reale ogni 65; 1’ 1158
Tel chiesta, condotta con tutte le precauzioni atte a garantire l
autenticità delle testimonianze, fu estesa a 17,000 persone, îl che dà una proporzione
di coincidenza circa 292 volte maggiore di quella che si potrebbe prevedere
come la più probabile so fossero dovute soltanto al caso. Ammessa la realtà dei
fatti, resta da ceroarno la spiegazione. Alcuni, come il Lodge, si mantengono
in una prudente riserva: « Qual’è il mezzo per cui si fa la comunicaziono a
distanza? È l’aria, come pel diapasont è l'etere como per la calamita? è
qualche cosa di non fisico ο d’esclusivamente psichico Nessuno può dirlo....
Intanto è chiaro che la telepatia ci si presenta come la manifestazione
spontanea di quella intercomumicazione di spirito a spirito (ο di cervello a
cervello) che in mancanza di una miglior denominazione, chiamiamo trasmissione
del pensiero... Qual’è il significato di questa risonanza inattesa, di queste
ripercussioni sintoniche tra intelligenze? Si deve pensare che esse siano il
germe di un nuovo senso, di qualcosa che la razza umana è destinata a ricevere,
nel corso della sua evoluzione, in una più forte misura? Oppure è il residuo di
una facoltà posseduta dai nostri antenati animali prima che esistesse il
linguaggio? Io non desidero faro delle speculazioni, io non voglio nulla
affermare se non ciò che ritengo esser fatti solidi © verificabili », Più
andace, il Myers rigetta l’ipotesi fisica delle vibrazioni intercerebrali e di
qualsiasi forma imaginabile di ondulazioni © radiazioni materiali o etereo
capaci di mettere in rapporto organismi distanti; ogli afferma che la telepatia
è una intercomunicazione diretta delle anime, che certi segmenti della
personalità subliminale, dissociati dal resto e distaocati dall'organismo,
possono talora impressionare a distanza un’altra personalità, che la
comunicazione può avvenire, anche tra viventi e defunti cosicchè, infine, la
telepatia diventa la legge universale, che riunisce tutti gli esseri, incarnati
e disincarnati, viventi in questo o in altri mondi, 73 Ranzors, Dizion. di scienze filosofiche. |
Τατ ΤΕΝ 1454 in uno splendido universo di vita spirituale
e morale. Cfr.
Gurney, Myers, Podmore, Phantarms of the living, 1886; Id., Census of
allucination, 1890-96; R. Osgood Mason, Telepathy and the subliminal Self,
1897; Myers, The human personality and ite survival to bodily death, 1902; Th. Flournoy, Eeprite ot
mediums, 1911; O. Lodge, La survivence humaine, trad. franc. 1913; G. B. Ermacora, La telepatia, 1898;
Enrico Morselli, I fenomeni telepatici, 1898. Telesiologia. Con questo nome I’
Ampère designava la morale normativa o pratica per distinguerla da quella
puramente descrittiva indicata col nome di Etica. Temperamento. T. Temperament
; I. Temperament : F. Tempérament. Vien dal latino temperiss, che significa
umore; infatti gli antichi credevano che l'indole varia degli individui
dipendesse dal prevalere nell’ organismo di uno dei quattro umori principali:
sangue, bile, flegma e atrabile. Da ciò la olassificazione ippocration dei
temperamenti, accettata ‘in tutta l’antichità, nel medioevo e anche ai giorni
nostri, in: sanguigno, bilioso, flemmatico © melanconico. In questo senso,
carattere e temperamento sono sinonimi; l’uno e l’altro indicano la differenza
caratteristica nella struttura congenita organico-psichica degli individui,
differenza che si rivela nel modo abituale di reagire agli stimoli, di
comportarsi nelle circostanze della vita. Codesta differenza è tanto maggiore
quanto più largo è il differenziamento psichico delle individualità; negli
animali inferiori il temperamento d’un individuo è quello stesso della specie,
negli animali superiori apparisce già il differenziamento individuale, che
nell’ uomo civile e colto acquista il più alto grado. Ma dal temperamento si
suol distinguere il carattere morale, che non è, come quello, greditario, ma
piuttosto acquisito, e formato dall’ insieme di quelle qualità psichiche e
morali, che ἄληπο una particolare impronta così agli individui, come alle
famiglie © alle razze. Nella moderna psicologia, la classificazione Tem ippocratioa dei temperamenti è accolta
nel sonso, che le diversità dei temperamenti dipendono dalla diversa forza,
celerità © vivacità con cui le impressioni sono ricevute, conservate, e viene
ad esso roagito; ma che, a sua volta, questo stesse funzioni nervose e
psicologiche possono essere modificate secondo che uno degli umori indicati da
Ippocrate (sangue, flemma, bile) sovrabbondi o sia in difotto nell'organismo.
TI temperamento sanguigno dipenderebbe dall’abbondanza dei globuli rossi del
sangue, dalla ricchezza di materiali assimilabili dai tessuti, dalla buona
salute, ο sarebbe caratterizzato dalla vivacità ο dalla instabilità della
reazione agli stimoli, da vita interiore varia ο ricca, manifestantesi anche nella
mobilità della persona. Il malinconico risponderebbe alle condizioni
fisiologiche opposte, e sarebbe caratterizzato da una certa lentezza percettiva
e sensitiva, debolezza della vita interiore e quindi scarsa partecipazione al
mondo esteriore. Il collerico dipenderebbe invece dalla sovrabbondanza della
hile, dal versamento di essa nel sangue, dal quale sarebbe portato ai tessuti,
specie al nervoso, sul quale agirebbe come stimolo eccitatore di reazioni
violente e subitanee. Il flemmatico, infine, dipenderebbe dalla scarsezza dei
globuli rossi del sanguo e dalla abbondanza dei tessuti inerti (liquido
linfatico, tessuto connettivo, grasso), i quali, abbassando it potere
funzionale degli elementi nervosi, determinerebbero negli individui la matura
riflessione delle deliberazioni, e la reazione lenta ms misurata e adeguata.
Cfr. Galeno, De temp., I, 5, 8; Seneca, De ira, II, 18, 19; Holbach, Syst. de
la nat., 1770, I, p. 121; Kant, Anthrop., II, § 87; Volkmann, Lehrbuch. d.
Peycol., 1894, p. 206; Wundt, Grundziige d. phys. Peyohol., 3° ed., IT, p. 421
segg.; Masci, Paicologia, , p. 459 segg.; N. R. D’Alfongo, La dottrina dei
temp. nell'antichità e ai nostri giorni, 1902 (v. etologia). Temperansa. Τ.
Mäwigkeit; 1. Temperance ; F. Tempirance. Una dello quattro virtà cardinali,
cho consiste Tr 1156 nella moderazione delle passioni ο dei
desideri, specialmente sessuali. Comunemente si fa sinonimo di sobrietà, ma
questa è una virtà più particolare, subordinata alla temperanza. 8. Tommaso,
fra le virtà che ne dipendono, annovera: l'astinenza, la sobrietà, la decenza,
il pudore, la modestia, eoc. I filosofi pagani non l’intendevano diversamente;
così per Aristotele la temperansa è una via di mezzo fra la sregolatezza e
l’insensibilità per i piaceri, © Cicerone la fa consistere nell’ordine e nella
misura che si deve osservare in tutto ciò che si fa ο si dice. Cfr. G. Grote, Aristotele,
1880, p. 581; Stephen, The science of cthics, 1882, p. 190 segg. (v. cardinali). Tempo. T. Zeit; I. Time; F.
Temps. La forma misurabile della continuità di ogni processo reale; ο, più
precisamente, un continuo illimitato sd una sola dimensione, di cui noi
occupiamo un punto determinato, che si sposta costantemente nella medesima
direzione. Esso è inconcepibile distinto dallo spazio, essendo le due idee
correlaοἱ infatti l’idea di coesistenza, che à il carattere dello spazio, non
può formarsi se non supponendo l’idea del tempo, il quale a sua volta si fonda
sulla sucoessione, che richiede le idee di direzione e di dimensione. La natura
del tempo, come quella dello spazio, fu concepita nolla storia della filosofia
in due modi fondamentalmente diversi, e cioò come una realtà puramente
soggettiva ο come una realtà oggettiva; se si considera come una semplice idea,
rimane da risolvere la questione se tale idea sia a priori o un prodotto della
nostra esperienza sensibile. Tra i filosofi greci il tempo, come riferisce
Plotino, era concepito in tre modi: come moto, sis în generale sia quello delle
sfere celesti; come la stessa sfera celeste moventesi; come una determinazione
del moto, © più specialmente come estensione del moto per gli stoici, come
numero del moto per Aristotele, come accompagnamento del moto in generale per
Epicuro. Secondo la concezione 1157 Tem aristotelica, la più importante, il tempo
è infatti qnalcho cosa di numerato, contenente cioè distinzioni interne che
posson essere calcolate © sommate, prodotte dal movimento considerato in
rapporto alla successione delle suo parti; per movimento (κίνησις) egli intende
non tanto il cangiamento qualitativo, come quello quantitativo, cioè il
cangiamento di posizione nello spazio; In continuità del tempo deriva dalla
continuità del moto, che, a sua volta, dipende dalla continuità dell’
estensione corporea. Secondo Platone, seguito poi da Plotino e da Giamblico, il
tempo è una creazione del Demiurgo, è generato della assidus energia dell’
anima che cerca di esprimere nella materia l’infinita ed eterna pienezza dell’
essere, e poichè ciò non può fare d’un tratto, è forzata ad una serie
successiva di atti; il tempo è questa vita dell’anima, mentre l'eternità è la
vita dell’ essere intelligibile nella sua totalità piena, assoluta, immutabile.
Con S. Agostino il tempo si interiorizza, trasferendosi dall'anima del mondo
al” anima umana; egli crede, con Platone, che il tempo è obbiettivo, essendo
stato creato da Dio con la creuzione del mondo, ma con felice contraddizione
sostiene poi che esso è il solo presente misurato dalla coscienza: c’è un
presente di cose presenti, un presente di cose passate, e nn presénte di cose
future, il primo nell’ attenzione, il secondo nella memoria, il terzo nella
aspettazione. Nell’ età di mezzo, la formula aristotelica che il tempo è una
relazione o un aspetto del movimento, vale a dire il numero del movimento
secondo il prima e il poi, è generalmente accettata, quantunque per gli
scolastici esso sin considerato più che altro come la base obbiettivamente
valida della costruzione mentale del tempo. Gli scolastici distinsero anche il
tempo, a cui è essenzialo la succes sione, dalla durata che, applicata a Dio ο
agli angeli, non ha tale carattere; tale distinzione ricompare poi in Cartesio,
che considera il tempo come derivato dal confronto delle durate di certi
movimenti regolari, e più ancora in Leibnitz, per il quale ogni cosa ha la
propria durata, ma non il proprio tempo, essendo questo esteriore alle cose,
delle quali serve a misurare la durata. Secondo il Leibnitz il contenuto del
tempo non è fatto di cose, ma di percezioni di cose; non è dunque che una
relazione, un ordine di successione delle nostre percezioni; esso ci appare
come infinito, ma tale suo carattere gli deriva dal non avere noi alcuna
ragione di limitare il numero delle successioni possibili. E il Kant,
spingendosi ancora più oltre, considera codesta successione delle nostre
percezioni esser data dalla costituzione stessa del nostro spirito, non da un’
asione snocessiva delle cose sullo spirito stesso: il tempo non è, come lo
spazio, che una forma a priori della nostra sensibilità, la forma cioè nella
quale intuiamo i dati del senso interno, valo a dire i fatti psichici ©,
indirettamente, quelli fisici; quindi il tempo come lo spazio, ha una realtà
empirica in quanto è la condizione a priori di ogni esperienza possibile, ο una
idealità trascendentale in quanto non ha alcun valore obDicttivo al di là della
esperienza. La concezione del tempo come realtà indipendente fu invece
sostenuta da Newton, per il quale il tempo assoluto, matematico, è qualche cosa
che fluisce uniformemente per sò stesso e per sua propria natura, senza nessuna
relazione con qualche cosn di esteriore e senza alcun legame col cangiamento;
ma sia i filosofi inglesi anteriori a Kant, come Hobbes, Locke, Berkeley, Hume,
sia i filosofi tedeschi posteriori a Kant, come Fichte, Schelling, Herbart,
Hegel, ece., sostengono invece la concezione soggettivistica, riguardando il
tempo © come l’astratto mentale del rapporto di successione dei fatti, o come
un prodotto dell’ attività del soggetto al quale ogni esperienza è relativa.
Uno svolgimento originale della concezione soggettivistion di Kant ha dato il
‘Teichmiiller; egli considera Vordine temporale obbiettivo 1159
TEM come una veduta prospettiva della coscienza, dell’ io sostanziale
per sò fuori del tempo, e la durata come una pura misurazione immanente di
codesto ordine; l’intera serie dei fenomeni dell’ universo, press assolutamente,
deve essere considerata come tutta attuale in una sola volta; se noi facciamo
astrazione dalla natura prospettiva della coscienza © dal confronto, mediante
l’aspettazione ο la memoria, di parte del suo contenuto ideale con altre parti,
ogni disposizione cronologica e ogni durata temporale scompare; il concetto
puro del tempo non ha in sè nessuna dimensione, o grandezza, 1’ ora e il
secondo sono identici. Per il Galluppi il tempo non esiste indipendentemente
dalle cose ed ha per corrispondente obbiettivo lu causalità, mentre la sun
valutazione soggettiva è il numero; la causalità è l’oggettivo del tempo perchè
essa implica un prima e un poi, identificandosi la nozione di ciò che
incomincia ad esistere con la nozione di ciò che è prodotto; esso si misura col
moto, appunto perchè il moto è la produzione di uno spazio, e misurando uno
spazio generato si ottiene un numero di effetti, cosicchò si attua anche qui
l’assioma matematico, che la misura deve essere omogenea al misurato; il
numero, infine, non ceiste che nello spirito, in quanto è quell’operazione
montale con cui si uniscono în una idea differenti unità considerate. Per il
Rosmini il tempo non esiste nelle cose materiali, essendo la successione
segnata gradustamente dal principio senziente sulla durata; la successione,
poi, suppone una serie di più avvenimenti appresa come tale dal principio senziente;
ma perchè questo apprenda come suo termine più avvenimenti successivi, è
necessario che cssi rimanendo in qualche modo in lui, si renduno contemporanei,
perchè è evidente che se dopo averne appreso uno, questo passasse del tutto, ©
ne venisse un altro, gli avvenimenti apparirebbero singolari come sono in sò
stessi; il tempo implica dunque la memoria, la percezione di eventi reali e il
giudizio sugli eventi che precedono, cossistono e succedono. Nella moderns
psicologia il tempo è considerato generalmente come uns idea di origine
empirica, che risulta da questi due olementi : 1° la coscienza del cangiamento,
ossia della successione; essa si produce per opposizione a una sensazione
costante, o sentimento fonda mentale; 2°la rappresentazione di certi stati
profondamente impegnati nella coscienza ; il riconoscimento di questi stati
rende possibile uns certa misura e un certo aggrnppamento nella serie delle
modificazioni. L'esistenza d’un sentimento costante sotto il variare degli
stati psichici successivi, costituisce come il fondo relativamente fisso per
opposizione al quale la variazione e la successione possono nettamente
risaltare; la sola suocessione della sensazione, © il semplice sentimento
costante, non sarebbero sufficienti a formare I’ idea di tempo. Cid dà ragione
dell'incertezza della valutazione del tempo fondata soltanto sulla variazione
dei nostri stati interni: i momenti di dolore intenso, ο di nois, ci sembrano
più lunghi che quelli passati fra il succederei di avvenimenti diversi ο
complessi ο sotto il dominio di una idea intensa che ci assorbe;
retrospettivamente, invece, ci sppare più lungo il tempo in cui furono più
varié, intense e numerose le sensazioni, più breve quello în cui furono rade e
uniformi. Una nuova concezione paicologico-metafisioa del tempo, che sembra
conciliare la veduta obbiettivistica e la soggettivistica, è sostenuta oggi dal
Bergeon, per il quale la realtà totale, così interna come esterna, è
essenzialmente tempo, durata pura, corrente di vita. Sviluppando le ideo già
formulate dal Guyau, egli sostiene che la vera durata, quale possiamo coglierla
in noi stessi con uno sforzo d’ introspezione, è l’eterogeneità pura, cioè una
successione di cangiamenti qualitativi che ei fondono, si conglobano, si
penetrano, senza contorni precisi, senza alcuna tendenza a esteriorizzarsi gli
uni rispetto agli al 1161 Tem tri. Ma,
ossessionati dell’ idea di spazio, noi l’ introduciamo senza accorgercene nella
nostra rappresentazione della successione pura; sovrapponiamo i nostri stati di
coscienza in modo da percepirli simultaneamente, non più l’uno nell’altro; in
breve noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata in
estensione. La soienza non fa diversamente, in quanto definisce il tempo
mediante la sua misura e ogni misura implica traduzione in estensione. Per
comprendere la nostra realtà profonda, e, in analogia con essa, la realtà
evolutiva esteriore, noi dobbiamo dunque riconvertire il tempo in durata,
pensare noi stessi ο le cose come una evoluzione melodica di momenti, di cui
ciasouno contiene la risonanza dei precedenti ο annuncia quello che sta per
seguire, come un arricchimento che non #'arresta mai e una apparizione perpetua
di novità, come un divenire indivisibilo, qualitativo, organico, straniero allo
spazio, refrattario al numero. Cfr. Platone, Timeo, 97 c, 38 d; Aristotele,
Phys, IV, 11, 219 b, 2 segg.; Plotino, Enn., III, 7,7; 8. Agostino, Civ. Dei,
XI, 5; Id., Conf., XI, 14; Cartesio, Pr. phil., I, 57; Leibnitz, Nouv. Kee, 1, cap. 14, $ 15
segg.; Kant, De mund. sens., $ 14; Id., Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, p. 60
segg., Schelling, Syst. d. tr. Idealiemue, , p. 213 segg.; Hegel, Naturph.,
1834, p. 52 segg.; Herbart, Allgemeine Metaph., 1828, p209; Teichintiller,
Met., 1874, $ 287 segg.; Bain, Sennes and intellect, 1870, p. 371 segg.;
Shadworth Hodgson, Time and space, 1865, p. 121 segg.; G. S. Fullerton, The
docirine of space and time, 5 articoli in « Philos. Rev. », 1901; I. Royce, The world and the individual,
1901, vol. II, p. 109 segg.; Galluppi, Lezioni di logica ο metaf., 1854, III,
p. 1068-97; Rosmini, Pricologia, 1848, II, p. 189 vegg.; Ardigò, Op. fl, vol.
II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88 segg.; Guyau, La genèse de l’idée de
temps, 1902; Borgson, Essai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 57
segg.; Covotti, Le teorie dello spazio e del tempo nella fil. greca fino ad
Aristotele, Pisa, 1897 (v. durata, intuisione, iatante, momento, spasio,
tempuscolo). Tempo di reazione. T. Keaktionseit; I. Reaction time: F. Tempe do
réaction. O tempo peicologico ; è l'intervallo di tempo che intercede tra
l’avvertire una impressione e il rispondere ad essa con un movimento, o, in
altre parole, il tempo necessario perchè 1’ individuo reagisca con un movimento
all’impressione ricevuta. La reazione si compone per tal modo di tre momenti:
1° 1’ onda nerYous che trasmette dalla periferia al centro l'eccitazione: 2° la
coscienza di essa che sorge nel centro medesimo, e l impulso volitivo al
movimento; 3° l'onda nervosa che trasmette l’ impulso dsl centro ad un muscolo
periferico, che si contrae e determina il movimento. Le reazioni possono essere
semplici e composte. Si dicono semplici quelle costituito soltanto dei tre
momenti accennati; esse hanno luogo quando l’individuo risponde sempre con uno
stesso movimento ad una stessa impressione (visiva, uditiva, ecc.). Sono
composte quelle in cui, rimanendo il primo e il terzo dei momenti accennati, il
secondo, quello οἱοὺ relativo alla funzione centrale ο cosciente, viene
complicato, Tale complicazione si può produrre facendo reagire il soggetto, ©
soltanto quand’abbia distinto la differenza di qualità © quantità fra due ο più
stimoli contomporanei; 0 quando abbia riconosciuto a quale delle sensazioni
provate antecedentemento lo stimolo attuale debba riferirsi; ο quando abbia
scelto fra due possibili reazioni quella impostagli per ogni determinato
stimolo; o, infine, quando abbia associato all’ impressione attuale una imagine
mentale che ad essa si collega. I risultati di tutte queste esperienze,
ottenuti nei diversi laboratori di psico-fisiologia, sono sssai oscillanti; ciò
dipende non solo dall’attitudine ο dalla pratica maggiore o ininore degli
sperimentatori, dalla perfezione degli apparecchi, dal numero delle esperienze,
ece., ma anche da altro influenze modificatrici, che sono: la 1163
Tem-Ten maggiore o minore intensità degli stimoli; le condizioni
organiche ο psichiche del soggetto; l’aspettazione o non dell’impressione; la
durata maggiore o minore dell’attenzione aspettante; gli stimoli diversi che
distraggono il soggetto, ecc. In base 9 ciò si distinguono varie specie di
reazione: la r. erronea, quando il soggetto non risponde all’impressione
stabilita, ms sd un’altra prodottasi casualmente; la r. anticipata, quando il
soggetto reagisce prima che lo stimolo abbia realmente agito; la r. muscolare,
quando l’attenzione del soggetto è rivolta massimamente all’azione muscolare da
compiere in risposta all’ecoitazione; la r. sensoriale, nel caso inverso. Cfr.
Wundt, Physiol, Ροψολοὶ., 4° ed. , vol. II, p. 305-390; Jastrow, Time relations
to mental phenomena, 1890; Flournoy, Arch. d. scie. phys. ot nat., XXVII, p.
575, XXVIII, Ρ. 319; Buecola, La leggo del tempo, 1880; Patrizi, Rio. aperim.
di prichiatria, XXIII, 257; A. Aliotta, La misura in psicologia sperimentale,
1905 (v. equazione personale). Tempo psicologico v. tempo di reazione.
Tempuscolo. Nello scienze fisico-matematiche si suol designare in questo modo
un tempo infinitamente piccolo, vale a dire non valutabile. Una quantità dicesi
infiuitamonte piccola, o semplicemente un infinitosimo, quando il suo valore è
minore di qualunque quantità assognabile, per quanto si voglia piccola. Ora,
noi possiamo valutare il tempo fino a 1/15.000.000 di minuto secondo: il
tempuscolo, o tempo infinitesimo, sarà dunque un tempo infinitamente più
piccolo di codesto che sappiamo valutare. Tendenza, T. Tendens; I. Tendenoy; F.
Tendance. Nel linguaggio comune indica uno stato complesso della coscienza
appetitiva, che vien designato volta per volta con nomi diversi, per i vari
aspetti coi quali può rivelarsi: cioò le tendenze positive si chiamano amore,
propensione, desiderio, bisogno, speranza; le tendenze neTeo 1164
gative avversione, odio, ripuguanza, disagio, timore. In senso stretto,
la tendenza è un fatto primitivo, costituito da uno stato di coscienza che, in
quanto rivela i bisogni dell'organismo eccitato dallo stimolo, è rivolto a
cercare © conservare il piacere, a fuggire o allontanare il dolore. Ogni
piacere ed ogni dolore mettono più o meno l’organismo in movimento, la forma
del quale è determinata dalla struttura originaria dell’ organismo stesso, e
che si manifesta con uno sforzo per allontanarsi ο avvicinarsi all'oggetto, a
seconda che è conosinto piacevole o doloroso. Quando codesto inizio
involontario del movimento è sentito dalla coscienza con una certa
rappresentazione del fine al quale esso conduce, si ha la tendenza. Essa ha
dunque per condizione l'associazione al sentimento presente della
rappresentazione di ciò che può aumentare il piacere o diminuire il dolore
attuale. Si distingue dalPatto riflesso ο dall’istinto, nei quali manca la
rappresentazione del fine; si distingue dal desiderio, in cui la rap
presentazione del fine è chiara, distinta ο sccompagnata dalla coscienza della
distanza che separa la semplice rappresentazione dell’ oggetto dalla sua
possessione ο realizzarione; si distingue infine dalla volontà, in quanto
questa comprende non una ma più rappresentazioni antagoniatiche, al prevalere
d'una delle quali, concopita come fine, si associano, coordinandosi, i meszi
per raggiungerla. Cir.
Spinoza, Ethica, 1. III, teor. IX, scol.; Höffding, Pay chologie, trad. franc.
, p. 422 segg. Teodicen. ‘I. Theodioss; I. Theodicy; F. Théodicée. Dal greco Θεός -Dio, e δίκη stizia. Parola creata dal Leibnitz, che la usò come titolo di
un’ opera nella quale cerca di giustificare la divinità dell’esistenza del male
nel mondo, e di conciliare la libertà umana con la prescienza e la provvidenza
di Dio. Ma come cosa, se non come nome, la teodicea esisteva da molto tempo.
Per Platone ο per Aristotele l’esistenza del male à giustificata 1165
Tro riportandola alla resistonza del non ente ο della materia; per gli
stoici, veri creatori della teodicea, i mali fisici non sono tali in sè stessi,
ma tali diventano per colpa degli nomini © spesso sono punizioni inflitte dalla
provvidenza per il miglioramento degli uomini, mentre il male morale, cioè il
peccato, è necessario perchè solo dal contrasto con esso risnita il bene; per i
neo-platonici il male non è per sè stesso qualche cosa di esistente
positivamente, ma è la mancanza del bene, il non-essere; per Giordano Bruno il
mondo è perfetto perchè è vita di Dio, fino ad ogni particolare, © colui
soltanto si lagna che non può sollevarsi all’ intuizione del tutto, nella cui
bellezza scompaiono le imperfezioni ο i difetti spparenti. Dopo il Leibnitz il
significato della parola si esteso fino a designare quella parte della teologia
ο della metafisica, che si 00caps di difendere la suprema sapienza di Dio
contro le accuse elevate dalla ragione alla vista dei disordini del mondo. Come
tale essa si divide, per il Kant, in tre parti che hanno per oggetto di
giustificare Dio: la prima nella sua santità, in presenza del male morale; la
seconda nella sua bontà, in presenza del male fisico ; la torza nella sua
giustisia, davanti al disaccordo che esiste tra il bene e la virtù. Ma oggi la
teodices ha assunto una estensione ancora maggiore, e comprende non solo la
giustificazione delle opere di Dio, ma anche le prove della sua esistenza, la
dimostrazione dei suoi attributi, la ricerca dei suoi rapporti con l’anima
umana e con l'umanità, Cfr. Platone, Timeo, 42 D; Seneca, Quaest. nat., V, 18,
4; Id., Kpistulae, 87, 11 segg.; Plotino, Enneadi, II, 9; Leibnitz, Essai de
théodioée, 1710; Kant, W. W., VI, 77; J. Young, Evil and good, 1861; Rosmini,
Teodicea, 1846; Benedict, Theodioaea,
(v. male, peseimismo, ottimismo). In senso generale, la TEOFANIA è il
manifestarsi della divinità nel mondo attraverso le sue opere; in questo senso
tutto il mondo Tro può considerarsi,
secondo il cristianesimo, una teofania. In significato più ristretto, il
presentarsi della stessa divinità. Thoophanias autem dici visibilium et
invisibilium species, quarum ordine et pulchritudine cognorcitur deus esso.
Cfr. G. Scoto, De div. nat., III, 19. Teologia. T. Theologie; I. Thoology; F.
Théologie. Nel sno significato più generale, è la scienza di Dio ο delle cose
divino. Aristotele fa il primo a considerarla come scienza, ponendola a capo
delle scienze speculative; avanti di lui essa non era che una descrizione
poetica dell’ origino delle cose © della natura degli dei. Nel mondo pagano la
teologia ebbe un carattere particolare: come la religione aveva un'importanza
politica, ed era ignota affatto così ai Greci come ai Latini ogni idea della
rivelazione, così non v'ebbe alcuna distinzione fra teologia naturale ο
positiva, ma si aveva invece, secondo la classificasione di Varrone e del
pontefice Muzio Scevola, una teologia poetica, di cui parlammo sopra, una
teologia fisica, che è prodotto di ragione e fa parte della filosofia, © una
teologia civile, fondata dai legislatori e rivolta agli interessi dello Stato.
Col cristianesimo, innalzatasi tra la ragione e la rivelazione una barriera
insormontabile, fu distinta la teologia naturale, che è prodotto della ragione,
dalla positita opera della rivelazione: quella è una scienza le cui verità
hanno bisogno di essere dimostrate, mentre le verità di questa debbono essere
aocettate per fede. Dalla teologia positiva si distingue la razionale, svoltasi
specialmente in Germania, e il cui fine è di controllare pet mezzo della
ragione i dati della rivelazione, con l'esame © l’interpretazione delle sacre
scritture, della tradizione, dei monumenti religiosi. Colla teologia positiva
non è da confondersi l’affermativa, che è l'affermazione in grado sommo (via
eminentiae) nella divinità di tutto l’essere che esiste nelle creatnre ; essa
si oppone alla teologia negatira, che consiste nel tentativo di ginngere alla
nozione del 1187 Tro l'essere supremo o
assoluto, rimovendo da lui (ria remotiomis 0 negationis) tutto ciò che non
possiede l’essere che in senso negativo. Codesta distinzione fa posta da Nicol
Casano; ma i due metodi erano già noti © usati dai primi Padri, © la via
negationie sale a grande onore specialmente con lo pseudo Dionigi Areopagita.
Teologia dogmatica è il sistema della dottrina teologica sviluppato dogmatica
mente, cioò con un metodo che si appella alla sutorità, sia della sola
scrittura, sia della scrittura ο delle tradi. zioni combinate insieme. Il Comte chiama teologico il primo dei tre
grandi stadi attraversati dalla intelligenza umana nel suo cammino secolare ;
gli altri due sono il metafisico ο il positivo. In questa prima fase dominano i
concetti mistici, e i fenomeni naturali sono attribuiti alla volontà arbitraria
6 capricciosa di enti imaginari o forze naturali personificate. A questo
indirizzo mentale corrisponderebbe, dal lato sociale, lo stato militare, poichè
le differenze di religione generano le guerre tra i popoli. Cfr. Aristotele,
Metaph., III, 4, 1000 a, 9; Diogene Laerzio, VII, 1, 41; 8. Clemente, Stromata,
V, ο. XI; Dionigi Areop., De mystica theol., I, 3; Id., De div. nom., 7, 3; C.
Billot, De Deo uno et trino, 1854 (v. teosofia, teodicea, ontologia).
Toologismo. T. Theologismus ; I. Theologiem ; F. Théologisme. Termine molto
vago, con cni si designano quei sistemi filosofici che #’ ispirano
essenzialmente alla tradizione teologica e al sentimento religioso. Teomania.
Delirio religioso, che oggi più propriamente dicesi pnranoia religiosa. È
costitnita da una serie di illusioni ο allucinazioni, aia visive che uditivo,
riferentisi ad armonie celesti © visioni divine, intramezzate dn periodi di
estasi ed episodi erotici. L’ ammalato crede di essere destinato da Dio a
redimere gli uomini dal pecesto e pregusta le gioie che per la compiuta
missione gli verranno largite, non badando alla propria tranquillità ο ai
propri interessi materiali, non esitando nemmeno a Tro 1168
sacrificare la libertà ο la vita. Non pochi riformatori ο fondatori di
religioni potrebbero, secondo alcuni psichiatri, essere legittimamente
classificati tra i teomani; tale Emanuele Swedenborg, fondatore della setta
degli illuministi, tale pure italiano Davide Lazzaretti, il più tipico esempio,
forse, di paranoico allucinato che abbia potuto, durante l’ultimo mezzo secolo,
dare origine ad un moto rivoluzionario mistico-socialistico. Cfr. Lombroso,
L'uomo di genio, 63 ed., p. 507 segg.; G. Ballet, Le peicosi, trad. it. , p.
300 segg.; G. Barzellotti, Davide Lassaretti, i suoi seguaci ο la sua leggenda,
1885; Id., Santi, solitari, filosofi, 1887; A. De Nino, II Messia degli
Abruszi, 1890. Teorema. T. Theorem, Lehrsatz; I. Theorem ; F. Théorème. Come
mostra l’origine etimologica della parola (Δεορέω = esamino), significò da
principio quello che si contempla, che è soggetto d'esame; poi la verità che è
il risultato dell’ esame, della dimostrazione. In questo secondo senso si
contrappone a problema, che è invece una incognita difficilmente decifrabile,
quantunque sia congiunta dal rapporto di principio e di conseguensa ad nna
conoscenza attuale, Teoretico. T. Thooretisch; I. Theoretical; F. Theoretique.
Ciò che si riferisce alla teoria, mentre il teorieo è ciò che fa parte della
teoria; nell’uso però i due termini si confondono. Si oppone a pratico © à
fecnioo; mentre la teoria ha per solo fine il vero, la pratica ha per fine
l’azione ο la tecnica è l’insieme delle norme con cui si applica la nostra
conoscenza delle cose. Si oppone anche a storico © a empirico, perchè mentre in
questi è il fatto che prevale, in quello prevale il ragionamento. Perciò si
hanno le espressioni di filosofia teoretica, pratica e storia della filosofia;
sapere teorico, speculativo e pratico; morale teorica e morale normativa o
pratica; intelligenza teorica, speculativa e pratica, ecc. Cfr. Kant, De mund.
sens., sect. II, § 9, n. 1. 1169 Tro Teoria. T. Theorie; I. Theory; F. Theorie.
Nel suo significato più largo designa la sintesi comprensiva delle conoscenze,
che una scienza ha raccolto nello studio di un dato ordine di fatti. In un
senso più ristretto è un insieme di ragionamenti collegati fra loro e diretti a
spiegare, provvisoriamente o definitivamente, una data questione. In questo
senso si oppone alla pratica, la quale non è che l'applicazione della teoria.
Nel primo significato si distingue dall’ipotesi, che è più spesso
l’anticipazione che non il risultato delle esperienze, e dalla dottrina, che ha
un’ accezione più vasta, risultando da un insieme di teorie. Quando la sintesi
coordinatrice delle esperienze raccoglie sotto di sò ordini differenti di
fenomeni, allora si ha qualche cosa di più esteso della dottrina, cioè il
sistema. La teoria non differisce per natura dalla legge scientifica, ma soltanto
per grado: la teoria è infatti una generalizzazione così astratta da non
mostrare un addentellato diretto ed esauriente con la realtà, ma si fonda
tuttavia sulle leggi, ο in tanto ha valore in quanto costituisce la massima
approssimazione alla realtà e la massima potenzialità di contenere in sè un
certo numero di leggi accertate. Tuttavia nell’ uso comune queste distinzioni
non sempre sono possibili, perchè, se da un lato è difficile valutare il grado
di estensione d’un dato insieme di conoscenze, non è facile dall'altro
l'apprezzamento degli elementi certi e degli ipotetici che vi si mescolano.
Cfr. Wundt, Logik, 1880, vol. I, p. 407; Masci, Logica, 1899, p. 72 segg. (v.
dottrina, principio, prammatica, pratica). Teosofia. T. Thoosophie; I.
Theosophy; F. Theosophie. Si distingue dalla teologia, in quanto designa quella
scienza che si pretende ispirata dalla stessa divinità, dalla quale
deriverebbe, senza però essere oggetto di una rivelazione positiva. Questa
scienza si svolse specialmente in Germania nei secoli XV e XVI, per opera di
Cornelio Agrippa, Paracelso e Giacomo Bihme. Le dottrine dei vari teosofi
74 Banzout, Dision. di scienze
filosofiche. Teo 1170 diversificano molto tra di loro, specie
perchè, mentre alcuni fanno prevalere la teologia sulla filosofia, altri dànno
la prevalenza alla ragione e alla filosofia sulla fede ο enlla teologia. Però
tutti si accordano nella tendenza ad unificare la scienza di Dio con quella
della natura. Uno dei più interessanti tentativi di risuscitare, nei tempi moderni,
la teosofia, è quello dello Schelling, spinto sulla via delV’irraionaliemo
dall’ assunzione del motivo religioso nelVidealismo assoluto. Se l’assoluto era
concepito come Dio, se il principio divino e quello naturale . delle cose erano
distinti, sicchè alle idee eterne come forme dell’ auto-intuizione divina
veniva assegnata un’ osistenza speciale accanto alle cose finite, la
trasmutazione di Dio nel mondo diventava un problema; tale problema lo
Schelling ha cercato di risolvere sulla via della teosofia, con una teoria
mistico-speculativa nella quale i concetti filosofici sono tradotti in
intuizioni religiose. Per lo Schelling le idee sono imagini riflesse, in cui
l’assoluto rispecchia sè stesso, sono partecipi dell'autonomia dell’ assoluto;
in ciò sta la ponsibilità della caduta delle ides da Dio, della loro
sostantivazione metafisica, per oni diventano reali, empiriche, cioè finite. Il
contenuto della realtà è quindi divino, perchò sono le idee di Dio quelle che
ivi sono reali; ma il loro proprio esser reale è caduta, peccsto ©
irrazionalità. Però l'essenza divina delle idee tendo di nuovo all’ origine e
al prototipo, © questo ritorno delle cose in Dio è In storia, l’epos composto
nello spirito di Dio. Il Rosmini intendo per teosofia la teoria dell’ ente
nella sua totalità, ossia delle ragioni supreme che si trovano nel tutto
dell'ente; essa si distingue sia dalle altre scienze, che riguardano Vente solo
in quanto è diviso o dalle limitazioni naturali o dallo sguardo della mente,
sia dalle altre parti della filosofia, che cercano il principio da cui la
scienza dell’ ente deriva (ideologia) e somministrano le condizioni formali e
materiali (logica e psicologia) del passaggio della 1171
Ter mente speculativa dal sapere ideologico al sapere teosofico. Cfr. L.
Judge, The ocean of theosophy, 1893; A. Besant, Teosofia e nuova psicologia,
trad. it. 1909; E. P. Blawataki, Introd. alla teologia, 1910; Schelling,
Religion und Philosophie, 1804; Rosmini, Teosofia, 1859 (v. ideologia,
metafisica, ontologia). Teratologia. T. Teratologie; I. Teratology; F.
Tératologie. Ramo della patologia e dell’ antropologia, che studia quelle
anomalie di sviluppo, congenitali e irrimediabili, che diconsi mostruosità.
Esse sono costituite da arresto, eccesso 0 perversione di sviluppo ; possono
dipendere da predisposizione ereditaria, da nna malattia del feto, ο da un
accidente sopraggiunto alla madre; alonne sono incompatibili colla vita, altre
compatibili. Tra queste importanti la polidattilia, ο dita in soprannumero,
l’ermafroditismo, 9 ΙΑ diplogenesi, in cui vi ha duplicazione più o meno
completa del corpo intero (v. anomalia, degenerazione, reversioni).
Termestesiometro. Strumento usato nelle ricerche psicofisiologiche per misurare
la sensibilità cutanea sotto l’azione del calore. Termiche (sensazioni). T.
Temperaturempfindung ; I. Temperature sensation ; F. Sensation de temperature.
Le sensazioni di ‘caldo e di freddo. Possono essere di due specie: interne,
quando hanno origine da uno stato affatto soggettivo (ad es. il calore o il
brivido della febbre), ed esterne, quando sono prodotte dal contatto di un
corpo qualsiasi sopra la pelle o sulle mucose che confinano con essa. Si ha la
sensazione di caldo quando il corpo che tocca la pelle ha una temperatura più
elevata della pelle stessa, di freddo quando ha una temperatura più bassa,
nessuna quando ha la stessa temperatura. Quando il corpo ha una temperatura
superiore a + 47° e inferiore a 10°, non
produce sei sazioni termiche ma dolorifiche, che sono tanto più ii tense quanto
maggiore è la differenza fra la temperatura
1172 del corpo e quella dell’
organismo e quanto più estesa è la superficie cutanea che col corpo si trova a
contatto. Sembra esistano degli organi periferici distinti per il senso del
tatto, per il caldo e per il freddo; infatti la sensibilità termica non è
uguale in tutte le località della pelle, ed in alcune di esse sono possibili
soltanto sensazioni di freddo, in altre soltanto sensazioni di caldo, se
toocate con una punta fredda o calda. Cfr. Wundt, Physiol. Peychol., 4* ed., vol. I, p. 385,
415; Titchner, Lab. manual, 1901, cap. III; Kiesow, Zeitschrift für Peyool., vol. 35, 1904; Id., Arch, it. d.
biol., T. XXXVI, 1901; N. Marotta, Le sensazioni termometriche, « Riv. di fil.
e scienze affini », agosto 1899. Termine. Lat. Terminus; T. Terminus; I. Term;
F. Terme. I termini del giudizio sono le nozioni che lo compongono; i termini
della proposizione sono i nomi che esprimono codeste nozioni. I termini si
distinguono in generali, collettivi, astratti, concreti o singolari, positivi,
negativi, privativi e correlativi. Nel
sillogismo si hanno tre termini: il maggiore, che ha l’estensione maggiore e
compare, soggetto o predicato, nella premessa maggiore; il minore, che ha
estensione minore, e compare come soggetto o predicato nella premessa minore;
il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse. Nella
conolusione il termine maggiore fa da predicato, il minore da soggetto, il
medio è escluso. Il sillogismo non può avere più di tre termini, perchè il
termine medio deve esser preso almeno una volta universalmente. Il termino
maggiore e minore non debbono esser presi nella oonelnsione più universalmente
che nelle premesse, perchè ciò sarebbe contro il principio del sillogismo, che
procede sempre dall’universale. Nella terminologia scolastica dicesi terminus
actionis ciò che si compie coll’arione medesima, t. denominationie ciò che
prende una nuova denominazione per l’azione, f. a quo quello onde incomincia il
moto, t. ad 1173 TER quem quello dove il moto finisoe; termini
pertinentes duo termini tra loro opposti contrari, o di oui l’uno porta in sò
l’altro, t. impertinentes due termini che non sono contrari ma non si
richiamano per conseguenza diretta (ad es. il rosso © il buono); terminus
intrinscous unionis quell'estremo del composto nel quale non si riceve l’
unione, che pei peripatetici era una entità distinta dagli estremi, nè da esso
si trae o si sostenta: così la forma del composto è il £, intrinseous dell’
unione della materia colla forma, la quale unione ai riceve nella materia,
ossia le aderisco, ed è sostenuta da questa, e non aderisce nò è sostentata
dalla forma. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24 b, 16; Goclenio, Lezioon
phil. (v. figura, modo, collettivo, correlative, generale, eco.). Terminismo.
T. Terminismus; I. Terminiem; F. Torminieme. Forma del nominalismo, nella quale
gli universali sono considerati soltanto come termini ο segni. Genera οἱ
epooies, dice Buridano, non sunt nisi termini apud animam ezistentes vel ctiam
termini vocales aut soripti. Il terminismo, come dottrina che considera i
concetti quali segni subbiettivi per le cose singole realmente esistenti,
compare nel secondo periodo della filosofia medievale, specie con Guglielmo di
Oooam. Riappare poi nella filosofia dell’ Aufklärung ο nel sensismo di
Condillac, per il quale ogni conoscenza consiste nella coscienza dei rapporti
delle idee, le quali, con l’aiuto dei segni e, rispettivamente, della lingua,
si decompongono nei loro elementi ο si ricompongono di bel nuovo: ogni lingua è
un metodo per V analisi delle idee, ed ognuno di questi motodi è una lingua, e
le diverse specie di segni danno diversi dialetti (le dita, la favella, le
cifre, ecc.) della lingua umana. Cfr. ‘Prantl, Geschiohte d. Logik, 1885, IV, 16;
Condillac, Langue des oalouls, 1798. Teromorfle ο atavismi. Furono dal Wirchow chiamate così alcune varietà
anormali che si riscontrano talTes un = volta nell’uomo (muscolo sternale, osso
interparietale, eco.), che sono disposizioni permanenti negli animali
inferiori. Le teromorfie diconsi dirette quando riproducono le forme di animali
più vicini all’ uomo, indirette 0 remote quando i caratteri riprodotti sono
propri di animali più bassi, che non si considerano come gli avi diretti (v.
degenerazione, reversioni, teratologia). Tesi. T. These; I. Thesis; F. Thèse.
In generale significa proposizione, cioÿ qualsiasi giudizio espresso con
parole; ma si adopera più propriamente per designare una proposizione che deve
essere dimostrata vera. Per Aristotele la tesi si distingue dall’assioma in
quanto, mentre questo è universale e necessario, quella invece è stabilita
temporaneamente e per un oggetto determinato. Nel giudizio ipotetico (se À è B
è) dicesi tesi la seconda parte di esso, che contiene la posizione del
predicato (8 2), mentre la prima parte (ss A è) che contiene la posizione del
soggetto, dicesi ipotesi. Quando alla
tesi è opposta un’altra proposizione, che sebbene contradditoria può esser
dimostrata con argomenti di ugual valore, questa seconda dicesi antitesi, ed
insieme con la prima costituisce la antinomia. Quando invece la tesi e
l’antitesi possono essere conciliate in un principio superiore che entrambe le
comprende, si ha la sintesi. Testimonianza. T. Zeugniss, Zeichen; I. Tostimony:
F. Témoignage. Lo scienziato non può osservare personalmente tutti i fatti
ch’egli afferma, nè sottomettere alla prova sperimentale tutte le dottrine
ch’egli ammette, ma fatti è dottrine deve in buona parte accettare sopra la
testimonianza altrui. Se così non fosse, se ogni scienziato dovesse ricominciare
ab ovo le sue ricerche e considerare come vero soltanto ciò che ha
sperimentato, il progresso della scienza sarebbe impossibile. D'altro canto, vi
sono slenno scienze, come la geografia, la storia, ecc., le quali si fondano
quasi completamente sopra le testimonianze
1115 Tes-Ter altrni. La necessità
del principio d’autorità nella scienza impone dunque allo scienziato di fare la
oritioa delle tertimonianzo (le cui norme generali sono fissate dalla logica),
per determinare in quale misura esse possono esser ritenute degne di fede, Cfr.
Masci, Logioa, 1899, p. 468 segg. Testo. T. Probe, Prüfung; I. Test; F. Test,
Epreuve. Diconsi testi mentali, ο prove, o saggi, le determinazioni che la
psicofisica e la psicofisiologia cercano di ottenero del funzionamento dei
sensi ο dei processi mentali. Si hanno quindi testi della capacità sensoria,
visiva, uditiva, tattile; testi della capacità muscolare, della capacità
percottiva, della vivacità ο prontezza mentale; testi della memoria e dei
processi mentali più complessi, come l’associazione, l’attenzione,
l’imaginazione, il giudizio, Per determinare l’acutezza della visione sogliono
adoperarsi lettere di varia dimensione e forma, poste a diversa distanza; per
l'udito le casse di risonanza e l’audiometro, per il tatto l’estesiometro, per
la capacità muscolare il dinamometro, per la percezione degli intervalli di
tempo il eronosoopio di Hipp, ecc. Cfr. Binet e Henri, La peychologie
individuelle, « Année payool. », ; Report of committee on testa, « Psychol. Rev.; Wiseler, Correlation of
mental and physical teste, 1901. Tetici (giudizi). Quei giudizi contratti, detti anche di posizione ©
esistenziali (Herbart) che sono ordinariamente riferiti a giudizi ipotetici, se
l'ipotesi afferma una condizione di estensione relativamente illimitata. Essi
possono avoro anche la forma copulativa, remotiva, disgiuntiva, oppure una
forma propria, in cui, in luogo dell’ ipotesi, è usato un avverbio o una
particella localo (v. composti, congiuntivi, copulativi). Tetralemma.
Argomentazione costituita di quattro membri, da ciascuno dei quali si ricava
una conclusione medesima e contraria all'avversario, che per ciò non ha più via
d'uscita. Nella sua forma tipica è espresso meTeu-Tir 1176
diante un sillogismo ipotetico-disgiuntivo, che, al pari del dilemma,
può avere due modi, uno affermativo o ponente, l’altro negativo ο tollente; nel
primo la premessa. maggiore enumera i quattro casi possibili che conducono ad
un’ unica consegaenza, la minore afferma non esservi altri casi oltre quelli
enumerati dalla maggiore, la conclusione afferma la conseguenza; nel secondo la
maggiore espone le quattro conseguenze che dipendono da un’ unica condizione,
la minore nega la verità delle conseguenze, la conclusione nega quindi la
verità dell'ipotesi (v. dilemma). Teurgia v. snagia. Timpano. T. Trommelfoll; I.
Tympanum; F. Tympan. La cavità del
timpano è uno spazio scavato nell’osso temporale, e comunica con la faringe
mediante un canale dotto tromba uditiva o d’ Eustacchio. E limitata
lateralmente dalla membrana del timpano, che è una lamina sottile e
trasparente, tesa © fissata al solco timpanico, a forma ellittica. Le onde
sonore, urtando contro la membrana, la pongono in vibrazione; tale vibrazione è
comunicata agli ossicini, da questi all’ endolinfa e alle terminazioni nervose
dell’ acustico, che trasmette 1’ eccitazione al centro cerebrale relativo. Cfr.
J. K. Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p. 52 sogg.; Nuvoli,
Fisiologia dell’ organo uditivo, 1907. Tipo. T. Typus; I. Type; F. Type. Nel
sno significato generale, un tipo è an individuo di un genere che risssume in
sè stesso, nel modo più spiccato, i caratteri del genere cui appartiene; tali
caratteri sono tanto maggiormente netti ο palesi, quanto minore è la rilevanza
dei caratteri individuali. In senso logico e astratto per tipo s'intende l’
insieme dei caratteri essenziali d’ una specie. ‘Tuttavia nelle definizioni
scientifiche l’idea di tipo non è determinata ο costante: alcune volte è presa
come tipica una proprietà formale, che distingue una classe dall’altra. come ad
es. la distinzione che molti filologi fanno
1177 Tom delle lingue in
agglutinanti, isolanti, ο flessive ; altre volte è presa come tipica
un’astrasione morfologica, come ad es. la teoria di Bronn sulle forme
geometriche dei corpi animali; altre volte è assunta come tipica la forma più
semplice, come il dado e I ottacdro per la oristallogratis, © altre invece la
forma più completa, come ad es. la forma tipioa dei mammiferi assunta dal
Cuvier. Va ricordato, infine, che alcune volte il tipo fu assunto
platonicamente dagli scienziati, ad es. l’Agassiz ο il Cuvier, quasi come
un'entità reale, a sò, causa delle forme ο della approssimazione delle forme.
Nella psicologia diconsi tipi mentali certe precise differenze di costituzione
mentale, 0 certi modi di fanzionamento mentale, che caratterizzano gruppi di
individui; tali caratteri sono dunque tipici, piuttostochè individuali. In
questo stesso senso si parla di tipo criminale, tipo visivo, tipo sensitivo,
ecc. Cfr. C. B. Davenport, Statistical metods, 1900 ; Zeitschrift für Peychol.
(v. archetipo, entelechia). Tomismo. T. Thomiemus; I. Thomiem; F. Thomisme. La
sonola e la dottrina di 8. Tommaso d’ Aquino, i cui seguaci si reolutavano
specialmente, vivo ancora l’ Aquinate, nell’ordine dei domenicani; ebbe per
avversari i francescani, che seguivano le dottrine di Duns Scoto. L’opposizione
tra le due scuole riguardava specialmente il valore della volontà e le sue
relazioni con l'intelletto: per i tomisti la volontà teneva dietro all’
intelletto, per gli scotisti era invece il contrario (voluntas superior
intellectu). Ciò era una conseguenza della teorica sul principio di
individuazione, poichè, mentre i tomisti, seguendo la dottrina del loro
maestro, sostenevano cho la forma intellettualo, informando un dato organismo
corporeo, ne determinava la individualità, gli scotisti riponevano invece il
principio di individuazione nel profondo stesso della ossenza, in un'ultima
realitas che sfugge ad ogni conoscenza. Cfr. Harper, The metaphysics of the
School, ; FrohTom-ToN 1178 schammer, Thomas von Aquino, ; C. Jourdain,
La filo sofia di δ. Tom. d'A, trad. it. 1860, p. 243-372 (v. ecceità, quiddità,
individuazione, intollettualirmo, volontarismo, scotismo, neo-tomismo). Tomo.
Alcuni scienziati chiamano così l infinitamente grande, per opposizione all’
atomo che è l’infinitamente piccolo. Una grandezza che diminuisce continuamente
fino a divenir zero, prima di sparire nello zero passerà per uno stato nel
quale essa nulla ha di più piccolo sotto di sò, © questo è l'atomo; una
grandezza che aumenti continuamente fino all’ infinito, prima di sparire nell’
infinito passerà per uno stato nel quale essa non ha nulla di più grande sopra
di sò, © questo è il tomo. Il tomo non ha quindi dei multipli, come l’atomo non
ha dei sottomultipli : e siccome neppure lo zero ha dei multipli, così vi ha
completa analogia fra il tomo e l’ infinito da una parte, l atomo © lo zero
dal’ ultra (v. atomiemo, divisibilita, infinito). Tono. T. Ton; I. Tone; F.
Ton. Nel suono è dato dal numero dello vibrazioni; il tono principale è sempre
accompagnato da ipertoni ο toni secondari, di minore intensità; il timbro del
suono è dato dal numero e dalla altezza degli ipertoni che accompagnano il
tono. Dall’ Helmholtz in poi dicesi tono differenziale il terzo tono
distinguibile tra due toni, costituito da un numero di vibrazioni uguale alla
differenza di quello dei due toni primari; e tono addizionale il tono più
sento, risultante dalla somma delle vibrazioni dei toni primari. Dicesi tono muscolare il grado di tensione in
cui trovansi normalmente i muscoli; esso diponderebbe da sensazioni
subcoscienti, mantenute dalle molteplici vie afferenti, che sono direttamente o
indirettente in rapporto col cervelletto e col bulbo. Nella sensazione il tono ο colorito è il
grado di piacere o di-dolore che accompagna ogni sensazione o fatto psichico.
Esso può dipendere sis dallo stato organico, sia dalla qualita della
sensazione, sia dalla intensità degli stimoli, sia dal 1179 Tor-Tor l'esperienza dell’ individuo e della
specie. In generale, il tono delle sensazioni è in ragione inversa della loro
oggettività, ossia del loro riferimento agli oggetti, ed è maggiore a misura
che questo riferimento è più diretto e più evidente; a sua volta l’ evidenza
del riferimento dipende dal carattere spaziale della sensazione, perchè 1’
oggetto à per noi essenzialmente il reale esterno, Secondo alcuni peicologi, il
tono è essenziale alla sensazione, in quanto, essendo fondamentale la tendenza
al piacere, ogni sensazione sarà concepita come concorde con questa tendenza, e
quindi piacevole, o come contraria, e quindi dolorosa; se molti stati psichici
appaiono indifferenti, ciò dipende dalla tenuità del tono che li accompagna.
Altri invece ammettono l’esistenza di stati psichici assolutamente indifferenti
o neutri. Cfr.
Kant, Krit. d. Urt., $ 3; Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen, 1863;
C. Stumpf, Tonpeychologie, 1890; Th. Ziehen, Leitfaden d. physiol. Peychol., 2°
ed. 1893, p. 95; Wundt, Grundr. d. Peyohol.; Sergi, La psyohol. physiologique,
trad. franc.; MASCI (vedasi), Psicologia. (v. neutri stati, piacere, dolore, sentimento). Topica
(da τόπος luogo, ove si trovano gli
argomenti). Nella logica antica, la Topica era la ricerca e l'esposizione degli
argomenti che si possono esporre sopra ogni cosa. I Topici sono quei libri
logici di Aristotele dove si espongono i sillogismi ipotetici o verosimili.
Metodo topico, per opposizione al metodo critico di Cartesio, chiamò Vico il
metodo che cousiste nella ricerca delle idee: « non si giudica bene, egli dice,
se non si è conosciuto il tutto della cosa; © la topica è l’arte in ciascheduna
cosa di ritrovare tutto quanto in quella à ». Cfr. Aristotele, Τορ., I, 1, 100
a, 1; Küstner, Topik oder Erfindungswissensch., 1816 (v. luoghi comuni).
Totaliszazione (legge della). L’Hoffding designa con questo nome la tendenza
che noi abbiamo, dato un parTor
1180 ticolare elemento
psicologico, a riprodurre lo stato totale, di cui codesto, o un altro
somigliante, formava una delle parti. Codesta legge costituisce 1 essenza di
ogni forma d’ associazione mentale; infatti gli elementi singoli d’un medesimo
stato di coscienza non esistono separati, ma come unità di somma, e da ciò
nasce la tendenza a rievocare la somma quando sia data una delle sue unità. Il
Galluppi aveva già ammesso, come fondamento dell’ associazione psichica, la
legge per cui la percesione passata ritorna tutta allorchè ne torna una parte;
con tale legge egli spiegava anche il fatto del riconoscimento. Cfr. Höffding,
Peychologie, trad. franc. 1900, p. 211 segg.; Ebbinghaus, Uober das
Godächiniss; Galluppi, Lesioni di logioa ο metaf., 1854, II, p. 742 segg. (v.
sintesi psichica). Totemismo. T. Totemismus ; I. Totemism; F. Totémisme.
‘l'ermine introdotto da J. Long (1791) e rimasto nell’ uso per indicare l’
adorazione di oggetti materiali ο percepibili, animali, piante, eco., fatta da
tutti i membri di una tribù ο clan, che per tal modo si sentono legati
socialmente tra di loro. Il totemismo, assai diffuso nei popoli primitivi e tra
le razzo inferiori, si distingue dal feticismo sia per il suo carattere
sociale, sia perchè 1’ adorarione si rivolge a tutti gli oggetti di una classe,
considerati come capaci di esercitare un potere sull’ esistenza umana, mentre
nel feticismo questo potere è attribuito ad un oggetto solo. Il totemismo
involge anche là credenza che la tribù ο clan sia discesa per miracolo o
mistero dall'oggetto ο animale totemico; perciò esso è considerato come sacro,
ne è proibito l’uso come alimento © come vestimento, spesso è anche vietato di
guardarlo © di nominarlo, è adorato, rispettato, presiede le cerimonie che
riguardano la nascita, il matrimonio, la morte. Cfr. Pikler u. Somlo, Der
Ursprung d. Totemismus, 1900; Frazer, Totemism, 1887; Durkheim, Les formes
élémentaires de la vio 1181 ToT-Tra religionse, p. 141 segg.; F. B.
Jovons, 1) idea di Dio, trad. it. 1914, p. 85-93. Toto-parsiali, Si dicono
così, nella dottrina dell’Hamilton sulla quantificazione del predicato, quelle
proposizioni in cui il soggetto è preso universalmente, il predicato solo
particolarmente. Possono essere tanto affermative es. tutti i triangoli sono
(alcune) figure quanto negative: es. nessun triangolo è (qualche) figura
equilatere. Toto-totali. Si dicono così, nella dottrina dell’Hamilton sulla
quantificazione del predicato, quelle proposizioni in oui tanto il soggetto
quanto il predicato sono presi in tutta la loro estensione: es. tutti i
triangoli sono (tutti i) trilateri. Nella loro forma negativa il predicato è
escluso totalmente dalla estensione e comprensione del soggetto: es. nessnn
triangolo è (nessun) quadrato. Tradizionalismo. T. Traditionaliemus; I.
TraditionaKem; F. Traditionalisme. In generale designa qualunque indirizzo
scientifico, filosofico, religioso, letterario che vuol tenersi ligio alla
tradizione e ad essa e’ ispira. Nella religione dicesi tradisionalismo la
dottrina che sostiene che le snpreme verità religiose, © specialmente I’
esistenza di Dio, nonchè le verità fondamentali di ordine metafisico, morale e
religioso, non si possono conoscere se non in grazia della rivelazione
primitiva conservata ο diffusa dai testi encri ο dalla tradizione, essendo la
ragione umana impotente a raggiungerle. In particolare dicesi tradisionaliemo
1’ indirizzo filosofico rappresentato in Francia dal Chatenubriand, dal De
Maistre e specialmente dal De Bonald, indirizzo caratteriszato da una energica
reazione contro la filosofia della rivolazione (illuminiemo). L'errore di
quest’ultima, secondo il De Bonald, è d’aver creduto che la ragione possa da sò
stessa trovare la verità e indirizzare la società, mentre invece tutta la vita
spirituale dell’uomo, essendo fondata sul linguaggio, è un prodotto della
tradisione storioa; il lingnagTRA 1182 gio è stato donato all’nomo da prima come
rivelazione, e la « parola » divina fonte di tutte le verità, ha per unica
depositaria nella tradizione la Chiesa, la cui dottrina è dunque la ragione
universale data da Dio ο trapiantata a traverso i socoli come il grande albero,
su cui maturano i frutti schietti della conoscenza umana. Concetti analoghi,
quasi contemporaneamente al Bonald, sostenne il Lamennais, per il quale alla
nostra incapacità di raggiungore il vero, sia per mezzo dei sensi, sis per
mezzo della ragione, supplisce il consenso comune, I’ autorità del genere
umano, che diventa il punto d'appoggio delle nostre conoscenze: « Esiste... per
tutte le intelligenze un ordine di verità ο di conoscenze primitivamente
rivelate, ossia ricevute originariamente da Dio, come condizioni della vita o
meglio come la vita stessa... E come la verità è la vita, com l'autorità, ossia
la ragione generale manifestata con la testimonianza o con la parola, è il
mezzo necessario per giungere alla conoscenza della verità, ciod alla vita
dell’ intelligenza >. I tradizionalisti si divisero in due gruppi: i primi,
col Lamennais a capo, costituirono l’école menaieienne, che fu dette anche
fideista per P ufficio esclusivo attribuito alla fede, all’ antorità della
rivelazione divina, nell’ acquisto della vera certezza; i secondi, più
temperati (Bonetty, Ventura, Laforêt e i professori di Lovanio) ammettono una
potenza nativa della ragione umana, indebolita però dal peccato originale e
bisognosa quindi d’un aiuto intellettuale esteriore, cioè della rivelazione,
per arrivare alla conoscenza distinta delle verità razionali, morali e
metafisiche. Nella sociologia dicesi
tradizionalismo quell’indirizzo il quale considera le vario formazioni sociali,
quali la costituzione politica, il regime economico, il diritto, eec., come fondati
non sopra idealità ο principi astratti, ma sopra una tradizione, e s0stiene
quindi che non possono essere mutati in base a criteri puramente teorici. Cfr.
Kleugten, La philosophie scola 1188 TRA
stique, 1868, t. I, diss. 482-455 ; Lamennais, Essai sur Vindifférence, 1820,
t. II, ο. 13; Vacant, Études théologiques, 1895, I, p. 120 segg., 329 segg.; C.
Ranzoli, II tinguaggio dei filosofi, 1911, p. 219-223. Traducianismo. T.
Traducianismus: I. Traducianiem ; F. Traducianisme. O generazioniemo, è la
dottrina con la quale alcuni filosofi e teologi, Tertulliano, 8. Agostino,
Lutero, Leibnitz, ece., spiegano l’origine delle anime individuali, imaginando
che siano esistite tutte in germe in Adamo, e si propaghino ora per generazione
fisica come il corpo. « Intorno all’ origine delle forme, entelechie ο anime,
dice il Leibnitz, i filosofi sono stati in grave imbarazzo; ma oggi, avendo
riconosciuto mediante ricerche esatte compinte sopra le piante, gli insetti ο
gli animali, che i corpi organici della natura non sono mai prodotti dal caos o
dalla putrefazione, ma sempre da sementi nelle quali esisteva indubbiamente
qualche preformazione, oggi si è giudicato che non solo il corpo organico vi
era già prima della concezione, ma anche un’ anima in questo corpo e in una
parola l’ animale stesso, e che, per mezzo della concezione, esso è stato
solamente disposto ad una grande trasformazione per divenire un animale di un’
altra specie ». Questa dottrina fu respinta dagli ortodossi ed è oggi
combattuta dal neo-tomismo, come contraria al dogma della spiritualità. Cfr.
Tertulliano, De an., 9; Leibnits, Monad., 74. Trance. Τ. Verzückung,
Entzückung; I. Tranoe ; F. Trance, Eztase. Fenomeno psicologico, caratterizzato
da una grande insensibilità per gli stimoli e uno stato di incoscienza ©
subcoscienzs rispetto agli avvenimenti esteriori ; la personalità del soggetto
è profondamente alterata, le sue funzioni automatiche in parte interrotte, e i
suoi pensio possono essere concentrati in un determinato ordine di idee. Spesso
però la parola trance è adoperata ad indicare gli stati di estasi, di letargia,
di sonnambulismo ipnotico Cfr. Surbled, Spiriles et mediums, 1901; A.
Vissni-Scozzi, La medianità, 1901. Transitivo. T. Transgredient; I. Transiont;
F. Transitif. Dicesi forza o azione transitiva, per opposizione a immanente,
quella che passa da un essere ad un altro; la forza o causalità immanente è
invece quella che risiede e rimane nell’ essere. Dicesi anche transitiva, per
opposizione ad immutabile, un’ entità che consiste in una successione continua
di stati; immutabile è invece 1’ entità che non comporta cangiamento. Nel
meccanismo la forsa è concepita come transitiva, nel dinanismo come immanente.
Nella dottrina della creazione e del demiurgo l’azione della divinità sul mondo
è transitiva, mentre è immanente nel panteismo. La psiche, ’ io, la personalità
sono concepite, nel sensismo e nell’ empirismo, come smo, sostansialità)..
Transustanziazione.T. Transubstantiation; I. Transubstantiation ; F.
Transubstantiation. Dottrina teologica, formulata dall'abate Pascasio Radberto,
e accettata poi dalla Chiesa. Essa consiste nell’ammettere che il pane e il
vino nel Sacramento dell’altare, pur rimanendo gli stessi negli accidenti, sono
però convertiti nella sostanza nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo.
Trascendentale. T. Transscendental; I. Transcendental; F. Transcendental. Kant
designa in questo modo una cognizione o sciensa, la quale non si occupa
direttamente di oggetti, ma di una nostra maniera di conoscerli, in quanto essa
deve essere possibile a priori; ossia si occupa della facoltà di conoscere a
priori gli oggetti, ©, insiemo della validità dei suoi limiti e delle sue
condizioni. Quindi trascendentale si oppone ad empirico, che è ciò che è dovuto
all'esperienza sensibile. La Critica della Ragion pura, ricercando tutti gli
elementi a priori della conoscenza speculativa, stabilisce tutti i concetti ο i
prinoipt trascendentali; tutto ciò che appartiene alla Critica costituisce
dunque la filosofia trascendentale. Vi ha perciò una estetica trascendentale,
che è la scienza dei principi del pensiero puro e della conoscenza razionale,
onde consideriamo gli oggetti assolutamente a priori; un’analitica
trascendentale, che è il sistema dei concetti © dei principi dell’ intendimento
puro; una dialettica trascendentale, che cerca scoprire l'apparenza dei giudizi
trascendentali per evitare che essi ci ingannino. Nello stesso senso dicesi
realismo trascendentale quello dell’ Hartmann, in quanto pur affermando
l’idealità del mondo esterno in quanto tale, riconosce però alle forme dell’
intuizione e alle categorie del pensiero una validità anche nel dominio della
realtà in sò stessa; idealismo trascendentale quello di H. Cohen, E. König
ecc., che afferma l’immanenza del mondo esterno nella coscienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen
Vern., ed. Kehrbach, p. 262 segg.; Id., Proleg., $ 40; Schelling, Vom Ich als
Princ. der Philosophie, 1795, p. 113 (v. trascendente). ‘Trascendentalismo. T. Transscendentalismus; I.
Transcendentaliem ; F. Transcendentalisme. Nel suo senso più generale si oppone
ad empirismo, e indica ogni sistema o indirizzo filosofico che fa appello alle
capacità intuitive, supersensibili dello spirito. In un senso più ristretto
designa l’indirizzo dei successori di Kant, che, eliminata ο trasformata la
cosa in sò, unificato il soggetto ο l'oggetto della conoscenza, conferito un
valore completo e non puramente fenomenico ai concetti di assoluto ο di
pensiero puro, affermarono la dipendenza del mondo dell’esperionza
dall'attività della ragione; in tal modo è tolta la differenza stabilita da
Kant fra trascendentale e trascendente. Nel primitivo senso kantiano, che è il
più limitato, il trascendentalismo è l'affermazione della possibilità della
conoscenza a priori degli oggetti, e della costruzione dei concetti, che
possono così essere applicati. Nella filosofia
della religione per trascendentalismo s’ intende talvolta ogni religione che
ammette la trascendenza ontologica © logica della divinità; altre volte indica
l’ insieme dello dottrine, che considerano la sorgente delle verità religiose
come un organo o un processo di apprensione trascendente le forme ordinarie, e
chiamato visione mistica, estasi, intuizione, coscienza religiosa, ecc. Dicesi trascendentalismo logico quell’
indiriszo, rappresentato dallo Spir, dal Windelband, dal Rickert, che partendo
da una particolare interpretazione delle concezioni kantiane, considera la
funzione logica come un quid che, oltrepassando l’esperienza, serve come
criterio per apprezzarla. Cfr. Frothingham, Transcendontalism in New England, ;
A. Levi, Il trascendentaliemo logico, « Cultura filosofica», luglio 1911.
Trascendente. T. Transscendent ; I. Transcendent ; F. Transcendant. Si oppone
ad immanente © designa ciò che non risiede nell’ essere, che sorte da un
determinato soggetto, che supera determinati limiti. Nella gnoseologia designa ciò
che supera le nostre facoltà conoscitive, © semplicemente ciò che si eleva al
disopra delle idee è credenze comuni. Kant applica questo termine a ogni
conoscenza, che noi crediamo poter ottenere senza il soccorso dell’ esperienza,
e che perciò è interamente chimerica, « Chiameremo immanenti, egli dice, le
proposizioni fondamentali il cui impiego rimane completamente nei limiti
dell’esperienza possibile, trascendenti quelle che tali limiti sorpassano ».
Gli scolastici dicevano trascendenti le nozioni universali, come l’unità e
l'essere, che a’ applicano a tutto e non sono propriamente dei generi. Cfr.
Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 262; Prantl, Geschichte d. Logik,
1885, III, p. 8-9, 114, 245; A. Richi, Der philos. Kriticismus, 1887, t. Il, v.
2, p. 168 (v. transitivo, trascendentale). Trasformismo. T.
Tranaformalignetheorie ; I. Transformism ; F. Tranaformieme. La dottrina
secondo la quale le specie naturali non sono fisse, ma si sviluppurono
gradatamente attraverso il tompo, procedendo dalle forme più semplici verso
quelle più complesse. Essa si oppone all’altra dottrina, fondata già da Linneo,
che considera le specie come costanti 6 tante quante ne cred Dio fin dal
principio. Intuita anche nell'antichità, la dottrina del trasformismo fu scientificamente
esposta e difesa per la prima volta dal Lamarck, il quale attribuì ls graduale
trasformazione delle specie alle condizioni esterne della vita, all’ abitudine
e all’ uso e disuso degli organi. Più tardi il Geffroy ripiglieva il concetto
lamarchiano della discendenza delle specie viventi da altre che le hanno
precedute, attribuendo però la massima importanza all’azione dell’ ambiente;
finchè Carlo Darwin poneva il concetto dell'evoluzione su basi ancor più
solide, aggiungendo ai fattori di essa, già riconosciuti dal Lamarck e dal
Gefîroy, la sopravvivenza del più adatto (elezione ο selezione naturale)
necessaria conseguenza della rapida riproduzione degli organismi e della lotta
per In vita. Fra i-moderni sostenitori del trasformismo alcuni, col Weismann,
negano l'eredità dei caratteri acquisiti, esagerando V opera dell’ elesione
naturale (noo-darwiniani) ; altri, con lo Spencer, attribuiscono la maggiore
efficacis all’infinenza dell’ambiente ο agli effetti dell’ uso © disuso degli
organi (neo-lamarokiani). Il trasformismo si distingue dal darwinismo, che è la
stessa dottrina trasformistica quale fu intesa ed esposta dal Darwin, ο dall’
evolusioniemo, che è il trasformismo applicato a tutti i fenomeni naturali,
inorgonici, organici e superorganici. Cfr. R. Schmidt, D. darwinsche Theorie, 1876; H. F.
Osborn, From the Greeks to Darwin, 1894; Hendley, Problems of evolution, 1901 ;
Th. Ribot, La peychol. anglaise
contemp., 1875, p. 160-247; Delago ο Goldamit, Les théorier de l’érolution,
1910; E. Clodd, 1 pionieri dell'evoluzione, trad. it. 1909 (v. adattamento,
conrergenza, divergenza, credità, lotta, selezione, specie, variabilità, cco.).
Tra-Trı 1188 Trasmissione. 1. Ucberlieferung, Foripfansung
: I. Tran mission; F. Transmission. Nella biologia indica il passagyric dei
caratteri degli ascendenti nei loro discendenti (eredità). Nella
psico-fisiologia l’espressione conduzione ο trasmissione nervosa indica il
fenomeno che si compie lungo il cilindro asso delle fibre nervose, per la loro
attitudine di enbire delle particolari modificazioni in seguito ad uno stimolo,
e di trasmetterle dal punto stimolato verso le estremità della fibra. Affinchè
la trasmissione si possa compiere, è necessario che non sia avvenuta alcuna
discontinuità anatomica lungo la fibra. La eccitazione di una fibra nervosa non
si comunica alle vicine, sia la fibra stimolata di senso © di moto: ciò
costituisce la legge della trasmissione isolata (G. Müller); se non esistesse
questa legge, non sarebbe possibile nè di provocare la contrazione di alenni
determinati muscoli soltanto, nè di localizzare le sensazioni. Le fibre che
servono ai vari sensi, se stimolate, dànno sensazioni ad essi relative; le
fibre motrici dànno sensazioni muscolari e seoretorie. Cfr. J. Müller, Handb.
d. Physiol., 1885; Setschenow, Pfliiger’s Arch., , XXV (v. eccitazione, fibra).
Traumatopio. Strumento che serve a dimostrare le proprietà delle imagini
consecutive negative. Con esso si fanno vedere a brevissimi intervalli delle
figuro umane o animali, nelle posizioni successive di un dato movimento, e, in
conseguenza, sembra di vedere realmente una persona che eseguisca quel
movimento. Tricotomia. T. Dreitheilung; I. Trichotomy ; F. Trickotomie. La
divisiono logica i cui membri dividenti sono in numero di tre. Di questi membri
dividenti due sono generalmente opposti, uno intermedio; ad es. : i sentimenti
umani sono egoistici, altruistici ο egoaltruistici. Per tale ragione alcuni
preferiscono la tricotomia alla dicotomia, nella quale i membri dividenti
costituiscono una perfetta contrarietà, che le dà simmetria ed csattezra
logira, ms Tro la ronde in molti casi inapplicabile. Dicesi anche tricotomia Vantica dottrina,
contenuta in germe nel Nuovo Testamento ancora sostenuta da slouni teologi
tedeschi, secondo la quale la natura dell’uomo si distingue in corpo (soma),
anima (psyche), e spirito (pneuma). Cfr. J. B. Heard, The tripartite nature of man, 1870;
Masci, Logica, , p. 304 segg. (v.
divisione, diootomica). Tropo. Dal greco τρόπος
attitudine, indole, modo di pensare. Nella retorica è una figura per cui
ad una parola si dà un significato diverso dal suo proprio; nella storia della
filosofia designa gli argomenti o motivi di dubbio, adoperati dagli scettici
contro i dogmatici. Per Pirrone tali argomenti erano dieci, ma si risolvevano
poi tutti nell’unico comune argomento delle illusioni dei sensi. Per Agrippa,
invece, erano cinque, e in essi trovasi riassunto in forma precisa tutto quanto
lo scetticismo aveva prodotto di essenziale in pareochi secoli di speculazione.
Il primo tropo di Agrippa è la contraddizione: non essendovi alcun principio
che non sia stato negato, appenn il dogmatico pronunoierà un giudizio si potrà
opporgliene uno opposto. Egli cercherà allora di dedurre il proprio principio
ds uno più generale, ma anche a questo si potrà fare la stessa obbiezione; ne
cercherà un altro più generale, poi un altro ancora, © così via vis senza poter
vincere l’obbiezione. Egli cadrà dunque nel secondo tropo, il progresso
all'infinito. Ma può darsi ch'egli creda d’essere arrivato a cogliere un
principio che non ha bisogno a appoggiarsi eu altri, che è evidente per sò
stesso; ma in tal caso gli si risponde, che è evidente ciò che pare vero ad uno
spirito, mentre agli altri può parer faluo : è il terzo tropo della relativita.
Se egli obbietta che il sno principio non ha prove, cade nel quarto che è
l'ipotesi, © se vuol tentare la dimostrazione cade nel quinto che è il
diallelo, poichè la dimostrazione presuppone il valore della ragione, che
pretendo dimostrare. Cfr. Sesto EmpiTur
rico, Pyrr. Hyp., I, 38 segg., 164 segg., II, 194 segg.; Id.. Adv.
Math., VIII, 316 segg. (v. epoca, dicotomia, isostenia). Tutto. Gr. Τὸ ὅλον;
Lat. Totum; T. Ganze; I. Whole: F. Tout. Per Cristiano Wolff, unum, quod idem
est cum multie, dicitur totum. Il Rosmini lo definisce pure come il complesso
di quelle cose che insieme formano uno. Come I’ uno è correlutivo del
molteplice, così il tutto è correlativo della parte. Perd tra il concetto di
tutto e il concetto di uno, vi ha la differenza che questo, in quanto è
applicato a molte entità, ha in 8 la relazione per la quale un'entità esclude
le altre, mentre quello ha in sè la relazione di abbracciare le parti, che compongono
la medesima entità e di negare che ce ne siano altre, che concorrano a
comporla. Ad ogni modo il tutto si può predicare dell’ uno © di ogni uno si può
predicare il tatto, cosicchè le due proposizioni « ogni tutto è uno » e «ogni
uno è tutto» sono dialetticamente convertibili. Furono distinte tre specie di
tutto: il totum ante partes (BAov πρὸ τῶν μερῶν), che è quello senza parti, o
quello che la mente concepisco con un solo atto senza guardare allo parti; il
totum ex partibus (ὅλον dx τῶν μερῶν), che è quello che si riguarda come un
composto di parti; e il totum in partibus (Άλον ἓν τοῖς µέρεσι), che è l'uno
possibile considerato nelle parti, il tutto riguardato nel complesso delle
parti como esistente nella sus materia, Si dice poi tutto fisico quello che è
costituito di parti congiunte in modo da fo mare una sola natura, come il
composto di materia e di forma; tutto metafisico ciò che è composto di genere e
di differenza, di comune ο di proprio; tutto matematico ciò che è composto di
parti juzta positae; tutto sillogiatico quella specie di tutto che risulta dal
legame che hanno fra loro due cose affermate, l'una delle quali trae seco
l'esistenza dell'altra; tutto logico una nozione universale, ad esempio il
genere, che nel suo seno contiene virtaalmente altre nozioni meno estese, come
le specie. Nel lin 1191 Tuz-Upr guaggio
della scolastica il totum per so è quello che consta di parti ordinate a
costituirne l'essenza; il totum per aocidens ciò che consta di più enti in atto
0 completi, ad es. un mucchio di grano; totum essentiale ciò che risulta da
parti costituenti fisicamente e metafisicamente la sua quid„dit, ad es. l’uomo
che consta fisicamente di corpo ο d’ anima, metafisicamente di animale e
razionale; totum perfeotibile è detto il genere perchè della cosa esprime il
materiale © il più comune, totum perfootivum la differenza, che esprime il
formale della cosa, © totum perfeotum la spécie perchè esprime il formale ο il
materiale della cosa. Cfr. Platone, Teoteto, 204 E; Aristotele, Metaph., V, 26,
1023 %, 26; C. Wolff, Philos. prima sive ontologia, 1786, $ 341; Rosmini,
Logica, 1853, $ 571 segg. (v. molteplicità, unità). Tusiorismo (tutior = più
sicuro). Il Rosmini chiama così la dottrina morale che egli considera come la
prima forma sotto cui si mostra l'agire etico nella storia dell'umanità
-secondo la quale, quando I’ individuo trovasi dubbioso sulla determinazione da
prendere, deve scegliere sempre la via più sicura. Essa si compendia tutta nel
priucipio: in dubio tutor pare eat eligenda. Cfr. Rosmini, Storia comparativa ο
oritica dei sistemi intorno alla morale, 1897. Uditive (sensazioni). "I. Hörempfindungen;
I. Hearing sensations ; F. Sensations auditives. Hanno per organo l’orecchio, per stimolo le vibrazioni
dell’aria rispondenti alle vibrazioni di un corpo, per contenuto il suono, che
è dato da una serie di vibrazioni regolari © periodiche, ο il rumore, che
corrisponde a vibrazioni irregolari. Le vibrazioni sono raccolte dal padiglione
dell’ orecchio, trasmesse alla membrana del timpatio, comunicate da questa agli
ossicini dell’orecchio medio, che alla lor volta le trasmettono alla perilinfa
© all’ endolinfa dell’ orecchio interno, ove Usu 1192
sono raccolte dalle terminasioni dei nervi nonstici. Per produrre una
sensazione uditiva le onde sonore devono succedersi almeno colla frequenza di
15-40 per secondo © non oltrepassare la frequenza di 16,000-41,000. L’altessa
del suono dipende dal numero delle vibrazioni in un minuto secondo; l'intensità
dall’ ampiezza dell’ onda di vibrazione; il timbro o metallo delle note dalle
differenze qualitative fra una medesima nota; la consonanza si ha quando le
onde di due suoni si combinano in modo da produrre un suono formato da onde più
ampio ma tutte uniformi. La direrione del suono viene argomentata dalPindividuo
in base alla differenza fra le sensazioni percepite per meszo dell’ uno e
quelle percepito per mezzo dell’altro orecchio, e in base alla differenza fra
l'intensità delle sensazioni percepite dallo stesso orecchio, mentre osso si
trova in questa ο quella posizione. Cfr. J. K. Kreibig, Die funf Sinne des
Menschen, 1907, p. 51 segg.; Helmholtz, Die Lehre von don Tonempfindungen, 5
ed. 1896; F. Besold, Die Funktionsprüfung des Ohres, 1897; C. Stumpf,
Tonpsychologie, 1890; Bain, Mental soienoe; P. Bonnier, L’ Audition, 1901 (v.
aousma, biauricolare, timpano, potere risolutivo). Uguaglianza. T. Gleicheit,
Gleichung; I. Equality: F. Egalité. Dicesi uguaglianza logios di due
proposizioni © classi il loro reciproco implicarsi o contenersi, di due concetti
l'avere la medesima estensione.
Uguaglianza politica è il principio in base al quale i diritti politici,
i gradi ο le dignità pubbliche sppartengono a tutti i eittadini senza
distinzione di classe o di fortuna; uguaglianza giuridica il principio in baso
al quale lo prescrizioni, le proibizioni 9 le pene logali sono identiche per
tutti i cittadini senza eccezione di nascita, di situazione ο di fortuna; l'una
e l’altra specie di uguaglianza αἱ anol dire formale, per contrapposto alla
reale ο materiale, che intercede tra due ο più uomini che hanno identica la
fortuns, 1193 Uau l'intelligenza, la cultura, la salute,
ecc. Il liberalismo, nella sua forma pura, consiste nel respingere l’
uguaglianza materiale, che non si realizza in alcuna società, e assumere come
regola la realizzazione dell'uguaglianza formale. « Spesso esiste un grande
intervallo, dice il Condorcet, tra i diritti che la legge riconosce ai
cittadini e i diritti di cui essi hanno il reale godimento, tra l’ uguagliansa
stabilita dalle istituzioni politiche e quella che esiste tra gli individui.
Queste differenze di stato hanno tre cause principali: l’ inuguaglianza della
ricchezza, l’ inuguaglianza di stato tra quello i cui mezzi di sussistenza,
assicurati da lui stesso, si trasmettono alla sua famiglia, e quello per cui
tali mezzi sono dipendenti dalla durata della sua vita, o piuttosto dalla parte
della sua vita nella quale è capace di lavoro; infine } inuguaglianza di
istruzione.... Queste tre specie di inugnaglianza reale possono diminuiro
continuamente senza tuttavia annullarsi, poichè hanno delle cause naturali e
necessarie, che sarebbe assurdo e pericoloso voler distruggere ; non si
potrebbe nemmeno tentare di farne sparire interamente gli effetti, senza aprire
delle sorgenti di disuguaglianze più fecondo, senza portare ai diritti degli
uomini dei colpi più diretti e più funesti ».
Nella matematica si chiama uguaglianza l’espressione algoritmica,
numerica o letterale, la quale consta di due membri separati tra di loro dal
segno = (uguale); noll’uno dei due membri il valore è il risultato delle
operazioni eseguite nell'altro; ad es.: b + 2
8; a (b + d) = ab + a d. Nella
meccanica due forze si dicono uguali, quando con una stessa forza si può fare
equilibrio all’ una © all'altra. Nella
geometria, due figure si dicono nguali quando sono costituito di parti
rispettivamente sovrapponibili; così due triangoli sono uguali, quando le
parti, cioè gli angoli e i lati dell’ uno, sono rispettivamente sovrapponibili
agli angoli e ai lati dell’ altro, sicchè, quando le due figure sono
sovrapposte, ne formano idenULT-Uma
1194 ticamente una sola. Ciò però
soltanto riguardo alle figure piane; poichè, quanto alle solide, può darsi che
siano costituite di parti sovrapponibili, se prose separatamente, ma non
sovrapponibili se prese tutte insieme, a causa della loro diversa
distribuzione; ad es. le due mani dell’uomo sono costituite di parti
perfettamente uguali, ma poichè queste sono diversamente distribuite, esse mani
non sono sovrapponibili. In tal caso P uguaglianza delle figuro vien detta
uguaglianza di simmetria, e le figure son dotte figure simmetriche. Se poi si
hanno due figure identiche per le loro misure, ma non per la forma, esse si
dicono equivalenti; nel caso inverso si dicono simili. Rousseau, L'origine de l'inégalité
parmi les hommes; Condorcet, Progr. de l'esprit humain, 1804 (v. equazione,
identità, geometria, simile). Ultimo.
T. Letste, End-; I. Ultimate; F. Dernier, ultime, final. Ciò oltre di cui non
si pnd andare: fine ultimo è quello che non è alla sua volta mezzo di un altro
fine: la ragione ultima quella che non abbisogna di un’altra ragione o
spiegazione; speoie ultima (ultima ο infima species) quella che non è a sua
volta genere rispetto ad altre specie, ‘e non contiene che termini singolari
(v. inconcepibile. inoonoscibile, supremo, primo). Umanismo. T. Humanismus; I.
Humanism; F. Humanisme. Nel suo significato più generale 1’ smanismo è quel
movimento degli spiriti col quale s’apre il Rinascimento, caratterizzato da uno
sforzo per rialzare la dignità dello spirito umano e metterlo in valore,
ricollegando, sopra il medioevo e la scolastica, la cultura moderna all’
antiea: esso giunge circa fino al 1600 e abbraccia la fine della tradizione
medievale per opera dell’ellenismo puro. Il secondo periodo, il naturalismo,
abbraccia i principi della nuova seienza della natura, liberi d’ogni schiavitù,
e, al loro seguito, i grandi sistemi metafisici del secolo XVII. Però i due
periodi, umanistico e naturalistico, costitui 1195 Uma scono nel loro insieme un tutto solo;
infatti il motivo interiore del movimento umanistico è la stessa aspirazione ad
una conoscenza affatto nuova del mondo, che si realizzd poi con lo sviluppo
delle soienze naturali; ma il modo e le forme intellettuali come ciò avvenne,
si presentano dipendenti dagli impulsi scaturiti dall’ accoglimento della
filosofia greca. Il fermento essenziale del movimento umanistico fa il
contrasto tra la filosofia medievale, già in dissoluzione, e le opere originali
dei pensatori greci, che si cominciarono a conoscere col secolo XV. Da
Bisanzio, attraverso Firenze ο Roma, sopraggiunge una nuova corrente di
cultura, che fece deviare il cammino del pensiero occidentale; gli umanisti si
ribellarono alle diverse interpretazioni mediovali della metafisica greca, alla
deduzione autoritaria dei concetti presupposti, alla durezza inelegante del
latino monastico, e la loro opposizione ottenne una rapide vittoria con la
meravigliosa restituzione del pensiero antico, con la fresce percezione di una
generazione amante della vita, con la finezza ο lo spirito di un tempo ricco di
cultura artistica. Nel suo significato
più ristretto, l’umanismo è quell’ indirizzo filosofico contemporaneo, molto
affine al prammatiemo, che fa capo a F. C. 8. Schiller, il quale gli diede
appunto questo nome. Esso si riattacca, secondo lo Schiller, alla massima
protagoren che l’uomo è la misura di tutte le cose, 6 ha questo tesi
fondamentali: una proposizione è vera o falsa a seconda che le sue conseguenze
hanno o non hanno valore pratico, quindi la sua verità o falsità dipende dallo
scopo a cui si tende; tutta la vita mentale suppone degli scopi; questi scopi,
non potendo essere, per noi, che quelli dell’essore che noi siamo, ne segue che
ogni conoscenza è subor nata in ultimo alla nature umana e ai suoi bisogni
fondamentali. Per tal modo « l’umanismo è puramente il rendersi conto che il
problema filosofico rignarda degli esseri umani aforzantisi di comprendere un
mondo d’espeUma 1196 rienza umana coi meszi della coscienza umana
». L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la
scienza è una serie di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non
hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un'ipotesi si
giudicherà dalla sus fecondità >; la logica «fa parte del meccanismo umano
allo stesso titolo delle braccia o delle gambe »; «luomo non conosce che dei
rapporti di cos con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi
della desorizione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano
concepisce l’umanismo come «un sistema autropocentrico del sapere filosofico,
sul fondamento d’una teoria delle attività, delle renzioni ο dei prodotti dello
spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica », il quale
sistema deve culminare in «uns concozione del mondo, quale appunto I’ uomo,
conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto
il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’uomo come
materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valatatrice, nd pretende identificare spirito e
natura, ud toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osse i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze dol pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il
movimento umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristion
del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî
della vita intellettuale ο della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente,
immediata ο storica, come centro teoretico e apprezzativo del mondo; esso
supera ad un tempo il panteismo trascendente ο il solipsismo gnoseologico,
cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto @’ unione
dell’individualismo e dell’ univerealismo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der
Renaissanoo in Italion, Uma-Umo 1886,
trad. it. Valbuss, 1899; Mar. Carrière, Die philosophische Woltanschauung der
Reformationszeit; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento;
F. C. Β. Schiller, Humaniem, philosophioal essays, 1908 ; Id., Studies in
Humanism, 1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano,
Le basi dell’umanesimo, ; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv.di fil.
v. pragmatismo. Umanità. T. Humanität, Menscheit, Menschlichkeit; I. Humanity,
Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella vasta famiglia, moralmente
unita, nella quale entrano tutti gli uomini per la loro comune natura;
soggettivamente designa quell’ insieme di caratteri spirituali, cho distinguono
la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra categoria di esseri,
compresi i bruti. In questo secondo senso, l’umanità è concepita sotto due
aspetti diversi nella società greco-romana ο nella cristiana: in quella 1’
Άνπιαnitas è riguardata specialmente nelle sue facoltà intellettuali ed
artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità, nella benevolenza e
nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fa adoperato da Augusto Comte, per
il quale l'umanità è sia l'essere collettivo costituito dalP insieme degli
uomini, sia l'insieme dei caratteri costituenti «l’ascensione crescente della
nostra umanità sulla nostra animalità, per la doppia supremazia dell’ intelligenza
sulle tendenze e dell’ istinto simpatico sull’istinto personale >; in un
terzo senso, più ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto 1 insieme degli
uomini che hanno effcacemente contribuito allo sviluppo normale delle qualità
proprinmente umane, e in questo senso egli chiama 1’ umanità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de
philosophie positive, , lez. 59; Lévy-Bruhl, La philon. d'A. Comte, p. 389-391 (v. cosmopolitismo,
solidarietà). Umorismo. T. Humoriemus; I. Humorism ; F. Humoriame. È una forma
del sentimento del comico, dal quale Umo
1198 però si distingue sia per un
grado maggiore di finezza e @ intellettualita, sia per la mancanza d’ogni
elemento dispregiativo. Secondo 1’ Hòffding esso è «il sentimento del ridicolo
avente per base la simpatia »; può svilup parsi fino a diventare un modo di
comprendere la vita, una disposizione fondamentale a considerare con simpatia
tutto ciò che vive e a confidare nelle forze che trionfano nella natura e nella
storia: « La concezione umoristica della vita s'è adattata all’esperienza, la
quale ο insegna che anche il grande ο il sublime hanno i loro limiti, il loro
aspetto finito, e se essa ride di ciò che v ha di piccolo e di ristretto, non
dimentica che è la forma d’un contenuto, che ha il suo valore. Essa #’ è
adattata ai miti della grandezza come all’ imperfezione della folicità e sa per
esperienza che, sotto apparenze piccole e meschine, può nascondersi un gran
tesoro ». Per il Masci l umorismo è la forma superiore della comicità, « con
esso la comicità diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore
della realtà »; esso è ingenuo o consapevole, gaio o triste, e va dalla forma
che è schietta comicità a quella che è una forma filosofica del dolore umano,
che è riflessione comica sulla realtà in generale; se è alleato col sentimento
di simpatia, se trova ancora del buono nelle cose, |’ umorismo è benevolo; se
invece la simpatia è spenta e la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione
dello spirito che nega, l’ irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il
Momigliano 1’ umorismo sta fra Y ironia pura e la satira, non avendo πὸ il
carattere scherzoso della prima, nd lo scopo correttivo della seconda; egli ne
distingue varie forme, la sentensiosa, ad cs. quella del Manzoni; la
drammatica, nd es. quella del Dikens; V umorismo che consiste tutto nell’
avvicinar U’ insignificante al grave, ad os. quello del Pulct; 1’ umorismo
ottimistioo, che non contrappone il male al bene, ma il bene al male; quello
indulgente, che rileva un difetto ridendo; quello 1199
melanoonicamente rassegnato, nel quale la dolorosa vu del male è bensì
mitigata dal sapere che esso è inevitabile, ma è mista con un mite rimprovero
alla sorte degli uomini ; l’ umorismo pessimistico 0 tragico, che esagera il
compiacimento con cui si rileva il male proprio ο quello sparso nel mondo; il
serio, che non è che un sorriso di dolore, la voluttà triste ma tranquilla che
1’ umorista prova nel profondarsi lentamente nella malinconia, e00.; egli
compendin queste forme definendolo « quella forma di comicità, in cni si rileva
inaspettatamente, senz’ alcuno scopo correttivo e con un compiacimento più o
meno visibile, un difetto o un contrasto, fondendo elementi seri con elementi
scherzosi, oppure mescolando il compi mento colla simpatia © colla
rassegnazione, oppure rivelando I’ abitudine di considerare il corso generale
delle cose con una penetrazione superiore 9 con un senso filosofico della
vita». Cfr. Lotse, Geschichte d. Aesthetik in Deutschland, 1868, p. 375-377;
Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 390 segg.; Baldensperger, Les
definitions . de l'humour, in Études d’hist. littéraire; Masci, Psicologia del
comico, 1889; A. Momigliano, L’ori-! gino del comico, « Cultura filos. », sett.
; Pirandello, L’ umorismo, (v. comico,
ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico; si distingue dalla unità, che
è la qualità di ciò che è uno. Così il monoteismo à la dottrina dell’ unicità
di Dio, l’enoteismo In dottrina dell’ unità di Dio. Uniformitä. T.
Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. UniSormity; F. Uniformité. Può essere
statica e dinami „prima consiste nel fatto che due o più individui d’ una
classe posseggono caratteri essenziali identici, la soconda nel riprodursi
degli stessi fatti col riprodursi delle stesse condizioni. La prima specie di
uniformità dà il tipo delle scienze staticho, la seconda la legge delle
dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono comprese enUnt 1200
trambe le specie, ma più precisamente la seconda; poichè è su questa che
è fondata la costruzione induttiva delle leggi e la loro applicazione deduttiva
alla esplicazione dei singoli fatti. Nella stessa vita pratica, ogni nostra
azione in vista di un fine, in quanto è conformata all’ esperienza precedente,
presuppone come condizione necessaria l’uniformità statica ο dinamica, ossia di
coesistenza © di sequenza, dei fenomeni naturali, Unità. T. Zinhoit; I. Unity;
F. Unité. È la qualità di ciò che è uno, montre I’ unicità è la qualità di ciò
che è unico. Quindi l’unità non esclude, ma implica la molteplicità, della
quale è concetto correlative © senza di cui sarebbe inconcopibile. Quanto all’
origine dell’ idea di unità, secondo alcuni filosofi è innate, secondo altri è
un prodotto di esperienza sensibile, secondo altri risulta dall’ esperienza
interna. Per il Fénélon essa è innata, in quanto non può derivare nò dal senso
interno, nè dai sensi esterni, che ci presentano sempre dei composti © dei
molteplici : « Io concepisco un esseré, che non cambia mai affatto di pensiero,
che pensa sempre tutte le cose insieme, ed in oui non si può trovare alcuna
composizione 6 tanto meno successione. E senza dubbio questa idea della
perfetta ο suprema unità, che mi fa tanto cercare qualche unità negli spiriti
ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente presente nel fondo di me
stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul quale io cerco dappertutto
qualche copia imperfetta dell’ unità, Questa idea di ciò che è uno, somplice ed
indivisibile per eocellenza, non può esser altro che l’iden di Dio ». Per
Spinoza l’ unità non è una proprietà delle cose, ma ciò che è compreso in uu
atto mentale: Unitaten.... onti nihil addere; sed tantum modum cogitandi esse,
quo rem ab aliis separamus, quae ipti similes sunt, rel oum ipsa aliquo modo
conveniunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà oggettiva, tantoohd ce
qui n'est pas réritablement un ostre, n'est pas non plus véritabloment um
estre. UNI Per C. Bonnet è una semplice idea, che l’anima si forma «
considerando in ogni oggetto soltanto I’ esistenza ο facendo astrazione da ogni
composizione e da ogni attributo ». Per il Locke, « fra tutte le nostre idee,
non ve n’ ha alcuna, che ci sis suggerita da un più gran numero di mezzi di
quella di unità, sebbene non ve ne sia alcuna più semplice. Non v’ ha nessuna
apparenza di varietà o di composizione, in questa idea: ed essa si trova unita
a ciascun oggetto che colpisce i nostri sensi, a ciascuna ides che si presenta
al nostro intendimento, ed a ciascun pensiero del nostro spirito ». Per
Berkeley l’ unità è una semplice astrazione, senza corrispondente obbiettivo;
per Kant è « l’unità formale delle coscienza nella sintesi della molteplicità
delle rappresentazioni » © sorge dalla identità delVautocoscienza. Il Galluppi
distingue tre specie d’anità, la sintetica, la metafisica ο la fisica. L'unità
sintetica risultada una operazione del nostro pensiero, ed è perciò condizi
nale; l’unità fisica è la stessa unità sintetiea che il nostro pensiero
attribuisce agli oggetti corporei; l’una e l’altra derivano dall’ unità
metafisica, che, essendo la stessa unità dell’ anima, è assoluta, invariabile,
non risulta dalla congiunzione di diversi elementi, non dipende da alcuna condizione:
« Senza l’unità metafisica non è possibile 1’ unità sintetica del pensiero, ο
senza 1’ unità sintetica del pensiero non è possibile l’unità sintetica fisica
». Il Rosmi la definisce come quella qualità del soggetto, per la quale esso è
indiviso in sè stesso, © diviso, ossin separato, da ogni altro; quando questa
qualità si predica del soggetto, allora essa, prendendo la forma di predicato,
dicesi uno. Per il Wundt il concetto di unità è puramente la funzione della
concezione logica presa nel contenuto concettuale, ο da esso ba origine l’unità
rappresentativa delle cose. Si distinguono varie specie di unità: quella
«pirituale, vale a dire l’unità della coscienza, sia essa un’ unità sostanziale
© puramente dinamica ed empirica; quella logica, che con76 RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche.
Um 1202
siste nell’ unificarsi del molteplice particolare nel generico astratto,
assunto come tipo comune; quella numerica ο matematica, che è una delimitazione
nel tempo e nello spazio, © da cui originano le nozioni di numero e di
grandezza; quella fisica ο materiale, risultante da un insieme di parti
indivise formanti un tutto; quella trascendentale, che consiste nella
individualità degli elementi costitutivi di una cosa, ad es. l’uomo è uno
sebbene abbia un’ anima ed un corpo organico. Gli scolastici chiamavano unitas
per se quella che nasce da una essenza o natura, sia semplice o composta, come
l’unità della natura divina o dell’ uomo; unitas per accidens quella che nasce
da diverse nature, di ordine o predicamento diverso, come un mucchio di pietre;
unitas materialis o individualis 1’ entità di ciascun individuo, in quanto
esprime incomunicabilità e indivisione in più inferiori ; unitas formalis o
essentialis quella della specie o del genere in quanto si distinguono
rispettivamente da ogni altra specie o genere; unitas semplicitatis quella di
un ente indivisibile in atto e in potenza, unitas compositionis quella invece
di un ente che è uno numerioe ma è composto di parti distinte e potenzialmente
divisibili; umitas rationia quella per cui, con un atto mentale, di più
individui si fa una specie sola o di più generi un solo genere; unitas
#0Utudinte l'unicità in una data natura, ad es. l’unità divina. Aristotele Met.;
Spinoza, Cogit. metaph., I, 5; Leibnitz, Philos. Sorhiften, ed. Gerhardt, II,
97; Wolff, Ontologia, 1736, $ 238 © 239; Bonnet, Essai de peychol., , C 14;
Berkeley, Princ., XII; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 119 segg.;
Genovesi, Metaph. lat., parte I, cap. 5, def. 42; GALLUPPI Lezioni di logica e
metaf..; Wundt, Syst. der Phil., , p. 227 (v. individuo, numero, quantità,
tutto, uno). Universale. Lat. Universalis; T. Allgemein; I. Univertal; F.
Unirersel, Che si estende a tutto l'universo, o ap 1208 Uni partiene a tutti gli uomini, o non soffre
alcuna eccezione; cost si dice, nel primo senso, causalità universale, nel
96condo consenso universale, nel terzo le leggi di natura sono universali.
Dicesi giudizio universale quello in cui il concetto che fa da soggetto è preso
in tutta la sua estensione; la sua formula è: tutti gli A sono B, oppure,
nessun 4 è B. I giudizi universali sono la formula del pensiero scientifico,
perchò esprimono i principî, le leggi ο le conoscenze universali. Secondo
alcuni logici anche i giudizi individuali sono universali, perchè anche in essi
il concetto del soggetto à preso nella massima estensione : infatti, essendo il
soggetto un individuo, cioò qualche cosa che è indiviso ο che si suppone tale,
non può evidentemente esser preso in parte della sua estensione, Ma altri
logici respingono codesta identificazione, opponendo che nel giudizio
universale il concetto del soggetto non è preso come indivisibile, mn come un
tutto diviso in parti, delle quali si predica quello stesso che si predica del
tutto. Diconsi nozioni universali © principi universal i principi supremi della
ragione, perchè essi sono veri non già per un determinato numero di casi ο per
un determinato ordine di cose, ma per tutti i casi e tutte le cose senza
eccezione alcuna. La loro universalità si rivela anche nella identità con cui
si manifestano in tutte le intelligenze (v. generale, individuale, singolare).
Universali (universalia). Le idee generali, che Aristotele aveva classificato
in numero di cinque: genere, specie, differenza, proprio, accidente.
Considerati dal punto di vista della estensione, cioò dell’insieme delle cose
individuali alle quali si applicano, si distinguono tra gli universali i generi
e le specie; considerati dal punto di vista della comprensione, cioè
dell’insieme dei caratteri ο delle qualità che designano, si distinguono la
differenza, il proprio e 1’ accidente. Aristotele, che, al pari di Platone,
ascriveva all’ universale un più alto valore conoscitivo che non all’
individuale, intendeva con esso ciò che appartiene ad una molteplicità Uni 1204
di cose, © che, quindi, non è una cosa in sè ma sussiste nelle cose;
concettualmente e secondo l’ essenza, 1’ universale è anteriore, quantunque sia
posteriore per noi, per la nostra conoscenza. Platone invece aveva attribuito
agli universali, alle Idee, un’ esistenza autonoma, indipendente dal ponsiero
degli uomini. Il problema degli universali, che fu oggetto di tante discussioni
nel periodo della scolastica, riguardava appunto la questione, già proposta ma
non risoluta da Porfirio, se gli universali hanno sussistenza propria o sono
soltanto nel pensiero, Le scuole che sostenevano la primi ipotesi furono dette
realiste, quelle che sostenevano la seconda concettualiste 0 nominaliste, a
seconde che consideravano gli universali come concetti 0 come puri nomi.
Universalia ante rem dicevansi gli archetipi eterni in Dio; #. in reo a parte
rei l'essenza delle cose moltiplicata negli individui; w. post rem il concetto
della nostra mente che unifica le ragioni essenziali 0 quidditative e le predica
dei singoli individui. Universale in obbligando ciò che è nno e obbliga molti,
come la legge; w. in causando ciò che è uno ο cagiona molte cose; u. in
signifioando © repraesentando quello che essendo uno significa o rappresenta
molte cose, come il vocabolo uomo; u. in essendo © praedicando ciò che è uno ed
è adatto ad esser molti e predicarsi di molti; u. physioum la natura reale
esistente nei singoli individui, come la natura umana di Socrate; #.
motephysioum la natura reale considerata nello stato di solitudine, cioè non
considerate le condizioni individuanti, come la natura umana considerata senza
la socraticità; u. logioum uno che è adatto ad essere inerente a molte cose, e
a predicarsi di molti per Videntica ragione, ad es. la sostanza rispetto alla
materia e allo spirito ; #. inoomplezum quello che è semplice ed esprime
Vordine di molte cose, ad es. la virtù rispetto alla giustizia e alla
temperanza; u. complerum una proposizione generale, postulato o assioma, da cui
si possono dedurre più particolari. Cfr. Aristotele, De interpret., VII, 17 a,
39; Id., Met., VII, 1205 Uni 1018 b, 33; AQUINO (vedasi), Sum. theol.,
I, qu. 79, art. 5; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Realiemus in
Mittelalter; Prantl, Gesch. d. Logik,
(v. concettualismo, nominalismo, realismo, terminismo). Universalismo.
T. Universaliemus; I. Universaliem; F. Universalisme. Nella morale si oppone a
individualismo, ο indica ogni dottrina che considera la comunità, ad es. lo
Stato o la Nazione, come l'oggetto dello sforzo morale. Nella religione è la
dottrina della salvazione finale di tutti gli uomini, fondata sopra la bontà
essenziale di Dio, lo scopo illimitato della redenzione di Cristo ο la
perfettibilità della natura umana. Cfr. Thayer, Thool. of universaἨσπε, . Universo. T. Weltall; I. Universo; F. Univers. L'insieme di tutto ciò che esiste, la collezione di
tutte le cose, coesistenti e successive, tra di loro connesse. Cristiano Wolff
lo definisce series entium finitorum tam simultancorum, quam suocessicorum
inter se connezorum. Quale sia poi la sua natura intima, se spirituale o
materiale, unica 0 molteplice, statica o evolutiva, ecc. le risposte sono tante
quanti i vari sistemi filosofici. Cfr. Cr. Wolff, Cosmologia generalis, 1737, $
48. ‘Univoco. Parola introdotta nella logica da Boezio, sebbene con significato
alquanto diverso dal presente. Univoro si oppone ad equivooo, e designa un
attributo che può essere applicato a più soggetti nel medesimo significato,
mentre è equivoco quando può essere applicato in più significati allo stesso
soggetto. Si dicono quindi univoche le coso che hanno comune il vocabolo ο
l'essenza, equivoche quelle che hanno comune il vocabolo ma non l'essenza. Gli
sculastici, oltre le unirooa ed aequivoca, distinguono anche le analoga, ossia
le cose ad una delle quali conviene un predicato propriamente, ad un’altra
impropriamente, come uomo vivo © nomo dipinto; queste si dicono anche
anaUma 1196 rienza umana coi mezzi della coscienza umana
>. L’umanismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la
scienza è una serio di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non
hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un’ ipotesi si giudicherà
dalla sua fecondità »; la logica «fa parte del meccanismo umano allo stesso
titolo delle braccia ο delle gambe >; « l’uomo non conosce che dei rapporti
di oose con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi della
deecrisione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano concepisce
l’umanismo come «un sistema antropocentrico del sapere filosofico, sul
fondamento d’ una teoria delle attivitä, delle reazioni ο dei prodotti dello
spirito, studiato nella sus realtà di fatto, immediata e storica >, il quale
sistema deve culminare in « una concezione del mondo, quale appunto l’uomo,
conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto
il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso perciò assume l’ uomo come
materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno,
coscienza conoscitrice © valutatrice, nd pretende identificare spirito ©
natura, nd toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osso i diritti
dello spirito; e, nell’ interno dello stesso organismo psichico, non intende
ridurre le esigenze del pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il ınovimento
umanistico contemporaneo è certo una manifestazione caratteristica del pensiero
filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî della vita
intellettuale © della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente, inmediata
e storica, come centro teoretico © apprezzativo del mondo; esso supera ad un
tempo il panteismo trascendente e il solipsismo gnoseologico, cercando nella
consenziente soggettività degli spiriti il tratto d’unione dell’ individualismo
ο dell’ universaliamo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in
Italien, Uma-Umo 1886, trad. it.
Valbusa, 1899; Mar. Carrière, Dio philosophische Weltanechauung der
Reformationeseit, 2* ed. 1887 ; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del
quattrocento; F. C. 8. Schiller, Humanism, philosophical essays; Id., Studies
in Humaniem; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano, Le
basi dell’umanesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv. di
fil. », novembre 1918 (v. pragmatismo). Umanità. T. Humanität, Menscheit,
Menschlichkeit; I. Humanity, Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella
vasta famiglia, moralmente unita, nella quale entrano tutti gli nomini per la
loro comune natura; soggettivamente designa quell'insieme di caratteri spirituali,
che distinguono la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra categoria
di esseri, compresi i bruti. In questo secondo senso, l’ umanità è concepita
sotto due aspetti diversi nella società greco-romana e nella cristiana: in
quella l’Aumanitas è riguardata specialmente nelle suo facoltà intellettuali ed
artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità, nella benevolenza e
nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fu adoperato da Augusto Comte, per
il quale l'umanità è sia |’ essere collettivo costituito dall'insieme degli
uomini, sia l’insieme dei caratteri costituenti « l’ascensione crescente della
nostra umanità sulla nostra animalità, per la doppia supremazia dell’
intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico sull’istinto perso nale
>; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto
l'insieme degli uomini che hanno efficacemente contribulto allo sviluppo
normale delle qualità propriamente umane, e in questo senso egli chiama I’
umanità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philosophie positive, lez. 59;
Lévy-Brahl, La philon. d'A. Comte,
p. 389-391 (v. cosmopolitiemo, solidarietà). Umorismo. T. Humorismus; I.
Humorism ; F. Humorismo. E una forma del sentimento del comico, dal quale
Umo 1198
però si distingue sia per un grado maggiore di finezza ο d’
intellettualità, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo. Secondo 1’
Hüffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la simpatia »; può
svilupparsi fino a diventare un modo di comprendere la vita, una disposizione
fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a confidare nelle
forze che trionfano nella natura e nella storia: « La concezione umoristica
della vita s'è adattata all'esperienza, la quale ο) insegna che anche il grande
© il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto finito, e se essa ride di ciò
che v’ ha di piccolo e di ristretto, non dimentica che è la forma d’un
contenuto, che ha il suo valore. Essa s’ è adattata ai limiti della grandezza
come all’ imperfezione della felicità © sa per esperienza che, sotto apparenze
piccole e meschine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il Masci l umorismo è
la forma superiore della comicità, « con esso la comicità diventa abituale, e
si estende ad una parte maggiore o minore della realtà »; esso è ingenuo ©
consapevole, gaio ο triste, © va dalla forma che è schietta comicità a quella
che è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla
realtà in generale; se è alleato col sentimento di simpatia, se trova ancora
del buono nelle cose, l'umorismo è benevolo; se invece la simpatia è spenta e
la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione dello spirito che nega, l’
irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il Momigliano I’ umorismo sta fra Y’
ironia pura ο la satira, non avendo nd il carattere scherzoso della prima, nè
lo scopo correttivo della seconda; egli ne distingue varie forme, la
sentenziosa, ad os, quella del Manzoni; la drammatica, ad es. quella del
Dikons; PP umorismo che consiste tutto nel’ avvicinar U insignificante al
grare, ad cs, quello del Pulci; 1’ umorismo ottimistico, che non contrappone il
male al bene, ma il bene al male; quello indulgente, che rileva un difetto
ridendo; quello 1199 Uni melanconicamento rassegnato, nel quale la
dolorosa coscienza del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevitabile,
ma è mista con un mite rimprovero alla sorte degli nomini; 1’ umorismo
pessimistico 0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male
proprio o quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di
dolore, la voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi
lentamente nella malinconia, eco.; egli compendia queste forme definendolo «
quella forma di comicità, in cui si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo
correttivo e con un compiacimento più o meno visibile, un difetto o un
contrasto, fondendo elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il
compiacimento colla simpatia e colla rassegnazione, oppure rivelando 1’ abitudine
di considerare il corso generale delle cose con una penetrazione superiore e
con un senso filosofico della vita». Cfr. Lotze, Geschiohte d. Aesthetik in
Deutschland, 1868, p. 875-377; Höffding, Psychologie, trad. frane.;
Baldensperger, Les definitions de l'humour, in Etudes d’hist, littéraire; ©
Masci, Psicologia del comico; A. Momigliano, 1 origino del comico, « Cultura
filos. », sett. 1909; Pirandello, 1) umorismo, 1908 (v. comico, ironia).
Unicità. La qualità di ciò che è unico; ai distingne dalla unità, che è la
qualità di ciò che è uno, Con il monoteismo à la dottrina dell’ unicità di Dio,
P enoteiamo la dottrina dell’ unità di Dio. Uniformita. T. Einförmigkeit,
Gleichförmigkeit; I. UniJormity: F. Uniformite. Può essere station ο dinamica:
In prima consiste nel fatto che due ο più individui d’nna ‘elasse posseggono
caratteri essenziali identici, la soconda nel riprodursi degli stessi fatti col
riprodursi delle stesso condizioni. La prima specie di uniformità dà il tipo
delle scienze statiche, la seconda la legge delle dinamiche. Nel postulato
della uniformità della natura sono compreso enUni 1200
trambe le specie, ma più precissmente la seconda ; poichè è su questa
che è fondata la costruzione induttiva delle leggi e la loro applicazione
deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella stessa vita pratica, ogni
nostra azione in vista di un fine, in quanto è conformata all’ esperienza
precedente, presuppone come condizione necessaria l’uniformità statica ο
dinamica, ossia di coesistenza ο di sequenza, dei fenomeni naturali. Unità. T.
Einkeit; I. Unity; F. Unité, E la qualità di ciò che è uno, mentre l’unioità è
la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità non esclude, ma implica la
molteplicità, della quale è concetto correlative © senza di cui sarebbe
inconcepibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità, secondo alcuni filosofi
è innata, secondo altri è un prodotto di esperienza sensibile, secondo altri
risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa è innata, in quanto non
può derivare nd dal senso interno, nd dai sensi esterni, che ci presentano
sempre dei composti ο dei molteplici: « Io concepisco un esseré, che non cambia
mai affatto di pensiero, che pensa sempre tutte le cose insieme, ed in cai non
si può trovare alcuna composizione © tanto meno successione. E senza dubbio
questa idea della perfetta © suprema unità, che mi fa tanto cercare qualche
unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente presente
nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul quale io
cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’ unità. Questa idea di ciò che
è uno, semplice ed indivisibile per eccellenza, non può esser altro che l’iden
di Dio ». Per Spinoza l’unità non è una proprietà delle cose, ma oid che è
compreso in un atto mentale: Unitatem.... enti nihil addere; sed tantum modum
cogitandi esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipoi similes sunt, vel oum
ipsa aliguo modo conteriunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà
oggettiva, tantochò ce gui n'est pas τόritablement un estre, n’est pas non plus
véritablement un estre. Per Bonnet è una semplice ides, che l’ anima si forma; ORESTANO,
I valori umani; ARDIGÒ, La nuova filosofia dei valori, Riv. di filos.; MASCI, La
filosofia dei valori, R. Ace. dei Lincei. Variabile. T. Pariabel; I. Variable;
F. Variable. Due quantità, z e y, sono dette variabili quando l’uns, poniamo #,
è legata all’altra,, per modo che variando z varierà anche y in modo
perfettamente determinato, ma diverso a seconda dei casi: perciò 2 à detta
variabile indipendente, y rariabile correlativa. Questa proprietà si enuncia
anche dicendo che y è una funcione di z, ο ai indica colla formula:
y=-=S"(). Variabilità. T. Vordndorlichkoit; I. Variability; F.
Fariabilité. L’ attitudine intrinseca che ha ogni organiamo di acquistare nuove
proprietà nella sua forma e attività vitale, in seguito all’ influenza dei vari
elementi del clima, dell’alimentazione, delle condizioni topografiche, del
contatto e delle relazioni con gli altri organismi. Essa può concepirsi como la
forza innovatrice antagonistica dell’eredita, che è la forza conservatrice dei
caratteri ο tende a trasmetterli immutati. La variabilità può essere indiretta
ο diretta. La variabilità indiretta ο potenziale consiste in cid, che certe
variazioni dell'organismo che dipendono dalle condizioni esterne d’ esistenza,
rimangono potenziali nell’individuo in questione, e si manifestano, cioè
divengono attuali, soltanto nei discendenti; invece nella diretta le
modificazioni si manifestano immedintamente nell’ indivi duo stesso, Cfr. De
Rosa, La ridusione progressiva della variabilità, 1899 (v. darwinismo,
trasformismo, ibridiemo, monogenismo, ecc.). Variazionale (psicologia). T.
Variationspeychologie; 1. Variational peycology; F. Psychologie rariationnelle.
Talvolta si chiama così quel ramo della psicologia che tratta delle variazioni
mentali; tale denominazione ha il vantaggio di accogliere in un solo vocabolo
le varie parti della psicologia tra loro affini, come la psicologia
individualo, etnografica o dei popoli, eco. Tra i principali problemi oggetto
della psicologia variazionale sono da ricordarsi: lo studio della psiche del
delinquente, nei suoi tipi diversi e nelle suo correlazioni coi fattori
antropologici, Var economici, sociali ; lo studio del genio ; lo studio
statistico delle variazioni mentali in rapporto a quelle biologiche e
sociologiche; lo studio delle origini delle variazioni e modificazioni mediante
l'eredità, l'educazione, 1’ ambiente fisico © sociale, ecc. Cfr. Stern, Ueber
Psychol. d. individuellen Differensen, 1900. ‘Variazioni concomitanti (metodo
delle). I. Method of concomitant variations. Uno dei quattro metodi di ricerca
induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso si fonda sul seguente canone logico:
un fenomeno che varia in una data maniera tutte le volte che un altro fenomeno
varia alla stessa maniera, è una causa ο un effetto di questo fenomeno, 0 è ad
esso collegato da un qualche rapporto di causalità. In altre parole, quando due
fenomeni variano correlativamente in qualità o quantità, I’ uno è causa e I’
altro effetto. Questo metodo ripara alle imperfezioni del metodo di concordanza
e sostituisce quello di differenza nei casi in cui non è applicabile. Con esso
si stabiliscono i rapporti tra le funzioni psichiche © le cerebrali, tra
l’ambiente e la moralità, tra l’ascendere c il discendere del mercurio d’un termometro
e la temperatura, ecc. La concomitanza può essere innersa, ad es. tra il volume
dei gas e la pressione, e diretta, ad es. tra l'attrazione e le masse. Quando
una larga esperienza conferma che le variazioni parallele non incontrano
limiti, si può conchiudere, col metodo delle variazioni, oltre i limiti della
esperienza, © tale operazione dicesi passaggio al limite. Cfr, J. S. Mill,
System oflogio, 6* ed. 1865, 1. III, cap. VII. Nelle scienze biologiche si
designa coll nome di varietà -- Varietàt; variety; variété -- un insieme di
individui, che presentano caratteri comuni e si distinguono per tal modo da
altri insieme di individui, aventi altri caratteri comuni. La varietà può
essero permanente, © passeggera ed accidentale. Nel primo caso essa non si 77 Ranzout, Dizion, di scienze filosofiche.
distingue dalla specie, per i seguaci del trasformiamo ; nel secondo caso è
data dalla varietà determinata dall’ influenza dell’ ambiente, e dalla varietà
teratologica. Per le scuole non trasformiste la varietà permanente non sarebbe
che una varietà accidentale, fissatasi per eredità, mentre la specie sarebbe
sempro esistita o almeno discenderebbe da ana prima coppia unica. Cfr. Darwin,
Origin of species, 1883; Davenport, Statistical methods in biology, 1900 (v. rassa,
specie, tipo, variabilità). Velocità. T. Schnelligkeit; I. Velocity; F.
Velocità, vitesse. Nel movimento variato, la velocità, alla fine di un tempo
dato, è la derivata dello spazio considerato come una funzione del tempo;
invece nel movimento uniforme è lo spazio che il mobile percorre in un secondo,
o che percorrerebbe se il movimento avesse questa durata. Dicosì relooità
dell'adattamento rifrattivo il tempo che l'occhio impiega per adattarsi alla
visione degli oggetti vicini e lontani; secondo alcuni psico-fisiologi 1’
adattamento alla visione da vicino si compie più lentamente che l’adattamento a
distanza, secondo altri non v'è differenza sensibile di velocità. Dicesi
relocità media la velocità d’un movimento uniforme, che si dovrebbe sostituire
al movimento reale d’un punto materiale, perchò lo spazio totale fosse percorso
nello stesso tempo totale. Diconsi relocità virtuali gli spostamenti simultanci
e infinitamente piccoli, che si possono attribuire ai differenti punti
materiali componenti un sistoma dato, senza alteraro i legami stabiliti tra
questi differenti punti. Vera causa. L'espressione famosa del Newton, con la
qualo il grande scienziato intendeva significare, che la causa assognata ad un
fenomeno non deve solamente esser tale che, ammettendola, essa spiegherebbe i
fenomeni, ma deve anche essere suscettibile di venir provata mediante altr
ragioni. Sembra provato, del resto, che il Newton stesso non avesso wna idea
precisa della massima onunciata con queste parole, che egli stesso poi palesemente
violò con la sua teoria ottica. Cfr. I. Newton, Naturalis philosophiae principia mat. (v.
ipotesi). Veracità. T. Wahrhaftigkeit; I. Veracity; F. Péracité. La disposizione abituale d’ una persona a dire
il vero; non va confusa con la verità, che è il carattere del giudizio. Per
Leibnitz la veracità è la verità morale: la vérité morale est appelée veracité.
Dicesi dottrina della reracità dirina quella con cui Cartesio, dopo aver
provato l’esistenza del pensiero e di Dio, prova l’esistenza del mondo esteriore:
delle idee che noi abbiamo, alcune le troviamo in noi, e sono innate, altre le
produciamo noi, e sono fattizie, altre nd le troviamo nd lo produciamo, e sono
arventizie: a queste appartengono lo rappresentazioni dei corpi, che talvolta
succedono nostro malgrado, dunque noi non ne siamo causa; dire che esse sono
causate in noi da Dio non può stare, perchè se così fosse Dio ci ingannerebbe,
facendocene cercare In causa nel mondo esterno; ora, Dio, essendo sommamente
perfetto, non può în alenn modo voleroi ingannare; dunque esistono i corpi
esteriori corrispondenti alla idea che noi ne abbiamo. Descartes, De meth.;
Leibnitz, Nouv. Ees.. Proposizioni verbali sono quelle che non pongono un
rapporto tra due cose distinte, ma indicano soltanto una classe o spiegano una
parola. Dicendosi ad es., che il quadrilatero è una figura a quattro lati, non
si è fatto altro che spiegare il significato della parola quadrilatero. Qualche
volta le proposizioni verbali possono essere utili per indicare o ricordare
proprietà del soggetto da altri ignorate ο dimenticate. Masci, Logica. Verbalismo,
o anche filosofia verbale, designa quel modo di argomentare e di filosofare nel
quale le parole tengono il luogo delle ides e il vocabolo asservisce il
pensiero, di guisa cho, mutato le convenzioni verbali, il ragionamento non
potrobbo più sussistere. Verificasione. T. Bewährung, Bestitigung; I.
Verification; F. Vérification. È il terzo momento del processo di ricerca
scientifica: constatati i fatti mediante l’ osservazione e l'esperimento,
supposti dei principi per spiegarli, occorre verificare se i principi supposti
(ipotesi) siano veri. Ora la verificazione può avvenire in tre modi: se il
principio supposto era di ordine puramente razionale (es. un teorema di
geometria), esso diviene certo quando lo si colleghi logicamente con verità
precedentemente stabilite; se era di ordine puramente sperimentale, diviene
certo quando lo si colleghi coi dati della esperienza; se era d’ordine
sperimentale e razionale ad un tempo, la sua veriticazione consiste sia nel
dedurne le conseguenze logiche, sia nel confrontare codeste deduzioni coi dati
dell’esperienza. Però non è sempro possibile la verificazione completa
dell'ipotesi, specie se riguardi la causa di un fenomeno o il suo modo
d'azione; può darsi che la causa non sia verificabile nò con l'osservazione nd
col ragiona mento, 9 che il suo modo d'azione non renda conto di tutti i
fenomeni, pur non essendo in contraddizione con alcuno di essi. Il Comte voleva
non fosse ammessa alcuna ipotesi incapace di verificazione completa; ma anche
la vorificazione incompleta può essere sufficiente, se permette delle
previsioni sul futuro. Del resto, la verificazione incompleta può avere dei
gradi, che vanno dalla pura possibilità alla probabilità fino quasi alla
certezza; le differenze dipendono dalla copia dei fatti coi quali è dimostrato
l'accordo, perchè la probabilità è in ragione diretta della prima, inversa
della seconda. Comte, Cours de phil, positive, 1830, vol. I, lez. 28; Wundt, Logik, 1898,
vol. I, p. 404 segg.; Masci,
Logica. Definire la natura della Verità -- wahrheit; truth; vérité -- è stata
sempre una delle più impor tanti o dibattute questioni filosofiche,
collegandosi ess con tutti gli altri problomi della conoscenza e della realtà.
Le molte dottrine sulla verità possono ridursi a tre fondamentali; 1° la
teologica ed ontologica, secondo la quale la verità assoluta è Dio’o V essere
assoluto, che è allo stesso tempo } esemplare della verità della nostra
conoscenza; questa soluzione, sostenuta da Platone, da 8. Agostino, dagli
Scolastici, da Hegel, Rosmini e Gioberti, ha il difetto di identificare 1’
essere con la verità, mentre ο vero e falso non sono già nelle cose ma nella
nostra conoscenza di esse; 2° la realistica, sostenuta dal Leibnitz, la quale,
pur distinguendo essere dal conoscere, fa consistere la verità nella
concordanza tra le nostre idee delle cose 9 le cose stesse come sono fuori di
noi; ma con ciò si viene a negare la possibilità della conoscenza, perchè,
essendo questa relativa, dandoci cioè soltanto dei fenomeni, codesto confronto
tra la cosa come la conosciamo e la cosa in sè non è in nessun modo possibile;
3° la Sonomentstioa, sostenuta da Hobbes, Locke, Spencer, ecc., secondo la
quale la verità consiste nell'accordo della conoscenza coi fenomeni, che sono
l’unico oggetto della conoscenza; quindi secondo questa dottrina, la verità
spetta soltanto al giudizio e consiste nell’equivalenza tra due termini della
proposizione. Come esempio della prima dottrina si possono citare le parole di
8. Agostino: non iudicium veritatis constitutum in sensibus;... deum, id est
veritatem ;... erit igitur veritas, etiamei mundus intereat. Di Cartesio:
sequitur ideas nostras sive notiones, cum in omni eo in quo sunt clarae et
distinotae, entia quaedam sint, atque a Deo procedant, non possa in co non esse
veras. Di Hegel: « L'oggetto della religione come della filosofia è la verità
eterna nella sua stessa obbiettività, ciod Dio e nient’ altro che Dio e la
spiegazione di Dio.... E in quanto la filosofia si occupa della verità eterna,
della verità che è in sò © per sè, costituisce la stessa sfera d'attività della
religione ». Come esempio della dottrina realistica, lu breve definizione del
Leibnitz: « l'accordo delle rappreVER
sentazioni esistenti nel nostro spirito con le cose »; © quella di Cr.
Wolff: oonsensus iudioii nostri cum obieclo seu re repraesentata. Come esempio
della fenomenistica, quella dell’ Hobbes: Forum οἱ faleum attributa sunt non
rerum sed orationis; © le parole del Locke: «la verità ο l’orrore risiedono
sempre in una affermazione o in una negazione, sian esse nel pensiero o nelle
parole, e perciò le rappresentazioni non sono false prima che il nostro spirito
se no sia servito in un giudizio, ossia fino a che le abbia negato ο affermato
». A questi tre indirizzi fondamentali si possono ricondurre la maggior parte
delle dottrine sulla verità della filosofia contemporanea, Così, per il Lotze,
ogni contenuto dei nostri pensieri viene diretta mente o indirettamente
dall’esperienza, ma le leggi che dirigono l’attività dell'intelletto ο in virth
delle quali noi stabiliamo la nostra concezione del mondo e la nostra nozione
della verità, provengono dalla natura stessa della nostra essenza spirituale;
la verità consiste appunto nel fatto che tali leggi generali sono confermate,
senza eccozione, in un numero dato di rappresentazioni, ogni qualvolta tali
rappresentazioni appaiono nella nostra coscienza ; e poichè le leggi stesse
sono identiche per tutte le coscienze, ne viene che i legami tra le rappresentazioni
sono veri quando seguono i legami del contenuto rappresentato, legami che sono
veri per ogni coscienza cho ha lo rappresentazioni. Per Giulio Bergmann la
nozione della verità ha la sua base in quella della realtà; un giudizio è vero
quando corrisponde al suo oggetto, falso quando lo contraddice; un giudizio il
cui oggetto non esiste, non è nd vero nè falso. Nella filosofia dell’immanenza
la verità è concepita come un puro rapporto tra stati di coscienza; così
Schubert-Soldern e Schuppe la definiscono como l’ associazione e la concordanza
universale di tutti i pensieri tra di loro, nonchè di quelli che sono puramente
nostri con quelli che abbiamo d’altri esseri. Nell'empirioeri VER ticismo, la verità è la qualità di
quelle tra le nostre idee che presentano dei vantaggi per la nostra
conservazione, in altri termini, di quelle che ci possono servire, che sone
utili, frequentemente applicabili ed applicate, e quindi solide ; la verità e
l'errore, dice il Mach, hanno la stessa sorgente psichica © solo le conseguenze
possono farle discernere l’una dal’ altro, ma un errore chiaramente conosciuto
è, in quanto correttivo, produttivo di conoscenza al pari della conoscenza
positiva. Anche per il prammatismo, la verità delle idee non può riconoscersi
che dalle conseguenze pratiche che possono risultarne; « la verità © le nostre
conoscenze della realtà, dico F. C. 8. Schiller, sono stabilito e verificate
mediante i loro risultati; prima © poi esse sono condotte alla prova certa di
esperienze che riescono o falliscono, cioò che danno o riftutano soddisfaziono
a qualche interesse umano ». Il Bradley, pure ammettendo il rapporto tra la
verità delle nostre idee ο la loro capacità di soddisfare la nostra natura,
considera però come vero solo ciò di cui il pensiero non pud dubitare, ciò che,
per il pensiero, è coorcitivo © irresistibilo; la verità ha un carattere
provvisorio ed evolutivo, oosicchè non y’ha alcuna verità che sin completamente
vera ο nessun errore che sia totalmente falso. Il Venn intendo per verità la concordanza
tra le nozioni e lo testimonianzo del senso; per John Veitch la verità è
l'armonia tra il fatto © la conoscenza che no abbiamo; per il Renouvier V unica
verità immediatamente còlta, ο in cui l'oggetto ο il soggetto, identificandosi
nella coscienza, pongono le basi d’ una certezza rigorosa, è il fenomeno in
quanto tale © nel momento stesso in cui è percepito; per il Fouillée la verità
non può stare nd nella sensazione sola, nd nel ponsiero puro, ma nella
sensazione congiunta all’azione, nell’ efficacia che i miei stati di coscienza
possono avere sopra altri esseri che sentono e vogliono come me; per il
Delboeuf la verità risulta dall’accordo della ragione VER 1224
con sd stessa, cosicchè è vero ogni sistema, dottrina o idea che non
raochiuda contraddizione, è vero ogni gi dizio la cui esattezza sia confermata
dall’ insieme di tutti gli altri giudizi, che ad esso si collegano come
premesse © come conseguenze. Per l’Ardigò il vero è un fatto, ο precisamente
quel fatto che dicesi fatto psichico ο di coscienza: come l’ osservazione
distinta del fatto della luce assicura della realtà della luce, e basta ds sola
alla affermazione di esso fatto, per la stessa ragione l’ osservazione distinta
del fatto di uno stato di coscienza assicura che uno stato della coscienza è
una realtà ο basta ds sola alla affermazione di esso. Codesta affermazione
include quella della consapevolezza e della realtà assoluta della
consapevolezza dello stato medesimo; ora, essendo un vero per sò ogni dato che
per sò ed assolutamente afferma in modo indubitabile un reale, così uno stato
della coscienza è un vero assolutamente tale o per sè stesso, Con l’espressione dottrina della duplice
verità si designa la dottrina medievale, che considera come affatto distinte la
verità teologica ο la verità filosofica, cosicchè può esser teologicamente vero
ciò che non è tale filosoficamente, © viceversa; essa resistette per tutto il
tardo medioevo, quantunque non si sia mai bene chiarita l’origine di tale
formula, ed ebbe per banditori audaci dialettici come Simone di Tournay o
Giovanni da Brescia. Si soglion
distinguere le verità razionali, che sono universali e necessarie, dalle verità
sperimentali, che sono contingenti e relative; le prime sono immutabili © il
loro contraddittorio è inconcepibile, le seconde sono invece mutabili ο si può
pensarne il contraddittorio. Le prime si dicono anche terità di diritto, le
secondo rerità di fatto; le prime si esprimono coi giudizi apodittioi, le
seconde con gli assertori. Si distingue
anche la verità logica ο formale, dalla reale ο materiale: la prima risulta
dall’ esatto rapporto delle idee tra di loro, ossia dall’obbedienza del
pensiero alle sue proprie leggi; la seconda dall’ adequazione delle idee con le
cose, ossia della loro obbiettiva applicabilità. Agostino, Solilog., De div.;
Cartesio, De meth.; Hegel, Forlesungen ü. d. Philos. d. Religion; Leibnitz,
Nouv. Ess.Wolf, Philosophia prima, Philosophia rationalis; Hobbes, Leviathan,
I, 4; Locke, Ess.; Lotze, Logik; Bergmann, Grundsiige d. Logik; Schuppe,
Erkonntnéatheoretiache Logik; Mach, Erkenntnise und Irrtum, Schiller, Mind,
Bradley, Appearance and reality; Wenn, Principles of logio, Veitch, Institutes
of logic, Renouvier, Ess. de critique, Fouil160, Psych. des idées-forces,
Maywald, Dio Lehre von der swoifachen Wahrheit, Chiappelli, La dottr. della
doppia rerità e à suoi riflessi recenti, Atti della Acc. di scienze mor. e
pol., Napoli; Bouty, La verité scientifique, Paulhan, Qu'est oo que la vérité,
in « Rev. phil., James, L'idée de la vérité, trad. franc.; ARDIGÒ, Il vero,
Padova, e Op. fil.; A. Lantrua, Verità formale e verità reale, Cult. filosofica
(v. criterio della verità, conoscenza, contingenza, necessità, dommatismo,
scetticismo, criticismo, solipsismo, veracità, certezza, evidenza, relatività
della conoscenza, fenomenismo, ecc.). Vero e falso. T. Wahrheit und Falsohheit;
I. Truth und falsity; F. Vérité et fausseté. Dicesi metodo dei casi veri ο
falsi quello usato nella psicometria, per misuraro sin il potere di
discriminazione, sia il minimum di eccitamento necessario per produrre la
coscienza, sia le inflnenze provenienti dalla sede dell’eocitamento. Sia, ad
es. da determinare la soglia della coscienza per le sensazioni di pressione: si
producono nel soggetto varie sensazioni di peso, senza seguire alcun ordine
prestabilito; il soggetto deve annunciare ogni volta se prova nna qualsiasi
sensazione. Ripetendo la prova un buon numero di volte, si giunge a calcolare
il numero di risposte giuste date per ogni grado di eccitamento. A questo modo,
ripetendo più volte le ricerche, si riesée a eliminare ciò che può esservi di
uocidentale nell’esperimento ο di preconcetto in chi all esperimento è
sottoposto. Cfr. Cattel, Mental teats and ‘measurements, « Mind », 1890;
Aliotta, La misura in prie. sperimentale, 1905. ‘Verum ipsum factum. Il vero si
converte col fatto; il vero è lo stesso fatto. È il famoso aforisma del Vico,
contenuto nel De antiquissima Italorum sapientia, e che il filosofo napoletano
contrapponeva al cogito ergo sum di Cartesio, Il Vico voleva significare con
ciò che si può avere vera conoscenza, © quindi scienza, di una cosa, soltanto
quando si è causa di essa; quindi, mentre Dio conosco tutto perchè fa tutto,
l’uomo conosce soltanto le astrazioni di oggetti reali, cioò di forme e di numeri,
che noi generiamo per mezzo del punto © dell’ xno. Con tal criterio egli
riconosce come vere scienze soltanto le matematiche, la filosofia della storia
e la metafisica, la quale tratta dei punti reali ο metafisici, che generano i
corpi senza essere corpi, come l’uno e il punto generano, rispettivamente, i
numeri e le estensioni senza essere nè numero nè estensione. VICO, De
antiquissima Italorum sapientia, 1710; Id., Prinoipî d’ una scienza nuova;
Werner, Vico als Philosoph., CROCE, La filosofia di VICO (v. conoscenza,
cogito, matematica, verità). Virtù. T. Tugend; I. Virtue; F. Vertu. Nel sno
significato etico è l'abitudine di fare il bene diventata una seconds natura.
In origine non designava che la forza e il coraggio, quali si manifestano
specialmente nella guerra: ina poichè anche per resistere al male sono
necessari la forza e il coraggio, passò poscia ad indicare la pratica abituale
del ben. Per Socrate la virtù è sapere, e l’osatta conoscenza di sò stesso e
delle cose la base di tutte le virtù; perciò la virtù si può insegnare. Per
Antistene la virtù è la saggia condotta della vita; essa sola rende felici, non
già per le sue conseguenze, ma per sè stessa, © quindi rende l’ uomo
indipendente dalle vicende del mondo; da ciò segue che la virtù risiedo, in
ultimo, nella soppressione dei desideri ο nella limitazione dei bisogni al
minimo possibile, ossia nel ritorno ad un ideale stato di natura. Per
Aristippo, al contrario, la virtù è la capacità di godere; ognuno, certamente,
può e sa godere, ma solo VP nomo colto ο intelligente, il virtuoso, sa goder
bene perchè sceglie i propri piaceri ο li domina, non ne è doininato. Per
Platone il sommo bene consiste nella conoscenza delle idee ο di quella più alta
di tutte, V idea del bene; perciò la virtù non può consistere per lui che nel
raggiungimento del cémpito proprio d’ ogni parte della nostra anima, ossia la
parte razionale nella sapienza, la parte animosa nell’energia della volontà, la
parto appetitiva nella padronanza di sò stesso, © infine nel giusto rapporto di
questo parti, rapporto nel quale consiste dunque la virtù complessiva dell’
anima, la rettitudine, In giustizia. Per Aristotelo la virtù è un abito, che
implica una scelta doliberata, in accordo con la retta ragiono; sno oggetto e
contenuto è il giusto mezzo tra gli estremi, tra l'eccesso e il difetto. In
base a questo criterio Aristotele enumera la serie delle virtà morali, che sono
il coraggio, la temperanza, la liberalità, la modestia, la giustizia,
l'amicizia, eco.; ma oltre a queste esistono anche le virtù intellettuali ο
dianoetiche, che derivano dell’esercizio dell'intelletto attivo, e sono la
sapienza speculativa, che ha per oggetto la natura assoluta delle cose, ο la
prudenza, che ha per oggetto le condizioni relative e mutevoli della condotta
umana. Per gli scettici la virtù è l'assenza di pertnrbazioni, la calma dello
spirito, l’atarassia; è virtuoso colui che, sspendo che non si può Bir niente
intorno alle cose, 9 non si può accogliere nessuna opinione, si astiene per
quanto è possibile dal giudizio e quindi anche dall’azione, salvandosi in tal
modo dagli affetti ο dal falso operare. Per gli epicurei la virtà non è un bene
in sò stesso ma un bene in quanto ci procura piacere; essa è tuttavia
inseparabile dal vero piacere, nè può esservi vita piacevole senza virtù, nd
virtù senza una vita piacevole. Per gli stoici è virtù, in senso largo, ogni
forma di perfezione, e in tal senso anche la salute © la forza entrano nel
numero delle virtù; ma la vera virtù, o virtù morale, consiste al contrario in
una forza dell’anima, che ha il principio nella ragione, e in una direzione
invariabile del carattere, che non soffre nd più nè meno e per la quale
l’anima, durante tatto il corso della vita, è d’accordo con ad stessa; e poichd
tale direzione del carattere ha il sno principio nella conoscenza razionale,
essi chiamavano teorematioa la virtù morale, per opposizione alla virtù fisica,
che è senza intelligenza. I moralisti del medio evo seguirono, in generale, la
dottrina aristotelica; ma dal punto di vista sociale la virtà subisce un
regresso, che il cristianesimo, per il quale 1’ umiltà è la prima delle virtü,
riuscì solo in parte ad attenuare. Tra le dottrine medievali, grande importanza
storica ha quella di S. Tommaso; egli accetta letteralmente la definizione
aristotelica della virtù come giusto mezzo (virtus moralis in medio consistit),
e distingue le vità in morali propriamente dette, che riguardano il destino
terrestre dell’uomo, © leologali, cho riguardano il suo destino sovrannaturale.
Le prime si riducono tutte alle quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia,
temperanza e fortezza: « Ogni virtà, che al bene è spinta da un motivo
ragionevole, dicesi prudenza; ogni virtù tendente a rendere a ciascuno ciò che
gli è dovuto, e a fare ciò che è giusto, dicesi giustizia; ogni virtà che
modera e frena le passioni, dicesi temperanza; ed ogni virtù, che fortifica
l’anima contro le passioni di qualsiasi specie, dicesi coraggio. Dalla pradenza
derivano i provetti ; la giustizia regola i rapporti fra gli eguali ; la
temperanza modera le concupiscenze della carne; il coraggio fortifica contro i
pericoli della morte. Le teologali sono la fede, la speranza © la carità; la
prima completa le nozioni elementari della intelligenza, mediante la conoscenza
delle verità inaccessibili senza una rivelazione divina; la speranza ci agevola
il cammino a quel fine divino, che vince di gran lunga le forze naturali; per
la carità il volere si unisce a quel fine, quasi assumendo la medesima forma.
Nella filosofia moderna e contemporanea il concetto di virtù è variamente
definito, quantunque spesso rivivano le antiche dottrine aristoteliche,
platoniche e stoiche; può dirsi in generale che In virtù è oggi intesa
specialmente come virtù di cittadino, come predominio costante delle idealità
socinli sopra gli istinti e le tendenze egoistiche, predominio che si traduce
nella pratica costante delle buone azioni compiute con una chiara ο perfetta
consapevolezza. La virtù germoglia e si matura nel seno della società alla
quale appartiene; ma il suo carattere essenziale © più saliente sta nell’
essere essa praticata indipendentemente da ogni vantaggio egoistico e dn ogni
minaccia; perciò essa ragginnge la massima sua perfezione quando il suo
esercizio non richiede più alcuno sforzo soggettivo. Cfr. Platone, Tim.;
Aristotele, Eth, Nio.; Diogene Laerzio; AQUINO, Summa theol.; F. Paulsen,
System der Ethik; Mairhend, The elemente of ethics; Martineau, Types of ethical
theory; Sidgwick, Metods of ethics; ARDIGÒ, Op. fl,; Tarozzi, La virtà
contemporanea; Marchesini, La dottrina positiva delle idealità. Virtuale. T.
Firtuell; I. Firtual; F. Virtuol. Ciò che osiste in potenza, che è
semplicemente possibile; si oppone quindi a reale, attuale, effettivo. È dunque
virtuale un fonomeno quando esisto soltanto una parte delle condizioni
necessarie a produrlo, o quando, pur esistendo tutte, sono complicate
accidentalmente con una o più circostanze contrarie. Cos) dicesi che una idea,
quando non è più pensata, esiste nel cervello allo stato virtuale. Quando si
tratta di energia, invece di virtuale usasi il termino potenziale. Il Rosmini
chiama virtuale « ciò che il pensiero vede contenuto in un altro, dal quale per
sè non si distingue, ma che può esservi distinto dallo stesso pensiero, o anche
ricevere un'esistenza a ad separata da quella dell’ altro in cni indistinto si
trova. Così nell'estensione illimitata dello spazio si possono pensare comprese
tutte le figure geometriche di qualunque grandezza e forma si voglia, benchè in
essa non siano distinte, ο queste figure stesse si possano anche pensare senza
l’estensione illimitata, Cfr. Rosmini, Logica; Psicologia. Dicesi virtualismo
-- Firtualismus; 1. Virtualism; virtualisme -- assoluto la dottrina di Bouterwek,
così da lui stesso denominata perchè concepisce la conoscenza, che abbiamo
immediatamente di noi stessi ο mediatamente delle cose, come effotto della
resistenza che sperimentiamo da parte dello cose medesime, « La forza, in noi o
fuori di noi, è una realità relativa. La resistenza è realtà opposta,
contrastante, quindi roaltà relativa. Entrambe unite sono virtualità....
L’assoluta realtà non è altro appunto che questa virtualità, che è in noi, come
noi siamo in essa ». Così il sentimento dell’ ostacolo, contro il quale urta la
forza della nostra volontà, confuta il puro soggettivisme © solipsismo; ma
questo sapere relativo delle forze speciali del reale si completa con la
coscienza della nostra propria volontà soltanto per la scienza empirica. Il virtualismo
del Bouterwek ebbe influenza specialmente sul Maine de Biran, la cui dottrina
si basa appunto sul fatto fondamentale che noi, nel volere, viviamo
immediatamente la nostra propria attività e la resistenza del non-moi
(anzitutto del nostro corpo); la riflessione della personalità sn questa sua
propria attività forma, secondo il Maine de Biran, il punto di partenza di
tutte le filosofie, ai concetti delle quali l’esperienza interna fornisce la
forma, l’esperienza di ciò che resiste la materia. Peroiò al cogito ergo sum di
Cartesio, egli sostituisce il rolo ergo sum; il concetto dell’ esperienza
interna, sens intime, è per lui In base chiara e per sè stessa evidente di
tutta la vita dello spirito, il cui principio fondsmentalo è l’ autocoscienza
della personalità volente. Cfr. Bouterwek, Idee einer “Upodiktik; Maine de Biran,
Memoire sur l'habitude; Id., Rapports du physique et du moral. Virtualità. Ha lo stesso significato di
potenza, nel linguaggio di Aristotelo ο degli scolastici: designa dunque la
semplice possibilità ο capacità di produrre certi effetti. Perciò gli
scolastici dicovano che l’effetto è contonuto nella causa virtualiter, quando
nella causa non si trova la natura dell’eftetto; ad es. la statua à contenuta
virtualiter nella mente dello scultore. Dicevano invece che l’effotto è
contenuto formaliter nella causa, quando in essa se ne trova la natura, come il
calore nel fuoco; e eminenter quando la causa è molto più perfotta dell’
oftetto, del quale non ha le imperfezioni, come Dio rispetto al eronto. Visa (i
reduti). Gli stoici romani chiamavano così una delle due anticipazioni o
prolepsi: l’altra ora la comprensione dei veduti. Codesti veduti degli stoici
non sono altro che i sentiti; essi dicovano che quella parte dell’ anima che li
apprende è la principale a cui appartiene l’assenso. Da ciò parrebbe invece che
i visa degli stoici fossero non puramente sentiti, ma anche percepiti
intellettivamente. La comprensione dei veduti era una operazione della
intelligenza, che apprendeva il sentimento e compieva la percezione
intellettiva, o la conservava in dominio della mente (v. anticipazioni,
eullepei). Visive (sensazioni). T. Gesichtsompfindungen ; I. Visual sensations;
F. Sensations de la vuo, visuelles. Hanno per organo l'occhio, per stimolo le
vibrazioni dell’ etere, per centro psichico i tubercoli quadrigemini. Il centro
periferico © il centro psichico sono collegati fra loro dal nervo ottico, che
alla base del cervello si decussa formando il ολίασπια. La parte dell'occhio
sensibile alla Ince è la retina, formata dalle terminazioni del nervo ottico, e
nella quale trovasi il punto della massima visione, detto fossa centrale.
L'apparecchio che fa concentrare in questo punto i raggi luminosi dicesi
apparecchio diottrico; è in questo modo che le sensazioni visive possono venir
riferite in un determinato punto del campo ottico ο precisamente nella
diresione dei raggi che entrano nell’ occhio. Le sensazioni visive sono
oromatiohe o aoromatiche: le prime sono date dai colori dello spettro (rosso,
arancio, giallo, verde, turchino, indaco, violetto), le seconde non
corrispondono alla scala cromatica e soltanto psicologica mente sono colori
(nero, bianco, grigio, purpureo). L'azione dello stimolo nelle sensazioni
visive è chimica: infatti sotto l’aziono della luce, la porpora retinica
scompare rapidamente, e la retina si imbianca passando per gradi intermedi di
colore bruno e giallo. Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik; Abeladorff, Das Ange des
Menschen, 1907; Wandt, Philos. Stud.;
Parinaud, La rivion; Höffding, Psyohologie, trad. franc. (v. bicowlare, raggio
visiro, orottero, campo, contrasto, consecutive, adattamento, accomodazione,
miopia, ipermetropia, omianopsia, diplopia, astenopia, disoromatopria,
daltonismo, aoromatiemo, stereosoopio, retina, eco.). Vita -- Leben; life; vie
-- Come di tutti i fenomeni complessi, così anche della vita fu dato un gran
numero di definizioni, che diversificano sia per la prevalenza attribuita ad
alonni caratteri sugli altri, sia per il punto di vista da cui è considerata.
La vita è la gravitazione della forza cosmica su sè stessa è un principio
interiore d’azione è l’attività dei corpi organizzati è, secondo il Richerand,
una collezione di fenomeni che si succedono l'un l’altro durante un tempo
limitato in un corpo organizzato secondo Kant, la facoltà di una sostanza di
agire in virtà d’un interno principio, una organizzazione meccanicamente
inesplicabile perchè la sua essenza sta nell'essere il tutto determinato dalle
parti, e le parti dal tutto, e ogni membro causa ed effetto del tutto secondo
lo Schelling, la tendenza alla individuazione. Il Bichat la definì: l'insieme
delle funzioni che resistono alla morte; lo Stahl: il risultato degli sforsi
conservativi dell'anima; il Lavoisier: una funzione chimica; il Lewes: una
serie di mutamenti definiti ο successivi, sia di struttura che di composizione,
che s’operano in un individuo senza distruggerne l'identità; lo Spencer:
l’accomodamento continuo delle condizioni interne alle condizioni esterne. Da
tutte queste definizioni traspaiono evidenti i due modi . fondamentali ed
opposti con cui, sia i filosofi che i biologi puri, considerarono sempre la
vita: per gli uni, infatti, non è che una serie di fenomeni meccanici, chimici,
termici, elettrici, ecc. dovuti all’azione ο alla trasformazione delle diverse
forze cosmiche; gli altri, invece, considerano le forze della materia vivente
non solo come distinte, ma anche come opposte a tutte le altre forze della
natura, e spiegano i fenomeni biologici con l'intervento sia d’un principio
vitale, sia dell’ anima, sia della forza plastica ο formatrice. Dal punto di vista morale il problema della
vita è quello dell'impiego cosciente e voontario della vita; con esso si entra
nel regno sconfinato dei fini, nel quale può trovar posto ogni più diversa
interpretazione, valutazione e direzione pratica della vita, i più diversi modi
di concepirla ο di volerla, per le inesauribili varietà umane, storiche ed
ideali. Non solo è incredibilmente grande il numero dei modi in cui la vita è
stata già conoepita e vissuta; ma a questa varietà non è possibile assegnare
teoricamente un limite, à essa non è un semplice prodotto di riflessione
teorica ma dipende dal vario prevalere ο combinarsi di questa ο quella tendenza
costitutiva dello spirito umano. Cfr. Moleschott, Kreislauf dee Lebens;
Spencer, Principles of biology; Loeb, La dynamique des phénomènes de la vie; L.
Bourdeau, Le problème de la vie; Lodge, Vita ο materia, trad. it.; Gemelli,
L'enigma della vita; F. Orestano, It problema della vita, in Gravia Loria (v.
generazione spontanea, cellula, cellulari teorie, organico, organiomo,
animismo, vitalismo, meccanismo, duodinamismo, protoplasma, ecc.). Vitale,
Senso vitale ο organico è un’ espressione generica con cui si designano le
sensazioni interne, che hanno sedo in qualche regione interna dell’ organismo,
specie negli organi viscerali: la fame, la sete, i dolori dei di. versi organi,
900. Principio vitale, è, secondo i segu del vitalismo, una forza speciale che
risiede nella materia organizzata, dirigendo in essa tutte quelle operazioni
che costituiscono la vita vegetativa: essa è essenzialmente distinta non solo
dal corpo ma anche dall'anima, la quale presiede soltanto alle funzioni del
sentimento ο del pensioro. Spiriti vitali furon detti doi supposti fluidi
finissimi che, dal sangue, scorrendo lungo i nervi, arrivano al cervello,
doterminandovi ο stimolandovi l’attività dell’anima. Cfr. Bacone, Nov. Organon;
Cartesio, Pass. r an.; I. Frohschammer, Phantasie als Grundprinsip d.
Weltprozesses. (v. vita, vitalismo, organismo, ecc.).' Vitalismo. T.
Pitalismus; I. Vitaliom; F. Vitalisme. Termine molto generale e indeterminato,
con cui si comprendono tutte quelle dottrine scientifiche e filosofiche, che
spiegano ogni funzione della vita come il prodotto di speciali forze e
proprietà, che risiedono nella materia organizzata, e sono affatto distinte
dalle altre forze fisiche, chimiche e meccaniche. Secondo il vitalismo,
adunque, la vita ha origini e leggi particolari, che non si possono spiegare
con le leggi comuni agli esseri non viventi; con ciò è posta una antitesi
fondamentale tra ln natura organica e quella inorganica, tra i processi meccanici
e quelli vitali, tra la forza materiale ο la forza biologica, fra corpo e
anima. Si distingue un vitalismo animistico 0 animismo, uno organistico o
organicismo e uno dualistico ο duo-dinamismo. Il primo, già sostenuto in parte
da Platone e da Aristotele, considera tutti i fenomeni della vita come dovuti
ad una forza intelligente, ciod all’anima; esso risorge nei tempi moderni col
Leibnitz e con lo Stahl, i quali sostengono che le operazioni vitali interne,
sebbene nulla abbiano di comune con le operazioni coscienti e intelligenti,
sono tuttavia effetti dell’anima, Il secondo considera la vita come una
risultante © non come un principio, e crede di trovare le cause della vita
nelle proprietà degli organi, ritenuti come elementi indipendenti del corpo vivente;
ogni organo è animato da una forza particolare che, componendosi con tutte le
forze simili, mantiene la vita totale; la vita dunque, dice il Bichat, non è
che l'insieme delle forze che resistono alla morte. Il terzo, che s’inizia col
Barthez e In scuola di Montpellier, pure continuando ad affermare che i
fenomeni della vita non possono essere dovuti che a una causs speciale, la
riconducono ad una forza vitale, differente ad un tempo dall'anima o dalle
forze materiali. Tutte tre queste dottrine sono finalistiche, in quanto
ammettono che l’essere vivente si sviluppa in una direzione determinata, verso
nno scopo, una finalità che gli è propria; però codesta finalità non è posta
come esterna, ma come interiore allo stesso essere, come azione reciproca tra il
tutto ο le parti, cosicchè queste non possono esistere senza quello, nd quello
senza queste. Appunto per il loro immanente finaliemo, le dottrine vitalistiche
subirono un grave colpo dall’imporsi del meccanismo darwiniano; ma in questi
ultimi tempi esse sono risorte e col nome generico di neo-vitalismo vanno
estendendosi tra i filosofi ο gli scienziati. Tra i precursori immediati
dell'odierno vitalismo, grande importanza hanno: Baer, che sostene, contro la
teoria meccanica dell'evoluzione, che i processi vitali non si possono derivare
dalle leggi fisico-chimiche, ma hanno una legge propria di sviluppo; il von
Hanstein, che verso il 1880 dimostrava non potersi spiegare la connessione
delle diverse parti se non ammettendo una forza coordinatrice specifica (Eigengestaltungekraft)
che domini © diriga le energie materiali; Edmondo Montgomery, che fondaudosi
sull’ analisi dei movimenti del protopinsma, delle contrazioni muscolari, della
divisibilità degli infasori, ecc., proclama la necessità di ammettere un principio
autonomo interno regolatore dello sviluppo e una rostanza vivente specifica,
che si distingun dagli altri aggregati chimici per il suo potere di controllo
sopra In organizzazione ο di sintesi della complessa struttura in una
individualità organica; 1 Ehrhardt, che sostiene In possibilità logica di una
teoria vitalistica, in oni la considlerazione teleologien abbia il suo
legittimo posto accanto al puro meccanismo; Gustavo Wolff, che cerca di
mostrare sperimentalmente ln necessità dolla veduta teleologica contro il
darwinismo, provando ad es. come noll’oochio della salnmandra la lente del
cristallino estirpata possa rigenerarsi dal margine anteriore dell’ iride, cioò
da un tessnto che non corrisponde a quello onde si genera nello sviluppo
normale. Oggi tra i vitalisti si contano Lodge, Dreyer, Morgan, Ostwald,
Reinke, ecc. ; ma quello che ha dato un maggior impulso al rinnovamento della
dottrina è senza dubbio Driesch, che seguendo un metodo essenzialmente critico
9 positivo e fondandosi sopra una solida base sperimentale, afferma una
finalità propria dei fenomeni vitali, che non è ridncibile al gioco delle
energie fisiche ο chimiche, ma presuppone una attività specifica, alla quale
egli dà il nome di entelechia: esso non ha il carattere spaziale ο quantitativo
delle altre forze della natura, ma regola e dirige le forze naturali al
conseguimento dei fini della vita. Una forma affatto distinta, metafisica, di
neo-vitalismo è quella sostenuta oggi dal Bergson ο dai suoi seguaci: per essi
la realtà è durata, cangiamento, tifa, ossia creazione incessante non diretta
ad uno scopo determinato, ma avente un valore per sè, rispondente solo a un
impulso originario infinito, differensiantesi o detorminantesi variamente fino
a produrre un movimento in senso inverso, la materia; in tal modo, non la
materia precede la vita, ma è il torrente della vita che si insinua nei
fenomeni materiali, deviandoli dalla legge fatale e meccanica che seguirehbero
senza di essa © utilizzandoli per i suoi scopi particolari. Cfr. Bergson,
L'évolution creatrice; Reinke, Die Welt ale Tat, ; Philosophie der Botanik; Driesch,
Die organischen Regulationen; Der Vitaliemue als Geschichte und als Lehre;
Aliotta, Il vitalismo, Cult. filosofica; Sarlo, Vitalismo ed antivitaliemo (v.
archeiemo, vita, organiemo). Vittorini sono una scuola di filosofi scolastici,
detti così dal chiostro di Β. Vittore, fondato fuori di Parigi, da Guglielmo di
Campean. I Vittorini rappresentano il misticismo teorico, distinguendo nella
fede la cognizione (Aides quas oreditur), dall’ atto soggettivo del credere
(idee qua creditur), e ponendo come veramente essenziale soltanto il secondo.
Ai Vittorini si contrappongono i Sommolisti, il cui più grande rappresentanto
fu Pietro Lombardo (v. scolastica). Visio. T. Laster; I. Pico; F. Vice. Come la
virtà è Pabitudine del bene, così il vizio è la pratica del male: come una sola
azione buona non rende l’uomo virtuoso, così un’azione cattiva non lo rende
vizioso. Il vizio può dirsi perfottamente organizzato nella paiche individuale,
quando la pratica di esso non suscita più alcun rimorso nd determina alcun tentativo
di reazione da parto dell’individuo; allo stesso modo la virtù raggiunge la
massima perfezione quando il sno esercizio non richiede più alcun sforzo (v.
abitudine). Volisione -- Wollen, Volition; Volition ; Volition -- designa
1’atto singolo o totale di volere, i cui momenti successivi sono:
deliberazione, determinazione, esecuzione. La volontà -- Wille; will; volonté
--, insieme al sentire e al pensare, costituisce uno dei tre aspetti
fondamentali sotto cui si manifesta la vita psichica. Essa è quindi considerata
diversamente a seconda dei modi diversi con cui si spiegano lo funzioni della
psiche. Mentre nella vecchia psicologia in genere, il sentimento, la conoscenza
e la volontà sono considerate come tante parti o facoltà distinte dell'anima,
la psicologia contemporanea, «dominata dal concetto dell’ unità della psiche,
ammette invece che esso siano tra loro così intimamente întreocinte, da
costituire un organismo nel quale ogni parte non può funzionare senza il concorso
delle altre. Uno dei problemi più dibattuti dalla psicologia e dalla filosofia
nel passato era appunto quello dei rapporti tra la volontà © l'intelligenza;
esso fu discusso specialmente durante tutto il secondo periodo della filosofia
medievale, dapprima sotto forma di controversia psicologica, tendente a
decidere se nel corso della vita spirituale sis maggiore la dipendenza della
volontà dall’intelletto ο viceversa, poscia sotto forma metafisica ο teologica,
per l'applicazione sus al concetto di libertà morale. Per 8. Tommaso l’intelletto
è quello che determina la volontà, perchè esso solo comprende l’idea del bene 6
conosce in particolare cid cho è bene; quindi intelleotus altior et prior
roluntale ; la libertà come ideale etico è quella necessità che si fonda sul
sapere, e la libertà di scelta è' solo possibile se l’intelletto offre al
volere diverse possibilità come mezzi per lo scopo. Contro questo determinismo
intellettualistico, che pone l'intelletto come supremue motor della vita
psichica, si erige l’indeterminismo di Enrico di Gand, di Duna Scoto ο più
tardi di Occam, per i quali invece la volontà è la forza fondamentale dell’
anima e determina lo sviluppo delle attività intellettive. Poluntas imperans
intelleotui cat causa euperior respeotu actu eins, dice lo Scoto dell’uomo e di
Dio; la rappresentazione non è mai se non la causa occasionale (causa per
accidens) del volere singolo, ma la vera decisione è sempre affare della
volontà; la quale è la forza fondamentale dell'anima, tantochè ὃ essa che
determina lo sviluppo delle facoltà intellettive, rendendo distinte ο perfette
solo quelle tra le rappresentazioni, alle quali rivolgo In sua attenzione. La
stessa controversia ai trasporta poi nel campo teologico e metafisico: per i
tomisti, la volontà divina è legata alla sapienza, nd essa superiore, di Dio,
mentre per gli scotisti ciò costituirebbe una diminuzione di potenza dell’ens
realissimum, la cui volontà è veramente sovrana perchè scevra d’ogui
determinazione, superiore ad ogni ragione, tantochà Dio, essi insegnano, ha
creato il mondo per arbitrio assoluto © avrebbe potuto, volendo, crearlo ancho
diversamente ; per i tomisti Dio comanda il bene perchè bene, e perchè è
conosciuto como tale dalla sua natura, per gli scotisti che quello è bene solo
perchè Dio l’ha voluto e comandato; per i tomisti la beatitudine eterna è uno
stato intellettuale di visione o intuizione diretta dell'essenza divina, stato
che Dante espresse con somma bellezza, per gli sootisti la felicità
ultraterrena è uno stato della volontà e precisamente della volontà tutta
rivolta a dio, ossia dell’amore. Nei secoli successivi il problema, perduto il
suo apparato teologico, è variamente risolto. In Spinoza, ad es., troviamo
l'affermazione della inscindibilità dell'intelletto e del volere, voluntae οἱ
intellectue unum et idem sunt, non essendo la volontà che un certo modo del
pensiero come l'intelligenza. Per Kant intelligenza ο volontà sono in noi due
forze fondamentali, di cui la seconda, in quanto vien determinata dalla prima,
è la facoltà di produrre qualche cosa conformemente a una idea, che dioesi
fine, cosicchè l'intelletto è il vero legislatore e governatore della
coscienza; per lo Schopenhauer la volontà non solo è superiore
all'intelligenza, ma è la forza suprema così nell’ uomo come nel mondo, la vera
ed unica realtà in ed stossa « ciò di cui tutte le rappresentazioni, tutti gli
obbietti sono il fenomeno, l'evidenza, 1’ obbiettivita; essa è ciò che v’ha di
più intimo, il nocciolo d’ogni singolo e quindi del tutto; essa appare in ogni
cieca forza naturale che agisca; per 1’ Hartmann l’essenza del reale è invece
1’ Incosciente, che è ad un tempo idea e volontà, dalla prima viene la natura
delle cose, della seconda l’esistenza, cosicchè con |’ Hartmann torna in onore
il problema sul primato della volontà o della intelligenza, che aveva già
attratto così vivacemente l’acume dialettico degli scolastici. Per Galluppi la
volontà è la facoltà di volero; il volore a sua volta è un atto semplice,
indefnibile, la cui nozione non pnd esserci data che dal sontimento interiore,
il quale ci insegna che, in seguito ad alcuni voleri cominciano, continuano o
cessano alcuni pensieri nel nostro spirito, e cominciano anche, continuano 0
cessano alcuni moti del nostro corpo. Per il Rosmini la volontà è quella virtù,
che ha il soggetto, di aderire ad una entità conosciuta, mediante interno
riconoscimento ; quando la cosa conosciuta sia qualche bene che l’uomo non ha
ancora, consegue un decreto col quale la volontà si propone di procacciarselo e
quindi di mettere in uso i mezzi necossari per arrivare a tal fine; quando il
bene si possedeva già, consegue un affetto sensibile, che non è altro se nonun
aumento o perfozione del piacere, ο a cui tengon dietro dei movimenti corporei.
A quattro ai possono ridurre le principali teorie contemporanee della volontà:
1’ intellettualistica, la materialistica, 1a sentimentaliatioa ο quella che
attribi sce alla volontà un carattere specifico proprio. La prim sostenuta
quasi unicamente dagli herbartiani (Drobisch, Lipps, Volkmann) considera la
volontà come il somplice risultato di uno sforzo che una rappresentazione fa
per conservarsi, impedendo che altre rappresentazioni la s0praffaceiano. La
seconda, sostenuta dai psicologi fisiologisti, nega l’esistenza del volere come
fatto psichico, facendolo consistere unicamente nei processi fisiologici che V
accompagnano; tale può considerarsi la teoria di Spencer, che definisce la
volontà come « la rappresenta zione psichica di un atto che poi realmente si
compie », e quella del Minsterberg, che la riduce all’ atto riflesso
uccompagnato dalle sensazioni muscolari relative. La terza considera l’atto del
volere como il risultato dello svolgersi del sentimento, senza spiegare in che
modo, da un processo puramonte passivo quale il sentimento, derivi un fatto
essenzialmente attivo quale la volontà. 1 ultima, che per contrapposto alle
precedenti può dirsi porilira, riconosce nella valontà un fatto sui generis,
οτί! mente diverso dalle rappresentazioni o dal sentimento. Il maggior
rappresentante di questo indirizzo è oggi il Wundt, che considera la coscienza
come composta di due elementi, uno obbiettivo che è dato dalle
rappresentazioni, e l’alVor tro subbiettivo, dato dal sentimento ο dal volere;
nell’atto del volero, più ancora che nel sentimento, si munifesta la spontaneità
della coscienza, sia che esso sia esterno (movimenti del corpo) sia che sia
interno (scelta tra le impressioni esterne, modificazione nel corso delle
rappresentazioni). Assai più completa e positiva è a tal riguardo la dottrina
dell’Ardigd, che riconduce la volontà al potere impulsivo ο inibitorio delle
rappresentazioni, le quali stimolano o trattengono a seconda del loro tono: ma
codesto potere delle rappresentazioni non è, a sua volta, che il potere
dinamico degli organi centrali, cosicchè, se una rappresentazione ne provoca
un’altra, è perchè il movimento fisiologico corrispondente alla prima provoca
il movimento fisiologico corrispondente alla seconda. Tali stati ο le
corrispondenze verificatesi tra gli apparati impollenti delle rappresentazioni ©
i motivi dei voleri corrispondenti, si fissano poi e si accumulano nella
psiche, così da dar Inogo ad una somma virtuale di voleri; la volontà non è
dunque altro che la somma di quegli stati di coscienza che nel doppio aspetto
fisico-psichico della propria attività (dinamogonetica e inibitoria)
determinano l'individuo ad un atto, rappresentato prima come fine. Con l’espressione buona volontà ο volontà
buona Kant intende la volontà razionale pura, che non è rivolta ai singoli
oggetti ο ai rapporti dell'esperienza, nd da essi è determinata © dipende, ma
che è determinata soltanto da sè stessa od è rivolta necessariamente al dovere:
La volontà buona non trae la sua bontà dai suoi effetti ο dai suoi resultati,
nò dalla sua attitudine a raggiungere questo © quello scopo proposto, ma solo
dal volere, ciod da sò stessa; e, considerata in sò stessa, deve essere stimata
incomparabilmente superiore a tutto ciò che mediante essa si può compiere a
profitto di qualche propensione, © persino di tutte le propensioni riunite. Se
anche una sorte avversa o l’avarizia d’una natura matrigna privassero tale
volontà di tutti i mezzi per eseguire i propri disegni, se i suoi più grandi
sforzi non approdassero à nulla, e se non rimanesse che la buona volontà
sola,... essa brillerebbe ancora di sua propria luce, come una pietra preziosa,
poichè ricava da sè stessa tutto il proprio valore ». Con l’espressione rolontà di potenza,
Nietzsche intonde che i forti devono acquistare sui deboli un predominio
assoInto, e, spezzando ogni legame con la tradizione ο il ουstume, devono
celebrare il trionfo d’ una nuova concezione etica della vita; per il Nietzsche
la libertà ideale dell’uomo è nel massimo grado dell’ espansione della vita,
che può essere espansione cieca, orgiastica, dionisiaca, ma ancho apollinea,
cioè regolata dallo spirito della conquista e dol dominio; conviene dunque, per
salvare la dignità umana, invertire i valori morali tradizionali, © porre al di
là del bene e del male un ideale etico improntato alla potenza, alla forza, al
valore individaale, Con la formula
volontà di oredere, usata la prima volta da William James ο divenuta comune nel
pragmatismo, nell’umanismo, nol fideismo, ecc., si esprimo l'efficacia
dell’azione dei fattori non intellettuali, delle raisons de coeur, nel
fondamento della fede; però, mentre James invoca l’aiuto della volontà e del
sentimento solo a supplire alle deficenze dell’ intelletto, la formula fu poi
allargata fino ad esprimere la sostituzione della volontà ο del sentimento all’
intelletto; così, per Schiller il pensiero puro e la logica formale non esistono.
Ogni ragionamento si fonda sopra una credenza più o meno sentimentale, sopra un
bisogno affettivo, ogni cognizione, per quanto teorica, ha un valoro pratico cd
è per ciò potenzialmente un atto morale, la natura stesu della realtà è
determinata dal desiderio e dalla volontà di conoscere. Kahl, Die Lehre vom Primat den
Willen bei Augustinus, Dune Scotur und Descartes; IT. Siebeck, Die Willenslehre
bei Dune Scotua und seinen Nachfolgern. « heitserift für Philos.; O. Külpe, Die
Leh. v. Will. in die Peycol. d. Gegenvart, « Philos. Studien; Kant, Grundlegung
sur metaph. der Sitten; Nietssche, Jenseits ton Gut und Bose; W. James, The
will to believe; Orestano, Le idee fondamentali di Nietzsche; Villa, La peicol.
contemporanea; Ardigò, Op. fil. Dandolo,
Le integrazioni peichiche ο la volontà, Marucci, La volontà secondo i recenti
progressi della biologia ο della filosofia; Ribot, Le malattie della volontà,
trad. it. (v. autonomia, motore,
motorium, motivo, mobile, decisione, deliberazione, rolontarismo). Volontarismo
-- Voluntarismus; I. Voluntariem ; F. Volontarisme – è, nel senso suo più
generale, ogni dottrina che ammetta il primato della volontà. Se la volontà è
posta come la realtà essenziale di tutte le cose, come il principio primo delV
universo, si ha il volontariamo metafisico; se come fattore originario e
fondamentale della coscienza umana, il volontarismo psicologico. Ὦ chiaro però
che codesta distinziono è affatto relativa e nen sempre storicamente
applicabile, in quanto il volontarismo psicologico appare come un corollario
del metafisico, e questo a sua volta, non potendo avere le sue radici che
nell'esperienza psicologica, ha il suo punto di partenza nel primo. In entrambi
i sensi si oppone all’ intellettualismo e al razionalismo; nel secondo anche al
sentimentalismo. Il volontarismo metafisico, per quanto abbia origini lontane,
raggiunge la sua completa espressione solo con lo Schopenhauer, che sviluppa la
dottrina kantiana del primato della ragion pratica sopra la ragion pura. Da questa
dottrina uscirono due forme di volontarismo metafisico: il v. moralistico, ο
moralismo, del Fichte, por il qualo il mondo attuale, con la sua attività, non
è che il materiale per l’azione della ragion pratica, il mezzo con cui il
volere raggiunge la completa libertà © realizzazione morale; il v.
irrazionalistico dello SchopenVou hauer, che fa del volere la cosa in sò,
manifestantesi in varie fasi nel mondo della natnra come forza fisica, chimice,
magnetios, vitale ο più che tutto nel mondo animale come volontà di vivere, che
s’esprime nella tendenza ad affermare sò stesso nella lotta per i mezzi
d’esistenza ο per la riproduzione della specie. Questo è un volere inconscio,
irrazionale, non si propone alcuno scopo nelle sue obbiettivazioni; da ciò
deriva nel mondo la prevalenza dol malo sul bene. Naturalmente, qui la parola
volere assume un «significato particolare, che lo stesso Schopenhauer ha posto
in rilievo: « Ho scelto la parola Volontà in mancanza di meglio, come
denominatio a potiori, attribuendo al concetto di volontà un estensione
maggiore di quella posseduta fin qui.... Non 6’ era riconosciuto, fino ad oggi,
1’ identità essenziale della volontà con tutte le forze che agiscono nella
natura, 6 le cui varie manifestazioni appartengono a dolle specie di cui la
volontà è il genere. Si erano considerati tutti questi fatti come eterogenei.
Non poteva quindi esistere alcun vocabolo per esprimere questo concetto. Ho
quindi denominato il genere secondo la specie più elevata, secondo quella della
quale noi abbiamo la conoscenza immediata in noi, che ci conduce alla
conoscenza immediata degli altri. Il volontarismo psicologico, che costituisce
forse V indirizzo prevalente della psicologia contemporanea, ha le sue origini
lontane in S. Agostino, per il quale sia gli uomini che la divinità nihil aliud
quam voluntates sunt, in. Duns Scoto e nei suoi seguaci, per i quali pure tota
animae natura voluntas est; le sue origini prossime nel Fichte ο nello
Schopenhauer, per i quali, como vedemmo, 1’ cs senza dell’uomo sta nella
volontà. Il Beneke sviluppò forma scientifica questo concetto, risolvendo la
vita psichica in processi attivi elementari o impulsi, i quali, divenuti
originariamente attività per opera degli stimoli, devono, nell’ irrigidirsi del
loro contenuto e nel loro reciproco accomodamento per l’incessante prodursi di
nuove forze, realizzare Vapparente unità sostanziale dell’ animn. Il Fortlage
ha poi rielaborato il volontarismo del Beneke con elementi tratti dalla
filosofia del Fichte; anch’ egli concepisce l’anima, e con essa puro la
connessione delle cose, come un sistema d’impulsi, o forse nossuno come lui hu
trattato così acutamente il concetto dell’ atto sonza substrato come fonte
dell’ essere sostanzialo; l'essenza del divonire spirituale risiede per Ini in
ciò, che da funzioni originarie scaturiscono contenuti immanenti medianto uno
sviluppo sintetico, donde nascono le forme della realtà: psichica. Wundt,
valendosi del concetto di Fichte e di Fortlage, dell’atto senza substrato,
considera il mondo come una connessione attiva di individualità volitive, ο
limita l'applicazione del concetto di rostanza alla teoria naturalistica;
l’azione reciproca tra le attualità volitive produce negli esseri organici
unità volitive più elevate, e quindi gradi diversi di coscienza centrale, ma
l’idea di una volontà e di una coscienza assoluta del mondo, la qualo si svolga
secondo il principio regolatore, è al di là dei limiti della facoltà
conoscitiva umana. Wundt si arresta a questo punto; altri arrivano all’
affermasione del volere come fondo ultimo della realtà, trasformando di nuovo
il volontarismo psicologico in metafisico 6 incontrandosi con una dottrina che,
sotto varie forme, ha larghissima fortuna ai giorni nostri: Pattualiemo, per il
quale la realtà non è che energia, divenire, movimento, evolnzione. L' essenza
del volontarismo psicologico, che si limita ad una interpretazione dei fatti di
coscienza, ci sembra Done espressa in queste parole dell’ Höffäing: « Se una di
quoste tre specie di elomenti (sentimento, intelligenza, volontà) vuol essere
considerata come la forma fondamentale della vita cosciente, questa è senza
dubbio la volontà, L’attività è una proprietà fondamentale della vita
cosciente, poichè bisogna costantomente supporre una forza, cho mantonga
insiemo i diversi elomenti della coscionza, © ne fneVor via, per la loro
unione, il contenuto d’una sola e medeSima conoscenza... Se dunque prendiamo la
volontà nel Senso largo, come designante ciod ogni specie di attività legata al
sentimento e alla conoscenza, si pnd diro che tutta la vita cosciente è
raccolta nella volontà conte nella sua espressione più completa. Schopenhanor,
Welt ala Wille u, Vorst.; Beneke, Neue Grundlegung zur Metaphysik; Dio noue
Peychologie; Fortlage, Beiträge zur Psychol.; Wundt, System d. Philos.; W.
James, The will to believe; Sollier, Le volontarieme, Rev. phil.; Höffding,
Peychologie, trad. franc. (v. attivismo, srrazionalismo, mobilismo, volontà). Secondo
alcuni dei primi filosofi, il VORTICE -- Wirbel; vortex, tourbillon -- ο
rotazione ciolica, la δίνη, è la forma fondamentale del movimento cosmico. Per
Empedocle di GIRGENTI (vedasi) essa è prodotta dalle forze attive fra gl’elementi,
dall'amore e dall'odio. Per Anassagora incomincia dalla materia razionale e
finalisticamente attiva, per proseguir poi con consecuzione meccanien. Per
Leucippo à il risultato particolare dell'incontro di più atomi. Così il principio
del meccanismo, rivestito ancora miticamente in Empedocle e in Anassagora, è
con Lencippo pienamente elaborato: gli atomi, che volano senza regola nell’
universo, #'ineontrano qua e là, dando così luogo, secondo la necessità
meccanica, a un movimento complessivo rotatorio prodotto da vari impulsi dei
singoli atomi, movimento che attrac a sè i singoli atomi o complessi di atomi
vicipi, talvolta anche mondi interi; un tale sistema in continuo rivolgimento
si suddivide in sò stesso, essendo gli atomi più fini lanciati alla periferia,
mentre i più pesanti si raccolgono al centro; in tal modo hanno origine in
diversi tempi e in diversi luoghi dell’ universo infinito diversi mondi, ognuno
dei quali si muove in ad per leggo mecanica, finchò per un urto con un altro
mondo vien forse distrutto o attratto e assorbito nella rotazione di un mondo
più grande. La teoria dei vortioi risorge con CARTESIO, che con essa volle dare
un fondamento alla concezione copernicana del mondo, e si giorni nostri, in
sèguito specialmente alle nuove scoperte sulla radioattività della materia.
Tolta ogni differenza tra ponderabile ο imponderabile, ridotta la materia ad un
equilibrio instabile di elementi eterei, l’origine di ogni sistema siderale si
fa risalire alVetere, per il differenziarsi nel seno di esso di vortici animati
da movimenti sempre più rapidi, fino ad agglomerarsi in gruppi atomici, in nebnlosa
sferica, in mondi, con una serie di fasi evolutive analoghe a quelle descritte
da Lencippo. Cfr. Aristotele, Physioa; Platone, Timeo; Plutarco, Plac. phil.;
Fontenelle, Entretiena sur la pluralité des mondes; S. Arrhenius, L'évolution
dee mondes, trad. franc.; Bocquerel, L'év. de la matièro et des mondes, « Revue
scientifique. Vuoto.
Gr. Kevév; Lat. Vacuum; T. Leere; I. Empty; F. Fide. Lo spazio puro, ciod lo spazio penetrabile, privo della
materia, L'esistenza del vuoto fu sostenuta tenacemente dagli Atomisti contro
gli Eleatici: questi dicevano essere incomprensibile l’idea del vuoto e affatto
inconciliabile con quella di essere; il vero reule, infatti, è uno ο
immutabile, o non ammette quindi nd pluralità, nd diilità, nè movimento, che ha
per condizione il vaoto. Gli Atomisti invece non ammettevano che due principi
gli atomi e il vuoto, cioè In materia e lo spazio, ο l’esistenza del vnoto
dimostravano mediante il movimento, la compressione di cui vari corpi sono
suscettibili e con vart esperimenti inventati da Leucippo. La proprietà del
vuoto è l'estensione, la quale è infinita, nd vi si può distinguere alto ©
basso, metà ed estremità; il sno ufficio è puramente passivo, e cioè di rendero
possibile il movimento e la pluralità degli esseri, dividendo la materia con la
sua sola presenza. L'idea del vuoto fa combattuta vivacemente da Aristotele,
che avendo concepito lo spazio come qualche cosa di reale, © cioè come il
limite del corpo contenente in quanto il corpo contenuto è suscettibile di
movimento locale, non poteva ammettere uno spazio senza contenuto; la sua
principale obbiezione è appunto che il vuoto, anzichè rendere possibile il
movimento, lo renderebbe inconcepibile, perchè nel vuoto non c'è nè alto nd
basso, mentre ogni movimento natnrale sì fa in questi dne sensi. Cfr.
Aristotele, Phye., De coelo (v. inane, eusere, direnire. nulla, spazio). Zero.
Dicesi zero della sensazione l'intensità minima della modificazione della
coscienza, che corrisponde alla intensità minima della eccitazione. Dicesi più
comunemente soglia della coscienza. Più frequente è invece, l’espressione punto
zero fisiologico 0 zero della sensazione termica; qualainsi temperatura degli
organi nervosi termici che sorpassa tale punto è percepita come caldo,
qualunque temperatura al disotto come freddo; ogni temperatura propria degli
organt nervosi percepita come caldo, condiziona uno sposta mento in alto dello
zero, percepita come freddo uno apostamento in basso: quando per effetto dello
spostamento dello zero, questo coincide con la temperatura propria delV organo
nervoso, ogni sensazione di caldo ο di freddo cossa. Cfr. Hering, Sitzungsber.
d. Wien. Ak. (v. aubminimali). Si suol chiamare talvolta col nome di zetetica –
Zetetik, Zététique -- lo scetticismo, che consiste appuuto in una ricerca, ζήτησις
ricerca, incessante in tutte le questioni, senza uscire dul dubbio, senza venir
mai ad ans conclusione, positiva ο negutiva. Gli scettici, furon, detti Zoo
anche efettioi ο aporetioi da ἀπορέω
essere inoerto, imbarazzato, dubitare (v. dubbio, dogmatismo,
conoscenza). Zoofobia. Fenomeno psicologico, che consiste in una paura morbosa
6 irragionevole degli animali. Fa parte delle biofobie, paure morbose
concernenti i rapporti con gli altri esseri viventi, e può aver per oggetto i
ragni, i topi, i cani, ecc. Germanico non poteva vedere nè sentire i galli; il
maresciallo d’Albret sveniva non appena vedeva la testa di un cinghiale; Enrico
III non poteva sopportare In vista di un gatto. Cfr. Friedmann, Ueber den Wakn;
Gélineau, Les peurs morbides. La zoolatria o zooteismo – Zootheismus, Zootheism,
Zoothéieme – è un fenomeno religioso che consiste nell’adorazione degl’animali
e si rivela nei più infimi gradini del sentimento religioso; più precisamente,
il, zooteismo è la rappresentazione e l'adorazione della divinità sotto forma
di un animale, che è considerato non come il simbolo della divinità, ma come
attualmente abitato da essa. Secondo lo Spencer la zoolatria avrebbe la propria
origine nell’abitudine, che regna in certi popoli selvaggi e primitivi, di
designare gli individui col nome degli animali ; il coraggio del leone,
l’astuzia della volpe, la velocità dello sparviero, ecc., sono riconosciute in
questo o quell’ eroe della tribù, il quale per tal guisa vien simboleggiato col
nome stesso dell’animale delle cui virtù caratteristiche è adorno. Succede poi
che codesti popoli, adorando i loro defunti, finiscono, dopo un certo tempo,
col non avor prosente di essi che il solo simbolo verbale; confondono la cosa
con la parola; attribuiscono al leone, alla volpe, allo sparviero, ecc. le
gesta degli eroi che ne portarono il nome, e tributano quindi a codesti animali
il culto che aspettava agli uomini. Una particolarità della soolatria è la
ofiolatria, ο culto dei serpenti. Cfr. Spencer, Principi di sociologia, trad.
it. Zoologia. T. Thierlehre; I. Zoology; F. Zoologie. Nel senso più generale, è
la scienza che studia lo forme, la struttura, la genesi e lo sviluppo degli
animali e le relazioni nelle quali essi stanno fra di loro e col resto della
natura nel tempo © nello spazio. Così intesa la zoologia è scienza
eminentemente sintetica, che ha le sue radi in tutte quante le scienze
biologiche, come ls citologia, la paleontologia, l’embriologia, la teratologis,
la fisiologia © specialmente l'anatomia comparata. Ofr. A. Giardina, Le
discipline zoologiche e la scienza generale delle forme organizeate, 1906.
Zoomonera. Secondo |’ Haeckel, l'origine della vita, nelle sue manifestazioni
anche più complesse, si deve ricondurre alle monere, che sono le forme viventi
più sem- plici che siano state osservate. Le monere sono di due specie:
zoomonere, composte di zooplasma, e fitomonere, composte di fitoplasma; dalle
prime hanno origine gli ani- mali, dalle seconde le piante. Siccome il
fitoplasma pos- siede la facoltà di produrre sinteticamente il plasson, traen-
dolo dai composti anorganici, e di trasformare la forza viva della luce solare ‘nella
tensione chimica di combina- zioni organiche, così bisogna ammettere che il
zooplasma - che tali proprietà non possiede e si nutre per assorbi- mento di
plasma degli altri organismi - sia nato dal fi- toplasma, le zoomonere dalle
fitomonere, le quali alla loro volta sarebbero nate per autogonia o generazione
sponta- nea da combinazioni anorganiche. Cfr. Haeckel, Phylog. aystem. (v.
generazione, vita, organismo, vitale, vitalismo, organioismo, animiemo).
Zoomorfismo. T. Zoomorphiemus; I. Zoomorphism; F. Zoomorphisme. Dottrina della
metamorfosi dell’uomo in animale, propria di alcune religioni primitive,
specialmente dell’egiziana. Cfr. Le Page Renouf, Lectures on the origin of
religion. (v. metempaicosi). ZOROASTRISMO-- Lehre von Zoroaster;
Zoroastrianiem; Zoroastrisme. Il ZOROASTRISMO e la religione persiana, fondata
da Zoroastro e carattorizzata dal dualismo tra il principio del bene e quello
del male. Per essa il mondo, essendo una mescolanza di luce e di tenebre, di
vero e di falso, di pensiero e di materia, presuppone l’esistenza di due
principi, in lotta tra loro nell'universo, dei quali l'uno, Ormuzd, è il
principio del bene, il dio della verità e della luce, l’altro Ahriman, il
principio del male, il dio della menzogna e delle tenebre. Nel Zend- Avesta, i
libri sacri del zoroastrismo, è detto. Al principio, Ormuzd, elevato al di
sopra di tutto, era con Is scienza sovrana, con la purezza, nella Ince del
mondo. Questo trono di luce, questo luogo abitato de Ormuzd, è ciò che si
chiama la luce prima; e codesta scienza sovrana, codesta purezza, produzione
d’Ormuzd, è ciò che si chiams la Legge. Ormuzd non ha prodotto direttamente gli
esseri materiali e spirituali di cui l’universo si compone, ma li ha generati
con l'intermediario della parola, il verbo divino. Il puro, il santo, il pronto
verbo, io te lo dico chiaramente, ο saggio Zoroastro, è prima del cielo, prima
dell’acqua, prima della terra, prima delle greggi, prima degl’alberi, prima del
fuoco, codesto figlio d’Ormusd. Ormuzd ed Abriman hanno ls medesima potenza. Ma
Orinuzd, con la sua onniscienza, prevede tutto ciò che dovrà accadere, mentre
Ahriman non può caloclare le conseguenze delle proprie azioni che nel momento
stesso in cui agisce. Il vantaggio della prescienza assicura ad Ormuzd la
vittoria dopo un certo numero di migliaia d'anni. Cfr. Lehmann, Lehrbuch d.
Religionsgesch.; Zend- Avesta, trad. Anquetil. C. RANZOLI n ; Lalli i . oi #1)
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del [ilosol ietioniliolaii MP n DISCUSSIONI E RICERCHE In philosophia non
utendum est terminis nisi accurata definitione explicatis. CH. WOLF _ Ce E;
Papova FRATELLI DRUCKER Padova de i LIBRAI = EDITORI. i 0 19011 a nm
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DISCUSSIONI E RICERCHE In philosophia non utendum est terminis nisi accurata
definitione explicatis. WOLF Papova DRUCKER Pabova or S laloag LI I I 4 4 PADOVA Tipografia
all Universit dei Gallina. I filosofi, dice Seneca, vanno
pi facilmente daccordo tra loro degl’orologi. A parte l'ironia contenuta in
queste parole, indubbio che oggi si dovrebbe invertirne l’ordine. Gl’orologi
vanno pi facilmente d’accordo tra loro che non i filosofi. | N di ci avrebbero
pi motivo di superbia i primi, che di mestizia i secondi; poich, alla fin fine,
gli stessi fattori di natura generale che hanno condotto l’arte orologiaria
alla perfezione presente, hanno pure contribuito a far sempre pi numerose e
irreducibili e profonde le divergenze d’idee tra i filosofi. questo un argomento del quale si discorre a
lungo nel presente volume, cosicch sarebbe fuor d opera parlarne ora. Ma, come
semplice constatazione generica, niuno pu revocare in dubbio che il nostro
patrimonio d’idee filosofiche oggi
enormemente accresciuto, che in proporzione anche maggiore aumentato il numero di quelli che ne parlano
e ne scrivono, che i problemi son divenuti pi complessi e pi intricati, che il
senso cea dell indipendenza intellettuale s
fatto pi vivo, che, insomma, in quasi due millenn di meditazione le
cause di disparit nelle vedute dovevano fatalmente moltipli- carsi. Ai tempi di
Seneca il sapere era ancora racchiuso nellambito della cultura greca; su questa
dovevano poi innestarsi e il trascendentalismo mistico delle scuole orientali,
e la poesia metafisica, librata fra terra e cielo, dei ss. Padri, e la
dialettica sottile degli scolastici, e la filosofia naturalistica del
rinascimento, e l'alta speculazione uscita da Kant, e le mille scoperte
suggestive della scienza moderna. Ora, mettete a bollire tutti que- sti succhi
ideali nel crogiolo d un cerebro filosofante, imprimetegli una sicurezza
imperterrita nella propria infallibilit, pensate alle innumerevoli colorazioni
che il composto pu assumere per virt delle differenze in- dividuali di cultura,
di mente, di attitudini ecc., e poi dite s' mai possibile ne venga fuori
qualche cosa che s accordi coi prodotti dun altro cervello metafisico. Ai tempi
di Seneca c'erano ancora delle scuole filoso- fiche, che perduravano quasi
immutate attraverso i se- coli. Oggi non ci sono pi n scuole n scolari; non ci
sono che maestri. Io so bene che, per molti, questo ragionamento non persuader
affatto. E opinione assai diffusa, cos tra il pubblico grosso come tra gli
scienziati e gli uomini di lettere, che il gran disputare dei filosofi ha
origine non tanto dalla inconciliabilit delle dottrine, Fg quanto dalla oscurit
della lingua, la quale fa si che non riescano a comprendersi l’un l’altro. Lo
scrive anche SERBATI (vedasi): quel poco di studio che io ho fatto nelle
filosofie mi ha pienamente convinto, che il battagliare dei filosofi tra loro
nasce le gran volte dal non intendersi. E ammettiamo pure sia cos. Ma codesta
oscurit che serve tanto bene per denigrare la filosofia a chi non ha la
robustezza mentale necessaria per comprenderla, codesta oscurit un capriccio da perdigiorno, un difetto
inguaribile proprio dei filosofi, un astuzia ingegnosa per nascondere il vuoto
interiore - poich anche questo stato
detto - o non piuttosto un portato necessario dei fattori gi ricordati, un
malanno pertinente alla natura stessa della disciplina? questo il punto. Ora, su questo punto
dominano tra i pi delle idee strane ed ingiuste. Se s’accetta la peregrina
verit che la lingua serve alla manifestazione del pensiero - scrissi altra
volta - e che tanto pi perfetta la lingua quanto pi fedelmente aderisce al
pensieroe sa riprodurne in modo adeguato tutti gl elementi, tutti i rapporti,
tutte le sfumature; conviene ammettere che ad ogni specialit di pensieri debba
corrispondere una specialit di lingua, o, in altre parole, che quante sono le
categorie distinte di conoscenze, altrettante debbano essere le distinte
terminologie; e che, come nessuno pu accingersi a ricerche istologiche senza
saper ado- sca perare il microscopio, cos nessuno possa pretendere di
accostarsi a qualsivoglia disciplina senza aver acquistata una certa familiarit
colla sua lingua tecnica. Ora, tutti ammettono la legittimit della terminologia
tecnica nella chimica, nella fisica, nella botanica, nell’ostetricia, nell’otorinolaringoiatria.
Perch la si nega e schernisce alla filosofia? Forse perch oscura? Ma tutto oscuro ci che s ignora. Due medici, al letto
del malato, possono conferire un ora intera tra di loro senza che l’infelice,
cui l argomento tocca cos davvicino, riesca a comprenderne neppure una sillaba.
Forse perch oscillante, arbitraria, capricciosa? L accusa non manca di
fondamento, e il sottoscritto, che ebbe la malinconica idea di compilare un
dizionario di filosofia, ne sa qualche cosa; ma anche questi sono difetti
inerenti alla natura stessa della disciplina e perci inevitabili. Goethe
osserva, in una delle sue squisitamente spirituali conversazioni con Eckermann,
che la filosofia riusciva dannosa allo stile dei tedeschi, mentre quelli che
scrivevan meglio sono i commercianti e gli uomini daffari: den Deutschen st im
ganzen die philosophische Spekulatton hinderlich, die in ibren Stil oft ein
usinnliches, unfassliches, breites und aufdroselndes Wesen hineinbringi ;
...diejenigen Deutschen aber, die als Geschifts-und-Lebenmen- schen bloss auf
Praktische gehen, schreiben am besten. L’osservazione giustissima e valida per tutti i paesi del
mondo, Soltantoch, se il poeta tedesco fosse risalito Ta ea alle vere cause,
molto ovvie del resto, non avrebbe di ci fatto colpa alla filosofia. Altro esprimere i concetti della vita pratica e
comune, altro quelli che si riferiscono alle ragioni universali delle cose, ai
princip dell’essere, alle leggi della coscienza e della conoscenza: la
semplicit e la chiarezza, spontanee nel primo caso, sono irraggiungibili nel
secondo, sia per la grande complessit, generalit e indeterminatezza delle
nozioni, sia per la soggettivit incontrollabile delle esperienze psicologiche.
Pi o meno ci si verifica in ogni forma del sapere astratto. Un trattato sulle
variabili indipendenti non avr mai la limpidezza di stile dei Fioretti di San
Francesco. | Ma se il malanno
inevitabile, ci non vuol dire si debba subirlo con passiva
rassegnazione, trascurando quei mezzi che lo possono contenere in pi ristretti
con- fini; e io tengo che rimedio efficacissimo fra tutti sia la ricerca
terminologica, rivolta a stabilite l'origine dei vocaboli, la loro storia e i
loro significati fondamentali. Ad una simile revisione di alcuni dei termini
filo- sofici pi in uso dedicata la
maggior parte del pre- sente volume. Al quale si mover forse l accusa di
abbandonare spesso il dominio sereno delle parole per entrare in quello
appassionato delle idee. Ma io rispondo subito che, dati gli strettissimi
originari rapporti del Nuova Antologia
lingua col pensiero, le violazioni di confine sono non pure lecite, ma in
taluni casi necessarie, e che richiedere ad un autore la dimenticanza assoluta
dei propri convincimenti, tanto giusto
quanto pretendere che non ne abbia
alcuno. La terminologia e i vocabolar filosofici La questione della
terminologia filosofica comincia ad occupare seriamente i cultori della nostra
disciplina, a giudicarne almeno dal numero dei dizionar che, sia come opera
individuale sia come prodotto di lavoro collettivo, vengono pubblicandosi nei
paesi ove pi - vivo e diffuso l’amore
agli studi speculativi. Ora, se ci prova da un lato che un tal genere di
pubblicazioni corrisponde ad un reale bisogno delle intelligenze contemporanee,
a me pare dall altro una nuova e con- solante attestazione dello spirito
critico, positivo, scientifico, che ha pervaso la filosofia. L’isolamento
assoluto in cui vivevano i filosofi del passato, la superba solitudine
intellettuale in cui amavano rinchiudersi, è, per buona parte, una conseguenza
del concetto sbagliato che la mentalit individuale fosse un qualche cosa di
spontaneo ed in s, uno stromento vibrante per propria intima virt, affatto
isolato dal pensiero collettivo e dalle molteplici circostanze d'ambiente; e
che i problemi della vita, del mondo e della societ si potessero quindi
risolvere con uno sforzo di pensiero puro, indipendentemente dalle scienze che
hanno per oggetto lo studio della vita, del mondo, della societ. Oggi, pur
restando aperto il campo alle grandi sintesi individuali, divenuto quasi una verit di senso comune ch
anche le idee parteci- SE ge pano di una vita solidale, entrano a far parte di
un ritmo comune, che ci, infine, che
caratterizza le et e le fasi intellettuali della storia; che anch esse, non- ch
parto di un dio o attributo di sostanze metafisiche, rampollano da quel fondo
medesimo che 1 origine d ogni realt; e
che le costruzioni soggettive, se pos- sono colpire come manifestazione della
potenza del pensiero astratto, non hanno se non un valore arti- stico, al pari
d una composizione musicale o poetica. Di qui il bisogno della cooperazione,
del lavoro in comune; di qui la necessit anche per i filosofi di rendersi conto
di ci che gli altri vanno facendo sia nel campo scientifico che in quello
propriamente speculativo, e di seguire dappresso le grandi correnti del
pensiero contemporaneo mediante le riviste, i bollettini, i congressi, le
pubblicazioni straniere. E poich il lin- guaggio lo stromento degli scambi intellettuali, come
il denaro di quelli commerciali, si cominci a sentire il bisogno di rendere pi
duttile, pi comodo codesto stromento, riuscito tutto contorto e mal maneggevole
per la piega che ciascuno aveva voluto fargli prendere in tanti secoli di
individualismo mentale. Giacch quelli tra i filosofi del passato che non
s'erano fabbricati ad- dirittura tutta una terminologia per proprio uso e con-
sumo, avevano fatto assumere alla terminologia comune un significato cos
proprio e particolare, che non era possibile comprenderla se non come
espressione di quelle determinate dottrine, di quel determinato siste- ma. Ora, com' possibile sperare d intendersi sul
(1) Lo Schopenhaeur, uno dei pochi filosofi moderni il cui stile abbia un alto
valore letterario, critica aspramente l indetermina- -- 13 fondo stesso delle
cose, quando non ci si comincia ad intendere sul significato delle parole? L
espressione, dir cos, teorica di codesto biso- gno, si avuta nei frequenti appelli, lanciati in
questi ultimi tempi dalle riviste e dai congressi, per stabilire un accordo tra
i filosofi, almeno sulla parte pi gene- rale e fondamentale della propria
terminologia. Cos alcuni anni fa Andrea Lalande, tanto benemerito in questo
campo di stud, bandiva dalle colonne della Revue de Metaphisique et de Morale
(V. 565-588), la proposta di nominare una commissione internazionale di
filosofi cui fosse affidato il compito di fissare stabil- mente il valore dei
termini filosofici e psicologici pi tezza e l'oscurit della terminologia
kantiana; e, dopo aver ricor- dato il detto di Cartesio quo enim melius rem aliquam concipimus, eo
magis determinati sumus ad eam unico modo exprimendam pro- segue cos riguardo al linguaggio dei
seguaci di Kant: Aber der grsste
Nachtheil, den Kants. stellenweise dunkler Vortrag gehabt hat, ist, dass er als
exemplar vitiis imitabile wirkte, ja, zu verde- blicher Autorisation missdeutet
wurde. Das Publikum war gentigt worden einzusehen, dass das Dunckle nicht immer
sinnols ist; so- gleich flchtete sich dass Sinnlose hinter den dunkeln Vortrag.
Fichte war der
Erste, der dies neue Privilegium ergriff und stark benusste; Schelling that es
ihm darin wenigstens gleich, und ein Heer hungeriger Skribenten ohne Geist und
ohne Redlichkeit ber- bot bald Beide. Jedoch die grsste Frechheit im Auftischen
baaren Unsinns, im Zusammenschmieren sinnleerer, rasender Wortgeflechte, wie man
sie bis dahin nur in Tollhiusern vernommen hatte, trat endlich im Hegel auf und
wurde das Werkzeug der plumpesten allgemeinen mistifikation, die je gewesen,
mit einem Erfolg, wel- cher der Nachwelt fabehaft erscheinen und ein Denkmal
Deutscher Niaiserie bleiben wird. Die Welt als Wille und Vorstellung, ed.
Reclam. I4 _ in uso; e la proposta, come vedremo in seguito,
ebbe esito fortunatissimo. Nel numero del 1896 del Monist, Rodolfo Eucken, pure
benemerito per la sua Geschichte der philosophischen Terminologie in Umrriss
(Leipzig, 1879), rivolgendosi specialmente ai filosofi americani, caldeg- giava
l'istituzione di una accademia internazionale in- caricata di studiare la
terminologia filosofica, per ri- cavarne un succinto dizionario che potesse
servire sia ai filosofi che alle persone colte dogni paese; e ve- dremo quale
ottima accoglienza abbia avuto anche questa proposta. Nello stesso anno lady V.
Welb pubblicava nel Mind un articolo intitolato Sense, Meaning and Inter-
pretation, nel quale proponeva un premio di 50 sterline per la migliore memoria
sopra le cause della oscurit del linguaggio filosofico e il modo di rimediarvi.
I concorrenti non mancarono, e ottenne il premio lim- portante lavoro del prof.
Tnnies, tradotto e pubblicato9 iu tre fascicoli del Mind. Pure VAILATI (vedasi)
pubblica a Torino uno studio Sopra le questioni di lingua nella storia della
scienza e della civilizzazione; studio che diede luogo ad importanti di-
scussioni sull argomento nel Congresso di filosofia. Io stesso, sulla Rivista di
filosofia Hl tema proposto era questo: The
causes of the present obscurity and confusion n philosophical terminology, and
the directiqus in wich we may ope for efficient pratical remedy. Mind. Veggasi
in proposito quanto scrive il LALANDE in Revue philosophique; le Memoires du Congrs, Paris. IS pubblicavo anni or sono un articolo (1)
dimostrando, anche con esemp pratici, di quanti equivoci, di quante discussioni
oziose e di quanti inutili fatiche fosse causa loscurit e lincertezza del
nostro linguaggio e procla- mando la necessit di buoni dizionar tecnici;
codesto articolo mi valse molte osservazioni ed approvazioni da paite di
filosofi italiani e stranieri. Tutto ci dimostrava adunque che la questione era
matura e la necessit urgente; i numerosi dizionar pubblicati in questi ultimi
tempi e la favorevole acco- glienza da essi ottenuta, ne sono la migliore
dimostra- zione concreta. Qui ci proponiamo di dar notizia di alcuni dei pi
importanti, facendo precedere la nostra rassegna da alcune altre
considerazioni, che crediamo opportune. 3} Che ogni scienza abbisogni d una
particolare ter- minologia tecnica 6 d una determinata algoritmica, che le
renda possibile la fissazione e facile il maneggio dei propri concetti
specifici, una verit cos evidente, cos
universalmente accettata, che non mette il conto di fermarsi a
dimostrarla. qui che si rivela l officio
altissimo del linguaggio, il quale tanto pi riesce d aiuto al pensiero quanto
maggiormente gli aderisce, e sa espri- merne ogni particolare atteggiamento e
ogni sfumatura, e sa fissarne i prodotti complessi nel breve giro di un
espressione o di un vocabolo, i quali circolano poi, come simboli
significativi, nel gran vortice degli scambi (1) Per la terminologia
filosofica, in Riv. di fil., maggio, 1903. si Tee intellettuali (1). Al Berni
certi vocaboli filosofici pare- van tali da far spiritare i cani; forse non
aveva tutti i torti; ma che effetto proverebbe oggi se, per esem- pio, un
chimico gli parlasse di dimetilfenilisopirazoloni e di clorotiondibenzilamine?
O se un medico gli dicesse che una parte importante della medicina si chiama
oto- rinolaringoiatria? Sono parole orribili, siamo d'accordo, ma servono
magnificamente per esprimere nel modo pi sintetico concetti e fenomeni
complessi; e chi po- trebbe negare alla filosofia, che lavora sui concetti pi
generali e sui fenomeni pi complessi, chi potrebbe ra- gionevolmente negarle il
diritto di coniarne essa pure, senza preoccupazioni puristiche ed estetiche ?
Che, d'altro canto, nella terminologia filosofica regni una certa anarchia, cosicch
lo stesso vocabolo pu assumervi significati spesso opposti, e lo stesso fatto,
specie nel dominio della coscienza, vi pu essere designato con vocaboli affatto
diversi, cosa non meno conosciuta e
lamentata, che in parte. ripete le sue ori- gini da quanto sopra dicemmo circa
l isolamento dei filosofi del passato, in parte dall assoluta primitivit e
semplicit di molti dei dati sui quali la filosofia opera, in parte infine dalla
suprema astrattezza e complessit de suoi problemi, che si prestano per ci appunto
ad essere considerati e risoluti nei modi pi diversi. Se altre ragioni
esistono, non possono essere che secon- darie (2). In ogni caso, voler fissare
la terminologia (1) Cfr. in proposito le belle considerazioni del Tonnies, Phi-
losophical terminology, riv. cit., pag. 324 e segg.. | (2) Tra queste non
ultima la tendenza a sostituire ai comuni vocaboli, gi consacrati dall uso,
altri vocaboli tanto strani quanto nen 19) filosofica in modo che ogni vocabolo
assuma, come l'algoritmo algebrico, un valore preciso e costante, da qualunque
scuola o sistema venga adoperato, sarebbe impresa assurda e disperata, che
contradirebbe allo spi- rito stesso della speculazione filosofica: varrebbe
quanto insomma, voler mettere d accordo tutti i filosofi nello stesso sistema e
nelle stesse dottrine. Se accordo pos-
sibile, e desiderabile, esso non pu consistere che nella fissazione dei
significati fondamentali e legittimi dei vo- caboli pi comuni. Vi fu una
scuola, o meglio un in- tero indirizzo filosofico, la Scolastica, che fabbric
tutta una terminologia sistematica e fissa; ma, ahime! quello che doveva essere
un mezzo rimase per essa quasi unico fine, e nelle sue rigide formule, ne suoi
schemi fissi, nelle sue sottili distinzioni e classificazioni non penetr mai o
quasi mai il pensiero e la vita. Ma intanto, l oscurit e l incertezza del
nostro linguaggio porta con s due conseguenze gravissime, di cui la filosofia
s' in ogni tempo risentita e viene sempre pi risentendosi, in proporzione con l
allargarsi inutili, tendenza non propria soltanto dei filosofi e antica, per
quanto fattasi oggi pi grave, che il Montaigne faceva oggetto del suo riso
bonariamente arguto: Je ne scay s'il en advient aux autres comme moy; mais je ne me puis garder, quand j' oy
nos architectes s enfler de gros mots de pilastres, architraves, corniches, d
ouvrages corinthien et dorique, et semblables de leur jargon, que mon ima-
gination ne se saisisse incontinent du palais d Apolidon; et, par ef- fect, je
trouve que ce sont les chetives pieces de la porte de ma cuisine. Oyez dire metonomie,
metaphore, allegoire, et autres tels noms de la grammaire, semble il pas qu on
signifie quelque forme de la langage rare et pellegrin? Ce sont? titres qui
toucheut le babil de vostre chambriere . Essas, L. I, c. LI, De lu vanit des paroles. 2 BRE. di suoi domin: la
prima di scoraggiare gli iniziandi, di far perdere nello studio delle forme un
tempo ch' tutto rubato a quello della sostanza, e di allontanare quei profani
che, per la loro cultura, per la loro intel- ligenza, per i loro stud,
potrebbero e dovrebbero te- nersi continuamente in contatto col pensiero
filosofico ; la seconda, non meno grave, di rendere spesso difficile agli
stessi iniziati d intendersi tra di loro. | Cominciamo dalla prima. Fu
osservato, ed a ragione, che nessun epoca ha presentato al pari della nostra il
singolare contrasto di ostentare tanto disprezzo per la filosofia, e, nello
stesso tempo, di sentirne tanto bisogno e di parlarne tanto; si doveva
aggiungere, per dare alla osservazione tutto il suo valore, che in nessun altro
tempo se ne parl per avventura cos male e cos a sproposito come nel nostro.
Parliamoci chiaro: non fa pena il vedere con quale leggerezza, con quale
impreparazione, con quale sconfortante ignoranza della complessit dei problemi
e del loro sviluppo storico molti letterati puri e molti scienziati di
riconosciuto valore, specialmente naturalisti e biologi, trattino di questioni
che la filosofia discute fino da Talete ed
riuscita, se non a risolvere, almeno ad impostare con, chiarezza e a
definire con precisione? Orbene, a mio giudizio questo fatto ha (1) A tal
proposito scrisse giustamente l Hegel: A questa scienza (la filosofia) tocca
spesso lo sfregio che anche coloro che non si sono affaticati in essa, s'
immaginano e dicono di compren- dere naturalmente di che cosa si tratti, e d
esser capaci, col solo fondamento di unordinaria coltura.... di filosofare e
giudicar di filosofia. Si ammette che le altre scienze occorra averle studiate
per conoscerle, e che solo in forza di sitfatta conoscenza si sia facoltati ui la
sua ragione precipua appunto nella difficolt enorme che presenta ai profani lo
studio di molti libri filosofici: l esoterismo, a volte eccessivo, della forma,
fa si che anche le idee pi chiare, anche i concetti pi semplici e comuni
diventino poco meno che incomprensibili per chi non abbia acquistato
precedentemente una cogni- zione adeguata della terminologia tecnica. Quanto
alla seconda conseguenza, di rendere cio difficile agli stessi filosofi
dintendersi fra di loro, il tasto
piuttosto delicato e potrebbe scoprire il fianco ai nemici della
filosofia. Ci fu infatti chi insinu che la metafisica non sia nemmeno capace di
comprendere s stessa; ci fu chi ridusse tutte le dispute dei filosofi a
semplici questioni di vocaboli; altri considera le tene- bre sacre di cui la
filosofia si circonda come una bella astuzia per nascondere il vuoto
sottostante. Sono esagerazioni maligne, non v ha dubbio; meschine ven- ad avere
un giudizio in proposito. Si ammette che, per fare una scarpa, bisogni avere
appreso ed esercitato il mestiere del calzolaio, quantunque ciascuno abbia la
misura della scarpa sul proprio piede, e abbia le mani e con esse la naturale
abilit per la predetta faccenda. Solo pel filosofare non sarebbero richiesti n
studio, n apprendimento, n fatica . Enciclopedia delle scienze filosofiche,
Bari nota la definizione di Goethe: La filosofia non che il senso comune n linguaggio oscuro.
Nelle sue conversazioni il grande poeta, che fu pure scienziato e filosofo,
scherzava volentieri su questa oscurit e ambignit della terminologia
filosofica; vedasi in Eckermann, Gesprache mit Goethe (ed. Reclam), 1. III, p.
112, 178 ecc. Ricordo anche questo pensiero dello Chamfort: Direi volentieri dei
metafisici ci che l@ Scaligero diceva dei Baschi: si dice che si capiscano, ma
non lo credo . Chamfort, Mussime e pensieri, Mi- lano, 1907, p. 85. i, gi dette
di chi non ha forse la quadratura di mente ne- cessaria per penetrare nei
problemi fondamentali della materia e dello spirito, dell essere e del
conoscere, del reale e dell'ideale. Ma bisogna anche convenire che, in realt,
la lettura di certi libri filosofici si presenta talora estremamente ardua e
faticosa anche per chi non manchi della dovuta preparazione, e che certe
discus- sioni interminabili. si basan tutte sul significato oscil- lante o mal
definito di un vocabolo, tantoch persino un filosofo, e filosofo autentico, pot
dire: quel poco di studio che io ho
fatto nelle filosofie mi ha piena- mente convinto, che il battagliare de
filosofi tra loro nasce le gran volte dal non intendersi (1). Rosmini-SERBATI
(vedasi), Lettera sulla lingua filosofica in Introduzione alla filosofia,
Casale, 1850; anche /deologia, vol. III, p. 233, Torino, 1852. A provare quanto
sia diffusa codesta convinzione, specialmente tra i non filosofi, a tutto
discredito della filosofia, riporto integral-. mente, fra le molte che potrei
citare, queste curiose considerazioni del D Israeli nelle sue Curziosities of
literature (Londra, se- rie II, vol. II, C. L.): .Plato and Aristotle probably agreed much
better than the opposite parties they raised up imagined; their difference was
in the manner of expression, rather than in the points discussed. The
Nominalists and the Realists, who once filled the world with their brawls, and
from irregular words come to regular blows, could never comprehend their
alternate nonsense; though the Nominalists only denied what no one in his sense
would affirm; and the Realists only contended for what no one in his senses
would deny; a hair s breadth might have joined what the spirit of party had
sundered! Do we flatter ourselves that the logomachies of the Nominalists and
the Realists terminated with these scolding schoolmen? Modern nonsense, weighed
against the absolete, may make the scales tremble for awhile, but it will lose
its agreeable quality of freshness, and subside into an equi- poise. We find their spirit skill lurking among our
own metha- Sue DT a una confessione,
questa, che molti non dureranno fatica a trovar giusta, e che, pi che la
speculazione nostrana, tocca davvicino quella di certi paesi doltralpe. Senza
condividere i terrori del buon Mamiani per la filosofia tedesca, non forse vero che la chiarezza e la semplicit
del linguaggio non sono mai state le doti migliori dei filosofi tedeschi? Per
venire ad un caso concreto, indubitato
che la maggior parte delle diffi colt che presenta la lettura delle opere
kantiane deriva come ripetutamente
osserva lo stesso Vaihinger nel suo classico Commentario alla critica della
ragion pura dalla incertezza e dalla
complicazione della terminolo- gia adoperatavi. physicians. Leibnitz confused his
philosophy by the term sufficienti reason: for every existence, for every
event, and for every truth, there must be a sufficient reason. This vagueness
of language produced perpetual misconception, and Leibnitz was proud of his
equivocal triumphs, in always affording a new interpretation! It is conjectured
that he only employed his term of sufficient reason, for the plain simple word
of cause. Even Locke has been chargen with using vague and indefinite ones; he
has sometimes employed the words reflection, mind and spirit in so indefinite a
way, that they have confused his philosophy. Even the eagle-eye of the intellectual
Newton grew dim in the obscurity of the language of Locke. We are astonished to
discover that two such intellects should not comprehend the same ideas; for
Newton wrote to Loche: I beg your pardon for representing that you struck at
the root of morality in a principle laid down in your book of Ideas-and took
your for a Hobbist. The difference
of opinion betwen Locke and Reid is in consequence of an ambiguity in the word
principle, as employed by Reid ecc. Dell oscurit dellHegel, scrive con la sua
abituale ironia mordace Arrigo Heine:
Pour dire la vrit, j'ai rarement compris ce pouvre Hegel, et ce nest que
par des rflexionsarrives aprs coup que 0/23: La conclusione che si ricava da
quanto siam ve- nuti dicendo non pu essere che una sola: riconosciuto da un
lato, che la filosofia, al pari d ogni altro ramo del sapere, ha bisogno d una
terminologia propria; am- messo che la filosofia, diversamente da altri rami
del sapere, non pu costruire una
terminologia che abbia un valore preciso e costante; per ovviare agli inconve-
nienti che ne derivano non v'ha altro rimedio che nei vocabolari tecnici,
qualora siano ispirati a criter scien- tifici e condotti con rigore di metodo.
Ma qui sta appunto il problema. Da quali concetti deve precisamente essere
ispirato, con qual metodo con- dotto, in che limiti tenuto un dizionario
filosofico, per- ch risponda efficacemente allo scopo suo? Poich, je parvins saisir le sens de ses paroles. Je croi mme qu
il ne voulait pas tre compris du tout, et que c'est pour cela qu'il avait adopt
un langage si morose et si entortill ; la mme cause nous explique peut-tre
aussi sa. prdilection pour des personnes dont il etait sr qu elles ne le
comprenaient point, et qu il pouvait denc avec toute scurit honorer de son intimit.
Leur mdiocrit tait une garantie de discrtion . De l Allemagne, Paris; nell ed. tedesca che egli fece
della stessa opera, intitolandola Zur Geschichte der Religion und Philosophie
in Deutschland, egli torna a parlare dell oscurit dei filosofi suoi
connazionali, oscurit che li rende inaccessibili ai pi, e conchiude cos: Was helfen dem Volke die verschlossenen
Kornkammern, vozu es keinen Schlussel hat? Das Volk hungert nach Wissen, und dankt mir fir das
Sticken Geistesbrot, das ich ehrlich mit ihm theile . Simm. Werke, ed. Leipzig, t. IV, p. 164-165. Dgr
evidentemente, non basta dire che i criter debbono es- sere scientifici e il
metodo rigoroso; le espressioni sono tanto larghe, che dicono tutto e non
dicono niente. Escludiamo, anzitutto, che un dizionario moderno di filosofia
debba essere condotto coi criter dogmatici, soggettivi, unilaterali di cui ci
offrono esempio i pochi dizionar del passato: che debba cio farsi banditore dun
determinato sistema o indirizzo filosofico, polemiz- zando coi sistemi avversi,
tacendo o presentando sotto colori poco simpatici tutto quanto non coincide col
proprio modo di vedere. Tale, per non nominare quelli notissimi del Bayle e del
Voltaire, il Worterbuch der philosophischen Grundbegriffe, di Federico
Kirchner, di cui il dott. Michaelis ha pubblicato or non molto la quinta edizione riveduta e corretta
(Leipzig, 1908); esso per- vaso da un
certo spirito di protestantismo evoluto, che, secondo lautore, concilia ed
unifica sotto le sue grandi ali | empirismo, il criticismo, l idealismo, il
finalismo, il teismo; larghezza che il Kirchner, teologo e figlio di teologo,
pone a confronto con lautoritarismo della Chiesa romana, nella quale, secondo
lui, la ragione sacrificata alla fede e
die Philosophie ist Dienerin und Magd der Theologie. Tale il Dictionnaire
raisonn de philo- sophee morale, del Roux Ferrand (Paris, 1889), che ha invece
lo scopo preciso di dimostrare ci che | uma-
nit deve al cristianesimo (leggi cattolicismo), i benefici di cui il
cristianesimo ha dotato il mondo morale
e, fedele alla propria insegna definisce, ad esempio, la ragione una
rivelazione necessaria che rischiara l uomo nella sua venuta al mondo, un
mediatore necessario tra lui e Dio; la volont
quel potere di cui noi di- sponiamo in virt della libert che Dio ci ha
lasciato x 24 per scegliere tra il bene e il male ; la
libert la fa- colt che Dio ci ha lasciato di determinarci in seguito a una deliberazione
interiore e dagire in conseguenza di questa determinazione , e via di questo
passo; tale il Vocabularie de la philosophie positive del Bourdet (Paris), che
tutto al contrario del precedente, si propone per scopo di sostituire coi
princip del comti- smo puro l'influenza delle teorie del cattolicismo che non ha pi alcun mezzo confessabile d
azione sulla nostra epoca ; tale infine
il diffusissimo Dictionnaire des sciences philosophiques, composto sotto la
direzione del Franck (Paris, 1885), il quale, nella frface de la premire
dition, formula i princip filosofici fondamen- tali ai quali sispira e dei
quali si fa propagatore: il primo e
baster citare questo che la
filosofia il prodotto duna facolt che
viene diritta da Dio, ed quindi come lui
immutabile ed assoluta nella sua essenza: essa non che un riflesso della divina sapienza
rischiarante la coscienza di ogni uomo, illumi- nante i popoli e l umanit tutta
intera sotto la condi- zione del lavoro e del tempo . Io non escludo che anche
codesti dizionar possano avere la loro utilit: non foss altro, servono a far
co- noscere la terminologia particolare o il significato par- ticolare della
terminologia d un determinato indirizzo filosofico, e possiedono un colorito,
una vivacit che li rende assai pi gradevoli alla lettura delle opere con- dotte
col freddo obbiettivismo scientifico. Quando poi siano il prodotto di menti
vaste, curiose, infaticabili come il Bayle, o di spiriti deliziosamente
bizzarri, ec- cessivi, unilaterali, appassionati come il Voltaire, allora
perdono anche il loro valore informativo, ma diventano coda per compenso opere
darte (1). Ma non rispondono niente affatto a quel bisogno degli intelletti
moderni e a quel nuovo orientamento dello spirito filosofico, di cui pi sopra
abbiamo parlato, e per il quale si ri- chiede invece la pi assoluta e decisa
obbiettivit di criteri. questo infatti
il canone fondamentale e la ragion dessere dun dizionario moderno di filoso-
fia: tenersi al di sopra e al di fuori dogni precon- cetto di scuola di sistema, presentando obbiettiva- mente le
questioni e le idee che ai vocaboli sono le- gate e 1 var atteggiamenti da esse
assunti nella storia del pensiero, in modo che la personalit filosofica del-
lautore ne rimanga il pi possibile dissimulata; perch non di questa che gli si va a richiedere notizia,
ma del significato pi comune delle espressioni e dei ter- mini, che possono
occorrere leggendo un libro di filo- sofia. Sulla base di questo canone
fondamentale, si pos- sono per richiedere due metodi sensibilmente diversi a
seconda degli scopi, didattici o critici, che il dizio- (1) Leggansi ad es. nel
Dictionnaire philosophique del Voltaire (t. VII, delle Oeuvres complles, Paris)
gli articoli anima, Dio, fanatisnio, donna, filosofia, ecc., e certi dialoghi
pieni di un brio indiavolato, se non sempre castigato, agli art. virt (tra un
honnte homme e un... excrment de thologie), libert di pensare, cu- ralo di
campagna ecc. (2) Di grande utilit sono invece i dizionar di dia speciale,
quando siano essi pure compilati con criteri puramente scientifici, come ad es.
il Meissner, Philos. Lexicon aus Wollf s deutschen Scriften; Mellin, Kunstsprache d. krit.
Philos., 1798 e Encyclop Worterbuch d. krit. Philos.; G. Wegner, Kant- Lexicon;
Frauenstidt, Schopenhauer-Lexicon. 2.96
nario si propone; a seconda cio che esso si rivolge al pubblico largo degli
iniziandi e dei profani, per faci- litare loro la conoscenza della terminologia
e la com- prensione dei testi, o al pubblico ristretto dei tecnici, allo scopo
di fissare e garantire i significati fondamen- tali e legittimi delle
espressioni e dei vocaboli. Nel primo caso esso deve saper riuscire chiaro ed
accessi- bile ad ogni media coltura, senza falsare per questo i problemi e
ridurre al semplice ci che di natura e di origine complesso; deve enumerare i diversi signifi-
cati attribuiti ad ogni termine, senza pretendere di im- porne uno per conto
proprio ; deve tracciare, fin dove
possibile, la storia della parola e indicarne, quando opportuno, la derivazione etimologica ; deve
ricor- dare, fra le espressioni proprie soltanto di un sistema o di un periodo
filosofico passato, quelle che, pur con- servando un valore storico e fisso,
ricorrono attual- mente con qualche frequenza nelle opere filosofiche ; deve
fare unabile scelta, nelle terminologie delle scienze pi affini, delle voci la
cui conoscenza pu essere utile o necessaria per lo studio della filosofia; deve
acco- gliere, senza pregiudizi puristici, tutti quei termini nuovi che hanno
acquistato un certo diritto di cittadinanza, da qualunque parte essi vengano e
qualunque sia la loro composizione, perch
specialmente delle voci nuove che si viene a chiedergli notizia ed alle voci nuove che la registrazione nel
vocabolario pu riuscir utile per fissarne in modo definitivo il significato ;
deve age- volare la ricerca dei vocaboli, frazionando il pi possi- bile la
materia e abbondando nei richiami; e deve ispi- rarsi ad un certo senso che
direi della convenienza, per il quale, svincolandosi dalle strettoie d una
geometrica 27 proporzionalit, sappia a volta a volta e
secondo l im- portanza delle questioni trascorrer rapido o essere dif- fuso,
limitarsi a una frase concisa o esaurire sufficien- temente una discussione. Su
questo tipo e con questi criter
compilato il Vocabulaire phisolophique di E. Goblot (Paris); ci 10 credo
che basti per metterne in luce il pregio e lin- contestabile utilit. Ma non
mancano nemmeno i difetti, inevitabili del resto in un opera simile e che
potranno via via sparire nelle successive edizioni. Cos, mentre vi sono
registrati parecchi termini che si potevano senza pregiudizio tralasciare (ad
es. appropriare, misura, cata- ratta, dietetica, velleit, preistoria, sostituto
ecc.) mancano molti altri la cui presenza sarebbe stata necessaria, come, per
non fermarmi che sulla lettera p, i seguenti: pa- lingenesi, pampsichismo,
panenteismo, panlogismo, parabulia, parafasia, parallelismo psico-fisico,
paranoia, parestesia, partenogenesi, patristica e patrologia, pauperismo,
perilinfa, personalismo, pitagorismo, pluralismo, poliandria, polide- monismo,
poligenismo, poliginia, politeismo, pragmatismo, .primitivo, primo, problema,
problematico, protoplasma, psi- cogenesi, psicologismo. Certe sproporzioni
sembrano affatto ingiustificabili : mentre, ad esempio, di sociologia detto soltanto mot forg par Comte: science
des ph- nomnes sociaux, e la definizione della pedagogia la- conicamente ristretta a queste quattro
parole science et art de leducation et
de lenseignement, una mag- giore liberalit di notizie e di spazio concessa ad altre scienze di ben minore
importanza filosofica: alla geo- . grafia sono dedicate otto righe, alla
geologia dieci, alla patologia quindici, alla grammatica e alla fisica ventitr.
Le questioni del tempo e dello spazio, che tanti pro- ai blemi involgono di
indole sia metafisica che psicologica e scientifica, hanno una trattazione
assolutamente insuf- ficiente: infatti mentre i vocaboli tempo, spazio,
estensione non sono svolti e ci rimandano a durata, a questo vo- cabolo
troviamo semplicemente riportata la distinzione cartesiana fra tempo e durata,
con laggiunta che cette distinction n est pas consacre . Vi si trovano anche
molte definizioni che, per essere troppo semplici e con- cise, mancano d ogni
precisione e non riescono a dare un idea adeguata della cosa: cos non basta dire
che brachicefalo chi ha il cranio corto,
dolicocefalo chi lo ha lungo, che il sincretismo la fusione in una dottrina unica di pi
dottrine differenti, che la mozione
lazione di muovere, che il divenire
l'opposto dell essere, che immutabilit
la qualit di ci che immutabile,
ecc. Ad ogni modo, lo ripetiamo, sono piccole mende facilmente rimediabili, che
non tolgono al libro il suo valore complessivo e la sua utilit didattica. * * *
Pi scientifico, ma compilato esso pure con intenti informativi, il Worterbuch der philosophischen Begriffe
und Ausdriicke dell Eisler (Berlino) unopera mas- . siccia, diligentissima,
veramente tedesca. Lo svolgimento che vi
dato alla materia, il rigore delle definizioni, la storia spesso
minuziosa del vocabolo, il richiamo co- stante alle fonti, labbondanza delle
citazioni greche e latine (raramente francesi, italiane e inglesi) lo rendono
forse inservibile ai profani di media coltura, ma utilis- simo ai competenti e
a coloro che vogliono prepararsi con seriet allo studio della filosofia e alla
lettura diretta delle opere fondamentali. L economia delle
parti generalmente ottima: l autore sa
proporzionare l esten- sione degli articoli all'importanza dei termini,
limitan- dosi ad una definizione rapida e concisa per quelli se- condar,
allargando via via le proprie informazioni fino a offrire, per i concetti
fondamentali, delle vere e proprie monografie, che esauriscono, terminologica-
mente, il soggetto. Ed anche nelle definizioni pi brevi quasi sempre indicata la fonte, dove si
possono at- tingere notizie maggiori. Cos il singolarismo definito concisamente: quel punto di vista metafisico che riconduce
tutti i fenomeni particolari ad un unico
punto di vista (Kiilpe, Einl. in d. Philos.,? ) lagrafa:
perdita anormale della capacit di scri- vere (Wundt, Grundz. d. ph.
Psych.) ce- cit psichica
(Seelenblindheit): unanomalia psicofisica, per la quale gli oggetti sono veduti
senzessere cono- sciuti (Ziehen Leitfad.)
Humor: secondo H. Hffding, il
sentimento del ridicolo fondato sulla simpatia (Psicol., p.. 407) ..Se poi il
termine rientra nell uso particolare di qualche filosofo, riportata ge- neralmente la definizione
datane dal filosofo stesso, come analitica trascendentale (Kant), metodo dei
rapporti Tale infatti lo scopo dellA., esposto nella pref. p. 5:
Das Wrterbuch bietet ein ausgewahltes und geordnetes Quel- lenmaterial fiir
weitere vergleichende und kritische Untersuchungen dar. In dieser Hinsicht
diirfte es seblst dem Fachmanne nicht unwillkomme sein. Vor allem aber will es
den Studierenden sowie allen jenen, die mit der Philosophie sich beschiftigen,
und Hand- und Hulfsbuch fiir die erste Orienterung in der Entwickelung be-
stimmter Begriffe sowie insbesndere fur die Lectre der Philo- sophen dienen . (Herbart), energismo (Paulsen), psico-fisica
(Fechner), triadi (Proclo), superuomo (Nietsche), metalogico (Schopen- hauer),
trans-esercitazione (Avenarius) ecc. Riporto come esempio l art. energismo: cos denomina Paulsen la concezione morale (da
lui sostenuta) che pone il bene supremo non in eccitazioni soggettive del
sentimento, ma in un obbiettivo contenuto vitale, o, poich la vita una milizia, in una specie di attivit vitale
(Finl. 1. d. Philos p. 432). Ma il grande pregio dell opera si rivela special-
mente nella trattazione dei vocaboli fondamentali, come concetto, oggetto,
necessit, nnmero, autocoscienza, sostanza, infinito, idea, giudizio, verit,
volont ecc. Cos ad es. al vocabolo sensazione
definito anzitutto il concetto e fissata la differenza gi posta dal
Tetens tra l Empfindens (sensibilit) e il Fiblen (aftettivit); quindi se ne fa
la storia attraverso la filosofia greca, medievale, moderna e contemporanea;
l'esposizione delle dottrine dei filo- soft greci, da Empedocle a Plotino e
Nemesio, tes- suta con la citazione
integrale di brani di Plutarco, Pla- tone, Aristotele, Sesto Empirico,
Teofrasto, Diogene Laerzio, Stobeo ecc.; ma la parte migliore dell
articolo quella che si riferisce ai
filosofi moderni e contem- poranei, di ciascuno dei quali riportato il numero di frasi sufficiente
perch la dottrina risulti chiara: cos passiamo da Cartesio a Spinoza, Geulinx,
Malebranche, Hobbes, Locke, Hartley, Leibnitz, Condillac, Helvetius, Holback,
Robinet, Hume, Reid, Wolf, Baumgarten, Bil- finger, Crusius, Tetens, Platner,
Kant, Mainon, Schel- ling, Oken, Hegel, Schleiermacher, Fries, Herbart, Be-
neke, Fichte, George, Ulrici, Horwicz, Lotze, Fechner, Lange, Helmoltz, fino a
giungere a questi ultimi tempi 31 col Bain, lo Spencer, il Sergi, lHffding, lo
Steinthal, il Volkmann, il Diihring, il Bergmam, il Fick, il Besser, il Riehl,
il Lipps, il Wundt, l Erdmann, l Avenarius, lo Schuppe, il Jodl, il Ziehen. Ho
citato questa lunga filza di nomi per dare un'idea dellampiezza con la quale .
l'argomento trattato, ampiezza che anche maggiore in altri articoli, ad es. in
quello sull oggetto. Un altro pregio di questo dizionario, per il quale si
distingue dai congeneri, che esso non
contempla soltanto i vocaboli, ma anche le espressioni, sentenze, aforismi ecc.
che pi comunemente occorrono nelle opere di filosofia, e che non sempre possibile determinare nella loro precisa
origine e nel loro vero significato, ad es.: singulare sentitur, universale
intelligitur - volun- tas movet, sapientia disponit, potentia perficit voluntas su- perior est intellectu accidentis esse est inesse contra principia negantem non est disputandum natura est sem- per sibi consona dicium de omni et de nullo ex praecognitis et praeconcessis operari sequitur esse ecc. Dopo tanto bene, pur necessario. dire un po di male; cosa
tutt'altro che difficile in un opera di que- sta natura. Non voglio fermarmi a
rilevare certe defi- nizioni troppo palesemente inesatte (1) e certe lacune (1)
Ad es. tradizionalismo: lindirizzo
cattolico della filo- sofia francese ; questa definizione non spiega n lorigine
del nome, n la natura della dottrina, che diede luogo a molte controversie e fu
condannata come eretica da Gregorio XVI; remoivo giudizio: quello che esclude un soggetto dalla sfera di
un determinato predicato mentre la
rimozione si pu avere tanto nel soggetto che nel predicato, avendo esso la
funzione logica di escludere alcuni gruppi di oggetti da una classe; quindi le
due formole: n A n B sono C; A non n B n
C. 32
che si posson considerare come secondarie. Vale invece la pena di
fermarsi sopra alcuni difetti, che sinnestano sullo stesso piano dellopera e
traggono origine dai criter seguiti dall autore nel compilarla. LEisler si proposto, evidentemente, di rispondere al
maggior numero possibile di domande; criterio giusto, in linea generale, ma che
presenta due pericoli: il primo d ingombrare le pagine con un numero soverchio
di vocaboli d interesse troppo ristretto, che meglio trovan posto nei dizionar
speciali, il secondo di restringere eccessivamente, per non alterare le
proporzioni dellopera, lo spazio riserbato alla dichiarazione dei vocaboli
filo- sofici secondar, LEisler non ha saputo evitare n luno n laltro. Come
esempio di sovrabbondanza baster citare questi termini della prima lettera:
.Abraxas, Adra- stea, Ahueramazda, Akribia, Akroame, Aksharam, Alyta,
Antichthon, Archon, Arrepsia, Ascharija, Asijah, Astralleib, Athambia, Atman,
ecc., che appartengono per la maggior parte alla storia delle religioni
orientali e avrebbero potuto raggrupparsi, insieme ai molti altri che ingombrano
le lettere successive, sotto pochi nomi (Kabbala, gnosticismo, neo-platonismo
ecc.); e Abscheu, Argu- tien, Avum, Aversion, Ausstrahlung, Atherisch,
Atherleib, Assistenz ecc. che colla filosofia hanno ben poco da vedere. Il
secondo forse pi grave e pi facilmente
avvertibile. Se molti articoli secondar sono felici per precisione e sobriet,
molti altri si riducono a semplici esplicazioni etimologiche e definizioni
nominali, che non possono giovare se non a chi possiede gi una nozione adeguata
della cosa. Cos il regresso allinfinito
definito: derivazione, prova dall infinito, ossia senza sicuro fon-
damento ; il quietismo : distacco dalle occupazioni della vita, passivo
assorbimento nella divozione religiosa ;
il marxismo: dal punto di vista
filosofico, la filosofia materialistica della storia ; l'anomalia:
deviazione dalla regola; l ascetismo:
secondo J. Bentham l op- posto
del sistema dellutilit; i neo-kantiani:
filosofi che seguono lindirizzo segnato dalla Critica della ra- gione di
Kant: O. Liebmann, che proclam nel 1865: bisogna tornare a Kant; A. Lange,
Helmoltz, K. Fischer, Arnold, H. Cohen, J. Volket, W. Windelband e altri ; il
simbolo: segno; secondo Spencer i no-
stri concetti sono simboli della realt.
Helmoltz e altri considerano la qualit della sensazione come un simbolo
di avvenimenti e rapporti reali . Ora, la prima definizione non spiega in che
consista largo- mento, che fu uno dei iropi degli scettici antichi, spe- cie di
Agrippa, e ricompare sotto forma antitetica nella prova fisica dellesistenza di
Dio; le due seguenti non accennano n al contenuto dottrinale n all impor- tanza
storica degli indirizzi; lascetismo
tutto un at- teggiamento della vita morale e religiosa, ben pi impor-
tante da ricordare e definire che non il significato spe- cialissimo datogli
dal Bentham; il simbolo non un segno
qualsiasi, ma solo quel segno che si associa in particolare rapporto con
qualche cosa d'altro, ed ha va- lori diversissimi a seconda della natura di
tale rapporto; infine, di neo-kantiani ce ne furono e ce ne sono anche in
Francia, in Italia e in Inghilterra, non meno merite- voli d essere ricordati
di quelli che l Eisler ha voluto citare. | Ma quest ultima osservazione ci
richiama a quello che ci sembra il difetto capitale dell opera, di essere cio
troppo esclusivamente tedesca. un
difetto che i 3 dizionari a larga colloborazione possono pi facilmente evitare,
e che si giustifica anche con la grande impor- tanza assunta dalla filosofia
tedesca dal Wolf in poi; ma il difetto non cessa per questo di essere meno
grave dato il valore universale, e non nazionale, dei problemi filosofici e
della maggior parte dei vocaboli che li espri- mono. I filosofi francesi,
inglesi e italiani vi sono ra- ramente ricordati, specie se moderni, e quasi
sempre col semplice riferimento a qualche testo tedesco di sto- ria della
filosofia; da un capo allaltro della pagina il campo tenuto quasi esclusivamente dai filosofi
tede- schi, non pochi dei quali pi che secondar. E tra i connazionali l autore
dimostra una particolarissima pre- dilezione per l Avenarius, del quale sono
ricordati molti vocaboli che nel linguaggio filosofico hanno un. uso tutto
diverso, o non hanno n ebbero mai uso di sorta, ad es.: Charaktere, E-Werte,
Elemente, Epheterote, Epitautote, Erfolgsbewegung, Fidential, Nachgedanke,
Notal, Problematisation e Deproblematisation, Sachhaftigkeit, Syste- matisch,
Systembeschaffenheit des Zeitpunktes 1,
Tautote, Transexercitation, Umgebung, Vitaldiferenz ecc. Io ammetto volentieri,
che richiedere al compilatore dun diziona- rio la dimenticanza assoluta delle
proprie convinzioni val quanto pretendere che non ne abbia affatto; e ri-
conosco ancora che | Avenarius fu uno dei pi imagi- nosi fabbricatori di parole
eteroclite, tanto da riuscire di difficilissima lettura; ma se in questo
dizionario si fosse concesso agli altri sistemi un posto proporzionale alla
loro importanza rispetto all empirio-criticismo, non sarebbero bastati altri
cinque volumi d ugual mole a contenerl tutti. | Questa lacuna, e queste
tendenze, della cultura ae ina dell Eisler, si rivelano con maggior evidenza
quando gli articoli riflettono termini e problemi sorti o trattati pi
ampiamente nelle filosofie straniere. Cos il termine immaterialismo, creato da
Berkeley, spiegato in due righe,
inadeguatamente e senza citazione diretta ; per converso, Empiriokriticismus e
empiriokritischer Befund occupano undici righe, con citazioni e riferimenti
alle opere dell Avenarius. Nell art. genio sono riportate inte- gralmente le
definizioni del Wolf, dello Sulzer, del Fries, di Kant, del Volkmann e un lungo
passo dello. Scho- penhauer; nell ultima riga
aggiunto Lombroso at- ferma una parentela tra il genio e la pazzia ; il
Buf- fon, lEmerson, il Carlyle ecc. non sono nemmeno ri- cordati. Il
personalismo definito: l'affermazione della personalit umana (Kant,
Fichte e altri) nonch la concezione del mondo come una molteplicit di es- seri
personali (Bstrom) ; ora, per personalismo nel primo significato oggi s'intende
specialmente la dottrina del Renouvier, che bisognava almeno ricordare (cfr.
Les dilemmes de la mtaphysique pure, Paris, 1901, cap. V, LXX La ihse du personalisme ), e nel secondo il
personal idealism, espressione e dottrina d origine es- senzialmente inglese
(cfr. Personal Idealism, philosophical essays by eight members of the University
of Oxford, Oxford; e Seth, Scottish Philosophy. A riparare l'ingiustizia
dellEisler verso i filosofi inglesi pensa il non meno voluminoso Dictionary of
Philosophy di Thomson, edito a Londra. Qui il campo tenuto quasi totalmente dai pensatori , del
Regno Unito, grandi e piccoli, da Bacone al MacCosh, da Berkeley al Fraser, da
Hume, Locke, Bain, Mill al Calderwood, Martineau, Green, Flint ecc.; di
francesi e tedeschi solo i maggiori, ma in scarso numero e sempre in traduzioni
o in testi di storia della filosofia. D’ITALIANI NESSUNO. Sta di mezzo tra il
dizionario propriamente detto e l’antologia; ha intenti informativi e di
scuola; redatto interamente sui passi
degli autori, il compilatore non intervenendo che nella scelta e nella
distribuzione ; gli articoli non sono or- dinati per ordine alfabetico ma per
materia. I pregi e i difetti di quest opera germogliano, come sempre, dagli
speciali criter che ne hanno gui- data la compilazione. Come preparazione allo
studio dei problemi filosofici essa pu servire assai meglio di un vocabolario
tecnico o dun trattato scolastico, sia per la ricchezza delle informazioni, sia
per la distribu- zione eccellente della materia, che si svolge con ordine
naturale dalla impostazione del problema alle varie so- luzioni proposte e alla
critica di esse, dal generale al particolare, dal passato al presente,
dallessenziale al se- condario. Ma il suo pregio maggiore consiste nel porre in
immediato contatto coi filosofi, che ci parlano il loro proprio linguaggio, ci
espongono gli atteggiamenti decisivi del loro pensiero, rivelando cos, nella
vivace rapidit d una discussione, le irreducibili differenze di metodo, di
scopi e di tempra mentale che si combat- tono nel seno della filosofia. Ad es.
nell articolo sul- I assoluto l Hamilton, il Fleming, il Porter, lo Stuart
Mill, il Calderwood e il Conder espongono, in passi tolti dalle loro opere, i
significati fondamentali dellas- soluto e i caratteri che lo distinguono dall
infinito e dall incondizionato ; quindi lo Spencer, il Ferrier e il Porter
sostengono l esistenza dell assoluto, senza en- trare nel problema della sua
conoscibilit, che for- mulato nella
successiva parte terza; la quarta si pu considerare come divisa in tre sezioni:
nella prima il Mansel, lHamilton e lo Spencer espongono le loro so- luzioni
negative; nella seconda Mill e il Calderwood sostengono, da punti di vista
differenti, la possibilit duna conoscenza inadeguata dellassoluto ; la
terza un esposizione delle varie
filosofie dell assoluto dagli Eleatici ad Hegel, fatta dal Roberston, dallo
Schwe- gler, dal Porter ecc.; come conclusione
riportato un passo dell Ueberweg, che afferma essere la storia to- tale
del mondo e delluomo una progressiva rivelazione dellassoluto. Data la natura
di quest opera, dev essere natu- ralmente accettata cos com , senza pretendere
da essa ci che non vuol dare. Additarne i difetti, rilevarne le lacune, le
sovrabbondanze e le parzialit, varrebbe quanto discutere le convinzioni
filosofiche dellautore ; il quale ha scelto e disposto la sua materia in modo,
da mettere sotto la miglior luce i princip del teismo spiritualistico e della
morale cristiana (1). nessuno potrebbe
negargliene il diritto. Strettamente obbiettivo e tecnico invece il Dictionary of Philosophy and
Psychology compilato sotto la ______ (1) Il solo appunto che si pu muovere all
autore d aver affermato, nella
prefazione, la propria imparzialit: the endeavur
has been, consistently with the limits of space, to give a fair, im- partial,
and comprehensive representation of different school and tendencies of thought
p. VI. L0GR direzione del Baldwin da
filosofi dogni paese, ma spe- cialmente inglesi e americani (New-York e Londra).
Dei pregi di questo dizionario, il maggiore forse che oggi si possegga, io
credo inutile parlare, data la sua fama ormai sicura e la diffusione raggiunta
anche in Italia. Ma di fronte alle lodi iperboliche con le quali stato accolto da noi, specie per parte di
incompe- tenti e di xenomani, non sar male mostrare il rove- scio della
medaglia, tanto per persuaderci ancora una volta che la perfezione non delle cose di questa terra e quindi nemmeno
dei dizionar americani di filosofia. Apriamo a caso il secondo volume. Alla
pagina 41, seconda colonna, il nostro sguardo si ferma sopra un articolo di 26
righe intorno al Mare clausum e Mare nostrum, nel quale si apprende quanto
segue: Mare clausum : un mare chiuso,
per Vautorit di un partico- lare sovrano che pretende speciali privilegi e
diritti alla navigazione generale in esso. Mare liberum: un mare aperto
liberamente alla navigazione di tutti. Tali sono, oggi universalmente ammesso, gli alti mari. Et
quidem naiurali jure communia sunt omnium haec : aer, aqua pro- fluens, et
mare, et per hoc littora maris (Inst. of Just. II, 1, de rerum divisione, 1).
Un idea contraria era so- stenuta dai papi nellet di mezzo, nonch dalla Spagna
e dal Portogallo, che pretendevano un diritto esclusivo sui mari australi ed occidentali
per la scoperta e in forza di decreti papali. Nel sec. XVII i giuristi inglesi,
mentre discutevano queste pretese, allegarono il diritto della sovranit inglese
sopra i mari del nord (vedi Sel- den, Mare clausum, 1635 e Grotius, Mare
liberum 1609). La Russia sostenne un analoga pretensione sul Nord Pacifico fino
al principio di questo secolo, fondandosi sulla propriet delle spiaggie (vedi
Davis, Inst. Law,
43). Letteratura : Warton, Inst. Law, Dig. I $ 26; Woolsey, Inst. Law, $ 55;
Wheaton, Elem. of Inst. Law. Se un
ipotetico lettore, scorrendo queste righe, non conoscesse in precedenza la
natura dellopera con- sultata, potrebbe essere indotto a credere daver di-
nanzi un enciclopedia giuridica o un dizionario di di- ritto internazionale.
Certo, niuno che abbia un concetto un po preciso della filosofia, potr trovare
codeste no- tizie al loro posto. Non si
vuol negare con questo che anch esse possano interessare il filosofo; ma data
la natura sintetica della filosofia, nulla esiste che non ab- bia con essa un rapporto
diretto o indiretto, cosicch di tal passo ogni dizionario filosofico dovrebbe
racchiu- dere lenciclopedia universale del sapere umano! N da credere sia stato un caso.... volontario
quello che ci ha fatto imbattere nel mare chiuso. La sovrabbondanza il difetto capitale di quest opera, che
potrebbe esser sfrondata dun quinto dei suoi articoli, . e riuscirebbe cos pi
agevole per la consultazione e e pi accessibile per il prezzo. Nella stessa
lettera m ci imbattiamo in articoli non sempre brevi su: mezza- dria, messa,
emicrania (due colonne con tre figure), mo- sche volanti, mielite, moneta,
monopolio, plebaglia (mob), mitosi, contravvenzione, scrittura a specchio,
millennio, me- ningite, sistema mercantile, mesenchima, mesoblasto, meso-
derma, mesotelio, messia, speranza messianica, incremento marginale, maschio,
malizia, limite di coltivazione ecc.. Nella lettera precedente: lesa maest,
lustro, legge di Listing, linfa, industria locale specializzata,
legittimazione, finzione legale, linea di bellezza, linea di direzione, linea
di mira ecc, | Di fronte a tale ingombro di termini medici,
cu- rialeschi e agricoli, sono da lamentare non poche e gravi lacune. Specie
per ci che riguarda la nomencla- tura delle dottrine e dei sistemi, esso lascia
senza ri- sposta molte domande che pi
che legittimo rivolge- re ad un dizionario filosofico. Restando nella lettera
m, nella quale ci siamo imbattuti da principio, mancano in essa: moralismo
(corr. inglese moralism), termine di largo uso cos nella storia della
filosofia, ove designa la dottrina o tendenza etica uscita da Kant e da Fichte,
come nel linguaggio filosofico contemporaneo, nel quale comunemente opposto all immoralismo di
Nietzche e allamoralismo di tutti coloro che non ammettono che giudiz di fatto,
negando i giudiz di valore; mateu- tica (maieutics), il notissimo metodo
socratico ; memo- rabilit ( memorability), il rapporto del numero delle
testimonianze vere col numero totale delle testimonianze relative ad una data
circostanza; metageometria (meta- geometry), il moderno indirizzo della geometria
non- enclidea ; mesologia (mesology), lo studio dei rapporti tra gli esseri e
il loro ambiente; mediatore plastico, che indica comunemente ci che il Cudwort
chiama na- tura plastica , specie danima
del mondo incosciente, per mezzo della quale Dio agisce sulle cose; metalogico
e metamorale, termini usati spesso per indicare i prin- cip primi e
fondamentali della logica e della morale, per opposizione allo studio delle
regole logiche e mo- rali, quali sono applicate nei ragionamenti validi e nelle
azioni buone. E ancora, mosaicismo, monolatria, mutua- lismo, molecola,
monarchianismo, metabasi, ecc., che se non posseggono un valore strettamente
filosofico, hanno 4I per maggior diritto d esser ricordati della
mielite, della mezzadria o della plebaglia. Un altro difetto formale di
quest'opera la spro- porzione negli
articoli. Trattandosi di un dizionario di collaborazione, non sarebbe giusto
dar peso ad un in- conveniente inevitabile e nel quale incorrono tutti i la-
vori compilati allo stesso modo, dal Dizionario del Franck alle maggiori
Enciclopedie; ma qui la cosa tanto
grave, e cos evidente il prevalere delle informa- zioni anatomiche,
fisiologiche e patologiche sulle filo- sofiche, che non potrebbe passarsi sotto
silenzio, perch non solo ne scapita l economia dell insieme ma ne resta anche
alterato il carattere fondamentale dellopera. Bastino alcuni rilievi
comparativi: alla psicologia della memoria
dedicata una colonna e mezza, alle anomalie della memoria quattro e alle
esperienze sulla memoria due; la psicologia del linguaggio esposta in quattro colonne, mentre le
anomalie del linguaggio si estendono per ben diciannove colonne con quattro
figure, con ab- bondante letteratura, con larghe informazioni etiologi- che e
diagnostiche e una minuta descrizione delle di- slogie, disfasie, dislalie,
afasie motrici, corticali, sub- corticali, transcorticali, uditive, visive,
funzionali, ecc.; e tuttoci senza tener conto che in altre parti del dizionario
sono descritte con uguale ricchezza di dati tecnici l’alogia, la catafasia, l’ecolalia,
l’afonia, l’animia, l’anartria, la cecit verbale, l’agrafia, 1’asemia, il mutismo,
ecc. Alla sostanza vivente – “living matter” -- sono dedicate tredici colonne,
da sommarsi insieme alle molte altre largite a vita, origine della vita,
scienze biologiche, organismo, eredit, rigenerazione, preformazione, epigenesi,
partenogenesi, metagenesi, metabolismo, ecc.;
42 invece la logica deve
accontentarsi di cinque, la metafisica di una e mezzo, la pedagogia di mezza.
Alla filosofia sono concesse dodici colonne. Ma che cosa sono esse di fronte
alle settantadue dedicate alla visione? E si potrebbe continuare per questa
via, giacch tutto il dizionario impostato su tali squilibri. Ma non vorrei si
credesse che con ci io pretendo di misurare a spanne il valore degli articoli.
Mi sono esteso in codesto raffronto quantitativo, perch lo spazio esuberante
concesso ai problemi scientifici a tutto
detrimento di quello che dove dedicarsi ai filosofici, i quali spesso ricevono
una trattazione inadeguata. Le localizzazioni cerebrali occupano nove colonne,
la virt una e mezzo; e mentre sulle prime abbondano le notizie, riguardanti sia
la storia, sia la determinazione delle zone funzionali della corteccia, sulla
seconda, dopo una breve e troppo generica definizione – “excellence of
character, disposition, and habit of life, with reference to generally accepted
moral standards” -- , non troviamo che un po di storia delle dottrine di
Socrate, Platone e Aristotele, e la classificazione medievale delle virt
teologali; per quanto riguarda la filosofia moderna e contemporaneo solo un
fugace accenno alla dottrina di Butler, ma nulla n della concezione spinosiana,
n di quelle del sentimentalismo e dell utilitarismo inglese, del materialismo
francese, del volontarismo fichtiano e schopenhaueriano, dell evoluzionismo
spenceriano, n infine delle dottrine di Sidgwick, di Bain, di Paulsen, ecc.;
senza tener conto che, anche per ci che riguarda l antichit, meritavano pure un
cenno la concezione buddistica, la pitagorica, l’epicurea, la plotiniana ecc.
Alle illusioni ottiche sono concesse otto colonne e quarantadue figure, come
non bastassero le settantadue colonne e venti figure occupate dalla visione. Al
liberalismo poche righe, nelle quali sono registrate queste due accezioni del
vocabolo: “the personal disposition to free and untrammelled thought and action”;
“the social sentiment wel- comes reforming and progressive opinion and action.”
Ma questi non sono che i significati pi comuni, mentre il liberalismo ne ha
altri di pi importanti, anzitutto come dottrina economica, poi come dottrina
filosofico-politica, come dottrina giuridica e come dottrina religiosa -- in
proposito una serie di articoli pubblicati da Bougl sulla Revue de mtaphysique
et ide morale. Le lodi tributate al dizionario di Baldwin pell’esattezza delle
sue informazioni, appaiono veramente meritate. Data la materia vasta e infida,
era ben diffi- cile raggiungere una correzione maggiore. Ma ci non esclude,
naturalmente, che errori e inesattezze non pos- sano trovarsi anche in esso. Il
corrispondente italiano non sempre
determinato in modo felice: a parte qualche errore di stampa molto evidente,
come ad es. risporsabilit, non mi sembra che all inglese socialisation,
definito l adattamento degli individui tra di loro e alla vita sociale , corrisponda
lespressione italiana svi- luppo della socialit ; che il sense discrimination
(ted. Un- terschiedsempfindlickeit) si debba tradurre con sensibilit di
differenza, mentre da noi pure in uso
discriminazione o sensibilit di discriminazione ; che al termine inglese
sensualism corrisponda l'italiano sensualismo, il quale, pi che una dottrina
gnoseologica, denota per noi una concezione grossolana della vita, nella quale
tutto su- , bordinato al piacere
materiale, ed sinonimo di epicu- reismo
pratico. Il paralogismo definito : un ragiona- mento, specialmente un
ragionamento sillogistico, che
logicamente falso e inganna lo stesso ragionatore ; detinizione
difettosa, sia perch non determina le dif- ferenze del paralogismo dal sofisma,
sia perch non ricorda luso, legato ormai indissolubilmente alla storia del
vocabolo, fattone da Kant nella Dialettica trascen- dentale. Nellarticolo sull
inconoscibile si afferma che le teorie di Kant, Spencer e Hartmann differiscono
da quelle degli agnostici e dei positivisti in quanto laffer-. mazione della
realt assoluta come inconoscibile una
parte integrante del sistema, mentre nell agnosticismo cosa affatto indifferente se esista o non
tale realt super-fenomenica ; la distinzione
inesatta, come di- mostriamo a lungo in altra parte di questo libro,
ed smentita dalluso universale, che
applica la designazione di agnosticismo proprio alla dottrina kantiana del nou-
meno e a quella spenceriana dell inconoscibile (1). Nel- l articolo sul
sillogismo si recano questi due schemi: 1) No a is d 2) Everything is either 4
or c No c is db Everything is either d or c No a is c Everything is either a or
b; (1) Il Goblot fa invece una distinzione opposta a quella del Baldwin: Toute doctrine qui fait jouer un rle lInconnaisa- ble est un Agnosticisme. Toutefois laveu que notre
connaissance est limitte, que nous ne savons pas tout, et ne saurons jamais
tout, nest pas de lagnosticisme. Les agnostiques font appel l In- connaissable pour expliquer la nature;
ils lintroduisent dans la science; l univers est pour eux la manifestation d
une puissance, que nous ne pouvons pas connaitre, et dont pourtant nous avons
+1 ee besoin pour en rendre compte . Questa distinzione anche con-
fermata dall uso, tr Dici mi i i ne Sn i E in entrambi questi schemi il termine
maggiore fa da soggetto nella conclusione e il termine minore da pre- dicato,
mentre per regola logica assoluta dovrebbe es- sere precisamente l inverso. Si
potrebbe osservare che n luno n laltro sono veri e propri sillogismi, in quanto
ne violano le leggi fondamentali; ma ci non esclude che anche in questi, come
negli altri schemi, i due termini debbano avere il posto gi fissato dalla
logica aristotelica. Il sorite definito una catena di sillogismi, nella quale la
conclusione di ciascuno forma una premessa al successivo ; definizione
sbagliata, per- ch confonde il sorite col polisillogismo ; il sorite non una catena di sillogismi, ma di giudiz, non
ha pi conclusioni, ma una sola rappresentata dall ultimo giu- dizio, e non
differisce dal sillogismo comune che in quanto possiede pi termini medi, i
quali sidentificano successivamente. Un ultima osservazione. Sotto il vocabolo
termi- nology sono raggruppati molto opportunamente i termini tedeschi, inglesi
e francesi che hanno un uso partico- lare in queste lingue. Perch mancano i
termini italiani? Lomissione appare a tutta prima ingiustificata, sia per- ch
la nostra lingua filosofica, se non pu competere per ricchezza e individualit
con la tedesca, ha per buon numero di termini affatto propri o duso partico-
lare, specie nelle scienze biologiche e nella psicopato- logia, sia perch ad
ogni articolo il dizionario reca il corrispondente italiano insieme al tedesco
e al francese. Ma il motivo dell omissione
forse da ricercare in una avvertenza, premessa alla: sezione della
terminologia francese, e che io riporto tal quale perch merita dav- vero d
essere largamente conosciuta fra noi:
The 46 difficulty of acquainting oneself with French
and ITALIAN USAGE is enormously enhacend by the lack of indexes in the books. It is their own fault if
authors in these language continue to handicap the use and appreciation of
their books as works of reference, and even for topical reading, by this
extraordinary limitation. That they continue to make this omission - or to
allow their publishers to make - is unaccountable to the worker in England or
German. Il monito assai severo, ma non si pu negare sia giusto.
Speriamo non vada perduto. Alquanto diversi sono i limiti e il metodo dei di-
zionar che hanno un intento critico. Proponendosi di discutere i vocaboli
filosofici nella loro propriet e nel loro valore, debbono escludere tutti quei
termini che non fanno parte della lingua filosofica propriamente detta, e che
in essa non sono consacrati dalluso; debbono enumerare i significati
fondamentali attribuiti ad ogni vocabolo, indicando quali di essi siano i pi
ac- cettati o i pi accettabili; debbono escludere dagli ar- ticoli ogni notizia
che abbia carattere enciclopedico o di volgarizzazione, limitandosi alle
definizioni e al loro esame ; la ricerca della chiarezza, essenziale nei dizio-
nar didattici, deve qui essere sostituita dal rigore tec- nico dell
espressione; infine, di ogni vocabolo deve essere indicata lorigine etimologica
nonch le espressioni corrispondenti nelle lingue pi importanti (italiano, in-
glese, francese, tedesco). _ Con ci io ho sinteticamente indicati i criter ai
quali s ispira un opera iniziatasi recentemente in Fran- cia, opera degna del
pi incondizionato consenso e del pi largo aiuto : intendo parlare del
Vocabulaire techni- que et critique de la philosophie che vien puBblicandosi
sotto gli auspici della Societ francese di filosofia (Colin ed.); giunto finora
al quattordicesimo fascicolo, che e- saurisce la lettera m, conster, ad impresa
compiuta, di una trentina di fascicoli. Alla sua compilazione con- corrono
largamente i dotti di tutti i paesi. Infatti, dopo che l'apposita commissione
del vocabolario, di cui anima e centro
Andrea Lalande, ha composta e di- scussa la primitiva redazione degli articoli
di una de- terminata lettera, questi sono stampati su una sola co- lonna in
fascicolo provvisorio e spediti per esame ai membri della Societ stessa e ai
corrispondenti stranie- ri, i quali vi appongono le loro osservazioni. I fasci-
- coli ritornano quindi, cosi corretti ed annotati, alla commissione, la quale
ritiene come definitivi i punti sui quali s'
manifestato | accordo o non sorta
di- scussione, e sottomette gli altri al supremo giudizio della Societ
filosofica : le osservazioni trovate giuste vengono senz'altro inserite nel
testo stesso, quelle sulle quali non s
potuto raggiungere l'accordo, o che ad ogni modo sono giudicate
meritevoli di essere conser- vate, sono impresse a' pi di pagina a guisa di
com- mento. Quanto alle grandi divisioni adottate per la clas- sificazione dei
termini filosofici, esse sono quattro : psi- cologia, sociologia, scienze
normative, filosofia generale (ossia la filosofia propriamente detta, la
sintesi suprema delle conoscenze umane). Delle due prime, che ten- 48
dono ogni giorno pi alla loro completa autonomia, sono registrati
soltanto quei termini che si riferiscono alle questioni filosofiche,
tralasciandosi tutti quelli che concernono i problemi speciali delle scienze
stesse. Le scienze normative comprendono la logica, letica e le- stetica, cio:
quelle scienze il cui oggetto costituito
da giudiz apprezzativi o di valore, e che hanno quindi per scopo di determinare
le condizioni e i caratteri co- muni di questi giudizi. Le definizioni storiche
sono quasi totalmente soppresse, ritenendosi soltanto quelle che sono
necessarie all'intelligenza delle significazioni attuali o corrispondono a
vocaboli usati senza spiega- zione da scrittori contemporanei. Ogni articolo se- guito quasi sempre da una radice internazionale,
per lo pi neo-greca o neo-latina, che potrebbe formare dei vocaboli in una
lingua ausiliare internazionale ; que- sta
una felice innovazione, anche rispetto al dizionario del Baldwin, e
prova come sia intensa e diffusa L'aspi- razione ad una lingua scientifica
internazionale. Ed ora riportiamo
integralmente, traducendolo, lar- ticolo che corrisponde al vocabolo
condizione, che varr, meglio d ogni discorso, a dare un idea abbastanza esatta
della costruzione e del valore del dizionario che stiamo esaminando 1. Condition (Latino scolastico Con- ditto;
Tedesco, nel senso A. Voraussetzung ; nel senso B e C Bedingung ; Inglese
Condition; Italiano Condizione) A
Logica. Asserzione dalla quale unaltra dipende, in modo che se la prima falsa,
falsa anche la seconda. Vedi Causa B e Condizionale. Si dice anche
Condizione necessaria, o conditio sine qua non (Zabarella in Goclenius). L’espressione
qui sopra definita una abbreviazione di
queste formule. = B. Nel senso reale : circostanza in assenza della quale un
fatto non pu aver luogo. = C. In particolare: il tempo e lo spazio sono detti
da Kant condizioni della esperienza Bedingungen aller Erfabrung. Tempus non est objectivum sed subjectiva
conditio per naturam mentis humanae necessaria quaelibet sensibilia certa lege
sibi coordinandi, ecc., III, 14, S s. = D. Nella lingua delle matematiche, le
condizioni d’un problema sono tutto ci che particolarizza una soluzione
generale. Tutte le volte che si impiega il vocabolo condizione, si. suppone
adunque che, il problema rimanendo il medesimo nella sua essenza, si potrebbero
restringerne le soluzioni me- diante altre proposizioni limitative. Una
condizione detta necessaria, in rapporto
ad una soluzione determi- nata, se ne
una conseguenza logica, cio se non pu essere sostituita da alcun altra
ipotesi, questa soluzione rimanendo la stessa:
detta sufficiente se trae seco ne- cessariamente tale soluzione, e dessa
soltanto . Questo , a cos dire, il corpo dell articolo; ad esso segue, in
caratteri pi minuti e staccata, la Critica.
Il vocabolo condizione, nel suo senso filosofico ge- nerale B, si oppone
ordinariamente al vocabolo causa. Questa opposizione non rappresenta per nulla
una di- stinzione di fatto, ma una distinzione di punto di vista. Cos, per
esempio, nella caduta di un oggetto che si rompe, si chiamer causa ad libitum,
e secondo l inte- resse pratico dominante, sia il peso, sia il fatto che questo
oggetto in gesso e non in bronzo, sia la
gof- faggine di colui che lha rovesciato, sia la posizione anormale che
occupava, ecc. Si vede infatti che, se- condo il punto di vista adottato,
questa o quella cir- costanza differente sar messa in causa ; e gli altri fe- 4
nomeni che hanno concorso alleffetto totale saranno allora delle condizioni Mill,
Logica. Non vi dunque nulla di
esplicativo nella distinzione delle condizioni dalle cause. il giu- dizio valutativo {concernente
limportanza delle cose o la responsabilit delle persone) che determina attual-
mente limpiego dell una o dellaltra parola nell uso corrente Radice internazionale : Kondici . .
Tralasciando ora l articolo successivo, nel quale la condizione riguardata come maniera dessere duna cosa o d
una persona (Zustand dei tedeschi) vediamo le note a pi di pagina dellarticolo
riportato. Al senso A e B il Lachelier osserva:
Rimarcare luso estesis- simo che Kant ha fatto di questo vocabolo nella
discus- sione delle antinomie.
condizione il termine dal quale. lo spirito passa ad un altro in una
sintesi progressiva, o al quale esso rimonta partendo da un altro in una sin-
tesi regressiva . Al senso D fatto
questo commento : Questo passaggio dell
articolo fu modificato per ri- spondere alle obbiezioni di H. Bouasse. La parte
del testo che tra virgolette estratta dalla sua lettera. da notare che il prof. Peano d alla parola
italiana condizione un senso pi esteso : condizione = propo- sizione contenente
variabili. Cos sia 4 una classe, la proposizione x un a
una condizione in x. Dizio- nario di matematica, p. 7. Alla critica il
Lachelier fa seguire questo commento: Sembra che nell uso si chiamino
condizioni specialmente certe circostanze generalissime, che concorrono
piuttosto passivamente che attivamente alla produzione di un fenomeno, o la cui
azione, ad ogni modo, considerata come
secon- daria (come un dato tempo, un dato luogo, tempera- $I = tura, pressione atmosferica). Un
fenomeno prodotto da cause sotto
condizioni . Tutto quello, adunque, che pu giovare a stabilire il valore
attuale del termine, a fissarne i significati fon- damentali, a chiarirne il
concetto ripulendolo dalle con- traddizioni, in modo da favorire il suo
sviluppo nel senso di una sempre maggiore precisione e universalit, tutto ci chiamato a far parte degli articoli. Ne ri-
sultano cos, specialmente per i termini pi importanti come assoluto, anima,
coscienza, determinismo, Dio, filoso- fia, ecc., delle vere e proprie
monografie, che, senza per- dere il loro rigore scientifico, ed esaurendo
completa- mente largomento, hanno tutta la vivacit e la sveltezza delle
discussioni orali. Notiamo subito che, dopo questa recentissima con- danna
papale, non pi permesso di credere, col
Brun- schvicg, che i filosofi moderni i quali usano la parola fideismo possano
ignorare le dottrine in esso colpite, e i loro autori, e le querele teologiche
cui ha dato luogo. . Linteresse per i problemi religiosi divenuto oggi cos vivo, e il giornalismo un
mezzo cos potente d infor- mazione, che non pure ai filosofi, ma ad ogni persona
mediocremente colta non pu passare inosservato un cos grave dissidio nel seno
del cattolicismo. Tuttavia mores ad recti honestique normam exigantur.....
Meminerint Deum esse sapientiae ducem emendatoremque sapientium, ac fieri non
posse, ut sine Deo Deum discamus, qui per Verbum docet homines scire Deum .
Denziger, Enchiridion simbolarum definitionum et declara- tionum de rebus fidei
et morum, Friburgo; per la Singulari nos cfr. ibid. p. 430. Denziger, p.
558. 224
si pu domandare: una condanna, venga essa dal capo della Chiesa
cattolica, dun partito politico, d una setta filosofica, duna scuola letteraria
o ancora dall opinione comune, una condanna
essa motivo sufficiente per sconsigliare l uso dun termine, specie se a
questo ter- mine si dia un significato diverso o pi largo, com il caso del fideismo? | Questa, come
vedemmo, lopinione del Lache- lier e del
Blondel. Ma un opinione inaccettabile.
Se il senso peggiorativo, che pu esser annesso ad un ter- mine, fosse motivo
sufficiente per escluderlo dall uso, si dovrebbero bandire una dopo l altra
tutte le deno- minazioni di dottrine, scuole, indirizzi e sistemi filoso- fici;
perch a ciascuna, prima o poi, da pochi o da molti, cpita di esser accolta
malvolentieri o applicata con intenzione malevola. Il carattere peggiorativo
dun termine non mai assoluto. Solo
pochissimi, iscritti da tempo sul lbro nero delle filosofie officiali, corrono
cir- condati universalmente da una triste aureola, per la quale vengono
palleggiati quasi come insulti: epicureismo, ateismo, nibilismo, illusionismo,
sincretismo, edonismo, ca- sualismo, materialismo, scetticismo, pirronismo,
egocentrismo; ma anche di questi si pu dire che, se per i pi sono una taccia,
per parecchi costituiscono un vanto. In tutte le altre denominazioni del
vocabolario filosofico il carat- tere peggiorativo , pi che relativo,
soggettivo e perso- nale come lapprezzamento delle dottrine denominate. Nessuno
ignora quale senso di dispregio i primitivi po- sitivisti, e tra essi il Comte,
annettessero al termine metafisica; e con quali epiteti i metafisici sogliano
ac- compagnare alla lor volta il termine positivismo. Lagno- sticismo, che si
lancia tanto spesso come un accusa e Ti ii
226 si fa quasi sinonimo di
ateismo, il nome col quale una stta
religiosa degli Stati Uniti d America si di- stingue dalle altre cento, che
fioriscono su quel suolo fecondo d ogni mistica bizzaria (1); esso fu costruito
dallHuxley per caratterizzare la propria modestia scien- tifica e opporla al
temerario gmosticismo dei filosofi aprioristi. Lo stesso idealismo, che non si
scompagna quasi mai da unintenzione laudativa, tantoch lo Schopen- hauer ne
faceva tutt uno con la vera filosofia (3), lo | stesso idealismo considerato talvolta come un accu- sa (4).
Insomma mentre i termini con cui designamo le convinzioni nostre e le affini
hanno, ai. nostri occhi, il carattere di vezzeggiativi, quelli che applichiamo
ai si- stemi opposti recano sempre con s, in misura maggiore o minore, un
sentimento dinimicizia e di riprovazione. * * %* Ugualmente inaccettabile ci
sembra l opinione, espressa dal Le Roy, che non possa farsi uso del ter- mine
perch le dottrine cui dovrebbe applicarsi sono tuttora in via di svolgimento.
Con ci si viene ad af- fermare che siano passibili di denominazione solo le
dottrine gi compiute in ogni loro parte, i sistemi Weiller, Le grandes ides d un grand peuple,
Paris, 1902, p. 221 e seg.Cfr. il saggio precedente sull agnosticismo. Demnach
muss die wahre Philosophie jedenfalls ideali- stisch seyn: ja, sie muss es, um
nur redlich zu seyn Die Welt a. W. u. Vorst., ed. Reclam, II, pag. 11.Vedasi
sopra a p. 71. 226 morti ; il che rivela un concetto erroneo
dell ufficio della terminologia. I nomi sotto i quali si classificano le
dottrine, non ne espimono mai gli elementi individuali, passeggeri, bens i
caratteri generici, le note costanti, che permet- tono di raccogliere sotto di
essi tutte le costruzioni ideali, le quali vengono via via partecipando dello
stesso atteggiamento fondamentale. Cos il termine materia- lismo fu adoperato
per la prima volta nel 1674, il ter- mine pantetsmo nel 1705, entrambi con
valore partico- lare (1); ma dopo d'allora vengono applicati, e si ap-
plicheranno nel futuro, il primo a tutte le dottrine che non ammettono altra
sostanza che la materiale, il se- condo a tutte le dottrine che pongono
l'identit so- stanziale di Dio col mondo; e ci qualunque siano i loro caratteri
specifici, i quali si possono determinare volta per volta mediante aggettivi
qualificativi, come di- cendosi materialismo atomistico e panteismo
idealistico. Persino i termini ricavati da nomi di persona, aristote- lismo,
tomismo, kantismo, hegelismo ecc., acquistano, en- trando nell uso, un valore
generale, in quanto espri- mono l'orientamento caratteristico della dottrina
del caposcuola. | A maggior ragione tuttoci pu dirsi del fideismo, il quale
nella larga accezione che ha ormai ricevuto nel- luso comtemporaneo, sta ad
indicare non tanto una dottrina o un gruppo di dottrine, quanto un atteggia-
mento peculiare della coscienza e filosofia religiosa; at- (1) Cfr, Eucken,
Geschichte der philosophische Terminologie, Lip- sia, 1879, p. 94, 173. .
teggiamento che ha, come vedemmo, origini molto lontane nella storia del
pensiero cristiano (non disse forse S. Paolo: omne quiem quod non est fide,
peccatum est!) e che sussister indubbiamente fino a che esiste- ranno sulla
faccia della terra religioni positive e inse- gnamenti extra-razionali da
difendere. L applicare a determinate dottrine codesto vocabolo, non significa
dunque racchiuderle nelle strettoie di una formola, bensi riconoscerle come
momenti di un unica vastissima ispi- razione. E tale riconoscimento possibile anche quando non siano compiute in
ogni loro parte. Come dal seme si pu prevedere la pianta, cos dal punto di
partenza si pu determinare il tipo della dottrina. Mille fattori par- ticolari
imprimeranno poi alla pianta e alla dottrina una forma individuale; ma come la
quercia rester sempre quercia, cos sar sempre fideistica ogni dottrina che
parta dallammettere una fede fiduciale, indipendente dalla ragione e ad essa
superiore, si tratti poi dun fideismo alla Jacobi, alla Tyrrel o alla Le Roy,
assoluto o tem- perato, morale o intuizionista, tradizionalista o imma-
nentista. Ancora sulla terminologia filosofica [ Legge Principio
Ipotesi ] La mancanza assoluta di precisione nel dizionario tecnico
usato dalla filosofia, l assenza di un accordo tra i filosofi, anche dei
diversi paesi e delle diverse scuole, intorno al valore dei vocaboli e delle
espressioni pi in uso, causa
riconosciuta di confusione e di malintesi, che intralciano incessantemente il
cammino delle ricerche. Facilius inter philosophos quam inter boro- logia
conventet, diceva ironicamente Seneca. E infatti, come arrivare a intendersi
sul fondo stesso delle cose, quando non ci si intende ancora sul senso delle
parole che si impiegano ? | | Quante discussioni inconcludenti e interminabili
non si aggirano intorno all accezione vaga e fluttuante di un vocabolo! E
quante critiche non si fondano esclu- sivamente sopra larbitrario significato
attribuito ad una parola, e non avrebbero avuto quindi ragion d essere qualora
di codesta parola si fosse precedentemente fis- sato il valore! Certamente, l
accordo perfetto, la stabilit assoluta nel valore dei termini qualche cosa di irrealizzabile (1). (1) Vedansi
in proposito le dotte considerazioni del Tonnies, Philosophical terminology in
Mind, 1899 pag. 479 segg.; e sulla
indeterminatezza della lingua psicologica. Limite i nni Dei 229
Mutano i concetti, col mutare e col perfezionarsi della nostra
conoscenza del reale, e muta quindi anche il valore dei vocaboli checodesti
concetti esprimono. Non solo, ma l interpretazione medesima della realt varia
inevitabilmente col variare degli interpreti di essa. Sol- tanto certe scienze
possono raggiungere a tal riguardo un grado massimo di precisione. Tali sono le
scienze matematiche, perch, giusta le profonda intuizione del Vico, degli
oggetti ideali di codeste scienze noi stessi siamo gli autori. Gli algoritmi
matematici, una volta che se ne sia stabilito per convenzione il significato,
acquistano un valore universale. Cos dal Lagrange in poi qualunque matematico,
davanti alla formula: y=f (x), sa che essa significa che y una funzione di x, e che quindi considerando
x (variabile indipendente) come tale che possa assumere tutti i valori
possibili,. ad ognuno di questi valori dovr sempre corrispondere un valore
determinato di y. N possibile che egli
abbia alcun dubbio sul significato della parola funzione. Ben diverso il caso nelle scienze della realt. Che cosa,
ad esempio, dobbiamo intendere nelle scienze biologiche con la parola specie, o
meglio ancora con la parola poligenismo? Che le razze umane, come voleva
lAgassiz, sono il prodotto di una volont superiore, operante in virt di un
piano prestabilito, e sorsero in otto punti o centri differenti del globo, i
quali si di- stinguono sia per la loro fauna che per la loro flora? oppure che
1 tipi umani, si chiamino generi o speci, derivano da pi antenati antropoidi,
pitecoidi ecc., come sembrano provare i risultati pi recenti i della
linguistica e dell antropologia ? I Se poi ci accostiamo alle scienze morali e
filosofiche, la confusione, data la complessit e 1 estensione degl’oggetti
loro, ancora piu grande. Qui lo stesso
termine pu avere non due, ina dieci significati, e tutti diversi; n raro il caso di termini, come materia e
forma, soggetto, oggetto, reale, ideale, energia, entit, libert, responsabilit,
essenza ecc., che nei vari tempi e sistemi assumono significazioni addirittura
opposte. Alcuni anni or sono Lalande, lanciava nella Revue de Mthaphisique et
de Morale la proposta di nominare una commissione internazionale di filosofi,
cui fosse affidato l’incarico di fissare stabilmente il valore dei termini
filosofici fondamentali. Ignoro se la sua proposta sia stata accettata, e se,
in tal caso, abbia avuto un esito favorevole. Ci che me ne fa dubitare
fortemente si l indirizzo speciale, l’intonazione
che a codesto lavoro si voleva dare, intonazione che si rivela chiaramente dal
fatto che uno dei termini additati da Lalande come esempio della necessit di
accordare su di esso tutti i filosofi di tutte le scuole e di tutti i paesi, è
quello di percezione. Ora, per ‘percezione’ si pu intendere sia la facoltà di
percepire, sia il risultato di quest atto. Si pu, con Cartesio, opporla alla
volizione, per designare qualsiasi fenomeno intellettuale. Si pu, con Leibnitz
apporla all appetizione e all appercezione, per designare qualsiasi
modificazione della monade. Si pu, con Maine [Questo saggio è scritto prima
dell’altro La terminologta e i vocabolari filosofici. Come ivi si pu vedere, il
modo con cui Lalande ha poi tradotta in pratica la sua idea, fuga tutti i miei
dubbi, e io sono felice di poterlo dichiarare, | de Biran, considerarla una
semplice sensazione accompagnata dall attenzione. Si pu, con la scuola
scozzese, definirla come la sensazione accompagnata dal giudizio d’esteriorit.
Si pu, con l’ARDIGÒ (vedasi) e con Taine, apporla alla sensazione pura, in
quanto questa la semplice osservazione,
la percezione invece l’esperimento. Si
pu, con Sergi, considerarla come il prodotto di un onda nervea di ritorno. | i
Orbene, a quali di codesti significati si dovrebbe dare la preferenza, cosicch
fosse poi universalmente accettato come unico e legittimo? E in base a quali
criteri dovrebbe essere considerato come legittimo? E la legittimit di codesto
criterio con quali altri argomenti si avrebbe a dimostrare? chiaro adunque che una simile impresa sarebbe
tanto disperata ed assurda quanto quella di conciliare tra loro tutti i sistemi
filosofici e i filosofi che li rappresentano. Nella storia della filosofia non
mancano, vero, esempi di tentativi in codesto senso. Ma essi hanno sempre
naufragato contro l’uno. o l’altro dei due scogli pericolosi che si innalzano
contro simili imprese: il dogmatismo da una parte e il sincretismo dall altra.
Anzich pretendere di conciliare l’inconciliabile, a me pare assai miglior
consiglio raccogliere in appositi dizionari -- quali la Francia, la Germania e
l Inghilterra possiedono d’ottimi il maggior
numero possibile di termini tecnici, esponendo di ciascuno sia i diversi
significati attualmente in uso, sia quelli che il termine stesso venuto
assumento attraverso l evoluzione del pensiero. Un lavoro simile, riguardante
specialmente Je trasforma- Un accordo completo sarebbe invece possibile e
desiderabilissimo in quella parte della terminologia filosofica, che esprime
quelle operazioni mentali, quelle astrazioni d’oggetti ideali di cui noi
stessi, come pelle operazioni matematiche e i simboli che le esprimono, siamo
gli autori. Qui, nei termini logici e metodologici, non pu esser luogo a
disparit d’interpretazione e di vedute. Il disaccordo potr nascere intorno alla
importanza, alla estensione, al grado d applicabilit maggiore o minore del
metodo designato o dell astrazione, ma non intorno alla determinazione sua. Una
volta che per convenzione si sia stabilito, ad esempio, di chiamare induzione
quel procedimento logico per cui dai fatti parti- colari si ascende ad una
legge che li abbraccia e li spiega, e che prima s’ignora: deduzione il
procedimento inverso; criterio della verit il segno, la norma per cui la verit
si riconosce e si distingue, [non dovrebbe pi esservi alcuna incertezza, alcuna
oscillazione nel significato di queste parole, per quanto possano poi variare i
giudizi sopra la portata dei due metodi e sopra la natura del criterio. Eppure,
le cose non vanno cos. Sia per la preoccupazione di difendere convincimenti cui
non si vuole a nessun costo rinunciare, sia per la smania di estendere la
critica anche oltre i confini del giusto, sia semplicemente per l'ignoranza del
significato preciso dei vocaboli, anche questa parte della terminologia
filosofica wanca della necessaria precisione, e le parole sono spesso zioni
della terminologia filosofica tedesca, fu compiuto da Eucken nel saggio gi
citato. stiracchiate da un lato e dall altro ad assumere significati
illegittimi, erronei, non conformi all’uso. Lo provi il seguente esempio.* %
Una delle critiche con la quale pi comunemente si combattono i sistemi di
filosofia, fondati sopra l’evoluzione, che
essi, partendo non da principj e leggi scientifiche inconcusse, ma da una
semplice ipotesi ancora indimostrata o addirittura indimostrabile, mancano di
qualsiasi fondamento reale, poggiano nel vuoto, sono edifici basati sulla
sabbia e destinati a crollare al primo soffio di vento. In generale i
positivisti seguaci dell’evoluzionismo
dice Gruber, rivolgendosi particolarmente ai POSITIVISTI ITALIANI provano
all’evidenza quanto siano funeste le conseguenze che derivano dall’avventurosa
impresa di costruire sistemi di filosofia, cos detta scientifica, su ipotesi
scientifiche non per anco dimostrate e provate coll esperienza e che giusta la
convinzioni di alcuni fra i pi illustri naturalisti-evoluzionisti, non saranno
mai scientificamente dimostrabili. Il loro metodo di sviluppare l evoluzione
porta l’impronta dell arbitrario, del vago, del fantastico. Si fonda su vane
congetture e si risolve in un vuoto verbalismo nel quale domina la petitio
principii, cio suppone, ci che dovrebbe essere provato. Gruber: Il positivismo
dalla morte di A. Comie fino ai nostri giorni (trad. t.). Cfr. anche lart. di
A. Quatrefrages in Revue scientifique.
G. Hertling.: Ueber die Grenzen des mechanischem Naturerklrung, Innanzi tutto, codesto ragionamento racchiude
un equivoco solenne: che di contrappore
la legge e il principio all’ipotesi, quasicch si escludano a vicenda. Invece
non v’ha ipotesi generale che non sia ad un | tempo e sotto un riguardo legge e
principio, e non v ha, si pu dire, principio e legge scientifica che non siano
subordinati o entrino come parte di una ipotesi generale. Per la scienza
moderna la legge naturale non che il
fatto stesso considerato nella sua astrattezza, in quanto, data una certa
situazione generale, si ripete; vale a dire, in altre parole, che la legge la concordanza dei fatti in una medesima
condizione. Ci fu chi ebbe a definirla come il rapporto necessario esistente
fra ogni fenomeno e le condizioni nelle quali esso apparisce; per altri significa
linvariabilit nell’evoluzione e molteplicit. dei fenomeni; altri ancora la
considera come la somiglianza dei fatti, ecc. ecc. Ma, come appare subito, si
tratta dun solo e medesimo concetto espresso variamente: che cio la legge il fatto stesso portato alla sua massima
potenza di generalit. Quanto al principio, la sua designazione ancora pi precisa e costante che quella di
legge. Nell’ordine logico per “principio” – H. P. Grice, principle of conversational
helpfulness -- si intende sempre una proposizione pi o meno generale, dalla
quale si ricavano altre proposizioni particolari, cio a dire delle conseguenze.
Quanto all'ipotesi, vedremo pi innanzi. Pigliamo ora una delle grandi ipotesi,
che costituiscono il fondamento della concezione moderna della 1865 ; Jakob:
Der Mensch, die Krone der @rdischen Schpfung; P. Fambri, in Atti del R.
Istituto veneto di scienze lettere ed arti , Venezia; ecc, n 7 rt ca natura :
la conservazione della energia. Secondo questa ipotesi, in tutti i fenomeni la
somma delle forze vive o delle energie potenziali costante. Orbene, essa pu anche essere
formulata come una “legge” e come un “principio”. Ha valore di “legge,” perch
un gran numero. di esperienze sopra un gran numero di fenomeni, hanno
dimostrato costantemente che la quantit di forza, che sparisce sotto una data
forma, trova il suo equivalente esatto sotto altra forma, di modo che potr
essere di nuovo restituita la stessa quantit della stessa specie di energia.
Cos, le equivalenze riscontrate tra il calore e il movimento meccanico, tra il
movimento meccanico e l'elettricit, tra l elettricit e la luce ecc., hanno il
valore di vere e proprie leggi naturali, che si esprimono con matematica
precisione {p. es.: 1 ca. 424 kgm.). Ha
poi il valore d’un “principio”, perch, date appunto le ripetute e non mai
contraddette prove sperimentali, esso ci obbliga a cercare degl’equivalenti ad
ogni quantit di energia che sembra nascere e sparire. Cos, per servirmi del
famoso esempio di Mayer, noi sappiamo con la pi assoluta certezza che la quan-
tit di forza spesa quattromila anni or sono dagli operai dei Faraoni per
innalzare la pietra che trovasi alla som- mit della piramide di Chephrem, ancora ritenuta virtualmente nella pietra
stessa, cosicch ci potr essere restituita quandosivoglia e sotto qualsiasi
forma, ma sempre, e non ne dubitiamo, nella stessa misura. E quando, alcuni
anni or sono, Becquerel constat che alcune schegge del nuovo metallo Uran,
chiuse in una cassetta di piombo, emettevano continuamente luce ed energia
elettrica senza mutare, almeno in apparenza, n nella loro composisione chimica
n nel loro peso, il 236 grande sforzo e la grande preoccupazione
degli scien- ziati fu appunto di scoprire gli equivalenti della energia
elettrica e luminosa che andava pruducendosi. E la ft- siologia moderna rigetta
il vitalismo, appunto perch. contraddice palesemente a codesto principio; in base
al quale ogni fisiologo va ricercando gli equivalenti fisici. e chimici di
tutto ci che si produce o spatisce nel- l organismo. E, sempre come conseguenze
di codesto principio, la psicologia scientifica respinge lo spiritua- lismo
dualistico (1), la cosmologia dimostra la erroneit della dottrina della
creazione, la fisica di quella dei fluidi, e cos via via seguitando. | Ha
infine carattere ipotetico per due ragioni fon- damentali, inerenti antrambe
alle condizioni naturali della nostra esperienza. La conservazione dell energia
non sarebbe appli- cabile, in senso rigoroso, che ai sistemi chiusi o con- Lotze,
nella meravigliosa acutezza del suo ingegno, aveva s ben compreso tutta la
portata del principio della conservazione della energia, che cerc di accordare
con esso il suo monismo spiritualistico.
noto per che per raggiungere il suo intento egli dovette dare al
principio stesso un estensione illegittima, modificandolo nel senso che dei
movimenti spaziali possono essere assorbiti per la loro trasformazione in stati
intensivi del reale. Egli, infatti, partiva dal concetto che se la
conservazione della forza implica un certo equivalente dell energia soppressa,
non determina per nulla la specie di codesta energia, ed quindi ap- plicabile alle trasformazioni
denergia psichica in fisica e viceversa. Ma se ci pu essere ammissibile dal
punto di vista metafisico, nel quale egli s era posto, non pu esserlo ugualmente
dal punto di vista dell'esperienza ; la quale non ci d equivalenti di natura
psi- chica e non pu quindi fornirci una misura comune all energia fisica e alla
spirituale, servativi, perch soltanto in essi si potrebbe constatare il
persistere della stessa quantit di forza; infatti, nei sistemi in relazione con
altri sistemi, avviene sempre uno scambio di energia, che, perduta dagli
uni, acqui- stata dagli altri. Ora la
nostra esperienza non ci offre n potr mai offrirci delle totalit assolutamente
chiuse ed isolate; quindi sotto questo rispetto, la conservazione dell energia
rimarr sempre una ipotesi. Ma una ipotesi plausibilissima, e tale che pu
servire di sicuro fonda- mento ad una concezione generale dell universo.
Infatti, l esperienza ci mostra da un lato che quanto pi noi riusciamo a
chiudere ed isolare un sistema tanto pi la sua energia continua a sussistere ;
e d'altro canto la riflessione ci persuade che il supporre un sistema per-
fettamente chiuso, non , in fondo, essenziale alla teoria; perch, prendendo un
qualsiasi gruppo di forze e con- siderandolo come un sistema, in un tempo
assegnato avranno luogo tra esse .e tra alcune di esse ed altre considerate
come estranee al sistema, degli scambi, pure determinati, cosicch alla fine del
tempo assegnato le condizioni del sistema. saranno una conseguenza ne- cessaria
e rigorosa delle condizioni del sistema stesso al principio di quel tempo,
purch si tenga calcolo sia degli scambi interni di energia sia di quelli con l
ester- no. Ci non che una conferma di
quanto dicevamo pi sopra circa il valore di legge della dottrina in di- SCOrso.
In secondo luogo, per essere una esplicazione ge- . nerale dei fenomeni
naturali (intesi in senso stretto, soltanto, cio, della natura esteriore) essa
dovrebbe aver prima avuto una conferma sperimentale in tutte le forze della
natura; ma siccome noi non conosciamo ancora SEE, 238 Re il contenuto totale
della natura, e non lo conosceremo mai, per quanto possa estendersi la sfera
delle nostre conoscenze, cos essa non potr mai essere confermata che
approssimativamente dalla esperienza, e quindi avr sempre un valore ipotetico.
Per, anche in questo caso si pu osservare, che se tutto ci vale per la costanza
della forza, vale del pari per tutte le leggi naturali (1); e che quindi se per
esse conta pure qualche cosa l as- sioma delluniformit della natura,
altrettanto dovr con- tare per l ipotesi della conservazione dell energia. * *
%* Quanto siam venuti fino ad ora dicendo,
appli- cabile non solamente alla dottrina della conservazione della
energia, ma anche a tutte le altre dottrine che costituiscono le basi su cui
poggia l organismo scien- tifico moderno: quella della natura meccanica dei
feno- meni, della trasformazione dei movimenti, dell unit della materia,
dellinerzia, che ne costituisce il centro (1) Esclusi i casi, pi teorici che
reali, in cui la legge, ossia la conclusione della induzione, riguardi le
propriet riscontrate negli esemplari di un unica specie. (2) Che l'inerzia sia
una legge, e, come dice il Laplace la legge pi naturale e pi semplice che si
possa imaginare pro- vato
dallosservazione di ogni momento: ognuno ammette senza sforzo che un corpo in
riposo non si pone in movimento da solo, e che la durata del movimento dun
corpo aumenta in proporzione col diminuire dellattrito e delle altre resistenze
passive che possono arrestarlo. Che sia un principio, lo prova lessere essa il
presup- posto, l idea direttrice d ogni scienza. Che sia una ipotesi, e asso-
lutamente indimostrabile, risulta da ci, che nessuna esperienza pos- sibile ci
mostra la continuazione indefinita d un movimento, che nessuna causa esterna
viene a modificare. PA 239 comune; e, infine a quella dell evoluzione,
che alle precedenti si ricollega strettamente. La diffusione data alla
dimostrazione dei tre carat- teri di legge, di principio e di ipotesi nella
dottrina della persistenza della forza, ci esonera del fare altret- tanto per
quella dell evoluzione. Lo scopo non era in- fatti di dimostrare la consistenza
maggiore o minore di , una ipotesi determinata, si bene di mettere in chiaro il
valore attribuito comunemente ad alcuni vocaboli filo- sofici. Per rimane
ancora da chiarire il significato pre- ciso, il valore e l uffici dellipotesi
nel procedimento scientifico, per vedere se il prendere a fondamento di una
esplicazione generale delluniverso una dottrina non ancora pienamente
comprovata dalla esperienza, sia ar- bitrario e conduca realmente, come
vogliono il Gruber e gli altri autori gi citati, alla petitio principi. E giac-
ch queste critiche riguardano la dottrina del trasfor- mismo, di essa ci
varremo per la nostra dimostrazione. Da quando, al principio del secolo scorso,
Giovanni Lamarck esponeva nella sua Philosophie zoologique le pro- prie vedute
scientifiche, a venire sino al Roux, al Weis- mann, all Hickel, Ja dottrina
della discendenza o del trasformismo (1) ha subito essa stessa un gran numero
di trasformazioni, che l hanno sempre trattenuta nel Per rispetto alla
terminologia, non si dovrebbe mai confondere il trasformismo, che indica in
generale ogni dottrina sullo sviluppo lento e graduale degli esseri animali e
vegetali, col darwi- nismo che la stessa
dottrina quale fu intesa ed esposta dal Dar- win, e coll evoluzionismo che dottrina essenzialmente filosofica ed applica
i princip) del trasformismo biologico a tutti i fenomeni naturali. 240 campo
indeterminato delle ipotesi. Se per Giovanni Lamarck la graduale trasformazione
della specie de- terminata
essenzialmente dall uso e dal non uso degli organi, per Saint-Hilaire essa dovuta piuttosto alle condizioni esterne di
vita e per Carlo Darwin al- l elezione naturale .come conseguenza della lotta
per l esistenza. Mentre Augusto Weismann esagera l effi- cacia della selezione
e nega l ereditariet dei caratteri acquisiti, essendo soltanto il protoplasma
germinale quello che negli organismi pluricellulari d luogo alla continuit
della vita e trasmette ai discendenti i carat- teri dei genitori, laddove il
plasma somatico o perso- nale soggetto
alla morte; per Herbert Spencer invece la selezione naturale, artificiale e
sessuale, affatto in- sufficiente a
spiegare tutti i fenomeni che avvengono negli organismi, e la massima
importanza deve attri- buirsi alla ereditariet dei caratteri acquisiti, agli
effetti dell uso e del disuso degli organi e all influenza del- lambiente. A
rafforzare le vedute dello Spencer, il De- lage restringe ancor pi l efficacia
della elezione natu- rale, atta soltanto, secondo esso, ad eliminare i caratteri
eccessivamente dannosi alla specie, e l Haacke ne nega addirittura l esistenza.
Ma, d'altro canto, le dottrine biomeccaniche di Guglielmo Roux, sorte sui
ruderi del vitalismo, rafforzano e completano le vedute del Dar- win,
stabilendo fra i princip dell'evoluzione la lotta fra le parti dell'organismo e
lazione morfogena degli stimoli funzionali; e le geniali ricerche di Ernesto
Haeckel -- centinuatore del darwinismo classico
sulla genealogia degli esseri organici, tolgono lantica disputa dal
campo astratto e teorico, per portarla in quello dell applica- zione pratica,
mentre poi il suo ardito e, in parte, fantastico monismo ilozoistico la
trasporta dalla sfera scien- tifica a quella pi propriamente filosofica e
metafisica. La disparit di vedute tra i campioni della dottrina della
discendenza non potrebbe essere maggiore. Non vha in essa principio che non sia
stato criticato e posto in dubbio. Non vha affermazione che non trovi chi,
accettando il resto, non le opponga una negazione; . cosicch, facendo il
riassunto totale delle affermazioni e delle negazioni, tutta quanta la dottrina
dovrebbe andare in frantumi. Invece non
cos. Non solo il concetto fonda- mentale della evoluzione uscito intatto dal lungo ci- mento, tanto da
abbattere in modo definitivo la dottrina dei cataclismi universali e il
concetto di Linneo che tante sono le specie quante fino da principio ne cre
l'Ente supremo ; ma si pu dire anche che la storia non registri alcun altra
ipotesi che abbia portato in ogni campo dello scibile tanto ossigeno
vivificatore, un alito cos potente di rinnovamento, come lipotesi della evolu-
zione. Essa divenuta la base delle
scienze naturali, bio- logiche, psicologiche e sociali, nelle quali non v' ha,
si pu dire, scoperta, che ad essa non sia dovuta, e che non ne sia, al tempo
stesso, una nuova conferma. In questo rapporto di reciprocanza, per cui viene
di- mostrato quello stesso che si
presupposto vero per pro- vare, esiste dunque la petizione di principio
? Per am- metterlo, bisogna o sconvolgere il significato che al so- fisma del t
v doyij Aaufidvey si sempre attribuito,
cominciando da Aristotele e venendo fino alla Logica di Porto Reale e ai nostri
giorni; o negare addirittura T uso di qualsiasi ipotesi nella scienza, e, come
dicono. i tedeschi, das Aind mit dem Bade ausschiittenz o, infine, 4 242 .
disconoscere il carattere essenziale della ipotesi, ricono- sciutole da tutti i
logici e gli scienziati. Sul significato tradizionale della petizion di
principio, sarebbe un fuor d opera insistere, poich si pu trovare in qualunque
trattatello di logica. Quanto al negare luso della ipo- tesi, questione che esce dal campo terminologito e
quindi ora non ci riguarda; solo curioso
notare come su questo terreno si trovino
daccordo i bigotti del positivismo e i suoi pi decisi avversari. Quanto al
carattere essenziale dellipotesi (1), esso consiste in una anticipazione
sullesperienza, in un rap- presentarsi a prior ci che potr esser dato in sguito
a posteriori; naturale quindi che l
esperienza debba prima pressupporla, per poi, ove sia legittima, confer- marla,
ed supremamente assurdo il sostenere che
in questo accordo tra verit dimostrata e verit supposta O presentita esista una
petizione di principio. In tal caso sarebbero sofismi quasi tutte le pi grandi
scoperte scien- tifiche, ottenute appunto con tale procedimento. E Cri- stoforo
Colombo, giunto in vista dell America, la cui scoperta fu da lui fatta in base
ad una semplice sup- posizione, si sarebbe trovato di fronte non ad una nuova
terra, ma... a un antico sofisma! | Il carattere essenziale dellipotesi appare
ancor me- glio quando se ne consideri, oltrech il meccanismo Naville: La
dfinition de la philosophie, La logique de l Hypothse, passim; Bain: Logique; MASCI
(vedasi): Elementi di filosofia; Fouillte: Lavenir de la mtaphysique, C. II, $
V. VI.; Poincar, La science et lhypothese, passim; CANESTRINI (vedasi): Valore
delle ipotesi nella biologia, nel vol. Per l evoluzioue, ecc. logico, anche
l'origine psicologica. L'ipotesi una
supposizione, una congettura imaginata senza prove 0 con prove insufficienti
per dedurre delle conclusioni che siano in accordo coi fatti. Vi sono dunque
due mo- menti ben distinti in essa, ai quali corrisponde il fun- zionamento di
due diverse attivit psichiche : il primo momento quello formativo, di aggruppamento cio e di
coordinazione dei diversi elementi costitutivi della ipotesi, e tale opera affidata, come bene mostr COLOZZA (vedasi),
alla imaginazione costruttiva. Il secondo momento quello di verificazione, lavoro
essenzialmente critico e valutativo esercitato dalla ragione, e che varia a
seconda che si tratta di una ipotesi sperimentale, ossia supposizione d un
fatto, o duna ipotesi razionale, sup- posizione d una verit astratta, o d una
ipotesi espli- cativa. In questultimo caso appare in special modo il lavoro
proprio della ragione, che non si rivolge diretta- mente all'esame dellipotesi,
bensi deduce da essa le con- seguenze per confrontarle poscia coi fatti. Ma
anche nei primi due casi, si hanno sempre due operazioni distinte, esercitate
da due attivit psichiche distinte, soggette a norme logiche diverse
(riguardanti le condizioni di am- missibilit per il primo, le condizioni e il
grado di ve- rificazione per il secondo) e che quindi possono anche essere
compiute ciascuna da pensatori diversi in tempi diversi. Fra i mille esempi che
si potrebbero citare a tal riguardo, basti quello della teoria copernicana, ri-
masta allo stato di semplice supposizione fino alle scoperte di Keplero sull
orbita di Marte, di Galilei Colozza: Limmaginazione nella scienza sulle fasi di Venere e di Newton sull
attrazione uni- versale. Tale 1 officio
e la natura dell ipotesi. Non si puo comprenderla diversamente senza falsare il
signi- ficato universalmente accettato del vocabolo. Essa co- stituisce il
primo e lultimo gradino della scienza: il primo perch vale a dirigere
lesperienza, lultimo per- ch vale a organizzarla e a interpretarla. Le
conclusioni ultime e generali delle scienze non sono quindi che ipotesi. Le
sintesi filosofica, della quale tali ipotesi sono gli elementi, lipotesi massima, o, meglio, l ipotesi. delle
ipotesi. Ma nello stesso tempo la legge
delle leggi, perch comprende sotto di s il numero massimo dei fatti, perch
abbraccia l'estensione massima del reale. Ed
il principio dei principj, perch da essa in ogni tempo le scienze
particolari ricevono la direzione, il metodo e i problemi da risolvere. Ranzoli.
Keywords. Parole chiave: implicatura, lessicologia filosofica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ranzoli.”
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Raulica: SICILIANO NON
ITALIANO -- all’isola -- la ragione conversazionale all’isola! l’implicatura
del barone -- l’origine dell’idee – il
fondamento della certezza – filosofia siciliana – filosofia sicula – dello
spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare -- corso di filosofia:
ossia, re-staurazione della filosofia – filosofia
siciliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Essential
Italian philosopher. Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura,
and there’s Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in
confidence.” Noto per il suo sostegno alla causa
della rivoluzione siciliana. Studia a Palermo. Insegna a Roma. Si distinse come
apologeta, scrittore e predicatore, sopra-ttutto grazie alla sua "Orazione
funebre di Pio VII.” La sua carriera da filosofo inizia come esponente della
corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività di predicatore.
La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e veemente e diretta ed
ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio pontificio, acquisì un
ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità storica e giuridica
della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del regno della Sicilia
indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati sovrani.
Ministro pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a Roma. La
sua posizione a Roma divenne delicata per via della proclamazione della
repubblica romana e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di un seggio
all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra potere
temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo
rivoluzionario di Palermo. Altri saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie
sopra le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo,
figliuolo del dividno e salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero,
omilie sopra la passione del nostro signor Gesù cristo”; La madre del divino,
madre degl’uomini: ovvero, spiegazione del mistero della SS. vergine a piè
della croce”; “Le bellezze della fede ne' misteri dell’epifania: ovvero, La
felicità di credere in Cristo e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni
della divina misericordia sopra le Americhe: panegirico in onore di Martino de
Porres, terziario professo dell'ordine de’ predicatori”; “Il potere politico”;
“Saggio sul potere pubblico, o esposizione della legge naturali dell'ordine
sociale”; “Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare”; “La
ragione filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della filosofia: ossia,
Il semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle idee e sul fondamento
della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie sulle donne del
vangelo”; “Corso di filosofia: ossia, re-staurazione della filosofia”; “Sopra
una camera di pari nello STATO pontificio”; “La questione sicula sciolta nel
vero interesse della Sicilia, Napoli e dell’Italia”; “Memoria pel riconoscimento
della Sicilia come stato sovrano ed indipendente”; “Menzogne diplomatiche,
ovvero esame dei pretesi diritti che s'invocano del gabinetto di Napoli nella
questione sicula”; “Discorso funebre pei morti di Vienna la religione e la
libertà”; “Raccolta di elogi funebri e lettere necrologiche; Il pensiero
politico d'ispirazione cristiana. Atti del seminario Erice, Guccione, Firenze.
Andreu R.: saggio biografico, "Regnum Dei", Bergamaschi, R.: fra
tradizionalismo e neo-tomismo [AQUINO], Milano, Cremona Casoli, Un illustre
siciliano”; "Rassegna Storica del Risorgimento", Cultrera, Generale
dell'ordine dei Teatini, Palermo; Giurintano C., Aspetti del pensiero politico
nel "De jure publico ecclesiastico"; Istituto per la Storia del
Risorgimento, Palermo, Guccione, Democrazia. Murri, Sturzo e le critiche di
Giobetti, Palermo, Ila-Palma, Guccione, Alle radici della democrazia” Palermo;
Guccione, Un omaggio clandestine; in "Nuova Antologia", Pastori, “La
rivoluzione napoletana in "Rassegna siciliana di Storia e Cultura",
Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Regione Siciliana. Martinucci, Istituto Storico dell’Insorgenza e per
l’Identità Nazionale. ELOGIO rCNEBRE DI DAIVIEllO O'COIVIVEIL MEMBBO DEL
PABUHENTO BRITANKICO DA R. Ex-Genkkalb bb'Chibrigi BseoLAM Ctmtuttor» detta
Saera Congregationt de' Riti td Eiaminatore dei Veuoti e del Clero Romano. J^/.
L'editore, proprietario di questo elogio, per g^enerosa cessione fattagli dall'
Autore, dichiara di Toleme godere il dritto di proprietà a termini della
Convenzione pubblicata con Notitrazione della Segreteria di Stato COI TIPI DI
CIOTAimi BATTUTA ZAMPI. .\ Ili Hisognosi di riposo per le incessanti fatiche^
durtyte negli ultimi otto mesi^ nell'esercizio dell' ecclesiasti" co
ministero, e risolulissimi perdo di non intrapren^ deme delle nuove, ci eravam
da principio negati di tesser VElogio funebre dell'immortale Ò'Connelh La
grandezza e le circostanze tutte eccezionali del Sog* getto entrarono ancora
per non piccola parte in quessto rifiuto. 0*Connell non è stato un uomo
ordinario^ ma uno di quegli iwmini di cui non ne nascon mai due; uno di quegli
uomini che Iddio crea per compiere grandi disegni, da prima noti a Lui solo, e
che quin^ di i fatti rivelano al mondo. O'ConneU è stato un ge^ nio; ed il
genio non è degnamente lodato che dal ge^ nio\ e perciò noi reputavamo un tale
assunto molto al disopra di noi e delle forze nostre. La gloria poi di
O'Connell è stata l'avere obbli* goto la più grande Potenza della terra a rassegnar
' si con bel garbo alla legge che un privato le ha, in certo modo, imposta.
Poiché è stato ed è sempre proprio della saggezza inglese di tener fermo finché
si può; e quando non si può piti, cedere a tempo^ anziché an^ dare incontro ad
una di quelle orribili catastrofi in cui poi si perde tutto, per la stolida
ostinazione di voler tutto conservare. La gloria di O'Connell é stata IV di
avere egli solo rivendicata la libertà religiosa e etvile della sua patria per
mezzo di una rivoluzione pa^ cifica, una delle più grandi che rammenti la
storicu La gloria di O^Connell è stata l'aver fatto trionfare la libertà per
mezzo della Religione^ e la Religione per mezzo della libertà. Or era egli
possibile il rammentar queste glorie di O'Connell senza risvegliare i risentimenti
e le antipatie di una politica onerosa, cui la sola parola di libertà mette
paura come uno spettrOf turba come un rimorso? Era egli possibile ti non
attirarsi la censura di uomini si impietriti nell'antico^ che non hanno ne
intelligenza per distinguere, né cuor per sentire il pocolino di bene, che in
mezzo al molto di male, vi è nel moderno? Ma tacersi^ o passar leggermente
sopra il titolo principale onde O'Connell è stato il piti straordinario H piti
ammirabile personaggio della età nostra, non sarebbe stato lo stesso che
ridurre a piccole dimensio^ ni uno dei più, grandi spiriti che siano mai
apparsi a consolazione e gloria dell'umanità? Per tutte dunque insieme queste
ragioni not noti tM>levamo sapere di fare l'elogio di che si tratta; e non
abbiam ceduto che in faccia a considerazioni^ ad inviti, a desidera che san del
comando, ed a cui non si può resistere nemmeno con umiltà senza peccar di
superbia. Nel piegare però il capo a si scabroso e difficile incarico,
stabilimmo tra noi medesimi di disimpegnarlo con tutta la libertà di spirito
che la Fede cattolica lascia nelle cose dubbie', la dubìis libertas; con tutta
la sincerità del cuore; col maggior disprezzo di ogni personale pericolo, col
più perfetto oblio di ogni proprio interesse; e ciò per elevarci in alcun modo
all'altezza del nostro Soggetto coUa generosità almeno del sentimento: poiché
sentivamo di doverne rimaner molto al disotto per le qualità dell'ingegno.
Nulla infatti ti ha arrestato dal lodare 0*ConneU pel lato appunto onde piti meritava
di esser lodato, ed eziandio dal proclamare altamente^ senza am/i'oologie
ragtri^ le verità le più dure ed incommode, e per chi comanda e per chi
ubbidisce; e che sono frattanto le piti salutari e le più capaci di assicurare
i troni^ di fare t popoli felici, e di far trionfare la Religione, Imperciocché
dapprima, due specie di ripugnanza vi sono oggi contro la Religione: Vuna
totale ed assoIuta, l'altra relativa e condizionata. La repugnanza assoluta é
quella onde si odia la Religione perché Religione; e quindi la Chiesa, gli
ecclesiastici, tutto ciò che alla Religione si appartiene* Questa n]ptignanza è
l'orribile eco, che dura ancora, della parola infernale di Voltaire: Ecrasez
l'infame, et la su* perstition. L'antipatia relativa poi e condizionata è
quella onde si odia la Religione, non già però per se stessa, ma in quanto
stolidamente si crede rivale e nemica del processo e della libertà. Ma vi è
nella natura dell'Italiano un elemento cattolico, onde l'Italiano, tenti ciò
che vuole, non può senza pena e rammarico far di meno della Cattolica
Religione. E questa è una delle ragioni onde gli eresiarchi e le eresie non han
potuto mai far fortuna in questa bella e privilegiata parte del mondo. VAntipa^
tia assoluta dunque contro la Religione cattolica è ror rissima: essa non
trovasi che nel fondo del cuore di qualche vecchio settario, impregnato sin
dall' mfanzia dei pregiudizii e dei sentimenti anticristiani deUa filosofia
miscredente del secolo decimottavo; e che morrà senza posterità! giacché l'odio
é sterile, ed ha complici, ma non già eredi', e non vi é che Pamore che é
fecondo, che genera e riproduce il medesitno essere, e perpetua la stessa
verità. Non così è però della ripugnanza relativa o condizionata. Il ceto
medio, cioè, il ceto che studia, il ceto che ragiona, vuoisi o non vuoisi, è il
ceto piti influente e che trasforma alla lunga in se stesso e compone, e riduce
a sua immagine i due altri ceti estremi deUa società; con tutta la generazione
che sorge, con tutto ciò che intende, con lutto ciò che sente; poiché la
società degli spiriti, o la concordia fra gli esseri intelligenti, non può
mantenersi che per mezzo delCintélligenza; ed è in questo senso che ha detto
Paschal: ri, che chiunque si dichiara contro di esse, non ispira che
diffidenza, repugnanza, odio, disprezzo. Or poiché, come lo abbiam dimostrato
(Vedipag.l^ di questo Elogio) la Chiesa nella sua saviezza non ha potuto finora
parlar di libertà, ed ha dovuto anzi in certo modo fulminarla per l'orribile
abuso che si è fatto di questa sparola; i Volterriani si son serviti di questo
silenzio e di questi anatemi della Chiesa, per persuadere alle masse che la
Chiesa, nemica, non vi è dubbio, della falsa libertà, sia nemica ancor della
vera; che il Cristianesimo é oscurantismo; e che i preti e i frati sono i veri
nemici, gli avversarii implacabili di ogni progresso e di ogni libertà. Il
sistema poi del così detto Dritto divino nella materia politica, secondo che
una scuola celebre di oltremonte si é ostinata a rappresentarlo, viene in fondo
a sostenere che il Potere publico di ragione non abbisogna, ove, secondo U
celebre detto di Bossuet, (( Iddio stesso ha bisogno di aver ragione. )> Ora
il Dritto divino così inteso mette VUomo-Potere al disopra di Dio stesso, e non
é che V apoteosi della tiran TU ma e Vidolatria della sovranità. Poiché du/nque
una tale doUrma è contraria alla ragione insieme ed al sentimento, all'istinto
delVuomoy e perciò non è e non può mai esser vera; così si è venuto a
conchiudere che nemmeno é vera la religione che la professa^ che la insegna, e
che ne fa la condizione necessaria inevite^ bile della sua seguela. Or siccome
questa orribile dottrina, atta più a rendere odioso il Potere ed a
distruggerlo, che a conservarlo ed a farlo amare^ certi pubblicisti ignoranti
Vhan messa a carico della Chiesa cattolica e del cattolico insegnamento ; cosi
la ripugnanza^ che essa ispira, si è estesa anche in Italia all'insegnamento
Cattolico ed alla Chiesa; e Dio e Ge-^ sii Cristo^ le dottrine cattoliche e le
caUoliche istiluiionij la Chiesa e gli ecclesiastici sono staiti avvolti nello
stesso odio e nello stesso disprezzo. Oh se sapessero il gran male^ U male
sommo che certi ecclesie^ élici^ piti zelanti che saggia han fatto ai popoli ed
oZ-^ la Chiesa colVaver voluto fare un articolo di fede divina, di una opinione
puramente umana^ e di un partito politico^ la vera adunanza dei fedeli o la
vera Chiesa! Essi hanno così allontanato dalle pratiche della Religione enormi
masse di cristiani, e le hanno gittate fuori delia Cattolica unitd^ nelVahisso
del deismo e deW indifferenza! Imperciocché non é piti tempo di farsi
illusione. Finché dureranno i pregiudizii^ gli errori funesti che un concorso
di maieaugurate circostanze è giunto ad accreditare intomo alla pretesa
alleanza o complicità della Chiesa coW eccesso o colVabuso della forza; intano
noi ministri della vera Religione spereremo di attirare a noi le masse
intelligenti; esse ci riguarderanno sempre con una specie di orrore;
continueranno a camminar senza di noi, e, se noi ci metteremo loro innanzi,
contro di noi e sopra di noi. Dirò anzi di più che^ se un trambusto accadesse
in Italia sotto l'impero di questi pregiudizii e di questi errori^ esso sarebbe
sommamente anticristiano ed an-tiecclesiastico.il grido: a A basso i preti; à
basso i franti )) Starebbe tradotto in azione con una orribile fedeltà. La
Chiesa si troverebbe esposta a maggiori orrori di quelli di cui al principiò di
questo secolo è stata la vittima. E poiché^ come l'abbiamo di già avvertito^
l'Italiano nel fondo del suo cuore ama la cattolica Re^ ligione; il suo odio
contro di essa e i suoi ministri si troverebbe fortificato ed accresciuto dal
sentimento della disperazione di pàtere essere d'accordo con una religione di
cui non può fare di meno; dal sentimento di rabbia di credersi respinto^ di
vedere volta in sua nemica quella Religione di cui ha un immenso bisogno e per
cUi sente una indestruttibile simpatia; dal sentimento in somma del furore in
cui degenera ogni amore deluso nei suoi più vivi trasporti; Frustrata cupiditas
vertitur in furorem (Aug.). E non vi è nuUa di più terribile^di più crudele
quanto V amore furibondo ed il furore aìuoroso! Mirate dunque di quale e quanta
importanza si è, per parte di noi ecclesiastici^ il parlare oggi al colto
pubblico dell'Italia un linguaggio capace di disingannarlo dei fatali
pregiudizii di cui una Propaganda di empietà e di disordine si è studiata
d'imbeverarlo contro la Chiesa. Mirate di quale e quanta importanza si è oggi
per noi di mostrarci, senza finzione, senza inganno^ colla sincerità, col
candore^ col convincimenr to proprio di ministri della Religione di verità,
amici e fautori di un saggio e legittimo progresso, di una saggia e legittima
libertà! Mirate di quale e quanta importanza si è oggi pel gran Ponte pcej che
Dio ha accordato miracolosamente alla sua Chiesa, che^ mettendosi al disopra di
tutti i meschini calcoli della pò- Uiica uma/na^ parli esso pure il Ungttaggio
dei popoli per meglio far loro gustare le sue celesti dottrine; prenda a cuore
i loro temporali interessi, per ispirar loro maggior zelo per gl'interessi
spirituali ed etemi; e faccia conoscere che egli sente e vuole disimpegnare la
nobile e sublime missione del Sommo Pontificalo: Di essere non sólo il Pastore
e il Maestro nell'ordine soprannaturale e divino; ma ancora, neW ordine civile
e politico, U Padre, U tutore, il vindice dato da Dìo a tutti ipopoli
cristiani. Né meno comuni e meno radicati sono certi pregith dizU in materia
politica. A forza d'intrighi e d'inganr ni, si t giunto a persuadere agl'incauti
che i Sovrani sono i nemici dei popoli; che le monarchie sono incon^ patibili
colla Inerte politica; che questa libertà non si domanda co'prieghi, ma si
conquista colla forza; che qtiesta pianta prospera colia scure, e germoglia nel
sangue; e che l'insurrezione è l'unico mezzo da sot" trarsi dalla
oppressione. Ai Sovrani poi si è vohUo pure persuadere che i popoli sono nemici
della loro autorità e della loro esistenza; e che non si può aver pace con
essi, non si può mantenere l'ordine politioo che coU'ajuto della forza; e che
l'arte di ben governare oggi consister deve nell'arte di organizzare e di
dirigere la forza pubblica per potere impunemente vessar le persone e vuotare
le borse. E da questo sentii mento di mutua gelosia, di mutua diffidenza che si
è giunto ad ispirare ai popoli contro i Sovrani ed ai Sovrani contro dei
popoli, si è riuscito a metterli in istato di opposizione, di guerra
permanente: donde fière tendenze da una parte al dispotismo, ed all'anarchia
dall'altra, che mettono ad ogni istante in pericolo l'ordine e resistenza della
società. Ora contro tutti questi pregiudizii, in materia di Religione e di
politica, ci siamo levati arditamente in X questo Elogio, Entrando nello
spirito del grand' Uomo^ cui esso é consecratOj ed esponendo le gloriose sue
gè-sta nelle loro intenzioni generali, nei loro successi, abìnam procurato di
dimostrare che lungi dalVessere la Religione la nemica della libertà, non vi è,
non vdpuò essere libertà vera senza la vera Religione. Per calmare poi le
inquietudini^, gli scrupoli delle persone semplici e dabbene, abbiamo pure
insistito sul gran fatto dei tempi moderni:^ Che lungi dal dovere la Religione
temer nulla dalla politica libertà; alVom^ bra anzi e col favore della libertà
politica può sola" mente oggi trionfare e dilatarsi la Religione; ed
abbia^ mo fatto conoscere non solo possibile ma ancor necessor ria unciUeanza
sincera tra la Religione e là libertà. Al medesimo tempo però e colla medesima
forza abbiamo attaccato tutti i pregiudizii politici dei po^ poli contro i
governi e dei governi contro dei po^ poli. Abbiamo esposta la dottrina
Cattolica intomo alla Resistenza passiva ed all'attiva Ubbidienza, con cui solo
può sussistere l'ordine pubblico e la dignità umana. Abbiamo condannato con
tutta l'energia della ragione e della parola il partito disperato deU'inster*
rezioncj^ e l'uso brutale della forza contro gli abusi del Potere; ed al Potere
ci siamo studiati di fare mtendere che ha torto di diffidare della libertà, che
è an-zi un principio di ordine e di forza, e l'unico mezzo, il mezzo pvU
efficace da disarmare la rivoluzione e farla una volta per sempre terminare. E
così abbiam procurato di riconciliare ancora il Sovrano col popo^ lo^ il popolo
col Sovrano, e l'ordine colla libertà. Il nostro linguaggio ha scandalizzato
alcuni, ha sorpreso molti altri; ma in quanto alla moltitudine accorsa ad
udirci, possiamo santamente gloriarci nel Signore, che esso è stato capito
nella verità dei suoi principii, apprezzato nella purezza delle sue intenzioni,
gustato ne^vantaggi delle sue conseguenze. Chi è stato presente a questa
predicazione, nuova nelle forame ma antica nelle dottrine^ ci farà giustizia
che non è una vana millanteria il dire che rare volte la sacra eloquenza ha
avuto un successo si magnifico si verace e si universale. Mentre andavamo
esponendo le nobUi simpatie^ le relazioni scerete della vera Religione colla
vera libertà, un sentimento d'inesprimibile gioja hrillava sopra tutti gli
occhi. Parca ognuno dir seco ste$^ so: « Non è dunque vero altrimenti che la
Religione cattolica e nemica della libertà! Possiamo noi amare la libertà senza
cessare di esser cattolici^ senza passare per miscredenti! » Cosi uno sposo^
irritato contro una sposa^ che teneramente ama, e che gli è stata dipinta come
infedele; prova un senso di compiacenza, che non si può esprimere colla parola,
allorquando gli si dimostra da altri che la sua cara sposa è miiacente, e che
non ha cessato di maritare il suo amore. Gli stessi segni d'interno contento si
son veduti trasparire nei volti quando noi abbiamo parlato deU V alleanza
possibile tra l'ordine e la libertà^ tra le idee di un sensato progresso e la
fedeltà al proprio Sovra^ no: « Sta lodato Iddio^ pareano tutti voler dire, che
si può amare la libertà e il progresso senza passar per ribelle. » E quando,
nel terminare il nostro discorso, coli' accento del piin profondo convincimento
e del piti tenero affetto (giacché noi conosciamo ed amiamo il popolo romano)
abbiam detto: « No, miei cari » Romani, voi non siete quali qualcuno, calunniandovi,
» ama di farvi comparire. No, no, voi non siete i ne-* » mici del Trono
pontificio, degli Ecclesiastici e del" » l'ordine. Se amate una onesta
libertà, voi amate an» Cora la Sovranità del capo della Chiesa e la Religione;
)) a queste parole l'Uditorio non fu piti padrone di se stesso: un mormorio vi
si udi di una sincera lieta ed universale approvazione^ pronta a scoppiare in
manifestazioni le più clamorose j se noi stessi^ ricordando il rispetto al
luogo santo dovuto^ non ci fossimo affrettali di reprimerle. Ecco dunque
scoperti al pubUico, nella maniera meno equivoca e piti solenne, i veri
sentimenti, i sentimenti legittimi^ sinceri e comuni del popolo romano! Simili
effetti ci auguriamo che produrrà nel resto dello slato Pontificio, ed anche
presso allo Straniero la solenne manifestazione delle dottrine contenute m
questo discorso. Almeno perirne non avvezze ad adularci questo appunto ci hat^
esortato a sperare: as^ sicurandoci che questa predicazione 9 nelle presenti
drcostanze, è stata un avvenimento che avrà un gran-d'eco in tutta Italia e
fuori di essa. Noi potremmo qui riportare le loro testimonianze e le loro
parole^ ma per non sembrare che, all'occasione dell'Elogio di O'Connell,
vogliamo fare U nostro, ci limitiamo a riferirne una sola; e ciò non tanto a
glo» ria nostra, quanto a nostra difesa, in faccia a chi ha creduto di potere
in buona coscienza accusare in pub" blico come pericolose o fantastiche le
nostre dottrine^ e prave le nostre intenzioni; e poi crediamo di non dovere
lasciar passare questa occasione da rendere qui pubblicamente la dovuta
giustizia alla moderazione e alla saggezza della Censura Romana m materiadi
stam^ pa. Omettendo adunque che il Censore Teologo di cui il pubblico conosce
ed ammira, ed il Sommo Pontefice ha teste compensata la vasta dottrina e il
fervore dello zeh, nell'esercizio dell'Ecclesiastico ministero^ omettendo,
dico, che quest'uomo insigne, non meno pel suo sapere che per la sua viriti,
non ha trovato a cen^ surare, nel nostro Elogio, nemmeno una virgola; diremo
solo che il dottissimo Preside della Censura, che Ma profonda scienza
dell'antico unisce una solida co gntzwne^ un senso squisito del moderno^ nell
inviarci V Elogio col suo Imprimatur, ci Aa scriito appunto co^ sì: « Come io
mi compiacqui assai di approvare la Bene^ » dizione dell'ultima sua Predica
recitata in S. Pietro: » nulla curando le prevenzioni di alcuni o troppo semr »
plici^ o zelanti di uno zelo male inteso; cosìi e molto » più mi compiaccio ora
di approvare r Elogio fum^ » bre da lei fatto al celebre O'ConneU: perché
reputo » un tale Elogio non solo eloquentissimo, ma atto an» cara a raddrizzare
molte idee ed a fare un gran » bene. » Solo il savissimo Preside ha richiamata
la nostra attenzione sopra una parola della pagina 104, che avrebbe potuto dar
luogo ad equivoci; che noi ci sia-mo affrettati di prevenire con una noterella
che vi abbiamo apposta. Possiamo adunque affermare^ a lode, noi lo ripetiam
volentieri, dei dotti Censori, che nel presente Elogio stampato vi è tutto
quello che ne ab* biam detto in voce, senza una sola parola di meno; ma al
contrario con varii squarci di più^ che nella recita abbiamo saltati per non
istancar troppo Vudi" torio e noi stessi spossati, nel solo primo giorno,
da una declamazione di circa due ore. A maggior onore poi del sullodato Preside
illustre^ ci crediamo anco in obbligo di aggiungere: che non avendo voluto noi
prenderci la libertà di pubblicare il brano della lettera, che poco fa si è
letto, senza il di lui permesso; questo permesso ci è stato daW egregio Autore
dato nei seguenti termini, che fanno ben conoscere la sincerità e la generosità
de'suoi senti-' menti: «e Mi ha detto il suo Tipografo che o fare U nostro, ci
limitiamo a riferirne una sola; e ciò non tanto a glo» ria nostra, quanto a
nostra difesa, in faccia a chi ha creduto di potere in buona coscienza accusare
in pub" blico come pericolose o fantastiche le nostre dottrine^ e prave le
nostre intenzioni; e poi crediamo di non dovere lasciar passare questa
occasione da rendere qui pubblicamente la dovuta giustizia alla moderazione e
alla saggezza della Censura Romana m materiadi stam^ pa. Omettendo adunque che
il Censore Teologo di cui il pubblico conosce ed ammira, ed il Sommo Pontefice
ha teste compensata la vasta dottrina e il fervore dello zeh, nell'esercizio
dell'Ecclesiastico ministero^ omettendo, dico, che quest'uomo insigne, non meno
pel suo sapere che per la sua viriti, non ha trovato a cen^ surare, nel nostro
Elogio, nemmeno una virgola; diremo solo che il dottissimo Preside della Censura,
che Ma profonda scienza dell'antico unisce una solida co gntzwne^ un senso
squisito del moderno^ nell inviarci V Elogio col suo Imprimatur, ci Aa scriito
appunto co^ sì: « Come io mi compiacqui assai di approvare la Bene^ » dizione
dell'ultima sua Predica recitata in S. Pietro: » nulla curando le prevenzioni
di alcuni o troppo semr » plici^ o zelanti di uno zelo male inteso; cosìi e
molto » più mi compiaccio ora di approvare r Elogio fum^ » bre da lei fatto al
celebre O'ConneU: perché reputo » un tale Elogio non solo eloquentissimo, ma
atto an» cara a raddrizzare molte idee ed a fare un gran » bene. » Solo il
savissimo Preside ha richiamata la nostra attenzione sopra una parola della
pagina 104, che avrebbe potuto dar luogo ad equivoci; che noi ci sia-mo affrettati
di prevenire con una noterella che vi abbiamo apposta. Possiamo adunque
affermare^ a lode, noi lo ripetiam volentieri, dei dotti Censori, che nel
presente Elogio stampato vi è tutto quello che ne ab* biam detto in voce, senza
una sola parola di meno; ma al contrario con varii squarci di più^ che nella
recita abbiamo saltati per non istancar troppo Vudi" torio e noi stessi
spossati, nel solo primo giorno, da una declamazione di circa due ore. A
maggior onore poi del sullodato Preside illustre^ ci crediamo anco in obbligo
di aggiungere: che non avendo voluto noi prenderci la libertà di pubblicare il
brano della lettera, che poco fa si è letto, senza il di lui permesso; questo
permesso ci è stato daW egregio Autore dato nei seguenti termini, che fanno ben
conoscere la sincerità e la generosità de'suoi senti-' menti: «e Mi ha detto il
suo Tipografo che c da prima corno Daniello O'Connell, vero cittadino, si è
giovato della Religione per rendere al suo popolo la Uber senza richiamare
sopra di sé un'attenzione profonda, cosi mai non termina che lasciando
l'assemblea nell'estasi di un'ammirazione silenziosa e di un silenzio
ammiratore. Nel foro è il oausidico espertis-* Simo nella cognizione
dell'immenso caos delle leggi inglesi, e che, con una meravigliosa precisione
di 12 termÌDiy ne penetra lo spirito, le inlerpreta, le con* cilia, le
confronta, le applica, e ne trae le più felici conclusioni in yantaggio della
sna causa. Nelle po« polari adunanze è un Oratore vivo, nervoso, incalzante,
ardito senz'esser temerario, franco senza es* sere insolente, grazioso insieme
e terribile; che si avvicina, discende al linguaggio, ai sentimenti delle
masse, e le eleva sino a sé, e dietro a sé le strascina senza resistenza; che
padrone di tutti i suoi affetti, e, ricco di tutti gli artificii, di tutti i
sussidii della parola, prende, quando e come gli aggrada^ il patetico della
elegia^ Funzione del salmo, la mordacità della satira, l'amenità della novella,
la luce del lampo, il terrore del tuono, l'aria impo* nente del legislatore, e
l' ispirazion del profeta. Nessun uomo seppe meglio di lui eccitare le pas*
sioni popolari e contenerle; carezzare il popolo e morigerarlo; ricordare le
più dure verità, e farle gustare ed amare per la maniera di dirle. No^ la
storia dell'Eloquenza non ci presenta esempio di un oratore più completo, più
vario, più originale, più facondo, più vivo, più impetuoso e più potente. 10.
Ora, a giudicarne dalle apparenze, pare che 0*Goonell a questa eloquenza, in
cui non ebbe modelli né avrà mai imitatori, debba la gloria di sue fortune e la
forza del suo impero. Eppure no. La saggia Antichità avea definito il vero
Oratore: L'o** nesf uomo eloquente; Yir bmm dicendi pertius. Per chd| come la
probità senza l'eloquenza è impotente; cosi l'eloquenza senza la probità è
funesta; essa non serve che a metter sossopra gli stati, i popoli in
insurrezione. Che se l'eloquenza di O'Gonnell è stata la felicità del popolo e
la sicurezza dello stato, FirmametUum gentis et stabilimentum populi (Eccli.
49y/;ciò è accaduto, perchè egli, cittadino cristiano» alla forza, alla grazia
del dire ha unito la virtù è la santità del vivere; si è giovato pel trionfo
della li* berta dell'adempimento delle pratiche che la ReK* gione impone.
ll.Qaal uomo di lui più attaccato a'differenti do* veri di figlinolo, di sposo,
di padre, di cittadino? Qual cristiano di lui più fedele alle leggi di Dio e
della Chiesa? Ma so quello che volete oppormi. Voi vo« lete oppormi che, in
contraddizione alle leggi di Dio e della Chiesa, O'ConnelI si è una volta
battuto in duello, ed ha avuta la disgrazia di uccidere il suo avversario. Sì,
è vero. Ma io potrei dire che questo avversario non fu che un sicario^ onde la
Munici* ypAìik.orangista di Dublino, impaziente di disfarsi del gran difensore
della causa Cattolica, mandò provocando il nostro giovine eroe, sicura
d'immolarlo: giacché D'Esterre, (che tale era di questo miserabile il nome) era
nel tiro della pistola si destro e si sicuro, che giungeva a spegnere colla
palla una lampada senza toccarla. Potrei ancora avvertire che O'ConnelI a
sangue freddo, e per lungo tempo^ per non violare appunto le leggi dell'uomo e
del tristianOy non rispose che col disprezzò alla crude^ le disfida, onde il
fanatismo orangista augurossi di estinguer coH'arnii il grand'uomo che non
potea Tincere colla ragione e col dritto. Potrei altresì notare che il vile
sicario, veniva appostandolo ad ogni punta di strada; lo caricava di contumelie
e di affronti; lo minacciava sempre della vita: sic* che il povero O'GonnelI
era obbligato di cammi* nar sempre armato e circondato di armati. Po-* trei
infine soggiungere che D*£sterre era il Go« Ha dei nuovi Filistei) il più
accanito e tremendo nemipo della Fede di Roma, che si faceva un tristo- vanto
d'insultare alla pretesa debolezza dd vero Israello; e che O^Connell, in un
islaute di una religiosa illusione, potè credersi il nuovo Davidde scelto per
vendicare l'obbrobrio del popolo del Signore; e che solo in un momento
d'impazienza, d'ira, dì risentimento cavalleresco, eccitato da prò* vocazioni
sì ripetute e si vili, e che gli ecclissò la ragione, cedette al principio di
un falso ponto di onore e di nno zelo malinteso, e disceì^e ad una pugna in
cni, cosi disponendolo Iddio, per conservare all'Irlanda e alla Chiesa // suo
Vomo^ la vittima immolò il carnefice che volea immolarla. Io potrei dir tutto
ciò, se non per iscusare il mio eroe> almen per attenuarne la colpa. Ma il
ciel mi guardi che, ministro dL una religione di pace, in faccia alla Vittima
Divina, che ha versato tutto il suo sangue perchè il sangue dell'uomo sia
rispanniato, io osi difendere un delitto cbe la legge dì natara e la legge
evangeUea egaalmente coddannano. II eie! mi guardi dal patrocinare nn costo* me
egualmente insensato che barbaro, onde si vuol provare colla finezza dell'occhio,
e colla yalenzia del braccio Tinnocenza del cuore. II ciel mi gnar* di dallo
scusare un pregiudizio inescusabìle, ondq pretendesi di onorarsi coll'omicidio,
e lavarsi d'una efimera macchia col sangue^ e che la Chiesa giusta* mente
chiama diabolico} À diabolo ìnvectum (Con* eU. Trtd.J. Dico dunque che
O'ConnelI ebbe torio e gran torto nel duellarsi. Ma dopo che ne avete ndito il
peccato, uditen l'emenda. Poiché, al cadere dei parosismi della febbre del^
Fonore mondano, e di un falso zelo per la religione, la ragione e la fede
ripresero nell'animo di O'ConnelI il loro impero; fu egli si dolente della sua
trista vittoria, che non potè mai pensarvi senza gemerne e tremarne da capo a
piedi di orrore; die fece voto solenne a Dio di non mai accettare, molto men
provocare l'insensato e truce giudìzio delle armi; e che in fine quante volte
(e ciò accadeva spessissimo ad un uomo che, per la gran causa che difendeva,
era obbligato ad irritar molte pas-^ stoni e crearsi molti nemici) quante
volte, dico, respingendo con orrore le provocazioni che gli venivan fatte a
duello, era trattato da infame, da vile: cui cedette sempre e da per tutto il
primo postO) avesse benedetta la mensa. Anzi in queste pubbliche riunioni si
faceva un vanto particolare di professare cogli atti e colle parole la Fede
romana. Deh che l'occultare i sentiménti della vera fede, il vergognarsi di
adempirne in pubblico le pratiche non è che debolezza, e la maggiore di tutte-
le debolezze: che perciò più comunemente ritrovasi nelle anime piccole, negli
spiriti deboH, nelle donne e ne'giavanì. Il vero genio fu veramente ed amò di
comparir religioso; e mai non conobbe la viltà del rispetta umano! Che dirò io
poi dei sentimenti di q[uesto gran Cristiano pel Clero della sua patria ? Re dì
fatto dell'Irlanda, arbitra del cuore e dell'azione di otto milioni di uomini,
che, come fanciulli, pendeano dai suoi cenni, vera Campione e sostegno della
Chiesa Cattolica, che gli dovette la sua più gran gloria e Ja sua libertà, non
mai usci dai limiti dell'umile dipendenza dal suo vescovo o dal suo parroco.
Alla testa di tutti come personaggio politico, cornee uomo religioso però si
tenea come l'ultimo di tutti; e, nuovo Costantino, appena osava di prender per
sé rultimo posto nelle assemblee del Clero, quando vi era chiamata a
manifestarvi i suoi disegni, a d^rvi i suoi consigli per la difesa della
Religione e della libertà. Pronto poi a scagliarsi come un lionc coQ' tro
chiunqae avesse osato di dire a carico de'Sacerdoti una men clie rispettosa
parola, dava egli stesso prove del più grande rispetto per qaesto yenerabìle
corpo, si illustre pei suoi patimenti non meno che per la sua dottrina e per le
sue virtù. Lo riguardava non come un ceto di uomini, ma come una riunione di
santi e un collegio di martiri. Ne parlava colla più gran riverenza, col più
tenero affetto. Per motivo da fuggire le società scerete: Il nostro Clero,
dicea egli al popolo, ce le ha proibite. Ci sarà fra noi alcuno che osi di non
ubbidire a questo Clero si saggio, si buono, si generoso e si edificante (7)?
In quanto poi agli Ordini religiosi, istituti si preziosi per la Religione e
per la vera civiltà, furono essi spesso il soggetto de* suoi publici discorsi^
de' suoi magnifici encomii, come lo erano del suo più tenero amore. Faceva
discìogliere in lacrime il suo immenso uditorio, allorché ram^ mentaya i giorni
felici in cui l'Irlanda era ricoperta di tanti monisteri, tempii della
preghiera, scuole della santità, asilo della dottrina, refugio dei poveri, e
che procacciarono all'Irlanda il merito, la gloria e il nome AeìVIsola dei
Santi (8). La sua eloquenza diveniva più energica, più anima^ ta, più patetica
allora quando, ricordando lai cose, facea egli confronto tra l' Irlanda che ora
20 moriva di fame sotto il giogo di nn protestantismo spietato, e l'Irlanda
indipendente, forte, ricca e prosperosa, ajutata e seorta da*suoi monaci
ne'sentieri della vera virtù e del vero sapere (9). Cosi teneva egli sempre
sveglio nel popolo il sentimento della nazionalità e dell'amore per una patria
già si grande, si buona, si santa, ed ora si infelice, ed allo stesso tempo
avvivava sempre di più il sentimento di amorosa riconoscenza per la Fede
cattolica, sorgente unica, per l'Irlanda, delle sue passate glorie, e
consolazione e rimedio unico dei suoi mali presentì. 16. Ma ciò che è al
disopra di ogni idea e di ogni espressione si è lo zelo di O'Gonnell per questa
medesima Religione. Tutto lasciava, sacrificava tutto quando trattavasi di
servirla e di adoperarsi per lei. I poveri parrochi, i Comuni, i villaggi poyeri,
bisognosi di chiese, ricorrevano a lui ; ed egli colla sua attività e colla sua
eloquenza trovava subito i mezzi da fame. loro costruire, come per incantesimo,
delle più ampie e più belle. Invano poi 1' anglicanismo, cambiando armi, senza
però mai cambiare i suoi sentimenti di odio profondo verso i cattolici,
meditava di vincere -colle astuzie di una fina malizia coloro, che non'potca
più opprimere colla forza di martini crudeli. O'Connell veglia sempre a
discoprire, è sempre pronto ed -intrepido a combattere le insidiose
macchinazioni dell' eresia, che, per essere divenuta ipocrita, non è perciò
meno persecutri ce e nemica. Che non ha egli fatto; quanto non ha egli e
scritto e parlato; e quanto non ha combattuto, «ino all'ultimo della sua vita,
contro i due Bill tristamente famosi che abbandonan.o l'uno i pii legati e le
rendite della cattolica Chiesa, l'altro i collegi e l'educazione dei giovinetti
cattolici (10) alla sorveglianza, alla direzione, o a meglio dire alla
dominazione dei protestanti? E sebbene la debolezza o l'inganno di alcuni
membri del cattolico Clero, essendo venuto disgraziatamente in soccorso di
queste leggi funeste, le abbia fatte adottare; ciò nullostante, tale, si è il
discredito in cui l'eloquenza di O'Connell le ha poste; tali e si vigorosi sono
i colpi che loro ha lanciati, che sono quasi morte sul nascere, o che morranno
intieramente colPesser trasformate in tutt'altre. Se qualcuno, a voce bassa si
avvisava, coll'antico tuono di sagrìlego insulto, di dirlo Papista,
rivolgendosi tosto contro di Ini, intrepido ripigliava: 0*ConDeHo innocente.
Mentre però era 0*GonnelI prìgionieroy come S. Paolo, non parlava a* suoi
concittadini, se non scongiurandoli a dimostrarsi suoi degni amici e figliuoli,
colf usare mansuetudine e pazienza, col rispettare quella stessa autorità che
colla più manifesta ingiustizia Io avea privato della sua libertà; Obseero vòs
effo' tnncius in Dommo, ìtt digne ambtsletù in mansuetudine ei pcUieniìafEph
A), Sicché tutta la condotta di quesf uomo straordinario è stata il modello, e
come il codice delle leggi pe) tempo dell'oppressione, ad uso degli oppressi*
Perciò ancora, mentre combatteva da una parte le teoriche omicide dei
turbolenti Cartisti» faceta dall'altra sentire tutto il peso della soggezione
servile ad una aristocrazia usurpatrice Mentre eoa una mano arrestava il popolo
dal precipitarsi nell'abisso della sedizione, gii additava coll'allra
Tignominia di piegare in silenzio il collo al giogo di un sistema oppressore e
tirannico. Cosi feca egH degli Irlandesi un popolo osservatore dei cristiani
doveri sino allo scrupolo, e geloso de^suoi drilli civili sino al faDatismOr
Gos^l lo mantenDe nei limiti della subordinazione, e ne sviluppò la nobiltà del
carattere e la grandezza del cuore. Cosi elevò egli aoclie le classi più rozze
e più oscure sino al subii* me del dovere, e rendette in esse comune la probità
cittadina e volgare Teroìsmo cristiano. Così formò egli degl'Irlandesi no
popolo modello, un popolo degno deirammirazione e dell'amore di tutti i popoli,
un popolo che ba sostenuta per quarant* anni ona lotta grave, ostinata,
implacabile, ma senza mai violare alcun dritto, senza mai calpestare alcun do*
vere; e che, con un passo fermo e sicuro, si è avaìsk zato alla conquista della
sua libertà religiosa e civile: abborrendo egualmente e dalla servitù religiosa
deirEresia, che sola può far sopportare la ser* yitù politica, e dalle violenze
sanguinarie dell'aoarchia, colle quali popoli ciechi troppo spesso, invece di
giungere alla libertà^ ricaddero più miseri e più avviliti di prima nelle
braccia della tirannìaCosi ba fatta conoscere, ha messa in azione la dot*
trina, cattolica della Resistenza ptissiva e délV Ubhi» dietua attiva^ e ne ba
dimostrata, sopra un grande teatro, con un magnifico esempio, la verità dei principi!,,
la importanza dell'applicazione/ la sìcch rezza del successo; e si è reso
benemerito del Sovrano e del popolo, della Religione e della politica, della
Chiesa e della società. "Io. Finalmente gli ultimi mezzi onde pare cbc
O^Gonnell abbia trionfato delia ingiustizia deireresia bono stati la sua
profonda intelligenza degli uomini delle cose, la sua fermezza prodigiosa, la
sua instancabile attività. Profonda intelligenza^ io dico, degli uomini e delU
cose. Non mai fallirono i suoi prognostici, non mai i suoi disegni andarono a
vuoto. Predice egli oggi ciò che deve dopo dieci anni accadere; e Tevento yiene
a giustificare appuntino la verità dei suoi vaticinii. Tutto ciò che ilice, lo
legalizza; tutto ciò che prevede, accade; tutto ciò che consiglia, riesce;
tutto ciò che intraprende, lo compie. Dimodoché si era acquistata la lode
deiruomò dal colpo d'occhio più sicuro, dal tatto più delicato, dalla
penetrazion più profonda, dagli espedienti più infallibili nel condurre a fine
i più difficili affari. 26. Dissi ancora Prodigiosa fermezza. Siccome nes« 8un
uomo gittossi mai in una più grande, più nobi* le e più ardita intrapresa; cosi
non ve n^ebbé mai alcuno che sia stato segno di attacchi più numerosi, di una
persecuzion più ostinata. Insulti e calunnie, sarcasmi e bestemmie, satire e
processi, promesse e minacce, tradimenti e apostasie, multe'e prigioni, tutto è
stato adoperato per cinquantanni, con una orribile perseveranza, per abbattere
un si grande coraggio. Ma invano. Come le lodi non lo inebriano, così le
opposizioni non lo sgomentano. Come i successi noi fanno insuperbire, cosi non
lo abbattono le sconfitte. Cornee largo, magniGco nel concepire i suoi disegni;
così è costante neirescguirli. Or do-> Ve mai nella storia, mi sì additi, mi
si mostri nn altro esempio di nomo che per mezzo secolo abbia lottato contro la
più grande potenza della terra, sen« za lasciarsi intimidire o arrestare
giammai, ma con sempre maggior lena, con coraggio, con costanza sempre
maggiore? Dico infine Imtancahih attività. Il sno riposo è il non conoscer
riposo. Lo avresti veduto sempre in agitazione e sempre in moto onde
incoraggiare i timidi e reprimer gli audaci j sostenere i de-* boli e dirigere
i forti, arrolare gli amici e sco* prire i traditori, confermare i sinceri e smascherare
gì* ipocriti. Moltiplicando in certo modo se stesso, quasi allo stesso tempo è
in Inghilterra ed in Irlanda, nelle assemblee nazionali e noi parlamento, tra
le riunioni dei grandi e i mit^ iinghi del popolo, nelle municipalità .e nei
tribunali. Dove non è presente colla persona, vi si ^rova colla sua azione.
Dove non giunge colla sua voce, arriva co'suoi scrìtti. Tutti i punti
delPIrlanda sentono la sua influenza. Tutte le classi dei cittadini sono
agitate dalla sua forza. Tutti gli spiriti sono n* niti nei suoi disegni. Tutti
i cuori son d'accordo noi lasciarsi guidare dalla sua autorità. Come il gigante
della favola che co' suoi movimenti scuote e solleva una montagna; il solo
O'Connell, formato avendo di otto milioni di uomini come un uom solo, agita e
muore a talento questo gran popolo, e Io lancia contro deUlnghilterra, che
sbigottita dk addietro per non essere schiacciata dal suo peso. Or tutto ciò è
vero, Yiprissimo. Ma non è men rero però che quello che aggiunse una fopza
irresistibile a tanta intelligenzai a tanta fermezza, a tanta attività si fu la
carità che la Religione ispira, e da cui fu sempre penetrato il suo cuore.
Prendendo dal Vangelo Ie«ue.nonne, consoli ipocrifi non fece mai pace; questi
soli mai non risparmiò: fossero Lordi o ministri, nazionali o stranieri,
ecclesiàstici o secolari^ questi soli, strappata loro dal r riso la maschera,
additò al pubblico in tutta la loro turpitudine, in tutta la loro deformità.
Contro di costoro solamente versava a piene mani il fiele delle sue invettive,
laYiciava i fulmini della sua parola, e li dava al ludibrio e alla esecrazione
del mondo; poiché di fatti gli scribi e i farisei sono stati mai sempre la
peggior genia degli uomini che ab» hia mai macchiata la terra: una volta
crocifisser Gesù Cristo, ed or sono la mina del Cristianesimo. Perciò nulla
eguaglia l'amarezza e Io zelo ondo perseguitava i Metodisti e gli Oraugisti, i
più ipocriti e quindi i peggiori fra gli creiici: degni discendenti del più
grande ipocrita de' tempi moderni Cromwel, suoi truci ajulanti, suoi legittimi
eredi neir odio furibondo e crudele contro la cattolica Chiesa. «O bravi
cristiani, dicea loro, che, colla Bibbia in una mano e la spada e la fiaccola
nelFaltra, non avete lasciato dietro di toì che tracce di ruine e di sangae!
Voi ammossate ora calunnie contro dì noi, contro di cui prima facevate
massacri. Ogni vostra parola, ogni vostra azione dimostra che vi manca il
potere e non già il volere di far rivivere i giorni di Gromwel, di Irclon, e di
Ludlom! » 29.Ma in quanto ai protestantismo di buona fede, alle anime sincere e
generose che vi si trovano, ai suoi nemici politici, O'Gonnell, fedele alla
massima cristiana di S. Agostino: Diligile homines; irUerficite erroreSf mentre
ne combatteva gli errori di cui eran la vittima, non cessava di rispettarne e
di amarne ancor le persone. Quindi, severo irreconciliabile e tremendo contro
di loro sul campo della discussione politica, in privato poi non faceva mai
molto contro di loro ; si faceva un dovere di scusarli, di difenderli e di
render loro tutti i buoni uflScii della carità cristiana. Perciò dicea egli
stesso con ogni verità: « Come uomo publico ho un mondo di nemici, ho nemici
tutti i nemici della libertà e della religion dell'Irlanda; ma non ho, non
conosco nemici come privato e come cristiano. » Gli stessi suoi avversarii
politici furon più volte uditi render giustizia alla generosità cristiana di
questi suoi sentimenti. « O'Gonnell, diceano essi, è un^ anima grande; bisogna
volergli bene. per forza. Nemico acerrimo delle nostre opinioni, è il miglior
amico de^nostri interessi e delle nostre persone. » £ perciò lo visitavan
volentieri ; si onoravano della sua fatniliarltà e della soa confi' denza* Ed
era bello il rederli traUenersi la sera in amichevole compagnia con quél medesimo
O^Coii-* Hell contro di cui la mattina, suIFarena parlamen* taria, avevan
combattuto con furor di lioni, e che collo stesso furore avea combattuto contro
di loro* Deh che quanti conobbero dappiresso OXoanell fan* ti lo amarono! Se
tale era egli co'nemicì, ìmaginerete facilmente qual sarà stato cogli amici
della causa della sua Irlanda. In quanto poi ai suoi miseri concittadini, é
impossibile il dire quanto li amasse. Rammentate i primi anni di questo secolo,
in cui l'odio degli orangisti contro i cattolici, per la insurrezione del 179S
dei cattolici contro gli orangisti, essendo ancora nella sua orribile vivacità;
i magistrati protestanti sedcano nei tribunali come vili satelliti della
tirannia, e non come sacerdoti della giustizia, tutori deir innocenza e
vendicatori del delitto. Perciò il solo nome di cattolico era un .titolo
bastante di proscrizione e di condanna. Gratin questi giorni nefasti, e pei
cattolici di orribil memoria, il solo O'Connell, ritrovossi cbe^ erede dello
spirito delFantico Daniele, conu3 del nome, si fece l'intrepido difensore
dcirinnoccnza oppressa. Incontra egli un giorno Ira via una turba di cattolici
che venivan tratti al tribunale, diceasi, per esservi giudicati come rei di
delitto di stato, in verità però per esservi immolali come cattolici; giacché i
giudici, tutti accanili Or angisti,.eran di quelli che la ScriUora chia*^ ma
Iqpi togati, e non formavano un tribunale di 6ag roso, quanto O'Gonnell lo fu
pei suoi cari irlandesi. Non amava che loro, non vivea, non respirava che per
loro; e tutto lor sagrificare, le sue sostanze, i suoi avanzamenti, la sua
opera, la sua vita, fa sempre la sua delizia e la sua felicità. Chi può però
immaginare, non che esprimere il cordoglio, l'affanno onde fu trafitto e
lacerato il suo tenero caore alla vista della sua povera Irlanda travagliata
dalla fame, divorata dalla peste, ed intanto che non ismeotisce mai la sua
pazienza, che non si scuote nella sua fedeltà! Deh che, pallido il volto, e
tinto del segno di una augusta tristezza, taciturno e spesso piangente, anche
in pubblico parlamento, ove si re* caya a chiedere, in aria supplichevole, pane
ainrìan* da, ben dava a divedere la orribile tortura cui era in preda il suo
cuore! Ecco quindi incominciare a venirgli meno, coll'antico brio e coraggio,-
anco le forze; cadere in una tetra malinconia, in un abbattimento profondo; e
questa robusta natura, che avea resistito a 50 anni di stenti e di fatiche,
cadere sotto il peso della passione dell'animo e del dolore. Sicché con ogni
verità può dirsi, che, alla carità vissuto, non è morto che per le mani della
carità: soia degno sacerdote di si nobile vittima! 32. Ma se nulla eguaglia la
tenerezza, l'amore di O'Connell per la sua Irlanda, nulla nemmeno egua* glia
l'amore, la tenerezza dell'Irlanda pel suo O'Connell« Otto milioni di nomini Io
aman tutti come lor padre, mentre gli ubbidiscono come a lor duce^ e lo
venerano come loro sovrano. Quale fiducia nei suoi consigli! quale docilità ai
suoi avvertimenti! quale ubbidienza a*suoi cenni ! È questa una massa di
centomila uomini che fremono contro un atto oppressivo e ingiusto delTaatorità;
ed una sola parola di O'Gonnell li caima, li disperde e li rimanda pacifici
alle loro abitazioni. È questa una contrada di più milioni di nomini famelici;
ed oh il pessimo consigliero che ò la fame! Non vi è ragione che ascolti, non
vi è diritto che rispetti, non vi è rischio che non corra, non vi é gasiigo obe
payentt ! O^Conaeir grida: (( Rispetto alla proprietà, che così comanda la Be-*
ligione: » e la saa voce sola ottiene ciò che tutte h artiglierie dell*
Inghilterra invano avrebbero sperato di ottenere, cioè: la pazienza nella fame,
la rassegnazione, nella morte. Deh che la storia non ci presenta altro escn>
pio di jina potenza morale sì grande, sì colossale, ed insieme .si ubbidita e
sì rispettata; io non so di alcun Sovrano di dritto che,. più di questo Sovrano
di fatto, sia stato fedelmente ubbidito, rispettosa^ mente yenerato,
cordialmente amato! 33. Il suo viaggiare é un continuato trionfo. Trion^ fo di
Otti sarebbe impossibile il formarsi Fidea, se nei trionfi di PIO IX non ne
avessimo sotto gli oc* chi la realità. Appena la voce si sparge che yiene il
Liberatore, ecco intere provincie in moto; ecco i rappresentanti delle Contee,
delle città, ecco le Corporazioni intere dei cittadini, ecco popoli interi
daUuoghi più lontani venirgli incontro con bandiere spiegate in bell'ordin
disposti. Vedendolo poi spuntare da lungi il grand*Uomo, dalle forme atletiche,
dall'aria sublime, dalla fronte maestosa, dallo sguardo caritatevole,
dalFamabil sorriso; ecco ripetuti lietissimi evviva, pronunziati con tutta
l'energia del cuore, riempir l'aria intorno. Mentre egli, a traverso gli archi
trionfali e le vie tapezzale di arazzi e di fiori, in mezzo alla siepe
foltissima d'immense turbe, impazienti di mirarlo in viso, di udirne la' Toce,
si ayyìa pria di tatto ad adorare Dio nel suo tempio. Alla sua vistala gioj a
si dipingea in tutti i volti, il gaudio inondava tutti i cuori. In presenza di
O'ConnelI questo buon popolo sembrava obliare le sue miserie e le secolari sue
angoscie. Per quanto lo veggano, non si saziano mai di vederlo. Per quanto Io
ascoltino, non si stancan mai di ascoltarlo. Mirate^ Io circondato da due, tre
e fin seicento mila persone. Oh come tutti pendono estatici dal suo labro! Ob
con qaale aria di tenerezza se lo Vagheggiano, eoa quale avidità lo
ascoltano,~con quale entusiasmo gli applaudiscono! Oh plausi! oh grida! che,
articolate da tutte le lingue, nascon però da tutti i cuori! Oh come tutti
prendono interesse alla sua sanità, alla sua vita, alla sua gloria! È il nostro
padre, dicòno, il nostro amico vero, il nostro sostegno, il nostro li^
bcratore; e perciò, dopo Dio, egli è la nostra unica speranza, la nostra
gloria, la nostra delizia, il nostro amore. Chi può però farsi idea della
costernazione, della pena, del dolore di tutto questo buon popolo, allorquando
vide il grand'Uomo a lui si caro messo in prigione per lui? Come ad una
calamità pubblica, il lutto si sparse per tutta Irlanda, la mestizia era dipinta
in tutti i volti, Tamarezza era in tutti i cuori. In tutte le famiglie si
recìtavan preci, in tutte le chiese si facevano voti per la libertà di
O'Connell DaMuoghi più distanti venivano in processione, coi sacerdoti e coi
vescovi alia lor testa, popolazioni intere a visitare il gran prigioniero della
Fede e della libertà dell'Irlanda, e deporre ai suoi piedi l'omaggio del loro
amore e del loro dolore. Questa prigione perciò cambiossi in regìa. 0*Gonnell,
più che da sovrano, vi teneva ogni mattina ricevimento solenne. Più che da
sovrano, io dico, giacché nessun sovrano ha ricevuto mai tanti onori sul suo
trono, quanti il nuovo Paolo prigioniero nel suo carcere! Qual fu poi la
contentezza, la gioja dell'Irlanda allorquando, l'ultimo giorno appunto della
Novena che, per la sua liberazione, O'Gonnell avea insinuato dì farsi alla gran
Madre di Dio, l'Alta Camera del parlamento d'Inghilterra, questa volta più alia
per la nobiltà dei suoi sentimenti che non lo era per l' elevazione del rango,
con un atto di ammìrabii giustizia, rendette libero il suo campione
all'Irlanda, il padre al suo popolo? All'uscire di O'Gonnell dalla prigione un
magnifico carro trionfale ed un popolo immenso Io ricevette fra gli evviva e i
segni di un entusiasmo, di un'ebrezza, di un contento più facile a idearsi che
a descriversi. Questo giorno fu per O'Connell un vero trionfo: al cui confronto
tanto più pallidi e meschini sarebber parsi i trionfi dei romani imperadorì,
quanto che questi furono i triglifi della forza, quel dell'amore! 35. Ciò che ò
singolare ancora si è l'entusiasmo, la fiducia, l'amore che il suo
disinteresse, Id^>««egQ0 rifa» il suo zelo per la patria e per la fieligionv
era giunto ad ispirare alle donne. Quest'entusiasmo muliebre formò una parte
non piccola del l'immensa forza morale ond'egli regnò costantemente sul pò*
polo. Giacché, lo ìntendan bene gli uomini dalle corte vedute, dalla cieca
mente come dal cuor di maGÌgno> che si credono i soli buoni a gorernar. Tuo*
mo che non conoscono, il popolo che non. intendono: Quando una idea, sia
politica sia religiosa, dalla UKente degli uomini discende nel cuor delle donno
e divien sentimento, la sua forza centuplica, a tutto resiste e trionfa di
tutto. Or la donna irlandeiM era per O'Gonnell, ohe essa riguardava ^come
runico e rero sostegno^il vindice della patria e delb Religione; ed era essa
che, nell'animo del padre» dello sposo, del figliuolo, ne teneva sempre vìvo
l'amore, ed ispirava loro il coraggio dei più grandi sagrifieii pel liberatore
comune. Mirate colui che, col passo vacillante, col rossore- in volto, colla
tremola mano si avvicina all'urna elettorale. Egli è un povero affittuario,
padre di famiglia, che^ già carcerato per debito, ha veduto aprirsi le porte
della sua prigione dalla mano crudelmeate. benefica del Lord suo creditore, a
condiztoi> ne che voti contro di O^GonnelI. E già Famore delb tua desolata
famiglia vincendola sull'amore pel Lir beralor della patria, sta egli per
votare contro di lui. Quand*ec€0 udirsi voce di donna: XiseraM$ €h^
iìsìAììtìàordatt della tua anima e della libertà (Ht^ member your soul and
liberty), O voce! O donaa! Essa è la spo^a di questo irlandese infelice, è la
•posa, che preferisce la vittoria di O'Gonnell alla li* berta dello sposo, al
sostentamento de'figli! A questa Yoce, richiamato il misero a se stesso^ oblia
esso pare che è sposo, che è padre per ricordarsi di essere cittadino. Vota
invece pel Liberatore; e, novello Regolo, tranquillamente alla sua prigione
ritorna. Ben presto la sublime parola della sposa magnanima dall'una all'altra
estremità si ripete dell'Isola dei Santi. S'imprime nel bronzo (19), si scrive
sulle bandiere dell'Associazione cattolica. Poiché in questa gran parola si
trova tutta compendiata la storia di questo popolo eroico, tutti espressi i
sentimenti di un cuore veramente irlandese, che da tre secoli tutto
sagrificaaDio e alla patria, alla Religione e olla libertà. 36.1magìnate perciò
se questo popolo possa consentire che il suo Liberatore e padre, il quale tutti
i suoi beni, i suoi lucri (20), il suo riposo, la sua esistenza ha sagrificato
all'Irlanda, dell'Irlanda non viva^ Ma deh che il più cattolico, il più morale,
il più coraggioso^ il più nobile dei popoli della terra è altresì il più
miserabile. Arrivare coi più duri suoi stenti a riempirsi di patate il ventre,
ò il colmo della sua agiatezza* e della sua felicità. Eppure, c^h popolo
generoso! Oh come volentieri egli anche dèlia sua patata si priva per dare il
suo obolo pel suo Liberatore! sino a formargli l'annuale assegno dì presso a
cento mila scudi! L'insolenza protestante ha dato perciò ad O'Gon^ nell il
titolo di Be mendicante. Ma insensata! men^ tre cosi intende schernirlo, lo
onora. E qual più bella regalia di questa che vive non di tributi estorti colla
forza^ma di offerte yolontarie ispirate dairamore? Qual più bella regalia di
questa che non faa altra spada che la penna, altra artiglieria che la parola,
altro corteggio che i poveri, altra guardia del corpo che Taffezion del suo
popolo? Qaal più bella regalia di questa che non fa scor* rer le lacrime, ma le
rasciuga; non fa versare il sangue, ma lo arresta; non immola le vite, ma le
conserva; non domina il popolo, ma lo migliora ; non foggia catene, ma le
spezza; che mantiene Tordine, l'armonia, la pace, senza pregiudizio della
libertà! Deh qual sovrano non si stimerebbe felice di regnare cosi! Sicché di
questa regalia pacifica può dirsi in certo modo ciò che di quella di Salomone
fu detto: che nulla eguaglia la sua grandezza, la sua gloria e la sua
magnificenza; Rex pacificus magnificcUus est super omnes reges terrae (IH,
Reg.lOJ! 37. Poiché dunque, con tai mezzi, che il suo spirito religioso avea
santificati ed elevati ad una al* tezza meravigliosa, ebbe disposta la pubblica
opinione in Irlanda e in Inghilterra, nella regia e nel parlamento, nel
santuario e nel popolo ia favore della liberazione della patria; eccolo
presentarsi a reclamare i suffragi de'suoi concittadini per essere eletto uno
dei Ilappresenlanti d' Irlanda al parlamento Britannico. Invano il governo, a
render vana una siffatta pretensione^ per parte di un cattolico si nuova e si
inaspettata, gli oppone per competitore un illustre personaggio (21) nominato
di già al ministero, e benemerito della causa d'Irlanda. Invano ne'cinque
giorni che durò questa memorabile lotta elettorale tutti furon messi in opera i
mezzi," di cui un gran Potere potea disporre, per fare escludere un uomo,
il cui solo nome era divenuto lo spauracchio dell'Inghilterra. Questa volta il
merito prevalse alla ricchezza, lo zelo della patria a' turpi istinti di
adulare il Potere, l'uomo del popolo all'uomo del ministero, il cattolico al
protestante; ed O'Connell fu eletto tra' plausi de'veri fedeli e il fremere
degli orangisti. La grande difficoltà però non era altrimenti che un Cattolico
fosse eletto, ma che fosse poi accettato come Membro del Parlamento, dal quale
per leg* gè ogni cattolico era stato da tre secoli formalmente escluso. Non
importa. Il genio di O'Connell, con quella sicurezza di previsione che non gli
venne mai manco, pien di fiducia nella giustizia della sua causa, e molto più
nella protezione della Regina del cielo, dopo ottenuta questa prima vittoria»
si tenne per sicura ancor la seconda; e come se^ pei solo fatto di questa
elezione, fosse divenata già libera l'Irlanda, tra le rfsa di scherno degli uni
e i segni d'incredulità degli altri, intonò l'inno della liberazione, dicendo
a*suoi Elettori: « Uomini di dare, voi sapete che la sola base della libertà si
è la Religione. Voi avete trionfato, perchè la vostra voce, che si è elevata
per la patria, avea precedentemente esalata al Signore la preghiera. Ora canti
di libertà si fanno sentire nelle nostre campagne; questi suoni percorrono le
valli, riempiono le colline, mormorano nelle acque dei nostri fiumi; e i nostri
torrenti, colla lor voce di tuono, gridano agli echi delle nostre montagne: É
liberata l'Ialanoa! . Or, come lo predice, cosi avviene. Si presenta alla
camera dei Comuni; un usciere gliene contrasta l'ingresso. Siete cattolico, gli
dice, non vi è luogo pe' cattolici in una assemblea protestante. E poi, giurate
voi i trentanove articoli della religione Anglicana? « Io giuro, ripiglia
O'Gonnell, fedeltà al mio Re ed a tutte le leggi giuste del Parlamento; ma non
giuro l'eresia e la bestemmia. Chieggo alla Camera di essere ammesso a provare
il mio dritto. » Questa dimanda si inusitata è accordata, più per istinto di
curiosità che per principio di giustizia. Il grand'uomo è introdotto. Angiolo
tutelar dell'Irlanda, venite deh in soccorso del suo generoso avvocato! Non mai
causa più grande fu messa in deliberazione al tribunale degli uomini. Non mai
più gravi interessi dipendettero dalla parola di uà uomo! Trattasi della
libertà o della servitù civile e religiosa di un gran popolo; trattasi della
stabilità o della ruina di un grande impero! Non temiamo però. Queste
circostanze hanno di già elevato O'Conneli sopra se stesso. Egli sente tutta
l'importanza della missione di cui è incaricato. L'assemblea prende Tattitadine
della più gran serietà. Nessuno 6ata; tutti gli occhi sono rivolti sopra di
lui, e tutti i cuori palpitano dove di speranza, dove per paura. O'Conneli
parla, ma con tuono si maestoso, con voce sì ferma, con tale elevazione di
sentimenti, forza di ragioni, magnificenza di stile, vivezza di espressione,
calore di affetti; che scuote e fa tremar tutti da prima, e quindi convince i
più difficili, doma i più ribelli, commuove i più duri; ed in fine fa rimaner
tutti come estatici e fuori di sé per Io stupore: sicché rimirandosi l'un
l'altro parean dirsi con un eloquente silenzio: « Non mai uomo ha parlato cosi.
Chi avrebbe coraggio di dar torto a un tal uomo? » I pregiudizii adunque
cedono, gli odii religiosi taciono, le vecchie usanze non si attendono,
l'eresia si arrende, la giustizia trionfa; ed ecco, in persona di 0*ConneII, il
Cattolicismo prender polito nel Parlamento britannico, dopo tre secoli dacché
ne era stato sbandito! 39. Ma l'Emancipazione? Non temete. La breccia é fatta.
Il nemico è dentro. La cittadella è impossibile che non cada. Non passa infatti
che un anno; e soggiogato dalla parola possente di O'Conneli, e dalla forza àeìV
opinione e delle simpatie de' popoli (22) che O^Gonnell era giunto ad
interessare nella soa causa, lo stesso ministero torys, che era stato
costitoito per aggravare la servile condizion dell'Irlanda, è obbligato a
proporre il Bill della sua libertà. Una parte notabile dei Comuni si oppone;
l'Aristocrazia minaccia; l'Anglicanismo protesta; lo stesso re Giorgio IV, le
cui ottime qualità d'inglese e di cristiano erano oscurate dal fanatismo di un
settario, ne freme ; nella rabbia dell'orgoglio reale, umiliato di dover cedere
ad un privato, battendo i piedi, gittando la penna, e prorompendo nella
imprecazion plateale : « O'Gohnell sia dannato da Dio (6od damne O'Gonnell) : »
ricusa di sottoscrivere. Tutto però è inutile. Bisogna cedere, bisogna
arrendersi; e la gran le^ge, che tanto onora la benché tarda giustizia, la
generosità e il buon senso inglese, è firmata; e la libertà civile e religiosa
dell'Irlanda, come un trattato di pace che si è obbligato a sottoscrivere in
seguito di una sconfitta, è stipolata tra la gioja degli uomini liberi ed il
plauso del mondo! O vittoria! Dopo la vittoria, onde il Cristianesimo primitivo
ottenne i suoi dritti civili e la sua libertà religiosa da quegli stessi
Imperadori che lo avean per tre secoli trattato da schiavo, non vi è stata mai
vittoria di questa più nobile, più magnifica e più sorprendente! Da UDa parte
erano interessi politici e rivalità di fortuna, privilegi di casta e
pregiadizii di educazione, antipatie nazionali ed odii religiosi, Pop*
posizione del re e la repugnanza del popolo, ed infine una eresia radicata da
trecent'anni nel suolo, intelligente, interessata, padrona delle terre, dei
capitali, della marina, dell' armata, del parlamento; cioè a dire: che
combatteron da un lato tutte le passioni, tutti gli errori, tutti i talenti,
tutte le ricchezze) tutte le forze; e dall'altra lato ha pugnato un privato,
povero, inerme, appartenente ad una nazione serva, ad una razza proscritta; un
privato che chi chiama temerario e chi forsennato; chi lo taccia d'ambizione e
chi di fanatismo; chi Io insulta e chi lo deride, chi lo disprezza e chi Io
minaccia, chi ne sogghigna e chi ne freme. Eppure quest'uomo solo, questo
privato, si combattuto, si attraversato, forte soltanto della sua eloquenza
sostenuta dalla sua Religione, vince tanti e si poderosi nemici; ed a quella
colossale Potenza, che dispone a suo grado de' destini del mondo e della sorte
dell'umanità, a cui nulla resiste e che trionfa di tutto, O^GonnelI ha
resistito, l' ha vinta, ne ha trionfato! avvenimento, grande, unico, stupendo,
che cambia la faccia del mondo e onora un secolo! e che, compiutosi sotto degli
occhi nostri, e tramandato alla storia, troverà incredula la posterità
meravigliata; e di cui perciò può dirsi: Opus factum est in dt'ebus nostris,
quod nemo credet cum narrahitur (Habac.J! Ma le leggi municipali d'Irlanda
erano stafìe combinate in modo daireresia, cbe i cattolici non polean nel
Goninne ottenere alcun posto, esercita-* re alcun dritto, nemmen di piantare un
negorìo» nemmen di aprire una bottega: dipendendo tatto ciò dairarbitrio e dal
capriccio dei protestanti. L'Emancipazione politica de'Gattolici adunque, in
dritto, era senza dubbio moltissimo, ma non era nulla in fatto senza
l'Emancipazione civile. Ora O'Gonnell anche questa vittoria ottiene; e per essa
ba messo in mano ai cattolici tutte le municipalità dell'Irlanda. Poicbé, uso
ad entrar sempre in Parlamento con in bocca il grido compassionevole insieme e
terribile « Giustizia per rirlanda » onde fa rabbrividar chi lo ascolta; alla
forza di questo grido, sostenuto da una agitazion sempre viva, da una eloquenza
sempre possente, da milioni di petizioni (23); non vi è nulla che tenga, non vi
é nulla che regga, non vi è nulla cbe resista. Cosi ottiene egli pure che
fossero per metà diminuiti i vescovati ed in gran numero soppresse le
parrocchie dell'eresia: piante parasite che si alimentavano dei sudore della
cattolica Irlanda! Cosi le ottiene ancora l'esenzione daU pagare decime odiose
pel mantenimento del culto protestante da cui era oppressa. Così ottiene che la
sua patria, già serva dell'Inghilterra ne sia divenuta rivale, già schiava sia
divenuta libera; già aggregato d'individui poveri, umiliati, infelici, sia
sorta in una nazione proprietaria, compatta, maestosa, terribile. 56 41. Che se
la morte gli ba impedito di veder compiuto il trionfo dell'Irlanda, per la
Revoca delPaito iniquo che riunisce i due popoli sotto uno stesso regime;
questo trionfo però O'Gonnell, colla sua agitazione, co'suoi disegni, colle sue
norme, co'suoi sagrificii, lo ha così ben preparato, che è impossibile che non
si ottenga. £ poi non ha egli lasciata i suoi figli, credi del suo spirito,
delle sue virtù e della sua gloria, come del suo sangue? £ poi il suo
secondogenito non é stato di già chiamato ad occupare Io stesso rango politico
del Padre dalle onorevoli simpatie e dalla libera scelta del Clero e del
popolo? E poi non ha preso egli a seguire i principii, i piani del genitore, a
battere le medesime vie ? Ah sì, Giovanni compirà 1' opera di Daniello! Il
nuovo Giosuè introdurrà il nuovo popolo eletto nella vera terra promessa di una
completa indipendenza, che il nuovo Mese non potè che salutare da lungi. La
stessa Inghilterra sarà costretta a lasciare andar libere le sante tribù. Essa
incomincia a comprendere, che due popoli, di indole, di costumi, di linguaggio
e molto più di religione diversi, non possono stare insieme uniti sotto un
regime medesimo; che Tlrlanda, priva del suo particolar parlamento, non è un
appoggio per Fin* ghilterra, ma un imbarazzo, un peso; e che non può essere
salvata dalla fame e dalla peste, che minaccian di distruggerla, se non per un
regime suo proprio. Sì^ o generosa nazione, da quest'ultimo travaglio che ti
desola e.ti affanna, risorgerai più libera, più gloriosa e più forte. Inghilterra
e Irlanda non sa* rete più due popoli 1' uno all'altro soggetto per odiarvi e
indebolirvi l'un l'altro ; ma, secondo le intenzioni sublimi, ì generosi
sentimenti del gran* d'aomo che tanto onorate e che tanto vi onora, sarete due
giojelli della stessa corona, due appoggi dello stesso tronoj due nobili
sorelle della stessa famìglia, che, amandovi, sostenendovi l'nna e l'ai* tra y
camminerete sicure nelle vie della vera li* berta, della vera grandezza, al
compimento dei su* blimi disegni cui la Providenza vi ha destinate-, per la
diffusione del Vangelo, per la emancipa* zione degli uomini, per la salute del
mondo! .42. Ecco dunque un piccolo saggio di ciò che è stato O'Gonnell come
cittadino. Oh quanto perciò la sua gloria è più splendida di quella di un Napoleone!
Ah che nel paragonare questi due uomini, i più straordinarii de'tempi moderni,
e che hanno riempita la prima metà del nostro secolo della grandezza del loro
nome, O'Gonnell e Bonaparte, la storia imparziale dirà: che l'uno è stato il
genio della pace, l'altro della guerra. L'uno ha assicurati i figli alle madri,
i mariti alle spose, i padri ai pupilli; l'altro li ha tolti. L'uno ha salvato
milioni di vite, l' altro le ha sagrificate. L' uno ha predicata la fedeltà,
l'altro la ribellione a -tutti i governi stabiliti. Il nome dell'uno non
ricorda che grande disinteresse, grande amore della giustizia. della legalità e
dell'ordine; il nome dell'altro non rammenta che grandi scompigli, grandi
ingiastizie, grandi spogli e grandi usurpazioni. L'uno ha fatto rivivere i
principii di civile indipendenza deposti nelle antiche costitazioni delle
monarchie cristiane; Taltro li ha distrutti. L'ano ha per quarant'anni lavorato
alla vera libertà di tutti i popoli; l'altro, sotto il nome di
Centralizzazione, ha creata una servitù universale. E ciò, perchè mai? Perchè
Napoleone si è ispirato dell'ambizione, O'Gonnell della carità. Quello ha
disprezzata laBeligìone, imprigionando l'augusto suo Capo; questi l'ha onorata,
Tha amata, mandando a questo Capo in omaggio il suo cuore; quello, cittadino
mondano, si è servito di una filosofia miscredente per creare la servitù;
questi, cittadino cristiano, si è giovato delle pratiche che la Religione
impone, delle dottrine che la Religione insegna, della carità che la Religione
ispira, per far regnare la libertà. E quindi l'uno ha ottenute solide
conquiste; l'altro ba visto, pria di morire, dileguarsi le sue. L'uno ha
lasciato dietro di sé un solco di luce, V altro una striscia di sangue; ed ove
la memoria di Napoleone ispira un non so che di lugubre e di orrendo (24), e
non desta che una sterile ammirazione mescolata col pianto; al contrario la
memoria di 0*ConnelI fa tripudiare di gioja e, sempre benedetta, sarà l'amore e
la delizia del mondo! Imperciocché il Liberatore d'Irlanda non bft distretti
all^Irlanda i benefici! della libertà, ma li ba estesi ancora a tutta FEuropa,
a tutto il mondo. Deh che Iddio non crea i grandi uomini per l'utili* tà di un
sol tempo e di un sol popolo, ma per rutilila di tutti i popoli e di tutti i tempi;
e l'uomo di genio perciò appartiene a tutta l'Umanità. Qui però, per farvi
intendere il mio pensiero^ bo bisogno di indicarvi almeno una importante
dottrina, cbe sola può darci T intelligenza delle due principali epoche della
storia moderna. La storia del nostro secolo è scritta in quella del secolo
decimosesto. Uomini di tutti i talenti, ma insieme di tutte le infamie e di
tutti i delitti, con in bocca la parola Riforma posero allora sossopra il mondo
cristiano; ed uomini di simil tempra a'di nostri, con sulle labbra la parola
Libertà^ hanno sconvolto tutto il mondo politico. Ma come mai ? £ egli dunque
dato al genio del male, personificato in un qualche uomo, di agitare, di
sconvolgere a suo grado il mondo, e trarlo negli abissi della ribellione o dell'eresia?
No, no, non è altrimenti cosi. Gli eresiarchi del secolo decimosesto amavan si
poco la Riforma^ quanto poco i rivoluzionarii dei tempi nostri amano la
Libertà. Come nella bocca di quelli la parola Riforma, cosi la parola Liberia
nella bocca di questi non è che un pretesto, nna menzogna, una impostura. Con
queste magiche parole quelli vollero distrugger la Chiesa, questi la società.
Tutto ciò è vero, tutto ciò è provato dall'esperienza. Gli uni e gli altri non
hanno sul lor passaggio ammassato clie ruine; e, padroni del campo, gli uni si
sono mostrati cristiani i più empii e i più corrotti (25); gli altri i più
despoti e i più crudeli fra gli uomini di stato. Come dunque, e donde hanno
essi mai attinto sì gran potere, da strascinare la metà dell'Eurqpa ne^ loro
disegni di disordine e di errore? Yel dirò io. Simile ad un fiume che in certi
punti del suo corso ammassa immondezze, il tempo riunisce in alcune epoche
disordini e abusi. Questo fenomeno è comune a tutte le umane società le meglio
costituite; e la stessa Chiesa, nella parte che essa ha di umano, non ne va
esente. Allora un malessere^ una atonia, una perturbazione secreta
s'impadronisce del corpo sociale, che chiama, che cerca un rimedio pronto ed
efficace; e chiunque, colla raccomandazione dell'ardire, della scienza e del
genio, si offre ad apprestarlo, è sicuro di essere ascoltato. Pertanto, come
gli scandali e gli abusi degli ecclesiastici, accumulatisi dai secoli
precedenti nel secolo decimosesto, fecero della Riforma un bisogno universale
nella Chiesa; così le ingiustizie e gli arbitrii dei politici, dai precedenti
secoli derivati nel nostro, bau fatto nello stato un bisogno universale della
Libertà. Non è dunque per avere insognate false dottrine che gli eresiarchi e i
rivoltosi hanno ottenuto si 61 grandi e si funesti successi; ma perchè hanno
indovinato, sono iti incontro ad un bisogno vero, universale della Chiesa e
dello stato; e si sono offerti di appagarlo: promettendo, predicando colla
lingua quello che certamente non avean nel cuore, cioè: questi Libertà^ e
quelli Riforma. 44. Ma in questo rapido colpo d'occhio sopra le indicate due
epoche, e sulle cause delie orribili perturbazioni che yì sodo insorte, è
indicata non solo la Glosofia della loro storia, ma ancora la natura del loro rimedio.
Come mai l'eresia fu nel secolo decimosesto arrestata nel tremendo suo corso,
che minacciava di avvolgere nelle immonde sue acque l'intera Europa? Coll'avere
la Chiesa adottata la parola medesima dell'eresia, e gridato essa pure:
Riforma. Deh che appena la Chiesa, pria per la bocca del gran Pontefice Paolo
III, e poi nel gran Concilio di Trento, articolò questa gran parola, Reformatio
(26); questa promessa, questa speranza di una riforma vera, data dalla Chiesa,
rese vana la falsa riforma proclamata e offerta dall'eresia; le spezzò in viso
il talismano tremendo della magica parola, con cui avea fatto a tanti popoli
illusione; e Teresia luterana e calvinista, che stava già per invàder la
Francia e l'Italia, restata come dottrina politica degli stati che vi piantaron
sopra le loro costituzioni e le loro dinastie, come dottrina teologica però
cessò di fare nuove stragi e nuove conquiste. Or al medesimo modo, la
rivoluzione, che minaccia di fare il giro del globo, non potrà essere arrestata
nella sua marcia devastatrice dei troni e degli stati, se non allora quando gli
stessi governi, adottandone la medesima parola, grideranno essi ancora Libertà.
Questa parola, io lo ripeto, è senza dubbio cotanto bugiarda nella bocca dei
demagoghi, quanto già la parola Riforma Io fu nella bocca degli eretici. Ma se,
prendendo esempio da ciò che ha fatto la Chiesa rispetto alla Riforma, i
governi adottano la stessa gran politica larga e generosa riguardo alla
libertà; se faranno una verità di questa parola, che in bocca alla sedizione è
lina menzogna; se si affretteranno essi di compiere ciò che la rivoluzione può
promettere, senza poter mai mantenere; se, accorrendo così a tempo a sodisfare
a ciò che è oggi un bisogno reale, sensibile, evidente dei popoli cristiani, li
liberano dalle seduzioni della demagogia; se faran di buon grado e dentro certi
limiti, ciò che potrebbero essere più tardi costretti a fare smodatamente da
una inesorabile necessità; essi toglieranno ai nemici dell'ordine il favore dei
popoli; e siccome una saggia riforma, eseguita dalla Chiesa, disarmò l'eresia,
cosi una saggia libertà conceduta dai governi disarmerà la rivoluzione; e
questo si è, s'intenda bene, il mezzo unico, il mezzo sicuro, infallibile da
farla terminare. 45. Ora questa grande dottrina si semplice, ma insieme sì
profonda^ iaiesa da pochi, e non professala da ninno ai principio di questo
secolo, 0*Gonnel! è stato il primo a proclamarla, ad inaagnrarla, a metterla in
pratica col più grande successo. . Quando qaest*nomo singolare incominciò a
mostrarsi sulla scena politica del Regno-Unito, cioè nel plii gran teatro del
mondo, i migliori spiriti erano, intorno alla libertà, dominati da pregiudizii
funesti, ma disgraziatamente troppo giustificati dalla vista di tanti troni
vacillanti o caduti, di tante dinastie spente o proscritte^ di tante
espoiiazioni, di tante stragi, di tante mine eseguite a nome e sotto il
vessillo della libertà. Qjuesta parola, indice di tanti eccessi, facea palpitar
di paura. Questo vessillo, lordo di tanto sangue, non destava che orrore. Tutte
le idee di ordine si erano immedesimate perciò colle idee di un insensato
assolutismo; e tutte le idee di libertà in quelle di un giacobinismo crudele.
Libertà era sinonimo di ribellione; liberale, di regicida. Ogni tentativo di politica
riforma era riputato un attentato contro la stabilità dei troni e la
tranquillità degli stati.Un dispotismo illaminato era riguardato come l'unico
rifugio dell'ordine, runico tutore della società. Cosi la fedeltà moderna non
comprese più Tordiae senza il dispotismo: come l'antica filosofia non comprese
mai la società senza la servitù! 46. Ma da che un uomo, come O'Connell, di cui
non si potca mettere in dubbio, né la grandezza del 64 genio, né la purezza
deHe intenzioni, ne la fedeltà al suo principe, né l'amore pel suo popolo, né
sopratuito rintelligenza della sua fede, né la sincerità della sua religione;
dacché, in somma, si yide questo gran cittadino e gran cristiano insieme, in«
Yocare, predicare la libertà e francamente dirsi e protestarsi liberale egli
stesso; queste parole*incominciarono da prima a suonar meno ingrate alle
orecchie delicate e schive del Cattolicismo e della fedeltà irlandese. Poi
divennero familiari in quel popolo; poi vi si naturalizzarono, e con esse le
idee che rappresentano, i sentimenti che ispirano. InGne l'Irlanda, alla scuola
e sotto le ispirazioni del suo O'Gonnell, divenne il popolo più liberale di
Europa e il più entusiasta per la libertà. Ma di qual libertà! Deh che la
nazione irlandese, che Te* resia anglicana, orgogliosa e crudele come i Giudei,
bestemmia e insulta, dopo di averla crocifissa, è frattanto una nazione di
eroi. Essa, formata delle teorie cristianamente liberali di O'Gonnell, ha
adottata la vera libertà figlia della Religione; si è garantita dalla falsa, parto
mostruoso della ribellione; ed ha presentato al mondo lo spettacolo unico di un
popolo libero nel chiedere, e docile nell'ubbidire; geloso della sua
indipendenza, e nemico della sedizione; amante del suo paese, e fedele al suo
re; abbastanza fiero per non avvilirsi, e abbastanza saggio per non
insolentire; sublime nella rassegnazione, e moderato nella resistenza; zelante
65 dei proprìi diritti, e scrupaloso a rispettar quelli di altrui; che si
riunisce ma senza tumulti, che si lagoa ma senza invettive, che grida contro la
ingiustizia, e non S(»'passa mai i limiti della legalità. Oh gloria dunque, o
trionfo di O'Gonnell di avere cosi il primo riconciliata la libertà coH'ordine,
l'indipendenza colla fedeltà, e di aver trasformato in principio di sicurezza a
di felicità il principio delia distruzione dei troni, della desolazione e delia
servitù del popolo! Questa grande rivoluzione pacifica, nelle idee e nei
sentimenti, ben presto dall'Irlanda guadagnò ringhilterra, e dall'Inghilterra
cominciò a percorrere in tutti i sensi l'Europa. L'esempio di una nazione di
otto milioni di uomini che, fedele alle dottrine del suo maestro e direi quasi
profeta, è sempre agitata e sempre tranquilla, sempre intenta a discutere i
suoi diritti e sempre esatta a compire i suoi doveri, sempre sdegnata delle
ingiustizie che soGTre e sempre fedele; quest'esempio, io dico, fece aprire gli
occhi a moltissimi, e sparse un gran lume sulla scienza di stato. I pregiudizi!
si dissiparono. I grandi ingegni videro d' allora possibile un'^allcanza tra la
libertà e la ubbidienza, fra l'agitazione più vivace ed il rispetto alle leggi,
fra i diritti della sudditanza e la sicurezza del principato, tra la
indipendenza del popolo e la stabilità degl'imperi. Là parola libertà si
cominciò a pronunziare senza ripugnanza, ^i cominciò a conoscere 6 66 cbe si
^uò amare il popolo, senz'esser nemico dei re} ed essere liberale, senza essere
giacobino. E gran cosa! Doye credete Toi che oggi si» ritrovino i proTOcatori
audaci di leggi di eccezione, gli adulatori vilissimi del Potere, i sostenitori
della dottrina degli antichi popoli pagani, deìVassoluta supremazia dello Stato
: dottrina che abbandona tolto un popolo cristiano airarbitrio, al capriccio di
un pugno di uomini che si dicon lo Stato, e crea una servitù universale? Dove
credete voi che oggi si ritrovino coloro che ricusano la libertà ai genitori di
educare i proprii figliuoli; alla Comune, di regolare le proprie spese; alla
Provincia, di provedere alla sua prosperità; alla Chiesa, di predicare e condurre
i popoli nelle vie della verità e della giustizia? Dove credete voi che oggi si
ritrovino coloro in cui Podio del popolo è eguale ali* insolente disprezzo con
cui ne parlano? Dove credete voi infine che si ritrovino i nemici di tutte le
libertà, i fautori impudenti di tutte le servitù ? Si trovano fra'più fanatici
demagoghi, tra gli allievi del giacobinismo e defla ribellione. Mentre al
cootrario la libertà non trova amici più sinceri, seguaci più costanti,
difensori più intrepidi, avvocati più generosi, che fra' più devoti partigiani
dell'ordin monarchico, fra gli eroi e i martiri della fedeltà ! Ora un
cambiamento sì strano e si inaspettalo ha avuto il suo principio, la sua causa
in Irlanda; è nato sotta gli aùspicii e il magistero di 0*Con nell. É stato
egli che, coll'esempio delia sua patri», ha dove modificate, dove cambiate
affatto le idee politiche di una gran parte di Europa. È stato egli che ha
screditata la falsa, libertà e raccomandata la vera. É stato egli che ha
smascherata Tipocrisia dei demagoghi, e svergognata per sempre la sedizione. £
vero che questa dottrina è quella degli antichi Apostoli, degli antichi
Cristiani, degli antichi Martiri che, mentre colla voce e cogli scritti, colle
loro proteste nei tribunali e colle loro apologie presentate agrimperatori,
reclamavano i proprii diritti e gridavano contro l'oppressione, non cessavan di
esser fedeli. Ma la paura del peggio Tavea ecclissata e presso che spenta
questa nobile dottrina^ fra le persone fedelmente cristiane e cristianamente fedeli.
Un pensiero, una parola di lagnanza contro unMn giustizia, ài censura contro di
un abisso del Potere, sarebbe loro parso un delitto. Ora O'Gonnell l'ha
risuscitata questa dottrina concili»trice, l'ha restaurata^ l'ha diffusa, l'ha
insegnata colla potenza della sua parola e col fatto de'suoi successi, r ha
renduta comune e popolare in Europa. 47. Voi stessi, o Remani, che ciò
ascoltate, voi sì siete una prova che le influenze dell^ apostolato politico di
O'Gonnell han penetrato fino in questa bella parte di Europa. 68 Imperciocché,
è vero, lo dirò io con dolore, è vero che vi è forse fra voi àncora un qualche
tardo allievo della filosofia rivoluzionaria dello scorso secolo, un qualche
pedante insensato che agogna a realizzare in Roma cristiana le teoriche
republicane di Roma idolatra, e ad applicare le sue idee di collegio alla
società. È vero che vi son di quelli pei quali, come già pei sangui* narii
Sanculotti del . 97 da cui discendono, la parola di libertà del popolo nasconde
la trista idea della distruzione e l'orribile sentimento delPodio della
sovranità. Ma questi degeneri cittadini (se cittadino può dirsi chi meditd la
ruina della sua patria ) sono pochissimi. Il popolo però, il vero popolo
romano, pel suo spirito di ordine, ^i ubbidienza e di amore versa il suo
principe, divenuto Tammirazione dell'Europa e del mondo, guarda con orrore ed
obbliga a mascherarsi questi fabbri occulti di ribellione, e detesta le loro
dottrine di disordine e di sangue. Il suo squisito buon senso non si -lascia
prendere alle loro insidie, alla loro ipocrisia. Non comprende la libertà che
coir ordine ; non divide il desiderio del suo ben essere dalla fedeltà e
dall'ubbidienza ai suo sovrano. Che anzi questo popolo si buono e sì
intelligente ha perfezionata, direi quasi, la dottrina che V apostolato di
O'Gonnell ha accreditata in Europa. Roma alla più scrupolosa legalità ha
aggiunto l'entusiasmo dell'amore. Chic 69 de per mezzo di una agitazione
amorosa, come Irlanda ha chiesto per mezzo di una agitazione legale, la riforma
degli abusi onde il tempo e le passioni, come sempre e da per tutto accade,
hanno alterata la natura deirantìca Costituzione degli stati della Chiesa, che
conciliara si bene (28) l'ordine e la libertà. E poiché il linguaggio di un
popol che ama è impossibile che non sìa inteso da un Pontefice tutto amor pel
suo popolo; poiché i cuori che sinceramente si amano è impossibile che alla fin
non s'intendano ; oh il bel vanto che tu, o Roma, ti prepari, se però
t'intendono, se però non ti arrestano, se però non t'ingannano, se però non ti
tradiscono! oh la bella pagina che aggiungerai alla tua storia! quella in cui
la posterità maravi- ^ gliata leggerà la conquista che tu avrai ottenuta di una
saggia, di una vera libertà, per le vie sol delFamore! 48. Dico di una vera
libertà: giacché, siccome vi è il vero oro e Toro falso, cosi vi è la libertà
vera e la falsa libertà. Oh come quella è vaga! Oh quanto questa, è deforme! Oh
come quella è maestosa! Oh quanto questa è terribile ! Oh come ' quella spira
grazia e calma ! Oh quanto questa tramanda spavento ed orrore! L'una ha ornato
il capo della splendida aureola dell'ordine, Fallra lo ha ricoperto del
berretto rosso dell'anarchia. L'una stringe in mano l'ulivo di pace, l'altra la
fiaccola della discordia. L'una è vestita di un abito si 70 bianco come qaello
deirinnoccnza; TaUra è ayrol^ la nel nero paludamento del delitto, macchiato di
sangue* L'una è il sostegno dei troni, 1* altra ne è la mina. L'una è la gloria
e la felicità dei popoli, Taltra ne è Tìgnominia e il flagello. Questa sbuca
dall'inferno come uno sbuffo avvelenato dallo spirito del diavolo; quella, come
un^aura soave dello spirito di Dio, discende dal cielo; Ubi spiri' tus Domini
ibi libertas (7, Corinthi Z)! 49. Perciò, intendiamolo bene, miei cari fratelli,
questa vera libertà esce non già dalle orgie clandestine della ribellione, ma
dal Santuario; germoglia dalle dottrine non già della filosofia, ma della
Religione. La libertà è la radiazione pacifica della verità, come la servitù è
il lampo funesto dell'errore. Non può perciò ottenersi sincera e pura che dalla
Chiesa in cui sola si ritrova sincera e pura la verità. Come dunque è stata la
Chiesa che ha sostenuta la libertà metafisica dell' anima umana contro i
filosofi e gli eretici che Thanno impugnata; come è stata la Chiesa che ha
creata la libertà domestica, elevando la sposa, e consecrando i figliuoli; come
è stata la Chiesa che ha introdotta la libertà cn?f7e, abolendo fra'popoli
cristiani la vendita dell'uomo e la servitù; così solo la Chiesa potrà proclamare
la libertà politica, fissando i veri, i giusti limiti delTubbidienza e del
comando, i veri e giusti dritti, i veri e giusti doveri del popolo e del
principato. Fedeltà dunque, ubbidienza, fiducia, amore alla vera Religione: ad
imitazione del grand'Uomo di cui deploriamo la perdita, che non solo si è della
Religione giovato per ottenere la vera libertà, co» me abbiamo vedato^
Liberavit gentem stuim a perdittane; ma, come qaesf altra volta vedremo, si è
servito della libertà per far trionfare la Religione; Corroboravi^ temphm.
ELOGIO FUrVEBRE. Simon magnusjqui liberava gentem suam a perditione; et in
dièbus suis corrobaravit templum (Eecli. ^J, 50. Siccome tì é una vera
grandezza, figlia della virtù e del merito; così ve ne è una falsa, figlia del
favore e del capriccio di chi la comparte, o del pregiudizio edeirioganno di
chi la credevo inGne delTadolazione, dell'intrigo^ della viltà di chi se la
procura. Come però la grandezza é diversa nel suo principio, cosi varia altresì
nella sua darata. La falsa grandezza non basta a raccomandare, ad elevare
nemmen la persona, che ne è rivestita come di un abito che non le si assesta; e
perisce con essa, e spesso ancora prima di essa. La grandezza vera al contrario
nobilita, non che una persona, tatta una famiglia; come una pura luce si
riflette ancora so* pra una lung^ discendenza; e gli emblemi più bril« lanti ne
trasmetton la gloria sino alla posterità più rimota. Egli è perciò che nel
magnifico stemma della famiglia O'Gonnell si legge il bel motto «L'Occhio di O'Gonnell
è la salate d'Irlanda; SaUus Hibemiae oculus O'Connell. » 51. Se non che questo
splendido motto non solo é la testimonianza delle glorie passate di questa
illustre famiglia, ma ancora è stato come una profezia delle sue glorie future,
che in Daniello O'Gonnell ha avuto il suo compimento. Giacché l'occhio vigile e
penetrante di Daniello O'Gonnell ha salvata ai giorni nostri l'Irlanda; Saìus
Hihemiae oculus 0*Cannell; essendosi egli, cittadino cristiano, giovato della
Religione per conquistare la libertà della sua patria, siccome ve I' ho di già
dimostrato; e, cristiano cittadino, essendosi della libertà servito per far
trionfare la Religione, come debbo dimostrartelo questa mattina: il perchè è
stato grande della grandezza verace, e a cui può perciò attribuirsi l'elogio
della Scrittura; Simun Magnus, qui Itbera^it gentem suam a perditùmcj et m
JUeiui iuts carroboravit templum. Io non vi chieggo più oggi, miei cari Romani,
la vostra attenzione, il favor vostro; nella vostra indulgenza voi me lo avete di
già accordato nella maniera la più lusinghiera per me; io ne sono in possesso.
Non mi resta dunque che cordialmente ringraziaryene^ profittarne ed
incominciare. Simile ad un Sovrano legittimo, la verità non ha bisogno che di
se stessa, non ha bisogno che di ri« Telarsi per quella che è, per riscuotere
Tadesione, l'omaggio e regnare nel mondo delle intelligenze* AI contrario,
simile ad un tiranno usurpatore, Terrore non può imporsi alle menti degli
uomini, non può conservarne Fimpero che per mezzo della forza e dell'inganno.
Perciò, ovei'Eresia comincia sempre dalPattaccarsi ai Grandi, per quindi, col
favore delle loro passioni e colla forza del loro, potere, dominare il popolo;
la Dottrina cattolica al contrario comincia sempre dalPannunziarsi da so sola
al popolo, e poi si degna di ammettere alla sua seguela anche i Grandi, a patto
però che veiigan col popolo ad assidersi alla mensa, a bere alla tazza
dell'eguaglianza Cristiana, vestiti delle divise dell'umiltà. Ove l'Eresia è
sempre in ginocchio a pie dei troni,' implorandone uno straccio di porpora che
la ricuopra, una spada che la difenda; la Dottrina cattolica, santamente altèra
della divina sua origine, non si presenta ritta in piedi innanzi a'troni che
per predicar loro le più moleste verità, i più duri doveri. Ove in fine le
Chiese ereticali e scismatiche vaU mendicando sempre dagli uomini protezione ;
la vera Chiesa non chiede a Dio se non libertà] Ut Ecclesia tua secura Ubi
serviat libertate. Quindi, come l'ho altrove avvertito, la libertà di coscienza
che, nel senso assoluto^ è indifferenza, a* teismo, empietà, giacché è la
negazione di ogni rivelazione, di ogni religione positiva, di ogni regola del
credere e dell'operare; nel senso relaiivo però, cioè, rispetto alla Potestà
civile, che non ha avuto da Dio la missione di predicare e d'interpretare il
Vangelo, è un principio cattolico, che la Chiesa ha professato, ha insegnato,
ha difeso; e cui non potrebbe Finanziare senza abdicare alla sua divina
missione, senza distruggersi; è una condizione necessaria della sua esistenza e
della sua propagazione. 53. Ma poiché, sulla fine dello scorso secolo, la
Chiesa cattolica avea veduto, a nome e dagli apostoli della libertà,
imprigionati i suoi Pontefici, dispersi i suoi ministri, distrutti i suoi
altari, profanati i suoi tempii, violate le sue vergini, usurpate le sue
sostanze, aboliti i suoi chiostri, screditate manomesse le sue dottrine, le sue
leggi, il suo culto, le sue istituzioni; poiché infine in quell'epoca funesta
la Libertà camminò sempre in compagnia della bestemmia e del sagrilegio; cosi
cominciossi a rigiiardare come la nemica necessaria, inconciliàbite della vera
Religione; ed i veri fedeli non poteano adir la pa- rola libertà senza fremere,
e non credeano poterla pronunziare senza delitto. Che anzi, poiché nell'epoca
medesima l'Altare era caduto sotto i colpi della stessa scure che avea
smantellato il Trono; invalse l'idea che solo insie- me uniti potean risorgere.
Quindi il Trono eVAUàrt ispirarono Io stesso interessaniento, si troiiaroDO uniti
nella mente) nel cuore e sulla lingua di tutti ì buoni. E poiché una trista
esperienza avea dimo- strato clie il Trono non potea far di meno delF Alta- re;
cosi cominciossi anche a credere che neppur T Al- tare potesse far di meno del
Trono. E quindi altresì il Trono fu considerato come l'appoggio necessa- rio
non solo dell'ordine politico ma ancora del- l'ordine Beligioso. Queste idee
eran divenute comuni in Europa. iTeri Fedeli tenean fiso lo sguardo non solo
sui troni* cattolici, ma ancora sui troni protestanti. Gli stessi cattolici
dell' Irlanda non aspettavano che dalla liberalità della Corona protestante
del- l'Inghilterra l'emancipazione della loro coscienza é della loro Beligione;
e tutte le loro speranze avean riposte in un trono costituzionalmente nemico
della lor Fede. 54. Ma questo era lo stesso che fare della divina Religione una
istituzione umana che non può far di- meno dell'appoggio dell'uomo. Ma questo
era lo stesso che abbandonare la fede, la morale, il culto, la Chiesa
all'arbitrio del Potere civile, che, sotto pre- testo di esserne protettore,
non avrebbe mancato di farsen Pontefice; ed è provato, che la Chiesa ha avu- to
più spesso a dolersi dei suoi protettori che dei suoi persecutori. Questo era
lo stesso che far dipen- dere dal buono o reo volere del Principe la Fede del
popolo, consacrare come politicamente legìttimi 78 tutti i sistemi di errore,
persia Tateisaio; e consen- tire alla più'dura, alla più insopportabile, alla
più umiliante di tutte le servitù, la servitù della co- scienza; e voler
distratto fin l'ultimo vestigio del- la dignità umana. Quanto non era dunque
importante^ necessario il far sentire ai popoli che il Potere civile cbe stende
sulla Religione la mano, facendo sembiante di pro- teggerla, la domina, e
dominandola, Tannulla, la degrada; e che la vera Religióne non può sussiste- re
e propagarsi che all' ombra e coll'ajuto delta libertà? Ma, grande Iddio !
distruggere un pregiudizio che un complesso di orribili circostanze avea pian-
tato profondamente negli spiriti più sag^; che, cioè, «La libertà fosse la
nemica del laReligione:» calmare le apprensioni, le paure, i terrori troppo
legittimi che la parola libertà destava ne'cuori più religio- si e più pii;
strascinare un popolo si cattolico, co- me quel deirirlanda, a cercare nella
libertà il trion- fo di quel Gattolicismo, che nel resto dell'Europa era o
spento o malconcio sotto i colpi della libertà: cbe lavoro! che impresa! Una
intera generazione di uomini apostolici' non parca potervi riuscire. Ep- pure,
un uomo solo, un solo secolare, il solo O'Con- nell l'ha fatta. Il suo genio è
bastato per concepirla, il suo coraggio per intraprenderla, la sua costao- za,
la sua potenza per compierla! 55.Con quale prudenza, con quale discrezione^per
non intimidire pregiudizii troppo ragione?oH, sen- timenti troppo delicati, si
applicò da prima e nelle pabbliche concioni e nei privati discorsi, a persua-
dere al popolo e al Clero: Gbe non vi era nulla a sperare in vantaggio della
Religione cattolica dalla liberalità spontanea di un governo protestante; che
Pemancipazione religiosa non si potea ottenere che pel mezzo e in compagnia
deircmancipazione poli- tica; che la indipendenza della Chiesa cattolica in
Irlanda dovea essere una conquista legale, pacìfica del popolo, e non già una concessione
gratuita del Potere; e che la libertà era Punico mezzo che lor rimanea per far
trionfare la Religione! Solea egli spesso ripetere: Che nulla gli era stato più
diffì- cile quanto il persuadere al Clero che la Religio* ne non dovea, non
potea vincere che col favore della libertà. Non mancarono al principio spiriti
piamente de- boli o ipocritamente maligni che, al sentire un lin- guaggio si
nuovo nella bocca del giovine O'Con- nell, ne diffidarono essi stessi, e lo
tradussero al tribunale deiropinion publica, come uno spirito in- temperante,
falsificato dalla filosofia del secolo de- cimo ottavo; o come un tristo
emissario incaricato di inoculare all'Irlanda le dottrine anarchiche della
rivoluzione di Francia; o, in una parola, come un Si^ttario. Ma il suo orrore
pel sangue, il suo amore per la legalità, la forza del suo convincimento e
sopra tutto il suo zelo sincero per la Religione^ 80 dissiparono ben presto
questi sospetti e queste ca* laonie. Le sue sante intenzioni furono conosciute,
le sue dottrine furono intese 5 furon gustati ap* provati applauditi i suoi
disegni. Che anzi, tale si fu l'effetto magico deìla sua pa- rola e della sua
azione, che nel giro di un lustro, riuaci a trasfondere nell'Irlanda tutto il
suo spirito; e a trasformare in se stesso l'Irlanda; attirò nelle sue idee non
solo i cattolici in massa, ma ancora moltissimi protestanti (29); non solo i
secolari, ma ancora gli ecclesiastici; non solo gli uomini, ma ancora le donne;
non solo in Irlanda, ma ancora in In- ghilterra; e stabili V Associazione della
libertà religio- sa^ in cui tutti gli uomini di buona fede, tutti i cuo* ri
nobili, tutti i caratteri generosi del Regno-Unito, di ogni chiesa e di ogni
opinione, si trovaron con* cordemente collegati nella stessa idea di reclamare
coi loro sforzi riuniti la libertà di coscienza dal Po- tere civile, e di far
trionfare la propria religione col mezzo delia libertà. 56. Ma dove fece
singolarmente conoscere la no- biltà della sua anima cattolicamente libera e-
libera- mente cattolica si fu nel grande affare del Feto, os- sia della
pretensione del Governo protestante d'In- ghilterra a partecipare alle nomine
dei vescovi cat- tolici d'Irlanda. Poiché qui sì che addimostrò la scienza dì
un dottore, lo zelo di un apostolo, il co- raggio di un eroe, e, pel molto che
ebbe a soffrirvi, anche la pazienza di un martire. 81 la pretensione del
governo parca discreta o in insigniGcante. Dei tre candidati, che il Clero
d'Ir- landa solea, come ancor suole, presentare alla scelta della S.Sede per
farne un tcscoyo, il Governo anglicano volea la facoltà di escluderne un solo.
I vantaggi che sì promeUeano,per mercede di questa concessione, erano grandi,
lusinghieri e capaci di abbagliare i più cauti e di sedurre anche i più pii,
cioè: rEmancipaziode o la libertà religiosa e politica dL tutti ì cattolici del
Regno-Unito, e la dotazione dell'Episcopato d'Irlanda. Il popolo già
incominciava a sorridere ad una proposizione che gli si presentava come il
termine di tré secoli di orribili angoscia Una parte del Clero, nell'interesse
della dignità della Beiigione, non parve lontana dall'accettare una dotazione
stabile che lo togliesse dalla dura condizione di vivere poco men che di
accatto. L'Episcopato stesso, che, riunito in sinodo, avea sul principio, con
un accordo unanime, respinto questo dono oOerto da greca mano, come
attentatorio alla indipendenza ed alla disciplina della Chiesa; si trovò poi
scisso: giacché alcuni vescovi, ingannati da fallaci promesse, da adulazioni
affettate, avean data al Bill del governo una adesione, di cui ebbero vergogna
e dolore e che rilrattaron più tardi. I cattolici inglesi essi pure, non
vedendo nel Bill insidioso se non una concessione importante che faceva cessar^
la loro degradazione politica, il foro stato di cittadini senza città, ed
apriva loro le porto del parlamento, si gittaropo dalla parie del governo, ed
entrarono con uno zelo sì deplorabile n^Ile sue yisle, che tacciarono
d'imprudente temerilà Topposizione deirEpiscopato d'Irlanda, ecacciaron fuori e
quasi scomunicarono dal Gomitato cattolico il celebre Monsig. Milner, il solo
membro del Clero cattolico d'Ingbilierra, che in una eloquente memoria al
parlamento avea combattuto la misura goyemaliva collo zelo, col coraggio e
colla doltrioa di un Atanasio. Boma stessa, in q,uesta gran lotta, parve
inclinare versoi nemici della Chiesa d'Irlanda; e, come i me* desimi
campagnuoli irlandesi, nella loro semplicità, Io diccan piangendo: Sembrava
essa pure divenuta Orangtsta. Mons. Quarantotto,.Vice-Prefetto di Propaganda,
durante la prigionia dell'Immorlal PioYll, avea, con suo rescritto,
a.ccon$entilo alle insidiose proposte del gQverno inglese, che potean riuscire
funeste alla libertà della Chiesa. L'Orangismo, forte di questa pretesa
concessione di Boma, insolentisce; ii paese, lacerato da divisioni intestine,
abbandonato dai suoi fratelli d'Inghilterra e da*suoi tutori di Boma, non può
così solo tener fermo contro le compatte falangi dell'eresia anglicana. I più
coraggiosi sono stanchi di una lotta ineguale e che non offre alcun probabii
successo. ]Lo scoraggiamento è in tutti gli spiriti, la freddezza in lutti i
cuori. Oh infelice Chiesa d'Irlanda ! ecco a tante tue calamità venire ad
aggiungersi la maggiore e la più umiliante di tutte: La perdita di quella
religio 83 sa indipendenza òhe i tuoi generosi figlinoli aveàn comperata con
tre secoli di pàtinieriti e di sangue!.,. Ma no, non temete: yì è un O^ConnelI)
che la ProTYÌdenza ha, come un nuovo Giuda Maccabeo, suscitato per vegliare
alla difesa di questa Chiesa» OXonnell giustificherà ancor questa volta la
veri-» tà del motto del suo gentilizio stemma: tu Occhio di O'Connèll salute
d'Irlanda; Salus Hibtmiat ocu* lus 0*ConnelL 57. anima grande! Tante difficoltà
riunite, lungi dair abbattere il suo coraggio, lo accendono. Nella disperazione
comune, egli sol non dispera. Nei co* munì timori, per la condotta di Boma,
egli solo è pien di fiducia nella saggezza di Boma; e nella mancanza di tutti i
mezzi, di tutti gli ajuti da com*battere un potente nemico, egli solo osa di
impegnare la pugna, come chi è certo della vittoria! Eccolo perciò far proclami
alla nazione sopra le insidie che le si preparano; riunire ecclesiastici e
secolari in grandi assemblee, ed ivi dinto&trare, colla scienza di un
teologo e colla perizia di un legista, come della concessione, Ha; non oblia i
preti cortigiani e li stimatizza. Che più? Vedesi qaasi al medesimo tempo
confortare il Clero ed animare il popolo; risvegliare Io zelo e la vigilanza
dei vescovi, e sostenerne il coraggio; far spedire dieci legati a Londra ad
implorare il soccorso della società degli amici della libertà religiosa^ e far
volare due vescovi a Roma al Sommo Pontefice, reduce dal glorioso suo esilio,
con una dotta memoria in cui, a nome dei cattolici suoi concittadini, espone
con una forza irresistibile di ragioni, i mali che Tammissione del Veto
attirerebbe sulla Chiesa d'Irlanda. E poi in tutti i tempi e in tutte le
occasioni, in pubblico ed in privato non cessa mai di gridar, di ripeti^re:«Ora
e sempre noi rigetteremo ogni favore che ci bisognerà comprare col sagrificio
della nostra Bcligione e della nostra libertà. » 58. Or che ottiene egli mai
con questi sforzi delia sua eloquenza, della sua attività e del suo zelo?
Ottiene il successo il più completo, il più luminoso. Ottiene che Tepiscopato
conciliarmente riunito dichiari: la condizione di servo,, mal potea far valere
la verità e la santità della sua religione schiava in fac-» eia alla religione
dominatrice de'saoi duri padroni; Era duaqoe necessario, pei fine al quale la
Nazió^ ne Irlandese parca essere stata da Dio destìnataf ch'essa rompesse i
ferri del suo politico servaggio, e che per tal mezzo acquistasse la libertà e
la ìa« d^endenza religiosa della sua Fede. 61. Or ecco appunto ciò che intese,
ciò che vide il gienio penetrante di O'ConnelL Deh che, a diCEe*renza di certi
uomini, che solo pregtwttzio e adpla* zione fa grandi, e che appajono poi men
grandi di quello che sono, O'Goniieli è assai più grande di quel che apparisce.
Le sue intenzioni, i suoi fini^ sono più sublimi e più stupendi delle sue
opere. Da alcune sue espressiont fuggitive, dallo zelo inaudito 92 e dalla
costanza, senza esempio nella storia del vero patriottismo, che egli ha
dimostrata nel procurare la liherlà della sna patria, si è potuto solo
comprendere che egli riguardava il popol d'Irlanda come un popolo di
predilezione, scelto da Dio per la salute etema di molti popoli, come un popolo
missionario. Si è potuto comprendere che O'Gonnell, nel lottare per la
emancipazion dell'Irlanda, non credeva di trattare una causa ordinaria di pò*
litica umana, ma di cooperare al gran lavoro di Dio nel più grande dei disegni
della sua misericordia; e che egK non si riputava, semplice Irlandese, ma il
servo, Io strumento di Dio nella sua Chiesa. A misura perciò che le prove del
nobii destino dell'Irlanda, in vantaggio della Religione fuori d'Irlanda, si
accrescono e più divengono al suo sguardo visibili; O'Gonnell sempre più si
penetra del carattere religioso dell'incarico da Dio ricevuto di affirancare,
di elevare Tlrianda. La sna azione diviene più intrèpida, le sue intenzioni più
pie. Riguarda egli V Isola de'Sami ctome santa, non solo perchè ricoperta delle
ossa, inznppota del sangue di milioni di martiri; ma. ancora perchè occupata a
spargere ampiamente pel mondo la santità. La onora con sempre maggiore
riverenza, l'ama, Taccarezza, vi si delizia con una tenerezza sempre maggior
re. Ah che non la chiama egli del suo suolo» per l'ameaità delle sue
pittoresche contrade^ per la robustezza, per la bellezza, per la grandezza del
euo^ re de'suoi abitanti; ma sibbene perchè vede in questa nobile nazione, che
si è voluta far passare per la pie incolta e la più irrequieta della terra, una
nazione de* positaria della verità e della grazia di IKo, adorna della maestà
della missione di Dio, chiamata a dar prova della' fedondità che, come la
primitiva Cbie>sa di Roma, si è acquistata, con tre secoli di martim e di
sangue, e a generare molti figli di Dio in tutto il mondo. E quindi il
disciplinarla con tanta par zienza, il difenderla con tanto coraggio, il da#si,
rimmolarsi tutto per essa con tanta alacrità, il volerla libera a costo di
tanti sforzi e di tanti sagrificii. Cosi «ina madre educa con maggior cura,
veglia con maggior gelosia, ania, vezzeggia con maggior tenerezzai^misla al rispetto»
un figliuoletto che sa di essere destinato a regnare. > Iddio ha benedetto
questi nobili diaegni, questi santi trasporti che la sua grazia avea fatti
nascere nel cuor del suo servo. 0*ConneIl ha veduto la libertà civile, che egli
avea vaticinata e conquistata alla sua patria, volta in mezzo di trionfo dèlia
fiéligione.in diverse paHi del mondo. 62, Di fatti fu in grazia e per gli
eroici sforzi delrirlanda, che, colla civile libertà, ancora la libertà
religiosa fueoneédnta a tutti i cattolici della corona Britannica. Eòeo dunque
dà quelFistante la cattolica «4 Beligìone, riguardata fioo allora in Inghiltora
con un superbo disdegno, -come la religióne dei servi, e, $otto nome di
reZt^^ftòttfPapiWa, rilegata con dtsprez« zo nella plebe e negli ergastoli, spiegarle
una grande importanza, una gran forza, una gran dignità. Eccola, santamente
altera, salire i palagi dei grandi, penetrare nel parlamento, insinuarsi nella
regia, assidersi nei secreti consigli della regalia, obbligare Torgógliosa
politica, che non la degnava già nemmeo di uno sguardo, a trattare con essa da
cguale, e poco meno che a rispettarla come padrona. Eccola questa Religione,
ripotata sol propria degl'ignoranti e degli imbecilli, della plebe e delle
donnicciuole, invadere le Università più famose di Oxford e di Cambridge, e
recintarvi seguaci fra il meglio cbe vi avean prodotto le cattolicbe tradizioni
non potute dall'eresia intieramente distruggersi; e contar fra'suoi umili
discepoli i migliori ingegni, gli uomini più eruditi e più profondi nella
scienza della Religione, le più nobili anime^ i caràtteri più generosi* Deb òhe
non è più oggi il tempo d^insultare una Religione che, senza alcun ajuto dei
poteri umani e a loro disi»etto, e forte solo della sua libertà e del suo
incanto, attira, alFòdore dei suoi unguenti di vini, ànime grandi; le impegna a
seguirla per le vie più difficili, a sagrìBoare le posizioni più lucrose e più
brillanti, ad abbracciare la povertà nell'unick ambizione di possedére la
rérità! Gran cosa! La Religione cattòlica che, priva dei suoi dritti civili,
non appariva che serva, fatta liberai dal Genio di 0*GonneIlj è apparsa regina.
La libertà ne ha fatto nc^Iio conoscere ed apprezzare la verità e la bellezza.
Il divenir Cattolico non è più oggi; presso gli slessi protestanti inglesi, nn
degradarsi^ ma è un salire, nn onorarsi nella pubblica .opinioae»> Le sempre
nuove conquiste, che la Fede cattoUcj^ fa ogni istante aelle classi più
coispicue della società^ neiruscire dalia rete del protestantismo, sono
accompagnate da un s^timento d'invidi« e non di disprezzo. Quelli che vi
restano, gittano sopra se stessi uno sguardo di vergogna che li uniilia, e più
non vomitano ingiuriei non lanciano sguardi d*ira sopra quelli che da lor si
separano. Non biasi* mano chi si £a cattolico; si dolgono di non avier,(^«
raggio d'imitarne Tesempio. Le ingiurie plateali,, i sarcasmi, le invettive
violente^ le contumelie contro i cattolici. più non si trovano jche sulla bocca
di fa-^ natici bigotti, cosi ignobili di sentimenti come di nascita. L'alta
aristocrazia, la vera scienza, la buona fede, il filosofo che riflette, Tuomo
di stato che si rispetta non ha per la Chiesa cattolica e per Taun gusto, suo
Capo, che espressioni di rispetto, di ami mirazipue e di lo4e. Le volte di
Westminster ogni di risuonan di accenti generosi che rendono omag* gio alla
verità cattolica» e fan giustizia delle r^ncid^ iusolenze, ormai
insopportabili, dei vecchi setta^ rii. Or continuftMo le coie su questo piedQ;.
come dabitare della verità della profezia, che an bel genio italiano (Il Conte
de Maistre) ha fatta al principio di questo secolo: « Che, pria che esso
finisca 9 a San Paolo di Londra sarà celebrata la Messa?» )f a una volta che la
Messa si celebri in San Paolo di Londra, chi può ridire in quante altre chiese
dei vasti dominii deiringhil terra sarà pur celebrata nel medesimo giorno? Gran
fatto ! la Corona Britannica domina sopra circa ottanta milioni di sudditi in
tutto il mondo* Ora egli é ad una sì enorme massa di uomini, di linguaggio e di
religione diversi, che O'Connell ha aperte le porte delia vera Chiesa, ha
assicurata per sempre la libertà di divenire cattolici, coiraverla rivendicata
airirlmida! Chi può però misurare l'estensione, Timportanra di un tal successo!
Deh che, se lo zelo di O^Connell non avesse altro successo ottenuto, questo
solo sarebbe più che bastevole ad assicurargli un posto distinto, una gloria
affatto singolare negli annali del catto- lico apostolato ! Mirate difattì gli
effetti preziosi che la Fede cattolica, emancipala nella Madre patria, -prodnce
in tutte le dipendenze di quel vastissimo impero. Do* ve sventola il vessillo
della Gran^Bretagna, la fede delKIrlanda, all'ombra delia libertà, spiega una
for- za ed una maestà cdì nulla reaisie.ll soldato irlande- se,' il sacerdote,
il missionario irlandese sono l'og- getto di un particolare rispedo per parto
di coloro che vi comandano. LaRelìgione cattolica non ha ivi quasi altri nemici
che i Metodisti,* la setta in cui sono colati e si sono concentrati tutti i
sentimenti Tili, tutti gl'istinti crudeli dell'eresia. Le altre set- te sentono
la superiorità dell'azione cattolica nel conyertire, nell'inciyilire i popoli,
e le rendono o- maggio; e la Chiesa, divenuta libera, in queste va- ste
contrade ogni di più si fortifica, si estende e trionfa* Or questa rivoluzione,
la più grande dopo quella che operò nel mondo il cristianesimo nascente, que-
sta rivoluzione si preziosa, pei suoi principii, pei suoi mezzi, pei suoi
resultati. Dio per mezzo di un sol uomo l'ha operata! Daniello O'Gonnell è co-
lui cui, dopo Dio, ne risale la gloria. 65. Che dirò io mai degli effetti che
l'emancipazio- ne d'Irlanda ha prodotti sul protestantismo inglese? Il
vaticinio che, quando trattavasi questa gran cau- sa dell'emancipazione,
pronunziarono i più pro- fondi politici della Gran-Brettagna, cioè: tezzata,
Tha santificata e Tha fatta servire al trion- fo della yera Religione nella sua
patria; ben pre- sto questa dottrina, restata fino allora celata in qualche
angolo oscuro della Francia e dell' Alle- magna, si è ripetuta con un eco
sonoro in tutta FEuropa; ha guadagnate le Università, è entrata nei gabinetti,
è penetrata nel Santuario; e, solo al- l'eresia ed all'errore funesta, dove ha
prodotto, do- ve ha preparato i più brillanti trionfi alla verità. 68. Infatti,
in faccia a questa dottrina della indi- pendenza della coscienza dal Potere
civile, e quin- di della libera discussione in materia di religione» ne'paesi
in cui la vera Religione si trova circondata dalle false; tutte le nuove sette
religiose, nate dal- l'orgoglio dalla voluttà, come vermini della corru- zione,
son morte quasi nel nascere; e mentre che la miscredenza e l'eresia vede
divenire ogni dì più rar re le sue fila; la Verità cattolica, uscendo dalle sue
lotte più forte e più vivace, vede ogni dì più raddop- piarsi il numero dc'suoi
seguaci; ed essa sola profit- ta della libertà^ sotto i cui colpi temeasi che
potesse soccombere! Deh che con più di ragione può dirsi della libertà, quello
che delia Scienza si è detto: ff Che, cioè, Essa è un dissolvente che decompone
tutti i metalli, meno che l'oro. » Poiché veramente la libertà tutte le
religioni discioglie e annienta, ad eccezion della Vera ! E se non fosse ciò
certo» se ìion fosse evidente; se la libertà, uno dei più grandi attributi dì
Dio, potesse mai non convenire alla Religione di Dio; voi non mi udireste
sicuramente farne l'elogio da questo luogo, sacro soltanto a tutto ciò che è
vero, santo e divino. Che più? Con quest'arma alla mano il Raziona- lismo
alemanno ricusa arditamente di sottometter- si al culto ufficiale della
Prussia; e, negando al Po- tere ogni competenza d'imporre simboli e d'inter-
pretarli, distrugge gli ultimi avanzi dell'edificio di Lutero, e lavora per la
intera libertà dei cattolici. Con quest'arma la democrazia di Ginevra, combat-
tendo le pretensioni intolleranti, la giurisdizione dottrinale dei ministri
dell'eresia, abbatte 1' em- pietà di Calvino nella metropoli del suo impero, e
prepara al Cattolicismo la libertà. Con quest'arma la Diplomazia europea batte
in breccia Tintolleranza musulmana in Costantinopoli, il paganesimo om- broso
della Cina; ed apre le porte alla libera pre- dicazion del Vangelo. Di
quest'arma infine si fan forti oggi, ad essa sola han ricorso, essa maneggia-
no con confidenza, uguale alla paura che pria loro ispirava, i fedeli, i
sacerdoti, i vescovi della Chiesa cattolica, in Ispagna, in Portogallo, in
Francia (33), nel Belgio, in Olanda, ed in molte contrade di Alemagna, per
ottenere l'indipendenza di cui la Chiesa ha bisogno, e che un liberalismo ipocrita
si ostina a negarle; arrestano il potere civile tentato di foggiare nuove
catene alla Chiesa, e l'obbli- f aaio a spezzare le anticlie. Deh che la causa
della yera Religione, trasportata^ una Tolta dal genio di O'CoimelI isai largo
terreno della libertà, agitata alla gran luce della pubblicità, non può più
perire; i suoi diritti non possono essere più contrastati; non possono più
arrestarsi i suoi legittimi progressi e le sue conquiste! 69. Invano perciò
certi goyerni s^'illudono di poter più dominare la Chiesa, o nella Chiesa.
Poiché il grande apostolato di O'Coùnell ha fatto del principio délV
Indipendenza della Religione dal Potere civile un domma universale; poiché lo
ha persuaso a tutte le menti, lo ha impresso in tutti i cuori, e lo ha fatto
adottare, gustare ai più zelanti, ai più pii fra i Pastori della Chiesa; queste
principio non può più cadere in obblio. Acquisterà forza per la stessa
resistenza che vi si vorrà opporre, trionferà di tutti gli ostacoli, e farà
trionfare la Religione. E guai, guai ai governi che credessero ancora di poter
fare del dispotismo reli^oso nel secolo decimonono, dopo la grande rivoluzione
che vi si é creata nelle idee! Gl'Imperatori che, col farsi cristiani, non
voller capire il cristianesimo, e pretesero di continuare ad esercitare il
dispotismo pagano sulla Chiesa cristiana, furono dalla Chiesa abbandonati;
caddero in tutte le bassezze che fecero dare ai loro regni il titolo di Storia
del basso impero; e scomparvero dalla scena politica del mondo senza eredi e
senza successori. La Chiesa, che non isdegna ma ricerca, non disprezza ma ao^
coglie, ma santifica tatto ciò che ha forza e vita, si Tolse allora alla
Barbarie, le cui mani avean fatta ginstizia delle miserie e delle colpe
dell'impero romano; le laro con un poco d'acqua il capo, la unse di nn poco
d'olio in fronte, e ne fece il miracolo della monarchia cristiana. Se mai
dunque i loro successori, lasciandosi penetrare dalPelemento pagano,
essenzialmente dispotico, rinunziano all'eie* mento cristiano essenzialmente libero
perchè caritateyole, e non vorran sapere della dottrina della libertà religiosa
dei popoli, e della indipendenza della Chiesa, che formò la sicurezza e la
gloria dei loro maggiori; la Chiesa saprà far di meno anche di loro; si
rivolgerà forse alla Democrazia; battezzerà questa Matrona selvaggia; la farà
cristiana, come già fece cristiana la Barbarie; riconoscerà nn qualche suo
figliuolo, che gli ayyenimonti avran* no elevato al trono; gl'imprimerà in
fronte il sigillo della consecrazione divina; gli dirà: « Begna; » ed esso
regnerà: nonostante la sua origine plebeja. ^ Deh che i governi non hanno
appoggio, non hanno scampo, non bau difesa, non hanno probabi* lità di durata
che nel dare la sua libertà alla Chiesa (34), e nel trattare e nel rispettare i
popoli come figli di Dio ! * A scanso di equivoci, non intendiamo, in così
parlando, che la Chiesa disporrà a sno piacere delle corone e dei regni; ma
che, riconoscendo i diritti dei governi che vorranno rico' noscere i suoi,
presterà loro nooTa forza colla sua sanzione e col suo appoggio. Qual fa
pertanto la pura gioja che inondò ti e acre di O'Gonnell al vedere co'proprii
occhi questi segnalati vantaggi, questi splendidi trionfi, pe ift. Gli stessi
sentimenli area ancora pel Clero €a«tolico di tutto il mondo. Nel 1837 arendo
saputo che i giornali del Continente lo accusavano di arer parlato con poco
rispetto' del Clero Spagnnolo; O'Connell smentì snhilo, in un discorso fatto al
popolo, questa accusa; ed airamico, che gli area data di ciò notiiia, rescrìsse
cosi: « No, io non ho mai mancato di rispetto al Clero Spagnuoio; io non mi son
renduto reo di questo delitto .... Come si è potuto mai credere che io abbia
così parlato dei ministri del Signore? Il linguaggio che mi si attribuisce
rassomiglierebbe a quello dei pretesi liberali di Trancia che sono più nemici
della Religione che amiei della libertà. Io credo, che ri son pochi che, più di
me, sian lontMii dairinginriare e dal calunniare i sacerdoti di Dio. Vi ho
sempre manifestato i miei secreti intorno ai sentimenti di tsnerazione che un
sacerdote m'ispira. > « Voi vi burlerete forse di me, se io vi dico che
spingo questo rispetto pei sacerdoti sino alla superstizione; ma il fallo è che
io non sono, in questo, padrone di me stesso. Io non bo mai conosciuta una sola
persona che abbia trattato di una maniera inr conveniente i Ministri
dell'Altare e che abbia prosperato io questo mondo. Vi è per questa gente una
male^ione anche ni questa teiTa. » A questa prova confidenziale, e perciò
efficacissima, della profonda pietà e del rispetto del grand'uomo pei llinistrì
di Dio, aggiungiamo che, avendo avuto non poche volle ragione di essere poco
contento della rìconoscenza di un qualche membro dìel Clero, non ne fece con
alcuno mai la |)iìi piccola lagnane Ecco le sue precise parole sopra di ciò: t
Queste società sono dì più riproTate da tutte le persooe di educazione, di
carattere e di rango. Sono riproTate specialmente dal rostro Clero si amabile,
si intelligente, sì laborioso e si pio, e da Toi tanto amato. Sarà possibile il
non attendere alle Toci^ ai consigli di questo Clero? Non sapete forse cb'esso
altro interesse non ha che il rostro? e nessun fine ha fuorché il rostro
rantaggio temporale ed eterno? » Così egli, secolare. Volesse perciò Iddio che
certi ecclesiastici parlassero, come questo buon secolare, del Clero ! Il
Tenerabile Beda attesta che ai monisteri dell'Irlanda concorrerà la giorenlù
studiosa di tutta TEuropa. L'insigne Scrittore Ware, sebbene inglese e protestante,
dice pare: Constai fuiise olim in Hibemia scholas insigniores, ubi Galli,
Saxones ete. tamquam ad Bonarum Litterarum emporia, confluxerufU. Altri
affermano ancora che nari cariche interamente di giorani nobili
dall'Inghilterra approdarano spesso in Irlanda: i quali renirano in quei
celebri monisteri ad apprendervi la letteratura e le scienze sacre e profane;
Quos omne$s scrire il citato Yen. Beda, Hibemi libentissime $u$cipientes,
vietum ei$ quoHdiànum sine pretio, librai quoque ad legendum» et magiHerium
graiuitum praebere curabant (Hi$tor. Eccles. lib. III. cap. 23y. Non contenta
però la generosa Irlanda di accogliere ne'snoi monisteri la gìorentù studiosa
di tutta l'Europa, e di alimentarla ed istruirla gratuitamente; era ancora
sollecita di mandare i suoi santi e dotti monaci non ad uno ad uno, ma a torme,
a spargere la luce della rera fede e della rera scienza in tutta l'Europa. Egli
è uno scrittore, protestante pure ed inglese il Camden che ciò ci attesta:
Hibemi in univernm Europam sanetimmorum virorum examina emiserunt Il
protestante Gobbet, nelle ine famose lettere contro del protestantismo inglese,
dimostra che una delle cause dell'estrema miseria in cui vive il basso popolo
in Inghilterra» stessa, non che in Irlanda, è stata la soppressione dei
monisteri, eseguita dall'Eresia in odio della -vera Religione. Quando i
monisieri erano in piedi, quando ad ogni piccolo tratto di paese tì era
un'abazia, nessuno poterà proTare la fame. Giacché, oltre Tospitalità rbe per
tre giorni si accordare a tutti indistintamente i yiaggiatori; qualunque pOTero
si presentaYa alla porta di uno di questi pii stabilimenti della carità
pubblica, ne ricerera tanto cibo da poterne portare anche a casa. Ora la massa
dei poTcri è tutta a carico del gOTemo e dei particolari, che sono obbligati a
concorrere # loro sostentamento con enonni tasse; e si sa con quale infelice
successo ! Secondo questa legge si doTono erigere in Irlanda Collegi
provinciali^ ore i gioTani di tutte le religioni devono an> dare a studiare:
ma sotto professori e con libri mediatamente o immediatamente scelti dai goTemo
protestante, costituzionalmente nemico della fede cattolica. Questa istituzione
aTrebbe qualche cosa àelVuniversiià di Francia, contro la quale i padri di
famiglia, i reri cattolici e l'episcopato di quella gran nazione reclamano da
tanti anni, con tanto zelo e con tanta costanza. Questi Collegi provineiali
sarebbero il mezzo più efficace da propagare rindifferenlismo e l'incredulità
non solo ftra'cattolici ma ancora fra gli stessi protestanti, e da distruggere
ogni germe di Cristianesimo. Un protestante imparziale li ha perciò denunziati
al pubblico, come un piano gigantesco di empia educazione. Di più non ci yoUe
perchè l'intrepido ed instancabile cami^one della yera Fede si lerasse ad
attaccare questa oiribile legge, con tutta la forza della sua eloquenza e della
sua autorità ; sicché ri eccitò contro Tesecrazione di (utU l'Irlanda. E
sebbene, per la ragione indicala nel testo, questa \egge sia passata al
Parlamento; pure non si è potuta eseguire: tale si è l'opposizione che troya; e
probabilmente non si eseguirà giammai : e se si arriva a metterla in
esecuzione, i yeri Irlandesi torneranno a fare ciò che per trecent'anni han
fatto: provvederanno, cioè, essi stessi alla meglio alla istruzione dei loro
figliuoli; ed a tutti i conti, preferiranno sempre che i loro figli restino
senza istruzione nelle umane scienze, anziché inviarli a queste sentine
deirempìetà a perdervi la fede divina. Non contento però di combattere gli
eretici colla voce, li combattè ancora cogli scritti. Oltre il Trattato sopra
l'Euearistia» di cui sopra si è detto (not.4), sono celebri due altri Trattati
di Daniello O'Connell, in forma di lettere, contro i Metodisti. Nel primo di
essi O'Connell vendica Tautenticilà dell' Edizione detta Volgata della Sacra
Scrittura, con una erudizione sacra egualmente ampia che solida e sicura; e
colle ragioni più forti» ed allo stesso tempo le più intelligibili, anche pel
popolò, dimostra come è impossibile al protestante di Care un solo atto di fede
divina appoggiandosi solo alia Scrittura interpretata secondo i principii del
protestantismo. Contro poi le calunnie dei Metodisti: che la Chiesa romana non
ama la diffusione del Codice divino, O'Connell prova che, nel corto intervallo
passato tra rinvenzione della stampa e la così detta riforma protestante, i
Cattolici pubblicarono, in diversi paesi, non men di ottocento edizioni diverse
della Sacra Scrittura, delle quali duecento sono nelle diverse lingue volgari
di Europa. Nota ancora un fatto della più alta importanza che, cioè, le indicate
edizioni in lingua volgare della Sacra Scrittura, sono state fatte nei paesi
chOv all'epoca della riformai rimasero attaccati alla fede Cattolica; e che al
contrario non si era pubblicata alcuna edizione della Scrittura in volgare in
Inghilterra, in Iscozia, in Danimarca ed in Isvezia prima che queste contrade
avessero abbracciato il protestantismo. Dal che vittoriosamente conchiuse, che
i paesi, che l'eresia accasa di essere restati Cattolici, perchè ri era scarsa
la cogniiione delle Sacre Scrilture, erano infatti quelli in coi questo libro
dÌTÌno era più dilTuso; e che al contrario i paesi che si yantano di avere
abbracciata la riforma, seguendo le dottrine della Scrittura, in rerità sono
quelli in cui questo Sacro Libro era meno conosciuto. In quanto poi alle
Tersioni protestanti della Scrittura in Inglese, che sono state in uso in
Inghilterra sino al 1611, 0'Connell dimostra che più di mille ministri
protestanti le dichiararono « Piene di assurdità in molti luoghi, ed in molti
altri colme di sensi che falsificano e pervertono la parola di Dio. > Eppure
queste eran le fonti, conchiude O'Connell, dalle quali i vostri primi
protestanti attinsero le loro nuove dottrine ! ! ! Nel secondo Trattato si
applica particolarmente a far yedere che razza di apostolo era Giovanni Wesley
fondatore de'Metodisti. O'Connell cel dimostra prima fervente ministro della
chiesa anglicana, che recatosi per zelo nelle Indie, non giunge a convertire un
solo uomo al cristianesimo; e termina il suo apostolato collo scomunicare una
donzella perchè ricusò di sposarlo. Poi ce lo rappresenta successivamente
Indifferentista, inclinato al papismo, della Setta dei Fratelli di Moravia 9
Calvinista antinomiano; ed infine, che rigetta tutte queste credenze come
cattive, ed inventa una nuova religione tutta di suo conio, il Metodifmo,
Questi quadri sono dipinti col pennello di un Bossuet. Wesley ed i suoi primi
compagni Ti sono rappresentati negli atteggiamenti proprii a destare orrore non
meno per le loro persone convinte della più fina ipocrisia e di ogni sorta di
delitti, che per le loro dottrine dimostrate assurde, mostruose e ridicole.
O'Connell in tutti queatl Trattati dimostra che egli era tanto profondo teologo
quanto famoso giureconsulto; e che sapeva maneggiare con eguale facilità e
successo la scienza del dritto e la polemica religiosa; e questi egregi
Trattati sono stati degni però di essere citati con lode dal dottissimo P.
Perrone gesuita nel suo famoso corso di Teologia. Lo Siandard, giornale
inglese, accanito proleslante, in nn lungo articolo sopra O'GonneU, lo chiama
il Tommaso Mo~. ro del 8ec(0TA i3. Pag. 25, (13) Furono perciò incredibili g^i
sforzi che fece il goremo per sopprimere do, rinasceya sotto di un altro più
minacciosa e più terribile, prese il partito del lasciar correre; e si diede
per vinto in faccia ai rìtroyati inesaurìbili ed all'invincibile costanza di un
uomo solo! QonU saivoiizioiie si Ai: Che OXonnell, nel caso che il gOTerao non
avesse fallo a suo modo, avreUie sollevala conr Irò la Cmona lalta l'Irianda: so|ipoaizioiie
di coi la condotta che atea O'Connell per «piarant'annl tenuta, e le note sue
mottravano Tinsossislenia. Airepoca delle soounosse tentale dal RadiealUmo
ingUte; se gl'Iilandesi si oniTano ai CarUsti, autori di qoeita rÌTolnzfone
sociale, era finito per Tlnghiltem. GÌ* Irlandesi sono si numerosi in
Inghilterra, che in una sola città se ne contamo fino ad ottanta mila; e perciò
i CartUU non lasciarono alcun mezzo intentato per attirarli nelle loro idee e
nel loro partito* facendo valere principalmente le troppo giuste ragioni
dell'Irianda per le ingiustizie di cui è slata la vitlima. Ma le dottrine e gli
ayTertimenti di O' Connell, sopi-a il dovov di rispettar Tordine ed esser
fedele al Sovrano, erano sempre presenti alla mente, risuonavan sempre all'
orecchio dei figli dell'Irlanda. Sicché tra le tante migliaja di quei settaiii
che furono tradotti ai Irihunali come rei di alto tradimento, non si è trovato
un solo Irlandese. La storia imparziale dirà dunque che O'Connell, l'uomo il
più benemerito dell'Irlanda, ^ stato altresì l'uomo il più benemerito di tutto
l'impero britannico e dell'intera Europa. Se mai il fanatismo puritano,
anglicano, pietista, oranglsta, cosa non difllcile ad accadere, congiurerà
contro il trono d'Inghilterra, è certo che la regina Vittoria non troverà
volontà più fedeli per sostenerla, Inraccia più forti per difenderìa, cuori più
generosi neiramarla, di ifuelli dei poveri Irlandesi, che la corona
d'Inghilterra, con trecenf anni di persecuzione, ha tentalo di avvilire e di distruggere.
I stonali piolesUiiti é'Iiiglulterra e élriaida sodo pieni delle confeiHOiii
del profirieCarìl e dei ricchi de' due regni, che dlchlanBO ora di rieonosceie:
Che essi derono all'mineiiza ed alla asioBe di O'Connell l'arer eonsenrate le
loro ricchezze, le loro proprieti e la loro Tifa. Tutti gli nomini di senno
vedono ora e conipssano che la morte dì O'Connell ha lasciato nn Tooto immenso
nell' economia gOTemalira, cho nulla polla riempile. Manca da oggi innanzi
ipiel braccio pp^ sente che, Interponendosi tra gli oppressori e gli oppressi,
persnadeTa a quelli la moderazione, a cosUMro la pazienza; e mantenoTa l'M-dine
dvile e politico in una grande nazione. Ndla milizia inglese tutti i milllari,
di qualunque concessione fossero, erano costretti, le domeniche, di andare ali»
chiesa protestante. Ora un soldato cattolico irlandese, per nome Patrio Spence,
una domenica ricusò di andanri, dicendu che, essendo cattolico, non poteva
assistere agli eserdzii di un culto ereticale. Cacciato per ciò nel fondo di un
sozzo cavcere, a solo poco pne ed acqua per alimento, dopo una settimana di
questo patimento disse che acconsentiTa di InterTenire cogli altri al tempio
protestante. Ha appena il min»» stro anglicano Incominciò la sua oIBciatnra, Il
braro cattolico, cavando di tasca un libretto di divozione, si mise a leggere
lo sue preghiefe, voltando le spalle al ministro dell'eresia. Il pevchè,
cancellato dal reggimento, fu condannato alla deportazione o airesillo perpetuo
dalla sua patria. Come però O'Connell seppe un tal fatto, tanto si adoperò,
tanto scrisse conilo la ingiustizia crudele, la tirannica intolleranza di
obbligare i poveri cattolici ad intervenire al servizio protestante, che non
solo ottenne il ritorno di Spenee al suo reggimento; ma di più costrìnse il
governo a dare a'cattollcl soldati la libertà di andare le domeniche alla Messa
nelle chiese cattoliche. L'Ani^icanismo intende bene che, fino a tanto ohe il
Clero cattolico dell'Irlanda fa cansa comune col popolo: questo popolo non
uscirà mal dalle rie deirubbidienza e dell^ordine; e che, per mezzo di una
agitazione sempre pacifica e sempre legale, obbligherà l'Inghilterra a
concedergli il parlamento suo proprio e tutte le sue libertà. E poiché
l'Irlanda Teramente ed intieramente libera la paura all' eresia ; cerca essa,
per tutti i mezzi, di dividere il Clero dal popolo, affinchè il popolo, privo
della direzione del Clero, dando luogo a tumulti, presenti al governo apparente
ragione non solo da negargli le libertà che reclama, ma ancora di spogliarlo di
•quelle che ha già ottenute. Come però ha reduto che il bravo Clero d' Irlanda
è inaccessibfle alla seduzione deir oro, l'Anglicanismo ha avuto ricorso
airipocrisia; e profittando della stupidità e della debolezza di certi
Cattolici inglesi ha fatto predicare all'Irlanda: « Che è uno scandalo il
Tedere il Clero Cattolico di quell'Isola dimenticare le sue funzioni
ecclesiastiche, e prender parte all'agitazione politica dell'Irlanda; * e con
mille rergognosi artificii ha sparso da per tutto questo pregiudizio e questa
calunnia contro il Clero più zelante della Cristianità, ed ò giunto ad
accreditarlo fino qui in Roma: dove abbiam sentito noi stessi certi imbecilli
ripetere la stessa lagnanza, senza accorgersi i porerlni che, così parlando,
erano il trastullo dell'eresia e faceano la sua causa, credendo di zelare
l'onore vero del sacerdozio e della Chiesa. Felicemente però per la Religione e
per l'ordine pubblico, il Clero d'Irlanda non ha dato retta a queste Omilie o
ipocrite o insensate. Ho detto da prima felicemente per la Religione ; perchè
se il Clero si divide dal popolo e non prende a cuore tutti I SUOI Interessi
corporei, civili, politici; non ha più forza, non ha più autorità allorché gli
parla de'suoi interes- si spirituali e divini. Il sacerdote il quale non
comincia dal- l'esercitare la carità, non può persuadere con successo la
verità. Perciò Gesù Cristo incominciava dal risanare, dal nutrire i corpi con
un pane materiale, pria di nutrire le anime col pane spirìtoale éeHìh soa
celeste dottrìns. Il sacerdote che non prende parte alla condiiione cÌTÌle e p.
La riforma qui non si arrestò. Essa rapi alia Cbiesa i suoi beni e ne fece la
proprietà de' laici. Tolse t loro dritti ai popoli, ed ai poveri il loro
patrimonio; e distrusse i capitali, da cui si traeira il sollievo dei miseri,
il conforto degrinfcrmi, il vestito dell'indigente, il sostentamento
dell'orfano e della vedova desolata ! Vedi la Bolla di Convocazione del
Concilio di Trento; od il Concilio di Trento medesimo nelle Sessioni De Reformatìone.
Nella rìfoluzione suscitatasi nel Canada Tanno 1837, i Cattolici Irlandesi, ivi
emigrati, imbevuti delle massime di OXonnell, non vollero prendervi alcuna
parte, e rimasera fermi ne'loro sentimenti di fedeltà alla Corona
d'iAghilterra. I demagoghi francesi, che aveano eccitato il trambusto, ne
furono arrabbiati, e concepirono il disegno di demolire la Chiesa Cattedrale e
la residenza del Vescovo che con una sua lettera pastorale avea esortato il
popolo al ristretto ed all'ubbidienza all'autorità. Come però i buoni Irlandesi
ebbero di ciò contezza, si armaron tutti come poterono, di fucili, di spade, di
spranghe di feno, di vanghe o di altri strumenti di arti, e, non potendo avere
altro, di nodosi bastoni, e circondarono la Chiesa e l'Episcopio, minacciando
di morte chiuniiue avesse osato di toccare la Casa di Dio o la residenza del
loro Pastore. Questo contegno de'bravi Irlandesi sconcertò i sediziosi, li
obbligò a rinunziare al loro disegno di distruzione e li fece divenire mansueti
siccome agnelli. Tutto ciò lo sappiamo dallo stesso Monsignor Bourget, vescovo
di Monreale nei Canada, che in quest'anno medesimo è stato qui in Roma, ed ha
predicato in questa venerabile chiesa di Sant'Andrea della Valle nel triduo
ordinato dal Sommo Pontefice ìm wo^ corvo deirirlai^a. Voltaire ha detto dei
moderni Romani: Conquistatori pia non SODO, ma son felici. L^osserrazione,
ripeto, è di Voltaire. NOTA 29. Pag. SO. (29) Fra questi anche dne Memfirì
della Famiglia Reale; olire ima gran quioitità di Lordi e di Deputati dei Comuni.
Questo celeberrimo trattato fd fatto nell'anno 1691, in Limerick, allorché
l'Irlanda stava in armi per difendere Giaco* mo II. re d'Inghilterra e
d'Irlanda contro l'usurpatore Guglielmo III, principe d'Orange. Combattè allora
sì valorosamente l'armata Irlandese che, sebbene non riuscì a riìnettere
Giacomo sul trono, pure ottenne un trattato onorevolissimo in cui vennero
ampiamente guarentiti agl'Irlandesi tutti i loro dritti religiosi e civili.
Prima però che fosse firmato il trattalo, arrivò in ajuto dell'Irlanda una
flotta francese che facilmente Tavrebbe messa in istato d'ottenere una compiuta
vittoria. Ma U cattolica Irlanda avendo impegnata la sua parola pel trattato
suddetto, non volle accettare gli offerti soccorsi, per non violare la fede data.
Non cosà però l'Inghilterra protestante. Non passarono che pochi mesi, ed il
trattato fu da essa annullato con una insi^e malafede. Poiché non solo furono
tolti ai cattolici i dritti che erano stati loro assicurati quando essi aveano
le armi in mano in una guerra giusta; ma ancora si cominciò ad opprimerli con
leggi le più empie e più crudelL Questo celebre trattato somministrava un
argomento perenne ad O'Connell, per provare l'innata perfidia dell' Eresia
anglicana e del fanatismo orangista, e la fedeltà e la onoratezza della
cattolica Irlanda. L'immensa fiducia, il tenero amore degli Irlandesi pel loro
Clero, indipendentemente da ogni altra considerazione, proviene da ciò che il
Sacerdote Irlandese è l'aomo dell'Irlanda, è Taomo del popolo. Se mai fosse
spesato, o, per un legame qualunque, fosse attinente al govemo, perciò stesso
diverrebbe l’uomo del governo, lo strumento senrile della corona; cessa
d’essere l’uomo del popolo, e perde la fiducia e l'amore del popolo. Un clero
salariato d’un governo nemico della sua religione è un clero degradato. E un
clero degradato non può più parlare a nome di dio al popolo né esseme ubbidito.
Quindi il popolo si comincerebbe ad allontanare dalla pratica della legge di
dio e della religione ed a poco a poco cade nella dissolutezza e
nell’indifferentismo. Quanto meno si può sospettare che il sacerdote parla
nell'interesse del potere umano tanto più ha forza nell’inculcare la legge
divina. Quanto è più indipendente tanto è più rispettato. Quanto è più libero,
tanto è più potente. Quanto è più disinteressato, tanto è più amato. L'occhio
acuto e zelante di O'Connell yedeya tutte queste conseguenze nell'offerta
insidiosa del goyemo protestante di salariare il Clero cattolico; e perciò
attaccò sempre questa misura con una energia e con una perseveranza superiore
ad ogni idea. Pochi anni sono il comandante Inglese di Gibilterra si avvisò di
intavolare una persecuzione in forma contro la Chiesa Cattolica, sino ad
incarcerare Monsignore Hugon Vicario Apostolico in quella stazione. Quei buoni
cattolici non ebbero che a ricorrere ad O'Connell; e mediante il suo zelo^ la
sua influenza e la sua attivila onde gridò altamcnlc e presso la Regina e
presso il ministero e presso il Parlamento; il Vicario Apostolico fu restituito
alla sua residenza, il comandante fu deposto; ed a quella Chiesa fu renduta la
sua pace e la sua libertà. Questo sistema, di giovarsi dei mezzi legdi che, in
ogni slato, si troTano più o meno efficaci ed a disposizione di latti, affine
di rivendicare dalla Podestà civile la libertà della Chiesa, ha ricevuto non ha
guari la sanzione del Sommo Pontefice Pio IX in queste parole da esso
pronunziate nel Concistoro degli undici giugno p. p. a commendazione dell'
Episcopato di Francia, nobilissimo corpo di Pastori della vera Chiesa: Ecco il
tenero e saggio proclama che VÀssodazione della Revoca ha diretto al popolo
dell'Irlanda nella circostanza della morte di O'Conell: Compatriotti !
O'Connell non è più. Lo spirito animatore dell'Irlanda è estinto. Il lume delle
nazioni è scomparso. Lamentatevi' e piangete pure, o figli dell' Irlanda;
poiché la tazza della vostra afflizione è piena; e i vostri patimenti sono
senza misura. Colui, che formava la gloria de'vostri cuori, è stato percosso,
lo splendore di Erin (dell'Irlanda) si è spento. Il liberatore dell' patria è
morto. In unastagione di afflizione è piaciuto air Altissimo di colpirci fin
alPestremo. La pestilenza e la fame opprimono il nostro popolo: mentre in un
altro suolo, langi dalla amata sua patria, giace il veterano Campione
dell'Irlanda. Sì, piangiamolo pure, perchè tutto il genere umano piange la di
lui perdita; ed il lutto che ci colma, per la sua morte si estende a tutto 11
mondo.Sì per tutto il mondo un granyuoto è sentito. Chi lo colmerà? Qual
nazione^ qual popolo non ha perduto in lui un benefattore? La nostra patriA ha
perduta la sua guida e il suo Capitano. Abbiamo però senv: pre le massime della
sua sapienza; e son queste le norme che rirlanda deve seguire: per esser sempre
sotto lo stendardo di O'Connell. I suoi insegnamenti sono sparsi fra di toì,
come per tutto il mondo. Non vi è durata di tempo che potrà far cadere in oblio
la sua dottrina. I suoi sentieri erano quelli della pace« Egli camminò per le
yie della legge e dell'ordine. RammentateTi di quel suo detto « Colui che
commette un delitto, dà forza al nemico. Ora per i suoi lunghi e fedeli
serrigii, per Tesempio sì nobile della sua yita, per la gloria del suo nome
immortale yi preghi»* mo. Ti scongiuriamo, o Compatriotti, di non abbandonare
giammai i principii, e di non mai dimenticarTi degl' insegnamenti di O'Connell.
Fra mezzo a tante anime Teramente cristiane e generose, e perciò amanti della
Tera Keligione e della Tera libertà, che si troTano nel partito legittimista,
molte Te ne sono degeneri e Tili che, sotto pretesto di difendere il principio
della legittimità, non Ti è dispotismo cui non s'inchinino, non tì è despota
che non adulino, non tì è interesse, per grande che sia, che non sagrifichino:
fosse anche la Keligione, fosse anche la patrial Per costoro adunque Daniello
O'Connell ha doTuto essere, ed è stato di fatti segno di contradizione e di
disprezzo. Non Ti è specie d'ingiurie che gli abbiano risparmiata; non Ti è
specie di accuse che non gli abbiano fatte nei loro giornali; sicché, non solo in
Francia ma in Italia ancora, e perfino qi^i in Roma, sono giunti a creare le
più sinistre preTenzionl aiH che contro l'ortodossia di cui il grand*uomo avea
date prove sì grandi e si luminose! Quindi è accaduto che ayendo egli dimandata
la grazia, che il suo Confessore, che conduccTa sempre in sua compagnia,
potesse, in ogni diocesi, udirne la confessione, senz'essere obbligato a
chiederne la facoltà al toscoyo del luogo; questa grazia gli fu negata.
L'amico, incaricato di ottenergliela usò però la delicatezza di nascondergli
questa negatìTa: solo gli manifestò che, dietro le dicerie e gì' intrighi di un
partito, in Roma 'si era incerto intomo a'sentimenti delrO'Connell, rispetto
alla S. Sede. Ora O'Connell, al sentire che si metteyano in dubbio i suoi sentimenti
di filiale attaccamento alla Sede Apostolica, ne pianse per dolore; e rescrisse
subito una lettera che termina con queste ammirabili e tenere parole, degne di
un S. Girolamo, e di un Sant'Agostino: «Io venero in ogni cosa Tautorità della
S. Sede. Io spero bene ( poiché mi conosco) che non yi è una sola persona nella
Chiesa che, più sinceramente di me, faccia di tutto cuore alla S. Sede la
sommissione (nella più larga accettazione della parola) che la Chiesa Cattolica
dimanda a'suoi figli. Non ho mai detto, e non dirò mai una sola parola che a
lei non sommetta colla più profonda obbedienza. Sono attaccato di cuore al
Centro dell'unità, col più ardente desiderio di non mai separarmene, né in
pensieri né in parole né in azioni; e se mai mi accadesse che io m'ingannassi
nelle opinioni che enuncio, spero che si avrà la discrezione d'interpretarle a
seconda de'miei sentimenti: giac- ché LA MIA SOMMESSIONB ALL* AUTORITÀ* DELLA
CHIESA t COMPLETA, INTERA ED UNIVERSALE. > QuCStO bell'atto di fede, questa
bella professione dei sentimenti di un vero cattolico, di un yero figlio della
Chiesa, essendo stata posta sotto gli occhi dipi Sommo Pontefice, lo intenerì
sino alle lagrime. Le ingiuste preyenzioni si dissiparono, e la grazia fu
all'istante accordata. Gratior et pulchro veniens in eorpore viHus (Vfa-gil.
Aaeneid. lib. ix). E quell'invitta ss forza che ha virtù a beltà mista
f'Ttaduz. di jnnib, CaroJ, CENNI SUI SOLENNI FUNERALI Celebrati in Sant'Andrea
della Vcdh di Roma per V anima di Daniello o'connell. lìt A. quel sommo
Irlandese di DanieHo O'Connell» trapassato in Genova il 15 Maggio mentre a Roma
dirigeasi, doTea Ro* ma nna lacrima di dolore » una prece di etemo riposo, una
parola di lode. E fu pio dlTìsamento di alcuni ottimi Ecclesiastici, e di altri
distinti Romani, che per collette, solenni esequie si celebrassero per l’anima
del gran Cristiano che tanto aTea meritato della Religione, della patria, del
mon- do. Il Sommo Pontefice l'immortale Pio IX n'espresse il suo pieno
gradimento; e allo stimolo delle parole, perchè la pom* pa funebre riuscisse
degna di Roma, aggiunse l'opera di ge- nerosa largizione; concesse, per
ispecialissimo pririlegio, i ric- chi paramenti sacri della Cappella
Pontificia, e a maggior suf- fragio di queir anima dichiarò priTilegiati tutti
gli altari di 8. Andrea della Valle nei giorno in cui quest'esequie avreb- bero
avuto luogo. I desiderii del Sommo Gerarca, e l'aspettativa del popolo romano
non verniero defraudati. Nulla fa ommesso, anzi con ogni premura e diligenza si
procurò che la sacra cerimo- nia riuscisse decorosa e magnifica quanta altra
mai di simile natura. Lo stemma gentilizio e apposita iscrizione locata sulla
por- ta maggiore della Chiesa annunziava al pubblico che il po- polo romano
rendeva f^i estremi uflBcii a Daniello O'Connell; altra grande iscrizione sulla
porta all' intemo enumerava le principali sue gesta. Quel vasto tempio ti
presentava triste ed imponente aspet- to. Il bruno di coi era tutto vestito
dava maggiore risalto alle sue belle forme archiletioniche; né qaelle gramaglie
ti ren- deano usa tetra monotonìa, che la maestreyole disposizione delle
seterie e de'yelluti, e la ricchezza delle frange ad oro, nulla togliendo
all'effetto lugubre che ispirar dee il tetro co- lor di morte, il rario e il
gajo dispiegara agli occhi del ri- guardante. Maestoso e svelto- insieme
sorgeva fino a sessanta palmi sotto la gran cupola il catafalco, nel cui
basamento leggeyansi delle iscrizioni dettale dal yaloroso latinista il Ca^
nonico D. Francesco Mauro. Nel secondo ripiano Tedevasi un gran medaglione a
basso rilievo rappresentante V effigie di O'Connell morente, cui la statua
della Religione che tut- to sormontava il monumento, «ombrava dire Il valente
Scultore signor Binaldi avea Tubo e l'altra modellato. Negli altri tre lati dello
stesso ripiano e- rano, a finto rilievo, espresii tre fatti memorandi della
vita del grand'uomo, oggetto di questa pia cerimonia; cioè: Nell'uno
rappresentavasi V atleta della emancipazione Irlandese pero- rante per la prima
volta nel parlamento inglese in difesa del diritto de'CattoIici a sedervi.
Neiraltro scorgevasi Lui segui' to dal corteo e in abito di Lord maire di
Dublino (abito che O'Connell è stato il primo Cattolico ad indossare da dueceiF
t*annl) ricevuto dal Clero alla porta della Metropolitana di quella città. II
terzo accennava alla sua gloriosa liberazione dal carcere» e lo si vedeva
salito su di un cairo trionfale in- dicando al popolo festeggiante la gran
Madre di Dio, da cai riconoscea il trionfo della sua innocenza. ADYBRSARIIS
SYPBRATI8 G0NS0PITI8 FACTIONIBYS CATBOLICA RBLIGIONS CYI SE TOTYM DBYOYBRAT IN
LIBBRTATBM YINDICATA BX SABCYLI PR0CBLLI8 IN PORTYM ABTERNITATI8 SE RECEPIT
INGBNTI STI DESIDERIO APYD CIYBS TYM APYD feXTBROS RBLKTO OBIIT lANUAE ID. HAT
AN. SAL. HDCCCXLYII TIXIT ANNOS LXXI MENS. IX. DIBS TI AD AETATBM BT RES GESTAS
PER DIT AD POPTLORTH PRAB8IDITM AC SOLAMBN HBT PARTM DIT In tumuli temporarii
lateribus hincinde. DANIEL O'CONNELLVS TNYS POST HOMINTU MEMORIAH QUI SCRIPTIS
YOLYMINIBTS TANTA SAPIENTIA RBFBRTIS IVRA FIDBI LIDERTATI9QTB QVAE SE ANTE A
INYICEM AYBRSARl YIDEBANTYR AMICE COHPOSYIT AC CETERIS GENTIBYS YTI HANC
INIRBNT YIAM YNDB TAXTA AD IMPERIA FIRMITAS AD RELIGIONBM MAGNYU INCREHENTVlf
REDYNDAT QYASI SIGNYH EXTVLIT YNIYERSIS KA FYIT GRATIA ET B^STIUATIONB YT PRIHVS
CATHOLICORVM IN ANGLICIS COMITIIS ADYBRSARIIS FRY8TRA OBNITENTIBVS IN SBCVNDO
ORDINE SBDBRIT IDEMQYB TOT ANNOS REU POPYLAREU DEXTBR BGtT ET PRINCIPBH SEMPER
LOCYM OBTINYIT PER QYEM lYDKIIS SEYERITAS LEGIBYS ADSERTA EST DIGNITAS FRENA
INIECTA LICENTIAB PIETAS ET RELIGIO AMPLIFICATA MAGNIS AYCTIBYS BIS ARTIBYS
YIAU AFFBCTAYIT AD SYPEROS IV. DANIEL O'CONNELLVS PtO BA QVA FVIT STMMA ERGA
6EDEM APOSTOLICAH OBSERVANTIA ET SANCTISS. PONTIFICEM PIYM OPT. MAX CVIVS FAUA
APVD OMNES GBNTES lAM PERCREBVERAT ROMAB INFIRMA LICET VALETYDINE ITER SVSCEPIT
YERVM lANVAE QTTM MORB\'S MAGIS INGRAVESCERET IN GERISTI SBRYATORIS PRO SE
CRTCI ADFIXI COMPLBXV DIEM OBIIT SYPRBMYM ALTER MOYSES TERRAM YIYENTIYM DB
LONGB PROSPEXIT CVIVS TAMEN COR IN QYO DYM YIVERET CANDIDA RELIGIO PIETAS AMOR
PATRIAB YNICE YALVIT DANIEL FILIVS AD PATERNA BXEMPLA C0NTBNDEN8 ROMAM SICYT
MORIBNS IPSB CAYERAT PERFERENDVM CYRAYIT In aversa tumuli temporarii facie. V.
DANIEL O^CONNELLVS BXIMIA FYIT IN DBYM PIBTATB m YIRGINBM DBIPARAM IN CVIVS
TYTELAM SE TOTYM TRADIDERAT STVDIO SINGVLARI lUSTITIA VERO INTEGRITATE ANIMI
FORTITYDINE LI6ERALITATE DILIGBNTIA FACILITATE QYA SE OMNIBYS BXAEQYAVIT NVLLI
OMNINO COMPARANDYS QYAS ANIMI SVI YIRTYTBS IN QYATYOR LIBEROB SEDYLITATB TANTA
INSTILLAYIT YT BOB NON TAM SIBI PROCREASSE QYAM DEO ET RBIPYBLICAE MIABSBFBRRBT
BT LONGO POST SB IKTBRYALLO RBLINQUBRET QUAE SEQUUNTUR EPIGRAPHAE IN INTERIORI
TEMPLO PILIS DISPOSITAE LEGEBANTUR Clamaverunt od Dominum qui suscUavU eis
Salvatorem Jud. Clamor filiùrum Israel venti ad me, vidique afflictionem eorumj
qui ab Àegyptiis opprimuntur Veni, et miWm te, ut educai populum meum. Ego ero
tecum, (Exod.). Ab infamia mea mecum crevU miseraUo, et de utero matris meae
egressa est mecum. (Job.). 4. Dedit ei Deus sapientiam, et prudentiam multam
ntmis, et Mitudinem cordis, (Reg.). 6.Justitia indutus sum, et vestivi me sicut
vestimento, et dia- demate judicio meo. Oculus fui cocco, etpes claudo. Job.
Gubemavit ad Dominum cor ipsius, et in diebus peccato- rum corroboravit
pietatem. Eccli. Princeps fratrum, fundamentum gentis, staòilimentumpo- puh
Eccli. Ubi non est gubemator, populus corruet Prov. Custodiva illum ab inimids,
et certamen forte dedit UH ^t vinceret (Sap. x. 12). Descendit cum ilio in foveam et in vinculis non
dereliquit illum, et mendaces ostendit qui maculaverunt illum, et de- dit UH
claritatem aetemam. Sap. Loquebar de testimoniis tuis in conspectu regum, et
non confundebar, (Psal. ii8). i I. Populumjustum liberava a nationibus, quae
iUum depri- mebant. (Sap.). i2. Vos fila confortamini,
et viriliter agite inlege, quia in ea gloriosi eritis, (Macc.). Majorem hac dilectione nemo habet, ut animam suam
ponat quis prò amicis suis. Joan. Mortuus est pater et quasi non est mortuus:
similem enim sibi reliquit post se. In vita stia vidit, et
laetatus eit in ilio: in ohitu suo non est contristatus » nee eonfu. ÀS est
eoram inimicis. (Eccli.). Praecepit Josue principibus populi dicens:
Mementoteser- monis^ quem praecepit voÒis Moyses famulus Domini, Et
responderunt ad Josue. Omnia quaecumque praecepi- sii nohis fademus» sicut
ohedivimus in cunctis Moysi» ita ohediemus tibi. Josue Decessiti non solum
juvenibus, sed et universae genti memoriam mortis sttae ad exemplum virtutis,
et fortitu- dinis derelinquens. (II. Mac. vi. 3). 17. Cum placuerint Domino viae hominis^ inimicos quo- que
ejus convertet ad pacem Prov. Sapiens inpopulo haereditabit honorem et nomen
illius erit viveììs in aetemum Eccli. NIHIL OBSTAT
Josephus Maria Can. Graziosi Censor Theologus IMPRIMATUR F. Dom. Buttaoni O. P.
S. P. A. M. IMPRIMATUR Canali Patr. Constantinop. Gioacchino Ventura dei baroni
di Raulica, Gioacchino Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica.
Raulica. Keywords: l’origine dell’idee – il fondamento della certezza, la legge
naturale dell’ordine sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente.
Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica”
– The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Ravelli: la memoria, la ragione conversazionale, la
memoria, e l’implicatura conversazionale – la scuola di Milano -- filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza
(Milano). Filosofo italiano. Milano. Lombardia. HACTENVS ab EIVS PRIMO AVTORE, HVIVSCE
iecundo qmde m mcognitd, ita obfcureliudio tradita, vtiegerehedum ffi lN.lN
INCLYTA Academia HeidelbergenfiltaKcs &Gallic liflguaeinforniatorcm.
TRANCOFViri Hoffmanni, fum titfc bus Ioann TheodoncidcBry, i»»#>f.DC. XKl/o
LLC. AMPLISSJMIS VIrisquecIari(fimis, Dominis Profcflbribus, ac Heidelbergenfis
Aeademia: Mc- i coenatibus &Patronis fuisobferuaa- di/fimis, Vrn admeperuene-
rit arsmemoru arttficialisperltalum Mthi tradita^uitantum ei tnbuk, vt
quodmagnt mu- neris loco mthiofferret, hac ipfaarte mhilpotius aut an- Uquius
haberet( cmufrcifi* dem mihi alti cmoque Ittera^ 2 rum Epistola. rum
ftudtofifecerunt,quili- belli huius c&pia fibi fatta, ed maximee refitafore
iudica- runt.) conicfluraaffqutpo- tuifitentiani baric fitn publicum prodirei,
iuueniuti, iri cuius tnjlituiione iotius rei- publics. cardineverfaripru-
dentes (emper fenfirunt singulart munufeulu offerre fed vt aliqua
expartegratterganjos antmi ftgnumextaretycjua fi- ducia fretns vos idipjumfe*
rena fronte accepturosnuU Ihs debito: Deum rogans, vt vos omncs et ftngulos diu
4 3 (ojjn* £ Ep I S T* DeDIC«. fofbites^ tncolumescanfer- uet> quo @f
meafotiHSfy hu- tus Academufalus ac pra- Jperitas humerunec iniuria macremfapi-
entiaea philofophis appellatajquo nomineetiam Themiftocles,
muIciquealiiobinfigne memorias acumen commcndati leguntur. Ecfi
aucemnacuravnicuiqueiat virium ad hoc conceflerit, tamcnnonoh- ftat, quominusartequadam
nature^ iaftin&us augeri, et ad rnaiore perfectionem reduci poffit, ad quam
artemcum proximc viam fternere prejens libellus videatur,vifum f uit eum
publici iuris facere tuoque iudicio ac ccnfurae, candide lc&or, fubiicere-,
in quo fi nve operaepre- cium fcciiTe iudicaueris,er i t de quo mihi
gratulcr,ac ad eius generis alia aliorum commodo,fi res ita tuleritj inlucem
emittendamedc- uin&um agnofcam, Valc. Vicunqs artem aliquam cupit
addiicere,debcc adferre amorem et de- fiderium,finequibusin nullo ftudio
proficitur, Ncmo quoque debetoffendi exilitate fundamentorum huius
artis.NamTheo- logia, lurisprudentia, Medicina et septem artes liberales,
aliarqj /cien- t;$ omncs,viginti fex literis confcruantur et ad pofteritate
tranfmit- tuntur, nihil aurem fimplicius illij yiginti fex figurarum
aJphabetica- rumnotisXonfiderandum quoq;, Japides in terra inueniri, arbores cx
ipfaexfnrpere, fed tamenexiisni- hilpoiTe effici, nifi arte accedente
certiffimumeft, cx quibufdaenim fitcalx, mftrumentis alijcoaptan- A 5 tur ro
tur ad ftcuauram, hx fedione pr«- parantur ad ftruendu focunx idem dc Musicae
fundamentis eft, m quibus trcs fignantur claues, fitfex no- %x > in his
fundamentum confiftit acus tam excelientis. Idemquoque 4e alus fentiendunh Si
igicut oipniufcicnciarum, et rerum etiam 'naruraimm parua cognofcarareffe
fundamenta, nemo mirari debet fauius actiseciam talia effcqua? funt quacuor,
locus,imago,ordo, loco- yumacimaginumpraxis, fiueipfum exercitium.
Eftautemiocusimagi- pum fedes, feu receptaculum, in quo imago vna vel plures
poffunt ollocari. Vtimur autem in hac arcedomibus in quibus oblecuanturcubicu
la &in nsparietes hocordine: lnstantes apponimus tecgumoftio& qui a
finiitra manu eft, eric primus, quemalij ordine fequuntur, men- fam feu pauimentum
ponimus pro ouiato paricce, et in vnoquoque pariete vna licera M vtinfra, NB.
prxcedendum figurarum ordoin- uertipoteft&debet,vbi quiseisv- titur
inconcionibus, & argumentationibus applicandis, vel aliis themahabentibus.
Quodquidem thema inmedio collocatur &tum procedendumeft hoc ordine, De
reliquis figuris idem efto : qua: figu- rx ita funt diuerfificata: vt quis
gradatim poflit proficere, et Mis vti pro variis occurrentiis, Imago eft figura
cuiufcunqu%rei. Imagines rerum fub afpe^um cadentium valde faciles funf, earum
vero, qu^ noa n Ars Memom^ non cadunc fub afpeftiim, vidcntur quidem
difficiiiores, induftriata- men humana modum inuenit, quo omn umrerumimagines
inprom- tuhabeantur. Qu >\xm mulcasfo- lcnt dareregulas ad imagines
inucniendas, fed nos generalcm vnicam tantum dabimus, qua modis aliis
nonindigentes,paratasfineftudio, &labprefempcrhabeamus: vcfuo locodicctur»
Hqc au tem diuiditur in propria, quae refcrt illam vnicam tancum rem,cuius eft
imago, vcfiponatur imagoChr.fti vt reprcjencet ipfum metChnftum, sed fi vtar
jmaginc Chrifti, vt legam vir vel homo, est impropria &c. Dialecticus hoc
ita cxprimic paucis: Quando imago indiuidui ponitur pro ipfo indiui-
duocftpropria, fi vero pro fpeciei vel generis repra?fentationc, aut fu-
pcrioris ponacur, crit impropria. Adducitur hxc diuifio vt declare- turliccrc
intcrdum vti imaginibus impropriis,quiaA ffit iutitadcxcitandam memoria vt
exemplis declarabitur, Altcrad.u (ioneimago tftpcrfeaa, vt rcrumimpcifcaajcdua
den- fevc 14 Aks lAtU6*tM* fevt omnesviciinundent, necfic- cis pedibus tranfire
liceat, iam per-fe et aeft: foloritur, imperfe&a, (ed inaximafiguracolore
rubrovel viridi, nunc perfe&a eft, atq-, ita nunquam haerebimus, quin
hoc!quod petimus confequamur Tertiaparseftordo, dcquople- raquc di&a funt,
fed duo tantum rcftant adiicienda, vidclicet decorum in eo observandum Si quis
enim velit Chriftum in cru- cependentemita repraefentare, vt mater
fupradcxtrampedibuscon- fiftat, San&us Ioannes lupra sinistram, Maria vero
Magdalena fu- pra caput, valde a decoro deflexerimus: fed oportet fic
facerevtvfus et decorum postulant* ltem, fit fupplicatio > non erit
episcopus qui crucem fequatur, fcd pueri fymphoniaci, iuniores facerdo- tcs,
deinde feniores, canohici, t£ridem fequitur Episcopus. Itemda Rege intrantc
ciuitatem cogican- dum. b Quarta eft praxis fiue exerci- tium, de quo
poftquintam pr*le- tfionem abfolutam, qu*dam ne- cdiaria dicemus : oclaua vero
lc- jftione Jatum mare praxi s nauiea- bimus, declarantesquomodo Gramatic*,
Rhetoric*, Dialcftic^re- Iiquifque artibusliberalibus appli-
J«ur,Thcologi*,Iurisprudciiti f Medicinx,quomodoaduocati,c6-. uiianj,
pr*fides,Legariad prtncn pes, et cuiufque fun&ionis homi- nes, eadem vti
poffinr* Nunc vc- ro manum operi admouentes in- cipiamus aliquid ad praxin
reduce- re, a minimis paulatim ad maiora progredientes. Regula vocabulorum
intelle&o* rum harc eft, (nam non intelle&a in quartam
reiicimuslecl:ionem, tunc exprofeffo de iis aduri) dequibus ii iam traftare
vcllcmus, nihil pr*ter ieiunam tna&acionem au- dire- Ars ditetis.idcoconf«lti
U sv,dctut..$ ernims. Vobis monfttate modum edendifpcciminis, quod nemof.nc
Siniculoattispotcft,ct.amf.v. er.concinuisannis ia utplunbu S memotiamcxetc
Uiflct. Vocabulaita^intcUcaamcmo-, ia tctinentut, imagimbus eotum
inlocispof.tis, atctibutamfign.ah. quaaamnc. quscxvctcnautno-
Sofumctutteftamcnto: Ex hifto. Sfactisvclptofanis cxtabuhs «oetatum, velcx
v.cacommum.h Uton.h. lcxiftisd.cuttat.l.ccc fingcte ad vohincacem noftram.
tfullum auccm pocctit dic. vocabulum. cuinon ftatim poffimus et- fineerca&ioncm.
Platoquodam tempote docens dcldcis intstahosauditotcshabuit Atiftotclcm
adolefccntcm ad- ioc nori ca opinionc doftnns, quapoftcafuit et DiogcncmCy-
^cumicumqucfubtilitctdcmcn- Scc U cyWc loq«ct«ur, S jf heutermentemaflecutus
cft, Ari- ftoteles clamfecumridebat: Dio- genes exclamauit diccns : Men-
iamquide &c cyathum vidco,men- fcitatem et cyathitatem non videoS Refpondit
Plato, nonmiror;ocu- los enim quibus menfam et cya- thum vidt as habes; mcntem
qua menfeitatem et cyathitatem vi- dias, nonhabes; haxmolocoEra- fmus in
apophthegmatibus:ex qui- bus conftatPlatonernaliquarrico- gnitiottem artis
habuifle, multo 1 tamcn clarius id patet ex diaiogo in quo introducit Hyppiam
tan- quam de magno bono gloriantem, quod 50. vocabula fcmel audita, quolibet ordine
repctere poflet. Hocautcm nerao mortalium (au- da&erdico) fine fubfidio
artis po- teft; colligitur ergo aliqua fuiflc illum adiutum arte* Idipfum au-
ditores noftri aflequuhtur ex pri- ma le&ione, eodem, quo incepe- runt
audire, die; &fivna,duabus B ttih iS tribus, aut quatuor feptimanis, pcf
lernihoram bis quotidie quis velic ex hac fe exercere regula, ioo. 200. ^oo*aut
plura repetere poterit* Contiderandumpr$tereahiceft, artem tam cfle natura?
congruentem, vtnuUusfithominum,quin illa rudi modo, licet nihil vnquam .
audierit, vtatur. Si quis enim velic cogitare, vbi natus fum l in qua vrbe,
vico, domo, cubiculo:nonnefta- tim ad locum confugiec ? Si vero quo
patre,macre, qui fratres, foro- res,(erui, ancilla? ? nonne ad imagi- nes
confngiet? &c. fieri enimnon poteft, vt alicuius reirecordemur, ne minimae
quidem, nifi auxilio lo- ci aut imaginis. Quemadmodurft enim D t vs principia
omniii scientiarum et artium infudit homini- bus, quibusfivtivelimus, et inali-
quo nos debito modo excrcercex- cellemusjfic&inhacfitarte. Aliquandoaliquis
indocTus,agric#la, enthymenaa vel lyllogiimum con-£cit m ojiiii ficit,
folonaturzdu&u, fiillearti DialedicaEropcradcdinct noneex-
celluiiTetihca^ideiudiciudec^te» risartibus liberalibus et mechanicis Patet
igitur hancartem memo na conuehifrecuipfanatura,quarri perficit, ideoqj mirtime
ncgligen- dam.Sed longms a propofito denV ximus, ad fpecimen redcamus. Quamuis
enim regula fit clareex- pofita, tamen nifi exemplisdecla- i ctur,arbitror non
fatis eam a vobis poflecomprchendi. Exemplavero hic poncnda non putarcm, mfi
ani rnusmihief Tetartisamatores iuua- du Diximus fupra vtcndum efle cu -
biculisCinprinGipio)& applicanda vocabulaintelle&a, vt eo facilius, et
maiori affcftione, tyrones apprehendere artcmqueguftarepoffint. fcmngat igitur
fibi aliquis cubicu- lumcuiusparietes quinq; habeant Jocainpnmafigura (licet
etiam v- naquaq; aliarurh vti poffet,fcd hci- Iitatis gratia hac cohtenci
crirhus) B 2, quz funt quinque,| et in fingulo pa- rietetotapponendo
25«erunt,qui- buspoteruntapplicarii^. vocabu- la diuerfa non voce, fed mente,
vtlinteum, culter, calceus,hber, templum|pileus, sapientia, meretrix, panis,
tecl:um |campana,virgo, bos,futor,diligens| fluuius, cuftos,
caro,bombarda,ftabulum| cande- la,feneftra,fponda,auis, inimicus| En habetis
excmplum, iam exer- ceatis vosin hac prima lectione vt poftmodum ad alia
pergamus SEntentia fiue textus continuus memori^commendaturacrcti-
netur,principalium vocabulorum imaginibus in locispofitis, minus principalibus
ita eft accommodan- da memoria naturalis, vt adiuta imaginibus principalium,
etia minus principalia repetat.ad quod re- «ftius faciendum oportet quatuof
diligenter confiderare. u prxci- puam R s Memori^e, licfl I puam imaginem
tocius fencenciar, nec refert an ilJa reuera prsecipua iic,annon> modo
quiseamprotali iudicec. 2. diligencer aduertendum adprimam cuiufq; fenceci
di6cio- nem, nam fi redeun tes ad locum a- ciementis velprecipuaimaginem
videamus, vel primamcuiuiqjfententi diclionem, facile memoria naturaHs reliqua
fuggerit,perinde atqi in fcholis pueri, fi noexafte re- neac penfum
leftionis.quod tamen aliquotieslegerunt; fi cuiufqjvcr- fus primum
vocabulum,reliquis te- &is,liceret videre, facile ornnia recitarent, ita
quoquehicfierifoJec iCauendumeftne fynonvmu pro fynonymo fubfticuacur,nam hic
fa- cilis folece/Te lapfus: fi dico mulier, enfis.complccUon cibi dicendum,
roemina, gladius, repleci, &c. Curandum prascerea vc fingul* didio-
neseodemrepccancur ordme, quo vel leclra- vel didaca?fuerunc. Sedcurnos vrges
(aliquisinrer- B 3 rogabi OnciynonymUjp fynonymo fubfticuacur, vel ne ahquando
ordo nonnihil inuercacutf quorum alce- ruvel vcrunq; fi mihipermiccacur, ordo
cric melior et elegancior: illi enim qui primum fencencias pro- tulerunc no cam
de propriecace vocum &collocatione, qua de fcnfu expeditofueruntfoliciti.
Refpon- deoduabus decaufis idvrgeri, pri- ma, vt declaretur per artem id fieri
poffe:fecunda, magnam affert di- centi autoritatem, fi auditores do- mum
reuerfi (ententias iifdem o- mnino verbis eodemque ordincin citatis au&orum
bbris inuenianc: fi enimter, quatcr, autfaepiusidde- prchenderint,eolliget
orpnesfem- pcr fentencias ica ab illo in medium produci. Sed aliquis rogabic
forfan mo- dum, quo duq (uperiora conlequi quispoffic. Refpondeo,forcimen- tis
applicacione ad fingula vocabu- la, & adcollQcacione:&exercicatio- nci
2S ne, quibus folis illud aftequemur, ita vt nos ipfos admiremur* Pranereaab
orficio quodinora- tionehabet,(i enim videamnsima- ginem nominis fubftannui m
ac- cufatiuo vel ablatiuo politam, nec- efleeft alicundeclependerc* ficon-
iun£tio,iam fuofimgiturofficio: in- terie6): io facile obfcruatur. In adverbiis
opus eft maiorementis applicatione: &ha?comniafunr, qn^ deregulaomnium
difficillima dicerefole musiquadicctficenuclea- tafit; exiftimo tamen ptax;m
vobis videridifficilcm, nili exempiisva- riisilluftretur. Sit itaq; prima
fententia ha?c. Princeps fine 1iteris, quasi nau is cftfineremigc,
&volucnvfinepcn- nis:qua? fic eft applicanda: ponitur nauis in qua ftat
princeps, cum virocuiustunica talaris plenaeftau- reislitcris, in vefte
veroprincipis nulla eft, et fi c ex oppofito legarn primam partem : deinde
confide- B 4 randa 14 Ans Memorijs. jranda nauis.in iifq> locis in quibus;
remiges federe foient, nemo appa- ret.ac fertur tardo ac obliquocur- fu, quod
confidero non fine caufa fieri, cum alioqui re&o et celeriore procedere
deberet, &: fic legam fe - cundampartem: ex clauoin malo pendebit grus vel
anfer depluma- tus: ac indevltimam partemcolli- go,& fic fcntentiam» 61.
literis ocu- lis exterioribus cxhibitam fextan- tum imaginum adminiculo, acic
mentis iegam : atque hoc exemplo fufficiat, cu quilibet ad placitu fex- centa
fibi exemplainuenirepomr, Quemadmodum ambu4antium in fole vmbra corpus feqUitu
r, fic in hac regula imagines comi- tanturres ipfas. Deinde nonopus eft,vos
obligare adipfamet verba, qusE duo magnam afFerunt facilita- te:regula vero hxc
eft:res memorie. jommendantur, cum fummatim ipfq«f i$ jpforu negotoriuordoin
lociscoj- locatur, In hac tria nobis insinuantur [HOLDCROFT ON GRICEO ON
IMPLICATURE AND INSINUATION, to mean, to suggest, to imply] ; primum,
omniaquaxunq; vo- lumus applicarc,redigcndacfre in epitomen, non enim cam
longela- teque ficuci a concion -itoribus, vel declamacoribus ornandi; captan-
da?quebeneuolenti£gracia, propo* nuncur,nobis excipienda func; fed faciseric,
fiipfas cancumres necef- farias, feu nudas appliccmus ; ac cum poftea opus
eric, ex nobis ipfis ornabimusapplicando, Secundu. epicome llla eric cam
magna,vc vno loco comprehendi non potfic, nam fingamus biblia incpicomenreda-
6ta,camen erunc libri Genefis, Ex- odus, Leuicicus, Numeri, Deucero nomiom
&c.&infinguliseruncca- pica, fed vnumquodq; capuc, quod quinquaginca
auc centum lineas feu verfus concinebic, nunc cantumfex, o&o vcl decem
contine- bir; et tamen tam paucis verbis, o- mnia erunc comprehenfa, qua? toro
B s bibliorum corpore. tdemindiciurn deciteris* Neeeflarioitaq; diuifio
inpartesmaiores et minores fein- gerit,& qui ex praecedentib. ftudiis
affert promptitudine redigendi ali- quid in cpitomen et diierte diuide- di in
partes maiores 6c minores, ille valdeidoneus eftad hancregulam in praxim
reducendatrnqui vero id nondum funt adepti, vt icholaftici primae et fecundx
claffis &c. de- bentfeexercere vt promptitudine
VtriusqjConfequantur.Diicretaaut diuifio in eo confiftit, vt quae coniugenda
funt non feparencur: qu* ve- yofeparanda funcnoconiugancur. Tertium accipiende,
funt imagines minorumpartiu&: mlocis ponen- dar. Quartumadiungimus,videli-
cet repetici one,de qua fupra locuti fumus et poftea bis terve eiufdem faciemus
mencionem. Pofluntautcmin comprobatio- nem rcgute fumi exempla 4. ex ve»
terijtotidemcxaouo Tefta* exhiftehis Ars Memohi^ zj ftoriis,itemfacris&cx
fabulispoc- tarum,& ex vita communi ; dcindc proponercexempladuodecim,ni-
hil mter fc coha?rentia et ignota, vc oftendatur reg ula a?que cpm mod&:c*
da,de,di J Interponitur vocalis duab. con- {bab, bac, bad*j beb, bec,bed
>&c* cob, coc, cod 4. Vocalis poftponitur duab.con-
fonantibus,vtbra,bre&c.5. Dua- bus vei tribus confonantibus fub- iun« J|
iungitur vocalis, aut diphtongus. alysduabus\eltribus confonanti- bus
fequennbus; vtplcbs, ftirps, ftre.dts.deftprirlij.inlingua Germanica fupcriorc
et inferiore. Sed hu.ufmodimonftrofefuntfyllaba' et m rarovm. Exomn.bus itaque
lyllab.sre l icienda;funtinufitat a et remanebunt,ooo. a ut je oo. ttun ex
D.ft.onario quzrcnda nomina fubftant.ua, ab iis iyllabis incipicn- t.a, et tam
familiar.a reddenda.atq. nunc funt liter*alphabeti, accum
v/uspoftulabit(fiplacethicmodus) vtemur. proutdemonftratum eft. Quartus eft
vtimago pti mx U terx ponatur m loco ; et pro duabus aut
tr.busreftantibus,attribuatura£rio tah .nftrumento, quod in initio fui
.llasexh.bcantivtfiexprimendum efict vocabulum oma imago prima: tund.tvelfran
gI t ; ca pi turprima matula.coniungiti.rimagin.primc hterc et cfficit oma:Si
vero ponatur Antonhis quimolam vcrtit, capi- tut mo a mola&coiungitur
imag.m prim* hteta: Antonii,& fic habe- m us,amo,quodvetbumhcetfit.n-
telleaum, tamendeelarationiser- «jopofitumeft, hicmodus tantutrt fetuit diai,
unculis,duaruro> tt.utn autquatuo.t htetatum.Quintus ve- to roodus, meo
iudicio, aliis omhi- bus prxferendus, vtmagmshtenS infieni colore fcribantur in
loc.s vocabulanonintelleaa.&ment.s acie f edeuntcs pet fingulos locoS
videamusaclegamus, quod non tantumnonintellcais.ledomn.b, non figut atis:vt
funt voces quatuot pattiumindcclinabilium figut* Arithmetics acc potcft
appl.can,ac inteidumetiam intelleais.vtcum nominaptoptia. viforum. fem.na-
rum.cm.tatum &c. f et.nenda funt. Poffunt pre,teteahiomnes mod.ad libitnro
mUceti.vt vna pars per pn- mum. alia per fecundum.tett.a. aue quatta.velalia
pet qu.ntum, ptout CUlUS- m cuiufqueiudicio commodiffimum videbitur,efFerantur.
Huic ledtioni adiungi folet, dc perfonarum collocatione &nume-
risarithmeticis, quarfubferuientfc- quentibuslc&ionibus.Perfona: tri- bus
modisexprimuntur, i. per pro- prium, hoccft, quando perfona a hobis vifa
collocatur ex imagine nobis ex afpedu imprefla. ^fper imagine et hic Iatiflime
patet.Nam fic Patriarch ?,Propherar,Chriftus, Apoftoli, omne/q; fanfti
repra?fen- tantur, et omnesquinoftro(ecuIo viuunt,feiundianobis. Sicpluri- mos
fanftos, Pontifices, Imperato- res, Reges, illuftriores homines poflumus
cognofcere, infpe&is i- pforum imaginibus 3 &ex figno ipfis attributo.
Sic Petrusclauem,Pau- lusgladium, lohannescaiicemha- bet,&c. 3. modovtimur,
vtroque praxedenti dcftituti, videlicet per fimile : vtpote perfonam nunquam
vidi,imagoeiusnonextat, confu- C gien- wsam giendum igitur ad fimile,vt fi
vetim exprimere Clementem Papam, ponam hominem mihi notum, cui nomen eft
Clemens, quod ex facic nota eolligo, cum ipfum indu&um concipio
veftibuspontificiis atque itafaciesnomen,habitus dignitatemrepraefentat, ldem
de caeteris eft ludiciutmMalim ego hxc ctiam per quintum modu vocabulorum
nonintelte&orumcxprimere. Nu- menarithmeticipereundem quo-
quepoiTuntexpnmi: fedfi quisha- bere malit non ipfasmet figuras a-
rithmeticas,fed quod cas reprefen- tare poffit, ita eft accipiendum vt pro i.
candelam, vel vlnam pona- mus: pro z. anferem, cygnum fe- dentem: pro 3.
anguillam tortam vel (erpentem, aut triangularem: pro 4. figuram quadrangulare
vel pileum facerdotakm: pro . ma- num: pro^. ftellam: 7. normam
murarij,feulignarij: pro 8.calicem, horologium arenarium, perfpicil- lum: rffl
2 Aks Me Jum: pro^.cornuvenatoriumrpro io mctamiaculantium,annuJu mj vcl
fcrpentcm mordehte catidam, efteremus. Exhisdecem fimplici-
busomnescomponuntunperinde ac ih notis arithmeticis fieri viJe mus. QVando
nobis ipfis habendae- ntconcio.vei oratio : duo iici- musefle: Pnmo
pra-fupponimus, pnmamillam cfie fcripcam vcl im- preflam, aut faltcm
animoconcc- ptam. Secundo nos haberc locos paratosadillam collocandam, his
auobus przfuppofitis, prima crit tegula, vt ipfarii a principio ad fi- hem
tarde et attente legamus: v C rereconfideremus qnid fit materic intotaconcione
: lecundaerit, v C dtuidaturin partes maiores. Thc- rna,primamath6matcpartem,
fL cundam et (quod raro fit) tertiam. I hema m medio ptimi parietis; prima pars
in mcdio fecudi, fecutv» dainmedio tertij, terti* in medio tertij
cfollocabitur. Subdiuidentur maiores partes in minores, prout materia le
patitur fecari. Tertia imaginespartium minorum, quae femper adfunt, erunt
collocanda; in circumftantibus quatuor locis,
quifin6fufficiant,interpofitisqua- tuor aliis, fecundam locorum figu- ram habebimus,
eaque variabitur tribus modis. Tertia pars continet per diuifionem
vigintiquinquelocos in vno parietc, qui fufficiunt long flimx concioni
collocandae: I In medio collocabitur ipfum the- ma&quzcunq; de thematehabe-
' bimus in viginti circumftantibus locis ponemus: item iniecundofc tertio, ac
(fi fuerit) quarto pariete fiucetiam quinto, qusecunquede vnaquaque parte erunt
difponen- da,probeneplacito euiufqj.quem- admodum exemplo latius ad ocu-
lumdemonftrabitur. Et eftvaIdefacilisIabor,cumno- frshabendaeft: nam fi
nonfufficic femellegifle,biscervc, percempo- ns inccrualla legam, manc,meridie
et vefperi. fi collocacio imaginum non tam celericer procedir, diucius
immorabor,non opus eft feftinaco. Sed plus difficulcacis fubefle vide- tur, cum
alcerius concionem cupi- musexcipere, nefcimuscnimquid didurus fic, tum vnum
cancum efle fingimusvidelicec, nos habere lo- cosvaldebeneformacos, vtdeiis
cumnon debeamus efle folicici, fi poft inuocacam S.Spiricus graciam dicic
chema,fuo loco ponecur,fi fta- tim, antequam ad explicationem eiusprogrediatur,
diuidat induas vel tres partcs, ill* fuis quoq, locis difponentur,fi non
diuidit,fed the- ma profequitur, omnia compendiofeperimagines excipiemus.per
regulam rorum. Abfoluto thematc diuidit>prima pars fuo loco ponen- da,
&itemfecunda, rcditadexplicationem primae parcis ia viginti v jecis
excipientur,prout di&um eft> Excmpli gratia. Tempus eft nos
jamdefomnofurgere, Kom.Jj. fta- timcoliocabitur homo tenens de/ xtra manu
horologium arenarium, finiftra falcem . et alaria habet vel ad pedcs,
veladhumerps, iamha- bcs4imidiumthema, in vnaparte. cft leftica et altera ex
oppofito, ex quibus morc quotidiano profiliunt c}uo (efe vcftientes, in altera
parte duo homines qui ha£t,enus male vi- xerunt, emendantvitam, virtutes
excrccnt, et femper intemplore- t>us diuinis in terefle videntut » iarri
altera pars expreiTa. eft* Si dicat tri- plex in facris literis innuittir fqm-
pus,corporis,pcccati &mortis,hoc autem thema de fecundo genere iptelligitur
: pona in vna parte dor- mjentes, in alia peccantes, in alia Joculos.quibus
csidauera imponun- ^un&fic vlterius progrediar,donec primam pattem>
fecundarn, £ foi- fan tertiam eciam abfoluerim, in quibus cota eoncio vel
oracio ver- fatur. Scd qu#ret hic quifpiam, quomodo fieri poceft.vc canra
celericace excipiamus acqueillc Joqui- tur,etiamfi dedita opera velit verba
celerrimeproferre, Quacuor id adminiculis futuru eft* Primum,oportetconfiderare
hanc artem excipiendi per imagi- nesefle compendiofifiimam, itavc
quodconcionator/oo.ita vtmulto cclerius excipiam,quamille loquatur,
etiamficoneturmaximeverba mira celeritate profundere. Nam ii exemplum
memorabile, vel hifto- riam mihi cognitam incipit propo- nere,antequamioij.aut
^o.proru- lit di&iones, ego paucis imaginib* exprimo, et expedo quando ali-
qmd iubiunget, mihi non notum, aut illud etiam efFeram : quod ali- quoties in
vna concione, vel oratione, fieripoflet: cxempli gratia, Incipit dicere inter
alia, vt autem luculento monftrernus exemplo, hominibus ecclefiafticis magnum
deferendum honorem eciarn a viris lummis, Rcx quidafuo nosdocuic exemplo.qui
obuiamhabensduos monachos 5 ha?c tantum protulit, e- gopono Regemhonorantemmo-
nachos, fratremr«prehendentem, tubicinem antea?des fratrisexcur- rere ad regem
et cum illo loqui pal- lidovultw, membrisque trementi- bus, deindeabire,
abfolui, ille vix 20. cxpreflit di&iones et ego totum exemplumnotaui&c.
Sed quid faciendum, illo mihi C $ nota diccntc > inftituenda ne erit a-
liqua repetitio di6torum,id aliqui xnihi fuadere voluerunt, icd mahm attente et
patienter audirc, licct fat jnihicognita. Namfi inftitueretur repetitio, forte
atitequam illaeflet abfoluta.cocionator aliuddiccret, atque ita illam abrumpere
cogerer: quodconrufioniscaufaeffe poflet* Quartum eft ipla cxcrcitatio, vt
poftqua hxc itapercepta, incipia- rous concionem fimplicem . ac non nimis
copiofamapplicare, omiflis in principio citationibus, doncc confequuti fimus
concionem fatis fceliciter exprimere, fine citationi- bus:deinde ide tentabimus
et quin- que tantum eitaxiones excellentio- res locabimus, quo comparato 8.
retincbimus : quod fatis eft. Nam fi ex vnaquaque concione quinq; aut o&o
ietincrenturcitationes, anno abfoluto vnoduoUaut tribus pr«- cipua vtriusque
Teftamcnti mc- m item fi mi- nordonec inter argumentumpro- feratur ac tum ilJa
fuis quoquelocis difponetur ; vt modo di&um efi Quod fi fit indu£tio,tum
tres enun- tia tiones ponentur, et tertiae adde- tur fignum, quod fignificat,
et fi c de casterisj& in quarto ponetur co- clufio 48 Ars MemorijE* clufio:
namcumpomntpluraeiTe membraininduftionc, longumef- fet omnia collocare» vtdmnis
ho* mo cft mottalis, omnis bcftia eft " mortalis&c.ergo omncanimaleft
mortale, Ex his facilc colligituri quomodoSorite», Dilcmroa,vcl a r li$
argumcntandi formae fint dif po- nendje. . Reftat, vt rormam nunc aliquam
praxis, iuxta promiftum, oftenda^ mus,nihil n. obftat quin iam nos in haftenus
diftis cxerccrc incipia- inusin fequenti le&ione. Romifunus leftione prima,
la- ~ tius fextadehis traftaturos, fic jgiturnuncaccipite: quinquc for- mis
fupra didis fextam addipolle, vt duftis /i. lineis reftis totidemque
transuerfis in vnopariete fmtccn- tum loca et in toto cubicuio 500. hocmodo qux
p 49 I 1 3 4 5 6 7 8 \r 10 T T A 1 T 1 t ii J 5 16 '7 18 19 20 1 I zz 2 5
26"*7 28 19 30 1 T 3 2 u E 35 3 plus illc quidem proficiet, fed rriaior
rcquiritur ctiamlabor&diligentia,& deiftis diftindiuis haftenus nihil
dixeramus. qux (uam fecum fueruntvti- litatem. Nam aliudagentes,vtilia memoriff
retinenda commenda-tera- rum humaniorum,aiterum Theo- logiz.tertium lurifprudenti^
qua*- tumMedicin$,quintumI^iuil hp- me fextum hiftoriarura facrarum, ftptimum
hiftoriarum piraphanarum,oaauurn EKcni^a, fiempra- bihurn Ars Memori^, h bilium
facrorum, nonum propha- norum, dccimum comicorum, vn- decimum controuerfiarum,
duo- dccimumcafuum coQfcicpqx &cc. acper fubdiuifionem per domos, cubicula,
parietes de qxia odaua leclioneinfpecielatius. JT\E collocationclibrorum et
citatione au&orum dediclatio- ne& celeri fcnptione nunc agendum eft
nobis. Quod ad primum attinet,cumcoliocandinobis func libri,
neccflceftimagineseoruha- bereparatas, vt autem rediushoc fucccdat,qu^dam(untobferuada,
/♦ kribendiomnes libri quos iudi- camusnobisexprimendos, 2.quer primus Regum,
Saul primus rcx ifraelitaru tenet manulibrum. fecundum Dauid tcnet, tertium
manu tenet Salomon y quartum lc- hu, LibcrprimusEfdrx,tenethic librum, in cuius
rrontenotaprimt numeriarithmetici. Secundus,ide tenetlibrum cum nota numen,
idcm iudicium dc 3, et * Tofeias cun^ cufti angclo, luditha cum Holofc&-
no, Heftera cum Afluero, Ionas in ore Balena?, Ezechias cum ferra,lc-
remiasinlacu, Danielinfpelunca leonu, &c t Matthscus cum angelo» Lucas cum
boue, Marcus cum Ico- nciohannescumaquila exprimi- tur, et fi idem diuerios
fcripfit li- bros.diftinguendiiunt aliquomo- dp. Marcus fcripfit Euangelium,
poniturcum Chrifto:ScripfitA6ra Apoftolorum, pro quibuscum A- poftolis
collocabttur. loannes fcri- pfit Euangclium, proquo expri- mendo, poneturin
iuggeftovncie denuntiari folet: Idem icnpfit Epi- ftolas,
hoccxprimcturfimcnf^affi- dcns fcribat: Apocalypiim,pro qua cxprimenda ftabit
oculis in ccelum defixis, tanquam res nouas&admi- rabiles videns. idem, vel
ilmile iul- dicium eft de reliquis* Iuftinianus* pro primolibro inftitutionum,
ftabit luftinianus te- nensparuulibellum manu, in quo D $ «dc crit nota
arithmetica primum ex- primensnumerum,profecundo protertio i. proquarto 4.
ldemfi roagnum teneat librum, in quo ut figuraprimum, fccundum, &e.ad 50.
v(queexprimens,legam libro Digeft. Si Cod. addita n- gura.legam
luftinianusCodicislib. j^.i.&c. Sic Nouel. et Virgilius libroi£neidis,ur^
&c. ftabitVir- giU cum^neatenenslibrum, in- fcripto numero arithmetico,
Vir- gil.lib. Buc«licorum, ftabit Virg.te- nensmanulibrum,incuiusfuperfi-
«icmultapecora.Virg.libro Georgicorumin fuperficic erunt imagi- nes multorum
laborantium ter- ram,&c. Ouidiuslibrotriftium,Ouidius librum habet m manu
vultu admo- dum trifti: De ponto,cum iibro fta- bit in ponte, metamorphofis, in
fu- perficie libri. Daphne mutabitur in laurum Adeon in ceruuro, et fic de
cacteris. Nemovnquam fuit auditorum,quihicaliquaminuenit
difficultatem,qu#maiorvideturinci- tationc, quam vulgo quotationem voce
barbaraappellant,qu£varia- tur pro diuerntate profeflionurru Theologus
dicit:Qua:ft.Rcip.arti- Culo,membro,parte,&c\ iuriscon- fuitus, inft.
Dig.Cod. NoueL tit. leges paragrapho,&c. Medicus,Fen. trad.cap.aphor. fe£t
&c. Philofo- phus, Tex.comment.reducituraM- tem omnis citatio ad tria
capita, vi- delicetadIibrum,adnomelibri, et adiun&alibri,
&nominilibri\Deli- bris exprimendis modo didum eft, cni illud adiungi pofle
videtur, ipfos pofle cxprimi per imaginesli- brorum, quos poflidemusjquofquc
inbibliothecahabcmus, ex adfpe- ftu vnum ab aliis /ecernentes: vtfi
velimexprimere, luftus Lipfius li- bro?. polit.ponamimaginem Iufti Lipfij,^
dabo illj in manum meum librum,queinteraliosnoui, inqijo f olitica eius funt:
Vult aliquis «ita- rchoc modo: AuguftJib. i.de ciuie, Dei, cap. $+ ponitur
Auguft. tenet manu librum,digiti duo cre&i indi • cant fecundo . retro cum
in parietc eftciuitas, incuiusfupremitateeft turris> eftftatua
Dei,alteramma- liumiuxtacaputhabet extenfis di- gitis, qu* reprefentat
quinto,fi ma- ior fucrit quinario>vt libri,vel capi- tis numerus non poffit
digitis quin- qucoftcndi, tum oportet vel ipfis notis arithmeticis maioribus,
in fu- perficie libri pofitis,vel figuris ipfas repcaefcntantibus indicare :
altcra manu tcnentes inftrumenta iuxta caput, fimplicia vel compofita, te-
prxfcntantia quem volumus nu- merum* Si autem idem audor Ix- pius citetur, vcl
diucrforum libri et capita, vt a lurisconlultis fit, qui (c- mifaciem vel totam
continuis di- ucrforum au&orum citationibus
rcplcnt.tumvaldedifficiliscavidc- tur tra&atio : ncq; vllus dc artc mc-
morix fcribens, mihi hacinparte fatisfacit. Et licet multos modos tradidc
tintalijdehacartcagcntcs. tamca cgo poft longam reidifcuffioncm, exiftimo illas
citationes maiufculis literis,aut%nisiuxtalocum cuiad- hibcnturfcribendas,
acfortimen- tisapphcatione, frequcntiq; repe- titione, oculis extcrioribus
ficimprimendas, vt dcinde a cfaarta ad fuum locum translata-, acicmcntis
videanturacrepetatur. Quodmi- hivaldeprobatur,acad praxim re- duci non ita
difficultcr vidctur, Quod fi id non placet via commu- Jii memoria: mandcntur,
frcqucnti Jcaioncforti mcntis applicationc, &rcpetitionc. Nihil enim eft
tam difhcilc, quin paulatim obtineri poffit. Nuncaddidrationcm admirabilem,
omniumque nefcienrium captumcxccdcntcm, tranfeamus. Qua-cunq; altcri
cupimusdi£rare, UU pnrnum ipfi exafte memoria fenercdebcmus, noncomunimo-
do,fcdger rcgulas artjs, atqueitaa- pad,] pud nos conftituamus > vt primd
fcribe^rimum, fecudofecundum, tertiotertium,quarto quartumpa- tietem.quinto
menfam aflignemus velpauimentum.ac deinde ex fuis cuique locis acie mentis
legentes di&emusvocabula, fententiasaut resfme epiftolas, quemadmodum
exemplis racilime demonftrare li- ccbit. tn vocabulis tam certo pede firmiterque
proceditur, vtfiquisi principio, medio, fine, re&o vel re- trogr ado iubeat
ordine procedere, finehsfitationc&errorefuccedat. Intententiis et textu
continuo eft maiordifficultas, fedquaedemort- ftratione vnius hor* ita
fuperetur vt ante illam pret eritam duodeeint repetantur verbotenus eodcm or-
dine. In epiftolis et textu continuoi codemnoshoc modo dirigere de- bemus :
diuidenda erit epiftola vel profa in partes maiores vnius lineqj
fefqui,duarumveltrium: Deinde fingula; partes iuxta regulam ien*tentiarumdirigend*,
provnaqua- qucepiftola opu$ cftcubiculo-dif- pofitis igiturofto, dcccm.
viginti, trigmta, quinquaginta, centum, (nam co artificium pcttingit) ex
luiscuiq; locis et cubiculit diftabi- mus. Si vnaepiftola quindecim,
aliaoftodecim, aliavigintihabeac patticuias.icdeuntespretcribimus Ulosfcribas,
quiabfolucrunttin o- &o, dccem, vel duodccimnonita dimcilecft, fed
quinquaginta, o. auaginta, vel centum diftafcma-
gnamtequifitptxparatione.-vidc- Jicet quatuor, quinq;, ve I fex men- Iium. ln
qua.quod nos maxime mo- leltat.eft- meminifle quidcuiqj vl- timodixctimus.-
ptocuiusleuami- nemultafuerunta nobis excogita- ta,& ab aliis fuggefta,
quariam reii- cimus, vtpotc melioribus inuentis: icihcet, opot tet vbi tettia
forma et invnoquoquenec plus nec mmus co locare, quam in fingulis vicibus
volumusdi&arc. nunquamautcm dubi- fed etiarri /ooV epiftolarummateriam
femel audi- tam ficartiapplicaturum, vtreuer- fus in Mu^um cas in ordinem ac
debitam redigat formam, ex quo patctomniaafcretineripoflc,qu« coram irriperatore
aut rege dicc- rentur: qUorumaliquaparsrionra- ro effluit,ndn fine iricommodo
Im- peratoris, Regis,aut Reipub, qu* confideratamoucrcpoflunt, vta- liis
omriibus prarferatun Vcl eft,qui 6,6 Ars^Memori*' 1 ftudiis diligcnfcct
incumbit, peta > cultates, ofFcrc libellum fuppltcem principi Ecclefiaftico
vel ciuib.dc • «detiumacmcntemindicat, pctit tecipi in mifnetum atamnorum. ne
tepuliam patiatur.offett fpccimen, admittitut.admiratione et fpe con- reptade
oblcquio et fetuit.o Rei- pob Chriftianxabillo pra:ftando, Tccipitutintet
alumnos.continuat iudium, cutfum abfolu.t, acam cenatimaddiuctfaoffieia
foticita- tur, faftus-neti 6bi tantum, ied ia- ihiIisbacutas,&ofnamet.tum.
A- Tius iniecit mentionem, fe ^o. aot t? diftatut um: al-j fupra fidem efte
iudicant, ceftantdepofitop.gnote, illeexanim. fententiafegefta,p.- gnus ioo.aut
eotum aufett. Poftte- mo cupit quis admitationi eflc a- ; Uis,ac ^«ramnltonwn
**«JJ2, 6j coetu i idoneo proponit animi gra na.fiftciat. Devs bonequantatnc
adrmratio, qualis deeb opinib, q U3 } tama! Sedh* cn imisoperofa, et * communi
praxi remota.cupitis fcP re modum in vfu quotidianopofi- tum, vcfcilicec,
accepto Jiterarunl ™«culo, leftifq. ordine cpiftolis, ftatimd.6temus,. y . fic.
lntelhgenti pauca. Facile efl: autern eum numeruro excogitare velab aliis
accipcre : vocabula fcri- bentur ordine, deinde fcindentu.r forficulafipgula,,
mifcebunturagi- tationeinpileo ycloUa, nc quxab qadem litera incipiunt
coniungatv tur.deinde prout vnumquodque in inmanum veneritafcribeturfigno, Quod
hoc modo fcripcum eft,a ne- minemortalium, imo nc qui. eab ommbus fimul huic
rci operam n&- uantibus, naturaliterpoteftdctegi, etiamfi totam vitam
infumerenc. Si veroquis velit conuenirc in inter- pretationefignoru cum aliis,
tum vnus altcrius legeret fcripturam, fi vero hodie cum nouiiullis conue- nero,
cras velim alio ordinecom- ponerefigna, iteru erunt tam igna- ri
le&ura?,atque alij, variatio poteft multisfierimodis* Hos tres modos licet
mifcere,vt vnumvelduoperprimum, deinde per (ccundum vel cercium,cum rur- (us
per quemlibct trium ad Jubi- tumcuiufque. £ft autem obferuandum in fcri-
ptioneceleri, nonomniavocabu- la effe ponenda, fed tantum necef- faria, ad rem
nobis fuggerendam; ornatus gratia m publico loquen- tes, et capcanda?
bencuolentia», E 4 pluribus quam opus eft, vtuntur, QVomodo fcptcm artibus
libe- ralibus,grauionb. dilciplinis, Theologiae, lurifprudentiae, Medtcinae
applicctur;quomodoProcu- ratores, Aduocati, C6filiani,Prxfi- des, Lcgatiad
Principcs,& alii ea rn fuoquiiqueofficio vtipoflit, nunc eft dcclarandutru
granmaticae, rhetoricae, et dialecticae omnium difficilime accommodaripoteft.A-
rithmctica CiMuficaj. Geomecria:,^ Aftronomi^, facilius, quod h$ ido- neas
habeantimagincs,quasinillis inucnire difficilimumeft. Capicn- daeftitaque
Grammatica dilcrece compofna, in quonihilrcrum ne- ceflariarft defic,6c cui
nihil etiam fit fuperflui, bono ordine et prarcepti- pnum vcritate infignis,
diuidedo in quatuor partes, Rudimenta, Syn- taxim,profodiam,& annotationcs,
Rudimenta ponentur inprimo la- tcrc: 7j tereprima? domus caftri iiteraruru
humaniorum,fyntaxis in fecundo. Profodia in tertjo, Annotationes in
quartolaterc. Inprimocubiculoa- liaque nonnulla, litera? earumquc diuifio,
quidexipfisfiat,&o6to o- rationis partes vfque ad Nomen.In o&o fequcntibus
cubicuhs omnia que. denomine habentur, In deci- mo cubiculo Pronomen,in oclo
(e- qucntibus omniade verbp, Jn dcci- mononocubiculo departicipiojn vigefimode
Aduerbiojn vigefimo primodeconiunaione, Invigefimo fecundode Pra-pofitione et
Inter- iedione: Vacant tria cubicula. Ia fecundi lateris primo cubiculo De-
finitio, piuifio,Propo(itum leufi- nis,& in quar to pariete quinque re-
guI* concordantice,in fequentib. duobus cubiculis, Regimen Nomi- natiui,
inalijs duobusgenitiui, Sic Ablatiui, Accufatiui& Datiui.ltem
lnfinitiui.Participii, Aduerbii, Cd- lundionis, Prspofitionis, lnterie- E 5
clio aionis.lnaliisdaobosde6guris.Ia rcrrioUtetcProfodia.qu^valde
paacscubUuHscomprehendtpo- feft:fednonrefertfivacental.quot ln quarto latere A
nnotationes ; fc.ta nwcflariss. Eodcmmodo Rheto rica, Dialcaica& ceter* in
quatuor cqualcs dmidantut partes, et appl*- l^turvtdiaumcft.ingcnercqu.. dem .
fed in fpecie mahtis fcire. Quinqimodis cxprimiomn.a pol- &,quorum aliqucm
ehgemus no- ftr 0 ca P tui,&ingenioconuen.en- pore- Pnmus cft omniumdimcm-
mus.vt videlicct per imagmes qua- lcfcunq ; figarc«ar. Sccundusrni- hi pr*
cstetis placet; qui magn.s h- teris repraifentat inf.gn.colore: K fic in
vnoquoquc loco, dehn.t.o- nem,diuifionem,autaliudpono, q> lineam vnam, duas vel
tres conu- net, et hoclocum habet inomm- puS non habcntibus in promptu i- •
maeines.Tertiustransfe«fexo£to. vel deccm lineas impreffas a l.bro hfl et
difponi t m fuo loco parietis, et fie multain vno cubieulo collocantur, Quartus
librum fcindit in partes 6f eas materiali ter affigit,ita v t in cen- tumlocis
totam videat Grammati- cam,in totidem Rhetoricam,Dia- Jeaicam,^Biblia,Diuu
Thomam, Inftitutipnes Juris, Dig. Cod. No- uel, inft. Med.Hippo, Galenum,&
alios,Hiftorias, et quicquid pme- rea voluent,etiamfi omnes fcien- nas
cupiatvnoconcludere cubiciv lo, cum placet oculis leget cor- poralibus. Quintuscftvtdnndatur Grammatica a
velqualibet ahafci- entia in partes minores et in vnor-
quoqjloco,fineimaginibusautlittranfponendo poteri- mus cor rigere,& arti
perfe&ius ap- plicare. N mautemfufficit habere Bibliacxpreffapcr iroagines,
fed o- portet habere intcrpretationetex- tus,vtcmur ergo cubiculis triplica-
tis, et in primo loco ponetur: In principio creauit De v s ccelum et terram,in
oppofito explicatio,qux quoniam folct effeiongior,interiorem habebo locum, ita
vt textu duo loci icfpoadeant t Thcologus cupit Ars MbmorijE. preterea rctinere
eonciones.qua* applicatasin caftro Theologia! di- fponet fecundum regulas,
dcrcti* nenda concione oftenfas,accedcn- tc repctitioncomnes in fpecie reti-
ncbit&cum illicxtcmporedcrea- liqualoqucndum.tantum dequali- bctrepropofita
affcretfc materi*, vt futurum fitdifficilius exitum, quam introitum inuenire.
Dcinde quatuor Dodorcs Ec- cleba: vei alios quofcunquc contro- ucrfiam
quamlibctcum vcra inter- pretationc ac fi bonuseft Philoio- phus, quod
rcquiritur in illo qui controuerfias vult attingere. ado- mnesobieaiones ab
aduerfariisal- latas.racile refpondebit.deteget vi- tium argumcntationis .
videbitue etiamquomodo cafibus Confcien- ttxhscarsappiicetur.atqucex his
Tneologuro, vcl Theologi* ftudio- lum.coiligerepoiTeexiftimo, auo- modo
cuicunqueparti Theologiaf applicari poffit, qj, od ad ftud %^ iuin fum
Iurifprudentiae, confuluerim quafi per przludium omncs titulos per artem
difponere.regulas iuris& paragraphos, vt refto, et retrogra- du,&
intercalari ordine promte re- petat : deinde in eodem lutilpru- denti^
caftro,in vna domo ad quatn peruentumerit, quatuor libriinfti- tutionurn, in
vno latcre primuflUri altero fecundum, in tertio tertium, in quarto quartum.ln
fequenti qua- tuor libri digeftorum: totidem irl fequenti,donec orhnes
coliocati. Deinde ad CodiC. tranfitur,ac mo- dodi&oix* libri difponuntur :
po^ ftremo ad Nouel. vcniendum,et cometationesinC.orpusiurisMynfin- geri, Gailii,
Wefembccii, Cuiatii, et aliorum fed quomodo id fiat iri fpecie debetis
intelligere, dilobufc jmodisid fiet,primo,vtprimustitu- lus ponatur in medio
primi parietis primi cubiculi, &: in lociscirctfrri- ftantibus,quicquid de
eo notatu di- gnumcft,de eotitulo. Infecundo prima Ars Memoria,
primalexprimitituli Sc in circum- ftantibus ofto vel viginti locis. Iri medio
tertij primus paragraphus, inmedio quarti fecundus paragra^ phus: in fequenti
cubiculo quatuor paragraphi fequentes et fi c de ca% teris.donec omnes paragraphi
f uc . rint colJocati, tum /ecunda lex et paragraphi, deindetertia et para-
graphi.donec omnes tituli, Icges et paragraphifintdifpofiti, cum iis in
circumftantibuslocis, quznotatu maxime digna vibebuntur ; Alter moduseft,
vttotfumantur domus quotfunttituIi, &invnaquaqueti' tuluscum legibus, et
paragraphis, itavt non opus fitvnaquaq; domo egrcdi,nifiomnibus Iegibus,
&pa- ragraphisinueniatur, quicquid de eis (citu dignum eft et necefle, Sed
lurifconfultus fit Aduoca- tus, Confiliariusvelpra?fes. Aduo- catus quod fibi
dicendum difpo- net, fcehterproferet,quicquidviH» voce ab aduerfa parte
dicitur, exci- picntur, pientur,&quicquidad vnuquem- quearticulu
pofteaafeeritrefpon- dcndum- Habebitcubiculaoppoii- ta } in primo ponet ca
quann caula egerit ; in oppofito collocabitur quicquidab aduerfarijscotrafuurrt
clientem aftumeft-. atque ita per- multaactcmentistranfiens.videbic quid a fe
in caufa f uerit aftum, et m oppofico quid abaduerfarijs : occurrentibus itaque
in via publica clientibus, et de caufis f uis confulo ordine interrogantibus,
confidera- bit in quoto harc vcl illa cubiculo et acic roentis percurreris,
vnicuique rcfpondebit,quafi omniainmani- bushaberctdefcripta. Simodobc- nc fuum
fecerit officium, et repcti- tiononfuitnegleda, Siveroconfiliarius,caufas de
quib. ad corifilium referendu.difponet,accertius fuo fungetur
officiojnfuffragijsitapro ccdet,vthabeat locos paratos, fin-
gulaabalijsproiatadiiponet, per regulam verum ex quibus fuum faciec
ruffragium.deindealioruttipoft fe etiarn locabit, et oihnibiis latis, fi
quidfuo adiungendum putabit,vc perfedtius fit proferct. Si auterrt X nefes
fuetit,tot a m caufam vtrinq; agitatam. fubitoexcipiet.difponet deindefufrragia
fingulorum exqtif. busperFeaiore.npronuhtiabitleri- tcnol, qua: quidem iam
fiunt hatii- rahs memoria: bohirate, et I 0 ncere a rbicror,quo.
"«ommodetftu- dns, et funa 1 oni. Trahfeamus ad Medicmam, ftudiofus
Medicin* per prsludium difpohat ih caflro omn,afuafimpIic, a& a ph„ ri f m
^ H.pprocatis, Deindeinfritufone- IenfK,P ° fteaCOni P endlfi G4. lenr, H.pp OC
tatis& aliorO : Causas dt? '"'"^ morbi *'* «ed. 1 s,Prefcn pt i
0nct p tovnotlll . i .que morbo, quas deinde pro intcn- f:one,vel rcmiffione,
qualitate per- fonx,£tatis, (exus,temporis,& loci, angere, vcl minuere potcrit,
vt illa omnia femper habeat,mediante re- petitioneinpromptu.Confiftitautem
Mcdicinainduob. potiffimum i 4 Inconferuanda valetudine 2. ln moibis
depellendis, Conferuantur fobrietate,non folu in vi£tu et potu, ied in omni
pr^terea a£tione,&mo- derata corporis exercitatione, faU tus,
dcambulationis &c. Omniu difficilimumvidetur rede poflc co- gnofccremorbum,
quod fit infpe- «ftione oculorum, linguej, vrin* cx pulfu,&:maxime ex
relponlione pa- tientis,quemtamdiurogabit, do- nec aliquid eliciat,ex quo
tanquam vates colligens omnia.dicet causas, dolores, tempora, intesioncs,
intervalla et si morbus aliquis est simplex, facile adhibentur remedia, et
nunquam fere ex simplici morbo homo moritur, sed si plures intricatifint, m
Dflinii- i i 0' Ars Memom^ ti fint,tumdifficilior eftcura, &hi tales folent
nos e medio tolIere, quibus curandis nobiliore opus efle puto medicina: Chemica
fcilicet (quamquidam Paracelfifticamvocat) qua?extraaisoIeis &aquispra?.
ftantiflimis, aliifcjue fingulari modo prarparatis, effeftus eduntadmi- rabilcs:
ac vbi communis abftinet Medicus, de falute argri defperans (pace veftra qua?fo
hoc didum fit Galenici&Hippocratici) illi pra % itantiorib.
medicinisa-grofaluterh quaficertam,Deofauente,promit- tent, acreftituent,
nuliaftipulata mercede,nififanitatereftituta No qUodhis verbisaliquid derogatum
velimGalenicsarti, fedquod par- tem vtramq; coniungendam, narri Chemica,
direfta ratiohibus dc ex- crcitiis quar paflim fieri iri fcholis iolent,
aliquid fingulare, neclaudo illos.quifine ftudio et exercitatio- ne, folo vfu,
riobiliorem partem il- lotisquafi pedib. voiunt accedereV F * f ct j fed
hicverum quod de Poefi ait Horatius : Altenus fic altera pofcic opem res : et
coniurat amicc. Lcgatosad Principes velimcfle in Khetonca et Dialeaica
versatos, ac pnterea multarum rerum ha- bere expenentiam: quibus nifior- natus
ruerit, non fatis idoneum pu- to tanto muneri. Habebit cubicula triphcata, in
primo loco primum difponet per regula rerum, articu* lum&quodtuilli
occurrit refpon- dendum, in loco oppofito, ita in cx tens progredietur, vlquc
ad io* 30,40.50. abloluta nomine Regis vclPnncipis narratione conuertet fe ad
primum locum, et ex duabus autpauciflimisimaginibuslegetac repetet articulum:ex
oppofito rc- fponfum,nuilo prauermiflo,q> qur de quotidie ficri videmus a
multis indece.viginti, viginti quinq; aut ttitfinta.exercitatione&longovfu,
fcd arns adminiculo, et certius id ipium, et in plurib. fiet.Procuratorcs
quemadmodum fe dirigere de- beancexiis,quaede Aduocaus dicla
iunt,pocerunc3nimaduercerc,ideo ne longiores fimus, vel fepius ea- dcmdicamus,
inde petenda relin- qiiio. Mercatorum a&iones omnes funt
figurata?,&imagines habent in prompcuideoq ; ficuciiibrisfingula infcribere
folenc, ica facianc in iocis pcrimagines, velper liceras maio- res inflgni colore,
&: breui exercuio confequencur promptitudinemle- gendiaciemencis, Nuncii
&ahi, ex fupradi&is ec- iam fua? poterunc fticcurrere me morie^ quamuis
mihi ars nobilior videatur.quamvcalijsquf.mftudjjs exculcis demonllrecur: non
enim exquouislignofic Merainus.ideo- quecwmiudicioarces funuhisaa denda% Ex ijs
qua fexca,fepcima, et oftaua, ledionibusdi&a funcanimad- uerti poteft bibl
Eftantvc z8. rcguias in me- xv dium adducamus, quibus ob- /eruatis, maiore cum
gracia. memo- iix ars exercecur, qu* tam faciles func, vcle&asexfuperioribusincel-
ligantur.-ideoque aliquas tantum exemplisilluftrabimus, vceaocca- fione dicamus
de arte memoriar, nequclocisnequeimagloibuscon. fhnce, i J
ropnmarcguiaigiturharc erunc obferuanda, quod oporteat lmaginibtis dare adiones
ipfarum aftioni conqeniences : non enirn re&eaftiofabri lignanjconciona-
tori, auccontraattnbuatui:Secun- da. QuandoaliquisconcionemjO-
rationem,autcaufa:acl:ionem,artis regulis applicuit, in dicendo caucrede
betagcftibusindccorisab arte pronunciandi,vtiiimmobihs,dcfi- F 4 xis in
parietem vel in cecram o c ul is ftarct, feu relpicere t \n huqc vpl il-
lumlocum,&c. Nam ex prascipuis eft poflfe celare artem, dcxtcritatc U
libertategeftuu observata Tcr • tia,fi forteoccutrat io.vel iu vocabula, quae
quis videtur retenturus iine applicatione>turonon opus cft fubire labore
imaginum collocandarum x fed fufficit notare praeci puum, quod nobis alia
reducat in, rocmoria. Ex his dubito an ex rn.en- te illius, qui di£ram icgulam
poftc-. ris rchquit^ alius quis ehcuerit arr J temilbm,quxneclocis,neq;
imaginibus vtitur. quxque prima fron- tcparuividetur momonti fi tamen, debito
modoappliceturincredibi- lesproducitef Fedus^eaficfehabct, Excogitantur
vocabula qusedam artis, inquihus vnaquaeqihcerare- Lij prajfentatprimam
fencecia; di&ionem, feu primariam cxemplimc? morabilis vel hiftoria? : qua
habita, tacilc excicatur mcinoria ad tepc- cn- U e, t tendum quod iam a.ntea
imp re {. lumhabcbat.-c.g.Putonim:P.l>ri n - ceps, V.vtin
marc-.T.tyrannorum, 0. obedientia, N.nulla. S. fctuire, 1. m t ebus, N.
nobilis; initia lunt o- fto ientcnttarum. Sic fequens:aua- magalerap: refcrt
duodec.m excm- plorumvocabulaprimaria, quibus lolet rcgula rcrum illuftrari.
Sed vi- detui mciior cir e modus,fi vocabu la lmt ex fyllabis compofita:
vt.ant- uefpal,Antiochus,Vefp a fianus,AI- exandet: plus cnim memoriajfuc-
current. Non poteft ca cxcrccri ex tcmporc, fedoporrctpefotiuharc vocabula
excogitare, dcmde ex mu it istacereah>ot catmina. vel nexamctra, vel
elegiaca, vel faphi, ca.&adminiculovnius elegiaci ic aut plunum
lencentiarum, ex emplorum memorabiiium, velhi- ftor.arummeminiflcpoftumusrfcd
aiiashic fubiungamusrcgulas. Oportct imaginibus tribucre rootum, fi vcro rcs
fuerit immobilis, ponenda cft perfona, qux de* cenci a&ione n? oueac .
Nonconuen;cimaginesefleo- ciofas, alioqui non fatis excitarec mcmoriam.E,G.
ficquusponacur, dcbec pcde terra puliare: fi lupus o- ues deuorare,& he.
dux reguls facis pacenc ex regula vocabulorum in- tellefcorum, vbi diftum eft,
atcri- buendascxcellcnccs a&ioncs, Sireseftanimaca,fedparua,vc acarus,
culex auc fimilis, cribuenda; erunc lmagines maiores,feruaca ca
menipfamecfigura: vcficulexma- gicudine columbx ponacur, acarus oui,&c t 7.
lmagines habeant proporcio- nemadlocum, &nonexcedanc.vt a pi&oribus
fieri confueuic, qui ia exiguacabellaexercitum.velregio- nem magna ad oculum
monftrant. 8. Requiricur prauerea vc perfo- • nxinlocis coliocaca: fincgrandes,
viuse, et efficaces, quoad fieri pocc- rit:quoniam plus excitanc memoriam, qua?
cciam fatis cftexplicata in regula vooum intellectarunu Nefintfolita?
efleinloco, in quo collocanda erunt, non enim fatis efficaciter cxcitarent
memo- riam; vt,fl iedes confueuit efle in lo. co,&tameibi proimagineponen-
da,inucrfa vel pendens conftituatur ; quoiignoconftabit, nonrem ordmariam, led
formatam efle pcr imaginem. tx improurfo collocantibus fufficit vnam in loco
ponere imaginem ed perotium &Icnte fifiat, noneft mconurltum plurcs vnoin
Joco conftj cuere, bcnc diftinctas SC comrnode ic oculis mencis offerentes
Imagines habeant a&iones deformes.fufdasvehidicuias, uia plusmouebunt,
fiactamen imein- honesta, et indecora repracfentatione. Do&e CICERONE
monetdcvigo- re fcu vitaimaginum, quoniam rcs, quas experientia cognofcimus in-
tenfe facere ad fuicognitionem et contemplationem, idone (unt ad efficaciter
excitadam memoriam, quales iunt res noua? > rarar, admira-
biles,deteftabiles, ridicute, defor- mes,horribiles, monftrofk,velex- ceilentes
pulchritudine* Item res cxcellentes in dignitate.velin con- trario, vt Papa,
Imperator, Rex, pauperlacerisveftibus, fcabie ple- JIUS, &c. /3.
Repetitione quadam vten- dum in collocatione imaginum, pofitis quinque
vocabulis, quatuor vel quinquc fententiis,vel pcriodo,
repetendapriufquamvlterius pro- grediamur: illa et diligens coniideratio valdc
ftabiliuntmemoriam. i 4t Sihocdie res aliqua pofitafit pro imagine.eadcm
proalia re non eft ponenda fequenti die, vt fi ho- die imagincm agni
proagnopofu- erimus, eras eadem nonentvten- dum pro innocctia; quoniairrcon-
fufioncmpofletinducerc, pnefer- timfiprioris non fimus oblici, auc non
benefueritperfigna variata, autbenefirmatadiftinaionc men- tis,&repetitione
Cum oratio vel periodus mc« mons commendanda cft ad ver- bum,prim M m bis
tervelegenda eft tarde&attente,deinde diuidenda
inpartesmaiores,&minores, qua- rum imagmcs collocantur in locis 9
vtlupradi£tumeft. incollocationc voeabulorum h^cgcnus per lexum indicant, vt G
diuiti* exprimendar, fceminam di- uitem ponam, fi hber virum exercentema
&ioncmlibro. Figura? et imagines habeanc propartionatam altitudinem, nc
oculus fe nirnium debeat elcuare, vt videatj aut nimium fe dimittere*
deindecauendumneimagovnaal" tcnfuperponatur.-namprior deleretur.
Informationeimaginumnon opor* Ars Memori^. oportct nimium feftinare, nifi vr •
g£at ncccffitas, nam occurrentc poflcaimagincmagisidonca,ditti. cilc crit eam
collocare, aha pnus fublata, et moleftum omitterc me-
Horcmiconfiderandaigituromnia diligentcr,antequam imagines colloccntur.,
Antcomniavidctidu,vtima-. eines fint rerum notiffimarum, 82
abftincndumififtis& incognicisi cumhabcripoffunt verx &c cogni- ta>,
&aminus cognitiscauendum, occurrcntibus plusmanifeftis. 2 o Quemadmodum
fimilituao locorum multum obeft in iis for- mandis. itaetiam imaginum incarum
formatione: ideoq; danda cit opera, vt fint diuer fe, ne a! loqui er- rorfuboriatur:
qux diuerfitas faci- le habctur, vcl per figna,resattn- butas, adioncs, vel
alia accidentia: Vt tres Papai.vnus claiem, alius an- chora,tertius
cornumanutcneat: tres viri, vnus faltacaliuspugnat, tertiusluditalca,&c.
*«H*- 9 a iu Habenda quoque rario efta:- quiuocorum,&f y nonymorum,ne
procanecceleftidicatur terreftris; pro petra faxum ; pro enfe gladius*
profeminamulicr.&cnecumres diuerfis exprimantur nominibus, vnum pro altero
ponatur, qux metisattentione diftingui poflunt, in collocando et repetendo, vel
alio SIGNO. Sipluresimagines exprimen- C ! at vn ° in l°co,perfone varian- djen
1 nt ) vtvnavelduemagna:,cum puribus paruis,netammultiim- ipiafintefficaciores.
Jh Cumverba&conceptusca- piunturcharta, &inlococollocan- tut.noneft
applicandamemom chatta.vellocis, fed hisfolum,q uia diftraaioparitconfufionem.
&va* cillationem. «mn ^ C non eft vtcnn " n » i a
omn.buspaffimrebus.fedtantum •nretcntudifficilioribus. vtincau! farum
a&ionibus, difputationibus concionibus, &c. Potefttamenali- quis,
fucceflu temporis rebusqui- buslibetgrauioribus, magifquefe- riisappUcare:
vtlatiflime patet ex o&aua Le&ione. Requirituradhanc artcm be-
neexercendam vacatio mcntis, nt peroccupationemexteriorem vir- tus
naturalbdiftrahatur,minufque idonea fit ad oftickim difcrete fa- cicndum:
iuxtatritum vulgari (er- moneproucrbium: Pluribusinten- tus minor eft ad
fingula fenfus. 16. Vt foelicius fuccedat in hac artc cxercitatio, requiritur
in ope- ratore maniuetudo, ne ira, amore inordinato,odio, impatientiavcla-
lioturbeturaffectu, ty. Sobriusquoquefit, ne pere- brietatem
velcrapulamvirtutes naturales fuffocentur, alioqui fenfu* interiores fuperfluis
humorib. im- pedirentur,vt rette fuoncquirent fungimunere* iS.Tcra* m Ars
Memori^. $f i8.Tempusmagisidoncum,cuiri inftud..s )C ftmatutinum; quiapoft
qu.etem. &dumlibereftahimusab aliis occupationieus, aptior eft ad
iufc.piendum ; iuxta ptouerbiumAuroramufisamicacft^Non quod Vcfperihora 7.
S.p.nonliceatqua- dtante vel femihorahuic exercitid vacarcvelutctiam 8. 9
.,o.ahteme- nd.em, et 3 . aut^. poft meridiem fi cu. per ncgoca iiceat fnam ita
fa- c.£dum a rtisamatoribu S) prc C ipue ftud, ofisKedquodvt.liuscom- dmfque
fit tempus magisidoneuni el.gcre, reb grauibus cxpcdiendis. 5ed trahfeamus ad
mcthodum ftudcnd.artibusl.bcraiibus, &g«- r" b «dif C
ipli„is,minbrelabore et frudu maiore, connexam arti mcmor^quaquis comilitohes
fu- petet hoc dcftitutos. quamuis ih^ fcen.o et induftria pr*ftantiores; Qua
qu.de perfpicaciore ingenio LecWp fe colligercqueanrcxo- G mnibus fupradiSis,
tamen in aliorum gratia cam hic nude proponemus C ofiftit ea in vndccim articu-
hs i:Vt cius difciplin». cui volumus darcoperam,auaorcs pr*ftantio-
resnofcamus.ac vnumexomnibus Principem eligamus, inquoomnc studium et
industriam colloccmus, rcliquos tamen femelpercurramus. Diftnbuendi erunt
mtresordincs, in primo erit primarius ille, vt in Theologia, Biblia, in
iurifprudentia, lnftitutiones, &: Corpus luns,in Medicina, Hippocrates et
Galenus; in FILOSOFI Ariftotcles; mtcr oratores CICERONE, inter Poetas
VIRGILIO, &c.Habendi tamcn et lcgcndi secundi et tertii ordinis auftorcs,vt
fi quid vtilefc notatu dignum,quod noncft in primaricaut non tam bc-
ncindetransferatur in fuumlocum apud Principcm. Nemo cnim m omnibus^que
excellit, et vilis ah- quis lcriptor, interdum partem a- hquam meiius tradat,
quam excel- ^ lens, fl iens,quicum plurima egregiefcri- picnc quedatamenab
cohon tam cxcellenter tratfata, atq ; apud alios raedijaut infimiordinis
inucniuii- tur.quimuItavuJgaritcr, vnumvel duo cximie tra^aruht. Pr*terea qux
plurcs cadem habent, abfo- lutc et perfpicue fatis in vno feruan-
danotatisinmargineJdcis,inquib 6 apud alios inueniantur, vel faltem
ihindiccreferantur. 2. Libri dcindc eorum in com- r pcndium rcdigcndi,
tranfportatis coomnib.fcituncceflariis, vtquafi I vnumex omnibusfiatcorpus. h
Tumaptediuidahturinlibtosi eapi ta, materias, idque per partcs
maiores&minoires. Vnaquzque imago,qusadeft femper, ac fc offert exprimenda,
et fujsqu«quelocis,vtfupradiau eft„ J dilponenda. y. Rcpctitio
quotidiahapartisa- licuiusmaioris ccrta horaeft infti- tucnda, vt parta
conferuetur, et iu- G i ffo I0 o ftaindiesfiat acceffio, quod caput
eftinomniftudio. 6 Vulgo nota funt de lectione pr xuidcnda . diligcnti mcntis
inter docendumattentione.&retraaan- da, quar pauci obieruant: qui vero
idfaciunt,hocfolo,rcliquos idnc- gligcntes. longe {uperabunt
lndifputatioriibus,pauca:,ied vtiles quxftiories eas fi ignoremus memoriae
commendantes, aut li- bris,vt ex ipfis rruftus iequatur; ne- glefta illa
puerili difputatioric, qua certant liberare fe, ne ad pulfum fi- niende;
difputationis in Catalogurri reteraturaca Przceptore die Sabbathi i fi (xpius (
quod cafu ficn poteft; notati fuerint, negligentiz
accuienturtnullaferealiaindifputaii dovtilitate. 8 Iri dubiis frequenter
dottiores commiluones, vel ipfi profeffores funtconfulendi,quodquidam nc-
glignnt.timentesproderefuam incapacitatem fcddepellenda eftifta timiditas,
ftudijsjpcrniciofa, quid enimtuarefcrc. fifinitocurfu, tuo- mniumfis
docT:iflimus, quamPro- feffor de te habuerit opinionem? quamuis frequens
dedubiis confultatio,infalhbiIe fignu fit diligentiar. Nota eft Ariftotclis
fententia,' Dubitarede fingulis non eft inutilc.' 9- Omnia fernper
studiaflantper intervalla temporis, vbi hora in studiis posita,
tatilperrespirandu, optime n. ita fuccedu t: ac plus proficiet fex velofto
quotidie horas lmpendensintcrmiffioncquater interposita, quam qui a quinta ad
vndecimam, et aprimaadfeptimam vel octauam continuis fcnccat laboribus,
ingenium obtundcns potius quamexacuens. io. Tempore feriarum, postquam anirnushoneftis
rccreationib. fuent rclaxatus et corpus modcrato refcdumexercitio,
faltusmoderati vel artificiofi^deambulationis pi-
hcAc.aptiorafuntmultoadftudia, G 3 vayalctque tum acies mentis, vt cultri poft
iuftam acuitione. Si igitur duabus, auttribus horis lufui honefto tribu; is,
vna ftibtrahatur ftudiis tribuenda.deindepcr vnaautduas ad lufum redeatar, illa
plus proficitur, a aliis duabus, et ingeniu tum penetrare et quasi in clara
luce videre experiemur, adque alioqui caxutimus. iu Adhanc methodum eciamfa-
C\t plurimum index vocabulorum, sententiarum rerum, locutionum, artificii
Khetorici,6cunq ; notatu digna, indicis auxilio, semper in prdptu habebimus.
alioqui legendisre- legendi fque libris, vita hominum breim confumitur, atque;
indefeffo studio, bonar methodi deftdhj Sysiphi faxum perpetuo volutamus,
omnibus itaque authoribus semel lectis. si quid mihi viva voce, ant scriptis
tradandum, indicc dirigarpcr omnes audores quos in pulpito collocato, fuo
quemqucordiie et materiam feligam meo iuditio convenientem, redigam in ordinem,
addam elocutionem, et sic confecero librum uno menfe vel duobus, quealioquitnb,
quatuor veannis non absolverem de quacunque re loquendum, femper eric
perindiccmprgfto. Videtut hic ali quis rogaje: CICERONE, VIRGILIO, OVIDIO semel
tantumin v.ulegendi? etiarn vtquic- quid notatu dignum iubito portis habere:
Sed vt geniusoratoriusfe infinuet, legedum aliquid ft equen ter ex CICERONE Cvt
Poeticus ex VIRGILIO, OVIDIO, veialio, que (ibi quis imitandumpropoluit: atq,
haecfaciunt ad methodum ftudendi in genere: Sed daturus operam FILOSOFIA
comparabit dt&ata iub, eodeprxceptorecurfu prxcedenti ab. aiiquo„ qui
c^teris perfectius exceperit, eaque precibus velprecio impetranda,ex hjs
pra>uidebit,que, Profeflor dotturus eft, diligenter audiet, retra&abit
poftea, fi quid addat vel mutet, notabit : Ac plenifli- 8i$fj m W) 0 tf
fliflime docentem aflequetur. Non contentus tameniis habebit commentarios eius
vniversitatis, in qua studiis dat operam, et yidebi t an
aliquidnotatudignuminiisfit, quod nonhabeatur in diftatis, velcomrnentariis Cux
Acadcmi: fi fueric (vt non est dubium, quinmultaerunt) ad sua diclata
traqfportabit, Vt exomnibus vnum flat corpus, quod diuifum.pcrcaftrum/domos
cubicula, et c applicabitur, vt ex supradidispacet. Hisaccedat repetitio
quotidiana eorum qua? dofta funt, vfque ad eum locum,ad quem 1 roreflor
peruenerit docendo, de- lndeabinicio, adlocum, ad quem cumpcruenit,idque vfq;
ad finem. inita logica vna femihora matuti - na et alia vefpcrtina repetet
aliqua partem logics divis* in triginta rc pctitiones, vt singulis menfibusto-
camrepetat. Vel sive litduas feminoras coniungere, vtcontinuam niane impendac
horam, cuiufque Q $ relin- %c6 Ars Memorije. cam diuifam in 30. repetitiones:
et ita suo cempore dc metaphysica. Hoc modofiec, vcomniaquxcun- die fiat
acceffio, quod caput studio- yumefleante di&um eft. Eueniet ctiam vt
cun&is fimul memorix in- hxrentib. et collatione omniu in- cer (c,
videlicet principij cu medio £ne,huiuscumprincipi0 et medio et huius cum
vtroque melius longc Jntelligantur et multa ex iis dubia occurrentia vel quae
ab aliis obiiciuntur.ad quae alioqui cascutimus, loluantur: tantaquc hinc
nafcitur akcritas, vt vix diqi poflit, dum in cxamine publico vcl priuato, item
in di(putatipnibus ad propofita cxpediterefpondetur, fcadquaeftiones aliis
propofitas animus refpoa- dcrcgcfti^t. Valdc precerea consultum fultum eft, a
parentibus, magiftris et filiis proponi aliquod prxmium uomodo diuidatur imago.
Deordine. Regula vocabulorum. Platonis auditores Vlato caliuit artem
mem&ri. J$ uomodoperfinuid agendum audituri concionem. Adodus excipiendi
celeriter qu* dicuntur. *>uiddgendum concionatori in fine concionis. 4° ualu
debct ejfe legatus. Precuratorcs. Mercatores. Huncii. Bibiiotheca.
^ntodoquiUbetcogaturfatcrivcrlti temartis. nonx Leftionis. teguUneceJfari*. g
Cauendum ageftibus indecoris ibid Ars memort* foclocisvelimaginib. /i isiri.
Ravelli. Keywords: implicatura, memoria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ravelli.”


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