Luigi Speranza -- Grice e Poggi: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ventennio fascista –
incontro con Mussolini ad Ancona – la scuola di Sarzana -- filosofia ligure – I
fatti di Sarzana – lasciato in libertà da Mussolini – massoni proibiti – filosofia
ligure -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Sarzana). Flosofo italiano. Sarzana, La Spezia,
Liguria. Colpito dalla violenza usata nei confronti del popolo durante le
giornate milanesi e dal temporaneo esilio che doveno subire alcuni socialisti
amici di famiglia. Questo lo porta a simpatizzare per quel partito che sta
nascendo e al quale si iscrive. Studia a Palermo e Genova. Pubblica “La
questione morale: Kant e il socialismo.” Insegna a Genova. Partecipa come
delegato al congresso socialista di Ancona, nel corso del quale ha un duro scontro
con il massimalista MUSSOLINI (si veda) sul
problema della compatibilità o meno del socialismo con la massoneria. L'assemblea da in quell'occasione una larga
maggioranza alla tesi di MUSSOLINI dell'incompatibilità. Si reca nelle
domeniche d'inverno al palazzo genovese di via Palestro, dove RENSI (si veda)
anima un vero e proprio salotto – o gruppo di gioco --, arricchito dalla
presenza di illustri personalità quali PASTORINO, BUONAIUTI, SELLA, e ROSSI. MUSSOLINI
si ricorda di quel suo leale tenace avversario e lo libera, come attesta una
registrazione esistente nel suo fascicolo personale presso l'archivio centrale
dello stato, lasciato in libertà dal tribunale speciale per la sicurezza dello stato
per atto di clemenza di S. E. il capo del governo. Saggi: “Lo stato
italiano” (Firenze, Bemporad); “Cultura e socialismo” (Torino, Gobetti);
“Gesuiti contro lo stato liberale” (Milano, Unitas); “Filosofia dell'azione”
(Roma, Alighieri); “Concetto del ciritto e dello stato romano: saggi critici” (Padova,
Milani); “La preghiera dell'uomo” (Milano, Bocca); Meneghini, Socialismo spezzino,
appunti per una storia, Massa; Meneghini, Meneghini Sui luttuosi fatti del
luglio v. Meneghini, La Caporetto del fascismo Sarzana Mursia Milano, Pastorino, Mio padre Pastorino, Genova
Meneghini, Meneghini, Poggi Meneghini, Poggi, Pastorino, Mio padre Pastorino,
Genova, Liguria Sabatelli, Meneghini, Socialismo spezzino Appunti per una
storia, Massa, Centro Studi Bronzi, Fatti di Sarzana Social-democrazia. Anti-fascista
e uomo di cultura, da Testimoni del tempo e della storia di Carabelli. Alfredo
Poggi. Poggi. Keywords: stati pontificii, positivismo giuridico, filosofia
giuridica italiana contemporanea – il concetto di diritto, il concetto dello
stato italiano – incontro con Mussolini, lasciato in liberta da Mussolini, I
fatti di Sarzana, filosofia ligure, criticism kantiano, Adler, saggi sulla
filosofia dell’azione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poggi” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pojero: all’isola -- la
ragione conversazionale alla villa Pojero e la setta iniziatica – filosofia
siciliana -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice:
“Like me, he held symposia at his villa – Villa Amato-Pojero, The Giardino inglese
a Palermo – lots of Brits there!” Studia a Napoli e Pisa. La sua villa ai giardini
inglesi divenne luogo di incontro di un gruppo di gioco di filosofi. La sua
biblioteca è punto di incontro di filosofi come GENTILE, VAILATI, Brentano, e GEMELLI.
Critica il razionalismo, incapace di comprendere la meta-fisica. Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia. Giuseppe Amato Pojero. Giuseppe Pojero. Pojero. Keywords: la
setta iniziatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pojero” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Polemarco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotona– Roma –
filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. Pythagorean
cited by Giamblico.
Luigi Speranza --
Grice e Polemarco: la ragione conversazionale o PLATONE IN ITALIA – Roma – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Thuri, Turi, Bari, Puglia. He comes
from a very rich family and owns the villa in Piraeus where the ‘Republic’ of
Plato is set, and in which he is featured as the host and participant. He lives
most of his life in his villa at Thurii, except for a very brief sojourn in the
countryside of Attica – across the pond --, where he unfortunaly falls foul of
the rustic rulers and is condemned to death. The events of his last days are
recounted by Plato in “Lisi”. Refs.:
Cuoco, PLATONE IN ITALIA. Polemarco.
Luigi Speranza -- Grice e Poli: la ragione
conversazionale dell’implicatura conversazionale del pappagallo di Locke– filosofia
lombarda -- filosofia italiana. Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Cremona, Lombardia. Si
laurea a Bologna. Insegna a Milano e Padova. Pubblica il saggio di “Filosofia
elementare”, un eclettico sistema di empirismo e razionalismo. I “Saggi di
scienza politico-legali” considerano il diritto un insieme di scienza in quanto
trattano dei principi e di arte in quanto applicazione di un principio giuridico
nella valutazione dei singoli casi. Il diritto e un'espressione provvidenziale.
Si distingue in naturale e in positivo. Combatte il positivismo negli “Studii
di filosofia”, ri-vendicando la superiorità dello spirito sulla materia. “Saggio
filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi naturalisti -- coll'analisi
dell'organo-logia, della cranio-logia, della fisio-gnomia, della psico-logia
comparata, e con una teoria delle idee e de' sentimenti” (Milano); “Elementi di
filosofia” (Napoli); “Elementi di filosofia teoretica e morale” (Padova); “La
filosofia elementare” (Milano); “La scienza politico-legale” (Milano), “Filosofia”
(Istituto Lombardo. Rendiconti); “Studii di filosofia” (Istituto Lombardo); Rendi-conti,
“Cenni su CORLEO (si veda): il sistema della filosofia universale, ovvero la
filosofia dell'identità” (Istituto Lombardo); Rendi-conti, “La filosofia
dell'incosciente”, Istituto Lombardo. Memorie, Studi CANTONI, Studio della vita
e delle opere. Milano, Filosofia Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Dizionario
biografico austriaco. Il linguaggio, presidendo dale grandi controversie de’
filosofi intorno alla sua origine e alla sua formazione, antro non è che il
complesso de’ segni destinati ad esprimere le nostre idee e i nostri sentimente.
E comeche vari sono codesti segni per la loro indole e per la loro origine,
cosi varia è la specia del linguaggio naturale -- ossie delle grida, dei gesti
e dell’azione – e del linguaggio artificiale -- ossia della parola e della scrituttura.
Fra tutte le opinioni, sembra incontrastabile, prima di tutto, che gl’animali
hanni i segni d’una specidie di linguaggio naturale nelle gride e nei moti. Ma
questi signi sono o incerti e inisignificanti. O quasi sempre dubii almameno
per noi, senza che sia in loro il potere di perfezionarli. In secondo luogo, è dimostrate
che gl’animali quantunque forniti dell’organo della loquella e dell’udito, come
anche della facultata di associare e d’imitare, non poterono mai giungere
all’invenzione del linguaggio veramente articolato, e cio per difetto senza
dubbio della facolta superior di della ragione. Sicche i pappagalli – come il
famoso riportato di Locke (Grice – si veda), che pur vanno ripetendo le voci
umana, non hanno, al pari delle scimie, ne’ loro gesti una vera connessione
mentale tra i suoni e le idee annessse, come il dimonstrano il loro parlare a
caso ne mai correlative alle domande nuove e straordinarie, e la loro
incapacita a ingrandire ed estendere il linguaggio gia appreso. In terzo luogo,
è sicuro che com’è impossibile che gl’animale reseano dell’uso d’un linguaggi
overamente articolato, non possedendo le idee astratte e generali delle quali
esso si compone, cosi riusicrebbe loro affatto inutile, non avendo bisogno di
espremiere tutti i nostri pensieri e tutti i nostri sentimenti. Baldassare
Poli. Poli. Keywords: naturalisti, organologia, craniologia, fisiognomia,
psicologia comparata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poli,” per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Poli.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pollastri:
la ragione conversazionale delle conversazioni sull’olismo hegeliano – la
scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Studia
a Firenze. Studia la filosofia della natura di Hegel. Si occupa in particolare
di filosofare con le persone, campo nel quale dsvolge la filosofia. Ha uno
sportello di consulenza presso il quartiere 4, centro di salute mentale della
ASL. Pubblica Apogeo Il pensiero e la vita, Consulente filosofico cercasi,
Il filosofo in azienda e L’uomo è ciò che pensa. Fonda Phronesis, una associazione
per la consulenza filosofica, IPOC. Collana
“Pratiche Filosofiche” diretta da GALIMBERTI (si veda) per Apogeo e cura la
collana “Dialogos”, sempre per l’editore IPOC. Insegna consulenza
filosofica in numerose università italiane. Ha inoltre all’attivo ricerche in
campo tradizionalmente filosofico come l’assoluto eternamente in sé cangiante.
Interpretazione olistica del sistema hegeliano (La Città del Sole), alcuni
articoli di filosofia politica e altri di filosofia dell’improvvisazione.
Accanto al suo impegno nella filosofia, si occupa di commenti alla musica, in
particolare nel campo del jazz. Collabora con “Musica Jazz”, “Il Giornale della
Musica” e “All About Jazz Italia”. Pubblica la biografia artistica di Tesi, Una
vita a bottoni (Squilibri). Attivo in campo teatrale, come amatore ha
esperienze di attore, recitando in lavori di Ionesco, Nicolaj, Feydeau, e Simon,
e regista. Direge Sorelle Materassi di Storelli dal saggio di Palazzeschi, “La
tettonica dei sentimenti” e “Siamo momentaneamente assenti” di Squarzina. La sua teoria della consulenza filosofica e tutt'uno
con una più generale concezione della filosofia e del filosofare. È all’interno
di questa idea generale, che comprende una visione della società, degl’orizzonti,
dei destini della filosofia e il ruolo che il filosofo si svolge, che può
essere inserita la sua visione della consulenza filosofica. Il punto di
partenza potrebbe essere posto in un’analisi della società e nel ruolo che in
essa giocano le psicoterapie e, più largamente il linguaggio e la cultura psico-terapeutica.
La sua idea sembra essere quella di chi vede in corso un processo di tras-formazione
del dolore del male in una pato-logia psicologicamente rilevabile e curabile. Oggi,
tanto i manuali psico-patologici come DSM-IV, quanto la cultura diffusa, da
rotocalco -- sovente però confortata da medici e psicologi che sui rotocalchi
scrivono --, tendono a far credere che ogni qualvolta si stia male ipso facto
si sia malato e che, di conseguenza, sia necessario un terapeuta che ci
guarisca. Ciò ovviamente porterebbe ad un estremo impoverimento nella capacità
umana di comprendere e affrontare la vita. In un mondo in cui ogni dolore è
SINTOMO e l’unica cosa che sembra avere importanza è che esso venga eliminato,
la filosofia e la consulenza filosofica -- che sembrano più essere due momenti
di un'unica disciplina piuttosto che due cose diverse -- non si presentano come
pensiero risolutivo. Prendere decisioni e risolvere problemi sono due modi
attraverso cui si banalizza la complessità e anche il fascino di ogni
esperienza vitale umana. Se c’è qualcosa di davvero originale e inattuale che
la filosofia offre agl’uomini ciò è giustappunto una prospettiva che vada oltre
l’agire tecnico finalizzato, l’intervento manipolativo sulla realtà e, dunque,
l’idea stessa di efficacia. Con questa impostazione non stupisce dunque che veda
in modo estremamente critico la presenza del concetto di aiuto nella consulenza
filosofica. Chi si concentra sull’aiutare il consulente rischia di fare
semplicemente una psico-terapia mascherata e poco efficace. Concentrarsi
sull’ausilio e la soluzione dei problemi posti dal consultante può
disperdere la realtà e originale potenzialità della filosofia nel campo della
considerazione dei problemi degl’individui e della loro vita. Può annullare la
capacità di ri-orientare il pensiero e l’agire che la ri-flessione filosofica
porta con sé come sua assoluta specificità. Può, infine, privare gl’individui e
la società di quella che è forse oggi rimasta l’ultima branca del sapere
svincolata dallo strabordante e a-critico dominio del produrre, del finalizzare,
e della tecnica. L’onni-presenza del paradigma tera-peutico non deve fare sì
che si dimentichi anche il rapporto sano che la filosofia può mantenere con la
psico-logia rettamente intesa. La psicologia cioè come ricerca di ciò che è
proprio del comportamento umano che ogni filosofo coltiva. Come studio
sull’uomo, e al pari di altre scienze umane che cercano di coglierne altre
limitate ma fondamentali dimensioni -- si pensi all’antropologia o alla
sociologia --, la psicologia e tenuta in considerazione dallo sguardo del
consulente. La psicologia è stata nient’altro che una conoscenza tra le molte
che la filosofia dove comprendere, criticare, porre nel giusto posto che a essa
spetta entro una comprensione filosofica del mondo. È se il filosofo non
disdegna di occuparsi anche di psicologia, perché oggi il filosofo consulente
dove temere oltre-misura di fare riferimento anche a essa? Posta in un orizzonte
conoscitivo e non terapeutico, la psico-logia non è evitata, al pari di ogni
altra disciplina, al consulente filosofico. Lo spazio entro cui colloca la sua
azione e la sua riflessione implica una lettura della filosofia come del tutto
connessa con la vita di ogni singolo uomo. Difficile cogliere la cesura tra
questi e il filosofo. Se questa differenziazione ha sicuramente un valore
indicativo, convenzionale, utile per distinguere chi ha fatto della riflessione
il centro della vita, è difficile invece trovare una differenza essenziale tra
costui e l’uomo comune. L’uomo è necessariamente filosofo. Le ragioni di questa
necessità sono connesse con nell’essenza fragile, limitata, mortale dell’uomo, è
da questa necessità che deriva l’urgenza dell’uomo a porsi domande, cercare senso,
aspirare alla conoscenza, essere, cioè philo-sophos, amante del sapere. Ma se
l’uomo è perennemente filosofo è anche perché è propria della filosofia
l’incapacità di arrestarsi a un dato, a un risultato che non sia ulteriormente
indagabile. La disciplina in questione così si mostra propriamente nella sua
attività più che nel suo corpus di conoscenze. Anche la filosofia pratica,
dunque, si conclude là dove produce qualcosa di pratico per diventare altro:
morale, politica, diritto. Da questa visione se ne deduce la inapplicabilità
della filosofia in generale e più specificatamente l’impossibilità di concepire
la consulenza filosofica come una sorta di filosofia applicata alla vita. Il
fatto è che la filosofia non si applica, oppure è sempre applicata: essendo
amore per il sapere, è infatti qualcosa di perennemente in movimento -- è un
agire, un fare. E non c’è fare che non sia fare qualcosa. Quello della
filosofia è il filosofare, vale a dire il cercare e ri-cercare, il ri-tornare
sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, il
ri-flettere incessantemente per mettere a prova le nostre capacità di
comprensione. Questo agire, che è pura e semplice filosofia, non può essere
applicato perché lo è già sempre, non potendo avvenire senza un argomento, un
tema, un problema e senza individui pensanti sui quali esso agisce, produce,
come tutte le attività, effetti pratici concreti. Altri saggi: “L' assoluto
eternamente in sé cangiante”; “Interpretazione olistica del sistema hegeliano”;
“Studi sul pensiero di Hegel (La Città del Sole); “Il pensiero e la vita”; “Guida
alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Apogeo); “Consulente filosofico
cercasi” (Milano, Apogeo); “L’uomo è ciò che pensa: sull’avvenire della pratica
filosofica” (Girolamo, Trapani); “Il filosofo in azienda: pratiche filosofiche
per le organizzazioni” (Apogeo, Milano); “Tesi. Una vita a bottoni, in A viva voce,
Squilibri); “La consulenza filosofica”; “Breve storia di una disciplina a-tipica,
in Intersezioni, Achenbach e la fondazione della pratica filosofica, in
Maieusis, La consulenza filosofica tra saggezza e metodo, in“Inter-sezioni, Razionalità
del sentimento e affettività della ragione”; “Appunti sulle condizioni di
possibilità della consulenza filosofica”; “Discipline Filosofiche, Teoria
pratica” e palle di biliardo”; “La consulenza filosofica come mappa-tura
dell’esistenza, in “La cura degl’altro: la filosofia come terapia dell’anima”
(Siena); “Il consulente filosofico di quartiere, in Aut aut, Analisi di Rovatti,
La filosofia può curare?, in Phronesis, Prospettive politiche della pratica
filosofica, in Humana.mente, Improvvisare la verità. Musica jazz e discorso
filosofico, in Itinera. Miccione, La
consulenza Filosofica, Xenia. Neri Pollastri. Pollastri. Keywords: olismo
hegeliano, etimologia di consultare, consolare, consultare, console – con-solus
--, mutuo consiglio, Böttcher Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pollastri” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pollini: l’implicatura conversazionale e la ragione
conversazionale – la scuola di Grossetto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Grossetto). Filosofo italiano. Grice: “I like Pollini. I was often
asked, after creating Deutero-Esperanto, what right do I have to call it a
‘language’, since, nobody ever speaks it. Pollini notes that languages such as
English, are better, understood as ‘la lingua dell’Anglia. Anglia, etc., are
not INVENTED countries, we hope. But the land of UTOPIA is often seen as what
Pollini calls DEVESSIA, the land of Ought, not of Is. Therefore, its grammar is
RAGIONATA in the sense that Moore equivocates when he says that is derives from
ought, and not vice versa! Il devessiano
è una lingua inventata da Pollini di Grosseto. Il nome deriva da Devessia, una
repubblica situata nell’estremo occidente d’Europa, fra la Gallia e l’Irlandia,
e significa letteralmente ‘il paese dove le cose sono come devono essere.’ In
sintesi, la lingua di Devessia è una lingua amiatina, in quanto la sua base
lessicale riprende molto della parlata della terra d’origine dell’autore, e
cioè il monte Amiata, in Toscana. Le preposizioni sono, in singolare: “do”
(masc.), “da” (fem.); in plurale: “dos” e “das.” C’è un dittongo, «ui»: non
porto, ma puirto; non sorte, ma suirte, non punto, ma puinte. C’è anche un
suffisso «-con» che corrisponde a un’errata pronuncia infantile. L’altro
suffisso è «-èira». Il lessico amiatino si ritrova particolarmente nelle parole
che indicano la frutta, come “bahoha,” albicocca, “sarac[c con pipetta]a
(ciliegia), pornela (susina). Oltre che alla parlata amiatina nativa di
P., il lessico della lingua di Devessia attinge parole dal gallico (pandon =
«mentre»), ma anche dal genovese (u-màa = «onda», dal genovese «u mâ», cioè,
per metonimia, «il mare -- ligure»), da linguaggi infantili, da espressioni
scherzose, d’interpretazioni arbitrarie (manc[c con pipetta]urà = «masticare»
deriva da come P. sente il suono di “Manciuria”) e anche da parole tratte dai
sogni dell’autore (ad esempio baltac[c con pipetta]à = «colpire forte,
rovesciare»). Se, come sostene un interprete che lavora nell’ufficio di P,
una lingua è l’anima d’un popolo [Grice e Peacocke: popolazione] -- nota P. in
un dattiloscritto dove sono esposti I lineamenti di grammatica della lingua dallla
Devessia, la lingua della Devessia è l’anima di un popolo [Grice/Peacocke,
popolazione] immaginario che P. fa nazione e quindi esprime intimamente il modo
di pensare degl’abitanti di quel paese.. Mario Pollini. Pollini. Parole chiave:
deutero-esperanto, Devessia, la lingua del monte Amiata. Referenze: Luigi
Speranza, “Grice e Pollini,” The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il lizio –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He plays a leading role in Rome’s
political and cultural life. He is a friend of both VIRGILIO (si veda) and ORAZIO
(si veda), and wrote a history of the civil war. He is NOT a lizio, and his
most famous tract he entitles, “Contra Aristotelem”. He rather follows the
philosophy of Musonio RUFO (si veda), whom he deems superior to ‘that ginnasio
where an over-rated Stagirite used to ramble with friends.’ Historians debate
this, since Musonio Rufo apparently was born well after P. dies – but, as
Kunstermann says, ‘there is no obvious earlier candidate.’ Hohlertter suggests
that the work was written by a LATER Pollio – ‘most likely Pollio Valerio’. Gaio Asinio Pollio
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pollio: la ragione conversazionale contro il Lizio –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). The author of “Contra Aristotelem” according to
Hohlertter. Pollio Valerio.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pollio: la ragione conversazionale dell’orto romano –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Orto. Patron of Stazio
(si veda). Pollio Felice.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Polluce: la ragione conversazionale del principe
filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Giulio Polluce or Polideuce –
Friend of Commodo to whom he dedicates a treatise entitled “Onomasticon,” a
thematically arranged dictionary containing many excerpts from different
authors, mainly and especially the Roman philosophers with which he was
familiar and thought Commodo would find of slight interest.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Polo: la ragione conversazionale e la scuola di Lucania
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio, Lucania, Calabria. He is
said to have been a Pythagorean, although some think he was a spelling mistake
that should be corrected to ‘Eccelo di Lucania.’ He wrote a treatise on justice. Polo.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pompedio: la ragione conversazionale e l’orto romano –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to the historian
Giuseppe, a senator who followed the Garden – Some believe that the reference
is to Publio Pomponio Secondo, a statesman and author. Pompedio.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pompeo: la ragione conversazionale e il portico romano e
il diritto – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Nell’analisi delle nozioni di stato e di proprietà in Pompeo
e Panezio e l’influenza della dottrina stoica sulla giurisprudenza romana
dell’epoca scipionico-cesariana, il portico è un fenomeno che abbraccia un arco
temporale vastissimo ed è di difficile, se non impossibile definizione. Pohlenz
ne ha parlato come di un movimento spirituale, ma se si dicesse che è una
‘dimensione del pensiero’ forse non si sbaglierebbe. Comincia con * Testo
rielaborato con le fonti e i riferimenti bibliografici essenziali della
relazione alla 59ème Session de la Société Internationale Fernand de Visscher
pour l’Histoire des Droits de l’Antiquité. [Per un primo approccio alla
filosofia del Portico si v. POHLENZ, Stoa und Stoiker. Die Grunder, Panaitios,
Poseidonios (Zürich); ID., IL PORTICO ROMANO: Storia di un movimento
spirituale, Milano; IL PORTICO: Geschichte einer geistigen Bewegung
(Göttingen); ISNARDI PARENTE, Stoici Antichi (Torino l’età del suo fondatore,
il cipriota Zenone, un fenicio dalla pelle scura e di sangue semitico, attivo
ad Atene, ma comprende anche ANTONINO. Non dimentichiamo, in aggiunta, la
rielaborazione del de officiis di CICERONE fatta da AMBROGIO e, ancora, la
fortuna medioevale dei precetti morali di Seneca che è addirittura indicato con
la sua felice formula honestae vitae da Martino di Bracara come una sorta di cristiano
occulto per aver intrattenuto una leggendaria corrispondenza con S. Paolo e
tentato di convertire al cristianesimo un suo discepolo. La filosofia del
Portico domina dunque la scena culturale romana per molti decenni durante
l’ellenismo e la prima età imperiale, ma subì una repentina e considerevole
decadenza. Agostino, in epist., infatti potrà dire. I seguaci del Portico sono
ridotti al silenzio, al punto che le loro teorie vengono appena menzionate
nelle scuole di retorica ». In effetti della letteratura del Portico a noi non
è arrivato molto. A parte un Inno a GIOVE scritto da Cleante e una serie di
citazioni più o meno letterali tramandate da autori di altre tendenze
filosofiche, a volte addirittura ostili come Plutarco o Alessandro d’Afrodisia,
conosciamo qualcosa attraverso le opere di Seneca ed Epittèto, ma dei pensatori
dell’era scipionica è sopravvissuto pochissimo. Ciò nonostante, credo che le
nostre conoscenze sul contributo dello [Filosofia e scienza nel pensiero
ellenistico (Napoli IOPPOLO, Aristone di Chio e lo stoicismo antico, Napoli,
Opinione e scienza. Il dibattito tra Stoici e Accademici nel III e nel II
secolo a.C. (Napoli HUSLER, Die fragmente zur Dialektik der Stoiker
(Stüttgart-Bad Cannstatt 1987- ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione stoica
(Napoli RADICE (Introduzione, traduzione, note e apparati a cura di), H. von
Arnim, Stoici antichi, Tutti i frammenti, Milano ARNIM, Stoicorum Veterum
Fragmenta (Lipsiae VIMERCATI (Introduzione, traduzione, note e apparati di
commento a cura di), Panezio, Testimonianze e frammenti (Milano POHLENZ, La
Stoa. Si v. per un primo approccio POHLENZ, sv. Panaitios, in PW.
StuttgartWeimar L’epistula fu indirizzata al vescovo Dioscoro che chiedeva
informazioni sull’opportunità di studiare Cicerone. 5 Per un sintetico sguardo
d’insieme si v. anche REALE, Accettare i voleri della ragione, in Valori
dimenticati dell’occidente, Milano, Revue Internationale des droits de
l’Antiquité] stoicismo per lo sviluppo del diritto romano come scienza, e in
particolare in epoca scipionico-cesariana, possano ancora migliorare. 2. I
giuristi romani e la Stoa Sul rapporto tra giuristi romani e la dottrina
filosofica stoica esiste già una documentazione ricchissima6 . Anzitutto, il
cliché dell’uomo 6 Si v. POHLENZ, IL PORTICO ROMANO. Senza alcuna pretesa di
completezza segnalo KAMPHUISEN, L’influence de la philosophie sur la conception
du droit naturel chez les jurisconsultes romains, RHDFE. FREZZA, Rec. a Pohlenz, IL
PORTICO: Geschichte einer geistigen Bewegung, Göttingen Göttingen SDHI.; STEIN,
The Relations between Grammar and Law in the early Principate. The beginnings
of analogy, in La critica del testo (Firenze; WÆRDT, Philosophical Influence on
Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and Natural Law, in ANRW. DUCOS, Philosophie,
littérature et droit à Rome sous le Principat, in ANRW. WINKEL, Le droit romain et la
philosophie grecque, quelques problèmes de méthode, in Tij. Da ultimo per tutti SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del
diritto in Occidente (Torino Questi, a proposito della ‘rivoluzione
scientifica’ che ha riguardato il modo di operare (e di essere) della
giurisprudenza romana nei decenni tra l’età dei Gracchi e quella di Cesare e,
in particolare, sull’influenza della cultura proveniente dalla Grecia esplicita
in questo modo il suo pensiero. In realtà, non di riduzione o di impoverimento
si trattava, né di un semplice e superficiale trapianto di qualche metodica,
priva di particolare significato sostanziale. Bensì di un delicato e cruciale
processo di integrazione, che riuscì a proiettare il sapere giuridico romano al
di là degli orizzonti che aveva acquisito, senza tuttavia fargli smarrire il
senso della propria fortissima identità: in certo modo a rivoluzionarlo per
dargli il compimento. Il risultato sarebbe stato, alla fine, la nascita di un
nuovo modo di pensare il diritto, che ne avrebbe tramutato le procedure in
quelle di una scienza senza eguali nell’antichità, non meno compatta e
concettualmente densa della grande filosofia classica. Appare evidente che nello
studioso salernitano sia maturato un superamento della posizione tradizionale
risalente a SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana [Firenze Nocera Lo
dimostrano ancora di più le seguenti parole [SCHIAVONE, Ius] Ma perché Quinto
Mucio aveva deciso di utilizzare a fondo gli apparati diairetici, fino a farne
il tratto caratterizzante – almeno agli occhi di Pomponio – di tutto il suo
trattato? La risposta più consueta cerca di spiegarlo con un generico richiamo
al clima intellettuale dell’epoca, cui non sarebbero state indifferenti un paio
di generazioni di giuristi: una parentesi dovuta all’imporsi di una specie di
moda. E’ un’interpretazione a dir poco insoddisfacente, elusiva di un tema
essenziale: la connessione fra l’uso della diairetica e la qualità delle
conoscenze per la prima volta elaborate attraverso quei modelli. Il problema,
cioè, della forma logica attraverso cui a partire da Quinto Mucio e dalle sue
innovazioni, l’esperienza del diritto veniva costruita e pensata. Se non si ha
lo sguardo fermo su questo intreccio, si smarrisce il filo di ogni
interpretazione plausibile. E non c’è da temere solo il vecchio equivoco
EQUIVOCO GRICE che portava a distinguere meccanicamente fra ‘metodo’ greco e
‘contenuti’ SACCHI virtuoso che è una caratterizzazione tipica del pensiero
stoico. Ateneo, citando Posidonio, ricorda la ferma presa di posizione di
SCEVOLA l’augure, Q. Elio Tuberone e P. Rutilio Rufo (tutti allievi del
filosofo del PORTICO Panezio: Cic. Lael.), a favore della lex Fannia cibaria.
Proverbiali inoltre sono rimasti il rigore e la coerenza con cui Scevola il
pontefice esercitò la sua carica di proconsole nella provincia d’Asia,
coadiuvato da Rutilio Rufo suo legato proconsolare. A quest’ultimo, prope
perfectus in Stoicis (Brut.), si ricollega anche il famoso otium cum dignitate
che rimarrà come monito per gli uomini della sua classe; tanto che, come è
noto, Cicerone ne farà una strenua difesa contro l’epicureismo dilagante
soprattutto in Campania, quando scrisse, fra l’altro, negli ultimi due anni della
sua vita il de finibus e le Tusculanae disputationes. Riferimenti precisi nel
de oratore e nel Brutus ciceroniani indicano esplicitamente come stoici anche
Marco Vigellio (qui cum Panetio vixit), Sesto Pompeo e due Balbi: Cic. De orat.
Quid est, quod aut Sex. Pompeius aut duo Balbi aut meus amicus, qui cum
Panaetio vixit, M. Vigellius de virtute hominum Stoici possint dicere, qua in
disputatione ego his debeam aut vestrum quisquam concedere? Il primo, Quinto
Lucilio (Balbo), fu sostenitore della tesi stoica prospettata nel de natura
deorum. Mentre il secondo, Lucio Lucilio (Balbo), espertissimo in agendo et in
respondendo, fu discepolo di romani, quanto un rischio più grave e sottile:
quello di misurare il lavoro dei giuristi con i criteri adoperati per valutare
il dibattito filosofico ed epistemologico da Platone al tardo stoicismo,
suggestionati solo dalla traccia superficiale di alcuni evidenti debiti della
giurisprudenza verso la filosofia, e da qualche sporadica contiguità di lessico
e di categorie. Mettendosi su una simile strada, non si può che arrivare alla
conclusione di un drammatico impoverimento dell’impianto logico del pensiero
classico, quando passa dai filosofi ai giuristi, e alla constatazione del
carattere irrimediabilmente minore e senza vocazione teorica del lavoro della
giurisprudenza. Ma sarebbe un’indicazione infondata, anche se è stata tante
volte riproposta, da diventare un luogo comune storiografico. Athen. Dipnosoph.
= Posid. Jacoby. Per tutti CANNATA, Per una storia della scienza giuridica
europea. Dalle origini all’opera di Labeone (Torino MÜNZER, sv. Lucilius, in
PW. 13.2 (Stuttgart-Weimar Q. Mucio Scevola il pontefice e anche maestro di
Servio Sulpicio Rufo Il Circolo degli Scipioni C’è poi il Circolo degli
Scipioni 11 . Questo sodalizio culturale era frequentato, come è noto, da
letterati e filosofi come Terenzio e il Cic. Brutus: Cumque discendi causa
duobus peritissimis operam dedisset, L. Lucilio Balbo, C. Aquilio Gallo, Galli
hominis acuti et exercitati promptam et paratam in agendo et in respondendo
celeritatem subtilitate diligentiaque superavit; Balbi docti et eruditi hominis
in utraque re consideratam tarditatem vicit expediendis conficiendisque rebus.
Sul rapporto tra lo stoicismo e i giuristi romani v. anche IPPOLITO, I giuristi
e la città (Napoli Sul circolo scipionico si v. in generale H. BARDON, La
littérature latine inconnue. I. L’époque républicaine (Paris 1952) 45 ss., 87 ss.; H.
BENGTSON, Grundriss der römische Geschichte, München GRIMAL, Le siècle des
Scipions, Paris Il secolo degli Scipioni. Roma e l’ellenismo al tempo delle guerre puniche
(Brescia, Plataroti, CANALI, Storia della poesia latina (Milano) Anche se è
stata negata l’esistenza di questo sodalizio culturale [STRASBURGER, Der
‘Scipionenkreis’, in Hermes l’espressione grex Scipionis usata da Cicerone in
Lael. e la considerazione, nel paragrafo dello stesso dialogo, di Scipione,
Furio, Spurio Mummio, Tuberone, Rutilio, (Virginio e Rupilio); oltre che degli
interlocutori del Lelio: Mucio Scevola, Fannio e appunto Lelio, come aequales
per essere stati amici o giovani devoti di Scipione, lascia pensare che questo
circolo di intellettuali sia stato effettivamente sentito come tale dai suoi
protagonisti. Così, con somma erudizione CANCELLI, Cicerone, Lo Stato (Milano
scrive: Va da sé che non bisogna credere a un sodalizio, magari con tanto di
statuto, ma a un gruppo di uomini che seguivano stesse tendenze politiche, e
che facevano capo, in vario modo, a Scipione o al suo amico Lelio. Cicerone
assunse appunto a comune carattere dei suoi personaggi l’essere stati amici o
in relazione con Scipione e Lelio, e l’essere stati seguaci più o meno fermi
dell’insegnamento paneziano ». Fra l’altro, come rileva lo stesso Cancelli, a
questa lista di nomi manca solo quello di Manio Manilio, il famoso giurista (e
generale di Scipione Africano a Cartagine), per ricostituire il gruppo di
personaggi che partecipano al famoso dialogo del de re publica ambientato negli
horti suburbani di Scipione Emiliano dove Cicerone ambienterà l’enunciazione
della famosa definizione di res publica. Per l’uso di grex per indicare un
‘gruppo di amici’ o un ‘sodalizio culturale’ si v. Cic. Lael. Saepe enim
excellentiae quaedam sunt, qualis erat Scipionis in nostro, ut ita dicam grege.
Anche Orazio che riferisce la parola proprio ai seguaci della Stoa di Crisippo
di Soli. Horat. sat.Chrysippi porticus et grex. Sul circolo degli Scipioni si
v. anche F. LEO, Geschichte der römischen Literatur (Berlin BROWN, A Study of
the Scipionic Circle, Iowa TATAKIS, Panétius de Rhodes. Le fondateur du moyen
stoïcisme. Sa vie et son oeuvre (Paris BRUWAEUM, L’influence culturelle du
cercle de Scipion SACCHI campano Lucilio, ma anche da storici come P. Cornelio
Scipione, C. Fannio, C. Sempronio Tutidano e forse Emilio Sura. Altri possibili
frequentatori di tale circolo furono Cassio Emìna e L. Calpurnio Pisone Frugi
che normalmente viene ritenuto avversario dei Gracchi, ma la legge agraria lo
ricorda come il console che insieme a P. Mucio applicò la lex Sempronia: Lex
agr. l. 13 (= FIRA): Quei ager locus publicus populi Romanei, quei in Italia P.
Mucio L. Calpurnio cos. fuit. Quando però Paolo Emilio porta a Roma per i suoi
due figli la biblioteca di Pella, diventò possibile in questa città accedere
direttamente ai testi dei filosofi greci ed in particolare a quelli degli
stoici14 . Fu così che il circolo scipionico, a ridosso dell’età graccana,
diventò il luogo di incontro principale tra lo stoicismo e gli intellettuali
romani. L’amicizia tra l’Africano minore e Polibio nasce Emilien (Schaerbeeck
ABEL, Die kulturelle Mission des Painaitios « Antike und Abendland BRETONE, La
fondazione del diritto civile nel manuale pomponiano, in Tecniche e ideologie
dei giuristi romani, Napoli; MARROU, Histoire de l’éducation dans l’antiquité.
I. Le monde grec. II. Le monde romain (Paris WIEACKER, Römische
Rechtgeschichte, München; ALESSE, Panezio di Rodi e la tradizione del PORTICO
ROMANO (Napoli CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 217. 12
Sul rapporto tra il poeta Lucilio e il circolo scipionico cfr. Lact. div.
inst., MAURACH, Geschichte der römischen Philosophie. Eine Einführung, Plut.
Aem.: Møna tÅ biblºa to† basil™vq filogrammato†si to¡q y™sin ®p™trefen
®jel™suai. [tr. M.L. Amerio (a cura di), Plutarco, Vite, vol. III (Torino Fece
prelevare soltanto i libri della biblioteca del re per darli ai figli amanti
delle lettere »; Isid. etym. 6.5.1: Romae primus librorum copiam advexit
Aemilius Paulus, Perse Macedonum rege devicto; deinde Lucullus e Pontica
praeda. Post hos Caesar dedit Marco Varroni negotium quam maximae bibliothecae
construendae. Primum autem Romae bibliothecas publicavit Pollio, Graecas simul
atque Latinas, additis auctorum imaginibus in atrio, quod de manubiis
magnificentissimum instruxerat. 14 Per i rapporti culturali e l’influenza della
cultura greca nel circolo scipionico si v. anche SACCHI, La nozione di ager
publicus populi Romani come espressione dell’ideologia del suo tempo, in Tij.
Adesso si v. A. SCHIAVONE, Ius. Quinto Mucio, che non ignorava il greco aveva
un accesso diretto a questi testi. Erano in gran parte opere incluse
nell’imponente biblioteca di Perseo di Macedonia, trasportata a Roma dopo
Pidna, da Emilio Paolo – nella capitale non si erano mai visti tanti libri – e
poi utilizzata dal circolo di Scipione Emiliano. infatti proprio grazie ad una
richiesta di libri e alla discussione che scaturì tra questi due personaggi
Personalità di assoluto livello sul piano giuridico che possiamo ricordare tra
i frequentatori di questo circolo lungo l’arco di almeno due generazioni furono
Manio Manilio (ad Att.; ad Q.fr.; Lael.; de re p.; Plut. Ti. Gracc. 11.2) e
Gaio Lelio, definito dallo stesso Manilio, valente giurista (de re p. Tum
Manilius: Pergisne eam, Laeli, artem inludere, in qua primum excellis ipse,
deinde sine qua scire nemo potest, quid sit suum, quid alienum?) che fu allievo
prima di Diogene di Babilonia e poi di Panezio (de fin. Nec ille qui Diogenem Stoicum
adulescens, post autem Panaetium audierat). Anche Scevola, il pontefice massimo (console): Cic.
de re p. Sed ista mox; nunc audiamus Pilum, quem video maioribus iam de rebus
quam me aut quam P. Mucium consuli, l’antagonista di Crasso nella causa
Curiana, prima di scegliere di seguire con il fratello di appoggiare le riforme
graccane (Cic. de re; Acad. Prior.; Plut. Ti. Gracc.), pare che fu molto vicino
a tale ambiente. Tra i frequentatori del circolo scipionico che aderirono alla
Stoa, troviamo infine anche Furio Filo e Aulo Cascellio, che furono considerati
insieme a Q. Mucio l’augure, tre dei più famosi esperti di diritto prediale
dell’epoca graccana: Cic. pro Balbo Q. Scaevola ille augur, cum de iure
praediatorio consuleretur, homo iuris peritissimus, consultores suos nonnumquam
ad Furium et Cascellium praediatores reiciebat. Attraverso Gaio sappiamo anche
cosa sia il diritto prediatorio: Gai. nam qui mercatur a populo, praediator
appellatur. Il discorso tuttavia non finisce qui perché in base a Cic. de orat.
apprendiamo che anche Q. Mucio il pontefice massimo aveva subito l’influenza di
Panezio di Rodi: Quae, cum ego praetor Rhodum Polyb. il rapporto tra costoro
iniziò da un prestito di libri e dalle conversazioni avute su di essi. Nicolai,
cur., Polibio, Storie. Libri. Frammenti Roma Quadro storico in A. GUARINO, La
coerenza di P. Mucio (Napoli Su P. Mucio particolari prosopografici in CANNATA,
Per una storia della scienza giuridica europea Particolari prosopografici con
fonti e bibl. In CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea]
venissem et cum summo illo doctore istius disciplinae Apollonio ea, quae a
Panaetio acceperam, contulissem, inrisit ille quidem, ut solebat, philosophiam
atque contempsit multaque non tam graviter dixit quam facete. Il quae a
Panaetio acceperam mi pare estremamente efficace18 . La corrispondenza tra il titolo
di un’opera famosissima di Quinto Mucio, il Liber singularis Œron, e quella di
Crisippo di Soli dimostra [insieme a D.: post hos Q. Mucius P.f. pont. max. ius
civile primus constituit generatim, in libros XVIII redigendo] la vicinianza
del giurista alla cultura del PORTICO. IL PORTICO ROMANO e il diritto romano
Alla luce di questi dati, quindi, non stupisce se Paolo Frezza abbia dichiarato
già di credere all’esistenza di una profonda influenza del PORTICO ROMANO sulla
formazione e sull’evoluzione del pensiero giuridico romano. Gli esempi della
fecondità di tale rapporto, del resto, sono sotto gli occhi di tutti. Nel
rilievo che Q. Mucio Scevola dava alla bona fides si nascondono infatti i
prodromi di una svolta importante per la disciplina e la struttura dei rapporti
obbligatori in tema di emptio venditio e di locatio conductio Schiavone, credo
con CANNATA, Per una storia della scienza giuridica europea 1.250 ss. 19 Cfr.
anche Gai. 1.188. Diog. Laert. [= SVF. App. Arnim) = Radice; SVF. (Arnim)
[Radice]. Già rilevato da LEO, Geschichte der römischen Literatur. Mette in
dubbio l’autenticità di quest’opera Schulz, Storia della giurisprudenza romana,
che si richiama ad KRÜGER, in St. Bonfante 2.336], ma oggi si propende per
l’autenticità. v. STEIN, Reguale iuris. From Juristic Rules to Legal Maxims
(Edimburg BRETONE, Tecniche e ideologie Storia del diritto romano4 (Roma-Bari
1989), 185; C.A. CANNATA, Per una storia della giurisprudenza europea FREZZA,
Rec. a M. Pohlenz, IL PORTICO. Sul rapporto tra giurisprudenza romana e
filosofi stoici già il Cuiacio con dovizia di indicazioni di fonti e bibl. in
J. CIUAICI, Opera. Ad Parisiensem Fabrotianam editionem diligentissime exacta
in tomos XIII. distributa auctiora atque emendatiora Pars prima. Tomus primus
(Prati Utile, sebbene con meno approfondimento anche J.G. HEINECCII, Historia
Juris Civilis Romani ac germanici qua utriusque origo et usus in germania ex
ipsis fontibus ostenditur, commoda auditoribus methodo adornata, multisque
Observationibus haud Vulgaribus passim illustrata (Venetiis Cic. de off. Si v.
su questo argomento LOMBARDI, Dalla fides alla bona fides Milano, FASCIONE,
Cenni bibliografici sulla ‘bona fides’, in Studi sulla buona fede (Milano
TALAMANCA, La bona fides nei fondatezza, ha sottolineato l’importanza e la
pertinenza della già felice intuizione di Nietzsche che giudicava la bona fides
del linguaggio giuridico repubblicano come una versione rielaborata in chiave
‘aristocratica e proprietaria’ (è questo il punto) della più antica fides
romana. La legge agraria può essere vista, infatti, come una delle espressioni
più immediate di questa nuova sensibilità dei giuristi romani verso una
concezione di appartenenza dell’ager publicus distribuito ai privati in senso
proprietario. Inoltre, si può leggere un legame tra gli insistenti appelli di
Antìpatro di Tarso a favore del sentimento di solidarietà umana e il divieto
individuato dai giuristi romani fondato sul diritto NATVRALE di approfittare
dell’ignoranza del compratore. Del resto, l’impegno profuso da Aquilio Gallo,
il difensore dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus
malus è stato visto, insieme al rilievo della buona fede in SCEVOLA,
esattamente come conseguenza di una volontà di dare maggiore riconoscimento,
nell’ambito del diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dalla Stoa
tra gli intellettuali romani. La sequenza evolutiva, almeno nel caso
dell’aequitas, passa dal secondo giurista che fu maestro del primo, e arriva
fino a Servio Sulpicio Rufo che seguì l’insegnamento dello stoico Lucilio Balbo
e di Aquilio Gallo a Cercina (D. Servius institutus a Balbo Lucilio, instructus
autem maxime a Gallo Aquilio, qui fuit Cercinae: itaque libri complures eius
extant Cercinae confecti) giuristi romani: ‘Leerformeln’ e valori dell’ordinamento,
in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea. Atti del convegno in onore di A. Burdese IV (Padova CARDILLI,
Bona fides tra storia e sistema (Torino); E. STOLFI, ‘Bonae fidei
interpretatio’. Ricerche sull’interpretazione di buona fede fra esperienza
romana e tradizione romanistica, Napoli SCHIAVONE, Ius Per il riferimento a
Nietzsche si v. Zur Genealogie der moral, Eine Streitschrift (Leipzig
Genealogia della morale, in Opere, Milano Colli-Montinari. Su questi temi
rinvio anche a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle
scuole giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di G.
Franciosi (Napoli Rinvio sul punto a O. SACCHI, Regime della terra e
imposizione fondiaria nell’età dei Gracchi. Testo e commento storico-giuridico
della legge agraria del 111 a.C. Napoli v. CANNATA, Per una storia della
scienza giuridica SCHIAVONE, Ius SACCHI Si potrebbe anche parlare, poi, del
concetto di utilitas (D.) e del suo rapporto con la nozione di iustitia (Cic.
de inv.). C’è poi la nozione di matrimonio di C. Musonio Rufo, maestro stoico
dell’età neroniana (autore a detta di PRISCIANO di oltre 700 libri), a cui
sembra essersi ispirato direttamente Modestino (D.) con il suo celeberrimo consortium
omnis vitæ. Ancora, possiamo citare il rapporto tra ius NATVRALE, ius civile e
ius gentium, il famoso honeste vivere, alterum non laedere di Ulpiano [D. (Ulp.
1 regularum): Iuris praecepta sunt hæc: honeste vivere, alterum non lædere,
suum cuique tribuere] e il paradigma concettuale per la teoria della legge come
ente razionale obbligatorio per tutti gli uomini, che i compilatori di
Giustiniano scelsero da un’opera di Crisippo di Soli. Ampio ragguaglio
bibliografico sul tema in NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei
guristi romani, Torino. Le parole ius, iustitia e æquitas nel mondo concettuale
di Servio acquistano rilievo come espressione del ricongiungimento di legalità,
legittimazione, etica e formalismo. La deduzione, ricavata da un notissimo
passo delle Filippiche di Cicerone è di A. SCHIAVONE, Ius Il passo è Phil. Nec
vero silebitur admirabilis quaedam et incredibilis ac paene divina eius in
legibus interpretandis, aequitate explicanda scientia. Omnes ex omni ætate, qui
in hac civitate intellegentiam iuris habuerunt, si unum in locum conferantur,
cum Ser. Sulpicio non sint comparandi. Nec enim ille magis iuris consultus quam
iustitiæ fuit. Ita ea quæ proficiscebantur a legibus et ab iure civili, semper
ad facilitatem aequitatemque referebat neque instituere litium actiones malebat
quam controversia tollere. D. (Modest. 1 regularum): Nuptiae sunt coniunctio maris
et feminæ et consortium omnis vitæ, divini et humani iuris COMMVNICATIO. Sul rapporto tra ius NATVRALE, ius civile e ius
gentium mi limito a segnalare MASCHI, La concezione NATURALISTICA del diritto e
degli istituti giuridici romani, Milano LOMBARDI, Sul concetto di ius gentium,
Roma; BURDESE, Il concetto di ius NATVRALE nel pensiero della giurisprudenza
classica, in RISG. NOCERA, Ius naturale nell’esperienza giuridica romana (Milano 1962);
DIDIER, Les diverses conceptions du droit NATUREL à l’oeuvre dans la
jurisprudence romaine, in SDHI. ARCHI,
Lex e natura nelle istituzioni di Gaio, in Scritti di diritto romano 1.
Metodologia giurisprudenza. Studi di diritto privato 1 (Milano BRETONE, Storia
WINKEL, Einige Bemerkungen über ius NATVRALE und ius gentium, in MJ.
Schermaier-Z.Végh (ed.), Festschrift für W. Waldestein zum 65 Geburtstag
(Stuttgart KASER, Ius gentium, Köln-Weimar-Wien; P.A. VANDER WAERDT,
Philosophical Influence on Roman Jurisprudence? The Case of Stoicism and
NATVRAL Law DUCOS, Philosophie, littérature et droit; S. QUERZOLI, Il sapere di
Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones (Napoli che diresse la
Stoa di Atene [D. (Marc. 1 inst.)] La nozione di res publica come effetto
dell’influenza diretta del pensiero politico di Panezio. Questo elenco di dati
non è certo esaustivo e può essere ancora integrato. Possiamo tuttavia
affrontare due argomenti che ritengo molto significativi per dare una
dimensione ancora più esatta dell’importanza del rapporto tra il PORTICO ROMANO
ed evoluzione del diritto romano. Anzitutto, la nozione di stato. Panezio, per
la prima volta rispetto a questo problema, mise in primo piano il momento
giuridico. Lo stato è considerato dal Portico un insieme di uomini che vivono
sullo stesso territorio e sono governati da una legge. Questo enunciato è la
traduzione più o meno letterale della celeberrima definizione di SCIPIONE
Africano minore in Cic. de re p. Siamo in un momento di massima influenza
culturale del circolo scipionico e si cerca di dare un assetto costituzionale
alla res publica. perÁ nømoy: Ø nømoq påntvn ®stÁ basileÂq ueºvn te kaÁ
Ωnurvpºnvn pragmåtvn? de¡ d‚ aªtØn proståthn te eµnai t©n kal©n kaÁ t©n a˝sxr©n
kaÁ “rxonta kaÁ Ôgemøna, kaÁ katÅ to†to kanøna te eµnai dikaºvn kaÁ Ωdºkvn kaÁ
t©n f¥sei politik©n zúvn, prostaktikØn m‚n ˘n poiht™on, ΩpagoreytikØn d‚ ˘n oª
poiht™on. [D. 1.3.2 (Marcian. 1 inst.)] « Bisogna che la legge sia sovrana di
tutte le cose, divine o umane. Deve sovrastare tutte le realtà buone e cattive
e su di esse esercitare potere ed egemonia; deve fissare i canoni del giusto e
dell’ingiusto e, per i viventi che stanno per natura in società, comanda quel
che va fatto, e vieta quel che non va fatto ». Su Crisippo di Soli v. M.
POHLENZ, La Stoa 39-43. Su Crisippo di Soli si v. H. VON ARNIM, sv. Chrysippos,
in PW, München, coll. Dio Chrysost. or. SVF. H.von Arnim, Radice, PORTICO
Antichi, Milano]: pl∂toq Ωntr√pon ®n taªtˆ katoiko¥ntvn ÊpØ nømon dioiko¥menon.
30 Segnalo sul punto G. MANCUSO, Forma di stato e forma di governo
nell’esperienza costituzionale greco-romana (Catania 1995) 73; P. DESIDERI,
Memoria storica e senso dello Stato in Cicerone, in M. Pani (a cura di),
Epigrafia e territorio. Politica e società. Temi di antichità romane (Bari)
VALDITARA, Attualità nel pensiero politico di Cicerone, in F. Salerno (a cura
di), Cicerone e la politica (Napoli SACCHI, La nozione di ager publicus populi
Romani Cic. de re p. ‘Est igitur’, inquit Africanus, ‘res publica res populi,
populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus
multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus’. Cfr. F.
CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo Stato ss. Sul significato di res publica si
v. DREXLER, Res publica, SACCHI Il riferimento di Cicerone alla definizione
dell’Emiliano è importante perché in essa rileva una nozione costituzionale di
populus che è costruita su un’idea di legge che a sua volta è basata sul
concetto di patto. Come in Papiniano D. (Papin. lib.def.): Lex est commune
præceptum, virorum prudentium consultum, delictorum quæ sponte vel ignorantia
contrahuntur cœrcitio, communis rei publicæ sponsio, in cui si rileva un
concetto di sovranità orizzontale piuttosto che verticale. La differenza del
pensiero di Panezio è tuttavia evidente anche rispetto ad Aristotele. Lo
Stagirita, si limitava infatti a dichiarare che lo ‘Stato’ poteva essere la
società perfetta, atta a promuovere la vita buona o migliore. Il vivere felice
cui allude lo stesso in Maia ANRW. Cosiderano res publica nel senso di
‘patrimonio comune’ ORESTANO, Il problema delle persone giuridiche (Torino
KOHNS, Res publica, res populi, in Gymnasium MARTINO, Storia della costituzione
romana (Napoli) Considera res publica nel senso di ‘organizzazione del popolo
GAUDEMET, Le peuple et le gouvernement de la République romaine, in Labeo
Gouvernés et gouvernants, in Recueil J. Bodin 23.2 (Bruxelles Per R. KLEIN,
Wege der Forschung (Darmstadt Der Staat ist das Volk. Su tutto SCHMIDT, Cicero
‘De re publica’: Die Forschung der letzen fünf Dezennien, in ANRW. Si v. ora
anche KOSTOVA, Res publica на цицерон. Res publica est res populi (Sofia Sul
concetto di consensus si v. fra altri FRANCISCI, Arcana imperii (Milano) Forse
il fatto che Cicerone (Rep.) insiste sul consensus iuris, sul vinculum iuris,
ha fatto pensare che lo scrittore esponesse concetti e dottrine romane, mentre
tale idea del vincolo giuridico (nømoq) era già nelle definizioni stoiche». Il governo
secondo Cicerone si identifica nel consilium che è l’equivalente del platonico
logistikøn e dello stoico Ôgemonikøn. Si v. per questo CANCELLI, Cicerone, Lo
Stato. Non si tratta di una convenzione ARTIFICIALE come volevano la Scessi e
il GIARDINO [CANCELLI, ibidem 59], né della realizzazione di un bisogno
materiale come nell’ACCADEMIA [Rep.; Leg.]. E’ lo spontaneo – EX NATVRA --
sentimento che spinge l’uomo a riunirsi in società. La congregatio ciceroniana
(fin.) corrispondente al f¥sei politik©n zúvn di Aristotele (pol.) che però fu
recepito dagli stoici, secondo i quali, nell’uomo vi sarebbero i semina della
virtù e della ‘sociabilità’ stessa: Cic. de re p.; fin.; Tusc.; Ô d| ®k
pleiønvn kvm©n koinvnºa t™leioq pøliq, ˚dh pÅshq ‘xoysa p™raq t∂q aªtarkeºaq ˜q
‘poq e˝pe¡n, ginom™nh m‚n to† z∂n ’neken, o«sa d‚ to† e« z∂n. DiØ p˙sa pøliq
f¥sei ®stºn, e¬per kaÁ a pr©tai koinvnºai? t™loq gÅr a‹th ®keºnvn, Ô d‚ f¥siq
t™loq ®stºn? oÚon gÅr ’kastøn ®sti t∂q gen™sevq telesueºshq, ta¥thn fam‚n t¸n
f¥sin eµnai „kåstoy, Æster Ωnur√poy Òppoy o˝kºaq. [Arist. pol.]: Cicerone in de
off. 1.85 citando però il solo Platone. Per Panezio, invece, lo ‘Stato’ doveva
essere una società basata sull’eguaglianza di diritti e mirare all’utilità
comune fondata sul valore vincolante della legge. Se questo è vero, dobbiamo
allora riconoscere che il filosofo di Rodi portò alla riflessione romana un
dato assolutamente originale e del tutto incomparabile con altre esperienze
antiche del passato e anche successive. Lo dimostra anche il confronto con un
altro frammento, altrettanto famoso, del de re publica di Cicerone in cui,
l’Africano minore, parafrasando Catone Censore, fa la differenza tra l’origine
delle città greche e l’origine della res publica romana. Qui, forse, si coglie
ancora di più il dato di novità apportato da Panezio. Catone parla del peso
positivo di una tradizione (Cic. de re p. nostra autem res publica non unius
esset ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta
saeculis et aetatibus), mentre Panezio, attraverso Cicerone, come abbiamo
visto, parla solo del valore della legge come dato fondante (iuris consensu et
utilitatis communione sociatus). Se questo è vero, sarebbe allora quantomeno da
rivedere la nota affermazione per cui lo ‘Stato’/‘res publica’, e i principi
che lo regolavano, avrebbero avuto origine dall’idea di Catone fondata sui
mores maiorum e che questa posizione ideologica avrebbe segnato il pensiero
politico romano anche negli ultimi decenni della Repubblica comunità perfetta
di più villaggi costituisce la città, che ha raggiunto quello che si chiama il
livello dell’autosufficienza: sorge per rendere possibile la vita e sussiste
per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perciò ogni città è
un’istituzione naturale, se lo sono anche i tipi di comunità che la precedono,
in quanto essa è il loro fine e la natura di una cosa è il suo fine Viano
(cur.), Aristotele, Politica (Milano BRETONE, Pensiero politico e diritto
pubblico, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani L’idea che lo stato, e i
principi che lo reggono, abbiano la loro origine nei mores maiorum, - l’idea di
CATONE, - segna il pensiero politico anche negli ultimi decenni della
Repubblica ». La differenza di significato è anche nel fatto che Roma era stata
FONDATA DA ROMOLO che è abile e prudens (titolare di saggezza pratica), ma non
sapiens come si ritenevano i raffinati intellettuali gravitanti intorno al
circolo scipionico. Cfr. Cic. de orat.; de re p. e per tutto CANCELLI,
Cicerone, Lo Stato SACCHI Idea di proprietà fondiaria nel pensiero di Panezio
Un altro profilo del pensiero stoico che potrebbe aver influenzato
sensibilmente la riflessione dei giuristi della tarda repubblica, riguarda la
nozione di proprietà. Anche questo punto credo che meriti una riflessione più attenta
di quanto non si sia fatto finora. Il diritto romano, fino all’epoca dei
Gracchi, come ben dimostra ancora tutto l’impianto della legge agraria conosce
forme di appartenenza come la possessio dell’ager publicus, la possibilità che
i lotti di terreno assegnati dal Senato venissero alienati e che i figli degli
alienatari potessero ereditare dai loro padri; o che questi potessero alienare
a terzi i loro cespiti immobiliari. Ma non la proprietà così come è intesa
negli ordinamenti moderni che la qualificano come un diritto assoluto (o
soggettivo perfetto) ovvero come la intendevano i giuristi dell’età classica,
nella dottrina dei quali, la differenza tra possessio e dominum fondiario
appare finalmente più nitida. Con Panezio, invece, e per la prima volta, la
consapevolezza di una sostanza ontologica della nozione di una proprietà
fondiaria, e la necessità di difendere tale posizione come dovere primario da
parte D. (Ulp. ad ed.): pater autem familias appellatur, qui in domo dominium
habet; (Ulp. ad ed.): Domini appellatione continetur qui habet proprietatem; pr
(Nerat. regularum): Si procurator rem mihi emerit ex mandato meo eique sit
tradita meo nomine, dominium mihi, ‘id est proprietas’, adqquiritur etiam
ignoranti [da ricordare al riguardo che l’inciso id est proprietas è
considerato una glossa da S. SCHLOSSMANN, Der besitzerwerb durch Dritte nach
römischen und eutigem Rechte (Leipzig KNIEP, Vacua possessio 1 (Jena FRANCISCI,
Translatio dominii, Milano; ID., Il trasferimento della proprietà (Padova BETTI,
in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 41 (Roma)]; CTh.: bona capite
damnatorum fiscali dominio vindicare. Nel senso di dominium contrapposto a
ususfructus si v. D. (Iul. digestorum): qui possessionem dumtaxat usus fructus,
non etiam dominium adepti sint. Cfr. R. LEONHARD, sv. Dominium, in PW.
(München) coll. Si v. ora anche indicazioni in O. SACCHI, Regime della terra e
imposizione fondiaria Molto interessante il riferimento di [LEONHARD a Varro
r.r.: In emptionibus dominum legitimum sex fere res perficiunt: si hereditatem
iustam adiit; si, ut debuit, mancipio ab eo accepit, a quo iure civili potuit;
aut si in iure cessit, qui potuit cedere, et id ubi oportuit [ubi]; aut si usu
cepit aut si e praeda sub corona emit; tumve cum in bonis sectioneve cuius
publice veniit. In tale fonte tuttavia, ai vari modi di acquisto della
proprietà sullo schiavo, è riferito ancora il ‘parlante’ dominum secondo un uso
consolidato nel linguaggio anche tecnico latino della media tarda repubblica.
della res publica, vengono messe al centro di un dibattito scientifico e
culturale. Per avere un’idea più precisa al riguardo, si deve fare riferimento
ad alcuni noti passaggi del de officiis di Cicerone che l’Arpinate potrebbe
aver tratto direttamente dall’opera maggiore di questo filosofo. Il più
significativo è: Cic. de off. Sunt autem privata nulla natura, sed aut vetere
occupatione, ut qui quondam in vacua venerunt, aut victoria, ut qui bello
potiti sunt, aut lege, pactione, condicione, sorte; ex quo fit, ut ager Arpinas
Arpinatium dicatur, Tusculanus Tusculanorum; similisque est privatarum
possessionum discriptio. Ex quo, quia suum cuiusque fit eorum, quae natura
fuerant communia, quod cuique optigit, id quisque teneat; e quo si quis sibi
appetet, violabit ius humanae societatis. Il problema da cui parte Panezio è
che la proprietà privata non esiste in natura (sunt autem privata nulla
natura). Un approccio quindi comune anche al diritto romano più antico se è
vero che questo aveva conosciuto ab origine, a parte il problema dell’heredium,
forme di proprietà/appartenenza individuali soltanto mobiliari. Sennonchè, lo
‘stato’ e la ‘proprietà’ in Panezio hanno stessa origine e nascono da uno
stesso atto storico, perché il primo nascerebbe per proteggere la seconda. In
questo modo, entrambi acquisterebbero così anche una rilevanza giuridica.
Guardando de off., che è un altro dei frammenti che Cicerone potrebbe aver
preso direttamente dall’opera di Panezio CANCELLI, Marco Tullio Cicerone, Lo
Stato 61: « Se non è lo Stato sorto per bisogni materiali dell’uomo, è però nei
suoi fini primari favorire proprio anche le condizioni di benessere materiale;
e la direzione dello Stato deve essere rivolta al fine di attuare il motivo
stesso dell’associarsi degli uomini, Rep. che è la migliore condizione di
felicità di tutti i componenti il gruppo sociale, Rep.e naturalmente la tutela
stessa della proprietà privata, come si dirà in Off., Cic. de off. Sed, quoniam
de eo genere beneficiorum dictum est, quae ad singulos spectant, deinceps de
iis, quae ad universos quaeque ad rem publicam pertinent, disputandum est.
Eorum autem ipsorum partim eius modi sunt, ut ad universos cives pertineant,
partim, singulos ut attingant, quae sunt etiam gratiora. Danda opera est omnino, si
possit, utrisque, nec minus, ut etiam singulis consulatur, sed ita, ut ea res
aut prosit aut certe ne obsit rei publicae. C. Gracchi frumentaria magna
largitio exhauriebat igitur aerarium; modica M. Octavi et rei publicae tolerabilis
et plebi necessaria; ergo et civibus et rei publicae salutaris. In primis SACCHI vediamo che il tema della necessità
per lo Stato di apprestare tutela alla proprietà privata viene esplicitato in
modo chiaro e diretto. Leggendo Cicerone apprendiamo che coloro che sono
deputati all’amministrazione dello stato (qui rem publicam administrabit)
dovevano badare in primo luogo a che non ci fosse una diminuzione dei beni dei
privati (ut suum quisque teneat neque de bonis privatorum publicae deminutio
fiat). Questo perché il compito precipuo degli stati e delle città (qui
l’allusione è chiaramente a de re p.: nostra autem res publica non unius esset
ingenio, sed multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et
aetatibus) avrebbe dovuto essere quello di difendere le cose di ciascuno: Cic.
de off.: Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae
civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines,
tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Il rodiense su
questo punto è originale anche rispetto al pensiero stoico che lo aveva
preceduto perchè il problema dell’inesistenza in natura della proprietà
privata, come è noto, era risolto da Crisippo con la famosa metafora del
teatro, dove lo spettatore chiama suo il posto che occupa e si considera,
questa, una cosa legittima. Si superava così il problema di qualificare come
‘proprio’ qualcosa che nel mondo invece si sentiva come comune a tutti. autem
videndum erit ei, qui rem publicam administrabit, ut suum quisque teneat neque
de bonis privatorum publicae deminutio fiat. Perniciose enim Philippus, in
tribunatu cum legem agrariam ferret, quam tamen antiquari facile passus est et
in eo vehementer se moderatum praebuit; sed cum in agendo multa populariter,
tum illud male, non esse in civitate duo milia hominum, qui rem haberent.
Capitalis oratio est. Ad aequationem bonorum pertinens, qua peste quae potest
esse maior? Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, res publicae
civitatesque constitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines,
tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant. Cic. de fin. Sed
quem ad modum, theatrum cum commune sit, recte tamen dici potest eius esse eum
locum quem quisque occuparit, sic in urbe mundove communi non adversatur ius
quo minus suum quidque cuiusque sit. La trasformazione del ius civile in ars
iuris civilis e l’emersione del dominium quiritario A questo punto credo sia
difficile negare un’influenza anche solo indiretta della riflessione paneziana
sul processo di trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium
quiritario in età cesariana. Il pensiero corre subito allora all’espressione
dominium riferita al fondo di terra come cespite immobiliare presente in un
passo di Alfeno Varo [D. (Paul 4 epit. Alfeni dig.) Nella ricostruzione di
Lenel esso si tratta del caso più tipico di esposizione di un responsum,
giustificato da una necessità pratica. Ebbene, in questo frammento, la doppia
locuzione dominium loci, potrebbe dirsi un apax legomenon, dato che non abbiamo
testimonianze di altri giuristi coevi o anteriori in cui si ritrovi D. (lib. 4
epitomarum Alfeni digestorum): Qui duo praedia habebat, in unius venditione
aquam, quae in fundo nascebatur, et circa eam aquam late decem pedes exceperat:
quaesitum est, utrum dominium loci ad eum pertineat an ut per eum locum
accedere possit. respondit, si ita recepisset: ‘circa eam aquam late pedes
decem’, iter dumtaxat videri venditoris esset. LENEL, Palingenesia iuris
civilis (Graz Sull’opera di Alfeno Varo cfr. L. DE SARLO, Alfeno Varo e i suoi
digesta (Milano FERRINI, Intorno ai digesti di Alfeno Varo, in BIDR. JÖRS, sv.
Alfenus Varus, in PW. (Stuttgart VERNAY, Servius et son Ecole 35 ss.; S.
SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine ‘dominium’ KUNKEL, Die römischen Juristen.
Herkunft und soziale Stellung SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana
BRETONE, Il responso nella scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei
giuristi romani; I. MOLNAR, Alfenus Varus iuris consultus, in Studia in honorem
V. Pólay septuagenarii (Szged TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani fra
‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in F. Milazzo (a cura di),
Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza
tardo-repubblicana. Atti del Convegno di diritto romano e della presentazione
della nuova riproduzione della littera Florentina. Copanello (Napoli NEGRI, Per
una stilistica dei Digesti di Alfeno, in Mantovani (cur.), Per la storia del
pensiero giuridico romano. Dall’età dei pontefici alla scuola di Servio. Atti
del seminario di S. Marino, Torino CANNATA, Per una storia della scienza
giuridica europea ROTH, Alfeni Digesta. Eine spätrepublikanische
Juristenschrift, Freiburger Rechtgeschichtliche Abhandlungen. Neue Folge,
Berlin su cui cfr. CARRO, rec., Su Alfeno Varo e i suoi Digesta, in Index Si v.
anche C. GIACHI, Studi su Sesto Pedio. La tradizione, l’editto (Milano
SCHIAVONE, Ius. SACCHI un’espressione analoga . La supposizione è rafforzata
dal fatto che il legislatore del 111 a.C. non usa mai, in paragrafi di legge,
l’espressione dominium; inoltre, dal fatto che tale termine è assente nel
lessico di Cicerone e, infine, che nel vocabolario festino troviamo la parola
dominus legata a dubenus (L.) /heres (L. dunque inquadrata semanticamente nel
lessico giuridico in una concezione potestativa), ma non ancora ad una
definizione giuridica di proprietà. Sempre che non abbia ragione Solazzi nel
considerare La vicenda dell’emersione della figura del dominium nel lessico
della lingua latina e nell’ordinamento giuridico romano si può ricostruire
attraverso una serie di indizi di carattere storico, giuridico, etimologico che
segnano il passaggio, nella mentalità giuridica romana, della nozione giuridica
arcaica di appartenenza espressa con la sequenza herus heres heredium
hereditas, alla nozione di dominio assoluto espressa mediante la sequenza
dubinus, duminus, dominus, dominium, dominium ex iure Quiritium. Quest’ultima
indice dell’affermazione, nella mentalità giuridica romana, dell’idea di
proprietà in un territorio dello stato (res publica). Per inquadrare tutto
questo nella sua più esatta cornice storica bisogna valutare i termini del
rapporto tra la nozione di dominium ex iure Quiritium che si rileva dalle fonti
romane tecniche e non e le forme di appartenenza arcaiche fino ad una certa
epoca potestas e, a livello processuale, il meum esse) di beni mobili (mancipi
e nec mancipi, le ceterae res di età tardo repubblicana e di beni immobili,
heredium, ager privatus, res mancipi, fundi. Sulla terminologia usata per
indicare in età più antica le manifestazioni del potere del pater familias si
v. COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum
in età repubblicana 1 (Roma GALLO, Osservazioni sulla signoria del ‘pater
familias’ in epoca arcaica, in St. De Francisci, Potestas e dominium
nell’esperienza giuridica romana, in Labeo., in part. sulla nozione di
proprietà romana 32 ss.; sul rapporto tra erus e dominus CORBINO, Schemi
giuridici dell’appartenenza nell’esperienza romana arcaica, in Scritti Falzea
MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo; TALAMANCA, Istituzioni di
diritto romano, Milano, GARRIDO, Derecho privado romano. Casos. Acciones.
Institutiones (Madrid). Il processo di affermazione del termine dominium nel
lessico dei giuristi della tarda repubblica presenta in verità un percorso con
andamento anomalo. Nelle opere di Cicerone sembrerebbe essere assente [cfr.
COSTA, Cicerone giureconsulto (Roma FRANCIOSI, Usucapio pro herede. Contributo
allo studio dell’antica hereditas (Napoli Però Festo spiega la voce heres (L.)
dicendo che heres apud antiquos pro domino ponebantur [si v. G.G. ARCHI, Il
concetto di proprietà nei diritti del mondo antico, in RIDA. Il dato è anche
ripreso dagli eruditi giustinianei Inst.: pro herede enim gerere est pro domino
gerere: veteres enim heredes pro dominis appellabant. Sennonchè Varrone,
affermando in r.r. Bina iugera quod a Romulo primum divisa dicebantur viritim,
quae heredem sequerentur, heredium appellarunt, stabilisce una derivazione di
heredium da heres. Siamo allora già in grado di stabilire una prima connessione
semantica: heres sta a heredium come dominus sta a dominium. In termini
schematici abbiamo spuria la presenza della parola dominium in questo famoso
passo di Alfeno Varo, nel qual caso il termine di emersione di tale figura
giuridica si abbasserebbe ancora di più . così le prime due contrapposizioni di
parole in senso soggettivo/oggettivo delle prime due sequenze: heres/heredium e
dominus/dominium. In base al nesso stabilito da Festo (L.) possiamo anche
riconoscere un legame tra la posizione dell’heres e quella del dominus. Il che
accrediterebbe l’etimologia (peraltro sin qui negata dalla dottrina: cfr.
FRANCIOSI, Usucapio pro herede) di heres come un derivato da erus/herus. Lo
conferma anche D. (Ulp. ad ed.): Legis autem Aquiliae actio ero competit, hoc
est domino; Serv. ad Aen. 7.490 nam (h)erum non nisi dominum dicimus; Cass. ex
ps.: hereditates ab ero dicta est, id est domino. Su cui COLOGNESI, La
struttura della proprietà La connessione è importante perché è un’ulteriore
indizio nella direzione di riconoscere l’origine potestativa della posizione
del dominus. Quanto all’etimologia di erus, questa parola è noto che significa
signore era = signora. Sembra difficile pensare al gallico Ēsus che è una
divinità; ovvero all’ittita eŝha (signora) che richiama l’accadico aššatu sposa
o l’ebraico iššā donna. Erus sembra derivato direttamente dall’accadico ešeru
legittimo: ‘colui che porta lo scettro’ che ha corrispondenti in aramaico hārā
e in ebraico hōr il nobile, il libero. Cfr. sul punto G. SEMERANO, Le origini
della cultura indoeuropea. Vol. 1. Rivelazioni della linguistica storica
Firenze Altrettanto complesso è il problema della ricostruzione etimologica di
dominus che parimenti significa signore. Si v. su questo É. BENVENISTE, Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee. 1. Economia, parentela, società. 2.
Potere, diritto, religione, Torino tr. rist. Sul punto è interessante la glossa
festina per cui alla voce dubenus (L. si legge: Dubenus apud antiquos
dicebatur, qui nunc dominus. Questa fonte consente di stabilire l’etimologia di
dominus in modo abbastanza affidante con un base di accadico dābinu, dappinu,
dapnu nel significato di potente, dominatore. Più propriamente nel senso di
dominatore ‘per titoli di valore specialmente bellico’ che, insieme all’accadico
dannum nel segno di ‘potente detto di re’ o ‘di divinità’, costituisce la base
semantica forse più risalente di tale vocabolo: SEMERANO, Le origini della
cultura europea. Il riferimento al significato di dominatore per titoli di
valore specialmente bellico è interessante perché è un dato coerente con l’uso
di erus e dominus in Plauto e Terenzio nel significato di padrone di schiavi
dato che in età antica la forma di procacciamento più diffusa di schiavi era la
conquista bellica. Secondo COLOGNESI, La struttura della proprietà (a cui si
rinvia per i passi di Plauto e Terenzio dove compare il termine dominus) la
sostituzione di erus con dominus sarebbe avvenuta nel de agri cultura di
CATONE. Cfr. MARUOTTI, Proprietà assoluta e proprietà relativa nella storia
giuridica europea, in Drevnee pravo-Ius Antiquum Mosca che ribadisce a p. 17
ancora la mancanza nel II secolo a.C. di vocaboli atti a esprimere
compiutamente un’idea astratta della signoria giuridica su una cosa, cioè
un’idea astratta di proprietà. La parola dominium, che rappresenta per
l’autrice la conquista dell’astratto, sarebbe comparsa solo ad opera di Alfeno
Varo (D.) o del suo maestro Servio Sulpicio Rufo, senza escludere però la
SACCHI Ed allora, se crediamo che Cicerone abbia utilizzato in Cic. de off. del
materiale paneziano, e non vedo come si possano superare le testimonianze di
Gellio e Pliniom præf., possibilità che l’autore dell’espressione dominium loci
riferita ad una questione di servitù prediali sia stato il giurista Paolo. Già
così però FRANCIOSI, Usucapio pro herede Studi sulle servitù prediali (Napoli
riprendendo R. MONIER, La date d’apparition du dominium et de la distinction
juridique des res en corporales et incorporales, in St. Solazzi PUGLIESE, Res
corporales, res incorporales e il problema del diritto soggettivo, in RISG
LAURIA, Usus, in St. Arangio Ruiz BRETONE, La nozione romana di usufrutto Così
COLOGNESI, La struttura della proprietà In senso critico nei confronti del
Franciosi v. COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura
praediorum in età repubblicana, Milano Poi, però, ancora G. FRANCIOSI, Gentiles
familiam habento. Una riflessione sulla cd. proprietà collettiva gentilizia,
inFranciosi, cur., Ricerche sull’organizzazione gentilizia romana 3 (Napoli
MANZO, La lex Licinia de modo agrorum. Lotte e leggi agrarie, (Napoli SACCHI, I
limiti e le trasformazioni dell’ager campanus fino alla debellatio in Ager
Campanus Atti del Convegno internazionale « La storia dell’ ager campanus, i
problemi della limitatio e sua lettura attuale, S. Leucio Napoli L’ager
Campanus antiquus. Fattori di trasformazione e profili di storia giuridica del
territorio dalla ΜΕΣΟΓΕΙΑ arcaica alla centuriatio romana (Napoli GARRIDO,
Derecho privado romano, Cfr. SOLAZZI, Alfeno Varo e il termine dominium, in
SDHI. Non è questa la sede per affrontare un tema complesso come quello
dell’affermazione della figura giuridica del dominium ex iure Quiritium,
proprietà privata immobiliare, nella giurisprudenza e nel diritto romano
dell’età arcaica e repubblicana, tuttavia, sulla storia della proprietà arcaica
a Roma si v. almeno WATSON, The Law of Property in the Later Roman Republic,
Oxford COLOGNESI, La struttura della proprietà DIOSDI, Ownership in Ancient and
preclassical Roman Law (Budapest GROSSO, Schemi giuridici e società nella
storia del diritto privato romano (Torino; GALLO, Potestas e dominium nella
esperienza giuridica romana, in Labeo, KASER, Das Römische Privatrecht;
STAERMAN, La proprietà fondiaria in Roma, in VDI. Gell. Vimercati: Legebatur
Panaeti philosophi liber de officiis secundus ex tribus illis inclitis libris
quos M. Tullius magno cum studio maximoque opere aemulatus est. Non esclude
un’influenza diretta di Panezio neanche Francesco De Martino che ritiene
possibile che questo filosofo possa essere stato fonte comune di Cicerone e
Appiano. Si v. MARTINO, Motivi economici nelle lotte dei populares, in
Ippolito, Nuovi studi di economia e diritto romano, Napoli. È probabile che i
passi ciceroniani [Cic. de off.] derivino da Panezio, che è citato poco più
sopra, il quale viveva sicuramente ancora al tempo delle agitazioni graccane e
scriveva dunque sotto dobbiamo quindi riconoscere che attraverso Cicerone è
possibile stabilire un legame molto stretto anche tra la nozione di proprietà
privata come dominium immobiliare, la cultura stoica, e il diritto romano
dell’epoca scipionico/cesariana. La cosa non sorprende se si pensa alla cd.
‘svolta ellenistica’ di giuristi come Ofilio, Trebazio e Aquilio Gallo, o allo
stoicismo di Catone Uticense Lucio Elio Stilone Preconiano Il discorso sul
rapporto tra Stoa e giurisprudenza romana nell’ultimo secolo della repubblica
però non si esaurisce qui perché si possono aggiungere nuovi argomenti di
discussione anche in ordine alla vexata quaestio della trasformazione del ius
civile romano da esercizio di abilità pronetica in ars iuris civilis 49 .
l’impressione provocata da esse. Data la somiglianza degli argomenti d’Appiano
e di Cicerone non è troppo ardito pensare che entrambe le fonti possano derivare
da Panezio o comunque da scrittori dell’epoca, il che spiega bene la
correttezza degli argomenti ». Sul punto si v. anche infra paragrafo Plin.
praef. = Vimercati frgm.: Tullius de Republica Platonis se comitem profitetur,
in Consolatione filiae Crantorem’ inquit ‘sequor’, item Panetius de Officiis.
Cic. de fin. Nam in Tuscolano cum essem vellemque e bibliotheca pueri Luculli
quibusdam libris uti, veni in eius villam ut eos ipse ut solebam depromerem.
Quo cum venissem, M. Catonem quem ibi esse nescieram vidi in bibliotheca
sedentem, multis circonfusum Stoicorum libris. Erat enim ut scis in eo aviditas
legendi, nec satiari poterat. Parlo di svolta ellenistica seguendo IPPOLITO,
L’organizzazione degli ‘intellettuali’ nel regime cesariano, in Quaderni di storia
Si v. sul punto con indicazioni bibl. USSANI, Tra scientia e ars. Il sapere
giuridico romano dalla sapienza alla scienza nei giudizi di Cicerone e
Pomponio, in Ostraka, Mantovani, Atti del seminario giuridico di S. Marino. Per
la storia del pensiero giuridico romano dall’età dei pontefici alla scuola di
Servio (Torino L’ars dei giuristi. Considerazioni sullo statuto epistemologico
della giurisprudenza romana (Torino ALBANESE, L’ars iuris civilis nel pensiero
di Cicerone, in AUPA. Studi con Albanese, Palermo Schiavone è tornato su questo
tema che era già stato al centro di un dibattito molto approfondito in
storiografia. Nel suo più recente lavoro [Ius] lo studioso parte dalla
ricorrenza terminologica in de oratore e in Brutus della parola ars riconducendovi,
tuttavia, uno scarto di significato. Nel de oratore. Per rif. bibl. e
discussione critica cfr. SCHIAVONE, Ius] ars significherebbe ancora ‘sistema’.
In Brutus Cfr. per bibl. e disc. SCHIAVONE, Ius] la parola sarebbe stata usata
nel significato di ‘conoscenza tecnico-specialistica di una determinata
disciplina, senza alcuna SACCHI All’interno di un dibattito certamente più
ampio, in questa sede mi riferirisco al ruolo svolto dalla figura di Elio
Stilone Preconiano, un’intellettuale che visse proprio negli anni a cavallo tra
la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. Fu proprio grazie a questo
personaggio che a Roma si cominciò a studiare la struttura del latino. Proprio
Stilone, che fu maestro di Varrone reatino, oltre che dello stesso Cicerone, sull’esempio
degli alessandrini, fondò una scuola di filologia a Roma e per primo applicò
l’etimologia al materiale linguistico latino mettendo in primo piano il ruolo
del neologismo. Ebbene, nel processo di trasformazione del ius civile in una
tèchne, insieme all’acquisizione della metodologia diairetica appresa dalle
scuole filosofiche greche di varia estrazione culturale, un ruolo di primissimo
piano potrebbe essere stato svolto proprio dalla metodologia filologica che
trovò in Stilone e nella scuola stoica, il suo accentuazione degli aspetti
sistematici’. Alla lettera Ars traduceva sempre qualcosa che stava, in greco,
tra la techne e l’epistème: nel De oratore, sottolineandone le implicazioni
sistemiche; nel Brutus, il lato più genericamente gnoseologico. A mio sommesso
avviso il grande salto di qualità dei giuristi romani formatisi alla scuola
degli eruditi/grammatici/filosofi/linguisti di derivazione del PORTICO (che
però non vuol dire rifiuto o ignoranza della tradizione filosofica precedente.
Uno per tutti: Cic. Tusc. Credamus igitur Panaetio all’ACCADEMIA suo
dissentienti?) è stato di passare, da una condizione di eccellenza
nell’esercizio di un sapere pratico (phronètico), vicino alla forma
‘doxastica’, dove ciò che contava era la capacità di adeguare la conoscenza
della norma al fatto concreto (in questo senso, saggezza), ad una ricerca di
ciò che è scientificamente esatto, che appunto è campo di elezione
dell’epistème. Su Elio Stilone Preconiano cfr. FUNAIOLI, Grammaticæ Romanæ
Fragmenta, Stuttgart. Non come soltanto grammatico cfr. SACCHI, Il mito del
pius agricola e riflessi del conflitto agrario dell’epoca catoniana nella
terminologia dei giuristi medio/tardo repubblicani, RIDA. Per la posizione
della dottrina prevalente su tale personaggio cfr. SINI, A quibus iura civibus
praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C. (Torino. Sul valore
che IL PORTICO ROMANO assegnava all’esatto significato delle parole si v.
PARENTE, Filosofia e scienza nel pensiero ellenistico. Sulle teorie di semiotica
e linguistica filosofica – filosofia del linguaggio e semantica e pragmatica
del PORTICO ROMANO cfr. ATHERTON, IL PORTICO on ambiguity, Cambridge, AX, Der
Einfluss der LIZIO auf die Sprachtheorie [teoria del linguaggio] der PORTICO,
in Döring ed Ebert, cur., Dialektiker und Stoiker: zur Logik der stoa und ihrer
Vorlaufer, Stuttgart FORSCHNER, Die Stoische Ethic. Über den Zussammenhang von
Natur-Sprach und Moral philosophie im altsoischen – PORTICO ROMANO – System,
Darmstadt. Sul rapporto tra le teorie linguistiche –
flosofia del linguaggio, semantica, pragmatica -- di Favorino di Arles e le
teorie linguistiche del PORTICO ROMANO si v. QUERZOLI, Il sapere di
Fiorentino.] punto di massima realizzazione. E’ questo un argomento che non
credo sia stato ancora sufficientemente approfondito in dottrina. A supporto di
tale ipotesi si può richiamare un frammento famosissimo del de oratore, in cui
CICERONE, attraverso Crasso, parlando degl’Æliana studia, rievoca con nostalgia
le lezioni e i corsi tenuti da questo maestro. A leggere con attenzione le sue
parole, sembra che in questo caso CICERONE stia facendo un discorso apologetico
su ciò che si potrebbe considerare anche una testimonianza del primo approccio
allo studio del diritto romano articolato in chiave storica. Un modello, fra
l’altro, che pare sensibilmente diverso nella sostanza dallo schema isagogico
offerto dal celeberrimo trattatello pomponianio: Cic. de or. Accedit vero, quo
facilius percipi cognoscique ius civile possit, quod minime plerique arbitrantur,
mira quaedam in cognoscendo suavitas et delectatio. Nam, sive quem haec Æliana
studia delectant, plurima est et in omni iure civili et in pontificum libris et
in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et verborum vetustas prisca
cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem vitamque
declarant. Insieme a questo, vanno considerate altre situazioni che sono
tipiche del periodo che stiamo trattando. Mi riferisco alle dispute tra i
giuristi repubblicani sul significato della penus legata, agli adeguamenti
terminologici del testo decemvirale e anche al complesso Schiavone Ius, in una
messa a punto molto interessante, pare voler superare il giudizio negativo e
minimizzante di Fritz Schulz sul rapporo tra filosofia greca e giuristi romani.
Sul punto, già con riferimento al contributo stoico, si v. la posizione di
Paolo Frezza per cui rinvio a retro. Da tener presente anche BRETONE, Uno
sguardo retrospettivo. Postulati e aporie nella History di Schulz, in Tecniche
e ideologie dei giuristi romani [Festschrift für Franz Wieaker zum Geburstag
(Göttingen che affronta il problema discutendo il cosiddetto ‘secondo
postulato’ di Schulz, ossia l’isolamento della scienza giuridica. Significativa
la seguente affermazione È nota la sensibilità grammaticale [cf. GELLNER on H.
P. GRICE], ancora tutta da indagarem di parecchi fra i giureconsulti. Come gli
antiquari e i filologi, essi praticano la ricerca delle etimologie. Ma non è la
ricerca delle etimologie, con tutto ciò che sottintende, carica di significato
filosofico? Sul metodo diairetico si v. C.A. CANNATA, Per una storia della
scienza giuridica europea Per la penus legata cfr. ORMANNI, Penus legata.
Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età
repubblicana e classica, in Studi E. Betti 4 (Milano) 652 ss. (indicazioni
bibl. SINI, A quibus iura civibus praescribebantur (con altre indicazioni
bibl.) SACCHI problema della incorporazione tra lex e interpretatio. Bisogna
anche aggiungere che Elio Stilone fece molto probabilmente un commento alle XII
tavole. Ed allora, senza la svolta determinata dagli studi di filologia
importati dalla Grecia e sviluppatisi intorno alla figura di Cratete di Mallo,
che fu appunto maestro di Panezio e Stilone, sarebbe semplicemente impensabile
che i giuristi romani si fossero potuti occupare di questioni del genere55 . 9.
Lessus, bona fides e dominium quiritario: ars diventa scientia. Qualche esempio
pratico forse può aiutare a chiarire meglio il discorso che sto facendo. Il
primo, che per la verità è forse poco più di una suggestione, riguarda la
storia della parola lessus che è causa di [Sul tema dell’incorporazione tra lex
e interpretatio cfr. BRETONE, I fondamenti; FRANCIOSI, Due ipotesi di
interpretazione formatrice: dalle dodici tavole a Gai. e il caso dell’usucapio
pro herede, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana
alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo (Napoli
SACCHI, L’antica eredità e la tutela. Argomenti a favore del principio
d’identità, in SDHI.; ID., Il privilegio dell’esenzione dalla tutela per
vestali (Gai.). Elementi per una datazione tra innovazioni legislative ed
elaborazione giurisprudenziale, in RIDA. I seguenti frammenti di carattere
lemmatico mi paiono sufficienti per giustificare l’ipotesi avanzata nel testo:
GRF. (Funaioli) [Cic. top.]: is est assiduus, ut ait Aelius, appellatus ab aere
dando; GRF. (Funaioli) [Cic. de leg.]: L. Aelius lessum [suspicatur] quasi
lugubrem eiulationem, ut vox ipsa significat; GRF. (Funaioli) 36 [Fest.]: sonticum
morbum in XII significare ait Aelius Stilo certum cum iusta causa; GRF.
(Funaioli) [Fest.]: transque dato nota vit Aelius in XII significare
traditoque; GRF. (Funaioli) [Paul.-Fest.]: endoplorato implorato, quod est cum
quaestione inclamare; GRF. (Funaioli) [Paul.-Fest.; Cic. de leg.]: forum – cum
is forum antiqui appellabant, quod nunc vestibulum sepulchri dici solet; GRF.
(Funaioli) [Prisc.]: ELIO: inpubes libripens esse non potest neque antestari,
prodiamartyreϑ∂nai; GRF (Funaioli) [Plin.]: inde illa XII tabularum lex: ‘qui
coronam parit ipse pecuniave eius, virtutis suae ergo duitor ei’. Quam servi
equive meruissent, pecunia partam lege dici nemo dubitavit. Quis ergo honos? ut
ipsi mortuo parentibusque eius, dum intus positus esset forisve ferretur, sine
fraude esset inposita; GRF. (Funaioli) [Fest.]: viginti quinque pœnae in XII
significat viginti quinque asses. Sul punto v. anche O. SACCHI, Il mito del
pius agricola Sullo stoicismo di L. Elio Stilone cfr. Cic. Brutus: Sed idem
Aelius Stoicus esse voluit. un interessato dibattito sin dall’epoca più
antica56 . Sappiamo da Cicerone che un versetto delle XII tavole (neve lessum
funeris ergo habento) stabiliva che la donna romana avrebbe dovuto conservare
la sua dignità di fronte al dolore per un familiare scomparso: Cic. de leg. Hoc
veteres interpretes Sex. ELIO, L. ACILIO non satis se intellegere dixerunt, sed
auspicari vestimenti aliquod genus funebris, L.Aelius lessum quasi lugubrem
eiulationem, ut vox ipsa significat; quod eo magis iudico verum esse, quia lex
Solonis id ipsum vetat. Il retore, come è noto, tornerà sul punto nelle
Tusculanae Cic. Tusc. Ingemescere non numquam viro concessum est, idque raro,
eiulatus ne mulieri quidem; et hic nimirum est ‘lessus’, quem duodecim tabulae
in funeribus adhiberi vetuerunt. Come si vede due espertissimi esegeti antichi,
Sesto Elio e Lucio Acilio, misurandosi sul significato di tale vocabolo
confessarono di non comprenderne il significato (non satis se intellegere
dixerunt) e avrebbero tradotto lessus nel significato di ‘abiti da lutto’
(auspicari vestimenti aliquod genus funebris). Cicerone, invece, dichiarando
apertamente di seguire Stilone, dimostra di aver optato per il significato di
‘lugubre pianto’ (lessum quasi lugubrem eiulationem). Lessus, in sostanza,
avrebbe il significato di ‘nenia funebre. Si v. con rif. bibl. essenziali SINI,
A quibus iura praescribebantur Ritorna sul tema IPPOLITO, Problemi
storico-esegetici delle XII tavole Napoli che rileva l’uso di genus in
accezione diairetica e riconduce da parte d’Elio il termine lessus nel
circoscritto ambito degli abiti funerari e quindi di un oggetto. Lo studioso
napoletano [citando BONA, La certezza del diritto nella giurisprudenza
tardo-repubblicana, in La certezza del diritto nell’esperienza giuridica
romana] ipotizza che Stilone possa aver ragionato prendendo come riferimento
l’opera canonizzata da Sesto Elio.Acilio fu detto sapiens nella stessa epoca di
Catone Censore [Cic. de leg.; Lael.; P. in D. accettando l’emendazione di P.
Atilius in L. Acilius. Così COSTA, Storia delle fonti del diritto romano
(BRETONE, Cicerone e i giuristi, in Techniche e ideologie dei giuristi romani,
Rimarchevole per me che un altro Acilio, senatore, fa da interprete innanzi al
senato in occasione della famosa perorazione di Carneade, Diogene e Critolao
ricordata anche da Cic. Acad.; Tusc.; Plut. Cato; Gell. Et in senatum quidem
introducti interprete usi sunt Acilio senatore. SACCHI La soluzione di Elio
Stilone, come è noto, prevalse. E la ragione è forse meno complicata di quanto
si sia ritenuto finora. La spiegasione di Stilone fu probabilmente solo quella
scientificamente più corretta ed è possibile che di questo Cicerone fosse
pienamente consapevole. Non quindi una scelta fatta dall’Arpinate in base ad un
confronto che avrebbe fatto lo stesso Stilone con le norme soloniche; né una
soluzione al problema interpretativo sulla considerazione che Cicerone sarebbe
stato convinto che la norma attribuita alla decima tavola avesse delle
ascendenze soloniche. Il ragionamento che Federico Maria d’Ippolito fa al
riguardo è sicuramente corretto. Se la soluzione interpretativa proposta da
Stilone, e accolta da Cicerone quando attese alla compilazione del de legibus e
quando scrive le Tusculanae disputationes, avesse prevalso per la sua
corrispondenza all’omologa prescrizione solonica, Sesto Elio e Lucio Acilio non
avrebbero avuto problemi interpretativi e, aggiungerei, non avrebbero sbagliato
in modo così vistoso. La soluzione evidentemente va cercata in altra direzione,
che, per altro, non è certo quella onomatopeica. La parola lessus o le lezioni
lausum e losum indicate dal Lipsio commentando il famoso passo del Truculentus
plautino in cui Theti con il suo lamento lessum fecit filio, infatti potrebbe
derivare da una lingua di ceppo semitico, dato che in ebraico lahas significa
strazio. Ebbene, uno dei maggiori esponenti dello stoicismo (alla cui scuola si
formarono proprio Panezio e Stilone) è Crisippo di Soli, che aveva delle
origini semitiche, e scrisse, come Stilone, un trattato sulle proposizioni
giudicative. Evidentemente, senza l’influenza della cultura stoica, il problema
del significato etimologico di lessus sarebbe rimasto per i Romani insoluto. La
via [Così BOESCH, De XII Tabularum lege a graecis petita citato d’IPPOLITO,
Forme giuridiche di Roma arcaica3 (Napoli IPPOLITO, Forme giuridiche di Roma
arcaica Plaut. Truc. Theti quoque etiam lamentando pausam fecit filio. Questa
versione è quella accolta da LINDSAY, T. Macci Plauti Comoediae II (Oxonii che
segue l’integrazione di VALLA (si veda), ma Schoell restituisce lausam e il
codice Palatino lausum. Nell’edizione di ANGELIO (traduzione e note di), Le
Commedie di M. Accio (sic!) Plauto (Venezia) si legge: Thetis quoque etiam
lamentando lessum fecit filio, così tradotto: « A questo modo Tetide,
piagnucolando, cantò ancor la nenia ad Achille suo figlio. Si v. sul punto
SEMERANO, L’infinito: un equivoco EQUIVOCO GRICE millenario. Le antiche civiltà
del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco (Milano LE NOZIONI DI STATO
E DI PROPRIETA IN PANEZIO Revue Internationale des droits de l’Antiquité giusta
è suggerita invece attraverso l’analisi dei corretti significati che fu, come
abbiamo visto, uno dei temi dominanti di influenza della cultura medio-stoica.
Una realtà che, dobbiamo presumere, non risparmiò neanche il campo
dell’interpretazione giuridico/antiquaria. Il secondo esempio riguarda la
teoria della fides bona nei giuristi della scuola muciana dell’età tardo
repubblicana. Bretone spiega molto bene come la fides bona (ovvero la pistis)
sia rientrata nel campo semantico della fiducia perchè frutto di un pensiero
giuridico evoluto. Esemplari sul punto le parole di Bretone. Come la pistis,
anche la fides bona rientra nel campo semantico della fiducia. Tutti i
contratti del diritto commerciale, e non solo la compravendita, hanno nella
‘buona fede’ la norma che fonda il vincolo e misura la responsabilità. Non è un
valore giuridico del tutto nuovo, ma acquista ora una grande portata. Nella
buona fede, un pensiero giuridico evoluto potrà individuare l’elemento comune
di istituti diversi, anche nella stessa tradizione civilistica. Si potrebbe
ipotizzare che la teoria della fides ciceroniana, come valore assolutamente
originale per le conoscenze giuridiche dell’epoca medio/tardo repubblicana, non
sia frutto solo dell’ingegno di pochi, ma anche conseguenza dell’incontro tra
la filosofia stoica e le conoscenze dei giuristi romani. La questione va
storicizzata. Pensiamo al contributo offerto per l’evoluzione del ius civile
dalla scuola dei Mucii Ebbene, la nota teoria della fides ciceroniana sul
valore del giuramento richiama proprio l’altrettanto nota teoria muciana
sull’importanza della fides per la struttura dei rapporti obbligatori della
emptio venditio e della locatio conductio. Ai tempi di Plauto era in voga
ironizzare sulla graeca fides. I giuristi di quella che all’epoca di Scipione
Africano minore si credeva fosse una nascente res publica (ma finse di crederlo
anche Ottaviano Augusto) tentarono però di costruire nuovi schemi giuridici confortati
proprio da nuovi schemi teorici provenienti dalla Grecia. Anche questo un segno
della maturazione dei tempi. Dobbiamo rifarci, allora, ancora al famosissimo
frammento del de officiis ciceroniano in cui il retore fa un discorso sul
concetto di fides come ‘obbligo di onestà sostanziale’ che è un concetto che si
fonda BRETONE, Storia del diritto romano Sulla scuola dei Muci cfr. CANNATA,
Per una storia della scienza giuridica proprio sulla nozione di fides/pistis.
Cicerone in questo caso rileva con enfasi e consapevolezza: « un significato
profondo in tutti quei giudizi arbitrali in cui è aggiunta la clausola ‘secondo
buona fede’, ex fide bona. Resta quindi solo l’eco della fides arcaica intesa
nel senso descritto prima, in un’ottica pertanto marcatamente ideologica,
circostanza che Gellio, in un altro passo famoso, coglie peraltro molto bene66
. Possiamo pensare a questo punto all’influenza del pensiero stoico data la
forte incidenza dell’ethos nel modo di impostare il problema da parte di
Cicerone, cosa di cui peraltro ci dà anche una chiara testimonianza Gellio. La
cosa non deve sorprendere se si pensa che la riflessione ciceroniana è tratta
dal de officiis che, a sua volta, sarebbe stato ispirato ampiamente (almeno i
primi due libri in modo quasi letterale) al PerÁ toy kau¸kontoq, Sul dovere
morale, di Panezio. Se non bastassero i chiarissimi riferimenti di Plinio e
Gellio, citati prima68, è lo stesso Cicerone che elimina ogni [Rinvio per
questo a SACCHI, I maiores di Cicerone e la teoria della fides nelle scuole
giuridiche dell’età repubblicana a Roma, in Atti in onore di Franciosi Napoli
Cic. de off. Sed, qui sint boni et quid sit bene agi magna quaestio est. Q.
quidem Scaevola, pontifex maximus, summam vim esse dicebat in omnibus iis
arbitriis, in quibus adderetur ‘ex fide bona’. Il virgolettato è di BRETONE,
Storia del diritto romano. Il significato della nozione di buona fede pertanto
nelle parole di Cicerone si slarga fino a diventare operante: nelle tutele,
nelle società, nei patti fiduciari, nei mandati, nel comprare e nel vendere,
nel locare: tutti rapporti nei quali si manifesta la vita comune di tutti gli
uomini -- fideique bonae nomen existimabat manare latissime, idque versari in
tutelis, societatibus, fiduciis, mandatis, rebus emptis, venditis, conductis,
locatis, quibus vitae societas contineretur. Si v. su questo ancora BRETONE
WIEACKER, Zum Ursprung der bonae fidei iudicia Fra l’altro in questo passo
rileva anche un uso suggestivo del termine maiores: Gell. Omnibus quidem
virtutum generibus exercendis colendisque populus Romanus e parva origine ad
tantae amplitudinis instar emicuit, sed omnium maxime atque praecipue fidem
coluit sanctamque habuit tam privatim quam publice. Hanc autem fidem maiores
nostri non modo in officiorum vicibus, sed in negotiorum quoque contractibus
sanxerunt maximeque in pecuniae mutuaticae usu atque commercio. Sul punto si v.
FEDELI, Il De officiis di Cicerone. Problemi e atteggiamenti della critica
moderna, in ANRW. (Berlin dubbio al riguardo: de off.: sequimur igitur hoc
quidem tempore et hac in quaestione potissimum Stoicos; de off. erit autem haec
formula Stoicorum rationi disciplinaeque maxime consentanea. Come non citare,
infine, Lattanzio che afferma Nella sua casa di Pozzuoli, Cicerone rivolgendosi
ad Attico, dichiara esplicitamente che i primi due libri del de officiis sono
deliberatamente ispirati al libro paneziano (ta perÁ toy kau¸kontoq quatenus
PANEZIO, absolvi duobus) e che lo stesso titolo corrisponde alla
translitterazione del titolo dell’opera paneziana. Quod de inscriptione
quaeris, non dubito quin perÁ toy kau¸ kontoq ‘officium’ nisi quid tu aliud.;
sed inscriptio plenior De officiis). Quanto al terzo libro del de officiis, mi
pare che non si posa seriamente dubitare che sia stato ispirato dall’opera di
Posidonio, maggiore allievo di Panezio, ancorchè mediata dall’epitome di un
altro filosofo stoico che corrisponde al nome di Atenodoro di Tarso. A tutto
questo va aggiunto che il noto frammento ciceroniano del de officiis potrebbe
essere attribuito al pensiero di Panezio come mostra di credere Vimercati: de
off., Vimercati: Fundamentum autem est iustitiae fides, ‘is est dictorum
conventorumque constantia et veritas. Cic. ad Att. Haec ad posteriorem. perÁ toy kau¸ kontoq
quatenus Panaetius, absolvi duobus. Illius tres sunt; sed cum initio divisisset
ita, tria genera exquirendi offici esse, unum, cum deliberemus honestum an
turpe sit, alterum utile an inutile, tertium, cum haec inter se pugnare
videantur, quo modo iudicandum sit, qualis causa Reguli, redire honestum,
manere utile, de duobus primis preclare disserit, de tertio pollicetur se
deinceps scripturum sed nihil scripsit. Eum locum Posidonius persecutus est.
Ego autem et eius librum arcessivi et ad Athenodorum Calvum scripsi ut ad me ta
kefålaia mitteret; quae expecto. Quod de inscriptione quaeris, non dubito quin kau∂kon
officium sit nisi quid tu aliud; sed inscriptio plenior De officiis. Sono da considerare in questo quadro anche: Cic. de
off. [Vimercati Alesse. Fides autem ut habeatur duabus rebus effici potest, si
existimabimur adepti coniunctam cum iustitia prudentiam. Nam et iis fidem
habemus quos plus intellegere quam nos arbitramur quosque et futura prospicere
credimus et, cum res agatur in discrimenque ventum sit, expedire rem et
consilium ex tempore capere posse; hanc enim utilem homines existimant veramque
prudentiam; e de off. [Vimercati Alesse. Iustis autem et fidis hominibus, id est bonis viris, ita
fides habetur ut nulla sit in iis fraudis iniuriaeque suspicio. Itaque his salutem nostram,
his fortunas, his liberos rectissime committi arbitramur. Harum igitur duarum
ad fidem faciendam iustitia plus pollet, quippe cum ea sine prudentia satis
habeat auctoritatis, prudentia sine iustitia nihil valeat ad faciendam fidem. Quo enim qui versutior et
callidior, hoc invisior et suspectior detracta opinione probitatis. Quam ob rem
intellegentiae iustitia coniuncta quantum volet habebit ad faciendam fidem
virium. Iustitia sine prudentia multum poterit, sine iustitia nihil valebit
prudentia. Specialmente nel primo di questi due
frammenti, dove si dà rilievo alla posizione di coloro che mostrano si sapere e
di avere competenza in quello che fanno, è immediato il riferimento a Senofonte
(mem.) che dimostra quanto Panezio (e quindi Cicerone) si fosse ispirato, fra
l’altro, nella sua concezione del dovere, anche a modelli socratici. Cfr.
GARBARINO, Il concetto etico-politico di gloria nel div. inst.: Ab his
definitionibus (n.d.r., virtutis), quas poeta (n.d.r., Lucilius) breviter
comprehendit, Marcus Tullius traxit officia vivendi Panaetium Stoicum secutus
eaque tribus voluminibus inclusit. Quanto al rapporto tra pensiero filosofico
della media stoa e la scuola dei Muci, le fonti dimostrano che questo è stato
molto stretto e non se ne può dubitare. Basti ricordare, l’illius tui di
Licinio Crasso riferito a Panezio nei confronti di Mucio Scevola del celebre
frammento del de oratore di Cicerone: Cic. de orat. [= Vimercati Alesse. Audivi
Crassus enim summos homines, cum quæstor ex Macedonia venissem Athenas florente
Academia, ut temporibus illis ferebatur, cum eam Charmadas et Clitomachus et
Aeschines optinebant. Erat etiam Metrodorus, qui cum illis una etiam ipsum
illum Carneadem diligentius audierat, hominem omnium in dicendo, ut ferebant,
acerrimum et copiosissimum; vigebatque auditor Panaeti illius tui [= Scaevola]
Mnesarchus et peripatetici Critolai Diodorus, de officiis di CICERONE, in Tra
Grecia e Roma. Temi antichi e metodologie moderne, Roma; ERSKINE, The
Ellenistic PORTICO. Political Thought and Action, London; ALESSE, cur. Panezio
di Rodi, Testimonianze, Napoli. Insieme a questi, POHLENZ, La Stoa, ricorda:
l’altro genero di Lelio, insieme a Mucio Scevola, Gaio Fannio; il nipote di
Scipione Emiliano, Quinto Elio Tuberone; Publio Rutilio Rufo -- Cic. Brutus
Habemus igitur in Stoicis oratoribus Rutilium; Marco Vigellio e il nipote di
Scevola, Quinto Mucio Scevola il pontefice massimo, l’antagonista di Crasso
nella causa curiana; inoltre, Spurio Mummio (Cic. Brutus: Spurius autem nihilo
ille quidem ornatior, sed tamen astrictior; fuit enim doctus ex disciplina
Stoicorum) e Manio Manilio. L’elaborazione dell’editto provinciale, fatta da Q.
Mucio con l’aiuto di Rufo (che poi Cicerone riprende nel suo impianto di base)
è rimasto proverbiale (e non a caso inviso ai publicani) come esempio di
intransigenza stoica. Sull’esistenza di un rapporto strettissimo tra Stoa e
pensiero giuridico romano dell’età cesariana non si può quindi dubitare. La
questione della fides, e del suo rilievo morale, come espressione di un nuovo
sentimento etico, potrebbe quindi essere visto come uno dei tanti riflessi che
l’influenza del pensiero stoico produsse nelle persone di cultura a Roma a
partire dal secondo secolo a.C. Cfr. sul punto specifico CARDILLI, Bona fides
tra storia e sistema con riflessioni anche sul pensiero labeoniano. Ora anche
A. SCHIAVONE, Ius L’impegno profuso da Aquilio Gallo, il difensore
dell’aequitas, nel cercare il fondamento definitorio del dolus malus è stato
visto, insieme alla considerazione della buona fede in Quinto Mucio Scevola, esattamente
come conseguenza di una volontà di dare maggiore rilievo, nell’ambito del
diritto formale, al nuovo sentimento etico portato dal Portico tra gli
intellettuali culturalmente L’ultimo esempio ci consente di tornare alla
nozione di proprietà fondiaria di cui parlavamo prima e di avviarci anche
rapidamente alla conclusione. Proprio attraverso Varrone, seguiamo infatti una
traccia sottile che attesterebbe un collegamento diretto tra la metodologia
filologico antiquaria di Elio Stilone e i giuristi dell’età ciceroniana. Tale
traccia porta fino a Servio Sulpicio Rufo e alla sua scuola che Cicerone, come
sappiamo, considerava all’avanguardia. In un noto frammento di Gellio sulle
favissae Capitolinae è attestato uno scambio di corrispondenza proprio tra tale
giurista e Varrone e si riconosce in Servio curiosità grammaticale e un gusto
antiquario di marcato stile varroniano: Gell. Servius Sulpicius iuris civilis
auctor, vir bene litteratus, scriptis a VARRONE rogavitque, ut rescriberet,
quid significaret verbum, quod in censoris libris scriptum esset. Id erat
verbum favisæ Capitolinæ. Allo stesso modo, Alfeno Varo, Servi Sulpicii
discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, risulta coinvolto in una
questione filologico-esegetica sul rapporto etimologico tra i termini purum e
putum -- Gell. Se queste testimonianze sono attendibili, si potrebbe dire
allora che la generazione dei giuristi dell’età cesariana seppe trasformare in
realtà concreta ciò che all’epoca del circolo del terzo SCIPIONE si potè più sensibili
della società romana. In questo senso mi pare molto indicativa la seguente
testimonianza di VARRONE sulle conseguenze delle deliberazioni del pretore in
giorni nefas: Varro l.L. Praetor qui tum factus est, si imprudens fecit,
piaculari hostia facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius abigebat eum
expiari ut impium non posse. Cic. Brutus Sulla scuola di Servio Sulpicio Rufo
v. BRETONE, Il responso e la scuola di Servio, in Tecniche e ideologie dei
giuristi romani Cfr. SCHIAVONE, Ius. Gell. Alfenus iureconsultus, Servii
Sulpicii discipulus rerumque antiquarum non incuriosus, in libro digestorum
tricesimo et quarto, coniectaneorum autem secundo: « in foedere » inquit « quod
inter populum Romanum et Carthaginienses factum est, scriptum invenitur, ut Carthaginienses
quotannis populo Romano darent certum pondus argenti puri puti, quaesitumque
est, quid esset ‘purum putum’. Respondi » inquit « ego ‘putum’ esse valde
purum, sicuti novum ‘novicium’ dicimus et proprium ‘propicium’ augere atque
intendere volentes novi et proprii significationem. SACCHI solo teorizzare.
Forse non si riuscì a determinare l’ideale della res publica che rimase un
modello meramente teorico, però si portò a termine il processo di
trasformazione della possessio dell’ager publicus in dominium quiritario che fu
uno dei problemi che afflisse di più gli intellettuali del circolo scipionico,
se è vero quanto Manio Manilio riferisce di Gaio Lelio sul suo interesse ad
applicare al diritto romano la distinzione tra ciò che era ‘proprio’ e ciò che
era ‘di altri. Sono veramente alla conclusione e vorrei citare uno dei più
grandi maestri della filologia moderna, August Boeckh. Questi ha scritto, in
termini solo apparentemente paradossali, che i popoli o gli individui ‘colti’,
avendo evidentemente la consapevolezza di un passato da custodire e da
tramandare, sentirono inevitabilmente, come segno di maturità, l’esigenza di
filologhéin (filologe¡n). Popoli incolti e privi di senso della tradizione,
poterono al più, filosoféin (filosofe¡n). Riflettendo su quanto detto finora,
questa affermazione forse ci conduce direttamente al cuore del problema. I
giuristi romani degli ultimi due secoli della repubblica, sia pure con diverse
sfumature di approccio, seppero infatti sentire l’esigenza di filologhéin. Lo
dimostra la cura con cui il testo delle XII tavole e conservato fino all’epoca
di Sesto Elio e ancora discusso e interpretato in epoca scipionico-cesariana.
Opere di taglio giuridicofilologico, come quelle di Lucio Acilio, Elio Stilone,
Aquilio Gallo e [Mi riferisco a Q. Elio Tuberone, l’allievo di Ofilio, che
riconobbe a Cesare e Pompeo la volontà di salvare insieme la res publica come
fine della loro contentio dignitatis (Suet. Iul.). Augusto aveva adibito il
principio della concordia cesariano-pompeiana come postulato necessario per la
costruzione della sua idea di res publica appoggiata dagli intellettuali
dell’epoca cesariana. In questo quadro si chiariscono le famose parole riferite
da Macrobio ad Augusto in cui si definisce Catone Uticense buon cittadino
perché non voleva che si modificasse l’ordine costituito (Macr. sat. de
pervicacia Catonis ait: quisquis praesentem statum civitatis commutari non
volet et civis et vir bonus est). Ampio ragguaglio sui vari tipi di
costituzione teorizzati negli ambienti colti romani dell’epoca scipionica in
CANCELLI, CICERONE, Lo Stato Cic. de rep. Tum Manilius: Pergisne eam, Laeli,
artem inludere, in qua primum excellis ipse, deinde sine qua scire nemo potest,
quid sit suum, quid alienum? Su Lelio come stoico v. anche Cic. Lael. BOECKH,
Enzyklopädie und Methodenlehre der philologischen Wissenschaften, Leipzig,
MASULLO, La filologia come scienza storica, cur. Garzya, Napoli]. Verrio Flacco
e le incursioni non sporadiche di Servio e di Alfeno Varo in questo campo, ne
sono una chiara dimostrazione. I filosofi stoici smisero di considerare (come
l’ACCADEMIA) la filosofia come il tutto di fronte alle parti e fecero entrare
tale disciplina in rapporto con la scienza parziale. L’attività della
giurisprudenza romana, da usus consolidato nella prassi (cavere, agere e
respondere) ed espressione di un sapere -- si potrebbe dire, alla greca
phronètico -- seppe invece trasformarsi in ars. E questo, probabilmente, non
soltanto grazie all’uso della diairetica, cioè delle metodologie importate dal
mondo culturale ellenico, ma anche per effetto dell’applicazione della
filologia allo studio del diritto. Mi diverte allora pensare, e concludo, che i
giuristi romani potrebbero essersi comportati da ‘colti’, a differenza dei
filosofi greci, che sembrerebbero essere rimasti confinati per sempre nel loro
meraviglioso, ma forse ‘incolto’, isolamento. Parafrasando Nietzsche. Quae
philosophia fuit, facta philologia est. Inutile dire che in questo caso il
filologo/filosofo tedesco si sta richiamando ad un passaggio delle Epistulae di
Seneca che fu uno degli esponenti migliori dello stoicismo romano del periodo
post paneziano M. ISNARDI PARENTE, Techne. Momenti del pensiero greco da
Platone a Epicuro, Firenze. Sul significato del concetto di ars si v. retro nt.
Sen. ep. V. anche M. POHLENZ, Il Portico. Sulla figura di Nietzsche filologo
rinvio alle belle pagine di M. GIGANTE, Classico e mediazione. Contributi alla
storia della filologia antica, Roma, [=in Rendiconti dell’Accademia di
Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli]. Pompeo
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The uncle of Pompeo, the general.
He is well versed in the Portico and a man of considerable learning, especially
in the area of geometry. Sesto
Pompeo.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Pompeo: la ragione conversazionale al portico romano –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A statesman and general ultimately
defeated in the civil war against GIULIO (si veda) Cesare. A pupil of Posidonio
at Rome. It is said that this tutelage had a great effect on him – “It changed
my life” -- but it is not clear to what extent Pompeo himself became a follower
of the Portico. Gnaio Pompeo Magno.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pomponazzi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale materiale – Shropshire
– A Soul -- l’affair Pomponazzi – la scuola di Mantova -- filosofia lombarda --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova).
Flosofo italiano. Mantova, Lombardia. Important Italian philosopher. Studia a Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna
a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De
maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico del Lizio. Scrive
il “Trattato dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero
arbitrio e la predestinazione” (Grataroli, Basilea) e il “De naturalium
effectuum causis, sive de incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a
commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus de immortalitate animæ,” in
cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata
razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la pubblicazione è
pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per eresia, la difesa
di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. É condannato da Leone X
a ri-trattare la sua tesi. Non ri-tratta. Si difende con la sua Apologia e con
il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De immortalitate
animæ libellus di NIFO (si veda), in cui sostiene la distinzione tra verità di
fede e verità di ragione, idea ripresa da ARDIGÒ (si veda). Evita ogni problema
pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus animalium” e
il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici del LIZIO, l'anima è l'atto –
entelechia -primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza
che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la
funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono
e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani
hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri
umani comprendono. La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le
immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto
intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità.
L’intelletto possibile o passivo è la capacità umana di intendere. L’intelletto
attuale o attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene
in atto ogni intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce
mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e
dunque sono in potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che
nell'intelletto possibile e soltanto in potenza. L'intelletto agente è
separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo
quel che è realmente. Questo è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la
forma esista anche dopo la dis-soluzione del composto. Per alcune cose nulla lo
impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua
interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza
separata dell'anima intera. I parepatetici del LIZIO a Padova si sono divisi in
due correnti: gli’averroisti e gl’alessandrini, seguaci questi delle
interpretazioni di Alessandro di Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una
concezione influenzata dall’idealismo sosteneno l'unicità e la trascendenza non
solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto possibile, che per lui
non appartiene agl’uomini ma è unico e comune all'intera specie umana.
Gl’alessandrini manteneno l'unicità dell'intelletto agente, che fano coincidere
con il divino, ma attribuisceno a ciascun uomo un intelletto possibile
individuale, mortale insieme con il corpo. Va ricordato che per AQUINO (si
veda) nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura – simpliciter -immortale,
ma per un certo aspetto -secundum quid -mortale, in quanto anche legata alle
funzioni più materiali dell'essere umano. Trae spunto da una discussione con
RAGUSEO (si veda) il quale, avendo sostenuto che la teoria d’AQUINO sull'anima
non si accorda con quella aristotelica del LIZIO, lo prega di provare le sue
affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fanno bene gl’antichi a porre
gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini, né
puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e
stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini
sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono
quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie.
Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la
virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del
corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molte-plice, non
determinata ma bi-fronte – ancipitis -media fra il mortale e l'immortale.
Questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una
non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della
reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno
un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni
animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti
uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro. Vi sono animali
intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna della scimmia non sai se
sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e
l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti che hanno scisso dalla naturale unità
umana il principio razionale da quello sensitivo e con’AQUINO, ri-levando che
l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e
un altro indipendente dalle funzioni dei corpi. La dipendenza dell'intelligenza
dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima
indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte. È
capovolta la tesi fondamentale d’AQUINO. L'anima è per sé mortale e secundum
quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra
le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma
non in senso assoluto -aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter. E
ricorda che per Aristotele e il LIZIO l'anima non è creata dal divino.
Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al
problema del rapporto fra ragione e fede, solo la fede, non le ragioni
naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le
vie dei credenti sono fermi e saldi, mentre per quanto attiene i problemi etici
che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi
virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e
alle ricompense ultra-terrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi
afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la
considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena
provoca comportamenti servili contrari alla virtù. Il Tractatus provoca clamore
e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'apologia, dove
risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica con
il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di NIFO (si veda),
professore di filosofia a Padova. Panizza chiede a P. se possono esserci cause
sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di
Aristotele del LIZIO, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per
spiegare molti fenomeniche si sono verificati. Dobbiamo spiegare questi fenomeni
con cause naturali, senza ricorrere al demonio. É ridicolo lasciare l'evidenza
per cercare quello che non è né evidente né credibile. D'altra parte, poiché
l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non puo esercitare
un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in
contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della
scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere
opera di santi o di maghi, com'è successo con ABANO (si veda) o con Cecco
d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con
gl’angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il
prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni
mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo che un
corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto che di
per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque,
secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le
religioni. Al tempo degl’idoli non c'è maggior vergogna della croce, nell'età
successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con un segno
di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non è giunta
la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si
ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere
profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché
contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima.
Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che ha colto la
natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che
sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino
considera miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza
del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in
soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura
inviati dal divino stesso. Se il divino crea l'universo ponendo su di esso
leggi fisiche precise, è paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi
utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e
determinato dall'agire degl’astri e il divino agisce indirettamente muovendo
questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se
tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una
spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una
libertà nelle scelte individuali dell'uomo? Nel divino, conoscenza e causa
delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno
invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo
degl’alessandrini, che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i
quali non esiste né contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua
concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato dalla forza
naturale superiori agl’uomini, a propendere per l'impossibilità del libero
arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Il portico sfugge facilmente alle
difficoltà facendo dipendere dal divino l'atto di volontà. Per questo
l'opinione del Portico appare molto probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore
difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione.
Se il divino odia ab æterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li
odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non
pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e
ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro il divino? E questa è una
posizione molto peggiore di quella del Portico. Il Portico dice infatti che il
divino si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo
il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria del divino, che puo
fare diversamente ma non vuole, mentre secondo il Portico il divino fa così
perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e
limpidissima. Il suo discorso è preciso e pacato nella trattazione, mobile e
concitato nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le
conclusioni, è grave e posato. Nulla tenero con gl’uomini di chiesa, isti
fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo
spirito ironico e motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi
detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teo-logi e i prelati
con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio
e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo
è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente
tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non
mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli
inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la
loro ricompensa. Epperò un filosofo è un dio terreno, tanto lontano dagl’altri
come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della
verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto
di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere
eretico. Trattati peripatetici del Lizio (Milano, Bompiani); Nardi (Firenze,
Monnier); Badaloni, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari,
Laterza); Zannier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus”
(Firenze, Nuova Italia); Garin, Aristotelismo o lizio veneto, Peripatetici
veneti” (Padova, Antenore); Sgarbi, “Tra tradizione e dissenso (Firenze,
Olschki); Vitale, “Un aristotelismo problematico: il «De fato», Aristotele si
dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia. Post
expositiouem primi textus primi De anima P. miiltas movet quæstioues, quarum
prima est: numquid sit verum quod peripatetici dicunt animam scilicet esse
subiectum. Chartæ In qua
materia sunt tres opiniones. Prima est Alberti de Saxouia quod CORPVS ANIMATVM
est liic subiectum ET NON ANIMA: et ratio quia illud est subiectum de quo
probantur passiones et proprietates. Sed hic investigantur PASSIONES CORPORIS
ANIMATI, ergo. Anterior est nota; et brevior probatur, quia sentire moveri et
nutriri sunt PASSIONES CORPORIS ANIMATI, et forte intelligere; si quis euim
dicat animam sentire, diceret etiam tessere, sic, vel filare, sic. Item corpus
animatum hic consideratur quod non fieret nisi esset hic subiectum. Alia est
opinio P. V. et Apollinaris dieentium quod ex hoc libro De anima, et es Parvis
naturalibus et ex libro De animalibus integratur unus liber, cuius est
assignare duo subiecta, subiectum quod, scilicet CORPVS ANIMATVM; et subiectum
quo, scilicet animam: ei colorant etiam dicentes quod sicut in libro physicæ
corpus raobile est subiectum, tamen in primis libris naturalibus principia
naturalia sunt subiectura. Sic in proposito est, quia anima est per quam fiunt
operationes, et est subiectum qim; CORPVS vero ANIMATVM est subiectuoi qivod.
Tertia opinio est omniura bene sentientium. AIexander, Theraistius, Averroes.
ROMANO (si veda); et videtur etiam quod sit mens LIZIO, quod dat definitionem
de anima et investigat passiones et proprietates eius. Non tameu dico quod est,
ut demoustro; mihi tamen magis phicct. Et LIZIO hoc ubique videtuv diceve quod
sit anima. Advationes. illud est subiectum etc» respondetur quod illse
passiones probantur de composito et d« aniraa: ut autem auima est principium
istavum passiouum, istffi passiones sunt auimæ ut quo, covpovis autem ut quod.
Ad secundum: covpus animatum non est hic cousidevatum ut de eo pvobentuv
passiones eius; sed ut est subiectum animæ, et ut ponituv in eius definitione:
et si (!) NICOLETTI (si veda) (-) rasura in coJice.
propter hoc ipsum esset subiectum, cuiuscumque scientiæ possemus assignare
infinita subiecta. Ad argumentum P. V. dico quod argumentum supponit falsum
quod corpus materiale sit subiectum in libro Phj^sicæ, imo principia uaturalia
sunt ibi subiectuin. Quem locurn occupet iste Liber. Quæstio secunda. Hæc est
secunda quæstio mota in prima textus sic de ordine liuius libri, quemnam locum
obtiueat iste liber inter ceteros libros pliilosophiæ naturalis. Ordo enim necessarius est iu
scientiis. et loquor hic de ordine doctrinæ,et nou perfectionis; quia ordine
perfectionis est primus iste liber. Ch. 2 recto In hac materia sunt opinioues.
Avicenna in Naturalibus, qucm fere omnes latiui insequuutur, tenet quod sit
sextus in ordine; et ponunt lil)rum De plantis in septirao loco, et librum De
animalibus in ultimo loco. Huic sententiæ multi adversautur. De ordine priorum
omnes conveuiunt, quia Aristoteles ponit illiim ordinem in principio
Metaphysicorum. De aliis vero disseutiimt. Averroes in primo Metaphysicorum
tenet quod liber De plantis et De auimalibus præcedat librum De anima; et ita
volunt Græei. Isti tamen discordant inter se, quia Averroes in loco citato vult
quod liber De plantis præcedat librum De animalibus. Alii vero volunt
oppositum; et ratio est quia volunt quod liber De animalibus præcedat librum De
anima, quia partes animalium et animalia, plantie et partes plantarum habent se
ut materia respectu animæ: materia autem est prior forma. Amplius in
definitione animæ plantæ et animalia ponuutur; et sic secuudum istos liber De
auima est nou sextus in ordine. Isti autem bipartiti sunt, quia aliqui volunt
quod liber De aninialibus ponatur in sexto loco et liber De plautis in septimo:
et adducunt pro se dictum Aristotelis in libro Metaphysicorum, ubi dicit:
«determinato de motu, oportet determinare de animalibus et plantis. Ecce quod
ponit librum De animalibus ante libram De plantis; et ratio est quia a
notioribus incipiendum est; sed sic est quod organa in animalibus sunt notiora
quam organain plantis, quia tantum cognoscimus organa in plantis per
similitudinem ad animalia. Unde Aristoteles hic in secundo huius dicit, quod
radices assimilantur ori; et ista est opinio Themistii et Græcorum. Alia est
opinio, quam tenet Averroes in Paraphrasi Metaphysicorum, quod liber De plantis
præcedat librum De animalibus; et ratio sua est, quia natura teudit de
imperfecto ad perfectum: ideo libro De plautis quæ sunt imperfectiores
auimalibus debet præcedere liber De animalibus. Quæ autem istarum opinionum sit verior indicium est
difficile, nec multi facio hoc. Tamen Avicenna in libro dicto dicit, quod si
alius alium fecerit ordinem non multi facit: et Averroes in loco dicto dicit,
quod si quidem est ordo neeessarius sicut in principiis, in aliis vero non.
Dico tamen unum, quod secunda opinio mihi magis placet, et videtur magis
consoua veritati. Quod autem Avicenna
non loquatur ad mentem LIZIO, patet in extremis verbis De motu animalium, ubi
dicit: «diximus de animalibus et plantis»: et iu calce libri De longitudine et
brevitate vitæ dicit: «perfecto libro De auima et Parvis naturalibus, est perficere
scientiam de animalibus». Hoc autem non esset si adhuc sequeretur liber De
animalibus. Scieudum quidem quod ista clicta possent glosari: sed glosa destruit
textum, quia Aristoteles fuit ordinatissimus. Quare videtur dicendum quod post
librum De mineriis ponatur liber De animalibus; deiude liber De plantis; deinde
liber De anima. Ad opposita autem respondehir quod Avicenna et alii recte
dicuut loquendo de ordine naturæ; sed uotandum est, ut beue dicit Aristoteles
qiiinto Metaphj-sicorum, quod non est semper uude natura incipit, unde etiara
apparet nobis: quia autem liber De nnimalibus est fæilior, imo dicitur
liistoria quæ æque nota est grammaticis ac phi losophis, ideo ab eis liber
incipit. Ad Averroem similiter dicendum est quod verum est quod ordine naturæ
imperfecta præcedunt perfecta; sed quia nou possumus coguoscere plantas nisi
cognoscamus organæarum:bæc antem uon suutcognitanisicognitis organis
aniraalium, hoc est quare liber De anlmalibus præcedit. Et LIZIO primo
Metaphysicorum præpouit librum De animalibus libro De plautis: et ita habet
textus græcus. Consuli enim ego Græcos in hoc. Nobilitas scientiæ a quo
sumatur. Quæstio est a quo sumatur magis nobilitas scientiæ, an a nubilitate
subiecti, an a certitudine demoustiationis, vel æqualiter ab ambobus. Thomas
eleganter dicit quod irapossibile est quod æqualiter ab arabobus sumatur, quia
sunt diversarum specierum; et quia suut diversarum specierum, habent se
secundum prius et posterius. Sed est dicendum quod magis sumitur a nobilitate
subiecti; et ratio est quia snbiectum est essentia rei; modus autem declaraudi
est instrumenti'.m adventicium superadditum rei, sicut qualitas quædam; ergo
magis sumitur a noliilitate subiecti. Et LIZIO inprimo De partibus animaliura,
capite ultimo, dicit: « melius est scire modicum de honorabilibus, etiam si
topiee illud sciamus, quam multum scire de ignobilioribus etiam demonstrative».
Sed coutra argumentatur, quia si a nobilitate subiecti sumitur nobilitas
scientiæ, sequitur quod scientia de Deo esset infiuitæ perfectionis.
Consequentia probatur, quia sicuti se habet subiectum ad subiectum, ita
scientia ad scieutiam. Assumo ergo scientiam de auima, quæ cum sit aliquants
perfectionis, situtunum: et probo quod scientia de Deo est infinita, quia
proportio Dei -ad animam est infinita; ergo et scientia de Deo est iufinita.
Apollinaris rospoudet, et est responsio Tlioraæ in 3. Contra gentiles ubi
quærit an scientia de Deo, quæ habetur in patria, sit iufinitæ perfectiouis,
Isti qui teuent scientiara capere nobilitatem a subiecto, negant iliam
similitudiuem, quia illa scieutia est in intellectu humano qui finite
apprehendit, Ista responsio non placet multis, quia 'dato quod Deus sit
infinitus et scientia sua finita, sequeretur quod daretur aliqua cognitio
alicuius creaturæ uobilior coguitione Dei. Sit euim, verbi gratia, cognitio quæ
habetur de Deo, ut octo; cognitio vero de anima sit ut unum: et cum quælibet
cognitio ipsius Angeli sit perfectior cognitione ipsius animæ, erit, verbi
gratia, cognitio Angeli ut duo: et cum Deus quocumque Angelo dato, perfectiorem
eo possit producere Angelum, ita perfectum, ut eius proportio ad animam
no.^tram erit ut decem; et ita cognitio talis Angeli erit perfectior cognitione
de Deo. Et hoc est maximum inconveuiens. Sed uoscitur quod uullum horum
argumentorum procedit secundum Phi losophum, quia Philosophus tenet Deum esse
finiti vigoris; nec posse producere Angelura novum, nec addere sibi illam
perfectiouem, quia ea quæ faMt necessario facit. Quomodo sclcntia dc anhna
cxccdat alias ccrtitudinc dcinonstrationis. Quæstio est qiiomodo scientia de
aiiima excedat alias scientias certitudine demonstrationis, utdicithic
Averroes; cumtarænipsemet AveiToessecnndo Metapliysicorumconimento ultimo dicit
qnod demousti-ationes matheraaticæ suntin primo gradu certitudinis, naturales
vero sequuntur; et habet ibi LIZIO quod astrologia et mathematica non est in
omnibus expetenda, et in primo lletaphysicorum enumerans conditiones sapientiæ
dicit quod ipsa habet demonstrationes certiores: quare videtur contradictio et
ideo debemus conciliare ista dicta. In oppositum est Averroes hic, pro quo est
notum quod AQUINO (si veda) et Averrois expositio non se compatiuntur ad invicera.
Dicebat enim AQUINO (si veda) certitudinem de anima ideo esse quia eani in
nobis experimur, et si sic, expositio Averrois uon potest stare, nec potest
dictum Averrois verificari, quum hac ratione etiam scientia de animalibus et
libri Parvorura naturalium excederent alias scientiss, quum certiores de
talibus reddamur, quia in nobis experimur ea; et etiam scientiam divinam
excederent, cum de intelligentiis parum aut nihil sentiamus, nec eas in nobis
experimur. Dato ergo hoc, non tamen scientia de anima haberet hoc privilegiura.
nec etiam divina scientia excederet hoc modo alias scientias. Xec etiam si
teneamus expositionem Themistii, dictum Averrois potest verificari; dicit enim
Themistius certitudinem de anima, quia consideratur de intellectu qui omnium
est regula et mensnra; sed hac ratione etiam ista scientia excoderet divinara.
quum divina non considerat de intellectu nostro. Sequendo autem expositiouem
istorura patet solutio ad argumeutum et ad contradictionem. Ad primum dicitur
quod æquivocatur de certitudine hic et ibi, quia in hoc loco dicit qiiod
scientia de anima est certa certitudine obiecti, quia est de rebus in nobis
existentibus, et in secundo Metaphysicorum loquitur de alia certitudine.
scilicet demonstrationis. Et iu æquivocis non est contradictio. Ad secundum
respondetur ponendo distinctionem quoad uos et quoad naturam. Mathematica est
de maxime notis naturæ sed volendo salvare dictum Averrois dicemus certitudiuem
demonstrationis duplicem esse, quoad nos et quoad naturam: talis distiuctio est
manifosta ex primo Posteriorura sexto. Dicitur notior quoad nos, quia est minus
diibia nobis: quoad naturam veio est cognitio rei quæ de se est manifesta, sed
si nos lateat, hoc est ex defectu nostri et non sui, ut dicitur secundo
Metaphysicorura textu corarænti primi; et ita dico quod mathematicæ quoad nos
sunt in primo gradu coguitionis, qiiia causæ eorum sunt nobis certiores quam
eft'cctus, abstrahunt enim a motu; et ideo Philosophus sexto Ethicæ, cap. nono,
dicit quod pueri possunt bene in matheraaticis iustrui, et ab hoc doctrinales
dicuntur cum bene possunt doceri. In secundo autera loco ponuntur naturalia cum
in eis ab eifectu sensibili noto in cognitionem causæ deveniauius: sed cuni
effectus sint variabiles, uuum et idem a diversis causis poterit provenire.
Unde erunt plura media ad unam conclusionem, quia naturalia non possunt esse
ita certa sicut inathematica tantum unum medium habentia, sed divina ipsa
(scientia) in ultirao loco est ponenda cum sub nullo sensu cadant ipsa
abstracta; et ita uec de causa noc de effectu eorum sumus uaturaliter certi.
Sed si volumus loqui de cognitione quoad naturam, est totaliter ordo
præposterus; et in primo loco divinam collocabimus taraquam perfectiorem, et
quæ est maioris entitatis; iu secundo voro loco pouetur naturalis quæ
firraiorem entitatem habet ipsis matliematicis; et iuter eas scientia de anima
est primum, qiiia anima iutellectiva habet tirmius esse omnibus a natiirali
consideratis, et est certior in se: licet quoad nos sit oppositum, et propter lioc
forte LIZIO vocat scientiam de auima liistoriam, propter non esse tantam
certitudinem de illa sicut de aliis. Et ita hie vult Commentator habere
scientiam de anima quoad naturam excedere omnes alias sciontias præter divinam,
cum anima ipsa sit perfectioris entitatis omnibus generabilibus et
corruptibilibus: et ita patet solutio quia est æquivocatio de demonstratione. Sed si diceret Commentator: diiisti matheniaticam
quoad nos esse certiorem;hoc videtur falsum, quia mathematica est de sensibili
communi, naturalis vero de seusibili proprio. Sed iuxta Philosophum secundo
huius, sensibile commune non habetur nisi per proprium seutiri; ergo et quoad
nos naturalis erit certior. Tum etiam quia mathematica procedit demonstratione
propler quocl naturalis vero demonstratione quia; demonstratio autem quia est
notior nobis demonstratiouQ, pro/iter quod. Ergo. Item exemplum de astrologia
et geometria non accomraodatur nisi de notitia quoad nos; quomodo ergo Averroes
loqui potest de notitia quoad naturam? Item idem esset dicere habere nobilius
subiectum et certitudinem demonstrationis quia unum dependet al) altero. Ad
primum respondetur quod licet naturalis scientia sit de obiecto certiori, non
tamen eius scientia erit certior, eum esse obiectum certum dicat tantum cognitionem
simplicem: sed esse scientiam certiorem dicit relationem causæ super effectum,
et ita, licet obiectum scientiarum materialium sit minus uotum quoad nos, tamen
eorum causæ sunt magis notæ et sensatæ quoad nos, ex quibus procediraus. Et hoc nou videnmt moderni.
Ulterius est alia dubitatio, penes quod attendatur certitudo quoad nos et quoad
uaturam. Respondetur quod certitudo quoad nos habet attendi penes notitiam
causæ super effectum, et per hoc excludunturoranes velquasi omnes
dubitationes;quod si aliquando procedamus ab effectu super caiisam, est via
indirecta, et sodomitica proprie dici debet, et semper, sive a causa sive ab
effectu procedamus, a notioribus nobis procedimus; sed diversimode; aliquando
enim in mathematicis procedimus a notioribus nobis, et naturæ, aliquando solum
ex uotioribus uobis, numquam a notioribus uaturæ tantum. Utrum spectet ad
naturalem considerare de anima. Dicendum igitur est aliter quod consideratio de
omni anima est naturalis. De vegetativa et sentitiva uon est dubium; sed tota
lis est de intellectiva; quod si teneamus eam mortalera, ut teuuit Alexander,
clarum est hoc quia educitur de potentia materiæ: sed quia hæc opinio est
falsa, ideo relinquo eam. Dicimus ergo quod sive intellectus sit unus, sive
plures, est naturæ ancipitis, et Cb. iMccto est medium inter æterna et non
æterna, quia natura vadit ab extremo ad extremum cum medio videmus ut in
animalibus; suut enim quædam auimalia media inter plantas et animalia, ut
spungiæ marinæ, quæ habent do natura plantarum, quæ sunt afBxæ terræ, habent
etiam de natura animali pro quanto sentiunt. Similiter inter T6 «/o-i. [)
TiiVi. 13 Ch. 14 lecto animalia est simia, de qua est dubium an sit liomo an
auimal brutum; et ita anima intellectiva est media inter æterna et non æterna:
et ideo ACCADEMIA ponebat eam creatam in horizonte æternitatis. Quibus
stantibus, oportet ponere eam duplicis naturæ et habere duplicem operationem.
unam nuUo modo depeudeutcm a corpore, et hoc patet secuudum tiilem in anima, et
etiamsecuudumP!atonem,utinfra determinabimus de mente Aristotelis et Averrois
tenendo autem quod sit unica. Habet etiam operationem dependentem a corpore, de
qua non est dubium: quo stante patet quod non est consideratio ic dictis
Aristotelis, quia si anima est naturæ ancipitis, partim est de consideratione
naturalis; in quantum mobilis et trausmutabilis, est physicæ considerationis;
in quautum vero ad sUam operationem separatam, est considerationis divinæ; et
hæc opinio mihi videtur concordare ciun dictis Aristotelis il)i. Mihi autem
contingit quod dicit Hieronymus quod contingit de se: «multi latrant in foro
contra me, et scripta mea legunt et honorant iu thalamo »; nam concurreutes
nostri ascribunt sibi nostra. Numquid scientia de anima sit difficillima. Ex
quibus sequitur quod nihil intelligitur nisi sit iu actu: anima enim
intelligit, et non nisi reclpiendo; nihil autem movet nisi quod est in actu:
quod si aliquid occurrat uostro intellectui quod non sit in actu, per accidens
intelligitiir, sieut est materia prima. quæ non est in actu, vel parum, saltem
ita ut non sit suflBciens movere intellectum de se, sed per suffragia et
intellectiones aliorum iutelligitur. Quia autem omnia non sunt in actu
æqualiter, sciendum est quod quædam sunt in actu perfecto, ut merito
debilitatis intellectus nostri nequeant intelligi, sicut Deus et Intelligentiæ,
suut euim hic in maximo actu: imo Deus est totus actus. Unde quamvis
intellectus noster sit iu pura potentia, et abstracta sint multum activa, non
est credendum quod intellectus possit ea recipere, quia intellectus uoster est
debilis ita ut non possit tautum lumen sustinere, ideo non movetur ab ipsis: et
propter hoc poetæ fingunt quod luppiter quando accedebat ad aliquam mulierem,
deponebat suam divinitatem. Sic est de intellectu nostro, quamvis non sit in
pura potentia; quia tamen est delnlis entitatis, non potest recipere maximum
lumen Intelligentiarum et Dei qui est purus actus: et iioc maxime est verum
secundum fidem quæ tenet Deum esse infiuiti vigoris. Aliqua autem sunt quæ etsi
sint in actu, tamen intellectus non potest illa recipere ratione debilitatis
quam in se iucludunt talia entia, et ex hoc non possunt agere in intellectu
nostro, sicut sunt motus et tempus, de quibus dicitur quod non sunt apta
intelligi ratione debilitatis eorum, non autem ratione intellectus. Relinquitur
ergo quod media iuter ista, sicut proportionata intellectui nostro et ex parte
modi cognoscendi et ipsius obiecti, sunt intelligibilia ab iutellectu nostro;
et hoc est quod dicit Phiiosophus secundo Metaphysicorum textu commeuti noni,
quod ditficultas cognosoendi in nobis nascitur vel ex parte rei cognitæ vel ex
parte modi cognoscendi; ideo dicitur ibi quod sicut se habot oculus noctuæ ad
lumen solis, sic intellectus nostor ad manifestissima in natura. Intellectus
ergo bene cognoscit intermedia quæ ipsi suut proportionata. Aliud est
advertendum, quod ex quo anima intellectiva est naturæ ancipitis inter bruta et
abstracta, non intelligit nisi cum admiuiculo sensuum iuxta illud: «necesse est
quemcunque intelligentem phantasmata speculari». Ex quo sequitur quod quæ offeruntur sensui a nobis
faciliter possunt intelligi, quæ non putantur difficulter: et ista difficultas
est ex parte nostri modi coguoscendi, quia nounisi per sensum cognoscimus. Aliud etiam est notum, quod
triplex est anima, vegetativa sensitiva et intellectiva. Stantibus liis, dico
quod metapliysica est in supremo gradu difficultatis; et ratio est clara ex
prædictis, quia difficultas creatur in nobis ex eo quod non sumus capaces tanti
luminis quautum est Intelligentiarum ct Dei, qui in metapiiysica considerantur.
Ad hoc accedit secunda ratio, quia
iutellectus noster uon intelligit nisi per fenestras seusuum, quæ vero in
metaphysica considerantur sunt remotissima a sensu. Sed dices: nonne abstracta
habent accideutia per quæ possunt cognosci, ut motus et tempus? Respoudeo, ut
beue dicit Comræutator, quod ista aceideutia non ducunt in cognitionem Dei et
aliarum lutelligentiarum ut sunt de consideratioue nietaphysici, sed ut de
uaturali: æternitas euim niotus creat notitiam naturalem: quod enim sunt
Intelligentiæ pertinet ad naturalem ; metaphysicus autem considerat altiores
operationes lutelligentiarum; non quia est sed propter quid Intelligeutiarum
considerat. Utrum dentur universalia realia. Præstat maius perscrutandum, quia
dicit LIZIO universale aut nihil est aut posterius est. Quomodo est de ipsis
universalibus, an dentur univcrsalia realia; et ut obtrunceraus obtruucanda et
dicamus dicenda, quatuor occuriunt opiniones, quas intendo declarare cum suis
fundameutis. Prima est opinio Platonis, quæ volebat quod in rebus uaturalibus
singulæ speciei corresponderetur sua idea quæ esset æterna. Ista vera
singularia dependentia suut propter participationem illius ideæ. Et ista talis
idea est quæ vere intelligitur et quæ vere scitur, et quantumcumque
habeatmultas ratioues por se, tamen adducemus solum secundas (sequentes?) omues
alias comprehendentes. L’ACCADEMIA, ut bene recitat LIZIO decimo libro
Metaphysicorum, imaginatus est illara idealeni formam, primo ut salvaret
gcnerationem; quia ut bene ad lougum habet videri iu duodecimo Metaphysicorura
textu coramenti tertii et decimoctavo, cum videmus Socratem generari mortuo
patre, tunc quærebat a quo generatur Socrates. Non enim a patre, quia ille nou
est: nihil enim agit nisi ut est in actu; non a virtute semiuali, quia est
imperfecta; nihil autem agit ultra gradum proprium; quare oportet recurrere ad
ideam quæ est vere agens, Quod si hoc est verum de genitis per propagationem,
idem erit de genitis per putrefactionem. Similiter est dicendum de inaniraatis.
Secunda ratio ACCADEMIA ad ponendum ideas fuit ex parte scientiæ et raodi
intelligendi: nam aliquando intelligimus naturam horaiuis in se esse risibilem,
et ita quia, ut manifestum est, possumus intelligere hominera in uuiversale absque
intellectione singularium. Ista ergo inteilectio aut est vera, aut falsa. Non
falsa, esset enim inconveniens iutellectus ficticie operari; ergo est vera;
ergo aliquid correspoudet ei iu re. Non singularia; ergo ideæ. Ratione etiam
scientiæ, quum scientia dittert ab opinione: quia opiuio, ut singularium et
contingentium, non potest esse scientia, sed tantum opinio; ergo alicuius
perpetui erit scientia, et talis est idea secuudum universale: ergo. Hanc
opiniouem damnat Aristoteles primo et septimo Metaphysicorura; prinio quum
destruit generationem univocam; ni.m ideæ sunt æternæ, siugularia vero siint
corrtiptibilia; modo si comiptibile ab iucoiTuptibile geiieratur, ergo
generatio uou est univoca, quia generabile et iucorruptibile differuut plusquam
genere. Secundo, frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, et æque
bene; entia euim non sunt multiplicanda sine necessitate; Sed generatio potest
absque ideis salvari, quum sol et homo generant hominem: ergo. Tertio, ista
opinio destruit modum intelligendi; quando volo iutelligere aliquid
artificiale, universaliter iwssum iutelligere; Ch. 25vccto et nou posuit Plato
aliquam ideam iu artificialibus. Quarto, positis ideis destruitur scientia,
quia potest sciri idea, et non ideata: quod probatur, quum definitio est
principium determinationis, et definitio debet prædicari de definito; idea
autem uon prædicatur de ideatis; ergo ideata non sciuntur; vanum est ergo
ponere ideas ut sciantur ideata, quia non possunt sciri. Secunda opiuio est
realium, quæ est monstruosior prima, quam numquam potui recipere, cuius
iuveutores fuerunt Buridauus, NICOLETTI (si veda) et Scotus, qui voluerunt
quod, seclusa omni operatione intallectus, detur universale reale. Qiiod
probant: quum scientia est de ente reali, ergo subiectum vel erit universale,
vel singulare: uon singulare, quum siugularium non est scientia ut singularia
sunt; ergo istud erit uuiversale. Secundo, intellectus in prima sui
apprehensione intelligit universale, quia uni versale est obiectum intellectus;
sed non potest dici quod tale universale sit causatum ab iutellectu, qu'a
uumquam fuit ab iutellectu uisi nunc; ergo tale universale est reale: et sic
dicendum est de omnibus. Tertio, desiderium est et potius in universali et non
huius vel illius; sed desideriura est ad reale: ergo datur universale in re.
Quarto, contractus est universalium, quum emptio frumenti nou limitatur ad hoc
vel illud frumentum, sed ad frumentum iu generale. Contractus tiutem non fiunt
de couceptibus, sed de realibus. Quiuto, Socrates et Piato magis conveniunt
quam Socrates et Brunellus: sed ista convenientia non est conceptuum, imo
realitatum Secunda consideratio est quod universale reale realiter distinguitur
a singulari; quæ consideratio probatur sic : illa non sunt idem realiter, de
qnil'iis prædicantur contradictoria; sed universale et singulare sunt huiusmodi
; ergo distinguuntur. Auterior patet, et brevior probatur; quia universale est
æternum, et singuhre corruptibile: universale non est de numero singularium,
uam universalia prædicantur de pluribus, singularia non. Et in his duabus
considerationibus videtur conveniri cum opinione ACCADEMIA. Tertia
consideratio: licet universalia sint realia et realiter distincta a
singularibus, non tamen. propter hoc universalia sunt separata a suis singularibus
loco et subiecto; patet es dictis Averrois septimo Metapliysicorum textu
commenti trigesimiprimi: Mi.xtio universalis cum siugulari est fortior mixtione
accidentis cum subiecto. Secunda raiio: si universalia esseut separata a
singularibus, non videretur quomodo possent declarare essentiam singulariura;
et hoc est in quo Aristoteles arguit ACCADEMIA. Est ergo consideratio
responsalis ad quæt.itnm quod universalia sunt res distinctæ realiter a
singularibus. Ista secunda opinio raihi videtur in extremo moustruositatis, non
intelligibilis: nam si hæc natura, ciuam ponunt isti, esset iucorporea, adhuc
posset esse tolerabilis, quiim f.d minus posset iutelligi sicut unicns
intellectus Averrois, quamvis esset una cbimera. Sed ista opinio iudicio meo vult
quod sit una natura communis verbigratia liominis, quod sit in re, et eadem in
me, et quod sit composita ex materia et forma, et quod sit in diversis locis.
Hæc milii videtur una fatuitas. Unde videtur milii quod isti fuerimt astricti
propter aliqua argumenta ad incurrendum in hunc manifestissimum errorem, et
quod dixerunt hanc opinionera ore, corde vero nescio quomodo potueruut hoc
affirmare: et isti mihi videutur similes Zenoni DA VELIA qui patielmtur
infinita tormenta, et videbat unum motum causari, et propter quandam
ratiunculam negabat motum esse. Secundo, quando generatur aliquid siugulare,
quomodo hoc singulare ingreditur hanc naturam compositam ex materia et forma?
Tertio, universale debet prædicari de suis singularibus, prædicatione dicente
hoc est hoc; sed universale reale est realiter distinctum a singnlare per se;
ergo non poterit de singulari prædicari prædicatione dicente hoc est hoc; ergo
si natura hominis est de essentia Socratis, quomodo poterimus concedere naturam
homiuis esse æternam, quum uatura Socratis erit corruptiliilis? Diccs lianc
naturam non esse corruptibilem per se sed per accidens; saltem habebo quod hæc
natiira erit corruptibilis vel per se vel per accidens. De hoc nihil ad me.
Quarto, iutelligendo formam et materiam Socratis videtur mihi quod perfecte
Socratem intelligam absque consideratione illius naturæ, quara nescio si sit
una tuuica sicut in rege. Quinto, uniTersale est quid distinctum realiter a re
reali; ergo Deus poterit facere universale et singulare distincta realiter. Ideo
dimitto hanc fatuitatem expressam. Tertia opinio est Scoti in hac materia,
sicut narratur ab ipso secundo Sententiarum et septimo Metaphysicorum,
quæstione propria, quæ tres habet considerationes; quarum prima est ista, quod
universale est natura communis realis apta nata esse in pluribus seclusa
operatione intellectus; et iu hoc convenit cura secunda opinione. Quæ
consideratio sic probatur: si non esset vera ista cousideratio, sequeretur quod
intellectus sua priraa apprehensione falsa intelligeret; quod probatur quia si
ex parte rei non esset nisi singulare, intellectus semper intelligeret
singulare in quautum universale: ista autem intellectio esset falsa. Antecedens
probatur quia obiectum iutellectus est universale et non singulare; si ergo
obiicitur singulare, intellegitur ut universale, et sic apprehendet semper
singulare sub opposito actu, et per accidens; et si intellectus errabit in sua
prima apprehensione, errabit etiam in pliis intellectionibus, quum aliæ a prima
depeudent: et si hæc prima est falsa, aliæ quoque falsæ suut, nisi per accidens
siut veræ; sicut ex falsis verum concluditur. Secuudo, obiectum alicuius
potentiæ semper præcedit operationem illius potentiæ; sed universale est
obiectum inteliectus: ergo quamlibet intellectionem præcedit universale: ergo.
Tertio, obiectum alicuius poteutiæ præcedit operationem illius potentiæ: sed
uuiversale est obiectum sensus, ergo universale est ens reale uullo modo
spirituale. Anterior est evidens; brevior probatur ; quum aut obiectum sensus
est universale aut singnlare: uon singulare, quia dicas tu quod obiectum
sensus, ut puta visus, sit hic color: coutra obiectum alicuis potentiæ movet
illam potentiam; sed sensus visus potest moveri ab alio colore, quam ab isto;
ergo iste color uon est obiectum adæquatum visus. (') Qai manca la transiziune
d.all' argomentazioRe prcceJeute, funJata sul supposto Jeiruiiiversale eome
obbietto deirintelletto, alla segueute che pone la tesi deiruiiiversale coræ
oljbietto del senso. Et sicut dictiim est de uno, ita dicatur de aliis; quare rclinquitur quod
obiectum aJæquatum sensus sive potentiæ sensitivac est universale. Ergo
universale est ens reale et non spiriluale. Quarto, scientia est rei realis;
non enim determiuamus risibilitatem inesse conceptibus, sed determinamus Loc
prædicatum reale, scilicet risibilitatem inesse homini per se primo : et
similiter definimiis res et non eonceptus. Quæro ergo aut ista res realis, verbigratia
risibilitas, insit per se primo singulari hominis aut universali naturæ
hominis. Non primum, quia tantum iste homo esset risibilis: ergo hæc
risibilitas inest per se primo universali naturæ hominis, et sic est ens reale
sicut dictum est. Ergo universale est illa natura commuuis reaiis. Qiiinto, in
omni genere est uuum quoddam i.anquam metrum et mensura aliorum in eo genere,
sicut in genere colorura est albedo; sed mensura entis realis est realis, quia
mensuratum reale est a mensura reali. Quæro ergo: aut ista mensura est hoc
singuhire, verbigratia et quia hoc singulare est corruplibile, talis ergo mensura
erit corruptibilis; ergo universale reale erit hoc tale quod est mensura.
Sexto, contrarietas quæ cadit inter contraria est realis; sed calidum non
contrariatur frigido per lianc fvigiditatem vel caliditatem particuhxrem, quum
etiam alia caliditas et frigiditas sunt contraria; ergo contrariantur per
calidum, et sic in universali; dabitur ergo universale reale. Septimo, comparo
eadem inter species et inter genera, sicut dicit Aristoteles septlmo
Metaphysicorum et septimo Physicorum: sed in conceptibus specificis potest
cadere comparatio; ergo LIZIO per genera et species intelligit universalia
realia, aliter dictum eius esset falsum;ergo. Similitudo fundatur super
qualitate, et non super. qualitate secundum numerum sed secundum speciem in
universali; sed qualitates multæ supra quibus fundantur similitudines sunt res;
ergo universalia eruut entia realia. Octavo, si nou darentur universalia
realia, sequeretur quod omnia entia realia inter se solo uumero differrent.
Consequens est falsum et impossibile; ergo et antecedens. Consequentia
probatur; quia differentia est ens reale: scd per se nihil est reale nisi
singulare: ergo omuis differentia erit singularis; quare uulla erit specifica;
sed quæ differunt, tantiim per differeutiam difterunt; ergo omnia quæ differunt,tantum
secuudum numerum differunt. Cousequenlis impossibilitas patet, quia omnia
æqualiter differunt. Stante ergo hac prima consideratione, ponitur secunda
consideratio per quam discrepat Scotus a Buridauo quæ talis est: tmiversalia
realia non sunt realiter distincta a singularibus: probatur, uam quæ sunt
realiter distincta, possuut ad invicem separari; sed per se universale reale
est distinctum a siugularibus; ergo singalaria possunt esse absque eorum uatura
universali. Secundo, si sic esset ut isti volunt, universale non posset
prædicari de pluribus prædicatione dicente hoc est hoc. Terlia consideratio:
universalia distinguuntur a singularibns ex uatura rei; probatur, quia si non
distinguerentur ex natura rei, sequeretur quod prædicata contradictoria
prædicarentur de eodem; nam incorruptibilitas prædicatur de universali,
corruptibilitas de singulari. Ista opinio licet sit doctissimi viri, tameu mihi
videtur esse falsa, et primo contra primas consequentias arguo unico argumento,
quod facit AQUINO (si veda) iu libello De ente et essentia: prima euim
consideratio fuit quod secluso omni opere intellectus datur una natura communis
apta esse in pluribus; sed contra dicit AQUINO (si veda): aut ista natura
commuuis apta nata esse in pluribus est ens realc, aut intentionale scilicet
por opus intellectus. Si secundum, habeo intentum; si primuni, ergo omne
prædicatum attributum speciei, vel ei attribuitur per se, vel per accidens; si
per se, ergo quidquid do intriuseca ratione inest alicui rei est aptum natiim prædicari
de quovis coutento sub illa re; et isto modo cum singulare contineatur sub
universali suo, prædicabitur de multis. Si autem dicas quod hoc prædicatum,
verbigratia humanitas realis, attribuatur speciei hominis per accidens, quæro:
aut hoc prædicatum attribuitur huic speciei per accidens proprie, sicut esse
risibile attribuitur speciei hominis; et tunc arguitur ut prius; aut per
accidens attribuitur speciei verbigratia quod primo attribuatur individuis,
secundarlo et per accidens speciei, sicut nigredo speciei corvi; ergo hoc
prædicatum de pluribus attribuitur prirao et per se proprie singularibus,
secuudario vero et per accidens universalibus, quod est inconveniens; et hoc
argumentum. Secunda consideratio est admiranda, quum si unum et idem est singulare
cum univsrsale, quot erunt singularia, tot erunt universalia. Item corrumpetur
universale ad corruptionpm unius singularis. Quarta opinio iudicio meo est
Averrois, AQUINO (si veda), ROMANO (si veda), et Nominalium, licet Nominales in
solo modo respondcndi non conveniant cum istis. Quæ opinio dicit qucd secluso
omni opere intellectus non est ponendum universale, et per universale
intelligunt quod est aptum natum esse in pluribus et de multis prædicari,
indifferenter se habens ad multa singularia: irao nullum reale est indifferens
ad plura singularia, sed omne reale est siugulare quod probatur per Averroem
hic in commento octavo,ubi dicit quod definitioues non sunt generum et
specierum existentium extra animam, sed suut rerum particularium extra intellectum,
sed intellectus est qui facit universalitatem in rebus. Et primo Metaphysicorum
textu commeuti sexti dicit speciem esse intentionem existentem in pluribus
secundum numerum, et adhuc evidentius in textu commenti vigesimisexti et
vigesimiseptirai eiusdem primi et iu raultis aliis locis. Advertendum tamen est
quod universale causatum ab intellectu duplex est, unum quod dicitur
indifferens. quod sumitur pro quadam natura commuui iudifferenter se habente ad
omnia sua singularia. Alio modo sumituruniversale pro quanto non
intelligiturillanatura communis indifferens.sedultrahoc attribuitur huic naturæ
communi intentio. Utrumque enim istorum tit per opus intellectus, primum enim
fit per intellectum agentem, quando verbigratia intelligo hominem indifferenter
se habentem, et de hoc intellexit Commentator in hoc primo commento octavo; et
comrauniter tale universale dieitur primaintentio. Secundura universale fit per
comparationem suorum siugularium inter se, et coliationem sirailitudinis inter
sua individua. Unde maxima similitudo ex comparatione individuorum inter se per
opus intellectus electa causat speciem specialissimam; non ita magna causat
genus respectu illius speciei; et ideo minima similitudo causat genus
generalissimum, et hoc voluit Averroes duodedrao Metaphysicorum commeuto
quarto. Unde in assimilanda individua inter se potest fieri intensa vel remissa
assimilatio, ut large extendamus vocabulum. Sed dubitatur; mirum enim videtur
quod tantum ex parte rei sit singulare, et intellectus habeat potestatem causandi
istud universale. Unde enira
intellectus liabet tantara potestatem causandi hoc universale quod nou est re?
Ad hoc dicitur quod habet hoc ex sua perfectione et excellentia, cura coniungit
separafa per collationem similitudinis sumptæ ex comparatione, et coniuncta
disiungit abstrahendo quum . multura habet de divino. Sicut enim ideæ omnium
entium couiunctæ sunt in mente, sic intellectus potest congregare similia iu
uuo conceptu et secundum altiorem vel breviorem siiuilitudinem causat genus et
spesiem: ex quo apparet quod seomidtim diversas constructiones intellectus
causat diversos effectus. Altera dubitatio est si ex parte rei uon sunt nisi
singularia, quæ sunt entia determinata, et infellectus ea indifferenter
inteliigit, intellectus ergo intelligit determiuatum in quantum indeterminatum,
et sic intelligit res aliter quam siut; quare erit falsum. Ad lioc dicitur quod
duplex est operatio intellectus: una est eius prima apprehensio, quæ est
simplicium iutelligentia, in qua sua prima operatione causat primam
intentionem, abstraliendo a conditionibus singularihus uuam naturam communem
pluribus singularibus, eam intelligendo uou ut limitatam, sed ut se habet
indifferenter ad hoc vel illud. Seeunda operatio intellectus est comparare
individua inter se, et ex collatioue similitudinum attribuere alicui naturæ
indiffereuter esse genus vel esse speciem. Et si quantum ad operationes istas;
sed potest errare iutellectus quando attribuit alicui rei quod non est, sicut
si diceret liominem esse asinum, vel omnes liomines esse unum liominem, vel
diceret lineas consideratas a rætaphysico non esse sensibiles; et do exemplum
de lineis quæ considerantur a metapliysico; possunt enim dupliciter
considerari, uno modo ab intellectu abstrahente ipsas a sensibilitate, et in
isto omnes confitentur iu via LIZIO quod intellectus uon errat, quum
abstrahentium non est mendacium; quamvis enim illæ liueæ sint sensibiles, tamen
intellectus non curat considerare illam sensibiiitatem. Alio modo possunt considerari illæ lineæ, ut puta
dicendo illas non esse sensibiles, et si iutellectus assentiret huic
considerationi scilicet quod lineæ mathematicæ sint insensibiles, cum sint in
materia sensibiii, mentiretur. Sic dico ad rem quod quando intellectus
apprehendit Iiominem indifferentem, quod non mentitur, quamvis Socrates et
Plato sint entia determinata, hoc enim nou inconvenit quum iutellectus
abstrahit a consideratione talis terminationis; si euim intellectus assentiret
huic propositioui homo est animal carenti terminatione, capiendo huiusmodi homo
prout est idem quod prima intentio, proculdubio mentiretur, sicut si gustus
comprehendeus dulcedinem lactis, non sentiendo eius albedinem, et tamen non
errat; ideo intellectus etsi erret componeudo et divideudo, tamen non errat
abstraheudo ('). Dubitatur iterum, quia non videtur quomodo sit verum illud
dictum quod homo sit prior suis singularibus, quum dato pro possibile vel
impossibile quod uumquam fueriut Iiomines nisi præsentes, tunc singulare eius
in eodem tempore vel æque primo est sicut natura humana indifferens, tel
arguitur sic: ab æterno semper fuerunt singularia hominis; ergo non est verum
dicere naturam conimunem indifferentem esse priorem. Conf. Coniniciito
manoscritto al Ilff i 'r^f/^.-iiv.-ia; esistente nella Bibliotecadi BOLOGNA. Ne
tolgo il seguente estratto: An in secunda operalione iniellectus solum sit
veiitas et falsitas. Videlur LIZIO sibi conlrarius in primo De anima el sexto
Metaphysicormn, nam hic dicit quod iihi est enuntialio est vcriim el falsum, et
rjus opjwsitum dicit tertio De aiiima: intellectus simplicium semper vcrus cst;
et idern nono Metaphijsicorum: sunt tongæ ambages de lioc Vull ergo dicere quod
intelleclus aliquando judicat, atiquando nonjudicat. Quando esl sine jtulicio,
neque verus neque falsiis est. Quando vero judicat, est cum vero et falso. Quod
vcro alibi dicit quod intellectus simplicium est verus, tegitur de vero qui est
sine judicio; unde icicndum quod quando album vidctur ct judicatur esse atbwn,
est verus, quia specics repracsenlat objcctum sicut est; si vcro judicatur
nigrum, tiinc est falsum, quia species non repræsentat objectum sicut cst. Ita
etiam dicatur Respondetur quod argummtum concludit ex parte rei homiueui uou
esse yriorem Socrate vel Platoue: sei p;'o tauto dicimiis priorem quolibet suo
iudividuo. ut liujusmodi quoUbet stat divisive, quum potest esse liomo et nou
essa hoc vel illud individuum homiuis; et ideo dicimus homiuem priorem natura
Socrate, quum in ordlne ad naturam prius est esse hominem, quam esse Socratem
dicta de causa. Secuudo diciuuis hominem esse priorem Socrate ex parte modi
intelligendi; uam possum intelligere hominem non intellecto Socrate, quum res
primo concipitur modo uuiversali quam raodo particulari. Ad argumenta in oppositum
adducta respondendum est, nec volo adducere ratioues Nominalium, quum ille
modus est sophisticus. Ideo aliter respondebimus, et magis physice. Ad
argumentum primæ opinionis: ad primum dico quod salvatur generatio univoca
absque ideis, quumiu genitis per propagalionem corpora cælestia concurruut
tanquam cauiæ uuiversales: iste vol ille homo tamquam causa particularis; semen
cum spiritu gignitivo tanquam causæ instrumentales: et quod dico de homine
respectu generandi hominis, est etiam de aliis iudividuis aliarum speciarum
generandi individua propriæ speciei. In talibus autem genitis per
putrefactionem corpora cælestia cum aliqua causa particulari sunt causa
generatiouis talium animaiium. Ad secundum argumentum, cum dicitur: «sicut se
habet res ad esse, ita et ad cognosci»; (concedo) quantura ad secundam operationem
intellectus, non autem quantum ad primam, quæ est simplicium apprehensio;
aliter sequeretur lineas non posse intelligi absque materia. Ad tertium dico
secundura AQUINO (si veda) quod scientia realis est de obiecto reali quoad
considerationem, non quoad modum considerandi; idest scientia realis considerat
ista particularia, sed non sub modo particulari, sed secuudura quandara naturam
communem illorum consideratam, ut est apta nata esse indifferentem in iioc vel
illo individuo; et hoc est idem quod dicere secundum modum universalem; sic
enira mathematici considerant lineas sensibiles, seu secundum modum abstrahendi
a sensibilitate. Mathematica enim scientia considerat res sensibiles, et
quantum ad hoc dicitur scientia ch. 30 rccto realis, quum obiectum suum ab ipsa
consideratura est reale, modus tamen abstrahendi tale oliiectum non est realis;
ideo mathematica et omnes aliæ scientiæ reales dicuntur reales ab obiecto, non
autem a niodo consideraudi, quum talis modus fit per opus intellectus. Dices ' quomodo ergo diftert scientia realis a
scientia rationali? Dico quod differt primo ab obiecto, quum obiectura scientiæ
realis est reale, sed obiectum scientiæ rationalis esf rationale. Secundo modus considerandi ens
reale est prima do guslv, el aliis sensibus, el de inlelleclii. Unde quando
species repræsenlal rcm, sic esl verus; quando non, non est verus. El sic
proprie est veritas et falsirc.-Y i:i]i\ Aralolclis Ik Ammalibii trcs
ciimAvcrrois Commenlariis -Vendiis cqmd .hinclasl^Qi. scilicet cogiioscatur per
propriam speciem, an (m-o) ex solo dibcursu ut tenet Scotus, forte bene
pertractabitur teitio liuius. Quia taiLeu hic solet moveri, ideo volo de hoc
alic|ua dicere. Multi modi recitantur ab istis quorum unus est: Accidens ducit
in cognitionem substantiæ, quia sicut virtus phantastica brutorum ex specie rei
sensatæ elicit insensatam; sic intellectus noster ex specie sonsata accidentis
elicit speciem insensatam substantiæ. Nam agnus et ex figura, facie, et colore
lupi, et voce statim elicit speciem inimicitiæ quæ est insensata, et fugit; et
sic ex specie sensata elicit insensatan^ pariformiter, quia nullus sensus
profuudat se ad substantiam, sed intellectus est, qui eam cognoscit cognitis
primis accidentibus per sensum; et sic per viam resoluticnis accidens causat
spejiem insensatam substantiæ; ex quo enim æcidens tantum causat suam speciem
ex accidentibus cognitis, statim inteliectus per quamdam congenitam naturam
elicit speciera substantiæ. Nolo autem recipere impugnationem quam facit hic
Joannes. Secundus raodiis dicendi est, quia ita est in actione spirituali sicut
in reali et materiali ; sed in materiali non inducitur forma substantialis in
materia nisi prius inductis ciualitatibus accidentalibus in rnateria; videinus
euim experientia quod in materia non inducitiir foruia ignis, nisi prius
inducatur caliditas et raritas convenientes pro forma ignis; sic et intellectus
non potest causare couceptum substantiæ nisi prius disponatur per conceptus
accidentium; cum actus aclivornra non sint nisi in patiente bene disj osito, et
actio spiritualis debet proportionari actioni raateriali. Erit ergo sensus
buius opinionis: sicut accidentia faciuut ad generationem substantiæ, ita ad
cognitionem eius. Etsi multi sint conccrdes in boc modo dicendi, sunt tamen
adhuc diversi de geueraiione speciei in intellectu. Joannes imaginatur quod in
virtute phantasticasitsinuil species substantiæ et accidentis, et quod
intellcctus non potest recipere speciem substantiæ nisi prius recipiat speciera
accidentis disponentem et præparantem pro receptione speciei substantiæ; tamen
cum hoc etiam species substantiæ generat notitiam substantiao, mediante tamen
specie accidentis. Alii dicunt quod sicut in actione reali caliditas prius
generat caliditatem in virtute propria, in virtixte vcro substantiæ formam
substantialem, sic in spiritualibus; et hæc est via Thoraistarum volentium
sensum se profundare usque ad substantiam; et talem cognitionem substanliæ
Joannes, VIO (si veda) et Apollinaris appeilant intuitivam, sed ' valde
improprie et raale, quia notitia intuitiva terminatur ad rera; nullam autera
taleui haberaus in lioc raundo, sed liabebimus iu patria. Quod si in hac vita cognitio terrainatur ad rera,
quia phantasraa formaliter terminatur ad rem, non propter hoc esl intuitiva. De istis raodis nihil dico nunc,
quia iu tertio huius dicetur. Ununi dico quod nullus istorura est ad mentem
Philosophi, quia in isto loco non loquitur de ista cognitione intuitiva sine
discursu, sed loquitur de cognitioue cura discursu, ut patet per Philosophum
dicentem: videtur autem non solum quod quid est cognoscere utile;ubi patet quod
loquitur de processu demonstrativo, ubi per coguitionem causæ venimns in
cognitionem effectus. Et qr.od verum sit quod non loquitur ad mentem Philosophi
patet, quiadicit Philosophus: non solum accidens ducit in cognitionem
substantiæ, sed etiam e converso. Non
potest autem substantia ducere in cognitionem accidentis nisi discursive: non
(nim pcr speciera substantiæ duciraur in cognitionem accidontis. Et ideo aliter
est dicendum, per accidens ducimur in cognitionem substantiæ et e coni^erso,
sed per discursum, nam causa in aliquibus est apta dare coguitionem effectus,
et quia, et propter quid; iu aliquibus vero non solum propter quid, ut in
regressii, nam aliquando cognita causa per effectum, devenio a cngnitione causæ
in propter quid effectus; et prima uotitia est perfectissima, secunda vero non.
Ideo dixeruut et bene, quod confert ; sed videatis Tljemistium hic dicentem
quod est quasi circulus, volens dare intelligere quod quandoque causa notificat
effectum, et quia et propter quid; quandoque vero propter quid taiitum, et tunc
est demonstratio causæ tantuiu; qaandoque e converso, et dicitur demonstratio
signi. Est et alius modus quem AQUINO (si veda) bene tauglt diceus; quomodo
ultra notitiam discursivam accidentia couferant; etest quia multoties habemus
cognitionem accidentium propriorum et iguoramus ultimas differeutias; et ut
dicit Commentator octavo Metaphysicorum commeirto quinto, loco ipsarum ponimus
accidentia propria, et per accideus devenimus in cognitionem substantiæ. Unde
cum aliter non possumus facere, facimus sicut possumus, et substantia confertad
cognitionem accidentis non solum discursive, sed quia substantia ponitur in
definitione accidentis; et sic in via definitiva et discursiva accidens coufert
ad coguitioneoi substantiæ, et e contra; et ideo non approbo illos modos
dictos, non quia sint falsi, sed quia non sunt ab intentionem LIZIO hic. Ex his
sequitur quod stat me habere conceptum accidentis, et conceptum substantiæ; et
tamen quod accidens ducat me in cognitionem substantiæ et e contra ; sic quia
cognitio substantiæ confert ad cognitionem accidentis et e contra, patet de
demonstratione propter quid, quæ babita prius notificat quia est ipsius causæ
per effectum, et ducit nos iu notitiam propter quid ipsius effectus. Similiter
stat quod cognoscam substantiam et accidens, et quod tamen accidens conferat ad
cognitionem substantiæ, quia stat et hoc est maxime verum de uotitia accidentis
imperfecta prius habita, perfecta enim cognitio accidentis non potest haberi
nisi post cognitionem substantiæ; ex quo patet nostram consequentiam esse
veram, scilicet quod stat substantia et aceidens ambo esso cognita, et tamen
cognitio aceidentis confert ad coguitionem substantiæ et e contra ; et hoc iu
via discursiva et definitiva nou oportet dubitare, nam ipsum accidens definitur
per substantiam et e contra; et sic non semper est verum quod substantia ducat
in cognitionem accidentis, sed beue propter quid et e contra, ut dictum fuit.
Stat tamen cum hoc quod uotitia s .bstantiæ ducat in cognitionerc accidentis,
ubi piius nullam notitiam haberemus de accidente; patet iu demonstratione
simpliciter, iu qua ex causa nota nobis et naturæ ducimur in cognitiouem quia
est et propter quid ipsins accidentis. Similiter notitia quia est accidentis
ducitin cognitionem substantiæ, nulla prius habita notitia de ipsa; patet
quando ex notitia accidentis proprii devenio in notitiam substantiæ. Ex lioc
patet quod cognitio accidentis uou semper causatur ab ipso phantasmate, nbi per
viam discursivam devenioiu notitiam aceideutis ex uotitia ipsius substautiæ. Ex
quo patet quod ille modus dicendi non est universaliter verus: sicut res se
habet ad actionem realem ita ad spiritualem;bene aliquaudo est verum, non tamen
semper; quia nunquam forma potest esse et recipi iu materia, nisi prius materia
fuerit disposita per accidentia. Stat auteni totum oppositum in actione
spirituali, ut dictum est. In materialibus prius est substantiu quam
i>assiu; in spiritualibus multoties est totum oppositum, ut qiuindo
suibstantia esset nobis ignota, passione existente nota; et lioc modo est
veiiim de irapevfecta nolitia, non autem de perfecta; et quantumcumque accidens
notificet substantiam et e contra, verius tamen substantia notificat accidens,
quam accidens substantiam, et definitio definitum qiiam e contm. Omnia sunt
clara. Unum tantum liic esset dubitanJum, quum ex causa uotificatur effectus et
ex definitione accideutis, numquid iila coguitio sit habita pcr discursum an
per propriam speciem; non euim est verum quod quidquid est per propriam speciem
cognoscatur; mnlta enim cognoscuntur quæ non liabent speciem propriam et
substantiæ separatæ et relationes: imo tenet Scotus quod substantia solum
discursive cognoscatur. Sed de hoc in sequentibus. Ali-id oportet scire, quod
substantia ducit in cognitionem accidentis et e contra via discursiva et
demonstrativa; quia dicit Averroes quod definitiones et demonstrationes, quæ
no;i declaraut accidentia, sunt vanæ; quod eodem modo contiugit quum accidentia
declarantia ipsam substantiam sunt maxime propria; quæ vero non sic. non sunt
propria saltem eodem modo. Sic enim perfectissima definitio declarat omnia
accidentia. Numquid vero proprium et non aliud ducat in cognitionem substantiæ,
credo quod non semper; beue verum est quod quanto magis est prcprium et
esseutiale, tauto magis ducit in cognitionem substantiæ. Et sic fiuis imponitur
quæstionibus super pvimo libro De auima. Deo favente. Cli.45 veiso QVÆSTI0NES
MAXIMI ILLItTS PHILOSOPHI PETRI SCILICET rOMPONATII SVPER SECUNDO DE ANIMA
Utrum definitio animæ sit hene assignata. Visa definitione auimæ in miltis
textibus, Pampouuaciiis eam exanimat iu textu imclecimo. Et prim) circa p.imam
particulam dubitatur utrum sit actus, et videtur quodnon, quia si esset astus,
esiet forma; sed nou est forma; igitur etc. Autecedens patet, quia forma et
actus idem sunt: brevior probatur, quia si anima esset forma, esset vel
substautialis vel accideutalis; sed uon est aliqua istarum; ergo. Quod non sit
accidentalis patet per Averroem secundo liuius, coramento secundo, ubi dicit
quod secundum quod dat nobis prima cognitio naturalis, anima est substantia, et
etiam pars substantiæ est siibstautia. Secnndura probatur quod uon sit forraa
substantialis sic: proprium est substantiæ in subiecto non esse; anima est in
subiejto; ergo. Auterior patet ex præcedentibus; brevior probatur, quia
Aris^oteles iam probavit animam non esse corpus, qnia est in subiecto. Item
proprium est substantiæ per se stare et accidentibus substare; sed anima non
per se stat, nec accidentibus substat; ergo. Anterior patet ex præcedentibus,
et brevior probatur, nulla enim est aniraa quæ per se stat, nec intellectiva;
nam dicitur in primo liuius, quod si quis dixerit animam p3r se intelligere,
est ac si diceret, eam texere vel filare; et hoc est ia textu commenti
sexagesimiquarti, et hæc est prima quæstio quara tangit Joannes. Dubitatur
secundo utrura sit actns priraus; et videtur quod non, quia ille non est actus
primus quem præcedunt alii actus; sed animam in corpore multi actus præcedunt
tara substantiales quam accidenteles; ergo. Prima patet. quia primo non datur
prius; brevior probatur dupliciter, prhiio quia animam ipsam in corpore
præceJuut actus esseutiales et accidentales; ergo. Di accidentali patet, quia actus
activorum sunt in patiente beue disp )sito, nt dicit LIZIO; unde quomodo aniraa
posset iuformare materiam, nisi illa esset disposita et per debitas
organizationes et per debitara proportionera qualitatnm priraarum? Item
præceduut in corpore animara multæ formæ substaniiales tam partiales quam
totales: non enim est homo nisi prius sit corpus, et nisi sit cor et epar, et
alia : quis enira diceret omuia ista membra unica forma informari, cum habeat
tam diversas operationes et complexiones? Deinde ponitnr actus priraus ad
differentiam secundi: lioc non est universaliter vernra qnod auima sit actus
priraus, ut distingnatur coutra secundum, quia quaudo homo nutritur in homine,
non esset actus pr raus, quura iu eo uon est actus secuudus; quare ibi non
esset actus priraus, et iiic tangitur quæstio quæ tangitur ab Averroe coramento
octavo. Dubitatur tertio
utrum anima sit actus primus corporis ; et videtur qnod non, quia si ipsa esset
actus corporis, tunc esset accidens; hoc autem est falsum; ergo. Con(') II tcsto di LIZIO e questo: 810 ^•JX^ s^rr/
svr=\cx^n-z -h TZfirn auaaro; fjTr/.0'j 8uv5t(/si fuvj/ E^ovTo,-. Toiouro Ss, 0
av r^ ojyavizov. De anima II. 1 6. CoDsequentia probatur, quia omiiis forma
adveiueus euti in actu est accidens ex secundo De generatione, textu commenti
quarti huius seeundi; anima autem estt alis quia per se advenit corpori, quod
est iu actu; ergo. Dubitatur quarto super illud verl)um « physici » quia non
videtur bene positum esse, quia in detinitione sribstautiæ nou ponitur
accidens: sed physicus ponitur in detiui Ch. 49recto tione auimæ et anima est
substantia; ergo. Brevior probatur, quia si loco « physici » ponitur sua
defiuitio, quæ est esse principium motus et qnietis; tuuc in definitione animæ
ponitur accideus. Item ablataista particula physiei non minus eiit peifecta ct
completa ista definitio animæ; ergo supevtiue ponitur. Consequentia patet;
anteeedens probatur. quia dicunt quod ponitur « physici » ad ditferentiam
artificialium, modo sufficit pro distinctione corporam artificialium « in
potentia vitam habentis et estdefinitio completa; vera autem definitio non
continet superfluum ut in octavo Metaphysicorum. Dubitatur quinto circa illam
partem «orgauici» quia in definitioue organici ponitur quantitas, qualitas et
.situs, quæ sunt accidentia quorum nullum debet poni in definitione substantiæ.
Secundo anima est simplicior formis elementornm, cum magis accedat ad divinum;
ergo debet habere subiectum simplicius quam elementa; quare non debet habere
pro subiecto corpus organicum. Consequentia potest patere, quia nobilioris
formæ nobilius est subiectum; quanto autem aliquid est simplicius, tanto
nobilius est, quia magis accedit ad illud quod ep ., citur actus primus quia ab
ea non proveuit operatio, quæ est apta uata provenire, sequeretur quod cura
sentirem in ræ, nou e.sset actus priraus; unde Themistius dicebat: cavendura
est ne vigilemus, quia proderemus actum primum. Pro hoc argumento notanda est
discordia in defiuiendo ætum primura et secundura. Latini vohmt quod forraa sit
actus priraus, operatio vero secundus. Si ergo sic defininius, secundum
arguræntum uihil valet; non enim probaret animam nou esse animara actu
operantem, sed non esse ipsam operationera. Sed tamen Theraistius, Alexander,
Averroes et LIZIO videntur velle quod actus priraus sit forma, a qua nou
provenit operatio apta proveuire, actus vero secundus est forma a qua provenit
operatio; sed quoraodocumque intelligatur nou est magna difficultas. Nam ipsi
dicuut quod debet intelligi disiunctive, scilicet quod in aliqua anima est
actus priraus et in aliqua actus secundus; in quibus non est actus operans est
actus priraus; non facit autera meutionera de actu secundo, quia non est
dubium, quod quando anima est operaus in aliquo. qued ibi sit actus primus;
bene est dubium quaudo non est operans, an sit actus primus cum appareat
mortuus. Probabilmente 6 sottinteso : amplius. Uiruiii sint plures foriuue
substantiales in eodeni cuinpusitu. Quinta opinio qiiæ mihi probabilior
videtur, et est authenticorum virorum scilicet AQUINO (si veda), ROMANO (si
veda) et Alberti hic iu libro De anima, licet contrarium videatur dicere in
tertio Coeli. Dicit hæc opiuio quod iu uno composito non possunt esse plures
formæ substantiales realiter distinctæ sed unica tantum; eadem enim forma est
per quam Socrates, animal, corpus, mixtum, oculatus et huiusmodi; et pro liac
duo tautum fundamenta adducam, quia alia patebuut. Primum de ratioue formæ
substautialis est dare esse simpiiciter, accidentalis vero per accidens, ut
primo De generatione dicitur. Modo si quælibet forma substantialis dat esse
simpliciter, tunc tale compositum habebit duo esse simpliciter; quare nou esset
unum, sed duo. Alteruui funJamentuiu est quod LIZIO semper, ubi loquitur de hac
materia, dicit quod omne quod adveuit enti in actu est accidens, quod pariter
vel esset falsum vel limitatum. Volendo ergo sustinere hanc propositionem, quæ
mihi verior videtur; restat solvere argumenta. Ad id quando dicitur: uude
snmeretur uumerositas prædicatorum, pro hoc notetis, ut beue notat hic Albertus
ed AQUINO (si veda), non inconvenit aliqua dispersa in diversis concludi
eminenter in uno perfectioii; est euim substautia sine corporc ut in
abstractis, et etiam corpus siue vivente, et vivens sine auimali, et animal
sine homine. Ecce quomodo ista sunt dispersa in diversis. Cum quo taræn stat
quod ista dicantur esse collecta in uno, ut in homiue ratione suæ perfectionis;
exemplum accommodatum dat Albertus: in civitate suut tribuni, prætor, et
consul; prætor est perfeclior tribuuo, et consul est prior prætore; quæ tamen
omnia sunt collecta in rege sive in principc: potest euim ipse facere omuia quæ
possunt ipsi de per se. Uude iste est ordo: quando aliqua subordinantur ad
iiivicem, prius debet esse in posteriori eminenter, sicut trigouum in
tetragono: auima iutellectiva ex sui perfectione omnia quæ sunt iu aliis
dispersa iu se eminenter continet illa. Quo stante faciliter dicitur ad illud
argumeutura: dico quod est Huica res raaterialiter, taræn plures virtualiter, a
quo sumitur ista uumerositas prædicatorura. Ex onumeratione enim virtutum
sensatarum in ipsa anima intellectiva sumuntur iila prædicata; quare patet quod
ista numerositas sumitur a re continente illas perfectioues eminenter, ut patet
in exeraplo Alberti de rege. Ad secundum: quando dicebatur quod substantia
separatur a corpore et corpus a vivente, et viveus ab animali in liis quæ sunt
dispersa, ergo ita debet esse in liomine; sed in rei veritate, hoc potius
arguit oppositum. Nam in imperfectis sunt dispersa, uniuutur tamen iu Iiomine
propter perfectionem auimæ suæ comprehendeutem omnes gradus imperfectos ex sui
raagna perfectioue, sicut verbigratia rex continet onines magistratus qui snnt
dispersi in inferioribus; imo et Deus qui est perfectissimus omnium continet
emiuenter omnes rerum perfectiones, et hoc est rmum ex fuudamentis Thomæ. DiflScuItas autem est respondere
rationibus Scoti tenentis dari formas partiales et formas mixti distiuctas ab
aliis. Ad primum si non remanet eadem forma, quærebatur de generante illam
formam ita nobilem, et de generaute illa accidentia, et idem eftectus numero
proveniret a distinctis specie. Hoc argumeutum est fortissiraum Ch. 64 recto
quod eognoscitur es diversitate respousiomim. Tliomistæ digladiantur inter se
iu hoc. Aliqiii dant unam responsionem, alii aliam. Gregorius dat aliam in
secundo Sententiarnm distinctione decimasexta, quæstione secunda. Dicam ego
quod mihi raagis placet. Videtur mihi primo quod Scotus et sequaces habeant
contra se easdem angustias quas habet AQUINO (si veda), quia si bos
interficiatur gladio, frigiditate et quomodocumque morialur, semper est idem
bos; modo est difficile videre quomodo per solum motum localem possit corrumpi
bos. TJnde reflectitur argumentum contra ipsum. Dieebat ipse quomodo per solum
raotnm localem potest generari bos nulla præcedente alteratione; ero-o sicut
omnes generatioues præcedit alteratio, ita et omnes corruptiones; et sicut est
iuconveniens de uno, ita est de alio. Tunc refiecto contra te hoc idem
argumentum. Si bos corrumpitur gladio, frigiditate, illa forma substautialis
corrumpitur et est idem effectus numero: ergo a diversis secundum speciem
potest proveuire idem effectus uumero. Dices et subtilius: hoc non videtur
verura de effectu positivo, sed bene de privativo; quomodo enim est possibile
quod per solura gladium geueretur forma cordis et epatis, et cadaveris, et tot
et tanta luembra? Hoc argumentum dixi esse fortissiraum, lieet apud me non
concludat; nam sumo dictum LIZIO in secundo De generatione, ubi diciiur quod
terra potest generare ignem, ærem, et alia multa: si enim terra agat in ærem
per siccitatem nec non per caliditatem, tunc generabitur ignis qui est calidns
et siccus; similiter si agat in ærem per frigiditatem, tunc generabitur aqua,
quæ est frigida et humida. Ecce quomodo est posdbile quod idem agens secundum
speciem causet effectus diversos secundum speciem. et quod idem effectus
secundum speciem proveniat a diversis secundum speciem. Hoc autem, ut dicit
LIZIO, provenit ex dispositione, et quorsum hoc dico? quod non solum effectus
privativus sed etiam positivus potest a diversis causis secundum speciem
causari, et idem agens secundum speciem potest diversos effectus producere.
Quare patet quod non inconvenit quod per frigidum generetur cadaver et per
humidum et calidum, sic et iu aliis; quare quando caliditas agit iu hominem,
cum hoc subiectum sit maxime dispositum pro forma cadaveris, ideo uon est mirum
si ex eo generetur cadaver. Similiter humiditas ageus in hominem geuerat
cadaver, similiter et siccitas, et gladius et talia; non ergo est mirum; quia tale
subiectum est dispositum pro forma cadaveris. TJude si hoc est inconvenieus
erit destruere processum LIZIO in secundo De generatioue, ut supra dictum est;
et si argumentum Scoti concluderet, esset etiam coutra LIZIO. Responsio ergo
stat in hoc quod non iuconvenit, imo est uecessarium ratione dispositionis
passi, eundem effeclum produci a diversis causis; et liæc cst nostra responsio
a nutla accepta, imo idem effectus positivus potest a diversis cau&is
proveuire, ut dolor provenit a calido, frigido, humido, sicco et tamen dolor
est quid positivum, quia est tristis sensatio, sed iustabilis. Ch. CG recto Ch.
"Overso Utrum omnis anima sit divisibilis. Alia quæstio est utrum omnis
anima dicatur esse divisibilis; et ue iu æquivoco labnrcmus, non est sermo
noster de divisione seeundum speciem; quia lioc modo sunt divisibiles imimæ,
quum uon sunt eiusdem speciei; uec est iutentio uostra loqui utrum sit
divisibilis in partes eo modo quo compo.-itum dividitur in materiam et formara,
uec de divisione quæ est in partes essentiales. quia in tertio huius de hoc
videbitur: sed serrao est de divisione i)er accidens sicut ad divisionera
corporis in quo est. De qua Aristoteles quinto Metaphpieorum capite « de quauto
» locutus est, nec loquor utrura auima sit divi^ibilis per se, quia hoc modo
nihil est divisibile præter quantitatera, ut dicitur iu primo Physicorum toxtu
commenti septimi, ubi dicitur quod omne quod est divisibile, ratione
quantitatis est divisibile; ipsa autem quantitas per se est divisibilis. Et notaraus propter sophistas quod nou surao hic per
se in primo vel in secundo modo, sed in tertio, idest per se solitarie; sic
intelligendo, substantia est per se indivisibilis, idest solitarie sumpta et
considerata secliisa qiuxutitate. Sed disputatio nostra est utrum quælibet
anima sit divisibiiis per accidens sie, quod ipsa extensa ad extensionem
corporis dividatur ad eius divisiouera; et sermo est de animabus eductis de
potentia materiæ, quia auiraa intellectiva clarum est quod non est divisibilis,
dimissa opinioue CROTONE A CALABRIA ED ACCADEMIA, qui tenent omnem animam esse
indivisibilem. In via peripatetica invenio tres opiniones famosas. Uua opiuio
AQUINO (si veda) in prima parte quæstionis 76 art. 8; et etiam Albertus est
istius opiuionis. Tunc hæc opinio
dicit quod per se ec per accidens anima est indivisibilis: de par se est
manifestum, et omnes concedunt cum sola quautitas sit per se divisibilis;quod
autem et per accidens sit indivisibilis,probant raultis rationibus. Pro nunc
duas tantura adducaraus: priraa est supponendo quod totum animal aut planta
informetur per auimam, totura enim et quælibot pars est animata, quod non est
nisi per præsentiam animæ. Non
ergo dieunt isti est putandura. quod auiraa sit in una parte per essentiara iit
in corde et in aliis per virtutera. sed iu toto per essentiara. Secundo isti
accipiunt quod definitio de anima sit vera, scilicet anima est actus corporis.
Tunc dicit AQUINO (si veda): sumamus plantam; si enim de quo minus videtur
inesse et inest, ergo de quo magis: cbrura est quod anima plantæ est in tota
planta, et non tantum in parte. Impossibile autem est quod aliquid extensum sit in
pluribus partibus simul. Si ergo aniraa sit extensa, uon potest esse in
pluribus ipsius; et ita dicatur de anima sensitiva liominis. Dicit autem
Thomas, si sit indivisibiiis, quod potest esse præsens omuibus partibus
corporis, sicuti Deus qui præest toti universo. Hoc ergo est argumentura AQUINO
(si veda): aniraa ' informat totam et quamlibet partem, et est actus corpoii.s
ergo est indivisibilis, quia si esset divisibilis non posset hoc facere. Hic etiam Albertus facit rationem multum efficacem,
quam assumpsit PIETRO DA MANTOVA (si veda) concivis meus in scripto suo De
primo et ultirao instanti, credo capite secundo: i^atio est ista, nisi anima
esset indivisibilis, non possemus salvare identitatera individui a principio
usque ad tinem. Probatur quia homo a principio sui, quando erat embrj'o, erat
digitalis quantitatis, et nunc tantao, quod non potest esse nisi quia actuatus
est, et materia est variata propter coutinuam resolutiouem humidi ad
renovationem novæ materiæ propter nutrimenium. Quoraodo ergo si continue a
principio usque ad finem uniatur raateria, potest esse idem numero? quia si
anima est divisibilis ad divJsionem materiæ, cum continue varietur materia,
etiam et forma variabitur; et ita cum non remaneat eadem materia, nec eadera
forraa, nec erit idem individuum. Si autom ponatur auiraa indivisibilis, Cli.71
verso remanet identitas individui, quia esse insequitur formam, et quia quando
anima est indivisibilis seiuper lemauet eudem aliam iodiieus et aliam matedam:
ideo facit identitatem in supposito; sicuti si esset vas perforatum, in quo
continue uova aqua subintraret, et alia exiret, semper utique esset idem
corpus, non existente tamen eadem aqua, quæ tamen induit se in alias materias.
Quæ opinio multis displicuit volentibus animas plantarum esse divisibiles; quæ
quidem multum assimilantur formis elemeutorum, iu tautum quod ACCADEMIA in
Timæo uon dignatus est eas vocare animas sed vocavit naturas. Ulterins autem
isti voluut animas animalium esse iudivisibiles et per se et per accidens, et
ratio est, nam videmus si aliquid aniraal pungatur iu digito pedis, statim
sentit puncturam per totum corpus, quod non potest esse nisi quia anima est
indivisibilis cuiquam parti corporis præsentis (sic). Si autem anima esset
divisibilis, quouam modo illa sensatio trausiret tam cito a calce ad caput? et
si sensatio tiat per spiritum, quomodo spiritus tam cito potest trausire de uno
loco ad alium. cura tamen spiritus sit corpus? Aliis uou placet hæc opinio; sed
volunt quod auima animalium perfectorum sit iudivisibilis, imperfectorum vero
divisibilis; quam opiniouem insequitur AQUINO (si veda) iu secundo Contra
Gentiles capite septuagesimo secundo . Imperfecta vero quæ densa (secta) vivunt, perfecta quæ
densa secta uou vivunt. Istam opinionem probaut, quia si densantur (secantur)
talia animalia, ut auguillæ, partes densæ sectæ vivunt; per oppositum vero est
iu perfectis, quia ipsa habent animam indivisibilem, prima vero divisibilem.
Tertia opinio est, quæ magis mihi videtur peripatetica, quæ tenet quod quælibet
anima præter intellectivam est divisibilis, cum sit constituta in esse per
subiectum, educta de potentia eius. Quæ opinio magis videtur sensata; et ratio
pro hac opinioue est, quia si sunt formæ eductæ, prima facie denotare videutur
quod sint exteusæ et divisibiles, quia debent habere couditiones materiæ.
Primum autem iuhærens materiæ, disponens eam pro eductione foimarum, est
quautitas; ergo cum omne receptum recipiatur secundum conditiones recipientis,
ipsæ formæ erunt divisibiles et extensæ. Pro hoc facit dictum Aristotelis
tertio Coeli textu commenti septimi ubi probat passioues et accidentia esse
divisibilia, ex eo quod sunt in subiecto divisibili ; quod Diciiur crgo iolum
ct sccundum quanlilalciii cl sccunduin csscnUac pcrfcciioncm. Toiuiii uulcm ct
parlcs, sccunduin quantitalem dicla, formis non conveniunt nisi pcr accidens,
scilicet in quantum dividunlur divisione subjccti quantikUcm habentis; iolum autem
vel pars, secundum perfectionem cssentiæ, invcnilur in formis per se. Dc hac igilur lotalitale loquendo quæ per se formis
compelil, in qualibel forma apparet quod csl tota in toto et tota in qualibel
parte ejus. Secus auleni csl de totalitate quæ per accidens atlribuilur
forinis; sic enim non possumus dicere quod lola albedo sit in qualibel parle.
Si iyitvr est aliqua forma quæ non dividatur divisione subjecli, sicut sunt
animæ animalium perfeclorum, non erit opus disiinclione, cuin eis non competal
nisi una lotatitas; sed absolute diccndum cst eam lotam essc in qualibet
corporis parle — AQUINO (si veda) Gontra Genlilcs — Si avvfrta che quaiido le
citazioiii di san Tommaso non sono accompagnate cspressamente dal titolo Gontra
Gcnlites o da altio titolo specificato, ma solo dal i-idiiamo a Parti,
Questioni cd Articoli, si intendono riferite alla Sumnia Teologica dell"
Angelico. (-) Uno dci passi di Aristotele a cui si riferisce la questione qai
trattata e clie giustifica la correzione proposta allo sbaglio commesso
dairanianuense, alle parole dcnsa e densanlur, u.!-i .... cuy.t^aTvov sni tu-j
s-jtouuv sv to]; 5jaTS//vo^as-/oiv' v.a:' ya.p «(VSvjgt/ sxaTSjS^v xoiv fisfu^j
sysi. xotl ■/.i-rriai'i t-rfi zara Ttiffov capo 2 di,'l libro 11, paragrafo 8.
Cf. capo -5 del libro I, ultimi paragrafi del De Anima e Problemata, sezione
IX, paragrafl I3-G5 e 67 della edizione Didot. si ratio sua procedit de iiiis
accideutibus, eadom ratione procedit de istis formis eductis; et Commentator in
primo capite De substantia orbis in tine, dicit quod ex eo quod forma est
constituta in esse per subiectum, est divisibilis et e coutra; sic quod se
mutuo inferunt divisum et constitutum in numerum per subiectum, in diversis
tamen generil)us causarum, quia primura est a posteriori et secundum a prijri.
Item LIZIO iu octavo Ph^^sicorum ubi devenit ad primum motorem, probat eum esse
indivisibilem, ex eo quod est abstractus a materia: modo si auimæ plantanm
essent iudivisibiles non valeret suum argumentum ex eo quod primus motor est
indivisibilis. Probat quod est
immobilis; ergo etsi animæ plantarum essent indivisibiles, essent etiam
iramobiles. Item corauniter dicitur si anima esset indivisibilis idem moveretur
et staret simul. Ad rationes in oppositum potest dici; ad primara quæ est Thomæ
cum dicitur unum divisibile nou potest inforraare aliud secundura diversas
partes ; dico quod illa definitio « anima est actus etc. » debet intelligi de
una anima totali et non de partibus animæ. Uude sicut doraus est forma cameræ
secundum unam partem et tecti secundum aliam partem, ita et anima est forma
nasi secundum unam partera et pedis secundura aliam; et sic de singulis. Ad
rationem Alberti dicitur quod licet anima sit divisibilis et materia semper
fluat et refluat, quia tamen a principio generationis est contractum humidnm
radicale, quod semper raanet idem numero; ideo salvatur identitas numeralis.
Nou taræn expectes totam veritatem in generabili, sicut in æterno, nec tantam flexibilitatem.
sicut in fluvio, sed est niedia inter illa. Ad argumentum Marsilii MARSILIO DI PADOVA (si veda) «
si pungatur animal » dicitur primo: si tenemus illam sensatlonem fieri per
realem tvansmutationem spirituum, dico: non demonstrat quod subito fiat illa
sensatio, sed in tempore imperceptibili, sive modo illi spiritus currant ad cor
tanquam ad principium secundum Aristotelem, sive ad cerebrum secundum Galenum.
Vel potest dici et melius quod sensatio illa non fit per realem
transmutationera, sed per spiritualera, et hoc non inconvenit sicuti et camera
in instanti illuminatur. Ad aliud quod dicit alteraopinio de Albertistis dico
quod illud est pro uobis; et cura dicithæc opinio quodanimæst indivisibilis.
quia animalia perfecta secta nou vivunt: dicitur quod hoc non concludit; unde
dico quod hoc provenit pro tanto, quia in animalibus perfectis est complexio
temperata et mensurata respectu aliorum animalium; et, ut utar seraone
Aristotelis, una pars dependot ab alia. Ideo si dividatur uua pars ab alia, raoritur
aniraal: et hæc est ratio Aristotelis in quinta particula Probleraatum
problemate vigesimosecundo, ubi quærit proptcr quid corpora maxime perfecta de
facili ægrotant, et hoc dicit esse propter maximam et optiraara suara
complexionem et compositionera in partibus quarum una dependet ab altera;ideo
una læsa, aliæ læduntur; sicut in cithara perfecta una corda læsa tota læditur:
non sic iraperfecta. Quod ergo una parte læsa totum lædatur est ex sui
perfectione, et non ex indivisibilitate aniraæ : quia enim in talibus
animalibus est complexio et compositio,. ideo partes sunt magis unitæ, et
dependentes ad invicera; ideo si una pars taliura animalium læditur vel
separatur ab alia, solvitur illa proportio, et commensuratio membrorum talium
animaliura ad iuvicem; quare totum animal moritur, quia vita consistit in illa
proportione; et hoc tamen secundum Averroem, quia fides aliter sentit. Quod si
horao in duas partes divideretur, non statira perirct anima loquendo de ea quæ
est educta; cuius signum est quod manus abscissa palpitat, et vidi capxit
sectum in decapitatis palpitave; et multi dicuiit loqiii, quod tamen uegatur a
LIZIO. Quare autem non diu \ivat anima diviso coriiore non est ex
indivisibilitate animæ sed ex sui perfectione – cf. H. P. GRICE, SHROPSHIRE –
immortality of the soul] ; quia liæc anima est raaxime perfecta, ideo indig.^t
partibus ad invicem unitis. Recitavimus qnatuor opiniones, quarum quartam
tauquam magis peripateticam acceptavimus, quæ ceite est Commentatoris.
Uuusquisque tamen potest defendere suam opinionem, sed non ut puto ad meutem
LIZIO; sed pro clariori intelligentia liuius quæstionis oportet raovere unum
dubium, quia iu solntione unius argumenti dictum est quod prima definitio animæ
intelligitur de una anima totali et perfecta non dependente. Modo lioc est
dubium, quia per ea quæ dicta sunt aniraa non tantum informattotnm sed
unamquamque partem; si sic, ergo quælibet pars est animata, ergo anima est
animata. Quæro de anima unius partis vel est actus corporis, vel nou. Si non,
ergo non est anima; sisic, ergo ponitur quod sit actus corporis; ergo sibi
competit defiuitio animæ quæ est actus corporis physici organici ; quod tamen
est falsum, quia illa pars non est organica ut aliqua particula carnis. Si ergo
sic sit, iila pars nou habebit animam, et sic anima non erit e.xtensa sed
indivisibilis. Ad hoc dicitur quod anima informat totum corpus, et quamlibet
partem, et quælibet pars est animata: et (ad ea) quæ dicis contra, quia uon est
actus corporis, dico quod eadem quæ primo informat totiim, secundario partem;
et sic luiec pars secundaria est animata per animam totum informantem.
DeJinitio autem illa habet intelligi de eo quod primo informat et non
secuudario. Dices: ista expositio est cavillosa, neque solvit dubitationes.
Bene verum est quod anima primo informat totum, sed accipit animam quæ precise
informat miniraum carnis. Quæro de illa: velest anima vel non; si sic, cum
anima sit actus corporis physice organici istud niiuiraum esset organicum.
Multi moderni. quorum caput est PIETRO DA MANTOVA (si veda), concivis ræus,
respondent quod quælibet pars est animata, et quod in uuo homine sunt infiniti
homines, quod quidem non consonat viribus sic, et est contra LIZIO supra in
textu comrænti noni ubi dicit: «si oculus esset animal»; non ergo dieit, quod
sit animal, sed loquitur dubitative « si sit »; et istud est contra Aristotelem
in quinto De animalibus, ubi cum devenit ad hominem, docet eum esse
constitutura ex carne et osso. Et si diceres LIZIO loqui de uno animali, hoc
nihil est. Verum ojwrtet suam rationem salvare, quia suræudo tale minimuni ut
est animatum vel non, dico quod LIZIO numquara diceret tale rhinimura esse
animatum in actu, nec animal iu actu, quia definitiones dantur eorum qnæ sunt
primo et per se et sirapliciter et in actu. Ideo illa definitio debet intelligi
de anima per se in actu, et non potentia; quia antem illæ partes non proprie
dicuutur aiiiraatue cura sint in toto in potentia; ideo illa definitio non
datur de illis. Sed adhuc instant isti, quia definitio explicat essentiara
definiti; si ergo partibus integralibus animæ non competeret hæc definitio,
ergo iu defiuitione animæ poueret primo et per se; et cum hæ conditiones siut
accidentales, et sic defiuitio auimæ esset data pcr additamentum scilicet per
particulas per se, primo. Hoc argumento PIETRO DA MANTOVA (si veda) concedit
quod quælibet pars animalis estauimai. Sed contra; quia similis (ratio) est
contra eos, nara aninial et unum animal convertuutur quarto Metaphysicorum; sed
per se hoc est animal, ergo nnum animal tantum: quare iu uno non ernnt infinita
aniinalia, ut tu coucedis. Sed quia possent negare quod uuura et ens
couvertuntur; ideo dico ad argumentnm: primo quod ad lioc quod aliquid
definiatur, oportet liabere has conditiones, seilicet « per se primo»: nou tamen
quod liæ conditioues siut iu quidditivo conceptu definibilis. Alii dicunt, et
iu idem coinciduut, quod in geueratis in quibus terminus ut liomo dicit secuudo
auimam et corpus; si definiatur, semper est cum connotatione, ut ex illis
partibus fiat unum per se et in actu; et sic licet liæ conditiones non ponantur
in definitione, tamim connotantur inesse illi subiecto. Utrum potentiæ animæ
distinguantur reaUter ab anima. Circa textum trigesimum secuudum Pomponacius
dubitat utrum potentiæ animæ distiuguautur ab auima rcaliter. Ista quæstio est
difficiiis, et Iiabet nuiltas opiuiones. In ea tamen tres principales invenio;
prima est Tiiomæ in prima pavte, quæstione septuagesima septima articulo primo,
quam imitantur ROMANO (si veda) et Joanncs Gandaveusis, et multi alii qui
volunt quod potentiæ animæ sint de secunda specie qualilatis et sint reales
realiter distiuctæ ab esseutia animæ ; et licet de lioc siut fereinflnita
argumeuta, ego tamen potiora adducam. Primura argumentum est Tiiomæ in prima
parte quæstione quinquagesimaquarta articulo tertio, ubi quæritur utanu
potentii Angeli sit eius esseutia. Argumentum est quia in Deo esse et essentia
snnt idem; in aliis vero nou, aiiter euiui divinæ simplicitati derogarent:
sicut autera esse et essentia uon sunt idem in creaturis, ita uec essentia et
potentia erunt idem. Unde si essent idem, agerent sine aliquo instrumento, sed
agereut immediate p^r essentiam solam, quod Deo repugnat. Et propter boc tenet
AQUINO (si veda) quod esse et essentia, essentia et poteutia non sunt idera
nisi iu Deo. Secundum argumentum est: actus et potentia sunt eiusdem geueris;
cum ergo actus animæ, ut visus, sit accidens; ergo potentia ad videndum erit
accidens, quare nou erit idem quod aniraa. Tertiura argumentum: si anima esset
idem quod suæ potentiæ, tunc anima semper actu operaretur; quod tameu est
falsum, quia aliquando ob omni opere cessat. Consequentia probatur; sicut enim
auimæ est facere esse vivum illud iu quo est, et quamdiu stat in subiecto, ad
eam sequitur esse ; ita si essentia animæ sit sua potentia ad eaui semper
sequitur operari et esse in actu. Quarta ratio est, in qua multum miratur
Ægidius, quia non est transire de extremo in extremum sine medio; es quo ergo
aniraa est substantia, et operatio est accidens, oportet dare aliquid quod nou
sit totaliter substantia, nec totaliter accidens, et lioc est potentia animæ.
Quinta ratio: poteutia est de secunda specie qualitatis, qualitas autem
realiter diflfert a substautia, quia suut prædicarænta distincta; ergo aniraa
et eius potentia non sunt idem. Sextani argumentum: aniraa est una, potentiæ
plures; ergo anima non est suæ potentiæ realiter. Septimum arguræntura :
sequeretnr quod in pede esset potentia visiva, et sic pes posset videre, quod
est falsum. Consequentia probatvu-: si enim anima sit idem quod suæ potentiæ,
cum anima sit in pede; ergo potentia visiva erit in pede. Octavo et ultirao:
quæcumque suut eadem uni tertio sunt eadem inter se ; si ergo potentiæ animæ
suut idem lealiter qnod auima, erunt idem inter se; quare potentia auditiva
erit visiva vel olfactiva erit tactiva, et sic de aliis. Alia est opiuio huic
ex toto contraria, quæ teuet quod potentiæ auimæ sint idom realiter quod auima,
et quod differant ab anima, et inter se sola ratione. Cuius sententiæ fueruut
Nominales, quorum primus est RIMINI (si veda) in secundo Sententiarum,
dispiitatione decimasexta, quæstione tertia, articulo primo; et liabet tres
rationes priucipales, quarum prima est hæc quæ videtur efficacior: frustra fit
per plura quod fieri potest per pauciora et æque bene. Sed omnia salvantur, ac
si pouamus eas distingui realiter ab illis; ergo. Anterior est clara; brevior
probatur, quia non aliqua ratio neque auctoritas est quæ cogat ad hoc, ut
patebit in ratione ad obiecta. Secunda ratio: si anima et suæ potentiæ
diffeiTent realiter, itaque potentia sit accidens; cum omne accidens sit in
subiecto, ergo ista poteutia erit in anima sicut iu subiecto. Vel ergo erit in
ea mediante aliqua potentia, vel non; si nou, ergo anima poterit es se sola
aliquid accidens recipere, quare poterit. recipere actum sine potentia
intermedia. Si priraum, quæro de illa potentia, et ita vel procedetur in
iufinitum, vel erit devenire ad aliquam poteutiam quam auima ex se sola
recipiat; quia anima ex se sola poterit aliquid accidens recipere; quare erit
standum in primo, scilicet quod anima es se sola possit facere suam
operationem; quando enim debemus resecare. melius est resecare in principio,
quam in fine ex secundo huius textu commeuti centesimi trigesimisexti.Tertium
argumeutum: raateria prima non differt a sua potentia; ergo nec auima. Et
coufirmatur quod caliditas agit non mediante aliqua potentia intermedia; quare
videtur; esse dicendum idem de anima, quod ipsa faciat suas operationes debitas
sine potentia intermedia. Tertia est opinio Scoti, quæ est rædia inter ista,
quæ opiaio constat ex duabus conditiouibus. Prima conditio est, in qua couvenit
cum nominalibus, quod anima est idem realiter cum suis potentiis ; quod probant
quia eorum quæ sunt absoluta, Deus potest creare unum sine altero, et quorum
unum non sit pars alterius. Notamus: dicitur absolutum quod de relativis est
impossibile, ut de patre et filio; et notamus: dicitur « quorum unum non erit
pars altejius, quia Deus non potest causare compositum sine materia; et hoc
quia materia est pars illius: potentia autem aniinæ non est pars animæ, aut
relativum, sed absolutum. Sed dices: non potest facere potentiam sine auima;
ergo suut idom realiter; nec etiam potest creare auimam sine potentia; quod
probatur, quia si Deus crearet animam nutritivam, certum est quod nutriret, cum
sit nutritiva; ergo haberet potentiam nutriendi. Itera istæ poteutiæ sunt sicuti propriæ passioues,
quæ non possunt esse sine subiecto proprio. Secunda conditio est, in qua
differt a RIMINI (si veda), quod potentiæ differunt ab anima non tantum
ratione, sed ex natura rei; quod probatur, quia illa quæ secluso omni opere
intellectus habent diversas denominationes, non sunt distincta sola ratione;
anima autem et suæ potentiæ se habeut hoc modo; ergo suut distincta ex natura
rei. Anterior est; manifesta, et brevior probatur, quia secluso opere
intellectus, adhuc anima est una potentiæ autem plures. Item anima est causa
suarum operationum; ergo simt distinctæ plusquam ratione. Sed dices quæ harura
opiuiouum est rælior? Dico quod quælibet potest sustineri, et de hoc ego uescio
determinatara veritatem, multa euim sunt problemata quæ omniuo non habent de se
veritatem determiuatara, ut numerus stellarum; qiiis enim scit uu stellæ siut
pares au impares? similiter et graua arenæ. Dico tameu quod opiuio AQUINO (si
veda) mihi magis placet, est euim magis consoDa dictis LIZIO; fuit etiam
sententia ACCADEMIA et Dionisii. Sustinendo ergo eam dicitur ad ratioues
Nominalium voleutium poteutias animæ diiferre ab anima sola ratione: ex eo euim
quod anima potest videre, dicitur potentia visiva, et ex quo potest olfacere,
dicitur olfactiva; et sic de aliis dicatur. Ad primum cum dicitm; frustra etc,
dicitur concedendo anteriorem; sed negatur minor, quod æque bene potest
salvare. Et cum dicitur: patebit etc. dico quod argumeuta quæ fiuut pro Thoma
simt magis probabilia; et multum ad hoc cogunt ut patebit iufra. Ad secundum,
cum dicitur: ista potentia vel recipitur iu anima mediate vel nou; dico quod
accidens est anima, sed non proprie ; sunt enim in composito, nec sunt iu
coi-pore solo; istæ euim poteutiæ non producuntur ab anima secundum Thomam, sed
producuntur a producente animam qui est Deus; et ipse dicit hoc modo iu prima
parte, quæstione sexagesima tertia, articulo quinquagesimo, ubi vult quod
diabolus in primo iustanti suæ creationis non potuit peccare. Quidquid habebat,
a Deo habebat et sic peccatum a Deo esset; sicut quando ex ligno generatur
ignis, tam forma ignis, quam motus eius sursum est a generante. Et cum dicitur:
vel recipitur iu auima uiediante aliqua altera potentia vcl non : dico quod
secus est in principio et iu principiato, quia priucipia uou suut talia proprie
sicut principiata, sicut prima principia quæ suut causa quod alia sciautur;
ipsa tameu uon sunt proprie scita, et relatio quæ est causa referendi alia non
refertur alia relatione quam se ipsa; et quantitas quæ est causa extensionis
aliorum per semet extensa est. Ita de auima dicemus, quod recipit actura
mediante potentia, sicut videre mediante poteutia visiva, immediate tamen et
per se sola recipit poteutiam visivam, quæ potentia habet se sicut priucipium
ad videudum. Altera responsio est. quod sicut est de potentia et de actu, quia
actus est quid extrinsecum ab ipsa aniraa, potentia vero est quid medium;
uatura autem nou transit de extremo ad extremura sine medio. Ad tertiura, quod
potentia raateriæ sit idera quod materia; multi teneut quod potentia materiæ
differat a materia; sed puto hoc esse falsum. Quare dico uegando consequentiam
quia materia recipit formam substantialem, et cum actus et potentia sint in
eodem geuere, receptum autem sit substantia, potentia quoque ad illud
recipiendum erit substantia. Et cum dicitur: potentia caliditatis, per quam
agit uon diifert a caliditate, ergo iu simili uec potentiæ animæ differunt ab
anima; dico quod, sicut dicitur in secimdo Coeli textu coramenti
sexagesimiquarti et sexagesimi sexti, aliqua sunt ita in fine naturæ, quæ
propter sui imperfectiouera consequuutur aliquam iraperfectiouem paucis
motibus; aliqua vero suut quæ et propter sui maguam perfectionera consequuutur
perfectam bouitatem paucis motibus. Alia vero suut, quæ babent perfectam
bonitatem siue aliqua operatione ut Deus. His habitis dico quod si qualitates
primæ agunt absque aliqua potentia intermedia, hoc est propter sui maximam
imperfectionem; uude forma prima, quæ est imperfectissima imrædiate potest
formas substautiales recipere; auima autem cum sit, pars perfectissima omnium
istarum formarum inferiorura, non potest agere absque potentiis intermediis. Ad
argurænta Scoti, ad primum quod eorum quæ sunt absoluta Deus potest facere unum
sine altero, dantur duæ responsiones ; prima negaudo anteriorem, et Ch.76 verso
multi eam negant quum etsi niateria et forma sint absolutæ, tamen Dens non
potest uuum siue altero facere. Et AQUINO (si veda) e ROMANO (si veda) teuent
oppositiim; nec forte posset producere formam asini sine sua materia, ex eo
quod ad invicem dependent. Nec aliquam aliam formam materialem, nec a Tiionia
oppositum invenio; nec istam probavit Scotus. Alia est responsio, quam dabat
præceptor mens concedendo Deum posse creare unam animam sine poteutiis; et cum
dicitur: ista vel posset nutrire vel non; dico quod posset nutrire non in
potentia propinqua sed remota; sicut si in materia non esset quantitas, materia
posset recipere albedinem non in potentia propinqua, quia albedo recipitur in
materia mediante superticie; sed in potentia remota posset albedineni reeipere.
Quum vero dicitur potentias distingui ex natura rei ab ipsa anima, diceret
AQUINO (si veda) negando illara distinctionem, quum omnis differentia vel est
realis vel rationis, nulla vero ex natura rei; sed quum argumenta AQUINO (si
veda) non conclndunt, ad ea volo respondere. Ad primum, quod si anima ageret
sine aliquibus potentiis intermediis esset ita perfecta sicut Deus: istud
argumentum est probal)ile sed non concludit; ideo dico cjuod hoc modo nou
sequitur: ad probationem dico quod propter hoc non sequitur esse ita perfecla
sicut Deus quæ a Deo dependent et sunt magis potentialia ipso. sunt enim composita
ex perfecto et imperfecfco, quorum unum attestalur forma, alterum materia. Deus
autem a nullo dependet et est purus actus. Ad aliud, actus et potentia sunt in
eodem genere, plures dicuntur ad hoc responsiones; ad nominales qui tenent
substantiam et accidens esse idem realiter, et quod qualitas, excepta tertia
specie, sit idem reaiiter, sed non in Deo; ad hoc dico quod anterior propositio
intelligitur de potentia obiectiva, unde potentia caliditatis et actu caliditas
sunt in eodem genere, non autem intelligitur de potentia subiectiva per quam
aliquid æcidens in aliquo reperitur subiecto, et ista est responsio Scoti. Ad
tertium quaudo dicitur, si essent idem ergo anima semper actu operaretur, cum
ita se habeat ad cperari sicut anima ad esse: dico quod licet potentiæ siut
ideni realiter cum anima, differunt tamen ratione, et propter hoc anima non
semper actu operatur sicut in Deo potentia creandi et essentia sunt idem quod
Deus, et tamen non semper actu creat et hoc quia istæ poteutiæ differunt ratione
et plus requiritur ad hoc quod anima operetur quam quod det esse, si enim debet
exire in operationem ipsa anima, requiritur obiectum extrinsecum; non autem ad
hoc quod det esse requiritur aliquid extrinsecum, quia dat esse materiæ quaudo
in ipsa est, et ideo non semper actu operatur sicut dat esse, quia aliud est in
ratione essentiæ, aliud iu ratione poteutiæ. Ad quartum non est transitus, dico
quod non est necesse, si sit transitus de uno extremo ad alterum, quod fiat per
omnia media, et sieut qualitates primæ agunt immediate, ita et anima potest
agere immediate. Ad alterum, quod potentiæ sunt de secunda specie qualitatis,
dico secundum Scotum quod istæ potentiæ ex quo idem sunt realiter quod anima,
quod erunt in eodem prædicameuto in quo est anima. Aliter dicimt Nominales quod
aliquid accidens realiter est substantia et tunc anima, ut est potens, erit in
secunda compositione qualitatis; sed istæ responsiones non videntur multum
valere, ut aliquod accidens sit substantia, et ideo dixi opinionem Tiiomæ magis
verara apparere. Ad ultimum quod uua est anima, et multæ potentiæ: dicitur quod
potentia dicit duo: subiectum et terminum; ratione termiui sunt plures
poteutiæ, sicut potentia visiva est alia ab auditiva, ratione coloris et soni,
respectu autem animæ et subiecti sui sunt idem, sicut in deo iusiitia et
misericordia realiter sunt idem, in ratione tamen termini sunt diversa. Ad
alterum quod potentia visiva esset in pede, dico quod in pede est potentia
visiva, in potentia remota, ex eo quod anima non videt nisi mediante organo
debito quod est oculus. TJltra enim animam, ad sensationem causandam requiritur
debitum corpus quod habeat adiuvare animam in tali sensatione ferenda; et si
dicitur: cum potentia visiva sit in pede in potentia, ergo aliquaudo reducitur
ad actum et aliquando pes videre poterit: dico quod non inconvenit aliquara
potentiam remotam numquam reduci ad actum. Ad ultimum quod istæ potentiæ essent
idem inter se. dico quod sunt idem in potentia remota, nou propinqua. Quomodo
potentiæ ab anima fluant. Viso hoc restat videre quomodo et quo ordine potentiæ
animæ fluant ab aniroa, et quomodo sit possibile tot potentias fluere ab
essentia animæ; cum tameu sit communis regula quod ab uno non provenit nisi
unum. AQUINO (si veda) ibi
in quæstioue sexta, articulo quarto et septimo, dicit quod duplex est ordo,
scilicet perfectionis, et originis. Secundum primum ordinem.potentiæ
intellectivæ sunt priores sensitivis, sensitivæ nutiitivis: secundum vero
secundum ordiuem, e contra se habent, quod enim est in perfectione nobilius, in
via generationis est posterius, et sic potentiæ nutritivæ erunt priores
sensilivis, et sensitivæ intellectivis, quæ sunt intellectus et voluntas. Sed
quænam sit nobilior potentia an inteliectus vel voluntas. Moderni theologi ut
Ægidius et Scotus tenent quod voluntas sit nobilior, et hoc quia magis unimur
Deo per actum voluntatis, qui est amare, quam per intelligere, quod est actus
intellectus; secundum tamen ACCADEMIA E LIZIO et theologos antiquiores, et
etiam secundum AQUINO (si veda) intellectus est nobilior voluntate. Habetis
ergo quomodo ab anima quæ est una, possunt plura provenire ordine qnodam, prius
enim via originis producit potentias nutritivas, postea sensitivas, demum
intellectivas. Post textum quinquagesimum, Pomponacius movet miilta dubia;
primum quia in vigesimosecundo et trigesimotettio textus, dictum est quod
operationes suut notiores potentiis, et obiecta operationibus: idem vult in De
somno et vigilia; ideo quæritur utrum hoc sit veiTim, utrum scilicet potentiæ
distinguantur per actus et actus per obiecta. Nec sermo noster est de potentia
obiectiva aut respectiva, sed de potentia quæ est de secunda specie qualitatis;
nec est sermo de distinctione essentiali, sed de extrinseca, hoc enim non est
possibile nec imaginabile, quia actus non snnt intrinseci potentiis, nec
obiecta actibus. Sed dices: propter quid differant intrinsece? dico quod
differunt per suas ditferentias; et quia istæ difterentiæ non sunt notæ, ideo
LIZIO non facit mentiouem de hoc, et quia hoc est clarnm, quia omnia difteruut
per suas ditfeentias; sermo ergo non est de differentia intrinseca. In hac
quæstione ponam quatuor articulos; priraus erit de distinctione numerali,
secuudus de distinctione specifica, tertius de generica; in quarto dicetur quid
senserit LIZIO de omnibus his articulis et alii de quarto tantum loquuntur.
Utrum unitas obiecli secundum numerum arguat operationem unam secundum numerum,
et e contra. Quæi-itiir ergo de primo articulo utrum unitas obiecti secuudum
uumerum argiiat operationem unam secuudum numerum, et e contra. Si ita dicatur
de uiiitate operationum respectu potentiarnm, de hoc patet quod non valet: si
est unum obiectum numero, ergo una operatio nnmero; quia ego sum unum obiectum,
quem vos omnes videtis, et tamen multæ sunt visioues, quia quot sunt
bomiues,tot sunt visiones. Sed quid dices respectu unius obiecti et uuius
potentiæ? adhuc non valet, quia nunc Socrates videt hauc albedinem, et prius
iufinities vidit; iu hoc casu est idem obiectum, eadem potentia, uon tameu
eadem operatio numero; et hoc est quod dicitur in quiutoPhysicorum quod
diversorum motuum stat quod sit idem terminus uumero; et ita de hoc dicatur,
quia licet terminus, scilicet obiectum et potentia sint una numero, non tamen
operatio est una numero et unitate numeraii obiecti et potentiæ sit uua
operatio numero. Dico quod stat Cl).79verso operationem non esse unam uumero,
staute uuitate numerali omuium istorura; nam sit ita quod uua et eadem res sit
volita et intellecta a me; nam uua pulchra puella siraul et eodem instanti
potest esse intellecta a me, non tamen amata et desiderata, quia ego non vellem
eam, et tunc patet quod sunt diversæ operationes, et tamen est idem obiectum;
sed hoc est quia non est idem obiectum forraale, sed bene materiale, Obiectum
re formale intellectus est Eus, et verum obiectum voluntatis est Bonum, niliil
euim appetitur uisi sub ratione boni contra Scotum ; quod si sic, semper ex
unitate formali subiecti licet inferre unitatem operationis stantibus aliis
conditionibus, sicut mihi videtur. Utrum autem e contra valeat: est una
operatio numero, ergo unum obiectum numero; et videtur quod sie, ut vult
Aristoteles iu quiuto Physicorum, quando tractat de unitate motus. Unde plura
requiruutur ut ex uuitate obiecti inferatur uuitas operationis, quam e contra;
eoque una operatio non potest habere nisi unum obiectum, sicut unus motus unum
terminum. Unde in quinto Physicorum dicit LIZIO quod uuius motus est tantum
unus termiuus. Sed uumquid, si siut duo obiecta numero distincta, sint duæ
operationes numero distinctæ? Ex una parte videtur quod sic, quia si duæ sunt
albedines numero differentes, certum est quod sunt duæ visiones numero
differentes; si enim visio, ut multi tenent, est idem quod species visibilis,
cum duæ sint species albedinis, duæ quoque erunt visiones numero distintæ. Si vero dicas quod species visibilis non sit idem
quod visio, sed visio causatur a specie visibili, tunc sunt duæ causæ; ergo duæ
operationes. Sed iu oppositum videtur quod ex diversitate obiectorum non liceat
iuferre diversitatem poteutiarum, quia vos estis plura obiecta numero
distincta, et tamen uno intuitu video vos. Etiara et per boc est ratio, quia
videtur, ut dicitur iu quarto Topicorum, quod qui imum non intelligit nihil
intelligit; et confirmatur ad AQUINO (si veda), quia una et eadem cera non
potest simul informari a pluribus figuris, ut triangulari et rotunda simul ;
ergo nec visio potest plura videre nec aliqua alia potentia. In hoc Scotus et
Thomas sunt oppositi; vult enim Seotus quod una poteutia possit simul habere plures
operationes; Thomas vero vult quod hoc non sit possibile, et ideo de hoc
difficile est inquirere et bene determinare. Videtur forte quod ambo beue
dicant, nec est difterentia in se, sed in verbis tantum ; cum enim dicit
Scotus: sunt plura obiecta visa, ergo plures visiones; dico quod est unum
obiectum primo visum actu, et sunt plura ia potentia; sicut si viJeam domum,
tota domus est unura obiectum piimo visum in actu; partes vero visæ sunt in
potentia, et sicut obiectum est uuum actu, ita visio est una in actu. Unde si
audiamus barmouiam, in harmonia est grave et acutum, et tamen tota barmonia est
unum primo auditun in actu, pluresinpotentia, sicut lapides in domo; et ita ego
coucilio Scotum ed AQUINO (si veda), quia quando Scotus dicit quod sunt plures
operationes, si plura sunt obiecta ut de duabus albedinibus; dico quod sunt duo
obiecta in potentia, et aggregatum est uuum obiectum numero in actu; et ita si
sunt plura obiecta totalia secuudum actum, sunt plures operationes actu; et si
est uuum obiectum totale in actu, uti de tota domo, est etiam una operatio.
Restat modo videre de operatione et potentia; et primo utrum valeat «sunt
plures operationes numero, ergo potentiæ numero. Hoc modo clarum est quod non
videtur valere, nec valet quia eadem poteutia est visiva omnium colorum, quæ
potegt habere diversas operationes numero distinctas, successive tamen; nec e
contra valet : est una potentia, ergo uua operatio numero: patet hoc de his quæ
sunt ab una potentia in diversis temporibus. Numquid vero valeat: si sint duæ
operationes numero differentes in eodem tempore, sint etiam diversæ potentiæ?
Respondeo quod nonvaletargumentum; potest enim una operatio vel potentia simul
habere duas operationes. De activis hoc est clarum. idem enim sol simul
calefacit me et te; et istæ operatioues sunt distinctæ quia istæ calefactiones
sunt in me et te; motus enim est in moto; in passivis esset forte hoc modo
etiam verum saltem in actione spirituali ut dicit Scotus. Utrum ea unitate
specifica obiecti liceat inferre unitatem specificam actus. q^ 80 veSecundus
articulus est: utrum ex unitate specifica obiecti liceat inferre unitatem
specificam actus; et ex diversitate specifica obiecti liceat inferre
diversitatem actus specificam. Eodem modo quæritur de operationibus; et primo videndum
est de obiecto et operatione. Utrum,
si obiectum sit unum specie, et operatio sit una specie. Primo in passivis hoc
non videtur verum; nam potentia visiva canis differt specie a potentia visiva
hominis, et tamen obiectum quod est color est unum specie. Deinde in activis
dictant hoc modo: si enim homo comedat carnes vitulinas et etiam canis,
obiectum est rmum specie, scilicet caro vituli; et taræn poteutia uon est eadem
simpliciter. Sed forte dices ad hoc, quod istud obiectum non est idem formaliter,
sed solum materialiter; et non propinquum obiectum, sed remotum. Sed esto hoc;
ego quæro, si homo ab homine et a cane videatur, utrum hæ visiones sint idem,
cum obiectum sit idem specie, imo idem numero. Multi tenent quod sint distinctæ
specie, sicut istæ potentiæ, ut est AQUINO (si veda), sicut etsi duæ
intelligentiæ intelligant Deum, istæ duæ intelligentiæ differunt, et tamen
obiectum est unum. Alii tenent, ut ApoUinaris, quod istæ potentiæ in cane et in
homine sunt eiusdem speciei, de quo infra dicam. Diceret ergo aliquis, secundum
primam opinionem, quod valeat: hoc obiectum est unum spccie, ergo operatio est
una specie, stando in eodem homine, non in eodem animali; sed hoc non videtur
verum quod sit ita: in eodem tempore oculus videret o, et sensus, et phantasia,
et cogitativa, et intellectiva potentia. Obiectum est unum specie, et unus est
homo; et tamen istæ operationes difterunt specie, Quis diceret has oranes
operatioues sensus scilicet et intellectus esse easdem specie? et ideo videtur
mihi ad volenclura lioc concludere, opus esse dicere quod si obieclum est
formaliter uinuu specie respectu unius hominis et eiusdem potentiæ, quod
operatio sit vina specie ; et hoc Ch.Slrecto clanim est uniFersaliter quod si
openitio est uua specie, etiam obiectum est unum speeie: quia imus motus est ad
unum termiuum tantum. Utmra autem ex pluralitate obiecti secundum speciera
arguatur pluralitas operationis secundum speciem, milii videtur dicendum quod
sic. Utrum sensus sit activus. Circa textum sexagesimumquintura dubitat
Pomponacius primo utrum sensus sit activus vel passivus. Ad quam quæstionem
dico quod est passivus; et ratio est quia omne quod de novo recipit
denominationem intrinsecam et absolutara trausmutatur; sed sensus est lioc
modo; ergo. Auteiior patet, quia denominatio fit ab intrinseco; quia si esset
ab extrinseco non esset transmutatio in recipiente, sicut si ex paupere fiam
dives. Et dico absoluta, quia relativus potest advenire alicui absque aliqua
transmutatione facta iu eo; sicut si aliquis fiat pater: quando ergo erit
transmutatio absoiute et ab intrinseco, erit trasmutatio in subiecto iu quo
est; quod si in illo erit transrautatio, talis virtus erit passiva. Breviter etiam probatur, quia
sensus est de novo sentiens, et similiter sensatio est absoluta, et est ab
intrinseco, quum sensatio est iramanens, ex uono Metaphysicorum. Non tamen
negamus sensus esse activos; unus enim agit in alterum, ut exterior in
interiorem; sed sermo noster est utrum ad sensationem concurrat active. Nec
etiam loquimur de oculo mulieris menstrualæ, ille enim agit in speculnra
inficiendo illud: sed hoc non est ratione visionis, sed quia vapores exeunt ab
oculo, qui inficiunt speculum; sed quæstio est utrura in sentiendo patiatur vel
agatur, et nos diximus quod sie, ratione dicta; et sic patet sensum esse
virtutem passivam. Videndum est modo quid recipiant sensus, ut puta oculus aut
auris. LIZIO antiquum dicunt quod recipit speciera sensibilera, quæ est
repræsentativaobiecti, de qua infra dicit LIZIO quod sensus est susceptivus
specierura sine materia; et in «De sommo ct vigilia » dicit quod a sensibilibus
in sensu relinqiiuntur quædam imagines et simulacra rerum ; sed istæ
compositiones non habent esse cura materia, sciiicet cum calido et frigido.
Verum quidam pharmacopolæ et pigmeutarii sunt in oppositum, et dixerunt contra
LIZIO quod sensus nihil recipit. Aliqui dixerunt quod bene recipit species
sensibiles, sed recipit istas (juxta?) naturas rerum. Quæ opinio non est
intelligibilis. Viso quod sensus recipiat speciem seusibilera, videndum est
modo quid sit illud quod producit speciem sensibilem, et brevi dicendum est
quod obiecta sunt, quæ producunt species sensibiles, et hoc dixit in textu
commenti quinquagesiminoni et sexagesimi quod sensus reducitur ad actum a
seusibilibus quæ suut ad extra; sed tunc est dubitatio, quæ est mota ab Averroe
in commento sexagesimo, quomodo est possibile ut sensibile ad extra, quod habet
esse in materia, producat speciem sensibilem, quæ est perfectior obiecto. Cum
tamen nihil producat aliquid perfectius se, licet et Joannes extorqueat illam
auctoritatem, quod Averroes movet illud dubium per sensationera, tamen rei
vevitas est quod illara dubitationemraovet pro specie sensibili. De hoc suut
diversi raodi dicendi. Aliqui dixerunt propter dictum Averrois, quod quum
obiectum, iit puta color, producit speciem sensibilem, quod producit in virtute
unius intelligentiæ appropriatæ ad hoc, quæ ducit de potentia sensibilibus actu
sensibilia; sicut ponitur etiam de intellectu. quara intelligentiam aliqiii
dixerunt esse Deum, qui est idem quod intellectus agens, et pro quanto facit de
potentia intelligentis actu intelligenda, dicitur intellectus agens; pro quanlo
vero facit de potentia sensibilis actu sensibilia, dicitur sensus agens. Aliqui
dixeruut quod bene intellectus agens est Deus, sed sensus agens est
intelligentia morens orbem lunæ. et hoc quum sensatio est imperfeetior
intellectione, ideo eliam requirit agens minus nobile. Alii dixerimt quod est una intelligentia assistens
animalibus, ut anima, siciit intellectus in bovera. Sed isti errant, si enim
intellignnt quod ista intelligentia immediatR concumt ad sensationem, errant in
via LIZIO qni tenet nullam intelligentiam agere. Si vero intelligant mediate.
non est ad propositum. Aliqui tenuerunt quod sit una virtus quæ sit in organo,
et per illud organum agat producendo speciem. per organum vero recipiat speciem
; sed hoc non videtur verum, quia ego quæro, quæ sit ista actio. Albertus
videretur tenere qund omnis forma, ut forma est, agit spiritualiter; ut vero in
materia, realiter agit. Quæ opinio bene intellecta habet veritatem quum, ego
puto, species sensibilis alteret mediura et agat in oculum. Sed tunc est
dubitatio quum res imperfecta producit rem perfectiorem se ; AQUINO (si veda) e
ROMANO (si veda) dicunt quod in virfute superiorum agunt spiritualiter, ut vero
sunt entia realia agunt realiter. Non tamen nego quod in virtute corporum
cælestiura agant actione reali, sed hoc non est ita appropriate in ' rcali ut
in spirituali. Quare nnn est mirandum obiectum producere species in virtute
superiorum, et hoc consonat dictis LIZIO liic et in quinto De animalibus, ubi
dicit istas forraas produci ab elementis iu virtute superiorum; quod si ita est
in prima eorum perfectione, ita et in ultiraa; et si replicatur: pariter non
dabitur intellectus agens, quum ego dicam obiectum in virtute superiorum
producere species intelligibiles; respondeo quod ex perfectione hominis est ut
activiun sit coniuuctum passivo; unde elementa quæ sunt multa imperfecta non
habent activum sui motus coniunctum cum passivo, qualiter estin animalibus'quæ
perfectiora sunt, et sic patet totum illud quod dicis Averroes in illo
commento. Utrum species sensibilis et sensatio sinl idem realiter. Altera
dubitatio est, quia dictum est quod obiectum in virtute superiorum producit
speciem. Quæritur modo utrum ad talem sensationem requiratur aliquid alterum
præter organum et speciem; et hoc est quærere uti-um species sensibilis et
sensatio sint idem realiter. Videtur primo quod non: quia sicut est in intellectu,
ita est in sensu; sed ad creandam intellectionem in intellectu requiritur
aliquid alterum præter intellectum et speciem intelligibilem; ergo ita est in
sensu. Anterior patet per convenientem similitudinem: brevior probabitur: quia
in iutellectu aliquando sunt species, et tamen nou est intellectio. Item
aliquando in sensu est species sensibilis. non tamen tunc sentimus: aliquando
enim delata sub oculis uon videmus, ut dicitur in De sensu et sensato, nec
tamen est credendum tunc speciem non esse in seusu, quum istæ species agunt
mere materialiter. Item tertio apparet hoc ex sententia LIZIO iu secuudo
luiius', textu commeiiti trigesimiseptimi, ubi dicit quod anima est causa
effectiva omnium operationum, quæ suat in corpore: modo si sensus, et species
essent per se sutficientes causæ seusationis tunc auima non esset
effectivaomnium suariim operatiorum. Item ex nouo Metaphysicorum intellectio et
sensatio sunt actioues immauentes; cum autem actio immaneus sit quæ mauet in
agente, tunc sensus erit causa activa sensationis, cum etiam concuvrat passive.
Item et est quintum argumentum quod sumitur a Joanne, in quo multum insistit,
quia si solæ species cum sensu esseut sufBcientes causæ seusationis, tunc
sensibile esset perfectius seusu: consequens est falsum ut patet; ergo.
Falsitas consequentis probatur; quia, ut dicit LIZIO in quinto De animalibus,
quod sentit est perfectius eo quod uon seutit. Consequentia probatur quia illud
est perfectius cuius perfectissima operatio est nobiliw iievfectissima
operatioue alterius; si ergo sensus coucurrit passive ad sensationem creandam,
et obieCh. 85verso ctum active, quum sit nobilius concurrere active, quam
passive, tunc sensibile erit perfectius. In oppositum arguitur: frustra fit per
plura etc. » sed absque lioc quod ponamus aliquid alterum præter speciem
sensibilem et sensum, possumus omnia salvare; ergo. Anterior est per se nota,
brevior patebit iu solveudo rationes in oppositum factas. Item dicit LIZIO iu
textu commenti quinquagesimiuoni et sexagesimi buius, quod sensibile reducit
sensum de potentia ad actum. Item hic et ubique, et in De sensu et sensato dicit LIZIO
sensum esse virtutem passivam. Item dicit Averroes in commeuto
sexagesimosecundo, quod sensibile reducit seusum ad postremamperfectionem, et
dicit quod si sensus producereut colorem realem, uon esset comprehensic; quare
credit ibi quod species sensibilis et sensatio sint idem realiter. Eadem est
seuteutia AQUINO (si veda) iu secuudo Imius super textum commeuti centesimi
quadragesimiseptimi, ubi dicit quod sensus est tautum virtus passiva. De hoc
sunt diversæ opiniones. Aliqui teneut primam partem, scilicet quod sensatio
distinguatur realiter a specie sensibili, et quod istæ uon sunt suSicientes
causæ sensationis; et si quæratur quia producat effective ipsam sensationem, de
hoc aliqui dicuiit quod illa virtus quæ producit speciem sensibilem producit
sensationem, et quod talis seusus agens principaliter coucurrit ad sensationem,
sive modo illud sit Deus, aut aliqua alia intelligeutia, aut uua virtus in
sensu. Aliis uou placet hoc, quia tunc uou solveretur, si anima uou coucurrit
ad sensatiouem, quoiuodo sensatio sit actus immanens; ideo alii aliter dicunt,
et inter eos est Albertus, quod sensatio producitur a sensu mediaute specie
sensibiii; in sensu euim recipitur species, quæ species recepta et sensus
causant sensationem; et hoc dicit ut solvet quomodo anima concurrat eftective
ad operatioues suas, et quomodo est actio immauens ipsa seusatio. Coutra istam
opiuiouem multa dicit Gandavensis, et totum eius posse est in hoc: quia
impossibile est eamdem virtutem concurrere active et passive ad eamdem
operationem; ideo si sensus coucurrit passive ad sensationem, non concurrit
active. Item species est dispositio ad sensationem; ergo non concurrit
effective ad ipsam, et imaginatur ipse alium modum. Quod si ista non sunt per
se sufiicientia ad sensibile, tunc quid causat sensationem? Dicit ipse quod in
omni seusu suut duæ potentiæ uiia passiva et altera activa, et quod per
passivam recipit seusationem, et per [Nel significato di senso niaterirtlc o di
organo. activara eam causat; et arguit contra se Joannes, quia LIZIO non ponit
in sensu istam virtntem activara: dicit ipse quod bene Averroes eam ponit.
qnasi velit præponere Averroera Aristoteli. Altera est opinio, quæ ut videtur
est Thomæ, quæ ponit sensationem uon diiferre realicer a specie sensibili, et
quod \iltra speciem sensibilem non reqniiitur aliqnid allerum pro seusatione
creanda; qnam expresse ponit super textum coramt-nti quadragesiminoni, licet
aliqui Tliomistæ non coufiteantur istam esse eius opinionem, quam opinionem
videtur ponere Commentator iu fine commenti sexagesimi secnndi, ut ibi
notavimus. Volendo ergo sustinere istam opinionem,
sic potest dici ad argumeuta in oppositum facta: ad primum quod sicut est in
intellectu ita est in sensu, potestprimo dicinegando breviorem. Ad probationem
aliqui AQUINO (si veda) coucedunt quod intellectio et species intellectionis
sunt idem, et cum dicitnr remanere species, non tamen est intellectio; dico
quod illa species est imperfecta, et species iraperfecta non est idem quod
iutellectio; aliter potest dici negando similitudinem, et ratio est quia
sensatio est cognitio quæ iramediate terrainatnr ad rem; sed intellectio
terminatnr ad aliqnid alternm a re, scilicet ad speciera intelligibilem, sicnt
in intellectione Beatorum iu qnibus ultra intellectum possibilem et
intellectionem uon requiritur aliquid alterum uisi Deus, qui est eorum species.
Ad alterura: quia aliquando delata sub oculis non videraus: beatns Augustinus
dicit lioc esse quia ad seutiendura oportet ut intentio sit copulala cnra
virtute, idest oportet ut anima ndverfat, et velit sentire obieetum. Quod
Ch.86verso dictum noii bene intelligo, nisi velit dicere hoc esse, quia
virtutes interiores sunt rectæ, et una operante, altera non operari potest,
omnes enim virtutes habeut spivitus determinatos per quos operantur; et
Avicenna in sexto Naturaliura dicit quod hoc arguit coUigantiara ipsarum
virtutum; et puto istam esse copulalionem virtutis, qua utnntur theologi.
Staute hoc, dico quod species seusibilis non est idera quod sensatio,
quoraodocumque sentiatur species sensibilis; si enim species sensibilis sit in
sensu depauperato spiritibus, tunc non est cognitio, et hoc quia subiectum non
est bene dispositum. Agens enira non agit nisi in agente benc disposito; si
autem sit in patiente optime dispodto, clarum est quod est sensatio. Ad alterum
« quod aniraa non esset causa effectiva oranium suarura operationum », ista
ratio est multum dilficilis; pro quo notamus quod sensatio es ea parte qua est
cognitio, non dicit actionem, aut passionera; sed accidit cognitioni quod sit
cum actione aut passione. Unde intellectio Dei non est cura actione aut
passione, nec intellectio Dei formaliter est actio, sed iu nolds, qui de novo
intelligimus, accidit quod nostra cognitio sit cum actione aut passione, ut
bene dicit Scotns in Quodlibet, quæstione deciraatertia; et licet (ut dicit
Buridaraus in Sex principiis) existimetur quod intellectio et sensatio sint
actiones grammaticaliter loquendo, philosophice tamen loquendo sunt raagis
passiones; et quia ita ost quod illud, quod recipit sensationera aut
intellectionem, dicatur sentiensvel intelligens, non autem illud quod efiicit
illara. Staute ergo hoc, qnod intellectio forraaliter non dicat actionem vel
passiouera, dico quod revera est ita, qiiod anima non est causa effectiva
omnium suarum operatiouum; et cum dicitur: Aristoteles est in oppositum; dico,
ut dicit Averroes ibi, quod existiraatur quod sit causa suarum actionum, non
tamen est ita quod sit causa elfectiva earum: imo dicit Averroes ibi, ut quidam
reputant. Similiter ad quartum quando dicitur, quod sensatio est actio
immanens, dico quod sensatio non est actio, imo potius est passio, quam actio,
licet fonnaliter nullura liorum sit. Acl quiutura quando dicitur, quod
sensibile esset perfectius seusu, AQUINO (si veda) iii loco dicto dicit, quod
licet sensibile agat in seiisum, nou tameu est eo periectius, quia, liabet tam
perfectiorem operationem, quam ipsum sensibile. Possumus nos dare duas respousioues
ad hoc; piimo quod licet sensibile agat in sensum, nou tamen est eo nobilius,
quum non agit in sensum in \irtute eius: sed in virtute superiorum. Altera
responsio est negando cousequeutiam: ad probationem, quaudo dicitur obiectum
concnrrit active ad sensationem, dico quod seusatio, prout est coguitio, non
dicit formaliter actionem aut passionem: et licet obiectum, iu quantum agit,
sit perfectius seusu, qiii patitur, non tamen absolute est ^rfectius, quia
sensus seutit, obiectum autem non sentit; quod autem sentit est perfectius eo
quod non sentit. Ista ergo est opinio AQUINO (si veda) non multura usitata; sed
opinio Alberti est multum usitata, et qui vult eam tenere potest ad obiecta
faciliter respondere; sensus enim, ut uudus, concurrit passive ad sensationem,
ut informatus specie seusibili concurrit active; Similiter ad secundum dico
quod species concurrit effective, non principaliter sed dispositive. Opinio
Joauuis nullo modo est vera. Utruni sensibilla comimmia coinprehendantur ab
omnibus sensibus. Kestat modo dubitare circa sensibilia communia; et primo
quæritur utrum sensibilia communia comprelieudantur ab omnibus sensibus.
Averroes in commento sexagesimoquarto, Veprehendit Themistium dicentem ab
omnibus sensibus compreliendi, et dicit ipse quod tiia eorum, motus quies et
numerus ab orauibus comprehenduntur, alia vero duo, scilicet maguitudo et
figura, a visu tantum et a tactu. Dubitatur ergo, primo utrum olfactus possit
cognoscere magnitudinem: et videtur primo quod sic, quia numerus percipitur ab
auditu, et numerus cansatur ex divisione continui; ergo si auditus
comprehendit'numerum, videtur etiam quod comprehendat continuum,
scilicetfnagnitudinem. Sed dices tu quod uumerus qui seutitur ab auditu, licet
causetur ex diCh.87verso visione continui, non tameu causatur ex divisione
magnitudinis; numerus euim qui causatur ex divisione continui permanentis nou
sentitur ab auditu, sed bene numerus qui causatur es divisione continui
successivi, ut puta motus, sentitur ab auditu; motus enim est de uumero contiuuorum,
tertio Physicorum; sed contra tu dicis quod numerus qui causatur ex divisione
continui successivi sentitur ab auditu. Contra, quia si quis sentit numerum,
qui est ex divisione coutinui, hoc non est merito auditus, sed est propter
sensum interiorem, scilicet propter memorativam; unde si aliquis haberet
debilem memoriam, uon posset sentire talem nurærum, sed semper putaret tautum
esse unitatem. Sed dices quod beue auditus uon cognoscit istum complexive; sed
talis virtus est memorativa. Sed pro tanto dicitur sensibile comrme, quia
memorativa, rædiante auditu, cognoscit talem numerum; sed tuuc est dubitatio,
quomodo numerus per se sentitur. Ulterius etiam probo quod magnitudo per se
comprehendatur ab auditu, (juia auditus compreheudit differentias magnitudinis;
ergo et magnitudinem. Antecedens prol)atur, quia cognoscit utrum sonus veniat a
dextris vel a sinistris, ab ante vel a retro, a sursum vel deorsum; et si
dicitur decipere circa hoc, concedo; non tamen sequitur ut non cognoseat istas
differentias. Consequentia proliatur, quia si cognoscit differentias
magnitudinis, videtur conveniens iit cognoscat magnitudiuem. Item videtur
implicaie quod sit seusus et non cognoscat magnitudinem, quia sensiis nou
coguoscit nisi cum hic et nunc; magnitudo autem est cum liic et nunc. Similiter
etiam arguitur de olfactu qund ipse cognoscit magnitudi nem; sed est dubitatio
utium oliactus cognoscat numerum; et videtur quod non; si enim olfactus
coguoscat duos odores in eodem tempore, videtur qxiod cognoscat eos in unum,
non autem duo. Si vero cognoscat eos in diversis temporibus, lioc non videtur
oiHcium olfactiis sed memorativæ, quæ recordatur præteritorum. Si vero dicas
quod cognoscat duo odores specie distinctos. ut duos iu eodem tempore, contra
quia non videtur verum quod ponat differentias inter odores specie diversos, in
ista positione videtur esse necessarium dicere quod omnes sensus cogooscant
magniludinem; etideo dicit LIZIO quod omnia sensibilia comraunia sunt omnibus
sensibus communia, ut bene disit ibi Tliemistius; sed puto, ut dicitur in De
sonsu et sensato quod magnitudo perfecte cognoscitur a tactu et a visu;
certitudinaliter enim comprehendunt quæ et quauta sit magnifudo; alii autem
sensus non liabent hoc; et ideo LIZIO videtur appropriare comprehensionem tiguræ
tactui et visui, non tamen ita, quod alii non comprehendaut. Quod vero dicitur
quod sensus exterior uon cognoscit numerum, sed illud est oilicium virtutis
interioris; dico quod completa et perfecta comprehensio uumeri est virtutis
interioris, sed initiative est in sensu exteriori: unde pueri et letiiargici.
qui non habent bonam memoriam, bene sentiunt horas, non tamen possunt eas
numerare. Et aliter potest di-i quod hoc iutelligitur de duabus campanis simul
sonantibus, quarum una sit debilis soni, altera vero mediocris; similiter etiam
de duobus odoribus dicatur, quod simul ab olfactu sentiuntur; si enim sint
diversi specie, tunc olfactus poterit cognoscere illos ut duos, et uon tantum
poterit hoc virtus sensitiva iuterior, verum et exterior. Eestat modo quærere utrum motus
et quies ab omnibus sensibus comprehendautur; et videtur quod non. Primo de motu; quia motus est de numero
successivorum; sed successiva non possunt a sensu comprehendi; ergo. Anterior
patet ex tertio Physicorum, brevior probatur. quia si sensus exterior non
potest moveri nisi ab eo, quod actu existit, sed successiva non actu existuut,
ergo. Anterior patet, quia moveri est pati; omne autem quod patitur, patitur ab
eo quod est iu Ch.SSverso actu. Brevior probatur, quia de ratione successivornm
est quod pars sit præterita, parsque futura sit : si ergo sic est, totum uou
poterit esse simul in actu ; quare non poterit movere sensum. Similiter etiam
dicatur de quiete, quum quies mensiiratur tempore, tempus autem non totum simul
est: cum ergo per prædicta motus non sentiatur, uec etiam quies sentietur. Item
privatio per accidens sentitur; quies est privatio; ergo per accidens sentitur;
ergo uon est sensil)ile per se. Ad quæstiouem lianc est duplex responsio: prima
quod argumeuta concludant veritatem, quod sensus exterior formaliter et proprie
non potest cognoscere motum aut quietem; et cum dicis: Aristoteles numerat ea
inter sensibilia per se; dico quod sunt per se ad Inmc sensum. quia seusus
inteiior non potest ea cognoscere sine motu et quiete: ex eo enim quod video
hunc esse iu tali, vel tali loco, deinde in alio esse in taU loeo,
comprehenditur a sensu: quod autem componit esse iu hoc loco cum esse in alio
loco, est virtus interior; similiter etiam et quies. Coguoscere enim quod hoc
nuuc non moveatur, est sensus ixterioris: componere autem prius cum posteriori
pertinet ad viitutem interiorem. Alii vero dicunt quod seusus exterior
cognoscit motum et quietem. Ad arguræiita in oppositura dicunt, quod eo raodo
quo motiis lia))et esse, eo modo sentitur; et qiiia motus nou est nisi quia
mutatum esse est, ideo projjterea quod istud mutatum esse sentitur per propriam
speeiem. ideo et motus sentitur: et etiam quia in sensu remanent spacies
præteriti et futuvi per aliquod tempus: sed quantum ad hoc quod dicunt de
præterito . puto verum; imo hoc dicit LIZIO in De sensu et sensato, quia per
aliquod tempus species remanent in sensu. Quod vero dicunt quod species futuri
sit in sensu, hoc uon videtur verum. Ad alterum de quiete diCh.89recto citur,
quod seusus per se cognoscit quietem; est enim de intrinseca natura sensus, ut
sentiat quietera: et licet sentiatur per motum, non tamen est per accidens
sensibile, quum hoc tantum arguit, quod non sit primo per se sensibile, non
vero quod non sit sensibile per se. Ulrum sensibilia communia comprehendantur
ptr proprias species. Altera quæstio est, utrum sensibilia comunia
comprehendantur per propria species. Joannes tenet quod comprehendantur, et
adducit pro hoc dictum LIZIO in secundo huius,textu commenti centesimitrigesimitertii,ubi
dicit quodseusibiliacommuniafaciunt motum in sensu. Alii vero, ut AQUINO (si
veda), tenent quod non cogiioscantur per proprias species, sed tamen
cognoscantur per species sensibiiium propriorum, nec aliquid faciunt nisi
faciunt diversum modum sentiendi; aliter enim albedo sentitiir in magna
quantitate, aliter in parva quum visibile a propinquis et a remoto potest per
eamdem speciem videri; aliter tamen a remotis movet, et aliter a propiuquis.
Ita dicunt quod sensibile commune sentitur per speciem proprii, aliter tamen et
aliter immutat sensibile proprium secundum quod est in magna vel parva
quantitate. Alii volunt et hæc tertia opinio quod magnitudo et figura habent
proprias species per quas sentiuntur. Alii vero non; et adducunt pro hoc Aristotelem
in secundo huius textu commenti centesimitrigesimitertii, ubi esemplificat de
magnitudine, et figura . et dicit ibi quod alia comprehendimtur magis per suara
positionem. sic quies per motum. Tertia opinio mihi magis placet; sed opinio
Joannis non videtur vera; opinio AQUINO (si veda) est multum probabilis. Utruni
sensibilia communia percipiantur non percepto sensibili proprio. Alia quæstio
est utrum seusibilia coramuuia percipiantur non percepto seusibili proprio; et
videtur expresse dicere Averroes quod non, in fine commenti sexagesimitertii. Item expresse opponit quod si
non sit color aut lux, non percipitur quantitas. sicut patet de igne, quæ e?t
in concavo orbis luuæ, et tamen non videtur. Iu oppositum arguitur de tactu
supponendo unum (verum?) quod æqualiter calida et æqualiter frigida uon
lentimus, ut dicit LIZIO inferius; tunc ergo sit una manus æqualiter calida et
æqualiter frigida, sicut mea; tunc manus mea non sentit caliditatem aut
frigiditatem istius manus, et tamen sentit quod ista manus est quanta; ergo
quantitas, quæ est sensibile commune, sentitur absque hoc quod sentiatur
sensibile propriura. Confirmatur quia est imaginabile et non repuguat quod unus
tangat coelum: sit ergo ita quod unus tangat, tunc coelum uon sentitur calidum
uec frigidum, nec humidum nec siccum, et tamen sentitur quod sit quantum; ergo.
Item hoc videtur in motu, quia aliquaudo seutitur pulex serpens super carnem
meara; tiiiic seutitur motus, uou tameu seutitur aliquid deusibile propriuui.
Item clato quod aliquis cæderetur; tuuc iste sentit solutionem coutinui quæ est
numerus; nu mei'us autera est sensibile coramune: tamen potest essc quod iste
uon seutiat caliditatem aut aliquid sensibilo pruprium ipsius eusis. In hac quæstione dico quod sensibile commune uou
potest seutiri sine sensibili proprio. Ad rationes; ad primam: dimitto rationes
medicorum qiiorumdam,qui volunt quod æqua'iter calida possimus sentire; et cum
dicitur: niliil patitur a simiU; giosaut quod isla est vera in actione
spirituali tautum; sed ista respousio est contra Aristotelem qiii ibi loquitur
de actione spirituali, scilicet de sensatione; et credo ego aliter. Dico primo
quod quautitas uon percipitur nisi primo percepta resistentia; et ideo æris non
percipimus quantitatem ipsius, et hoc quia ær uon resistit tangenti. Ego aliter
dico concedendo assumptum: et cum dicitur; non percipitur sensibile propriirra;
uego, imo percipitur durities, quia est proprium sensibile a sensu tactus; ex
eo euim quod percipio quod manus non cedit tangeuti sentitur durities; et ex
cousequenti sentitur quantitas. Ad contirmatiouem dico quod si quis ponat mauum
in coelo, sentiret quantitatem coeli ex eo quod sentiret coelum resistere
taugeuti; et si dicatur: ergo coelum erit durum; dico quod sicut sua quantitas
nou est eiusdem rationis cum ista, ita uec sua durities, quia est magis quædara
soliditas quam durities. Ad aliam de motu, dico quod aliquaudo sentimus
seusibile commune cum sensibili proprio nobis noto ; sensus enim aliqua
confundit in istis sensibilibus propriis, bicut in eraissioue spermatis
sentitur illa delectatio, non tauien sentitur aliquid sensibile proprium nobis
notuui; ita in illo motu hene sentit\ir aliquid sensibile proprium, illud tameu
non est nobis notum. Similiter cum dicitur de solutioue continui quæ est
numerus. dico quod solutio continui est ex mala complexioue; ex eo enim quod in
solutione continui causatur mala complexio, ideo sentitur dolor; mala autem
coraplexio est qiialitas per se seusibilis: vel possumus dicere quod uou
seutitur solutio coutinui nisi prius sentiaraus duritiem et compressiouem
ensis. Alia dubitatio est, utrum siut plura sensibilia communia quam ista
quinque; et videtur quod sic, quia æquale et inæquale, magnum et parvum, simile
et dissiinile, intensum et remissum, videtur quod ista sint sensibilia
corarauuia, quia ab omnibus comprebeuduntur; et tamen ista non suut numerata a
LIZIO. Aliqui dicunt quod omnia ista iiabent ad ista quinque reduci, ut patet
discurreuti. Utrum scrvatis tribus conditionibus datis a Themistio. erretur circa
sensibile proprium. Alia dubitatio est, quia videtur quod servatis illis tribus
couditiouibus datis a Themistio, adhuc contiugat errare circa sensibile
propriuin. Aliquando seutitur color, non tamen sentitur quis color est; sic
puto esse dicendum quod visus non decipitur in colore in eo quod color, sed iu
eo quod talis color. Non enim opus est visura cognoscere iu qua specie coloris
sit iste color, forte quod potest dici sensum visus decipi, quia istæ species
coloris confuuduutur ad invicem. Sed quia superius adductum est argumentum de
coelo, utrum sit tangibile, et dicebatur quod sic, quia coelum resistit
tangenti; contra hoc argumentum, quum istud quod dictum est. Ch OOversu videtur
esse contva Aristoteleiu iu quarto Physicorura textu comraonti septuagesimisexti,
ubi dicit, quod si esset aliquod corpus denudatum ab orani qnalitate sensibili,
Ch. Oliecto adliuc faceret distare tantum quautum ipsum est; si enim imaginemus
taxillum denudatum ab orani qualitate sensibili, tautura faceret distare,
quantura si liaberet illas qualitates; et tunc in tali corpore non percipitiir
qualitas sensibilis, et tamen percipitur eius quantitas, quia tantum facit
distare quantum faciebat prius: ergo nec potest evadere in hoc sicut iu coolo,
quum in coelo est uua qualitas. qnæ est per se sensibilis, scilicet illa
soliditas. Ad hoc dicendura quod perficitur percipitur qualitas seusibilis:
imaginor enim quod tale corpus, ut puta taxillum, comprimat manura ræam, et
pars compressa recipit figuram illius corporis, et tunc illa tigura seutitur
pro quanto recipitur in manu mea, non autem est in tali corpore; figura autem
recepta in manu mea non sentitur nisi prius recepta qualitate sensibUi, quæ est
in manu tantum. Breviter dico quod figura quæ sentitur nou est in tali corpore
sicut in subiecto, et causatur iu manu per compressionem. Alia dubitatio est,
quia ausi sumus taxare Averroem contra dicentem iu commento sexagesimotertio et
sexagesimoquinto huius secundi, quod sensus exterior cognoscit subiectiim, eo
magis quod dixiraus eura sibi contradicere in tam parvo spatio hic et in
commento centesimotrigesimoquarto huius: modo videtur esse magna vereeundia
quod eum taxarim.Taxabam etiara iu fine expositiouis textus commenti
sexagesimiquintihuius; et ostendi expositionera Averrois non esse bonam. Quidam
satis ingeniose diserunt quod Aristoteles in textu commenti sexagesimiquinti
nun debet stare ut iacet. sed debet stare hoc modo: unde patitur ab hoc
sensibili per se, sed patitur ab hoc secundum accidens; et tunc est congrua
expositio Averrois, quum si pateretur ab hoc per se, non pateretur ab alio.
Quautum sit de primo dubio, quidara dixit quod non est intentio Averrois hic
sensum exteriorem cognoscere substantiara, sed intelligit de sensu interiori;
et si Averroes dicat quod sensus exterior cognoscit substantiara, debet
intelligi quod per accidens cognoscit; quod per accidens est duobus modis: uuo
modo quia per sensura exteriorem sensus interior deveniat in cognitionem
substantiæ, sicut ovis quæ per vocem agni cognitam a sensibili auditus, cognoscit
agnum esse siium filium; et ita est sensibile per accidens, quia per sensibile
proprium sensus interior devenit in eius uotitiam: non tameu ita est quod
sensus exterior cognoscat substautiam; et iste modus per accidens est comoiunis
tam brutis quam hominibus. Alio modo est hoc per accidens quum accidit sensui,
ut sensus est, quod deveniat in cognitionem substantiæ, ut substantia est; si
enira ex cognitioue coloris vel figuræ coguoscatur substantia, ut substantia
est, hoc nou est seusus, ut sensus est, sed ut est sensus aniraalis
intelligentis. TJnde quod sensus
hominis interior cognoscit equnm, ut equus est per sensus exteriores, . hoc non
accidit sensui hominis, ut sensus est, sed ut sensus animalis intelligentis.
Totura ergo stat in hoc, quod si dicat sensum exteriorera cognoscere
substantiam, debet intelligi per accidens; quod quidem est duobus raodis:
prirao, vel ita quod per seusum exteriorem deveniamus in cognitiouem
substautiæ: alio modo quod per sensum exteriorem deveniamus in coguitionem substantiæ,
ut substantia est: in quo modo includnntur duo modi per accidens, sciiicet ut
per sensura deveniam in cognitioneni substantiæ, et quod per seusum esteriorem
devcniam in cognitionom substantiæ, ut substantia est; et hoc est illucl quod
dicit Aveiroes in commento sexagesimotertio de illis duobiis modis [lev
accideutalitates, et hoc est etiara ad mentem AQUINO (si veda) e ROMANO (si
veda) hic, et est verum in se. Sed licet hoc sit verum, non taræn est ad mentem
Averrois, quia aperte vult quod sensus eiterior cognoscat substantias; nam in
commento sexagesimotertio dieit hæc verba;quod sensus, circa hoc quod
comprehendant sua sensibiliapropria, comprehendunt intentiones individuales
prædicamentorum. Kesponsio: quid apparet apertius? Quid
enim comprehendit sua sensibilia propria nisi sensus exterior? Deinde in fine
commenti dicit quod ista intentio comprehendilur a cogitativa et ab
imaginativa, et dicit, in ultimis verbis, quod comprehensio, quæ est
imaginativa, est magis spiritualis. Tunc ego quæro hoc « magis spirituale » ad
quam coniprehensionem referatur: non ad comprehensionem cogitativæ aut
memorativæ, quia illæ istæ apprehenduntur magis spiritualiler ex libro De somno
et vigilia; evgo hoc magis refertur ad comprehensionem sensus exterioris: quare
secundum Averroem sensus exterior cognoscit substantiam. Item confirmatur ex
dicto Averrois in commento sexagesimoquinto, quum movet ibi dubium Averroes,
utrum seusibilia per accidens sint sensibilia per se, et ponit ibi rationem
unam, quam damnat; dicit quod aliquis posset dicere quod ideo non sunt per se,
quum sunt comraunia omnibus sensibus, et removet istara rationem. Dicit quod
ista responsio nihil valet quum iutentiones individuales sunt comrauniores
omnibus sensibilibus propriis. Altera responsio, quæ correspondet illi suæ
argumentationi, est quod licet sensibilia per accidens comprehendantur ab
omnibus sensibus, non tamen ab omnibus simpliciter, sed taræn ab omnibus
sensibus humanis. Ecce quod in hac responsione non negat sensibilia per
accidens comprehendi ab omnibus sensibus; quare si ab omnibus, etiam ab
exterioribus; et si nollet ipsa cognosci per propriam speciem a sensu
exteriori, potuisset dicere ad illam quæstionem quod non sunt sensibilia per
se, quia non cognoscuntur per propriam speciem. Quare est concludendum Averroem
liic non bene dixisse et sibi contradicere. De altero dubio, quod textus sit
corruptus, dico primo quod in græco uon invenitur ille textiis, quem tu
adducis, nec talem exponit Alexander; nec etiam Themistius, nec etiam textus
quem nos habemus sic iacet; nec textus Averrois. Et esto quod diflferentia sic
staret; tunc peius esset, quum LIZIO non diceret ibi aliquid novi de sensibili
per accidens, quum illud dictum ita esset verura de sensibili proprio, sicut de
sensibili per accidens; sensus enim non patitur ab aliquo sensibili secimdum
quod. ut tale; propterea in textu dicitur: « unde nihil patitur». Modo ego
quæro ad quid referatur unde dum ille textus æque bene procedat de sensibili
per se, sicut de sensibili per accidens. Alter autem modus exponendi est bonus,
quum non volumus quod sensibile per accidens sentiatur per propriam speciem.
Alia dubitatio est, quia dicit Averroes in commento sexagesimotertio quod
cogitativa expoliat speciem substantiæ a quantitate. Contra: si sic est, ergo
in cogitativa erit species substantiæ sine quantitate; et cum quantitas sit
principium determinationis, ergo ista species erit universalis. Ad hoc non est
alius modus dicendi nisi dicere quod substantia habeat ecceitatera propriam,
per quam sit hoc, et non sit hoc per suam quantitatem, sed per suam
ecceitatera, sicuti voluit Scotus. Quid sit sonus. Post textum spptnagesimiim
primiim qiiærit Pomponacius, primo quid sit sonus; in qua materia est unus
modus respondendi. quod sonus formaliter est motus, et ratio sua est quia
Philosoplius hic et ubique dicit quod sonus est motus æris, et dicitur in
detinitioæ vocis quod est percussio; percussio autera est motus; et ratio, quia
sonus vel est res permaneus vel successiva; sed non est permanens; ergo
successiva. Anterior patet ex sufficienti demonstratione; brevior probatur,
quia esse soni constituitur in fieri; si ergo est successivus, vel est motus,
vel locus de prædicamento quautitatis; sed non est locus, ut patet, ergo motus.
Sed tunc in qua specie motus reponetur? Dicunt quod nnn est generatio aut
corriiptio, quum generatio et corruptio non sunt motus, sed termini motus; nec
est motus augmenti, quura ille est tantum iu animatis; sonus autem est in
animalibus; nec est motus alterationis, quia ille est ad tertiam speciem
qiialitatis, sonus autem nou est ad istam qualitatem, quum vel esset ad primam
vel ad secundam: uon ad primara, quia per illara acquiritur calefactio, et
frigefactio, quæ non acquiruntur per sonum; nec est motus ad qualitatera
secundam, quia iihx non acquiritur nisi prius cognita prima, ex sexto
Physicorum, textu commenti decimiquarti; si autem debet esse sonus, non oportet
ut prius acquirantur qualitates primæ. Item quia qualitates primæ et secundæ
sunt res permanentes, motus autem est de numero successivorum; quare sequitur
quod sonus erit motus localis; et quia videbant quod non omnis raotus localis
est sonus, imaginati sunt, quod tautum motus localis cum illa percussione æris
et cura illis dispositionibus datis a LIZIO sit sonus; ita tamen quod sonus
formaliter uon sit nisi motus, sed connotet istas conditiones dictas. Hæc
opinio defecit, primo quia motus est seusibile coramune, sonus autem est
sensibile proprium, sensibile autem propriura et coramune distinguuntur. Sed
istud argumentura non videtur valere, quia licet motus sit sensibile comraune,
quia a pluribus sentitur sensibus, uon taræn sequitur quod unus motus numero
sit sensibile communiter, qualiter est sonus. Sed licet ista sententia evadat
ab hoc argumento, non tamen videtur vera; quare quando dicitur: sonus est
formaliter motus, ego quæro an verberans et verberatum imprimant aliquid in
ærera, vel non: si non, quid ergo facit illa verberatio æris? si sic, ergo
oportet per verberans et verberatum ponere unam qualitatem quæ formaliter est
sonus. Item æris motus non acquiritur nisi ubi; si ergo sonus est motus, non
acquiritur per ærem uisi ubi; et ita sensus auditus non cognoscit nisi ubi, et
cum ubi, velsit locus, ut tenet AQUINO (si veda), vel respectivus, ut dicit
Scotus; tunc a sensu exteriori per se primo cognoscetur respectivus. Si vero est locus et quantitas,
cum ista sint sensibilia communia, non sentientur ab auditu nisi per sensibile
propriura; et istud erit sonus qui est qualitas distincta a motu, qui est
obiectura proprium auditus. Ideo ponitur altera opinio, pro qua sciendum est:
prirao, quod sonus est qualitas sensibilis de tertia specic; vel enim sonus est
substantia, vel accidens; non substantia patet, ergo accidens; vel ergo in
qualitate, vel in alio prædicamento quam in qualitate; ergo est qualitas, et
non est in alia specie quam iu tertia. Ulterius oportet scire quod esse soni
consistit in fieri; et hoc apparet experimento, quia cessante raotu, cessat
sonus. Ultoriusscire oportet quod est qualitas secunda sensibilis distincta a
primis, et licet qualitates secundæ genereutur ex primis, ex septimo
Metapbysicorum, textu comenti decimiquarti, uon tamen sonus præsupponit omnes
qualitates primas, vel solum uuam, vel saltem non omnes ; supponit eniin
humiditatem in ære. Ad argumenta dicitur; ad primum de LIZIO quod ista
prædicatio « sonus est motus » non est formalis, sed est causalis, quia sonus
causatur a motu. Ad secundum, dico quod est de numero permanentium; sed quia
est couiunctus motui, ideo non habet esse permanens, sed successivum; vel
potest dici quod sonus est motus alterationis, scilicet illius qnalitatis quæ
est souus. Ad aliud cum dicitur: vel est prima vel secunda qualitas»; dico quod
est secunda qualitas: et cum dicitur: ergo generatur a primis, dico quod non
generatur ab omnibus piimis, sed beue præsupponit aliquas primas, nt
dispositiones æris: vel dicatur quod illud uon est verum in sono, ut videtur
dicere Averroes in septimo Physicorum commento decimoquarto. Ad alterum, cum
dicitar: omnis qualitas secunda est permanens; dico quod est verum, si non
peudeat a motu sicut est sonus, qni in esse et conservari dependet a motu.
Utrum S071US peycipiatur ab auditu. Altera quæstio est; utium sonus percipiatur
ab auditu, et quomodo; et videtur quod non possit percipi, quia sensus exterior
non movetur nisi ab eo quod actu est; sonus autem non habet esse in actu nisi
per instans, sicut et alia successiva. Si ergo sonus sentitur, tantum per
instans sentitur; hoc autem videtur impossibile, quia indivisibile non potest
sentiri, ex fine De sensu et sensato. Ad hanc quæstionem dicitur quod istud
argumentum potest tieri de motu quoad alios gensus, quia de motu non est in
actu nisi mutatum esse. Dicitur tamen quod sicut motus potest movere sensum,
esto quod non sit in actu nisi per instans, ita ut sonus. Ad argumentum dico Ch. 98 recto quod non plus
requiritur movere sensum quam ad esse; ad esse autem soni non requiritur nisi
instans; ergo nec ad motorem sensuum. Ad alterum potest dici quod illud dictum
LIZIO in De sensu et sensato est verum de indivisibili iu magnitudine, non in
tempore; illud tamen iudivisibile quod est in sono, licet sit indivisibile
secundum tempus, est tamen divisibile secundum magnitudiuem; potest enim esse
ita magnum, ut repleat hanc totam scholam. Utrum motus anhelitus sit cx pectore
vel pulmone. Alia dubitatio est circa hoc caput, utrum motus anhelitiis sit ex
pectore vel pulmone. De hoc enim Commentator commeuto octuagesimo tertio facit
verba contra Galenum; pro quo sciendum est quod Galenus voluit anhelitus motum
esse voluutarium, et ratio sua erat quia possumus anhelare et non anhelare,
maguificare et diminuere auhelitum quando volumus. Item motus qui fit a nervo est
voluntarius; motus auhelitus fit a uervo, ergo. Anteriorem supponimus tauquam
claram; brevior probatur. Si euim incidatur ner\us rediens a cerebro ad pectus,
tunc statim cessat anhelitus : ex quibus concludit quud si iste motus est
voluntarius, cum pulmo de se non sentiat, quod iste motus non erit nisi a
pectore. In oppositum est sententia Averrois hic
et in secundo Colligeti capite decimonono, quia dum dormimns anhelamus. Item motus anhelitus
proportionatur motui pulsus; sed motiis pulsus est natuvalis ; ergo et iste.
Item a^iparet qucl aliqu:.udo uou passumus retinere aulielitum, iit iu magnis
tristitiis, et iu maguo timore; quare concludetur liunc motum esse compositum
ex naturali et voluntario; magis tamen esse naturalem, sicut motus palpebræ
oculi: quare si est naturalis, nou tautum procedit a pectore, sed etiam a
pulmone; sed si partim est in nostra voluntate, tunc argumentum concludit illud
quod nos dicimus, quia est compositus ex naturali et voluntario. Ad alteram de
nervo dicit ibi Coiumeutator qnod Galenus ignoravit logicam, quia in tali
argumento arguit a positione antecedentis ad positionem consequenlis; arguit
enim sic : si non est nervus, non est respiratio; ergo posito uervo, ponitur
respiratio; quare motus respirationis erit a nervo. Alio etiam argumento utitur
Galenus, quia qui vulneratur in pectore non potest respirare; ergo iile motus est
a pectore. Ad lioc dicit Averroes quod nou est quia pectus est causa liuius
motus, sed quia per ingressum æris frigidi læditur pulmo, unde non potest
respirare: quare concludendum est quod cum iste motus non sit tantum naturalis,
et quia pulmo desiderat ærem pro sui refrigerio, quod iste motus non est tantum
voluntarius, ut dixit Galenus, nec tantum est a pectore, sed a pulmone
causatur. Utrum hoinu sit peioris odoratus aliis animalihus. Circa textum
centesimum primo dubitat POMPONAZZI (si veda), quia LIZIO videtur dicere iiic
quod liorao est pravi odoratus. IJem quoque dicit in Ue seusu et sensato et in
primo de Natura animalium capite decimoquiuto; et non est pro hoc, quia ardor
consistit in calido et sicco; homo autem hal)et olfactum uimis humidum et frigidum
quia habet cerebrum maius aliis animalibus. In oppositum videtur sententia LIZIO in quiuto De
generatione animalium capite primo et secundo, ubi in primo dicit quod omnis
sensus hominis est perfectissimus. In secundo specialiter loquitur de odoratu,
et ratio est pro hoc quia cum homo sit perfectissimura animalium, videtur
conveniens quod habeat olfactum valde bonum. De hoc non oportet ulterius
quærere, quum habemus senteutiam apertam Aristotelis in quinto De generatione
animaliurn capite secundo; et Averrois hic et in De seusu et seusato. Senteutia
Philosophi est ista, quod quoad sentire a remotis ipsa sensibilia, multa
animalia excedunt hominem, quod vero ad distincte peicipere ipsa sensibilia
horao excedit omuia animalia. Quorum primum Philosophus attribuit situi ipsius
organi; sicut enim si mauus admoveatur oculo, longius videt homo, quam si non
ponat, ita propter situm nasi, longius tale auimal percipit odores, quam homo.
Quod non distinote percipit odores, adscribit Philosophus ibi ipsi complexioui
humanæ quæ est nobilissima. Conciliantur illa dicta ex his quæ dicit LIZIO ibi;
nec taræn putes quod sit idem a longe sentire et bene distinguere inter
differentias sensiCh.l03versu i.ijium^ quum aliqua a longe percipiunt
sensibilia, nou tameu sciunt inter ea distinguere, sicut sunt aliqui senes qiii
de longe vident colores, non tamen sciunt inter hos bene distinguere. Alia est
dubitatio mota in textu commenti nonagesirai secundi, quia LIZIO dicit quod non
est facile determinare de odore, quia differentiæ odoris a nobis difficulter
cognoscuutur: uiodo nos diximus, quod lioc videtur falsum, quia difteientiæ
odoris bene ab homine cognoscuntur. Ad hoc puto dicendum quod licet
differentias odoris bene cognoscat, faciliter tamen non pussit devenire in
notitiam eorum, sed cum magna difficultate inter ea possumus distinguere;
aliquando enim de aliquo habemus scientiam, tamen ad illud cognoscendum cum
magna diffieultate pervenimus. Ulrum per tactum cognoscatur hominis prudentia.
Alia dubitatio est quia dixit LIZIO quod per tactum cognoscitur horainis
prudentia et non per alium sensum. Ideo quæritur utrum hoc sit verum; et
videtur quod hoc possit fieri per alios sensus, quum in primo De natura
animalium Aristoteles dat modum quo cognoscantur mores hominum per oculos,
nares, aures et similia. Videtur autem quod magis visus et auditus hoc faciant,
primo quia per visum iudicamus de corporalibus et incorporalibus, per tactum
vero solum corporalia iudicamus; cum ergo visus ad plura se extendat, videtur
quod per visum magis arguatur iugeniositas, quam per tactum. Item quia nulhis
sensus ita certe iudicat sieut iste sensus. Item quia est magis immaterialis
ipso tactu; magis ergo accedit ad intellectum; quare \idetur quod exillo magis
argaatur ingeniositas. Unde in proojmio Metapbysicorum dicitur quod visus
maxime diligitur: videtur etiam hoc esse magis in auditu, quia auditus est
raagis spiritualis tactu, et magis accedit ad intellectum. Item auditus est
sensus disciplinæ. In oppositum est LIZIO hie. Item tactus est fundamentum
omnium aliorum sensuum; cum ergo nobiliori coraplexioui attribuatur anima
nobilior, videtur quod ex tactu arguatur prudentia raagis quam ex aliquo alio
sensu. In hac raateiia mihi videtur esse diceudum quod tactus magis faciat ad
pnidentiam, non quia per se hoc faciat, ut argumenta concludunt, sed quia
tactus est universalis sensus per omnes partes auimalis diffusus, et
fundamentum aliorum sensuura tam interioruni, quam exteriorum; hinc est quod
tactus raagis est argumentum ad prudentiam alio sensu, ex tactu enim
percipiraus quod cogitativa et omnes alii sensus sunt boni. NuUus autem sensus
potest hoc facere, quia nullus alius est ita universalis sicut est iste; licet
enim ex visu arguaraus aliquara dispositionera ;n homine, non tamen arguimus
universalem dispositiouem, sieut arguitur ex tactu, et hoc est quia tactus per
totum disserainatur. Ad ratioues in oppositum dicitur; ad primam, dico quod
visus per se ratione eorum quæ cognoscit magis facit ad hoc; sed tactus, prout
est fundaræntura omnium virtutum, magis facit ad cognoscendum prudentiam; non
tamen negamus quando ex visu et aliis sensibus cognoscatur bonitas ingenii, sed
diciraus quod magis ex tactu hoc cognoscitur. Vlrum se7isus exterior cognoscat
suam operationem. Post textum 149 dubitatur prirao a POMPONAZZI (si veda) circa
primam rationem Aristotelis qua probatur dari sensum coramunem, et dubitatur
utrum aliquis sensus exterior cognoscat suam operationem, et dicitur quod sic;
et primo de visu, quia Th^mistius in tertio huius, coramento quarto in fine,
expresse dicit quod oranis sensus extevior cognoscit suam operationem, et
aliqui in florentissimo gymnasio patavino hoc tenebant. Ch.llSverso Et ratio
potest esse quia si sensus sentit se, evgo et suam operationem. Consequentia
patet, qnia est difficilius quod seusus se cognoscat, quam suam operationem,
quia est maior reflexio cognoscere se. Antecedens probatur, quia sentio me
sentire, imo lioc nou potest esse nisi per uuam eteamdem virtutem, ergo etc; et
confirmatur quia LIZIO in tertio huius, textu commeuti noni, dicit quod
intellectus possibilis se iutelligit, quando, intelligeudo alterum, illud
alterum fit ipse iutellectus; sed si hæc ratio Ch. UOrecto valet, valet etiam
de sensu, quia sensatum fit ipsum sensitivum, et ita, sentiendo sensatum, sentiet
se ipsum. Item est ratio Aristotelis quia unusquisque cognoscit se videre. Vel
ergo hoc est per visum, vel non. Si primum, habetur iutentum; si secundum,
scilicet quod cognoscatur ab alia virtute, quæro de illa alia; vel ergo
proceditur iu infinitum, vel aliquis sensus cognoscit suam operationem, quare
et primus, quia melius est resecare in principio, quam in fine. In oppositum
est sententia Alexandri, hic iu Paraphrasi de anima, ubi bene concedit hoc de
intellectu, nou de sensu; et etiam Themistius iu fine hujus capitis dicit quod
etsi supra dictum sit quod sensus cognoscit suam operationem, non tamen est
verum. Et etiam Averroes in textu commenti centesimitrigesimisexti dicit hoc,
et omnes latini in hoc conveniunt, sed quid plus ? Aristoteles ipse in De somno
et vigilia huius est sententlæ, sed licet hoc sit verum, tamen ratio non est
adducta pro hoc, ideo est inquirenda ratio de hoc. Alexander adducit hanc
rationem quia seutire consistit in pati, sed sensus non potest moveri, nisi a
suo obiecto ; sensatio autem non est suum obiectum, ergo non potest moveri ab
ea, quaie nec eam sentire; quæ ratio videtur frivola, quia LIZIO videtur
solvere hanc rationem, primo negando assumptum quia Inx et tenebræ videntur,
non tameu sunt color. Aliam responsiouem dat Philosophus quod visio visus
quoquomodo est colorati. Themistius autem hic iuoctavo commento nude protulit
hanc quæstionem sine ratione, et etiam in De somno et vigilia. Averroes adducit
considerationem. Dicit ipse: si oculus sentiret visionem, idem ageret in se
ipsum respectu eiusdem; quia pro quanto reciperet visionem esset patiens, quia
ageret in eum visio, et pro quanto ipse visus esset, cognitus esset agens in
seipsum, quæ ratio videtur dubia. Primo, si teneamus quod sensatio realiter
difTerat a specie sensibili.ut multi Averroistæ teneut, hæc ratio non poterit
stare, quia idem sensus esset agens et patiens: agens prout producit
sensationem, patiens prout recipit speciem sensibilem. Sed vos dicetis illa non
est opinio Averrois, sed coutra quod de intellectu possibili dicemus; qui
intelligit suam intellectionem, et tamen hæc ratio est contra hoc de hoc
intellectu; quum si intelligeret se, idem esset activum et passivum. Si vero
dicas hoc non inconvenire de iutellectu quia datur intellectus agens, pari ratione
dicam quod datur sensus ageus, et dicam quod sensus potest sentire se, et cum
dicitur idem esset nctivum et passivum, dico quod non inconvenit secundura
diversas considerationes; nam sensus ut est passivus, non intelligit se. sed ut
est activus, et per speciem sensibilem; sic et iutellectus, qui ut est iu
potentia non potest se intelligere, sed ut informatus speciebus aliorum; et sic
idem potest se movere, non primo: imo Averroes in quarto Coeli tenet quod
elementum potest movere se secundum diversas rationes; similiter et ego dicam
quod sensus potest seutire se, non ut passivus sed ut activus est per suam
speciem. Ideo latiui adducunt aliam responsionem, q\iia nuUa virtus materialis
super se ipsam reflectitur ex libro De causis; sensus autem est virtus materialis,
ergo non potest sentire suam operationem. Assumptum probatur ibi, quia nihil
potest se ipsum movere; virtus autem materialis, si iutelligeret se, moveret se
ipsam. In rei veritate auctoritas magna est, secl ratio nou videtur bona, quare
ipsi habent concedere in motu loeali quod idem potest se movere, et ita hoc
potest esse in sensu, et etiam ego nou intelligo quid sit reflectere se super
se. Ego dicain quod idem potest agere in se secnndum diversas rationes. Post
hos sequitur Joannes de Janduno hic in quæstione propria, qui credit se
demonstrare in hoc; et ratio sua est, quia si sensus cognosceret suam
operationem, tunc idem esset in aliquo subiecto secundum esse reale et
spirituale, quia sensus realiter habet sensationem ct cognoscit eam ipse sensus.
Sed contra, dato hoc, intellectus non posset intelligere suam intellectionem,
quia habet eam et realiter et spiritualiter, quia eam cognoscit: et hoc non est
impossibile, quia in oculo est qualitas, tamen in eo recipitur species quanti,
et etiam uon inconvenit hoc, cum tale esse rcale est esse spirituale; et iu
proposito de hoc non habeo aliquam rationem. Credo tamen considerationem unam
esse propter auctoritatem tantorum virorum; probabiliter taræn potest dici quod
ratio latinorum est vera, et forte volunt dicere, quod nulla virtus materialis
supra se reflectitur, idest non cognoscit se primo, et istam rationem videtur
ponere Alexander in Paraphrasi ista, capite 26, ubi tractatur de intellectu in
actu ; et hoc bene verum est quia hoc est diflficilliraum ipsi intellectui,
ergo raulto magis virtuti materiali, et ratio quia species repræsentat illud
obiectum cuius est species; sed quod repræsentat se et suum obiectum, hoc
arguit magnam spiritualitatem, et quia virtus materialis non est multum
spiritualis, ideo non potest se cognoscere per speciem obiecti quod recipit.
Unde Deus qui est maxime spiritualis se ipsum per se solum perfectissime
cognoscit, nec per species alienas: sed sensus eo quia est miuime spiritualis
et multum imperfectus, ideo non potest se ipsum cognoscere, quæ ratio videtur
mihi probabilis; illa Alexandri non videtur bona, quia LIZIO eam solvit in
textu centesimotrigesimo octavo, et ratio Averrois nihil valet neque illa
Joannis. Ad argumeuta dico quod Themistius se
ipsum retractat infra, commento octavo. Ad secundum dico quod illud est per
figuram sinechdochen, in qua sumitur pars pro toto; anima enim sensitiva
cognoscit se ipsam, quare per unam partem cognoscit etiam aliam partem et per
sensum communem exteriores. Ad aliud nego similitudinem, quia intellectus
potest hoc facere quia est maxiræ spiritualis, quod non est in sensu. Ad
ultimum, dico quod est devenire ad intellectum qui per se, et suam operationem
cognoscit propter sui immaterialitatem. Eestat modo videre quia Philosophus
dixit quod, si seusus communis cognoscit contraria, ergo patitur simul a
contrariis. Aristoteles dicit quod sensus communis est ruuis subiecto, non
forma: quæ responsio videtur accedere ad dubium motum, ut patet, quia arguit
quod contraria erunt in eodem, et ipse dicit quod est unus secundum obiectum et
ita non respondet. Alexander, Themistius et omnes dicunt ad hoc; et dicit
Themistius quod sentiens album et nigrum non est album et nigrum, et breviter
dicunt quod secundum esse spiritualem non habet veritatem, licet secundum esse
reale; et cum dicitur causæ sunt contrariæ, ergo eifectus sui sunt contrarii;
dico quod est veruni in actione imivoca, et hæc est responsio Averrois in
quarto Metaphysicorum: speeies autem et obiectum sunt (liversarmn riitiouiim.
Sed quare LIZIO uon posuit (eas). dico quod dimisit lioc, quia erat notum. Sed
statim erit dutitatio, quia male videtur dicere Aristoteles dicendo quod sensus
communis est unus subiecto, et multa ratione, et tamen ipse non potest negare
hoc, quia est imus subiecto et plures, quia est visus, gustus, et omnes alii
sensus, pro quanto terminat sensationem omnium. Ad hoc dico quod argumentuna
concludit, nec Averroes negat hoc, sed dicit qnod melius est putare quod sit
unus secundura formam et multa secundum materiam, quam quod sit unus subiecto,
et multa secundum formam. Nec ista sunt opposita; est enim multa pro quanto
terminat omnes quinque sensus, est autem unus ut iudicat omnia sensibilia. Et
quia potentia secuudum operationem suam recipit unitatem, cum dignior operatio eius
sensus communis sit iudicare de sensibilibus, quam recipere sensibilia, et
iudicare sit a forma, recipere Vero a materia, ideo dicit Averroes, quod
dignius est quod dicatur unus secundnm formam, et multa secundum materiam, quam
quod dicatur unus secundum materiam, ct multa secundum formam, non tamen ita
quod istud non possit dici; imo ita est, quod est unus subiecto, et multa
ratione, quia est oranes quinque sensus, ut supra dictum est; sed quia hæc
nnitas est a materia, illa vero a forma, ideo diguius est, et non est quod sit
unus forma, et multa secundum materiara. Et sic iu uomine Dei et Beatæ Virginis finit secundus
liber quæstionum secuudi De Anima. QVÆSTIONES
LIBRI TERTII Ulrum iski propositio: omne recipiens dehet esse denudatum a
natura recepti, sit vera in actione reali. In commento quarto POMPONAZZI
examinat istam propositionem, scilicet: omne recipiens debet esse denudatiim a
natura recepti, quia Commentator secundo huius, commento sexagesimoseptimo.
dicit quod est vei-a in actione reali et spirituali. Primo videndum est in
actione reaii quoad primam partem, scilicet quod esseutia uuius nou sit de
essentia alterius. Piimo dico quod stat ut sint diversæ genere, quum materia
prima est receptiva qualitatis, et tamen recipiens quod est materia prima, et
receptum sunt diversa genere; et quaravis sint diversorum generum, non tamen
oportet esse ita diversa ut uullo modo conveniant, quia oportet agens et passum
in materia convenire ideo materia prima non potest intelligentias recipere,
quia nnlla est unigenitas inter ipsa; possunt ergo esse ambo diversoram generum
in actione reali, sed quod sint idem secundum speciem irapossibile est, quia
receptivum habet rationem potentiæ, receptum vero actus; non autem videtur duo
in eadem specie fundari, et a forliori nec idem numero poterit se ipsum
realiter recipere. Statetiam quod sinteiusdem prædicamcnti, sed remoti, quando
illud genus dicitur de illis analogice, ut materia et forma, quæ non sunt sub
aliquo genere univoco; forte etiam quod possunt esse ejusdem prædicamenti
UNIVOCI, quia forraæ elementorum recipiunt formam mixti. Est ergo vera de
naturali receptione. sed hoc non facit ad propositum, quia qnæritur de esse
spirituali; nam iutellectus recipit iioc modo; ideo quæstio consistit in hoc:
Utrum aliquid possit recipere speciem suimet, vel alicuius quod est idem specie
cum eo, et primo dicamus in quo est possibile. Primo quod sint distincta genere
est certum, nam oculus spiritualiter recipit quantitatem; moJo potentia visiva
et quantitas non sunt eiusdem prædicamenti. Quod autem aliquid recipiat speciem
sui ipsius est impossibile, nam idera esset recipiens et receptum. Ex qua
ratione concludebat Averroes intellectum possibilem esse immaterialem, et
videtur quod ista ratio sit pj^ jq^ ^^,.3^ nulla. quia ego dicam quod
intellectus est materialis. et cum dicis: tunc non reciperet omnes formas
materiales, dico quod hoc verum esset si intelligeret omnes formas materiales
per propriam speciem. Sed si se? ipsum intelligit per speciem alienam ut infra
dicetur? Sed contra tu dicis quod si intellectus intelligit se per speciem
alienam. alia tamen intelligit per speciem propriam. Sed contra arguitur, quia
vel cogitativa cognoscit se vel non. Si priraum, vel per speciem alienam vel
per propriam; si per suam ergo intellectus, quamvis sit materialis, poterit se
per speciem propriam intelligere; si autem intelligit se pei speciem aliorum
cogitativorum. cum sint eiusdem speciei istæ cogitativæ, recipiens non erit
denudatus in specie a natura recepti. Si dicas quod cogitativa non cognoscit
se, sed intellectus eam cognoscit, contra. intellectus non cognoscit per se, et
directe nisi ea quæ prius fuerant in cogitativa: ergo debet intelligere
cogitativam, quod cogitativa prius se ipsam intellexerit, quare et idem de
intellectu dicetur. Si dicas quod cogitativa intelligitur ab iutellectu per
speciem aliarum rerum, pari modo dicam quod intellectus intelligit se per
speciem aliorum, et sic nou sequitur quod, etsi intellectus sit materialis,
quod non omnia iutelligat. Et si dicas quod idem ageret in se ipsum, respondetur
quod lioc nou inconvenit in actione æquivoca, ut concedit Scotus; quando autem
intellectus se ipsum intelligit est actio æquivoca. Item experientia docet quod
homo potest se ipsum in speculo videre, ergo idem recipit speciem sui. Sed ad
hoc potest dici quod tu deciperis, quia credis quod quando oculus videt se,
idei^ sit recipiens et receptum, sed non est verum, et recipiens est potentia
visiva, et receptum est color,et idem non sunt eiusdem speciei. Ad iJ quod
dicitur de Scoto, communiter dicitur quod est contra LIZIO in septiiuo et
octavo Physicorum, sed contra adhuc instatur, quia idem amat se, et amare
præsupponit cognoscere. Item equus amat suos filios, qui suut eiusdem.speciei
cum eo;sed dices quod' equus scit tantum figuram et colorem, contra iu fiue
secuudi huius diciturquod homu sentit se sentire; modo si sentio me sentire hoc
non potest esse nisi refiectam me super me, scilicet quod ego me coguoscam, sed
ego sum virtus raaterialis, ergo virtus materialis potest se cognoscere. Ad hoc
respondetur quod non est per idera, quia cognoscens est sensus comauinis, quod
autem coguoscitur est sensus exterior, nec idem est es toto, unde seusus
communis uou sentit se sentire. Et ita alias solvi hoc argumentum. Sed hic
sermo non videtur verus, quia Themistius iu secuudo De auima videtur dicere
quod sensus seutiat suam operatiouem. Ad illud quod dicebatur de Scoto quod est
contra LIZIO, de hoc Deus scit veritatem. Unde per accidens potest aliquid
movere se, et reflexe intelligit se. Quare videtur quod ista propositio, omue
recipiens etc. sit vera in actioue reali, sed in spirituali est dubia, et ideo
videtur quod ratio Philosophi sit vix persuasiva, et nou transcendat rationem
probabilera. Quauturasit de secunda parte suæ propositionis, scilicet omne etc.
secundum substantiam, piimo dicemus de receptione reali, et primo dico quod
receptio alicuius entis realis habeat aliquid reale, et alterius generis ab eo;
ut materia priraa si debet recipere qualitatem, oportet ut prius habeat quautitatem,
sed hoc est secundum diversa genera, et aliquando recipiens habet aliquid de
recepto seeundura idera genus, imo uon potest recipere illud nisi habeat
aliquid ex illo. Verbigratia si materia debet recipere qualitates secundas,
oportet quod prius habeat primas, sed taræu sunt eiusdem generis proxirai; sed
loquendo de his quæ sunt in eodem genere proximo. semper recipiejis debet
habere qualitatem oppositam, ut si materia debet recipere caliditatera. oportet
ut prius habeat frigiditatem. Sed loqueudo de his quæ suiit eiusdem speciei,
dico quod in qualitatibus intensibilibus et remissibilibus, recipiens debet
carere specie eius quod recipitur nou absolute. sed solum sub illo gradu;
verbigratia si materia debet recipere caliditatem ut octo, debet carere solum
hoc gradu caliditatis quæ est ut octo, et non aliis, imo est necessariuni ut
habeat caliditatem sub alio gradu magis remisso. Et de Iioc sunt duæ opiniones.
Aliqui ut Scotistæ et raulti Thoraistarura tenent quod accideutia, solo numero
differentia, possuut esse in eodera. Alii tenent quod non, nec naturaliter nec
per potentiam divinam quamvis putem istos non esse raultum discordes et hoc
quoad esse reale; sed tota difficultas est de esse spirituali; pro quo est
sciendum, quod lioc potest intelligi tribus modis. Primo, qnod recipiens
aliquid secundum esse spirituale, sit denudatum a natura recepti spirituaUter,
ut si debeo recipere speciem «, oportet quod uon habeam speciem a. et iste
sensus non est ad propositum. Alio
modo, quod recipiens aliquid sub esse reali, debet carere eo sub esse
spirituali, et iste non est ad propositum. Alio modo, quod recipieus aliquid
sub esse spirituali debet carere eo secundum esse reale, el iste tertius modus
est de intentione Aristotelis et Averrois; unde non est necessarium, si debeat
recipere aliquid sub esse spirituali, quod sit denudatus omnino ab esse
spirituali. Nam si ego de beo liabere notitiam cousequentis, oportet prius me
liabere notitiam præmissarum; scd tota contentio est utrum recipiens sit
denudatum a recepto secundum genus, vel secundum speciem. Es una parte videtur
quod sic de oculo icterici, qui, propter colorem citrinum qui est iu eo, non
potest alios videre ; videtur ergo quod receptivum rei alicuius generis debet
carere omni eo quod est eiusdem generis. Ex altera parte videtur oppositura
quia tactus est receptivus qualitatum extremarum, et tamen habet illas, quia
habet medias; quo stante est magna difficultas, quare ita sit in tactu, et nou
iu aliis sensibus, et ita rafio Philosophi non videtur vera. Contra experientia est iu
oppositum. quia visus recipit speciem figuræ et tamen realiter est figuratus.
Item cogitativa est quanta et recipit speciem quantitatis. Ad hoc posset dici,
quod nou est simile de istis virtutibus ad intellectum, quia intellectus ultra
hoc quod cognoscit alia, cogiioscit etiam se, sed istæ virtutes nou cognoscunt
se, saltem potentia visiva. Contra, quomodo Deus et Intelligentiæ sunt
immateriales et tamen cognoscunt omnia sub ratione sui, et etiam cognoscuut se,
ita et intellectus, quamvis sit materialis poterit tamen omnia cognoscere sub
ratione illius formæ materialis, quam haberet; cuius oppositum superius
dicebatur. Insuper ista ratio fuudatur super hoc quod omne recipiens debet esse
denudatum, etc, sed contra, quia ex hoc probabitur illum esse materialem, quia
comprehendit materialia, ergo non debet esse immaterialis. Item sicut se habet materiale ad immateriale, ita
immateriale ad materiale; sed materiale poterit recipere materiale. Et ita
circa hoc sunt diibia; sed quia LIZIO, Themistius, Averroes et AQUINO (si veda)
habent hauc rationem pro manifesta, et quia LIZIO numquam dixit aliquid nisi
cum ratione, et quia, ut dicit Alexander supra sermone istius viri, quis est
magis remotus a contradictione, ideo couabimur defendere istam rationem, quæ
ratio bene intellecta, si uon est demonstrativa, tamen ei multum approximatur.
Pro qua est sciendum duo esse in mrmdo multum similia: lutellectus possibilis
et materia prima in tantiira quod aliqui dixerunt quod essent idem. Ad quæ
cognoscenda philosophi proeesserunt eadem via; ex eo enim quod materia prima
reeipit . omnemformam, concluditur in primo Physicorum quod non est aliqua
earura : ita intellectus possibilis ex eo quod recipit formas materiales
concluduat quod nou habet aliquam earum. Sed differunt inter se, quia
intellectus recipit tantum spiritualiter sub esse universali, sed materia prima
recipit realiter sub esse signato, et ideo intellectus potest se intelligere et
non materia prima. Videns ergo LIZIO hoc, ex sensatis in sensata procedeus, cum
cognitum fit coguoscens secundum esse spirituale, sic amans amatum, et sensus
recipit spiritualiter ; dixit quod intelligere est sicut sentire et in textu
tertio disit quod oportet iutellectum esse in potentia ad intelligibilia.
Ulterius vidit Aristoteles quod esse materiale impedit spintuale, vel in toto
vel in seusibus aliis a tactu, nam oculus ictericus non potest omnes colores
recipere; vel iu parte ut in tactu, qui cum habeat qualitates medias inter
extrema quæ habet sentire, perfecte non potest sentire qiialitates tangibiles.
Uude æqualiter calida, et æqualiter frigida non sentimus. Et i-i dicatur quod
omnis sensus tam interior quaui e.\terior recipit quautitatem, non tamen est
denudatus a quautitate: potest respondeii quod quantitas, aut qualitas, nec
aliquid sensibile commune sentitur per propriam speciem, ut teneut AQUINO (si
veda) e ROMANO (si veda); etdato quod cognoscantur per propriam speciem, dico
quod non seutiuntur nisi permixta cum propriis seusibilibus. Et quod dicitur de
sensu exteriori, dico quod non sentitur per propriam spefliem; scilicet vel si
sentitur, diminute sentitur. Resumendo ergo dicamus quod cum cognitum iiat
cognoscens secundum (esse) sperituale, et quod esse materiale vel impedit
coguitionem in toto vel in parte; cum ergo iutellectus habeat omnia materialia
sub esse spirituali, et sincere et perfecto modo ea coguoscat, oportetutcareat
omnino esse materiali. Unde cogitativa, quæ est materialis, nonnisi involute et
modo imperfecto istas res materiales cogiioscit, et hoc est illud quod dixit
textu commenti quadragesimiprimi, quod si haberet aliquam formam materialem,
recipere probiberet extraneam et obstrueret ipsam, et propter hoc Aristoteles
maxime laudat Anaxagoram ponentem intellectum, ad hoc ut imperet omnibus, esse abstractum.
Aristoteles autem hoc dixit propter intelligere: nam cum perfectissime
materialia intelligat, debet ab eis esse deniuiatus et hucusque ista ratio est
probabilis; videtur euim ratiouabile quod si omnes formas recipit ut sit
denudatus ab eis, sic ut materia prima est denudata ab omnibus formis
materialibus, et ideo dicit Aristoteles textu commenti sexti quod rationabile
est ipsura non esse corpus, nec virtus in corpore; nec aliquis negaret hoc,
quamvis non sit demonstrativum, quia aliqui tenent quod cogitativa omnia
materialia et etiam se cognoscat, et tamen ipsa est materialis. Sed alia ratio
est quæ probat necessitatem huius, quia scilicet omnia intelligit, ut
universalia et particularia et etiam abstracta; si esset materialis. abstracta
et universalia efficerentur materialia; quod probatur quia omne quod recipitur,
recipitur secundum cgnditiones recipientis; si ergo iutellectus est materialis,
cum intellectus recipiat universalia et abstracta, ipsa quoque abstracta
efficerentur materialia quia reciperentur iu divisibili; quod recipitur in
divisibili est divisibile, si ergo sunt divisibilia suut et materialia. Unde
quamvis omnes qualitates de natura sua siut iodivisibiles, tamen efficiuntur
divisibiles a subiecto quanto in quo suut, ut dicitur primo Physicorum textu
commenti decimioctavi et ista est ratio LIZIO per quam probat auimam esse
immaterialem. Unde in textu commenti quarti dicit quod si omnia intelligit,
necesse est immixtum esse; non dicit si tantum materialia iutelligit. Et si
dicas quod ratio Aristotelis fundatur super illam propositionem: omne recipiens
etc. ut dicit Averroes, dico quod LIZIO fundat se super illam propositionem,
quoad probabilitatem rationis, nou quoad necessitatem; demonstrativa autem
ratio est supor hoc, quod, quia omnia tam materialia quam immaterialia
intelligit, oportet ut sit abstractus.Vtrum anima sit mortalis. lu tcxtu octavo
qiiærit Pomponaciiis xitnira anima sit mortalis, vel non; et primo qiiærendum
est utrum sit materialis ; si enim est materialis est mortalis, si est
immaterialis est immortalis ; et primo arguo quod sit immortalis quia in hac
parte arguit Aristoteles; et cum duplex sit eflfeetus animæ intellectivæ,
silicet intelligere et velle, ex utroque probalnmus eius immortalitatera.
Prirao ex intelligefe per rationem LIZIO superius factam. Cum enim Aristoteles
viderit auimæ operationera esse intelligere, ex quo quandoque actu
intelligiraus, quandoque potentia, cum ista non sit operatio immanens. oportet
quod intelligere in quodam pati consistat. Ulterius vidit quod cum liæc passio
assirailetur sensationi, cum sensatio fiat per spiritiialem receptionem,
concluditur quod iutelligere iiou fiat per realem, sed spiritualem receptionem.
Ex liis conclusit quod si intelligit omnia materialia, recipiet species eorum spiritualiter,
quare rationabile videtur quod, cum esse materialiter irapediat spirituale,
quod intellectus sit immaterialis; unde tactus quia habet in se qualitates
taugibiles, non bene oranes percipit. lutellectus vero, quia perfecte habet
recipere oranes forraas materiales, cura iutelligat recipieudo, ratiouabile
videtur quod non sit materialis, sed abstractus. Non euim esse materiale et
immateriale beue si compatiuutur iusimul sic, et nos diximus non esse simile de
materiali et imraateriali, quia materiale impedit cognitionem: esse vero
spirituale et abstractum uon impedit, imo auget coguitionem, et ideo
immaterialia possuut cognoscere materialia, et uou e contra. Sed Averroes
adducit aliam rationem: quod si intellectus esset materialis nou posset se coguoscere,
quia cum iutelligat, recipiendo reciperet (deciperet?), quare se raoveret: quod
tameu est falsum in forma materiali, qnamvis in forma imraateriali hoc non sit
iuconveuiens. Unde Deus se coguoscit, et aliæ intelligeutiæ. Contra hoc tamen
sunt adducta quædam, quia etsi hæc ratio ch. ISOverso videatur coucludere, nou
taræu cogiE, quia uos \idiuui3 tot et tauta fieri ab aniraalibus brutis, ut
aliqua superent uos in iustitia, amore, et artificio, ut scribitur iu Commento
de natura animaliura. Unde et videtur quod se ipsa possent cognoscere ; non
igitur argumentum valet quod sit immateiialis ex hoc quod faciat ita perfectas
operationes, quia et alia aniraalia hoc faciunt. Etsi ratio hæc sit iugeuiosa,
taræn in ratione LIZIO non contiuetur. Ad obiecta autem dicit Avicenna in
prirao Naturalium: esto quod bruta habeant tam perfectam operationem, et quod
se cognoscant, quare hoc concedit, tamen coguoscunt se, in quantum compositiim
illud, et non segregando se a materia et a quautitate; et dicit hic Alexander,
anima nou rauonalis non cognoscit uaturara suam distiugueudo se a corpore, et a
quantitate, quia anima rationabilis se distincte cognoscit, auiraa vero
brutorum non coguoscit distincte, quia non estseparata a raateria et
quantitate, sed cognoscit se totura cognoscendo, et dicit ex hoc apparere eara
non esse iramaterialem quia non potest se segregare a raateria. Operatio
iusequitur esse. Si ergo nou potest se extra materiam cognoscere, non potest
esse extra materiam. Amplius nou possumus dicere quod sit materialis quia
uuiversaliter coguoscit, quod nou posset esse si intellectus esset materialis
et extensus, operatio euim insequitur esse ; Nel senso di causa di errore. Ch.
i:i! recto et hoc notavit Aristoteles, cum dicit qiiod si iutelligit omuia
necesse est immixtum esse. Ad hnc accedit quod intelligit iudivisibilia;
separat euim punctum a linea et longitudinem a latitudine, quæ virtus
materialis non potest cognoscere, uullus enim seusus exteriorum aut
interioi-ura cognoscit indivisibile: cognoscit etiam unitatem quæ est puncto
abstractior. Item iutelligit Deum, et lutelligentias, quod nonposset facere si
materialis esset, quia operatio supponit esse; si ergo esset materialis nou
posset operari circa immaterialia. Unde dicit ACCADEMIA IN FEDONE. Quomodo purum
possit ab impuro coguosci? Item nulla virtus materialis liabet operationem
infinitam. Intellectus habet operationem infinitara,ergo non est materialis.
Anterior est LIZIO 8° Pliysicorum; brevior patet quia intellectuSjintelligeudo
uuiversalia, infinita intelligit,ut intelligeudo hominemin communi, infinitos
homines intelligit, quia homo est ut horao multiplicatus in infinitum; et
etiara cognoscit numeros infinitos et dividit continuura in infinitum, et
intelligit infinitum terapus, et motum et relatioues, quao sunt modicæ
eutitatis, et secundas intentiones. Item habet operationes circa ens et non-ens ; cognoscit
enim utrumque, et utrumque raisurat (niensurat). Itera dispersa colligit et
unit, ut individua iu specie: species vero in geuere, quod nou facit virtus
materialis, et ista est prima ratio. Secunda ratio. Nulla res in sua
perfectissima operatione imperticitur. Unde aqua si non raoveatur raarcescit,
et etiam ignis; perfectissima enim operatio animæ est intelligere, orgo
maxiraum intelligere erit maximæius perfectio; cura veroraaxime intelligat
quando abstrahit a corpore, ratiouabile est quod ipse quoque (intellectus) sit
abstractus; aliter enim si esset materialis, quauto magis esset iu materia
magis perficeretur; ipse vero quanto magis a corpore abstrahitur tanto magis
perficitur. Unde videmns quod isti, qui a sensibilibus istis abstrahunt, magis
intelligunt; illi vero qui in istis materialibus versantur ignarisunt, et hanc
rationem posuit ACCADEMIA iu FEDONE. Item nulla ros uaturaliter sibi repugnat;
iutellectus maxime coipori repugnat, ergo iutellectus uon est materialis.
Brevior declarabitur in nobis, ratio enim et appotitus aliquando repugnant in
raateria. Corpus enim in malum sua natura inclinatur. Intellectus ab hoc
retrahere nilitur: si omnino esset materialis, quomodo esset ista rebelIio?Item
intellectus liber est et libere agit; (quid) si autem esset materialis? Quia
quæ materiæ affixa sunt necessario aguut, et quamvis mirabilia agant, non tamen
ex ratioue sed ex quadara naturali iuclinatione id faciunt; unde omnia talia
animalia simile oportet ut constituant, ut hirundiues quæ tanta arte nidum
faciuut, omnes tamen uno et eodem modo faciunt. Tertia ratio ex voluntate
sumitur. Dixiraus quod ex quo infinita intelligit est iramaterialis. Item etiam
potest dici de voluntate, voluntas enim nostra in infinitum fertur; appetiraus
enira per infinitura tempus esse ; virtus autem materialis non potest in
infinitum ferri, ex 8° Physicorum; intellectus ergo non erit materialis, quare
nec mortalis. Forte huic rationi aliquis respondebit qnod etiam bestiæ appetunt
hoc: scilicet, semper durare; videmus enim quod fugiunt raortem; vel ergo
bestiæ erunt immateriales, vel anima nostra propter hoc non erit dicenda
immortalis. Sed istud nihil valet, quia bestiæ non appetunt hoc appetitu
cognoscitivo, quia appetitus nou fertur in incognitum, bestiæ autem non
cognoscuut infinitum sed tantura secundum hic et nuuc, et si fugiunt mortem,
hoc non est quia futurum cognoscant, sed quoniam videtur malum sibi præsens;
imo Themistius in multis locis clamat qiiod non cognoseunt nisi obiectum
præsens. Sed adliuc iQstabitur, quia iste appetitus erit vanus, non autem
naturalis, quia appetitus naturalis ex toto non fnistratur. Iste autem
appetitus est ad impossibile, quare istud non arguet immortalitatem animæ. Pico
hæc nihil valere, imo appetitus iste est naturalis, et est a voluntate nostra
intrinseee; cognito enim æterno cupimus et nos æternos fieri et immortales;quod
etiam declaratur quia iste appetitus est in omni homine; homines enim ». omnes
appetunt esse immortales; si autem est in omni. erit naturalis. Quod vero
dicunt istum appetitum esse ad impossibile nihil valet, et contra eos reflecto
argumentum quia iste appetitus est in omni homine, ergo naturalis; si ergo
appetitus ad esse semper, est naturalis, non poterit frustrari; quare
argumentum est contra eos. Unde dico quod homo, vel sit intellectus ut voluit
ACCADEMIA, et videhir etiam esse sententia Thera. 3' De anima s.'" 27°,
vel saltem est per illum, ut tenuit Averroes, iste appetitus non erit frustra:
quia homo est æternus saltem quoad animam rationalem; et facit multum ad istud
hoc quod illa quæ propter animam sunt necessaria in intinitum appetimus;
existimatur enim quod homo infinitas appetit divitias, etsi istud sit impossibile;
unde appetitus divitiarum uumquam terminabitur, sensitivus autem qui est magis
propter corpus terminatur. ut si quis sitiat et famescat. Item homo cupit Deum
maxime imitare, ut intelligendo, et huiusmodi quæ non potest virtus materialis.
Item cum duplex sit scientia, practica et speculativa, in operationibus
practicis multa animalia conveniiint cum homine, ut in construendo nidos
hirundo, et apes in ædificando, araneæ in texendo, et in virtutibus quoque
moralibus, sicut rex apum in iustitia, amore et fortitudine et pietate, sicut
legitur in 2" De historia animalium. In speeulativis vero nullus nisi bomo
mentis divinæ secreta intelligit, atqiie illa ordinat; quare verisimile non
videtur quod, cum homo ita excelsa intelligat, et in tam excelsis delectetur speculabilibus,
et a voluptuosis rebus, et ab omnibus materialibus (se) retrahat, quod auima
eius sit materialis, imo videtm oppositum in adiecto quod anima intelligat et
sit materialis. Causa enim intellectionis est abstractio a materia. Unde Deus
qui maxime est abstractus, maxime intelligit et intelligentiæ quæ sunt minus
abstractæ minus intelligunt. Istæ tres rationes sunt physicæ, sed ex
operationibus procedentes. Aliæ sunt rationes theologicæ hic multo fortiores
quas ex Divo Augustino eUcio. Prima ratio quæ est 4' in ordine est: quia
videmus quod inter omnia alia terrena solus horao potest suum opificem
cognoscere, quod testatur figura recta hominis, quæ t;h. 132 verso ad hoc ei
donata est ut coelum aspiciat, et adorationes et templa et similia ; cet^ra
vero non habent hoc quia tantum terram aspiciunt sicut mortalia et terrena;homo
ergo Doum cognoscit, notitia vero rei comprehensæ semper, ratione boni, causat
amorem, ergo homo amabit Deum: cum vero amans in amatum transrautetur, sicut
intelligens in iuteliectum, homo in Deum transmutabitur. Ex his autem duobus sequitur delectatio. Ista autem
unio Dei cum homine, quæ fit per intelligere et amare, non accidit nisi in
anima purgata a vitiis et istis sensibilibus. Unde Eustratius in primo
Ethicorum dicit; etsi virtutes morales sint propter humanum genus, sunt tamen
ut se Deo uniat, quia non potest eum homo coguoscere nisi animns sit purgatus a
vitiis, et ista præparant nos ad felicitatem summam. Forte dices quod LIZIO non
ponit ista. Dico quod sic in 12 Metaphysicorum, textu commenti £8 et 39, ubi
dicit quod voluptas iu amando Deuni est in nol.iis parvo tempore, in Deo autem
seniper; liæc ergo est vera felicitas (pev) intellectionem et nnionem Dei,
quamquam non potest haberi nisi mens sit ab omni vitio purgata; quæro ergo an
intellectus noster istam felicitatem intelligat aut non; si non, qnoraodo ista
esset felicitas si homo non cognosceret se esse felicem? Si dicas quod
intelligit, et per se anima aliqnando non evit, quia est mortalis, ergo homo
cognoscit se aliquando nnn esse; si sciat se quaiidoque non esse, quomodo erit
felicitas? quare opus erit concedere quod anima sit immaterialis et immortalis.
quod omnes philosophi fatentur. Qninta ratio. Certum est quod si aliquod est
animal quod peccet in complexione, compositicne et unitate vel infirmabitur vel
morietur, ut dicunt medici : in simili dicit LIZIO primo Politicorum, quod si
sit aliqua civitas in qua non sit iustitia, quod non potest mnlto tempore
durare; cum ergo iniusti faciant aliquod malum, qui tameu honorantur a multis
imo ab omuibus, et etiam corpora eorum honorifice sepeliuntur post mortem,
quæro tum an Deus scit ista, an non; si no-n, quomodo est possibile hoc quod
omniumcustos isfca non sciat; si scit, vel punit istos vel non; non est
intelligendum quod non, quia esset iniustus, ergo punit; si sic, vel ergo in
vita vel post mortem; si in vita, hoc non videtur verum quia isti multum
honorantnr in terris et quasi Dei habentur; si post mortem, vel punitur corpus
eorum vel anima, non corpus quia videmus oppositum, quia corpus solemniter
tumulatur; si anima punietur, si esset mortalis non posset puniri, quia non
esset; si ergo debet anima puniri, necesse est immortalem esse. QuoJ si dicas
virtutes esse præmium hominis virtuosi, vitium autem esse damnum vitiosi et
pravi dum sunt in vita, hoc nihil esset; tolleretur enim omnis iustitia, quiasi
aliquis rex videvit aliquid malum fieri ab aliquo et eum nou puniret ex eo quod
ex vitio quod habet esset punitus, iste rex iniustus haberetur. Cum autera Deus sit maxime
ivistus debebit hoc facere. Unde et Aristoteles ubique concessit omnia a Deo
provenire. Istæ rationes etiam contra Averroem procedunt animarum pluraiitalem
negantem. Asserit enim omnes animas, scilicet rationales imam tantum esse.
Sextum argumentum est, quod si anima est mortalis nihil erit homine infelicius;
quod probatur quia felicitas hominis vel erit ante annos discretionis vel post;
non ante, quia nec prima movetur, intelligit autem aliquid aliud et facit sicut
servus. Sed ista felicitas est post annos discretionis, est mevito bonovura
corporis; et hoc uon; quia multa Cli. l33veiso auimalia fortitudine, decore et
talibus nos viucunt, et istud provenit mevito natuvæ, et non nostvi. Item multæ
extalibus rebus moriuntur. Vel ergo est propter bona fortunæ ut honor, divitiæ,
cognitio, et hoc non; imo ista impediirat uos a felicitate et aliqui illa
spreverunt. Ergo ista felicitas erit in bonis naturæ: vel eut in moralibus, vel
in speculativis virtutibus; non inprimo tantum, quia illæ non complent felicitatera,
sed suntpotius contrariæ et sicut præparatio ad felicitatem. Necfelicitas est
in bonis intellectivis, scilicet in scientiis speculativis. Aliqui enim sunt
qui eas habent et taræn non sunt felices. Consistit ergo felicitas in utrisque
bonis intellectus, scilicet in moralibus et in speculativis. Si ergo auima
coguoscit se quando in folicitate est constituta et per se ipsam sit raortalis,
cognoscit se aliquando non fore et tunc tristabitur cognoscendo se morituram,
taleque bonum perdituram ; tunc autem homo felix non erit, nec pvius etiam
felix. Sicut ergo nunquam homo felix esse ex siguo eognoscitur propter qiiod
homo verecundatur solus inter cetera auimalia, et solus etiam synderesia habet;
hoc autem nou potest esse nisi quia solus cognoscit se offeudere suum
creatorem. Et istæ sunt ratioues probantes animæ immortalitatem tam piiysice
quam theologice. Pro qua parte sunt viri doctissimi et integerrimi: ACCADEMIA,
LIZIO, Chaldæi, et omnes leges et omnes prophetæ,quamyis aliqui dicant quod
ACCADEMIA non fuerit huius sententiæ, et quod ea quæ diserit, propter vulgares
dixerit; quod dicere impium est, cum in suis op?ribus tam maledicit meudacibus.
LIZIO etiam fuit huius sentiæ, quem, ut puto, Alexander in hoc non intellexit.
Est enim sententia LIZIO in primo De anima, textu commenti 49, ubi dicit quod
est difBcile ponere animam corpori commisceri, item textu commenti 63 et 66,
ubi dicit quod est impossibile ipsum intellectum misceri; item textu commenti
92 secundi De anima dicit de intellectu esse alterum animæ genus; in textu
commenti 11 et 21 idem clamat in tertio isto, textu commenti 3, 4, 5 et 14 et
per totum hune librum tertiura. Idem in secuudo De generatione animalium textu
commeuti 3, ubi dicit quod solus intellectns extrinsecus accidit et cum eo uon
comunicat actio corporalis; et in secundo Metaphysicorum, textu commenti 7,
dicit quod niliil prohibet ut aliquid post mortem remaneat, scilicet
intellectus, et secundo Œconomicorum dicit quod mulieres debent fidem viris
servare, quia a Diis in aUo seculo felicitabuntur. Alii deinde sunt etiam
dicentes eam mortalem esse. ut fuerunt GIARDINO nihil nisi corpora
cognoscentes, ut Sardauapalus et Aristippus quia omnia iu luxuria ponebant, et
eiusdem seutentiæ fuit impius LUCREZIO, quia cum animam esse mortalem scripsisset,
etiam se gladio interemit, et istam senteutiam videtur sequi Alexander in libro
De anima. Quam nititur ptobare multis rationibus, quas ponit in commento 4° et
5° buæ Paraphrasis. Et prima est talis: omnis forma generabilis et
corruptibilis est materialis, anima nostra est talis, ergo materialis. Auterior
patet, brevior probatur quia anima est terminus generationis et corruptionis;
tunc sic generatio est de non esse ad esse, ergo anima prius non erat ante
generationem ; corruptio vero est de esse ad non esse et anima est terminus
corruptionis, ergo anima corrumpitur; nunc corrumpitur et prius geuerabatur,
ergo est generabilis et corruptibilis. Quod si dicis hoc est verum in asino sed
secus est in homine, quia potius est quædam separatio animæ a corpore quam
animæ corruptio: istud nihil valet, quia motus et terminus motus suut in eodem
genere, et si motus est materialis, forma est materialis; motus autem ad animam
est materialis, quoniam estperquantitates proprias qualitates primas ergo forma
quæ est acquisita per talem motum, quæ est anima, erit materialis. Item asiuus
verius generatur quam homo, quia honio tantum applicaret activa passivis sicut
agricola in generatione grani; quod probatur; quia, si anima est æterna, vel
fit a Deo vel non: si fit a Deo, tunc ergo non edusit eam de potentia materiæ;
asimis vero educit formam asini de potentia materiæ; eodem modo dicatur si sit
æterna et nou facta a Deo. Secimda ratio Alexandri est quod omnis forma
iuseparabilis a materia est materialis, anima est inseparabilis a materia, ergo
est materialis. Anterior est manifesta et brc\ior probatur, quia homo est homo
per animam; sed id, quo aliquid est tale, est eius forma: ergo auima est forma
hominis, ergo est terminus; terminus autem non potest separari ab eo cuius est
terminus; ergo auima non potest separari a corpore; et etiam quia actus noii
potest a sua poteutia liberari; auirna autem est actus corporis, ergo non
potest a corpore separari, quod patet ex eo quod actus et potentia suut
relativa; posito autem uno correlativoruin, ponitur et alterum, sicut posito
patre necessario ponitur filius. Si dices, at dicit Averroes, quod Alexander
peccat per fallaciam æquivocatiouis, quuni auima æquivoce dicitur de rationali
et materiali, et quod ea quæ dicit Alexander sunt vera de materiali anima,
rationalis vero auima est a corpore separabilis, ut dicitur 2" liuius,
textu commenti 11; contra lioc subtiliter arguit Alexander, quia quando anima
nou est in corpore, vel est substantia vel accidens ; non est accidens, ut dat
nobis prima cognitio, ut dicit Averroes secundo huius, textu commenti 2; ergo
(est) substantia quæ est per se stans. Ex altera vero parte etiam corpus per se
stat; ergo ex anima et corpore per se actu existentibus unum fiet, quod est
falsuni quia ex duobus entibus in actu non fit unum, quia unum ab altero non
dependet, sed fit unum per accidens, sicut ex nauta et navi; ex quo patet quod
homo non erit quod est per suam formam, sed forma in eo erit sicut motor in
mobili. Item si anima potest esse siue corpore,
quæ est causa quod corpori uniatur? Vel lioc est per voluntatem, vel in
potestate alterius; si primum, erit ista opinio CROTONE IN CALABRIA et
anicularum; si secundum, quod quum ista unio fiat per primas quaIitates,ergo
anima materialis erit, quia educitur de potentia materiæ per istas qualitates,
corrumpitur per motum eorum, et hoc sensui apparet. Qui enim bene sunt
complexionati bene addiscuut, unde molles carne aptos meute, duros vero ineptos
esse 2° huius, textu commenti 94. Insupcr quomodo hoc esse posset quod iret de
corpore in corpus, nisi esset hoc per motum localem; anima autem non movetur
locaI!ter, quia non est corpus; quod si dicas, ut tenet uostra fides, quod
vadit ad paradisum, quomodo hoc fit nisi per motum localem? Insuper per quam
viam vadit? Item si est separata, vel intelligit vel non; sinon,esset frustra,
quia nihil est sine sua operatione; si dicas quod intelligit, quomodo hoc fit
cum intelligere animæ siue immaginatioue non sit? Tertiaratio Alexandri: si
anima est æterna, immaterialis, aut est una vel plures; sed nec est una aut
plures; ergo non est immaterialis. brevior probatur, quia si dicas quod sit
una, aut dat esse aut non; si nou dat esse sicut AQUINO (si veda), Albertus et
multi alii attribuunt Avenoi, istud non est iraaginabile quod sit uua forma
homini tantum assisteus, quare homo uou intelligeret sed tantum cogitaret, quia
ego per aliquid quod non est pars mei non) intelligo sed tantum cogito. Qaod si
dicas fabulam quam fingit Gandavensis, quod homo, sumendo hominem pro aggregato
ex corpore et intellectu assistente, intelligit, non autem si sumatur pro
corpore tantum ; contra hoc arguit Thomas et bene, quia hoc modo paries
videret, quia aggregatum tale videt per partem Ch. ISoverso aliquam sui,
scilicet per oculum, dato quod oculus videat parietem. Eodem autem modo se
habent phantasmata ad intellectum sicut colores parietis ad visum. Item
aggregatum ex curru et bove intelligeret. Ideo posteriores Averroistæ melius
dixerunt intellectum dare esse, et hoc tangit AQUINO (si veda) in 2° Contra
gentiles, ut infra dicemus. Sed tunc si dat esse, ergo forma Platonis erit idem
quod forma Socratis; est enim una anima; si dicas eos diflferre per animam
sensitivam, contra: quia per eam homo non est horao. Postea quæro quare uuo
intelligente alii non intelligaut: quod si dicas, ut dicit Averroes,
diversificari intellectum per phantasmata, conlra: vel intellectus recipit vel
non: si non, hoc est contra Aristotelem, qui dicit, quod iba se habet
iutellectus ad intelligibilia sicut seusus ad seuslbilia. Sed de lioc iufra
dicemus. Si recipiet, ergo idem simul et semel recipiet formas infinitas, et
idem siraul coutradictoria recipiet. Opiniones enim coutrariorum siint
contrariæ; lioc fuit argumentum Avicennæ. Si vero ponas animam plurificatam,
coutra: multitudo iudividuorum est per materiam quantam, ergo auimæ essent
materiales, quare et mortales, et uon recipieut nisi singulariter, et non
universaliter. Si vero dicas animas differre specie, hoc est fatuum. Ulterius,
vel ponis diversas animas secundum numerum individuorum, vel quod anima
suiBciat pluribus individuis. Sit quod quandoque est in uno, quandoque in alio,
sed hoc est fabulosum et opinio CROTONE IN CALABRIA. Demum vel hoc fit per
motum localem, quia quod mobile est corpus est; si vero per motum alterationis,
anima educitur de potentia materiæ, cum idem sit subiectum motus et terminus
motus. Si vero dicas piimum, ergo vel mrmdus est ab æterno, vel non; si sic, ut
est sententia ACCADEMIA E LIZIO, videre sic meo, infinitæ auimæ erunt, cum
iufinita individua processerint, nam aliter non patitur infinitum. Si dicas
mundum non esse ab æterno, erunt quasi infinitæ animæ, cum muudus fuerit per
tot sæcuhi. Simplicius vero, primo Cœli, refert apudÆgyptios fuisse aunales de
centum millibus annis.etPlato de duobus millibus.Item quæro si est immortalis
anima, quare egreditur (ingreditur) corpus: vel fit de novo a Deo vel non; si
non, ergo infinitæ animæ eriint in aliquo loco determinato.Deiude quaudo
Socrates generatur, quare una magis informat Socratem quam alia, et si una
informat quare non alia, et cum omnis uon informet, nulla erit quæ informabit.
Si primnm, quod fiat a Deo immediate, ergo est novum et omne novum est
geuerabile et corruptibile, ergo anima erit generabilis. Nam, primo Coeli, omne
quod incipit esse desinit esse. Item aut auima immediate a Deo fit vel mediate
; non immediate quia ab æterno simpliciter non fit aliquid novum, quia aliter
mutaretur (Deus); nam nunc facit etimmediate ante hoc, non faciebat, ergo
mutatur et in Deo esset nova voluutas, et electio; quod eleganter dixit
Averroes 8° Physicorum commento 15°; si fit mediate erit mediante motu, ergo
generabilis erit et corruptibilis, quia per m-jtum inducta est iu materia. Item
masima esset Dei iniustitia, quia poneret animas ætirnas et immortales in
materia corporali, a qua quodam modo ligantur. Item poneret auimas, quæ sunt
ita nobiles. in materia ita rudi et admodum grossa, siciit in aliquibus
hominibus, qui ignari sunt. Item dicit Aristoteles, primo Cœli, quod
immateriale non potest formare materiale, dicit enim: immortali immortale est
bene conflatum. Item Aristoteles non fuit huius senteutiæ quod anima esset
immortalis, imo iu decimo Ethicorum ponit felicitatem haberi in hoc sæculo per
scientias speculativas, et primo Ethicorum cap. 15, dicit quod mortuis uon
contiugit felicitas. Si ergo non ponit felicitatem post mortem signum est quod
non ponit animam immortalem. Cuius signum est etiara quia Aristoteles numqitam
de hoc determinavit, et miror multum de Alexandro quod non fecit hauc rationem,
sed credo hanc esse causam quia ipse non putabat aliquem esse huius seuteutiæ
quod anima esset una; imo nuUus ante Themistium ct Averroem hoc putavit. Et
ista suut argumenta facta pro utraque parte. Si euim ponis mortalem hoc non est
consouum veritati philosophorum et legum; si immortalem et ponis sententiam
Averrois, hoc videtur impossibile ; si ponis eas esse plnres diflicile est
salvare quod non sint materiales. Etita ego sum iu maximo discrimine. De hac
quæstione ego vellem esse ieiunus. Dicam tamen quod seusit Alexander, et quod
ad obiecta responderet contra se facta. Circa quod est notandum quod omnes qui
pouunt animara intellectivam, coustituunt eam in horizonte æternitatis, et quod
est media inter æterna et mortalia. Sed est differentia, quia Christiani ponunt
eam abstractam et æternam. Alii vero, ut Alexander, ponunt eam materialem et
mortalem;esse tamen primam formarum materialiuni. Clterius est sciendum quod
medium participat naturam extremorum. Unde Themistius in prologo Physicæ,
commeutosecundo, ponitquædamviventiæsse interplantas et animalia quæ
participant natuvam extremorum; anima ergo in medio constituta habebit aliquid
in quo conveniet cum æternis et hoc est inleliigere, et aliquid in quo convenit
cum animalibus, et hoc est sentire; habet etiam aliquid in quo convenit cum
plantis et hoc est nutrire. Erainenter ergo conlinet omnes formas anima, licet
forte hoc non coucederet Averroes, et ista opera diversificantur ex modo
agendi; Ch. 137 recto nutrire enim, secundum esse, penitus materiale; sentire
vero, secundiim esse, spirituale; quod tamen non fit sine conditione materiæ,
quia cuni hic et nunc recipit; intelligere autem uon perficitur cum materia,
aut cum couditione materiæ, sed uuiversaliter tantum sine loco et tempore.
Christiani igitur volunt, quod cum in medio sit æternorum et non æternorum,
quod ipsa sit iu latitudine æternorum, et quod iuduat matcrialitatem secuudum
vires sensitivas et nutritivas, et hoc est ratione suæ imperfectionis.
Alexander vero ponit eam in latitudine generabilium et quod, secundum aliqud
sni. cum æteruis conveniat, scilicet per intelligere et velle; quod provenit ex
eo quod est media inter æterua et nou æterna et quod est prima forraarum
materialium. Hoc non dicit Alexander quod auiraa sit tantum facta ex elemeutis,
ut sibi falso iraponit Averroes, sed vult quod sit facta ab Intelligeutia, et
videtnr sententia Aristotelis 2° De generatione animalium capite tertio; et
secundum illud quod appropinqnat æteniis non indiget corporeo organo, ut recte
dicit Alexander, et ista est sententia Aristotelis, quod auima intellectiva est
sicut locus specierum; et si beue consideres, ista opinio non est magis mirauda
quara opinio fideliura, et ita est intelligendus LIZIO ubique, cuvn dicit
animam ratioualem esse abstractam. Ad argumenta ergo adducta Alexander sic
respouderet. Ad auctoritatem primi De anima posset dicere quod (ut est
sententia The.) LIZIO ibi loquitur dubitative tantum, cuius signum est quia
dicit LIZIO: forsan vel dicitur quod anima, prout habet hanc actionem quæ est
intelligere, non eget corporeo organo: et ita dicitur ad omnes auctoiitates
prirai De anima, secundi et tertii. Unde quando dicit LIZIO quod niliil est in
actu eorum quæ recipit, intelligitur hoc de auima secuudum quod habet illas
operationes, et Averroes sibi falso imponit quoJ intellectus sit tantum
piivatio; habet enim iu coramento 2° quod est magis similis præparatioui
tabulæ, quam ipsi tabnlæ: dicit enim,prirao ipsius, tabulao agraplio, id est
inscriptiouis carentiæ (sic) est quam tabellæ similior; ipsa enim præparatio
tabulæ est quasi quoddam separatum a tabula omnia recipiens lineamenta: ita
intellectus, quoad iilam potentiam, abstractus est et universaliter recipit
omnes formas materiales, quæ sunt cum hic et nunc. Quod vero dicit quod solus est abstractus,
et quod extrinsecus accidit, responditAlexander, commeuto 28, quod istud est
verum de intellectu agenti, imo Aristoteles textu commenti 20 loquitur de
agente et non de possibili. Quod
vero dicitur de libro Echonomicorum, dico quod illud est dictura nt inducat
homines in amorem castitatis. non quod ita sit. Ad argumeutum: quomodo se ipsam
iutelligit, et secuudum eam partem uou est in materia, et cum dicitur quod
cognoscit uuiversalia, dicit Alexauder quod cognoscit universale comparando
uuam rem alteri, sed non fit hoc per virtutem immateiialem, sed per materialem.
Cum dicis quod Deum intelligit, dicit quod Deum anima non coguoscit nisi
cæcutiendo ex eo quod non iutelligit nisi per pliautasmata,et hoc nou arguit
eam esse immaterialem; imo opponitur es eo quod non bene cognoscit, et
similiter dico quod nou iutelligit infinitum uisi cæcutiendo et confuse, pro
quanto aliquid de iufinito percipit; et cum dicis: implicat esse materialem et
intelligere, dioo quod intellectus indiget abstractioue, sed non omnimoda, quia
per phautasmata intelligit; imo arguit nostram seutentiam, quod, cum per
phautasmata intelligat, partim sit abstractus, et partim non, non ex toto. Ad
secuudam ratiouem respoudetur: non omuimode abstrahitur a corpore, quia eget eo
ut phantasmate, et argumeutum uon conchidit nisi quod, secundum eas partes per
quas anima iutelligit, non sit materialis, sed a materia abstracta, non tota
anima. Et cum dicis: corpori repuguat, dico quod hoc est per accidens, unde et
canis se per accidens interimit aliquando, et ita quod corpori repugnat, hoc
est per accidens et per Ch. 138 recto illam partem quæ abstracta est. Quod
autem dicis quod libera est, respoudeo: ut est a corpore abstracta libera est,
ut vero est in materia, serva est. Ad tertium cum dicitur: apprehendit
(desiderare) se esse in infiuitum, dicitur quod, ex eo in infinitum durare, cum
hoc esse non possit, arguit eius imperfectionem et materialitatem; apparet quod
impossibile est esse. Ad aliam cum dicis quoJ implicat, dico quod non implicat,
quoniam, quoad illam partem quæ iutelligit, abstracta est. • Ad rationes
theologorum dicitur: ad primam quæ est quarta inordine, cum dicis: si auima est
felix et cognoscit. se uon futuram, ergo non est felix, dicitur quod oblectatur
anima et contentatur in eo, quia cognoscit se habere illud quod est ei
possibile. Est autem impossibile eam semper durare sicut iu simili, cum sit
secunda iutelligentia, intelligit: prinium vol cognoscit se vel non; non est
dicendum quod non; si se intelligit et iutelligit se non esse ita perfeftam
sicut est prima. ergo esset invida. Unde intelligentia secunda est felix et
cognoscit se hahere id quod possibile est ei. Textus autem LIZIO est contra te;
dicit"enim illud esse nobis in modico tempore, non autem dicit semper. Ad
quintum dico quod est contra te facere animam immortalem et ponere eam iu
corpore mortali, et dico quod Deus ponit malos reges qui huuc mundum gubernant,
alios autem non cognoscit, quia quasi per accidens sunt, sicut magnus rex
cognoscit tantum primitates et proceres qui sunt in regno, alios vero multos
non cognoscit. Ad sextum argumentum, scilicet quod nullum auimal esset
infelicius homine, nego hoe, imo aliquod auimal non cognoscens se est
infelicius homine. Vel dico quod, licet anima cognoscat se morituram quando est
felix, non tamen propter hoc restat quod non sit felix, quia contentatur eo
quod est possibile ei habere; est autem impossibile eam semper permanere. Cum
vero dicis quod pro hac parte quod anima est æterna sunt viri optimi, pro
altera vero parte impii, respoudeo quod illud est per accidens; imo multi docti
istnd coucedunt, ut Alexauder et alii; imo isti sunt magis docti et virtuosi,
quam qui ponebant esse eam immortalem; uam si quid boni fecenmt. propter
proemium fecerunt, scilicet venturum; qui vero ponuut eam mortalem non fecenint
bouum propter pi-æmium, sed solo virtutis zelo. Aliqui eliam diierunt animam
esse immortalem propter vulgares. Ista sententia non est ad mentem LIZIO, ut
puto, nec in se vera. Primum probatur, et prima huius coniectura sumitur ex eo
quod Tlieoplirastus, ut voluit Themistius,in hoc tertio, commento 39°, voluit
hoc de mente Aristotelis.Tiieophrastus autem melius halniit mentem Aristotelis,
cum eius discipulus fuerit; quam Alexander. Item quiaAlexander, commento 28°,
tenet intellectum agentem esse deum,et piimam causam, uec paitem esse animæ
nostræ. LIZIO autem vult, ut infra patebit, quod slt pars animæ nostræ; modo si
LIZIO vult quod sit pars animæ nostræ, qucmodo hoc esse potest, si unum sit
æternum et alterum non? Item Alexauder se declaraus quomodo intellectus
abstractus sit, exponit dictum Aristotelis, quando dicit, quod est immixtus;
dicit sic: quoad est in sui operatione, uon indiget organo corporali quoad
illam partemabslractam; ideoest abstractus, et quoniam species recipiuutur iu
sola anima non in organo corporeo, et citat locum Aristotelis textu commauti
6°, quodanima est locus specierum et non tota, sed intollectiva, et in hac
operatione corpus concurrit (non) nisi ut obiectum non subiectum. Et secundum
De generatione animalium glosam, iutelligit de intellectu agente, sed ista
glosa non salvat suam sententiam; quærit enim ibi Aristoteles utrum omnis anima
sit ante animatum, vel nuUa, vel aliqua sic et aliqua non; et solvit. quod illa
quao utitur corpore sicut organo in sui operatione, non advenit ante aniraatum.
Sed illa que non utitiir organo corporeo, extrinsecus advenit; et hoc est
contra Alexandrum, quia per eum ideo est separata, quia non indiget orgauo
corporeo; ergo si non utitur organo, erit abstractus (intellectus) per
Aristotelem ibi, et veniet de foris; quare non erit mortalis. Ecce quomodo
LIZIO ibi non intelligit tantum de intelligentia agente, ut tu dicis, et istud
nihil concludit. Potest hoc Alexander solvere, et in se ista opinio est
impoesibilis. Quaudo euim Aristoteles vocat intellectum esse mortalem,
respoudet Alexander quod in ista operatione sola sine corporeo organo erit in
opus; et anima intellectiva intelligit immaterialia, et se ipsam et etiam
indivisibilia. Sed contra, quomodo hoc est possibile quod se ipsam et
immaterialia cognoscat, ipsa tamen sit mortalis; etsi sola hoc faciat, et non
sit abstracta, si uon habet operationem propriam sine corpore? Operari autem
præsuppouit esse; ergo ipsæst a corpore abstracta. Et ista est ratio Avicennæ
optima. Sed dicis, quod in hoc est æquivocatio, quia animam egere corpore est
duobus modis, ut iufluente iufereute et ut organo; ita quod iutelligibiles
species in corpore etiani recipereutur. Tuuc dico quod si anima posset operari
sine corpore ut subiecto et inferente species, beue esset separabilis a
corpore: sed quia eget eo ut subiecto et inferente species, ideo non separatur
ab illo; pendet enim ab eo essentialiter. Sicut uon valet: oculus non potest
videre sine corde, ergo visio est in corde; quod ideo uon valet, quouiam oculus
eget corde, tamen ut ab eo species ad oculum trasmittantur; ita anima eget
quoque corpore ut subiecto, et ut eo a quo trasraittuntur species, non autem
eget eo ut orgauo. Sed ista respousio est apparens et non bona. quum dicerc quod
auima uon est separata, quia eget corpore sicut subiecto, aut infereute, nihil
est dicere, et omues hoc coucedunf; sed secus est de tuo exemplo, et de hoo
quia oculus non est iu corde ut in subiecto sicut anima in corpore est sicut iu
subiecto; cum autem omne quod est causa causæ sit causa causæ in eodem geuere
causæ, quomodo est possibile quod cum anima a corpore causetur, et intellectio
rccipiatiir in anima, quod etiam uou recipiatur iu corpore? Item est mirum quod
anima sit mortalis iutelligatque semper secundum eas potentias quas ille ponit
in ea;quia ego credo Alexaudrum ponere eam exteusam, sed solum in quo est. Tunc
quæro an intelligere fundetur in anima, au in parte animæ; si in tota anima,
cum sit extensa non recipiet universaliter, sed siguate mevito quantitatis. Si
dicas secundum, cum non constet in iudivisibili, erit iu aliqua parte, ergo
erit organica ; cuius oppositum tu dixisti. Sed dicis coutra; istud procedit
contra Christianos, quia per eos anima est in corpore. Dico quod non procedit
hoc contra eos, quia ponuut animam esse abstractam, non eductam de poteutia
materiæ, et non est in corpore nisi per accidens. Alexauder autem vult quod
essentialiter sit in corpore et ita ipsi bene possunt dicere quomodo possit se
sola iutelligere; et species recipere, sine corpore, non enim per corpus est
constituta in esse, ut Alexander voluit quod ait edncta de poteutia materiæ, et
quod constituatur iu esse per subiectum; uec potest salvare quod cum omnis homo
appetat se esse æternum secundum iudividuum, et iste sit naturalis appetitus,
quod iu totiun frustretur. Licet enim bruta appetant æterno tempore esse, hoc
nou est secundum individuum sed secundum speciem; nec beue respondet rationibus
theologorum quando dicit quod auima est felix, etsi sciat se quaudoque non
esse, quod est, quia cognoscit se habere id quod est ei possibiie habere; et
cum est æque felicitas sicut iu Deo, Responsio satisfacit quum tenet Alexauder
quod iutellectus uoster Deo uniatur, et in instauti omnia cognoscamus. Sed
quomodo est possibile hoc, quod res materialis Deo uniatur, quia ut dicit
Averroes in hoc tertio, commento 36° generabile efficeretur æternum et
iiigenerabile? Quæ sententia quomodo valeat infra dicemus. Item quod dicit de
diviua iustitia non valet, quia tuuc aliqui mali non punirentur, et qui bene
facerent non rærerentur; postea videatis quod habeant isti dicere: scilicet,
quod si boui dicerent animas esse immortales, ut homines ducereut in virtutem,
tunc omnes leges essent delusiones. Item redeamus ad aliam opinionem quæ teuet
animam immortalem, quæ bipartita est. Aliqui volunt quod sit uua, et ista
opinio videtur magis fatua opinione Alexandri. Alii vero tenent quod sit
plurificata secundum substautiam quæ informat; et rationes primæ opiniouis
suut: prima quæ est Themistii, hic commento quod si esset plurificata, ergo
materialis; multitudo enim individuorum est per materiam quantam, 12."
Metaphysicorum, textu commenti 43°; secunda ratio, quia ponendo muudum æternum,
ut ACCADEMIA E LIZIO volunt. si animæ esseut multiplicatæ. vel essent (ita)
quia omnis homo qui est vel erit vel fuit, habuit unam aniraam, vel
progredirentur de corpore in corpus animæ: si primum, lioc est impossibile,
quia daretur iufinitum actu, quod non capit intellectus; si secuudum, erit
fabula CROTONE IN CALABRIA, quod una anima modo intret corpus unum, modo aliud;
et istæ sunt (rationes) fortiores huius opiniouis, et ista aperte fuit
sententia Theraistii, licet AQUINO (si veda) in libro contra Averroistas non
dicit istam esse sententiam Themistii, quaravis ego non credam illum esse
librum Thomæ; et hanc opinionem ex hoc couiectuvo quod in commento 32° probat
intellectum esse unum, quia si essent plures, esset matevialis, eadem autem est
ratio de ageute et de possibili cum ambo sint abstracta. Item ex alio, quia in
commento 31° vult quod intellectus agens non sit Deus, sed sit pars animæ
uostræ ; modo si isti duo intellectus faciuut uuam aniraara numero. quomodo uno
multiplioi existeuti alterum est uiiicum? Item ex alio. cum dicit quod si
intellectus uon esset unus, quo moJo discipulus addisceret a magistro? Non euim
addiscimus aliquid uisi sit aliquod commune nobis et magistro. Quod ista sit
mens Averrois est clarum, licet ego audiverim esse quemdam venerabilem doctorem
senensem qui tenet de mente Averrois animam esse plurificatam; quod evenit quia
in dies novæ opiniones insurgunt. Istud tamen voluit Averroes, ut manifeste
apparet. Quod autem senserit LIZIO dicemus in opinione Christiauorum. Sed tunc
restat diflicultas, et est comurds arababus opiniouibus prædictis, quia si
anima est æterna, non per corpus sed per se stans, tunc habebit se ad liominem
sicut gubernator ad navim, et motor ad motum, nou sicut forma ad subiectum;
quare non erit forma per quam homo est homo. Item esto quod sit immaterialis,
quomodo est possibile quod unum nunc districtum a quocumque alio sit in toto
mundo? Ideo posteriores Averroistæ videntes hoc, dixerunt quod anima (est), iu
quo est forma, non vera sed assistens tantum, sicut rex in regno; et dicunt non
incouvenire hoc in formis abstractis, sicut dicunt philosophi quod Deus est
ubique. Unde poeta dixit: Jovis omnia plena. Et istud de mente Averrois teuuit
Albertus, AQUINO (si veda), ROMANO (si veda), Scotus, RIMINI (si veda),
Johannes de Gaudavo. Sed ista opinio non est intelligibilis nec ad ræntem
Averrois, ut aliqui propter rei diflicultatera tenuerunt, et propter verba in
coraræuto 11° huius secundi, cura dicit: nondum est manifestum utrum (anima)
sit in homine, sicut nauta in navi. In multis etiam locis dicit quod est forraa
separata. Priraura quod dixi probatur; si enim anima intellectiva non est forma
intrinseca homini per quam liorao est homo, tunc nullus homo formaliter
intelligeret. ex eo quod uon est forma nostra, Itera ego experior ræ
intelligere et scire propositiones universales, quales uon facit cogitativa.
Item est argumentum AQUINO (si veda) quod tunc homo non intelligeret; quod si
fingas fabulara Joannis quod homo, pro aggregato (sic) ex corpore et
intellectu, intelligit, sed non pro composito tantura, tunc, in siraili, aggregatum
ex oculo et muro videret, quoniara ita se tenet murus ad oculum sicut corpus ad
animara; nec ista est mens AQUINO (si veda), commento 27" et 28",
dicentis intellectum agentera esse formam et essentiam nostram. Primo seeundum Averroem homo est
intellectus agens, ipse auteni intellectus agens est pars animæ nostræ. Item
non est luens Averrois ista. Videte vos quanta comprehendimus in quæstione
ista;ipse enira in commento prirao huius tertii,aperto dixit quod per aniraam
intellectivara distinguitur homo ab omnibus aliis speciebus, eadem enim sunt
principia differendi et essendi.Item in commentoSG" tertii huius,
dicitAverroes quod non est moveus tantum, sed et forraa. Item in commento 36° dicit quod ita se habet anima ad
horainem sicut Intelligentia ad orbem; sed Intelligentia dat esse orbi; ergo et
anima homini. Quod autem lutelligentia det esse orbi probatur, quoniam
Averrois, capitulo primo De substantia orbis, dicit quod prius Intelligentia
uuitur coelo quam dispo.sitiones et accidentia coeli, ut quantitas, figura, et
alia accidentia quæ sunt in eo; quod si Intelligentia uuiretur coelo, tautum ut
motorem eam præsupponeret. Cœlum esset quantum et figuratum, quia nihil movetur
nisi corpus: si ergo Intelligeutia tantum moveret coelura, opus esset orbem
prius esse quantum, quara motum ab lntelligentia. Item prirao Coeli, textu
commenti 95°, dicit quod dubiura est au orbis per aliquid alterum sit
sensibilis et intelligibilis, et dicit quod sic: imo de se est tantum in pura
potentia, imo aliqui voluut quod orbis de se sit in pura potentia ex illo loeo:
imo 2° Cœli textu commenti 3' Iutelligeiitia veriiis unitiu ei quam materiæ
forma; quomodo autem lioc esset nisi Intelligentia daret esse orbi? Istam
seutentiam dicit AQUINO (si veda); Albertus, et isti alii imponuQt hoc Averroi,
et istud ei ascripserunt, quia viderunt quod altera poteutia, scilicet quod
quam intellectus, det esse, videtur magis impossibile. Cum vero dicis Averroem dicere
quod intellectus est abstractus, iuteliigit quod non est eductus de potentia
materiæ. Sed tunc augetur ditficultas: si anima per se stat et etiam corpus,
quomodo ex duobus entibus in actu tit per se unum ? de coelo et Intelligentia
hoc salvare non est diOicile insequeudo Averrois verba, quia lutelligentia est
quæ dat esse actu orbi; quoniam ibi textu commenti 95' dicit quod orbis,
seclusa lutelligentia, non est nisi in potentia, nec intelligibilis, sed tantum
sensibilis; et ideo tit imum, quia unum est actu alter alterum in potentia.
Sedin homine est diificilius, quia in homine est cogitativa quæ est constituens
bominem in specie. Alias ego dixi quod anima intellectiva realiter est idem
quod sensitiva. et quod sensatio corrumpitur quoad potentiam tantum, sicut est
sententia AQUINO (si veda). Marsilius vult hauc sententiam ACCADEMIA; et tunc
multa possumus ex hoc solvere, Sed est duruui ponere in intellectu abstracto
has potentias esse, et non assevero hoc, quoniam uullus dixit aute me, et
quomodo hæ potentiæ possiut fundavi in anima. Aliud notabile est quia
lntelligeutia est vera forma in orbe: quod autem aliqui dicunt quod materia
coeli est in pura potentia, hoc non puto verura esse, irao Averroos in De
substautia orbis, cap. ultimo, dicit quod materia coeli est media inter
materiam, hoc est puram poteutiam, et actum inirura; et octavo Metaphysicorum
textu commenti 12': non habent æterna materiam talem qualem geuerabilia habent.
Sed quoniam auctoritates possunt glosari,
induco rationes, ex quibus hanc qu olim coneurrenti ræo fuit difEciIis:quia si
materia coeli esset ens in pura potentia, ergo coelura cura Intelligentia non
esset per se motum, quia esse quod per se rao vetur dividitur iu partem per se
moventem et per se motam; pars per se movens est acto Intelligentia, pars per
se mota est orbis, quæ per se, si est in pnra potentia, non poterit resistere
Intelligentiæ, unde non erit motus. Ad hanc rationem isti respondeut negando
primam compositionem, quoniam in coelo pars per se movens est Intelligentia,
pars per se mota est materia coeli una cum eius forma. Sed si ista responsio esset
vera, maxime in via Averrois, tunc iu elemento esset pars per se movens et per
se raota, quoniam forma elementi esset per se movens et compositum esset per se
motum, quod tamen est coutra Averroem 4." Coeli, textu commenti 22.' et in
aUis locis. Sed tunc tu dices: si materia coeli esset aliquid ens in actu, non
posset fieri iratim per se cum Intelligentia, sicut dicit Averroes primo
Physicoriim commento 63"; et ideo dico quod ex anima intellectiva et
corpore informato per cogitativam iit per se unum, quia cogitativa non est
hominis essentia per se complens, sed adhuc corpus tale est in potentia ad
intellectum; et si dicitur ex primo capite De substantia orbis. Impossibile est idem habere duo
esse, dico quod est verum de duobus esse ultimatis, et æque perfectis. Vel
dicitur aliter quod hoc non intervenit si unum sit eductum de potentia materiæ,
alterum non; sed tunc est angustia, quia omniura horaiuum esset idem esse, nec
Socrates a Platone distingueretur, eadem enira sunt principia essendi, et
distinguendi. Sed ista positio Averrois potest
persuaderi ex eo quod Christiani etiam teneut quod in homine sit una tauttim
anima iudicialis, tota in toto et tota in qualibet parte, ut quod tota sit iu
mauu, tota in pede. Sic ergo dico quod omiiiiim liominum est idem esse
intellectiiale, sed quoad sensitivam et cogitatiram differunt, ciiius signum
sunt proportiones omnibus commimes. Sed Alexander diceret utramque opinionem
esse impossibilem; ego tamen dico quod opinio Cliristianorum est verior: potest
etiam persuaderi ex eo quod una Intelligentia dat esse orbi ita magno, et tamen
una pars differet ab altera per accidens, ut stellata a non stellata, omnium
tamen earum partium est idem esse intellectuale. Sed dicet quis: orbis non
habet esse ab Intelligentia, siciit est seuteutia Alexaudri hic,in Paraphrasi
de anima, commento 8°; et Thomas et Christiani dicuut quod, quamvis anima
informet omnes partes corporis, non tamen per se primo sed per accidens, et per
accidens differuot istæ partes; sed iuteUectus dat per se omnibus hominibus, et
inter se difFerunt homines actu etiam. Sed ad hoc aliquis dicet quod partes sunt actu ab anima
informante et non in potentia, et quod inter se actu differant. Sed est dubium si anima sit talis quod sit una numero
in omuibus hominibus. Quomodo intelliget, an recipiendo an non recipjendo? Et
est quærere utrum dentur species intelligibiles de novo in intellectu receptæ.
De hoe est una opinio Burlæi. Physicorum, commento secundo, quæ vult quod anima
non recipiat de novo speciem; quam inserunt aliqui moderni, quorum scripta uon
vidi sed audivi ab eis; erant euim mei concurrentes, et rationes istorum snnt:
primo est auctoritas Averrois 12.° Methaphysicorum, commento 25", ubi
dicit quod quædam sunt substantiæ quæ non recipiunt accidentia, et substantiæ
abstractæ; intellectus autem est abstractus et substantia abstracta. Item si
habet species de novo, hoc esset quia phantasmata imprimerent in intellectum
illas species et cum phantasma sit materiale, tunc immateriale a materiali
pateretur. Item si de novo reciperet species, cum istæ species sint singulares,
non repræsentabunt universaliter; quare intellectus non intelliget universale.
Item si anima reciperet species, tuuc plura accidentia, solo numero
differentia, essentin eodem contra Aristotelem, 5° Metaphysicorum, textu
commenli 15'. Item si, respectu
unius obiecti, plures essent species in intellectu, tunc essent materiales,
quia plurificatio individuorum est per materiam, ut dictum est supra. Sed tuuc
quomodo fiat intellectio, discordant inter se. Unus dicit quod fit hoc modo
quia anima intellectiva est forma mei, et omnia intelligit per essentiam suam ;
non tamen ista mihi dicitur intellectio, nisi dum ego cogitem, et quod ego non
intelligo asinum, uisi prius cogitem de asino; quia iste est ordo naturalis,
quod, si debeo anima iutelligere, debeo de omnibus cogitare. Alii dicunt quod
bene intellectus est in potentia, sed non ad species recipiendas; sed per
virtutem intellectus agentis forma asini eadeni realiter quæ est iu re ad extra
in intellectum nostrum recipitur, accidentalis tamen facta; et istud est magis
impossibile primo; etenim hoc intelligere non possum sicut primum. Istæ tamen
opiuioues sunt impossibiles, nec ad mentem Averrois et Themistii: dixit enim
Themistiu? in commento. quod intellectus est aptus et (se) tenet ad rccipiendum
omues formas, sicut cera ad figuras, et dixit LIZIO quod ita se habet
intellectus ad intolligibiiia. sicut sensus ad sensibiiia. Sed aliqui dicunt,
et magis consentanee loquuntur, quod visio non fit per species, ut dixerunt in
suo tractatu quem fecerunt, et dicunt illud esse contra intentionem Aristotelis
et Averrois, commento 4", qui oppositum huius aperte dicit, quaud-o dicit
quod recipit omnes species materiales; et prima ratio est, quia si nihil de
novo recipit intellectus nisi æquivoce ut tu dicis, Ch.HSverso quæro tunc,
quando Averroes probat intellectum possibilem immaterialem esse, ex eo quod
recipiens est denudatum a uatma recepti, et si recipiens haberet aliquid de
natura recepti, tunc idem se reciperet, et idem iu se ageret; do qua actione
loquitur Averroes? Si de vera liabeo intentum, quia tunc aliquid verum aget et
recipiet iutellectus de uovo; si de actione æquivoca, tunc non est inserviens;
idem ageret in se ipsum actione æquivoca ut dicitur ab AveiToe; 8° Physicorum,
commento 4.' Secunda ratio: si anima per sui essentiam (inteliigeret), non
esset necessaiium ponere intellectum agentem, cuius oppositum dixit Averroes,
commento 5°, cum dixit quod Aristoteles intelligit iutellectum ageutem et
intelligit quod habet speciem, et intellectus discurrit et componit prædicatum
cum subiecto; quod non esset si per essentiam intelligeret, et tunc intellectus
non esset in potentia sed esset actus purus. Item si per essentiam omnia
iutelligit, omnia eminenter continebit et omnia creabit; cum autem nou
dependeat asiuus ab iutellectu, non intelliget asinum. Sed aliquis dicet ad hoc
quod hoc uon valet, quia becuudura Averroem in felicitate, quam ponit Averroes,
intellectus possibilis iutelliget omnia per essentiam intellectus agentis et
tamen ipse non est causa omnium. Ad hoc dico quod iutellectus agens est causa
omnium, et si non in esse reali, est saltem in esse spirituali; omnia enim quæ
sunt potentia intellecta facit actu intellecta. Item quomodo verificaretur dictum Aristotelis quod se
per accidens intelligeret? Item intellectio est (esset?) operatio immauens
absoluta, non relativa, quæ uon potest esse absque aliqua alteratione
intellectus per quam homo de intelligente in poteutia fit actu iutelligeus. Sed
dices quod denominatur intelligens nou quod fiat intelligens; contra tunc homo
non de novo intelligeret sed tantum de uovo cogitaret, sicut est de beatis in
patria, quibus licet Deus non sit sua iutellectio, tamen fit eis nova species.
Ad rationes et ad Averroem, dico quod loquitur ibi de Intelligeutiis
perfectissimis; intellectus autem possibilis est infima intelligentiarum
indigens corpore in intelligendo. Cuius siguum quia dicit ibi quod non
intelligunt ista inferiora ipsæ Intelligentiæ. Loquitur ergo de non dependentibus
a corpore. Ad 2", cum dicitur quod phantasma imprimeretur in intellectum,
dico quod intellectus agens ea universalizat propter quod possunt agere in
intellectum, et ista est causa ponendi intellectum agentem. Ad 3'", cum
dicitur quod siugularitas intelligentis aut speciei, per quam intellectus
intelligit, nou excludit uuiversalium intelligentiam, alioquin cum Deus et
Intelligentiæ ipsæ sint quædam substantiæ singulares, non possuiit universalia
intelligere, (hoc uon inconvenit) sed materialitas cognoscentis et speciei, per
quam cognoscuut ipsæ res, universalem coguitionem impediunt. Ad alterum quod
plura accidentia, numero diftereutia, essent iu eodem, dico quod est
necessarium, quia in (mundo?) sunt plures species numero distinctæ, vel saltem
si est uua, habet plures modos diversos cssendi,uttenent aliqui Thomistarum. Ad
Aristutelem dico ut ibi dicit scoliastes et ante eum ROMANO loquitur ibi de
accideutibus quæ bene contrarium habent acquisibilibus per alterationem. Item
si per essentiam intelligeret quatuor qualitates, intelligeret (false, cum)
altæ (tamen) Intelligentiæ non intelligunt falsa. Altera est angustia quæ
(est): cum contrariorum contrariæ sint operationes 4.°Metaphysicorum et primo
Posteriorum, si auima situua, in uno essent contraria: ut quod Socrates sit
papa vel non papa sicut nunc est, et hoc est argumentum Avicennæ. Sed dicet
quis quod hoc argnmeutum esset contra christianos, qui tenent quod eadem anima
quæ est in pede sit iu mauu; tuuc sic est eadeui anima vel sunt contrariæ. Sed
Christiani dicuut quod secus est, quia etsi motus gaudii et Iristitiæ eidem
animæ attribuatur, hoc estper accidens; intelligere autem est per se in anima,
non enim est anima quæ gaudet et dolet nisi per accidens, sed per se est pes
aut manus, et bene argumentum proceJit contra ponentes in anima fieri immediate
seusationem, sicut est RIMINI (si veda). Sed nos tenemus sensationem fieri iu
organo. Averroes po.sset et ipse dicere quod auima consideratur duplieiter: in
se ut est una iutelligentia, et quoad nos, prout est forma nostri; et hoc
secundum eius duplicem operationem; quoad primum intellectum ipsa intelligit
per essentiam intellectus agentis, ut ego puto; quoad alterum qui dependet a
corpore intelligit per species, et quoad hunc non debemus dicere solam animam
intelligere sed totum compositum, et quod illa sit per quam homo iutelligit;
unde, cum compositum intelligat, non potest dici unum homiuem simul habere
opinioues contrarias, sicut dicunt Christiani, quod pes et manus lætantur se
nou auima, contra: est eadem anima et habet opiniones contrarias; dicd quod
aliqua in uno esse habent contrarietatem non in altero, puta iu reali non in
spirituali, sicut albedo et nigredo in materiali esse sunt opposita non in
spirituali; possunt enim eorum species esse in eodem puucto et simul iu ocuio
possent recipi, et ista quæ eontrariantur in esse materiali, in Deo et
Intelligentiis uniuntur. Unde quæ iu natura inferiori opponuntur, non
opponuntur in natura superiori, quare illa quæ sunt in iutelligentia non habent
contrarietetem sicut ea que sunt in cogitativa. quod provenit propter
materialitatem et imperfectionem cogitativæ,et aliqua uuiimtur insensu communi
et simul cOgnoscuntur;quare dico quod opiniones contrariorura in iutellectu non
habent contrarietatem; sunt enim contrariæ ut quod, scilicet respectu
determinati iudividui, quia dicitur unum individuum potest habere diversas
opiuionesirespectu de eodem modo tamen sunt contrariæ ut in quo, seilicet
respectu substantiæ in quo suut; sunt scilicet per respectum ad animam quæ est
una. Alterum argumentum adducebatur: quomodo, si est uua, potest tot species
babere et tot falsitates intelCh.HSrecto ligere? Dico lioc non intervenire
(incouveuire) sicut nou intervenit incouvenit uuam intelligentiam habere duo
opera, movere in quo pendet a corpore et intelligere; ita anima iu se non
intelligit falsa, aut habet tot falsitatum species, sed respectu individuonim a
quibus in hac operatione depeudet, potesl falsa intelligere, et tot species
habere; est etiam in hac operatione dubium an sensitiva et intellectiva sint
idem. Alihi videtur Averroem non esse huius sententiæ inferius in commento 2 '
et primo capitulo De substantia orbis, quia necesse est, secundum eum, quod in
mixto omni sit una forma extensa secundum subiectum, et hoc tenere est durum.
Sed, si hoc sentiamus, videtur esse contra eiperientiam, quia ego scio quod sum
illemet quod sentio, et intelligo: quomodo autem hoc esset si non tantum una
anima esset? quod si dicas esse unum aggregatum, est multum difficile
sustinere, quia 2° huius, teitu commenti 31 dicitur ut est trigonura iu
tetragouo in poteutia, ista anima imperfectior est in perfectiori. Sed vos
dicetis quod una anima, non ratione in altera, sed analogia se habet sed tunc
ego non video quomodo hæc propositio: homo est animal, sit in primo modo
dicendi per se, quia non est plus dicere quam dicere quod habens sensum habet
intellectum, et ista:habens colorem habet superficiem,nisi diceres quod animal,
pro ut a ut pro sensitivo tantum capitur, non est de intellectu formali homiuis;
sed si sumatur auimal pro eo quod sentit et iuteUigit, sic est de intellectu
formali hominis, eo modo capiendo animal, quo dicis qiiod coelum est auimal, et
ita auimal lioc modo aualogiæ sumptum prædicabitur per se de lioraine in primo
modo dicendi per se. Altera est difficultas quomodo una forma æterna informat
corpus generabile; et LIZIO, octavo Pliysicorum. dicit quod æteruum coaptatur
æterno. Diximus supra quod cum participet partim de æterno, partim de mortali,
cura sit infinia intelligeutiarum, et generabile, liabet uniri cum æterno per
aliquid medium, poterit intellectus inforraare aliquod mortale. Quod vero dicis
de 8." Physicorum, dico quod secus est de anima intellectiva et de
Intelligeutia, quia si Intelligentia iuformaret corpus generabile, tale corpus
esset factura, ergo ab altero; et sic, nisi esset aliquod cori.us æternum motum
ab intelligentia, produceretur in infinitum, et ideo quoniam corpus motum ab
lutelligentia est primum corporura, non potest esse nisi æternum, ut beue deducit
Averroes 8." Physicorum; sed quia non liabent omnia ista inferiora facere,
non oportet ut instrumeutum, per quod anima producit suas operationes, sit
corpus ætermim, cum non sit primura coqwrum. His opinionibus expeditis, quas
puto impossibiles, altera restat quæ tenet ammam æternam esse et plurificatam,
iu qua plures sunt difficultates: prima, quia tunc erit unum per se stans in
actu, et etiam corpus est in actu ens; ergo ex duobus entibus in actu fit per
se ununi. AQUINO (si veda) qui inter christianos primus est, dicit
qiiodinhomine non est uisi una anima, et quod unitur ipsa materiæ primæ sine
medio, et cum sit forma, potest informare materiam primam, et communicare ei
suum esse, et sic non erunt secuudo in actu. Si vero volumus tenere quod ex
duobus in actu potest unum fieri, sieut ex orbe et lutelligentia, quam
opinionem AQUINO (si veda) in libro Contra gentiles attribuit LIZIO, iu textu
commeuti 27', possimuis dicere quod cx duobus eutibus in Cli. 146 recto actu
non ultimato, quorum unum ordinatur ad alterum, fit per se unum. Secunda
difficultas: si animæ multiplicantur, quando separantur a corpore, quomodo
differunt, cura differentia individuorum eiusdera speciei sit per materiara
quantam? Ynde 12° Metaphysicorum: si duo essent dii, essent materiales; ita
anima. si esset pliu'ificata, esset materialis, quod repugnat eius
simplicitati. De hoc LIZIO, sexto Naturalium, dixit se credere esse
plurificaatam, sed se igiiorare modum dixit. Dicemus tamen nos, quautura
vires nostræ potejunt, te.endo viam Aristotelis. Argumentum est difficile, sed
eam non tenondo non est difficile. Nam in via ACCADEMIA et Scoti. qui dixerunt
animas differre per suas ecceitates, argumeutum nihil valet; concedendum est
euim ex una specie intelligentiarum, esse plures intelligentias solo numero
differentes. Sed tota difficultas stat in via Aristotelis. Inter omnes alios
Thomas est minus ab Aristotele remotus, et Ægidius in secundo Quodlibeti tenet,
quod distinctio iudividuorum corapletorum fit per materiam quantam, sed
prineipia difterunt per liabitudinem ad materiam quantam. Cum autem auiraæ non sint ipsa individua, sed eorum
priucipia, non diff"eruut per materiani c^uantam, sed per habitudinem ad
eam. Sed tum est difficultas de una anima quæ informaret duo corpora, an una an
plures essent. Item una est prior istis respectibus; nullimi autem diflfert ab
aliquo per id quod est posterius eo, et istam opinionem sequuntur multi
Thomistarum. Ego tamen puto aliter esse dicendum, (scilicet) quod. quaiido
dicitur quod differunt animæ per habitudinera ad materias diversas. quod sit
dicere hoc: quod si istæ animæ essent talis naturas, quod (ut) n)n possent
informare nisi eamdem materiam, non diiferrent numero, sicut uuu
lutelligentia,quæ, quia potest infoimare totam suam materiam, non babet plura iudividua
sub se; sed animæ, ex eo quod possunt informare plura corpora numero
differentia, ut esse per se generabiles et corruptibiles,possunt esse
diversæ,numero differentes, et ita istahabitudo erit: posse informare plures
materias, quæ habitudo uon differt ab anima, cum sit relatio quæ non ditfert a
fundamento iu via præsertim Tbomæ. Et ita auimæ per se ipsas realiter
distinguuutur, et circumlocutive tamquam a signo per istas habitudines. Sed
dices propter quod est, quod non possunt informare materias specie diversas?
Respondeo quod hoc est merito imperfectionis earum; ex hoc enim quod simt aptæ
iuformare corpus generabHe propter sui potentlalitTltem, et idem corpus non
posset idem numero permauere sed tautum specie. Quod enim nou potuit perpetuari
in individuo, saltem in specie perpetuatur, secundo huius, commento 34.° Ideo
et animæ quæ babent informare ista corpora generabilia, erunt eiusdem speciei,
solo numero differentes; Intelligentiæ auteui quæ, ex sui perfectione, possimt
informare totam materiam eiusdem speciei, ideo ipsæ uon diiferunt specie, et
eorum materia eadem numero semper durare potest; quare ulterius dico quod si
Deus crearet duas animas simul, quod puto possibile et verum, licet aliqui
Thomistarum fueriut in oppositum, qui Parisiis fueruut condemnati, dico quod
non differrent, ex eo quod possunt duo corpora informare ex sua natura, et esse
pars generabilis et corruptibilis, non per diversas habitudines ad materiam.
Sed dices: istud non videtur satisfacere LIZIO 12° Metaphysicorum. Dico quod
bene sequitur quod si essent plures Dii, non esseut puri actus, quia non essent
perfecti, ex hoc quod non possuut informare unam materiam, nec etiam anima est
purus actus, sed aliquod habet potentialitatis, nec etiam LIZIO voluit ibi quod
Deus esset materialis, sed quod mundus esset generabilis et corruptibilis. Et
opiuio Scoti mihi iu hoc non placet. Altera difficultas est quod, cum mundus
sit æternus, vel animæ erunt infinitæ vel de corpore iu corpus trausibunt. In
hoc variæ sunt rationes. Quidam dixerunt muudum esse æteruum, et quod animæ
actu sunt iufiuitæ, et huius sententiæ fueruut Aviceuua, Algazeles et Scotus
dicentes uon repuguare apud Deum dari infinitum, licet LIZIO hoc negaret.
Aliqui aliter dicunt quod in essentialiter ordinatis non datur infinitum, sed
uon inconvenit in accidcntaliter ordiuatis, animæ nou suut accidentaliter
ordinatæ. Et quod istud iufiuitum uon sit simpliciter infiuitum, sed secuudum
quid, sicut totum tempus (est) simpliciter, sed futurum est infinitum secundum
qiiid a parte post, et præteritum est infinitum a parte ante, ita auimæ a parte
ante sunt infinitæ, a parte post etiam sunt infinitæ, sed secundum quid. Ista
ratio mihi uon placet, quia daretur etiam iufiuitum in essentialiter ordinalis,
quia uumeri suut esseutialiter ordinati. Istæ autem animæ suit numeratæ; est
enim una, duæ, tres et sic de singulis; ergo si animæ esseut infiuitæ daretur
in numeris processus iu infinitum. Ad hoc quidam dicunt quod bene esset
multitudo infinita,sed numerus iufiuitus non; quia numerus creatur ex divisione
continui; non datur autem continuum infiuitum, ex primo Coeli, et 3°
Physicorum, ergo nec datur numerus infinitus. Ponunt ergo isti differentiam
iuter multitndinem et numerum, et multi tenent hanc responsionem, sed nugæ
sunt, nec in isto est disputandimi, quia ego non credo omnem numerum creari ex
divisione coutinui, imo numerus prior est continuo et illo abstractior. Unde iu
primo Posteriorum dicitur quod uuitas est puncto abstractior, et aritlimetica
geometria, et hoc est contra Aristotelem 3° Physicorum, ubi cum probavit non
dari infinitum in entibus materialibus, probat etiam non dari in spiritualibus,
quia implicat contradictionem, nec intellectus mensuræ (?) capit quod apud Deum
detur iufinitum, nec Deus posset facere unum corpus infinitum; totum enim locum
occuparet, nisi fides sit in oppositum; sed puto eam ab hoc non dissentire.
Ideo quod dicit Scotus de infinito secundum quid, est contra LIZIO iu tertio
Physicorum; ubi vult quod si aliquod est infinitum secundum quid, est etiam iufinitum
simpliciter. Alii dixerunt, et fuit Origenes, quod Deus a principio mundi
creavit multa pro una generatione, qua completa, non amplius creabit aliquas
animas. Sed hoc est
voluntarie dictum, nec habet aliquam auctoritatem ad hoc cogentem. Alii dicunt:
in aliquo certo terapore renovabitur, et quod fit resurrectio et regressum
animarum ad corpus, ut disit ACCADEMIA quod mundus renovabitur iu auno magno,
quod est in tribus millibus annis, quum orbis tuuc erit in ea dispositioue, in
qua nuuc est. Causæ autem sioiilis effectus similis est. Hæc opinio de
resurrectioue est contra LIZIO in 2° De generatione in fine, ubi habet quod
idem numero non potest redire. Postea
videtur iuiustum quod qui uunc sunt beati, possint ad corpora iterum redire:
possent euim peccare et a corpore paterentur. Cuius opiniouis fuit CROTONE et
ACCADEMIA. Alii di.xerunt quod mundus est æternus, sed per infinitum teiupus
homo non fuit, et istud non videtur esse rationabile dictum, quia mundus eo
tempore non fuisset perfectus. Tanta enim perfectione, quanta est homo,
caruisset. Ægidius dicit in 2° quolibetico quod LIZIO putavit animas esse
multiplicatas et æternas, sed non vidit hoc argumeutum, sicut forte non vidit
multa alia. Cuius signum est
quod Averroes numquam videtur formasse hoc argumentum contra se, quod si
vidisset aliquod foriuasset. Thomas tandem defaticatus dicit quod ipse LIZIO
vidit hoc argumentum. Certum est euim quod non est contra Christianos poneutes
muudum finitum a parte ante et a parte post. Ego non credo quod sic Averroes putet animas esse
æternas et plurificatas, et forte ponit auimas iterum ingredi in corpora
dimissa sicut Plato tenuit. Cuius signum est quod numquara de hoc loquitur contra
antiquos. Sed de hoc LIZIO forte fuit ambiguus, vel tractavit de hoc iu libris
qui ad nos non pervenerunt. Et si
dicas tunc daretur resurrectio: dico quod forte LIZIO non negaret in homiuibus,
licet forte in brutis. esolvRendo ergo, sto in ratione AQUINO (si veda), quod
LIZIO non intellexit se sicut forte nec iu aliis. Altera est difficultas, quod,
cum anima sit æterna, utrum aliquando inceperit esse. In hoc LIZIO videtur
utrique parti favere; quod enim inceperit esse duæ sunt auctoritates; prima est
duodecimo Metaphysicorum, textu commenti 16' et 17', ubi LIZIO dicit quod causæ
moventes sunt animæ effectuum, sed causa formalis incipit esse cum re etin
quibusdam formis, ut de intellectu, nihil Philosophus habet censet post mortem
remanere. Ecce ergo quod secus (sic) Aristoteles, ut iiti notat AQUINO (si
veda). Anima intellectiva
incipit esse cum corpore, et remauet post subiectum compositum. Altera est in
secundo De geueratione animalium, cap. 3°, ubi dicit, quod anima sensualis et
intellectualis prius suut in actu. Si ergo aliquando sunt in actu et aliquando in
potentia, non sunt omnino æternæ. Pro altera parte sunt auctoritates eiusdem in
capitulo eodem, ubi quærit utrum omnes auimæ sint aute corpus vel non; et dicit
quod solus intellectus est aute corpus. Si est auto, ergo nou iuciiiit csso
cuin corporesimul. it,.ra auctoritas est primo Coeli, ubi vult quod orane
æteruum a parto ante est ætemuin |,art,: post. Item sequereUir quod auima
crearetur; vel ergo iiuinediate a Doo, vol luediaut. Si primum, ergo novitas
esset in Deo, quoniam actio nova ab agento antiquo imn procederet, et novitas
quæ est in effectu debot in causa reduci. Si uiediauto coel eri'o materialis,
quare generabilis et corruptibilis csset. Sed ad istas Averroes posset -i....:
ad illam de 12" Met,hapiiysicorum, dicit quod non fecit cxpressfr
mentionem dniicptione; est euim clarum quod omne æternum a parto post est
ætornum a part ontp, in via saltem LIZIO. Sod tunc est dubium quaro dixit quod
reiuanet post m-tm, cum eadem ratione esset clarum, ætenium enim a parte anto
ost æternum a arte post. lu lioc difficiie est respondore, tamen pro uuuc dico
quod LIZIO it.r.iiit quia libitum est ei. Ad alteram dico dupliciter: primo
modo, quod hoc intelligitur quoad op(.\tionem; prius est enim in poteutia
futelligons quam sit actu intelligens. V«l alit' dicatur quod si LIZIO Joquilur
ibi de aniiua et iion operationo, dico quod aim.i in se uon est iu potentia
priusquam iii actu informet, sod semper cst actu. Si respectu Socratis, est in
potentia ad informandum prius Socratom, quam actu infuiiet. Teneudo tamen aliam
opiniouem possumus dicoro ad auctoritatem in opposituin: a irimum, quod auima
intellectuin præcedit ita non secundum leinpus; quaravis enim iim.1 in eodem
iustanti boetur (creotur) a Deo et in corpus infuiidatur ut dicit Augiisiu.s,
prius tamen uatuva a Deo creatur, qiiam in corpus infundatur. Aliao autem non s
se habent, quia educuntur de potoutia mato-iæ et non veniunt de foris. Ad ultimum: quod omue æternum a parto ante est
æternum a parte ist. Aliqui negant aporte LIZIO in hoc. AQUINO (si veda) aliter
dicit quod illud inteiligiti ci voluntate uon habet verisimiJe illud dictura.
Ista (propositio) tamen modo valoat quauim potest. LIZIO enim ibi universaliter
ost loquutus. Ad aliiid, cum diciturquod i-aret concedo hoc; solus eiiim Deus
potest creare, est enim primus agens, nihil præspponens. Et cum dicitur meUate
vel immediate, dico quod in creatione animæ est dno considerare. Primum est
creatio aiiimao; secundum estcorpoiis organizatio. Quoad primii, solus Deus
concursit: creatio enim nulli creaturao tradita est, sed solus enim Deus cat
uuUo alio mediante. Quoad secuudum concurrit Coelum et causæ secundao, et hoc
dico cundum ordinem naturæ. Cum autem corpus ost debite organizatum, anima in
eo intnditur, et cmu dicitur ab antiquo non provecit novum quia Deus mutaretur:
dico q>d Cb.l49recto uon sequitur hoc, quia ista mutatio innovatio non est
ex part« Dei, sed ex parte corpis vel auimæ, et hoc habent dicere etiam illi,
qui ponunt Deum esse iutellectum agentu, quia ipse immediate causat species
intelligibiles a phantasmatibus abstrahendo eas. t si dicereut quod pariter
Deus posset mundum de novo creare, ex eo quod ista novitas ni in Deum sed in
mimdmn reduceretur, dioo quod ratio Aristotelis, in 8" Physicorum, ir quam
ponit mundum esse ætemum uon coneludit, et iu via sua patitur angustii. Sed
quautum sit in proposito, dico quod secus est de anima et do muiido, quia bce
Deus potest de novo creare animam, sod nou mundum: quia si crearetur muDdi
mutatio non esset nisi in Deo et non in mundo, quia novitas quæ est in efr ctu,
debet reduci in causam suam, ergo nihil aUud a Deo esset. Ista novitas n;
duceretur in aliud corpus, quia non esset, sed in solum Deum qui est causa: sed
1 anima novitas non est in Deo, sed in corpore organizato. Alia difficultas
est: si anima simul cum corpore non corrumpatur, sed remaneat, uæro an
ingi-ediatur aliud corpus an nou; primum non est dicendum quare est ibulosum;
sed si secundum, vel vadit iu paradisum, vel in infernum, vel in purgairium:
quæro per quid fit iste motus; vel per alterationem, vel per motum localem,
quæro de via per quam vadit. De hoc nibil dicit Aristoteles, forte quia
nescivit. ed argiimentum niliil valet et est contra Averioem, etiam quia,
quando Socrates generatur, quæro quomodo intellectus incipit eum infomare, et
quando moritur, quomodo .'sinit informare. Sed ego dico quod iste motus non est
contiuuus, nec rationis iusdem cum istis motibus inferioribus, sed per
generationem, intelligendo et volendo, t voluit AQUINO (si veda), vel est motus
definitivus ut voluit Scotus. Altera difficultas est quod operetur anima a
corpore separata. Si nihil, anima erit luslra; nihil autem videtur operari,
quia hoc maxime esset intelligere, quia anima cv phantasmata intelligit, quæ
sunt in corpore. Si autem non habet intelligere, nec abet velle. Dico quod anima,
cum est separata, non iutelligit per pbantasmata, sed per pecies infusas a Deo.
Anima enim habet duas operationes; prima est intelligere cum phantasmata,
secunda intelligere sine phantasmata quando est separata, sed me lemitto
lcclesiæ, et notetis quod de inferno et paradiso, non tantum memiuit Ecclesia
sed liam Plato et philosoplii, præter sceleratum LIZIO. Stat et altera
dubitalio: si anima esset æteraa, homo non esset vere generabilis et
onuptibilis. AQUINO (si veda) dicit ad hoc, quod vere generatur quia portat
ipse tertiam utitatem distinctam a partibus. Sed ego puto non dari illam
tertiam entitatem. Ideo lico quod iiomo non vere geueratur uec corrumpitur, sed
potius generatio homiuis est luacdam unio et corruptio vel segregatio; et hoc
habet etiam dicere Averroes; et LIZIO sensit hoc idem dicens, separatur autem
hoc ab hoc sicut sunt ». Stat argumentum iro Averroe: quod fci inteliectus non
esset uuicus, scientia esset quautitas activa. Repondet AQUINO (si veda) quod
magister et discipulus iu aliquo conveniuut nou ut subiecto, ed ut obiecto, et
in primis principiis quoad speculabilia, et de quolibet dicitur esse . el non
esse, et in operabilihus, ut in isto: quod tibi non vis fieii alteri ne
feceris. Ultima ratio erat: quia singularitas impedit intelligere. Dico quod
non, sed materialitas est quæ impedit, et ad rationem suaui, dico quod non
oportet quod ex duoijus numero distinctis causetur tertius conceptus sicut
secundum nominales. Isti terluinus terlius signant se ipsum terminum per se
ipsum et non per aliquem dlistinctum sic. Hæc est quæ volui dixisse in hac
quæstione. Volo tamen unum dicere quod, philosophice loquendo, potest probaii
quod anima est æterna contra Scotum. Averroes Tiiemistius, Theophrastus fuerunt
huius opinionis, sed tenendum est quod est multiplicata et æterna secundum
fidem, quia aliter periret iustitia divina in qua Angelicus multum insudavit.
Utrum intellectus intelligat se per se an per aliud. Pomponacius in textu
decimosexto, omissis nugis Joannis, breviter dubitat an intellectus intelligat
se; de re iu se nou est dubitatio, qnia in nobismet experimur hoc, sed est
dubitatio (per) quod intellectus iutelligat se. Certum est quod non per sui
essenti;ini, noii liabendo concpptum disliiictum a se, ut liabet Commeutator
primo Posteriorum: quia si sic, semper intelligeret se, quod est falsum, nisi
prius alia intellexerit: probatur autem quod Iiæ esseut causæ sufticientes
intelligibilis, quia esset intellectus iutelligeus et ipsa iutellectio, et
etiam scieutia et scibiie essent idem. A priori etiam probatur hoc: intellectus
possibilis est in pura potentia, modo omne quod intelligitur, intelligitur
quantiLm est iu actu, nono Metaphysiconim. Cum ergo ita sit, videndum est
quid sit illud per quod intellectus se intelligit. Pbilosophus, in textu
commenti octavi, dixit quod intelligeudo alia se intelligit, quia intelligendo
asinum quodammodo fit asinus; videndum est ergo an requiratur iina species
determinata magis quam alia, sic quod solum per unam speciem vel per quamcumque
possit se intelligere; et quoad mihi videtur, diceudum quod per quamcumqTie
speciem indifterentem possit se ipsum cognoscere, et hoc docet experientia, et
LIZIO dicit hoc superius, quod non determinat se ad aliquam speciem in loco
illo; sed stat tamen duhitatio: si per quamcumqne speciem potest se
iutelligere, qnomodo est possibile quod una species, ut asini, ducat
iutellectuni in cognitionem asini et ip.sius intellectus, vel requirat aliud,
et in hoc stat punctus. Requiruutur duo modi dicendi, unus minus probabilis, et
est quod per speciem solam intellectus possit devenire in stii cognitionem,
quia species habet diio repræsentare: primura, illud a quo deciditur, et hoc
per se patet; secuudario, subiectiim illius, cum non debeat esse ingnota suo
subiecto. Sic ergo per quaracumque speciem duo intelliguntur, subiectum et
obiectum; sed primo ducit in cognitionem obiecti, secundario subiecti, et hoc
est quodintellectus concurrit effective ad hanc actionem, et hoc videtur dicere
Averroes, commento octavo, ubi dicit quod intelligendo asinum iit asinus aliqno
modo. Sed hæc sententia videtnr ambigua; quia si per speciem se intelligat. vel
hoc est voluntarium, vel naturale; non voluntarium quia non semper hoc
possumus; et etiam cum voluntas præsupponat cognitionem intellectus, hoc prius
esset cognitum de intellectu: si naturale, cum naturalia eodem modo se habeant
semper in omnibus, ideo rustici intelligentes asinum, per speciem asini etiam
suum intellectum intelligerent, et nos quando aliquando iutelligeremus, semper
nostrum intellectum intelligeremus. Secundo, hoc videtur inopinabile, quia, vel
per imam cognitionem intellectus coguosceret se et asinum, vel per duas ; si
per unam, semper quando una intelligeret, aliud etiam intelligeret; si per
duas, sic etiam cum sint distincta obiecta, quæro quomodo illi actus sint
distincti si ea sint distincta, vel sunt absoluta, velpræsupponunt aliquid
absolutum; ergo istæ duæ intellectiones habebunt duo absoluta distincta quæ
erunt speeies vel aliquid alterum, licet forte sint ab eodem agente; sic
exempligratia ego et tu calefimus ab eodem agente, igne, tamen hoc est per
diversas caliditates; alia est enim caliditas inme etin te. Alius modus dicendi
est quod non tautum intellectus, intelligendo se, esset specie aliena, sed
ultra illam requiritur aliud, scilicet conceptus unus distiuctus a specie; ad
quem causandum concurrit species ut efficiens instrumentale: et sic cessat
secunda dubitatio, quia dicam quod duobus conceptibus distinctis intelligitur
asinus et intellectus; et species asini est ut primo modo, et fit ista
intellectio hoc raodo: ex eo quod intellectus cst informatus specie, agit in
seipsum causaudo intellectionera sui aliam a prima et hunc raodum videtur
tangere Averroes iu commento octavo in tine, ex mente Alpharabii; nec credo
intellectum, statim quod est informatus specie, ducere se in cognitionem sui,
sed requiritur discursus et multa alia. Considerat enim istam speciem a quo
causata sit, et iu quo modo suscipiatur, et ita veniet in notitiam sui, et nota
quod est differentia inter conceptum et speciem, quia de abstractis liabemus
conceptum et uon speciem; de materialibus speciem et non conceptum, quia
habemus de eis pliantasmata, et intellectus intelligitur conceptu diverso
aspecie asiui, specie diversa. Numquid inlellectus suam operationem intelligat.
Quæritur quomoJo intellectus suam operationem intelligat. De'se non est
dubitatio, sed de modo. Joannes bic dicit fatuitates. Duo sunt dicendi modi,
unus, quo, per eamdem intellectiouem per quam intelligo obiectura, intelligam
etiam intellectiones; nec hoc inconveniret immaterialibus quod idem duo
reputet, ut in divina essentia reputantur omnia entia et ipse Deus; et hoc
dicit Joannes, sed credo iioc esse falsum; quia vel ista actio est uua, vel
plures; si piimum, cum aliquid intelligam, semper intelligam me iutelligere
quod est falsum; si vero ita quod sint diversæ, quomodo differunt istæ actiones
inter se ? Altera est opinio AQUINO (si veda) in prima parte, quæstione
octuagesimaseptima, articulo tertio, quod non sit eadem intellectio; et quod
potest operatio esse tunc cum ipsa quæ intelligitur non sit illud mediante quo
nos intelligimus, sed est id quod nos intelligimus cum et ipsa sit intellectus,
et si diceremus tuuc procederemus in infinitum in actibus animæ. Dicit ad hoc AQUINO (si veda) in prima parte,
quæstione octnagesimasexta, articuIo secundo, quod in actibus anirnæ non est
inconveniens procedere in infinitum, ut bene dicit AQUINO (si veda), et in hac
secunda operatione intellectus concuirit effective. Sed tunc est difficultas
utrum sensus habeat talem actionem. Themistius, in secundo huius, videtur
diccre quod sic; tamen ut est sententia LIZIO in De somno et vigilia: nullus
sentit suam operationem. Ego puto quod non, sed quæ est altera ratio quare
inteiligat (se intellectus) non autem seusus? Dico quod quia intellectus est
super se retlesus, potest se intelligere; nulla autem virtus materialis potest
coguoscere se, quia nihil potest agere iu se in his materialibus, licet in
abstractis hoc possit esse verum; aliquid enim est in Ch. isiverso superiori
quod nou est iu iuferiori, etideo abstracta possunt se intelligere, et hoc ex
perfectione eorum. Altera dubitatio est utrum Aristoteles in hoc capite tractet
de obiecto intellectus. Dicitur quod sic, ut etiam OMNES LATINI dicunt in textu
commenti noni. Ex altera parte videtur quod nou, quia tunc Aristoteles non
observaret id quod dixit in hoc secundo, scilicet quod prius est tractandum de
obiecto quam de potentia. Scilicet in primo capite huius tertii, et in secundo
tractaret de obiecto, scilicet in hoc capite secundo et in lextu commenti
vigesimiprimi inciperet tractare de ratione intellectus. Forte dices quod Latini male
exponant; Theophrastus autem et Averroes melius; cum ipsi aliter iutroducant.
Istud uihil est, quia prius debuerunt determinare obiectiim et operationera
quam potentiam; de hoc nullus dicit, ego tamen dicerem quod prius quoquomodo
determiuavit de obiectoquam de operatione, et hoc quum dicitin textucommenti
quarti: si ergo omnia intelligit, ens est suum obiectum; et si diceremus: uou
desciipsit suum obiectura, dico quod ens non habet descviptionom, cum uihil sit
uotius ente; ideo non descripsit, et cum dixit qiiod intelligit, tractavit Je
operatione: in Iinc vero capite magis determinavit de obiecto et in textn
commeuti 21 magis determinato locutus est de operatione intellectus, imo idom
facit in 2" liuius iu cap. De sensu, quia prius tractat de sensu in
communi et deinde tractat de obiecto scilicet sensibili communi et proprio.
Vlrum singulare cognoscatur ab intelleclu cl quomodo. Quæritur etiam quomodo
singulare dgnoscatur ab intellectu uostro et utrum coguoscatur distincte,
quamvis aliqui dicant quod non; sed ista opinio videtur falsa. Primo LIZIO in textu commenti noni dicit quod
singulare cognoscitur vel a diversis virtutibns vel ab uua aliter se habente.
Ecce ergo quod concedit al una virtute cognosci; ista autem virtus non potest
esse sensus, quia sensus tantum circa singularia versatur, ergo est
intellectus, quia ambo cognoscit. Item intellectus separat universale a particubari;
eadem autem est virtus quæ coguoscit aliqua et ponit differentiam inter illa,
secundo huius textu commenti centesimiqiiadragesiraisexti. Item inductio est a
particularibus ad universalia. Eadem autem est virtus quæ ex particularibus
colligit universale; nec est dicendura inductionem fieri a diversis virtutibus,
quia lioc est falsum; imo audivi uuum doctorem hoc inconveniens esse concedere.
Iteni nonne sunt syllogismi particulares quos non potest facere aliqua virtus
sensitiva? Procedunt enim ex una universali, vel ex alia particnlari, quia
regulantur pro dici de omni et de nullo, sensus autem nou cognoscit
universalia. Sed videndum est de modo ])er quem intelligitur singulare. Hic
simt duæ opiniones: prima est Nominalium, quæ etiam videtur Alexandri, quæ stat
in tribus considerationibus. Prima oonsideratio est quod singulare coguoscitur
per propriam speciem, quia intellectus ponit distinctam differontiam inter
universale et particulare; hoc autem non potest esse nisi habeat distinctam
cognitionem de illis, et hoc nou potest tieri uisi per eius conceptum. Item vel
cognoscitur per propriara speciem, vel per speciem universalis. Si primum,
habeo iutentum; si secundum, cura ista species ducat nos in cognitiouem omnium
singularium iu communi vel in confuso, non potero habere uotitiam unius
determinati individui ut Socrates aut Platone. Secunda consideratio patet. Quod
intelligitur ab intelleetu est siugulare; quæ consideratio probaturquia illud
prirao inteliigitur quod primo pliautasiatur; siugulare autem primo
phantasiatur, ergo primo intelligitur. Priraa propositio est mauifesta exeo
quod intelligere nostrum depeudet a phantasmatibus; brevior patet quia
phantasia est singularis. Item sic se habet singulare incomplexum, sed
singulare complexum prius cognoscitur quam uuiversale complexum. Ergo et ita
est de incompleso. Anterior patet ex convenienti similitudine; brevior
probatur,q uia sic cognosco quod reubarbarum sic purgat coIeram(sic)sicut
dicitur in secundo Posteriorum in fine, et est primo Posteriorum, in capite de
ignorantia, quod deficiente sensu deficit scienlia illius sensilnlis quod
habetur jier sensum illum. Item est tertia ratio quod uti non coguoscitur nisi
abstrahendo a particularibus, sed abstractio non fit uisi a noto, ergo
siugulare prius fait coguitura ab intellectu. Tertia consideratio (est) quod
uti non cognoscitur nisi ex comprehensione multorura singulaiium, et ex
similitudiue reperta in singulari causatur universale, sicut accipiendo
Socratem et Platonem, ita maxima eorum similitudine, causant conceptura
specificum; et videndo hominem et asiuum ambos habere virtutem sensitivam,
causatur Scilicet singulare eC universale. aliiis conceptus, iit puta
genevicns, quia noii habet tautara similitiuliiiera quanta est iu Socrate et
Platono. Non ergo universale primo et simpliciter fit, seJ ex collatioue
raultonuu individuorum, et pro hoc est auctoritas Alexandri hic, et iu
Paraphrasi et in capite vigesiraoseeundo, ubi videtur hoc aperte dicere: dico
enim quod cum sensus coguoverit hoc vel hoc album, statim intellectus es his
sensuum intentionibus album cognoscit. Quid clarius idem videtur dicere
Themistius in primo huius, capite quarto, commentoquarto; etAverroes, in
duodecimoMctaphysicorum commento quarto, dicit quod universalia apud
Aiistotelem sunt coUecta ex particularibus in intellectu, qui accipit inter ea
similitudincm et facit ea unum in actu. Hæc ipse. Quid ergo clarius quam dicere
particularia sunt in intellectu? Dicunt ergo quod particulariter ab intellectu
cognoscltur, et ratio est quod nulla alia res videtur posse causare universale,
et ista fuit opinio Buridani in primo Physicorum, RIMINI (si veda) in primo
Sententiarum, distinctione tertia, quæst. priuia, art. primo, quod scilicet
cognoscatur singulare ab intellectu per propriam speciem; istam tamen specie.m
habet a sensu, non enim potest intelligere singulare nisi prius id senserit
sensus, et quod conceptus communis sit posterior conceptu parlicularium. Altera
opinio est quæ huic ex toto opponitur qnam imitantur Albertus, AQUINO (si veda),
Scotus, quæ et ipsa stat in tribus cousiderationibus; prima, quod singulare non
cognoscitar ab iutellectu per propriam speciem; prima ratio, quia receptum non
recipitur secundum naturam recepti, sed secundum uaturam re ipientis; cum ergo
intelloctus habeat recipere ipsum, non recipit secundum uaturam singularis,
scilicet singulariter, sed secuudum naturam intellectns, id est universaliter.
Item nos diximus superius quod intellectus in hrc differt a sensu, quia
intellectus universaliter, sensus singulariter recipit. Ergo illud quod in
intellectu recipitur uou siugulariter recipitur, sed sub conceptu uuiversali
recipitur. Item non esset necessitas ponendi intellectum ngentem; quod
probatur, qnia intellectus agens uon ponitur nisi ratione ui.iversalis quoJ ab intellectu
debeatrecipi. Et isla est opinio Averrois, in commento decirao octavo, in fine.
Si autem singulare recipiatur in intellectu, ad quid esset ponendus intellectus
agens. Item arguuut moderni argumento quod reputant Achiilem. Si intellectus
haberet conceptus singulares ipsorum singularium, sciret-ponere differentiam
inter duo individua eiusdera speciei, et cognoscere differentiam quæ est inter
talia individua : hoc autera est falsura 'deduobus repræsentatis, quorum unum
sit repræsentatura iu una hora, aliud in alia. Verbigratia pono hic unum ovum.
Vel habeo proprium conceptum buius vel non. Si nou, habeo intentum; si sic,
nolo quod aliud ponatur: tu credis illud esse idem ovum. ergo non scias ponere
differentiam. Secuuda consideratio est quod intellectus non intelligit primo
siuguIare, quod declaratur quia inteHigit reflexe, ergo non directe.
Consequentia probatiu quia linea recta non est retlexa;assumptum patet hicin
textu commenti decimi. Item quod per accidens intelligitur non prirao
intelligitur; singulare per accideus intelligitur, ergo; assumptxrm patet qnia
per se nou sunt idem numero, brevior probatur per famosam propositiouem, quæ
dicit universale per se, singulare per accidens iutelligitur ab intellectu.
Item quod est priraum obiectum prius intelligitur, nniversale est primum
obiectum iutellectus, ergo prius cognoscitur ab intellectu. Anterior est clara; brevior
probatur quia, ut communis est sententia, intellectns est universalium, sensus
vero particulariiuu. Tertia consideratio est qnani isti in sna tertia
consideratione sibi coudicunt, quia singulare prins iutelligitur, et uuiversale
non intelligitur nisi per compreheusioueiu s multorum singularium, et coliectio
siugularium non est uisi universaie. Ergo universale cognoscitur aute universale
quod est inconveniens; restat ergo dicere quod universale per speciem
universalis primo cognoscitur, et siugulare secundario coguoscitur; uec oportet
liabere couceptns piædictos primo, quoad hoc quod universale intelligatur; sed
tunc ego quæram si particulariter non cognoscitur ab iutellectu per speciem
propriam, quomodo fiat intellectio siugularium Dicitur quod species decisa ab
obiecto, secnndario repræseutat, vel per se prinio; et quia est imago decisa a
phantasmate, repræsentat etiam siugnlare, licet non primo, sed reflexe; de qua
reflexiouo dictum est iu commento decimo. Utraque hornra partium potest teueri,
et Dens de hoc scit veritatem, ego antem nescio; dico tameu quod prima opinio
mihi mamagis placet. Quia tameu sua argumeuta non concludunt ad illa respondebimus.
Ad primnm, quod intellectus ponat distinctionem inter nniversale et
particulare, lioc argumentum non est facile; dico tamen quod ponit difterentiam
inter ea, non per speciem particularem distiuctam a specie universalis, quia
non potest haberi speciem siugularis. Sed
dices unde est quod ponit ditferentiam ad intelligere ea? Dico qnod in prima
operatione qnando directe intelligit universale, tantnm universale coguoscit.
Sic iu secunda quando revertitur ad phantasmata, pouit differentiam inter universale
et particulare, sed hæc responsio non multum valet; quia si non est diversitas
speciernm, ergo nec iutellectiounm, cum duæ intellectiones non proveniant ab
eadem specie; qnare si non habebit speciem singularis non poterlt inter ea
difiereutiam pouere; cum tamen unum cognoscat, scilicet universale, qnia eins
solius habet speciem. Ad secuudum, qnod species universalis causat confusam
cognitiouem particularium, dicitnr quod species nuiversalis, quantum est de
uatura sua, non causat distiucte eognitionem paticularium: per accidens autem,
in quantum cansatur ab hoc vel ab hoc particulari determinato, ducit in
cognitiouem alicuius particularis et non alterius, et ita per accidens causat
distinctam cognitionem particularium. Ad argumeuta facta pro secunda
consideratione, ad probandum: quod primo phantasiatur primo intelligitur,
negatur assumptum, et ratio quia uos phantasiamnr particularia tantum et
particulariter, intellectus antem tantum universale et universaliter
intelligit. Ad secuudum sicut se habet complexnm ad complexnm etc, dicitur
primo concedeudo assumptum; ad anteriorem, dico quod non semper necesse est ad
lioc quod intelligam uuiversale complexum, ut prius intellexerim particulare
complexum; quia possem habere conceptum uuiversalem complexum non habeudo
singularem. Quod autem dicitur de Aristotele, dico quod illud est verum in
principiis quæ habent ortum a sensu, non de principiis sicut accidit in
geometria, ubi aliquando habemus conceptum universalem alicuius
considerationis, absqne hoc quod habeamus conceptum siugularem suorum
singularium. Et in libro De historia animalium LIZIO docet nos de moribus
aliquornm aniraalium, tuuc de his auimalibus habemus conceptnm communem,
nuniqnara tamen haberaus conceptus particulares istornm animalium. Aliter
potest dici negando assumptum et similitudiuem illam, et ratio est quia quando
comprehenditur universale incomplexum repræsentatur natura communis, sed
comprehendeudo universale complexum repræseutatnr suppositnm ratione de
limitatione «omnis» ; quod si adiungitiir, licet stet primo pro natura in
communi, ut dicendo omue reubarbarum purgat coleram, ratione de liraitatione
omnis, repræsentatur suppositum; licet euim stet pro natura in communi, inter
tamen naturalia Iiabet exerceri in suis suppositis, et ita non valet
similitudo. Ad aliud: universale abstrahitur, et ista' absti-actio non fit ab
ignoto: dico quod est æquivocatio de abstractione; non enim abstraliitur eo
modo quo argumentum concludit, ut quando notum a noto abstraliitur. Sed est
abstractio ad hunc sensum, quia singulare quod est in potentia intellectus fit
actu intellectus. Ad illud quod dicitur in tertia consideratione, scilicet
istam esse sententiara Alexandri, Themistii et Averrois, dico quod suæ tuæ
auctoritates non sunt veræ pro universali quod est prima intentio, sed pro
universali quod est secunda intentio. Homo enim et animal possuut haberi sine
collatione multorum singularium, si pro prima intentione capiantur; si autem
sumantur pro secunda, ut sunt genus et species, hoc non potest esse sine illa
particularium collatione ab intellectu facta; quum genus et species habent de
raultis prædicari, quod non potest esse sine illa collatione; sed ista
responsio non est ad intentionera Alexandri, quia Alexander ibi dicit de albo
et albo, et ita non valet; nec videtur esse illa mens Averrois quia arguit
contra Platonem; non est autem necessarium quod Plato voluerit alias iutenMones
esse a materia separatas qualiter ponebat ideas. Si uon voluraus tenere quod
intellectus intelligat singulare sicut mihi videtur esse tenendum. possumus ad
argumenta contra hoc facta dicere. Ad primum. quod recipiens recipit secundum
naturam suam, possumus dicere: quod intelle:tus,seoundum scilicet quod sit
abstractus, et quod sit forma materiæ et ultima intelligentiarum: quoad primum
habemus quod tantum universalia intelligat; quo vero ad secundum quia est fonna
materiæ, et quia est naturæ ancipitis inter abstracta et non abstracta cum
medium participet naturam extremorum, habemus quod singularia possit
intelligere, quia a raateria, saltem quoad operari, dependet. Ad secundum quod
est ista difterentia inter sensum et intellectum, dico quod est differentia
inter sensum et intellectum quia sensus non recipit nisi singulare, intellectus
vero universale et singulare, sed intelligit universale pro quanto est
abstractus a materia, singulare vero in quantura a materia dependet in operari.
Ad tertium quod tolleretur necessitas intellectus ageutis: dicit Buridanus in
prirao Physicorum quod ideo ponitur intellectus ageus, quia materiale non
potest agere in immateriale. Sed ista responsio non est ad mentem Averrois in
commento decimo octavo, ubi ponit intellectum agentem solura per utilitatera
faciendam. Ideo dico aliter, negando consequentiam, quod si solum siugulare
iutelligeret non esset necesse ponere ipsum; sed quia ultra hoc et universale
cognoscit, et hoc est magis proprium ei quam singulare intelligere, ideo
ponitur intellectus agens; quod si diceres a quo habet cognitionem singularis,
dico quod habet a sensu. Fit enim transitus de ordine in ordinem, a sensu ad
intellectum. Ad quartum de duobus ovis, dJco quod si hoc argumentuni
concluderet, etiam de sensu concluderet, quia non cognosceret sensus singulare.
quia virtus cognitiva nescit ponere differentiam inter ea, et tamen speeies
potnerunt in memoria conservari, et ideo ad præsens aliter non dico. Ad
argurænta facta contra secundam consideratiouem: ad primum, dico quod singulare
intelligitur reflese. Buridanus, primo Physicorum, dicit de reflexione quam
dicit Averroes in commento decimo; sed quia illa expositio non est ad mentem
Aristotelis, ideo aliter dicimus quod illa reflexio non est sicuti imaginati
sunt nostri Latiui; sed cognoscit singulare reflexe, quia sicut linea reflexa
est gemina, ita est cognitio singularis quia est per sensum et iutellectum. AJ
secundum, quod per accidens intelligitur: dico qnod aliquaudo accidit
universali quod nou est accideus in particulari, ut visibile accidit in auimali
et non homiui ; ita in proposito quod intellectus intelligat siugulare, hoc accidit
iutellectui ut humauus est, iion tamen æcidit ei ut intellectus est, quia ut
humanus potest intelligere singularia, nou ut intellectus est; nam duodecimo
Metaph3'sicovum intellectus, ut intellectus est et abstractus, non inteliigit
(singulare). Ad tertium dico quod universale est obiectum iutellectus per
exclusionem, ut dicit Gregorius, quia intellectus pro universali difl^ert a
sensu; potest euim intellectus apprehendere uuiversale quod non potest seusus,
quia circa particularia versatur, sicut est in sensu communi, qui colores,
sonos et omnia seusualia cognoscit, quæ a sensibus particularibus cognoscuutur;
et ultra hoc (sensus communis) cognoscit operationem sensuum exteriorum, et
tamen non distinguitur sensus communis a particulari per hoc quod talia
sensibilia cognoscat, sed quia operationes sensuxmi exteriorum cognoscit, ideo
distiuguitur. Ad quartum: quod ante universale cognosceret universale, dico
quod ista particularia quamvis habeant causare conceptum communem uou sunt
universale nisi in materiali, sicut sensus cognoscit duo alba quæ possunt
causare conceptum communem, et tamen non sequitur quod sensus cognoscat
imiversale: ita ista singularia, quamvis possint causare couceptum communem et
universalem, non tameu sequitur quod sit universale in actu, et ita non
cognoscitur universale ante universale. Utrum intellectio et species
intelUgibilis sint idem realiler. Quæritur ulterius utrum iutellectus et
species intelligibiles sint idem realiter; posset enim aliquis ex prædictis
liabere quod non sint idem realiter, quum intellectus agens ut dictum est est
etiam causa speciei intelligibilis, non autem intellectionis. De boc nulli est
dubium quod diflerant ratione, quum species repræsentet tantum ipsum obiectum
non autem iutellectio. In hac materia est una opinio quæ tenet quod non
distinguantur realiter, quia vel intellectio adderet aliquid absolutum vel
respectivum ipsi speciei; sed uullum liorum addit intellectio ipsi speciei,
ergo non differunt realiter. Anterior patet: brevior probatur pro pvima parte,
quia si intellectio adderet aliquid absolutum, per speciem non acquireretur
nova intellectio nisi aliquid absolutum de novo acquireretur. Modo non est
fiugere tale absolutum quod intellectio superaddat ipsi speciei. Item uon videtur quod
iutellectio sit aliquid absolutum, quia illud non est absolutum cuius esse est
ad aliud se habere. Intellectio est talis, ergo; anterior patet ex prædicamento
relationis: illud enim dicitur esse ad alterum cuius esse est ad alterum se
habere; brevior patet quia intellectio ut intellectio, est alicuius
intellectio. Item pulchrum esset videre quod si intellectio est quid absolutum,
uon erit aliud nisi species iutelligibilis perfectior; modo quæritur an sint
eiusdem rationis istæ species an uon. Si sic, tunc plura accidenlia, solo
numero differentia, erunt in eodem, quod est contra Aristotelem quinto
Metaphysicorum, ubi dicit quod quæcumque sunt iu eodem subiecto numero,
differunt specie. Item tantum una harum specierum esset necessaria, alia
superflua. Nam aut nihil facit superflua. Quod si dicas istas species esse
diversarum ratiomim, primo non est videre penes quod distinguantur, cum sint
eiusdem suhstantiæ et obiecti, sicut intellectio asini et species asini. Item
in vanum esset unum istorum, vel species vel intellectio, quum species est illa
per quam res cognoscitur, et intellectio est etiam perquamres infelligitur.
Probatum est ergo quod intelleotio non addat aliquid absolutum super ipsam
speciem. Quod etiam non addat aliquid relativum probatur, quia si adderet
aliquid relativum tunc intellectio esset de prædicamento relationis quod est
falsum, quia intellectio est de prædicamento nctionis vel passionis;cum autem
PRÆDICAMENTA sintim per mixta, iutellectio non poterit esse de prædicamento ad
aliquid. Item arguitur secundo, et est argumentura Scoti in decimatertia
quæstione, nono libro, quod illud iu quo consistit fecilitas et perfectissima
operatio hominis non est relativum, sed in intellectione consistit fecilitas,
ergo. Anterior probatur quia intellectio dicit aliquid quod perficit
liominein;relativum autem, ut tale est, nullam perfectionem includit; brevior
patet ex primo et tertio. Et liic ubi vult LIZIO quod felicitas consistat in
uctu intellectlonis, idem etiam vult Averroes in prologo Physicorum, et ita cum
intellectio non addat aliqiiid absolutum aut relativum ad ipsam speciem. nou
erit ab ipsa specie diiferens. In
oppositum, et pro altera parte, argiiitur quod illa non snnt eadem realiter
quorum, uno uon existente, alterum remanet. Sed species et intellectio tali
modo se habent inter se quod uiium remaiiet altero non existente, ergo.
Anterior patet quia illa quæ suut eadem geueratione generantur et corrumpuntur.
Brevior patet quia dormiens non habet intellectiones et tauien habet speciem;
aliter enim si species non reraaneret in intellectu liominis docti non esset
rammemoratio, quod est contra Aristotelem primo Posteriorum. Item illa non suut
eadem quorum unum ab altero efJicitur, sed species et intellectio hoc modo se
habeut, ergo. Anterior patet quia nihil potest se speciem efiicere, brevior
patet quod, ut dictum est, ex specie .creatur intellectum, et est dictum
Angelici AQUINO (si veda) quod ex specie et potentia fit cognitio rei. Item
quia ita se habet intellectus ad intelligibile sicut seusus ad seusibile, quia
utraque cognitio termiuatur ad obiectum proprium, modo possum intelligere
existentia et non existeutia, nec possibilia existere. Tunc quæro ad qnod
terminatur ista intellectio non-entis; non ad obiectum quia obiectum non est
uec potest esse ; non ad phantasmata cum sint singularia, ergo ad speciem
intelligibilem: quare necessario dabitur species intelligibilis, ad quam cum
torminetur intellectio, erit ab ea distincta sicut species sensibilis est
distiucta a sensutione. In hac quæstione sicut et in aliis suut diversi modi
dicendi. Avicenna tenuit quod species iutelligibilis et intellectio sint
penitus idem, et quod cessante intellectione cesset speeies intelligibilis,
quum ipse non potuit videre qualiter sit in virtute coniprehensi\a et non sit
cognitio rei Hanc opinionem quasi omnes Latini impugnant. Ideo cmnes fere Latini posuerunt
species et iutellectiones non distingui realiter; sed dubium est, si differunt,
quid superaddat intellectio speciei. De hoc sunt niuitæ opiniones: prima est
quæ est usitata quam tenuit Scotus in 13" quæstione Quolibcti, et
Gregorius Ariminiensis, secundo Sententiarum, disiinctinue septima, quæstione
secunda, articulo primo. Tenent isti quod intellectio formata non dicat
relatiouem. Connotat tamen relatiouem et relativum ad obiectum; et lioc propter
secundum argumentuni, et hoc tenet Tiiomas. Utrum vero connotet duos respectus,
vel unum tautum non est præsentis loci, similiter et utrum sint relativa
secundum dici et uon secundum esse, ut aliqui voluerunt. Tenet tamen Scotus
quod species et inteliectio non sit una et eadem res formaliter, sed tenet quod
species sit imperfectior intellectione, ita quod intellectio sit altera species
multo clarior et lucidior ipsa specie prima. Et dicitur an sint eiusdem
rationis, an diversæ. Dicunt quod non sint eiusdem rationis formalis, quia
intellectio est essentialiter perfectior specie; et lioc dicuut esse quia
natm-a procedit de minus perfecto ad magis perfectum, et ita procedit de specie
ad intellectionem; et si dicatur quod est necessitas ponendi species
intelligibiles, dicunt cum quod intellectio terminatur ad speciem sicut supra
dixiraus. Ulterius cum dicitur unde causatur illa diversitas speciei ab
intellectiono, dicunt provenire hoc ex agente et passo melius disposito, et
etiam quia in puro iutellectu recipitur species, iutellectio vero recipitur in
intellectu specie informato. Tunc ad rationes iu oppositum dicitur: ad primam
cum vel addit aliquid absolutum vel relativum, dicitur quod intellectio in se
est absolutum; dico tamen, et coustat, relativum. Ad aliam: cum dicitur quoad istud absolutum
superadditum speciei, dico quod est ipsa intellectio. Ad aliam: cum dicitur an
sit eiusdem rationis, dico quod non, imo inteltectio est esseutialiter
perfectior specie. Ad alterum cum dicitur uude causatur ista diversitas, lioc
quod causatiir ab agente et melius disposito. Ad aliam: cum dicitur iu vanum
poneretur una istorum, dicitur quod non. quia species sola nou potest facere
istud quod facit intellectio quum species sit imperfectior intellectione et ista
opinio communiter tenetur. Altera est opinio quæ tenet quod species et iutellectio
sunt idem realiter, et quod diffenmt ut magis perfectum et minus perfectum.
Species euim est quædam intellectio imperfecta, et ita videtur esse quædam
additio non iu alteram speciem sed iu unum ab alio esse, et ita videtur dicere
semper AQUINO (si veda), non assevero hanc esse sententiam AQUINO (si veda), et
dicitur species pro quanto repræsentat obiectum ad extra, dicitur vero
intellectio pro quanto per eam obiectum ad intra intelligitur. Differt autem hæc opinio a prima, quum prima non
ponit speciem esse eadem qualitate cum iutellectioue. Ista vero ponit esse
eadem qualitate cum specie et tunc faciliter potest (responderi) ad argumenta
in oppositum facta. Utrum in rebus sit veritas et falsitas vel in solo
intellectu. Circa textum 37 sunt aliquæ difHcultates, et primo utrum in rebus
sit veritas et falsitas, an in solo intellectu. Et arguitur quod iu rebus, quia
communiter dicitur aurum est verum vel falsum, et in duodeoimo Metaphysicorum,
textu commenti quarti, dicitur quod unumquodque, sicut se habet iu veritate,
ita se habet in eutitate, unde primum ens est maxime verum. Quod etiam apparet
ex theologia nostra. Dixit enim Christus. Ego sum via, veritas et vita. Et pvobatur etiam hoc ratione,
quia eus et verum convertuntur. Ens autera attribuitur rei,ergo et veritas rei
attribuitur. Item verum est obiectum intellectus, sed quod est obieclum
intellectus non est in intellectu, ergo verum non erit in intellectu. Auterior
patet quia dicitur communiter quod intellectus fertur iu verumsicut appetitus
in bonum. Brevior patet quia obiectum præsupponit potentiam. Item propter quod
uiuimqiiodque tale, et illud magis est; sed ORATIO est vera propter esse ad
extra, ergo res est magis vera. Prima
nota est; brevior patet ex primo Physieorum, ubi dicitur quod ex eo quod res
est vel non est, oratio dicitur vera vel falsa. In oppositum est LIZIO hic in
textu oommenti 27' et 22' et in primo Physicorum, iibi dicit quod in
compositione et divisione tantum consistit veritas et falsitas, et in 6."
Metaphysicorum, textu nltimo, dicit quod bonum et malum sunt tantum in rebus,
verum et falsum intellectu. Omissis quæ dicit Joanues quia nescit quod dicat,
explicabo quod dicit AQUINO (si veda) in prima partequæst. decimæseptimæ, et in
fine libri Metaphysicorum, et in DE INTERPRETATIONE. Pro soluiione accipio
primo quid nominis istius termini: veritas. Dico quod ita se habet de veritate
sicut de sanitate: ut enim sanitas consistit in adæquatione humorum iu ordine
ad ipsum animal,ita veritas est quædaui adæquatio vel commensuratio rei ad
intellectum, vel intellectus ad res; ex quo patet veritatem intelligi non posse
sine iutellectu, etideo in sexto Metaphysicorum, textu coramenti ultimi, dicit
Aristoteles veritates tantum esse in intellectu, bonum et malum iu re. Quia
autem veritas sit analogum quoddam definita (sic) est definitioue. Vos dicetis
in quo consistit veritas illa quæ consistit in adæquatione rei ad iutellectum
et intellectns ad rem? Dico quod si res comparatur ad intellectum practicum,
talis est vera pro quanto comparatur ad talem intellectum, et sic omnia sunt
vera pro quanto comparantur ad intellectum divinum : ex quanto enim omnis res
est effectus Dei, vel in geuere causæ efBcentis, vel finalis, omnia habebunt
ideam suam in meute divina, et res, secundum quod habent similitudinem ideæ
suæ, sunt veræ, et quanto magis assimilabuntur suæ ideæ, tanto magis erunt
veræ. Unde dicimus aurum esse verum pro quanto fert veram similitudiuem suæ
ideæ, scilicet auri qui est iu mente divina. Res ergo dicitur vera pro quanto
comparatur ad intellectum a quo dependet, et hoc non est tantum platozinare,
sed est acceptum ex duodecimo Metapliysicorum, textu commenti decimioctavi,
iibi Averroes aperte ponit omnia esse iu Deo sicut in Artifice supeiiori. Nou
enim est peripateticum dicere Deum nou habere scieutiamistoruminferiorum. Si
autem quæratur: Tu dicis quod res est vera pro quaulo comparatur cum intellectu
practico et factivo habente formas rerum omuium; ego quæro utrum iste
intellectus sit verus an non. Ego credo quod sic, propter intellectum
speculativum; intellectus enim practicus præsupponit speciilativum, nam prins
concipitur domus quam fiat. Unde infra dicit LIZIO, intellectus speculativus
extensione fit practicus. Idem quoque dicitur sextoEthicæ, et ideo si artifex
faoit domum secundum imaginationem apprehensam, dicitur vera domus; si nou,
falsa. Intellectus vero practicus erit verus in ordine ad speculativum. Dictum
est igitur qualiter sit veritas in adæquatione rei ad intellectum; dicendum est
modo qualiter in aliquo veritas consistat in adæquatione intellectus ad rem.
Dico quod illud veiitieatur maxime quoad nos. Nostræ enim intellectiones sunt
veræ quando conformantur rei ad extra. Itaque ita sit ex parte rei. sicut per
intellectum sequitur, et hoc modo intellectus speculativus se habet ad
practicum, et talis relatio est mensurati ad mensuram; nam in prima veritate
res est mensurata, intellectus mensura, in secunda vero res est mensura,
intellectus autem mensuratum. Notamus tamen hic quod scilicet res non absolute
dicantur veræ aut falsæ in ordine ad nostrum intellectum: aliter enim una et
eadem res esset vera et falsa, quum unus horao opinalur uiio modo et alius alio
modo, quæ opinio iraprobatur qiiarto Metaphysiconim textu commenti decirainoui;
tamen quoquomodo dicuutur veræ in ordine ad iios, non quia intellectus realiter
habet mensurare talem rem, sed quia talis res est apta facere talem scientiam
de se in nostro intellectu; sed res absolute dicuutur veræ iu ordine ad
intellectum divinum qui maxime verus est, et sic patet detinitio veritatis,
qualifcer est adæquatio rei ad intellectum et intellectus ad ipsam rem. Si
autem quæratur utrum Deus sit verus, dico quod in Deo omnibns modis est
veritas, sicut dicit Themistius de agenfe quod est verus, non quoad alia sed
quoad se tantum qui verus est intellectus. Quauto magis ergo Deus hoc modo unus
erit et maxime verus, quum ex se ipso verus est, et non ex alio extriuseco
sicut nostra veritas. Est etiam verus omuibus modis, quum iu Deo est adæquatio
rei ad intellectum et intellectus ad rem; tanta enim est sua esseutia quanta
est sua intellectio, et tanta est sua intellectio quanta est sua essentia, nec
aliquo modo de se ipso potest facere aliquam deceptionera. Ad quæstionera ergo
possumus dicere quod veritas semper habet ordiuem ad intellectura. Poniuius
taræn aliquam veritatem iu intellectu, quoad scilicet ad intellectum
speculativura cuius veritas niensuratur a re. Ponimus etiam aliquam veritatem
in re, seilicet quoad iutellectum practicum qui niensurat veritatem in re
essentialiter. In Deo autem est mensura et mcusuratum, uou quidem realiter
distincta, sed secuudum uostrum raodura intelligendi. Si quis ergo dicat
veritatem esse inter iutellectura et verum, djcit qmmi quod iu intellectu non
intelligitur veritas; sicut auteni in subiecto, veritas potest esse in re. Ad
rationes responsio patet. Ad prirmam, dico quod aurum est verum et eius veritas
cousistit iu adæquatione rei ad iutellectum, nou quidera uostruni sed divinum.
Est enim verum quia iraitatur veram ideam auri qui est in mente divina, et nou
ponimus veritatem cousistere in ordine ad intellectum nostrum, aliter euim
sequentur inconvenientia quæ adducit Aristoteles, quarto Motapliysicorum coutra
anliquos putautes orania, quæ videbautur nobis, esse vera. Ad alias quoque patet solutio;
veritas enim, ut dictum est, aliquo modo est iu re, et de deo iam dictum est
quod iu eo est veritas. Utrum substantia materialis intelligatur per propriam
speciem. Quæritur hic, propter dicta Averrois, utrum substanlia mateiialis
intelligatur per propriam speciem. Joauues movet hanc quæstionem supra, sed
iste locus videtur mihi convenieutior de substantiis immaterialibus. Clarum est
quod non intelligatur per speciem propriam, sed ex discursu, et arguitur quod
sic, primo ex dictis hic, ubi dicitur quod lapis non est in anima sed species
lapidis. Item in textu commenti decimiquarti ubi
dicit quod est in potentia ad omnes formas. Confirmatur, quum Averroes volens
probare intellectum possibilem esse immaterialem, fundatur super hoc quod, quia
est receptivus omnium forraarum, et omne recipiens debet esse denudatura a
natura recepti, quare nou habebit aliquam materialem. Supponit ergo Averroes quod
intellectus recipiat omnes formas, quod non est intelligeudum secuudum esse
materialem. In oppositum arguitur: illud non intelligo per propriam speciem
quod non habet propriura phantasraa. sed substantia uon habet proprium
phautnsraa ergo etc. Anterior videtur esse uota, et brevior probatur quia, cum
phautasma sit motus factus a sensu secundum actum, cum seusus exteriores iiou
possint c .gnoscere suljstautiam, quia seusut non se profundat usque ad
subiectum rei, nec etiam pbantasia poterit sribstantiara coguoscere. In hac
quæstione sunt noanullæ opiuiones Joannis cum quo sunt omnes fere Averroistæ;
putaut substantiara intelligi per propriam speciem, et confirmatur lioc ex
dicto Averrois, secundo buius, textu commeuti 163', ubi dicit quod cogitativa
recipit intentiones omnium decem prædicamentoium; quod si cogitativa potest boc
facere quanto magis intellectus! Quomodo autem pbanlasia cognoscat substantiam
et non sensus exteriores, de boc sunt divers3,e opiuiones. Aliqui dicuut quod
sensibile producit speciem suam et cum sua specie est immixta species substantiæ,
et primo producit eam in sensu exterioii, deinde iu coramuni, demum in
phantasia, et dicunt quod species substantiæ, licet sit in sensu particulari
aut communi, ipse tamen uou cognoscit eam, sed sola phantasia inter omnes
virtutes eam coguoscit. Sed dices: unde est quod species substantiæ cognoscitur
a phautasia, et non a sensibus intermediis inter eara et sensibile? Dico quod
agens non agit nisi in passo bene disposito, et quia alii sensus suut multum
materiales et imperfecti, ideo species substantiæ nonest apta nata producerc
sui notitiam iu sensibus aliis a pbantasia; quia vero ista est multum
spiritualis et perfecta, ideo potest speciem substantiæ cognoscere. Alii vero
sunt dieentes speciem substantiæ nou esse in seusu proprio aut communi tamen esse
iii phautasia. Et si dicatur; unde est quod non est in intermediis sicut in
phantasia, dicuut quod simile est de hoc sicut de existimativa in ove quæ
iufert speciem insensatam ex sensata. Ovis euim videndo torvitatem et audiendo
voceni in lupo, ex istis speciebus sensatis elicitis, infert speciem inimicitiæ
quæ est insensata. Quia istud videtur dicere Averroes iu De sensu et seusalo,
ubi dicit quod seusus exteriores cognoscunt (per) corticem, interiorem
medullam; pariforuiiter isti dicunt quod ex sensibus exterioribus creatur
species substantiæ in phantasia. Isti ergo teneut substantiam cognosci jier
propriara speciem a phantasia, sive modo sit secuudum primam opiuionem, sive
secundum secundam, et tenent uniuscuiusque substantiæ raateiialis esse proprium
phantasma. De cogitativa non
loquor uuuc, quia de ea inferius erit sermo. Iste uiodus deinde improbatur a
quibusdam posterioribus, pluribus rationibus. Sed ego adduco tantum argumentum
Scoti quod est tale: data hac positione, tunc quilibet infidelis esset
christianus: probo, et suppono'quod illud, quod per propriam speciem
cognoscitur, in sui præsentia creat notitiam, et eius absentia non creat
cognitionem; sed quia lex per propriam speciem cognoscitur, ideo in sui
præsentia creat eius cognitiouem, et ex sui absentia non movet virtutem. Sit
modo ita quod sit uuus sacerdos qui consecret unara Eucharestiam, tunc
infidelis, antequara sacerdos consecraverit eam, cum per se pauis cognoscai^ur
per propriam speciem, species panis potuit movere seusum infidelis quia potuit
videre et cognoscere illum esse panem. Deinde vero, quiun consecrata est,
amplius non est substautia panis, et si prius videbat ibi esse panem et nunc
non videat, cum non sit talis substantia, pro certo cognoscet quod, ubi prius
fuit panis, uunc non; quare efiiceretur christianus hoc cognoscendo, et sicut
ipse tenet quod nulla substantia cognoscatur per propriam specieni, sicut et
Deus cognoscitur a nobis ut ex discursu, scilicet ex eo quod est ut aliquid
quod est primum movens, et quia uon est procedere in infinitum in causis
efficieutibus essentialiter ordinatis. Sed istud argumentum non Ch.l88versQ
videtuv valere, quia dato hoc modo loquendi tunc nec liorao aut Ijinitum
deciperentur aut raro. Cuius experientia est in oppositum; coutrarium probatur,
et ponemus exemplum de quodam pictore, qui ita pingebat uvara ut aves credentes
eam esse veram ad illam accipiendam volabaut(sic); tunc ista avis quæ movebatur
ad uvam decipiebatur,et tamen ibi uou erat vera uva, ergo aliquid quod sentitur
per propriam speciem, quamvis sit absens, potest creare sui cognitionem cuius
oppositum dixit SCOTO. Sed contra quis diceret nou esse similem. quum uva non
cognoscitur ab ave per propriam speciem, sed tautiim avis cognoscebat
accidentia, panis autem cognoscebatur per propriam speciem; contra sequitur
quod aliquid cognoscatur per propriam speciera, et tamen in eius cognitioue sit
deceptio; quia si sit aliquid album quod videatur esse lac ex colore modo
substantiæ, et similibus, non tamen sit lac, tuuc movebor ad tale obiectum
ratione dulcedinis. Ergo per propriam
speciera coguoscitur, et taræu decipior, quia si tale obiectum gustetur non est
dulce; ergo non sequitur ut uon decipiamur circa illud quod per propriara
speciem cognoscitur. Sed dices ad hoc quod illa deceptio non provenit merito
sensus exterioris qui habet indicare talem dulcedinem, sed provenit error
merito phantasmatis qui uon habet indicare de istis sensibilibus propriis; quia
enim aliqua pliantasia videt albediuem coniunctam dulcedini, cum tali raodo
substantiæ, ideo nnnc quoque putat qnod in tali subiecto sit dulcedo, sed hoc
est mutare argumentum. Ideo et ego do aliam responsiouem, et dico quod proprium
est phantasiæ recipere speciem substantiæ, dumraodo ipsa sit bene disposita, et
recipiat accideutia propria istius suhstautiæ. V. gr. si volo cognoscere
eudiviam [sic), uou oportet tantum cognoscere eam per sensum, sed oportet multa
sensibiJia congregare ad invicem, ut quod sit tdis odoris, saporis, coloris,
numevi, substantiæ, operationis et sirailia; et ista videtur esse expressa
mensPhilosophi primo huius, textu commenti undecimi, quando dicit quod quando
cognoveriraus raulta accidentia propria, tunc de substantia babebiraus aliquid
ultiraæ differentiæ; et ita tuum argumentum non valet, quia infidelis, quando Eucharistia
nou erat consecrata, non cognoscebat substantiam panis, quum non habebat
accidentia propria ipsius panis Si enim ea cognovisset, etiam panera
cognovisset, cum accidentia propria sint inseparabilia a suo subiecto; sed hoc
videtur mirabile quia videtur quod infidelis cognoscat tam propria quam
coramunia accidentia panis. Sed dices talia accidentia esse commuuia et non
propvia, quum ista accidentia possuut separari a paue, propria vero non
possunt; quæ si cognoscerentur ab eo, etiam panis cognosceretur. Sed breviter
isti tandem necessario confitentur quod substantia cognoscitur per discursum ex
collatione plurium accidentium ad invicera, propriorum scilicet et communium.
Altera responsio ad argumeutum Scoti posset esse: pro quo scieudum quod aliquæ
propositiones reputantu, veræ et necessariæ, interius tamen speculatæ apparent
falsæ, quaravis ab aliquibns accipiantur quara niaxiræ, inter quos Scotus, et
ita illa propositio quara assurait taraquam concessara nou est semper vera:
quauuo enim diiMt: si est aliquid quod habet propriara speciem, in eius
præscntia movet virtutem, non autem in sui absentia, ista propositio est vera
et habet veritatem in sensu exteriori, et ratio est quia immediate movetur a re
et ad extra. Sed in intellectu aut in sensu interiori non est vera qualiter
propositio debet accipi iu proposito, uam seusus interior cognoscit substautiam
et non exterior Ch. 100 recto Sustinendo tamen opinionem Sfoti quia contra eum
non est cleraonslratio, ad ea quæ sunt in oppositum potest dici: cum dicitur
lapis non est in anima et intellectus est ia potentia ad omnes formas, dico
quod, etsi talis non habeat propriam speciem, liabet tamen proprium conceptum
qui quoquo modo reputat talem rem, quo conceptu iutellectus deveuit in aotitiam
ejus. Sicut Deus non potest cognosci a nobis (') et ita dicatur quod lapis est
in anima per proprium conceptum, similiter et intellectus possibilis est omnia
fieri per hunc modum; dico tamen unum quod Averroes videtur esse iu oppositum
liuius, quia dicit in secundo liuius, quod accidit seusui,ut liumanus est,
cognoscere substantiam, licet dictum illud possit extorqueri, sed eius
sententiam veram esse ita concedit etiam SCOTO, quod sensus aliquo modo et
iuvolute cura ipsis sensibilibus cognoscit substantiam. Cognoscendo enim
aliquid aggregatum ex multis accidentibus, et ipsam substantiam cognoscit,
sicut suut rustici qui cognoscunt lactucam et alias berbas es aggregatioue
multorum accidentium simul. Forte quod isti possent simul conciliari, sed de
Imc vide quæ dicta sunt, secundo Jiuius, contra espositionem textus commenti
sexagesimitertii. Utmm substantia producat speciem substantiæ in phantasia, an
aliud. Altera est dubitafio, si species substantiæ sit in phantasia, quid est
illud quod producit eam ibi? non substantia quia substantia iinmediate non
agit, iguis enim nou agit in quautum ignis, sed iu quautum calidus ex libro De
sensu et sensato; si accideus, quomodo accidens potest producere speciem
substantiæ, cum nihil agat ultra termiuum proprium? Propter hoc aliqui Thomistarum
putant quod species accidentis proprii producat iu iutellectn speciem
ulriusque,sed producit speciem substautiæ iu virtute substantiæ. Aliqui putant
quod præparato intellectu per speciem ac:ideutis proprii, introducatur species
substantiæ ab ipsa substantia, et hoc tenet Joannes: et concedit ipse
substantiam immediiite agere; vel potest glosari illa propositio quod
substantia non agit iramediate, quod sit vera tantura iu actione reali; ista
autera actio uou est nisi spiritualis. Utrum intellectus in omni sua actione
egeat phantasmate. Altera quæstio est utrum intellectus in omni sua actione
egeat phantasmate, et hoc, loquendo de intellectione coniuncta, quæ est
respectu nostri, per quam non de novo denominaraur intelligeutes, iuxta illud
iu prirao huius, quod intelligere vel est phantasia vel aou siue phantasia. lu
hac raateria duo sunt quæ faciunt difficultateni. Vi q\^ igg ^£,.5^, detiu'
enira primo quod in omni nostra intellectione non egeamus pliantasmate, ex
textu Philosopohi, ubi dicit quod si omnia sunt in imagine, non possumus
intelligere siæ phantasmate; quare cum sit aliquid abstractum a miteria ut
Deus, et lutelligeutiæ, illud poterimus intelligere sine phantasmate; et pro
hoc maxime facit expositio Themistii super textum trigesimum uonura. Item est
ratio, quia si aliqua non sunt iu materia ut substantiæ abotrætæ et
iutentiones, ad quod opus est uti phantasmate ad iutelligendum illa? Tuuc euim
phautasraa communicaret falsam cognitionem de talibus rebus quum phanta^Smata
suut quanta et materialia, talia vero sunt abstracta ab istis. In se per la sna
so.stanza. Secundum, quod facit difficultatem, est quia, si post actualem
intellectionem, remanent species in intellectu, postquam intellectus fuerit
habituatus per istas specles, videtur quod nullo modo egeamus phantasmate. In
oppositum est Philosophus primo huius, textu commenti duodecimi, et hic textu
commenti 35', ubi dicit quod nequaquam est intelligere sine phantasraate, et
experientia est in oppositum æque, quia si non egeremus phantasmate ad intelligendum,
tunc læsa cogitativa, bene possemus intelligere ac si non esset læsa. Similiter
etiam dicatur de qualibet alia virtute interiori. Ad nihil enim istæ virtutes
prodessent intellectioni. Hoc autem est falsum, quia isti phrenesi laborantes,
etsi sint viri docti, ex altera tamen parte non possunt intelligere, licet in
intellectu eorum sint multi habitus et species. Mihi videtur quod, peripatetice
loquendo, nihil possemus intelligere sine phantasmate, loquendo de
intellectione coniuncta. Cum vero dicatur: ad quid deCh. lOlrecto serviret
iutelligendo ea quæ nou sunt coniuncta materiæ: de hoc ACCADEMIA voluit quod
intelligendo abstracta non utamur phantasmate et hoc est verum secundum eius
opinionem, quia ipse voluit quod ab æterno anima nostra esset plena speciebus a
Deo datis et uon de novo acquisitis, eo modo quo posuit Aristoteles. Sed
socundum sententiam LIZIO alitor est dieeudum, supponendo: primo, quod si
abstracta intelligimus, solum in ordiue ad ista materialia intelligimus,
negando, et dividendo ab illis conditiones materiæ, sicut dicit hic Themistius
quod immaterialia materialiter cognoseimus; quod si haberemus perfectiim
notitiam de abstractis, qualitor habent Intelligentiæ, aliter esset diceudum ad
argumontum. Ergo dicitur quod phantasmata desorviuut nobis ad intelligendum
abstracta, quia aliter non possemus ea intelligere, et non concluderet si
abstracta perfecte intelligeremus. Ad auctoritatem LIZIO dicitur quod suum
argumentum peccat per fallaciam consequentis, quæ est a destructioæ antecedentis,
qualiter nou valet; vel aliter, quod alludit ad cognitionera illam per quam
sumus felices, in qua non egemus phantasmate; ideo dicit Themistius quod illa
propositio est vera de intellectione quoad nos. Ad alterara difficultatem,
quando dicitur: si habitus sunt in intellectu ad quid egemus phautasmatibus?
Hoc argumentum non habet vim contra Averroem, quum in textu commenti trigesimi,
aperte dicit universalia intellecta colligata esse cura iraagiuibus, et ideo si
sunt cum eis colligata, semper egemus phantasraate, sed eontra Christianos et
maxiræ contra AQUINO (si veda) argumentum habet vim, quum tenemus quod in anima
separata remanoant hæ spocies æquisitæ in hoc mundo, et taræn tunc non egemus
phantasmate; ergo eadem ratione videtur quod nec nunc egeamus. AQUINO (si veda)
sic dicit quod iste est ordo naturalis ut quaradiu anima sit coniuncta corpori,
semper egeat phantasmate ad intelligendum, non autem cum separata est a corporo
Utrum cogitatlva vel alia virtus intcrior serviat intellectuali operationi.
Altera quæstio est: cum sint tres virtutes inteiiores, imaginativa, cogitativa,
et memorativa, quæritur quænam sit illa quæ imrædiate serviat intellectiiali
operationi. Notum est enim operationem intellectus dependere ab istis
virtutibus; nOn est autem possibilo quod depcndeat æque primo a1) omnibus
tribus, quare erit una quæ immediate sorviat ipsi. Ista difficultas consistit
in hoc, quia ex quo intellecta universalia siint colligata cum iutentiombus
universalibus, ut dixit Averroes iu commento 39°, et dependent ab eis in esse
et conservari, et cura ponimus habitus remanere in intellectu cessata actuali
intellectione; licet Avicenna sit iu oppositum, tamen in secta Peripaleticorum
videtur sibi contradicere. Si ergo habitus remanent in intellectu et dependent
a phantasmatibus, videtur quod cogitativa non sit illa quæ immediate serviat
iutellectuali operationi, quia cogitativa non servat pbantasmata, sed est in
medio imaginativæ, quæ servat species sensatas, et memorativæ quæ conservat
species insensatas. Cum ergo species iu cogitativa nou conserventur, sed statim
deleantur, videtur quod si ipsa esset ministra ipsius iutellectus, quod etiam
species nou remanerent in intellectu, ex quo species sunt colligatæ cum
inteutionibus imaginatis; quare videtur dicendum quod virtus serviens
intellectui sit meniorativa respectu specierum insensatarum, aut imaginativa
respectu specierum sensatarum; ex altera parte videtur quod talis non sit
imaginativa aut memorativa quum virtus immediate serviens intellectui debet
esse uobilissima omnium formarum materialinm, et propria hominis ut homo est,
sed talis virtus non est memorativa aut imagiuativa, ergo. Anterior patet ex
dictis supra et maxime in coramento vigesimo et trigesimo tertio; brevior
probatur quia memorativa aut imagitativa non est forraa nobilissima inter alias
formas uobiles, sed talis est cogitativa quæ est propria hom'.nis in quautura
homo; per eam enim virtutem homo diflfert ab aliis animalibus, cum ipsa careant
cogitativa, licet memorativam et iraaginativara habeaut, et loco cogitatik'æ
habent aliam virtuteni ut existimativam. In hac quæstione ut in ceteris multi
sunt modi dicendi. Joannes in quæstioue 15* et satis ingeniose, videtur dieere
quod ad creandam inteliectionem non solura requiritur species intelligibilis,
sed etiam actus virtutis cogitativæ, quia actus est sicut dispositio necessaiio
requisita ad creandam intellectionem; sed ad hanc speciem intelligibilem non
requiritur iste actus, scilicet immediate quautum ad speciem pendentem a
virtute ræraorativa, quæ, cum sit virtus conservativa, potest conservare
species existeutes in intellectu; et ita tenet Joannes quod ad causandam
speciem intelligibilem, in intellectu, non requiritur iste actus virtutis
cogitativæ, imo niliil facit ad hoc: sed illud quod immediate ministrat
intellectui, quoad causandas species intelligibiles, est virtus iraaginativa
aut meraorativa: memoratjva qnoad species insensatas, imaginativa quoad species
seusatas, et quia hoc non vidt-tur suflficere pro intellectione causanda, ideo
pro hoc ponit alium actum specialiorem actu imaginativæ aut memorativæ, qui
actus est sicut dispositio necessario acquisita ad intellectiones, et quoad
istum actum immediate dependet a cogitativa, et cessante ista actione
cogitativæ cessat actualis intellectio. et ita vult quod, quoad ea quæ remaneut
in intellectu, dependeat a memorativa et quoad intellectiones a cogitativa, et
habet pro se dictum Commeutatoris commento 33° ubl, iu fiue commenti, dicit
quod sine hac virtute imaginativa nihil anima intelligit. Si quis teueret hanc
opinionera, haberet niodum respondeudi ad hanc quæstionem satis probabilera, et
tunc secuudum hoc patet responsio ad arguræntum. Quia enim dicebatur nou
reraauent in cogitativa species, sed bene in aliis virtutibus: dicitur quod,
quoad istum actum qui est conservare species, non dependet a cogitativa, sed
bene in hoc actn dependet a ræniorativa. Et patet etiam respousio ad al. terum
quum dependet etiara a cogitativa quoad illum actam. Secuudura sententiam
AQUINO (si veda) esse"F3TfficiIius respondere. Licet non viderira hanc
materiam iufinite tractam 24 ab eo, ijosset tamen secundum eum dici qund
immodiate operatio intellectus dependet a cogitativa; et cum dicitur:
cogitativa nou retinet species, ergo nec intellectus poterit eas retinere cessante
actuali intellectione, seciuidum AQUINO (si veda) esset negandum quod species
intelligibiles sint colligatæ cum intentionibus imaginatis, quia dicit ipse
quod anima separata a corpore retinet habitus et species quas acquisivit in hoc
mundo. Mihi tamen videtur quod dictum Averrois sit magis sensatum, scilicet
quod species intelligibiles sint colligatæ cum intentionibus imaginatis, quum
si non essent colligatæ, cum species remaneant in intellectu, non deberemus
unquiim oblivisci, quod non sequitur secundimi Averroom, et licet istud
argumentnm non demonstret quia posset dari aliqua responsio apparens, est tamen
multum probabile; et si dicatur quæ ergo est virtus immediate ministvans
intellectui,vel dicatur ut dicit Joannes, vel aliter quod cogitativa sit immediate
serviens iutellectui; et cum dicitur species non remanetin cogitativa, dico,
quoad conservari, species pendent ab imaginativa seu memorativa; quo vero ad
produci pendent a cogitativa, numquam enim intellectus posset intelligere
aliquid qnod sit in memorativa Ch. lOSreeto aut imaginativa, nisi cogitativa
prius illud cogitaret, et iste modus posset teneri; sed liabet contra se
instantiam, quia si species quæ sunt in intellectu pendent a cogitativa quoad
produci, et non conservari, tunc non erit idem producens et conservans, quod
videtur inconveniens in istis operationibus intellectus; sed aliqui non Iiabent
hoc pro inconvenienti sicut dant exemplum de souo producto in aure: qui sonus,
etsi obiectum produceus talem sonum, non sit præsens, tamen por aliquod tempus
durat in aure; similiter oeulus qui diu versatus est in colore viridi, licet
auferatur obiectum producens talem speciem, tamen per aliquod tempus remanet
species coloris viridis in oculo. Ecce ergo qualiter non est inconvenieus agens
producens non esse conservans, quura talis species conservatur in ociilo, licet
non sit agens eam producens. Si quis ergo (non) habet hoc pro iuconvenienti potest
istum niodum acceptare, posseut et alii modi imaginari de quibus non loquor ad
præsens et sic finis tractatus de intellectu. Utrum in absentia sensibilis
possit creari sensatio. Quum dictum est quod hoc modo fit seusatio, scilicet
quod sensibile imprimit suum simulacrum in ipsum sensum, et quod sensatio
niliil aliud est quam illud simulacruui existeus in potentia sensitiva debite
et sufficienter dispositum per sanguinem et per spiritus. cadit modo dubitatio
an iii absentia sensibilis possit creari sensatio; et videtur quod non, quum
LIZIO, iu textu commenti sexagesimi libri secundi, dixit quod sensatio est
alteratio et passio sensus a sensiliili; ergo si non adsit sensibile non
alterabitur nec movebitur ab eo sensus, ergo non fiat sensatio secundum LIZIO,
quare. Item secundura nos hoc videtur impossibile, quia sensatio non est aliud
quam simulacrum; modo si non existet sensibile, non existet eius simulacrum, ex
quo tale a sensibili effective prcducitur; ergo implicatur quod sensibili non
existente sit sensatio. Oppositum tenet Commentator in libello De somno et
vigilia et in libro de Golliget; unde, ut ipse ostendit, duobus modis accidit
quod seusatio fiat sine sensibili. Unum modum pouit in libro De somno et
vigilia et alium modum in Coll. In libro De somno ponit quod in somno accidit
quod sentiamus sine sensibili, sicut quandoque iufirnii sentiuut dulcedinem vini,
licet non biberint viuum, vel si biberiut, illiid tameu uou est dulce et est
alteiius saporis. Ecce quod æger gustat et sentit dulcediuem viui, licet dulce
illi uon sit pvæseus. Quomodo autem sit possibile, dicat Commentator, et dicit
quod hoc modo fit: uatura primo sensibile agit iu seusura exteriorem impiimendo
in illum suum simulacrum, demum sensus exteiior imprimit simulacrum qiiod iu se
liabet iu seusum communem, sensus vero communis eodem modo agit in imaginativa,
et in imaginativa reservatur ipsa species et hoc fit in ordine recto. In ordine
vero retrogrado fit modo contrario. Imaginativa enim quæ sibi reservavit
speciera sensibilem, eam imprimit in sensum exteriorem, et sic sensus exterior
movetur iterum a specie sensibili, licet ipsum sensibile actu non existat, et
non sit præseus. x\lium modum dat commentator in libro CoU. quomodo idem
contiugat, et diiit quod hoc etiam contingit in vigilia. Natura sunt quaudoque
aliqui ita abstracti cogitando circa aliquod quod prius senseruut, ut eodem modo
sensus exterior priucipiet simulacriim ipsius rei de qua cogitat, licet talis
res non actu e.xistat; et isti ita sunt angeli visi, dicit Commentator, uou
quod angeli videautur, sed quia aliquis ila iutense cogitat de angelis visls
(ut) species angelorum producatur ab iraagiuativa iu sensu communi, et a sensu
communi iu sensu exteriori, et sic iudieabit sensus exterior se videre angelos,
quod non erit ita. Qnod si ita esset, ut dicit Commentator, quid edt de lege
nostra quæ pouit quod angelus Raphæl VISVS est a Tobia? et quid de augelo
Gabriele qui VISVS est a Beata Virgine? Possemus enim dicere quod isti angeli
uumquam visi sunt ab aliquo homine, sed homines cogiLant.'S de angelis
crediderunt se vidisse angclos. Similiter possemus dicere do Ciiristo quod ipse
non iutravit ad apostolos ianuis clausis, quia ita imaginabatur de Christo, et
sic periret tota lex nostra; quod si ita esset quid facereut isti raiseri
patres et maxime isti zoculautes, qui tantam abstiuentiam faciunt sed peius est
quod AQUINO (si veda), qui fuit vir ita divinus et sapiens, fuit huius
opinionis. Videatis ipsum in Quæstionibus disputatis, ubi expresse affirmat
quod diabolus multoties mittit speciem alicuius seusibilis delectabilis ad
sensus hominis, ut in eis inducat malas cogitationes et faciat eos peccare, et
citat Rabbi Moyseu qui dicit quod homines aliqui suut qui dicuut se loqui cum
Deo, et falsum est, quia uon est verum quod cum eo loquantiir, sed cogitando de
illo, videtur eis quod secum loquatur. Si
ergo ita sentit AQUINO (si veda), quid erit de lege uostra ? Hanc opinionem
iuuititur impugnare RIMINI (si veda); et primo, quia data ista opinioue,
auferretur tota lex nostra et omuis certitudo de lege, clarum est ex dictis,
quum secuudum illam opiuiouem possent multa uegari quæ les affirmat. Quod autem
omnis certitudo auferatur, data illa opinione, osteudo quum, secundum illam
opiuionem, nou essem certus an essem uunc iu schola ista, aut in aliquo alio
looo; sirailiter non certus an vos essetis Iiic au non; quia facile mihi
videtur quod uos omnes simus iu ista schola quia cogito nos esse in ista
schola, et sic erit de quacumque alia re, et ita nulla erit certitudo in nobis.
Multa alia sophisraata adducit RIMINI ad destruendam istam opinionem quæ
transeo ne sim tædio. Credo quod in parte verura sit quod dicitur a
Commentatore; ueque ex hoc aufertur certitudo, quia, ut huic vel simili
argumeuto respoudet Ccmmentator, quod uuus sensus decipiatur est possibile
sicut oculus iu visione baculi existeutis iu aqua, quia iudicat ipsum esse fractum
et quod iu rei veritate non est fractus; sed quod omnes uut plurcs seusus
decipiautur circa idem obiectum uou couliugit, quia uuus ceitificat alterum
sicut tactus certificat nos de baculo quod non sit fractus, quum per visum
iudicatus est esse fractus. Si ergo ibi dicit Commentator quod cerlitudo
sensibilis non sumitur ab uno seusu, solum quia uuus sensus potest decipi circa
uuum obiectum, sed sumitur certitudo ipsius seusus ab omuibus aut pluribus
sensibus exterioribus, quia non accidit quod plures sensus decipiantur circa
idem obiectum, ita dico ego in proposito quod ex opinione AQUINO (si veda) non
tollitur omnis certitudo, quia licet in visione ipsius Abraam coutigisset quod
uuus homo fuisset deceptus, non possemus tamen dicere quod totus populus qui vidit
Abraam sit deceptus. Consimiliter quaudo Christus apparuit discipulis et
iutravit ianuis clausis, non possemus dicere quod hoc fuerit quia ita visiim
est omnibus apostolis quia cogitabaut de illo; quia licet hoc possemus dicere
de uuo, quia hoc est satis probabile, non tamen de omnibus apostolis possemus
hoc dicere, quia nou est credeudum quod omues, qui erant sexagiuta, imagiuareut
de eadem re, sed uuus cogitabat de uua et alter de altera re; ideo nou
posseraus dicere quod omuibus illis per eamlem visionem visum sit videre
Christum iutrare ianuis clausis. Unde recitatur iu uua epistola Sancti Petri
quod cum apostolis suporvenisset Spiritus Sauctus, et loquebatur unusquisque
magnalia diversis sermonibus. Credebant apostoli, se esse hebræos, sed quum unusquisque
videret omnes alios eodem modo loqui diversis linguis, certificati suut omnes
se uou esse hebræos, sed hoc esse quia repleti spiritu sancto, et ita cum
uostra opinioue salvatur veritas legis, salvatur etiam omnis certitudo, quia
sensus certificant me quod sim in hac cathedra; et tunc ad argumentum dico quod
seusatio fit cum sensibile agit in sensum. Dicitur quod LIZIO loquitur de
sensatione quæ est actio recta, non de actioue reflexa qualis est sensatio quæ
fit siue ipso seusibili, et ad argumeutum supra quod maxime fuudatur RIMINI,
scilicet: si est sensatio oportet quod sensus moveatur a sensibili, ergo si
sonsus debet moveri a sensibili, oportet quod sensibile existat in actu, quia
omne quod movetur secuudum quid, movetur etiam in ætu, ergo repugnat quod sit
sensatio et seusibile uon sit præseus; item LIZIO infra, in capite de olfactu,
dicit nihil aliud est olfactus, nisi quod olfactibile sit præseus ipsi olfactui
et moveat sensum, quare. Dico quod primuni argumentum nihil est, quia infirmus
patitur a viuo dulci quod sibi videtur amarum; si ergo fiat istud argumentum:
iste æger sentit et gustat hoc vinum esse amarum, ergo hoc viuum est amarum,
clarum est quod argumentum nou valet. Ita uon valet argumentum Gregorii: sensns
patitur, ergo sensibile est præsens, et in re ad extra; sed suflicit quod, si
habet fieri seusatio, quod sensatio existat secundum esse spirituale. Si autem
habet sentiri seusibile secuudum esse reale, oportet. dicit Themistius, quod
solvantur tres conditiones, scilicet debita dispositio es parte organi, et
similiter ex parte medii et debita distantia sensibilis a sensu. Sciendum tameu
quod, licet sentiamus id quod non est modo dicto, non dicimus tameu tunc quod
seutimus, sed dicimus quod videmur sentire; sicut ego cum eram iuvenis delectabar
mirum in modum audire sonum tibiarum, et imraorabar per duas vel tres horas ubi
sonarent tibiæ, dein exibam et ibam domum, et cum eram domi videbar audire
souum tibiarum quia adhuc reservabatur spncies soui tibiarum, et dicebam videor
audire quia sciebam quod uon sonabant tibiæ ibi, sicut mihi videbatur ; ratio
autem quare, verbigratia, dicimus audii-e tibias sonantes est quia tuuc
decipimur, et non vere audinnis, quia iu re nou est sonus tibiarum. Similiter
dicimus quod remus videtur nobis fractus et uon dicimus quod est fractus, quia
rei veritate uou est fractus, et sic verum est quod nihil vere sentitur nisi
ilhid sit existens præsens, et hoc forte volebat Gregoriusin secundo argnmento.
Ad aliud dicatis qiiod de olfactu loquitur, de ea quæ est actio recta, non
autem de ea quæ est actio reiiexa, sicut ad præsens nos loquimur de sensatione.
Utrum cogUatlva
denudet speciem substantiæ a sensihiUbus propriis et communibus. Dicebat
Commentator quod cogitativa denudat speciem substantiæ a sensibilibus propriis
et communibus. Circa hoc dubitatur quia non videtur verum; quia si cogitativa
deuudaret speciem substantiæ a seusibili commuui et proprio, tunc cognosceret
speciem substantiæ sine quautitate et loco, et similiter tempore, et tunc
cogitativa cognusseret universaliter, quia omnis virtus cognoscens aliquid
abstractum a quantitate et loco cognoscit universaliter, et sic esset
intellectus. Item implicat quod recipiatur species substantiæ sine quantitate,
quum secundum Commeutatorem, primo Physicorum, quantitas est principium
individuationis. Expugnat ergo quod una species sit in cogitativa sine
quantitate. Secundum quod facit ditficultatem est quia omne receptum recipitur
secundum naturam recipientis; sed cogitativa est cum quantitate, cum sit virtus
materialis et estensa; ergo species substantiæ recipietur in ea secundum
quantitatem. Ad hauc dubitationem dari possuut duo responsiones; prima est,
quod argumenta differunt; sed Commentator noluit quod cogitativa denudet
speciem substantiæ ab omnibus scilicet sensibilibus communibus, quia de facto
cognoscitur talis species cum quautitate, sed voluit Comnientator quod ab
aliquibus sensibilibus commuuibus deuudet speciem, scilicet a motu et a numero.
Sed hæc responsio videtur extranea, primo quod faciat Commentator intellectum
perfectum ; secundo, quia cum video album, video ipsum cum quantitate et
similiter cum figura, motu aut quiete, et cum uumero.quia aut est unum aut
plura; quare videtur quod illa expositio non sit conveuiens. Ideo do aliam
responsionem concedendo quod cogitativa denudet speciem substantiæ ab omuibus
sensibilibus commuoibus. Et tunc, ad primum dicatis quod licet cogitativa
apprehendat speciem substantiæ sine quintitate et situ, non tameu sequitur quod
cogiiativa cognoscat universaliter, quia illa intentio esl; una et siugularis
licet sit sine quantitate; quod si quæritur per quod talis species sit una,
dico quod est una per se ipsam et non per ipsam quantitatem; formæ enim per se
ipsas sunt ununi et nou per quantitatem, nec quantitas est causa distinctionis
unius ab altera, sed formæ ex se ipsis distiugurmtur et priores sunt
quautitale; et sic ad primum prima responsio. Ad secundum vero dicemus quod,
licet species substantiæ sit recepta in cogitativa per modum quantitatis et
extensionis, uon tamon oportet quod extense, et per modum quantitatis
reputemus. Aliter possemus dicere, sicut AQUINO (siveda) et alii, quod omnes
animæ animalium perfectorum sint indivisibiles, et dicunt ad illud argumentum
quod fit contra eos; omæ receptum recipitur secundum naturam recipientis, sed
materia est quanta et estensa, ergo anima quæ in ea recipitur est extensa et
divisibilis: dicunt isti negando anteriorem illam, secundum quod sic absolute
profertur, quia secundum eos non oportet si aliquid recipiatur in materia extensa,
ut illud receptum sit exteusiuu et divisibile. Sed dicunt quod iOa auterior
curreus per ora pbilosophorum debet intelligi secundum capacitatem; sic dico
ergo ego in proposito, quod non oportet ut species substantiæ recipiatur cum
quantitate, licet recipiatur in virtute materiali et extensa, et ad illam
piopositionem omne receptum etc secundum capacitatem. Quare. Utrum tactus sit
nobilior visu. Circa textum et commentum 34" cadunt aliquæ difficultales.
Prima est quia videtnr contradictio iu dictis Pliilosopbi bic, et in principio
Metapbysicorum. Similiter et in De sensu et sensato, quum hic dicit quod
habemus perfectissimum tactum, in prœmio Metaphysicorum dicit quod perfectior
est in nobis sensns visus quia plus sic nobis differentias ostendit, ideo ipsum
valde diligimus quia et subcoelestia et ipsa corpora cœlestia nobis ostendit,
quod non sic est de aliquo alio sensu. Ideo talis sensus est valde perfectus.
Ifem in De sensii et sensato dicit LIZIO quod sensus auditus est valde
perfectus quia est sensus disciplinæ: pe;' auditum enim percipimus verba
præceptoris, quorum signis explieitis a doctore fimus scientes, et ita in uno
loco videtur dicere LIZIO visum esse in nobis perfectiorem tactu, in alio vero
loco ipsum auditum: liic autem dicit tactum esse perfectissimiim in nobis,
quare expressa apparet contradictio. Dicatur quod verum est quod visus est
perfectior quantum ad id quod facit cognoscere, quia multa plura et perfectiora
cognoscimus per visum quam per tætum: per accidens tamen tactus perfectior est
ipso visu, scilicet ratione suæ complexionis, tum quia est fundamentum omnium
aliorum sensuum, tam interiorum quam exteriorum; pari ratione dicatur de
auditu, quod scilicet auditus est perfectior quantuiu ad id quod facit nos
cognoscere, tactus vero ratioue complexionis. Utrum gustus sit perfectior
olfaclu vel e contra. Tertia dubitatio est quam hic movet Themistius: quia quod
dicitur ab LIZIO videtur falsum, scilicet quod nomina odorum transferautur ab
ipsis aliis sensibilibus, quia gustus est in nobis (magis) raauifestus, seu
maior olfactu; modo hoc, ut dicit Themistius, videtur falsum, scilicet quod
gustus iu uobis sit perfectior, quia gustus videtur esse æque perfectus sicut
olfactus, quod probat Themistius assumendo rationem Philosophi. qua ipse ostendit
quod olfactus sit in nobis imperfectissimus. Ratio Philosophi fuit, quia non
olfacimus r.isi cum lætitia aut tristitia, ergo iste sensus est in nobis valde
impsrfectus. Modo dicit Themistius eodem modo arguo de gustu, quia quæ equidem
gustamus, gustamus cum lætitia aut tiistitia, quia sapores sunt dulces aut
amari, aut ex illis commixti; si dulces, appreheuderaus a gustu cum lætitia, si
amaros cum tristitia: sic etiam est de mediis secundum quod magis
appropinquantur dulci aut amaro; ergo si ratio quare in nobis sit impcrfectus
olfactus, est quia nonolfacimus nisi cum lætitia aut tristitia, eadem ratione
coucludam gustura esse in nobis ita imperfectum sicut olfactum. Ad hanc dubitatiouera, non præferens me Themistio,
credo quod posset sic redici. Notaraus, dixi credo dubiose loquendo et non
assertive, quia responsionem quam dabo, uon dabo per modum determinautis, quia
si Themistius non est ausus solvere lianc dubitationem qui fuit tantus
philosophus, tanto magis debemus iios modeste loqui; sed quod dicam, dicam
coniecturando, pro quo sciendum quod aliqui sunt qui non lætantur aut
tristantur nisi in re magna, licet PORTICO dixerint quod nec iu magiiis nec in
parvis debemus lætari aut tristari. Verum ACCADEMIA et LIZIO oppositum tenuerunt: iii rebus
magnis licet nos tristari aut lætari, quia hoc est naturale. Neque est opinio
Stoicorum quod non liceat in re magna. Unde, ut scribitur, cum quidam stoicus
haberet iter versus Athenas, dum esset in intinere cecidit ex ære tempestas
maxima; ex cuius adventu maxiræ turbatus est ille stoicus; quod cum vidissent
qui cum eo erant, dixerunt: tu qui stoicus es turbaris ita ista tempestate? At
ille dixit, conturbor quidem quia in re magna licet contristari. Aliqui ergo
sunt, qui in re magna solum tristantur, et lætantur modo in re parva; aliqui
vero sunt qui licet piiidentes sint, ex aliqua modica re tristantur et
lætantur, quod est ex aflfectione et amore. Sicut cum essem Paduæ accidit ut
ibi fieret præludium. Erat autemquidam senex, qui habebat filiumin præludio,
qui si modicumbene se habebat, dilatabatur os eius usque ad aui^es pro lætitia
quam habebat erga filium; si non modice, male se habebat et angustiabatur senex
pro tristitia. Multi ergo in parvis lætantur. aut tristantur. Ubi autera non
sit affectio aliqua aut passio, in parvis non licet lætari: hoc enim faciunt
stulti, sed in rebus magnis licet tristari aut lætari. Hoc stante possumus
arguere quod olfactus sit in nobis iraperfectus, quia cum non sit multa
unigenitas naturæ hominis circa affectionem ad sensum olfactus, ideo si non
olfacimus nisi cum lætitia aut tristitia, hoc arguit quod olfactus solum
percipit magnas differentias odorum, et ita olfactus arguitur imperfectior.
Modo cum sit unigenitas maxima naturæ hominis ad gustum nt tactum, quia suot
sensus salvantesindividuura in vita, ideo sive parvæ, sive magnæ sint saporum
differentiæ.in perfectione earum lætatur aut tristatur gustas, et ideo licet
non gustemus nisi cum lætitia, aut tristitia, non tamen sequitur quod sit
gustus æque perfectus sicut olfactus: quia ex quo non est lætitia aut tristitia
in parvis, sed solum iu rcagnis, ubi non est affectio et homo non habeat
affectionem ad olfactum, ergo si non olfaciat nisi cum lætitia aut tristitia
non percipiemus nisi magna olfactibilia: et ita sequitur olfactus imperfeetio;
modo cum homo habeat affectionem ad gustum, licet non pereipiamus gustabilia
nisi eum lætitia aut tristitia. -non tamen ex hoc sequitur gustus imperfectio:
quia licet non gustemus nisi cum lætitia, aut tristitia, tamen ex affectione
quam habemus ad gustum, non solum circa magna sed et cirea parva gustabilia
lætamur aut tristamur in perfectione eorura. Ideo non sequitur etc. Quare.
Quomodo gustus sit quidam tactus. Circa textum et comræntum 101' oritur
dubitatio quam movet AQUINO (si veda), et præcipue circa iliam partem in qua
LIZIO probat quod gustus sit quidam tactus. Dubitatio ergo est quia si
gustabile est quidam tangibile, et. gustus est quidam tactus, ut dicit LIZIO,
non essent nisi quatuor sensus exteriores, non autem quinque; quia giistus non
ponitur in numerum cum tactu, quia species non ponitur in numerum cum suo
genere. Gustus autem est species tactus, est enim quidam taclus, ut Ch.228verso
dicit LIZIO, quare etc. Respondet AQUINO (si veda) quod, cum dicitur quod
gustus sit quidam tactus, hoc potest iutelligi duobus modis: uno modo. qiiod
sit species tactus sic quod et gustus percipiat qualitates tangibiles, et lioc
modo est falsum quod gustus sit quidam tactus, imo gustus et tactus sunt
diversæ poteutiæ diversa obiecta respieientes. Alio modo potest iutelligi quod
gustus sit quidam tactus similitudinarie, et isto modo intelligit Aristoteles
cum dicit gustum esse quemdam tactum: similitudo autem est quia sicut tactus
non indiget medio extrinseco, ita gustus eo nou indiget; ideo gustus, secundum
hoc, videtur esse quidam tactus: nihil aliud dicit AQUINO (si veda). Ista
responsio, licet sit conveniens, non tamen videtur ex toto satisfacere, quia si
ideo gustus dicitur quidam tactus quia, sicut tactus, non iiidiget medio
extrinseco, sed solo iutrinseco, ita ut gustus ; pari ratione olfactus dici
posset quidam visus, quia, sicut visus eget medio extrinseco, ita olfactus: sed
olfætus non diceudum quidam visus ; nullibi enim hoc dixit LIZIO, quare nec
illa ratione assignata ad AQUINO (si veda) gustus deberet dici quidam tactus.
Dices forte quod æque bene olfactus potest dici quidam visus sicut gustus
dicitur quidam tactus, licet LIZIO dixerit de gustu et non de olfactu; sed
licet ita posset dici, illa tamen responsio Thomæ non quadrat responeioui quam
dixit LIZIO quod ideo gustus est quidam tactus, quia gustus est quidam humor,
et humor est quoddam tangibile; et ita videtur velle Aristoteles quod ideo
gustus est quidam tactus, quia percipit humorem qui est quoddam tangibile, seu
perceptibile a sensu tactus. Dude, ut dixit Commentator, impossibile (est) quod
gustus percipiat saporem nisi prius percipiat humorem, et ita non vult LIZIO
quod gustus dicatur quidam tactus rationc quam adduxit AQUINO (si veda), sed
ratione quam adduximus nos. Sed tunc stat altera difBcultas quia humor nou est
sensibile proprium sensus tactus, quia seusibile proprium est quod per se
sentitur ab imo seusu tautum; sed humor non solum a tactu percipitur sed etiam
a gustu; quomodo ergo erit humor sensibile proprium, quare. Nec nostra
responsio videtur sufficiens. Ad hoc possent dari multæ respousiones. Primo
dicerem quod gustus non percipit illum bumorem, sed cum gustus et tætus iu
liugua fundetur, iu eodem nervo, ille nervus est qui percipit ilium hiimorem,
non autem gustus. Unde gustus non posset percipere saporem, nisi ille
humifieret, nec ob hoc sequitur quod gustus percipiat talem humiditatem. Non
enim sequitur: hic sensus non potest percipere sapores nisi mediante
humiditate, sicut non sequitur: visus non percipit colores nisi habeat
humiditatem, nam si distillaretur illa humiditas ab oeulo, nou posset oculus
percipere colores, ergo visus percipit illam humiditatem, quare. Sed ista
responsio non videtur consona verbis Commentatoris, quia Commentator non dicit
quod gustus non percipit sapores nisi humetiat, sed dicit nisi percipiat
humorem, et ita vult Commentator quod sicut gustus percipit sapores, ita
percipiat humorem. Ideo posset aliter dici quod Commentator erravit, et fuit
illius opinionis, vel et aliter sustinendo Commentatorem, gustus, in materia
gustus, percipit illumhumorem et non potest gustus percipere sapores nisi
illius materia scilicet uervus percipiat illum humorem. Ut etiam aliler dicatis
quod gustus in rei novitate veritate percipit illum humorem, et sic etiam
percipit saporem, et non perciperet saporem nisi prius perciperet humorem. Et
cum dicitur quod tunc humor ille non esset sensibile proprium sensus tactus,
consequeuter etc; cum autcm dicitur quod seusibile proprium est quod ab uno
solo sensu sentitur; didtiir quocl seusibile iiroprium al) vuio solo seusu
sentitur per se et solitarif, sed bene potest tale sensibile ab alio senau
sentiri non solitarie, sed ut est coniunctum cum alio sensibili; et sic in
proposito, licet humor percipiatur a gustu, non tamen ex lioc tollitur, quando
sit sensibile proprium sensus tactus, quia a solo tactu solitarie [lercipitur,
et non ut est coniunctus cum aiio seus'bili. Si autem percipiatur a gustu, uon
percipitur ab eo solitarie, seJ ut cum eo est sapor, qui est obiectum proprium
yustus. Et sic satis. Teneatis respousionem quam volueritis. Ulrum grave et
leve sint substantiæ. Modo iu hoc quod dixit Commentator est dubitatio an grave
et leve sint substanliæ. Pro parte affirmativa est Commentator, qui expresse
lioc f.itetur; pro parte vero negativa suut plurimæ auctoritates Philosophi st
rationes. Prima est auctoritas Phiiosophi quiuto Metaphysicorum textu
commLMiti, 15' ubi expresse dicit quod sicut caliditas et frigiditas sunt in
terLia specie qualitatis, sic gravitas et levitas sunt in tertia specie
qualitatis, uon erjo suut gravitas et levitas formæ substantiales. Secunda
auctoritas Philosoplii est iu secundo De geueratione, textu commeuU, ubi vult
idem, quare. Aliquæ auctoritates adducerem, sed quia in istis duobus locis, expressa
iutentioue et per se determinat de gravi et levi, si vero alibi de hoc dicit
aliquid, ut in septimo Metaphysicorum ex iucidenti, et cum(?) non ex propria
intentione, hoc modo, scilicet ideo, volo (vos) esse conteutos his duobus
rationibus. Ratioues vero pro ista parte adsunt
plures, prima vero est hæc. Nulla coutraria sunt subitautiæ, grave et leve sunt
coutraria, ergo non sunt substantiæ. Alteram ponimus per Aristotelem iu cap. de
substantia, ubi dicit quod in substantia uou est contrarietas, ergo quao sunt
contraria uou sunt substantiæ. Illud idem dixit LIZIO in quinto Physicorum.
Quod autem grave et leve sint contraria pouimus per LIZIO quavto Cœli et in
secundo De generatioue, quare. Secunda ratio est: nullum immediate productivum
operationum est substantia. Proposilio liæc accipitur a Philosopho in De sensu
et sensato, ubi dieit quod ignis, quatenus igiiis, uon est activus, sed
quatenus calidus, et sic non vult Pliilosophus quoi iguis concurrat ut agens
immediatura et per se ad aliquam operationem effective, sed grave et leve
immediate producunt motus ascensus et descensus, ut ponimus ex primo Coeli,
ergo. Tertia ratio. NuIUim per se sinijibile a sensu exteriori est subiectum. Ista est communis conceptio, et
quasi una maxima, quia, ut commuuiter dicitur, sensus non se profundat usque ad
substantiam rei. Verum est quod Commentator voluit quod sensus nou iu quautum
seusus, sed ia quantum sensus humanus, cognoscit substantiam. Sed Commentator iu hac sua fatuitate deviat a
veritate et sibi ipsi contradicit. Sed grave et leve per se sentiuntur secundum
sententiam LIZIO. Non eiiim est obiectum, sicut dicunt quidam pædagogi, quod
grave et leve sentiuntur per accidens, quia LIZIO vult quod eontrarietas levis
et gravis cum coutrarietate calidi et frigidi faciat tactum esse plures seusus;
quod nou esset si grave et leve esseut sensibilia per accidens; sensibilia enim
per accidens non plurifioaut seusum, qnare. Item videtur irratiouabile quod
substantia cognoscatur a seusu, quia vix intellectus potest coguoscere ipsam
siibstantiam; imo, iit dixit SCOTO, substantia non cognoscitur nisi per maginim
discursum, licet in lioc opinio Scoti contradicat LIZIO. Cum ergo laboret
iatellectus ad cognoscendam substantiam, irrationabile est concedere quod
substantia a sensu cognoscatur, sive quatenus est sensus, sive quatenus est
humanus; imo concedendo quod gravitas et levitas sint substantiæ, non solum
habemus concedere quod sensus, qualis talis sensus, sed qualis sensns,
cognosceret substantias, quia non solum homo, sed etiam bestiæ sentiunt
gravitatem et levitatem. Item secundum fidem et secundum tenentes quod substantia
non suscipiat magis et minus, non possumus tcnere quod gravitas et levitas sint
substantiæ. Secundum fidem hoc sustineri non potest quia Eucharistia est gravis,
quia videmus quod descendit, et tamen illa gravitas non est substantia, quia in
Eucharistia non est aliquid de substantia, quod erat in illa antequam
consecraretur, neque substantia corporis Christi est gravis; ergo gravitas a
qua provenit ille motus descensus est accidens, et quædam qualitas. Secundum
etiam tenentes substantiam non intendi aut remitti, non possumus hoc sustinere
quia gravitas et levitas suscipiunt magis et minus, et nulla substantia recipit
magis et minus; ergo gravitas et levitas non sunt substantia, sed accidens. Sed
quod ad Commentatorem qui expresse dicit quod sunt substantiæ? Primo, possumus
dicere quod Coræntator erravit, nec est adhibenda fides ipsi Commentatori, quia
in hac difficultate roperitur solus Commentator et in contradictione; in
pluribus enim locis dixit oppositum, ubi voluit quod sint qualitates et non
substantiæ. Ideo possemus dicere, sicut dicunt legistæ, quid quando inveniunt
aliquem suorum doctorum in uno loco dicentem unum, et in alio oppositum, dicunt
quod est una bestia, quia sibi contradicit; nec talis debetur sustineri, quia
nescimus quam partem tenuerit pro firmo, cum in uno loco dicat unum et in alio
contrarium, sicut uos possumus dicere; volentes tamen honorare Commentatorem,
dicemus quod una et propria opinio Commentatoris est quod gravitas et levitas
sint qualitates de tertia specie et non substantiæ. Quod autem dixitCommentator
in hac digressione, scilicet quod sunt substantiæ, non dixit secundum propriam
opinionem.Unde non possumus non mirari de quibusdam fatuis. quia adscribunt
hanc opinioneraCommentatori tamquam sit illius sententiæ,quia solum in isto
Commento hoc reperietis: in iufinitis vero locis reperietis ipsum dicere quod
sunt qualitates et accidentia non autem substantiæ. Teneatur ergo pro firmo
quod opinio propria Commentatoris est quod grave et leve non sint substantiæ,
sed qualitates de tertia specie. Sed dices si hæc opinio est Commentatoris
quomodo vocabitur sua ratio, quæ probat quod tangibile uon est unum obiectum,
quia scilicet calidum et frigidum sunt in prædicamento qualitatis, grave vero
et leve in prædicamento substautiæ? Dicatur quod uon probat illud per hoc, sed
quia grave et leve habent diversum modum immutandi sensum tactus a calido et
frigido, quumgrave et leve immutant per motum localem, illa vero alia sine
motu. Ideo ex diversitate modi immutaudi sensum tactus sequitur pluralitas in
ipso tactu. Utrum gravc et leve cognoscantur absque motiv. Circa idem commentum
cadent difficultates,numquid grave etleve non cognoscantur nisi per motumut
vero diceret Commentator. Videtur enim quod non possint cognosci sine raotu
locali, sicut experientia testatur, quia non sentimus an aliquid sit grave vel
leve uisi illud poiideremus, ponderatio vero non fit nisi cum motu locali. Hæc etiam videtur sententia Commentatoris in
digressione quæ dicit quod uon cognoscuntur grave et leve uisi mediante motu.
lu oppositum arguitur quod.cum motus sit sensibile commuue, ti non percipiatur
grave aut leve nisi mediaute motu, non sentiuuturni&i mediante seusibili communi;cum
autem sensibile commuue non percipiatur sine sensibili contrario prius
percepto, per quod ergo proprium sensibile perciperetur motus ille mediaute quo
cognoscimus grave et leve? Quod si dicatis quod sensibile proprium per quod
motus coguoscitur sit calidum aut frigidum, hoc non videtur, quia possumus
seutire gravitatem aut levitatem uulla liarum qualitatum percepta, quod ergo
eiit propiium et per se sensibile per quod iste motus comprehenditur, nou
videtur esse nisi calidum, quare. Ad hanc dubitationem cousuevi alias aliter
dicere, sed inveni unam aliam respousionem quæ melior est quam illa alia.
Diceudum ergo quod prius percipio hoc esse grave quam percipiam ipsum moveri,
et sic de levi dicatur, et mediante gravitate percipio motumgravis qui cst
sensibile commune. Sed dices: quod dices ad Commentatorem quod dixit quod nou
seutitur gravitas aut levita? nisi mediante motu? Dico quod hoc uon dicit
Commentator si bene inspiciautur verba eius, sed dicit Commeutator: uon
sentitur gravitas aut levitas uisi grave aut leve moveatur, et diceret: ergo
nou percipitur gravitas et levitas nisi mediante motu. Primum enim verum est,
secundum vero falsum. Unde, licet motus sit prior natura quam perceptio iUarum
qualitatum, prius tamen iliæ a sensu cognoscuntur quam talis motus, quare.
Numquid sensus tactus sint phires. Circa illam quæstionem. numquid seusus
tactus sint plures secundum sit uua potentia, factum est argumentum quod est
tale: si tactus essent plures sensus, non tantnm essent plures sensus
exteriores, sed plures quam quinque; sed tantum sunt quinque sensus exteriores,
ergo tactus non est plures seusus sed unus. Ratio est boua quia cst
coniradictio talis facta ex destructione consequentis ad destructionem
antecedentis. Argumentum declaratur, quum si sensus tactus uon esset unus sed
plures, ad minus essent duo sensus, quia minor numerus qui potest repeiiri est
numerus binarius; sed alii sensns exteiiores a tactu sunt qnatuor: visus,
auditus, olfactus et gustus: modo duo et quatuor faciuut sex, ergo ad minus essent
sex, et sic esseut plures quam quinque et uon tantum quinque Aristoteles
ubicumque loquitur de sensibus erterioiibus et etiam Ecclesiastes dicifc:
peccasti in quinque sensibus; quare sequitur quod seusus tactus non sit plures
sensus. In oppositum est LIZIO in capite hoc. Ad hoc argumentum difEcile est
respondere. Respondet enim AQUINO (si veda) quod sensus esteriores sunt tantum
quinque, et sensus exteriores sunt plures quam quinque, nec ista contradicunt,
quod declarat; nam sensus exteriores, secundum species, sunt plures quam
quinque, quum tactus sunt plures secundum speciem,cumplures sint potentiæ
tactivæsecundum speciem;et itæuumerandopotentias tactivas cum aliis quatuor
potentiis aliorum quatuor sensuum exteriorum, secundum speciem plures sunt quam
quinque sensus exteriores, seu potentiæ sensuum exteriorum. Secrmdum vero genus
proximum, tantum sunt quinque sensus exteriores, quum potentiæ tactivæ
conveniunt omnes in uno geuere proximo, ratioue.cuius sunt ut ui.a poteutia: et
sic sensus, secundum genus proximiim, fit unus sensus; et sic numerando tactura
f um aliis sensibus sunt tantura qninque. Genus autem proximum secundum quod
potentiæ tactivæ conveniunt seu in quo conveniunt et fiunt quodammodo una
poteutia, sunt sie quia omnes potentiæ tactivæ percipiuut proprias
contrarietates, per se, per medium iutrinsecum, et per accidens, per medium
extrinsecum; et ideo quia omnes potentiæ tactivæ in hoc genere proximo,
scilicet in uno modo percipiendi sua tangibilia, ideo ratione huius generis
proximi, omnes firmt ut una potentia et tactus fit uuus sensus; seciindum ergo
speciem sensus exteriores sunt plures quam quinque, secundum vero genus
propinquum sunt præcise quinque; et hoe modo loquitur Aristoteles de sensibus
exterioribus cum dicit iilos esse quinque, et non prirao modo secundum speciem.
Sed ista responsio licet videatur prima facie satisfacere, interius tamen
perscrutanti videtur non posse stare, quia si concedis quod potentiæ taotivæ
sint plures quam quiuque, et una secundum genus proximum, quod sumitur ex modo
sentiendi per se, per medium intriusecum, et per æcidens, per medium
extrin.^ecum ; si ista sit causa præcisa quare potentiæ tnctivæ siut una
potentia, quia scilicet omnes sentiunt per se, per mediuni intriusecum,
sequitnr quod tantum essent quatuor sensus exteriores, quura, cum gustus et
tactus eodem modo sentiunt, scilicet per medium intrinsecum, gustus et tactus
cssent unus sensus, quia conveniunt in uno geuere proximo quod est sumptum ab
uno modo sentiendi. Item non tantum quatuor, sed duo essent sensus exteriores.
Probatur quia tres sensus,' visus, auditus et olfactus sunt uuus sensus, cum
conveniunt in uno genere proximo sumpto ex eodem modo immutandi seu sentiendi,
quia omnes illi tres senliunt per se, per medium extrinsecum; gustus vero et
tactus essent uuus alius sensus, ut visum est, quare tantum duo essent sensus
exteiiores. Ideo AQUINO in prima parte et in Quæstionibus disputatis dedit
aliam responsionem et eura secutus est ROMANO liie in expositione. Dicunt enim
quod sunt quinque sensus exteriores, quia simt quinque modi immutandi ipsos
sensus: sumuntur autem isti modi sic: quia in mutatione sensuum exteriorum, aut
obieetum tantum specialiter immutatur, et ex isto modo immutandi sumitur una
potentia quæ est potentia visiva; aut obiectum realiter immutatur per motum
localem, organum vero specialiter, et ex isto modo sumitur iraa alia poteutia
quæ est potentia auditiva; aut obiectum conveuienter immutatur per motum •
alteratiouis et orgauum specialiter, et ex hoc modo sumitur tertia potentia quæ
est potentia olfactiva, fit enim olfactio per fumalem evaporationem quæ non est
sine motu alterationis; :n tactu vero et gustu est etiam immutitio realis ex
parte obiecti, et ex parte organi et sensus, sed aliter et aliter. Omnia aliter
immutantur tactus et aliter gustus. quia tactus immutatur realiter a qualitate
propria et tangibili cuius est perceptivus: gustus \ vero realiter immutatur
non secundum qualitatem propriam, sed secundum qualitatem alienam,quia
immutatur realiter ab humore et specialiter recipit sapores. Non enim oportet
quod si gustus habeat pereipere dulcedinem, ut gnstus fiat realiter duk-is, sed
bene oportet quod fiat actu bua.idus. Oportet autem quod, si debeat percipere
caliditatem et alias qualitates tangibiles, ut tactus fiat actu calidus,
frigidus et sic de aliis. Et ideo ex ista diversitate, qnæ est inter
irarautationem realem tactus et immutationem realem gustus, sumitur diversitas
potentiæ tactivæ a potentia gustativa, et sic sumuntur isti duo sensus.
Priraura ergo ex istis quinque raodis immutandi, quibus sensus cxteriores
contingit immutari, sumitur numerus sensuum exteriorum. Kedeun^lo modo io ud
propositum argnræi;ti, dicniit qiiod liotentiæ tactivæ in specie snnt plures;
in genere tamen proximo omnes sunt ut uua potentia, quia omnes potentiæ tactivæ
conveniunt in lioc, qund eodem modo inimutantnr ut dictum est. Quare. Licet in
quarta re-ponsioue esset difficultas quam. tetigi snpra, dum legerem commentum
dc Inimido, quum dicunl gustum percipere, ad hoc nt species saporis
compreliendat; quia, ut supra diximu^, non videtur possibile quod gustus
percipiat hnmorem, quia sensibile proprium est qnod nou conlingit altero sensu
sentiri: cum ergo humor sit seujibiie proprium sensus tactus, quomodo pnssibile
erit talis humor a gustir percipi? Sed de hoc satis dictum iam. Verum circa
lianc responsionem Thomæ et Ægidii, insurgit multo maior difficultas; quia,
licet venim sit quod, si tactus debeat percipere calidum, frigidum, liumidum et
siccum, (debeat eadem fieri) licet hoc de sicco non appareat; non enim mihi
videtur, nec ita est quod si manus mea sentiat aliquid siccnm ut manus mea fiat
sicca; non tamen vertnn est in qnalitatibus sequentibus quatuor qualitates
primas. Nec si tango aliquid leve, manus mea fit levis, nec si dunim dura, nec
si nuUe mollis, uec si asperum aspera. Dicerera enim: hoc est extrema fatuitas;
mihi videtur, quod ratione continui, quia asperum leve et aliæ qualitates
taugibilcs sequentes primas qualitates non sunt qualitates activæ, sed bene eas
sequuntur; ideo uon oportet quod si tango aliquid grave quod illud tale inducat
gravitatcm in ra;inu mea, et sic de aliis et ita nou videtur quod omnes
potentiæ tactivæ habeauteumdem modum immutandi utdicit AQUINO (si veda), quia
ut diximus.licet duæ potentiæ tactivæ habeant eumdem modum immutandi, scilicet
potentia perceptiva calidi et frigidi, et potentia perceptiva Iniraidi et
sicci, licet de sicco nun videatur verum; aliæ tamen potentiæ liabent uiodum
immutandi. Ideo pctentiæ tactivæ non possunt esse una poteutia in genere
proximo si deberet sumi genus proximum ab illo modo immutandi quem posuit
AQUINO (si veda) in ipso tactu; quia, ut diximus, illud non potest esse unum
genus proxiunnu, cuni uon sit idem modus immutandi omnes potentias tactivas;
ideo do aliam respousioneff . Su;. Non sic autem est de tactu, quum tactus per se primo
pereipit omnes contrarietates tangibiles. Ideo ratio valet de tactu quum per se
primo percipit plures contrarietates, non valet autem de sensu communi, quura
sensus communis non est per se primo perceptivus plurium contrarietatum, sed
per se primo percipit unam contrarietatem innominatara. Sed ista responsio non
videtur sufficiens quum ista dicam de tactu, quod scilicet tactus non per se
prinio comprehendit illas contrarietates, sed per se primo tactus est
perceptivus unius contrarietatis innominatæ, quæ similiter vocetur a et Ib; et
ita sicut SENSVS COMMVNIS est unus, ita sensus tactus erit unus. Dixit AQUINO
(si veda), in prima parte, in Quæstionibus disputatis, quod probabiliter potest
teneri quod sensus tactus sit unus sensus, nec aliqua ratio demonstrativa est
in apprehensioue; sed quod dicemus sustinendo Aristotelem? Sustinendo opinionem
LIZIO dicemus, quod non est eadem ratio de sensu communi et de tactu, quia non
est eadem ratio deservo-et de domiuo, quia enim sensus coramunis est sensus
interior, et communis virtus pro eius unitate non requirit uuitatem
contrarietatum; imo stat cum unitate eius pluralitas contrarietatum; modo in
sensu par.iculari et exteriori est bene necessarium qtiod, si seusus est unus,
debeat esse unius contrarietatis tantum per se primo perceptivus. Cum ergo
tactus sit seusus particularis et exterior, si nou erit unius contrarietatis
tantum per se primo perceptivus, nou erit unus sensus: modo, ut apparet,sensus
tactus est per se primo perceptivus plurium contraiietatum, ut contrarietates
calidi et frigidi et similiter contrarietates humidi et sicci, quorum nulla ad
alteram reducitur, quare. Ideo necessario tactus debet poni plures sensus nou
autem unus; non autem est sic de seusu coramuni. Sed adhuc contra nostram
determinationem insurgit difficultas, quam fugiemus fugiendo ad sensum
particularem, quod si talis sensus percipit plures contrarietates est plures
sensus, et si percipit tantum uuam contrarietatem est sensus unus. Modo
obiicieudo dicet quis quod non possumus ad hoc fugere, quum visus est uua
potentia particularis, et tamen percipit sua obiecta quæ magis distant quam
obiecta sensus tactus, visus enim PERCEPTIVVS – GRICE POTCH AND COTCH -- est
coloris [THAT PILLAR BOX SEEMS RED – VERMILLION, NOT GREEN] et lucis; modo
magis distant lux et color, quam calidum et frigidum, humidum et siccum et quam
aliæ differentiæ, seu contrarietates qualitatum tangibiiium, quum lux est
qualitas æterna, color vero est qualitas non æterna; omnes autem qualitates
tangibiles sunt generabiles et corruptibiles; modo plus differunt æternum et
corruptibile, quam corruptibile et corruptibile; ergo color et lux magis
differuut quam qualitates tangibiles, seu contrarietates earum ad iuvicem
differant; non ergo est coiicludendus seusus tactus esse plures sensus ex eo
quod est sensus particularis perceptivus contrarietatum plurlum omnino
distinctarum, quia videmus quod visus est una potentia ut communiter
conceditur, et tameu visus est una potentia particularis percipieus sua obiecta
magis differentia quam obiecta et contrarietates sensus tactiis, quare. Ad hoc
dari possunt duæ responsioues secundum quod duæ sxmt opiniones de luce. Prima
respousio est secundum tenentes quod lux sit idem subiecto quod color, licet
color et lus formaliter distinguantur; nam secundum istos, color nil aliud est
nisi lus obumbrata, et ista lus et color sunt idem subiecto et materialiter,
distinguuntur autem formaliter, quia lux est lux pura, color vero lux non pura.
Secundum ergo hanc responsionem negatur quod color et lux magis differant quam
contrarietates tangibiles, imo sunt unum et idem subiecto, licet formaliter
distinguautur. Secundum vero alteram opinionem quæ teuet quod non sint realiter
idem color et lux, est dicendum quod in comparatione ad ipsos sensus magis
differunt obiecta tactu-j, quam lux et color, licet in se et esseutialiter
magis differunt lux et color quam obiecta tactus, ut probat argumentum. Quomodo
autem iu comparatione ad ipsos sensus altera est diversitas inter calidum et
frigidum, et huraiJum et siccum, verbigratia, quam inter lucem et colorem,
declaro, quia comparando lucem et colorem ad visum, lux et color se habeut in
quadam aualogia; primo enim percipitur lux dein color: color enim mediante luce
percipitur, ut supra dixit LIZIO, cum dicebat: color est actus diaphani
secundum actum in actu ilhiminati, ut exponebat Commentator, et sic color
percipitur mediante luce. Modo in contrarietatibus tangibilium non est talis
aualogia quum omnes tales contraiietates per se primo percipiuntur a tactu, nec
una percipitur mediante alia. ideo remauet quod tactus sit pUires, licet sensus
visus sit unus sensus. Sed circa totum quæsitum est ima difficultas per se et
seorsum distincta ab Jiis quæ hucusque dicta sunt, quia non videtur omnino
necessarium quod tactus sit una potentia et imus sensus, non autem plures, quum
illa potentia, quæ iudicat circa plures coutrarietates est una potentia; sed
tactus iudicat circa plures contrarietates, per tactum euim et non per alterum
sensum iudicamus an hoc sit calidum, frigidum, humidum et siccum; ergo sensus
tactiis est unus sensus et una potentia. Hæ ratione utitur Philosophus hic
inferius, ubi probat quod datur alius sensus a QVINQVE SENSIBV, qui est sensus
interior, quare. Ad hoc dicatur quod non est tactus qui ponit differeiitiam
inter tangibilium contrarietates, neque est una aliqua poteutia tactiva, quæ
afferat iudicium de pluribus quam de una contrarietate tangibilium, sed SENSVS
COMMVNIS – THAT MOORE LACKED – GRICE -- est qui de omnibus illis iudicat.
Decipimur autem nos et credimus quod sit sensus tactus illud quod de omuibus
illis iudicet, quum potentiæ tactivæ coucurrunt initiative, sed non
principaliter ad hoc iudicium. Cum enim unaquæque potentia percipit suam contrarietatern,
suut occasiones SENSVI COMMVNI ut omnes illas contrarietates comprehendens de
illis iudicet; ideo cum poteutiæ tactivæ sunt ut principium occasionale huius
iudicii, credimus nos quod hoc iudicium fiat ab una potentia tactiva, sed non
est ita. Ideo error est in ista existimatione. Sed rursus iustabit quis uostrnm
quando ita dicam quod visus non est qui iudicat de istis coloribus, sed dicam
quod est sensus communis, qui aftert hoc iudicium, et ponit differentiam iuter
unum colorem et alterum, sicut tu dicis de tactu, sed secundum communem
existimationem visus est, quod iudicat de istis coloribus;ergo et tactns
iudieaMt de oiunibus qiialitatibus tangibilibiis et sic teuebimus quod sit una
potentia tactiva, quæ omnes qualitates tangibiles compiehendat, ad hoc ut inter
illas possit ponere differentias et conveuientiam. Dici possit primo concedeado
quod verum est quod non est visus qui iudicat de coloribus, sed est sensus
communis; visus autem solum initiative coucurrit ad hoc iudicium, sicut quod dicebatur
de tactu. Vel aliter dicatis quod visus est qui ponit differentiam inter ipsos
colores, tactus autem nou est qui ponit differeutiam inter tangibiies
qualitates, quum est aliqua diversitas in visu et tactu: sed super hoc
considera tu. Utrum sensus tactus sint fmiti vel infiniti. Cum determiiuitum
sit in præterita quæstione quod seusus tactus est plures, oportet secundo loco
videre an sensus tactus sint infiuiti, an finiti et quia clarum est quod non
suut infiniti . ergo fiuiti. Ideo cum sint fiuiti quærimus de modo eorum, quot
sciiicet sint sensus tactus, seu poteutiæ taciivæ. In hoc quæsito reperiuntur
multæ ac vaiiæ oidniones. Aliqui tenueruut quod duao tautum essent potentiæ
tactivæ, aliqui quod qualuor, aliqui quod quiuque, aliisex, alii septem, ut
diximus, ergo. Una est opinio quæ tenet quod potentiæ tactivæ sunt tautum duæ,
una quæ est perceptiva calidi et liigidi, et rædiorum, alia quæ est pereeptiva
iuimidi et et intermediorum. Aliæ vero contrarietates tangibiiium aut
reducuntur ad has duas contrarietates primas et ab eisdem percipiuntur
potentiis tactivis, aut sunt sensibilia communia. Uude potentia perceptiva
humidi et sicci perceptiva est duri et mollis, qnum durum siccum est, molle
vero esfc humidum. Ideo per eauidem potentiam hanc coutrarietatem
con,prehendimus per quam comprchendimus humidum et siccum; de gravi autem et
levi dicit hæc opinio quod sunt sensibilia coramunij, ut videtur dixisse supra
Comræntator, ubi dicit quod ista diio pe;cipiuntur sine motu; et ita cum motus
sit sensibile comraune, et grave et leve aut sunt motus, aut non percipiuntur
nisi mediante motu, erunt ergo grave et leve sensibilia commuuia; de aspero
autem et leni aliqui dicunt quod reducantur ad humidum et siccum, quia
asperitas, scilicet in qua una pars supereminet alteri, provenit ex siccitate:
levitas vero ubi onines partes sunt æquales et nullum alteri supereminet,
provenit ab hiimiditate et ifca reducitur hacc contrarietas ad contrarietatora
quæ est iu humido et sicco. Pouimus ergo, secundum banc opiuiouem, qualiter
omues contrarietates tangibilium percipiuntur a duobus poteutiis tactivis, et
ita quod tactus sit tantum duo sensus. Aliquibus autem non placuit liæc opinio,
et primo quoad hoc quod diximus de duro et mclli, quod reducuntur ad liumiduui
et siccura, quia non coguoscinius durum per solam siccitatem; non euim
coguoscimus aliquid esse durum ex eo quod est siccum, sed ex eo quod est
comprehensivum (compressivum?) a tactu non cedit tactui; similiier nec
perapiraus aliquid esse raolle percipiendo illud esse humidum, sed ex eo quod
videmus illud cedere tactui, et sic hæc opinio videtur falsa. Nec stat talis opinio cum ræute C 'mmentatoris, quia
in hoc capite Commentator vult quod per aliam poteutiam percipiantur oranes hæ
qualitates tangibilium. Unde, secundum ipsum, alia est poteutia calidi et
frigidi, alia humidi et sicci, alia gravis et levis; non autem secundum eius
intentionem poteutia perceptiva calidi et frigidi, et potenlia perceptiva
humidi et sicci suut potenliæ perceptivæ oranium aliarum contraiietatum
tanglbilium, quare secuudum sententiam Commentatoris non tantum sunt duæ
potentiæ tacti\æ, sul plures quam duæ. Quod etiam dixit liæc jirima opinio de
gravi et le\i, quod sunt sontibilia communia et non percipiuntur uisi mediaute
motu, non videtur esse ad mentem Aristotelis, quum hoc numquam posuit
Aristoteles, scd ista enumerat inter differenfias tangibilium, tamquam obiectum
proprium sensus tactus, neque videtur forte necessarium quod percipiatur motus,
si debeat gravitas et levitas ccmpreliendi: quia si ista duo perciperentur
mediante raotu, cum motus sit sensibile commune, per quod percipietur ipse
motus? Aut enim per sensibile propriimi, aut per sensibile commune; sed non
videtur quod motus percipiatur mediante sensibili proprio, neque mediante sensibili
communi. Non viJletur ergo quod si debeam grave et leve comprehendere,
(oportere) ut mntum i|isum comprehendam. Quod autem dixit hæc opinio de aspero
et levi, quod siilicet roducuntur ad figuram, videtur esse satis tolerabile
dictu. QuiS, ergo hæc opinio videtur in multis deficere, ideo altera veperitur
opinio quæ tenet quod potentiæ tactivæ sunt quatuor, scilicet: prima quæ
percipit contrarietatem calidi et frigidi, secuuda quæ percipit contrarietatem
humidi et sicci, tertia quæperciplt contrarietatem gravis et levis, quarta quæ
percipit contrarietatem duri et mollis. De aspero autera et de leni non ponitur
poteutia ab illis quatuor distiucta, quæ talis contrarietatis sit perceptiva,
quia haoc aut reducuntur ad figuram, aut ad contrarietatem quæ est iu humido et
sicco, et ideo percipiuntur ab illa potentia, quare. Aliqui alii, non contenti
his quotuor potenfiis tactlvis, ponunt unara aliam potentiam tactivam, quæ
attenditur penes dolorem et lætitiam. Ratio autem cur ponant hanc potentiam
tactivam, est quia per tactum cognoscimus delectationem et tristitiam, sed nou
peraliquam potentiam determinatam ista cognoscimus; quia aliquando sentimus
delecfationem aut tristitiam, et tamen non comnrehendimus calidum et siccum,
durum et molle: sicut si quis vestrum pingat papillas mulieris, ex illo tactu
sentietis magnam delectationem, et tamen in tali delectatione nou sentietis
anil quod tangitis sit calidum, frigidum, nut humidum et siccum, aut grave et
leve. Similiter si quis patiatur magnum dolorem seutit maxiraam tristitiam, et
in percipiendo dolorem sensit iiuanta est sic, quum nescit an sit calida vel
frigida, humida vel sicca; ergo delectatio et tristitia percipiuntur per
tactura, et clarura est ad sensum; et cura non percipiatur ab ali(iua quatuor
potentiarum, videtur esse necessarium ponere quintam potentiara, quæ sit
delectationis et tristitiæ porcepiiva. Istam opinionem insequentes inter se
diversificati suni; quia quidam volunt quod hæc sit tantum una potentia tactiva
dispersa per totum animal, aliqui vero voluut quod sint duæ potentiæ, uua quæ
est in rærabris genifalibus, et hæc potentia percipit maximam delectationem,
qnæ possit csse in ipso tactu: delectatio enim quæ datur in actu venereo est
tanta, ut dixit Hieronimus, ut si angeli coireut, duni essent iu concubitu,
oblivis^erentur de orauibus rebus. Aliqui alii ponunt aliam potentiam tactivam
in gutture, et hæc perceptiva est delectafionis in gusta secundum
contemporantiam cibi, in qualitatibus primis. secnndum quam ipsum cibura est
conveniens auiraali; ista autem delcctafio gulæ est ibi vere et proprie
delectatio, sed non est fanta quanta in venereis. Cum autem istæ duæ
delectationcs non suut lu (|uacumque parte uostri corporis; sed uuaquæque
illarum fit in certo et determinato loco; ideo iiosiierimt isti has duas
virtutes sensitivas partiales in membris nostri corporis, unam scilicet in
membris genitalibus et alteram in gula. Aliqui alii ponunt tertiam potentiam
perceptivam tristitiæ et lætitiæ, quam dicunt esse dispersam per totum corpus
animalis, et ista tertia potentia est perceptlva lætitiæ et tristitiæ, quæ
fiimt iu toto corpore, sicut quando liabemus scabiem, sentimus magnum pruritum
per totum corpus, quem cum quærimus manu amovere, carpendo ipsam cutem,
sentimus raagnam delectationem per totum corpus ; verum post hanc delectationem
quæ est iu pruritu, insequitur maguus dolor et tristitia, qualiter non est iu
delectatioue venerea et delectatione gulæ; nec ista delectatio est tanta, sicut
sunt illæ duæ. Licet Couciliator fuerit vir magnus, mihi tamen videtur quod
ista sua opinio ponens illam quiutam potentiam tactivam, quæ est perceptiva
lætitiæ et doloris sit contra LIZIO, quum si," præter iilas quatuor
potentias, essetponere hanc quiutam potentiam, LIZIO fuisset vakle dimiuutus,
quum Aristotelis (sit sententia), ego credo quod sit iu testu commenti, quod
obiecta tactus sunt differentiæ corporum generabiliura et corruptibilium.
quatenus generabllia et corruptibilia, quod non est de dolore et tristitia;
ueque Aristoteles in hoc loco, neque alibi ut in quinto De animalilms enumerat
dolorem et tristitiam inter obiecta tactus, sed bene enumerat semper alias
contrarietates. Argumentum taræn hoc non est deraonstrativum sed probabile,
quia posset respondere Conciliator quod LIZIO solum enumerat obiecta tactus
magis famosa. Secunda ista opinio non videtur nimis suificiens, quia non potcst
bene evadere difficultates, quia cum tactus, secundum Conciliatorem, dolorem
sentiat, tactus cognoscet se dolere et sic cognoscet tactus suam operationem
propriam. quæ est sentire, quare tactus erit virtus reflesiva sui super se,
quod est falsum. Tertio deficit hæc opinio, quum, licet lætitia et dolor non
fiant siæ cognitione tactiva, uon tameu ista duo sunt operationes potentiæ
tactivæ, sed operationes Cli. apprehensivæ, quæ est una virtus distiucta a
virtute tactiva; ideo cum dolor et tristitia non sentiantur a virtute tactiva,
sed ab apprehensiva, non est pouenda illa quiuta potentia tactiva, quæ habeat
lætitiam et dolorem comprehendere, quare nullo modo potest stare opinio
Conciliatoris. Quare puto quod melius sit tenere quod tantum sint quatuor
poteutiao tactivæ. Pro solutione autem argumeuti Conciliatoris, est tria
considerare iu ipso dolore aut lætitia: primo causam doloris et tristitiæ
(sic), secimdo res quæ est dolor, vel lætitia, tertio coguitiouem doloris et
lætitiæ. Tunc dico quod causa lætitiæ est impressio conveniens iu ipso tactu,
causa vero tristitiæ est mala et disconveniens impressio facta in ipso tactu a
tangibili, et hæc causa percipitur ab ipso tactu. Tristitia vero et lætitia
sunt qualitates factæ, seu genitæ in virtute apprehensiva, quæ qualitates
insequuntur cognitionem tactivam, scilicet illarum passionum convenientium aut
disconvNJuientium. Unde si tactus cognoscat impressionem sibi illatam a
tangibilibus sub modo convenieutiæ, virtus apprehensiva, quæ sequitur
cognitionem ta-, ctivam, lætatur: si vero tactus coguoscafc impressionem sub
modo disconvenientiæ, vittus apprehensiva contristatur; neque ex I.oc quod
virtus apprehensiva dolet, aut tristatur sic e.\ conveuienti, aut
disconvenienti impressioue facta iu tactu, oportet ut ipse cognoscat lætitiam
aut dolorem; nou ergo est necessarium pouere quiutam potentiam tactivam ex eo
quod lætamur aut tristamur, aut ex eo quod coguoscimus lætitiam aut tristitiara,
sicut posuit Conciliator, quia, ut diximus, nou est potentiæ tactivæ lætari aut
tiistaii, sed bene potentiæ tactivæ est percipere qualitatem impressam
convenienter aut disconvenienter, ex qua convenienti aut discouvenienti
impressione oiiginatur dolor et tristitia, quare argumentum Conciliatoris
nullius est valoris. S.d dices: tu ponis quod tactus nou est qui doleat, sed tamen oportet
q>!od virtus tactiva sit iu operatione, si virtus appreliensiva habeat
dolere aut tri&tari. Sed contra: quia in usu venereo maxime lætamur, et
tamen non sentimus calidum. frigidum, Immidum et siccum, ergo non oportet
virtutem tactivam esse in operatione dum percipimus lætitiara: similiter
dicatur de dolore. Quomodo ergo hoc reducis ad aliquam quatuor potentiarum
taclivarum cum a nulla potentia tactiva percipiatur?Illud argumentum reputatur
insolubile, sed istud argumentum æque bene vadit contra Conciliatorem quam
contra nos: quum ycet Conciliator ponat quod lætitia et tristitia sint
qualitates tactivæ, quæ percipiuntur ab illa quinta potentia; oportet tamen ut
det causam ipsius delectationis, aut contristationis, quod piius debeat
cognosci ab aliqua potentia tactiva; non possunt autem creari lætitia et
tristitia, nisi a primis quatuor qualitatibus; ergo oportet illas esse coguitas
ab aliqua potentia tactiva, et ita oportet etiam concedere, quod virtus tactiva
perceptiva calidi et fiigidi, et virtus perceptiva humidi et sicci sint in
operatione; si illa scilicet quinta potentia debeat percipere lætitiam et
tristitiam, quia lætitia et tristitia non fiunt sine cognitione præcedente:
quare æque bene contra Conciliatorem procedit argumentum factum de venereis
sicut coutra uos, quia in hoc casu sentitur maxima delectatio, et tameu non
sentitur calidum, frigidum, vel humidum et siccum; quare ideo oportet solvere
argumeutum pro nobis, et pro ipso Conciliatore. Dico ergo itaque quod iu actu
venereo, ubi sentimus tautam delectationem. sunt calidum, frigidum, huraidum et
siccum reducta ad temperamentum, sed tamen tactus non cognoscit an hoc sit
calidum au fvigidura, humidum an siccura; uec hoc inconvenit, sicut videmus
quod boni coqui faciunt quaudoque sapores adeo delicatos ut nescimus an sint
dulces, aut alicuius alterius certi saporis; similiter piotores, admiscendo
varios colores ad invicem, faciunt unum quoddam quod uon est albedo, neque
nigredo, uec per visum iudicamus nos illud esse albedinem aut nigredinem, sed
percipit visus uuum quoddam, quod nescit an sit album aut nigrum. Bene tamen,
cognoscit visus quod illud tale commixtus est color, sed quis color sit, non
potest discernere, et similiter de tactu in venereis ; in emissione euim
seminis illa delectatio creatur ex commixtione temperata calidi et fiugidi, nec
sentio an ibi sit ealidum vel frigidum. Sed contra hanc responsionem insurgit
difficultas, quia diximus quod in emissione seminis est caliditas, et tamen uon
cognoscit tactus an illud contemperaræntum sit calidura, frigidum; sed itera
contra, quia si ita esset, sequeretur quod sensus deciperetur circa proprium
sensibile, quod est couti"a sententiam LIZIO superius, ubi dixit: quod
sensibile proprium est quod ab uno sensu contingit sentiri, et circa ipsum non
decipitur sensus ; quia in illa emissione seminis est calidum, frigidura et
tamen tactus non percipit calidum ibi existens. Si vellem ad hoc dare
responsionem corarauuem, facile evadereraus argumentum, dicendo quod seusus non
decipitur ciica proprium sensibile secundum genus, sed bene decipitur visus
(nou) quum color, sed quum est hic vel ille color ut albus vel niger. Ita dicerem
quod tactus in emissione serainis non decipituT iu iudicando an ibi sit
qualitas prima, sed bene decipitur in iudicaudo quæ illarum quatuor sit ibi,
sed quia hæc respoiisio nou est ad mentem Commeiitatoris ut iiim diximus, ideo
do aliam respousionem quam iudico esse verara, et ad mentem LIZIO et Averrois.
Dico ergo quod tactus non decipitur circa proprium obioctum secundumgeuus, uec
secimdum speciem, similiter uullus alius sensus, si salventur tres conditiones
positæ a Tliemistio: scilicet debita distantia sensibilis ab ipso sensu, debita
dispositio ex parte orgaui, et debita dispositio ex parte medii. His tribus
servatis, uou decipitur sensus circa proprium sensibile, sed bene decipitur
altera earum deficiente, et sic est in actu veuereo; decipitur enim sensus
tactus quia ibi est defectus ex paite organi, et propter talem defectum non
potest tactus rectum iudicium afferre de illo sensibili; hic autem defectus
potest propter alteram daarum provenire. Secuuda causa est maxima delectatio,
seu appetitus et passio: passiones enim corrumpunt iudicium, ex nimio enim
dolore aut lætitia potest tactus impediri a recto iudicio. Altera causa est,
quia, sicut si oculus habet colorem citrinum, sicut habent ægrotantes febre
colerica, t.ilis visus quodcumque videt iudicat citrinum propter
indispositionem orgaui visus, ieu oculi, sic dico qiiod in tactu, ex eo quod iu
emissione sunt quatuor qualitates multum commixtæ cum euiittitur semeu, una
species confundit aliam et non permittit tactum rectum afferre iudicium de altera.
Illud ergo commixtum ex quatuor primis qualitatibus percipitur a potentia
perceptiva calidi et frigidi, et a poteutia perceptiva humidi et sicci. Sed non
recte percipitur calidum et frigidum; quare salvatur quoJ potentia tactiva sit
iu operatione dum apprehensiva lætatur aut tristatur, et Conciliator, iudicio
meo, ad hoc idem debet deveuire. Sed dices: ex toto non solvitur difli ? cultas
quam tu non potes negare, quando sentiamus dolorem et lætitiam: et timc stat
argumeutum Conciliatoris: quum cognoscimus dolorem et lætitiam et non per aliam
potentiam quara per potentiam tactivam, non per aliam quatuor dictarum
potentiarum, ergo debet dari quintam potentiam tactivam quac cognoscet lætitiam
aut tristitiam. Quare si non esset auctoritas LIZIO, adherirem opinioni
Conciiiatoris: sed quia LIZIO uumquam posuit lætitiam et tristitiam inter
obiecta potentiarum tactivarum, ideo puto esse aliter diceudum, quæ scilicet
sit potL'utia cognoscitiva doloris et lætitiæ. Pro quo debctis scire quod circa
hoc suut variæ et diversæ opiniones, quæ scilicet sit virtus c ognoscens
lætitiam aut dolorem. Geutilis in secundo, ibi iu illa parte Doloris, et
Jacobus de Forlivio qui est etim insecutus dicuut quod virtus cognoscitiva
doloris et lætitiæ est sensus communis. Ugo vero Senensis ponit quamdam
imaginativam imperfectam dispersam per totum corpus quæ cognoscit dolorem et
lætitiam. Conciliator vero vult quod sit illa quinta potentia tactiva, et sic
circa hoc quod sit potentia cognoscitiva doloris et lætitiæ sunt opiniones
iudicabiles judicabitis autem quæ sit melior; quæ enim opinio sit veraDeus
scit; sed mihi videtur quod tristaii aut lætari non sit op^ratio virtutis
tactivæ, sed est operatio appreheusivæ, quæ virtus, iu sua operatione,
insequitur cognitionem potentiarum tactivarum, quæ sunt in operatione. A qua vero virtute cognoscatur lætitia, et tristitia
sum cum Ugone aut Jacobo, nullo modo cum Conciliatore. Quare. Et sic Deo duce
expliciuut quæstiones Maximi Philosophi Ponponatii Mantuani super tres libros
LIZIO de Anima. SUrrLEMEXTA QUARUMDAM QUÆSTIONUM QUÆ PRIU.S IMPEKFECTE TEADITÆ
SUNT. Utrum nobilitas sclmtiac sumatvr a nobilitate subiecli vcl a certitudine
dcmonstrationis. Circa quæstionein illam piimi De anima, numquid nobilitas
scientiæ sumatur a subiecti noLilitate, vel a certitudine demonstrationis, et
præcipue coutra rationem qnæ teuet qnod a nobilitate subiecti snmatnr nobilitas
soieutiæ; ciica quam rationem dubitatur, quia hæc respousio uon videtur vera,
nam magis videtnr quod perfectio scientiæ est sumenda a certitudine quam a
nobilitate subiecti. Ratio satis evidens est, quia cum certitudo sit qnalitas,
et se habeat nt forma, subiectum vero ut materia; modo forma e.->t
perfectior materia; ideo, cum perfectio certitudinis sit ut forma, perfectio
vero subiecti nt materia, altior et nobilior erit perfectio certitudinis, qnam
subiecti, et sequeretur quod scientiæ, quæ sunt de eodem subiecto essent
æqualiter perfectæ, quod est falsura; quia si una scientia consideraret Deum in
quautnm est intelligens, et alia in quantum est primns motor, valde perfectior
est scientia quæ consideret Deuui in quantum est intelligens, quara ilia quæ
consideiet Deum in quantura est piimns motor. Contraria videtur nola, quia istæ
duæ scientiæ considerant de eodem obiecto, ergo sunt einsdem perfectionis, cum
perfectio scientiæ attendenda sit peiies perfectionem in subiectis. Tertio
arguitur: data illa positione, sequeretur, quod scientia quæ esset de subiecto
infinitæ perfectiouis, illa scientia essat infinita, contraria tenet quod si
subiectnm est aliquantisper perfectum, scientia est aliqnantisper perfecta, et
si subiectnm sit in duplo perfectius, scientia erit in duplo perfectior et ita
procedendo; ergo si subiectum sit inftnitæ perfectiouis, scientia illius erit
infinite perfecta; sed contra est falsum quia metaphysica et theologia quæ
considerant de Dec sint infinitæ, quia cum tales scientiæ sint qualitates in
nostro intellectu, qui est actu finitus, non possunt esse infinitæ, aliter
finitum actu reciperet actu infinitum; tanien quia soli Deo conceditnr
infinitas perfectionis, sustineudo AQUINO (si veda), dicitur vel priuium: cum
dicis quod nobilitds sit a certitudine demonstrationis nego. et cum probas quia
certitudo se habet ut forma, cum sit qualitas, perfectio vero obiecti ut
materia; modo forma est nobilior materia; dico quod iHa propositio: forma est
nobilior materia, intelligenda est in eodem genere; itaque si aliquo duo sint
eiusdem generis quorum unura se habe.it nt forma, alterum vero nt materia;
illud quodse habet ut forma est nobilius eo quod se habet ut materia, sed si
sunt diversorum generum, dico quia, nt dictum est, obiectum se habet ut
substantiale, et certitudo ut accidentale. Ad argumiutam, cum dicis: sequeretur
qnod scientiæ quæ essentde eodem subiecto esseut æqualiter perfectæ; dicas quod
illa propositio: perfectio scientiæ attenditur penes subiectum, habent
intelligere de subiecto formali. Ad argumentum ergo non inconvenit id quod
deducitur si illæ scientiæ sint de eodem subiecto formali et eodem modo
considerato, sed non sunt duæ scientiæ quæ eodem modo considerant Deum: nam una
scientia est, qiuie considerat Deum iii quautimi est iiitelligens, alia vero
quateuiis primus motor. Prima consideratio est valde perfectior, quia Deus ut
intelligeus habet rationem perfectiorem quam ut primus motor. Ad tertium, si
teneamus non esse aliquid infimtimi in actu, tunc falsum esset quod scientia
Dei esset infinita, et sic faciliter solveretur argumentimi; sed quia fides
catbolica tenet Deum esse infiniti sic, ideo oportet respoudere ad argumentum,
quod est valde diflicile. Ideo isti negant similitudiuem ut primum in quæstione
principuli, quia dicuut quod licet Deus sit infinitus tamen finite
compreJienditur, ergo. Ad quod aliqui dicuut negando consequentiam. Ad
probationem, dicuut ad anteriorem negando eam, quia secuudum quod isti dicuut,
non oportet probationem scientiæ adæquari præcise perfectioni obiecti, et ita
falsum est quod assmmebatur, quod si obiftctum sit perfectionis ut duo, quod
scientia illius sit perfectionis ut duo, et sic de aliis, quare non sequitur:
obiectum est infinitæ perfectionis, ergo scientia iliius est infinita. Ratio et fundamentum Luius
opiuionis est quia intelligens non potest perfecte intelligere Deum, neque est
capax infinitatis Dei, et sic neque scientia Dei est infinita. Ulrum anima sit
immortalis secundum LIZIO. Circa commentum duodecimum dubitatur et moveo
quæstiouem quam etiam tetigi in quæstione mea de immortalitate animæ, quia
tenent AQUINO (si veda) el commentator, quod secundum LIZIO anima intellectiva
sit immortalis, licet diversificetur in eorum positione. Tunc arguo, sic abiicieudo animam esse immortalem
secimdum Aristotelem. Si intelligere est phantasia aut non sive phantasia, ipsa
anima est inseparabilis a materia, sed intelligere non est sine phantasia;
ergo, anima non est separabilis a corpore. Ratio est conJitioualis cum
positione accidentis, qualiter arguræntum valet de forma. Prima propositio est
LIZIO in textu 12°, secunda etiam est LIZIO, quod apparet per ipsum, nbique
locorura ubi loquitur de ipso intelligere, et in tertio De anima, quod
intelligere non potest esse sine phantasia, quia necesse est intelligentem
phantasmata speculari: boc idem habetis ab ipso Pliiiosopbo in quinto De seusu
et sensato, et in primo Posteriorum et in infinitis locis, uee prohibemur quod
in breviori propositione non acceperim illa duo, sed solum illud ultimum anima
non est sine phantasia, quia idem est ac si adeo illa accipiam, cum ab una
parte disiunctive ad totum valeat argumentum; quare sequitur quod anima sit mortalis.
Sed dices quod illa absolute est falsa, quia solum est verum de ipso
intelligere animæ nostræ pro hoc sæculo, non autem pro alio statu; vel secundum
Averroera, solum habet veritatem illam brevior de intelligere animæ nostræ
secundum quod anima est naturalis materialis forma, non autem secundum quod se
intelligit, quia in ista intellectione non indiget phantasmate. Sic ergo illa secundum AQUINO (si veda) est vera in
hoc statu, non autem in alio in quo nostrum intelligere est sine phantasia;
secundum vero Averroem est vera secundum quod nobis est forma, non autera
secundura quod se intelligit. Sed contra, quum ista dicta AQUINO (si veda) et
Averrois præsuppouunt animam esse immortalem, sed hoc est quod inquiritur,
utrum, scilicet, sit immortalis et utrum habeat aliquam talem operationem. Sed
dices, ut dicit AQUINO, quod oportet primo probare utrum anima sit immortalis
et abstracta, deinde probare utrum habeat operationem propriam. Sed dico: si
ita est, quod soraniavit LIZIO in textu 12°, quod ista quæstio est necessaria
ad cognoscendum abstractionem animæ, simijiter et commentator quod oportet
ponere ante oculos nostros utrum anima habeat aliquam operationera sibi
propriam iiecne, si volumus cognoscere abstractionem animæ? Si enim prius
oporteret probare quod anima sit immortalis et dein hoc habito, quod habemus
aliquam talem operationem propriam, quomodo quæstio quærens de anima utrum
habeat operationem aliquam propriam sibi, esset necessaria ad cognosceudum quod
anima est abstracta, cum LIZIO dicat oppositum ut diximus? Similiter non
oporteret ponere istam quæstionem ante oculos nostros, scilicet utrum habeat
operationem aliquam sibi propriam, in volendo cognoscere qualitatem
abstractionis animæ ad probandum quod ANIMA INTELLECTIVA sit immortalis in
teitu quinto et sexto et septimo. Prima ratio quia reeipit omnes formas
materiales, et secunda ratio quia intelligere non est in organo, cum non
intelligat anima cum hic et nunc. Tertia ratio quia in hoc est differentia
inter sensum et intellectum, quia sensus post magnum sensibile non comprehendit
minus sensibile, intellectus autem post magnum sensibile, intelligibile
apprehendit etiam minus intelligibile: es quibus concludit quod anima nostra
est immortalis. In omnibus enim autem istis rationibus supponit LIZIO quod
egeat corpore tamquam obiecto, ergo in omnibus istis supponit LIZIO quod anima
sit mortalis. Vullis videre quod ad principia LIZIO sequatur quod anima non
possit separari a corpore? Quia ponit LIZIO in definitione illius corpus
organicum, ergo vult LIZIO quod ANIMA intellectiva, sicut et aliæ animæ – GRICE
ANIMAE NON SVNT MVLTIPLICANDA PRAETER NECESSITATEM --, sit virtus organica;
ergo secundum LIZIO anima semper est cum corpore, et ita non potest a corpore
separari. Dices forte quod non oportet ad sciendum animam esse immortalem scire
an habeat aliquam operationem propriam et abstractam, sed Toluit LIZIO qund, si
perfecte debeamus scire quod anima sit immortaIis, oportet scire quod nec egeat
corpore tanquam subiecto, et ita non est necessarium scire ista secundo De
anima, ad sciendum animam esse immortalem, et hoc est nltimum ad quod possunt
confugere sed contra hic deficit una ratio. Item vultis videre quod secundum
LIZIO anima non sit immortalis, et quod non habeat aliquam operationem propriam
et abstractam a corpore, advertatis quia tunc, secundum LIZIO, consideratio
quidditiva in genere causæ formalis non staret usque ad animam intellectivam:
quia anima nostra in aliqua operatione per se non egeret materia, et sic
quantuni ad istam operationem qua, secundum Averroem, intelligit semper, vel
secundum AQUINO (si veda), pro alio statu, non consideraretur a physico sed a
metaphysico, ex quo non eget corpore in ista operatione, et sic dictum LIZIO in
primo De anima plus non esset verum quia consideratio naturalis stat usque ad
animam. Itera ex felicitate ad idem argno, quia LIZIO mmiquam somniavit illam
felicitatem AQUINO (si veda), quia nihil posuit LIZIO post mortem, sed
existimavit LIZIO quod felicitas animæ nostræ solum sit in hoc mundo et in
scientiis speculativis. Imo ipse AQUINO (si veda), in libro Contra gentiles,
asserit quod de mente LIZIO omnis felicitas est in hoc sæculo et quod felicitas
animæ est in cognitione scientiarum speculativarum et maxime in metaphysica,
nec somniavit illam felicitatem quam ponit Averroes de copulatione intellectus
possibilis cum agente; quia si videatis omnes libros LIZIO ubi loquitur de
felicitate et maxime libros ethicæ, ubi ponit felicitatem in scientiis
speculativis, videbitis quod felicitatem no in alio mundo, quam in hoc Cli.
'2munilo, posuit LIZIO, nec illaiii AQUINO (si veda), quia aliam vitam non
crididit; quare concludendum est secundum LIZIO animam esse immortalem. Ulmm
definitio de anima sit bene assignala. Contra arguitur quod non sit
convenienter assignata sic. Hæc definitio non corapetit cuiiibet contento super
definito, ergo non est convenienter assignata, patet consequentia: anterior
probatnr quia non competit animæ intellectivæ, quod patet quia intellectus
uullius corporis est actus, quia sic oporteret intellectum uti organo corporeo,
quod est falsum et contra LIZIO, et omnes LIZIO. Quare. Ad hoc argumentum primo
respondeo secundum AQUINO (si veda), secundo secundum commentatorem, tertio
secundum nos. Dicit ergo AQUINO (si veda) in prima parte, in Quæstionibus
disputatis, et in multis aliis locis ubi pertractat hanc materiam semper dat
hanc responsionem, dicendo quod intelleetus noster, quantum est de ratione sui
et ratione potentiarum intellectivarum, sic non est actus corporis; sed ratione
potentiarum sensitivarum sic est actus corporis. Quando ergo dicitur intellectus
nullius corporis est actiis, intelligitur de intellectu ratione potentiarum
intellectivarura. Sed contra hanc ratiocinationem arguo sic: quia si anima
intellectiva, quatenus intellectiva est, non est actus, ideo quatenus intellectiva
est, non erit anima quod est contra LIZIO ponentem illam esse definitionem
communem omni animæ; imo, secundum AQUINO (si veda), dictam univoce de omnibus
animabus, et sic etiam non esseut quatuor gradus [GRADVS, NON SENSVS GRICE]
animatoriim, quod est contra LIZIO ponentem QVATVOR GRADVS animæ – VEGETATIVA
SENSITIVA APPETITIVA INTELLECTIVA RATIONALIS -- in qunrum numero ponit animam
intellectivam. Posset ad hoc forte dicere AQUINO (si veda), quod intellectiva
essentialiter, et, quautum est ratione sui intellectus, non est anima et, ut
sic, non sunt QVATVOR GRADVS ANIMATORVM, sed tamen est anima, prout intellectus
est coniuuctus sensitivæ, et sic, ratione sensitivæ, sunt QVATVOR GRADVS animæ.
Sed miror de hac ratiocinatione, quia expresse non potest stare cum eius
sententia, quum ipse ponit, quod Deus non posset eam facere quin essentialiter
dependeat a corpore, ideo non videtur quod sit actus corporis, nisi quatenus
intellectiva est. Item siimo essentiam animæ intellectivæ
in homine: tunc ipsa est substantia, vel ergo forma, vel materia, vel
compositum. Non compositum, quia sic non esset pars hominis; nec materia ut
omnes concedunt, ergo forma et non nisi corporis. Ideo intellectiva, quatenus
talis, non est forma nisi corporis. Item ipse dicit quod intellectiva est actii
pars essentialis ipsius hominis, ideo oportet, quod cum ex ipsa et corporo
fecit imum per se, quod ipsa sit actus et corpns potentia, aliter non fieret
unum per se, et per consequens non videtur quod sit alicuius quam corporis,
ideo non video qualiter illa ratiocinatio stare possit. Ad hoc forte diceretur,
quod non oportet animam intellectivam actii semper dependere a corpore, licet
corpus ponatur in eiiis definitione, sed sufficit quo ad aptitudinem, sicut
raoveri sursum est definitio levis, quantumcumque leve non semper moveatur
sursum, sed sufficit quod raoveatur, vel posset moveri, et est simile illi quod
dicunt theologi de accidente ut est quantitas, quia quantitas essentialiter
dependet a subiecto, sive sit vero [i, subiecto, sive sit non in subiecto, ut
in sacramento altaris. Istud videtur incredibile. [II MS ha immortalem in luogo
di mortalem. confusione cviclento del copista coræ risulta da tutto il contesto
della questione, il cui senso complessivo non puo esser dubbio, non ostante
qualcbe iiæitczza clie la tia.scrizione dove avei' fatto subire alla
compihiziuue primitiva. quod anima intellectiva essentialiter et iu se
dependeat a corpore et non dependeat ab ipso in suo opere quod est intelligere.
Itera Deus et natura nih1 aguut frustra; si ergo Deus de necessitate, ut tenet
AQUINO (si veda), infundat auiraam corpori sic quod non posset Deus creare
animam. quin infundat corpori, valde frustratoria esset ista unio animæ ad
corpus si iu quacuraque sua operatione non indigeret corpore. Itera Aristoteles
in proemio Metaphysicorum; omnis homo natura scire desiderat; cuius signum,
[tit ibi dicit Philosophus, est sensuum delectatio, ut ibi expresse vult quod
iutelligere animæ nostræ ortum habeat a sensu. Ad hoc credo quod AQUINO (si
veda) diceret, et est ultiraa ratiocinatio qnam possit dare, quod verura est
quod intellectus eget corpore pro sua operatione, sed non semper, sed pro statu
isto. Pro alio vero non. Sed hæc ratiocinatio non consouat auribus (sic) LIZIO,
quia esset maximum inconveniens quod Deus inoarceraverit ipsam per tam paucum
tempus in corpore, et defiuiatur quod non egeat corpire uisi pro statu isto. Ad
illud vero quod dicunt theologi de accidente, quod possit esse sine subiecto et
tamen semper dependeat a subiecto, dico quod accidens existere sine subiecto
est merum impossibile apud LIZIO, et ad illud quod dicunt, quod non oportet
animam intellectivara actu semper dependere a corpore, sed aptitudiue: istnd
non est impossible, quia si sola aptitudo suflBceret in definitiouibus, tunc
diei primo posset quod aliquid esset homo, et actu taræn non esset ANIMAL
[ANIMA] RATIONALE. Sufficeret enim secundum ratiocinationem quod esset
aptitudine. Quare relinquamus istum modura dicendi, et ponaraus illum Averrois
qui sic respondet. Conveuit commentator animam esse iramortalcra. sed unicara
in oranibus hominibus, in qua positione surrexit quædam nova secta de novo
incipientium philosophari dicentium, ad mentem Averrois, quod anima
intellectiva, in intelligendo, semper eget organo non tamquam subieeto, sed ut
obiecto, et ita anima intellectiva est actus corporis. De hoc nihil vel parum
dixi in mea quæstione, quia non credebam aliquem iecto esse ita fatuura, qui
lioc diceret. Sed ista ratiocinatio est contra sententiara Commentatoris in
commento duodecimo prirai De anima, ubi dicit quod non est intelligendum, sicut
intellexit Alexander, quod intelligere non sit sine imaginatione. Vult ergo
comraentator quod anima intellectiva intelligat sine indigentia organi. Itera
est contra commentatorem in commento tertio huius tertii, qui dicit quod
intellectio qua anima intelligit est sive corporeo organo. Quare opinio illa
cum verbis commentatoris stare non potest. Ideo aliter dicuut alii et magis ad
mentem commentatoris, quod anima intellectiva habet duas intellectiones, unara
in ordine ad nos, scilicet quo ad nos, et ut sic, non potest intelligere nisi
mediante organo, et ideo, ut sic, anima intellectiva est actus corporis. quæ
opinio mihi videtur extrema fatuitas: primo, quia ponere illani ciconiam sic
est somnium, quod somniavit commentator praeter oranera rationem, quia anima
intellectiva non esset quidditative considerabilis a philosopho naturali, sed a
metaphysico. Ideo omissa etiam ista opinione commentatoris, remanet tertia
ratiocinatio quara solam puto esse ad mentem LIZIO, licet in se falsa sit; et
quod haec sit opinio LIZIO confirmant sanctissimi et sapientes viri, Gregorius
Nazianzcnus. El non iniendil per hoc, hoc, quod apparel ex hoc sennone,
superftcic tenus, scilicel quod intelligere non sil nisi ciiin imaginatione.
Vedi Averroe al commento 12 del De anima, versione latina, Venezia, et N., quod
scilicet anima intellectiva sit mortalis, quæ opinio est impossibilis, quia
oppositum monstravit nobis redemptor noster et attestatur raagnis martyriis.
Dico ergo quod intellectus, ut intelligens est, non est actus corporis, quia
Deus benedictus in intelligendo et volendo non eget corpore, quia ipse est ante
corpus, et similiter aliæ intelligentiæ in intelligendo non egent corpore; sed
quia secuudum LIZIO Intelligentiæ [HOLLOWAY HART GRICE LINGUA E INTELLIGENZA]
non influunt in hæc inferiora, nisi per corpora coelestia, ideo ut sic
Intelligentiæ dicantur animæ corporum coelestium, sed hoc est improprie, et non
vere. Cuius triplex ratio potest assignari, quod scilicet intelligentiæ non
sint vere, nec proprie dici possint animæ corporum coelestium. Prima ratio,
quia Intelligentiæ sunt vere et complete existentes, absque aliqua indigentia
corporis coelestis, cuiusmodi non sunt veræ animæ, ideo.Secunda ratio est quia
intelligentiæ nihil recipiunt a corporibus cœlestibus, imo dant aliquid ipsis,
verum autem animæ aliquid recipiunt a corporibus. Ideo. Tertia ratio est quia
intelligentiæ creant effective, etsi non productive, tamen conservalive corpora
cœlestia, sed veræ animæ non effective, sed formaliter creant sua corpora.
Quare intelligentiæ non sunt vere et proprie animæ appellandæ, ideo istis non
proprie competit definitio, sed aliquo modo. De intellectiva autem dico quod, secundum
LIZIO, essentialiter et in essendo et in intelligendo dependet a corpore, neque
potest esse sine corpore, neque intelligere sine organo corporeo. Quod enim
post mortem intelligamus non est ratio, sed in hoc mundo quod intelligamus per
organum corporeum tanquam per obiectum est rdtio, quia videmus quod dormientes
non intelligunt. Item quia intelligimus quodcumque velimus; semper enim se
affert nobis aliquid obiectum corporeum, et ita sive intelligamus materialia,
sive immaterialia, semper, in intelligere intellectus nostri, apparet organum
ut obiectum intellectus; ergo, quatenus intellectus, non iudiget corpore, quia
non omnis intellectus indiget corpore, quia intellectus quales sunt Deus et
inteliigentiæ nullo egent corpore in suo intelligere, non ut subiecto, sed ut
obiecto; et ita anima nostra intellectiva est media inter abstracta et bruta –
ANIMAL, BRUTE – GRICE -- , quia animæ abstractorum nullo modo egent corpore
neque ut obiecto, neque ut subiecto; animæ autem brutorum [GRICE ANIMAL BRUTE]
omniuo egent corpore, tanquam obiecto et subiecto, quia cognoscuut cum hic et
nunc; anima autem nostra secundum quod est intellectiva realis utitur in
intelligendo organo corporeo, nec ex toto absolvitur ab organo corporeo, nec
enim ex toto et omni modo in intelligendo eget organo corporeo, quia non eget
eo ut subiecto, cum intellectio non fiat cum hic et nunc, sicut VEGETATIO et
SENSATIO, quæ sunt OPERATIONES eiusdem animæ; hic autem et nunc est conditio
materiæ. Anima autem NVTRITIVA secundum quod realiter eadem est cum VEGETATIVA
et SENSITIVA, et sic in suis operationibus, quæ sunt pertinentes ad
vegetationem et sensationem, indiget corpore ut subiecto, quia omnes tales
operationes fiunt cum conditionibus materiæ, quæ sunt hic et nunc; ideo in
talibus operationibus anima intellectiva, quatenus sensitiva aut vegetativa,
indiget corpore ut subiecto; modo cum operatio eiusdem animæ intellectivæ,
quatenus intellectiva est, quæ est intelligere, fiat sine conditionibus
materiæ, quæ sunt hic et nunc: ideo in ista sua operatione non eget corpore ut
subiecto, sed bene ut obiecto, quia quidquid intelligatur ab anima nostra
intelligitur per aliquid corporeum. Ideo media est inter animas cœlestium et
brutorum – GRICE ANIMAL BRUTE --. Quomodo potentiæ anirnæ fluant ab anima.
Circa quæstionem illam: quomodo potentiæ fluant ab ipsa anima. nota quod ista
quæstio est perfectior quam illa sit quæ est in expositione magna. Est igitur
videndum ex quo modo potentiæ fluant b subiecto; utrum quodam ordine germinent
ab anima vel inordinate, quod est quærere utrum potentiæ animæ servent
determinatum ordinem sic quod una sit prior et altera posterior, vel inordinate
fluant ab anima sic quod illa potentia quæ nunc est prior, aliquando erit
posterior, et sic de aliis animao potentiis. Ubi dicatis quod non inordinate
procedimt istæ potentiæ ab ipsa anima, imo servant ordinem certiim ac
determinatum, quia natura in operationibus ordinate procedit; si ergo
inordinate fluerent istæ potentiæ ab anima, non fluerent ab anima secundum opus
naturæ; tum quia istæ potentiæ differunt ad invioem specie, ergo habent ordinem
essentialem ad se invicem. Sciatis ergo quod cum TRIPLICES SINT animæ in
genere, scilicet VEGETATIVA, SENSITIVA ET INTELLECTIVA, quæ talem ordinem ad se
invicem servant, quia vegetativa, via originis, PRIOR est sensitiva et
intellectiva, ita potentiæ animæ vegetativæ, via originis, sunt priores
potentiis animæ sensitivæ et intellectivæ. Similiter quia, via originis, anima
sensitiva est PRIOR intellectiva, ita potentiæ sensitivæ, via originis, sint
priores potentiis intellectivæ. Si ergo sit Socrates generandus, quando
generatnr, prius prodncuntur potentiæ animæ vegetativæ, postea sensitivæ, demum
intellectivæ. Cuius ordinis signum est quia una potentia alteri ministrat;
vegetativa enim ministrat sensitivæ, quod obiicitur? nam si quis vestrura
ieiunet, ita debiiitabitur ut non erit sic quasi in se, nec quasi poterit
videre. Hoc non est es alio, nisi quod anima vegetativa non ministravit
sensitivæ, sicuti solet: nec loquor de istis bouis patribus, quia in illis hoc
ex ieiunio nou evenit; similiter sensitiva ministrat intellectivæ, quia
ministerio sensus accipiuntur species intelligibiles in intellectu. Cum ergo
anima vegetativa ministret sensitivæ et sensitiva intellectivæ, ideo anima vegetativa,
via originis, prior est sensitiva, et sensitiva intellectiva. Loquendo vera de
ordine perfectionis est modo contrarium, quia intellectiva est PRIOR – GRICE
ORDER OF PRIORITIES REVERSED LEGAL MORAL RIGHT EPISTEMOLOGICAL PRIOR MORAL
PRIOR ONTOLOGICAL PRIOR -- sensitiva et sensitiva vegetativa. Talis etiam ordo
intelligatur de suis potentiis: quia hucusque locJiti sumus de potentiis animæ
in generali, nunc modo de potentiis animæ in speciali quærendum est, ulrum
potentiæ animæ, puta vegitativæ, ordinate fluant ab anima aut inordinate. Ad
hoc dico, quod potentiæ cuiuscumque animæ ordinate fluunt ab anima, ut si
loquamur de potentiis vegetativæ, dico quod tales potentiæ servant ordinem
certum inter se. Unde si loquamur de ordine, secundum viam originis, potentia
vegetativa est prior, quam augmentativa et augmentativa prior quam generativa;
prius enim Socrates genitus verbigratia nutritur, quam augeatur: nutritiva enim
administrat augmentativæ. Si enim Socrates debet augeri, opoxtet ut nutriatur,
si tamen potentia augmentativa prior est, via originis, quam sit potentia
generativa, quia augmentativa administrat generativæ; non enim in quacnmque
ætate potest Socrates generare, sed cum per virtutem augmentativam pervenit ad
ætatem idoneam ad generare. Sed, VIA PERFECTIONIS NON ORIGINIS, generativa
prior est quam augmentativa, et augmentativa quam nutritiva. Idem ordo est in
potentiis sensitivis. Via enim originis, sensus exteriores priores sunt
sensibus interioribas et illis ministrant, nam sensus interior non potest
discurrere, nisi præcesserit operatio alicuius sensus exterioris. Via vero perfectionis, sensus
interior prior est exteriori. Idem æcidit de potentiis intellectiis, quiæ sint
duao, scilicet intelligere et velle. Via enim originis, INTELLIGERE PRIVS EST QVAM VELLE –
NOT TO GRICE : WE SOON BELIEVE WHAT WE DESIRE : JUDGING DEFINED IN TERMS OF
WILLING --, et illi ministrat, nam non possumus aliquid velle, nisi
intelligamus illud. Via vero perfectionis, est in contrarium. VISVM est ergo
quod, et in generali, loquendo de potentiis unius animæ ad potentias alterius
animæ, et etiani loquendo de ipsis animæ potentiis in speciali, scilicet
comparando ad invicem potentias eiusdem animæ, semper potentiæ animæ servant
certura et determinatum ordinem. Oriturmodo dubitatio de sensibiis
exterioribus, utrum sensus exteriores ordinate proveniant ab eadem anima aut
inordinate. Hæc quæstio est valde difficilis, et causa et ratio dificultatis
est quia, cum nullus QVINQVE SENSVVM – URMSON THE OBJECT OF THE FIVE SENSES
GRICE SOME REMARKS ABOUT THE SENSES IN STUDIES IN THE WAY OF WORDS --
exteriorum ministrat alteri, videtur quod nullus sit altero prior, et sic non
videtur quod habeant aliquem ordinem ad se invicera – GRICE: DARWIN WILL
DISAGREE! THE AMOEBA HAS TOUCH, NOT SMELL, VISION, AUDITION, OR TASTE, although
I’ll grant that TIMOTHY – unless a kitten -- did five things at once!--, nec
videtur quod inordinate proveniant ab eadem anima, cura sint specie
differentes; modo ab eadem causa non possunt effective potentiæ differentes
specie æque primo provenire. Quare.
Et hanc dubitationem tetigit AQUINO (si veda) in prima parte. Ad quam dixit
quod non est aliquis ordo inter istas potentias, sed bene servatur ordo inter
eorum obiecta. Unde, VIA ORIGINIS, OBJECTVM TACTVS – GRICE WARNOCK THE SENSE OF
TOUCH -- PRIVS est quam OBJECTVM GVSTVS – GRICE WARNOCK TASTE VISION --; nara
tangibile TANGIBILE – GUSTABILE AUDIBILE VISIBLE OLFACTIBILE -- est PRIVS,
natura, GVSTABILI et OBECTVM GVSTVS est PRIVS, natura, quara sit OBJECTVM
OLFACTVS, et obiectum olfactus est PRIVS OBJECTO AVDITV, et OBJECTVM AVDITVS
est PRIVS QVAM OBECTVM VISV, sed in hoc mihi non sitisfacit AQUINO (si veda),
quia necesse est inter istos particulares sensus et exteriores ponere ORDINEM
PERFECTIONIS et originis, cxmi non possiut, via originis, simul ab eadem anima
provenire, ut dictum est, neque sunt æqualis perfectionis secuudura LIZIO. Ideo
cvedo aliter esse dicendura in hac materia, quara dixerit AQUINO (si veda).
Dico igitur quod in sensibus exterioribus est ponendus ordo perfectiouis, et
similiter ordo originis. De ordine perfectionis non dubitandura secundmu LIZIO:
VISVS enim est PERFECTIOR QUAM ALII SENSVVM exteriores, et ita vult Aristoteles
quod uuus sit altero perfectior et ita sit ordo perfectiouis ipsis sensibus exterioribus;
etiara inter istos sensus exteriores servatur ordo secundura origiuera; ubi do
vobis regulam cognoscendi quis sensus sit prior, via originis, et quis
posterior. Ubi advertatis, quod
semper sensus exterior est prior, via originis, qui est imperfectior, et ille
est posterior qui est perfectior. Quia evgo visus est perfectior oranibus
aliis, ideo via originis est posteiior oranibus aliis. VISVS enira pvæsupponit
omnes alios seusus exteriores, nara in quocumque est visus, simt alii quatuor
sensus, et ila gradatira procedendo semper perfectior est posterior, via
originis, iraperfectiori, et ipsum præsupponit. E contra vero, sensus
imperfectior prior est, via originis, perfectiori, neque imperfectior
præsuppouit perfectionera; et ita TACTVS, qui est IMPERFECTIOR omnibus aliis
sensibus exterioribus, prior est illis, via originis, nec quemquarn illorum
præsupponit. Non puto tamen quod inter hos exteriores sensiis sit tanta
convexio sicut in aliis potentiis animæ, quia in aliis animæ potentiis semper
una est ministrans et altera rainistrata; nec sic autera est de sensibus
exterioribus, quia nuuc non est unus ministvans et altev raiuistvatus, sed bene
in exterioribus sensibus unus præsuppouit alterum via originis. Sed contra hanc
nostvam sententiam arguitur quia, si ita esset ut diximus, omne habens visura
habevet auditura. Consequentia patet, quia, secuudum nos, visus, via originis,
præsupponit omnes alios qiiatuor sensus exteriores, sed consequens est falsum,
quia dixit LIZIO in prœmio primi Metaphysicorum quod apes nou habent auditum et
tamen habent visum. Nam, ut experentia constat, apes habent oculos et vident.
Nam dixit VIRGILIO in Georgicis de apibus quod incedunt per viginti millia ad
colligenda mella, et etiam videmus nos quod omnes ingrediuntur in alvearium per
tam parum foramen, quod non esset si apes non haberent visum. Item dictum fuit
mihi quod duo sint genera colubrorum, unum quod non videt, sed audit, aliud
genus quod non audit, sed videt. Unde dicitiir quod coluber ille qui non videt
posset videre, et qui non audit posset audire. Homines non possent in terris
vitam degere propter malignitatem talium serpeutium; propter hoc dicitur quod
natura uni negavit auditum, alteri visum; ergo in aliquo animali reperitur
visus ubi non reperitur auditus, et est contra nostram opinionem.Stando ergo in
nostra opinioue quod inter sensus exteriores sit ordo originis, ut diximus,
scilicet quod sensiis imperfectior est prior, via originis, perfectiori. Ad
primum argumentum possemus primo dicere quod LIZIO in prooemio Metaphysicornm
tuerit illius opiniouis, quod apes non audiant, sed in nono De historiis
animalium fuit alterius opiniouis quia ibi dixit quod multum delectantur apes
sonis, quia rustici cum volunt adi'ocare exaræu apum dispersum, sonant
iustrumenta rusticana, ad quem sonum cuvruut apes, quæ cum sic adunatæ fueriut,
rustici apponunt aliquem alvearium in quo intrant apes quæ erant dispersæ.
Possemus aliter dicere quod illud prooemium non est LIZIO, ut commimiter
creditur; fertur enira communiter quod verso illud prooemium fuerit
Theoidirasti. Et dicatis quod, concesso quod illud prooemium sit LIZIO, non
tamen assertive dicit Philosophus quod apes non audiaut, sed loquitur cum hac
particula et dictione forte et ita in illo prooemio fuit dubiiis an apes habeant
auditum an non, sed in nono De historiis animalium, determinando de apibus,
dixit assertive quod apes habeant auditum, et dat experientiam dictam quod apes
multum lætantur sono, quare nostra opinio est multum cousona cum mente LIZIO.
Ad aliud de colubro quod habet auditum et non visum, credo quod illud mihi
dictum sit una fanfalucata et impossibile. Dedimus in hesterna lectione non
nullas ratiocinationes ad argumentnm quod probat contra nos de apibus. Ultra
illas ratiocinationes possot dari una alia ratiocinatio, quæ est quod verum est
quod omne habens visum habet auditum; sed non oportet, si aliquid animal habeat
visum perfectum, quod tale animal habeat auditum perfectum, et sic de aliis
sensibus dicatur. Dico ergo in proposito quod apes et habent visum et auditura,
sed VISVM habent valde perfectum, auditum vero valde debilem, et ita debilem ut
non audiant sonum nisi sint prope ipsum; nec inc nvenit quod apes habeant
auditum et non perfecte audiant, nec quod in eis frustre^^ur perfecta auditio.
quia non inconveuit secundum LIZIO, quod aliqua pote^/cia frustretur in
individuo, sed bene inconveniret quod in toto genere animalium irustraretur
visio sine auditione; videmus enim quod in mulo et mula sunt omnia organa
servientia generationi, et vulva in mula et virga satis magna in mulo et tamen
non possunt generare. Ecce quod in Iiis frustratur potentia ad generationera,
nec hoc inconvenit, nec dedit natura mulo virgam tam magnam nec mulæ vulvam ut
ex mulo et mula proveniat generatio, sed hoc fecit natura ad ornamentura talium
aniraalium; sed bene esset inconveniens quod in quolibet animali frustraretur
potentia recto ad generatiouem; sic in proposito dico de apibus quod apos
habent orgauum auditus, verso et aiidiunt sonos, sed valde debiliter audiunt,
et non visi es loco propinquo, et ex suo debili auditu dicebat Philosophus in
prœmio Metaphysicorum duljitative, quod forte apes non habent auditum, verum in
nono De historiis animalium fuit certificatus LIZIO quod habeaut auditum et
quod audiaut, licet valde imperfecte. Utrum species sensibilis et sensatio sint
idem realiter. Circa quæstionem illam: utrum species sensibilis et sensatio
sint idem realiter, præceptor meus tetigit unam novam opinionem quæ est unius
excellentissimi doctoris. Iste enim vir doctissimus, volens salvare doctores
antiquos, dicit quod ad visionem creandam, albedo producit speeiera sui in
sensu, et tunc ab ista specie et ab anima effective producitur sensatio. Unde
dicit quod species, ut species, producitur effective a sensibili. Ut autem ista
species est cognitio, producitur ab anima, et sic obiectum concuriit mere
etfective ad sensationem, anima vero active producendo cognitionem, et passive
recipiendo speciem, et sic salvat iste vir quod sensibilia reducant animam de
potentia ad actum, scilicet mediate. Salvat etiam quod sensatio sit operatio
animæ, quia non solum passive concurrit auiraa ad sensationem, sed etiam
effeetive cum ipso simulacro. Et sicut dicit de sensatioue, quod species
dependet eliective ab obiecto, sed ut cognitio ab anima, ita dicit esse de
voluntate. Sed ista opinio in multis est defectuosa, primo quia ista opinio
contradicit doctori suo AQUINO (si veda), qui dicit in expositione textus
commenti centesimi quadragesimi huius secundi, ubi digreditur disputando de
sensu communi au sit perfectior sensibus exterioribus proprii; expresse dicit
quod licet sensus exterior agat in sensum communem producendo in illo speciem
sensibilem quæ est in eo, ut oculus speciem albedinis, unusquisque tamen sensus
particularis et proprius passive et recipiendo concurrit ad sensationem
propriam. Esto enim quod concurrant sensus proprii effective ad creandam
sensationem alienam ut sensus communis, non tollitur tamen propter hoc, ut
recte dicit AQUINO (si veda), quod sicut seusus communis solum patiendo
concurrit ad propriam sensationem, ita sensus exteriores soli passive ad suas
proprias sensationes concurrant. Ubi expresse fatetur AQUINO (si veda) quod
quilibet pure passive et nullo modo active concurrit ad proprias sensationes.
Dico, secundo, quod illa opinio contra AQUINO (si veda) est etiam iu se falsa,
ponendo quod ad cognitionem creandam, et simulacnim et anima sensitiva
concurrant effective, quum si duo agentia simul effective concurrant ad
productionem alicuius effectus, hoc potest contingere tribus modis. PRIMO MODO
quod ambo agentia sint eiusdem rationis, quorum utrumque sit insufficiens et
impotens ex se producere talem affectum, sed ambo eura possiut simul producere.
SECUNDO MODO accidit quod duo agentia simnl concurrant, quorum utrumque est
alterius rationis ab altero, et unum disponit, alterum vero inducit. TERTIO MODO accidit quod duo agentia concurrant, unum
ut instrumentum, alternm vero ut principale, nec aliquo alio modo possunt
aliqua duo concurrere ad eumdem effectum. Primo modo concurrant duo agentia ad
eundem effectum sicut Socrates et Plato concurrunt ad traheudam navim; nam si
Socrates sit solnm poterit movere ut duo, similiter et Plato, navis autem
resistere ut tria, verbigratia, nec Socrates de se nec Plato de se erit potens trahere
navim, sed ambo simul bene essent potentes trahere navim, et Socrates et Plato
sunt einsdem rationis in potentia motiva. Isto modo primo, non potest hæc
opinio dicere quod sensus et sensibile concurrant ad sensationem creandam.
Primo quia sensus et sensibile sunt diversarum rationum tum quia si in
infinitum augeretur potentia sensitiva, similiter et ipsi sensus poterunt de se
sine altero producere sensationes. Secundo modo, accidit quod duo agentia simul
concurrant ad eumdem effectuai, quorum unum subordinatum alteri, et est ut
agens instrumentale, agens in virtute alterius. Alterum vero agens est
principale. Hoc accidit in scissione lignorum de scindente et securi. Nam
Socrates, verbigratia, scissor lignorum concurrit, ut agens principale, ad
istam actionem quæ est scissio, securis vero conciirrit ad eamdem actionem, ut
agens instrumentale, quod agit in virtute principalis agentis. Isto etiam modo
concurrit sol et homo ad productionem homiuum, quia sol ut principale agens
concurrit, homo vero ut instrumeutale et in virtute solis. Isto etiam modo non
potest dicere hæc opinio quod sensus et sensibile concurrant effective ad
sensationem, ponendo scilicet quod unum horum duorum agentium effective
concurrat ut agens principale, et alterum ut instrumentale, quum, si sic, aut
sensus concurreret effective, ut agens principale, et sensibile ut
instrumentale motum a sensu et agens in virtute eius. Et est maxima fatuitas,
quia fatuum est dicere quod cœlum aut pars cœli, ut polus arcticus, qui a nobis
ita longe abest, concurrat ad visionem motum a virtute mea visiva, et in
virtute oculi mei. Aut erit e contra, scilicet sensibile concurret ut
principale, sensus vero ut instrumeutum. Et hoc modo non potest dicere, quia
tenet iste quod sensus principalius concurrat ad sensationem quara ipsum
sensibile. Item si ita esset, cognitio esset prior simulacro, quia actio
potentiæ sensitivæ immediatius concurreret ad sensationem quam actio ipsius
sensibilis, sed actio sensus non est aliud quam cognitio, actio vero obiecti
est simulacrum. Tertio modo contingit ut duo agentia
effective coucurraut ad producendum aliquem effectum, unum disponendo materiam
pro actione alterius, alterum vero inducendo formam in materia disposita sibi
oblata. Sicut si habeat
fabrefieri navis, in ista factione navis, concurrit agens seu artifex, qui
liabet secare ligna, ex quibus habet navis constitui. Qvæ cum fuerint secta,
alius artifex, machinator et ædificator navium Ch. ^oSverso compaginat et
format navim. Istæ autem duæ actiones sic se habent quod prima, tempore,
præcedit secundam. Nara sector liguorum, prius, tempore, secat ligna quam
architectus inducat in illis formara navis; sed uec hoc modo potest ista opinio
imaginari quod sensus et sensibile effective concurrant ad sensationem
producendam, quum operationes talium agentium, sic effective concurrentium ad
eumdem effectum, sunt operationes diversæ, et diversorum agentium, et sic
operatio sensibilis esset. (Uversa
ab operatione sensus. Non ergo concurrerent siraul sensus et sensibile ad
sensationera, cura sensatio sit sola una operatio, sciiicet ipsa cognitio;
taraeu quasi sic concurrerent sensus et sensibile. Tunc sensibile concurreret
dispositive ad sensationera, et sic convei"teretur ista opinio cura prima
opinione, quia tenuit peima opinio quod species sensibilis disponat animam
sensitivam ut reducat se de potentia ad actum. Item multoties est imaginatio in
oeulo, et tamen non est visio, scilicet cum non est intentio ad illiid, sed ad
aliquid aliud; cum vero advertis, subito sit cognitio et sensatio. Aut ergo
aliquid est genitura de novo iu imagine, vel intentio ipsius simulacri, vel
aliquid aliud. Non intentionem imaginis, nec aliquid aliud generat sensus in
simulacro. Quomodo ergo concurrit effective sensus ad sensationem, cum recepto
simulacro, nihil in eo generet? Dico e contrario quod ista opinio habet eadem
argumenta contra se quæ et prima opinio. Nam cum ista attribuat actionem
sensni, non recte dixisset LIZIO quod sensatio sit ab ipso sensibili, qvia
sensibile solumraodo dispositive concurrit, sensus autem est principale
efficiens. Et ita tamen saepe errasset Aristoteles in attribuendo operationes
efficienti disponenti, quæ debebant attribui efficienti priucipali. Quare non
evasit iste vir ab argumentis quæ fiunt contra comuninem opinioiiera. Alias
autem duas opiniones circa hanc materiam videas in expositione magua et in
quæstione propria: numquid species sensibilis et sensatio sint idem realiter. 1
DEO AUSPICE, ET VALETVDINE BONA COMITE FINIS IMPONITVR QUÆSTIONIBUS TOTIVS
ANIMASTICI NEGOCII MAXIMI ILLIVS PHILOSOPHI PETRI POMPONATII MANTUANI DUM AN.XX
PUBLICE PHILOSOPHIAM PROFITERETUR BONONIAE. Petrus Pomponatius. Pomponatius.
Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords: peripatetismo veneto. Pomponazzi.
Keywords: paripatetismo veneto, lizio, corpore, materialismo, animo-anima,
Aquino, Nifo -Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi on
the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza—GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pomponio: la ragione conversazionale e l’orto
romano – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A statesman and author. Sometimes misspelled “Pompedio.” The
historian Josephus said he was a senator that followed the Garden. Publio Pomponio Secondo.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pontara:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale, o se il fine
giustifichi i mezzi filosofia trentina – filosofia italiana -- (Cles). Filosofo italiano. Cles, Trento, Trentino. Grice: “I
like Pontara: he wrote a whole essay on Kant’s problem about the reduction of
the categorical to the the prudential imperative, “Se il fine giustifica i
mezzi.” Uno dei massimi studiosi della
nonviolenza. Fortemente dubbioso dell’eticità del servizio militare. Insegna a Torino,
Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, e Trento. Uno dei fondatori di “Per la Pace”. Studia
etica pratica e teorica, meta-etica e filosofia politica. “Se il fine
giustifichi i mezzi” (Mulino, Bologna). Studia non-violenza, Pace, Utilitarismo,
in Dizionario di politica (Pomba, Torino); Neo-contrattualismo, socialismo e
giustizia, Democrazia e contrattualismo
(Riuniti, Roma); Filosofia pratica (Saggiatore, Milano); Antigone o Creonte.
Etica e politica (Riuniti, Roma); “Etica e generazioni future” (Laterza, Bari);
La personalità non-violenta” (Abele, Torino); “Guerre, disobbedienza civile,
non-violenza” (Abele, Torino); “Breviario per un'etica quotidiana” (Pratiche,
Milano); “Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, Teoria e pratica della non-violenza”
(Einaudi, Torino). G. Pontara. Pontara. Keywords: Grice on the mythic status of
the contract in ‘Meaning Revisited’, Grice against the quasi-contractualist, se
il fine giustifichi i mezzi, contrattualismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pontara” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ponte: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale maschile – filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Flosofo italiano. Lodi, Lombardia. Studia a
Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione tradizionalista, dopo gli studi
classici vive a Pontremoli. Storico delle idee e del diritto romano arcaico,
studioso di simbolismo, fonda la rivista di ispirazione evoliana Arthos --
cultura tradizionale, testimonianza tradizionale, a cura d’Arya di Genova. Cura
il Tractatus de potestate summi pontifices; La Cronologia vedica in appendice a
La dimora artica dei Veda. Tra i fondatori del movimento tradizionale romano.
Collabora attivamente con Arya, ispirate dall'O. I. C. L. Altre saggi: Dei
italici; Miti italici, Archetipi e forme della sacralità romano-italica,
Genova, Ecig; Il movimento tradizionalista romano, Scandiano, Sear; La
religione dei romani” (Milano, Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear); “I
liguri: etno-genesi di un popolo” (Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La
tradizione di Roma e la sua continuità” (Ecig, Genova); "Favete
Linguis!" Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova);
"Ambrosiae pocula" (Tridente, Treviso); "Nella terra del
drago" note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan (Tridente, La
Spezia); “Il mondo alla rovescia” (Arya, Genova); “In difesa della tradizione”
(Arya, Genova); “Le sacre radici del potere” (Arya, Genova); “La massoneria
volgare speculativa” (Arya, Genova); “Lettere ad un amico” (Arya, Genova); “Hic
manebimus optime” (Arya, Genova); “Etica aria” (Arya, Genova); “Aspetti del
lessico pontificale: gli indigitamenta”; “ “I LARI nel sistema spazio-temporale
romano”; “Santità delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”; “Via romana agli
Dei”; Centro studi La Runa.IL MOVIMENTO TRADIZIONALISTA ROMANO: Studio storico
preliminare SeaR. Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una
conferenza tenuta a Palermo presso l’istituto Platone riprodotto con aggiunte
note critiche e documentarie, per le Dispense d’Arx di Messina, edite da Ruta.
Il testo viene ripresentato con maggiore dignità tipografica e tiratura, onde
favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova
collana della Sear di Scandiano. Poiché è certamente la prima volta che con una
certa organicità viene affrontato questo argomento, il presente scritto può a
ben diritto definirsi una novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo
viene presentato come uno studio storico preliminare, il lettore potrà dedurne
che i dati storici, biografici e letterari, le notizie contenute ed ogni altra
informazione non sono frutto di fantasia o di illazioni avventate, ma
desumibili nella loro grande maggioranza da fonti documentarie, come dimostrato
dai stessi riferimenti; l’insieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da successive indagini e approfondimenti di maggior respiro.
Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte notizie documentarie non
sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di
indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi per via amichevole o
riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa parte di alcun segreto
esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio storico della nazione
italica e come tale lo offriamo alla meditazione di quei lettori che vorranno o
sapranno trovarvi spunto di interesse interiore, nonché agli storici laici,
perché almeno in questa occasione si rendano conto del tipo di dimensione
occulta che corre parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella
fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora ignorata, delle correnti
esoteriche che tentarono di dare al FASCISMO quell’anima priva di compromessi
che non fu capace di far sua. Entrando il Sole nei Gemelli. Nella prefazione da
lui posta ad un recente lavoro dedicato soprattutto alla cosiddetta nuova
destra, il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve senza dubbio
riconoscere una notevole apertura mentale e un’intelligente operazione
culturale volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie della destra
tradizionale, ha potuto osservare come alla nuova destra sia mancata
«precisamente una ri lettura della componente magica ed esoterica della cultura
di destra. La nova destra si trova anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano
propriamente politico forse anche perché ha trascurato l’analisi di fenomeni ai
quali si dimostra sensibile la destra tradizionalista esoterica): tale fallimento,
dunque, sarebbe implicito nel «completo abbandono di un bagaglio culturale di
indubbia rilevanza. Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni di
Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe netrare nel mondo oggi ancor
poco conosciuto, proprio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso- [GALLI,
prefaz. a: MONICA ZUCCHINALI, A destra in Italia, Sugarco Edizioni, Milano.
Tale lavoro non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto
superficiale e limitato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in
questo largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente
a sini stra, come La destra radicale, a cura di Ferraresi, eccessivamente ampio
e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova Destra», mentre la «destra
tradizionale» è pressoché inesistente. In sostanza, ciò che dà rilievo al
libro, sono le poche notazioni preliminari del Galli, che peraltro suonano da
campana a morto per i profeti della fine del «mito incapacitante] terismo del
III Reich), che ben difficilmente, del resto, potrebbero essere recepite nella
loro portata da quanto sopravvive della nuova destra, proprio per la sua
impostazione profana e modernista (per non parlare della destra «tecnocratica»
missina, per sua intrinseca natura da sempre impermeabile ad ogni discorso
«intelligente»), potranno ser- [In una relazione sul tema tenuta a Torino (pare
per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli
osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esitato a
muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal piano
della storia a quello della fantasia. Ciononostante Galli, che dunque sembra
muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzante, afferma come vi
siano sufficienti elementi per una riflessione storica organica sulla
componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre per quanto riguarda il
fascismo italiano questa riflessione potrebbe con cernere esclusivamente la
personalità d’Evola. Il saggio dunque amplia le prospettive conoscitive di
Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ultimo
punto, quello concernente il FASCISMO. Circa poi le correnti esoteriche del
nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha preceduto la sua presa
del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni settori delle SS. In
base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo anticipare che tali correnti
esoteriche poggiano su fondamenta assai fragili, contrariamente a quel che
potrebbe pensare Galli stesso, che in que sto caso pare essere rimasto vittima
di alcune «ingenuità» propalate sulla scia del famigerato Mattino dei Maghi di
Pauwels e Bergier. Per un discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si
veda ora il mio saggio su La realtà storica della società Thule, in
introduzione alla prima traduzione italiana di Prima che Hitler venisse di
Rudolf von Sebottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino. Su Evola e certi
ambienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archivio
di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali tematiche saranno
ulteriormente trattate. In un recente articolo che vuole costituire una sorta
di recensione del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza
gli interes- [virci qui da spunto iniziale per una breve indagine preliminare,
necessariamente per ora limitata, su una corrente di pensiero indubbiamente
assai minoritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di recente
sottolineato, «nel contempo assolutamente necessaria per l’Italia, che ha
svolto ed è destinata a svolgere ancora una funzione molto importante, per non
dire essenziale, per la nostra nazione: quella della conservazione dtXV
identità delle nostre radici. Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una
classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapacità e colpevole
negligenza, nondimeno persiste im mutata, come presenze e immagini primordiali,
negli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti. Il compito di tale
minoranza, al di là della pura e semplice azione conservativa, è stato quello
di saper ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì che divenissero
presenze vive ed operanti, concretiz zandole nelle nuove realtà della nazione
italica. Si tratta delle immagini primordiali e delle epifa nie divine del
Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero della Saturnia tellus: quelle che
hanno reso possibile la manifestazione sul nostro suolo della tradizione di
Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni si e i tentativi controcorrente
del Galli: A cosa ciò possa condurre in concreto, è imprevedibile. Forse a
nulla» (in «Proposta» Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos] hanno
reso evidente essere emanazione della Tradi zione primordiale ed il suo
rinnovellarsi attraverso i tempi. Il precedente riferimento del Galli
all’esoterismo è, nel nostro caso, più che pertinente, dal momento che la
trasmissione e perpetuazione della tradizione romana, almeno negli ultimi
quindici secoli, ha po tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via segreta,
cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie anche molto diverse. Se oggi si
può parlare di «de stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto riche
particolari, in un ambito (peraltro, assai ri stretto) della destra del nostro
secolo certe tematiche hanno potuto trovare parziale ospitalità: va da sé — e
non sarebbe il caso di insistervi sopra che la .tradizione di cui tali correnti
sono portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni miserabile
dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione
parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad inquadrare forme di
realtà spirituali quali quelle a cui ci riferiamo. Tuttavia, dal momento che il
presente intende es sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor- [Per
tali evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del mio Dèi e miti
italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente in connessione con le figure di
Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso. Si deve peraltro notare che ad
interessi esoterici inerenti anche alla tradizione romana non furono aliene
certe personalità della sinistra storica e nel corso della nostra esposizione
non mancherà un esempio concreto.] rente, dovremo fare solo riferimenti
indiretti e limi tati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui suoi
riflessi politici, culturali e religiosi. L’abbiamo definita «corrente
tradizionalista romana nel Novecento: un’élite che ha in ogni caso lasciato una
sua impronta in una certa epoca e che, nell’incertezza del pensiero debole attuale,
potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio radicalmente alternativo,
poiché radicalmente (e qui l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel
suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata contro gli pseudovalori
che reggono la scena del mondo moderno. Non è mio compito qui riassumere i
termini della questione intorno alla possibilità della trasmissione della
sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca degli ultimi sapienti pagani
sino ai nostri giorni: è uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes
dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri, abbiamo da anni iniziato
in varie riviste e pubblica- [Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista
romana» dal poderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon.
Tradizione e civiltà, Napoli in cui, nel cap. intitolato appunto Il
tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del tradizionalismo, ad
opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che col termine «corrente»
noi non intendiamo riferirci (se non in singo li casi, che ben preciseremo) ad
una linea di pensiero omogenea, bene organizzata in un gruppo unitario e
compatto dalle caratteristiche co muni, ideologicamente e politicamente
parlando, ma ad una tendenza che potè assumere aspetti e sfaccettature diverse,
come proprio i casi di Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici)
sono a dimostrare] zioni e che non mancherà di ulteriori sviluppi. In questa
sede sarà sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e
decisive tra sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel
corso del XV secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più
grande segreto, paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova
manifestazione dal contatto con personalità del l’Oriente europeo di altissima
rilevanza intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande
rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi anni dell’Impero
d’Oriente e fondatore di un cena colo esoterico a Mistra, la medievale erede
dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare testi
dell’antichità pagana (come le opere dell’imperatore Giuliano, che vi venivano
trascritte), si celebravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore
degli dèi olimpici. La figura e la funzione di Pletone sono ancora troppo poco
note in generale e, in Italia, non ancora studiate. In genere, ci si limi-
[Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio ne sacrale
romana, parti I e II, in «Arthos»; vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO,
RelazionesuH’altare della Vittoria, con un’introduzione di R. del Ponte su
Simmaco e isuoi tempi. Edizioni del Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel
sud del Peloponneso sono attestati, a livello popolare, culti nei confronti degli
dèi classici sino al IX secolo della nostra era. In lingua italiana mancano
ancora del tutto studi approfonditi.] ta a citare, a proposito di lui, la sua
partecipazione al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia Platonica
Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Careggi (o «delle Cariti», o «Muse»),
concepita da Co simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico su
suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero essere ancora più
interessanti e gravidi di conseguenze, se si considerino i legami, ad esempio,
Pletone e Malatesta. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il cadavere agli
Ottomani, i quali avevano occupato Mistra, onde deporlo pietosamente in un’arca
marmorea del suo famoso «Tempio Malatestiano. Lo stesso Malatesta dovette pure
essere in rapporto con la ben nota Accademia Romana di Pomponio Leto,
propugnatore, scrive il von Pa- stor, del «romanesimo nazionale antico». Il
capo [Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul
platonismo del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze; P. FENILI, Bisanzio e
la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie della Tradizione» (ci viene
comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di stampa
un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo squarcio nelle
tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca pitato di leggere in
un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di sinistra, un reportage da
Mistra singolarmente informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola
(LOSARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in
«Frigidaire. Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi- mus),
l’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale dell’Accademia
Romana, riporta il von Pastori «spregiava la religione cristiana ed usciva in
vio lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il genio della città di
Roma. Quale rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane
simo, si schierarono ben presto attorno a Pomponio un certo numero di giovani,
spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. Gli iniziati
consideravano la loro dotta società come un vero collegio sacerdotale alla
foggia antica, con alla testa un pontefice massimo, alla quale dignità fu elevato
Pomponio Leto. Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del Leto del
principe Francesco Colonna, Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai
più ritenuto l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni modo,
una sapienza ermeti ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.] fu
notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano di Mistra (cfr.
F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris. L’opera del Masai è a
tutt’oggi la più completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio
Gemisto Pletone). Si noti che il Platina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione,
si prodigò per la liberazio ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia
Romana, dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento — di
paganesimo. 11 Masai si domanda se l’Accade mia Romana «non fosse in qualche
modo una filiale di quella di Mistra. L. von PASTOR, Storia dei Papi, Roma]
quanto mistica, del mondo della paganità romano italica, culminante nella
visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna,
realizzatore dell’imponente palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio
di Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili nelle strutture
originali), vantava discendenza diret ta dalla gens Julia e quindi da Venere,
si potrà allora intravedere come l’apporto vivificante della corrente sapienziale
reintrodotta in Italia da Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio
di una tradizione antichissima, gelosamente custodito nel silenzio dei secoli
col tramite di alcune fami glie nobiliari italiane, in ispecie laziali,
generosamente fruttificando: nel senso di spingere ad un rinnovamento
tradizionale non solo l’Italia, ma persino, ad un certo momento, lo stesso
papato, se avventi. Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna
possedessero ancora fino ai nostri giorni il «feudo» originale di Giulio
Cesare, Boville (Frattocchie d’Albano). E visibile nel giardino Colonna al
Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie
ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma. Tolomeo 1 Colonna ostentava il titolo
di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE,
s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana). Ha compiuto un’attenta analisi
deWHypnerotomachia Poli phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come
opera di France sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma.
Si veda anche: PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del l’umanesimo, ed.
Palladio. Ambesi, in considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di
Francesco Colonna, la conside ra come un’anticipazione cifrata del movimento
dei Rosacroce (/ Rosacroce, Milano] ne che poco mancò che salisse al soglio
pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo diretto di
Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato, come scrisse in una lettera privata
ai figli del maestro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci dopo Platone.]
Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in cui sarebbe stato più
prudente tacere, come dimo strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori,
avvolgenti nell’anno di Cristo il corpo, ma non l’animo, di Bruno,
rivivificatore generoso, ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che
trovavano analoga eco — frutto di una linfa non mai del tutto estinta
nell’Italia Meridionale — nella poesia e nella prosa dell’irruente frate
calabrese Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose persecuzioni. Bisogna
giungere sino all’unità d’Italia, parzialmente realizzatasi con la fine della
millenaria usurpazione temporale dei papi, per trovare una situazione mutata. A
questo punto bisogna chiarire una volta per tutte, con la maggiore evidenza,
che dal punto di vista del tradizionalismo romano l’unità d’Italia —
indipendentemente dai modi con cui [Si dovrà ricordare che Bessarione raccolse
cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare
alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca
Marciana da lui fondata, a Venezia. ] potè in effetti verificarsi (modi spesso
arbitrari e prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono mie di diverse
popolazioni italiche) e dall’azione di certe forze sospette (Carboneria,
massoneria e sette varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla — era
e rimane condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà
geopolitica dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimani festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che ab origine a
quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi indigeti — sono
legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente, per meglio intendere certi
fatti che avremo modo di esporre in seguito. Intanto, è nell’aria qualcosa di
nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più sensibili. Fra
queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con un equilibrio ed una compostezza
veramente classici, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella con cui
in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di certi lati occulti della dantesca
Commedia, con il seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame tri
latini, da noi non riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica la
solennità. L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso ad una
branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia il frondifero
Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del toro, l’arator guarda lo spazio:
sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio; là, sul monte, una lunga breccia
bianca. È Alba. Passa l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che
percuote nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,
come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera in un polverio d’oro.
Allo scadere del secolo è un fatto nuovo di ordine archeologico il punto di
riferimento im portante ed essenziale per il secolo che sta per aprirsi: la
scoperta nel Foro da parte di Boni (si veda) del cippo arcaico sotto il
cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi ne
RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’effettiva esistenza in Roma della
monarchia e, con quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della tradizione
annalistica romana, trasmessa nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi
Annales Ma ximi dei pontefici sino a LIVIO (vedasi) e, al termine del-
[PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna.
Il lettore esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate realtà
primordiali dell’Urbe.] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali ed
a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori della sapienza delle
origini, come poterono essere un Macrobio ed un Marziano Capella. È come se,
fisicamente, una parte di tradizione ro mana si esponesse improvvisamente alla
luce del sole a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca,
che, in nome di un presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le
più antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi seguaci italiani,
come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata innumerevoli
volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione da una parte,
costruendo dall’altra fantastici castelli in aria, senza alcuna base, né
storica, né filologica. Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza con un
altro principe romano, pioniere degli studi islamici e deputato al parlamento
nei banchi della sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano,
marito di una principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’autore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca dove si sosteneva
l’identità di ENEA col dantesco «messo del cielo» che apre le porte della Città
di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di Eieusi: quello stesso che fu
il latore a Vittorio Emanuele II dei [Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose
nella Divina Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello]
risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone
Caetani sarebbe stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero
manifestate all’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa
proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz
(cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come Schola Italica —
determinate influenze derivanti dall’antica tradizione romano-italica se, come
scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ricciardelli) è lui il
misterioso Ottaviano (altro riferimento alla gens Julia!) autore nella rivista
Commentarium diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una lettera
di congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?)
«Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole,
autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto da potere
essere ritenuto portavoce di sede superiore Don Leone Caetani, Duca di
Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di
Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da Ottaviano in
Commentarium sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e
iniziazione. In quest’ultimo scritto, con sistente in una lettera di congedo
come collaboratore della rivista, si rimanda all’opera di un altro personaggio
che, come Ottaviano, doveva riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico
gravitante alle spalle dell’or ganismo kremmerziano: l’avvocato Lebano, autore
di un curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola
ani ma o anche col corpo? (Torre Annunziata), in cui nuovamente si accenna al
«ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con venzione che Enea
presenta a Proscrpina.] pria fede pagana: non sono che pagano e ammiratore del
paga nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti volgo, che i miei antenati
simboleggiavano nel ca ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Domus
familiae con la nota scritta: Cave canem; cane perché latra, addenta e lacera.
In quegli tempi era cominciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di
Reghini. La sua importanza fra i più autorevoli esponenti europei della
Tradizione, e del filone romano-italico in particolare, risiede certamente non
tanto nel tentativo, vano e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto
disinteressato, di rivitalizzare la massoneria al suo interno, quanto
nell’attenzione da lui portata allo studio ed [OTTAVIANO, Gnosticismo e
iniziazione. Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito
Filosofico Italiano, fondato da Reghini, Frosini ed altri (vi sarà accolto come
membro onorario Crowley), ma dall’esistenza effimera, dal momento che si fuse
con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del Gesù.
Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul Palermi,
molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai provvedimenti contro le società
segrete. Papini dedica alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad
Reghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo Reghini
visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e gli difese e
incarnò, a suo modo, il primato dello spirituale. Nessuno di quelli che lo
conobbero potrà dimenticarlo, Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze] alla
riscoperta della tradizione classica e romana, che gli era stato dato in
compito di rivitalizzare in segreto, così come egli stesso si esprime in una
lettera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nell’Ultra»: «sai bene come il
nostro lavoro, puramente metafisico e quindi naturalmente esoterico, sia
rimasto sempre e volontariamente segreto. In tal modo Reghini ben si inseriva
nel filone della corrente tradizionalista romana, in quella sua variante che si
può legittimamente definire «orfico- pitagorica, col contributo di numerosi
scritti, soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra molti articoli e
opere impegnative, come Per la resti tuzione della geometria pitagorica, I
numeri sacri della tradizione pitagorica massonica, Aritmosofia. REGHINI, La
«tradizione italica», in «Ultra», Vili [Allo stesso modo, di tradizione
ermetica egizio-ellenistica si potrebbe parlare per il filone essenzialmente
seguito dalla corrente kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti
possa preten dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione
romana (come vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri
giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis
sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana è altra
cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra nella sua
essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà riflettere sul
simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso divinità unica e
propria della sacra terra laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri
pitagorici. Con questa attività egli avrebbe perseguito la missione affidatagli
da un’antica scuola iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia
allorché, ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe
divenuto il suo maestro spirituale: Armentano (si veda), calabrese, ufficiale
dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini. Ad Armentano apparteneva
[Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del Reghini, è
stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi mo, pitagorismo,
massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura dell’Associazione Pitagorica, un
gruppo costituitosi con un poco iniziatico atto notarile (sic), ma che vanta
diretta discendenza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo
eseguita con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e
gli scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi ne
logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa ve si
potrà leggere ora completo in Arthos. DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero
di Pitagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia.
Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco,
che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti
Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz; trad.
ital. Bari. Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. SESTITO,
A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazione Pitagorica.
Di Armentano si vedano le Massi me di scienza iniziatica, commentate dal
Reghini in vari numeri d’Atanòr» ed Ignis. Negli anni Trenta Armentano lasciò
l’Italia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche Ottaviano in quel
periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancouver in Canada.
] quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve detta diroccata, su di uno
scoglio deserto dove, con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane
protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mondadori, Milano), Lucian, alias
Parise, avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia di un amico non nominato,
vale a dire proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria,
che il Reghini rivide il testo della traduzione italiana deirOccw//flr
Phylosophia di Agrippa, a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pagine
su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra l’altro. E perciò, in noi, il
senso della romanità si fonde con quello aristocratico e iniziatico nel
renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e deviazioni. Forse
si avvicina il tempo in cui sarà possibile di rimettere un po’ a posto le cose,
e noi speriamo che ci venga consentito, una qualche volta, di riportare alla
luce qualche segno dell’esoterismo romano. Quanto alla permanenza di una
tradizione romana, si vorrà ammettere che se una tradizione iniziatica romana
pagana ha potuto perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più assoluto
mistero. Non è quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni.
ALERAMO, AMO; DUNQUE, SONO. Cfr.: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago!
M’hai detto d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma
realmente accadute. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA, [è
un tempo molto importante, sotto diversi aspetti, per i tentativi di rivivificazione
della tradi zione italica. Nella Salamandra», in un articolo dal titolo
fortunato, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, Reghini coglieva
occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio universale
che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immutabilità
della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata nella sua visione al
pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini
ziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagi ne di «Ultra», precisava
nello stesso tempo, in un importante articolo dottrinario, che: Il linguaggio e
la razza non sono le cause della superiorità metafisica, essa appare
connaturata al luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la
città eterna, si manifesta anche storica mente come una di queste regioni
magnetiche del la terra. Se noi parleremo del mito aureo e so lare in Egitto,
Caldea e Grecia prima di occuparci della sapienza romana, non è perché questa
derivi da quella, ché il meno non può dare il più. Lm Filosofia occulta o la
Magia, Mediterranee, Roma] L’articolo fu poi ripubblicato in Atanòr, Roma.
REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla sapienza metafisica,
in «Ultra», Vili] Intanto, nella notte del solstizio d’inverno, si era
verificato un insolito episodio, gravido di future conseguenze: in seguito a
misteriose indicazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia Antica era
stato rinvenuto, a cura d’Ekatlos, accuratamente celato e protetto da un involucro
im permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i segni di un rituale.
Ed il rito — riporta Ekatlos — e celebrato ogni notte, senza sosta. E noi
sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e
vedemmo balenar nella sua luce le figure vetuste ed auguste degl’eroi della
razza nostra romana; e un segno che non può fallire e sigillo per il ponte di
salda pietra che uo mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio profondo
della notte, giorno per giorno. Il significato, le vere intenzioni e le origini
di tali [Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione d’Ekatlos con il
principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore (si tratta,
peraltro, certamente di Mutti, fanatico integralista islamico) di una postilla
alla parziale traduzione francese della rivista evoliana «Krur» (TRANSILVANUS,
A propos de l’article d’Eka- tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in
EVOLA, Tous les écrits de «Ur» et «Krur», 111 [Krur], Arché, Milano. Ancor più
lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una volta si dimostra
come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un divario invalicabile)
la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli espressioni usate nei
confronti del benemerito principe romano. EKATLOS, La Grande Orma: la scena e
le quinte, in Krur, GRUPPO di UR, Introduzione alla Magia, Roma] riti pongono
un problema», osserva il Di Vona, ma il loro fine immediato fu esplicito, e
come tale è stato dichiarato. Esso fu compiuto nel dovuto modo da un gruppo che
si propose di dirigere verso la vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma
l’episodio ha un seguito: il giorno in cui cade la festa romana del
Tubilustrium, o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a Milano,
nella famosa riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di
Combattimento, piu tardi denominato Partito Nazionale Fascista. Fra gli astanti
vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva riesumato l’antico rituale,
preannuncio a Benito Mussolini: Voisarete Console d’Italia. E fu la stessa
persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma, vestita di rosso, offrì al
Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con le dodici verghe di betulla
secondo la prescrizione rituale le gate con strisce di cuoio rosso.] Con tale
atto dal sapore sacrale, come è evidente. [VONA, Evola e Guénon] EKATLOS. La
notizia è riportata con altri particolari nel Piccolo di Roma. Particolare
curioso: la sera stessa Mussolini parti in aereo alla volta di Udine, onde
potere inaugurare il giorno dopo, l’anniversario dell ’entrata in guerra, il
monumentale cimitero di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. Quella
sera, sulla via del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un
inspiegabile guasto, ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè
l’antica etrusca Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.] le correnti più
occulte portatrici della tradizione romana avrebbero voluto propiziare una
restaurazione in senso «pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti
concorrono a rafforzare questa supposizione. E rappresentata sul Palatino la
tragedia Rumori: Romae sacrae origines, col beneplacito e la presenza plaudente
di Benito Mussolini. La tragedia (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum)
risulta opera di un certo Ignis (pseudonimo sotto cui si celerebbe l’avvocato
Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai influenti,
come quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e appare, specialmente in
quel terzo carmen che fu recitato, più che una semplice rappresentazione
scenica, un vero e proprio atto rituale: un rito di consacrazione, certamente
denotante nell’autore, o nei gruppi restati nell’ombra di cui egli era
emanazione, una conoscenza non solo filologica della tradizione romana (si
pensi che in intermezzi scenici vengono cantati, al suono di flauti, i versi
ianuli e iunonii dei Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,
come lascia intendere il rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani
deU’Urbe e l’esegesi, volutamente incompleta, dei significati del nome di Roma.
Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i simboli da
esse evocate, come l’aqui la o il fascio, non restassero puro orpello di
facciata, continuerà sino al tempo in cui [Rumon verrà pubblicata, in splendida
edizione ufficiale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di
caratteri arcaici romani, disegnati appositamente daBoni, lo scopritore del
Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla
sua morte, di essere inumato sul Palatino stesso. Ancora noteremo come
sintomatica l’uscita della Apologia del paganesimo (Formig- gini, Roma) di
Giovanni Costa, futuro collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola.
Usceno le due riviste di studi iniziatici Atanòr ed Ignis, dirette da Reghini,
e in cui iniziò una collaborazione il giovane Evola: affronteranno con un
rigore ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista
dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di particolare interesse: vi
comparvero, per la prima volta in Italia, scritti di René Guénon, fra cui a
puntate, pri ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È peraltro
evidente come il contenuto di queste riviste non avesse un valore puramente
speculativo, come dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum (Gli
specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di [E proprio Boni che, risalendo ai
modelli d’origine, mise a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo
dell’Impero) per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due
lire di quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma]
«Ignis», che preludono a quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto
l’auspicata svolta in senso pa gano da parte del fascismo sperata dalla corrente
tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi, anzi è messa
pericolosamente in forse dalle mene de gli ambienti cattolici e clericali. In
«Atanòr» Reghini con parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da
Mussolini in occasione del Natale di Roma: Il colle del Campidoglio, egli ha
detto, dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle genti civiir.
In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità, perviene
piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di subordinare ad
una collinetta asiatica il sacro colle del Campidoglio. E, dopo il delitto
Matteotti: ecco un clamoroso delitto politico viene a sconvolgere la vita della
nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari e da ogni gradazione di democratici,
a Mussolini non resterebbe che battere la via dell’imperialismo ghibellino, se
non esistesse un partito che già lo sta esautorando tengano ben presente i
nostri nemici che, nonostante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze,
esiste ancor oggi, come è esistita in passato, traendo le sue radici da quelle
profondità interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena
iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata.
L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi sulle società segrete tolgono
ulteriore spazio all’attività pubblicistica del Reghini, che peraltro
confluisce nel Gruppo di Ur, formalmente diretto d’Evola. A noi qui non
interessa tanto esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di
Ur, cui parteciparono, come è noto, personalità appartenenti alle principali
correnti esoteriche operanti in quegli anni in Italia, dai pitagorici ai
kremmerziani, dagli steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come il
De Giorgio, quanto sottolineare come in quella sede dovesse essere stato,
almeno in parte, ripreso il programma di influenzare per via sottile le
gerarchie del FASCISMO, nel senso già voluto dal gruppo manifestatosi con la
testimonianza d’Ekatlos (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio nel
terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze di tutto il gruppo — in
apparenza slegata da esse — successivamente apparse col titolo di Introduzione
alla Magia). In un inserto per i lettori comparso in Ur, Evola poteva scrivere:
possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che mai, cerca un punto di sbocco
in seno a quella barbarie, che è la cosidetta civilizzazione contemporanea — e
chi ci sostiene, collabora di fatto ad una opera che trascende di certo
ciascuna delle nostre stesse persone particolari. Del resto, molti anni più
tardi, Evola stesso dichiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio
grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare
una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di
far sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare, potesse
innestarsi per evocazione, una vera influenza dall’alto», sì che «non sarebbe
stata esclusa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’azione perfino
sulle forze predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine ben più
approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli evidenti
tentativi di rivitalizzazione, all’interno del Grupo di Ur, delle radici
esoteriche e dei contenuti iniziatici della tradizione romana: a parte i
contributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e, pare, anche come
«AGARDA» e «lAGLA»), di cui ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul
sacro nella tradizione romana, ancora una volta fondamentale resta l’apporto di
Reghini (che firma come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sulla tradizione
occidentale, sulla scorta di un’attenta esegesi delle fonti antiche
(soprattutto Macrobio) e di personali acute intuizioni, nonché di probabili
«trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare nel mito di Saturno il
«luogo» ove è racchiuso il senso e il massimo mistero iniziatico della
tradizione [EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano. Un esame generale,
storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è stato da me compiuto in lingua
tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del I volume di
Introduzione alla Magia (Ansata Verlag, Interlaken). Si tratta del notevole
ampliamento, riveduto e corretto, di un mio precedente studio già apparso in
«Arthos] romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulteriormente nel
nostro recente Dèi e miti italici. Intanto, una serie di articoli polemici sui
nuovi rapporti tra fascismo e chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in
«Critica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la
successiva comparsa di Imperialismo pagano, che quegli articoli raccoglieva e
sviluppava, riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali,
fra cui è in teressante segnalare quello particolarmente violento e ambiguo,
del futuro papa Paolo VI, Montini, allora assistente centrale ecclesiasti co
della Federazione Universitari Cattolici Italiani, che aveva come organo
culturale la rivista Studium (redazione a Roma e a Brescia). Dalle pagine di
«Studium» il Montini accusava i maghi riuniti attorno a Evola di «abuso di
pensiero e di parola di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e di
superstiziose magie -- Filosofia: una nuova rivista, Studium. Oltre che del
futuro Paolo VI (certamente il più nefasto fra i papi di questo secolo),
apparvero in «Studium» anche gli attacchi del futuro ministro democristiano del
dopoguerra Gonella {Un difensore del paganesimo; Il nuovo colpo di testa di un
filosofo pagano, cui Evola replica — dopo averlo definito «un tale il cui nome
esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della
romana virilità — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga no. Contro
Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa presso Ar
di Padova) si scomodò tutto l’entourage del giornalismo clericale, da
«L’Osservatore Romano a «L’Avvenire», [Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso,
inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della corrente
tradizionalista romana, prima del triste compromesso del Concordato, affinché
il fascismo, come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere la romanità
integralmente e a permearne tutta la co scienza nazionale», così che il terreno
fosse pronto per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi
e degli esseri, sta più su: per comprendere e realizzare il lato sacro,
spirituale, iniziatico della Tradizione. A questo scopo Evola non risparmiava
taglienti critiche alle gerarchie del Regime. Il FASCISMO è sorto dal basso, da
esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il FASCISMO
si è alimentato di compromessi, si è alimentato di retorica, si è alimentato di
piccole am bizioni di piccole persone. L’organismo statale che ha costituito è
spesso incerto, maldestro, violento, non libero, non scevro da equivoci. Di
più: Evola prevede addirittura gli al Cittadino di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, d’Educazione fascista
a Bibliografia fascista, sino alla stessa bottaiana Critica fascista che ospita
i primi articoli evoliani.] esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale.
L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero
essere le prime ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe
parole per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le
sue possibilità si compenetrano strettamente con la potenza industriale ed
economica delle grandi nazioni. Era dunque necessario che il fascismo, che bene
o male ha messo su un corpo. Ma non ha ancora un'anima, si rivolgesse senza
esitazioni a quella della Roma precristiana prima che fosse troppo tardi, sì da
«eleggere l'Aquila e il fascio e non le due chiavi e la mitria a simbolo della
sua rivoluzione. Nostro Dio può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio
dei patrizi, che si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa
delle legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli afflitti che
si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto il proprio animo.
Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, considerato dai papi un
usurpatore, il cosiddetto Coneordato con la Chiesa Cattolica e nasce il
monstrum giuri- [Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir
poco nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende
stori- [dico della Citta del Vaticano. Veniva con ciò tolta ogni speranza
residua di azione all’interno degli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola
che di Reghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in ombra,
del «tradizionalismo romano: alcuni di loro, come già si è accennato in nota,
abbandonaro no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel corso degli anni
Trenta. Resta il programma minimo indicato ancora da Evola in Imperialismo
pagano, secondo cui il FASCISMO avrebbe dovuto: promuovere studi di critica e
di storia, non partigiana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del
cristianesimo. Contemporaneamente dovrebbe promuovere studi, ricerche,
divulgazioni sopra il lato spirituale della paganità, sopra la sua visione vera
della vita.] che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di
Reghini e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo
ancora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio
clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta re la
coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico terrorismo di Stato,
qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti della necessità di
mutare uno stato di cose ormai incancrenito. [Mussolini non si era reso conto
che prima di lui uomini non solo autoritari, ma dal potere assoluto — gli
Ottoni, gli Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni
intesa, patto e transazione con la Santa Sede.] ogni intesa tra Santa Sede e
Stato italiano avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della
validità [Chi avesse pensato che la scuola di mistica fascista, fondata
significativamente poco dopo la conciliazione, nell’ambito del G.U.F. di Milano
per opera di GIANI (vedasi), svolge una funzione del genere, dove ben presto
ricredersi amaramente. In realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella
che avrebbe voluto costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si
configurava con precisione come cattolico. Lo di chiara, in una maniera che non
potrebbe essere più esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo
Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola: La nostra esistenza deve essere
inquadrata in una marcia solida che sente la collaborazione della gente
generosa e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto,
perché ogni cosa nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin gente od
eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama
talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro Signore,
creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un giorno premierà nei
regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe riamo, i molti
difetti legati alle vicende della no stra esistenza terrena.] dei principii su
cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del lo Stato italiano (N.
SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica conciliare. Volpe, Roma. Cfr.
«11 Popolo d’Italia. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si veda: D.
MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano] E il filosofo Armando
Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa
scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi cristiano, anzi cattolico;
perché «il Dio di Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi
fondamentali della nostra religione: il dogma trinitario e quello cristologico.
Quel programma che abbiamo detto «minimo» cercherà Evola più tardi in parte di
compiere con l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo ratori
attorno al Diorama filosofico, la pagina speciale che, con uscita irregolare e
alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di
Fari nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana,
esaminata nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna
qui frequen temente negli scritti dello stesso Evola, di Costa (già da noi
incontrato), di Massimo Scaligero e di diversi collaboratori stranieri, come
Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britannica) e lo storico tedesco
Franz Altheim. Analoghe collaborazioni sono fornite da Brelich, in quell’epoca
sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor-
[CARLINI, Mistica fascista, Archivio di studi corporativi] ID., Saggio sul
pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma] tante cattedra, che fu del
Pettazzoni, di Storia delle Religioni nell’Università di Roma, e da Giorgio,
già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati ve evoliane. Nel contesto della
corrente da noi defi nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una
posizione piuttosto anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con sospetto:
egli infatti concepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica, ma
soprattutto metafisica, in grado di unire in sé stessa la religione pagana e il
cristianesimo, tesi ela borata soprattutto ne La tradizione romana. D’altra
parte, è lo stesso De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la
persistenza del culto di Vesta in un misterioso centro, nascosto e
inaccessibile. Il fuoco di Vesta arde inaccessibilmente nel Tempio nascosto ove
nessuno sguardo profano sa-[ L’uscita alle stampe di questa edizione
(presentata come Ed. Flamen, Milano) offre contorni alquanto misteriosi. In
ogni caso, il manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della
nota introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del
«Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi [si
veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che noi sappiamo
corrispondere al TAURULUS, cioè Reginelli. L’uscita della Tradizione romana, in
ogni modo, è stata 1’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte
dell’ambiente tradizionali sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da
parte cattolica (si vedano il bollettino «Il rogo» e la successiva rivista
«Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda P, Recensione
dell’opera di Giorgio, confortata da un parere di Evola, in Arthos: essenziale
come punto di ripresa del discorso sulle origini della tradizione romana).
prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua vita e il prolungamento
della sua agonia. Da questo fuoco occulto partono scintille che alimentano le
crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità
attraverso le varie vicende di cui s’intesse la storia delle nazioni europee
conside rata geneticamente, internamente e non sul piano limitatissimo della
contingenza dei fatti e degli uomini. Queir immane conflitto, già previsto da
Evola, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto inefficace, «se non
addirittura letale per lo spirito e il nome di Roma», avrà in effetti come
risultato più manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo conducendo, di
occultare del tutto le fila della corrente di pensiero di cui siamo andati
ripercorrendo la trama. Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la
ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta pare significativa),
curata nel 1968 dal «Cen tro Studi Ordine Nuovo» di Messina, a tentare [G. DE
GIORGIO). L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne
tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può
considerare oggi una vera rarità bibliografica. ] di riannodare i termini di un
antico discorso. L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore a Mussolini
per metterlo in guardia contro il ventilato proposito della cosiddetta
conciliazione) — si afferma nell’anonima introduzione risuona oggi con
inusitata attualità e fa si che Imperialismo pagano venga guardato come un
oracolo. Ed è proprio provenendo dalle fila di Ordine Nuovo, un’organizzazione
che lo stesso Evola ha tenuto in buona considerazione — almeno fino a che la
sua ala borghese-modernista, condotta da Rauti, non confluì nel MSI che
comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il
Gruppo dei Dioscuri, con sede principale a Roma e dirama zioni a Napoli e
Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero
riprese [EVOLA, Il cammino del cinabro. L’unico gruppo che dottrinalmente ha
tenuto fermo senza scendere in compro messi è quello che si è chiamato
AeWOrdine Nuovo. L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di
Ordine Nuovo si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una
parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui
ed estenuanti giochi di potere all’interno del partito e in declamazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta Nuova Destra proviene
quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente compromissorio),
dall’altra, la frazione movimentista ed extraparlamentare condotta da Clemente
Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità inconcludenti e pericolose della
«lotta di popolo», con conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte
del Potere vero tematiche e pratiche operative già in uso nel Gruppo di Ur ed è
perlomeno probabile che lo stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei
quattro Fascicoli dei Dioscuri, usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma
da una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tradizionalismo
dovrebbe far riferimento, ritornano con grande evidenza. Per l’anonimo autore
del primo Fascicolo dei Dioscuri, intitolato Rivoluzione tradizionale e
sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il più grande dei meriti di Evola è
quello: di avere rammentato il destino di Roma quale portatrice dell’Impero
Sacro Universale e di avere tratto da tale verità le necessarie conseguenze in
ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate per una vera rivoluzione
tradizionale. Qualche anno dopo, al termine del terzo fascicolo intitolato
Impeto della vera cultura (tradotto poi anche in francese), il mito di Roma
viene additato come l’unico che sia in grado di condurre ad una superiore unità
gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani: a tutti i tradizionalisti,
anziché proporre uno dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si
può ricordare la presenza di una forza spirituale perennemente viva e operante,
quella stessa che il mondo classico ed il medio-evo definirono l’ÆTERNITAS
ROMÆ. Il Gruppo dei Dioscuri ha notevole importanza come cosciente riconnessione
alle precedenti esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni elementi
particolarmente sensibili dell’area della destra radicale, di possibili
indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo romano», anche se la
particolare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata qualificazione di
taluni componenti, porterà ben presto alla distruzione dall’interno del Gruppo
stesso, di cui non si sentirà più parlare già prima della metà degli anni
Settanta (ci viene detto che frange disperse del gruppo continuerebbero a
sussistere so prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu ni dei
gruppi periferici, sia pure trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se,
ad esempio, a Messina, molto probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi
membri del Gruppo dei Dioscuri viene elaborato un testo dottrinale ed
operativo, a circolazione interna, sotto forma di lezioni di un maestro a un
discepolo, piuttosto interessante. La via romana degli dèi. Diremo anzitutto
dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua mente profonda gli
argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché con saldo cuore, tu
possa prepararti all’assolvimento del rito. La via romana degli dèi. Istituto
di Psicologia Superiore Operativa, Messina. E certamente non priva di connessioni
genetiche col gruppo romano appare la sortita, improvvisa, verso la fine degli
anni Settanta, nella stessa Messina, del Gruppo Arx, successivamente editore
della Cittadella e degli omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i
possibili itinerari di approccio alla via romana degli dèi sono indicati
attraverso la cosciente riappropriazione dell’animus romano-italico, rivissuto
nel rito stesso, e nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a forme
anche esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni,
dal momento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi è stata una nuova
cosciente ripresa del moderno «movimento tradizionalista romano», una cui rim
nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data ed in un luogo alquanto
significativi. Infatti nella data in cui iniziava l’anno sacro romano, a
Cortona, donde in epoca primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso
alla volta della Troade, si tenne un importante Convegno di studi sulla
Tradizione italica e romana, che, a [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero
speciale triplo d’Arthos daU’omonimo titolo. Per una sintetica analisi sulla
diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. P., Che cos’è
la tradizione itala, in Vie della Tradizione parte l’emergenza di differenti
prese di posizone dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre la
questione non puramente dottrinale o formale di una cosciente riconnessione
aWaurea catena Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur in
quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore, intenda coscientemente
riassumere il fardello delle proprie radici etniche e spirituali.
Successivamente ad un nuovo Convegno, tenutosi a Messina, sul Sacro in
VIRGILIO, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale dei
valori difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo romano» (di cui è
parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune collane di libri
specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la loro presenza è
destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile e indiretta di gruppi o
ambienti eticamente sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon do
della «destra politica». Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi
noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati
pubblicati in buona parte nel numero speciale di «Arthos, daH’omonimo titolo.
Ci limiteremo a ricordare la collana 1 Dioscuri per le ECIG di Genova, in cui
figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio Dèi e miti italici. La
religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M. Baistrocchi
(in stampa); o quella di «Studi Pagani» del Basilisco di Genova, in cui sono
comparsi testi di antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di
moderni (Guidi, De Angelis, Beghini, Evola ecc.). pura e semplice azione di
testimonianza, sia pure scomoda per molte cattive coscienze. Il «mito
capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere
continuamente dalle sue ceneri, poiché riposa nella mente feconda degli dèi
archegeti di questa terra. Da: «Il Piccolo» di Roma. Il Fascio littorio a
MUSSOLINI Il giorno scorso, presentata dall’esimia prof.a Regina Terrazzi, fu
dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al
Presidente del Consiglio come augurio un fascio littorio da lei esattamente
ricostruito secondo le indicazioni storiche e iconografiche. L’ascia di bronzo
è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro
per la legatura al manico: alcuni esemplari simili sono conservati nel nostro
Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizione
rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso che formano al sommo un cappio
per poter appendere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del Palazzo
Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e
nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo della sua opera organica di
ricostruzione dei valori della nostra stirpe allacciando le vetuste origini
alle forme più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata che prende le mosse
d’antico. La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal contrasto tra il
verde della patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica
tonalità che producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo
àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano. L’offerta era
accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria composta dall’offerente, la
quale nell’università popolare fascista svolge una fervida opera di propaganda
di romanità viva. Il duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli colla sua
consueta serena nobiltà, non senza un segno della vivacità del sorridente suo
spirito latino:. Lei mi ha dato una lezione di storia, osserva in tono
scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà e darà non poco a fare agli
storici futuri. La notizia è riportata in una rubrica dedicata a I solenni
riti, senza indicazione di paternità. Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines,
tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio, Roma. LETTERA DI
SOFFICI A S.E. MUSSOLINI legge. Mio caro Presidente, permettimi ti dia, scritte
e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, alcune prove di pregi
eccezionali della tragedia, che, in fondo, in un vero poema epico delle
origini, è l’esaltazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un mio
giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia romana che può stare a paro col
Giulio Cesare di Shakespeare ti fo osservare che il titolo di Poeta di Roma,
dato da Carrère ad ignis, si è dato solo a VIRGILIO e ad ORAZIO: OTTAVIANO,
vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui
protetti, che per la sua politica imperiale. E tu vedi come Rumori sia stato
giudicato, prima ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tra¬ gedia
degna di Roma quando competenti dai nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo
al giudizio — corrono all’iperbolico per lodare Rumori di ignis bisogna
concludere che ci si trova davanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna
nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stessa, di alto significato
politico, e di spirito fascista. Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed
amico carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai che non sia stata
scritta invano, ma invece il tuo nome vada unito a quello della tragedia
Rumori, al poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬ me in avvenire,
spero che tu possa essere un po’ grato al tuo affezionato amico e devoto
SOFFICI. IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro Soffici, bisogna assolutamente
far marciare Rumori. Il governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa perché
essa rientra nel grande quadro della rinascita nazionale. Saluti fascisti e
cordialissimi. f.to MUSSOLINI Roma. Carme terzo: AUGURE Manifesto è dunque:
amor essere ROMA. Se tutte move, ed incende, le create cose legge si è Amor
dell’universo vita così, un tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà
sovra ogni terra, e dello spirito, e d’imperio. Confirmato si è, per te, prodigioso
il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti su la Città terribili
chiamerebbero fortune. Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici. Né
mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese, se concluso non avrai, prima, il
solco sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia, al
Popolo... quel Nome che licito non più mi è dire quando, già per tre volte,
qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il Nome risonò. {Dispiega le
dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬ merare i significati del nome). Di
significati cinque: È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la
Città: Valentia... Ròbure... Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!
Vostra — nei nomi vostri oh Re! suoi fondatori. Come del grande Rumon: URBE: la
Città del Fiume! (Pausa) Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare, in così
breve Verbo, sì pieni tanti arcani. Mirifici! donando Nomi nove: in quattro
occulti ed un Medio palese, e quando, nove, siamo al Rito. Da: G. COSTA,
Apologia del paganesimo, Formìggini, Roma: Il pagano è, per definizione, buono.
Né un greco, né un romano avrebbero concepito che l’uomo potesse esser qualcosa
di diverso da ciò, che in lui litigassero per così dire due nature, che la
manifestazione esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita
individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi termini, transazioni,
compromessi. Esso è quello che naturalmente è, cioè buono, come ideale supremo
della vita, come dovere, come necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli
vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo, con un
pragmatismo sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze, scuse. Solamente
all’uomo cosiddetto moderno è stato concesso, per virtù di dottrine religiose e
culturali che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione ed una
separazione del suo essere intimo, spirituale, psicologico, dal suo essere
apparente, esteriore, materiale. All’antico quando di questa scissione apparve
per un momento la possibilità, egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino
la concezione. La concezione pagana della vita ha fatto perciò l’uomo tutto
d’un pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1’azione. Ecco perché
la vita nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo ed è stata
accettata non come un male, ma come un bene che bisognava con interezza di
carattere vivere interamente e sanamente per sé e per gli altri. Per stabilire
l’equilibrio l’uomo deve tornare al paganesimo poiché il cristianesimo si è
mostrato divina opera cui le sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è
sincerità e l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha
costretto per due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio cristiano e
la sua manifesta impotenza di non saperlo fare, deve risolversi in armonia se
egli vuol sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono avere
il medesimo valore ed il loro prevalere non può essere determinato che da
circostanze speciali di individuo, di momento e di luogo che l’uomo può
intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine. L’equilibrio di
queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina,
come nella vita, assoluto. Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,
Messina. L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che essa rappresenta. A
tutti i fini pratici tali immagini sono personae, perché qualsiasi cosa possano
essere nella realtà esse sono state personalizzate e forme di pensiero sono
state proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro
attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con tanta ricchezza di
lavoro sottile da essere capaci di ricostruirsi da se stesse, durante
l’eventuale lavoro di meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.
Resta un minimo invito, un minimo stimolo, perché il meccanismo scatti e
l’immagine si ricomponga, sia pure su un piano semplicemente psichico. Così,
della limatura di ferro, dispersa su un piano, si raccoglie intorno ad un
magnete che venga posto in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i
granelli anche se essi sono pochi e molto distanti. AMKDKO R(K ( ARMKM ANO (im
d’Ygieia Reghini. Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU
dalla tsl- bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.»
pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Contiguo romo aufurln la
data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte licoatndto lecoudo la
lodicaslonl atorictie e leooograflclia. l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa
tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi
manico: alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.i! nostro Ma.*«o Klrcberiamo.
é La dodict verace di l>ctulla. ascondo la prescrizione rit'iale. sono
legala con tirisele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo ua cappio per poter
appendere fi fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del Palazzo Capitolino
dd Conaenalori. Il Fascio ricomposto con elementi antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k
stato offerto al Dora come simbolo della saa opera onrantea di rieoatruztona
del valori della no- Mra attrpa allacciando le veia«ie origini alla fonn* più
vibranti dell'attività gagiarda a rinnovata cha prendo la mosse. Là rudezza
espressiva dal Fascio è in- gantlHta dal contrasto tra (I verde della patind bronsea
e U rosso del molo che ricorda la stes.aa armonica tonalità che pm- doeono le
colonne di porfido presso la porta di bronzo deD'brroon di Itomdlo, figlio 41
Massenzio al Foro Romano. L'oflerla efa accompagnata da ani epl- graia latina
dedicatoria composta dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta
avolga una fervida opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà. 2«m senza
tm segno della vivacità del sor> ridaots ano spirito latino: Let mi ba dato
nna testone di storia osserva In tono aehanoao. Btngolart parole In bocca di
r.hl db a darà non poca a fare agli storici futnrl Riproduzione dal Piccolo.
Renato del Ponte. Ponte. Keywords: implicatura maschile, ario, gl’arii, I
liguri, romani, antica roma, massoneria volgare. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Ponte” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza –GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ponzio: la
ragione conversazionale e il segno dell’altro, o della semiotica filosofica – la
scuola di San Pietro Vernotico -- filosofia pugliese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Pietro Vernotico). Filosofo
italiano. San Pietro Vernotico, Brindisi, Puglia. Studia a Bari sotto SEMERARI
(si veda). Insegna a Bari. Cura ROSSI-LANDI (si veda). Studia la fenomenologia
della relazione interpersonale. Insegna a Brindisi, Francavilla Fontana, e Terlizzi.
Studia scienze dei linguaggi e linguaggi delle scienze, intert-estualità, inter-ferenze,e
mutuazioni. Pubblica “Enunciazione e testo letterario
nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia); Linguistica generale, scrittura letteraria e
traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A
mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e
di filosofia del linguaggio; Introduzione a Bachtin (Bompiani); “Il discorso
amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero
Occidentale” diretta da Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti matematici
(Spirali); La filosofia come professione, come istituzione, presuppone una
filosofia propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza del linguaggio
al pluri-linguismo dia-logico, alla correlazione dialogica delle lingue e dei
linguaggi di cui sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del
linguaggio’ è da intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del
linguaggio, che consiste nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo
studio e di sua ricerca sono la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia
del linguaggio è l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi
e come egli affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista
della filosofia del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei
segni, dalla linguistica alla bio-semiotica. In tal senso, il suo
approccio può essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica
generale, anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La
semiotica generale supera l'illusoria separazione tra le discipline
umanistiche, da una parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali,
dall'altra, evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua
ricerca semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un
approccio che è tras-versale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso
"in-disciplinato". Si occupa di semiotica, di linguistica e
delle altre scienze dei linguaggi e dei segni, nel senso della filosofia del
linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’ non come indicazione dell'oggetto della
filosofia, della filosofia che si occupa del linguaggio, ma come “la filosofia”
del linguaggio stesso, come la sua attitudine al filosofare. Filosofia del
linguaggio e intesa come filosofia del dia-logo, apertura all'altro,
disposizione all'alterità, arte dell'ascolto, messa in crisi del mono-linguismo,
del mono-logismo, inventiva, innovazione, creatività che nessun ordine del
discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi comuni dell'argomentare, può controllare
o impedire. Il genere, come ogni insieme, uniforma indifferentemente, cancella
le differenze tra coloro che ne fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto
indifferente con coloro che fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui
l'identità si appella per affermare la sua appartenenza, per esempio
comunitaria, etnica, sessuale, nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di
condizione sociale, è in opposizione a un altro genere: bianco/nero;
uomo/donna; comunitario/extra-comunitario; co-nazionale/straniero;
professore/studente. Afferma che ogni differenza-identità, ogni differenza
di genere, al suo interno, è cancellazione della differenza singolare e ogni
genere. Ogni identità presuppone, in quanto basato sull'indifferenza e
sull'opposizione, prevede il conflitto. L'unica differenza non
indifferente e non oppositiva è la differenza singolare, fuori identità, fuori
genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa come relazione con
l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui ciascuno è in-sostituibile
e non indifferente. Un'alterità che l'identità rimuove e censura, relega nel
privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera relazione con l'altro.
Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica, Bari), “L’altro” (Adriatica,
Bari); “Linguaggio e re-lazioni sociali” (Adriatica, Bari); Produzione
linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone, linguaggi e
conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale” (Milella,
Lecce); “Dia-lettica e verità -- Scienza e materialismo storico-dialettico” (Dedalo,
Bari); “La semiotica” (Dedalo, Bari); “Marxismo, scienza e problema dell'uomo” (Bertani,
Verona); “Scuola e pluri-linguismo (Dedalo, Bari); “All’origini della
semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti,
Percorsi e discorsi sul segno” (Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti.
L'eros, la morte, la scrittura” (Adriatica, Bari); -- Grice: “Implicatura come
lo spreco” -- Fra linguaggio e letteratura” (Adriatica, Bari); “Segni per
parlare dei segni” (Adriatica, Bari); Filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari);
Interpretazione e scrittura. Scienza dei segni ed eccedenza letteraria” (Bertani,
Verona); eccedenza – spreco. “Dialogo
sui dialoghi (Longo, Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La
tartaruga” (Ravenna, Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori
ideologie” (Adriatica, Bari); “Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra
semiotica e letteratura” (Bompiani, Milano); “La ricerca semiotica (Bologna,
Esculapio); “Il dialogo della menzogna” (Roma, Stampa alternativa, Scrittura,
dialogo e alterità” (Nuova Italia, Firenze); Fondamenti di filosofia del
linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità e alterità” (Jaca, Milano); “La
differenza non in-differente. Comunicazione e guerra, Mimesis, Milano); “Il segno dell'altro: eccedenza letteraria e
prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la memoria, l'oblio. Foto-grafie
senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione, comunità, informazione -- comunicazione
mondializzata e tecnologia (Manni,
Lecce); “I tre dialoghi della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La
rivoluzione bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante,
Bari); “Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è
la letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'in-funzionale -- critica dell'ideologia
della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione
al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del
linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare, dia-logare”
(Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il segno del
corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire nella
comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I segni e
la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano,
Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari,
Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione
globale (Bari, Cacucci); “Semio-etica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale,
scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dia-lettica,
Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale.
Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come iper-testo e tra-duzione
letteraria, Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il
programma di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi
semiotici (Napoli, Scientifiche); “La cifre-matica e l'ascolto” (Bari, Graphis);
“Fuori luogo. L'es-orbitante nella ri-produzione dell'identico” (Roma, Meltemi);
“A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra);
Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre
sguardi su Dupin” (Bari, Graphis); “Scrittura, dia-logo, alterità” (Bari,
Palomar); “Linguaggio, lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dis-sidenza
cifre-matica” (Milano, Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra
nella comunicazione globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano,
Mimesis); “L’analisi, la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e
scrittura, Scienza dei testi ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In
altre parole, Mimesis, Milano); “La filosofia del linguaggio” (Laterza, Bari); “Marxismo
e umanesimo. Per un'analisi semantica delle tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti
matematici” (Dedalo, Bari); Saggi filosofici (Dedalo, Bari); Marxismo e
filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica,
teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio (Bari, Dedalo);
“Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo
formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'a-lienazione come
fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale”
(Dedalo, Bari); “Poli-fonie” (Adriatica, Bari); Scienze del linguaggio e pluri0linguismo.
Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica, Bari); Scienze del
linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature. Annali del convegno
(Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica, Bari); “La significanza
del senso, in “Idee”, “La genesi del
senso”; Il linguaggio questo
sconosciuto. Iniziazione alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come
lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo
ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche
Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa
alternativa, Baria); “Il mio ventesimo secolo” (Adriatica Bari); “Sulla traccia
del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su Blanchot (Palomar, Bari); “Maschere. Il
percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo,
Bari); Idea e realtà dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione,
comunità, informazione” (Manni, Lecce); “Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”,
Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”,
Problemi dell”opera di Dostoevskij (Sud, Modugno (Bari); Behar, Al margine (Sud,
Modugno Bari) Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij Sud, Bari); “Significato, comunicazione e
parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi, dialoghi,
conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile” (Manni,
Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo e
filosofia del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi
di critica del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale,
“Millepiani”, “Lingua, metafora, concetto”; “VICO e la linguistica cognitiva”
(Sud, Bari); Meditazioni (Sud, Bari);
“Dall'altro all'io” (Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte,
Letteratura, Meltemi, Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato
di logica. Summule logicales (Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e
come mercato” (Bompiani, Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari,
Laterza); “Mondo di guerra, Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura”
(Roma, Meltemi); “Ideologia” (Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis);
Marx Manoscritti matematici, edizione critica con intruduzione (Spirali, Milano);
Fucini, Le veglie di neri e All'aria aperta, ed. Critica, Sbrocchi (Bari,
Dedalo); “Metodica filosofica e scienza dei segni” (Milano, Bompiani);
“Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); Qohélet: versione in idioma
saletino e trad. italiana, Caputo, Lecce, Milella); In dialogo. Conversazioni (Milano,
Esi, Athanor. Umano troppo dis-umano (Roma,
Meltemi); Linguaggi, Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di
Pratiche linguistiche e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia
del linguaggio (Bari, Laterza); “La filosofia del linguaggio come arte
dell'ascolto”; “Sulla ricerca scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor. La
trappola mortale dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud, Calefato,
Logica, dia-logica, ideo-logica. I segni tra funzionalità ed eccedenza, Semiosi,
in-funzionalità, semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del linguaggio come
arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e letteratura, conoscenza
e coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della co-scienza storica”; “Tutto
il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato nel Sud è la vanità ad
essere nienzi: dentr il dialetto è
straniera la parola dei re Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al
brusio della parola”; “Alla ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “In-funzionalità
ed eccedenza come prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio.
Ponzio. Keywords: il segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il
segnico, l’amore, lo spreco del segno, Vico e la linguistica cognitiva; Landi; sottiteso,
Grice, pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Porta: la
ragione conversazionale -- filosofia italiana -- there may be another!
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Porta: l’implicatura conversazionale – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Castelnuovo Garfagnana). Filosofo italiano. PORTA
nascea Castelnuovo Garfagnana e muore a Venezia. Pittore, matematico, astronomo
e astrologo italiano, studia a Roma, dove conosce il maestro Francesco SALVIATI
(del quale assunse il cognome), assieme al quale si trasferì poi a Venezia.
Ivi, tra le tante opere, si occupa della decorazione del soffitto della
Marciana e affresca la sala regia dei Palazzi vaticani a Roma. Nella prima
parte del Codice Marciano Porta affronta il tema del rapporto tra movimento
degli astri e linguaggio, indagando la formazione degl’elementi vocali,
definendo un'embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di
una loro riproduzione ARTIFICIALE attraverso appropriati dispositivi
meccanici.Per approfondimenti vedasi
treccani.it/enciclopedia/giuseppe-porta Dizionario-Biografico, a cura di
Biffis. Giuseppe Porta, detto il Salviati o il Salviatino (Castelnuovo
di Garfagnana, 1520 – Venezia, 1575), è stato un pittore italiano.
Targa al pittore visibile sotto il Loggiato a lui dedicato Biografia Si
formò nella bottega del celebre Francesco Salviati, in onore del quale decise
di assumere proprio "Salviati" come nome d'arte. Già nel 1535 era a
Roma assieme al maestro, dove si dedicò alla decorazione esterna delle facciate
di vari palazzi; è in questo periodo che i due poterono studiare da vicino le
opere di Raffaello: sarà questo un fatto centrale in quella definizione di
maniera che così come stabilita dai due artisti di concerto al Vasari guarderà
alla maniera dello stesso Raffaello oltre che di Michelangelo. Nel 1539
il Porta lasciò Roma per recarsi prima a Firenze (dove ebbe appunto a conoscere
il Vasari), poi a Bologna e quindi, nel luglio dello stesso anno a
Venezia. Il suo primo lavoro autonomo fu quello che gli garantì la
maggior fama, ovvero l'incisione posta a frontespizio del volume Le sorti
intitolate giardino d'i pensieri, libro divinatorio pubblicato da Francesco
Marcolini nel 1540, di cui il Porta curò anche le illustrazioni interne: tali
vignette formavano un repertorio di tipi e di situazioni figurative a cui si
ispirarono i maestri della nuova generazione (Tintoretto, Bassano, ecc.); lo
stesso frontespizio, di per sé, è da molti studiosi considerato un vero e
proprio manifesto del Manierismo. Alla partenza di Francesco Salviati,
nel 1541, il Porta cominciò a dedicarsi con maggior costanza alla decorazione
di palazzi veneziani, tra cui Palazzo Loredan a Santo Stefano. Fu in quel
periodo che lavorò alla splendida Sala della Libreria della Biblioteca Marciana
assieme, fra gli altri, al Veronese ed al Tintoretto: sono del pittore
castelnuovese una delle file di tondi del soffitto ed un Prometeo sulla parete
destra. Nel 1548 gli venne commissionata per la Basilica dei Frari la
pala d'altare Presentazione di Gesù al Tempio. Nel 1565 il Porta tornò a
Roma per completare gli affreschi vaticani, lasciati incompiuti dal maestro
Francesco Salviati; nell'anno successivo venne eletto membro effettivo
dell'Accademia del Disegno a Firenze. Tornato a Venezia, fu chiamato ad
affrescare un soffitto di Palazzo Ducale, oggi sfortunatamente perduto.
Negli ultimi anni si dedicò prevalentemente a studi di matematica.
Giuseppe Porta da Le vite del Vasari «Fu allievo di Francesco Salviati Giuseppo
Porta da Castel Nuovo della Carfagnana, che fu chiamato anch'egli, per rispetto
del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l'anno 1535, essendo
stato condotto in Roma da un suo zio, segretario di monsignor Onofrio Bartolini
arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati, appresso al quale imparò in poco
tempo non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente. Andato
poi col suo maestro a Vinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che,
essendovi da lui lasciato, fece conto di volere che quella città fusse sua
patria; e così presovi moglie, vi si è stato sempre et ha lavorato in pochi
altri luoghi che a Vinezia. In sul campo di S. Stefano dipinse già la facciata
della casa de' Loredani di storie colorite a fresco molto vagamente e fatte con
bella maniera. Dipinse similmente a San Polo quella de' Bernardi, et un'altra
dietro a San Rocco, che è opera bonissima. Tre altre facciate di chiaro scuro
ha fatto molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisè, la seconda a San
Cassiano, e la terza a Santa Maria Zebenigo. Ha dipinto similmente a fresco in
un luogo detto Treville, appresso Trevisi, tutto il palazzo de' Priuli, fabrica
ricca e grandissima dentro e fuori; della quale fabrica si parlerà a luogo
nella Vita del Sansovino. A Pieve di Sacco ha fatto una facciata molto bella;
et a Bagnuolo, luogo de' frati di Santo Spirito di Vinezia, ha dipinto una
tavola a olio; et ai medesimi padri ha fatto nel convento di Santo Spirito il
palco overo soffittato del loro refettorio, con uno spartimen to pieno di
quadri dipinti, e nella testa principale un bellissimo Cenacolo. Nel palazzo di
San Marco ha dipinto nella sala del Doge le Sibille, i Profeti, le Virtù
cardinali, e Cristo con le Marie, che gli sono state infinitamente lodate. E
nella già detta Libraria di San Marco fece due storie grandi, a concorrenza
degli altri pittori di Vinezia, de' quali si è ragionato di sopra. Essendo
chiamato a Roma dal cardinale Emulio dopo la morte di Francesco, finì una delle
maggiori storie che sieno nella detta sala dei Re, e ne cominciò un'altra; e
dopo, essendo morto papa Pio Quarto, se ne tornò a Venezia, dove gli ha dato la
Signoria a dipignere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a
sommo delle scale nuove. Il medesimo ha dipinto sei molto belle tavole a olio:
una in San Francesco della Vigna, all'altare della Madonna; la seconda nella
chiesa de' Servi all'altar maggiore; la terza ne' Fra' Minori; la quarta nella
Madonna dell'Orto; la quinta a San Zacaria, e la sesta a San Moisè; e due n'ha
fatto a Murano, che sono belle e fatte con molta diligenza e bella maniera. Di
questo Giuseppe, il quale ancor vive e si fa eccellentissimo, non dico altro per
ora, se non che, oltre alla pittura, attende con molto studio alla geometria; e
di sua mano è la voluta del capitel ionico che oggi mostra in stampa come si
deve girare secondo la misura antica; e tosto doverà venire in luce un'opra che
ha composto delle cose di geometria.» (Tratto da: Le vite de' più
eccellenti pittori, scultori e architettori di Vasari, pittore e architetto
fiorentino) Opere Circoncisione di Gesù, collezione Luigi Grassi, Roma
Ciclo d'affreschi sulla Passione della Cappella del SS. Sacramento, chiesa di
San Polo Frontespizio "Le sorti",
Fine Art Museum of San Francisco Presentazione di Gesù al Tempio., pala
d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Profeti, pala d'altare, Santa
Maria Gloriosa dei Frari, Venezia La Purificazione di Maria Vergine e santi,
pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Madonna con Bambino e i
santi Antonio Abate e Bernardo, pala d'altare, San Francesco della Vigna,
Venezia Santa Caterina d'Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista e
Giacomo Apostolo, pala d'altare, San Francesco della Vigna, Venezia Cristo
Redentore tra san Giovanni Battista, san Gerolamo, santa Caterina e san
Tommaso, studio per pala d'altare, Getty Museum, Los Angeles Ratto delle
Sabine, disegno a penna e inchiostro bruno, Museo del Louvre, Parigi
Crocifissione, cappella della Trinità, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo,
Venezia Cristo Risorto con gli apostoli Giacomo, Tommaso, Filippo e Matteo,
1560, cappella della Trinità, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia La
Resurrezione, Nationalmuseum, Stoccolma Riconciliazione dell'imperatore
Federico Barbarossa, affresco, Palazzo Vaticano, Roma Guerriero e tre donne
attorno alla morente, disegno a penna e inchiostro bruno, Museum of Fine Arts,
Boston Ratto delle Sabine, olio su tela, Bowes Museum, Durham Cacciata dal
Paradiso, olio su tela, Musée des Augustins, Tolosa Presentazione di Gesù al
Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Presentazione di
Gesù al Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
Caterina d’Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista, Giacomo
Apostolo, chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia Caterina d’Alessandria
con i santi Gerolamo, Giovanni Battista, Giacomo Apostolo, chiesa di San
Francesco della Vigna, Venezia Vergine con il Bambino, sant’Antonio
Abate e san Bernardo, chiesa di San Francesco della Vigna Vergine con il
Bambino, sant’Antonio Abate e san Bernardo, chiesa di San Francesco della
Vigna Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei Santi Giovanni
e Paolo, Venezia Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei Santi Giovanni e
Paolo, Venezia Deposizione dalla Croce, chiesa di San Pietro
Martire, Murano (Venezia) Deposizione dalla Croce, chiesa di San Pietro Martire,
Murano (Venezia) Voci correlate Francesco Salviati Giorgio Vasari Mattia
Biffis, P., Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana Portale Arte Portale Biografie Categorie: Pittori italiani
Nati a Castelnuovo di Garfagnana Morti a Venezia [altre] PORTA (Salviati), Giuseppe. – Figlio di
Ludovico e di una certa Maria de Rocca, nacque (come riportato da
Migliorini, sulla scorta di documenti
non più rintracciati) a Castelnuovo Garfagnana, feudo estense in territorio
toscano. La famiglia paterna costituiva
una delle casate più autorevoli del centro garfagnino, annoverando diversi
membri impegnati nel campo dell’amministrazione e del diritto (Nesi). Il padre
fu più volte sindaco della Vicaria, mentre il cugino Francesco è ricordato per
aver ordinato e tradotto in volgare gli statuti cittadini, nonché per essere
l’autore di un poema di ispirazione dantesca intitolato La visione (Firenze,
appresso Marescotti). È possibile che anche Giuseppe, primogenito del ramo di
Ludovico, abbia potuto contare in gioventù su una prima educazione di stampo
umanistico, di cui resterebbe traccia negli interessi scientifici della sua
maturità. Stando a Giorgio Vasari, la
sua formazione si svolse a Roma, dove giunse accompagnato da uno zio
«segretario del vescovo di Pisache lo mise a studiare con Francesco de’ Rossi,
detto il Salviati, a quel tempo una delle personalità emergenti nel panorama
artistico romano. Qui, sempre secondo
Vasari, il giovane Porta evidenziò ben presto una naturale predisposizione
pittorica, imparando in breve tempo «non pure a disegnare benissimo, ma ancora
a colorire ottimamente. L’apprendistato dovette plausibilmente svolgersi nel
segno di una solida pratica disegnativa, maturata a contatto con i tradizionali
modelli dell’antichità e con l’ambiente dei seguaci di Raffaello (soprattutto
Perino del Vaga e Polidoro da Caravaggio). Significativa fu senz’altro anche la
pratica come frescante, tecnica di cui in seguito il garfagnino sarebbe
diventato un riconosciuto maestro e da cui avrebbe derivato una peculiare
sensibilità cromatica, evidenziata anche dai critici seicenteschi («arricchì la
pittura di colori non ordinari», Boschini).
Non sono finora note opere risalenti al periodo romano, anche se è plausibile
che egli possa aver collaborato con il maestro in occasione di commissioni
pubbliche degli anni Trenta, come nel caso degli apparati temporanei per
l’ingresso di Carlo V a Roma (1536), o dell’affresco con la Visitazione della
Vergine per l’oratorio dei Fiorentini, sempre a Roma (McTavish). Non si può
inoltre escludere che alcuni dei disegni giovanili di soggetto antiquario –
come la Scena classica di Windsor (Royal collection) – debbano essere riferiti
a questo periodo di formazione. Intraprese, al seguito di Francesco Salviati,
un viaggio verso il Nord Italia, che lo condusse prima a Firenze, poi a Bologna
e infine a Venezia, dove i due artisti giunsero
(Cheney).Il soggiorno veneziano fu probabilmente propiziato da un invito
da parte dei Grimani, che in quegli anni stavano portando avanti un ambizioso
programma di rinnovamento decorativo del loro palazzo di Santa Maria Formosa,
coinvolgendo maestranze centro-italiane; esso si inquadra inoltre all’interno
del più vasto fenomeno di aggiornamento in chiave classicista della cultura
veneziana, che spinse tra terzo e quinto decennio del Cinquecento diversi
pittori e letterati a lavorare o a trasferirsi temporaneamente in laguna
(Hochmann). In questo contesto si
colloca l’esordio artistico di Giuseppe Porta che, nell’ottobre del 1540,
realizzò, firmandolo, il frontespizio illustrato de Le sorti intitolate
giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini, vero e proprio «manifesto grafico
del manierismo veneziano» (Pallucchini, in Tiziano e la silografia), nonché
alcune delle allegorie e dei ritratti di filosofi che adornano il volume, che
si distinguono per l’impostazione romanista nei gesti e nelle pose (Mancini).
Simili caratteristiche tornano anche nei primi lavori pittorici che ci sono
giunti, come nel caso della Resurrezione di Lazaro (Venezia, Fondazione Giorgio
Cini), oppure della tavola con La caduta della manna (Milano, coll. privata;
Pallucchini). Alla partenza di Francesco
Salviati, P. prede la decisione di fissare la propria residenza a Venezia,
potendo contare, tra l’altro, sul sostegno di non meglio precisati
«gentiluomini» veneziani (Vasari). Gli incarichi dei primi anni Quaranta
testimoniano in effetti un prevalente impegno nel campo della decorazione ad
affresco, soprattutto di ville e residenze nobiliari della terraferma;
nonostante molte delle opere ricordate dalle fonti debbano considerarsi
perdute, alcuni disegni superstiti consentono di definire temi e modelli
prevalenti, mettendo in luce il suo impegno per un rinnovamento in chiave
classicista dei codici decorativi nel campo dell’affresco (McTavish). Tra i lavori di questo periodo vanno
segnalati gli affreschi eseguiti con Camillo Capelli, detto Camillo Mantovano,
per una residenza rurale del Padovano, da identificare con villa Saraceno
‘delle trombe’ di Agugliaro, documentati nell’autunno del 1541 (Biffis), le
decorazioni interne di villa Priuli a Treville, nel Trevigiano (Ridolfi.) oltre
che «una facciata molto bella» a Piove di Sacco (Vasari). Tra le primissime
opere vanno incluse inoltre alcune sezioni degli affreschi con Uomini illustri
della Sala dei Giganti a Padova, attribuiti a Porta sulla base di serrati
raffronti stilistici (Bodon). Da scalarsi in progressione fino alla metà degli
anni Cinquanta sono infine altre imprese decorative compiute in prevalenza a
Venezia, tra cui si annoverano gli affreschi per Ca’ Bernardo a San Polo,
quelli per un edificio a San Rocco (pagamenti: McTavish), e ancora l’intera
facciata di palazzo Loredan a Santo Stefano, decorata con Storie romane. Viene
tradizionalmente fissata la commissione dei dipinti per il monastero di S.
Spirito in Isola a Venezia, a quel tempo oggetto di un ambizioso programma di
riqualificazione architettonica e pittorica, per il quale Porta realizzò le
portelle dell’organo con Il trionfo di David e David e Saul, come pure il
telero con l’Ultima cena per il refettorio e i tre tondi con scene del Vecchio
Testamento (Elia nutrito dall’Angelo; La raccolta della manna; Abacuc portato a
Daniele). L’insieme, trasferito alla
Madonna della Salute a seguito della soppressione dell’Ordine, testimonia un
cauto avvicinamento ai modi della pittura veneziana contemporanea, soprattutto
sul piano delle scelte volumetriche e cromatiche (Mc Tavish). Gli anni seguenti evidenziano un progressivo
incremento degli incarichi pubblici, in particolare per dipinti d’altare
commissionati da famiglie di ceto procuratorio e importanti ordini religiosi;
contemporaneamente si assiste anche a un crescente interesse da parte della
critica e del pubblico dotto, attestato, tra l’altro, dalla presenza del suo nome
nell’epistolario di Pietro Aretino
(Rossi). Tra i lavori più
importanti eseguiti a cavallo della metà del secolo, e di cui si conservano in
certi casi anche disegni preparatori con interessanti varianti iconografiche
(Jaffé), vanno ricordati: la Presentazione di Gesù al Tempio e santi, su
commissione dei procuratori di S. Marco de Ultra per l’altare Valier ai Frari
(Maronese; Biffis); la Deposizione dalla Croce per S. Pietro Martire a Murano (Zaru);
l’Assunzione della Vergine per S. Maria dei Servi, del 1550-55 circa (ora ai
Ss. Giovanni e Paolo, cappella del Rosario; McTavish); le pale con la Vergine e
i ss. Antonio abate e Bernardo e i Ss. Girolamo, Caterina, Giovanni Battista e
Tomaso, rispettivamente per la cappella Dandolo e Bragadin a S. Francesco della
Vigna. Dovrebbe risalire anche il
matrimonio con la veneziana Andriana Fasuol, dalla quale ebbe cinque figli
(Biffis), oltre che la definitiva e ufficiale adozione del cognome Salviati,
scelto «per rispetto del suo maestro» (Vasari).
Partecipò, assieme ad altri sei colleghi (tra i quali Paolo Veronese,
Andrea Schiavone e Battista Franco), alla decorazione del soffitto della
Libreria marciana di Venezia, promossa dai procuratori di S. Marco a
completamento dei lavori dell’edificio sansoviniano destinato a conservare il
patrimonio librario della Repubblica. Porta contribuì con tre tondi allegorici
raffiguranti Minerva, la Fortuna e la Virtù, Le arti di fronte e Mercurio e
Plutone ed Ercole e Bellona, contraddistinti da una sequenza ordinata e metodica
di personificazioni e figure mitologiche, rese con misurati equilibri di forme
e cromie (cfr. i più recenti D. Gisolfi, On Renaissance library decorations and
the Marciana, in Ateneo veneto, s. 3; Biffis, 2013a, pp. 75-126). L’intervento marciano contribuì a mettere in
luce le sue capacità nel settore dell’allegoria politica e civile, in seguito
nuovamente saggiate con la raffinata lunetta con l’Allegoria di Venezia come
Giustizia (Londra, National Gallery), realizzata per la Zecca (McTavish). Tra
le opere di questo periodo si ricorda anche la pala con i Ss. Cosma e Damiano,
Giovanni Battista e Zaccaria, commissionata dal medico Benedetto Rinio (Venezia,
S. Zaccaria; Pitacco). Più problematica è invece l’autografia delle quattro
Sibille per la chiesa di S. Maria del Giglio, per le quali è registrato un
modesto pagamento a suo nome di 14 ducati (Rossi). Giunse a Roma su invito
dell’ambasciatore Marcantonio da Mula per realizzare un affresco per la Sala
regia dei Palazzi vaticani con La pace di Venezia, per il quale ricevette –
assieme all’allievo Girolamo Gambarato – diversi pagamenti (McTavish). Secondo
Vasari, prima della morte di Pio IV fece a tempo a impostare anche una seconda
scena con La storia dei sette re in seguito andata distrutta, ma di cui esiste
un pregevole disegno preparatorio (Chatsworth House, Devonshire Collection,
inv. 16; McTavish). Al ritorno a Venezia
ricevette l’incarico di realizzare le tele con soggetti allegorici per il
soffitto della sala di Antipregadi a Palazzo ducale, per le quali fu pagato 660
ducati (McTavish). L’insieme, andato perduto nell’incendio del 1574, è
descritto in un poema latino di Francesco Zannio, che si sofferma in
particolare sulla spiegazione dei soggetti e sul significato politico e
istituzionale delle allegorie (Biffis).
Alla metà degli anni Sessanta si dovrebbe collocare anche il progressivo
avvicinamento alla figura di Jacopo Contarini di Pietro, raffinato cultore di
matematica e meccanica, nonché uno dei principali mecenati veneziani del tardo
Cinquecento (Hochmann). Alla sua
committenza si devono diverse opere della tarda maturità di Giuseppe Porta, tra
cui l’allegoria sacra con L’apparizione di Cristo risorto agli Apostoli (ora a
Venezia, Ss. Giovanni e Paolo) e un lungo fregio con figure allegoriche per il
palazzo Contarini a S. Samuele, andato disperso, ma di cui sono venuti alla
luce diversi frammenti in collezioni private (Hochmann; McTavish), che
mostrano, rispetto ai lavori giovanili, uno stile meno rifinito e monumentale,
affine ad alcune contemporanee sperimentazioni tizianesche sul tema della forma
e del volume. Simili caratteristiche
tornano anche in altre opere degli ultimi anni, come nel caso dei quattro
teleri eucaristici per la cappella del Sacramento di S. Polo a Venezia,
databili verso la fine degli anni Sessanta (McTavish), l’Annunciazione per gli
Incurabili (ora a S. Lazaro dei Mendicanti) e il Battesimo di Cristo per S.
Caterina di Mazorbo, su commissione di Emilia Michiel. Tra i lavori estremi va
annoverata anche la Presentazione al Tempio per S. Giorgio Maggiore, lasciata
incompiuta al momento della morte e portata a termine da Jacopo Palma il
Giovane (Jestaz). Morì a Venezia quando
il Senato gli rilasciò un privilegio per alcuni macchinari idraulici (Boucher)
– e quando il figlio Teseo gli subentrò nella titolarità della casa a San
Trovaso (Biffis). Oltre che per la sua
attività pittorica e per il suo contributo allo sviluppo in chiave classicista
dello stile pittorico veneziano, Porta è ricordato dalle fonti anche per la sua
attività di studioso e per le sue riconosciute competenze nel campo della
matematica e dell’astrologia. Sono
numerose, in tal senso, le testimonianze antiche che menzionano i suoi studi
(Vasari) o che ricordano l’ampiezza dei suoi interessi intellettuali, come nel
caso di Carlo Ridolfi, il quale evidenziò come egli avesse «buon intendimento
delle scienze» e fosse «buono studioso delle matematiche, delle quali compose
molti scritti e disegni. Rilevanti furono anche i riconoscimenti ufficiali o le
attestazioni di stima, provenienti non solo da colleghi e sodali (tra cui
Danese Cattaneo: Rossi), ma anche da altri protagonisti della vita culturale
veneziana del Cinquencento, come Francesco Angelo Coccio, Ettore Ausonio,
Francesco Patrizi, Sperone Speroni, Bernardo e Torquato Tasso (Campori, 1872;
Biffis). Delle molte opere progettate,
l’unica a vedere effettivamente la luce fu la Regola di far perfettamente col
compasso la voluta et del capitello ionico…, stampata da Francesco Marcolini e
pubblicata nel giugno del 1552 con dedica a Daniele Barbaro. La breve plaquette
illustra un metodo per la costruzione della voluta o spirale ionica, concepito
come risarcimento di una celebre crux filologica vitruviana su cui si erano
cimentati in precedenza anche Alberti, Dürer, Philiader e Serlio; rispetto a
queste, la soluzione prospettata da Porta si distingue per l’eleganza formale e
la precisione descrittiva, evidenziata dall’adozione di un procedimento
matematico mutuato dal libro IV degli Elementi di Euclide (Losito). La testimonianza più importante del suo
«enciclopedismo esoterico» (Rossi) resta comunque quella offerta dal
manoscritto marciano It.5094, che raccoglie – in forma di appunti, spesso
riuniti in modo disorganico – testi, commenti e schemi relativi alle ricerche del
pittore nel campo dell’astrologia e dell’acustica (Boucher; Biffis). Il codice
si compone di due parti principali: la prima affronta il tema del rapporto tra
movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione degli elementi
vocali, definendo un’embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la
possibilità di una loro riproduzione artificiale attraverso appropriati
dispositivi meccanici; la seconda, organizzata attorno a un nucleo di
quattordici quaestiones, affronta invece temi più generali di astrologia
giudiziaria, relativi soprattutto all’influsso degli astri sul destino
individuale. Sul piano del metodo, il lavoro si caratterizza per l’ampio
ricorso a modelli descrittivi e all’esperienza empirica, mentre scarsi sono i
riferimenti teorici diretti, che si limitano di fatto alla sola citazione
dell’opera dell’astrologo bolognese Bartolomeo della Rocca. Annunciato come di
imminente pubblicazione da Patrizi, il testo venne in seguito abbandonato in
una fase avanzata di stesura, forse anche a causa del carattere decisamente
eccentrico della materia trattata; il codice pervenne quindi nelle mani di
Jacopo Contarini, probabilmente come dono da parte dei familiari del pittore,
per essere infine incorporato nelle raccolte marciane (Boucher). Vasari, Le vite,
a cura di G. Milanesi, VII, Firenze. C.
Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, a cura di D.F von Hadeln, I, Berlin Boschini,
Breve instruzione per intender in qualche modo le maniere degli auttori
veneziani, in Id., Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, pp.
non numerate; G. Campori, G. P. detto il Salviati. Notizie biografiche e
artistiche, in Atti e memorie delle Deputazioni di Storia patria per le
provincie modenesi e parmensi Migliorini, Gli uomini illustri garfagnini,
Castelnuovo della Garfagnana Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris,
II, MünchenPallucchini, La giovinezza del Tintoretto, Milano Jaffé, G. P. il
Salviati and Peter Paul Rubens, The art quarterly; I. Cheney, Francesco
Salviati’s North Italian journey, in The art bulletin Boccazzi, Due tele
ritrovate di G. Salviati, in Arte veneta; A. Ballarin, Jacopo Bassano e lo
studio di Raffaello e dei Salviati, Pallucchini, Per gli inizi veneziani di G.
P. Boucher, G. Salviati, pittore e matematico; Tiziano e la silografia veneziana
del Cinquecento (catal., Venezia), a cura di M. Muraro - D. Rosand, Vicenza; D.
McTavish, G. P. called G. Salviati, New York-London 1981 (con bibl.
precedente); P. Rossi, Una monografia su G. Salviati, in Arte veneta McTavish,
Roman subject matter and style in Venetian façade frescoes, in Racar Hochmann,
La collection de Giacomo Contarini, in Mélanges de l’école française de Rome.
Moyen âge-temps modern Losito, La ricostruzione della voluta ionica vitruviana
nei trattati del Rinascimento Mancini, Lambert Sustris a Padova. La Villa
Bigolin a Selvazzano, Selvazzano Dentro 1993, ad ind.; M. Rossi, La poesia
scolpita. Danese Cataneo nella Venezia del Cinquecento, Lucca Furlan,
Un’aggiunta al catalogo di G. P., in Arte documento Jestaz, Tintoret et
Véronèse au secours de G. Salviati et de Palma le Jeune…, in Revue de l’art Rearick,
Francesco Salviati, G. P. and Venetian draftsmen, in Francesco Salviati et la
Bella Maniera. Actes des Colloques de Rome et de Paris a cura di C.
Monbeig-Goguel - P. Costamagna, Rome Hochmann, G. P. e la decorazione di
palazzo Contarini dalle Figure, in Arte veneta Pitacco, Un prestito mai rifuso:
la vicenda del ‘Liber de simplicibus’ di Benedetto Rini, in Figure di
collezionisti a Venezia tra Cinque e Seicento, a cura di L. Borean - S. Mason,
Udine Hochmann, Venise et Rome 1500-1600: deux ècoles de peinture et leurs
échanges, Genève, ad ind.; D. McTavish, Additions to the catalogue of drawings
by G. Salviati, in Master Drawings Nesi, Castelnuovo capitale della provincia
estense di Garfagnana nel XVI secolo, Castelnuovo di Garfagnana; G. Bodon,
Heroum imagines. La Sala dei Giganti a Padova…, Venezia, ad ind.; A. Imolesi
Pozzi, L’attribuzione del frontespizio de “Le sorti in Un giardino per le
arti…, a cura di P. Procaccioli, Bologna Cellauro, G. Salviati’s ‘Allegory of
Architecture’ for Daniele Barbaro’s 1556 edition of Vitruvius, in Storie
dell’arte; A. Maronese, La Pala della Purificazione di Giuseppe Salviati:
devozione, celebrazione famigliare, propaganda politica, in Venezia Cinquecento,
McTavish, Due nuovi dipinti mitologici di G. P. detto G. Salviati, in Arte
veneta Biffis, G. Salviati a Venezia Indagini e ricerche sulla produzione
figurativa e sul lascito letterario, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari,
Venezia (tutor prof. A. Gentili); Id., Prima di Salviati. L’altare dei Frari, i
procuratori di San Marco e un documento per Marco Basaiti, in Venezia Tra
poesia e pittura: versi di Francesco Zannio per G. Salviati, in AFAT; D. Zaru,
Art and observance in Renaissance Venice: the Dominicans and their artists,
Roma. Giuseppe Porta. Keywords: deutero-esperanto – fonetica naturale, fonetica
artifiziale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta”.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Porta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale magica – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Studia BRUNO a Roma. Cura “De umbris idearum” e il “Cantus
Circaeus” in “Il nolese di ghiaccio” (Bompiani). “Ti presento Sophia”Altri
saggi: “La Magia”; “Coincidenze miracolose, Storia della magia,e la trilogia di
A come anima, A come amore e C come cuore; Dizionario dell'inconscio e della
magia” (Sperling); “Tu chiamale se vuoi coincidenze” (Lepre). “Ricerca sul
mito” “Sulle orme degli antenati” “Incontri nella notte, “Segnali”; "Immagini
da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice” “Bruno”, “Storia della Magia” “Storia della cavalleria” “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”,
“Inconscio e Magia Psiche”, “Guarire
insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia
junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima
Mundi” Insegna a Siena. Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi
Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona, Istituto di Comunicazione Olistica
Sociale, Bari. Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma,
Atanor, Ombre delle idee (Roma, Atanor); Itinerari magici d'Italia. Una guida
alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del mistero, Firenze, Salani,
Storia della magia mediterranea, Roma,
Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore d'oro); “L'essenza
dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia); “Morte di un
bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di BRUNO Le carte della memoria” (Milano,
Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “BRUNO: tra magia e avventure, tra
lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che, ritenuto mago dai
contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo”
(Roma, Compton, La battaglia della montagna bianca, Chieti, Solfanelli, Fantasmi.
Storie e altre storie sulle orme di James” (Roma, Compton); L’incubo e del
terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra” (Roma, Grapperia); “Racconti per
amore” (Roma, Lucarini); “BRUNO: avventure di un pericoloso maestro di
filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”; Dalla sedia del
diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei Cappuccini alla Porta
Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel cuore segreto della città
eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri. Quasi un manifesto della
letteratura del mistero e del segreto” (Milano, Camunia); Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano,
Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano,
Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano, Saggiatore); “La magia” (Roma,
Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri); “Donne magiche” (Roma, Idealibri);
A come anima, Milano, Pratiche, La quiete del Terrifico, Fasano, Schena, C come
cuore. Pagine per lenire il mal d'amore, Milano, Pratiche, Intervista Ettore
Bernabei, Roma, Eri, S come seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità”
(Milano, Saggiatore); P come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi”
(Milano, Tropea); “Dizionario dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling);
L'armonia del dolore, Roma, Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale
se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il
mistero di Dante”; "Qui trovo
libertà autentica", su ecoradio. Filosofo
e giornalista italiano. Muore a Roma. Laureato in Filosofia, ha curato e
tradotto diverse opere di Bruno. Insegna Filosofia antica e Filosofia
dell’Interiorità all’Università di Siena e presso l’Istituto H. Bernheim di
Verona. Tra i saggi pubblicati si ricordano: La Magia, Coincidenze miracolose,
Storia della magia, la trilogia di A come anima, A come amore e C come cuore,
Dizionario dell’inconscio e della magia e Tu chiamale se vuoi coincidenze. Ha
lavorato in RAI, prima come programmista, poi come giornalista e
editorialista. Direttore di Rai 2, è direttore
di Rai Notte, è diventato noto al pubblico come conduttore di trasmissioni
culturali quali, tra le altre, Casablanca e Ti presento Sophia.Gabriele La
Porta. Porta. Keywords: implicatura magica, BRUNO, filosofia antica, Jung, il
mistero di Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro
pericoloso, seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria,
Atanor, Roma. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Porta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale fisio-nomica – la
scuola di Vico Equense -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Vico Equense). Filosofo napoletano. Filosoo italiano.
Vico Equense, Napoli, Campania. Grice: “He is the one with the funny
illustrations of men and animals! The
Italian way to comment on Aristotle!” Riceve le basi della sua formazione
culturale in casa, dove si è soliti discutere di questioni filosofiche, e
dimostra immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare
attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia. La famiglia
ha una casa a Napoli a via Toledo -- il palazzo Della Porta -- una villa a Due
Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la villa delle Pradelle a Vico
Equense. Tra i suoi maestri vi sono il classicista e alchimista PIZZIMENTI, e i
filosofi ALTOMARE e PISANO. Pubblica “Magiae naturalis sive de miraculis rerum
naturalium”. Pubblica un saggio di crittografia, il “De furtivis literarum
notis” dove scrive un esempio di sostituzione poli-grafica cifrata con accenni
al concetto di sostituzione poli-alfabetica. Per questo è ritenuto il maggiore
crittografo italiano. Quando già la sua fama è consolidata, presenta il suo
saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia in Italia. Ha un saggio,
“Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi (Sirri, Napoli). Fondato intanto
“i segrettari”, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per appartenere
alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta. L'accento viene
tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le raccolte di segreti
costituivano un genere letterario che incontra una straordinaria fortuna con
l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per segreto si intende conoscenza
arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e pozioni d’effetto
straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica, metallurgia,
cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine, ecc. Colui che
insegna a padroneggiarli è chiamato professore di segreti. I segrettari sono
però sospettati di occuparsi di temi riguardanti la magia e l'occultismo,
sicché è indagato dall'inquisizione e il circolo dei segrettari chiuso. A lui è
tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia naturale. Pubblica
“Pomarium” sulla coltivazione degl’alberi da frutta. Pubblica Olivetum.
Entrambi inclusi nella sua enciclopedia sull'agricoltura. Pubblica De humana
physio-gnomonia, della fisionomia degl’uomini (Cacchi, Vico Equense). Ritiene
che l'animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e si corrompe per la
passione. In “De ea naturalis physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas
spectat” (Trabucco, Napli) studia con attenzione i segni delle mani dei
criminali. Un tale segno non è frutto del caso ma importante indizio per
comprendere appieno il carattere degl’uomini. Pubblica “Phyto-Gnomonica”
(Salviani, Napoli), dove evidenzia l'analogia tra piante e animali, stimolato
dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio sulle proprietà dei
vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo umano, basato
sull'antica dottrina delle segnature. Corredata da tavole illustrate, estende
il concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro
localizzazione geografica. Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia delle
piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente,
degl’astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo. Affascinato
ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la
spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negl’umani
intelletti. Onde da solleciti investigatori de' secreti della natura applicati
a morbi, ritrovano soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran
tempo ristretta negl’angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il
mondo de' suoi meravigliosi stupori. La sua villa è frequentata da CAMPANELLA
(si veda). Amico di SARPI (si veda). Conosce anche BRUNO (si veda). Per ordine
dell'inquisitore veneziano doveri chiedere il permesso per le sue pubblicazioni
a Roma. Si incontra con SARPI e con GALILEI. Incontra i Cesi. Pubblica la
“Taumatologia” (Sirri, Napoli); “Cripto-logia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora
un saggio di ottica (“De refractione optices"), uno di agricoltura
(“Villae”), due di astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae” (Paolella,
Napoli) e “Della celeste fisonomia” (Paolella, Napoli) -- uno di idraulica e
matematica -- “Pneumaticorum” (Carlino, Napoli) --, uno di arte militare (“De
munitione”), uno di meteorologia -- “De aeris transmutationibus” (Paolella,
Napoli) --, uno di chimica -- “De distillatione” (Camerale, Roma) -- e uno
sulla lettura della mano – “Della chiro-fiso-nomia” (Napoli, Bulifon). Nel
campo dell'ottica esercita notevoli contributi, indagando le proprietà degli
specchi concavi e convessi, conducendo un minuzioso studio delle lenti
descrivendo la costruzione di ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera
oscura ed il tele-scopio. Intraprende inoltre studi di chimica pratica che
includono la fabbricazione di smalti, di polveri da sparo e di cosmetici. I
numerosi esperimenti che ci descrive indicano un’attitudine che lo pone fra i
principali chimici dell’epoca. I suoi studi sono caratterizzati principalmente
dalla ricerca di farmaci dagl’effetti eccezionali, utili ad esempio per la
memoria, per produrre sogni piacevoli o incubi, rimedi contro l’impotenza e la
sterilità. Dei lincei. Ri-vendica l'invenzione del tele-scopio, resa nota da
GALILEI (si veda). Fa parte anche di un circolo dedicato alla letteratura
dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e 'Mprovesante de lo
Cerriglio), e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari del mondo naturale e coltiva
piante esotiche. La sua villa e visitata dai viaggiatori e ispira Kircher a
radunare una simile collezione nel suo palazzo a Roma. Commediografo e scrive
“Le commedie” (Stampanato, Bari, Laterza), in prosa, una tragi-commedia, una
tragedia e un dramma liturgico; “Claudii Ptolomaei Magnae Constructionis”
(Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae” (Palumbo e Tateo,
Napoli); “Elementorum Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli); Accusato di
plagio da Bellaso, che è stato il primo ad aver proposto questo tipo di
cifratura X anni prima. Eco, Fedriga, Storia della filosofia” (Laterza Edizioni
Scolastiche); Eamon, Il professore di segreti. Mistero, medicina e alchimia
nell'Italia del Rinascimento, Paci, Carocci, Fumagalli, “Semplicisti e
stillatori: l'arte degl’aromatari” (Milano, SGS, Gnome, su treccani. Turinese,
“Zoo-morfismo, fisio-gnomica e fito-gnomica: antesignano della bio-tipologia in
medicina, in “Il cenacolo alchemico”, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di
Ippocrate); Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel
Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); Paolella, La Spagiria, ne Il
Cenacolo alchemico, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate);
Paolella, Carteggio linceo, in "Bruniana et Campanelliana",
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia.
Dizionario di filosofia, Convegno di Vico Equense, Torrini, Napoli, Piccari
(Milano, Angeleli); Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, Via
Senato); Paolella, “I Meteorologica di TELESIO, P. e Cartesio -- tra credenza e
scienza, Roma, Associazione geo-fisica, Paolella, L’astrologia: la Coelestis
Physiognomonia (Poligrafici, Pisa), Atti del Convegno L’Edizione nazionale del
teatro e l’opera, Salerno Montanile, Paolella, Appunti di filologia
dellaportiana, Istituto italiano per studi filosofici, Napoli, Sirri, Paolella,
Convegno, Roma, Scienze e Lettere, Santoro, La "Mirabile" Natura.
Magia e scienza (Napoli-Vico Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra,
Vivo, Tecnica e scienza, Serra, Pisa-Roma, La "Mirabile Natura.
Napoli-Vico Equense Santoro. Serra, Pisa-Roma, La Mirabile Natura. Atti del
Convegno, Vico Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. P., neapolitano autore (Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum); vulgò De
ziferis, P., Neapolitano auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem, vulgo
de ziferis, altero libro superaucti, et quamplurimis in locis locupletati. P.,
il mago dell'arcana Sapienza. Filologia. Filologia dellaportiana.È
famigeratissimo il Porta per la sua opera della Fitonomia Umana, che prima
compresa in quattro libri, e poi arricchita di altri due, fu stampata in
Napoli, in Francfort, in Anversa, e tradotta ancora dal- l’originale latino in
italiana favella: del che può vedersi Chioccarelli nella citata sua opera, che
diligentemen- te al suo solito ne tratta. Della medesima io ho vedute queste
due edizioni; De hvmava phynognomonia libri 4. UrseUis, c l'italiana stampala
in Venezia, che comprende tutti i sei libri. I/autore crede, che sic- come
dalla diversa figura delle piante si potevano, secondo lui, arguire le varie
proprietà delle medesime ; cosi del pari dagli esterni lineamenti di tutte le
parti del corpo umano, finanche dalle unghie, c dalla maggiore, o dalla minor
copia de’peli, si potessero rilevare le naturali disposizioni de’temperamcnti
degli uomini. Siccome poi avea bisogno di una norma per questa investigazione,
perciò chiama in rassegna tutti quasi gl’animali, e confronta le configurazioni
delle parti de'loro corpi con le configurazioni di quelle dell’ uomo; per
quindi poter conchiudere, che sicno ne’ diversi uomini le conosciute proprietà
naturali di quelle bestie, alle quali si assomigliano nella forma della faccia,
della fronte, del collo, delle spalle, del dorso, de’picdi, della boc- ca,
delie labbra ec. ec. ec. A questo fine esamina le medaglie, e le statue, che
erano nel musco di suo fratello Gio. Vincenzo; paragona le descrizioni, che gli
antichi storici ci lasciarono di que’ personaggi; corre al luogo, ove in
que’tempi si appiccavano alle forche i facinorosi, e conviene con Boia di
lasciargli esaminar le mani, i piedi, le spalle di que’ rei, credendo, che
dalla figura di queste parti si potesser conoscere i delitti, per i quali
morirono; lo stesso fa nelle pubbliche carceri, e nella Chiesa di s. Restituta,
avendone ottenuto permesso da coloro, che per carità seppellivano i morti. Io
però non ho potuto mai persuadermi, che le unghie rotonde sieno segno di
lussuria, ed il petto senza peli, argomento di sfacciataggine. E se nelle
piante non regge quest’analogia, molto meno può reggere, ed applicarsi
all’uomo, rispetto al quale noi siamo all'oscuro come mai si formino le
passioni; qual ne sia la sede; o finalmente non sappiamo con chiarezza tutta
l’economia dei cervello suo. Essendoci pertanto ignoti questi punti
fondamentali, io non veggo la ragione, per cui si possa dire, che il naso a
guisa di Rinoceronte in POLIZIANO, sia stato argomento dell’ alterigia sua,
simile a quella di quest’animale. Se Porta avesse conosciuto il segreto di
frenare il suo ingegno, portato sempre al maraviglioso, ci avrebbe lasciata un’
opera in questo genere, come la desiderava il Verulamio nel primo capitolo del
libro quarto della sua opera De augmenlfs scientiarum. Ma l’amor del sistema, e
la fallace guida dell’esterna analogia, lo cacciaron fuori del retto e sicuro
cammino. Qualunque però sia il merito di questa sua letteraria fatica, sarà
anche per lui una gloria l’aver preceduto in questa scienza i moderni, senza
però aver imitata l’irreligion di taluno tra essi; giacché P. confessa esser
questa scienza puramente di congettura; esistere nell’uomo la vera libertà
dell’arbitrio; poter questa essere aiutata dalla divina grazia, ebo lo
rinfranca da quelle ruinc, che recò all'uomo il peccato originale, ch’egli
altresì confessa. Appartengono poi alla stessa materia la sua Chìrofìsonomia, e
la sua Fisonomia celeste; essendo la prima una parte delia presente opera; e la
seconda un’applicazione de’medesfmi principii contro agli astrologi,
dimostrando, che dalle proprietà de’diversi temperamenti, rilevate dalfesterne
figure delle parti del corpo umano, si potevano derivare, ed arguire tutte
quelle cose, che gli astrologi stranamente spiegavano colle stelle. Per quel
che riguarda le sue cognizioni intorno alla memoria artificiale, egli le
raccolse nella sua opera, che porta questo titolo: Ars reminùcendi. Neapoli.
Raccomanda in essa principalmente l’ordine nell’ apprender le cose, perchè è il
mezzo più efficace per ritenerne l’ idee; il che gli dà ftiogo nei capitolo
quarto a lodare le matematiche: mathematicae percepitone, et praeiertim
geometrica j quia ordine, et diligenti dis- posinone digesto sunt, memoria
facile continentur. Ubi non est ardo, ibi confusio. Suggerisce poi il noto uso
de’luoghi artificiali, in cui collocar l’idee; e quello delle immagini, in cui
associar le parole: nel che se fosse stato più sobrio, si sarebbe incontrato
perfettamente con quanto poi scrisse Bacone intorno alla memoria artifiziale,
alla fine del libro quinto della sua opera De augmentis scientiarum. Ma arendo
soverchiamente caricata di queste tali immagini, e luoghi la sua esposizione
nella quale è divisa tutta l’opera, par che in vece d’esserne favorita la
memoria, ne venga oppressa dalla moltiplicità di queste medesime immagini,
dall’uso de’ vari paradigmi di caratteri arbitrari, e dall’ esame, e, per cosi
dire, rassegna di personaggi, di cose, di parole, con cui vuole egli, che si
trattenga ogni uomo nella regione della propria fantasia. Si potrebbe dire, che
P. non fa altro in tutto il corso della sua lunga vita, che immaginar cifre:
tanta n’è la moltiplice varietà da lui rac- colta nell’ opera : De occulti s
litterarum noti s, vulgo de Ziferis. Neapoli. Gli accidenti della musica deter-
minati ad alfabeti; le fiaccole, i suoni, i numeri, le no- te musicali
adoperate per lettere ; gli alfabeti comuni raddoppiati, o accorciati; le
diverse figure, con cui disporli; le varie specie di geroglifici: tutto vi è
esposto con una perpetua erudizione. Se l'opera fosse stata un po’ più
ristretta, ne riuscirebbe la lettura egualmente piacevole, che quella di
Bacone, che con sobrietà filosofica ba saputo disporre le cose dette da P., sul
principio del sesto libro de’ suoi aumenti delle tcienze. Fabricio ba
verificata la lagnanza di P. circa il plagio fattogli da un francese, nell’
opuscolo, che appunto ha per titolo: Centuria plagiariorvm. Nel catalogo dell’
opere del nostro filosofo ne ho accennato alcune, che non erano ancora state
pubblicate da lui quando Io formò ; se poi 1’ avesse fatto in seguito, io noi
so, per quante diligenze vi abbia adoperate, e perciò non ne parlo. Dorrei però
dir qualche cosa di quell’ altro suo opuscolo citato più sopra col titolo di
Miracoli e maraviglioti effetti della natura. Ma oltre al non averlo potuto
aver tra le mani, me ne dispensa dal farne parola il giudizio del medesimo P.,
il quale, come ci attesta SCOTTO (si veda) nella sua Magia Universale, lo
condanna col non aver ricordato nella sua magia le cose strane, che ivi avea
scritte ; al che anche aggiunse il non registrarlo nel citato catalogo. Delle
sue commedie poi non debbo parlare, perchè sempre ho considerato in lui per
tutto questo mio opuscolo, il filosofo, e non già il poeta. Ma se di passaggio
se ne bramasse da taluno un giudizio, dirò pure, che elleno non sono l'ultime
per que' tempi; che gii applausi, con cui furono ricevute, e rappresentate per
l’Italia, confermano un tal giudizio; e che finalmente, se la scena vi è
ingombrata di attori, se il prologo è spesso freddo, ed il dialogo non
sostenuto con dignità, bisogna ricordarsi, che questi ed altri simili difetti
si son sempre ritrovati in ogni arte, quando appena incominciava ad uscir dalla
sua culla. Nella conclusione pertanto di questo opuscolo dovendo finalmente
produrre il mio sentimento sul merito di P., e suifutililà da lui recate alle
scien- ze, io non temo d’errare nel dire, ch’egli sarebbe stato veramente
sommo, se avesse meno cercato di esserlo. È fuor di dubbio, che a se stesso
dovette la vera cognizione de’canoni, onde filosofare sulla natura, e quel che
più importa, l’applicazion de’medesimi alle naturali discipline. Era tra noi
precedentemente apparito TELESIO, acerrimo declamatore contro al Lizio; ma
essendo stato ancor egli involto nell’errore de'tcmpi, che per ben filosofare,
bisognava trascegliersi una guida tra gli antichi filosofi, non fece altro, che
sostituire agli arbitrari principii de’suoi avversari, quel- li similmente
arbitrari di Parmenide di VELIA, senza che per questa sostituzione ne
conseguisse alcun vantaggio la Naturai Filosofia, che cambia padrone, e non già
muta servitù. Non così però P., che sagacissimo, intraprendente, c saggiamente
libero si volse alla stessa natura, che è anteriore alle ipotesi dell’uomo. La
lettura delle opere degli antichi gli fece evidentemente conoscere, ch’eglino
aveano errato il cammino; perciocché dopo tanti secoli, e dopo tanti stenti di
uomini per altro sommi, non vi si era per niente avanzato lo spirito umano.
Quindi magnanimamente si risolvette; come ci fa sapere nella prefazione alla
sua Chirofiwnomiaj di cambiar metodo; e siccome quelli aveano stranamente
preteso di voler prescrivere coi loro intelletti le leggi alla natura, cosi
egli per contrario, conoscen- done la sublimità, e la grandezza, le si diede a
ministro, cercando di carpire dalle particolari esperienze i generali principii
delle sue leggi. La felicità de’ primi tentativi, la novità delle cose, che di
giorno in giorno scopriva, gl’inebriarono per modo lo spirito, che lo
precipitarono in un altro eccesso, qual si fu quello, di volerne esplorare, e stringere
in un corpo tutti i regni, nc’quali è divisa la medesima natura. Questa
intemperanza di brame, o come la chiama PLINIO nella sua Storia, questo furore,
fu cagione, che egli alcune volte tentasse finanche quel che era impossibile, o
si lasciasse sedurre da certe osservazioni non sicuramente stabilite. In questo
però merita compatimento; perciocché oltre la felicità de’successi, e la
sorpresa delle tante maraviglie, che, alzato in parte il suo velo, gli
disvelava la natura; ognuno ben sa, eh’ eran questi i primi movimenti dello
spirito umano, che sottrattosi da’ceppi di Aristotile, di Parmenide, o di altro
antico filosofo, incominciava da se a contemplare: e questi primi movimenti
sogliono costantemente unire alla loro robustezza una certa irregolarità di
direzione. Appunto come avvenne nell’epoca del risorgimento delle Belle Lettere
in Italia, che disotterratisi i codici degli antichi scrittori latini, i nostri
italiani avidamente li divorarono con una irregolare lettura, onde ne avvenne,
che si formarono uno stile misto delle grazio di CICERONE coi concetti di
Seneca, e di PLINIO. Fu però utile alle scienze questa scossa elettrica di P.,
affinchè dal grido, che menavano tante metamorfosi portentose, e tante
esagerate maraviglie, si destassero gl’altri a percorrere ancor essi il cammino
della natura; e quindi dalle replicate, e meglio ponderate esperienze loro, si
dissipasse la nube di tanti incantesimi, e venisse finalmente l’umana ragione
condotta alla sobrietà delle sue ricerche, ed alla gloria de’suoi trionfi. Arte
del ricordare, dal latino al volgare – da Falcone -- DELLA PORTA, Giovanni
Battista Figlio di Alessio, del quale
non si conosce la professione, e di una Battistina, nacque a Porlezza (Como).
Nipote del noto scultore Tommaso Della Porta il Vecchio, cugino in secondo
grado di Guglielmo Della Porta anch'egli famoso scultore, P. ha due fratelli
presumibilmente più giovani che lavorarono con lui: Giovanni Paolo e,
soprattutto, Tommaso il Giovane. Sposa a Roma Elisabetta Mariottini, dalla
quale ha una figlia, Barbara, che gli premorì (Hibbard). Non si sa con esattezza quando P. venne a
Roma, ma allorché lo zio Tommaso riceve il titolo di cavaliere, fu stabilito
che alla sua morte tale onorificenza passasse al D.; si può quindi dedurre che
nel 1562 fosse già attivo insieme con lo zio nel campo del restauro delle
sculture antiche. Il fatto che la società tra zio e nipote fosse molto stretta
spiega perché il Baglione ascrivesse al D. la vendita delle teste dei dodici
imperatori al cardinale Alessandro Farnese piuttosto che a Tommaso, che fu il
vero venditore (Bertolotti, 1881, I, p. 168). Nel 1566 il D. è citato nei
documenti per aver commesso un piccolo reato per cui lo zio si faceva
fideiussore (ibid., pp. 169 s.). La prima opera nota del D. sono le dieci Ninfe
per la fontana dell'Ovato a villa d'Este a Tivoli, secondo i disegni di Pirro
Ligorio. Il contratto del luglio 1567
prevedeva dieci figure alte 120 cm di peperino ricoperto in stucco, che
dovevano essere collocate nelle dieci nicchie della fontana che Curzio
Maccarone stava costruendo; stabiliva inoltre il prezzo di 10 scudi ciascuna;
le statue dovevano essere completate su tre lati secondo il disegno del Ligorio
e l'intera opera doveva essere terminata entro il successivo mese di settembre,
altrimenti il prezzo sarebbe stato dimezzato. Una statua era stata già
terminata (Seni, 1902, pp. 66 s.); otto ninfe sono tuttora esistenti sebbene
molto deteriorate. Il contratto menziona anche una statua di Roma, che fu
affidata tuttavia nell'agosto 1568 a Pietro Motta per lo stesso prezzo offerto
al D. (70 scudi). Non si sa se il D. rinunciò all'incarico o se gli fu tolto,
ma la stessa cosa sembra sia avvenuta nel caso della colossale statua di
Tiberio, di proprietà di Ippolito d'Este, che fu lasciata incompiuta dal D. e,
nel dicembre 1567, affidata ad altri due scultori per il completamento (Seni,
1902, pp. 68 s.). Forse il D. stava
cercando degli incarichi migliori come appare evidente da una lettera da Roma
dell'11 nov. 1566, del vescovo Garimberto a Cesare Gonzaga, signore di
Guastalla (occupato in quel momento a trasferire la sua collezione da Mantova,
a Guastalla; cfr. Partridge, 1971, p. 484), in cui raccomandava "Maestro
Giovanbattista scultore, nipote del già Maestro Thomosino ... nel restaurare et
rassettar delle sue anticaglie". Èa questo punto forse che il D. divenne
amico di Francesco Capriani da Volterra, l'architetto di Cesare Gonzaga a
Guastalla, con cui in futuro avrebbe lavorato spesso: per esempio intorno al
1569 Francesco da Volterra e il D. diventavano rispettivamente l'architetto e
lo scultore di casa Caetani (Caetani, 1933). In ogni caso i rapporti del D. con
Cesare Gonzaga sono confermati da una lettera inviata a quest'ultimo
dall'antiquario romano Iacopo Strada nel giugno 1568 in cui il D. viene
definito "molto servidor di vostra Excellentia" (Campori, 1866, p.
50). II D. ricevette il suo più lungo e
più importante incarico in campo scultoreo presso la S. Casa di Loreto: dieci
Sibille e tre Profeti per il rivestimento.
Nell'aprile 1570 il D., probabilmente accompagnato dal fratello Tommaso,
era a Loreto dove riceveva un anticipo di 50 fiorini (25 scudi) per "delle
sibille che fa" (per tutti i documenti relativi all'attività del D. nella
S. Casa cfr. Weil Garris, 1977, II). I pagamenti continuarono nel 1570, nel
1571 (con il primo a Tommaso in aprile, pagato tramite il D. come lo fu per
tutti i seguenti), fino al 1572. Una lettera del maggio di quell'anno attesta
che sei Sibille erano finite, tre prossime alla fine e che il D. doveva essere
pagato 200 scudi per ciascuna statua, mentre egli ne chiedeva 250. Nel luglio
1572 il governatore di Loreto scriveva al granduca di Toscana annunciando
l'imminente arrivo del D. a Carrara per procurarsi quattro pezzi di marmo per
il rivestimento; il viaggio deve aver avuto luogo nell'autunnol dato che in
novembre al D. venivano rimborsate le spese di viaggio. In dicembre le dieci
Sibille erano finite e il D. si riteneva soddisfatto del pagamento di i.800
scudi; sembra che avesse donato una statua "per limosine et per sua
divotione" (Weil Garris, 1977, II, docc. nn. 1285, 1303). Nel 1573 il D.
era di nuovo a Carrara a lavorare ad almeno due blocchi di marmo "per li 4
profeti" della S. Casa; gli furono pagati due mesi di lavoro per sbozzare
le figure, il trasporto e le spese di viaggio.
A questo punto il D. presumibilmente tornava a Roma: nell'agosto 1574
era annoverato fra i Virtuosi del Pantheon (Orbaan, 1915) e deve aver ricevuto
attorno a quello stesso periodo l'incarico di scolpire un Cristo risorto e due
Angeli per il nuovo altare del Ss. Sacramento a S. Giovanni in Laterano. Dal
1574 Francesco da Volterra era stato architetto di questo progetto di Gregorio
XIII, ma l'unico documento relativo alla partecipazione del D. risale al maggio
1576 quando egli stesso e "i scultori" ricevevano il pagamento finale
per un totale di 200 scudi per le tre figure (Arch. di Stato di Roma, Cam. I,
Tes. Segr., vol.1303). L'altare,
distrutto nel 1599, come dimostra un disegno coevo, presentava il Cristo al
culmine del timpano e un angelo adorante per ogni lato (M. A. Ciappi, Compendio
delle heroiche et gloriose attioni... Papa Gregorio XIII, Roma 1591, p. 8). Dal
disegno e dal prezzo si può ipotizzare che le statue erano di media grandezza e
forse è possibile identificarle con quelle di Cristo e due putti nell'altare
del coro d'inverno (o cappella Colonna, costruita nel 1625), poiché i documenti
attestano che alcuni pezzi del distrutto altare furono riutilizzati (Arch. di
Stato di Roma, Cam. I, Giust. Tes.,B. 25, fil. 11 [1601]). -ALT Nel dicembre 1576 il D. era di nuovo a Loreto
dove veniva pagato per il trasporto di "4 marmi di far profeti" da Napoli
a Recanati. Nel maggio 1578 gli veniva dato un anticipo per i Profeti e un
altro pagamento risulta a luglio; e un altro ancora, sempre a luglio, di 690
fiorini per "un profeta". In dicembre Tommaso veniva pagato per un
profeta e nel 1579 G. Lombardo era pagato per un altro, Amos (Weil Garris,
1977, I, p. 99). Il conto finale della S. Casa riporta solo una somma relativa
a questi tre profeti, quindi il quesito su come sia stato impiegato il quarto
pezzo di marmo trasportato dal D. a Loreto va ad aggiungersi al problema
attributivo delle statue oggi esistenti del rivestimento, se vadano al D., a
Tommaso, o a tutti e due insieme. In base ad un'analisi stilistica i profeti
Balaam e Mosè sono usualmente attribuiti ai Della Porta (benché i bozzetti,
conservati rispettivamente a Roma, coll. Gaudioso, e ad Urbino, Museo
nazionale, non richiamino in particolare lo stile dell'uno o dell'altro dei due
fratelli). Malgrado il D. avesse finito la sua opera per la S. Casa nella
primavera 1578, continuò a lavorare per Loreto; nel giugno 1578, il cardinale
Nicolò Caetani incaricò Francesco da Volterra di progettare la sua tomba nella
basilica. Per tale incarico Francesco da
Volterra si accordò con il D., che nell'ottobre 1578 riceveva 300 dei 1.650
scudi promessi per il suo lavoro per la tomba, "pro opera constructionis
sepulchri". Nel 1579 il D. scolpiva a Roma le figure della Fede e della
Carità e l'anno successivo il monumento, mandato da Roma, veniva eretto a
Loreto sotto la direzione del D. (Caetani, 1933, II, p. 172). Data l'entità
della somma il D. doveva essere responsabile sia per la fornitura sia per la
lavorazione dei marmi per la tomba, così come per le due figure in piedi
fiancheggianti la statua ritratto del cardinale, eseguita in bronzo da A.
Calcagni.Forse non era molto occupato all'inizio del nono decennio se nel
febbraio 1583 scriveva a Vespasiano Gonzaga, duca di Guastalla, della stima di
suo zio Tommaso nei suoi confronti e offrendo di vendergli una statua antica
che era stata restaurata. Scrisse di nuovo nell'aprile 1584 chiedendo se le
statue (senza specificare quali) fossero piaciute al duca e prometteva di
mandargli quattro "pezzi del'istoria ... per adornare el camerino"
(Campori, 1866, pp. 64 s.). Per Sisto V il D. lavorò almeno a due progetti,
entrambi diretti dall'architetto papaleDomenico Fontana: la ricostruzione e la
decorazione della cappella del Presepio di S. Maria Maggiore, più tardi
chiamata cappella Sistina, e la monumentale facciata della fontana del Mosè, in
seguito al ripristino dell'acquedotto Felice. Nel luglio 1586 Sisto V aveva
deciso di spendere 25.000 scudi per la tomba in S. Maria Maggiore del suo
predecessore e protettore, il domenicano Pio V (morto nel 1572).
L'organizzatore del progetto scultoreo, Leonardo Sormani, che disegnò il
ritratto in bronzo del papa, eretto nel giugno 1587, ricevette un primo
pagamento nel dicembre 1587 di 300 scudi, e altri nell'aprile e nel settembre
1588, da dividere con gli scultori P. Antichi. F. Vacca, G. A. Valsoldo, P. P.
Oliviero e il D., autore della statua di S. Domenico (Bertolotti, Artisti
subalpini,Mantova 1884, p. 104). La
figura del santo, piatta, schematica e in qualche modo banale, anticipa nello
stile il suo successivo e più vasto lavoro: il rilievo, alto più di 3 m, con
Aronne che conduce il popolo ebreo'a dissetarsi,per la fontana del Mosè a
Roma. Qui le figure pesanti e piatte, lo
spazio sovraffollato, che sembra scoppiare, formano, comunque, un accompagnamento
adeguato al grande e prorompente Mosè che colpisce la roccia di Antichi e
Sormani con il quale Sisto V celebrò in forma teatrale l'arrivo del nuovo
acquedotto a Roma. La creazione. della fontana per l'Acqua Felice fu annunciata
nel luglio 1587 e il D. fu pagato, fra il 1588 e il 1590, un totale di 1.000
scudi, sebbene la stima fosse stata di 1.350 (Bertolotti, 1881, I, p. 221,
D'Onofrio, 1957, p. 92). Baglione (1642, p. 74) attribuisce al D. uno dei due
angeli che sostengono lo stemma papale sopra la fontana, i quali sono invece
opera rispettivamente di Vacca e di Oliviero (Lanciani, 1912, p. 158). Subito dopo l'ultimo pagamento per l'Aronne,
nel marzo 1590, il 30 aprile il D. fece testamento (Bertolotti, 1881, I, p.
181): vi risulta cittadino romano, residente a Campo Marzio e afferma di
lasciare il mobilio alla giovane moglie, Elisabetta Mariottini che aveva
sposato nell'ottobre 1580, e tutto il resto ai fratelli Giovanni Paolo e
Tommaso (il quale a sua volta nel testamento del 1583, gli aveva lasciato
("5 petia statuarum modernarum").
Durante il 1590 il D. lavorò a due importanti progetti sepolcrali, a
Roma e a Sabbioneta. A S. Silvestro al Quirinale scolpì il busto-ritratto per
il cenotafio in memoria di Federico Corner, morto nello stesso anno, cardinale
a Padova, dove fu sepolto. Eretto per
volere di Gregorio XIV, il cenotafio fu ideato da D. Fontana; il D. fu pagato
125 scudi per la sua collaborazione nel gennaio 1591 (Donati, 1942, p.
41). II card. Scipione Gonzaga, in una
lettera dell'aprile 1591 - in cui raccomandava al duca di Mantova il D. come
"molto intendente di architettura et di statue" e in cui ricordava
come egli stesso possedesse due statue del D. - asseriva che lo scultore era
stato chiainato a Sabbioneta "per la sepoltura del Signor Duca di
Sabioneta" (Bertolotti, 1885, p. 75). Si tratta di Vespasiano Gonzaga con
il quale il D. aveva lavorato fra il 1583 e il 1584 e che era morto nel
febbraio 1591, avendo chiesto nel testamento ai suoi eredi di spendere 1.500
scudi per la sua tomba, oltre alla pietra che aveva già fatto portare da Roma
(Affò, 1780, pp. 114 s.). L'imponente tomba parietale nella chiesa
dell'Incoronata risulta in un documento disegnata dai "Cavaliere della
Porta" (Marani, 1965, p. 139): sicuramente il D., che fornì anche la
pietra. La tomba, comunque, è quasi la copia esatta della tomba Caetani di
Loreto del 1578, ideata da Francesco da Volterra. Sebbene non rimangano
documenti, le due figure della Giustizia e della Fortezza,nelle nicchie
laterali, che fiancheggiano la statua in bronzo di Vespasiano,opera di Leone
Leoni, sono evidentemente opera del Della Porta. In questi stessi anni il D. stava nuovamente
lavorando per la famiglia Caetani: nel 1589 egli progettò lo stemma in marmo
del duca Onorato Caetani per la porta interna della chiesa di S. Maria della
Vittoria a Sermoneta, e nel 1590 il busto in marmo dello stesso Onorato, il
quale morì nel novembre 1592 (il suo catafalco fu disegnato da Francesco
Capriani da Volterra); la sua lastra tombale, decorata con placchette bronzee
raffiguranti trofei militari, fu eseguita dal D. entro il 1593, per 250 scudi.
La tomba, restaurata, si trova ora nella cappella di famiglia a S. Pudenziana
(Caetani, 1933, pp. 269 s.). Nel 1595 il D., come attestano i documenti
(Hibbard, 1971, p. 110), forniva la pietra necessaria per la cappella
Rusticucci nella chiesa del Gesù. Enrico
Caetani, diventato cardinale di S.Pudenziana nel 1585, nel 1587 aveva affidato
la direzione del restauro della chiesa a Francesco da Volterra. cui fu
associato il D. "per tutto quanto riguardava i marmi" (Caetani, 1933,
p. 325). Dopo la morte del Capriani (1594), il lavoro proseguì forse sotto
l'Oliviero che scolpì il rilievo in marmo per l'altare, ed era ancora in corso
nel 1601 quando intervenne il Maderno. Il D., pertanto, doveva essere impegnato
in S. Pudenziana ancora nel 1597, anno della sua morte (ad esempio nel 1595 è
ricordato come fornitore delle colonne di marmo prezioso per l'altare: ibid.).
Dopo la sua morte il suo lavoro fu valutato da Oliviero 3.366 scudi, somma che
fu pagata ai fratelli Giovanni Paolo e Tommaso, a seguito di una disputa con i
Caetani, nel dicembre 1601 (ibid.). Nel contempo questi ultimi avevano lavorato
con il D. per i Caetani, ricevendo un pagamento finale nel dicembre 1598
(Bertolotti, 1881, I, p. 201).
Nell'ultimo anno della sua vita, nella stessa chiesa di S. Pudenziana,
il D. eseguiva la più importante, forse, delle tre sculture citate dal
Baglione, il gruppo in marmo a grandezza naturale con la Consegna delle chiavi,
a commemorazione del luogo dove si supponeva che s. Pietro avesse celebrato una
messa. La scultura fu commissionata da mons. Desiderio Collini, protonotario e
segretario apostolico; il contratto, del 15 giugno 1596, stabiliva che la
cappella, l'altare e le statue fossero finite in otto mesi, secondo un disegno
già esistente, per la somma di 1-300 scudi e che il Cristo e S. Pietro fossero
"a imitatione" di quelli della chiesa di S. Agostino (Bertolotti,
1881, I, pp. 182 s.). Il 15 ott. 1597,
veniva fatto un inventario dei beni trovati nella sua casa dopo la morte
(Bertolotti, 1881, I, pp. 186-189). Questo fatto conferma l'asserzione di
Baglione che il D. morì nel 1597. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria del
Popolo. La sua vedova, che subito si risposò con C. Maderno, morì nel
1602. Al momento della morte il D.
viveva in via del Corso. L'inventario delle sue proprietà dimostra chiaramente
che era un uomo benestante: aveva una collezione di almeno quattordici dipinti
ed un cocchiere alle sue dipendenze. In seguito la vedova denunciò alla Rota i
due fratelli del D., sostenendo che le statue antiche facevano parte
dell'arredamento e pertanto erano sue di diritto; la causa andò avanti fino al
1601 (ibid., p. 189). La collezione di sculture antiche e moderne del D.
potrebbe essere quella di novantacinque pezzi, annoverati in una lista come
provenienti dalla "casa delli heredi delo Cavaliere della Porta"
(Graeven, 1893), titolo che aveva anche Teodoro, figlio di Guglielmo. Comunque,
come asserisce il Baglione, il D. impiegò molto del suo tempo "a cambiar
cose antiche, e in questo negotio ... si bene guadagnar solea, che il faticarsi
poco curava". Fosse per talento o per cultura acquisita, il D. fu comunque
sufficientemente colto per fare un discorso nel 1594, all'Accademia del
disegno, su Il buono e perfetto scultore (Zuccaro [1604], p. 66). Quanto al suo
temperamento si sa soltanto che era abbastanza pio da donare una delle dieci
Sibille per il rivestimento della S. Casa di Loreto. Il Baglione asserisce che il D. imparò la sua
arte da Guglielmo, suo cugino più anziano (forse di trent'anni), ma non ci sono
documenti che confermino questa affermazione; tuttavia si può dire che il D.
ricevette indirettamente gli insegnamenti di Guglielmo tramite suo zio Tommaso,
le cui statue di Virtù per la tomba di Paolo IV in S. Maria sopra Minerva si
richiamano alle Virtù della tomba di Paolo III in S. Pietro. Per lo stile
proprio del D. bisogna fare riferimento ai lavori in cui è documentato da solo:
il rilievo di Aronne nella fontana del Mosè e la statua di S. Domenico per la
tomba di Pio V in S. Maria Maggiore, opere entrambe della fine del nono
decennio. Tenendo presenti queste figure stolide, dai volti larghi,
classicheggianti, ma dai movimenti goffi, si può riconoscere la mano del D.
nelle Sibille di Loreto, in particolare nella Tiburtina, nella Delfica e nella
Pontina, ma anche nella Eritrea e nella Samia (Weil Garris, 1977, I, pp. 338
ss.). Comunque tutte le dieci sibille mostrano una chiara derivazione da figure
simili di I. Sansovino, Guglielmo Della Porta e, naturalmente, di Michelangelo;
inoltre, molto probabilmente, sono il frutto di una collaborazione tra il D.,
suo fratello Tommaso e aiutanti non meglio conosciuti. A anche possibile che le
figure si basino, come già le Ninfe del D. per la fontana di villa d'Este a
Tivoli del 1567, su disegni fatti da altri, ad esempio il Tribolo o i Lombardi.
Questo può valere anche per i Profeti di Loreto: esistono infatti bozzetti in
terracotta per Balaam e per Mosè, che sembrano essere stati copiati da F.
Brandani nel 1541 (Serpa, 1930, passim)e pertanto è forse oziosa la questione
di stabilire in base allo stile quali dei tre profeti (Balaam, Mosè e
Isaia)siano stati eseguiti dai fratelli Della Porta (Weil Garris, 1977, I, pp.
332 ss.; Frulli, 1983). Se il D. fu l'autore o comunque sovrintese alla
esecuzione del Mosè,dimostra qui scarsa conoscenza del corpo umano: il bozzetto
a confronto appare molto più armonioso e convincente. Allo stesso modo le sue
statue, la Carità e la Fede del Monumento Caetani (1578) e la Giustizia e la
Fortezza della Tomba Gonzaga (1591), hanno posizioni goffe (ad eccezione della
Carità)e presentano, soprattutto la Giustizia,una gestualità teatrale,
oltremodo enfatizzata. Le figure del Cristo e di S. Pietro a S.Pudenziana
(1596), d'altro canto molto più frenate, sono legnose e slegate l'una dall'altra.
Tracciare qualsiasi tipo di sviluppo stilistico. nella produzione del D. è
piuttosto difficile. Le Ninfe di Tivoli, infatti, che sono la sua prima
commissione, nel loro classicismo e nella derivazione da disegni eseguiti da
Pirro Ligorio per un'altra opera presentano già due aspetti che saranno
costanti in tutta l'opera successiva del D.: una stretta aderenza ai modelli
antichi e la fiducia nei suggerimenti e nell'esempio degli altri artisti. Ma
forse proprio questa mancanza di originalità fece di lui un collaboratore di
successo, quale egli fu nei riguardi di suo fratello, di suo zio, di Domenico
Fontana e soprattutto, per un lungo periodo, di Francesco da Volterra. Infipe
va ricordata l'asserzione del Baglione che il D. "spetialmente faceva de'
ritratti assai bene", come si vede nel busto ritratto del cardinale
Cornaro in S. Silvestro al Quirinale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, 30Notai Capitolini, Off. 19, vol.
19, cc. 295 ss.; vol. 21, C. 192; Ibid., Camerale I, Tesoreria Segreta, vol.
1303; Ibid., Cam. I, Giustificazioni di Tesoreria, B. 25, fil. 11; F. Vacca,
Mem. di varie antichità ... nell'anno 1594,Roma 1704, p. 13; F. Zuccaro,
Origine e progresso dell'Accademia ... [1604], a cura di D. Heikamp, Firenze
1961, pp. 38, 66; G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori e archit.,Roma
1642, pp. 74, 152; F. Titi, Descriz. delle pitture, sculture ... [1763], Roma
1978, ad Indicem; I. Affò, Vita di Vespasiano Gonzaga,Parma 1780, pp. 114 ss.;
G. B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi,Modena 1784, pp. 190 s.; M.
Missirini, Memorie ... dell'Acc. di S. Luca, Roma 1823, p. 57; M. Gualandi,
Nuova raccolta di lettere sulla pittura...,Bologna 1856, III, pp. 70 ss.; G.
Campori, Lettere artistiche ined.,Modena 1866, pp. 50, 64 s.; A.Bertolotti,
Artisti lombardi a Roma...,Milano 1881, ad Indicem;Id., Artisti veneti....
Venezia 1884, p. 17; Id., Artisti in relaz. coi Gonzaga...,in Atti e mem. della
Deput. di storia patria per le prov. mod. e parm.,s. 3, III (1885), p. 75; Id.,
Artisti svizzeri..., Bellinzona 1886, p. 19; A. Venturi, Statua colossale di
Tiberio riparata da G. B. D.,in Arch. stor. dell'arte, II(1889), p. 254; H.
Graeven, La raccolta di antichità di G. B. D.,in Mitteil. des Deutschen
Archáolog. Instituts. Römische Abteilung,VIII(1893), pp. 236 ss.; L. v. Pastor,
Storia dei papi, X,Trento 1896, pp. 434, 486; F. Seni, La villa d'Este,Roma
1902, pp. 66-69; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma...,III, Roma 1908, p.
21; IV, ibid. 1912, pp. 158, 166 s.; J. A. F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon,in Repertorium
für Kunstwissenschaft, XXXVII(1915), p. 27; L. Serra, F. Brandani e le scult.
della S. Casa di Loreto,in IlVasari, III (1930), pp. 89 ss.; G. Caetani, Domus
Caietana, II,Sancasciano Val di Pesa 1933, pp. 117, 135, 172, 268 ss., 324 ss.;
A. Grisebach, Römische Porträtbüsten der Gegenreformation,Leipzig 1936, p. 133;
A. Venturi, Storia dell'arte ital.,X,3, Milano 1937, p. 562; L. Bruhns, Das
Motiv der ewigen Anbetung...,in Römisches Jahrb. für Kunstgeschichte, IV(1940),
pp. 290 S.; U. Donati, Artisti ticinesi a Roma,Bellinzona 1942, pp . 41, 83; A.
Puerari, Sabbioneta,Milano 1955, pp. 26 s.; R. Montini, Le tombe dei papi,Roma
1957, pp. 327 s.; Id., S. Pudenziana,Roma s.a., pp. 78 ss.; C. D'Onofrio, Le
fontane di Roma,Roma 1957, p. 92; D. Coffin, The Villa d'Este,Princeton 1960,
pp. 31, 92; J. Pope-Hennessy, Italian high Renaiss. and Baroque
sculpture,Greenwich 1963, 11, pp. 120 s.; W. Gramberg, Die düsseldorfer
Skizzenbücher des Guglielmo della Porta,Berlin 1964, pp. 21, 87, 97; E. Marani,
Mantova. Le arti, III,Mantova 1965, pp. 139 s., 156; C. Lamb, Die Villa d'Este
in Tivoli,München 1966, pp. 67, 83; H. Hibbard, Carlo Maderno,London 1971, ad
Indicem;L. Partridge, The sala d'Ercole at Caprarola, in Art Bulletin,LIII
(1971), pp. 480 ss.; F. Grimaldi, Loreto. Basilica. S. Casa,Bologna 1975, pp.
74, 96, 98, 100, 103, 105 ss.; A. Corbo, Fonti per la storia art. romana al
tempo di Clemente VIII,Roma 1975, p. 74; K. Weil Garris, The Santa Casa di
Loreto,New York 1977, I, p. 95 e passim;II (docc.), passim; Splendours of the
Gonzaga: Catalogue, Victoria and Albert Museum 1981,London 1985, p. 11; C.
Frulli, II bozzetto del Mosè,in Urbino e le Marche, prima e dopo Raffaello
(catal.), Urbino 1983, pp. 378 ss.; P. Bober-R. Rubenstein, Renaiss. artists and antique
scuipture,Oxford 1986, p. 478; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII,p. 280 (sub voce
Porta, Giovanni Battista della). Digitized by Google Digitized by Google ; -) DELLA MAGIA NATVRA DEL SIG.
GIO. BATTIS: DELLA PORTA LINCEO NAPOLITANO.
Libri X X . TRADOTTI D/ LATINO in "volgare , con tag^unta dmfniti altri
Jiereri , e con la dichiaratione { i6 Delle cifre inuiibili 17 Delle imagmi
de'fpecdii. 18 Dclli cfpermeaci della Aaden* le Delti efperiiBead ititeli. ao
Chaoa. CON PRIVILEGIO. ^dbr TN NAPOLI, Affreflo Cioaacomo Carlino^ c Cofiancino
Vitate li 1* - - Digilized by
Google .'-V t-. ^ -' >'v.~-.\. . V .'.1 ;. : IJ
r- ' . i; n* . . j' -' I *-! .
/' i l * i . * " ; ^
I w c cheli fd rce'uuto con
tanto allegro animo , 9c con appiaulb
Francefe , Spagnuola &
Arabica , 8c Ipefliflime volte Campato ne' medelimi ghi fa andato vagando per
le mani de molti, & per le boc- - , hor quanto debbo bora Iperar che lia pi
auidamento colto , & con miglior animo di 74'. ' anni . Perci che ba- do
vifto io le primitie del mio ingegno elTer llat^ riceuu- on tanta volontd ,
molibda quelli auguri mi fon sforza- di donamelo pi abondeuole , pi arricchito
, & pi no- lente ornato . Da quel tempo dunque che l la prima.^ a flampato
( che gii fon palati homai 60. anni ) f mai mo hebbe grandilTimo delderio, che
fulTero al Mondo ifefti gli occulti fecreti della natura , polfo veramento Tare
che fon quei io che con tutto lanimo , & con trie- nnio ingegno hriuolti i
libri de nollri antichi, li hatief- rrouato in quelli alcune col fecrete ,
& nafeoAe , per rac- e , & efperimentarle, & ne miei viaggi
dellItalia , Fran- ge Spagna fon Tempre andato vitando le librarie , & le
de iotcillifni huomini , & di ccccllentii&mi artehei , per . *
faper by Googk / f ftpcr alcuna cofa
cnriofa > e nuona > cHe c6n Ihnglk
cipericnze haueile conofciuto efler vere & vtiliiGinc . E quel- le Cittd, c
quelli huomini dotti che non h potuto
veder di prefenza lh viltati con lettere
e con me(& per haucr co- pia
di /fi 'ri occulti fc fapelfero cole
chio non fapefli per in ' : non
lafciando adietro pricghi,doni fpefe, fcambja- lut iufbria &,arti j Onde in
tutto quello tempo ci che di buJo> di recondito, e di buono fi ritrouaua nel
mondo cofi di libri, come di cfpericoze, h procurato di hauere,e fapere, acci
che quelle ricchezze della naturi vreiffer fuori, e fulTc- tp pi mirabili,&
abondeuoli . Onde con non mai llancheuol animo, con oftinata cfpericnza di
jijnc , e di giorno fon flato efperimentando le cofe lette, 8i vdittf quale
lufl'cro , falfc , vere , non lafciando cofa , che non tentalfe
, e ricordandomi fempre delle parole di Cicerone, che dice, che conuiene co- loro, che delideranofcriuerc alfhumana
generatione cofe ec- cellenti, & vtiliflime fcrutar tutte le cofe . Io
neUefperimen- tar di quelle col non h ri^armiato fatica alcuna,ne a Ipel, c le
poche mie robbe con aliai larga mano lh, confuma te,no fon manchate quello mio defio, fatiche, diligenze , c fpefe
di chiarifsimi Heroi, Principi,Signori,e nobilifsimi Canahe^fc principalmente (
quale io nomino con ogni bouore) 1 llluftnf- fimo, e Reuercndifsimo Cardinal
dEfte , i quali tutti mhan^ porto alla mia opera molto grato , e benigno aiuto
, ne ha^ mancato mai nella mia cafa Academia di curiofi huomini , i quali
pagando ciafeun la fua parte per inuefligar , e far efpe- rienza ffclle cofe
inuefligate molt allegramente , e con ogni diligenza han contribuito alle Ipcfe
oer accrefeere , carncT chir quella mia opera . Ma quelle elperienze con tante
fatiy che. Audio, e prezzo comprate, dubitaua farle vfcirejn luce ; poich
quello poco tempo di vita che mi auanza It racTO- gliendole con molta anfiet di
animo, per elfcrui cofe ranfsi- me , e degne de grandiflimi Principi , le quali
l vcniwto mano d'ignoranti , ne partecipi della facra Filofofa diucreb- bono
vili, e di niuno preggio . Dilfe Platone a Diimifio , c^ ro fan dnientar
ridicola la Filolbfia , che a rozzi ,^c ptomai buomini manifeflano cofe coli
degne , Oltre ci s inchiudo- no qui ancora molte cofe noceuoli , e da poter
apportar daa* BO, che vepcodo nelle mani di cattiui huoroini & empi, po* trebbo-
;rebbonooftrt(lerit)oIti> che 4uome dottea 'fur io> Horsd nandif via
quella iauidia , e vinca la voglia di giouar alla^ x>(leritd : non l denno
in modo alcuno nalcondere > le gran^ lezze, le ricchezee> & magnali
della naturarne tenerle occoU e, accioche l lodi> l ringi;atj> eli
riuerilca la fommajK>ten- a, benigoitj e fapienza di Dio comunque elle l l
no io ve pr dinanzi^ voglio che conofciace la diligenza > e' gratili* IO
animo mio ; perche dubicarei de incorrere in vnu grande^ igiuria,&
ingratitudine l tacefl . Dice Cicerone per la boc" a di Platone che noi non lamo nati per noi ioli ; ma di
noi obbiamo farne parte alla patria > i parenti & d gli amici i nde tutte quelle
grandezze > che fin hora fon Hate nafcoftt^ ;1 feno della gran nolhra madre
Natura * e negli ripolligli di ^ttilTtmi huomini, venghino in luce* fenzaingnni
, e fenza_> jgie .*Hor li manifcflano quelle cofe che gran tempo fon . ite
taciute, per-inuidia di chi le fapeua,
per ignoranza chi non le fapeua ; dobe non vdirete enimmi , & vane paro- :
ne le autorit di altri * Ne mc parutohoneftacofa feguenr ) i gran tiiaeftri
errare Creilo folo dir'*' che le cofe
altA ne* e degne di grandillmi Principi* rhabbiamr velate con^ alche leggiero
artificio' ^ come trafponendo le ^parole * tor endone ^cune* e mafsirne in
quelle cofe chepoteuano por- danno* e
naaleficio al profsimo * ma non talmente olcura- chvn ingegnofb non le
polTaTcoprire* e fruirfene , ne tan> chiaramente * ch'orai ignorante , e vii
huomo le polTa inr dere : ma ol occulte cm ringeeno ingannino deilinuefU- ore*
me canto aperte * che in nafeofto non vegga quel ch metta il fronte * f ben vi
fono alcune col , e vili l'h por ; perche fon vere, che fpe^da vere * c veri
principii s'jZjy i d cofe grande* & nafeofte* che appena ti capace l'^naa-
mente* rintelletto noftro f non s'appoggia d veri , e conO- ti prncipij * non
pu giungere d cl alte * c fublime * la nza Matematica da Afsiomi
molto.volgari*.e conofeinti alza d cofe molto aitCx e difciiiflime ) .nde fard
meglio icr cofe balTe vili* e vece che
col i magnifiche r . Le cofe vere
quantunque balle fiorgono ben IkAo oc-
me di)^onrarc.in cofe ra^giori . Deile oofe dauperfi ce ma ot^iofi&ma
moltitudine, e seftende in inlinico,& tanr rande > che non baftf
imaginarfi, dallhuooao^ Noi fet^ nendo end porremo prima Topinione de noftrl
antichi, e de* mo- derni, poi fcriueremo apprcflb quando Thabbiamo efperiincn-
tate, f Thabbiamo ritrouate vere , & falfe appreiTo rinuen- doni nofire i
acci veggano gli huomini dotti qnanto la nodra etdauanza quella de gli antichi
i perche molti di loro han^ fcrtto cnfe che giamai viddero , o iperimentaro ,
ne mai co- nobbero 'li ing. eiJenti della compoftione : ma credendo alle cofe
icriLce da loro maggiori, con la rmifurata , Se importuna voglia de fcriuere
, di aggiongere alle cofe dette , gli
errori fi fono, e le bugie cosi moldplicate, e crefeiute cosi in infini- to, che
appena fi veggono orme, lgni delle prime
inuentio- ni, che' non folo non poflbno e^rimcntarfi : ma ne fi pofTono leggere
fenza rifb . Lalciamo mir molti altri, i quali mener mpttrano di fcriuere d
poderi cole alce, e miracolol, fcriuo- no contrario di quello, che tengono
afeodo necuori,e promet- tono monti di oro ; la onde i Belli ingegni , e
defiderofi di fa- pere trattenuti da lunghifsimo fpado di tempo ; perche fi di-
iperano di poter giongere i penetrar quei fecreci , e chofco- no hauer perdute
le fpele, & il tempo, di/perati del tutto, tar- di fi pentont^gli altri poi
latti lauif airalmii fpefe, prima iin- parano ad odiarle, che i volerle faperc
. Noi habbiamo diuili I lcreti nelle fuc clafi , acci che ognvno babbi quell
gudo che li piace . Finalmente harei lafciato di offndere le vodro orecchie,fe
non haueffe rifpodo ad alcune calunnie oppodemi da ignorano, vilifsimi huomini
, & inuidiofi i quali affai im- niodedamente, e' barbaramente mi offndono,
t quali dimano h^io da Mago, il qual nome hebbi in horrore & odio da che -nacqui , giudicandolo
vaniti ; io non mi fon finenticato mai -efier huomo , eche facilmente babbi
potuto ingannarmi , & errare!* per quedo hpregato fmpre dottifsimi huomini,
che de non hauedero forf fidelmetitc intefb gli annehi , & errato mi
ammonificro'amicheuolmente : ma il contrario mi
auue- luto, che i pi vili, riltani, & ignoranti ( gente i
meodiofifsi- ' ira)^mr contradicono, i quali poco vaicnefo da lor defsi , cer-
cano vna vanifsiiha, e popolar gloria,
giuda, ingiuda che fiai i quali
mentre dimano con le Jor falfe lingue ferir altri , le ferite riuolgcndofi in
lor defsi , frifeono , c la lor fama , Vn certo Francefe in vn certo libro di t
Negromantia chiama me Mago , Negromante
, e. giudica quefM mio, libro impreffo primie- riiii!riineee:qaan4o rpero di
^ittiordici thn! per ha', er pofto lvngueato delle llreghe i quale io dercnlE d
dirno* rar le frodi del Demonio , e delle ftr^he > che quelle cofo. [le
vengono per virt naturali ci inferil^o le fuperfticioai > il uale ho io
crafcrieto da libri di Teologi k>dacifliini del Maln ;us malefcarum !e
Prncipi France,i quali per lor. srtefa vpoendoiin Napoli.' mi vengono d
vifitare > che huoiiio ifle coflui mi xifpffCeto cfferc vnH^tico il quale
nella illa i S.fiaitoloaaeQi nel qual gioroo gli voleuano vccider tutti * butt
per vna toeihraijKc noaelTcre vccilb,e feamp dal p^ glio t io in
tanta&ccndoqueiriidiotorvjche ad vn gentirhuo ko^ Ghxiftiaho par nio ii
conuine pen-queila ' ihgiura > prcrr lari TaltiiQqio ;D 1 Q. ^.'chq rnolta
alla.Chieltlo dui Merici > come i
dotti di quefti fecoli , trd quali pone egli ftelA^A./^ luo nico e quel
libro io fd Aampar fenza nome . O* DIO im- ortale che furfantaria
hdiauiyijtacoc^ueAo ignorante per e A- r lodato, che non hauendo h^QQ che dica
ben di lui egli da f Et ancora vo
barbaro Inglefe, il quale del nno ttimo libr della calamita e&ndo io il
primo, che babbi . ani&Aato.l mondo ceptocinquanta meranielie di quella.^ ,
;li trafcripeijdo tutte le mie come Ai/Ter le lue ne compone I libro C'per non far conofeer il furto che non
habbia tolto il miomi offndendo di paflb in paffbiChe Aan falfe refpe- mze che . egli non intende con forfantaria menti Are , e (i alcunaebfa del Aio, entro mentita, .vaniti e
mefanconia lvltimo & in j^attezze, e
col d; rdere.., Lafeiando molti :ri ignoranti di fmil faticone & ighoranz che mi (limano agoe pur ne
qui, ne altroue demiei h'bri A tratta cofa che n fa contenuta dentro i limiti
naturali. Riceuece dunque idiof lettori
le mie lunghe Pitiche non fetiza Audio fatica, plie fpefe & infortuni;
trauagli con quel buonanimo col al ve le porgo, fcacciando da voi la cecitd,
maligniti & in- lia che A>guonoofiBaA;ar gli occhi dellintelletto, e non
far 1 CI cono- confer ta' acbiii' pr gmfiieare Ir eof * ^ : ^ehm !ghiitiiq
mencr frec cfperdeaza delle coic che fcrkio dir vi truaro- te granverici, &
vtilici, e Tarete migliorigiudici de miei (lu- di; * quantunque conofehi
bene che non mancheranno molti noranci e
uord'ogni giuditio, che harannoinuidia di-que> w col f-c diranno alcune col
non folo elTer (alfe : md impol^ fibil > e lenire l sforzeranno con vani
argonlenci , e fallacie farle parer falle : dimoftrfuido di fapere >
mollraco non fapec nulla ,e,dinK>(lrano la loro ignoranza fonelli come
profani li denno fcacciare da limici della nollra Magia; perche i colord che
non credenoi miracoli della Natiu^^ quelli l slbtano di tor via la Filofofia?
ma le noi houemo lalaato di narrar al^ cune cofe> Icrttte eoo con queir ordine che fi
donea sibm non elTcr cofa tanto polita,
& ornata che nqn fi polla 'pi p* lire
8c omifre ne cofa Unto piena che
non poa'rCeocrd^ qiialcbe aoguncnco - :
' :r . . * *1 jJ ** rii* * ' *j. u il '/ .
.1 * *. !i ' Dkytized by ^Qpglc DI GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA N A P O L
I TA N O DELLA MAGIA NATVRitXE Libro Primo
i ' tradotta da latino in volgari PER GIO. DB ROSA V.I.P.* ^ I fluefio
libro muefliga le eagiotu naturali , datte^U ft^frodncon gli, effetti
marauigltofi , Che coTadinod il nome di Magia^ . Cap. L Or FI RIO ir Apuleio
FilofofitTif^ Ufflre nome nella fcola di Tlatone , in quella oratime che fa in
defenfioae della Magia , dice che quejo nome Magia ha tratto origine da Verfia,
ro- me ancor la fcientia . Snida Greco di- ce che'l nome Magia 'oenghi da'
popoli Magufei. Cicerone nel libro della di- mnamne dice , che il Mago in
lingua Terfiana , non altro , che vn
interpe- tre y e cultore delle cerimonie diurne, ir vna fpetie di Filofofi
appreffo loro, in Girolamo fcriuendo Tatdinodicey che ^poUonio Fianco [a Ito
Mago , cosi chiamato dal volgo , onero Filo/fo, come chiamano Pitagorici .
Scriue Tlinio che fa ferma opinione fra gli autori, la agia hauer bauuto HJko
utffcinufnto in Terfta , ritrouata da Zoroa- i Della Magia naturale flrf figlio
di Oromafo, perche i Scrittori pi diligenti dicono, che'm- nanr^i coflni fia fiato vn altro Zoroaflro
Vrocontfio, Ma che prima di lui ne babbi fcritto Ojane, ihjuale venne con Serj
Rf di Ver fio, nelle guerre chegli
partii a* Greci , che per tutti i luoghi-, e citt del mondo doue paflaHa, Jaf
ciana ifemi ^ e le maraniglie dvnarte cosi marauigliofay e flupenda > e che
i popoli della Grecia induffe rabbia,
i^flupofc, 0 fola al deftderio di fmil fcienxa . Dunque cfue^p nomedi Magia
appreffo tutti ifaui e dotttfjimi, piefo
per fiptentia, e per vna perfettifiima(opiitione delle cofe liatiirali. E
quelli chiama- no Magi, che i Latini faui,i Greci Filofofi da quel primo
Vitagora,chc rittouquefiotiofae, come fcriffe Digene'igli indiani dicono Srfch-
manni e Ginnofofifti^ con nome Grect^ come fi diceffie Filofefi nudgli Dabiloni
e glt ^jjtrt Chaldei , da Caldea paefe dell'u , i Fr ance fi Celti, cio i
Famen^ , dicono Druidi , Bardi, e semidei , glfEgfiif facerdoti Cabalifli ,
Trtfeti , te, Hifnote, Apollonio, e
Bardano dopo Zoroaflre, CT Ofiane- Che cofa Ha Magia. ,Cap. II. \ Magia la
dtuidono in due part , Vvn c hiamano infame, come (porca T imbratta- ta di
(piriti immondi , di commercij di de- monij , fatto cattiui auguri d'empia , C
ini- qua curiofit, ecompofla di congiuri bug- giardi , laqual chiamano i Greci
Coitia ,ia- quale hauuta in odio
beflmiata,T abbor- rita da tutti i buoni , da tutti gli buominifa- ui, honorati , e come imaginaria,epien di
delufione nelTeffer delle cofe naturali no b ninna fufilK^a, ne aj- funa
ragione, e delle opre da lei fatte, no ne rimane ombra, neveftL ^ Di
Gla.Battifta della Por. Ldb.I. j { , raleuMo t come dot$ameHte fthmanifefia
lamblico r.el libra 4$\ '^erij dagli Egit^. Laltra naturale
laifual egni jpirto buona ^ ja^ ,
0 aetottala riceue con graudifiimaappUnfa , thonara > e la ri- rifce , come
ee{a che mnpu trmarfi pi alta ne pi fitbltnfe nells turalitt ne cofapi eara 0
accettata da neri letterati. Ver fapir- \e ricercarla habbiamo letto i grandi
della Filof pi tifioefilij , che pelgrhtJtioni j andare ad impararla in diuerfi
e fi t e ritornati nelle loro patrie > bau letto , e pubicato al mondo In a
graudez'^ai 0 bauuta guelia ne loro pi de^i e pi afioftt fecre^ , I Biloffipi
dotti nella Filefofia pifecreta, la H^ifcono coti, ef- r le ricebet^,e le
delitie delle fiietie naturake la loro (p 4'tr coti) tnta ejfenta, che tutte le
grandezt^ etiefcittie,le^uali ponno pro^ irree^aflupida^ marauigliofa, che fi
pojfano fingere pero ima* nare, quello
effer U Magia. .Alcuni ban detto efier la parte attiua a principaliffima dellaFihfofia,e che produce i
fuoiinarauigliofi ef- tti della fcambieuole e coutneuole aj^licatione
defemplict natura l "Platonici come Piotino nel libro dilfacrificio,e deUa
MoffiafPr tendono Mercurio dicono la Magia effere una fcieutia% laquale imr ina
far rbbidire le cofe inferiori alle fuperiiorie le terrene tdk celar ' e con
certi aUettamenti e certe arti tirino 4 fegtinfiuQi di tutto il elo.E per gli
Egitti chiamarono la T^atura ma Magapercbe fon If rjg Jue ftmili quelle di fopra le tiraua afe efuggettrfe
lefacautu che quella for^e era ma forer d'amore e che fi pfaua quella violen- I
perhauer certa cognitione della natura, e quefii cbiamomo Magi^ .^braeciamenti.
Ma noi non par neramente che altro fia la Ma a, ebe ma contemplatione della
nauera. Perche eanfiderando ima- de' Cieli delle Stelle, degli Elementi e delle
loro trfmutaiionicos ^ animali delle piante deminerali e de'loro mafcimentUf
delle itti fi rengono fcopriregli
occulti feereti ebe tutta la nofira feien* I piene fcoprirfidal volto della natura , come
apprejfo vedremo il cbiaramente. Qutfio volfh intendere Platone
neir.Afcibiade il- tal diffe che la
Magia di Zoroafire nongli parca altro
che feientia Ite cofe diuine e
culto dellaquale i fyfituoli de Rf .di Perfia erano imaefirati aceioche fecondo fimagine deUa mondana
republica lino imparaffero regger
eguemare 0 amminiflrare la loro re- blica. E dice Marco Tnllio nel libre delle
diuinaticn , ebe ninno :rfiano qr lecito
afcemdere alla maifi tegia liquide nSfufiic
pie- .A % tW 418- 4 Della Magia naturale noammaejlrato t edotto nella
fcientia della Magia i perche come U natura gouerna ilmondo con lo
abbracciamenti ^ e/c^icciamtnto'vtr cendeuole delle co fe i cos eglino deueno
reggere la loro republicam Huefia dunque ripiena di gra ndifiimo potere , che
tutta fcaturtfce di dtuini miflerit che infogna le qualit delle co/ nafiofieje
propriet la cognitione di tutta la
T^atitrate dalla jlmpatia, (J antipatia delle eofe^ /compagnare t e con
vicendeuoleapplt catione accompagnare i femplici acetiche faccia quelle opere , che tl volgo
chiama miracoli eiooperationi,che auanttpno ogni marauiglia, ^ ogni
bumanointen* dimenio. E peri banca gran for^a nell' india, e nell' Etiopia,
doner^ molta abondantia di herbe, pietre, O* altri femplici quella apprle- ntnli. Voi dunque che venite
qui pi r faper, che cofa fta la Magia, nS crediate che altro fta IsMagia, che
l'ifleffe opere della natura, e l'ar- te
fua feruAi e miniflra, perche doue conofee mancar alcuna ctfa alf
accoppiamento,& vnione delle cofe naXurali,ella per via di vaore, di numeri
applicati con tempi opportuni fi s far ^a di aiutarla : lefem pio fbabbiamo
nell' .Agricoltura, che la natura quella
che produce l'ber- te,elcbiadc,raru
quella che prepara i campi,e fiemina. E per. An- tifonte Vocia diceua,
con l'arte fuperiamo quelle cofe , uelloquale la tututaciauam^a : e Vlottno
chiama il Mago minifiro , e feruo dello 'oitura, non artefice. Voi dunque
fuperShtiofi, iniqui, UT profani huo- mini, fuggite lontano di qu, che in ninna
cofa noi babbiame far in- sieme, la
uofira porta cbiufa voi, vi fcacciamo non fola da'nofiri lir mitari, ma dalla uoflra citt, e dal mondo
infiememente , e feri bah' biamo nelle mani,vi facciamo patir la pena con la
vita,' andiamo an- 'ftichilando ilvoftronome. Ma qual officio, dottrina s'appartenga al mofiro minifiro, lo diebiararemo nel capo che
fegue . "Pellainftitutione del Mago , c delle conditioni che fi ricer-
cano d chi vuol far profefsione della Magia^. i Cap. III. I O R fa hi fogno
icftruire il noUro Mago , e quello I che debbefapere^e tener memoria,acciocbe be- ne ammaeRrjto di tutto
quello che faper gli btfo- j mudare ad effetto le opere piene dt ma- '
raufglia, e di fupore. Vercioebe habbiamo dtffi- Kto la Magia efiere vna parte
attina deUa natu- rai Filcfrfia , ragtoKeuolmuteilMqgofbe deu$ I Digitized by
Googic Di Gio.Battifta dellPor. Lib.L rr colmo di tanta maefl, bifogna che fia
confumajfimo nella a, e dottiamo: perche tUa tnfegna Che cofa il cald r : ; ' .
i Quii ilen de loro i (mi, e qua i del ferro . Equ'al laocculta, e la fecreta
forza Deiiingegnofa, e mirabil natura.
he non fia ancora ignorante della Medicnat perch molto fimtle
7 han qua ft parentela con quella, e fiotto jpetie di Medicina cominci
finbintrarc , iX allettare le mente degli buomini , e ci forge ancor, tolto
aiuto^ Vercbeci infegna il intfebiia-et il temprare, e fiomiglianr, mente il
comporre, e l'applicare/ Bifiqgna ejfier ancora molto inteW igeate della natura
iefiemplici, cio uonfiempliceberbolaio, ma gran nue fugatore delle piante, per
effemovarij i nomi delle piante, efeif e deficrittieni non efiattamente
depinte,habbiamo non foco fiatigato, juando di loro hauemo bfiogno hauuto.
i^e cofa pi dificonueneuo- e ad yn
artefice non conoficer bene gli ifrumenti de' quali fi fieruet tngi qut fio
giudicamo tanto importante , che qua/t di qu dipenda il tutto. men bifiogna
hauer efiatta cognitione dt metalli > di miuera-i li, delle gioie , e delle
pietre . Oltre ci (limo che ognun debba
chU- nfiimamente fapere quanto gioui fiaper l'arte del difiillare,imitatri- (C
della celeftepioggia,efiglia^ercne da quella fon nati marauigliofi,
inuentioni,ritrouaie da nobiliffimi ingegni, e moUe cefie ytili aUq fialu te
degli buoptini , e fie ne vanno tuttauia ritrouando di giorno in gwrr no. C'toi
come fi cauino le /empiici acque,U fi>iritofie, l'olij, legotne, e t acque
gommofie, e le quinte e(fen:^e, leqnali fianno naficofie,e difper^ fe per tutto
il corpo di quella mole,come s'inalinole virt di quelle, ir aecreficerle di
fiorq^e, ma ci non roz^a, efiemplicemente come faur no le volgari genti, ma con
le fine cagioni, e ragion Bifiogna ancora, che fiappia delle Matematicbef
epriocipalptentt f,4firolqgia, perckf ttinfitgng^ " " Come - Della Magia naturale ' ( Come con corfo
rapido nel Ciclo ."x Si muoiiano le ftelle, e qual cagione \ Facci
cclirtar la Luna, e come il Sole Goucrui, e reggi il mondo difeorrendo Per le
dodcci parti del fuo cerchio. ' Ter che con i variati mouimenti de'Ciel^ e loro
ajpcttlj le (Ielle dona- no noi molti ,
e gran duoni , e come pojfjiamo tirar di l molu forga di oprare, e di patire, e
cauarne varie propriet delle eofe. E perci l tnuefigatione di qtiejle cofe ,
fatig iy affann molto gli animi de' Tlatonici, come patejfmo noi tirar
iceiiinflujj. Sappia ancor molto della Trofpettiua, che fappi le cagioni, come
singanninogli oc- chi, le vife che fi fanno fotta acepta, e ne(peccbi fatti in
diuerfe for- me , le quali alle volte mandano le hnagini fuor a de (pecchi
pendenti nellaria , e come fi pojfano veder chiaramente quelle cofe, che fi fan
di lontano , accender fuoco al Sol di lontano , da quali depende vns gran parte
de' Secreti della naturai Magia. Qur(ie fono le feientie che la Magia s'haue
elette per fue adiutrice, e compagne , e chi non fapr que(e , veramente indegno del nome di Mago , Sia ancora
lartefi-\ ce noirofer duono di natura midto indu(riofo , e mecanico delle fue
mani, perche rn letterato fen'^a rti(icio, ouer vnartificiofo fen^a let-^ tere,
{cosi fono quelle arti attaccate , e congionte inficme ) perde lo-^ fra t'I
tempo,ne gionger pur mai al defiato fuo fine. Si trouano alcu- ni cosi dotati
da Cieli , cosi pronti e facili quefi
efercitij , che par che ftan eletti da Dio. 'hfe dico ci perche non
fappi,cheldrte nonpof- fa limar molto,e le cofe che buone fono non lepojjafar
migliori, e quelle che boniffime no fi pojfano corrrggere,e farfi migliori.
Vrimieramente hi fogna che con ingegno molto fauio,iyaccommodato confideti
quellot cheh da fare, e prepar il tutto,poi cominci, e facci il tutto con
ragione, ^efohd voluto dire, che fe aHe volte ignorantemente singanna, non dia
la colpa noi,ma incolpi la fua ignorala,
cbcl difetto non vien da colui, che infegna, ma dalla ignora'^a dell'artefice,
per che venedo qite- fi miei fcritti in mano di alcuno ignorante, t non
riufetndo , togliono U credito allopra, e fan che quei che riufciranno, cafo, e
non che na- feano da veriffime, e neceffaiiiffme cagioni. Se le cofe th opri,
vuoi che paiano pi merauigliofe, nafcondi le caufet perche quella ctfa far
marauigliofa , dellaquale non falla cagione, ihcfapendofi la cagione togli la
caufa della merauglia,(y intanto ti paiono le cofe flupende, e marautgliofe ,
mitre ti tengoM fofpefo l intelletto lignor atta delle ca- ' . gtoni. DI
Gio.Battifta della Por. Lib. I. f Dine ,ATifloule nelle mecaniche fue degli
.jifrchiHetorit ^uan^ dofabrUemo t loro ifirumenth nofeondono le cagioni di
quelli , e don denafonoie marauiglie. Vn certo hmemofinor^auix la lucerna, e pi
accofianiola al muro, onero adnua^'trai laeccndcna di mom, 4 me cofa piena
difinpore, ma JL vedere le Slupende, e
maranigjiioje aperti . ni della natura t cos accefi: gli animi di Filofofi
antichi, nelPinueftigationi delle c^io^ ni, cito in quelli s'affaticano, e
fitdano afiai,e ft ci ingannomo ancora, e moki di kroijfro tnolte,e varie
opinioni, lequali non mi par firn di propt^ raccontarle prima,chepaJhamopi
innan^t . i primi differo che iaffr le cofe vmu- mano dagli elementi, eper
differo, che quelli fnffro iprmipq deU ceffe, eomefit ttippaj ai Metaponto,
& Heraciide di Tontoyohe fuf* fe il fuoco , Diogene di ,/tpollonia , ^
,Anafftmene l'aria , Talete M le fio l'acquai queflifnre i primi, che cofituiro
i primi /enfi della natu* ' fa, cio gli elementi corpi femplici: ma ber fono
iwAafiarditi, e falfi, t pi e mino l'vnomifchiato con f altro, e fitrafimtimo i
prncipif- ^atrdifom di cbrpinmrdi
utaitdeuolmeMt aUtredU fr loto Digitized by Google Della Magia naturale
in perpetui, e trdsmutahili,e quefiiftanno cori bene aecomodatt deni no ifuefte
gran volte del Cielo, che (judfi riempiono tutto quejo m do [otto l Luna . il
fuoco, come leggierijjimo e fattili ffimo tanto , che iocchio non pud
affiguraro , t' inalb in alto ,et 'h prefo il luogo pii fitpertore, e lo
chiamano etbera. ,/tppreffo queSioi
torta , poco pi grane del fuoco , fpargendofi intorno intorno per lampiezza del
cie~ lo, paffa per tutte le cofe, e fi lafcia penetrare, ci riduce fpeffo alla
fina qualit, ber fi condenfa in nubbe, hor singrofia in nebbia, e fifeioglie,
/f tpteftr fucceda Taaiuaitvltimo pi di tutto fatto daUa feccia, e del- la
turbolentia di tutti, fi chiama terra^aqual giace fatto tutti, graffa, fida, ohe non fi lafcia
penetrare, che non pu toccarfi cofa foda che fin finza terra, e ninna cofa
vacua fenz aria. Ella fl nel centro di tutto, Ithratadalifit proprio ptfo,
immobile circondata da tutti , perche gli altri fi le volgono intorno
perpetuamente. Ma Hippone,e Critia diffe\ to efjer iprincipij delle cofe non
gli elementi , ma le loro efdationi
Tarmemde dtffe le aualitd , perche diffe che tutte le cofe erano fatte
dal ctUdo, e dal freddo . Ma i Medici pofero quattro qualit , calda ficco,
bumidoefecco, auandofongioninfiemedal foprauincente di tutti. Ogni elemento
abbraccia laltro fuo vicino con amica qualit, e lieotllrafia con vn'altra
inimica , perche la fagace T^atura ordin it~ mondo con tanta induftria, e
corri^ondenza, che ejfendo due qualit in ciafetmo elemento, in vna vieta vna
certa amicitia, e fincerit, & in vnaltra, vna contraria diferepantia, che
con la fmile, ir amica fi mccoftaffe lV altro , che haueffe La fimHe , come
l'aria vicino al fuoco, il fuoco caldo ,
e [ecco, laria calda , & bumidu, il fecco e Lhnmido fino comtrarif, ma fi
riconciliano fra loro per hauer gratta dell'amico calore , coti la terra fredda e fecca, e l'acqua fredda ir burn da ,
lequali fe ben fono contrarif per lo fecco, e Vhumido, fi cogiongono in-
fiemeper V amicitia, e compagnia della freddezza , che fe altrimente fufie
fiato, non farebbono mai fiati daccordo vjteme . Cosi il fioco poco
poco per il ealdo fi f aria, quefia dimen acqua per Tbumido,e lacqua in
terra per. lo freddo, e la terra fi cer^ionge col fuoco per lo fecco,e coti fi
trafmntano fra loro gradatamente. E cotial contrario poi al rouerfeio fi mutano
di nuouo, e di loro fi fanno loro i^tffi , che mgeuolmente l'vn traoajfa
nell'altro, quando vi vnantica,e concor-
de qualit , come il fuoco , e l'aria per la caldezze , e quelli che fino
contrarif per le contrarie qualt,malagenolmente fi trasmutano fra Uro, come f
acqua, eI fuoco, DunqueJl addo, e freddo, hmnido, e m jecc C -o " DI Lib.
I. f, ectfii^ji^ttoUprfine fHli^^pcrfiafctrtfo primieramente da gli ^
rlemftik^4/^H(knf fecondi, fono ^ e cauje agenti cio il caldo , " il
freddo , che fon atte pi tofio fare :be
patire, le due altre fono dette patU^tfj humj^ftfecco: non che ve- f
'amente patifcano, e fitnOsfempre che fono dalle altre con- eruate,' indotte ,
E fi dic/>no fecofidarie,perche (fu^ft feruono allepri- ipe,0 alle volte per
fe fa vna cofa,eper accidente vtC dtr.*,ane
d^matwire,cofivngereftat.eiare,e'cqfe fintili fi viene ge-
ierarfiilUUelihiitomo Intendendperakut il fuoco , e caldo per Cinnone Tari*, per VlutoH, ne la terr , e per.Tijefli f fiumi dell'huomo
, fome Ugeniturojef acquo | . E qefia cecordiMeMeip.n'nfQ troukrfi^negtiMam^i,
epe gfurrajrM) Oro per le coiftrarie qvatHc, petalo i^ithe^poiicorM^^ ^
c,oo{aftthpi'dj iel eieio tffer Giouetfl yefttte>che amano Uft.i
piane^fM^ycfif.lii^^ Seiumo.,' yenereiamifiMoriittciufn * B pianet ^ pUtuif. yf^pk^dlfi^i
iniiitti/kifPteMtlI^^ ^df^efer^^U^ tjHtni : I wm^ MattHia,' uii\ d , olihtt\i \i , jVni . 'j , htt:^. I
Lc'ftcne anchb^1f^"fcf ,nq , v Vj * Conu'cn^np, 'Cttn ftn ^ u
"E'coiila vifta,t"\?n^ofmv j\tr.r- V W. : ,it Conf'ederari fofiOjfidr
odidfi\ 'V- ' . V- r' f E'fcrfcont^iciii
tftro^rcir V' ' > i ' j^hti ,1 I-
i.i> i.V' Li ilBu tjAytidni
uns!t)S,wt'i\,M;n\Kj o;,.i n^l\ ,i'),-V,o\m^
VTT t p Muethnon fdtetid^d^ndtfrvif fmi^l v'tieitnM dttii ttff iftiln^w
i*h'tpan9^ Jtkt addmiiU^ V>fY7 '
fktnt^Y^ip^^Uadi^ 'CiHi^tjUixnP hbiiidtiiif'idirt
i(fanipft4i^f^^fiti^ittt* mnte, ini par c/h tnniituole'diehiari datiti^
nafedho- tjutfh lthihfp)fcuai(iknSf ftr ^oUrpoet^nel i^nat nnoue t^rauigire^ 9
/?)tfWV imd^rfiii^edtrii^e/tperi differenza fra hntdSftoh li^hrMkfiJItHi'ordim^
M'fuelli^^ehtbati^ narrare. Vercioche ftvede davnmeftM htffo .foid^ mavarij, e
differenti fra loro, ni ifttmuniuatidHrgi^iUtniffeimodafMi fola cagione, come
leggendo nlWti fhm^editfo tnckiiefinpti&'-'bof ' bauenao narrar dohd^^iieditwo a^ndminv^i
bifognot ..Ts/r />* V*tJto U mdefA
rs^/n^jfaK^A -,MOupirhioduoleti3i oltre 'Uc^erfpme^iaecionA^nelfetf\(ieils. tnuterig't
le quali tutte wneoro da^amatartiA i^Mta4mtqipp)prypaHc^rj(^ confufamcnte,
giiiffftuJ4e4tt^n9U'aigim4i tmperift^tOie gli affetfi della ntfi-
latkefof^e^che tutti gli eff^ti cbey^^gidmo *fctr duvwmifto iMtU vettgono delld
[orna prfnci^ tnetUe, ^ ha veramente vn diuino principiate da cagione
[uperiorfij eeedlenffimay procedendo dafefda, fen^a l aiuto deU'altre:e
[eferuf^^ fto'rii quefietiom Pfuo.infirumentotaccioehefarit mofirarepejfa lefue
'f^rpt efpedomiute^t Undii sloro, che vOttfopo csi prauicbl nel^e fpeeu^ionit
dicano\che tutti quefiiiffettivttgono dalla materia , efyo temp'eramemtoi mala
formafifeniedxpte/ic.quaifidj d tempcramenfo come per inJrumentoV.i:artefice
qkaudchvuUlfar vna Satua^ e fifirue drvnfcalpellOt di vnfitle, nonfiftrue diqtu^o,come
di vn agente, ma per inflrumemote per aiuto, per compliriimogine.pi
efpeditamente ,e con mt^tor ageuoleis^a adunque per effern o in ogni mifio tre,
cauje ef~ ficienti,non immaginartitche telle lor operaticni che alcune fieno
pigre ne^itofe,ma che tutte fpotaneamfte
s affaticano, chi pi gagliar dami- te, e chi meno, ma piu di tutte la
forma quella che operando , aggiunta
laltre'^ e mancando ellayinancarebbono tutte l'altre , efarebhono nulle:
petchenm farebbon fiiffcientU nceuer dahcelo i fuoi doni , efe ben llafqktnoH
p^tebH cfpri mere quelli effetii,(he laltre giontamenie no oproffero ahch'ru ,
pur.tuon fi confondono tra loroj ne fono diuerfe , m Toti^nno attaccte infk me
, che lvna h bifogno dellaiuto deW altra. . che co Ifua ingegno fipr difitnguerequtfle
cagioni fvna dallal- tra intender tl tutto' chiarils imaqtente,ne confonder il
tutto . Laonde quella forga che vien dalla propriet , non vien dalla
materia tetn rametHo, ma dalla ifieffa
forma. .'t il' V t.l M ' )tt l'. t , i\G-, n, h 'inv';. V. t i.j i ^ I:; i.k imi Vi'. > i' > -J* ' Da \it O iCT *. I j. I /l'i '*.!!'
'Ta* .' *.. I! l)a c^ic luugpo v^cmtia:'. ka'fbentyiolcii; V edegipan'cili
oliiFiacano;i,t;j!t Capi. >VjLr^ t.\
o': j. - ,t. ; >1) T. ^ *':-^^:^i^f6Tnttad'un^it'COtncofa i*pM^^f^^^ di (iMt
i ifr^^ht verghi d - uo^ha anebor xucUtutiftimo^ dutt^M da .icltryC 4dUx.ir '
telfigvtt^y^cbeJiii^ii^ptJf: tluroy c^u im*ntx'4iUlliftffJaichtioi^x^rlmgint-ei
ttli^ ordin efor^e dtcielhe dagtelementi
fufferoordinattptr gradire voll^cW eon fatai legge letofe inferiori fn^o
foggntaUefuperiori 4 nanando dal cielo
tutte le fue foame piine di celeBe nirtudi , ir acciochenon tnancaffe
mUa cStinuagenerationodellt cofe , volleanchora, che ogni ' vna pToduejfe il
fno fmev& imprimer ht fua forma alle cofe gii pre- 'parate: laonde venendo-
le forme dal C'telo,dtftcheneceffartamentefuf^ fero e celefi, e diurne, doue
rificde l'effempio di tutte le forme , e la W- h fisima cagione del tutto,
laquale V lutane principe de' Filofiofi la cbiam anima del mondo,^rifiotele il
grande, natura vniuerfiale,^uicva,dar tor delle forme. gli non cauandolc dalle cofe ifieffe,come
caduche,eft che tutte le "t r * tofe ' DI G?d; I l ttfe di f i gi fi
reggak^piimwKnteda Dio, ordittatamenH pr^e- dotto^ ritengano vhldi'o^roi iTercbe
iddio come dice Macropi i^ 4cgIiycccllianchoda vita e quanto" .t ,t ;u tk i4i la chri/liana-vetit
tiittfegna:4ltrmctttfy^bf-l^tmf^^ fieno prodotte dall
mente^afrimieritmentc>engfM ds,D9^,l^A onde conofcendo tfuefte cofe il Mago,
come l'agricoltore aggionge, ir attacca le viti a gli olmi , cosi egli vntfce U
terra al cielo , ouer per parlar pifT apertatnentet ijucfte cefi ir^eriori alle
/nperipri pir^tditi^ injlftfsitfacf- do paretela coloryiSt indi vigono poi
quelle mer.augliettcbf fino nafc^- /le nel peno della natura , e come fuo
miniflrp/e mamfe/iain pid>UfOj^ tutto quello, che ha efperimentatoeffer vero
g4f fioche tmfi ar/ietdi tlCt infiammati dellamordelUdiJcipline fi (/Orbino di iodcqfpy e mprire la fua onnipotenza
, :i-,.Zl Della Simpatia > &
Antipatia delle cofe e come per quelle*) l poflbnofcoprire,&clperimcntarle
vittloro. .r.i'ft Gap. VII. .'.-'.s.'. ^
L L E cculte propriet anchora de gli ani- maliydelle piantele di tutte le
fpetie ne na/dt ^ compatimento(per dir cosi) il'qua- r E * Greci chiamano
Simpatia j ir Antipatia, ^ f tfoi piu conneneuolmente la chiamamoton- A fenfo,conuenienza,diftonuenienZsLj.^ ja
alcune cofe hanno yma certa fr- O ^^llort'Kfi^^fif^^ioiirettoparentado'acconi-
pagnate^ , altre poi cos inmiche che nin fi compatif cono, anzi s'odtano
mirabilmente,cmehauc6er nfieme alcu- na ndfeofta borribilt, che cercano
di/ruggeifi in fteir. e, t ci non fipu'9 rk/iVingete ragione, ne probabili, ne dibiojlratiua ,
ne cefo di huom fauio volerne affegnar
certe ragioni , fe no che la 'IZatur fi
dileitalt di quello fpcttacolo grande, ne ha voluto cffer'cofa nel mond
fi n^d par ne trouarfi cofa nell- occulto feno della natura , che non h abbia
quiui qualche nafeofa virt piena di ammiratione , o vero forf che da quef
amicitie,i) inimicitie lhuom contemplandole , ne pud cauar molti fi"-
creti remedij fua necejffit, irvfo .
Come per efiempio , quando fi ve~ dr che vna cofa bara grandiffima inimicitia
con rn altra, a quelle in- firmit, che potrebbe porger quello, poterfme
ferithfer rimedio^ ha- uendo Di Gio, Battifta dcIIPr.TLib. I. ^ f r'itdo fatto
ejpcriew^a df^uefiaimaginaeftidi hdfcto^ toltoil/Ucca^'t tir'ato mnatu^i-.da
^M/h.me^o t ho i>ifto mlti degli ntcbii tr io baucr trvHath, e natrato ptr l
mtmoria defofleti , 'affiamo eontfcere da queUoxhe ban fcriMi'Ptfiiftro lodio della pun '^dci cauotOjOt 9na crudel
battaglia degna di tffia e. nuratai
ommiraiit vit^dacome babbiamo
detto . ' V edera iobfu abbarbicaci fafar mgli lberi^ e principalmnte offtndeXd
teglie iimbriaebe^^ i^Meratt ^i^kfUhr'la dfrcordiadellaPitCyt della felceyC
lfnimicitiaxkllpHa mftH^^X'yUratetmoffia ebe 'la radica della felce aceiaecat
Cau ieori lejfihte della cadna eanficeategk dentryt thi'defidera che la cdifr
imntoiii ribjffcafaeciararilcampocoH vamero circondato di feka r ivedr che
iionrittafeer pigiamai. Vorobanebe de fta grandemente nafcr fra legumi, e fouta
tutto fra le faue, e lorobo, ij auiticchiandof le ftrangolaida qrialibfrefo il
nome di orobanebe > 0" quepa'agffont
legumi, appteffaU COtthbeyCame diee iafeorde. La ctttu,e la ruta lrtta
alf altra nemieaffa ruta non fi taglia J
non con la mano velata, e cosi fi mneg^ia,efe nnia coprirai bene, indurr maligne plcerdb ma fe nn fapendo quefla
propriet la taglierai con nuda manosi acca^ der vnofrortoytj' pn gonfiamento ,
alfhor volendo guarire , rionger la mano
di fucco di Cicuta , data copiofamente
mangiare , m forila di veleno , laqual pei fi guari fee con fucco di
cicuta , talch veleno del veleno,& a
chi haueffe beuuta la cicuta, dice Diofeoride, che la ruta vai molto-. Il toro
ferace Ugato ad vn arbore di fico, diuien manfueto , e fi doma.tomedifie
Zoroafir,ilqkate de fcelti precetti degli antichi fcrf fe dlia agricoltura .
I>a quefia intentione i nato che i rami del fico fetr *^ggo nella pignala
doue fi belle la carni del loro come ninfegnpli* , > nie, )il :ed by Geogk
16 - ^ 'Della Magia il turile ; . { ttiOffi eoeer prefo, con molto rejparmio
delle Ugne , e Dwfcortde dinai fichi feluaggi primazici, pregni di lattei con
ls.pofoa, catoi^QebC '. haneffero tolto beunto
il /ngue del toro i Lelefante anthor teme la- rite, che (piando per la
fouerchia colera diuien funofb, rifolofubbtto' diuenta manfueto , ir aba/ia
lorgoglio , con i quali i^omaui mijfero ii fuga l'e/fercitodtVirroR^ de gli
Epiropi , e cosftir^ineitort di.m\ grandifsima vittoria . E da quefla
contrariet dille membra dellEle- fante fon ritrouati molti rimedij contra la
Elefantiafi, laqual infirmit i cosi detta, che la cute del corpo humano imita
ilfuocuoio.La fimia b in odio la te/uggine, e fuolclla imbriacarfi affai
volentieri , pewache fi. preiide imbrtaca dt molto vino, e per della
lauaridadella te/ivgine fi f, rimedio contro l'imbriaeie^'^a . LhuotWhTUlferpen
f hanno odiofr4\ loro hoiribilifsiinoi chefubno yeden dolo sempie cfborroreie
tre.ma,&i: incontrandoft convna danna pregna. la fa sgrauidare, e di
qulvenu*' |0 il rrmedio,chvna dounathepartoriffe con.difficcit,fatto
vnfiiffiuni- gio di /foglia di ferpe , caccia fuori il parto, anebor che lo
doui ffe cauat, morto. Ma pi /icuro nger
la bocca dilla natura col fuo.gta/fo. L fguardo del^ Lupo cos noceuol.allhuomo ,i cbe\findo prinyt
vi/lo.dfll^ Lupo perde la poe^ , ediencbe vogl ia gridar non pmte , perche fi
trott( raucoy st'llupaf uccorge d'i/icr rifib innaft'^i , e fcoperto,perde la
fe-^ ocit,a poeCile fot^e, dondenato il prouei^bto J^uoda 'Platone . Jl Litpo'-
nella fttuola rtl Lupo baper nemico tl^ccioUa onde gorga-' ri-^^ato il {angue
deiriccio, tende la ^oce, chiara , e pura , che prim> era rauca, ij debole .
il cane nemico al Lupo, (J amiclfsimo
all'buo- tno, onde quell buomo che far morduio dal cane, di/endetidole foura la
pelle dii Lupo,lo guarifee della paura deflacqna.Lo jf arciere ne-n mica
tutti i fohmbi,i quali difende il pafidaiuolo,del quale il ffarute-^ re
ne teme-a/iafe principalmente della fua vocp,diciiacqorte le colom-, be nn
fipqrtondmai da lo pofitamo c6ngiettnrar
effer vero , che remedio faglio :ontro
le vipere , morfi de' cani rabbioft > tf aUre velenofe mutauoni ielf acque ,
Cof anchora quelli animali contrarij fra loro , e ben ve- enoft combattendo fra loro non gli noce il
contrario veleno doa jua facciamo
argomento, che di loro ci poffamo feruire contro quei norfi velenoft , E vna
continua battaglia frali centi,eferpenti,pe- d il ferpente bauendo vifio il
feruo ,fubito fi chiude dentro la fud^ rauema, il cerno accofiandofialla
cauerna, e tirando fe fiato,lo ca- ia
fuori ,elo diuora , e per contro il morfo del ferpe fi da il grafi iel cerno:
onero il fangue, onero certe pietre che fi congelano ne ili occhi . Gli elefanti
ancora co'l fiato tirano i ferpi dalle cauemcp t combattono con i dragoni , e'I
fuffomigio di ogni parte delf elefan- te, fcaccia le ferpi. Le cicogne diuor
ano le ferpi, lacerti,cherfidret tenebri , e faltre pefie, che fcgliono
albergar ne prati, da quei pae- fi doue babitano , e peri tutte le parti deUe
cicogne fono remedi loro veleni, il
medemo f flbi nell'Egitto. L'icneomone fa continua battaglia con fa/pide , e
quando vuol combatter contro lui, timbrat- ta tutto di loto , e poi combatt con
lui . La donnola combatte pur con le ferpi , e mordendo il bafiUfeo, che il Es di tutti i ferpentf, l'ammala . Il
canto anchora del gallo fcaccia il bafilifco, e combat- te con le ferpi in
fauore delle galline , iJ il brodo di quefie fi
pet rimedio del veleno loro i Cofi la tefiitudine e f aquila . I
fieliioni , e feorpioni fono inimici, e per putrefatto nell oglio,
ongenoiluocbi, doue babbi morduto il feorpione . La treglia diuora il lepore
marino, iJ vale al fuo veleno . Il porco diuora la falamandrafen^a nuocer- gli
, iJ rimedio al fuo veleno . Lo
fparuiere nemico al camaleon- te ,
contro il fuo veleno gioua il fterco del fparuiere prefo col vino, Cofi anchora
dalle fimpatie, & antipatie , (ielle piante fi ponno rac- cogliere molti
marauigliofi fecreti medicinali, e da quejti fpettaco- li potremo accoppiare
molte virt compagne quefie . Si pianta
ec- cellentemente la radice degli (paragi doue fono li canneti, perche^ fra
loro fono molto amici , e l'vnae laltra giouano alla lujfurio-t. La vite e
loliua fi godono fra loro, ejfendo piantate inficmettfvu dolce confortio , come
ne fcriffe -Africano, e fvna e l'altra ci danno molti rimedij per commodit
degli buomini . Si fvccello atiagentL ama il cerno , la natura di l'vao e f
altro lujfuriofa , per membri C de
1 % Della Magia naturale de lvHO
deWdtro fa l'bmmo vaUmte nel coito , yi
famhie- Mole amore frale ferdicit e le capre, e ligne e V altre vagliano
al mede fimo rimedio .Cestii pefee fargo , e Ut capra . il cane amicif- fimo all'liHomo , applicato i dolori del corpo , ferine Tlinio , che il
morbo p:\fia nel cane . Dal cielo e dalle Aelle nafeere vna gran forza e che di li $d vengono molti edecci. Gap.
Vili. E K s o che non fia cofa dubbiofa , che le cofe di tfna gin baffe /emano
alle f~ periori , e celejii, e che da quella diui^ na natura deftiUi noi vna certa tu, che le cofe corruttibili
con certo, continuato ordine fi generino, e ficot rompano . Gli Egsttif , i
quaU per la commodit , che baueuano ne i larghi campi de piani, e nella
perpetua fere- nit de\cieli, doue habitauano, furai primi, che ofieruaro i mori
de i feereti de cieli , perche ne' colli, no* monti hMHo , che li pojfa
impedire mai la conumplatione e la* /petto de cieli , e pereve fempre le /ielle
chiare e mmifefle ofirua^ nano , poftro tutto il Ur fiudio , e la lor cura
nella cignitione degli infiuffi , e che fempre oofi viuendo , n volendo tor
fa/lidio neUm* uefiigare delle caufe naturali , difiero che tutti gli effetti
veniuano dal cielo, e di l trahefie ogniuno il fuo fato , e che nellbora del
nai- ' /cimento da vicendeuoli moti delle /ielle , e loro afpetti produceut mo
al mondo opre merauigliofe, la onde fatto certe determinate bore, e coftituiti
tempi di a/petti coglieua Vherbe , e l^ appare cchiamno, ni volendo paffar pi
innanzi , con tfue/le de/endono loro opinioni, Q^Ho lo conferma Tolomeo , il
quale b voluto con/itnire ordine e regola
gli influ/fi , e di l baue hauuto ardire predir molu cofe , e diee,che
quefio non h bifogno di lunga perfuafione . Et egli medefim mamente dice , che
da raggi delle /Ielle eie piante , e tutte le cofe^ animaucrefeonoe
diminuifeono , e da alcune /ielle fi veggono gli ejperimenti pi fpe/fi,e pi
certi , e da alcmi altri pi di raro, e non cosi mMifefii, ,/trifioteU come
s'accorfe che dd mouimento de* Digitizd by Google Di Glo.Battlfla della Por.
LIb.I. i f iiU vtnina la cagiou di tutte le cofe qu ff bafieyt ebe Jip mpou 0
fi fermsfie , ne feguirebbe la rouinadel tutto , dice che neceffa- iamente fu
di bifogno , che quefio mondo qu gi baffo fuffe coiai- Mo ^uel mondo celefiey acchcbe la virt fua fufie
gouemata do-a uella fitperiore . E conobbe che dal Sole siafondeua qu gi tanta
irtycbe di nuouo leggiadramente dijfey che dal torto camino cbt^ 1 il Sole nel
cerchio obliquo del Zodiaco, fi generano ,e fi corr orn- ano tutte le cofe, e
fi caufino le flagioni de tempi. Tlatone difie che a alcuni cerchi celefti vien
la cagion della fierilit e della fecon-
it , Il Sol gouematore, e rettore de
tempi , eI reggimento della ita , Onde lamblico confidato nella dottrina degli
Egitti dijff , ci te di buono fi troua, tutto vien dalla virt, e potitia del
Sole,efe pu- qualche cofahabbiamo dagli
altri , da lui piglia la perfettionem eraclito chiama il Sole fonte della luce
celefte,Orfeo lume ddla vi , "Plotone fuoco diuino , animai
fempitemo,ftella,aninuaa, gran* (/ima , e giornale . I Filofi^ lo chiamano cuor
del cielo , e Plotno ^erifce , che il Sole f adorato in luogo de Dio. Tq meno
la Luna ra in noi cofe per la fua virt particolare, come per quella del le,
effndo a noi pi vicinane amica, .Albumaffar difie, che dal le,e della Luna
viene noi ogni virtute. Diceua il
dottiffimo Her- te, che dop do il Sole, e la Luna erano cagioni della vita di
tut- e cofe . Sluefa vicinifima alla terra pi di tutte le (Ielle, e padro- deUe
co/ bumide , e conciliatrice , e che hanno con efio lei tanta 'entela, che
tanto le ccfe animate, quanto inanimate fentonoi puoi :refcimenti , e
mancamenti . il mare , e i fiumi crefcono e man- to , e fonde hor toflo fluttuano
, hor fi muouono adaggio . Il fluffo ! mare , con andare e tornare, agitato da vna perpetua, e conti- t mutatione
, e quefto tutti l'hanno attribuito alla Luna , che hor i ingorda voglia
afforba tutte l'acqucyhor gonfiandofi ritorni ils tro,n fi vede altrimente
cagione, onde poffa ci altrimenti auue e . Con pi abbndan'^a prouoca gli
animdi,come fuoi fudditi , cicche come dice Lucilio , offendo piena nodrifce
foflriche,i ric- I fpondili , le cocbiglie, i canchri , ij fimili, perche la
notte con ido raggio gli ammorbidifce , ma offendo me^a piena , cio vi- ta in
come ,gli difecca , e fa vuoti. Quefia ifteffa /itila, di che htn no
ragionato,fentono i cocomeri,le ^cche , i poponi , e tutti que- rutti,che fono
acquofi,che quandoa Luna crefce, eglino crefeo^ Parimente, e quando fama,
feemini , di modoche^uneo dtce'p C che 10 Della Magia naturale tbe molto fi pu
conofcere,quMo flu incontro al Solc, contrario $ fioi ac ere ferimenti e
mancamenti. Le piante ancora non rifiutano 11 flato del cielofllcbe ben
conofconogli agricoltori, i quali continua- mente ne fanno efperien^a
nellineflare, perche quando la Luna cre- fee ineflando, crefceil legno non
ilfrutto,e quando manca, crefee di frutto, ma poco di legno. Talch gli accorti
agricoltori giudicorno ef- fer nec(ffario alle piate faperfila qualit deUanno,(j
il corfo d'ogni mefe della Luna: e quefla parte eflere la pi necejfaria alla
agricoltu ta. La Luna ancora mentre caminando per lo Zodiaco va peri fe- gni
terrefli, ali'bor le radici delle piante fanno forte radici , ir ap~ ' fr
Bidono molto le parti di fatto terra fi caminadofi ferma per ifegni aere: ,
l'arbore fa molti rami & frondi, e crefee pi di foura , ebe di fitto, ebe
pi verdadiero pegno trouar fi pu, ebe nel melo gra- tiatd che quanti giorni
feorfero da ebe fu piantata, dalla congiontio- ne Cella Luna,tanti anni
tarder dar frutto . E dicefi che quando
fi pi'.rtta l'aglio, fe la Luna trouer fatto terra,e fi togli da terra anchor
efftndo la Luna fono terra, che nonbarpu^a. Tutte le cofe ebe fi tagliano, come
fonotraui, e legni , mentre la Luna piena di nuouo lume, piena di molto bumore, e per ilmolto bumor
ebe c^tiene , ammorbtdendofhfa vermi, e marcifee . La onde comanda Democri- to,
ni ci difpiaceaVitruuio, che conferma regola i legnami fi bab- bino a tagliare
nel mancar della Luna , accioebe il legname tagliato per tempo, non venendo a
marcir per tarli,vengbi a durar lungo tem po. .An-^i variando ella le fiue et,
dimoflra varij effetti, perche dal giorno che fi edgitmge co'l Sole,per infin
che apparir comuta,epar tita per me^o,bumetta,e rifcalda, ma pi fa burn do,e
queflo fi cono- fee, perche tutte le cofe bumide crefeono, e riceuono virt da
quella bumidit. Ma quando farpiena,e riuolta in tondo, far egualmen- te calda
& burn Ja,e queflo lo fientonogU arbori, tJ" i minerali.Moa mancando
infin che parr diuifa per me^o ,far calda bumida ma har pi del caldo, perche b pi luce. La
onde fi vede,cbe i pe- fei carni nano per Isfoperficie dell* acque, ma in quel
lume fi conofea vna occolta tiepidc7;^a, perche apre le cofe bumide e le
fpodctir ai^ mentando lhumore, ne nafee
l putref attiene, la onde la rifolue in- marcia. E quando di nuouo fi congionge
co'l Sole , e che cominciar ad apparire fen^a lume, i Caldei Filofofi dicono
che calda , ir il pi nobil fiato del cielo . Dicono uncina
ejfcrci vnberba lunare , la quale b le foglie tonde fatte a compaffo, turchine
, la qual conofeei giorni * Digilized by Google DI GIo.Battifia delkPor. Lib.L
ai tomi deUa Lunat conciofacofat che produce r>na foglia al giorno fcemando U lafcia cadrti . Ti fpe(fo,e pi ampiamente
ne veg^ Umo negli animali domejiici , e nelle piante continuamente l'ejpe~
imentamo con locchio. La formica, animalpicciohffimo,fente il or fo delle Helle
, e quando la Luna vuota, ceffa
delloperatione 'quando la Luna pienada
notte s'affatica . Le fibre de forci corri^ ondono a i giorni della Luna, che
quando piena crefcono, e quan o vota diminuifcono . I capelli tofati,e
l'ungie taglile dop il vo- della Luna,nafcono pi predo is innant(^ipi tardi ,
Le pupilltjt egli occhi de gatti, anchor crefcono col fuo corfo,che bora appaio
0 pi grandi , bora pi picciole, echi defta di quefta cofafame Irla ruoua, fta
nell'ifteffo lume, perche il gran lumeflringe la pupilla,el icciolo lallarga .
il fcarafaggio ci manifefla i tempi , e let delle 'elle , ilqual di fierco f
"vna palla ritouda,poi fcauando la terra-, 1 fotterra iui dentro per
ventotto giorni, e la fa dar tanto fotterrata, nche la Luna babbi circondato
tutto il Zodiaco , e riumi alla con iontione , allbor aprendo la balla , ne
nafce vn fcar^aggio . La ci- olla (che
cofa affai pi marauigliofa) fola fra lberbe,cbe fi man- iano conofce le
contrarie mutationi delle delle, b contraria yir altri la chiamano afrofelinoy cio fpiumeLa
della Luna, contiene l'immagine della Luna, r dimojhra ogni gior- no in che
grado fia di augmento, di diminutione . Si trono anchora rn altra pietrd,che b
vna nnnoletta, fembanq^a del Sole, iS" egni\^ fa del Sole rie fuori , e fi
nafeonde circondando la pietra intorno . Il cinocefalo molto fi rallegranel
Hafcer della Luna,e firmadofi dri^ ^a le mani al cielo, e porta in tejla vn
diadema regale,ij b tal con- nenien^acon la Luna, che nella congiontione,che in
quel tempo egli molto fnole attr^arfi , non quando piena e luce la notte, e co'l fuo bel colore
iUuflra il mondo, ma quando ofeura , e
non luce la notte ilmafchio cinocefalo
non torce gli occhi altroue , n mangia cofa al- cuna , ma co'l volto verfo la
terra , piange che la Luna le fia ftatcLa tolta, e s'attrifta , e la f emina
anchor malenconica , che non riluca- la notte, n volgendo anche diagli occhi
altroue , patifee e {'affligge col mafehio , e dalle fue parti genitali butta
il fangue , e per injino a'nofri temi i cinocefali fi nodrifeono ne' luoghi
fiacri , accio- ebe do loro fi poffano fapere il tempo della congiontione del
Solc^ e della Luna , come ne lafci fcritto Oro ,ApoUtne ne' bieroglifici .
Salendo torturo sl'bori^onte, f grandini e pioggie . il nafeer del- la canicola
conofeono molto bene i cani , perche all'hora arrabbiano le "vipere, ir i ferpi t'infuriano , i
luoghi fiagnanti fan mouimento , i vini nelle caneue inacetifeono , in terra fi
veggono effetti impor- tantijfimi.il bafilicoal nafeer della cancola
impallidifce, il coridro fi fecca , come ne lafci fcritto Tjeofrafo. Gli
antichi dtligentijfima- mte offernauono il nafeimeto della canicola, e da lei
pigliauano con- giet tura , come ne ferine Heraclide di Tonto , fe l'anno douea
effer fanoydpefiilentiale, perche fi nafceua ofeura , e quafi caligine fo-,
enei cielo fi feorgeua vna certa grafic^a , e dtnftg^a, hauto- da effer l'anno
grane e peflilente , si chiara e trafparente, dimoflra- ua il del puro e
fiottile , e per falutifero, fi che in tal modo ne teme- nano gli antichi , che
li facrifcauano vn cane . C Glumella . Accioche le verdi herbe non abrufei La
cactiua rubigine , fi placa Sacrificando i lei dun picdol cane 11 Di
Gio.Battlfta della Por. Lib.I. fan^e e gli inteiUni . &Ouiiio ;r il cane
celefie , noi porgendo tura laltare in facriHcio vn cane . EgUQ chiama pna
fiera Oringe yUqaal prefentifceilnafctmenU> quefia fitUa, imperoche
guardando i raggi del Sole, adora la feU- cane, Hippocrate dice che le purgaom
fono cattine innanzi , e p , ne la yena fi dee fanguinare, e Galeno anchora
dimoflra cer^ operationi da offeruarft ne' di decretorij,e dice effer molto
neceffd- ni meno anchora nelle {emende , nelle mietiture , e nel piantar gli
alberi T^ debbano effirnafeofti gli
afpetti de' grandi pia- ti, e quando fi partono da' fegni , per faper le
impreffioni aquee igne nellaria . La onde fe con attento animo confidererai
queSt t , chi far quello che non dica che le fielle fono cagioni aellt^ i,
chequ gt fi veggono ? le ouali non fapendofi , fi perde vna wdiffima parte
della feien^a delle fecrete operationi , JUachc^ I poffiamo inuejligare da
quefte gi lhabbiajno infestato nelliLn ra Fitogttomouicojt, D ellattr attione
delle virt celefti . Cip. IX. A V E M o gi raccontatogli effetti, che depdono
da cieli in queflo mondo qui baffo , tF della amicitia , e contrariet delle
cofcyhor fo^tongeremocomtj per vna certa parentela di natura pof- fiamo tirare
a noi le yirtu de' cieli, JTlatonici chiamano Magia, tirar fe vna cofa da vn altra per vna certa
fomiglianq^a di natura. Le parti di]que fio mondo fono come le membra di vno
ale , che tutte dependono da vno autore^, e per lacongon- di natura fi
attaccano tutte infiemL. : Vero come il cer- in noi y il polmone, il core e'I
fegato , & i reflanti membri da l'altro tira a fe alcuno aiuto, e
fcambieuolmente fi fauth- t fra loro, accioche partendo tuno, ne compati f
chino tutti gli cofi di ijuefto grande animale le membroycio tutte le parti del
7 attaccare mfieme, fi prefhmo fra loro la natura, e fimo prefia- 14 Della
Magia naturale te,edavna cmmune parentela ne nafce vn commune smwe^ dalV amore
'vna commune attrattione : bor quefla la
vera magicOLa attrattione . Dal concauo de torbe della Luna per la fimiglian^a
delle nature in fieme il fuoco tirato
all' ins, dalla concauit deji fuoco l'aria , e dal centro tirata la terra alla parte pi baffa e lac-^
qua tirata dal fuo luoco . E di qua
auiene, che la calamita tira a f il ferro , lambra gialla le paglie , il
folfore il foco , eI Sole tira a fe molti fiori & herbe, e la Luna tira a
fe t'acqua. "Plotino, e Sineff dicono cofi. La natura grande emaejofain ogni luogo : cio che aletta
ir inefca con certi cibi le cofe non altrimte, che il centro del- la terra
aletta e tira afe le cofe grani ,ele leggiere al concauo della Luna, col caldo
le frondi , co l'bumore le radici dell'berbe, e cofi le coferefianti. Con le
quali attrationi dicono i Filofofi dellindia ii mondo fi collega UT 'vnifce fe
fieffo , dicendo il mondo effervn ani- mai in parte mafchio , in parte femina
, col vicendeuole amo* re delle fine
membra sunifce a fe fieffo, e fi regge, e quefio Ugo* mento delle membra lhaue
in fe per la mente , ouer anima , la qual dfffondendofi per tutte le membra ,
come habbiamo prima detto, fi muoue la fua pan mole , e fi mefcbianel fuo
corpo. E di qua Orfeo chiama la natura del mondo mafcbia & femina, cofi il
mondo aui- do, e difiofo del matrimonio
vicendeuole delle fue parti. Che nel mondo fia quefio mefcolamento de feffo
feminino , e mefcolino per ogni fua parte fidimofira per lordine de' fegni, che
precede Urna- fcolino , fegue appreffo il feminino , con gli alberi , e lberbe
, e gli animali fi trovano, eh e han luno e laltro feffo , lafcio da parte che
il fuoco all'aria , e l'acqua alla terrab quella proportione,che ha- u il
mafchio alla femina, laonde non far meraviglia fe le membra del mondo
defiderano il vicendeuole abbracciamento , e congiontio- ne di loro fieffe . I
pianeti del cielo , parte fon mafi hi , parte femi- ne, Mercurio mafehiofemina . llche effondo confiderato
nellO-a agricoltura , primo fe preparala terra, e poi fi femina per rice- vere
i doni dal cielo. Il fmileopra la medicina ne' nofiri corpi, cofi per fouuenire
alla nofrahumana natura , come per riceverti pi abondeuolmente i doni della
vnuerfal natura. Cofi quel Filofofy che conofee molto bene la natura delle
fielle, noi falerno chiamar Mor go , con certi allettamenti vnifce le virt
celcfii alle cofe terrene, co- fp proportionalniente , che il perito apicoltore
inferifee vn tenero , , giovane rampollo ad vft vecchio , e fierile tronco . il
Mago accom* .1 ' . - - . Digitized by GoogU DI GIo.Bttifta della Pof. Lib.I. y
mod,e fotto^ne al cielo la terra, au^i le cofe inferiori alle fuperh- ri, come
il ferro alla calamita, che lo tiri, oppone ilcrift,^ al 5* _
'e,chelillumiH,elnMOitapone fattola gi^insper generarti pnU^ :ino. Oltre a ci
come fano\alcttni ,i^uali fanno generar Vunoui porle fatto la gallina, e pur da
quella vniuerfal natura, ne at- i 'abeno la vita , e (peffo apparecchiando
certe materie acoonciamen- ' : fen^a vuoue,ejfn^a lor manifefti femi pur
generanocmimali, co * le rapi dal bue, dallo baftlico lo /carpione , cio
dall'anima vniuer^ de aitrabeno la vita, con certe materie, e fitto certi tempi
accontino andole . Cosi il Mago quando conofce alcune materie, parte emin- late
dalla natura, e parte fatte da l'arte , e fn diufi fra loro , It^ ingrega
infteme , e che fin atte a riceuere infiu/o dal cielo , quefia riceue, le
prepara , le foltopone ,0 regnando quQfi^Jli*/fi fe X trahe dal cielo. Cosi
ogni certa materia efpofiaalle confi
fuperio- (come vn vetro, d pietra fpeculare al volto , ouero vn muro allct ce)
fubitoriceue dal cielo da quel potenti/fimo agente, da quelU tenga mirabile, e
da quella vita prefente in ogni luogo. Dice ProV t in quel libro del facrificio
e Mi^ia,ebei Filofif conftderando a certa prnieldchebanno le c^e naturali , isr
vna viniendeno^ coltiganga che h Vano alVhto,e k co fi manifefle alloceoUe fir
,ee^/i trouauano tutte le cofe in tutte le cofe , ritrouamo la Ma^ ! >
vedeuano le nature celefit nelle cfi terrene, e nelle Cfi tele/li errene, cio
le cofe terrefiri nel cielo non prqpriamente, ma fecot le confi ,& ad vn
certo modo celefle, e nelle cofe quagiii inferio- e cofe celefle, in vn ceno
modo terrefire . Percioche donde noi ci iginiamo quelle piante, chiamate
girafole voger/i continuamen-i l moto del Sole l Eie fiUnetropie ,cio giralurte
riuoharft att %a ? Ld ondefipuveder in terra il Sole , e la Luna , ma ficoUdo
rre/lre qualit , enei cielo le ' piatite, le pietre e gli animali, mi ndola
celefle natura. Le qitaffeofe eonftdrando gli antichi, fob> fero certe cofe
terreflri a certe cofe celfli , e per tiraro a forgi ne virt diurne di la sii,
a quefle cofi baffi ipr alcune certe fmh- getperchenoncofapiiihafleuole
ad'vnire due cofe infieme, a loro fomiglianga. Se alcuno fcaldervnacarta ,
elafottopon^ 'ofjma ad vna accefa lucerna , ancbOrehe non la tocchi , caler t
fiammate l' accender, hor facciamo eoH qufio ejfempio eom^ lione di qucllo,che
babbiam detto delle cfi fuper tori, "- infcro- a carta col fuoco bane vna
trta farentela,e fitiiiglianga'-cl D fuoco t %6 ' Della Maga naturale fuoc9t
Fapproprinquamo al fuoco, al conueneuolc vfo , co'l fuo tem-' pot loco t e
materia , il calar del fuoco alla carta , cio apprefentan- dolo alla diurna
luce t ne riceue quanto riceuer ne puote , e quello accendimento della carta, l'buomo deificato, e le cofe materiali ri~,
ceueno ltllumnatimi > iS" ^en^o su a guifi,cbe u la fiamma, come\ per
vn canape acsef , per la .parUcipatione che hanno infume del. feme diurno , ( t
* i . Come dalla conternplatione del
cielo ne viene la co to , proportione, figura, dalle cofe na^cen. ti , e
morenti giudichiamo che fi p'>ffa.-o, imparare la faenza delli occolti
fecreti della natura . yn continuo inuefigatore,^ I e contemplatore delle cpft
uafurali, come.. \ vede, che la natura corrompe p e fa nafee^^ ref^e le cofe,
impari pr egli cosi medefimamente , Cosi anchora pu far dagli animali , perche
fc^ ben non hanno ragione , hanno per cosi gCMi fenfo , che di granlunga
quelli, dcll'huomo, onde con le loro anioni hanno im~, parato la Medicina,
Agricoltura , Architetura,Economica,e final- mente tutte Parti , e unte le
feieu^f ,.e quante cofe fono trouate^ infin aiefio neUa medicina,e nell'alfa,e
arti quafi tutte da gli anima-^ li fono fiau mofirate , Et il nudfimo giudici^
che. debbia farfk pelli metalli, gemme, e pietre. Le ^sfiie anchar fen ci^i il
-viticel l'aquila il callitrtco,ouer la pietra hemnite^lqual a tanta cmmodit
alle pregnantt . che mn abortifcana, come ne_# nne Eliano . Quelle herbe che
vagliano contro veleno anchor cr . handimoftrato gli animali t quando fe ne
fono feruite per la loro nit . il cameleonte efiendo diuorato dall'elefante ,
il quale efien^ fi fatto del medefmo color che le fron'di , e ripofando fra
quelle , l'hingbiottitOyperoMuiare al fuo veleno , mangia l'olmo feluag- 0, e
di qui nata la medicina, che fe alcuno
haueffe mangiato il ca* ileonte , togliendo fubito l'oliua , e da qua noi
fappiamo cbel fangue della fimia pai contro- la febre , corroborando il core,
aucbora beuuio il /angue del cane / libera della medefimainfirmit. il dolor
delpentre , e degli inte- ni fi quieta , beuendo il fangue delloc cbe , e con
la pifla deW anitra . Ter che riguardandola , fubito fi libera dal dolor del
ventre . Da Ve- getio. La medefma anitra vifU da cauali con maggior
efperien:^Aji fubito guarifce, da Columella . L onde Tlimo . Quello cbe fi dice
del dolor di ventre molto marauigliofo ,
cbe pofia vn anitra fopra il ventre ,pa(fa il morbo da colui , che patifce,
nellanitra, perci fubito muore,ela carne deW anitra data a mangiare a coloro cbe
pi- tifcono dolori di ventre, dice Marcello cbe molto li gioua . Le capre
feluaggie dette Dorcade non patifcono doccbi,perehe manpano cer- te berbe, Li
fbaruieri mangiano il bieracio, quando fi fcntono gli occhi caliginofi . 7
Harpocra- tionfi Crirattnide,tr degli altri ftuifflmt Filofls fi di quel tempo
medefimo, t che fcriffero di mol ti maraniglioft fcreti , di quali foro
inuentori , nongU inueftigaro per altra ria fe non periata fomigl^nqa de' femi,
di frutti, fiori, frondi, e _ radici, le quali reprefentano quelle tufirmitde
embrabumaue, e di diuerfi ottimali , & anchor deUe fieUe, de'me- li, piene,
gemme , da quali poi tippocrate, Diofeoride , Tlinio , \li altri, haueudo
eouofciuto Cerano reri, l'ban trasferitt ne' loro ri, eccetto quelli, che molto
feioc^ameute ,pernottdir inuidiofor tte, rajiofamentettonlhannd'^uto tirare
caufe naturali mqtu nu par di far opra non rolgare ^ ratcontar in quefh luogo
uni efpempi difimil materia. Teofrafto ragioaando deU'berhe dH rpione , t
polpo, referendo lelororirtalla fimilitudine dice., m mancano altre berbe , le
quali hanno certe forme particolari , te la radice chiamata feorpione , della
feUcicula, che luna rap- r^ta U figura del feorpione, e gionaaUefue
ferite,laltra hir- '* di tmUe bocche canemofa,e fianno come braccia dipoi e
quefiagiona a far porgare di fitto, e gitma guarire il morbo del 3 0 ' Ddla
Magia riaturlc dd popolo domnque nafea.
Et altroue. Qwle vilt che attribuifco^ no Alle piante t perche fieno fiate
inuefii^ate dalie figure de gli ani* indlif comehauer ferola di generar gran
feme yindur ferila , co- . me quella herba chiamata tefticolo , li quali .fono
a dm a duo , e l'un teSiicolo egrandcy l'altro
piccialofM grande molto efficace
al coi to'i il picciolo lo diminuifcoi alcune Altre giouanoa generare il ma-
fchioy la femina,come quella herba , che
fi chiama mafcbigenera e laltra
donnagenera molto filmili fra loro , il
frutto della donna- gencra fimile al.
fior dell' oUua la mafcbigenera b duo
teflicoU ^ tome bumani . ut f raccolta in panno di uef,' t legata poi ia capo
con pc^ di toglie fubito ildolor delta ifA fa.
Digiti by Googic* Di GIo.Battifta della Por. Lib.I. 3 1 Jt'. Molti
fcriffero delU erifii herba,lj quale fa vno fcarafaggio den tro il fuag^mb
vacuo, che vad:foorretda>di i-e di. gi dentro quel la con vn certo fuono,di donde
h.iue acfurtato il fuo-nome,f crine che M fJ>rimedio pi pre/lante alla voce.
Qfeo nel fuo libro delle, pier tre,Ji vede che tutte le firt che nefctiue^e
toglie dalla fomiglia'^a jlGlattite di
color dlatte*,la in bocca nelle fi bre i ardertti,^ ruoltato
intarnovliiugHe.litft*e:.l.ametifio rapprefenta il cvlor dei vino, fiaccia,
portatotyl^.imbriachtq^^a. 7>{eUachate fi vog- ano le biade,arbori,prati,e
giardini, la p^uere buttata nelle corna
- nelle fpolH de' buoi^quando arano, fa che' al fia tempo producano gran
raccolto. iSofite rappvefentalt macchie del ferpe,gioua a loro morfi.Il
calcofono pietra battuto rende fuono di rame:goua ejferpor tato dagli
hiiirioni, perche fa buona "voce quando recitano le tragcti. die. La
pietra hematite hycolor di fangue, gioita a coloro che buttano fingue,ei^banno
fparfo aegliocchi. llcinabroh H me demo ci^re,rvirtuie. De'veflitt no mifonit
cMrato addurne pi efs^. pi,p baueme pattato pidi^fitaite nemiei libri della
Titognomon*. ; !. M ^ . * 1
in . ^ ! ' - , , ' ' '
Come dalla fbmigtia^)an debbano comporrei&ap> ' ^ , plicar le cofe . Cap. Xll. , I a!
hjbbiamo:dichiarato come laT^atura h dimoflratola fomiglianq^a delle virt , hor
infegnaremo , come quelle^ fi debbano ^ comporre iy applicare, ne principio.cbe ^ tP'gioui nelle cofe ,
chehdbbiamo adire, n ^c radice, da doue germininole repuL linoropcrationi delle
fecrcte marauiglie . per htfvgna che vi ponghi grande , an'^i grandijjnu
diligenza , quale habbiam ri~ trouatofcritto.che tutti aatiebi babbino vfita ,
perche pende la par te maggiore de' noflri fccreu, che nel- comporre , tr
applicare , m- fari a rafimtghare . Tu^ le fpetie delle cofe , & le qualit
fecon oittte tlptteKero vtggtMitpf ebe fi sformano de inchinare *e tirare
Digitized by Google Della Ma^a naturale allettare a fe le cofe i e ridurle al
fitofmile, efeferannoga^iaf^ de nelle loro attieni , lo faranno con maggior
agemlt^^a ^ come it fuoco muoue al fuoco , e Cacqua all'acqua . Dice ^utetuna
che fi alcuna cofaflar molto nel file tde tutte f apra di filft cofimedcfma^
mente fe alcuna fiora nella put(^adiuerr pu^Mlente ^ e fecotUM l'audace, paurofo diuerr parimente timido, tr audace %
fe alcuna animale far folito conuerfir con Ibuomo, diuerr domcfiico,iJ humano,
e di quefie molto ne dicono le regole de Medici, come ale ne pinate del nofiro
corpo godono delle parti fmilt , come il ceruello del ceruello, i denti, de.
denti,tl polmone del polmone , & il fegata del fegato * il ceruello
dell'huomo, ouer quello della gallina gioua al twfiro ingegno ir alla memoria ,
e lacalnariafrefca mefebiata nella minefire , gioua alla epilepfia . il
ventrieello della gallina prefo w- natici cena, e fe bene di dura digrfiione , finalmente gioua al
nofiro ipentricello . Il cuor delia fimi a probibifceil palpitar del cuore ,
accrefee V audacia, la quale rifiede nel core. La terga del lupo arro^ fiita, e
tagliata, fi far mangiata accrefee forga nel coito a coloro che li mancano le
for^e . Il cuoio delYauoltoio del dtfiro ctdeagno , fiL l porrai fiprail piede
di ^olui che pat di podagra, il defiro at defiro , i7 il fintfiro al fmifiro ,
Unifee i dolori delle giunture e fi nalmentequal fi voglia membro, gioua al fio
fimile,e molte altri nepoteui fipere leggendole netihi deMedici,per(be non idi
mio propofito raccontar qui quante ne fino dagli altri ferine. Oltre a ci fi
baite molto di aduertire , che bauendoa raccogliere le ^ virt doue fia
l'ecceffo di quella qualit, propriet, e
non cofi commune,oue- ro alcuna affettione , perturbatimey e confiderar poi fi
quello ec- eeffo fia cafo,per or
te, per natura, com'e per rifcaldare,
raffredda^ re, indur amor , audacia fterilit, fecondit , melancoUa , loquaci- t
, altra qual fi-voglia cefi , che oprar
vogliamo , (!T oprar cofi^ quelle, th s he non opraremo invano. Come fivplendo
render vna donna feconda , btfogna confiderar quelli rnimali , che fino fecon-
di/fimi, come fra gli altri la lepre, il coniglio, e'I force. La lepre fi pra
partorifee , cio partorifee , e riman pur pregna , ir ogni me fi fa figli , ma
non tutti in vna-volta , ma frapo/h molti giorni in me- ^0, e compltfce il
parto di tempo in tempo, e fubito dop partorito ri- torna di nuuo al coito , e
mentire latta i figli , di nuouo concepe , c nella matrice fi trouano i figli
altri veflitii peh,altri nudi, i!T vn al- tro incorrnciato a firmare, Dopoi
bifogpta ^nfiderar di piii,doue rifieda JltiZC ^ Di Qio.'Battiila 3elIaP6r.
Lib.I, Ififitds , e foggiami (fucila virt , ^io ih che membro , Quelle bifow gna dar ch$ h bifogno di alcunamedicina^e per bauendo
a tor ideila lepre alcun membro t per la fecondit , fi ferrando i tefticoli^ la
natura , 6* il toagolo , cioi dando alltdome le patti delle donnea sonlanaturat
& gli buomini le partidemafcbit permouer.la concetti one^ nelle donne . Cos
fi dunhuomo, che mai fia flato infera mo j dd'mnaliro animale ,gioua a tutte le
infermit. Se ti verr iro.. .glia di far "Ynbuomo audace > ouero fen^a
vergognar farai cbe potu -4i fecola pelle del lionet ouer gli occhi $ cos del
gallo, e cos entra- .-t fra gli inimici inuitto , ir animo fo , egli dar paura.
Sedefide.. j[i ^ctmo parlatore, ti daranno i lor membri le ranocchie aquatiche,
le ri^nitre feua^ie , F oche , efeiri fono altri Mimali , cbe cantino , t
Mfempre gridano, efiano famofi di cifr'gli altri animali,de'^ua Ji fe tortai le
lingue , e le porrai foura il 'petto , e fiotto il capo delle ,donne che
dormono, perche fono anco elleno loquaci, parleranno di 4totte,e ti dirMuo
tutti i lro fecreti.Epotria dir molte altre cofe,cbe Jarebbono pi toflo per
apportar faftidio , cbe utilit a' lettori , tpw bauer ^ueHe cofe trattare
abondautifiimasnente. t mtei UbH \della Tittgnomoniea, , > r : ~ Il .
1^ Che in tutti gli indiuidut^i Heno
particolari doti altre itu i tutto il corpo,
& altfli in diuerfe parti, indiuidui non mancano dialcunv . -virt fiupende
e merauigliofc , ma ntl- l operare ritengono gran virt, e maggio- re,cbe non
hanno dalla loro jpetie , ouero occolta propriet, ouero dal filo del eie- ' lo
, come dijfe .liberto Magno , e che di l tirafiero grandiffimi tnflufii . 0
rnt, non dellafipetie , ma lor propria c pecu- liare , la onde a tarif
indiuidui fi ritro- nano , e fiorifeono 'vari] effetti , 0 inchinationi j
dal-v^fto infiufio , 0 -varij affetti del cielo , le cjuali cofe hi fogna che
il Mago /c_. ri- -.conofea che mofrando
noi molte , 0 'varie -vie di wnffil/^4re , e ' di oprar cofe marauigliofe ,
eglis'eliga la .pi^comnioda , e fe ferua per Juo rfo, quando auerr, cbe ne
babbi di bifogno. ' E ^llbor 5if Dilla Magia naturale ^Ubar mi psr di hjiner
compito a tjuMto.ds me ft ricerca , (fuond hard aperto la pia, dj andar
inite/l/gando li effetti , e poi Jhperli ac- ca nm>dare infiene , acciocbe
non fi poffa dire, cbe ne nofiri libri fi po,3 a iefirecofa alcuna.
Miritorniamodadoiieci fiamo partiti, Alberta. Mignoriferifce efierfiritroMti
dHo.frateUi,cbe tun di lo- ro toccando con wi lato tntte le porte, ei
chiamfteUi, sapriHanofitbi- to, e l'altroper contrarioJo cbindea tnt$e,cb erano
fiate innanzi apet 4e . Si trottano altri , cbe hanno in odio , cori i gatti,.
i.toppi , oneral- tri anim di, e cosabborrifcono il loro affetto , cbe non
pofionofi^ir 4alpettolorQ,mimtncano4aHimo,e.yengOHmeno; E cosi fitto- uan molr,
cbe finanole fcrofale; i!T altre infirmit', ij hanno atte- fia. potefiidsl
cicloidi guarir ijnefie vicer,^ quelli che hanno /trae: tato moki Chirurghi, ^e
che non banpotntoguarirfi.con'olcunajnedi-^ cim.fi/no guariti poi cil
fdo.lorojputai7i meno bifgna-.confide- r.are queUe:cofe che ft tronanonaltri,
come laudacia nelle meretri- ci la s facci ue^^tn:parafiti,il timor ne
lidri,efimlip a) funi, deit q^ali da mdti fcr inori ne firn fiate lafciate
ajnpie-memorie . Dipi- /kteoujuuneUe-cof6 naturali molte commwcans^e, che non
fido riten goni pirtjtna che biflano.a communicarle a^ialtrh^Ue tfacciatif'
firn! meretr.iciynoapdoMon manca.la sfacciaie^'^a,ma:rite>^^ an- ehora pirt
, che le cafi,che toccano, d- che portano foura, han forila e fi van perdendo , 't rare 'volte fer nono
ad alcuni . Gli occhi del lujpo toglwno la voce mentre "viuo, eibtfilifco
, t'I catcbltpa toglionoin ttL tratto la 'vita : il pefce remora ferma l'im-
peto delle nani , e lofiru^^o digerifce il ferro , ma dop che fcrann morti ,
non hanno pi tal virt , perche non fanno alcuna m ani fefta virtypcrche
morendomore nfiemementt con loro (juella virt, an^i phautmobi fogno di alcune
panidi^utlie,b fogna torte quando fon 'Vm. e pcrgivdico,chenH /nt^a cagione fia
ordinatonepre- ' Utti della Magia , che f di cOfaalcunash bijv^dcgi'animali ,
fi Stono pigtiare merrtre fon yiui , an^if^ dop tolte '(jnelle^ pani 'far -di
modo , che rrfiino vini , che morendo -^eli ,'tJpTra con affi infiemfmcntt h
'virt loto . L'anima (dice liberto) motto gio- na a qutfie* morto
rabJ}orr^fcono,imperocbe facendo yn tamburro di pelle^di lu- po /facendo fuonof
a, fubiUt tacete jSjammutirc- gli agnelli , e Jnan- dono tutte le cofe >
ejft non fi muouono . il mede fimo fa
caualli ^ cieflfm faonoii
pOne4Utti in fuga % e ^ delle ideile di quefli mali lupo, agnello,e cauallo,fi^
ne faranno corde, e fi mctteno in vn | lira,
lento, mai saccordano, fanno vn diffonante firepito. La pan^^ ; .
terahgrandifcordiaconVbiena, la onde chi far^yna corali ^ di cuoio di biena
morta , fuggiranno tutte le pantere ,ne bar ardi- i re alcuno ajaltarlo , e fe
attaccherai le pelle de detti animali incon- tro quelita , tutta peli della pelle deUa pantera
caderanno,*: ' J^a pelle del leone , rode e confuma quelle^di tatti gli altri
animali , Impelle del lupo quelle dell' agnell, e fe porrai tutte le penne
degli vccelli , con quelle dell aquila , tutte fe ne cadono , c fi corrom-\-
pono . sodiano cosi mirabilmente l'uccello fioro ,^e l'egitto , etanto
sabborrifcono, che anchor morti il fangue di luno, non pu mefehiar fi con
quello dell'altro . Le colombe amano il tinnunctUo , come hab- biamo dinam^i
detto , che ejfendo morto rtpofo nelle colombaie y eoa* far grande amore nelle
colombe col luogo, cosi amano lamico loro^ anchor dop la morte . I herbe ,
onero i refianti femplici lafcimo di oprare , per efierne tolte dalle
radici, perche fesche fiano',mn refiano
in loro anchor molte for^e* Tudunque faconfitderationein tutto , e di tuttofa
reftefia in te fiejfo , fe hai defiderio di far cofem> rauigliofe,aeciocbe
non ti inganni nell' operationi, ^ t Tutti i femplici fi deuono operare ue
tempi douuti c prepararli . Cap. X V. A V E M o gi detto prima dal cielo ve nir
forgia tn quelle pani inferiori , e principalmente nelle piante, e pernoi le
dobbiamo preparare ne tempi douu ti, n queflo dobbiamo laf dar dietro, perche fi come il cielo co'l fuo
camino fa "parie ftagioni dellanno,coi le pian te vanno yariado, la onde
altaccrefd- mento, al lalimento molto vi gio- ua il temperamento del cielo ,
comc^ einfegn Teofrafo , tF in tutto ci
gioua molto la qualit dell an- no. Di Glo^BattiUa dlia Pofi tib.L
no^X>Aoude.non fofi fuor di propofito
quello proHerbi . rMno. Cos tutte te radici fi deuono corre nell .Autunno,
quando di virt, e dibttlfwe ripiene fono, perche rifeccandofit,diuengono vane,
e c^dendo-U f^ipda lor "virt fi nafipnde.l fiori deono raccrr nel
ti^olded^pun^ vengono fuorisr allhora ri- ^nno^ati^^a.TqellEfiade tpr le
frot^i,el medefimo ne'refian , offnuaie
fr dette s Deuefi/jpere anchora, che alcuni femplici riten* gn la virt di
oprare per molto tempo , ir alcune in breue /pirano ; cpmefi pu vedere in tutte
le cofe , e per regola di Medicina confli- tutto, tfuali cofe fi ponno feruar
per molti anni , e' quali fieno ri^ patate vane . Laonde Jpeffe volte ifecreti
, che fi trouano ferita to , quando fi.cercana.ifpettmentare , firiefcnofafi, e
fonHima* ti bugiardi, per efftrne ejperimentati , con alcune cofe
"vecchiet e conjumate dal tempo. Ma. fe l'herbe faranno raccolte in tempi
par- ticolari, e fotta le configurationi celeili , aWhorariceueranno nel-
l'operare.yna "virt-fingulare , ir yna nobiUffima forga dal cielo % come
quella che "viene dalla eeceUentiffima natra delle /ielle i e dalle foro
qualit . Cosi le radici , gambi , fiori , frndi , e femi rae~ cjdtiffotao di
grndiftimaforjga.Ma qual fila queRo conueneuol tem- pgmofi pu dimofir are,
perche m diuerfi paeji del mondo,diuerfi luo gbifono diuerfimente illu/irati
dal Sole , e come fono dal Sole lungo ^atio rimoti, producono i fiori,e frutti
pi tardameme,ir efeono fuo>- ri della terra, e nei luoghi tUuilrati,
pullulano pi to/o, ma ne dire- mo alcuna cofa n"vniuerfale . Le radici
allhora fi deuono canale fuori, quando la Luna non appare , perche alVhora
l^humore cala- fo nelle radici , e fono
gonfie di fucco , la fera al tardo, perche al- \hora il Sole h difeccata gida
ruggiada , ir la midolCa di me^o per meg^o il gambo b tirato fatto l'humore .
Dicono althora effere il tempo dounto , e conueneuole , quando le rughe,e
quelle pieghe non vi appaioMt ma per l'accrefcimcnto del fucco jparifeono
"via, . ' fi (Te- jS Della Ma^Ia
naturale fi crepino , an^t , fanno
alcune fffure , moflrano certe
aperture, ^uifi delle donne., quando
fono per mandar fuori il parto, ven~
gono i dolori ,e la fijfura interiore fi comincia ad aprir fuori, mi- naccia cteparfi . ^/tU'hora irone raccor
le frondi, quando foco do- po laprono di fuoi bottoni , cominciano
"vr/ire il gamhomonfia ,di notte , che allhora fon tutte ruggiadofe
,ma nel primo apparir dal fole che fe le raccoglile fu l merrrggio , frUm
troppo fecche , che aU'horadti fouerchio caldo, fon fen^ahumort . 1 fori
aU'hora fi dcuono cogliere , quando moRrano, e gilcominviano Jputare il frutto, prima che cadano
marciti, che fiano anchnruggiadofi del-
la notte . li tempo dir accorre i gambi, far quvudo i fori comincia- ranno diutnir mare-di , perche in altro tempo fono
'inuUli'aU'vfo . Ifcmi fi deuono r ac corre , quando efendo matiiriflanno per
ca- liere. Quefi farannotempipi partictdaritn'luo^i^aXdi.tfpt- uli fa
coflituito il Sole , Marte ne'princrpali
luo^idi cM ,he* luo^i humidi la-Luna ,ne ftano cadenti da gli angoli, re fanti-, perdie raccolti in coti fatti
tempi faranno de molto vtile^ al feruitio delia Medicina^,, Che fi debbano
confiderarede regioni^ i luoghi, doue '.nafconoirefnplici. > vuole che
la.cicuta ft.debliaxiccorrewfiifa,petciot.be .Tbrafta. Matinefe volta da quel
luogo raccor fi douejfe, vero fi f-lro uajfero luoghi pi freddi di quellOi
Acuifucco in ^tenter veleno, G da tutti eraodiato per darft per.
pub&:dpona:.douendoft far mo- rire alcuno ,, del quale hauenda prefo
Socrate , mori di fubitaneiLa ^morte,ne'nonri paefi fi pu prender fen^aajnricol
di morte, e fi man jpa eommunemente da tutte le beftie . Lcebora-vero fi deue
coglie- re nel monte Oeta ,
VeceeUentiJfmomVarnafo, p" in tutti gli al- . iri debile,i,edi
niunaiyrti Laonde HippocrMe volen- . diacurar [HnQcrito della- pa'i^iar,. andm
queLmonte collo.. In
,/tcaiaapprefioGabina ima corta fiirte di vite,ilvino della quale fa J^dere
^auide, come fcrtffe Teoftefto, e i cani che mangiano di . quella ruay.efor^a
che ab&ntifeana, e pur- nel guSarla non h diurt Jb faporetli altre yue , ij
il vino h il mede^o fapor degtr altri . Le medicine che nafionoin.'hleroponto
,fonoafiai pi eccellenti di ' quelle, che naffono in.Ege , e peffimc queli
diTeletrio^, perche^ quelle fono pi: feecHeye Teleteia ivn luogo opaco', is
abondante^ * Ziacque fi dice, che in Terfia nafte yn arbore tMrtifexo , i cui
,frutti apportano morte fubitana , che fubito ammorbi colaro, chenc^ mangino .
La ioide di quella fi feruiuano fal, ne'publiai fiipplici * dop cheiEg}
lajrajpQrtarjtimEgitto ,per. ilmedtfmo effetto , Jpo-- , g^iandofea^to della
malignit Verfiana , i buona a mangiare, T i . fuoi frutti fono gioueuoli .
Cifpno alcuniyerfidiCohmcULt*- Si eiTipienoipanicrLdUe.pQiii. u Che I^t-arbara
Peilia^nnand vn tempo',. Del Tuo proprio vallano armate piene Come i publica. fama : da. qpel tempa .
Popda feutti.dcUpoEdcl mieift Pouibauendoiaob^di^das lamortcw ^ Schiaro anco
per. Viimieoritdi Diofeoride , che impompur a ffei f ' filugbi,doue rafiono
fienai montudfij, colline;, bft efpofii naenti fireddi, ne feethi luo^i, perche
qui fifone m rtaofi, divirt pi
gagliarda, foppofito di quellt^e nafeono nelle paludi ,, e luoghi ac-' . quofi,
ombtefi,:ir(ftanulog^,d i^usli dd WfUf
interno & jM nohor figura triangidaW ;* hor circolarf >
ma quadrata non mai . HelterrttoriodtquadaV, in quella parte ; che .fi-chiama
Mm- ferace ,uii vna fbeciodr frumento detta fttigine,xh f^ttnat la ,
Urt(av^4iuntAg;rfi^ Cafietto dell^^, ' ii, . *!* Digiti?ed by Google DI
Gio.Battift dllaPor. Lib.L yi yn fajlo borrendo , tlqual jpingendolo con yn
dito fi muout^ mafclo yuoi Ipmgere con
tutto il cor^, fa refiflen^a , Vi fono anco- ra alcune terrea che hanno
grandijifme fiamme di fuoco . ComeifL S^ciliaii monte Etna, che fpejfotutto.
s'infiamma, & in Fafelideih monte Chimera, del qual dice Ctefia , che il
fuo fuoco s'accende con rAcqua,e fi
(fnge conia terra, f nel campo di Megalopoli, ne'cam fi fottop^ ad .Arda, si a
cafo vi cader vn carbone accefo in ter- ra, arder tutta . Cofi nella Licia i
monti di Efefo tocchi con la teda ccefa s'aceendono e le pietre , e larena ardono dentro T
acque ^Uhe fe alcuno con vn baflone far
vn folco , fe dice, che yearai i rini di^fuocotcbeti feguono. E deUacque ancbora
fi dicono ebfc^ non minortfli queSle , imperoche mentre caminano perle vifcert^
terra-pescaio per le miniere deUalume, del bitume, e del flfo," -pergU
cdtri metalli, le quali beuute nel corpo, trafCerrendo per le* fue parti, lo
corrompono tutto,e luccidotto,alcuna volta medicano f nitij,& infirmit
fecrete del corpo. Sono ancbora molte le fpetie del y tacqua, ne ban poche
propriet, T^etta Sicilia il fiume
Himera, ohe fi divide in due parti , perche quella che, v incontro Etna , d'infinita dolce^a, ma quella, che pafia per
il fide , di fapor falfo, Bfra Maraca,e
Tuana Citt della Cappadocia vn certo taco , nel '.'quale fi porrai ima
canna legno, a poco a poco fi muta in
pietra, e quello che auanq^a Jbura l'acqua, non fi muta altri mente . T^Ba cit-
t di Hieropoli , di la del fiume Mtanio ,yi
vn acqua che diuen f tetra, onde coloro chela conducono per aquedotti^
ne fanno le* mura iutiere. In Beotia fi fono due fami Cepfo, e Mela, e quando
le pecore beuono continuamente di queUe acque nel tempo della con cettione, fe
ben fono bianche,partcrtfcono in altri luoghi di color fof- co, in altri
neri,negU altrt di color di corno, cofi del Teneo di Tef- ^lia ,eda .Aftaee in
Tonto fiumi , le pecore che ne beuono diuen- fono nere. Sono ancbora altre
(bette di acque mortifere, le quali feor rendo , per vn malico fuoco aetia
terra, diuengono velenofe,comt- nel fonte di Terracina , che fi chiama qetunno
, del quale coloro , y che ne beueno, morinano, la onde gli antichi otturorno i
fonti loro, nella Tracia i il laco Ceeros , del quale non fola coloro , che ne
be- uono , ma queUi che fejie lauano , muoiono . Tipi faefe Tipnacre in ,Arcadia
vifono certi bumori, che fliUano da vufaffo freddiffmo, li quali fi chiamano
acqua (hgia,aqual no fi pud riceuere n
co yafe di argento ma di rame ,
fertbe lo rompe, e romna, n fi pu conte-
f nere IV V 4%. ' " ' DcnaMaglanaturaf^ V mert in altro yafe , che
in vngbia di mulo , della tjuale fa-menti(M ^ntioatro,cbc portata in
tjuellaprouincia,doue era ^lejfandro per , loia figlio f e di queUa acqua
eflere flato auelenato il f{e . "Hel cam po Corento in FalifcotneUa via di
Campagna tvivn laco dal ^k ma
neirOricnce ' ^ OuernelPOccidcnce temperata Ma fuol efier ferucntc i meaa
notte > * . * Vnacqua hai Atamante, mentre manca ' La Luna , che di fuoco accende vn legno Vn fiume hanno Liconi, chi ne beue * . Le
vifetre Timpctra e ci che tocca .... si.
: ' st Ma cofa pi di merauiglia piena ^ i " i i^Chc chi ne beue simbracaj
come . . ) > nhaue/Ie il vin
beuuco c vi cadendo. . Vn laco nell'Arcadia
che gli antichi Chiamar FeneOa che hi diuer/befFecto . ^ NcU'^iCqui fuc
, che chi di notte beue . t Gli nuocen moltote quando il Sol rifplendc Si^onbcrfenzatemaaC fenzadanno.
fItrtyi/HQ'M$cbora, rojftrietd di I/tojbf , T di /nti, fualf chi uolfafcrt a
ItggA Teofr4ut Timeo, Tojfuonio^ Hegejia , Herodo- , ^riflide, Metr odoro , i fuali con bmgo
fiudio , e dtligen^ anno inueSigate le loro propriet, e Vba ferine, e referine
poi d *li>o$e(USolino,edaal^ibifi*riei ' r I > ,"-'r , I,. * . , I 0. Che ipoiti
femplici mefehiati in/eme , oprano con pM gagliardezza come fi debbano mefehiare comporre inficme. . Cap. XVHI. 0 giudicato
che fia bifido infegnari come molti femplici gli dobbiamo com 'porre Jnfieme ,
acaocbe con lo loro mefcolamento la compofhione opri con pigagliardeii^a.
Troclo nel li- bro del facrificio , e Magia, dicc^ che i Sacerdoti antichi
mefcolauano molte cofe infteme , percioche y>ede~ nano che i femplici
ajfoluti non rice- ueuano,molta potefl da numi celeftK . j u fingolarmtc aU'inuocation di quel 75. ^
di molti femplici infieme tirauano M celefh, perche componendo molte cefe
infteme , di moU empUct nefaccuano vn foto , e lo raSbmigliauano queUo -vno, H turai molto pi, che i molti.
CompomeuanoBatue mefebiate di ite tiutene , raceogx^dq Mcbora infime , con arte
miti odet ' ? fl! . ' 4 ' Della Mag la naturale ^H9, e
nefaeeuano yn tale mto, Uquale fecondo l'effentiafua ert cofa diuina , cio che
abbracctaua in vno la fcr^a di molte cofe . Queflo b yolutodire, accioche
conofihiamo, cbe^fli antichi // fon feruiti moUd della m flione dclli femplici,
accioche la comp fitionc^ oprale co forre pi merauigliofe. T^oi fpeffe volte
dalle herbe, de gli animali terrefiri, volatili, e maritimi, metalli, e pietre
ne hanemo co foflo yna medicina per guarirtutte le forte de veleni delle herbe
fer pentarie, del pefeo dragone,delleyipere, della pietra afte, foto infe-
gnatii e guidati della fomigliant(a de' ferpenti.il draeoncoio maggia re b
ilgambo'maccbiato di varie macchie di ferpi,coft il minore an chora, che ft
alcuno fi fregher le mani delle frdai-de Vuno,e de l'aU frOi mangiar la loro radice ,fi dice che non potr in conto
alcuna affer ferito da ferpi. Il dragone marito focato per me^o, e pefio fopr
la ferita, che h fattola fuajpina della ceda,la guartfee, come ne li- fd ferino
Elianoda yipera tagliati capo e coda,ij difcuoiata,e but tati via tutte le
yifcere,e cotta guifa di anguilla, e mangiata da ca loro, che fono fiati feriti
dalla ilefia, gli apporta vngran rimedio
mero offendo yiua taglialo il capo, e pflo {opra il morfo, che la par te
{he tocca il capo anchor fiayim,e calda,pofiafopra, marauigha famente guari
fee, e fomigliantemente ritrouerai molti medicamenti componi di animali
terreni,aquatici,& y creili, herbe, e pietre, co- me potrai vedere
ingegnofiffimamcnte ritrouati nc'ltbri di Harpocra 9ioe,e'di Cbirannide.ina
horcome fi debbano mefchtare i femplici uarreremo,e cefi (ineho il metodo di
Comporle, ilqualvdo mlto ojfer nato da Medici. "Perche jpe{0 non kabbiamo
bifognodi ytat Umetta ma di doppo,e di
triplicato, e cofi dobbiamo rfar la mifturit\dt^fene- plici, accioche
mofirinogli effeui,che defideriatno,iT
qufiogiudi- co,cbe fufie ritrouato . 0 nero accade molte yolte , cIk
alcmayolta aprano molto debolmente, noi, accioche oprino- con pigagliardeq'.-
^a,e con maggior preft(a:(a , il fortifichiamo con molti aiuti , cofi al
contrario, fe veggiamo,chc oprino con molta violcn"^a, hifogna inde
kolire.efar languide le virt loro. E'ffeffifftme volte anchor accade, fbe
t>ogliamo offendere, percuotere vn
membro particolare, cio H capo, il euore, la veffica,aecompagniamo alcune cofe,
accioche drit- tamente yadino ferir
quello,efiproueda quello, donde accade
> fhe alcune yolte ci accompagniamo cofe contrarie . Seguitiamo dun eque il
principiate ragionamento . Quando tu comincierai quahhcjt -aptra, tovfidertrai
prima quello ^ che bai nella intcntioue,al qud a.. i ' ri^\i ^ C>I GloiBattlftadll'Por!
Lil).T. 45^ ejuei^jemplicty onero tjuella compofitionej c quello farmUmt per
b>xfe3 fondamento della compofitionC
e da quel fola fi chiama^ ia compoftttone , del quale yi fi pone tanta quantit,
quanta debbt^ fiere
tiattione-delif^forma materiale, perthepbr'^fUrfare la deu ta attione,e
bifogno,he'habbiii [a douuta qtuntitdeterminaUd'al cofe s'aggion%ono,
conweoadiutrci, ef9^imenti, e chefen-, 74 loro non oprarebbono cos
ageuolmente,nicoslprefio,n cosi tar- 4o,corrte 'vorrebbomo, cosi fi meficria la
cofa odonfrra,cpu la fetida^ o^dolcc con f amaro, per cagJon
delfapore,ideWodore,periiochc^ fa la nai^ura di defie , fetida, ouer amara, fi ributtarebbe da colo-
#,4* tpcali fiporgonoyche le f^ide,elam^e'cofe fono abhorr iti dJ- mo^i ffiir
animali, pigliadolo, nfeguireVbe pit^o
dnno,che giouanento, cosi aachorlepartt durCi e grafie s aggiongono\ con 'le\
fottili,e delicate, per far il ndicamento pi dilctteuole . ^etads^* alle ">eoHe,
che il medicamento da dare fia dt tanta picciola quanti- *cheprinia ibe il
corpo la cominci fcaldare , fia
confumata dal ealor dtel Oprpo , all bor vi. giungano qualche mafia , perche
non in*- Corrompendo ioperatfHe^aconuenefiol nutrimento al calore , ac-\
mohths^teria non fi confkmi innangi tempo ,'irfiapoiidnecLa' M'operaotu , Se
perefiempio yx^amo ptfder cone matiigli eelli I quello poffiemoi far
commdamente, con la noce tiretella , ti' quale h quefla propriet'difar
addormentare, dt render fiupefat- . tOiaccipokcagnanatoda'inoUa graur^t^a del
teruello dorma pro- fimdamente adunque quella voce fuhfttitiiremo per bare
,'eper fon- damtntodeUa copofdione,iJ acciocheeon pi gagliarde^a facci le fite
op&ati(Uii,ei aggiungiremo oppio, e feccia di vino, fe la mfiura fentffe
durale noi la voleffimo liquida,^tcciocke pi commo'damen- Uie ltgme, cofe
fimtli simbeuauo,ccme dmvfirartnio nette prepj r.ahotti,e con quelle poi
inuefihumo gli vccelli, difiolueremo^nel fiel ibuc,fitctodi mandragoratouer di
cicuta, iy actioche non yiengbi mfriipa^^lente, ri aggiurgeremo miele, cee,o,
onero farina, e . entelli altri aggiunti la miSura far pi gioita, con quefla^ '
iuHtfut btgMretno t legumi , e gli la daret/lo
mangiare , perche^ gMfUndo^el cibo, fubito cader anno addormentati in
terra', ne ha- . fttrmo ft volare ,
talch con ogni nofra edmmodit li potremo (or jW (OH le mani , jl medefino
comando | che fi debba ofieruare in iWiaiirtSanie^. 4f> ' J'. \ .1^ Della M^nStOhifc V Come (ulAbbatrouare
il pcfo della ^ - Gap. XVIIII. - ^ r dette anchorgrindem^ittf toHfidersre^ che
fi debba pigliar la p^porttrmatiL dopi della Mifuraie ritrouar la dbita mi-*
fura de'pefi , perche la bont dell'opera* I ^^tioue dt tutte le cofe non
conftfe in altfOf th nella deuuta proportionc ^ tParmd* uia, altrmenu le misure
nSprodurann \^ello effetto yhe promettono yfeiltuM non hard'compiutamente ilfuo
numerOyt pefo . Onde ^anto babbiamo trouato , che babbino narrato gli ante* ehi
nelle- loro conipofitioni, non bauer adoprato cofa,fe non prmcLa elettay
eprouata poi co l pefo, e con Vejptrien^a , e co fi pi fcrittt-a kauerle 4 noi
lafciate.Dun(]i -noi cbe date opra ftmli
ejperimenti ri trouate prima ilpefo della femplicrmedifmaiejuanto comporta la e
fa, fecondo l'imaginatione di quello effetto i: ehe tu cerchi difare,tf ^
irpagina fra te feffo quello medicamento dii^if elle cofeicbe^i entr nOy.r
guardando in che proportione fia con tutta Ltmifiiott , perch nel tuttofi
ricerca quella proportione , chefitroua nelle fue parti * e fe troueffii^ermi
pofla alcuna cofap del douerty togline ilfouerr chta y e cefi conefeiuto il
pefo , fi cofiituifea per fondamento dellcL mffturoy e tanto fiia fotta il pefo
di tutti gli altri f e da quello tanto fie ne taglia , ^anto fadi bifogno per
cagion de ^ alvit che oorriffon* da allafuqdebitaequationeteperche v'entrano pi
co/ nei medi-r. camento , que/lo fi debba inueiigare dalgiuditio di rbfoper^^.
Coti della compofta miflura mai darle pi dt (juello y cbe comportila^ dofa y
anebor cbe nella -virt femplicefuffe,ma computati tutti i grm di, non debba
effer. maggior nella (Quantit, che ne^ virt-i accio* ebe non prenda poi diuerft
tfuality& virt, perche ejuelt cofit noto vi t agginge pef crefeer la
dofit,ma acci cbe piu ageuolmente cono
ptfea l'effetto . ,^nchora fi deue diligentemente aduertire i ehe cofo
debba variare la proportione de'pefi nelle mijure , e nelle medici- ue : fi
come variano le regioni , ij i paefi , perche nell' oprare acqui- Hano diuerfa
virt, cbe in luogo pi gagliardamente, in vn altro pi debolmente oprar anno ,
come babbiamo pi volte detto. Voi duntfuo oou vn purgato giuditio
confiderate,e/ecodol'operationi defempli- cos muta- In 'p^cportioMc de' pef ,
mancando ^.aggigende ,-r c comodando fce aprejfit. molti paefi:, molto varia
lar^gin de' pe^\v no^ lu hd cotufciifto t.cbt tjueia'variationeifia fiata
Oiq^mte^x epe molti babbino erratoneltoprareyiS' anchora volendo alcuno oc-
crefcerc, 4^ diminuir le^e fecondo il fuo bifido, ^i far affai pi geuole farlp^
per le 'fotti e quefio tfteffo mi fon accorto
che babbi C orn^lio Q,efo ^ifKeu4ti^i par di bauerdato tutti u ssxu.i ;i
1 L . > i = * ))> ' vfV' '} i ~ - ' , - , I r" j:i Delle ^eparatioai 4e femplici Gap. XX. 1 1 A babbiamo imparato,4 componete
, (f trouare il pcfOfCi dire di alcune preparaliom de' /empiici , le
quali fono molto neceffafie ^ propofito dellar-> te, e d affai maggior
artificio di tutte l' al- tre cofe , che l'operationi non conftfono folamente
ne' femplici che x' entrano, ma nelle loro preparationi,fhn^a le quali , poco, niente opraranno. l femplici dun- que
ft deano preparar con molto artificio , accioche fieno pi atti , e fi
accomodati allufo . Quelle cofe che pi di tutte l' altre ci vengo- no inyfo
principalmente , fono il maturare, bugUre , arroflire , ri- durre in calcina ,
ij in cenere,difHlare,difeccaret altre cofe f- mili , Imperoche all'hora
maceriamo alcuna cofa,quando le tuffam a in qualcbe humore , acci tanto di
dentro , quanto di fuori fi bagni, t ycHgbi i macerar fi, come hahbiam detto, a
ccioche poi fpremendo- le)H 'vn^bi bar la parte pi fiottile, e refii la pi ter
ef tre ^ e ne rice- Miano quello humore, che fiaua nel me^o di detto fiemplice,
^Ifhor hugliauOfquando da lui nopojfiamo cauarne fucco, perche buglien- do ne
(tumo la fio fianca dal centro alla circonferenza , il che non fetrelmo far
conia maceratone , con linfufione ,
quella nondi- murifeluti vapori fotlitC as ancora yftamo l'dirufciare, Farro-
fiire. '>'> / f l 4^- . T . H Della Ma^i iltUf ale fttre, t*J caUinsrc ,
per pigliar totalmente le torti del fto httmr $l che auiene quando l'habbiamo
ridotto in caler, accioche pili age- tmlmente fi rtfoluano', e fi mutino iu
liquore,efipofiao mefebiare^. et Vaine eeje. Coti arrofhamo,quanio lcfa non fi
pu piflre , ^ che pi commodamente la poffiamo conutrt&e in poluere >
hauend fra touU eurOi ebe arroflendo non fi "venghi i hufeiare % ij
ridotta i carbone , perda le ricercate virt da lei v abbrufeia , acciocbi'^
nericeua fotttlei^^a, I fempUcifidtHilanOypercauarne dequtLa da loro di pi
gagliarda virt , e che opri poi ^e con pi agenole^- XatCgagharde^^a, E perche
ricerchiamo le farti pi fottili del pedicamento, buttando vta le pi grofi.^
ie^juali anqfi impedifio*^ no il nofiro propofito . E qutfio fi debba anebora
iiHenaerJa ' ~ delle altre prtparaihni . Qutfie cofe b giudicato ejfer "
Wtolt ytili , e ntceffarie alta nfit opera, Jb al* ' *"
^furrdefidcra faOerle pi mfintamentiy^'^
legga! libri a medici. Ma dabo* 1 r innknti cmincianfo trattaf j*i jflii di altro pnpofito, f;\ \>
I.'. . V v>'j 'Il fine dfel primo Libro/- ... it iKOiU-i'j , ?\oi 'j ' ^ -,
b . u' * :i \ 1.; )' -i J r r. 'iW 1
, ,/ - ; % Z\\ 1 ' ; , ^ i.t. ;\i\ i ; ^ 4 ?v-pf > f?-. .t .t . . 4 . . iwi w \U
3.'.i v\ , j .. 4 ' ..Vv _ DIgItized by Google r DI GIOVAMBATTISTA . DELLA PORTA , , N a| P O
L I t a n o DELLA tAGIA NATVRALE. ' - *
' 4 Libro Secondo, : TRADOTTO PER GIO. DE ROSA V.LP. . . latino in volgare* ; -
1 ' * ^ n^f^hiar fra lor gli animali ^ accioebe ^roducanf nuofu, iJ Iftili
animali 9 Proemio. K s X N o i qui habbiAtno ragionato delle c^I, e delie loro
actioni , ilche mi par di haer coui^ito nel primo libro,e mi par che mi fia
diftefo piu Itrgamte.che- radi conueneuole: Immai mi par tempo dicominciar
Toperacioni , le quali fpeflb habbiamo promellb, accioche non tratte, niamo gli
ingegni defderolfsimi di veder cofe maraui^io. fe pi molellamente > che fi
deue . Per hauer noi dimni-. toU Magia elTer le diuitie, e le delitie delle
naturali fcien- ze , haucndo dunque d trattar di lei', tutte le col grandi ,
al> te, nobili ,tllufiri,e rcelt,che fi trattano ne* fioritifsimi cam- {i
(Iella filolbfia, le rachiudcremo in quello breue recinto 1 G diqoe- j o'v-
Della Magia naturale di quello libro ma
accoche noi pofsiamo ofTeruare pi
anchoradi quello, che habbiamopromeflo, habbiamorin- chiul i fecreti in pi
clafsi , acciocbe non il troui cofa fuor del Tuo ordine , e feguircmo nel
defcriuerli lordine delle feienze . Noi diuidemo le feienze in mathematiche , e
natu- rali , ,ma cominciaremo dalle naturali , perche coli mi par conueneuole,
che fi cominci dalle cofe pi remplici,e maco faticofe , e pi conofeiate da gli
altri, indi uerremo alle matematiche. Primo cominciaremo da gli animali', do- I
libri per $umarli quelli: mi piace qui
dime alcuna cofa , e di- ftrar che da quella non fola mperfetti , ma che
perfetti animali poffano generare. Dice Torfirto che ddle uifcere della terra
bo- xate di acqua, e dalla for^a del Sole arriuata in queUe, fi foglia- )
generar nuoui animali , il medefmo pens Archelao ,4tenefet tnaffagora C
lat(pmeHko,i3: Euripide fuo difcepolo , Ma Teiffra ) Music fendo il parer
di'Cleodemo , che dall acqua puttefatta^ daquella miflura che fi fa di lei,e dellaterran^ffeemo animdi,
quanto laeque erano pt torbide, e pi fredde, tanto gli animali *e di quella
nafceuano, erano pm prmi della natura animde,e del I coftan^a piodoro , e con lui non pochi jilofofi di
poca auiorit icono , che tutti gli animali fono nat$ dalla putrefittione ,
perdo - he quando nel principio delmondo,tl cielo, la terra, e ttittigli ele-
tenti retir atifi ne loro luoghi , recando la terra in molti luoghi lu- ofa, e
molle, e percofia da raggi folari , e commofia, produceua fo- ra la fua
fuperficie alcuni gonfiamenti , ne quali parHcohr- nente fi concepeuano alcune
putr e f anioni , coperte di alcune peU i, le anali conteneuano dentro loro queUa materia putrefatta, ffendo quelle
dalla ruggiada della notte inbumidite , e nel giorno id calore del Sole
rifcaldate, nel lor determinato tempo vennero
mturo parto , e rotte quelle pelU come vtri , ne nacquero da quel- le
tutte le forti de gli animdn detti quali quelli, che maggior calo- re bebbero
in forte , dttunnero vccctti, quelli che pi , terra, le fer- ^i, e gli altri
animali, che 7oan ferpendo peV terra, quelli cbcja ritennero
dettacquasdiuennero pefci , che notauano nel mare , e le ntexane fra qutfie .
gli ammali , che caminano con i piedi frpra la terra . Ma fcaldando
continuamente il Sole fopra la terra , noiL produfie altr mense pi animali, ma
quelli chegid produtti haues ' . S *
congion- /' 13'e Ifa Magia natnrafe ' l rtmgiongendoft fra Uro prodt^ero animdi
Uro jimiUy ma in quel libr-Otche fi^ijfe de diluuijypar che fufie d,i
parere.cbe^ dop le copiofijjime mondationi della terra, fen^a opra alcuna di
fe-^ me bumauo , ma fola da putrefatti caiauert de gli ammaU^aiu- - tati da
'viw celefle infUenc^a fur generMi gtihuommi , i reRan-' ti-auimali, ij per
qurfto aUa generanone de'irhuomo non ,necefiaf^, rmil ventre, ia matriet , ia natura della donna , che il
bambina mtnifie miglior formata, Equefla /ma opiniont confirmaua'contalt
itrgumenti ,che laterranon /blamente in ogni luogo prad^t^^, hquali poi per il
coito andauano cre/cenda in infmiio-t tudammtt^ rade capellt delle donne fne
get^erano ferpenti,ilquaU anetnyi mneLUbro de gli animali , dice cbe
baueavnamico-, che gentrir^ ma fcorpUni , con vn modo affai meramgliofo , e che
da quelli ferir, generauano de gli altri , non imperfetti , tf di//imili da gli
altrt , r che poi da quelli, non ft generajfero ^i ali .E'Jfque^opmionm par cbe
non babbi motta del verij/imile , ,/tuerroe d/3e, cbe perge neraxe animjdi imperfetti
bafauabo fol.le /Ielle , . comeMeopl, ppi*, pi/ireili , e le talpe, ma no gi
huemimi, tonj-, E rioi con le/perien:(a di ogni giorno , cbe ft ponnogemerV
fltoit nimjtn li dal fino, della urr, e dalla putrefatta materia'. E 'gUantbi
uofri imaginando/i cbe tutti gli animali- fuffero proddttu dalla ter^ ra ,
la-cluamanamadre vniuerfale,e commune . EH Greci mutando Uvn poco il nome la
chiamato Dimitera. Gnidio fitto la fabidoim di Vitone de/cri/fi
eleganti/funamente queHageneraiione dailu fum refattionc-t ^ w ' ^
I reUanti animali poi produrt La
terra da Te ftelTa , di diucrfe Forme , perche del'Soll'ardtrnte foco ' And rhumida terra ri fcardando, II laro ) e le paludi hiimide acquose . i. *
Gonfiar co'l caldv&i viuaci Temi r ' ' Chela terra tencad'tnrro*rlftofcno ' Come nodriti >H ventre della madre
Crebbero , e poi eol tempo prcfitr volto i Che come il caldo , c
rhuinidoremprati A pieno fur , produAcr qtieftiduo Turrv le col , e riempi
larerra. ' Che fc bea Tacquac foco Ibadifcorili-ji x 1 foHbo Digitized by
Google DI GIo.Battfta della Por! Lib.II. j Po(fon rhumido > eI caldo vnirf
inficine H Iccofc crear lalordifcof-dc
Concordia atta gcnerr il tutto. Dumjue pche reft bagnata,e
picn Dopotidiluro lateri'adiluco, ' * Dal fbl percofsa , rifcaldata in tutto ;
Produfse fnnumcrabili animali, 1 quali parte hauean lantich forme , E patte
nuoui , e fpauehtofi mftri . . . ! ' Vv
'Alcuni animali tcrrftri prodtti dalla pe trefattine ,-' ' ' Cap. 'il'.' '- ' *. ' Vesta co/j han commune frt loro h
piante , e glt animali , cbe'lHne^ e^i al- tri n ifcnno V i fme, e da lor
fleffi (*- tutalmente fHnty perche altrina^. feono dalla terr. 'y ^alM da
pianta pnirc- ''[itti i come gli animali infetti, altri dat~ la rugg ada, che
rtjl s le frondi, come l'ernche , altri dal timo , umegli anima- li eouerti di
crufia , altri da gli altri ani- noli & altri dalVtfcrementi delle patti ,
come fono pidocchi'. \oi prima ne raecontaremo ahiini deferitti da gti ar.ttchi
, aedo he con f derati ben quelli, poffiamoda noi innentamt deghaitrti E
pritm'eratneniOlit^hiamoi - i C Topi come li generino da Ila
purrcfiittione. Vicine 7 tirai de m fgttto , ferine Diedero , quando ctffa
rinon iotione del'hlrlo, che il Sole fcaldando laierragt bagnata prima ia
l'acquJtin "Yarij lughi da quelle apcrturdtUa terra nojce ynj
^adiffimahottitudine di topt,deHaqualccfagH hucmini/imgotta Holto Jlupefatu
reggendo alcuni aninixli formati m fino al petto ,'e k hraeda dinatt^^i
animate, e ntuouerfi j'e fii parte di dietrenon art- ihor fatta, ma comindata
di tuto re ferrea fviika. DiccTlinio If tifiando^ il t^ilo, fi trouano certi
piccioli topi, cominciati for- m irfi
dall'acqua gtnitrice e terra, e parte di loro viue , parte la vt- ima aacbor terra
Ma Ebano dice eofi , t onte ndf Egittmpiou^ * * * . .
-ao Di Gib.Bittifl della Por.' Llb.II, yj Scrtieda generar levcrdi rane, f E le genera poi rfcfiche di piedi. " '
t generatme deUe tfuali Patito figemle,
e momentanea,che fermo efferne piouutrrane e generate nel cielo . Tbilarco dif-
che piobhero rane appreffo ateneo , Et Heraclide Lembo appref- Dardania , e
Teonta bauer pioHUto rane, tanto copiofamente , che reflor piene le flrade ,'e
le eafe tfi che ne' primi giorni i poneri ladini , ^arte Decidendo > e parte
rincbiuf nelle cafe [oHenenano palamita , ma poi accorgendoft , che non
faceuano nulla , e che- ti i vaft ne reilanano pieniy tjfene ritrouauano
infiniPe cotte bu te nelle pignate , tr arroflite , npoterfi feruir delCacquCy
n fa * doue ponere il piede per la moltitudine di mocchi delle rane , iandonaro
il paefe , fcritto da p!odoro,e da Eufiaebia. Gli Un'- idi gente di TrefpotOy
bifogn che fuggiffero in altro luogo, caceia^ ialla multitudine delle rane
incominciate, e noii perdette, che pi9 tono dal Cielo. Ma con maggior
merauiglia fono ' /pi che nafeono dal
luto, da lor (lefsi,e dal sagaeiDilruo. Il rofpo fi dice che nafee dalla
putrefattioncye corrottione, in Da ne prouinfia del nuouo mondo vi aria molto infettai come patii a , e
circondata intorno tutta di acque fw^^lenti t la ifief itt adula,che dalle goeeie, che cafeano dalle
mani de'fcbla quando adacquano i folari delle cafe , fubitO'nafconoir^, co- ne
ferine Vietro Martire . Lanitra putrefatta fiotto il fimo ^o- na i Toffii ,
come ne fan teftimonian^a i fieguenti yerfi , I rolpi parcorifeo , f Tepolca
Sar forco la terra putrefatta, * \ . . Forf che luna , c Taltra fiamo
figli * ' * della pioggia, e
delfacquo, ' I dal /angue mefiruo delle
donne putrefatto eeofa malageuotgji t naficerno rofpi , perche le donne
fiouente ne generano in corpo i figli. Celio .Aureliano , e Vlatearh y coft fi
chiamano treffiu eecbiy e lucertole , e fimili animali, c le donne Salernitane
ami- tenie nel principio della coufetUene , e maffime in quel tempo il parto
comincia*riuificarfi , fi sformano di amma^(^are il Jet nimale > cl fiicto
dapio , e di porro . Vna donna maritata di io , deHa'pegna fiiorf opinione di
tutti ma quefio io fimo falftjfimo Cofa
chiariti che ft poffa Mafcer urp^iui
dalla medolla della l>ina deirhaomo e
da^ , capelli meftruaci, e da peli delle code de caualIL Che dal corpo
humanonafe ano ferpi, fi legge e ffer accaduto in Vn- ghcria, yicino al fiume
Theifa, in molti corpi humani fieno nqtifer~ pi ^ elaeeftuale .fimili alla
naturali, e fi dice , che cofi fiano morti dintorno tre mila huomini. Scrine Tlinio, che yna
fantefeapar- torivifrpenel principio della guerra Mar fica ^uiccnnanelli^. bro de' dUw^nArre , che da
capelli di yna donna foffano nafeere ferpi, liqual{,fym di natura pi lunghi, e
pi humidi ,.llmede^ mpy^gktnoMuenirde' pelt delle giube de' caualHejpoili alA^
afque^ioyrenti, perche prima che pafsino pochi giorni, moueudo fi fi jannfl
conofiere , che fono animati, il medemo b inufo hauer, fatto molti miei amici .
Tengono tutti per cofa indubitata , cbe dal- la 'carne humana nafiano ferpi , e
principalmente dalla midolla^ del dorfo . Eliano diffe che putrefaeendofi la
medolla della jpina^ dcirhuomomorto.ficonuerteuain ferpehte,cbenafcerebbe
ynafe^ ra , damo animale bMuidtfsimq come l'fmomo vn crudeliftimo , ma quefo
auenir delli huomini cattiui dop la loro morte, Ouidto 4 fitefio propofitOi,:,
. yy\. '
fono anch^r chi creda che la fpiiia
De l'huotTU) putrefatta nel fepoicro . v- Rinchiufa in vn Grpente n
rralmiaciv - Tpliuio dice, che da molu bg intefo cbe.di^jpinfl.44l'b(mui fe ne generi vn ferpe , Si tratta- apchor ,da t \ .
- Dal ImIIco come ne hafea vnfcorf?ioiie . - . . Sriue Fiorentino Greco i che
Ibafilicpmafifvato^ / peftoal,So-^^ le , che generi vn fiorpiane . Ci aggiohfe
Vinio . je il bafiheo pi- fio coprirai con la pietrageneraram
ff/^pne,emaflicato,7 efpo-^. V, > '
fio ' Digitzed by Googl oaM:]^e*fif'^eYtiiii 'j^^l^fno ttctti,' d>e difono r
cbt imd uno tent di bafilico, iniieme con dieci cancri di mare fefli, o^* odi
fiume, che cbktni^ &dteflf ft d^ luoghi ptojjim tut few- lirti,tfW "wi
umico, o)nT^tittiddHi&}',^ ii ipiik hu^Mi^en^ difiroHur ertatih Gd^w^i^ii}
iH dice kn, cbe/U.d* fueeouf- dtlor falfe eo/e, fermando, che in pochi giorni
getH^ar '^orpi^ni , fe peRQ,fil(Jje floinvna pignatWtreiA'uacuu, e principalmente
fe'alcunos fcaldajfe al Sole ognfgtOAib . MMifuefo i falfo^' Ma il corpo del
nero miirabifmente fi tramuti m jcorpiome'y Dite 'Plinio. Qmn- il
Solpafiidii^fh^ieVeatiefO, i corpi de*' omeri moi^U p^i in co [ecco fidice,cbe
fitrafinutinoiu'forphtnt i Oniaio, Se tortai tu.lc biiccifr al niaiiti
caticro.' o' ; Eilr^litte'Ci^olo^Mtirai
M .if j,
cf Sotto terra i marcir , da quella parte . - ' , t ..
KarcrdvnTodrpidhefHmel', fiero )i ; Che ri minaccia on Tadutica coda . ' :
L'remeio nafee neiraceto* ; v >
.. . . cndone'ictEllno reeiHefti'aMmali fidieoM tfemer, ebeJ talahrdt
HoXialt*o chii>H giorno, yiuono della feccia del HO che palFactp , Quando s'apre la botte, iy
nati che fimo, fu- 0 muoiano . il finmeUippanonel Bosforo Cimmerio , nel folR
porta fiedcrti foUicli ,'maggiori di "V acin, e auefii fi row- 00, e rie
yennno fuori certi vcceli, li qual ffieiie di animaliuon te f no infin al me^o
girno , e "vola , ma cademU il Sole nel-
cctdente,cade\infermo,&eJfendo fatto \il Sole egli, nu^re ^il il non viue 'pi di vn giorno
ila onde hemerobion ,eioidi pfis omo la chiamano. 7ielmedefirnomodole> 'i
'-i . \ ' Pirigoticnafcirirtl fuoco. Si
dice dal medefimo i e fono ammali volatili, chiamaie da Gre- pirigone , cio
nati dal f$iCo\ & iui'viuonoi e fi nodrifeano, e volino di qu, edtl, quei di dwauiglia,
efelomirabih, canati fuori di quel fuoto , 'e fentono l'ria frtdda,i fubito la-
ma la lotta, ejfendoil fuocoornodrimento: ^Etuanchorala ' ! 5alatnandra.he hafee dellacqua. i SahtdtSdre
nongenerano,n fi troua a Iw femina, d mafehio , fi \e malie an^iUe,iJin queUi
altri ammali, che no generano anf- fi ma Digitized by Google . T.'! Della Ma^i
fltuf ale 1 " ' fifrct t*l
ehlcinsre , per pigliar totalmente le parti del fuo humor il che auiene tjuando
l'habbiamo ridotto in caler, accioche pi age- nelmente fi rifoluano, e fi
mutino in li^MOre,e fi pofiano mefchi.tr^. to V altee cefe. Cosi
arrofiamo,/]uando la ccfx non fi pu piUaret"* che pi commodamente la
pofitoMO conutrtire Ot'poluere , hauendo. fra tanto eurat che anroflendo non fi
^enghi trufeiare (J' ridotta ' in
carbone , perda le rtcercate uift da leii ^Si ahbrufcia , acciocbt ' ne riiua
fottile^^a . I fempUci fi diHillano,per cauarne acquau da loro di pi gagliarda
virt , e che opri pot , e con pi ageuole^- ^ategagUarde'^^a, perche ricerchiamo le parti pi fattili det
pedicamento, buttando vm le pi grafie ^ie fuali an ir4r innknti cmincianib tratta*^ . " r 'V dicofkdialtropr^fito, > ,*.
" ' I (?' -'l * . .
' . 'llfincdfelPriino Libro.''' '
; UWl 1 j o\5;U5 ;. ( 1 1 h .. a
riwVi;\im k*> nvUt'. ' . X. b . -itsl Y tyioY-tuoiif:.'', J l'i oO'J ^ . r. '1 , .*. ' '
Xi ' t. \v : vi:*. r : ,v . \ ' .
i - . i . > .)IV 'V, il -...oY t
* i**' v-\\ ' 1 . 1 - 1. _i ' *. % ' J\ .* !V .\;l
. V,. oti i *. ' liiV . h't D"1 i ' \' 1 . V. Digitized by
G=-iOgU I GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA , NA f.OLITANO ELLA MAGIA NATVRALE.' l I
Libro Secondo, rRADTTp PER GIO, DE ROSA V.LP. DA LATINO IN VOL6A&B,
lufi^ mtfebiar fra lor gli animali ,
accic(be ^roducan imom, iJ ytUi animali. Proemio. Ks INO qui hAbbiamo ragionato delle caule e delie
loro accioni ilche mi par di haer
coufgutto nel primo libroe mi par che mi Cta. didefo piu largamte,che- radi
conueneuole:bomaimi par tempo dieomiociar Toperadoni le quali TpeiTo habbiamo protncflb, accioche
non tratte, tno gli ingegni delderolrsimi di veder cofe maraui^io. M
moledamente , che fi deue . Per hauer noi diffint. 1 Magia efier le diuitie e
le delitie delle naturali fcien- hauendo dunque
trattar di lei| tutte le cofe grandi , al iobiIi,tIludri,e rcelte.che fi
trattano ne* fioritifsimi cam> iella filofofia le riecbiudcremo in quello
brcue recluto 1 G diqoe- j o^ ' . Della Magia naturale di quello libro 1 ma
accioche noi pofsiamo olferuare , i pid anchora di quello , ch habbiamo
promelTu , habbiamo rin- chiuA i fecreti in pi clafsi > accioche non ( croui
cofa fuor delAio ordine e feguiremo nel defcriuerli lordine delle feienze . Noi
diuidemo le feienze in machemaciche , e natu- rali ma cominciaremo dalle naturali perche coli mi par cnueneuole, che li cominci
dallecofe pi femplici ,e maco faticofe , c pi conofeiute da gli altri , indi
uerremo alle matematiche. Primo cominciaremo da gli animali', do-v p alle
piante e come per gradi verremo alti
metalli , & al- le altre opere della natura. Defcriuerertio le cofe grandi,
ouer fonti donde featurifeono le cofe grandi, & inlememen- te vi
aggiongerem le cagioni , e le ragioni , accioche il fa- uio , & indudriofo
artefice pofsi da f congettiurar delle al- tre. Perche-due fono le generationi
de gli aninrali , & delle piante , cio naturali, Ipontanee; narreremo primierameit te quelle,
che nafeono Ipontanee , dop quelle , che nafcqno dalia miftione di varij
animali , accioche pofsiamo produr nuoui animali , e non nui pi villi fecoli antepalfati . Co* minciaremo dalla
putrefattione , per effer ella vn prin- cipio, che non fblo dallavarie^ de'
femplici , ma dalle mefcolanze delle cofe , che li ponno ' melchiare di produr
cofe nuoue . N mih propollo lafcar alcune co* f vili , e conofeiute , per- che
non li rroua co& nel - t la natura,
quantun ' . que viMls^noa appaia ,
nella quale non riluca qual- che grandifsima me- rauiglia^ . Della Di
Gio.Battifta dlia Por. Llb.II. j i. Della f otreftuone e delia Tua fneranigliofa forxa di produrnuoui
animali. Cap. t. r par opra a fai conueneuoU, prima che dim^ i firiamo poterfi
generar nuoui animali dalla pm trefattime > che comincidfmo difeorrer j-
pra (Quello, che gli antichi plof tbri per mniarU quelli: mi piace qui dime alcuna cofa , e di-
rar che da quella non filomperfetti , ma che perfetti animali affano generare.
Dice "porfirto ebe dalle infiere della terra ba- de di acqua, e dalla
far^a del Sole arriuata in quelle, fi figlio- generar nmui animali , il medefmo
pens jtrchelao jitenefit lafagoraClai^omenicOyr Euripide fuodifiepolo. Ma
Teofra- puiici fendo il parer di-Cleoemo , che dall acqua putrefatta, a quella
mi fura , che fifa di lei , e delia terra nafierno animali, uanto l* acque
erano pi mrbide, e pi fredde, tanto gli animali t di quella nafieuano, erano pi
pnui della natura animde,e del :pftan:(a. Diodoro, e con lui non pochi filofifi
di poca autorit ano , che tutti gli animali fino nati dalla putrefatione ,
pereto - ' quando nel principio del mondo,tl cielo, la terra, e tutti gli de-
nti retir atifi ne' loro luoghi , renandola terra in molti luoghi lu- a, e
molle, e percofia da ra^i filari , e commofia, produceua fi- a la fua
fuperficie alcuni gonfiamenti , ne' quali particoUr- nte fi concepeuano alcune
putr e f anioni , coperte di alcune pel- le anali conteneuano dentro loro quella materia putrefatta, iS endo
quelle dalla ruggiada della notte inbumidite ,enel giorno l calore del Sole
rifialdate, nel lor determinato tempo vennero
tturo parto , e rotte quelle pelli come vtri , ne nacquero da quel-
tutte k forti de gli anmdn delli quali quelli, che maggior calo- hebbero in
forte , dmennero vccei, quelli che pi , terra, le /er- te gli altri animali j
che yan fir fendo ptT terra, quelli chlm tennero dell acqua,diuennero pefii ,
che notauano nel mare , e le e\ane fra quefte . gli animali , che caminano con
i piedi fifra la rra . Ma fcaldando continuamente il Sole /opra la terra ,
noiu> rodufie dirimente pi animali, ma quelli che gi produtti haues C a
(ongion- S0>" D Ila Magia naturafc ' " \ tonglongendoft fra Uro
proiufiero anmdi Uro ftmU), jtiuei^ na in quel libroi,cbe f^iffe de diluuiftpar
che fujie di^rere.cbe^ dop le copioftjjine mondationi della terra., fcnq^a opra
alcuna dt fe-^ me humano , ma foto da putrefatti coduertde gli ammala aiu- tati
da -vna celefte infUiem^a fur generati gli buomini , ij i reflan^' ti-auimali,
r per quffto.alla generatUne dellhuomo non ,nec^a- tto.il ventroy la matrice , la natura della donna che U bambin Ttnifie miglior formato. Eque/la
fua opinione confirmaua contali, argtmen ycbelaterranon fblamente in ogni luogo
prodttce t^Jy, hquali poi per il coito andauano crtfcendo in infimtatma^*) ra
de' capellt delle donne fe ne getterano ferpenti , il quale ancbtti runeLUbro
de gli animali , dice che bauea'vnamico-y che genera^ Ma fcorpioni , con vn
modo affai mer/migliofo .e che da quelli fine generauano de gli altri , non
imperfetti , tf diffimili da gU altrt y r che poi da quelli, non figener^ero ^i
altet .E^que^optmonm par che non babbi molto, del ^ifjinle , .Auerroe (fe, th
fer gt^ neraxe animali imperfetti baflauako foU.le flelle , . comi'i topi',
fpO. pi/relliye le talpe, ma.nmgi buomini, koni. noi peggiam con l'ejperien^a di ogm giorno ,
che fi panno gaterr fuoit anima* li dal fino, della terra, e dalla putrefatta
materia: E'gUanlhhi noftri magmandofi che tutti gli animali, fuffro proddttu
dalla trr ra,la>chiartumOitnadre vniuerfale,e commune . Eti Greci mutando^
Uvn poco il nome la chiamato Dimitera. Ouidio fitto la fabulttu dt Vitone
defiriffe elegantijfimamente queRageneraiione dailu piu Wefattionc-i . ^ '
/i . i v, I r dia nti ani mali poi
produrt ' La terra da f ftelTa , di diucrfe Forme , perche- dclSoU'ardcnte
foco ' And lhumida terra ri rcardandor '
II lino, e le paludi humidcacquorc . > > Gonfiar col caldo*, &: i
viuaci limi ^ ' ' ' Chela ferra tenea'd'enrrflfoofiinoi ' Come nodriti in ventre della madre
Crebbero, e poi eol tempo pre^r volto* i Che come il caldo , e rhumidoremprati
' A pieno Fur, produfser queftiduo Tutte Fe cofe , e riempi la terra . '
Cherc.bcaracqua.cliocQondircor^k i i > Digitized by Google DI Gfo.Battlfta
delia Por! Llb.II. Ji PofTon l'humido v eI caldo vnirl infecne > tic cole
crear la Jordifcoi'de \ ' Concordia ^ atta d generar il tutto. Dunque pchercft
bagnata, c piena ' ' ' Dopo il diluvio
la terra di luco,'-' ' ' Dal li percorsa
, rifcaldata in tutto ; ' Produfse fnnumcrabili animali , 1 quali parte hauean
Tantich forme , E parte nuoui , e fbaaentoll mftri . . . : ' ^5 - ' r
' I.
'.I.V t I I ...... i ' ' Alcuni
animati tcrrtftri prodtti dalla p trefattone i
' ' Cap. '' Vesta cofa ban cmmune frt loro le piante , e gli animali ,
ibe'l'une, evlt al- tri mfcono'e'^difmef e da lorfefftna^ tuflmente fn^H
fritte, perche alftinc. '' feono dalla
ierra l^^alir' da piant patre- Yatti , come gli animli'in f etti t altri dal-
la rugg ada , che rejid s le frondi, come l' eruche , altri dal lime , come gli
amma- li coucrti di erufa , altri da gli altn ani- i j*altri 'dalCtfcreinenti
delle parti , come fono ftdoccbil r prima ne raecoataremoaletti deferitti da
gli ar.ttchi , ado con f derati ben (juetli, poffiame da noi innentant
degliaitrt rttmratHet>(^hiamoi - t-
' - i Topi come ti generino da Ila purreftittione. "teine Teh'aide m
fgitto v ferine Diedero , quando crffa rinon- one del'Hflo', cheti Sole
fcaldando la terragtk bagnata prima *acquatin ">farij lughi da quelle
aperture' detta terra nofee "vnj i-tfima kioititudint di
ttpt.dettaqualcofgli bucmtttirimgcttia 0 ftupefatti reggendo alcuni antni alt
formati infine al petto ,'e acfia dinanr^i animatele muouerfi ,'e Hi parte di
dietronon an- fatta^ ma comindata thrtO',e ftrrfa fotnt. DiceTliniO' iandofi il
fi trottano certi piccioli topit cominciati
for- 7 dall'acqua genitrice e terra, e parte d loro vive , parte la vt-
atubor terra. Ma Eftane dice cefi ttMe nell Egitto" ptou^ 131
Glb.BttiftdellaPor; LIb.IL Seitie da generar leverai rane > ' >
E le gcnHcra j^O rfipnche di piedi. ' X- fo furtto efferne fiouuterane ,
(generate nel cielo . Tbilarco dif fe c he piobhero rane appreffo ^ene , Et
Heraclide Lembo appref- fo Dardania , e Teoma bauer piouuto rane, tanto
copiofamente , che nerejlor piene le firade ,e le cafe fi che ne primi giorni i poueri ciitadini ,
piarte Decidendo t e parte rinchiufit nelle cafe [oHenenano la calamita > ma
poi accorgendofit , che non faceuano nulla , e cbtL tutti i vafi ne reflauano
pieniy i^'fene ritrouauano infinite' cotte bu glite nelle ptgnate , tX
arrofiite , npoterfi feruir deuacquei ni fa^ per doue ponere il piede per la
moltitudine di mocchi delle rane , abbandonare il paefe , fcrttto da piodoro,e
da Eufaehio. Cli^n- taridi gente di TrejpotOt bifogn che fuggiffero in altro
luogo, caccia- ti dalla multitudine delle rane incominciate,e non perdette, che
ph* neuano dal Cielo . Ma con maggior merauiglia fono t ' Korpi che nafconodal luco, da lor ilefsi,e
dal $2gaemeilnio. li rofp fi dice che nafee dalla putrefattione^e cofrwione. in
Da- rtene prouinfia del nuouo mondo vii aria molt'infettai come paUt- dofa t e
circondata intorno tutta di acque pu^^lenti , an^i la ifief fa citt padula,che dalle goeeie, che cafeano daUe
mani dtfcha- fii, quando adacquano! folari delle cafe , fubitonafeonoir^, co-
me ne ferine 'Pietro Martire . Lanitra putrefatta fotte il fimo go- uema i rojf
i , come ne fan tefiimonian^a i feguenti yerfi , 1 rofpi parcorifeo > fe
Tepolra Sar fotto la terra putrefatta, i . ; Forf che luna, c raltr4 fiamo ' '
i ' della pioggia, e dciracqu>, *; ' Ha dal fangae mefiruo delle donne putrefatto
^eofa malageufLt nonnafeerno rofpit perche le donne fouente ne generano in
corpo coni figli. Celio .Aureliano , e Vlateario , cofi li chiamano , rcfpi,
ranothi, e lucertole , e filmili animali, e le donne Salernitane ami- Cimnte
nel frincipio della concettione , e maffime in quel tempo ' At il ptrio
comincia d *oluificarfi , fi sfor:^ano di amma^':(^are il dei toanimaU^cot
JUccodapio , e di porro, ynadonna maritatadi frtfto , eUipegna fuor f opinione
di tutti, i*> luogo di parto, parto- r fuori (jtattro animati fmilaUe rane ,
e dop rif an affai bene f ifuli amili fono raccontati fra le J^etie delle rane.
Dice'Para- cel/b Digitized by Google . DiGIdiBtfttlIftaf-cIb^KXlb.II. tfj ii
'^eniWifehiif i 'i^lf^/no detiit ebe dieom y cht imd no iena di bafilicOt
inlime con dieci cancri di mare feflU oi^ ii fiume che cbkfni'^ CTidtti fi d4 luoghi ptoimi tutti few- hiyt^l
")/namico9 h'MBBfnmdHi}'^ Jpkk^lfilted^rtifittamrMU diprdur rpionl'i M ^e
si6en cbe fiA.di fneefi $f- vitofi'itjqidit^^^fi^mMi4he dice fiero diUtr
falfeeofit armando eoe in pochi giorni gme^wfiorpipni fi fiOtft(fi oinvna pignat'dtr et ir'acun, e
principalmente fealcunola :aldajfe al Sole ognfgtAtb . MM. j .-- -, ChcriminacciaOonradutioacoda..''. '
. Lferaer nafee neiraceo* ; vn . > , tnSone'ice Elfno e ^uefii animali
fidieok efemer, ebeJ ia la loro et Hoh'
ah^ ch bn giom'9 , yiumio della feccia del no jrbe vaWacto , quando tapre la botte, &
nati che fono, fu 0 muoiano. Il fiutneWppanouelBotforo Cimmerio , nel folMi
porta fico crti follicoli inaggiori di yn acin, e quefti fi rosi* no, e rie yengMO
fuori certi ncceUi, l qual jfitie di animalinou ue f non it^n i me^p gfomo , e
yola , ma cadendo il Sole nel- ')ccidente,cade\infermo,iT efiendo fitto\il
Sokegli.mtpte^il al fio riue pi di vn giorno , la onde ' hemerobhn , tio( tomo
la chiamano. ielmedefimo modo le '
' . . Pirigonc n afeei: hl fuoco . . : .
Si dice dal medefimo , e fino ammali volatili, chiamale da Gre- pirigone , cio
nati dal fuOo\ & iuyi*ono , e fi nodrifcano,e e volino di qu, e dt l, quei
d tneraui^ia, quello mirabih, e canati fuori di quel fuoco , fintone laria frdda ^ fubitoU- iano
layita effindo il fuocoornodrimeno .
^Bttuianebora la '' ! Salatnandra>he tiafce deiracqua. \ e SalaiSdre non
generano, n fi troua iM lor femna,
mafehio , fi me nelle an^iUc,i3f in quelli altri ammalitcbe no generano
at^- fi 'mfi. umdirMtvuoHe trdaBUma
Hoi4$fcpHinem> dignim^ ^g$ner0ti ;. ' ; Lape frafcon&dalbM.e^-.}
_ ,. tC>. $meEUam,'ch^Utj^e4ebufii,d4tfi>fi^ molte cotimot- '^k^i
frdLdtteicbfi'^^* mrt4oHHX mof/t-eofe , eccellenti, s \^lmeidi^ti4Vehe' delk Jut rti^quie -fine
gfttfrmo l^api , le firn hUe'ditutti.^
'i$tiUij(^m(r.\Dd^uaU OmdQ,^^ -h , :>.c
.jsjon vedi omc dimorando vnpoco>, : 5 Da v:0-'flu*docater marcirli i
corpi, } !t n :
Ber'alratitarG'jivpiccioJi animali -ji . ' . , ; ^ VadunqeTC ttcddi , e poi
Tofterra i corpi i, ob . . reciti iori3^ Cofa giftotjt) perche ljpi non fi
genera del \ifuO' fimgue,ementH fi comincia
battere , non. cominciano coi^ /ubilo poi fi otturino tutti ibufi
dcltoro-con di lino puro , e deli cote-impeciate , come fono gfi occhi ,
ienfrcicii'le- bocca , e quelle parti anebora , (he la natura lha prodotte
neceffa^ d buttar for' gU ofogementi^^ P diop-fitcendogi -orretfo di 'i timo ,
bifbgua coloraruic/^rtt if bue fupino , e poiefeano fuorvia; -, :e^meTa,.fitbitofiem^^^
port4 e^fc,/auflre, e turinole fffuKf
iueeibebe dtMtro noniti poffa enfrar ni aria , u vento, n foff^
oltrimetite.^ritr^'qfitO (er^ bi fogna aptirlefencflre e far che v catriillpme
, e laria; pura , la/ciandcufolamente cb'du- IjfqktHar parte da dour ^irafif
aUifu vento gagliardo . Cosi ^ - .^cbe qucUa materta- fitr^roj^iddaU, tebe timo
fie yeniu. , . I . i ' ' ' s^d Digiil^ed by C- o^l Di Gitfittiffe
teUaPof. Elb.II. ti Juffkiente y hi fogna ferrar dinttoM, elutar dinuouole
fffu^ . Dop vndici giorni aprirai di nuouo
( ritrou^rai ijueUa carne- tutta piena di api Radunare infeme mucchi, non vr rnrouan- altro delbue cheVqfa^
le corna, ^ tpHi^' Dicono che dal cer- ilo fi generano^i fifgi , e dille carni
PaUrt-api . dndla midolla il , ma i migliori I{egi fon Quelli, che ni^com dal
cerueUe, di bel- ila , di grande^^e, edi clre . 'biella prtma volta, che apri-
i Id cmra,ironera la carnegii trasformata in tetti aninudi ptc li ,
bianebi, femili fra ior , m tion anchora
perpetu , che fo*> adunati ifnitoeni al vi$etl' , ;.n: o-C-r'V\l ^
iijfe^aiopritnxtiatterimftrenolaog^^. % '
^Chadaeftifo'facQtt)inock>cberauni!
a:u ^x 'Cotrwlkkdimftrett,&hutni1 tetto ' Q^ttro irtfoffio habbfa
mari ydt ah-retance : t FcncArc) e'fi^ntrofietioii qatm> odici.
t\tlieiiceBatid i'. i . n ' Coi-nuta:
St.t Poi cobaftonf batte infnoi morte im . ..v Finche Ha tolo b , tsvi U? i-,
ci E t>er le coftc glrodoMei rkn . .
j'i 'j \ SicraponganpertQttOyecaniietifn:^ ' * ; '> n; Efeefchie ver(h^iaUid,ecifiioci'J.. : v*. is
Qt^andoZefiroIpmgefeprjmeonde^UM ' S Pria cbc fi vcggan roiseggiar i fiori . t
^ ^ . Peri Prai e aDcborpriache la
loquace */ H a Rondini .,,1 Rondine attacchi inidi intorno i traui , . ..''i .
Intanto rifcaldandon lhumorc , ; Per loflci fi vedrdincorno intorno , , , .
tbca . ''' r ' 5- -' ' 1 - : -j \ ifitdoro dice , che il crabrone fi dice da
cobo , cio (oMlo , pert tioche daluiigerurato , 7 Lape diftttili nafeonoda
n^uli . . . ' . i E d per autorit dr ifidoro^eM dijfisijnd gbfdfpf^fi.dtil
mulo. E lo cbiammo fuco perchelgode f fi mangia le fatiche^ d'altri . quafi
diceffe fagopercbe fit mangiacfueliot che b pgUfa ticato . Ma altri dtconi, che
onad/canq/iicW, malocuje. Emdtente dalle pi yilifsime carni ne mafconc ilpik
rildi tutti ^ ..... Scarafag^onafeeda lafino. . Dice Tlinio , fbr della
corroUi^t dpi. corpo delFa fino nt^eono i fcarafaggi. ifidoro dice , che de'
veloci cap nafeonoifearafaggi. Elianodice, cherfpetie Hi fcarafaggi non bau
femina^e feril mafehio pone il fno- fem .in qufUa ballotta , la qual va
rim>lgen~ do per lo fiiatio dkiicntiotto gipm * :O l* rifcalda * dopi par-
rifte il figli, I .. . . / ... D'alcuai
Digilized by Google DI GIoJBttifH ^IJaPfvLib.n. D'alcuni vccelli >
chenafcoaoda frutdpiitre&cci . . dcglialbcrit .Gap. IH. . ^ , >*1
Iirt-;' ' \ i r ; ^ ^ |k t '
Mapto nella 4efcrittione de pae^ Seil#>flrioii4/i dell Enropa, dice, che
vicino Seotia ri pn albero, dal cuifrn to ne nafcono certi pcceUi.Mufierofcri ^
ne, cbe fi tromno ceri alberi, che fanno ^ /ytt ri mito frale frondi^ le f imI
* t ausilo morto buttato in vn loco poco dop eferno fiate vifle hnn *
merabilianguiUe, di che anchora accade dagli altri animali. Ari fiatile
diee,cbe nafcno dalle interine della terra , lequali inteftine fofi in mare , come
ne fiumi , come ne laghi mqgimamente per cau* fa della prurefattione , ma nel
mare , doue fimo l' alghe , e ne'lacbif t ne' fiumi vicino le riue , il caler
fi, che pi vi entri dentro le par* ti, acctocbe fi puttefaccino . Verqueflo
iohconofciutovriami^ co , tlquale hauendo ripieno i vafi ai acqua , tempo ftfumrt, e dopi nafee di nuo ^mo^d.
ndeift Ognitempo deir afmo fi generano, e n^ono ne lutgho tiepidi iSf ombrofi ,
fempre che il tert{eno fe inupi^focm co^ in ^thene apprejfo Salamine , t mento
Temifiocleo in Maraconc^. ^jUcuna wolt i 'deoo^mndo piomta dalcielo , queilo
pifc'rcello (t nat>daU fonema, aleuna volta i portaU-per lafommit delle pn*
*4c> i' ' . ' I pefekeUi delle triglie dalla ptitrcfattlonc tf^rn
alira.fottit di pifoicclU^Ue triglie , che non' nafte dai toiioitl mafehior, t della
femina , ina dal lime (J arenai che coli ttkogbipabtdofih
comeinCtnidoanticamente fi narra nfetnan^ itkotl^bi, qiund^nfcioiA eamtida
dijceatx,& melTarid^^ Vi * aio* Digitized by Google ^4' ^ Della Magia
nahicila mo , ([Mmdo dop comincia ad tnhHmidirft p rr le.pioggti afoM cirrif
pefcicelU di fbetie di Cefali , della grande^a delle piccioli Mene, ne in altri
luoghi. Che infieme non fi gi*tngono,ne nafco no Dimatrnlortto'.narnda Idr Aefsi. " Come OArich dairhumldo terreno '
Non di Ainta rOArica da fcflb Ne fra
pefci hanno la femina eI mafrhio Ortiche, porpore, vnghie nafcono da lor Aelle
; Cos le patelle,pettini,holoturi,iT ftmili,cbe Hanno attaccati fco^ gliyC non fi partono da lor
luoghi,perciocbe come pojftbile farft
fra loro i congiongimenti, mefebiar vn corpo con l'altro , per viuerno,- come
lepiantel dunque le porpore, e l Ofracoderme fi fanno , e ge- nerano della
materia putrefatta, e di limo . Le buccine cos mede- fimamente nafcono. Le
limnoflree nafcono ne luoghi lutofi.Le con- che,vngbie,e i pettini fi generano
ne luoghi arenofi. Le madreperle nafcono attaccate fcogli con vna lana ne luoghi arenofi , e
limofi ,' e finalmente tutti i tefacei nafcono da per loro nel limo, e fono
va-' rij dalla varia loro differen'^i-.nel lutofo nafcono lofirigbe,nellare-
nofo le cochiglie ,gli holoturij ne buchi,
cauerne tiefcogU,i bala- nite telline, nerite , e mituli, le porpure, e
bucciue nella cima del. mare , e tutti dalla materia putrefatta nc liquidi
laghi , chcacca- dendo' alle volte per pefear commodamer.te far alcuna fiepe di
fa-' 'cine e pali dentro V acque , cpoi co'l tempo putrefatte , vi ci fimo
rouatigran copia di mituli , e leuati quelli, non ye ne fono piu fiati 'ifli. .
' ' '
' ^ g Della Maga naturale Che
dal tnifchiamentodi varij animali infiemc pofla- no nafcerenuoui animali. Cap.
j. V B M O gi pieno ragionato di quelli
animalt che n afe ono dall cUm putrefattionc^ , bora racconteremo come fi
poffano generare alcuni nuo~ ut ammali dalla 'varia congiontione dell'vno con
l'altro , e da quelli poi generar gli altri di nuouo , accio- che non mai venga
meno l'occaftonc di generar nuoui animali y emoflri maipiuviii. Tie per niun
altra- caufa, dipfe ^ri/ctele nel libro de gli nimaliy che lafrica fempre
apportaua cofe nuoue , fe non che per effer lafrica pouera di ac~ que , in quei
luoghi, doue era alcun fum per bere, firitrouauano fempre infinite fchiere di
varij animali,cos da lontani paefi , come da'vicini , i quali mefebiandofi fra
loro, o perforer , o per lo feam- bieuole diletto , nafceuanoda quei
matrimonif, animali di diuerfe forme , e molti mofhi , Da gli antichi molti ne
fono flati ferini , e molti ne fono flati ifperimentati di nuouo , e molti
trouati cafo\ i quali effempi molto
ponno giouare glingegnofi , come di ci
ne fotran far fede i pi dotti . Ma io non "vorrei che fpauentajfeua' gli
ingegnoji, le perfuafioni di alcuni Filofof , che dal congiongi- mento di yarij
animali ,nafcayna fpetie che non pu generar, ab- tri : e che da due animali di
diuerfa fpetie , non ne pu nafeer vn * di "varia forma de' fuoi genitori ,
e queflo in tutte le fpetie d^ gli animali ,per -veder folo , che il mulo non
generi , per vedernoji ri tempi noftri molti animali nati da diuerfi generi ,
che generino al- tri , e li generati da loro parimente generino altri . che
quella- fpetie fi conferui per fempre . biconufneuoleadvnfauiocon 'effempio dvn
folo , far legge cori rigorofa , che babbia flringerfi, in tutti gli altri ;
poich nelle noflre cafe , e nelle yille, ne dome - fiici animali , perii vario
loro congiongimento , generano fpeffe volte yna fpetie, e quelle poi reggiamo,
che generano gli altrif e tanto di afpetto , e di corpo fon varie da' primi
loro progeni- tori , quanto fi vanno dilungando per numerofi congiongimenti da
quei primi 'genitori , che appena virefti vefligio di quella prima faccia
Digitized by Googlc Di GIo.Battifta della Por. Lib.IL y faccia , ouero corpo .
T(oi prima raccontaremo tutte quel le che fono fiate fatte da gli antichi apprejfo quelle ifperimenta* te di uuouo
damodemi ; e poi quelle , che ho fatte io , e viftone in narif paeft accioche queftegi ritrouate ogni curioj , '
ingegno fopof!a da fe ageuolmente ritrouarue dellaltre.Ma prima che ven ghiaino
a trattar dell' efperien^e,mi par tfa conueneuole e neceffa- ria,narrar alcune
regole degne da effer ricordate , lequali fono fia- te ferine S ^iflotele e dagli altri
che gli animali piu egcuol- mente fi domeflichino fra loro e fi
congiongano fcambieuolmen- tee s' impregnino . "Primieramente che non
fieno molto differenti fra loro di gronder di corpo , ma chc'poca o nulla differenza ' fiafra loro perebie fe
molta vene fia non fi mtfchiaranno gia- mai fra loro La grandezza * quella del lupo fimilct cosi quella del Leone e della Pantera dell afino
e del cavallo , e fra gli vccelli quella della gallina, e della
pernice il falcone, eI fparuiere. Perche
affd fconciamente accompagnerebbe alcu- no il cauaUo al cane lelefante alla caualla i pafieri, aUe galli- ne . Bifogn anchora
che porti nel ventre egualmente lvna e
lal- tra inette, perche fe -vn animai porter vnanno nel "ventre & vn
altro per fi mefi , a tempo che lvno harebhe il parto maturo iSt voleffe
partorire , l' altro bifognarebbe che fufe imperfetto cio mezo computo . Il
cane porta nel ventre due mefi , il cavallo de- deci , e dice il Filofofo , che
non pud nafeer l animai fe non nel fuo tpo giufto . per quello non pu nafeere "vnhuomo aa vn
canene vn cavallo doM^ elefante, dunque nobifagna che fieno differenti lvn
daTaltro nel portar del ventrelsifogna anchora che gli animali che accoppiar fi
debbano , fieno lufioriofiffimi perche
quelli animali che cafti fono che fol vna volta lanno al coito inchinati fono,
fe man ea lui la donna della fua fpetie
^ prima che rivolga lanimo , e che - tinchini ad amar vnaltra, paffa il tepo
del coito, ma quelli che luf- foriofiffimifono,fimulati,e fpronati aair
ardoreciechi dalapaffio-, ut don dentro e in quelli animali ebefono della fuae
di altra fpetie^ ~ ' 1 2 Fra ' ^8 Della Magia naturale Fra quadrupedi t pi
lufiuriofi fono icani , i becchi, egli afini ,fra gli vccelit le ferrile:,- le
quaglie, le colombe , ij i paferi . Bi fogna anchora che' fi giohgano
tnfieme tempo idneo loro congtongi- menio:perc he ogni animai ha
certi tempi coflituiti, che cominciano
lujfuriare , che tal la N^atura prodotti l'haue . il communc tempo d
tutti del coito quando pajfata
rafpr/g^adell'inuerno , comin- ciando la tiepide^^a della primauera , ijuafi
tutte le fpetie de gli aniruali fi rnuouonoalcolto ,e fi rifcaldano dt\libidine
. Bifogna anehora che fieno di et conueneuoli , perche non perogni tempo ma
certo \ordinato dalla natura nella fua et fi muoue quella virt
/minalcicbe negli animali nouelli le prime emifsioni de fetni/^ fo- no
infeconde, fono in becillr,- nde
ciafeheduna jpctie conjlitutta'
dalla natura l et prolifica alla generatione . Ter fia lArno l'al- tragionane pan, non imbecilli, o troppo eonfumate.Ma fe
per cafo gli animali non fujfero troppolufforiifi, faremo oon diuerfi
artefieij. Che gli animali con pi :^dore s accomodino al coito . Ffela femina
non riteneffe il fuo feme ,far di modo, che non lo butti fuor a . Molti fono i
rimedij accenfiui della lufiuria fetitti dagli an- tichi , ij vfxti apprejfo
noi molti . Scriue Eltano far,cbe^i ani-
mali attendano pi al coito , che i paftori delle pecore , delle capre^ e delle
caiialle , al tempo del coito gli debbano fregar con le mani onte di fiale e
nitro, le parti genitali delle femine , accioche conpm ardire fimmuano defiierare il mafchto , ^Itri l'vngono co' l
pe- pe , altri del frutto delle ortiche , altri di mirra e nitro , perche da
quella frecaggione nell t femina fi commoue molto la li^uria , cosi volentieri fo^ifcono i mafehi . E i
becchi li fanno diuenir pi pron- ti al coto, fi s'ongc'anno le loro narici ie
la barba di unguento odo- rato, Coti al contrario,legando le code loro net
me^,chefitr affre- tta molto dall' ardentifiima voglia del coito . Dice
^bfirto, che fa i mafehi pi ardenti al coito, fe fregando la mano aUa natura
della caualla , e fregandola poi per la bocca, & per le narici del
cauallo Dice Didimo che fa molto
gagKaxdi i montoni alla generMonc-
dandogli fpefio mangiare l'berba
poligono , la onde non fola ejfi ma le
reflanti fpetie di pecore t^eccitano al coito, Tlinio d i man- giar le cipolle alle pecore, per
accrefcergli voglia , e forga del coitOp non men che fa la rncehetta aUhuomo .
Et aUafine , accioche dopo . il coito non ributti no il feme fuori , dop latto
con buone baronate il fanno correr per forga ,jpargendo acqua frefea ne loro
genitali, c l quali Digitzed by Di Glo.Battifta della Por. Llb .11. 6 f I qu
ili r medi , e molti altri fnntli ritrouerai fparfiminte defcntti ne libri di
coloro, che ban fcrittohiHoria de ammali,'. Come fi polfano generare oani forti
Tsimi, edi altre virt per lomiCchiamentoconalaianimalk Cap. 6. da cani, per non
hauernoi animai pid domdlico e familiare, e per ejfer pari di grmdt Xr C ^a, e
di tempo aTimpregnatione , lujfurhfotfem- pre ai cotto apparecchiato e che
ageuoliffimamente f mffchia con quelli della fua jpetie, T con V altrui t
annida lui molto dtffmile, mutando babito e forma,iJ emendando in lui alcuni
'vitq.per gua/rdia ,e per le caccie,J
~varij vft,tr pi ~ t; atto rendendolo,e primicramente,come generar fi
pojfa il Cane indiananco da tigri fortifsimo. Queio come chiamato-da varij fcrittori. mafino , robuHo
, guer- . riero,i!T hircano . ^riflotele dice, che nafee dal cane, e dalla Ti-
ft,e li chiamano indiani, E cosi in altro lucgho nafeer dice dal ca- ne,^ da
'vna certa fiera fenq^a dire il nome . Vlnio "vuole che gli cani indiani
fi generino dalle tigri , e per quando
lor tempo del coito legano le cagne [emine nelle felue , e che da primi
, e fecondi parti dicono che vengono troppo fouer chiame nte feroci , [ma i
ter^i gli allenano . Eliano dalle fcritture delle cofe indiane ne caua [hi-
noria del can robuflo,e la infogna . S'eleggono le cagne [emine ge- nero
fisime', cosi eccellenti di inueftigar le fiere con la figacit del- l odorato ,
come anchora che fieno -velocifftme al corfo , e quelle fi portano in luoghi
doue fogliono babitar le tigri , e condotte in quei luogbitle attaccano gli
alberi , e poi fi partono , nelle quali incon- trandofi le tigri ,fi caf fi trottano non batter fatto cccia di
altri animali, e fi muoiono di fameje Hracciano in millepe^^i,mafiper caffatif
di cibo , & infiammati di libidine ,fi giongono coloro nel coito , da
quefio mifchiamento con le tigri , e cani , non viene na- . [cere yna tigre, maimbaflardendofiil
firme , il figlio riferifee la forma della madre,d:uine vn cane,ij quelli cani
nati di tigre,noi fi degnano di cacciar cerui,
cinghiali , ma ineontrarfi ccn Leone ' b^nofomma vagher yn indiano di gran qualit mand ad uilejfan^ 7
o Della Magia naturale ^Ulptndro Magno figlio di FtUppoB^t^ilcum di ^uefli cani
, de* quali fe queila ifperien^a. "Primieramente lo pofe caccia con pn
cento , m il cane difdegnandofi di tale inimico , non fi moue^ ita dal luoco ,
dotte giaceua , e dopo poftolo con "vn cignale , refli anchora immobile
> come hauea fatto col cerna > e dopo pofo infie - mecon-vnorfo,
difpre^^ando medefimamente Ini, come gli al- tri ,fi rattenne di a^^uffarfi con
Ini all'yltimo ci pofero r>n Leone, ilqual vedutolo, cosi tutto s'accefe
dira, come veramete fujfe com- paruto in Heccato *v combattente difiegnofo ,
fen^a alcuna tar dan^asauuentdaddoffolni, e tenendolo flretto gagliardijfima-
mente , le Hr ingena la gola , e lo fuffocaua ; allbora quell India* no , che
banca (U moflrare al quello fpettacolo , e che molto ben conofceua la robnfie^a
dellanimo di quel cane, eia fisa coflan* ^a , prima li tagli la coda , ma egli,
per non rallentar tunto i den- - luche banca fi^i nella gola del Leone ,
facilmente foftenne tejfer- gli tagliata la coda , dop li fpe^ -vna gamba , ma
e%li come ba* uea da principio cominciato
ftringerglil gola, per non rallen- tar punto il moffo, non fe motiuo
alcuno , apprefioli tagli il fe- condo piede , ma egli fe quel conto del piede
,cbe hauea fatto del primo , come quel pi fuo flato non fujfe , apprejfo li fe
tagliare il ter^o , ig egli non per queflo rallent punto la bocca dal
Leonc-M dibora volfe anchora tagliarli
il quarto, ma non per queflo dine- nulo piu debile , ne lafci punto il Leone ,
con tutte le fue for^^ attenaeua fornir
di vccidere il Leone , dlvltimo tagliatogli il capo , fe benil corpo era
feparato dalla tefla , i denti reflorno coA ficcati nella gola del Leone , doue
prima li bauea attaccati , che pendeua la tefla dalla gola del Leone , e dopo
morto andana quel capo fpen'zplato . Ma^leflandro fentendonon poco dolore della
morte del cane , e fupefatto della^grande^^a, e virt di quello, che bauea dato
tal faggio di s, e del yigor del fuo animo, che ba- uea pi toflo 'voluto morire
, che mancar di quella ^ande^i^OLa i Riguardando queflo lindiano , gli don
quattro cani fimili a quel- lo, ma egli con grato , e giocondo cuore ricen dall
Indiano quel Prefente , ' colui che
donato gli l hauea , don tal prefentc^ , qual fi conueniua al grandtfsimo animo
di quel Rg . Quefie co/i racconta anchor Files . Ma Diodoro Sicolo , e Strabene
, dicono, quel Re che fujfe flato il Sofire , e che ne don cento cinquanta di
quei cani ad ^leffandro , i quali grandi , e robuftiffimue diceuar- 1 Di
Gio.Battifta deIlaPor.Llb.il. 7 i no che erano generati del fctne delle tigri.
Li medcftma hifloria fi legge appreffo
Tolluce . T^c molto diuerfo da quejlo il
cane In- diano defcritto daVlatarco. Vn certo cane Indiano (dice) il-- quale
era | primo tra gli Indiani , e che haueuxno combattuto con ^ilejfandro ,
ejftndo portato in vn Reccato , mentre gli foro por- tati innan'^i ceruit e
cinghiali , or fi., non facendo conto alcuno di toro, nonfileumaidadouegiaceua.
Ma come comparue^ iui m Leone , fubbito rifnegliandofi in vn momento , cominci
4 fparger l'arena coni piedi , giudicandolo degno fuo competitore^ e guerriero
comparfo contro lui . Tlinio dice cosi . ,^ndando nel- l'-lndi -4leffandro
Magno y ilRg di Albania gli don vn can^ dSnd fmifuratagrande^'^a, fi rallegr
,Alejfandro di tanta gran- de^'^a , lo pofe
combatter con or fi , con cinghiali , e con cerui ma non per quelli fi
moffe punto il cane da doue dormiuO- . Ma quel di tanto generofo fpirito non
puote fopportar tanta gran- de^t^a, con tanta codardia , e ne refi non poco
offefo, cosi coman- d che fuffe ammainato . ,4nd la fama di tal fatto quel Re do- natore fece ne mand vn altro , con
dirgli , che non voleffe feeder la prona del valor di quel cane, con animali
debboli,ma con Leoni, cuero elefanti f e che non bauea pi di due l'vno quello che banca vccifo , e laltro
quello, che mandato gli bauea . T^n tard molta jllefiandro veaerne la pruoua , e pofiolo combatter con
Leone , laperfe in mille pe^t^^i , e poi comand fuffe menato "Vii
elefante guerreggiar con lui , ne mai
daltro fpettacolo hebhe egli pnaallegre^^a maggiore: perciocbe fe gli
indri^'^orno per tutto il corpo i velli , e poi con vn horribil latrato, fe
rimbombar tutto quel lungOftl affaltdo la belia, di qu e di l, con grandifsimo
artificio di guerra landana ftraccando, eriuolgendo , quanto gUpareane-
teffario , e quando veniua affa Itato da lui , l andana Rr afuggendo quanto
poteva, finche tanto lo fegir are, che mouendofele vna ver- tigine,cafc in
terra, tremando, e fcuotendofi in tutto
fi gran pefo, Gratto ragon
ancbrgli del Cane. r Ne lalor ferit bada alle genti Hircane , eI feme anchor
dentro le feluc Portano, lor Venere ideiTainfcgna Come fra loro il matrimonio
fegua . All'hora il fiero adultero diiiene Manfucco , e fc di gionger eoa la
ugre Ardifce Digitized by Coogle 7 2. Delia Magia naturale Ardifee il cane , e
di quel feiuc altiero IsJe.rtftaal cane ivtcro fecondo. 11 cane Lcontomigo dal
Leone. numero de cani robufti e cacciatori fono i Lentomigi detti . ^ Dice
Tclluce. J cani Arcadici fono nati di canUe di leonine ft cbis-. * mano
leontomiges in Greco . Quefe cofe medeftme dice Celio.! ca- ni jtr cadici fono
commendati molto da Oppianot chiamandoli Te- geati,da Tegea cafello di .Arcadia
. fojft anebora vn me^affra Cane Toe forte e veloce . .,4riiotele dice , che il
Teone ba ogni membro di dentro ftmile
'quello del Lupo , vn animai e&er e cosi robvfto e gagliardo, che
cS- > batte co\Leoni,e con i cani,& efer velociffimo.Tlinio dice, che
(ia. de fpetie diLupo,Heficbio fimile alLupoiurodto che nafea in nfri> ca,
Solino lo chiama Lupo etiopico.Tiearco le tigri ^volgari le cbia* ma Toi,&
effer di -varia fpetie, la onde i cani generati da Toi,d> che fon forti il
atti alle cacete, Gratiano li chiama fmifer\,poid^j nafeono di cane manfueto
animale,e del Toe fera feluaggia - Quefti il fuo fangue dal Toc fera trahe '
Chaltro can non f trona / che di lui > Habbia maggior valor dentro al fuo
petto v* Melle battaglie, e nelle caccie
audaci. - appref- fo.per fargli piu gagliardi per le cacete , e cacciarli
innanzi a fiere maggior i,o fargli piu afiuti , cornei padri, epm tngrgnoji .
Ver efSer i he s mi fi ano non filo le doti del corpo ; ma ^uelle deU'animo am
bora, e con fiato pifio per efperien^a .
Ouidio parlando de'e- tiidi^tteone j del
padre Cretcre>e della madre . Labro , e Aglaode > Tt Oppiano nellibro
della caccia m j Ma te fi piacer dhaner
vn cane J)i "enerofo padre, babbi penfiero . . Che nella primauera lor
congionghi. La primavera d Venere diletta.
congiongi fra lor fpetie eccellenti Di generoli cani , con gli L lei
Mefchia quelli di Arcadia, e quei di candia Con gli Vnghcri.c gli Traci con i
Cari , Et 1 Laconi con i Tirreni cani ^ . ,
giongi di Sarmacia vn bello /pofo v . Conia moglie Spagniuola. Come n
producili no i Cani, che feruotio per piaceri. Cap. 7. [ ^ familiare al'huomo , e er conuerfar tanto
domi fiicamente con lui , dimofire> remo come poffa farfi afiai piccino, e
che gichi 'volentieri . come prima fi pefia generare , e poi come allettare . E
fr.mieramente 1 cagli uolini piccioli come fi generino. Frano anticamente in
pre'^o , e nelle delitie delle dorme i cagni- Moli, che nafiono neU'ifola di
Malta , fitanel fino Adriatico, non molto lontano da chiamati da CaHmacbo
Melliteo . Come fi f affano generar cosi piccini , par che l'infegni arinotele
nel libro de problemi, dicendo . Ver che nella fpetie degli animali fi trouano
alcuni piccioli, alcuni glandi di corpo, della qual dimanda fipoff^. DIgitized
by Google DIGIo.BattlfladelIPor.i:ib.II. 7? no affegnar due raggioni, che pud
venir d per il poco alimento, d per il picciolo luogho doue t'aieuan o,il che
fon molti che li fanno dopo che fono nati, come quelli, che gli aUeuano
rinchiuf$ nelle gabbie p perche ne auuiene, che fe ben'alcuni fotf piccini,
hanno tutte le par* ti del fuo corpo rifirette infteme, come i cagnuolini di
Malta, e la ra- gion , che come fa il luoco, quello iSitfiofa la natura .
Scriue ^te- nto,che Sibariti erwo in
grandifsimo preggio i cani di Malta , i quali cos fono nella fpetie di cani,
come fonoi nani fra gli huomi* ni. Qu^fi s'hanno cari filo per piacere, e
s'alleuano pompofimente t non ad alcunvfi . Quelli che s'elicono queflo vfo , seleggono picciolijffimi i e che
dopo che fono gi fatti grandi, odi et compiila non auanjano la grande^':(a di
vn topo . Sia di corpo quadrato , di capo picciolo, di picciolo mufi , di nafi
feiacchiato , quelli per queflo effetto
fi gltfpc\^a, quando fin nati difrefco , di orecchie^ lunghe,di gambe
breutjjime, di piedi fretti, di coda lunga , di collo i^fughepo , &pelofi , che cadano ipeli
inflno alle braccia , e le re * flanti\parti come fuflerorafe , bianco ,'e
tutto dipehhi^futo, dipeli molto lunghi . Quefli dopo cbhifi in gabbia gli
darai poco cibo, e che giamai /atolli fi -veggano , i; harai penfiero che fi
congiongano con gli altri anchorapiccioli,aceiocbe quelli che nafiono ffieno
piu pic- cioli . Cosi dice Hippocrate de popoli Settentrionali, che da che fi-
no bambini maneggiando i loro capi, ij acciaccandoli li fanno lun ghi , acci quando fieno di et,renino i capi
di quella frmi^, e cos dal finte di quei nati gli altri fintili , vieHe farfene la %etie di loro . Ma fi tu vuoi
, che nafcavn can buffone ' f che giuochi volentieri, e che /alti di
qi,edi l,e che lggiermenU latrt,e che morda fen^a offendere , e che fi flenda
le mani dinanzi fiondo dritto, e che buttando alcuna cofa,la ~vada torre, e fi la por ti con la bocca, fallo
conuerfar con le fimie , e far con toro continu- 'mtriaheimparer far cofe affai
ridicolofe,e buffonefihe,e fi auer- ri
cb'e fi coi^ionga con loro , il can che nafeer da qieflifimi far i il piu atto
di quantreani fi trovano i giochi, alle
buffoneria, come fgUono i ciarmatori, che nelpublico gli fan fare cofe da
hiflrioii, te da buffoni . Scranna anchora molto acconci a far ci quei caniche
ipafcono dalle volpi, tome Alberto Magno ce lo infegna. ' ' a Come Digitized by
Google j4 Della Magia naturale . Come alcrioienci pofsiatno emendare i vitij de
cani. ' Cip* 8 0ssiA,MO anchora con altro modo emendarti vitij de cani ,
indneerui nuoni habtt virtndi, \ cio con gli alimenti, che fftjio habbianu)
infegna- to altroue, che i cofiimi fi apprendono eol Ulte., Ter far dunque i robuft:,
e veloci felo infegna Columelh.Quando yoglian^ confemare igemrt^ c* fiumi in vn
cane, bifogna , che non li diam a lattare aa altri cani penbefempre il latte , f lo fpirito delle
matrt fuole accrefeere ,g grandegga,e forgi di cerpo,e maggior fpirito.Oppiano
vuole, che $ cani > che bunn a fisruir perla caccia , non fi dieno lautare 4 cani dome ilici , ne capre, opecore, perche 'vengono e debbdi e
pigri, ma cerui o leonejfe manfitexe,e
domefiiche, ouero capre ^ie,o lupCfChe
cosi veranno e robuHi e veloci.E dite cosi. Ma le tu barai de (io che (eno i
tuoi ' cani ben aileuati , non darai Quelli.cliefugonfuordaUc mammelle . 11 la
ce delle pecore , di capre Che di preggio verun veranno.e pigri Ma
fucchi il latte di veloce cerua ^ ^ ^ O di Leoncil^ mstph^eta. o l*iipa, * . O
di feluaggic Capre,c all'hor robufti ' *
E leggieri verran (imi 1 quelli . Daquailucchiatpharannoil
primolarte. - Quefle meaefme cofe dice Eliano.Setudesij allenar bene icagnuo- .
Ityguardati dargli latte di capre,di pecore, odi con domftici,pi^- _ehe
verranno poi deboli,e poltroniima babbi cura che fucebino laue . di cerne, di Leoneffe manfuefatte, di damme, o di lupe
, che cosi barai i cani e velaci, e robufli , che quando fi ricorderanno che fimo
fiati nudriti da fimili animali, terranno
vergogna non effercoti ^ veloci, e robuH ,eome queUi,da quai hanno
fucebtato il latte. l*oUur~ . ce "vuole, che cagnuolifi debba dar in cibo il latte materno
, dopo [angue i animali che baran prefo
i cani , acfioche fi affuefaccino pian piano
viuer di palio di caccia . Etefio Gnindio . nt'Ubri che f enfile delle
cofe dell'india dice, che i popoli Cinamolgh 't, allenano Digitized by Google
'I i ' i4* eo i tei mi iri. )* ,p^' /4 .fall jop rciM i che li *s-
DIGlO.BattifladellaP0r.Llb.il. ^7 I MBi col /altf di hue,i qnalip ili combattere coni buoi ttidiani, che fono
fcrocifsimr.^e gagliardi f abbattono , e glt Mnma!(X*o t Vifeffi Cinamolghi premono il latte di cani
^efeb beuvno , come 'tu ibeHamo il latte delle pecore ,d delle capre , e quejio
Vbabbtamo da Eliano.E Solino ferine che perci i Cinamolghi di Etiopia hanno le
bocce y>fritt fuori, ij il nafo acuto, come i cani, Haremo anthoro co'l mede
fimo modo come fipoffs Far vn Afino nobile Se fubitOtChe far nato vnafino, far
tolto da fatto la madre , e far fottopoflo alle mammelle dtrma caualla
ingannandola in gualche modo aliofeuro , togliendole il figlio fuo , che cos fi
potr allofcu- ro ingannar ageuolmente, lo nodr ir cime fifuffedaleinato, e fi
continuer per dieci giorni dargli del fuo latte , lo continuer per fempre,
cos-veitafafino, e ptu grande, 4S in tutte le cofe affai migliore dell' or
dinar i6^ % Il I I mi IH I ^
CpiTie fi portano produrre diuetfe ^petie di Muli . Cap. ,9. . ' . r " ' vi trattale no delle mefiolan^e
de gli afinedt cauai!i,e di altri animati qualife ben fora no^ V) tiffime molti , ci aggiongenmo moke cofeda K ^ "
fo'i'fe non difpiaeeranno Rettori Dice
Eliano'da Dethocrito, ciocie mule non fo- no opra di natura imarnadulttrio
inaentatfi dilli huomo,& tm furto, e che
eofo ynafmo.d di Media facendo for^a ad iena caualla cerne dice Varrone ; la onde thi "vuol
far yn mulo di gran Digiti:^ed by Google w* ' DelkMaglahaturale :. ! tarpo,
eg^Uardo:ma non veloce, bifogna.cbe babbi vna caualla di rran corpo, e offa
fode,e gagliarde . Ma cerca V ^ ^ HinnodalCaualloedairAfina. . tronar vnafma di
gran corpo,e di mmbragagUarde,e p^- venigima alU4aca,e che fu di corpo non ff
jrenerat.one,ma di buono intendimento: perche ilfigltofe ben tirer il nome dal
padre, che fi chiamano hmni, faranno per tutto fimtli ol- la madre , haur la
giuba, e la coda ,fimtle all afino ,ma l orecchie fono di cauallhdi corpo minor
del mulo, nonfimmo tl freno,, notLf iaflatorgli la tardit. Ma piu eccellenU di
tutti fono t , Muli veloci dalla caualla c dallafuio fcluaggio . Fra lebefiie
non fi troua migliore, e di animo c/ la;che nafeer dall afino feluaggio,e feben
il figlio di quefloft afSo- migliar
alquanto all'afi no,e non per^ indomito, diro al me le ccfe/eluaggie,di
corpo magro,cheraj,prefenta tutta la del padre. QueUi fi genera dall' afino
feluaggio domenicato,e man- fefatto, e da -vna caualla ,USfionoda loro le mule
veloctffime nel corfo,cn i 'piedi mlto.duri ; ma di corpo. magro,di animo
gfnerojo ma indomito . Ma di qucflagenerattonc fono meg jo f nipoti , cbei
figli , perche quando il figlio della caualla , e dell afiino feluaggiofi
Xngimge dinuouo'conUcaualla, ^oco,a poco domQicandaft unti feluaggiexia, ifigU
che ne nafceranno poi ^ madelpadre,ro,e da vna caualU.'hloi ne bauemo rifii
alcuni iti Fer- rar a, eh' eran di forma di mulo, ma il capo d vitello, e ne
luoghi dal- le corna vi erano duo monticelli, dvna ferocit indomabile , c da
non flraccarfi mai,di color nero, di occhi di toro, del qual fpettaco'o mi
compiacqui olir moio.H intefo pur jffim molto volgati m T>iQ llFttill . \ \
, * Come fi mefehino fra loto le Caprese le Pecore. ' , -
Cap* IO. ^ accommodar alemi vitij nel montone, e r{porM a'cunc parit in lui piu
nobili , o mefchiandoli con i S* f fduaggi , Mero con fmtli e non troppo lon^ y e dfnant^i pecore, ouer montoni, ma che
nonpoffcmopi'nereie perogiitlegpera cofx muore il parto. Ter- ebe i montoni
quando iuHeixbiano ,.dtuengono piu gagliardi , e piu lufiuriofiti; deurte volte
caualcano le capre. Dalle pecore, e da'mo- tonifelaajigi , congiong^ndofi
hfieme tfannoil parto, che ritiene il colore delpadre , e quello dura per futte
le gencrahoni , r per i loro ffoti e lalana neprimi figli hirfiita,ma ne
nepoti, e negli altri di- itRe molle . Ma al contrario il. > . Il ,1 Jl*. i
i Ciniro fi produce dalla pecora dal
becco . Il ntdffmo .Alberto dice , che il figlio della pecora , e del becco
thimafi ciniro . Ma veramente fiato
ritrouato n>n lodeucle aduU ttmfaryn , Partodvna caprafeluaggia & dVna
domftica . Scriuotio gU autori , tbe qualfiurglia Jhetie di animale feluaggio,
mc fnniUbefiie,MdreiCci^ lumella,'^io di Giulio Columellathauendone comprati
alcuuidi tra^ [port ne fuoi campi, c domeficatoli li fece coprir le pecore',
cmefle primieramente prdduffero ffglibirfuti, ma del color del padre ^ e
cjucjii fatti caualcar pecore di Taranto , fero i morttoui poi di lann jnu
delicata, onde dalla concettione di qntfli due, ritennero la mol- Ic^'^a della
lana maternatO" tl colore de loro aui. il medefimobab biamo efptrimeutato nel porco , perche,
Lhibride nafcerdal porco i'rluaggiocdomeAico V eggtamo,perchche il
porcofeluaggio infiammato di libidine,
4T arde, e hrufeia dell'ardor del coito,, e [eia femna cerca sfuggire^ quella
fua arJcntijffmaJibiditu, U candeaptr jor^a, nonfovnt- o alirimcntc,la butta in
terra, amma^T(a,e fi alcuno de porci fefr Maggi fi domejlica,dicefi che non
concepouo, conte foche, i cinghia- ri,iJ i ceruifi quali nudriti dapictUoli fra
noi,nonconcepoao,madi tutti filo il porco feluaggio con lunghe^a di tempo ft
accoppia' poi co'ldome/iico , e quelli che nafeono/U quefli fi chiamano ibridi,
cio mc^iferi.il nome par compofio da ibrin , che chiamano^ coloro per
ingiuriargli,cbenafcono di adulterio, cio bafiardi. ' , * Dal
mi/chiame nto di diuerii aninaliictferno generau varij animali. Cap. 9, .4 diuerfi animali
digeriti di fpetie,nar- r eremo hor qui le mefcolan^e , e poi di quelli gi
generati, ne andremo e fper mentando dell altre, accioche confiitus^ mo vna
fpetie defiderata,e departi , chi riterr piu del padre, e chi della madre,
confideraremo, acci poJfiamprodnrviC animale quale defidcriamo,. Trimiee-
rumente Dal leardo, c Leone generare vn Leopardo. DallcontyC da!p.irdo ,
nenafee il leopardo . Dicefi che la Leonejfa,
ar.ientilprri.i ilei coito >, " il Icone per il contrario , non troppo amico del coito.per effer di
temperamento fuuercbiamente caldo , e perci laLeontJfi introduce nel fuo letto
il par do, e quando poi viene il tein- .
DI Gio .Battifta della Por. LlbJI. 8 1 l tempo[del partoriretfugge
tte^montUdouefogliono^eonuerfar $ par- ti t perebei figli che partorifeono fono
di pelle macchiate ^ e per quelli nodrifeono neledenfiffimeye remottffmefelue,
fingenaoal- lontanarfi da'mariti , con tfenfa della caccia , per che f per cafo
fi accorgono i Leoni di quei figli , l' veci dono . e li ftracciano in mille
parti -y come figli baflardi , eftUfi . Da Filoflrato . "hie luoghi
feluaggi d'Hircania non fi ritrouano iVardi * il fecondo gene delle pantere,
affai conofciuti,ne fe ne dee parlar molto come patri baflardi di par- di, e
delle Leoneffe,e generano Leoni, ma ignobili. Dice Solino. Dall* adulterio del
pardo, e della leoneffa mafie il Leopardo, e fa "vn altra fpetie da loro
ter^a. lfiodoro:quei Leoni che fanno i pardi, fono fin- ^a "vn altra
anchur armata dt animali del Lupaie det Hiena, co^ me ferine HefienoeVarino ,
ne nafte pn animai detto da Greci Thoe . Il fchoUafle di fiomero dice , fmtle
idi' Hiena , lacuali altri abiamano ebaos. "Plinio* I giochi d$ Pompeo
Magno, primieramen- te moftraro il chaot,da Franceft detto ra^,dt forma di
Lupo, con le macchie di Pardo.Ma da Greci feritto vn altro mirabtle adoteria
Dal Porco>e Camels nalce ilCamdo Batcriano. Serhte Didimo nelle Geoponiebe
Greche, nafeere il C amelo Battria^ HO in quei menti , che fono nell'india , tl
qual concepe dal Porco- quando panno pafeendo infteme , nafee dal porco mafcolo
, e dal Ca melo femma , e che ha fiipra le f^aUe due monticelli . Ma ft come
dalle caualle , e dftglt a(ini, il mulo porta pi fembian'ga del padre coti il
camtlo Htfce dd feme (kporct , come indicio di ptrt.di for- ila, e di pelo
affai denfo , ne cade cos ageuolmente nel luto come il eamelo, ma da fe Rejfo
per la fuafor^a rtforge, e porta il doppio del pefo che porta gli altri E
chiamano mentamnte Battriano , perche U primiera volta nacquero in Battro .
Varie miiSionideUhuonuhe delle fere. Cap. 12 - r i^er^e^o veramente, mt
vergogno dico di feri- nere , che Vhuomofrmcipe de tutti gli animali hauerf
mefehiato con le fere, e che ft vedeffero i parti dt mega fera, e mego huomo ,
e quelli dir fi poffono piu che ferini ,
pi che befiiali , noi a befiemare la
cosi brutta memoria dinotali ,
difcaeciarla dal mondo ne racconteremo alcm ' fi i Dgitized by C' OgU DI
GIo .Battlfta della Por. Lib.II. ejempi , Tlutarco che le beftie pojjano
innamorar ft d'ani- ili di ynaltrafpetiet e che fola l'huomo impa^^tfce per ft
ncfgn- piaceri , che molti fietM , che non frvergognino ginngerft con le
uallr,coH le capre , cr altri ftmtli animali nefandijDtmamente- . lhuomo
luffurioJijUtmo fra tutti gli animali tifTin ogni momento umpo fempre
apparecchiato a lufiuriare le perche saccorda con Itt animali, coltempo dal
p&rtare in ventre,lequalt ctfe ft ricerca- a far fucili cosi fatti
mojirifici , e femtferi parti , e feben fcri- m cofe da non fcfiuerfi , le
fcriueremo pure, che da cosi infelici iraccianuti sapre lingegno ad inueftigar
V altre piu merauiglio- pre della natura. \ Strine Vlaitdtco n ei conuito
defapienti in caft Teriandro effr fiato portato da vn Taftore Da vna caualla,& huomo nato vn banrbino .
cui il capo , il collo f le mani ejjerno di huomo, le recanti parti di talli ,
il pianger dt huomo , bauendo quefto mirato Zalere bauer lo Veriardro , che quella non gli parea cofa cosi
prodigicfa^ , andata da dei coti por tentofa,dmoflr and ie hueano da fufci- 'i
molte inimicitief e molte feditroni, comeg^udicaua Dioci^^, md r cofa naturale
t e per conftgliarlo, che non tenga gouernatori di alle,che non habbino moglie.
Il medefmo dtfie ne paralleli , per orila di -4geftlao,nel ter^o libro delle
cofe dItaliaeffer fiato tm uio Stella t che odiando infinitamente le donne , fi
conuterfe ad tr "vna caualla, dalia quale ne nacque "vna donna affai
bella, (7 po chiamata Hippona . Et il
medefimo Tlutarco narra Da vnhuomo,& vnafina geticrara vna donzella . - 'C
fipne .Arifionimo di Efefo figlio di Dimoflrato', hauendv molto in il/ffo delle donne, fe cougionfe con vn
afina,laqual alfuo-tem- Partori vna giouane belli jf imi , chiamata Onofceli ^
e que fio dice trio letto in ^ifiotele,nel libro delle cofe mirabili, al
fecondo . ci par mpofsibile Galeno , ^
alla natura ifiejfa,perfarfi lo-a 'ione, chepoffa portar figli a luce di
animali paco differenti fra t ne perche fi facci il coito deUhuomo con vna
caualla, la "ice ri cener lo fperma, per bifvgnarui piu lungo inflrumento
giongerui in quelle parti , e fi per cafo fuffe pia lungo del do- , corromper
il feme ouer allhora , onero non molto dopo , e ituncjue fatto il coito apprefo
il feme, e ft face ffe il patto perfet- U che forti di mangiare fi nudrir
quefto portolMa me fe no lar imponibile
, mi par difficile , non effemo tutti ^tbttomini . > L % di ^4 Della Maga
naturale di vnd medefima compleffionCyCT effer po^brleirousrfi alcuni huo mini
f fieno alquanto fmili alla complef^on'di cauallo,e fonhuo^ mini ancbora di
luriga yerga atta poter giungere agli
interni luo* ghi della matrice , e fono ancbur fra le caualle, alcune
cotipiccint\ che babb'ano breue il collo della matrice, e forf in quel ponto
iuta^ ti da quahhe celejle in^uenga quei femi concepefiero , e conduce f- Jcro
il parto al fuo giufto tempo . Ma perche queje cof,r are rf>lle fi
congiongono infteme . e per rare "Wilte quefli parti fi veggono tlianonarra'vn altra binaria ' Oairhaomo,ela
capra nafcevn parto femifero. ^ quejio
efere accaduto in Sibari , t>n certo gionanettopaflorechia* mato
Cachrii,ilquale offendo innamorattffimo di vna capra,come h pi bella di tutto
il fuo gregge, fi mefcbiaa con qnella,tenea quel- la in luogbo durna fua
carifsima innamorata,le faceua prefcnti>eio di ederOyC gionchi odorati ,
acciocbe quando la baciafiegli odoraffe il fiato, e la bocca , le faceua il
letto di imbe tenere emoUi, acciocbe dormi fi e piu fuauemente,dicbe
accorgenofi il becco marito di quel la capra, prefe il tempo che il casaro
donmffe e vedendolo ben dor mire con le come le roppe la teHa , e lvccife , La
capra al fuo tempo partor vn bel bambino, che bauea le gambe folo di c^ra , e
la fai eh di bu omo. S crine il mede fimo ' Le donne gongerfi con i bcchi e con
i cinocefili. Pgodemo detti abbracciamenti di Venere, i quali animali fono en-
ei libidinofi , che infiammati di libidine , affaltino le vergini, e gH
tfmofor^a. Scriue Herodoto nel fecondo Libro,vn beccobauer ca- ualcato vna
donna in publfco , tlche fu nel cofpetto degli huomini. Strabane ferine fopra
Sebentco,e F amico, ne' luoghi mediterranei> Vfola Xois, iSf Citt netta TrouintiaSebenitica, T HerbopoU, e
Mendes, doue s'adora Tan,el becco animale, (e come Tindaro feri Me in luogo di
Capre) caualcano le donne, ' . L doue ftende il Nil Tvltimo corno, Pafeon
greggi decapri, oue le Donnea Giongonf infieme coIafciui becchi. et Filano
ferine nelt india efferui alcune Scimie riffe , lequali non portano nelle Citt,
che fono tanto lufforiofe,cbe caualcbino le Don- ne di afa, e quando i mariti
fe ne accorgono , come loro adulteri la ammag^ano. Sigiongeanchora Lhuomo con
varie ;re. . CoBir Digitized by Google Di Gio.Battifta
della Por.Lib.TI. % $ mt Plinto ferine y che nell' Indie fono hn^wn: / ricrdi ,
acciche Li detta mefcolan- l ^a fi
faccipiti agcuolmcntc , efeneaccader in loro alcuni vtij, che fieno piu atti
alle nofire commodit , lo pcjlfiam far falcatami faflidij. Dicemmo di fopra
fecondo il parer di >Ari flo- , che quelli animali che vogliamo accoppiare
infieme y fieno di ndc^^aguale-y par il tempo del portar eypar del conar delf'v
0- ij divolorfmUfra loro , e fra tuttrfeno di caldi ffima luffuria y foche
fpronati di quelUy fi gingano con le fpetie diuerfe da loro, cacciatori
locgltono generare fparuieri , e galli , pi audaci del 0 , onero altri
yccelli,bifogna ritrouar i mafehi gagliardi, cem- enti, forti, e robufti,
accioche fmili loro produchino i mafehi,
on minar diligenza debba ricercar le madri, perche fe lyna, ra fidafigenerofa e laltro n , il figlio nato
di loro porter feco iura,elapoca for^a del padre pi lofio , che lagenerofit
della 're.Come bauerai eletto i genitori eccellenti, prima che ligion- infieme
, fa che taccompagnino nella domefica fua cfa, epri- tmete faccino fra loro
qualche amicitid compagHa,ilche auir
penalmente con lhabitare infieme, e col farli mangiare infieme, :iafi dunque
vna cafietta di dieci piedi lunga, e larga, ptdpo- eno,in quella tutte le
feneflre mirino l,Au^o, e di fopra non vi chi motto lume, nel meipo vi fia
"vna croie che dtuida vna parte altra,lafciandoni nel me^o vna feneflrina
tanto picciolo, quan- to bafii fiemderui
il capo . mangiar dentro t altra parte ,
e vna parte flia lafemina,laqual "vegliamo far concepere, e dal- a il
mafchtoforafiiero,Hquale "vogliamo domefiicare. Dunque r incip io della
prmauera , quan^ tutti gli animali ardono di ia,habbi vecelli di ejberimentata
fecondit,e sfor^M bauer il fio il fin che fi pu di piuma fimile alla /emina ,
accioche pi prefto 8 Della Magia
naturale preSo fsfcin fratelUn^ayC tnatrimoHio Quegli ^ alcuni giorni fa che
h'abbino commune la tnenfa, ma nel dar il cibo al mafchh /- rafliero , acciocbe
habbt fauore dt mangiar con la moglie t
egliene habbia alcun obligo ,fa che ponga il collo in quella fenenrina,e beum
nellappartamento della moglie , e con quellarte , cominciar ad af- fuefarft con
la conuerfatione iella moglie , e lafciar (Tefferlefafli^ ( diofo, e nemico ,
che come trouandoji carcerato , non temer di farle ingiuria, che cos non
facendo, far coti feroce al principio , che non perdoner niuno, fe pu, che lo fparta con l\nghie,e con
la bocca. Ma doppo alcuni giorni , come per la lungha domefliche^^a , ig aU
tergo comune far diuenuto pi manfueto , ia moglie, che par che fin fatta pi
domenica , e che pi le par che le piaccia , ft ponga nel fuo appartamento, e fe
le dia cibo pi abbondeuole. E perche accade jpef~ fo\ , che amma^'^i la prima
che fe le intromette , acciocbe colui , che cerca far la miftione , non ft
difperi dell'accoppiamento , *i poni dell* altre, come conofeer che l'hauer
caualcata, e fatta grauida, procu- ri il diuortio , e fi vi introduca "vna
nuoua puttana , laqual vuoi, che tratti poi da moglie , quefie moglie , le
pafeer ai benifitmo accioche faccino
copiofamente delivoua , e le farai couar da loro , le darai
couar ad altre. Cos far anno i figli, che non faranno alieni dal padre
Dopo che fvuoua faranno animate , CJ" aperte, i figli fa che fieno alle-
nati feparatamente dagli altri polc ini. Cosile femine che faranno ge- nerate
da quefli parti, quando l'introdurrai
lor padre, col primo, fecondo
parto almeno, baurai lagenerationegiufiifiima al padre, . . / v'*.'. ' ' Delle
varie mefcolanze delle Galline, con altri vcelli. Cap, 14. iOminciarf. MO dalle
Galline , la cura det- lequalt molto
plenne,per efferno vccelli dome- flicbi, e lhabbiamo fempre dinati ^i gli occhi
, e ne fanno commodo ,e guadagno da non di^re^- ^arfityfe noi, le gener aremo ,
e l'alleuaremmo in varie forme. I Galli fono lufforiofifiimue non fo- le quando
reggono lef emine buttano il jeme, ma anebora quando odono le voci loro ,
laonde noi per torgli tanta lufj- riagli cafiriavw} lufiuriano in ogni tempo ,
ne come gli altri animali . in Digiiized by tioo>^lc DI Go.Battlfla della
Por. Lib.II. S7 . tempi confiituitue cosipartorijcono. Qutile cbiamana Galline
ge rofe che prma fomincino couarv
partorifcane fi fianUi -vuoua fono molte dt quelle domcfUehe,che partonfeono
due roUt tlgtor- ,t ce ne fono anchora dt quellcy che partorifcom tanto, che fi
muo- 0 partorendo. Diremo primieramente. Come fi meTchino le Galline, con le
Penvtr. Vernici anchorjgodono di lujfuriar molto , ePeratmo Vene^ e fi
mefehiano con altre dt pane fpctit anchora luPouufijJimcyim- :gnano,i
partorifeono come anchor fanno le Calltne,laonde da io- ne nafeono t comuni
figli, ma col tempo poi da diutift, nafeor.o di- fc, e finalmente allontanandofi
daprtmi progenitori sajfomiglia- Oer lo pi alla [emina, come habbiamo da
^riftotele. k 1 1 Gali fi-l- gi fono ajfaipi luffurifi de'domeJhci,iJ nel far
del giorno caual '0 le galline, ma le [emine non prima che fia fatto ben
giorno, t o- fcr,pe .Ateneo da Eliano,e Teo/ra/io,eper di loro ci pojjianu fer
con pi^ commodit per voler meftbiar^i con le Temici, nel me* mo modo [affi per
^ Per iniTchiar le Galline con Faiani. che i Fagiani fimilmcnte come le Galline
aprono l'vuotta al vige- I primo giornoycome dice Fiorentino. E fi: non
agguagliano gli al- vccellt d'intemperata lujfuria , al tempo del coi.o elle
molto 'vo- leri conuerfano con le moglie, e fi domtfttcano , mapimamente f
nnptcciole come efi fono, che pi agt uolmentefi domejlicano,' \iongono con k
Galline, perche quando prefo di
frtfco,non fola- it non la perdona alle galline , ma col Fanone anchora
s'attacca ittaglia ejpejfo lo sbrana con la bocca . ' \on mancano chtfactn-. i
caualcare,e nafcere,e nodrre non faccino granguadagno con $ lani , e pe per
molti vi fono,.i quali lo fanno per conmodo, e per piacere , come nella Corte
del Duca di Ferrara habbtamo viSo e in
luogo Jparato fi nodriuano vna gran quantit d Fagiani, e alline infiieme
domeftcati. Ilche non era anchora incognito alti chi , percioche appreffo
Atheneo Volerne dice . 1 Fagi..nt no fi mandauano tor da Media , ma le Galline dt villa,
partoren- y>oua concepute dal Fagiano mafehio ^ce ne dauanogran quan- ,
TrimierameiUe bifigna hauer ymo Fagiano niafno, e co la diligenza, che gi
primahahtanio narrata , btfegna dome^ r con le Galline, dopo ci rca di quelle
Galline di varij colori,che Jomigliam alle fagiane [emine , e pofst ingannare
inafib 8 8 Della Magia naturale fou 0 /{ucllafalfa fembian'^airinchiudegli
infietne accioche d tempo di prtmauera caualcbi le galline^ cos ne banrai
lyuoua macchia te ai punti neri : ma pi grandi , e pi belle . Come lyoua
faranno aperte,fi nodnfcono con U polenta , e di quelle fpetie triangular di
fromento,che yolgarmente fi chiama fagonitico,mifcbiato con fron~ 4i di appio
tagliate minutamente , che di quelle molto fe diletta di mangiamele crefeono
molto con quelle. Si fa anebora Dalla gallina e dal colombo, vn
polcinofnefchiaco. Sia la colomba giouane, perche in quella et feruente la voglia del lufiuriarefiS' il feme
l'auan'^a molto che quando inuecebiano , fono inutili al coito , le Colombe
aognifiagion dellanno vfano il coito e
partorifeonoy cosi di efade, come dinuetno . lo hauea in cafa mia vn Colcmbo
fen^a moglie, UT vna Gallina vedoua, era il Colobo di gran ^ diflimo corpo , e
luffuriofifimo, e la Gallina di corpo picciolo , come nana, conuerfauano
infieme , laonde neUa prtmauera auuenne che il Clombo caualco la Gallina,
laqual alfuo tempo partor lyotta^e co Mare da lei s aprimo al fuo tempo , e mi fe
il pollo mefebiato delfvno e deT altro, che baueua i membri del padre, e della
madre. La gran ' de^^a del corpo, e della tefla , ij il rofiro era di Colombo ,
i piedi di Caltna, di piuma bianchifima, e crefpa, i piedi coperti dipenne,i3^
come il Colombo anebor daua voci, ilcbe mi era di non poco piacere t e diletto
: ne m ti quafi fiaua in terra,ma fempre
/pra vn letto, ve ro nel feno delle donne, che anche volentieri ce lo
teneuano. Ma par mi che 11 Gallopauone (a compodo di Gallo, e di Pauone. Chiamo
Gallopauone, cio gallina d'india, chiamato cosi daSeritto ri, perche par che
fia compofo dallvno, e dall'altro, e nato da loro,fe ben par che babbi pi del
pauone , che del Gallo. Ha la gronder del Vauone, e'I corpo, la vifla del
Gallo, fopra la tejia,e quella di fot IO la barba, haue parimente commune col
Vauone la voce , il /piegar la coda, c la rjrict de' colori, il ftpor della
carne compofli deUyno, e dell'altro, ep r non
molto differente la mefcola^a deU'vna,e del l'altra fpetie , lequali
efiendo domtfitcare infieme in cafa la Gallina d india, e'I Vauone mafthio
congiongehdofi infieme , ne fono nati i Vauoni ipi belli chepoteffero
imagtnarfi.hauean le penne Jplenden ti di belli fiimo colore, i quali di nuouo
mefehiandofi con i Vauoni , i pari* poi quafi tutti dtuennero di Vauone . Il
medefimo potrai far dee ti altri.
Come Digitized by Google DI
Gio.Battlfla, della Por. Llb.IL - Come G po(Tano generare i Sparuicri di varie
pr opricci, Cap. ij. Addurremo alcune biftorie deOt Uro mefcolan'^e, con gli
efempi dequalt da f ^ejfo potrai imaginarne dell' altrcy emendare' M ^4 ^0 in loro oleum pitif , T v'indurremo
nuoui Jt habiti da varif loro genitori. E primteramen- e fewe/w/VcceDo^enerar/i ^ 'rcocrono dallo Sparuiero , c dallAquila.
Gli Sparuicri fono infiammatijftmi di libidinete ft mefebiano anebo' ra con
cjuelli della fpetie diuerfa, come dice .Artfiotele , fi congiun- gono con
l'uiquilc, e fanno V.Aijuile baflarde . V .Aquile anebora fono lufforiofijfime
, efe in tutte le ffetie degli animali le femine nS fempre nel coito fono
obedienti al marito y l' Aquile mai recufatio, percioche fe ben trenta -volte
fieno fiate caualcate damafchufe pur
mafehigliene venifie -w^lia vfar di nuouo con loro il coito , non per
quefio lo ricufano mai . Eliano nella Jpetie dell' Aquile chiama t Sparuieri
bafiardi Teocroni. Oppiano nelli ijfeutici le chioma vc- etUo bafiardo,
ilqualfia nato dal padre Sparuiero dalla madre A- quila. E vna jpetie di
jparuiero lujforiofijfimo che nel tempo
della Vrimauera per il fouerchio coito, coti debole diuieney Che perduta
ognifuafor^a, diuienfuggetto da burla
tutti gli vcceUi, che tutti U mordono , cosi poi venendo lefiade , e
ricuperate lefor^e piglia vendetta dt tutti quellt eccelli , che quanti ne pu
giungere tutti li divora. Sentendo la -voce dell'AquiU finito vola . e fi
mefibia con quella, quella poi le vuoua che b conceputo difeme cosi ignobile,
fi fieffu di covarle, & accioche non fene accorga C Aquila fuo mari- to,
vola lontano da lui, perche egli s'accorge che fia fiata adultera- ti,fe ne
vendica in ogni modo, e le fcacciano poi . Queflepoi nate di adulterio chiamano
Aquile marine. Si fa anebora ^ Mcfcolanza del Sparuiero, Falcone, Aftorc,c
Nifo. 'l{tftlmenie i Falconi fi mefebiano fra loro , ma con gli Allori,
Spruieri, li fi, jpetie d Aquile, e con altre jpetie di vccelli rapaci j
(onutUino adulterio, laonde ne nafeono diuerfijfime jpetie di Spar- mri . oltre
d ci con Falconi peregrini , peretoebe i peregrini da' M padri Digitized by
Coogle 90 Della Magia naturale padri fubito fono cacciati fuori, e facilmente
fi jpartonofra loro per far preda , e per ira anchora , e quando fra la jpetie
non fi trouano le mogli, fubito fi riuotano
quella jpetie, laqual ritrouano pi fi- mile loro , e tuttoci nel tempo della primauera .
Laonde quelli cbp nafcono di parenti nobili, ageuolmente per arte diuengono mi-
gliori, pi che gli ignobili. 7{e diffimilmente Da varie Aquile nafcono gli
Halitei Ofsifragi , & Auot- tori.
'Plinio parlando degli Halitei dice cos.Gli Halitei no hanno lalor jpetie, ma
nafcono dal coito di diuerfe .Aquile, e quello che nafcono da loro, hanno la
loro generatione negli Offtfragi,da' quali ne nafco- no gli .Auoltoi minorile
da quelli i grandi, liquali non degenerano, th tolfe da .Arinotele nel libro
delle cofe mirabili. Oppiano dice, che la jpetie dell' Aquile terrefiri bafiarda,e ptr dalli padri, e ma dri
caccianfi da nidi, e dop per piet nodriti da altre Jpetie di ani- ' mali, cosi
dijpre^^ando la terra abbracciano yn cibo maritimo. Della mefcolanza de Pefei.
Cap. 16. E diuerfe fpetie di Pefei fi mefcolino fra loro n, difficilmente fi potrebbe conofeer
dairhuo- mo, per yiudirno i vefei fiotto l' acque, l attieni de' quali nS fi
panno ojferuare,e principalmetu te quelli che accadono contro l'ordine di
natiti ~ra. Ma fe voi confiderarete quello, che hahbia-. mo detto diftpra ,
facilmcte fodisfarai teflef^ fio , cio
quelli che fono htffuriojffimi , che portino egual tempo nel ventre, cosi lagrande^^a,
e le refianti cofe. Oltre ci dice Ari-
fiotele nel libro degli ammali, l femi di diuerfi pefei no fi mefehia- uo
infieme, ne mai flato ofJeruato,che
diuerfe jpetie di Pefcifi co- giongano infieme, eccetto che Lo Squadro, e la
Raia generano il Squadroraia. Dallyno, e l'altro fatto il nome Greco Bjnobatos . Dalquale Tli-
nio.Diuerfe fpetie di Pefei no figiongono infieme, fuor che il Squa- dro, e la
l{aia, dalqual nafeepoi yn Pefee, che nella parte dinan- zi fi rafiootiglia
alla B.gia , e per ritiene il nome appreffa i Greci com~ Digtzed by Google Di
Gio.Battifta della Por. Lib.II, p t tompcjlodellvm e dell'altro Squadroraia, e
fuor di queflo in niu- na altra parte fi legge altra tarala di quefio pefce
Squadrar aia , d teroia altro autor Cy che babbi tolto da lui. Te odoro Gat^j
^inoba. tointertreta Squadrar aia% e fe alcuno non lo volejj ir edere y lopo~
tr andarileggere, ma io th vifto queflo pifce I^nobato perdili* gentiadt Smone
Tortio'^^litano Filofofo dottifiimo ycbefcrif. feancbegh di pefoi, e di lut
ancborfene iriferua tl ritratto y efiri- troua nel Mar noSiro di TiapoU. Come
fi pofiano produr nuoui , c prodigiofi parti. Cap. 17. [ prodigiofi, d
moHri, "vero aborti fi pr- , ducono
dagli animali , fecondo imodi gi det- , tip per mefcolan^adefemiyper
imaginatio^ ne, d vero per altre cagioni
. Della imaginatio- ' ne ne ragionaremo pi af^rejjb; bor afcoltiamo le cagioni
cheferifiero di d i noflri antichi, da quali fi gener ano imoHruofi, e
prodigiofi par ~ si, accioebe confiderati ben quelli, og> ingegnofopeffa da
fe flefo produr al mondo nuot mofri, Bemocrito, come fcrifle .Arifote- fc,
d^lamefchian^a di molti femi, quando fyno
buttato nella wtatrice prima, e l'altro dopo , e fi confondono, e
mifchiano fra lo- ro , r per nafeono di membri difeordantifra loro , come
vn'buo- tko con due te He, ir animali con molte membra, g per gli vcceU li, che
con pi frequenta vfano il coito, pi frequentemente predu^ cono quefli moflri .
Ma Empedocle , abbracciando tutte l ragioni che fi panno imapnare.par che
habbia detto la verit,percbe %fle, che et auieneyber troppo abbondantia
difeme, mancamento, ber il principio del moto, per diflribuirft
in pi partir fe errando IO vane' luoghi d6uuti,ailhorageneramofi animali
moHruoft Stra- one dice dall' ag^onger
dal mancare, dal trafponere,
dallin- afflare ci auuenire.I Medicine dicono cheprouiene dalla matti.
ebe/peffe volte ripiena difiatofifouerta. .Ariflotele 'vuole che dace ader
fglia pijpejo quelli animali,che
partorifeono moU ^^liuli , e che hanno i piedi pidiuifi, perche producendogU
j/i imperfettiyageuolmte pu accadere, che fi conuertano in mo. i, Cf in quelli
p lo pi accader fuole,che fi chiamano mateebere, M a 9 1 De Ila Magia naturale
i (fuili fono che fono i mancheuoli^ hor
mafebi, efemine , con quattr'occhi , con quattro braccia, e con altrettanti
piedi, e quelli fono quando gliene auan^a , cosi quando nella madrtee per cafo,
per arte fi trouano i femi cosi mal ordina- ti, effa l aiuta, e conduce fine le cofe cominciate. Tu dunque che
defideri produr alcun moflro, impara da qucjli ejfempi,cbe noi trat- teremo di
molti principi!, e comincia /ar quelli, che fieno pcffibili i riufcire, che la
natura ci aiuter, e goderai poi di hautr prodotto al mondo cofe , chegiamai
maginaRi , e darai occafione dtfar cofe poi, che feranno pi toflo di
merauiglie, che cofe profane . Si gene- rano dunque gli Moflri neMhuomo. O per
il coito difordinato , che il feme cada in luoghi non ordinati 'fero fe due figli generati in yna volta,
s'accofiinq troppo infieme per
laflrettcgga della matrice, vero fe
alcune pi Uiciue che fon, nella matrice megane tra l'vn parto,e l'altro fujfero
corrotte, f on- de, come 'veggiamo
ancora accader i frutti negli alberi,! quali per, flajfidlcunt troppo vicini
,eflretti da alcuni rami veggiamo le mele, attaccate infieme* Scritte "Plinio,
effendo Confoli C. Lelio , t L. Do- miti 131 Gio.Battlfla della Por. Lib.II. 95
efjcr Hita vni denteila con due tefte , con (jtnttro mani , com doppia natura,
e poca puma yna fantefca hauer p^rtortio v parto quattro manu ilT che habbia quattro sili c quattro piedi.
jUhe noi hauemo ds Srifiotde. Le galline fecondifiime per lopiA fcgliono
partorir lvHOua conduerofiiy dX quefo auuiene ageuoU mente, per flarno
l^uouaftrcttifi imamente accoppiate. S'attaccano infictne, cerne reggiamo farft
ne' frutti degli alberi quando flian troppo vicini infieme , e crejeendo non
hauendo largo s'vnifcono, e di dite fene fa vno accoppiato mito, e fe auuiene
chel'vuoua babbi- no iena certa pellicina , che difUngua *vn roffo dall'altro ,
di quel 'vuouo ne nafeono duepolcini perfettifiimi , ma fe que'rofi flanno infieme
> e non bar quella pellicina in me^o,che fepari fieno dalP altro , ne
nafeono da quelli potcini mofiruofi . Ter far ci cerca di quelli leuOHi che
fanno le galline troppo feconde y lequali "vuoua potrai conofeere dalla
grande^-^a, perche fono maggiori dell' altre e fi conofeono anchora,
opponendole al Sole, vero alla candela ,
e quefli fi producono da troppa abbondala di feme, d vero dalla me-
Jcbian^adipifenu. Cos poi facendole couar da yna bona bioc- ca , quando fi
apriranno lvuoua , vfeiranuo fuori i polcini
quat- tro ali, e auattro piedi, ma con vna tefta, baii cura che fieno
alle- uati con diligenza, .alcuna "volta fi v^ono,e con tre rofti anebo-
ra,ma per il piu a due, et fene hauemo di auellc d tre rofii,pro- durrebbono
polli fei ali e fei piedi , e farebbe cofapi mirabile vederfi . U vtflo vna pictiola anitra con
quattro piedi con largo roHro.C acuto,
dinanzi nera; dietro gialla, col capo nerocongli occhi di color di cenere, con
vn cerchio nero Sintomo al colloco Vali, e col dorfo nero, coda, e piedi
gialli, ne molto diftantifra lo- ro, laqualficonferua in TorgO-t. T^n dubito,
che non fia generata nel mcdefimomodo,chebabbiMno detto delle galline .
Scriuefi an- chora efier flato vifio vn colombo
tre piedi. Di quelle farti di pol- li cos mefiruofi , fempre procuro,
per mio diletto , fune nafeere in agamia. Cosi anchora fi veggono .
Serpiconpitefte, epi code. ' Scriue ,/lrifote che i Serpenti poffono
nfcere con pi tefle nel modo medeftmo. I Tocti cantano la Hidra Lernea, trofeo
del com- battimento di Hercole, e cos anchora gli altri antichi inuhori del- le
favole. s che niuno dubitar cotal fingimento cjfer nato da fi- ntili moftri,cbe
fi veggono ogni giorno ne Serpenti . Mentre io feri* ueua quelle cofe, fiata
vtfa in l^apoli vna vipera duetcfie ,
viva. Di Gio.Bttlfta della Por. Llb .II. j j HiyCheme come f! posano generare
varii parti. Cap.i9 [LvTARConi quel libro del confenfo de'Filo^ * fofi, ferine
ebe Empedocle dtffe, che tolfiparta^ rifeono i figli , quali fi veggono nel
ponto delta Wi ^ t concettione, perche quelle donne, che ffiejft JL. volte
mirano fiatue,lequalt fi togliono diletto i mirarle , baner cos fatti prodotti
i loro figli Hippocr ate voli do bonor
aria fama di vna don- ma, che hauea fatti i figli affai lontani dalla effigie
de* fimi genitori diffe effeme fiato di ci cagione la pittura , laquale haua
attaccata nella fua cameretta- Quintiliano difendeva altra donna coniarne^
defitma cagione, laquae effeHdo ella bianca, bauea partorito "vn ne- ro
Etiope, e giudicato da tutti figlio del fuo febiauo. 'Harra Dama- fieno yna
dona bauer partorito vn figlio tutto pelofo,iJ volendo ri- eercame la cagione ,
vede iimagine di S. Giouanbattifla tutto bir- futo,che flaua ritratto nella fua
camera. Heliodoro finge lafuabe^ lifiimabifioria da quefo principio, che la
moglie del Kf di Etiopia partor Charichia fua figlia bianca^per effer nella fua
camera, doue eoi Eegiaceuada fauola depinta in vn quadro di .Andromade, Let- to
habhiamo le donne pur bauer prodotto i figli con le eorna.per ba- tter bauuto
dinari gli occhi il quadro della fabula di Atteone con le coma in tefla,
quadogiaceuano con i mariti.Veggiamo ognigior no figliuoli con le labra
aperte,e lbau prodotti cos le madri,percbe mentre erano pregne miraita nocon
diligenza le lepri. Grande la for-
Digitized by Google r DIGlo.BattiftadcllaPor.Lib.il. 97 for^idcll'tffctio
dtU'animoi e la for^a della fiffa imaginamne,ma
m^iore tjuindo lanimo rapito
neUeccejJ'o , pena fi pu capire con
l'inu^iitme. Quando le donne fon grauidcyi!} hauendo gran- dtffimdeffdtrio di
alcuna cofa , cjuel continuo penficro , e quella im^mitwnt altera glf (piriti
interiori in modo, che quella cofa de- fideraUiefifatiella imaginatiua
,fidepinge, quella muoue tl fan- gue,Uonde nella teneriffima materia del
bambino fi dipinge l'tma- gine della cefi, cos il parto fi depinge in perpetuo
delle macchie, e oeyar^fe^Hiffe no fi fdisf di quel defiderio. Laonde i
jperimen- tatori delle cofe non fent^a cagione han ricercato, che costnafeono
fignatii farti, come simaginaua lanima , e principalmente nelle
princifaiiattioti , come nel congiungimento col marito , nel buttar del feme ,
iS altre anioni , e per l'huomo perche b l'maginatiud cosi veloce, e la
frefiec^^a dellanima, e la variet dellingigno fiuol fegnarnel farlo affai fegni
, e di molte forme , e per fitrouanogli buommi di pi forme differenti , che in
tutte le refante (fede degli animali. Ter che gli altri animali hanno fempre vn
animo fermo,ftn% pre partorifeono i figli
loro filmili nella loro fpetic^. Quefiaforq^a de li anima nofira, e
della imaginatione molto ben conobbe Ciacob , come ne fan fede "voi le lettere fiacre. Ter.che Generar
le. pecore di varij colori Volendo, fece di modo, che vorrei che cotfaceffero
tutti quelli, che 'Tonno produrre ">n fimil effetto. Egli tolfe le
verghe,e le pertiche di pioppo, e di mandorlo,e di quetle,cbe facilmente
fipoteuano difeor- ^arCf' /corcare, T in alcune parti lafciate le fcorqe.'
alcuna voi ta i cerchi, e cosi in varif femi dtfiinte di bianco, e di nero,
come fpo- glie di ferpi , le accommod necanali doue andauano bere , e ne' pafcht, e neprefepi, doue
albtrgauano le greggio delle pecore , ac- cioche congiongendofi infieme,e
volgendogli occhi interno, non ve- defjero altro, che quelle verghe, accioche i
figli cheparteriffiro , fof- /ro cosi macchiati, e dipaffo inpaffo i bianchi
velli dilla lana fuffe- ro intramejj dt nere macchie , crfa molto gioconda vederfi . Hor 7ue/i dopo nati , feparando
tutti gli altri, che non fujftroccsniac- htati tla/iiauano smacchiati nel
cojpetto di quelli, che caualcauano mogli , accioche le moglie , hauendo fempre
quelli maci hiati di- gli occhi,
faceffero i figli aneboracosi macchiati. Giheue- parlato degli animali coperti
di tana . Ma fc vorrai ihe tutte le ore, onero "n Ca- Digitized by Coogle
^8 Della Maga naturale Caualli nafcano di varii colori. Qucfo molto vale ne
caualli , e queflo offeruano tutti quelli bann vn tal penfiero dt codurre le
caualle al marito, che cuoprono le fidi- le, doue fi caualcano legiumete di
tape ti, e di pani tutti di varij co- lori , laonde ne nafcono da ejuellt t
caualli pomati baij , e di diucrfl colori. ^bftrto l'impara di vn altro modo.
lqual cuopre la'giumen- ta di qualche colore, quale defia che fu ne'fuoi figli,
percioche quel' colore che li pongono innanzi gli occhi , di quel colore
"Verranno i' figli, che nafcer anno, perche caualcando il cauallo la
femina, di' quel colore che ftpafcergli occhi in quel ponto , di quel medefmo
calorie dar ifuoi figli, e cos far vano il color delle fpalle,e di tan- ti
diuerft,di quanti nel coito ne guard, e per lo pii tutti riefcono di
"Variati colori. Oppiano ragiona della medefma cofa, nel quinto li-] ho
della cacci iLj E fi pu anchor nel ventre della madre Variar il poliedro di
colori . Tanta la forza dellhumano
ingegno Che quei color che vogliono nel
corpo i * Variar del poliedro quando auicne Che chiufo fianel venrredellamadre.
i> .. . Quando di ardente amor ella fi brufcia Et al cupido fpofo ella sfrenata ' , Gli dipinge il pafior il collo
cI tergo Di color variati, e la conduce -
* Dinanzi al Tuo magnanimo marito, \ Onde eglardentedellamoglie tutte
Dipinta, entra nel letto diuifato ' . Con gridi allegri, e con fpumofe labbra '
E gli fcorre il feruor per tutte lofla Abbraccia con difio la cara fpofa. Cos
lo lafcian libero, &ei corre A goder de venerei abbracciamenti, Allhor la
madre partorifce i figli Di quei color, che hauea dinanzi il padre. Che i
Pauoni diuentiiio bianchi.^ Erano primieramente in Colonia rarifimfj Tuoni
bianchi % che tutti come cofa rara la flimauano, e marauigliofa ; ma dopo che
da i mercadanti di 'Nfirueggia, "Vt ne furono portati in copia , che dopa
che Digitized by Google Di Gio.Battifta della Por. Lib.IL vfur portati degli
altri di vari) colori , tutti al fine diuennero ichitpercioche mentre i mafehi
in quell'aria couauano l'vuoua, euano fempre dinan'^i gli occhi quei monti bianchi coperti di e ,
animandofi quelle vuoua, tuttpproduceuano i polli bianchi . leiefimo vogliamo
che fi facci di tutti gli eccelli , purch tve- iere, e legabbie^doue fianno
rinchiufe, e i loro nidi fi biancheg- 10 di bianca tunica, fi cuoprano tutte di bianche lenzuola, di i -velami , fieno reflrette in gabbie , accioche non
pojsino par- da mirar fempre cofe bianche, cos cogiungendofi con i mafehi, land
l-vuoua, partoriranno i figli biancbifiimi. Mafe vorrai Che nafehino i colombi
depind. la regola imparata da Oppiano, nebtempo che i mariti baciano mente le
mogli,i5 fi ac commodano gli affaltidi venere , colui apenfiero delle Colombe
habbi -vefti di porpora, & di varij co- e le accommodi dinanzi gli occhi
loro, Uquali miradole con ere, faranno i figli de'medefinti colori, cofe fa
bene, e le fa fpeflb aduco cacciacor, ilqual ha cura el cacciar, degli vccelli
egli con arce i diuerf color muta i colombi inanzid gli occhi lor pone le vefti,
_ i tapcti di rofsi, e bei colori osi
gli innamorati empiendo gli occhi i quei color, quando di lor fi gode einedefmi
color genera i figli. Come i cani nafeono lanofi . he cosi le donne defilano i
loro cagnuolini, nlettieciuoli dove iono , e fi godono, everfano continuamente,
quei cani fieno di di pecora couerti,e cos i letti, Uquali hauendo fempre d
inatta 11 occhi , producono t figli con le giube lunghe come i Leoni, tefo
quejo fecreto ejfer fiat trouato cafo,
che giacendo vna ialina continuamente /pra vna pelle di pecora , nel partorite
figli cosi lanofi, come vna pecora, e cosi gli altri da quella di- e la /peti e
de i giubati. Produri porci, e le pecore bianche. do i porcari, r i
pecorarifaceuano i letti, e le madre allegreg que/t anmalijtutti erano
biancheggianti, vero ornati di pan
cbifCosi i porefC le pecore nati in quei lucriti biachi diuHero, top ' ' Della Magia naturale .* ' lA' - , ' Che le donne partorifcano bei
figliuoli. Cap. .> ao* ' . . y E L L
cofe che babbimo dette di foprei
cia~ fcuno potr quefie cofe nude fme ridurle nella generatione humdna,e
cosi potremo produr bei ^ V figliuoli, ani(i dicono i Scrittori, che queSii mo-
_ di di produrli cafo fono fiati trouiti, onde vor che fi dofieffero tener
bene mente, e quel- ^ ^ % T la che
importa ti tutto,che nelle camere diVrin dpi, e digran Signori, e nelle
ma%giori per filettine della cafafido-, ueffero tenere itnagini di Cupidini, di
l4doni,e di Ganimedi, o ve- ro fi facejferodi maUtiafolida,acciohe dadofi opera
aU'efercitio di Venere, le mogli hueffero dinanzi gli occhi, e nelt animo
quelle belltffime imagini, an^^i vorrei che le gagUardtJfime imagmatimi fe
lefiifajfcro ben nell'anima, e poi ejfendo grauide pur andajjero ima- gmaredofi
quelle pitture, cosi quei gi conceputi,riteneranno quelle macini, lequali
haueano fempre imaginate, ne poco importer que- fioSnauendoiomolteMoltedcttoad
vna Si^ora quelli precetti, laqual molto de fideraua partorir bei figliuoli ,
fubito fi loc in fiut camera vn bambino di marmore bianchtfiimo , ir intagliato
da'vn* eccellente artefice , perche defiaua hauefvn figlio di quelle fattet^-
^e, laquale battendolo fempre innanzi gli occhi , e nella concettio- ne, e
mentre lo port in ventre'^ cosi ejfendo nato poi , me lo mofiroi grajfeito, e
bem fiimo fatto, fimile al fimulachro di marmare, ma cosi pallido, che imitaua
il marmare nella forma , come nel colore , eco-
Hobbe effer vero quanto logli difii. ,/flcune altre fi fono lodate dell*
artificio, effendole riufeito, come io le diceua. Oppiano pur parla di
quefio(ff(tto. Pur 1 Lacedemoni vflirpan fempre Quando veggon le mogli , che
han delia Dc'Venerei piacer, dinanzi i gli occhi , Pongon picturedi pi bei
figliuoli, ^ Che babbi la giouentgiamai pr^otti, ' Nereo, Narcifib,& il guerrier Giacinto,
E quei giouani anebor* che fiaa di volto Sdi by Coogle Di Go.Bttifta della Por.
Llb.II. loi E di mctrtbra ecori, c i depi belli, C3al fu Apollo Zimbi co, che
hauea le chiome Coronate d alloro, e qual fu Bacco, Che in vece di ghirlanda
hauca il diadema I>c lalma vite circondaci i crini, Che mentre contemplando
le pitture Stan di'Lacedemonia le donzelle Fanno limili lor leggiadri i figli . Qualmente fi pofibno
generar mafchi, femine. Cap. 2 2. Mpedocle dijfe i mafthi,e le femine gene-
rarfper la calidit, e per la frigidtty e di qu viene, che fi dice, che i primi
mafehi anticamtn te ejferno nati al Merriggio, iS' all Oriente i e le femine al
Settentrione.Tarmenide dice al con~ trario i mafehi effer nati nel Settentrione
, per- che fono pi denfi , e pi fodiy al Meriggio le femine, come cofepi
deboli, e pi aperte. Hipponace dice effer fe- rondo il feme fefujfepi ynito
infieme , e pi gagliardo, vero fi lu
^ido, e languido nafeer i mafehi, e le femine. ^naxagora,e Tar-^ menide,che il
feme che "vfeiua dalla parte deflra dellhuomo andar nella deflra parte
della matrice , e cos quello, che fi parte dalla fi- niffr a,andar nella
fitmflra,che fe quel buttar del feme andaffe al cS- trario di quel che s detto,
nafeer le femine. Leucippo per la immn- tation delle parti, perlequali Vhuomo h
la "verga, laftmina la vul- ua. Fin qui Leucippo . Democrito le
vicendeuole parti fi toccher daWvno, e laltro, e quando particolare, generarfi qual pi fipre~
nagliadtUvnoe dellaltro.Dice Hippocrate,fi veramete il femege~ nitalcpreualer,
fi genera il mafchio,fi preuale lalimeto lafemina. Ma tutti i Medici dijfero il
defiro lato effere catdjffimo , la ondefe il feme dopo buttato fi ritener nella parte deflra, cocepir mafiJ)io,nel
/iiiiRro lafemina, e quello fi pu per efperiev^a "vedere negli ani- mili,
che fanno molti figli, pene fe aprirai per me^o vna porca pre- gna , troKfrdi
nella parte dtflra i mafehi , nella ftnfira le fi mine t feto (mon dono alle
donne, dopo che farannortceuutoil feme "vh ' ^ file, - Digitized by Google ut De Ila Magia
naturale rilc vUarft olii parte de(ra,on^ legdo il defro te/Ucolo del mon tane,
non generar altro che [emine, come fcriffe Vlinio. Il toro dopo che har
caualcato lagouenca,da certi fegni fi pu conofcere fe ha- r generato il
mafchio la [emina , perche [e cade dalla
deflra par- te, c[a chiara che har
[eminatoil ma[chio,[e dalla parte fintfra la [emina. Laonde gli Egitti),
polendo fignificar "Pna donna, che bab- bi partorito la [emina, depingono
"vn toro, che mira la parte finiftra, fi il mafchio il toro, che volti al
deflro . Ma [e tu defideri , che quello che na ft e fu ma[chio,nel tempo del
coito, con 'vn ligame lega ilfitni- flro t(fiicolo[e vorrai [emina,lega
fimilmcnte il defiro,come narra- no Columella,^fricano,e Didimo. Ma perche
nelle greggi grandi, e molto[atico[o il[ar queito, tentiamo [ar il medefimo per
altri mr^i- 7^1 fpirar di ^Aquilone ft concepificono i mi[chi,nell'auflro le
[emi* ne, da Vlinio. La [or\a del vento .Aquilone tanta grade,che quel-' la [or\a,che non [a
far [e non femine,la muta,e le fa produr mafebi. Bi[o^.u guardar all'Aquilone,
quado fi caualcno le [emine, quelle che fi caualcano la mattina producono
ma[chi,[e lafcierai che fi ca- ualchino la [era, non [offrir ano. AriSlottle
chefeppe moltordella na- tura delle co[e,al tempo che fi menano al coito le
caualle, vuol che fi ojferuino i giorni [ecchi,7il fiato 5ettHrionale,che il
gregge pafeo- li contro il vcnto,e mirado
quel luogo,fi lafcino caualcare, ma ba- uendofi generar le [emine che riceuino i fiati
aufrali, accioebe co la mede [ma ragione adoprino le matrici.il medefimo diffe
Columel la,(J Eh ano. Quando dopo il coitoli mafchio fi riuolier al vetoA-
fricofappi.che har conceputofemine, Eliano, Vlinio, Africano,e Didimo.Si
generano anebor mafihi,e [emine per virt, cosi deWac- que,come dep.inori,percbe
V acque [anno,che fi generinofemine, e mafihi.Tsfon molto lontano dalla Citt
Vanetifia m fiume chiama- io Mitico, e
dop quello "vn altro chiamato E-.^aradio , dtqutfio be- uendonc gli animali
al tempo della primauera, dicono che partori- [ca mafchio.perlaqualcofa i
pnfiori fimprc [cacciano,e conduconoU pecore nelf altra parte, come dtfje
Vaufania nell' AcaiccLj. Di vane cfpericnze di animali. Cap. az. Cl auan^ano
alcuni cfpcrimcnti danimali non da fpre'^^arfi,ne men piaceuoli,i qu.iH accioche
nos'babbino cercarfi in altro libro, fon
fiato di p.ircre portargli in quello luogho. E primo Come fi faccino le macchie
bianche necaualli. T^e'libri degli abbcglimenti de'caualli fi tratta, come
sbahbi fare p far nafeer ipcli bianchi nccaualli. Tcrche [cgliono qtiefii
vendi- 131 Gio.Battlfta della Por. LIb.IL 105 tori di caualli far macchie
necaualliy cio nella fronte, nel pi fini- ftrot nelUmano defra per ingannar
coloro i quali s ; macinano tU queSli fegni conofeer i cofumue le qualit di
caiialli, laqual tjpene Vhaue imparata il cafo.pche quando per alcun cafo fi
difeuoia la pelle al cauallo in alcun luogho.fubito vi nafeonoin quel luogho
ipe li biancbiyOnde quei che voglio che vi nafcafio quei peli bianchi, ne
radono prima i peli,poiferifcono la pelle,che cos nafeerano bichi. Ma Oppiano
fa il medejimo effetto con il fuoco. Fan nella pelle de'caualli in tondo Le
macchie, e appaion nella negra pelle ' Biancheggianti le macchie di
Pantera. Cos fa il cauallar quando egli
cerca Far il medefmo v brufeiando i peli Con linfocato ferro nella pelle. Ma al
contrario poi fi te piacer. Far che
nafeano i peli al canallo del medefmo colore
douc ftatodifeuoiaro. Tiberio
Finfegna far nel medefmo modo , togli due feffarij d*or^a piflo,egiongeui
jpiuma di nitro,e con len poco di fole fa pani, poi I0 foni nel fmofin che
diuti carbone,dopopifli,e ridotti in poluere, mefebiandoni olio, v ongendo le
cicatrici delle vicer, e fa ci per venti giorni. Ma la cagione perche fpargendo
la far in a dorbo nelle cicatrici facci cotal effetto.cbei peli non nafeano
bianchi, mafimiU ci cclor degl' altri, .Afrodifeo da ragione, perche lorbo
bfor^a di difcatere,e di purgare,annetta,e confumma Veferemento della pitui ta,
e tutta quella materia vitiofa, che lvlcera hauta in fe raccolta p l'injimit
delle mebra.7ie lafcier di dir "vnefperits^a da btffe,C^ 1 Buoi moftrino
vna falfa grafTezza. , Se ad alcun Bue "vecchio aperta la fella folto la
cofeia gonfierai cn vna canna,e legherai che tl fiato no efea fuori, &gli
darai da man- giare, lo farai graffo. Toffiamo col berc^ Tinger le pelli delle
pecore di vario colore. Eliatio dice,cbe il fiume Cratere manda rnacqua,che il
color* biaco induce, che le pecore, e le ~vaci he, e tutti quadrupidi , come dice tcofrifloybeuao di
quello,da nero roffh,che fia lo fa
diuenir biaco* I buoi in Euboia quafi tutti fon btachi-Le diuerfe qualit
dellacque che fi bfuono , fanno diuerfe mutationi nelle pecore , ilche auuiene
dalla natura, e dalla forga de fiumi in ogni tempo quando fi cauaU tm infieme .
Si che di bicmeo fi commuuno la nero al contrth 104 . Della Maga naturale no di
bianco in nero fi muUjequali mutationi augoho cosi nel fin me ^itfandrOiComc
nel Tracio. In Troia il fiume Scamadro co l'ac que fue fa le pecore dtuenir
bioie.vofiam'ancorda' pegni del corpo Sapere di che colore bino da elfer i
figli, che nafeerano. Ter Papere i colori demuli,che haueranno da
nafcere,cigioua mol- to mirar il color de' peli delle palpebre, e delle
orecchie* qualunque ftx.di vn medefmo colore tutto il corpo,quanti colori vi fi
vedranno^ di tanti colori diueranno.Columella dice, che i figli che nafeeranno,
faranno di quei colori nelle pecore che p vedranno fiotto la lingua de' montoni
, le vene bianche nere , e di quel colore che faranno quelle
"vene, di quei colori le lane, e fie le vene faranno di pi colori, le lane
faranno variate: da .Arifiotele, da Democrito, e da Didimo, Ma come popiamo
Conofcerc il pollo, che fia danafeere Te fia mafehio, fe- minadallvuouo. 1,'infegnaremo da ^riPotcle,quandol'vuouo
farrotondo,nafcer majchiojp lunghetto femina, la ragion che ne affegna , che
nel vuo- ilo rotondo il color fl pi in fe raccolto. ' ' w ^ Che iVccello
caccompagni fempre \ Hor narreremo vn'amicitia,cb'hebbe y>na pica con vu mio
conofeen te, ilqualhauea ridotto -vna pica no fola in fua amickia e copagniai
nHi in vna feruit efirema,che non polo li volano intorno tutto ilgior
no,maflaua fempre appreffo di lui il giorno,e la notte. Lartificio fu tale.
Quando ella era ancor fen'^a piume, li tagli la parte inferiore del becco infimo
alla gola, che non poteua mangiarefe non la cibaua. con le fue mini,la onde
quado egli mangiaua,ella fubito volano fo- pra la menfa,e cantando li faceua
vna muftcd,che no era cofa,ehe fi 'vdiffe
diccjfe in cafa chella no lo riferifce,che no fola le voci, ma imitaua
quafi lhumane attieni, come fu fatta grande It lafciaua an- dar libera doue
voleua,ma fempre allhora del prafo,d della cena ella pene tornaua magiare. .Accafe che lamico bifogno partirfi
da ca- pj,& andar longi per fpatio di quindici giornate, ella laccompagn
per tutto il 'viaggio, hor volaua yn poco innanzi, poi fopra vn ramo lajpettaua
finche egli giungeffe , alcuna yoUa yolaua 'fopra il cap* pello, le[palle,i!r
iui fi ripofaua, hor quando egli paJSaua innanzi, ellafiripofaua,poi con yn
volo logiongeua,e con allegre^^a,e canti fe laccopagnaua,la notte dormiua nel
fuo letto godedo della fua co pagnia,ma della trafmutatioue di tutti gl animali
fia delto baflaq^a. , . ,t II fine del Secondo Libro. ogle f i DI GIOVAMB
ATTISTA DELLA PORTA napolitano. DELLA MAGIA NATVRALf, t Libro Terzo. Infcgna i
precetti dellAgricoltura , e come fi poflno me^ fchiare e produr nuoue piante/.
PROEMIO. Ia bauemo pieno raccMtat le Vsrh generAtioni delli animali bor reflana r' dagnemle giocondtta,e con vna
porcene beUe^X, perche l'rfHra, che fi fa con la terra, 4 pii ricci , t h pii honefia , ifcnu de
cjcmK jc c Iro - c U C^ra .0 mvccchcc m>, refcfircccc dcfMmrc , ,4cfm
ucco granlu'iga , di- mofir andane ogni
giorno noi il cafo,la natura, e
l'ejperienp^a, cofe uuoue; Scriue Diodoro che al principio la -vite non era
altro ebev- na fola, e feluaggia, bordi Bacco fola coltiuata , mutando la cond-
non delta terra , l'mclinatione del Cielo , VinduSria del cultore variata in tante fpetie , che voler raccontar
le fue v met, giudico che fila opra di mente non pana, ne ci apporta vtilit
alcuna in rac- eontarle_,. La natura ci produce vn fol pero, bor fono tante
nobili- tate danomi deloro cultori Decumiane, Dolobelliane, ij altre,che furo
da Decumio , e DolobelliL* . il medefimo giudichiamo de' ehi, che vi fonale
Liuie, e Vom^eianil, di Liuio , ir Vompeo . Et il melocotogno in quante variet
hor mutato f che da Mario fieno chiamate
le mariane , da Manlio le manliane, da ,^ppio, CUv- dio, Cefiio-, appiana ,
claudiana , cefiana , la cui variet b fatti eterni i loro nomi f che diremo
delle cireggte ritrouate tempo di
Tlinio* che de' cedri ? che tempo di
Teofrafio, e degli ani di Vlu- tarco, e di Plinio, come ferine ^theneo, che non
fi mangiaua per la fua grand^ffima acrc^^a , e da Palladio poi furon mutatele
fue midolle in dolce ? che diremo del nocepefeo , c dello mandorlo pe- fio
frutti non vifii dt nofiri antichi , i quali hor con Unta marau- glia, t
fijipore, e giocondit fi mangiano 1 che de fiori de' garofoU ' che DI Gio.Battifta della Por. Llb.TII. 107
heper opradelU cultura fm fatti dipinumero di fremii ^ e pA cdoratit t degli
altri frutti ( fiori, di che ne jf erfo tutta la nojra pera , ir igiardihi dt
'trapeli ne fono tuttfpieni, che gli borti He- f^ridi, di Alcinoo, di
Semirami i Tenftli htggidi Memfi, non
gli baremo da inuidiare. Ma eominciamo PbiHoria ceti le ^i breui , e tbiare
parole cbe^ojfumo. Come fi poflfano
generar mioue herbe con lapucrc- faccione. Cap. i . Hr ftruar l'ordine, che
hauemo cominciato da principio, bauendo detto che fi potevano gene- rar nuota
auimalt con laputrefattone,eos an- chora dimoflraremo , che da per loro iUeffr
f$ pojjmo generar nuoue herbe . I nofiri antichi, fenq^a aUu,: dubbio fono
fiati di parere,cbe dal la mcfcolanga dell'acqua, e della terra fi poffa- m
generar nuoue piante, e che particulari luo^i pojSono generare particolari
herbe. Dicemoper parer di Diogene, che dall acqua pw- trefacendof n'H > iiac
fae, m accorji che dalle terre pi delicate, e J nif. diano berbe, che coiauano di
foghe piccine- efecche. e , di pttjh giO'ich, in vece It gahi, i2' int.igliare
le foghe con pi de- li: it; intagliature, coli de'.le terre apre, e dure
pumicof ; delic.ite, i.g iofc,e con mtlti profondi t^gli le fronde meauate,
h(el mede/i- m mo h,ha:ien.l} raccolta
l'hcrba da luoghi emhroft, i7 acquofi, e difiiji cbsfcatoriutno acque, batter
gener^ite herbe di color verde gaio, con le fron.lt fuccfe,e carnofi,come fono
i cotulcdor.i, portila- ch:,fe'npreu-ue,po ncro,taglia- io in m rute parti lo
intjifrai con acqua doue fu d'jfoluio il ferme Digitized i"/ d
Gio.l^attfta della Por. Ub.TTT. top> 9o -fu.bito naf erro )oughi d pioppi,
-^ggior.gr anchora. 6rrtt cjjb- po /pr.t vn nwnte piino d mo'te caunfy
irbvJitiU t jrht:ci: ijtun^ do re drai ihe lCiih/i per piouercyh bnip^gt.naf t
ranno tu uni- ' tnci te da fe molti fonj^hi . F fc per dtJ^rai.a dopo abhrufi i
ut i rir- ^*ltx no pguitjffi; i A piaggi j fc hi par (he voglia piouere, lo
e^erjt J'ac./uA ov rnajpirgis imitando casi la naturai pioggia r a- /ccrunnojubito
iftnghi , ma per non hautrdyjuuta h piaggia i.au- tiiie faranno vnpoco pi
cattiui, per.ctoche i migliori ihenafoho di ^njcfla Jpetie fono quei che fi
nodrhcono dt Yuggiadxj. icguiremo imparare Corre fi generano gli afparagi.
Scriue Ddimo ,fe defiJeri ch nafeano molti afpargi, pijlafttl- nicite molti
corni di montoni fri u aggi , e fnnina quilli ne fichi , e poi inacquali,
alcuni feri nono cefe molto fmr dir agi ne. Setorvai le^intere corna di
montoni, non pifte in minute parti ma le perfore- rai, r le piani :rai proiur
anno gh'ajparagi . Tlintodice , ebe dalle corna di ariete pijli , e fotterat)
nafierno gli ajparagi , fe ben par V
Diofeoridc che fiafalfo. f. fc bftt da noi fatta l efperien^a molte vol- te, non
mi fia fuccrjjo vedergli, hahbiamo nondimeno intefa a mi-, ti amie , da quello
tenerume, che fi dentro il corno degli montom fvUerrato, produrgli ajparagi.
qamedefimi anchora m' flato detto l.Hcdera lulcti c dalle corna dtCcruf. E ci
haurndo letto w .Anflctele agricoltore , felcn mai hdhauuto eccaftone poterne
vedere Irjberienga , hauemo nondimeno letto ap- pTiflo Tf'fraflo nelle corna dt
Ctrui effernata l'ihdera , per cfler (ofi mpnjfibtle imagmarfiyche in quel
luogo vi fu flato portato tl /- r.t deil'l leder, ne par anchora
poflibilehaucrfc il cervo fugato le ' torna in alcuna Hedera , i!J haueme prefo
alqua nto di Ila radice , - hquale altaccandoft in quelle parti molli ,eihe
ageuclmcnte fl pu- trefanno, hauer appref, e germinato , lieta fe qucflc et fe
fondere, come veramente elle fono: da ~varie corna dt animai', niuno negbe r, che non poflono generar fi varie herbe.
Cosi dalle putrepdut cor- teciie degli alberi ^ee chi, e rami , > Generar
lHipcar, cI Polipodio. Varie fino l herbe che fi generano , come lHpear\ il
fieli , lequai naf.oHO nellabete, e pino, (g altri alberi) peri he in qui Ili
luci hi r certohumor flemmatico, e catirrofo fi pHtref,ilqual drliabmda^a yeti
fuori dtUafuperficie deltronco, c'defratnt, Cl mritni.cid9 alcH- Il* Della Magia
naturale ' ^ 4CHAA putref attiene,. e dal Sole rtfcaldata,facilmntegeHerarJi y
rafiMilherba. Come non fi mutino le piante , che paffino da vna forma in
vnaltra. Cap. a. O non giudico che fa altro il far cofe mar ani- gltofe , che
trtuformar "ona cefa in vn altra , 4 fir alcuna cofa,che par che fia
contro il folito . a della natura per narreremo quelle regole co lequali fi
pofiano far queie cofe. 'hjot pujftaato fa~ con ~vna forte di culto, per neglig'^a rfa^^- ta far eh' vna pianta
venghi mancar poco a poco dalla fua natura, e paffar in vn
altra jpetie,e sformarla che no, fole degeneri del colore, fapore ,grande^'^e,
e forma, ilche auuie- . ne ageuolmente alle piante tralafciate , abbandonate di
culto, le coliiuerai, le coUtuate abbandonerai. Oltre 4 et tutte le jpetie de-
, gli alberi hanno le fuc regole da,' .tiuarft, perche altre nafeono di feme,
altre di tronco, ouer radice dijpiantate ,
di cima , laonde ft \ quelle piante , che /olite fono piantar ft di
radice le pianterai col fi- me, vero quelle di feme piantar fi denno,le
pianterai di cima, col tronco,nafieronno veramente da loro altre cofe, che
nafeer doueua-- 00, come ne infigna Teo/Tano.\Cosi anchora mutando il fito, cio
il ' Cielo, e la terra,Ji "viene
mutar ogni cofa,efi far nafeer e vnar^^ . bore, che muter la fua figura,
e la fua faccia , cheparra "vuoltra^ 4ellequili cofe , ne fono pieni tutti
i libri , che parlano delle cofe die agricoltura , e di quegli ne porteremo
alcuni ejfcmpi . Se vorrai Chela Ilice bianca
nera, diuenci nera bianca. Semina
il feme della vite domefiica.che nafeer
filuaggia,e di frut to nero, e cos al contrario fiminanio i fimi della
vite nera diuerrd bianca, come anchora Theofrafione infegn , perche fappiamo
per. certo, che la -vite non fi femina col feme, ma con le radice trafpian-
tandola, col magliaio, col troncogiouine, c quefa la fua 'vera gcneratton,laonde fie
diuerfanute ti porterai da quello,che coman*, /da la ragione, ti terranno cofe
diuerfi, e contrarie, T^el medefi- wto modo. , La fico bianca diuenti nera.
T>fr- Pigitized by Google Dt GIo.Battlfta della Por. Llb.TII. ut IPrrciocbe
nulla jpctie di ficd ft genera Jalgram , che nafce dei tra il frutto, ma da
^uel fan fido il caprifico, cio fiiofeluaggio , e per lo pi di altro cohr di
quello , che fi [emina, t he dalla nera fico nt nafce la bianca e dalla bianca
nera,e da'vna pitefbiU,e da man- giare , ne nafi e fempre ma vite 'viltjjima, e
ai vn' altra jfette, che non par in Ut ctfa domrfiicayma tutta filitaggia. Coti
* LAllorpr*;'! Mirto rorsi, nal'cono neri.
i. * anchor eglino poffono ritener il vero lor colore , perche anchor ej^lino
tralignano , come il mede fimo Teofrafto refenfee eJSer me* ( fimamhie accaduto
in yfntandro , perche il Mino non fi [emi- na di femr, ma di tronco, e di altri
modi, i!T il Lauro di radice sbar handofi dallsmadre , con alcuna parte di lei,
come ne babbiamo i pieno trattdtomUagficoltur a, cosi anebora - 11 Mandorlo eI
Melogranato dolci diuenghino amarli * ' &agrii. Seminando i grani del
granato nobile , ne nafce VignobiU , ij vile, 4J effenio di nocciolo molle, e
delicato, vien conduro, />t lopi agro. Ilmtndorlo anchor a traligna cos di
fapore , come ihe di d- iicato, e molle ne nafce dura,laonde volendola generar
c, trafpian- fa le piante domefhche, fpeffe 'volte, inferir le feluaggie. La quer- ia anchornafee
peggiore,e ci fi conobbe, che polendo molti [emina ^itelle,cbe nafce uano nell'
Epiro, in niun coto nacquero , come quii* ie,che fi piantato. Tqafce anchor dal
nocciolo dtlVoltua domejhca, oltuafeluaggia, e dicono anebora del Cpreffo, che
efiendo fcmtnato [emina, nafce mafebio, e finalmente dal feme niun arbore
domefii- , . co pu nafeere, maogni cofa filuaggia,aTt^i alcune menopljnoper- '
ttnire prdur frutto. Dice V arrone cht^
II Cauto (1 muta in Rapo, & il Rapo in Cauto. *tanto anchor a lafor'^a del feme vecchio in alcune
piante , che fi mutila loro natura, perche il feme veccia del caulo fiminato,
i- eoito che ne nafebi I{apa, e cos al contrario da quel del ^ lo. Con
apparecchio anebora, & alcune diligem^Cj La ti fa,c fpclta fi muta
itHrano,c cosi al contrari. E quefo auerr fi feminer dopo pifia vn poco\ e
queflo non allhcra OHuiene, ma nel ter(oattno, come dice Ttofrafio. 'Plinio fi
rive, che la fingine dopo due anni fi muta ingrano. E cos tutti ifimi per ne
gli^entia , i heglifia nemico il Cielo ,
e la terra, fi mutano in cefie pttiofe, e contrarie. Virgilio Ho Sxt / Della
Maga fi atral . Ho uilo i Temi lungo tempo fcelci - E feparati con fatica
grande, ^ P.ir tralignare al fin, f(?,lliuomoogn
anno ^ Con diligenza con le man non
fcclga. . . .jC osi uoglionoi fati, che ogiiLcofa > ' Cada al peggiore, c
tutto dietro uada^ c Il padre di Galena
jam Jiudiafo alla fna vecchic'^'^a deWagricol^ tura, vigran Jtl:gen^a ,
perpoterfi certificare ,Jt qncflepeUi i refta 'Yn odore affai debole ,
imbecille , colquale fi raff'vmiglia alla menta , Jo ftmtnaio la menta col fico
feme, diuenne pita di odore, marimafe la
forma d.lla menta, iomediffel' agri- coltore Martiale. Che il bafilico diiirnri
n-rpillo. Fjfendo ejpofo Solgrandiffmo,
hor fa t fiori violacei, hor bianchi, bor vermigli, e non fola traligna in
Jerptllo. ma anchora in fifembro. Cosi fi riffe anchora Galeno, che i
ramufcelli di cinnamomo flirtai miilauano IH C affla, t of^anchora '
Igarofulitle rofc,fiur di uacca uiolaci fi mutino in bianco. . . Cos' per l'et,
come ber la negligen'^a fi hfeino cosi d:ff>rc^, e U qaercie yecebie tagliati ejfer traltguati m
vi^e, e quefto non am menir,cbe refiando nell' ejfer loro,ifuei rametti
diuengbino viti. Ms putrefati,e mifcbiatipoi tonlauMcra della terra, diuengono
dclls matura delle viti, - - i-" '
- Come fi fiicct vn fruceo compofio di diuerfi. OOm 1 prima 'mefebiauamo infume
molti anitnaU varij , per mt^q del coito . coti noi qui faremo con le pioMte
per meq^o,detT inefio . Che quejq il
coito delle piante, comporremo molti frutH infeme,e nSurghiamo anebor, che non
fipoji. fa far con altri modi Ma queflo
efftto Idio- . ^ e la ldartn^ affai p' ap- ' ^efffi,^^ioaudo vedremo t che dal
fcambieuole bbracciamento ne' ^cfiaptO yu congionto indiffolubiJe,\e Ct diano
ccjfione grande di Wierauigliarci.E fe alcuni ejiimarann fitifiuoni fatiche, ff
impef-^ fibUtfia l'aUeggiMiento delia' fatica veder effetti, che erfiUfo' ma e
fe le itfilioni fimo impofftbih , emendonofi :qn fouerth a dl gen^a. Ti^e tifar
rimuouer dal tuo penpero. alcuni yolgari proner tiit^gij ignoranti moffart
quando redi l'rffi tlo cengliflcihi tuoi^ ' 0iaiqulgeti neUaniVipff^Up, cbf i
flato fi ritto drglj ntieb', chie'^ lo fico t tn.elfa nel piefamp f e/
tkrone',^^ il n.orqnn^d gna, tereji^ifito,e piopppJ^fitico,e da
qulnffcrrnbu'mq^ ^ la cafUffaafoHra fo nce e quercia, e che ilgranaio gioisce
di varif ^ duetij, e gode mifcbi^iofi con tutti, il ciregg o nel terebinio,e
per' Vn affaticar con jqng^fEQCti>Ja(cn>bianEft delle nozze Si matita.il'Teku^liioeol dometiico ^ Acci de
lvnor' e laltro la bellezza Seco ne porti iLrinafcence fructo> '
CoSilefvlac.veftonfidilrondi i Kobdi^it'fi raJlegran divedere ' . ... -t il
ludcr nuk^ntto-lte'iioceiattahicrefi . , :u i I-. c >1 d !c'. aiiic ru. e
p.irenrd , ... . , . . Fra loi: niifchiarl glt
mofen^afufpetttone alcuna,, che ,ci non auuenga ciongemoilvi^ fchio. e
fepa^ fon alcuni arbori,. che non fi lafctanoineftare,ptr fi i, bene feto di vn
tal pifchio.inoccha ito la feor^a con la fua gemma , , con marauigliofafor ce
percacomporne vft fruttaio, \ r: g^a cut mtftnra.e nuovo fruito non
conpfciuta.n pifla dagli amiAi tiofri , n da loro imaginata mai . flutfta
.farai per V ine famentb, chiamato dagli antichi inocchiare.
Tarrai.dalpifco.edal nocipt fco jdueramtgienani fi tfi bue fecondi, e cheti
diano gran fftran'^a di apprendere, e digt rnifghare intorno alU gemme,
perjfjtto di du^ dti tagUarai le cortcccte,f con magran dtjirec(\a di mono
difiac- cher la corteccia dal legno. {Jvfie ambedue r dove fieno partire.
,Muihe di due me^e gemme. fe ne yeda yna fola , quejle
inocch-.era.&ntH nell'altro albero ,
che ti piacer di loro , in quella parte del ramo che molto frefca,ie noueila. de potorrai tutti t
reftai{t raml^ .acciocbe nonlogliano t ye echi rami Hnodrim erto a' nonriti
inefi, ama che tHko.d^tcofi JficndA jn.fii^ia loro , j4pri Ufeor^ efis defife
^:^a, che il (erro no facci piaga nel lignote cncomiji la fior- * r.i
; C Ogll 1 f T ^ ^ V 'Delk Mgi nitural *
D JH ^4 da fofrs il legno della grande^a della medefima ijunth del agemmay e
eosi accommodar dentro la fita gemma, che ">aadt gim. fia neUnogo
dtfcor^ato. Poi legherat bene ..i / ^ ^
. . O s s I A n o anchora in PH*ahro modoaceof piare infume diuerfi frutti, e
ci con altra fpe- tie dm eft amento. Come fe 'volt fimo Frodur le enelagranate
compofte fi:a lor vartameme. Quefio s'infegna da Teofrafh , Si rmoUifcoo i
rampolli di melagranati con vn marteUmo y fm ohe da quella parte che "vt
ngouo pefie vn poco, tvnifceno pi age^ udmente ,e poi come fono firettiffimamhe
attaccate ir fum fi ptaum tono. .yfUbora da quelle verghe cosi infume compofie,
ne nafte vn arbore, che cafcuna di loro, confetna la (petie fita,e ciafeuna
tira fe la fuaparte deO'alimento dalla
terra, e lo dtgerifi e.ue altro han- no fra loro di commune, fe non quello abhracciamSto,
t quella vuio me. il medefimo nel medefimo loco infegnx Chvna medefima vite
porri vua nera, e bianca , c nel medefimo rafpo vi fieno alcuni acini neri ,
& a Icuni bianchi. Ttdfero molti maglioli di "vite > e li pefaro vn
poco da vnd port , dopo Digitized by
Googk fnt TU. Dlla'Magla naturate ''vfmhtuettdoli compo/ii^^S' aceommodui
egi*dmete infieme Vhanr ' mo pntati, e cosi di due tnsghoh fe ne feccpn fdo^
percio^he ogni ti.fa.vtua col viuofub IO s'iUUtccii ascomp tgn t, e
prtncipalmen- te^ueftofi "vede tu tj nelle piante fbe hanno p.iietado t ,C
amici^ Mufraloro, che acciaccati spnifcono in yatnttura.ie ciafcnno fi ra la
parte fua defC alimento fn^ t confonder ft fra lorp , laonde au tiene, che ne
nafcail fatto vano, come conutene all'vno, iJ al'al- , Ir Uche fanno
anchoraifum, fio modo vna (petie d'
mefiameif to, che fa tali yue che fe ritrouano in quelle acmi di yarie' (fette,
e colori, e queflo fi fa in quefio modo. Si pigliano quattro cinque,'^ ver pi. fe pi ne porrai m iglioli
di pite, e quelli le ac commoderai tiene infiemr, e qui ft infteme li ficcherai
in vn tubo di creta , per in yn corno
molto Reettamente fi che dall'yr.a , e dall altra parte avanzino fuori, e
quelle ptrti, che auan^ano fuori, api ite, e ponete acconciamente inynafbffa^e
fotterati con terra graffa, elctamata, palli maffiando ffejfo , finche
produchino le gemme . Quando le gemme feranno oen pnite infume, dop due tre anni,e che hanfat to buona ynione, rompi
quel tubo e nel met^o doue fono pi vnite, faglia con v ftrro,4J annetta la
pi^^> e pontui intorno terra fotu- e , che almeno le cuopra tre diti alto da
terra , cosi quando comir- fi iranno ad yfeir i germogli da quella corteccia,
bifogna purgarne due, egli altri lafci/s, cosi di quelle ne nafeer anno l yne,
quali h.tfi~ biamo propoRo. Le medefime fofe Plinio ne infegna da Columella,
Aia DidifM m qutjo modo. Si dconop gli ardue maglioli di diuer fc (pctie, e
quelli fi deono aprir per me'go con anerten^ i che la fijju. rapartapcr
mietagli occhi, e che non fi perda nulla ella midollfS, e cosi jggionger la met
dell yna conia met dell altra intj^- larle infume di meg^ occhio dtllpno fi
aggipRieon la mena dtlt altro,quanto fiapnfjdule , e che saccoR-.no infume
ajfu.hcne, che di due pubi fene facci vn fido la onde bf*jna che l'wi ma^Uolo
fis .ben cong!onto,ij aflretto cvn I altro inuolgendolo con papirou do- po
coprir la jifiura con la cipolla fqutl,
co ferra , ohe incolli bene ttifrme, t cofipoi piantarla, e cosi dopo
ogni tre giorni cin- que inaffiare
jnfind tanto, che cominfi pullulare,
seti piace nm fatto tlgermoglio , dt nitouo cofirwgi dueooihi tnfieme ben
atOtc- eatr, afctoche s'vnifcano in'pH. trom^rr, e ic ikrpo due'STint . f fos
ti piacer, traJptMf(i!dtt,i7 b^iifihtiit due atvr%i Da epiejii dun-^ que
potremo tf ,i,t" ' n'j v t a ju n
Tutti i firutti vriii?ejdr^0crfi coligp aEggiongergli infieme, .:*l l i j u,
. tihlhdM fiM fide dikbme peffinhiofar
vtmrttti poi, j^rcbfrmedr th itffyi ^i heMuhno fewt^t^ncin molto
'fjhritdfami'0^i>i^ta,midnmhp9fei yderwsi' $t mio modo fpktk. qmUo detwklludn. e lirir Wjhtf di Tidf0a
prokrgJr Bimtbii rei dicotiot che to/apoffi f>tfim ^'icHe^cho iwfl'/fti
bmfe,ei'e{r 9Wnetiff qtumii^foiio ifndikti4f4n^t^ti ^^wgtm in ^)e\
wfkmo9to^tmttpS'^i^^ dttf^ piro, e moUe , e lcngerat inu rno dt ma terra
delicata , e cor^fji cmincino germinar U nuoue fron~ ^.fiufino ^titin_^i ddac^
ittttd^tetmfarmenu>4iheftnam4i\^tt^\^^ttn^^ fmtwffoume\dtt^di^metfk^ wwi
fatytnfinl^^fin^-vnrifpo , brfeOdnKriitmtr(Oiitdf*(^ 'Ajf Intit 'puaike
mmfaitetti^iiftatki, ftum odorati, con yk mfhnta di corna', & vn aftro
rotondodt^mei'iT a^e rotonda,e tumgti aam, ernoornatndt yatif 'o^tiolrk MA^Bom
"^^tiin^^moonmidtaflegan^pt'cHa^erfi ? 1 Come altrimcnte r frutti fi
poflfanp accoppiate infiemo . Cap. >J. s * e H A R 1 M O anchorarm'altro
artificho ' colquale fi pofijHo comporre
frutti infiteme f ' mefehiarfi
fra loro , pur infegnato dagli anti^ chi, e fr ben pare me non folo dtfficile,ma ino- poffih le. Ma
perche fono flati infeguatt da au* tori graufjfimi , non mi terr di non
tnfignarr glt.fe ben quando ne h fatta l'.eff>er tenga noif ^ni fono
riufeiti, non per quefio voglio tor l'oc cafione. agli altri dinn tlbennyotare,
forf la fortuna far fauorenolealla loro dibgeng*^ tdmodo qurfo , che fi p ghno
molti firmi di diuerfi alberi , e frutto t'attarchaio . ufiemr con pegge d i
lino, e poi fifeminhio perche tut ti
quel germinando tv fin me , di molti
cauli che prodmranuo Rrf 11, (g coUigati
infeme , che non fi poffino fepartre,ne difiacca^ p tonpongamo infieatc ,
txosinnifid.wdmefrodtin/idmfrfi .IO (V
rtM tfri, 4* 1*0^ DI Gio.Battifta ideila Por. Lib.TII. iit /rNiii, er PH frutto
far mefibtJto di molti, e ijnefo forf l'hsn $0 d* reofraHo, ilifualfcrijfe.
Quando femimi la patma,/i mina due fifft injiemr congonte , .e di fopta.
altrettante ^ tm tutte inchinate, ferche no caccianofuori
ilger.mf^gliodallapaip fup^naocaua.mo dilla parte difoprs , emendo ifuatsro
m^lio s atta o anutnfume Terche le radici dt qntlie cdtbracciandoft
'picendruulmente di tut- te infteme ne nafee yn falgermeglto, e t'vnifcono
itifa nu al primo, llche fefufe ysro, ne nafcertkbouo da ^uefio furetu
innuoterainlt ej^erien^e. Dunque per far Che ic bacche venghino di pi colori.
$e torrai molte bacche bianche, nere, roffe,e mefi hiate infteme pi' ie ter ai,
fe quei parif gambi , che germoglieranno fuori, li g^orgerai in~ fieme,
t'aHaccherjnno in vno ,.e nafeeranno le bacche da qu. Ho di pm colori., viinio
dice, che qneffo modo i fiato ritrouato dagli pc- eelhdicendo, M natura
aneborab dime firato, come pofJUmo in- efiar col ftme, ilquale efiendo diuorato
dilla fame degli rea lh,fo~ dojmcbor^iS bumido. e tiepido pfeendodd Ptntre,
m'fcbiato col fecondo fimo fuo , e cadendo tulle molli degli alberi corteccie ,
dal pento tra/JmrtJti. Diqu babbiamorifo ihireggio mefUtcnelfa- bee,
tipiatanonel lauro, il lauro nel eiregglo , e le bacche infeme di molli colori,
piamola merila nafeondendo ifemi ne'tefori deb fe cauerne hauer dato cagione
auebora del medefimo effetto. Con quefio medefimo modo fi falche 11 ficp babbi
il ^utto da vna parte bianco, e dall'altra *'
Tolto. . %.eontio fa quello eongiongimento in td modo. TonmoUi grani di
febiparij enobil*inpnape^^adii*io,eligatiinfienie,ltptanta,g nati cbe/bnd*
trapianta. Mafepoghamo , ' ^ - Che i) cirro produca 10^ rii poonitedi diuerd
lpori. Jl noflro Tentano f infegna nefuOi borh bifperidi elegantiffimame te,
noi per beUe^^a bauemo qU portato tfuot vt >Ji, logliondiuerllemiyeiqucJlipoi . CHi.nafcoiionoinna
picciolvrna . > 'E quando vffirauiUor del flxertocoUor- ,>: '^^: |breuij^o>bi, con gagbiuda
mano Hbifognochcliioltpateftrecti, ' : , * Acci crrfceadoicnc lacci vn tronco*
u - ^ ' eircoaiUa 4Uu Uvoa corteccia* L
Ma l Digitized by Coogle ili 'Della Maga naturale - * Che mttovnacortcccia fieno tutti i i -,
Vniti, c fermi, c poi itti maggiori, ,.y Piantati in fofia, che dintorno
fia . Di fimo pingue, produrr i fuoi
pomi ' . Merauiglioli, che in vn fol vedrai
1 fapori, che tutti infieme haranno. Che i frutti del fufino, e del
melangolo fi congionghino infieme. ' Tinoflri libri deW^gricoIturathauemo
abondeuolmnte dichia^ rato, come due fem non fi pofiono attaccare tnfiemCtiJ
hauemo ad- dotte le ragioni dallima parte^'e dallaltray e ijuele cfe ebe hanno
fcritto fono non folofalfe,ma mfojfibiti. Ma
noi ha fiacciutofar-, gli in (fuefio modo. Effondo alcune piante di
pruni tenere, e delica- te, e piantate da preffo ,lhauemo auuolte lvna con
l'altra, e tre in- - fieme anebora , come fanno coloro , che torcono le funi ,
e netuo^ doue fi haueuanO toccare , ne
babbiamo prima rafo la corteccia , acciocbe il vino, s'accofiaffe, e s'^fniffe
pi col vino , r dopo confa fee di verghe di olmo feor^ate, filmili legami detcati, e piegbeuo U,
leggiermente lbauemo frette , acciocbe volendafi feparar Cvna dall'altra,
ejaefio ligame li toglteffe la libert di poter farlo, & ve- dendo che
alcuna parte di loro non fi toc coffe fretta infieme, con contj di legno,
coftringndo /r^d, lbabbiamo firettamente
attac tate, manontantogjgliardamentecbe fivenghino fir angolare t. poi fcalr^aneUt le radici ,
le letamaremo , adacquandole frequente- mente. acciocbe con quefe care^i^e
crefcaco pi felicemente . Coti poi pjffati alcuni anni, doue fono cos congionte
infieme, che par v- na pianta fda.fi taglia, e d'intorno al taglio nafeeranno
molti gr^ mogli, e (la mirando s' alcuni di quelli fit nato nel comun luogo del
toccamento delivna, e dell'altra, cosi lafciaremo quelli , e taglia- remo gli
altri, cosiproduccndo quello il fuo frutto, far tale , qual bai biamo pronuffo
, molto bUt a vedere gli occhi , e di molto ft- pore al '^u(lo Habbiamo vi fio
ntgli harti regali in hapoli,gl albe- ri delle mdangole vecchie, ebeperflar in
terreno grafia. in ^jfia- to,per la lufiurta dell' educatione, doue fi fono
tocchi, fi fo>ivnitt di * ^ ~ - J- Digitized by Cioo^le 4 jfnOi (bia- Oi- ofar- (Ite*- rei*-, ben*-
^fC- , fO* oUrt^ itrfite- . eoe* par*' DI GIo.Battlfta della Pr. LIRUI. i j
modo, ihe paiono pho, e non due arbori, e cos baiumovtfiv i frut- ti mefebiati
delVvno, e l'altro . Vojftamo con i vjfi creta far il me- deftmo molto
gentilmente, perche effondo piantiti in tjur fU vaft,ff bauendoU da preffo
fempreM pofitamo inajfiare, egouemare
no- ftro modo, e femirgli. il medefmo h viHo effer accaduto ne' moro- m,
ne' luoghi apacht, bumidi, doue t rami fi fono toccati, im fifa-, m congionti,
& hauerpradutti i frutti di pi colori. Se -fogliamo ' Che Id lattuca habbia
con fc lapio , la rucchccta> el ballico. f altre berbe della medefima
qualit. Viglia pna ballottina di fier co di pecora, e fe ben ptcciola , bufala dentro , e rendila vacua ,
e poi tfopradetti femi, quali ti piaceranno, li porrai iut dentro, e le,
flringerai, fouerxala tm piede fatto,
poniti dintorno letame, e cuo ^ pri con terra fottile . va fempre di paflo in
pafio magandola , e dopo che feranno nati quei, pur inaffia, e Jpargi letame .
e come ha- ' ranni fatto il gambo, v/auipi diligenza che mai , coti barai la
lat- tucaamccata con quell berbe, che lbai infiteme feminate -Palladio Vinfigna
pi diligentemente . Secauerai "ona ballotUnadi flereo^ caprino, con vna
triueUa,e porrai in quella feme di lattuca,nafiur- bafUico, rucebetta, e di
rauano, poi riuolgendo quella ballotti- na di letame la fotterrerai in vna
breue foffa , ma in terra ben pap- pata, il ramno fi JUnder fono per radice di
tutti,la lattuca nel me i(p, er le reflante berbe infieme con lei, e riterr
ciafeuno il fino fa- poreAltri lo fanno in quello modo.TogUono alcune frondi
dintor no alla lattuca , quelle cio che Hanno apprefio alla radice . e
pun- gendo con ~vn (Itle in ogni grado ,
-vi pongono vn feme degli anti- detti, eccetto dello rafano, poi ltnuogono di
fimo, e di nuouo pian- tano la lattuca, crefccndo poi ifien circondata da tutte
quelle ber- be. Ma fe tu defitderi fapere I fiori come nafeano di diuerf
colori. ^ Dalla medefima regola. Se alcuno terr femi di duerft colri di fiori
dvna medefima fpetie, e l attaccher in vna pe:^7a di lino. e la pianter , da
quella ynione di femi , ne nafeeranno fiori di diuerfi colori, cosi dicono che
fieno generate tante ffietie di bellidi, leqnalt fi -veggono borite di foghette
di color doro, rofii.roffeggiante din- torno , er altri ye ne fono cos di molte
, e di molti colori di foglie , che paiono fiocchi di feto-, - . . V , ^ ^ Come
^ Digitized by Google i4 ^ ' DenaMagUhaturafe Come n iccino i fratti doppi che Tviio Aia dentro Tdlcro Gap, 6, r
fanchora vn altro moderi comporre infiemr rfruttr, e Mutici modo recitato di
fopra, tto ch'ama parte fu di we.e
Talrradi vn'altro neS medtfmo frutto ,ouero cbe nafcano in vn me- defimo ramo
due- o tre ft ntti di tmrif,e ditterfit ma cbe I'pm fia contetiutddftrodialtro,
ebc yeramente fi pu dir d(tppio, e noi (hmoprb- mi ib'e l'iMfgnamo. Ms
"leggiamo primaim^iantubtr come^ tbabhino infegnato, B primo .-u-i , ,k.
'Come H fjccrroima vna. " v q .
'y^ofane mcfira r r Voliua nell'vua, non
foto produrr racemi diyua, mvpwW- r ani bora Oliue. mque fi bufa la vite vicmo
ta terra, e per fuet bufo fi pafia vn ramo di Oliua, acciocbe in rm tfpo>dalIa
viivtirf fila dolcez'^a ,edaU terrail folito fko alimento rC per bauer piib
giocondo, e ftporitoguflo di loro\ cori nS togliendo' i germani dei- la vite
dalia Jua arbore, feruar fecotl f spore de fuotgeniton.C osi il frutto b
fortito il nome dallo vieendruote cogiongimento defuoi padr,daGreci detto
El'eofljfilo.E dice battervi fio tfuffiarbore ne'" giardini di Mario
Maffimoi & baucrgufi itc iui ii frutto egiudi- eatochegu(lsujinfieme,&
il fapor dcU'acino dellma,e l'Otio del- la bacca dell Oliuat c dicranchora che
ifutR^ piante nafiono neUm t.ihti e chiamarla col nome comune della patria loro
vbohma Ma i' fogna fortificarla intorno con pali , che poffino fomentare il
fmfk ~ ek'ranti. che imitandola di altro modo che ^uefio\ no harebbeb- figno de
pah. F cosifhmo che colmedefmo artificiofipofiafare Viu che h denrro l'acinodd mirto. Scriue T
trentino, che ilmirto riceue la 'vite neU ineli amento, e (b^ tura i arbore del
mirto inefiando i farmeti delta irte producono lie- na I leq-tali nel fondo
dell' acino fono le hoc he del marto . Ma nom jcriffi il madot come fi dostena
inferire fi le farmenta della vte in- eSai^ f ficmt ,rfo re nel nfflf' iitrfjh
5, cbC ipff- frit^ nit(^ ine^ nrP** et"^ oneS* irti nto'^ ,nel> yli^ r
U ' iS^ D I GIo.Battlfta della For.LIb .III. 1 1 j efiah fopra il tronco del
mirto apprenderanner, le vue prodotte fe
fanno al modo -^ffato^ che non haranno dentro le bacche del mirtOt ma /e
nel modo predetto^ttlagemlmentc apprenderanno. Faunrfi 4 1 ^ntri del prunodcl
color della noce. Chiamate daUt antichi nociprane,e da lor fatti, come narra
Tlinio, Han le noennefite vna particolar rfacciate^^s, che hanno la fac--
eiadelpadre, elf.tpnfdeltadottione,chiamaJtdaUvno, el'altro noeiprne. Cosi s'
impara ' Come l ^cci il pruno , che
babbi dentro il mandorlo dolce. Ali mede
fimo Plinio. Dentro alle pn^ne ci il
mandorlo dolce, ne '' p^i amai fn raddoppiato pomo pi tngegndfamente. 1 1 pruno
con la carne di me lo. imparati medefino.comtfifacfDi'frefco in BetcsfbnoemHcie
fe d ihramar/i te prurm melane, perche ftan nate ineflate'nel mel, :i
It^ccdeile mtxe>che ha denrro il mandorlodolce. Le mine fonofprtie di prime,
che hanno dentro i l mandorlo amaro^ come l altre prune, ir arbore peculi are
deUs Sorta, e dello Egitto, tetnpd di eranofamilkai aUa Itaha,e s'intfiauano
nel for> hmeperd mandorlo non etaeattiuo ,
vero perche facea luhrtce ri corpo, lineflorno nello Jrba , che tirando
da quello vn faporpi offro, firingeffero il corpo. Ma noi moflraremo il modo,
comepof- fiamo produi re il Maodorlopefco che di fuori pcfco;e denrro ricie ne il mandorlodolce.
Quefli modi che babbiamo dinanzi narrati degli antichi , tutti fi- . mofalfi ,
e pieni di greca vanit , ne folofalfi ,maml modo da lor Jfcruto mpofiibili far fu. Ter che Je tu melerai tl mirto nella
vite, come babbiamo dimidhrato ntf agricoltura, nonportef il ffU^o ^et modo.
Inferir lOltud nella vite imponibile
>' CT anebor che rtufeiffe al modo lor dato, no produrrebbe vua. Tlinio dice
le pm- ma meline, e mandorline, e dalla noce, ma non ivfegna come, e for- f me
da U, ne da altri Jputo. tioi dmoftreremo al mondo come far fi debba. Queflo
pomo chiamato mandMo pefeo da. modern t, h frano ri nome dal fuo padre, e madre
, poich il fuo frutto h me- febiata la natura dell' vna, e dell'altra inficme,
e per diligeva d'xn- aflameitto , e per yna nuova fpete di adulterio ntrouata
dal man- dorle, f dal pefcoivn figfio ne nafee nontifio daglt antichi fecoli.
Digitized by Google : Della Magli naturale > che ritiene in fe la qualit
defnoi padrit e madrit eVe^e . Qni^ fio pomo dt fuoTt moftra le fembian^e del
pefco , ma da dentro fira tl mandorlo dolctt e di faccia, e di fapore . U
arbore dt nomi- ra inesatta fral pefcoy
tj il mandorlo , il ftpor del fratto di fuori
di pefo , dentro di mandorle dolce
> e quefio fi fa feprapOHendn V occhio deUnnOt fopra l'altro, togliendo l'"PnOt e f altro dalla DM-
ire, el'm folo , fiche bobbio mo ntronato noi , gi nt II ritmo dettm . E fi
vogliamo farlo triplicato , por l'occhio di queila doppio fopra rnaltr cchio di
pianta diuerfa. Qnefle piate per mot ti anni h tenute verdi nelle noHre ville ,
e i giardini . Con qntfo medefimo modo produrremo vn melo molto prodigitf% che
con l fita merauiglia riempia gli occhi, egli animi di ftnpoitt oi . . > ^
Che vn citro babbi dentro vnlimoncdlo. Sopraponendo locchio del cedro quel del Umane, In CalabriatU Sorrento.e cofa
volgare, e fi ne ritrouanodi pi fpetie, che nelbi go della medoda haue maltro
citro, e fono attaccati ad vno med fimopedicino. Del medefimo modo, e fiato
fatto m , \ Melangolo doppio *. r. i , Laqual fpetie anchara loptata appreffi noi , che i fiiichi
fU dentri fieno dnpUcati ^ con tanta bella fattura che non ti fittq mai diwi^ rargfi, , ^ Come fi pofiano generar frutti mai pi
vilU e ftrgli migliori, c peggiori. Cap.
7. (r M p o K T A N z A, elclodi dcW ineftare h- altri luoghi fbauemo inalbata
al Cielo camag gior copia di lodi, qu bafia fol dire con il foli tnefiamento
poter generar nnoni frutti, e mi* gUori, e peggiori, raccontaremo tt^erien^
fatte dagli antichi, e da noi . Che diAbiam fa- refe vogliamo Che la cafiagna
diuenti eccellentifiima. 7^ nelle
midolle del rouo, e delis ferola, e form imi letame , & i fenti i cocomeri
, liquali facendo le loro radici , svniranno con quelle de roui , e delle
ferule , che coti fi nodriranno non della fua , ma dalU altrui radice, cos fine
fiato cocomero produrr i fitoi frutti encbora nefreddi tempi . Ma bora bifogna
imparare come poffia- mo mentirei tempi, e primo che \. i cocomeri producano il
fhicto innanzi il tempo. : ^ i Quir.tilij linfegnano cos . Vigliano i
cofini, refi di creta, e fi riempiono di
terra ben criuellata, e mefcbiadoui mlto fimo la fau'* no liquida , T
anticipando il tempo douuto , quando comincia Uy primauera, vi piantano i fem,
e quando fard bel Sole , r caldo # ia' piemia moderata, allbor cacciano i
codini allo fcpertO,]e nel der poi del Sole , le ripongono dentro al coperto ,
e'quefic cos fa/fi', continuamente , inaffiandolo al fpeffo quando far dibtfogM
. M*. foi quando nella pnmauera faranno cefiati i freddi, e igiacci*fu il Cielo
far pi benigno, e cknunte, pianteremo quei cqfini i fi in terra ben t(appata,t
c$binat,fi che i labri del vafe fieno eguf k alle labra della terra,e fe ne har
penfiero tkeokiuatliXosi an\ ebora fifa
delie lacche. Teofrafio infrgna come fi poffa banere i ca- comeri inmanz,!
tempo . Se alctinojfenuner i cocomeri dinuer*. eto, e linaffi con acqua lepida
, e l'efponga al Sole', e Vacceli al fo- co , e quando verr tl "vero tempo
di fcminarli, fotterrt i caneHr. doue ftanno piantati, e cos i fimi frutti
faranno prima degli altri ^ 7{el medefimomodo'finfigna Columelia.il cocamero fu
oltre mo^ do grato Tiberio imperadore, e
volea che paffaffe giorno che nS me bauelf,eptrd quefio effetto l'haue a piantati negli borii
porta*^ tilf con le ruote, e^ni giorno dimofiradoglt al Sote,e ntinuemo le
rttir amano dtro le camere con le frneftre Didimo nel medefimomn do impara
Cotnc fi polfanoprodur le rofe pafiaro linuerno*i Senevafidi creta, e necofini
piaviate,f lerfrla medeftma di- -KgenS^, che babbiamo na rraio ne coumeri , e
nelle H^ube Vii- mo proibendo il freddo di 50*1^ Produr i fichi inn anzi tempo
dcnanno pafiaro. ^ St^orga. con affai diuerfo artificio de' pafiati ,fan in
alcurtt prO'^ mintie t fichi d' inuerno , cerne utllaMtfia ,maciauien ptrarte^.
non per natura Vertbe hanno gli alberi defichi affai bcffi,e vani, e\ affato l autunno le cuoprono di fimo, e fi vi
fi trouano alcuni acer-, , ^d'tuuerno, quando poi nel Citlpt tiepido fe le lena
il fimo, r. ^ fpoiU j.iized by Googlc DI Gr.Battlfla della Por.LIb. III. g
/^ofte alla luce, e godendo del nuouo 6ole,i3^ altro col qual'tijjero, autde lo
riceuonoycome fnjiero nate di muouo,e tjuando fogUon ncr mire tl fiore gl' altri, elle maturano , T tfiendo dell
anno paffatot fon innanzi tempo, anchor che neluogbt freddijffimi. ida nelle;
ber ie,epiante,gi per innanzi piantate (per non effere inpoteft na- fte s
coprir tl Cleto, & aprirlo 'nel tneio de' larghi campi) noi dan- do alle
radia acque calde, nitro, d calce , cofefmtli
tenth mo di accelerare tl maturamento. Se 'vorrai Cheli cireggio produca
innanzi tempo. Dice Tlinto, farai cbe'l cireggio produchi innanzi tempo, e lo
tfot Zerai maturarfi, aggiongendo alle
fue radici calce,ma ci prima che producbmotfiortf vero fi jpefioinaffieraiie
radici con acqua calda, fe ben dop feccher. Dice Ddimo La refa yfeir innanzi
tempo fe prima che produrr iiottoni, facendo vna (offa di *Vm pia de a intorno
la radice, vi butterai acqua calda, cominciado
pro^ duri bottoni, Efe ti piace .
n : . Che le piante germoglino prede Chme n*ammonifte Teofrafo, efe la fico far
piaktaU apprifto ut fitlh,erfcerpf prefto. in fomma tuuo^utUo cba/r.piantato
nella fcilla,germogliar ageuolmfte, e-piifelicernhe crefee ilcbe Mofa per altro
fenon per lo fuo calop interno, inftgna Democrito Che i fichi faccino i
fruttiinntnzi tempo. In r Chela
brafsica-inMfitti tempo germogli. ^ etm infegna Tlinio . 5mo aUutnxbe
trasferendo la brafJicfitU radice muolgono d'alga , con nitro pjjlo , quanto fi
piglia con trt diti, e dicono valere alla preHamaturatione. VoJJiamofir x. ^ .
Che lapio germogli prefto. , Terche (limanOfChe pfentato jkhito butti fuora;
fenel principjo /}^ fpargerd' acqua calda.Da Tlinio.Dice "Palladio
feftrfl>rfo di vn leggiero maffiamento di acetOj nafeer fubito,
verqfejopcbei far feminato fi bagner di
acqua calda . Ma tanto ia niente hu- nan con l'efferienga v penetrado nel pi
fecretofeno dtUa na* tnraycbeardifce non /blamente preio , ma ^ ^ ,
.Vclocfeimamentc produr lapio . Ti cui nafeerfra tuUe te cofe , che fi
femindno, il pi tardtr., e pi difficile riufcirt,'pibe fuole feminato fptar
fuori al eiHquante fimo, almeno qiurjktefmogtorn, come nefctifft Teofrafio,
refantif che lo lafciaro noi fcritto .
T^fii lo cbianuimo petrofillo% hor qu btfogna che fhj in cerullo , che facendo
tantillo d errore^ hh rifcirdh'effeito. Steno i femi di quelfaimo, e quando
flper *venirV efiadefommtrgerloHe{l' aceto. n. > t i ' Che i meloni
prodacato prefto il fuofnicto. , Berne monti di letame in vn luogbo porrai vu
po^o^ di terra fittile d inuemo, ir in quella terra ftminer Uf i meloni,. per
Ucalde^gu di quel fimo nafeeranno ben preflo, ponendoui alcuna cofa difopru
difcnd.li dal freddo della notte, e dalla neue,cbe per lo caldo del : \ .a *
X .f l* .i X pi Gio.Battlfla dlia
Por.Lib.III. 13 j jimo ttn moriranno', tjuando poi il Cielo comincar ad effer
pili frtno, e benigno , trafpiantali , & in qutfo modo noi veramente l
habbamo prodotto pi innanzi degli altri Con quello modo au- . chora col
anticipar il tempo del feminare, pojfiamo Produr i ccdruoti'fhoanzi tempo. ' *
TeofralO ne tnfegna vnahrb fecre^i perche le radici di cedruO" iipomo
viuere pi d'vn'anno'^fandoui alcuna diligenq^a. Se' al- cuno tiglier [opra l
rhdice fommo delia terra dcp che haran-
no fatto il frutto, e buttandoui terra fopra le radici il feguent& an- no
dalle medefme raditi produranno di nuovo il frutto , feT affai- rnnanq^i
tempo e tanto tempo auan^aranno ^i altri
, per quanto fi trovano piantati innvin^f
gli altri, che shanno dafeminare, e far le radici nuove. ' '' li
ccccvrciri predo. Coin infogna Fiorentino ffelo femineri, quando far il tempo
deU'or'^Q. ^ J ' .Si- . ( La Rapa nafeer preftifsimtt. Come ne infogna
Teofraflofe dagli bortolani far piantato necu- tnuh di urr, perche nellanno
fgnenic nfeerd^no' fi prelo , Kor qul^addurremo varij ariifcifdiuUura , con i
quali popremi 4441*^1/0^^ pi yelocemente^'e'dftemo in che biodo* } A, Le
Cotogne fi producano predo, m ' ' r.^ C
> Stalcuno pianter ifemi , che prima, fiano Ratti molle nell ac-
quaytril 1 w . Ccce che verghi prfto fuos. r i
y.u t Come vuolTeofro^i ft tom tutte lil\gmmeifofio imUestiltoif* . quo
il fennofoi temono clt ^ pmtee^ci , mente talimentOi febei! fi
fikimereon^tdiri, a:, u ('.i't * 1 La aacca chepanorirda>prefto; -ji ^ t..'. Se li tronc beremo i germogli fupeneki,
e , ; ' tutti i fiuti. ; . TotremOffe nel luogo riuoltpmtfS^^*^o pianteremo te
piante,' j'cJqopfUMi in 'vafiflt eo^oeheremo in qnelfito,efeni aggiofi^ gfi tn
acquargli di acquetjipida', e fe rncgliamo che pid urflofceiz no {jftiUOf
parremo fono i vaf nn fornelli e cem yn tepidfj^mo tf- loreM faremo produr
forS^ ifirifUh 'Uffi^ra cagione tn Tnsr l^lit e neirifolaSifcbia producono i
loro frutti innanzi tempo di tutta terra di Lauore$ e le biade* fe non ebe
bruendo witifuo^ chi fatto terraje^daudo tiepidanuute quelli le loro ra4tci$ue
celeranolaloro coucottione , ' I .
c-^ :* ' ; rr- ^ . Come pofsiino hauer iempre iruttii e fiori.
; Gap.' 9* ' ' ' r a '
. ' Df quiycome yna catmaietieue;coiiie
pof fi farfiicheinogni tempo pacamo butrfr^^ I ' ti, e fiari*tr innanzi tempo,
che prej^giduU ff'up,eftrgltachartardi;k:befgiauodepd 1* J iltempo* perche net
tempi'ormariuoi no ce ne mancano. Ma come poffiamo ' Hauer i cocomerrtactoranrto'
0-itmittiuttkmpoi^dopSUurrtpo, e^r\!^efhteleynfr^ n^ prilefmi^*doferannogifatti
graHdi,eKbefiiano ylcini ad' VH poz!^, fi afcimpendet4vien sifar
tbeaunfntinoakunAficoit^ w ftt^ , HO quafi fempre frefebi . Da cui Teofrafo. A
medeftrhi aUebe^' ' ra appartiene queUo] che auuaee ednepli^i^ alk ^ccl^neUa
moezta^euet9re]iirun, fe alcuno i afrotider ejfrndo pfU^ tigli alimentane (U'fietnde'nenti.periequdi
iagto^ la '[ deZzanoHpucrefcere. CotUenpebora anuiene d gUalbeh.cbe
ne^aghiefpofi al ^ole* i7 allento fauuo, Mofeyuot che core nno perpetuo
frutt Digitized by Google DI GIo.'
Battila della Bor.Llib .111. V/j s I cifri fcmpreftieno carichi di frutti. '* '
E tmto l'anno fieno foura lalbero t feruti ai tjueU ordine che fi tfferua
peculiarmente in tutta V^jjiria , r anchera ~vfjto in mot Il e ^4ft il gambo, far ai ynafoda intorno
alle fue radiche con quefio mo4^ di coltura, le radici ci daran fempre nuout
gambi. Ma f forrait Che mai fi manchino le rofe. j - , TiqKtalc dogni mefe, T
iletamale, e fen^a mancar mai per ogni tempo barai delle refe. Con quejia forte
di cultura anebora, tHaucrfemprci gigli...
Totrai,e che vicendeuolmcnt^ tn ogni tempo fiorifcano,piantifi d modo,
che i bulbi, altri dodeci diti tn altc^t^a , altri otto folamen^ te, altri
quattordici fi foftfrririaf^osi in diuerfi giorni hrai^^li. Il tnedefimo
conuienfare negli dtri fiori ha 4i^UiUq, Infegna TtofraR}. - , ...j
Hauer Tempre le viole fiorite. ; .
. Le 'viole potranno fempre predur fiori
,fe faranno cqltiuattn m certo modo. Etinaltroluogb. Se ne luoghi ferrati,
CTapri- cbi feranno piantate , e fe v aggingerai la cultura', nf barai affai pi
m abondan'r^a, perche in queSli luoghi, ne ritjf ono molti, che non panno
nafeere in altri luoghi. Cio fe le piantaremo in nafi di creta, e li
defendttremo-dagli feuerchi foli, e fouerefii freddi, fola- mente mflrandogli i
Sole, if Cielo placido , efereno, non la- fciandif lafdita ottura, cio del
fimo, e dell acqua. T^el mc4efi- trio modo hauem r ' J Enante Tempre fiorita* S crine Teofrafio,fe
farai la medefinia cultura aU' enante che baue- tifp poco an^4j{if* aUcfiole,
non lafcier di fiorir mai. .. \ , , Come fi producano i frutti tardi. ' Cap. i
o. (? . * I
hauemo innanzi detto, comefigeneraf- faro,i frutti prefio , e
prtftiffimi, hor auan- t(ajt*rrar quelli rtifiti>onde poffiatnofar-.
gUnffeete cosi tardi , che dtffenfcano la\ loro maturit infino tdtinuerno ,'
Hche im- Jiarerai contrarie cagioni, che^ dciftejuflan^i bifognaua fcaldare ,
qua bi~- prima ne gli alberi tardiui itufiam i frutti pte- i Digitized by IDI GIo-Bttftd della Por. Lib.
III. 1 57 pre/iit nefiarmh i prefiif ne'urdim. Ccsiancborapiantand tardamente
ricetteremo ifrttut tardi . Terche (icomegli animali^ " che na/ceno
tardamente^di tardo pelo fi vtfle,ne mailafcUnotftteU liyfincbe non Tenppi il
tempo di lafciargli, tl medefmo bfiojpta clf-> (iderar nelle piante,percbe
fe tardt pianti^ tardi mafeeranno, e Ur~ ' damnte prodttrarfho i fuot frutti .
Comtnctando dunque dall' mi- nare, in/egmremo, comepeffiamo Far la cireggia
tardi. . - principalmente nelle vendemti, ineHerai m rampollo di quefle m
quelle eiregffe, che dallingrato^ & amaro fapore noi tbiamamo a- matifndit e f qutfio farai tre quattro volte,
barai i frutti pHt tar^ ^ dii e'/ borper e fier troppo amtcre
lerifiutam,fmenticate de fine- ^chi di prima , eou vn certe acrtto fapore
faranno pi giocondcm '^otremo\>efe ci pi tardi acialder di quello che dicemmo
difo- pra,fernirci di quello artificio'dineftare, di (bene firmo firuiti^
fopra. E coti ' perche habbiamo gi dett
f /bpra poterf farei e coti porter il frutto pi'tardi di tutti. Ma ktf 'gna
cbe'l felice fia piantato in luogbo, che di bumidofiajhn- ^ pire bonduolt .* E
btfogna inefrla licUi vltimi gkmi della lih 'namancanure bentral
lrgno,'elacrtectiaLj, Ma fe alcim ' yorr'
. ^ Haucr le rofe tardi. ^ ' * ' u il modo infegnato da Fiorentine , fe
aBhra tu neftarai la yite nel cireggio, bor bifida inocchiarlo nella cotteccitt
del melo, per- che ertfeendo in l'altrui pianta, & alleuandofi: in quel
tempo, che lapiaot folta dar il fn frutto , /punter la rofti con vna maraui-.
lliofgiocondit di odre, e di beUtzS(a fi lafci da tutti credere , 't
cotiiemplare, e fina Imente tutti i frutti con fimili inefiamenti di- uengno pi
tarda Lalttomodofrrjndoi primi germogli, perche mentre non genera gli altri,
fifrde il tempo, giouand \ mlio il
Cielo, tardijffimaniente nMurer t fnoi frutti. E con que- fio modo pojffiamo \
. Faritchirardi. V.. r . ' Seve^liam fari fUhitafdi, fe ben non fon tali per
fua naturai ColmeUdt infogna il modo. Qnandoi primi fichi jbm piccioli, kMi
pft,cbe dop nafeergnno gli altri, i quali tarderanno ma^ S
turarfi ijS. Della Magia naturale . tHTufi j/iM oZr ituterHo . 04 CNi
Tlimio li /ubi fsrann UrU^ me,fe qntndo
i primi fiori delU fichi fvmno delU pandcX^A di
tufciUtfi Umno va, che tufcerann gli altri, che f$ matareraniu pi urd E
nel mede firn mode infegna Tarentino Far lvue d' Autunno. jprimfraeemi
ehnafc*o,bifog;Mlenargli vi,e dintuno n fceranno degli altri, e dipoi bi/bgna
hauer molta cnm della pianta, e di HHOuo produrr i racemi, i quali fi
matureranno poi ai tardo, tosianchora
V>foli, che femprc fiorifcono. Co'l mede/imo artificio, non Jpef^aao
i gambi,ma pm^ tandoli tardamente , e guardandogli dal freddo, hauemo i fiori ,
e frutti d inuemo. Ma fe yogliamo Fra i cedruoli cardiut. Tercbe fappiamo , che
abhorrifcono mirabilmente le pioggie ,(7 i giacci , 47 1 freddi grandi ,
feminaremo i femi l'efiade , e quando viene V inuemo , acciocbe allhora maturi
i fuoi frutti, li circon- diamo intompj/i letame, 47 coti reft/ieranno molto al
freddo, e noft feratmo ammalati da lui . Hauemo detto , che lbaremo fempre
frefcbi calandoli in vn poi(^,d/eminadoU nelle ferole.Et acciocbe L ro(i|i
horifca di.triqiauera. L'haremtfe bauendo cominciato i bottoni nel rofeto ,
/piantata la piantala pianteremo in altro Inogbo, la doue e/fendo confermata la
radice, /ar pi tardo il f ho fiore. Maft banemo (f e/iade Le fraghe h auerle
dinncmo. ttefideriamo, yero di
Trimauera, Qpondo il frutto biauebeggia, ' f Di Gio.BattifladellaPor.Lib.IH. f
anchor del fuo fiorito eoor porporeggia ^ cm hitule frmdt l erremo nelle canno
^ otturando la bocca delta camma con letame' raiJ,((^ le /tterramo, e cori le
tratteneremo tnftno alfitmerno, g
norraicbe rcffe^ino quel lempOt
imcflrale al Sole. Commom iiocerfo mrtificio da queflo pcjffhmo Seruar la
lattuca Tin/alate dinnerno. Qotan do bar mdatefmra le fue fglie intorno intorno
come ni w cere bioy/ ledano nella cima con yn fotf>l ligame^ la radice fi
pone f n ma/,acct continuamente pegafuggere iljko alimento, e cori '
mequilerbiancbeS^ye temereS^Cori antboraft fermano lefea- ' ruote per
Vtnuemo,infin che feruono. .Altri fi contentano di minor QfefoM cuoprono filo
diterrotaltri le cnoprono di firacci^e difrSd I n^t horiolani te cuoprono di
arena di terra,e con quejio arti^
Uucouerti sUmhianthfconOie dt^o teneri^ fi feruono per tut^ teFinuermoi Che i
frutti diuenghino maggiori del folito. Cap. II. E c V I, elv infegntmo le
regole come pagane farfi maggiori i frutti, e che auanzino la eom-
munegrandeS^, e quello fifa in molti modi, O vero con il filo
ineftarefpercbe filo e prime priuile^io
delF ineftare fari frutti maggiori), d yero inePladoglifipra quelli attteri,cbe
por- reno frutto maggiore , d yero togliendone dal ' irBco molte, fi auien che
t albero fta molto aggr amato di loro, ac- cioche il fiuto di quei che
refianofigli dia pi abondeuolmente,& ancboracon altri artificij, come
rcikemo, dalCin- eHaret acci . ^ ** Che
i frutti lafrano maggiori. ' Varkrt'mtHata del fuo mede fimo, ramo dori il
frutto maggior di qtuUi , (he o f tneRata . L*effempio l'hauemo prime portato
di Corrl/M, ilqualehauendo inefiata la caffagna del fuo mede fimo remo, lo
ttfhinfe i produr il frutto, pi n obtle,e tnaggier del prim, t nnt hM)mo fatto
efierienza di tutti i frutti, e che tutti col intHoTt^tcl eoltiuare fi fanno
pigrandi, e principalmente i ci- S % tri. 14 . Dlia Magia nturalc tri. fannoft
sncbora ipomi maggiori con ltnrjare, fe f iHeflaret^ /opragli alberi, fbc da
laro portano frutti glandi. Come fe peraue tura volejfimo Far le per4 maggiori.
f principalmente quelle pera , che fono picciole , dette mfehettet perche fe
Vineftaremo fo^a il cotogno , produrr i fuoi perni mol^ io mj^iori, perche il
cotogno produce i frutti maggiori di tMte le piante, cos haremolepera mofebette
maggiori dell altre,e che mai feranno prodotte dafimtli alteri, tic fan
tefiimonio di quefie quel- li che fon o ine fiati nella no lira villa. Cosi
anchora Che le meipile faccino il frutto maggior che pen- fiamo. CoRringeremo
fe VineRaretno fopratifeffocotogno,ilche Hoibtdh Hamo jpeUiJfime volte
efperimentato, e'I veggianojperimentato da altri , e fe reneremo l'ineftamento
, le faremo emebora mi^ori Sono anchora
ptcciole L'albergie>e che faccino i fratti maggiorr.- - - Se vogliamo, per
che fra le jpetie di perfnbe fono le minari^nei Tit^ eftaremo fopra quelle
Jpetie di prun i , ebe dalla fua "Vilt chiamia- mo coglio pecora,
perctoebe con la grandel^a, e con Informa im/ ta I ttfticiUi della pecora , e
fa pomi a fai grandi, che tnferendol nell altre jfrfir al pruna , tralignano ,
e aiuengouo affai piccioli perche
di^ilmente apprende m altri alberi, nafee foto ne giardi- ni 'hiqpolnani , tT
in Surrento folamente colai frutto , e non l'hd PtRo altroue, e fono frutti
eccellentiffimi, Totremo anchora Far maggiori i frutti del mirto. , tt granato
il mirto s'amano grandemente, e Tvngode del com- mercio de C altro, come ferine
Didimo nelle fue Georgiche. Final- mente fe tu ineRerat il mirto fopra il
granato, Ivno in Salir, fa- r frutto
molto grande . Ma io direi che foto il mirto intftato fopra il granato far che
bacche grandi , fecondo la proportione del fuo corpo , pi tofio che inefiando
il granato fopra U mirto , Totrd ciafebuno Far le mora pid grandi. Se tncRcr il
moro fopra le fico, c quella inftione
fiata fcritta da Talladio dottifiimamente 11 fico al moro fi mutar
colore firuccoranguigno,c fouialui le chiome Md^ i' a Digitized by Goujfle Di Go.Battifta
deiUPorkLibJII. 141- Mutar fjL tutte, e aitii fi tneratfklii, ^ ' *'* \ Ohe . veggia il fratto filo fiirfi pio
grande, * E di fiacco pili pingue, e pi'
giocondo. ' ' * 1*oJffiamo anchara con vn^altronruficio fUr le poma maggiori
del foltto cio cogliendo molti pomi da t albore ^ elafcUmdonene po- che, perche
il fncco dell' arbore partnofochi netocca piUparte, e cosi diuengono maggiori
,.TerchevHa tadre latter meglio pn ' Juo Jblo figliOt che duo. Laonde fe vfgUdmo "
' ' " ' * Far i citri pi
grandi. ' *' ' Fiorentino dice cosi . C^tmdo vedrainel
cifro che moti frffi lo * granano troppo, Hfogna panarlo dt molte,e lafciernene
pocht,c- ri le refiante nodrtte'dipi
abondeuoU fuccoy diuerranno maggio^* ri. Fontano, . i - i Ma f tu barai defir prbdur gran fhitt,
>, ' * : * * Ed
grato riempiriclarghe mani -i* ' '-' Scuoti dal raraoJe fuerchi poma i j
1 1 ,Che quelle che vi refiino'ficn
poche; i : A Ma le pi belle, e le
maggior di tutte, Che rheredi dei fiacco fi manno - n- ''*1. . Pel latte dei
fratello, e grandi, c belli. ' ' ^ ^ .Vi
.Chelemdediuenghio maggiori^ y >''' ^Igr. ' ^ 141 .11 -Della Ma^jiftatUrtlc'
. \ I granati di gratvcorpok / ' r~ ' .
, . . Far fogli amo, pigUiMdo taiaw,^9*
cui giet^megaal pri tetli flerco portinole fttfie di Pino, con forfora
di orzo, alo fermai remo in luogho ficco per ynanno pMrefarfi , mefcbiandolo ma polu il tn^e,
nelqfCMe poi ci aggiongitmo aceto,elo ridurremo in forma di pnguemo^ ^.Toi nel
mefi di Ottobre T^uembre fi difiuo preno
parte dell* radici, 0 ci auolgemo la mtfiura d' intorno, tf aU* pltimo cpremo
dt terra, &alfuo tempo daranno le poma maggio^ ri, che l'babbino mai
prodotte, che fi farai cos per gli due ami che perrannoapprejfoi farai i
granati tanto grandi, che firanno di ma tattiglia , e di ftupore, che quafi
eguaglino le zucche rotonde di grandegm. ' Che la faua faccia guaine fmi
furate. Co'l medefimo unguenfop ougendo le fini quando fi piantano, barai
fmifurate faue nelle fmifitratcfitamt. Come i porri, e i i^afant; ( hicduo
maggiori. TeofraRo fa grande i pin^ & t renani col tr^iantargli ffefltl
iiafiporraitche , La rapa che di gran rotundezza. ' > ' - - Diuenti. Sono
alcuni che dicono , che dalla forza del tempo , nel quale fi feminano vengbt
quella grandeg^, come la rapa, fi alcn ncilafintm^,fid>ito cheil fime fir
Pot^ dall'am , ck dsuerf ' grande rfii^e p^anian*^ ebe fanno radivipi ampie
,eft dtlaut - v,F.ve;.aggiorc Si-. ;i -
.) * ' ' L'fifegna,l^iorentinoi^e un
giorno prima ebe li vorrai feminar. lo pmaimolle,itfiicquatiepida,enafcer pi
grande, blenni fiimo che oprino yanamente , che volendo far il cece maggiore.
Ut /emina con le fue guaine pofio primas molle , aggiongcndo atlaC qua vn poco
di nitro. - ' 5 Che la lencecchia
diuenti grande. ^ S' impara da Teofrafto, ilqual pianta la lentecchiafaeendo U
bucco in terra con yn legno, come fifa cauli. Ma . Che le cepollidiuencioo
pigroiTe. ' Infigna Sotione, vinti giorni prima che le vuoi tre^iantare gappa
la terra, e lafiiala ficcare di modo,cbe non vi fia alcuna bumidit : e cosi le
pianterai, e cosi diuerranuo molto maggiori, e fi tu /coprii rai le fue tefe,c
cosi le pianterai, pur (i faranno piu gradi del debi- to, Se.vorrai Che
Digitized by Goo^It Di Glo. Battifta delIPor.Lib.Iir. '145 Cht i cardoni
faccino i carcioffi pi grandi, e r MftgHa V arfMe ,* Si feranB f dop lo tnoprm
H ter- , ra. L i cagione che Ie ratici
fi ajfotbo^ tHtto.l'alimento^e man- ,'^dano parte. i^ermo^li, che {partendoft fare^ neceffario,
ebene fegaijfi maggior crefcimento. Il cacbnlto
cpf* caldaie foda y con / la fua forzai della denfttgtoua far tirar
fe l'dmita dolUtptam- ta, e che lo ritenga, ne su lo trasmetta , e con t
aiuto del filo caldo lo fa concocere,e digerire, e quando il cjbo yien molto,
& dige- Ro, bifogno ebe ne fegua gran cref imento. llcbe
lb tolto da A- riflotcle.Dtcefi anebora l'apio dinenir maggiore,fe quando lo
tras- por ai, farai in terra vn bufo co'lpdo tanto grande,quctut'vorreflf, ebe
yentffe l'apio, e'I pianten, cbslfito crefcsr taiM,sberiem* pira il ruoto del
buco . .fi il ^ ; . v. ' *;' \ Rafano che CEcfea Vi . . t.'A . i*'i Si vede ne'luoght freddi nel
mede fimo m0tC$me'diitfPUnio , p- , che tanto gode del freddo, che
neliaGerUMniaeguagtiala gratin . dez?^ di yn banJtinp. lhanno fnfgnato cofh
Se4pt^o3(^^*f che fono s'inacquino, e com feranno fatte tm tgrtndi, che guagna l'alteg^
di vn palmo il aprir ai 4 intr- no, finche appsianole radici, e coperte
diJUtcodi bue , le fbtter- * retai,'
l'inacquerai , e come faranno crefeiute i taglia le cime con ' ferro a
cutiffimo , epoftiut fopra yn pezzo di vafo di creta non ye- triato, accioche
sapr in larghezza, non in lungbeiQ^. Coti Per far l^biecpl^pid grande.,:. >
>' ' * Infegna Sotione, Se vuoi far le hietole pigrandi , immergi le ra-
dici della bietofa nel fimo di bue^ fff,qpri Hgermoglie,spoami vna
pietralargi,dyerovnpezXotvnyafe. . Per far vii gran porro. Quando trjfpiariti
il porro, poniui fopra yna pietra grande, d "ve- ro vnpe!^ di. yafe di
creta, e non inacquarlo, Cal medefmo\ir- itficio AnatoUo' ' > v.i
u' > ' A fariblbiq^iori Infegna, fi come poneui in te/la i ^rri le pietre,ir i pei(^i di va- fi di
creta, coti 4 ^nefii.porri diniqripo U radili. Con vn non mol- ^ to ' tigitized by Google
DIGIo:BattIftadelJa'PQr;I4b .IIL iinerf di qnefi9 Artificio TeofrafU , ' Far
vnraiao maggiore , ^ ' v fegHAyfatto
dagli hortoUni del fuo tfmpOi ano delle fue frondit quando fono nel pi hel d^l
figorOyt oprano di terf^ che
durqj^infino qffe^a^ife , c crefio^fifipre, rcbenon germogliano di%iouot ierai
prima da /oprala terra accumulata^. Et if mede/^oafiiten^
arapa,comeimfipia'PaUadi9t ^ ^ r - Che le Rape diucntino maggi.ori ; Untata la R^pa , Jpogliata di tutte k
frpndi t tagliale il gamiu a grofftg^ di mezo dito , e pai la^ian forai ne
flcbi gap^i^fomi M diligenza,tonianal'vna dal'ara^^totto diti^e le cpprird(pf
terra,i!T vi calcherai Jopra, csaficrmino grandi, , Che laro fi facci grande .
.." \ nello mede fimo vuol Teifrafo che fi facci, accioche diuenti grn^ ;
. Qjiando egli abbonda di /rondi , lequali foghpno nafcre molto andi preffo la
terra, piegano qneUe /rondi, eie /otterremo dintor* lui,acctocbelaptanfpjin cj^/ca in germogli
ftaq/alimenfo/p t/imif intorno al /no capo.
*. . " Che la cepolla diuenti pili gonfia *- ' > oolTeo/raflot
Che''luti/e'letogliono le (rondi, accioche mini flri fua forza alle radici, ne
cte/cendo in alte, attendano far feme,
tioneXluandS'berai pleentre Ir cipolle, terrai VeflrerfttJUe, e codi , e cosi
diuenter anno grandi . Talladio . Quando vorremo, e i ce^ideUe^c^ille dhieifkqo
grandi bi/ogna cqiffmp^o^/flmdip osi il
/ucce andr alle parti di fono . Similrpente ' Che i capi dellagli^ faccino
fmfuratil * ' '* t agli prima che faccino i gambi, b/ogna torcere tutte le
fuperficie r> *. Chelazuccicrefcaifi fniruaKi grandezza. teorrsi i fani\che
fianno nel mezo delU X*cci e le piiuteri
eou ttma fatto . CluelU nel fuo horto Ma f vorrai, che nafca di gran ventre La
zu cca,tu corrai da mezzo il ventre li feme,e crefeeri fao di mifura . t qutfio
HO foto in d nu in tutti t fruttuE degno di confideraiont J femi che fono nel
pent-e fono pi perfetti, e come pi perfetti pr- ducono le piante pi perfette ,
quelli che foni uelie/lremit fon imecilli, ir imperfetti . 1 grani che fi
trottano in mezo la fpicafn- mopi perftttii tutti gli altri, e quelli che fono
nell'efremit trali^ guano, e generano fpiche imperfette. VercbeUzMCca d
"ongrau frutto, iJ per fi ne 'vede eflempio pi manifefto . I Qmntilij
pro> IR( ROKO hanere gran cedmoh- fe ptantere i fnoi fendevi capo gti i
vetofe porrai fono loro pn yfe pieno di acqua, r pi porrai deu* ir lefue
radici, coti dtnerranuo,e piu dolci, e pigraudi. Come nafca il frutto fenza
olTo) e fenzi femi dentro. Gap. la. Co/tf detta dal tempo antico da Fitafoji .
eprineipaU P VtiAtojv mente di coloro,cbe hanno lafciato noi i fceltt pre Ei Cq tetti dell'agricolturafi
irametti da inefarnof, ^ allepiatit ,che fi piantano con le loro pini radici ^
torram la midoUa con "Pn coltello d'ofio , o con "pu purga orecchie,
che nafeerda quello vn frutto frnzao fio , o fenza f orze hgU 'fe di
fpoyt,percioeh la midolla quella che i
produci- trtce,e madre di quella fuftpza hgnofa Magli .Arcadi fono con-
Uaxq quefia opinione , perche dicono che
oj^ri arbore , cui fra tolta "Pna
lumima pirtKella della midolla . P'ue,ma fe latore ai iuUa,uonfolo non
produrrfruui fenza ojfo,ma fi priua della "P ta, euicef- Digtzed by Google
DI GloiBattliladllaFr.LIb.III. 1471 \eceffariamentehfagHO che muoia ^
eorrotraii da (ptejlragit^ : ' , per ejfer quella humdtjjima , e mafimameute
yitale , pertb > Itilo alimentOtche
minilrato dalla terra traf corre per tutto, in- la tanto,(begionga tutte legarti, Terebe naturalmente ogni fa
-niuente, come peryn certo /pirto per la midolla del tram . * come per vn
canale tira fe l'amento , E quefo
dmofira Ia ateria fenxjt midolla che
sincorua e fi riduce mvn cerchio , fino
tanto, cbe fia in tutto refiecato, delcbe i nofirt antichi n'beb- rro
paura mirabilmente . Manoiinecefiano , che altrimente ttendiamo, e cantra gli
antichi , e eontra l'iSeffo Teofrafio.e tut^ quelli che hanno pratMo
di.Agricetura , perche gli alberi pofi moniuere fenzamidcMa , anchor che ptuano
fenica midolla i danno i firmi con gfii efii denpo.e con le corteccie lignofe
lora^eome ne bahbiamo pi lungamente trattato ne'naflri li-' ti a .Agrieoltur .
Ma acchebenon paia , che habbia lafciaf dietro alcuna cefo , porri mo le loro
e^eriengi^ , acciocbo iafihuno babbia Ubera pouft di paure eJperimMare , forfi
fendo pi diligenti di noi, banranno miglior fnceefio. Dnn*, u faremo nafcer gli
alberi, nell iuHare togliendo midolla on buttare d'itm gli alberi letami grcfsi,eon
l*maequar$ T con altri aruficq. Commimo daWn^e aBa nc^a^p/kn- a , etnfiguaremo
; t ' ; . > * ^ l Come nafchinoi
pcrchifenza o^'^i'- > ^ - i i
Earlcnrfpilarent^^a^ . * Tiromtue^ fi ferinefiawl nefpiiofi>pra il melo, o
farbo. Ma cidfier falfo neb dimoHrato l'f^eiiena.i ^ ma "meramente port
l'ojfo men duro , ma quefla la
ragioneipercbeglimeticbibabbitto dette quefio. Ver ve demo che gli Meri , cbe
bone mm duri ffima mi della dentro, produceano i frutti co^ offi
durij^mdutroieomeilenaled'oliiu ikpruno,il mirto, e fimili, eghaUrt alberi,tbe
bmtoo Uimidolktmo^ lise fungofir, pomrnae ifimtti ftn%.ofio,dent*Ot eemeafie^M
fian~ bcdi e fimili, lrnuMaMHmar^vdp.dire,e)m^ffof$ModriMuddU midolla, laqual
ccfa fe ben bau qutdcbe ombra dirvritds non^ quefie doueano die di Mte , pei'
rmomrpofiqueHeregda-geUerali per Ip pnefftgbfail^me M ber pajfiamo M altra mod^
quaia fif toItuor dlia mitAfem^ f^^^
ptegliofar., fe qumte kqnrifoitt^M^^liarmntp le^porrai dtn tair.na
/citta efttmt^^ke quella^cawr vnatdWfmallermfie- mfi ,e coI fiuobuiqiio
d^midera, eco'l eolio le farjeareS^ . Teofrafio . VyuafMiX^ acini dentro fi
f,togUendoia midolla da dentro il fnmenio,dalla quale figutera
laeino.ColumeUa^cciocbe lyua nafca fcwtaacinydentro iapri permc^la,midt~
terraia in terra ingrajiatar& mSia,qtmuM^*dar far iger- mogliycaua jpefie
'v : j 11 granato, e'UireggjoCcazacire. . , v.;, , Se nel mede fimo modo torrat
la midolla ifuoi virgulti. Ma .Africa-
no. Se tu torraifCcme babbiamo ditte r.tU'vua, vnagran parte di mi- dolla,e
quel legno cori aperto fotterreraiye pajfato il debito tempo ta- glia
qucUapartt della pianta che auariza,ibegtbaue germogliato, e cosi il granato
predurr il frutto fettl^ adnt , Palldio pigliando da lui defcriueil mede fimo .
. , , i . Come il cireggio produca il fruito icni*oiTo . Dmefirapi minutamente
Maritale. Taglia loiborencuella e tife- r dui fieni fipraierra, e quella poi fi
fpartiinfno alla radice , e con vn ferrai cauerai laradice da l'yna parte e
dafahrau fubito eonvn Irgamc fringtraifyna parte.e V altra, e la ergerai col
fimo , usi le parti di fcpratccmeJf fifiure delfdh bdar, ceti ijo Della Magia
naturale cos ttgliendo i rsmpoUt d tfueia arbore , inefierai Valtre che non
hahbino antbor prodo$to frntto * r conferma
che i fratti che mfccranno .ftranno fenica efia . filtri
perfarptprific.non pjrtiujno per me^ gV alberi noHelIi,magU alberi gi fattC
bufati i tronchi per le midolle , ci ftccauano dentro vn lgnetto[t aceioche
impedijfe il paffiggio della midolla. Ver far anchora Clic il pcrlico nafea
fenza oifo Come l'infegna ./ifiricano. Buferai la parte di bajo del tremeOt e
canandone fuor la midolla , ni ficcherai dentro yn legnetto ii falce y odi
cornale. Sono alcuni fcrittori , i quali per careS^zt di agricoltura fanno
l'ajfo pi picciolo nel j^tto . E cofa gi con* fiituita nell'agricoltura , che
il terreno ben lUppatOy inacquato, t grafo almentoriduce ogni arbore feluaggio
, duro , infero ad rii* tiidtno,epiaceuole. Eiofacitiadtnefcaprodur tl frutto
con l'offa picciolo, molle , e dolce , e cofa di ftluaggio, perche (inodrifea
df cibo pi fecco , pi duro, cosi mini firato dalla terra pr*' duce l'ojfo pi duro, pi grande, e di
poca carne . Potremo dun- que con le careg^yche Juolfar lagricoltura far l'ojfo
minore , e pi tenero Ma ritornando alla rite. Per far la vite fenza acini
dentro. T^l tempo che fi pnta la vite , t^liete vn fermento che facci frusta to
della vite putata , non togliendola daU'iftefia yite , e quanto pi fi pu da
alte togliere la midolla ,efcauando , attaccandolo ad rn palo , che non fi
torca , o fpezzi , allbora fi infonde in quella parte efeauata opon cyrenaicon,
detto da Greci, cio fuccocire~ naico , rifolnto primo nelfacqua della grajfeg^
detta fapa , e quello btfogna far ogni otto giorni , fin tanto che la vite pro- duca nnoui germo^ . Ma
Columetta dice cosi . ./tltri tagUano le viti gi fruttifere . E togliono la
midolla con vn purga orec- chie , quanto
pojjibil farfi , qnetta togliendo da alto , non Jpar- . tendo il
farmento per mezo, come prima bauemo dettOymala- fciandolo cosi intiero , e poi
ponendoui dentro fucco di lafere dif- foluto nell acqua , cotto tufino atta
fpeffa detta Sapa, che noi dicia- mo vin cotto , &il famento dritto lo
liganoadyn palo,acciocbe il fucco non poffa ver farfi , e per otto giorni
bifogna fempre infon- deruinuouo futeo, finche cacci fnorail\germogUo fi
pnanebor secondamente Far ilnrtofcnzailnocciuolodidentro. . . \ a Digitized by
Google Di della Por.Lib-III. 1 5 i cogliamo, et VinjegnATtofrafto , fi far
inacijuato con ae- a calda , che non Jolo diuten fenS^ nocciuolo dentro^, ma ^
pi migliore come dicono alcuni , e
qutfio fecreto i fiato tro- tocafot chermouando^ cafo-vaa f tanta di mirto
dijpre^- taaccofto ad yn bagno, firttrou,che produceua frutti fenza ni dentro,
e coii^togliendo trami di rfuejia l'andanano ptan ido,ecosi cominci ad ejfere
la fpetie di fmil frutto in ^te- . Didimo dice, che bagnando jpejfo con acqua
tiepida il mir^ crtar le bacche fue Jenxai i nocctuolt di dentro . Ttofra- dice, chele JporcheS^ delle pelle, e l'vrine
buttandole jpef d'intorno al mirto , c7 accumulamele ^ quando comincia rmogliare , che far il frutto di fotte, come
fi dentro non 'ri Je acino . le granate
nafeeranno fenga quellacino di dentro, butterai Sintomo alle fue radici il
fereo di porco . generar 'li fuoi frutti. Come fi poiTano generare i
frutti^fnza il cuoio ) o le corteccie di fuori . Cap. 13. VjtS l con mede fimi remedi tF arteficq, de quali ei
fiamo feruiti per far i frutti fenza offa dentro , vfare- mo , per far che le
noci , e fomigUantt frutti , i quali fono coperti di cuoio , di corteccie,
nejcauo finga i ro coprimenti , e primo cominciar emo dal torla mtdoUa da dtn^
). Come 1^ noce nafea (nza feorza. 'che impara Damagerente . Si tu buferai un
arbore , e ci ficcherai n legnetto della midefmagrandegza di olmo dentro , far
quii gnttto , th impedir , che la midolla non potr^fifii falirfupra , alla qud
fi ftma, che nafea quella feorza . Palladio alla radice fita 01 pone vn palo di
buffo, onero *n chiodo di cupro ouero di rro.Ma Teofrafo impara, come tS le
careg^ della cultura faro Che io andurlt, e le cavagne naicano couhe torz pi
cenere r pegfiamo naudltre , e mutare w frutto, cifetuirtmo del flerco di por-
Della Maga naturale . j, di porco j perche quel Rerco uno di piugagliardif che fi trou4H9, il
zappale fpeffo fari , che attr abino f
l'alimento pi in aho- danS^t , ij afiaipm meglio, e cos l'alberi diut rranno pi
vigorofi, g cosi perranno a portar frutti migliori, perche e dentro nafcer an-
no l offie minori , ir quelle che
porteranno frutti couerti di euoio.edifcorza, come il mandorlo, e la caRagna,
diuerrannopi tenere,i3f il frutto di dentro maggiori. Ver che la copia
dell'alime*- ' fole fa bumide,ir augmenta le polpe delfrutto.Ma Paladio inafiU
le rudici del mandorlo per alcuni giorntjhauedole prima difcouer- te, e cosi promette
che le noci nafceranno affai tenere. Se puoi Che la nocediuenghi carcncina.
pamageronte impara queflo medefimo . La noce acquifler la feor Za fotule,i!r il
frutto piu degno;come il mandorlo.fe butterai couti- ihuamente intorno al
tronco della cenere . jtnz nelle reflanti fpe-' tie di frutti che portano
feorza di fuori faranno il medefimo fe pje^ rai con loro la medefima cultura.
Dice Palladio .fe tu -porrai far la noce tarentina, bagnia la radice della noce
di lijfiuo tre volte il me fe per
vnano,el' barai. .Altri fono , che cafiligano gl' alberi, cio tagliando le cime
delle loro radici . O vero effendo la noce dura , e modofa , bifopm intorno
intorno tagliarne la feorifa , accioebe di la fudi quello noceuole bumore, che
produce amila feor^a, e quello lo tnoflra Damageronte . La caufa naturale e
quefia, che togliendo la midolla di dentro.la pianta diuien migliore, che
produce t nocciuo- lidi dentro pi delicati, cosi tagliando, e piccandola feorZa
intor- no, produrremo la fcorl(a, iJ il cuoio pi molte, la midolla fa Tofio, e
la feorza della pianta , la corteccia del frutto , e queflo haurema offieruato
con pn altro efiempio perche nel pefeo, che
m rfiato /pra il mandorlo amaro , fa la feorza amara, che non pud mangiarfi
,fe prima non fi fa mondi di quella: dunque di queflo fecreto fermiti ne gli
altri . l^oi nel nojiro giardino ne b abbiamo j di qvefle noeti di CUOIO tanto
molle , e di membrana, che appena toccandolo, fe ne cade e riman nuda .
Fiorentino Far il nAndorlo fenza feorza Cos^era.l{ompendo ilgufcio della
noce,conferna il jfntto di den- tro illefo , e lo circonda intorno di lana.o
con fogliefref.be di pte.e di platano , accioebe ponendolo cos nndo , non fia
rofo dille formi- che. Coiumetla con PH altro artificio Far U atf cc aucllaaa
carcucioa Infe- Digitized by Google Di
Gio:Battlfta del laPor.Lib.III. i j j Jnfegna cos dictnio.In . C onte ne infegnano i Qumttlij, La !(ucca
non far fimi >fe il pmmo f ar mento,
germoglio della zucca che far, come far dilungai, Ut /atterrerai al modo
ebe fi fanno le vitt,cbe fola ne appaia la cima di fuori, e come (juifio far
idlungato fipropagma di nuouo , ma btfo- gna auuert/re,cbe fe nafeeranno altri
germogli d'intorno , Ituargli via,e lafcierai fola tl terzo farmento,cbe non
futterrerai cosi i frutti che nafeeranno da quella , fieno cocomeri , o zucebe, nafeeranno fenS^ i
femi dentro. Tiafeeranno anebora fenza feme fi per fregiar ni primo tfemi , ebe
barai da femmare , le farai Bar molle
nelio- ' Ho refaminoycbe cosi nafeerano i frutti prii delfme di dentro. Come fi
pofTano far i frutti di diuerf colori. Gap. 14. 0 tratteremo come pofitmo
colorire i frutti & far quefio
effetto ci fono molte firadUcome fono lin^ eflamenti,mai pieno lodati
,gl'tnaffiamenti, egli altri arteficij.Comtnciaremo dall' ineftare, come per
effempio: fe vigliamo produr yn frutto ornato di qualibe bel colore ,
linefteremo fopra quella pianta, ebef tlfneco di quel colore . Come fi
yoleffimo Far le mela rode Ine^nfi le mela nel piotano, e diuerranno le met
rofie, come dice Diofane,Didimo,e Palladio. Tqelmedefimomodo Produr le pelea
rode Tonfino . fe nel medefimo alberojiel piatano inefiaremo le pefcbCt
torneile moflra .^fricanoqiercbe da quello ne nafeeranno le pefehe rijft.E da
lui ferine Palladio, ebe le pe fi. he diuerranno rofie,feJ- unne sneBat e fopra
tl platano. Se cerchi y Far Oigilized by Google 154 Della Magia naturale Far le
cetra rude. L'inftgna ^uicenna, fc inefAremo li citri nel melo granato, e coA
far le poma, che gi b luemo detto, che tl cedro fe pu ineflar nel fnelogranato
. Ma come I cifri nafcatio di color fangu'gno iSinfcgna Fiorentino . Inefkrai
icitri nel morene, e i crtri n^ce- tanno rofft.al che medefmamente fermo da Diofane.Cot , Farle
pera rolfs - chi li piacer,inefh quelle mi mede fimo morene, perche per tefli*
monio dt Tarentino,e dt DJofane le pere nafeer anno roffe. fi II fico
bianco.che diuenghi roffj . Se 'ineflerai nella medefima pianta , da Diofane .
con H medefm ' inejlamento Nafcerlcmela di color Tanguigno. Slqual colore verr
dall' ineflar le mela [opra il morane,come nfe* gna Auicenna . Ma Be litio. e
Diofane fcriffero. il morene itqual f diuemr tutti li frutti ineflatt foura
efio rojfi-.fi corrai Chei frucci dclmorune diuencino bianchi tneflali nel
pioppo branco , perche produrr i frutti bianchi , M Taladio non l'inefla nel
pioppo bianco:ptr far Che il morone Farci il frutto bianco Mafopra il fico, edt
quello ineflo nafeer pi il frutto di color Wa* eo, come dimaftra in quei fuoi
verfi. * c impara moroni di mutare Il /reo, quel color nero fanguigno. 7Hpi da
quefto b ibbiam vi fio Vtiavice bianca/rhc fa vino rodo ' Se ineflerai la
viubianca in yma nera perche dilVarbore fottop- fla imparer a tor^e alquaio del
fio colore,eque{o h vifio anebo- ra nelle vite mofchelte,e nelle viti dette da
noi Greche lequali qua^ do fono fiate ine/late come la viti ella ntchc dette da
noi fanno tiri- no pt colorito,e quanto pi riirouerai l'inefamento foura le
nere, , tanto pi tinger il calore . Tqel monte di Somma le viti greche in~
ejiate foura l'ellanicbe, fanno il "vino pi colorato di tutti , Che i pomi nafcano rofji . Se vorrai farai
con le careS^e dell' agricultura , cio buttando alle radici cfe grafie, e
calde.Duo fono gli elem:nti,dpr;ncipij di colo~ riti bianco , el nero , ouer
rojfo : la cultura f il frutto colorito cio 4 Digitized by Gtiogle Di
GIo.BattHla del la Por.Lib.llL j 55 ' eic buttando ftmprt letame alle radici
tt^f colquale fi pu Far nafeer le pefehe fcritte .Com e ne accertano tutti i
Grecil pefeo nafeer fcritto ,fi fotterre-
rai l'oja fue , e dop fette giorni , come comincieranno ad aprir fi , aperte
l'ofia , ne caruer il mandorlo , e fopra quello fcriuerd quello che voglio con
il cinabro , e dop ripoflo nel fuo affo , e ligatolo che fiieno ben congionti
infieme le fotterrerai- Ma per che tutte l' herbe che nafeono negli horti,
tocche dai Sole.vengono pi colorite.come habbiamo innanzi detto , bor facendo
di modo, che fian men tocche dal Sole, diuerr anno bianchiffime , La lattuca
come diuenghl bianca. L'infegua Fiorentino ,fe tu defiderarai bauer le lattuche
belle: duo giorni prima,che l barai
frapparle da terra, Itgherat le fue cbio- me.cio le cime, che cosi
diuerr anno afiai bianche i!X belle . Lim- biancbifee anchora mollo l'arena
foprapoflale.Et appreffo noi I cardoni
biuenghino bianchi . T^el medefmo modo, come habbiamo detto.E fe vorrai Far le
bietole bianche Cuopri le radici fue conflcrco di bue. come anchora habbiamo
det- to del porco.apripermezo ilgambo &poniui foprapna pietra lar ga,o vn
pe^o di v.tfe d-- creta, da Sotioae. Ma Far le fcarole bianche Y impara
Columella Quando hanno (parfe le frondi,le legherai con ' vn leggiero legame ,
eponendouifopra^nvafodicretafifitterra- mo,e diuerr anno bianco ifJime.Altrt la
fanno con minor jpefa e fafii- dio Digitiz^ by Di Glo.Bat'tlfta della
or.Lib.liI. 157 dio gli noSlri bortolani le cuoprono di arenay e diuengono
bianihi olir modo . Se alcun vorr > Fargli afparagi bianchi. Quando dal
principio cominciaranno pullular da terra, li porrai in yva canna bufata, e
quando yorrai y fargli, lifcop irai . *
Come pofsino trafmutarfl i colori de . ^ fiori. Gap. 15. ELL>y4 mefcolanza ,
che fi f di yn fior con yn altro, e con la Uro vicende- uole trafmutatione,
tanto ci dilettano con la yariet de' loro diuerfi. colori , che non pu
frefintarfi glt occhi no- frifpeitjculo
poi diletteuole.hor quel-' lo che prima fi.immeggiaua dyn color porpora , fi
muta in azuro , hor quel di color
candido di la:te , fuanifca in yn ' giallo,verde,e pauonazzo,e con la
mcfcolanza de' colori ci appor- tino merauigltofo diletto, nella
conterriplatione de quali il noRro intelletto merauiglicfamente vi fi compiace
dentro.e fmmerfo daU lagrandeZ^ delflupore,concfce reramente,rhe non hafla
gionge- re alleccellcnl(a del fattole ne rrfladt fotta. E per porremo le re-
gole,come pofftamo trafmutare i colori anchora ne'fiori.F come hab- biamo fatto
ne' frutti temeremo cos far ancho nefioru 'V. primiera- mente tentaremo CI far
con l'ineflamento. Onde acciOche I garcfali paiionazzi,c bianchi diuentino
turchini. Tqpi fecharemo /pra la radice yna pianta dicicorea , onero del fior
cianeo, e bugUffa , ma il meglio di tutti
la ci'corea feluaggia che fia
vecchio.grc^o quanto il ditogrrfio della manche poi lo porli. remo per meZ^,
tome fogliamo far neU'tnftiione, cherapre iltroneo per mezo,e in quella fiffura
riporremo yngSbo di garofolo.fcbian- tato dalla radice, poi Hiingeremocon vn
hgame, e l' attere amo con letame marcio , e cosi far rn fiore, che (plende r
di vn color cele- Rino , che non cofa ,
che pigratapofia parer glt occhi noftri
. Cos mhan detto molti amici ; ma io hauendone molte volte fatto ^ ejfie- p
dbyC- lyk 1 5 S Della Maga naturale tfperienxA , mai b ififto cofa
corrijpondcnte al mio defiderio,per^ fbe yienedi color piuoml^o l garofoii
bianchi ficcati in vnapa^ fiinaca rafia canata, e poi couerta di terra al tempo
delie vindemie, ' Vorrai i fiori bianchi fargli pauonazzi fe nel mtdefmo modo
det- to,le ficcheremo nella radice delia ancbu/a,csi muterai il color pur parco
nel pauonai^o.Si "vuoi Far il gifniiiiOie la rofa gialli . Verche il fior
della gonfia il pi belio , che gialleggi
tra fiori , e ft noi defideriamo imitar quel colore colgifnnno. t con la
roJa,to fa- remo per ineflo,e fe Voleir.of jrlo per it,oci hiarh,e non ft pu
per Ut dfeorde natura e compagniafra loro , noi lrfieguiremo per il bu- fir^
7{pi prima pianteremo la rrfa , 'igtfmmo apprrffolage- iHa 1 trasferendo quelli
nella terra, doue fono nati.percbe afiaifsi- mopi 'volentieri apprendono nella
terra , dotte fon nati, e he nella foraSliera, e ceti bufiamo la pianta , e
cerne baremo ben purgata la pianta , ci ineftatemo la re fa , rafo la pelle
interno intorno , poi ettureremo col luto , e ligamo . poi come far abbracciata
& vni- ta feco dal tronco crefccnte , la tagliaremo dalla fua radice , e
fe- garemo il tronco da fopra V inefiamento , cosi la rafia gialleggiar - non
frngagrandifsima dilettatione della 'Vtf{a,e cosi medeftmameit te ilgifmmo .
Quife piante verdeggiano apprefio noi di cosfalfot e bel colore , eh: quift
coflringano la "vifla de gli occhi a mirarle Vofsiamo anebora con altro
colore infondendo nelle radici fue ca- lorari fiori. Se re piacer fare Che i
gigli diuencino rofjif iJ impar eremo ,fe prima Vinfegn Fiorentino . Si
riapriranno co granJifsima diligenza i bulbi^e dentro quelli vi ft butter il
cina- bro con abondanza , ouer altro colore , e f r molto buttato di quel
tolore , fiondo in ceruelloche non firtfea i bulbi, e poi copri in tir ra
grafia e letamata, cosi barai g glt n fiiggtanti : con finule med a queito
infegna .Anatoho Fari gigli di color di porpora Qjsando fiortfeono , torrai
dieci ododei i d que'Jmfhetti fuoi, e le- gatoli infieme appendi fopra il fumo
perche da gambi rifierannt certe picciole radicene, fomigltanti a bulbi ,
quando dunque -ver- r il tempo di piantargli , li porrai a molle lfiffie radicene
nella fecce d -vin nero, finche vedrai, che fon ben fitij di hauer tirato modOibnttjndo alle radi ci di ciafibutiafecde
dtvtn9inabonda^ ' t^tcositgiglfi.che nafceranno di loro, daranno
i^oriforforeggian- It . Cajfiano fmilmente fi sforza frodiir ihcdcra bianca.
L'bedera produrr i corimbi bianchi , fe infonderemo nelle fue ra- dici terra
bianchi, meffa a molle per otto giorni . Con la cultura fa- remo le medeftme
cofe,cbeb.ibbiam detto ne frutti, perche butta - duui del grafjo letame
appriffo,i fiori fempre diuengonopt colori- ti finihe diuenghtnonert, onde
fpcfjo habbiam fatto igarofali neri, irla al contrario poi farai, he La rofa,il
garoiulo.e le viole bianchegginOi Se le difprezzetaiioe ina[fandole,ne
trajpiantandole, ne Zappando ne letamando,in queSlo modo fmenticata nelle
felue,come di ad ne d authore TtofraSo , non fal fimtltfiort : ma quafi tutti
imbianchi- feono. Con "Yno anchora affai diuerfo artificio faremo, che
bian- cheggino le rofe, o li garof oli , fe quando cominciano ad aprir ft , e frffumigberai
col folfore , iS' Jvdaito dtuerranno branjfhii . Da Didimo .\La refi bianchafe
la fregherai /oprala ruggtada de'cec dilerraroffa. Come i fiori, 6c i frutti
poffan o duenir pi odorati. Gap. 16, babbi amo fatto di modo, chei frutti tT i
fiori con il medicato colore ci han dato diletto, bor come fa- remo , che non
fcranno difpreJ(Zatiper la fragran- gjv tid di edore,ilcbetjftguTe*no co parij
aHefiitj con j ^ l'!neflo,inaffiamento, altri artifiiij , Eper cogion
diffjenipfo tnfegniamo 1 limoni con c fi faccino p' odorati. Se quella minima
fretie di limoni . detta 'volgarmente limcnccllo picciolo , I ineflaremo nei
atro terra dal fotte pofl.j tronco vngran- difftmo odore , e quarte yolte pi
reiter aremo lineffo fopra tl me- di fimo tanto pifoauimentefpirar ilfud} odi
re il cbt da noi fla- to continuamente
prouato nenotn borii 'bapolitani.Ccs di Far Digitized by Google i6o ' Della
Magia naturale . Far le pera>che odorino pi fuaueinence HAumo potef
intfijmdole [opra il codogno , perche jpireriom (t'yn grato e giocondtffimo
odore . Itia Diofane Far le mela pi odorate Tromette,fiferanHO inefiate nelle
cotognetefar quelle mela beHiJJi^ mi, che in ^hene f chiamano melimi ie,doue
imagtno fjer venuto da'itifiu fvpr ale
nula cotegne di quel melo, (he tiotihKmtamo melo appio 0 quejio modo unerh trouato ^ppto Claudio . E
t qutfo modoimagno^ebe fiajlate fatte
laltrct che bautmo apprefio noi rojfe , 0"altre di color di ruggine di
ferro del medi /imo odore, ne fimo poterfifar altnmente. Cesi babbiame noi
fatta La rofa centifolia odorata tare Se tu la vorrai ftmile , intfala in
quella rofa . ebe dal merauigUo/b odor di mt fcbio e chiamata mofeatama fempre
iterando rtnjitionig cos diletti ri con l'odore non meno, che diletta bor con
la btlleX^ della rofa -, e co' l l'infiito numero delle rofe . Inocchiandola
ap- prende otumamtnte,e fa fubito gran crefeimento. Voco lontano da quefio art
feto poliamo Far la vite mufcliiata Cos infogna TaJfamo.Se vorrai rendere
odorato yna yite, quando fi piantano i farmcnti delle vite, aprendole vn poco,
riempile di mo- fcbio,come habbtamo innanzi detto.Ma farfi ville bagnare ifar-
menti con mojchio, e cosi ine flarli,o piantarli Tipi con pi leggiero ari. feto
imjUndo il rampollo, l'ngemo di mofehio.
lo poniamo rnoUe^er alquanto
tempo inacqua di rofe,nelquale fa dijfoluto ac- qua di mofehio. Cosi anCbora
Far 1 limoni odorati di cannella . Habbtamo fatto , ngendo i rampolli da
ineflarf o di olio di cannel- lato di effentia fua , aiutandoli con grandiffima
di ligenza , laqual Ipette vfitata appreffo
noi, e Chiamati appreffo noi Itmoncello inean nettato . F. anchoravn altro art
if CIO di femtnar i ftmi prima fiati
motte nell' acque odorate, e cosi hauemogli frutti odorati , poifeminarlo Faremo li carcioff anchor di
odor di lauro,Uglitndo il frutto del lauro, e bufirolOf poni in quel bufo il
feme del carcioffo, e-evsi Digilized by Google . Di GIpiBttritt delli
PofJ-Ib.III. ytt lo pianterai. TaUadio da Mijfncbra fei lro femibagHt^
taiptre^orni nellatio del Lanro^o di7^do;o di Optatfamo,^ fncco di rfe,o di
mafU(e,e poi come sS feeeblipiSteraiy nafcerS. y*o deirne de ftiiofapor e t'di
cui baranno prima benutaf^odte^ * > FiorentiAo/adi^fitefiomod ' . ;r-..xu ^
I meloni,chc Spirano dopdi rofc '> ' ; - t. c; Toiieridb in freme ifemi lro
con tefrndifecebe deUe Yofe\ e pian* tandolanchora mefclate con ^ueUe . Tipi
lhauetno fatte di odor di mofebo, aprendo quella parte delferncdi doue b da
pnlularck germoglio, e pojibauemo poHoamone in' acqua di refe diftiUat douebuem
ptmia dijfoluto mofcbh,per dno^re cosipoi Pba* nema piatittc. Cosi
aniborbabbiam fatto \ Che la
lattucanaTca odorata. > Il feme deUq lattica
poflonelfemdititro\eosljbiftgto\ isief medUfim'm'd ' Far nafeere il fior di
odor di garofblt Imparerai, f ifethi loro porrai nella poduert de'garofoli,o
nelTolia 0 neWacqua diftiUata , e cos poi tiantti\, e cosi i fiori riceueranni
odordigarq/oli^ecoA quefto artilkio,e cortgzr io fimo, che fm fiat*
M}lipre,'cbe bduemo fmpre nelit Mnt, 'vulgato dall'odor dega ytfoiNndianifcbiamamVgarofalo
, perche ^vemtAente nafeono fif* naggtper tuttO:mapicctoh,di poche fnndi,e
fengaodore,e gli bor tolani onero pofloil/eme'monnt^aeqiie digarofolf, o
bagnato meU oliOtO pacate per mera le radici conTgarofalo,t cos piantate bauer
ricenufo quello odore, ^tongeremo a quefti il modo * l'agli non puzzino - > i Se li pianterai iejpianterai,quando la Luna
far foWo terra, che nH P^annocosbrUmpnZ^. paSotione^ F ' tc rfe pili odorau ^Far potrai, jfe app'rcjfo toro pi pianterai
li agli , Da TeofraHo, ' Come pofsiamo conciliare doIcezza,e fua* ..Ulta frutti. Gap. 17. alberi, che aprendogli il
tronco, otaglian* ffl'S ^ done alcuna parte , entrando per queUa l'aria, e't
caldo f infermano, e calado ^lla corrmione infine alle i-'- ^^dicimarctfcatw,efiibitotnuoiono.Sonopoialcuniicbt
X [offri* iftfex .IIT.ieHjnJru^ 't^liniodifie , chf jf cireggio fi poteua
iuefiitr Jbpra il lauro c di quell iaetio poi ur Jcrne le careggia lauree,
TaUadia', . r.,. , .llpireg^i^nel Uui:opur$*inefla f , Di 1 vno, e ialcro
fangue il parco mifto Di ve^gin^l vergognai! volto ciixge . [t nojri tempi in
Tgapoli fon comiuciate. comparir le eireggiit .lauree, con^\certo amaretto
molto gratiofo, fpetie mpltogeur tiUfsma, e che auanS^ tutte le'refianii y di
grande!^ riguoTm deuole, Jf ficco fmgwgno, e in yna grand fsima dlcetJcep fi
feorge pn poco di amaretto, che non per queflo fronda il fufl fapore , ne per
la molta dolce!(za da alcun fafiidio % fann^ anebora - - l e mele dolci incftandolc nel codogno )
inasterai le mela ne^efidogno, contraheno yu fapof dimel le , chiamate apprjf
gli ./ftenrfi melimele , quafi di faper di urt le,, da Dtopkane.., hor
ivfe^aremo , comi, con laiuto deffa- gricoltttrai, frutti pojfano farfi pi
dolci, ciof bufando il tronc^ t fendendolo intorno intorno , Eial forame vfl
palmo, e npnauanzt \ ') 11 dito groiIo,& babbi i labri intorno . . . . V
vV;K di liquido mieli riempii! bufo,. , ^ ' '
copri |)oi la bocca eoo vniiTp, ; . , - nielaca acqua empi di ououo , '
'' Le labra,accidaoereiloraon manchi ^ ^ . . t.-, .... . . -> Che i carciofi
diuenghinodolci,; . ^e i femi de cardi le porrai a molle nel latte , o nel
miete , e poi m che feranno fecchi, fi feminauo, tireranno fe la dolceJ^ Come dice Cafsiauo da Marrone. Cosi. , ,
llfnocckio diuerrddolce iSe i foi perni feranno piantati, che priqfiano fiati a
molle nel latte .eneUacqua melata, ofe porrai il feme ttelt fichi fecebi, e poi
piau- dati. Medefimamente > , j . Far
i melloni pi dolci Infegna T allodio, 1 fuoi femi per tre giorni fi porranno a
molle ^ nel Digitized by Googl Di Gio.Battifla della Pr.LB.III. 1^5 melUtteyr
nc' acqua tndata,t come fono fuchi piantrfiiC dtqtc diuengonofinfuaui - -.Che
le lauuchediuenghino dolci. Srahtmo irrigher la fera ccn-vino melatole
ftlafckrwno hert ^nehe fterro^fitij, per tre giorni fcranno dolci, ilchfii'baue
imparato yiteneo da ^iftofieno Cireneo. Che
IJ rafano diuenti dolce . .v.. , Terrai A tnoHe tn di ,4!fyna notti
ifemi da piantarf nel miele over nel
ptno dolce. Da Talladic , e da Fiorentino k 1 rafani faran^ no dolci , i ftmt
de'qualt feranno fiali a molle nelnin melato , o nel fucco
d/eU'yMepafie.Vefsiameartebord^e ' '
^ .
Prr dolce il mandorlo amarci'' Ti^oi buttaremo alle radici cofe acri ,
acciecheptri lorocaldeK^A tnegio digenfcatio, e portino fruito pi
ddce.ietfrofo.Se ciferui- rimo di alcuni fenhi , edipiitjgagUardl,eomediqueldel
porco i mandorli di teneri diuerramio dolci .m il makderlofimuttr doptre anni,
pero far conutneuole rfor Ja cultura per tanto tem~ ^o.^Africana Stfe
bc^ter'i(UeradkifcstuiUT>rina,o flerco di por- 'CO dtuerrptA.doke>iI Quintiiida
.ArifloteU.TslclmcfediAiai fi pone alle radici de mandorli il flerco di porco ,
perche di amare diuerranno dolci. ETalladio butta 4intornole radici flerco di
porco, /hielmedeflmomodoftpoffono far Cheli granaeMCfi fortino friitto-dolce .w
iif0nMgufifipm ttnkti. Cm Is medcftma ragione '
, 11 porro diuien pi dolce Dice il medefimiCome iipono dopd fecato e di rmouo/eatoger* 'min et, la cui
cagicneaffcgna nel libro delle caufe.TercbeU frim germmaiioue molto dtbile,& il fintile dke
amemreneigli altri ca mangiati . Ter che il trincar i primi gambi apfanfempm
ij* cond maggiotfituit^Mor cen varij artefici fi^temo pm dola c- mangiari , ^Credde Sortone ; ' r :s> Che gli agli diuenghino di fapor
pi dolce E pili fuauet quando fufiero. piantati i jpiechi acciaebati,oitem
quando fi piantano nifi wfthii^erojeccie di Compro diuerfa artificio t u'
: f.
i.i ',: . l'- r.d
Chelecipolledtuenghit)opiraauL'.,\- > >). > FnrftHo^fi
confidaeremotchefr le piante fm alcune nicendeuifii li amicitie inimkitiedi
nature e che fi aintano fra l^ro,e che fi difb^gonpyftlelnocifimefcbiano con le
eiptMefifomanopi Inn^ go tmpoyoUfi quali rdono qutHo fambio,cke le toglionogran
par- ix ; . i4i i. jr tj, i; t45.i \ )Ui ^ .ij
' ' - - - .V t Che i frutti, cJie'ii^fcd^Q le forme, ehmprefsiom.
Cipvf I L cefo aUe yoUe dimoflta affai (
cerne adde fitef- fon^ cifri, che erefeando i'iikontrno irektnii bufi iSfeon
kme fieivtei ^ li^ej^iamo poi crefeere convarie imagini,hfipr^jlioniiiJkgelli)
leqnali cS ^ fiderete poi da buomin ij^gkfi fono accrtfiinti con non pota
fisica , e fattone molte volte l'e^erienza, taccomm^ dono all v/. Onde iverfi*
v rvfo, e la fatica il vero tnro
Ci^imiTeriinoftantioOraniiearti . ' i ^ Enurueefperienzedellecore. ' B come molti nonfatmol cagioni ,
afiforianinon pocanteraitglii ntbiie confider , che pane he ncaadnd contr lpj
della natura A f cint eremo tutta ^a .Iti accomoderai intomQ " ' alcuni da
> Digitized by Google 1 $ 8 , 1 r.- Dlia Magia imti^Ic o 'o 1 Mlcniti vafi^fitHd'*fidor$fdmmte
reimpitrmino (fucile fame e fi 'vefliranno di quelle forme, 'che '^uoi,e fe a
quei lacchi "vi fi r- troueranno colori pefi , e accommodati a luoghi
deuuti , di finge- ranno i frutti di colori , come naturali . La onde Ipefi fi
veggon capo dibuomini nelle: crifomele coni denti bianchi, conleguanci
rolfeggiantiycon occhi rtcrue che perduto ogni verdezza, imitino il capo
bumano.Ma diqu fi martififia di Africano il - Modo, co inerii ,rjccuano
o^i/ornri , faremo, & pren der qgni figura, che gli far intorno circondatiL
fe con la medefima cura, e diligenX^-vfarai,' che habbiamo difopra narrato dal
medefimo autore. In fomma dicafiquefto,che tutti i pomi degli alberi
riceucrauno tutte le forme degli animali , fi al- cuno li chiuder in quelle
forme fcolpte,e la far crefeere iui den- tro, Cosanebora vo >'./> , il
. (cotogni prenderanno forma di animali.
* , -, : 1 Da,Democr ito, fe farai,,
cbecrefcanb dentro intodelli di quelle forn Me* Ha perameute, con pi leggiero
artificio . Tra- Digitized by Gt DI
GIo:Battiftadella^Por.Lib.III. lf
Trasfigurar i cedruoli in qualfuoglia forma che yuoi TotTifi . Se farti
k forme di creu^ le telerai informo, ifrunqumi do fono piccini, perche
crefcendo riempirtnmole forMe,e quei earaU ieri. La onde aprendo ma cannapeHwtgpst
0uatalabene,l3 acco ^ moddtala intorno al frutto delcedruol,ozMecalM^4^
crefeend.' riempir tutta la lunghe:^ delia cannaTliuto conobbe e. Crefoor no i
cedruoli inqualfmo^'a forma, che tn porrai, e lo cofhrmgerai r per lo pi in forma di pn torto dragone, e
la Qicea in ^ni modo fi aU lungariueUe guaine piegheuoU, dop cbefi^ sfiorita ,
E fiporrait ^cca rotonda in mezo duo defcbi ben firetii trtfcerinmorbn ^ano, e finalmente prender
tutte ^lle figure nelle quali far
Eretta. Finger ai le zucche modo
piangenti irpen informa di ro acuta fe le^frareon vu rrncbio in quefi4
parte,done definii che penght Erettale fomeferan fatte, le fecchrrat,e lefarat
pace,equ- do andrai in Piaggio, te nc potrai ferire in "pece di orditolo
,fe pur nelapiaharai fete dtbere ,Di quancbora diremo come poffa far fif Che vn
mandorlo nafcafcricco Terrai a mtUe il mandarlo per duo,e tfagf(fmi,e dop.
rompiamo V of foleggiermente,acciocbe tl nocctuojfi Wft in qnillc feri ^
ntr^fitcbe ti piacernon molu^de^o, poi fi chiudano n ynn cartt',0 ero inuolti
tu "pna pcS^ ai lino, e circondatolo pi tUo,iUe'^ tamala bene, e come dar
i frutudt dar ferini intorno . * 7^ medt* fimo modo . . I r ' . Na^eranno le pefehe fcrirce Dajientocrito, dopi che fi barai mangiat il
frutto del pefeo, poni i moUepep,dfto, tre giorni il fuo ofio.poi aprilo
leggfermente, apcr to che l'harai,trrai da dentro quel nocciuolo,^er mandorlo,e
jeru , uerai ci che ti piace non ntolto dentro, c dop inuoftolo in 'vna carta
piautalo,e4os^tHtto,cbeharaiffrittpfoura quel madoro, tutto ritrth^ nerai
ferino fopra il pomo. }i .ni/ Il fico nafeeri fcrcto i Se alcuno fcriuerVimagine di quetlo,chedefia
nel primo occhio di fico,cht mature porteranno feco quei lineamenti, y^oi
co'lgeffo cot- to, e poi fatto liquido con l'acqua , pjhbiamo ferino fopra il
melo ro togno,o cortcccte deigranato alcun^tterCyCOn pn ile , ij quando vennero
aUadoftifta grandct^xancoora "vi appareuano le 'vefiigia de'caratteri,
fregandole vn poco foura,apparucrp pikfplendcnti. Hot par che m'auauzi - , . r
- " ' Y Finge ' rfa
.rri^flrMa||Iahatilfidc'?:cID iC3 > T^ingervM'itanclragora^ (i.tf ' j, fX Dito quitta fMWCtmmte UquM iaciumatorf^
e d folta inbamt' > ehift^nde , HahhipHor^icedibriomatOtom ^
q^imfigabaMoquado l'bmw ^ita,coH v aiu\olidppkgtndwM\^tenecM^ e laipfta^u^ht
doae fatto i ^ peli t jufffwitt
cacciando (. idtorfi rodi'ttaefinmUiiti^feUAtanando.inerraynpieciolfc^o,^ vv
tjtterif^rper kattoutnpo^ehe^bobbifatio'vnacwtetciaintoniu ,! te^foiteitdfmjtn
quitte rdieitu^tpm^ ^ f.' _ _ (* no di
belIiQpapt nrawglb^tij aUe^o^Eprim * Che
il melo,&ilmirtodiuenghinonigIiori.
Scrine Tefifraiio,ftfariuafjMtd con acgncLo '** tagliar le fommn de rami
con ~vn coltello, facendo coti fempre'fi- che far ' perfetaineni'e frndtit ; e
poibifogna porgere alle radici rubrica mufchiata tontoi^rclHay i cOnfitrcohumano,percb
quel rimedio fprodur i frutti p^iopdeuomVn 'te, e pi pieni, miglio- \ ri :T)a
cui Plinio,e TaBdi'.'^dd&iiitfn cominciarono produf' . le^frondi,ac cicche
ficcin%oltd, e gi^iffo frutto, nei principio che cominciar germinare,bfbgna tor tdtte le cime de
germogli , la^ ' feiaudo fola quettfichcfi nel meza de lalbero, Tall^io ^ '
Far N _ Di CIo.Bttfta della Pdr.Lib JTII. 1 7 f Far il morone pi fecondo e di
mt^ior frutt, j * Scriue molti hauerl inftgndto.fe bufato Utronco di qu e di l in \ ciafchuHO di quei forami
ci^ficchiamo pii legntltOt di qu di terc- binto,e di l di lentifco.Vromette
Didimo .. C5e le palme e i pruni crefeano piu alti.. .v>. Colorai la feccia vecchia del vino, e
ne bagnerai le radici,e vigiont i aMchorajpargendoui del fate . Seiauoi . ! i
. Che il mirto verdeggi di piiFJidta chima, . i m- i L'harai da Didimo, e partorir pi abbodeuole
frutto f gli aggion- gerai la rofa per compagna . (g il mirto fiondo in
compagnia con Ut . rofadiuerr di pi abbondeuole frutto. Cosi ... . ... " c. La ruta pjteneraie pi allegra
germoglia .i ' t Se Vine/erai nel fico, e diuerr molto eccelJeute conte ne dire
Tm^j frailo,inefiandoa nella fnPcorteccia
e poicipreudo con terra dal ^ate THutarco he conuiiaf,e Tlnio i Quella
fida futa loda Diofc~ ' ride,laqml nafea folto araoire di fico t ,Ariflotele ut
problepii di^ manda l cagione. Finalmente
tantaV amciua,ibe f conafico, che mai' verr pi allegra, che tutto il fuo
arbore. Si vuoi ' A CheicarciofBnohabbinofpine, , ' * i' : Come fi generino le
cipolle a^qg|iie Sufeguano , ei^fi'alepno torrd ijfiiccbi daglio, e leporruette
e follebi^teik pot.iepiatUartcbe fitrafinutano nelle cipolle afcalogtu,
Horveggiamo Come nafea Tapio crefpo
yheofirctfto promette, che Vapio nafcercrtffio,fe4op^fennatfeU mdga
fprayna Colonna di marmo, per chef oleato fono terra^uon b come poterfi
aUargfire,CUnmella . Se vorrannofatlapio con lefron* di erejpe,ii fino ferne
pefiofrrm nel mortaio^ pefio con pifiello di fai ^reffogUato del^fiqe corutcie,iJ inuolto in
pel^ di tela, fi fottr ri.Si pu far anebora fenza tanta fatica ; fi fiammato
come fi 'voglia , dop che far nato , il fino ertfeere far ritardato da vna
colonna di tnarm,rinoltatJgli foprn. Si me defimo da Uu dice Valladio,e TUnio,
Speffit volte noi y[ ' ' , Farii
haJSlico capillitfo fiMiam nifio\. dop femimao, ni femineriil feme di orobanche
, yero pedtgra di tmo,cbe dofi
farigerminato,da fe Heffo atol gendofi
mton per igennifi^ del bafilieo , ertnolgendifegli intorno ' . ' l'in Digitized by Google
DlCiotBattlfladelkPorXib. III. 175 finiriga iutto . d verofe nato ahrne ne
torremc *n pel^o digermo glio,e lo
lafciartmofrt fnoi rami, far il mede fimo in pochi giorni, cosi l'tnnolge tutto
con rna denfa chioma , che non pojfa defilar fi cofia finbellaJ^ifanchora
Lhedera omara di bei corimbi. v , , Si alcuno brnggi and tre conchigli, epefii
, fp/trger filpra i corimbi, iiffiorger di roggiada di alume . Da Cajiiano .
Teofrafto' narra yna co/a particolare. .acci Che il cimino venghi piiero.
Terche bifiogna biafi.emmarlo , e maladirlo quando fi fiem'ma , & il
medtfimo dice da lui Tlinio . E dell'ocimo , perche dice , che "Viene fii*
f jifgKO,e Olii cophfioi fiifiar fiennate con maladittioni . Se barai
addetto * '. ^ Far i cedrtioli lunghi, & non acquofi
. ^ Li farai in qntfo modo ,fie porrai
fiotto loro "vn mortaio , altro
"Vafie ripteno di aequa , lontano da lui cinque , fiei diti , perche
ritrouerai giorno , che tanto lunghi fi fionc di/h fii - f.fic non j trouer ae-
cua nel mortaio, ritornatio itt ietro,e s'incontrano '^cosi godono dell* humidn
Farai gli. ccdruoii ncnacquofi, si net loco doue hai fatto la fofip^,nelU quali
hat^da piantare il ctdruolo, ne riempirai la metta 0 1 ejfia di paglia, /armenti, e poi'coprendola di terra, pianta
il fieme iJ non iuaffiare . , Di tutte quelle cofie , che habbiamo detto
infiinhora Coti pofifiamoaccommodart vn Altero, che folo contenga i frutti di
mohi. . La qual babbiam viflo , e per fcherzo jpejjb l'hauemo chiamata arbore
del Taradifo terrefire.ElU era di alie!^a,e di graffi gza non d fpi*- anole,
piantata in vn v^fie affai commino, in terreno Utamato, is in- cquato, e
fecondo, aceiocbe cos per il vigor della pianta,come per le fecondit del
terreno,e gramezza poffa dar conueneuole nudrimento elTinefi, Era di tre rami .
In vnoera ini fiata la vite, che face* vnafienz* Acini dentro,di varij colori,
e di frutti medicinali,dtlqn*- le vna facea venir fanno mangiandola , e V altra
foluena il ventre . Tq^el fecondo ramo era il pefio compofio dipefeo', e di
noctpefeo , d ftintojra loro con eguali interuallU fenza ofj dentro , iJ il
ramo hor generaua vn perfeco,bor vn nocepefeo. E fe per cafo il pomo banca l'r
f fa dentro, i!T il mandorle dolce,come il vero madorlo, ^ bor mtfira - ua vn
volto bumano,bor (T alcuno animale , .* K E I primi vecchi fcrittori con egni
lor ftudio e diligenza fi fono sforzati , come pmejfero fartjo il vino i che
baueffe virt di medicina per pmerfe- ne feruire di quello al btfogno ne quello
(lato mginato fenza propifttOi per non efiercofa pilli- commoda , (T
vfue^ e lo dimofiraf che miniar parte'ie
gli an- tichi fcrittori , ne bau fcritto con tanta curioftt, che non pud dir-
ft pi , facilijffimi farftte merauiglibft
diffue^e quali molti ne ferine Teofraflo . Jtppreffo Heraclia di arcadia
nafee vn vi- no y che beuendone fa diuenir gli buomini pa^zi , e fa Herilile
donne , C vn fimile nel territorio Trecenfe ; ft comproba da Ate- neo . Et in
Trafo fe fa vn vino , che induce fanno , i!T vn altro fc ' ne fa con certa arte
, che beuuto fa l'buomo pi vigilante y e ltre ririj , e dtuerfi condimenti di
yno , li quali rftrouerai- ppreffo r- diligenti fcrittori di Medicina, di Agrkblfur , non moltrma- lageuoli faperfty ne (limo Cofa faflidiofa a coloro ,
ch conofeo- no le forze e virt de
femplici ,eiartiu'no Con la'reniettra J Cr oprano quelli 'effe Iti t che
vengono dalla pr^riet del lugo , C giudico cofa ytiliffima porgerfi colati vtni qutlii , che borri- feono le medicine, e le
temono , onde quello inganno' prmo- giocndamente le beuertino , che-^minaan
ad'diarh . Etinfe- gnaremo primo La vite thenacacott^ fi facci.' * Il firmto che t'h dapiantare,ne comanda
foriitino netprim, . , e fecondo Dtgitlzed by Google DI GIo.Battifta della
Por.Liini. 17%': t C fecondo libro della fua Georgica , aperto quattri diti
dxlhc jiir- te di fotte y toltone la midolla i IH fuo luogo vi
ftinfenfcei'tilebo- S to ,t fretto diligentemente con vn ligamei/i pianta, cofi
dar fune al fuo tempo, che mangiandole rimollifce il ventre, e lo ruo^ c fa.
Onero fe vorrai che faceti' effetto con pi efficacia timedifi- ti farmenti ben
fataUati dall antidoto , melandoli nel bulbo duHa:fciUa.,fi cuopre di terra
,fempre jpargendont intrno-dulia medicinale con "vna eontinuainae^uatione
fatiando le fe raiiciy ( acci cefi prefonon fuanifea tj^lla virt. Ma fe'vorrai
th no.- fca medicamentofa , come -v in fegna "Palladio porrai di quei far-
menti in vn vafe me^.pieno dtquelle beuende , come di condito tU abfintio ,
onero rojato, violate , dopnfoluerai la
terra modo Cofi Helleborp^e Mafie in,S;afQ,il ctdrtolo
felua^o , la-fi^- mthea, e ctantano, urino pbtor io, perche cagiona gli aborti.
Ma-. > tfiamonea ,\9uero lellebira negro sinefia nella viteuon vna- tri^
nella bufa la vite, onero quelli fiuoi rami, che tu vorrai, e far fatto , e
cofi tira a file miflure di diuerfie cofe , E t cofi i Fichi che mangiati,
muouano il corpo. Si fanno, ftnelle radici bnitera dall'elleboro , col titimale
peHo, obero ciVinefir ai, cofi il fico ri darai fuoi pomi, che folueran- mo il
corpo. Ma Fiorentino dice cofi per farti fico teriaca ,p>o- nendonel frutto
del fico delTanttodo della teriaca . E nel mede fi- mo modo. ' Far icedr ioli, che tnuouano il ventre.
Totremo peSando le radici del cedrici^ feluaggio e pnendole a molle in acqua da
bere per due , tre giorni , e di quella
acquai inaffierai le radice de cedrioli per cinque giorni , e qnefio farai per
cinque "volte . jtnebora faranno commodi al ventre , fe dop , ebe faranno
germinati , fcalzerai le radici intorno , e foiherai i rametti di elleboro
nelli germogli , e coprendoli di terra : lafcie^ fai cofi fiare . Cefi Far '
Della Magia hat tirale ' ^ Far le zucche, che purghino
>^lmdtfimomdopotrM,JeporraiamoUeil fcmeper mmegtorni nella fcammonea , da
Qamtilij %Mafetm ieftderi mueuer finno , d't yentrct farai cti > * . i Le
prona che muonono ilibnno&Jl ventre. ' > .o.i.i Wa/ilrama, euertutia la
pianta, e dop riempi di fcammonea di opio,4Trinoltolo di carta, con vna fcorxa tnoUe bene,lafeia ctsifU^i
te,e come i frutti faranno maturi i moneranno il Ptntre > T il fanno * Ct
infogna Catone Come la vite h ccia vn buon ventre . QiMndo vorrai far vn vino,
che accomodi tl ventre , nel tempo do le viti fi fcalzanOfdi guanto vioharat b
fogno , tante viti fraine- rai,evifarai vn fogno per rtconofctrle da l'altre,
eOi^Ua le radicettt dintorno, e annettale beni , poi pi fi a in vn mortaio le
radikidi fiUe- boro,e quelle cosi pefbt poni dintorno la vite.& m queUe
butto Ict* me vecchio , e cenere vecchia , T agg ongerai due parti lerra poi
CHOpri di terra le radici di quelle viti , e quando far la vendemiL poni da
parte quelle vite^Se vuoi forbarlo finebe inueccbi,ferimlo peri muouere il
corpo e non mi/lhiarlo con laltro y ino , jyi qnei vmebe- , mine poivn
bicchiero, e uufrhia con acquaie beuihmani^ keua per ehetimuouerilcorpofenga
periglio. fhtoderni mondMoleradiei delle viti,e vi pongono intorno fucco di
medicamenti purgami], e poi inaffiano, coti facendo per riquanti giorni, e
principalmente. quando le gemme fonogonfie,fatto quefo buttano terra fopra le
tadicue guat danocon gran diligenica far tutte le cofe, che mentre foiita il
vento Aquilone non refiafiero le tadieifrouerte fopra terra,perchedifoji
earebbe le medicine, coti nafrer lvua,(la cui racemi hanno forza di purgare il
corpo , Faffo anchorau^ ' ' ' llmedefimoinaltcomo^ '
dendo lhumor fno porter il medicamento al frutto , l infetta dellu fra qualit , cotigionaanchora
alia pcfre'jaUa pnrgatioue alpartOt^ llamorte,ty alla vita,- i.'j> ' np-* i
W 1 Di Glo:B^tifla 4olla Ror.Lib.III. pofTlaixio dalle biade ri coglier grli
frutto 5 e molto vino dalle vi^ne. I^f) -.a : ' i. . O . I , 1 l 'Al Vi U'
\ ; ')'.,-iuCK0'\ e J{^jar tm fine tl
mio libro aff rw# , e dn/ider^:' n e w * -vVa/r^-wriiKb fome femmhdo i frumenti
tffo fgmabkttmpf lvtti eopeatidigelo, ber tanto aridi, che ftjen^ dono tutti
per l fife , ber tre file, t^fo l'abondanza delle ber F, j J li Ci Z feor
rrcbe:le i'ci^andranfirpeggiaidopit^fbtto ik'terpa , ij r implicheronw quelle
con queile'i^tfaranno'grMdi in piU gran numro,e cir- cniar poilecime-dpiii.gran'fncheo
Sia menata dunque Im ffoft al fuo manto , non delti primi & 'Epitimi nati ,
tra de metut**, mi, perche farebb troppa debbolei e,fhparauneibigno,cripieuij^
diard&ri ieben^fatoidi latte di capra vecchia faccompagaalot fon VklcaM ib
bn Bccb., enei cubile nioilc'ie ben appartch.t U fi rjfcdldit che fr ci^ioudt
quel caler vinifica svntftouo itLu ma amica natura , e (i-ffringoih con pi
dolci abbracciamenti , a faccfiano* Cefi quei femt an.mati da quel veleno^ non,
baStar^ dir ma legitimi fglt produrranno . Siaui propitia la Luna col fuu lume fecondo, perche vn'fecondo fa laltro.
Queiio refla di .--f i auuerttrui , la moglie che s'hada meare Bacco, non . . ^ y . - 1 1T V QI - V V iSt .
^ Qui rAntorc r/k vuz ri fra'* perche cos iirtportaate (ccretm ' noavuolches'incnd^daratrL.
ti > . JDELLA Digitize - iP-
0'I.(iIoTi A N; O.. ,^11'-^ .Ti' l ' ' , i. IL 'f'. ,,ii4 ili!, s ili', .l't' l
' , I. IL " f r*' Ili!. / DELL Af
maga NATVft'ALE, i ' ' -.Cfl' 'J -H. - I 1 .r ;fi.' ^ creoli pO Jp^* hdUiak , '1,1/ O '- K ! i i
*1 V ( . I j^rAfiwio le confini u -z 'JT- C'I .'HO un - -L.. . t. .f.A O,.!. H. IllPf ' ^ T'.U'f
i*' 1 A gl^aninialii e dalle plance fiam* gion]^i;in(no airficonomia,hi quel li
gUa/iimali e fhitci hauemo in- regnato d
fare) non anebor viftiiva- liisparaecpmodargli d glivi no- Ciri) ItQr par che
habbiamo in vano (binato , e fatto nafeer i (rut ti , e le biade con tanto
grande apparec chioe fpel) fi bora non infegnafsi- mo d conferaarC)& fir
che per lungo tempo fi polfano man tenere > & renderle intatte ) &
inuitte contro l'ingiurie del feruente , & aggiacciato cielo, accioebe d
lor conili tuiti tempi pofsiamo feruirfene . Cofa di empio , e dinfigar- do
hnomo farebbe , fe quel, che con tanta fatica e fpefa^ habbiamo generato, hor
per poca diligenza, c curiofitd lo lafciamo corrompere , & al fin morire .
Bi fogna dunque yn i Za che / f tf o Della Magia naturale fcnu
ijtur^etor^yri^artjfidi ^elj^chehd^^ (pcdcre per i clw deiriiiucrno > perche
temono in tuo^ di minc- ftre . Dice MatioJ^a#rficJniirfCfcAa4 fidtti, fc n per
ca- uarliauandobifoBna, per
mangiarli, per rernirftnc, mi antichi,
de quali la diligenza, e la cura non fu poca
pigra, ma di accurata dHjg^nzji^
di varij modi han crouato molte colt .VanroW truAte han fedelmente
narrare alla pofterit , apprelfo porremomiello , che noi
flyib?inA>?ivea?dT&i^ro%\rwlWaiQo fre inuenciflr^ /il>qifarf mi
hii*ir(ahc, vlino , ace- to , & olip iS'H?re^ a, i!5 n mncid -tViifU / lori
JOB non ,3 .1.1 fe . hio ; -on ilv Hjj
fc irpicbo ddTnPftcarire- ^ onnv ni oniB'dfLri ari* '.r.' ffteti ; ' 0, il Hill
i Tjilr.rr oi5. ! .-)Mf v, . 07. ; ov ,
*. - : . f! ' '1 " . ' ! :
j 1 r , I .
\ :p-' . 1. T I . > i .'m 1*^7 * IV ^ - t: V rA H '1 I.
. J ; ) 3.! tem Digitized by C. ?gU DI
GimBatdfltiJlla pMCSb.IIIt.' 1 8 . . n ^ .i Il Ci. .. '. i n*i V iai t
L \ ' \ frutti ftjurfl f ccnpr-
^fffii0 j*^Q proprio albore, Jctiti
pyifdeUtV! onero anchora che no ^^Ickkj fond che (o'rceni prdfcciuort di'
frutti coni quali fann r. 'il. t. -Il ..V. : . i--V. j- .... r attaccati
aflJlbcyhTiiecdiche qiftndo pioue, non s'afrino ir aper- tele fi corrmpano , e
fnarcifeon e quelli poi hgano a / rmi mag- * ^rr trciche flieno pi fermi , r
dop cdprc'ndrdrbore con ra- 'lidi /parlo', accioche note paro beccati i frutti
da ccruT^conci, ^ i da altri lecceli. ^Icuttf accomodano Vafi di creta fopra i
frut- ~ ti , mentre perdono , e con luto fatto infieme con paglia fanno , che
filano attaccati lf albero , altri con feno, t)' altre herbe infa- feiavo ciafchuno, & te lutano poi con
luto di paglia , e poi U hga. no a rami maggiori , accioebe , come babbiamo
detto prima , non pano cornmeffi da retiti , e tkte rjuefie cofe fi derno fare
quando', ' il ciflo ferenti , e che non r ruggiada . Come dite Columela^ '^a
Eertio in quefio fuo infigna che ftieno attaccati aU'al^y^o fkp, ' inqohono
ogni melo con fronde fecebe, e j6i le Prin^opo lcnnilegami, accioche non
venghnoadaprirfi fn fpure,^^^^^^ irejaccinot t cofianuoUe le lafciano hn
fortifiiat ^Itri chfcbn- no per fe li fonano mvaf di creta , e ferrati pot con
dilgenf^, ' li fermano ticciochedmouendoft la pianta ,0 incontrandoftln c^on
l'altro, Jion fi nenifiero a romperei t cefi piii ^flU f bon cfufy^ nati fi pojfono hauere. M^yarrone'.Le mela
granate acerbe', din do anchora ftknno attpeate nel fuo rimesto, fe W parrai in
vna pi* gnata fenza fondo , e quella porrai fotterra , e la fotterrerai d in-
torno alramo , cofi che di fifori^ no^ yj jp/rijl fien{o^le^trouerfte 'ini non
folointier,matnaggior^}iiifhqra,,cbe'maidia)fiietlslbi- ' fo fieno generate .
Infegna anebora 'Palladio (i rItk^^ t^erdi bene alla vite , che non fiano
fnojffi-dal -vento , TaUadio . ' Ter feruar luua infine al prtneipio di
priniauera. D'intorno quel lajite . la quale
pierta di fruttp in luogo o'mhro/ farai vna fefa kt^ piedi'j'trgi duo, e
fitto portiui^arenhy^- quiUi fiahe- riknntvrgb*^ ne' quali aUiiol^erdii Jdrbkn
ffeffo pieni di , frutto, th nonfieno acciaccati gli acirti}o dahnegguti, e li
Uiie- rH'Hftk, t che non tocchinoti fmlo di ftto\ e poi coprirai , che le ptf^e
non Mi poffino penetrare . Jfnclra fecondo ci imparano i Grcie fe vorrai
feruare le poma nelli ahri -, H'yua nella -vite, le cMhderaiinvaft di creta,
chefienobu/ati da fitto, e con di.UzcnZa fifftndr>istlfimmo\UUuomVSt-^rf'
arl'vua Irtfn ch't Vtiighf Fa niioua; c che fi vega- , ^^icl#iedef^it^
faW).'eMto!ahlirtl)a,e la vecchia . kke/(c ffPeont:e^\' houim iVcortMe infine
adefo , tutte fino' tivte muentionj dtlli antichi de quali fono difficilt fare, e ci danno mi^ota incomodit, e come dt
futili giugno, che fieno da dejhrc N? coh qutfio artificio I hahbiimo feruat
ir.fino Hqio,
^\l^9)^^im**tra,^qpql:rnidffyty)f^rfnA^ la vuavecclt.i e le riti, che fitmoappr
tifila quando paffato il tmp i^yendti
\yn&arko i fdmtnuiv germogli , perla fenefra dentro al couerto, e
lattaccheremo .i traHtdlfitairodm ikrlkvit 'ciSriligami'digenefra^ i quali cifi
r. I tilkogho di legmi, tutto ei congrandifima diligenza, th mmobili: ma di
modo , che ttfcnrlre fi } offeno ferree,
prirt ,feanfando di quifio modo ia tir aUnia dtlmucmo /e
deUaefadeieguJidadpta anthora dagfrcceUi;the fi bt cibino
tviu,^adoi^d*ai9ni/^irfVmnerno dffreddidi rem, aU hot J^a
ufimftfe.'aUiepiik^tfettno cielo, e tu Vapri^eqitefivvf^jji in Jirto
ollaprimuiraiColne-pt Urite comhtcfar
flutay fuori nuo {afciclealdelo4pcrt,e falli godere i t^Mt foluhtgt
eominciar pullular la nieoifa,e cosi ntl
mede- Jrm^fiirmentobarai l^,e f altra.-M'wifdi piahtn -ir rttmetfiWicfdalVr-i^cto^ * ^ 'fat fempre
rma cofi at^eMmo^i^ a$,n>abbtamofatmcok-^uokt. inktione pi
trtirahne.e'hfirrtwlU ' riiyTeacndi tempo deOa pula:/ iVgb dvofirmt neUa vite,
i he certa fperant di hMere 3' partorire alfito tempo moltcj 9m,jeT4 ictiU
difMH9,e Patir , hrfeiando dito ,tre occhi per ' y * , t+' DeUiMagi4na*wr%te ;,,'' "X
yo,e perUfogna fegMrhdalU fHamadre, a f4j?a fuetti n ysfe i creUf che babbi
bufato il foudot e fuando auanZMratt- no un fofra i t^ri d/cl uafe , ritti^ di
bona terra . E fe defideT 44 che ci fucceda f>i certo t e pi pre^o, per
fmttfa pn fat^pu yi acca modarai fo^eyn uajpcke per una lingnii*a>di fuccbi
,.e filili lacqua del vafe pieno
poco po^co , quando fb^\ no
quelli gran foli delleMade . Dop paffete le y endemie, i i /armenti fatto il
uafe , e portarlo nel coperto in loco feeco , e fi- > curo dalle tempere ,
cio ne", celUri , cuopri le fenefire con r,ett > acciochegli y;celt non le becchino
dinuemo quando fonoigior- ^ mi tiepidi e fereni , mo/hrati fempreal Sole y
&.quqndoregnemni^^ freddi , hgeh ,&J venti , ritirali in luoghi caldi ,
t> etfi, le rifer merai infimo ad ^ofio ttalchein uno medefimo germtglio
barai l'nua nuouae la ne cela}* > cbt iwdiancbor fi fino colora tSU fifim^
yigorc*, ..... t I . * . , ^ .* . i k .fi .
Comefi'poir4cqi4fr4urenellafuap.iaou.ji^i 'i.-t k Le irfifi, fi co fir nano
poni i fnoi bottoni dentro ^x^n-^enntL verde piarata ^ poneudol dentro per vn
bufo t4ff, poi emolgen^ ' dola con vna carta legiexmenu , ac ciocbe poffa
(pirare . Da Dtdi mo . Ma 'Palladio dice cofi-, ^t fermerai le rofe non
ancborO: aperte ^felf cbif^M in pijiafcenna verde nello fue radici, po^
nendouela per ima jijfura,e poilAchii^raiMCm lar^mrat'uHi* fica bene, &
quando poi vorraiJmuerlerqf yerdeelfhor-atigUe^ tai la canna . , '^i habbiamo
fitoefperiefifcqdi\quafio^ M^tba^ ' memo ritrouato qualche parte diueffa bottqui-di.tfeifhe 4n (bora UOH aprino la
buccia ^ ma gonfi , lbabbiamo ptcfii nella cMrt na , (ma bifogna che le rofe
fifM.ptmiiuUayiidg^, U~ ziermen~ Digiltcxi bv Goot^k' DI GIoiBttifla dellaPrXib
JIII. ^trmente l^inurmdij detU fiaune , aperfo irn bufo da y$ la pDnem, legando
leggiermente la figura ihe non tafra Vbalh iamo lungo tempo [erbata verde ,
acci Che i gigii^rino lun^o rempo nella Al jpismra. i fiatm /erutti di qe/h
artificto , Habbramo japerft i'Jtttemedif deda canna ; t i gigli quando anckora
erano cbiufi nel fuo bettcnep Mtlbabbiamo ficcati dentro i e poiebiufo $on etra
daU'ftna jpar- te e l'altra del nodo
anchora intiera . Jl medifmo battem anebor fatto negarofoli el*hahbiamo fatto
durar pt lungo'tem fo. E quando ne bauemo btfogno buttati yia quelle guaine!^ f babbuino
mojirati al Sole fer vn poco , e fubito fi fono afertt Come debbia effer la
cmera douc fidcn^ noconferuareiirutti .
Cap* IH. O R narreremo come poffano eonferuar/t quanit ft/iee M.yarV'Onecbe t
codpgni fi pofino ottimamente con femore in laocp arido e freddo . Columella in
vn tabulato freddo , e fee* cole riponi. Talladio nel fecco e freddo, dal qual
fia efclufp 'U vento. Si vagli amo me defuntamente fapcre Doue le mei^ f
polTono conferuare . olumella l' impara
in vn luoco tauolato freddiffimo * e ficciffim nel quale non vi'vengbi fumo, n
odor brutto . Talladto dice m . luoghi ofcuri , doue non fia vento. T liuio
"mole , che ftanoacco- ( modale fra loro rare, acciocbe venencbui il vento
dentro ppfis tgualmeate toccar fatte .
Ma.. ^ .. . i {granaci come debbano repor^. oColuvUal'tnftguA per autorit di
Magone Cartaginefe ,te mela - granate primo fi poneno in acqua di mare
rifcaldata,e poi circou- -idate intorno dt creta , e fecebe lappende in luoghi
fccchi ,eTilr t Mfotoglui^ di Im le potu in luogo freddo , ilmedefimo . X. Ix Digitized by Google pi GIo.B^ttifla de
llPo r*Lb .IIII.1I7 Le giugiule ben ripone. Bicexbe jSexo sppefe i Imog fttto
. Ghe i iiwhi durino pili lungo tempo ^
L'hMianio per dottrini di CobtmelU le qmlt
dop {kejiee^ ' fono, ie riponenel granito fecehiffimo, e promette du ctpfi.com
fimono pi lungo tempo . ^cbora promette ^ Che le prugna i ^il>Jfi'>io. di
tutti , > Conferuar la carne, &il pcfcc. . T^i hauemo yifio in luoghi
fteddiffiani efferfi conferuata la carne, tril pefeeeptafi per.vn meje fenza
putrefarfi , fenzaarte alcu* tra, foto per la freddeKj^ del luogor, ne luoghi
fotterranei t e frtddtjftmi , li doue mai vi peraiene il yento .^ufiro , doue
fixj pna perpetua freddel^a , ficciti , juttf le eofe vi refano fenza
putrefarfi. 7^1 mouiftenadi Monteuergine vicino T^- pioli bauemo viRo molti
cadaueri de'morti ejferui conferuafi iutie- ri per molti anni f il fual
monte quafi perpetuamente coperto tu
mene* EmeSeeme di atonti t oue fi fenuole .neuiere , quandi ' ricogliono la
neue, che fiocca,. y anno mi febiate coHlei,cbf
'* i fitrouana iui cafo , mela i
pera , forte , f caftagu^ feluaggie ,e
i'efiade confumjti la neue t potyi, fi troueuoqueRe pome cofi frefete y pron-
te e belle , come fi allbora fuffero .
colte dallalbero, tn famma non , ( .
coft pi gioueuoe alla eonferujttoue delle cofe,ihehfie eitefred- . deX^cLa , delluo go.
* .% V
* ' * I . li . ' Del Digitized by Gooplc DI GIo-.Battifta
della PorXib JIIL xfff Del tempo che fi
deuono ricogliefe le po- ma 5 che fi hanno ripofierc alla vec- chiezza^ Gap. 11
IL I A prima ecfa chU giudice^ che fi deue efferuare in qutflo negotio , il tempo , nel quale fi denno cogliere quei
frutti , che sbaunO conferuar nel- la veecbteS^ t perche queBi induce il calore
, e Vbumor i ebe corrompe i noflri pomi , iSf induce corroitione yC la
putrefatttone y onde fi toghamo efcluderh , " non rimedio piu eccelletitijlfimay che elegefil
tempo y nel qual qnei pianeti e fielletcbe portano queRe qualit y fieno in quel
. tempo fredde e fecchty & almeno fieno di qualit manco cantra^ rie a quelle che i colti citri Da frondofi horti durino
gran tempo# ^ E fiano verdi r belli, farai quello, * Quando di not te Han
tenebre ofcurc , i Rompi il frondofo ramo con la mano Con le pome da lalbore ,
e la Luna.. Sotto terra habbia i] fonoacchiofo cauo E anchora enendo ofeuro con
il torto Vncino appendi ma con man benigna E guardale da venti tempeftof , ^ O
fa che (lian nella didela paglia i O ne* colmi gi lecchi , e coli fia ' Chen la
vecchiezza il lor color fi lr1>i . il tempo conllituito di corre i cotogni .
lo Rit efpermentato cofa pii meglio^ n pii certa , dice Clila mella , che
coglier le cotogna mature , intiere , fenlU vitiOfin eie- lo fereno , e che la
Luna fis rnancante . /i meatiimo ammo nendoci 1 1 tempo nel qual fi debbaao cor
le mele, per riporle Dice . Le mela
dolcijjime al mefe di ^gofio , che mediocremente mature fieno . Tlinio 'vuole
che fi cagliano dop l'equinottio an
tunnalcy n dinanzi la Luna quintadecima # n innanzi la prima bora. Et in/gna
Talladio Quando fi debbano coglier le pera per riporle . Di giorno piaceuole ,
che la Luna manchi , dalli ventidue infine aliouauo, che fieno colte con le
mani , con il color del Sole conue neuolmente vigorofo,dalla feconda bora del
giorno infino jlia quiz la , d fettima ,
decima , chela pera fineno alquanto dure, e ver di . Ma quelle che
fubito fi maturano Ci reggie, che durinopcr alcun giorno,in che tempo li denno
cogliere. Secondo comanda Tanfilo agricoltore , inanzi ch'efca il Sole fi de mo
cogliere, e riporle . Injigna Palladio .il tempo couucncuole alle ndpolc, die
durino afiai. Co'ilile' O Digitized by
Conile DI GIo;BatIlla della. Por.Lib. IIII. Ceglie IH gimm firm, e i2 3^ Jl, m
mcbur mMre: di- hiaraanchoraColumeUa ^ Il tempo di ripor le granate. Che tuoi
che fu nel deh fereno, Plinio vuole be fi fectbino ni Sole , che non fieno
tocche daUa ruggiada^, Bligje Didimo . 11 tempo di ripor riuie. Dicendo. L uue
cbtfi riponganoiuceiocb'e durino infino aWinner^ HO , bifogna coglierle dop U
Luna piena , che laria fia ferena , dintorno la quarta hora\ del giorno ,
afciugato gi la ruggiada , perche bifgna quando fi cogliono , che habbino
qualche vigore, n troppo acerbe > ne che habbiano gi perduto ogni vigore.
Tempo da mietere il grano e di riporlo . Dicono gli autori , lorg,
t Igeano che fia, fi deue prima vn, 0 due giorni, ouervna notte, Cr
torlo poi innanS^ al nafcer del Sole, che ancbora, il frutto ejfendo freddo fi
porti nel grani ro, perche fuefio molto importa
farlo durare , Infegna Ce- hmtUa . La faua che tempo fi coglie e fi ripone; e confefia hauerlo
ejperimentato . Quando la Luna non luce fue- gina da terra innanzi che fia
giomo,e dop che far feccata net- tata , fubito, prima che la Luna cominci crefcere, cauala dalle guaine , e raff
reddata , portala nel granaio ehe cofi
colta notL far danneggiata da eoreoglioni , Talladio dice le medefimt. eofe da
Itti. Et Il pifello fi ripone alTufo di tntto Tanno . Si dop che tl Sole har
difecato tutto lbumore,eana- to fuor delle fue guaine fi riponga , che cefi pii
lungamente fi difende- r dalla ptorefa- NOr Pel j 9 X Della Magia n e di
medica- re i pidiccioli 9 per fcacciarmoiprin- cipij della putefrattionc . Gap.
LT R E et veggenio neftri tntich, eie itfrm ,f ipo della pntref
amene ne' pomi venir da' pedie- 0 eiuoliyoue da qnefiaparfe dene il pedieeiolo
figim ^ rfrit (ofa fonnenenole , eie da dotte venina il prinetpio della vita ,
eie di ) trabe il cibo , ycMijjc anco fi
prtneipio della morte , eglino $entato molti modi , p molte vie , th qutUo
principio del danno non venijfe d quei pitdiceUi. Olpre ci t frutti fi denno (or con molta diligen .
t quali fi hanno da riporre , fbe non fi vrtino , fi acciaabi- no f un con
l'altro, perche da quella contufione yien il principi della putrefattiene .
Btfigna ebe il frutto quando fi coglie y eh fita nel fitohomfiimo fiat , chi
tutfi primo che fieno maturi del tutto', n che in tutto fieno /teerbiy n che
fieno venuti ad vna gin- fia maturit . Verche t frptti che fi hanno ript^rre da guardar- fi bene con ogni
diligent^a , che fieno intieriy e fenica vitto , e fem- za vermicelli y
Mafommfiamo divtofirare gli tffempi* Tri
mieramente he me) a come f denno cogliere * c come medicare i loro picciuoli.
tolumella vuole , che le mela che fimo di
doUiffimo fapore fi debbano caliere mediocremente* mature ,ele predette poma
co- fi fra loro fi debbano comporre, che i fiori mirino s,&i picciuo- li gi
y come proprio fono nate nell'albero, e che l'nno non toc- chi l'altro. Ma i
pomi non denno ejfermaturi , ma f denno co- gliere quando fono acerbiffimi .
Oltre ci fi deue molto ojferna- rCyOgnt
fiietiedimelo foglierfi faparatamente ,e riporfe nelle^ loro particolari
(affette , perche quando feranno cbiufe infiemc.g molte ffietie di mele ,
difeor dando fra loro di qualit , fi vengono ageuolmente corrompere, e per queHa cagione , quando la
yi- g^a non fono ff una medefma (betie di Vino , il vino non duroLn poi
Digitirod by Googic Di Gio:Battifta dellaPir.LiB.Iin. pttungo tempo, come
durarebbe f foffe di yn Ma ibttild mm.DiceTalUdio, chele mela fidenZ eell^J^ J^
%^^ fint^ danneggiarle, e fot immergendo ihic ptecinoli ^gbmodt modo, che i
pediccimli radino di fette, ni le to^ CMC mai , fin che non bai bifoeno di
rermhtrmJ -or - cbenel collccnrle mele ,
J f!:datfo^^^^^^ ,Apuleto Greco vuole, che le mela f, debbano coglici con nkwe^
e compo/e di modo, che non tocchino fra loro da ninna per a quello effetto fi
denno cogliere intiere , con le manine che non
promette anchora , che non fi putrefaranno ' ^ndojelloro cime faranno
fregate con Vberba aclfatm'onenen de. MafeyuoiconferuareLuotempo. eama cogliere
con i fuoi rami . om Palladio comoda , e feparatamente Vun daU' altro aee:
o^rgii , come anebora di fopra bauemo moBrato per autorit di Tornano . infegna
ancbor Columella ^ ri > ^ cogliere ,
che durino , Jwdwf rmenre mature . TaUadio le coglie con le aute in terra, e
vuol che fieno intiere : dure , r alanamii otte,,*;,. fuLfoi *;,rtrff f,te7.',^
tl^cc\ poco cerbette, Infegnaremo da Didimo
L'vac come li debbono corre, che durino lungo tcp e bifigno auuertire,
che tutti gli acini fieno intieri, chi che i frutti fieno particolarmente
intieri y e per bifcgna hauere yna falc^ . acutijfima, con latjuale fipoffa
tagliare agenolmtfite,e non con nio^ lenz^.Bifogna anebora tagliarle ejfendo
nel loro yigore , cheften ne troppo acerbe, ne tanto mature , che bahbiano
poffato il vigor k~ ro . ,/lcuni tagliano i farmenti con i racemi, dop tagliano
con li forbici i putrefatti, fecchi, ir acerbi, fepur vette fuffero alcuni.do-
p ogni piaga che h fatto il coltello farmenti,
medicano con lape^ ce liquida, alcuni attaccano non dalla parte fupcriore , da
douefi tagliano i racemiima dalla parte inferiore, legano i race mi neUraui
della cafa , accicche pi fieno dal vento refrigerati , e venteggiati,
poffando'per quei acmi fatti rari . Talladio . L'yue , che vegtiam conferuare
al tardi, bifogna carie fenza lor danno , ne fieno troppo' acre peri' acerbit,
ne che codino per ta troppo maturit: ma quel- Je^ehe hanno il grano penetrabile
per la luce, et il tatto callo fo d vna . dolce giocondit, fe alcune >e nefonoputrefatte, vitiefe bi fogna* tagliarle, ne patiamo, che
yi fieno, che per l'ine(pugnabili acerbit 1 perle carenze del caldo dell'eRade
fono pi tofio indurite : hor ta- i gliati i pecciuoli ddl'yue , bifogna bruggi
arie con la pece calda, f poi appenderle \
I III 1? V I. Da che terra fi
4euono'pgliere I frutti eguali hanno da durar molto O il t. t. , .1
. dtchiche^iudcjfofh mot- ^ to
necefiaria,che quei fruttuChe fi cogliono per fer- * N berli, imparare da che
qualit di terreno fito, e eie- lo, corre fi debbano . Tqon picciol principio
hanno i frutti di putte farft , Jequalift cogliono da terra hu- mida,cocaua,i^
bumile,ne meno quelle,che da loco pieno di grafo letama, perche /quelle che
nafeono piene di molto humore,e calore, portano feco dentro il principio della
putrefatticne . Ma nille cofe * Mjb % fel- Dgitzed by Google Di GIo: Battifla
delIaPor.Lib.IIir 197, ; Come fi debbano
rinchiuderei frutti, per cacciar via laria. . ' Gap. 7. 1 . * * ^ B B I ^ M O
detto prima donerfi caetiar via ii ealdo,t^^mido,acciocbe pofjiamo ferbar pi
htn gmente frutti , lequali /(ualit piu
di tutte fi ri- trotMMOtieilaria. Dunque con che sforzi fi fieno afaticati i nefiri ant/ebi , & cacciarlo
via , dima- fttartmo prma,poi veniremo alle nefire inhltioni. E primieram?te
Conreroar4e mela chiufe incorrotte. E'Ctmnciaremo da ^tVdotelt^ ilquale per
cacciar yia Torta di ' fimi, difct che febarebbono patun conferuari frutti ne
ffliytri peki di^emoin quefio modo ne*fulare,V poi incolla intorno co'lgoffoyC
etn ordine li parte in Imgbo ordinato . Socione inipara tlfrum del diro
incafitarfi in- tMuoyn ogni diligenza dt loto^n ammjfato. ac cieche ptrfpatio
divn"aunofi po frano intieri feuga vitto d' infermit . bor veggiamo ' lU
altri. Le reRanti i Meta come poiTanoirbariirinchfurc. Si fon sforzati,
tolumella, ogni fette d frutto tiripnuemle pr0 frte eefei perche come fi
pongono in tn luogho molte mela^chtfond ^ di DIgitized by Google 1 9 * blk Magia naturale di fpetie dmerfe, [nhito
pengono a, eortomperfi : ma cme le melds faranno rifofe con diUgenz^a,fi
coprino le caff coni coperchi' f che
l'aria no ptpoffa entrare. tHinioli rinchiude MHiniri^'V9re{ai,& impe-
ctatijO circondati dintomo Ouero s'ordinano cosi dentro il barile, che non fi
tocchino fra loro, e di nuouo il barile fi cof>r4. de Valla dio.- Et mftgna
Africauo Laicorinchiufa come l con^eru^,.. quefio modp.fi ctqfcinina perfefi
chiude denmhh ^icca perin' * che D:; : - Di Gio-.Battika dcIIaPor.Lib.IIIL fe
ciafbHua babbiail fuo luoco e f canato dentro, ij anchtra cir eondate dintorno
rincnufc feccbe,afpefe in Inoco ombrofo la xue- ^tfdouenon fjiiti fuoco , ne
fumo : ma con i fnoi pedicelli, no cciLn quella particelljcon laquale pendeua
da gli alberi. ^Itn pigliano vn biccbiero di vefro , o altro 'vafo trafparente
t e riuoltano riuerfo fopra vna fico leggiermente, e coperto le fiffurecT
intorno di cera, le lafcipHO cot,e cos refano imputrefatte. Da cui TaOadio
recita le cofe medefme . Ma come Le (orba f conferuano rinchfufe nebarrili
lnft^iamo, fi conferuano per lungo tempo,Se fu^bitodop la vn ^miftfenxa
affefa,efenza toccamenti le porrai nelbarile, ^ ottu~ rerfif ogni diltgenzvla
bocca del barrile,elo.incrufierai digef Jb.^ I Somi^antemente fommergtndole nel
luto de creta di vafari . hn ammaffato,e dimenato, ebefia nella craffeZ^a di
miele, e cosi appefe,fe ferberanuo intiere infin tempo,dopfi lauano, accioebe fe tte togfia
quel luto ebe le fi inerufiato intorno. Cosi anebora -'if giugiube riiichiufc
ne'vafi fi conferuano l^creta,come palladio ne inftgna,fe quando fono mature fi
colgo mocn le mai,e fi rinchiudono in
vafi lunghi di creta, e poi incoi: lati di fopra,e ripoHe. il medefimo cosi
auebora Le ncTpofajC l'azrarole chiufe nevafi confruarfi . Tromette,le nefpole
fujpefe nevafi impeciati, le laZs^role ne "Vafi impeciatili incruftati .
Ma Didimo infegna Le bacche del mirto co nfcruarfi bene f Se colte affai verdi
, e polle in "vafe non vetriata, e con diligenza incoperebiato . .Altri li
-vogliono reponere con i fuoi pedicciuoU , Talladio Le noci rinchiiifc nelle
caff confcruarfi Diffeima fatte del fuo legno,e ben chiufe . Il medefimo Le
cavagne confcruarfi nc Ile ccftc di verghe lutate Dimolira. Mai re cettacoli
fatti diverghe di faggio , e poi lutate * che non appaiano! fpiragli. .Anebora
Le rofe chiufe fi conferuano i Si e fiondo le biade anebora verdi
dell'orZp,fuelte con le fu radici fi pongono in vn barile non impeciato , e
cuoprouo le rfe non an ebora aperte,e le
conferuano . Cosi I gigli chiufi fi conferuanotuttolanno; SefraHu o ficcali con
i fuoi rametti , che non fieno mtebora aperti ma Digitized by Google loe ella
Magia naturale ^ ma anchor ehhfi f e f$ pongono in rafi di creta non ptretft t
dop coperti ivafi,firipongoMo,ecofiferu(mdofi durano tutto fanno.S fra quefio
tempo di me^o te ne vorrai feruire-, ej^onigli al Sole dttl rifcaldati daini s'afrano.lnfegnaremo a
Didimo. blenni li pongono nelle eaffettine impeciate, con lims-' tura ffcca
della picea,o deUabiete o del pioppo nero,o con la fari na di miglio , e le
ferverai per affai lungo tempotfe /ubilo dop leLa vindemia i racemi non
danne^iati, ne feonquafiati li porrai in vn barile, e otturerai con grandij^ma
diligenX^ la bocca del barile, e VincruRerai poi di ge^o . Similmente
immergendole nel lutto di vafari ben dimenato, e liquido,e poi fufpefefi
coHftruano,c poi qui do vogliamo feruirci di quelle,/! lavano di quel lutd[.
ColumelleLa / lente mammelle di vaccaAe duracine, le pergolefi, quando l'bff
gate dalla vite,l'onge ipedicciuoli con la pece dura, dop toglie vn rafe di
creta nuovo lo riempie di fecchiftime paglie, che fieno cdnt moffe.e fenza
poluere,e coti appendi poi lvue , e poi copri con vn' altro vafo,& lutalo
di luto di paglia, e cos ben compofi nel tabuli
tofecchtftimo,cuopriivafidipagliabenfecca. Come li frumento ripofio fi confcrui
incorrotto Dentro le fpiloncbe , o ne'po%zi come dicemmo da Varrone . j^ej di
CappadoCia, e di Tracia ripongono i frumenti neUe fpilonchcj, Gli fpagnuoli ne' pozzi , iSt hanno folo
penfiero di far che ne bum re , ne aere lopojji toacare ,fe non quando fervono
per ~vfo, perche dove nongionge laria, ini non fi pu generar gorgoglioni, e
coti ri pollo dura cinquanta anni. M.^arrone Le fauc,& i legumi riporti
nevafi molto tempo fi poa no feruarc incorrotti Difiema dentro i vaft dellolio
incollati di cenere . Tlinio da lui . Lefaue, ir i legumi ne cadi
d'olio,incellati di cenete , fi con fervano per lungo tempo, e ripofo nelle
fpiloncbe bauer a durare^ cento venti anni . 7^/ mede fimo modo La Icncccchia
chiufa ncvafi molto tempo fi confcrua. Come infegnaColumella, cio ne'vafi delVolio,e,
delle acque falfe, lequalt poi ripieni , e fubito ingeffati, quando le cauaremo
fuori in 0gni tempo, la ritroueromo ftmpre intiera. Come Digitizi... Di
GIo-.Battifta delIdPor-Lib .1111. i o i ^ I Come i vafi pieni, e ben chiufi li
poneuano galla ne barili pieni. Gap. 8 ,
!> Se ben cacciauano Tsga da i "va fi chtuft, cerne eri ' ginet i;
utere della fuiref attiene^ non f et queSe I lofcacciauoM da i InfighUdone
erano rtpofii i naft, ' perche alterando da fnore t yaft , dei ber hnmet ntP'
tandogli hor difeccaiolhbor rifcalando^lharaf jrcddiuiiglt. Caere, che dentro
era rmbivfo f'alteraM,e con t fio le mela , la onde per fnggir qneReyariaiioni
di tempi, i refi benin- ge fiati lefcmmergeuano in iratii liqmri, ne quefofchza
granfa gtone y tfpefienX^t percioebenothatundo pollo tura qncfie ^ariationtft
fiamo accorti,cbe fi l'aere Me /emme di ma qualit $ frutti, che fifiero ehiufi
in nifi di neiro . ftartbbonofemfretncor- rottiyeeoei ifiorma quello fi
altaray^l'bor pedi alterar il fito.e ebr si comincia lapntrefattione,eperfommergtndoipafinelle
cijler me, pozsyd luoghi foturanei % acctoibf manco f emano le pajriauoni deli
aria. Et per accoHarmoci alle rjperiemu,tnfegnaremo . ' 1 cotogni come
jinchiufi , t fomm.erfi^.i confcruano , oj , lungo tempo, t)a Dimocrno.Toni le
mela cotogne nepaft di creumon,eponm 41 copercbio , e come f barai impeciato,
chiudilo in ma lotte di ufi mo ai modoabe, padt notandole cos feconferner anno
frtfcbi,e'l pi no.nclquale nuotoMo^e amaberanntkdaioro yn buono odbre.
medefimomodo iepoile n^e ciilerne durano lungo ^empo. _ TaUadio, quando barai
cufe le melarne pafi di creta, tqutUi con diltgenS^ impeciaptui fi pongcno
kmtla , e quelli vafi dt creuCfi fiat^rgoneneUecfierne ,nepti^. Tlmio pone le
mele neUe fendette di creta, e le pone a nuotare , colqual mode il y/no viene a
pigliarnehuon edere. Apuleio dice, che le mela pof e in pignatta dt creta
nuoue, e lapignata inmerfajnel pino, ialibc vi nuoti, la' botte fi ingefst-,
lemelafitmnofimprcperdi, dinly ino odorato. 6tqutfomodo il y . ^ ' n ( Le
dcorinchittif jcpoile auuoto l confeiriano . : .1 - ' C ^icS . DIgitized by
Google 2-01 Della Maga naturale- ^[ricino pramcits . Si pongono t^fichi non ben
maturi in vafi di creta HHOKtt aiti co i fuoi ptdtccUi ,e^ ferrati fra Uro
fifbit- dono , eie pongono poi nuotare
neik botti piene di yino, T^iahchoraj - Le pefchc cWufc inlegni, fommerfe nelle
ciftcrnc l confcruano. Gabbiamo efperimentato yt^^oUe jpetiedi pomi, cio r in
chi afe in 'vn barile, e di fuori benimpeciato il vafe, e poi fommerfo
quel vafe in vita ciftems , e graziato
con vn ftjb , che non pcjfs folle- uarf , l'babbiamo hauuti in^borroiti per
motti mefi . Con modo po- co diuerfo da que fio, Valladio - " r'. Le
granate in vn vafe\neao pienodi acqua confcmal, Ci ammontfee, nel quale ffieno
fo^fe le mele , che non tocchi l'humore , e cbiudafi poi bn il nafe, che non ri
fpiriil vento, fon molti, che non fola ri Jbmmergono nell acque i raj,e
promettoncp chele mele mai fi putr fatfetno, ma pofe fotterra,e coperte ^no
iiHaginati , che habbin potuto febiuare l* alter atkme delf - ria , onde
ColumeUeLi 'n vna roZ.^ pignata , e ben firtificata,!* /otterr al ficoperto, e
quella rferua all ufo . Ma noi iifitgntrckno , Tutti tinchiuli come
poiToqpconreruarfi per atini inrieri. .1 / o i: . 1 frutti , come hdbbiamo dett
delti vafidl'veirxhrnoi dittamo carafic , e dopo chiufi. alla fornace di
'Vetrari , oner in 'vn tuba flfujialla lucerna, le ff/Jiamo .fitcuramefiie
fi.nmergirrtifllj . C c 1 cifctue 104 Della Magia naturale ctjhrne^iJ le ferhiamo
incor*'otti per anni intieri'. T^el meitfm^ modo chiuft i fiori tt vn 'Vjff
lurtj^o.epct (htufo il crMo-- ette, tome dicono gli althimifi per fngrllo di
Hermete . e pot fommerft fatto V acque per molto tempo, anzi per anni li
habbiamo conferitati fre~ chi . ^nchora il mo/io rtpofto in vafo di creta
vitreato, e con pefo pofio pjtt acqua in vna ciflema , T ini dimorato per
vnanno, "ve l'babbiamo trouato.eome l'baueuamo ripofto , Toftiamo con
artifi- fetonon diffimile daquefto Le cofe rindituf per (coli re(!ar incorrotte
. Se innolgemo quelle in qualche mifiura , tcciocbeper ninna parti Varia non
pofiapaffxr dentro, e f princioalmente la miflura fia in-- corruttibile . TSlpi
l'bauemo prouato eol fuccino, che ha uendomd fatto molle,ne bauemo incrujiato
quellOfCbe voleuamo far incorroU to,e per effer trajparente, fi vede quello che
vi fi demtro ,& fi di^ moftra dentro le cofe incorrotte . 'tqpi cori hauemo
rinchiufe lapit e le lucertole &
bauemo dato ad intendere ^ molti , ebe naturai- mente vi fieno trouate Il mede fimo ferine alui verfi i'-wa vipera,
cosi ri mchnfm qne fuccino . ' ' Mentre del Sol le figlie, egre e dogliofe
Piangon,pcr i lor rami,v fetpendo^
Vipera.inuolca vien dalle cadenti Lachrime,en tanto ella fi merauig^iay
Cheda liquida gemma ricennea > Da
repentino gicl rigida refta ' y hlon bi fogna vancarh. Cleopatra Del reai tuo
repolchro.fe del fno ' pi nobillhla vijpcra,epidegnow Ma CO40C tt fuccino polpi
dnenir mofic, c fi ben in moki modi. Digitized by Google Di GIo: Battlfla
dellaPor.LIb.IIII. lof perhor fi potrai contentare di (jueflo , buttandolo
nella cerali- cjuefatta [piumata , perche dtuirn c e co'l miele ban giudica io,
che erienl(a di quefii fecreti , e co- me fi potefiero confcruart frutti dama
fucila putref attiene . i* tinchiufi tutti i frutti in vafe di vetro, accioche
poteffe veder quelli che intieri , e
quelli che fi putrefacejfero, cofi ci accorgem- mo che altri preHo , ^alcuni
molto durare. Gli frutti humidi far corrompere il miele, che incorruttibile, e come egli corrot to , non 'pu pi difender i frutti
dalla patrefatt one . L'uue , i fichi, e le pefche ,fubito fi corrompono , ma i
codogni, pere , mele durano incorrotte pi lungo tem^o ,ma le noci durano vnanno
non palo incorrotte, ma yerdL Come nel vino , fapa , de frutto , aceto , c
jceecie di vino, i frutti lommerli, li -1; liQitv conferuano. Gap. io. ,V. \5,
-, * : vedendono , che il vino conferuaua tut- te le cofe, egli acini dell'uue
, che cadeuar.o nel vino, quando fi pone nelle botti , durano incorrotti Jr
"y pi^ tutto vn'anno nelle botti, s'imaginiirno che f fujfero fommerfi nel
vino tutti i frutti che farMo koiui fempre conferuait fenza marcirfi. T^e foto
contenti del vino , ma nel defruto. fapa , aceto, e feccie di vino fi fono
fcrua- ii, pen he tutti quefti^hquori fono foianze del vino . Ma noi ve-
dtndo.che dalla fofanza del vino fenecaua vn liquore ,ou ro
tffenza''f)titlijfima*la qual'tincorruttihlefperche il vino pur al le volte fi
corro)coljuo aiuto poffano coferuare le cc^opf'^ fecoli . intieri. 0 8 Della Magia naturale intieri. Ma
fet venir al' efferienZ^ . Infegna PaUadt Le codogne ripoile nel vno,reruarfe
incorrotte ' Tercbe fe faranno ripoSie ne vafipient di ottimo nino > vero dei yino , e de fruito mefcbiato tn yn
corpo egualmente , feruaremo le cotogne molto tempo.^ltrt le metterono nelle
botti di muflot e poi ferrano , e di qu ne viene il vino anebora
odorato.Democrito fom- mergt nelle botti di mufto le codognafcelte,e poi le
ferba, ilcbe fa il yino pi odorato. Il medefmo Le mele ferbar linei vino
tnfegna, alcune mele fi pongono nelle fcndelle dicret,che nuotino nel vino ,
con lequaU mele il vino ne yiene ad acqniflare odoro. m>puleio . Le poma
fefommergpno nelle botti di mofioy e cosi cbiufe dentro durano a fiat , e dalla
feccia confcruata del vino oltre modo me acqnija fua vitaima ntrie iti vna
pignata noua,e la pignata im* Wierfa nella botte di vtnoqt ebe vi naiaOtC poi
fi otturi bene la bottei e le mele fi conferueranuo frefebe iHilymo diuen
odorato m Sipofiono i fichi rommerf! nel vino alTai tempo conferuarf! , Come ne mofira .Africano . Q^ndo le botti
fi couerebianofi pon gono ifiebi in '-n
vafe di creta fio rotondo , i4 forf per volont quadrato, con vu buon fondo, c.
i fifbi fieno frefcbi.poco maturi, con firn pediceiuoli,r bellici, /partite fr
a loro, che rifila /patio tr I vno , e r altro, e cosi chiufe/e pongono in
vi^hptie piena di vinOt ben cbiufa , con diligenza yi fi lafcino nuotare,e fe
ti vino non dt- uenta aceto, vedrai,cbe in tal modo letrOuerai, quaU tntfie ve
lba- rat . TaUadio da lui. jtltri voglioneH fiebi frtfcbi, non molto ma-
%nrifcelti,e li pongono in vn vafe nuouo , e con tutti ifuoi pedicini^ e
feparatifra loro,e quelli pngono in ynabottepi^nadi vino,e la- fciano notare il
vafe.lnfegnaBertio l celli fi ferbano fommerfi nel vino SuOi pur ebe fommerfi,
e con diligenza couerti. "Panfilo Le prunH ferGarfi nel vino Difie , cio
le Damafcene nel vino dclce,ouer nuouo ,fbe nuotano, e coperto il vafo con
diligenza .E Le giugiube fi confernano nel vino fommerfe fenza raghe . ' Ter
dottrina di TaUadie:percbefcielte,frefcbe, e baciate fiigoc- cit di yin vecchio
, auuieue , ebe non diuenterofiifo brutte per lo - . .. -i Digitized by Google
Di GIo;Battifia delIaPor-Lib.IIII, lo^ rughe , che indi contraheranno .
Infignarcmo da Didimo LVue come reftitiofeiua putrefattionc nel vino. chfa a(ai commoda appender ivue invna Itone
di vino purch non tocchino il vino, ne l'vua tocchi l'altra, perche refteranuo
cosi intiere , ft come fujjero allhora liberati dalla vite . ^Alcuni le ftr^
bano nel vino inacquato. rano in vfo apprefo gli antichi ferbar -lvuenelvino.
^Ateneo da Eubolo nell' Agglutinato Edagl delloliue SpeflTe.e dcllVue ferbate
nel vino. CFerecrate Mandorgli mele Apio, bacche di mirto, uuedal nino'. Ma
Catone ' > Le pera ferbate nella
fapa, durar molto Diffe, e mafsime le tacentine,muftee, e cucurbitine. B fi
V.VaT' rone le amiane, le fementine difie , che fi fcruauano nella fapo- .
Tlinio diffe[t le tarentine, e l' anitiane ferbar fi nelpaffo . Talladie
melUfapa, nel pafio, e nel vin dolce le cuflodfce fommerfe , a va fi pieni,
ilcbe l'hauea ferino da Democrit . 2H la fapa come fi fac- ci dal mufio, lo
defcxheColumeUa . Ma Valladto ' .'Le pefehe duracine ripofre nella fapa
conicruarf Dice , fe l'vmbilico del pomo
riempirai di pece calda e cesi fi co- firingano
notar nella fapa, nel vafe cbinfo.C elumtUa Le /rba conferuarl nel
defhito ^eritagioMoi l' injprfj'arui difinocebie fecco,che cos fi depri-
mauoleforbe, che quei brodo auanzifopr a, nientedimeno i coner- ebi
beninge/fati intornOf che non vi ^ffa entrar aria.Dce Tlinio, Catone nmanda ,
che le Jrbaji ripongbino nella fapa . Talladio difie anebora , poterfi lungo
tempo ferbar nella fapa. lufegna Columella- ^ " LVue ferbarfi incorrotte
nel defruto In vna botte ben impeciata
panini vna anfora di defruto , e dop t con verghe trauerfate coflringilfi , che
fileno fpeffe di modo , che non tocchiti il defruto , dop fttoponi nuovi vafi
di creta, &i ^efli accomoda cosi Vvnanon tocchi faltra , poi copri i vafi
con i coperchi , ir incolla , poi fa fopra vu akro tabulato , verordi- ' ne, e vn altro fopra quello,e cosi
il terzo , fin tanto , che fia pieno- fecondo lagraniezza della botte, e con la
mede fimd ragione eem- >r. Dd poni 1
1 o Della Magia naturale p.'n l'yue , c dop bene impeciato il coperchio della
botte , incoBa ubondcuolmente co'l defruto,ij poflou la cenere , ottura bene .
Alcuni dop podio il defruto , li
piaciuto jringcrle con le perii- che tranerjte,e quelle appder I vue^di modo , che non
tocchino tl defruto, e dop podoll defruto,in colla.ll medefimo anchora Le pruni
potcrfi lungo tempo fcruar nel defruto - Infcgna . tempo del mietere, fi denno
cogliere lepruna onichi- nc,i!7 icfcluaggie folamente, ne fi denno cogliere
matuirfsme , ma ne tampoco crude, e nel terzo giorno , fi denno feruar all'ombra
, e poi con eguali parti di aceto,di fapa,e defruto fi mefehiano , e s'in-
fondono.Ma fi ferberanno pi commodamente, fe due parti di fapa - fi mefibino
con "vaa parte di aceto. Onero lepruna purpuree in ~vn vafe di creta
retrtato s'accommodano,e neldifruto, nel
pafio , fi che tutto il pomofiafommerfo,fi riempie il vafo , e pofioui il
couer- cbio,ft ingeffa.V affiamo anchora i Cocumcri leruar nella feccie del
vino Secondo piace Quintilij. Vorrai i
cedruoli nella feccie di vin hia- co dolce,e non cattiuo, riuoltato,e riemperai
il yafete cosifiaraU nofemprefrefchi . Scriue Didimo . it- Serbar lvliuc
intiere nelle uinaccie ' .vorrai le
rinaccie frefebe prima, ebefiano premute infieme con Voline, polle
fcambieuolmente,e ne riempirai tl yafe , e la incolle- rai intorno, Con quello
modo Cotumella I cornali ferbarli nella feccia Comanda , delleqnali fi ferue
per oline , Ouidio uell'ottauo deSe JHetamorfofi ' li ripofti cornali nella feccia' , TV f Liquida nelfautunno , L*vua nella
feccia di vino reftar verde' - Columella
dimofira . Si cogliono, che fieno vn poco mature , e dop fi accomodano ne
craricci di modo, che l 'vna, non tocchi laltra, al fin come feranno
portate cafa,bifogna con le forbici
troncar vXj tutte l'acine ftcche , e vitiofe.e come fono vn poco rinfrefeate
fotte l'ombr afe pongono nelle pignate. tre, tre,ouer quattro , quat- tro fecondo la loro capacit, e poi fi
ferrano bene i coperchi, accio- ebenon trafmettano fuori lhumore, poi il piede
de vinacciuoli ben efprejfo co'l torchio fi bagna, e con i bafloni poco
feparatt fra loro, fi fan letto nel fondo della botte de follUoU ben rifolutt,
e pofii,e le pi- gnate Digilized by ijoogli ! Di Gio; Battlfla
dellaPor.Lib.IIII. zi gr.iUe fi ccmpovgono ir fum, e con le bocche riuohe ingi,
Unto di' ' iuhU Jra Uro, che le 'vinaccie fi p'jjjno trame tterc fra lorof.
lejjuali , come faranvo ben calcate, c fatto il primo tuolatOf omr ordine , fi
pongono fopralatre pignate co' Irne de fimo or di' ne cimpcfe , e fi fa il
fecondo tauolato , e, cesi finche tutta la bitte fu putta di tibuhti,di
pignatc,e cheleyinaccte ficnoben calcate infume, e fi riempie di vinaccie
infimo alle lalrt, epO' m foui fopra il coperchio , fi incolla di cenere
intorno . Ma b:fo~ gna, che juando le pignate fi cauano fuori per vfarle , Icuarne-*
tetto vn tauolato alla volta, perche quelle grinaccie cos bene ca~ re Ififiate
infieme, come fi muoHono vna volta ,fubito inautifcCi etfri-.e fi
corrompono . immerfe in queflo liquore ,
durarebbono imputre- i fattibili per tutta fecoli. Ma quante cofe noi hab- *'
biamo conferuato con queflo modo , fareb- / i be cofamelto lunga dirc-j ^ Di a
.,Comc c le pon - gono. Digitized by Google Di Gio:Battifl:a dellaPor.Lib.IIII.
115 gOHO aiSolCt per due giorni. Le medefime cofe dice da lui M Var- rone . Ma
ColumeUa . Quando l' oline nereggiano, ij fono ancho~ ra acerbe, colte con le
mani al cielo fereno ,bi fogna, che leyiticfe fieno Jeparate dalle buone , e
poi per ogni moggio di oline , bifo- gne giungenti tre hemine di fale intiere,e
ponete ne'vaft de\vmi^ ni, e lafciarle cos fidare per trenta giorni, e ftillar
ijueUa amur~ ca , poi ponete in vn vafe,e con vna fpongia netteli dal fate , e
bul-^ tale nellanfora, e riempila di fapa, di defruto. Didimo cesi in- frgna
far le Colimbade , L*oliue tjuafi mature, colte con i fuoipe~ dicciitoli , e
lanate con acqua fredda , difeccale nelle cifte di vi- mini per vn gioruo
peftandole leggiermente , e buttale nel fondo del vife con fai mtfcbiato, e
quattro congij di muria, c tre temi- ne dt aceto, e chenici venti. Come il
"vafo pieno, muouilo, che il brodo
auanzi foprOLt. ..41 tri pongono Voliue nell acquila marina , e dop fette
giorni , lefprimono , e le ripongono iu vna vafe con la muria. Cos dice
Columella,Talladio,e gli altri. Come lTai bene neHollojC nella amurca le cofe
fi poflbno conferuare . Gap. II. conferva benifsimo le cofe, e principat- mente
la morchia , che non fal le, difnde dau in- L giurie dellaria , ma de gli
animali ancboroa. Ma acciocbe non ci fluiamo molto con le lunghea - 1- parole t
Catone infegna'Je grandiffme doti dtll'a- morchta. La morchia difendei' ree
dove fi pefiano le biade , che le formiche non le faccino danno . tyincbora Che
il grano duri ncgranai tloro pauimenti,ei pareti tnerufiareti di luto impalato'
con la amurca . Cosi Accioche le vefti non fieno rofe dalle tignuole. Contro le
tignuole, animali nocemli fparge la morchia, e cosi au ebora fparfa Che
Digitized by Google Della Magia naturale Che
f mi mentre lUnno nellaia non nanoroHda gli animali. f fieno ficttri da
loro , i feorriati , i cucij . le [carpe, egli ajfi, delle fuotejutte le cofe
di rame, che no n faccino ruggine , e che faccino pi bel co/oro, e tutte le
mafferitie di cafa di legno, ij i nafi di ere* ongendo di morchia fi manterr
anno. Il medefimo Catone Le verghe di mirto con le Tue bacche ficonferuano
nella morchia. Imparammo ro ogni altra cofa ligata,e fatta in [afciclitcfuclli
poni nella morchia , e fa che auanzi di [opra a quelli : ma ejuelle cofct che
vbai da porre dentro, fa che fieno nn poco acerbe. Il vafo,ntl- quale le
porrai,fa che fian ben lutato intorno . E Le rofe feruar nella morchia Impara
Didimo, frefehe, e nel fio -vigore ,fe qmlle porrai nella morchia, fi che il
brodo ne fiupern ati. Se vorrai I rami de fico con i Tuoi frutti feruar nella
morchia Legale con le tre [rondi , e ponili nella morchia , come habbiamo detto
de'mirti . Ma fe vorrai che le fiche fecche non fi corrompa- no,ponile in vafe
di creta,(S' ongilopoi di morchia cotta . Tofiono - - Loliue feruarfi neHolio
Tercbe le pefche, quando fcolorifcono,fi cogliono con i [noi pecci- noli,
eferbanonell'olio,acciche dojpVanno rapprefentino quel fapor verde,e poi
f^arfedifalpeflo fi pogono fattola per
fref che. Come fi conferulnole poma nelle folTem- ieme con foglie y e con la
paglia. Gap. 13. g^$^Magmorno anchoragli antichi varie Umatur di te^ gni di
alberi, nellequalifotterrate le poma, cbca conia loro ficcit li conferui in
lungo tempo, oue- ro perche gli alberi fiano incorruttibili nome il ce- A dro,
e'I cipr(Jf},Oltre ci con le fue fronii,
t pa- ghe , perche ogni coft' fi conferua pi tofto in quelle cofe,doue hd
qualche [ornigli jnza , parentela, che
nelle cofe contrarie della^ fux natura , come habbiamo detto delle more nel fuo
vino , e del- l'oUue Digitized by Coogle DI GIo:BattIfta dellaPor.Lib.IHI. 1 folm
e neltttlin t deU'vue nel vino gli efftmpi de qul ferann qnefih ^itolem - ,
u> Seruari cedri odia limatura di cedri Come ne infogna "Palladio i
come riftrifce cfier fiato fatto dn molti Enelmeiefimomodo ^ Serbar'! cotogni
nella limatura molto tempo Tromette Dcmocrita, is cnfioiirnoft ottimamem te ,
percioche fono difefi dalla ftccit della lmjtura,o ne fiocchi, o lane monde,
difpo* fie , ig accomodate nelle cifie. Columella . Le mela ferbarfi moko nella
limatura di abete. Ci mofird, onero trapani iptella di pioppo. Valladio,molti
/par^ gono la limatura drpioppo.o'di abete fra le mela. .Apuleio compone le
mela,cbe hanno d conferar nelle caneflre,o neUe cifie , fatte di nimini,e poi
le fotterrano nella lana monda . Coti Le granate durano nella ^eiratura di
quercia fenza ^ pntrefariiw . ^ j- ! .
jm^fio modo, da Columella, bagnata pnimo la ferratura di aceto, e pi ben
compofie le cuopneno. Magone comanda in vn -vafe nuouu di fr et, fi fa vn letto
di ferratura ^ guercia, e fatto lo primo tono- lato, vi fanno altro letto dt
ferratura , e fimtlmente yi acconto daho
le mela, finche il ya/ fi riempia, iif airi come far rrjpifN* ,fi ' pone U
eouerde, e con dtligenK^a t'inseU con luto en^o . Beritia ' anchora le conferua
nella ferratura di quercia, Jparfon prima . /'cete * j jji : . JJyui.ksbzr&
nella fereatu ' tnfegna Columella. Alcuni con lamedefima ragione ripot^no l'vue
yerdt nella ferratura di pioppo,o di abete. Didimo.Le pon^ gono ueBe caff
impeciate , nelL ferratura feeca della picea , o del pioppo uero,o di farina di
miglio . I medej^i per far durar i frutti fifouo fumiti delie pa^e , lequali
per la tnnata loro frigidit com^ feruano il rigor della neue fenga liqaefarft.
E primieramente .1 I cicri fi Conferuano nelle paglie . > Couertf,:tome dice
VaUadio , onera vaile ftrame minute , Et it mdefmo ; , i cotogni coniroarfi in
lAinute paglie Dice, pepar jte lyno, da laltro, e couerti tutti; Democrito, ne
altri mente auuiene Helltfira'mrminHU,o compofie dentro le paglie co- tterte.
Tlmiik^ .. * . r. l vi E e Le Digitized by Google 'T X I &
Della Magia naturale Le ir eia ferbarfi ne'lerti di paglia '
Stuore,eflrami rifer. TiUadio ne tabulati fa letti di fglia , e ^ uerrtili
difofradiflrametiVtliadio li t i* Le pera foccerracctiella paglia Go'nrernaraod
> IJauer forza dice , ilmedeftmo con modo non molto diuerfo . Le nefpola
feruarf nella paglia Separate fra loro,efotteratetma fieno colte mgiorn'ameno,e
di me zo giorno idiffoHe tn modo,the non fi tocchino fra loro . "Palladio
Le granata P^rbarfi nella paglia > Difse,fi feranno Jtterate nella
faglia,cbe non fi tocchino . Btritio Lvuc ferbarnof fopra i letti di pa^^ f -
SeriuCyBifogna primo Rendere i raffi di VMd Jephrati ritmo , da l'altro fopra il fanimento, che non venghino tocearfifra loro , fo- pra i letti di paglia
,|e fi fa pofsibtle dt lupini $ perche quefte fona >. pinfeccbete ptn durCtC
po^no fcaceiareiforci.Ma file paglie fu ranno di lupini ,nel fecondo luogho
fieno difane^" di orcbo, e de' renanti ligumi , maditnitei^ hpaglie di
frumento , quelle di orzo * fono le migliori , t non bauendofi ^cune dt
queRe ui farete letta t di fieno
tagliato in minutifime parti. Ma > Le
noci f ltterano nella paglia , per conferuarnoi Come narra Palladio tefei
mandorli difficilmente fi fogliano del- la corteccia, fottearate nella
paglia.fubito fe ne fpogliano . Soritme i promette ..'iij.i;'.. . .. ^ Le cipolle non putrefarli
ferbate nella paglia di orzo . Buttate nell'acqua caldaie dtfeccate nel
fole,efteeate ne^pagliot che non fi toc cbtno fra lro. Palladio * ' '
Le cavagne feruarnol nella paglia di errici minuufrima^t.fbtteraie ne impara y
o di itlua di paBnde . chinfe nelle
fporte iute finte di rimini . Si poftono anebora difnu dere dalla pntr e f
anione ripofie nelle fuefrondtt come et hanno lu fciaioftrtto gli antichi. Si
come Le cotogna cnferuamol nelle frondi di fico ColumeUa promette ligate^et
incafrate intomo,eon creta mtfrhia*-'> ta con morchia .-Democrito le cuopre
con frondi , e le Untfee con luto . Palladio Quei pomi che' fono grandi le
guarda inuolti utili frondi di fico Palladio ' . * ' l cirri conferuarl nelle
fue fromt \ > . s ' Tromette, fe fi pongono fi paratine loro
In^bi , Tallaia Fa Digitized by Google
Di GIo;Battifta deIlaPor.Lib.lIir. Fa letro di frondi di noci, alle mele per
conferuarfi F.t Apuleio dieeje meU ferutrnoft fenza corruttione foprailUtn dtf
rondi di HOC! , co l qual letto diuengono, e di odore, e di colore affai migltori.Efaran
di miglior riufcita fi ognuna di loro far r. molti nelle fiondi di noceytna non
di quelle jcbe cadono da perlorOp c rtftjrno coti fempre confemate come quando vi furo pofi^. Coti anebora ^ Le
pera l confemano nelle frondi di noci ficebe inuolte , come ne promette
Democrito, e dop vn'anno efief anchcr verdi. Tlinio ' Le fichi fi confcruano
nelle frondi di taflb barbaflb Fmina inmlu, che mai fi putrefanno.VaUadio le
ripone canate ealde dal fumo , e pofte nelle loro fiondi in vn vfe di cretxa .
Catone le ripone netta morchia con lefne fiondi.ColumeUa , Come
firrmfeccbefiponganouettefporteimpeciateydimezo giorno , (T caldi, banendoU
prima fatto vn letto fotta, di finoccbto fecco, e co me ftran pieni i vafi,pomi di nnonofopra tl
finocchio . Tofttame Jtnthora . . .. Conferuar lecireggia nelle frondi di
fantoregria . o delle canne Sif iran
pofie in >on nqfe.fattoni prima vn letto fatto di fantoreorioi dop fi
pongono fotta i cireggi,e cosi di nnooo difopra vicendeuoU menufantoreggia,fi
confermano anebora fiapofieU frondi di can- na,e rei nudefimo modo
fcamhienolmente polle in yn cado . Cosi .^ebora
' Lcgtoggtule conferuarf inuolte nelle fne frondi Tromette
Palladio,ouero tagliate con ifuoi rami, e dop appefr, j Tqjcl mede fimo modo
rryw* Il mino fi conlerua con i fijoi frutti Molto tmpo, in yn vafe cbtufo ,
onero nella morchia , come bab^ biamo detto. Comanda Magone Le granate
confcruarfi con le fue frondi, . . Vo^fi^fifn^'^^ Vcrff*' Dell' afsinto , carne
dice Tarent , ouerc con i rametti fecchi
di abrotano trapofi, e di pi con lefrondi della fempre viua feccbe r Ci fa
ancbor a grande vtile la fronde de granato fecca, e con arena, criuellata
preparata, i7 (juando fi ripone il frumento per ogni me- dimn fpargerm vna
chenice difrondi . l'ttUfsima cofa pur.
. porui la coniai mel^ raffreddila, fattone yn letto fato al folaro, ; e dop
pofoui fupra dieci medimni. poi l'altra berba coni!^^, e di f nuotio por fopra
laltro frumento.Vercbe eptello,cbe far cosi acco- modato.perfeuerar non fola
per molti anni fenzi corromperfi gi mai, ma riferber ancbor a il medefmo pefo,
al fumo di herbe odorate, come mirto , lauro, rofmarino , cipreffb , e fia ci
fatto in luogbo fecco,iJ aperto, final- mente poi fi fa quelli mtfluraxinque
libre di calce viua , di alume brufciata vna , due di fide buono, di alo, e
mirra vna libra e meza, ' Itgn 1 Digitized by Q Di GIo: Battiila
delIaPor.Lib.IIII. 115 gHO aktmtfu Uhm
sito di /picanar do mtsca oncia , cenere di m di rfnarino cinque verderame brufciatOy& vitriuolo due0
herUcajind quattro t ferratura di ciprefjo meza libra ^ dt^jf- rana feccomtzv
oncia , di feme di coloquintida treemeX^ - di itimonio polucri^^to , vna e
rneZ^a cenere di feccia di 'vino nque
emezj, mufebionteza dramma, ambra due , bor tutte eflecofepife con grandtjfima
diligenza , e ben meftbiate fe fparga il corpo , e per tre giorni con le mani bifogna
per tre irni ben fregare , e molto gagliardamente , in luoghi feouerto rntifecekid/mo . Quefio vo^io ammonire, ne
corpi che fono mo/ graffi, fe ne leni il graffi) del ventre, delle natiche,
delle coje , e mufcoli delle gambe, de Ib barba, e per quei luoghi doue vefe ne
u. Cosanchora Conferuar le cofe nel balfamo perche non babbia^o ilr-aero , fife
ne ritrona, vai pi caro, & ti fatti arteficialmentefe ne fanno quefio vfo , de quali parie- ofuoluogho, , ^
jome pofTiamo far jjrarie fpetie di pane. Gap. . j6, ^^bbiamo gi finito de
ragionare de frutti, & in che cofefii conftruauano.bor reit dop eh-:
l'babbiamo conferuati , imparar come nepoffiamo feruirc^ . Frale cofe che fono
molto neceffarie alV humano quotidiano vfo, dimoflr aremo molti modi difarpa~
iHo,actto,j oko, che non folo il padre di fameglia con poca poffa/disfare
alafuafamtglia-.ma nelle careiie ne^monti , e foiiiudini, e di tutte le cofe,
che babbiamo dette con poca fa- "e ne poftiuo acqui fiore, ma cominciamo
dal pane, e 'veggiame licht nofiri nelle necefsit de' quali fe ne fieno feruiti
. l^a- io quelli panifatii difpelta , di olir , tifa , panico , fefimot egumt
familiariftimi di quei tempi comct cofe notifsime* 'rimo lar pane ne'jiumi,fa vn certo Jeme della grande&zi
delle caflagne , con tre punte acute, membranofo, ripieno di Yna midolla
bianca, digu^ fio di caftagna , che il volgo la cbianca aquatica , ir iptefant
fe ne feruono ne i cibi > non altnmente,che fi fuffecafagna . Cobra, che
vanno fuori, ne fanno di bro corone da dir paterncfler . I popoli della racia.cbe habitano nel monte Strimene, di
aueftotrtb ver de nepafeono t caualli, e del medefimo feme ne fanno pane , co7
fMj/r yiuono ^nchora ne'lHoghudoue nafeono apprfjjonoi.i paefa m nelle carefiie
di (juefo ne fanno pane come da
Ferrarifitfefa di caiiagna irt Calabrefi tjuefii arrcjliti fatto la cenere , fe
ne femme per I frut i dop cena. Con non multa differenza far pane. di loro I ,
Infrgna Teofraio. bfafce neluoghi piani, oue le campagne s'inon- dano. La
natura del frutto filmile alla fatta, ma
minore, e piu deli- cata,quel (he nafce nel capo,a modo della fava molto, e denfo, (T nt fee ber l'vuo , bor
l'altro . Cadendo il Sole fi reftringe.nafcendo* sapre,eforgefopra l'acoua,
lagrandiK^a del capo , quanto quella del papavero, nafce nell' Eufrate. Gli
Egittij futrefatino le tefte bro ne'monti,e come fono ptref^atti i coprimenti ,
lauandt nel fiume-* fpartono il fruito,e
bfeccan,e ptfiandobpi, ne fan pane , e fi fer- uono dt quel frutto Tlinio.E il
lotometra, la qual fi fa del loro femi- nato, il cuifeme fimile al miglio, fe ne fa pane in Egitto da
pafiorit e per lo pi di acqua mefchtata con latte. 7itegano,cbe fipofj'a tro-
udr pane pi falutifero , pi legiero
mentre caldo , ma qlnd t, freddo, con pi malageuole^^ fi dgerifee , e fifa pi
ponderofo f Si tien perfermo,cbe coloro che vivono di quel pane,non febo infe-
fiati ne di diffentiera,ne di tenafino, ne di altra infermit-di "ven-
tretla onde fi tiene per remedio fra bro.Era anebora vfanza fra gli anticki Far
pane delle palme ilcbe hauemo da Tiinio. Le palme in tutto fecche di Tehaide,e
di .Arabi a. fono fottili, e di corpo delicato, & abrufeiate dal continuo'
vapore, fi pu dir, che fieno pi tefo coperti di crufa, che di pelle,
Tqell'iftiffa tthicpia quefia fi fmmuzza{ tantai lafuaficcit) idt mododifartnasammafiampane, > - Pane del ficomoro ^ 5 In
Caria, if in Hpdo la fico dEgitto, igraudela^uontit, th fe ne pronte - Dgiti^ed
by C. i^Ii DI Gio: Battlfhi tlelIaPorXIb.III. tf iroHtene , chiamato ficomor, e
ne luoghi iui couuicin.e affai pocm a quantit , cbe/e fa del frumento, T i
popoli nella carefha f un eruonoper pane, e per frumento, 'tanta abondanza di agni aunn Il (fuefio frutto ,e
la copia , il pane amico del ventre, ma
d pocn limento , ilche noi pofftamofar il mede fimo delle mfftre . Si leggo
ncbora tpprefio i fcrittort di ,^gricuUura Come pofsiamo far pane lenza il
fermento a Didimo, jtlcuni ci giongononitroipercbeilnitrofail pane pUk iabile,
come ancbora la carne. 4Uri tl giomaprima che vogliono r il pane prendono lvua
, e la butianonell" acqua.,e nel giorno fe~ unte, che yonnofar
ilpane,togliono quelle, che notano di [oprai efprimono
,enefanpanegtocoudifsimo. Se tuvcibauere ilfer- nto per tutto V anno,quando far
finito di bulUr il moflo nelle bot- juella fpmma che ~vfcita dt fuori,mefcbiatala con farina di
mi- o^peRo con diligenza fanne alcuni leeoni , lequali piccate al 'e, le
riporrai dop in luogbo bumidoio dop toltone una fnfficien-^ puant^ te ne
femiraiper fermento, n . , t. Miiri I II MI Varie forti di pane &tte di
radici>e di frutti. Gap. 17. ^0 venghhmo ad altre ffietie dip^,che JbnofUr ^
ae trouate nofiri tempi, ebe^ noi non
poca vtilit porger potranno nelle careRie. E primo ' Come \fd\\ pane della radice dell'aro Hi
troua vna radice dellaro laqnalper non effer tata- re j4 mangia, & ancbora defiata ne cibi . Diofeoride
diffe,che tngtana cotta, per effer cosi manco acre. Galeno difie mangiar- luoco
di rapa , ir in certi par fi acrijfima .
Quando ne vorrai l pane, falla buglire in aqua e [eia vuoi far migliore ,
buttandn ima acqua.pontla fubito nell'acqua calda di nuouo.Ma in Ci- laro al contrario delnoRropaefe, perche ini non
ferue per icine,^ i pochifsimo acre,ulcbe fia piu "vili delle rape .
Tacile file anchoragi antichi fi fono [erutti vtilmente ne cibi d qitfm
tdciCefarefcrinenellibro delle guerre cinili. E fiato rttro- F/ nau 1,1 Dlia
Magia nj^turalc Mt4 'VMO di radce,da
quet che fmo con V altrio, che fi ch~ : ma caraMqual mefcbiatxxon latte,
bafla fttiare i /oldafi ^ e fette t
faafomiglianza del'pane.Di quella ft ne trouauagran cofta,efaU tane pane , e
quando t faldati Vompetatti rtnfacciauano tu loro ra- ' gionamenti la fame, che
patinano i noftn.ce nc buttauano in faccia, per leuargU di fperanX^ di hauerfi
a render per fame . F poco dop jfcgue, L'eferctto fi ritrouaua affai bene di
finit. t 'apprejfo Dio-
fcoridene'nominonlegitimi defemplici dice , iheVaron antiqua 'mente fi chiamaua
cara , Ma apprejfo noi di qualit molto
acre, ~ che appena fi fu toccar con la lingua. Ma dtmoftnatno il modo co- , me
di quella ft ne poQa far vn pane eccellente , efe mi fia lecito di dire ajiaipi
bell del pane ordinario. Si pigliano le radtei che fie- no grandi.e fi mondano
della fcorzi , e fi tagliano in fette fottilijti- me, perche quanto feranno pi
fattili , pi agenolmcnle dmtrrannb . dolci, dop buglieruo nelle caldaie
buglienti , tante "volte che l'ac- qua non fia pi acre,t vedrai la radice,
che comiacia ad, indulcirf, toltala
prima acqua,ftpone l'altra, e di nuouofi buglicifin tanto che lacqua diuenti
dolce. e la radice maficata no fenta nulla di acrez f^Ml'bor ft Ulta da
l'acqua,e fi f^andt nelle UnKjtola difiefe pen- denti, finche fi fecchino, poi
fe ne facci farina con le mole,e ne vfei- r vna farina biancbiftima,laqnalper
fe fla] & aggintau la ter- za parte di farina di frumento , fenefa pane
bianchifsimo ,efa-_ porittfsmo. Sifi anebora di altri modi, e pi prefio, e fe
lo indoui nerai , certo che te ne
rallegrar ai molto delf euento . Congrandtf- pmo piacere anebora ' . ^
> Si Fa pane dcirasFodelo . Ctappreffo noi cesiabondanti di bolbi , che non fene troua
altra radicticbe ne babbia di pi numero, alle volte di ottanta bolbi con
gioliti infieme, Oltre ci i monti, &
i lidi ne producono tanti , che par lbabbia la natura fatta nafetre, proprio
per il cibo deli'huomo, Tlinio .. Lasfodelo fi mangia il feme arroflito , e'I
bulbo, ma quefio arrestilo nelle cenere, cgiontoui olio, e pcflocon i fichi
congrandif- ftmo gufto , cerne pare ad Hefiodo . I bulbi fono ifimili alle
picoiole rape, cos anthora dice Galeno, uaapprejfonoi fono di si ingrato
ftpore, ir acre, (he impcfsibile , che
poffa feruir all'huomopcr ci- bo , che appena i porci fotterrandoli co'l
mufo,ne panno mangare t non fola non ne panno mangiargli buomini golofi di cibi
nelle ca- teJie.Fu Cibo frugale della antiquit.Ma bugUedvfi la fua forza di- vv
" ttieu i Digilized by Googl / DI GIo: Bttjfta delkPo rXI b.IIIL 117, n
pii debole afiaUe quella fita acre%^ f$ fa mite , eme babiia prima detto del taro. Ilqitale per leuar la
fame farnoueuole ne auticamente era [olito farpr.e Plinio ne fa ampia
teftiwtottiam-^ Tipi con la farina di frumento mifcbiata ne babbiamo ftto pa^
molto falutiferOye principalmente ne corpi confumati * r tifici . icbora ' Di rape, carote, c fifcri fi h pane i-'
qnefli cottile buglititC purgatii tutte le fitorcbetze $ fe ne pu3 pane molto
eccellnteicome gi ne babbtamo fatto, ma bauendo~ lefebtata farina dt grano per
ntel oarro per terS^ , come dtre- rn poco pm apprejjo . Epernon effermo pt
lunghi , fi pu far t pane da mangiare di tutte carote , radici t bulbi nel
mcdefimp 0. Sifaaucbora Buon pan delle zucche ^ ; cbe delie tcuccbe fene.pu
hanerein ahondanzat e iipocu ^ :zOy4 fanno yn pane ^ai fapontOymefcbiato con
farina di gr- \ tetchefa corpo i pane, per efier il mag^or frnttOyd grandez- i
tntti ifinttiytalcbe con poca quStit di fritta fitpoffono fatiar * i hmminiC di
qnefio cenepofiiamo feruire non fola neUe ca- \ e:mofe ue pu mangiar per gufo,
perche fi condite con l^cca~ , ' inoru fiate ce ne fermarne per le delitie
della gola, i3> miti- , a fiele nelle
febre ardenti , e fie ne yendono in ogni lugho . il d farlo
quefto , fi pigliano di queUe tl^uccbe rotonde gonfiei l fimo mature, e
fe ne fanno molti pe^tu,fe ne butta via In . ccm dmotefccndt fuori, e la
midolla di dentro co'l coltello, e \ er fiele ftiviia caldaia diacquabugliente
kfuftte buglire-per~ , 7 quel motto enotere fi jpogUa di quel color verde di
berla, e ' irnttaodore^efporefcdtidtofo, ir vien acquiflando tuttanis !^ or
odore , e piu grato fapore. C ma particular qualit di no- , ,e dura ajjai non
meno che tlpane.Ccmefar ridotto in forme luento, lo faremo pcffiar per ma
hmigna di ynafeta dafe- , 'r farina premendola con le mani.f fe vi ananzer
alcuna par no pafiarper tffer poco cotta, onero alcune artfe Icgnofe p ' i bufi
delia tela, quello che far paffuto fuori, aggiongertmo . ^ parte di farina , e
lammaffaremo in pane , ilqual ferir poni vitto qnoudianoMqual ci piacer,e non
offender ma- ; r. fimo ad effer fatoUo, ma mangiato moderatamente baue- no/ciuto toner. mcUo gionato , Quando fri fio,
bonifii- ff mo itt . Dlta- Mgknaifttpaltf: r) mo .^pijMumio
infestato fenr^, feMqHeUt chi banito^fkUbe fami^ianz*t9firetttela ,bor
effmd/mto,'4cort04nfegua'afermruiit^ . \
' - Vari; modi di farpaoe delli
frumentacei,* ' dlli legumini . Cap*^ 1 8 . a .1 \ . ^ ' ,
.i. ItchamentefifttapaMedi vsrifihtm1iti, e legti^' J' mii meparfouenho in
volerle r oc c(mtire,pc^ 'A tendo tiafcbuno leggerle He'ferH loro^ ne m
farW ^ fi pu far errore . t^oi
facciantoHHrrdilanoff'' w miglio per ' f^K^ur.perthe E di alimento molto
fekmekggitfo, Delmigtm% n$'fapane,e certifani cotti'fono-la cenere, magrmfe, e
molto'diPfi^j^ iie, d digerirf', f al mangiare fon come celiai fie non fi
mangioni ^ fimii che fon cotK,oaerancbor ialdeidirmentrofbMdimofafiin critda,e ponderofa , Del mit d tndia,fenef
panegranof , e nm piaeenole fecco,e terttffre,vieinoamigliOi apprefio qnefio *
detto di forgo, buono per alimenthma fenzo fiacco, tran ppreffe > gH antichi
vn pan detto emide , cefi- chtamato dui ftme^ elhtopicot' tanto fmtgliante al ffamo, che
non/rpoteaeono/cere lyn do l ah tra.
Sifaanebora Pane di[Iupini honifsmio , tr anebor conofchtto dagli antichi,
perehe Didimo in fegna come pofirifarfi dolce con aqua difinme,o di mare,ht tre
gior- , mipofio molle in lro, e
cominciando dinetfir dotte fifetea ,efi'
macina , la cui farina mifchiata con quella di Orge i o difimmmtot era
buona far pane. Ma noi la facciamo in
queflo modo. ^ Trhme- f mente fi macinano i lupini con lemole,efenefanno
farina, deUp quali Digitirad by Google DI GIoiBaitifta dellaPrXlb JIII. txf
quali cinquanta libre fofte in vn cado di legno , e buUatoui fofr acqua chiara,
che auan!Q/bpra quattro diti , mouendo fempre com u cucchiaro di legno , poi fi
ripofi, finche l'acqua douenti chiara, e la farina radi fottq ,poi fi cola
l'acqua con diligenza,cbe non fi perda alquanto delia farina, e di nuouo
figionga acqua,e ftmuoua come prima, e cos farai la ters^ ifolta , finche la
farina , e l'acqua diuentino dolci , ilche auerrimvn giorno, fe l'acqua far
mutata molte ->tolteXomequefo far fatto ,fi pone la farina in vn lenzuo- lo
difief , e con vno cucchiaro di legno fi "v fpandendo, che l'ac- qua coli-
per i bufi ddla tela, e la farina pi prefto fi fecchi nella fu- perficte della
tela . Intanto fi cuocono due libre di rtfo, e cotte che fono, fi mefehiano con
quelle, diuidereno quella maffa in due parti , deUe quali vna-parte mefebiartmo
col fermento, e cou cento libre di farma di frumento, e fe ne facci pane,l'
altra parte co'l fermento ficfinferuiperilgioruofequente, chemefcbiata con
farina di fru- mento far buon pane,cbc non faprpuuto di farina . Ma tutta la
dilifiganz^afit deue por nelfar del pane , che nonfacendouibuonda farina, il
pana non verr buono la,onde ne la farina, e fua prepara- tiofte confife tutta V
mportanZ^, perche quanto di pi cattiue bia- de,d legumi faraffi,tanto con
maggior indufiria fi deue preparare. Con queflo modo ne pouetno far pane
deU'orebo,cfaca,e con l'aqua fi pu mitigar ilfaporc, c con la meJcolanZ^ della
farina . Si fa an- chora de pifelli, ceci, dolicbe, lenteccbie,e faue > e
principalmente deile ghiande. Ma non i amchor cimlil Far pane ddli'berbc . Sii
alcuno torr l'berba lappaci e la minuzzer minutamente t 9 con la mola la ridurr
in polucre fouiliffima , e con altrotan- 0 co'l terzo della farina di grano
aggionta, neauerr 9 pane , che te he potrai feruirenebifogni,ip' baue- ' ino
intefo in alcuni luoghi mangiarfi oa poueri fenza offefa della fanit,
per-rnmefe hauer pafeiuti egregiamente certi afftdiati da nemici. - ,Com Della
Magia natunile j I i.i \ Come fi pofla
giongere pefo al pane. Gap* I? [ O K infegttarmo come fi pofa giongere fi pefo
al pane , cofa 'veramente nur abile , UT nule-, e molto profitteuoleynon fole
per foUeuar la fame nella ca~ refia , ma ghuenole al padre di famiglia , perche
con poca farina potr fatollr molti. Edm tre moditpi rebe fono cofe,che aggionte
al grano augmentano l'tfieffoja foflanza delpanCj altre fono di fecce ,
eelutinofa natura , le^iuU conjptffano l'acqua, e lo refrdtgeuo in fjtanXa di
pane . Eui'l'vl^ timo modo.iltjnal col caldo deff anima fua , viuenegeta,
ecrefee E quanto manca periltor che fifa dalla femola. tanto netta molitu^ ra^
e nel refiante artificio l'aqua afperfa yi aggionger Oltre cit la cocitura di pane ne toglie del pefo
del pane *vn4 deetmOt e za parte ihorieeggiamo cornei noftri antichi con ima
certa tema onero ' ' - p jw' n" Creta da pe(b>e bikfichezza al pail
come habbiamo potuto dare.Vlinio infogna iti tjuefio modotcon tm creta, come
habbiamo potuto far bianco f alita. Ualica fifadifpeltai th noi chiamiamo
femente . Se pifla il fup grano in pn mortaio di legno , perche con la duref^a
detta pietia porrebbe farfi troppo
minuta,ma il pi nobile fijceua,come
ikanifefio,col mortaio da quelli, che erano fiati condennati per pena
tT^elprimofi facta con pn vafe di ferro, cauatone prima lefeorze,epoi con
ime'dffimi tfm mli fi rompe la nuda midoHa'.Cosi fi fanno tre Jpette
diWca,tani^ Hima la fecSda,e lagradtjfima detta afremi.T^haue anchor ricem to
lafua hiatheZ^pertoquale sauanga l'pna laltra gUJn .Alef- fandria fi pref enfiano
poi, ( co fa mirabile dir fi }fi^ a
mefchiO-a pnscnta.laqual pofianeUafowZi.& gidge colore eteflerci^a, Quejla
fi troua tra Pot(sMoli,e'blapoti,H yn monliceUo detto Leu-, cogeo.E PI di ,Augufio pn decreto, per ilqual comanda,
che dal fuo fifeo fieno pjgati yttimila ducati l^apolitinf^per quella'. port
pna Colonia in Capua,> ajfrgn la caufa del portamento per bauer^ no negata i
Campani poter fi far Valica fenga metallo Digilized by Goxi'^Ii Di Go;Battifta
delIaPor.Lib.IIII. a 5 1 Ilrifo aggionge pefo al pane ne eerrompe tl/apore,ne
la bont del pane,anzi augmenta il fapore 0 la bont [natelo a^renge nella
proportione ottupla , che con tl continuo rtuoltare ritiene il fp&ito
"^olante-tla onde yedrai la con- ielatine,aggiongt il furmento alla cofa
congelata' Ma hifogna che 1 raffreddi ,'^acciocbc non reftingua la forza della
congelatione , e 'accodi legar il feruo
fugitiuo.ij ad conglutinarlo con la fua fo- hnzj di frumento , mentre ti parr,
che bafii,ij lo vedrai effere fcefoal pefo douuto. Co'l medefimcreffempio
Aggiongerc il pefo al pane di miglio affiamo aliai ageiiolmente, perche effendo
egli fecco , friabile ii- ontinuo.e fenz,t nertto , e peflo col piHone di
legno, e ben cernito }l eriuello, finche fe ne parta la fcorziy come Vhabbiamo
vifo vfar I l{uma,e Fiorenzt,con la fua digiuna aridit ne riterremo molto '
^uel volante fpirito,all'hor accompagnato co'l frumento , fi rt- inge l'aria, e
fi conuerte in la cfianza di chi fe lo magna , jenga ' nuUa al pane delfico
colore,fapore,e bont, anzi esimerai, che ne fia aggioitto.T^ far cofa
maneogioconda,di vedere "lllatce dar pefo al pane vtilittanta danon
difprezzarfi, e con efperienza di migliorar Ito, perche aggionge pefo,
bianchezza, e friabilit aggionto in gho
deU'act}ua, quando frefco non h gufato
cofa ne pi tenera oi faporita , e per certe fae doti parti culari vi h
piacciuto ag- rgeclo quLaggionte anchora
quelle co/, che hauemo conofctu- (Jerno necefiarie quefta arte.M per certo pur cofamtrabtle iefimo AI grano aggiongcr
pefo col grano za niun aggiungimento-, perche volendo noi aggongerui cofe neCy
con.molte , e quafi infinite cvfe hauti amo ^luto confi gutr no coft
aggiontione di ogni minima cofa . Ala in qui fio ejperi' c dalla vera ficflanza
del grano, fc,ne caua vn certo fermento, \l fparato,rep ugnato, ir aggionto al
nicd(fimo,augmcntando I fiflanzui,cuer l elemento refrangendonellafiia
mafia,augmS- t.f^icordandoui queito, che non vada dminuendo quel proli- ilare,
ma fi vada conferuando , i!J accrefcendo, che di qu il iepende , Ma hor narreremo
vnj illuflre opera della natura, a di mirabilityCome poffafarfi che il grano
crefca da fc flcffo . Ma ztfrade!
rAucore zifradel fAuiore 30 Della Maga naturlc Ma nim s come i' animo mio
ricufa di maniftfiarh * seche\e M4 pengbino a rtlipendtOjtfiendo fcouerti alla
vtltfiimafUhbeiCr olii, ignoranti bomccinoUt mojicciocbe non defraudiamo
ghi"Sognofi dellorremio^iiMelliilnegbiamotqHefii tlmanifeBiamo Qm- tirrade
I conofauto dagli anticbi, perche difimil mado-dt far 1 Autore 0f, ifQ trouato
ninna parola maine'fcrittt loro.La cofa com fifle in quefto,che la farina
digrano fi cotratti di modo, ebe vengbi fpirarlardor della fna animafiglta de
fuochi ceUfii,perfnaim- $nra di tanta
foitiletxa,che inaiata dalfuo calere , fende mafia cosigonpa , che arrmi alle
fommit, delle labra del vafo , U giorno apprefjo lo
porrainellamaura,e^iaggiongerai farina di uuono , laqualmedefimamenteeleuata
dalfuo ealore,e 'vedendo moner 0,43" occorrendo alla fua mafia, qnafi
ritomanih di uu^Je refrange nel fuo elemento , i3 dilinfofianza
difarina.Qiu^fa' rai ti e,ouer qua ttro voltt,e cosi porrai propagar la cofa in
tnfintto ' E tutto ci fi facci tu vna
flola,coe il fuo natiuo fpirito fia accar^ zato Mi ha parnfo anchora di
ammonire,che non feriamo lumafft ccioche per la ferita non ejpiraffe i (piriti
generatim, 43 fe ne noti in vento, perche non acquiHarefii l intento tuo, ne vi
m^hi fttu rnggiadofo "va^etilqnale e levato alle/lelteat difUlhmdo di l,ir
rnggiadi la mafia, coti ti rallegrerai molto del portentofo acquiRos ma Infogna
ma diligenU operatiime di mano. Si prie^ per le ^ ttegligensui non diRrngger
tantofecretoipoiche fon (late tuuentioM qt^e de linfirijfimi ingegni. Come
pofsiamo per luogo tempo foffrir la farnese la fte. Gap. rt{yf7iO apprefio gli
antichi certe compofitioni , M che fcacciauano le fame ,ela fete, lequali erano
f( nectfiarie cosi tempo di
careflia,come neU lejpeditioni delle guerre. Dice Vlinio. Certe cofe ^ ^
-convnpcodt gufioacquetanolafame,elafett.^, e conferuano le forze, come il
bntiro, t'bippace,e la gliciriX^i^ . Et altroue.La Scicia trono la prima,che fi
chiama Sciticaini^ce cit ea la ttoetia , qfiai dolce . L'altra vtiliffme e
quelle cofe, che chia- * mano DIgItized
by Google D i GIo: Battlfta delIaPor.Lb.IIII. 153 mono lpafiHdti,e dig
*Hdelode,chebauendolamb0cca,nonfen- tono Ufame. nelafete.llmedefmotfftttofaU
bippacedetta.fer- che fa il mede fimo effetto ne cauM. E dicono con quefe due
herbe ifoldati di Scotio per dodeci giorni duraHolafame,e Ufetedequa- It cofe
trasfer dal primb libro di Teofraflo . X. 5 dca e dolce \ e molti fono che
dolce la chiamano . Tiafie appreffo la Mectide . fra V altre cofe eftingue
anchor la fete , fi far tenuta m bocca , per Ida qual ccfa cosi quella, come la
fatica di cauallt chiamata, per undici 0 dode ci giorni foffrifcono laftme,e la
fete . La onde appare TUnh hauer tolto queHo da Teofrafio . Ma fimo, che h
fatto errore^per- he Hippace dinota il cafo di cauaUo,e non berha.Teodoro finteti reta
equeftre,qnafifofie fmile alla glicirizza fcacciar la fame, e 1 fete.Terche
dice wppocrate.l Tqomadt di Scotio magiano lbf-
pace,quefto ilcafodt cauallo.Etaltroue
I Sciti fuotono il latte di caualo in vaft di legno caui,e quello mentre
fi tHtba,la Jpiuma>graf fjtcbe butiro chiamano, ftafopr a lafuperfde, che
quello che gra- ne cala gi . dop
fiparato, lo feccano , e quel fecco chiamano bippa- cla fece tefberba chiamata
tabacco, perdoche dal fucco di queUa,e d
mrrfi di chioccole ne fanno certe ballottine, e le difeccano all'ombra,
e ne 'viaggi di tre,o di quattro giornate Vpna ne pongono fra il la- bro di
fato e fra denti , e fuecbiano continuamente , e quello fiueeo fucchiato
fingbiottotto in tutto quello (patio di giorni, e cosi no pengono a fenre ne
farnese fete,ne fUnebezza. Mainfegnarem pn altra compofitione,lafctataci da
"Herone , e fi cb/amaua la Compoicionc cpimcnidea tolerar la fjmc.e la fer^ Ira'vn certo
medicamento, che molto nodriua e prcbtbeua la fete, e ne mangiauano cos coloro
che afiediauono le citt,comeglt aff-
diati, e chiamata compofitione ef,rimenidea,dalla feila epmenide che
introna in detta comp ftione, e fifaceua in quello modo. Cotta la fdlla,e kuata
V acqua, e dcfeccata,e tagliata in piedeUffime par- ti, e dop fatto que/to vi
giongeuano la fefia parte di fefamo, eia quintadecima di papauare,e tutte quefe
cofe mitigherai nel miele, come cofa eccellente
far corpo , ti tutto fi parte in pezf: come va .grandifma oliua , ^ una
di quefe fe naprende la feconda bora, Gg el'aU Digitized by Google 23^4- '
Della Magia naturale e l'altra fe ne mangiaua (bora decima > e nella fame
non fi "venig patire niun
male.yt vn altra com^fitione
delmedefmo^be ci entra di ftfamodi jlteneynmeX^ fiftario ^ della me^a parte di
mielei'^na cetile di olto,0 vna ebenice di mandorli mondt dolci:fi * fecca il
fi fumo, li madorli fi peSanOiC fi mnonono bene, epot feorti- cano le falle
dogni intorn,togliendaleradici^elefrondi,e par- tendole in picciole parti,pofte
in mortio,e dtbifognopeftarle, tnfin
tanto che fieno benifiimoprfte , e di qnefie falle cosi pefle fe gli
aggionge di miele, e di olio e^al parte , mefihia bene > e ponle in
vnapignata , epontlafopratcarboni,moitendodiifu,edi lcon yn CUCI btaro di
legnojntanto ogni cofa fila ben infieme mefebiata e quando quella mafia rafiodata,
bene dtuidetla in piccioli boc- concellhe pigliandone yna la mattma,
l'altra la fcra\bar * bafle' Mole nudrimento . Quefia medicina molto giouemle a nno efferci- to, perche
offendo dolce aduce fatnrit,e toghe yta la fitte . Quefia fecreto babbiamo
tolto da vna feoha fcritta penna fopra
il libro di T^ronr^nella libraria yaticana , e la medefma h^biamo vifta in
Filone , nel quinto libro delle cofe di guerra, doue ne ferine moli ofe
fmiU quelle % X Da quali frutti fi pu
far vino Gap, XI a Or raccoataremo frutti- da quali fi pud far piuo,m
difcriuiamo quelUprimj,cbe fono HjU fatti da gli antichi, e fono di due
fortperebe alcuni fi ruinan ^ riwf quali fon pieni tutti i libri de mediei,
altri yarij v(t,e quafi infinite fprtie
fecondo la dif ferenz i de luoghi , e delle genti , perche quello (he donato ad irai luogho ad vn altro fiato negato.Vrmitramentefaril Vino delle
palme . Plinio dice, che in Oriente di quelle fi facci ilvino. e racconta citU
quanta [petie di palme,e le differente de vini , che fi fanno da que ile .
delle quali le migliori fono quelle , che fi chiamano cariote, co* ptofe di
Jucco , e fono i firincipalt vini di oriente : ma falUm diofi Digitized by
Google Di GIo: Battifta delIaPor.Lib.IIII. 15 y dioft al capo t donde fi frutto
ne trabe il nome : le pi lodate m Giudea , e majfmmente in Hierico , quantunque
quelle di ^cheloide , di Fafelidey e di Libiade popoli fieno in gratL prezxo
nelle medefime valli . La lor prtncipcd dote, che fono di fucco graffo lattuofo
, con -yn certo guflo di vino dolciffitno, come di miele. Il Vino imbriaca,
come fa il frutto anthofa mangiandone
abbondantemente, Diofcortde l'tnfegna cos. Va- tu le palmette mature % chiamate
cbidce in vn vafo bufato di fitto, cbiufe con canna impeciata, ej il buf fia
otturato cci_m lino, e con quaranta feUarij , infondiui tre congi di
acquanti fi non tt piaceffe cosi dolce ,
baflaui cinque congi ; che pur affai ,
Dop dieci giorni toltone dalla canna quel panno di limo , togli quel "vino
graffo, e dolce, e riponilo , Stf a- fbora,a ' Vino de fichi Sotione l'impara
di queflo modo . ,/tlcuni fanno vino di fichi yerdi, riempiendola mezt parte
del "vafe, efinifccnodi riem- pir la reftjutr parte r giongendoui acqua
pura , e di momento in momento affjiggiando l'efperienza pigliano co'l guflo ,
ap- parendo quel fapor di vino , il colano, 0 dipoi l'vfano , Si fa ancbora di
fichi feccbi infcgnato da Dtofceride, iS ilcator- tbite , onero fiate chiamato.
Si pongono molle i fichi carici
celidonia , (mero fenicei in yn vafe di creta , il cui fondo fia bum fate , e
poi fi otturi il bufo con yna canna impeciata , offM> rato il fuo bufo con
yna ptzS^ di lino ; a quaranta feftari , di aqua bifogna aggiongeme tre , e f
il vino non piaceffe cosi dolce, bafar giongeruene cinque frfiari. Dop dieci
giorni fi piglia, e coti ancbora la terza voltati me de fimo moggio di ac- qua,
nella quale ci filano fiate bagnate dentro vinactte,vi fi in- fonde , e
fimilmente per lo fiiatio del quarto , o quinto giorno , fi piglia. .Alcuni
aggiongono fa anfore di quello dieci fe fiati di anfore di fale , per qutfla
cagione , che non venghi ageuolmente
corromperfi . .Alcunivi fann fiotto vnlettodi finocchio, edi pino, e VI
pongono /oprai fichi feccbi , e coti vicendeuolmente t finche il yofe ripieno
fia , Si f ancbora Vino di pera Che del greco nome del pero fi chiama apifte ,
e da latini pirat$ g % Tallo* V Della Magia naturale Talladio l'inftgHA in
quefit modo,pifie e npofe vn fatto di rara tef fnora fi comprima co i torchio,
onero conpefitt dura per ltttuerpo ma diuien aceto al principio dell'eflide.
Comanda Diofeoride^ebe le pere non fono molto maturc.'hitlmedefmo modo ft fati
Vi no di granato Sotione fa il nino delle mele granate puro premute , togliendo
w# quei che Hanno nel met^ de grani. Valladio . I grani maturi e con diligenza
netti fi pongono in "Wia fifcella di palme t e fi premono con il torcbio,e
poi cuocerai fuoco lrggiero,infino che
cali la me- tye quando far raffreddatolo riporrai in rafit impeciatiti^ iugef-
fati. ..alcuni non cucceno' il fucco,ma per ogni feSaio ci pongono "vna
libra di miele lo ripongono nt^vafi gi dettile h cnHodifco^ no. Si fa Vino del
arbore loro. Vi "rna jpetie di
loto, che non ha il nocciuolo dentro t perche net- V altra ffetie e comodi ofio
, e di quelle enebora fenefa vino fimi le all'acqua melata , e dicono che non
dura pi di dieci giorni , Il mede fimo dice Tqfpote da Plnio,i3' .Ateneo da
Volibio.Del loto fi fa pur Pino po/io
molle nell acqua.e pefio, e di fipor grato , e gio tondo, come di
vnabuona acqua melata . Q^fio Pino fi beuepuro^ e fenza acqua, ma non dura pi
di dieci giorni, la onde fifa a poco, poco,per l'pfo di fi breui giorni . S ifa
anebora aceto da quello ,fi ben non molto, affai buono, e commodo.^ifa anebora
Vino del mirto.e cornali. ' Da bottone,
ilqualdtl mirto, e cornale frutt frefeo,e pefiotC prem to ne fa -pino Hor
narraremo come potremo Far vino delle
biade Dalle biade fi fa beuanda.DeWorzo Diofeoride Vinfegna,e fi cha ma zito,
fi fa anchora. pino dell'orzo. ilqual chiamano curmi,e brut do di quello fpeffo
in luogho di vino fimili forte di bere fi fanqp.an ebora delgranoJn quella
parte di Hifpagna,che mira l'occidente* e la Brettagna . Da quali dice
Vlimo.Dalle biade fi fa pino, zito in Egitto, celia, e ccria in
Hifpagna,ceruifa e piufpetie in Francia , & altre prouintie . .Ariflottle
nellibro dell' imbriachezza, parlando del vino fatto di orzo , che chiamano
pinon.fa cader gli imbriatbi di quello al fin dietro, ma f altre fpetie di pino
che imbriacano , gli imbriach cadono in ogni parte, a deflro,a finiflro ,
bocconi , fupiuh fiio quei che beuono del pinofolo cadono fupini, e declinano
all'iu dietrqt Digitized by Gogk DI GioiBattfta delIaPor.Lib.IIII. 237 diro,
ilyinofM o di orzo chiamano brito.Sofoele nel Trittolemo, t Efcbio nel Licurgo.
Ma Hellanico nelle ville dice, che il bmo fi fi de radici, e da ^uei di Tracia
di biade . Hecateo dice , che gli Egitti^ fanno farina dell' oe^ per far vino.
Et i Peoni beu ono brito fatto di orf(o e Parabia del imglio,e di rifi fatta,
da .Ateneo . Si fa anchor vino del r.fo.Dice Eltano,che gli Elefantiyche
combattono nelle guerre feli da "vino non folo fatto delle viti ma de
fatti ad' arte del rifa, Hor apprrfio i popo feitentrionalt delle medt fime
biade.fi fa tl vino detto btera,ma fi vi mefchiano fiori di lupuli, non
^tendofi far fenZ^ quelli.Sifa di orS^.e di grano pofio a molle nel- M loro
decowone . Tioi btbbiamo -vijh di orZ* , e grano macera $ nell'acqua farfe
fapor di vino,anzi di quella hauerepoi canato ma eccellente acqua vita. Ma
quelle fu te di vino far tremate da gli antichi pi tofo per medicine, che per
bere 7{pi ne infegnaremo alcune, che tanto imiteranno il fapor del yino,che
feranno efi fiima- Se veramente vino ,
primo far Viuodimtele, immuebarili di acqua fi pongono diciotto libre di
miele in cal- daie di rame HagHate dentro fi pongono bi^lire fortemente\, mo- ntndofempre con
cucebiari di legno, leuando fimpre le Jptume,che vengono lu bugliendo,poi fi
coli, e fi pongono in vna botte. Poi fi pi- gliano due bbre di tartaro di botte
di min roffo^ boglia nell acqua finche finno iffolnte: cui saggiongj Sottana parte di vn barrile di
aceto, acciochenon fi finta qnelfafiidiofa, efatieuole dolcezza del
miele,efimefcbinobene,poivifivggiungano duo barili di vino eccellente , lafcia
ben far reftdenza , dopo alcuni giorni colalo per maa feta di cilicia.di peli i
cantilo ouero Hamegna , acci fi pojfa , annettare di tutte le bruttezze , e di
alcune reliquie delle cofe po- fle,e di qu ne vfeir vn liquore affai acconcio a
ri/parmiareil vi- no,e /pender poco per lafjmiglia,delqualteporraifrruire,e
nella buena,e nella cattiua fanit, cnopnlo, c fentene . Dimoflr ere mo anchor a
vn altro modo di far Vinode'pafsi In mna caldaia di rame fi pagano
fettehar>-ili di acqus,e quali fag giongoHo due libre di vua paffe,bugliHo
tantoifinche fi diffoluano m acqua,dinengbi come meata,e f la caldaia non fi
trouer di tanta eapacit,faUo in pi molte. Dop tolto il vafe dal foco, dop
roffred aUhCsla poco, poco, dop colato poni nella botte,
& vi fi aggien l* Digilized by Gi-ugle * 3 8 * ; Della, Maga naturale ga
vns mefura dt aceto rofjo ,fer ammarar' tanta doce!Qu dei miele, e none altre
libre dt tartaro pifijte tn poluete fottilifitma , e V poi fonendouifopra la
quarta parte di vtno eccelent^smo fi riem- pir il -yeafet e s'mcouerchi , e ve
ne porrete feruire dop vnafetU- mana. J^'infegnaremo ancbora vntdtro Vino de
cotogni. y n bornie dt muflo fi pone in yna caldaia di rame fiagnata , (f
aggtcngeui dinterno a Cinquanta cotogni Jeluaggi , cio quelli fatti fette te rugofi , toltene via i femt , e
fatti in pef^tti mo- do di rape,coquatq
foco Irggtero , e come fono alquanto koglite fi raffreddino, kuati dal foce le
meta fi pefiino con pifiello di legno tj^cmanfi co'l torchio > e quel fucco
canato dalle mele , nppntla , co l muHo , in vn vafe di creta vitreato , e
ferbalo per ynanno . In ogni cor efiia ti potrai feruir di quello venendo i
occafione tpo^ fit in vn barile quattro parte di acqua, due di muffo, CT vna
quar- ta della predetta mtftura, penila in vn vafe ben otturato, che tuglia ^ t
conte vedrai che fatta gi chiara ,
danne bere . Onde da Od- ie qutfe cofe
vna anfora dt aceto, vna libra di miele,e tanto di tar- taro trito jafeia
bugine in vna pigaata vitreata poco
poco, e y mfebiando fempre,eper ogni barile di acqua , aggiongeni vna
an- fora di yino , ig ottura , e p&ffati
venti giorni , li potrai dt quell femire.Ouero vna libra dt miela, r
altro tanto dt tartaro dt yiUmV roffb,mexxi libra di yna paffa,e due anfo re dt
aceto bugliano tIL Papignat3,aggiongeui
quefie cofe vino, e far buona da bere
Vino chiamaco meda Beuenda yfata in Fngberia, Polonia, & faglia
fuaue ,filutifer pi d alcuni non pochi vini . Si fa di yenti libre di buon
miele , di aqua cento vinti , bugliano infieme eji dejpiumino, finche refino
ottanta libre, lequali raffreddate poftt nella botte, vi fit agginga- nofei
onde di fermento di pane, onero quanto baili
farlo bugltre, e tfecciare,ij infemen,eHte con vn licinio fi appenda, e
vi fi immcf ga ma che non tocchi il fondo, e vi fi pongano poi dentro due dram-
me di cannella,di grana paradifidi pepe, di gengeuo,e digarcfoli, e di fiordi
fambu co quanto fi pu pigliar con vna mano,
fi lafciano nel cellaiaper vnituerno , nella rftade fita nel fole per
quaranUL giorwyinfin che pigli fapor di viuo,e lajfci l'ingrato fipor di miele
^ mafie vi aggiongerai laterS^ parte di vino fior pigratiofio s la Digitized by Googlc Di GlaiBattifta
delIaPof.Lib.IIIL 159 In quanti modi fi poflTa faracet>e di che . cofe Gap. iz. jtbbidmo ragionato del vino >
cofa ccruetieuole |S . ^^NjAsir parli dell'aceto, e frimtratnenie comt fia
fiato fat~ H todanofiri antichi, dop cime da ttofiri mcderni,
*>*^^P^'''f*^l>*^lf^douetiacutffmo,nefol queflo gioua al padre di famigli
aima i'actto teciffaiijf- /wo molte arti. Sono anihora molupatft , ne'
quali gran care- 'ftia di vino, e per
ancora gr careftia di aceto,la onde in qui i\a fi nonhaa poco faticato quei
belli ingeni in trottar varie inuenttoni di farlo. Per cominciar dunque, diremo
^ Come fi facci lacero dtrichi , ^PiMiie
lo dice Columella Si denno cogliere i fichi frefeb affai rnatn^
ri,aHchorcbeperleptoggie,etempehefieno cadute
terra, laqual colta da terra, e ferita fe pone in vn anfora , o
banle,& ini fi lafcia fin che douentt fermento , onde doprbe dmenuta acre, ria fiato 9na acqua, cieche
vt di aceto fi cola diligentemente, e fi
ripone m vafi impeciati ben odorati .
Quefie fanno "vn aceto fortifs mo della 'prima bont, ne mai contraber a
palugtne,mir eira, fe non fra po- ^ f luogho humtdo.SoHO molti, che defilano la
qutit,cbemffi. bis ma acqua con t fichi,e poi vi agg iongano fichi fin fichi
maturifjimi , e laficiano,cbe in quel fino liquore fi putrefaccino,infim che
diut nti di fapor molto acre , dopo lo pongono in (forte di gionchi , o in
fiacchi fatti di /parto, e fi cola, e dop colaci lo rificaldano finche fila
tolteti "OgHi fpuma.isr ogni fporcbezga,all'bora ci aggingono alquanto di
fai brufctato,e queflofa,che prohibifca i vermicelli , ouer altri ani-'
mali',cbe vi nafeano . Cafsianofinquejiomodo. I fichi 'vecchi,: 'Terzo arroiito
poflo nelle midolla de' citrt fi pone nel mezodel barile , & menerai con
gran diligenza , e frequen'za , e coviti ogni coft far liquefatta , e
putrefatta , la colerai , e Tiferai . ,/fpuleio.Si fa de fichi bagnati ne gli
alberi, e poi buttati nell'acqua, eebe cominciane putrefarfufe ne fa aceto.
Dtofeoride. Delfico macerato il liquore , fi cenuerte in acnzAA, e ferue non
men de l A ceto . Sifa anebor Aceto Digilized by Coogle *40 Della Magia
naturale Aceto delle palme stivino di pafme gi detto prima aJcutii ci
aggion^otio acqua Si nuouo^fe ne feruono .
coti fanno la leizj, quarta, qumta,e fef yola,ilch e al fin pur diniene
aceto del medejimo. Infegna fara Aceto del micie Tlinioj, Vuole -che fi lanino
di acqua iyafi del miele, eifaui, t quefta poi cotta dinien vn/alutifero aceto
. Valladio in/egna H modo di far( Aceto delle pere heperafelnaggie,o di quella
fpetie ajprifsima, quando fono matte re,fe ne fa vnmonte per tre giorni,dopd fi
mettono invafe, accio (he fi mefehi con acqua di fon te,o di pioggia, coperto U
vafe fi la fida per trenta giom,e dop quanto ite ne feruirete per vfo di ace
$o,tiio vigiongerete di acqua,per non farlo ueuir meno.C qffianofa Aceto de
pcfchi f.. 7 pefihi mclli,e delicati poni in vn barile,e ci pone fopra orzo
arre fiito,e lafcia cos putrefare per un giorno > e dop colateli beneje uft
ferue.VofsiamodaCafsianofare t Laceto fenzavj no Si cuocerai ilgeffo con lacqua
marina , e yi mefebiara acqua 4^ fiume,tr dop colati, te ne feruirai]. Ma fe
vuoi Far del vino acetp,ouer vino dellaceto C affano l infegna, pone la radice
della bietola nel vino, e dop tre bora far aceto .Mafelo vorrai refittuir come
era primo, pouiutl radica del caulo.Cotiancbora Farii medeimo potremo in altro
modo e prfflo,poni fale nel vino, e pepe, e fermenta acre,mefcbia infieme,e
fubito fi conuertir in aceto . Si vorrai far quello pi prefto ,fommergeui
dentro vn mattone, onero vn ptxx di acciaio infocato pi volte: apparecchia
anchor a nefpile acerbe^ (Ornati, more, e pruna . Ma s'impara da Sofione Far
aceto forte di mudo Secca al fole yinaccie di vua,e buttale nel miiflo,
aggiontoui poche vue agreiie , e farai aceto acre, delquale ti feruirai dop il
fetUmo giorno , onero ponine del piretro ,
diucrr acroj . Di pi fe la quarta, 0 prima parte diurr aceto
fyraibugliralfoco,&e^gion gerai al medefimo,e lo porrai al fole per otto
giorni, haurai vn acre e giocondo vino^. Le radici della gramegna artiche,
vuepaffe, ifroH Digitized by Gdogle Di GIo'.Battfta dllaPor.Llb.IIII. 24 1 t
[rondi di pera felna^gie pefe,e radici di rotto, e fero di latte, gian de arroftite,
carboni infocati, dtcottione di ceccntftt Hfocate,ogn$ una di unefie cofe
buttarp nell aceto lo fanno acre* InfegtiCL ^nleio ' i wJ - . V Per doppiar Taceto > , - Tiglio vna
buona rnifur di aceto,come fi dcrffi vnametreta , ^elia gingi vna metreta di acqua di mare,
bollita infitto alla confiti tfiatione deua mett,agffongeM l'vna, e mefcbiata
riponi ne, rafie *dlcuni ponevo molle
lorzo , e poi lo colanole vi aggiongono vn metreta di quel liquore , e lo
mefichiano e tnnouono tnfiime,e di fiat abbruficiato anchor caldo buttarci fi
fra yna fiuf fidente quantH,fat tp ci ctopri il yafio col couercbiq, e cosi lo
lanciano per ottogiom irla noi cos lo fogliamo fare '* V Laceto di racemi
premuti. . t>opd la vendemia pontmo
in vn "rafie di legno i racemi gi premuti col torchio, e ci aggiongemo vna
quantit di acqua, efr vna fieni- mana diviene aceto. Oltre ci i caprioli tagliati dalla "vite , e
pefli ftglongono ccn lacqua, e fit convertono in aceto . Con quefti modo
ancbora , ^ Il vino mutato conuerterlo in aceto I grafiti gi premuti col
torchio difi>onili in vna fina di legno , chi teno rari fra loro, fa che fi
rificaldino ef^quattro giorni , e dpp mttaui [opra del vtno graffo, quarto
bafti coprirli,laficia cosi per vn
giorno naturale, poi le colerai in vn altra Una, e dop altre tanig bere le
trajpcrrai in vnaltra,e cosi tanto farai, che iufertifisimo are to trafmutato
fia, e bianco. fe dtlli medefi.mirafiti
ne y orrei far vn altro, fovra i medeftmi rajpt buttaci alquanto di aceto for-
7 tiJfimo,e laficia cosi,fincbe' diventi fortifisime, e poi tolto- ve quello fiopraponi del "vino
peruerfio, e farai nel medefimo modo detto, altvltimo porrai ira- ' "* fin
fi>rfme re col torebio, e ricupere- rai la quantit del vino, che l ^ ^ prima
yolta vi pontili* ' Coma Digitized by Google Della Magia naturale i4^
ComeiipolTano accomodare alcuni difetti, del vino. Gap, 23. 'Hnflri antichi,
acciocbe i vini non fi gnafiafficro, ri- trottorno molti rimedij, ne meno ci h
faticato let yj I pi frefica in ritrouarne de glt altri, acciocbe il yi- mo non
fiperuertijje cos ageuolmente , eprendeffe *^0^ tante diuerfe
qualtt.Dice'Pafiamo,il vino dmtor~ mo ilfo^iitio f el'occaf delle Vleiad,o nel
caldo della canicola , e nello fommo eccefio delfreddo.di tempefie,di venti, e
di tuoni, o di- uienaceto,o fi ttafnuta in vappa . ^ tutte quelle cofe vi
troueremo lcnni rimedi.jqpi prima dejfcriueremo alcuni pronoliichi di ^fri COMO
i cono fiere i yini^cbe ihanno gu^are^ che hanno dura-^ tt . Quando barai ripoRoil vino nella
botta, dop vn poco di tempo brrfmutaim vn*aUro yafi , guardando con gran
diligenz.alafec^ eia, e di l conofieremo i fogni della fua qualit, pigliandone
efie^ rienza per lodorato, fi yiene putrefarfi, ofigenera certi polci , i
quaifegni dimoftrano-cbeil vino y alla corrottione.^ltri piglia^ no il vino da
mezo il vafe^lo /caldano, e dop raffreddto,lo gufia^ no,edalfiiporefanno
'congettura del vino, altri dallo odore del tu WnceiOi Quando il fapore di uino,i buonifiimo fegno,aquofo pefii pt,anfiero di fecnre^,moBe da peruertirfi. i tempi da
far que Hdfi^i faranno m qptei ^ebe fiino cosi da tenerfi , come dicemmo .
Mavenghiamo rimedij, impara Il vmo debile cerne s emendi. tlvino debile quello^ quando cominciar ad e/pirare quella
far ZA del calore , e /pirata quellanima , il "vino fubito diuenta acetc^,
perche laceto il cadauero del yino.
^lhora potremo fubito ri- medare aggiongndoui acquauite, perche quella fola pu
ridurre imanuouaaima.La mifura fartre ottce per barile. Ci vn altro, nmedio Che il vino non fi
rifcaldi,. T^efidUitij eRiui per li fmifurati cldi,il vino fi fuol rifcaldare,
& fiperuertq,allbora porrai argento viuoin vna carrafa,e coprendo- jAjolto
bearla portai inmezo la botte attaccata pendete da /opra, iacui. Olaitirad by Googl 0 Di
GIovBattiftadeJIaPor.Lib.IIII. la cui frigidit far, che il vino reti
fiperuerta.'La mefura dt due ithreper le
botte grandi ; ne'fmifuratt caldi delatlo tl caler deW~ rta allctta,e tira fe qui Ilo di dentro, e cosi efiendo quello
effalato, tlvinofiperuerte . T^i acci '
che il vino non elTali ci feruiremo di queio rimedio . Tieno che fer il barile,
ci porren di fopra olio, e poi ottureremo, perche lolio', far, che il fuo fpi-
rito non poffa fpirar fuori , ilche vedo vfar da tutti in tutti i liquo- ri,
quando fi vuole , che non ejfalino. alcuna volta iytnifoglion inturbidarfi. ma
per far che fi rifehiarino i vini Cos ninfegna di far Frcntone.Tre bianehi di
cuo[pefli in ma feto- delia largha, poi sbattuti, che faccino fpuma, egkngiui
fui bianco che diuenti bianchifstma , che ripieno il vafe di vino fi ripone m
quello , perche il /ale , ir il bianco delVvuouo, tutti i liquori fplen- denti
rende, quando turbidifono ,ma quanti barili conterr la bot- te, tanti bianchi
di oua riporrai, con tante oncia di fale ,mala mi- Itura fi deue moner dentro
con vn legno , e che diuentt chiara m quattro giorni, Sifaanebora , Che il vino
non fi |)iitre faccia , Dicemmo che il fale prohibeua,che tutte le cofe non
ftputrefacffh ro, dunque per ogni barile pifla rna oncia di alume, e co'l vino
but- talo dentro la botte, perche probi btr,che non fi putrefaccia.Ilm*- defimo
far fi vi aggiongeremo rna oncia dt fai ccmmune,ouero meza di lvno,e meza dt
laltro. Il folfore prohibifce la puteefattior ne: la onde feotto onde di alume,
ouer di /ale, vi aggiornerai qua^ tro di folfo,no farai opra cattiva. Era coftumegli
antichi per pr- , h.hir quefto,di aggiunger fale , onero acqua dt mare al vino,
chefi ^leua confiruar pnala veccbiezza.Columella cosi limpara,l a^ qua fi h da
tor dal mare , quando eventi non fpiranodaalto e che il mar fia quieti fsimo ,
poi sk da cuocere infm ^ alla terzatarte , aggion^endoui alquanto di aro- ^
mati, fi cosi ti parr ^ Ci fono molte cofe ' ^ ^ 'vulguridequali noi Ufeiamo, ^
. .. , .H>' * Come V D.^na Magia naturak ) I
i Come fi caua olio da diuerf cofe
Gap. 24. ^'mi copi affli coimTneuofsma porre vartf moii 4; far oliOt
acciocbe fe mai accadere carefiia di oli^ P ue.noH manchi occafionecauarne da
inpni ti frutti f e femi.De quali alcuni fona de gli antichi^ maimi- r ST
feranno de moderni,e di quelli, che da me fo~ nojiatt trouati. Donque
cominciando diremo Far olio del ricino, detto cicino Da Diofcoride,e fifa in
queflo modr.QueUa quantit di ricini , che "ti piace , quando fono maturi ,
ponila al fole , che s' apra,e fopra te Trati tanto Hieno al fole, mentre cada
rotta. & aperta quella corirr- cia,cbe lo cuopre . Si piglia la carne epoHa
in mortaio diligente- ^nte (ipifla , poi fi pone in 'vna caldaia di rame
ftagnata con ac- qua, ponendoui fatto il foco, fate che buglia,e come baueranno
cac- ciato fuori tutto quello burnire di dentro, tolto il vafe dal foco, fi y
tricogliendo con ynaconchetta l'olio, (fe y fopranatando, e fi ri- pone . Ma
nell'Egitto doue largbiftimo yfo di
queSio, fi f d'altro 'Wtodo '.perche purgato i ricini delle feorS^e , le
pongono folto le mo- 'le,e molto ben pift li pongono in vna /porta folto il
torchio. 'Plinio dieetcbe fivoce in ac qua, e fi raccoglie folio , che j*
notando di /- -fra . Ma uelf Egitto , doue ri
gran quantit, fenga acqua, e fuoco jjparfo di falei m tngiarlo cattiufsimo, ma buono perle lucerne Ma noi fbMiamo colto di Settembre, perche aU
bora il vero tem- po di corh, perche
dafefene cade quel couerebio fpmo/o , e qutlfu tuHica,che lo cuopre
intorno,cOnvna caldaia calda agcuolmentefi monda, ilpefo deli' olio, che fi
caua per lamrt dclprfo dehfemc, ma due
yolte fi pt/a,e due volte fi pone fatto il torcbio.lnfegna Vlm ladio in che
modo fi faccia l ' Oliodi lentifco Igram
, 0 bacche mature del lentifco bfogna come gran quantit, e poi lafciale
ilare monti per vna notte, vn giorno,e
poi riem- ptendone vnafport,a laporrai/hpra quifiuogUa vafe , e buttandoui
jfopb acqua calda , calcherai com 1 piedi, e poi p remerai ali bora di - quel-
Digitized by Google Di GlorBattifta dellaPor-Lib.IIII. 445 r ^utUo bumore , che
ne *virn fuori , ne tortai quiUo olio dt lentifcOf che nuota dt fopra, c fi
cola.f^icordandotiuhe freddo nonfitdeue
canore , ma bnttarui fcmpre dellacqua calda , in quefto modo lh "viHofar
in cafa mia > tn tutta la rimer dt Surrento . 7u per cibo deperci, e bafiano
per nodrtre il foco , Simile quefio
fafii Lolio del lauro Si cuoccno le bacche del lauro in acqua , e le ficorze
laficiaranno certa grajfeS^, sbattendola con le mani l'acqua fieno fiepara, e
quellolio fi raccoglie col corno . "Palladio dice il medefmo, cbtb detto
Dioficoride . 7^1 m"'fe dt Gennaio farai buglire nell'acqua molta quantit
di bacche di lauro, che peno ben mature, egohfie , e come baran ben buglito ,
ricoglu rat l'olio , che nuota foura lacqua, che elleno baranno buttato, lo
ricoglurat con le penne,e lo porrai ne "vafi.Gli Indiani ' Olio di lefamo
Si diccych: caumoji fa come di fopra habbiamo detto,che fi facci, d buono olio,
tr in gran quantit . Si fa Olio del platano ^ Dice Plinio . La carelia
coftringe lbnomo per hauer lumi far anebor olio dalle bacche di platano,
macerate prima nellacqua , e nel Jole , ma poco , come noi babbiamo
effierimentato . plinto dijje^ ^be^i Indiani Olio di caflagne ' ' Fac
tino,ilcbe me par cofa dtfficilifitiikii
th facendone efpevien~ z. I di moltene venne pocbtjftmo. il medefimo Lolio dalle
ghiande di roder iffie > che cauaua la Lombardia ,ecbe fe ne feruiuano per i
lumi delle lucerne, noi ben pocbijfimo ne babbiamo canato . Vs anebor V
antichit fare Olio delle noci Detto carino , ilquale fpejfo, e di fiipor grane
, percioebe ri- trouandofi per auuentura alcun di quei jpicebi putrefatti , fa
pulsar tutta quella quantit > Cbe ne f in quella yoHa, bor la Loia-
Digilizcii by GuOgli t6^ Della Magia naturale '^y h LomiJrdia lrfa jl mangiic ,
e p e poi^ ebe di nuouo fe l'ban beuuta, fanno il medefmo,ogni bemina rie fa vn
maggio . ji noi volgarmente nel modo detto ^eli fono li elei, ebe PS f antichit nofira : bar cominciaremo trattar le nojirein- ttentiani . Segue Olio
di nocciole Lequali ne danno moltoeopiofo,odorato,e hontftimo,dl quale leg-
giadramente ce ne pofiiamo feruire per vfo di cibo , ir 'vna libra delle monde delle feorge , ne d otto onde di
olio, ilcbe nonb uofdutoVet pi antica. Se efirabe anebora OHp di piftacchi ' , Cos per mangttare , come
per rimedL . ' Oleo de frutti della pigna
) fe caua. Si eleggono prima i cattiui e putrefatti , 4e quali fe Uefer- uono
per olio delle luceme,degli intieri per cibi, e per remedij,efo ne caua
moltojJhabbiatn fars^auenna. Ma Oliodeigi ficaua^ il pi meglio , pi copio/o di tutti , e per rfo di cibi,
trpef vfo de lumi .fa lume afsai chiaro, il fapor i dellt mandorli dolci , e
quafii tutta la ghianda fi rijblue inolio, e quanto la ghianda pi antica,da tanto pi. olio copiofo,e
lefeccie dop ejprefso l'olio fono eccclltntifsime per cibo buoi,e porci, perche
iingrafsa mcramiglio - fornente si raccogliono da terra con pocofaiiidio e
fpefa,Ji monda- no,e fi peilano . E ief prime anebora l , ' \ Olio dd faifo
fcomoro ..1 . -w - Olio dal feme d rafano fi caua,ilquale vftno
per condimento de cibi, e nelle loro decorno- ni, Ma la Lombardia del feme del
rafano, e delle rape fe lo cauj . Le rape fe cauano da terra delmrfe di
iqouembre , e fi fati errano Jhtto larena con le fue frondpoi fi piantano nel
mefe di Mart(p,a noebe nel mefe di Maio faccino feme , perche file fuetiono per
il' freddo dell' inuemo fi gelano. Ma ci
vn altra flette di rapa, che fi' [emina il Giuglio , fi ftrebia , e vien
poi fuori alla primauera , al Maggiofailfeme,davna quarta parte di moggio fene
cauano di- ciotto libre di olio buono peri lumi, e per i cibi della pie he,
ferue fe- minerai vn moggio del predetto feme , ne ricoglierai cinque fome- i
fementi,e da ogniuHO di quelle ducento libre di olio . la terra' fi
ara,efarcbiaft. Anchora Olio del feme di miagrO' ' fi caua. Ma i Cifalpini da -vn fine fmile
alla dradella chiamato,di color d or o,copiofo fanno olio per lor vfojb la
fronde intorno inta- gliata,come la rucchetta feluaggia, e la feminano tra li
legumi . Il mede fimo auiene del feme di vrtica,fenape, linone tifo. 1 Cnar 3 8, * . Della, Maga naturale ga. mA me fura
di aceto ro0o, per ammorsar] tanta dolceS^ del miele, e none altre libre di
tartaro pifiite in poluere fottilifsma ,
V poi ponendoui /opra la quarta parte di vino eccellentiftimo fi riem-
pir il yafcf e siHCouerchi ^ e ve ne porrete fer aire dop vna/etti- mana,
'bfinfegnaremo ancbora vn altro Vino de cotogni. yn bornie di mufo fi pone
iniona caldaia di rame flagnatayif aggiongeui dintorno cinquMta cotogni feluaggi , cio^ quelli
fatti fette tonili in vna tina di legno
, chi fieno rari fraloro.ifrfa che fi rife aldino per ^quattro giorni, e dpp
buttaui fepra del vino graffo, quarto bafli
coprirli,lafcia cos per vn giorno naturale, poi le coltrai in vn altra
Una, e dop altre tanti bore le trafptrrai in vnaltra,e cos tanto farai, th in
fcrtifsimo ace to trafmutato fia, e bianco. E fe dtUi mede fimi rafi>i ne y
errai fare vn altro, foura i medefmi raffi buttaci alquanto di aceto for* 7
tiffimo,e lafcia cosUfincbe'diuenti fortijiimo. e poi tolto* ne quello foprapcni del "vino per uerfo,
e farai nel medefmo modo detto,aItvltmo porrai ira* ' ^ fi /premere col torcbi,e ricupere- rai la
quantit del vino, chela ^ V,, prima "Volta vi pontfi ' ' jffh , Come
Digitized by Google i4^ Della Magia naturale Comeilpoirano accomodare alcuni
diftti, del vino. Gap, 13. antifbi, aeciocbe i vini non fig^ifiajjerot ri-
trouorHO molti rimedij n j ne meno ci b faticato l'et pifrefca in ritrouarne de
gU altri, accioche il 'vi- no non fi f eruertiffe cos ageuolmtnte , e prendere
i4Hi diuerfe qualiti.DiceVafiamofil pino
mtor~ Sto il fofiitio t el'occifo delle Vleiad,o nel caldo della
canicola , c nello fonano eccefo del freddo, di tempefte,di pentite di tuoni, o
di- uienoeeto,o fi stafnutta in pappa . ^ tutte quelle cofe pi troueremo lcnni
rimedi.'b^i prima defcriueremo alcunipronolichi di ^ fri fono cqnofcere
iivinifCbe s'hanno guaflare^ che hanno
dura- te m Qi^d^o barai ripoRoil pino nella botta, dop rn poco di tempo
hrtfmnsao in pn altro y afe, guardando con gran diligenza lafec~ cu,e di l
conofceremoi fogni della fua qualtt, pigliandone ejpe*- rienza per lodorato,
fiyiene putrefarfi, o fi genera certi potei ,
^aifegni dimofirano Comt Diy 4>4 Della Magia naturac > ) 1 Come fi caua olio da dluerf cofe ^ iit Egitto
Oliodalfemedirafano' fi caua,ilquale vfxno per condimento de cibi, e
nelle loro dcottio- ni, Ma la Lombardia del feme del rafano, e delle rape fe lo
cauBL Le rape fe cauane daterra delmefe diTqpuembre , e fi fotterrano fitto
tarena con le fue frondUpoi fi piantano nel mefe di Mart(o,a cioChe net mefe di
Maio faccino feme, perche fi le fuethno per il freddo deUinuemo fi gelano. Ma
ci vnoltra fictie di rapa, che fr
femmail Giuglio, fi farebia , e "pien poi fuori alla primauera , al Maggiofailfeme,davna
quarta parte di moggio fene cauanodi- > ciotto libre di olio buono per i
lumi, e per i cibi delia plebe, fe nefe- mineraivn moggio del predetto feme, ne
ricoglierai cinque fime' di fementi,e da ogniuno di quelle ducente libre di
olio . la terr tilodellino -, . Bfebennon fila bifogno di effempioper ejfr cofa
vfitmgimaiVinfe^^ gnaremo per l'inuentione delle feguenti , e degli (diri .
"Plinio. Co j dnt efpertenze fi conofee quando il tino maturo, quando tl firme genfia,o diuien di
coler biondo, all'bora fuelto da terra,iT infafci cosi de efiadcicome di
inueruo,accioche fe pur fi troua- HO ammalati, che defino polli in quei
temppofiano effere fodisfatti de loro defiderij, lvoua aegl'vccel li fi
poffafeb iuder co*l caldo, o de mede fimi animalo di diuerfigo ueritouer
bumani, del fole, o del fuoco perche babbiam vtfto vuouu di anitre,
eche,epauoni efier covate dalle galline, e quelle delle gal- line delle
colombe.eVvccelloCarruca quelle de tutti.Habbiam vi fio le femtne hauer febiufo
louo tenendolo fra le mammelle, fotta l'affel le,e nel feuo . Lima .Agufia
nella fua prima giuent gravida d T^lpvne di Tiberio Cefare, defilando far
"vn mlfchio,vs quello au- gurio di donxella,cou vn mono nel fuo feuo, e
quando era ueceffa- rio pofarlo lo^poneua ne! feuo della fua balia, accioebe
non venif- fe mancar quel calore , da Vliuio, Irta
^riftotele dicefi couau fvnoua degli vccelli,e de quadrupedi, Ovipari,
couqndoleiema- rijtutti quefii partorifeono in terra, e fi concocenit Voua con
la te- pidezxs Digitized by Google Di Gl: Battlfta delIaPor.Llb.IIII. t$t
pide(^ della terra, perche fefujiero alcune quadrupedi o vipare frec^uen,che
babbino fatto V'r>uoua,lo fanno pi fofo per cuitodi- re V'vuouaJEt
altroue,col couar fi /chiudono lvuoua. E ordine di natura, ne folamente cosi
lvuoua fifchiudouo , ma Jpontaneamente in terra,come nell Egitto fotterate
nelfimo fanno i polli , come feri- ne Diodoro Siculo degli Fgittij. alcune cofe
fon fiate ritrouateper fudio,come quei,che nudrifcono vccelli,ouer oche, oltre
quei modi che s'vfino apprejfo altre nationi nomi di generare, che f ne facci-
no vn numero mirabile di "eccelli, perche l oua non fi couano dagli
pccelli,ma eglino con arte,& ingegno nodnfcono i figli An Siracu fa ~>tu certo beuitore,pofte lvuoua fitto
vnafuora,tanto beueua.fim che lvuoua fchiudefjero ipoili . 7{ell Egitto circa
il Cairo fi /chiu- dono lona con arte. Fanno yn forno con molti bufi,ne quali
pongo.- no diuerfe fpetie di vuoua digalline,di oche, e di altri yccelli, poi
euoprono il forno di fimo caldo , e fi far bifogno , vi fanno intorno del foco coti
lvuoue fecondo il fuo tempo tntte fi maturano . Taulo Ionio neUbi fiorie fue
dice. .Apprefio gli Egitti) gran copia
di polli, di galline , perche apprefio quei popoli le galline non couano
l'vuoue,ma quelle fi rifcaldano in vn forno , facendoli fempre Bar calde
tiepidamente, che con mirabUarte,tr in breuit nafeano in- /teme gran quantit di
polli,e fi nodrifcono,i quali non le yendono *
numero, m me fura , hanno vna
mifura come vn moggio fenX^ fondo, ilquale bauendolo pieno di polli lo sogliono
via. Et in Malta Ifola di Sicilia fanno vnfomeUo,doue pongono vuoua di galline,
di oche , e di diuerfi animali , e poi vi fanno foco intorno intorno , if
quiuiVvuoua con quella tiepiditavengono
maturarfi, ilf aprir fi Ma veggiamogli antichi nofri,come babbino fatto
quefioJnfegH Democrito Se la gallina non vuol couare.come pofsiaino hauer mol
ti polli Quel giorno che tu porrai lyuoua folto lagallina,in quel mede
fimo togli Berco digalline,e quefio
pifta,e fetacciapoi, e dopponilo in yn vafeyentruto,& accomodaui poi
intorno penne di gallina. Tot accomodaut lvuoua dritte, che la parte acuta Bia
foura,e doppo- miuifopra del fimo, finche tutte intorno coperte fieno,e dop che
ha tai fatto ftar duo', o tre giorni, cos Vvuoue fenza toccar\e,toiper ogni
giorno riucltalc,con diligenz,che non fi toc chino, ne jivrtino fr
loro,aeciocbe da tutte le parti egualmente vengbino rifcaldate, li % ' dopi ,
t$t Della Ma gi naturale d:>p io.gf0rni,(ji$jndo commciano adaprtrfe quelle
vuoila, th p* mtfltfono U galena , trouerai queletche fonifit in quel vafe ,
rme intoruo,e per quefta cagione fi nota quel pomo, che fi pongono, ac- ciocbe
fitfappi ilgiomo, che y puoftro , d vigefimo giorno tortai la fcoTZs, e poni i
poUi in vn cofino, nudrendoglt delicatifoimaniente, Trouapi vnagaUina laquale
habbia atra i allenargli. Ma quefl fatto da me con molta diligenza, non riufc
bene, ne mi pefjo imag^ nare,come ppfia riufcire. Ma quello che habbiamo fatto
noi, e viRo far dagli altri,l'infognaremo minittfiimmente,cbe con poca fati^
ca,e fenza la chioccia ciafchmo Lvijoua col forno fi poflano aprire . Facci fi
yn vafe di legno fimile ad vn barrile, rotondo, di cni il di- metro fia tanto
lmtgo,quanto il braccio^ che yi fi b da por dentro, acciocbe pofia acctmmodare
, e riuoltar l*vubna di dentro,e fia di altezza di quattro piedi . QueRo
diuideremo di dentro con tre fo- lari in quattro parti ; Sia il primo alto yn
piede e me^, il fecondo poco pi di vn piede, il terzo di vn piede, il quarto
fia pi baffo di tutti . Habbi ogni cameretta la fua frulla, per la quale
fipoffa po nere dentro il braccio,con le fue porte,cbe fi poffano cemmodamen-
le chiudere iT aprire . Il primo e ficondo folaro fia fatto di tono- lette
fiottili, onero di yimini , il terS^ fila di rame fatto volta, Vvi- timo fodo di legno* il primo,e
fecondo fiolaro boMno nil centro nm buco di diametro di tre diti per lo quale
pasfi vu canale di rame, o di ferro flagnato , quefio anonimi fiopra il fecondo
folaro per mezn - piede,e cofi ancora dalla parte inferiore : ma fiotto fia di
bocca ym . poco larga modo di piramide,
onero ffimbottatoio,acciocbe aceo- modatamente pofia ricenere il caldo , e la
fiamma di vna lucerna, che vi fi porr, igei fecondo fiolaro il canale yerfio la
cima fia bufa- IO, cbe di l effalando il calore , il loco fit fanorito del
calore tiepi- do,e lyuoua dalla parte di fiopra fi rific aldino, come fiogliono
far lo gadlinei fiopra quefti filari fit ponga fegatura di legno, laqnal mi par
affai acconcia lpra,e fia la fegatura alU lati del yafio vn poco alta, nel mezo
baffa , e nel mezo douepafia il canale la pi baffi di tut- ti, acciocbe l'vuoua
che fianno accomodate fiopra quella'.ricenano il calore egualmente cbe yien dal
canale,uel terzo fiolmro-,ouefini- fiee il canale, fia la fegatura vicino i lati baffa, ma vicino al cana- te alta ,
fopra la fegatura vi ponemo vna tela di lino fottile, oc-, ciocbe quando f4
macchiato fit poffa lauxre ^ i polli
rfciti fuor* delU Digitized by Google Di GIo:BattIfta della Por.Lib. IIII. 255
itlUfcor!^ posino caminarfopratiuetta, fouraognt folaro fipo~ trMHO accomodare
cento )^HOMa,dpM meno parte gr ffa di
fot^ to , la erma di fopra le mura del barilotto t che auanzafopra Vruo-- ma
dentrt le camerette , e la parte di fopra del folaro ,jieuofode'^ rate di pelle
di pecora , actioebe con la fna morbide!^ poffa ri* tenere quel caldo, TieUa
parte di fitto fi ac comodi vna lucerna
accefa fitto T imbottatoio , nel principio con duo[ li cigni , nel fine
con tre ci nel tempo dellefiate ma nel principio deUinntr- no con tre , e
nella fine con quattro > ouer cinque . Ferifia il lume nel me zo del
imbottatoio t accioebe il caler fiUfeast erifcaldi^ eptalmente le camerette ,
Il luogbo doue fiar queHo -^aft, fia fiutarlo e tiepido . T^lla parte di fitto
doue fld la lucer- ma accefa , non yi hifigna por mona altrimenti , perche non
haue caldo baftante farle aprite > ma
quando i polli fubito che efeono fuori
della feor^a fino anebora bagnati t fi ponga- no in qnefia cameretta , accieebe
con quel tiepido caldo del luogbo fi afciugbtno , auertendoni due e tre yolte
il giorno fi / il calore non fico troppo debole o troppo gagliardo, Ilcbecotl
eonofeeremo, Torremoyno vuouodi ^lli,e lo poneremo fiu- ta f occhio me faremo
l'ijpirienza , perche effendo tanto cal- do che non lo pofiiamo fiffrire e fouerchiofi appena lo fin- , ^ tiamOi
debole, perche fi troppo caldo le cuoce,
fi pocoffion- dar rpuoua , e per aggiongendo caldo con la lucerna, e mancan-
do, gU daremo quel caldo, che baila. Dop il quarto giorno, che barai poHe
Vvuoua, canale dalla cameretta , e finga andarle molto[mouendo , le porrai fra
Focchio, e lo fblendoredel file, nero della candela mirand fi lpuouo baura
apprtfo , o pur fia pano , perche fi pi pedrai dentro come fanguinofi , h alcu-
ne fibr'ette , fari fecondo , ma fi far come chiaro , come in- fecondo, lo
butterai yia , r in luogo del ca$tiuo,pi porrai rn buo- ' no. Le feconde
bifogna che ogni giorno fi riuoltiuo al lume^ fittofipra , come fuol fare la
gallina. J agli nudri- r con' tanta piaceuolei^, che no karebbe mai (osi fatti
la chheeitLa. I 1 t \ 11 fine dd Quarto libro* i % DI . Digitized by Google .
DI GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA NAPOLITANO. DELLA MAGIA NATVRALE; Libro
Qmnto TRADOTTO PER GIO. DE ROSA V. I. P.
DA LATINO IN VOLGARB. drU tr^mtaatione d'i mt$dliiOMero dcW^khima, ' PROEMIO. 1
A mi vedoaniuciaato quegli efpe
rimenti,(mcntte fcguitamo Tordi - ne comincato)che il volgo chiama d Alchimia,
d'intorno quali non folo vcrfa la maggior parte di mor- tali , ma della
fiaineuinguibil fetc Tintieromdo nesfauiila di defide* rio: onde venghiamo
sforzati d nar VS7 rami di quelli.perche non per vana Tperanza di guadagno,ma
pet fpeculare gli altifsimi fecrc- ti della natura.ce famo dilettati , onde
dalTallcttamen- to del guadagno; edalTcfca del piacere fi danno d quello
efTercitio huomini tanto rozzi &
ignoranti che non fenza gran vergogna del noftro fecole n maneggiano di fimile
gendtonde chi fi diletta di quella, credo , fon odiofi , & ab- borrid perche mentre fi sforaano di preparar uefto
ora . . foli. . Della Magia
naturale fofidico.come che non fanno i
principi) di qneda-arte , uendo fpefo tutte le robbe Ioro> ranno in mina , e
reflano ingannati dalla vana fperanzadclfaroro. Siche bendifle Demetrio
Falereo,quclloche doueano trouare no trouor- no ; & perfero quello, che
hauean di certo , e quella mera- fnorlf.che fperauano veder ne metalli refperimentano in lor ftcfsi^airhora ( poich
non hanno altra rperanza)coa ingannile bugie singegnano ingannar altri, e
^rlicompa gnt nella loro miferia. Et il
defidero del guadagno fc deU arte cosi
hanno accrefeiuto il numero di libri, che par noti altri radino d tomo ,
ondegiufltmente per ordine di Dio^ cleciano fu comandato che iuiTero tutti
bruggiati , e rinolci in cenere. Onde quello chera per fc buono 1 nan riooltato
iu cattino, come fpeflb reggiamo auuenire alle cote pi de gne.E vrramente il
fhidio non c da diiprezaar(i,mada riccr Carli, e defderarfi molto , e
principalmente da coloro che attendono
dftudij di Filofofia , & vanno inueftigando i fe^ creti della natura,
perche f ritrouano molte cofe degne di merauiglia,e che (ono neceflarijfsirae
aH'humano vf,fttea tre l veggono molte trarmatationi & effetti, liquali
hauer- li rido mno di non poco concento , poich aprono le pone cofe pi alte e pi ni^il , le quali nauerle
trattate , & in* uelUgate non fi tono vergognati molti Filofophi di grati*
di fsima autorit. Noiqui non promettiamo i monti a oro^* ne forf quella famofa
pietra di filofofi , cos vantata per molti fecoli,e forf ritrovata da aicnno,
ne quello oro po- tabile,che prefcruagli huominj dalia morte,perchein que* fio
mondo alterabile,e corruttibile, ogni cola
fbttopofio' alla morte , e prometter quelle cofe farebbe vn temerio, e
di non fano giuditio . Ma quello, di che vogliamo tratcare| , fari foloiche habbiam
villo, e fatto con le nollre maniiprego i Lettori fe feruino buon fine ne incolpino ftoi della loro pgzzia
. ^ ; ^ de ignoranza* Digilized by ' 0jl' DI GIoiBattlfta dellaPor.Lib.IIIL '
-4 5 Delflagno,e come pofsiamo farlo pailarein vn metallo piu nobile . Gap. i.
L ft^gno i emulo deU*argentte fono afisi fimi^ li di colore,e di parentado^ba
qurfia proprie- t da la natura, che lafuabiantbt^s mbim cbijcegli altri corpi ,
ma h rompe e fa frangi- bili,eccetto il piombo, e chi le fa mefcolare in- fieme
cS alcun artificio non s bafio fecreto. Dunque fecondo le forze nofire ci
sforzeremo con quello imitar largento , ilche auerr age- volmente fe le terremo
alcuni mancamenti, e leftiraremo intrnfi- camente,cio tlflridore,la furdit,la
liuidtzza,ea mollezza- pet th non prima sinfoca che ftliqutf,ma accoftandcft
alfocofubi- 10 dinien liquido : quefle infermit le danno, e non fono nella
fueus itrinfeca natura,onde come cofe eflranee^e lo fofsiampfpcgl,ait primo infegnaremo Torre al (lagno il
ftridorejC la mollezza tlpducilo in calce,come infegnaremo, poi lo riduci -in
corpo, e fe ctii non auien alla prima,o feconda, fa lofratione la terH^ tolta
fin tam toebe nonfiriaerpi,epoi diuerr cefi duro,che s' infocher fri- ma, che
fi liquefarci, cefi potremo indurare tutti i corpi molli , cht riceuano
lignitione, ma pi manifeUamente nelftagno , che negli altri metalli , Totremo
ancor torli lo firidore fe liquefatto teflin- guer fette yoltein trina di
fgltnolo , & altretante inolio dtnoc- ciole, & in quello lo conofeerai
che perde il firidore . il modo di cauar il detto olio, gii lbsbbiamo infegnato
. Ma comepasfi in 09- gento lo diremo . Et prima in queho modo .. Ridurre il
rta gno in poluere . Tipi infegnaremo. Liqucfaccifi il fi-gno nel foco, e
tiquefatto but- talo in rn morta o,c quando 'vedrat,ibe i vicino congetarji riuol gi intorno prefio pre fio
colpfione di legno, e refar congelato in fotuere f-ttilisfmo , fittacela con vn
fittacelo fittilisfimo , e quel- lo che auar.za che ncn ben poluerizzato, ritorna fondere, e poni in mortaio, e fa l'cpra di
nuouo . Hor ci sforzdremo . Murarli ftagnoin argento. Tonila in vn tegame di
cretti che refifia al foc che pedo ipoc rifin- Della Magia naturale
rifealdsniofi sUnfocbi ma bifogna poi
con vna cuccbiara difem rinoltarlo perpeiuamenu fenz,i mancar mai. finche tutto
s'infocbh e non fi li^ue facci, ilcbe fi auerr,cbeper mancamento di ruoltare fi
venifie a ridurre in corpo,fa di nuouo la medema operatione,c^ (juefio tante,
volte, finche perfei hortfiia al foco infocato fenza li^ cfnefarfi,ma feter
violenza di fuoco fi rtductfie in corpo parte, c_ parte ne reiafje in
poluere,ijuel ridotto in corpo,liquefalo di nuo- uo. e fa di nnouo lopra nel
medefimo vjfe ; Voi loporrai nella for- nace dt vetrari, onci forno di
riuerbero, e per tre, quattro giorni Sij
alla violenza dei fuoco infocato fempr e, finche diueni bianchi fi fijno come
neue,perche quanto pii perfettamete far ridotto in caU ce, barai meglio
operato. Poi loporrai in 'Vm yafe'con aceto difltU lato, che auanzi tre dita di
fopra,e buglia tanto, finche fi cohrifoL Faceto,e diuenghi piu corpplento,
lafcia ripofare, e come hard faU9 refidtnzi,cola laceto, e pomui del nnouo, e
poni /opta k ceneri 9 fa cofi tanto,
finche tutti paffi con laceto , e non potendo pafiar ite aceto, ritornalo 4/
foco di riuerbero, che fi reduca in coke pii pnM fettamente , e fi folna
neUaceto ; poi lafcia sfiatar laceUhe tapolmb che refia,ponila in vafc di
cenere, che fi chiama la cupeUa,e ponen- doni.il piombo, la calce andr fiura al
piombonotando , che fia ri^ ceuuto dal piombo, poniui ballottine dt fanone, e
calce, ofalnitro fol- f(fre,o altra cofa piugrafia,che quanto far riceunto dal
bagno, tut> topajfar in argento , M 4 cofa afiai faticofa. Cofi ancora *
Ridurre iHUgno in piombo. 'Totr
ageuolmente ciafchuno ,fe lo ri dur fptfo in calce,eprm* cipalmenie fe ntl
ridurlo li dar fuoco conueneuole, perche perdn^ rilfiridore,&
agtuolmentefirtdurinpiombo,. Del piombo. Gap. Il, j l I ,Antirhi,che trattano
di metjUi,chiamano il fia gno p-ombo bianco eI piomb, fiagm nero ,fmili metalli fra loro, che han parentela , onde fptffo fi , 1
mutaito fra loro . Dunque agrnolmente potremo I Trafm mare il piumpo in Hagno .
ilcht' Digitjzed by Google . i Di
GrorBattlfta delIPor.Lib.IIII. li che auiene^citivn femplice bagno , perche
lanandcfi (pefj, cbc^ ^ida ria tjuella parte terre flre. Sitrafinnta
inflagno^pircke quel- lo argento
'viuOtcheft riducrna h quella pura fiftanza , e non fec- ' ti of a, riman nel
piombo, aride agevolmente non porta quel^idorCt
e fi trafmuta in ftagno. da Gebro.
ancor pcsfibile iTralmutar lantitncnio in piombo . Si cuocerai il regolo
deU'ant monio t che chiamano gli ^hhlm'fii fpefie yolte,e Vabbruggrrai , lo
trafmvterai inpion bo, ilreS^afie perche pochi fono quei libri, che no
fieno-pieni di que- Ri,emoltine 'vadano fcr itti mano.torno.not nefiriueremoal- tuni.che fieno
facili fare . fieno belli
vedere.e co'l fplendor del metallo. e bro beUeX^za p'^fiano facilmente
ingannare i maeflri del- Varie , che
pena bafitno conofcere fe fiano "veri, d falfi ; Riminofi dnque
come ft voglino.Ma bifogn a che co!oro,che lhno
farefuu deW arte. trottimi manuali come dicono, e chi non far tale,
almeno fi confultino con quefi talfe non ch fran nulla Le cofe che prin-
cipalmente imhianchfcono il rame, fono l'arfenico, Vargto nino, il follmato, htnrgirio
detto da Greci,da noi fpuma d'argento, la f4r* chefita, tataroyfile ammoniaco
fri comune , ei fai chiamato da gli ufeabi fai alchali^ ir alumefe in alcuno di
quefli, di tutti infieme dfi liuti in
liqurevi fi i efiinto il rame infoc ito nel foco, o liquefat-' lo eftiata
dentro v e ridotto in fittili foglie fu poRo nel cmciutdo > firatO'
Digitized by GoosI; Di Gio:BattIfta della Por.Llb. 1111/ t $ f tirato foura
firato , Hicno fer alquanto di tempo
cimtntarfi nel fuoco finthe fi fondino , o quando il metallo jpfo,vi fi butti dentro' in pezii^etti ( ma
non inpoluere, perche la 'oiolenX^ del fuoco, pri- ma che tocchi il metallo l
abbruggia,e lo confitma) nc riceue fimpre' VI merauigliofo imbianchimento, che
parr vn vero argento . Tu' impara , accioche dal tuo ingegno impetri di
rinouarne migliori noi qui ponemo alcun'
tffimpi,come poliamo . - Far ilramefiinilcairargento. T'erche con la prattica
Vintelietto ititde pi facilmente la teortcu'r rper quello che habbiamo
defcritto con parole , dim^firiamolo con' ' toperatione. Infochifivnapignata di
foco circondata di carboni ardenti, e huttiuifi dentro il piombo,e quando lo
vedrai liquefatto, huttaui dentro la terX^ parte di argento poluerizzato ,
ma poco i poco, accioche fi brufci, e
[corra in vtce'di olio per la Juafuper fi- de.e le-parti brufciate volino in
fumo . Fa che fi ripofi fin tanto che tutti i carboni fieno [morsati, poi rompi
il vafe,e radi quellolio ag- giacciate nella fitperficie del piombo , che vi ritrouerai
in colore di eeHere,pefalo ; e buttalo poco
poco [cura il rame liquefatto,ma tre "volte tanto, e diuerr
bianco,he importa fe "vene penerai vn po- co piti', ' Ma f lo voi in pi
bel colore di argento,e che diilnti bra chisfimo, liquefa largento con lorame,
buttalo, e poi leitalo; che vi flia quel manco di tempo al foco che fi pud ,
che altrimente va via , fiche tr quefii
degno di molta auerten^a,che fiandono troppo nel ' fuoco che fia di bi
fogno, il colore v via , e la violenza del fuoco lo ' fa fparire,e ritorna il
rame come era prima, or donque trattienlo nel fco,quanto meno potrai ;cofihauer
ai il ran(lfiancff,& vnfalfo ar- gento-, ma col tempo diuien nero.perche ci
entra ar fenico feiA- pre fcolorifce la faccia,e la fa nera . Ma infigharemo vn
altro modo Moftrar con il rame vn falfe
argento. Qefio far vn fecret m gliore. Babbi fei onde di tartaro', otto di
arfinico crtfaUino.iJ me^ oncia di argento vino follmato,due di fdnitro,iF vna
e meza di -vitriolo pefiinfi tutte If cofe,e fi pcluerit^. S^no
fiittiliffimamente.poi piglia tre hbr i rame cipdo, chiamata yolgarmonte banda
miianefe,e facendone fcttili laminate, e ponila mviifl pignata di creta,
facendo firato foura firato\con lepolueri, fincbebarai piena la pignata , poni
il couerebio, e luta con luto fa- pientte,attacca intorno con filo di.feftp,e
lega Erettamente, e di no m luta di foura Pw infoeafi la pinata con carboni
vini.- Ma mi pYtn^ Diuiiize ^ Della Magia naturale ' princt'i>{ola pfgnttj
flif nel centro, t lontann dii foco per Vnpieift . e pii sitccofli pTr m^z.i
piede e cosi sccofindofi argento di coppeMa,e butta m canaU,e fbmrai.
Ma per far che la faperficte di fuori fibianca, tnfoctda al fuoco, e butu in
acifua,nella que di rame,e far beUo,ma fragibtle,vua diquefie con altrotanto di argto,e due di rime far di diediegbe.'tie
barai ancora lan al Ir eccellente. Fa
bnglire t arfemeo eriHaUino rotto tu pezzetti in carini di pntti, t he ananzi
fopra qnattro dit,poni della nnona,ef- cefi qnattro volte, poi fa boglire
almeno due volte tu aceto defUlla ' to finche diuenghtfecco, poi fublima il
detto arfenicobtn peHo co'l doppio pefodi Itmatnra di rame, cofi farai trefobe
,fe*pre rinth nand la limatura-, poi mpafiafar/enicofollmato con olio di tir'
tarOidtfecca a foco eutopoiritornaad impaflare,e cefi farai tante ' folte
finche babbi bt unto de l'olio al fnopefo poi ponete in vn mav' more in loco
tumido, tbe fi rifolna in acqua la quale dtfecca a foco lento, e poi torna a
disfare tante volte, c he fita fi fio, lo conofeerai po* nendolo fopra vna
Uncina di rame tnfccaio, non facci fumo ,cfi' disfa come cera-e lafdar bianco ;
di qmBa tua parte fpra quat- tro di rame purificato eonaceto far l'ifttic,ma
fti rame far col ' etnato fari affai
eglio , r fi tiuc rfct il rame calcinato in corpo confapcne
liquido-Jitlnitrc iS alcali, r dnfaW gli alami fi pine l mcdidna,ac(iocbe
i.ftIJe calci rcrghjno ad fere mite; le
quali salci laideai prima coi acqua /alata, o con aceto quando la cald-
utionefoffe fatta con alumt.JHa fe cetibt rtdur il rame in argento firopieciando con le mani.cf me figlicnc far
i ftUa in banca & t fi-'- gltuoltyccfi t vafi di rame fubito prendi ranni
fulcndore di argento, ' il modo di farlo
queFlo.Mefcohncfi infieme /ale armoniaco,alume ' efiiimtr disgqal pefo,e
pout vn pvc o dt limatura o altro
confimile,e pjnendoni faliua, pnto y e derete, il rame, che,torri.co- lor S
argento . Et il medemo "verr con largento. vitto > if imbimo^ chifce
mir abilmente, conferuarete qneHe.cofe cosi inargentate , cbo non tocchino cofe
acre , come aceto, vrina.fncco di limoni , e coft* fimili , che coti
agenolmente prenderanno il colore , e fi coni^eon^ che pouf nifi, . r; ^
T'- pel ferro , Gap. IIH. ^ l'ordine vi ammonfce che fi tratti delfem di qneHo
ne fero gran conto i fant Indiani , perche dicono che ritiene in si molte cofe
di.hnono , e eh*. agenolmente pafia in yn metallo pm nobile, ma do ^
alcuni ributtato , che per il molto
folfore fiffo che ritiene fu di difficile fufione,e per le molte parti
terrefiri, cornei' utile rifinSato, la
onde fi vogliamo. Mutare il ferro in rame
Tanto che non ritenga niuna cefa di ferro, qneflo fi far ageuolme te con
yitriolo . 7{el monte Carpato de $uix-uri nel CafLUo Smo. linitio dicono che
yiiyn posexo . pel quale in tre canali tirata fi dffonde.nel quale poneudoui
ilferroficonuerte in ranie.efe iptA Kclti foffero piccioUni,dinentaluto,ilquale
cotto alfoco.dtuienra- me.Ma cosi agenolmente fi trafmuter.Voni il ferro in vn
crnciolo, finche fe infochi di violenti fjimo foco, e cominciar ltque far fi.poi vfpargidofolfaro fopra
poco,poeo,toglilo,e buttalo in yergbe, e piflalo,parcbe fi pifter con poca
fatica.poi poni foluerfi neW ac- qua forte, fatta 4* vhriolo.tJ di alume.e
fcaldtfi cenere calde,fin ohe rifoluta
in vapori yoli via, lapoluere che rimane, fi riduca in. forpo,iJ l'bisrai. Se
vuoi . Imbianch^u-e il ferro Digitized by Google DI Glo?IBattifta
dffUiFo^JDib.Iin. Lp9tttfsrtnyifartefiiifrm)dri^tflotfpctriiieK^t3r0\ Ttmslo
furgArtm0dtlUfeccicit skeitno deli rubtgiee pcnhe\
itlmeuUepmserre/lMfdifefnti'^metalle reUeflcuoi (fttMe butta \UJtcfe , rirtte;^
^ spcjjcplteAKrti ^ forte.tr cet&*Hu^ueMt Iffiuultffime tamtnetdiue
bdbhbkVtw^i^ fai comune tT tlupie, finche diuenghiMonro %elt fvr limoturt pi^
fitrMP rh> merlato c'lfaleftontjfiiio fjpt fjb il fh-i fimbe.ntai pte-
gttduimu feguo di nerezza i e fi laui ijutlla feccia i ferro ,/e rxii lamine
cefi mbhcberai^Fjixna malgama di argento p u e di bo,pift*ielfuo pi^luereponi
in crttcmolo (irato Jt pi a Jir attuo le ^ mine, poi abudi.e luta, n.hi i.oyttr
fii fpiragiioaleuno ,f a fiat cefi, al fpoco per 'pit giorno, e pei con
*iolt*.iefuoio. fa li^utf art, pereb\ UmalgUma nceuer fubito biancbegzj,r
facihffima li^ucfattfoneti dfPiokoridurriii in lamine, e di nuono farai
iancimtnciatotmem} tit yefhn, che bar rteenuto affai biantbeicsf C(fi ancora fi
da-o feendr per Ufondo dei cnuinolo Ujnefatto to'iptombo,mari
fikliarfmmetn^ti^bHebe-dtcimodel ram^.$i aggtongerai vno^ parte di
arg*nto,pikfigb affowgUmitpercbeJ^Ouidinentt ficon-- gionge con l'oro,e con
fargentoate bafin fepararfi poi con
legiet} ki^OQ eo poca fatk per beffarne della feparatHmi,'- i 1 f
' > r^j vt-' i'. r ; r le giunture fi tutmo cou w luto /armo, meManco dt ouo, refina dt pino, come
fifuole,poi fi appenda in meZ zo ma pignola piena di dio di lino, e lafcia cofi
buglire per mezJ^ giorno,leualo,e leuato poni in n cuoio, e Jpremilo poi con vn
pan no, e fi yi rrfier qualche parte,che non fi congelato, fa di nuouOt eponilo
di Huouo congelare . Se il yafe
cougelafie tardamente^ quanto vedrai, che manear di forza,riponceh di ottne,di
arfeni- co,e 4iargento,percbedalpefo non fipudconofcete,feruittne. Aa
certo cofa bella,che l'argento vino
tira t largento dalia balla, egli v in
fuo luogo . Hor iuftgqaremo cq/f J, che forf potr al auna yolta feruirej, Come
fi caua lacqua daHargefite vuo. Faccifi vn yafe di creta duro al fuoco, di
quella creta che fifaunti crMCuoli,ma fio lougo fei piedi, di vn piede di
diamttroda, dentro^ vitriato tutto,lafciado folo fono vn piede vacuo di fodeg^
vn dito, nella sSmitftretto,gipm largf>,vicinp al collo habbiyn
bufidcUa ' capa- Digitized by Google 4
Di GoiBttfl'dlIaiP-aib.IIlI. jt' capacit di vn diU),cbe babbi drfuori vn
canaletto, ptr lo quale at~ tamente po(ia dentro poruft lrgnto vino'. T^ella
fomtnit di fo~ pra vi fi accommodi yn cappello di vetroso I fio canale, e fi luti
co luto fapientia, poi vi fi ttacchiYopra -rma'pcX^za di lino, i bi non rtfpiri
. ^ppreffo bifognafqr vn fornello pofl
a, alfe mnofia di tanta capicit \,\che capifea il fondo dii 'vafe targo i
profondo in ped . t a craticula chi foHiene il fioco fia fatta con qui fio
artifi- cio, che bifoptondo d vn lato ftpoffa tirare , che il fuoco cadi dO-a
baffo . Hor accomodift fopra il fuoco tl vafe vacuo, tS" accendafi il ,
fuocqpoco poto,poi ali-vltimoil fendo fi facci di fuoco , e come lo pietrai
tutto berne fifcato-, il ebe lo potremo cenofeeke da fopra mirando per il
cappello di vetro , & reggendolo tutto rouen- te'per quel bufo tb quella
orecchietta buttaui dentro dieci. oquin diti libre di argento riuo , e fibito
otturare con creta , e leifi ap- prefio la craticula, che tutto fuoco cadi
nella parte di fitto del for- nello,e con l'acqua reflingtta-,allhora fi vdia
per il canale del cap-- , pello fallare l'acqua dellargento viuo nel
recipientel, della quaft- * tit divna oncia lena il vafe dai fuoco, leuaV argento
-vino dal va- ' fefefi dinnouo come bai fatto, cbefemprenetfcirynaonciaii .
tO.V* k Cofi pu far fi . Trimo apparecebiarai vn ranno forte ^^euiUxqf- ce IH
una pignata,il cui fondo fi bufatp fptffameutpyff>pray ptrrai . 0 linOsOuer
una tegola^poippni la ppurcti^ infonda acqua calda* , e che forra per quei
fretti bufi, inqu^lpiatto di pitto netto *fcfi sfarai alcune volte,
accioibe,diuenti affai gagliardo. In, q^nappr- ; rai antimonio ptfo
ccfifitulmeute , che volt per aria, poi tboglif . lungamte ifoc lento, che
cerne rrmivciar ri/cdldarfi,fucqa
CJntiHciard parir /nguigna, allbora
laftillerat per feltro f enei .polui re, che ri {la poniui ranno, di nuouo,efa
rifca^arp al focoaau . le tolte. finche l acqua non rfcirpt rpffa^ntfidxJ^np
cpfi ro/op- to pon,i,a {fumar al juofp.fiiubetuttl'aqqua fi rifbhU^tnnapre^ t
,lap JMcre che rimane imbeui con, olio di urtjro.,rid ficca > C- diff^luto
con egual parte di oro , e di argento fa laminette j, le.qpqli in vn crucfuoio
farai firato fonrafrato,e cuopri di carboni', facen- do tanto quefia
operationetnutttrt yedrat l'argento cangrandiffi- Di GiQtBattjfta della
^op.Llb. ini. z6j fiia prerogitiu* uU'ro ajlomigltato . Totrtma e Fani
inedelinio in airro modo. ^ S ijHeUa cOHgfl^tioH dt arg^entp vino , la ^ualt
has-rmo tttfrgnatd-B con la celatdila mefcolarat con la terza pi te'd' argento
, ritrouerai Vargento colorito di cotpr d'oro, k mefcolrrai tS'egital parte dt
oro, ^ e lo porrai inyna figntdypcnedoH aceto fortijfm, rfj buglirper ^
fei.bore,e coft far puh cplcnu 5 lo pt r.| nell'effremo effame delforo, cio dt
fai commun', Vpti'ere dt mattoni , aggiongtndoni Vtriolo,e coft barai lero
purgato. Totremo e Cauar loro da Targento , T^e tanto poco, che rifacendo
Idjpefa, non auarz tjualcbe coft-a . tl
modo di farlo, la limatura di ferro fattile tanto tempo fii infocata in vn
cructuolo, finche ft fetoglia, dop "Vi porrai borace^, ^ della quale fi
Jruono gli orefici,^ arfentco rofio buttandolo poco poco,e dopo fparfo ,
buttandout rgual parte dt argento ft affini ef- qutjtamente tn c6ppeUa,cofit
ripurgat del tutto,ponilo neU'acquO-t forte da partir oro, e tedrat l'oro cader
nella parte dt fono, rtcogli- lo, ne di molti h truato coft pi vera,lucrdfa,e
fafitdtofa,non rif- parmiar fatica,^ opra he%i,che noptrderatlotto.e'ltpc-jouerfa~
^rai cefi . La fotttl limatura di ferro fia "Vn giorno mfie in acqua ^t mare,pot difecca,ein
crucinolo tanto tempo fi)a infhcata, finche ' fi iquefaccia,e poi buttandout
egual parte di argento fno.e la met- ta di rame butta in canale, poi cappeate
beniJJ.mo , che cacciatone ilferro,ele fuebruttezSfe, penilo neh' acqua forte
da partire,e adu- na quello,cbe cade nel fondo, e far ectellenutfimo oro,
iarfurfe coft di guadagno -rj i li: ' ,A ehi piac'fri\ Cofi deue fatfi . Biotto
il cinahrio in ptlfzetti del- ia grandez^t di dadiy poni IH 'tafe di vetro
della capacit delle- polueri,con tre volte tanto di argento piu,limato facendone Jirato 'foura firato,
foi luta, e lfia ftceare , onero poni elfole,cbe fecebi -pi tpfio,poi cuoprilo
di crnere,r cuoci al fuoco tanto lentamente--, - fincber'ompendone vn pezzetto
diurvghi Uttido u me piombo, e nS -ntronndolo ctfh, f la medemnoperalfone
mentre cofi lo vedrai , poi coppellato co'l doppio di piombo, e'cofi coppi
lieto pcfto tutti gli tfiamt , refer
oftinatamentedimrggiorpefo. e virt , e dt quanto pi legger fuoco
tiferuirai,tanto li nufnr l'opera pi felice . Cofi poi tentarem di mmar
l'argento, che refa dijanimato , buUtremtr' iSt Della Magia naturale il
follimatoin aedo dtflillato,e poi nt; n,ef coler ai argento vivo;
pbfioittvaaflorta ycrifcaldato bene fa che pasfi l'argento rtuo ni l
recipiente, e [erba . Et oprando benvfdrai chejpoco ne perderai del pefo .
^Urtiti fanno col regol deltantimonio . ^Itrimente tu lo farai con maggior'
praftezza,e guaSagno' . '({omperai il dna- brio
pezzi cjuanto "vn dado,e le porr ai in rnfdcc hett lungone tio nilo
in vna pignola egualmente dinante da fuoi lati, poi riporrai dentro ranno
fortisfmo di alume,del doppio di tartaro, con quattro volte pi di ealce
viua, con egual parte di cenere di
quercia,fato al modo folitoyouero di altra forte, fa huglir per yn giornoj
leualo^e poi fallo bnglir conoli6,con la mede fma operati one ,elafcialo cpfi
per yiigiornOiiT vna notte, e tolto dall'olw quei pezf^tti di cina^ brio,
bagnale nel chiaro douo sbJtti{to,e riudlgeli poi in trevoll^ tanto di limatura
di argento , poi accomodali in vn fondo di rSfo acconcio circondato intorno di
creta, cme habbiam detto , e dagli foco per tre giorni,e\nell'vllimo' crefei
tanto, che fi liquefacci quaft, lettalo, e purgalo dalle feccie con la coppe
Ila, e riducilo in puro ar~ gento. Sar ancora bcllisfmo vedere
Dal cnabrio filTo cauar fuori vna barba di argento . L'accomoderai nel
medefimo vafe,'dandolt foto fuoco da folto lenta mente,e largento ancor fpir
ito fo,e che non babbi ancora efperimen tato ilpiombo,cofi lo vedrai crefeiuto
come vna felua di captili drit tifCbe far cofa pi bella yedere
Deiroperatlonl nCcirarie^airarte ^ Art I. par conueneuole di por alcune
apcKatienii che fb^ np affai nt;ceffaiie alle uoixf fperatini^e quali nS
JapMe,non facilrne^ tt riufeirauno queSi fecreti, noi accfocbe non
thabbino cercar altr^,l'bau^m
mopoflequi, Et-prifuo , . Cauar lofpitico al ftagnow. .ftn - Si pone in vn*
pigna t* la limitura del iagno con egual pefo di fai- nitro, cui di fopra vi ateo moderai fette ouer molte
pigtuOe bufate di fitto poi chiudi I fpiragl i con luto', che fiano ben
fortificati, fopr DI G io: B ^.^3 ft^comodar vn *af( riuolto cq caale
recipiente tpoi dafuofo it come far infocato' quelle di fitto "vdnai il
rumore^ il fiirito paler infutpo,e nelle Wlte.defle pignateye nel fondo del pn
f di "petro fi trouer intonicato. ^i le pignaie feranno di terra farai vn
bufo da vn lofi y per che cofi ut buttar ai pi ccmmodamente Ic^
poluentepotrai'pUHrareyCoJi.iqteor^.'^ | . ' - / DaUantimotuo. Lo potremo
x/trahere.TorraifntimoniOye lo peHer^ fottUmente poi porremo vua ptgnata nuom
al fuoco > che tutta fi facci rouente & in e favi butterai l'
cotimoniofil doppio di tartaroye quattro voU te^di faluitro ogni cofatrito
fottilme^te,e ve lo buttarete poco po coye quando al^ il fumo per volar fuori
chiudi co l coperchio , che mpn /cappi viaalx-a poi il coperchio, e butta
laltro fin tantOycbe tut- to lo antimonio far finito, poi fa /lare alfocoper
qualche tempo, toltolo jia/cia raffreddar e,c lena lefecci fcbe vanno di foura
, r nel fondo ritrpuerai quello , che gli alcbmiiU chiamano regolo , che h .
fembianX^ di pfombOfC facilmente fi trqfmuta in piombo. JHor infe- gnaremo
tomeposfiamo la pi nohil parte del metallo Tirar in pelle. .. Come Jicono gli
idot Ulchimifi, perch /ifiiman che le parti del ' metallo, che fanno diffierfe
per tutta la maffa,con alcune polveri p, terle tirare aUafaccia,e che dentro
nel centro fi ritirino le parti pi vili, ma fon molto lontani dalla verit,
perdie le polveri, che rodono fopra le fuperficie della maffa il metallo pi
debole , lafcia nella fu- perfide te parti pi denfi lafciarfi rodere , e fe pur tir aff alle fu-
perficie qualche crfa, tira l'argentoviuOymaqueHo me non piace, perche le cofe ch'entrano far l
effetto fon tutte eorrofiue, e refiano le pi dure, le quali pohfcono,&
mbianchifeono, e fitto fiati ingan- nati dalle medaglie antiche, che da dentro
fouofalfificate col rame, e di fuori fino di perfetto argento , e fimo dal
principio prima , che ti coniafiero faldate , poi martellare , e poi coniate,
ma far quella con artificio di polvere e cefa totalmente imposfibUe. Quelle
cofe che efpohfcono fono quefte, fai c5mune, alume, "vitriolo/filf vino,
far taro jC per loro filo fi ci pone vtrderame,efale ammoniaco.Q^au do fi vuol
far loperatione , parte di que/li fi riducono in poluere^ , 9 le pongono col
metallo tn alcun 'yaft, lutato intorno di luto fipieu-^ i4 ilatur V ^ spunti, e
pHen co^erM,cpH ynjbh> picciolo (p ir j'^Na.h cieni^ \ odno foco ento,c ljp:isHO brujciare y ij acciai he
il metallo nS venghi afonderft,non far yeiito co'l mintice.^uaniio le poluen
fi- no brMfciate,il ibe fi eonofce dtlfumOt aprono il coperchio, e mira- no i
Tot t'itffbca il metjilo, & infoiato fi immerge in ifuefle polue- rifOuer
l'accomodano con l'aceto ,)ln che dinengbi comefilfd, e poi - intonicato fuori
il mrisUo lo circondano confa f eie di telado pongo- no in vn pignatino a
bugltr nella)\ lobo lo buttano ncUvrinayC pur hanno hughre nelfalcs tT aceto,
finche yergmente non vi fi veg gono pi macihie,e fi ne portino "via tutte
le Jporcbczzeyefe l'opra non yerr bianchirftmi,non ti nnerefea oprar /iiunoko
la mede- fma operatioiie, finche y erri perfetta , onero procederai cofi ordi-
natamente. Lafiia buglire in pia ptgnaiina con falejaluMe,e tarta- ro con
acquaie tome tutta l fnperfuie dtnenuta
hianchisfmada- feta ftar cfi yn poco, poi farai bngUre per tre bore con
folfi falni- tto,e fate egUali parti,
che fi/a attaccato nel meicc , ne tocchi flati del yafe,lenalo via,e fregherai
con Varcnafinche il veleno del fot- ' fore fu (fiorito, poi bagli di nuovo come
pria, e cofi dinerr bianco ' (he fi
difendar dal fioco,e far bianco di fuoco, ne far conofein-^ lo perfjlfo,fe
oprarai bene, ci troueras ptilit, e te ne radleg^arai S feoouyte
feruiraiptrtnarnina, ' ^ , 1d che modo vn metallo fi polla far pit grane. Gap.
Vili, E S S 0 appreffogU ^lchimifii, quelli che fi di- lettano di quefte
fbttigliezze,fe v inueffigando co me fi pofia fare, che largento crefea pefo dell'oro, tt ogni metiUo avanzi il fuo
debito prfi,e qutfo fi pHfarfeHzaofi'efadeUafcultnra,' ornamento di yjfit che
crrfca l'oro,e largto, e che marchi ancora fenza fondere i vjfi.e fcouciargli .
Hor che habbiam tolto imprefi far con ageuo- Ut,za qui quello,fbe gli altri
fanno con fatiche , e con Jfiefe , eccovi qui tl modo di farlo, C he il pefb
dVn vafe d oro crefea 9euX^ impedimento della fua manifattura ,fe forf il
pefinonpan th Di Gio: Battfla delIaPor .Lib .V. i che corrifpond*
aUagrandetiZ/t.Stropiccigri l' argento vino foprs Vero con li ditiye con le
mani, fin tanto che fe imbena,e ri fior a il pe fi ricercato attaccadofi alia
fuperficictdpp apparecchiarai rn ram no a/ai gagliardo di filfo, e di calce
ninoy e ponilo in yafi dt larga bocca colv^e doro,e rifialdando t fitto con
leggier fuoco fa bn^ gltr tanto fen^ mancar mai,mentre ti accorgerai, ebe
batter ricel nato il vero^olore, toglilo dal fuoco, e l'baraiiouero caua lolio
dcua rojji (fono, e dal litar girlo doro con gran fuoco , tP in quello tftin-
guiiltuooro, Cofimf barai .0 vhalcro eccellente . - rarai l'argento in
poluere,d con a equa forte, dalla calce,
fi haitL poi la calce ton f acqua, per tome il f*le,& il yafi doro, la latit-l U bagnalo con acqua, con fiuto, ebe nella fiperficie di fuori satl
ucchi la ricercata quantit, ma non ne porrai neUe eflremit, per- che facilmente
fregandolo aUafietra del paretene', fifiuopre la fa fui,' mpmtifi la terza
parte del file in potuer fittili jhno , aUrotanto di mattone, di nriolo
rubifcato due parti', poi togli vita mattone, 4^- in quello caua Vii luoco
quanto far il yafi, e nel fonda appiana alume di piuma,egoifa fratofifira
flrato con la tua ope- ro^cbcjtarairipiemqmel vacuo, poi copri con vnalcro
mattone, edega c^fA^ firro,ij incteta bene intorno le commi ffnre , Ikfcia
ficcare^ rlafcialo per 6% bre in forno di rinerbero , e come far
rfiredrmfptpri,e vedrai l'oro fatto di color H argento , tP di mag- gior
pefqjenzd danno della /coltura . Ter farsbe ricuperi il color di prma,{a coft .
Togli quattro parti diyerderame, tre di fai am- moniaco,mezta difalnitro ,
altrotanto di mattoni, ia quarta parte dt alwmeyquejie mefioi^ con lac qua, e.
bagna il vafi,ep>onif(pr(Lai con tforinci di ferr i carboni, che
rinfocbi,& toltlofimmergilo nell'yrtna.e coft ricuperar il colore. Si
refiUnderiroppo,e vuoi chefilenda pi
debolmente,ciqneforimtdio,cbebagnatoneU'vri nalolafciarn raffreddare m vna
lamina rffocata ; mdilyitriolo cos lo rubifeherai . Cuocaft in vn vafi. coperto
di crboni , finche ftmuti myn coloraffairubieondo,toglilo,efirbalo,ne
firuirtencjo avficattnto. Totremo ancora con limatura di rame FarJ'effeccoinalcro^modo. E firuir m yece di
argento,e riceuer molto pefiiuer dtramen te Uqueficcifi il doppiodi rame con
largento, dop fi riduca tu la- mine fittili, e ficctole, poi apparecchia
polutrt di fictie di acqua tm frte t . Della Maga naturale f^rtexioi di qutlli
fitti di falnitrUe di vitrhlo,e dop fi fint fi fji Hrito h *n cruciualo pkj
lamina, pcliure, e polvi fi accomodi loro da accrefcerfi, e riempirai poi il
vafe al contrario ordine, alt ritimo luta bene la bocca, e ponilo al foco lento
per mt zzogtorno , Uua,e fa fempre il me de fimo, finche gioger al pefo
defitdirato.Gi b^bbiamo parlato dell'accrefcere del pefo che non ricetta ojfefa
la forma, ola/coltura del vafo -, bor auanza come posfiamo, e offtfa della
fcolntra^e forma del vafo Mancar
largento, Toro . ^Alcuni lo fanno con
acquaforte.maft conofce,che toprarefla fca^ bra,e ruuida con alcuni foffHti, e
monticelU i ma cofi farai tffiargi. topra di l>oluere difolfo,epoi da fuoco
con vna candela intorno ito tarnoyiU vltimo poni fatto la candela, che poco
pocofcconfnme- r,poi da cl martello daUa parte contrariale cader la
faperfictei 4i quella qualit, che ti piacer,fecSdo vferai il folfo. Faremo anco
va di 'H altro modo,poni pezzi di cinabriofra gli leafi di oro, poi da
fuoco,chcdopo il tempo reHeri loro fenZa pefo, e foro far neL
cinabrio,cuppella, iS barai il tuo or . Hor mfegnaremo Da vafi di argento
come.fi fepari roro-* Spefio accade, che gli orefici diffoluano i "vafigi
fatti,e U guafiano e paS fi bugljr il
falfo in aceto fortep^ofi'vedrai l'aceto ctHrirfhpet jU- Ir lo colerai in m
vetrotouero in vnvafe yitreat,l efaUJt |0 aggiongi folfo, e di nuonobogli , e
di nuouo colerai tl raftpotti^ vafe, facendo fempre il medefmo fiuche il ranno
rfcir torbiio,t ro di color nero: fa che tl ranno per ma notte fatcipoft,e di
nuouo (o coleraiyC. uel fondo del yafe
rttronerai il folfo quafi biancore^- ^ giongt quefto quel, che bai ferbato , e ponilo buglir di nuouo com tre volte fe fieffo di
aceto defillato,fincbo l'aceto fi di^olua itt art difecca ri folfore,
guardandoti che non sahbrufci, e dtfeccqU chtLn far,di nuouo fi ponga in aceto
di{ltV.ato,f scendo la medafimaopa ntione, fin tanto che ponendone yn poco di
quello fopra vna lami^ na di ferro infacata,fi liquefacci fenza fiamma, e fenza
fumo , ,/(lP ho'r lo butta fopra la ma^a dell'ero, t dellargento, cefi
all'borfert andr nel fondo , e largento andr purisfimo alfa parte di foprcua,
tl ranno per il folfore fia cofi gagliardo, i be ffitnga v vcuo dt fa- pra,e
nati,e fia couo, finche pi non fi'mi,epoflofopragli carboni ardenti non fi
lique facci, fe far buttato fopra largento mefcolato d forOfjparte l'oro
dallargento^. Ci i vna tngeguofa,e mirabile Separationc dellargento dal rame C
on certe polueri . Li migliori fon quei,che fi fanno di piombo pot
neriz.xMQ,cou la met dt folfo viuo.col doppio di arfeuico crudn^ , Digilized by
Go'^-^I; i DI Gl o:Battifla della Pr.'Ulb.V. '
a fai (WiiitNfe, di fahitrorttte le afe fut7^fie feps^ ratmcnfe^fc^
mfcoU iHitme, Viglia la Ktfiurs drmtulli cetLs fnspartteiHevia
dipotureief^fWatofofra Arato in yn cructM 0, e ripieno H'yitfhifonila
focogigliardoj finche fi fonda, tglilo : buttato denWo yn'uitro nafi largo
dt'foprydt fono ftretto, e caldo :otnehabkiam d'itto^ tatto imlir attuto, di
fimo di cafirato,o dipof :o,e Itfcia raffre(tdirr,perclreHeifiiirdo ritrourai
l'argento, e UeU a fiif'erficif auMr ilriiiitcfiikrti t^v da laltroconfealpeUo
di -rr&,hUhti /l^lfaceforittf^ largentf ; ma bifogna chi itgeiitffiiiiuifo
in fifttrli tUnhfiittOtchefacendofiftrato fMraflrf 0 tdk pblkrid^fiutddr
^eS& diUlte te par ti, pot tupriH afeihita belifiupdfh yhciridd^^ W fatti,
e'I faW orefiffbprfpdrao'h' icm'l^hhpotrento f * ^ S^'patifoy da^ rti'nft . ^ acci il fate
delle cofe fer^nentcio di vitriolo,alume,falnitro, foU ) viotSi cafchuno
diqnivna hirainiez!!^ libra di fate mmo- iaco,tuUeMcoje^feS CHOoano in ranno
fatto di ma parte d^-ce~ ere, altfttBimWJrf^ cntire difag- tOflitjucfaccifit al
foco, cp^ujg fi.amg^ finche il ranno sfumi , poi dtfecchi,e ijuefo non
fiferniin lioco humtdo,che non fifolua. al noi mefcolirettTma
Itbomdf^ii'mbc'limaga, , e diqitrffa potUere di gnnnamelf^.oiKia,
efi^^gamfopru-im* di ramefcolfma 'ntrolcrncmolo *poco a pfico,t^yfia]tuc^i^rdiferifofie maneggiate fon uektmenM*: ta^rfftd^o
tlni^e,:orott,fi r'itro- ir la p'midifirHelfondo. OiUfiantefar^ hanitefpi cpar^ loro c 1rgeiQ ffa gjialtri metall ' cot
racquafoTO,'matwrU^OT . Ol'i i > (i fI> i.ii | ^ 0 r nf gnaremo in 'vn
fubto jepirar fro dalTar= gefto,rfrgento daglrtrMetaUi,ne di qui fio fi '
guadagar poco, fe cedui che rnol oprarlo m' in- tender bne. per kauer vi fillio
altri, che con qurfio > ' artificio /banni offntfhMfon poibe ricchteize. 470 Della Maga naturale Ttt effew^io lista
mifHra di ramc,(J ar^entotc tjue^Ja porran difioltrc
neUacijusforUtComsfirgidiflolutajtuUui icntr acqua di fonte , accj la
gagliardezza dellacqua forte rindeMi- fcatvefiapi buona rder metalli, quefla acqua ponila in vn 'V-
p: grande di bocca aperta, e poniui fitto lamine di rame,, perche ri^
tireranno s largento in forma duna
nubbe,il rame rimarr nel- V acqua , V acqua
porrai in nnaftorta , e dafli da fiuto fuoco affai teggiero,e cefi perr.
fuori l'acquadi foute,che yi pon^i , quando ' tredrai dee. gi (ia afcritta la
mifura deU'acquaiifontana , che ni ^neflif vedrai vn color gialltecio, che
tinger la hocfi^,elcappeh io,e lodor di fiale ti ferir il nafihl^ il
recipimme,e ponimi ma al* W> vacuo, eJerAlfiir4^l,o,i!r augmfntando
ilfieo^riceuerai . qua forte come era prima,e reflar Pf I fondo il fiso rasme .
De tafim qua ti potrai fcruir pH9oUe,cbefar fivfe come la prima volta . Per
buttar vna (tatua a cp^ fttllirslma.* .
^Cap. XX* ' nfgliamfar yuaftatimditro/ittiliffiiita,eotm la neiqfbi
vacua dentro,cbeparrvnmiraeoloi farete in qnefte mode, fare vna lametta diramz^
I dello grandezZOy'e forma di quella ,
che volete far _ t 'd'oro, Mqnefia fate coprir d fogli d^oro, di die venti coperte,poi lafciate vn bi^ofopra la
tefta fenza pomi deW oro, e quefla Itatk cofi fatta la poniti in yn vafo di
acqua forte di fcparar f ero da largentQ, perche per quel bufo mangiar il rame^
'o non toccher l'oro, ca^t come Itir mangiato tutto il rame di fituu reHerJ oro
di /opra ^to dairacqua', tanto fiutili, p^offi con^ ,ii piacer, che porri
vucefijnirqmle^m ' / Dgilized by Google 7> DI GIOVAMBATTISTA DELLA.
PORTA * ' , . N A
P- O L I T N O DELLA MAGIA NATyjlALE
Libro Scfto.i, ''* ' TKADQTTO per, OlO.' DI RQ^A'V. I. P. IX LAT INO
lN>VOvLGIkli a. .. .1 ^ .hlh.y * ^3*
^ * ^ v>4 t * - * f';;*!*'.
l '. \ h^egm ftt'U'ghi fftj' . - '
-''A: l' .- - . - , - I .' A-V *f
i , Ul I ' il.rTl'.t.. l\rVi,* !!*' AB-BiI AM cractacoj ' I ^ 1 1% JDi alcunt fal , chentrano nelle
compofi- ni'dellc gioie* Gap. I. r . '
^ts OCf^^ difegnar primo alcue9prrgtfoiii,cbt forno m jipri pi di file :
fiialmeHtrMiilsidlfiqmi fe ue^npie 'tua yignata,c^ Ripone
lftioco,af[gio>igeHdlegn*,e,mouaido finche difecca ho- iki fncquAiil
rdtanteduikpti fpeffote poi ft denfa imfdf,il aftud fb ne caitafuori
coiUattiKtaradi firto,e ia ogni libra dtfoda,fp Me cuna -pria dtfitiep Et
qtm^mdoi' impara kne^ ' ' % lltfal
dicartaroconctftacci. '* > > -m elegor^Uficcia dei rika weciir,c
iiligentmHtfdcer^ ihimaft rotgarmhue quefajeeci* disino tartaro , quefo ft poni
in rnfoino,fabricto co* tilt artifidoidiB nella yoUa difopra riuer Iterino bo
fiamme, che aMwrrtart meUefni fanne in grandi* fimo col do,i lafhialo brnfcUsre
in 'quei lnogo,tomdraCbincbegginteirHol- geleott le forbici
(Uferro.pse*i&in putte difopra , che iUt brio- {data deifidmmai,e
dmoMnibnncatmolutadi foito,pofga Ufnb dorfoalla fiamma. Come il fumo far
cefito,pigliane vn pezzo con Is tenaglie di ferrose rompila, e mira fe b qncRo
il color biaco per tnU I DI Gio.Batt.dlla Por. Lib.V. 17 5 hitie,p(rn uafe di
wtro, wpentlefattoi carboni accefi fiandofoural opra fin tanto,cbe l aC ^afia
tUU sfumata dal color del fuoco , f ipuafi al fin dell'acqua^
sfumau,rtdriiilfale rflar nel fondOtC fatto [erbaio tn loco [ecco, tbe non fi
conuerta in oli9,i i V Ctonie ^preparila
felice, o il criftallo per lame i padelli . Gap. II. A:- 4 mafprffl detta quale
fe fawto le gioie ^fat o di cr^ V fhllo,o di felice tdaUa quale fi caua
ilfuoco,detta pit tra focata., o le pietre rotonde di fiumi dette gieroui * -51 migliori fono aueUeycbe fimo al fiume
Tem'fi,bian ^ cht,trfpareHtideUagraHdezXadi'vnouo,edique- fi' fe tanno te girne
, e tutte quefte fanno il mede fimo effetto, motti fo~ Uoibe dicono che il
crtfallofia miglior d tutti, ingaunaudofi per- che fi ned* cefi fplendeute . i l
modo di farlo i quefto . Si pongono al- la fornace quefie pietre dt fiumi m
quel luoco della fornace al fanno dotte rimerbera la fiamma, e come le vedrai
mfacate,teglile via, e bui tale HeU^cqua,rtcoglile,e pecca , e pot le pifferai
in yn mortaio di bronzo con te mole fin
tanto che volino in leggiera poluere,quef\e onile in ~vn vafo di larga bocca
pieno di acqua, e villo mouendo di m i, CT dt l con le mani, che coft facendo
la parte fotuuffima andr '/ fpra.c la grafia di fatto, quefia poni in vn altro
vafo,e nel vafe po i actjua d I mMomo,e dt nuouo mneni la poluere,e farai cofi
tanto, che r parte graffa aggravata dal prfo caler gt.all acque che bai cola-
la fora far reftdenza,e truuerat nel ondo vna parte limofj,ricogli poluetl enfi
fotult , che quaft non ha tatto, e ferbile . Ma mentra 'Hm fi * t i74 Della Magia nanTrale' / mAcinAM le
pietre , o nel mortaio, o nelle ruote , l'^pn ed al tro fi macinano, e la
po'uere del mortaioietieUe ruoteva con (jnello dell ptetrafocaa, e perdofeura
tl fplendor delle pietre , far bene torio > leAt f butta dunque m vn vafe
aperui , e poibuttatoui Acqua foura e comiHoffa con le mani , la poluere del
mortaio , o della muoia per eper p. leggiero vien foura , e la poluere deUk
pietra focataper efs- ferp ponderofa gt
cade,fubbtto che ft vede filir s, feria bene ca- ttar fai qua dt fopra in vn
altra conca, e jpartirp,e quefta cperatiOf ne tante volte colui , che fptrte fb
da fare: mentre non 'vedr pii Venir
galla quella poluere nera,aUvltimo cola f acqua, fecca la poluere , e
riponila nel bifbgno . Finito quefio e tonuemuole -- fegnare ' . ' s" . :
Come l cuocano i paflcllf, * U
perche qu 'Ile maPe mefcolate del fale , e della poluer e delle pietre focili,
i di acqua . gli gioiellieri le cfiaman'j pificHf- T^'ci nque parti di fai di
tartaro, altro tant di fai di feda , e'I doppio di quePa poluere delie dette
pietre,i ft mefcoltno m vn vafe fparge'tipof* frm pre per intumidirlo acqua di
ffinte> e poi Pretto con le mani pigline fodera , e ne formerai pe^t d vn
pugn , o dt duo , e fv aicono $ .panelli, poni al f ile , cbc. fi fe echino
beni fsttno , poi fi pongano mef forno di riuerbero per 6. bore,augumentando il
foco poco, pac, .che al fin fi faccino di foco:ma
uonfiitquefaccino,e ptr nontvi btfo- gttj foco di muntaci, cotte che ferauno,
lafciate raffreddore, e d\utr roitifo cuti dure,!, be i pena ft romperanno col
martello di ferro . ' Della fornace,e di vali neceflari allopra. > Gap. 111. dafabricarft la fornace, laquale affai fimi* alla fornace di vcirari.mapiA
picciola , perche non habbtamo b f'gno di fare maPe cofe grandi Sia dum qur
alti otto piedi , e fia di due volte , e la volta di filo fngrofsa di vn
palmo,e mzo,quiPa volta bah. di fjuo vicino terra vna porta picciola, laquale
fi pofiana ligitized by Googl e DI
GiOBatt.deUa Por. Lib.V. 175 ^fsano porre le legna al fueco, chefi nel fuo
fuolo,netia Cfma del^ la volta ji vn bufo dt vnptededtlargheT^yO dt
dtamttrOypcr la- 4juale le fiamme pofsano penetrare nella feconda yolta,e
tocchino la ficonda "volta,la onde le fiamme riuerberado dalla volta f ac
ano vn grandifsmo caldo,tn quefta volta dtfopra tt fieno molti vf duoli,
t" per fi bufino le mira di quefta volta , e fieno i bufi incauati di yn
mezo piede largbuaccmbi per quei bufi pcfsano tntrare i3 vfcire VCatmite
lepignatine > liquali hanno d-i itarjcoueru fura il fuolo della feconda
voUaftiqualt fi fanno di vna creta, che fi porta da Va- lentia ,che dura
mirabilmente al fuoco , fia la loro crSftt X^a di^ vn dito , t alteX^ vn mez.o
piede : ma il fulo fia pi mafsicio dt quella parte dt fopra t acctoche non
firompmoper la violetti del fuocop bor effendo apparecchiata la fornace,
s'accendano le legna dt fotte, e~ta fornace fi cominci rifcaldare poco, poco , fi che in fei bore
fia tutta di fuoco. l'operante non bifognn partirfimat , maafstdua- mente
attendi'ali operatione,e pofsa fare tl/uo vfficio , ali bora fi rompano
lipafitUi,e fe ne faccino piS^tti quanto yna noce l'vno, e -per quei bufi
fipokgno con le mollette di ferro ne catini vn pcz^ 0 per vnotlequah
cominciando liquefarf fi gonfiaranno tn
vefsi- cbe,e gnfiandofi molto , con i fpedt acuti fi deuono pungere , cbc-
vfcend fuori laria, le vefttcbe fifgonfinc e calmo gi , e non codino fuora per
li labri elli pignattai , allbora poi fi pongono degli altri pexJ^, e COSI
facendo il me de fimo, finche le pignatme fieno piene m fino al labro difopra, e cos fa fuoco per
tutto il giorno , che fi cuoca ben la materia . e poi ponendo vn ferro torto
dentro , fe ne prende- VHpoco,& fe ne vede lefperteni^,fe la materia ba
nceuutogi la perfetta lucidtX^, e vedendo eba gi trafparentifsima e pigliata materia di
vetro,feltUa da detti calmi con ferri fatti
qutflo vfo, t tolt ila ben tutta, fi buttano nall' acqua cbiarifsima ,
acciocbe lafci fuori alcuna fporchtZ.za,cbe haueuano tn fe, e tanto fale ,
perche non facendofi quefta diligenza le gioie fatte dt quffta miiiura , con
repentina occaftone fputa fuori il fale , e fi vede il vetro offfcato come di
piceiole nubbi . Ma tn quefo bifogua moltcLa auuertenl(a quando fi lena il
yetro da catini , che non tocchi le mura della fornace , perche vi fi attacca
il vetro come vi- fchio,e fe ne pu >d>ftaccare ; fenX^ venirfene parte
della- creta delia fornace , e che non ve cada qualche pezzetto tiv quei canni
> perche difficilmente fe ne leu , e la lucidezza del .* Tije % tetro
Digitized by Google 7^ Della Magia
naturale ' ' i che fifa t :tr9 fi pone diht0ue n queicJtmi,che pet^ duey,tvrn
fu liquefa to , infocato -, pn tti po/lo
efutfio vitio ofgtapgono dentro t ctUinialno tani^ di b iccit la (pini
poflafubito dipienroffa.poifiliquefc'lrttrv^ 'urntx t'ajpjrepte . ^U hora/e fa
li/perienXui con vn ferro macr* nato cauitidvne Yu poro fuori , e feti retro
ncp hard alcuna veffi^ chtiUyfirl vftro pfifetto, ci fila mafia detii grate
.fcr efiat per- fetta . nor pisframo ad infignare t colori^fonu psfiamo colorir
ti yetrogijiJo, yerde,& albero '
1 ue, cibt rtft nel fondo yn
refidenza limofa a fi pre fnterando tl fuoco t aitar card dentro lLo fi mma .
lafcia b-ugg-are quella graffili.^ , t qutUapolUeretbe li m m nella p guata .
quello fird il gruoco del ferro . ^Itrradono chiodi di ferro
rub:gmoJv,'equtUopoiiufciCato^tfiiuguonQmac$^ m ' Digitized by Google / Di
GioVBatt.dnaiP6r.Ti.iK.V. i.Yf :t'6f coIdno-qtteUo aerto , fiT dip-ccM qucUa
rtiggme di mtia'e fopta quella ftfa vn* Cflletta,MnttJ con quella, cu er forti
np cciolei , ihe daifutlhper m ifu ji iiira'ii^ f'etfUt\.eofd eait\ertuAh^bbi
lafna pcrtialla U qatfik IJ1U0 grande quaitt^a/ii ad eutrre - 1! rfttr la mano
del^ trftfn e. mentir bifgna a^farrdhtate'aUune refe all cpera.fia que fia
celettJ di *vii prede dt lun^h l(zj,ljrghgS^z.i.Cr aiter.zj Vi > fi pigli la
Hafra i trerari fi ponga joura f
matUHe,e ponga deit- 9H'ia ^mer.^dfifrr^ la prpitfet*foitd^^^^ palperei
bamfjtu HaraniLM qWftoPo'O : ' r.'- 4- ^ '? - un giorno artificiale^ e qutfh f
tre, quattro volte accJacbe pi perfetUmette ficatcni^ fonrmdo dthgrmza.ihe s'
mfockt bene idfwo,e Q^lufuefaut^t%^ piffirbeumiUapfrturM *f Digitized by Google
7 8 . ' ' Della; Mag?ahaturaic' CciKeicolonlconalegw^ Gap. V. ' ipi
^Tpareccbiatr che faranno tutte le cofc\nem r'man aU Ire fare,cbt fintamo dt far Jegtote , fogna fare si faggio, pigUa^done -vn
pochtttil^ dal catino^ e,fe io vetro vi parr ben unto i togUrtelo dal foco^. fe
troppo biancbcci giungi\gjfara:(i troppo colorito.P gli vn poco di vetro
dall'altra pigiitina,e pont tu queia,fa,tuoi%fprfef bore. Cosi potrai , ^
farfacqua marina ' che pur fpeite di
fi primo Ui\ f^fbgfUetno.la qnirta prtednrame,bor cMggfongeremo parm
i'^deTg^l^X aisrOSanto dt rane a Incordati dop bauer but tb'fl ctre v> bhe
fi cuocano peti fes bore acciocbe la
materia^ della gioia fi rifcbiari quello ^ che perbuuerut buMato tl colore li
hauea annebbiata . il fuoco vn poco dopo manchi
jini be la fornace fi raffreddi
alV^r fi cauiuo t Catini dilla fornaccie rottolitUt uerai le gioie
falfificte\. 'i* 'V - ' Come le moie fi poflano far daltro modo . . Gap. , VI.
i ! L modo che babbmr infegnato , e'I modo vfitato , e ersi fi fogUono -vfar
apprrffo tutti , fe ben da loro fi fenoccoltohnahorane tnftgnartmo vnaltromo do
loquale hauea deliberato apprefio me tenerlo ftm prefecreto,
percbeconJpefapoca, con pnckifstmo fatica fi faranno le gioiCip (plendenti,coloratt,& allegre, e final-
mente che in Inngh fsimo tempo il fai non verr in faceta T annu- bilar il color
della giia . Ffi quelle cfrc/7 troudRo
Vozznolo trg quelle pietre dirupate degli anticbi edificij , e nelV
arene del mar e fatteprima dagli antichi, ebe anebora ri fplendono,e paiono
vere , e parche da noffi non bafiino. y nota tforJ^remo o'l nofird modo non
foto far' e fimtli,ma farle affai migliori . jtpri dunque f orecchie, e nafi
odile con fedel petto. Vtglif del criftallo di wucc$efi ponga m eructuolo ed
infocar fi al focene come far route fmor-
Digitized by Google tlo DcHa Magia naturalo ^r^sleneir *, fi perrai vna
par$e della poluere detta , e la terza pme d{ minio pn crnccimologagUardo , poi
lo coprirai fonra con a.^onef^bio d^ treta fofpefo dal emetuo v ebepofta
(uapo^rC'^e jnon lajf^ tadere dentro il nafo alcuna lordura , e ponilo.neUa
fornace di erg^ tari nel mtzo , agii altri ufi e'cotta la fornace far fattoti
colore^ rompi il crocamlo,(^ l'banrai nel fondo fifso,, Fingere il Chrifoiito,
;,i 4 . , , i're parti dt pna di
crifiaUo^e duo grani di verde rame pew oncia, fat i! cbrifoliio che i mescano
tr ti.rtfidc , C tlgiell*,^, Haijcr il (ineraldo Trf part di'minic,i^n3 dt
poturre rrriftalla^d^ per^gni ancia di ^U'fia mtfinraponi quattro grani di
verderame, c far lo ftatraido^ onero fi calcina l pietra focaia nella vettiera
per a ^ bore, poi fipot- ner-.zzi fottilifsmamrnte,e fi pigliano cf'aattr'oncie
dt ijiiefh pirtr ir vna libra di minio. pn Oncia di iter derame, fi torma i
cuocere, everrbelhfsimo, j , Fare i] giacinto Tre parti di minio,vna di
criJiaUo,i^ per raponi fei grani delia pietra bematile , i ogni OM^/d di qucHa
Altro modo di ungerle Pietre . Gap. 7. . j * yo dop accorto ejfer molto
fitictfo il poluerizza- V-Aw^V^ re^ il calcinar dcnfl alio, anchjT di molta
fpeff, ^ 'M per loflar ilcrifallo dtrcca,e finalmente ptngono fot ft migliori .
e prima fare il Sn cralto il pigna ta p,etrafoCia,eft calcina pertredeort nella
fornace\ii CHiart Digitized by Google ^ Di Gio.Btt. della Poi*. LIb. VI. l'Si
eretari , e per cgni quattro onde di qntSa pietra vi fi aggtngono pna hbra di
piifi .ir infieme con loro per colorirla vna oncia di 'perderamele verV con y
colore htUifsmo, e ^iocewdi/smo fi-
gnardarctcos poi fanno " . * *. '
* il giacinto . ' ' r. f 4lla predetta,
mtflura del mmto\ptetra focaia calcinata gion^ 'Otovnaoncia di orpimento,efarvn
colore afiai bello. I refianttcO fori potrai da te' comporre fecondo il modo
foura narrato . *' i II , mi I ' ^ ^ . Di varictinture di cf iftallo Cap. Vili. ; abbiamo dette delle tinture de
cnflaRi non trinalii e communi ma fapute da pochi , e faputeccn gran fatica ,
iir ifpermintate da me, ber tratteremo de gli altri modi di tingere il
criftallo, e molto nbdi, iC anchor conefeiute dapocht^non dico dafoU\cici i*uc
ilcriAallo di rocca di color di tubino
di giacinto fenz.a rompere calcitrare
il detto crifatto di rocca . Viglia fei ,porti di antimonio, quattro di
orpimento, (re di arfeuico crifiaUine, . altrotanto difolfi>re,due di tucia,
pifia ogni cofa fepar alarne nte, e fetaceia bene, fi pongono, dentrfi.vna
pignatina, e fi pongono i pt icettt di cnfallo grandi , eutr coperti fra le
polutri ,ouer attac- cati al couercbio pendenti, con fil di fcrrc.ccsifiponc
alfoco,chc fi fcaldi poco poco,allvltimo s'infocbiptr due bore: ma
firzO- fato di mantici, che no rada in pe!(zi,OHero/i liquefacci.il figno
thefalr benifsmo colorato far, fi toltone rn pcS^o cole tenaghne di ferro,
vedrai che far tinto di iubicondo,cftigidifsmo Colore, e fe non ben colorito , poni di ^ouo al fuoco , e dopo
alquanto di tempo, vedi la medema ijpertenza. Ma qui fio da auertnfi con molta accuratezza, che quando
fiUuanodalfo(o,nonfi(uinofit- bito,e fi raffreddino , perche fi fpiZ^anOyC
rvlatic in pizzi, fe ti piace di color di giacinto, toglilo pi t fio dal fui co
,fe vuoi di info- cato color di rubino, lafcialo dimorar p.u neifoco.J giacinto
rolen- C 0 dolo I 4-Bi . T ..DdllaMaga naturale , ^ -y olofingeret potrai fola
porre lorpimento poluerato^. Tcfsiam , cheli zafiro di colurcelcflediuenti
diamante. ' - ^efagioia,A tutte 1^ altr^,^pijle al fuoco perdono tl Juo colot^,
perche la violvnzi del fuoco fj perdere il colore. Molti lo fanno di molti
modi. Pcrtbf alcuni fondono C oro, e poi porgono il z..fro nel mizo altri
lopongOHu/opranna i^mtna infocatale lo porgono ifLa . mr!(o del forjfo di
rcuerhero , altri lo fcptl fcino nella fmatra i ferro, e l'infocano . Tsloi lo
facciamo piu ficuramnite di'ttti , r'iempiemo vniruduolc di calce viua,enel
mizo fepeliamo rlz fi **T9 Cpoi fcaldanda poco--poeiQ il al'vlttmo lo capruaodi
ij accrfi che fono non bifogna mole Rare il foco con venta di
manteci^b/Jlfpandafi(fiezza tH WMliefarti>^op alquante bo- re,come Rmamo che
babbi perfo il fuo colore , b fogna con moitoa diligenza,che tl fudc da fe
s'tfhngua,t cattandolo dalla calce con- ,ftderamo,ft pane anfhor perduto il
colorc,e riceuuioql del diami- 'te , che trouandolo ccsi,lafhano Rare , e lo
lajtino rafri ddare nel fuoco ftnon anchora lb prfo , fi cuopre di nuolto nella
calce, e dando p'iu fuoco fin tanto ,
che per forila del foco vada ~vi tutto 'il ' colore, il (he auiene f^a cinque,
ouerfet bore. Si b da auertire co ^ fammi dilige zi
,eheponendofialfoco,fifcaldt poco
po(0,trf- ' fi-rndo fempre il fuoco , e'cos al raffreddare , che fi
lafci morire tl fuoco da fe , perche fi repentinamente fent'ffe il freddo, come
ac cade iptffe yolte , o fi oggiaecia , o f rompe tn molti pi . Tutte e altre
gote come rlgjifi-o perdno il colore ,, olire piu uflfit altre p txrdt , fecondo la loro durezza
,1amHifofacilmertCLM io perde , e fi drue yf ir leggiet fuoco m effh , che
dandogli tr/ce, tbc gli igno- ranti dtqueflo Jfcreto il par gran miracolo dt
natura, coja (he fi fd tou tnto leggiero artificio . f (tremo . ?
tingere di'vttro di oarij color. ' .
lafcier di dire ma cofa'digna dixorfidevatione , a'e}tat mi> accadde
mentre fcna ifptrmentndo iefe.' li fi.gno ialci>c nato toghe la pr/pecuita
al "vetro cnfaLino pc [ito alla reta, elpofo al foco ardente , e toolhi
varafnnte , e li fa cfcnri :per- jche yna parte smpetra,V altra fi colora
variamente, ibe farro vn spalo , ma bifigna ffffo tcuare dal foi fs occemidarlo
.finche ferai Jfo disfatto '. ^alctnar tl^ {lagno qutfo iffetie gi ibehbiam^ infrgnatodi foura
; aggichgereml alcune ct)e tofi gi cccoiCLr^t
molto necefiarie : ma fer non lafciiT cefa da dire tutoruo que^ Jh materia , cioi ' . * ' fingere il giacinto ^fiaihllofne molto
dtfsimile dal vero', Jn yna pignata di crefOLs pongjfi piombo, e fi ponga in la
fornace diiveirari , e laftiata lui per alcuni giorniuhe il piombo fi riuolta
in iieiro,& imitar tl color
giacintino .Qnafi co'lmedemo modo ^
_J ' fingere Io fmcraldo * ' 1 Vorrai,
tl bara colore di vn verde prato, fa mangiar l'urgeniod* l'acqua forte , poi
buttando le lamine di rame foito,ccme dicemmo, fi acccjlerfi quelle, raccolto,
e deficcote,fi pene in vn tegameito di crta dura, fi pone alla fornace di
yetrari , perche ncn con molto Ipetio di giorno fi riuolta in frheraldo . Cos
de gli altri metalli la- feto il penfiero ad altri di ifpermtare, noi baficra di bauer aper- to la via, e detto
cofevere.Votremoancbor a fingere i carbonchi . Di orpimento, per fruir fi di
loro in alcuni ornamenti, perche fino molto frangibili ; ma di behfsmo colere,
e rifpler. dono d\n jplfK- dentifsimo color di cccco , tJ irraggia fvtri rn bel
r(]Jfggfct,ie- colore . Viglia quattro oncie di orpimento , pifta, e poni ih
yna earrafadi yetro , ig il fondo cuepri di luto fapinz^ ionmla~ vtolerx,a dal
fuoco , e aprirai la bocca lentaniutc: ccsiaecifi ' fatto i carboni il fumo
andr fuori > / la parte piu leggiera^ , Oo s e p! j' Della Magi^naturale cp u(btt$lf4olii materii afcende i luoco piu
aJfOf f Ijf vedrai aCr cUsrfi arca i muri della carrafa e dintorno le ^olte.del collo , e poco
venendo p';u parti, pi v crefeendo, e fa certe ampolle come acqui, e
crefeendo co l tempo la ahondan- ^a,gfft.,c.adialf uni fette fermano al collo ,
il colore tutti di ar~ denti fum ruhtno,ma fono piccu>li,e
frangibili . B^v\paft il vafe,(!^ con vna acuta punta di coltello fmoui djd
*efro quelle ampoUet te di-clonftciltfsimo 4igtV(,ee ne ferutrai.Se di quelle
puciole ne vorrete far vnagrande,di motte di quelle pkaolt, ponile four a vn
ftKZo di carrafa di vetro rotta,e liquefa aleggier fuoco, che non fi pu veder
gioia di color pi giacoudiffitno* ' I V
\ .i ' O .. > ^*
*j' ! . \ ^ ^ ' f*i \ ' ' > Cme fi faccino gli
filtl. . Cap. I X. 2V/7* (F le, e ft fanno delle medeme miiurc,eft Ungono
coti' D medefmi colori, quella fola
differenza vi , chc^ tte gioie -vientlMetrotrafparente
, in qurfloi Sy non,rijplende^ , , Anticamente di fi fjceujno il mufaico, e gli
orifici fe ne feruono per tncruflar,P adornar l'oro , \ queji fe li d corpo, e
fodezza co l {lagno Mla compofitione far
piu n^ra. Ma ' . far i] fmalto.giallo carico di colore .Totrai , giongeado per
ogni libra di crijiallo in, poco di croce di ferro Digitized by G DI GTo.Batt.dlla^Hor.
ZcIb-VI. frrrtr,r dfp' tre onere di giallohna , delquale Ji Jernono t creiarh
orrai,con lo zafiaro, giongendoui vn poco pi di corpo.\Da qucfti farii fmalto
di color pidocchiofo , 'Terremo , perche
compofti dimoiti- ponti ni eficolati infume , che par che fbn vna mafisa
di pidocchi gionti ir, fiume :ma molto giocon- do 'vedere . Quandolo /malta e fiotto gi dcr fio
fipargilo fouravn marinare, e fUbito fiparger foura quelle gruegho, o color
pallido, goccia, gocciate t'harai . Se vuoi hauer vn fmalto di
duo colori me fcolato, buttalo fiour a il marmore,come hahbiam detto poco anV^,
epoiponiui /malto /opra di vn altro colore , e vnificiir.ficme pre^ menda con
vna'palcttina di ferro, VI a fi cerchi ' far vn fmalto piu nobile SSelquale'fi
feruono gli orefici , per ogni catino pongi duo padelli di fai di foda,eiiarena
, deaquale fe fati vetro, e fiarflfsi pi perfetto. ^ - ' Modo Digitized by
Google iUrf - ^ Della Magia naturale Modo di far lo fmalto rofacchiero . Gap.
X. , iyttrari mderHt piu prattiebi fi sferzavo d! colorir lo fmalto dt color di
refi eh aryche volgare mente chiamano rofaccbicro , eri faticano moltOf, per
bauer nfto , che gli m/lri amichi l'ban fatti molto artftckfamente ,e d^rn
bellifs.mo coletta, 2v(pi raecontaremo quello che bubbtam fatto noi e riflo
far gli, amici, duerno quel che fappiamn
, porgendo occafione chi pt taf di
pujare piu innanzi . flu J far il modo di far il rofacchiero . Toni dieci libre
di enfi ilio in vnapignatta,e come farJben lqut * fitto, poniui dentro vna libra
di minio eccellenie,lamit per 'reit pttfcohto con vna verga d> ferro prrfi
fslmamente.pcnbe la fucLs granfia ageuolmeute cala gi al fondo, come far ben
mefcolatot leualo dfUapignata , con i ferri acconci qutfio effato , e buttloll UfU'acqua,e cos
non ti rincrefea far fin alia terzi volta^oi givngi cinque onze dt
robicondifsimo cinabri [opra il rame calcinato, tf' bauendolo molto ben
mtfcolato infitme,bjiia ripffarc per tre horef come barai ciofatto,giongi tre
onde d> vetro di ftagno,mrf colando fenzapofar mai, e cosi haueraivn
jplendentifsimo celar di. rofa net petroydelche tt potrai fermre p fmalur
l'oro, anelli, ma in qutfio . modo potrai farei! vetro del ftagno > f^oni in
cruciuolo yna libra di fiagno,e lafcia rifcaldate ,'pd fi // quefacci nella
fornace di vetrari, nel reuirbero delle fiamn.e per tr e, quattro giorni
poileua,c raffreddato,! ampi ilvafe, etrouerai nelle fuperficie il vetro di
color g-allo turbido , t fi fiar'mdio nel Offe.diuerr pi perfetto,ne mi e
accaduto di "veder enfa meglio in qutfio gena dt molti,che ne habbtamo
efpcrimentatoima hif gno por nifi molto ben piflo in poluere,che non folamente
co'l mortaio, con le mole, ma col porfido bfogna tritarlo . Si verr rcfso di
fouenhiOt gingendo piu vetro lo ri/chiariremo. Ci anebora "vn altro modo di farlo
Byifir- Digitized by Coogle ' Di
Gio.featt.delIaPor.'Llb.VI. iSt' il^eruuto tgli amici . Sieno none pam di
(lagno brufciato fette di 'ficmto,due di cinahrio ferretto dtjfagna, e tartaro
mti(a pariti ^ jpietra bimatite vna^rofo
dt pittort pna quarta: f come Jai, ; Come fi faccino i vafi dagata , cal- . . cedonio. Gap;' XI. ~ i( r fanno
Vagate cosi beUe,e cesi natunl che para- 9) gonate alle "vere, te 'vere
paiono falffficate.e le fai- ftficite verCytl fecrefo bbUo^e raro . Ttglia acqua forte
vnahbn'argento in fogli libra ma, argento. _ piuo onde quattro, mefrola ltfeme
tanto,tbe l'ac- qua forte rijui'ua i duo afgenti,poi piglia fei oncte dt ferro
infocata^ jpeHo tn mortaio, e ridotto in pclucre fjtuhfsima.mcfrola con onde
^tredi rame brufciato, fpr a leqttali poluertfa pafjar due tre volte ' ^ 'duel
bre di acqua forte^quli racugherat co l recipiente perche . ^tton perde la faa
virt poip'glta-pictra hematite rn onda , ff fiala hpo'uere,e due oncte dt
atiirro nliramarino ordinario , citi terra de Ipctalt di quello colore, e m
febia-dop porta alla fornaie dt beo
ebieri, e fagli aggioigere di cnfilo bollito i j , d i o, 3 o,
libre giud tio.e babbi io. fogli d'oro,
e fa ftrato fuprjftrato con la mtflu- ra,e riufetranno 1 vaft bcUifsimi lauorati,cbe
faranno. Come fi fa la porcellana. Gap. XII. ,4%glonarfmp detta porcellana. Ma
vediamo prima fef fiata conofciuta da anthi. Cardano dice, ^ chi ladurrina di
Vltnio falaVorccllana de neflri Umpi,ilqual nel lih.^j cap i.dice coti .
L'oritnte marda noi la mrrrwa fe
ner.troua in molti luoghi nc qvrUi multo prHcipali,e prinapamte nef regno
dtVavti,e nel- la Caramania Giudicano ihr fabumore ccndenfato ftto terra dal
Calore. dt^rand^Z^a u mun luogo paffa gli ^bachi, dt gr jfeZ^a quan 0 bajla
adta vafe dabcrOikannopnfplendorfehZafoZ.2,r so tufi 1 Digitized by Google Dd fa Mgla
naturale ' ; Urfi pito/i t che njptendenti . il presso lapariet di ethri, circondandolo flicorno
verte macchie, aeUa porpora, e nella candii dezza,enelmtx,ode
l'nifO,el'altro,come pervn paffaggiodi co- lon , la porpora roffrggtatite, e
biancheggiante nel latte. Sono moki che lodano grandiftimamente li(tremitd,e
certi refltfsioni di coio- ri,chet fi 'veggono nellarco ctlcfie . Incjuefii fi
dtfiderano Ip mac- cbie'grajfe, b lor vitio lejjer trafpanente,o pallide,
ancbora ahti f lt,e monticelfinoH emirfentt,^ alle volte come nel torpSlihe
rifie- dono.Sono ancbora lodate per l'odore Qutfia cpinicne e confirmau dal
fiolpatore de fitoi pestati tcalgero . Ma io fon di contrarto^~ rere ideila
porcellana nfiraj vna creta compofla di piu materie,^ ijuella cofa naturale, e le note, e conditioni di
lvna , e laltra fona affai differenti, come ne parleremo pi largamente altrcue
.M vn gamo fcriuere
comefifacci.Scaligero dice effer [olito da [noi mifg glori forfi della
porcellana, e per faperla ben fare. Si prendono fiofm 3^ di oueie fcorge di
cocbiglte marine,o vnbdici.ehiamate volgar- mente per celiane (onde egli vuole,
che pigli il nome di porcellana) je quefie ftfanjio in fottihfsima poluere,laejualc
nujtolata.ij aniaf- Jata con l'acqua fe ne fanno
-vafi,elefiturrar,o,ettonlecauan9 fnorife non dop cento anni ytr,derle>(he ne fanno tgni anno,^e
lefotterano,e fcriuonoi tempi quando le fannoftr fapir quandole tanno da
cauar.Ma egli che nota i difetti del Cardano e difitlrfo co ti nel nome, come
nel modo come fi facci, Ihabbiam noTxosi fatti. Si p gli ano le tibie di
buoi,dicono fhnthi , e fi calcinano al foco henif- fimo fmebe dtuengbtno
biancbifsimi,e fi tritano minutamente , poi togli vna terra chiara bellada
molti luoghi d Italia, come lei ra Vi- centina,nel F/gno di 7{apoli al monte di
iViaiella ; afprtjju Viter- bo molto
leggiera; intendo ancbora Tonza Jfola
ejare ancbora eccelUntifsima,ccsi cinque parti di cenere ditfjo di bue, vna di
quefta terra , e con jurflofi mefcola vna parte di alun.e di piuma, che fa la
mifturapi rtfijia al fuoco, di quiflefe nc fa rofe e fi cuoce alla fornace di
vafari al modo folle. Vot fi le da fi pra lo firaUo del- ' la maioliea.ma
quanto fi pu piu futiili, ponendo in delta . ftura la cinquantefima parte di
fmalto bianco per la pcrceltana, bianca po- 'rendo bcrace in luoco di
fal^.T^ciardo che quanto n ino fi potr della terra vicentina, pi vcranno
trajparenti, m fi ei gt per altro che far che fife Jhnti e poffalauorarfi alla
luoia di chI.ii Come Digitized by Googl DI GIoatt.de]nif .t V. .. i.. I
rr(chiarar lecerle viciShi- j, i L
f)Wirrr|rli sceta^ortdi pap^uerif fejJtaggu %rfi bianche pfi difHo ft.tjen^nedo
aceto ^nete icpeale.per una borace tigietele ch ^ tmuitete iiaMer refi una
trafioi f m biantbtta^ togUeudo ^nelU puggdite della ueelbtarij
^m>li^enmodt'Mrart it . nodo di far laiiirchina piu cotica * llnando fk vuol vedere, per che non dura quel
colore piu di nume jfe,fipouedeutrolaaquj.fortCitbe bMi mangiato rame,i\iiti-vei>
ttM nerdesmapaueuiola dentro Uueue fifa piu anefa di tolor9s. '9 duraper
vngioruo^ '> * * \ x . ferr s'infiubiuo,
qnfttoridoftp fiftevohe farai mentre l'barai ridotte mfott^ifr fme fghe
e faran 'buone perfoperayondenon far fi nonbtn" j"- ^ederJptffo le
lamine afciotbe laitre non fi n mpan^ martclhfidot f^ertberompeno quelle che
leflanno vicme,e quelle ValtreMa per^ th mentre fi battono, fi frgheno
anntgrire.iJ inbratiarfi ibr fprfi fo ingannano il veditcre,pero hfognt
bauer'vn ptgn alino appurte- biato pieno di acqua,con egual pane dtfale.tf
tjraro,t b gita al foco, poniut dentro le foghttie , nieuendote ccntinuumentr
po.wbf bugltendo diuentino bianchifs:ne,pri fi Ituuno datfoco.t fil,iaian in
"Vn piatto pieno di acqua tbiara finibt fu no lanate eccrllentilfi'
Wianuhta,poi fi afetugbino con rn touagholo di hne.r di nuuuo fit ri ducono
folto jlmaricllOit s'infctbmo , come prima fimbf frranno affattighate'in
fethfs. ftglHiie,cimt hon.l tn'cndini,A mantello , Tp^ bifo> . f 'rDclfe Magia naturale ^ hfigna
ehejienc ptani terfue piu lucidi di vn Cpectbioj ftfantii ci tale artficio
cosi. Primo ff arrotar anno alia rota, doucfi arrotano i cltimo fi ricerchino
tutte fe fcranna muere. e ridotte alla perfetta fptttleX-Za,laonde fi alcune
feranno alquanto folidrtte fi pofjono di^ nuouo baitere.e foti gharfi.^efio fi
bene fi deue offiruar con dtlim ge*Z4,cbe fi firanno (omli^ieno meno al fuoco,
perch'e/ubhofi lf~ qjie/anifO.e fileno antbor po^o nel pignatino,j>crche
faranno ri fila dal faie..4fl'vlttmn fi rdfchino con le forbici, e fi faccino
quadrati^ (he fieno pi cmmodaUoperc, l'ii ../o la tela accomodata alla hoc
*,dal vafoycbe hi da nceuere quell' acqui.attacca largam?te,e eoa
ham9,aceio(hfe fumo p'A cthi,cbe nitnte "v' paffato dentro fe noH ^nel Jbtltliftimo,pi'fyecifipra
>i alPoforuettQ della mede^ms*^ tapactt di larghet^et aktx^delkufo^
fi^fildino kgidiu%e*jt^ fumo di finto vicino ia terra fegl* facci ma^poritfell*
, . 4f futura, diti , con vaa \volta da fuori di mtzo piedt^ineivn\olPdifi^delt_
mnanzi quello , e fi cenfohdi net medefimo modo detto t con quel forno grande,e
fi attacbLi^U'ltra accenderai corbimf mtenaltr Vdfe , che fieno ben nccefi *
che non venificro far fumo ,e fibi0r;^
Uno in quel forno appartccbiato,prifi con te tenaglmole dtltero^n aeciocbe fi f
caldi bene qneUa "volta difnoritonerv tnnant'il fornai j. uiempia mfino af
meta dt carboni ben actefi . Mor fatto qntMli parecchio fi comnmarmmocolortrltf
laminette, E pri|f ^ j- colorirli fbigicttcdi color gialla f ^ ^ ^
mfcgnarewto.bi piglino queHtfogUttP auaccptecol filo (ami ^ cemmope ne
occomoitrerM nna^fbpra^ le forbtcO dtf*^9r>0\ fingendo fanello tUe forbici
fin oi^tOtodelleptefe tbtfiteuo^j^
ftrme,e tenghino ftrette lefogltelte\^Je porremo fopra U bocca pitta
kadelforaot aberteeuaquel fHmo\\tko:ntfn fuofiitjItAM^^ri "volgendola
fempre mtomo tntomo, infine^ poco pocoved(ff-i che ha nceuntoquel colore
giaOtcclo j fenza altro fumo , che qnl^ del carbone folo, pi qualfiome [vedrai
, che fha ben prefo ajeua^^ dal/umo,e rtfnbala . Con mtdo ntn d ffmilt do
qutfio tingerla foglietta di c lordi fatnro IPopemo . peribe tolta la folgietta
con le fotb-ct di ferro , r acca* modatafoprala bocca del forno t butterai fu U
carboni dalla parto di fottojbttoqueliifyolta di fuori penne dt oche, dt quelle
cbeflam no Googk , OlGto.Batt.dellaPor.tilj.yr, itt' A0 ueT^CttOyt fubito
andrai riponendo fepra quella cucchisretta di ferro', perche il fnib'che ven
fuori da quelle penne , r inal^at fer forza dal focOyufctendo peri camini del
fornello, percuoter a fogliette, e quelle tinger del cler deW aria , quand
quelle cuc* \btjre fi Tffr^ddtf anno, prendi rnltri inft'eata.eponiui fvpra li
fenili . "veramente 'dfgneidi molta rntruilgia ,che quei colon, chcrieeut
qorfta fogliettj di rame , fubito fi mutano ,mdlk quando vedr ,che la fogUtita
h quel color, th defderi , la mdti^ 4*foft rala fo/nace,, ptrihe di ponto m
ponto jt pigiando altri colori'. Quelle be v^i tingere di color di
faffiror^gna ^ ' ,L . itiduLCPiur.d argento.
aUcfo^lieirc. n Jn qmflo modo . Viglia v pochitto di argento , e fallo
diffoluere Oiell' acqua forte,, o pili buttam din\xo equa, di finte,
poikuttaui, entf 0 lamine di rarne, che fubito l'acqua fi turbar, fi informa di
bombate di argento t accofter i rame ,l;Mttafi i'aqua,e fi latti l'axgento, e
fi feci bi al fole: e come e fecco fi pqrie Jf^ra vn porfido , fgiontoui vna
oncia ditartara, fi mefcbia altro tanto di fai com,^ funneedinauo fitriu,pot
che rgni cofafiaficn,m/fi.hiaia,Cofi ap- pareccbfata fi polueri,e buttatala
foprajlrmefi /rega ,efivedr- fplendere di. color d'argento^ le fogltr iterali
bor fi d frndunofo- praquellalamna di rame ciprio ,fopra quel leg^Offibgi qu*,e
percie^vifi butta fopr,e con t dui dui plltcfi u fugando^ tf^wchefi ttiig^no di
(ofir d' argento ybutiala nell aqua iD tl fopreh- detto rame, polfeafi cqnkt
pietra hem'atitey dipo fi 'efpo'ne al fimo, efe vedranno fendenti del celefe
colore. Se ti piace , 1 . tinger la foglietta 4/ ccjop, di rame ' ,/> ^ E fi
mafigeuolmtnte fi tinge, e di molte' appena yna fi "vede venir peniffirns,.
T*pmteramente le fcglictte fi uedranpofpltndere di co- ler di arif conte
banbfiamo detto , dopo pigberai quelle , tbe non ^anuo fin pxefo,
il,fopradettofclort,eeht dt quello Jpongbinr fiapra il Buco del detto forno , e
fitto la "volta del portello fipra le fi tnnfi infocate, panetrui le foghe
dt fi fio che faranno firepiu^ fqme,le frondi de alloro , il fimo vfitr fi
fiori per il buco ai f pj;a > fi qnal^ynger U.fightte. Ma prima beft Cngofic
di colar rerd^ hf'>S**/*be pigli poi miti colori , cio idi rame fnfjt
,gialtt , ma pon VI deono tardar ^moito, poubc bauranno rietuuto tnaperfitu^
ycrd,:(f{a ,. Cefi pfiffiamo ^ ^ ^ cinj'^.rlc fogHecte di color di rubini f y '
.Delibi Maga naturale -'1 hutUnio CfM4tMr 4i fctrlao fopr* $ carom$\ is
accttMiawSe ti ftlhtne f fratlbuco , perche tlfuma che feUra per qnefto hiu$
telarert le fogUette predette, Cosi . , colorar k fo^iecce di color d*amcti(|o*
Mi sforzane Quando tttfgt ma il saffirop rime ihogiiga tfcjer M fi^fro ,
pafseraptrl'ametifiiHO , eU'hor toglilo dii fot mie \ efrtrri fildtifauo , . .
- : ! . 1 . .
della miflura di rame. Gap. A Vili. Or infegnremo nnUro'mio^dalqnle
lefgletti della mifnra de me uhtfe pofsano tingere lequaU (Oh molto pi difficili. ma riterranno
i colcp pi Le cofe che habhiamo dette fi'fan tonpocafatica:ma ogen^mente
perdono tl colcret mk ^nejte fi fanno eOnpH diUcolt.ma h^nnO color pm
durabile e, fiyn^eto dncatte ijnando
fard ben lifuefatto,e mefchiato bntt^ t iiftro tartaro', aceioebe come far
raffreddate la fuperficie di fno^ fi,fiaegnalee pianaecomefir
raffreditodafejrepbnia:tndifi pi eie di fopra, perche fi *vi appanffe gualche
fiffura,o bufitto,s'mpe- direbbe lpera.ptrche con guejta ifperitnx,acnofeeremof
dftrdt nuer fuori ci fu/f aualche bfTiira Tonrafr in eakilibrio fopra nnfet
pner fuori ci fuffe gualche fiffra. Vongafi in egkflibrio/^a nn fct rOfC poi fi
batti con vn ferro fi foner egua!mente,e ftta bel tinUitoi i intiero,fi
inegualmente, o da dentro da fuori ^i
far' guai tbejt inancameuto.Sia la nerga di un dito,e fia ptre^a co'l
mariellftm taf incudine Irggiermente^cciocke non pfprzzi in gualcbepar-
te,pongdfi alfoco,efi cnocaye guado far raffreddato percuoti to*t tartelloi
finche fia ridotto in fottih frgtette , cchie hdbbiam dettf prima, bta fi ni
fuffe guaUbfiffura. con la Imtu tarile t irta, e co- hte trCtO guattro volte
far affocata nel fuoco, ha bbite una pgnata^ 0 come dicemmo prima confale , e
tartaro tf aeguafa il btam hi * ' muto. aigiti - by Googk t r '
DIGfo.Batt.dcllaPor.LIb.VI.' Mto,Mcci$ektfi effu^meutefifofiku ccHfign, 9ierem
' . ^ Le fogliecte di celor di rubino
9m9 9UfogUttu fo Mtrmtmgtr f^eUe m eUr dinUM ri medefimo md , che hahfmo detto
, e le tingersi dt cimstmrs di fettrisuirns le fogUette ft^ dt mifiurs di rsme^
di ore. I ecr m fStrtr^olmtgUiel medefimo modo _ * v ^ r i tinger le foglietto
di color di faffiro,e di fmeraldo 9o^em^\di ergente , e reme: me il eolor di
fsjfiro di pemm I oche, ilfimersldo di fiondi di nfio fermandole yn . focaii fuoco , Hue/le fon qnelle cofi^ '
tho h^emo e/per imentsto delle gemme mfitnofncftotempe, ' ttfioedellcfielibrob
Digitized by Google jnr - Uv.' ^1?^ .Pf 'J.r T f.:;o I GIOVAMBATTISTA .,,,, . A
JE,L L.'A T.A - vn 6:- ' > '..N-A FO
L I TA N O, VS.U-.. -N U E'L t'A li ' I.N ATVRALeI ' ' 5. *
>1 i ., / j ' Libro \ TR AD O TTO PER lO: V. I. >. vmok latiwo'iriVPARA'' &
io ta- to piu volentieri ini preparo ique (la imprefa, per hauer veduto che*
gli antichi, nulla, poco h?no co- 1 . ^ j " u im nofciutodcTuoi ftupori . In
pochi giornitper non dir in poche hort; mtre andaua inueftigan do certi miei
penfieri con lei, mi fono fcoucrti altri, che no cercaua. talch delle Tue
merauiglie ne habbiamo ritroua*? te intorno d dugento , c ne andiamo feourendo
di pafTo in pafToiCos ia gran maefti diddio merauigliola nelle Tue opte,hor che
debba fuccederepiudott.epiufottilidT- gcgnojche no fon io, che andalTero
ancheglino inueftigan- dole Tue grandezxejgiudichinolo tutti . Ritrouandomi in
f arare mol- te cofe,non Iblo non mi vergogner confcfiarlo: ma me no glorio,
per non hauer conofciuto in mia vita , *di quanti fia andato vi fi rando,
mentre fon ito vifitando il mondo, & altri in Napoli han vifitatome,hel pi
ingcgnofo.ne il piu dot- to,nato folo i diuorarfi tutte le fetenze , non folo
honore* rplendore,& ornamento di quella fublime, 8c inclita Vene- ciana
rcpublica:ma deiritalia tutta . Noi cominciaremo i , trattafdi quelle , che
fon.piu note , venendo alle cofe piu alce,talche non mi fon mai pentito della
fatica , che ci h {jpeCo aU'inueftigationi dlqueJle . Da quelle fi pu inucAi*
gar la lunghezza del mondo , cofa di non poco momento nauiganti,nella qual cola safTacican molr
ingegni , & ad vno amico che ftelTc molto lontano, anchor chiufo in car-
cere,potremo auifar delle cofe che paffano.ilchcnon dubi to poterli fare
con'due bulTole da nauigare,con vnal fabeto fcritto dintorno.Da quiperdono i
principi; del moto pcr- petuov dvrthorologgio,, he da fe ftcfic) muouc al moto del primo mobile.^ altre cfe
piu merauigliofe,che mi par di taccre.Se vi fono cofe narrate da gli antichi pur
ve le tra porremo,e feopriremo le bugie di alcuni , non che voglia- mo bilfma
re le fatiche, e le vcgilic loro: maacciochc alcu- ixo/ctip'ajldofi^ rpRfifi.i
prujcipij , vi cadino in qualche 9|1ioao moflrarii f randi^rol dir mal
daliri^infiizandout 4*efi Hip pocratr,OalcnQ, Ari/loicle, Fratone,, A ctio,
Fcrncho. Fracalloro.il Cardano, It'aftri buppiBi paffati,e de ncifri
fecoli,cb*egli non intende. r quel poco, ohe del fiioiO|egBo vi a|giooge, fon
cole di poca ccinGdcrattonr,che iau* ri;: .
.t : -..c. ' . ne, tf- - ^ u. Digiiizt:;i -1: - -ogl^ - >
DcIIaMagia naturale or h le,fhe
nouendofi rvnafar moiier l'altra mplco)q(lia- di Rance. che Con vh al6heto,c/ic
ba defertto incorno , diib amica fc^qrani ppfo fono raguaVharf fra Iciro de
loro nr goti che infegtia if Htetn ii| nella fuz ttegaoogtafiaC Ma quelle Aon
fon cofe diapari/iioi.'f^rCl*Idflnpo^9,|a ralamitada fcia.c riti- 1' la vir' del
marci > ncno recchifnmo.done fi kggenana aolte^ifobclif* fbCl'al rtf che
fregarn l>go ai ciirillito fi volgcuAallgpance , & nei dia mi btC' ai
feci ^tfniriooi & al' re gioie ad altre parti, e che ragionando Ul^ipUrif .
fimi da ftrte fi egan Jo l' .go ad vn fuo diiihance d gran *a lore fi,Yr,f I SrtcrntToiie el medrfiiiio frecro
altri aghi chttancftliano pa'rireleil* S'ttrmrione.mn fenra grandi fsimo gnfto
di quel Pcineipe, ritronn.^ kM( t .:ma provalo con fimili.e vedrai rciTccro.
Initcftigando anchot l'Anrore come pefla tronarfi la lopgitndinc del loa do,
rota canto importante alla nauieadbac,fcopi quel milrabil.recrrto , la ralamira
neirifole azorc bactC lago fopra la meridiana linea tronar^al modo di Tolomeo
co'l Sole,c che nelle parti ncfireOriftali declina inNap#- H circa p gradi, ra
qn! caromaan verfo lIndk, declina air^cidctc C- e^'d poTiicnalmnte efiendo rofa
ootifsima a coloro che nauigftO e per i fcr tri' 'di mole OumCfiml fcritcori.e
rapiiando in camera fna vnInglrfe , che fa ' eompagec di I Oragb nella
nauigacone.contendruaao mficme.cbe ognindri dieena efer ielo (aper trovar la iongitndine del mondo , e
firoprtndofi fra loro, conobbem chera iifiiflfecrrto.ralirgridofi Itbo c 1
altro hanci *n fimil compagno nel parere. Ma lingicfe cerne pi prameo nel
nauigar dt }jt il oi> R6 come deMa gouemarfi nauigando verfo il ploc alcune
lam k, cerne mtrgaaiemo apprcflb,cbc quel reccetm noo fcm.ua fc non nanigaa i f
otto rrqu.oacttaie,aII altre cofe an aro
nfp6icrf,pcac i pnaat di pena laifortanza. Di GI.TBalt.4di?o'rfti6;!ra. il
nomC) le Tue fpetie, e i luoghi *Hbuenalcc. Gap. 1. 1 ^ , u ' '^riue Vlatnne
nrlTtcnr, rhe ijurfl i pietra fu cbiam- ti da PmpcdocI$ Mantub)n . LuctettO
diCC dlio pxrfe %1agntfto. Laqual i Greci con lor patrio nome chiaman Magnete,
perche nata fia Jn quella patria. ^ il medtfmo Tl^onf anibojra , cfftr fiitar
non mancano bnottiqi,che haimqfcritto intici ri libri deUf ragaanCt
pejrchc.ilfrrTfl tiri lacalami-^ ta , accioebe\^Off/a^pinlti/q^d^ quelio,che no
' i^aibiama propoflo d} (ffrre^f^lenil^qnt,addnrTO i Itali fe non I ^parole,
.& ^(fpn degne. da ef\ V fer riceuute djiFtJofofiipiro non fii ( parutp ad^lcymitdmme
la n 'pfira opinione, laqnj^le'e appo^dta j alcune ej^ertenze, e uon^r
lafciaremo ftpinume di ./(pa^gfir^^dd(Ma4a ^lifi^tele nel Un hro deltnjm,ilqul
ppryna cerf^iiJ^igtian!Cafia cbta.mapiy- niiChefr* f tmo e l'altra
s'incontrano^ ctt dtl ferro, e eUa ptetrat tf riducono al mesco fi conuertonb
l^vn ntlV altrove cos tutti infie- sne tirano ilfetro.daeno argomenta
contro'cefloro,e dtety che non fncrtdtretche ifMi coypkimr>li,tht hfrono
dalla pietri , abhrac- cttstf\ iS' anace arnof mfieme con gir altri fintili cor
pie tnoii del fervo,^ ahbrac'eiti tnfieme,cbe pefuno tirare-cffs fidane
fiiftansut. Oltre dtfe'ad -Yn^ ferro,
che pende, pe ne aceti flipn'ahso ;tbtJ if nello anehora sacerfla , (J (fuefto
ad pnaltrl e cosi il terreo , quarte, e qk^^U'atamt chh pengono fuori dalla
pietra]quande sin^ tontranoifol ferro , ritornano in dietro , e fon
cagione che H ferra fetda'fUt pofsthtl
che quegli atomi, 'che entrano net ferro per t Meati Yacni ritinfHare primi,F ihhfaccioYpoigli altr^er hcHkf 'glt
PI fio dififne ftii 'di fero,l'Yif\athrcx^to all' olir fT.fe'glt atomi fi
diffondno-per HvfHiN del ferro; f^?che^ quelli, -r.be t^accti/lano i lati dlia piftra,anth)'tjracbe fi
aitacvano,fierciotlre qutVa forza fi
ffondr per tutte te parti, la onde fe pn piecM 'petisso dt calamtt tocca
molu ptt^i di ferro, e cfurfli ltri,e quelli amifora altri e de- ue riempire
tutti queU>altty(^iiphfirinoli\Yetamned'ourebhe^ txinanirfit quelle picciolo
ptX^o dtpietra,e diffoluerfi in quelle.^ tfsinan 'tipirr.sniceiiwrpuete;TisrtryM^ditrrare
tfcrfofia del- la fuapi^opriet,ij^ della diurna pijt.e.non dalla cal^t/^x.fred
^ ded^pn,ouairimnkils'^dfli^lef,'chr mandi furi nrtt^pf cur- ni,' Qpe bmi,opev
q fi>migli^nfUitfke hfhbi con.la natura del fer ro,o pericoxpi vacui, che babbi
dcntro:ma che babbi per fua com- pie fsione , erme lapi\^rd {'che
brldcvinpiffsione dttrahtr /xj fua virt . Ma ilmio parere, che la calamita Ita una mifiura di pietra,e
ftrm^tnike fi diet/ii\na pietra dferro,& vn ferro di pie tra . Ma ntfn
portes che te 'tmagmaff&tbe la pietra fuffe tanto con- turfa in-ferrOiOhO
habbi'ptfdmt* lafuanatnra,ni il ferro, ifitr tan- to inmerfo neUn-pietra,cbe
noti difendi l'effentia fua , anzi mentre il ferro certa fuperar la pitra, e la
pietra il ferro, ue viene quel ti- rar dei ferro.ln quellamaffavi ipt di pietra
che di ferro , e per itteiock tifiro non pengbi/uppditafo,7 angarit^ato dalla
pie- lka,defia ongtuiigmentio,4^ aiichia, de quello che un pu frl ,
'foffa'conl'agiuto de altri 7 utte le coft create diffendono l'tffer lo- n^Ln
"onde per fetuirfi di quella amica
parenela,e per ti$ perder la fua pcfrftVone , tira i J il ferro per ferga : ma
fpontaneamenie niferro fi conftrtfie.La calaqoito non tira i marmi, perche nen
h bifogno di marmi, perche et affai di
marma im tinel'fiu mmMV fe 9Ha calamita lira la calamita,mon la tiraper
lapUtraima perche 9i h dentro rinchinfo il ferre.Ci che dicciamofia fondata m
fM- . fii argomenti, e tfpertentu > che le miniere di calamtu fi franaci
dome fono ecne di ferro Q^fie cofe fono ferme da Galeruhe d taliici, e nafeano
tra confati della pietra marmo,edelfrro,e fi ir*^ tronano eidamite,fteUa f m fi
trana piu pietra che ferro,4f edera im cui piu ferro f he pietra. lu Germania
fi cane calamita, dalia fualn fi, coma buon ferro , e la caUmiu mitre fi fra la
limatura di ferra^ ac^utfla maggior pirtA , ij abaudonato e di/preS^ta,ue perde
par, te, Riabbiamo Mfio,molte yplte nau fenx.sgTaudijfimopiaetrfiel>^ Camma
mia ^yn penOrdi ceiamita emendato fiicarbimieerdeu!fif% buttar fucrfmua fiamma
azura,folfi>rea,efyrrea,lafualfiHkiiU afirufetare, efierfi partita uehora
^uedafumnffu diurare,la pu^ i(a del ferro fje del folf , come color che rendono
il ferro iu cah> %e, onero quelle, che rode nel diffoUterc del ferro neUe
operatioui di alcbimia,e cofi he giudicato che'l'auma]di yua pietra egiiout
od.yualtrarCheaequfUlampdefimaforta, .
il boreale 5 c l auftrak c come
fi pofi- ' fino qqnorcer^ ri Gap , , . Ili . ^ u V.:. ^ s- harcat ckf bafit folofi^enrre il ^efo
dilla calamita, in tonfili refi ftgafi la calamita , eia barca fi pnga dentro
racijMe , thc'da fi fi fia se- ta impedimento alcuno ptfia muouerfi done lencle
, ufi lafiiata t^rfgamaila barca fe fermer, poi ihe il fino fi itintrunalt nS
fa dritto et Tettftrtone, e l'aufrale aW^n(To opp(fito,ntdifmo,ac- Itmodoudta
iti bilancia , come nella hfjda di rau ger . peuhe fitndb libera fi fi tr rt
uovi re da fi fi ffa,da f fUfJa fiydgtr il tCjmedefimo ifftuo, fi far attacata
ad >11 fi Wi fTe, Qhdjf da qn potremo oginimcnie ioncfcere Cllie Vrta
caUniira ^ petYctta l'afrra th dal veder la medi fima ci/a itafibuno
lapggicre,ptuhe quello, i he rinotm gerla nauicella Jnapin ftr ficitiinte ,e pm
Jpiditamente al fuo P> nto, e riircuatolo fi ftrmtr , far dt virt maggiore,
t piu tale- rofo , e quella chf piuldeboimentc,ecen taggicr pigri Z^a temer si
luogo fuo, ejpi^u riuolgindo s audr formando', vi dar chia- ra e manifefia pfon
che e'fii forza piu languida, ^ piu riniuzza- ta. Tqe pesftiino ancora tfierpiu
certi, per noi he quella che al pre- detto ponto cttiberdi aceoflarft ,e per
far il fuo ufficio muoue- r maggior barca , 0 maggior quantit , nonfiimanA fi ,
0 lenta- mente , ma ! ^editamente quello piu vtuace , ed> m.!ggtor v.tt fir
degno di efier filmato, fe bm fino pi
modi fiper qu fi ,p,C E F Bidccf tria
ImeC D haricgni ftZM i Juei feti tl mirdo, tifila futra ^ C D , fir rji tl
ftttikirnnCi t B l'cffiro ,JkA fjU(/lo anan- i(rri o^Nl mrauilgia i tbci
duefxtiHC V ghette ita una fila ' pietra , cerne hpuenda fra loro m ftrftu
parentado , tutte m- fteme haneano It'mkdafme ferzeimaforfuUf[to diuije rgnt
fua par te feparatammteh^l^ fue fofze dij^inte , n.jflto uutiarie t yarie tra
loro i pertpei G /iltipre fi Tclgrr aH\^uflro, e l'H alfitten- trione,^ cgnt
ptX^lohatfuoi foli e ft't.dtU fiptTZuacnw.tde rat cia/cnno nella fua barca ^ ti
fi ytfgetat-re all'ctfe, C G B ed merrif gio, ^ medi fitnc avere fi
H.Bi^tjiiptr m ptm pezt^^ eje ie fdttt lirymtai tnnt fiauauhfrtma t^uejla vi-
itdenl difCordia fi ymrJi nueuo . fal/ift-uu^ue Cfufllo , ihc ferino dalCatdih o^che la taU mila tira di ue
kP la fitl^ pin/tHlt piu ^davna.pattt , eie datu'alira,ptribe tira fiiloida
vita fclajt fiahilpartet cio urne prmefiauanoncllam*^^^* ' ^ r iiH )i *4' 'x*' '
tiIiiftca jbjarc non efTer flabile^ nella calamita; ma \* c^micando iMV , i-.a 'I.P. 1/ . . ni-\ ' . ' i'^F * ' :.n >. i". 'V i3 t -r * ' JW Bi pietra JlMCF* U
ctUti^ei^^ difame fer H men pi^jt Ct & fia Umedefima cerne habbtem9
deaUlmed feigre^ ^e\la ifun^ifiad&tgfiik -^irtOikufmal difceerfidal
palg,^eo la pietra fi fera per)jt C^'itneitidfvud sporte 'J# rt> , iahra
n>Cf,,fi /partiratmo /^mt^faitea cba
tafuaforza,n*rfikrpiuaela itMea Dt otteraa ^C rtflmat- rine eftremo , ma parvra
per di chfiun pietra fe neiett nella pietra'^
]B , far G H , Mita BC F far F L
, Ttct fenzfgraamnattiglhLnpnfi padfarjt , eJffrvnpfiv^iLf^^animalf che makje
fie(ja'neUa ptetra fMsnmataJ1erc1fiptrclvitekmem Mia ifuefia^trleiak;cbe
credere kpsffikmdt filale XkceM nella minen e fi dtfcdenfla Unta
dajl^S^tiitrioHe all^Mfra,ccfi fpariendo |/tf piettra in mhle partii iofi
Quella fona molttplicam dofi in
mfei}Mllep^rticellrt.tHciafcunadiqMtllefe\ncjlujieln^ korifcdtfe , L onde fe la
prU dtuidhrmo snUiSigf^ i^'e^queUe parti minime diuderemo,^ikt^f qneOe)^ fsnrt
fcempaj^nat ddl fud. cor.flc', fempre 'auend'ridacejnrtu fidi Jfender per '!a
Innghrzii > e pcfiidtralk mde^l^f^'-fio /i premer k/in ite la pjrrcraiin
mhutfiim arrrri^i/tua/qf'cf- lo , che e p:nmdr auleti ofbi che fe tutte
le'fkrti thfhabbidim diu fe , le rumtiremo
congicnrere , e le riporremo do /fonano primi ijgiufn Jole ne fiiot
ccitate l'rna co l aitrainJorntMdi peh e (fuefttfot^:til U.cbe MCcvfli l ferro
, tT all'lpre coft % ft eommicaHofiftfM forz. di tiMolj^erf al polo,e di tirare
ttrefi. 4a fe furila pictr UfuaU fiata
frt fiat fta maggi' dj fuetptli , non far mai , che ma maggior virt fta vtntada
vna minore , parlando fempre dtlle medefime pietre.percbe fuei peli alfa fua
proparttome nSban f M4/ niunagraadtzza^ reame efueff^Ci fona nfenfibih alla
gramdtl^ xa della pietra , cosi i impofstitle , ebe la uirt ,ft rtuolge nella^
forte contraria ^ \ V % / Che la calamita tira la calamita e z fca cio che la '
frte toreal d^a pii^i tira iaSifiarentemente quafi- etfjglia (arte de rallra,ma
vna dift'nta e determinata parte , fualfiuogfiaparte,cbe fe laccoBa, fcaeaa
dafecon -violenza. ma fucila 'parte ebe abbarrifce co vaa nataral
rrpugnanzx^ ^ ig come ctfa aliena CT
inimica ta fngge. La prrte boreale de l'vaa ' dira fe Vaufirale ifaltra.t e fcaccia , i7
abhoetfce h bi>'talt^ Tfft^a , e la pbrte ufirale de ryna,non f caccia t
fnggf'ijueu* . lnfhfiiM fHi.iifim^^ dtltchtniia,ffer ufomtjtlisnt kUei^rofifMiU. ej^r
ip'ahldefidirti,^^ battito di rlwir/1 interne, e* ftrfi vni putti fimili, per k
dijimi-^ U ttmraHet homno t ariii^c/f i^ cipra rnaJt^ orfjh altrprtie' la
polli, di UnonoCaccofierai, e iftuBa che
i ri^ maft,c6rrerd alia talavbt'a.e c^i farai antntr e tutta intitra lafpartl
rtiy^ far Vtfk'fp^arineramgtia,fifand accoftefa'i la ealamiLa' br iV^f,
ibejifyediinHi' eli aeidimmiit^tmi ^armii,Crme/epa^ 51V . gg l p'- * ^ Di.G^.Batt. maggiori pezzi
, a di MiKtci 9 di fMomnti fidiffonde di qnanta rMggm vnio fari la
caUwutSLt Ma fnefio non via/ciardt
raccordare, laccioche non tinganni in fai ( tjperteni(a. che tpezd* tattacch^ttc,
e t'accof'mo infime da ifuelt parte fttcbe fra hio,come babhtamo dtCto,e non
conte contrarie per- che nelle partoappoHe foni non Commnmca le fnevirtndi con
lahrOi tna occorrendtgh incontra vna partei / inimica, e contraria, come
ambedue fnffero impedite , fi raffrenano , e affano da i loro offi- cif. Come
per rffempie , fe il ponto fettemriouale di vno , t'^cctfiLa con l'.AnHrale di
vaattra , vi bene come babbiamo dette^ ma non al centrar IO. per che la parte
Anftrale aU^nflrale,e la Boreale, aUa Be- eo0a*cfmecontrarie e difcordanti
fralerojnancano di virt, e dine SS z gene Digitized by Googit Di GIo.Batt.d
r.Lib.VII. i ' ^-'g1ip!za.Vi ^\icUa,cii 'ca^ci'aL zp, XilL *r f/* i P'>^ (t
tKtUc lofe che batbtimo a xhrr ^ pi,, fmo psf- V'*':' ivjLmjfgior.yi^tiihpjru
diUu'cahmtt' fVti./Ail/uoc^ff'UO fti pia c jWi*4 > e'k'&Z^js'ri*
dKqtutUi.iht f\44^*4cii^tliu dHlapnrie co Y^irts^ ttlqpmra, prfcfyf;, fe la
pMti ^ttfiraledf Ha pietra rcctfhrr J Xlll'l.'^'t It qmalrnoi
haUiiamo'raccantate della Js^Ss*^g*glirA per fpontanea y>fdpt.t fi parit d -
queJln^ In Jcmtr.j quel ponto ihe tirar
' r . ' ; ^ * t f fMimi ogni
merau^tiM ,dhenaufi pud l'hjm* ' S M f fce ha/i,che quella forza di tirare, e
dim {cfttre,wtm bafig cm mmt eof impedirfi, no tpponSi) , ir#- .yU- r Di Go.Bitt.dcJI Por .Lib.VIL 515'
mtidcciauano vttijioni t grandijjime
morti i e quanto la cala - mita tra di maggior perfezione , tanto pi i peli s'
inalzauano pi in alto^t quanto pi lentamente fi moutua la manoytanto pi
effereito terrefire eaminauapi paffo^^
accofan do poi, vna - pietra con f altra,tanto pi s'aeeofauano i combattenti, e
fi rne~ jcolauano infieme,e cosi poi le corna t'accofauano,^ i /quadro- -, tei,
che dimorauano apparenza di battaglia, bor cedeuano die tro , bor ifingeuano innanzi bor mojirauano vincere , * bof di efir Vinti,
bor drizzauano le picche, bor i'incbinauano cornea pi t e meno s'aeeofauano le
eaamite,e maggiormente entraua no nel
cerchio della loro attiuit . Ma quefia
di maggior me- . rau^ia,cbe quella apparenza , che fi mojira s vna
tauola pia- nafi pu mojirar pendente tn aria , che par vna battaglia di an-
tipodi, che diftendendo vna carta m alio, tanoletta fottile , mo- utndo le
calamite foura , la carta , mofireranno di fiotto quello ifiefjbyt fie colui
che ejfiercitar quefh m; Riero far ingegniofio , potr far queRe,e maggior cofi.La mtdefima
apparenza pu mo~ Jlrarfi in vn bacii pieno tf acqua , e che babbi le nauette di
fiouero Itggierijfima con li aghi infilzati, e mouendo la calamita fiotto il
vafio,cbe non min htllo,t merauigliofio
. ma ponendoui alcune^ ballotte di fiouero infiliate permezo con aghi che
Ri'eno perpendi- colari all'acqua tocchi dalla parte Settentrionale, "
AuJiralt-j, volgendo le parti della pietra di fiotto la tauola contrarte ; fie
vol- gono le ballotte fiottofiopra, che fa vn merauigliofio vederti. Il (ito fa
variar le contrarie virt della pietra . Gap. XVIII. ; far fienxA merauigliet,e ragione, che il
fitto facci dimoRrare la contraria forga > fra quante'cofiz^ babbiam detto
di /opra di merauiglia , perche la^ pietra fard vna operatione tenendola di
/opra , * altra tenendola ai fiott , perche fie tu accomoderai bilancia, come
Jbura vna barcbetta,e It porrai la pie- tra di fioura} la tira, e
fafcaecia,come difiopra babbiam detto, ma ccofiandoui la pietra di fiotto ,far
contraria operation,tercbe quella parte che tiraua di /opra, di fiotto
ficaseia,e tirer a je queir 7t la - Dgitizef by Google 314 D iJi moto per^mOy e
di far refar il ferro pendente mi* f aria,quandofipotefe di tutte le pietre
eonojeanoa miftera a pefo le toro wrt
dal centro alla eirconfirenza.fi feo. Porr-
gafi vn PtX^ di calamita in vna bitaneiay nell' altra pongqft al- cun
pejo pari di qualfuogUa altra eofoyebe Jtienogiu fe in equi- librio fpot bi
fogna accomodar vep ferro, eb* giaccia fura vna ta- ' uola , ee i'aecojti alla
bilaneia feeondo loro amieiiit parti
> a che perfettifimamente fileno attaccate infieme neH altra bilan- eia porrai arena poco
poco , ^/fi tanto che il ferro fi difiace^ dalla bilancia , poi nefando
quell arena , vdene a faperfi il pefo della frza , r valor della calamit . Si
potr anelmra accomo- dar fermo vn ferro nella bilancia, e por la calamita a
giacere iur terra . Da qua li fuopre vn
grandijfimo errar del Cujno-t it qual nel fefto libro delle Juoi
epereitationi>iee th vn ferro, ebo fiaecefiato alla calamita non gli
aggiongepej, ne grane, ne teg- gierotpercbe il pefo della calamita mila iateru
non gU aggiotom ge altrmnte pefo,. / Della vteendeoote attratcIone> e
fcacclamento del ferro>e della calamitai. Gap. XX. HOr fiamo gtontiaW altra parte
di quefio nofiro trattato, nel qual ragianaremo della ventuoU attrattione efeateia-y mento * I Digitized by Google DI
GIo.Batt.^eIIa Por. Lb. VIL tf miHt calamitOfi quali tffatti fono tosi
maniftfi::, sbe va nno communahosnte perle haeebe degli buomiiUyebe no _
^eij^uarejfnomo ebe non itfi^pi.V operai imi fon qmeiU^cbe fra'l ferro , a
iaaalameta et vna eoaeordia naturale ,
fimpatia cos bieotne per vna antica am ieiti a fojfero eongtonti infie- nu ne par ebegiamai fia Joditjatto del fuo
defiderio finche accejlatofi a lei, non
fi riof t cosi (vno fia innamorato dii ~ (aJtrat che f non panno accojlarfi
infiemt ,refiano pendenti nel l'aria*^ Onde affai ignoranummte narra -Alberta
a^Pederieo lptpsradore,ebe vn fuo compagno auea vna calamita cbe nott-^ iiraua
il ferro , ma che il ferro tir am U calamita , nonfapendo^ . . 21 a ' Della
Magia natofle * ebe fsmfn il pi leggiere corre aU'abbr acciamente del fue
pi graue^. L'interprete. * ^i ilbarbaro
Inglefe piglia vngrancbio,'cbe dice neiap'. '. del ftto primo libro , ebe tira
la calamita la miniera dei ferro y ebe l fal/o, chalena l arene fue al fuo
afpettOy vicinitiy e con la JkuJ- celata di ferro, le fa voltar la faccia. Che
non folo co*l tatto > ma ancora con la pr * . ' pn dapajfardeon ftento del grand^mo amor
chi ha la calamita co' l ferro, affai pi efficaee,e gagliar do', ebe hi la
calamita con refe fa calamita, e qWF~ (od pn dimodrare con factUffimo
e^erimento _ perche ponendo foura vna
tauoia pezzetti piceio di ealamita,e di ferri ebe feno di vn medefimo pefo , e
poi accoda^ ^eti a loro l calamita , quando ri verri al propio delF orbe del
i'atttittil ferro f abito eomineia a mouerd,e da f {iefojt parte corre a gli abbracciamenti della ealamtta e
tbe non faranno i ptgzi Digitized by Google DI GtoiBatt.TdUaTof.LiB.VIL 7 pefii
deit ealamita.DimoJraremo quejlo ton vna ma^ior efpt- rienx.. Tenga la calamita
abbracciato vn pezz.etto di calamita^ t poi accojartte vn ferro
allacalamita^cbe come la fotza delftr~ ropcruerr alla calamitafubto la calamita
abbandoner l'altra '^ealamita^e s' abbraccia co I fuo ferrose quando baur ne
fuoi ah* braceiamenti il ferro , non lo lafciar per qualunque auuicina- '
mentore toccamento di calamita da fuoi abbracciamenti . If cChe Ja calmita ripn
tira da o^i parte^ma da va I \ ' .determinato ponto. Gap. XXllI* veramente da imagmarfi che la calamita tiri ^
il fei^o da tutte le fece parthma da vn foiose deter^ minat ponfotcome
manifefaremo con molte effe- ' riittee } onde
da inueSdiwJicon o^ accuratezi^ ^ za.
InquefomodofodisJaraiatejfieJfo.Oueroat- accberai il ferro ad vnjilo
fu^efotouerofoura vn braccio del~ U bilancia , acci pofi fubito mouerfitc
correre al fuo confortio , sBbora
riuolgerai intorno intorno la calamita per ogni parte % tome vedrai^be'l ferro cominciar atnouerjit
a tremare t c cor- rere al fuo abbracciamento
c quello il ponto dell'
attrattione ^ a da quel ponto filparge i come dal fuo centro oda circonferenza^
tiraggi della fuavirtihondc. quanto pi il ferro jadontanard da iquel ponto
tanto pi languidamente e debolmente
mouerajp dentro quel ponto come nella
fua reggiti^ e fuo tbrono rifiede e
fi ripfa la fua virt, ; Che e la
medefinaa calamita 9 che da vna parte t .. tira, e dairaltra fcacci. Cap.XXlV
. *
\ A acci alcun non s'inganni non efiendo aduertito primaMimando che vna
pietra Jia queUa che tira, e t altra che fcatchqmefio dubio torremo con l'efpt
rienga.Dice Plinio, ebe il ferro tirato
dada cala- mitate con vn altra /eaeciato via.Et altroue, Vm monti Dlyi |iS Della
Migia otturale monte appreJJo la Etiopia genera la pietra T eamedetiquafcoa^
aia da Jet' ahborrifce il ferro . Ma Plinio non bauendofaputo che fujfe
Itfirjlayhi bruttamente errato Jiimando tbe fujjerodue pietre; che baueJJero
quefe due virt eontrarie% Per tjler i'ijitjfo tbe da vna parte per la
Jimtlitudine , e Empatia tiri a f il ferro liberalmente te dada contraria
oppofia parte pitela d.migUan~ tue . e per la vicendtuoi difeordta delie cofe^
ouego antipatia lau feaccit " abborrifca. e di quefio ti potrai fodtsf are
con quejla^ eIperienza.Perebe ponendo vn ferro in equtlibrio,cbtfaJlato ti-
g;ato da vna parte di calamita ^tt^ando rtwjgerai P altra f ubilo il ferro
fugge e fi ricouera nella contraria parte in quel ^ponto ebtrario che Jia al
primo oppojio per linea.drittanel enezo . Ma bifogna ricordarji di quello, cbe
il ferro,cbe flato prima tirato da/r
altra parte della calamita, onero Jia dentro per vn poco ^a- tio della fua
attiuitfubito aequifla quella virtkcbe effendo ti- rato da vna partexdaU altra fcaeeiato abborrito.QueJle de- ferenze di
attrazioni le conafterai pi ebiaramente per f e Jfe- rienze,ebe feguono. Come
vn ferro faltifoura voa taoola ,fenzayi^ ^ der chi lo rnaoiia. ' Gap. XXV , . ^ ^imp9lfWmA queJla torrifpondenza, o
contrariet M pietra 9 io non poche volte bo allegrato ^li amici miei een O tm non giocondo fpettaeolo , perche buttato
vnj* la tauola , non mouendo alcuna pietra Vijbilmentefi vedr riuolgerji infe
leffo, e fallar per fe fiejfotti cbe non fi pu mirar fenza gran merautglia,ejlu-
p(>r diciafcbeduno ^efia fpp'arenaa far/ff iu mefto modo Spezzi/t vn agi per mezo,di cui la mett fi
butufoura vna tauo- la,ma prima o/ogna cbe la bafe della punta Jia ben fregata
alla contraria parte della calamita poi
porrai la mano folto la tauo- la^" ir quel luogo doue giace la bafe deli
ago aceo fiala calamt- ta perche fubito lago /innalzer fritta , non ftnza
merauglia gl riguardanti camtnari prr^
la tauola ^ andr feguitando il moio deUb
mano di coiui,ebe la mucue^ Come baurS^oei eamina- to vn poco ftAito
riuoigendi^ la Contraria parte della calamita
D Gioiptit .ideila Poi^. Llb.V II . 1 1 J prrai fitto fogo ,
v/uhito bor con la bafiy coma vi
piacerif" bor da quella parte, ebe prima era in alto , volgen-
gofagitcaminar,^ bor da quella parte doue caminaua, fiori dritta in alto. Pojfiamo
, r con non minor mcrauigtia mofirar a gli amici la mede firn a apparenza
^perche fi fonerete due parti di Meo fum etna tauofi earta,de quali nna babbi toccato la par- fa AufralctC t
altra Borrealcl^ accommoaremo te pietre > tbe ivna eamini cm labcfe, ePaltra
conia cima mouendo con lefue mani la
barca , andr quelle lettore che pofiono
mo- firar la rilpofa, perche colui che b la calamita in mano fotto la
tauola drii^er la barchetta doue vuole t
e coti aggiugnendo le lettere infieme, li dar la rifpofia, Ouero farai vn
figlmolino di feria dentro vna carrafa, eoe fi volga intorno intorno nell'ago,
e fi fcriua intorno la carrafa vn alfimeto, che riuolgeniofi intorno pofia
dargli refpofia . Ma noi non babbi amo dato poca maraui- gita agli amiti ,
quando babbiamo fatto vedere vna carta cbcjt t'alza in alto,e cala gi da fe
fiefia perche babbiamo incollato vn pezzetto dt ferro dietro la carta, e l'
babbiamo dato d gli amiciin mano, che P approjfimajfero al muro , ma da dietro
vn paggio ba- nca vn pezzo dt calamita , e colmi laftiando accoiata la carta d
quello tncontro,nonfimoucua pi, e comandando f amico,cbe non afeendefie in alto
pi di tre piedi, il paggio intendendo qutOo,cbc dimandaua t amico,moucndolal
moto la eaamttaja crta j'alza- ma al moto,andando d quel luogo comandato, cosi
di fotto, ccmt^ peri lati, che d coloro^bc nonne fapeuano la cagione l'ira
eofa^ merauigliofa. Ma quejfo fi ben
pieno Sogpi merauiglia , fit_> mouendo co la calamita per la lamia
della camera di legncfirafi y finendo apprefioJa carta, fi vtdcua la carta
pendente ntU'ancu (. 7'- l V u % foura Digitized by Google ^14 Della Magia
naturale foura U tejls, ilcbe non era buomo ebe lo vtdtjje che non ne rt^ fiaje meraui^ltato: e nonio
giuicajfe fatto per afte di demoni. La calamita non maone il ferro foara vna
ladi- na di ferro. Gap. XXXI. detto la forxa deUa calamita non poter fi
impedire per nuda cofa,ebe fe le attrauerji, ondc^ H ponendqfi vn ago foura vna
lamina d ferrose mo- ^ uerai la calamita di foura, d di fotto,manca i vir- ^ tu,
e la calamita non potr ejfercitar le fue virt- di, ne Vi ftniCA cagione.percbe i cofa conueneuole, che
fe vn fer- ro fi t fura vn' altro ferro fono vna coja msdeRma , e quella b
ragion h jiarte,cb' batte il tutto , (*r rfiendo la lanoinai e le lima- , ture
del ferro di maggior pefd, che pojfano mouerji dalla fort^ul, * della calamita,
refia immobile. La onde fi l' barena di ferro ,
d ealamita iiar giacente fowra la calamita , e la calamita far
mojfadalla mano fattoci' arena non fi mouer di qu\,nc di li, mn refier
immobile. nt fe il ferroyouero la calamita fiar foura vnu tamia di ferro
yaccofiandoui la ealamita al fuo contatto , ma rt- fi iranno come addormentati,
e prit di ogni forza , .dt natura
Anzioppolo alla calamita vn ferro filano , fe dalP altra parto _ va
ferro fiar in equilibrio , non fi mouer , ne fi moueri al fun occorfo , come fe
tutta'lavri della ealamita fujfe impedita dal- liabbracciamento di quello .
Lmretio dice qufio non auuenir per /intermedio del ferro, ma del rame ,
Hebefitmo bauerlo ferittn ftk tofo per vdtta,ebe per vifia: a intende quel ebf
egli ferttu Moocr h rifto i /motracet ferri E ne va( di rame andar vagando
Limature di ferro, perche hauea La man di forco con la calamita y Cos gran
voglia haucr fuggir da quelte Pietra, e quella difcordiacagioaar& ' Per la
frapolla aru. 'V 11 l!t Digitized by Googl / Di Gio.latt. della Por .LibiVlI. '
^^*37 Il {ito mata la forza del ferro. qtffSLxm. ' f Vecbe foto ta ctUamita
operaua^ il mede fimo opra^ r il ferro tocco dalia calamita. Dieemmotcbe /a_
reale. Ma dalla pa te di fiotto accodando la calamita cambiane ' do natura ^tte
Ila che prima tirauaficacciaje queltcbt prima fiae^ ciana , la tirava ifie. Il mede fimo dicemmo
del ferro tocco daB calamita, perebe il ferro nella buffala del navigare quella parto - della eaamita che tirale
ficeUcta dalla parte difiourayaccojiando la di fiotto quella ebt prima tirava
ficaceiat e la/aeeiatatiraycbe dentro le
fine mirabili propriet non mi parato di
laficiare dietro. Il fito fiolo fa le
^erationi tanto contrarie. Da onde con mien congttturarcycbe fi come la
calamita b il ptlo artico,^ an. tartico, convenevolmente bifiogno%cbe babbi la parte QrientaUyO
Oecidentaleye la parte fiupertoreye l' inferiore co' l cielo y e douL^ dalla
parte fuperiore la parte Boreale ,e F inferiore tirava la par te Aufirale del ferroy& inferiore , bor
mutato fito la parte Jupe*. ,riore della pietra tirava l'inferiore del ferro e
eofia molto ragio .ueuole. 11 ferro fregato al ponto Settentrionale della
calamita fe volta all Auftro, c quel fregato ali Auftrale al Borea. Gap. XXXi
li. /eta,^^ vo'^er atrAuRro , eU parte oppejtm dei ferro al Settentrione , ne
ft pu donar vna virt fenica l'al- tra , eosi toeeando la parte Aufirale deBa
pietra il ferro firiuolge al Settentrione , / la eoniraria ali Aulir , laonde
fempre quelkt parte taeta dal ferro,rittue la contraria virt della calamita^*
Ma in quello preparamento eUe buffale ^ fi fosliono vfar alcuno oauUk accio
fucetdano bene y prima cbefia il ferro proportionato aBa calamita , che fi
cercherai preparar vn ferro grande con vn foco di calamita nonfuccedcr bene *
ma eoe la calamita hapbkt virt proportionata,cbe fia maggior del ferro f Il
ferro tocco dalla caiainict pu dar forza ad fn altro ferro. Gap. XXXI V* L
ferro tocco dotta calamifa,da futi toteamento ti- ceno la mcdejma virt detta
calamita , ebe quafi 1 MJ diuicn
fifleffo nel tirare yo dffcacciar e y e di riuol- lafciando libero il ferro
fiajre- gaio alia parte Aufrale della
pietra y da fe ftt^ fi rt* gira al Settentrione' e fi tu Icmofircrai la medefima parto
Aujlralefbitofe riuolge all' Aufiro ma
fc con peci ferro tocco toccherai vn* altro ferroy fi riuolger att'Aufroyg
dtmofirando- gl* poi il medtfimo ponto con ebe lo Hccafii , fi riuolge al
Settem- . trione . Ne foUmente quella virt p^ae f trafmetU nel ferreo
ficondo^main vn'altroyfp vn' altro , fecondo la proportione dello forza della
calamha,perchefifard di virt gagliarda, pafi infi. KO airottauoa decimo ferro.
Etaneorfinza toccare fi timedtfi- tno affato, ehi fi anioni apprefi al ferro
prende la fot fa dal fer- ro ^ome fi toce aio fuffe e motra le parti del mondo e quefio con tnmoa pt gaghardet^afecodo la
gagliardezza della calamita La virt riceuota In vn ferro. fuantta da vna ca
lamitadivirtpiugagliarda.Cap.XXXy. V efto mi
ancor parato auuertirui , quella forza rctUufA nel ferro non vorrei che
v imaginajlc che fufiefiabiltyO ~
perpetua p a- Digitized by Google / Della Magia naturale ^erptsaa , ma da vn
altra pi gagliarda tjftrnt J^gUatOi * w- ^irji di qutfia nuouat eomt per
effempio^vn ferro tocco dalla par^ te
Settentrionale di vna ealamita debhole^ela medejima pariti sfregherai con vna
parte Aufirale di vna calamita pi gaghar- da^fuanifceycji rintux,z.a quella
prima virtebe baueadt rimi- gerfi all' AuRrOtma pigliarli l'AuRraie , m per
fore:^Ji volgi r al Settentrione . Ma fe le firze delle calamite /erann e
eguali etoi bilanciate ttome babbiam detto la virt s'tmbnaea . e t'ojfk- fca di
modo,cbe noa rieeue ne l'vna,e l altra, ebe t.on bauta nt f vna^e f altra . '3Come
H confca nella calamita il ponto Ao- ftrale> Settentrionale* Gap. XXXVI.
Itagli altri modi e con quelli frt^tri quella fahciita di ferro i e cosi
allbpra pigliard 'Oirt it driz- zar fi i
poli. Ma quefio ti rieordofi berte,ebefe tu defiderebt / ferro fi volga al
Settentrionet dafregarfi quella parte
del ferro Aufirale , ma fe vorrai ebe fi volga aB'Au^ro frega la parte Se^
tentrionale,perebe come lo la/iarai andar libero nellequikbriOg futto fi volger
alle predette parte del eie lo , o-antii , in quefo tempo ebiarifjimamentt e fenza falfi^ alcuna ti imojirerle urtj^em
parti del eielo- De vari] v(t deile baffolc dananieare ' Gap. X&XVUl. I Qn
Jlamento mofirari poli del eielo neU'vfo
dtlbt - * " nauigationo $i muta quella laneima di ferro dom tre la
buffoloyOts amorpar infiniti altri ufi,* f***. tutHfno manifeMi^^i , e
eontfiiuH da ciqfrm ^ no,mammfegnaromoaleiatpiprinttp(^- Af* fcJjMtamtutf rrerorlvfik dalla enlttmkaa deHt ancieUe
dferrtt^ nt^i borologgi adombra, portbt dome Ji ferma dimqfra latin tua d fifa
in terradal Borea aWAufroJa omdmell' ombre fbCa. cadono poi dal fhl* fi
contftono f bore delgiorito.'Si ftruono an^ cord de fmlla laneietta calamitata
t pereonofmre iemktierrdi mrtallK perche efiendeedentro gli antri delle
minefotterranre qf fruando doue quei ferro fi ferma comfeono il dritto dmeva la
minierSffle vene de' metalli: okro acci
a quelli ebepiglino i^ piante delle eefe,d*Ut citt ang^i di prouineie
gii porgo grand^, mo aiato,tmtre fi pigliano gli angoli deltep^tionf,e daUmtor-
fecatioH,e di l, fi traiferifeono nellaearta. Ci no fintiamo d pi in eandur F
acque negli acfmdottirqmali fi eanano,inhufaa\ oli antria tonar rmrtt,ne quali
pomudo polteerr i manti i iu.^>
barioelti i artigUaria, e por cmmfi tutti i ^rMh fanno bati^atr per l'aria le
forUzze dalie fundameerUhrupia muraglie ingr-.^ tmfijfimamtute, mqfirmde
difetto il aamiuo eon^a kufioia . . alfa DI GIo;Bjtttdella Fon 33 t - natte poi
cclpjjcs^ ^iggifbr'm^gittmtfrfJiUno ttio merauigii^g^^ a moi~ dHjfttnthkt /w^
il roftontrgli. 'Ctte fi polfe mticftiger la lunghezza dI mua- 4
Ciii'aitttodcJlacalamita, Qp.XXXlX^ ^ di raccontare fi a gli principali/Pmi ^
VI 9^ ^ foterfi tonofcert.^ j* dei mondo > che a far cofa tou gran- w moUt
dottiffimi ingegni, ojftruato da nofiri lgo t^po fi fa pilta delfino
deliaTfiefiaia fregata aUa calamita noi firmirj fimbm ~ ^A dcdirar verfo
'Qriente per rLe i>*firrbarfimpre quei fito m iutu t paeji del mando, ma
impari/, e dnicrfi luoghi dtmofira va- tHtffi deihnatiimi^tna.queJioerrortfigut
tal ordine ,cbf guanto piu fi vi apprafiando aif'Skiea^, ttuaio pi v/ declinane
Oriente , # quanto pomndrai pi accofiandot Mi Occidente., tanto t andra
aceojianiofm verfib l' Occidente la diunta delfirro^pccttitrouando Ja
Jima^aridiana xcme in- figliano olommx&A(M^ (atmetni,&wjqaiela
innaizareeiti^ 4iil0y^aQcbe^.(a^eBd^ d$ farro foura f vmbxlicoa In luiigaifi
doue vide g wde cho in Ita Ita la punta della lar.cietta deelmar dalla linea
Meridia- naber nouegraat verfo Oriente,di quei gradi, che la quarta di- T/fn * defiritto in quelli boro ioggt ombratili, chef portar, o da Gei mania
. Si firtue,e fi nar- if peregrinato il mondo Meridiana , Hanno offiruato
ancora i nauiganti verfi fi ndio (^eidentah , che ianaetta det ferro inchinare
verfo Occidente. quejfi fundamentiper vcri,ccme fono,ni ugeuolmente potremo
cor.qfctre ia lungbtgza dei mondo, per th > Jifacemo yna buffata da nauigare
di fmtf orata grandeicza,d' in- torno a dieci piedi di diametro, e poi dtufatt
ano lUa ebio'i dotar- * A. flf a fi0 in tft
Della Magia iittarale ^ fio in pi fottiU'psrti digradi, f diminuthe c
sminalo poi etP] fo reUtnottiaUoJfcrMftmo m fotttimmtt tutti tmommtnU
^dclUiontitttn , ^ ^uonfx/ onero al contrari ^oipre 4 ^ . mnooooo alle parti
ccprrark ^ / Cap. XLI^ t 1, I T Raparti
dejira U tircQn4trai * li^puttHL^ \ lanttta fi moueri ^Ss pittrtijtnifirm t nm^
j m*ndo lahufi^mUaparteJmifirAtilferro f^itomcr in dietro sSm deir , g tanto s
aSontanartinfin fbe tf>uea tifilo di is t chi fr tri duo ponti. Il mtdefimo attuhrri m
qutOo bori- ' loggrrrad onrtnea ifc ftrmandofi futUo, t portando la calamita-
intomo I percbt ti inckimrai sBa dcfira^tl ferro Jeguir. la mede- Jima parte
aUafinifirailmcdtfimo . Da ^ua fi manifta ilferr^fUftkb^fU^dfil^ tktOo dmlfolo
S ette ntion ale , percbt- coloro' cSe eammano mrf 1K)f]hnte ^fieooUa ad'
Oriente , efi al contrario poi alTOedentefi mneri fempre ncbinandoji al me~
dtfimo ponto del cjclo>efie la calamite^ fi^^^r mtof*o , oppofitt parti
dclforroiperebe tutte due fon firmh boreali, e nectf- JoriOtcbe
fcambicttAmentefi fieggano-,e perche fon libere,r vtta fi jCoiTtpagnark da f
ohr^.Angi mentre faranno cefi pendentif fic le oppar ai fix parte auihraledi vn
altra calamita fiuhito fuggo- no,c ctfifi sformeranno dilungarfi, th alle coite
auMten che fidi- jeatsmo dalia caUmtta ^ cio f cacciate da vn
inuifibiljjpiriio. V . ' Della Magia naturale * - - - - - ' Efittldi daoaghi attaccati due calamite- Gap. XXXXIV. . - t A fi dM&
aghi atta* tati a dm eafamtt iiffirtntifh J loro code fortiranno dtjfirtni
tfittj^cbe fra lo- ro fi fiattiar annone quando aetojfartit U rtt tak cirm#
fvno fiaceiari # abborrfr t altra tomo^
contrari firrhma fi faranno amriema che fi too*- 'rbmo alfhora vincer la vtrt
delta eakiniiia pinpoientc^trebo tirata per forza a fi lfcier l'ago la piena di
wrt itbbole C
namofu$unU~afarrtfpnx^aUa^kgagUmda, . _ _ l CJ^ ia ftccrt delfarpchc tira per
la dioerilt del tofcacci il ferro. Gap. XLV*
V !r.; ,.S tMV i .... ^ \*9l^JF E L LO ebt hakbiamo detta itila fiU
af^ttm diremoanektradrifirrotoeeadailaealamitayptrit tbtfe noi Porremo vn ago
fotta dalla oalankta im wi mmsftHaitkoMmkneU' atqmOffo^refa in^ _* tm
JUo^rpeJla m eqmltbTo,t la pone mo /oprava ferro tocco dalla calamita tirraremo
qmllo^t quella. medefima:* parte tcbe tir ri ferro di fourfi io porrai
di/ttoJofiaenor a quella parte f ebcM fouralot^taettaua, da fitok ttreri afi^
dome ida notatati pereagmt delfito t formo fra loroeofr ^aric.' ' - Il ferro tocco da vn parte della calamita
ooa riceoe feinpre la forza da Tviia , e laltra ^ parte. Gap. X L V SE il ferro
fari toeo dalla ealarnta iavna parti detrifireni^ tixda quella parti rietut
laJbrKatt utW altre Digitized by Google DI GIo.Batt. della Por. Llb.VII. lo
contrario ytna quejlo nonjibida intendere aJlolutarmnU > ma in quel ferro,
che fari di proportionata /on^bezs;a, perche fe far vn poco pi del douer lungo
, la forza non giongc tnjin all'altro ejlremo. Mafe vogliamo fapere quelavirt
^anto gtonge, d fapere infn doue giongc il cerchio delia fua attiuit,come
babbia mo detto, laonde Je quello orbe de raggi far lgo vn piede .pir vn piede
imprime fila virt in quel ferro,delcbe fe tu vorrai veder- ne efper lenza. Sia
tocco dalia calamitavn ferro lunghetto di tre piedi da vnapartefe dallaltra
parte toccherai vn ferro, il ferro tocco nonj mouer dal fuo luogbo, ma fe lo toccherai
fra vn pie- de, ouero duo,ciofn tanto chela conofcuta virt dell'orbe del-
Jattiuit toccberd,e toccaremo il ferrofubto fari r^ito,e f mo- uer.i^uertendo
che fempre chef vogliono far quefte efperienze hifogna trouar aghi non tocchi
ancbora,e cqf truoui ferri, e nuo- ui borologgiypercbe fi i primi ferri bar
anno feruite peraltro voi- tefoprauenendo nuoue faccio,^ s imbriaca il ferro,
emofira varjf effetti, e pi non obedtfce , e di qu auuiene,cbe alcuno che far
ejberienza di quefi efftti,e non hi fempre nuoui ferri, referi Ipefio
ingannato,e Jimari , che noi non babbiamo fcritto ilvero. Il ferro tocco nel
mezo dalla calamita , la virt fi diffonder per gli dui eftremi. Gap.- XLVII.
.,: . .. vnpoco pi lungo del douer e , e quello toccar imo nel mezo con la calaenita,la
vir- S tdellacalamitafidiffnderiagUefircmi,maofc K ^ JU ^ laonde non faprai, qual fla delle due che
tiri, mafie vnpoco rimojfa dal mezo fari tocco, quella eiiremiti , che fari pi
vicina alla parte tocca , riceueri la forza fettentrionale ouer aufirale\, ma
fe toccando nel mez- zo il ferro fari brene,cbe la virt della calamita
diff'enderi e non torto , mafe notformaremo lofi- lo in forma di anelo,e la
parte oppofia alle commijfure , freghe^ rai alla calamitale dop fregata lo
difenderai dritto, le efrimitz ricetteranno le medefime virt, o ftttentrionalei
o firalr. M a poco a poco quella virt perdendofi poco dop diuenta f tten-^
trioHxle,e V altra auflrale, o riceuet a pi della ricuuta^ virt i e fotfe
douepi lungo dal ponto hard toccato. Mafifara foPftfa in aria la catena di
Onerili di ferri di qucili perche vn anello toc eato da vna parte della
calamita > riccutra la forza nella parte^ oppofia, potremo mofirar nell'aria
vna catena di anelli $ come di pietre. Laonditerjaranm accomodate four,a vna tauoia
per or dine, che rcamhieuolmenefitocebinofehen fra loro- non vi fia ninno Ugame
acefandoui la calanuta nonjuiofar tirato il pri moma il fecondate terzo, che fi
veiidpenere vna catena dianei i.Nefolamente fe la calamita tocchir il primo,li
rejai.tifcguo no, mafe la calamita fi far appropinquata fenza toccar lo far tl
medefimo ejftto ^ ^ Vna la mina di ferro tocca nel mezo diffonde la fua virt ne
gli eftremi . Cap. XLVIV. VELLO che babbiamo detto del ferro lunghetto , il me
defimo da dirfi nella lamina , perche fe
la toc chetai nel mezo con la calamita , come dai centro alla circonferenza i
raggi delSole , o fi diffondono quelli della candela , coji fi diffondono a gli
tPire- nii del Di Gio.Batt.della Por. Lib.VIL 539 midflp onto quella virt , ma
Ji totcberemo vna balla di ferro , pereji fer languida quella virtUs^^ntrno al
toccamento aleuti^ fenttrehbe la virtfparfa nellafuperjieieim languida f e
debbo le nelf eRremit . La limatura deli
ferro come rlceue la Tua virt Gap.
L noi porremo la limatura di ferro
dentro vn car- toco di earta,eome lo fogliono formar e\i fyeeiari in S vn cono%
e li aetojlartmo la calamita vicino , tutta i injicme la limatura rictuer la
medejima virt t e tirer vn lungo ferro, e li da't forza come fujje vn ferro
wtiero,mafe mouerai la limaturate l'andai mifcbtando . e di nuouo la porrai in
quel cartoceiotla forza gi confufatt
diiher .fa fra loro, e non oprar pi, come fe il toccamento fuJSe fatto dal- la
dtfcordar.za di molti acini di ferro. Il medefmo effetto faremo co'l cartoccio
pieno di arena di procidajucida ( cbe Jtimo che Jta fpecie di ferro.) S vero
che la virt della calamita fi pofia-im- pedirdaUaglio. Gap. Li. * . ^
2^^%0Ap%^paJJamo atrattar delle altre propriet della Ss* calamita, e
primieramente fe la calamita pu tjfe- re impedita da alcunacofa t cbe non tiri.
Scriue Plutarco tjftre grandiffma difeordia tra la cala' SsllA. mita,e l"
aglio, la qual difeordia chiamano i Greci antipatia , e tanto l'odio grande fra queRe cofe inanimate , ^
inftrfate, che fe la calamita far fregata con i aglio, faccia da te li ferro.
Plutarco nelle quejiioni nauali . li niidjiwo confi rma Tolomeo nel Quid
pripartito. la calamita non fra il ferro >J fa ri fregatacon l'aglio, come
l'atnbra.ouer fuccino non tu a h paglia, ne cofx alcuna leggierijfmafe prima f
aranno tocche c..i!r.-gti. E cofa affai diuoigata fra nautgahU,cbt gli i:gi;,
0.V0 flati molti, e ^ attrtfttrt lavir' Digitized by Google n. V filili. Di
Gi.Batt.delIaPor.Lb.VII. 541 eocbe bauendo ac (lunata virt pi gagliarda^fujfe fiata
vttle i grandtjfmi vj. Alejj andr Afrodifto nel principio dtfuoi Prob/e *ni
ricerca perche cagione qlla pietra chiamata calamita,tira fola *ftte il ferro,!
fi nodrifce dihmatara di ferro o veramete
gioua to,come J deejfeja calamita tira ilferro^pcbe di quello fi
nodrtfce eia crfa quantopi fi nodrifce, tanto pi diuenta vigorofa,eper parfi
nelle limatnre di ferro , acciocbe pi valorofadi uentt. Ma t volendo efp;ri
jnntar queflo,pigliaivn pezzetto di calamita, e lo pef ai molto efattamente, e
quello fepely in vn cumolo di lima tura d ferro di pefo efattamente pur
comfciuto, lafctato ve la per molti
mefi, ritrouai poi che la pietra mi pareua di rnagior pe- fo,ela limatura di
poco pefo mancata, ma la differeza era fi poca, * minima,cbe ancbora jl
indubbio della verit, per efier fiata la calamita di gran pefo, e la
limatura,cbe poi pefandola nella libra non faceuajerfibii
inclinatione.Paracelfo fi sforz difarquefio in altro modo,cbefpea molto ben
l'arte del dtfillare , perche^ dice. Se alcun pigliar vn pezzo di calamita,e l
infocar al foco, * efhngueri pi volte tu
olio di ferro,cbe ripigliar la fua for- ta a poco a poco>e Vtnir poi a
vrefcer tanto,cbe bafii a cauarfuo ri vn chiodo , cbefujfe fifio nel muro , la
qual cofa quadrandomi tno ho, l infocai " efiintt nelf olio del ferro, e
conobbi che non fal non accrebbe diforza,ma bauer perduta quella virt, che
primo bauea,e dubitando poi, che forf non bauejfi ben efperimentato il parer
fuo,ne fetipi volte l'efperienza,e conobbi la falfit efpref- fa,e non da
douerfifiriuere , perche la calamita quando s' infoca perde la fua virtU,come
diremo quiupprefi. imita perd" fue
forze . ;ap. L roaatoqui cr itti da n di carb fubito f erro, e i cari dalfi y /
re di tanti che fo- i, che coprendola fi, e di venendo ella a, e fi vede f
anima di ,lfo,cbe fi parte da lei, uando quel vapore , .a tutta la fua forza ,
^ io bo Digitized by Google 34>> DelIaMaglaoataralc' to ho fempr e
filmato che qutU' anima fia la cagione ^cVella tira/- feiljtrro perche il ferro
coila di folfo imperjetto , come dice Ge- ro, e gli altri alcbtmifti,
cbefcrijfero dimetallUe tjfer la cagiont perche la calamita cefi rapidamente
corra al ferro , e defia con^ tanto femore frurlo,e fpirato poi quel
vapore^refia nuda^ efpo- gliato poi d ogni forza di tirare , e come vna volta b
perduta quella virt diuien vn eadauero di ealamitat ^ in van fi fatica di
farglepi tirare ferro. Ma come pojfa rieorji quell anima in_ vn altra pietroto
gioia e di molte pezzi animarne vn fole accio- che iui con pi gagliardezza
perche i fecreti di grandiffima im- portanza ne tratteremo nella vofira
Taumologia . , ' Come il ferro tocco dalla calamita polTa perde' re le Tue
forze. Gap. L V. ^ ONU medefimo modo che la calamita perde laf^s g for%acofi
medefimamente il ferro perche fi ben b ~
^ C riceuuto le forze dalla fua calamita ottimamente, quando egli far anebora
infocato perder ambo- i? ra lafuavirtne i cofaftnza ragione perche fi come
babbi amo prima dettoquella parte di calamita ebe refia at- taccata al
ferro quando infocata perde le fue forze
$ refando il ferro fpogliato di quella perde anebor egli le forze fue. La
otjdz^ nella bujfola di nauigare onero negli altri vfi quando il ferro fi troua
mbriaeato per efiir fiato tocco da pi
ponti di calamitei ne dtmo firari i poh legitimamente come fi deue
per tor quello da tale imperfettione lo pontmo nel foco. E di qui viene
f error di molti i quali quando accomodano la lancietta nella bujfola pri- mo l infocano, e la rifealdano e poi la fregano all'altra calami- ta , e
coji penfano ebe tiri con pi forza la virt della calamita ma non folo fanno il
coutrario ma con far perdere la forga ah
la calati ita, che bafh a pena a far f vjficio fuo e quella forza fi f caccia tini ferro coll
fuoco riman la virt della faccia la qual hauea prtma,cbe lo toccafie la
calamita . La onde fempre che la viriti
fi fcacca via co'l fuoco potremo co' l toccarlo dinuouo in- durai virt ruoua . Come DI Gio.Batt.
della Por .Lib.VlI. 543 Coni^ e fallita che il diamante impedifca la for- V. ..
za della calamita. Gap.. LVl. 1 ^ 7 * .
V E MO gi detto tfter falfoy cbe la calamita^ ongendoia. . . ^ ^ tmgendola dt
aglio perdeua le forze maeofapiu ' fano
loj'a tfaljfma ytbe le fue forze rtjltno impt- dite annuUtUe con la preftnza delia calamtta\
perche dicono ebe fra la calamita > e il diamante^' ^ ejfer qualit tanto
tontrarie t'ediuerfe fra loro ^ tanta dtfiomt-^ glianza , tffer fra loro tanto
feambieuole odio di nature^ e coji cieca dt/cortat cbe actofandouitl diamante
impedifcelefut^ fora >*ome da vn mmico , V ceflano di poter efperuare , e
far il krorffictOy'^da co fi inimico incontro la virt toro diuien debod
Icfeian^iijfima. Dtce klmio. La'talamita b tanta dsfcor- dia ce'/ att>/ante,
cbe pollo l'vn'vicino din altro far ebeti fcr^ re nanfa tirato , e f pur la
calamita l'baueffe prefo , ce lo rapi- Jcayt taglia.' Santo AgoRinotlo dice
-quello , ebe b letto di quella pietra , cbe pollo incontro il diamante fa. ebe
la calamita non lo ^*^*2 * fi Ibauer gi tirato , come egli f lapprejfa f ubilo
lo la- fcta.Da Plinio toglie Solino. fra l calamita, eI diamante ci vna pt^ulta luimiciua, tanfo cbe fndo
actefato alla pietra vietar , 'che tiriti ferro
f Vbar tirato come fujfe fua quando,ce l ra- pifee, e toglie, * Hanno le
calamite tanta forra 'Di trarr il frrro,eiTendoui prefente. .b il diamante, fc
lhi tolto il ritogliCf li Gufano, 1 1 ferro vien Ugat dallo J^trtto. del
diamanteyC lo fa immbile,e come mortOyt injenfbtleyambor chi qualche virt ma
gneria vifufe applicata , e fi far vn gran diamante con poceu. calamitaycUa non
tter , ma fprauchcndo vna calamita pi ga- gliarda,tirayC l'abanona la forza
deldiamanit. Ma qucjo ba- . uendoloio prouato molte volte , trouai cbe non fola
non era vero^ ma ne meno riteneva vn
pocbijjmo di verit. Ma fono molti Ut- ferali, i quali b filmati fempre
tofeioethi,^ ignoranti, cbe han- no gran piacere di voler conciliar i Filofofi
fra loro,e voler efeu far,e coprir i loro errori , ma non conofeono quanto gran
datno facci t.o % Digitized by Google
.a m Della Magia Uatnrle *' * * falerno
aUa repub/ica litteraria prebe coloro, che vengono appref ' lo Jabricando foura
, fondamenti dtqueQt,f mando che queUt^ cole fieno vere,aggiongono,cbmerigzano
altneifermentt,eper eirerno appoggiarti four a falftprinctpy , e magtnatwm ,
dtcon cofe faim^.^i^ridovn cieco guidavn altro cteco,mbo duoca onotnvna f^a. La
verit fi deue inueftigare, amare, eproff- far fi da tutti f ne deue i' autorit
degli antichi , o degli b uomini Wtti probibirte agli buomini, che non babbmo a
(onfijfar la ve- rit tn ogni luogbo.Ma ritorniamo do ut l ignoranza di quef
riconcilfatori m ban tolto . Noni peggiorcofa al mond^^ conciliar l' opinioni
di qutOi,tbe vogliono ifier difcordi. Volendo fartihefienza diqutfi, metti
vnpega^odi calamita , eh aperta KtCaua
grani, t l'aetofiai tenactffimamente la limatura deljerj Vo,e poi
aecojlai il diamantefil quafuptraua lagrandtz.Za del- tvno,e deWaltr , pi di
tre quattro volte,aUa cuiprefenz.ala
eaamita nonHiafs il ferro da queUa, e con giujo mteruallo infieme efeparai ,
& anebora tffendout prefenujra l vno,el alr tio tl dhiiante,pur ft il
trafitto per quefto l ho detto , che non - dicblnO poi che rnija ingannato nel
far efper lenza di quejit efr fetttebt babbi pigliato vn ralamita di yo. libre,
& accoiato*^ ui vn ferro di ima oncia, e poi aee.oiiatoui vn picciolo
diamante. m ( CTie.il fanguc di becco non libera la calamit dalla forza del
diamante . Gap. LVIL. - . r gm - AV EMO
detto poco anzi , ebe da faljt princpif K ne vengono fafe conclujoni , dicemmo
che la cala - H f^ mitaVngendoMdiagfio , perdeva ia/orza di tirar fi ferro,*
chi con lpi^ftnM deldiamantefil ferro dicono, ht ,l f becco rompe il diamante ,
da qua ban conchiu- forche fa^%lhmita
recuperi la fua forga. Cajfano neUe greche^ ^Oeo''0ficwidrce chela pietra
calamita tira afe il ferro, e. di piu , 'che lo tacef d/i fi far fregar con faglio, maaccioebe la Jorza gU
herdiiid:di ytikHO fi riuutua,e.Jirintioni,ft bagna co IjangUe
b:uo.Rh'(W>r*> inurpyete -i ionijio . , ' ; Oocl che non batta il fuf erario il krro J-v
Nc il DiGio.Batt.dellaPor; Lib.VII,. '
Ne il fuoco, rocco dal fangue del
becco T lepido folamence , fe ben lUco Sia tnuicco, neriucudine o*l martello^
Hor alla calamita quelli oppoflo. Fa che non cin di lontano il ferro O fe pria lhi tirato, che lo lafci , Fdconla
Aia forza naca occolta Hrbodto d$l mtdtfimo La cui durezza non fa ceder mai
Alle cofe pi dure, e pi gagliardi. Di fprezza il fmo,c non bafta domarlo ^ li
Aioco,che le cofe cotte doma , , Al An co'l caldo fangue poi fi fpezza Del
becco,ad onta di martelliti incudi . So/huf nel fuo PeUbiferoM diamante non fi
vince ne eo*lfin>- re, ne eo'l fueeo^ ma fi far maeerato nel fanguf del
becco , notu^ altrimentc che frefco , e caldo , che va in fefiretti come fufie
rot- to con martelli. e fouraCinendini , Per tjfer dunque tanto con- . trariet
fra la calamita e'I diamante , e la medejma tra il dia- . mante, e tra il
fangue di beceo,e la calamita iamicitia , e fimpa- . tia , con quefto dunque
argomento tarriua , che quando la virt r^della calamita vien meno per la prefenga dtl diamante , ouer per la
puzx.a dell' aglio , fi far bagnata poi co' If angue di becco _ ricupera la
virt prima tanni maggiore Le quali cofe hauendo \ e/perimentate t b trottate
faifijfime^ , perche ne il diamante di
giuBa dureg^ , che fi diee , perche cede ad ogni picciolo mar tei- lo, e foco t
ne coll fangue di becco fi f molle t di eamelo, di afi- no th"!
noflrigioiliieri hanno queSie cofe per baia, e per ridico- le, nella perduta
virt della ealamita eo'l fangue di becco fi recu- ^pera. Tutte quefe cofe
bauemo dette,py dimolrar , che da falfi principi/, e /ndamenti,ne feguono fiuje
confi quenne Il ferro tocco dal diamante f volge al Setten- trione. Gap. LVllI.
M"A quefia cofa necefiaria , che
babbiamo [trottata a cafa mentre andauanoefperimentandofe il diemante bauea Z\
(orna ' Digitized by Google Della M aga naturale fot za con lafuaprt/inzA ditor
I2 forza alla calamita come hai biamo detto perche ft noi fregamo la punta
deli' a^o fopra il dia- mante > e lo ponemo poi foura vna oarebetta >
onero injixato ai vna pagliaio i'accomodaretno fofpefo ad vn fio ^fubito
firtuolta al Settentrione, per men ebe il ferro tocco dada calamita, onero vn
poco langu lamentc. Anzi ebe pi degno di
merauiglta , la parte contraria, come auuiene anebora alla calamita , rtuolgz^
il ferro al mezo giorno, cb* bauendo prouato quefo in molti aghi pojii nell'
acquajuttifi volgeuano al Settentrione , fiondo fret^ loro equiitianti.Qnde f
culucbe fcrij/i,cbe la calamitaperdt- uala forza per la prefenga della calamita
, bauejfe fe ritto que- fio bar ebbe pi detto il vero , perche l'ago fregato al
d i amanti^ " infilzato alla paglia,e polio in acqua, Ae fi pofa
volgere fuo modo , rtuolgendolo co'l
dito , quando fi fermer,fi ritrouer ftr- muto verfo / Aquilonetdimqfirando
quello con la punta loterprece . Qui il barbaro inglefe latra cantra F autor
mofiro , ebe alF ef pertenza non riefea,e ragionandone io co Fautore dijfe.cbe
dimo- rando.in torte delF lllufiriffimo Cardinal di Efie volendo ejpe- rimentar que/loM prel vn Fuo
diamante di valor grande ,eii molta grandezza, doue la prima volta taecorfe di
quefta virt e ebe atmofiraua eofi come
la ealanta,e ritrouandofi poi in Vene- tia co'l elarijfimo Giacomo Contarino, e
trattando di queRo, quel genti Ibuomo defio fo veder quefta nuoua euriofit >
prefe vn fm diamante di valor dt dudtcimtla ducati, due volte quanto F vgnu
magior del dito,il qual non a dritto al Settentrione , ma valoro- famente alt
AuRrofi volgeua con molti aghi equidiRanti,e ve^ gendo/i f autor bauerdett/t
tofa eontraria,conobbe ebe douea ejfer la parte oppofta alla Settentrionale, e
defiando il predetto gentil' buonto dt veder fe la parte oppofta fi volgeua al
Settentrione,li f probibito da funi parenti afiantf,che no'i ponejfe a rifcbio
dirom perji la pietra alfeafirarfi dalF anello, per vna eofa dt poco impor-
tanza,^ io mi fon trouatocon Fautore per vede r fe queRo igno-' rante dicea il
vero , in vnofur amico gioiltiero, ebe bauea molti
diamanti,mapicciotijpmt,poeopidivn qrano, e facendola efpe- rienza in molti dt
quelli, non fi moutuano gli aghi, per ejfrdi po- ta forza, e pur al fin
fratan%dtio foli mofiraua no ti Settentriu- nib Digitized by Coogle Di
Gio.Batt. della Por. Lib. VII. , . , m, mUKgu,mmupnfcooda lotto il capo I ^ella
dormente moglie quella pietra , Cheaella cafta la fbito abbraccia t Ao marito,
ma fella lafciua, V ^^f0^r,tafmi,lafciate tutte lerobbif^^^^ ' ' Za a c con
Digitized by Google Della Magia naturale . ' Vfl anello di ferro tocco in vna
par^ , riceueri Tvna^e laltra forza .
Cap. XLVIIl. I A Ce fregaremn vn.r parte eU'aneiln alta caamiio'^ all'
bora quella parte della calamita tocca , rictue^ r J la virt di quella parte, e
la parte oppoja le con trarie, e per lametta di vno anello di jerro,non-^ . _ _
fari capace fe no della metti di quella virt* come fi quel ferro dritto, e non
torto ma fe noi formaremolo Ri- lo in
firma di anellc*e la parte oppofa alle commifure sfreghe- rai alla ealamita,e
dop fregata lo difenderai dritto, le ef remiti, riceuernno le medefime virt, o
fittentrionalei iufralr. MA poco a poco quella virt perdendofi poco dop
dinenta ftien- trionale,e P altra auffrale\ o riceuei pi della ricevuta virt $
efirfedoaepi lungo dal ponto bara toccato. Ma fi far foSfefa in aria la catena
di anelli di ferri di quefii perche vn anello tov- eato da vna parte della
calamita , rtceutr la forza nella parte oppofia,potremo mqfirar nell'aria vna
catena di anelli , come di pietre. Laonde teiaramo aecomodate furo vna tauoia
per or- dine , che CcambieuolmenSe fi tocchino f e ben fra loro- non vi fa
ninno Itgame accflandoui la calamita non joio far tirato il pri mo,ma
ilftcondo,e Urao,ebe fi vea.a pendere vna catena di anel- li. Ne folamente fe
la calamita totcbir il primoji refiat.ti feguo no, ma fe la calamita fi far
appropinquata fenza toccarlo far il medefimo effitto . ' , ' Vna lamina di
ferro rocca nel mezo diffonde la fua virt ne gli eftremi . Cap. XLVIV, ELLO che
barbiamo detto del ferro lunghetto , il me defimo da dirfi nella lamina , perche fe la toc- ra
eberai ne! mezo con la calamita , tome dal centro alla circonferenza i raggi del %ole , o fi
difihndono 3L^sb% quelli della candela > coji fi diffondono a gli tfre- mi
del Digitized by Coo^U Di Gio.Batt.della Por. Lib.VII. 539 thi delponto quella
virt , ma Ji toccheremo vna balla di ferro
per ejjer languida quella virtUyePjmtorno al toccamento alcuna fenUrebbe
la virtfparfa nclla/uperfaicma languida, e debbo- le nelf efremit . La limatura
del ferro come riceue la fua virt Gap. L
. B noi porremo la limatura di ferro dentro vn car- toccio di carta,come lo
fogliano formare\i fyeciari in S vn cono, e li accojiartmo la calamita vicino ,
tutta i infieme la limatura riceuer la medefma virt , e tirerd vn lungo ferro,
e li da'rd jorza come fujje vn ferro tntiero,mafe mouerai la limatura, e '
andai mijcbiando , e di nuouo la porrai in quel cartoccio,la forza gi eonfufa,e diiher .fa fra ioro,e non oprar
pi,comefe il toccamento juf e fatto dal- la dtfcordanza di molti acini di
ferragli medefmo effetto faremo cl cartoccio pieno di arena di procida,lucida (
che fimo che fa fpecie di ferro.) S vero che la virt della calamita fi
pofia-im* pedir dallaglio. Gap. L 1. ' * 2^^l%^^p%.paJJtam0 atrattar delle
altre propriet della a calamita, e primieramente f la calamita pu tjfe- mS H re
impedita da alcunaeofa , che non tiri . Scriue ^^****^rco tffere
grandijjimadifcordia tra la cala- mita,e f aglio, la qual difcordia chiamano i
Greci antipatia , e tanto l'odio grande
fra queSe cofe wamr/.ate , cipolit JCJ 0
CCIl- Ty 1 trary . Digitized Google 940 Della Magia naturale trarij aOa eaUmita^e
quti tbban cura di cfferuar la iujfola nei~\ It nauijjationi, e nella carta dt
nauigarcy/ono prohibitt di man-' gjar agli, e cipoUecbe non vengbi ai
tmbriacarfi la lancietta^ . . Ma io battendo fatto elperienza di queja cofaf bo
rtirouate fai- . fe^cbo-non fola t fiati, e i rutti di coloro, cbe hanno
mangiato agli non baftano a far cbe la calamita non facci l' officio fuo , ma
on- gendola tutta di fucco di agli, cojf acca lfued^eratiom, come fi mai fujfe
fiata di aglio bagnata, ne alcuna , nuSa
diffefevza^ Ji conofceua,acciocbe nonparejfi , cbtvolejji vilipendere le
fatiche di nofri magiari. Dop bauendo dimandato molti marinai ft^ fujfe
vero,cbe coloro , cbe hanno mangiato agli , e cipolle feacciati
dalfojftruatione della buffala, e della carta , rt/pojero , cbe erano parole di
veccbiarelle , e penjieri del volgo , e cbejmili b uomini pi tofo fi
priuarebbono della vita , cbe fi priuajjiro di mangiar aglifO cipolle. Scriue
Nicolo Cufar.o,cbt il ferro roggi- etofo
abbbonito dalla calamita, e non lo tira altrimente,ne efier capace
dell'injkienza della calamita , e cofi deli' aglio , in tutto i fcritto cn poca
eiperienza del vero . Come la calamita imbriaca ritorni al fuo vf- fcio. Gap. L
I I. V AN DO la calamita imbriaca,far
molto ma~ lamenti il feto vffitiv,non perche alcteno babbi ma- I^Q giato agli,
0 cipolle , come b abbiamo detto , ma pi i qujndo fo/r ii ferro fiato tocco da
pi Parti di . clamkcie la virt i dhtenuta languida, O" imbe^ tille,all'bor
la eofringetemo a tornar alla prfiina, e vigorofa^ virt, ffplendit'quelia nella
limatura di frro per molti giorni , fin tanto ,che per la compagnia di quel
ferro ,omcr fiato ritorni rettamente a far il fuo officio. Come fi polfa
accrefcere la virt della cala- mita . Gap. L 1 1 I* SONO fiati molti, e valenti
letterati > che bari tentato di poter accrefcere la virt della calamita, e
quefio in vari/ modi, ac- cioebt Di Gio.Batt.delIaPor.Lib.VII. 541 cioche
bauendo acquijlata virt pi g*gliardayfuj[e fiata vtile d grandijjmi vj.
Aiej/andro Afrodifto nel principio di fuoi Proble mificerca perche cagione ql/a
pietra chiamata calamita, tirajola mtte il ferro,! fi nodrifce dt limatura di
ferro o veramfte gioua tOtCome J
deejfeja calamita tira lferro^pcbe di quello fi r.odrtfce eia eifij qaantopi fi
nodrifce, tanto pi diuenta vigorofa, e per porfi nelle limatnre di ferro ,
aeciocbe pi valorofadi uenti. Ma td vohn lo eipTmntar queflo,pigliai vn
pezzetto di calamita, e lo pefai molto efattamehte, e quello fepely in vn
camola di lima tura di ferro dt pefo efattamente par conofciuto, "
lafciato ve la per molti mefi, ritrouai poi che la pietra mi pareua di magior
pe~ fo,t la limatura di poco pefo mancata, ma la dtffereza era fi poca, e
minima, che ancbora j indubbio della veritd,per efier fiata la ealameta di
granpefo, e la limatura,cbe poi pefandola nella libra non faceua ferfibilt
incJinatione.Paracelfofi sforz difar quefio in altro modo, che ftspea molto ben
larte del dtfillare , perche^ dice. Se alcun pigltar vn pezzo di calamita,e
linfocar al foco, " efiingttcri pi volte tn olio di ferro, che ripigliar
la fua for- za a poco a poco>e Vnir ooi a xrtfcer tanto,cbe baili a cauar
fuo ri vn chiodo , cbefujfefifio nel muro , la qual cofa quadrandomi molto, l
infocai " efiintt nell'olio dd ferro, e conobbi che non fola non accrebbe
difhrza,ma bauer perduta quella virt, che primo bauea,e dubitando poi, che forf
non hautffi ben efperimentato il parer fuo,ne fetipiu volte l'efperttnza,e
conobbi la falfit efpref- fa,e non da douerfifiriuere ,^rche la calamita quando
s'infoca perde la fua virt,eome dir eneo qeapprejfo. Come la calamita perde le
fae frze . Gap. L I V. jO fola b trottato quefio modo vero di tanti che fo-
nofiati fcritti da vary fcrittori , che coprendo la calamita di carboni ben
accefi , e di venendo ella infocata fubito perde la forza ,e fi vede f anima di
color azurro,e nero,cbi difolfo,cbefi parte da lei, di odor peffimo come di
carboni nuoui,t quando quel vapore , t- fiamma eejfar, tolta dal foto, ha
perduta tutta la fua forza , ^ io ho 1 Della Magia naturale tobofemprejimAto
che qutll' AmmAfi he Anioni ych'elA traf- fe iljerro perche il ferro eoiA di
folfo imperfetto , come dice Ge- broycglt Altri Alchtmifti, cbefcrijfero di
metalH,e ejfer h CAgiong perche h cAhmitA coji rApidAmente corrA al ferro , e
defia con^ unto femore fruirlo,efpirAtopoi quel vapore^refA nudA^ efpo- gltato
poi d' ogni forza di tirare , e come vna volta b perduta quella virt diuien vn
cadauero di calamita^ di' in van fi fatica di f Argie pi tirare ferro. Ma come
pojfa ricorfiquelt anima iru- vn altra pietraio gioia e di molte pezzi animarne
vn folo accio- cbe iui con pi gagliardezzAt perche i feereti di gtandtffima im-
portanza ne tratteremo nella voflra Taumologta . . ' Come il ferro tocco dalla
calamita polTa perde' re le fue forze. Gap. L V. il meiefimomodot cbe la
calamita perde lafigs forga^tcofi medefimamente il ferro > perche fi ben bd
C rieeuuto le forze dalla fua calamita ottimamente^^ quando egli fard ancbora
infocato perderd ambo- ra la fua virt^ne
cofafcnza ragione perche fi come
babbi amo prima detto ^Quella parte di calamita cbe rejla /. taccata al
ferro quando infocata perde le fue forze
t refi and il ferro fpogiiato di quelU perde ancbor egli le forze fue. La
otjdz^ nella buffala dt nauigare onero negli altri vfi, quando il ferro fi
troua mbriaeato , per efitr fiato tocco da pi ponti di calamitei ne dimoJlrar i
poli legitimammte > come fi deue per
tor quello da tale imperfettione lo pontmo nel foeo.B dt qui viene f errar di
molliy i quali quando accomodano la lanaetta nella buffala ,pri~ mo l infocano,
e la rifealdano , e poi h fregano all'altra calami- ta , e cofi penfano, cbe
tiri con pi forza la virt delta calamita^ ma non foto fanno il coutrario , ma
cosi far perdere la forga alr la calar/ ita. cbe baili a pena a far f vjficio fuo e quella forza fi fcaccta dal ferro co'l
fuoco , riman la virt della faccia , la qual bauea prtma,cbe lo toccafie la
calamita . La onde fempre , che la virt fi fcaccia via col fuoco potremo col
toccarlo di nuouo , in- durui Virt ruoua . Come GoogU Di Gio.Batt.delIa Por
.Lib.VII. 543- Come e falfita che il diamante impedifca la for- . za della
calamita. Gap. LVl. . j . K ^ 0 gi detto tfitr falfo^ che la calamito-j
'VjjAiijr ongendo/a dt aglio perdeua le forze ^ maeofapit ' ^ hi' fatto lofi
falftfima icbe le futforg.e rejlmo jmpe- ^ dite annuUtUe con la preftnza della
calamita\^ ^ perthe dicono tbe fra la calamita > e il diamante^' qualit
tanto contrarie t'e diutrfe fra loro > tanta dtJiotni~ glUnza , ejfer fra
loro tanto fcambituole odio di nature^ e eoji cieca di/cordta t cbe actofandoui
il diamante impedifce le fut^ forze ,-eome da vn mmieo , 'e cejiano di poter
ojftruare > e far il loro Tfficiei r da cofi inimico incontro la virt loro
diuien debo~ le fe ianguidijfna . Dtte^^Hwio-' La'talamita b tanta dtfcor- dia
c'ldtmante ^ che poflo l'vn'vieino ali altro far che il fer- ro non fa tirato ,
e f pur la calamita l'baueffe prefo , ce lo rapi- fca,e coglia. Santo
^gofhnotlo duo -quello , ebe b letto diquefa pietra , ebe pofio incontro il
diamante, fa . che la calamita non lo f*
l'bauer gi tirato , come egli fe l' apprcjfa f uhi lo lo la- feta.Da Plinio
to^ie Solino. jr a li calamita, e'I diamante ci
vna fiuulta iriimiCiUa,.tanto ebe fendo aeeeflato alla pietra vietard ,
'che tiri il ferr fi l'bar tirato carne
fuffe fua quando,ct lo ra pifee, e toglie.
: - i- Hanno lecalatnitetanta for?a * Di trarre il &rro,eireodoui
prcfentc . 11 diatnaace,rc lhi colto il ritoglie. li Gtfano, I i ferro vun
HgfiU dallo l^irito. del diamante,e lo fa immobilc,e come merto,e irfenfibtie^ancbor
che qualche virt ma gneria vi fuffe applicata , e fi far vn gran diamante con
poca-* calamita, ella non tter , ma fopr auentndovna calamita pi ga-
gliarda,tira,e l'abandona la jorza dtldiamanit. Ma qucjlo ba- ttendolo io
prouato molte volte , trovai che non fola non era vero^ x ma ne meno riteneva
vn pochiffimo di verit. Ma fono molti Ut- ierati,i quali b filmati ftmpre
lofciocehi.^ ignorante, che han- no gran piacere di voler conciliar i Fiofofi
fra loro,e voler efeu far, e coprir i loro errori , ma non conofeono quanto
gran da. /no faccu.Q Digitized by Googl
,44 Della Magia uatorale taccino aUa rtpublica hueraria perche coloro.che
vengono appref lo fabricando/oura i fondamenti diqueShJltmando che queUe^ cofe
fieno vere,aggiongono,cbimeri^ano altri eiperimenti y tper etrcrno
appopsiarufoura falfiprinctpy , f tmagtnatiom , dicono cofie falfiUtme.^ando vn
cieco guida vn altro cicco, ambo duoca dono in ina fojja. La verit fi deue
muefigare, amare, eprofef- farfida tutti f ne deue P autorit degli antichi , o
degli buotmnt Wtti probibirte agli buomini, che non babbmo a confejfar la ve-
rit in ogni luogbo.Ma ritorniamo doue ! ignoranza di queflt riconciliatori mi
ban tolto . Non i Peggior cofa al mondo conciliar f opinioni di queOi,tbe
vogliono ijier d fiordi. Volendo fareihefienza diquefi, metti vnje^o di
calamita , cb aperta ieraua grani, e
l'aecofiai tenacijfimamenie l limatura deij^- to,e poi aecofiai il diamante,il
qualfuperaua la grandezza dei- tvno,e dell'altro * pi di tre quattro voItcaUa cui prefenza la calamita non
riiaft il ferro da queUa , e con giujo interuallo infieme lefeparai & ancborae/endoui prefentijra l vno,e4 ah
tro il damante,put itfi il trafic,to ptrquefio l ho detto , ebe non dicblna poi
che mtjia ingannato neijar l'efper lenza di quejii ef fettht ck babbi pigliato
vna talamita di yo. libre, & accoliato\ ui vii ferro di ima oncia, e poi
aecpiatoui vnpieciolo diamante. Cl^e-U fanguc dI'becCo non lbcta la calamit
dalla forza del diamante . Gap. LVII. r
,AV EMO detto poco anzi % ebe da falj prncipe ne vengono fa foconelujoni
, dicemmo che la cala- mita vngeiedoladi aglio -, perdeua ia forza di tirar .
vipereo, e ebe con la prefenza deldiamanteiil ferro dH becco rompe il diamante
, da qua ban concbiu- forche h^cahma
recuperi la fua forga. Cajfiano neU greche^
ouero infiz^to ad vna pagliaio l' Accomodaremo fofpefo ad vn fio ,fubito
firiuolt al Settentrione, per men ebe il jerro tocco dada calamita, ouero vn
poco langu iamente. Anzi ebe pi degno di
merauiglia , la parte contraria, come auuiene anebora alla calamita , riuolgz^
il ferro al mezo giorno, " bauendo prouato quefo in molti aghi pojii nell
acqua, tuttiji volgeuano al Settentrione , fiondo frez^ loro equidili.tnti.Onde
fe cului,ebe fcrijfe,cb e la calamitaperde- ita laforza per la prefenxa delia
calamita , bau effe fc ritto que- fio barebbe pi detto il vero , perche l'ago
fregato al d iamantt^ ^ infilzato alla paglia,e pofo in tuqua,cbe fi poffa
volgere fuOf modo , rtuolgendolo co'
l'dito , quando fi fermerfi ritrouerfer~- Ptato vetfo T Aquilone, dimojfir and
quello con la punta loterprete . Qui il barbaro nglefe latra cantra t autor
mofiro , ebe aTef fertenza nonriefea,e ragionandone io co l'autore dijfe. ebe
dimo- rando.ineorte de ir Ulujiriffimo Cardinal di Efie , volendo ej^e-
rimentar queflo,li prefi vn Cuo diamante di valor grande , e di molta
grandezza, doue la prima volta iaecorfe di quefta virt > e che tmojlraua
eofi come laealamita,e ritrouandofi poi in y-ene- sia co' l elarijfimo Giacomo
Contarino,e trattando di quefo, quel gentilbuomo dejiofo veder qutfta nuoua
euriofit , prefe vn fuo diamante di valor di dudteimtla ducati, due volte
quanto F vgnn magior del dito,il qual non a dritto al Settentrione , ma valoro-
fornente all' Aulir fi volgeua conmAti aghi eqmdifanti,e ve^ oendofi f autor
bauer dettp tqfa eontraria,conobbe che douea effer la parte oppajla alla
Settentrionale, e defiando il predetto gentii- buomo di veder fe la parte
oppofia fi volgeua al Setteatrione,li J ffobihito da fuot parenti a fiantf,cbi no
i pone ffe a rifcbio di rom perft la pietra al fcafirarfi dall' anello, per vna
eofa di poco impor- tanza,' io mi fon trouato con l'autore per vede r fe qui
fio igno-' rante dieta il vero , in vnofuy amico gioiUtero, ebe bauea molti
diamantfmapicciolijfimtpoeopidi vn qrano, e facendola e/pe- rienza tn molti di
quelli, non fi moutuano gli aghi, per effirdi po- ta forza, e pur al fin fra
tanti, duo Joii mofiraua no il Setientrh- Digitized by Coogle D Gio.Batt. della
Por. Lib.VIT. 547 languidamente pepejftre affai piectoli , d?* qurjto bodetto
ftr mojirar la malignit di quel barbaro ^ ebt bauendoj tr aferitta $utto il fuo
librate farlo parer fuotper coprir il furto tlo vdtajffan do t come puotc Rimedi; della caUmita Gap. LlX. queia mire^il forza della calamita
del tirarti gli antiebi noftri hanno imaginato molte eofe , e ne differ molti
rimedi non ignorantemente, ne detti fenza ragione, da qui fia mirabil forza
dico , ebe^ _ alletta , e rapifee il ferro , che fcambieuolmen te fi
rapifcanoji diero forza venerea, " inUllecto,cbefunafegua l'al tro,ne
dUeguarfi coti pazzo amore %fivno non fi gode degli ab braeeiamenti di altro, e poi comefi voltano
le ^aOi, s odiano , t- i hanno in borrore,e fcambieuolmente fi feaceiamo, r
anebora in quella pietra ritenerfi ifenfi deir odio.Da qui Marbodeo, Fra U
moglie e*l marito ella Tamorc - Pu
conciliare f & a] contrario poi . . Pu feparar la moglie dal marito, Che
chi dc6a faper fe la fuamogUc 0 Siaadultera,nrcoodafottoilcapo . Della dormente
moglie quella pietra Che sella caAa la fubito abbraccia , ' 11 Aio marito,ma fe
fa lafciua, ' Come fpinta da maoycadr dai letto, Cofl tetta dalla puzza i queAo
efftto Ch'vfciri dalla perra>onde fio quella Che feoprir pu lecaAe,e fide
mogli. E per gli antiebi per gouar alle tofe amorofeftolpiuano fprtf fe volte
nella calamita V entre.Laonae Claudiano. La calamita gemma Vcoer regna. E mi
ricordo molti degli antiebi bautr detto fe la calamita fa- t trita, e poja fura
i carboni ardenti per la cafa,e porgli ango- Iffuoi , che lo fumo fifparga
inatO,cbe tutti fugtrarno,tbc babi- faranno in quella, perche gli parr, che la
cfa turni, t per atter riti dagueji fantafmi,lafciatt tutte le. rebbi, fuggonc
dalla cafa% Zz X e con Digitized by Google ,548 Della Maga natarale i o:i quejlo artificio i ladri pojfono rubar
ogni cofa, M arbodcoi Se rubar vorri vo ladro alcuna cala Tutta di gioiepienai
e di ncciiezze ^ Quando entra ponga sui
carboni afdenu Della cafa per gli
angoli, e poi ponga Soora i carboni
calamita in polue ^ Che per i ijuattro canti in alto vada 11 fjtno, curberi
coli le menci De gli habicanci.come gran ruina Lor (iiinaeci la cafa figiranno
'l ladro rubar cioch: gli piace . . Di ci la ragione quella, che la calamita imelofieolica, corno
fi pu veder dal colore, da cui vapore
eleuat " arrmati al cer~ metlo,a quei che dormiranno , gli indurr fogne ,
e fantafmi ter~ ribill , e melancolici
come fogliono anebor fare carboni
. Al ptfo di vn dante eo'lfeuodiferpenUy efuceo di vrtiea fcJ far dato a bere
adalcunoylo fpax.xo,e Jeaceiar quello dafla^ fitta
patria,gente,babitatione,epaefeye fa quefti effetti eonueneuo^ li alla
melancolta,e quelli, che lo terranno in boceoyfar lunatith e melancboltei.I
Medici t'banno imaginatOycbe per eauar i ferri dalle faettCytbe fuffiro rmafit
ne' eorpt bumani y vaglia la cala* mita. Seriue Plinio che con le calamita le
ferite f panno ,piit a fiore. Ne fi ed perche babbi quefiofcrittoyforfey ebe
arruotando xm ferro fopra la calamita lo fa tanto a,fproyC duro che fega
vuoiti^ ferro , e con quefia durezza , & a/rezza debba far 7e ferite pi
afpre.Detiodice che tri la virt della pietra bematitoy bifd- colta
attrattoria,e dicefi ebe tenuto frettto in mano da coloro ebe patono di podagra.e cbiragra,gli mitiga t
dolori e ebegious alle conuulfioni.
Maree Ilo empirieoydiee che ligato al collo, toglie i dolori della te fa. Si fe
rumano della calamita al far del vetro . Plinio . Dep lorigine del vetro , tome la fotul afutia degli b uomini , non fi
content di mefebi ^re il vetro fi cominci ad ag^ giongerui la calamita, perche
fi ved e, ebe tiri cefi il liquore del ve troycome fa lo ferro Di qua nel
fardelvetro ficigionge vna par- ticella di ealamita.Certamente quella vna forga fingulare eoji a noiri tempi, come
a quelli degli antichi, cefi fi vede tirar afe il liquor del vetro, e lo tira
afe come il ferro, e tirato lo purga,z^ da verde,e giallo,ebejta,lo fa
bianeo,ma il foco poi confuma leu calamita. Da agrieota,Qaleuo dice ebe b virt
di purgaue,e peu quefia Digitized by Google bumori dal ventre. Non lafciartmo
di auuertir z no errord IL driaao nelle fui queiiiotii dtda calatntta ga^^harda
ap^t fa ud X'fn bilaniiafi ttrar vn ferro, che non acerejce pejb aU libra .
oltre il ptfo della pietra. Ma qutjlo babliam detto prima ejJ'tr fui fo,t me ne
riio. ^elfmileji ride Arijiofane, che introduce vn_j villano feder foura
vnaJtno,cbe porta Jugli bomeri fuoi vn ara- tro,dicendo, che V ajno non fenttua
ilpefo deli' aratro, perche ilpe- fo deli' aratro, era fofienuto daS' anima
fua. Il Cufano attejl'a Ro giero Saccone, che dice, che fi pu farvna sfera di
calamita, cbt..f pofta debitamente su i poh fuoi fi volga intorno,come il culo
, c-# feruirehb per borologgo a coIoro,tbe peregrinafitro per deferti. Ma
qtttfio in quel libro non vt fi le^t. Dtce Tz.tXe che vicino Or feo ci Vna calamiu,cbe bagnata dt certi fonti, e da
alcuni altri,$ poi dimadatOfcbe fi si, tua una uoct come di un figliuolo rato
difro '' fico e dir il vero di quanto li dimanderai, e dop fi raffreddar,e
refiari come morto , i per quella via Heleno ndoumaffe lade- firuttion di
Troia.Dice ancora, ebe pollo fattola tefiaaelia don- na,dimandata la notte
quando dorme,dir tutti i fuoi peccati ,ft n'ba fatto , e che eader dal letto ,
& e fendo bona abbracciard il fuo marito,e che ancborgioua molto a
conciliar Pamicitie fra dui fratelli, e che ritorneranno dall inimicitit a
grandijfim a bentuo- ienza,e che portandola adojfo fi fa eloquente, Hy atto a
perfuadero ci che vuoh- ad ottmcrc da Vrtncipi tutte le grafici ebe fi di-
manderanno . , P D X Digitized by Google ! DI GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA ;
NAPOLITANO W della magia natfrale: \
LIBRO OTTAVO. , Cotttitne r tj^trtKM J*Bd MiJiein . PROEWIO. AV BV A M 0
iUftrm9s^ JafiiF qtujlt tSptritnx4 di mtdieinOiper batstr- m transto di qatUi
in tutta la noftruFi $9gnomonieaydou9 non lafeimima in qmt . lo quanto bautuamo
faHo'de^ri$nta t di ocgolto^ di
etrto\Jafiiando Joh quet^ le
elperienza ebe fitto certa regola
rin- chiuder non potea t e fi ben
dejmili C- tratteremo nel libro deBa difttQation pur per non far relar vacuo quefio luogbo deUa
medicina Jt mu Mo parerete vogliamo qni apportarne alcunit De rimedi) di far
dormire Gap. I. /f>fC CI OCHE vada
ordinato quanto babbiaeno a firtuere,narraremo prima di quelle tSferienze che X
bahbiamo fatte deli' infermit, ecmminciando datili e dopo u fanno ron zi- man nulla grauez.za di
tefa,ne fuipettione dell'tnganno Qutjle eofe fon chiare ad efperto aatefiee,tf
ad vn empio oceoite. Come ( poiTino'far impazzirgli huominiper VD giorno . Gap.
11. Dop ifonniferi diremo, che eofe pofiano far diuenir vr. huo- mo pagato
quefii feerett fono parenti wftme ,e fifan qua- Aaa Ji dilli Digitized by Google Di
Gio.Batt.delIa Por. Lib.VIII. 35? fi troua cofa pi gioconda veder vn tal
fpettacolo come fcioccbezzete tante
vtjionula quale anebor dop dormito Juamfcet e fra tanto rtcufano dt voler
mangiare . Maprima di tutti am~ moniamotcbe tutte quelle radici prefe,ouer
fifiiit come babbtamo detto a dirne benefe It riuolgono per f imaginattone
molte gioco- de imagini,e fe ne darai vn poto pi deldouere^durer per trt^ giorni
quello ecce fio di mente te dato quattro volte di pi apporta la morte. Laonde
bifognacon quelle radici Jlar molto in ceruelio. Era vn mio amico t tbe quando
gli piactuot iti prefenza di molti ffettatori fotea m Ad vn huonao c he fi
|>erfiiadeQa cflcr vccello
Qualfiuogliatouer animale t eh faceua impazzire come volc tea,percbe
dato d bere vn certo liquor e, bar glt pareua jfer muta- to mpefce^e menando le
braccia nuotaua in ter rat cb* bor gii pare ma fommergerjtbor affamar
fourutaltri fi vedeua efier mutalo in vna ocbatc . rappaua l' herbe dalia terra
con i denthe batteua la terra con i denthcome vnocotbor cantauat e fi sforzano
muouer l'ali,e quello faceua,per la forza delle fopr adette pianUt ne da-
quejie ne cauaua fuori il biofeiamo't eauando temenza deU'berbe con i mejirui
proportionati , efimefcbiaua tn quelle alcuni loro membri til core il ter
nello, fimili. Mi ricordo, che efiendo
gioita- uane efperimentaua quejle cofe nefcbiauidi cafa mia, che tutte le '
loro pazzie erano d'intorno quelle cofe t che fi trouauano hauer mangiato
prima, e tutte quelle imagini,cbe vedeuano erano d'^in- torno a quelle cibi.p'n
di eoloro,e^ bauta magiato carne dt bue, non vedeua altro nelle fue
imaginationi fe non buoi, bor glt pa reua, ch'era perecffo con le corna da
loro,e cofe fimili. Beuuta vna heuanda vn certo buomo,fi butt a terra,come
fofie annegato ma usua le braccia,^ i piedi,! fi tforzaua liberarfi dalla
morte, ve- nendo poi afuanir la forza di quel medicamento,come vn libera to dalla tempefa,fi nettaua i capelli,!
premeua le velli ,per cac- ciar tacque fuori, appena poteua rieeuere il fiato
per la gran fntica,ebe li pareua bauer prefa per liberarfi dal pericolo.
ltn^fle . altre cofe pi euriofe tralafeio di dire , che potr far ogni vu-.
riofo inueiigatore . A me par bauer fatto molto mantfefiar i prinsipjf . Aaa %
Come Digitized by Google Della Magia otturale
- - -1. Corse sinducano fooriiofcari. giocondi,
chiari e pauentoh . Gap. i i 1. P R tome s'inducano ifmni ailegri,e melamonicH
tvtri,e tentar emo di pour tnfegnart , Ma acci- cbe ppjffia confcguir la cofa
pi cert amente ^ non fa r eoja dfioueneuoU faptr k cagtoni.il cibo per la
concQitionc( fiche Jidettt batter per cofa veriffima) I liquore t parte di
quello fe ne rifolue m vaporit i quali per- banno la caldezza per
tompagna,iuengono leggieri, e per ehi di fua natura v io attojtnalxas
alquantOit per le vene fe ne vi- gono al eeruelio , il qual perpetuamente
efiendo freddo tn modOf ehi fe ne generano le mtbi,eome fi vede nel magwr
monorfi fare- no bumidi,e diuengononebbiate eqfi con vicendeuole a/iendimen-
to,e defeendimenio dt dentro ritornano ai core, doue la afa dei principe de' fenfi Intanto le
riempie il capotto rende grauoJo,ebe fi, fommerge in profondo fonno laonde
l'imagmi,ebt diftendono, oc- eorrenao gli altri vapori , fi vengono ad
interrompere , ondt^ d'mengono motiruofe,e varie, e quefio ntifrineipio della
notte^, M afe nel mattino quando il f angue ftceiofo pieno difuperfimi* t,e
temperato dalT vii Ir, e puro , ib' efib
gi intiepidito , e fatto freddo fi dmujirano le vifioni perfette, t
grate. Noi dunque noto bauemo giudicato cofa fuor dt ragione, che quando la
virtit lan- guifcefipr afatta dal fouerebio bere , (b* addormentata , e cbe poi
eofi della natura delle eofe mangiate s'inalzano i vapori, come di quelli
butnori , cbe abbondano nel corpo,fi muomno in fanno, * imimderatamente fi
conturbano , onde fi vedono in fanno vari/ ineendf tenebre giardini ,
putrefattioni della fiaua , e nera cote* ' rfCofi dai freddo ,t putrefatto
bumore,vedr ai vccifionifangut.a fparf,e tutti imbrattati di fangue, viene
dall' abodaza dt fangm, anzi da quefitfi pu cogetlurare il tfperam^$,tome piace
ad Hip poerate,e Galeuo.Laode mangiado cibi fiatuofi per la loro forza fi
vtdrano t imagini dorpiate,e mojiruofe, le quali medtfimamertU ainalgano,ma fi
ferino di delieata,e poca efialtatione raegrari noi' anima dt ptaceuoii
imagini:eofipplieadodi fuora ftmpliei , portano feeo al primo f enfi l'imaginif
eco infette di quella tofa.V arterie del nefiro corpo (dice Gah no /tirano fe dUiro tutte le eofa ebi eireSiano Jor
d'apprejfo, mitre sotinuamte fi vano dilatado Qioua ~
DiGio.Baft.dellaPor.Ln).VIII. jj, Cieua ongtrt il ftgado^ercbt tjaporando dal
lerjrifo/o in aito, va il fanguealfegadOit dal fegado v fubito al (ort-,eofi
ivapcrt, tbt vannOtC vtngono-jiingono^trapyrtfcntario l'magint attrita tjmi
vaporifCbt non mtno dormen&o^cbt vigilando n* rallegri^ ^ Uuoil Mo(k>4t
mnouo'e i fogni allegri. - NtlTvkimo doUa ctna^qitando vogliamo andare a
dormire , meangiaremo della metiffa, ebt alcuni chiamano tetrara, quando
ormiremo pouei vengono infogno varie imagini, le quali fe vo^ Ufitro ^ere fik
aUtgre l''onimo nojlro non le fe^prtbbrde fider-^
lhf,tampiforiti,giardMfori,pratit dr fmiimente tutta la terr verdeggiante y
touerta di btte pergole^e finalmente volgendo gli oecbiintarno tuitoilmondoi
primauera^e tutto ride.Fa ilmede^ fimo effetto la bugj^a,la ftarolajle fiondi
di pioppo , " in luogbo di queSJe Vvnguenib popuuon. Mafie vogliamo Sdgoi o^liri , tomulcaoii.
Mungiamo fan e per eqf abborrite
da Pitagorici per far J* toji borribili^ofi t faggiuoH, e printipalmente i
Hiamati fru dace di borio. Gli partorirono pur tenebrqfi te lenteecbie ,
cipolle, aghporr cefi lafmilace lifeia, doriebnio, pieno corno , vino re fio '
muouo , quefio muouono fogni , ne quali ti dimojitjino fantafimi Jgarbati
tftorpiaii, torti, tueiidiicofi l'efftr portato per aria,pajjr mariyt fiumitcadute,monu tempejie
crudeU^giomi pioucfiiC t.ebm dofi.Vtder ofeurarfi itfole,il eie couerto di
inuerm^nedimcfirar . mofi le cofe fie non piene di ^auito. Ouer ongendo i
luoghi detti di f uligine, onero di tutte le effe breffeiate infitme con olio
> ( che per . quefio laggiongtmo , acciocbe le cofe aggionte piglino Jorza
di , penetrar per i meati di dentrojfuocbt, campi, tuoni, e tutto il moto . do
inuolto in ofeuri tenebre, ^efie cofe mi par che bafii , perche tome fi
poffonofar veri ifognQbautino iffegnato ne*libri delUL^ jpbitognononica, yi I
by Google Della Magia naturale 55* '
Della Magianaturalc Per accrcfcer la memoria. Gap. - 1111. ''5VS1/ confationiicbe vanno a torno perla
memo ria.quetla ne b eonofeiuta la migliore, digitar e O bebe , noce
mo/ibiata,garo/otiin*eenfo eccellente 2^
mirra eletta^ ambra jina , di tutu vna dramma ,
mezz,ay mufebio Cinque gram Hi quejlecofeft ne fa confewone con acqua
> ma meglio con olio di maggoranate fa pilole. Vfa la fera^quando vai a
dormire , vaa bora dopo il cibo: e la mattina alzando dal letto^cinque innanzi
al cibo. Gli altri fesreti vedi nella Pbitognomontea nofiratcbe ve ne fono
affai, M a io loderei l'arte del ncordarctcbe i ajlai meglio, eh* porfi a
rifebio d impazzirne, e io nboferitto vn libre ito, che vi affai a torno.
Alcooi rimedi; eecelleatidimi per gli occhi
Gap. ' CVK Ay E N DO noi patito
vn tempo degli ocebit ebf bormaigii erauam^ eieebit ' bbanaonato gid da H
medici eeeellentiff mi, mi venne vneerta empiriea quefa acqua ne gli occhi ,
nei medefimo giorno, per nondir bora, mi refiitu la i)i fia.Hor con pregberie,e
pre/enthingannhe danari fmemmo fan- t,ebe bebbila ricetta. Non mi rinere/er
parla qui,aeeioebe eia feuno feeondp ilfuo bi fogno: fe ne pffa feruire. Cioua
qlle infam mattoni fujfojtoni, nebbie, fJole,e Jimeli,efe non fanaal medefimo
giorno, almeno al fecondo. Se volemmo qui narrare quanti buomi mi bauemo
guariti di quefie infermit farebbomo troppo \u ngbi Piglia di vin greco due
earrafe, di acqua difiiilata di rofe bian ebe msza libra,acqua di celidonia due
oiuie,di finotehi,di Bufra gia,e di ruta altroeanto,di tueia quattro
oneie^garofolid' indiai altro tanto,zueearo in canne rofato vna dramma, mezza
di can f or a,pr altro tanto di aloe. La tutia fi prepara in quello modo. ^
infoca fei volte,e tejl'ingut in acqua di rofe mifchiata con vin^ greco, ma l
acqua fi butta poi.Le eofe ebe t hanno dapefarefipt- fin- Di Gi.Batt.Jella Por.
Lib.VIII. j j, iHnb fottiiJpmAmenU , t fi mtfcbino ton acqu. Lalot in qu. ii9
modoS incorpora con f acque per non poterfi polucrix.z.are, Ton gaf nel morUio
vn poco d$ acquagi fcritta^ e rimefcbi con dtli- genga , finche diutnii acqua ,
efi faccia in modo di /alfa e quefio tanto
che fi rimefebi nelf acqua e
eaggionga air altre eofe * Porganfi poi in vn vafit di vetro eouerebiato e ben incollato fa-
btratcbenonfuajpori^Spffni slfolet& alla ruggiada,per quaran $a giorni
reme/ebiando trety quattro volte il giorno tcofi foibttt fiaggionatafijerha
alFvfo:ee neferuiremo in quefio modo
Alla faliamii)aggiou,fiftole,edjrceflfi. Difiendafi f infermo fui letto
fupnot t apra ben gli oeebi me butti
dentro vna lacbrima it quefia acqua a goccia, pot ebirn^ apragli occhi
roteioebe F acqua entrando perla eauit de gli occhi fi ^arga per tutto,e
quefiofifaeei due, e tre volte ilgior^ ^efitrguaritote di quefio moaoppi ce
neferuiremo Alle nebbie de gli ocdii. Se le nebbie faranno fottra, d/tto la
eornea,fa peluere. di fuo' obero in canne rofato,a lume brufetatOtir ofio di
feppia,ma pelo hfiaifottiliffimo,ffeiateiato,ebe toccandolo fipaiatoeearnulla,0
quando fi v a dormire , ne porrai vn poco de quefia peluere ,poi ibi Fillerai
/opra vn foco de quella acqua, ciuaaglt occhi, e dor , ma,cbe fi confumar
fubito a poco a poco * Per confirmari demi. Gap. VI. tr tngagltardifee,e di pi
fi ferrano fearnati,glt incarna, oli ri- yJ^fl^AldamreaquefiolifahiaeLfp^^
fmartnofalmafeorgedt radtet dt notei ben lanate, epoReom- Aaa 4 ' fiamen-
Dlgitized by Google Della Magia natortle * fMuntt tri mani pitne& atrotanto
di fiori iifalntA^dt rofm^ rinOidt /rondi di oIiue,di piantaggintto dut
manipitne d'bippoei fiiymarrubio^o cime di roui,mezxa libra di fiori di mirto O al trotanto de'fuoi ftmitdut mani di
bottoni di ro/t>cbe non fiano aa fbora aperUtdut drammi dtfandalu iorianni
pnparati,di feor t.t di citrOtre drammi di polusrt di tinnamomotdiai noci di t
prtffo t cinqui pigm Virdi picetoli > dut drammi di bolo armena orientale ti
dt mafia, Pejtinfi tutte le eofct e fi pongano in vin^ rojfo gagliardo a
moUttCome laebrima difomma e iitno eofi
tro giorni y poi premuto il vin ItggitrmetAiyi/ongafi in alembicco di %! e
^biancbtt bordimqfiraremo altrtL o^ericnt^ Ferfrnarideatt Si pSgono a molle frodi di KtfeoM rofmarno di
Saluia,e di r Oli in vin greco poi illerai per vna fiorta a foco leggitre,e
pofio pc vn poco in bocca fi riuolger per la bocca tanto , ebefi muti in
faliua,ebe fortifica i dentijnearna, cb* mbiancbi/ce. La radicLmO del piretro
manicata da quel dente, toglie il dolore,eofi anebora^ fa la radice dfl
iufquiamo. A'i dfti gelati ci bauemo elperimeniar i4 la porcellana fcritta da
fatti Alle gengiae fonfio* ii peRino le
radici , e lefbndi di pintagain , o s*appftcbina foura le gonfiaiurttquando
vai drmirt Ha mattima lo Srona^ aaifecckt* b , * . .
V- ' 4 * * *
4 * Acerta DigitizecUay Google Di della Pr.Iilb.VIIT. fSi A torre alcune
infermit dal corpo humano Cap. VII. / EREMO ' in qutjlo tapo alcuni rmtdp g lafclarfi a dit fronde quali hautndone
fatta iPfffo ieJptrierzl'babbiamo ritrcuatt vcru e ben alcuni di lorc fono
vjtathe/tntthpurfon ri iC prima Al dolor della cefit. Siejhaht dalle rfe vna
certa quinta tjftnz d eolor di fardi iP*idi merauigliofo oioriyt di
mirahilfotent^yhagninjt pezze imo in
quel liquore. e fi ponganonelfronte^e nelle tempie , tlche fiato prouato da noi tholfe volte e fe gli inueeebiati dolori non toglie
^almeno li f leggieri. Se le ptgj^ fi fteeano .anfhora il dolor dura , non vi
rinerefsa bagnarle d$ ruluo. Molte volte ba ^ fatto efperienza della pietra
ferpentina pofia alla tefia,^ b trOm *' teatOtebefdlleggieri/ce
merauigliofamente. Ho vifo tor la ver itgtne eo I toccar la te fi a con tvngbia
della gran bejiiatt prtami da fanello nel ditOi tor la perpttuamentt% * Alla
fchirancia^ ^ ' Taeetafi vn laccio dfeta eremefina grojfo come vrq iJringat
9 fattone vn cappio pogafi al colto
d'vna vipera fi rettole afaatelm eofi finche muoia, ebe far fra vn giorno, poi
tagliare il cello alla ^tper a, ee lo laccio refii co' la tefa:ferbatclo,e nei
htfogno aitata tatelo,ai collo di colui, che patefee^vdraf grandi effetti I Airaperturc dc'labr. / femi del imfquamo
buttate foura i earioni ateefi, quando / lza il fumo di quefii con no imbottatoio di earta,findrizzi fo fra f
aperture de labri, tarto caldo eke afptna bafii afifftirfifn-^ ^ifpfijgonfia ,
t Icfiffi refccrfuUdanii inficme ,f tuta tinafetW fm ejamaKor infegnaatfib . r
. DIgitized by Cooglc Delia Magia naturile Alp&aa rccio de i dici. Vm
mtrMgliofo e^enmente,ehtbabbiamo imparato dalPa- actlfotma dalla molta
&trunza,cb$ n'ho fattoi ho per mrabir It^trcbt togltt Cubito il iolortyil
gonfio j fa ebe C vngbia non iaCf igltfi vn lumbruo di terracbe/oglto no
nafetrt dout gotti fkatot t anale ttbe efeauando lo trouareUttoglilo viuotdy
auttoU. gilo foura al dito > unendolo tanto fin tbt muoiaiil che fard men
dvn bora,ptrtbe f abito toglie il dolore , e difetta la materia , e fi fama in
breue tempo t ne b tronato tofapt merauiglofa di qno- ia di tanti rimedi , ebe
b proteati . Giona antbora ponendotU fofraf berba trafiolU detta^erebe i
Creddijfima^t futeofa , e eom la fua freddttxa togli e il /noto $ fi doloro .
ie men valoroj t'teneito* Alla dogli di* iandu ; , . . i *. Toglianfi ifiori di pianori feluaggi
nelmeftiimaggodnam . d al nafter del Sole , prima ebe Captano tbepertfier le foglieua dtlieate t fi
difettano per ogni leggiero taldo e
ta/ta^ofi feteana aW ombrale fiferbano ad'vfo.ouero fi deRtUmo i fiothefiferbi
C - aequajaonde fe aitano ne prender, quanto vna dramma deUa^ fua poluere eol
vino,o quanto pu andar foura vn tarlino diar^ gento eon T aequafua^o ton l
aequa per Jefola^ onero C empi aRro applieato al luogbof abito fi lena tl
dolore non fenga Rapar degli ofia nti. Il m edefmo effetto fa la ferratura del
vif^io dell albero della querela beuuta eo'l vino. Si porta vna pietra da
Hilpagna detta dell' iftbiada,ebe
ifimile alla plafma di fmerald, portata^ * al braeeio ligaia in argento, e vn
raro rimedio eontro qeeeRa ma lauta AUAfitna^ tre libre di /rondi di tahaeeo ,
bollite in acqua ehi le euepra dito,poifpremere , eoa altro tanto di zmeearotfa
firoppo dace- dome ogni giorno vn peto Al mal del fegato. Cipigli C berba
fegatara^impintUote elteriafi ptfiano ,ofena eaua Digitized by Google
D;Gio;Batt.de!IaPr.Lib.VIir. 9mfutt9^J Ufcia pofar U notte* ebt a mattinsfar
chiara* fi ne piglia a digiuno vn bicchier o con vn poco di zuecbero:per otta
giorni*efana le mani, e piedi, gambe, & ognififiula, e putrefeci- itone cbe
procedi da Jut A gli hemoirhoidi i^no
anello fatto di denti di Camallo marino portato al dii biglie gli
bemorrboidi.Cbe pi non ritornino^ pigliano fitte fio- fofaggi di quelli cbe fan
le ballotte di lereo, fi bugliono in oU fomune,e cefi caldo svnge,cbefuhitoleua
il dolore. Al Jolor colieo* .. Hauer giouato il gibetto , perche ongendo di
intorno al hellin ' quanto vn grano di frumento, e tolto poi vn pan caldo dal
forno, fialdate al foco, e pojio foura il loco doue bautre ontofi calchi ha forza fra tutte le r(/c> tontro la
pietra mangiato crudo eottoouerofeeco condito eolt jalttd prefo in
qmatfiuogUa modo,ancbora fatto in poluere,cbieif-. in vna pignata ben toner ta
> e lutata intorno , che non ejfalt quel fpirieott po/la al foto. Hauemo
anehota fatto efptrifza d'vnactr sa aequa contro quejia mfermitd > cbe vien
fuori di vna vena qual t^ittruuio prima
la defcriffe tbe bautndala io eurt^Jfma- enente ricereata, bauendola
ritrouataee n o rallegrammo mal to. Le parole di Vittruuio fon quefte* Di pi
fono alcune Wfio.. atri di fonti , come in Lieafo O" in Italia virena eampagna^ TbeanOi
" altri molti hmgbid quali hanno quefavirf > ebe^x fcactiano via le
pietre dalia vtjpca , che n afono nel corpo buma- notcbe quefia operi
naturalmentefi vede in quefio modo , cbc^ quel fucco fiacre , .aeetofo in terra
pajfando 1' acque per quei luoghi s'intingono di quella acutezza le quali quando far arma ajjonte nel corpo ,
rompono tutte le ptttre.,cbe reftano in corpo ptp le reliquie dell acqua e le
cofe cbe incontrano. Hor perche cagio' ne le eofe acri rompano e faccine le
pietre, io porremo conofere da quefio Se ponemo nell aceto vn vouot"
laftato iui fiarper al, eun /patto, la forza diuien molle, e fi dijfolue.
Anebora il piombo, CgrauifiimOti duro.fi far pofoin vn vafee pofoui aceto , e
poi eouerto il vafe,e ben chi f, ebe non refpiri auuien cbe il piombo Ji diJfolua,t diuien
eerufia.Per le mede/ime cagioni il rame
tbe i di natura pi foda.Si fimilmente vi far pofiofi diolute diuicm
verderame. Cefi anebora leperltnon men duro, ebe il fajjo delle ftlieiebe ne
ftrro,ne foco le pu norere quando fono rifi^datz^ dal fofoe fparfomi /opra delf
aceto.fi dijf tuono . Dunque f noi veggiamo quefie eof dinanzi a gli occhi
noliri con le medtfime magioni argomentiamo delle eof acri aeetofe.Ancbora fi pof fono guarir
coloro che patifono del mal delia pietra
. Fin qui WiitrmuioM luogo dout i quefia aequadioggi fi dice a Frantoli-,
ffiio- DI Gio.Batt.delIa Par.LIb.VIII. 5 ^ j ftjontano vn miglio da Ttanott
pajfa per la firada publiea^per la quale fiv %pma , e cene fono anco dell'
altre per mez,o miglio lontane da T eano.Si trouano anchora nel ventre del bue
vna bai la grande pi di quelle eon le quali fi giota^e fon ture > effe pon-
gono nei vmofi dtsfafe fi d di quel vino al patiente^o guariftt* Non lafeiaremo
di dtr vn olio Ver inforcar lo ftomaco. Mirabile > " augutnentala
eoneottione > e eonforta la voglia del vomitare t l'alto fi ftofi.
Sipigliamegpjoaro di olioper^ frttiffimotef pone m.vnvafe di rame fiagnato
dentro t di bocca largale poi fi pifa tn mortaio di marmo eon pifon di legno
qmin~ dm libre dt menta romana , molto bene infin tante
^e diuetu- ti in forma divnguento, dop aggingeui anebora affinilo,^
oliot mefcbia con vna cucchiara di legnOima co Ivafe coperto, che non vi cada
dentro qualche fporcbezxafiafcia fiar cofi
molle per tra giomiypoi a lento foco bugh ogni giorno cinque bore,e
qutfiofa^ ' ogni quindici giorni fin a tanto,ebe la fogetta natura dell olio
ri- fi te la virt deli berbe,ebe vi fono Hate poBepoi tola rberbe,e f olio per
vn panno di lino co' Itorcbio.ouer con te mani , acciocb f necaua fuorl'olio.tn
quell" olio, che bai gi premuto,vi fi pon- gono r altre herbe rmoue , e
purpefie,e di nuouo fi cuocono,e poi la fperimentiamo , e bifognafar cofi
medefimamente snfin alla ter- avvolta, e quante volte facciamo quefio , tante
volte bifogna far il me de fimo , mentre l'olio diutrr m c'olor verde . Ma f epu- rar tolto dal fuceo , bifogna
granfaiidio , perche reiandoue- Ole ben pocbtjfimo , e l olio oprar d
languidamente f e perder tut- to .llfegno della buona eoneottione , e deli
ejfer tutta eonfuma- ta 'bumiditi ,fe fitllarai vna goccia fopra vna lamina dt
fer- ro infocata, e non f irider. Al fin terrai vna libra dt cannella, e onega
libra di noci mofcbiate,altrotanto di mafiice, e dt fpigo nar do,e la terza
parte di garof ah feparatamenU prfiett,e ben fi.tA-f fiati le mefebiarai eon
l'olio riuolgtndo fempre co vna cucchiara di legno , poi parrete tutte qutfie
eofe tn vn vafe di creta vitrea to,ma che batit vn collo lungo , che fi poff'a
otturar bene , e eouer fbiarfitdi tonta capacit , che refii vacua la terga
parie del va fe t bifogna che poi fila
al fole per quindici giorni , me- feolan- Digtized by Google ^44 Della Magia
citurale 1 f(olan9tt ruolgenio il' tutto trt , t quattro volU il giorni / poi , , ftrbahptr ilneeejfarto Per i venni
de figlinoli* / monachi di S. Benedetto donano per amor di Do a tutti re-.
lorotcbe lo chiedono vn olioycbe imerauigliojtffimoper ammazzar i vermini di
uttiy ongendolo contorno al bellicose tempUfipol^ J!yC Ingoiale le
nariei.Piglia mandorle di offa di ptrjichey e man- dorle amareyagliye cipolle
fcalognty l&brici roffiydiyna libra.Ror dici di Gentiaa,fra/mella y
gram^nadmperatoriay onero anrii- noypeon ia maggiora naydittamo biancoydi tutti
egual parto vfL^ manipolo.gruogo, calamo aromatieoygarofoliy aht epatica,
gaiba- noycoloquimidaygengeuoy noce m^cbtata cinnamomo,pepe lungOt
incenfoycarpobalfamoycoralli raffi dramme quattro:teriaeay imr- ra, dramme
/iymenta,abfintio, abrotano fre/coycentaurio minortt /rondi di
perficbiypuleggro roffo,piantaMney ruta, marnalo tf- pio /rondi di lauro,
faluta,rojdmarina/antore^ia,maggioranao bettonicayfcorzt di melo araneio,/corze
di granato, di tutti # manipolo/ime di eauli,libra vn/eme di apio, portulaca,
rafano piantaggine, porti,cimim,codogmffinoccbi,petrofelinoy /rondi di
Upatorto,lupini,faggioli roj/i germanici, di tutti libra vna , bac- che di
lauro, corno dt eeruo/iel di toro libr.meza,aceto bianco for tifJimOyVtno di
todogni libre trt^lio di mafice,olio difpigo, olio di petrofelino ,olio di
lauro libra mega,tutte quelle cofefipeliano - in mortaio , e fi bugiono infame
in vinticmqut libre di alio v ec* clo tnjn alla confumatone dell humidit di
tutti gh ingredien ti con bugilo lente,ejuaue , e cuoprafiUvaftmlqualJibuglitff
conferuaperfermrfene ne' infogni Perlofega4b. Piglia eepono eo I leuarfolo del fale^ e le donne
ebe mangiano continua- enmte ilfale,e le cofe filale fono lujforioffsime, e
notar fi fecondi- t. E perdi Preti fingono Venere nata dalfalcycbiamata bahogi-
titjouero dal mare.I facendoti di Egitto > eol mede fimo teflimone di^
Plutarco dal fiale e dalle viuande
falate fe ne qflengono rih- giofamenie perche quelle fiimolano la lujfuriay e'i
prorito diVe- r/. N oi habbiamo prouato quefio efper mento fra gli altri eeet
eentifsmo A far Digitized by Google DI GIo.Batt.dclI Por. Lib.VIlI. ^6^ ds
lalmorbo,e per ejferno fiati fcritti mol da moltiy noi ei conte- ntremo di
quejto folOydet quale non fola in quefia malattia^ rr.a^ quafi in tutti, come
potremo feruir , e noi i qufJio ns Lattiamo vijio molte volte l' tfptrienx.a,e
fifa con poca Jatica,e con men fa- ticafi riceue dall' infermo. Pigiifivia
libra dijigatura di legno fanto,e meza libra di farfa pariglia ptfia
grojjamente, cinque oro ze difrondi,e fojficoli dtftna,dt agrimonia, e cardo di
ceuallo vrt mampolo,vna dramma di cannella, alirotanto digarofoli vra^ noce mo
fiata ,fi ptfiano quefie coft , e fi pongono in t barilotto nuouo,ebe Jia i capacit di vinti
carrafe napolitane, e fi riempie di vin greco, d altro gagliardo bianco .filano
cefi irfieme per vn giorno naturale , e i quello beua l'injtrmo la mattina , e
la fera quanto gli piace eena,t^ a
pranfo.percbe euacuer a poco a poco tutto ilmale,oltre tlmalfranceje,ene
euacuafie molto, e fi debili tajfe r infermo , lafciar di berne der qualche
giorno.' Nel tempo elPeftade non vi ponghi la cannella ne la noce mofebiata.
Noi /' babbiamo anebora morta alli dolori continui delia tefia,alla for dir
dell' orecchie, al mancamento della voce, j" altre infinite ma iattie.
Li anebora vna certi Prefernatione dal
mal Fraocefcc. Della quale porr Vbuomo ftruirf ine doppgli infeliei ah-
hraceiamentideUe puttane. Piglia vna dramma di arijlolocbia,e di gentiana duo
firopoli di faudaliytdi Ugno aloe s, mezo di poi- uere di coralli fpodio,e
corno di ceruo bruf ciato, vna mano piena di berta di fianca f cor dio,bttonica
,feahiofa , e tormentiiu, altro tarrto di rafie fegature di legno /anta due
volte tanto , di ramt^ hruj'ciato due,meza dramma di argento viuo
precipitate,vna li- bra di vino di maluafia,rdue di acqua defiillata diJcnco,e
di fica btofia.Meficbta il vino,e lacqua, e ponitia molle pers.n giorno na
turale la fiigatura del legno] anta, por le cofie rrfianti, t cucci co-
fitrfinfihe fi eonfumi la met ,fi coli , tfi prema ,ein quelliquo- re bagnale
pezze di lino per vna notte, poi lafeia afeiugarz^ all'ombra , r f cefi Ire
volte , dop il coito lana la tefia della ver- , co' IfuQ pificio'jpo riuolgelo
con vn poco ditela ancmmt- data Bbh Contro 57 Della Magia naturale Contro venenieccellentillmi.
Gap. X. , V ogatn pro*>ojitione nella' Medicina , che l herbe i, pietre
altre coft le quali buttate nelle fauci ferpiyl'vciiden'j > che quelle fono
antidoti contrai: vclem , com: hahbtamo lejtto appreso Diofeortdtj* dell'
anebufiyonoclio y che vogliamo imito contro le ferpiye veleni, t f torrai
alcune frondi di lorolemqfiiebereU.t eh /pitterai ncle loro fauci, svccidi
fubito. Laonde noibabbiam pre~ Jb vna mez,a dramma di teriacayt diiattatela con
acqua vttey e pQ fiale nella bocca di vn /erpete mor fra mesta bora , )"
il me* dejimo bahbiamo fatjto co'l Mitridate^ ^efia meiejima eompo- fttone
babbiamo pojia nella bocca di vn prpe aquatico detto eer^. uone t il quale finza.valenot df ejSsndo fiato.vn
pocafiupefat- to t ritorn nel fiato di prima^ itammo dunque eauato l'olio de'i
femi del citroydel melangolo, e del limoue,e buttatone vn poco /- la gola delie
vipere le quali fubito morirono . Etc
fucco V i '. \ .j Di pi vna deamma della
radice di angelica , e f barn vccifa in vna bora, ilbalfamo co fi ebiamatO\ che
fi porta daM' indie oeei- dentaliyVil molto contro loro, perche bauendone
ontola boeceL^^ e Ugola di vaa vipera , fpir fra metta bora , l' orientale duro
al veleno prefo,ouero al marfo del ferpe
prefentane&remeiio, come Aetio eiinfgna. Ned' Arabia, doue nafte
Ubavamo, non vino- fee co fa velenofa, ne mai alcuno vi mori di morfo di
ferpenU, ma i eccellenti fimo rimedio
ehi haueffe prefo il veleno.de ferpi, per- che queSa micidial forxa fi
eonuerte in pi piactuol conditiene. Noi non babbiamo trouato co fa pi
cceellente , ibe la terra di MiltaM ogni picciolafijfima quantit, che babbiamo
pojia nella bocca delle vipere, t'baue vccife veloci fimarmnte. H abbiamo am-
chora^eCperimcntatoeffer della mtdtfima virt quel legno impie- trata,del quale
fi feruono i Medici per rimedio contro i uertni de barnViniVi vn pietra chiamata boraee, cbelonite,i
franeefi la chiamano erapolina,e dicono che fi froua nella tefia del ropo vee
ebio. Digitized by Googli DI GIo.Batt.delIa Por. Llb. Vili. 371 tbiOif grande
> la qualft altrt vtuo effmdo nt la cauaJJetdicono ebe vai molto contro tl ventno. Dicono che J
eaua quando vino in vn panno dtjearlatoydel
qual colere mo/tojdilettano.e quan- do eglino Ji ripoj ano. e refpirano dalla
fatica , la/cianoquelpe/, che hanno in capOtil quai cadendo dilivitne
niuraciHella acco- modata a que/lo ejf 'itto i fotta fe non cbefeJa ritorna a
bere, * inghiottir e. Ma io non b mai ritrouato alcuno,cbe T babbi cana- ta a
que'omodo,ne bauenone aperti molttfb potuta rtiroua- re.lueSoJi ben pojfo
affermar dt vero, che quelle pietre che
cefi btamano , e dicono che fono canate fuori delle tef^de' rofpi ne hd vife dt
minerali, t mi ricordo in Roma bauer vtfio vnpezzo di marmo grande, il quale era
tnera/iato di quelle pietre, che di- tono de rofpi , e Pianano eoji attaccate
al dorfo della pietra, come le pattile al f cogito, " erano dtdiuerfe
quantit grandi, e piccio- 4e.%Anxi nt ho , o fono eccellentifiime contro
vtntni.La virt vera,ebe i contro
veltnfcbe mangiando il veleno,^ ingbiottendqfi,ia pietra ncn* gli noctr,pertbe
andr mifchiata co'i zeleno , e rintuzza lefut forze, e le rende vani, alt' bora buttando, ui dentro te frondi ben
ptfie al detto pefo con vn cuccbtaro dt le. gno riuolgendo d'intorno , finche
pigltaranno color dt fargut.j , Quando fi viene vicino alla cotfuray aggiongeui
poluere dt gare- fiali dindia ben pefiiy ccu due dramme di mufebio li quali irm
. vna amica compagnia lvn garofolo con J' altro yaggiongeri gran dtfpmo odorcyc
gratta alla cotfera.dop fi ponga tn vafi di terrOy come svfayC fi conferuino.
h> alcuno vt aggiongerd alcune gocccie dt futeo di limoneellt y faranno
afiai pi bellcyptr lo giocondo co^ lorcycbe fi hard de garofoit. Potremo buttar
Ju 7 marmore la me^ defimamiRurate formarla in modo dt rombi , e far ne citte
for mette rotonde. Ma s alcuno vorr farla medefima conferma m . modo pi
eccellente . Cautfi il color delle frondi del garofolo ' con r acqua y e con
quel deaotto fi cuoca il zu ccaro.pn che odonr. con pi vebementia.Son
alcuniycbe non pefiano le Jrona t del garofoliy ma con le fiorbtci le
tagliaranno fottilifi.miy come captiityc h con- dtfeono col zuccaroy ma non dar
gu fio al palato mangiandenc. , Ma la gi detta da grandijfimo piacere
gufandone, e dara gran-, dtjfimo guflo quelfuauifitmoodor digarojoli.
L'rfperienze, nbabbiam fatte fon quelle . ' Qioua molto alt' afiettiont del
cuo- re y Cio ai mancanunto de' fpirttiy al tremar del core , vertigini y a i
v'neni , ^ a morfi di animali v e lene fi , t-/ pnneipalmente cotuo f
infettatiom della pejle . Si fa di loro e mi Bbb 3 aceto Diglii^ed by Google
Della Magia naturai: eeto,e Je?:tro,ebe fe Alcuno ft m fregher t narici ghoa
molta a tacciar via l'ejfalaoni ptfiifertxAlle difHlattoni notturni 4 gli effitti iella malinconia vale anebora
quejio remedia Contro la pelle Nel meft
di Maggio , cogli i corimhi.dtirbtlltre ti It /rondi de fiori di
papaueriyinna&i,cbe efea fuori il folttt che raprtnt f%Aprtle fi raceoglit
la galega,eioi la ruta eapratia ficca neltom hra,efe ne facci palutre ii cui
vna dramma beuuta co'l vinOtV le contro tutti i eontaggi della Pefit, La pietra
btgaar, tbe fi por- ta dalf indie QtcidenWi appefa ^ core , cbe^renaaal dritto
de! eorctouero la poluere data co l tmo al pejb dt quattro grani vai f antro la
pelt,e cantra P infettioni delle febri pefiiferot come ba kiame
el^rimcntato^toglie la fineopt^ concilia aMgrezzaal eo- re Vaequa^ouero Polio
efiratto ddjemi del eitrojvm eeeellentifi mo contro venenotcontro la pefict
fiato anebora t^erimentataf>^ alto di Apparino Pfagnuola valorifo contro la
pene ' Rimedio alle feritele piaghe.
Gap. XII. atmnzemo anebora di dire akuni rimedif contro le ferite t e piaghe li
quali non lafeiaremo dietro perhautme
e^rimentatodi loro alcuni dimera- uiglk/a operatione. Ma prima alcuni ttmtro le
fi* riieit molti altri . L'olio di
Appacieto fpa^ttolo . T^a due Are di cera nuona%quattro oncie di
/aluiatOltretS'- ' to de femi di limer di rofmarinotc di lauro Auc oneieA
altro- tanto di bettonieafior di e a momillot di P olio trctc mena oncia^ di
cinnamomo altrota-ito d' imperito t onero del tuoolUheduedi olh
ve.cbioSifeecaioi fiori,e l: /rondi alPombra^e eomefM fee ehi fi pe /linone fi
fetaeeino poi fi liqucfacei la cera al fica% dop vi ' fi butta l'oliQtdop le
polueri fiacre wfinandM tm vn euecbiaro al fi Digitized by Google - - Di
Gio.Btt.della Por. LIb.VIlL jy f s bu Itale fopr vn maeeator*,/ceali in
ptecte/ipej^i, poi li porrai in boetia di vetro ben lanata , eflaetomoda /opra
ti f noe oolfuo reelpienteicbiudi le eammffure di modo^ebt te eoft rinebim ftmn
pojjno re^irare m modo aienno efpartfea
U /ua virt , prima rumerai i' acqua a foco lento dopoi augmentanio riceui folio rojpt con vn'
altro recipiente, e ben ebiufo /erbio per lo Btjo- gdo. Lecita forca ri/calda
molto.Pnma il collo, che far rieordu^ to per frtdatcza lo guari r onden ione vn
poeo.Confola ie ferite* Alle contrattione de'nerui perla fr dd*g^ gtoua
mirabilmente Uuifci i dolori delle podagtt fredde, toghe i tremori delle
mani giona alla fiativa*Beuuto con vn
pieo dt vinogioua alla febiran eia. ngendo il petteneecbio , elereni ouero
beuendo l'aequa, tl fuo olto rompe la pietra, e caccia fuori,e vai contro il
vcneno.Gio- ua adaforditi dell' oreccbie,o->tg di fpetie di auatre, che
viuono di pefei,ebe prendono la notte. Le earni loro non fon buone mangiare , perebe puzzano di pefei ordi ,
ingranati oltre modo, Quefii veetUi s ammazzano poi fi ^iumano,e juontratefi
fogliono fintefiim, e f appendono per gli piedi,eola da loro vn olio modo , che
pende eU nero ma di odort.^ puzzulentifiimofalidiyt di pefei.Ongendofi di
quefoolio quan tofbuomabafafoffrire far tutte quelle operationi, cbe noi B bb 4
bab- Digtized by Googk 57^ DelirMagia Wat arale. barbiamo detti > e pi gran
afe ancbora. M sili doglie caldi fa gran danno. Si fava acqua Per le piaghe
Tccchiet i ' . Bagnerai la cala con
acqua poni quefi oly in vna ca- .
zoiitta al foco , e come faranno ben caldi, ma che non hugliano , fi pone meza
libra di minio polueriz^ato a poco a poco con vn eue~ chiaro di legno,
finebefia bene incoi porato, poi vi porrete quattro ondi di fucco di faluia a
poco a poco , incorpora henijfimo , poi
canaio dal foco trattala con le mani,ehefidifiurber come filo,la- fciala cofi
tre giorni , rompila,e ferbala in vnafcatoletta . G/o- ua mirabilmente al
foco,eome di arcbtbuggi,cbe lena fubitoil do- lore . Gtoua applicato a
talloni,a torre t Jpront, vngendogli cal- do la mattina , e la fera alf vicer
delle gambe di mal franeefe , o altro male inuecebiato , alle mammelle guafie
delle donne , allt^ piaghe della natura delle donne, e del membro dell'buomo.A
can- ibort.efcrofole diftefofoura vna tela, e foura le apofieme.Noru.0 laf
daremo di narrar, che babbiamfpenmentate. Le virt Digtized by Google
DiGloBatt.delIaPor.Llb.VlII. 3W Le virt deirherba tabaao. Coft cblamaia
volgarmtnte,cbe a torno per tutto. Si cauaviLa olio da fuoiferm , cto'e tre
onde per libra per efprefiione,&^ fioride. Legge/ anebora , t alcuno la
terra qualche tempo /uHU uella mano, che tinga, r vrina. Jnfognaremo anebora
Come6po& fiir venir io cotorpaUdo. l cimino beuuto induce nella faceta
'de'benitori vna linideg^ ](a,e pallidezza Ji forine fra i fognaci diPortio
Latrone, cbiaaa maefito deltarte del dire , che con que/o incitaua la
pslidezz/o^ ohtfiol venir peri fi rudi. E poco innanzi Giulio Vnidice con/n
motore della libert dt Nerone eoR bauer ingannato il tr/amon- lo* T anno
atuborafimiggi dclmino eoMro, che vogliono ma^ Uraro Digitized by Google
3^ DclU Magia naturale {ir Arei* faee*
pAllidAtper voler molrar fanit, e m*eerathnt del corpo . Ci anebor* vno efperirmnto % ebe eiafcbmno porr
cono/ cere . Come siaducano le piaghe* L'berbd elem Aride % e l* /I immola
^intolerahile eeremoni^l Ia qual non
fenz,a cagione i Hata cbiamat* fiammolat quejla pi~ Ha,^ tmpiafirata tn
breueAempo vleerst quei luogboy ind- e le puf tuie fono le cantarelle
ptjie mefeolute con lacqua fortCt fanno
v/cir foura le carni certe ampolle piene daequd,e con quet~ f anebor a. Si
fanno gonjiar l bernie Della fafcIoatione,e de i remedij contro la fafci natione.
Gap. XV. 7 A Jtamo gionti a parlar della fafematione r ehi fieno gli fyanatorttne cofa da lafeirji a dietro perche fe ntfia lecito landar trafeorrendo
per /t-> carte de gli antichi ritrouaremo molti tefhmonif lafciati a noi , e
glt effetti , cbe n hanno vifto di ci i moderni, conferma non poco l antica
fama,ne mi piace ebe s'bah hi a tor la fede dall biJoria,fe non bafiiamo con le
raggioni ren- derne le cagioni, per effernoui molte eofe delle quali veramente^
nonfe ne hanno potuto render le cagioni * ma dir quello cbr mi pare, battendo
prima raccontato lopinioni degli altri . merai molte eofe appreffo Virgilio, e
Zeouito. come Non s che ca:ciuo occhio mi aflalsini I ceneri augeliecci.
tJgonoA Memfro^ro dicono ejferno in Africa certe famiglie che affafeinano con
la ltngua,e con loccb.o che
merauiglianio- fi pi del dottcre di alcuna cofano babbino lodati ah uni Oeth
bia de feconde , o bambini grxfletti,eceelUnti cauatli, pecore di colto, e di
peffo graffe ficcano fabito,e fe ammareifeono ,ir.Jn cbe muoio noyfenga ebe di tal noeimento babbino alcuna
altra cagione . 1 1 ebe [olino ne lafct
anchegli feritto. Il medejmo dice Ifigono di 2'riballi , e febiauoni tjftrno
molti della medejimafpecie- t quali . ' ha, .no Digitized by Googic D;
Gio.Batt.della Por.Lib.VlH, 3 8 1 hanno m gli occhi due puprUc, e co i fola
mirare affafdnano mor-> ialmentCr oeeidono quelli. che guardano molto, e
principalmen- te con occhi irAeonditCoJ fono di noccuol vifo,' i giouanctti
fen- ttno quel mal magiormente. Dicono ancbora,ebe in Scitia ei fi- no alcune
femine,le quali fi chiamano Bitte, come dice ApoBonia- de,e Ftlareo,chc in
Ponto come Jia vn altra gencratione , e molti ti altri della medejma naturafde
qualTdieono, che il fegno fin-* ^ che in vn ofcbio babbino due pupiUe,e
nell'altro vna effigie di co uallo.Diduno anebora fa mentione di quefi.bie
diffimil da qut- fio ne def trine Damane ejfer in Etiopia vn vtneno,ilcui tendi
apporta la morte, la rifolutione a
corpi, che tocca, e che le donne tutte affdfcmano con la vifia , che hanno
negli occhi due pupiUe Cicerone pur
ferine di quefii , eqfi Plutarco , e Filar co ejfernoui genti effafcinatrici ne
Paletenobei dt Ponto,i quali non filo ai fi- gliuolt,ebe fono di debole
eomhjfione , ma igiouam,che ban cor- po purfode,e pi gagliardo, S" elerno
pejhicnti,e conia vifia , e eol toccare indur malattie con le quali vecideuano,
e m arema- no,non filo ehi con loro continuamente bi^itajfe, ma gli forajiie-
rire queUi,ebe fiauano molto lontani dal commercio loro , tanta-* for^a hanno
negli occhi. E fi la fornicatione quantunque col toe far fi prenda,e eol
mifebiarfi infieme , finalmente ft li d perfet- tione negli oecbi,perebe efeono
certi Ipiriti dagli occhi, che giun- gono infin al cuor dell effdfeinato,^ l'
infettano tutto. B cefi am- uune che i giouamtti,cbe fin pieni di
fangue,fittilc,abiaro caldo, dolce, tali
fino t ipmti,ebe da loro procedono, pcrnafierno quel- li di pi pura f angue del
cuore , e perche fono leggieri gingono
Ua pi alta parte del corpo , t vengon fuori poi da gli occhi , e fi
lanciano da quellhpercbegli occhi fino affai porofi, e brufeiati , $ fino le
parte pi lucidiffima di tutto il corpo , e con gli gir iti ci viene
accompagnata vna certa forma de raggi infocati, llfimile uuicnc a coloro , che
mirano alcuno con gli occhi fan gnigni per alcuno dcfcenfitcbe tirano a fe quel
morbo , c diuengono anebora i loro occhi infocat!,& io d i quello ne poffo
far fede, ebe traffi au* me vnaiiifermit di occhi, che vn atmeo patiua , perche
l' occhio infetta laria,e quella alia infitta, i)- auuelena quello, che gli Jla
ppreffo,e cof quell' aria,cbt l vicino agli occhi del nguardan tCtf -porta fico
vn vapor difangue corr etto, della cui contagione infettai' occhio di colui ebe
guarda . Di quefo medefmo modo il lupo toglie la voce a chi lo mira , cefi il
hajfhfi o la vtla ,jl qual eo DIgiiized
by Google 3 8 ^ Della Magia oatnrals ton l'a>pstto euita il vsneno%e con i
raggi manda It ferite veleno- Je^eome anebora mirando net fpeccbiotcbe
riuerberande i fuoijief Jt raggi ritornaua nell'autore donde partir^ Il
med^moauuien nello fpecebio mirandola vna donna mefruata,come dice Ari fio
teUycbgdal fuo afpgtto fi macchiale perde lo fplendoretilebe auuie ne perche tl
vapor-del /angue toccandolo fpeecbio, il quale
ter/o, den/tc poUttjjirno l'vnifce, cbe-ageuolmente viencouerto da vna
certa maccbta,e fi dimoftra cbiaramente-tanzi fe lo fpeecbio nuo uo,ne la terrai con molto fafidiotilcbe
non auerebbe nel panna, onero in vn fajfotpercbe in quello vd ferpendo, e
penetra pi pro- fondo^ ma in quello perla debolezza delle parti refiefio%erintuz zato dentro. H a lojpecebio,
perche d fododi contra^a,edorefiettt, 'C perche
freddo lo congela in goecie. Del medefimo modo auuie- nefe refpiri /opra
vno fpeecbio di vetro la faccia fi copre
di vna fottil ruggiada difputo, e poi adonandofi infieme diuienfputo . Cofi la
moltitudine de raggi, ebe vienfuora da gli occhi, e che fo- no vebicoli
defpiritugiongendo ne gli occhi del riguardante , li paffa, arriua in fin alle
parti interiori delf buomo, cercando la ^ fdefimie aquella,onde partijfe , che
fu dal core, onde rhrouato ilcoredtl riguardante fi congelano nella margine di
quello, e Jd- uengono f angue, ^efiof angue peregrino molto vario dalla natu ra
dtlf effafeinantefi putrefa con fe il refiante fanguaonde for za,cbe colui s infermi,e ianto per-durarui
quella contagionz^, ^quanto vi dura quella forza del /angue caldo, e perche
Taffettio- nc nel fangue,xagionafebre
eontinua,cbe mai manca , percbzu Jifaffe aecefa negli altri hamori,come biella
colera , o nudlapite- -t,baria alcune pofe per irtteruali. H or per ragionarne
di ci di- Jlintamtnte,babbifi afapere primieramente,ebe a^prejfogli auto- ri fi
leggono due forti di f afeino, l' vno di amore^ altro dmuidia t di
maliuolenga-Se Ifafcino verr da fouercbidfiellezga,e da^ vna belltjfima vnion
delle parti, fe ben i raggi vengono dt lonta- no,pur $l veleno fi tira per gli
ocebi,e t imagine del bellijfimo oget to viene a feder nel cuor def innamorato,
vi accende il fuoco, on- de auuenetche fempre boglia,t perche il delicato
/angue della eo- fa amata v vagando t per il cuore, vi rapprefenta il volto del
fuo padrone, e riluce nel fuo ifiejfo fangue,il qual non potendo ri- fofare
nella fua propria fede, viene ad ejfer tirato come il /angue del ferito nella
perfona del fetitore . luefio lo deferiue Lucretio con molta eloquenza Quel Di^
/ DI GIo.Batt.delIaPor.LIb.VIII. $9} Quel cerca il corpo, onde
parti(re,eimpiaga D'acnor la mence, perche cadon cucci, nella fcrica>c in
quella il /ngue fplende Di colui, che con gii occhi cihrccico, li f Ha di
lontano, allhora ilfangue Vermiglio ad occupar ne viene il volco.. Ma fi far d'
wuidia, di maleuolenza ilventnotche Thar af fafeinato la fafeinatione far molto
notcuole^e per lo pikjogliono le fafcinatrici ejfer vmebiarelle.Nt far alcuno,
che poJJ'a ntgare% che portando, alcuno inuidia, malcuolenga ad altri, che
l'animo infetto di quella pejle,cbe non babbi anebora il corpo mfetto,e l'a
nimo infermot inferma anebora il corpo , ne folomuta il proprio corpo, ma ne fa
vn altro alieno, e tanto pi, quanto l'ardor dtlla^ vendetta.interiore, del
defderio rifede nel cuore.I,'auarititL^y 'la maleuotenzAit amore non muta i
colori della faccia, e Ibab ito del corpo} f inuidianon eolorifce il corpo
dipalide^^ta , e lo renda d'vna ejrema maerezza}' Il defderio nelle pregne non
pafa nel figlio,ebe tien nel corpose imprime il fegno della cofa dejiderata nel
fuo tenero eorpieciuoloCofi quando l' inuidiofa dri^a il rag giodeir occhio
ardente, iy infiammato con queldefideriointenfif- fimo di offndere fi parte
dagli oceb'hquel foco,e quell odio arde te di dentro, e v nel corpo-dei
riguardato > e tanto pi f l'affige , y imprime,quanto fono pi belli, e pi
riguardeuoli, e pqffaquel raggio dentro come vna faetta,gionge al core,e Io
brufeia, e li por tajeco la cagione della fua macrezga, e tanto pife trotta ,
cbt^ fieno coler ici, fanguigni,percbe quel morbo molta fi pafee dell'a-
pertura deporUe delia fottigliezza degli bumori. Tfj folamente linuidia,
altrapefpone rende cofi il corpo,ma e cofa ageuolifjtma ritrouarfe nel corpo
delfbuomo dentro veleno, ilebeproua ^Aui- eenna,e fi trottano molti,cbefono di
fimilnatura, ebe meraviglia dunque far f e quello veggiamo,ebe fia fiato fatto
con arte ? La rema dell India mand ad Aleffandro Magno vna giouanetto-^
bellifjma nodrita di veneni di.viper e, come ferine Ariftotele , eia ferme
anebora Auicenna per teflimonio di %ftfo. E fcriue Gale- no effeme fiata
vn'dltra, che mangiaua Ubiofeiamo fenta offefa, " iaconito, il veleno
banca cofi infetti ifuoifpiritiycbe le gal ne non iaecoflauano a lei,econ l'vfo,
t con la frequenta ( come babbia- Digilized by Google / $ 84 Della M agla
tiatnrale (tome babbi Amo pi volte letto ne' libri degli antichi) Mitridate
eoji ti refe inuincibtlt al velenot che f Ridi Ponto f che volendo ammag^rfe
iejSo eo i vensno per non venir viuoin porto di Romani che del veleno che prefct non gli ne venne
alcun danno Le galline le quali babbino
mangiato vipere > e lueerti tC delfru- mento, che jia cotto nel lor brodo^fe
lo darai a beutre ad vn fpra- utero, li far cadar tutte le penne, fi fanno
molte altre cofe > cbt^ farebqe coft molto lunga a raccontarle tutte. Si
trouano anebora molti buomini di lor propria natura,cbefolo co' l toccare
guarifeo no alcune infermit. Molti fon,cbe mangiauagti aranci, t l'o~ leandro,
e fprezzano i morti delle ferpi, ne fenteno il veneno, fi a no la medefitna
conditione quelii.de quali la vijia,' i. raggi, ebo mirano,aJfafcinano non fola
gli huomini, ma le piante, lbetbt^, e tutte le cofe, che mirano, e li fanno con
la macrezza ficcare a pa- go a poco , e fpejfo doue rtjieiono quefit
antmalifivedeno le biade feccbe,cbe fon jatte partecipi di tal ventno , non
altro , che con la forza degli occhi, e con vna certa aura venenofa > che fi
parie dal corpo loro.Le donne al tempo de loro mefrui,e col tcceare fanno
feccare i meloni, " i eedruoli,cbe marcifeono . / figliuolinit" i
bambini non fono fanneggiati pi vtilmente degli buomini ebe dalle donneefi trouano ajfaipi fpejfo
femme affafeinatriei , che buomtni per la ragion della eompiefiione perche con
pi gagliar- da cafeata/ partono dal loro temperamento, " mangiano cofe pi
ajjt noceuoli , ebe per ogni me f auangino quelle Juperfiuit de lor mejirui , e
la aolla quel fangue melaneolieo. Laonde quei va- pori ptRifert inalzati f n'
ef cono per gli occhi , efpirano ne' corpi di eoloro,cbe le jianno prefenti , e
li riempiono il corpo di quel Juo morbo. Laonde i fanguignit" in qualche
parte eoleriei,\e che bau no gli occhi ampi, e Jpiindari, e giallicci, e viuono
cafiamente( per- che nel cotte fi mandano fuori l'bumor di quei fucebi eattiui
) i quali eo'l guardo frequenttffimo.' con vna gagltardif sima ma ginatione
drizzano la vtfia nella lor vifia,efa che t'incontrino i raggi con i raggi,
j" i lumi con i lumi , e J congiongono infieme forf vi potr indurre amore.
Ma perche quel fucino voglia in- dur quello amor particolare,e non di altro pu
far fi ebiat o dalla ragion deUa,e da irJ.Auuiene dalf mtentione dell'
effsfeinanU, ilqualjitrtfinette per li fpiriti ,oueroper li vapori al maleficio
cefi ammorbato da quel /pinta diuien fimilt a lui, e mafsime quan in quella
peytione,^ qffettione,t con i'imaginatiua d' intuir mo quella Digitizi,u l:y C
lOOglc DiGio.Batt. della PorXlb.VIII. 3 Sf 00 qutlU eofamolto JJfa > e
gagliarda > e babito che 'ha durato tanto tempo, ba l'obtdtenza de' fpiriti,e
del [angue , all' bora /i po- tr allaeeiarei" injiammare aella virt aella
icfa dtJtderateL^ , Qantunqu PanimoCcomeJferiuead Aumntta queia cpinio- ne,
fepu eauar da tati ferttit)eo ifoi dtfiderio,e co'ifuo impe* rio pu imprimere
tali affettioni. Piace a Mufto ,cbe loccbioja fuello,ebe betta i fondamenti
delPamore,e*lf eglir.ojiano iprinci pah allettamenti a fare innamorare , e
Diogeniano dice, cbe l'a^ mor nafce dal mirare , che imp(fftbile,cbe vnopojfa amar eefa non vtjia
, e Gtommale^ come ecfa prodogiofa narra di vn^- innamorato . 4. . *11 qoaj di doona loai non vifta ardea . *
^el splendente mirar d'occhi cofiitnge la eofa amata injin al- la pazzia -, i
prinpy dell' amore fi cominciano dagli occhi, perche , 1 refianti membri non ne
fono cagione i ma aiutano, cbe con leu* beliezga della faceta trattengan
coluircbt miri, e mentre i cofi fuor dije mirando , con t guardi lo ftrfea,
oceida, eb" all'bqr- Cupi dine fearka la fua feretra , come la faetta , cb'
vf cita fuor deglioeebi , pafaghoeebi di chi mira, e dt l pot brufci ilcorz^.
Dice Apuleio.^efli oeci [eoi penetrando pr i miei,feno difctfi injin al fondo
del mio cmre,e m' hanno aeeefo nelle midolle vvol^ grandijjtma fiamma . Non mi
par , ebe a bajlanza.vi babbi da- tOyefcouerto t pimi fondamenti defafcino,aebi
dejta imparare, fe non far moitogoffo, & ignorante, li prr ingagliardirti ,
con molte cofe dette da noi , mbe fe ad alcuno parr di meraui-
glia,conjtderando l'injirmit, cbe foghono venir per la contagio- ne,com e il
prorito, la feabi, l'infiammationt degli occhi , e la pe* . [cjf co' l toccar ,
conia vifia , e con il parlare pu ammazzare il vicino,^ infettarlo della fua
infermit, perche la ptfie amorofa , . ebe i la magior di tutte le pefti non pu
impcfar i vicini,e fatiti tm fumar nel fuoco} ne foto bajia infettar altri , ma
alle volt ti impi Plano lorfleff, ^ il f afeino, che fi parte per fafeinar
altri, fi riuolta in lorfteJfi.Si legge neiferitti degli antichi di Eutelida,
ebe dalla refUJfont dell' aeque,de'fpecebi,e de fonti,vedendo rima gimfua ,
rmoh V amore m fe fleffo , & iui in fe fitjfojiriuolt il fajtino. Dice
l'autore La vifta fua ( piacque fe
mede6mo Che con queirocchi caltri fafcioaua ^ Habbi fe ftcflb fafcioaco,e
morto. " Ccc Coii *|ta dato alla natura del- le eofcebe tutte in ft
bautfftro perpeiuttterei il ma/ebiote (a fe- mina, aeeioebe con feconda
generatione non bauefiegiamaiamM iar la fpetie, eebe il m^tbio fuffe ebiamato
all'atto della gene ra- tione, allettato da queBa^beUeutaA cre la donna
molle deliea- ta,e bella,aeeioebe
allettato da quea,quaj eoilretto fuffe follici tatoJ'I(pi dunque aeeioebe la
moglie piaeeffe alfuo marttone offe fi dalla loro brutte%M andaffero ad
infeffaret t maeebiare gli al- trui letti, babbiamo bauuto penfiero dt
prouedere alle donne co- me con il
ruffianefmo della bellef^ , & allettamento de' colori fi fuffero nere , ruuide , macchiate e brutte
e f vergognaffefo della loro brutUKKatdiuentaffero bianche i Itfcie ^
bionde , o " Qtc % billtf 3 88 Della Magia naturale btUtfJme. Noi
babbiamaranhe alcune cfe raccolte ilifcritti Se gli antichi delle migliori ,
che ci pareteano , t'babbiamo 1^*^ mentale^ le buone l'babbiamo portate qui tma
affai fono migliori quelle della nofra inuentioney e de' ritrouaii dei pi
moderni , th anebora non fono fate Sampate , aggiongeremo aU'vltimOit primo
eomineiaremp ideapellu 'r Come capelli
polfaoo diueotar bloadi % . 'T :Cap^ li ^ ; 7{, effere il prmeipal fudio
deUe donnet ornarf eapeUi,edopla
JdcciatpritnsinJignartmaornar i eapeUit e uopo la J acciai yrtwn vrr>r ^4 P capelline poi la faeciapercbefimiamo,
che il capei- ^ lif a il niagior ornamento di tutto il corpo buma- notcBe tolto
quello ; refa tutto l'altro vanoyc man ebeuole.- aU'bora fimo che i capelli
ftno belliy C^ ornati , cbt^ mai , 'quanto ptei biondi fono Jplendenti , e che
buttino raggieo- pie l' oros A far quello fi confiderina tutte quelle
cofcychefono giat ieye che non offendinollte&aU per efier.m meltty dobbiamo
tleg*' gtr quelieycbe pi tofiogiouino. aleorpQ. Ma prima , ebefi tinga>
noyhifagnafarvna. Prepatadone ^t'cafcnf ..
i * * lui qual tnjegnaremoiactiocbe fieno idonei a riceuer la tintu- ra.
uille feccie dii vino bianco aggiangerai tanto mele finche.^ iiuentiienero,ecbe
fia Ibeff) a modo di vnguento , di quefio on- ri il capello, e dalla fera
fitacofi infinp alla mattinayC poi fi lau^ Poi piglia radici di ebelidouia, e
di rttbia magiore eguali parti , f pifiale, e pt Re porta molto nel qual fia cotto cimino , rajkra di',
boffoyr vn poco di xaffarano mefibiacon diligenxa,ongi,ilcapOi.- tlafciacoflonlo
pervngiorno) &vna notte y poi laua con liffiuio fatto di tenere dcauUyO di
pagliadi orzo. ma lapaglia. difecalm migioreyperchrfecondo la continua
tfperienga delie dounojaui oapeibiondoyt: refflendenU.Maxofi farai acflitti*
Digitized by Google Di Gio'.Batt.deIla Por. Lib.IX* $tp t Lefltnio ptr far i
capelli biondi . / n tfsfi di tnt di botc Urga /pandi paglia di orza tfen tco9
cimino ftiuaggiOifatto firato /opra itrato con calete c ta^ reo fatto in
poiuerc, dop pomui /opra della paglia gi dttta^^ a di nnoMofifpargeno Upolucri
facendo fi ratofinebe/a pieno tm$ Po il vafctc come faranno ben rifiretU dop
bauerni buttato molta acqua fredda^lafcia eofi per vn giorno, ma apri lo buco
di fotta , e fa nfeir fuori il lefsiuio/eruitt di quefio co'lfapout per t
capelli^ Xe inftgnartmo anebora Va aler.
* A cinqmo tarrafe di acqua di fontana
aggiongi vna oncia d ume difeccie, e tre dtf apone t" vna mano
piena di paglia di fa ue,e fa bughre in vnapignata di creta, finebe manchila
terza^ farte,poi lafciafar ref dentate con P acqua delle centri, &per 1. .
, ; , Vi. Afiur i capelli i 'oro*
f. . -c ' . i { Canji r olio del mele per
deJtiUatione-,eomt infegnaremo. Fri- o vfibk tcqua'ebira\ poigiaBa> poi
doro, di quefia eifebui- remo vagendo- ieapedi con vna ^engia, guardaetdo che
non tobn ebi la cotica, perche la tinge giaaa^ ne ageuolmtnte il color andr
via. ^eflobdi bmono,ebe la tintura durarper mo&i-g>mi,a dolora ane bora
i cauMti,ebianebi,cbepocbt/ono quei ltiitq,cbo^s l49gano . Ouerofi Uffuio di cenere dt queiceia , &
aggumgiuif quanto vnafaua dt rabarbaro,ahro tante di tabacco, vna motta, piena
di fieno greto, e di paglia dt or gpf corre di meo arancio, li~ matura di legno
finto, cafiarn fiufgio ,0vn poco di liquiti- tia,bugiam tutte quefie cofe in vn
pignato di ereta finche man-^ ehil' acqua per tredife iiquefia fi lanino i
eapelli , afeiugaft al fblceepot spargendo fofo /opra i earbonifufiumtgberaii
tapeUha uando fi brufeiari rtetm quel fumo per vn embuto di picaeiot ' neo, e
eouerto intorno di vn pannoiche'lfumo noer fi perda. Como i capelli fi tingono
di yn color roifaccio. Gap. IL . i
r.-- E*F,CH F fi trottano molte donne,- hetonrini i 9 carne riffa i /
de'i eapelli del topo , e della barba , r p quali f t It faci fitto di color
d'oro, difcordartbbona dui olor della
carne, per dar aneborajodnfattiottf
quifiifn paratojmmedgfii
quifiifiebeti tAntia i* , Digitized by Google DI Gio.Batt.dcIIa Por. Lib.lX.
391. qaafmnte faetuano rojjt i taptUi con la limatura del decotto del- t albero
lotosi ^ual albero noi ebiamiamo volgarmente in Napn li melo /loeeolotouero con
la fecce di vino brufaata vecchio, nel mo otcbe bauemo gi detta , aggiongendoui
lentifeo cio F olio , che jl f di tal modoaqmejlo effitto.Lcf damano le bocche
mature di len ttfeo parpareeet gtorm fan a monti^ncbej marriftono,poi bui.
tandoeei acqua nelle caldare di rame ebe
bugltuano fin tanto ohe ereqffiro,ne riempiuano poi veo /meco, e ne cauauano
fuori F~ alio,co*l torchiateli quefio olio ft ne ongeuano $ capelli per miti la
natte4 eofi It faceuano rofii.JMa come noi p^amo fu i capelli roTti > Vmfeguetremo.Vidt noi vota poluere da Africa, ebiamat^
Volgarmente altkena , la quafe buglieremo nel l^uio, finche^', rajti colorato,
e nvngeremo i capellini Unge d colar roJfy,cbe nau , ftartfee mai per molti
giorniema intanto che vai ongendo,guar^ dati di non toccr F vngbie,perebt mai
andr viet, di moda fi tin~ , ganq.Cafi aneborafi tingono le giuke, crini,e.ie
code de camalli di i eolor rfio.Ma noi con l'olio di mele fodisfartma tutto quella
. Perche cavatone quell'acqua chiara, e gialla, aggiongendoui fua- eo,ne
verr fuori vn olio rqffo . ^eita i vna tinta etcellentiffi- ma tingere in rojfo i capelli , e bianchi , e
canuti pur tinge per molti giami,t quando la tintura fparird via diUgnandofi,
refi a ranni/ i capelhdieoloreFoeoemaquaudoongemo il capo eo'lliJJ,'
uio,pigtiaremo la fpongia con le forbici , accioche non imbr auto- ma le mani ,
eia cotica della tetta bi- Jogna
aneboraycbe diamo foiisf anione aUe neatrone^fe printipal- mtnte aeeadejjiiche vna
cartezza importuna innanzi tempo oceu pajse la tefia. xAntteamente fi fieeuaeon
la deeottion* delie fron- di di faluia^ieUefeorze delie noci vtrdhde frutti del
Rboude mir iOrouOyCtpreffh feerie deUe raditi deO'elee,e eofe fimilh laoortec-
eia delia radice dell' elee cotta ma prima, maraat e tenutala nel eu pedo tutta
la notte f i capelli ner^ma purgati frima conia terreo eimolia . Impara dunque
Il capdllo canuto come dieenghi nero . Piglia le fanguifugbCiC falle marcire
nel vi rojfoper einquS~ tagiorni,poi ongi i eapellial /ole, e diuerranno
ntgri/fimi.Oueru in duo feftarq di aato,vn fefiaro i fangutfugbe pofie in vafe
di piombo per fffanta giorni a marcirete come babktam deno,ongi i
eapelli.Plinto dice,cbe b tata forza di tingere i eaptllt,cbe fe n9 tengono la
bocca piena di olio coloro,ce fi tingono, che annerife* na auebora i denti. Ma
fe ti piace Cbs i capelli dioenghino luoghi , c neri Piglia vna lueerta verde, e tagliali la coda
e'leapo , ettoetlu m alio eomane,e n'engerai la tefiafhe barai auebora Vu'aliro
. Con queTlomodo ongerai eemmodamente la barha,f irapelH fidiaengono bianchi
ad mafaeeudp th safemgbino da lor feJi.U
nahtltffim mUPm fOirannofaf oanqueRomoda ' "*"* * - -*s ^ Che i peli
Bafeono pi deUcaci . 4ngetp era /olita hrufeiarjti peli delle gambe eoa
Uftorzt^ 4inoti/eecbe,aeeiaeie iifela9qfeepfimoll*Ma . & ongii Ia teliate legam /opra U eapo
le /rondi ielmedefi^ Jmo.Dice aneborotoke t tenere del fiino del Qamelo
inere/pi il ed pellojoaero il cenere del corno del montone triti con i'oliote
poi on^ greit dapofpifie volte > ma prima rapTiCofianthra i rici mari- nte
delio cafiagne ridotti in eeverot" pati eol mele nel capo* .
A&rleeigie bdUe. , Cs^. V Ilf ^ ^
%/f4JWo la mano dal friuere del fari ^ ^ * ivfegnartmo mtcbora , come le dob- \
P(y^ far nerJ^fer abbellir le eigUa, perche non pa* tfano le domxe ancora in
queilt co- - ^ ine nell altro* 1 Qrect
chiamano ^uefii rimedi coi* Mlefitritquafi belle ciglia.. %AntifyamtnU
dunque ^ A tfo^re i biiracigi
^Sifirtmanodettaurra ampeSteJa quah i molte fimile alhitm wy j>/7y4,#/4
color ntrobthffimojes'vfdnclliabbigli&mem* U delie Ciglia^ m /amer i
capellitouer la midolla dii bue del- confolismergiotta-a'i vitii delle ci
iutnto di tana , r con olio di [t/amo , e la fuliggine in va/e nou9 e quando la
omsa andr a doqnnr . pomitm poco di ^ir acqua fu la pianta della mano,mefcbiae
poi imptqftra ia^ jkceiateafcia eofifeceareta^cbe non fi attaccbi Urmuolot e '
la mattina poi lattati con aequoabiara$ eritrouerae vene facciami >. affai
bianca j e rffpimdceite^ Come le donne debbano beh ^urificaff \ fu la ' faccia
accioche panano riceuere i bel- ut d& que dei negotio far , ebejtriwo fi
prepari la Jaeeia e quefia far Vita eccellente
' IPreparation ddia faccia. '
Euttefi femola di farina di orzo in vna pignata piena di ac- qua legata in vna
pezza di lino, e bugliano tanto,cbe non refiifi , non laterza parte, poi ti
prema quel latte,aecioc bene vengbi tut- to Jnori,t di que fia decottione bagna
la faceia,e lafciafeccare poi y ' V*.
Vo"altrs Digitized by Googl DiGio.Batt,deJIaPpr. LiblX. 401 * '** ' l'' -'
\ f T Vn'alcro migliore . Quando Jt bari a purgar la /aecia,outro imbianchirei
hifogna torme alcune pellieineiU quale fogUono impedire, che i\belietti non
faccino lega con la carne, "J^ifia vn' oncia di argento vino foliima to'
in foiultffima polutrefpntla m vna pignata vitreata, buttaui poi dentro fei
bianchi d'vuouo , e eoj ben sbattuti che
fieno con- utrfiin acqua,poifiriJcaidifu le ceneri calde , finche dtuengbino
ipeffcipoi li poni in vna tela di largo uffimento,e premendo con le mani cauane
fuori l'acqua, con la quale fe ne Uni la faccia.Dop mtfebiarai alla fopradettn
acqua egual parte di miele, e di bian- ehi di vuoua, ponila fuura la palma
delia mano , e frega con It^ tuoni quel luogbo , 0 lafaccia,ebe vorrai mondare.
Al fin poi bu- gli la zea, che cbtamamo Spelta, e come far ben cotta ,
prenci quel fumo per lembuto . All'
vltmo fi freghi l faccia. con Aw* panno di lino rozzo . %Altri fi lauano la
Jaccia,neOa quale f" buglita la
femola . , ^ f ' t y
, , I i^,.. , p, I ' , , , ^ ^ *
t * r Come fi ftcci la carne del volto mollecioa Gap. XI. A feconda dote detta faetia i
teretSenta la mol- lezza, tofi anebora
delle mani , ma quefa sacqui- fia con eofegrofSe , e principalmente con lo
lattea deli' afine, ebe toglie tutte le rughe della faccia, con- ferifee alia
biancbezga , e la fa moBecina. Per non fenga cagione Po^ea Sabmamoglte di
Herene porta eia ftmprz,, feco cinquanta
aftne , e ne bugne macerana il fuo corpo con quei* latte, Perfe tu vorrai fare
, ^ La faccia mollee rirplendence . donile moOiebt del pane nel fiero, e nel
latte.poi le diSiBeras, 0 con que ila acquane bagnerai la fua faccia , perche
opera ga- Ddd Digitized by Google 40 r . Della MagltiitttJrale^ - - a rd Amenti
a far la faccis bianeSf^ a toneilir lo Jplendoro^ in qutUa Quiro piglia fu
carraft di latte $ (*r in fniHf maeererai le mo/liebiydel pane per einque
boritpoi piglia dieei limon e few %alu e feea il corpo in fottiliffime
fette poi sbatti duo biantbi di vuoua^
pefs vna oncia di canfora > e due onde di alume zucca- rino,mifebia tutte le eofctt poi diJUlla^ e
pontfe in vafe ben e ouer tOtcbenonref^iritponialjoleenafeondiloperlobifogno,
Git i vu altro fecreto ' Al ne^dimo. \
Beefl inacqua duo piedi di viteQa ben nitti^n tantOt ebe n tv sfumi la
neett,poniui vna libra di dfo e lafcia
cocere , ba^a^ nnOicbf li pane in latte di afinatodi capra^poi difitlla dieci
btan ^ ebid'v.ioua pejlt con le forge jt tutte quelle eofe diflilla a foca lentO-ir aggiontoui vn poco di canfora,! di
boyace^ poni tn vale di vetro duo piccioni pelati^ cauane fisori l iute fiine,
e pone ut tacito latte, che fi eueprano, & aggiongeui vna onda di borace e
tri di tcrebfntina vna di canforate cinque bianchi di vuouo^ e pofioui il
couerebio difliUa , perche delle enfe grafie fi condii^ tnelezza alla faccia .
Le eofe re fi and diremo quando parlaremu di bianebeg^iar le manine di
'tsoUtficarhtper vno il modo di re-
mediare all vnOf" off altra. . Cotsefifaeetl volto* nfplcfdente
com'argco-' to Cap X 1 1* ' /^*| EJifH
fi fd non fol rtlpleniefe^ma di argento da quelle eoftt ebe babbiamo detto,the
hanno fembian P fa di argentone f ben non fi vedr argentata,ma^ PX
rifhltndenUeorme dt fplendore dt argento . B vno berba ebiamata volgarmente
argentarla^ onero or- geni inaydi cui le foglie dalla parte di fopra fon
verdi,ma dalla^ eontr aria parte drargentOyC le donne pongono alla faccia
acquai dt fallata , dtquefla a tor le macchie , & ad introdurui la btan-^
ebrzza,e lo fplendore di argenU. Le lumache y ebefitroMno n*^ htagbf bumidi y.t
nel eaminare lafdano ilfegnaledt hr camino sstar- [>tgitized by Googl Di
Gio.Bm.della Por.Lib.IX. 401 msfgtntato.Seriffi DioftorUt , tbnioglit it mace
dalla fate s , fi de/dtrano motto dsUt donnttptrebt di/hUate m vaft dt vetro,
Ji tua da loro vn' acqua la qual monda
la faccia tetelUnttJJi- mammte , e la fa riurartt che fpUndtr tome di color dt
argem~ $0. Ecci f orteebia marina > di eui la faceta di dentro ,fpUnde di
eolor d'argento o dt perla , fononi
anebora , molte fpette di con- obe,le quali foft a macerar ntlf aceto fpogliate
dt quella crufta ^ difuori,riman rtfplendente
aguifa delle conche , che producono perle. SonoMi le eonebetle quali
chiamano madre perle, le qualtdtl la parte dt dentrofplendono di eolor di
argento, come color di per- le, delle quali tutte fe ne feruon le donne per
farfplendente let^ faccia', perch rifpltnder la fanno di color d'argento.Ma
tceellen fnamente fra tutte le eofe fanno queflo efftto le perle, ejftndo Iute
tn aceto forte , e macerate fitto il fimo , pere he mandano i vn certo olio
rtfplendente , eceellenttfsimo a far la faccia fpltndida,comt ne parleremo
nella fitognomoniea pi diffufamtn te. Al me defimo vfo fi cerea la pietra
rfplendente di color di ar- gento. M a ntuna acquai pi eeetUente di quella, che
fi f del talco t o de ir or gemo viuo come infegnaremo apprcjfo . Ma vogliamo
Lraar le cicacrici delie ferite della faccia . Si piglia acqua da partire, e
con il pennello fi pone fu li orli del le ferite. St ve ne fono , che fan la
faccia molto fionda con i labri rouerfeiati, e lefoffttte , che fu male
appuntata,cbe l'acqua rom- per ,e far anfipr a certe vefiiebette , lafiia
romperti, & lor fieffe, che faranno vna crufia lafciala cader da loro , che
cadendo rtjie- r la ferita vguagltata dt fitto , porrai fare a poco a poco, e
ncn . tutto in vna voltr.ebe poffa ilpatiente far ifuoinegoty , e quan- do fard
ben eguagliata afuo modo , ongtui fipra f olio di eeree^ , a di earake , 0 di
balfamo , ebe fanno u medefimo effetto vi refii tuire il colore, poni vno per
volta, o mtfebia, cbefiapoco r^er la cicatrice del medefimo eolor della carne,
e forra quel rojfire , che appena ti conofeerd dotte era . Ddd % Come Digitized
by Google 40+ beila M agta naturale Cocne l facci il liquor del talco per i
belletti delle donne . Gap. Se ben in luogbo dedicato ^uefio effetto^ ran- naremo pi di ffuf amente
t tome fi 'tatti l'olio dei to ^ * E eo,qui foto dimofiraremo tome fi prepari
per I vjh delle donne. De tutti i modi
tbt vanno a torno do jSJiSlS quali bauemo fatto efperienza > ne
porremo^ vno Pejla il talco nel mortaio
di ferro , e poi P ateomoderat in vnapi* guata di robufitjfima ereta^e pofioui
il touertbioja chiuderai con fildi ferro, e poi incolla con luto, che non fpiri
per oleunfpira^li e pondo poi al fole a feccare,poi la porrai nella fornace
delle pietra in luogo d)U! reuerberano le fiamme. ouero in altro luogo,doue l
fiamma fia gagliardifjim a ^ leuela poi come la fornace far finit di ardere,
rompi il vafe.e troucrai , che ridotto
in calce ottima- mtntemafe non bene, non ti rincrefea porla di nuouo al medefi^
mi luogbo.e far la mtdifim.ioprafincbe vedrai, che la talee fi^^ ritornata tn
quella bianebe^fa , che fi defidera , quando vedrM dunque, che la calce
fiaperfittamente diutnuta bianca , peflala^ 'nella pietra di porfido,aceomodala
in vn f*ficbetto,ouero foura^ vn marmare tn luogbo bumidiffimo,ouero in vn
pozzo altijsimo, ou;r ciflerna,e lafcta jl tr coti.cb: per la fouerehia
bumidita lo ve drai d'fl Ilare. Ma piu ageuoJnente , c pi perfettamente fi
feto- ghari tn acqua, (e far ben bruciato, e fatto calce, perche leparp ti
calcinate, t diseccate per forza di fuoco, pi tirano afe l'bwnip do.
Efifaanebora * 4 D'altro moiot Non inutilmente, Calcina il talco, c poHoo
iupignata tnfor- nate di vetrari , doueil foco e pi gagliardi/timo , e lancialo
eofi ptr fei giorni , che il talco ridotto in calce per tal mado,pofio in^ vna
zueca,la qual pruno euacuerai , t fatto vifaratvnptcctoltfi fimo bu fo, e
poflola in luo^o burnido con vna fcudella dt fatto , ne rtcoglttrai lacqua, che
nethlla , e la calce duerr acqua, e que- lla porrai in earrafa dt vetro , e nel
bagno eaua acqua , eferuttt Digifized by Gogle V D Gp.Bttt.^clla Por. Life.lX#
JjfMii/o iS^rimAndifotia* Noianebora D'ra altro modo- C# n* JAmo /erutti.
Pigiia le lumache ji Jafciale al fcouerto feu ire girniioeeiocbe Ji moiana di
fame, e diuengbino maere per la fame,e fi purghino bene, poi tortai la calamita
arg'ntea.ouer tai 0 ridotto in fotiiftima polus^e mifebia col bianco d"
vuouo, e fa rat come Acqat di argento
Wno . Son molte danne, th non foftngono F argento viuo/bllimav ferebe,i molto meeuole alli denti ,mafi
ftruono delF aequa, fdet. Veramente di ni un mo -io meglio fi taua acqua di
argento viuo ebe quella, ebe vien
chiara, e burn da, per ebe bagnandofila faccia eon quello
fplende,biartcbeggia,e riluce divn coler di argento, re- Pira la pelle,e la fa
mollt,e delieata,ne bo vifio in mia vita coft^ pi eeeetlente.llmodo di canario,
gi F bi infegnato- - %. V . ' Mod X ' Digllized bv Gouylt J DI Go.Batt. della Por.Lib*
DT. 407 Modo di far la crufla per il volto . Gap. XV. ERCHB V argento vmo
/Bimato, tmohonoem^ e al volto iban ritroUto vfar la teretjfa in fuo luo
gbo,tna non fatta al modo Kfuaieima ebt JtntM pe^ titolo della peOe,e de diti
tle donne ne refiino fodit^ f atte, e Jnalmf te i' Ventatole eeru^e/PigJia aBi gi di porco btn
lanata, e purgata con acqua comune almeno dieci volte, e ponila in Icfjuio di
acqua dol(oedopo quindici giorni po- etila in vafe,ouer crucinolo di creta di
bocca largale ff urger fi- pra aceto jhrtjfflmc,buttaui il graffo-^bt l'aceto
auareoijepraper tre diti, dolo frma /opra la bocca lamine di piombo % e nelle
com~ miffure accomoda in petite di lino,cbt facete non ffiri via , per agni
quindici giorni fi toghe quel couerebio, e fi vede fe il ptombu fia anebora
riJluto,e radtncjpra quello, che vij eomCj fuliggi. ne, e rafo torna a
couercbtare,^ a ferrarle commiffure e
^cia per altro tanto tempo, e fa il medefimocomc babbiamo infegnatw di foura, finche
tutto tl piombo fia difoluto in ctruffa La eert^a poihifogna lauarfi in quefio
modo. Butta l'acqua in vn vafe aper tOypomui dentro la ttrujfa,imcnala di qua,e
di l, che fe vt/on ieuneSporebegze vadtno dijbura,la eerujfa perche grane ri- la gi, tranfuafa queBo,ebe
fopranota,e panini noua aequa , e fa tl medejimoyfinche vedrai la eerufia
polita , e netta,^ bauendqfi fatta Jeccare,reptnila aU'vfo, Ma ti piate atte
bar farla Di altro modo . t m * ' biglia due mani piene di or%p mondale lo
porrai a moBc neW acqua per vna notte, c dop ficco , ptfllo in vn mortaio di
mar- mo,e peljo ponilo in vn vafi vitriato,cbe contenga f aceto. , e poni
anebor nei' aceto quattro vuoui intieri con le fuefiorze, e Joura if
accomoderai vt.a lamina di piombo,e farebbe meglio coneaua^ a gufa di volt a, almeno la manco piana, che pofia eficrc,
cuopri il vafi, che non reffiri da nulla parte , c fctteralo mc^o nell' are-
u,e ponilo al fole , toglilo dopot dicci giorni , ebe farai fipelito Ddd 4 fitta- Digiiized by - r-O' 4'V Delta
Magia aaCarafe Jcuopripf rafthA c9 vnMpemta ia etru^a,cbt troiurrai netls vA
tA^poi leiM l'vmuAtt poniui fa al mtitfim moJot * Altri tgnti^orni radi /intht
far tonfumti( tnttA h Mmina^ La (truffa
poi Itgbtrai in wta ptzza di Ula di lino ndta t>n pO(9 para, t ponila in vn
vafi pitnpdi aefua,r sbatti di qua , t di futi fafcettoffnbe wdrai refudarnt di
fuori vna partt Umofat C^ il graffo rimanga mila tela poi Iqfciafar pofa alt
aequa ; t daiiit i naouo sbattUe fetaeeiaa muta /' aoquaffmbt non viffe^ no p:
fporcbti^e, alt vtima soia F acquaie ftrba ia po/uer rifeq aata.^lue/laeon t
acqua di fonte fola, fata faeeia biancbiffmn^ mlbianeo
ddfwamotolafarUuetntt^SonaaUrisebei : AAaomodlo*' Lattano fa etruffa,e fa fanno
pura. Pigliano fa Boppa di eans pt,e la mrfehiano neiianebi etvuouo lun
sbattuti > epoipon^nv ia ceruffd nel mtx,o\ e tinmoigpno > e riuolto la
tela in xm vefi d creta nuvao accomodatala tuottno ptr vna bora,e eiaggiongonp
f acqua, e quando bugiitji Ituvia la fptuma, poi iena datfuoeop afe vi rejla
alcun p-acetto di piombo, buttalo, poi farai baUottua con gomma draganti,
aceioebe pi acconeiamente la poff eonfer- ttare,ouero h ceruffd ben
piflajegaeonptrgamer.o, e dopo atta aala di fourxcon una tela alla manica del
vafe di ereta,e fi coetma in acqua digigh bianebi,al modo i cuocerlo > comebabbiamo
in- f egnato prima, ai fin ponila m vna feudi Ila di creta, a eauat, Jmri con
diligenza tutta t aeqma,ftaeaJa al fole per quindici gioie mi , t
eonfcruala Belletti eccelltotilllnilper
le doBO*> Cap. X V L # / A hahbiamo parlato feparatamenit , (0nu pfffo* mo
farla faccia bianca , fplendenU > e molle
bor infegnsremo l acque campo fit di quefiecofi ebur mi medtfimo tempo poffoua far Digilized
by Gt)OgI DI Gio.6att.dII Pr L!b;lX. 40^ Far la ficcis biaifca
rplen3eim)roi&iC molle. Cio gongtndvinjiettn molte Mbi^o dettele poi
tfJUnio. Piglia vn oncia di etrufia^lamtamctadi argenti viuo foihmatOtatro
tanto di gomma iraganth vaa di tartaro Ja fteali tutte ptfierai^ le porrai
dentro vn piccione fuentratOiC beli mettotpoi cuferai * e h metterai dentro Wia
pignaia m/ona di ne J^ua filata per grecate euor tanto ^ebe t pppjiei^ftperate
dal^ a carne \poi dtlilla il tutt,e quando andrai a dormiri fdaati da faccia, e
la matUna^laati'eon-acqmA dfonteyC e^ barai la far iabianea,e
vtrmiglihjplindentet delicata, fajp anebora ' laakro mo4o# . * **.* * , I Pe/lafre libre diflique di fami verdi*
agg^ongepi due di mte- fe.ix vna di rejtna di terebiatopoi ponilo in vn vafeU
ferra, ebf mon respirile lafda cofiperMto giorni fitto tljmo, pi aggionge-i^ mi
quattro libre di latte di afma,e nel fuo vaje c amane lolio* h con l'acqua la
mattina,e la/ird. Se morrai . . fa
altre modo* * fdfdttdjc. Piglia fiori
di famhmeOidi rofe fefuaggiat aggrefis* a coda di
canneidifUUaftparadamen%e,ogni eofa , e mifenta tutta k parli inJeme,oucr
diftla di nuom*t ponilo al fole, e quefiafa^ feeceUenttJJma.Ide infegnaremo
iToattroi Spiumer ti vnagaSina fenza aequa calda, o Camerai /infeJlf-r me, e la
partirai in emapoi ponila a mode nel vino per vna not- fe,la mattina auaa bene
in quedo-fir ingela con le mani, che nota vireti vin dentro % &
aggiongemdomi pm dui beochieri de vino' bianco, le fiderai per lambicco.poi
piglia fiori di cifiampe/ordici- tro,di mthraneio,e Riderai tanti irfitmc , e
conferua l'acqua yi- pkratamente. Poi aprirai i limoni, di quadi ne
eauerailacqua , il medefmo det fiori de fama, poi fei beeebieri d latte di
afina, " al- profantodi vacca diRid$rai,ti ' Comi ftremo la facci d color
vermiglio. . ; cap. X V I I. , BW55* Z A baSbiamo
infegnato aome fi fatti ja faetia^ bianea i bor bftgnammo afarh ehi da tutte te
parti la moglie pat beila at mart*^ ia^'PrimieramtnU ^ - ' ii \ \ H fiu^ ynniglia la feccia pallida.
Mi Cb'efendopallidetta diuegbbheUa\ eifermremo medio* Piglia aceto difiillato due
volte e buttato t J di/andali ro^, quanto vbpiaeorl tuonrat gendouivn
poeodi_alumt& barai m cL odori %no da tingerlafattia.Ambordfetps^^^^ gZ^eugiui vn poco di mtftbio
zilettotgarofoitt ouer tro aroma . Eeoont
. . Va'alcro . r * Piglia garofolifiorupigfiFeSremitd d;elU
fronda fi peShno ffem eutiljkeod quoti fiori fefaraimo molto maturi tbejtj ranno neri aggiongeui futeo di limoni tbe c^ porporeggino di eolor pi biambieeio eo*l quale ne porrai tn Jaccta con
pennello e tofi tontiliarai vn vermiglio
ttlotalleguantteJeM puzza,Ouero bagna noi futeo di limoneilloltfrondt
dtgarojolt foiponi al fole togltenelo' 4 veeebie ponendo. de vuout Jinebe tutr
rd colorato tome vuoi fa difeeearquelfueeo e eofiytdrm vn co- lar rokfmo* Ma
noi de garofolhrofe>& amar antt con l acquar* Vitanebauemoeauato laqmnta
ej/nza ( come dicono ) epos ag- Di Gio'.Batt. della Por. LIb.nt. 4t ^lontoui
alumejucco di eitrOt fieh4Uftno/a$to w testUnti^iM tohrt ftr far laguaneta
vermigli^. Piglia Altro* Si aggiongerd la decima parte di mtU ad vn iuon vino ,
* vna oncia d' inecnfotc poi dtJUlUraue noii^c^^^porraijkmellOm^ taf tir a di
Jandali rojji fin tanto* (btfia tinto a fuo^ ptaccrt . S t- di quella poi ne
lauerai la facti iUficrra bianca > t
colar aUm^ . pffiancbora vn^ Belletto , che qod pud fcpcirfi E con vn docifsimo
inganno ingannar d tutti tprcbe con Tae- gua chiara farai egtianeie vermiglie
t il colorirvi durarm moltitc molti
giome tauio pi paporeggiaqpel/uog^ * pi lauerai con acqua chiara, e fregherai
con panno dt lino . glia grani di cardamomo, che cbiamano i ^ettari grani di
para^ difotcubcbe^garofoli d india , r afura diverzipt ^ acquavite^ Umiliata pi
voltcydoue vn pezzo faranno flati inficme, onero a foco ento,ouero fatto il
letame,ne cauerai acqua, della quale ba^ guano fp*b, la faccia. Sono antbora
molti ejperimenti A colorar flocco* ^ Si bugierai ntIT acqua Tvrtiea,e di
quella ne lauerai il corpo. Io colorerai di vn color di rofe,vfandolo di
contin^-Cqfift didil Icrai le fragole, e ti lauerai di quell' acqua, ti farai
colorita la fae eia. Ma gli antiebi tingeuano il corpo divari/ colori, cefi per
or- mamcnto,come per parer terribili alegucrrc,eomefertue Ctfare ejfer vfanza
di Bntanni,i quali fi tingeuano con
berba glafio , . da Teojf affo chiamata Ifaetdc, da noi guado. Et
apprtJSo t Gnrr le donne fi tingeuano colglaflo , come ferine Senofonte ,0^ et
tempi noflrigi Indiani di Occidente. Le radiet della anebufa
aleeynpadell'efladt eaeciano fuori vnfueeo di [angue , nebz, molto ben fanno le
donne Je quali oeeoltanocon quel colore t w- fp delia, lor pallidezza, ebe con
queflo belletto mtnfeono il color vermiglio della faccia. Ai ' Digitized by
Google Ad imbianchire il molto rolTor della faccia. Cap. X V I I 1. ^ ^'*5- .
.fr JBi)AM'0 come J! eolori/ca Ufoo tiAjborcome fe tlfomerebto roJiort^uAndo 1/
corfo 'fioeemfAfaiurchiroffore ,e qmJUtfe dejf d quelle dnue , e' hanno la
fatela Jouerfbtamente eoloriita. Impara itanqueilmodo^to'l quale ferrai 4
I^i^DChict il foverphioroflor della accia ' Figlia quattro bneie di noecimofi
di f efebei due difemi t^eu ^ondofiUayt fremile fortementeic tornane quel
liquore aleagina JbSl quale nelauerai la maUna,eiaferOtt earbontbh eia rof-
finita dilla faccia e eoji a foco a foco
sndusnuovja egfl eme^ dirai . PigliauCa
Vn'ltro. Di^illirfe le vnlefauonazzcr fierze di vaoma^/piuma di ve- tro,canfora
mefebiate con acqua,conferuapoi quell acqua alfet- merto,e lauane quel ro^re .
Anebora i efperimentaio, che fot* qua de* gigli bianchi qfimgut il rojfor della
faccia Della faccia brofeiata datfole) come diaend ^bianca . Cap. X V 1 1 1 L
AN t)0 te donne alfeouerto > e di efiade frmo alcuni viaggi, per vn fol
giorno, eheJUeno fati al fole f e fa la pelle della faeeta eofinera, cbt zd
mol- ta dtffieolii d torlo via . 7\(oi a quello effetto bah- biamo inuentato
vntale Erperimeneo. . Sbatti dieci. ebiaru di vuouo,fncbe diuentino acqua t a
quali aggio- Digitized by Google DiGIo. Batti dck Por. tb.IX. 41 j d^giong ^ns
oncia dizuecaro tado^ e poni in vaft viirtato
o quando vai a dcrmircycngi U fattiaa mattin lttati ton at- qu di
fontana. Neferiuc Plinio ' ^ -
Voaltro'. La faccia bagnata di
bianco di vuouo non fi brufcia dal folt^ .Appnjfo noi le donne ycbt non
voglionoycbe le facete lorofibrufei^ no dal fole .prirh'.fbcf pongano in camino
per lo fole pigliano i* bianco d'e}uuo%e'ci mefcbiano'pt poeo damidotelo
shttnole poi efngen la faectayC finito ilcabnocdnaequa diopffi leuanoqdeU la
tnicafeb ci baueUano prima. Sotd ehi fatemi In alcuno mo^o Pigliano feorxedi meloniyC con quelle
freganojbmra la faceta^ 'tcofi%up^H^ le macchie, che ci bd/attoilfiei S altre
fe pur no ''nefujferoinjottauiper altr cagioni.' il feme fuo pefo, ejregato '
fitlmedefifno efietto,'anzipi ejfeaeemente.f^n certo liquore^ ebefi trotta in certi ftlicoli , che
nafc'onojrgli olmi * nella loro prima genera ttont della primauera i bagnato
foura la pelle la^ fa lucida, toglie le macchie, e la fa merauigliofamente
fplendente. cme leiio le mac'chi dlia
fccia. Gap. XX. B macchie , che fogliono comparir tu le facei delle donne ,
fogliano per lo piu' menomar gran pariti della loro bellezza , e noi in quello
modo vi reme- diaremoycio con eofe abfiergenti,e detergeuti t Cf bintbeggianti
le faccit. Dunque ^ ' ' A'coir le macchie dal Folco. * ' Bagna le macchie con olio di tartaro, poi
lafca ficcare, d}- bab- bi vna pai'ycbe non fia lauato infin a dieci giornipoi
lana il uoco eoa lifiiuia,e coji UQufi vedranno pi macchie. B fi quel luogo no
riu- Digitized by Google \I44 otturale riufctfft htn tutto ,tu ti rincrtfssfar
il audtfimo ifi futth . mtm ti puutjfitfiglim,,
Vnalcro. I Sftgni U tolti vtu
fttITdequ*tmeJibia,t sbatti Vtr ditti ot^^ ni, dop dito giorni trafufa /'acqua
ebsara in vajt di ramt p* figlia vn
ptzx.0 difalt ammoniaco con It duo diti della mano,^ tanto frtgbtraifml fondo
del vaft,Jinebe vedrai l' acqua eohrirfi
di color turcbino,t quanto pi fregherai,, tanto pi Ji colorir^ $ e ' di
turchino diutrra pauonazxjo,tto btllo,tbt l occhio non pu ve dir cofa di magio
r giocondit. Di quefa acqua bagna vnpan^ di lino,t poni s le macchie fin tbt
fetebino, t bagna di nupnoji^ che ftanetllino le maccbit.Etsont Va'aluro. I T
oglit due o^eia di erebeti^tu,altro tanto di biaua,mefibino ^ton bianco
di.vuosto,e sk eheldnoitdj face et con le fite toneuhine*Outro il- - lini la
fateia battuta con inenfoa eer,^ il giorno figuente por ' taua la faccia purau
finter contro la ifon^a fua famdJOuero l'olio canato iafemit e fiori torbido fa
opre meraugliofe. Onero ' quella radice con egnal parte d' inconfo , e di cera
mefektate infie* me%e non faruelo Har pi di due bore tpot bagnerai il luogo con acqua dp mare
calda. Le noci anebora pelteu limite toglino i lina re. VeetO,ittfo il mule
onfo toglie i fegni delle liuidure. Il mt- dtmeffettof raglio fregato^ perebe
ridice al color proprio le coft ' fiidtiOUtf fi cenere brufciato,ouero eO'l
miele. F aie al mtdtfimo ' Ifmeio del /inape Imito la nottOf omero Unito
etflmiele , e ton gef- io,ouera con vn eeroto.Si tpteauer la radice della pucca
feluag' jde.f nel buco vi fi porr t olio tC poi fi cuoca quella radiee alt^
ceneri calde % Unito poi toglie i fe^i dille liuidure. Le maacbiei la quali
fono fegnette nel corpo, 0imprefedalle donne pregne, men- tre fono Orate da
grandijfhno defidorioycbe volgarmente fi dico
no gote.Si toglono di quello modo Mangi primo quella earnc-/, di
quelfutto,ebe ne porta ilfegno a fatietteooi qtulla farne , r quel frutto lega
fopraquel luetgbo viua,efi e frutto verde mentre quello fi muoia,e quello fi
marcifea,^ andr via. Onero bagnai quel luogo di acqua forte,ouero di acqua
regia, e la pelle diuerr eeeolto nera,eeofifparirviaif$nontQmaafar la medefime^
aperathntu Alle oiaecliie, &r alla httietiau , Non afietrefHO dietro vna
e^erienta di ltOnd di*leone,que/ ' la Ipefie di lcuja,in certe membrane
attaccate no tefiicoU sfotta ' i quali vi fono alcune earnieelle melli,t
tenere, ebe fi cbiatnano il , grajfodel Itone, in quefio giouam all buomo, ebe
fanno lueide,t.,a fplendenti lo facete borride,ofqualbde. VvnguentO rofato
illini* t0\C firmato tn vnguento eoneilia molto la belleuna,e la fa /pitto*
dento divnacbieuabeUraXfi* CoGfff \ ' Digilu-LrJ l^yCoOgli 40 , efe Vi refi alcun piazzetta di
piombo,butta/Otpot farai balhttt^' con gomma draganti t acciocbc pi
aeeoreiamente la pefii confer-* aaretOuero laetruja ben piflaylega con
pergamena, e dopoattaf- oala difourxeon vna tela alla manica del vafe di
creta,efi eoct^ in aequa di gigh bianebi,al modo di cuocerlo > come babbiamo
in-, fegnato prima, al fin ponilo in vna/cudella di creta, e canata, fuori con
diligenza tutta l'acqmatfemaja al fole per quindici gha mi, e confcrtula Belletti ecclleotlilimi per le dofUiew Gap. X
V L e 1 A babbiamo parlato feparatamente , come pjfta* mo farla faccia bianca ,
fplendenit , e molle , bar infegnartmo T acque campo fie di qutfie coj , irjur
nel medtfimo tempo pojdna Digilized by Google D GIo.att.ddIPr* L!blX. 40^ Far
la riccia biatfca rpien31enwroii,e moIW. * * * * * * i Cio gingtnioinjittm moHe
tofoiohtMhMm^^tUoitpoii di- tfUnio.PigUa vnvneiadi ftru/dagiJj$uatattmi^ di
argtnto vim foihmAt9,altro tanf di gomma draganth vna di farfare Jr fmali tutta
pt&iraia la porrai dentro vn pieciona futntrafoyt ben mattOfpoi
euferai a lo mtfferat dentro vna pinata
miaua di at^ )^ua Jbilafa par gutaa^t auor tanto fincht f op^farrftperata dot-
a a ama ) poi diihlla il tutto, a Quando andrai a dormiri daati ta faaeia,i la
matnnlaatt tonauqua 4^fonit,t eofi barai la fate iabianeoi vrmigfti,^Undentata
deltiata, Pajp anebors ' loakro modo# , '
r - Pa/iafre fibra dijliqua di fami vardh dgg^ngtmf dee di mia- da, vna
dt rejma di terebiato, poi ponilo in vnvafeUferr.Attbat non r aspirile lafii
aofipararKo giortii fotta tlJk(no, pii aggion^- ' mi quattro fibre dt latte di
afinatt nel fuo vaja eauana l'ofiot ^h' haonl'dcqaahmatt'ma^e laforStvarrid
foalcromodow , * . t . ' f ardi tfi.Ptgta fiori d famhmaatdirofe faht^jgiat
aggrafta^ a eoa di canne:difWaJiparatamenteiOgni eofa , e mifeina tutta M parli
infeme^omr dilitla di nuouota ponilo alfodtjt quefafa- faeeeUentiJpma.Ne
itfegnaremo lTo*alaroi ^ . . . .
Spitrmer li attagaBnafenza aequa tolda i oamarai hftj* ma, e la partirai in
peza,poi ponila a moBt hai vino per vita noU fe,la mattina lattala bene in
queUofr ingela con le mani ee nota vi re ih vin dentro & aggiongeudami poi dui beeehitri dfviaa
bianeoje fiBerai per lambiecopoi piglia fori di eij'ampeh dici- tradi
mtloraiteioe fitBerai tanti itfemt aconferua i acqua fi- p^ratamente. Poi
aprirai i fimoni,diquaOi ne cauerai facqua
// medefrno dt'i fori defaua,poi fei becchieri d latte di afna. "
al- - protanto di vacca di wUarai t cqf farai dtd acqua delle zuabtf ' adeiU
Digiiized by Google 41. DelUMa^ MtiiraU ton r acque tiideH4,t ehte^o i vfefanm
ai a- per qmimiicf girni, e qmamh vurrmftrmrferu , bagns ympet^. S4 di lino in
qntUoi tfregnUftti . X Come &remo la fccia d color vermiglio. Cap. X V I I.
^ bnibismo inftgnado tome fi faaei j^f****^ ^ 0&B bianea ; ber
infigarnnonfarUyermgh^^ ^ ^ Q ebe da tutte le farti U moglie fata uoUu mnrf^ io* Primieramente - J -W tr 'Xfiyot:otg\z\Afucip3iu VI ' CV e fendo pallidetta
diuenghbella\ ttftrutremo dt medio. Piglidaeeto difiillato due volte, e buttauj
radifandah rf,quanto^piae*rleuoetratafoeo gendaui vn poco di alume,- barai vn
color vtrmtg f J j %no da tirgtrlfaceU. AneborA feiiaeet^^^^ aggiongiui vn poco
di mofebiot ziliettOigarofoih onero ir aroma
Betono Va*alcro . Piglia igarofbli fiorupiglfi rofremit dotte fiondi fi
pentnoe ofent oui il fiem\i-^ualt fiori fifiaranno molto maturi ebej - ranno neri , aggiengeuifueeo di tmoui
, ebe co/i porporeggino dt eolor pi biancbieeio
odi quale ne porrai tn paaia con pennello , e eofi eoneiliarai vn
vermiglio eolor alle guaneieJeM puzKa.Ouero bagna nolfueeo i limonee Ilo le
fronde dtgarojoli ^ poi poni al foto togliendo iveeebi,o ponendo do vuouifinebe
dtuer reoloratoeomo vuoi, fa difooear quel fueeo,o eofi vtdrM vn f#- lor rMmo.
Ma neidegatofoli,rofe, amaranti con facqua^ vita ne banema eauto la quinta
efmza ( come dieono ) e pot ag^ gfontout Digitized by Google r DI GIo.Batt.dena
Por, L2).nt. 411 '^ontouialume.fmcodi diro, nbauemo/atio m tettUtntiffimo tolon
ftr far la guancia vermiglia.Piglfa ^utjn Altro . Si agghngef la decima parte di miele ad tm
buon vino , & vna oncia d'incen/OiC poi d^ilbrae rafura i f andati rojji
fin tanto* cbtfia ttntoafu^ ptaccrc . Jc# di quella poi nc lauerai la faccia ^Hcrr bianca * c coloratami - Peffianebora v_
Belletto , che Qon pud fcprirfi . V P con vn dolcifsimo inganno ingannard
tutti, perche con Fae- aya' chiara farai Ugantie vermiglie* il colore , vi
durara molti, e molti giomitc tanto pi jpaporeggiaq^el ltugbo * iee^tntp pi
lauerai con acqua chiara* e fregherai con panno dt lino , 7t~ glia grani di
cardamomo* che cbiammio i ^ettari grant di para^ difo,cubebe,garofoli dindia *
rafura di verzino, ^ acqua vlttm* difiillata pi volte*doue vn pezzo faranno
lati infieme, onero a foco entoyouero fatto il letame*ne cauerai acqua* della
quale b^ gnano fpfija faccia* Sono anchor a molti ejper unenti A colorar
fleerpo* Si buglterai nell acqua FvrticayC di quella ni lauerai il corfo, io
colorerai di vh color di rofcyvfandolo di continuo- Cofife dtfiU Itrai le
fragole, e ti lauerai di quell' acqua, ti farai colorita la fac eia. Ma gli
antichi tingeuano il corpo divari/ colon* cefi per or- namcnto,camc per parer
terribili alle gutrre,comt ferme Cefare efer vfanza di Bntanni,i quali fi
tingeuano con f berba glajto * , da Ttofralfo chiamata Ifaeide, da noi guado.
Et apprefio # Gren it donne fi tingeuano col giallo * come firiue Senofonte a
tempi nofhi gii Indiani di Occidente. Le radici della anebufa aloe*npodtlMladt
cacciano fuori vnfueco di /angue * tlcbe^ molto ben fanno le donneale quali
oecoltano con quel colore t xu- tydtUa, lorbalidezrA, che con quello belletto
mcntifeono tl color vermglio iella faccia* , -/ u Digitized by Google . iena
Magia cattiate . Ad ittd>IaochIre il molto rolTor della faccia* Cap. X V I I
l. in!- .* , tB'AM'O infigms^ temi J! tohrifeahfu* eiejbor tome ft tutoli
il/omtrtbio ro^oret^uunde ii turpe n'oetmpA/eutnftiereJ^rt ti Ji^ da que/Je
danni > t' hanno la faetia/ntrfbiamentt telerata^lmpara iunquiitmodo^eol
qualt porrai Inbi$iochict iIfo9erehtoro0br4eUa Uccul * figlia quattro bncU di
noteiuoti di pt/ihitt dui di fimi ^tes htonaopiUait premili fsrtementHe aauane
qutl liquore aie agina fiil quale mtauerai la mauina,ilafiratt tarbontbh eia
refi ficzadtllafaeeiatieofiapoeoapoto and/tsnttoii^t egliemen>^_^ dirai,
Pisliemij Vn*al(fo> Difiillufe le vhlepauonazzitfiorze dtvueuatfpiumaiive^
trOtcanfora mefibiate con atqua,eenferuapoi quell aequa alfie- Mirto it lauaut
quel roj^re , Anebora efperimentatOt
ehetaa qua de'^i^li bianebi tjitngut il rojfir della faeeis ' ' i. I.
Della faccia brofeiata dal fole come diaend "^bianca. Gap. X Vii IL y AN
DO te donne aJfieuert e di ejtadefrme
alcuni viaggi, per vn Jol giorno, ebefiunojiati ai fole fi fa la pelle della
paeeta tafi nera, che v mol- tadeffieoltdd tarla via. *Hpi a quello effetto
bob- biamo inuentato vntale Kfpcrimeneo Sbutti ditti. ebisru di vuouo,Jinebe
diututino aequa t a quali aggton- Digitized by Google DIGio. Btt. della
Pii-. tib.IX. 41 j d^giongi nnn oncia di
zuetaro cado e poni in va/t vitrtato ,
quando vai a dcrmire^ongi la fattit e la mattina lattati ton ac- qua di
fontana. Ne fcriue Plinio ^ r Voaltro.
- ' ' La faccia bagnata di bianco
di vuout non fi brufeia alfoltj Apprtffo noi le donne tcbe non voglionoycbt le
facete lorofibrufei^ no dal fole prhhd.'ebeji pongano in camino per lo fole
pigliano x>n bineo d'vuoU0ye ci mefcbiano-yhpocod'amidoith sdttnoie poi ngen
la facciate finito il Caiineiftta'eqita drepgo leuanoqde* la tniedi ib ci
bauetiano prima, Sn ebifaeein In alcuno mo4o
- /corife di meloni,e con quelle fiegano fura la faccia^ t* widffr;V,rA/
ci bi fattoti ft\ Sioitreft pur vo 'f^uWe'othJettaui per altre cagioni.'
ilfemefuo pefhi e Jregato ' futi mtdefiino'tffettOyanzi pi efficacemente. certo
liquore^ ebefi troua in certifliicoli ,
ebe nafebno frgli olmi , nella loro prima generatione della primauera , bagnato
foura la pelle la^ fa lucida, toglie le macebie,t la fa merauigliofamente
fplendente. Gap. XX. ntaeebie , ebe fogliono comparir eitle facete delle donne
, fogliano per lo pit' menomar gran pariti della loro beiiegza , e noi in
quello modo vi reme- diaremo,eio con cole abfiergenti,e detergenti 1 Cf
bittebeggianti le faccit. Dunque ' . V,
- jg macjtiig volco> ' ' ' .
i,\ ^ ^ j I ,1 i 'Bagnale maecbie con olio d iartaropoi lafeta feeeare,J"
bab- bi vna paiiebe nonfia lauato infin a dieci giorni poi lana il uoeo ton
Hftiuia^ eofi nonfi vedranno pi macchie,
Jfe quel luogo no riu- Digitized by Google Di GIo.Batt.delU Por, La,IX.
4*5 T orre gni (kilt bote^8{ il linidoo Co/f potremc^ /inirai i /tgn itlU haiU
on funi Ji fro/nii , # di radtet di fattonf phif ai feth: in vna notte fola
toglie # fogni. Dlirorfe Im' eradort fi ebidrOtt fmofo guefo ej^erimentOm nelle
Ifdttaglit' i elfi l poii^f attua eon lefut eoneubinetOaero il^ lini la faceta
battuta con ihcinfo%t erafiy il giorno figuente por tana la faccia parare
finter contro la ifonefia fua fama. Onero folio canato iafemu e fiori torbido
fa opre meraugliofe. Onero ' quella radice con egual parte d'incenfo , e di
cera mtjcbiatt infie-r tne,e non faruelo tiar pt di due bore o pof bagnerai il luogo con acqua di mare
calda. Le noci ancbera pelCiC Unite togltno i lino ri. V aceto, af il m^tle
onfo toglie ifegni delle liuidure. Il me- imo effetto fi raglio fregato, perche
ridice al color proprio le cofi fiUide,ouir il cenere brufciato,ouero c'l
neiele.V ale al medtfimo Ifttceo del Jenape Imito la notte,omero Unito cdlmiele
, e con gef- iOfOuera con vn ceroto.Si eucauer la radice dlia trucca feluag'
gia,e nel buco vi fi porr F olio tC poi fi cuoca quella radice allt^ Jceneri
calde. Unito poi toglie i fegni iiUe liuidure. Le maacbie, la quali fono
fegnate nel corpo. imprefedalle donne pregne, men- tre fono Orate da
grandijfhno iefidorio^ebt volgarmente ft dico
no gote.Si togltono diquefo modo Mangi primo quella edmCre di
quelfiutto,ebe ne porta il fogno a fatiett e ooi quella farne , e quel frutto
lega fopra quel luogho vna, e fi e frutto verde mentre quello fimuoia,e quello
fi marcifea,r andr via.Ouero bagnu.^ quel Inondi acqua forte.ouero di acqua
rega, e la pelle dtuerr molto nera,e tofifparird via ife non toma a far la
medefimcL^ aperatontm* Jllk mtcchie, 8c z\h hcWetta . Mon la/iaretno dietro vna
e fberienta di liOnd de*/eone,que/ lalpetiedileufia,in certe membrane attaccate
ne teJlicoH , fotta ' i quali vi fono alcune carnitellt melli,e tenere,ehe fi
chiamano if , grafo del hone,inquefio giouam alFbuomo, chef anno lucide,e^
fpiendenti lefaccie borride,efqualltde. VvngutniO rofato iilim^ to,e formato in
vnguento concilia molto la btlleuau,e la fa JpleiH dente di %maebiarubtUevXfi r
Cooff ( j ; . . l'ij- I ,4 Z " Come poffiamo tor le leotigio. Gap., ,X"X4 ' 1 E R C H B U
hmtiginijh^ihnai al fpt^ fc^mUf lafaca
tprituipalmtaU U iianebiffime , t per a 0r qutUt t tmaaiarl
viattiferuinwo di qutj^ tfptr$mnti. Hai fptjlt volt* . Acortelendgtni. , t ** * ! ; * 1 Ci/fam fiauiti itltoli* il rafia -, *io)
tauando qmlhdall^ tarla brufciata. N oi H modo di tatuwlo > por aom turbar-
f ordine^ , lo firimrtmo noi libro di dijlillaret domo tratUromodi molti mo ^
di di tonar atquat&oU on^ondofotura lo Itntiggi^ \
mmbreuottmptltmaudorvia.yogliona V Al meJcliaiOa i.-.'.-u. . .l/-. ' ' > '
U A ( 4 . quoi toni do' i biamhi rompit di olio di
mandorlo to di rofina di torobintot oauatono il Itqmtr*^ porvafidivotrttopojlainvfo^
Noif^o^naroma - , > Vo'alcroii Sbatti duo vuoma in/!'omt,& apghngiui
tanto di fuoco di Urna nit' vn poto di argento vino follmato^o tomo far fimo al
fole tt ne fornirai . No infegnaromo vn altro A polir lafaau. due di raditi di toeomerofeluaggio
polnerizzato di pentola di
frumentOtquanto fi pu pigliar ecn^ vna mano
bmgliano tutte qurfh lofe in atquafintbefi toefumi la terza parte, e dop
lauati la faceta Taltre parti dd corpo.
'Cai^.XXir. et^ fcoveianb U fatnit\ thKoh pudve^^ def^cojapiitfionch y*ePit
fpvrea^ itlcUH*^ ^oltd JL atto atcUnr parti athorpOy 'o^i^ jtto fbf bnftdnvfmri
atqtf^pufiS^Umi^ ttcl/t '$yatrait tutte kv^.Contya ftte^^- -V\- Impeciggini . i
- - 1 I. L'it > ii. % V tff ji iart^r^tf ji intib it'fKB lafciair ofi p4r
icuni giof>^\ ^U^ d'that jiei^ atqua * pi Uuersi l^^faccia Utli,
mtfina^t1\f^ktngtta di hlio di tartsrp, dt memdorJt mtfebim^ Piinfieme. N 9 ptr
mandar i}iu.q*teie/kr eojk. otiU/. aita di ^ vuoua imito . M afono alis volte
cofi fuperbe e eattiue quejit^ .
impetiggini , ebe non vogliono gnarif^ per niunomtdicamentom Koi ne^orrtmo . ^
.T*- Vnaltroi - - ' ' '' . .. > ; poi per aUmbicco eaucnt^ l'oliodl qual nitido
nraddavafimpetiggmh dneborete minae^ nrdtvoUrftionuerr inltprd* ' ' -it"
.. f I
4 V 1 a^ 1 A tor le rughe dalla
faccia^ Ctp. XXI Vi ' " * ^ ^ OiV 0
do rughi fiirfianok.akuim.'l^ti i!%a^Jllr del corpo > cio Itfotcia > le
mani t vr^-* A 4 ^ _ 1 .. - : l^ mnaa .m
m A.aAUOt.%i ^ ael corpo % tioe
It joteta > u mani t O/ n n* -Mi - vr^ - p il parto , t fitnUt luoghi*
ptr.aihfiiar dptnm%^ taptUt,firmtidiquefit,Ma9ak^. - A ' t iti 4 V '^ t Digitized by Google Di G io
:BattddlPr. Libane. 41^ Tot le raghe dalla fronte* . .. v. > ; M feitiMfth
di imo > outro U morthU m^ongtndPtti
gmma arabitAtdragamihmaltet > vnpoco di var^for. Vait $i$rjiacliebiiijca.,
tioelit vi^Mfj^tlghc : JV .y- .'Vf.
TPh^partt e^uah dtla radkt foligovatctdtl ara^tncoio mm gUrt,* mtnorty di
afpardi^ mojirar i denti feabrofi *
rubiainefi , aauiati ptrtbt quafi. tutto per fvfi dell-* Di Gio.Batf.dclla
Por.Lih. IX. 411 Sr^snto vi t t l'Uun t.'
l h - m > mi, /' tHhatci}o>a 7.7 j dof^ r I iApet bion It.jt imto
lO l cupo il fjlr., jndft d-nt: d t /tino d; i- bohiffi tn immolai p*r j ^ DeUt
toebiglie di purpura\ t delle bueeint hrufeiate . La pe^ ira aaabica molto Jime all'auorio macebiatOt ejendo
brufetata ferue aUi polirne nti delti denti.^Della pomice fe ne fanno anebarm
pohmenUtCom: ninfegn* Piinio^della paittere deil'auorio anebo taf e ne
ferutuano per pulir indenti . itiaio anebora ferme t eke ete t denti Pcf la
pigritia non Trgghiro macchie Che la macciqa fi taiiin con acque Ma pur
v'iaieguatemo Vnalcro. , . t>e! qual et feruiamo continuamente^
fifa pane di farina dor- Ko con fale > e fi brufeta , e con mele,non fole li
fi li denti btanebiy ma eonetha
moltafuauit alla bocca , eofi de' earallt raffi , di offa - di feppie,di,di
cerna di eeruOtC di cofe femiit^de quali ogniuno per fe poltfce i denti, e gli
netta , cofi amebera fanno i grani del cocco, fa anebora in acqua d/fiillata di
alume t odi fate * la quale im^ bi anobi fee molto t denti, e glt eenferma,ma
ninna eofa li fa politi pi dell olio deifolfore,percbt it altifeia%e foglio via
tutte le mae* e molli ria'rate Togli
creta biameoManeo d*vuouogalla emfacfU,mqfUerioh aenfo pefienf , eji mefebirO
con aceto caldo f e dt quefo fltni/eana le mammelle lefiiano coji per vna
.ottCyafctar.ouele iiarMfo^ prOyC fe per la prima volta far fcco eff.t tadorna
a far dt nuouO donano a q^ecfo i'ojfa di metpUayie forba acerbeylt prunaftluag
gie,aeaeia frze di melo granato > / fimi ferii, frutte acerbi dello ptgttepere feluag^ie,piantaggint,fi tutte
qnefie cfeiuglircmo im aceto , e Jf porranno/hura le mammelle, omtr F acqua dt
qmjit^m Antiquamentefi lodauaa quefio effetto la eoUnaxiaydellaqualo noi et fer
marno per at^uoi are i eoluUa rejirin gir le mammella delle vergini , e faremo
di modo,ebe tixn crtfcane.Da Diofeoride M a Galeno dJTe,cbe non fola F
imptdtua, ebe non erefeefero mammelle, ma non fieeuano erefeere t tcFUeoh a
bambini , Noi delfueea delt al ehi mi Hate bagnati in quello i panni di linone
pofi foura le mammelle, e rinueuati di nuouo fi fanno fempre ferunio perche non
folamenle non le fa ertfetre t ma rifiringe 1$ rtiqffate defie matrone, e le fa
pi fede. Pi effieaeemente oprari f ei fer-^ marno del decotto dilla fua barba ,
e fi vi aggiungerai alcuna di ^ quel Digitzed by Google DI GIo.Batt.dcI!a Por.
Lib.IX. - 415 muele^chc babbiamo detto difoura^eome Tbibpoeifio-,fcorze dmt^ do
jgrsnotf fienili. C delle zuecbe e di
cofe jmtli . dunque le mandorle^ amare > e frutti de'piui peRerat eon le
molliche di panf , poi me- fcbia con acqua di orzo n Ha quale fi* difoluta
gomma dragan- ti,mifebia t e f ballotte ideile quali potrai feruirtent % quando
vorrai loMartene le mani, perche polifeono, e v'inducono biam^ 'tbtgZA. Noi 11
medeflmo. ^ Cfiamo ftruit di quejlotporrai nell'acqua calia meza libr di
manaor/e un, are > e ne cauerailefcorgtipoi pifiale m mortaio dibroniso dopo
ffgha due oncte di dragoncello minore > ftpor d ^ dtruOialtrotato di miele
it tutte q ut fi e cofe mifcbia in vna fcudel Ai e poni al fuoeo . e tome i
rifcaldatatv riuolgtndo con vn tue- ebiaro di legno ttbe fi mefcbino ben btneit
fcrbale ad vfo m vn ha- trattolo. Se ti piato Far che le mani duenghioo
roollicine Laua nout volte il butiro
frefco tu acqua , alf vltimo in acqua di rofc t odorata fiucbe vadi via quel
brutto odore > e diuenti bianco come neuct poi me fcbia con cera biantOi t
vn poco di olia di mandorle dolci tC ne lauerai i guanti eon vino greco ,
cornea fifuole y poivd ongendo It mifiuragii ijettay in quefii guanti ci porrai
le mani^quando anderai a dormire, rbe eou l'aiuto di quel le cofe grajfctpcr
tutta oeullm hvtiefi rmelttjcmr.Q , dop pigheu ftmi d$ perfia,tolti le fue
cortecciefemi di zucca, e di meleui di
papauere bianco,di farina di orzo, meza onXaptr ciafebuno , poi togli it fucco
di duo iemoni,cofi fitto le ceneri, * a quefio a^iott gl tanto d> miele ,
finche fi faccino in forma di vnguenio
" at- eiotbe odori bene ,fe vi aggionge vn poco di mufebio , e di zibet-
belio , er quando fi v aletto , la mattina poi lautremo eon ee- ' '' " qua
DigitizedJjy Google DICFo-Batr.*!! Pri Llb lX. 4.5 . f OJ de fonti . Le feech
delie noti premute , e delle mandorle ne
pojamoferuirperfapone Altri fi contentano di quello lini- mento. Si eaui il
liquore de' fimi de' limonucioi di due oncie,vna di olio di tartaro,altro tanto
di olio di mandorle mefiebiano tut te quefie eofie , e la fiera quando fi vd a
dormire fi lauano le mani con aequa eh fonte fii lafeiano ficee are , e fi on^eno
di quefio 1;-; guentoe ft emprono con iguanti. Piglia qnefia Altro . Porrai a
mollo nelt acqua fredda per vna fettimana le midol- le diofifa di buema quattro
e cinque volte ei muterai l aequa a per
ogni libra di medoUe piglia fi'ei mela
appi le quali aprirai per mezo e eauane fuor tfemie poi pi fiale in mortaio
di marmo fottilififimamente e poni in
vna pignata auoua,acciocbe odorino pi de lieat amente yOggiongiut vn ^eo di
garofolueanneUa Ipico nardo e lafcia bughre ne^ aequa di refe e come far ogni eofet^ ben liquefattaeauali
fuorae eolali, di nuouo aggiongt lififiuia^ fbrtte fabuglireafoeo lentofinebe
fila eonfumata-tutta facqu^ 0 dop fitrba al bifogno onero ne forma palieUi . ^tl (he ftguo vale
Al medefimo Favn bufo net limone e
panini i^earo eandidoe butiro ouopri
edleouerebio,& inuolgth in iioppa di eanepa bagnata^ fa cuocere l le ceneri
calde e quando far* cotto fi fa molle quando fot andrai a dormireongt le mani ,
e euopri con i guanti, MI - ^ mtimrn i n
Come f po che fi reftrnga ; Gap. XXXI. \TCB T rotula Medico, che i cofa
molto bontUa # diceuolt
trattarfideiPreJlringimtnto della natura quando per parti fia molto rilaffata , perche per //
cagione alcuna volta fi viene ad impedir la con ' .fiAd? cettione , onde
hifogna fouuenir a quejlo diffetto
perche ad alcune s'apre molto quefia pata'al partorirete fimi mol- to
dif piacere a lor va ariti, la onde aecioebe non fiano abborr'tte da loro ,
cofi rimediaremo alai difetto.Toglifanguc di drago,boloar- menotcorteccie dt
melo granatQ,hiancbi dvuoua,ma/iicei t galle di tutte vn oncia per vno,pefia, e
fa poUiert,e mefebia con fcqua , calia, e di quella acqua poni io quei canalt%
che p affa alla mettrt-. DiGio. Bar della Per. Llb.IX. 4^7 et,eutro togli ^arti
tguU di gllt,fumaeo, pidnidggine, een/oli da m.iggoret alume^e eameUat e queii
cuoti in aequa piouandy ilaiia le putti vergognofe-Outro pt fiafottilmente gaOe
onfaciUy aSe quali a^ghnget aivn poto dioolutrc degarofaiit e fa bugliu in vino
roffo gagliarda, del quale hagna vn pannore poni allungo^ Ma coji rejlringerai
quelle deBe popularhe meretrtsi.Galte,gome^ biaifcbi vuouafangut di
duagonetataeta^planaggintt bipoatii^ ie^balauJlhhrHifeofcorze digliande, eici
quei ecnty dauejant ^ aprtnoji rnojiranoTa gbiaodj,tnalieeyterra lennia,t
quelle coje fi cuacano in vino rofio > onero aceto y e fe ne bagni tl
iuogboye fi rylrJnger molta.Ouero quefit cofe ridotte inpoluert^ Ji buttano
dinaro per vna eannueeta bufata.Ouero con quefit fea etti pur fi ryjt finge .
li finfito molto teeeUenU a qutfo
effetto > perche le carniy ebefituocono con queBo t attaccano infeme > C-
per ci fi nefirueno per far attaccar irfitme le ferite fejche. Lm dfcotttorte
delTalcbimtUa ilfvcco , ouer facqua
deffiBatay pof9 neWluogbOy coft flrnge,r attaccay'be non cancfceraivna mere^
trice davna vtrgtneyoutro fi fidano fopra adecottione di quejia
princ.palmtntejviaggiongtrannoa quefle altre cofi aBr 'tnge- tt:e te bagneremo
i luocbideBe donne, Uatqua fiBara dell ajitr attuo buttato ffeffo in detti
luogbifdr,cbe non fi conofianoltm^ iOilrotte dall incorrotte. M* fi ti piace
Far ch'fu chabbi partorito pa wgliic . V Farai alcune pT^zette di quefio modo.
%Absme brufiiatOytnM^ Hieeyaggiongendeui vn poeodivitrioloyt oropimentoy ej
pefiana^ in fittthjfima poluere ebe
figgano il tocearey dopo, che ne barai fatto pilole in acqua piouaua >
flringi con i diti, e lafiia ficcare , e accomodale nel luogbo deB bimetrior
dotte fiala rotturaanutate doruvna di nuouo, per ogni fii bora, hagnandofimpre
cote.^ ' acqua piouana , 0 di cif'rna. e qutfio prima per vn giorno na- turale
: perche far di qu,e di certe ntficbetteuhe quando fono^ toccate fanno gran
fanone, che non fi porno eor.ofcere dalle vergt ne La comadri>t queSt cbt
hanno caro del par torire, cofi ranno il medefirno tff:Vo. Fanno vna deeottfone
deBe cefi gi dette , ecofi la fi tingono poi fanno cb'vnafinguifitga morda daBvnm, l'altra
parfe,e le togliono poi fatto il morfos perclu tot fi far erufut, le quali
effendo toecbsfiromponotemndauofan^uefm-
DellaMaglatarale : ri. Altre dopibauerittjlitt Nu '1, pi^UtTt r>n9f d
lepore f- 0 di ptcciint ff::o,e eon vn luno fb,J ^ la h ittJi/n den- 1ro,d
quale mburniiito dalla m itriee^ diuien fanguev vtuo. Sei n'babblam trouat vhj
Fateiamo illitarga in fottihjjima po~ uerejo eoeemo im aeeto Ji/tebt uiuengbt t
ma fe non far imbellettata^ non rteentr al^ ean noenmento . Onero nel luogo
doUe dtmorano braftmfolfo ferebe fi bar
anno eernfia ,> argento vino folUmato in faccia ti fumo le far fahtto dtuenir nerOte
pareranno facete i fcbtaue Le donne
napolttaneetbe pafieggano per la folf atara t poaponok^ Jubito diuengono note,e
eofi anebora tutti i danart ut argento $, ohe fi troueranno nelle horfe,
Potretm anebora in quefio modo Cooofccre fe il roffore dd ?olco G naturale
falfo. Mafitea alcuni grani di cimino , ouero vn picchio d* aglio,,^ ragionando
apprefio a lorofi naturale non fi
mutOfmafi di biae. ootolitargirio/aumentfee,Sc vuoi "Cb'vna ^ 1 I -
Digitized by Googic ' DI Gio.Batt.delIa Por, LIb.lX / f I ^ti^tn . O j Ce la
infensa Auiienna. *PJglia Udeeottone del temeemul toluebe RartalgMnpin'^eeel
hagncye poi ajeo a fotofi tuir nel eolor di^fritiid, ^ofifima ditehoda fiere Vn
certo liqmorcy ebe butulaJaUmndryComt hu dalla hot ii^vlkloqe pdVH tteea del
eprpqfybitofie me eadomo4 pcli& U ' duoj^ toccato fi metta in, vOldtuoe,vne
ed infesta Plmit^ j Digitized by Google \
DI Gl b V A MB A TT I S t DELLA - FORT A NAPOLITANO t . DBJLLA MAGIA NATFRALB. LIBRO DECIMO. R O M ro. >olV .S*AU\ /.v' > . i
'm.'A t is'i : / wf Jiamogoni tir *rti > F bauem9 ionffitito eomhKar
daJJa tiontiinuentione di moderni, (oja mt- rautglwfa, : d.t lodrf pi, che
da//s lingHA dell' bsomOt non dico juella^t (bii'vfk di gii upmini figari , df
ignora : ti ,jHrcbe eglino corromptn le eofe,/-Ie difii'uggono , tna quellA^
cb: trattata da veri filofofi % ebe
baufaputo qu'lh , tbefaeemano^. Impara' queJ!ij\ient.a tofe mirabili cme i tarpi , ebe A/rc et^ seti diatn^binv f
pirituali, e fattili, t monttno in alta jatti ltggieri,tv^ ^tritualtytbt di
nuouo diuen tino granite eorpoteriti i t ealin gikMfJfn$in auero virt deUt
tofe, ibe Hanno nafeofit nelUfuq mejotterrate , eonenlcatt^t tdilptrftHtfmoi
ripqfiigli, come riiQe fu e camerette, ma pure
e fittili quafi fenna ninno mefcbiamento di materia impura , ea H nelle piant*,cnte ne'metadi, pietre , e
gemme , e noi non eouten- fi d^meOe manifejle virt,ebe pojftdono, le vogliamo
pi nobili, ' e pi Digit: : y Cooslt D Qio.Batt. della Por. LlbX 431 *
le pi fU.m\tJjuaf inalj^rSe nfin al etti, Piremo hngtiihrrrniebiinu fi 'tgar le
virt delle piante *w#- glioyche co t gu1o t^fne l iruipg^ no glt antukuebe tofa
dungme pi meratghofo pu imoginarji ? natura
guella,ebe proda-' ee le eofe^t quella, ehe di tanti virt le dota,(ofa
dell'arte poi no- hilttar quelle i !
tnoltiplioar le virtfue. Aceofiij dunque tl let- tor dtjofo di eofe mirabilif^
in'tetigalore de'Jetreti della nata-, raperebe HOn fenf* pran ripntattone y e
gloria fua tratter /__ efifiOatione. Primo infegnaremo a eaaarj aeque y iy
ogtt,poi i'ef-, Je fitte, le tiutureyegli etsxiri , tf " *lt re eoJefinUi,
Comi, diifohta vn mijlo ne'fuoi elementi
" ogniur.o di quelli rendei ^ pifottilhepi pure le fue virt,k
contrariet delie virtjifn rar tvna da faltra,acio di loro fermir eene pojamo
come vi pis eey- altre,& altre afe , le quali imparate ygiamai ti pentirai
d bauerle imparate l'>~"
>ii' i Ili ..I Che col ia diftillare 9 di quanti modi Cy e che , (ia la
noflra intntlone far con quella . Gap. I. i> 4 '. 9eS la Jf/liBatiene fia fiata eonpfeiuta
iella dottai 5 antiebiti'ybtttre nn,nff mi ajfatieber di-dimofrn ^ reptrtbe
effj f^nheano di altro ejieretuo di dtJlH /f-tr$,t Spiragli eopluto fiat- fo di
paglia, creta, reoH petxa di tela , aeciibe dtfiillan 'dfim- icrie fi Atuofie%c
girabili irifio lu a in vento fie ne fugga:ppSto ppi il foco fiotto tlvaje ,
ber forza del fuoco le maerit fidfiegufito K-m vn vapor ruggiadofo,t fiale tu
il quale incontrando le Kolfe frtdd de'^dl cappello , fi gil mila fafuprrficie,
addo^fato daifixeddo primo mjira certe
bollette, t poi v fitorrendp per /# volte, e. per li tnurb'del capell(hgid jeW
fitife in goctU; :elbvnfi^doMgpe- aar fuori, vien in ac^.e,e feorrt, * W. eo,e
da quefio feorre nel recipiente. M.(t il v^i ^ iirettpientz^ Ji vogliono
adattare fecondo la materia delie cofie da diJiiUare^ p.rcbe fi faranno cofie fiatuofie, e
Spiritofie bifiogna, che fieno i reci- puhti' ampfie grandi, t le
boeCedargi^,,gpefie perche per LiJorza di! fuoco fifiaogliono in fiato , tb'
entrando nel recipiente /fretti t tonfiipati quiui finche pojfono, come non
ppjfono pi Spezzano il Vifie,t lo fanno volare in mille pezzi, e fidano
firepito di vnagran hombarda,tr i ptz"XKVeUno dfqu, h^.dild.n(ipfitni;a
gran pe- ricolo di coloro, che vi /annopufienti,e (oJl fiato, 'che fi trona in
firettireeipientifiverdicberd aelt imiifria dellafiva carcerilti Ma fie U.cofie
fieranno calde, e fipttilifbjfio^nano c ollq fungo, fiot- tile,e -c.ofi la cofie mizantane%^ni
vafi rkercanp. '^qlenticri, efietUno apocS a pco cup ij ctruo,lo iiruzzOyil
earnelOit pardo Jannoiifollo fiottile xtf ero fa mpiaeeaoli,!) ammali di poco
^iriu>,dkpQeo corpo, c dijoVifu i Digi ized by Google V DIGio;Batt.deIlaPor.
Lib.X. i ghyper camma Ji fetta, t lunghe t Ipit iti fattili sgtuclmtnU pan-
napa(fare,e rinfrtfcarft.^uejla non ida lefciarjiafapzrt. Dait piante pcttrfene
cauar trefurti di bamidttate,o di acque , prima 4eW altmentaria,detia quale
viue,e come ficca nan l'bpiu,l^ qual
acquatepoco differente da quella di pozzo , o dt fonte , l al- tra acqua di confJienta,dtUa quale ilftmplice compofo, e fon mattt quejla idi virt pi feda
la terza del'humido radicaltt graffa
& oleofa , &in quejia fi anno nafcoje le virl.Ne da^ lalcarfi di dire ,
come i principi/ dellarte, le quali b eonofeiuto da mille eiperienze,cbe
iftmphci da difiillarfi, alcuni primo man ~ dano i vapori fottili,e caldi ,poi
gli pi bumidi , e grofsi.yil con- . frano alcuni terrefri,e flemmatici, poi gli
tgnci,e caldi , i quali Hanno nel fino della materie perforga del fuoco, che
gli contra- Haf cacciano via.La qual cofa par , che con niuna regola fiabi-e
ie,e perpetua Jipu flaiuire . Noi noteremt alcuni , & altri t tot tuo
ingegno pi folhme,non ti rincrejca di offeruart- )el ^auar racque,e
principalmente odorof. . Gap. . I 1 . tpt* *EJI rati ioni eT acqtit,ptr che
fono volgari , ferita ^ Ipediremo con poche parole, u a te piaceri ejtrahert^ L
f ^ fodorate,eerca nell piante calde, e terrefri,le qua li nelle parti pi
interne ntllafua mole contengono . site? odori, quejie fenga artificio ale uno,
buttate , #* ior vqfi,e dato fuoco
fotta, ritengono gli odori Juoi^Con tjt Dalle roli'fior li nartoti, mirti,
lauendole Tacqoa odorate. Volendo cauar e, conte habbiiwio detto,eJmili a quefi
coft aee^ OtertiCome a bagno porrai caare,come ti piace , ma dando a poco a
poco il fuoco,cbenon fi brufeino . Sono entbor r elle piante It^^ frondi
odorate,come del mirto , lauincla , atro ej mili,le quali nifebiando con i fuoi
fiori, non per qutfio occupato,o diminuifco- no fioro odori,de fiori,angi gli
cominciano alcfina grafia, e qeipaffi,oue non nafeono quefii fiori,dalU loro
cime natedifre^ fcotpci cbt odorano
btntitii bo vtfio cauar acque cdorate,e prind ^ ^ Vff palmen- J I Digitized by Goog[e Delia
Magk naturate falmenteft qmjte cefe thiufein vaft ptr alcuni giorni prim* /ti
ifcierai alfolt.Sieaua vn' acqua di odor giocondo, t veramentt^ danouS^rtx.Mrfi
delle fronde delbajiltco,t mafnte del citrato,
ganoJiUato detto f e a leggiero caldo di aequa di bagno far ejlra$ $a, ^
a poco a poco s' alletti, e li caui fuort^e dop Hidata Jipongu lfolt.Da i fiori
deir anadarat, ouero pfiudoficomoro ,fi eaua^ vn acqua odorata, delicata,e
ifiricofa. Il modo di papere fcglt odei ri fono in tutfa la maff del corpo,e
nella fuperfieit fola di fiori, delle fride,e fparfa m altre partite quefio.Si
freghino le frodi, j fiori con i diti, i quali odorando fi conferuano il
medsfimo odort% ouero odorato ptufuau^mente. Gli odori Hanno nafeofi in tutt.
il corpo,al contrario poi feglt fregherai con t diti, perderanno fu^ bito non
polo l'odor natio, ma odorerannograuemonte ,
pntg ranno , gli odori di.queJifitrouano folamente nella fuperfieit^
delle f rondi, a fiori, t quali mefebiatt con f altre parti al fregar e^^ che
non odorano cefi bene,non folo perdona lodore, tnapuxx^no^ in quefli vfartmo
nel difiillarglivn' altro ordine, artificio ,. Come per t fiempio . Cauar acqua
odorata da garofbl,roffe taofchette)Volcget fomiol, c giglio B come debbia
farfi. Piglia te refe mofebeUefeuag^, n hm gftofe ne caui il primo vaporose
tolto-quello pongbii^. dell altre %
perche f le eoeerai pi lungo, tempo,, non. fole ne cauerai fuori quel fottile,e
fparfo ncllafupcrfieie:ma quell, th giac nel corpo dejla piantate che puzza. In
quefia acqua poni a molle altre rofo per. alcune bore,e poi togliele via,e
poniui delfaltre,e quanto fa- ^ rai quefi pi frequentemente, tanto pi
odoreranno con pi ve~ ' bementa,ma fia tfvafe ben ehtufo, aceioebe quel fuaue
odore lice fpiri via,e fi dilegui con l'aura. B e- fi barai t acqua odorata
iel- le rofe moje bette dome/Hche,d)' H me de fimo de gelfomini, garofa^
ligiglnareifsi,giaeinti,' altri fintili farai. Bfe non ti piacer, porgli a
molle nell'acqua propri a,pontndoli uolf acqua rofa , fa rai il medefimOtCo
queflo modo io b fatto odorare, a gli arte fico di di fallare eccellenti non
fenza lor merauiglia di fopraaetti fieri f acqua odoratinima. Ma perche aceade
fpffio\, eie'l bruttu odor di brufeiato ofiend l aeque,quando colui ifouroJUnte
al do fiUlart non molto diligenti ^be d
troppo ' > Cooif I Digitized by
Google ' Di Gio.Batt. della Por. Ub.X. 4 j f Come fi po(Tatorla pnxst dc\
bruficiato. quellgfrnUi 4 ^ri,ebe fiann9 n fondo dii nafi firn tono pi la forca
dei fuoco di quolleycbe Jianno di foura,laondo^ prima tcbequtfe fintano la
forca del ioldty autlledi fatto fotta brufeiaU > otrio pt l' acque Jtillate
foghono jtrttir della brutta puf del orufeiato. Not porremo le medejime aeque
Jiiiiate a di*- pillare a leggterfoco di ba^notacciccbe /ala s la pura acquatta
fondo refitno le feeeie con i'olto. Di coji cattiuo odore. Se dtfiderl Come
dalla diftillacioae pofsiamoraecor piti ar ebe ficai. ^ l^^vue ebiumano
lacbrima,qt/efo diftillerai a bugno, onero
cenere con botu diuetfo di lungo collo, e ne fiille r/f u rai Digitized
by Google 45 ^ Della Magia natut^al rat fola lattrzaparte,e l'altro /erba,
perche fi riuolta inj^aj^llar^ do,e fitUJfimo aceto, che non a/tro,ebe cadauero del vino, poitbt ne fiata cauats fuort la parte pi fiottile y
ch'era P anima fiua, ^ello che bai difiilUto di nutuoye quejlo pur dinuouo
fiempre to- gliendone la terza parte. Dopo apparecchia vn vafiedt lungo col io,
e pi firettOyeio almeno di tre cubiti,! vetrai io chiamano ma terazzo , ^ in
quejlo vafie fi fitUi dt nuouo , ai fin fioura la bocca del vafie vt fi ponga
vn pergamena ben tirato,e poi vi taeeommo di il :appto, accefo il fioco di
fiotto, il fiotttiijfmo fipirito del vi- no non y.afiando la carta p tjfia nel
cappello , e ficorre nel recipien- U.AUafltm ma
negato ilfialir tanto aito,e pajfiarper quei luoghi efir re fiera al
bafio . L'efiperienza fit far ben purgata dalla Jttmma l'acqua vitefie bagnerai
in quella vna pezza di lino, Zj bruficiandoio ella candela fi brufiaar tutto,
ouerojifie butterfi ura vna tauola piana, e dandoui fuoco con vna candela non
vi reli eofia bagnata /opra, ne fiegno oue fia Jiata.Ma tutta f impor t^nza i
quejla,ebe l'efiremit delia bocca, e le pommUfiureJieno be^ bemfistmo otturale,
" incollate,' aeciocbt gH fipiti Jottilfiiimi no volino via per
qualfiuogha bufietto,e diuengbino aria. Nonco~ fia, che fia migliore ad otturar
e, che la vefiiiea di bue,ouero di altri animali, perche fiecata in fiottili
faficiette, e bagnatafi riuolgbino lefijfiure dii vafi,doue
figiongon9,efilighino , fra tutte le co/t^ ritiene i vapori,cbe non volino via.
^eflosofierua nella fina di- Jiiilationt.Quando in vafie boghe per i carboni
aceeji, che It ftanno difiotto all' bora per foltezza dei eolio del vafie,
fiale fioura farden ti/iimofipirito del vino,di fiotto infocato, di fioura il collo fired- difistmOfin tanto a poto a poco, ebe
giange al cappe llo,alf bora per ritrcuarfi in frcddo.fi congela in acqua, e
per it becco pajfia nel re- ' tipicnte.Hor quel eallo,e ventre del
vaje,cb' fiato tanto tepo in - focato,
metre fialito t lo fipirito, in breue
/patio di tempo, calar gi regorgitandoyC
cominciar dal cappello a rajfircdarfi, cpoia poco a poco calando per lo eaQo,i
andr rafiredado infin al ventre^ fin ebe nuouo fipirito del vino fitparandofi
dalla fiamma , comin- ciar di nuouo
afialir fiopra. Noi lafieiarcmo di fillar tanto fin- ' ebe lo Ihirito del vino
paffiard infin al recipiente nuifibile , cbz^ quando dalla forza delfioco,cbe
lo caccia aficenderi anebora lee^ Jemma, ebe nel cappello fi vedranno alcune
ampolle , o latbrimo difietniere , e calar nel recipiente in forma di acqua ,
all' bo- ra tofii via il eadautro del
vina % t ponit fiopra dei nuouo vi- no^tihi I Por. Llr.X. 4.57, 9$imintr* tui
modo dtto nt tautrtmodtlfoltro^frtto.ToUtm * I Far il mcdefiono n pi breoc
tempo). , ^ Ma f alcuno ricertard far
qui fio con pi hrtui Umpo . fatei vn vafi dirami dtUa grandezza' di vn barili
in forma di zne- ea ma il bteeo de!
eapptllo lungo quindici , o venti piedi , ouero quefto bieco lo fanno di rame
rwoltato in guifa diferpe in molta piegature , e quefio pafsi permtzo di vn
vaje di legno piena di acqua fredda, ebti vapori pajfando per quello ealdo
rectpientZjt perche do ut in tre bore hard Jlillata la terza parte del vino ,
tor^ nato dinuouo ildifillato,e buttano viaquellotcb'rejlatodt fot- to^e
dinuouo ne difillano la terza parte t
nel mtdefimo giorno tofi fanno la terza volta , alf vlUmo in vafe di collo
lungo ne to- gltono quattro, che l'vno
pafsi dentro l' altro t l'vltimo cbtufo
in eiajebuno il fuo becco,t li tuoi recipienti.Si pongono li cappelli^ f quefii
s' accomodano ad vn. vafe di collo pi iungof legano,cba pon rtfpirino quei che
tien fuori dal pi alto cappe ilo, t'i miglio- rete pi perfetto, quello che vien
fuori dal pi baJlo,tl peggiore^ efijerba in difparte, perche fono di diutr/
per/ettioni,delpi al- to te' l pi lontano dalle fiemmttf vltimo n'i tutto
pieno, teoji i me* zani fbumano mzanamentl. Non afeiar di mojhare > )' '
Come il caui 1 aeqna Tire dal ornilo . Senza fp'tja dtrhHi\ i d Itgne , perche
quello fprito J pu dir meritamente canato fenga fuoco , ne a quefo vi bifogna
ar- tefice indufriofo , ma ogni donniceiuola , ignorante villa- no lo fapr fare
, perche fi eaua quello fpirrto dalla vebementieua della natura , che da fe
Sfeffa fifepara , fenza aiuto di alcuno . Qjeando il vino tolto dal
torebiofipone nella botle , e ne barili ^ e gi comincia con grandif timo femore
a hugltre ,/opra nellau bocca della botte , vi fi accomoda vn collo di legno
bufo alto vn euhito,e di foprd
vijiaccommoda vn cappe Ilo, e fi otturano le com mijfure diligenti fsimamente ,
che non refptrmo con luto-ai becco fifottoponga il recipiente,acciocbe riceva f
acqua , che da quella /corre cofi da*ifpiritt del bollente mofio , f alzano tie
JotttliJfi- me ejfalationi , le quali fi volgono in acqua $ eperehe fon natt^
per peeuliar empito , violenza della
natura , ritttne infe^ . Fff j alcuno Digitized by Google f ' Della Magtk natrti
i 3J ne rieje il terzo dei fuo ptfo,di elor i oroi*b*^mtn% mt dmamenti i
farJoihniro Co*/ medjimo modo fai dijftrem* a . >. . >. roUodTWua^ Yogli eitfuafta vuousiouer
fejaf^a^gile finche diuenghi wiP dre,1og*me lecrufie,* cauanti rojfidn
m*zo,ponili cnVfL^ afafe diramefidgnatodentrOie ponilo lit
braggietetfadifen^rk- wiuogendo con vnltgnofinebe oabhmo ofidMo dtta f bemidit
^aeefoui fiotto il fico con pi violenza i va riuotimdojmpre fkngaintermtnermai,eht non fi hnfieiM^ amando
vedrai, eba foderi vn certo olio, augmenter ai finche fhabbino tuttorimeffo,
fcolalo fuori in vn vafe , * fuelcbe rejla ponile ftitto vn torchio r premendo con vhtenza mUrmiJittft
^^Roxopfinmonte % nem moncofimeUenpt,^ CoBt % DIgitized by Google Di Gi;tti! il
medefimo potrai far con gli altri mede
fimi modo ^ . ,, / Cavar l'olia de'garofoli.
* ... . r! Potremotdando per ogni libra de garofoli dieci libre.feq^ de/iil/erai come bbbiamo detto della cannella
, perche ne verr fuori l'acqua, e folio di vna librane cauerai la parte
duodeci^ ma , f olio f emiri per rimedi/ ma f acqua per i canniti . Cofi aet-
ebora potremo Canar lolio liquido della noce morchiaca^ ^ Pefia in pezzi fe la porrai a diiillare
nelf acqua, e nel difiil- lare vferai la medefima diltgenza,ebe ne gli altri ,
ne cauerai la fefia parte delfino pefo. ne cauerai meno,ma afiai pi gagliardo
L'olio della Trace , e del pepe. Cauertmo ancbora L'alio dellanifo. B i'vna
libra danifi ne eaueremo vna oncia di olio. Nel temi- po del Digitized by
Google DI Gio.Batt.dlU Por. Lib.X. 40 fo iti freddo fi gela in forma di
canfora, o di neue,YeiaUfifeLim iiqtiido,ma almeno per dieci giorni prima fi
ponghino a molle net t aequa,anx.i quanto pi /iaratru a molle, pt ne eauerai di
olio enelmedefimomodoficaua ' ' . ^ Loli* del finocchio \ Bfene tana la mtdfima quantit,quando i fem
feranno mep turi.e frefebi,* dano pi-olio, perche gionge al doppio>Cofi
anebor] % . Lolio del cotiaono. v, t .Mafie ne caua poca quantitt" t dlvna
diffleilifiima difiiUalC tiene di vna libra appenafie ne cauavna.dramma , pur
ejftnda frefebi fe ne dar pi Et acchebe
nonfiamo troppo lunghi dei, medefimo modo fi caua dalP angelicamaiorana, dauco,
ruta, rof marino, petrofelino,aneto, e fimili ftmi . Del medefimo modo a\
eboraficaua . , Lolio defiori di laaeadola, rofiaariooi 8c altri. 4. 7 quali
quando fon fecebi non cauana olio . Si pongano i fiori,, nel recipiente , e ben
cbufo^che non refpirifi pone al fai caldifiimo. per vn mtfe quali Jciolti tn
bumore, e /olendo olii lati dei vafe^, idi nuouo /correndo in lor fe/sifi
maeerano fioppa, e tigar fopra poi con le vtjficbtycbt non ne pofiano vfeir'
vua minima quantit di acqua, di fiato .
Quando dunque vo- gliamo aumntiart ad ocerarc firiemptano le forte di quello
ebe va- DigitL -I by Coogk DlGiol^tt.^ellaPor. L3>.X, * efro. QvsnJo /e tttrr fono^trfitUmtnU
natura Ji gPMtugjrU /eorza fn^'rtH.zo^^hh,\ir/i^ro ^dlth tm%ura pft W $n v^e ,
pnt/ott9^jSmo a muctrarjt per dieci ghlmb n^ *!^)ai ' i rame, aceejoui fitto il
fi. yJMarjttort i e/i eon FaequM iPvn dor rtocoidt//imo e /La. j^ttmo .
nmed*fimaaiene delle fiorz,e del meloLaneto ,e de Itmomt^^ Xn qjeH^Mghi^e ndn
)rperu>ngono'i fiori , e frutti , * ' ti^qr^ef ^fifighmieehdieiefier di
quelli, //pezzati in peJ. memfi pongono nel vafi difiUtre . soti dnebora ^ vv . u \\r V'. ... . *is -Il iJ' u i' \.. . -
Siedifa oecellentifsimo. oJoratifiimo. Si come bahbiamo detto ^iZoua
roltoficonofie dal- t^qua fi mette qcqUa
tn vafi dt lungo /e Aretto collo , e benot. poeo a poto vn olio '2, ^1 / V4y/.
/ rteeuilo , e con vnd penna rito- ^tinello ebe od nuotando'
Sieaua'ancbora ^ r* * Derbdzai no rn
olio odorato . Ti ^ ii^ ^ A, pdkzt i
brufinato, deer^eiuto il fuoco, ne v/i tondano, e deir altre gomme Se voi eauar
* V .
I. tJ ^ ^ I I *,x . . 0 Olio di
mnrchio,amt>ra, e zibetto. '. . li 4M
> i '.\ . t 'il tMulb.k.W'^ //\ Cauar Tulio (ti belzuQO . > i .w\\ # 1 ;BM.datPorX!t).X. ~4y, Lolio di Laudano.
Rompajtlo Laudano , ejlia per quindici giorni a molle nelPae^ qua vite, nel vtn
greco.aimeno per dteehperebe quanto piu lun- go tempo lo macererai , tanto pi
prefto ne cauerai l'olio . La fece tantoycbe verr primo l acquaie poi agoecia
fuori ne verr folto, ^ou ancora ne verr fuori i. Lolio di Terebentina .
luefioJfa ageuolmentcypercbeji caua con lento focot ma bifo- gna perche f intendo Ogfii Cgg 4 picciolo
44^ DcIU Magia altoral Come fi fepert
Tolio daU'acqae . Gap. VIL 4ATD0 fiti t T otf t acqu* ^ ntl ruipitnUt fi dtnnc
fcpartr fvno d* ^ altro con ogni dUigenXM % obi ft non fon ben fiperatr, ftt
m^inntton queiiafiemma nonpoiratofiba
inofrar le fui virikt laonde btfognapurgarlo^si ttoebe pofia ben dimoJbrar le
iceoUenifiiine virt fut. E qeufio faremo con dtfiillaone% operatione perebe penano in vna^ Birta quitta mefcolanza olio,i^ aeqaa, entro m vna boetiOL^ l**gn*
con Uggiertfsimo foto di bagnoym oanaremo 'acqua fan riy* queth th reJUr fotto%
fard fotte. Ma a f epurar a qutio tao oi troppogran fatiea yondefono
dainuifitgarfi vqfi fatti eom indnfria a qiuhafeparattoniy eo*4tm autto te
purgartmo da^^ ogni feeeiitO' aequa,e rtfier lolio puro. Habbtfi dunque vn va.
fi di vitrOtibe di Tour a fia apertOy e poi rtfiringtndofi in f Jiejfo a pocoy
a pony fia tanfo che fi reflrmga in vna fihttifstma tari*- tiayO modo di
embuto,in quefio porremo t acqua gi difiilatayla ftea venne fuori mifebiata con
i'eitoylefeiajlar cefi per vn pco ebef olio andr a gaUoyi tutta f aequafi
rieoglier nelfondoy mor toi ditopiceioh aeUa mano terremo otturato il buco di
fbttOy eqfi aprendo il dite t acqua vien fuoriy e f olio refierifopraftperato^.
quando Verr aWaRretto delia earmay l'olio far victno al irto ebiudi benet aprendo leue il buco, fanne
vfeir 'acqua a poeO\ a poco a goccia fin tantOycbe tutta ne fia vfcita fuori.
sAU'hore^ porrai l olio in vn altro vafe. B fiato ancbora inuefiigato inge-
gnojiffimamett vn' altre Si fi vn kjfe di Ventre gonfie\ e'I eoUo ftretto,nel
cui meno ei e vn buco fottilijfimoypongafi in que.- fio vafe t otto mefcbiio
con i'acquay Faequaandr al JondOt fo^ Ho nel eolio freUOt aggiongerai aequa nei
colio perebe calando f . acqua gi far faiir pi alto f oltoyfinche gionga a quel
buco pie ^ eioloyc come lolio far imi gmtOy mebinando il vafe pian piane , verr fuori lolio per quei buco. Cmne non ne
vien pi fuortyghn , g acqua a poco a pocoycbe lolio falir infin al caetaleitOy
* tnebi nandolodt nuouoytr asfondilo in altro vafe > ma ftmpre th l'olio
ealafetto acqua pongfi felle %ef acqua in vna feudtUa pianai VUW'VU Di Go.Btt.
della PoW LIbiX. 44^^ mtP0 Mitro vaft piano f t vi porremo vna fi^eietta di
frro , #- ro vn lieinio di bombatele ne eaeeerai Pasqua di fuori ajij^y o^ m*l
fondo, del vafe trouerete (olio purijfmom Digiti2_ed by GoogU 44 . Delli Magia
natcrale trt vn vAfe in forma di vmouo,cbe c*Vif(a quanto la mtU di o banlt
voIgaretneOa cima babi/ta vn buco di tanta largbcf^o-j > che bafii a dar
luogbo al braccio, ebe v entri, " efea fuori, per qui do bt/bgnar lauarfi
onero quando babbtamo a dijiiUare a vteen da bor vn femc,bor vn altro, fia
[lagnato dentro fopra quejlo va fe fi facci tl cappelli) pur di rame ajfat alto,
" al baffo babbi cL_* buc,cbepoJa capir il eolio dei vafe ditto,e con la
Jua bocca,cbia^ , da benifiimo l" altra boeca,cbe non relfiiri. nella cima
del cappello fia va canal di rame di quindici, d vinti piedi, riuolto in fe li
fio con torti, e vai y riuolgimenti, accioebe pi comodamente fi pojfa portar,^
occupi manco iuogbo, e quefio pfifi per lo ventre dt vn altro vafi,tt qual fi
ben bi la pancia gonfia,m a non tanto quan- to il ortmo , la tinta firmgafi in
vn fottiliffimo canale , e che pafjt dentro vn altro canale della medtfima
lunghezza , e vada pur cofi fontuofamente ferpeggianio,la euiefirema boeea
entri tnvn* altro canale dritto, e quefio paifi per mef(o vn barile, e di qua
va- da nel recipiente. Di quello modo dunque ce ne feruiremo. *Fon- gafi nel
vafe iftmi,o le fronde di quelli tagliati inminimipeczi,^ ponendomi di fopra
aequa di fonte , finche fia altafoura lefror.di per quattro,o cinque diti,
edopfoura ftgii actommodi il cappel lo, e tvj diligenza, ebe le bocche entrino
bene ne' loro bucbi,efifer rimo bene le giunture f vltima parte del canale fi
ponghi nel vafe c le bocche ben ftturino,e dop pollo f alto cappello dt foura
alt t [Iremo del canal riuolto fi po fa dftro a qdeil' altro dritto^ il qual
pafiando per lo barrile,v net reeipiinte,le temmifiure fe reftano aperte per
qualche loco , fi chiudano bene, prima riempiendole di [loppa, dop con farina
di frumento ^ e bianco dvuouo mefebiati s' iittoOinOyponendoui di fopra
fafeiette di veftica,e hgatofoura^ bene cri cordelline, perche quando per la
vefiemintia delfico ver ^ randa l ivapori'fi fanno per lo camino tanto fotti
h,cbe sbalza- no fuori per ogni picciola,e minima apertura, che per poter le
fer~ rar tutte, quafi fia vana gfi fath. tl barile fi riempia di acq ua
fredda,efe co l tempo viene a ffeaidarfi, aperto il cauaDettofe no caut fuora,e
fi riempia di acqua fredda , accioebe con l'mjufione dtOa nuoua aequa jmpre
quel canale [Ita freddo. Sempre dun^ que laggiunga foco fatto , accioebe le
cofe che [Jan dentro al vafe di rame bughano,ma da principio leggiero,e crefea
a poco a poco, e finalmente crefea tanto, che per forza del foco vrgente,i
vapori, tot paffano peri n torti canali, come fivolcjfero far firM di Ificn . '
Digitized by'Coogli ftt il vafe.facc'mo nrtptfo.CoJintlvafe di fotta T^qu cbt
r#- JtaJitmmaiieA per i CMnali ritorti vi in alto f e poi pajiando per quel
canal freddo eoftretti in acqua, regrtiranno nel recipiente, ' ^ Majip la
eotinua bollitone macajfe F acqua il vafe di rame,da fi canto b^bbi vn
canaletto, con fi fuo caualletto,per il quale rifun- dendo dentro F acqua calda
J torni a riempire, e poi fi ferri il ea rtalftto,cbeno rifati,poifife peri
Folio da Feccua con il frpara tomo. e f potr con vn altro vafe turificarfi,e
jeperarfi*Dt quan ti ifrumenti m accadutodi vedere,niuno ne h vifio, cbt bab-
bi canato olio con pi abondanza,ne con minor fatica,o indefiria cofi dalle
fiondi , fiori . aromati,refinc,legr.i .fenza Urna dt b>u- Digitized by
Google DeFIa Magia ostufale fitarjieon gagliardiJJtmofQeofotrtm9e(UMr:t tontt
is grani H igiunipro\ t da altri Farcvn
dlfcenforio per bagno, ch.e fcendendo gi cani l*lio Capr IX. Q non pojp canftnermii tBt non narri
in quepo la*- eovnajortt di vafe del quale mi foglio feruire per alcuni miei
par tieoUrifieretii & I di tuia inuen- tione, $ fperotcbe non far poco carp
a gfirgtgmo- ... Ji* ogni paura di brufeiarJS ogntfot- tilijfftma cofajtpojja
eauar olio, perche fi frenano molti fori fot- tihjjniy 0 leaginofi, come di rofmarino,
di giunipero , e dt altri > di mufcbiovambra, zibetto,fueeino , e fimui eoft
de quale fi caua olia odoratijjuno , ^ afidi lodatv,fer Tvfo della medicina, ma
diefienza cos delicata , e di confidenza, che purfentonola vio- lenza del foco,
che non fibrufeino , come che fenza la violenza^ di fuoco lt- cofe pingtee non
vogliono falir sic nel lambicco, nefe me ptc eauarolio . Noiper vfcir
daquefiifaRidif troitarmo vna forte di vcfinel quale fenza alcuna tema di
brufciamento, efa^ tiea, folla cader gi.
Formafi durcque il vafe di rame infor- ma diesn ouodiduo piedi di altezza,
della medefima larghezza, tliuifo alla cinta, acchebe di quello ce nferuiamo
come per couer ebto, e lo ri cena nel fuof e no , e le boeebefienoosi bene
agtufiate mfierm, ebe fipoffano bere ebittdert," aprire . Nel vafe
difetto, d'intorno d mezo, per f patio di vn mezo piede lontano dalla hoc e.% ,
come neli'buomo il fitto trauerjo , vi fi accomodi vna lamina di rame che
acconciamente fi pojja ponere , e leuare , neOa cui ro- tondit fi faecino tre
bufi, ebe pojfano rieeuere i fondi di tre fior- ter r il refiante piano della
lamtna,s tutto beefato , poi far fot- lineerete, acciocbt buglttndo l'acqua,
gli ardentijfimi fpiriti del- ti acqs^pojfano venir di fopra . Da i lati del
vafe , fi faceino tre hutbiypekcpuoli pollano pajfari eoUi deSe tre fiorte,e
fieno falda- - ts comi Juoi canali , che dop pajfati i colli , fi pofiano
cofipar con Sa fioppa, e ligar fepra pai con le ve(ficbt,cbt rson ne pofiano
vfeir' vna minima quantit di acqua, di fiato . laando dunque vo- gliamo
coumciarc ad ocerare yfiriemp:an le forte di quello ebe va Digiti- -I by
(Joogli- DlGiolBatt.dellaPor. Lt) X. ~ n * 'Cogliamo dithUareypois'injUzanoi
/colli delle fvrte per quei .u ebit e le calate n buchi faura la
laminaycbefieno vn Meo eltuaU, * fi vi refi a alcun /patio tra il coi b della
/tortai e l buco del cuna Ie,Ji riempia di /oppUi e / ineafei benctefopra vt
/accomodino le vefsicbci rtempiafi tl vafe dacquaie ftia meno /acqua tre diti
fot io i fondi delle /ortey poi chiudi il vafcte chiufe anebora bentjsi- mo le
giunture i eligate con levefiicbt t aecioebe Ja forza de* va- pori e leuati dal
foco non mandino per aria il detto couerebio tO dando r acqua busHente nella
faccia de gli operary , e di coloro^ che vijiando pryenti li difpolpino infin
aOoffa. Poi accefoui /et 10 il Joeo fi rifcaidi T acqua a poco a poco fin tanto
cbe/ia atden- intimo, casi buglier / aequat e /udir di fuori il Irepito,ebt^
faranno i/piriti dal buglirCiCbe ci danierroret %/cir prima^ l'acqua , poi
lolio con /acqua . *I/e poffo contenermi che non ve infegni ancboca di far vn
altro vafe inuentato da me alla mede- Jima operatione. Facciafi vn mezo ouo di
rame comi prima ha- uemo detto c nel mezo Jia bufato ami vi fi agiunga vn
canale 11 qual giunga infin alla fin del
vafe la bocca di f opra fia aperta come vna bocca di trombetta di tamburro aeeiocbt per quello Ji pojfa
trafmettere il colio del vafe le parti riceuano la bocca gra de qu^ovafe vi fi
accomodi il couerebio, aecioebe acconciarne te fbojfa ponere/j- mcoUarJicomt
prima dicemmo. Poi bifogna farjt tl fornello accomodato allvfo ai qucHo
inflromentoypercbe /accede il foco dintorno al vafe non nel fondo . Ecco l'vfo Ripieno cbt fia il vafe di vetro, di
fiori U altra materia , e po- ioui le
cordi di eimbalocbt non vengbinogi le cofecbevi fia no nel ventre fc infilzi il collo per /quella trombetta di
rame^ poi il vafe /accomodi nel fornello e fi riempiadi acqua folto / embu- to
poi fi ponga /oprati couerchiofotto il forno fi pone poi H reci- piente
aecioebe ricetta / olio, ebe cade da /pra a goccia a goccia^ poi fe gli accende
il foco d'intomocbe i lati del vafe fi rfeaidino . 4 mentri fon liinti dalla violenza del foco
gli ardentif simi vapo ri dell acquajalifeonosu% per le volte del eouerthio
reuerberan Jpra tl dojfo della boccia, per la cui violenza / acque loliocon-
turfi in vapori, fenc cadono nel cteipienU di fiotto. Della Ma^ nata^
J^rimtniatt, tomf volida cauarh Lolio de fiori del rofm anno* . HtmpUnJilt
fiori de' fiori, * delle frondi del pois'aeeomadinonel vfe,^aeeefouifototlfuQeo,^ri
A ri racqu,poi Folio di cohr Soro di grand fitmo, e vebenttjst^ dor , di cui
poche goeeic vagliono grandtpimt *
mandar via crudeli dolori, come babbiamo efpertmen _ tauerai pi tojlo t olio ,
fe prima le po rrai a macerare nt ? fifo ttani per vnafettinana. Ntlmt Ufimo Digitized by
Google D*\GloK3^.deIkPor/l^X 4';/ ? L"oUo delle fconedt-erro, fndile tetre
fono perfetumente matur* Jf grtfajrjri* Ve . fn>ttv4,tfimrr. ,n,br, . ; n \ vk \ i .... " ^ ' Vmk Tfi 'e-'* Wri d^mfclaranci.' ' '
edHaceellentifsima,f edorati/iimo. Si
come baibiama detf ** fi eie fitla, ma
perche appena folto fi conofee dal- i ,efiretto collo , , benot- fi pope al
Sole , e/pha vt afeender poco a poco vn
olio ent/u^ i incbina il va/e. e rteeilo , e con vna penna rito-
'llp^bevHuotdndo\Sitaa'ancbora ^ ' * { * ' Deridzut no ro olio odorato. % .
I I ^ vV> i \ - \ i \ . * -' J* ^*^f^^*idccr/ctuto il/uoco,nev/ei-
ne/eruiremoper i profumi * dell altre gomme i Se vi eauar vi M??^***
.rchio,ambra,e aibecto: , ^ di -Wjtffw. ne difdtiefi .A ^ t d/r/rAw , ambra , #
zibitto , ebe di Parche quejl, fino dvna efien- -/// ^*^'^^r^o.fibrufit tutta
la quantit, e pizzi din T lo cauera, ageuo- ^^enUdi/uorhne/ohqueft, ma tutti
quelli aromatici di narrati, con queSh aitificro m caucraoleipretioj: * GiS Come Digitized by Google Di
Gio;BtU.dH^eorvi:.!(>X ~4ff L*olo(i.Laodano. Homp^ lo Laudano t e ^ia per
quindici giorni a molle nelP ac- qua vitCi noi vin grecOiOlmeno per
dtet^upercbe quanto pi lun- go tempo lo maeererai tqnio pi priora cauerai l'olio . La fece
tanto, che vtrrd primo l' acquaie ^ agoscU fuori ne verr folio, floii ancora ne
verr fuori ' ' ,v, \ .,t Lolio di
Terebentina. ageuolmenttypercbe fi caua
con lento foeoma hifo- gna ij'ar gran diligenza , che tl fumo nonpaffifwr le
Ponture% perche tira afe tl joeot come la calamit il ferro , iTquem entran- do
nel vafcycongrandijjma mal ageuolczna eflingutrai\ comta auuiene medtfimamente
cauandoju v.. \ I l Lolio doliua, e di lino. . Sift deStller folio comune ,
paffar con graniijlima diffieol- p, ma augmentato il foco , verr fuort in fti
bore con grandifii- pna diligenza , che non linfreino le centri , ir il vafe ,
perche fi attacca la fiamma dentro,e rompendo il vafitalga la fiamma tan $0 in
alto,ebe arriua a trauLe per bauendofi a cavar l'olio di que fii,eautfi nelle
Jlanze a voltche di qua coloro, cbe fanno le eompo- jfitioni per i fuochi
artifeial, mefebiano in quelle mifiure olq di- Jlillati , perche non i eofa che
pt volentieri tiri afe la fiamma %$ la butti di lontano, fi e jlingue
malagevolmente . Come con diaerH artefici; y fi cauino grolei del- le rofe.
Gap. XI. Perche fono diuerfe le nature delle eofe da difttllar- /^/^erd,V4rye
diuerfi bifogna, cbe fieno gli artefi- ci ci di cauqrgli,percbe alcuni ftmplici
fonotcbe qua- ^ dofentonola violenza del foco faltfcono sU,e non fi - _ - c0 fcioglionp in ltquore,altre non
ponnp f uff tre ilfuo cotcbe fubito nonfi brufcino,onde dalle varie differenze
delle eo- ^fe fono fiati ritrovati vary modi di eauaroleuNoi adurremo al- cuni
efienipi di quefii , aecioebe coloro , che fi dilettano di que fin ^ arte, da
quefii imparino a eauardatutte le cofegli oly , come vo- gliono, con qutfio
modo s'appariecbia ^ L|oIio del miele. *
Con gran dificoltfi cava folio del miele , perche fentendo Ogjti * ' Qigg 4 picciolo Digtized by Google 41^
Na&nile ptcioh ealdo Ji gonfia, fa ampuUt
tbt aftendf a poto a pota infin al colio dtDa booeia , t pafia nel
eappelio ,efe ne pafia tutto fenzM dilli Bare nei recipiente,, Prima ebe p(^ tn
acqua , onero tn olio a quello fono
trouati molti artefici^, Pigita vn vafe di vetro, ve tnato, di coUo breue , e lungo ^omt vn
orinale, e panini dentro il micie M /opra vi fenderai la /loppa de altexAa dt
duo diti, ebt^ vi flia bene accommoda di foura,e eaicata,ebe rifealdadofi tl
mie^ le, e gonfiandofi in ampoUe , la
/loppa lo deprime fiotto, e lo fia ftap giiCOiidifltBar prima / aequa
ebiara,eome vedrai che comtneis a eolorirfi,leua il recipiente , "
aeeomodaui vna/tro, efierba tv- no, & t altro liquore fieparatamente .
Onero poni tl miele in qun^ lunqe vafe tu vui,e riempilo fiopra il fiondo deV
aitila di quat- tro diti poni il cappello fecondo tvfianna, poi farai vna
fiofia nel fol'aro della camera, profonda quattro diti,e poniui dentro tlfion^
do del vafie,tbe Jepeltfiea quel miele, e poi luterai quel vafe dijopra il
miele di fuori,e come fuco aceendefi il
fioco intorno intorno], t fiempre accodando ilfiocoalvtfic, bugimi il miele, e
ptrebe il cal- do,che Zi fioura il miele , probibtfct che non fi gonfi talch
age- uolmente aficenderd il vapor fola ,.tfi conuerttrPm acqua , mip primo
giallospoi roJfio,e poi nero finche il mule fi brfictari in car bone. Potremo
far di modo, cb'ogri vecebunUah fapr fare^, tongafi il miele in vafe di creta
nucuo, e pefiem fpra vn couer- ebio , fiotto vna fnffa aifecuerto fitpihjccio ,
ebe a tnu no fila fitto lafiuperficte del piano vn cubito, laf,;aio con putte
fare per dieci giorni, poi canaio, e caua via fuori quella acqua
ibfi&a,coiroo- rai fioura tl miele, in vn alno vafe, e couertolo di nuouo
fiepelificc- h come di /opra, e dop vn altra Jtitimana Vidi , t l'acqua ebe
fiouranuota cauela fuori, e cosi farai la terna, e quarta volta , finche tutto
il mitr far riuoltato in acqua, tlcbe concjctrahquu- do barai ficouerto il
eouerehio ,pci quJl' acqua rifirbat difitllalu si modo vfiato,e fi far con
molta agetiolmna lacqtta,c lolio. Con vn artificio afiai diuerfo da qm fio fi
hard . L'olio di C anfora./. Spezntfiin pezzetti, e fi pe/i lo eafora,e la
butterai nelVacqu forte fatta difalnitro,e viiriolo,t buttaui la canfora fipra
, peni 'il vafe in bagno onero in vna fivfapirfei bore, t nella fummit deir
acqua ci vedrai affamar / olio limpido,t cbiaro,incbir,a il va- fe ,c lo
purgherai per iorta , & barai vn olio teetllentiffimo,(y odor atffimo. Con
varia diltgtnKa, e dc/iregM eaucrai L'olio Di Gio;Batf.dlk'Por;Lft.X. 45^.
Lolio iella carri, cadi* tele. Et afidi ingtgnofamtnte. Riuoltiji l carta in
meda di ptrarm de rotonda , a dt cartoccio * conte fogliano inuprgcrla i
fjbetiari > quando li vogliono riporre alcuna cofa dentro > cbt babbi a
tr^' ^ortarfi da lontano, e la bocca t'eguagli con le forbiti tappetai ^
pteetno dt fitto douc ila la riuoltura , / con vna candela accendi gli orli
della boccate s'aaefdi in vno mtdejimo tempo , e comi ac-^ cefa fi riuolti , che Jlta la fiamma
fitto riuoltata in vn piatto M creta inuetriato, alto dal fondo guanto mezo
dito,eb appena tlfi fno ne pojfa vjfcir per fitto, e quanto il fumo vien
eonfumando de^ lacartattanto fi deue abbajfarlamanot aeeioebe fimpre /ita di
fante dal fondo per la medefima mifura , come
finito di fidar il cartoecioyvedraifcerrere fiuta il piatto nel fondo f
ohe U color giallo nero, che pus^a di JbeufeiatOt raccoglilo Perche vale s tor
le lentigini dal volto delle donne, c che non rin^eono ptu mai^ engendole. ^afi
nel medefimo modofieaua Loglio iti frumento. Saura il fendo del mortaio di
marmo riuerfefipongono i mi delfrumtnto , e fiuta vi poni vna amina di ferro
ben rifeat- data. E quafi mfocata,e calca vn poco,pcrcA^vedraifcorrtre dah l'efircmtt
della lamina folio di color giallo,.Tfiapu^acr4dt brm fciato;al medefimo tfo.
Ma a rifoeeilar lojpirite * -Il bteoiiiO
vien meno fi caua d'altro modo 4\ K't C . : Come fi caoni) gli oli; per
difeenf* Gap. XII. ^ Modo vfuale , e
commune a tutti a cavar /*// dtfeenfo , ma febiuato da tutti per puzza del
brtt^ fiiatOtche porta fico, ri pazza fa fidtofifirma, m tof siamo Jet uir ci
di luife non dajuort, ponendolo r ^ ne medicamenti, perche non fi bala
apetertof ^ . dentteper la ^rer. puzza.ll modo
tale.Sifa vna pignata dt ere ta tenace, che duri atfoco,veiriata
didentre,acctocheprfia ntevir dentro queihquori , chevifm pcfifer.za
trafineturgh , ffiaii fuo fondo tutto lufaio.qui i babbi vn altra pignata di
creta, clie e' accomodi fitto il fondo della prima, di tanta larghezza , tben
bocca di quella di fitto capfea il fendo di quella Digitized by Google ^.1 '
Dlli Magli Ntar ale iutHO Ir giantart U
pianata di fouta fi riempia di pezzetti di dgnitf p fi pone il eontrcbio,e fi
lutmo benijfimo le giunture^ dop f e* ai
vaa foffa in terra,r fifotterra quella dijotto^ e quella dt fopr i,r prima ,
tbe fi riempia il fojo di terra, fiporrd dell are- nate fi talchi con i piedi
tcfevt sparge ancora arena Ut fopra-^- f rima s'accendano pochi carboni foura
la pignata e poi a poco a foco li
foco .
Cauar Irqainta cffcnza'dirimbr xibettq.c daii aromati. ^ ftgha olio dt
hen,ouer.v di ma teorie, moficbo, ambra, cannelle^ , ' ' ze' Dt: iztJ by Coogli ' IDi
Gio.Bitt.dclli Por. Lb.X* 4^ * , # tedoaria btnijjtnio ptfhtntfcbialeie ponilt
in vttrOt* ponile o Sole, onero in bagno maria per dieci giorni, epajfaio
auejloitm po,fpremerele dalle fueftcei,e cofi la quint'effenza delle ee^e gi ,
dette paffer neUoiio,bor per /spararle daJT olio, far at tpft. Piglia acqua
vite, f le cofe non feranno odorate, ma ejjfndo odorate ae^ qua di fonte
deftiata tre, o quatto volte,e mefebia con detto, e sbatti bene, e pania
digerire per fei giorni, poi difiilU^ per ceneri, che verr fuori P acqua vite
con taf u efienfa, e re- ' " fer nel fondo del vafeniio,fenza odore,
epoieauerat f acqua ^ vite daHefienudiSillando per bagno leggiermente, ebe l
acqua vite vada in fumo ve l quinfefienua rJfain forma dt oho nel fondo
fparata. Si delt aequa vtufola. Taglifi in pezztjaradteo della zedoaria , e fi
pejli , e polle in vafe di vet^o , vi fi pong^ dentro P acqua vite, ebeauanzi
/opra poi tre diti pot porrai Uva fe indigt filone per dieci giorni , e tolto
il vafe porrai fopra u ce- neri, 0 ntir arena a d fif Ilare finche non dtfitlla
tUtro ebe aeqM fenza paura di hrufeiamento,quelh ohe far canato cpud^l^ tione,
fi riponga di nuouoin bagno, e con fuoco l*ggUK9ji*^ ^ mare, e rejier la quint'
ejjvaza dtUa zedoaria nel fondo, qual fa ' tr in forma di liquore, Vofsiam
anckota / ' Ciuar la quinteflcoaa dalle
caroc \ i *
'I , . ,i ( j . i* cme da caponl NoifpefsiJfkuevoluhahiam eauatalagmd
faenza da ire caponi', Ut pocaquaUUta, ma di forza tnodry edento grandifiima ,
con laquale babtamo rejiituiia la Vita r*la forza a' malati, iquah per tre
giorni non baueuano potuto gujt^ eofa alcuna , per bauer perduto lo Somaco , e
da vn ecetUentiJj^ ' ueo'nbdrhnento. Piglianfi i polli,olegallme, o eoponi,
eeeUynti^- uiSfUentc f perniati ,'e bufi arene via le iatejhne , quelli
nefaremu in pizzitti, e Pbahiam pollo in vafe di vetro , e ben coperto ib verno
fatto buglire per vn giorno fopra le eeUeri calde, onero fiu- ebe l'ofiaJa
carne, e tutta la fofanza p difolua in acqua, Ofaper toilvafs, cola l* acqua in
vn altro vafe , e per vnatela t jtna &remi tutte le feccie, perche Pojfa
deSa carne che refiano,eofire~ fiano priue'tPognifoanza di carne, di odore, e
di qualit ,ebe buttate a cani, meno fi degnano di odorar levi che far fegno
dei- la eeeeUentiJfima fperatione, quel liquore paniin vafe di vetro i con legtero cahra di bagno jaremo sfiatar
l'aequain Dhj' ' y ^ 4^k Della Magia nat*jrak -f ml fond0 rtfer
la quitti' ejftn^ay dura, o molle tme -vi fiau- fi, 0 come vn^amto, di virt
merauighq/at ne maiHoiataa ba- HanxjL.fatrematofi accomedandoui fopra il cappello, il quale
come hard Jintito la fon za del fuoco, penetrando tutte le eofe fi vedr
attaccato nelle voi te del c appello come fujfie palugine ne afeender in modo alcuna l acqua Je prima
egli non far tutto falito, pafiafa V acqua fimi- fina con t acqua, e fi pone ne
i vafi da cireuare, che Sillato, e ri- uoJto infejteffo pi volte fi ridur, eofi
butter via tutta lagrefi- fi^KddeUaJuafoSisnzahelifeiartO^ aequifier vna fartfa
pii Ctem 'i \ Digitized by Google 4d,mfr, l.cuWud,iti,Um,m,,cb,non . biriti,
mio limuro,mi im cefo . , r.#-s4ar triii/iporareoli , limimi Ji poi uor doli,
tof, / ftnza fptfstfime vohtftguono i
colori , le mojerii ionfeguoJ ff olori , & il modo di couor ^>'1 i^di
voriot dolio vorietddcll, nolure dille co/i* di
Cautr il migifleno delle gemme, coralli, e perle . TtM tgtmmt, t ^nU a
vebentifsimo fuoco cucioebe diutitim calcti A rifolui la calce in acqua vite, e
uafa, il poh tre che rejia , di tiuouo penilo alfuoc meolio in calce torgafi tn
acqua, finche tutto dtumU acqua, Pae- :. rLL L,a. fJci fumo , ouel ebe refia
ntlfon^ nell' aceto, & ilmedej.motutjuco ae
firte con cofeebe lo r oberano , come babtatrio detto nell te, come con
ifuoi fiali, dtjfiolui nel bagno, e fiotto trefiare per vn mefie, poi defiilh
itrnefiruo * t nel foni magifitrio delle perle
Pianto anebora cattare 11 magifterio del ambra. Ponente quel modo cl
quale noi lo fiolemo cattare, / fiflilo nafitondenoyonon lofianr.o, quel mo,
pefttfi ilfiuccinto minutifisimamenteipefio pongafi mitiche lo d,Jfiolua,fioluto
poni in altro vafie,eponiui della nuo^ ma, finche ne pu mangiare fiandoui mn
mefiti poi pone bigitized by C- -OgU Di G'io.Qatt,d^lUPor.Ltb.X 465 Aspu in vn
va/}, fongaji alftt09 sfumart quelToliotcbe re- fifa nel fondo il tnckgttierh del fueeino . Con queflo babbi
am feanceUate heieatriei dtUe ferite sul volto, e feaeeiate le vertigi- ni.
Fonema anebora il modo di eauart^ 4 ..V I
' - ' Il marifteHodeltcr CiatoV ;
, '. I tu . -.-.J- , v. Perche limandola
per quel caldo iella fregattone della lima fi rtfoluono quei Ifiritf pi
]onili,e hobiltfitmt,pongbifi nella acqua vite purgata per 2 4. 0ore,e quando
vedrai che hard tiPat afe vn color rytifsimo,eioi sTfuo olio,tfudfoJlanX^,eola
Facqua,e poiiiui della nuouafbat- ti fempre , t conturba , fin ebe di nuouo Ji
eolorifea , e tante volte aggiungerai dell'acqua ,ela eolerai* ^nebt T aequa pi
non cola- r ardila medejma limatura peni folto il torebio,e quel fueeo fal-
lerai a feltro tutte F aeque,^i dij^illafe poni a Jlil/aro/ che sfumi f aequa,e
iroutrai nel fondo VotiOiOuerQ refna, magifierio del eo lore del fueetuo
cdoratifsimoMqual no bare/li potuto imaginar mai ebe dentro tal legno vi Ji
bauefii potuto trouare . 'Fofiamo farilmedrjmo ; ma non eon tanta hreuttd di-
tempo , la limatura del legno fanto, ponila in acqua di fonte, buglila per vna
mettd di gtorno,eolala,e poi la fltra,pot poni a sfumare;perebe lafeierd nel
fondo la medfjtma reftna. Il legno ebe baueti a pigliare a tal effet "
bifogna che Jia oltofo,e fi eonofte, ebe aecofandolo alia candela, vedrai fudar
vn certo ihuiouer grafia . Co' Ime defimo artificio babbiamo canato il
nobiltfsimo Magiftcrio del legno aloo //
Ugno pur rafehiato attorno fi pone nelF acqua vite, e come nlrato, S" colato , fi sfuma a leggtero
fuoco, e net fondo del vafe babbiamo ricotto F odoratifsimo olio ii aloes ,
eeeelltmifsimo per ifirofumi Fqfsiamo cosi ancbora^ It magifierio del Tino* H
attere, noi lo ebiamano Jfiiritodel vino], ponemo il modo, et- me lo fd
Fraratelj, dop il nqfiro perebe non pof siamo fi rnirfi Hbb del Digitized by
Coogle ' OeWkMaglkNfctufile ^ del fuo rt noir pAtJi.foni in vsfi di vetro vino
gagliardo i ^ ritofo , che ne rtjii vacua la terf^ parte x ferra la bocca t
ouera eon figiUodi HermetCyC con collo gagliardiffma%come infegnare-^ mo, e
ttngaji fatto il fimo por tre x ouer quattro mtfi , che non vt manchi mat il
caldi), neWinuemo i tentpt fono freddi fi- mi elfomli i freddi per vn mefe che fi congeler, ma tlf^iritOy cuero il
magifierio fi ritirer nel centro il
quale per la Jmafotti- egza non rtceue cange lationetrompi il vafe, e butta via
il cnge* iato, e r ice ut quel liquido , il quale farai poi eirculare per yn
me* f nel pelhcanoxe rharai . Nei porremo il vino gi detto in circolatione lo
renderai fii perfetto, e pi migliore . . . ' .
* Come fi etnino le tintore delle cofe
* c*p, XV- , ; I jiiirfr pi pura, e firn {^.caee dellu^^ I yZfisssF cofa
colorata eauata fuori* e la piu nobufjima porr 1 X- U del fuo compofio,
eficetua daCe gemme ptetrt-j t pianie,efipri,radici,efemt, e de refanu , tp
qmfii dfirenia dalT efientie , perche orineipalmente rii itene in fe i
eolorfiella materie,e fi f epura dal fuo mifio con gray artificio,
diligenza, JL 4 #rf4/a#o maggior taidtj^
J(a, (bt no i bora dtjidordto per i compeodi della vita . Ifotiitf- Jimi
inmiigatori delle eofe dalia mtura
vedendo nell oro tonto ^lendoreUmidexAa,r vna certa virt attrattiua, c
per dir cofi magnetica( (be pena vtjlo.
Cubito drizzi l' occhio cotemplar la
feea bellezza, e h fua matiid , e f abito dt Rendi le mani maneg- giarlo
e finalmente h natura del nofiro ^irito fi muoue difi- derarlo - 1 putti , t bambini quando le
veggono tutti fi ralle- ygKanOteconrfio, e con plaufo Rendono le mani, lo
rapifeonq dj *efe li pu pi eauar delle mani ) far conditura non me- teo
sjferftoui dentro virt , e ricchezze per la janit del corpo diumano , Gii fifir
elogi , perche veggono l'eroin color , in fplen - dor , la lucidezza de raggi
delfplt, e come fra metalli l'oro, Jtfi il Sole fra te fie&e di maeR , e di
perogatiua , e per quefio giouare al cuore , tor via la melancbolta , e ifuoi
morbi fegua- 'oi . Eficeno i Metallici, che gli elemento fono mi miRo dell' oro
con tanta proportionata barmonia,eofi purgati, e ben congionti in JUmc,cbt lo
giudichino lo pi temprato ditutti,e molto /Stano dal la eorrottione,dcui nulla
mambia^la foutrthi,dy efier cefi den fo,e compatto iifieme, ebt fiondo
lungbifiimo tempo nel fuoco non folamente nonfi eonfuma,ma ogni giorno
diuentapiupuigato , e pi nobile, t pifplendcnU , t per fepeliito per molte
migliata di anni non fa ruggine, ne maneggiato con le mani lafeialemani ,nte,
come tutti irefiantt metatt, nefitrouain lui eUeun brutto odore, fapore. Oltre a et tutte fe ferite, pia^e che fi fanno coro torotfubm
figuartfeono, t bottoni di fuoco fatti con oro, non jafetanofeguo di brufeiato
. Per tutte queRe eofe dunque dicono frgfo in corpo non pu fe non riducer a
temperamenio,h barmo - ,ma tutti jfikumort del corpo nofifo , lr ijbuercbi
eguagliargli, .f t diminuti inalzar e,tor via tutte le putrefattiom,e epp amica
^vnipm rejcillare il voRro calore, purgene iljangtfe , ^ augu~ 4nentarlo , ne
filo fanar t infirmiti ; magli eonjualfienti, e fimf farli viuer longo tempa,e
quafi immortali . Le virt cb le fin^ . attribute da/Rana/dp,Jiamundo, e 4^ pi
ccelienti medici, che .fi trouano, primieramente fino, augpipcntare la virt dtl
cuore . V - ... ' * - '
^ 'Ubb X e far- I 4 farlgrobufioii gj^IMrd.^ifie per non efiere emole
fiato iaUa ltpra)e melancbolia,e principalmente contro i va tteni,' i velini
delia pefie . Hor bijognacbe dtfcorriamo fe gli 'antichi, moderni medici fe io fappiano ben preparare,
acci che operi quefii eeeellentifjimi rimfdp.ebe babbiamo detti. Nieandra loda
eon gran merautgha F acqua contro i veneni,nella quale fa tfhnto l'oro ,
penfandoj forf, N. oi fcriui. mo
quello,cbe viio babbi amo. I moderni dottiJ[limi,e fottiitj^mi tnuejiigatori
delia natura,dicono cbe tifi- crtto deli' oro, ilenagr/ieriojia quinta
Jinta,ogniforza,potenz, virt.apima, e pojjanza di operare/ fi tu nella tintura
i e nel color aeir oro,e chi fapr eauar la fua tintura, non faprd p ie do Ife
creta. Ma qui fiala fatica , qui il magtfterio . Coloro,cbe parlano di cattar
la tintura delf oro, ne raggionano cofi breue,mozzo, in- tricato,cbefi
eonfee,ebe l'banno voluto pi tojlo occultare j cbt^ mantfejiat lo,o mojlrttr di
non faptrlo. Ma Jappifiiebe non fi pu c aliar tafua tintura, f non far a foluto
perfettifimamente da ae~ quo.farte: ma^nhn'dieo dell' acque forte, o regie
volgali, perche in quefte acque i fall cor rojtui non perfettamente , ne
ajiclutamente Ji rtfoluono in acqua, ma folamentc lafciano iafegma nella dtjiil
lattoni Mpartno denque con la continua
folutione , ' immi-' filone co(t difiillandoytbe fi folua tutta la foRanza delf
alt, il cbe baueria in mo\te-volte,e de faii-quelli dcRillarefi denno, comi^
babbi anco antbora detto , ' quali fi pojfano poi fepararji commO' daniente,^
babbiamo anebor detto quelli , che fi fopranno dop ben foluto in acquavifi pone
dentro il mcRruo , il quale i efirat
ttuo del colore, " dell'tfiza fua,il che l'bauemo molte volte dima
Rrato.Habbiamo vifio molte volte con gii occhi nojlrt il mrfiruo tirare afe il
color deb'oro,gtaUo,e potfarfi roJSo, ebe fi jolua in aria $ re/la ltto la
tintura nel fondo di fangue . Il medefimo facemo degarofoli . Pojpamofar il
medtfimo in altro modo. anta far eofa pi perfettStne il meflruo fapr di acqua
vite . Prendi vna earrafa di bocca larga e riem- pila di funi di rofe e quella
fi pone dentro vn alembicco pieno di fiondi di ^ofe e umpiafi di aire rofie,e pofioui fopra.il
cappello V accendafi fiotto il fuoco, vapori delle roft, che fi dtiOanoregur- gtddo
dafjpra entrano nella carrofa,e fi tingono di color di fan- guee quefio vn nuouo modo di cauar la tintura delle
rqpe dei quale ti potrai ferutre negli
altri fioru Potremo^ j t . ^ . -, :_s\ UV
-ttt- Cauar la ciocura dalla Calca*, Viola , Lccguabucic da fiori > ^
. delle fcarolc# Si otrar nel modo gi detto.La tintura della calta i giallecj
ma della lenguabuCiViolctC fiori di fcarola rojfaficrebt la tintura doloro
fieri t tanto fattile tfparfa
nellaftmtrfieie $ ebe- con ogni fottilifiime calore voli via^addfotUrrojfi',,
Cotifaprai aneor Cauar il colore de fiori de Melaranci* 4 Et infieme CO* l
colore vn odor merauigliofo^feeano i fiori del- li melaranci con le forbici in
pezza captUaritC fi pongono nell' ac- qua vite, e come diuenuta gialla ,-(b* i fiori hanno Tafeiato
t ut 19 l'odore fi pongono degli altri , finche T acqua vengbi molto carica di
colon, e di odore , vero ebe f acqua fia fatta vn poto grafia-^ t allbora fi
colale fifa sfumar l'acqua , cos catterai fuori il colore , i odore, e le frze di
tutti-Cosi ancora potrai Cauar il colorde coralli. . Pilla bene i corali,c con
gran violenza di fuoco fanne fale,ag- giongiut Digitized by'Cooglc DI
GIo;BatlJdelk Fr Llb .X. 47 1 falnitro tguali parthpM coff Fatqua vittcaunr il
falt^ * Oi*fo fohrt di msrAuigUof virtkttome diremo fi-' 3 1 li I> Come fi
deinb canari fall dlie cofe Gap. XVL \ , On rtjitde U minima virtk de fimpjiei
nel /ale , de quale non fola ci porremo
ftruir ne'eondimenti del~ ^ le vivande degli ammalathma in altri modi:per dr ^
quifiarno grandijfima forza di penetrare
fiatai gran tempo qmJlKne ejf agitata fragliantiebhfe /ali Htengono le
vitt%ebe baueuano i loro fempliei prima
vera per Inforza del fuoeo altre ne per dand, altre ne aequiilino e fai*
tene infinite e^erienzeJivede ebe eonferuano aleune virt dzje femplieida quali
fono ilati eatMt molte volte afai pi acutt^m N e porremo foto aleuni efemphebe
b abbiamo vifih e primo ^ Cauar ii Tale da Limncelli. ' ' . V , Di/iillanf i
limoneelli con le feorze e eon Pagro ferhtfi F aequa, lerefante difillMef
pongbino feeeareidnelt' ombra f il tempo
lo permetter vero in vn forno poi fi pongano in vafe ben lutato, fi pongano dco direuerhero, tben eonuertino
in talee fa eilee lajoluerai nett acqua, i la fatai bugltte , ebe ne feci vn
perfetto lifftuio, poi lo difiillerai ptrftltro,aeeioeheru>n veneti eonfe
ale ne lordure , e fi depuri ,poi farai sfumar P acqua, S' il fai refier nel
fondo, ne babhiamo fatto elperienga efier eeeellentiffimo a rom per la pi etra
nella vejfiea. Si eaua ancora il \ ' Sale dellmperacoria . Dfecebifi ben la
radice in vafe coperto, e lutato , epofio nelloL^ fornace fi ,brufei fempre per
tre giorni , finche diuengbino in ce- neri bianche, e ^argendoui poi /opta P
acqua fuafi difiilli, e dopo difiillto di nuouo la calcinerai la terga volta ,
dopo la filtrerai etcellentemente , fi pone in vafe di creta , ehebuglia, e
buttato il bianco, di nuouo per depura fi il /ale fi vedr al fin il fai bianco,
Hbb egra- Digitized by Google 47 DHaiMatalNatrri. I granellato, Cofi antbora /i f il k . ' i. Sai del cimino. ~ ... ... . . La radice,
rbtrh^^fy i fiofiji pongono in vn%afe,ft ura bene e fi feec, t fipon'einfirhact
dt mattoni, tbt fiht^ggbo li ceneri^ intanto dt filila le radtci,bttbe,e fioruouer
cuoci, t diqutfa ac- qua fanne vn iifsinio acre, tlqualcdop che barai tre, o
quattro Volte depurato, coctndolo in vafe di vetro , fi reduce infMe ,efilo,
vorrai pi puro, e pi fplendente, porrai ilfalffapra v 'n marino-! di porfido,
in luogo battendo, accomodatoui vn pafe di /otto: accio che quello.cbtfi
rtfolue per bumifiitate, cada in vn va/e/imprt^ cattando feeei,/t pur alcuna ve
fi rima f la e cfi farqi la la ter-i na
volta,fincbe lo vedrai fpUndente come vn ertfiello Ejcrba/o \^ quello le chiama
alcbali , Si caua il ' . n > \ Sai della rafsifr^gia . . -i'. *^el medefimo
modo ,ebe babbiamo detto di Jpra ,je di quel- lo ne I alerai cibufifoluer nel
ctbo,e dal pan venenato, e fi guar- da dalla pelle , e daliinfettione dell aria
pefiienttele. Si caua nel medefimo maio dall' altre cofe , che fon buone contro
veneno , dal quale i Principi in luogo di fai communi f ne potranoferuir ut^
cibi quotidiani , perche ptnafitonofcc ilfaporc differente altro. Della T api
fia fi catta per la piftfa delle reni, e defia veffico per cacciarli
fuora.Rifolaert il tartaro indurato, o la loro vifco fit:ammazza i vermi,purga
il sague,al fpeffo prefo.Jpuoca il fa dor, gioua afiatfstmo nella curationc del
mal franctjc , Il fai ca-^ nato dalla pimptnella,mangidiolo alcuno per tre
giorni, per ogni tre mefi per tutto il tempo della fua vita far ficuro dalla
bidro- pifia,ettiea r apoplexi a, conferma il corpo m irauigliofamttc dal- lo
aere pefilente . Gioita prefo ancora al ventre, fe non reeeue i cibi con
appetito . Ma eojtin quefio,coine ne gli altri i di aduer- tirfi,non bauerne a
mangiare ogni giorno di quelli foli , aeciocbi iljlomaco affuifacendoj quelli fiali fe li prenda per alimento
familiare. Si fa ancora falt della limatura di legno fanto,tl qua - le vai
molto contro il mal franzefe prefo nel medefimo modo , co- me babbiam detto.!
reflanti farai nel medefimo modo come igran detti.- . ; . , ^ . - - . Degli Digilized by Googit '' Degli elii&ri. ^^ 'do il corpo in quei
flat.nd qual l'ha trcuatOnonJJo i bumanOp. 'ma ua emulanuo le Jorze dei baifamo
delle pianUtper il piu va 44 ~cudfiyCeruello , e quelle membra nelle quale
ilfpirttofyole albera Pare . Veltjfir ^dt tre fpeeiCdi metalli, delle gemme^e
delle ptaif . Uycomo delle raiiei delle berbe.pori ftmhlegnhr^neyeJmiluSo^ no
differente dalejftntie. ttntureyedttutte leeofty ebe babbtamo dette, perche
fifeiSr. t molte cofeper mnjiftrbano letmture, perche ci entrano moHe cofetcbe
non son graffar e pero nonolto,pet ebe non hanno ne fplenBore.ne trafparenttar
ne ponno ejfereejse- 'ite, ma vn certo mtzo fra tutte queft coftrt ptuper
babitoitquo , che rapprefentino altra eofaiC di qu aequifiano nome dt tit^
[oeir . Effempipfar r '' Far rilfsir della pinpinella >
*1 ^ T , Si eaua la radice fuo tempo t e fi poote a molle neltiuquafun e
ponendout alcuni pifi fopra,cbe affonditfi Iqfcia putrefare e ci 'fin tanto, ebe i fori Juoi fieno in
ptrfeWone , i quali colti alfuo ; itmpOyfe debbano macerare al mtdefimo modo,ma
in vn vafcpar itculare,i mtdefimo fi dee far doljeme, fi pone nell alembicco ,
c^ uandone fuori la fiegma,e f olio
finche le feecie rimangono fecebot feparate fi pongono nel pellicano > efi
lafctano eireulareper ejut^ tefi al fin
fe ne tana, e fi eonftrua . Hor inftgnartmo v altro ElifsirJcOttipofto di molti
fcinpUci.. Vanno a tomomolte eompofitioni di eleftirule qpali balthiamo
wieonofeintefa ffeptmanebeuoli 1 oltre ei nei tauar delli o^i , f Digi:i?ed
'>/ Coog!; 4^. /! Della Maga naturale dell' acque cos difficili, che pi
tojlo sii fi perda il tempo eef^efe che di loro ft ne pojfu Jperar cofa buona,
t pi tofo pompiz, magnificenza fi fanno da Principi , che far alcun buon effrtto gli buomini, ne
bahbtamo fatto efpertenzn molte volte , ne veg- gtamo mai quelli efftti che
promettono , ne fi ballano fare in^
qelfnod,cbe fi fcriuono , ma a! nojlro modo fari p, ebc ft Jlima. Piglia dunque
de fiori di faluta, menta bianca rofmarin^i bafilico,maggtoranav puleggia,
bottoni di rofe , radici di piretro
tormentala, bifiorta,bttomca, carlina a-iflohcbia ,faiubuco, dit- tamo bianco
di Candia,vua paffd di Corinto frutti de pi->: , polpg di dattili forza di
citro, onza,e meza di tutti. Poi di garofoli
P9rr mofebata.gengeuo,zedoaria,galanga,pepe lungo,e bianco fi- nte di
giuniperofpica nardo, maeecubebe ftne di apio,cardamo-
ewo,cinnamomofieeadot,carnedtio,amomo,granaparaUtfi,dorpnf
to,ammoniaeo,opoponaco,fquinanto fpodio,bdelho,fagapeno,m.u.- mia, canfora,
mafiici,ineenfo, aloe fuccotrina, limatura diauorio, boto armeno,gaUia
mofebata,tberiaca,mitridat ,ligno aloe, e f arano, di tutti tre dramme, gucearo
purgato libre tredeci.duc ap miele. Noi babbiamo tolto da detta compofitione le
perle,i giaein- ibi, rubini fmeraldifffirh e le foglie di oro , ebe babbiamo
dima, frano in altri luoghi, che non oprano nulla , t principalmente in quefio
modo, e non cofa f non di medici ignoranti
ordinar qut- i nelle medicine . T utte quefie eofe fi riducano in fotti
UfiirruL^ poluere , e fi pongano in vno pellicano , vero lambicio Cieco , nel quale porrai i%.
libre di acqua vite, ben purgata, perche da que- lla depende il tutto, e per vn
mefielafcia circolare in bagno,poi ri~ fogli quell olio giallo, d vero quinta
tffnza di tutte quelle cqft iS vn caccbia>'0 di argento, vero cola d poro poco
poi piglia mo- fcho Orientali, ambra vna dramma,e chiudi in vafe ben
otturato , quando btfogna ^lel ebe re l a defilila , e ne receaer vn acqua
chiara, vn poco gialla, f olio non fi pu cauare fenza puzza di brufeiatoJ'^lpi
con gran curiofit bauemo fatto f olio di refinzj, radici, e f mi delle eofe
predette, t f babbiamo mefbtate infieme,* babbiamo operato gran merauiglte ,
Sono molte operationi cantra veneni,e cantra la pefit,e principalmente quelli che Jlauano per fpirare, perche
ngendone vn poco al nafo, d buttatane vna goccia ingoia, ha viuificato f anima
, che almeno fono tutti foprauiffti per fei borttcon tutto loro giudieh,come f
affer fiati fani. Che Co-jgU Di GIb:Ba-.
tfljiPor.'fOjX ^ Che cofa la il clilTo > e come fi facci . Gap. XVIIX. Et no
l^fct tofa dietro tinfegnartmo th (o/k^
Jia ilcljte come fi operi, llelijjo i vna e/ifrattio/i della fottiht di tutte
le parti di vna pianta con gionte in vna virt. Nella pianta ila radice >
ber^ bafiorej fruttole femetyin tutte le parti di queU %a par ttular virtute .
Il modo di farlo i quefh - f^Sl*>9uando
perfittfismamente maturale fr*ndh quanto giudicamo che fiano nella loro
fiaoionverati fiori quandi ^ tminciano per cadere, e cosi del frttt1\e del feme
* di tutte quefit ttt cauano le fottilitadt, vero le ejfentih difiillandotfrcru
'Jicando , calcinando in qualfiuoglia nsodot che bautmo gi tmpa- rato. Come
dunque da tutti feparatamcnte bautmo rieolto,da ehi f olio, da chi in forma di
fiale, onero il liquor et ali' borafi eongon^ gbno tutte infietne, aeciacHe con
la vnione t e con la compagnia ddi tktteeongionte ibfieme fie nr facci vn corpo
, fiafiaUt onero olio a onero
lquore,all' bora potremo dirct ebt banemo iUlifiodi qnelo cofia. Son alcuni che
fiabricano i vafi particulari, e dilillano ini* quello modo.fanno ire tonte di
egual capacit, e di longbeZg,a,vi pongono dentro l'olio, il fialei" il
liquore, e quei tre colli h Ugna- no in vno li pongono in vn cappello, il qual
atconeiamente rieeus ttitti li tre eoliitC li rincbinda,e poi tutti tre ben
fierrati,e lutati fieli dafiuoeo fiotto
, il quale da eiafebuno ne fialir la parte pi vicina , e s'vnifico no nel
cappello , e per lo beeeofie ne fieorreno net recipientc,il qual fi riceue, e
fi confierua . La virt di tutti vnitt va rieercado tutti i noflri meati del
corpo, e portano vna gagliar^ dfisima virt nel medicarle, ' ^ ' - *
> . - . - ' i
^ ^ I VILI- I Come caui Iblio da fall. Cap. XlXk HAutrno detto
molti modi di cauar olio,hor infitgnaremo r- 7 'fi caui da fai , aecioche con
pi gagliardezza, con pi fiotttloAa cprihA con pi valore . Par che babbino
alquanto di grajfieztn Digitizd by G*)Ogle 4^ .X {Dlia Maga:natortle*
gt^ttz'nonpfr ^uejlo ricmono la fiamma^" ardono^ ne ba^ no le qualttd dell
otto map armi, ebe fieno mezzani tra /* vno, CT f altro . ' prlnio' ' Cauar lolio dal tartaro ^ fi ridue a in fale^tcmrbabbiama detto i dop
fi difierf da fcpra vua, tauolettq di marmo in luo^bo burn JOt pei ebefrt pos !
giorni fi folue in oleo, efe ne fitorre nelrecipitnu, che teft^ pone di fiotto
. Ma fie lo vorrai^eofi lo fiarai in vn fiuhtto . t'eita il tartaro
inpoluere,al quale giongi vn poco difial:nitro,e nel mpr^- taio di bronzOfdoue
fion fiati pe/tifi fiuoeofimcbefiar.tutto brU'^. fato,le fecciycbe recano fi
pjim,e liquafiatte nellfiiiuio cola per"^ feltro, col fuoco
dififiolueraitl Ufisiuto tn fumo , refterdfipttoiljdli^ afra poco inttruaiio dt
tempo fieorreriaolh Conquefiomodo:^
eauamo Lolio della roda* Canato il fai
dalla fibda, lo dijfoluemo nair acquaio eolamo per feltr, per purgarlo bene,
dop ficco fifipanefiopra vn marmare^
epofloinluego bumidofencfiorreinofto, e dal marmore eade^' fiotto
ntUaficudeila, Infiegnartmo forati fiamofio', tri" ' i ..Olio del calco* - Se henton la fila i forza
del fuoco babbamo canato V olio del tAleo poi. non barbiamo fiaputo a che
fitruireene. M per i belletty^ dedle donne l.babbiamo fatto cefi . Ptfiefi il
talco tn mortaio di tron^ con pifone di ferro il talco, finche diutngbi poluert
fiotti.^ hfiiima,{a poluefi ponga in vha ptgnata dt groezz,e rbuficxM
buona,cuopri con coperchio, e fortifica confili dt fir^o , e Iuta fo~ pra,e
lafetala al fole dfeeear bene per tregtprnper ponera in fon nate de' vetrari
nelluoco doue proprio reuerberu la fiamma, one- ro in altro luogo, purch
iifeeoco^gltardifmotdoptre^ouep quattro giorni canaio fuori, e rompe ilvafit, e
fi vedrai , ebe fitu^ bentf Steno ridotto in. ealee,conferualo,mafe n, non
tirincrefa^ far di nuotto la meefima operai ione, o la mtdtfima fatica, ^an- d
vedrai, ebe perfettamente far biancheggiata la calce, accomo- da fopra vn
porfido,e lafeila in luogbo bumido,o nelle fcjfe canate oeul pozzo, e lafeia eofi
molto tempo ft vedrai , ebe per ia molta^ . . humi- ' ' Digitized by Google DI
Gio.Batt. della Por* Xb.X. ' 4^ humidit feortyrt r 'mgiht tfiialo m vafii
9rtro. d^i mttfimo modo fi tau4L-* 'V* : > . ' Oiio del Saflp mbcotido // modo
qsefot ftBa il fcfurt vim* in fotti foJtu^ mtftkis ioton tguai parto di bUo di tartaro gi
infognato di fopra,dopj( amati in vttro por tre borot e rifai atOy pajfa in
liquore diBtUab per feltro , ebe vengbi
ben purgato , t ponilo m vn' altro ajafe di vetrot e eon lento talordt fuoco
dtfieealo in fangue^queia majpt oasi grumofa fi pefa minutamente & il poluere tbe ne viene fi difende
fopra vm marmare in luogbe tumido , eoti fi folme in tuomilqual feorrepoi dal
marmore in vnafeudelia fotta, que^ _ aolato per tele fottli dentro vn vafe di
vetro * pongafi fopra le et neri calie
ripofarfi finche jfumi tutta l a bumidii
a&'vltimtr rafier fitto Polio roffifiirao , DaBedonmefif L'olio di
mirra* Orando barai fatto tanto bugtir T uuoua fin ebe fon fattedhe retjeeale
per meta, e eauane fuori le rojfa ^ in
quei vanii dogo iauana roff poni ai
poluere de mirra ben eemitai e fetaeeiatOi poni quella fopraeUtre verghe^ ebe
ieno fulptfe fopra vn piatto V4triato,ebe f elio ebe ne eadet toseondo le
mtdefime vuoua tome* riar.o a riafiorberfela e fi ebiudano in vno eantno
kumida, e ri troueroi poi i'aiio caduto nella feudtlleu^ Deiraqae forti Gap.
XX. Or difearreremo iiqueSedifiSotiom.ebe nS fanno oequaimo come vno cefo menano tri Fm H Q ne f
foHeo ; perche per la gagliardifma vnlenns
*5* del fuoea afeendono su le grauiftime parti terra
Jlre,efafanossaacqua;laemde dalfmtola ealee oe quifiauntaforxa dibrufeiarii ebe
rade lebr fei e^orafifsmo tnente.^efle mnfipojfono eauarefe uoneol
gaghardofuceof 9merb^,e eSgrdfitisa^t^Uglza, B primo tome far pofstbto.
Dgitizfid by G jOgk *1 Delti Mt^ Natrala ' ^
Calar llc^aa oucr l'olio c
Talo. _ ^ e coti al principio ne ritoglier; vn poco di
bumidtt, rompi il vafo e quel che t
renerai nel fondo ammafiatot pejia , o 'poni in vn altro vafts irroggiadande
quella poca dt acqua ebe^ bauerete canata, e dtfitlla dt nuouo,e la feconda
volta ne receue- ai poca pt quantit , dt nuouo toglila, e fa nel med^mo modot
talch dopo la deeima difiillattone tutto tl fai gi far sto tn ae^
^ua,eonjiruela comeeofa pretiofa,e non tt rinerefea delia fatiea. Altri nel fai
liquido buttano pegzetti di mattoni infocati^ e poi ton gagliordt/umo fuoco
defiiUano quei mattoni , come fi f nei- r oglio de latertbus . . Segue f ^ Aeqva
lnen fuori la fiam- ma del folfore, che fi brufeta nella foifatara,^
babbiamo iJtiUf %n acqua eada,e l'babbiamo purgato per feltro poi facendo ifu- mar f acqua,habbiamo
rieeuutail fate de follimattadi nuliaeu- me filino, differente dall'ammoniaco
fate^ . Della feparatiore degli elemeod , Gap: XXX. ; Blmfio fono i quattro
elementi ma fempre non quello ebe b il
dominio di tuttigli altriconu difu N tilt non fi fanno a ftntire; la onde conte
dieemo fe parare gh elementi del mtfio , per lo pi intendem fepatare,quefivno .
^TSfjUa berba ninfre fignoreg- gla l'elemento deli' acqua, laere , fuoco, c
terr et l in la in poca quanti- DI GloJ 49 h pmiJbtisti^t^ ri f /'W^ Aro#
qujrit* ^tbt tihnjfue tutti Itfin i$$Attm$ dobbiamo intmdgrcU'altn Ma perche
Jepariam gli elementi, non vorrei, ehe vi imagPmSsitthe vogliamo tutti Tvnda
l'altro ftparare,eome T aria iai^ acqua, e quejla dal fuo- 10 ,\adaltaUrra
feparargii aJiolutanteeHr, nta efier detto per vna ufrta^fomigltanua , ebt
dicendo '.fuoco t i ebe Jia ^iu caldo di ti*t- %ir f^tl pm bumido acqua . Le
pietre hanno piu delia terra, II^ degna del fuoco , i'berbe dell acqua, e
chiamiamo cefe aere,quan~ do le deitUamo , riempiono i-eappelii ^' recipienti
di forte che H rompono , e li fartm volare in mille pegzi . Gli elementi come
/iranno /eperatun quejio moda, fi potranno purgare, t ^otli gliarei i modo di
efirabergli vano, fecondala variet
felle. c^ f i-Oorebe alcune fi calcinano , altrefi foUimano , dy altre fidi*
lituano Ma vengbtamo a gli efitmpi V ogitamq .
/ > . ^ : Separare metallo i io:>
V . Pongbafi eomt babbiamo detto nell a equa forte%aeeoebe fi fot~ ma,
quella eaualaeon bagno, e di nuouo ei la ponii fopra,e ti tante volte,
finebefirtulti inolio} ma di color pauonaz.zo ,fi eeojfoia quello alto vi
porrai due parti di acquafrte, e cbiufe.nt vetro le porrai a materare fotta il
fimo pervnmefe ,poi dellit- ter ai a eentre tutto l acquaie quella di nuouo la
difitUerai a ba- gno]t finche afcene , e e osi barai duo elementi , nel bagno
fiale sk I aria, nel findurefial acqua,la terra , fl fuoco refia nclfon- do
dell altro vaftipercbe la fuafftanza,edel fuoco, quefio per natura, buttandam l
acqua, e difisBando per bagno ai nuouo fi riduce in olio, e rettificato al
fuoco, far perfetto, s' altra la por- rai alle ceneri , e dagli fuoco
gagliardo, ebe laequa s'eleuar pri
mOipQt la terra, Nella Lunotti primo olio far eeruleo,nel fepa-
rarlo,rwnan pura nel fondo del vafe , s'inalxa laequa, e nel ba- gno refia l
elemento del fuoco,e della terra} perche la fua fofidn- taa fredda,^ humida,e nel bagno refiano gli
elementi, fuoco, t terra, primo vfeir la Urr, e dopo seleua il fuoco. Il primo
olio far biondo, per il bagno refia V aria nel fondo , il fuoeo,la terra, 9
laequa s'eleuam, filamente nel fiagno,laria li d eorpo,e quel- 11 ebe primo f
aleno dal bagno,primo laequa, poi il fuoco, alivi- timo la (erra. l>alfprro.
vim folio effai rqfiq afeuro^all argento . Hi vino 4S% .X. DIUrMa^
"ostnAtoi 0 \G Ifianv fhttdohe ia tt^aiiiPM^^ fAliH9h 4 CASiJt^ti ari .'
Ki^egutnt* tf*ntfi9;inf{fft^w \ Scparareg^e!emeocidell'herb^ . ; . -' > ; * ^ In tutte l'bef>he Aeuno elemento
fi-piglis lo fi^noria i Prentii le folcite a fidutA % ptfl4i-t ftlk^putrefore
/otto il fimo dentro vnvifej e jfot deftHeroit primo verr eie il fuoco : fin
tanto ebt Ji mute ranno i colori > e la ifiefiei^a dell' acquai poi vitn la
parte della terra, e laltrairhnan nel findo, laquale fifia^poni I acqua ed Sole per fei giorete
poi al bagno , primieramente falir fact qua , poi varia tl Colore-, e fiale il*
fuoco , fin tanto, che il gufiq^ s'alteri, al fin /aler parte delia terra, laltra.
me/cbiar eon~j^ fariarelernei fonJeT, T^/ella cofe aquarie vien prima l ario^
poi f acqua , poi fuoco . .t. v .. come
fi-deotuio inueSigtf ilrmc deliepiaoto
Non fi pu imaginar la miglior via perinmefiigar le virt delle piante ,
ee con gl'ocelU, e con le mani ; ma non nel guiio perche per la difUllattone fie la parte pi
calda e/aler prema , /appi che la pianta
calda, e di parti fiottili,e coti delle reiianti, le cono/cerai dalla
fieparatione degli eitmHt,fi copiar pi
dtfuo- sotterra 0 acqua ; perche pefando prema la peanta,e dipo catta- te
l'aequa,e P olio , fi pefino le feeei,verrai a eognitoeee della loro
propo-tione de' gradi della qualit , Ma la breuit del iebro non patifice che
eni eienda pi en lungo, in vn altra opera , che ge fiiamo imaginando di fare/e
piacer alla "DIVINA Maefi, me parleremo pi lungamente^ Come f cautnole gomme dalle pianto* * V *Po[fiamo eauar le gomme da alcune piante ,
baueeno detto da da alcune ; per'ebc fono molte, ebe non ne hanno, e ninno ti
pu dar quello ebe non b. Te ne dar il finocchio , e tutte le piante
fenteulactc, d ferulaeee , some il panate , t fintili . Il modo t^e fi eauino ,
te lo infegnd la natura ; perche fi come nel grandif/mo saldo , quando i gambi
fanno gonfi, e | turgenH di fiueeo , per u eotinuo afeendercbeftljteo Ut
quello, t'apre in certe fenditto^ . Digitized by Google DI GIo. Batt. della
Por. LIb.X. 4 S j 9it comt le donni aprono alcune rime net ventre quando s'auuh
cinano al parto i e quel gentil liquore ne vien fuoriiO Jlilla , f corre ebe gi
la pianta vuol partonpe il frutto,ilquale parte per loealor del Sole , parte
per p articolar propruadet J comincia a congelare > poi $infpea $ e f ne
viene a far vna maffa duretta ; la onde Ji vogliamo . A Nel
folftitiodell'Bfiatt feeauala^radior*del panate di notte; acci che per ragion
cb troppo caldo il Sole di giorno ne verrebbe a far ejfdlare tutta la fua
buntidit i e rOftupentleda fecondo lo-^ fua lunghe i^ay f e pone in 'va/o di
creta vetr rn.r^riuolto fe pone nella fornace dtfcenfora , # f* gli aeecmoda
folto il recipiente^ per'rtcuere Ihumoret che ne vien fqoriy dailq \parte di
fopra fe accende ti foco legiermente , fe ne viene a eauar fuori quella
nobtlijfima gomma t la quale con altri infrumtnit fi purga poit e con la
diiiUatine feutXpigli la'fiartjt ptie nob:le . Il medefi- mo po/Jiam fare della
ferola^ . Il caule fi fende nel medtjimo tempo dentro > e pollo in vn vafe
ife li da Juoco tiepidotC pofioui il recipiente fotto alia bocca di fiotto fe
ci accomoda il recipiente di .vetrot cosi mirando i raggi del Soli intorno al
gambo delfimchio ^nel mendot ponemoil Juoco d'intor.no al tuboy contrario dal
tubo per /patio dt vna pianta di manotcosi venendo titubo a fcaldar
'fitcomineiaa fiudar fuori certe goceiet lequali ere/ annoia fior za del fuoco
eadonOit nei fondo bufato enei imbuto fecrramotP poi nel recipiente , poi fi
congelano in gomma , che ritirra fi co t virt del finoecbiot veramente da non
dififrezzarnofi ili a DI Digitizd by Google 484 ' DI GIOVAMBATTISTA della
porta: NAPOLITANO. DELLA MAIA NATVRALE. LIBRO VN.DECIMO,,; -^ ilquAdoni
{fttlpirfaMfs 'mi odori. ' ' ' P R' E M
I O. > Agpionartmo drilli odori t de
profu mi dop hdtpihtini.arUconofciu. ^
ftf, e fua parente ; perche da quelle rt ^ cerca $ fuoi odori , / licompone
tn/e~ mete f'i profumi^ accicbe dt qu ,
?5 di l 'fuautjfmamente ipiri gh odori S puoi . Arte ajfai grata , r
dejata Principi tO gran Signori. Jnjegns rJ) come R faccino tacque odorare
toly% ^ polueri , pafe , fumit e pelle odorata ' A th ritengono l'odore molto*
e lungp Digitized by Google Di GldtBatt. (kllaPor. Lib. XI. 48:1^ ' " '
* .. . . ' A ^ * V * ; .Come n faccino
lacqae odot^te. Gap. I ' ~ . i t u 'j A
Abbianfo detta nel libro fuperhre^ comt Jt dtjlifi ^ Pdort^U dadi Jiarirt dae
altre tofe^comerl H eeftaua^ ^uel Juogbotch'era dtfiindto aUa difiiOa- tione.
mfegnarenv^tomf^rF acque " ifiorit che faccino buono pudore volendo voi
m& 4 0^1 .V .1 -J Far ac^ua
odoratifsima-* C , Piglia tre libre di
refe damafeene ; altretante di mofehate . r roJedue dt fiori di naranz.iaJtretanto
di fiori di mirto meza li- bra dilato odorMOfgaroJbhvna oncia e mtzadre noci
mofehate dieci gigli, poni tutte qutjie in vn alembiceo nel cui becco accomo~
derai vna pezga di lino dentroui tre parti dt mufebio vna di ambra, e meza di zibetto poi porrai il becco nel recipiente, e in-
collerai con faf dette di peSt^ze con coda d farina , e bianco douo
rtmcfcolat dadi fuoco lento i finche
fard, difiidato tutto . JM , dggtongeremo .. . v . t '.i \ Voaltra. In due libro d acqua di
rofe,meoa di lauandot tbi bichiero dimaluaggia fiordi rfedi garofli,rofmarino,
gifminif rondi di~magioranafcorze di melo arancio,vnayCmncUabelzuinofio.- race
noce mufebiata vna dramma mcfebiando
tutte quelle eofe tifitmr riempi hn vafo di vetro epemai Hole per, quattro
gior- ni f poi diffida a lento fuotp , e fenon porrai mufebio nel vafo dell
altmbieo ponilo in vna'pegza dolina , e fulpendilo con Vtt_> filo dtptro 1
aequa e eoli ljcia per vn mtfi, inerti
al Sole ebe hadi vidfefi ifuint quel
brutto ode r dibi^ctato,ebe^ ^**** odore,9 ffn^^^Khltun^lplendmte, nonb
eou,sbapfjr* atv ) nS^ tt^sraJirfi^orofe fT oimrutoM W? k u Di GlolBatt* della Por.' Llb. XI. 4*8 7 //
vino f$ btn non odorato, poio vitino a
quaijmoglis odore Jo fn tirar a fi ; perebe contiene in ft calore > iiquaie
h natura . ditirare ; ma laequa di fua natura fredda, non pu attraberei eoja
alcuna ne rettnere, onero eoffruar / odore
tantod Jottiit,'* e fempliee , e delicata , che l'odore riceuuto fi ne
jugga , c fu^i^ ^ira in vento, par che non babbi ftde, crafiex.ua alcuna , neUa
, quale i odore fi poffa aeeofare , e ritenenfi ; pet cbe a nctuer l'o . dor
bifogno che babbia vn corpo vn poco d far F ' Acqua marchiata^. . Vi.,*
. >. \ Quefa aequa aceomoda'e nobilita tutte le akr^ per ftitu%.0\
eUa primo appareeebiar/ . Habbi acqua vite eceeQentiima , in ^ qutj/abutta
alcuni grani di mufebio, c coti anebora deli' ambra, . Zibetto , e poni ai Sol deU'Eiiatc per alcuni
giorni ; ma il vafe fia ben coperto
datate alle gionture , cbe qutfio molto importa a gli odori la cui
goccia ilillata fopra ognt acqua, f abito la reu~., de odorata di giocondi^mo
odor di mftbio ^ Pctrai far iime^\ de fimo con Facqua di rofa , dt fonte fiillata^ pi v-die ; perche o'l
fitllareal fuoco fi f pi fotLlc-t" acqutfia qrado dt fuo- co , Itquali
Joro molto t,eetjjaric ad eftrahtre t ejfentie delie co- fe, come babbtamo
ditto . Nclmcdefimo modo fi cauar.o ^ ^qua'^^rmiiif ^^rofemurchitegairoMn''^^
viale t e gigli. ^.luefii fiori bdnfto'vm dttfcati/iimo'odore 1 cbrpr earrftia
db odor peoprto , hanno folamtnte dt quello cbe fl fpurfo nella fu- ferfieei ^
e fi poco fk del giufio tempo fiaranno nel fin co , nel dar enefiruo , per F brufeiamento dt
quelle partii che non odora-^ no, le parte ebe odorano Finfettano, e non
fentono pi di quella prima gioeonditd* '^ ^ j ' I : /li 4 Dunque . Digitized by Google 4=8 -fi Magia 'Katofa' le^ ' 0 ' Dunqutin K>nd tcctQenU acqua wta vi
pomcm /o/amcptc'h^^ /rondi ouoraUtcioi de gij^litgtfmimtroft mofcbciUtC delle
rekin~ - H\ m.i attaccate con on filo , ebe quandu eonofccr-ai bauer caua* .
tone l' cdore\ne iapojfi cauar fuori; perebs e/ieudofolof^Sf/o net* . U fupc
fiele l'odore > ft pi dei douere liaranno nelfacqua vi^tf^ penetranza
dentro- cattando dalle parco di dentro othrctnon fo- . lantsnte ^ perde
ilprint7odore; ma verrano fetide tcbe fitiaeeS-.. pagni quella puzza che fid
attaccata a quelle parti di dentrotcn- . uate che barai le /rondi oa dentro vi
potrai calar dentro delle^ nmou ;mcntre cono/cerai ebe ne hard ejiratto tutto T
odor .Ma garo/olt e le vi -ile . terrai piiepre^o di tutte ebe non eelori/eano \ (acqua . ^eia acqua
mefebiata con (altre mander via quei, remo odor di vino , Si fi anebora vm a
*-.v . A^qna oiorca eompoih^. Piglia vn ree piente di vetro grandeie poni in
quelle acatea vU te, ebe a pena nr refii piena la terza parte di luitO in
quello poni ifri di lamandoidtnrnncit eedri. gi/mini, rofe r delli dltri^i pi
ponici la radice iroet%eipero,fandalo\tannella,[orQce,laudeh \ M, garofbli noce
mofebata^ e calamo odorato ,tvn poco di mie . fcbiOt ambra e zibetto, riempi il
vafe,^ otturato medio bene.. . ~ Ma dop ebe bauri ripiena si vafe poco dop fi abbandonano # , dop eh: faranno
calate gi poniui dalla akre * poi potei dSolceo^i eent^mo oeeero in bagno
finobe Ufs 'mo tutto (oeort. poi eola^ (acqua, e la goccia di quefia acqua
buttata fepra acqua eh rofoya fior dcmirto, tutto le render odoratiffmo di
juamtlfimo odore . ^ r r niP,'".
.'.r*": , Coo;i9 Viojljip Q (acci
odoratIfllaWfitpapIj( ! , _ J V V
^ ^ oiorafiftimodtMtofe Odorato 0 lbabbiamo infegnato di /opra bar
inftgnoA G remo allettar (odore dalle
eofe odorate onero corno ; poco innanzi bautmo dotto' (olio fi coniituifcecor
fue kqfe\ nilqualgli odori filltUMi altronde vi fie. dano, " vi dimerino
pi lungo tempo, e qui (io tome facendo cene ^ 1-, . - > . muni^ Digitized by Googlc ' mimcrToi^rt a
gttoiii'fsmealirviantrlt ytttMt^usii foi ns 0fJurtMK/J'oJto,jframnU0Uh
Impar/tdun^ut '*""*f* * *! * , ) ' CoiM fi fACcire fugge,fe non fono
ben tbiufe perdono fur^ beta l geaita te lodore i.' la aitrormo . .> V.--,
. . . .. % L'olio di fiori odorato.. ' . ,
. c.\* ., . .. , I , . , ^ JParat coti ,fi ben il modo i volgare ; ma
gioua profumieri j, di furilo te ne
potrai feruire negli altri,e eolui che /apra ben Jr^ otir/ne, aetoneiamente fi
fard w,Wm che feruir a molte f- fe . ^'Mondenfi le mandorle, e fi frangono
grojf amente, e f irato Jbpp'a firato coni fiorile come t fiorihadranna
lafcidto tutto il lo- ro odore, e ebe rejiano fenza odore, lena quelli, e poni
degli altri muoui, e frefebi , e fuefo finche appariranno dt quei fiori >
tome non ne appariranno ptiane eautrai f olio co'l torebio,e far odo- rattfsirm
, antodi quefii fiori ne barai l'olio , da queli appena ne eauenfi oequa
odorata. /* oliodei gtfmino rpfe mofebette, vioifk^t gigli, ghdnto, gofoit,
refe, fiordi naranet,r degli altri barai . tn quello modo l olio odaratifiim.
Di quefio medtjtmo modo ba* watdel meefebio, ambra, e zibetto - Dt mandole
monde in fette o . onero otto pirte aperte con vet eoltello dalla cima ai fondo V. 'oebttdek in vm vafitto di piomko eon
quefii per Qt$U ' gemmi, finebebebinorieeuutof odore eeteuenf e euenie, lequale
fe premerai col torchio, no euteeerai feeorivnoltoodopatifi. enoe forf eon
nonmolt mancamento, do -^mufebiom. 1 :
j..' V* . coonc Digitized by Coogle 4^' . DelU Mlg Hatttrle
" > 1 , Come potremo cauar olio,&: aqaa dalle
gommo odorate per immerHoae. . Gap. 1 1 i 1.
Otfemo anchora in altro moda^ obr babbiamo ditta 'dtjhpra cattar l'oiytt
odorate daUt gomme ptr mS eer attorti, (y tjpnjttom* fcjimpio i L'acqua del
(lot aee. betiuiao^e laa> * dano oderaeiriina Coti efraberai, Uquate di lontano laneitrtmno
vn fitamt/iitm' odore . At cf coler at co l belzutno , e Jlorace peli
groffamente far- qaa dt ro/e,cbc aieanzi di fopra duo ditiJajHa coti m bagno,
orno ^ roj Joeo^ttepiio per vita Jettimana,dop le difliiUrai per bagno, e^e
riderai acqua 9 hrat,!' acqua canata potala i SioL di mero giorno, rbe ft per
forte far re fiata nell acqua queUebt pocodi tino odore , vadt via . Potremo
aneborapor ir gomme in vqfe di vetro e ftruirji Jt fuoco lentoi perche fudar
poca arqma, dtfua> uifiima odore , e nel fondo dei oqfe refitr la gomma ,
itrqttait^ /bruir per altri vfi Con qme
fio modo anrborat Olio di beUuinoyftoractt e de refianri cattare, n :
Tbtremoife fVto dtmandorU,ourro di ben prfjerai con qmejla^ gomme , eie
mrfeolerai infimi, i li macererai per vn mefe poi na iuerai f alto per iorta,
onero premendo eol torebto-,ebe far pi Jknro i perche Jpirar di vn odore
gioconuftimo , ebe quaf noto f eonofea
,Je con le f torte fttfe canato dalla tfeje gomme il bevo rbtamto da Latini
ghianda da profumi entra nr' profumi |it-* vece dt olih . Plinto l ebtanta
mirobolmo , eoa anebora Mar^ tialt^, *' ... - Quel che ne Honerrn ne
Virg!ti!>diifigt Dello mtrobolano quefto cond tpH dinudato di ogni odore, e per molto lodata a
riceuere tutti gli odori, egli odori ebe rietut, gli ritieni lungo tempo, ne
rati et- fee,eomeglt refiantt oljf, e peri dico, ebe DIO fbabbia proc-eats
proprio per gli odori, Cvtckt I Digitized by Googit Di Gio'.Bart.aella Por.
LibJXI. a Gbinifeccinoe ptllu odorate. : cap. V. ' 'V- ' ' * 1 % ' * * , > \
Or come fifaeeino le pelle odmu inft^aremOyihb infe^nAremo^ in molti tnodi ,
outro con l Acijue odty ratCtOtui^ mghdo con ^l'oteil coprendole d'fiori> '
ehg^ rieeuam quelli odori . '^rimo hnfegnaremo ' eha via la puzna yfi lauino
poi eonlaque odorate , fi piglino quattro parti di acqua di ro/ tra di mirto,
due di na-act , 'di loto odorato xma ; mega di lauendo- la , m.-fibiole infume e. portile in yn vafe di boeealargba, O* quelle fd Jlar le pelli a molli per vn giorno
, poi ltuat%e attac tq/i fiefpeft all* ambra > ma quaudo/ir anno. propinque
a fetear- ^facciocueaon rtino arrugare , le mouerM ton te matti t * romperai ,
e coti farai tre volte , finche vedi ebe^ gi'rtengono la' feauit deli' odore
dell acque e che non bahbirto pi di
quella kfutto odore dUU pelli Hor fegut
che infegntamo Cerne le pcUiriccuaoo I^qdor de' tort ifignahe primo tongano di
oIio;pcrcbe Vhabhiamo detto e^ folto i la bafe > ^ fi l'mbeue , oj fluirsi
^ccillentijfmamcntt^ Come fi facci ao le
poi aeri odorate Gap. V I. J fogna venir a far le polueri odorate, efe nefann
di loro e ftneplice, e sompojle,e di queRife ne piono pot faeebetti, efe ne
feruiremo nelle pelle 0 nelle nitore
Impara dunque La polue di Cipro come fi facci. . Piglia mufeo di quercia,
ilqual odora di mufeo , t Ja coto del /incero , ilt^mpo di corio il Dtcembre , Gennaio , e Febrato la- minfi
con acqua dolce cinque, fei volte, che Ja ben lauatodopfi ponga al fole , poi J
bagni in aequa di rofa, e di nuouojt Jeccbinf al fole, e queRo farai pi
voiit^rtbe quanto Piu lauerat, tan- to pi ihtraranno acuttjjimodoo, come far
fienfeeeo pesta tn ^mortaio di bronzo pofti Jpra vn crtbro,e coperti co' l
fuoeeoptr^tOe^ di folto fi aceendanu carboni, e di fopra buglino i liquori,
outr piztette, accipebe land quei fumi odoratifiimi^eome diremo, le riceuano,e
qucRs quante pi volte farai,tanto pi odore beueranno, fpf* *f riti- nerarmo .
Ma come conofeerai ebe fono diucnute_ajfai odorate piglia vna bbradt queRa
poluere vn poco di mufcbto , e zibetto ridotti in poluere, & vna parte
fuffieiente di fandali,e di rofzj pejiifi in mortaio di bronzo il mufebo , e
dipoi fpargtndout den- tro a poco a posola poluere,/ peRino in mortaio, e
/ImeJco/inOm si fin ferba la poluere in vna carrafa di vetro ben coperta , che
non fpirit ,fe non che perder l'odore , e neri odorer pu^t Di quella poluere ft ne fanno varie
eompofitiontj, lequajArte Oigitized by Google 4f4 Della MagiaiNattralc' troppo
lungo fi voltfii nurrArh . Si fanno de bianchi
de neri, fofcbt , e dt vary colori , la bianca fi fi di gejfo crudo i
primo fi bagna con acqua di rofif di
altro odore,aggtongendoui mufibo, 9 zbettOt altre eofi,t coti molto lontano far
fintir il fuo odore. Come le midure fi ikccioo odorate. Gap. V I L 1 fanno
varie forti di mifiure , " ai far
le mant odorate . La onde ^ vogliamo Far pateracAr odorati . Di poca /pcfiC che
fiano odorati e di htlUfima mo fra, farai ooti , ^Figlia vn oncia di poluere di
Cipro , & vna dt belluino mifiura che viene da leuante, chiamata turebefia,
volgarmente paia di leuante, mena di garofili, i'eos di Schiauonia quanto ba~
fiatprimo liquefarai la gomma draganti tn acqua rofay fi mtjfa, a ne fi
ballottine tbufit' ad ogn'vno di quelle baUotUne poni vte legni ttOt e ficcarli
fipr a vna tauola > poi piglia quattro grani di enmfibio , e falli moOt in
acqua dirofa, e con vn penietUof vn It^ nimento per tutta la loro Juptrfie^\
poi Itfiia /eeeare,e cosi li da* rai tre,
quattro coperte, cotr Nontano Jfireranno vn gioeon diffmo odore ,ne
periranno eofageuolmente lodore tcome F altre oofi , Se li vorrai dFdiaggior
jnezzo , e di maggior odore fd coti Daltro modo. * Piglia vn* oncia di fioract,mtza di
ambra,qttattro parte di late dano purgato > poluere di alott e eanneUa vna
dramma t .di mt- febto la parte ottaua , le gemme fi ptfiino in mortaio dt
brongo^ Cio pifiillo di ferroja foracefi ambra , ben remi/cbiare infiemo 'ne fi
aggiongano altre polueritfin tantoch fi mefebino tutte lo coft . aS v/timo
aggiongi jlmufibiot c primo che firqffredditf quc&o che defidcri . Vi
aggiunger Voal- Digitized by Googl Di GIo;Btf.Hena Por, Lib^XL Vo'alcra
miftart-* . Ltiquiil far aacbor vtile a tempo di pe^e,ne foto rtcrear co' 'Juo
odore it terutUo ; ma render vane tUr.Jirmit delia ,peJU^, Piglta tre onde di
laudano , altratanto dt Sioraee , di garofo~ ''i ti di cenere di cerro vna di calee,meza di
alume catino, me f chiame riempi vn catino di legno. Sotto babbi duo b
iJi,cuopri dt paglia, poi poni lacqua che auanzi tre diti di fopra , e coll per
li bufi dt fatto, l' aequa che ri- cetti, aggtongi dt niOtto,e f il
medefimo,cosi tre, e quattro volte, Jir.tbel' aequa diuenti falfa, tutte quelle
riferitale fiparata f v- eia da l'altra, ' alla pnma,J'tconda,t terza
aggingerai tanto : finche pontnduui in ella vn vuouo frefeo vi nati \ perche fi
cala, 'i^nuera al fondo far tnta,all'bora aggiongerai dtlla prima, fi noter,
(i^ fata eguale alla prima fuptrfidt, e dell acqua , ag- gtongi dtlla feconda,
e terza, finche cali , finche appena ne appa- rir lrfirema.fua fuperfitit ,
Dodtei libre dt quelle acque bu gliano in vn caldaio, aggiongerai due di
graffo, poi le colati iri^ vafi.come conche dt fondo largo,e lafcia al fot de
It efiate,nuogen- do Ifejfiffme volte il giorno, tome far indurita, fd di
quella bal- lotta, eferba,cost aggiongtndoui gl odori , Font due libre di quel
f apone in vn vafe, e con vn cuccbtaro di legno mefebta eon acqua rofata finche
diuengbi tenero, come far indurito, ripof and , po- ntui noua acqua,e poni ai
Sole, e quello farai per dieci giorni, poi piglia meza dramma di mufcbio,di
zibetto meno, altre tanto di cannella ben pelli, e mefebia, e fi aggiongerai
poluere di rofe, odorar pi fuauemente,
poi odora, fe odora poeo,aggtongiodo- ritfcfoutrcbtamentefaponf,^ , Mafie ti
piacer Molci* Digitized by Google 49^
Della 'MagiiiHaittrale ' .'cV Moltiplicare il fapono. ' ' Farai cos ;
poitbt parebt fiamo vinati a parlar dtl/apontt non lafcaro' d' infegnar qutfo .
Habbi fapon di GattAit'lo ridit* fai inminutifsime partutUtfeomegrattandilo i
poi poni i foia vna caldaia di rami piina di lifsiuoi ma non di quella molto
ga- gliarda, cio ibi a tneenlo libri di acqua, vi fi pongano tricinta di f
apone, come r acqua comincier a bugliri , mijtbia con cui- tbiaro di legno ,e
Gii lifsiuio non far caldo * pontut del nucu, corner acqua far sfumata , lena
la caldaia dal fuoco , e dthtr vi porrai fei libri di fai commune ben pilla, i
con vna cucchiai ra di ferro lo porrai in terra, e lafciah cos per vna nette a
raf~ fndarfi fr ta hti babbia la morchia apparecchiata, cos agne^ebe poni
vnvuouo a galUyla mattina fisi f apone in piz.zt,,'ta^ comodalo entro vnvafe
aperto , e buttar ai fopraautla morchia " lafctala cosi per fei bore , e
la ritrouiras duri/sima. Se porrai nel lifsiuio fai afcali, la farai
dursfsima^, , ^ j Come f faccino i fumi odorati. Gap. Vili. fal fia re flato
ragionar de* fumi ; per- ' P (Ta odori alle pelli, a panni di lino, ^ vtili
alle poluc- ^ ri, c nel inuirno riempiono /fj camere di Signori d fuautfsimo odore,
e quelli fi fanno con acque,! coi$ poluers, Infegnanmo I fumi odorati dellacquc
, come l fanno. Piglia quattro parti di fioraci, tre dibilguino, laudano,legno
aloe, e cSnelia vn' altra l'ottaua parte di cdntla,^" vnpoco di ma fcbio,e
di ambra,pifiinfi tutte quefie cofe vn pocogroJJette,e f pa- no in pignatine di
rame con acqua di rofa della quantit diva biccbiero, pongafi il pignatino sic
carboni, fvprale ceneri calde, ebe non
buglia; ma fi fcaldt, che buttauiavn giocondifiUno odo- re,mancandomi aequapotremoaggtongerui
dell adira. Si potre- mo Digitized by Google DI GIoVBatt. della Por. :Lib. XI.
497 m a^Offggre di qutOa,ebt bahbiamo trtfiruH daffscqua ttm 4 (bt pur furari
vn fuauijjtmo 4dort^ , Si fd ancbora^ f .. ' >V. . : ^ -..V, j . .. , '-'x'' .A ' ) c i f j ,. . X
Tre parti di ^arofolit due di beUuino, vna di legno ate% altro tanto d$
ednela,e feorze di naranc^e fandalij'ottaua parte dv et twe mufebiatattutte
quelle eof pefie fi pongono in vna pignat ta,& vifibutti/apra aequa di Jori
di naranchdi lauendtla^di Ouero, , , I Caui/lt e^ eoli il fueedi limonUnel
quale aggiongerai fiorai tit legno aloe, eanforayvejjebe vacue doue e fiato
tlmufebme /#- If i**/fif.foft fi pongano jn bagno a macerar per vna fitttimana
$n car rafia dt vetro ben ebiufia . i^amlo vorremo poi profiumar la camera,
porremo nella pignat fina di rame piena di acqua di tu fe,vna goccia di quello
liquore e Iqfciaremo ficaldar firn le
ceueri aalde^e fi fcntarafuauijfimo odore* Coti autborafi fianno Pizzecce di
profumo eccelicnci . St dalla deeottionedclTacquamanfia y fit ne toglie il
legno aloei Jandali, cannella e
garofioli , delle polueri ebe rellano,ne fiaeemo tnifiura,e di quella nefiaremo
pizzette , quando porremo quelle m brufeiarfiu le ceneri calde, fifientir vn
Juauifitimo odore,ne bah* mo tolto la cannellate l altre cofie legno feiper ebe
quando fi brufici no fianno vn eatUuo fiumo . Si fianno anebora d Altro modo..
' . S peli ano i carboni difialicifottilmente, e fi fietaccino di cui vna libra e meza,quattro di
laudanofiorace tre dramme belzui* m due t legno aloe vna tC fi pefiino
fiotulmente .Mah fioraee $ belzuino,e laudano in mortaio di bronzo con pifone
di fino eah ofidenno ptfiare f t'a^ipnge a qnefia compofitione mtza onza di
lorace liquida, poi fijolua in acqua di rofie, gomma dragante^ 4 nel mortaio
lobuttaraiagoceia a goccia > doue tutte le refianti _ Kkk polueri I I V
Digitized by Coogle VT 4)^8?. .V/. .'DUta Kfagla B^tafale poJueriJ^ rimefcbin
in frms di vngaenio,dique/f* jornurAi vneelUttii^ ebt $t ^iatr^t h Jetchtrsictiromhrat^.
fofrk V. Vi porrai co'l pmntUo vn poco dt mujcbtoy di ambrOytb: quando t'
accende ranno lpirarAnn*k c* ^ ' * ^
*X W>* DI GIOVAMBATTISTA .DELL P OR T A NAPOLITANO' I . ;' 1 pELLA MAGIA
NATVRALE. , L I B RO. DVODECIMO. Rd^haa Ji forttntifsimi fuochi urtifculi.
PROEMIO; ' \ ' . "* V Rima che mutiamo ragionamento io
fuotOyragionaremOjdi quei fuoco borni- rida, e macbinatre di eoft tanto mira-
bili chiamato dal volgo fuoco arttjicia- Iti del quale i Generali , ^ i
Coionelli con diuerfe inucntioni i ^ artijicy fi. feruono alle efpugnationi
ielle mura,ef a diroccar le Citt dalle pt beffe foia- damentii t nelle
battaglie nauali eon^ grc^ifrma mina di combattenti, com i quali fpefsfsime
volte rintuzzatili f orgoglio delle armatene '
miche , Co/a molto vtile,& mirabile, dalla quale non fi troua co- fa
tr tutte C altre opre della natura, che con pi terrore atterri gli animi de gli
buomini . iddio bauendo agi. dicare il mondo
verr co' i foco. Noi prima defcriueremo glt fuochi artificiali, eba
nefoTUO gli antiebi, de quali fi fon Jiruili ntgF ajftdjf delle Cittia ^
Digi|zed by GooqI DiG5ABtf. elio Kkk ebe
Digitized by Coogle 50 & O^U^Magla ^Tiffur&ln' T ebe stttr/ee acci cbc attcrenio rtfii* gagliardamente * c
con pi pertinacia finifcaT opra t\queUo cbc concepefia di materia^ mode , tome
beierat Vite felttaggtay attagena, e fimilt ben fcccb t veramente priui di ognt
bumtdttade 7'oliua come non atta fi iena vta , come di materia pmgme > c
ripiena di bamor fouerebm in fomma le peggiori fema di tutte per i focili fono
quede^ebe na- fieno ncluogb cmbrojit e coperti dal fole . Plinio togliendo
d'al^ tri. Si frega vn legno con vn altro, e to' l fregar cauano il fuoco%
porgendola materia tome vna efia ficca t come fanghi , faondi ficebe : ma niun legno i miglior delt
bedera . che fi atterfca eo'l lauro, ebe
il lauro atUrtfia. B buona anebora la vite filuaggia, ma non la lambrufia; ma
eome\bedera anebora ella fiale sugli al- beri. Ma noi cesi fiolemo eauar il
fuoco pi eommoamentt.F re- gbijt il lauro con il lauro,e fi muoua
vebemenffimamenttyptrebe fiubito vedrai leuarfi dal legno vnfumo.aggiongeniom
fiubito fih- fra vn poco di minuta pofuert de folfa , fi vede il fuoco >
accojl fefaa, alcun nodrimento ficco del
fuoco, ilqual fiary di fango faecOt di /loppa,
frodi, ebe fi trouano d'intorno la tujftlagtne nel le radici; perche
queAt velociffimamcnte rictuono:ljaoco,e lo ri- tengono . Il mede fimo habhiamo
fatto del legno dtlf bedera mon- do della corteccia, e ben feceo,eeoti anebora
fregando la ferola co ferola, per dir meglio mouendo vna fune con gran velocit
fiopru la ferola . Gli I ndtani di Occidente legano infieme duo legni fee- chi
, nella diuijtone vi pongono vna verga,/aquale con moto con- trario con le mani
la volgono intorno , e cosi accendono il fuoco
Ma p.-rebe l ingegno burnano rare volte fi contenta della prima
inu.ntione;ma per tromarftmpre cofe noue inalza piu l'iugcguof per fua
miufina fiate ritrouato vna Pietra che
s'acccndc co'l fpoco l modo dt farla
quefio . Piglia parti eguali di folfa vino $ a di falmtro ben purgato,
il doppio di canfora, aggiongafi talee n- na, 0 tutte quetle cofe fi ^[fino in
mortaio tanto fotttlmtnte,cUe volino in fumo , fi mefebiano ,c fi firiregono in
vna pegM di tela di Uno, e cbiuft in vn crucialo, e /opra Inn lutato, fi ficchi
al filo ' ben caldo, poi fi ponga in fornace di vafi, e quando faranno cotti
ivfi^ ^er cotta ella, eia tramerai dura come vna pictra.cauatc^ ^ ' farbaula in
loco ficco per quando bifogva . Ma io bauen^ domo Digitized by Coogk D Glo.
Batt. della Por. Llb. !KII. ^ o 3 ine fan* la e^^rienza ; ma nan con troppa
diligenza moliti volt* non mi mat
riufttta\ ma 'h villa Jattada an,m\ma hi- fogna, che la pignatta non
refptrkpercbt fi brufeia ogni ctfa.Ha- uemo vifio buttar f acqua fopra ia ealee
vmatj" accojatoui poi il folfo tjferfi aecefo, & bauer dato fuoco alla
poiue dt arttgitaria ^ la end* vi m' paruto inconmnitnte di porla. Delle
compoftioni de* fuochi vfite danoftri antichi. Cap. II. Itima ehe vtngbiamo s
defcriuen le nefJr* eompo^ de' fuochi trattertmo quelle^lle qual* Jt m P fono
fcruiteinoShi magliari neit battaglie nacuh e^ugnatttni , e defenfitni dli*
Citt. fi Mn? Itp^ Ift Zucididci che comb attendono i Plateenfi^ non facendo
teff* no defidrate le machinct fi venne a i fuochi, fi ohe bnttandofi le
fafeine di lemi dintorno a muri e buatoui poi fuoco, ejoifo, e pece, aceejere
le legna , la onde eccitorno tante fiamme quante mai alcuno vedtfie in alcun
tempo . teronein- jegna per bufar le mura per abbrufciarlt , e pofioui ne' bufile-,
gna di tedorepecefeecat eon femore vim, e conpece liquida, onero onte eon
olio,e poi acctf , Et altroue inftgna a brufciar con vna vma.FaJJt vna vrna dt
ereta,ma legata da fuori con cerchi di fer ero , e piena di minutifimt carboni
, bufata verfo il fondo , doue fi Joneua il mantice > perche come i carbcm
etano fatti di fuoco, rufciano , e con vrina, aceto , ^ con fnpraporui altre
coje acri, le mura fi rompeuano . V egetw 'nelle guerre nauali inftgna le tofe
ia brufeiare , efiferue deli' olio incendiario, /teppa, /ljore, 9 bitume, le
faette ardenti fi metteuano con le\alefire nt gli ven~ ^tri delle naui ,
gionteui etra , fece, e refina, ^ con tante erfe ae- tendibili t'atUceaua fuoco
all* tauole delle naui di fubito.Agr gtongertmo i fuco di che 6 feniioaflo gli
antichi. ' HdAmmiand Martellino fi dtferiuam gli maltoli ,fpceitii ' . Kkk 4
faetU^ Dgitized by Google J04- - Della-Maglla nattir!e '.7 che erano in quella
forma . Era vna putta di canna fr lo ferro della cinta, e la canna circondata
tutta dt Jil dt ferro in _ forma Ai eonocebiadi donna , con le quali filano t
fili di iame vacue dentro, net veri tre
fotetlmentt aperte, in molti iuogbhenel ventre foneept fuo:o con, Tiiuno
alimento, t cosi mandata lenta'- mente eoo arco debile \ fierche fi fflf fiato
f areo molto gagliar- do per la velocitila fatua s' tfiingueuarinctndo , che
portaua, fenx.a rimedio dicitto, f^o con buttartu fopra dilla poluere,ouero
morebia ^ altrucon fcccit ardenti , altri portando fioppa , pece, e rnallei
vrilln fr6\ epe filfta Yd hatfagla riueeua dalle fiamme > nel concauo di
qut^ inaJl^6li-*ci era'la colla i " I efta de' fuochi inf flingutbile di
pece grtca%folfore,t fale,cbt chiamano nitro,tu(-^ ti liquafi in elio di lauro
, fecondo altri olio petrolio . graffo di anetra, midolla di canna i ferola,
folfo,e come paruto ad altri% olio di
oliua,feuo, pece greca, canfora, refina, e fioppa, quefia^
tompofitiorudifuq^k{l^dnnofbiaTnata tutti gli antichi comba$^ $enfi. Lucaifo
parlandoci vita battaglia nauaJc 4 fet
Oche pefte diuerfa era. nel mare ^ Sifj>argoa ttfdcdi viuaccfolfo
. Ardenti edao le oaui ifteffe al fuoco
Alimento hor con pece hor con la cera
Etaltrouc-r , Comanda che fi butta (il le vele ^ , De le nani le lampe tut^c aidenti . Di mi
dura di pece, ne con il (oco^ ^ v . Pigro correndo per le fune, c crani , Che fcorrcuan di pece,c nel medefmo Tempo fu per i remi i marinari Ardcan primii
cherufei. ^ >*. * Ma alle
compofitioni , che fi tirauano, aeeiehe andajpro eon fm vebtmtnzd aggipngeuano
veraice liquida , olio di libri, parolio^ ' terbentina confettati tutti eon
acrijfimo aceto,e feceati al folt,y inuolti di fioppa, e con ferri acuti, ebe
le firmauano, come inuol- fi, rirtefiuti di funi , le quali cefe tutte per vn
buco onta di folfo, e la pece greca, onte ntlmoioftgutnU Ma ptrafiuiiA di Greci fiato inuentato . Digitized by Google Di
GIo.Batt. della Por. LH?.;XII. joj 11 fuoco chiamato Greco. v ^ . NtUt hretti
hmagit dtlU nauujif vn di falicf^faU, acquaviti ardente, foifo, filo della lana
di etiopia,e eanforaJa qual$,eofa mirabile a dire, ^ /4 arde dentro l'
acquaMufeiando ogni forte f * / QaUimacbo architetto fuggendo da Ueljpolhf il
premo ^be^ infegn a Romani, e da quel tempo molte l poe%mte contro nemici, l nauigante contro la Citt di
Coftantinopoli , tn mede ottocento
drom^^^^^ flmperador, Leone on quella forte de fuoco le medefmo pocodop col
medejmo fuoco be^fet e nemiebee dipi trecento cinquanta . 7rometeo ntroa^be el
fuoco fi potea conferuar per vn anno dentro la ferola^ . U ptr9 Martiale dijfe
cosi . r Noi'^fiamo i putti affai ncmichci e grate ' Molto i maeftri ma fiam
dono chiaro . ; I Dj Prometeo. , . ; s.
. * Dlia varia compofitlone della
poluerc della* ^ artigliarla t Gap.. IIL
^^eme On mi farebbe hauer SPS do a parlare de fuochi arte finale , N n|
parttcolar ragionamento de quel merauegleofo^m^
rubile autore di tutte le metau*gitt,poluere de a t gliaria , per entrar
cjfo in tutte le fompofiieont, 4 %eridel^ L tutta I fmportanza,non coglia tar
dilu, per cJercofaljfM volgare ; qualche eoja qccalta in fe,e di nomade . J
parti di falnitro > vna difolfore ^ tnmmane del - L:r. t- / ben del fai
commune , aee - folttini J fo4 Della Magia Naturale Polnere di molto firepieokc
di gigliarda operacone. Aggion^ndomi moHt farti di falnitii> t idr vn di
tarbant , e fia eauo daS dentro^ e fia
quel forame di mezo quanto la pianta delia mano di vnbuomo di diametro
> fia grafia di legno quanto alto vn di- " to,da dentro fia fuderata
di vna lamina fotule di ferro, di fuori auolta di eerebi di ferro,neUa borea,
nello mezo, e nella fine, e gli mteruaUi folidati eon fili di ferro, aeeiebe
quando fe aceendeper la violenza delle fiamme, ebe non voli in miUe pet(zi,
" offnda gli amiei,ilbufo eauo riempirai di eotefiamiftura^iglia tre par-
ti di pluere di arttglioria, peeegreea, tutia, e folfo parte meza ; ma il
folfo,e la peeegreea pierai vn poto grofietta,non manean- ' do fempre fbargerai
olio di lino , e maneggiandola eon le mani . Toi farai efperienza fe la mifiura
arde eon troppa violenza,ouer troppo debolmente . Riempi vn pegza di eanna
della predetta^ miftura,e poi dagli fuoeo , fi arde eon violenza, ebe rompa la
ean- tiii>egghngi pece grtea,t fofore, fi tardamente, dagli pm poluerct poi
neriempi la tromba battendo fempre eon hafia , come far piena euopri 1% botta
eon vna tela, e li linifet eon etra e pece, ceto- pri, ebe non ft ne eada la
poluere , e bufando la tela poniui vn li- einio di bombate ebe toeebi la
mifiura, aetiebe quando fia nettf- fario di vf aria pofid prendere il fuoeo.
Come fi fatti quel lieinot poco apprtfio t tnftgnaremo.^efia fi obiama tromba
femplkedit Come fi icci la tromba armata. Quella eoltaentr eontinuameute bade
di fuoeo , e haUe di ar- obtbuggio , tfiindo fearieate da arebibuggi di ferro
pafitr faeeie di coloro , ebe ft vogliono difender da lei . Ui ttrebenti- na ,
di pece liquida , vernice , incenfo , e canfora piglia part eguali, di folfo
vime delle quattro parti le tre, il doppio di f ai- nitro refinato , o tre
volte tanto di acqua vite , altro tanto di olio fctrolio , di poluere di artiglkria ,fi peflino ,efc ne
facane baile Digitized by Google ' I5eIIa Magia Ntturfe.^* Italie di fuoco
quanto bafim ai entrar* nel Huo iella tromh^ pHme fi pone tanta mifiuraquanto
bala a riempire tre diti , e fi taitbi vn poco
poi vt fi butta /opra vna oncia at poluere pot fi ri pone dentro vna di queBe balie poi di nuouo fi pone della prt- erta
mifiura e cosi come babbi amo dett bor
ponendo lvnabc^ f altra finche fia piena
e la bocca fi ebiudatcome babbiamo detto. Sono alcuni che in luogbo di
queBe balle, vi pongono fhppari- molta in dadi di ferro,tanto lentamente, che
la mifiura detta la^ tpfa accendere la polue di artigliar ia , Sono alcuni ebe
dentro fa fioppa ci pongano vetro pefio grofiamenteaUri fiale, e hmatu^ ra di
piombo ; perche le ballotte J e fi accofiano alf armi, onero alle Veftinon fi
panno efinguere con acqua , ouero con altro , finche Uon confumata . Son altri
che circondano la tromba intorno di fthibafetii di rame di ferro, e nel luoco doue fi da fuoco buft-
kto la tromba, ebe vadi infino alla miiura,e riempiono quei buco di poluere
fina che quando la mifiura addendo giottge a quel Ino iPfi. con borribik
/coppia, vicendeuolmente vomiti in faccia di chi gli B innanzi bor ghiande di
piombo, ber balle di fuoco. Ho vi- Bo^f trmba dfnifurata grandezza , cio lunga
dieci piedi, co'l neo dentro quanto capta vna tefia di buomo, tutta piena di
ballo di fuoco di pietre " altre eofet tutta armata dintorno fuori di
fcbQpp?, attaccata alle antenne delle galee
d'altri nautgli, iu quale fi regeua con fune che tirauano , eb*
allentauano Jecondo voleuano iguerreggianti e nelle guerre nauali dri^fiata
verj le eorfit delle galere dandole
fuoco, bauerta qufi tutta defolata Non irfeiaremo peri d'infegnart,,* . Che
rnarchiboggio, dandogli luoco vna Tolta tiri ' dieci ballo.' ^ / 'inuenton de'
mdirni ebevn'artigliara, ouero vn'arcbid
kuggio butti dici, pi memballt F vna
apprefio F altra fenza^ mancare . Paeeifi poluere lenta della qmak neUe cofe pedate co me fiamo
feruiti,epoi riempierai il eauo m qucBo moda . Primo ponila mifura giufia della
poluere ordinaria ebe bafii a farti
colpo, poi pongo la balla ; ma vn poco pi pieetola dei /olito , che et vada
dentro vn poco pi larga ebe buttandmi fopra vit poco di poluere di artigharia
fi tocchino fri loro diip porrai tm -
poco di poluere lenta di aliegza di duo, ouer tre dite di altezza, dop DI
Glo.'att: tfla Pori t!b.-Xir. ?o| SpS pOTTiti li pplittre M artigliar ia > fvaatburf altra viftnJeuoTwnttf Jlnehe barai
pitno/lvan alla b9etarvltin$o fia qmllapolutre Unta^ bar coma barai drig^ta la
matbina al ImeodellnatOt da fuoco alla boti ca ; percbtbutter fuori It balle% e
poi il fuoco victndtuJmentci tontanto inUruallo dittinpo fri t vitale l' altrut
guanto vn'buo^ tuo con vn arebibuggio pojfa tordi mira alcuna eofot t tosi
cottlgt vno irjlr amento potrai tirar diete balle Come n faccino quelle balle di fuoco > che
fi battano con rartigliarie. Gap. V* Op infegnaremo alcune eompof (ioni d
piguattetQtto ro halle di fuoco-, le quali f buttano con l'artiglia'^ ^ ^ rie,
ad vari/ vji , ouero- a bufeiar nani
onero per. illuflrar alcuna eofa di notte onero per buttarlo ^ jp[ per l'aria, nelle
fefiiuit di alcun giorno %ebe paia'^ th dtjcorrano per lo cielo alcune
ftelle Hor infegnaremo tomo' JS fatti no
quelle- . . u A" Balle che dilcorrooo per Taria eba fi fogtionofkr ndt feJliH.PeRifi vna
lihra diPoUtem, dibombard^atertca parte di falnitroi,' due oneit di filfo,
altro, tante di pece greca tutte quefietofe ammafiaite infiemt dentro la forme
le porrai dentro vn panno grojfo di lino li gate in forma db baila, e fi
formano dentro le forme vacue di due metx,e balle, e fi baiteno bentftimo con
martello di Ugno , finelu Seno dure a j^odp di legno ,dop fi riuoltino intorno
intorno con furti fottilhe fi bui tano fopr a la pece liquida, tre e
quattro'volte,ebt fieno ben eopr^ ie,atcio ebe la violenza dell' art 'tgUar 'ia
quando te butta per l a* ria, non la faeea in pegzi,air^timo fi bufino con vn
fitto di le* gno ii^ cu eentro,e fi ^mpie di poluere di bombarda ,t fi fecca*
no, fin tanto ebe le varrai buttar in alta % Quando te mwrrm ferutre . Slalt
dritta i Cielo vna eoda di artigl'taria,e fiptgltn 9ifa di qut/ie halli tm lo
ftrbdi diferrirofidufaooafbufiitkd Digitized by Google fio * T "Pclh Maga
Natottfe i iswtiano hfUtf omi eonofetrM ebt
ben ae^tfA eon t* itRrB WMMO la porrai Jtntro la botta della eod, e toh
lifiMira dara Jiioto al bufo della goda di fottoJaquaJe aetefot la butter im
al. io t vtdrat il eatninoytbt f la balla di artigliaria ptr l artoj la ,
Hedrai difior ere t fodere tbe parr vna Sitila cade ntttoeeoe bob-- Uomo
Jfptfft volte vtjla i n Roma quando f preparaumo. fa . P 'aler modo. ' IbigUl^
tre part di pece nauale due di tenbetUmOiatretanH di fitfo vna di fino di
betta, queile ebe fi hanno pi/iarefi
pejfii. tio%e'quflle da liquefare fi liquefat'cinotnvn taldaio %gtong^ m- fiemt
e rioigi ton vn legno, poi buttaui eUntro lloppa ai tantuo, iuero di lino di
-tanta quantit, tbe baf ad impalcar tutta la^ fnifura,*lbora lena dal fuoto la caldaia^
ton le mani la ae- eotnoderai in forma dt batta-, tome la vorrai , fitondo la
botta' delSartigltaria,t prima tbe s' induri ao ponteruoU di legno San drai
forando intoreio intorno , e vt butUrat dentro foiutrt mi febiato ton filfore,e
la riuolgerai poi fiurn vna tauola tutta/par fa di polutrt di ortigltaria , e
per quelli bufitti pon'iui litmydi botnbate riuolfi tulio poluere tome, diremo, quelle fi /tetano ai flt fimbe
diutntwo dure . I Smodo tomefibutWto tonSartS^, gliariai quefio.Hleggafi quel
pezzo dt artigliar ia,che fi tbiama- no ptritrt,tbe /otio'pai atti a
quefio.mifiiArp,il pefo della polutrt ebt fidtut pantrt indetto pertert , far
la quinta parte del ptfi Sbtte btta, ^ poto pi, menO,pertbe pomeUouint
pid,ilSfiin'M da troppa vioitnza del fuoeo, volano in moltepef^,/eftMguon
eltorfi , e non fanno t effetto defiderat o . Pojia la poluere etei
pei*zo,nonvi porrai fipra ne foppa,ne taneuo-, ma ceomodfi l , b^o fipra la
poluere che dato fuoto al ptXyi,egli dar fuoto al la baua,e la butttr in aria .
M.0 fi varrai v altra tompqfiti^ me pi nobile* - i-
D'altro modo*' - ^Piglia einque
parti di poluere di artgluriafalnitro refinai pet parti due,dt foifo,mea' di
pete greea,vetro pifo,fiU tomune olio ebitran,S olio di linoty aequa vita ben
purgata altrotato pefia le tofi da pefiaro , efitaceta ton eribro fittile, poi
liquefatto ^ d pignattanouaepOftt/oprd li eqrboni frdinti/en^/^me' 'i>t * ehi non Dgilized by Google
DiGio:Batt:delPr; tib;XIf. sii fbt non feintiQinOit dia fuoto aUa miftura poi
buttau U po$terht fe incorporino btnbtnt t poifJacebetUtn forma di balte ro-,
ton^e di ttla^ e riempile di poluert febietUddt artigliaria , > tacca bene
con funi fhttilipoi inuolgi fioppa nella miflura^e for^ m ant bali a, fra tanto
ponendo F vna fopra^dalira^he la balla ven, gbt ada dejiderata grandetti efe
vuoi buttarla con l'artiglia riaja fringerai pi grettamente ton quelle fune
fttili. AU'vlti-^ mo con ponteruoif di leghe pajferai la balla da tutte le
partii fift^ ebe gtoTigano a quella poluere, che f nel mezo , e poi vi porrai
quei itanif di hombacetcon li quali Hc^ynCe-ua il fuoco , mentre..* vola per
Tana con tanto impeto . Invn altra pignatta f lique facci lai hr ima di pino,
poluere di artigliarla e folfo poi fommtrgi la bada in quel liquore^ ebe
t'i>- trujli bene, e tolta di la , ag^ coi* vn [lecco tutti detti gli
lieinif e le inipargerat tutte di
poluere fi na. Quefia baiia,di Jtrepito,di ruina.c ton la botta gafiightr mol
ta i Hemtn,il fuoco inefiinguibile brufeier l'armi, le vefii f ogni rofa , fi
tanto ebe tutto fia con fumato ; perche rende farmi coti rouenti, cbt fi non fi
Iettano via^ brufii chi li titn ve Hit pelfa miilora che arde neiraccjua. Gap.
VI teereando t Filofofi la cagione ieW acque che flato tt9^ fopra, r fitto la
terrai e cbt fimprt bugliono, iijfi rj K l ro ebe il bitume era la cagiono ebe
fimpre ardejpr^ ror ebe vna volta ateefa per fua proprtetd^non fikt W* n^at
tefiingueuano j ma buttandoui fifra acqua
daceendeuano ^ ardeuano con piu vtbementut Scriut Plinio* *^{jl Fafilide
ardeilmote'ebimera di fuoco immortale la notte * il giorno^ i/qual fuoco
faccende con acqua, e fefiinguc con la terl ru,
co'l fieno. Cnidio T efin diec.j* *^ella Licia ardono i monti Hefffi
della medtfima fiamma, ' dandogli fuoco con vna teda aeeefa,brufiiano tal, ebe
le pietre dc.^ miui,e f areno ardano dentro f acque , e quel fuoco pi s
accende, e fi nodrifie con le ptoggie . Il Cratere ninfeo pronefjiea male J gli
ApoUoniati, come dice Teofompo , jaugmenta con ie pioggie, a produce bitume da:
temprarj aon quel finte ingufa ile , altri mente pi fietrfidfogjti bstuim* Hdr
^uefiiganmo lo fpecte del^ Digitized by Coogle 1 I il Della Magia Naturale . btume. Il primo fiebiamma bitume liquido,
noi lo xbUmsmti ulto ptrrogho ; perche vien fuori daUifikfse cbtamojt ebttran^e
iiutfe vn gran fogotoo difuoeo,"b
tanto parentado col fuo~ tocche bauendoh diiontt^Jo tira a fe dOMUt^ue Jifia
con quefi dicono tbe Medea haufiiaffe f innamorata dilafone, che bauenau quella
ad aceojlarjiatli ttari perfacrijieart,bauea in tejla lato rona Unita di quejio
bitume . y naltra fpeeie ee ne in
Utmagjeno^ Citt di Sarnofatra v vn ftagno,ebe butta vn limo, lo ebtamanu malta
ebeffira fiamme , ebt ogni eofa feda ebe tocca fe taeeofta^ ebe lo tocca lo
fegut antbor tbe fugga , Coti Late ulto combatterne do le mura, buttando del
biUumt,tl faldato ander eo tarmi fue, oon tacque fi accende, e folamente
eetlingue conia terra,come ne mofir tefpirienna . Specie di quefia la eanfora,ebe tira afeli fuoco come il bitume,
& arde . Il Pijfafpbalto pi duro
deitee^ me , eli il fuetino ,fpetie di gagate \ ma qutfii ardono pi lenta^
mente e meno relt acque . Oltre a ci quello ebe arde nell'acquea itlfolfo ;
perche non fieaua ofadaUa terra pi graffa. A dar pafturaaqueto fuocoper fe foto
ne arde dentro tacque, ne te-\ Jltrtgue con tacque , ne dura molto -, ma
aggiorno al bitume f il fuoco perpetuo, cme fi vede nella folf atara di
Pogzuoli, e come al fuoco, f e vi fifparge.olio,taeetne,eoi al bitume
aeeefo,fpargem- doui fepra acqua augmenta la fiamma con pi vebemenza^. Di
quejhfiunque che ardono dentro t acqua,e fatto t acqua et ba- dno a feruire .
Ma diamo alcuni t]ftmpi,come fi funi quelUj Balla, che arde fott* Tacque . *
Uabiijt primo poluere di bombarda ; perche quefio i quello che entra in tutte
le mtfiure , e d forza a refianti di bnfeiar eon^ aran vtbemenza,quefta poluere
fi farin granellicptSifibene, fifetacci,& a fette parte di quefio fi
aggiongano due di pece gre- ca,tre di Janitro,vna di fofo,peftinofi tutte,efi
mefcbmo,non la- feiando mai di fpargerui fopra dello ebitranfaeendola tanto bu-
tnida,quanto finngendouevn pugno con la mano, reft fermo di qutfh cofe tutte
mefcolate fi ne pi efperiertza f perche fi brufein con troppa violenza , vi
fiaggionge pi di pece greca, falnitro , e fulfo ,fi troppo tardo, di poluere di
bombarda . Quefia mifiutcL-t luUolge in Jiraeeidt tela, in borf ette, efiiiringono quanta pi fi pu
con fieni fottili , & ttlih ligami tbe fi (irmgano ptk Di GioJBati. della
Por. LIb.XIL 'fi j JhfttanuMfr , poi fi
fommtrgono nella peett e filafeiamo feteare^ ifd$ wMouo fe gli aeeingono fi
ratei intorno , efiriuolgono nella xpeeejoeembe pojfa difendtrfi dall' atquoyne
la e^iolenffi'el fuoeo ila /atei andar tn ptzheome fard pei ben feeat tifandola
ecn^ pieeiole bueofe vi pone peluere di bombarda, e fi da fuo k ,
' . * . . ^ 11 one^fimo io altro modo. . La miSiura , di folfo , di pece greca, di
falnitro, e di vernice^ o fi gtongcno quattro volte, tanto dt polutre , e fi
aggiengono tere- bentina V en.etiana,olio di vernice liquida, cbttran,oifO di
lwo,r \(qua vite refinata, e dtquefie ne inbumidifeono le pclueri, bui- tendone
/opra cerne xna leggiera tupgtaaa.qutfi a attacca il fuo- co con ft vebemenna ,
e buttala fan-ma ejjai prudi lontano , A farua 11 flQcdcCino. Piglisvna parte
di mafiiee, due d^inetnjh, grana di vernice, Jblfo, canfora, polue fina, di
tutte tre parti, di pece greca f ti, di fai mitro rapinato nout,ptfia tutte le
ecje,c fetaeeia,e ptferaila ean- fiera mqftbiats eol fate jpertbe di tutte
quefia /elafi ptfia con di/- UH fieolt DO'"' by C- jQglc fi4 . Della Magia
Naturale jicot tutu queft 9oft dijleft fopr vn vfo di arg hott/^argi /opra
cbttran, vtrntstsouero ulto di Itnott mtffbia to It manitpoi . togltnt vn
poco,e ponti entro vna fSntt f prouattome tifotitf^ trdtndo ji vedraitcbe arde lentamentetaggiongi vn
poto pi di foluert y Ji troppo gagliardamente^ di pece greca, fcmpre faeenda
prona, fi riefct come vuoi Perche in
nmtfie eompofitioni alcuno oofe aggiongtmo a fmorgar la gran violenta
delfalnitro,e della polue di artigliarla, e del brufctamento Poi f come borfe di te- la di caneuo in forma
di balla^ la quale riempirai di mifiura,^ benijpmo infaeea , poi attacca con
cordicine , all'vltimo liquef il folfo , e non vi mancbt la quarta parte di
poluere , mtfcbiaridQ con vn ba/ione , t luterai intorno intorno la balla con
quella mi- fiura, e come vedrai cbe far ben fortificata , rfieura , con viljo
ponttruolo di legno f vn buco, cbe gionga infino al ceniro,e tol- tone quello,
riempilo di poluere, nel qual darai fuoco, e bruftie- r fono l' aeque , fi potr
buttare antbera con F artigliarie . Ne taceremo come fi facctno Le balle, c le
pigoatcc per bntearle nelle nani. Ornila
eompofitione ftrffero gli nofirianticbi batter la ritr, nata Altjjandro Magno
per brujctar i ponti , li porte, le nauiA eofe fimtlt i ma bora oprar con pi
gagiiardez3ca,pir bauerei gionto noi la poluere di artigliarla . Piglia poluere
di artiglia- rt,falmtro , folfo, pece , lacrima di pino sgrana di vernici, in-
eenjo parti eguali. Lamettdicanforatutte quefie pefefime- fc beano infieme ,
poi fi ci aggionge cbitran, vernice liquida, refi- na di terebinto pur parti
eguali, liquefar ai,e mefcbiate tutte fieme ue riempirai le pignatte da .
buttare fr- le nani de nemici Ouero fi
dt quefie ft farai vna ballal e la Itgberac^'tntomo ai eapo del malieo % ti
qual b vn dente dt vn piede lungo ancbo,ela manica di tre piedi , e nelle
battaglie nauali f aluna con vna^ leggiera barchetta la conficcher rul ventre
dt vna nane vi far iut vn grande incendio, cbe non bafier eiiinguerfi ne con
acqua^ fpc con altra cofeu^ ^ * . .
. . I ^ s ' Come Digitized by G
--Ogle Di Glo.Oatt.Hella Por. Llb. XIL frf Come /] faccino le balle di metallo
che tirano balie, e dadi di farro. Gap. Vii. i
1 Npsgnremo * fdr le balle di bronzo frangibili quali pene dtpoluere di
artigliar ia ^ e ben cbiuf l |f^ d'ogni intorno
per forza e violenta delle Jiam^
me t ebe vi s accendono dentro fi Ipezza in moliti _ _ _ parti * e pafiano da
vn canto all'altro i corpitcbe fit gli fanno neo ntrOfCbe non folo i
difarmati\ma gli armati ancbon feriranno, delle qualt ee ne pojfiamo fruire
nepi ajfalti delle Cit^ td, cbe buttate dentro la turba delle genti ne fenfcano
infinitu t fe ne pu far elbcrtcnza dentro vna greggio di pecore . Faofi- nofi
dunque leL ' Balle che fcagliano di faori dadi di ferro.' Tacifi dunque vna
balla di bronzo di diametro di vna pianta di mano, di folidezza di vn dito. Jl
metallo fi f di tre parti di rame,^ vna di ftagno, aceioebe vengbi cos fragile,
ebe pezzata per forza di fuoco, fi in molte parti . La balla accidebe fi ffeei
con maggior e^euolezza fi faccia di due femisfere ,* perche fi colano con manco
^efa',e cbe poi fi vnifcano infieme ingauigliatCt come r ufano le bufiole,ouero
a lumacebe,ebe riuolgendofi intorno f una parte entra neU altra , fia dt
^ejfegza eguale , acciocbe fi fpezzi egualmente da ogni parte, e pot con vn
chiodo di ferro ebe pqlfi per mezo,le gionga infieme pi gagliardamente, dalla
grafi ftzza di vn dito , acetiche dalle altre parti pitoflotcbe dalle^ giunture
fi fpetxino, di poi fi faeei vn canaletto della grandezza di vn'dito,e lungo
quanto la pianta della mano, cbe gionga infino al centro della balla, in firma
di cono, ebe dentro la punta,e fuori la hafe Ria, e fi faldi, incolli nella
balla , al r uno all'altro capo del chiodo, ebe habbiami detto ebe auanza fuori
, fi ci auoU gono filidiferro,ilquale tiene infilzato i dadi di ferro, bufati
con largo bueo,ebe ogni filo ne babbia almeno trenta, aceicbe quando la balla
fi Jezza per la violenza del fuoco , e fi fpezzano pa- timenti i fili di fcrrO
quei dadi di ferro fallano via , e vanno l*ll % dilato^ w - ^ |x perebe fi feram- ~ no armate intorno
di dadi di ferro nel Ipezzarnofi, fi feaglie- . ranno con tanta violenza dal
fuoco , ebe pajfino da vn canto al- / altro gli buomini armati , dr / eaualli,
e con la botta mirabile , eos S^auentaranno i eaualli, ebe ieofa
impoJfibile,ebe pofiano fiire aUi ifironi, ouero alle briglie, ebe non turbino
tutto F ordirne Se ne fanno di qutUe ebe hanno bufi intorno , e poi piene dtlL
- mi/ura gt detta , e poi aesefe, e buttate nei wvfo de' /quadro 9 , buttano fa
fiamma cosi di lontano ^on tanto ir epitome rumu re ebe pareranno folgeri,e tuoni eke tafebino
daieiele. CoaiHt Dig:;;rf..i by Google DIGIo.Batt.dcIkPor. Llb.XIL Come n poifano
far le mine nelle pianure y e focto Tacque. Gap, VlJl. 1 T^ qmtle mme , tbt Jt
C0ttatio fotto, per far mUp hCiUttie fortezzetbifogna iungo Um A ' ^ J O O ^ ^
wwm~ pot eftstiue fateebe t e mo/te fpefe,m baitano fa>fi^ che tt nemico non
f ne accorga : ma qmetie nojirt -m - 0* le faremo dinanzi inemsct , & m
quet piani doue bar a farfi giornata^
infegnaremo eomeji faccit.o con pot faticale prejio Donqmef Nel piano doue fi haoe far gtomaca far la mina' De/tdereraitc nel
cojpetto de nemici ( perche non faprannot eht far ) noifiamo li primi ad
infegnarlo; Ne crepufeuU della fera, della matina, doue Ji babbi a far
giornata]^ pajfar F efferato do memieiy
far gli alloggiamenti ,Jicauano fife alte tre piedue ebe Jtia lontana l'vna da
f altra per dieci piedi * ini aceommoderai le balle i di vn piede di diametro t
poco piut meno ebe etreondi > e
riempi tutto ilpiano^poi da fvnaairaltra,vi farai falchi, e mine, oue
collocherai tubi dt legnot onero di creta ,^be dentro babbmo i iieinif di
bombate, ebe il fuoco pofa attacearfijcur amente da l'v- naati' altra, onero
con canne canate; talch la balla babbttl f no- to da tre I quattro parti,poi lefepeltrai, appianerai la
terra, lafciando vn Inogbt, dal quale porrai dar fuoco a tutte . iloti al tempo
della guerra quando il nemico, far venuto fopra detto luagbo, ebe verranno,
fingendo di ritirar tt , dando fuoco al fptragho tutto il piano in vn
punto far di fuoco , con t na eru- dele,e fpauentofafirage di buomtni; perche
Jt vedranno volar per f ana,braccta, gaittbe ,tefte,eorpi,^ buomtnt intieri
borribiimen te brufctathcbe ipena vnofenefalut,titetny coti farai. l^na pi-
gnatta nuquofifcaldi al fuoco acqua vite, e pvluere,fn ibe rieeua vna grafi
izza, ebe babbia firma di vngutr, io, dentro ifi porrai i lictntf dt bombace, e
gli inualgnai ni mtiura, toglila pi- gnatta del fuoco , e butterai polue f
cinta fopra i lietny, e ioni Lll al
Digitized by Google $ i S Della* Malgu Maturale Lt t poni at/oh , che
fifecehino benetjutfi porrai ntlt canni tatu^ U e tatto tl vacuo riempirai di
poiatre . Oaero piglia vna parte difalnitro refinatojme^ difolprtit lafeia
baglire tn vna pignat- ta con olio d$ lino
poniut dentro i lieiny, che fi bagnino ben bene di ogni parte, ieuatt
poni al folt a difteeare . Maftjuuoi Far le mine focto Tacque^ 7* i firuirai di qntfia belliftima inuentione
. Nel laogbo,ondt Ji fapia eerto,cbe vtngbine le galee a far ( aeqaata, oaero
nani vi ^ appareeebiarai la mina . Aeeomodarai alcuni traui,ebe fi tocchi- no
per mexp a modi di croce % e tatti infieme a modo di rete fopra vn piano, e
fiano di quella quantifd del fpatio di mare, ehefijoor- r minare, e doae fi
traaerfano,viaceomodarai eajfe^di legno,hen incbioJate infieme, poi le
riempierai di poluere , e da l'vna lal-
tra vi porrai trami bufati , pieni di poluere con li liehy nel me- no, ebe
pofsino dar fuoco alle coffe piene di poluere, poi con gran-' dtfiima diligenza
impeciarai le caffe,^ i traui,e li darai moliti coperte ebe non le penetrafsi l'acqua , e la poluere
s'inbumidifitt perche perderai la fatica,e la fptfa,lafciandQui vn luogbo,da
dout fi pojfa dar fuoco alla macbina quefia maebina la deprimerai fiotto r
acqua, ebe vi fi fermi con pefi,ela coprirai con luto, alghe di mare , poco
innanzi ebe-s afpetta la venuta de* nemici , Hiaui vno a far la fpia,il qual come vedr,cbe le
naui,e le galee faran- no fopra la mina , dando fuoco , j' aprir il mare, t far
ibalzar l'acqua infino al eielo,le naui\fommerger, le fpezztrin mille parti-
che non pu far fi, vederfi eofa pi
borribile,e miraeolofa, jA'e bsb'tar fatto C e fperienza fiotto l acque, e
dentro i laghi , ^ t effetto auanz il dtfiderio, e f efpettationUj, Quali fieno
quelle cofe, che gioaano fmor2are il
fuoco. Gap. IX. Auemo infegnao come t'accendano i fuocbi,bor eorrf fi ojfano
efiinguere , e nel corfo dei ragionamento^ H faremo mentione di alcune cofe,
che fono inutneibil k al fuoco . Ma trattiamo prima i nojlri anticbi,cba cofa
ne hanno dettir. yntruuio fcrijfe,cbe il letto di lance non fi lafeia brufe
iarde , e ardere come fe fujft vn fajf Digitized by Google UiGIo.Batt.della
Fort. Lib. XII. ^ ip nella fornace,ne far carboni^ ma brufciarj tardiTnuvitnt .
'I^ajfegna la cagione i perebe in ejjo et
potbijjmo aeti y e Juoco,$ molto bumore,e molta terra, ^ tjicr molto
/odo, ne tjjtr meito po- rofo per li tjuali pori il fuoco potejfe penetrar dentro
. E com quefio Jia fhito elperimentato, lo narra. Cefare bauendo coman- dato a
quei paefi doue bauea a poffare, ebe le dejfero le irade,al- funi ebe fiauano
in vn Ca flebo di legno, non volf ero vbidire^ . Cefare comand che fujj'ero
dintorno al Cajello molte fa- Jane di rami, e ebe vi bavejfero dato fuoco , ebe
quando le fiam- me fi fujfero aceefe in quelle fafctne,e che la fiamma fufie
gton- ta infin al cielo fitmaua che il Caflello.br ufciandofiftfjji caduto a
terra } ma ejfndo brufetate le fafeine > rejla la torre intattA^ . Plinio
togliendo da lui . l lance, tu f carbone, ne in alcun mo- do fi brificia per
forga di fuoco come Je pietra fujfe . Ma quefio
eofa falfijfima f perche produeendo refina come (altre , e tutta^ piena
di olio,/ubito vi fi attacca il fuoco, arde , anzi bauendo apprefio il fuoco ,
l'efimguerai con gran forza, la onde mi mera- uiglio, chela bugia fia peruenuta
infina noftri tempi, e quella- Jielio lartgno, con chiamato per effer fatto di tauole
di larice,cir- rondato di fuochi fia refiato illefo dalle fiamme . Hautmo letto
falume liquido fecondo gh antichi difenderfi dal fuoco \ perche i legni Uniti
di alume,e di verde rame, ouero lemitari delle porte , ouero intempiaturc deOt
camere; per ebe vi fia fatta intorno vita rrufia,ebe faeen al fuco gran
rtjtfinz. Di ebe ne fece efpe- rienza Archelao Capitano di Mitridate in quella
torre di legno, ebe vip contro SiB , il qual muandfi sforz di brfciarla,tebe i
fi ritto dal luadrigario ne' fu oi annali . Ma quefio alume liqui- do mi par
che non fia conefeiuto da htterati de nofiri tempi ;per~ ebe l' alume
vfuale,non hi quelle note, ne f qutfia efperiengau> . Ma firn molti ebe
dicono eon elfierienza che l'aceto vai cntro il fuoco . Plutarco due che non fi
troua cofa,tbepi vaglia ad tfin guire il fuoco ebe (aceto', perche pi valore/
amente di tutti tjiin gue la fiamma, per l'tcceUenza dei freddo, ebe ritiene .
Refertfce *Polieno . Atenocle combattuto da nemici centra le tefudini , che fe
le apprffimauano, le fe buttar su piombo liquefatto con vafidi rame, co' l
quale tutte le teli vdini i aprivano', ma gli inimici, co- me VI buttar su
aceto, efiingutuano il piombo, e tutte le altre co-' ft tnfocate,cbe di /opra
cdeuano ;pereiocbe eJferimentaro l'ace- to effere tceellentiffimo a defendtrfi
dal foco Plinio ad tfiingueer LU 4 il fuoco DIgitlz fto Della Magia Naturale
fuoco loia molto il bianco dtO'vuouo,fcriutndo cos . Al bianca atU'uuouoJs
troua tanta forxas,cbc vn Icj^no bagnuu di bianco di t^uouo nonarda,cbe
vnavtjlc bagnata dt quello no Jt brujct, tic- ron per coprir le teiiudini fi
ftrut de cuoi/ de ^i ammanimali^ occ-fi di frrfio ; perche queUi giudic
tcecUcnUffimt a refi iter e al fuocOyC le congiunture de legni le fortijicaua
con crtta,cenere mi- febiato con fanguct ouero con cera ammafTata con peli
, paghe, i aif{bt macerate in aceto,
perche qutfte eo/e fi defendeuano dai fuo- co affai bene . Carebedoniodt cuoy
di bue frej'cbi copriua le t^i- nee, e gli aneti . H intefo da buomini degni dt fede, neU incesa-
dy delle cafe,ancbora di tauole,cbe buttatoui dentro vn panno me- Jiruato, del
primo che viene alla donna,cbe fubito l' e (lingue Fin- sendio pervna fua
particolar proprietade . fuecbi
ipejfi,mu- eiUginofi vaghono affai contro il fuoco,come delFaltra,e per noto
moiia fcioccamente fi lege in Alberto , fi alcuno fi onger le mani ton fuceo di
maluauefebia,di bianco d'auo,e di alume potr Trattar il fuoco con le ooaDi
fenaa lefione. B nelF e^erienfa ci fi troua qualche verit , Maio fiimo Far*
genio viuo aeeto,e bianco di vuouo refinto,F ongendo vnaca* fa che fi pofia
difendere dai fuoeo De varie compoltiooi de fuochi . Gap. X. ' Iremo varie
eompofitioni di fuochi, da feruirfenein vari/ vfi . Ma quella inuentione , che
fon per dir bora F attnbuifeono a Maro Greesbo,che fi pu Far raa miAura di fuoco
che la pu accendere il fole^ Si f in
quefio moda . ^Piglia olio di termentina , olio di folfo viuo ( ma di altro
modo che bauemo infegnato nelle
difitUatio- ni ) gtuHipcro, kitran, lino, t Oeee greca,eanJ'ora, pece,falnitro,
9 graffo di anitra, dt tutte il doppio di acqua vite ben purgata dalla
fiegma pq/h tutte, epofie m vn vsye
follo il fimo per duo Digitized by Googl Di GIo. Batt. della Por. Llb. XII. f 1
1 mtj fi fi r mentina infieme^rmounndo fempre il fimo. e mf/cbiando aof/o detto
tempo fi ponga tn torta dt vetro, e fi defitlU , quel /i- quore mipejfarett con
poinere, onero con fierco di colombo betL- Jfetacciato , che pigli confijienza
divnguento,dt qnejla mtflttreL^ bagnati t legni, dD" eipojit a' foit deli'
bfiade, t' accendono da lor iejji . il Jterco di colombi epofto al fuoco
riceuegran forza dt conceper fuoco . Rjferifce Galeno in Mtfia, che i vna parte
del- f /fia cosi ejfirfi brufciata vna tafa.faua buttato in terra molto fierco
di colombi , vicino ad vna fenefra , cbe toccana bormai It fine legna , le
quali dt nuovo erano fiate Unite di refina , ilqualr ejfindogi putrefatto, t
rifcdldato^" vaporano tn effalationi nel mef^ detlEfiade, il fole
fcaldandolo vaiorifsimamente,actefe In refina, e la fenefra, e di qua le altre
porte purillinitedirefinat s'attaccato il fuoco,e l' inalzaro tanto, che
gionftro infino al tettOt e tome dal tetto vna volta ia fiamma s' ac cefi,
fubito s'accefe ist^ tutta la ca/d i perche hgrandifiimo forza dt ritenere il
fuoco* Il graffo di anitra hd grandtfiima forza di riceuere il fuoco, da
Medici lodato a rnerauifflia, cbe babbia
gran fittilegza , pene^ trante,e caldo ,eche da forgia di penetrare all' altre
effe , e coma oofa fittile, caldifiima,
fubito ritira a fi il fuoco % t ardt.^* I ufi gnor emo anebor difhllar Vn olio
ardentifsiino. Mentre io appdreeebiaaa alcune eecellentifime compofitiomi di
oly comburenti , io defiillaua il commune olio in vna/ortai ma con gran fati,
ma quello cbe vfit fuori defiillato tra fittile,ae^ ' eendtbile , f" tutto
di fuoco, che acctfi vna volta tra inefiingui bile, e di lontano tiraua a fi il
fuoco , e lo lafiiaua con tran dijfi^ eoltdy ma pi adurcntc i folio di linoi
perche fi lo defiiTlerai ff ef- fe volte rieeue cosi gran violenza di
atetndtre, che appena fi pud chiudere in vafi , che non ritiri a fi il fuoco ,
dT aperto il vafi, i COSI legitro cbe
riempie t aria tutto di /piriti * cbe fi vi accofier Ueuna candela aettfa
, fuoco , s'accende l'aria , e da lui
aceefo t olio , butta la fiamma di lontano , dr affai gagliarda , ebe far cofa
impofiibile poterla efinguere . Ma btfigna diftil'arfi con grandtfiima
dihgsnza,nt che il vafi fi rif caldi molto^ectoebe da dentro non s'iafiamn QUn
a ci4 ilfu> Digitized by Google fi Della Magia Naturale Il fuocoyche
seftingue con olio, e s^acccnde con lacqua. . Cos . Hot babbiamo detto prima ,
cbe lo nitran arde dentro l'acque > vna fua ^ecte tjlere la canfora , la
onde Jici meftbiarai tl folfo, ouero altre cofe , cbe ritengono il fuoco ^jfe
ci a^giongerat foliOyOuero totOt s'ei lingue : ma buttar.doui acqucL^ ritorna
vtuo,e fiforge in vna grantLiJuma fiamma. N arra LmiOt ^er fiate alcune
veeebietcbe ne' loro giochi, con alcune fan fatto clU ^ofe 'gi dette thaaer
voltcato tl fiume 'ftuen^ ij- bauer pa- ruto mtrjuqlo a queSt che le mit-nuano
. Hauemo detto ejfer cof p^ropria del bitume arder nell' acqua . r
efltnguerficon folto . Dice Diofcoride la pietra Tratta nafeere in vn certo
fiume della Scitta, chiamato "Ponte, cbe bi forga del gagate. Si ferme
accen- derfi con l'acqua, " efiinguerji con l'olio,ilcbe accade al bitume,
meandro parla di quefia pietra in tal modo, .. Seia Tracia piccraxbn il fuoco
> j Saccende, e ( bagnaffe poi con
lacqua ,, ' puffi per lo fiamma nella
candela } perche Mtttr dendcji la Jiammaifalir molto tn alto Se ti piace I Che molte caodete saccendaoo
pretto. * , ' * ^ " .i.' ' ' . Ko* giorni fefmh 9 ne* nocbit e come intendo
fi fapprofioi Turchi non fenxA mmndijfimo piacere di quelli che guardano*
CoetraineT olio fasore t " oropegmentOy e J buglier in quelli v filo, e
come cotto fallo pqffar per molti Itciny
di tandele t\per*\^ qbc aeeefo da vna parte
paffh per tutti la fiamma, dr accendo-* rannofi tutte. Alcuni lo Atamano
fvnguento di Hermetu,* fietri ciaf ebano
^ Maogiaacio allorcuro parer che botti dalla bocca fauille di fuoco. * Jtebe auerri mangiando
gueearo in canni f,ebe mangiandofi fi rompa in pcgziy i par tbe dalla bocca ne
vanghino fatulle di fuo- rtttome fi alcuno fiuKica/ii va tixxaue,' ......
* i DiatcanUrperlmeatldeTaochi. Gap.
XIL ; Gggiongeremo alcuni altri e^rmenti
fuor della' elafit degli altri M qualt baueacoufiituito piu tofiOr
tacergli . Lt diremo per uar oceqffonc agli ingegno- fi di trovar forf p: gran
coft^ Far chele balle degli archibuggi peaecriao pi profonda inencc.. In muro, onero legnose quefio fe ne pu far
elferienx.a agevol- mente . La balla vaia pi tallo flrettOy che larga ; ma
prima ebo eela pongati ongerla dlolio , e pei buttarutfi dentro, ee eacetard
fuori dalla violenx,a del fuoco f penetrer pi a dentro ti doppio. La ragione in pronto . ^el! olio operoyche / aria del
fuoco non, /cappi fuor a y perche chiudendo ogni via con magior violenta le
fiamme di dentro la eautranno fuori , eome ne parleremo pi a lungo , Cos
anebora le balle delle artigliara penetrar anneoon enaggior violenzuL^ . Se fi
ongeranno di lardo le balie degli asr- obi^gff pai Tiranno i eofeialetti degli
buomini di arme-r . Pofin- 5 ir4 . !.. Di la MagTa, natal'kl> r.*' : J
EoJJSxmanthoratonvtht,fotiliffimaintutt$i$nt-J ' . . . Pad ar vn huomo
cn.ma.baila che noa ?e tbg fe f affer fatte tnfiema^ Haaemo cosi partatopar gt
egmranth o eattiai,ebe noa babbino oeeajiont di far male. Hastemo OM l b : ' '
* , ' * * - r ' f r . Tirar tnolce botte eoo larchibugio feoza caricarlo di
ououo. *. '.'i '.tv. >>-.. t V
. ' .*?>. . ' L 1 5 B anehora vfkto, da eeeeBenti faldati,
non fola con F artigliar rie: ma con gli arcbtbugi da maao>,\ La eofa Jl
eos. D'intorf^ ia verga con la quale fi canea F archibugio , fi auolga vna
carta due 3 tre volte . f eautne fur la verga ifi riempie quei vano di
poluere,eon lads^a, e fi lega quella carta di qu,e di l^e fi incoia ianot'ebe
nella ebrfa non vi appaia cocitura alcuna, primo fene pone^ vna nel fcbioppo^
ebe ci vada larga, che buttandoui vnpoco di polvere minuta di fopr ' gong ir^m
al bufo , poi fipodeil tarieo ordinario ton la -fka baUa^ c ficalsbi,e pofiq'
allpiraeolo dbbito la poluere, e dato fuoco, catterai via il earito,e la
fkapaUa primj,cbt tu ottima a porfi poi con vn filetto per lo buco rqsfpi ia
cariai e diafeli della polluere,c ainuouo feliita fuoco, cottt poco intcruaUo
di tempo, tirerai duo colpi. Potremo
. * * t -- -
CbcntgK affmlti ielle Citt, e neBe giornate campali potri tffer i molto
giomamtnt.Ma prima da aduertirfi
ilventorhe veih gbi a noidaSe lpa3e,.aceioebe portiti fumo nella faceta de'
nemi- ou Si fanno (erti faecbetti dt cartone come lanterne, deBa gran., -
dej^a, ebe pofano entrar e ntOa bocca dtlF artlgtiaria , e finente pieranno
difotultffima poimere' di Euforbia, pepe, coke viua, di cenere dffamtenk di
ffeito,fUsmtoie o^ caritata F ani. gitana
_ jobyGoogle DI GIo. Batt.|hiFort. ' LIb. XII. " 5317 fi^liana di ptlut ^Ji font Ulanttrmm thf
pmi^nhhttM dtU^ folutrt quando fe It darfu9t9iJiSj^%%A qutllalnHrna dita^- ^ia,
t vtrrquMiJatM gii. otsbidd uamititegl*
darUn'ta.maii^ Jtia% sbthmatt arm$ s$mde$td tiqf*bt^ mnptrderia vi/ia 1 ; Come
pofla farfi ^e voa candela arda in per* . : ; ; 'w.> '.pecno r C^pv ^ *.. '
...i \ T^dbilhm p^ibrarbaimo itupimtnto a qneJiwU. pd fi^ t k/nucatfdtJa aa* I
F ptjpt tftingMrJi mai, ikbe poM ^5 tbi^moito repugni Be ragioni della
eorrattib$ii$ jf* de tutte Ueojb del mondo, tpf^ebeauamzi la fida noftra f M a
veggiamo prima fi dagli antiebi'trs fiato ten tata ie fatto ^^Si legge nette
binarie Romane net tempia della dea V efa,a nel tempo di Mnerua in ten,edi
Apoiline in Delfo ^Jruidiet to il fuoco perpetuamente aetefa ,^Ma queSio mi par
jafi ; per- ahe mi ricordo bauer letto in molti autoridl fuoco perpetuo baueo^
tee bauuta cura le Verini refiali , ebe mas venijfi meno^ , come fi leggi in V
lutar co neUa vita di Numa, e finalmente nel tempo dei ie guerre ciuile di
Mitndade effeffiefitnto* In Dtlfo efftr tuRp^ duo dalle vfdue , e ne bueanO
perficro co'l aggtongeret dtllolia continuamente, ebe nOn venifii tnantarui la
parnma.t' ancora bauer mancato , quando i Medi Pabrufitorno i Oou tra si fuoco
fkcro de firitto nelle fiere lettere , da O inSrutto a Mosi . Il fuoco fimpre
arder nel mio altare,il qual nutrir vnfaeerdote^ dandole legna ogni giornea.
Dunque' netti altari de dei gentili nS vierael fitoto perpetuo. Ma bauemo^Uito
nel Qafiello di Attfie in Vadana efiermSatd rtroudta Vtt vtma dt creta,dentro
la^ quale in era vfP altra pieeiola vrua , e dentro quella vi tra vna lucerna ,
ebe anebora ardea , la qual fi ruppe aalie mani di quei villani,cbe la trouafo
, che la trattauano troppo' rufitcaminte,e fubrto s'etimfi . E ne noftri tempi
intorno P anno i $5o.nelP'jfala di Nifita net nofiro mare, di Napoli, et flato rttrouato in fipcl^ cbro di marmo di
vn-eerto'Jiomano, il qual aperto vifitrou den-, tro'vnacarrafa, nella quale et
era vna lucerna. ebe anebora arde- ua , la qual rotta , fisbin 'ebt vedde P
aria , fiefiinfi^a quale tra fiata Diglized by Google -*5*1 . DcMaMifgia wdral
- Mtsimil0ttU ffimMUmmurm.'dBiiiiiir* S^t/mstcrt^, Mofn mi m fono fiati narrati
amici tfitn fiati ritrouatifi vifie Laandi ionofciamo ifiir poJsibUit Jir gi
fiato fatto da nofiri nti affiori * Hor viggiamo fit noi ancbora io pofisiamo
far. S on^ molti ibi dicono, cbifolio canato da motaiihcbt duri affai, t quafi
perpeimaminti : Ma qutfio t faifo ; pircbi l'olio di nutaili Hom arac. Alcuni
diano l'olio di lunipcro dtl Ugno durar molto ^ ptrcbi i carboni di IrnlStJiino
Itgnojicorferuano accifi firvna- mo fiotto U ancri . Mn qucfo i ancbora
falfiftimo,cbt vn carboni firbato da me fiotto It fiut antri , non i durato tu
per duo , ne per ire giorni , i Colio canato dal fino legno, ardo
gagliardamente^ Son molti chi fi vantano bautr canato CoUo della pietra amian-
to, giudicando, ibi tome la pietra U inuineibtli al fuoco, ebe con licinio
fatto di quella pietra, arde in perpetuo, fie fiegli aggionge- r olio
pirpetuaminte,cou Celio duri . Ma vere
che lo iicinio mon fi confiuma ai fuoco, non per quefio ntjigut,cbi Colio
canato da quella arda perpetuamente ftnz.a conJumarfi,e ninno ritro- nato fi
bora, ebefiebbe canato Colio dell' amianto, ebt arda^ . Altri filmano cbt C
olio ja canato dal fiale comune arda perpe~ tuamente : perche ponendo il Jale
nelC olio, fi far che Colio duri nella lucerna al doppio, ne fi confuma, delcbt
ne h fatto la prona, i vero, onde gtudieauo ebe l'olio canato da quello duri
perpe- tuamente fenna confumarfi t non fegue dunque ebe fi prejia fa- colt aie
olio di durar piuy" tgh non confumarfi,cb'egh r molto in olio, non
fieenfumi, i Coglia canato dal fiali non arde men di vna pietra , come l'acqua forte , che parta C oro dall'
argento di ebe egli i vna fpecie . Aia cofa di rozo ingegno l'imagtnarfi ebe
poffa rtnouarjivn olio, ebe brufeiando continuamente non fi con fumi : ma bi/gna
imaginarfi altra tofa * Son alcuni che dicono. Hi vana la loro imaginationc,cbe la candela nou
arda ftmprtj nella lucerna ; ma dentro U earrafaefferm vna mifiura,la qua- le
come vede Carta ,fubito C accende , e parer ebe arda foto in^ quel tempo ,fe
ben mai babbi bruf ciato per Ctnnanui. ^efo po~ ter efftr vero lo giudico , cbt
molte volte operando alcbima,lu- mi vafi di vetro ben ebiufi dop C abrufetamito
Coro, bau endomeU fmentieati,per molti mtfi, per non dir anni abbandonati,quand
fi fono aperti , e vtfia fuori apparir fiamma , ardere , & vfeirno
fumo,qutlli eofe, ebtbauea eotU,ebrufeiaU me ne fonjmentieu- to',ma poteano
efien eoftfimilhtbt atuburA b tUfo effere auut^ mudo Digtijed by Googlt Di GIo.
Batt.della Por. LIb.XIIL fi^ nmte ad vn mio amicotcht bautndo fofto itargiriottartarotraicft
9 tinabrio con t aceto t farlo bugtir
molto , finche fpirafie faceto ferrar poi il vafctc ben lutato fipra, cotto a
gagliando fuoco Jo ripofe finche fi raffreddale ^ dopi ale fini mfiv(Uendolo
aprirti ^ per veder quello, che fatto fi baueffi y fubto vfei fuor$ fuoco dal
vafcit le brtffet tutte le ei^a , non penfando egli punto $ che tal fueeeder
doueffel ebe bi tntefo dop efier a molti accaduto. Oltre a et cocendo l'olio di
lino per la tampe , (fr bauendofi attaccato fuoco dentro % coperfero fuito la
pignatta con panni. per efim : guerla, e dop qualche tempo aperfero la
pignatta, f olio vedendo faria tacetfedi nuouo . Ma a qued opinione repugna
l'e^e^ rienta i perche coloroy che hanno villa la lucerna nelvafe di ve-
irotviddere la fiamma dello l'uinotc che faeea anebor luce.Sima^ ginauano gli
antiebi , ebe come giacciono le ceneri fiel fepolcbro^ eoli l'anima infieme con
loro ripofauaye pirnon fiar n per- petuo nelle tenebre, fi tfor%pmo con molto
fiudio,e diligenzayco- me poteffero ini dentro non tar fenfaduee. Dunque e da
imagi- etarfivn altra cofa, e cercar vn altra fperienza . Ma quefio da hauerfi per fermoy e fiabilito nella
republiea della natura non darfi
ilvaeuoycfferla radice delle operationi pi merauigliofe e pi tofio romperfi queia macbina del mondo ,
e tutte le cofe an- darnoper eontrarioy ebe permetter mai quello ritrouarfi La
ondo fi vna fiamma fi chiuder in vn vetro cbiufo da tutte le parti, che non
Jpiri* fi vedr dentro per vn poco, che durer in perpetuo > ne i cofa
pojfibile il poterfi efinguere . in quefio libro molte co- fi mirabili fon
dette y e molte fe ne diranno > le quali non hanno altra caufa. Ma come fi
accenda li dentro quella fiamma, qu la
fatieay qu l'tndufria , Bijgna ebe fia vn liquore di fotti- liffima fofianza, e
che f accia poca euaporat ione; la onde fi 'vt: fa- r introdotta per
vnpocOyciRar fempre ; ma come fi pojfaae- eendercy et fon modi con gli Jpeccbiy
co'l fuoco,e'con indujtra ',^ . ageuolmente aneboruy^ decefaynon pu pi
ejtinguerfi, pernon efierut fpiraglio alcuno, doue poffa entrar laria,per
riempir quel vano occupato dal fottihfiimo fuoco nel ventre della cor rfa, o-
mero fefea fi folue fubto in fumo,e come quefio non fi pu r ifol- mere in ariay
v in olioy e di nuouo t'aecenicy e eoli con vn perpe tuofiuffo dar efea alla
fiamma-* . Hauete intefi i modiy ima- ginatCi optratc ^ cfpcrimcntatZji. DI i 9 ^ 1 DI GIOVAMBATTISTA" della porta
NAPOLITANO DELLA MAGIA NATVRALE.^ .; LIBRO TERZODECiMO. : ;
til^dlJ.IrattadiB^icoftdtlfirrit. ; PROEMIO. l Jamo impediti da fuochi
mojlruofii ma prima che ci partiamo in tutto da lorOi ragtonaremo delle
esperienze^ de ferro, gi che co'l fuoco fi maneg- fiano,,noH che vogliamo
trattare del~ arte del ferrato : ma alcuni fecreti feelt,non poconeeejfary
all'vfo bu- ' mano ,di quelli che babbumo trattato irfnp\aieJfoiOltre di quelli
cbt babbia- mo trattati nella Acbitnia. Di quella fi finno eeeellentifsim),
rpefsimi ifirumtnti, come dice 'Plinto j perche nell' opre di agricoltura , e
nelle fabrtebe delle cafe ti fev uiamo di lui%e del medefmo alle guerre,alle
vcciJoni,non fola d prejfo : ma 4i lontonof facendolo correre,e volar per
l'aria, acci- che pi lofio apporti la morte all'buemo, t per l b fatti auella,
t ci ha gionto le penne all ali . Noi infegnqremo dtuerft tempre, di ferri , per
farlo e molle , t duro^ ebe nonjllo tagli , t fegbt il ferro altre cofe pi dure
: mal'tfieffo porfido, manho fcolpt- fcono,e tagli. In fon.ma nel ftto vnafoiXa domatrite di tutti lecpfCf t. . Ch Digitized by Googlt DI Glo.patjt. della Por. Lib. XIII. 5. 31
Che il ferro con la tempra fi pelfa far pi MI- . . , . , ^durq. Cap. ,
sii*?- k; k ^v- Vi 5 - , f / On eutdente
, e chtartfsima esperunat fi vedi eoe 14 tempera fi il ferro e pi duro, t pi
moBet bo- (3 uendo io con grandijfima
diligenzA inuefiigoto ifit le cofe calde ,
fredde, checche, bmnie fi foe^h
Sy mode, duro, ritrouanfo le cofe calde
farlo, e duro moST, coti ti freddo
ftd'ithr qatd yffunqao' f'dt. bJfogno imaginar altre cagioni. %}trouamocon
lecoje contrarie diue~ nir duro, e con le amiche molle, all'vltimo fiamo venuti
alla a- %ipatia,efimptatiadclle^9cf . Gli antichi' ptnfauano qtetflo atee* nre
per tonta\di religione , e nel fiume Eufrate efiere vna cate~ eoadi ferro nella
Citt , chiamata Zeuma , con la quale Alefiart^ dKO'Magnoui leg tl pontegli
anelli della quale quando che fin de^ti^ fi formo rugimfi , e quelli che vi
Hanno non mai . Pl(n^_^ CO" i refianti\diono,cbe quefio vengbi da l'
acque, le quali quando pafiano fitto terra t'imbeuano di alcuni fuecbi, e dt
ferni di al.-' aune miniere, le quali pcjiono rodere il ferro , duro ,
moliti Gioendo . In fomma la dtfftrtn%a U nell'acuta , nella quatf
quando i.jufecato s'immerge . Et altrouo. Et.moiJmogiUk^ nobilitati il ferro ,
fi come Bibli l' Hi Aagna , e come T unajfcne in / talia , per non farmfi
metalli di fi^ro m Iquejit luoghi . Di tutti i geni la palma fi deut dar al
ferro Serico . l popoli Seri mandan quefio ferro con lefue vefii, e pelli . la fitosd4p\1ipia ai Parti lite altro gene di
ferro fitempraua dallo fimpmeqoy ^/to } perebe , ne' reiantifi ntefibia . NarMt Guftp nfio^nq \nellaGalletiaa' Htfpagna
d la prinejpainial^iadii'.feKipcl.ma J' acqua
pi violenterei ferro i perche temprandqfktftqtUa * ferro diuienpi
gagliardo, ne fi preggia alcun jttfro tra.iora* ebe non fi* tempralo nel fiume
Bibal , nel Cedtbe * . Onde.coti\ fi
chiamano i popoli Calibi da quello fiume, e n*lle.cpfedtl fir* ro fono migliore
di tutti i fi ben Strabone diee ced popoli Calth fianoin Ponto,vieind al fiume
Termodonte. Virgilt9.\ "u E ii ferr hanno i Caiibi go nudi. . * t %
Einalmente,come dicePimio, il ferro con l'olio fi rfftqllifietom s Mmm % (acqua
Digitized by Google * ^ DI
giovambattista. : della POltTA NAPOLITANO ' DELLA MAGIA NATVR ALE. LIBRO TERZODECIMO.
. l^tl qult Jt.lrilt4 diSi coji dtlftrrt. ' ' PROEMIO. N /J JAtno UJfediti da
fuochi mofiruofii mafnmacbt ci partiamo in tutto d loro > ragionar emo delle
e^erientL^ de ferrop gi che co' l fuoco fi mane g~ f iano,.noH che vogliamo
trattare del- 'arte del ferraro : ma alcuni fecreti fieelti , non poco
neeejfarij all'vfo bu- ' mano ,di quelli che babbiamo trattato
irfino\adeJfotoltre di quelli che babhia- mo tr^attati nella Alchimia. Di
quello fi fanno eeeellentifmu &pefsimi ifirumenti, come dice Tlinto 4
perche nell' opre di agricoltura , e nelle fabriebe delle cafe ei fer Mamo di
luhe del medefmo alle gutrre.alle vccfioni,non fola d ' prejfo : ma di lontano^
facendolo correrete volar per l' aria, acci- che pi tofio apporti la morte
aJl'buomo, e per l b fitti aueilot t ei ha gionta le penne all' ali . Noi
infegnqeemo diutrfe tempre di ferri ,per farlo e molle ^ e duro., che non
filatagli > efegbi i\ ferro , - altre cofe pi dure: marifiejfo porfido,
manpo fcolpi-^ fcono,e tagli. In fon,ma nel ferro vna fiiXa domatrice di tutn lecpfe, ( . il ferro come diucntmolU^P F fiASU
trattabilifiimo : onde il ferro faremo dtuenir ae [ eiaio tei acciaio m ferro ,
e ti ferro sfaremo tomo piombo. Il ferro duro temprandolo conio cofegraf' fe^
diuien mollttcome dicemmot e fenza tefe gre^ folo U fuoco lo fora molle . Dice
Plinio, il ferro infocato ft non tindura a botte di martello fi eorrempe , come
f dtujfe, che l'a^ oiaio da ft ftffo diuien moliti ft l'injbthet ai fpeffe
volte,edafo {e6 lo laftterai raffreddate nel fuoeot e'I Jerro diuien mollei
fueio modo Potremo anebora con vury modi
fartm* \ - Che il ferro diucnci mollo //
fimo onto di oliot cera t" tffa fetida t edopo luttodifu- fra con luto otte fa mefeolata paghe > e ferco di
eauallo , e fi Wo f e- poi coperto di carboni fio coti rouente per tuttala
notte ' poi iafeta eoe raffmddarf per
fecbe lo trouerai la mattina affai trattabtlei emolie , Onero togli tre parti
di folfor e quattro parti di creta in polueretmefcbia il tutto con olio.ebe
diutngbi pi mol^ Ut e poi lutatone il ferro intorno > e diffeccato >fi
euopra di car- boni aeeefit C come
dicemmo nel medejmo modo ei potremofer- mir del fewi y e butiro , I fili di
ferro injeati y e poi lafeiati eofi raffreddar da lor ftefii , diuengona cefi
molli , e trattabili, che ti potrai feruir di loroycome fe piffero di lino ,
Sono certi fue- dbi di herbe molliyC grqffhtome quello della maina feorze di
fan efiuti^ - Digtized by Google DiGio6Bat.:4tlFp4llJ>mm tt fttno caliti
quando ttmprtra$ tl ferro tn qutUj, eJteno/uecb$p 0 non acque dipliaU dt loro i
Perche fempre il ferro diutee ptm duro temprandolo meli' ae^ fredde^* ' V ' ?V,
> i 4 * i li r.*vvM.u oprare nc inolia ferri.
Gap..- Ili* ^ . i Ittmwoihe il
ferro pteaiuenir molle y hor irft^ gnaremo le tempere comeji facetno p:u duri ;
ma le O (f5 tempere fono diuerfcycome diuerfi gh etfidi tbejvo- ^Xgitamo
feruirei y perche ne ricerca tl ferro tbe b I da tagliar pane, altro il legno
Jk^tetrdy l ferro^ cio di iierfi liquore
co/ tdiuer/d infocattont , e dtuerfo ttmpu nell' eHtnguerlo tn quet liquorii
che l'effetto depende da queJt t^ Quando il ferro i enfocatt/Simo, che Jia
venuto al fommo dell iif foeamentOy ebe feinteila raggia quel colori fi domanda
di argtntOp " airtora pertemprarfi non Jt pone nelV acqua , che fi conjume
robie quando eotrr kp^reff a ttngcrjidi color d oroy omr(^o,fi dice doro , di rofa y,&^ all bora temprato in liquoTh
dtuten ptm durone quejla colore dimanda eftwguerfi alt bora. Ma da autr- tirfi ffb da temprar/i tutto tl
frro, come H color azurro, o vt^ lato la qeada, tl taglio di fcalpellt.e di
pugnali, e perche re/landa dop la tempera il ferro anebor cldydi nuouo lo
ditltmprat al- fbor /i f alienando il fecondo colorc.cio quando s b da e fttn
gaere ilferro.&^alfora immergendolo nell' acqua fi j pm du- ro. Lvltimo
colore quello della cenere, p"
alThora t* ilmanco duro che fia.Hor vengamo a gli effempi . ^eita e Irua ' * ^
' Tempera d ^ i : 1 J^fnigtxhitt ben pttr^ato daiftrrOxt r^caidato
legiermevtetpoN. batti cotmirteU'y^e formane vn coltella,poi ateomnialo di
Jima,e dagli la forma ftUita^ paltjctio alla ruota, poi tornalo di nuouo al
fuoco,e alletta il tlor delia viola, s'onge, di fapone,Mtbe il color
^bid'amintt,t toltolo dal fuoco tSpra la tjlrtribitd del fopra vn pano di lino
bagnato di olio di oHua facendo cosi f^^be ditiengbf^rtddo^coti raderanno
iateuale, e rammorbedi- '' renio la dureslck deWaictaio 'i ^i(ifedarlo'aj%i-.fotb ^fintan da q^ue^ modo
far f ideila^ . .i * . V ' Tempra del
frro per cariar legai . : ^ per tagliar Ugni vttol ejfervn poco pit
dura dell* Jopradettama pur piaeeaolei e per bijbgna rf saldarlo finche Ji
vengbi al color della viola,^ aiPbora fifmorxd nell'acqua , poi fi eua, e
quando verr il color della cenere, buttifi tutto nelCacqud freddai. Ne molto
diueif amente fi ' Tempera per il frro
per recarla venau'.. - ' tf*rep*a in oliole diuten duro ; perche delicato e fottUediS^' uendofi n eli acqua fi
torcereste romperebbe 'V'.. >'. . -1 ' -!) ' 'Tempera per le falci da
fegarhcrbcjfc' i j ' '' ' i '
-V- -. .. > V.' , ; ; . ' . Dop baurr accomodato il ferro in
forma' di fate e , infocala *^ftn ai color d'oro, poi fmomefi nel olio, fi onga
di fino-, perche' ^ ilferro fittile, e
Jmorsiando ben nell'acqua, fi
rompe, riman torto^ .
Mlflareche fanno il ferro durirsimo* Cap. 1111' Or dimoffrremo alcune
cofi , le propriet delle^ auali fono di far il ferro durifsimo perche quel H
ferro del quale habbiamo a feruirci per iftrumenta per martellar molto ferra,
polirlo, S' accemodarlot bifogna che fia
molto pi duro di loro. Onde bifi> tTcmp'dlci[rojieBleh'aiej(^.i o'wv>vn \
.un 7trcbe hjogna tbtjfkm di.honfmo ferrer' temprate f ceti /nti/simamente, per
poter bmari& accomodar glt altri. Piglia- te ongbtedi bue > e fijpongano
in vn forno adtfeecare^ aecicbe fi pojfano poluerixf^idi rutena parle,^vn altra
di fai comung% dffietropiio^tfmligtnedsrawimfi tritino ben btne^ fimefcplh
linot 4 fi pongono ip^n vif/ di degno atiaeeate al fimo nfirkan^ fi ifiexebe il
falt per ogniumidit di aere , di luoco
diuJen b**^ mido^e liquefici, AppareebiattfbefiJar la poluere% fi formi ferro
tn foggia di lima, dop fi intaglia in eroct con fcarpeUi ta- glienti, ejftndo
primo il ferro ridotto in molle, tome bsbbtamo in-,, fognato prma , poi fi fard
orna esfiettmadi ferro grande quan- to bafi a tbiitdtr dentro afe le hme,e vi
fi chiudano dentro ^ ma tutte' fieno d'intorno circondate dtpolmru e muna parte
di loro Jiouerte , poi fi ponga il aotctrchio, e fi cbiudBO le fijfure eon-lutp
con paglia, e iereo che non effa}i il
fuma delle, folueri, poi fi eteopra dt carboni aecefi, e fileno cosi reuentiper
vna bora, e pi, 0 come giudicherai ebe la pelmre bruggiata, e ton fornata, togli dai fuoco la
cafiettina con le lime con le tanaglie di ferra,e ioglu do le lime infuocat fi
buttano neh' acqua frtdda,e con diuerannp urtffime , quefia fvfta tempra delle
lima perche poco ti im- porta fi la lima non fi tempra Muicn tortai , Ma noi f
inftgna- pomovn'altro miglior ... Modo^tenprMctelimei* V' * ' t
' , "i t'-i'S ' Ti\ . ; ' /> T9gliafi
iamtMaxbtfbm9lmJramud9anrato,ftccbifit. ufo nc facci polufpo , o poi t binde ie
lame di fermo neSa affitta ^trft ben quefia pohere vieendeneimenter e f nei
modo predet- '40 Ma qnefio Oi
aggiongeremo > che mi fi pengbime due lime fio-, eterebie, aeetebe le pejfiamo cauar fuori
quando et piace, eoude-- f fiata il tempo detto ceperta di carboni aeeefi fin
tanto che i fer- ri baran fucebiata a fe la forza della pelutre , togli fuora
vna 'di quelle Juerebie , e temprala , e rompila , e fi vedrai da dentro 'F
acciaio netto granito, e purgato tutto ialferro,t ebefan afuo ^enodo , togli
acaffiuina dal fuoco, e tempra nel mode detto , fur m , Iqfcia fiar pi nel
fuoco, e fando cos vn' altro peuzcttodi
* Mmm 4 tempo 1 $ 5 ^ 1 C DQa Magt Naturale . ; i i timpOf t9gli vn*
altra di qutUt /ouerebit, e fi prouajt far ha* fiatjaetndo toii
JinektfbAmtfvrft^tm* Ntl med^tmo mada fQtrtma Temprar t clcelltaarilsimi.. . '
r To^H vna vngbia di h$u frtfea^ rifealdaU^ la batterai da vm data to'
tinrteihi pere Ih ne. /aiter fmort la meao4ta ^feeekt/Sai fuoco em babbiam
dettate Ji accomodi in vna pignatta ponenon mene ftmpre duo di neutuot aenoebe
fi peffano pigliar per far Jpertenna fe fiano ben rtuoltMt tnneaato t e facendo
tl tnedqfi* mOtdincratModurifsimi Jnfe^naremo Come li cempraaoi giacchi* ' ' '
Cerea vn giaecbo di ferro moUetdi vU prernote qmtio fi pon > ga in vna
pignattai ponendo a vicenda la poimere gtd narrata di /opra mefeolata co'l
giaccbt pot eouertOt e lutata 4t modo ebe rr> fpirit dagli fuoco
eonuencuotcte come far tempo, togli la pignat^ tacoH le forbicine rompendola
poi con vn martello,^ efindo an* ebora tutta infocata linciala caaere nell'
acqua gt narrata dt/r frat perche dtuerr duro, " facilmente rfiilerd alle
botte dd pugnale . La me fura della poiuere
che deue penerfi fari , che fi H giaecbo far de diecit dodeci libre % poniut due libre e mezxa di
poiuere ebe la .polue lo. tocchi da
tutte le parti - aeeicbe fi vi attacchi
beuei bagna il .giacche prima di acqua , poi rutolgeio nella poiuere accomoaaio ne Ila pignatta vn Jolaro di
magiiet vn altro di poiuere . Ma perche leuandola da f acqua dtmen durif lima ,
e frangibile ,0" ad vna percofik gagliarda potrebbono le maghe romptrfi in
parth bifogna dar neruo a quella durigp.at gli artijii dicono riuemre 'ioitala dt acqua fi ponga nel ba- elle e fi flepicei iuLdentro con l'aceto chefipohfcay e i eoiote fi pojfa difeemerct
coti fi infoca vna lamina larga -ai Jt rro , e vi fi - dtfhnda /opra
logtaecbo parte ai efjo e con quiiia dmrezts Verr a immolirfi , e con
maggior agouohgaa tetra lle urdrr percoffe , coti farai di vm vihfnmo giacche
tgaghardo.e da refi^ fiere ad ogni gran botta . La tempera di eofi acri
concilia ai jer re molta urezza:ma con la durenza vi va accompagnata la frum
agibilit : ma no vi fi aggiungendoti neruo,ton .ogni legiera botta - onder in
pef(zi per bfognojcbc impari come vi Ji pojfa dar . a
neruo . V .. . ' Lfqu- Digitized by Googk kJV
:: Di GIoeSitt4cU Pr^ *Llil XIL f 57 1*, V'; VPw. . i ,' *" ' ok
{ctnffrAiMpfi d p^jHccoclraf^o dtuifu fik^gfiar^da^onacaita di iambri^ e
u4tirp:V9efiifib*b^do,no* piyoito eJiif^ riiruntatoy e (oj fy^tQ de^radifo, f
dt^ufUa delia datnoraotd^t fii tu mbrtc ^ Je^e diuptiua pm mok*i #, poi tomo
piombose ri (roparpmo h m^riUfue nfu Ma in questo rodo farerrto { aeciaio
aurTffifnOtcbe con qeeeAo fo Jenza altra tempra , farai coltelli durijffimt .
Romperai faciaio in piccioli pez^R^ epmedadi'da.^M^, c ace^ando lun con t altro
p iegbiHofotira vna verga i ferro, attaccandoli con fikd*.Jerr^^ poi Jkponga
al.fHOcOtflaa'infuoebiyje tbe fiiAiOi almeno quindici volte, poi ^phtt^idaqitM
borace nrA,dtf(or%e d.iiumatbe,Ji duedi oUedi ffppte > poi batti co V
marteBo ^ che tvnifeano ir^tm fi no formerai colteUit quel ebeti piace , perche
dinerranno- duniffi^ tai-St troua vna ipeeit di acciaio ecttentijffima,cb( Jhio
tempr'am dola con acaua diuicne ecceUentifsipaa , Vi ni i vn altra menhu^ na ,
la qual ft non far UmptrdUMmamtHtt^ fempfneUmrfi peggiore, ^eiaiia^ - Tempra
dc| /eaipelo u^iar mann. rattiR tfeape^ di I# j/eiMA aM A Ilmaummr^ok. ^
p-efleitaJl al fecondo ceilpre^ com^KdgeetUa dfiutu bmHnib .uu.r ! V .V . .. U. A w . *
i - i'"'- . 1*1*^ , X ^ i *.V A.
Sca^Up cheugiiil Cetra* - . , X - * 1 ' ...... i> ' '
Qrn4o9ppdfie>i,qiteim.dmo^9oriqfoMqfifkiomtMbt^^
XacqHP*mqtef^liqqorforte,ake4>^eg9aremh ^/i guardaet^ 9Ueohrfiiottdq,^4igftfipu^j^idilbo(aetU*hmU'^
Vm X D;Gio.J3tt. I 'ili;, .Tem^tcUrpade#. 'j i ' -i . ' ' > k . ' r n'
i.* - A U I . * - -* ' n. ' k ^mpp ih/k^^e^en0^ disr, 9 diUt fiotunm^
^ti^mctLe'tagIia il parfidi Gap, VI. , .
uU.;' i-s.t S '-ri *QMR V moltrefitta he tempra dtl^Jerro per mit^kareM
'VAi# porfido a noftri Antichi, con molta agtmlet;fia,tomt* m JdnttfimOianx,a
ii^niteopre,ehi fieno perm- nute infino a noi i mala tempra non fiata feritta
iiniuno^dy atuttinafcofia^enonfiaputannfiinr'' tba gwandtfiima vergogna del
nofiro feeoiot^ tlquai f^ptmeonta%_ anzi dtfprezna quefie inuemiorti (Osi
vtili, e belliftimeJtdoi pef^ non incorrere in que fio biafimo,eon fatiehe ,
anfietd danimo% C-* fptfograruiifme babbiamo ejpertmentato quante recette btro
uateferittet.t fiate dette dAamiei$e borei fisma drizzati con va rfjmetodiy ^
varie inumtioni perritrouariti ali' viiimo fama _ rtndomi laDiuina gratta
britrouatirarifsimi madidi poterlo fare . A menonrinerefearracexintare meite
iperitnta , che mi fono auuenute, mentre andauamo tentanoquejla a eafo. Il
fitto verfaua frquefie difficolt,/e'iaempradel fcalpello era tro^o acre, e
gagliarda, alle grandiftime botte del martello, fihauam mille parti,t efiendo
molle, ilfcalpello piegar la cima , ne
ap- pena fegnaua tl marmare , per bifbgnaua che fujfe fiata durifi fima , e
neruofa, ebe non- fi fujfe rotta al martetlo,ne eaduto alla botta Oltre a ci bijhgnaua , ebe f acqua, di fuceo,
nel quale-era bifogno temprar il ferro > fufie fiata limpida , e chiara ;
perche^' - - ' quando 14^ - Dtlfi
M^gi!Wkt6p&* quando fu/it fiata torbida , mn fi pottuano fioriere i
cehrieio vintuano datfuocot nt fi pattano cor, of art i tempi dajmorzarui il
ftrro, aa dout dependo ttto il fattoi a onde t chiari, e purga- il fuciht
dimofirano littmpo da temprarli . i colori e Infogna ehi fiofiiftnO', per th
queih ti mtfirano ti tmpo di fommtrgir/h* fi tmpo i leu arti dalla tempera^ e
perche ifogneht iijerro d* oeinti duPifueno, e neruofoi pr tl color bifogna che
fia tr C ai^ gento, e toro, venendo quefio tolore fi fommtrga tutto tl tagli
del fcalptllo nel Itqnort, t pajjato vn poebetto d tempo , btfogns torlo , apparendo di nuouo il violato i di nuouo fi
imtntrge ut quii liquore, are fche durali Jo 'dnclrira tl caldo in quei
fealpetloi di nuouo fconc! la tempera . B- anehord di molta importanxai fbe
qu-^i liquori, ne quali fi tempra tl fcalpello, fieno jreddifiimtt ohe fi
franno caldi faranno manco operut:one . Ne in quel li- cuort^dofu ppa vqlt.%
bM'finprgaipil foaheilo ci fmor^t l altrq volta ; prche refanJo caldi fimo, non
fa^d fflitol fiondo-,ma btfogna temprarlo in va frefeo, e nuouo, e quei frd
tanto ejjtndo in vn vafe ponetelo a notare neif tequa fredda, acci pi toiiofi
9ofircddi, tempra fitroui fredd^mo . (ueiUJno iCm*. \ Tempre durifsimc di ferro
. Se finorz.erai il ferro infocato nelf
aceto difSato, dtuerrd det- riffimo, " a medefimo auerr in vrina dtfitUuta
, per il Jaie ebe contiene in fe . Se lo temprarai nella i uggiada di Maggio eh
che fla hia tratta- bile nelle opre toe. Cap*'/Vil[. I Ono ajfaifftm th, con
grandjfitn dUigamtca bemn oJferuato,e rfttrato,eome f affano tmnprarvnf^. '
"S ro con qualche feerrto , * arft^e nonfirpmf n^'A, f j di fcioffi .
MaqmofH no tonJdt ran9,n: curano que do ebe hanno nelle manit ^e cercano ^(Uo
che non hanno } ferebe fe mentre fi cuoce il fcrb eonfitrefflro qmOn^rfe quello
che non cercsndojon tanto {n- dio i hanno dtnan^ occhi . Dicemo dunque, cHe fi
'ta^ionei perche lelpade fi{jftzr.tn^V9linonmillt pdrth^ i fitti a hot- Je di
fcbtop fi fono paffate ; perche nel ferro vi fono alcune fiffurt per dentro, t
fi afre a feteffo in molte P^Tti } perche fono ma attaccate infieme ,0 ferebe
fono fotttiiJSme le jquame appena fi veggono', per quando fi
piegano,,.rieeeeono Acuite hopH gallar- de fi rompono : onde fi guarderai
cmdiJigenza douefi rfnfoith li fpade,'d i colttBi tfempretroueri fimtli
fiffupe., C,eeferturl9 y le parti fode, e doue non fonoM qm&e,refiJteno,
piatte, O'oJ- ' le piegature. Ma volendo iofaper la cagione onde auengonp
"queUe rtme,e fiffure,mi mecorfi, che nBe Jerrredaue ficuoct U ferro ,
noncumulndo i carboni fopra tl ferro , ,0- infiimementi queBe rottUTei e
reliquie di careni, dicendo cbrqetelt fanno euq~ * cere il ferro pi duramente,
e mentir* fi uopre con. queBe . rotte^ re, e pe ghetti, e poiurhditarboni ci va
me/ihiafo. ffeppre alcuna pietrucaa , flue, creta, e varie fporchetue , pezzi
di mattone.^ " altri pezzetti, e fcbirggie aggionte , eliquefacendofiqueie
al fuoco fanno nella Juperjicte del ferro , certe vtffichette , vacui dentro, e certe fifikr* s- e cagionano
chele parti nonfi poffano ben corgiongere con l altre parti , La, onde, fiien
p^ cofa affai voi- gjfc; r K'ilfilmau di poca eorfiderattne,Hepor i cagione,
che ne Jfuccedaro qutfh incofiuenienti . Ber tor dunque quelli impedi- menu ho
pci fiato di far ani!. Si empie yna fina di Itgnp di acqua e VI Diftitir ^OOgl Di Gio.'Baxt.' della Porr Lib.|XIII.
iviji buttano devt-> o i t i'' boni ,* pertbt'i earboni andranno . At , t fi i earboni che notano fi iogltono > e
fijeeeano % eje9* mendoti di quefti ne ff opre tue, 4 Dio bona quanto bene ti
foteed^^^ ranno topere tue f perche le ^ade , coltelli ^ feudi , giattbh
," fir tili armature verranno cos perfittCt che furia molto lougo, efu
Siidiofo a raccontarlo ; ptrebe i pettorali di ferro j ebt appenu^ giongono a
dodici libre bvi fio refifiere aUebaUe difcioppi,onde ^ a quefio ferro dandole
le tempere gideiUt ti fuceeder anno affai pi felici gli effetti . Come^ii
poifano finger i coltelli damafchini ^ ^
, f p* ' I XL ... . ' ^Of renio alcune opertioni
non dilpiaeeuolf eioiquSm ^ d& '&inaccbfne di eolttUt damajebini fon
gitevia^ arfuianofi come pofiiir.o forche ritorntno, eca^ ^f tne irff.amo'
finger ne i coltellt nofri quelle maa^ i cbie . Si vogham dunque i;M Jpada , eoltello eon poluere dt fmerigHoy * olio, dy
al fin fi purghi con la edite, ebt non refii da ninna parte lordo: ma ^lendente
per tutto d'vna chiara lim- pidezza lt^boia ^torrai fueco di' cedro mefcolati eon acqua di viiriolla qua!
fifeo'lvHrih e fe ne bagner tutto, che come far feccy ritorneranno' le mcebt
tutU a luogbifuoite parrMt^ do f ondi come di fiumi Ma: fi fi pineta | k . 4 .
^ V FalSfcar le macchie di coltelli damafchli . ' * i * Cos eeeelJentemepte ne' mfri
eohelliyehe non fi eonofebino d veri datnafiblniy .yqiifialSJteoitei^ prima,
affa* fi(qe,come di etmmo e poi fi ponghi eon la calce , poi 4- no \) i-poco di
calce cen acqua , * la rcmfcpJerai eon li diti . ctoe indi' Digiiired by
Gtrogk: 'Dlia Magia Nacarale ; mdkf* i ^Uiet t nn queSt diti cosi imbrattati
andrai totcani mtl ferro polita t * finirai le macchie damafsbine quanto pm
pmtie potrai , poi faUt fecavre al fbUt
al fuoco " babbi appa-
recchiata acqua, mila quale fia ifioluto il vitriolo,e bagnalo per fopra } e
quando ne torre la calce, ci firmer di color nero e la- feiando tote fiar em posa , lauali mS
acqua chiara > perche douo^ v la calce reSber ileolteh come era prtmo fenza
natura e ti rallegrerai dell'eletto .
Vetrai prima imitar qmelf onde , e quei ifeorft- Ha fi alcun de^derd SeruirS in
opra dciraceiaio daaiarchino. Potrai in quello modo ; perche facendolo fenesa
arte far im mutabile, che co*l troppo fuoco fi rompe in pm parte freddo to a
trattare : ma eon quella arte, di pezzi di eoltelle rom fe uo fanno htlUMmi
eolteli , e rotelle, e tamlette i, per le quali pafaem fer la trafila i fili
d'oro, e d'argento, e e appianano , che dt loro fi pojfano far tieami . Dagli
il fmeo a poco a poeo , che e'infuocht enfino al eolor d'oro i ma in luoeo di
eemre poniui gefio cotto # marcito nell
acqeea, che non poaendoui quello, far campanelle di fopra ,e fi andr in fc
agite tutto, p in pezzetti minuttffim ; Come poillamo guardare i ferri poli^
dalla rugine. Gap. X. Cofa tanto vtile conftruare il ferro dalla rnginc^ SfiSU
ee fono Hati affai, ehi vi habbino fatte ato inuefii-^ h, (Si gando , eome
quefiofi pqfia far eon agtuolexxa^^ H
ferro fi conferua dalla rugine eon la biacca, gtffo, e pece liquida : ma come
babbi amo ad oprar la biacca , non lo dichiara . Ma coloro che fanno fm^ olto
della btecoi ma fenza aceto,ongemdone il ferro, ageuolmento fi dtjtnder dalla
rngint^ * Jo alcuni ebe lo fanno cdlfeuo di ecmo,eeoi ei fiamo fermiti alcune
volte del grafo dell ligia di bue* 11 fine del Terzodecimo Libro* DI Digitizad
by Google J4 DI giovambattista DELLA PO RTA
* . NAPOLTNo della magia natvrale. L I B R O A R
TOpECIMO. H Dmofra alttiniJitUi
offarKchidieenuit ; P R OEM I O. At anebor Fartti'taecl a/ami /etiti Jieetti
tUqttoHn^ ctirmiti foffuno dim- Jlrar non filo ^an fntrauigita ; ma an~ ebora
vn ttntu afpartccbioiJequali b ab- biamo itftberato manift fiate t non pet '
ebiahiar qu parajitit' imbriaebi ' amanr- giare ima come poliamo con poca
ipefa:^ merauiglit delFarUt e, diano - * 0 gli altri mattrid di imagitiar cife
pi W/r, ^ tfquifitt \ Quefiaarte vtrfir f intorno al mangiari-, fi bere ;
dicendo pr$ma di cibi ,, poi del bere, non lftindo p(r dteune burle , che
mentre i eonmitati Ji pafieranno il cof^i ci- bi en alcuni giochi J rallegrino
f animo ancbora^T' *- '>*'>- Come
le arni i faceino pi tenere . Cap* I. Omhtciarewo dalle carni , (if-
in/cgnarfrnh 'bmf fi pf''tenere ; ilebe V mlto def aerato da go- SG ^
lo/t;ilikt rnrfirtrtmofar dimlmoduprm^ che verr ahtOiper il geno deUamortt
,appttjfo quelli ebe vengono da occolte propriet , e diuengb:o cosi N n n t
tntre% Della Magia naurale ttnertt che auj'fi l'ifotuono tn brodot e poi
queBiicbe ejftndo an~ tbor viuigli antmaii diutngbino ttnirt^ " di altri
modt . Siao ptr tfftmpto j ' Le carni della pecora^ come diuerighmo
cenere* T ulti gli animali vccij da
fuoi inimici t e prineipdlmtnte da queliti ebe bino in odio - borrortUt carni
tutte dtuengon.Q tene- -riffimt . ' Dice Zoroafie ne Gtopomei fuot , le pecore
veeife de^l lupo, e m ingiate dmengono tenerijjime , e per a^ai piu fuaui . La
cui iaufd la reifde Plutarco oc' conaiti. Dicendo la carne del' 'la pecora
mangiata dal lupo 'par che diutngbi pi dolce ; perche il lupo co'l fuo morfo f
la carne pi tenera e pi moQe. Lo fiato di lupo
COSI ca/doicbr fatei liquare l*vjfa,ancbor che durifiimc, e le eonfumi^e
perqueila cagione le carni tocche dal lupo pi fa^ eilmente fi putrefanno . dal vario modo di /cannar gli anL mali ,
nafeono dlurf^ afittiani . 'Ne fanno eiferienza di ei i eaeeiatority i cuochi,
di quali Pappiamo alcuni, che con vn colpo .hanno veeifo gli animali fi che
feriti reftan /ubilo immobili, r altri appena bsmergli fatto cadere con molti
colpi. B quello di che mollo fi UmerauigUerai dalla ferita del ferro bauer laf
ciato tal forza nell' animai vccifo, che fi pvireftce a' indi poeo,ne durvn fol giorno intiero , altri
ejfer fiati vcctfi non pi tardi d quelti rfon ejferui rifiata nelle carni degli
vceifijmnali alcuna qua^ In , e cos bauer durato alcun tempo . Ma ebe refii vna
certa^ qualit negli animali vecifi,
morti nelle pelle, e ne' peli, e nelle vngbie, lo /ebbe anebora Homero ,
ebe fcriuendo delle pelle, e i feorriati , difie il feoriato di pelle di bue
vccifo per forza, e pi duro ega^iarda delle pelle di quelli ebe non per
malattia, vee- . ebiexxa , ma fon morti
/cannati . \Al contrario quelli,cbc fono vecifi del mprjo degli (si*ali, a
quali fe le fanno nere f vngbigt cadono i peli,e le pelle fi marcifeono, c
putrefanno . Biutareo in- fino a qui. Ma queflt cofe fimo ebe fieno /alfe ;
pet^ebe non pojfo imaginarmi come dal fiato del lupoja carne della pecora pofa
di~ uenir tenera perche sii altri animali ebe non fon vecifi da fuoi nemici, e
di natura contrariale carni pur diuengono tenere , me fono di ipiriti, di fiato cos' caldo, ma il mancamento del
/angue io tengo per certo , che fia cagion della tenerezza della carne con
quefie efperitnze. Lr fernitt, e fabiani vcciji da fprauieri, e da f4^
Digitized by Google Di Gio.Batt. dell? Por. -LiK XIV. ,4^ falconi coeendojt
fono UneriJSimit nel cuor Jt troua
ilfangueag^ diacciato i'e duro. I ecrai,
t porci filuaggi vteifi da cani fona ajjdi tenere le carni ; ma di quelli
oceiji da febioppt pi dure e le parti intorno al cuore ajfai pi durecbe appena
baianofi coeere. La paura della morte manda il /angue' d intorno ai core e le
re , fanti parti refanofenza /angue fceme
nclie /egmntt liferitniu Jt vedr pi chiaro
cio \ .t. , * I i\ Come Tocche, anitre, fagiani, peratce,&
altri ccelli ... .. aiueiighiooceneriflitiio. #
( 9 faremo agevolmente , file daremo in preda di falconi id^ Mitri
vceelli rapaet;perebe mentre combattono e /difendono eer^ ' eano fuggire Ji
trattengono /otto i'vngbie di ^rauieri,fono tra- fitte da vartf eolp fonde cosi
divengono teneriebejta cofa meraui* gliofq dirji onde quando vogliamo mangiar
de gli vecelli no- d^iti in cafa. Le diamo in preda /praiert,e coti vceife da quel- li fono al
cuocere ieneri/tmi. Coti anebora.^ ' * \ ' i . Che le carni di bnoi dineng hino
tenera ... .. / % Perche i buoi vecchi t ban dure e feecbee
difficili digerirjij macellari le danno
in preda di cani di cacciatori, i quali difen- de nd alF vltimo fouraprefi da
vna moltitudine di cani , fquarciate i'oreeebie
e difettoiant da loro morji eaggiono morii, cosi portati ai maceh e
fatti in peexile carni fi trovano pi tenere ajfai del /olito T Combattendo tutta furia con gli oifi,& alcuna volta
vinti/ Muan&a ale una eojd del corpo, i COSI tenero, che mangiandola fi
liquefi acci nella bocca, . Faremo il ntedcfmo effetto ,fi tratteneremo alcun
animale alU morte, anzi quanto pidiueranno pi teneri , Peremht ^ w * ) Accioche le galline fi faccino pi
tenere Le huttamo gi da alte torri, come
fono le galline d India , fy i pavoni i
quali non potendo/ fo/ener fu l'ali per il gran ptfo del corpo, in quel chiaro
periglio della morte con fommo sforno e fatica muovono f ati.acciocbe non
percuotano in terra con tan- ta violenti^, cosi vceife in quel periglio
divengono affai ttnerz^ ,Nnn % Oltre Digtzed by Google / . Delta jKfigla
naturate Ofre s xil tlombi Vittbu $ durt
, li quali a eafo fon tanuti nt gli alti poxje^i , per bautr faticata gran
pegza ptr fofientrfe fatto Vali ptr nan fammergerfi^ ptr la fatica vfata nel
peritolo della morte, diutngono tenere pi ebe pojfa imaginarji. Da quejo eafo
noi impmrando,quando b defiderato batter le colombe tene- rtfftme, tb buttate
nel pow . ^efi medefmo ftere^ ti inj- gna Uoratio ned' Amori Come il gallo
diacoci cener. dittando vn tuo amien verr 'mprouifo a cena teeojne potrai far
altrimenti^ Sto forafticro ci verri la fera. ' 9 diuenghim Unetn 1 1 dtutngbmo
atti man~ giarfi t per gli sntiebi mangiauano di quelle
emtinm&mentei per (he f nel ^omacotcbe i tmjidigertfeam anebora pi faeil-
tnente e rimollifeom anebora il corpo. La radice della ortica feL maggia cotta
con la carne / intenerifee come dice Plinio,
M Come in altri modi la carne poffa intenerirli , Gap. 111. ^ modi
anebora di far dimenir la carnea tenera. Prima fe dop che barai vetf gli
anivjall* C ^ parai feecar al defeoperto
f abita diuengouo te- - eomineiano
patrefatf; ma non bh fogna ftarui tanto.ebe da vero fi
putrtfaceino-^tmde Infogna ftptr la lorqualett cio qual pti e meno fi ftrua\
onde noi fura i psr tfstmpio I pauoni
peroict i e fag^iam coire sintenrnrcano. Il pauone vceifo per autorit difacb
d'eftait duo giorni , ma ellnuemo tre fi conferua, aeeiocbe la durezza della
carne fi ab- batti Haliabbate le lafcia
appefi perire giorni, attacandolt i
piedi alcune pietre . Sauanarola le lafcia per fi giorni fofpefi: ma fenza
pefo,e mole che no fi debbano mangiar ftibito le per nici vtctfe, e Simon Seti
al fecondo, terzo giorno mangiarnofit
accioebe perdano quel duro . 1 faggiani d'ejiaat duo giorni, m- uarno tre
appefi doppofeannattfi deeno ferbare prtma,cbefi cuo^ _ aqno per mangiarfi. da
Arnaldo, e per non tfserno pi lunghi it medifmo fi debba intender dagli altri,
l medefmo far Cheglivccell siateaerifcano. r
* Se dopbautrgli vecifi,la notte le porrai d i raggi della L'-nar r ibi
coti diuengono pi facili d cuocerfif ptrebeTa luna molto ghua Digitized by
Google / DlGio.Bat. della Po?; Lib.XIV, j ,i ghua alia untrtfzs dtilt farni,ebt
non altro ehi vna urta pu- trefattione.
B di qu viene ebe i legni tagliati lume
di Lunaji putrefanno pi tof't^ &i frutti fi maturano pi volentierheo- me
impara Dafni mrdieo apprefto Ateneo. Come idiungono toeri gli animali coperti
^icrufle. Gap. IV. Rima cbe laftiabto di parlare tome fi faeeim le far- ne
tenere, non far eofa fuor di propofito infegnar come fi faceino $ granebt
teneri di altro modo cbe babbiamo giaietto prima . Come fi
debbano ' Vj * .. t ' 1 Far i graqehf
cfrl a cPufta tenera. */ ' ./ %pmaeosili fannehf vnaiolet,t molto grata viuemin per le tauole
di gran fignori , parlodi quei granebtiebe uafcono neli'aeyte doieti perche tn
y tneggia nhabbiam mangiato di quei che nafcom da_^ per loro in mare con la
cruia tenera , chiamati volgarmente rnoltecbe : non eos dolci e faporiti come quei che fi fanno in Roma ,
ebe alle volte vendono vn fole vn gtulio . Var- iifitio quefo. N elentfe dt Giugno Luglw Agofio, e Settembre
fogliano i granebt mutarla erufia * e buttar. via la vecchiezza in quel tempo i pefeatert van le ripe di
fiumi ricercando dout.^ veggono le loro eauernee bufi mezzi otturati,eoji
conofcono gi yser venutati tempo di mutar la eorteeeiaiperebe quanto pi la fior
ga fi va intenerendo, tanto pi altamente euoprono ilor bu- fi, la tenerezza
comincia da pied^" a poco a poco occupa tutto il corpo, le rubano portano
a cafa ,tifa ciafiuno danno vna pi- gnattina per^eafa, ^ vi pongono dentro
tanta aequa, ebe ginga alla metta del
corpo, e lafeiano coti per otto , dieci
giorni , mu- tando l'acqua per ogni giorno , & la corteccia fi va ai
pafio pofso facendofi Unir, quando fora
tutto remollito, e diuien tra- inar ente come erifiallo, fi fingono co' l
butiro, e co / latte, e fi pon- gfina a tauola, Alci meejmo modo cbt^ *7^n n q.
La Digitized by Google if 5* ,v . .
IDlIk MagUfhur*afe - ] - LalCuAa
diuenghiCcoeral* Fartmo iperebc anche e Qe mutano U /corca come i grantbit
facendofi nei mtitfmi miio% ilebe Ji^to
fatto dalla natura eoto, gran prudenza ; perche la crufia faeenioji ogni bora
pi den- fa , dtuengono pt pi^ri al mouerfii onde quegli eferement?,% ebo
andaranno prima alla feortM, vengono alla Jeeondatiy andando tutta via
crefeenaot Ji rompi quella di /pra efene cadt^t Che gli animali diaenghlno pi
faporiti) e pi graffi. . Gap. y. \ i U Eguitiamo come gli animali pojfano
duentar pi/t grt/j iiepittfaporitu per portarli poi ieonuitanti gioeotfdit
dintorno aua qual eofa gli anttebi nefur pigri y ne mal accorti y la onde fe ne
trottano molti - fvodt cofiappnfo i euoquiy come opprejfo i fcrittori 4ek'
agricoltura, Ingrajjdrgli animali ritrouarno i giottonhoei pi outamentey e
delicatamente fe mangiafferoy e per ietti da gli antichi aitili y ebe con alto
ingraffamentofujfer aBeuate nodri- ti. Si ebiamauan auiaria quei luoghi ydomc
quefi veeeBi rincbior- fyefeperatis'ingraffduano. M, l^io Strabane f il primo
injlh tutorcy' aggiunfe queAigli
ingraOater 'tyche bauejftro cura d quelli laf dando anebor firitto ebe cwofi
douejfe dar ad ogni ani mal per ingraffarlo , Quefio ingraffamento fi f pi
comoda mente d'Ietmtrno ebe d E Ratei perche in quel tempo delT anno gli
veeelli fono migliori yt fono dtfeceati per il partorire i polliy fe^ ran megli
i mafebiy ebe le femine , e quelli ebe non hanno anebo- ra cominciato a calcare
y farjpua, Cgi^ finita VE RatCyquan do
anebor pende t vua ogreRa dalle enti % fono megliori , Inji- gniamodunqut^r *
Come s'ingraifino le gallQet& altri vccclli. Cerebifi vn luogo ealdoy'
ofeuroy e eiqfchuna di hro fi chiuda invn Jpatio , ebe appena vi fi paffiuo
riuoltarc y tybabbino duu bufiy per l'vno di quali camno fuori la tefioy per
Coltro la coda to- Digitized by Google
DIGlo. Bar. dIlaPr. Lib-XlV. .fji *ttiotbei pojfiroiorfi il cibo ^ t distilo
mandarlo fuorufattifiU 'Itilo fotto di Jeno moliti che dormendo nel duro non fojfono
in-' gradare , dtptumiji tutto il tutta il capo , U gambu t Jetto rati,
ttccioebt non ertino pidocbi in qutfti luoghi, t che il ferto non vi fatti
alcuna vlctra. lltibo faranno bocconi di farina d'orgio impaSata con acqua ,
ntl principio poto , poco , poi darjent tanto, quanto hajlino
digerirlo, nt ft gli deut darilnuouo cibo, ft non tentato la gola Je baurd gi
digerito il paJSato,come far ben pafeiuta , fi lafci vn poto libera ', ma non
molto, actioeht fi alcuna tofa ntl corpo le d fafitdio, co'l becco ft lo
toglia. Il tem- po 'ingrafiart non far tbe giongbi la quinta , vigefima luna, laeelombt fierili, & polli
fiotto le madri ingrafiano pi ageuol- mente , fi le terrai alcune penne, e le
Ifegzerai le gambe, che non vadino camtnando } ma fian fermi al fiuo luogo , e
da di pi ' topiofio cibo alle madri , tbe pojfino nodrirloro , e fiuoi polli .
Lt fortori singr affino Eftade, non
bifiogna altro ft non buttarfieli il cibo dinanni , e principalmente il miglio
> perche fi comjpiaccio- no molto di que fio fieme, e le porrai l'inuerno
quattro foli mtfi fi concedono qutfio
ingrafiamento , non fie le da altra il giorno^ 9 )e cibarle tre volte di
farinata , e di farina dand;ftle in gran- tfiima abondanfa il bere ,* 014 in
quelli duo mefi , non bifiogna darle libert ebe vadino vagando, " i polli
quando fono affai piccini in quaranta giorni diuengono ccecllentffimi . L
anitre i ingrafiano d'ogni qualit di cibo ',ma principalmente di fru- mento,di
miglio & ort^,e difquille aquatiche, locufie,' ammali palufri . Da
Calumelta i faggiani, le pernici , e francolini , d galline India j 'inzaffano fiando rincbiuft ,fi ebe
il primo gior no fieno eibate, nel fecondo molta acqua, fiele dia vino gagliar- do : il cibo fia
farina di anzo cruda , impafata con acqua , por- gendocelo poco
poco, poi faua ptfia mola,farinata,t miglio intiero, il fieme di lino
cotta, e fteco. mefeolato con fariua dt or- KO cruda qucHe cqft potrai gionger
olio, e fardi qutfio bocco- ni, e darle in eibojtbe fi fatolTino di' que fi, f
ingraffino, al pik in fefsanta giorni. Segue ebe inftgniamo Come ograifino gli
aBmali d quattro piedi.. le porco pi di tutti potr ingrafiarfi , per th
ingrafsa infef- fauta giorni f ma quando fi ajfamatoin tre, tome i refi asti
ani- mali- Dlyi' by G'-^Ogle : j Maga naturale ' mali Suo cibo } Forzo
migUotgianda, fito pero, e etiruolUe rU po/o , eo'l mouerfi mai in^rapi .
Oltre ad i porci diuenOM 'pi graffi ,
rittohandofi net luto . Ingrajfmo principalmente il fichi , iletee, erodono dt
mutar cibo . 1/ ar rane . Il porco s tn- -grajfa con la faaa,orzo,e dt
repnttgtnert it grano.it qualteo- fe non foto ingra/ano ; ma dando giocondo
/aport slit earnt . 'ngrajfano le pecore
l'oliua , olia* /duaggia , afac a p agitai & berta , lequale eo/e
/ranno di maggior efficacia fi jeranna aPherfe di fate ; ma ajfai meglio far
.jatigandole per tregtor^ ni i e fenza etbo, come vuole Artfotele Le /tue ,
lefiltqu riho giocondifiimot" in fafidio venendole potrai rimediare cof^
fule, tlquale, per condimento del cibo
nell' eFade fi porj* nt tonali di legnose lucanole da qtiel fapore le vien
voglia t di pafeert , tome vuol Qolumeda . l buoi ingranano ton te bto/^ dt ,
berta , orgo fama ptfa, & con
Ftfieffa berta della jaua^. Oltre i ci con l'orzo, intiero,
pefo, e ftparato dada fcagltUt tofi di cofe dolci, come ficbt /cechi,
vino, /rondi di olmo, e lauan^ dolo con acqua calda, come vuol Anfotele . Noi
in Surrenio It nodriamo nelle ca/e, dandole in etto quello che noi amanza dah le tauole, outro due madri daremo vn /oh vitello , coti nodrttt
da latte ajfai copio/o, appena per la loro grafrZza poj/onoeamt^ nart, 'PJpi
nelle mangiatoie le laffricamo dt pietre dtjale , eoo leccandole babbino pi
voglia di bere , e cofi le facciamo d vun-a gramzza, cttntrezza mai viloL^' * Come le carni de gli animali diuenghino piu
dolci. Gap. V I. Or con alcuni cibi, " urtifieFnon /oh faremo graffi le
parti: ma gli intieri animali ,e li faremo pari* mente e pi dolci, t pi teneri
anebora. E primo Come fi pu ingraflare il fegato del Tochc. Dice Plinto: Quelli
che /ebbero pi di noi, e ebe conobbero il f* gaio deir acche tfi^er
bonifiimo,ilquale dando/eie molto b^emar giare ere/ct in merautglto/a grandezza
, e cattato fuon con latto Dulil^ed by Coogle Di Gio.Eatt. della Por/ Lib. XIV.
5 f$ , u...' >to crefee anchor ajf*i . Ne fenzi cagioni /! fuo rietrcArt%
chi fii colui che fu il primo ad inueniar tanto bene, Scipione^ ^ Mettilo buomo eonfulare , ouero Mar. Sejo
Caualier *I{pmanot che fu in quel tempo. Il modo di farfe f inftgna 'Palladio,
'Dopo . che fiato ingrajfato trenta
giornit ft ti piace, che il fegaelo ft le facci tenero dagli da mangiare fichi
ftccbi ptjit , pofie i molle nell'acqua , facendone piccioli bocconi , "
per venti giorni con- tinui ne darai all'occbe . Dicono cos i Quintily . piando
fono erefeiuti, farci in pezzetti le fiche fecebe, e macerandole nell' ac- qua
, dagli bere perlpath di venti giorni.
Alcuni per farle far gran fegado e per
far anebor loca affai grajfa.Coi fanno, Hauetfdole prtmarinebiufe , le danno in
cibo grano bagnato ouer orzo nel modo
mtdefmo ; perche il grano- j'ubito ingraffd
e r orzo f la carne bianca . Dtafelt in cibo le cofe gi dette, ai v vno ad vno, due per venti giorni dandole due volte il
giorno mangiare di quelli bocconi, fiche
ne' primi cinque giorni Je li diano fette bocconi,e cosi principiandofi vada
crefeendo il nu- mero infino d venticinque giornitcbe in tutto fieno trenta
giorni , iquali paffuti che faranno, buglierai le maue, dy in quel decotto
anebor caldo le darai grano bagnato,e ci farai per quattro gior- . ni, e ne
medejtmi giorni gli darai acqua melata, permutando- la tre volte al giorno ,
non feruendoti della medejma , e cofi ne* figuenti giorni infino feffanta,
feruendoti co'l predetto fermcn to di
fichi Ceethi pefli per lor cibo , cofi dop Jefsanta giorni i potrai feruire
cosi dell'oca , e del fuo fegado graffo,e bianco, il qual tolto dal corpo , e
pofio in vn gran vafe, nel quale fia acqua calda, la qual-muterai vna," vn
altra volta . Ma Cono miglio- ti cosi i corpi , come i fegaJi delle femine. Ma
JUnt foche mu - di vn' anno ma di duo infino quattro, H oratto fmcnt:one di
qutlt ne' fermoni fuoi. li fegado pafciutodelli fichi' a GramdeU'oche bianche.
. > . . E Giouenae nella Stira quinta^, Ec vn fegado grande gii deiroche '
Pafciucein cala. Martiazj. .? Mira it fegado gonfio, che piti grande:' Deiriftelia oca, mi dimanderai
.v Doue crebbe quello Striue Digilized
by Google Della Maga Naturale Scriue AUnt9% tbt quefio furo in grandiffmo
prtj^io in Ko:r' dop vccifa Poca ^Jtcaua il ftgaiot t ponil \ntl> ale qua
fredda^ 9kt fi facci pi fodo 1 1 dop Jrigsh fic'Ja fartagint col graffo di
ocutc condtfceh di aromati t cibo di
Prtntifitt celebrato da^ Moki . ' Htl medefmo modo ft pu . Iogra(Tar il fegsiio
del porco* Plinio* Se vfa coti diligenza al fegado del porco,come d quello
deiPoea. Vimutntione fkd$ Af. Apttio > quando fono ingraffar di ffebi
feccbitc ben fatoSi t vecidono di f abito f dandoli bere acqua melata. Apttio : fdel ficaio ( cio
il fegado di porco ingreff- fatJ di fichi ) fi poni ongaro pepe, timo,e liquor di Icgufiicotvm poco eb
vinot & olio . Etto dice . St alcuno pafeer vnammaldi fichi /rechi $ fia
preferitoti fegado di porco tutti,
Dieemo per Art ilo tele ebe il porro
principalmente t ingraffa dt fichi % tcc- ei. Qaleno dieefi come ne porci
fiingr affa il fegado di fichi ftccbi per deiitie > mentre fon vini eofi nelf oche fi vede ebe il cibo ma- errato
nel lattei auiocbe non foto il fegado fia faporitiffimo f ms etodrtfca
mirabilmente y e fia di buon cibo. Ma Jivorrc r ' Che le pecore fieno pi
faporice i mangiare. Le pecore fono folu
p*fcerji di laferpitio, e primo rejlano peer^ gate , poi cominciano ad
ingraffarjt y e fanno lor carne meraui- gliofamente gioconda, Plinio. Onde
tllafere per molti anni pi non fi treua nella Pronincia di Cirene ; perche quei
Pub/icani > ebe li danno i pafcoli y perche fanno eofi magior guadagno f
barn eonfumato per i pafcoli deUc pecore , Oltre i et nell'India y o
principalmente in Drafione vi pione miele liquido iJquai caden- do, foura
(herbe e neSe ebiome delle canne
paludegue y danno mirabili pafcoli uBe pecore
* aBe capre > onde fono da pafiori tacciate in quei luogoiy oue i
caduta pi ruggiada da! cieloye eofi di quei pefcoliycome da gicondtffimo cibo
fono pafeiuti, i pafiori con vn lungo mangiare It eompcmfano vicenda ; perche premono dalle pecore
fuamtffimo latte ne fanno, come i Greci y e bifogno temprarli co'l mtica
mefcotarlc . ^Da Acimo. Ma co- me fi faccino i Pol- Digitizfed by Di GIoBatt.
della Pdr^^ Lib. XIV. 557 Polli bianchi > teocri > e fuaDiflinai.
u/ini>i foltmo appareecbiart agli amici la^irtmo in altro modo^Verdue
/ittimane prima fi incbiudno in vna gabbta in vna camera O" ^ qucBi do in
cibo vn piatto pieno dt moiiiebe di pane bagnate nel latte f alcuna volta di
mele cefi pafciudi quefio cibo diuengono
gre^ come i beecaficbi al tempo de fichi t teneri tanta che fi liquefccino in bocca e che auanztranno
di ^Sapore i fagaiani francolini ele Jlarrte
e quefio mi par che gli antichi tbMbinh faputo . Dice Plinio . Effendo
interdetta nelle ' cene degli antiebi la gallina s'inuentf abito il modo di
trafuiap f editto pafceuano i polli con i cibi macerati nellattee cofifiman
giauano con pi gocondiffimo fapore e Columella . Quelli ebe vogliono fare non
fola gHveceUi graffi: ma teneri
^argenola farina con acqua melata frqfca e di quella gli pafeono .
Altri ire parti di acque ei mefebiano
vna di buon vino ebagnandoui parte di grano ingrqffiatoF vccellotlo qual
cominciar ad ingraffi fare alla prima
lMnanella vigefima far graffiffimeu^ . Come le carsi degli animali li poflno
hrzlsaxt e da difprezzarii. Gap. VII. lendo re^armiar la fatica fi arcuando
quei tem- pi ne' quedi gli animali fi
pafeono di quet cibi per far quello la
ondi alcune volte diuengono le lor carni veUnofe, Come volendo noi Che le carni
di cerni dincoghino Tclenofe Dice Simeon
Sethle carne di eerui che fi prendono Vefiate per che in quel tempo fi pafeono
di vipere e di jerpenti fono veleno^
fe r per tal cibo diuengono
fitibondi e quefio lo fanno per oc-
eolta natura ebe fe heu^ero aequ prima che bauejfero digeriif futi r Digitized by Google 5>t Della Magia naturale qiuJeibe mrrtbbonot *
ptr toltrano tafcUt tfifentono abbrm- Judr da quella. Dunque le carne di eerui
prefe in quel tempo deh 4'anMtj9novelenofete molto noeeucli. Sifanebora^ .
Qnaado fono le pernici pcffimo. , . X
' Cioinqueltempoebe mangiano
degli agli. I popoli Cirrei Rrex.nartl cibo delle pernici per quello che
mangiano \ perche, guiati gli aglhlalor carne non fi pu pt mangiare* e pug^ ohe
i diq>rcKxata daltifiejfo cacciatore . Coti ancborA^ Le quaglie , e ftorni
fono dHprezzaci In quel tempo delt annacquando t eHehoro loro gratijjimo eh hoionde quando le quaglie
fi pafeono dieUeborOcCOnaucono quellt che ne magnano in tanto pericolo della '
Gli Tccelletti da fprezzarli quando .
Sono mature le haeole del taffo* che alP bora le penne gli ditte- gono nere * e
gli buomini quali mangieranno di quelle-
1 fegw muoue il corpo I come dice ^iojcoridtmt . Lotta dei Pefel barbi fi fprezzano ^Imefe di Maggio ;
perebe fono pericolofi. ne fon F ouaneee moli per lor fiejfe , ne partorifcono
quel male * perche non fan no fempre quell' eftito*cbe fi mangiano con gran
gufio* rna fola ifL^ quel tempo fono noeeuolt, quando mangiano t fiori di
falich che cadono nel fiume* nel medefmo modo fono . j Le lumache da
difprczzarfi. dittando Hanno attaccate alle fiepe * d gli qrbufcelli aeeofiatt
{ perche all bar turbano il flomaco e'I ventre, e muouono il vomito* Jecondo
Diofcortdt, Nc folo l ifijp pongono ^u/I eei : magli loro eferementi* come tl
latte* il meU*efimtli Coti Digitized by Google DI Gio. Bar. della Por. Lib.XIV.
' Il lactC) e da fuggirfi quaado Lt capre Ji pafconoy e le pecorelle de verdi
pafebi^perebe rimol- iifeono il ventre : ma il latte di capra aJJai meno ;
perche auefti animali Ji pajfono di cibi ajringentheome rouoret lentifeo /rondi
d'oliue, e terebinto , Ma inqueiluoebitoue le pecore mangiano elleboro
yclematidetc mercuriale ogni latte all' bora fobuerte il ven trctc lo
fomaeotcome babbid detto ejfere accaduto ne* monti Giu- Jlini ; pei'ebe quelle
capre , ebe Ji pafeono delle\fr'ondit ebe primo efeonot non fanno, " il
lor latte beuuto muoue naufea., e sommo- ue il Jlomaeo a vomitare . Da
Diofeoride. '^itrouaji anebora il Miele velenofo . Come quello che nafeein Sardegna
; perche iui l'api Ji pafeono dell' a(ientio\ln Heraelia di Tonto in certi temi
de l'anno f f vn mele di erts particolari doti di Jiori,del quale chi ne
mangia^ mien fuori di fntimeptiy e tutti vanno in /udore Da Diofeori- de,
nafeono dnebora^ Voiie puxsolenci. ,
Quando non paianone fiori ne berbe,cbe le galline aU' bora fi pafeeno di fierco
) e cofi g altri veeeUi che partorifsono oue ; ma alfhora far l'uoua pi
faporite,cbe maquando mangiano sof grafie , frumento, miguo, t panico ma quando mangiano afitn- fio le fanno vn
poco amarettce . Come n pu far vo animai arroftito baglito > e fritto in VQ
medefmo tempo. Gap. Vili. l babbiamo dato fodisfattione al palato , re Sa co- me
pofjamo dar reereatione a eonuitati con qual- che piacere, cio Come fi facci vn
porco, [e ballicci arrpfiico ' in vn
cempo . Atbento nel libro delle cene di fapienti nono f metione d que- llo
poreOidieendo. Ci f portato vn porco , ebe la metti era dtli gentemsnts arroflito,e falera metta
boglito,come in aequa dolce- mente. . 4 Digitized by Google 5^0 Delia Magia
Naturale fy- appartttbialo ton merauigiiofa arti dal tuoeo^h non fi vaat* ita.
da tbt parti fi^i lato ammazzato ; ptrcbt ira fiato ferita di pieeiola ferita
fittola fpaOate cottole tutto il fanguiytauati tutte fintifini dili^enttmenti
co'i vintt poi attaccato per i pie- di di nuouo bagnato di vino fit boglito con
molto pepi, e la mettd del porco ripiena di farina , vino , orzo impaliate, e
pofo in forno foura vna tauohtta di ramcf e cur ibi fi arroftif e con taf
temperamento , che ne fi abbrufctaffe ne
fi leuajfe,cbe fufft crur do, che come la pelle cominciaua ad apparire
arficiOtfeee eongetr tura cbe il reftantefuffe ben cotto, e toltone la formata,
iopuofe Mtauola. Nelmedefmo modo fif ' .
i 11 capoti arroftico e buglito. .
. . Potremo vn capone ben pelato,!
netto' deSe feee intefine in etn piato di argento , e lo riempiremo irfino alla
metti di brodo , e lo ponemo in vn forno ; perche la parte di fomrjdri
arrqfiita dal calar del fumo, queda parte di fitto del brodo buglunte fari bn-
gfta I rie feri men dilettofa a vederla *
Voa mureoa in vn tempo friccabogIicat8c arroftiri Prima cbe fi porr a eoetre la murenaji terrai
le fjeie^befia fteen fifttdiofa al mangiare ,nefiando tutte le carni impedite
dalle l^ne , ilebe auerr bauendo in mano duo baUoncini firingendo- aei ella nel
me%zo , pulendo , c rompendoli il dojfi , e fii toltone la tefia,e la coda,
doue faran ridotte tutte le libine /
buttate via gli tnt fili, ficcala nel ipedo,c quelli parti cbe vuoi tbe fimo
fritte , e boglite, auolgUe intorno due,
tre volte con fcfiiette di tela di li- no , ponendo prima fipra la
murena pepe in quella parte cbe vuoi fritia.& 'm quella buglita petrofjim,
zafirano, menta, finoccfi , e pafii ptfii , e fempre tenendola bagnata con
acqua,'! fiale, bro- do, e e la parte
fritta con olio, e falla rmoltare intorno al fuo- co , e con vn fafeietto di
origano vi fempre bumettando 'quelle . parti, e come la par te cruda
jfdfdarrftita, filila dal fuoco, r fi
vede eir- eondato dal fuoco, coti eominciar a bere,e rinfrefear le vifeere% t
le parti di dentro, il core, glt altri
membri. L'acqua rilega d corpo, e lo purgale le netta l'mtefhne, e come fer
cotto di Juori% fi cuocer dentro JiagnandoU con vna Ipamgia ben Iptjfo la te
fin per rifrtfcare il ctrueOo , e' l core , come vedrai che comincia ad
imbalordirete cominciar a eaderc,e ebe
manca t tumido al core% toglilo,e ponilo manzi a convitati, che fraceiandole da
foura le ah, e'I oeito, butter firiii,cbe far pi tofh,mangiato,cbe mer-' U Ma don bauer ferino quefoF b vifo far da vn
euoebo con grand.fjin t diligenza, Piecaua in mtzo vn haflonccUo rotondo^ ut
accana f oca perii nafo con vn fildi ferro, e'I ferro attaed caimc vni aneOo,
il quale flaua infilzato atba/lon dt mezzo, che; V ilendo fu^ir la violenza del
fuoco, eorreua fempre intorno, e la' tuia fra pi rtmiffa dal fuoco : e faeea
l'efftto con magior efi^ cada. Se dtfidertrai a tauola mangiare \ vn pfccioa
fenzi o(Tc Coti gli le terrai, fntntrerai il pieeione,e ben lauato lo lafeie-
rat neiT aceto per vn giorno, j" vna notte,poi lauandolo dt nuoue per tor
la puzza deO' aceto, e ripieno di berbe odorate, " aromati ' boglile, arrotlo come ti piace, ebe lo troueraifenza
offe, Anti* cam/nte era [olito ne' eonuiti porli a tauolo-^ Il porco Troiano.
CU antichi arebitetti deOa gola fabrieorno vna maebina di po re a tauol tvna
mtlo,ouer vn bue eotto,e vary geni di animalt,e dt qua ha ritroutto il nome il
porco Troiano, ianiofele tal nome ebe tener rinebiufi mi ventre tante ffieeie
di bonifitmi animali^ come il eaualh Troiano tenne buomini armati. Maerobio
referi feenel Calo libro di Saturnali, ebe Lmeio neTorationt, quando ptrfuafe
la legge P lamta limoierar le ^ffe, bauer rinfacciato tlfuofecolo.cbe portafro
a tauola il porco Troiano . Perla legge dee ipifeera probibito il allo del
oireo feluaggio , H porco' Tmiano. S' vceideri il po'^eo con vna ferita Cotto
la Sp *la,e co" nato fuori
eophftmente il langne,le eauano fuori f inteiline,eoiO Ueefe loro MteeaUtt dopo lauato molto bene to'
Ivinotc attao*^ ' tato Dgitized by Google Di Gio: Bat. ceHa Ter. lib.JlIV. tare
fer i piedi, Ji nueuo lauato tci ^ino J huglur etn meiie pe- pe dipo Ji riempir
ut e le quali farai in quefio modo , lama, e tu tta bentfittno le f terze
tolte, tanto lepifa fotUlmtnie,tbe qua- fi vadi in vento la polutrt, e lafeia
maettar in aeeto forte , ouer atito difiOuio fintbe mengbino moBebe
laftiandoptr vnborr f uomo nelf aeeto dtuten moU*talehe lo potrai far entrare
per vn fir^tta botta dt tarrafa,t tome barai po/io , ponendeui dentro 04 U'
aequa frtfea, torner ntba durezza di prima, tbe fare mero- mtgltoee, tati
quando quelle ftorze baran prtfofotma di vngueu $0, eon vn pennello lo ^argerai
d'intorno f uomo gi fatto faeen- oh prima vna coperta Jottile, poi facendo
fettare,e tosi tante,eb , oto vengbi alcuna grrfittta y Ma m quello vnguentc
pcner di ut om poto di g omma dragante, posto' l pennello patendoti taf orz
otaeo-i p naturalo^ a ^ Ooo' a Cooea ) Digitized by Coogle f ^4 . DellrMagia
saturale Come s apparecchino le viuandeni ^oel luoghi dooe manchino le commodic
di cuocerle. Gap: X. 1 Cc/tAe AcutiA vUa na , cho coti tfpciirai con. piit
preftta , c meglio , iwj^ jc vuoi Cheli pollo fi cuoca fetiza fooco. V - Cbcritrottmdocipermaggio,ficuotanoperla
viaponght/lntl fuoco vm penna di acciaio , / come far infuocato ponilo nel ven-
tre diyn pollo' pelatoi e nettato dllnteriora^ e euoprafi beni Si' mo di
panm^ehamn fnapertlxtdore feben putir vn poco di odor bru agiato, far buono pur
amangiarS, Savi barai ferri ebe riuoitino il /pe do, e efideri Chra Tccello li
filcd arrofto la fe ftefio . A- yferai quefto artificio : ebe liftefib veeello
rivolti il JptH Stri me Alberto Magno, 1 Vceello chiamato ri pirciolo,ottr
rtgn* la ebe il mmimo di tutti gli veetllt
, linfilzerai innm /pedo di noeciae poniaifotto i earbohi aecefi, ebeveirai,
ebe fimouer n fe dtp\ilehe aieieni perla propriet dellegno, e non daWvecelb,
& il Filofofo tingannb in que/h eafi perche ponendo fuoco foV* tola
Vfr^adinoeeiola , p torce P thepar ebe firiuoltiddfe e qualfittogha carne ;
purch fia di poco p/b, mouenio il JpttP intorno intorno fi verr a enocere . Si
ebe Loo Dgitized by Google Di Gi Bat. della Por.' Libn *-ae- qua . Pont tl vino
t.tila earraja , cb* ag^wt,^ut i n poco diactjUA aentro, per far eon ma^tor
a^tuoUi^a tl Jatto poi potr, /V nane in vn catino di legno, e Sfargeraut'. di
Jopta Jainitro fefio grejfamentt, onero faiazx.0, eto ilfatmtro da
putgarji,aexxc t.o~ ' SI volgarmente, eoji tr.ouertmo^er intorno la tarrafa,e
Ji eomin- etar a congelar, a' intorno . Quei ebe eonferuano la neue nete- fiade
, che duri affai i e Jia ptii fredda . Faeetji prima l'atqua f cruente alle
eadaie di rame, poi fi ponga nelle Une,efonendott alla tramontana di Gennaio,
perche s'aggiaic a queir aequa,e di- mien la neue affai ptu ura , e fi eonferuar
ptt lungo fimpo Far gli huomini ifxibriaghi temperati dal vioQ. Gap. X 1 1. ^
Oiebe fame venuti nel ragionan/ento del vino, pr~ ma (he ei partiamo da quello
, '.nfegn aremo eomt^ poffiarm mbr tatare i nofn co uicanp, e fanno venir
doglia di iella : ii ttelamtno , pan
pare: no aggionto al vino fi fbuomo tmbriato,eofi l'ambra, e i Sibariti prima
cbe beuano,Ji preparano co' l mangiar della briaca . Ale^ * Luoco
purbeueftia(nii>horgraue il capo Ritieni, ( ronnieo per guarir quefto ,
Quando digiuno fci,che d dia alcuna Dalla bellica braliica|, ' Coti Amjt. Ne
ci rinoedio pd predo, e piti bello A gli
imbriachi, accadendole alcuna Cnfa,chegli ha daea,tn quel idance > ' .' Che la bracca mangi, e concro4}ueHo
Non rimedio di maggior valore^ . , .
Alcuni bevono in vn vafe diamtRo,quel rimedio inanci al Pere , come dice
Ateneoycciocbe potejfero bere pi fiouratmnte . Se mai' in altro modo] reprimere
a farXAdtlv'ino,eprincipai- in ente quando barvn poco di acqua dentro, perche
imbriacm pi tofio'cbe queUiicbe lo beuong puro . Ctnfegna Africano . Se barai
da btre molto, mangia prima tre , d quattro mandolt^ 'amare, lequaii
difeceano,e confumanp rbumidiid,e perci guari- fioriti t imbri aebezzA . Narra
Plutarco appreffo Trufo medico, jferui chi mangiando prima cinque, fei mandole amare provo- cando altri bere, tjfer fempre rejiato vittoriofo . Il
medefimo fa- rai con la farina della pomice, fe colui , cbe hard da bere ,fe
li^ pigli prima ima aggiongt Teofra/io fe non bevi poi beni/Jimo ebe vi far gfan periglio , e ebe Eudemo dur
infino alle venti- due volte, e poi entralo nel bagno non bamr vomitato nuSa^
fy. bauttr Digitzed by Googlc Di Gio.Batt; tlelfa Fot. Lib. XIV. 5^^ ttautr poi
eoj cenatOtfomtnm bautffe mai btuutOy ebt a forz. fetta dt difettar t l'bauea
faluato E buttata in vn tadt di mufia th buglie , th fubito tjitngue quel fermr
del vino . Fu vn'al- tra meditina apfrejfo gii antitbi padri no/Thptf
tftingttere que- Je imbriatbtzze tbe nel
fin delia cena , fi mangtajfert te lattu* tbey per efierno freddijfime , adefio
le vfam nel pnnttpio dela^ iena per mauerei f appetito ^ Per Marititi La
lactoca che chudere foleua De noftri aui la cena, noi perche dunque - Hornd principio del mangiar Tvliimo ?
Diofeoride la tbiama aevepula i perche probibifte l embriacbez., li porro
taccia limbriachezza, e colui tbe prima tbe mangi . piglia il grmcogQnarHf
entit la forza del e mefiolato ' con mirra
ij- infufi neivino > tbe fi beue , f ficuro l'buomo del- ^
timbriacarfi . iuefia fu inuentione di Moro R degli Ajfirq da Plinio . Habbiam infegnao,eomt taetiamo
viatimbriaebez- za t bar tbe bifogna feury ebzji t Ya 011*2 amico del vino
rodi|>& abborifea. Molti finoy iquati per bere troppo liberamente il
vino per non tJSere eofa pi peritolofa, cadono in molte infirmit, e finalmen-
te in morte > ma fi defideri tbe vengba in odia " abbor rimento d?* il finte elitario fufie troppo lontano,
piglia tre, quattro an- > guile viue,e fimergiU nel vino, finche vi fi
muoiano, poi d.t 4 ber di quel vino, al beuitor del vino, tbe lo prender in
odio, e lodie- r per fempre, ne pi ne beuer, ft ne beuer modefiamente,d3^ affai
poco Altro modo,. Laua vna tefiuggine
nel vino buono, e_> faUa iui dimorar per alquantadi tempo ,ene darai ogni
mattina d bere digiuna vn mezzo
biecbitro,e vedrai vna diuina forza dice M.irepfio . Lamentandofi vn certo
apprejfi gii Ri indiani^, tbe gli nfituano i figli , che come comineiauano ber
vino . tutti mortuano,alqualrtipofi l arca
meglio a/fii per lorOycbe ( muo- iano',.perebe.firejiajfiro viuiytutti
diuerebbonop*zzi,per efierno. ttettinati di finte poco caldo, e per b'ifignocbe inofiri figli non biuaaa vino ima
ne th gli newngbi dtfideria di beuernt^
Ma Digilized by Google fto " ' Della Magia aturale ^ M* fi w mtfiirsnno figli per
l'nuuenirtt bifigno amertire i~ ut la
fernetta facci tl fu nidote le tua fua bugittndole mediacre^ . mente t dalle a
mangiare alti tuoi bambtntjperebe m ingtando di
quelle^ prima ebe beueranno del vino f odtaranno,e farau pi ma- -
dtih perche il lor naturai calore far
piu temperato . Da Pila- . firato nella vita di Apollonio. 'Democrito firifie
eb* a tirre il Affi* derio del vino gioua il dar queir aequ $ , ee /corre dalle
vite^ ' putati dandola a bere all tmbriaeo finna ebe fi ne accorga^ , Come fi
polfano fcacciare dalle tauole di Pria- * cipiighiocci|dcipara(ici. Gap. XII. f
burla fimtli forti ai genti, e fi-ve- dranno da tucti coti burlati . Quando
dunque fi vorranno federe a tauola.... Che tauindoi je ni ani diaenghino '
Pillerai in vn mortaio galle, e vitrhlo, e fi par ratto in vnfi^ taccio
firettifiimo, aceioebe vadi in jottilffimo poluere, di qutfia' ne
firopiectartmo la tonagli a da man ben bene
e dopo la jbatte^ remo, ebe fe rie cadi, quello che non i attaccato , e
dop la fregba- remo ben bene con le mant, finche cooofieremo che vi fia molto
at- ' taccata alla tela , e quando poi barai veduto ebe ti parajito bari le
mani , c la faccia lanata per fidtrfi a tauola > dattlt qutlln^' Uuaglta ,
che fi netti ,'cbc come finter / acqua ,fubito tinger la] faccia , c le mani di
vn colore negrifin/iO, che con grandfjima difficolt fi partir Isuandqfi molte
volte . Hor gt lauato , ^ efciugato ) Che i cibii che bari in gola non le poiTa
ingioctire . e piantino nell'altne
berbareiti , e con grandifftma diligenza le eoltiuino ; ma i'bab- bino in
affduoy e quotidiano vfo di mangiarlo, e nelle mine fireyO . pelP jrfaiate.Ma
noi l'habbiamo eofi feaeeiati eo maggior verit di outfh. dorrete vna dramma
delia radice deltberba ebamata bella donna , e pefa legiermenti la porrete in
vna earrafa di vino , e la lafciaremo iui a rimoUitf per dodeeibore , poco pi, poi colato il vino la mattina ne
daremo vn bicebiet o con qualche tfeufa a colui, a chi bauemo defgnato la beffe
, e tofi fi trattengbi ptr tre bore , poi lo ebiamrai a tanola, perche il
boccone ebe ba- ra tolto in bocca non potr ne con diligenza^ sforzo, grandifii- ma fica che facci ingiottirlo mai,
e d ftnza aicuna lefione del- ~ la gola^
df^ore, ebe lui fe ne poffa
accorgere yche appena potr mandar gi il vino , quando poi ti piacer ebe manghi
, beua, dateli vn poco di latte , ouer
aceto, e gargarozzato lo beua, e ri- torner come fi be^efie mai fentito w
effa.. Ma fi vogliamo r , Caeciu* i paraiict dalle tauole di Principi . > .
Facendo eofi, lo potremo failmente ,fpargendo la poluert^ fottiiifima dall
arifaro fesco /oprale pi delicate viuande, co- me fuffe cannella , pepe, che come ne bar'tolto vn boccone alla
gola, bruggier con tanta violenza il palato, e la gola, e lo pun^ ger, e ferir
con tanta aere mordacit ebe il cuoio della lingua, e del palato fi brugger
tutto , e con la bocca aperta , t'I
guardanappo eo'l quale eiforiamoia hoc* ca t e ci li porremo inant^'y che
feeanio il pan con quel coltello^ iy orni cofa diuerr ahara > e nettando^ le
labra con quel toua~ glioio y gli le infettar di toji horrenda amaret^za >
che ogni cofk che tocear, gafier con la
bocca gli parr amari/limo^e quan^ to piu frequentemente fi notter le labra y e
la lingua tanto pih terribilmente far infettata la golafi palato, t la bocca di
quella infelice amore che gh far forza xbe Iqfei di voler mangia re. Lo potremo
aneboralmriaiio Che beuemio il bicebiero fc gli attacchi alle labra , che
appena ie gli poMa diftaccaro v ' T
orrete latte di ftcoye gomma dragante ifibluta
r fi orbano i iabri dei bicebiero, ebe quando fi feecberno,ancbor
feranno tra ^drenti,e quando colui per bere > fe faecofler alle iabra^fe ^
atteceber cofi forte, ebe quando bari finito di bere, appina fi di iiaceber da
queUi.X^stptremo^nebOr faro' V ' '
' Che la carne paia fangaigaat
ptetoa'd vermi. xA gH parafiti . Coeeremo il /angue della lepri, e poi /ecco ne
faremo poluere , e quefio largendolo /opra la eme cotta, e col da,fi kquifar
dalthumido della came,cbe parra fanguigna^\ onde come naufeabodo la buttarvia,
t ributtdttda lui,ciafcub. li potr mangiare fenza offefa,feminmerai leeorde
della vitto la * efeminandoli /opra la carne calda, il calore le /ara dfiorce
cere, e parranno vermi che fimouono, 11 Fine del pecimoquarto Libr DI Digitized by Googlc Ci GIOVAMBATTISTA
DELLA PORTA NAPOLITANO DELLA MAGIA tfAT^RALE, LIBRO QyiNTODECIMO. injegna
prtndtr gli MimAi coti UniMni !" (S^vcetdtrb. PROEMIO. Aggionartmo dila
caccia la duAh'i Ut grafia detta maggior parte irgli buo* mini f e
principalmente di Principi Il fine di prender gli animali d per forza per inganno ; ma con gtt in^ gann fi
allettano' ^ t con la morte fi gafligano . Ma qttefo come fi pojfa fare , ce lo
itifegrta la Pilofofia-^ la^ quale indegna la natura ^ e co fiumi de gii
ammali'. Cerche facilmente^ eonofeiute le'loronattlre.e'eofium , fi pojfono
imagnar gli ingannii con i quali fi-poJfoHo allettare, ingannare . ! nfegnaremo
prima come fi pojano allettare con ci* bi yfuonitlurhi yfujfunfigi/t amore y
& lri'irtganhiy e ceffi allet- tati
le pigliamo tmbriagbi con le mani 9 e^gli 'ekeideeemo cord veneni . Ma
proponiamo gli efiimpi . 574 Della Magia naturale Con che cibi fi prendano
vari; animali. Gap. 1. / VlU c^A.m'iltJaptu'gU animt^^ ct^il eihottia hf- furUt
9U4r t amare i per eia qeft noi pigiiaremn principtOt ai cibo fono eofiret.perneeefttypertb
ft non vogliono morir di fame bifagno
ebtj pr* taccino ti cebo . Ma di varjf animaiiyvarp fono i noi ne diremo alcuni
peculiari di alcuni aecioebe tu coituu ingegnati pofji imaginar gli altri', QutHoe'i
Cibo per pigliar i iiluri . Co'l polmone del toro bruggiato fi allettano i
filuri^attatcifi il fohone alls lenz.t, doue Jli i nafeofh l'bamo,e buttato a
mart^^ quell'odore tira a fedi lontano tl filuio, ilqual defiando quel cibo
appena ville, fe lo Jtuora,toti trafijlo da l'bamo fi tira al lido da buoi .
Come babbtamo da Eliano Cibo peri fargi. Con merauighofo amore i far g amano le
eapre,eome diremoe enerauigUof amente goaono del loro odore , ^Dunque tl
ptfeatoro pigliar la farina impajiata cl brodo delia caprai fi butti tnl quella
parte del mare.dout fogliono far ifarghtl quale faranno tirati da quelT odore
come per arte magiea,e fi trouano prefi dal- l bamo. Anebora ponendo airbamo
carne deipefee faraeo aceoma- data e buttandola in mare mouerai la lenza
legtermentei farg^ correranno prejiifitmi allettati da quel cibo, concorreranno
tntor^ no alt bamoe per lauidit di quel cibo faran prefi. .... Cibo del temalo.
Il T ieino fiume d'Italia produce il pefee temalo ilqual non fi prende con
altro cibo Je non il polve animai eofi
infefio altbuo mo perche folo il quefio
fi diletta. Quefioiil , Cibodellaulopio. Gli aulopp fi prendono con i pefei
corni f aecorgehdefi i Po* - feotori ebe
fi dilettano merauigltofamcnte di quel cibo, ponendolo alt bamo ci corrono con
grandtjfimo applaufo, B i ... Lcfca de pelamid j . Si fa della porpora, ouer
cncbiglia,quefia fi lega Jfrettamenti alla leazot' quefii allettati da qetella
efeatuotano alt bamo, e eo ^ ma Digitized by Google Di Gio, Batt. della Por.
Llb.XV. 57J mt tifai} dalla gbiottonaria di quel eibon Jlringono la bocca c^$
rijanti fono trafitti dagli bami,cbe
pena fi panno tirare a ttr^ ra tn vn mede fimo tepo per la moltitudine
di pe/ei. Si J antbera Lelea delle anguille. Z 'anguille sanno nafeofie ne'
bufi^ dice Arinotele, che ongen~ do le bocche,^ aperture di quelli con odori di
pe/i grandi , ce- tacei le aliftterat
fuori non men che i pefei , quantunque V limo ; babbi jalpimente detto non
allettatii maejfer fc acetati dalla puto x,a di fuoi eadaueri . Oppiano dijfe
fefituamerue ejftre allettato dalle intefine . .Se defideri fapere^qual fia l'
. Elea dicefali. Perche i giulidi quafi fono efea di tutti pefei,ouero l'afie y
i gambari marmi piccioli, e per quefii entrano nelfefce di tuttiy onero quattro
dramme del feeato ditunno , otto di gambari ma- riniyquattro difefamo.otto di
fiaba pifia, due dt lautie concita r qiuefe eofe ptfie , e Sparfie di vino
cotto , fattone pilole , feruiti di quelle tn loco di efe a . Finalmente quefa
i \ Lefca commune di cutei pefei t
Tarentino infiegnaqfiefia per tutti i pefici. Otto dramme di fi- luro
putrefatto, jaKfalle,volatilibiSde,anifi,cafio di capra di tutti 3'uattro
dramme dt tiafcuno,due dt opoponaco,quattro difiangue i porco, altrotamto di
galbanb, trite tutte quelle eofe, e ^argini /opra vino gagliardo, fanne piloli,
potHe fecca all'ombra^. Come allettiamo gli animali con amore> & li '
prendiamo. Gap. 'il. \ * I , . * . , V 0
fono i tiranni di tutti gli animali il cibo, e la^ lujfiuria , onero f amore ,
talch non l'odore , non il fuono,non il fuffmigio, non finalmente altra eofa, ^
, pi *ffii^c l vnione loro ebe l'amore , et non ' ^ fohneir buomo ; ma nelle
fiere anebora^ A che non sforai i mortai petti
amore Iniquo. Si vorremo. Figliar ' Digitized by Google fj4 Della Magia
natarale Pigliar Sppie eoo l'cfca di ro f It fitpftyWin hifogHAm t najpt , o
tnf.dit dtUt reti i ma con gli sBettarftentt di amore tuta H ptfcare*m m qutio
mo- do ii^aiHnando vua f emina Jeppia, la qual vtggtnoiaii ma- ftbio aiM
tentante f abito corre a lei arPenuffimamente'fe t ami^ esrabofaecia con gruppi
intoma intorno tenaeiffimi . JS Randa eoa aggruppatit" attaccati mjieme t
pe/eatori de tirano tn Urr Modo di preodere il capicooo. Nel fino Aeaico il
capitone di faccia acutOy come dice
Elia^ no i ma io i'bo viRo nel mare Hadnaeo , e piglia pr fauor d*4* iw0r il pejcatore toghe vna Jtmma,e la ligaA con
vn lungo jiht i con vna lunga canna ma
bifogna ebe queOa /emina fia bella eioi
graffetta che tffendo macra la
diipreggiano . t^na la tiroL-t apptfo il lidot e mentre tiene apprejo con la
rete e f offtruando quando fia tempo di tirare afe
or mentre dunque la /emina J Rr affina^ i ntafebi infunati di libidine
le correnoappreff, quello butta la rete, e tira a fe^ e le prende tutte, Preia
di feari. Il fearo il piu luffuriofo
pefee lU tutti la eagion della fuuj prefa non
altro f non vna infatiabile lufiuria neSe femmt^ la quale tofa non ejiendo nafcojla a
peftatoR in qmjfio modo le appareeebtane
Finfidie , cheprefa vna /emina F attaccano per tl nafo ad vn lungbtfiimo Jlot e
la Rrafimano viiia per quel luogo del mare
doue fogtono congregar/ 1 mafebi i quali vtRi la/e- mina corrono innamorati
al fuo coietto e godono di toccar I4, 0
di Jlropieciarfi con qeuUa e riceuono fauore d' alcun baecio. toc- eamento :
come gingono vieino alla maffa , tl pefeatore tira a fe la /emina, tF incappa
tutti i mafebi che fe et trouano. Oppiano Prefa de gli Elefari. , B gli
Elefanti fi apparecchia vna /offa ^ per allettarli vi fi obiudono iui dentro
quattro /emine, onde torrido i mafebi entra' no nella fofia , quei che fianno
nafeofit alle infidie tirano a fe U ponte e eofi prendono gli Elefanti
rinchiufi, Eliano - Prefa del luigr nolo. Si chiude vna /emina in vna gabbia
" il eaceiatore finge la fua voce, da qual voce il mafebio vien chiamato
df Vtgenuola le vola intorno, al fin
cade nelle tnfidie deOa rttCd* Gli Digitized by Coogle Di Gi.
Batt/dj5lIa,Pi)r.',Llb.XV. ^^7 inioao. i fargi.
certo vna pazza preja. Il fargo jl tnnamorattJJimo dellt^ et^reyanzi
viene con Ji mjocata patina a loro- che quando le c^ Tfie'nafcan prefio di
ltdo,t come appare nel lido d ombra di vna,d A pi yfitktt tutti allegri
giotfeorto , vi corrono itjjin d'apptejffo
vanno feberzando con fa Ut intorno, fe ben fono poco aitt aja-
tare,defiderando di toccarle y e con grandtjfimi gefit d allegrezza Jitforzano
di poter feit aecoftareyor ,da quefie cq/ecbe tanto egli- no defidemamfi
trouanodl fin prefi ^perche tl pefeatore, con vn 'folkdtfqmoiata di pecora
ponendofela in dojfo con le fut corna in tefia fi all'agguato ; onde lafciatofe
il fole alftpallt butta rei mare, doue eglino foleno con*erfareyimpaata
dtfargue di ca- pra, brodo, e quelli
tirati, come per incantamento , corrono in- torno a quella pelle d capra, 'ban
grandtfimo guilo di mirar- la,e fr tanto mangiano di que Ila pafia, coii ilpfcatore
le pren- de, Da Eliano-Oppianoeofiio defertue eleganttffimamentzj ,
Mirabiltneac^ inamorato c il targa , Delle-capre; e l'accoi co pefeatore , ,
Dellzfua peiiefesida l cuopie , / E g^adoroa le tempie dalle ourne , ; E nel
mar butta poi prela che Ila . Del fangue c delle vifeere di capra Itnpallau
emifichiaca daUof^rf y E dalla forma amata dalla capra 11 mifero ne vien lodo
ingannato Le perdici come l prendono.
LeperJici amano ardentijfimamente t eerui,e della lor pelle fio- tto poiprefem
qnejiomoao , fe ahuno fi vefi ir della pelle del ^ PP eeruo Digi;.i:cd by -j*
-Ogle Della Magia Naturale ttru9 1 $ s' atcomoder U eorrt4 $n U/ia / iatcofitr di naj k 9 fi 0 qutUt ptnfAndoJi
tbti* ce>U9 da doutrotlt corrono mcontro^c lo riutrtfeonot'^ aecofianiofi
tanta s alUgranotcbc non lo vogliono abbandjnsrs, come fi ontarijJi.no amicate
familiare riceuefftro venuto di lontano camtnottdi quejlo lor eofi gran
bentuoltng^ non ne guadagnano altro,cbe eappij e reti. Caccia de gli ocidi. Gli
oti it vcetlli fono amici (fimi del caualloit lo marrano 1 th fprezx.atdono
tutti irefanti animali^ fitito vtfto il eauallo con grani'JJtma eUltircnna
volano incontro a luit e ft fauieinn- no : ondi chi ft vtfitr (tona pelle di
eattaUo, ne prender quan- te volt ; perche per dtjio di vederlo tutte Ji
oceotAr a lui . JUuu medefma quaji i La prefa de polpi. 7 polpi Ji dilettano
merauigliofamente dtlT oliaaiperebe qnaJu Butta alcun fuo ramo in mare, tutto
fi rttroua abbraeetato di poi pi}, e Ji ritrovano anebora medefinamente coji abbaceiate
vn ror- modijieo,mta in mare, anzi mangiar fichi come ferine Eleareoi pe i pefeatori buttano in mare vn ramo di alma,
dome fogltono ritrouarfii palpit" in breve tempo, e fenza alcuna fatica,
fi to- r al lido poi il ramo tutto abbracciato di polpi . Oppiano eottJf dice
fefiiuamentz^ Il jpolipo li godedeiroliaa Di pallide, e di quella stouaghilTe
Mirabilmente, & fi ionitnoraco Di
quelle fronde , e li sfrenato amore ", Saccende, che raccorcopefcacore Con
quella fronde lo rapifee e fura Cala nel mare il piombochc coperto Della fronde di pallide, e quel pefee
Corre aHamata fronde, e fe Tallaccia B piti collo che lei lafcia la vita 11
pefcacor eira i fe il ramo, e tira Loftioaco aoiacor dentro le froadi. C Digitized
by Google Di Gi,' Batt. della Por. Lib.XV. 7f Con qaai fooni s'allettano gli
afiioaali. Cap. IV. M r , V ^ . Dii pcicacof rccHi col crideoto. Molti
Digitized by Google Di Gio. Batt. della Por:' Llb. XV. =5 U Molti flotti fono
fati* i quali ton grantffmo iffitrio h moh^ ftath cotaf ji fcjja fortar /otto
acqua, JuotOf olumct acer ebt i f*/ci
bauendoio vitto di lontano, corrano a qucUo . E molti modi fino al Jin rimajii
vani, noi f babbiam fatto con qutjlo modomHab^ btam /atto vna boba di piombo ,
ouero di rame di tre quattro piedi di
diametro, di /otto n a acuta, priamidale,aeeiocbefpo- Ujje fomergtr fotta pi
agtuolmenU , poi eireondata intorno di eerebi di jerrt ,cLt a^gtouata dal
frjojtpojia tirar fotta acqua, di foravi accomodammo vn canale ai qutndceif
venti pifdhdi OnlgbczKMi ma di largbtiLnadi vno . // ventre della palla apra/i
con molte fneflTt.ccme cinque, fti a quali fi accomodino ^ee~ cbi di vetro
polivfitn.t , e fe incolitno te gtonture di quelli con 'pece , ebe f acqua non
entri dentro poi nel luogo doue bijogna con Vnpefo conueneuole fi mandi gi la
paUa; ma tanto gi cbc il car- nai deO bocca almen auanzi di fopra duo palmi,
dopo mandere- mo gi per il canale vna lucerna aecef a per vna eoraicwa net ve
Are della balla-, ma fatta ton fai artefice , chea qualunque,^ modo fi moutfic
la balla, la coratte ila fiafimtrt
aritta apr- 'perdicoto, il lume pafier per li S/ttebt di vetro fuori, e per la
re- irattione far fotte acqua vngran lumc,tbc potr farfi veder af- fai da
lungi,al cut ^Undort, correr vna gran moltitudine dipe- fci,aU'bora ton le reti
potrai ritenere t concorfiptfci . Con i fpccchi anchor fi pdffi conuocar onolti
aninrialu Cap. VI. ' ' *51^^ ^ando maf.eajfcro le f emine , i pecchi refietten
do & la propria imagint, potremo ingannare gli animali a JB ^ con Vifitffa
lor forma , potremo anebora i liquori vfar invece dt^teebi,eome^ CJEJW* ' Che
lafcppia fa prefa coIfpecchio. ^Terebt attaccati i ^e cebi dentro vn legno, e
poi pendenti da.^ \ vna tarda, fi lafciano nell' acque da pefeatori,e le vanno
mouen- do,aeeihcbt dal moto Jaett vary lumi lo S^tecbio,laftppia vedendo
fefieffa nel rpeetbio, d mamora difefie]faptnfando/Jtmma, ti fuo amante, eosife
abbraccia con tl legno 2- 9 a tanto lareUldL^ rfonda intomof e la prende . Ppp I La Digitized by Google " OelU
naturale;' V Lajnioaecio!afpr&^ Che Digitized by Coogle Di GIo. Batt. della
Por. Lib. XV. 585 Che gli eccelli fi prendano conJemani Ditt PHma ebe uafit vn agito por U campagne ebiamato alo tbe vai contro F audacia degli
vcttltycbc jCpcyeouo^Ut biadtji feminatc y quando i cotto. ebt non pojfk nafe^r
di nuouo e poi lo buttano nei femnato e
fiebtto quelli che ne mangiaranno reme- ranno iupefatti tanto tbe f prenderanno
c* it manici fi ben fior anno vn poco Jlorditt
Ma fi vuoi . "'-Cacciar la
pernici imbriachc. li' > Botilo te [ iffigna, prenderai facHmente>le
pernurfi gli da- rai da majakfarmbagnata con vino; jinxbtogni veetllo picciolo
facimuntt fi b^o^ prendere y-'B ft porrai' il vin me- fiolato con aeqmq dotte
bemnt. glrvt etili f ma^co %Bnofi\fubt- to che ne bene ranno vn poco
it.fipor^ono a dor- mire, Impara il medefimo > . 1. Lanicre come fi prendano
con le mani. ' Se alcuno ojfiruat il loco dome F anitre figlumo andare a be- re
e buttata via Faequa vi pongono il vino come Fbaranno htn- utoeaderannocbe
facilmente fi Iqfeiano pigliare. Il medefimo fa la feccia del vino. Si prendono
. L'aoicre & altri vccetli imbriacbt. Con alcune efebi come fino t fimi della lappa fparfi in quei
iuoco doue fogliano eonutrfar gli
uccelli, i quali dopo ingbitti- tieofi fono prefida una utrtigine, ebe
fipofiano-tor con le mani- , Vn altro cibo , Cncafila tormentilla in buon
fiino, e ntlmrd'tf^^ . mo decotto porgafi frumento ouep orz, e buttale ntlfuolo
dome fogliono uenir gli uccelli a mangiare , ebt fi mangiartnno quei pezzetti
di tormentilla con quei fimi simbriaeano
di modo che non potranno uolart, e fi lafitano prendere con le mani , ^efioi fi
far pi eommodamemH quando far iicielfireddottla neuo\ molto alta , d per il
luotdoue fogliano frequentar fili_ ueeeli /pargerai rr amidi orzo , e poi
piglia farina di orzo,fildi bui, ftmt di iifquiamot fanne come una minefird,e
ponile manti firn ra una tauoletta , che bamendone gufiate di quel eibocqs ne
dor- miranno, ebe non pojfano uolare, e fiato prejfi con le mini . Ouer togli
orzo , funghi cbiamati dalle mofiot e mefcola con i fimi df ifquiamo e fattone
come vna miete Brina', ^mddite fopra una^ tauoletta, come babbiam detto di
foprt ' Gbt tu pok ' J. . .ViV'A.f-' ' . ,1'.^ . , V. V pjcn- Digitized ;)y
Google Della Magia natoraT ' (C l Preo1
J poi rcoman con- la barca ai lido iW*. rt ^
11 veleno mortifero via manda \
Laura infcccaca & che gli
occhi a cucci --if mD vna ofeura caligine fi cuoproM -IV cremano
le.o>embra> onde efean fuori - vn fc- 1 v- .v .1 Delle cauerne c vao per
Talco mare % ; . .* Fuggendo, &
infccraco il mar pur anco ^ >
' Si che come imbriacbi fono prefi. ^ ' - ,1 lOV ^ -tr> irrrr' Eiiaioftrare
iparti^plan vVeoau ae.gli^iOiQial* Gap;"'i X. VV i-.o- a, -V V V ^ O non vorrehcbt U imighu^^ eVvn veleno amax^
rioi'tuttigU nimaliyma ogni atmale h ilfm^an- l'-i y " . V >. >c '^.4 Lvelcni che occidoQO i cani;
1^ ' v i'-.: .. J^ofcoridedieecbedl canee Itone btanco co la farinata amma]^ ma
i canili poreij" ifirett bagnato conaglfOt aqua. T tof rafie dice J caoit
t dimrei impafiaichcon la farina di orzo, acqua, dr elio : ma' co^'la bzin^fa,,
iforei.. Lanoce vomica, laquale cbia* mano canina iall'ejitto, fi far' limata ,
la limatura fottilejifa- r data ad inghiottire ad vn eane eon carnei
butiro,ouer alcuna altra r. Di
GioJBatt.* ^Ila Pi; !). XV. 3^ altra co fa graffa . l ammarala in^t bor^fubito
f9rdift,cade t mure /nz.a gridare f matbtjogna tbf Jiafrtfcie,che nbhfalo-^- r*
quefta noce ejfer prodotta fot dalla natura
per la morte di ca- tti Puggonoii frutto deljraffnof perche gti^vehir
dblor nello vertebre delle coffe, fe ben i porci ft ne tigraffetti di quelli
.''Coti f apocino. Cbrtfippo infogna ammaz.siare i cani', f'ft^li dar fao qua
doue fieno cotti glijparagi \ la brojjtca canina , feluaggia/i glie far data con la carne, ceffi
il fumo del piombo . fecondo dice Arinotele ntilc cofe mirabih 'amtorrio SHi,'l
i'Jnedi cffi^ ni va patfe, cke produce vn ore, che ne mangiano gh buomini, mai
porci,^ t eani,ebe mangiafiero de gliefcremtn de gli huo- minucbe baueffero
mangiato pane di quello orzo,morrebbono,p* r lo fungono, come cjnofcno efferui
il periglio della lor morte. La feto r aconito cinottono detto cosi da
Diofeoride.' Dicemo anebbra Il vencnodlIaPof. iLib.'XV. jif Wcnth ddlc cblomb .
-- \ ' Scriuf Serapione che Ir chmbe muoiono battendo mangiato /# iiaJet fatte bagnate ne^ tte^ua^ntl quale fiate a
mole lo elle- boro bianco, I ... . t .
.V Veaeno delle galline. Le gaUinr muoiono bauendo diuorato il feme
del J^arfio. ' * Veneno de^ pipfiftrel'a. . * t i . Dice Zoroafro ne Geoponici, che lo
fuffimigio ieW bedtra f-ve- eide^. * Auokoij.
Sono alcuni animaliycbe muoiono di quelle cofe, ebe a noi fono odor
atijf ime, gli auoltoy muoiono perglt odori,e gli fear afoni per le rofe. Il
mede fino autrr fe alcuno onger, gli dar cibo onta di odori. Da Arijlotele nel
libro deBe cofe mirabili, Scorpioni. Il
telipbono cojcbiamato , perche vccide i
feof pioni / perche i feorpioni liuptfcono toccando queBote diuengono paQidi,e
confef- fano ejfer vniti . L'aquila muore per ilJimJito,lo vcceBo ibi per h
fiele delfhiena\ il fior no per il feme deB aglio > il carandreBo eo'l
folfore , e' l porco ff inofo con l'berba potamogetone , Il riccio, la- eo,tortie,merula,auoltoio,e feope co' l grano
del melo granato, il eapofofco co'l fior deB' amerifta,il corno co' l feme deBa
ruccbetta,i fcar afoni con il profumo lupupa co'l grafo deBa capra feluaggia,
la cornacchia con la carne, che remafa daBa cena dellupo,la^ aluda dal feme del
fenape, e la gru con la lacbrima deBa vitt^f . -* > ff. t -- . i Devncnidc pcfci. '^Gapi. X. ^ fogliano
auelnare Tacque di fiumi , e queUe del mare anebora con alcune berbe , dalle
quali i pefei ebe vanno notando per quello ,fi muoiono , Ma perf be vi fono te
peculiari veneni di pe/ci,noi par- ^ ' lare mo dalle vniutrfali , accioebe da
quelli in fe- gnaro tl pifeatre ife imagini da fe i refanti.Con quefabtrba
dunque Ipe- Digitized by Google \ % % J Della Maga' najufijis ,,; j ; ; 1 pcfci
sammazzano. . Dia Plinio che i fejeatori di terra di lauoro fagliano la radi-
te dt quella artjloloebta , th rounda r
ia-ebtamauo veneno di terra ^ tn/ua
prefenza pefiandola, e tne/olandol.t con ealeei la ipanftro nel mare 1 1 tbe
ontorfero quella volando molte pe^ fci
tote 9randi(fima eupidi^iat e ebe fubeto risanano morti , & notar juptm per
il mare . Ma Diofeonfdt dite ee il tettmalo di larj^a fronda pejlot e Ifarfo
nell' oca u vceide i pefei , Noe con le lro radia pejie e poi eon vn pejo mandandole gi nel fondo '
del fiume infettiamo tutte tacque e da quelle fubeto reJan vcei/f tutti i
pefei Ma con quello modo J abito 1
recidiamo nel mare. Si pigliano la quarta parte di vna oncia di galle Orten-
tali^vna oncia di eaeio tre onde de farina di faue^ e tutte queftt eofe
ttmpajlano con acqua vite, e di quella pajta f ne fanno bal- lottine come ceei
, La mattina prema che vengbi fuori laurora fi buttino nel mare , e dop tre
-bore tornar con la barca per quei luoghi medefimi ; perche tutti quei pefei ,
ebe ne bar anno man- giati li ritr onerai
imbriacbty morti dMacert
fatto tl maro morti t /pra fenza
la fuperfide del mare^teei de fotta prende- rai con il tridente . Se et
aggtouge quell'acqua vite ,* perche poni velocemente al capo tl medetamenio le
galle Orientale fono ti ve- icnoube le rende Jupidt, la /arena dijauc i'fcatC
l' allettamen-, $Oy eoe con ilfuo faporenuit,il cacio ferut, ebe co' ! feto
odore li tbiami da lontano, > ^ r*-'
.tui'. , > u . De gU altri erpermeoti di caccie. Gap; Xi. aua- mo- Or
feguiremo di porre alcuni dj>eritenti,ebe a spuanoy ebe fecondo le neeejjit
neferutamo a i ieridejidiry. E premo . Per mutar il color del caoo* Perche al
Iptjfo i colori bianchi di cani fi che non finte metto idonei per la eaeeia f
perche fi feorgono molto di lontano i flato trouato modo come Jt fo'a mutar il fuo colore e quello
auerr fi buglier U litargirio con la coke viua
e poi ne dtpingcrcmo ii danai Digitizea by Googl Di Gio. Batt. della
Por. Lb. XV . 5 > i tant ; perche verr nero . H abbiamo infegnato gli altri
modi 9 quando inftgnamo i modi di tingere i capelli fe vuoi Che il cane da ce
non fugga_>. *Diee DemocritOt che il cane non fugir date yfef ongerai con
butiro dal capo fino alta coda t e pot darai il buttro che lo lecchi ; perche
il cane fifeguir i ITt ftguir ancbOra fi d'vn altra cagna ponerat la
fecondtna'igta'dvn pannot egli la darai ad odo- .rare , njdncbora
fedefideri Che il cane non lacci. kA
chi porter feco la fecondina del cane,ouero ipeli delleporti che tiene ilfimoi ehi bari tbtrba
perifiereon.Si troaa vna pie- tra nel fiume Pillo nera fimile ad vna faua , che veggendolail cane
non latrar . Cosi ancbora fe porterai la lingua del cant^ fattola fearpat finto
al pollice t porterai il cuor del cane,
da Fe- fio, I peli della lepra, onero il fimo,^ Da Pliniot onero fi porterai la
coda della mufitlla gouanefia coda taciuta fatto il ptede,oue- ro fi darai tn
vn boccone vna ranocchia . T utte quefie cofe fer- uono per fugir i latrati del
cane . fDiVe Higinio che il cane fingi- r al alpetto di colui che torr il
ricino dalf orecchia del eanct ^ lo porter feco per qualche tempo , Oppiano Ma
le cu porterai la pelle tolta DeirKiena, ciafehan cane feroce O doraeftico fa pien jdi cerrete
Siiaccr^aelacrari giamai. f Che TO cane aon polTa correre. Si ongerai con olio
fiotto t ali far impedito nel torfo Maim
futiotnodo farai Che*l fpraaierofiaanimoro. Coti farai animofo f vccello alla
fua prt dacch qfialifca gli ved etili grandi . bagna di vino il eibotcbc barai
da darle da mangia- re tempo della
caccia, onero fi far afiort dagli vn poto di ace- to, e quando vorr che voli ,
dagli tre bocconi di carne bagnato etti vino , ouero ad vn piccione per il
rofio buttagli vino nel cor- po 1 0 poi lo farai volare . Cos Farai le pernici
combattere.#. 8e gli darai i rametti di eaptluemrein riho Ds Plinio. B I galli Digitized by Google ' ;> I galli diueoir
pK cpmbatccnti,. .{ , . -l-. Farai
J gli darai agii in cibo^rima.cbt eombattino:onde mi- la vecchia comedia fi
dice facetiima^nU^ffa,pafculo lagito, a gii buomini troppo ariimoju' imhmati
alia i , Che va vccclloqonpo^jfolare*
5,k i- 1 . Taglia i nerui che fonofyur f ait, a qtitfii di fttotob* feng^ farli
alcun danno f vedilo fioppfttf^pul^tti^n qujio moda non fugiranno def
vctieliur^. . p-. I j '.1. *.>r . )
i! t .'t; ; y t -.! mm :
..I. r \
; I . . V.' v 'j . i Digitized
by Google S>J DI GIOVAMBATTISTA ^ della porta- - i W , i : NAPOLITANO * * * DELLA MAGIA
NATVRALE. WBRD SESTDECIMO. ' ' , * - ;
- .. ' I 5- \ ' ' . '
. . i\ I : ^ . Il ' Nel qual p
tratta^ zJfer, che non pyegfpncL PROEMIO. r
U BUi etitrt .fattt iine^tuRo t cbiU volga . ' obiamszifert. dittmmo fb'
erano>di dt$f ^icie, fxma dtUt vifibih
e ptrcb* ivn particolar proftffiont . Nt bahbiamo^i > altrout
trattato d bajanz^ , P altra t di quelli fbf no fi veggono > deOe quali in
quefio Itbromot hautmo a trattarne e di I ^ede tofe antbora ebe eot^eguono que-
ie per far vitti a PrentipUa Stgno* ri t
i (juali trattano eofe molto lontane -e
fetuono alloro confederati, ebe fono eonfapeuoli de' loro (eereti, * ^(pidd
urrtmo qui alcuni pochi ejfetnpt f ma que/le,e queOt tbc , eonfeguonoquefe
fideuono tener fotto Jecreto filentio,aeeioehc non fi deuolgbino per mano de
glt ignoranti, e vtlt buominie coti ditungbitto ^volgari y e^cfili, ^tUe eqfe
che voltmoinfegnarc $ gid cominciamo a dirl^ .. . . i; ' I
' 1 Q^q q* Come Digitized by
Google ^4 Della Magia natarale \ * I
> A n I ^ Come s'inimergono U
lettere IndiDeri liquori apparifcaoo fuori. Gap. 1'. I ^fgate da'qtieli' acquotVerranno fuori . Hora
figgiongero reto con quale Liquori nt*
quali fbmmcrgeado l'epiftola li carccteri ' (i'vnlranno, Cortte manzi dicemmo
difio\uafeti vitriolo in acqua, poi pefia- l* geoffamente le galle , e buttate
n eli acqua, elafita cO*t j^r vto^, giorno naturale deftillslc poi per filtro,
\o nero perltcinio, aeiie- tbe P acqua diuengbi chiara e corr que fio liquore
fcriue fopraUu^ carta quello che defideri occultare e manda all'afiente , quando^- vofrar.che
appartfiano immtt^geli ntlliquora prima, fattth'O Jor i>ito appariranno le lettere. Che , , ,
Poncudo vna pezza di lino nell'acqua apparifeauo fuori li caratteri .
Difioluafi l'alume nell' acqua, e co quefie fcriue quello che vuoi fopra vn
fazgplettOt eamieia,ouero altro panno di
lino > perche tome Digitized by Googk: DIGio.Bat.deUaPor. Lib.XVI. jsf MmF
acqua far dtfrccata, non fi vcdranmpm MctUrtiquan- dovorratche appartfcano
fmori^immtrgtlontlV acqua di fonta^ na.cvtdrapdout non fono i caratteri
dtptnit^cbcdm/rrofcurU ioue fuCalumt tbtaroi onde i earattertdiueranno
(otiapparen fi, ebe fi pojfano itggor tommodamente ^perche doni fardCalu-
tnt,vtriolo,Ouero aitrecoft afiringentiinon fi faranno eofi^ejlo bagnandalF
acqua 'Lhe non h ponno leggere ie non dop
brulciacala carta. ^ Perche la mitiura far bianca , / non fi vedr ; ma
quando fi hufciaila carta brufetata fi f ncra\mai caratteri /iranno bian- eht.
Piglia aceto fortt/limo, e bianco d'ouo,con qutfit laua,mefcbia co l
letargirio,r con qutfta mt/lura fcrtui /oprala carta It carat- teri. poi fi
brufci la carta,cbe U lettere appariranno /oprala cor- to btacbeggianti,ouero h
lettere /et lui con gomma, ouero fon ogni fpeeit dijahyouero con ia calce, le
quali perche non panno appa- rere /opra la carta , bt ugg afa, e fatta nera la
carta , i caratteri bianebeggiaranno . M^. f ti piacer fcriuanfi * Caiacceri
, li quali non pofl'uoo leggere f non fra- poltom il fuoco. In quefio modo fi
fanno . M ifcbiaji etruj/a , omero altro color bianco con la gomma draganti
cedali* materia di quefio mi/eo- lamento non apparer /opra la carta -, pt t
ebe bianco , che non fi iono/ci da
quella, n Il con la'pnlucro. ^ Cb VifMmtntc t degno (il temfffttrtto. Si
hqutfmtivn poco eli feuo' di heeco con vn poto-dttr(beuttn,% i auij^b, alcun tuo'ewnco ip pont qUtU
fopka'U^leP$eaa>da firtutre^ i'fetp Uenen-fopta tpn'om''fUh'de'fhFstUqndo
leggtt* mente, chi prtmtpaitrto^'h ntil't. di ^9-/9^pfa la tat.ia. mandaia^ta
qtdi inter fepttt cbefiefft jpia lJuocKouero aii'acquo-ne'Jpctram ( vodertfnt
eon'oH^odr tifino ijeiioit fpjrgenaui jopra vn po-^ to de tetra /ceca vai pu
anehor far , . - . Che nella carta biaA'ca fi vcggiano-te
Iccrere ncre^. -^Et il modo queftoy'Aefchia infieme tl bianco > Urqftdi p^
-Kt'i 1 ,h.cr\ Viurtik 'vuiuo dentro fi pojfnno imprimere t caratteri del- le
lettere . fi la per tjfempio , 5 , y,.., : I in.- 'Cpqielilcriua (opra la
Ij^&ftdciTvDoua.' , t .0 Ivcerdxfuna laforeaa. d*^ijvuouo^^fopra^in^^ vn
fitto 4f frro te letpn^eln-^giofiga-Ptpiamatufmfin /opra 1* feortet^ \en(t che
non. i*/rgne, perde finn ftrrq,ftHo eohetalafegnera' far a pericolo
denonfifattopreklafrodtJiini quoUvmmo dentro 0,9 9 4 fae^ Dib ee ' " Della Magia naturale- '0 ] t aequa
forti da partir i'^ro daW argenta per vaa nedieda mattrn na eua
viaiaeerd%ie/earikaJaJkornAve^rfa,e quno far feeto,non fi vedr nuda ^ Oliando
vuoi che fi leggano, cuoci le galle nel vino, e fommergi lvuouo lut
dfptro.ouero fcriu fo- pra l'vuouo eon^ acqua delladaica,t.pontkUi riti
iiffiuto,outfia ffifaamoileUJe^H^dq/ilwfi-kkdraemoftfirili}^^ Hoi^ze .
facquAiU\vitituio^erdpfiteo^,*tnrHlf^^ appariti cofal
auna^ntaquauqiofbrMnfimtq^S^ditta^fivedrannkiaf^ vi > j-jy Digl:i- ' Di Gio.Bat.dalh Pdr.'
Libi XVI. oA ib*niare h ItUeri/ofra U tura corteccia Inftgnartino ancbora .
Come fi faccino le leccere vifibiH fopra iVoono^^ ur t r. , ' M Che le leccere feritee rvttouo
apparifftaoo > i > t - ; t L
Scrini /opra la feorza,con aceto, graJ/o,atte di fieo,4i t 'tt maio ouer
gommarle quali quando vorrai,eh e appaiano , appariranno eonpoluere di carboni,
d di carta brufciata, paglia, c faran rr, gre* Ci aneboravn artificio i . Che Tea letceraifimecea dentro vDvuouo.
v' - '^VEpifioia,cbr barai amandare fia breuc,tla carto'fifiuett^
amga,abe\non.ammziia lamgbexjca dimezo ditov co'tr bretiepa roUfCcon curatteri
fittilt e^oni il fuo concetto , dopo con em,, punta di redtello fouiltjfima caua
vna fij/ura ntVouo,t canata rompi quella pellcola chi B.fotto la /corna con vna
paglia,ouer ahro, e . piglMndotM Jettera da l yn capo > pouHadentro a poco
opaco ipu-tbe centraragtuo^uite racSor'coft0edi dite
faltti^poi'pigliaroietnnuna mfieba\^. oUttro^cUa fifroe Obemon pan^iommeer^a
tc^mtmrdragoMlktipetebofmpofi^ biititbt
fipfiia com/cere ^ / i puscc^jdscndo 'coihamtrr-d^pm gentilmente * ' Boni
l'vuou^ntr.od'aeempcriini'^ qtta^r'beto filii/e come vedrai ebe aontincta a
remodtrfiicon vna punta di cc cBoapr la /coma, e- poni all bra lapolitoetta di
carta,poi poni^ io amollamelle^qup fitdda,elqfiia.eofi finche fia fatto uro, e^
Wtootut'.primoi- . .'cf.ut .iM.kM lucu-.u
... ir > il. i* . t) .'il.*''
)k .iV 4'.t J . blie itm gaom CQloro che Io vegliatici k^pre. vap . ~ iAeme
in/egnato i modi di fertuere inuifibfl , ber t fcrinerema'qmlii.e cbt Juriutndo
fopr vrte^/e t antbr che apparenti pur ingnver-anno le ipien e ^pterecf^t^coa
vna artificiefanttnuiatoheua cVrteS i , V iwrS,* ' 'V ^IDC Digitized by Google
.1 Della Magia ntarale ' . . Come
ppflamofcnucr in vn fotti filo. * . j* Ma vtggUmo prima eomt l'babbino vjatoi
nojiripi Antcbi. Strmt Gtlia ntlit itbrt deilt notti dt AUne,cbt t Latet*nonif
firi utuano^ajioigeneraltyaeaoebe Ir ItUert mttrttpuU non Jiajftro a nemici t
configli occulti, inucntorno con gran diltgenzjo quefio mododifcrtuettyquantunque
aclcuni rtfirt/cano qutjieu-, inuentioM ad Arcbimrdc . ^igiiauano duo. legnetti
lufigbrtti , rotondi, e puliti al torno $gnali,cht fujfero,i lungbtzt.a,t ai
ro- UtndeT.x.a eguali, t / di qutlit fi daua al generate, ebe andaua alla guerra,
tT altro fi ttfnferuauanelia Citt in poter degli v/fi- ctalt, quando duiyj ut
accadtua ti btfogno dt Jertiirfi dt quelli, fio ce nano vnafaftia di carta
ftretta,e lungba, ebe baiiajje ad auol ger intorni)- intarnu quii legnetto e
cbe-lt efiremit fi.Jftro btnt aggmSiatn infitntt i vita con I altra,come vn
cuoio j e non vi p- pattffero fi ffurt fra loro, come baueuano cefi accomodata
la carta% Jcrxueuano da vn capo-.per lungo aal principio del legno infinirsl*
la fine t dopo pre fio tagieuano -fue/la carta dt la, e fi mandana al gtnnale,
e giudicavano ebe Je quella fafeia di carta fujfe vtnu tain pater
dt\nemici,vegtnde quelle lettere tronebe, quelle dittiQx nt fnancbe,t molto
lontanoda ogni intelligenza , ebe mar, nc>ba^ mefferp potuto eauau'cofirutto
, n$ gh ingann la lor'JpergnjLaq^ ' ptrcl^ quante tipltcaddain mano de nemiei,
non fipottano mai. ^tmpgmare,cbt queikimcctroncbe potefjer baeier.qeialtbe
figbi- ficdtomale di/preKauano,comeco/a fatta a cafone fenza tngan no'y.ma quel
fentto-venendo in mano di colui a cui era'drizzatat -pigliando quello fcritto ,
auolgtndolo intorno acquei legneitq" nel modo , c he. er afiato- putito
qetaado, fi fcrtficf fi vedtua\cbt It linee tronche, e le dittioni manche t
andauano a cut^fipngtt^eom fompagne,inttndeuano il voler loro. Quella forte di
f crii- t TdTbtdniaudno' in Grec
ScildtoT'Tn'fi^l'rndf^^ .tatuo ebe Jb/critta -ma ie^\era^IJfandroneir'fiLq^^ Mf
noi bautmo tr&uato firieierejopra vn filo Pacctnfi'auo /gneti rotndi di
dgdl lpetfieztaf C h^ndlt al Tifili fdwUi a&'mco, che f ne va fuori , ^ vn
altro tcnimo a caja,e quando vogliamo '
oui/drr,auoigetnoilfilofopraquellavtrga,e focnai^odlligeiKd ebcytteha benfi^iltt, -^nCtpfimtMttfiemeybe
non vi appitiJiqm \ nuda dei legno^cofibauendo
atvomodaoqueifiio-ipei^l^'lmn^'iij^ na ekaveegafcrmertmoyeome dfopra,
^uoqaeUcbe vogltd- tuo ,fe i legnetti faranno larghi^ cafirnmft^ v^., Jitp
ftjpo . ' porrai D Gio.;Bat. della Por. Lib.:XVL : t Come fi Icriua invua carca
perganeaa>che.4o fri(Co>i '! nbo 6
veda-.- .n" . * Come barai feritto in vna carta pergamena , aeeofia al
lume della candela, dei fuoco , perche fubito fe inerelparlrftrauol~- gerinfe
ieffa,ebe non terr pi forma,nefemhianza^dt.primth fieri tto', tlcbefi da alcuno
Jiwa viios non potr imaginatfi ebe fi, fia,\ngano fitto., Ma volendgfi
poilegere quello, pongafi induo-^ \o bumido ,
fi bagni leggiermente , che da fi fiefio. fi dilater e (orner come era
primo piaM , e difiefo,ebe lo ferttor ebe ci fik fatto prima, filegerfenzA
altuaa fatica. Hor infegnartmo, : 'Come
fi poir,fcriuereoe*.cagli d libri.' t ;
4 \.\Qj(amdo vnlbgo far AdutniigatOye tarlato da latice tmfo dieoi. hr nefo ,1
tagli, noi imnrverem il ia^io , & apriremo in modoi' cbijliano le, carte
obttquei " t fendo eo obhqu ite, potremo ferw mere neU'efiremit ii quelle
earti,e narrar la no itva'inttntkme^ che come drizzer,*t lo Itbra eJaiearte
rito* nerat.no al fuouogho\ nonapparxofa
aitf*aa%ine f i potr wtaginare, eterni fia ferino alcuno , ma colui che vorr
leggere quel fcrtuo bifogna' aprirlo^ j" obliquarlo nel modo che fiaua,
quando fcriueremo,cbt a'J'bora fi vrfi lo fritto . Neimgdefimo modo potremo
firiuere.tn qui vrntagh.'i e fi fifUegMo'M ihti piegature, e pi e prno, t fi'di
iit rdono . Potremo anehofd. *i ' '1
Scriucre nelle carri ia giocarti. In quel luoeo fi potr ben firiuere ,
principalmtnteneOe corti da giocare, Uqtiali b\figna ordinarle co vn. ordine
certOrcbeJ vna fegui l'altra, e tutte firitte , prouetfie fon ordine >
e.eame lbarai e^atfomodattferiuertmo ne' tagliai qutUegmUo tiitiogliamo. 4 t ^ ' Della M agla nat orale dopo mt/colarlifrJoro, e f alumt rimolgtrh
/tto /opta,tb* fi a forma piu rtuneri del ferittO'i ma foh , fialtuno tuttofo
ri fguardatort vorr mirarle fttUmente > non vedr fe nmt ctri PinfidiJfefinati
: ma quando fi vorr legger e, pongnji con qutl~ lo ordine tbe fi fcriffe, che i
ponti, e le linee s 'actozzeranno e tag^ giuQtrnno infieme, e fi legger ogni
eof a eeeeOentemente . Potre* ^0 antbora 'ftriuere nelle penne delle (olombe ,
e dt altri vcctlli biancbit riaolgendole [opra, e fctiuere , eh'etfnie
laJciniole,ri~ torneranno al fuo'luogbo, non moflreranna alcunfcrtto', mari*-
upigendole potai erto dogando fcriutfle, leggerai il /eritto ilebd non potr i
poca vtiiit a coloro, tbefi feruono dtlleeolombefP eorriemii.Ci xmmodor> \ y
' ' y--. .v Come fi pofTa nafcondere le
lettere in vn legno. 4^ tu- - Si farioon vna framde da non feoprir,mai
imprimere eaf at- tiri in vn-legne, che nS fi. vedranno, fe non quando
vogliamo. Si* tl legno eamofo, e molUlcome di pioppo, teglia ,e firtiile, e con
quel. fern,che. vfixno gli flampatori ' imptemere nelle matri di rame lo
lettere, che volgarnunttebiamano ^ngonhf imprimano lelet^ tere /apra quel
legno, tbe profondmo meno dito, poi fi appiani quel lagno oon. ia\afe'A de.
mafft.mgn*^ fiftobt gionga la profondi* tadelliaaratUri impraffi,-a eam* far
tatto mianato,& egetagli. to, manderai il bafilmt *lf amho^ytaoa, me fi*
eonfapeuole del f*tta,ilquale ponendo qual legno deittro l^qaot gonfiandofi
d'ao qmavfeir anno le lettere fuori, otatttOy' quanta per forza fumo uprejfe
d*ntro,e le lettere apparirano prommentite ehi ari/lime, fuori quello paterno
eftquire ne' vafi fatti al tomo , ebe dopo ebe Qui tornati, fi impiumeranno le
lotterete poi lo ritorniamo al tor* mpolito,(y mandandolo alt amtcot oponendolo
nelt aeque vedr le'ltUertu, i . -m, I-.- \ ' 5'.\ li. lo che lupgho fi poooo
nafcoaiiere repftole. Gap. VI, '-..i .
Agghnaremo delle epifiole,iout fi posano ndfeodi- re, tbe non diano fujpittohe
di frode, allvHim parleremo de corrieri addurremo alcuni efempi,cbt hautfu
trouti nelle hifiorie de gli anticbi,e ebe to-
vi bautmo trouato dt buono . E primo ' Come DI Gio. Bat. della Por.
Llb.XVI. of Come le piftole fi poflTaoo balcondere in.vn Wgp>' . I/ accorre
vn luogbo dxTtofrajto% nei qual et ammonrle , che incifott tagliato nella
feotza di vn arbori: verde ^ e cauuio tanto dentro , quanto eapi/ca vna Ittura,
e pot hgato bette t pallilo giu fio tempo di natura, Jerrarji il l-gno.e
rejlarui dentro cfiuf a. / n quefo modo egli aili rihgoji comandamenti per ind
fina di buomim,rincbiufe le lettere nell' arbore , gtuatea ebegit buommi
JipoJfano tirare . M.a queflo ejfempiodi Teofrajlo lh patto qui pi tofio per
vna fomiglianza , che pojfa gioudrei molto a quellbt di che hauetr.o bt fogno ,
perche a poterfi feruirdi queflo ci btfo* gnartbbe molt tempo . Ma quejioo
paterno vfare nel legno fee- eo t come iabiete non incomodamente in quejio
mudo, ineolUnM pot le giunture con colla bianca . Ancboraji.panno^ Nafeonder le
lettere nelle torto. Come baf.no vfato i nojlri maggiori. Addurremo qui vna
ajlu tiadi fondere femina, la qualmentre Jt eelebraua nel campa de' Milety, Ji
eelebraua vna fella falerme della patria , mentre tutti ftauanofepeliu nel
vino, e nei fanno , ejj'endole data oceajio^ ne dal tempo per poter auifari fratelli,
eoa fece . Trego Dioge- ne Prenctpe de gh Eritrei,ebe li fu/fe data poteft di
poter man dar a fratelli alcuna parte di
quei ctbi,ebe baueano mangiato, di che bauuto Iteetga ferine in tauoletta dt
piombo,qutlio ebe voiea auffar t ' quello nafcojto ne' ptati,iijfe a colui, che
h portaua, ehi dn ejjc da fua parte a fratelli,che foli tjhj mar.giajjero
queliti i frati Ih aperta la torta trouaro la liPtera,cbe vi era nafeofta den
coi dice..* Accioche alcun portar pofia le lettere Sotto il fcQO potri fotto la
fafeu E delie Digitized by Coogle 4o4
Della Magia Naturale Mie Ciarpe anehoK pocran le Taole Soctai piedi celar
Toccoleenoce^. ' . NafeoBder.leleBereiielUcorreggijL/.' , / Campani ba$uu0no mvfMOStbtijmando voUuunt
uifr* iCartAginefi % ^ tjfindo b*n guardaU intorno da Romani t da* quali tram
ajft diati y mandarne vn foldato btn.ornatOte(m dir tb'era fugito
daB^*Jfkrtiio,iaualportaua waittura^nada cin' tadtOa ipadot t jimulando r^r
fuggito^ la Mrtda Carpttgifl^ Altri fono diati che banno forittodtntro i- dateM
vie ebe non jipoteuno mandar le lettere, trono vftfuoff deliffimo amico, e
lovefiida eaeeiatort,ltpofevn lepore in mano, dentro nel ventre neOt budeBa
portano le lettere,t letnand injin mt^rJSa . Soltmo antbora ne!' nqfiri tempi
'Rinchinder le lettere nelle pietre^* . Toglierne le feltti,e nel mortaio di
brongo lopi/lfimo filtiliBi~ marne ntt , e fi fettaeeiano poi molte bene , pet
fi p(^it in va/t di rame a liquefare al foco la. pece greca, cio
j>erqgniJibradi'Jli~ ee due oneie di pece greca, fm fiaggionge m\
pfilete,.efimefcbia poi fi rinebiud?Ja
lettera in due laminofotU di pHmbo,t fi rin~ chiude dentro la midura., e fi
piglia daliat aidata , efe potfein va f acche tto di tela di lino , e fi
firinge quando i calda, di modo ebe prenda vna forma rotonda, poi Jonmergerla
in acqua fred-^ da jinebe diutngbi dura, e raffembri vna feltet..t * *
'% * '* i..-; ' Diqu*. Digitized by
Google Di GIo:Batt. deit Por. Lib.XVl. D quali meilggieri occolti cipoflUffi
feruire* Csq); ViL p^fiMent gtah papiro gfi attttthi ntinm* /condire i corrieri
; pereioeht f hanno fatti emdP' vefiiti sfotto diuerfi habiti per oteoitarglit
e fijbno^ ^cna volta feruiti' ite lor ^:ete di' gti emime^i- 5gr iwt?
perciotbCf . - . c , SitnuUrrbabico li
cafii&j. Fu inu 'entione de Gio/ppo , i/qual comand ibi' gii eorrhpi ft'
coprifiro di tana t 'e coj pa/ando ingannauano le guardie t d* foldati che vigilauano a qutfo
efftto,tquali come efa da d$^rt^ Karjtnonfe ne guarduanot che fi pur alcuna volta
erano fco- uertidaQe guardie, Jimagittauano che fujhrotaniie fe ne f erut-
tante volUifir.chefe ne 'ac cor fero le guardtifcbe ehi fero la vlici ' che pt
non vi potcjfcro.paji^e . haffd fuefio aOa biemanu turiojt t cbe trouar via
diing'aaar ancboh\ t firr, aeeiotbe f ' corrieri non vinifero in poter delle
guardici e di coloro che f /- tereepiuano . La onde lafciat di andar per terra,
tene^df andar per li fiumi:ma aceiocbe l'acqua non ifeaneeUaJfe eletterei eomo
nr auifa F ronfino, fcrijfero le fettere in laminai piombose porat- tafcate
alle braccia de' foldati Valteaaam il fiume tabella . Mar- . Lueuilo , eome r
ferifce tt^So Fhnttno,^ptr auifar i Ci&igodi ^ della fina venuta, iquali
atbora erano ajfedeati da JtitridatetiP!^^^ ijfendo guardate te vie che non fi
ptrteua p/rjftre, lacuale con Vet'-^ pieetol ponte fi pa fatta, tent di paft*^^
mare . T olfe vrr faU- * dlp de gli ordinri/ per quifio emtto,e loffederrfopra
duo vtrb ' gonfiati, e ebe dentro baueuano-u lettere rincbinft ^ ^ attaccate di
due legnetti nel mex.0 ,, cbe bautuano/embmr.za di lontano di vva beiha marma,
pafs tl fiume per fette miglia, auu coloro doMavonutdellr genrri,
CfiftehraLj-'' * , ' Scrui^ klre
ft^ *Soho fiati acbdr filiti , ni
quefia aJhitra le parse afai fiat- ra, dubitando fianpre Jbuom, cbe quale be
inganno, pertajoil toqfiero fufe venuto
ih matto de* htmici, cbe bauefe
affvltimo manififital verit, o cbe per forgi di tormentai bauefitrof ai- to
ton~ Digitized by Google Della Magia Naturale . to c'iripffare, hanno cercato di
mandar i corrieri per f ariate que^ fi' con le J lette , delle quali alle volte
f ftmo Jerutti tn vece di tnrrten , che andando eoji per eielotjujftro {iati
jteuri, che noK^ j a/Sero'^Jiat' iniereepute dalle guardie, 0 > qutJlo
Tnodo,co>n archtbuggi , cio rifiretta
la lettera, dr auoltain vna forma di balla quanto pi firettamentefi poj- fa, e
poi pofia nelle forme doue j fermano le balle dt piombo, fi butta fopra il
piombo liquefatto ; ma non infocato, e cofi pofia la baila nella canna de!
feoppio la mandiamo per aria ; ma perche fono picciolt,e farebbe disili a
ritrouarfi , fe ne potranno man- dar molte . tl modo di eauarne la lettera da
dentro la balla, fa- r,outro ponendola a liquefare a poeoJco, lafiata
dentro ar- gento viuodn poco ipatio di
tempo fi disf, lafeiando la carta in- tatta . Inftgnaremo aneboret-* Viar U
colomba per corriero. E et feruiremo degli Vietili per mefjaggieri , f a far
quef effetto et fei uiremo delle colombe dette rondtnt,quagte, altri vecellt
antbora . S^efte dunque fempre ebe ne baremo bifogno, tiuaule da' luoghi loro,
e ^portare con voi altroue attaccandole le lettere a! eollo,ouero a
ptedulaftiandole andare ft ne ritornano a luoghi loro , e dtfimtli eorrteri fe
ni feruuta f antiquit quand ne bd Di
Gio. Bai. della Por. rUb.XVI. darcyle
quali auide di lucere di cibo ^ve land /oprale alttfiime par ti de gli
edificy,J ripofauano^ le' quali Bruto ptgltaua, e coti era auifdto delle cofe
che erano fattej la onde po fio Jempre cibo a ^uei medejimi luoghi Je riceueua
. Di qu Plinio. Non vi giou jojfet ne le guaddie vigilanti > ne lbauer tefe
le reti al fiume ad Anto- nio
eaminandoil corrieropet T aria . Co'l medefimomodo in vn, giorno fu
auifato la vittoria da Olimpia di Egina di Tauroftene al fuo padre > fe ben
molti dicono che Jia fiato auifato per incanti Altri la raccontano di altro
modo, che Taurofiene partendofi dal- la fua eafa port feco vna colomba , che
bauea lafciata ifuot pic- cioni all' bora vfciti dalfvuoua, " ancbora
bagnatile dopo bauer vinto y bauendola vefiita di porpora la fi libera, Uqual
volando con graniijfima prefiefna per ritornar a fuoi figli, in vngior-* no vol
da Fifa infino M[Egina:di che ne fa fede Eliano . Non mancano , chi ban fatto
il medefmo effetto con le rondini , che le- natele da nidi, lafciatii loro
figliuoli,comefur fatte libere %fene ritomaro aUe cafe loro . Scriuono molti
oltre i mari nelf oriente ejfernoui certe colombe ,lequali feruono in vece di
eorrieriyt cbeft l^n Pi ehiufa la firada per mezo i nemici, portando le lettere
at-. taccate fotto Pali de loro padroni, in breutjpmo tempo le portano in molto
lontano paefe ,* ilcbe forf intefe Giuuenale, quando dijfe Come fe dalle parti
afTai rimoce La lettera vol come faceta^. Si trend anehora feritto nlP antica
memoria dille bi fiorir , iffetd fiato vn Ri di Egitto chiamato Marte t ilqual
fbaueua aUtMata vna cornacchia , e fattala domeflica , e piaceuplt^ , ^cUa
quale fi feruiua , fempre che bauefe bauuto bifogno di vn corriera , di vna faetta volante per aufar alcun fatto f
pereioebe quella, come fuffe fiata ragioncuole creatura , portando la lettera
volaua do- ue tra di bifogno , fapendo benifitmamente il luoco doue bifogna- ua
gire, doue bifognaua fermarfi, dome ripefarfi\- lutS1eeofe ba ritrouata P
imaginatione bumana per guardar/e da' pericoli , t feruirfene nt bifogni\ ma
con le fue medefime muentioni pi ha nociuto a fe ffia . Quando P e ffereito
Cbrifiano combattenti^ T olomaide,bautndo Saladino Jeruitofi di vna colmba per
auifar Rrr glt Digiti^ ly CvOOglt^ Di Gio.Batt^dclU P/^r. LiB.XVI. bit Sfido,
cbtfarfi f^fft fiato ntercettoiitorri$rO\\a fiotto pai(/fj tradimtr.tOx'Jifufit
i gran ptngiio iritroud fMcJta i!f>u*nti^H/> Ad vn fuo J dop
ttnntappr^'ofic icfift afifpto che fujjero errfeiuti i capelit,t dopo crtjctuU,
lo mand ad Art~ jiagora con commtjjont . i bt quanco Jtijjc j^ton to a
(ut.tl'.au^afi- ft y che come banca /atto egli . copi' Luiattjjc tl-capo f c/b
il Jeruo in M lieto , dune fiaua Am/iagormy^tardeifptA^ itMdit to lbanca
comandato ti padrone\h'ft^tmbafidtaa^i'JiiJpH^ft-' do , eom'era
^tfirfiiibgi,'>i(kA9' itont t ebe tfOudFantiquit per
naficoaxdero^,ccrriipiimyiitci\o non pu tjfer ben fieuro , che rafi i capelli
rfiferunfie riti pcrciocbc t Judando il capo, come che /pt^o /ua,agt;noimertHli
panno feanccllar le lettere , aj'e.pt. nn ftanettlrie /ot^\l^ eotica con f aeo,'nt
iuqo)iito'Julrebbe{d Jteurotviui^-ebfipbrta^ d^ittfert itone ifid fiaffe
intercetto f pwbedei quaetettipi^fifiddHi
'gentifitma perqu^tjon , ia panr^'^ ha meefiit^J^fiybu9mo,lti dal
/oiHo^a fiut, 'pigiisnp ,.na panche babbtvti foMo.tq/a^
mfaux^^^fiatnupat^far*^vmo^^\e'toutato tuUe ies)rddat-diede pojfano conojeere
la verit, non fila/fono prmefii,-n che non fi pofiano,fcanccllaie. ' u n .. M-.r ' Come Diyi^zcJ by GoogU -l _ :
-V;>7 ' tAV\- . - v;
DiGIo',>8atw6lhi:Pr.LiKlXVL Ciriefvn
corrieri {HTr^wrcar ltre ehc. non fi treggooo, v e non fi poniio fcan^Uarc.che non Sappia
ch&lc porcif e comfi faccino wfibili quando fi tiioU... . i Qliift au(f^\Ji
ti hm^t fi/tritarannd dfeffv U ^dlle del ^arner ifenztt^^b Ikf'^n'sceoi^a ^ e
q^^t^^/aremp con alcuno y^rlniffr\eh hrfci'aht^frfandMnenU Prmireim.enttM Ji
ferir ^n'o , e H ficcaiioy;'f>^mt jifiteM9nfanmftri^ libra *#V fieno, le
lettere, ^mfrannaftteke,\n \ t -, ,v . .-vv. -
. ,'j "^MaveggrM fi'eon dicano liquore fi pub fcrmeri /pra le ear^
^niidriValicahdvnfidiniOper^^^ per fudarg non pofir
^ndfddyw':t,edopo^fp'rgendtMffoprjt xma poluenhOHorovnji- qor \ pp'drtfcan le
Isterf'. Se f /opra le /palla emafiritturaip, Ja qua/'txuafitx con vn certo
Ifipaarr, '.che non b'a/itr buamon ' ^dfr/ointintire fe nOfC colui, che fapM
tiejremenie il fecrtsq . '^'dndo'^^ feriuea bn vitHoiofoiuco nk^P acqua , eo la
decottio^'^ 'de dell/ gaih. Sfi kranno/fi fe fard acuta, p^er^dmtfflKalla ,
'q,utefte letterd,non fi potranno fcaiteellaredn fnch lden.cjpotremo ,
firuif'dtl faiioftjht ammomacocon la cali4,out\cfilfapomx j'vdtbior
tuycbmo.Sicon olio dt litargirio feranno/iegqfeyOpT- pariranno dt latte,con
acqua vitt,ouero ip fua vece aceto djfitllq^ri'k to, ^ acqua di falt-^ . * ** * ' ' * , Come (I^pol^nio.riir carabi che
ne cadano ', ' morni determinati. 7 'Cap.v.iX* i . ' d Sfaremo d-nuefiigare come fipoffdno
farlftUr^ fhp'rdla carta -.ouervin itri
luogbiicht a determi- nati girni
fparifeanOi" alcuni altri caratteri, che ' i non Jt veggano, che
appart/cqnc. quando verremo d ' giorni deterdtinati , de quali si ^pojhanto
fruire non Clo per le cifre oecolie ^ mnneUi altri vji nectjfatq^er lo-L tio
fra vita l 'Ma le lettere 'tbe fparifeano Ji panno /ar di duo enoU'o con acque
fdrtiitben'adbmo fiatarla, .aperdcopliqUorit - ' Rrr j" ebt Digitized by Google g t\ . I . Della Magli
ncorilcn o [g thfda hro ijliffi
fuaritfeano ebt per ogni leggiero
toeeamento fe ne ea lana, e ebe hfeixno il iuogbotdoue fono ^ti fsrittifene^
alcun fegno . Ma eamnctamo ad infegnare^ Come (i taccine i caraaeri. che rodono
la cattai Si rmfibi*r$ptrtranno fubtto le lettere , onero in ^atio di vn mfe ,
fetooio ptu , meno vt porrai dell olio,
che prima, ebe ti pomi i fci tir li lettera , ne porrai far la pruoua.Se
vedrait ebe opf %r i lenta ninte,et a^^iongerai vn poco pi di olio fe trop
popre;1j,nt naneb!rai, la indebolirai eoa l'acqua . llmeiefi- Mo farai , fe m
febi trai la Itffiuta fortiJSima , ebe ebiamano vol- garmente il caoiti J, con
l'i tcbhjlro ; perche primo diuerranno gia!le,e dop pariranno . il medtjimo fard
rollo di tartaro,ouer di file alebali, d di foia il meiefimo farai con l'acqua
forte da partir foro; pircht rodono la cartate finebiotlro, ebe appena fe ne ve
Iranno i vi /figgi dede lettere , Ma fe defideri /aperta Com: (i ficcQO i
caracceri,che Tparifeano via_. Habh'ifi acqua vita pur gatiffima.o nero di
canforate carbone di paglia 'trufei ita ; perche ipirando l'acqua vita co'l
tempo ,fpari- ran no le letti re aaehora, e fparenio via quella eolia della
tintu- ra,taitr la ferittura. Paeeifi piluere della pietra paragone fot-
tiliflima : perche tjfenio di natura di arena > cader d piu ageuoi- mente
dalla carta, ebe appena fe ne vtird l'orma,
i ftgni delle lettere . Si fd
anebora-^ Datcro nsoio. Spargafla polutre della limatura deJ acciaio nelT aequa
d par tire, ebe (la tre volte tanto, alle quali aggiongerai faligine di pece
ntra, di terebentina, aceicbe diuenti nera, e euopri Tinga- no.dimtntf fbprail
porf io conia pietra , noi feriui,ebt come in - ueeebiano ft ne eaderannt dalla
carta . Qretfo non mi par di la- feiar di auftfrtire, ebt i capo, e Principal
i-euirtimento di tutta Popr.%,far fpfjfo prujua, ehtfifi pi del douere in carta
aggion- gafivn ?dco pi di acqua forte, e fi firMingegnofo nonfeve- drannoi
fegnali del luogho,dout fu Ceritta la lettera , cosi barai vn feeretoHmiU a
qutflo , ft bifo^nari feruirti di tal feereto . Piglia tgual pefo di ertfoeolla
, fale amniniaco, " alu m, t pi/le tutte queflt eofe btniflim, fi pongbino
in vna pignatta.poi farai li/iuiP forti e9aealee,epoJ9 wnauU i ItnoMU bocca iti
vafe, , thrnritrutrtU ctfhiupsrtoUlo, txfi^arMiugjUrtKn ^M^ mifchia ean
rtnchifim, $ comt parane vn poto diUmpotnu- iUtbUiiaridop poco foc^/t* wWrwW
ino. jII contrario poi /e vorrai Che le lettere vifibili appaiono dopo qualche
temp RiBouar le lettere gii fpariitt/. . , , Sedefidererae vorrai leggere
le'JetteregifipatUie bugiai . le galle
cit l vino e bagnerai lfiertUq eemn fippngm,e appar- ranno le lettere
fiubitoche teniranno quello burhore fi colorir ne, e rJtorneranno, cerne erano
pr,tno. Ero 4 Come Digitized by Coogle t * i> tnJegvaretnmCme poffiamet,
Filfcggiarc il fugello . ^ Si liquef ilfolfoyt quando^ iiquejMSOybuttaui dentro
etrujfia p9ltttriz.zMtayquefa mifiura pont fopra tlfugelloi ma ponimi al- cuna
cofa tntomoyO ai cartai o di tritati premi, e come raffred- dato toglilo via, (ir tn quello
barai la {lampa del fugello. Il me- defimo anebora faremo in altro modo .
Riempi vna pignatta di aceto,e buttaat dentro dentro det vitriolstfonpoco dt verdera-
me,e lafcia coli mentre hmglie e dentro poniui lamine di ferro , e poco dop,
toglilo, e rodi d /oprala fuptrfiete con vn tolliq, coirti vna certa
palugintteome luto,e feritala tn\onafeudtlla,poi di nnb HO li butta, dentro l
pignatta, e lena l'altro , e radi nel mede fimo jnodo,e coj fin tanto che barai
vna buona parte di quella r afura, in quefio butta argento vino, ef vwa
malgama, laquai mentre i molle, e tenera,impr;merai fopra>vn fugiIo,e
Jafcialo al feouer-,^ toi perche indareri di tal frte, che ageuohktntt potrai
jmpri, mere le lettere eo'l fugeda.cbe parr metaio. Potremo anebora in 'altra
modo fare il medefmo .Vigliahmatura di aeciaio,e ponila invn vafe duro al
fuoco,^ aggiugiui quele~co/t che ageuolano la fui ffne, e' conte far liqfafte
biiUahtin vn Iteogho catto, poi pefah in mortaio di bl-onzo^tbe fi prferd
agrnolmtnte, e co^ farai tre, e quattro voltr, poi fanne poluerctt mtfcbta con
argen^ to viuo , e ponila in vna pignatta vitreata , per vna quarta parte di
gior no infin taiitoicbe jia bht tnifcbiato, ad'vltimo imprimi in .qu/a mffa il
fugeUo,t lafcia raffredare,t diuertduriffuno . iqrtqfa anebora pdffibHi^ * ' I . 1 ' 'i 3 Dar > Digitiz.^l 1 y
GoogU Di Giq,|^tt.4lUihFM.r.LiaXVI. ttf gf jwjiciiarne Yoi
iai^ottiiipioctdill^''/ > i,'^^neader^ titoun*. voU'4^\ cb* bsbbiamff
ib/o^oyiUrtjn iftgtUo ipinorfrt(i4 iii efe*ii^h^a *'* Mtqifat
f9fJ*^gn,tijtt^titaM^04tvi AK'^vbt Kxm'^i^iUi.bx'dtJil^. gUOi pai cinviida. il
/u^tbA di etra. cbt ninfeaf^ br tnatri^
di qi^,(f.di Idx poi'pont iaetdta'diptfet^'^uOfiSF ti'\ ~^^F^d* ^fi.T
thM^otioifayggiartJhprd'^ ibiadivtriO^bt nort.b^bbfdtt-yfogiia da dtitko
^'tfipr^U'ftttrd, ponici 04rtd binc^j t fatto fk ve.tr^ii lume poi tdotptra'il tua incbtoijr.y tktjiatotfn
quelhiutekf-ftritto jid-leutray e va con ia pt-nn/trannoU
iinc(\dccaraltertyXomt qucU\cbeti appari^, ranno di fotta Potremo ;;.v* . .. i.>. * ' t .1- V
A^prifj^cfcjrcar Jcjcttere che ito fi cooofeono. 'Aiian^rosvfon^ fttidano Mettere 4 ponedo
vna'Cartn fopraia fttitrqcheda^Aparttpaffa fa iettala' da vna parti iaitra,t dall' alte afijitne ia carta cbt
auanza fopra la pajfntn%. fi pont la cera /opra la pajfatnraje pei V fitgellof
imprimere ed fi ferrerai la Itttera . T u rompire quella porteci carta,cbe paf-
fa la lettera btftta,cbe fubo s'aprir la letteratleg/tlOi e JerraJd dt nuoft,
poi aeoomoda quella carta , ebr prima rompefit in quel bufo, (ioue fiaua
prima ma prima bagnerai la fijfura
eongm^ ma draganti liquefatta^ in acqua ; perche s'mtolla cefi con la cae^
ta,ebcjar4 Pi cenjolUuta in quel ioca,cbe nei rcjiante della'van^ tayponiui
/opra w.pefii finche fi ftccbi v E.lafrodc rum pud fio^ prirfi i perche la
colia hianea, nefi conofet dai folor Mia carta
., > ' ' '' f-'- t .. .1... . ri ~ 1^ ' ^ Cerne fi potr
parjar'di] CapVXl f.i} Potrei ^1 I .
" ^ ^ f Hata oaowpaTtyaj am ^^ Jpttlione,'come.diremOfma bora dt duo
modi,. fon Id voce pefiejfd in dpcrfo i ouero per vn condottar Coa Di'jii'- - 1
ly Cl-'Ogll Coo la v i 'refiantoielpndefimoordmo.Gefi poi quattro vna volta TK,
Je medefimedue volte , S, tre volte Nfijfe , e enfi delle rejlantt, Pan
q.uefiomodo la moglie adultera fignifieber da wa feneflra apH-tre lumi
mojlrandoli cinque volte , poi duo due volte , poi tre due Vi4te*. Apprejfo
vna,vna volta, la medcfm'a quattro volte, poi tttufua volte le tre, dopo tre,e
le medefime quattro volte dua . l/'ir defi* di poffonantofirar iiumi di vary
colori,fe''gli amici faran- no di ^prejfo.\.Pojf amoco' i fumo dtmofrarla
venuta de' nemi- ci, ouer'oUro- che vogliamo
La onde aetenne ' chrpiy inganno d- Ant.tlcare,(kegi Agrigentini
figumdogitdmfntiidilungat'tfhnol $0 ^UaCttt,cadtroneiit aguati dt
'nimut',cbCji*uana nafeofii, tbrufeiata la felua,ne patiner vna grande
Biiafone', perctotbt vergendo forger dalla Citta il fumo s penfandof, che
fujfero ri- t^hianna,0 da ghauitci aUt'eafehrcr,^ riuoltandofi, fe devmius-
eioalla^itt ,iJfendaMiihibatcilGapttnoifeguendoli i Caita- ginefi't.^Ufi ibi
primo fuggttu^i g anftuAtza i/ttiv'*^''- * *'* II Fine del Decimofefto
Libro DI GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA, N
APOLIT A N DELLA MAGIA NATVRALEi LI B K
O D E C I MOSETTIMOj Nel qu^le fi propongono i Ipecchi,ehe brufiiimo^ ' e le
Mirabili loro vifioni. ' PROEMIO. l fiamogionti aB0 fetnzt di materna- tica^iy
0 luogo tomanda tbe fi ra^or ni alquanto de ^ceebi } perche non i cofa che pi
rilplenda nea Geometra per ingegno , per merauiglia t e pCP vtiiitd . Ma che
eofe fi pu imaginar pi ingegnofa^ che alle dimofirationi di matematica
conceputey" imagina- ti con r animo
Jeguano eertjfimamen- te r evertente r B la certijfima dima- firatione
Geometrica fi proni ancb'or con l'efberienza deglioc^ chi? Cbe cfa'pi mirabile
fi pu vedere t che dma vkeeeuole ri- fiejfione de raggi fi vedano neW aria le
imagini pendenti de B elea eofe^finza veder lo ifiecbiOt e I obietto i cbe
veggendole parche non accadino per
refiejiioni di [pecchi $ ma per tncantefmit' per prefiigjf de gli occhi . /
[pecchi che brufcianotnon doue fi adunu- tio li raggi : ma in vna lungbijfima
difiani:a,non foto farineek- ; ma far cbe folgori celefti, e fpauentofi incendy
ne rapprefen- tino, tanto vltjfime neUe guerre naualhper non dir in miO alimi
vfi Di Gip. Bt.della Por. Lib.XVII. , eb''q'aando fi miramano^ noneorrtjpondeua
la imagmealla lei^alor> Mai dalla forma tl fpetebto nenafcono gra^dijjfi- ^
nte vartit 'cio ' , * . . , * Che la faccia del riguardante
appaia diuira per mezo . Si quella fiuperficitiCht s'oppone a gli occhi pianale
che fiv fpia- nata eccellentijtmamente alla normale l' altra faecia ebejigton-.
, gt con quella all'angolo molto ottufotUhe nel mega appaia quello angolOiC
nelle ejiremit refh acMta.,e bajfa^dop fi ponga la fogha dietroiebe
l'imaginecbe rapprefenter a gltoccbifioue le faccit fi' giongono in angolo^ la
faccia pareri diuifa per mego. Se vuoi (.he la faccia del riguardante appaia di
alino* dicane* ^ di porco
romigliaotilfima . ' Dalla variatione del luoeo dell'angolo ^ fi vedr variare
lajt, forma del riguardante . Si quella parte del fpeecbto che far po~ fia
incontro all'occhio da dietro far prominente in vn orlotoue- ro vn angolo
ottufo ajfai , fi vedr la faccia che fi
fparger in ' fuori, come la faccia di qfino,o di porco. Se aif incontro de gli
oc- chi far gonfia , parr che gli occhi balzino fuori, come gli occhi delle
locuile. Se l'anelo fi ai fender per la lunghezza del fpte- ehio, fi vedranno
la fronte, il nafo, e la bocca acuthcome vn mu-
Jlaeeiodi tane. Finalmente i . ^
Che tutta la faccia appaia variifC difForine, , Se ti piace, m tnebi il fpecchio daUafua
drittezza,e pianezza, ilcbe acetoebe fi facci, quando il fpetebto far /pianato,
di nuouo tornalo alla fornace, e fi riuolti dentro dalla detta mano dell'ar-
tefice , aeeiocbe penda la fua drittura, indi fi ponga la fua foglia dietro ;
La onde dalla caua parte del fpecebio ti vitn data la fac- eta eauata, e dalla
parte fponta in fuori,drfiorta,e gonfia da den- tro , e da fuori , finalmente
fi far fpianqto da vna parte del fpecebio, la faccia parer lungo, e fi per
teengo, argd Inveirai', laonde btfogna ebe da tutte le parti fi rpiani,
acetoebe ti dimojlri laVera forma della faccia. Infegnrenao anchora i ^-i Fare
vn fpecchio di molte ima gini. . . Che
mofiri pi imagini f vna dop t'altra,t variamente colora- ta . Faeetfi il corpo
del fpeecbto di vn vetro foHdo, di crqjfz tai* d> rnezo dito, Jpianefidi
modo ebe da vna parte la grajfcgt rtfii intatta, e dall'altra parte concorrano
infieme le linee dif vna , e t altra fuperficte, acuta come il taglio di vn
coltello . L'altra- ta- bella del fpecebiQ di tal modo, onero di pi, "
alvltimafi ponga Della Magia natarale ia foglia di SagnOiCht tvno t'accommoii
fofra tltro^eht a ^ ^ U pi dttieata di 9no tattomodi /opra F altra pi foia^ t
tyi ^ ' r la faccia del riguardare doppiati' vna appreso f altra,! la fe*y
onda, di fatto fempn di colore pi debole Cojt fe accommodtrai tre tauole di
fpeeebio F vna fopra l'altra del medejmo modofive^ dano tre imagini, e quanto
pi di lontano fi vedr la faccia del rpettatore dal fpeeebio, tanto Fimagini
delle faccie fi fpartiranua pi F vna lontana da F altra ; ma aceofiandoti da
prefio quafi fi congiongono in vna. Se gli moftrer vna candela acceja,fe ne
Vf> dranno molte infume , ilebe auuiene dalla vieendeuole refiejfiont de
raggi . E fi coloro ebe fpianano gli fpeeebi nonFbaurefit coti pronti ,
pojfiamo fare il medefimo con i fpeeebi volgari , accomo^ dando f vno fopra
l'altro ; ma fia difiante l'vna da l'altra co/l^ fhatq proportionati, poi fi rtncbiudaa nel fuo armario,eb* no fi
fcuopra F artificio . Ne lafcier 'foy Far che lelectere li mandiao loncaoe a
legerl io vn maro. V. Ilcbe faremo co' l medefimo fpeeebio piano, e gli
innamoratit ebe babitano affai di lontano r poffano parlar di nafeofio . Scrini
fopPa la fuperfieie del fpeeebio con nero incbiofro,ouero farai le lettere di
etra vn poco grofiette,e le porrai fopra il fuo piano,aer eioebe t'occupi la
Tua terfex.x.0, dopp opporre lo fptecbto al fole f talch i raggi rtfltfii dal
fpeeebio fi trajmettino nel muro dell^
camera oppofla,tofa chiara far, che rapprefentar nel muro la e btarezza
del fpeeebio, e F ofeuro delle lettere, la cbiarezna far daOi raggi del fole, F
ofeuuro da caratteri di etra,ebt molto ebis~ ramentc fi potr leggere lauif, ,
Altre iUafiom de fpecch piani. Gap. 1 1. \Or foggiongertmo altre fpeeulationi
de* piani, ferii- te a noi dagli antichi, per non lafeiar eofa a dietro^ ma
arrichite oltre modo, e pofie a regola, che fi pojfa* no efperimentare .
Cominciaremo dunque^ ' ' Che con i fpeeebi piani l polTa vr'^rr Ig ^ . cella gi, & i pied*'- ' ^ S' alcun
de(ideear vederfi in fpeceb- ^ $ piedi in alto( ftjben far quefia rep- ^ * yT'
D'.Glo.Bat.delIaPor. Lib.XVII. itS eoncaui ) noi finalmentt infegnaremo farlo
con $ fftethi piant. Tu attaceberat duo pecchi tnjitme per la loro
lung^x.za,cbe Jiie^ HO fermi infieme, che non ageuolmenteji muouano dt qua, e
dt li) e faccino fra loro angola retto . Come bari ben fatto qutjlo , al- t
bora l' apparai alla J 'ua faccia fecondo tu l'barai accoltati injic' me, che
in vno fi veda meza faccia , l'altra refiante nell'altra^ parte,aU' bora tn
chinerai lo Ipeccbio al lato defirotfinifirotmi- randoui drittamente, e vedrai
che la te fi a fi vi torcendo,fparten - dono la faccia per mezo , e fi vedr
l'imagine che bara la teli gi, dy I piedi su ; ikbe fi far grande, fi vedr
tutto l'baomo ri- uerfo, tlcbe auiene dalla vicenaeuole trafmijfione dab'
imagini da l'vno fpetcbio noU' altro,cbe parr rtuerfcio. Cofi potremo Compor vn
Tpccchio di moke imagini. Si fi vn Specchio , chiamato da Greci politaton, cio
di moliti cofie vtfibih ; perche aprendolo, e ferrandolo , di vn fol dito, che
li mofrerai molte imagini . Lo farai cofi dunque. Si formino duo f^ecebi di
cbrifiaOo , outro dt rame , formati ad angoli retti fo- pr vna medefima bafe,if
babbmo fri loro la proportione di vna parte, e meza , ouer altra, e tattacchino
fri loro per lo lato delia- lunghezza , che a modo di libro , fi poffano
aprire-, e chiuder fri loro, acciocbe faccino diuerfi angoli fri loro , come f
ne foglionO fare aV E N ET l A; perche moSirandogli vna faccia , ne ve- drai
molte, e quanto pi chiuderai fhetto lo fpeccbio, e faranno fri loro pi tiretto
angolo pi ne vedrai, " aprendolo verran- no ad effer meno, e f lo mirerai
con angolo pi ottofo, meno ve- drai , fe gli opporrai vn dito , non vedrai f e
non diti, e le parti . deftre , ti par anno dtjire,e le finifire ; ilcbe contrario al fpec- cbio , auerr quejto dalla
vieendeuole reflefiione , e ferimento dalle immgiai , che l'vna refletterai
nellaltra . ^Potremo ancbora . " Far vn fpecchio de piani comporto, nel
qual fi vedri voa imagine che tiene , Ce
vnaltra che fi parte. Piglia duo fpeecbi piani, de quali la lunghezza fa doppia
atta larghezza, outro di vna f meza, e
ci per ejfer pi comodo-, tanto qutlli pi Ji diungberanno* tbe parche in vno
veneti , nell' altro Ji parta . Auuiene anebo- ra^ che cooirpecchi piani i
veggano quelle cofeiche fi fanno io alcri laoghi,& affai lontani. Si potr
far tofiy che potr alcuno oc cult amente y e fenna dar /u^petto vedr quelle
cofe ebe Ji fanro di lontano r in altri
luoghi : ihbe non potr farji altramente ; ma Ji in eeruello nel eollucarglt nel
fito. Sia vn luogbo nella fua eamera,ouero in al- tra parte , nel quale vorrai
mirare alcuna cofa cb* incontro ad vna
fenefra , buco s'accomodi lo
fpecebio ebe fia alP incontro della tua
faecia^ e ben dritto yji.far bifognoy Ji
attacchi al mu- ro , mouendolo , (b* inchinandolo da tutte le parti , fr tanto
che vedrai il luogbo ebe defideri ,
tlebe bar accofiando y bor rimo- uendoti dal luoco lo vedrai ^e fe far
malagenole con la diotra \ ouer
ajlrolabio ageuolmente lo tramerai , e Ji inaiti fopra vna linea a
perOendicolo^ebe fcgbi egualmente F angolo dell' inetden- tta , e rejiejjtone ,
eoji vedrai quelle cofe rbiaramente ebe Ji fanno in quel luogbo Et il Jimile auuerr in diuerji luoghi. E di
qui auuiene^ che fe non Ji fard molto comodo farlo con vno fpeeebioy potrai far
il medejimo con molti t e fe Jlando molto\lontano la cofa , ebe vuoi veddere
> parr molto pieeiola nel fpecebio * omero , in f offro monti >
torri puero altri impedimenti nel meno*
. Drix.x,erai vn fpsecbio fopra vna linea retta
ebe miri vn altro fpecebio , e ebe fparta l'angolo rette nel meta * ebe
fe fallarai in queFo , mai vedrai quel che desy perche Fvno mandando F ima-
gine fua nell' altro , ptr\dieeud per molti fpeecbi Fimagine rejiejfa viene
Fimagine alFoeebio, e vedrai quelle eofe^ebe primo tincon- trano , mentre F
imagine viene per Itnee dntttyne per trauerfar de muri , e variar de' luoghi ti
far impedita Fimagine, e fe ae- eomoderanno ageuoliffimamtnte . Noi coji ftiamo
Coliti trasferir F tmagini . Ma fe tu dejidtri veder altra cofa alta , e fubhme
ebe con la uifta non Ji pcjfa guardare , aggingerai duo /pecchi fecondo la
lunghezza loro come babbiamo detto prima
ad un le- gno, e F un'fi fermi fopra un muro alt o,ebe dia emineme,^ bab-- ina
una cofa incontro , " il refante attaccate ad una fune , ebe - f pojfa ageuolmente
mouerfi quando piacer y e ebe facci bor^
angulo, r J V. . DigifTzed by Coogle DI Gio.Bat. della Por. LIb. XVII. zj
atiguh oitufo } h fi come comander il btfogno , mentre la linea della cofa utfa
per mego delfpetcbioji nojiro y e gii angoli delia incidentaye refrJito~ ne
Jene ^uali , e fe defii ueder ie cofe altey$nalxMyfe le cojt baf- fi^ ,
abbajjfa, infin a tanto che fi rtfietter alla tua utjia , e che uedi quel che
defii , Sene barai uno nelle mani, mirando in quello au-" uerr
piageuolmtKte, St narra ancbora ^ Come fi faccia vn fi>ecebio che oon ci
rapprefenci imagi oc 4c non di quell oche vuoi . . * ^ Si f cofi ancbora uno
fpeccbioycbe mirando in quello alcunot non uedrd l'imagine tua \ ma quella di
un'altra cofaycbe non fa- r doue egli fita . Fermerai, nel muro un fpeccbio fopra
utt^ piano erett a perpendicolo , e fiotto una conoficiuta parte di an- golo r
inchinerai da un capo , & in contro a lui romperai quel muro y di tanta
fenefira , quanto uuoi che appaia l'imagine di quella , ebe ti piace
rapprefientarcy e et lo porrai incontro fecon- do la quantit della proportione
, e poi euopriy ebe non la poffa^ ueder quel ebe guarda (eia cofa apparir pi
merauigltoja )' e ebe non ut pofa muno aeeoftarfity ebe lo fpeccbio reflettar
alluo- eo fiatuito y t fi uedr fulo dalla uifia quella imagineipercbe fo- lo
fra loro i lafcambteuole refiefiione delle linee , t quiui fipon- ga l occhio y
ilqual luoeo trouerai con la regola, ebe ti b inft gna - to di fopra . Mirando
dunque ilfpettatore , ne uedrd l'magtne jMynealtraycbe appaia dintorno, e come
gionger alloco eon- fiituito uedrd l tmagine della pianta, di alcuna altra imagine , ebe non fi uedrd tn
altro luogbo . Sappi ancbora che fi Jd Vn (pecchio fatto di piani nel qual fi
vedri vna imagine . che par che voli . T^efar di minor confiruttione, e piacere
un fpeeebio,ebe mi- randoui dentro parerai che uoltper aria . Si alcuno defeder
di farloycofiio fard fubtto . St aggtongano\duo legni , che mirino la figura dt
un fquadro . e ben fermati infume faccino un an- golo come quello del triangolo
ortogonto , e ebe babbta la figura dello tfofeele , e nel piede di fuHo,e di f
altro fi farai un fpftcbio . ^ fi .
grande, ebe, t Digitized by Google ^aI Della Magia Naturale che r vno flia
oppojlo all'altro , tgualfrnnte drJlAnti da qutlh an- gulo t e i'zno ai quelli
fi butti in terra a giacere e nel mezo
di quelli fi ponga U fpettaiore alquanto eltuato da terra , aeeiecbt poffa
reflettere la forma del calcagno ccoftandofi^ # che fia equidiflante alt bori-
zonte , cffi lo fpeccbio riceuendo la tua imagine e trafimttendola fielt altro
che niun il riguardante cofi muoua le mani^ t piedi & imitigli vccelli che
volano eofi vedr nelt altro fpeccbio ti-
tnagine che vola che fempre fi
muoue pur ebe non fi parta dal luoco
della reflefiione ; perche fconciare fi il tutto . Dei fpecchio teatrale . Gap.
1 1 1. 'fi trov la dotta antiquit vn fpecchio fattoe compo- ^ fio di fptecbi
piani a cui f demofrerai vno ogget-^ R ,
dimoftrer di quello rtolte i'magini ; Scrtto da Tolomeo in vn certo libro ebev d'intornoalt vi- fcnueremo vn altro
trovato dalla pi et J'refca di ajfat pi rnerauiglia e piacere . Far dunque t
antico Spcccbiocompoftodepiani>nclqaaIeHivnoobiccto,- nc vedrai molte
imagini. - ' lueflo i il modo . Facciafi vn femicircolo fopra vna tavola piana
ouero - luogo ebe tu vorrai e quefo dividerai in tanti ponti quanti vuoi ee dimoflri imagini di vno
oggietto a quali ponti fottoporrai le corde
e fi fecbmo quelle particelle , indi accomodarai fopra quelle linee
fpeccht ptani di quella larghez- za, e di altezza eguali e ebe fitcr.o ben fermati fra loro, ebe non
pojfano fmouerf giongendoh poi feondo le
lunghezze e fileno a piombo fopra i elletto piano . All'vltimo pongafi l'cccbio
del riguardante nel centro del fpecchio , ebe C occhio flia vnflnne^ t
egualmente locato fra tutti , ebe ogn'vno di loro rappreftnta. ra la fu t
faccia , pofie in cercbtocome fi fuol veder ne baliie nel teatro le faccie de
riguardanti , e per chiamato da loro
fpe-c- cbio teatrale, ' teatrico', perche le linee che efeor.o dallotcbio tutte
perpendicolari fopra i piani de' fpteehi fi rrfietteuo in lor fi effe, e cofi
reftettono a gl occhi f imagini, ebe ogn'vno rapprejer.ta lafua, * ^efa
Digitized by Google Di G ioi'Bat del JaPi-. Lib. XVI I, ' (if S^t^aJ/atompa/itiont
dilfpeccbio teatrale antico ; maeofa'da pmfti. Afa noi ne dimofiraremo vna
ajfai ptU TnerautglioJd\'pta- ^.1, , t i, t ^ .t Come ( facci fi Tpecchio
anfteaerale V Faeciafi vn cerchio fopra vna tauoia della gr.andit.tjlt che-eti-
fideri il Specchio , e queUe diuiderui in parte dift^alit t daquel luogo doue
'vorrai miraretOuiro vorr porre l'oggetto lafcia diio luoghi vanitaccioehe
incontro a quella -faccia venati vn Specchio ppofo. poi inalzerai glt ^eochi
fopra quelle linei t th bauenio tirate Jla ^ punto alt altri perpeicolarmente\
perche la faccia che porrai m quct vano di ntezo > occorrgr a quel Specchio
oppo~ fio nel mtfto , e fi vedr quell' ijltfia dal riguardante t di U ri-
altro; t da quello in vn' altro, da molte vicende- 9*ti*fi infinite faccict e
quanti pi fpe-^ chi faranno , pi fe ne vedranno . Se vi porrai vna candela, ne
fffarminfinife , Afa fe gff fpecchi che vi porrai dritti ferannb m queui varq
tome hahhianioinfegriato, che l'vn mofirer le'.. faceiadi afino, f altrfidi
porto, laltra di caHe,aHra giaDiOltrk f^ScafVedraifpettacolo pigicondon pi
nirani- Wwy& ; perche dalla moltiplicata refitJSione,e dalle varirformF di
u" :> Ma Digii'-m by Googli, Jlla bora ne mo/iraremo vn altro ajfai pi
mirabile, t iletUuO' lei perche in quello non Jivedranno le jacne di cbt mira;
ma vn mtraui^liofo, e ben compofio ordine di colonne .di ihlobati^frtggi 4i
aecbittetura.F-acctfi dunque va cerchio della d^ide rata gran* \dt3^za;ma noi
giudicamo che fia digiunila m 'tfura il diametro dj duo piedhc mex.o,il cerchio
fi 'diuida in part eguali, come per dir eo/t.quattordict,i ponti /delie
diui/ionijono i luogbuie fiilobati, e dei* C'.Inne d*iZe^te,e da ime l'buomo
deue mtrarf,fia il vano ,di due colonne, e Jileui questa colonna che fi nel
mez.o, coji relie^ ranno tredici colonne ,fia incontro alla vifia vna colonna ,
poi Ji algmo i ipTccb fi/pra le hn!$,cbe fano fr t vna ealoaajf F alirAi ma non
gtufU\ma mcbipatefiprnvaa colina,
incontro aS'o^ xcbiOfcbt mirerd laggiongbino duo Ipeccbi in vna linea
fetta^ Q* .vn altra fecod il principio del fuo accofi,amento, t ^ueRo non per
altra cagione, f non che opponendoci Ickf accia dei riguardante, no Ji veda la
fua faccia , ne oppofa dritto. alcun'ipcccbio h poffare^ fiettere,come babbiamo
infegnato di fopra;la onde i Ipeccbi no m jfireranno le faccie ; ma le colonne
ij inter colunnij, e f ornato del- { architettura; l,a onde dalla victndcuole
trejmijjione delle ima- ginitfi vtdrdno tante colonnttpudJlaUuy ornamenti,
feruoftdo lconjifentuol ordine di arcbitejttura,cbe .focebio noftro nqnpotrd
veder cofa'ne pi belU,ne'p**'*nerauigliofa * Lardine dt'ae.ebir lettura Jia
dorica, corintia, ornata t tetta di
ore di argerito,'di perle,
di'gioieydiOatuefdi pitture, e cefi Jfmili,acetOcb pot^pi ricca, t di magior
tnagnijicenza. La pianta di fatto fard di qttejd ptanitroL^ Di G. Bat.dellaPor.
. Lib; XVIL nel lpeceb:o AB ouero AC Ia
faccia del riguardante rurnji vedr } ma AB %J rejletter in IH IH tn BD coji
dulia-'Di- cetideto'i^ refi/hone coji Ji moltiplicheranno, che parr che vadt-
no molto a dentro coji chiara ^ apertamente, che non fer muno di queUi,ebe
mirer che non giuditber che dentro ve
nejiene mUrJt fe noeti, foir^ cftn/dpeuqle'dclj inganno, ebe nori fpinga /
veder ft efij^Sspor,rai .vna candela nel me- KO, -tattfe ji, eu cedrano dalie-
repdfcqte. r^ejjiovi, che rion par ^be Jieno^iafite^Mi nel culo, che npn.bajii
tanta tedile grani fullot^- dind (Mla finmetria, e de/la p$tr^ettiud >
gabbiamo dnt.* gato di mofti modi quefio anjitetro e fatto rnjlrando duo or- dini di eoonnf.xcbe
ivno iaeeofii alfpec'.bio, e t altro f ha nei me- X.0 del teatro fola drtgXMta
, attaccato con gli drebi, e con le cor- nici conia prima, aeciocbef veda pi
belloepiitorrtatoappara- ratodiiperjpettiua . Del- medejmo modo fi f vna
cafiettina eiroondat.d intorno di molti fpecebi, e lo chiamano teforo, che ba,
nel 'fndo belle volte , e ne' muri ^ per le gioie , vecelli, e feudi , t dalle
neo Itf pile aie reflefiioni di fpecebi ccf moltiplicate, ebe vera- mente
rapprefentaua vn ricebtjmo teforo. Faceiaf dunque vna eajfa 'di legno, il cui
fondo fia di duo piedi di lungbegza,e di vnO e mezo di larghezza, jq nel mezo
aperta, tanto che vi Ji pojfa co- modamenta accomodaruifi il capo del
riguardante,da deJiro,e dal finijlro fi pongbino tauolette di vna lunghezza di
vn piede , di fopra di mezo cerchio , che jia in volte ; ma non veramente
circolari , ouero a volte , cio diuija in cinque parti cgnvno di quattro diti di larghezza , poi A
cuopra tutta di fpeeebi,e doue laccojiano injltme gii fpec . cbsji accomodino
le perle,e le gioie prttiofe , ^ ejoribelliveeellidivAryeolori,fopratlfon do monti di feudi, o di medaglie di arye^o,
' , v { dalle volte pendano le perle ,e ijioccbi \ d' oro', perche ogni
voltache la'cajfa fi q ^ muoua,fimuouanoquelliancbp-
ra-, la onde le imagtnifi troue- . . > ; ratino anebora nelltfpecbi , ^ J ,
ebe^ danno vna vtjia ve- ,ramente da non ,j difprezzarfi , J// 4 Delle .
Anntbak ^htJitr P^hbio , '^Jf>ndo '^':if^r^ntn Romani.che smalti, fuoit rvottlruti^'^
fi^jf^kh x.fmtolUnilnlt fm$ ebt J>at/uani ^ b^i^fifMe coMpxsni p/'fy r ^bttti
a nbmif^'GnQucr fe^ cptta r^n d-'fmu\>f^irui i'Troiht tift Jt)~n'tiatait,
^idarva/i^d, f&>iHr'del . wt^rt dt caoMipj'^.vftifina 'fitriijfhjdati p
i't vi rirr- Ondata *- i> iV.on^ ' Qnantiolarcat'pdjjpaMzne! rffa'V ^
-o^5i/^* Lafiimiha, all'hoi: ftiiori'apreili p/fo' La porta, e caua fuor del
ventre tutti . ' ' * * ^ I Greci, che vi ftanano rjoehiuf.
SyvJpSfdWchorXciTrSimoTirar delU fact^zniJicA^ le lettere %t- yere^^[ir
Ictte^^jfi'nHrio in due, trt^
part$te,aeeioebe fieno veduti, fette per
partita . Sifenm^qTtpl^ \te-, prime fi figntfiebino eon'vna
iret*,e^fi:tonde'cfiidtim^j^^ Z4 con tre* Si pu aneboraatuipfil rHtmero ih
^tWfi fTfliie^ fiiA feti dtmofirarie,bifi>gn4 aunedtire la variet del'lrmott
pe^^ -^ifet/mM fila eieuateeJdimofirer'f At^ volte tlB,tff edtPeU Laondeaif>tneictepirii^nno di.
Amjlleari^akigk Agrigentini figiemdo'gliftfiWittiiHlun^a^fi^ t
dalaCitti^eaderoneiii agteatt de nmici^cSCfiauana ^efii, ekrt^itatA la felua^ne
patijftro vn grande tiafione i perciovbr Vtqggndo forger dalla Citta tlfum-i
penfandfi, ebe fujfero ri-^ tjiaetkafiide gli atiud aUwafe hr(n'^ipltalihfi,fe
Wvintua- ^0:al4,,^tt t efienda'Mdhhilc il,Captt^MfeguindbiidCa>taX
gtneji'a-q^fki *' il p]jjg jjg[ pccimofefto Libro DI GIOVAMBATTISTA D E L L A P O R T A , ,
NAPOLITANO * , * r DELLA MAGIA NATVRALEi LI B R O D E C I MOSETTIMO! Nel qtMe
fi propongono t Specchi, che brufiiano^ '* eie mirabili toro vifiom, ' . P R O
E M I O. . :: l fiamo giorni aUi feitnzt di mstemk- fica, ^ il luogo fomandatbt
fi ragioi- ni alquanto de ihceebi ; perche non
cofa che pi riattenda nea Geometria per ingegno per merauiglia > e per vtilit . Ma ebe
cofe fi pu imaginar pi ingegnofay'Che alle dimoftrationi di matematica
coneeputetf imagina- ' ti con V animo fieguano certiffimamen- te Fe^eriente E
la certijfima dima- firationeGeometrica fi proni ancVot con l'eperitnza
dtglioc^ chi} Che efa'pi mirabile fi pu vedere t che dada vicedetuole ri-
JleJfint de faggi fi vedano ned' aria le imagini pendenti dede^ cofe, fnza
veder lo ^ccbio, e C obietto che veggendole parche non aecadino per reflefiioni di
/pecchi } ma per tncantefmi, p*r pre/ig^ de' gli occhi . I /pecchi che
bru/ciano,non doue fi aduna- no li raggi : ma ia vna lunghijfima difianta,non
/oh farincek- ; ma far che folgori celefii, e /pauentofi ine endy ne rappre/en-
Uno, tanto viltjfimt ntUe guerre nauali,per non dir in tmO altri Sfi Digitized
by Googlr DiGio. Bt.della Por.' L!b. XVII. ($*} ehi quando Ji mir amano y non
corrtjpondtua la imagine'^lla bof- ^ ie^a ior . M dalla forma del fpttobio ne
mftono grandijfi- , nte variitd i cio ' -,
Che la faccia del riguardante 3|>paia diutfaper mezo . . Si quella
fuperjieiettbt s oppone agli occhi piana,e ehefiv fpia- ^
natatccellenttjitmamintt alla norma, e l' altra faccia cbefigton- , ge con
quella all'angolo molto ottufo,Uhe nel mego appaia quello angolo, e nelle
ejlremit refit acuta, e buffa, dop fi ponga la foglia dietro',cbe l'imagine che
rapprefenter a gltoccbi,doue le facete fi ' giongono in angolo, la faccia parer
diuifa per meZO. Se vuoi Lhc la faccia del riguardante appaia di a(tno> di
cane di porco romigliantidma . . Dalla variatione del luoeo dell'angolo , fi
vedr variare IttJ, forma del riguardante . Si quella parte del fpeeebto che far
po- fia incontro all occhio da dietro far prominente in vn or lo, one- ro vn
angolo nttufo affai , fi vedr la faccia , che fi fparger in ' fuoriycome la
faccia di afino,o di porco. Se alt incontro de gli oc- chi far gonfia , parr
che gli occhi balzino fuori, come gli occhi delle locu ile. Se l'anelo fi
difender per la lunghezza del fpte- cbio, fi vedranno la fronte, il nafo, e la
bocca acuthcome vn mu- ' fiaccio di cane . Finalmente , Che tutta la faccia
appaia vartae difforme, ^ ^ Se ti piace,
m tnebi il fpeechio dallafua drittezza, e pianezza, ilebe acctoebe fi facci,
quando il fpeeebto far fptanato, di nuouo tornalo alla fornace, e fi riuolti
dentro dalla detta mano dellar- tefice , aecioebe penda la fua drittura, indi
fi ponga la fua foglia dietro ; La onde dalla caua parte del fpeechio ti vien
data la fac- eta cauata, e dalla parte fponta in fuori,di fiorta>e gonfia da
den- tro , e da fuori , finalmente fi far f pianato da vna parte del fpeechio,
la faceta parer lungo, e fi per lunga larga l vedrai', laonde btfogna che da
tutte le parti fi fpiani, aecioebe ti dimofiri lavera forma della faccia.
Infegnaremo anchora Fare vn fpeechio di
molte imagini. ^ Che mofiri pi imagini
f vna dop l' altra,! variatnenteeolora- ta . Faccifi il corpo del fpeeebto di
vn vetro folidot di crafizZoL. dt mezo dito, fptanefidi modo che da vna parte
la gtqffi%k rtfii intatta, e dall' altra parte ton corrano infieme le lince di
/vna . # l'altra fuperficte, acuta come il taglio di vn coltello , L'alttu ta-
bella del fpeeebto di tal modo, omero di pi, & alfvltima Ji ponga 6t^ Della
Magia natorale ia foglia di nagno,bt fimo s*aeeommii fofrs flirp^ebe ^ te pw
de/ieata di vm s'aetomoii /opra /* i/r/v pi fotUt e top ^ drd la factia del
riguardare doppia,/ vna apprejfo t altra, e la fe^., eonda, di fotta fempre di
colore pi debole. Coffe aecommoderai tre tauolt di fpeechio iberna fopra
l'altra del midtfimo modoj/tve~ dano tre imagini, e quanto pi di lontano fi
vedr la faccia del. f^ettatore dal /peecbio, tanto rimagini delle faccie fi
fpartiranma pi T vna lontana da F altra ; ma accofianaoti da prejoquafi fi
congiongono in vna. Se gli mofirer vna candela acceja,je ne ve dranno molte
infieme % ilebe auuiene dalla vicendeuole rtfiejfione. de raggi . E fi coloro
che /pianano gli /pecchi nonfbaurefit coti pronti , po/fiamo fare il medefimo con
i /pecchi volgari , accomo- dando f vno fopra l' altro', ma fia difiante l'vna
da l altra cotL^ /hatif proportionati, e poi fi rmtbiudaua nel fuo armario,cbe
non fi fcuopra r artificio . Ne lafcier Far che le leeeere fi mandino lontane a
legerfi io tra maro. , Ilebe faremo to' l medefimo /pecchie piano , egli
innamorati ebe babitano affai di lontano r poffano parlar di nafcofio . Scrina
fopta la fuperficie del fpeeebio con nero incbiofiro,ouero farai le lettere di
cera vn poto greffette,e le porrai fopra il fuo piano,ae- eiocbe t'occupi la
fua ter/eexo, doppo apporrai lo fpeeebio al fole f talch i raggi reflefii dal
/peetio fi tref mattino nel muro delUL^m camera oppojla,tofa chiara fari ebe rappreftntar nel muro la chiarezza del
fpeeebio, e F ofeuro dalle lettere, la chiarezza far daOi raggi del foie, F
ofeuuro da caratteri di cera, ebe molto ebia- r amante fi potr leggere l'auifo.
. , .Altre illufiooidc rpecch piani. Gap. 1 1. Or foggiongeremo altre
fpeeulationi da' piani, firit- te a noi dagli antichi, per non lafeiar co/a a
dietro^ ma arrichite oltre modo, e pofie a regola,che fi poffa* no
efperimentare . Comineiaremo dunque-. Che con i Tpecchi piani fi pofi'a veder
la tetta giu ,& i picdisi. S alcun defideear vederfi m fpeeebio co' l capo
al baffo , e con i piedi in aitC fe.ben far quefia reprefentatione opra de /pecchi conca- Digitized by Googl D;
Gio.Bat.delIa P or. Lib. XVII. t eoneaui
) noi finAmenU inftgnartmo farlo con t fpeeebi piani. - Tu attuceberai duo
^fccfi injitmeper la loro iung^zz.a,cbi Jte^ no fermi infemct ebe non
ageuolmenteji muouano di qute di l) t faceino fra loro angolo ferito . Come bar
ben fatto qu^lo > 'al- f bora l'oppor ai alla J 'ua faccia fecondo tu
l'barai accojiatt inje- nte, cbe in vno fi veda meza faccia , l'altra reiiante
nell'altra.^ parietali' bora inchinerai lo Specchio al lato defiroi
finifiro,mi- randoui drittamente, e vedrai ebe la teta fi v torcendo, Sparten-
dono la faccia per mezo , e fi vedr l'imagine che bara la teli ce gi, " i
piedi s ; itcbe fi far grande, fi vedr tutto l'buomo ri- uerfo, tlcbe auiene
dilla vicendtuole trafmijfione dak'imagini da l'vno Specchio mST altro,cbe parr
riuerfcio. Cofi potremo Compor vo fpecchio di moke imagini. Si fvn Specchio,
biamato da Greci politaton, cio di moliti cofe vtfibili ; perche aprendolo, e
ferrandolo , di vn fol dito, cbe li mofrerai molte imagini . Lo farai cofi
dunque. Si formino duo fpecebi di cbriftallo , onero di rame , formati ad
angoli retti fa- pr vna medefima bafe,^ babbtno fra loro la proportione di vna
parte, e mtza , ouer altra, e s'attaccbino fr loro per lo lato della- lunghezza
, ebe a modo di libro , fi pojfano aprire -, e chiuder fr loro; aeeiocbe faccinodiuerfi angoli fri
loro, come fe ne foglion fare aVENETI A; perche moSirandogli vnafatcia , ne
ve-, drai molte, e quanto pi chiuderai fitetto lo fpecchio, e faranno fr loro
pi tiretto angulo pi ne vedrai, ^ aprendolo verran- no ad ejfer meno, e fe lo
mirerai con angulo pi ottufo, meno ve- drai , fe gli opporrai vn dito , non
vedrai fe non diti, e le parti . defire , ti paranno defire, e le finifire ;
ilcbe contrario al fpte- cbio i (tr
auerr quefio dalia vietndeuole rtfiefiiont, e ferimento . dae imagiai ,^cbe
l'vfia refietterai nell'altra . Potremo anebora* . ** Far vn fpecchio de piani
coinpoko" nel qnal f vedr voft* ^
' 'imagineehe viene, &vnalcra
che f parte. ' Pglia'duo /pecchi piani, de
quali la lunghezza fia doppia aBS'- larghezza, ouerodi va parte e meza,e ci per
effer pi comedo',-, perche quefa proportione mn^ quella che'' far reietto ,
fieno- dunque della medefima lungbexziti
pari f e fi vnifeano inchina- . ti t vno ali' altro f opra vn fiilo ,'e
fi drizzino fopr vn - piano pcrpendieotur mente ', eb fimueUMofopra vn lato
fermo i fpee- chi . Cofaehiara VrdmftH-'^be tnirando fi vedr chyt-in vnd -
parche vtngbi f imagine, e nell altro fi parta, e quanto quefii pi S/f . Della
Magia naturale s ^ppropinquaranno fra loro > tanto qutlli pi fi
dilungherattno-* tbe parete in vno vengbi
nell'altro fi parta . Auuiene aneto- ra^ Che con i /pecchi piani h veggano
quelle cofeiche fi fanno io altri luoghi, & affai lontani. Si potr far
eofiy che potr alcuno oeeultamenttie fenza dar J^pgtto vedr quelle iofe ebe fi
fanr.o di lontano , 0 in altri luoghi ; ihbe non potr farfi altramente ; ma jl
in eeruello nel eolloearglt nel fito . Sia vn luogbo nella fua eamera^ouero in
al- tra parte , nel quale vorrai mirare alcuna eofa , f incontro ad vna fenefra
, buco s' accomodi lo fpeeebio , ebe fia
alP incontro della tua faccia^ e ben dritto , fi far bifognot d fi attacchi al
mu- ro , mouendolo , inchinandolo da tutte le parti, fri tanto che vedrai il
luogbo , che defideri , ilebe bor aecofiando, tb* bor rimo- uendoti dal luoeo
lo vedrai , e fe farmalagtnole , con la diotra'% ouer afirolabio ageuolmente lo
trouerai , e fi inalza fopra vna linea a perftendicolo , ebe fegbi egualmente P
angolo delP ineiden- tia , e refitjjione , eofivedrat quelle cofe rbiaramente
ebe fi fanno in quel luogbo . Et il fimile auuerr in diuerfi luoghi. E di qu
auuiene, che fe non fi fard molto comodo farlo con vno fpeeebio, potrai
fartlmtdefmo con molti, e fe fiondo molto\lontano la eofa , che vuoi veddere ,
parr molto picchia nel fpeeebio , ouero , in fojfro monti , torri , puero altri
impedimenti nel meco, . Drizzerai vn fpeeebio fopra vna linea retta , ebe miri
vn altro fpeeebio , e ebe fparta l'angolo retto nel mezo , ebe fe fallarai in
quello , mai vedrai quel che deli/ perche Pvno mandando P ima- gine fua
nell'altro , per\dieei,d per molti fpeeebi l'imagine refitjfx viene Pimagine
all'oeebio, e vedrai quelle eofe,cbe primo i incon- trano , mentre Pimagine
viene per linee dritte,ne per trauerfar de muri , e variar de' luoghi ti far
impedita P imagine, e fe ae- eomoderanno ageuoliffimamente . Noi cofi fiiamo
filiti trasferir t tmagini . Ma f e tu defideri veder altra eofa alta , e
fubltme , ebe con la ut fia non fi pcjfa
guardare , aggiongerai duo fpecebi fecondo la lungbegza loro , come babbiamo
detto prima ad un le- gno, e P un fi fermi fopra un muro alto,ebe (Ha emineme,^
bab-' bia una eofa incontro , f ilrefiante attaeeato'ad una fune , ebe fi pojfa
ageuolmente moutrfi quando piacer, eebe
facci bor- ' . .... .* ttngulo, f f X .
Digified by Google 01 Glo.Bat. della Por. Llb. XVII. z^ atuulo ottufo I bor
acuto con quel primo fi come comander il
byogno t mentre la linea della eofa uifa per mej(p del fpecrbioji r^et^ all
occhio nojiro y e gli angoli delia ineidentta,e refi^Jito- ne Jhe eguali f e fe
dejii ueder le cofe alteitnalx.a, fe le coje baf- ftt abbjdj infin a tanto ee
fi refietteralia tua uifia > e che aedi quel che dejti . Se ne barai uno
nelle manhmirando in quello au-' uerr pi ageuolmente . Si narra anebora Come n
faccia vn fpecebio che non ci rapprefcnci imagi' r . ne ienoadiquellochevuoi.
Si f cofi anebora uno fpeecbioycbe mirando in quello alcunot non uedr fimagine
tua ma quella di un'altra cofoyche non
fa- r doue egli Jita . Fermerai^ nel muro un fpecebio /opra un-^ piano erett a
perpendicolo , e fiotto una eonofieiuta parte\ di an- golo lincbinerai da un
capo > * in contro a lut romperai quel muro , di tanta fienefira quanto uuoi ebe appaia l'imagine di quella *
che ti piace rapprefientarct e ce lo porrai incontro fecon- do la quantit della
proportione , e poi euopriy ebe non la pojffu* ueder quel ebe guarda (eia cofia
apparir pi neerauigtoja )\ e ebe non ui po/Janiuno aceoftarfiy ebe lo fipeeebio
refiettar al luo- 0 Jlatuito t e fi uedr fido dalla uifla quella imagine;perche
fo- to fra loro la ficambieuole
refiefiione delle linee > e qutui fipon- ga f occhio t ilqual luoco trouerai
con la regolatcbe ti b infiegna- to di fiopra . Mirando dunque il fipettatore
> ne uedr l'imagtne fiuay ne altray ebe appaia a' intorno e come gionger al
loco eon- fiituito uedr l'imagine della pianta
di alcuna altra imagine , che non fi uedr in altro luogbo . Sappi
anebora che fi J \ \ Va rpecchio fatto di piani nel qnal f vedri vna
imagine che par che voli . ^F^e far di
minor eonfiruttione, e piacere un fipeeebioycbe mi- randoui dentro parerai ebe
uoltper aria . Si alcuno defidera di farloycofi lo far fiubito. Si
aggiongano\duo legni che mirin la figura
di un fiquadro* e ben fermati tnficme faccino un an- golo come quello del
triangolo ortogomo > e ebe babbea la figura dello tfioficele e nel piede dt f unoe dii^ altro fi farai un
fipeeebio ..... Sfifi % grandcycbe
Digitized by Googk' ^i.1 Della Maga Naturale tbe r vno^ia oppojlo *lt
altro ^ egualmtnU i'tjlan da qutl0Mn~ gulo
t l'x no ai quelli fi butti in terra a giacere , e nel mezo di quelli fi
ponga il fpettatore alquanto eleuato da terra , aeeieeba' pojfa rffiettere la
forma del calcagno ceofiandofi^
dimoftrer di quello alotte i'magini; Scruto da Tolomeo in vn certo libro
, ebev dintornoMl vi- timone fcriueremovn altro trouato dalla pi et jrefea^ di
ajfat pi merauiglia^ e piacere . Far dunque lantico Specchio compoilo de piani
> nel qaale di vno obietto, ne vedrai
molte imagini. ' luefio il modo .
Faceiafi vn femicircolo /opra vna tauola piana , ouero luogo % che tu vorrai ,
e quello diuiderai in tanti ponti quanti
vuoi che dimofiri imagini di vno oggietto, a quali . ponti fotte porrai le
corde t e fi- /echino quelle particelle , indi accomodami /opra quelle linee
/pecchi piani di quella largbiz- ga , e di altezza eguali , e che fileno ben
fermati fra loro, ebe non pojfano fnouerfi giongendolt poi f condo le lunghezze
e Jheno a piombo /opra i filetto piano . All'vltimo ponga/ Tccclno dei
riguardante nel centro del fpeccbto , che /* occhio fiia vnifirtnc^ tir
egualmente locato fra tutti , che ognvno di loro rapprefnta. ralafut faccia ,
pofie in eercbiO,come fi fuol veder ne ballue nel teatro le faccie de
riguardanti , e per chiamato da loro
fpe-;. (bio teatrale f teatrieo\ perche le linee che efeoro dall occhio tutte
perpendicolari /opra i piani de' /pecchi t fi refiitttuo in tor fi effe, t cofi
refiettono agl'oeebi l'imagini,ebe ognvno rapprefenta la fua, Sluefa Dgilized
by Google Di Gio; BatdellaPi'. Lib. XVII. - (tf J la^lom^ofitiont del fpeccbio
teatrale antico ; maieofa da futii. Ma noe ne dimojraremovna ajfai pi
merautgliofa\' pia- 'cdsfolti perche in quello non fivedem f non tante
imagini^q^h- te fon'tpeecbi \ ma nel noiiro dalia reuerberattone d$ l' t -.r.
Come fi facci fi fpece/ * 'V ^. ' Fatciaji vn cerchio fopra vna tauola della
grAndetXd% che't- fieri il ^eecbio\ e queUe diuideraiin parte difugetalit o da
quel luogo ione vorrai miraretouro vorr porre t' oggetto lafcia diio 'luoghi
vaniACCioeie incontro a quella faccia venati vn Ipeccbh oppofo. 'poi inalzerai
gh Ipeocbt /opra quelle Ime > che bauettio tiratela vn punto alt altro perpedicolarmente\
perche la fae'cfa cbf pOrrWi m quet vano
di rnezo occorrur a quel Specchio oppo~
[fio nel mrzo ie fi vtdr quell' ftefia dal riguardante > e di l rg-
fietteniofi in vn'altrOy t da quello in vn' altro, da molte vicende^ moli
reflijpon fi vedranno quafi infinite faecict
quanti pi fpei., ehi faranno , pi fe ne vedranno , Se vi porrai vna
candela., ne vedrai infinite,. Ma fe gli fpeccbi che vi porrai dritti ferartnO
'di quelli varf tome babbi ardo infegnato, che l'vno mofirer lltu faccia di
qfino, t altradi porto, laltra di cant,altra giaUiohfa fieOa, altra
fbfcaYVedratfpettacolo pUe'giOeondoi piu nieramr. )gliofo ; perche dalla
moltiplicata refiefiione,e dalvarrrforniFii iptcebife colori, ne rifulttr vna
mirabile I iU ' ..X.--' A ni' ^ O V. . '-,'W ;s? W I M
Diyiiizt- ; : , -ogli: r,#3 De ila Magia iitiirle.'n Ma bora ne moftraremo vn
altro ajfai pi mirabile, t diletteutf^ itf pereb in queiio non fiveiranno le
jaceie di ebt mirai ma vn merauii^liofo, e ben compofio ordine di colonne,di
iiilobatif /reggi 4i arebittetura.FaeciJi dunque va eerebio delia dejide rata
gratti \tx^ima noi giudicamo ebe Jiq digmfa mifura il diametro d duo piedi,e
mez,o,il cerchio fi diuida in parti eguali, come pee dtr eofi,qu'tttardict\i
ponti delie diuifionijonoiluogbidt flilobati, e a^U. e^linnedi^cate,e da dmt
l'huomo deue mirarf,fia,it vano \ di due colonne, e fileni quei la colonna che
fi nel mez.o, cofi refic ranno tredici colonne ,fia incontro alia vtfia vna
colonna , poi fi iOigino i ijucfbt /pra le linee, che fiano fr tvna ealonail H
alte^ ma non giufie\ma tnebipatf fiip'ravna colina, 0 incontro al^ o^ \ebio,fbi
mirerd j aggiongbino duo Ifeccbi in vna linea fettOat O* .vn altra fecndil
principio del/uo accofiamento, e ^queiio non per altra cagione, fe non che opponendofi,
taf accia dei riguardante, rtfi fi$)tda la fua faccia , ne oppoJJa dritto.
alcun^lpeccbio la poffajet^ fictUre,come babbiamo infegnato di fopra\la onde i
ipeccbi no mo fireranno le faccit ; male colonne// intercolunni/, e f ornato
deh S arebiuttura', I,a onde dalla vieendeuole trefmijfione delie ima- gini,fi
vedrdno tante eolonne,pud'ifiaUu3^ ornamenti, feruando Leonjifeneuol ordine di
arcbiteftura,cbe.ro(cbio nofiro nqnpotrd veder eofa'nepi
boUa,Hd::ped'tnerauigli dalle volte pendano le perle , e i Jtoccbi d'oropercbe
ogni volta che ia'cajfaji j ,
muoua,fimuouanoquellianebp- ra-, laonde le imagtni fi troue- ^ ranno
anebora nelli fpeebi , \ .. i ? . " che danno vna vijta ve- .'f '..
ramente da non difprezzarfi Sff ot DeUe
Della M aga Mat arai T~t^ Delle varie operatiort del fpe^chio Conatio. C*ap i
i'i I. , . .M f . ,a nv> ,L /pcebi
cenirai^ fan ^tn^^fhaa tfftta$ ^Jhii te pi neNUti^ifi'ii^ tiUH M t ti fetumn pk
niun can 'efip\tftnaWunietfiyton'tnofii' fnim%_ ^itphta dtWkr^erfhn .'cAeehiht
iunquipaJJi'pHa^ *n ... i ^ageuolmtnit^
' '/ i ^ --' Conofcer il ponto dal riuol^iminco delle itrtagmi nel ^> V .-.i *j, Specchio concauor j ;'/ FntHe^tOppbiH'it/peeelfio ai fatele doue
vedici VfrpJt'inJte^ me t raggi i /appi, th itti ipont deirinmrjhnee fi Pikn^bafit a
ntrouafto, ejfaie^di il fiato in quella pariti dae ifhmi th Jiee verfi il
centro del fpeecbto pprcbe quella ingrofidta dal fiat Otti far conofiere doue
fia quel ponto deiriftuerfione , Oueio foniui fitto vn vafo di aequa bugliente T rodato be bardi il ponto della inuerfione .
Se vorrai ' '*. . . ' * Veder tutte le
cofe magiorl di quefc1> fdii6 *Poni
gli occhi tuoi fitto il 'ponto di detta tnuei^flonl'if eofi ^60* drai vna
grandijfima faccia divn finifurat Bacco >
; ' u ncU'arivj ' E ffetrfa pi
merauigliofa^eonima parte deh fpeeekio sftT Heo coneauo } perebe fi vedr pif
lontana da fptcehto. Se tu forai fitor det ponto dtll'itutrfione\i'4i>vdrai
co'loapo'a romrfio r-m randa in quel ponto, con gii octbi'fermi,e ftnM
sbaHerhsfimbt gionga Fimagint a gli octbi tuoi ; perebe dout Uxatet taglier la
linea della refiefiione, iui fi vedr f imagine della eofa, tn tut- te [epurata
del fpetebio, e quanto farai pi vieino aBo fpeeebio, tanto fi farmagiore ebe
quafi' par,ebe la porrai toeesr eoH /t> mani, e [e far grande la parte del
Jpeeebid, non i poflibUe,' che non ti merauigliarai ; perebe fi vno eon la
fpada sfoderata s ap- ptefentar al Jpeetbmvedr dal fpeeebio vfetrne vn altra
difuo rf, e parr ebe ti pafit la mano %
e fili mofirerai vna candelai ve- drai pur^ne' aria accefa vna candela . Ma fie
vorrai . > t Che lfiagine efea fuori
del rpeeehio coneauo (upri del centro. ; Quando barai aggiufiato ebe Fimagine
vfeir fuori dei fio tonto', fe Vorrai ebe s allontani dal [ito eentro Fimagme
della tor fa, lf bra decimerai' da quel luogbo alla delira parte onero alba
finijira a poco a poco d'intorno la fuperfieit del fpecthto, alt' bora
Ftmaginevfeir pi fuori delio fpeetbtox ti verr alla vifia^U doue tl cateto da
longi quanto pu toccher la linea deQa rejhef^ fionr, il ebe non flato ojjeruato da niuno, e da quefoprineipto
r panno nafeere molte eofe merauigliofe , Saputo queflo, potrai age uolmentt^
Il cflcttcr co*l fpecchio concauo il caldo, il freddo, e la, voce;"* 5^
alcuno porr vna candela in luogbo, doue deue pontrfi qete- fe cfi,cbe fi vuoi
far refiettere, la candela fi ne verr per F aria infno a gli occhi, e quelli
operer eo't fo calore, e luce ; ma quC- fio far co fa pi merauigliofa, che
refictte tofiil freddo, come, H ealdo.ebe fe nel ponto delta candela porrai
laneue ; perebe lfen~ fibile gagliardo , fentirai anchora la refieflioni del
fredd '. ^'Ma. dir anchora cofa pi mirabili di quejia ,ebe il mede fieno
Jpictbio tefictter non filo il caldo > il freddo i ma refietter anchora la
vo- Digilized by Google #14 IV. Della Maglia nawrtUVD : 1 Uvotci tfar rvffich
dtlNcto ; perche h V9ct fi dalU tjfs poitt^e terfa; U onde tffendo Ufuperjit
delfptcdtopj^ lup ida-y t teff a di tutU Ucoft , fi d fcb$dA coj^ alcuna .
t'ejpcnen:^ quejia^ cbe jt alcuno r ifa, onero fortezza . iu. * ' . ^^fjtiiie
nemii fefe, poti e fimili tofe,e ei
fenza periglio, a fenza fujpetto ; par chef appi l'bora del giorno precedentewp-
poni l Jpeecbio al fole , e aeeomodalo di forte, che l'vntone dt- rag^
Ur^ifcqno in vn ponto, nel^eealuogbo oc comodar ai vna ]ma,e tofeacendbiri come
bauemoinfegnatericbefe vogttamo spiantar le firtted'^dath finamtnti r porremo
fitto monti dt poherei ' qudn ' ii'didHi^Pia, evedi doue itgiofnopreecdin- 'fe
fi'l fpeeebi ebneam tippofioal file firma eo'l eono,paJfatoebe fr il file ,
iceottroaia potmre ^'e lo fpetchio , empri che non fia fioutrto ; pertbe net giorno feguente quando ti file
ghnge^ r'd in quei ponto, fi tiri quel luegbo, doue bai pofio l'efct 4a^ fuoco*
- ' ' VY'J A \ Ai\ U h : V i.. i' *
. i I ut. . " 1'.. Dii:ii-i 1 .
GoogK . i 7;T.DeI!a -MlagiR nafiuflle';
7 }Q H 4- H Dell operarioni del fpecchio concauo
mifchiate ... -,L. ' cpjpianq. m i
A. ^ . . ' !'' ' > ijJ* il J'\. i' '.'.M .
"V^' G narxf*vmoibaraJpttf4t9flf ^Sakrd
U\Ht^i$*\tbij9e potuto "
4ctocbpei'oyoniof^i9ua ponnp/rj^i^ piriorOt fon vtcmdguoU amto farlo
pffnp* ... i A C. Accendo; ^oqq
dtioQUaool (xc.hio co 1 cauo. ! ij Aeeade alle voiUtciHitkeinojrinokiH/kAf^ cor
cci^ hard Mtf^^no Ai foca > ne inquel ho^ovi gpngc roggi d* fpir* fuoco alle
artigUarrJceutf JjoMer fjMtfpytJt^f ot do^ \icondotihe pieni,
t^:polo^(fj>frjpinar far fei(z rnpi^ "PiftPfr fiamo darei fnoeO
fenzaferiglto eo\lfpceebia^pfArto fJlfpci^M oppofiol fole t come egU riceue i
raggi del jU parallelf ej^U :trafmette, la onde lanetard molto di lontano i
fuoi raggi pa^^le- Jt,i q^uali fi faranno rie mut nel fieno deifipee^bio
pp^auof^fitp quelli talmente*ehe f fuaeir.i jApndefaeenldop allontanandoti vn
poco > opponiui il fpecebio piano , nel qualt^ riguardando vedrai f imagine
reflejjd dal fpecebio coneauo , ebe Jl pendente nellaria , rimoffdda tutte le
parti } ilebe fi far in- tefo ben da alcuno ingegmjo * e la imagine cacciata da
lontano a eome bautmo mfegnato rieeuuta mi piaeta fenza lo fpecebio etot e
fpettabii vtfia % fi vedr non fenza gran merautgliaF ima- gine> ebe pende
dal fpecebio ^auo . 'Votrai anebora, ' ; Coi rpecchto piano motirar la faccia
rouerfia. ; Come barai lo fpt echio riuoUo al fuo pettotcome babbiamo det- to
ponigli incontro / piano , e dimojragli la faceta, f egli la ri- buttard nel
coneauo, ' eglidt nuouo la ributtar riuerftia al ptanfl y e cofi barat >
quel ebe defidtri. Altre oprationi dello fpecchio coneauo i Gap. XI. ebe -fi
partiamo dalle oprationi del fpecebio I coneauo tnfegnaremo vn certo vl'o pieno
dt non po- P Cy giocondit , e mtrauiglta
, e dal quale f panno molti grandijpmi fecreti di natura-, . Come per effe mpio
' . Per veder qu kcofe in ofeuroin Tna
camera che fono fuori ' > * iUumi
late dal' foie e con t Tuoi colori . * . E bifogno ebe prima chiudiate le
fenefirt della camera, e feria anebor meglio ,ft fi ottur affer tutte le
fiffire, che non entraffe alcun lume dentro , de firtieffe tutta lapparenza
buferai vna f- ne /ira, farai il buca della grojfezza di vn dito per lungo , e
per per largo largo , fopra vt accomoderai vna tauoletta dt piombo , ouero ai
rame , e ce la incollerai , dalla grofiezza divn eartontf nel cui mezo farai vn
buco rotondo della grofif^za del dito pic- tiolo della manOi all incontro vi
porr lenzuola bianche, panni biancbtg- DiglniOd by Googl 6'^:$' , Della
Magia nturale biancheggiati , ouero vna carta, cofitutuU evfe cbe fmttfono
iUumtnatt dal faU,le vedrai dentro, vedrai che coloro, che fajfe^- gim'pet te
Itrade-triuoiuxon l tefiaingiU come antifodt,e'Ie cofe deiire- appareranno
Jiniffrt,e futU Ittofe riuoltate,o quanto pt Jernno difianUdal bufo, tanto
ajpoar>anopi grani: So'^ piovi auuieinetai vna carta, lenzuolo bianco, le imagtnt Ji V^ iranno minori, ma pi chiare; ma bifogna far
vn pocbetto a vi- ierlt;perche non le vedrai cofi fubito;perebe vna efa
fenfataga-^ gltarda,f grandiJStma impresone eol fenfo,e vi fi tanta' tione,cbe
non fal quando i ft^ fanno la fenfaUOnefoU ne detti ' ferforu' roffndona;mafono
rimonda fenfi,purvi refanoftr^ mi,iltbe fi eonfferebiaramenU inquefio
eif>erimento;perebe colo- ro che c
aminano per lo fole, quando entrano in vna camera ofen- ra.anchora quell' afftt
tene gli aeeompagna,ee nonfi vede nulla, outro con gran fatica, per ferbarji anebora
negli oeebi quella af- fettione fatta da quel lume;ma poi fe parte a poco n
poco, e veggio' mo nelle tenebre affai bene. Al a bora aprir quello che b
fempre taciuto. e Jimaua douer tacer fempre ,fe votponeU al buco vna .
lenteccbia di criflaUo,fubitovedrai le cofe ajiai pi chiaramente, le facci e di
coloro che vanno perii i1rade,i colori delle vefihle w- Jlt , e tutte le cofe ,
come fe proprio le vedejfi da prejfo , nonfmza grandijfimo piacere, che coloro
che lo vedono, non pofiott tanto merauigliarfiicbe baili . -Ma fe\vprri Veder
le cofe magiori, e pi chiaramente^ '
Allincontro panini vn ^tcebio, non quello th djftpano dif- prega il lume ; ma
che raccogliendo tnfieme vnifea , aceojlandolo fimprt," allontanandolo
injin tanto, che lo vedrai giongert aHa^ perfetta quantit vera , appropinquando
aUa douuta diflanza del centro , e mirando attentamente conofeeril *iguardanH
gli veeeUi che volar armo per lo cielo, il cielo tutto adombrato dalle^ nubi,
di color turchino , i monti molto lontani,' * in poco giro di vna carta ,
tlqmal Jc aceonciar fopra quel bufo,quafi vn mondo breue vedtrai , le qu ali
eoft come vedrai ne barai non, poca me- rauiglia , tutte alla rouerfeta ;
perche fono vicine ai centro del Iptccbio , eft le allontanarai dal centro , le
vedrai pi grandi , dritte, e come fono veramente; ma adombrate, e non chiare^ E
di qua fi pu imparare.^ - ^ i , .-4 t . V.. . Come Digitized by Google Di Gio.
Batt.della Pof. Llb.XVIl. 6*3 5^ Co.ne
alcuno che non fappia dcpiogerciPofTa diregnare > , , l'cffigicdvo huomo
, dalcra cofa. * . Perche fappia folameipta
afiomiglian i colati . E queJo Artifi*. fio non
da dii^reX^arfi . )/> iffdl neilafanefra , y capprtjfa, quel buco
porrai l buowo, l'imagini di quelle eofe che vogliano^ depingere, che il fole
illumwi P ima^ni\ ma non il buco > al buco porrai incontro vna carta
bianca,!^ tanto andrai accomodando > i'buomo al lume , auuicinando ^dilungando , mentre vedrai la perfetta imagi
ne di coluucbe voi re traber e fopra la tauola^ al- f bora quello ebe vorr
pingere, poni i colori fopra la tauola , do-' u appareno,de(voltay delia bocca,
degli ocebi , e cqfi di tutta Ut Jiguro-ct appare, eo fi partendo fi qui
loggetto, refer la Jlamp nella carta , e fi vedr in quella , eomeje la vcdeli
in vn Jptt^ cbio , Mafie varrai .. >
.'> Che le iiragini appaiano driciCA., ^lutio far vn grande artificio da
molti tentato;ma di niunb fin bora trovato . Alcuni opponono al buco alcuni
Ipeccbi piani obliquamente , li quali reuerberanno nella tauola oppolia fi ve-^
deuano vn poco dritte ; ma efeure , e eonfufe . Noi opponendo obliquamente al
buco la tauola bianca , e guardando nella parta oppolia del busoyle vede ranno
qufidrittef ma la piramide. feea^ taper obliquo fenza.proportione alcuna gli
buomini, epocoebi ri,e confufi . Ma in quefio meda^cofi barai quanto defii Opponi ^ al forame vn occhiale fatto di due
portioni come fe di sftir', e di' qu cada ntlfpeccbio concauo l imagini , fiia
il fpecebio concaua lontano dal centro , pei che le imagini, le quali egli
rieeue rouer- feie, le mofira dritte, per la di fianca dei centro , eofi fopra
il eo,ela carta bianca fi darfimagint delle cofe , chele fianno contro, eofi
ebiar\ aperte, ebe non ba fi crai tanto allegrarti ,a merauigliarti .-
-Maquefio mi par d'auuertire,aceiccbe noerper^ di. la fatica, che btfognacbe.
li ocebtali fieno proporttonati.ieen- doui epa la fpeeebto coricano', ma come
l'barat a eonofceri, qu fe ne parler molte volte . / hfegnaremo anebora come fi
pofia [art c ha ui voa camera ( vegga all ofeuro vna cacciaiVaa bacuglia, &
altri pre'Mggi. - Hor aggiunger pey dar fine a quefa materia vn feereto, eboi
non fi fe pofrafii trouareofa pi ingegnofa,nt,p( bella per'dai- ptacere a gran
ftgnori,cbe in vna camera alfofe uro fopra IPguoli bianchi fi veggano cassie ,
sonuit battaglie d^ immisi , giochi
rhjC t final- Digitized by Google
4^9 Della Magia naturale r finalmente ci che ti piace co/i chiaramente , e
luminofamentet e minutamente , come fe proprio fbaufit d'inanzi a gli occhi .
Sia truontro aila camera, doue hai defiinato far ebiudi le fer.tirt della eamira,e poni h. cntro
advn buco rotondo vna crta bian~ cat e vedrai il file che dal fpeetbto cauo refietta in vtga carta
bianca e ferini- pj^mailf^ncibio deb a
fya rotondit-, e cofi farai taci principiot mezn , efindelecehjei la onde
ftn%alefon della Vffa potrai notare quanti ponti del diametro s'cecl^no K.' '
' -
Come f poffa vedere invna camera ofeura quel- lo che far illainloato di
fuori da molte torcie . Gap. VII. Qtremo anebora farle meiejimt apparenxe
fenza raggi del /bienne ci
fmautmerauiglioiouero quani dodi notte taccenhno fuochi' per le feJicat gio
ebiy onero per far quefia apparenza^queile cofe ebo neDe piazze^ ,eamerejt
/anno illummati da mol- te toreie
vederle in camera ofeura , accomodando come prtma-0 babbiamadetto ; ma
che il lume non iiluflri il buceo i perche tm- ^edrfee foperatione prche la luce feconda quella che porta Iza Imagmif Nbn tofeiaremo
dirf^are eofa pienadt-diietto infe- ^o't i di irrtruiglia-, poi ch fimo caduti
in qtjlo ragtonamentt CAe di noccei veda dntro voa camera vna imaginc pendente. jDi netta notte fi vedr in mezo vna camera
vna emagint pen- dente tn aria di qualunque eofa vorrai, ran ftnza pAura, t
ter- Pere- dt chi la vedr. Dinanzi al bueo delia porta iacee modi quella
imagine ebe tu verrai ebe fi veda dentro quella camer% ed'ihtortio quella fien
molte faci acce/e , nel n.ezo citila cener Ofeura fi accomodi Vn lenzuolo
bianco ptndentc , cueio aituna tauola che riceua l magi e, ebe viene da quel
bueo i pticbt quel- li che fiaranno nella camera ofeura ncn v edranno quel
linzuobff la onde parer quella ttnagine cerne pendente in aricy molto iu-
iteiot/a , ia'iitdranr.O ncn fenza paura, e terrore, t prmeipaU mente fe i'
artefice lojepr rapprejmtart artificiofammit^ u Tti Cofflf V ^ / Digitized by
Coogic 4t Della Magia naturale Come fenza fpecchio > e fcnza veder Togetto
fe , ppifa veder voa imagine pendente nel- , ' rafia Gap*' Vili. ' Rima ebt et
partiamo dal ragionamento del vedt^ ^3 I im igm pendente neU'aria infignaremo come fi P /j^ faretcbe vergiamo
le imagini pendenti nelFa~ ra 1 che non
li veda lo rprcchio,ne Togeuo del- la cola viibilo . ' . %>' . pa quella ,
ohe ^ fuo dritto cada dal pmieircolo , e quadratot e p fepara per cbiquot t
delle due pam fe ne pigli la pendente e ft porti ft- $0 nel mt^ del fuo
diametro . Si chiudano tutte te jentlire della tafan" incontro alle pjfui
ep ponga vn riparo, accioche entran do alcun lume ptnetr^e dentro, in quel
luogo doue p fai' appo ertccbto del fpettacolo . Se li raggi del fole della luna s'aduna^ no inptme ,fe toglier
tutto il fpettacolo. Si accomodi il roggio reptpo del!' imagine accioche aritta per vr.a il capo in U t
rcL-, ^opiogetto dilla cefa vipbtle
rtp,po,p rrpette fcpro,e fitto, fmitar
la p^ima firma del fptccbio, equaruo p accorr.cdar /opra quella vna tauola di
rame , di matrro > aeciecle tl lume che cade d^la fenrpra, e refieffo dentro
dal cu'it. dro / :ano, e cor- no fpeecbio pa cpfjo^ ponendoli incontro vn
cgettc dt vr.eL^ pianta di mano Jotto la
Jua larghizza tre xolte tanto , perche vfeir fuori dintorno , " annebbiala
la vi/a , che fe aeccrt.cui i imagine molto profonda che pau vn ^ ozilo iiahbe cctotreu- do il
raggio , iaceopt il riguardante y non poffa errar rr. cito , m atreondar
dintorno la pupilla , de non p eptnea la x di a dal metro. All' bora fi vedrai'
imagine ppra la tauola , doue il ca- teto dell ineidentia per il eentro au
fpecebio fecar lahrt^ - vtfta , Io non b potuto efplicarlo pi
tliaraniir.te,itah- f^tOf tome bauemo potute, t ebe non iallegrar poto, chi Ttt Mefto^ Digitized by Google Della Magia natarale t Mefcolaozc de fpecchi,e varie apparltioni
dimagini ^Gap. 1 X. ^JLOrJt sforzertmo
di far vn fpfeebioy mi quale ap- pareranno molte diuerjit imaginiyfe ben far di
H LH mala^ettole fattura ; ma con la beUtzza deffafpa* ritioni delle imagini e
loro diuerjtd lo rifeatitfd- Si dunque^ Far vn (pecchio in cui fi reggano molte
dinerfici d imagini. Vorrai far vn eere/io di grnde > d pteetola capacit dt\he borrai il ipecebiot e di quy e di l
rompi due partioni di eerebio fvna di vn
pentagonoyt altra di vn eJ/agono%nel modotcbe ci mo- rano i matematiciydopo t
arco del pentagono fi caui dentro vna tauoUy dentro vn ferro, che la riceua nel
fuo feno perfettamem te,ebe paia che fia ficcato da queBo,di contrario modo far
ficcato lo lat- deWeJfagono perche fipiglio la conutjfia quantit nella
tauo~ la,cbe {ha v/cita fuori, come
quello areo^po fi facci vna lamina di cera, d di piombo di vna
conueneuolefiodezx,a della larghezza deir arco dtB' efiagono,cbe auang^ P uno,
ef altro di ldngbex.za^ Poi { incorni di tal modo la lam\na,ebe aceonciam^e
refieda net legno canato, acci che non vi refii dentro alcun ^atio , vano,e la
eoatffa fuperficte prominente confieraata,aI{bora dt fuori i ae~ corno it
fecondo la fica larghezza, acci che la forma concauanon /opponga alla conuejfia;
ma la medefima lamina fienza alcuno^ faccio riceua dentro fie l una,e l'altra
portione.Cofi fatta la team fa, faceift vn liecehio di aeciaio,ouero di mifiura
di ol^a tojayco^ me inT-gnaremo, e quando far ben polito poi , dimoftrerd molte
diuerfi^A /tmagini . Frima le eofii defire appariranno defire, e finiRre fintflre. Per ejfier propriet de
Jpecebi piani , che agli oc- chi,quel che i deliro fia finifiro,- ulfimifiro
vicendcuolmentc ap- pai dt/-o . Mafe ti farai a dietro, fie vedr l
magmemtfiuratp ePimagne fiifori^er infuori, fife accofterat ptu alla conuefa
fuperfic.e l'imagine apparir deforme,e quato piu ti aecofierM,ta to parr pi
bratta, e parr che t'ajfomigtia ad vnfapo Maft Digitized by Google JDiGiosBatr.
della Pei. L;b.XVII, Ma e inchinerai lo IpeccbtOt t'inebine/i rimaine,e varia*,
ao il eirfi>ercbio\~vt aTaTdutrfe $magiHt$'hi,bortl capo g>,& t
ptedifUie molle coje vedrai tic qaali r^on mi paiona ntcrjiarie borayiarrarlei
pereb/ jrmato fopulvna'fidi t b e'm uetst e irt tor- no, acc foche poJi:i mo
firare f vnai e f altra faeeia,t dinanzi, e di dietro vedr ti riguardante per f
e il tutto. FoJJamo ; Far VQ ipecchio 4i totei. ' , Acci con quel foto f vedano
tntte le forti-dtU'imaginh' che fi vedono ne gli altri, p: 'u Jaccit,bor pu^ctoe
, bar grahat, hbr ad Jlre, bor/nijire, bora preJfo,borda
loMantfifi'aguetli,Jein vm. iuogbo fe ne porr vno conueJJo , tn vnaltro
cnncauii >,>flmtz vn piano tfi vedr vna grandijjima varut d'imai^mt .
^eltf fono Etfecti dello Tpccihio
colonnare conue(To. > ' ' Mofrandout la faccia, quanto parr brutta per la
lunghrff tanto parr bruttijfima per la flreiuzza,ftja lunghezza' Opporai alla
larghezza della faccta,vedrai n volto Jrttto e dimef Jo % come fi fujle di vna
rana, che non fi vedranno ft non denti , limedefimo auiene fpecebiandotiin vna
fpada, onero in alcun f. ferro polito e
lungbo, fc quello tn chinerai imant^ , fi vedr la^ ' fronte grandijfima, e la
barba pieciola e aelicata t come vn c*u^
etaHo, Contrarii poi fono gli , Effecci dello Ipecchio cuIonnarrcoQcaoo. , Si
mirerai dentro vn cauofi di vna eofa >t vedrai moUema^ girti in vece del gi
detto fpeecbio , fe porrai !' occhio nel eenttolo vedrailargo quanto la
larghezza dello fpecebie , cofi la fronte la, bocca ^.tf rejiante ,j riuolgerai
tale fpetebiotche vtUghi aftcar la faccia, fubito vedrai lo. capo
alrouerftio,eJireQaneffettv ehi bauemo raccontato nello fptcchto concauo. Ma gH
. , fecci del fpecehio piramidale concauo, c conofll^. , . ^uefiifono , fi vedr
la fronte acuia,e la barba larga , eqfiat oontrario, la fronte larga, r il nafo
lungbtfiimo, Nelcam pii fi vedranno molte facete . Ma fi fecondo quella
eoncauit ei ae- comoderoi molte portiont di fpeeebi, mirandofi alcuno in
quello, wemerar quelle., fecondo il numero de gli fpeccbi,emouendofi
vnafimoueranno tutte , e finalmente di qualfiuoglia forma fa~ rdh fptcchio ,
come non piano , fempre ^vedrai f imagini diffe- renti* . ^ - ' ' . a. . . . , . , . V * Tt$ i Degli
Digitized by Google Della Magia Natutalo. 3 De gli effetti della
lentecchia di criflallo . Gap. X. Olii fonif gir effetti della lenteeebia di
erifiaSo $ ne mi par eefa coHueneucl , ebe le afeiamo a dietro ; perche fe ne
ritrouano coneaue, e eonueffeti medefi^ mi efftti fono quelli de gli occhiali ,
i quali fono molto necejlary aU'vfo della vita bumana, de quali, mtuno infin
adeffo ne ha ferino^ ne gli effettune le tagiont\ ma di loro ne parleremo pi
ampiamente nella nofira perlpettiaatacci. chequi non rejh il luogbo vaeuOyne
ragioneremo di alcune . Noi cbiamamo Itnteccbte portioni di cerchi aggionte
infieme de con- teejfiye de concauu e mofir aremo primo A' eroder fiioco con la
lentecchia di criftallo. La lentecchia eonueffa accende il fuoco
gagliardiJfimamentK> ^ pi prefio, e pi gagliardoycbe lo Ipeccbio cauOtle
ragioni rbaue- offignate uelldttica nofira, laquale oppofia al fole nella parte
opo tiia , doiee 'vnifcono li raggi accende il fuoco in tutte le eofy chef li
pongono incontro, liqaefil piombo, & infoca i metalli Oltre a ci fe noi
vogliamo 'lllbcninar di notte vn luogo con la lentecchia di criftallo . .
*Pongafi la candela poco pi dietro al ponto deUl ir,uerfione,cbe butter di
lontano ( paralleli luminofi alTincontro , tanto che fi vedranno cbiarijfim
amente quelli, che pafferanno per le firade, e qtullixbe Hanno nelle loro cafe.
Nel meiefimo modo, come bobbio^ mo fritto del ipecebio cauo , cofi pofiiamo ,
Leggere 7;ia lettera di notte con la lentecchia criftallina . ' Ponga/i la
lettera dietro la lentecchia nella parte oppoHa deile Hello, di lume molto lontano ; perche le dittioni ,
che ferranno, tocche da quel ponto della congiontione de' raggi di mez.*notte,
e nella camera cbiufa fi vedranno cbiarijmamente , Ma queHo che fegue vi dar pi
gran cagione di imaginare grancofe, cio Con la lentecchia di criftallo le cofe
locane farle parer vicine^ Poni F occhio dietro la lentecchia nel centro,e mira
alcuna eo^ fa di lontano ; perche le cofe affai remote le vedrai vicine, che
par che le tocchi con la mano, le veHc, i colori, h facete degli buomr ni, che
Digilized by Coogl Di Gio; 'Bu.della R>r: Libi XVII. 4t ni itbt xonofctrut
gli amiti ^oito 'diiimtano. ilmede/mofar . Cda la icncecthia di
cniUDoleggoftevoa lettera chc ilia
mclto'rimoia^ . ^Perche ft parrai
Toecbto mi mtdehmo uogbo,t la 4ti$tra far nella dtiiant.a,cbe fi dtut vtdrai la ItUtrt eofi grandi ,-cbt It^ potrai
leggere ebiarrfiimamentetvedrai le lettere affa granetUt cbi Jar di debole, vifia t fecondo la qualit
della fma vi fi a f potr ftruirde gli oecbialt . Colui ebe fapr ben Jeruirfi di
qmefii > acqui fiera vm non picciolo fecreto . Potremo - -
Con la leotecthiadi criftallofaril medefiinopitl ~
acconciamente.. Le lentecebie
cane fanno veder cbiarijfimamente le eofe ebe fo nodi lontano, le conuejfe le
vicine ; la onde ti potrai feruir di lo- rofeconda la qualit della tua vifia,
co'l concauo le eofe di lonta- no ti paranno pitciole ; ma chiare eo'l eonutffo
le eofe vitine affai grandi ; md'turbulenti fe tu faprai accomodar t vne i' e
laltrft vedrai le. eofe, e vicine, lontane, ebiaramtnte,^) anebor a gran- di .
Noi babbiamo fatto tofa molto cra a gli amici nofiri quali -k/edeuano le eofe
di lontano affai turbate, e le eofe dpreffo nebm- tofe, bauemo fatto ebe tutti
vedeffero ebiariffmamente . Se ti pia- etr * Con la leoteccfiia crftalKna
connefla vederla aria pea> dente vna
itnagine. ' e ifpatio fa... Vfotr vn
pittor con molta fua gran ecmu.odit, e grandifiima 'proportione depingerle ;
perche oppemndo la ItKUctbia edua in- contro ad vn piano grat. de, ttiurtetneU
rotondit del fuo ptt- '^tiol orbe, quanto vede in quella gran pianura; la onde
tl pitto- .ittbtlevtdrt eon poca jatica , t manto f opere pirgertuttt^ Iti 4
quel, Digitized by Google f4^ Dlia Magia Datarje ' > i qutilt cofi
prefortionatamtntt Ma ftf non lafttar
eoja aletta, na di gli oetbialn inftgnartmo Come fi veda vaa cofa
moUiplicara_-^er-' ebe mutato il mezo, fi mutano tutte le cofe, faectafi dunque
quel- lo pi grojfo di vetro, e pi fodo , ebe pi ageuohuente fi pojfa fare in pi
faeeie ,faceiafi dunque , e fi fptant in pi faeeu . e pi angoli, eo'l quale
numeriamo alcuna eofa j ma nei mefo del-. l,oeebiale hahbino tuttala punta.,
ebe vada a ferir nella pur-ta della pupilla de gli oeebt, ebe dalle diuerfe
faeeie venenelo F ima-' gini refiefit a gli occhi, non faprai eonofeere qual
fia la vero-^ Facendone vn dunque di pi
faeeie ,fi ponga t gli oeebi f per- che fi mirartmo la faceta dt alcuno a not
vicino, er parrvn Ar- go, onero tutto oeebi, fi miraremo il nafo,non vedemofe
non no- fi.,eofi le mano, i diti, e le bracci, ebe non parr vn buomo ; ma quel
Briareo finto da Poeti, fe a eafo vedrai vn feudo non vna tua molti ne,vedrai,cbe non bafierai
a torlo,ebe inganni fptjfu chy fenza toccar lo , ondo far meglio con quello
occhiale pagar altri^ fpt t teucre ,/ mirerai vna galea da lungi, ti parr vna
arm^ ta fe vedrai vn faldato armato ebe eamtni, ti parr vntffercitq ordinato
epe marci . Si fi che vedrai due facete, e tre,duo corpi^ e dice faeeie, e di
qu fi fanno molti modi di mirare,ebe vna eo^ fa paia via aliga, le quali cofe
imparano quelle ,cbe fi dilettano dt tnuefiigare,edifare efperient.t^.. ^De gli
occhiali con li quali plTa rhuomo vedef
di 16iano)Cheauanza ogni penfiero. Gap.Xl. On lafciaremo dt infegnare
vna cofamolto mirabi- le, " vnli/fima,come pof.ino coloro che veggono po-
N tutto di lofttano che auanza ogni me-
r luni. l^igli^f bumana credinga. Dicemmo dello fpee- Tblomio ,oucro piu toilo occhiale , tlqualf
'VeJeua per fetcenlo miglia le naui che veniuano i tna ni Gio.Bae. della Por.
Lib. XVIL ^4^ fare^ Untaremo infegnarhy che per alquante inriiano ''fiorii
cnnofcere gli amici , e quei che vedono poco pojfar^ //,;.> itere
piccioiijjime , ^ affai lontane . Cora molto uec^ffk-i rS y/'f-iur^jana vira .
e tojia di ragione di profpetteua , a cefif-- r.i O'! leggiero artificio >*
ma cofd non da manifejare a tutto ^ che legge ; ma chiara a coloro > che
fanno di projpettiua^ *P '' gafi T occhio nel centro del gagliardtjiimo
fpeccbio%doue'Jif% t vahtitifftmimene fi ifptrgono tutti gli raggi
delfoltienonvt (ongiongono infieme ; ma nel centro del gid detto fpetcbio , nel
mezo, doue fono i diametri trafuerfaU , t di tutti iui i il eoneoiy fp. Si. fi
inqueff. fpeeebio eoneauo, colonnare di equi aijins lti ; ma 'ad vn lato obliqu
fi accomodino quelle fettiony, hi del triangolo oUufiango lo fOuro ortogonio fa
ferat0,di quyt di l di due linee trafuerfalt , che 'vengono dai antro , t cofi
far fatto quel fpeeebio vtile a qUtlh che babbiamo prtmijju . . .. * I *
, . . / ^ f ' y "" ^ I Come yeggamo In voa camera
quelle cofe , che non vi fono. Gap. XII.
V*. ,s , On mi par ebe fia
dadifprczzarfi vn tale artificio; perche mirando alcuno in vna eamtra>veder
quelle N le eofe ebegiamai vi furo, ne fi trouer buomo d'm- gegno cofi fiottile
, ouero eccellente , che fe accorga ^ ^ che s inganni. Per deferiuer dunque la
cofa. Sia, Vna camera , nel quale non vi entri altro /urne , fe non per At_#
porta , ouero feneflra, dalla quale miri tl riguardanti , e tutta la
feneiira^ouero parte di quella coperta di vetro come di vetreor- te , le quali
vfiamo per feaeeiare il freddo ; ma che fta polita , c. fp! anata da vna
faccia, come lo fpeeebio polito da tutte
due U parti , da doue il.rtguar dante deue mirare ; perche nel reftanto non
feruer nulla '. Airincontrodi quefia fenef ira ui fieno piy ture , latue di
marmo , e cfe fimit f per ee le cofe che fono di fuori, fi uedrsnno dentro. La
onde le cofe ebe far anno dietro le fpdlle di colui, che mir, gli parr che
fieno nel mez o della eamC^. va , tanto in dentrv l cPttra., quanto [ianno
lontane da dietro h ipath, tanto chiare, e vere, ebenon giudicher fe non ebe fieno srifiime Ma per
non far epmfcere t^tifieio, quella parte,dout . fono Digitized by Google f
" fia fatta rotonda al fuoco , cornefi fuoh da vetrari, e non fi poltfca
allarotarcome vfanoi gioilltert , ebe fanno Veflrema fuperficie poiitiftima,
efdoue Ji attaetataai farro, fe vi lajv vn peiotUoi ne importa ebe il vetro fia
purgar t ^ ' to,per* Digitized by Google DiGlo.Bat.delIaPor. LibiXViT. io;
perebfquanto meri purgato far tanto miglior t^qu$fta fi pana /opra r occhio, e
fiia all' incontro ona candela acefa ; perche il Ju- me refratto nell'impurit
di quel vetro, fra quelle vefichette, * altri mofirar molte iridi , eli vedr
tutta rivendente di ro che non potr
vederfi eofa pi ditetteuole^. Dw fpecchi, che brufciano. Gap. X 1 1 1 L
Ratttremodc gli fyetchi che bruf ciano , l quali op pq/it incontro al fle,
mandano fuoco nella oppo materia, J" in quefii ancbora ficonofiono molti
fi'* creti di natura . Noi defcriueremo prima quelli' ferini da Euclide,
Tolomeo, Archimede, e poi por- remo gii nofri, aeetocbe faccino giuditio i
leUori, quanto auan* nino di gran lunga Pinuentioni di moderni quelle de gii
antichi. Il fuoco s. accende per refiefsione, e per refrattione , e con fpecchi
f empiici, e con compofii . Prima cominciaremo dalia femplice re- fitf itone ,
e femplice fpecebio , poi del compofio . Cominciaremo dalla femplice
refiefitone cornea Col rpecchio concauo accendere il fuoco . llche da pochi i
fiato comfciuto . Sappi che il fpecebio concauo dal ponto di mezo di tjfo ,
infino al lato dell'efagono deferitto du quel ponto, brufeia infino alla quarta
parte deifuo diametrofma dalla fine dell' ofiagono ;nfno al lato del quadrato
brufeia fuor del fpecebio dalla fua parte inferiore . Secbifi dunque quella
parte del mezo cerchio, che ria dalla fune del lato del efagono in- fino al
quadrato,eb far come vna fafeia di vn cerchio, e poi po- lita , e pofia
aCincoatra del fole, butter il fuoco affai lontano da lei dietro il fpecebio,
non vi ponemo pi parole ; perche ne ha- uemo parlato afidi pi largamente di quella
nella nqfira pro- fpett 'iua. Cosi anebora pofiiamo Accender Digitized by
Coogle Accender fuoo.co'l f^ecchfo colonnare,e pirmidalcconeaao.. . M s
d\h}hfiimmtntey e con tardanca anebora^e nei fol drflV- Jl tde btufeta m .
ulta, la linea non tn vn ponto; ma
dijiefa per il potato dtf bruj\ it mento del fuo oercbio . Ilebe auerrd ti
mtejim tttl eoiuau pu amidalt^ Dellafettooc parabolica, e del fpecchio chebra !
foia pi gagliardamente di tutti. Cap.XV. diciamo fettione paraholtcaycht nel
maggiorty^ fi? .] f minor ihaeio di tempo brufeia la materia opp^a- Q il'
piombo y e lo /lagno fubitOy cofi foroy " i rejianti metalli , come mi
dicono gli amteita mt^ non auenne ; ma Fb /blamente infocati. Con la^ ui
inuentione Archimede, pf ujitmonio di Gaitno,e di molti al- fr 'ubduemo letto
ebe brufciajfe r armata ai Romani, nel tempo che !^arceSo eombatteua Sir ac uf
a ,fua patria . Dice R lutar co nella iJta di' Pon^eio, li fuoco, che arde nel
tempio di Lucina,/ acccn^t de con due fio Ipeccbio,cioc con certo va/, ebe /i
fanno del lato def triagolo rettangolo ifofcele canato, t tutti i raggi della
circonferH- z,a guardano vn ponto. luanio dunq^ue fi pone incontro al fo\ te,
di diodo eh: tutti i raggi sadunano tnfieme, e svnifeono in ion pontOftr itti
attenui, afotttgli r arta,efefce ebe iuifi porrannof Jecebe , e legqieri /
accende valorofamente , rieeuendo fuoco quel raggio. P(fl pecchia concauo
sferale /accendono i raggi,i quali svnifeono nella quarta parte del fuo
diametro fotta il centro , li quali fono iui drizzati da dietro il lato dell'
e/fagono della fuper fide del cerchio . Ma nella fettione parabola, /vnifeono i
raggi in vn pontf , che vengono da tutta la fuperficie . Ma Cardano f ' infe-
Digifized by Google DiGlo. Bat.delIaPor. LIb.XVII. infegna tomt fi debba far vn
tal feccbio. Se vagliamo atemdep fuoco a mille fafit tfaecfi vn cerchio , il
cui diametro fia di duo mila pafii , e di quefio fi piglia tanta parte , che vi
fi pojfa cono- fare la rotonditi, come fi diafii la fefidntefima partcy il cui
dia- metro per F alterna in vn termino aggiongertmo,e volgeremo in^ torno ai vn
diametrqfermo quella parte di cerchio > la quale de- fermer a noi quella
parte di sferay la quale quando poi la poli- remoy" e/pofia al fole
accender il fuoco valorofifsimo ad vn mi- glio lontano , O' Dio buono >
quante pazzie dice eojlui in cofi poche parole . Prima egli promette ff\ vn
fpeechio , che brufei mille pafii lontano, che io giudico effere mpof libile
farfiycbe brit- fePtrenta pafsi j perche verrebbe di cofi fmifurata grandezza ;
perche cofi piana la fuperficie di quel
cono , la qual per riceuer qualche parte di curuit,appena Jt potrebbe far di
tanta gran- dezza. Oltre a ci deferiuere vn cerchio, il cut diametrofia di duo
mighay con qual compajfo fopra t^ual
pianta chi faranno que- Jli che lo
moueranno ? che fe pur e fiato vero, che Archimede bab- bi brufeiato le naui
nemiche dal muro co'l fpeechio parabola , ap- pena potea ejfer difiante dieci
pafsiy ilcbe fi eonuiene dalle paro- le de gli iflefti autori ; perche dal
medefimo loca alz le naui ne- miche,e le sbatt poi ne' f cogli ,di cui
ifirumenti furo leJieucy del- ie quali bifognaua chela parte pi lunga fuffe da
dentro la citt, come cofia della ragione delle lieue,cbe aitrimente non
sbarebbe potuto fare. Ci fono anebora molte altre fcioccbezzcyle quali ia-
fciamo a dietro per ejfer breuiycbe gi troppo lunghi fiamo fiati, delf errar
fuo n Dato cagione, non bauer vi fio, ne fatti mai fi- mili f pecchi, perche
fibauejfe tentato di farne alcuno , barebbe ragionato altrimente . Ma bora
infegnaremo Far vn specchio fecondo la feccioce parabolica . Il modo di farlo
far quefio . Sia primo confiituita la diftan- za la quale vogliamo che brufei
il fpeechio, cio AB, che fia dieci piedi ; perche fi voltfsi brufeiar pi lungi
, farebbe molto mala- geuole a fare . La linea AB, fia duplicata, ^ fia ABC,/r
tut- ta la fletta AQ,e dal ponto A tirifi vna linea retta DABy' fin DA, C .4 B
fra loro eguali, " ad angoli retti, con AC, ma Funa, e l'altra fi agginga
alla quantit AC, & fia DC, CE, che fanno F angolo in C retto QCE, il
triangolo dunque DCE ortogonio, t/ofcele , il quale fi dintorno Fa
fia CD far circondato finche torni al luogho doue partifsi,fi far a il cono
retrangolo BDNQt Digitized by Google a cui li fettiont paraholiea fati xABC
thrttU DC lafiatl ttm CE ftmiaic metro
detta bafe del cor^o. Per lo ponto CJi iirt vna parallela a DB ^eJaHl t
lungbcKza CE, & CD,t per lo tento Btin/t un altea parallela detta DB
la qual ft a fVG% e Jia EGK^BF Puna^e l'altra eguale ad ACt/ara 7G la-
$oeretto, VI bafe della fetone parabola. Si aunque fi Urar mna linea per li
ponti HFGlfar iafeitiom parabolica di
cui qmtfafarla^gurMm*, ^ 55 DiGIo.Bat.dellaPor.Lib.XVlI. 6{f Ma bauendo ad
abruftiare alcuno uogbo > non btfogna fare /* /peecbio parabolico alla
grandezza di tutta la linea HI'AGI ; ma pigliarne vna parte di quella . Come
pcreffempio f e cerche ^ rat vna parte delta cima , laqualja LAM , comeia linea
Lflf fecbi AC in /C, magioret miaore
fe vorrai far la magiare , fechifi di fotta AK > perche quanto far
magiare > tanto brufeie^ r pi prefio
e con magior gagliardezza \ fe minor fopra lo' AK. Ma fi far di quefio
modo che la predetta linea LAM tor~ ta fi defigner pi preeifamente t ebe
pocbijfimo errore potrai eomrnctUrfi. Tiro dut^ut vna linea fopra vnatauala
pianai doppio della difanzat legnale volemo bruf eia- re t cio la lunghezza
della faeta ABC > e del ponto B alzo vna iif^Jtrpendicolare BD { la cui
altegf^ fi(i del medefimo femi- diametro della fettione da farfit cio la linea
LM , la cui mett LK i dop fi faxei vn mezo eerebiot il cui principio A j pa(fi
per h ponto D. Ma il centro lo ritratterai in quefio modo . S'attae- 'VbHtf i
penti con la Hne AD , f V angolo BAD \ fia eguale hd ~ADB f e dilungata la 'DB
faet AB in fi , quefio far il cntro^ 'tofi fi tiri ilmezo cercbio ADC. Si
dunqe'la linea BQ feearemo ^ in parti pi minutedanto pi precifa far la linea
parabolica da deferiuerfi. Diuidafi in quattro partit e fieno i ponti della
di- mifione HGP. e dopo fi defcriuano
tre cereb i quali fieno termi- ti da A
e tre ponti HGF, il primo AF, il fieondo AQ^ilter- *za AH . efecaranno la linea
BD^ il primoin F, il fecondo . * O, il ter 3^0 in H , dop piglio a finir la
fettione LKM e la linea '^ Kyd feear in quattro parti, e per li ponti Uro le
linee paralltlo 'od effsLM,fia BH, cbe far p i vietnaalla cima della
parabo- la , la feconda BO , poi la
foffiquente , la tert^a BF , cbe Cegue^ . frofiimamente ,epoi far la LM ,* la
onde per It ponti LFGHA fi tira vna linea corna , fy il medefimo fi facci da
l'altra partii - infino alt M , e far la defiderata , e cercata linea par
abolita $ 'dellaquale ne fermerai lo fpeetbio tome diremo* s^ Della M agaN
aturaU Come fi poffa defcriucfc la linea parabolica, che brafci obliquamente ,
& in lunghiflima di- danza . Gap., XVI. y-fOo th con T aiuto tea fare nella
fettioni Mfobolieot gtd i baumomr fegnato , che in breue dilanza te 2i Ulte-,
ma nelle dtftanzt numeritodiquaranta,ouero feJJanU - derz.a'^ Il eU detto
ihecebtobrufii&fr luty't ljole% ehm tfarM il % dritto , come vorrefH . noti
tr/eruit^ 'Zcstbe Mvuoibrufciare trii/oh, onero ab oppop ; la onde pet to tt
potrai Jeruir di tutthtioidi queUo ebe jodtsf Primipahnentenelmeto giorno il
Jole ^^^'^aln inianno % mente, Quefiotni par di ammonir e y aectocbe noe
^etoebe ingannati poi voiy inganniate giialtru. jP*^* K TolL ebey fdebatima
jela fettine far , temo bauftiar di lontanojofpeeebio viene lerr digri-
tnebtudtre net mtzo vn poco di antboA fa- dezza inefiimabtle yfe lafetuonejar
verfo labafe y ancora j r pefimo } perche per la molta dtjianza > an^or if
Unta d Joie per interceper dentro alcuna curuitd y iorremo la linea vicina al
colloy non r.dcapoy non ne piedi. Hauer, t firiofpecebiodeUaJem/ne Parabolica
yVictno al ^ tiene ila doue la parabola e ajfat piu corua, e che brufeUo^ l _
Digitized by Google DiGlo.Bat.delIaPor. Lib.XVir. Cfj da Ut venti piedi, fta la
lnea AB, la faetta di i S. piedi,dal poni A inalzo vna lima ad angoli retti con
l' AB , la qual fia la linea iuxta quam di^a, di cut la quarta parte AByfecbiJ
la AB in C, 9 fia di duo piedi, e CB di
1 6. piedi , moltiplicherai i,xtt utcur .. fa A. o.cioi vna cifra , ^ far iui
60. la feconda partitella 6 r. la linea aggionta a quella ad angolo retto far
2. la terza parti cella 6x. la linea
aggionta J. cofi lavigefma particella fard So. la linea congionta ad angolo aDe
efremit di qutfe aghi ci fceo vna agbo , fopra quelle gli foprapongo vna corda
di rame di cimhalo , e fopra quella tiro vna linea ,e cofnt verr vna li^ ne a
parabolica efattamente defcntta \ perche fe noi la Urafimo fen%a t aiuto di
qutfta corda ver ria tremate, e no perfetta, all' bo- ra t'ba da pigliare vna
tauoia di rame di coueneuole gr off zza, Vuu ^ e lopra Digiti "MI by
Google Della Magia fl attirate t fopr t vi depin^em't h UneA ritrovata^rodmdo ton
la Unta tat~ to qugl,fe da bs pi gltirt vna verga di ferro, di iungbegza di
dodtei ptedi^ ao la linea DE , i neUeJlremit aggun^rtmo la lamina, la qual far
per h riuoigim:nto intorno dall afe , nell efiremit vi agginge remo vn ebio io
cbe fi affiga in aleun luogbo , che fi pojfa portare intorno aeeonei amente, e
coti come fari ben ferma la paneremo, aggiongendoui luto con paglia, aeeioebe
tfeaui dentro quello la^ desiderata parabolica fettione , ilq>t*l quando far
fecco, ne fa remo vn altro pi fodo, ebe pojja fofienere il metallo liquefatto,
tome si fuol fart^. Vnafettiooe parabolica che brufdain iofinito. Gap. XVII.
Crtue Zonata Greco nel tergo tomo delle fae bifio r ie, cbe Anafiasio a
Vitaliano di Tratta ( ilqualeli S concili quei di Misia,e di Stima fatta fedittone,
e preda nel campo Bizantino, ajjiggiata ton l armata la Citt ) re fio per
Mariano prefetto, ^ tominctatJ la pugna naualt,da vna certa maecbina fatta da
Pro eh h'anomo ecalUntifitmo, ilqual cosi in F ilofofia,eomt nelle ma tematicbe
faengt fiortua, ne fal bauea imparate l'oprt tutte di Artbvnedt eecelienttjfimo
artefice', ma anchora bauea trouato da lui molte tape nuout,r armata de' nemici
fu vinta. Per che fi dite bauer fatto [pecchi cbe brufeiauano quefio Troelq di
rame, e del muro all'incontro delle naui nemiche bauergli attaccati, ne quali
tome in dicono i raggi foUrt, vfetnio da quelli fuoco in vece di fot gort\ba
ter brufeiato le naui. fi nemici', ilcbe anlicamUt fidiceua bauer fatto
Arebimtde,cb'affeggiaua Siraeufa,eome fcrtjfc Dionei Ma noiferiuertmo vn modo
affai pi tcctiUnit, non anebora da akuno, V DI GIo.Bt.delIa Por. Lib. XVTF.
slfuntfomt io i1imo,cht auaj^a d^rS lunga tutte le iftuentiovi dimodeeniff
degli antichi, ne ilimo ebe F ingegno del f homo foffa ritrattar enfe magiari .
Quefto fpeeebionon brufeia adieei,vm~ ti cento,
mille pajfi , ^ ad vna determinata difianx,a } ma in infintto,ne accende
nella punta della piramide, doue i rago^^ anano infume dal cerehia delfpeeebh
ne vien fuor^jK^~ mia ebe rufcxa , di quafuogliaJangbeXza , la ^uale bi^jjjffid
ohe fe li f incontro . Oltre a eie brefeia da detroydinanShe da tutte le parti
. Al veramente ilimo grande infamia mamfe- ilar eofi gran feereto allignorante
popolo . Hors efia fuori aeeioeht Jia
lodata Fimmtrf a bont ai DIO, e reuerita . Dalla fittione magiare , dal qual
procede- il raggio proportionale , dal minore Jia magiore , per emtat quejh
faeeifi di JiUkne di coloni ma ; perche i mezana , e di pieciola, e di magiore
feeamento fia^ fatta F affi, il qual pafii per mezo li paralleli, quefta
oppofla ai fle di lontano refiette gli raggi ritenuti , e perpendieolarmenU mi
centro delia jettone del cilindro , ne j pud trovar ragion in quella artepbbo i
raggimiti, di nuovo fi difunifeano .Dunque fieeue ^rettalmente quelli fpaH
tr'af mette per obliquo i raggi hntaniddlla fua fuperfieie i per ebe i raggia
ebe pajfano pervn diretto buco della ftnefra , fubito fi dilatano , ne per la
dilun gationeforo fi eonferuala oroportiene reuerbera dunque , e bru feia,doue
il eom appare piu fplendentr, ilebe far apprtjfo il cen- tro,ne molto fi
dilunga dal ponto doueR vnifeono t raggi . Ma a quel raggio ebe efee dal ponto
dalla fuperfieie del fpeccbio dette paraholteo, ebe daquet loco , ebe
deemmo\re/li ferma, Fae~ eifi efperienza iella fua virt con i fili, ebe efeano
dal centro, con le corde di ferro , onero [di sfere importa ne fia parabola ,
sfe^ wiea, altra fettione del medefimo ordine, dop t accomodi fcpra il eentro
bentjSimamente della detta fettione, ft vengono fuori i rag ri /pra , o poco]
finto . Poto importa fi pochi dinari ,
molti fi /pendono nella fabriea di wefio f la fabriea pende dalF
artificio - di vno artefice, la quantit niente pieciola , grande la largbez- ^ del buco niente i
ntttjfaria , fal eaeeiato dal fi fa, ebe * fbe s'adunano nel centro ,
s'vnifeano benifiimamentt^ La fenefira
fi bufi obliquamente i ebe'pojfa ricevere lo fpee^ ebio parabolico, e di quello
modo barai io fpeeebio , fe farai bene quanto b detto , chi ba reeebie da vdire
, oda , noi non^ kautmo ragionato barbaramente, ne bauemo potuta dirlo nz^ Vuu
3 pi Digitized by Google 6S% I ' Della
Magia natrakl ,* i. /J pi hreatt m pi ebiaramentt^ , . ' wJlf . fitfftndo
piceiola non corrifpondt in proporti ont nta fappicht nitnts cprarai t ^ grandi
intorno la baft, piaiola vi- . no alla timat tquidiltantt alla prima . Lo
/picchio non fia dk S lercbt non ba/iafoScncr/ ardor dti'mctndiott. toni'
ar ii hfpUndorit fid dunque di vetro ^
della grJ/}zKM di La lamina di nagno fi fi di antimonio purgtt* piomn f fifuol
far in Germania, la forma /la di creta,. figH . proponga il vetro i e fi
Hqutfaeei nella fornace di vetrari che vk facci la forma . ^0r/?oi
wri'aKiyp/itf/ff che eUa t che fi tanto
ito aendiot ili fempre fredda, e meno che tiepida. Se ti piact ehe ae*. oenda
dinanu,di quella fettione che prtfibla
hqfe ,feuefi la^_ fafcia nel cui ponto di mezo t' accomodi l'artificio , che il
raggia, retrogrado vada innani . Hauemo detto queio , (b* ammertito r^diquefioartifieio fieno pofiifermire nelle
grandi , e mirahiH toegotq, e prneipalmente per fcrimer le lettere nel glolfii
deUah,^ ma. Tutte quelle cofe che hauemo detto di quefio ^ethio,come haa oeeneo
del, piano, potremo di lontano molto trafin^teroi earatttf ri,, e perebe
habbiamodetto in ^fimtoageuolm>enU gm^aeo mo mfinoaMaluaa per efcruoprmt^almtntoeiitatt
dljuudm . L - int. v'.r.- Digiiized by
Gooj^Ip Di Gloi Bat.dell Far, Li fc , X VII. 66^ Compor vo.fpecchlo dabrufdare
iipifeCtIoDj lirali. Gap, XV 111. IteUiont iafe^na vn ompajhhht d Becchi da brm
fsiare eompofa di Piie fettioni di pecchi sferali V concaui ; ma queBa
cbefrrime non lo proua ne in- tende
quello che friue, mentre noi andauamo in- fig^ndo quel fuomodo hauemo ritronato quefa nojlro . ^ro^ongaj la
ifiarZ.aJindome volemqhrufciarre % ejia CB ,Jia doppiata CA , ccf tuttala CAjia
il fimidiametro deUa 4ftraidi cui il centrQ B, tjfendcf in D > cfia il
diametro AD. di- V uu 4 tcU^ / Digitized by Google 46^ Della Maga naturale- r
-O udafi CA in quattro parti , ma quante pi fono le parthtanto far pi preetfa
la dtfcrttuon della lineaye fi aeeomodino te di~ ui/ioni a numeri . polol piede
dd eonrpafin I fiabile il mobile in B, faieifi tl ftmicercbid EPt e fia notato
Bh e con la tnedefima apertura pollo nelAenir 1 1 #/' altro mobile nella linea
BDfatcifi vn altro femieercBio , e (a notato x, e cofi infino al' quarto % e fi
noti^> dop pofio il piede dei tompajfo f labile nel B, # la diiantia BC%
onero B 4. faceifi intorno il terthio e
lentamente ; perche > mn svnfcoT^o tutti li raggi in va ponto; ma in voa
linea. Qua- - fi ndmtdf fimo modo ^ -
Aecendereil fuoco con la piramide criftallinj_*. ^ Salerno } perche ella
anebora brufeia dintorno la lineai ma pik gagliardamente rvnoyefaltro , che lo
fpicebio colonna reyd pira- midale in vece di quefo ci potremo feruir eCvn
bicebiero pieno di acqua , Ma pi valorofamente di tutti Con la baila di
criftalla , fua po;cionc^. E fe vi
mancajfe la balla y in fuo luogho potremb^fcruirf dp. vna carrafa piena di
acqua rotonda > ej^ojia incontro i raggi del fole,fe\da dietro vi porrd
alcuna efea amica del fuocoy doue vici- no la fuperficie svntfcono li raggi,
fubito s accende il fuoco, non fenz.a merauiglia de' reguardant,veggendo che
dalPacqua fred- dijjima nafea il fuocoy coji anebora brufeiano li pezzi delle
sftre, ' come gli occbialile lenttcebie, e jimli portioni > che bauemo gi '
Barratela Lapa- Digitized by Google Della Maga naturale La paraHoU eriflatlina
brofcia pi gagliardamence di cucce." Vtdremo ; perche da tut i ra^i, che
vi cadono /opra accendi affai piU vaiorofamentct che li Spaseti , PoJIeamo ancbor
, cimi mautmo detto del pecchia > j
e^Alcptenti-H abbiamo^ ditto aneboratfi ferA oppa fio al loco fipxmtone
opp^p^'tatttoJperfettamente aOa balla di erijlp^come le tfirthportinite
eititordt iperrbt'Win tanto di lontano bra- feianotcbe fia malageuole a
credere e pi ajfai , che pojfa capir r
imaginatione . Beco v' altro modo d dttendir fuoco pi traile* ^jfamtnte
narreremo . Pertbs li bafia egualmente ne* brufeia^ paralleli cadala vniforme
fittioncte re/eri/ce i raggi ebliquitv'- drai il foco per oecoltot" aperto
raggiOtcadenS'e/pra la retta J JpecihiOtOuero conuefio cilihdraicotoero coneauo
sferieotontti | eofa fi trinar A molto bufata dal gran fuocot e f non far enente oppofia brufeiart dgrande^
ipieciolatcbe quella medtfk^n fia. Ma veramente importa di cui fia la prtione.
Fard anclnrn fe la cofa oppofia far granii A piceiola fe in^ortoe.
Io VAo (pecchie eauatO) come fi pofia far reflct*^ ^ tererimagioe di
fuori. Gap. XX. . ^ Rima ibe leuiamo mano dallo Secchio pianeti fata trottato
per inuentione de modernit che nel medefi- I moipecebio feci vedano molte
Jaceie de vna imagi- ne,ebe fe gli oppone tfenga impedimento dtUa fri- SyE? Cauano da dietro lo^eccbio > t vi
fanno t n_^ bucovn poco latep, che ponendotti fopralafogliat come infegna- ,
TemoiC ben atceoiAdataxne mofira vn' altra fuori. E di qu n ve- etuta Dig lir 'd by Gt)Oglc Di
Gio.Batt.delIa Por. Lib.XVII. muta vna bfijs in u nt ione , tbe alcuno
guardando nello fpecebio , vi veda fop^i vna imagine d' un altra cofa dnz,zsta
/opra non fenzi merauiglia del riguardante ^ t toccando con le mani non toccar
d fe non l'aria, -ni rira^do b merlo vtjio pi volte, e la cofa Ji f eofi. Si f
vno fpcecbio di criJlaSo, da dietro fi caua vn ido- lo,ouero imagine con quanta
diligenza fi potr fare , poi vi ac\ comodano fopra la foglia, e lo pongono
nella fuaeajfa\ perche far profondamente canato in dentro, tanto balzer fuori
fopra la fuperficie, ne ti parr che non fia fodisfatto a te iejfo , fe non lo
tocchi con la mano ,fi veramente fl cofi vfiito fuori , le lettere fi legeranno
cofi bene , come fi fujfero fcolpite firpra il erifallo di argento , ne far
bicorno di tanta perfetta vifia , che mirandoui non singanni , Ne latear di
dire vn artificio parte. Per veder in vn fpecchio piano cofe che non fi veggono
in altra Ne poco diletto bauemo dato a gli amici nofiri , e merauiglta
eonqueiofpettaculo, babbi o.ouetp^o. tauolettedi vn piede, e mezf di lunghezza
della largbezaWdt duo diti,e delia fchdtzza di mtzo , d terza parte di vn dito,
e fieno on quefio artificio ae~ eoncit, che da l'vna parte Jia il /odo,
dall'altra tl taglio , tome v epltcBo:tutU quelle tauolettc aggiungi
infietne che fieno da vna farti ghnte
tutte le parti grojJtttc,di modo Brttte che dimolri"^ mo vn piano affai
acconcio. Dopo dtptngerui fopra la fu imagi- tqei di alcuna altra cofa, fua con
qntfto anifieio,& auitci^imin^ di,e gliocebialifitogliooo farealfenetid^ y
, ... '' 'Coni''' Digtized by Google 9 ,
DiClo.Bat.deltaPor. Llb.XVII. Come fi pongano Je foglie alli (pecchi piani con*
caujjC conue/I , e come fi terminino. Cap. XXII. % ^ ^ hfciarfta ie- R rA Zt-
conufjytdtl ii ^ ^ e conut r- iS^OI 4* de' i^, cebi. Y terminatione de'
iiecebi, che fi lo/ > ^ , 0 dt vetro , e dop la mi/fura de oli altri . e le
.ZriZ Tl/' " limagM, come / acqua , & alcune piote . il . ! l. .. / lo
fi Poi rc7^/.Z varo, quei dicriftal- vfSZ "'* " '. ' * *- U pongono
n,L fiU nVlZJPaaifZ'ZZai 7 !- Ine, ccm.diem,ifZf. 'ZZfg7J7Zo ' ^ Gli JfutU
(iagiji wZydelZfjjZdl/^^^^^ i,n^ piani. Dgitized by Google ^70 Della Magia
Naturale pianit e ipanati, V artejte piglia vna foglia di fi agno itila mt .
dtfima quantit, e fottile,con la magior diligenza che potr; per-- tbe
aitrimente il criJlallo, vetro non riceuerebbe la foglia , per lo fuo vigortit
naturai fodegza, ne tirerebbe l imagint wiprejfa; ma la lef etertbbe ftorrtre ;
perche il vetro i chiaro, e trafparen- te,e per la fua chiarezza non la
contener ebbe, la onde fuanirebbe i'imagtne tn tjfo,come il lume nel fole, poi
fopra quefa lamina co vn piede-dt lepore fpargino l'argento viuo che tutta vi
paia di ar gento,e vedrai, che far tutta accotiata l'argento vtuo , fopra vi fi
fiende poi i na carta bianca,e monda di fopra quello io fpeccbio^ ma molto ben
netto,e fregato con vn panno di lino, che ft fujfe toc calo con le mani , non i
ac cofiere hbe rrtai la lamina al vetro , con la finiira mano fi preme fopra lo
fpeecbio,con la defra ft leua la carta a poco a poco che in tutte le parti
s'vnifca con la carta , e fit CI attacchi, e pot lafciandout /opra vn ptfj,
lafcia cofi per alcune bore, tlor infegnaremo I Al ipccf.liio concauocoire fi
acccmodi fopra la foglia. yf.j con piu fatica affai fi pone la foglia dietro al
fpecchto ca- cano . Faccij vna foglia della quantit da coprire,e la accomode-
rai fopra la fuperficie fua conuejfa, e ponerdoui fopra il dito nel centro
della mano finifira , col dito deliro v maneggiando , e calcandola foglia fopra
lo fpeccbio, finche fidifienda tutto, e ponendo la forma della fua fuperficie
conuejfa poi fi bifogna far la forma del fpeccbio di geffo, cio liquefacendo il
geffo cotto con l'acqua , e buttandolo fopra lo fpeccbio % e come far difeccato
ne barai la fiampa, fopra la [lampa vi accomoderai la foglia la fo- glia di
[lagno, che da tutte le parti vt fi eonuenga; perche la fi adequata, vi
fregherai co'l tripolo, aU' vltimo co l Ragno brufeia- to vi darai la luce , e
lo Splendore . Altri vi oggiongono al ramo la terza parte di Ragno,acdocbe la
maffa diuenti pi dura, eri- eeua magior ^ltndorei, 11 Fine del Declmofettlmo
Libro. * y \% - Digitized by Google -.^1
DI GIOVAMBATTISTA DELLA PORTA NAPOLITANO
DELLA MAGIA N ATVB.ALE. L IB RO D E C I MOOTTAVO. Ntlqud fitratt*dtlgrMU,e
dclU^itro. , % PROEMIO. EJUtranio io di ftriutrtdtl graut o d$l Uggitrotfn occorrono molte eoft pie- ne
d merauiglia,e degne di fcriuerfi^t di moitA fpeeoUtione ideile quali ce ne
potremo Jermr e a molti vfi con molta nofra comodit . E fe alcuno poi an- dr
fpecolando piu a dentro, potr tro uar molte eofe nuoue e degne, delle qua li
poi ee ne potremo ftrmre a molti vfi & affai vtili a noi , dopo quelli
ragia ' naremo de fpiritalche fono quafi della meiefima qualit . Che le
cofegraui nella medefima fpecie nonca* dono gi>ne le cofe leggieri faleoo
sii. Gap. I. Rima che vtrgbiarro a quelle cofe, che vegliamo in- fegnare
giudicamo,cbe babbiamo a dir alcune ecfct come prircipy iftnx^a la notitia
delle quali, noni e potemo prouare, nedimofirare^ ^ello noi chiama- mo graue i
cbt talaal centro, e tanto pi gioue di- X XX dama Digitized by Google '^74-
Della Magia otorale ^iarfjo ejfercy quanto pi vdoeantnte dtfcende. al contrari
quello chiamano leg^ier, che J'aledal centrate tanto pi leggiero, quanto con pw
velocit fat. Quei corpi dicemo che cedeno gf vni a gli altri, i ^unli J
mtfibiano inf.eme per minimi, comi l'acqua t'I vino , e jimili liquori . Oltre
a ci intendo dir prima quefo ajlioma, niun corpo tjfer grane nella fuafpeete ,
come faequa-, nell' elemento dell'acqua , e faria nell aria , coji ancbora cbe
il vacuo co/t abbo^rito dalla natura,cbe
pi tqfio aecader,cbt la maccbin z del mon io fi difcompcngafcbe patirlo l
natura, e dlia repugnanza di quefo vacuo venirne tutte le t^irabi/i cagioni
dalle cofe merauiglioft', ilebe forf dimofiraremo invn libro pan- ticolare a
quefo effetto ; la onde la forza nel vacuo f , ebe can- tra f ordine
delio-natura che le eofe leggieri cadano gi,e legraui afcendano,c(ft ntceffaria eofa nel mondo non effer
cpffengoL-, corpo ..Dnque bauendo detto prima quejie cofe, calar tmo a trat-
tar di quelle cofe , e primieramente . yn co^ograue liquido, rintbiufo in vn
vafe, la cui bocca riuerfeia Ji cbiufa fotta fae- ^ua, ancbora pi graue dcBa
mcdejima Ipecie non calar gi. Siati Digitized by Coogle Di Gip.-^jit,4,el^4
Por. Di^rXVIU, fe tl compagno fi
prouoear alla medefimeu^ battaglia, e prima vuole che tu beua, riempi la balla
prima di vi no,e p >i poniui /opra l'acqua, fra tanto bifora trattenerlo,
fra- fornrlo con varie parole; pertbe f acqua'caltr gi per la boc ca firetta, e
tanto dt vino ajeender su , quanta acqua vi catari s poco a poco, vedrai per mego V acqua faltr il vino, e F
acqua calar giu permezo del vino, t fi /cambiano i luoghi fr loro, co- me
eonofcerai,ebe lacqua far calata gi, il vino /alito s,he- ucraitu, perche
bcuerai foto vino, e poi dandolo all' amico beut ri fola r acqua. B di qui
vient,ebe non frnzi gran dtfeomodi^ ti di eoloro.cbe btuono, quando fi pone il
vi no in frefeo ne pozzi ne va.fi di creta,
di rame ebe non fono ben chi fi , per effer l' ac qua pi graue , faltndo
s per vn minimo fpiraglto, sforza ai vfeir fuori il vino, e cacciarli fuori,)
in poco /paria di tempo fi riempir d'acqua , " il vino andr via , che
lacqua non /apri per imaginatione alcuna di vino, e per bifogna chiuder la
bocca con gran dihgcnz.Amu, Come Digitized by Google Di Gio.Battdella Por.
Lib.XVlII. f Come fi fepari II vino .Riifcliiato con Tacona Gap. m. A quelt tft ntmofraremo dut
affeuolmentt eb^ vn corpo gratfc tbiufo
dentro vn %;afe di vino % ba ucndo U fuA bocca fmmtrjA dentro vn corpo ii-' quido
pi Itggitroyfi cedevo (, vna aU' arrot" il pi legguto afeender^^" il
pm gratf^ defeettder'i'v no /enjj^ impedimento dell' altro > ilcbe
dtmoitraremo da prinei- py naprAtidi /opra . Sta tl vafe dt vetro AB rouerfei
pieno ' di acqua , laquale i pi graue del vino * dt cut la bocca B dentro il
vafe CD fommtrfo ja pieno di vino;
perche fon corpi, che i'vno tede aU altro, come dicemmo prima: dico ebe l'acqua
dtjcfdtr nel VjfeQD , il vino f altra nel vafe AB i aoM Itaua primo f f- ua i
perche l'acqua i contenuta nel vafe AB , la qualt^ graue, preme il vino, nel
vafe CD, tl quale pi leggiero, e per-
che non ci corpo fra l'vno,e Coltro, C
acqua da t vna parte jeen- dt nel vafe CD, il nino f olir su da l' altro parte
tn AB , cbt ft il vino far rpjfo , che Ji pojfano vedere le dtfftrenffe de'
colori ' vedrai per meno dell'acqua
falir il vino in s al fondo del vafe rouerfo , che li f fopra , e C acqua calar
gi con gran /retta al fon^ del vafe CO,f tanto ne cala gi,quanto ne fate s, e
fe li li- quarfarnnoinutfibilif vno Jenna tmpedimento dt l altro,e me- J^ql^mcn
, fe n^Jtndr ai fuo luogiso , e daranno aiit ipettatori vri pidteuoltjtmo
ifeta(oto,quandoU vino far faltto, e l'acqua difeefa, e fi rtpoferanno ,
faranno tanta bona,e drittamente fepa- ptHfvtcda4nltroyebe4l vieto non hard
ninna parte dell'acqua, pe f acqua del vino ; la ondefe tn vna botte piena di
vino , vi fi fommerga vn vfo di colio lungo pieno dt acqua, in poco Jpacto di
tempo il vafe rouerfeio fi rtemtrr di vino , e f acqua fe ne caler nel fondo
della botte, E di qu eiafeuno eonofeer ageuolmentt^ nt vn pocchifiimo di vino refier nell acqua
fappi chi tanto di acquai fiato mefebiato nelvsnot che dal fapore odore fi potr
eonofecrcy ft barai ben oprato. AlPbora piglierai vn va- fe di maggior capacit
delmedefimo liquore t e fi ponga nei vafit. fottopojto, fr tanto ebe fe lo
fuecbi tutto , lande dalla propor- tione del vino, ebe fi i falito, e dell'
acqua etafeuno potr fapere quanta parte di acqua fia mefe hi aia nel vitto . Ma
permagior comodit, laearraja ebe contiene P acqua , fi di ventre rotondo, c la
bocca non molto grande ^ ilvafodi folto ebe tiene il vino , fia pur di bocca
firetta cbe'l rotondo di fopra,con pi comodit fi pojfa aggiongere con quello di
folto , che Paria non vi capifeo-^.'" Ma perche alle volte fnole accadere
, che la balla di fopra , dppd che hard fucebiato tutto il vino fopra, ne hfi
riempir l'afua ca- pacit , e non vogliamo fiparar l'acqua dal vino , pigliando
Itu balla nelle mani la riuoltiam,ehe la bocca miri fopra, alP bora il vino
fubito fi riuolger , e verr nella parte di fopra , ilcbe eort vnafafcia di pezza
di lino, per feltro fe ne eauer fuori.'Tu r a con diligenza, come uedrm che fi
ba ajhrbitd ii vino, togli fafeia , e rimarr l'acqua pura-^ . ,1,.
.. ,Hi,| I. *> . . , Come poflamo altrimente feparar laequa del vino
. Gap. IIXL' ... . .
> ,. I Oi faremo ilmfdefrro m altro'mr>io,non
con laleg- gierezz,a, e grauegza, come ba'emo detto f meoJ fattile e denfo;
perche lacuna la pr fittile ai tut- ti
gli hunrnn ; prche (cmplice : ma il vino
; "er- che colorato, e'I color uien
dalla nitfcolanza digH e pi corpolento,
e fe ben panno tf~ fere molti legni che facejjero il medefimo effetto ,
l'bedera affai cccellentjSima ; ' perche
e molto' porofai ^ i piena di molte rime; la onde bauendp un uafo di bedera^
cio fe lo farai al tomo,qua- do c uerde V porrai in quello tl uino rnifcbiato
con llacqua i'ae* * qua in breue
ternptffe ne Jlillarafuori',\M.a ueggto bauer detto il ' contrario di queo coji
gh antichi come t moderni, a quali con-
, trario la ragione e l' tfpernx.a . Dice Catone fe uorrat fapert^ fi nell acqua
ui Jia mefcbiato il uino , ci farai un uafe di le- gno di bedera, e ui porrai
il uino, del quale dubiterai che babbia acqua mefcbiata , fi bar acqua tl uino , il uino ufcir fuori , r acqua
re fiera dentro ; perche il legno dell' bedera non contiene ilutno . E Plinio'
pigliando da lui . llbedera ba una meraui- I gltofa natura a far elperienza del
vino ,fe J far un uafe del ' legno di bedera che cacciar a fuori il vino, e
refera l'acqua ,fe ve ne fara mifcbiata alquanto . Laonde l'uno , e l'altro fa
un dop- pio errore , che dita che l'effetto utngbi dalla mtrauigltofa tiirt
dell bedera , potendo far l'ejf etto ogni altro legno porofo:oltre a ci dice il
uino che uien fuori , e remaner f acqua dentro , delcbe ve uien il
contrario'." Ma Democrito intefe pi vera , e pi pro- babilmente , ilqual a
quello effetto non s' feruito del vafe del- f bedera ; ma di vn altra cofa pi
parafa . Dice Ji ponga il vi- 'no in vna pignatta noua, che non vi Jia flato
pollo anchora al- tro liquore , e. la lafciano cefi fofpefa per due giorni ,
perche la pignatta fillar fuori aequa,
fe vi far acqua niifebiata nel Vino. A far quejio effetto Democrito Ji feruito di un'altro mei^o. ' Alcuni pigliano
vna Ifongia nuoua , e bagnata di olio otturato la bocca del vafe , e poi 1
inchinano, e lafciano fcorrere,\cbe bauen- do acqua il vino dentro , vfeir fola
l'acqua . Della quale effe- rienza fette feruono anchora nel vino', perche la
ffongia po'- tofa , iy affai aperta ', e
bagnata di olio, imptdtfce , che tl liquore f.on defiUi di fuori coj
agtuolmente . Africano ci aggongz-e altre cofe . [Poni alume liquido ne! vino ,
e dopo ottura la^ Xxx 4 bocca
feparr"il grane d aS le^gtero % ouero ii vino dad' acqua y oieer
con altro p modo . Facaa/ vh iicwto dt bombacCC pondo nelln /''V% botte che babbia f acqua / vino mijcbiato nfie- mcy
f il litinto nati ft,pra tl liquore, & vnapar~ te ne lita da fuori; perche
filtra t'acqua per quello,t cadtr dal la parte pendente fuori del vafe; perche
il liquore piti Irggterofa lir per lo ticinio , fhtter di fuori ; ma come falir
quel piu leggiero, tirer anebora a fe quel graue,e ptr quejio tome f vedr
mutare il colore, leua il vafe; perche ne v far fuori l'acqua:cof chiara i,cbe
ejfeno il vino piu leggiero, ftmpre /ale sii nella par- ' te fupenore del vafe
,efe ne cader fuori per lo lietnio , e fe bre dicano il contrario tutti quei
che vendono il vino , ebej acqua ft ne viene fuori, e che dentro rimanga il
vino Come fia mifchiato il graue nel
leggiero , ouero il leggiero nel graue. Gap. VI, ^V^fS^mfjsOtrerno ageuolmente
cono/cere fi nel graue vi fin rf rmfcbiaxo il leggieco, ouero ft nel leggiero
vi fia mi- P fhiato tl graue , e quefio modo lo togliemo da Ar- cbimtde nel
libro delle eofe ebe vanno fopra I acqua, di cui ni cagione, che fe vn
legnOtVna pietra, me- tallo far pi
pondtrofo di vna libra cofa di egual quantit di ' acqua , rejlremafuperficte
del corpo far la medefima con laju- perficie dell'acqua ; perche fe far pi
graue def acqua * tal fri gi,fe pi leggiera, quanto far magtor della grauezza
dell ac- qua , tanta parte auan%tt ai fopra f acqua . Per ejfer dunque Digtized
by Google DiGio.Bat della Por. Llb. XVIII. .6%i il mr, , . Ucqu. J!a f, gr.m
i.l mm. /a i\u {jommtrgit nel vino.tbe nekac^ua yfi vtji porr dtn m, Landra
f> J> ( 7. ..arar racqa dal vino, i E con quefio artificio conofceremo
quanta acqua fia mifcbiata . in vna botte di vino . TigUfivna quantit di vinone
fi ponga in vna carrafa di vetro , e porrai la earrafa inacqua freddifitma\
cctocbe tutto qutBo che fita nella earrafa fi eongelueome babbia mo tnfegnato
prim '.Se il vino fard puro , fi congelar d con pi raalageuolizza, e tardit-,
ma f ci fard acqua, fubito fi conge^ far . ^ando il vino fard congelato ,
rompafi la earrafa fopra i vn piatto, cbe il giaccio cominciard a poco a poco a
liquefafi,pri- ma il vino, perche pi
caldo , poi refierd f acqua congelata yfe- para il vino i perche fiUquefard pi
tardamente dAQa cui pro^ portione eonofcerai quanta parte di acqua fia fiata
nella botte . X ' ' Come l leggierezzai
l grauit fa varia nella- * ria, e nel racqua,e quanti artefici; perci fi
polfan^o fare. Capi Vili. Or^tratterenio altrimenee del grane, e del leggierot
cbe barbiamo parlato per innanzi . cio qu^ fia
HO I ned' aria, 'e qual fia neWdcqua , e cbe Ipecolatione p ^ onero
vtilitd ne pojfa nafcer da quella , e prima co- pofiiamo conofcere fe vn
metallo fia puro, ouern, mifcbiato con altr$_metalli , come oro con argento,
ne' vqfiin~. dorati , onero nelli dinari , doue fi mifcbia i argento con F orop
e co' l rame , e qual fia il pefo di eiafcbeduno , la qual fecola- ^ tione far
gtoueuolt non foto a banchieri -, ma ancbora vtilv.* a gliiaicbtmtfii , quando
defiano faper F ejfame de metalli , nel- la fifiion dell' argento , e nelle
altre loro operationi ,* ilcbe mi iforzer trattarlo ageuolmente , cbe s'
intenda. Ma veggiamo prima fe gli fcrittari antichi, nbabbino faputo alcuna
cofa di quefio.Stnus yittruuio Arcbimedc bauendo prattieatn -, perche ' ' Henne DelIa'M a gi naturale Htrone bauenio
fatto veto a Dei darli vna corona d oro ntt tempio t diedi Foro alFartefiee a
pefo ilquale diede la corona fatta
ictelUntiJJtmammU al R 0 al pefo relffondea beniftmo * %bt confinato i'bauea ,
Magli fu. reuelato, che lartefee ne ba- uea robato vna quantit dell' oro confignato " ebs in fm luogo VI bauea tanta quantit
di argento . Sdegnalo di queio Hero' rnetchiam Archimede ^ che facejfe penfiero
skquefto fatto . Al~\ i'bor venendo egli a taf a in vn bagnotc calftndofi
dentro un uafo pieno di acqua , t'auuedde che quata parte del corpo entraua in
quel bagno, che tanta parte di acqua ne vfcje fuori, ' bauen-- do egli trouato
quefta xagine, vftt fuori del bagno molto allegro^ e correndo uerfo la eafa
gridaua , l'b ritrouqto , l'b ritrouato.' Alt bor fi dice , che facci fit due
maffe di egualpefo con h coronat > luna di argento, l'artra di oro , poi
empi un uafo di acqua infino- alla fommit deSt labra, nel quale po/e la mafia
di argento , del' quale quanta mole di quella entr nel vaft , tanta acqua ne
vfci fuori ila onde toltane la mafia di argentarci pofc tanta acqua quanto ri
tra vfcita, e infino che era la JeRa parte, e ritrou a. tanta parte di argento
quanta acqua riipondefie,poi pofe la maf fa dt oro nel vaje pieno, t toltala
poi , vtdde che non ci era vfcita tanta aqua dai vaft; ma tanto manco,quanto
era manco di corpo la mafia di oro da quella di argento . AlTbora poi ripieno
il vaft vi pofe dentro la corona , e ritrou che ne vfci fuori pi acqu^ dada
corona,che ne vfci dalla medefmamoU dt oro, fiche da quel- lo tbe n' era vfcita
pi acqua della corona ebe dada mafia, f ton- da qutda proporttone conobbe
quanto argento tra Rato mifcbia- to in qutda corona , ^ueRa fu l' inuenttone di
qutjio grai Gre co, la qual menta lode per F inuention; ma i molto
difficile por- re in oprai perche in
cofa di poca quantit non fi potrebbe couefce- re i furto,ne cofi chiaramente
puimoftrarf au occhio la ragia- ne,bifognandout vna diligentijpma fabrtea del
vaft. Ma mi ha- uemo trouato vn modo di che ne pofiiamo.feruirfi ad ogni moneta
per pteciola ebe fia t fubito, ne od btfogno di tanti infirumevti , ebe
pfifiamo dire b /opra trouato , b fopratrouato . lutRo i il modo Come poflUmo
conofcere vna parte di argento che fia ^ mirchiata con Toro . Habbi vna Ratera
giuRifiima , onero bilancia , in vna par- U qqalfiuoglia metallo ned' altra , altro tanto di pefo dt oro
purtfii- Digitizea by Google D:Gio.Bat.aelIaPor.L!b. XVIIT. ggf furiamo
ntllafua fftc\t-,e tomt t bilaneie in aria feranno tq9^ librate > ie porrai
poi in va vafe pieno di acqua , e afcierai fitto oequatd' intorno ad vn mezo
piede. Alt bora vedrai vna coja mir tabi tei per.be le bilancie,le quali in
aria penderanno egualmente, nell'acqua variaranno forte t* ditteranno inequali
; perche t! me- tallo tmouro andata i , il fincero a! bajfi\, e la ragione quefa , perche t'oro puro rjfindo pi graue
dogni oro impuro delta fua fpeciei perche l'oro f uro occupa minor luogbot
donque ponderar pi grauemtttte per le ragioni di fipra dette ,* la onde fi
vorremo fapere quanto argento vi fia mifibiato , poni tanto di oto puro
nell'altro braccio, quanto bafii.cbe te bracae della libra fitto f ae- qm fieno
parue come fino aggiu fiate alzale nell'ana.' il pefi ehi l'hai agginto dentro
l' acque far il pefi dello mifebiamento . Si VUOI fapere quanto oro fia
nell'indoramento di alcun vafe , poni U vafe in braccio delta libra, e nell
altro tanto di argento purijfi- rno finche te braccia della libra in aria fieno
giufiifiime poifom^ mergeh dentro l'acque,cbi il vafe difeender giu , pont
nell" altro braccio tanto oro che
s' aggiuRino fitto f acque canali fuori
i quell'oro far il pefi dell' indoramento. llmedefimo,dirafii dell'ar
gento rame , ferro , Ragno, e piombo .
Ma ft defideri fapere fi nella moneta di argento vi mefcolanza di rame, onero fi la mo- neta ,
fia Rata fatfifitma, per ejftrui agginto pi rame , poni lo feudo, moneta tn vn braccio dilla libra, e
nell'altra altrotanlo di argento fun(Rmo , e ponderando neir aria , ponilo fitto
l' acque, tbe andr fitto il dinaro, aggtongeui aUdltto tanto rame finche Ria
equuihrato,caualo fuorie lamtfiione t onerai nel pefi. Hor notaremo qmtpefi dt
metal li, quanto pefino in aere e quanto df- $ro r aeque, dalle quali fenza
altra etfierienga potremo eonofeen gli aggiongimenti Vna balla diferro,cbe in
arsa pefaua diceno- me onde, neW acque pefi vndieifla onde vna balla della
medefima grandezza piena di acqua , ptfara tre onde ; la onde la propor- tion
del ferro dallaere all'acqua, e quella di dedmue a quindici ^na balla di piombo
della medefima grandc^za , in aere pefa^ frent'vna oncia, in acqua ventifette .
yna di marmore poco me- no di grandezza, in aria pad fette neff acqua cinque il
rame ci- prio in aere ftded, neh' acqua doded l'argento in aria etto ven-
ticinque neU acqua cento tredici il rame nelC aria fejfantadnq ut ' tarati 0 vn grano;neU acqua cinquanta carati e duo grani , / oro di feudo, nell'aria
fejfanta fd grani, in acqua fijfanta duo, l'oro by Google .!*' r Della Maga
Naturale * foro di zeeebim in aria deci/ette carati > in acqua fidici , Poro
di ducati Turcbefibi in aria trcntaquattro t nell'acqua trenta duot foro
difendo Franecfiy tn aria JeJfantafittCy nell'acqua fijfanta'^ feit l'oro di
feudo V ngaro in aria decifitteyncll' acqua fiduifor dt feudi di Turtarit iu
area fidici in acqua quatordcci . 11 fine del Decimoottauo Libro I I ^
Digifized by Google f B7 I DI GIOVAMBATTISTA ; DELLA PORT'A" NAPOLITANO
DELLA MAGIA NATURALE. LIBRO DECIMONONO. DtUi fecrtt ttt aria , t delT acquai
PROEMIO. L trattato del gratti > t dei leggier ftguono i feereti ipiritali f
pertbi par che babbino le loro ragioni dal- la Matematica > e dalfaria , e
dal- f acqua . Et il Mago naturale tbe. ba da inuejligari fempre eofe vtili
merauigliofe allhumana genera tione, fermifi qui^ e ftia fpeeolando filo quejie
cofi, inueRigando ; perche in ntuna cofa fi vede ti me- rauigUoJamite
ri^lendere la gran maejlh dellanaturs.Sono alcuni esperimenti dottijfimi di
Hero^ ne Alefandrino delti Spirititali Noi vi aggiongeremo molte eofi
nuouetperdaraggioa gli fpecolatmdi ritrouarsojc maggiori. Digitizcd by Google
4ti Dclit Magia Naturale Se le flatae materiali con alcono artificio polla- no
parlare. Gap. I. Autmo Utto che in aJeunt citt , cjferui vn colojpt di /opra vn
piedtfialle digrandtffima ^ altezza y ilquah nelle grandiffimetempejit dt venti
dalle parte di fatto , quando neeueuano gran vento% paff aio dalla -bocca nella
tromba y bautr fonatola tromba , e cofi
altri inftrumenti ; ilcbe vedemo a^uolmente > per bauernoi veduto cofefimii
, bauemo letto appeso alcuni dottiy # di grande autborit, Alberto Magno bauer
fatto vna te ila ycbe f ariana y e f beny per parlar Itberamentty io non b
ninna fede a tal buomoy per bautr elherimentato quanta ba ferittOy non b rim
trouato mai cofa ver afe non alcune eofeycbe bauea tolte da altriy bors
veggiamo fe fi pu far vna fatua ebt parli , Jono alcuni ebe fcriuQuo % ebt
Alberto fbabbt fatto con felettioni di Afirolo~ gi cofa tanto mtrauigliofa .
May Dio buono > come vnbuomo dotto fi
pud ptrfuadtr quefol come le fiellt panno bauer forza di far qutfe eofe fon alcuni ebt eredeno ci bautr fatto per ar-
te Magica . Ilcbe crediamo meno di tutte le eofe per non fffiffi ritrouato ninno piUadeffoy
che bauefft fatto prof ejfiont di Japtr di tal artiyfe non furfanti/ falt
imbanca , (fr buomini ebe vanno a torno ingannando ilmondoyingannando gli
tgmrantiy e le po- ltre donniceiuolty ne fiimo ebt vn frate da bentye eri
filano come egli fu, babbi paffuto far proftjfione darti eofi infami, t
detefia- biliima fiimo fe l'ba JattOybauerlo fatto per ragion di aria. Veg-
giamo ebt la voee,0' il fuono camma per f aria intieramente, ne vi in vno
ifiante ; ma con tempo " a poco a poco, l^ edema far* tigli aria, ebe per
forza della poluere ineenfiua far' eofi grane firepito, ebt fanno lontani vn
miglio, veggiamo molto prima la fiamma , ebt vengbila botta alloreecbte nofirt
, la botta dell ar- ebtbuggio anebora con ipacio di tempo vengono dt lontano
alle nofirt oreeebie , ebe tal natura
dal fuono . 1 fuoni dunque ea- minano con tempo, " intieri fenza
interrompimento.fe non per- euoteno in qualche luogbo. A e fi fede di ci f
ecco, ebe ejfendo in- tiera, e pereotendo nelle mitra ritorna in dietro, t fi
sefieite,come vn rag- Digitzed by Google Di GIo.Batt. della Por. Lib. XIX. 6Sp
vn raggio Ji/hU. Oltre a et eomt bauemi detto vn' altra volta in ^itefio libro,
ebe le parole, e le voee eaminano . Coji ordinate per faria,come efeono dalla
bocea:eJJendo dunque qucjie eoft vere, fi alcuno far cane di piombo lunghi
finte, dt lungbfz^v didugento trecento
pajfi,tome ne b fatto effterienj^e come barai dette den tro quelli alcune
parole, onero afiai,caminano per quelli condotti eome fi dicono , e dalT altra
parte t'afcoltano, eomt propno vfeijjr- tro aSbora dalia bocca di chi le diflt
. Dunque fe quella voce ta~ mina contempo^ intiera,fi alcuno mentre parla vn
altro ferra- r la bocca del condotto di qu,edi l, fi potr la voce ferrarfi nel
mego,e rinebiuderf.eomein vneartere,e quando s'apre la boeea poi, la voee vien
fuori , come proprio dada bocca di quello , che le parla. Ma perebe canne tanto
lunghe non fi panno farfenga gran fafitdio, fe panno far piegate come le trombe
, eh: pojfano capire in poco Ip ttioMngbifime canne, e ben rincbiuftcbe quan-
do s'aprono le bocche f e poffdno intendere le parole, di ci bar ne facciamo
l'eiperienza , f la eofa prima che s'imprima io libro ne fuceede, come fhmsamo h fcriueremo ,fe non cofi preflo forftj
piacendo a Dio in altri libri ^ De gli organi ad acqua. Gap. II. L organi
biiraulic furo in gran pregzo apprejfo I gli a. ticbt, a ftofirt tempi pi non
t'vjano. Haue^ ^ lierove ejferfi tanto dilettato di quejii in- '* bidraniici,
ebe fr i perieoi i della vita , '^1 deU' Iuiperio,fr lefeditionidefoidati,e de
capita ni, nello pericolo del tutto non bauer lafciato la cura , e lofiudio di
quello, l'ittruttio infrgna lufabricad quefii^ma cofi intrica- menUycbt non s
intende parola di quel chi dtee . Noi in vary, c diuerfi modi ne babaiamo fatto
elperienza, mefebiando l'aria con F acqua, iaquale ponendo mila fin del flauto
, outro nella bocca, dome si fiato butte ntiia bocca, e fe ben factuavn fuono
piaeeuo- le , e giocondo , perci non ferbauano ti fuono ; perche l'acqua fi
gonfiuua in bolle, f acca voti tlufignuolo, e tremante fuono i ma la voce
ftlt,e cala, e fi vary,tuoni,chtfe ben vna i fuaue,e dolce, nonpoteua
aeeordarfi con l'altra\ma faceuano d*Jfonanzc,efoni iundibtli. Mt ean quefto
modo fi vnmodotrcmolante,cptaceao-. le per certi fuauimonnort,e confer ar il
fuono, che f vnopu far. ' tyy confo- Della Magia natarale on/naHza con laltro.
La cajfa nella quale vi il ventoyfia di ra- mcte meza piena di aequaul vento vengbi
da mantici,ilquale per vn canale vengbi da /otto l'acqua ; ma vfcendo fuori il
fiato da mezo l'acqua fi rieeue nella cajfa Jaquale come s'aprono i bufi de
tafih quando fi toccanotouel vento trermleggiate entra nelle iif- cbe defiautue
cfiliffar certe voci tremanthc mi bauendomo-^ lo ricercatOi' e^e rimontato
fbauemo ritrovato vero. Di alcuni efperimenti fpiritali. Gap. III. Orpafiiamo a
varu elferimenti della medefima con ditione,ancbora fpiritalucbe nafcono dalla
ragione delfaria, quando fi dilata^ e fi comprime, co' l fuoco fifi rara,e co'
l freddo fi condenfa. Se vuoi ' - Che vn vafe riuerfo tiri sii l'acqua . Co fi
farai, babbi vn vafo di vetro di lungo collo, e quanto fa- r per lungo, pi far
di merauigiia,che effondo trafparente,pofii veder lacqua quando fiale s\^e Ho
fi riempia di acqua buglien te, e come vedi che
ben rificaldato,ouercaccofiando il fondo alfuo co fubito, prima ebefi
raffredda, poni la bocca gi dentro vn vafie di acqua, che fiubito la tira, e
fierefforbe . Cefi dicono gli tnueiii- gatori de fiecreti della naturali raggio
del Jole tirar a fio lacqua, e berfiela , dalle concauit de' monti alle carne ,
d'onde naficno le ficaturiggini de' fiumi, ne di qui naficor.o leggieri
arteficif, nelle macbine fipir itali, come dice Herone. llfimile Ji dice
dal^ittruuio nel naficimento de venti, ma bora fono venuti in vfiodomefiico',
Cofi anebora . ' V a vafe che butti
veoco. Si pu fiare,fie fi fari vna balla di rame, di altra materia ebe fia vacua dentro, e
rotola, e ebe nel ventre babbiapigzo firettifii- mo, per lo quale fie l'
infonda l'acqua, e fio forf far troppo difficile a porcela,fieruiti del primo
fiecreto. Aceoftela al fuoco, cofifirtfeal da, e come ebe no ha
altro'fipiraglio, butteri da quel bucograniifi- fimovento\ma affai bumido peri
vapori grofii deli acqua. Si fi anebora vn Vafe che botti acquai. Vi dintorno
vn vafe fri noi di vetro in forma di piramide , con vn collo lungo e firetto,'
vna bocca fretiffima,ilqual butta taequa cfff di lontano. Quejoioceioebe tiri
afe lacqua dentro, tira Digitized by Googic Di Gio. Batt. della Por. Lib. XIX.
691 tira con la fua bocca a fe l'aria di dentro > e fucchia quanto bafli poi
f abito fommergi la bocca dentro l'acqua, che fi tirer a Jl'ac~ qua, e f cofi
tanto, mentre fe ne empia a fe la terza parte di quel- la,quando poi vuoi
mandar f acqua di lontano, riempi il vafe di aria, foffiandoui dentro quanto pi
puoi gagliardamente,e poi to- gliendo dalla bocca,incbiufa la bocca del vafe,
che l'acqua corrcL- nel eoBo del vafe,e fi facci incontro all'aria; perche
l'aria cercan- do di vfcir fuori , butta faequa di lontano . Ma fe vuoi
buttar acqua di lontano fenza attration
di aria.rifcaldando vn poco il il fondo del vafe ; perche rartfacendofi faria ,
ricerca luogo pi ampio, e di vfcir fuori cercando,caccia di fuori f acqua. In
queflo * modo gli imbriacbi fatto vn bufetto nella botte di v:no;percbe non
vfetrebbe altriminte il vino fuori , bauendo il bufo di fopra ottu- rato per
doue potejfe entrar f aria foffiano con quanta forza hano in quel forame, pot allontanandofi
da quello, vien fuori il vino co furia in tanta quantit:! quanta faria f
buttata dentro. Hor infegnaremo Come l'acqua far falir comodamente. PoJfiamo,e
che fala infin alla cima di vna torre . Sia vn canal di piombo, e da bafi
infino alla fommit della torre arriui, e dal- la cima di nuouo enfino al fondo
defcenda , come vn fifon, ^ vna parte di quello tocchi f acqua, laqual
vogliamo,cbe Jala su, f altra parte, che fia pi lunga, pi cali gi in vna botte
di legno, ouero vn vafe di creta, e s'incoUi,che non re^iri da ninna parte,
babbia vn bufo fopra la botte, co'l quale il vafe fi pefia riempir d'acqua, e
poiferrarfi perfettiJfimamUe, fiatcomodi nella fommit della tor- re la
botte,della f opacit di quella di baJfo,e quel canal di piombo che bauemo
detto, fi ficchi in vna parte della botte, efea da f al- tra, e fia nella ama
della botte, & il canale diuifo nel megp dftro la botte, e doue entra tl
canale, e doue'fjten fuori, fi incollhcbe non reBiri,ludo dunque vogliamo,ebe f
acqua falifca s,riempiafi la botte di acqua,e fi ferri con ogni diligenza, che
non refpiri , poi apri il buco di baffo della botte, che ne venga fuori f aqua
; perche quella parte di acqua, che vien fuori della botte , tanto ne fale s
dal canale di piombo fopra la torre, come
piendfe ne caui faqua, c ce ne feruiamo per vfo, poi cbiufo il medtfimo
buco riempiqfi di nuouo la botte di baffo, facendo cofi ftmpre dfringeremo
l'acqua falir s . Potremo anebora.^ Col calor del fole far falir Tacque . ' Xyy
^ Sia by Google Della Magia naturale Sia la beile /opra la torre, di U^r.Oy
di creta , S di rame che far medito ,
.bMia vn canai nei rr-ezo , che f ah gi injfin al- r aequa in quello fi
attuffiima mcollaio, che non rei^iri,feal- er il vaftdifopra ,, dal fole, dal fuoco ;percb: rana.ebejl rincbiufa dentro
al fuo ventre, fi fa raroy e vien fucrUa onde vedremo l'aria bogir , con certe
ampolle y poi quando tfoljt ~ parie , & il vafe fi raffredda , per non
bafiar l' ariarincbiufu^ riempir quel
vacuo , fi chiama l'acqua al riempimento, cofi la va- drai falir ia alto-.
Ragionamenti di horologgt,ne quali fi defer- . nono horologgi ad acqua ,
oucr vento. Ca^. li IL Ntkamente gli
horologgi fi factuano ad acqua, e kt ' clepjidr tra loro ptculxart , e'I pi
famofo boro- loggio loro y Ma poi Herene Altjfandrino. ntftrifie- vn libro di
borauggi ad acqua y i quali non fi tro- ^ ^ u inOi noi ne compcrremo vn libro
di quefit , aedo che non rejit de fi
ttofo il libro di qutfia parte nc faremo
duo d ^contraria eondiuonc l'vna co' l fufiiare,t l'altra co Ifuccbiarc /* Or~
ria , e quefio primo far V Horo- Dgiiize-by Guogle Di GIo. Batt. della Por.
Lib, XIX. 6$^ Horologgio ad acqua. Faccifi vn vafe di vetro a modo di vrinale ,
e Ja deJtgftAto per la linea AB , nel fommo
Ja l'A > doue babbia vn bufo JirettiJJmOi th appena vi pajji vna punta di
aco di /etto fi attvwcdi vn ba~ ioneelo ebe Jia AF > il qual nel mtzo habbia
vn fhlo fermato ebs gionga infin al fondo del vafe^equel fiiio Labbia le fue
diui- fioni , lequalt fono t fegni dell'bore > e tofi vn catino di
legnot di creta tutto pieno di acqua f
opra la fuperficie dell'acqua Ja vnvm ' ft di vetro accomodato AB, che co'l fuo
pefo f ne vada gi ; ma faria rincbiufa dentro il vafe, probibifee che non cali
, ah' bora fi apri quel bufetto A, per lo quale l'aria vfeendofene a poco a
poco il vafe di vetro fender anebora a poco a poco, all' bora con vn'al ' - tro
horologgio noteerai nel bafione CD, ilqual calando gi dirno- Jirer i fegni delf
bore ; ma come il vafe i calato gi al fondo del vafe di legno finito l horologgio, e far lvltima bora .
Quando dunque vorrai che l horologgio facci il fuo vfficio, babbi vn canal
torto vacuo , ilqual fia QK, la bocca di fopra K, cofi premendo eo'l deto K,
ebe non ventri t aria , fommergilo fatto l'acqua , che gionga infino al fondo
del vafe AB, all' bora accodando la bocca K fuffia ; perche il vafe afeender di
fopra,t torner al luogbo di prima ajar il fuo officio . Dimofirartmo anebora
per diletto Digitzed by Google Della
Magia naturale . Vnaltro horologio ad acqua-. Afa di contraria ragione, onde
fttccbiando l'aria , fa vn vafe di vetro in forma di vrinale ^ come baiiemo
detto ylB , e vacuo ' fia firmato fnpra il vafe CD , che non pofflt falar giu ,
e dipoi fi riempir il vafe di acqua infin a B, babbea vn bufo alfondo,e fia JB
, dunque fuccbiando t aria per lo bufetto B , entrar t acqua nel vafe AB, il
vafe CD faltr infino ad FG. Riempi dun- que il vafe di acqua AB, otturifci il
buco E> che non vi entri Pa- ria , e caler l'acqua . Neda cima del vafe AB
fia vn altro bu fetta fotultffmo, cbe Paria v'entri a poco a poco . NeOa fuper-
fide del vafe fieno fegnati i cerchi delPbore , i quali dimoPirino con le
lettere confiituite Pbor 'e, prima, feconda, terza, ttofi deOt refianti. 0 fe
ti piace cofi, lo indice ficcato in vnfoucro, cbe na- ta nella fuperficie
dell'acqua dimojlri P bore nel dorfo del vafe. Si defcrluono alcuni yad che
buttano lacqua per ragioni rpiritali. Gap. V. Or defcriueremo alcune
fontane, vafi, i quali per ragion
Pfiritale buttaranno acqua , lequali fe ben da Herone ne fiano
ahuntingegnofifiimamente de- fcritte , e ne giongeremo alcune delle nofrt >
t de indentate ingegno/amente . Si defcriuv, \ Vna fontana che butta acqua fu
spercomprefsione. Sia il vafe, timpano
chi ufi da tutte le parti AB, e fe bufi nel mezo, ir afeenda vn canaletto CD,
da baficdelvafi del timpano D, tanto lontano dal fondo, quanto baft l'acqua a
fi or rere fopra la fuperficie del timpano e fia vn bufino fretuffimo , chiufo
con * vna cbiauetta . e cbe babbia come lo chiamano i Creci il fmer'tf-
mario,vne,co'l quale fi pojfa ferrare,' *prire,come fi vuole,e nel la
fuperficie di fopra del timpano fia bufato la vafe dal canalet- to E, ch'entri
nel ventre del timpano,e cbe babbi nella bocca di fit- to la fua animetta di
cuoio, di rame, cbe P aria quando gi en- trato dentro nonio facci pi ifeir
fuori . Riemptaf, dunque di acqua DiGio.Batt. della Por. Lib. XIX. 6p$ acqua
per E ebe vd P acqua ire diti alta /opra il fondo , e poi fi ficchi dentro con
quanta pofianza fi puote,e come l aria far mot to ben compresa fi chiudi la
bocca, e dop aperta la bocca A,Pae^ qua fair tn alto% fin dunque che Pana
comprejfa far ejfalata. Noi lo faeemmv jnr in V netta qucjo vafe dt vetro con i
fuoi eanalettitC quando fatiua l'acqua m alto,/e ne merautglia iPfZar- dinalt
dignijfimo di EfittVtggendo che ntuna tofa l^tngeua l' ac- qua a faltr sii .
Koi vicino a quello fonte vi aggiongtmo vn al- tra fontice Da, nella quale
poneua vn lume, che ttjcaluando,' at- tenuando Pana , il fonte algaua sii
lacqua , che era cofa di po- ca fatica,
di molta mtrauigUa . 7/r la confirniation i quella ci i vn certo ^ Artifcio che
vn archibuggio fenza polue butta, vna balla in alto. *Eerche la forza non fi
fdfe non con P aria eomprejfa. Sia Par- cbibuggio canato giuPhJJmamente , e di
vna ffqutjta lifcieg^t ilcbe li far con vna colonnetta di, piombo fatta a fua
mifurat fregando con la poluere di fmeriglio,poi babbi vn altra colonnet- ta
ben pianata intorno, la quale perfettijpmamente , e fenza la- , fetar vfeir
fuori Paria rincbiufa capifca il bufo deOa canna del- P archibuggio , poi tutto
fi bagni neU' olio', perche folto f, che Pa- ria non pojfa tra^irar da ninna
parte per la fua crajfegza , cofi buttando quel piombo per la bocca deDa canna,
coni bacchetta con quanta forza fi pu fi Pfinga gi quel piombo, poi con gran
deflrezza leuarla mano ; ( ma btjogna primo otturar qutlbu- fetto dt fiotto ,
per doue fi da il fuoco) con quel cilindo dt piomba con la bacchetta calano fin
gi per forga deD'aria eomprejfa, ti- ^ rar fuori il ptombo, la bacchetta affai di lontano in alto , non
fenza merauigiia di riguardanti Faremo anebora vn Vafe, col qual beueodOffparge
la faccia d'acqua. Faccifi vn vafe di Piagno,
cP argento in forma di vrinalt , poi faccifi vn altro vafe tn forma di
embuto, ouero di vna pira- mide rotonda ,
che It aby ai quelle da tutte le parti sattacchino infume, e s'
incollino ; perche b fogna che fieno della medefima lar gbezza,ilcono fiadfi
ante dal fondo delPvrinale per la larghez- za dt vn ditojfia aperto, butta/i
dunque l'acqua nel vafe,e riem _ piJ f urinale tnfino al buco del conOf e fi
riempir P embuto infino Tyy 4 al fom- e
far P ufficio del mantice cecellentijpmamente perle fucine di ferro ^ e del
rame ^ fa fembuto fatto di modo , che quando non babbtamo btfogna popamo mandar
f acqua in altra parte* &bauendonc btfogno* Tinouarla^ - ' 11 fine del Decimonono Libro . Digitirod
by Coogle V * n . * ^99 DI GIOVAMBATTISTA
DELLA PORTA NAPOLITANO DELLA MAGIA NATVRALE. " LIBRO VIGESIMO, &
vltimo. Chaos,nel qual fi fcriuono tutti i fecreti fuor del! ordine delle
clafii ^ PROEMI, Auta deterniHato da ebt tomineiai tli~ hro firiutr tutti i
fecreti , iquali fujfer contenuti da tutte le feienze naturaliima i molti
negoty, e faftidy miei ban fasto^ che non fojfa ejfeguire quello che bauea in
^enfierei e cbe nonpojitamo conftguir quel che vogliamo i onde non potendo
quello ^ che voglio necejfario ebe vegli quello pof~ fo . Dunque
in quejlo libro bauimo ritu ebiufo quelli tl^ernunti , che non fi pOteuano
rinchiudere den~ tra le 'clafi;H quali erano tanto vary^e diuerfi,ehe non foto
vna fiienga, e libro poteano fare, li quali aneler quaft refianti Iba^ uemo qui
ordinati, come in ebaos Se piacer a Dio
forf vn'al- tra volta ne Jiriuerema vn libro pi perfettamente . Per bora fiate
e'ontenti di quelli. Come Digifized by Google eyO Della Magia Naturale Come
l'acqua del mare fi polTa far che Ha buona bcr. Cap. 1.' ^iOa daria poca
commodit alla bumana generationt ^ fi r aequa del mare Jigotejje far , ebe
fujfe buona a bercf nelle nauigationt lontane t come in quelle del- rindiay
darebbe grande aiuto ; perche mentre i na~ uiganti co fretti dalla tempejla del
mare^Jitralten gom in mare piu ebe penfauano , per mancarli f acqua da bere,
vengono in grandijpmi pericoli della vita . Le galere bifogna^ ebe ogni dieci
giorni vengbino in terra a far acquaie pero non ponno dimorar molto ne' paej
de' nemici , ne allontanarji molto, ebe non fieno prefi da loro. Qltraa ci
nelle citt maritime,e nelt in fole coloro ebe b abitano , mancandoui l'acqua,
come ne' no^ fri tempi accaduto
all'ifila di Malta , & in Barberia i noftri faldati], e gli babitanti hanno
patito gran faflidy, e molte anebo- ranenarrapo f hi fiorie. La onde h
giudicato ejfir cofa molto necejfaria, inuejligar con ogni diligenza fi l'
acque del marefipo- tejfefar dolce . Maimpoffibile poterfi trouar modo di farla
dol- ce ,fi non fappiamo prmala cagione ; perche fia falfa ,ecbenc babbino
detto i nofri antichi , per bautrei firitto Arifiotele,che iafalfizza dal mare facilmente
pu fpogliarfi, per non ejfir falfo il mare difua natura , ma ebe il file ne fia
cagione rifialdando l'acqua fica , ne caua fuori le fredde, e fieebe
tjfalationi terrejlri, enfino alla fitafuperfieie, e ebe brufieandole qttiui,
ejfir cagione della fuafalfigza ; perche l'bumide parti fittili fi njoluono in*
fottilifiimi vapori . Noi dunque mirando la Natura , togliendo le parti fittili
con le boccie da defillare, la pojfiamo ageuolmen- te farla dolce , cefi dunque
la natura j l'acqua del mare dolce a glibuomini. Sono nel fino della terra molte
vene del mare ri- fi aidate dal file, inalbano i vapori infino alla fimmit de'
mon- ti,& iui occorrendo nella loro fredda fuperficie, fi coadunano in
goceie , e fiorrendo per le volte de' monti, e delle caucrnt ,fi nt* vengono
fuori per li canali . *2joi empieremo prima vna gran vafi di rame concauo a
gufa dt vna balla, che babbi a il collo lun- go, nel quale accomodaremo il
cappello;, e dandogli il fuoco fitto, faremo \ J bv Gojgll' Di Gio. Batt. della
Por, Lib. XX. farrmo rfoluer l'acqua in vapori , che riempir tutti i vatf$i^ #
ve/tght in alto . queiia ejfaatione vaporofa fubito che toccali freadeSLza dt
eapptllo^t tocca il vitrOi Jicongtla in ruggiaaa nel- le fue margini ; la onde
/correndo gi per le volte del cappello , fi. volge in acquaie per vn canale
aperto, che flia attaccato in quet- lo^/i nevien fuori a gran rtui. Il
recipiente ee le Ji accomoda- to di fetto,rieeu$ tutte le goeeie che ftilano ,
coji dtfalfa dtuien dolce , ^ il fai riman nel fondo della boccia, e tre libre
di acqua di mare,te ne dan due di dolce ; ma fe il cappello far di piombo, tene
dar magior copia, feben noccuole; perche dice Galene, ebo l'acqua che vien per
tubi di piombo,e beuuta fuol caggionar efeo^ riationi delle budtlle . Ma noi
bautmo ritrouato modo Come polliamo hauer maggior quantici di acqua dolce
deftillaodota falla. Paecifi vn cappello di creta in forma di piramide , tutto
bufa- to, e per quei buchi vi fi accomodino vr inali di creta , di vetro f
di cui te bocche tfeano di fuori, ben incollati,cbe non pojfa ejfalar ^
fuori il vapore, il tappalo a forma deli alambicco babbta il fuo canai dentro
che v intorno e co'l fuo becco , ebe mandi lacqua fora, ^efo accomodarono /opra
vna caldaia di rame,cbe,capi- fca molta acqua, laquale riempiremo di molta
acqua /alfa, poi ac- eomodaremo gli orinali ali fuoicappell, e dandogli fuoco
fitto, gli vrinali defiilleranno, per- $be fono leggieri^ perche auanzatto il
pefo della faifezza^ne il cal- do-, perche
pm leggiero. Aggiongi,che F acque ebefeorrono per la terra molto fi
colano, fi che quanto fono pi graui, e grafie, tanto pi afiiduamente , e pi
fono portate,e giacciono di fatto, e quanto i pi le'ggiero,e pi fincerofe ne
parte, e fcorre.Cotne ilfalj gra ue,non t dolce e leggiero c cofi anaiene,ebe
tutte F acque chef cor- rono fieno dolci. ^lueRa me de firn a cagione } perche
F aequafalfa quando fimuoue^ muta,e fif
dolce-, perche efiendo leggera per ilmotofi f pi pura efincera.Hor veggiamo
noi, f pofiiamo imi tar la natura . Riempiremo dunque gran vafi di terra, e F
acca- modarento /opra certi gradi,aeciocbe Fvno fia /oprai altro, e coli Fvno
dentro l'altro , cofi laequa /correndo per molti "vefi /alfa ; forf
lafcierj la falfegza in quei vafi. Maio ne bd fatto efperien za per dieci vafi,
e /correndo dallvltimo pur erafalfa.V n fee^o mio amico mi dijfe , che
hauendola fatta colar per venti cofini fli ' terra era venuta dolce. Ma quefio
mi par di ricordare,non tutte le terre ejfemo buone a quefio. Dice Solino. L
acqua di mare fife colar per la creta, che diuerr dolce, e th lafeia il /ale,
tdout la fotti barena de fiumi fi far
colata pi volte. Dtuonfi fuggite quelle, che per luoghi coperti,e fatti a volta
fono fiati nafeofi%,per-- ebe per lo pi tutte fon falfe , onero doue Fianzino
animali,e vuol Columella,cbe fe deono fuggir per gli alberi ;
perebecolandouiper dentro Faequa dolce, la fanno f alfa, fi deono anebor a
fuggir IC^ nerej perche hanno F acque pi d/pre, le lutofe fanno l acque piu
dolci , come dice Paxamo . Anafiagora dice la fafezza del mare preuenire da
fiumi, liquali /corre nano per luoghi falfi,e che com * munieauano al mare
quella fafezza . Sono molti che lo dano Fa- rena de' fiumi , e la ragione che
moueua quelli era , che femprefi ritrouano acque dolci apprejfo la marina,e
dicono iui ritrouarfi; perche F acque del mare colate per l barena diueniuano
dolci ; tl che falfifmo ; perche F acqua
dolce, che fi troua apprejfo il mare, non vien dal mare f ma quella che /corre dalle cime de gli alti "monti
per gli accolti meati della terra , " in quei luoghi fe - fcorreno.Percbe
tutte F acque dolci, che calano gife trouano dol ei al lineilo del mare, e ne
luoghi piani, come nella Apulia,cbe non ha menii,da quali poffa F acqua calar
gi,tutte fon falfe, & Ufi- mile amene ne lidi ajricani Ma Arinotele approua
vna efperiF- gadel Digitized by Google Di Gio.Batt. della Por. Lib. XX. KA del
vafe di cera, che fs alcuno far vna balla di cera vacuai dentro di contteaeuole
foltdef^a , e quella fammerger nel mare, he la trouerta dentro piena di acqua
doce>come cl^e px eqrpolep^^ del f ale non pcjli pacare la eera,efuo pari .
E E lima' dice . Le balle calate con le reticelle delle naui nel mare fatte di
eera,ouro vaf vacai ben otturati
rieeueno dentro fe acqua dolce ; perche l acqua marina colata per la creta
diuien dolce. Ma noi bauemd ritrovato quefo falfo che battendola fabrieata con grand ^ijpa,
diligente e pofiala fotta l'dcqeee falfe,de^ alquanti giornila rif^ trouauno
piena di acqaaymafylfa,$ t e^erienti^ farebbe ancpo-^ ra poco vttlefe ben vera
fujfetcbe per voler fare vna fola libra df acqua dolce, non bqferebbono mille
bade di etrai ma farebbe me- glio a quefo effetto feruirfi di alcune pietre,e
di alcuni legni p-' erjt. Il vafe di bedera, ilqualfepara il vino dall
acqua,come bab- hiamo detto, non fepar l'acqu dal f ale fife porr a.fidare nel
me defimo vafe . Ma fi portano da Portogado alcune pietre , ebefe he ' fanno
vafi, ne quali pofia iaque del mare, ne cola fuori dolce ,e fe non bene ada
prima, almeno ada feconda vqlta,deda quale acqua" fi feruon a rompere le
pietre neda vefitca ; la onde a far quella proua fidourebbonoprouar molte
pietre.pomicofe, e parafe . Leon Battifia Alberto vn vafe di creta ben cbiufo^
,pofo fatto i acque ' dice che fi troua di acqua dolete piam b prouato tutti i
vafi di crtta,$femprevib rttrouato acqua filfa, Arifiofele^ Daltro modo#'. ' ' ' l^ct chefipoffa fare ne*
pppbLepfiffe t acqua falfa fredda non fi^ pu bere, calda, e poi raffreddata
^iebe fcaldata fi pu bere me- glio affai, forf perche la cofa quando mutr,di contrario
in fo- trario fi muta , i acqua falfa
coqtraria'j^ oppofia ada dolce, t quando firifcalda , la parti falfa fi^
cpc^ , e quando firaffreda cala gi, e v fotta . Lagnai eq^pauepdo io
efferimen^ato^ l'bd, ritrattata falfa , anzi era piie fdd di , prima ragiop e,
eb eo'l caldo , i fotultfimi vapori dell' acqua dolci, cdl fuoco esala- no ,
e'I fai refia fatto , " tn minor acqua la medcf ma quantit di fale , f r
acqua pi falfa, come babbiamo detto nelle difiillaO' ni, ne mi poffo
mtrauigliare,come vnhuomo tantodotto babbi ^fet- to quefio.F ioritino toghenio
da lui,ditefe Pacqua nonfr^buo- na,neda bere; ma piena di morbo qoqufi, fin ehi
la fua decimi parte fe ne sfumi, poi fi purgbi,Cxqfifar poco noceuole.Cofi
l'ac- qua de mare cotta diuerr dolqe ..Hor veggiamo come pojfa farfi Dal- 7C4
Della M agia N aturalc Daltro modo. Et in grAniijr$ma quantit. B vnaiafjy
laqual hu fiata dtn- tre vaji grandi pieni di acqua di mare * consiringcndi>
li fae h f cader gi : ouero xoagolandolo
, e Ubera i acqua da que/io. La onde hifogna imaginarei cofe Jittiebe, c quejia
cefaiiata put; tentata da gli antichi y e da moderni fatta perfetta . Piinio
tac- que nitrofeyouero amare', ponendoui dentro de Ha poitigUa J mi- tigano;
che fr due bore fi potr bere, per iaquai cofa s agginga^ ei^ ''fatthi dei vino
la poHiglia. Et dittane . 'Ife iuobt mtrofit falfi ne deferti per ndar al mar
rof 'q, aggiongendoui la poltiglia _ yf fanfip fr due bre buonda'bere, e fi
mangiano poi quella^ f miglia. Btbder forza Jmileda creta di Rodi,e la creta
nojbfo 1 eocbicon ta JHtra poluere leuaHo il molto file da cibi, iaquai co- fa
bauendono fatto ipejfo la Pfierionza l'h iuemo ritrouata falfai ea bauea
perdtto alquanto della fua faifezza , Plinio . HdHen- ofi a bere tacque cattiue
i ifiargaui/fopra il puleggia pi fio. Leon Batti fia Alberto , quando ban
ripofa f acqua del fifiio iu- iofa, ponendou ifi fopra il lembo , margine del
vafe mandorla . vela fregherai fubito
diuitn cbiarafiaqual ebfa bauendola proua- tadb ritrouata falfa.. Buttando
tifai comune nell aequa fortef che fparte l'oro dallo argento, f fubito calar
gi l' argento. Ha-:, sterno vtfio quandffijf/ilaecdroffd buttanq/i 'alttrae
dentro u Ufjiuo, fubito calar giiil colore ilf*itf refar filai acqua tbiu- ra.
y eggiamo con molte herbe coagoarf il latte , lequali bauemo ietto in altri
w^ghi , dunque a qu* fio effetto et feruirtmo di cofe che condolano, afiringano. Dicono i cuochi, che pojla la
fpongta nella pignatta che babbia foutreho fate , tirar a / il falc , e poi
premutati i nuouo buttata cauarnefuori tutto il /'alt ,coJ anebo- ra vn legno
fafeiat di tela difiq, efpifio dentro la
pignatta, ti-, \ariajetl j Vale. Altri legane ih'Mne'fuctolitto la farmi di
fru- mento,e la pongonb dentro la pignatta, e ne tirano tifale. Palla- dio doue
parla de condire i vinifdtce* f Greci comandano l acqua marina femplice prefi
dai puro, e cheto t$:.\re , che l'inno prima r babbino
pifnt,eonferuarficbara tal lanatura.ebe
in tiltem^ 'pi ffia feuzi fai fi , e finga ama 'retz, a, e di odor d ole ef
facci co l tempo. Ref. infegnart^''
' Lacqucdolti racconcino. Leon
Batti.j.i dice cefi. Kn if *fi d vetro pieno difie,e hen.-^^ ebiufo con calce,
& olio,cbe no vi entri acqua nel vafc,e lo porrai ir.vr.a Digitized by
Google DIGIo; Batt. delIaPor. LIb.XX. 70^ in vnitificrna che pendente fri le acque nelmezo far che
lacqua in ntun t'tpo ji putrefaccino . Alcune ci agf>ion^oriO ar- 'ginto
viuo , fi cttmritaa putrefate bunautttjaie iji 'putrefa., e mancanaout fate ,
pongoft l'acqua dei mare* m y energia ntl pozzo ai S. Nicola t mannari Ut aro
racque,qud- do hanno a far lungo viaggtOi e ci perche prejfo delmaret O* i quella et e faie
occoltodlqual lo eommumea a quelle acque.E leg- gi.imo nelle lettere /aere
(jj*r flato fatto aa hltftOttlquale trite- roeontedt 'PaliUtna, buttati do ti
Jale nel f onte, rtf e l' acque buon* a berejtqualt erano putride amare, he i'
acqua J xjetmit but- tandoui calce dert> o, muoiono iftanao vcgltatt/o far
il vino cbit rOySbattemo vn biumbo dtvuouoye lo buttamo dentro la botte . Altri
le fafete afe iute dolio le gr della nocciola buttano dentro. Gli Spagnuolt VI
buttanoti gtjjo , che utuenti pi chiaro t dell* quali eofe ci pojitamo fruire
in tutte l'acqueo Come dell aria ( pofla far acqua. Gap. 1 1. Se tutte le
commodit ci atband ,naJftro. potremo it foto atre ecruottire in atquayiaUi.rMO
acqua dalfd ife? rta, cofi tome f la natura ; pereto aeli'atia, ouero de
fuoivipori nt fa t'acqua : la ona quando bab- biamj f ijogno di uc.jua.qutlla
p>Jjn.n>ofardtirAc- nque come fa littffj], natura , coj douttno far rei .
TVj# pappiamo che II fui falda la Urr cattandone da lei Juttilijjim* vapori,e
quetlifatfalirc in aho.tr.fin a quella region atti attardo ue ti il freddo^
quei vapori eofintigtrli ir goccte,c taf tardo in iera far ia pioggia anebera
bautmo vifto a' efiade fr.t'vaf di vetro ben purgati e netti e piena di acqua
freddtf. ma, quitta efrcmafuperjictt che tocca C arta,fubtto annobbiafiUvttro.e
per der la luctdtzza, poco dop atuenir ruggtada^ pot crefetre in ur- ie
ampolle aopo crcjemdo a poco a poco
eonuertitfi tn guuty * pot cadere , thbe non viene da difra cagione.^ fe non
che l'atta ebe iacea il vetro, dtuentndo pt crqffo % fiton'utrU in ae- qua . ti
duerno che noa iia cooofciuto da gli
amici. Gap. 1, 1 1. Vei,cbe fimo Prefi da nemici, carcerati, e cercano di /camparne fuori, e
qufi cbc trattano negotff di gran IO Signori, /pie,^ altre perfine che non
dtfiano ai e/- fer eonofeiute, non poco importa, anzi f ar di grato _
importanza trasfirmarfi la faccia, P tnfignaremo di farlo eofi benticbe ne da
padrime delle moglie poffano ejfire ri- eonofciuti,e fimili fiereti da Signori
non poco fino efiderati, ebe s trasformando la perfino loro , ban fatto gran
faetndt , it molti innamorati bd vi fio, ebe banmfermto loro finza fifpetto de
pa- renti . Vhffe volendo fpiai\ i fatti de T roiani , traue fitto fi,e fin-
gendo il volto, finga ejfer eonof cinto aeeap tutto quello ebe volfi nomer Con
molte piaghe crasfonn f Ae/To i ire Ae fi vcAi lograce, c vili . e entr denrro
Troia in coral mo e di meh granati per quattro , cinque giorni, dopi /premendole tol torchio
ne tingiamo la faccia, perche fd vna fac- eta di fchiauo, cdura per alcuni
giorni . L'olio di miele f color giallo, e rofio. c dura per dieci giorni, e pi
fmza che fi muti ii colore. l Ijpffomigio aelfolfoidtj colora la jaccta,ctc
patraXnam^ malato-,cbe gran tempo fia giaciuto nel letto : ma prefio v via: cna
fe vuoi che duri per molti giorni,! che malageuolmente fi par ta,ci fermremo
dell' acqua forte , laqual parte l'oro aodf argento fatta dt falnitro,e vitnolo,e principalmente
fi bari rofo alquanto argento, e durati per fpatio dt venti giorni , fin che fi
muti Icub pelle. Mafie VHOt Trarmuur i capelli. Come rii fi pojfa farejbautmo
infegnato innangt;ma non mi rincrefetr nait lo. L'olio Ut miele tinge i
captlli,e la barba di rof ' fo, di giallo colore,! la tintura dura per vn
mefe-Ma fe faranno bianchi biondi, h
potremo mutare in nero co'l cpitillo nel quale fia cotto il htargino, M olio
ancborafconciard la faccia Aggiongere
cor i peli. Vvnguento che vjano nelle fufe, far molto commodo a quejlo
bifogno fatto dt calce,! di arptmentc; perche fubtto f cadere i pe- li,e cofi
radendo le ciglia, e le fopraciglia, Dio
tuono, cerne traf- forma l'buomo. beffiamo far che t peli fubtto nafeano con
l'acqua dt mule, co'l grafo deli' argutlla , e dt cauallo , come dicemmo Soffiamo con quello modo Far la faccia
gonfia, e deprefla,& indurai piaghe. K 'tunacofajconcta pi la faccia, che
il morjo ttll'api.NcieoH f herbe eau itici indnnmo le piaghe, mouendo, e
factt.t.titii Piar fbpra per quaUbe tipo. 1 gonfiamenti , e deprtfiioni i
incutono il latte dt tiUmulo pefio fopt a tlia bceca,ai ncjo.a gn otchi-t
princi- palmente ne* luogai,aoue novi i pelle che con quefio Jolo nmtdio fi
trasforma la faceia,cofi i tefiicolt,tlmHbro vii tu .Lacqua dt ca- tarelle limta.Jubtto
tnuvee bolli, e gonj, amenti j ubilo pefto.e bu- gtito,e bagnato fopra le
mfbra,gor>fia,t p/tncipalmente t trfiicoli. La poue di fafio vlcer la
pelle,e Jagtibuommt nn/tr abili, e pie ni di topufitont, come fanno alcuni che
ebdono eltmojina . li te- medio far fuceo di pioppo, ouero tvnguUo pcpuineo.t
ifufftmigto di folfo,edt paglia bruggtata [colora la jaciia,eome fanno gh hip
pocrtthiquali fanno macra c foiorita in qvrHc modo.Vna oncid Z K X dijec- lot '
* Della Maga Natof afe " * it diatqtta firUidi muria%tdi corcoma vna
drimmut fi mifshU no con oh in forma di vnguentj,& ongila faccia, perche tt
ttn ger dt color nero . Sitando la voi la:iaff , con f acqua frediajA
ritornerai tome prima, i eomciianti,e tfgici quin to recitano 1$ tragedie,Jongenole
facci con la mjrehia;per trfmutar le faccio loro, per non ejfer conofeiuti da
gli amici. Perche gh mo'rfi dt api, vefpciOtero vejponi , gonjitnio la faccia
nurtuigliofamentc la^ trafmutanotS la
fanno dvn altro buomo la bocca, le narici, e tor tendo le membra,^" altre
eomprimendo, altre eleuando fi alcu- no con t acqua delle deeottioni de'
ve/poui, e delle vejpe bagner la pelle,cofi fi gonfia la pelle,cbt diafufpetto
di alcuna trjirrmt: ' ma ftnzA dolore, ilremeito i bere della teriaca, ouerb
ongendola in quelluogbo, e con quefta frale le fe'7iini,ebe fingono tjfer prt
gneja euoprono, la morchia dell'olo,e carbofn delle viti, e le Jeor- . ze di
melo granato meftbia, t ptfia e di quefa mifiura tingi ieu* faccia,cbe la farai
negnjfimaima il Uua con Jucco dt %. ua acerba, tucto con l.ttt. Che le pietre
fi muooano da lor ilefTc. Cap. UH* gl fcrtte da gli anti b;,ehe la
pietratrocbritf,era>- fi rotte pofta fopra vii al (''a putra aceto, cb^ //
mKO,(c . Il moto dt oprarlo fat . Poni fiotto vna pitra di porfido piana ,
polita , l'efirtma - fina fuperfici'e,e /opra-,.! fi pone t! *rocbite,ou:ro fa
firotte, anebor ben Itftia mila ri trema loro fuperh .e, e dopfpren zandoui
fopra vn poco d ace in, di fucco dt
limoni, fuhtto da lo- - ro ifefii,tanto il troeb\te,quanto l' af rotte, non
toeeandolo alcuno declinano tutti alla parte pi decime con vn grandtjiemo
diletto Cardano diffe chequefe pietre cofiauaoo dt vhfittil humtdo, cb$
dall'aceto era conuertuto in vapore, e per non trouar fefi'to, fpin- gtno di
quedi lmouedola pietra, perche il principio delyapop fiottile ,ebe non manda
quelli, la onde da credere quelli non
ba- ere anebor a meati grandi . Ma io giudicarci ebe in quelle vena inchi udejfie aria, perche doue fi vedono
dtuerfe fofiangr,e colori* no fi vnifeono troppo bene infiemr, faceto dun^
perche efntile,en $ra,i caccia fuori fartOtilcbe lo fa per faceto ebe entra
dliro,ef ebe la putra fi DI GIq, d ella Por. Lib . X X. 70.*? pf. Ma ni hauemo
fbe non fola queh\ ma tutte le pietre J muc-- 'l$ton9Bqal$fQno eomp'-jli i{i
varie pietre, e fono aperti con va, ir piiartatfr aler , i'aitto^ aau^tfque
entrando per le commijfure , 'fpinge ia pietra, ebe fe muoua. Llalabafiro
chiamano codognino, i( mutue iceellenifitmamente, difhntodt varie vene, e variet di pietre , io
ne b vtiio monere vn ptg^ non foto di vna li^ -ra i ma di quattro itbre,il
quale era formato in modo di tejlugi^ meie quando la pietra fe moueua , pareua
che h uiugir.e ptoprio oammajft, Mouefdafe JteJfa con t aceto quella fpecie di
mar- ma, ebe fi tbtama broccatello, tiqualt
compojlo di varie tntjlure. "Ramina anebora con l'aceto qual
marmore macchialo , ilquale tiifinto dt
macchie rofje , gialle, e nere, e di pitturcM chiamar, o pidoecbiofo, non fenga
gran merauiglia di riguardanti . Scuelo fi bene
dt auuertirji , ne iafeiar di dire , fe marmore di folto farmaccbtato,e
quel defopi a di vn eolore,e auio,ouer fotte quel- IbuU atn colore e duro , t di /opra quello di varie parti ;
perche moatoui f aeetObeh acre, fubno fi mouer nella parte pi bajfa, 'bor
ttrtoiar mente, bor a falti,bor pr e fio, bar tardi moutrafii. *K tot V ...
4.ti * rrr ^ ;; far vn inftrumento col quale pof- *>iiaino vdir eli lota .
Gap. V. ' . Auemo dimofirati nella
profpettiua ragionando de gli ocebiali con i quali pot rapo veder molto di lon-
tana , bor tentar emo di far vn inirumento , co'l *1*'*^^ pofiiamo intendere
per molte miglia , ^in- uefiigarerno vn legno
co'l quale pofiiamo ejfeguir ^e fio'tcbe fia miglior de gli altri. Per
ritrouar dunque la /orma dtjqefio infirumnto ,
bifogno ebe facciamo confderatione del- Tarecebie di tutti gli animali,
iqualt fono ai perfettifiirho vdito E gi determinato ne' precetti della Magia
naturale, che quando vogliamo ritrouare alcuna cofadinuouo , che imitiamo la
natu- ra 4 quetlaimiiamo. Per Japer dunque quali animali fieno di ec-
^fc'ellente vditOy bifogno ebe fappiamo quali fieno i timidi ; perche Ja natura
laquale bauuto riguardo alta toro paura acci' che qu ti- lt che manco pojfono
di forze, almeno bauejfero vdito rccellenjfi- trio > ^be pote/jero con la
fuga faluarfi , come il coniglio , la lepre,
. ' Zza I il cere Digitized by Google 2 La Della Magia ataraleiM
iletruot r aj^na, il a/ t ft'nili.T utti
qu^ animali bsntlt tbit molto graniti t ben aperte verfo la fronteye drinzofip
qutlfe aperture , per doue vengono i Ciotti Il-hpore dunqiit bliortf tbie
fuhlimi i come dtce Polluce, fP et io lo ebfam orecchiuto del^ la grande dell'
orecchie, e dalla forza di vdtre,e btamato L^ gos dall orecchie
daGreigrandhcbt,Lt,augmenta lajtgnijieati^^ ne nella eompofitione de nomi t' ot
vuol dir f ortcebtat e vera- mente era coniientuole , ebe vn animai timido e fenz armi ds difenderjt baaejfe orecchie
grandi,aceioebe dt lontano potere pr uedere prejio alla fua falute, temendo i
pericoli , e fuggendo poi, HhBgitijlj credettero di acuti fimo vdito,cbe nelle
lettere bierpr ghjicbe volendo depingtr t vdito, dipingono il lepore^ i conigli
fo^ no della mtdefima natura, " delle medsfime oreecbie, le orecchio delle
vaee efuno anchora grandi " birfute , il toro trenta Jid^ lontano od la
vacca che magge , quando fid infiammatifitmo 4/ coito, e quxfi vna lettera
amatoria fente la voce, che Ucvadt a rir trouare,eome ne Ufci feritto Eliano .
Pi larghe , e pt grandi rbaue il eeruo,eome animai tim\do,e quando tiene F
oreetbtc dritt- te ode molto di lontano , ne pud ejfere ingannato j ebe quando
le cala, fy- abajfa vccifo ageuolmente,
come fcriue Aaifottle, e xtn lai Plinio, luafedodriZZiana F oreecbie fotta di
acutifimo vd^ to, quando l'inek\n*np poi timidi P per non andad di/eortim per
tuttiglianim iti,cbe hanno i'orteebi gratuli^ drittct" aper^ te, diciamo,
tutti {Utili animili , che hanno fimil orecchie , e ebe quando vogliono
intender bene f inalzano, e lo drizzano verfq quella parte , tutti hanno
eceellenttjjimo vdito , Hor veggiamO bora dilla contraria cagione ,.tutti
quelli ebe hanno Fbortecbk pie ci le , / cbf appena fi veggona,effei^.di pece
vdito,V'n''grtnt> dijim patte de gli p'fffi non hanno vdito,e quelli che
hanno foh 'serti bufetti , e fono fitnza oreecbie, hanno quefo fenfo di
fnten_tk- re ajia ottufo , fono l'or eet bit fatte dalla natura > ebe per
e^e prtndtjfe, s inuiatf. iL fono dentro
F oreecbie. Della quaJ cof^ Adrian) Confile Romano ,n' abondtuol tefiimonio ,
ilquql ha-, uendo FJb quello fnfo , per vdirbene ,faceua le mani caue,e po-
nendole dietro Fortcebte,cbe F aperto mtraf 'ed' manzi. Et Arifio- tele dijfe
ebe i cauilfi, i cani , gH afini (r * refianti animali , chi hanno loreeebie
grandi, ebe quelle fempre le volgono intorno, F indrizzano a quel iuogbo , da
doue viene il fuono, per wtergli . bene, ebe la naturagli hA infegnato, ebe glt
le debban volgere , e veglia- DIGio. Batt. della Por. Lib. XX. 711 . W^amoptr
e/perienta, ebe (OiorOtibe non hanno creethict in- tigno poco, La forma dunqut
dfirtnprumehto che da far tn- ^ ttfUfrc bi/ognatcbfjta grandttconcauo &
aperto, t dentro fatto, i^maea, per due caftan/ ; perche fi gli tom venejfeto
dentro,f " fynderebbono ti fenfo, la feconda, che per quella lumaca
entran- . do, van io intorno intrno , e rompendof la voce per quei riuot- -
gmenti fi viene a moltipMedre , come vegliamo nell' ecco. Diihd- "'
hratone iiquefiopu ejfere la lumaca marina, laquale accojla- ta ali orecchia, f
vn certo leggiero frepito. Hor non refia altro A dir fe non di che materia debba
ejfere , io direi che douejfefarj 4i leg^ipprqfipfl'fbejhfio tutte bufe per i
meati, e per i pori, che vpnno j^r tutte le parti, piene di aria, e rtfuonam per ogni le- a/. 1
/l. i ^ /^M/1 *O:0UA 0 gitra botta, fra
i legni che fono porofijjimi ivno
ibedera, eipalm 'ente la fmildee, perfegno,cbe il vafo di bedera fatto a
* . ^ ' t . _ L ^LLl D J al tor- no defilila fuori Yacqua,comebabbiamo detto. B
per Plinio dif- fe, parlando della fmitace . B' propriet della fua materia ,
che accodata alfortechia faccia vn legiero fono, Etaltroue', l le- ^ gn della
fmilacebauemo detto fonar ali orecchia acecn.odif dU- qu di modo rinlrumer.t, ebe commodamente f
pojfa porre al- Yoreeebie , come gli oecbialf a glioccbi- -L Gofflc con c^rte
miBoreia pofla creicere il pelo , ' /alle cofe., Cap."Vl.\;' Vi b^emo
uiqnate certe furfpntari,4eeio(b.e colo- ,ro, eba^per fortp btfogna trattare
con buominifen- . 24 legge tfapendole prima, fe ne pojfame guardare, .Cio
Acercfccr ilpefo airolio. Mefibfil'acqueeton olio , di modo che nonf pu
eorioftfe la fede. Si f con acque torbide, come quella douefono cotti mac- cheroni, rape, " asfodeli, che
difficilmente f pcjfcno ecnofctrt da^ . quelli , Cerne la gomma dragante,
eletto la pongoro nelfac^ua-' per duo grni,pcilo pfiar.c nei mortaio. aggi erger
dout fri- pre * acqua, che fi hquefacct etme gemma , quella erutta alt dio da
fiillarfi ,fe conuerta inolio. Cer.mn difi mite froaefi ifertan Aegiooger pefo
alla feti . Zzz 4 Lapote^ "-jitized
by Google 7i t Della Magia naturale L* pongono fopra il fumo delT acqua ebt
buglict t coji gonfia di quella bumidit^uien piu graue. Altri peJano gomma
arabi- cuy e vn feticciatOy la mefctano con ladtcoHiont del mttlcy lami~ fiura
la difioluono nelf acqua , con laqaaic bagnano la ^eta, e la- fidano poi
Jeccare . tAltri la pongono a confitruare fra le fironds . di noce . Se vuoi
Aug-n?ntarc la quanctei def itielc. Aggiongeui funa dt caiagno, di 'miglio,e s'aecrefiee la quS- titilaqua
non bufila accorger fi . ^ofipotrat AccrefecrciVpjfoaIlacer a_j. ' ' Aqgiongeui farina di faut b*n pefia , /
fetaedi , e fcendont oandiUy arder fenza ejeremenu', Perche fie t accref et il
pefo' r la grandezza, ^appena CI pofiiamo defendere dalla frode . Cofi -
anebora Far crefccre il feuo. Potrai y fi torrai cenere dellojfa di buoi ben
brufeiate delle gam'yey ogni voo
i>ifir-ia;t, outro fio fiore bianco; perche tutti ae- erefeonotl pefoy
elaqua itit fenza dijfiniglianza iella fofean- ' galaro. Se vorr alcuno '
Falfificare il pepe> Potr togliere i
fcrm crudi del giumpera , e Inficiali inerefiparf p e poi trtefcbtali con i
grani del pepe . Alcuni vi mtfchtano veccier grandi, bugiienUoU prima con
quello pepe tn fi hquerofifipeeeebi ebf cofi gonfie di acqua,- come
fiifeccanofii corrugano, e quando la manicherai, ti brufeia'no la bocca pi del
pepe : Ma noi i'bautmo eofi adulterato, che ne babbiamo ingannati gli
eecellentijjtmi fi'pe~ fiali, per burlarmi di toroyhaueridogli dimorato t'error
e dpo burla, piglia {grani, ' frutto del fargumo, quando fono maturer
nore,liquili quando poi fono ftccre,eofir}jerifcono la fontgiian-^ K.a delle
vaghe, e de grani del pepe, che ne ingannino gli ecctU*- ti, ft non le prouano
al gufila . Cofi Aag Tdcntarc i l pefo al grana. Pofipamo,nafcondtrui dentro vn
vafe di legno pieno di acquar onero di aceto } perche fe l'ajforbe come anebora et lo inftgna Plinto, Della
Digitized by Goo^le Di GIo. Battr detta PoV. Li5i X X. 7?i 3 ' Dlia lira , e di
alcune lu e nptaiii^Iiofc . - >V A lita ritiene in fe Utme fut mrauglhfe proprie^
La t iy auuertimntije qaaitio v reeontare.Prim& L diremo alt uni fuoi
merauigltofi effetti t iqali foni fiatt trattati dagli anttebi. e dopo come fi
p]/ ano _ fare i t'eqnte fatti da gli antebt . Per effer bor * nnfiea pte
kobile i'O piSfpffia invfoi xbe appfkjj/b gli ntaebi $ (^perche sU bora -pi
rttaC ,' r '^pfei imp rf epa f di nofiri tenipi', non mostra quelle mHiagh'e.P'
ramnte.ebe la muftea e gli ijiru menti tonno molto ntll'biidntO} pereti' non fi
pu frenar cefi 'rab ^ btofiorferignoicbe'^ tfoh ftplebKt rdmOfbdfca fintendo
akutU' ei/onant.e,e modi di mufiea Co sidf WntrHo poi con lediffonat~ tifi e
con Iemale accoppiati fuon non fi affiiga , e fi rmtorbidi . Jiice Mufeo ibe
la. mufica eofa doteijfima d mortali
y f dice da Platonisi i ebe la mifica
dia diiepto} 0- piacere a eiafebea uno
ibe ~ eyt fi ne Veostono moltiiC meriuhofi'efftt'ti . Fan ireptto, e^ L
I . tf . . ^ . VHtCy rmebembo timpani nella guertatbefieno ineitameti^e
fufiifamf ^ ti a coloro, ebe/ihnn pigri, & auuiltti,e eofi fimili fon iate
fatte da glianticbilTimoteo Mufieo
quante volle xjolea fcrsaua il ean- io Frigio, y'dceendeua eofi lanimo di
tAlejfandro,che infuHiO'' eorreua all armi, t quando poi gltpiaceua, mutando il
funno, lo ' fpogliaua di quell animofii , h fa'eeua vn animo pigro, e molle, e
dat^^i lO'fetbiamua alle viuande ^ a eohutU . E dite Piu- tareo'.ibe bttendo'
ef/o'^intefo Antigenida,tbe rni fiatrti cantau teru ldtin\rbiamaii brmiy
efftrfi eofi wfiammato,cbe inatian- doft
iehPf drmiis attcaua a combattere con i pi vicini ebefitro*^ ' uUa . Olle
Cicerone che vedendo Pitagora vn gioaanetio da Tartomint imbriaco di vme,t di
amore. ibe voleva abbrtfctare la cafa del fuo riuale,nella qualfiaua la fua
puttana, rffendo pri- ma fiato concitato eol modo Frigio, fonando il fpondtojo
t idujf fe piaceaole equito . Et ilmedefimo dieeua . Jrj JUgtcuani tnci- tati
co-l canto de' flauti foriand ilfpmdea,fjne rtttranotbe eoa ' la'-grauit de*
modi la fua fu riof a sfacciate ic.ia fe fuffe raffreno- ta Empedocle effendo ingiuriato vn fuo aliog
fiatar, e vn celio l'af f^ttaffe rimlte il modo del fono't e tqfi It
raffren la furia-,' : leojrallo f - V Z
DcJTa Maga naturale TCit/re40 o'l/utaio dxthru fi > epagifi. l'ammti de'
(Delfini tpur ^ ^etXdo^au* ' atgaii^Jte, pqrtarp al UdoJdluprQli
el*fdafit4ki*]tfdbonefs''aliet- * eoa t timpani t i tetHPfifrqUetugono oon
i/uoai e eoa terti
VMjfieantaadofilafiinnope^nd^^ . >/ Cigni Hiptrlwreieo'l tato to fi vincono,
l veeelletti (onli fiautifi lafieiano cader nella rete% Ttbi.\ ciao citando eoa
la fua tibiq,foa graa coatontiono moki fuoM ' intitoli* dieefi bauer reprefo f
impeto l lupi,. AnzU' antiebtfii ':y ^ AripneMetinneo, J Lesht, dtgli Ionici
cunbrapdk^rnndfi^ irfejemtt . %Afclepiade fiedico eonUtromb0tdkHnWO9td f^)^\
dix aeon il canto rncebeti le feditione di popnli , Cif nino/Pfli*''* di.
aranci in Puglia molto frequente, chiamati, tarani^le,in,quti\ ^ graniijfimi
ardori de foieinfigeno con gli aculei vno pefiiferp veaeno , a cofi ottroco
veleno ci iata .folamcnU ritrouata vna x
Brada , che la ferita fi guariua fal con alcuni fuoni , e modi d mufici > t
di altri tnfirumenti , il ferito , priuato, per il veleno di* ' ogo
frntimentO\Juhitp che intenda il^modo dellq, viuola, come y defio dp(
vngraniifiiruQ fpgno,fe altut da terra,0' al fuono della r.x, mafie a comincia
a fallare : ma f e lUmufico manca , f ubilo li vitn meno i animo," e diien
Jlnpido,'e di nuoieo rifacendo tlfuono,c0.^*^ minea a cantare ea pi,
^eb(pte^{a alle particolari in^ ' ' firmitd Di Gb* Batt. d lla.Pr. Lib .XX. 715
Jhmifi atU1iM^ibuii^9 frt9lMri fuonheeme h dorism alla prudentiAi eaftt, e
dottPmA$4a frigia eommuout It btta- glitt f infiammi t fmni ikheimtba^a f il
fiauiOt Arifiqf- ytio diti mdbrfid>uU , vbt qmellb , cb$ non bifid a fab la
dotiti f riuo/t alla barmoma Jrigia ebt
a quei fi eonf attua % la lidia aetrtfit tinte Unto a gli btfiiali * ^be gramti dal defidttio di bofi
tettenednduee, appetito delle eqfi oeMiifititto a mida Ari 'jRotelattd libri
Politeti. M ai Mebod/erittOicbe da Lattdtmmf fiitd tiprobato il gnoeromatieo j
fitttbe efiimmaua gU^dr fioHamiidndegiudieo non tger fkomjd wagione, fe qetfio
aamt ttlld/hipkta UtAy d titara quMo ohe poja evadere tm vna- ^dfiteompirtfieio
tetunH^^gnoth lifin tonfiderart a moHk 'dte nM ite odino eofe molto
mtoaaigltaft . Ma fe mi vogliamo ktefiigort to-eagioni di quefto , -fiHmo tbe
non alla mufita fola ; ma alle torde, aJ hgm, alle ^llt doueefi alquanto
attribuire, per tjjert, ebt negli attori tagliati , 4 nidle pelli de morti, e
membri, gyapreprtetd dilj^ifit neotfiermmt dtirtudi storne altfoue pm^tmqarfh Ubrodibobemo
narrato M per apportar aitano
^tnpioi^eiorade t^arfiinmfirittorit iSe vogliamo } . uVjto ^i.viC$j}aiitpcrr%,i orfifirltfoli-.
tudim - f)eIa ^agiaNa*JUraIJ ;" tiedmi dal fuana di tivt^ajn per tjfeknl
/oliti /atjidi petit, d^ M- ualh'. \Ai contrario fe eoghamo\ ' . -,V . .1- .V.
v.-A., i. , bCheeare'ixapelii. tiv .'-i.-'
- , . Scritte Elianoebeeo'i /nano
dell* tibia, eoji fonpre/t Iteattol- t della Libia , che coi quelle canile
dmengbino a gli bttotnin man/htte,e Ufcinodi ajfaltargli , c oue eo'l fuono
allettandole le ininterai, iui/egmiranno4i p ifiore, quando quel fi fermai
/qtfifip fi fermano daleamihare^ fit il fuono della tibia et oecompagnerM
tcanto pi acuto di qutllo,ne pigliano tanto piacere, ebe non ppf- fono tener le
acbrimg ipafiqrt di quella quella tibia fannp del legno di rododafne
aebre,\ehe gonfie dai fiato oa'l /mnot oed^ dando dtnaogi le greggii iedanno
piacete Gi.iirfegn 1 eofrqfip con l'
berla enoteri domejiiear le fieri', ipg imbriaearle.m * eqpip babbiamo detto
aitroue t enotera di Teofrafior la nolfa tododeifi' nctcontro Diofeoride *
Sidtee bauer pqffaag^di . . vi .
F^rdirgrauidaro *.' * j ' Le
corde fatte de ferpi,rprtnetpalmeHte delle vtp*ra)ptqqiq^ aeeomodate nella
eetera, e tnetbt ^fe vivranno prefitnts Je^doettep pregne, che le
faccidftettareifpakto iitaHtatevtpodltbt-^wlo.^ ut le vipere , oceorrendo'io
jogliono fare e,*om e da molti iSatt fii4ttov ^HermeniaTebno amokldeEofY-- .
i ,;% ;.ti v fA v'Am ^ Sca ,
i >, a . A matti. " * V elleboro, E Seme* ate eoet fumi di organi
guar molti paza Jiqali ifirtmenti ageuolmente potrebbe ojfote.tbo fifueeejfifo
di,^ offa delle gambe de cauolli $ de.
gambi dell elleboro . TaJeU Miltfio * ,
' vv, > V . i T % Contro U peflilenza-/.' ' V ih la'eitra , laqualnonpotea tffere fe
non di legno di vita^ per valer merauighofamente il vino, e 1 aceto contro la
peliti .. Ouero del lauro le cui foglie pefie , " odorate toglie via f
tnfettioH della pelle . Dice Teofrafio ebe alenai \ . Al morfodellc vipere,. ^
Dijfero valere il fuono delle ttbie, delle eorde,edi altri ifrm- menti tquahfono /oliti farfi di giunipero, frajfino
, lauro , perche le donne ne Jacrifiey
^Tefinophorif di tAltene, fffaet nano t letti di vitiee , aceioebe fpiri^ gejfe
in loro il dijiderio di Venere * Vfatiano t Pitagorici di alcu~ nifuoni ' . ' Al (bnno firalta 7gnia_>r Perche
quando voleuana quietar l'animo al fanno da pnjeri fonauano certi fuonuacctoebe
rtpofuff.ro vn legguro, e cheto fon- no,e fueghau, fnbitoycbe furgeuano aal
letto,con certi altri Juo- fii toniteli ino il #s *\>ore - e la cor. fuftone
del fuono . per far altrf %>jjiei/,diee cbe fujfe il modo Pollo, cbe
tranquilla ie tempefia deira^ mmo,e daua il Jonm a gU animi paeifiea' . Il
fanno cbiamaua- no col Ugno delia manuorla, v di vite,e (o fcatctaiiano con l'
elUt^ boto', tua qttfa (/per tenga piglia dalla volgare Lira>cbc lunzu^til
fonar da f vn aftra lira del , mcdclmotono. / %Aecordinofie corde ai vn tuono
le due lire ben accordate % perche fonando vna corda delle graui con le diti,
la grane dell'al- tra fi moue io qu'^tl altra , e ft /acuta , l'acuta ; purch
fieno ded Sitamente approfjimate , e fe non la vedi muouere gagliardamen- te
poniui fopra vna paglia , e la vedrai mouere . Suetomo tran- quillo ne' libri
della giocofa biiioria. diee,cbe le corde ne' giorni dell'inuerno , altre ne
Juoni , altri fuonano da lor fiejfe, e dt qui alcuno, \cbi non s ben
fonare.potra oetpi dare vna lira ,fi ejjt ndtf vna ben aceordatafa poni a
giacere fi ^ra vna tauola, e pighanr do f altra m le mani, e tiranno > e
rallentando le corde , finche fi vedr vita corda sbtfimtMua afborajapraia ebt quei pn corda idei
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dt mtitfim tuMO con altr . B coti
nt rcfantuMa ftvuoi Che vn Tordo oda il Tuono della lira^ . Outro che battendo
h ortetbie ben otturate afeolti il f nono t fi- gliar ai il manico delia
viuola^ olir con i denth f oreecb'tejitn
ben otturate tC ee Vi altro fuont perche fentir dentro tl eeruel- lo la mujita
, e forf pi fuaueinon fola pigliando il manico con i enti : ma con vna lunga
baftaycht tocche la lira, & ilfuonot'v- dtr me'^utglio/amcnte per quella
> e fi potr dir bauer vdtta la tnuficAtion ptriorecebie: ma per logico,
Rtiia fal a dirute che non gtudteo eebe vt far dtfpiaceuoiet cornea ^ Vna
lira citata altri iftrotnenti l Tuonino dal vento. luefo
cofi farai . ^ando fari vna gran tempefia dt venth gli porrai incontro molti
infrumenti, come citare, flaut* ,fam- buche ,e fifoe , ebe venendoti vento con
impeto,le t>*eea leggier- mente, e fojjiatt nelle canne aperte ; la onde del
fono di e^un f vn fuauiffimo concento alle oreeebit,ebe vicino i af colte
ranno^ t fe ne rallegrar d molto* losaaniicot
quali sii insaonatori li fiosooo ef
fcremag Cap. Vili. ^ Her apriremo gli inganni , e le furfantarle , con I
fSaJlaJuLy quali i ladr%*e coloro che vanno a torno tngannan- hQ do le genti
fingendofi'Piegromantu ingannano gli i ignoranti, * htfiiali, e lejempltce
donntceiule. T^o# per efiirpar da cuori de gli buomini cofi infame fetenza e per liberar gli ignoranti,cbe non fieno
ingannate da eofloro, mofrareme le cagioni, da doue procedano quei effetti primo Come li finge di poter ritrouare i
tcTori. ILa maggior parte dt quelli ingannatori, per efftr mifertjfimi* 0
pouerifimi , fanno profefitone di trouar tefon, e promettono a gli altrt ,
quello ebe non hanno per loro . E fi feruono dt quattro verghe bifurcate ,
lequalt nella cima introcicebiandofi tnfieme, c con le mani tenendo t piedi di
quelle furcinette , vicino le cofete* fingonodi direeete congiurationi , e cofi
cadendo le verghe, doue cadeno,comandano, ebefitaui, ebetuifi troueranno i
tefori . La' ragion di quefio fata , che fe ben le verghe fi tengono su le
piante delie mani, non $' appoggiano a ninna paru,e minacciano cadere ftmpre 1
DI Gio. Batt. della Por. Lib, XX. 71^ ftrprt di pnto in ponto,e per vn fol pot,
fi muomno^fuhit04A~ dono in Urr. Nelle braeetat e nelle mantfono t polfi% doue
tbat^ Uno le arurietlequali fe ben fi imaginano, che fieno tmmobtlijen- fM
aecorgerjene l huomo pur muouono le mam,e le fanno trema~ re. Sono antbora fr
queji mintraltfit ^ebe dicono, ebe per fitto
terre le vene de'metalli queie vergbette foreellute gtoutno affatf-
fimo;perebe le fanno di noetiuole,e dicono cbefino eeeellenttjfimr per trottar
te vene de' metalli fr tutte t altre piante , principale mente quando quefia
noecittote verr fipra qualche terra di me tallo . Sono altri che perla variet
de' metalli vfano varie ver gbe di piante varie y perche dicono ebe la
noeeiuola vaglia perir ~ mene di argento , di frajjno per lo rame di pinafiro il piombo, r principalmente al
fiagno, dei ferro, e rame de quelle fatte per l'o- ro, dop pigliando le corna
delle verghe di qua, e di l con le ma- ni, fanno t pugni,i necejfario con i
diti firetti che mirino ilCielop ebe s'
indrizzino le verghe da quelle parte dotte le corno loro fia no incrocicchiate
, all' bora di qu e dt l ian piano caminando, per li luoghi motuoj,che quando p
affano /opra la vena di metallo^ ebe fubno le verghe fi muouono, rtuolgeno, eli
dmo firmo la ve eia, e come fi muoueuino dtl\ e fi partono di nuouo la verga fi
ferma, e refia immobile, anzi dicono effir tanto la forza della ve eia, che
tirino a fe i rami de gli alberi , che le nafiono vicini, come eie vedrai pi
copiofimente trattar appreffo f Agricola . Ci re firn vn altra piaci uoUzza di
gioco, ebe tre PoliTece di carta dod tocche rramuf mo il fico# Che ad vn, che
non fapia la cagione impofiibile che non gU ^ paia mir acolo fi. Faccifioli
tre pouete dt carta lunghette, onero di tela,e chef auanzino fr loro di
lunghezza, perche aggiufiate d vna parte tutti i tre capi, e auolgendole
egualmente fi trafmutanv fr loro ^ fi ritrouano bauer mutato il fito, la pi
lunga fi nel me gpfipnnga, nel primo luogbofi trafmuta.mafi la pi lunga fa
ripofia allvlttmo dietro refano tutte immobili , Ma la cagion non amen per
altro, fi non che nel fine del riuolgiment , re fa fempre la pi lunga, e la
efirema, da doue fi comincia , refia nel riuolgerfi. ,A ine par che Arifiotefe
babbia voluto intender queflo ne' problemi . Perche il fegnamento delle carti ,
fe alcunu dalla bafi piana , e dritta mifurando tagliar , fi riuolge dritta !
tnafe inebmaia vien fiotta / 0 forf /eumene , che come t roton- di dtlla taglia
mentr* dell' aluo tome fon pqfif in vn piana
deebo DeHi Mi^ utonle ^ ; mtmmimM. MadrnnSaMifim ' Cert Lrmiiimmidlnj- ]
*: mmsewm3uiar*imi*fiiik*f*i^^^ V bc . * - ^ V
. u S^cJit M >* .- . or J miuu Ir^^sabconi
qotlcli^siiuatonfififlgoi^^^t ^ fcrtmMg ^ Vili ^ IMI il* 'ii I jiii'w f jmrMmgttnO' "t ^ HQ ' ^
tfmmmHO,t0ftsa,et/0mer$Mafftk- >
l^=rm^a* fw itrlori 1rfn, tfnmtsi^ JUV mmnt t /mt mt fm. *-** ^f- rr-jipi Blu Digitized by Googl . li
DiGo.'Bitt.delUPor.Lb.II. ?">
ftr vnfol poco, , ^;e i lirro. Wc/ic
/vacfio, ntllt mani /mi, . ivf ^!***^
htnj! imaginano, tbt JuaammZ.' L-z Mmf-* atcorgerjtnt Ibuomo pur muouono h mnu^
U . : n^*' . tb, dico _jmo\pmbt h fanno d$ foottiutui itcono cbt fono^ T *^^trtrouar UvtmdtmfuUt frituSU faJtr{ mtnu
quando qut^a McriM^cnri ru,^ l -giallo . Ino all I pa^a^JZlZ'^r' vana ,*rrrir eie *, '** ^ i./ao , pugnici nttrjsnt * ^ ^ ^ /r h
luoghi mStuoR^ht qnanJa Yrii *befub,toUvngLfimla^^^^^ - ^ ' w / muoututma tU^e
^ '* *4 ' //r/4,c rtja immobiU, amu
dumJ^^ * ^ . T^**'''oafnram,ag^ . ptatiuoUtta di /na.aiu r . O Polirete di -r
Kfipnnga, BelprLo7"?'^*^ *ifi**JM :>fhr"nAiUlZZlV^^^^ ^*\non amen
2^ ^nou 4ft *,i> ^ m y y A.... ntnrrr 7 l 't ' Della Maga naturale L*
pongono fopra il fumo ielT acqua cbe bugliCi t eof gonfia di quella
bumiditdtdttien piti graue. Altri pe fi ano gomma arabu ea, e vn fetacciatOt la
mefetano con la decottiont del mulcy la mi~' Jura la difioluono' nelC acqua
> con laqaale bagnano h fitta, e Is- ' fidano poi fieccare . xAltri la
pongono a confitruare fra lefirond . di noce . Se vuoi ^ ' AugTiintarc l
quantici def micio. Aggiongeui fi^tna di cafagno, dt'mtglio,e t'actrtfice laquS* tUxlaqual non
bafia accorgerj . ^ofi potrai Accrcfeerc iIpcCo alla cer ao. ' ' *
Aqgiongeui farina di fiaue b*n pefla , e fietacciia , e fictnioi aandtUyardtr
fenica ejcrenitntt'. 'Vtrehefit f accrefict il pefio'i'f la grandet^a,^ appena
ci pofiiamo de fendere dalla frode . Cofi ' anebora Far crefeere il Icuo.
Potrai t fi torrai cenere dell offa di buoi ben brufeiate delle gam'te, ogni voo in f tenace, ouero falfore
bianco; perche tatti ae- erefconotl ptfo, e laqua itit fenz.a diJJinigltanTca
della fofan- ' galoro Se vorr alcuno * Falfificarc il pepo . *Potr tagliere i femi crudi del giunipera , e
Iqfciali inerejparf p e pai ntefebiali coni grani del pepe . Alcuni vi mefcbtano
veeeir grandi, buglitndole prima con quello pepe in fi hquerefieipeeefie \ tbe
cofi gonfie di acquafcome fi feccanofi corrugano, e quando la mafiieberai, ti
brufeino la bocca pi del pepe : Ma noi i'bauemo eofi adulterato, cbe ne
babbiamo ingannati gli eccellentifiimi fpe- eialtfper burlarmi di'hfo,bduendogli
dimorato l'errore ddppT^ burla, piglia i grani, 'd frutto del fargu>no,
quando fono.mature,e^,_ norejequali quando poi fono feccbe,eqft'rtjerifcono la
foncbgjUan--^ oca delle vaghe, e de grani del pepe, cbe ne ingannino gli
ecceUero^ ti, fe non le prouano al gujhr . Cofi Aug ncntare i l pefo a] grana.
*PoJfiamo,nafcondcrui dentro vn vafe di legno pieno di acquar onero di aceto i
perche fe f ajforbe % come aocboraee lo in/egna Plinio, n . Peli nnqit (per,
fieni: oifnt btofo tjon In, e iff Pku fimi tinf da 0 top, torre fpogl date,
torca (irti ofit tuu, far, li, ' fj flit, fi pi tatii la ta p fili. riigilized
by Di GIo. Batt; detta Por, Ei6i X X. 71
3 ' Della lira >edi alcune lue notauingHofc - xt w Vi 1 V i >S vV 59 L A
lira ritiene in fe leitne fin tnerauigltofe proprie^ t & auuerttmentije
quaii io v r'ceontare.Prim& diremo a/* uni fuoi merauigltofi efftti t
iqtali fon . ' fiutt tf anati da glt 'anttebu e dopo come Ji pojjana . _ fart i
* fonie fatti da gii aniebt . Per ejj'er
bor Is tne^ea ptk hoMe i'* piSf'^pbfia in vj9\ che apprijf gli nttcbi $
(perebeaJfbora f mr&kia i'r '^pi mperfeita ) 'd.~ nofiri tenipi', non mo^ra
qiik mHs^giittdufi fe pideeme equiio Et
il medtfimo diceua . Se Il{giou&ni inci- tati coU canto di flauti fonando
ilfpondeo,fJne rtttr amiche con la
'grauit di modi la fua furiofa sfeciattzza fe fuffe rdffrena- ta 'Empedocle effendo ingiuriato vn fuo
aHggator, e vn cerio l'af faitaffct
rtuolto U modo dei fono 'i e iofiU raffrett la furio-J i Teofraila 7 14 -* /I
DcJTa Magia naturale a raffis*n*KM turhationi d4U'animo^ fidiu cbf vi bi U,jji
patrid pir andar a Troia, dubitando dttla pudititta ai Clttennf Jiray It lafct
in.^arJia ifdukredo(fi/qita{to'JJuono eoJiUin- titaua a ftrbar la pidista.t la
(ajtit,ebe mai hgijlo pot gotr iJiKji noni' cod ia tfUfdrmt^:^ 4t mplltit
gtntih U gtmti.ruiiiehttO ftnva ragtontinoHpiu ptfftro fai\ li fuono anebora
raddoiaftt gli animi dt ttnfri'f, ftantiullh! quando pidnganQ eon timpani, t((m
.frodali l'acquie^ tfino, f li fanno tacer i laonde Crifippo vieomptH^e
Vftardntp^^ n* dpjKtpridt4.,per.lof .Con
i/uoni 4Ud, mnfiti fifa** nedn^ ^ fiuti^nfbpra gG animali- yAooftO'pitprt4o
o'lfuomdcUa tira fi / eqnoiUd.i'anfifiMd de' delfini ,pjur fintoart^gtofte, S"
^etdo'an* ne^OfA pqrtaro al UdpfdluOrQli elefantfMtdt9aboutfs\ditt~ tqffo con i timpani, i fert/fi.trdH*^&on
oon i/uoni i e eon tersi vejfi cantando fi la/(idnopt^n4tro . >/ Cigni H
iperbrei to' i ea So fi vincono, Ivccelletti (onli fiautifi laficiano tader
nella rete e la fifiula pafioraU fonando pone in quiete i greggi gi pafuii \
Appreffo i popolidi.MifidtfUdn^ldfpeeie.de' eaudllisfia il eoiw \ to, alcuni
finano vn certov$ffM.o>n$ Ibimeneo delle ftonnt eie* caualf rammorbidite
iallafitauit delca/ito,(inge;anidanoee pa*, torfeono poi figli poliedri
dinufitata belleKgfiMdntocbattibi.\ tino fintando con la fua tibia,fon gra*K
coMtenfdone molti /noni i^ofidti dieefi
batter reprtfo f impeto de- lupi . Anni / anticbUA V4 certi fuoni a guarir le
ferite, le infirmit, e i veneni ilebe i i molto pi mirabile , come fi legge
nelle hi fiorita i Terpamf^ \ ^Ar/pneMetinneo, J Lesbt, ij; gli Ionici
cunotmAigtdfblbif^^ infepmttd , ,Aftlepiade Jjdedico
conlatrometln^deiand'tirot^ .X di^a con il canto r Accheti le
feditionefie'populi . Cif dlnafpfe.O*A di.aranei in Puglia molto frequnte,
cbiamdtitaranfoe,inquHi^ grandiffimi ardori del fole infigeno con gli aculei
vno pefitfern v . veneno , a cefi attroee veleno ci fiata folamente ritrouata vna r firada , cbe
la ferita fi guariua fal con alcuni fuoni , e modi di mafici I e di altri injlrumenti , tl ferito ,
priuato, per il veleno di - ogni fenti
mento , Juhitp cbe intenda iTmodo deUq, vruola, come ^ delio dd vn grand'unto
fogno, fefl^d da terra, tT al fuono della mufca tommjfia a fallare : ma f
tmufico rnae^ca , fubito li vie . entno f animai t diien,Jlnpido,'e di nuo'uo
rifacendo il fuono,co~^i mmcta a cantari eon piu^jpebtpientia* alle particolari
in^ ;a > V. DiGi*Bfttt.dnaPr. Lib.XX. 715 'Jfrmit aktulfj
atttibuim partieolari fuonutwne Ja doriti alla Prudential eatltti t Uottrma la
frigia eommuoue le batta^ J'liet f infiamma % furriiikbe aneboba f il fiauto ,
Ari fio fi tm dite nette fabule , th quello
ee non hafi a far la dorica , riuolt alla barmoma frigia f cbe a quei fi
eonfaceua t la lidia aterefe fintedetto a git befiiali ebe granati dal defiderio di 'iofo
terrenenduee appetito delle eo/i eeklii firitto a noi da Ari fateli tte' libri
Politeti .Mai aneborfritto,cbe da Lacedemoni/ effif fioto reprobato il
gteaerontatieoj perebe efiimmaua gli ek- feoHenti pende giudieo non eferfkorfii
anione, fe qefio auiene biella fempita liray. d titara quMo eha pojfa aeeadere
eon orna li ^dflitteem'artifieio rexon
rngegnotlo tajiio eonfiderare a moltu \be non aoeadino eofe molto meraaigUoJe .
Mafie noi vogliamo itene figare le-eagioni di quefto , ftineo ebe non alla
mufiea fola ; ma alle corde% m legnoy alle pellt douenfi alquanto attribuire,
per eJTere, ebe negli arbori agitati * e nelle pelli de morti, e membri,
'Cmprupretd dUj^i fir ci eotfiruam A idrtudi
tome aitroue pur tn^qUiio libro Pfbaieemo narrato iB per apportar alcuno
^n^lnn^oroinl/iarifitn^fih tSevogliamo- ;v.
. - pelli di elefanti , e di ea
aneli, di lupi le fiJmoninO ,
fmggpno-laaualli, neannd ardire far fermi. '*Ptrlamtdtfima ragione fivorrai .
Scacciar ^Itorfi. Frd il cauallo e F orfo , ti
vna nata rei inimieitia il
camallo non alt vfii aU'buomo,i l'or fu nemico dell' buomo,e noctuole. Co- nofe
il cauallo iljum 'uo fe ben non lbamai vilio,e viftoh pubi- 40 fe freparaalla
battagli't, nella quale fi ferme pi deil'aftut.in%. cbe della forare, " ba
tremo intefo efier fuggiti gli orfi.frdlt foli. tudini ' ' f)eila Magia
NatdraleJ' i"i tudim al ftnna di timpani) per tffekn /oliti /ajJSdi pelle
dU ta- ualid. xAi contrario fe cogliamo". ... , .t' ! . V. v>V, .. . ,
4.Cbec2ro-ixauaUf. mv -i ' Scruti Biiano
tbe coi /nano delia tibia, eoji fan prefe le eeueal- ie delia Libia i cbe con
quelle carezze iuengbtno a gii buoiaihi manfutte, Ufcinodi ajfaltargli > e
doue col Juono allettandole h initerai, iutfegnr annodi pifiore, quando quel fi
fermai qUfftf fi fermano dalcaminareje fe ti /nono della tibia et aeeompagnerM
icantopi acuto di qaellotne pigliano tanto ptaeeen,tbe non pop fono tener le
lacbrime > Ipafiort di quella quello
tibia fannp dii legno di rodedafne arre%\ebe gonfie dal fiato ttl.l feeono* a-
dando dtnangi le greggi, le danno piacere.. Gt.infegp'leofiqfip con l' berla
enoterd domejiiear le fieri , tmbrtae'arle.
de- gambi dell elleboro . Talett Milefio- , . - \4^- ' .
Contro U pcflitena-.' ^ . Vtbta dtkra , laqual non potea effere fenon di
legno di vitn-m per valer merauighofamente ii vino, e F aceto contro la peliti
.. Onero del lauro le cui foglie pefie , f odorate toglie via f infettion della
pelle. Dice Teofrafio ebe alcuni \ . * Al moriodelle vipere^. ; Dijfero valere
il f nono delle tibie, delie eorde,edi
altri ifrie- menti ,tqualt fono /eliti farf di giunipero, /raffino , lauro, edd
offa di eeruo,4i ferola ,/ambuco vite > e fimili . Fetagora^ . Contro Di
G:o,Ba. della Por. Lb.X.X. 'yiy Contro rembriachv2!_f S' feru*to dtlfufMOy percbt eoi fnom r^ffimd
vn gtsuanett tht imbrtaeo voleri brujfetAte Ia eafa dei fuo rtualtte forf
quell' tn rumenta e^A diedera, di mandorla e pi meipa/mente fetuagm gi i perche e vn
gran rimedio contro limhrioei^za . Ttmoteo to'l fuono co/i accende u Panimo di
Alejfandroy che infuriato cotr rena a tor l'armile quando poi It piace ua,
mutando il J'uono li to gite Ita l- audacia r * \ ^ - . :
La'iimo piaceuole c niiolle ritrarlo dille armi a*^ conuit/, Sforzffiy e VI io
tiraua fempre che volta ^ ilqual non barebbo fatto fenza i'ifir amento di legno
di vitc,ouero di rododafne. Il ci- tareia , partendoji Agamenone dalla patria
per andare a /rota eol l'unno incitauaChtenneJlra cojialla pudtctia , non potea
ef- fere l' mfrumento f non di vitice ; perche le donne ne facrifiey
Tefnopborif eh lAttne, H faetuanot letti di vitice -, aceioebe /pth^ gfe in
loro il dejidtrio di y^tnere . Vfauano i Pitagorici di alcu- ni fuoni ' '
. Al (bnno 5r alla vigilia_/r Perche
quando voleuano quietar animo al fonno
da pnfer fonauano certi J'uonhoccirjcbt rtpofuff.ro vn leggiero, e cheto fon-
nOit Cut gitati, ftbito,cbe furgtuano dai tetto,con certi altri Juo^ m toglieu
ino it ,' *pore e la cor.fufione del
fuono . per far altro vfcijtdtee che fujft il modo Boliu,cbe tranquilla le
tempeia delPa- nimoye daua lijonnoa pii animi pacifica. i' , Il fonno cbtamaua-
no co' l legno deila manuorla, v di viieyC (o fcasciauano con Peilo^ bo 0 ma qufia ejpeticr.fa piglia dalla volgare
Lira, che I002U A.'nar da fe vn'altra
lira dei medJmotono. ,* %jiecordinofi le corde ad vn tuono le due lire ben
accordate % perche Jonando vna corda delle graui con le diti, la grane dell'
ai- ira fi moue io qu'll altra , e f lacuta , fatata ; purch fieno dtd Himente
appro/fimate ,efe non la vedi muouere gagliardamen- te poniui /opra vna paglia
. e la vedrai mouere . Suetonio tran- quillo ne' libri della gioco fa bit
ioria. dieticbe le corde ne' giorni dell'inuerno > altre ne Juoni ,
altrifuonano da lor fiej/'e, e di qui aleuno,\ebi non s ben fonare^potra
occordare vna lira ,fi ej/t ndq vna ben aeeordataJa poni a giacere fi ^ra vna
tauola, e pigliane do f altra in le mani, e tiranao > e ralltntando le corde
, finche fi vedr VjM corda cbtfi mMua 1 afbora Japrai, chi quel pt eordu A del
7 li Della Maga naturale 4^ mtitfim tuno
toni" altr . B eot n$ rtfantu Ma fivuoi Che \ra furio oda il fuoco delia
Iira_> . Ouero 04 battendo le oneebit ben ottttrate af colti il fuono,pi-
gliarai ilmameo della vimla, olir con i denti e ( oreeebiefier , ben otturate
eebe vn* altro fuom perebe fenttr dentro il ter nel- lo la mujita , e forf pm
fuattenon fola pigliando il monito con i aenti : ma con vna Lunga bafta,ebe
toeebt la lira, & ilfuonot'v- dtr tne'-^mglio/amenu per quella e fi potr dir bauer vdtta la tnufic-a. non
ptr l'orettbie: ma per logfio . Refiafolo a dirui ibt non giudico yibt vi far tfpiaeeuole
tome-* Vna lira , cicara altri iftromenci fi fuoninodal vento. Hueflo
tofi farai . Sluando far vna gran tempefia di venti gli porrai incontro mola
infirumenti, come citare, fiaut* ,fam- buebe,e fifole , ebe venendoti vento eoa
impeto,le t**eea leggier- mente e fojfiati nelle canne aperte ; la onde del
fono di ciefcbuna f va fuauiffimo concento alle orecebic,cbe vicino F
afcolteranno 0 fc ne rajlegrar molto logaoD)Con i quali gli ingaonatori fi
fingono ef-^ fere maghi. CJap. Vili. Hor apriremo gli inganni , e le furfantane
coni ' quali I ladri,e coloro che vanno a torno ingannan- do le genti
fingendefiT^egromantt ingannano gli i jF-^i ignoranti i befiiali e le Jempltee
donntceiule. per efiirpar da cuori de glt buomini eofi infame fetenza e per hberar gli ignoranthcbe non fieno
ingannati da coforo mo/raremo le cagioni, da doue procedano queii effetti primo Come fi finge di poter ricrouare i
cefori. la maggior parte di quelli ingannatori, per effer miferijjmi 0
pouerifiiwi fanno proftfiione di trouar
tefon, t promettono a gli altri quello
ebe non hanno per loro . E fiferuono di quattro verghe bijureate lequah nella cima introcuebiandofi tnfieme e
rotile mani tenendo t piedi di quelle furcinette vicino le cofae fingono di dir certe
eongiurationi e co fi cadendo le verghe
doue eadonojcomandano, ebe fi eaui che tue fi trotteranno i tefori . Lai ragion
di quefio fora ebe f ben le verghe fi
tengono si* le piante delle maninon i appoggiano a ninna partee minacciano
eadero fempre Di Gio. Batt. della Por. Lib. XX. 7 ftritprt di pnto in ponto tt
per vn fol poeotfi muomno,fuhito-ta- dono in terra. NelU braeeta e nelle mam
fono t polfi% aoue sat tono le arterie,legali fe ben Jjima^inano,ebe^eno
emmobtlijen- %a aeeorgerjene Ibuomo pur muouonole mam,e le fanno trema- re.
Sono antbora fra que/i mineraltfit ,ebe dicono, ebe per fatto terre le vene de'
metalli quelle vergbette foreellute gtoutno ajfatf- fimoiperebe le fanno di
noctiuohte dicono ebe fono ectellenujjmr per trouar le vene de' metalli fra
tutte f altre piante , prineipaU mente quando quejla noeciuole verr fopra
qualche terra di me- tallo . Sono altri ebe perla variet de metalli vfano varie
ver- ghe di piante varie ^perche dicono che la noceiuola vaglia perla mene di
argento , di frafjtno per lo rame di
pinaftro il piomba, r principalmente al fiagno, del ferro, t rame de quelle
fatte per l o- ro, dop pigliando le corna delle verghe di qu, e di l con le ma-
ni, fanno i pugni,ineetjf ario con iditi fretti ebe mirino il Cielo, t che
/indrizzino le verghe da quelle parte doue le corno loro fia no incrocicchiate
, all bora di qu e dt l Pian Piano eamnando, per li luoghi motuofi,chc quando
paffano /opra la vena di metallo, che fubito le verghe f muouonOt rtuolgeno, e
li dimoSirino la ve- na, e come fi muoueueno di l', e fi partono di nuouo la
verga fi ferma, e rejia immobile, anzi dicono efier tanto la forza della ve-
fta,cbe tirino afe i rami degli alberi , che te nafcono vicini, come ne vedrai
pi copiofamente trattar apprtjfo t Agricola . Cr reflai vn altra piaci uolezza
di gioco, ebe tre PoIiTece di carta non tocche rranutfn il fico# Che ad vn, che
non fapia la cagione impofiibile , che
non gli , paia miraeolofo. Faccino fi tre pofete dt carta lunghette, onero di
tela,e ebe fi auanzino fr loro di lunghezza, perche aggiufiate dm vna parte
tutti i tre capi, e auolgendole egualmente,fi trafmutanm fr loro^fi ritrovano
bauer mutato ilfito,la pi lunga fe nel me- gp fi ponga, nel primo luoghofi
trafmuta'.ma fe la pi lunga fa-^ mpofia all vltimo dietro reSiano tutte
immobili . Ma la cagioit non amen per altro, f e non ebe nel fine del
riuolgimemo, refi femprela pi lunga, e la efirema, da doue fi comincia , re fi
a ne( riuolgerfi . %A me par ebe Arifiotele babbia voluto intendere quello ne
problemi Perche il fegnamtnto ielle
carti , fe alcune dalla btfi piana , e dritta mifurando tagliar % fi riuolge
dritta ! onafe inchinata vien fiorta / 0 forf .auuiene . ebe come i roton- di
della taglia mentre dell' altro come fon pqfie in vn piane \ I dttbo- r 7ci /
Della Magia naturale ^/^cltn "^0 etiti tX;iio\n(,ngualrtKte oppoflatma
parte il OKJe quii,ao C(/I^erat,t{iiti tovatyiijuaif Joru corilet-utt dal me''
c Jsrhn piami ( bunho il Juo pnrctpio dal mcd:Jmo piano, apra- r 0 ti
hneaJaquSl fanno cul/uo Oidine, Fu error di aicurii t'iuxli iunagi>iauano
che ^ujje per opra oi parole, e dt tutte lecif~ Ji d man iute, rtjpon ituano,
torne jujjt l iraiulo \ penbeji muiO> uano Jho,di:tuano la,cofa bauer
afortir buon Jtne , Ji n, -mal ji- ne,neb bailato lofarUconofcete l' tri or
loro , per non ejjer itati eapaci di quella ragione, e per bauerf creduto
que/ic pergraruit tempo . Se vuoi Far (he vn feudo f volga s vn ftilo. H vi fio
molte volte certi furfanti dar ad intendere a ce*t donnicctuole ^ ingannarle
con quefo artificio, che due polifina dt carta
di altra m tferia. purch legge era, che fi aizino da ter- ra, e che fi
muouauQ da lor ftejfe . Se tu cercherai nell'orzo, vi ri- troucrat dtn tra vna
certa anla nera dt feiuaggia auena,erttor^ ta,jimi!e ai vn pitie di grillo,
laquale fe da vn capo attaeberdi ton li cera alla cima itvn coltello, dt
ponteruolo,e dall'altra l carta, 0 altro , quando la bagnerai rarifla con
alcuna goccia di acqua,qud.\ come fent\r rbumido ,Ji aijiorcter come vna cor-
da di viuoU, e fi mouer la carta, o'I f cudo fi volger su la cima . dt vn
siilo. Se vogliamo Indouinar il ladro. Coji potremo , e ricuperar la cofa
rubbata . Varie fono le fu- perJJtttoni',cbe s'vfano per tre. uart furti,
tequali cofano dt ragia tti naturali, e
gli ignoranti dicono , che vengbtm per forza dz.0 /congiuri . E' vna certa
pietra ebe fi cbiamie etite , come fuffi pregna ; perche quando fi mutua, le
fona nel ventre vna pietruc- eia, fi alcuno prefia quello, ria cuocer nel pane
fatto fotta la ce- nere, t lo dar a mangiare ai ladro, il ladro non la potr
tngbiot- ' tire,anzi far. ccfiretto, fuffucarji, ouer Jtjfer rtconofetuto peti
ladro ; percioche non potr inghiottir quel boccone, ilebe ne tn-' fegnato
anebotada Dtofeoride . Dt cut la ragion naturale , ebe la polue fatta di quill*
preti a,e cfi fecca,cbe faceta quel paneji- criffimo, e pomtcofo,i che non fi
pu inghiottire, fe non engran- ijfimo trauaglio , quando Jar nella gola . Ma
bi/gna che co- lui,ebe voi rttrouare'tl' furto',dica agii afianthcbe fiima ebe
Fbab' bino rubbato , effe vn nierautghofojeereto , e magnificarlo 'con io parole, per sbt coltro, ebe fbaum rubbatoiper
tema di ejferfeoutr- ' ' ' %'hft '
Digitized by Google Di GIo. Batt. della Por. Lib .XX. 7'^ x ti,fe gVi diJfeceA
h goa^ eo/a ancbora ptr lo terrori, * gli viene feUilaondi non panno wgbtottire
quel pan con la poluere /( et perche
ingozza nella gotat e fe henfujjtro ftnza paura, pur con fatica lo mandare hbeno
in gi. Ci vn altra ajtutia fcttiimen- f(
inuentata , perche fi fcrtuono tutti i nomi dt fufpttti in certe pplifine,e
qutfie fe riuolgono m certe ballotte di creta,Uqualt but- tano ntU'acqua,quelle
ballotte come fentono P acqua fi rtmoUif co- fto,saprono,e le ppitfine di carta
ebe fono leggere fubitof aleno sk P acqua, laqual cofa dt tanta merauiglia,ebe toloro che vi fi tro,
vano prefentnon panno fitmar aitro^/e no che verghi per opra de' demony. Se
fanno le ballottine fecondo il numero de gli aflau tt, e li nomi tauolgono in
quelle ballotte di creta i perche queOe polifine, ebe ftano auuolte cor. poca
manifattura , fubito ad ogni bumiditdp aprono, e le carte s'tnalt^ano fopra P
acqua,ibe non re- fiino attaccate da qualche ritegno \ mafie tu vuoi, che trai
s'apri- Ko , remjcbia ben la creta con le polifine , e che fiitno bin chiufe
dentro, eoe non s' apriranno. Se vuoi far Che cadano i fiori da gli alberi .
Che battendolo vifo la prima volta,veramente mi f fupirei ma pregando P
amico,midiceJJe la ragione , mi feoperfe il ftcreto. Il tajfo harbajj baue vna
naturai propriet, che quando la mat- tina apre i fiori, fe la pianta fi fcuota
leggier mente, i fiori feecan- dofi a poco a poco fe ne cadono a terra tutti, e
non far alcun-ji pref ente che non giudicar d, che auengbi ci per fcongiurt dt
ne- eromancia , ft colui ebe f la pruou* finger dtr alcune parole. Si f ancbora
Che ma donna butti le vcfti, e fe diCnvdi . Per non lafeiar eofa,ebe fi facci
da quejii furfanti, e chef fin- gono fregoni,accendono vna leeeerna con certi
caratteri intorno, piena dt graffo di lepre , e quandoj' accendono dticr.o
certe paro- le,e la fanno ardere in mezo le donne , ebe le tciringera tutte ,
che buttatele vePi,tmofirino i loro ftereti a riguardanti, rido- nalef aitano,
ne finiranno fin che arder la lucer t. a diche mt fin to Hert da prfime degne di fede. H giudicato ebe l effitto no pu venir da altro
, ebe da quel graffo dt lepore, di eut t tafor t a mortifera ebe penetra
nelcerutUo,e chele inuiei,e mtoua a quel- le pagzie. Ilfimile fi narra da
Horr.eto , che fi fc da AUf/cgeii , efferui alcuni albertfii cutfe i frutti fi
butteranno fuljuoeo,tut- U queUi cbeftravno vicino al fuoco, diuengono
fiolti,0' in tr u- *' * cAaaa chip Digitized by Google 7it' Della Magia
fiatarale L* pongono fopra il fums ielT Acqua cbe buglict t cojt gonfia di
quella bumidft,duien pi graue. Altri pefano gomma etrabi^ ejy e *PoJpamo,nafconderui dentro vn vafe di legno
pieno di acqtutr . ouero di aceto} perche fe l'ajforbe come aoeboraee lo inftgnm Plinto,
' n . : ' 'IJ* , Della Digitized by Google Di Glo. Bittr deUa Por. Libi
X X. 713 Dlia lira ,'cdi alcune iu e
noerarigliofc - v. vt s v> I . # eon
torti vtxfi dentando fi U^eidnAf^^^Kt* '>/ Cigni H iperborei eo'l ean to fi
vincono, I veeelUtii eon II fiautifi lafeiano cader nella rete e la fifinla
pafiorale fonando pqne inquiete i greggi gi paf Zittii x Apprtjfo i popoli
di,Mffidofddn4o.MJ^eit de eanallijvfa il totr V to,aitufii finam Vn
eprtOsVtgfihCAme Ibimefieo delle AWcne^ eia* cauallt rammorbidite iallafnomt
del canto, fidgrat(idano$e per, torifcono poi figli poliedri dinufitata
beUcxgfi.'MdnUKbatitibU:. cino cantando con la fua tibia, fon gran, contentione
molti fuotU. incitati * dieefi hauer reprefo f impeto del lupi ^ J$nni l"
anticbit '> vtp certi fuoni a guarir le ferite, le infirmila, e i veneni i
ilthr t molto pi mirabile , come.fi
legge nelle bifiorit^^ TerpandP^^ tArioneMetinnee, 1 Letbi, -gli Ionici
cunorn9ii^Sf^^*^fi^'t infermit. xAfclcpUde JfieditoconlatrombtHntn*4^iAet\r^\.\
d X a con il canto racebett le/tdifionefie] popuU . Ci fana fpf eie.-, di.
aranci in Puglia molto frequnte, cbiamati,taranfple,inqun\, graniijfimi ardori
del fole infigeno con gli aculei vm pefitfero. veneno , a cefi attrocc veleno
ci fiata folamenU rtrouata vna f Brada ,
che la ferita fi guariua fal con alcuni fuoni > c modi di ' muficl , c di
altri infirumcnti , il ferito , priuato, per il veleno di' ogni finti mento , juhitp che intende il.modo
deUe^ vintola, come ^ de fio da vngrani^rtfo fpgnp ,/e t^da Urra, 0 atfuono
della . j muffa comincia a fallare : ma fi ilmuficp manca , f ubilo li vitto
meno f animai e diuien^fiupidofe di nuoito rifacendo il fuono,co-^K mincia a
cantari con piu^ jpebfpu^ia ^ ^ti alle particolari iuf 1. , ' ' firmit \ DiGiOBittt.dna.Pr. LIb.XX. 715
'Jhmitk fii akfuti atttibuirn psrticolar fuonutvme h oru% alla prudeata,
cafj$td, e Jottrna la frigia commuout le batta- glit infiamma / furdri i ikbt
ancbot^a f il flauto , Arifiofi 'fimo dilt neiir fabule > vbe quello >
ebe non bafi a far la dorica tiuolt alla
harmoma frigia > cbt a quei fi tonfaceua , la lidia eerefie t inteHetto a
gli befitali , ^ ebe grauati dal defiderio di Oofi terrene, induce appetito
delle eofe eekfiifiritto umida Ari* ^jRotelr de libri Polititi. Ma
imeborfritto, ebe da Lacedemone ^fitr fiato reprobato il gnoeromatoj perche
efftmmaua gli -eor 'fioHmtii'ondegiftduo non efier fkorfii ragionet fe qtfio
auiene 'Htllafieterpita /p4> Htara
qaiHo come dico Pitagora . Se vi
piace ' . h MI Spteenearfti r \
fieauaifind fpaumtatbagliielrfeiii. oelle-baitag^ t it 'dmelo
eoeHemriMaimmalAualib}e0en diee.AenMotelete Pi nio,e dicono che crepano quei
cauallt}iquali calcano le vefiigia de lupi i la onde fie fi facefitro timpani
de felli di elefanti > e di ca- aneli} di lupi ci i Vna nafurcl inimieitia il caualo non all' vf iali'buomo^ l'or fio
nemico dell' buomO}i nottuolt. Co- nofie il eauallo tljnemiea fie ben non
Fbamai viFiote vifiolo fiubi- 4a fie freparaalla haftagtiti, nella quale fi
ferue pi delFaFtutap ebe della fbnbOt fy bauemo intfio ejjer fiuggiti gii
orfifirltfiafi-. ' / ' tudini ^t ' Cella
Magia NaJCiiral J tudsm dal faono di ttv$^anv per tffexnH /oliti /arjidi peHt
A* ualh. \Ai contrario fe - ... hV . -
.1* *. , V. v.> \\ V. . , v.Cbccaro'i, cavalli. - .* Scritte Eliano ebreo i /nono delio tibia, eoj
fonpre/e l e ie della Ltbia , cbe con quelle cartine dtutngbmo a git buotnint
manfutte,i Ufctnodi ajfaltargli , e doue col Juono allettanti* le inuiterah
imfegmrannodlpifiore, quando quel fi fermai qu^ fi fermano daieaminare^Jt il
/unno della tibia et accompagneeoi Mcanto pi acuto i q!tello,ne pigliano tanto
ptaeere,ebe non pof* fono tener le lachrime
i paflqrt diquefia * quella tibia fannp del legno di rodadafne
arbore,\cbe gonfie deU fiato odi fuonot " dando dmans^ le greggi, le danno
piacere. Gi.iirfegn'teo/rqfip con lberba enotera domejiicar le fieri , ^
imbriaarlt.%,iy ttgof babbiamo detto aitroue P enotera di 7tofr^o, la
noliratododaf' ne,ctftbf accomodate nella reter, e mtbe *fe vifirauno prejnti
Mdo^nt pregne, cbe ie facci btata're il fidato inantdfevqpofielMef^ottlr ue le
Vipere , occorrendo' lo fogltono fare ii^tome da molti flato Jiieittov ^Hermcnia Tebano
ctmltkdeEeotif :.ti > n
Scacci;trilkkflt}r detta'ifeiacica^^ut
tTttv. - ' A inatti. > > ....
V elleboro. E Senoetateeon fumi di organi guar molti pazzie Jiqait
ifirmentt ageuolmente pierebbe efiere.ebe fifuccejftto di^^ ojfa delle gambe de
eauallt de. gambi deW elleboro . Taietf
MUefto- ^ . . - . . i' Contro Upefiletiza...' -x - Vi
la eitra , taqual non potea effere fenon di legno di vitdm perva/er
merauigltofamente il vino, e f aceto contro lapeft^ Onero del lauro le cui
foglie pefie , " odorate toglie via f infettion della pelle. Dice
Teofrafio che alcuni ' Al morfodelle vipere^. Dijfero valere il f nono delle
tibie, delle eorde,tdi altri iRru- menti
> quait fono /oliti farfi di giunipero , frajfino , lauro , edt efidefi
ceruo,4i ferola, fambuco vite, e fimiii . Fitagorn^ ^ * u .u-. Contro Digitize " ' C Di
Gio.Batf; delia Por. Lb.X.X. ^17 Contro lembriach. zzaLf . S*i ftruHo dilfuoHoi
perche eoi fnom raffi tn vn ghusnett ehi imbriaeo voUa hrufetare U ceffi del
fuo r$uale,e forf quell' $n ifrumentne^idiedera. di mandarla t e pnneipaimente
feluagm gi ; perche e vn gran rimedio contro itmbriacbes.ic.a . Ttmaeo eoi
fuano eofi aecenUeua f animo di AltjfandrOy che infuriato cor teuaator larmite
quando poi li piace uatmutando tlfuono IttO glierta l' audacia 1 e \ ^ . s . Laiimo piace uole e molle ritrarlo dalle
armi a' conuitf, Sforzffty e vi lo tiraua ftmpre che volta y il qual non bar
ebbe ^ fatto fenz l'ijlrumento di legno di vitc,ouero di rododafne. Il ci- tar
eia ypartendoji Agamenone dalia patria per andare a 'Irai A etil fanno ineitaua
C/itenneffra coji alla pudtntia , non potea ef infrumento f non dt vince ;
perche le donne ne facrifie^ Tefmopbor-^ eli ,Attney t faci uano t lette di
vitite , aceioebe fpih- geffe in loro il deftierio di Venere . Vfauano t
Pitagorici dt alcu- ni fuoni - . Al
ibono fir alla Wgtlia^* Perche quando voleuano quietar f animo al fonno da
pnferi fonauano certi J'uonucKctocbe ripofuff.ro vn leggiero, e cheto fon- noyi
fuegliati, fibito,cbe furgeuano aai lettoycon certi altri Juo- ni toghe amo il
, *pore e la corfu/ione del fuono , per
far atrf Vjfieifydtce che fuffs il modo lioho,cbe tranquiUa le teerpeia deli'a-
nimoye daua tlpnnoa gli an'mi pacifieaii . Il fonno cbtamaua- no co'l Ugno
della manuorfa, li di viteye {0 fcasciauano con felle- boto] tua. qufa
ijpeticKga piglia dalla volgare Lira, che lunata ta fonar da f vn altra lira
del medi, lmo tono. \Aecordinofi le cordi ad vn tuono le due lire ben accordate
i perche fonando vna corda delle graui con le diti, la graue dell al- tra fi
moue io qur II altra , e fit l acuta , l'acuta ; purch fieno ded biimente
approfjimate ,efienon la vedi muouere gagltardamen- , %i poniui fopra vna
paglia , e la vedrai mouere . Suetonio tran- quillo ne libri della giocofa
bithriaMciiCbe le corde ne' giorni delfinuerno * altre nejuoni , altrifiuonano
da lor fieji, e di qui alcunoy\cbi non s ben fionare*potra occpi dare vna lira
yji ejft nd^ vna ben aeeordataJa poni a giacere fi **ra vna tauola, e pigliane
do f altra tn le mani, e tiranao > t ralUntando le corde , finche fi . %ltdr
VM corda tbtfi muoua t ali bora Japrai^ebt quei pn cordu Digitized by Google
Della Magia natarale dei mtiefim tuMO
tonF altr . B tosi ni reRanti. M a fi vuoi Che vn Tordo oda il Tuooo della
lira.# . Outro tbo bauendole ortctbU ben otturato afioltt U fitoMtpi ^tiarai ii
manico della viuota, lira con i denth * ( orecchie fieno btn otturate tC ebe
vri altro fuoeui perche fintird dentro tl cerne/- lo la mufica e forf pi fuauctnon filo pigliando il manico
con i denti : ma con vna lunga bafia,cbe tocchi la lira, r il fieono t 'v- dtrd
tm'-tutglio/amenu per Rutila , e fi potr dir bauer vdtta la tnufie-a. non ptr i
orecchie: ma per logico . Refia folo a dirui
ebe non giudico ytbe vi fard tfpiaceuole% cornea Vna lira , cicara altri
iftromenci fi Tuoninodal renco. luefio cofi farai . Sitando far vna gran
tempefia di venti gli porrai incontro molli infirumenti, come citare, flauti %
fam- buche I e fifiole > che venendo tl vento con impeto Je t^^ca leggier-
mente e /jfiati nelle canne aperte ; la onde del fono di ciafebuna f vn
fuauijjimo concento alle oreccbitcbe vicino f afeotteranno t fe ne rallegrar
molto logaoDjCoh quali gli ingaonatori
fi fiogono ef fer maghi. Cap. V i I L apriremo gli inganni e le furfantarle coni ^uali I ladri*e coloro
che vanno a torno mgannan- H ^3 do le genti Jigendefi'P(egromanth ingannano gli
\ ignoranti i befiiali, e le Jempltee donntcciule. l^oi _ ' prr efirpar da
cuori de gh buomini cofi infame fetenza , e per liberargli ignoranthcbe non
fieno ingannati da eofloro moRraremo le cagioni, da doue procedano queRi
efietti B primo Come fi finge di poter ritrouare i tefori. La ma^ior parte dt
queRi ingannatori, per effir mferijfmi 0 pouerifitmi fanno profefitone di trouar tefon t
promettono a gli altri quello ebe non
hanno per loro . E fi feruono dt quattro verghe bifurcate lequalt nella cima introciecbiandofi tnfitme
e con le mane tenendo t piedi di quelle furcinette vicino le cofeie fingono di dir ce te
congiurationi e cofi cadendo le verghe,
dono cadono, comandano, cbeficaui ebetutfitroueranno i tefori. L ragion di
quefiofara ebefe ben le verghe fi
tengono li le piante delle maninon t' appoggiano a ninna partec minacciano
cadere fempre Digitized by DI Glo. Batt. della Por. Lib. XX. 71.^ /impre di
ponto in ponto,e per vn Jol poeo^ fi muouono,fub$to ca- dono in terra. Nelle
braectUt e nelle mane fono t polfi% aoue sbat- tono le arterie>Uqualife ben
fi imaginano, che fieno smmobtlifen- tea aeeorgerjene l buomo pur muovono le
mam^ le fanno trema- re. Sono anebora fra quefii mineraltfit tcbe dicono, ebe
per fatto terre le vene de'metallt quelle vergbette frce llute gtoutno affatf-
fimoiperebe le fanno di noceiuole^e dicono ebe fono eecellenttjjimr per trovar
te vene de' metalli fra tutte l altre piante , prinetpal- tnente quando quefta
mcciuoU verr fopra qualche terra dt me- tallo . Sono altri ebe perla variet de
metalli vfano varie ver- ghe di piante varie ^ptr ebe dicono che la noceiuola
vaglia perla vene di argento , di fr affino per lo rame , di pinaftro il
piombo, r principalmente al Jiagno, del ferro, e rame de quelle fatte per lo-
ro, dop pigliando le corna delle verghe di qu,edi l con le ma- ni, fanno !
pugniti neeeffario con i diti fretti che mirino ilCielo, t ebe s'indrizzino le
verghe da quelle parte doue te corno loro la^ no incrocicchiate , allbora di qu
e di l pan piano caminando, per li luoghi motuofi,cbe quando pafiano fopra la
vena di metallo^ che fubtto le verghe fi muovono, nuolgeno, eli dtmo firmo la
ve- na, e come fi muoueueno di l', e fi partono di nuovo la verga fi ferma,!
rejia immobile, anz dicono efier tanto la forza delia ve- na,cbe tirino a fe i
rami de gli alberi , che te nafeono vicini, coma nr vedrai pi copiofamente
trattar appnjfo f Agricola . Cr refi vn altra piaci uozZM di gioco, ebe tre
Polirete di carta non tocche rramutino il itor Che ad vn, ebe non fapia la
cagione impofiibile , che non gli paia
miracolofo. Faccino fi tre polfete dt carta lunghette, onero di tela,e che fi
avanzino fr loro di lunghezza, perche aggiufiate d vna parte tutti i tre capi,
e auolgendolc egualmente fi trfmutan fr lorortfi ritrovano bauer mutato
ilfito,la pi lunga fe nelme- gpfiponga, nel primo luoghofi trafmutaimafe la pi
lungafa- r^pofia all vltmo dietro refano tutte immobili , Ma la cagion non
auien per altro, fe non che nel fine delriuolgimentofref femprt la pi lunga, e
la efirema, da doue fi comincia , refa nel riuolgtrfi, 6^ ine par che Arifotele
babbia voluto intendere "Perche
ilfegnamento de\le catti , fe alcun dalla tifi pana , e dritta mifurando
tagliar , fi riuolge dritta ! ma fe inchinata vien fiotta 0 forf ,auuiene , che come e roton- da della
tacita mentre dell' altro come fon pofie in vn pian ' ' dieba- Di Gio. Batt. della Por. Llb .XX. 7^1 riffe gli dijfeeea h gola^ eofaambora per lo
terrore^ e gli viene feteilaonde non panno mgbtotUre quel pan con la poluere
Jtdo.per fua virt, e non per fuperftttont^
j., Peal- Digitized by Coogle DiGio.'Batt.dellaPor.LJb.XX. 7t| . De
alcune efperienze dilampadi. Gap. I X. j
' poto mi f ono raJlf^rato per bauer ietto fr gli antichi Anafilao
Pilofofo bautr foluto burlare ctn f iicinyt e prtftiggi , bauer fatto apparer
dmf quello^ (be ne fcri/te Pliniot
pigliando il /berma delcauai- io,\quanda fi eongtnge eonle caualie t t accefo dentro
le lampe nuouetcon nuout hcinij bauer d/moiirato P buomo con c^po di ea^ *
uailo con grandijfinramonfituofity t" altre cofe, li quait perche non le
crediamo, per queflo non ib voluto efperimentare i ma fe fe ne trouano alcune
vere, fon quelle * Che gli huomjni appaiono Etiopi . Sluell inebii Jlro mandato
fuori dalle Jtppie, poni nella lucer- na , che lucer di vera Jic,fnfr.a . Im^o
Ji dice bautr pur fatte %Anafilao , fptjfe volte con lincbicllro delle feppie
bauer fatto vedere gli ajanti neri come febiaui. Da Simone Seti. Si alcuno
bagner la triallida.cio la Jloppa di lucerna nel nero dell'incbo. iro della fi
ppia,e lo Unger con verde rame far veder gli buo- mini parte neri , e parte
Verdi , per la mtltura di quello che vi puofe, e quello fi potr imitar a far
con ogni color e, perche io- gliindo tutte l' altre luei,tbt non jiano impedite
da altri lumi , fi vedr quel colete, che vrr fucrt della lampada, t feoneiar
til- ufione. E fe far di giorno,Ji chiudano le fenelre, aectcebe non entrar
dout altro lume, rimma il preliigio. Sia la lampada ver- de di vetro chiara cbt
t raggt,tbe pajfano per quella, sir fettino,t Ji colorino del colore del mezo (
ihequt U l'importanza) un ogUo, ouero con ogni tumido, cbe fi arder la candela
,J n. efebi verde rame ben tntjtbiaU, e trtturaU-infieme,ebe l'olio d.utngbi
verde , (T* lo lieinto di tela del mede fimo colore ,di bombate orto t' accenda
in quella lampa, tutto quello ebe fi vedr tilununato da quel lume fi vedr
verde, e coji t volti t riguardanti. Come Parche la faccia r>,vedan aera,
cpailica-. Cefi lo farai ageuolmcnte . In vna ta^za i ampia Loeea pa- nini
dentro vin gagliardo , vecchio , come greco, butiaui dentro vn poco di J ale,
quanto vn buomo pu pigliar ceti vn pugno ' \ eAaaa" poni Digitized by Google Della Magia naturale
'! poni fopra i carboni fenza fiamma , ateioeht il vafi non fi ronfi pa, che
/ubico comincia a bufiirciaceofiaui il/ume,t fubito fae* ecndctaU bora fmorztr
ai tutti i InmitC cefi vedrai tutte le faceti* de de' riguardanti^ebe ivno
qua/i fa r paura all'altro.l mede^ fimo auiine nelle fucinetdove fi fanno le
campane fi fondono i metalUt perche ogni eofa fi vede di vn bruti tfiimo
colore,ebe far di gran merauiglia le labra fquallidcypauonagzet ebe vanno ai
liutdo al nero . Si s' accender il folfo t e fe porr in mezo dc\ eircofianti,
far il medefimo effetto con pi merauiglia . Cofi an~ ebora hauerno letto Anafilao
Ptlofo hauerfi dato piacere bautr pofo
il folfo in V J vafe nuouo e pofioui
carboni accefi di /otto portarlo intornodlqua reuerberando nelle faecie
dieonuitati,gJi dimo/l-aua dvna difforme pallidezza . xA me accaduto ipejfo volte in Pozuoli nella folfatara
, mentre di notte caminaua per quei luoghi, perche il folfo , che perpetuamente
vi arde tfd cosi in faeeie illuminate da lui. Di alcuni erperimentlmecchanic.
Gap. X. T refiano certi pochi el^rimenth di fottiliti da non Sfrezzarfi lontani
ogni mifiura lequale giudica- mo,cbe non
ftranno diPpiactuoli a gli ingegnofii^ artefici. E vn artifieio^ chiamato da
alcuni. Il dragone volante.. O il eometatdi cui quetia la cpo{itione,di pegzi di eana ftret* tifi
facci vna figura quadrangohycbe la l&ghezza,alla larghez- za ja vna volta e
meza^ (tano trauerfati da duo diametri dagli angoli oppofiif partnella cut inter ft catione. .che far nel
mezot fe attacchi vna cordicella , cb* con duo altri capi che vengono da duo
dpi della macbina s'attaebino infieme,poifi cuopra di carta di tela di Uno fottic,accioehe la macchina
fia leggieriffma, do- p falcnio su lacima di vna torre di vn monte , quando fono trnpeie di
venti", ma vniformi , e da vna parte , non molto ga- gliardo, perche
rompono la macbina, ne troppo leggieri , perche fi vtn Jfero a mancare , non
falir in alto , e perderanno la fatica Ella no camini per dritto camino: >ta
obliquamftr, ilcbe f quel- la cordicella ebe jl attaccata foto da vn eapoe dal
megovi farai ' alle ' r .j Dgitized by
Googl? r D GIo. Batt. della Por. Lib. XX. 7^5 Ali duo Altri e Api due altre
cordelline l&gbeda 8. palmi, ermejpi di cartoline ; cofi inalzandola vn
poco quando il vento Jpira ga- gliardo,eonmano indu/Jrio/a bifogna bor tirare a
fe,bor rallen- tare la cordtcella,ne troppo preio,ne troppo tardi,cofi a poco a
po co il volante lino cominciar d ad inalzarji, e come far vn poco eleuato (
cbe fr le Citta non riefce cofi bene,cbe il vento non vien vniforme: ma rotto
per le mura delle cafe, e delle firadt ) appena la potrai reggere , ritenerla , alcuni vi pongono alla cima della
macbina vnapicciolifitma lanterna, acciocbc paia cometa, altrivi pongono alcuni
/chiappi di carta, pieni dt polueredi artigliarla* e quando gi nelfommo dell
aria quieta,)/ manda per la cordi- cella
vna corda accefa, attaccata ad vno anello,
cofa fdruceiolan te, e fubito gionto alta vela , dando fuoco alla bocca
del fcbioppo con grandfiimo fcbioppo,firompe la macbinain molte partite ca de a
terra, alcuni ci attaccano alf i frumento vngattino,ouer ca^ gnolino,e /olendo
all' aria /e a/coltanole voci dell' animai, che gri da. Di qu vn ingegno/o potr
pigliare il principio, come poj/a vo lar vn buomo, attaccandofi grandi ali alli
cubiti " al petto , cbe da piccino s'in/egni a buttar le braccia a tempo,
da baJ/o,/alendo poco a poco in alto.
Ilcbe alcuno iimr quefo aj/ai meraui- '
glto/o, miri a quello ebe irnent , e fece Archita Pitagorico. Per- che molti de
Greci, eJFauonie Filo/o/o /ottiltfiimo inuejiigatore delle antcbe memorie,
/crij/ero verijjimamente della cooba di le- gno fatta da Arebita,con vn certo
modo,e ragione mecbanica fat- ta, cbe volaua , tanto ftauano i pefi
equilibrati, e fulpefi, e f aria rincbiufa dentro occultata, ebe girando, la
moueua . 11 fiat del Vigefimo > & Vltimo Libro Digilized by Google , Tralafclato al'ii.
Captolo del 1 1. Libro. Scritte Sijpine G 'anmstic\Vlfone R di Tini tjfer nato
is art orfo, che bjutndo il padre mandala fua figlia a diletto con le fue
fantefebe.s incontr con vn granatjfimo orfo , e fuggiti t, compagni per timore,
P orfo tolfela vrgtne tifela port in tana , e mut la ferina voglia di
dtuorarfela in amor hfiiuo% fatto di ladro inanamorato , e fisti l'ardor della
gola eon quella della lu (furia, t per paficerla bene, ificendo a caccia
portaua ipit lauti cibi che potea da vicin armenti , e fie ben non fuffii a tai
cibi ajfiuifiatta , lanecefiitave la fece v fare, paficendo colei, che doueua
ejfitr fino pafio, talch la natura di duo ficmi , ne fi vno , che cre vn buomo
di fiangue fitlua^gio , al figlio fit li pofieil nome del padre, e fatto gra
ide volfiefiaper,cbrammax,zaJfie il padre, e ne fi vendetta:di cui il figlio
Trigillo fece Fifone, da cui nacquero l R Dani, e fi crede hauerlo fatto
nsfctre IDDIO per domar la , fuperbia di Dani , iquali fi gloriauano loro
antica origtnr pi de gli altri popoli. Ego Fratcr Thomas de Capua Sacrx
Theologix Magifter, & al*- iDi Hudij Santi Dominict de Neapoli
Rcgcn};,suprriorum iolTu Jegi , acq; pericgi il!a diligcntia , qux potoi, ac
dtbui viginti Ji bros Magiif naruraJis admodum llluftris Domini Ioanris Ba-
pciHx de Porta Ncapolir.ini,ccccllriflirni Ph'lufophi, 5'in Om- ni Scicotiarum
genere pcnrifimi , & nihil in illis inueni , quod Sao(fix Roman*,
vniuerfaliquc Et c'efi* rcpugnarer: ncque quod. pofllt piasaurcs oiFenderc,aut
quod aliquidco trj b^nosmorcs contincanc. Quccirca fatcor effe libro* hos
dodos,&: folida,ma- gnaque doArina refertos.vtilcrque. Et in fidein me
propria ma- Du fubrcripfi . Datum in Regio Conuentu noftro San&i Domi- nici
de Neap. die 9. Aiigulti i y88. Ita cft. Fr. Thomas de Capua, qui fupra manu
propria. Imprimatur, Alexander Gratianus Vie, Gin. Cap. AV.W//7.' \ , .y M. Cbcrub. Veron. Augufi.Tbeol. Cur.
Jlrchip. Digitizec) by v^' ,'- ' ''.i- . -A.
H' . . , . * .. J ^ > A \ -,
. W . V \ * t ' t ^ % \'v '-JU '.\-'V
, *
. *\\ .* X t V
' X '^ ;' ^f-.-r.. ., .. Ve*.'' ' ' .v*.>V'^.^V-.- . \ A, * > \x . ^ VGiovanni Battista Della Porta.
Porta. Keywords: implicatura fisionomica, filologia -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza: GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Portalupi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Sten. ling. A. Portalupi.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portalupi,”The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Portaria: la ragione conversazionale o -- Eurialo e
Niso, ovvero, dello spirito – ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon
tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta – la scuola di Todi
-- filosofia umbra -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Todi). Filosofo italiano. Todi, Perugia, Umbria. Grice: “I
like Portaria, but then anyone with an interest in
Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a philosopher, that is! Unlike Anglo-Saxon soul
who God knews whence it comes, the Romans had spiritus, and animus anima, which
is cognate with animos in Greek meaning ‘wind’ – so that leans towards a hyle-morphic
conception where the body (corpus) is what has the ‘materia’ and the ‘breath’
is the ‘forma’ -- Italian philosophers
would ignore this – and more so now when Davidson is in vogue! – if it were not
for Aligheri who has Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serious
philosophical confrontation between an ACCADEMIA and and a LIZIO conception of the
soul as seen in the controversy between AQUINO (si veda) and P.! P. uses the
same linguistic tools: is ‘spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of
‘homonymy.’ And add ‘medium’ into the bargan! P. is less canonical than AQUINO
and should interest Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was
from Todi and donated all his manuscripts to Todi, which many skip in their
Grand tour – although it IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del
Tevere” will know!” -- Grice: “My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is
Matteo Bentivgna dei Signori d’Acquasparta e Portaria. Nacque da una delle grandi famiglie delle Terre
Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di Acquasparta e Massa Martana,
trasferitisi a Todi. Studia
a Bologna. Insegna a Roma. Alighieri
lo nomina, biasimandolo, tramite le parole di Findanza in opposizione a Ubertino da Casale: “Ma non fia
da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla scrittura/ch' uno la fugge,
e l'altro la coarta” (Par.). Società
dantesca.
Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia dantesca. Teologo
(Acquasparta - Roma); generale dell'ordine francescano. Dante (Paradiso) gli
rimproverò di aver tollerato il rilassamento della regola di s. Francesco.
Cardinale), ebbe varî incarichi dalla Santa Sede. Mandato a Firenze per mettere
pace tra Bianchi e Neri, non riuscì a vincere la resistenza di questi ultimi e,
minacciato di morte, dove abbandonare la città, dopo aver lanciato su di essa
la scomunica e l'interdetto. Autore di commenti scritturali e trattati
teologici di orientamento bonaventuriano (Commentarium in Sentias; Breviloquium
de S.ma Trinitate; Quodlibeta; Sermones; ecc.).Matteo d’Acquasparta. Matteo
Portaria d’Acquasparta. Portaria. Keywords: filosofi citati d’Alighieri nella
Commedia (Par.: ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla
scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta.), logica, dialettica, Occam
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Porzio:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel lizio– la scuola
di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “His
surname is plain “Porta,” but in Latin that is latinised as ‘portius,’ and then
this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who wants to be called “door”?” Studia a Pisa sotto NIFO (si veda). Scrive sul
celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del Monte Nuovo (“Epistola de
conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso di digiuno di una ragazza
tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi principali, fra cui il trattato
di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat” e in particolare il “De mente
humana,” nel quale sostene la mortalità dell'anima secondo un'esegesi
d’Aristotele – LIZIO. Proprio queste sue dottrine mortaliste, troppo facilmente
accostate e sovrapposte a quelle sostenute da POMPONAZZI (si veda) nel “De
immortalitate animae”, contribuirono a creare una leggenda biografica secondo
la quale egli sarebbe stato allievo e quindi semplice epigono di PERETTO. In
ogni caso, al di là di una innegabile tendenza materialista nella sua esegesi
d’Aristotele del Lizio, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum naturalium
principiis,” sua produzione è caratterizzata anche da interessi teo-logici del
tutto svincolati dai peripatetici del LIZIO e che sono particolarmente evidenti
nei due commenti al pater noster che probabilmente non estranei ai fermenti
evangelici della riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e critici,
"De’ sensi" e il "Del sentire, studi ittio-logici. Græcæ lingue
grammaticam ab omnibus fere dixerim expectatam simul et expetitam, à
quamplurimis frustra promissam, à nonnullis vero quibusdam veluti delineamentis
duntaxat adumbratam, nec ab aliquo satis adhuc expressam, non tam explicaturus,
quam editurus aggredior. Grande quidem ac perarduum opus nostrisque viribus impar;
sed non inaccessum. Nec enim omnium omnino difficultatum ambages, syrtesque
superare contendimus, sed faciliorem quandam ac brevem hujusmodi Grece lingue
notitiam methodum instituimus. Quoxiam vulgaris hec grecorum lingua suam, ut
par est, originem non inficitur, ac fœcundam illam linguarum 1: parentem ἑλληνίδα διάλεκτον, matrem agnoscit, non mirum si ad ipsam tanquam ad
fontem existimem recurrendum, et plurima ex ipsa deprompta censeam referenda.
Habet igitur hæc quoque suas XXIV literas, ut illa, paritérque dividit eas in
vocales et consonantes. Vocales quidem VII agnoscit -- a, e, n, t, o, v, ω -- ex quibus sex proprias
diphthongos format at, av, ει, ευ, ot, ov: ex impropriis tamen
preter n, w, et νι, nullas alias admittit. Jam
consonantes sunt XVII -- 8 9 60x Au vEmpoactoy d, ex quibus quaedam tenues r x
r; quaedam aspiratæ 0 9 χι quedam medie f y 2; quedam
duplices ὅ E ; quedam denique immutabiles
À u ν p. et 20 25 Quod attinet ad
pronunciationem, miror quosdam doctos licet et non vulgari præditos eruditionis
varietate ed temeritatis devenisse, ut germanam, integram, ac πατροπχοάδοτον recentiorum Graecorum
pronunciationem, chimericis nescio 3 quibus ducti conjecturis, totis viribus
ausi fuerint quam sane temerario judicio, sic irrito conatu pervertere, ac
deturpare. Profecto si Grecis maternæ linguæ flexiones, et una cum lacte
acceptos haustosque sonos et accentus puros et intactos audes denegare, cur
barbariseos concedas, cur extero cui- ο que qui aliarum Nationum aecentus suo nativoque accommo-
dat, toto, ut aiunt, ccelo à recta earumdem Nationum aberrans pronunciatione
atque deflectens. Verum hæc obiter tetigisse sat erit, pluribus enim prosequi,
et vehementius in eos invehi præsens prohibet institutum, ac brevitatis amor.
Quare ut eo redeat, unde parum aberravit oratio, dicam de literis in particulari,
et primo quidem de A, quæ ore debet proferri pleno, numquam depresso. Neutro
omnia in plurali hac litera terminantur, quidam etiam in singulari, præci-
puéque Verbalia, ut atvcux no0ti0 à «vo, πάλαια lucta à πα- Àxiée. Item omnia
fere nomina substantiva, et non verbalia fwminini generis, ut μοῦσα Musa, κάψα calor, dix sitis, etc. Est
praeterea terminativa Aoristi tam activi quam passivi modi Indicativi, ut ἔχαμα feci, ἐγοάφθηκα scriptus sum.Sic etiam desinunt
omnia adverbia, ut xx22 benè, σεφὰ doclà, &aímux
es egregió, et hujusmodi plura. B, effertur ut V Consonans, nec ponitur nisi in
medio vel initio dictionis, numquam in fine. Quod autem β sonet V Consonans ex hoc maxime
constat, quod Greci dum B Latinorum pronunciationem volunt exprimere, in
nominibus præcipue quibusdam ab ipsis Italis mutuatis, et à græcaliterali quam
longe distantibus non utuntur fj, sed uz, quod apud illos sonat b, ut videre
est in dictione bombarda quam nostri Græci sic scribunt µπομπάρδα. l', varie sonat pro varietate
vocalium quibuscum alligatur ; Na cum a, o, o, et ου, eodem prorsus effertur modo,
quo, g Latinorum in ga, go, et qu : At cum i, z, v, ot, e et αι editur ut gÀ, vel ghiè
Italorum, et ut gue et gui Gallorum. Jante aliam posita, et ante, sonat ut» ut ἄγγελος angelus, αγκαλλιόζω amplector. # A, densiori quodam
spiritu, quam D Latinorum edi debet. Hispani ad hanc pronunciationem maxime
omnium accedunt. E, valet E. In hanc vocalem terminantur præcipue Vocativi
singulares Nominum Masculinorum, quorum Nominativus est in ος, ut xa: bone, ἄτυχε improbe, etc. Item secundae persone numeri pluralis Verborum
cuiuscunque sint modi, sicut etiam secunda persona numeri singularis
Imperativi, ut «zu: fac, λέγε dic. Item tertia persona Aoristi tam activi ; quam
passivi numeri singularis modi Indicativi. Græci nostri carent c clauso, uno
namque sono, eóque aperto, ut reliquas omnes vocales, edunt. Z, suaviuseffertur
Latinorum Z, æquivaletquesimplici 8, cum in medio dictionis ponitur, ut in hac
voce, Musa. Z 10 insuper post r, sonat c, ut in hac voce, ἔτζι constat, et in aliis pluribus. H, sonat I, et non E,
ut quibusdam placet, eruditis quidem alioqui viris, at non Grecis, quibus
inauditus est hujusmodi sonus, et omnino peregrinus. Est terminativa nominum
tantum generis fœminini, et precipue adjectivorum, ut καλὴ bona, ἄσποη
alba. Item tertiæ persone numeri singularis Verborum modi Subjunctivi,
subscripta « ut διά νὰ κάωῃ ut
faciat. 0, funesta litera, et à solis fere Græcis proferenda, characteribus
aliarum linguarum, vel vocibus exprimi scriptis minime nequit, videtur tamen
accedere ad prolationem s, balbutientium. I, valet I, in quam desinunt omnia
fere neutra, quæ derivantur à græcoliterali in tov, ut ψωμί à φωμίον: κλαδὶ à κλα- div. δακτυλίδι à ὁχκτυλίδιον. Item omnia diminutiva in κι, ut ανθρωπαάκι homunculus, et alia innumera. K,
æquivalet C, sed diverso modo; nam cum a, o, o, ov, sonat ca, co, et cu : at
cum i, v, €, v, εἰ, ot, et αι,
correspondet qui et que Gallorum, vel etiam italico chí et chie. K, post y 5
ety, profertur ut g, verbi gratia τὸν κόσμον, et αγκάλι͵ ton gos- mon, et angáli dicemus. A,
valet L, ac semper eundem retinet sonum ante quascunque vocales, et diphthongos
posita, licet quibusdam videatur aliter exprimenda ante «, voluntenim tunc idem
prorsus sonare, 3: quod gli Italorum, vel // Hispanorum. Utrumque sonum non
improbo. M, sonat M, quæ si ponatur anter, variat illius sonum, ita ut
proferatur ut b, ut constat in voce µπαμπακι,
bambáki, id est bombyx. N, quanvis ante a, €, ο. o, αι et ου, Sonet na, me, πο, nu; attamen ante:, οι, ει et υ (in nobilioribus saltem presentis Grecis
locis) sonum gni Italorum, vel duplicis nn Hispanorum prz se ferre videtur. N,
ante π æquivalet m, et x b, exempli gratia τὸν πατέοα patrem. pronunciamus tom batéra. Est
insuper finalis accusativi singularis primæ et secundae 5 declinationis, et
omnium genitivorum numeri pluralis, item- que Nominum neutrorum in ον. E, effertur ut cs, non vero (ut perverse quidam)
tanquam gs. O, sonat O, ore aperto prolata. In hanc desinunt quampluio rima
nomina neutrius generis, ut ἄλογο equus, etc. quee deberent terminari in ον, si spectetur eorum origo. II, valet P, sed post µ vel v,
respondet B LATINORVM, ut patet in dictione murs mitto, pémbo, et aliis.
Vertitur ali- quando in ο ut βλάπτω, βλάφτω noceo, γλύπτω γλύφτω scalpo, et 15 alia non pauca.
P, æquivalet R, initio dictionis semper spiritu aspero notatur, cum vero sunt
duo (ut fere contingit in medio alicujus dictionis) primum leni notatur
spiritu, secundumautem aspero. Ponitur interdum loco À, ut στέλνω otéws mitto ; sed hoc ni- + mis
corrupte : melius agitur dum p vertitur in À, præcipue in dictionibus externis
dicendo σκλίµα pro σκρίµα Italico, id est gladiatura,
etc. 3, sonum 8, refert cum sibilo, estque terminativa omnium prorsus nominum
ac participiorum generis masculini, ut 25 ἀντώνιος Antonius, στέκοντας Slans : item accusativorum omnium tam masculini, quam
foeminini generis numeri plu- ralis, ut τοὺς 42205; bonos, ταῖς ἀτνχίχις iniquitates : itemque
nominativorum pluraliumgeneris fceminini, ut αρεταῖς virtutes, µανάδες matres, etc. Ponitur etiam in fine secundæ person: 3ο omnium Verborum activorum
numeri singularis, ut δέρνεις verberas, κλέγτεις furaris, et omnium temporum
activa et passive significationis eiusdem numeri (si imperfectum passivum
excipias) ut &ov:; verberabas, ἔδηρες verberasti, éózo- θηκες verberatus es, et hujusmodi. 3s T, mystica, ac salutaris
litera sonat T, verum posita post v sonum 0, assumit, ut ἄντρον antrum quasi andron, et ἐναντίον contrarium enandíon. Y, idem
munus subit quod, I, estque finalis quorundam gravitonorum generis neutrius, ut
γλυχν dulce, βαρὺ grave : item # et eorum qua
derivantur à græcaliterali lingua in voy, ut dixzu à ὀέκτυον, et reliqua plura. $, sonum
habet F, vel ph, ut φέονω fero. X, sonus hujus literæ
scriptura nequit ostendi, qui tamen Florentinorum C noverit, ejusdem literæ
pronunciationem non ignorabit, quanvis non tam aspere sit edenda. Sane si chi
Gallicum careret sibilo, et Italicum sci, non longe dista- rent à Greco y. V,
valet ps, ut Ψαλμός Psalmus. Q, idem przstat quod
O, estque terminativa omnium Verborum activa significationis tam presentis quam
futuri, ut ayamà Qo, θέλω αγαπήσει amabo. Mutatur non raro à Græca- literali in hac
vernacula lingua in ov, ut ζωμίδιον jusculum, Couuí, à πωλῶ Vendo, πουλῶ, et à μιμὼ simia, μαϊμοὺ, etc. Atque heec de literis,
jam nonnulla dicamus de Diphthongis. Αι, correspondet LATINÆ diphthongo, c, in hanc terminantur
prima, secunda, et tertia persona singularis przesentis Verborum tam
passivorum, quam deponentium. Item et tertia persona pluralis ejusdem temporis,
et nominativi pluralis nominum fcemininorum, et masculinorum prima, et secundae
declinationis. As, ut plurimum sonat af, ut αὐτὸς épse aftos, interdum vero a6, ut avr aula, quasi An.
Quare quoties post «v sequitur 8, ἔ, c, 7, 9, x, edenda erit ut a/, si vero post ipsam
ponantur vocales, vel cæteræ alive consonantes, supradictis exceptis
pronuncianda erit ut a6. Ει, facit 2, estque terminativa
secunde et tertie persons presentis, et futuri activi Verborum barytonorum, ut γρά- peus γράγει, et θέλεις γράψεις, θέλει γραψει. — Εν, effertur ut ef, modo ut :6.
quando autem debeat pronunciari ut ef, quando vero ut «5 observanda est supra-
dicta regula de αυ. Οι, æquivalet etiam i. Cuius terminationem amant omnes
nominativi plurales nominum terti: et quarte declinationis. Ον, correspondet ow Gallorum, ac
sonat Italorum. Hanc terminationem habet secunda persona imperfecti modi indi-
cativi passive significationis. item omnes fere genitivi singu- lares nominum
masculini generis, et neutrius, si barvtona excipias in 2; et 7;, et quæ
desinunt in «. Item nonnulla no- mina fœminina ut μαϊμοὺ simia, etc. III habet vernacula
hæc Graecorum lingua ut literalis accentus, acutum videlicet ut λόγος, gruvem ut zu, et 5 tandem
eircumflexum ut zu. Loci accentuum sunt quatuor, ultima, penultima,
anteponultima, et præantepenultima. Ultima tres recipit accentus, non quidem
omnes simul cum una dictio unius tantum sit capax accentus, sed potest vel
acutum, vel gravem, vel circumflexum, prout ratio exigit, suscipere. Accentum
gravem habent omnia monosyllaba ut τὶς, νὰ, δα, etc. Item adverbia in +, quæ derivantur ab adverbiis
græco-literalis linguæ in à; cireumflexe, ut cogz docte, À σονῶς, «ax bene, à )5:, et hujusmodi
plura. Nomina etiam neutra dis8vIlaba in 4, ut κεοὶ cera, voovi corpus, et alia. Accentum circumflexum
suscipiunt genitivi tam singula- res, quam plurales, in quorum recti ultima
accentus est vel acutus, vel gravis, vel circumflexus, ut 0co; Deus, θεοῦ, vw, honor, τιμῆς, Y, αρεταῖς virtutes, τῶν αρετῶν. Eundem observant accentum accusativi plurales nominum
secundæ declinationis, et omnia verba circumflexa. Penultima etiam duos
admittit accentus acutum videlicet et cireumflexum: hunc suscipit cum penultima
est naturá longa, et ultima brevis in dictionibus plerunque dissyllabis, i5 ut μοῦσα, θαῦμα, etc. item in iis, quæ terminantur in ovzs, ut αἰῶνας S@CUTUM, a, ὤνας certamen, et in participiis
verborum circumflexorum, ut χτυπῶντας verberans, αγαπῶντας amans, et sic de reliquis.
Acutum vero requirit cum utraque est vel brevis, vel 3) longa, ut λόγος verbum, γώρχις urbes, vel longa per
appositionem, ut (άῤῥος fiducia. Omnia neutra
plurisyllaba in «, habent accentum acutum in penultima, ut παιγνίδι ludus, ἀνλρωπακι homunculus. Item omnia
plurisyllaba cujus- cunque sint generis, dummodo habeant ultimam longam 3;
acuuntur in penultima, sicuti et omnia verba quæ non sunt circumflexa, ut ὀννατώνο corroboro, σταλερώνω confirmo, et alia. Antepenultima duntaxat acuitur, si ultima fuerit
brevis, ut ἄνλρωπος lomo. Ceterum nonnulli et recentioribus Græcis 1,
non solent respicere ad ultimam syllabam, sed LATINORVM more habita ratione
quantitatis penultimæ, antepenultimam acuunt si penultima fuerit brevis, ut ἁγιώτατη sanctissima pro ἁγιωτάτη, ἄδικους injustos pro ἀθίκους,
etc. Melius tamen videtur et elegantius regulas accentuum observare literalis
grammaticæ, ad quam velim confugias. Præantepenultima vero acutum agnoscit et
circumflexum, acutum quidem in iis, quorum penultima est in «x, ut ἀναγκάλλιασις exultatio, ἐνύχτιασεν nox
facta, est, quasi ια, unicam efficiat syllabam, et in προπαροξυτόνοι, quibus additur particula νε, ut κάαμετε, χάμετενε
facitis : circumflexum autem in 1 iis quorum penultima circumflectitur, et iis
additur articulus cum particula νε, ut εἰδατονε vidi
illud. Jam spiritus in hac ipsa lingua iidem penitus sunt qui in græca
literali, lenis videlicet, et asper, iisque eodem modo in utraque lingua
utendum est. Quare non parum sumet uti- 15 litatis, et commodi tam in
orthographia, quam in nominum declinatione, inflexionéque verborum is, Qui
grainmaticam græcam apprimè calluerit. Cux VIII sint ORATIONIS PARTES,
Articulus scilicet, Nomen, Pronomen, Verbum, Participium, Propositio, et
Conjunctio, de iis singillatim habendus erit sermo, si prius dixerimus quot
casus ac numeros vernacula Græcorum lingua admittat. IV igitur in quocünque
numero casus agnoscit, nominativum, genitivum, accusativum, et vocativum.
Genitivus ultra propriam significationem retinet etiam Dativi, ut σοῦ δίδω tibi do. Accusativus vero non raro
ponitur loco genitivi, et præcipue pro articulo cà», ut % τιμήτους pro ἡ τιμήτων
honor illorum, et dicunt ἕνα κομμάτι dou pro bou, idest, so Jrustulum panis.
II tantum sunt numeri tam verborum quam nominum, SINGVLARIS videlicet, et
PLVRALIS: respuit namque dualem numerum h:ec lingua, utpote solis Atticis
proprium, à quorum melliflua suavitate quanvis longe distet, suas tamen ss
habet et Musas et gratias. Articuli nominibus præfigi debent; sed quando : hoc opus
hic labor est. Cæterum vel usus optimus erit præceptor, vel tua temet materna
lingua docebit. Nam si tua lingua articulis utitur, ubi eos ponere in ipsa
conaberis, ibidem collocabis in : greca. Exempli causa, si Gallice loquens
dicas, la feste de Nostre Dame, eadem græce vertens enunciabis cum articulo ἡ ἑορτὴ τῆς θεοτόκου: 8i vero dicas, nous avons grande s Feste absque
articulo, dices etiam græcè, ἐμεῖς ἔχομεν μεγάλην ἑορτὴν, nullo præposito articulo.
Adverte tamen in nomine, ::;, semper præponendum esse articulum, quanvis in
aliis linguis non praeponatur, di- cendum enim semper est ó θεὸς cum articulo, unde cum dicunt
gloria tibi Deus, addentes articulum aiuntdezx σοι ὁθες. Adverte etiam Grecos vulgares
carere articulis postpositivis, pro quibus LATINORVM more relativis qui, quce,
quod, utuntur, postponentes ὁποῖος, ὁποῖα, ὁποῖον, ac præfigentes articulos, ὁ, 7», τὸ, ut ὁ Πετρος 6 ónoio; Petrus qui. i$ Tres sunt articuli præpositivi,
à quibus genus nominum dignoscitur, ó masculini generis, ἡ foeminini, et τὸ neutrius. Sic autem flectuntur, Masc.
Fam. Neut. Sing. No. ohic. No. hac. No. ro hoc. 20 Ge. τοῦ Ge. ri Ge. τοῦ Acc.
toy AC. Tv AC. To Voc. © Voc. © Vo. «© (P.22)Pl.No. ci hà ^ No. ai vel ἡ να No.
τὰ hcc Ge. τῶν Ge. τῶν Ge. τῶν 25 Ac. TOUS Ac. ταῖς vel τῆς AC. Ta Vo. © Vo. o
Vo. à Ex his facile colligi potest quam malé alii notent in plurali articulum
f@mininum per οἱ diphthongum, quæ soli masculino generi convenire debet. 5 vel
τῆς videtur Ionica loquutio, 30 cujus est mutare in η, nec temere usurpari
potest pro αἱ et Tai. Qv.x de Nominum divisione inseri hoc loco possent, utpote
as Satis dilucida ex aliorum grammaticis, ne in iis recensendis tempus terere
videar prætermittam. Dicam tantum qu: propria censeo in hac lingua.Variæ igitur
multiplicésque sunt nominum terminationes, quæ varias etiam sortiuntur
declinationes, quarum numerus licet communiter quaternarius assignetur, à me
tamen majoris claritatis ergo sextuplex tradetur. Erunt quippe declinationes
quatuor ἰσοσύλλαξοι, id est parisyllabæ, una par- tim ἰσοσύλλαξος, et partim
περιττοσύλλαξος, quæ in plurali tantum 5 incrementum suscipit, altera demum
omnino περιττοσύλλαθος, qui in utroque numero incrementum admittit. I nominum
declinatio est tantum masculinorum in a; et ης, quorum genitivus in ov, licet satis
barbare, et nimis corrupte apud vulgus exeat in a, vel in η, juxta terminatio-
10 nem nominativi, cum id proprie contingat in accusativo ad- dito y, quam
tamen nonnulli abjiciunt. Pluralis est in auc, ge- nitivus in à», accusativus et
vocativus, ut nominativus. Exemplum ín az. Sing. Plur. 15 No. ὁ τχµείας promus. .. No. οἱ ταμείχις Ge. τοῦ ταμείου Ge. τῶν ταμειῶν ACC. Toy ταμείαν Αο. τοὺς ταµείαις Voc. à ταμεία Vo. à ταµείαις Exemplum n ης. 20 Sing. Plur. Nom. ὁ κλέφτης fur. Nom. οἱ χλέφταις Gen. τοῦ χλέφτου Gen. τῶν κλεφτῶν Acc. Toy χλέφτην Acc. tous «Jta;
Voc. ὦ κλέφτη Voc. ὦ κλέφταις 25 Adverte quædam nomina
propria in ας oxytona posse termi- nare
genitivum singularem et in ov, et in a, ut ὁ Πυλαγορας, τοῦ Πυθαγόρου, et Πυθχγόρα, quædam vero in a; circumflexa
retinere tantum x in genitivo, ut ó Λουκᾶς, τοῦ Λουκά, etc. II declinatio foemininis duntaxat gaudet
nominibus, 3o quorum nominativus est in x vel », genitivus in ας vel v; juxta recti vocalem.
Accusativus autem in ἂν vel vy prout fuerit ultima
vocalis nominativi. Exemplum £n a. Sing. Plur. No. 49Jíz amicitia. Nom. » φιλιαῖς Ge. τῆς φιλιᾶς ! Gen. τῶν φιλιῶν Dans l'édition originale, le
texte porte της φιλιᾶς et x φιλιαῖς. AC. | rhv qUuxy
Acc. ταῖς φιλιαῖς Vo. © φιλιά Voc. © suis |
Exemplum in η. Sing. Plur. Nom. ἡ γνώμη opinio. No. 5$ γνώµαις Gen. τῆς γνώμης Ge. τῶν γνωμῶν Acc. τὴν γνώµην AC. ταῖς γνώμαις Voc. c γνώµη Vo. © γνώμαις. Nota híc vocativum singularem et
pluralem similem esse utrique nominativo ; quod non contingit in prima
declinatione, in qua vocativus singularis amittit. Item genitivum pluralem
notari semper accentu circumflexo, ut fit etiam in prima. III declinatio omnia
genera nominum complectitur, quorum masculina, muliebria, et communia
terminationem habent in ος, neutra vero in ον, vel
in o, genitivus sin- gularis in ov, accusativus in ov, et vocativus in e.
Exemplum masculinorum ín os. Sing. Plur. No. 6 λογισμὸς
cogitatio. No. οἱ λογισμοὶ Ge. roù λογισμοῦ Ge.
. rà» λογισμῶν Acc. toy λογισμὸν Ac. τοὺς λογισμοὺς Voc. ὦ λογισμὲ Vo.
à λογισμοὶ Exemplum fœmininorum in os. 25 Sing. Plur. No. ἡ ἔρημος Solitudo. Nom. ἡᾗ ἔρημοι Ge. τῆς ερήμου Gen. τῶν ἑρήμων Acc.
τήν ἔρηαον Acc. rai; ἐρήμους Voc.
ὦξρημε Voc. à ἔρημοι ο Hoc eodem modo flectuntur communia additis
præpositivis articulis ó et 2, ut ὁ et %
παρθένος tírgO, τοῦ καὶ τῆς παρθένου,
etc. Exemplum
neutrorum in ον. Sing. Plur. No. ro ὀένδρον arbor. Nom. τὰ δένδρα 35 Ge. τοῦ
δένδρου Gen. τῶν δένδρων AC. τὸ 0cyJpoy Acc. τὰ ὄκνδρα Voc. à δένδρον Voc. à
δένδρα. Sciendum autem hic est nomina neutra tres casus habere similes in
quocünque numero, rectum videlieet, accusativum et vocativum ; quod non tam
verum est in hac declinatione, quam etiam in cæteris aliis, quæ neutra nomina
continent. QvanTA declinatio est masculinorum in ας et ης, quorum flexio partim
convenit cum nominibus prim:e declinationis, partim vero cum nominibus tertie.
Horum igitur genitivus singularis est in ου, accusativus et vocativus in « vel
η juxta terminationem nominativi. Exemplum in ας. Sing. s Plur. No. 6 σχλιχκας
cochlea. No. οἱ σαλιάχοι Ge. τοῦ σχλιάκου Ge. τῶν σαλιάκων Acc. toy σᾶἄλιακα
Ac. τοὺς σαλιάκους Voc. c σᾶλιακχα Vo. o σαλιάχοι Exemplum £n ης. Sing. Plur.
No. 6 µάστορικ artifex. Νο. οἱ µαστόροι Ge. τοῦ µαστόρου Ge. τῶν µαστόρων AC. τὸν
µαστορη AC. Ἅτοὺς µαστόρους Vo. Ó µάστορη Vo. à µαστόρη Animadvertas velim in
hac declinatione semper nominati- vum, et vocativum pluralem debere acui in
penultima: vocativum vero singularem acui in antepenultima si nomen sit
trisyllabum, si vero quadrisyllabum in præantepenultima, sive quod idem est
servare semper accentum sui nominativi, ut ex allatis exemplis licet colligere.
V declinatio amplectitur tam masculina in az et 7; barytona, quam in τς ὀζύτοναχ,
et foeminina in +, quorum obli- qui singulares retinent.recti vocalem ablata ς
in masculinis, et addita in foemininis. Pluralis vero nominativus est pluri-
syllabus in ade; vel οὔδες, genitivus in ων, accusativus et voca- tivus similes
sunt nominativo. Exemplum ín as, Sing. Plur. N. ó µασκαρὰς nugator. N. οἱ
202020 G. τοῦ µασκαρὰ α. τῶν µασκαράδων Δ. τὸν µασκαρὰ Α. τοὺς µασκαράδες V. ὦ
µασχαρὰ γ. ὦ µασκαραθες. MEYER. GRAMM. GRECQUE] Exemplum in xs. Sing. Plur. No.
6 χριτῆς judez. No. οἱ χριταθες Ge. τοῦ xp Ge. τῶν κριτάδων s ACC. Toy χριτὴ
Acc. τοὺς χριτάδες Voc. ῥὦ κριτή Voc. ó κριτάδες, Exemplum ὃν ις. Sing. Plur.
No. 6 xps domínus. No. oi χυροῦθες 10e. τοῦ χύρι Ge. τῶν κυρούδων Acc. τὸν χύρι
Acc. τοὺς κυροῦδες Voc. à χύρι Voc. et χυροῦδες Adverte composita ex isto
nomine χύρις ut νοιχοκύρις; Χαραθο- χύρις, etc. formare nominativum pluralem in
ide; non in οὔδες, 15 dicimus enim νουιοχύριδες, καραβοκύριδες retinentes t, in
omnibus obliquis. Exemplum feminini in a. Sing. Plur. No. #ucyx mater. No. *
µανάδες s) Ge. τῆς μάνας Ge. . tà» μανάδων Acc. hy μάνα Ac. ταῖς µανάδες Voc. ὦ
µάνα Vo. ὠμανάδες Ex quibus colligi potest nomina in ας et ης masculina, et
foeminina in « habere nominativum pluralem in ἄδες sola e; vero masculina in et
in oie. Sexta, et ultima declinatio continet tantum nomina περιττοσύλλαθα
neutrius generis, quorum terminatio est α vel :, genitivus plurisyllabus in ου,
ac cæteri casus ut nominativus. His addi possunt nomina neutra in v. Exemplum
in a. Sing. Plur. Νο. ro κρίμα peccatum. No. tà κρίµατα Ge. roù κριµάτου Ge. τῶν
κριμάτων AC. To χρίµα AC. τὰ xpipata 35 Vo. c χρίµα Vo. à κρίµατα Adverte hzc
nomina desinentia in x, posse etiam terminare genitivum singularem in ος juxta
regulam græcoliteralis grammaticæ, ut si quis pro χριµάτου diceret κρίµατος,
pro στοµάτου στὀµατος, et sic de reliquis. Exemplum in ι. Sing. Plur. Nom. τὸ
rx puer. Νο. τὰ παιδιὰ $ Gen. τοῦ παιδιοῦ Ge. . rà» παιδιῶν Acc. τὸ παιδὶ Acc.
τὰ παιδιά Voc. o παιδί Voc. c παιδιὰ Observandum est hoc loco apud quosdam non
circumflecti genitivum singularem, et pluralem nominum desinentium in i quum
dicunt τοῦ παιδίσυ, et τῶν παιδίων cum accentu acuto. Verum communis usus utrósque
circumflectit, quem etiam sequendum esse censemus, cum ipse hac in re non
minimi sit ponderis, ac momenti. HETEROCLYTA nomina dicuntur, qu: vel novam
sortiuntur flexionem in plurali diversam à singulari, vel genus mutant aut accentum,
vel peculiarem quendam declinandi modum, irregularem tamen constituunt. Ad
primum genus hete- 1ο roclvtorum revocari possunt
omnia nomina foeminina in ες, quorum flexionem unius exemplo
satis ediscere poteris. Exemplum n s. Sing. Plur. Nom. 7 πίστις fides. No. nn πίσταις i5 Ge. τῆς πίστις Vel πίστεως Ge. τῶν πίστεων Ac. τὴν πίστιν Acc. tais; πίσταις Vo. © πίστι Voc. o πίσταις Ex nominibus masculinis in ος, nullum reperio quod sit
heteroclytum, prater nomen λόγος, quod in singulari
mascu- ao lini est generis, in plurali veró neutrius, et sic declinatur. Sing.
Plur. No. 6 Àdyos verbum. No. ra λόγια Ge. roù λόγου Ge. τῶν λογίων Acc. τὸν λόγον Acc. τὰ λόγια Voc. Joy: Voc. à λόγια. Huic addi potest nomen fœmininum ὄξοδος, quod cum sit tertie
declinationis, variat tamen in plurali terminationem accusativi, communiter
enim pro cai; ὄ-οδους, ponitur cai; ózo- da, quæ est terminatio accusativi
pluralis secundæ declinationis. At vero neutra omnia in os, ut à/o; flos, κέρδος lucrum, etc. et nonnulla in ον, ut δέν2ρον arbor, loco « in nominativo plu- rali reponunt »;
dicimus enim 2» lores, γέρδη lucra, et δέν- en arbores, quorum genitivus
est in à» circumflexe. ο. Nomen ῥίγας Ret, quanvis quinte
declinationis, quia ta- men accentum mutat, et terminationem in genitivo
singulari, ideo non immerito inter heteroclyta annumeramus. Dicetur igitur in
genitivo pro τοῦ ῥίγα juxta regulam τοῦ pro; caeteri casus tam singulares, quam plurales
sequuntur flexionem quintze declinationis. Nomina propria virorum in οὓς et ως, ac mulierum in ov et à, non
declinantur nisi in singulari, et retinent ου vel ω in omnibus
obliquis. At vero substantiva in o2; in utroque nu-
mero declinantur. Singula propriis exemplis elucescent. 20 Evemplum virorum in οὓς et w:. Sing. Sing. No. 0 [ησοῦς Jesus. No. ὁ
Mivyo; Minos. Ge. roù [ησοῦ Ge. ro0Mówg — Ac. τὸν [ησοῦν Αο. τὸν Μίνων 2: Vo. o [ησοῦ Vo.
à Mw Exemplum mulierum in ov et o. Sing. Sing. No. 7" μαϊμοὺ simia. No. 75» Avo Latona. Ge. Tr μαϊμοὺ Ge. τῆς Aro 30 AC. τὴν μαϊμοὺ Ac. την Λιτὸ Vo. à μαϊμοὺ Vo. ὦ Λιτὼ Exemplum substantivorum in οὓς Sing. Plur. Nom. ὁ νοῦς
mens. Nom. οἱ νόοι Gen. τοῦ νοῦ Gen. τῶν νόων Acc.
τὸν vov Acc. τους νόους Voc. ὦ vou Voc. ὦ νόοι
Nomen item nou; et πολὺ heteroclytum est, licet foemininum πολλὴ nequaquam sit, cum observet regulas secundæ declina-
tionis. Quare sit exemplum
masculini πολὺς, et neutrius πολὺ. Sing. Plur. Nom. ὁ πολὺς multus. No. οἱ πολλοὶ Gen. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 5 Acc. Toy row Ac. τοὺς πολλοὺς Voc. o πολὺ ' Vo. © root. Sing.
Plur. No. τὸ πολυ muwultwm. Νο. τὰ πολλὰ (49. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 10 Acc. ro πολὺ Acc. τὰ πολλὰ Voc. o πολὺ Vo. ὦ πολλὰ His adde omnia nomina in u; barytona ut βαρὺς, γλυὺς, et alia, qua sic flectuntur. Sing. Plur. 45 No. ὁβαρὺς gravis. No. οἱ βαρεῖς Ge. τοῦ βαρυοῦ Ge. τῶν βαρυῶν Acc. roy βαρὺν Acc. τοὺς βαρεῖς Voc. à βαρὺ Voc. o βαρεῖς. Neutra eorum in v, non sunt
irregularia sed pertinent ac » reducuntur ad ultimam declinationem, et eodem
modo declinantur quo desinentia in i. atque hæc de heteroclytis. Verbalia
quædam deducuntur à presente versa o in r, si aliqua praecedat consonans, vel
simplex vocalis, sic à v:xo formatur νίκη victoria, et à βοῶ for clamor : si vero vocalem o, ss praecedat diphthongus
ευ, tunc ο, mutatur in a, et v inc, unde à
ὀρυλεύω fit δουλεία servitus, et à φτωχεύω φτωχεία paupertas. Verum siante o, ponaturov diphthongus, o
quidem vertitur in nat vu abjicitur, ut zxow» audio, a«or, auditus. Ex verbis
in γω, quorum penultima est ευ, formantur 30 etiam verbalia in
», rejecta v, ut ex φεύγω φυγή fuga. Ea vero quæ vel solam e habent, vel junctam cum in
penultima, mu- tant o in oc, ε in ο, et abjiciunt « ut λέχω λόγος verbum, σπείοω σπόοος Semen. Sunt etiam alia verba in
γω, quorum penultima est in x, et
hiec verbale formant in t, ut ozye φαγὶ, cibus, et ss additione ro, φαγιτὸ. Verba etiam in ὁῶ circumflexa verbalia habent in
t, ut τραγουδῶ CAO, τραγοῦλι cantus, et lolo da floreo, λουλοῦδι flos. At in νῶ, et 0o formant verbalia in ος, ut πονῶ do- leo, πόνος dolor, et ποθῶ desidero, πόθος desiderium. Tandem ex verbis in
uw effingi possunt verbalia in µα rejecta v, ut à κάμνω facio, κάµωμα factum. Quædam autem suam desumunt originem ab aoristo
activo, et hæc vel desinunt in ux et uo;, vel in i, velin ua. S Verbalia in ya
et µός formantur à prima persona
aoristi - primi, qui si fuerit in σα verborum barytonorum formabit guum verbale ponendo inter
set x, u, ut ἀνούω audio, aoristus primus est ἄχουσα, hinc interposita u, inter c et
a, fit ἄχουσμα auditio, et versa ux in uo; ακουσμὸς nominis fama. Dixi verborum barvtonorum,
quia. aoristi verborum circumflexorum mutant simpliciter ox in uz, et rejiciunt
c, si fuerit augmen- tum syllabicum, ut κινῶ, ἐκίνησα; ox in ua, et ablato e, aug-
mento syllabico, xéaux motus. Verbum δένω ligo, quanvis barytonum, et aoristum habeat in σα, ejus tamen verbale exit in ux,
et non in cua, ut ἔδεσα, Œua vinculum, et additione τι, δεμάτι fasciculus. Si ultima aoristi fuerit in λα, vel ρα formanda erunt verbalia in ua,
et voc, interpositione u, εἰ ablatione augmenti, quod si
ejus penultima fuerit ει, rejicienda est ι. si vero n 0 tantum verti debet
in α, ut σπείρω semino, ἔσπειρα. antpux Se- men, δαίρνω verbero, ἔδηρα, ὀαρμός verberatio. Tandem verbalia in τς, τα, et wo deducuntur à secunda per- sona ejusdem aoristi
mutando ε in :, et abjiciendo e, si
fuerit augmentum syllabicum, ut ab εκίησες, Ἀίνησις motus, ab ἐπορπάτησε: Gmbulasti, ποοπατησιὰ ambulatio, et ab ἔκλεψες furatus es, Χλεψιμιό furtum. Adverte tamen
caracteristicam v, ver- tendam esse in c, ut*ab éxcues judicasti fit κοίσις judicium, mutata v in £,e in ν et rejecto augmento. Atque hæc
de derivatione verbalium substantivorum, nam 30 de adjectivis infra suo loco
dicendum. Illud tantum addo ex ipsis substantivis derivari alia nomina
substantiva in ox, έζα, οὔλα, et όπουλον, quæ diminutionem
significant, ut à ματι OCUÎUS, µατάκι OCellus, à καρδιὰ cor, καρδίζα corculum, à ψυχη anima, ψυχούλα animula, et ab εὐκγγέλιον evangelium, εὐχγγελιόπουλον evangeliolum, etc. Jam dicamus
de numeralibus, quorum aliqua sunt cardina- lia, ut loquuntur, alia ordinis.
Cardinalia sunt hæc: Masc. Fam. Neut. 10 Sing. Ν. ἕνας unus. µία una. ἕνα UNUM. (1. ἑνὸς vel ἐνοῦ μιᾶς ἑνοῦ À. ἕναν vel ἔνχνε. μίαν ἔνχ. Hinc composita masculini
generis καθένας unusquisque, xavé- vas nullus,
vel κανεὶς à literali εἷς, et foeminini πασαµία unaqueæ- que, et χαµία nulla, et neutrius καθένα, et per syncopem xat
unumquodque, et χανένα mullum, eodem prorsus modo
flec- tuntur, quo primitiva ἕνας, µία, ἕνα paritérque carent numero 5 plurali, et vocativo. Avo
duo, est omnino indeclinabile omnisque generis, cum dicatur οἱ, αἱ καὶ τὰ δύο, in omnibus casibus solos
articulos variando; reperitur tamen interdum genitivus τῶν duo duorum. Τρεῖς tres, est commune, cujus
genitivus cpu, acc. τρεῖς. Neutrum habet τὰ τρία tria. ge. τριῶν. acc. τρία. Técoape; quatuor,
etiam est masculini ac fceminini generis, ge. τεσσάρων. acc. técoapes. Neutrum est τὰ τέσσαρα. ge. τεσ- σάρων. acc. τέσσαρα. Atque ab his usque ad ἑκατὸν centum sunt is indeclinabilia,
ut πέντε quénque, et sex, ἑφτὰ septem, óxzo octo, one novem,
déxa decem, ἔνδεκα undecim, δώδεκα duodecim, (ὁριατρία vel δεκατρεῖς tredecim, δεκατέσσαρα Vel δεκατέσσαρες qua- tuordecim, apud modernos
Grecos declinantur,) δεκαπέντε quindecim, δεκάξη sexdecim, δεκαφτὰ septemdecim, δέκα ὀκτὼ 30 decem et octo, δέκα ἐννειὰ decem et movem, εἴιοσι viginti, εὔνοσι ἕνα viginti unum etc. τριάντα triginta, σαράντα quadra- ginta, πενήντα quinquaginta, ἑξήντα sexaginta, ἑδδομήντα sep- tuaginta, ὀγδοήντα octoginta, ἑνενήντα nonaginta, ἑκατὸ cen- tum. Hinc jam incipiunt declinari oi διακόσιοι, n διακόσιαις, τὰ ss διακόσια ducenti, etc. τριακόσιοι trecenti, etc. χίλιοι, χίλιαις, χίια mille, hinc δύο χιλίαδε duo mille, τρες χιλιάδες tria millia, récoures χιλιάδες quatuor millia, etc. usque ad ἕνα μιλιοῦνι millionem generis neutrius, unde déo μιλιούνια duo milliones et sic deinceps.
Ordinalia sunt πρῶτος primus, δεύτερος secundus, τρίτος tertius, τέταρτος quartus, πέµπτος quintus, ἔχτος sextus, ἔδδομος septimus, ὄγδοος octavus, ἔννατος nonus, δέχατος decimus, ἐνδέ- χατος wndecimus, δωδέκατος duodecimus, δέκατος τρίτος tertius decimus, δέκατος τέταρτος decimus quartus, etc. εἰκοστὸς vige- s; simus, εἰκοστὸς πρῶτος vigesimus primus, etc. τριακοστὸς trigesimus, τεσσαρακοστὸς quadrigesimus, πεντηκοστὸς quinqua- gesimus, ἑξηκοστὸς Sexagesimus, ἑβδομηκοστὸς septuagesimus, 1., ligne 12 de
l'édition originale, le texte porte μιλῶν, puis μιλιούνια. —, 1. 6, il a διακοσιστὸς. Dans un cas comme dans l'autre
ce sont de simples fautes d'impression. ὀγδοηκοστὸς OCtuagesimus, ἐννενηκοστὸς nomagesimus, ἑκατοστὸς centesimus, δικκοσιοστὸς ducentesimus, τριακοσιοστὸς trecente- Simus, τετρχκοσιοστὸς quadringentesimus, etc. χιλιοστὸς mille- simus, χιλιοστὸς πρῶτος millesimus primus, et quæ
sequuntur. AnjECTIVA Sunt quae propriis ac substantivis nominibus præfiguntur :
horum autem quedam sunt in ος, quædam in ης: alia in a5, alia in ig, alia
denique in υς. De uniuscujusque terminatione
singillatim agendum hoc loco. Et primo quidem adjectiva in o; pertinent ad
tertiam declinationem, quorum si terminatio fuerit in o; purum, quod Scilicet
non subsequitur consonans, sed vocalis, aut diphthongus, foeminina desinent in
«, ut ἄγριος ferus, &yovx fera, ἄγριον Jerum. Unum excipe óydoo;
octavus, ὀγδόη octava. Si vero Sint in o; non
purum, habebunt fceminina in v, ut καλὸς, xa35,. καλὸν bonus, bona, bonum,
qux ad secundam declinationem revocari debent, neutra vero in ov tertize
declinationis. e; Adjectiva in ης quædam sunt prime,
quaedam quintæ declinationis, utraque fœmininum formant vel in pu secunde
declinationis, ut κλέφτης fur, κλέγτρια. ἀκαμάτης negligens, ἄχαµάτρια: Vel in σα illud addendo, ut χωράτης rusticus, χωριάτησσα rustica, etc., quæ semper
retinent accentum penultimæ sui s»; masculini, ut patet in exemplis allatis,
exceptis duntaxat adjectivis in ϱης, quorum fœminina
non observant accentum penultimæ, ut διχκονάρης mendicus, διακοναριὰ mendica et ψωµατάρης Tnendazx, ψωµαταριὰ, etc. atque hsc omnia neutris carent. ᾿ x» At vero in ας sunt quinte declinationis, et
formant fœmnina aliquando in αινα ut pxyxs VOTAX, φάγαινα voraz; Sæpissime in ica, ut βασιλιὰς Imperator, βασίλισσα Imperatriz, ῥίγας Rex, ῥίγισσα Regina, et alia plura quæ
neutrum penitus ignorant. Que desinunt in et ad sextam declinationem
referuntur, et habent fceminina in iz secundæ declinationis, neutra vero in,
sextæ declinationis, ut pæzpis, µαχριὰ, μακρὶ longus, longa, longum. Nomen κύρις Dominus, foemininum habet χυρὰ, non vero κυρία, nec format neutrum inc | 40
Tandem adjectiva in w sunt etiam sextæ declinationis, ex quibus for(P. 47)mantur
fœminina in eix secund: declina- tionis, et neutra in ? sextæ, ut γλυκὺς, γλυκεῖα, γλυκὺ dulcis, et dulce. Bzpu;, xotix,
βαρὺ gravis, et grave, et hujusmodi
plura. Jam Comparativa in repos, et Superlativa in raro; ex iis præcipue
deducuntur adjectivis, quorum terminatio est in ος, ες, et v; ; alia enim explicant
sua comparativa, vel per πλέα vel per µεγαλήτερος; », o», Superlativa vero per µεγαλώτατος, n, ov, ut cum dicimus πλέα ἀκαμάτης negligentior, µεγαλώτατος φαγὰς edacissimus, et ó µεγαλήτερος ἄοχοντας τῆς χώσας tota urbe nobilior. Quá tamen ratione Comparativa, et
Superlativa formentur ab adjectivis in ος, «c, et us, quaeve litera dematur, mutetür- que vocalis
sequentibus clarum fiet exemplis. ( ἄγριος ἀγριώτερος &ypworzros sylvestris ος $ ἔνδοζος ἐνθοξότερος ἐνδοξότατος gloriosus 15 σοφὸς, σοφώτερος, σοφώτατος, SUDIENS. ις | μακρίς, µακρίτερος, µακρίτατος, longus. u; | βαρὺς, βαρύτερος, βαρύτατος, gravis. Ex his facile colligere potes, adjectiva in ος, quorum pe- nultima est longa, servare o, in comparativis
ac superlativis ; mutare vero in o, cum sit brevis. Adverte etiam in hac
lingua, ex adjectivis in o; non purum, formari quidem comparativa in τερο:, et superlativa in raros, sed mutari o in η, in solis comparativis : sic à καλὸς bonus fit χαλήτερος
?elior, à γοντοὺς CTASSUS, χοντρήτερος
C'assior, à usya- λος Magnus, µεγαλήτερος
major, etc. Posset aliquis dicere hujus- modi comparativa desumi à foemininis καλη, χοντρή, et µεγάλη
addito recos, sed tunc cave ne dicas superlativa «a4Zracos, χον- τρήτατος, et µεγαλήτατος, hæc
enim semper respiciunt masculina; quare dicendum erit καλώτατος optimus, χοντρότατος
crassissimus, et μεγαλώτατος maximus. Adverte item adjectivum φίλος non habere comparativum in τερος, et Superlativum in τατος, sed
illa exprimere per µεγαλήτε- pos, et µεγαλώτατος, Ut
pod εἶνχι τοῦτος µεγαλήτερος φίλος οδί hic mihi magis amicus, et µεγαλώτατος φίλος amicissimus. Ex adjectivis in uz, πολὺ: tantum est irregulare, hujus enim comparativum est
vel πολλότερος à moo; inusitato, vel περισ- σότερος à περισσὸς, undein plurali περισσότεροι major pars, vel plerique : superlativum vero πολλότατος quan multus à πολλ2ς. Atque hæc de gradibus comparativis et superlativis,
super- 4o est ut nonnulla dicamus de adjectivorum derivatione, ut completam de
illis habeamus doctrinam. Adjectiva quaedam sunt primitiva ut χαλὸς bonus, quædam derivata ut
Tewxónow parvus Turca. À primitivis deducuntur alia, quæ diminutiva dicuntur,
quorum ter- minationes sunt in ούτζυιος, n, ov, et in όπουλος, α; ov, ut καλὸς s bonus, καλούτζιχος, n, ον, subbonus, a, um. et ῥωμπὸς græcus, ῥωμηόπουλος, α, ον, greculus, a, um, et similia. A
substantivis feminini generis in «, modo exeunt adjec- tiva in as, ut à γλῶσσα lingua, γλωσσὰς loquax : modo in κὸς ut à καρδιὰ COT, καρδιακὸς cordialis : modo in pw ut à βάρκα ιο cymba, βαρκάρης portitor: modo in
ov, ut à γυναῖκα mu- lier, γυναικούλης muliebris: modo in τερὸς, ut a ζημιὰ dam- num, ζημιατερὸς damnificus ; et tandem in vos,
ut à χαπέλα sacellum, καπελάνος sacrarii custos. Item præstandum
est si à neutris deducenda sunt adjectiva, cum hac tamen differentia, quod
nominativo plurali addenda sint, p;, roc, ινὸς et paxo;, ubi in foemininis soli nominativo singulari
imponebantur, sic à χέρατα cornua, additione v, fit κερατὰς cornutus, à παραμύθια fabulæ, additione pns, παραμνθιάρης fabulosus, à γέεια barba, γενειάτος barbu- so tus, à ψώματα mendacia, ψωμµατωὸς, et ψωματάραος mendax, et
hujusmodi plura. Substantiva foeminina in », modo sua formant adjectiva in ηρὸς, ut τόλμη audacia, τολμηρὸς audax ; modo in ερὸς, ut βλάβη noxia, βλαθερὸς noxius; modo in repos, ut λύπη tristitia, λυπη- as τερὸς tristis : modo in τικὸς, et vc, ut cum honor, τιμητοιὸς et τί- µιος honorificus, et denique in pa;
verso v in «, ut µήτη nasus, µηταρας nasutus. Sic etiam à
substantivis in o; deduci possunt adjectivain ερὸς, ut à dodo; dolus, δολερὸς dolosus, à φόθος timor, φοθερὸς timendus 30 etc. in
οιὸς, ut à τέλος finis, τελιχὸς finalis, τόπος locus, (P. 52) το- rexos localis, et alia : in
vc, ut ab οὐρανὸς calum, οὐράνιος cælestis : in εινος, ut ab aeco; aquila, ἀετεινὸς aquilinus: in vos, ut ab ἄνθρωπος homo, ἀνθρωπωὸς humanus; et tandem in ιάροιος, ut à ῥόζος nodus, ῥοζιάρικος NOOSUS, κμπος κομπιάρικος, et similia. ss À neutris in ον fiunt adjectiva in ένιος et ενος, ut à ξύλον lignum, ξυλένιος, et ξύλινος ligneus : item in coc, ut à πρόσωπον persona, προσωπικὸς personalis. At neutrorum in «,
adjectiva exeunt vel in dom, ut ypœu accipiter, γερακάρης accipitra- rius : vel in ἄτος, ut μουστάκι MyStAT, µουστακάτος mystacem 0 habens magnum : vel
in ταος, ut σχυλὶ canis, σχυλίτοιος σαπέ- nus : vel sæpissime in ac, ut ψάρι páscís, ψαρὰς piscator, µου- λάρι mulus, μουλαρὰς mulio, et hujusmodi
plura. Fœminina in &, quæ non sunt verbalia habent adjectiva simpliciter in
ræos,ut πόλις urbs, πολιτινὸς urbanus, verbalia vero si sint
in os mutant ç in v, ut χίνησις motus, κινητυκὸς motivus ; si vero in φις, vel Ex. i vertetur in g, et E
in x, ut βλάψις (quod tamen non est in usu) βλαντικὸς damnificus, et s φύλαζις conservatio, φυλακτικὸς conservativus. Sunt etiam non
exigui numeri adjectiva, quæ suam des- umunt originem à verbis, quorum alia
sunt in aro;, alia in prog, alia in χρὸς, quædam in της, et Tes, alia demum in τὸς; ho- rum autem formationem is omnium optime tenebit, qui
græcoliteralem grammaticam in primis calluerit: Verum ne rudis et Tyro, et τῶν ἑλληνικῶν µαθηµάτων penitus ἄγευστος ab hac nostra
Græco-vulgari lingua longe videatur arceri, has sibi regulas observandas
proponat. Primum adjectiva in aro; derivari à presenti mutato ω in 15 a, et addita τος, ut à φεύγω fugio, φευγαάτος fugitivus : item in »oo; mutato
o in », ut a πνίγω Su[foco, πνιγηρὸς suffocato- rius: item in µος, et precipue a verbis in do
versa ζω in pros, ut à γνωρίζω COJNOSCO, γνώριμος cognitus : item in xo; muta-
tione ω in «, ut à γράφω scribo, γραφυὸς, qui pertinet ad so scripturam.
Secundoadjectiva in τυκὸς, τῆς et vo; deduci à prima persona aoristi activi versa
ultima syllaba in ræos, τῆς et τὸς, rejectó- que augmento, ut ab ἐκίνησα movi, fiunt κινητικὸς motivus, κωητὴς MOVENS, et κωητὸς Mobilis, ἀγάπησα amavi, ayamncos t5 amabilis, ἀγαπητῆς amans, ἀγαπητιαὸς amatorius, unde ἄγα- run amasia, et similia. Quod
si ultima aoristi exierit in £a, vel da,tunc in formandis adjectivis E verti
debet in x et ψ, in vel φ et a, in τικὸς, τῆς et τος, ut ab ἔσμιχα miscui, fit σμικτὸς mixtus, σμικτικὸς admixlivus, et ouixrns miscens
sic ab ἔγραψα 30 deduci possunt γραπτὸς scríptus, yp&(P.55)prn;
scriptor, et γραφτικὸς qui scribi potest, et ita de
reliquis. Ῥποπονινα dividi solent in primitiva, possessiva, demon- ss
strativa, relativa, composita, interrogativa, et infinita. Primitiva sunt tria,
ἐγὼ prim» persons : ἐσὺ {u,
Secun- dz persons; τοῦ sui, tertiæ persons. Hæc autem sic flec- tuntur.
Sing. Nom. εγὼ ego. Gen. poo mei, et mihi. Acc. é£u£yx vel μὲ me. Plur. Nom. ἐμεῖς nos.
5 Gen. ἐἑμῶν et ἐμᾶς mostrum vel nobis. Acc. ἐμᾶς νε] μᾶς nos. Sing. Nom. cv tu. Gen. σοῦ tui et tibi. Acc. ῥἐτένα vel oc te. 10 (P. 56) Plur. No.
ἐσεῖς VOS. Gen. ἐσᾶς vel σᾶς vestrum et vobis. Acc. ἐσᾶς vel σᾶς vos. Sing. Gen. τοῦ sui vel sibi. Acc. 1680. 45
Plur. Gen. τῶν suorum vel sibi ipsis. ACC.
cov; SUOS. Ubi adverte duo priora primitiva habere
genitivum plura- lem similem accusativo; posterius vero carere utroque nomi-
nativo, atque hac omnia tria privari vocativo. Item accusa- «0 tivum τὸν, quum postponitur alicui verbo assumere :, ut εἴδατον vidi illum, εἴδατονε.
Possessiva sunt sex, ἐ)ιιόσμου, ἐδικήμου, ἐδικόμου, meus, mea, meum : ἐδικόσσου, ἐδικήσου, ἐδικόσου tuus, tua, tuum: ἐδιιόσ- του, ἐδικήτου, ἐδικότου SUUS, δα,
SUUM : ἐδικόστου quum ad fce- :; minina tantum refertur assumit non
ineleganter pro του, της, Videlicet ἐδιχόστης, εδικήτης, ἐδικότης, non
solum in singulari, sed etiam in pluraliéduxóguas, ἐδιχήμας, doux; noster, nostra, nostrum : ἐδικόσσα:, ἐλικήσας, ἐλικόσας
vester, vestra, vestrum : ἐδικόστων, ἐδικήτων, ἐλικότων vel ἐδιχόστους, &ui- τους, ἐδικότους €0rum, earum, eorum. Horum masculina, et neutra ad
tertiam pertinent declinationem, fœminina vero ad Secundam, et µου, σου, του, µας, σας, των et τους, remanent im- mutata in omnibus obliquis, ut ἐδιχόσμου, ἐδικαῦμου, ἐδιχόνμου,
etc. Dicitur etiam éCwósuov,' δικήµου, δικόµου, ablata e, si præ- 3; cipue preecedat
vocalis, vel diphthongus, ut εἶναι δικόµου τὸ χαρτι,
liber est meus. Demonstrativa sunt duo, τοῦτος vel ἐτοῦτος hic, ἐκεῖνς vel χεῖνος
ille, tertiæ declinationis, quarum fœminina τούτη
h&c, et εκείνη illa, secundae ; et neutra τοῦτο, et ἐχεῖνο hoc, et illud # tertiæ. Animadvertas
rogo, genitivum singularem et plura- lem juxta regulam non debere
circumftlecti, cireumflecti tamen apud quosdam vel additione alicujus syllabæ,
ut fit in genitivo singulari τούτου Aujus, τουτουνοῦ, τούτης, rournvis, et in plurali τούτων horum, couzow ; vel sine ulla additione, ut quum
dicunt ἐχεινοῦ pro éxeivou, ἐκεινῆς pro ἐχείνης, et ἐκεινῶν pro ἐχείνων.
Relativa quatuor enumerari possunt αυτὸς, αὐτὴ, «vro ἔρδο,
ipsa, ipsum, quod interdum sumitur pro £y», ἐσν et
exeivos : ἔποιος, ἔποιχ, ὅποιον, vol
ἔγοιος, Éyoux, ὅγοιον
quicunque, queæ- cunque, quodcunque : ὁποῖος, ὁποῖα, Onoicy Qui, qua, quod, et correspondet articulo
literali ὃς, 7, 0 et ἔστις
quisquis, cujus genitivus ὄτωος, accusat. ὅτια, et
non plus ultrà. Ex relativo αὐτὸς, αὐτὴ, αὐτὸ deducuntur composita tria. Prime persone ἁπατόσμου vel ἁατόσμου eo ipse, αἀτήμον vel ἁπατήμου, ego ipsa. Secundæ personæ ἁπατόσσου vel ἀτόσσου iu ipse, ἁπατήσου tu
ipsa : et tertie personæ ἁπατόστου vel ἀτόστου Se 2pse, ἁπατήτου vel ἁπατήτης ipsa. Hec pronomina solum habent utriusque numeri
rectum, obliquis carent, et genere neutro, verum id tantum admittit tertia
persona, cum reperiatur ἁπατότου et ἁπατάτα. Cæteri casus desumi debent à sequentibus. Et quidem prim:
persona. Sing. Gen. ἐμαυτοῦμου met ipsius. ACC. ἐμαμτένμου Me ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦμας nostrum ipsorum. ACC. ἐμαυτόνμας mos {ρδοδ. II persona. Sing. Gen. ἐμαντοῦσου fui ipsius. Acc. ἐμαυτόνσου Le ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦσας vestrum ipsorum. ACC. ἐμαντόνσας VOS $psos. III verd persons.
Sing. (Gen. ἐμαυτοῦτου sui ipsius. Acc. ἐμκχυτόντου Se ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦτους vel éuavroëruv. Acc. ἐμαυτόντους Vel ἐμαντόντων. Nota hujusmodi pronomina
primæ, et secundæ per- sonæ communia esse maribus ac foeminis immutato prono-
mine µου et σου : tertiæ vero non item, cum pro
του foeminina Sibi adsciscant της, ut τοῦ ἐμχυτοῦτης, et τὸν ἑμαυτόντης, atque id tantum fieri debet in
singulari, nam in plurali utriusque generis nomina omnino conveniunt.
Interrogativa pronomina sunt haec τὶς quis et qua, com- munis generis: ri quid? neutrius ποῖο vel mot; quis saut qualis?
omnis generis ita ut fcemininum exeat in a, ut ποῖα QUO ? et neutrum in ον, ut ποῖον, quale? de flexione
ποῖος, nulla potest esse difficultas,
ideo ponemus tantummodo declinationem τὶς et «i. Masc. et Fœm. ιο Séng. N. ris quis et quæ? Plur. N. rives qui? G. τίνος G. τίνων À. τίνα À τήας. (5. 61) - Neut. Sing. Nom. τὶ quid? 45 Gen. τίνος Acc. rti. Neutrum plurali
caret, pro quo usurpatur ποῖα, ut ποῖα πραγ- para qua res? Differt τις à τοὰς non tantum syllabis in recto,
et in obliquis accentu, cum τωὰς habeat genitivum
ro, et ac-cusativum rox, verum etiam significatione, nam cruz; significat
aliquem, vel nullum, nec est interrogativum, ut «is. A pronomine ποῖος derivatur κάποιος, χάποια, χάποιον aliquis : ἔποιος vel ὅγοιος quisquis, et à τις ὅστις quicunque, quæ reti- nent suorum, ut ita dicam, parentum
declinationem. :3 Demum tria sunt pronomina que dicuntur infinita, δεῖνα talis et tale, omnis generis.
gen. deivoz. acc. dx, caeteris ca- Tet. τέτοιος, τέτοια, τέτοιον lalis, et ταδεποιὸς, ταδεποιὰ, ταδεποιὸ talis et fale, atque hæc declinantur integré per omnes
casus et numeros, masculina quidem et neutra juxta tertiae, fœminina vero juxta
secundæ declinationis modos, ac for- mam. Illud observatione dignum hoc loco
censui μοῦ, σοῦ, τοῦ, μὲ, σὲ, τὸν, τῶν, τῆς et τοὺς: enclyticas appellari voces,
quod vel pro- prium amittant accentum, vel illum ad præeuntem, ac præcedentem
syllabam remittant. Hoc autem tribus modis, ut plurimum potest contingere.
Primo si antepenultima præcedentis dictionis acuatur, vel penultima accentum
habeat circumflexum, ut τὰ »piuat& µου peccata mea, ἡ Μοῦσα σου Musa tua, τὰ λόγια του verba sua, etc. SecundoSsi vox
antecedens enclyticam accentum habeat acu- tum in penultima, vel gravem in
ultima, pronomina illa penitus quidem suum deponunt accentum, at gravis transit
in acutum, ut ó λόγος του verbum suwm, τὸ πουλίµου avis mea: circumflexus tamen remanet immutatus, ut κινῶ cc mo- veo te : idem præstatur
si ultima prioris vocis acuatur. Tertio et ultimo usus obtinuit in enclyticis
pronominibus; suum ipsorum accentum retinere, quando præpositionibus
conjunguntur, vel conjunctionibus disjunctivis, ut διὰ σὲ propter te, non διά σε, et ñ μὲ σκοτώνω ἡ σέ ἐλευθερώνω vel me occido, vel te libero,
et similia. Ur facile est hodiernae Grecs lingue Verborum conjugationes
exponere, cum multiplicem illam tot temporum, modorümque respuerit
distinctionem, ita quoque perarduum esse constat eadem in certas distribuere
classes, certísque 5 sedibus collocare, tam ob defectum futuri, quam propter
diversam finalium characteristicarum varietatem, ne dicam corruptionem. Ceterum
antequam ad istam terminationum farraginem deveniamus, non abs re videbitur
nonnulla præmittere, quæ ad faciliorem Verborum notitiam requiruntur. so Verba
igitur omnia vel sunt activa, quorum nota est o, et formant passiva in µαι, vel passiva ab activis
deducta, vel neutra qux desinunt in «e, sed nullum efficiunt passivum in µαι, vel demum deponentia, quæ
vocem ac sonum habent passivum, at significationem activam; rejiciantur ss ergo
ab hac lingua verba communia, seu, ut Grammatici loquuntur, media. Sunt etiam
alia verba quas dicuntur impersonalia, non quod nullius sint persons, cum
efferantur in tertia persona; sed quod ad nullam certam, et deter- minatam
personam referantur, ut quum dicimus πρέπει νὰ ἀκολουθήσωμεν τὴν ἀρετὴν, καὶ νὰ ἀφήσωμεν τὴν χακίαν Oportet ut virtutem sequamur,
vititmque relinquamus, illud "pere: nullam habet personam, quam certo et
definite respiciat. Dividuntur supradicta verba duas in partes, quarum una ss
nuncupatur barytonorum, altera circumflexorum, verba nanque in ut, nec per
somnium quidem vidit unquam praesens Grecia. Utraque verba duos habent, ut
nomina, numeros singularem et pluralem, tres personas, quinque tempora, quorum
tria sunt simplicia Præsens, Imperfectum, et Perfectum, duo vero composita,
Plusquam-perfectum, et Futurum, modos item quinque Indicativum, Imperativum,
Optativum, Subjunctivum, et Participium. Carent Infinitivo s pro quo utuntur
Subjunctivo. Verba quc vulgo appellantur auxiliaria, quibus supradicta illa
tempora composita exprimuntur duo precipue sunt θέλω volo, et ἔχω habeo, hoc quidem
utimur ad exprimendum Plusquam-perfectum, illo vero Futurum et præsens
Optativi, per suum Imperfectum ἤθελα vellem. Jam
barvtonorum Conjugationes tradamus, quarum numerus à varia Perfecti, seu
aoristi terminatione colligi debet. Cum igitur Perfectum modo exeat in φα, modo in £a, et cx, modo in
quatuor liquidas À, u, v, o, pro hujusmodi is quadripartita Perfecti desitione,
quatuor etiam nos barytonorum conjugationes instituemus. Prima est in (o, βγω, πω, qu, et cro, ut αλείθω ungo, νίόγω lavo, λάμπω fulgeo, γράφω scribo, ἀνάφτω accendo, perfectum habet in dz,
ut ἄλεψα unti, ἔνιψα ο lavavi, ἔλαυψα affulsi, ἔγραψα scripsi, ἄναψα accendi. Ad hane conjugationem
revocari possunt verba in eu» vel εὔχω et πώγω, ut βασιλεύω vel βασιλεύγω regno, et σκηύγω inclino, quorum perfectum apud
quosdam Græcos exit in ja, ut εδασί- Asa pro εξασίλευσα regnavi, et ἔσκνψα inclinavi, fortassis . >;
Similitudo soni ευσα et ex, eos in hujusmodi
mutationem, vel potius errorem induxit. Secunda in γω, xo, Χνω, Χτω, χω; yv», σσω et ζω precipue trisyllabum et
dissyllabum, et quod ante £ assumit «, ut πνίγω Suffoco, πλέκω mnecto, δείκνω ostendo, τρέχω curro, pixco 404040; σποώχνω impello, ów»ro persequor, τάσσω pro- mailto, κράζω et φωνάζω voco seu clamo, perfectum habet
in £a, üt ἔπνξα suffocavi, ἔπλεα meri, ἔθειῖα ostendi, ἔτρεξα cucurri, &iza jeci, ἔσπρω2z impuli, ἔλιωζα persequutus Sum, ἔταία promisi, ἔχραζα et ἐφώναξα vocavi, seu clamavi. x; lertia
in do, 0», o purum, et in ζω quadrisyllabum, et precipue
quod habet ι ante 5, ut προδίλω prodo, ἀλέθω molo, ακούω QUO, σκοτειιαζω adumbro, et γνωρίζω cognosco, per- fectum efficit
in σα, ut ἐπρόλωσα prodidi, ἄλεσα molui, ἄχουσα QUdivi, εσκοτείνιχσα aduinbravi, et ἐγνώρισα cognovi. # Ad hanc
conjugationem spectant omnia verba in ώνω à græco-literali deducta in όω, et omnia illa quæ in
Græco-vulgari assumunt v ante o, ubi prius desinebant in o purum, ut τελειώνω perficio, ἐτέλειωσα perfeci, dem ligo, ἔδεσα ligavi, ἐνλύνω Vestio, &iusx vestivi, et
alia quae per o purum scri- bebantur, ut raie, δέω, et ἐνδύω. Quarta denique
continet verba in 4», po, vo, co, ut νάλλω canto, κάµνω facio, κρίνω judico, «cito corrumpo,
perfectum vero in /z, ua, vx, cz, ut &ixAx cantavi, ἔκαμα feci, &oux judicavi,
&usx corrupi. Ubi adverte quum duplex est aux in presente, perfectum primum
tantum ser- vare, ut evo ver bero, ἔδηια verberati, etc. MODUS CONJUGANDI T) VERBA BARYTONA.
Verbi Activi Indicativi. Pres. Sing. γράφω, γράφεις, γράγει Scribo. Plur. yoxqous, γράφετε, γράφουσι, vel γράφουνε. Tertiæ persons pluralis
numeri, quod in : desinit, 1: additur more Attico v, si precipue subsequatur
vocalis. Imp. Sing. έγραφα, ἔγραφες, ἔγραφε Scribebam. Plur. ἐγράφομεν, ἐγράγετε, cypAqast vel ε εγράφανε. Perf. Bing. ἔγραψα, ἔγραψες, ἔγοαψε, scripsi. 20 Plur. efiam ἐγράφε TE M ird vel ejoa. Plusq. Sing.
είχα γοάφψει, εἶγες γράψει, i yoxyat scripseram. Plur. εἴχαμεν Ὑοάψει, εἴχετε ypxLe, εἴχασι vel εἴχανε 7px a. Vel alio modo. Sing. εἶχα γραμμένα, εἶχες γραμμένα, etys γραμμένα Scrép- seram. Plur.
εἴγαυεν γραμμένα, εἴγετε γοαμμένα, εἴγασὶ Vel εἴγανε . γραμμὲνχ. Fut. Sing. θέλω γράφει, θέλεις γράψει, θελει γράψει scribam. J'lur. 0έλομεν γράψει, Deere γράφει, θἔλουσι γράψει. Vel aliis magis corrupté.
Sing. 0ὲ px Vo, 0: γράψεις, 6& γράφει scribam. Plur. 0 γράφομεν, 0€ γράφετε, 0: γράβονσι. MEYER. GRAMM. GRECQUE. Imperativi. Pres. Sing. γράφε scribe. 25 γοάψει
scribat. Plur. à; yoxbouss, γράψετε, ἃς γράψονσι. Formatur à tertia persona perfecti Indicativi
ablato 5 e augmento Svllabico : caret proprió prima persona, cam tamen mutuatur
ab optativo addita particula ας, ut as οάψ
scribam, et significationem habet indetermi- natam, et indifferentem. Optativi.
10 Pres. Sing. ἄνποτες νὰ vel as yoXbe, ἄμποτε νὰ γράψης, νὰ yox uténam scribam. Plur. ἄμποτες νὰ γράψωυεν, νὰ γράψετε, νὰ γραψουσι. Imper.Sing. Y0:x γράψει, Ἴρελες γράψει, Ίθελε γράψει scri- berem. Plur. Ἰθέχαμεν Ύραψει, θέλετε yodba, Ἰθέλασι γοάγει. Dicitur etium ἅμποτες νὰ &yox?z, vel a; ἔγραφα, et
tunc idem est cum imperfecto indicativi. Sic etiam reliqua tempora eadem sunt
cum supradictis indicativi appo- sita tantum particula a; vel aumo:zez va.
Suljunctivi. Pres. Sing. νὰ γράφω, νὰ γράφῃς, vx yoxyn "t scribam. Plur. νὰ Ὕοάγωμεν, νὰ γράφετε, νὰ ynxoust. Est etiam aliud præsens ab
aoristo, seu perfecto indicativi formatum, cujus significatio non est aded
præsens ac determinata ut prior, sed indifferens maxi- méque in usu apud
recentiores Græcos, hoc modo. Sing. vx ypxlo, νὰ yox
Voz, νὰ ypxbr ut scribam. Plur. νὰ ypxbœuer, νὰ γράφετε, νὰ γράψουσι.
Reliqua tempora sunt eadem, quæ in indicativo 30 additis tantüm particulis νὰ, et διὰ νὰ, ut ἂν δὲ, αἀγκαλὰ καὶ licet, ὅταν cin,
et ἀνισωσγαὶ δὲ. Nota tamen plusquam-perfectum, præter
illum mo- dum quo exprimitur in indicativo posse etiam sic efferri, scilicet ἂν Ίθελα γράψει δὲ scripsissem, et tunc jj idem est cum imperfecto
optativi. Futurum etiam diversis modis, præter illum decantatum indicativi, pro
varietate sermonis usurpatur. Nam cum Latine dicimus, cun scripsero, Græcè
vertetur ὅταν θέλω γράψει vel
où γράφω, χαλὰ xxi θέλω ἔχει yoxu- T μένα
licet scripsero, et reliqua. Infinitivi. Præsens, et alia tempora eadem omnino
sunt cum temporibus subjunctivi, retenta sola particula να, ut vx yzxlo scribere, νὰ ἔγραφα, etc. Participii. Præsens, et alia
tempora duobus modis exprimuntur vel Præs. simpliciter, et indeclinabiliter
mutando o præsentis indicativi in o, etaddita syllabay:zs, ut γράφω scribo, ypz- φοντας
SCribens, et hoc participium est omnis generis, vel mutuando participium ἔστοντας, et praesens subjunctivi, ut ἔστοντας καὶ vx γυάψω
scribens, vel cuin. scriberem, ita ut verbum νὰ γράφω varietur quod numerum, et personam cum opus fuerit.
Reperitur etiam apud nonnullos Græcos quoddam participium in µενος, quod licet vocem habere videatur passivam, revera
tamen activam sibi vindicat significationem, formatur ab imperfecto activo
indicativi ablato augmento, et addita syllaba μενος, ut
à πηγαίνω 60, ἐπήγαινα ' ibam, fit participium myxwxuevos iens.
Verbi Passivi Indicativi. Sing. γράφουαι, γοάφεσαι, γράφεται Scribor. Plur. γραφουμεσΏεν
vel γραφόμεβα, γραφοῦσθε Vel /ράγεσθε, γράφονται. Imp. Séng. ἐγράφουμουν,
éyoxmouoou, ἐγοάφουνο vel ἐγράφετον scribebar. Plur. ἐγραγούμεσθεν, ἐγραφοῦσθε vel εγράφεσύε, ἐγραφουντον vel ἐγραφονούντασι Perf. Sing. ἐγράφρηκα, εγράφθικες, ἐγράφθηκε
Scriptus fui. Plur. ἐγραφθήκαμεν, ἐγραφθήκατε, ἐγραφθήκασι vel ἐγραφθή- κανε. Vel alio modo elegantiore. Sing. ἐχράφθην, ἐγράφθης, ἐγοάφη.
Plur. ἐγράφθηµεν, ἐγράφθητε; ἐγραφθησαν. 1., I. 18, l'édition originale porte ἐγραφονύντασι. de l'édition originale, le texte porte eus 029i, ai
/AUEY Πραφθή, θελεις 402301, θέλει γραφθή, θέλουσι ypag95, ἴβελε γοαφθὴ. L'iota souscrit est tombé dans l'impression. Cf. p. 25 de
l'éd. princeps, plus haut p. 15, qui correspond à la p. 25 de l'éd. Plusq.
Sing. εἶχα γραφθῇ, εἶχες 7paQ0h, εἴχε γραφθῇ scriptus eran vel fueram. Plur. εἴχανεν γραφθῇ, εἴχετε γραφθῇ, εἴχασι γραφθὴ. Fut. Sing. θέλω γραφθῇ, θελεις γραφΏῇ, θέλει γραφθῇ scribar. 5 Plur. θέλοµεν γοαφθῇ, θέλετε γραφθῇ, θέλονσι γοαφθῇ. Imperativi. Pres. Sing. γράφου scribare, xs γραφθῇ scribatur. Plur. a; Ὑραφθοῦμεν (γραφβῆτε) s Ὑραφθοῦνε vel ἆς γραγθοῦσι. 10 Optativi. Pres. et Imp. Síng. #chx γραφθῆ, fürs; γραφθῇ, ἴθελε γραφθὴ utinam. scriberer. Plur. Ἰθέλαμεν γραφθῇ, θέλετε γραφθῇ, Ἰθέλασι γραφθῇ. Reliqua tempora sunt eadem cum indicativo appositis 15
tantum particulis ἄμποτε vx vel a;. Adde tamen
plusquam-perfectum posse etiam exprimi hoc modo. Plusq. Sing. à; ἵμουν γραμμένος, n, ον, &s Yrou γραμμένος, &s ἦτον γραμμένος, tinam scriptus essem. Plur. à; Ἴμεσθεν γραμμένοι, ax, a. à ἤσθενε γραμμένοι, 20 ἃς ἤτονε γραμμένοι. Subjunctivi. Pres. Séng. νὰ γραφθῶ, νὰ γραφθῆς, νὰ γραφθῇ ut scribam. Plur. va γραφθοῦμεν, vx γραφθῆτε, vx γραφθοῦσυ. Reliqua ut in indicativo cum
particulis illis νὰ, διανα, ἂν, σὰν, etc. Infinitivus convenit cum subjunctivo. Participii.
Pres. Sing. γραμμένος, γραμμένη, γραμμένον Scriptus, a, um. Plur. γραμμἔνοι, γραμμέναις, γραμμένα scripti, ta, ta. Desumitur
hujusmodi participium à perfecto passivo participii græcoliteralis ablato
augmento syllabico, utà γεγραμμµένος ablato γε, remanet γοαμμένος, sic à νενιχη- µένος victus ablato νε fit wxruévos, et sic de omnibus
passivæ vocis. De Verbis Circumflexis. s | Due sunt verborum circumflexorum
conjugationes, quarum prima est in εις ete, secunda vero in et et à. Utraque habet perfectum in
σα, sed penultima modo est e, modo
x, modo denique «. Pro quo Adverte in prima Conjugatione penultimam perfecti
tunc assumere η, quando penultima præsentis est
longa, ut τραγουδῶ CGnO, ἐτραγούδησα Cecini, πατῶ Calco, ἐπάτησα calcavi. Excipe χωρῶ capio, ἐχώρεσα cepi. Quando vero est brevis,
penultimam perfecti exire in e, saltem ut plurimum, ut πονῶ doleo, ἐπόνεσα dolui, καλῶ voco, ἐκάλεσα vocavi, βαρῶ per- s culio, ἐδάρεσα percussi, etc. In secunda
conjugatione penultima perfecti sæpissime est in », ut αγαπῶ GO, ἀγάπησα απιαυὲ, νικῶ VÍnCO, ἐνίκησα vici, et alia innumera; excipe γελῶ rideo, ἐγέλασα Τ18ὲ, διφῶ sitio, ἐδίψασα sitivi, πεινῶ esurio, ἐπείνασα esurivi, χαλῶ desiruo, ἐχάλασα destruxi, σχολὼ vaco, ἐσχόλασα vacavi, ῥιγῶ frigeo, ἐρίγασα frigui, quoa consumo, ἐφύρασα consumpsi : et quadam verba in ερνῶ, ut ζερῶ vomo, ἐξέασα VOMUI, κερῶ infundo, ἐκέρασα infudi, περνῶ Supero, ἐπέρασα SUpe- ravi : item monosyllaba
ut exo disrumpor, ἔσκασα disruptus sum, σπῶ vello, ἔσπασα velli, quorum composita
retinent eandem penultimam. ἐπαινῶ vero, et καταφρονῶ habent c, in penultima
preteriti ut ἐπαίεσα laudavi, ἐκαταφρόνεσα contempsi. Hzc autem sunt
penitus anomala βαστῶῷ duro vel tolero, ἐδάσταζα duravi vel toleravi, πετῶ volo, ἐπέταξα volavi, et ejus composita.
Exemplum Verbi Circumflexi in εἲς. Verbi Activi
Indicativi. Pres. Sing. πατῶ, πατεῖς, πατεῖ calco. Plur. πατοῦμεν, πατεῖτε, πατοῦσι Vel πατοῖνε. Imp. Sing. ἐπάτουν, ἐπάτειες, ἐπάτειε calcabam. Plur. ἐπατούσαμεν, ἐπατεῖτε, ἐπατοῦσαν. Perf. Sing. ἐπάτησα, ἐπάτησες, ἐπάτησε, calcavi. Plur. ἐπατήσαμεν, ἐἑπατήσατε, ἐπάτησαν vel ἑπατήσασι. Plusq. Sing. εἶχα πατήσει, εἶχες πατήσει, εἶχε πατήσει calcaveram. xo Plur. εἶχαμεν πατήσει, εἴχετε πατήσει, εἴχασι πατήσει. Fut. Sing. θέλω πατήσει, θέλεις πατήσει, θέλει πατῆσει calcabo. Plur. θέλοµεν πατήσει, θέλετε πατήσει, θέλουσι πατήσει. Imperativi. Pres. Sing. πάτησε calca tu. à; πατήση calcet ille. 35 Plur. à; πατήσωµεν, πατήσετε, ἃς πατήσουνε. 1., 1. 15, l'édition originale porte a; et à.— P. 79,1.
7, penulti. à la fin de la ligne, avec un point. Cæteri modi et tempora
conveniunt cum Indicativo, additis de more particulis illis διακριτικαῖς vx, διανὰ, ἄνποσες, etc. ut constat ex Darytonis. Participii. s Pres. πατῶντας, omnis generis et indeclinabile
formatur à Pres. Imp. Plusq. Fut. præsenti indicativi addita tantum syllaba
vraz, ut πατῶ, πατῶντας calcans. Verbi circum/lexi Passivi Indicativi. Sing. πατοῦωαι, πατειέσαι͵ πατεῖται Vel πατειέται calcor.. Plur. πατειούμεσθεν, πχτειοῦσθε vel πατειέσθε, πατειοῦνται. Sing. ἐπατειούµουν, ἐπατειούσου; ἐπατειοῦντο Vel ἐπατειέτον calcabar. | Plur. ἐπατειούμεσθεν; ἐπατειοῦσθε Vel ἐπατειέσθε, επχτειοῦνταν. Sing. επατήθηνα vel ἐπατήθην, ἐπατήθηκες vel ἐπατήθης, ἐπατήθηκε vel επατήθη calcatus fui. Plur. ἑπχτηβήκαμεν vel ἐπατήθωμεν, ἐπατηθήκατε vel έπατήθητει ἐπατηθήκασι vel ἐπατήθησαν. Sing. εἶχα πατηθῆ, εἶχες πατηθῆ, εἶχε πατηθὴ calcatus fue- Tam. Plur. εἴχαμεν πατηβῆ, εἴχετε πατηθῆ, εἴχασι πατηθῇ. Sing. θέλω πατηβῆ, θέλεις πατηβῆ, θέλει πατιθῆ calcabor. Plur. θέλοµεν πατηθῇ, θέλετε ravra, θέλουσι πατηθη. Imperativi. Pres. Sing. πατήσου calcare lu. à; nazv95, calcetur ille. Plur. xs πατηθοῦμεν, πατηθῆτε, a; πατηθοῦνε vel πατηθοῦσι. et reliqua ut in γράφοµαι. Participii. Pres. πατηµένος, πατηµένη, marruévoy, calcatus, a, um. à
Græco-literali πεπατηυένος priore syllaba recisa : vel (ut
morem geram iis qui Græco-literalem grammaticam non legerunt,) ab ἐπάτησα perfecto activo indicativi,
mutata σα in µενος, quia penultima est longa, nam
quum est brevis remanet c, et vertitur tantuma in µενος, ut patet in ἐκάλεσα VOCAVI, καλεσμένος vocatus. quod etiam verum est
in Verbis barytonis, quorum præte(P. 84)ritum est in σα, ut ὁμόνοιασα conveni, ὁμονοιασμένος qui cum alio convenit : quorum
autem preteritum est in Ya, $ vertunt in µ et « in µενος ut ἔγραψα scripsi, γοαμμένος Scriptus : quorum in £x
(dummodo non ve- niant ab aliquo præsente in £o) mutant Ein y, et a in µενος, ut ἐδιάλεία selegi, Φιαλεγωένος selectus; dixi dum- modo non
veniant ab aliquo presente in ζω, quia tunc £
transit in z, ut à κράζω 9000, É«oata, χρασµένος, φωνάζω Clamo, ἐφώναία, φωνασμένος clamatus, etc. imo in iis, quæ derivantur à verbis in σσω mutant E præteriti in 4, ut τάσσω promitto, ἔταξα, ταµμµενος promis- sus. Tandem ubi sunt immutabilia À et p,
observantur mutatione « in μένος, et ablatione
augmenti syllabici si fuerit, ut éjaAa (P. 85) cecini, 'aXu£vo; cantatus, ἔσ- πειρα Semáinavi, enzoucvos seminatus. Ubi duo adverte primum penultimam perfecti in ρα, verti semper in α in
participio passivo, ut patet in exemplo posito, et in aliis infinitis. Secundum
verbum yaiooux leor, ex- cipi ab hac regula, utpote anomalum, cujus perfectum
est ἐχάοηκα lavtatus sum, participium autem passivum χαρούμενος lœtus. Sola præterita in px formant participia
passiva in µενος mu- tando α in
e, ut ἔκαμα feci, καμωμένος
factus. Sed in vx vertunt v in p, et α in μένος ut ἔχρυα judicavi, χριµένος judicatus. Hic modus formandi participia passiva à
perfecto activo facilior sinecontroversia, aptiórque ad instruendum tyronum
animos videtur illo, quem tradidit P. Hieronymus Germanus οὔ Societatis Jesu in Dictionario suo Italo-Græco
animadversione 4. de formatione participiorum, nam cum dicat participium
passivum formandum esse à presente passivo mutando αι in e, et addendo vs, ut à 7ozgoua inquit, fieri de-
bet yoxpouevos. Deinde vertendo qo in p, ypauuévos Scriptus, non unum nobis
effingit participium, sed plura, præterquam quod etiam non tradit regulam
generalem pro omnibus aliis verbis, ut patet in σθείροµαι corrumpor, cujus participium est φθαρµένος corruptus, et in χαλοῦμαι destruor, cujus participium χαλασμένος destructus, nec potest dici quomodo formari possint
à præsente. Hæc autem obiter dixi non ut talis tantíque Viri auctoritati
derogarem, qui optime omnium nostris hisce seculis arcana hujus Grece linguæ
penetravit, multósque nobis Gordianos nexus mira dilucidáque brevitate
dissolvit, sed ut faciliorem meo judicio, incipientibus viam aperirem ad
participiorum passiva: vocis efformationem. Circumflexorum in à; Exemplum.
Verbi Activi Indicativi. Pres. Sing. ἀγαπῶ,
ayxr2;, cyxni amo. Plur. αγαποῦμεν, αγαπάτε, ἀγαποῦσι vel αἀγαποῦνε. 5 Imper. Sing. αγάπουν, αγαπας, ἄγαπα. amabam. Plur. ἀγαπούσαμεν, ayant, αγαποῦσαν.
Perf. Sing. ἀγάπησα, αγάπησες, ἄγάπησε
amavi. Plur. αγαπήσαµεν, αγαπήσατε, αγαπήσασι vel ἀγαπήσανε. Plusq. Síng. cya αγαπήσει, εἶχες ἀγχπήσει, εἶχε ἀγαπήσει απια-
veram. Plur. εἴχαμεν ἀγαπήσει, εἶχετε ἀγαπήσει, εἶχασι αγαπήσει.
Fut. Séngy. Jo ἀγαπήσει, θέλεις αγαπήσει, θέλει αγαπήσει amabo. Plur. θέλοµεν αγαπήσει, θέλετε αγαπήσει, θέλουσω ἀγαπήσει. Imperativi. Pres. Sing. αγάπησε vel αγάπχ ama tu. à; ἀγαπήσῃ amet ille. Plur. x αγαπήσωμεν, ἀγαπήσετε vel ἀγαχπᾶτε, as αγαπή-
cow. Cetera vide ut in barvtonis. Participii. Pres. Sing. ἀγαπῶντας amans. ab αγαπῶ
accentu immutato, et addito tantum vrac, est omnis generis, et numeri. Verbi
Passivi Indicativi. Pres. Sing. ἀγαποῦμαι, ἀγαπᾶσαι, αγαπᾶται Qmor.Plur. ἀγαπούμεσθεν,
ayxnào0:, αγχποῦνται. Imp. Sing. ἀγαπούμουν, ἀἄγαπουσου, œyxroïro, Vel ayznárov amabor. Plur. αγαπούμεσθεν, ἀγαπᾶσθε, γαποῦνταν.
Perf. Sing. ἀγαπήθηκα, αγαπήθηλες, αγαπήθηκε
amatus fui. Plur. αγαπηθήκαυεν, αγαπηθήκατε, αγαπηθήκασι.
Plusq. Sing. sx ἀγαπηδὴν εἶχες αγαπηθὴ, εἶχε ἀγαπηθὴ amatus fueram. Plur. εἴχαμεν αγαπηθη, εἴχετε
cyan, εἴχασιν xyxnrfin. 1., lignes 7-8 de l'édition originale, le
texte porte εἴχες 7yorx9z, eus ἀγαπχθᾳ. De même &yarr0, sans iota
souscrit, à tout le paradigme du plur. du plusq., du futur et de l’impér.
prés., où le texte donne aussi fac ut amaris, —P.90 et 91, on lit σταθῃ dans le texte, à tout le
paradigme. Fut. Sing. θέλω ἀγαπηθῇ, θέλεις œyarrôn, θέλει αγαπιθῇ amabor. Plur. Θέλομεν ἀγαπυβῇ, θέλετε ἀγαπηθὴ, θέλουσιν yaris. Imperativi. Pres. Sing. ἀγαπήσου fac ut ameris. a; αγαπηθῇ ametur ille. Plur. à; αἀγαπιβοῦμεν, αἀγαπηβῆτε, às αγαπιβοῦν. Reli- 5 qua ut in
Barytonis. Participii. Pres. ἀἂγαπημενος, ἀγαπημένη, ayamrutvo amatus, a, um. vide
quæ diximus in participio verbi πατοῦμαι. Atque hzc de
circumflexis. De VERΒΟ SUBSTANTIVO εἶμχι. DE AUXILIARIBUS θέλω ET ἔχω, ALIÍSQUE VERBIS ANOMALIS.
Verbi S'ubstantivi Indicativi. Præs. Sing. eux, εἶσαι, εἶναι Sum. Plur. εἴμεσθεν, εἶσθε, εἶναι. 15 Imp. Sing. ἥμουν, ἤσουν, ἦτον eram. Plur. ἦμεσθεν, rate, ἦταν vel ἧσαν. Perf. Sing. ἐστάθικα, ἑστάθγχες, ἑστάθηκε fui. Plur. ἐσταθήκαμεν, éorafiaate, ἐσταθήχασι vel ἑσταθήκανε. Plusq. Sing. εἶγχα σταθῇ, εἶχες σταθῇ, εἶχε σταθῇ fueram. 20 Plur. εἴχαμεν aza05, εἴχετε σταθῇ, € yav: σταθῇ. Fut. Sing. θέλω σταθῇ, θέλεις σταθῇ, θέλει σταθῇ ero. Plur. θέλοµεν σταθῇ, θέλετε σταθῇ, θέλουσι σταθῇ. Dicitur etiam non incongrué : Sing. θέλω emma, θέλεις tsar, θέλει εἶναι. 25 Plur. θέλοµεν εἶσθαι, θέλετε εἴσλχι, θέλουσιν εἰσθαι. Imperativi. Pres. Sing. à: εἶσχι sis tu. à; etvx sit ille. Plur.
ἂς εἴαεσθεν, a; εἶσθε, a; εἶνχι͵ et cætera ut in Indicativo.
Participii. Pres. ὄντας cum sim, omnis generis, numeri,
et personæ. Dicitur etiam ἔστοντας vel ἔσσοντας, sed uná cum par- ticula xai,
et aliquo verbo. Verbi θέλω Indicativi. Præs. Sing. θέλω, ἠέλεις vel Οἳς, θέλει vel 6: volo. Plur. θέλοµεν vol θέωεν, θέλετε vel (PD. 0902) θέτε, βέλουσιν vel θεσι͵ et dou vel μα ὁ Imper. 2111. ἔθελα vel Ἰθελα, ἔθελες, ἔθελε volebam. Plur. ἐθέλαμεν, ἐθέλετε, θέλανε vel εθέλασι. Perf. Sing. ἐθέλησα vel ἠθέλησα, ἐθέλησας, ἐθέλησε volui. Plur. εθελήσαμεν, ἐθελήσατε; ἐβελήσανε vel εθέλησαν, vel ἐθελήσασι. Plusq. Séng. etyx θελήσει, εἶχες θελήσει, εἶγε θελήσει. volueram, etc. Fut. Sing. θέλω θελήσει, θέλεις θελήσει, θέλει θελήσει volem, etc. Imperativi. Pres. Sing. rue vx θέλης fac ut velis. az wxun vx θέλη velit ille. Plur. A; wxumuzs νὰ θἔλωμεν, κάμε νὰ θελετε; Ga κάμουν νὰ θέλουνε, vel &; γάμουσι νὰ θέλονσι. Dicitur etiam in secunda
persona singulari κάμε vx θε- Añons, etc. «o Participü.
Pres. θέλοντας, volens. omnis generis, numeri,
ac persona. Verbé £y» Indicativi. Ῥγωβ. S'ing. Exo έχεις, ἔχει habeo. Plur. 2422221 ἔχετε, ἔχονσι VO] ἔχουνε. 2; Imp. Sing. είχα, ειχες, ειχε habebam. Plur. εἴγαμεν, εἴχετε, εἶχανε Vel εἴχατι. Perfecto proprio, et
plusquam-perfecto caret, pro quibus utitur perfecto, et plusquam-perfecto verbi
κοατῶ teneo, ut ἐκράτησα habui veltenui, εἶχα κοατήσει habueram, 30 vel tenueram. Fut. Sing. θέλω ἕ ys θέλεις ἐ ἔχειν θέλει ἔχει habebo. Plur. ο λομεν à ἔχει, θέλετε ἔχει, 0έλουσιν ἔχει. Imperativi. Praes. Sing. ἔχε habe. Z; &ya habeat ille. jb Plur. ας ἔχωμεν, ἔχετε, a5 ἔχουσι Vel ἔχουνε, Participii. Pres. ἔχοντας habens. omnis generis, numeri,
ac persons. Age jam anomalorum aliorum precipua flexiones in medium afferamus.
Anomala, quæ potui in hac lingua notare, quanvis ordine alphabetico ad majorem
eorundem cognitionem, ac distinctionem collegerim, ac distribuerim, generatim
tamen reduci s possunt ad illa, quae desinunt in zv», quorum perfectum in σα, Ut ἁμαστάνω pecco, ἁμάρτησα peccavi.ltem in αίνω quorum perfectum modo est in
v«z, modo in σα ut inferius patebit. item in ένω, quorum perfectum in εσα, et denique omnia composita
verbi ἔχω, quæ eandem cum illo sortiuntur
conjugationem. Jam singula ordine literarum exponamus. A Ἀμαρτανω pecco. perf. ἁμάρτησα peccavi. Ανηξαίνω ascendo. perf. ὠνέδηια ascendi. imperativi praesens ἀνέθα ascende. Nota βαίνω simplex non reperiri, sed ejus
composita frequenter apud nostros Græcos usurpari; quæ tamen omnia sunt
anomala. Avyxerew) Tresuscito alios. perf. ἀνάστησα resuscitavi. At ἀνχστένουαι Surgo. perf. habet αναστάθηκα suriexi, et imperativum ἀνχστάσου Surge. Αποζγαίνω finem. sortior.
perf. ἀπόθγα vel αποθγῆκα, val ar rex finem sortitus sum.
Adam augeo. perf. αὔξησα et αὐξαίνω, πὔξησα. | Ἀφήνω, relinquo. perf. ἄφησα, reliqui. 25 B Βάξω, βάλλω vel favo pono. perf. ἔθαλχ posui. et imperat. βαλε pone. Βιζάνω sugo. perf. εξίζασα suxi. Βλέπω video. perf. ειδα vidi. unde fut. θελω εἰδῇ videbo. Βόσκω pasco. perf. ἐθόσκησα pascui. [όσκομαι vero pascor. | perfectum habet ἐδοσκήθηκα pastus sum. Γδήνω spolio. perf. ἔγδησα spoliavi. A 35 Δένω lígo. perf. ἔδεσα ligavi. Δίόω vel δίω do. perf. ἔδωκα vel ἔλοσα dedi. imperat. +, 1. 3 de l'éd.
orig., le texte porte sidz. P. 97, 1. 10 de l'éd. orig., le texte porte εὐτύχησα. do; da. et in plurali dore
date. passivum δίδοµαι habet ἐλώθηχα datus sum. imper. ὁόσου tradaris. Διαθαίνω transeo. perf. éduerxa transii.
cujus secunda per- gona ἐδιάθηκες et ἐδιάδης, et tertia εδιάθηκε vel ἐδιάθη. atque hoc s observandum est in
omnibus compositis verbi βαίΐνω. E Εμπαίω éngredior. perf. ἦμπα vel ἐμπῆχα ingressus sum. imperativus ἕαπα ingredere. Entruyziyo acquiro.
perf. ἐπίτυχα acquisivi. Ἑὐγαίνω 63160. perf. wvya vel εὐγῆκα exivi. fut. θέλω εὔχει. imperat. εὖγα été. Εὐρίσκω invenio. perf. wwox
vel nüoma inveni. fut. θέλω ever inveniam. imperat. eux. Eodem modo conjunguntur ejus
composita, ut ζανανρίσκω reperio. perf. ἐξαναῦύμα Te-perí, etc. Εὐτυχαίνω feliciter ago. perf. evroyvaa
feliciter egi. Z Ζεσταίνο calefacio. inperfectum habet εζεσταυα et ἐζέστανα calefaciebam. perf. εζέστασα culefeci. et participium
passivum ζεσταμένος calefactus. H Hzeopo scio.
perf. ἔμαθα scivi. fut. θέλω µαθει sciam. imper. ἤξευρε Vel µαάθε scias, vel xaus vx
uaonc fac ut scias. subjunct. νὰ µάθω, vel νὰ Ἠξεύρω, ut sciam. participium passivum µαθηµενος SOlitus vel assuefactus. K Καίω «ro. imperfectum ἔχαια urebam et xavyo. uro. imperf. ἔκανγα. perfectum habent ἔκαψα ussi. passivum xzioux uror.
habet imperf. ἐκαίουμουν urebar. et 30 καύγομαι, ἐκαύγουμουν, at perfectum utriusque est ἐκάηκα usius sum. imperat. xæbou
urere, e; καῇ uratur ille. subjunct. να xxy& ut urar. partic. καμμµένος ustus. Καταθχίνω vel κατηθαίω descendo. perf. ἐκατήθηκα descendi. vide quz diximus in διαθαίνω. 3$ Καταλαμθάνω comprehendo. perf. ἐκατάλαθα comprehendi. imper. χατάλαθε comprehende. Keodaíwo lucror.
perfect. ἐκέρησα vel éxépóewea lucratus sum. 1.
de l'éd. or., κατά finit la 1, et λαθε commence la ligne 15, mais au
lieu de trait d'union, il y a écrit κατά. avec un point. À λαθχίνω lateo. perf. ἐλαθα latui. Aayaiw» sortior. per. ἔλαχα sortitus sum. Λέγω dico. perf. einx dixi. fut. θέλω eine: dicam. M 5 Μαζώνω colligo. perfect. éuxburx
collegi. Μαθαίω disco. perfect. Eux9x didici.
imperat. µαθε disce. subjunct. yx uxo ut
discam. Μεταλάθω communico et communicor. perf. ἐμετάλαδα com-munionem dedi vel accepi.
pat C» Ἐκναθλαστάνω vel ζανχθλασταίνω germino. perf. ἐξαναθλάστησα germinavi. Ἐαναθλέπω iterum video. perf. ἐζανᾶδα iterum vidi. imperat. ἔαναειδε iterum vide. Ξαναλέγω repeto. perf. ἐξαναπα repetii. Ἐαναψυχαίνω hilaresco. perf. ἐξαναψύχησα exhilaratus sum. Ἐαπερνῶ &xcello. perf. ἐξαπέρασα excellui. imperat. ξαπέρασε excelle. Ἐεθυμαίνω animo deficio. perf. ἐξεθύμησα animo defeci. 20. Ἐεπέφτω prœterlabor. perf. ἐξέπεσα præterlapsus sum.Ξερνῶ evomo. perf. ἐξέρασα evomui. Ἐεχάνω obliviscor. perf. &éyacx
oblitus sum. Il Παγω, πχγαίνω Vel πηγαίω eo. imperf. ἐπήγαινα ibam. perf. 25 eria ivi.
imperat. us, 1. subjunct. νὰ rayo ut eam. πάγω autem fit per syncopen à παγαίνω, unde retinet syncopen in
omnibus personis, et numeris, ut πάγω, πᾶς, nz. plur. πᾶμεν, πᾶτε, πᾶσι Vel πᾶνε. Παθαίνω patior. perfect. ἔπχθχ passus sum. imperat. mate vel πάθχυε patiare. Hanc eandem flexionem
sequuntur ejus composita χακοπαθχύω mala, tolero, etc. Πέφτω cado. perf. ἔπεσα cecidi. Sic omnia ejus
composita. Πιάνω accipio. perf. ἔπιχσα accepi. imperat. ruse et ἔπαρε, accipe. item et ejus composita.
35 Πίνω bibo. perf. ἥπιχ vel ἔπιχ bibi (P. 101). imperat. ru
bibe. subjunct. yz πιῶ ut bibam. Πνεω $piro. perf. ἔπνευσα spiravi. Ποδαίνω vel ποδήνω ocreas induo. perfect. ἐπόδῃσα ocreas indui. Pryxo» ad regulam
dirigo. perf. ἐριγάρησα ad regulam direxi. Est verbum
Italicum à Græcorum vulgari lingua usurpatum; Sicut et sequens. 5 Páuzxoo
discriméni ezpono. perfect. ἐῤῥιξικάρησα discri ini e. posui. by Σθειῶ extinguo et
extinguor. perf. ἔσθησα extinzi et extinclus Sum. at
actyo, ἔσέισα IDEM SIGNIFICAT. Σιανω accomiorlo. perf. ἔσιασα accommodavi. Σχχώγω incurvor. perf. ἔσκνψα incurvatus sum, tanquam à σκυγτω. Σταννιάρω Stanno illino. imperfect. ἐσταννιάρζα. perf. ἐσταννιά- ρισα stanno illinivi. B | 4$ Ὑτεχομαι Sto. perf. ἑσταβηχα steti. imperat. στέχον vel στάσον sta. subj unct. yx σταθώ ut stem. Σωπχίνω taceo. perf. ἐσώπασα (acui. imperat. σῶπα lace. subjunct. νὰ σωπασω ut taceam. T ων Ἰασσάρω lao. imper. ἑτασσάρζα taxabam. perf. ἑτασσχρισα ἰαταυὲ. est verbum mutuatum ab Italis. | Toy» Mmanduco preter
propriam, germanämque flexionem, hanc quoque sibi communiter usurpat. τοώγω, τοῶς; sp». plur. τρῶμεν, cw», τωῶσι Vel -τοῶνε. imperf. ἔτρογα a; mandiucabanmn, ἔτρως, ἔτρο. plur. ἐτρώγαμεν, ετρῶτε, ἐτρώγοσι vel ἐτρώγχνε. perf. £jxyx
manilitcavi, £yxz;, £x. plur. ελάγαμεν. Entre, ἐφάγανε vel ἐνᾶτι. fut. θέλω φάγει manducabo. imperat. GXJE manducea, a2; 92 manducet ille.
subjunct. νὰ y, ut manducen. 30 Y Ὑπαγω €0, dicitur per syncopen πάγω. imperf. ἐπήγχινα ibam, à πηγαίνω. perf. ἐπῆγα ivi, etc. vide supra in mzye.-
o. Φεύγω fi gio. perf. ἔφνγα figi. imperat. 927e futJe. —
düxy» vel οτανω assequor. perf. ἔθασα assequutus sum. X Xay» perdo. perf. ἔχασα
perdidi. X204» ore aperto conjicio. imperfectum £/zcxa, et non plus ultra., 1.
15 de l'éd. orig., le texte porte ἐτρ"
y.at. : Xopzatyo Saturo. perf. ἐχόρτασα saturavi. Χύνω
effundo. perf. ἔχυσα effudi. y V7» concoquo. perf. ἔψησα concozi. Q 5 Οφεαίνω
adjuvo. perf. ὠφέλισα adjuvi ab ὠφελῶ.
Atque hiec omnia sunt fere anomala verba, quorum praeterita, vel alia tempora
propri: conjugationis præcepta non observant, vel aliquo alio modo à communi
ceterorum regula, et forma deficiunt.De Temporum Grece lingue vulgaris
efformatione. Posr rudem, simplicémque temporum cognitionem, recta instituti
postulat ratio, ut ampliorem clariorémque de illis methodum tradamus, ac non
solum de generali eorum formatione, sed etiam de speciali doctrinam proponamus.
Ut autem ab iis, qua omnibus veluti propria sunt et communia, suum sibi sumat
initium præsens tractatus, illud tanquam certum, immotümque constituere placet,
omnia preterita tempora, quorum nomine proprie appellanda censeo imperfectum,
et perfectum, nullum aliud præter Syllabicum, quod vocant augmentum admittere.
Hoc autem augmentum iis tantum preteritis addi con- suevit, quorum presens
incipit à consonante, ut λέγω dico, &zyx dicebam. Hoc ipsum augmentum ὁ syllabico fieri interdum solet temporale, quum
videlicet vertitur € in », dicendo 7/syx pro ἔλεγα.
Verum id Græcos est imitari literales ac veteres, non autem recentiorum
Grecorum linguá loqui vernaculá. Illud etiam non te lateat, Verba, quæ initio
presentis ao scribuntur p, illam reduplicare post ε, augmentum syllabi- cum, in omnibus preteritis, ut ῥαντίζω aspergo, ἑῤῥαντιζα
aspergebam, et ἐῤῥαντισα aspersi. Animadverte tandem in verbis compositis ex
aliqua præ- positione, quæ incipiat à consonante, semper in præteritis illis
augmentum svllabicum fieri ante ipsam præ- positionem, nullá penitus
præpositionis elisá vocali, ut καταθέχοµαι
iJNOT, ἐκαταδέχουμουν dignabar, εἰ ἑκαταδέχθηκα dignatus sum. Hxc quidem in communi, jam singula in
particulari examinemus, et in primis activa. Præsens, quod potissima est totius
verbi radix, et cardo, sad cujus characteristicam reliqua tempora, tanquam ad
immotum axem, amussfinque suspiciunt, quum activum est exit in «», quod deinde
mutatum in ο, format passivum in µαι. Ab
illius finali consonante dependet characteristica preteriti, ut vidimus in
Conjugationibus, et ab ejusdem 10 inchoativa præteritorum nascitur augmentum
syllabicum. Imperfectum à præsente deducitur mutando o in a, et addendo cum
ratio postulaverit, augmentum syllabicum, ut γοάφω
Scribo, ἔγραγα scribebam. Caeterum id tantum verum est in verbis
barytonis, nam in circumflexis aliter prorsus dicendum, cum o, presentis
transeat in ow in imperfecto, ut ru honoro, ετίµουν honorabam. id vero commune est quibuslibet
imperfectis, propriam sui presentis characteristicam observare et penultimam,
excipe ἔχω, εἶχα in cujus penultima additur ε. De Perfecto, seu Aoristo. Perfectum, quod vicem
gerit Aoristi, cujus olim apud illa Græciæ vetusta lumina, ac sapientie decora
non infrequens usus fuit, augmentum habet idem cum imperfecto; si presens
incipiat à consonante, ut γράφω scribo, ἔγραψα
scripsi : observat item eandem penultimam, utpote ab eodem praesente deductum,
mutatione ω in α, et charac- teristicæ presentis in
characteristicam preteriti qua septu- plex est ψ, E,
e, À, p, v, p, ut supra diximus in conjugatio- sonibus barytonorum, pro quibus
tantum hæc regula traditur. Nota tamen perfectum in quarta Conjugatione, cum
duplex fuerit finalis consonans presentis, postremam abjicere, sic Yu cano,
habet ἔψαλα cecini : «apw» facio, Exaux feci : géov fero, ἕφερα tuli. et alia hujusmodi. Rursusquum penultima 3;
presentis ejusdem Conjugationis est per αι
diphthongum, quam deinde sequatur duplex liquida pv, vertitur in v in perfecto,
ut daíow) verbero, &vox verberavi : hoc ipsum observat πέρνω accipio, licet penultima sit per e, habet enim
perfectum ἐπῆρα, accepi. Caeterum αι ante
unicam ν, vel amittit x in perfecto, ut χλαίω tepesco,' &xyx ἱεριιὲ, vel
vertitur sepissime in vy, Ut óouvopzxtw OTRO, Opopyryx ornavi, Ὑοντραίνω crassum fucio vel crassus flo, εχόν- zpryx, etc. Verbum γενω
sano, habet perfectum ἔγιανα sunavi, ne coincideret cum ἔγενα sanabam imperfecto. Reliqua præterita irregularia
vide in anomalis. In dissyllabis quarte conjugationis ε praesentis, si praecipue deriventur à Graco-
literalibus, observatur quidem in perfecto sed assumitur ulterius «, ut μένω Slo, &uswz. Steti, στέλνω mitto, ἔστειλα
misi, σπέονω SEMNO, ἔσπειρα
Seminavi, etc. De præteritis cir-
cumflexorum fusius egimus supra exponentes eorum Conjugationes.
Plusquam-perfectum conflatur ex imperfecto εἶχα verbi Eye, et par(P. 10)ticipio passivo neutro, quod
remanet sine flexione, ut εἶχα Joxuusyx SCcripseram, Gallice J
avois escrit. eyx Sicut avois variatur quidem in omnibus numeris, et personis,
at “γραμμένα et escrit manent penitus
immutata. Vel etiam eidem imperfecto εἶχα addendo γράψει item invariatum,
aliud effinges plusquam-perfectum, frequens et ipsum apud recentiores Graecos.
Futurum (proh teihporum vicissitudinem) ubi quondam apud veteres Grecos parens
quodammodo reliquorum erat, et αοχτὰὸν Aoristi, cujus
vicem in hac lingua praeteritum gerere superius insinuavimus; modo emendicatam
aliunde tenet significationem, atque ab eodem Aoristo deriva- tionem. Duplici
autem modo potest à praeterito futurum effingi. Primo ablato augmento
syllabico, et versa à in ω, ac addendo particulam 6, ut ab
éypzlx scripsi, facies GE γὐάψω scribam, ita ut γραφω varietur per singulos numeros
et personas, invariata particula. Vel Secundo sumendo verbum θέλω, et addendo tertiam per- Sonam
supradicti futuri, ita ut θέλω flectatur per omnes numeros, et
personas; minime vero quod additur, ut θέλω yoxpa scribam, γυάψει remanet immutatum ubique. Penultima futuri est semper
eadem cum penultima perfecti, excipe παγω et πέρνω, quorum perfectum penultimam
habet in », sed futurum in x, ut énzyx ivi, θέλω πάγει vel θὲν w πάγω bo, et ἐπῆρα accepi, ^w παρει vel (tv πάρω accipiam. MEYER. GHAMM.
GRECQUE. Appendix de particula 0: vel Ge. Quanvis frequentior sit apud
hodiernos Grecos usus futuri secundo modo explicati, et particula 6: vel 6:4
aut θέν per syncopen ita dicatur, sicut
et #% pro ήθελα volebam, quia tamen non raro
reperies futurum primo modo traditum, quod affinitatem quandam cum
Græcoliterali futuro præseferre videtur, iccirco pauca de dictarum particularum
usu censeo disserendum. Est igitur particula θὲ, sicut et verbum θέλω, quando absoute ponitur, nullique particula superaddita,
specialis nota futuri. Dixi, absoluté, nam si cum particula νὰ conjungatur, ut θέλω νὰ yox lo, non denotat futurum, sed definitam quandam animi
constitutionem ad scribendum. Dicitur autem 6:, quum verbum incipit à
consonante, m, 1; duntaxat excepta, ante quam ponitur θέν, ut θὲν πάρω accipiam. Quod si verbum inchoet à vocali, vel
diphthongo, tunc utendum erit particula 6€”, ut 66A ἀγαπήσω amabo. Observes obiter rogo,
hujusmodi particulam 6t, vel verbum θέλω, quum construuntur, reponi ante pronomina, et articula,
ut id. tibi faciam, si juxta Graecorum vulgus loqui velimus, dicemus θέλω σου τὸ κάμει Vel θὲ σου τὸ xau. De Passivis, ac primiim de Prosente. Activorum sic
exposita figuratione, par est, ut etiam ad passiva gressum faciamus, et in
primis de primario eorum ο” tempore, videlicet de presente
quam paucissimis agere aggrediamur. Præsens ergo passivum desinit semper in µαι ab activo deductum, cujus w si
sit verbi barytoni mutatur in o, si vero circumflexi in οὗ diphthongum, et additur pu, ut θέρνω verbero, δέονουαι verberor, »wà moveo, κινεῦμαι moveor. Secunda persona est in
ox, quomodo imitatur flexionem verborum in µι passive vocis Græcoliteralis grammatice : Formatur in
barytonis à prima presentis passivi, mutando o in e, et uat in ox, ut zozcouat
SCribor, γοάφεσαι scriberis. Dixi in barytonis,
quia in circumflexis secunda persona præsentis passivi formari debet à secunda
præsentis activi, cum hoc tamen discrimine, quod in prima conjugatione circum-
flexorum post ει, addenda sit ε cum accentu acuto, et post s, αι, Ut πουλεῖς vendis, πουλειέσαι venderis : in secunda vero w
facile fiat addendo tantum αι, ut ayxra; amas, αγαπᾶσαι amaris. Tertia fit à secunda,
mutata σαι in ται, ut θέρεσαι verbe- raris, δέρνεται verberatur, πουλειέσαι venderis, πουλειέται venditur, etc. Prima pluralis
est. semper in ούμεσθεν, mutato ubi fuerit o in ου, et µαι in µεσθεν, ut γράγομαι, Ὑγραφουμεσθεν, vel retento o, 5 ut γράφοµαι, Ὑραφόμεσθεν, his enim duobus modis exprimitur prima persona
pluralis. Secunda fit à prima pluralis ablata µε et v, ac retenta σθε, ut γραφούμεσθεν, γραφοῦσθε : vel à secunda singularis,
mutando σαι in σθε, ut γράφεσαι, ypxqes0s, possumus namque uti
utraque ad libitum. Tertia deducitur à secunda pluralis vertendo σθε in νται, ut γραφοῦσθε, γραφοῦνται: vel à prima singularis mutatione µαι in vrat, Ut γράφομαι, /οάφονται. De Inperfecto
passivo.Imperfectum passivum est semper in ouuow, à prima pluralis presentis
passivi mutando µεσθεν in pov», et addendo augmentum
syllabicum, si verbum incipiat à consonante, ut ραφούμεσθεν, ἐγράφουμουν SCribebar. Secunda est in σου à prima ejusdem mutata pow in σου, ut ἐγράγουνυοων, ἐγράφουσου. Tertia vero à secunda mutando σου in vro, ut ἐγράφουτου, ἐγράφουντο. Vel alias à tertia singularis presentis, vertendo ται in τον addendóque syllabicum
augmentum, ut γράφεται, ἐγοάγετον. Prima pluralis fit à prima singularis, addito σθεν, et mutato ουν in €, ut ἐγοάγουμονν, ἐγραφούμεσθεν. Secunda à prima pluralis ablata µε et v, ut ἐγοαφούμεσθεν, ἐγωαφοῦσθε. Vel à secunda singularis mutando «cose» in eo, ut ἐγράφουσον, ἐγράφεσθε. Tertia denique à tertia singularis vertendo ον in ave, Vel aot, ut ἐγράφουντον, ἐγραφούντανε, vel ἐγραφούντασι. De Perfecto Passivo. Perfectum passiva vocis, quod Aoristo penitus
passivo veterum Græcorum non tam significatione respondet, quam flexione ab
activo formatur hoc modo. Debet prius verti x in 0r«z vel Gw, quae est propria
terminatio omnium penitus præteritorum passivæ vocis, tum si fuerit ) verti in
», si £ in y, si ; debet tolli, preterquam in verbis tertiæ conjugationis, si ν etiam ejicienda, si vero À et o
retinendæ, quantum ad p, raro reperiuntur perfecta activa in µα, Sed si fuerint, ut &aux
feci, carebunt tamen perfecto passivo quare ut dica- inus, fictus Sum non
utimur verbo κάμνομαι, Sed yivvouuat, cujus perfectum
est &yzv//rza. Jam penultima perfecti passivi eadem est cum penultima
activi, ut ἔγραγα scrépsé, ἐγοάφθηκα ὅ vel ἐγράφθη» scriptus sum : εφύλαξα Custodivi, ἐφνλάχθηκα vel £u) Xy ry custoditus fui,
&tvrax Movi, &uyr rz vel ἐἑχι- νήθην motus sum. ὀνομάτισα noménavi. ὀνοματίσθηκα vel ovo- µατίσθην nominatus fui, ëbaix cantavi, ἐφαάλθηκα cantatus fui, etc. Id quidem
ita fere contingit; sed quia nonnulla sunt perfecta passiva quie. penultimam
activi non retinent, ideo hie singillatim referam verba, quorum perfecti activi
et passivi eadem est cum presente penultina. Verba activa in απω, αξω, αφω : etm. εξω Ec): Οπω. Gov, vy», retinent in utroque
perfecto vocalem, quæ in præsente ιν procedit β, π. 2. idem faciunt in zz», axym, αχω : exm, ym, εχω : ατως, x00, xm) : Em. Ed, Ot εἶω. Verba autem in aZ», εζω, ζω, οζω, Em, et vo, vel In duo σσ, quorum perfectum activum est
in σα, observant quidem ubique eandem
penultimam, sed assumunt ; ante θα, ut 20 (P. 119) κολάζω punio, ἐκόλασα punivi, ἐκολάσθηκα punitus sum, etc. quorum vero
perfectum activum est in £z, candem etiam habent in utroque penultimam, sed
assumunt zy ante Graz, Ut κραζω UOCO, ἔκραξα COCA, Exoxy'mex vocatus
fui.Verba in eo» vel ενω barytona diversam habent in
utroque perfecto penultimam, nam in activo e presentis, ut plurimum additur ;,
vel rarius mutatur in x, in passivo vero semper vertitur in x, ut sim Seméno, ἔσπειρα SCminavi, PIS εσπάρρηκα sennalus fui, στέλνω illo, ἔστευα uisi, ἐσταλ-- θηκα issus Sun : Ct πέρνω accipio, ἐπῆρα accepi, ἐπάορηκα 30 acceptus fui. φέρνω autem porto, et ejus composita
habent ἔρερα portavit, et ἐέρύηκα portatus fui. Verba in a»
faciunt perfeetum passivum in άλμα, in ανω, in rex; et verba in ew» habent
oz, praeter γώνω abscondo, quod habet ἐχώσθηκα assumpta ; ante Ora: in xi»
vero perfectum formant in ἄσθηκα, ut λαθαύω, xs (21. Tandem circumflexa,
quorum activum perfectum est in zzz, passivum est in θα : quorum in εσα, modo.in εθηκα, modo in sx, si precipue
penultima præsentis sit brevis : quorum 40 autem activum est in «zz, passivum
est in ao0rxx, ut γελῶ de- 1. 1. 4 de l'ed. orig., le
texte porte élabasüge. ] cipio, ἐγέλασα decepi, ἐγελάσθηκα deceptus fui. Ceterum hujus
temporis flexio, cum sit facilis et eadem omnino cum illa per- fecti activi et
Aoristi primi passivi Græcoliteralis, reticebitur, et lectores ad illa
remittentur. Anomala vide supra suo loco. Superest fortassis aliquid dicendum
de plusquam perfecto, et futuro passivo : Verüm quia hæc conveniunt cum
activis, mutata tantum voce activa Verbi in passivam scilicet yoxha in 7pxy)i [sic],
lectorem admonemus, ut adeat illa, ficque finem imponimus temporum formationi.
Posr tractatum de Verbis adverbiorum sequitur expositio, ita quippe se habere
videntur adverbia ad ipsamet verba, ut epitheta vel adjectiva ad substantiva;
quare sicut hæc 1: sine substantivis, sic illa sine verbis consistere nequeunt.
Adverbia igitur. ut plurimüm desinunt in x, à nominibus neutrius generis
desumpta, ut ἐξαίσιχ egregie, καλὰ bene, etc. pauca in ως, ut ὡσκαθὼς quemadmodum o; ut, ὀμπρῶς ante, vel coram. quam exigua in
o, ut ἔπανω surswm, χάτω infrà : rarissima vero in ου, ut ἀξάηνον derepente, πιτακτοῦ data opera, etc. Est quidem ex
adverbiis aliud quantitatis interrogativum, ut πόσον, quantum? cui respondet τόσον tantum, πολὺ Thultum, ὀλίγο parum, χαμπόσον Vel καμποσάκι aliquan- 35 tulum. Sunt etiam
quædam Ordinis, seu Ordinalia, ut ποῶτον vel πρῶτα primo, δεύτερον secundO, τρίτον, tertio, etc. Est item aliud
quantitatis adverbium compositum ex goox vel βολὰ, et aliquo numerali nomine, vel adjectivo, ut µία goox Semel, duo φοραῖς bis, τρὶς oxi; ter, συχναὶς φομαὶς fre-3) quenter, πολλαῖς βολαῖς multoties, et alia plura. Aliud
dicitur qualitatis interrogativum, ut πῶς quomodo? cujus redditivum est, ἔτζι sic. aliud veluti signum, ot
nota, ut καλα ben?, ὀρθὰ rectè, xx«x male, ἄτνγα prave, et his si- milia. 35 Jam
czetera adverbia vel sunt Temporis, ut σήμερον hodie, αὔριο cras, μεθαύ post crastinum: heri, ποοχθῖς nudiustertius, τώρα nunc, «oyx Sero, απέχει postea, πέουσι anno superiore, παρενονς slatim, et quæ sequuntur. vel
Loci, ut εκεῖ vel aus (bi, απεεὶ vel απαντοῦ inde, ποὺ ubi, πούπετας alicubi, απάνω sursum, 2470 deorsum, ὀμπροστὰ vel ὀαπρῶς ante, αποπίσο retrorsum, £o híc, et alia. vel
Hortandi, sut ἐλάτε venite, a; eia, γειάσου euge. vel Similitudinis, ut ᾠσγαθὼς quemadinodum, ὡς sicut, ὧσὰν vel σὰν, ὡσκαθὼς tanquam : vel Intensionis (sic; ut πολλὰ multum, dura vehe- menter, ὑπεοπεμίσσα superabundanter : vel
Remissionis, ut αγχαμνα V€nmisse, ayxhx Sensi, μετὰ βίας vir : vel Dubitandi, ut. ἂν an, τάγα forle, τὸ λοιπὸ) igitur. vel Afftr- mandi, ut vai vel ναίσκε certe : vel Asseverandi, ut ὁλότελα penitus, ἁπαληθηνα vere : vel. Negandi, ut ὄχι vel ὅσνε, et ὄγεσκε Non, o£) vol dE non, uz vel μὴν ne, μήτε vel απδὲ neque, GUTE 1161116, azour, VOL
zx«oux nondum. i5.Reperies quiedam adjectiva neutra in v, que transeunt in
adverbia, ut τὸ ταχὺ mane, τὸ [ox22 vespere, et
nonnullos etiam accusativos singulares, ut την νύχτα noctu, την YXu:ox) die, etc. His adde
interjectiones yov, et ὀϊμενα hei mihi, et alia. ου . Izres est expers recens hæc
Græcorum lingua gravissimæ difficultatis, quam antiqua literalis suis in
præpositionibus experitur ob innumeras fere variásque illarum significationes,
ac casus, quibus cum alligantur. Nostre siquidem præ- positiones, quæ octo
precipue recensentur, eundem semper casum, accusativum videlicet optant,
unicimque vel ad plurimum duplicem sibi significationem asciscunt. Sunt autem
hz, εἰς, πρὸς, μετὰ vel μὲ, aro, διὰ vel γιὰ, κατὰ, 30 δίχως vel χωοῖς, ὡς. EG regit accusativum, et significat ên, motum scilicet
in locum, ac statum in loco, ut εἰς τὸν 2voxvoy idem valet ac £n cœlum,
et ên ccelo, εἰς ἔπχινόν του in suam. laudem, εἰς την Pour, lom. 3 Πώς quanvis literalis, non construitur tamen in hac lingua
nisi cum accusativo, significitque ad, erga, vel adversus, ut π.ὸς &uzyx AU ine, erga me, adversus me, etc. i 1, 1, 5
de l'éd. originale, le texte porte οὐρανον. Μετὰ, et per syncopen μὲ correspondet
præpositione cum, ut µετὰ κείνους Cum illis, μὲ πολλοὺς cum multis. Adverte tamen ut plurimum tunc uti µετὰ, quum ponitur ante nomina, quae
incipiunt à vocali, μὲ vero quum incipiunt à
consonante. Aro idem valet quod a vel ab, e vel ex, et quanvis Græco- 5
literalis, non observat tamen eundem casum, sed accusativo gaudet, eliditürque
ipsius o, si nomina præeat quorum principium est vocalis, secus autem si sit
consonans, ut απ᾿ éxtiyou; QD illis, ἀπὸ τὸν θεὸν ἔρχονται ἕλα τὰ καλὰ, à Deo omnia bona procedunt. 10
Aux, et corrupte γιὰ significat per, ob, vel
propter, ut du vel yx τὰ τοονέσι« γίνεται κάθε ποᾶγμα per, vel propter pecu- niam
omnia fiunt. Solet autem interdum addi particula τα, præpositioni διὰ vel γιὰ, quum precipue
præcedit prono- mina, ut διὰ τὰ pas propter mos, διά τ ἐκείνους οὗ illos; vel 15 etiam λόγου, cum pronominibus tantum, et
genitivis μοῦ, σοὺ, τοῦ, τῆς, τῶν, σᾶς, μᾶς, etc. ut dix τοῦ )όγουμου propter me, διὰ τοῦ λόγουσας propter vos, et sic de reliquis, quo in casu tantum genitivum
gubernat. Kara nunquam significat contra, sed secundium, vel juxta, 3 sempérque
postulat accusativum, ut κατὰ τὸν τρόπον secundum modum, ἔκαμες γατὰ τὴν γνώμην uou fecisti juxia meam opi- nionem. Δίχως vel χωρὶς æquivalet absque, vel sine, ut δίχως danpx Sine pecunia, χωρὶς ἐλπίδα absque spe, χωρὶς ἄλλο 35 absque dubio. Ὡς denique valet usque, ut ñ φωνή σον ἔσωσεν ὡς τὸν οὐρανὸν clamor tuus usque ad celum pervenit. videtur desumpta à
Graeca literali, ἕως. Hæ quidem sunt præpositiones,
quibus maxime vulgaris 30 Grecorum lingua in simplici oratione uti consuevit;
sunt tamen alie à Greca literali mutuate, que in composita duntaxat oratione
reperiuntur, in primis avri, ut ὠντιστέκομαι resisto, πρὸ ut ποοφέρνω offero : παρὰ, ut παρακούω non obedio: σὺν Ut σύντροφος SOCiUS, et συντρέχω CONCUTTO : &yx, ut 35 ἀναπείθω persuadeo : ἐν, ut ἐγκαρθιώνω animum. confirmo, et ἐγκασδιακὸς intimus, seu ex corde : περὶ, ut περικυκλώνω obsideo : et ὑπὲρ, Ut ὑπερπερίσσα satis supérque, et alia.
Cæterum ut Latinas possis præpo(P. 128)sitiones Græco- vulgares efficere, non
abs re erit illas in medium proferre a 4o vel ab et abs. e vel ex ἀπὸ, ut supra. Absque δίχως vel χωοὶς, ut supra. Ad ποὸς vel εἰς. Apud κοντὰ vel aw adverbia loci, PORTII
quae conjuncta cum pronominibus prime, secundæ, et tertiæ personæ regunt
genitivum, ut χοντά σου tpud Le, κοντα του apud illum swzas2 apud me : cum
aliis vero exigunt accu- sativum addita praepositione εἰς, ut χοντὰ εἰς τοὺς παλαιους αρλκῖ "5 antiquos. Hxc tamen
praepositio εἰς amittit ει diphthongum, et σ eonjuncta cuin articulo
subsequente, ut κοντὰ στην πόοταν apud portam, σιιὰ στὸν χάωπον prope campum. Ante ὀμπρυστὰ Vel ὀμπιῶς adverbia, quie juncta cum
supradictis pronominibus amant genitivum, ut ὀμποοσταμου ante me, 10 ὀμποῶς σου ante te, etc. cum aliis autem,
accusativum apposita item præpositione εἰς, ut ὀαποοστὰ εἰς τὸν κόσμον ante mowurndum,óunpàs; εἰς τὰ αάτιχμου ante meos oculos. Antequam, ποὶν vx cum subjunctivo, ut ποὶν νὰ «zuo, antequam faciam. Clam, κρυγὰ Vel χωστὰ adverbia, quæ cum pronominibus
illis regunt genitivum, ut γωστάμου clam à me; cum
reliquis vero accusativum adjuncta praepositione amo, ut ἐπβρατο κρυφὰ «mo τοὺς d)Àou; accepi illud
clam ab aliis. Contra, ἐναντίον adverbium, quod optat genitivum
cum dictis pronomi- nibus, ut ἐναντίον σου contra te, accusativum vero cum
reliquis 2 addita item præpositione eig, ut εναντίον ets τὸν οὐρανὸν contra ccelum. Coram, ὀμποιστὰ vel ὀαπρῶς, vide ante. Circa, circiter, et
circum, τριγνοου adverbium, quod postulat geni-
tivum cum supra recensitis pronominibus, ut τοιγνρου µου circa me; accusativum autem cum
reliquis apposita item præpositionc εἰς, ut τρι/ύρου ei; την χώραν Circa, vel circum regionem. Cis, vel citra, ἀαπεθὼ aro cum accusativo, ut ἀπεδὼ ἀπὸ ταῖς Άλπαις CÍS, vel citra. Alpes. Citm, µετὰ vel με, ut supra. µαζι vel avzxux adverbia, quæ cum
pronomini- bus illis volunt genitivum ; cum reliquis vero accusativum adjuncta
przepositione μὲ vel μετὰ, ut µαζι μὲ τοὺς ἄλλους Una cum aliis. ἀντάμα μὲ τὸν ἄνδρα της Simul cum, viro suo. De, τοιγύνου, vide quæ diximus supra in
circum, et cérca. E vel ex, vide, a vel ab. Erga rco; vide ad. Extra, ὅτω vel &o adverbium, quod
dupliciter construitur vel absolute cum accusativo, ut ὄξῳ τὰ uazix σου extra sint lui
oculi quod fit quum imprecamur alteri, vel cum præpositione ἀπὸ, ut ὄξῳ ἀπὸ τοῦτο Eye χάθε πρᾶγμα, Cvlra id omnia habeo, et hic modus loquendi frequentior
est, et æquivalet, preter. In ci, ut suprà. Inter, ἄνχμεσα adverbium, quod positum
cumdictis pronominibus genitivum gubernat, ut avapsoz του énter illum, cum aliis vero
accusativum, interposita præpositione εἰς, ut ἀνχμεσα εἰς τὸν λχὸν inter populum, ἀνάμεσα εἰς τοῦτο inter hoc, id est interim.
Infrà, ἀπὸ κάτω adverbium loci ponitur cum genitivo ante pronomina μοῦ, σοῦ, τοῦ, τῶν; τοὺς. etc. cum accusativo vero ante
reliqua nomina appo- sita præpositione ἀπὸ, ut αποκάτω «m5 τὸν fiyx infra Regem, etc. Intra, µέσα genitivo gaudet cum relatis
pronominibus; cum cæteris aecusativo addita praepositione εἰς, ut µέσα εἰς τὴν Καρθίαν µου intra, cor meum. Ob διὰ vel γιὰ, vide in dux. Per, et propter, διὰ vel γιὰ. vide δια, ut suprà. Post vel pone, ὕστεα adverbium, quod cum illis
sæpius repetitis pronominibus genitivum adoptat, ut ὕστερά σου post te; cum aliis vero, accusativum, apposita item
præpositione ἀπὸ, ut Ἴλθα ὕστερχ an ὅλους post omnes veni. Proter, vide
extra. Palam, vide coram. Prae, vide supra, vel super. Pro, quum significat
defensionem, dicitur διὰ vel γιὰ 15 cum accusativo, ut ài σένα πολεμῶ propter te pugno: quum vero idem sonat quod vice, vel
loco alterius, utimur his vocibus, εἰς τὸ ποδάοι, Vel ei; τὸν τόπον cum genitivo, ut ó πάπας εἶναι εἰς τὸ ποδάρι, Vel εἰς τὸν τόπον τοῦ Θεοῦ εἰς τὴν γῆν Papa vicem Dei gerit in terris. utimur interdum etiam
præpositione » αντὶ, Sed hoc modo, exempli causa,
pro pisce dedit mihi car- nem, avi vx pod Juan ψάοι, μ᾿ ἔλωκε xpéxs. Procul, μακρὰ cum genitivo, si præcedat toties enumerata pronomina, ut
µακοά µου procul à me, cum accusativo vero, si cætera antecedat,
interposita præpositione ἀπὸ, ut uaxox ἀπὸ τὰ µάτιαωου procul a; ab oculis meis. Sub,
vel subter, vide infra. super, et suprà ἐπάνω vel απάνω adverbium.
construitur cum genitivo, si præfigatur pronominibus prime, secunde, et terti?
personæ. ut απανωμου Supra, me, επάνω σου Supra te, etc. cum accusativo vero, si aliis preponatur,
interposita prwepositione «ei, Ut εἶχεν az els τὸ χεφάλι του ἕνα στεφάνι, habebat supra caput suum, coronam. Tenus, vel usque, ὡς vide suprà in ὡς. Versus πρὸς cum accusativo. Ultra, vel
trans ἀπέκει απὸ 35 cum accusativo, ut απεκεῖ ἀπὸ τὸ mozzuc ultra, vel trans flu- vium. Dicitur etiam απόπερα, vel réox cum genitivo, ut απόπερα, Vel πέρα τοῦ rorauco trans flumen. Post exactam præpositionum
inquisitionem, superest jam ut extremam omnium orationis partem, ac minimam que
conjunctio dicitur, ob illius præcipuum munus, connectendi scilicet reliquas
Orationis partes, absolvamus. Sunt autem ex conjunctionibus quzdam copulativæ,
ut xat et aur vel uz sed, αἀκόμι etiam. aliæ vero disjunctivæ,
ut η vel. Aliæ Continuativze ανισωσχαὶ δὲ, zv vel x an. Quaedam sub-continuativae, ut ἐπειδῇ vel ἐπειδὴ καὶ quoniam seu quandoquidem, ex postquam. Nonnullæ
Causales, ut διὰ we vel νὰ ut, διὰ τὶ vel γιὰ zi enim aut quia.
Alite Dubitativæ, ut τάχα forte, τάχα νὰ un numquid, τὸ λοιπὸν igitur. Alie Collectivæ, ut τὸ λοιπὸν ergo, διὰ vel γιὰ τούτο propterea. Quaedam denique expletivæ, quae tantum ad
ornatum orationis spectant ac numerum, NON AD SIGNIFICATIONEM, ut dx x, etc.
Atque hæc de omnibus orationis partibus singillatim sumptis. De Syntaxi Lingue
Grece Vulgaris. Vidimus jam singulas orationis partes examinantes, quomodo
dividantur, flectantur, ac conjungantur, quásve in partes secentur, ac quibus
in classibus collocentur; nunc qua ratione cum aliis jungi, ac inter se
connecti debeant, quà polliciti sumus brevitate sermonem instituemus.Tres etiam
assignamus in hac lingua Concordantias, ut apud Latinos. Prima est nominativi
cum Verbo in numero, et persona, ut ἐγὼ yox» 6/0 scribo, ἐκεῖνος παίζει ille ludit, ἐσεῖς μιλεῖτε VOS loquimini. Secunda est Adjectivi cum substantivo, ut
σοφὸς ἄνθρωπος homo doctus, xxx rox boni adolescentes, καλῆς συντροφιᾶς bonc conversationis, etc. Substantiva quae materiam
significant solent sæpissime accusativo efferri cum praepositione απὸ, loco adjectivorum, ut ζώνη «mo πετζὶ pro nezGirom cingulus ex pelle,
ῥοῦχον ἀπὸ τρέχαις pro τρίχινον vestis ex pilis ; quod fit per
ecclipsin participii subintelligendo χαµω- µένη Vel καιωμένον facta vel factum. Adjectiva
semper præ- poni debent substantivis unà cum articulo, ut τὸ μικρὸ παιδὶ paruus puer, ὁ πρῶτος dy)owro; primus homo : Quod si ali- quando postponatur,
duplicandus est articulus, et apponendus tam substantivo, quam adjectivo, ut φέρεµου τὸ ῥοῦχο τὸ xoxxtyoy affer mihi vestem
purpuream. Tertia Relativi cum antecedente, in genere, et numero, ut εἶδα τὸν Πέτρον, τοῦ ὁποίου ἐμίλησα, vidi Petrwm quem alloquutus fui. et aliquando in casu,
ut τὰ λόγια, τὰ ὁποῖα verba, qua. Si ponaturrelativum inter dua nomina
substantiva diversorum generum potest his duobus modis construi, exempli causa,
sydus quod, vel quam vocant Capream, communi Graecorum lingua dices τὸ ἄστρον, τὸ ὁποῖον Vel ὁποῦ (quod est relativum
indeclinabile, omnis generis, et numeri) κράζουν αἶγα Vel τὸ ἄστρον ὁποῦ τὸ χράζουν Vel vv» xoxbouv ἁι/χ. E duobus substantivis ad diversa pertinentibus, si in
ora- tione ponantur aliud est nominativi casus, alterum vero genitivi, ut τὸ xocui τοῦ Πέτρου, corpus Petri, τὸ πετδὶ τοῦ βουδιοῦ bovis pellis. Interdum tamen
iste genitivus transit in 25 accusativum, ut 7 τωήτους pro n τιαήτων honor eorum, ἕνα ποτήρι νερὸ pro νεροῦ poculum aqueæ, et similia. De
Pronominibus μοῦ, σοῦ, τοῦ, ἐμένχ Vel μὲ, ἐσένα vel ot, ἐμᾶς Vel μᾶς, ena; vol σᾶς, τὸν, την, τὸ, τῶν», τοὺς, ταῖς, ta. Horum pronominum unà cum Verbis constructio,
quoniam aliquantulum difficilis esse videtur, cum certa quædam regula tradi non
possit, quando preponenda sint vel postponenda, seu quando ε ἐμένκ potius dicendum quam yz, vel ἐσενκ quam σε, ut ἐσᾶς quam σᾶς, idcirco de his nonnulla
observatione digna exponere merito judicavi.Certum itaque in primis,
monosyllaba illa pronomina sive primæ sint, sive secundæ, sive tertiæ personæ
nunquam ipso orationis initio collocari, sed elegantiüs semper post ipsum
verbum poni, vel post aliquod nomen, vel post particulam dev vel de non, ut ἀγαπῶτα, ἀγαπῶτους, etc. amo illa «o vel illos, etc. ἐγὼ σᾶς uzx ego dixi vobis, δὲν μοῦ Ἄάμνει χρεία, non est mihi opus, βλεπει µε videt me, et hujusmodi plura. Certum secundo primos
illos accusativos primae, et secunde personæ eusyx videlicet et ἐαᾶς, ésivx et εσᾶς, poni semper in ipso orationis,
periodíque principio unà cum μὲ et μᾶς, σὲ et σᾶς, Ut ἐωένχ μὲ ἂγητᾶ 0 πατέρας µου me amat pater meus, ἐσένα σὲ wo te odio habet, ἐμᾶς μᾶς κοάζει παιδιά του nos vocat filios suos, ἐσᾶς σᾶς χράζει ἐχθρούς του vos appellat inimcos 81108. quæ
loquutiones correspondent Italicæ phrasi vel Gallicæ, cum quibus habet maximam
affinitatem, quum dicunt. α noi ci chiama sui flgliuoli, il
nous appelle ses enfans, et similia. Vides igitur hujusmodi accusativos cum :,
conjungi cum monosyllabis μὲ, σὲ, ua; et σᾶς, qui statim illos
subsequuntur. Nominativi tamen ἐμεῖς et ἐσεῖς, ponuntur abso- 15 lute initio
periodi, ut eueis ψωμὶ dev ἔχομεν καὶ ἡ κάτα πίτα σύρνει ΠΟ ΏαπιεΏὲ non habemus, et felis trahit placentam, est adverbium !
Græco-vulgare in filios, qui bona patris pau- peris lautius quam par sit
profundunt, et opipare vivunt. Certum insuper µονοσύλλαθα illa pronomina μοῦ, 20 Go0, τοῦ, μᾶς, σᾶς, τῶν, et τους, etc. Si simul esse contingant
cum aliquo adjectivo, poni inter adjectivum, et substantivum, ut ὁ πρῶτος µας φίλος primas noster amicus, αἀγαπημένε µου vis Πέ mi dilecte, % γακαῖς τους γλώσσαις male illorum lingua, etc. Item
sumi pro pronominibus possessivis ἐδικόσμου; ἐδικόσσου, ἐδικόστου 136115, tuus, suus, etc. Verum tunc non ponuntur
absolute, ut possessiva, sed uná cum alio nomine, ut quum dicimus, liber meus,
zo βιξλίον uo», at cum dicimus, hic liber
est meus, quia meus est solus et non cum alio no- mine, nos dicemus, ἐτοῦτο τὸ βιέλίον εἶνχι δικόμου, et non τοῦτο τὸ βιθλίον uoo εἶναι. | "ertum quarto
monosyllabos illos accusativos μὲ et μᾶς, σε οἱ σάς, ταῖς et τοὺς, tam ante verbum collocari
posse, quam post, Ut ἐγὼ σᾶς τὸ ἐδιάξασα τὸ γράμμα, et ἐγὼ ἐθιάξασά σας τὸ γράμμα. eo vobis legi epistolam. Quod si hujusmodi accusativi
particulae 35 isti δὲν vel δὲ non, ὡσὰν vel σὰν sicut, vel adverbiis «202;
quemadmodum, été sic, σήµερον hodie, αὔοιον Cras, τώρα nunc, et aliis adverbiis loci
jungantur, tunc verbo postponi minimé (Sic). Lisez proverbium. De même plus
haut, ligne 6, il faut lire probablement zyarzz pour αγητᾷ que porte le texte. Une ligne
plus bas, l'original donne μισᾶ. — Enfin, le texte
porte, au lieu de 4 mous appelle, nous nous appelle. possunt, sed tantum
præponi, ut δὲν μᾶς τὸ ἔστειλες τὸ βιθλ΄ον non nisisti nobis librum, σήμερον σᾶς εἶπα νὰ μὴν ευγαίνετε hodie vobis diré ne exeatis,
nec enim bene dicemus, δὲν τὸ ἔστειλές µας, NEC σήμερον εἶπχ σας. De quibusdam Nominibus qua (sic) genitivum regunt, vel
accusativum, ubi etiam de ablativo absoluto. Omnia nomina Comparativa, si
praecipue cum pronominibus primitivis construantur, verbalia item in τικὸς una cum nominibus, qua
dignitatis habent significationem, ignorarationis, participationis,
similitudinis, ac communicationis, tv et utilitatis genitivum adoptant, ut εχεῖνος εἶνχι σοφώτε:ός µου ile est sapientior me; ἐτοῦτο εἶναι φανε ρωτικὸν τῆς ἀγαπης |, id est significativum amoris : ὁ ispéxs εἶναι ἄξιος τιμῆς Sacerdos est dignus honore; ἁμαθῆς τῶν ἑλληνικῶν γοχμµατων ignarus Grecarum literarum, σύντρογος καλῶν ἀνθρώπων bonorum hominum socius, ὅμοιος τοῦ λεονταριοῦ Leoni similis, τὰ καλὰ εἶναι xotyx τῶν φίλων bona sunt amicis communia, et similia. Ea item quæ
dicuntur numeralia ordinis genitivum requirunt, ut Φεύτερός µου mihi secundus, πρῶτος των primus inter illos, etc. Quæ
tamen construi etiam possunt cum accusativo posità praepositione amo, ut ὕστερος ar” ὅλους postremus omnium, πρῶτος ar ὅλους primus omnium, et sic de
reliquis. Profecto, ut uno verbo dicam, omnia sive Comparativa sint, sive
superlativa, sive plenitudinem significent, vacuitatem, utilitatem, et similia,
si cum pronominibus jungantur, utplurimuni postulant genitivum, si cum aliis
nominibus accusativum cum præpositione aro, ut απ) Sous τοὺς ἕλληνας, ὅπου fav εἰς τὴν Τροίαν, δυνατώτενος, Vel δυνατώτατος ἦτον ὁ Αχιλλεύς, OM- nibus Grecis qui extiterunt in expeditione Troiana
fortior fuit, vel omnium Græcorum fortissimus fuit Achilles. No- 3; men γεμάτος, ut plurimum habet post se
accusativum sine ulla præpositione, ut γεότος ἔννοιχις curarum plenus: At evxvzio;
contrarius genitivum amat cum primitivis pronominibus, cum aliis vero
accusativum uná cum praepositione εἰς, ut εἶναι &yxyzioz µου 63 mihé contrarius. et εναντίος εἰς Soo; COn- 35 trarius omnibus. φίλος denique semper reperitur cum
geni- tivo, ut sic: τοῦ 0ευὺ amicus Dei. Instrumentum, causa, modus, et excessus
debent in hac [Le texte ici porte ἀγότης] lingua exprimi accusativo, cum præpositione, uz, vel μετὰ, vel etiam interdum cum διὰ, vel γιὰ, si preesertim causam
significare velimus, ut ἐκτύπησα cou! μὲ τὸ ῥᾳθδὶ baculo illum percussi, τὸν εἶδα μὲ w2)ó par oculo illum vidi 5
benigno, ἐσκότωσε τὸν ἐχθούν του μὲ τὸ σπαθὶ hostem suum gladio interemit; νικᾶ Sous μὲ την φωνήν του sua voce reliquos superat; διὰ τῆν δειλιὰν, Vel γιὰ τὸν φόξον ἔχασε v. ἅρματά τον PTŒ pavore perdidit arma. Tempus item, et mensura tam
loci, quam ponderis simpliciter accusandi casu efferuntur, ut τὴν ἡμέραν xal τὴν νύκτα δὲν χάωνει ἄλλο παρὰ νὰ dudar, die, ac nocte nil aléud facit quam legere, ἡ Ῥώμῃ εἶνχι parca ἀπὸ τὴν Φράντζαν ἐκατὸ λέγαις Roma distat à Gallia centum
leucis, βαρεῖ τριάντα λίτραις est ponderis triginta librarum.
5 Jamablativum absolutum, pro quo Græci literales utuntur genitivo, nostri
Græco-vulgares penitus ignorantes, nec genitivum usurpant, nec alium casum, sed
vel ipso nudo nominativo utuntur, ut υισεύοντας ἐγὼ ἀπὸ τὴν εκλησίαν ἔπεσεν ñ στέγη τοῦ σπιτιοῦ σου (liscedente me ab Ecclesia cecidit tectum fie domus, vel
loquutionem resolvunt per ἔταν vel σαν, po- nentes verbum in
imperfecto, ut ὅταν vel aav ἐμίσευα ἀπὸ τὴν ἐκκλησιὰν ἔπεσεν, etc. cum discederem ab
Ecclesia cecidit, etc. De Constructione Verbi Activi. Nonnimis laborandum erit
in tradendis regulis verborum activorum. Omniasiquidem verba activæ
significationis postulant ante se nominativum agentem, et post se accusativum,
vel genitivum patientem. Genitivum quidem utuntur hujusmodi Græciæ regiones
Peloponesus, Creta, Chius, Zacynthus, et omnes penitus Græciæ insule. Accusativo vero gaudent Attica, Thessalia, Macedonia,
Thracia, et omnes prorsus Continentis provincie, atque incola. Quum igitur
verseris in Insulis, utere post verbum genitivo, accusativo vero quum fueris in
Continente. Adverte tamen,
quanvis iis? qui in Insulis sunt post verbum activum genitivum, quem person:
vocant, admittant (res enim apud omnes, ac semper ubique ponitur in [Il faut
évidemment lire τόν. Leçon de l'original pour zi.
'l'oute cette phrase est d'une construc- tion pénible et confuse. Postverba
doit être lu en deux mots. accusativo, ut axoo» τὰ λόγια σου, non τῶν λόγιων Gov,.QUdio tua verba) id verum
esse precipue, quum postverba se- quuntur pronomina illa primitiva μοῦ, σοῦ, τοῦ, et tantum in numero singulari,
ut δὲν μοῦ a«os: non me audit; nam in plu- rali dicunt cum
accusativo, δὲν uz; εἶπε τίποτες, niil nobis s dixit, licet in singulari dicerent, δέν uoo eine τίποτες!. Quod si alia subsequantur
pronomina, vel nomina, modo genitivum ponunt, modo accusativum, ut ακούω τὸν llézpoy non τοῦ Πέτρου audio Petrum, et ui τοῦ Μάρκου, et non τὸν Maoxov, nisi dicas μὲ τὸν Μάρχον, alloquor Marcum, vel loquor
cum Marco. Quando autem statuendus sit post verbum activum geni- tivus, vel
accusativus optima regula est, si animadvertamus ad linguam Gallicam, vel
Italicam. nam si post verbum activum ponatur particula à, tunc semper in Græco
vulgari reponi debet post verbum genitivus, ut /'ay dit à Francois, ἐγὼ εἶπα τοῦ Φραγκίσκου, non τὸν Φραγκίσχον. Si vero talis particula non
ponatur, utendum tunc erit accusativo, vel genitivo juxta distinctionem Græciæ
locorum superius insinuatam, ut je vous ay fait la grace, ego vobis gratiam
feci, secundum Insularum habitatores dices, ἐγὼ σοῦ τήν ἕκαμα τήν χάοιν, et secundum Continentis
incolas, ἐγὼ σὲ τήν ἔχαμα τὴν yXow, qua loquutio correspondet
huic Italice, la gratia ve l'ho fatta. Prætereà sciendum, verba, quæ apud
Latinos, vel Grecos literales exigunt post accusativum rei dativum persons,
apud Grecos vulgares usurpare pro dativo persons, vel genitivum ut loquuntur
Insularum cultores, vel accusativum ut Continentis incolæ, exempli causa, ego
dedi tibi librum dices, vel éyà σοὺ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον, velso ἐγὼ σὲ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον. Rursus verba, quie duos sibi
accusativos adsciscunt apud Latinos, et ἕλληνας, apud vulgares Graecos, vel ambos retinent, ut loquitur
omnis Continens, aut mutant accusativum per- sonæ in genitivum, ut phrasis est
omnium Insularum, verbi 35 gratia, ego te doceo grammaticam, dicetur ἐγὼ σὲ, vel σοῦ μαθαίνω τὴν γραμματικήν. Jdem fit aliquando, si verba
apud Latinos regant ablativum cum praepositione a vel ab, et accusativum, ut
aufero à te vestem, ἐγὼ σὲ, vel σοῦ πέονω τὸ ῥοῦγον. dixi aliquando, quia ut w
]Voyez au commentaire pour l'établissement du texte.] plurimüm pro ablativo
ponitur accusativus cum præpositione aro, ut «accepi à Petro tuas literas, ἐγὼ ἔλαξα ταῖς γραγαῖς σου ani τὸν Πέτρον, il habeo à te, € χω το ar ἐσένχ, et alia. Idem etiam præstari
debet, Si verbum apud Latinos accusa- ; tivum regat et genitivum, vel ablativum
sine ulla præpo- sitione, ut empleo ollam denariorum, γελίζω τὸ :ζουκάλι amo τορνέσια, et émpleo vas aquá, γεμίζω τὸ αγγεῖον ἀπὸ woo. in quibus tainen sape sæpius reticetur aro, dicendo
sim- pliciter τορνέσια et νερὸ. De Constructione Verbi
passivi, neutri, ac Deponentis. Quemadmodum activae vocis verbum exigit ante se
nomi- nativum agentem, et post se accusativum patientem, ita é contra passivæ
vocis verbum postulat ante se nominativum patientem, post se vero accusativum
agentem uná cum i5 preepositione απὸ, ut τὸ &uzzt τραθιζεται ἀπὸ τὰ dÀojx CUTTUS trahitur ab equis.
Semper igitur in passivis casus personæ verbi activi, quum videlicet duplicem
requirit casum post se, vertendus est in nominativum, manente altero immutato,
Ut εγὼ σὲ uaÜziw τὴν yrauuarwry, passive
redditur, ἐσν µαθαίνεσαι 20m ἑμένχ τὴν γηαμματικὴν, tu doceris à me grammaticam, etc. VT APVD LATINOS. Ex
verbis neutris, vel Deponentibus, quaedam absolute ponuntur sine ullo casu, ut
Er vivo, πορπατῶ am- bulo, στέκοµαι S00, οιμούμαι dormio : quidam
vero requirunt post se aliquem casum, ut ἀρέσκει µου placet mihi, τὶ φαὐεταίσας, quid. vobis videtur, et alia, quie genitivum, aut
accusativum postulant pro diversitate præsentis Grecis regionum, si eosdem
casus, vel alios requirant Latinorum verba vel neutra, vel deponentia. Et tunc
Constructio erit eadem quam jam recensuimus in verbis activis. De Verbis εἶμαι, φαίνοµαι, et aliis, tum de verbo
impersonali, de Modis, Gerundiis, ac quibusdam loquutionibus. Verbum εἶμαι sum duos habet nominativos
ante, et post se, ut ó Αοιστοτέλης ἅτονε μεγαλος φιλόσοφος, Aristoteles erat magnus Philosophus. eodem modo
construitur verbum φαίνομαι t ideor, λέγουαι dicor, oxzopzt vocor, λογοῦμαι nuncupor, et similia, quæ
preeter illos duos nominativos admittunt etium genitivum, vel accusativum juxta
supradictam locorum Græciæ distinctionem, sicut Latina dativum, ut αὐτὸς pod εἶναι, Vel φαίνεταί µου καλοπίγερος ἄνλρωπος ipse mihi est, vel videtur vir idoneus. Vel etiam
accusativum cum præpositione aro, si Latina regant ablativum cum praepositione
à vel ab, ut justus ab omnibus vocatur, vel reputatur beatus, ὁ δίκαιος χράξεται͵ Y, κρατειέται µακάριος am’ 02095. Verbum impersonale duplicis est speciei
activae nimirum et passivæ. Utrunque impersonalis verbi genus, vel ponitur
absolute sine ullo casu, ut βρέχει pluit, λέγουνε fertur ; vel cum aliquo casu ut
apud Latinos, verbi gratia, pertinet ad me, ἐγγίζει µου, non licet vobis, δὲν σᾶς πρέπει, mon curatur de anima, δὲν ἐννοιάζεται διὰ τὴν ψυχήν. Ubi adverte verba impersonalia
utplurimum sumi à tertia persona plurali prze- sentis indicativi activi, ut pro
scribitur dicunt γράφουνε scribunt, pro vivitur, ζοῦνε vivunt, et alia. Dixi ut
plurimüm quia reperitur interdum, et quidem raro aliquod impersonale desumptum
à tertia persona plurali presentis indicativi passivi, ut κοιμοῦνται dormitur. Modorum usus pervius
est unicuique ut apud Latinos. In usum tamen hi precipue veniunt INDICATIVVS,
imperativus, et subjunctivus, qui vicem gerit infinitivi, et exprimitur per
particulam νὰ, ut Θέλω νὰ τὸ «auo volo illud facere : cui
interdum praeponitur articulus τὸ, et ponitur loco
nominis, ut τὸ vx χάμεις pro τὸ κάνωμα σου tuum factum. Similem loquutionem habent Græci literales, ut τὸ ποιεῖν pro ποίηυα, et
Itali, 25 il fare, pro il fatto. Hujusmodi modus semper ponitur post aliud
verbum, sicut infinitivus apud Latinos; vel alias resol- vitur per ἔτι vel πῶς, ut scio te fecisse hoc, vulgo possumus
dicere, ἠξεύρω πῶς, vel ὅτι τὸ ἔκαμες, quod ἔτι et πῶς videtur correspondere Italico che vel Gallico que.
Ponitur 3o etiam zat pro ὅτι, ut λογιαζω vat τὸ ἔμαθες, pro ὅτι τὸ ἔμαθες, puto te illud didicisse. Jam quaenam particula, vel
Conjunctio unicuique modorum tribuatur, et quomodo inter se discrepent, vide
supra in Conjugationibus barytonorum. Gerundiis caret utraque Greca lingua,
fruitur vero Latina. Ea autem sic in vernaculam Graecorum dialectum vertenda
censemus. Gerundia in do, resolvuntur in participia, ut amando αγαπῶντας, dicendo λέγοντας,
etc. Gerundia in dum exprimuntur aliquando per dix νὰ, si illa praecedat praepositio ad, ut ad habendum διὰ νὰ ëyr : aliquando per oz, vel 4o zyxuzgx
onov, Si præcedat praepositio inter, ut inter ambulandum, σὰν ἐπορπάτουνα, id est dum ambularem : inter [MEYER.
GRAMM. GRECQUE.] dicendum ἀνχμεσα ὁποῦ ἐμῶμε cum
loqueretur, et similia. et aliquando per πρέπει, si
à Latinis efferantur abso- lute sine ulla praepositione, ut faciendum mihi est,
πρέπει νὰ άνω,
tObis agendum, πρέπει vx Ἰάμετε, etc. Hic modus loquendi non aberrat à
modo loquendi Italorum, vel Gallorum, dum dicunt, mi bisogna fare, il me faut
faire, cum hoc tamen discrimine, quod in dictis linguis verbum consequens est
infinitivi modi, et nunquam mutatur, at in Graeca vulgari verbum quod
subsequitur πρέπει est subjunctivi modo, variatürque ac construitur cum
personis, quie comitantur gerundia in dum, ita ut si persona sit singu- laris,
et prima, verbum etiam erit primæ persone numeri singularis, et sic de
reliquis. Tandem gerundia in di, simpliciter efferuntur per vx cum subjunctivo,
ut lempus est i5 und, 22160; εἶναι yx naue! sciendi sum cupidus, επιθναῶ va µεθω, etc. Veniamus jam ad peculiares,
quasdam loquutiones. QVVM LATINE DICIMVS, quod tibi scripserim, vernaculo
Graecorum sermone sic efferemus, διὰ τί σοῦ £yoxlx, vel ὃτι σοῦ ο0 ἔγραγα, Vel τὸ vx σοὺ Eyux
pz, Vel ἔστοντας καὶ νὰ σοῦ ἔγραφα, prior et secundus loquendi modus
conformior Latinæ loquutioni videtur. De nonnullis adverbiis, ac particulis,
quæ vel nominibus, vel Verbis præjfiguntur. a; Uttotum communis Grece linguæ
syntaxeos absolvamus tractatum, brevibus precurremus nonnullas voces, quarum
notitia non parum juvatur is, qui aditum sibi fieri vult ad hujusmodi linguæ
Græcæ svntaxim. Dicamus ergo prius de Xunoes inam, quod adverbium est optandi,
ponitürque s) unà cum νὰ, et constituit in verbis peculiarem modum, qui
dicitur optativus, reperitur cum perfecto, et imperfecto, ut ἄμποτες νὰ τὸν ἔκραξες, utinam. illum. vocasses, ἄμποτες νὰ τὸν ἔθλεπα, utinam illum viderem. ‘Av, vel à fit à
Græcoliterali sw, sé, ac pariter regit 3; subjunctivum, tempus amat id, quod
nos in verbis barytonis diximus habere indifferentem quandam, ac indeterminatam
significationem, ut ἂν σὲ πιέσω δὲ te capiam, non et σὲ πιάνω: ἂν σὲ εὑρήσω δὲ Le. reperiaan, non ἂν σὲ εὑρίσκω. Conjungitur præ- [Certainement
pour πάμενε] voyez page 159 de l'original,
plus loin p. 68, 1. 7 sqq. terea cum omnibus preeteritis, ut xv &xux δὲ feci, ἂν ἔγραφε, δὲ scribebat, ἂν θέλει 2ώσει δὲ dabit, et reliqua. Aro, quanvis praepositio significans
a vel ab, in compo- sitione tamen alicujus verbi, vel nominis non semper eandem
retinet significationem; nam interdum denotat perfectionem, ut arocs)swm
perficio, τελειώνω quippe simplex füure tantum
significat, sed cum aro perfecte finire, utque Latini dicunt, rem reddere
omnibus numeris absolutam. interdum vero finem quodammodo præ se ferre videtur,
ut αγοτοώγω finem. comedendi facio, unde
adverbia αποφαγχ post prandium, et απόθειπνα post canam. ct tandem penitus,
seu de, ut anses penitus amputo, et ἀποχεφαλίδω decollo, et alia. *A; adverbium hortandi, si ponatur cum
imperfecto efficit modum optandi, ut a: ἔθλεπα utinam viderem; caeterum ας nota est imperativi, seu potius subjunctivi, ut 2; κάμη faciat. Videtur autem derivari
à Græcoliterali ἄφες, unde per synco- pen z:. quare
quum dicimus 2; 1% idem valet ac sine ne, ut videam, qui quidem loquendi modus
frequens est in sacris paginis, praecipue in Evangelio, ds: ἴδωμεν, εἰ ἔργεται Ηλίας σώσων αὐτὸν, quem imitati Græci- -vulgares dicunt, a; ἰδοῦμεν ἂν ἔρχεται ὁ Has διὰ νὰ τὸν ἐλευβερώσῃ. Adverte tamen hujusmodi ἄς, non poni in secunda persona imperativi, sed tantum
in prima, et tertia. Quia videlicet, aptior imperandi persona videtur secunda,
non prima, et tertia, unde et Itali quum magnates alloquuntur solent ob-
sequii, et revereniP. 15K)tiæ causa uti tertia persona, ne loquentes secundá
persona, videantur aliquomodo illis impe- rare. Est igitur a4; subjunctivi
potius nota, quam imperativi. A&, vel 3. deductum fortasse fuit ab se
ablata diph- thongo ου. Dicitur autem 05», quum ponitur ante vocales et
" diphthongos, imo οἱ ante aliquas consonantes, videlicet ante B, 7; ὃ, 0, 4.0, 7,9, y : d vero ante reliquas consonantes.
Regit indicativum tantum, quia in reliquis modis non utimur οὲν, sed uz», vel uz, ut uz» κάµης ne facias. Να aliquando est adverbium demonstrandi, et regit geni-
tivum si praecedat pronomina primitiva numeri singularis, ut νά σου ecce tibi, accusativum vero si sint
numeri pluralis, et ante alia nomina, ut vx σας ecce
vobis, νὰ τὸν Mézos» ecce Petrum. Aliquando est
conjunctio causalis, ab ἵνα deducta, unde ut illa subjunctivum expostulat, qui,
ut diximus, vicem etiam gerit infinitivi. Atque hinc fit, ut aliqui dicant
conjunctionem vz signum esse, ac notam infinitivi. Verum quo firmo, stabilíque
nitantur fundamento non video. Inter- dum denique νὰ solet esse particula repletiva,
et ornatus causa maxime apud Chios, qui dicunt ἐκεινὰ pro exi, τουτονὰ 5 pro τοῦτον, quam etiam replicantes satis
molliter sonant &xewavz, et τουτονανα. Νε item particula est quæ nihil
significat, et tantum ad or- natum ponitur orationis, idque duntaxat à Chiis,
non in qui- buslibet nominibus, sed tantum in articulis et pronominibus ιο masculinis et foemininis, ubi
reperiatur finalis litera v, ac in prima, secunda, et tertia persona verborum
numeri pluralis, ut pro εἴλατιν, εἴδατηνε Dro τοῦτον, τούτονε, DTO τούτων, τουτωνῶνε, pro γράφοµεν, γράγομενε, pro λέγετε, λέγετενε, et sic de reliquis. Ωσάν demum vel ox, aut ez, idem
significat quod Latine i5 CUm, vel post quam, ac postulat subjunctivum, ut σὰν yox|yn; cum scripseris, σὰν ἔλθω postquam venero, et similia. Interjectio ὄχου, veloiusvx hei mihi regit
accusativum, ut ὀϊμένα τὸν xaxouooy heu me infelicem. At ὦ modo requirit so nominativum,
vel vocativum, ut ὦ πεγχλη duoruyix Ó magnam calamitatem, ὦ καλὲ ἄνβρωπε Ó bone vir, modo vero geniti-
vum, et tunc vim habet admirationis, ut à τοῦ θαύματος Ó rem admirandam, idest Papæ.
Atque haec de Syntaxi linguæ Græcæ communis, methoο” dicáque ejusdem institutione,
majore qua potui dilucidäque brevitate, ac studio ad Dei omnipotentis gloriam,
Fidei Catho- licae propagationem, Proximorum utilitatem, nec non ad φιλογλώσσων περιεργείαν. Porta. Portius.
Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Porzio” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Possenti:
la ragione conversazionale e la conversazione di Romolo e Remo – radice
dell’ordine civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia a Torino. Insegna
a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario di filosofia. Centro di ricerca
sui diritti umani. Attrato dalla storia delle civiltà, ispirato da VICO (si
veda). Studia l’idea d’un assoluto impersonale. Incontra l'istanza metafisica e
umanista attraverso AQUINO (si veda), intuendo le possibilità speculative e
liberanti incluse metafisica dell'essere. Tre sono gl’ambiti primari della sua
ricerca: metafisica, pensiero teoretico e ritorno al realismo; personalismo; filosofia
politica. Studioso d’AQUINO, del tomismo. Professore della grande tradizione della
filosofia dell'essere, orienta l'attenzione critica verso GENTILE, il neo-parmenidismo
italiano di SEVERINO nel suo ritorno a VELIA e il VELINO, ricercando una
razionalità attenta alla storia ma non consegnata interamente alla furia del
tempo. Dunque il ritorno all'eterno invece che l’eterno ritorno di Nietzsche e
la ripresa del tema della creatio ex nihilo, assente in molta filosofia. Il
suo approccio legge meta-fisica e nichilismo come due nuclei che tendono ad
escludersi – i veliani -- di cui il primo è la fisio-logia e il secondo la pato-logia.
Individua pertanto nella destituzione dei valori e nella riduzione della
ragione a volontà l'esito ultimo del nichilismo. Questo vuole liberare Italia
dalla metafisica, ritenuta distrutta dal criticismo, ma il compito della
filosofia dell'essere è preparare una ripresa della metafisica dell'esistenza,
tale che possa di nuovo tenere un posto nella storia della civiltà. Una
presentazione ampia della sua è in “Storia della filosofia”; Filosofi italiani,
Antiseri e Tagliagambe, Bompiani, si veda anche nichilismo e filosofia dell'essere,
intervista, a c. di Mura, “Euntes docete.” La riscoperta della meta-fisica
esistenziale è un tentativo di mettere in luce la parzialità di non poche
posizioni che hanno proclamato la fine della metafisica occidentale: GENTILE, e
SEVERINO. Essi hanno operato come reagente per la riconquista della metafisica
e per la critica del nichilismo, di cui offre una determinazione diversa da
quelle di Nietzsche e di Heidegger -- con applicazioni anche all'ambito del
nichilismo giuridico. Il rigetto del nichilismo e l'analisi dell'anti-realismo,
del logicismo, del dialettismo e del razionalismo che affliggono la filosofia,
gli conducono a giudicare concluso e senza possibilità di ripresa il ciclo
della meta-fisica nel cammino di GENTILE. La base prima della filosofia
dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo il grande tema da cui occorre
partire. Dall'ente appunto e non dall'essere vuoto dei moderni. In tal modo
crollano l'identità tra logica e meta-fisica del razionalismo, l'idea di
dialettica come generazione logico-apriorica del sapere, e l'idea di divenire
come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata semantizzazione
dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di trattare la
questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone la
negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso
proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui
la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che
nello svolgimento della meta-fisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la
seconda navigazione nell’ACCADEMIA (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da
Aristotele al LIZIO, una terza navigazione che si esprime nella
Seinsphilosophie che ha toccato un punto di apogeo in AQUINO e nei grandi
tomisti. In tale prospettiva è possibile tracciare un'essenziale storia della
meta-fisica quale progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante
nella metafisica dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica
che, prendendo le mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso -- esse ipsum
per se subsistens -- e che individua la struttura originaria nella
partecipazione dell'ente all'essere. Le sue posizioni sono consegnate alla
trilogia “Nichilismo e Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine
della filosofia moderna, e Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna.
Esse sono discusse da XVIII autori in, “La navicella della meta-fisica.
Dibattito sul nichilismo e la terza navigazione (Armando, Roma) Cottier,
Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo Metafisica Modernità. “In margine al
realismo e la fine della filosofia moderna”, Dalfino e Pozzo, CNR-Iliesi, Roma.
La possibilità di guadagni per sempre
rigetta l'idea fallibilista -- Popper et alii --, secondo cui ogni sapere -- riportato
poi solo a quello delle scienze -- riposa su palafitte perennemente
rivedibili. La meta-fisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma
l'esistenza. Il filosofo deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue
acque, fuggendo l'oblio dell'essere e liberandosi dal sistema che intende
racchiudere in sé la totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di
una conoscenza filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che
possano darle le scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità
del dialogo tra filosofia e scienza, in quanto non esiste un solo sapere.
L'unità plurima o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra
filosofia e il culto sacro. Nell'incontro tra compito della ragione e elezione
del cristianesimo si individua un criterio di apertura e stimolo per la
filosofia nella sua ricerca di senso. Il principio della persona è più fondamentale
del principio della responsabilità (Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e
a fortiori delle filosofie dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di
persona si presta efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di
individuo, di soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è
originaria e primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno
le altre categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda
il dossier sul “Principio Persona” con contributi di Grandis, Ivaldo,
Madricardo, Pera, in “Studium”, L'idea
di persona è essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite
nell'antropologia, in specie da quando in Occidente si cerca di elaborare
un'etica procedurale di norme senza base antropologica, che è il grande
equivoco EQUIVOCO GRICE dei moderni. Fa parte del vasto movimento del
personalismo, volto alla riscoperta integra della persona. Compito del
personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele filosofie del
personalismo incompiuto -- Habermas, Rawls, BOBBIO, Ferry, Parfit --
allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e Foucault
in specie, ma pure Hegel, Heidegger, SEVERINO nei quali forte è l'empito anti-personalistico. Le
assise della persona vanno ricercate nell'ontologia, onde essa è una
sostanzialità aperta alla relazione, ma non riducibile a sola relazione. Le
persone sono nuclei radicali di vita e realtà che non possono essere dedotti da
alcunché e che anzi fonda l'agire e lo sperare dell'essere umano Esse come totalità concrete è alla base di
una filosofia che oggi deve fare i conti con la centralità del tema
antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es. concernenti lo statuto
dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e la natura umana non
sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della prassi. Il
personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano
speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un'invenzione,
ma originariamente della patristica, del medio-evo, e dell'umanesimo. Qui sono
state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla persona e
dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà. L'epoca
dell'antropocentrismo non è stata un'epoca di riscoperta della persona. Un
antropo-centrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita
ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde, Se la
controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti, è perché
l'idea-realtà di persona attraversa un momento d’eclissi e richiede nuovamente
la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso persona-tecnica, in
cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza, valendo come una potenza
senza etica. La presenza nel comitato di bio-etica gl’induce a dedicare
attenzione ai temi di bio-tecnologie, la rivoluzione bio-politica, l'influsso
pervasivo del materialismo e del biologismo. Il personalismo si declina
poi in ambito sociale come concezione egualitaria e comunitaria -- personalismo
comunitario -- quale fondamento dell’ordine politico proiettato verso la
cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani. Entro un dialogo
critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo, opera per
mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di ragion
pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti dell'uomo,
laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo oggetto.
Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico secondo
due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le grandi
religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può
contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva
di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della
società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo
mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della
famiglia umana. Sulla scia di diagnosi -- Arendt, Maritain, Strauss, Simon,
Voegelin -- ritiene che la filosofia politica vada riportata al suo compito
primario di pensare la buona società, lottando contro la crisi concettuale che
procede all'ingrosso da Weber e dall'attacco al diritto naturale. In
particolare è stata condotta una critica radicale a Kelsen, alla sua concezione
relativistica dei valori e della democrazia, al suo intento di dissolvere
l'idea di ragion pratica, tolta la quale l'ambito della prassi precipita
nell'irrazionalismo e tutto è affidato al volere. Cfr. il dossier Liberalismo --
“Humanitas”, con interventi di Campanini, Zanone, Esposito, Ivaldo. Esso
raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che
vide interventi di Savona, Vigna, Cubeddu,
Berti, Pellicani, e Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia
e dell'antropologia per la democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione
del cosmo umano è compito della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera
pubblica moralmente neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale
procedurale. La rinascita della filosofia politica avviene riprendendo
competenza sui suoi problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace
necessaria che non c'è e la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la
ragione armata: ciò suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del
mondo oltre la sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica
mondiale o cosmo-politica, di cui l'ONU è lontana immagine. Altre saggi: “Frontiere
della pace” (Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici
contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e la filosofia d’AQUINO, Studia
Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma; “La Pira tra storia e profezia. Con AQUINO
maestro, Marietti, Genova-Milano; La buona società. Sulla ricostruzione della
filosofia politica (Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione.
Metafisica, persona e politica in Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia
dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova
cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di
filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il
messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale
realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo
e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano (Ares, Milano); “Approssimazioni
all'essere. saggi di metafisica e di morale” (Poligrafo, Padova); “Il
nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza
navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione”
Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione
e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno” (Armando, Roma); “L'azione
umana. Morale, politica e Stato in Maritain” (Città Nuova, Roma); “Essere e
libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti, Milano);
“Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili. Bobbio, Noce, La Pira,
Lazzati, Sturzo (Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità” (Rubbettino, Soveria);
“L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti, Milano); “Dentro
il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II, Mounier, Rubettino,
Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola? Rubbettino, Soveria. La
rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau,
Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium,
Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo e la fine della
filosofia moderna (Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età delle pretese”
(Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla metafisica” (Armando,
Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano); “Epistemologia e scienze umane” (Massimo,
Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica
e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La
filosofia dell'essere” (Cardo, Venezia); Nichilismo Relativismo Verità. Un
dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e
democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia,
scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza
socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira”
(Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura
umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti
dell'uomo” (Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione,
fede e società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa,
Rubbettino); in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis,
Milano-Udine. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su
avvenire, A. Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti.
Possenti. Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio speranza,
prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita,
Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pozza: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Taranto
-- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. Grice: “I like
Pozza; he uses ‘pragmatic’ quite a bit, by which he means Grice, of course!” Durante gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un
insegnante di matematica di stile tradizionale gli stimola il gusto per i
problemi matematici e per l'eleganza formale delle dimostrazioni. Studia a Bari
dove si laurea con una tesi su SERRA (si veda) avendo come relatore Vallone. Coniuga
l'amore per i sistemi formali con l'amore per Leopardi, Carducci -- maestro di
Serra -- e Annunzio -- e tra i classici predilisse Tasso e Vita nuova di
Alighieri. Studia a Bari -- sotto Landi -- Pisa, e quindi metodi formali
a Milano. Una svolta nella sua carriera filosofica è segnata dalla
partecipazione agl’incontri di S. Giuseppe organizzati a Torino da BOBBIO. A
partire da qui sviluppa idee in filosofia del diritto, specie – ovviamente -- su
Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con particolare
attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria generale del
diritto in collaborazione con Ferrajoli
per i suoi “PRINCIPIA IVRIS”. Organizza a Taranto gl’incontri Info IVRE
TARAS, logica informatica e diritto, al quale partecipano alcune delle figure
più rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica, tra cui
Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi, Guastini, e
Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e partecipando
a conferenze di società filosofiche italiane -- specialmente la Società italiana
di logica e filosofia della scienza e la Società italiana di filosofia analitica,
dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna a Lecce. Tra le
principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica testuale vi sono
quella di Petöfi. Insegna a Verona, Padova,
Bolzano e, per le sue lezioni di logica deontica, a Petöfi e Kelsen. L’influenza
maggiore viene dalle grandi opere di Frege, Russell e Carnap, ai cui dedica uno studio, con particolare attenzione
alla visione filosofica. Pubblica un contributo di sapore positivista,
discutendo e formalizzando alcune argomentazioni in fisica quantistica. Un
legame tra i suoi interessi in linguistica e il suo lavoro in logica formale è
dato dalla sua teoria formale degl’atti linguistici basata su una connessione
originale tra logica intuizionistica, usata per gl’atti linguistici assertori, e
logica classica, usata per i contenuti proposizionali. Presentando la sua
teoria di una formalizzazione della “pragmatica,” define un modello
Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione, mostrando
che il problema principale di questa teoria è la limitazione introdotta da
Frege -- e accettata da Dummett -- per cui il segno di asserzione si può usare
solo per formule elementari assertorici. Ma, come molti filosofi sostengono,
esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto
linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius,
introduce un connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formula
assertiva complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato
dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico,
fra DUE atti linguistici assertori semplice in uno complesso, ha invece una interpretazione intuizionistica.
Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione
fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è,
in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non
giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un
atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a
spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in
termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto
linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità
tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o
intuizionista. A questo studio seguono
altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua
filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio
alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica -- specie a partire dalla
sua collaborazione con Bellin. Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre
ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta
Informaticae. La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della
fisica e alla filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica,
specie con convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità
internazionali e di amici sono raccolti in suo onore. Altre saggi: “Un'interpretazione
pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi fondazionali
nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione pragmatica
della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari non
denotanti e atti illocutori”; “Idee”; “Una
logica pragmatica per la concezione espressiva delle norme”; “Logica delle norme” (S.E.U., Pisa); “Il
problema di Gettier: osservazioni su giustificazione, prova e probabilità”
(SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza e non-scienza”; “Verificabilità,
falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci, Ferrajoli); Principia
juris. Teoria del diritto e della democrazia.
La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo Dalla Pozza. Carlo
Pozza. Pozza. Keywords: Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozza”.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Pozzo: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel ginnasio – filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Sudia a Milano.
Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t consider him
Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why Italians
don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal degree
without, and not within, Italy.” Insegna
a Verona e Roma, all’Istituto per il lessico filosofico – (Grice: “Yep –
Italians have an ‘istituto’ for EVERYTHING!”). Studia il LIZIO, la storia della
logica o dialettico dal rinascimento, la storia delle idee e la storia dell’università
di Bologna (“l’unica chi conta a Italia”) -- ha portato avanti la creazione di
infra-strutture di ricerca per una migliore comprensione dei testi filosofici e
che hanno plasmato il patrimonio culturale. Caratteristica specifica del suo
approccio alla lessicografia è l’uso della IT per la documentazione e
l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano. Hegel:
Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica (Firenze:
Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia storica e
storia filosofica della,” Schiavitù attiva, proprietà intellettuale e diritti
umani. Riccardo Pozzo. Pozzo. Keywords: il ginnasio – implicature, identita
nazionale, filosofia italiana, patrimonio italiano, storiografia filosofica,
storia della filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The
Swimming-Pool Library.


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