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Tuesday, June 24, 2025

GRICE ITALO A-Z R RU

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi, verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma.   Nel mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già  Nerone fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato, austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava, per timore, di passare inosservato, tanto  più si parlava di lui. Le chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle voci,  Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro, una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio. 

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruberti: la ragione conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele – la scuola di Fanza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Pideura, Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu gravium” costituisce la II parte.  Si dice faentino e tale è considerato dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R. prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica. Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo  Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il  principio del baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso, che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche Registrazione del convegno per lui, Fidio, C.  Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti, che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli  G.  Rossini, Convegno di studi torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni,  Baro-metro di Torricelli, Equazione di Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. E. Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library  

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rucellai: la ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta – scuola fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli. Quando comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo il nostro sapientissimo Socrate. Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di R., Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. ALFANI gia alooio di R. Istitnto Superiore di Fireoze. FIRENZE, BARBARA. Tia Faenza. Agl' Illustbi Pbofbssobi CONTI E FERRI. Non crediate che io dedichi a voi questo libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al vostro patrocinio, come un padre che vedendo il suo caro figlio sul punto di escire dalla vita delle mura domestiche, per entrare in quella pubblica della citta e della patria, Io affida sicuro a cittadino illustre, onorato, provetto, perche gli agevoli col suo nome la via, e col consiglio suo Io diriga e protegga; io Io dedico a voi come cosa che vi appartiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi ne foste bene i consiglieri sapientemente aniorevoli, que' due che in mezzo alle non lievi difficolta m' incoraggiaste e mi ajutaste a combatterle e a superarle. E, anzi, io posso affermare con sicurta che questo libro debba a voi piu che a me la sua vita, dovendo io appunto alia vostra scienza, alle vostre instituzioni e ai voatri consigli, se datomi agli studj prediletti della filosofia ho potuto proseguire non vanamente nel difficile cammino e in queste ardue discipline, per le quali ora meglio che mai riconosco altri ingegni che non il mio poverissimo esser richiesti sempre, e particolarmente oggi che la filosofia vera, questa prima nutrice della ragione umana, questa ultima consolatrice di lei o desolata dal dubbio, o da' contrasti affranta non vinta, e con ogni sorta di mezzi ingratamente assalita, per sostituire in sua vece una larva pericolosa a cui si da noma di scienza, e che invero non e altro se non la cupa e colpevole generatrice di una Comune di Parigi, e delle negazioni piu spudorate e micidiali coUe quali, sotto i nostri occhi medesimi, per un falso giudizio di liberta si permette di insultare scherzevolmente il buon senso e la coscienza degli uomini. Siffatti contrasti ed errori io appena in,travedeva (non li poteva discernere chiaramente) quando negli anni primi della gioventu. quantunque innamorato della filosofia, maneggiava la riga e il compasso, e piu per rar gione di metodo che per intenzione di scelta studiava le scienze superiori esatte e le natural!, utili quelle, e necessarie queste al filosofo che voglia conoscere tutto I'uomo e le leggi vera dell' universe. lo li ricordo, sapete, quegli anni! AUora che il velo del disinganno che ricuopre le malizie umane o non 6 punto soUevato a'nostri occhi, o n' e appena : allora che i problemi e le questioni piu gravi della filosofia intomo a Dio, all' uomo ed al mondo le si risolvono piu col cuore e col linguaggio materno, giammai ingannatore, che non col severe e spesso arido sillogizzar delle scuole ; e tutto ci sembra piano, evidente; e le risposte piu ardue ci sembrano le risposte piu naturali, perche appunto dettate dalla voce infallibile della natura. In quegli anni le negazioni si tengono e si combattono non come negazioni vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le divengano terribilmente reali, e guastino la sovrana armonia tra la verita e 1' intelletto, ci par le miglia Montana. Ma pur troppo, andando innanzi, ogni giorno che passa e un fiore che cade dall' albero delle illusioni della vita ; e noi scorgiamo sempre piu farsi reale e tremenda la guerra al vero, le sue armonie minacciate dalla superbia di ragione delirante, e dair odio piu spietatamente beffardo. E come difficile non esser feriti dalla punta awelenata del dubbio! come difficile non rimanere sorpresi e colti dalle astute carezze di quella ingannevole Armida, che si fece introdurre nelle nostre tende a promettere le sue grazie e favori a quei che disertassero I'antica bandiera, che e poi la bandiera delr onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese loro ambizione ! quanti minacciano di restarvi, chiuse le orecchie alia voce della loro coscenza e della verity ! La quale voi, benemeriti, m' insegnaste a venerare e difendere efficacemente (ed oh! r avessi imparato bene) colle armi di non effimera scienza, le cui parole e i di cui pronunziati sentii sempre lietamente rispondere a' palpiti primi del mio cuore, a' miei primi sospiri religiosi, alia voce medesiraa di mia madre che m' insegnava, dandomene essa la prima e col fatto 1' esempio, ad onorare Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare me stesso. La vostra filosofia insomma sentii essere veramente la filosofia; e quel prime amore che mi fece cercarla quasi inconsapevolmente, giovanetto ancora, pote con voi divenire nelr anima mia fortissimo e consapevole, e ad essa attrarmi potentemente, stupito di tante sue bellezze sublimi, che voi dottamente mi rivelaste, perche alia mia volta anch'io, salendo una cattedra, insegnassi que' medesimi veri, e scoprissi quelle medesime bellezze e il loro amore ai giovani intelletti che la patria e la Prowidenza mi avrebbero poscia affidati. Accostandosi a questo ufficio santo e terribile insieme, non puo 1' anima non esser compresa di alta trepidazione : si tratta dell'avvenire di uomini, si tratta dell' avvenire della patria, che noi dobbiam preparare. Dedicando a voi questo libro, io voglio, egregi professori, darvi pur anco un pegno che in tale ufficio solenne, nel mio insegnamento, seguitero le orme vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi avro innanzi al pensiero, illustri propugnatori della verita e del bene. N^ voi, io spero, sgradirete il ricordo che vi testimonia perenne la gratitudine mia, ne sdegnerete di conservare la memoria di me, discepolo vostro, e di ajutarmi ancora, fatto da voi ad altri maestro. E cosi legati tutti, professori e discenti, nel vincolo di reciproco affetto, i nostri studj e le nostre fatiche saranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo del bene, e dalla prosperita della patria. Tutto vostro devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze. Spbcchio begli sceitti bditi e tnbditi di Obazio Rioa SOLI RUCELLAT. Firmamento dei cieli e firmamonto del pensiero. Armonie loro. Orazio Ricasoli R.. Quegli h specchio delle condizioni di quosto in Firenze. E pero si spiega r ammirazione grande per R. de' suoi contemporanei. Divisione generale di questo libro. Suo fine e importanza. Scrittori di R.. II marchese Carlo Rinuccini. Anton Maria Salvini. II canonico Domenico Moreni. Tiraboschi. Passerini. Turrini. Mamiani e Centofanti. Necessity di ritesser la vita di R. per il proposito nostro. Difficolt^ pel difetto di docnmenti. Condizioni generali del secolo decimosettimo. fe un secolo di contrasti politici e morali. Contrasti nelle arti, nolle lettere, nella filosofia. Capitolo Secondo, Dblla vita di Orazio Ricasoli Rucellai 20 Nascita di R.. Suoi parenti. Antichit^ e nobilti delle due famiglie Ricasoli e R.. Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie deir Italia. I Ricasoli, i R. ed i Medici. P erch^ Orazio piucch^ Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de' R.. Questi e le dottrine platoniche. L' Accademia istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. Intendimenti di questo. Suoi scritti. Platonismo cristiano di lui e de'snoi accademici. Si nominano. Bernardo R.. Sue qnalita, opere, preg i di esse. Fa parte dell' Accademia Platonica. L' accoglie ne' suoi Orti, onde essa piglia il nome di Accademia degll Orti Oricellari. Figli e nipoti di Bernardo platonici. Congiura contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia. Gli Orti menide o d* uno eterno. Anassimandro o dell' infinito. Necessity deir Infinite. II finito non e privazlonc di questo. Cartesio, o 1' idea dell' infinito prova della sua realty. Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. E questo secondo argomento R. tiene per piiistringente di quello del Cartesio. Ma si I'uno che I'altro sono argomenti probabili. Anassimandro o della luce. Galileo. R. non nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t- La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1' opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. Platone, la luce e 1' anima dell' universe. Ma e tutto un pud easere. Anassimandro o de'colori. Zenone di VELIA ed altri filosofi. Si conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di Socrate. La fede. Esposizionb del timeo di Platone nk' Dialoghi di Orazio Ricasoli R. Ammirazione di R. pel Timeo di Platone. Opinione e scienza. Necessita di un Principio primo. Plotino. Triniegisto. R. non e dualista, come Platone. Fine della creazione, il buono. Obiezione e risposta. Nell'ordine dell' universe si legge il verbo di Die. Gli archetipi eterni. Platone manca della fede, e pero nell' attinenza di causality tra Die e il mondo cade in errori. La mente divina forma di tutte le forme. La mente umana e le idee. Loro natura. II R. combatte Aristotele. Trimegisto e la creazione. II mondo non e Die ; ne Dio e I'anima di esse. Ma e sua legge. Ne I'amere, per se, e anima deir universe. Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. £, pel R., le Spirito Santo. il TIMEO. Dell'anime razio NALI Quesiti. Natura dell' anima razionale. Non e particella deir anima universale. — fe intiera e perfetta da sh, — In che il R. si discosta qui da Platone. Spirituality dell' anima. Perfezione maggiore negli spiriti angelici. Immortalita. Argomenti dl ragione probabili. Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione dell' immortality. Passe di questo filosofo. Altre prove d' immortalita. Gapitolo Decimoprimo. Breve cenno sullb aemonichb propoRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R. 187 Oggetto di questo trattato di R.. Suono. Ordine. Armenia. Proporzione. Passo dell' autore. Platone e le proporzioni armoniche. II medesimo e il diverso. Anco per R. tutto e armonia. I tre regni della natura. L’armonia e ranima univorsale platonica. II corpo umano e le armoniche proporzioni. La materia. Gindizio di R. sn questa parte delle dottrine platoniche. Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI FILOSOFIOI DI R. Importanza di questo trattato. Meglio che in ogni altro scritto di R. si fa qui palese la natura del suo ftlosofare. Prove di ci6. Obiezioni dell’Orto e risposte. L’ordine dell'uniyerso e argomento del Provvedere di Dio. Questi e la natura. Essa non e per al che una voce generica. II Case. Si combatte. Gli atomi. Si nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eternity. Si confuta V accozzamento fortuito di quelli. Galileo. La creazione. Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eliminazione. Obiezione e risposta. — Galileo e R.. Dio non informa il mondo come anima corpo. V esempio del sole. Ficino. La fedo. Creazione ex nihilo, Ragioni probabili. Ripete V autore : fine della creazione il buono. II Vero Bene. I beni del mondo han ragione di mezzo, di fine no. La esposizionb del trattato DELLA PROVVIDENZA Dei mall. Necessity di questi nel mondo. I veri mali. La morte non h un male. E cosl la poverty, la perdita delle ricchezze, le ingiuste persecuzioni ec. I mali occasione e strumeiito di bene. II dolore. La infelicita. Del done della ragione. Sua natura. Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prcdestinazione. — Liberti e fato. Passo dell'Autore su questo punto. Epilogo delle probability ragionevoli intorno V esistenza di Dio provvidente. Rifugio nella fede. Esposizionb bblla psioolooia e della morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio RiOASOLi R. II detto di Socrate e quello di Talete. Fatti intemi: psicologici e moral!. — Notee te ipeum, ~ Dell* anima in generate. Galileo. fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. Studio proficuo de' suoi strumenti. Notomia. Proemio di R. alia parte morale. Qui h aristotelico. Riepilogo. La ragione ed il senso. Loro contrarieta nel riconoscere il bene. Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del senso. Apprezzamento di essi. La vera scienza morale e il timore di Dio. L' anima nmana, perche ragionoTole, h capace del timore di Dio, e, perd, di virtti. — Anche qui R. e mistico. Operazioni delr anima e della Tolonta. Errore e dubbio. Buono e reo. La felicitd,. tl la virtti. Il portico. Aristotele. Virtii cardinali. Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tirtii. Applicazione delle yirtCi alia societa umana. Fine di essa. Doveri. Diyisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno lo donne. Ossbbvazioni oeitichb SULLA FiLOsoFiA DI Obazio Rioasoli Ruoellai. Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del R.. II professor Palermo ha giudicato Vlmperfetto imperfottamente. Perche. Quesiti da risolvere. II Rinascimento e le sue qualita. Scetticismo. Tradizionalismo. Bruno. Campanella. — Galileo e il suo metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e TAccademia del Cimento. Metaftsica galileiana. Sommi capi di essa nei Dialoghi dei Maesimi Siatemi. Cartesio e r osservazione interna. Spinoza e Malebranche. Bacone. II sensualismo di Loke. Eclettismo di R.. Suo probabilismo. Si provano riandando la sua filosofta. L’Accademia. Cicerone. La fede. Differenza tra' iilosofl del Medio Evo e il R.. Questi e il Galileo. Nel metodo 11 R. apparentemente e moderno. Perche. Intende solo negativamente Taforisma socratico. Ed e sempre probabilista. Accordi tentati. Gli fa difetto la speculazione. E per6 riesce eclettico. Breve riscontro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell* universe, e nel Timeo, Platone, tl Cristianesimo e Galileo. — Cartesio. — Teorica della cognizione. Teorica del volere. Liberty e fato. Il Portico e l’Orto Libero arbitrio e predestinazione. Psicologia e morale. II R. e Cousin. Aristotile. Platone. Il portico. Cristianesimo. Divisione delle virtd. Cicerone. AQUINO. La scuola dell’Orto e R.. Teologia razionale. Platone e il nostro scrittore. I Padri. La Fede. Si conchiude che nello studio dei tre obietti della filosofia R. e eclettico. La forma esteriore, - lo stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi di R. sono un' ultima conferma della nostra Conclusione. ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI. Ottavk. Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin cipessa di Toscana SONBTTI Della Gobte e del eigibo di Roma da' DIA.LOGHI FILOSOFICI. ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. H TimeO. Delle idee Sopra ranima del Mondo Se V Amore sia Y anima del Mondo 379 Dell' immortality delP anima 435 PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A PsiCO LOGIA ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. Offizi delta facoltd deUa ragione SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E INBDITI DI RICASOLI R.. Brose edUe, s CoNTRO I SoFiSTi. Intomo a' Principj universali della Natura, Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre tomi del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore. Quest! pure sono stati pubblicati con una Prefazione del Chiarissimo Prof. Palermo nel volume III del Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1868, e precedono i noye della Provvidenza. Della Provvidenza. Dialoghi filosofici, pubblicati insieme con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia per cura del Prof. TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze Nove dei quali Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana. Firenze. Quattro di questi dialoghi furono pure pubblicati dal Sig. Canonico Domenico Moreni, coi tipi del Magheri in Firenze nel 1823, e che corrispondono a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de' Manoscritti {Trattato della Provvidenza). E quelli stampati dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al Numero 1-9 de' medesimi manoscritti. Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig. LuiGi FiACCHi nella bella Collezione degli Opuscoli Scien SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e Letterarj, e che io ho riprodotto ora per intiero, perch^ 6 per eleganza di stile e ricc?iezza di concetti moraji pregevolissimo. DiscoRSO CONTRO IL Freddo Positivo. Lo pubblic6 il Canonico DoMENico MoRENi insieme con altre cose di R., del Bonaventuri e d' altri, nel 1822 co'tipi del Magheri. Firenze. Questo discorso, avverte Moreni nella Prefazione, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo Dati dei 6 aprile 1666 a Ottavio Falconieri, manoscritto nella Magliabechiana alia pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva I, fu da lul recitato in un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e trattenimento del famoso Cardinale Delfino^ che trovavasi allora di passaggio per Firenze. Eccone di essa I'articolo: Io mi era scordato di dare a V. S. Illustrissima avviso dell'Accademia. II Sig. Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a desinare, e subito disse di voler partire il lunedi, sicchd poco luogo restava per fare Accademia. Sabato sera essendo bene allindata T Accademia. si fece Adunanza privata, ma pero nunierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il Sig. Principe Leopoldo dalla casa li vicina del Sig. Duca Salviati, dov'era alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r Accademia assai galantemente. Discorse mirabilmente il Sig. Prior R., sostenendo che il freddo fosse privazione di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, mantenendo il freddo positivo e reale. » Traduzione della Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. Ad Quintum Fratrem. Trovasi nella raccolta fatta dal Canonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti del R., Buonaventuri ed altri; pubblicata co'tipi del Magheri, in Firenze nel 1822. Di questa medesima parte de'Dialoghi filosofici del Rucellai, I'egregio Parroco Luigi Razzolini pubblico qualche anno indietro V Argomento e qualche Capitolo, cio^ quello intitolato: Della Morale; Della cognizione delVuomo e degli strumenti e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV anima razionale, e Degli Officj per la Societd umana, Se non che ora questa raccolta non trovasi piii vendibile, Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia Antologia di cose inedite di R. anche un brano sulla Facoltd delV Anima razionale, quasi considerandolo come inedito. Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del SiGNOR Desiderio Montemagni (ossia del Timido. Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Collezione degli Opuscoli scientifici e letterarj, L' autografo della medesima si trova in un manoscritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia appartenuto alia Biblioteca dei Padri Serviti di Firenze, segnato di N« 1422. CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno, Fu pubblicata nel Volume I, parte III delle Prose Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723. A questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo Panciatichi fatta la Contraccicalata, che il Biscioni pel primo pubblico con ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel pubblico » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si faceva una le» zione in burla, che si chiamava Cicalata ; contra la quale » un altro Accademico, montato in bugnola, ne faceva una che i» si chiamava Contraccicalata, di cui al pubblico non c' S se » non questa. » RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall' Ornato (Conte Ferdinando Del Maestro), delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca a* di 26 giugno d652, Non ha indicato il Moreni donde la ricavasse per pubblicarla, come face nelle Prose e rime del Rticellai, del Buonaventuri e d'altri, Aroomento e descrizioni prehesse dal R. alla Presa d' ArgOf e gli Amori di Linceo e di Ipermestra, Dramma teatrale di Giovanni Andrea Moniglia, parte prima. Firenze, stamperia Arcivescovile.Quest’argomento e descrizione di R. trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche del Moniglia, starapata dalla tipografia Granducale nel 1689, Firenze; tantoch^ qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Passerini, bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere il R. fatte queste descrizioni in prosa, e premesse a quel dramma, dedusse erroneamente esser lui V autore del dramma stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. — Sta in appendice ai Dialoghi filosqfici della Prowidenza che di R. ha pubblicati il Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e segg. Questa lettera scrisse T Autore da Varsavia b SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI, allora che trovavasi la in qualita d*ainbasciatore della Corte Toscana presso Vladislao quarto. Lettehe Fahiliari: a) A Monsignor Giacomo AUoviti, Lettere cinque, pubblicate dal Canonico Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio di Lettere d'Orazio R. e di testitnonianze autorevoli in lode e difesa deW Accademia della Crusca, Firenze, nella stamperia Magheri, 1826. «Di queste lettere come delle seguenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali, dice il Moreni . Ai benigni lettori) ritroyansi in Oderzo nella immensa epistolare raccolta con grande studio e diligenza da pill anni assembrata dal Chiarissimo Sig. Conte Giulio Bernardino Tomitano, il quale con quella sua solita cordialita. che in pochi altri e si leale, ad un mio cenno, senza por mente egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece avere di esse una diligentissima copia, da lui medeslmo fatta, clie in nulla si discosta dal loro originate. ]> b) A Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella quale combatte gli atomi frigorifici positivi, contro i quali ei fece e lesse pure un discorso neir Accademia della Crusca. Si trova nella raccolta medesima del Moreni di sopra menzionata. A Monsignor Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. Sono 29 lettere nelle quali R. discorre de*suoi componimenti filosofici a quel patrizio veneto, che alia sua voita inviava al R. i proprj. Stanno nella medesima coUezione fatta dal Moreni. d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli originali di queste 4 lettere sono in uno dei volumi di lettere scritte al Redi, che con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblioteca Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid. e) A Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei MedicL — Gli discorre del disegno, della disposizione ed ordinamento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta la data del maggio 1665, soiitta di villa; estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e pubblicata nel suo Avvertimento al volume terzo dei Manoscritti Palatini di Firenze, da lui ordinati ed esposti, e dove ha pubblicato pure quei Dialoghi di R. che ho accennati piu sopra. mPoesie edite. Il Filosofo R. al Filosofo Magalotti. — Sono trentasei terzine a mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di sopra. L*autografo io no so dove trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^ 31-7. VII. sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi autori del secolo XVII. Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto. Trovansi stampate come sopra, COS! la copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale. Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli altri, dal Codice Magliabechiano citato, e comincian cosi: ft Corte albergo di regi, ove si vedo) Con benigne maniere, uniche e sole » Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente' D'ostro, e d* oro vestito, e altero il volto La bella verita ch* ove s' apprende. a Che il reo costume a volo erger si scerna Dunque tema non ha chi di natura: (icRagion che intenta a' maliziosi modi Quella, che scende dall'Empiree soglio) 11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge» (Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel cielo » (Pag. 147.) Non potersi comprendere Iddio che con la fede, quani'unque L’OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. Sono dodici Sonetti, pubblicati dal signor Fiacchi, nella collezione degli Opuscoli scientifici e letter ari. Firenze 1816, volume XXI, dalla pagina 68 fino alia 74. Non sono stati estratti dal Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss, di diversi autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che si trovano tra quelli editi dal Fiacchi, e quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI quel Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati: ma b pill che probabile siano stati tolti dalF original e, che si conserva presso gli eredi. Questi sonetti incominciano: c Oltre i Gonfin de' miseri raortali » 2) ft Nella piu cupa eternita si ascose )» dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel rapia » SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena de'Pazzi. Sonetti, stampati nella Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi essi non so di certo; credo, al solito, nella biblioteca privata degli Eredi. Una copia d nella Magliabechiana, ora Nazionale, nel Codice Manoscritto col titolo di Poesie manoscritte di diversi autori del secolo XVII. Incominciano. II quarto, pubblicato col quinto, come s' 6 detto, dal Orescimbeni, incomincia: «c Nel giorno che costei si bella nacque » II quinto : « Quella che dal mio cor non parte mai » Felice annunzio a una lettera amorosa. (Vedi Moreni. ibid., a c. 140.) cc Vanne, che serbi i miei pensieri ascosi » SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI Si detestano gli abusi del seoolo. Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c. « Vasti flutti solcai di speme iniida » VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. SonC^to, ibid. Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta fugace» In risposta a un sonetto morale del Graziani. Sonetto, ibid., a c. . «Non toglie i pregi al cielo e non depreda)> La Divina disposizione sempre giovevole, anche talora paia il OONTRARio. Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver recesso » Stimoli di penitenza destati nella volontA non aiutata da' sensi. Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II primo verso e: « Occbi piangete. Mirerovvi ancora » Suo AMORE DA VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la censura il Dati, e che fu pubblicato dal Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli scientifici e letterari, pag. 64. Incomincia: «Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo» Non si ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra citato, n6 1' ho potuto trovare altrove. L' autografo poi sari, come degli altri, nella Biblioteca degli Eredi. Prose inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli R.. Gia sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui pongo il contenuto de* quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine, e 1 due codici della Biblioteca Ricasoli) avvertendo subito che le Villeggiature Albana e Tiburtina non si ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia). — £ un volume in-4o slegato, di pag. 788, senz' indice, e in carattere minutissimo. Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi intorno a' principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposizione del Timeo di Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49 Dialogbi. Codice Manoscritto, anch* esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme R. in frontespizio. Erano per 1' innanzi di propneta della signora Maria Settimanni, moglie del signor marcbese Dante Catellini Da Oastiglione, e da essa gli acquisto poi il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26maggio 1815. Questi Dialogbi sono dedicati al signor marcbese Cosimo Da Castiglione. Questo codice contiene i Dialogbi su i principii naturali deir universe (16) come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia indicazione e numerazipne dei Volumi. 1» Codice Manoscritto della Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma corretta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi sulle opinioni dei filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' universe (16), poi la Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo, (15 dialogbi) Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeggiatura Albana, (2 dialogbi e il Proemio) ossia ai Dialogbi deir Anirna, della Notomia, e per ultimo, alia Villeggiatura Tiburtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due Argoraenti e due Dialogbi). Questo Codice fu rivisto e corretto da Anton Maria Salvini. Codice Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi come I'autografo, percb^ corretto di mano dell' Autore. Son 14 volumi in-4o, legati essi pure in pelle, e scritti sufficientemente bene. Qui I'ordine ^ alquanto diverse; imperoccb6 i Dialogbi della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e 9, ciofe dope quelli della Filosofia naturale antica, (Dialogbi) e il Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume senza Dumero col titolo di Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe SPECCHIO DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi) e Tiburtina come nel Codice antecedenteraente descritto. (Proem., 2 argomenti e 2 dialoghi). Per piii ample notizie veggasi il mio capitolo intitolato Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R., PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. — Libello del Stg. PHoT Orazio R..Una copia di questo scritto inedito fu da me ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete nissuno fin qui avea fatto parola, forse perchfe sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice. DiscoRSO SULLA FoRTUNA. Lo lesse R. in una Adunanza tenuta dall' Accademia della Crusca ai 20 febbraio 1654, in onore del Principe Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Svezia, come risulta dal Diario del Buonmattei. £ inedito presso gli eredi, e penso che sia quelle incorporate tra' Dialoghi filosofici nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della Filosofia Morale. Le lodi di San Zanobi, Vescovo, protettore dell' Accademia DELLA Crusca. Discorso recitato dal R. in un' Adunanza solenne che detta Accademia celebro in onore di quel santo, nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come ricavasi a pag. 89 e segg. del Diario di Benedetto Buonmattei allora segretario. £ inedito presso gli eredi, ma da me non potuto leggere. Invettiva contro il collega Tommaso Segni. — Anco questa e inedita presso gli Eredi ; ne ho potuto consultarla, e solamente ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa menzione il Moreni, a pag. XVI della sua Prefazione alle Prose e poesie di R., Buonaventuri ed altri. CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di essasitrova nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158, ed un' altra nella MagUabechiana Codice Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con altra del figlio Luigi Ricasoli R.. Trovasi pure nella Palatina* m Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita il signor LuiGi PasseRiNi nella sua Genealogia e Storia della Famiglia Ricasoli. Firenze, Tip. Cellini, 1861, dove discorre di Orazio R., a pag. 86, e che dice pubblicato a Firenze nella Raccolta delle Prose fiorentine, parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma io non V ho rinvenuto, e percio ritengo come inedito anche esso nella Biblioteca degli Eredi. ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR OrAZIO RiCASOLI R., nella stia Ambasceria di Corte Cesarea e di PoIonia dal principio di gennaio al giugno 1635. — Questa raccolta con le lettere del suddetto R., e delle quali ne pubblico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Archivio degli Eredi; e pero non potute esaminare da me. Lettere Familiari — Sette di queste indirizzate al suo Serenissimo Principe trovai in una cassetta nella Biblioteca Palatina, che a^eva per titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta, c furon levate, come molte di altri uomini illustri, dair Archivio centrale di State, nella occasione della Gran Raccolta de'roanoscritti Galileiani e degli Accademici del Gimento. Altre tre Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio universale mediceo, Filza 1013, Anni 1631-1641, dirette al Granduca Ferdinando II dal R., di Roma, negU anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita di Orazio R. rinvenni nella Filza Medicea, dal 1640 al 1650, pacco 2°, datata da Roma li 24 luglio 1649, e colla quale ei domanda al Granduca nuove dilazioni per la Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias 5488). Poesie medite. L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che era il signor Prior Orazio R., dopo aver cenato alio stravizzo fatto dalla medesima Accademia, presenta un meraoriale ai Provveditori della Gena, chiedendoli il solito tribute del Cacio. Sotto questo titolo dice il signor Passerini che si trovano pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana, nel solito Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI 347, e comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare stainpate, e per do le ho poste qui tra le inedite. Alla Serenissima Margherita d* Orleans, Principessa di ToscaNA. Per un maizolino di fiori donatole il giortio di Santa Margherita, dal Stgiwor Prior Orazio R.. Sono in copia quattro Ottave che si trovano nel solito codice magliabechiano sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi. In morte oella donna amata. Un Sonetto inedito che trovasi con altri editi nel medesimo Codice Magliabechiano YII, 347. Poesie di diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia : « Quello che sola ai miei pansier risponde » Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c. 213. « Non di vostra beltk caduca e frale > Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico che Dio creasse le anime particolari degli uomini, degli avanzi dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, Con eteme faville il sommo Sole » Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI OCCHI DELLA sua DONNA. Vedi ibid., a c. 212. Incomincia questo Sonetto: « Orabra il sonno d di morte, i sensi atterra » Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti inediti, ibid., che fan corpo cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano : ((Come aguzza il gran fabbro, e con qual lima)) Se alla ministra del Motor Sovrano )) Nasca talun senza mirar la luce Desiderio dell'anima d*unirsi a Dio, Sonetto, ibid., a c. 218. Comincia : « Padre del ciel che le bell* alme accogli t> Nel Codice Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli VIII. Var. 363, si trovano scherzi immorali del RuCELLA.1. Come pure neiraitro Codice superiormente citato se ne trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro Imperfetto. Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi di R. trovansi ricopiati pure in altri Codici manoscritti come p. es. nel Libro Valerii Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e nel Codice Magliabechiano. Firmamento dei cieli, e firnianionto del pensiero. — Armonie loro. Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo decimosottimo. — Quegli e specchio delle condizioni di qaosto in Firenze. — E pero si spiega r ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. — Dirisione generale di questo libro. — Sao fine e importanza. Come accade nel firmamento dei cieli, cosi, o lettore benevolo, mi sembra accadere nel firmamento del pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi regnare nelF ordinata misura de' corpi celesti non dissomiglia punto da quest' altra armonia che le idee, o le stelle dell' anima, compongono tra se nel loro ordinamento stupendo. Ond' ^ che in quella guisa medesima che anco un astro il piii piccolo, 1' occhio deir osservatore de' cieK scopre ed afferma talora necessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non altrimenti nella storia del pensiero umano sovente uno scrittore, un filosofo, pur de' non grandi, lo ritroviamo, studiandolo, quasi anello logico, se non necessario, tra due etd. e du§ scuole che si succedono, tra' filosofi maggiori di quell' et^ stessa. Cosi, per esempio, in un tempo di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^ un uomo il quale specchi in se nella loro schiettezza i pensieri e le disposizioni diverse della societa civile in mezzo alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia la immagine vera di que' contrast! che ingegni piii chiari e piii valorosi di lui allora combattono; quest' uomo, anco de' non grandi, acquistera senza dubbio per tal fatto importanza non lieve nella storia del pensierq e della civilt^, perch^ appunto ei potra nella Storia rappresentare veramente il suo tempo ; egli, se vogliamo conservare il paragone, sara un anello logico di quel sistema di astri intellettuali che compongono Y armonia spirituale dell' universo. Potrei, volendo, recar qui per la mia asserzione testimonianze storiche a dovizia; ma non lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che notissime cose, e cadrei nel superfluo. Orazio Ricasoli R., del quale imprendo a discorrere, non ^, giova dichiararlo tin d' ora, un gigante tra' pensatori, e neppur grande ; egli 6 un astro minora, e nulla pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran forza speculativa e una potenza straordinaria d' ingegno. Forse egli era nato uomo di alti spiriti ; ma infetto anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata la filoSofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a sofifrire; poichd, come scrive il Guasti nel suo Lorenzo Panciatichij era il pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato. E appunto, credo, perchd R. ci apparisce cosl e nella filosofia e nelle lettere; appunto perch^ respird que'miasmi, e le inclinazioni diverse del suo tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi scritti ; io son d' avviso ch' egli acquisti per noi pitl importanza come quello che valga a rappresentarci fedelmente quel secolo nel quale fiori, e riproduca le condizioni reali del pensiero filosofico e del civile consorzio in mezzo al quale viveva. E se questo d vero, come in progresso dimostrero, la cagione e ragione della stima e ammirazione grandissima de' suoi contemporanei, che lo ritenner quasi come un mezz' oracolo, ^ spiegata e almeno in parte giustificata. Come Orazio R., cosi quel valenti eruditi contemporanei sentivaao dentro di se ripercosse le molteplici disposizioni del tempo, e tutta la violenza delle correnti contrarie che urtavano per trascinare ciascuna seco la navicella delle lor menti. R., che ^ alia testa di loro, vuol dominare la furia de' corsi, e in parte riesce ; ma poi quasi inconsapevolmente ei segue cogli altri or questa or quella fiumana; egli e come un prisma sulle cui faccie riflettonsi i colori molteplici dell' iride filosofica di quelr et^. Egli e insomma il rappresentante del suo tempo in Firenze, perch^ raccoglie in s^ stesso tutte le opinioni opposte che v' erano allora e tenta conciliarle; e, altresi, perche questa conciliazione ha pitl delr accademico che dell' intimamente speculativo ; speculazione che, salvo le scienze naturali, era molto fiacca a quei tempi nella sua patria. Dimostrato questo, apparir^ anco pitl quella importanza che a me sembra avere questo libro, come quello che avr^ mirato ad aggiungere un po' di luce alia storia del pensiero di quel secolo; a presentare un trapasso anco pitl intimo tra due et^ che si succedono. E per arrivarvi, nulla di meglio che gettare uno sguardo al viver civile del secolo decimosettimo, esaminarne attentamente le condizioni politiche e morali, vederne lo stato delle lettere e delle scienze; poich^ tutti insieme questi risultamenti dell' attivit^ umana, e non tra di loro sconnessi o separati, valgono a rappresentarcela. Noi considereremo quindi R. in quello stato de' tempi suoi, e vedremo come la sua vita vi si svolga, e nelle varie manifestazioni a quelli esattamente risponda. E man mano che la critica seguir^ la esposizione delle sue opere filosofiche e letterarie, delle quali stimo opportuno ofifrire come appendice e documento al libro una Antologia^ avremo occasione di veder cose singolari e di non lieve importanza. Con questo mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia della filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a stringer viepitl i legami del pensiero fra due epoche della filosofia, e di avere additato come unione tra esse un mio illustre concittadino. Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^ un ingegno straordinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo. D'altra parte le menti straordinarie, appunto perche tali, volano sempre innanzi al lor secolo, superano coi loro intendimenti le condizioni de'contemporanei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori, fiorente R., non rappresenta quel secolo, perche ancora dominava 1' inquisizione, e le antiche scuole e le dispute del Peripato fiaccavano Tali agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta futura, le future generazioni, quando la liberta del pensiero avr^ rotto i vincoli della servitii, e I'astrologia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran dato luogo al libero esame della ragione. L' uomo che pure non sordo alle sublimi dottrine del Vecchio d' Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse, dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando, secondo 1' errore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra loro la fede e la ragione, sara pronto per la fede di far getto della ragione sua, piuttostochd investigarne con libero esame 1' accordo, questi, non grande ingegno, sar^ del suo tempo la immagine. E Orazio R. ^ senza dubbio quest' uomo. Scrittori flel R.. II marchese Carlo Rinnccini. Aoton Maria Salvini. II canonico Pomenico Moreni. II Tiraboschi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il Centofanti. — Necessita di ritesser la vita del Rucollai per il proposito nostro. Difficolta pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del secolo decimosettimo. fe un secolo di eontrasti politici e morali. Contrasti nelle arti, nelle lettere, nella filosofia. Che han scritto di R. sono varj, contemporanei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la vita deir uomo ne scrissero o lodi, o cenni necrologici, o per la scienza ne toccarono di sfuggita. II marchese Carlo Rinuccini, accademico della Crusca sotto il nome di lAetOy disse le lodi di R. nelr Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta nella sala terrena del palazzo del duca Strozzi, a'di 11 settembre 1698, e ce lo riferisce il Diario stesso delFAccademia, ove leggesi : Quest' elogio perd non e a noi pervenuto, ossivvero sar^, come tant'altre cose di importanza maggiore, sepolto in qualche libreria privata de'nostri Signori fiorentini. L' Orazione in morte del Eucellai scritta da Anton Maria Salvini, non d che una bella sequela di lodi delI'uomo e dell'opere sue, un rimpianto solenne per la perdita dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo scrittore jpropone ad esempio imitabile di virtii e di dottrina. H canonico Moreni ha discorso dell'Imperfetto nelle prefazioni a quella parte di scritti che ha pubblicati di lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano a darci un' idea dell' uomo, non valgono a mostrarcelo, come vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e molto meno ci chiariscono del come e del quanto quei tempi potessero sulla vita e sulle dottrine di esso. Cosi il Tiraboschi nel volume ottavo della sua Storia delta Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6renealogia della famiglia Ricasoli, e il prof. Turrini nella sua Prefazione ai JDidoghi Filosofici di R. sulla Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi a mo' di biogralia, per guisa che anco in essi 1' attinenze dei tempi colla vita e coU'opere letterarie e scientifiche del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade di rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti han toccato del platonismo di questo seguace ed amico del Galileo, ma Than fatto di volo, encomiandone la purezza del dettato e la ricchezza feconda dell' idioma sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per 1' intendimento loro, questi cenni o que' tratti bastano all' uopo, n^ pud da' lettori ricercarsi di piii. Ma 'per il fine che mi sono prefisso, apparisce altresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere piil completamente la vita di lui, per quanto mi d oggi concesso. Dico cosi, imperocche molti documenti preziosi, che potrebbero assai illuminare questa storia e la mente del critico non mi ^ stato eoncesso di esaminare. Non parlo qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una delle quali, in quattordici tomi manoscritti, ^ come autografo, perch^ corretta di mano del RuceUai; che questi Dialoghi anzi mi consent! (e glie ne rendo pubbliche grazie) di esaminare minutamente per confrontarli coUe copie che sono nella Biblioteca Nazionale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad altri documenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori che si trovano altrove sventuratamente, e che tanto lume avrebbero potuto recare al soggetto. Non pertanto cercheremo nel tessere questa biogralia del RuceUai di riempire, quanto e piii possibile, il vuoto che la mancanza di documenti lascia, con indagini indirette, e col raziocinio; e quelle che abbiamo tra mano bastera, credo, all' intento. Ma prima di seguire il nostro scrittore nella via della 8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio in cui egli fiorisce, e ricordiamone intanto i caratteri e le quaUt^ pill generali, ch6 le particolari noteremo via via procedendo. I ricordi del passato quando non si restringono a una cronaca arida e secca acquistano un pregio indipendente daU' importanza degli avvenimenti che ci rammemorano. Come il piil piccolo vaso e r utensile piii umile coperto dalla ruggine del tempo diventano ne' nostri musei 1' oggetto prezioso di una grande curiosity ; cosi f atti pur semplici, ritrovati nella distanza dei secoli col loro carattere reale e native, acquistano un pregio singolare, e anche un certo attraimento per colui che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che nelle sue ricerche e letture ha per canone e guida la massima morale di non ritenere per indifferente nulla di cid che 6 umano. Che ^ mai pertanto il secolo decimosettimo? Si dice generahnente che esso appartiene all' et^ moderna; che la servitil del Medioevo e scomparsa; che la imitazione del Rinascimento ^ tramontata : Bacone, Cartesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero, ma solamente in parte ; imperocche essi, sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo del pensiero nubi ancor dense, e questo non fanno ne posson fare in un attimo, sibbene gradatamente. Le inveterate abitudini, le antiche affezioni, le tendenze ormai radicate non si cancellano, non si mutauo a un tratto; ci vuole la esperienza longanime, si richiede un conllitto inevitabile tra il vecchio ed il nuovo, che trovansi Y uno dinanzi aU' altro. Ed ecco il perche, non altrimenti che nella natura accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e dell'azione e sempre vauo cercare quelle divisioni recise che si trpvano nelle matematiche. Si direbbe che la storia del pensiero e un sorite, in cui ogni conclusione posteriore ritiene a suo termine medio e necessario la conseguenza dell' argomento immediatamente anteriore. Ed infatti il secolo decimosettimo, a chi ben lo riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciascheduna delle molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io parlo dell'Italia principalmente) scissa in molte parti, e pero debole; deboU adimque ordinariamente anco gli animi, o forti di fortezza apparente e non propria: essa, T Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a guerre tra' grandi prepotenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra di pascoli eletti. Principi italiani, mentre la madre comuue era in servitii, non pure non amare di unirsi in lega tra lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni e veleni per mania di possedimento. Amore di guerra, gelosia di acquistare territoriuzzi italiani a danno di principe italiano compagno; non generosity, non altezza d' animo, non dolce superbia di procurare od almeno di preparare all' Italia quell' onorata condizione che al suo glorioso nome si conviene, regnavano in quei tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi le successioni de' principi hanno luogo rapidissime, e cosi ad ogni istante I'ltalia ci presenta un aspetto nuovo, mentre si trova costretta a sottostare a idee nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In meno di'settant' anni tra duchi, dogi, papi ella ne vede sorgere e sparire novanta, e insieme ad essi vede sparire e risorgere contrasti a dismisura; e se per un momento arride U sereno della pace, gli ^ per rendere agli occhi degli uomini piil fosco il tempo di gara che ne succede. II gran politico e gran raggiratore del decimoterzo Luigi favoreggia intanto il duca di Nevers 6 lo vuole ad ogni costo porre in possesso di un' eredita, la quale assicura alia Francia il punto piil considerevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna ed anche Carlo Emanuele gli muovono contro, e la terra di Mantova e posta a sacco dagli Spagnoli. Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e il Monferrato rimangono al duca di Nevers; Alba, Torino e alcune altre terre alia Savoja, la quale alia sua volta ^ costretta a cedere Pinerolo. Ma Richelieu non h sodisfatto; egli vuole stremata la potenza d' Austria e di Spagna, in Italia precipuamente ; e contro la Germania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, confisca la Lorena, e, collegati essendo la Francia, la Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi predilessero sempre la pace, trovossi pure travolta nella comune ruina; e se i primi anni di regno scorsero a Ferdinand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della fame, non mancarono poi a turbarlo gli orrori, non gravi meno, della guerra contro i Francesi prima, poi contro Urbano VIII, che pari al Cardinale di Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire i Barberini suoi nipoti, vuol togliere ad Odoardo Farnese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di Castro e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi legalmente la faccenda, il cardinale Barberini assalta il feudo di Castro, e se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese, passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del Papa, e sparge dovunque spavento e terrore. Ferdinando II, riuscitagli vana una conciliazione, trascinato dalle insolenze de' Barberini e dalle controversie onde tormentavalo la corte di Roma, si mette in punto di guerra, e per f arsi sicuro all' interno, esilia quanti religiosi ed ecclesiastici vi sono nativi delle Romagne, e col cognato sconfigge le armi del Papa, il quale cede alia forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato. E cosi di questo passo per tutto il secolo e per tutta la Italia andarono le cose; e i popoli si vendevano, e si lasciavano vendere quantunque se ne dolessero, mentre e dissensi e contrasti e debolezze e frodi e vilt^ costituivano allora la totality di quel fantasma volubile che si chiama anc'oggi politica. E di tal fatta, e non altrimenti, le condizioni morali. Che, pur restringendoci alia Toscana, noi vediamo i suoi principi altalenare tra il bene ed il male continovamente. Or ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati, or aUe cortigiane; e Ferdinando 11, uomo prudente, ma non sempre coraggioso, cade nella pusillanimity. E mentre dianzi ti si mostra superiore alle minaccie del governo di Roma, vedi poi che lascia, durante il suo regno, radicare negli ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdizione politica, pel quale vanno in breve vieppiii sperdute le antiche consuetudini deUa repubblica, e le ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell' Inquisizione abbandonare il disegno di erigere un monumento a Galileo. E nel medesimo tempo (come vedrem--o poi pill particolarmente) ama e protegge gli studi, coltivandoli, e in essi trova conforto o distrazione agli affanni politici e famigliari; e a chi gli dimostra come, facendo egli ammaestrare il popolo, sarebbero venuti a mancare artigiani e servitori, risponde compiacersi assai piii d' esser principe d' uomini che di bestie. Che se dalle Corti si viene a' nobili e si scende al popolo, noi assistiamo a' contrasti medesimi, alle medesime scene di discordie, di debolezze, d' immorality. Ogni privilegio ^ pe' nobili, oppressione 6 pel popolo; inani per i primi le leggi, eccessivamente rigorose al secondo*; impedito il popolo di portar armi, padrone di cingeme quando e quant' e' vuole il signore e di accerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi d'insolentir sopra i deboli. Indi le vendette, i tradimenti, e quella riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza grandensea, passionata senza generosita, dove niuna esaltazione, ma ragionamento e calcolo e frode e intrighi indecorosi predominano. E pjsrfino nel vestire servility e contrasto di gusti si fanno palesi. Sono state tante (dice il Rinuccini ne'suoi Bicordi Storicl) le vanita del vestire che in questo secolo sono seguite, che si rende impossibile di poterle non solamente narrar tutte, ma anco la maggior parte di esse: tuttavia non lascia egli di notarne qualcuna, prima degli uoraini, poi delle donne ; dopo di che in generale ha detto, che E quest' eclettismo esteriore era non altro se non un riflesso dell' interno eclettismo e contrasto di quelle menti e di quelle volonta, sicch6 i medesimi uomini, come, per esempio, R. nostro co' suoi amici, avresti veduti a un' ora portare impettiti e gravi il vestito ricamato di seta nera e con frange e con nastri rasati, ad un' altr' ora coraparire al pubblico in farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a meno che accadesse quella volubility e imitazione servile delle mode di Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti quegli animi del pensare francese. Imperocch^ le guerre, la letteratura e le dispute clericali di quella nazione occupavano gi^ gl' intelletti italiani; e il nostro paese che, come nota il Guasti, aveva mandate Leonardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti e le lettere, tornava a scuola dai discepoli, tutto trovando ne' Francesi grande, a cominciare dal re. II quale, per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon rifiutava, e il Dati e il Viviani soUecitavano. Scritti varj di LORENZO Panciatichi. Se entriamo nel sacrario delle arti, delle lettere e delle scienze, noi vediamo riflesse le condizioni medesime di contrasto, e di fare spensierato, che le politiche e le morali condizioni ci offriroiio. Alcuni artisti si buttavano all' esagerato, al teatrale, sostituendo al vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti violenti anco negli affetti pacati, panni svolazzanti anco in sale chiuse, riputando triviality la naturalezza; sicch^ i michelagnoleschi fanno Veneri cLe sembran Ercoli, e si presta culto alia me'diocrit^, si segue il traviamento. E Lodovico Caracci che tenta in Bologna coUo studio di veri capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori, riesce a fondare una scuola che ha per carattere r eclettismo, stimando arte suprema accordare non solo ma fondere quanto i grandi artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i suoi cugini sepper mai all' eclettismo aggiungere il pensiero ispiratore, preferendo, come dice lo stesso Cantil (Storia Universale, vol. XVII, pag. 816), di avvicinarsi ai fenomeni della natura e supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori di loro scuola fecero riazione contro questa infelic^ idea. II cavaliere d'Arpino proclama I'idealismo, ma condannando i marinisti materiali della pittura, diventa egli il Marini della pittura stessa per la ricerca affettata dell'ideale. A Guide Reni che vagheggia il soave, si contrappone il Guercino che si d^ a' gagliardi contrasti di luce e d'ombra: alia facility del Berrettini la creazione fiera del Rosa. Matteo Roselli contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto, corretto, il secondo smorfioso alquanto, e coloritore con non abbastanza armonia. Cosi nella scultura e neir architettura, le quali pure ci presentano piil cadute spensierate che creazioni e voli generosi, contrasti, esagerazioni ; e 1' alito dell' affetto che spira ne' rozzi tentativi del trecento, non ritrovi in esse ora piiH ; n^ vecchio viiol trovare un accordo, un legame, un'armonia. Intendimento quant' altro mai salutare e generoso, ma che appunto per esser concepito da menti ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o contraffatto, e piucch^ il nuovo farlo sgorgare naturalmente dall' antico, e ajutarne, quasi a mo' di levatrice, il parto desiderate, trascurano inesperti e loro malgrado il primo per il secondo, o il secondo pel primo. E un eclettismo quello che esce dalle mani di questi uomini; 6 la figura mostruosa che Orazio ci dipinge nel principio della sua Arte Poetica. Or bene, in quel secolo abbiamo da un lato Platone ed il neoplatonismo, dall' altro Aristotele e 1' ipse dixit de' suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la tirannica pretensione del tutto imporre e far accoglier per fede; da una parte la liberty,, spesso sconfinata, del Bruno e del Campanella, dall' altra parte 1' inquisizione pronta a tai'pare le ali, se vogliam temerarie, di quegli ardimentosi sfidatori del cielo. In una parola noi siamo sempre con un piede nel Medioevo, con 1' altro nella Riforma. Ella 6 questa che si combatte una vera guerra da giganti, nella quale le intelligenze di coloro che non son ingegni potenti, si debbono trovare in baUa di impulsi diversi, che, come dissi, se ne disputano ad ogni istante il dominio. A larghissimi tratti noi abbiam vedute come in ispecchio le condizioni politiche, morali e intellettuali di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro preHininare noi reputassimo di non potere arrivare a conoscere determinatamente 1' uomo di cui teniamo discorso, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La vita di ogni individuo ^ un problema, per risolvere il quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la civUtlt d' un secolo viene sempre essenzialmente espressa dal tutto insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a ciascuno degli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 insomnia lo specchio della vita interna dell' individuo in mezzo agli uomini del suo tempo. Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie Ricasoli e Racellai. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Medici. Perch^ Orazio piacchd Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. L' accademia istituita da Gosimo e Ficino. Intendimenti di questo. Saoi scritti. Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. Si nominano. Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere, pregi di esse. — Fa parte deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei sacrifizii, e non nega che le anime umane vengan giu da una certa parte del cielo, e vi risalgano, e agli angeli assegna un tenuissimo corpo; dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci possono spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia istituita dal nostro Marsilio piii che Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo alessandrino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come da una certa mistura di dottrine e di forme aristoteliche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fondatori e continuatori di essa. I quali furono in grandissimo numero, contemporanei ed amici del Ficino, come egli, distinguendoli in tre classi, scrive a Martino Uranio, e li nomina tutti. Fra i primi che meritano speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti, che Marsilio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il di lui Acate, il quale per tutta la vita fu il confidente de'suoi pensieri piU riposti, e il confortatore delle sue amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di Ercole, che egli consultava in tutte le difficoM filologiche, che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con sommo conforto lo vide poi in eta matura piil propenso alia filosofia platonica: Giorgio Antonio Vespucci, Francesco Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti, tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli, e Bernardo R., i quali ultimi tre andavano ogni giomo a tenergli compagnia quando desinava, e con essi conversava, ora scherzando piacevolmente, ora trattando gravi argomenti di filosofia. Bernardo, antenato illustre di Orazio R., era uomo di sublime e grave ingegno, a niuno secondo per civile prudenza, casto nel parlare, aflFezionato a' costumi antichi, e nulla non v' era in lui che non fosse veramente patrizio o senatorio. La sua vita politica ci dimostra com' egli sostenne sempre le cariche piU rilevanti, ambascerie importantissime, e sebbene stretto per sangue alia famiglia Medicea, non fu tra i suoi amici, e seppe ad essa mostrarsi spesse fiate contrario. Egli fu chiarissimo letterato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua del Lazio seppero mantenere in onore grande, come ce ne attesta la sua Orazione: De auxilio Typhernatibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello Pisano ; il De Bello Italico, in cui si descrive la storia della venuta di Carlo VIll in Italia, e il Bellum Mediolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma che voile dedicate al suo figlio Palla, nel qual libro, illustrando Sesto Rufo e Public Vittore, raccolse quanto si trova negli antichi scrittori intorno alle antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a dare una idea di quella regina delle nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.) Lo stile di R. e piano ed elegante, ed Erasmo da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi Apoftegmi, ebbe a dire che niuno meglio di lui »' era mai avvicinato a Sallustio. Fattosi strada coUa sua dottrina, Bernardo fu dunque chiamato a coinporre la schiera eletta delFAccademia ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fiorentino risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel 1492, il quale, come abbiamo notato, avea ampliato e protetto sempre V Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i banchetti solenni co'quali Platone era solito di celebrare il suo di natalizio ; i componenti di essa poterono ancora per due anni, ospitati e protetti dal cardinale Giovanni e da Piero de' Medici, far le loro adunanze in quel portico novello di Atene, quale era divenuta la Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggerimenti e per esempio di Lorenzo, scrittore e poeta Italiano gentile, e dello stesso Marsilio, il quale dettava un elogio italiano dell' Alighieri, e traduceva il libro De Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle disputazioni filosofiche. Per.la qual cosa ebbe grande vantaggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante e del Boccaccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della dolcezza fu indubbiamente il Poliziano. Se non che nel 1494 cacciati, per la debolezza vergognosa di Piero figlio di Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e posti dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se voile continuare i suoi studi diletti, fu costretto ad abbandonare Firenze e la villa, e ricovrarsi nella rustica solitudine del suo Montevecchio. E quei sapienti che gli facevan corona dovetter lasciare il noto asilo, il luogo memorando de'loro divini convegni! Ma la grand' anima del Ficino spird sempre nel petto di quegli amici e discepoli le sublimi dottrine e le belle virtil ; e Bernardo R. diede ad essi cortese ospitaUt^ nella sua casa in Firenze, e poi nel suo giardino, sul principio del secolo decimosesto, donde 1' Accademia platonica prese nome d' Accademia degli Orti Oricellarj. Quivi convennero principal! Niccolo Machiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio Brucioli, Giovanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Giovanni Canacci, i due Francesco da Diacceto, I'uno detto il Nero, Y altro il Faona^zo dal color delle vesti, Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e Niccold Martelli, Giovanni Cavalcanti e il Martini, i quali due ultimi il Ficino chiamd nel 1499 esecutoridel suo testamento; e per tacere di molti altri, i figli di Bernardo R.. In questo giardino veramente platonico si addita ancora il luogo, dove quei dotti uomini si radunavano, e dove sur un cartello di porfido sta scritto: Ave Hospes. Quelle volte e quei viali risuonarono di voci sapienti, e il Diacceto vi leggeva i suoi Libri sul Bello, il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T Alamanni il Trattato della Coltivazione. L' amore delle dottrine Platoniche divenne fin d'allora viepiii tradizionale nella famiglia de' R., che lo serbarono sempre come una gloria superba, quasi depositarii di preziosa reliquia, ereditata con tante altre grandezze da tempi pill fortunati e migliori. E dopo due anni il ritorno de' Medici in Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino, non furono men gloriosi ed ardenti seguaci delle vestigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il Poliziano e Pico della Mirandola, ormai spenti, doverono a questi esser modelli sublimi, immortali, sovrattutto Bernardo. Leone X e il Machiavelli furono condiscepoli di Giovanni, il Diacceto maestro a lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe anch'esso anima platonica, come conservaronla tale Palla e il nipote. E li pure all' ombra di quegli Orti, in quell' atmosfera piena di vita e di scienza, die mano Giovanni al suo poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le api stesse, ronzando d'intorno al poeta per libare il succo dei fieri, se gli posassero talvolta sulla penna, infondendovi quella dolcezza che tanta spirano i versi suoi. L'Accademia degli Orti col sacrofuocodella scienza e delle lettere nutriva ancora e conserva va quelle non meno sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegnamenti del Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* divine speculazioni platoniche non poterono rimanersene privi di frutto. L'oppressore cardinale Giulio dei Medici pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ardente gioventii fiorentina, la quale correva volentieri ad udirli. Fu allora che la quieta stanza di Sofia videsi trasformata in sede di una congiura a danno del despota, alia quale presero parte moltissimi, tra cui i due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto. Sventuratamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la grand' anima sua per mano del carnefice, e molti altri niigravano in esilio forzato, I'Accademia Platonica fii sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) proseguire le sue adunanze in quegli orti di sapienza e di pace. De'R., quantunque amici di liberty, pur legati strettamente alia famiglia de' Medici in parentela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di Palla, quando nel 1527, unico superstite de'figli di Bernardo, mostratosi dalla parte dei Medici, allorchd furono ricacciati dalla citt^, videsi invaso il palazzo, guaste e ftirate le suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla bensi, che, ristaurata la potenza medicea, veduto il nuovo Duca della Repubblica andare a poco a poco erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione accordatagli, si oppose unico poi nel 1537 all'elezione del nuovo despota, morto Alessandro, e dichiard doversi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ; che Cosimo de' Medici fu proclamato il Secondo Duca. II giardino stette in propriety de'R. fino al 1573; dopo il qual tempo passd venduto, per mena certamente de' Medici, per sei mila ducati a Bianca Cappello, che di luogo consacrato alle sovrane armonie della scienza platonica, mutollo in sede di delizie e di volutta a' cortigiani medicei. Ed ora questo gran monumento ricco di tante memorie e propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la quale, curando il decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme per abbellirlo, e farvi miglioramenti notevoli. Se pero 1' Accademia degli Orti non pote daDa congiura in poi radunarsi, e gli Orti stessi furono con pensiero ingeneroso venduti, la tradizione platonica non si spense guari, nd si poteva. Troppi erano gli uomini grandi, il cuore de' quali batteva per le idee del divino Ateniese; troppo viva era in essi la memoria del Ficino e di Bernardo ; troppo cdnsone ormai le platoniche divinazioni al sentimento italiano, rispondenti troppo alia bellezza del cielo che aUe pendici di Firenze, alia torre di Arnolfo, e a Italia tutta divinamente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi platonici tutti legano i tempi di Bernardo e dei figli ai tempi del platonico Orazio. Ma pur nella famiglia medesima de'R. questa fiamma si conserve viva sempre, e se un uomo tra essi debole o degenere potd r avidity del danaro preferire al glorioso possedimento di quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto dair altrui minacce, i piii di loro dovettero deplorare sififatta perdita; mentre, contemperate dalF indirizzo dei tempi, predilessero sempre le dottrine della illustre Accademia. E 1' avo matemo di Orazio R., cultore del neoplatonismo, conobbe Torquato Tasso ancor giovane a Napoli, e il Tasso, platonico in certi punti, ricorda quell' avo con parole di molta lode e di molta familiarita nel suo Dialogo che ha per titolo : II Goneaga o del piacere onesto. (Dialoghi del Tasso, per cura di Cesare Guasti, Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6 a questo punto che comparisce sulla scena della vita Orazio nostro, di animo nobile, d'ingegno elevate, il quale doveva come riunire in s^ e nell' opere sue la tradizione neoplatonica custodita gelosamente nel seno deDa famiglia materna. II conservarsi, come tesoro santo^ r amore delle dottrine dell' Ateniese e del Ficino da' R., le case dei quali furono teatro in cui i piii dotti si raccolsero sempre, non pud da noi non risguardarsi come un' occasione, un motivo intrinseco dell' indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno come un elemento sostanziale che doveva concorrere insieme con altri, e potentemente, a informare lo spirito scientifico e letterario di lui. Un Ricasoli infatti diede a Orazio la vita; ma i R. ne informaron la mente, in quella guisa medesima che coUe sostanze di Monsignor Delia Casa ereditd, come scrive il Casotti, il suo spirito, la sua virtii. (Elogio di R.). Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo dire fin d' ora che R. nostro, ammiratore e seguace delle dottrine platoniche, dovS sognare sovente i deliziosi sapienti convegni nell' avito giardino, e pitl d' ogni altro dolersi che quel monumento di virtii e di dottrina non potesse piii, fatto albergo ai disordini di Bianca Cappello, e poi di un cardinale de' Medici, ispirare nell' animo siio il forte volere, i gravi pensieri, che quei liberi ingegni vi aveano raccolti e maturati. Nondimeno egli, R., per far rivivere quell' avite conversazioni, e perpetuare cosi la tradizione domestica, raduner^ nelle stanze della sua casa i celebri eruditi del tempo suo, e dietro le orme de' suoi parenti, ascolterh e detter^ precetti di sapienza e di virtti, non potendoli ancora di liberty. Ch^ in luogo della voce sdegnosa del Diacceto, degli Alamanni e del Buondelmonti, che nel sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava minacciando i fautori del dispotisDio, gli oppressori dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle stanze del R., uomo di corte insieme con dotti uomini di corte, si udiranno parole di dottrina, rime d'amore, rim-, proveri pur anco ai costumi guasti della Corte e del Clero ; ma non saranno piii, no, gli energici avvisi del Machiavelli e degli altri per trattener la caduta di una liberty che vedevano precipitare ; saranno i timidi lamenti di un bene irremissibilmente perduto, deboK querele di uomini curvati sotto il gravame della servittl, proteste inconsapevoli talora, sommesse sempre, perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e munifici protettori delle scienze,'non sono tali da consentire si grande temerity, e il tribunale 6 la ad impaurire gli intelletti, e a tarpare le libere ali del pensiero e della coscienza. Cosi i motivi generali esteriori ed intrinseci delI'avviamento educative e scientifico di R. apparvero a me, ed io credo pure al leggitore, distinti. Vediamone ora lo svolgimento successive nel cammino della sua vita. Prima edacazione e istrazione del Bacellai. Fa segnace del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne* suoi scritti. — Abitudini sue e motteggi de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. La Corte Toscana e R.. Suo cortigianesimo e suo disprezzo della Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii largamente di ogni altro s' intrattenne suUa vita di R. (Genealogia della Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima educazione di lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate che su tutte le opere di R. abbiamo fatto, n^ altre ricerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd che Galileo fu udito dal R., e questo possiamo asserire con sicurt^ piena. Imperocche il signer Passerini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio sopra quelle che il nostro scrittere nel suo Discorso centre il Freddo Positive dice in principio, e che ^ prezzo delr opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere sue, provano essere stato il R. discepolo del Galilei, non gia nel significato ristretto che si suol dare a questa parola, ma in quanto egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di lui; e a questi passi si appoggiano il Nelli, il professor Palermo, il conte Mamiani ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni frammenti di oi)ere del medesimo esistenti nella sua libreria. E il professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del Galilei V Imperfetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada, aUora che discorre di lui, e si maraviglia, e a ragione, che il Tiicaboschi, laddove nel tomo ottavo della sua Storia della Letteratura italiana si trattiene a parlare di R., nol collochi tra' piii solenni filosofi di quel fioritissimo secolo, in cui \isse 1' immortal Galileo di lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823, pag. xxi. Firenze.) E le dottrine del gran filosofo poteron davvero anch'esse ed efficacemente sull' animo del nostro scrittore, come su di uomo tenero amico della verity. Galileo infatti aveva trovato nella selva opaca il vello d'oro: egli aveva ritornato a vita sotto un certo rispetto il metodo di SoCrate e lo aveva riconsegnato alle intelligenze stanche ormai di servire ciecamente all' autorita di Aristotele. Ecco il perch^ R. vedi abbracciare del Galileo le teorie con animo aperto. Ed ei pud dirsi che dififerisce dagli altri segi\aci del Galileo e che li supera in questo ; gli altri svolgon le dottrine metodiche del Galileo nell' osservazione dei fatti esteriori e delle loro leggi ; mentre che R. si propone di svolgere quel metodo stesso in ogni disciplina filosofica, cio6 anche nella osservazione dell' uomo interiore; quantunque nelle conseguenze della sua lilosofia seguiti piii il probabilismo accademico, come vedremo in progresso. n R. dov6 avere altri maestri e di rettorica e di filosofia, e compiere nella sua gioventii studj ordinati; e di cio fan testimonio le opere sue eruditissime, e nello stile e nella lingua adorne di tante bellezze. Oltrediche era questo il costume de' ricchi e de' nobili di que' secoli ; che allora, come ne ricorda il buon Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino di nobilt^ forniti e al di sopra degli altri, tanto piii e'si credeano in debito ad esempio ancora, ed eccitamento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe virtii, e colle lettere, ben persuasi che senza il di loro corredo, soccorso e accoppiamento, niente o assai poco ella nello spirito signoreggiar suole o suUa opinione degli uomini. D R. educate fin da giovanetto da' suoi genitori e maestri nel sentiero della scienza e della virtii, fu quanto e piii di altri compreso di cid, e la verity di questa sentenza tradusse egregiamente in atto nella sua vita fino all' estremo; si che il Magalotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la morte di lui, mestamente scriveva a Luigi Del Riccio. (Lettere Familiari, tomo II, pag. 28) A dieci anni fu decorato delle divise equestri delrOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del padre, ebbe il Priorato di Firenze, istituito dal suo avo Giuliano; e i cavaKeri di quell' Ordine lo elessero gran Contestabile nella solenne adunanza tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria Felice de' nobili Altoviti, egregia donna, e dalla quale ebbe nove figU, tra cui Luigi il maggiore, che seguendo le orme del padre fu anch' esso, • giusta ne dice Salvino Salvini ne' Fasti Consolari dell' Accademia Fiorentina, e secondo che ne porgono argomento sicuro gli scritti eruditi di lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento non meno delle accademie che delle corti dei principi. Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti della mente quelle del cuore, fu caro a quanti lo conobbero, venerate anco da' grandi, e mite senza che cio vietasse a lui di essere nelle sue poesie e cicalate acuto e pungente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora, fino a sapere di eccessiva misticit^ nei suoi scritti. Ebbe sua dimora in Firenze; pero talfiata recossi e abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e spesso, dopo le politiche incombenze a Vienna e in Polonia, ritiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San Casciano. Le sue abitudini come d' uomo che vuole stare in una custodia di cristallo, meticolose sempre e, come a dire, scetticamente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso del suo carattere, de' suoi scritti e del suo tempo, e pero mi ci fermo. Tanto era della sua salute eccessivamente riguardoso, che certi suoi incomodi e certe curiose precauzioni per questi, diedero ansa ai motteggi e alle canzonature poetiche de'suoi amici accademici, non disdette neppure da Luigi suo figlio, e accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive di lui motteggiato dal Panciatichi: E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore brillo, a Panciatichi deride cosi il Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto, Caro Orazio RuceUai, Gioiellino degli amici, E splendor deUe morici, Dimmi 3e io son cotto, filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite e rare Le pillole che fanno indovinare. » Dalle quali ultime espressioni ricavasi conferma ancor di quello che nel precedente capitolo andava accennando, sul trasmettersi quasi per tradizione ciascun de' R. di padre in figlio, iino ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie ragiona quasi sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata della Ipocondria: i Ditemi un poco, egli esclama, quella difficoM di respirare che tiene sempre sospetto d' asma il nostro filosofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato) pud ella essere altro che 1' ipocondria pettorale ; la quale mentre impedisce V esalazione di quelle si vive favilluzze, gli mantiene sempre piena di filosofia la lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio genitore, con cui le piii difficili cose del Timeo spiega si chiaramente, A daU'emorroidale prodotta; ond'egli, che bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi sopravvegnenti spiriti vigore ed impulsi all' intelletto, ad ora ad ora 1' emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal suo gran panegirista (il Panciatichi) fu chiamato (( Gioiellino degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl acuti che alle sue abitudini legate si fecero: e con cid intanto il lettore^ si far^ meglio un' idea di quel che allora erano I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo D' una che per febbre deliri motteggia da capo il Panciatichi il nostro Orazio cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho quel sudore Che di luglio uccideva il mio Priore. Solamente sdraiato sugli marraori Queir omazzo attendea V alba deir jomo, Quand' ecco in un istante > Di strida e d' ululati, Di singulti e latrati Himbomba Parione,* E corron le persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, Per dichiarazione di questi versi giova recare alcune parole di Luigi R. nella Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno provvidente si dee reputare mio padre, diligentissimo Ipocondriaco, al quale venne, poche settimane sono, in villa, una specie di granchio nella penna, che debilitando quelle sue dita, ferme gliene tenne e inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo d' improvviso accidente d' apoplessia, acciocch^ col mote non gii piovesse nuovamente flussione, mando tosto a cercare del medico tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile nella medesima positura la mano e le dita per aria, finche il medico non vi arrive che gli die licenza di muoverle. » E appresso : «E per certo s'udirebbero piu rade, o forse non mai, le scalmane, se tosto che 1' iiomo dal natural temperamento si sente fuori, alia prima gocciola di sudore, anche d' agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per rnangiare il marinate, o altra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar le mosche da tavola. i> Strada in Firenze^ ove era il palazzo Ricasoli^ convertito oggi in Locanda. II Biscio7ti nella stampa annoto : « Si crede foss% un plebeo. » Ma neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna : « Vogliono alcuni che in quel tempi si denominasse Razzullo il poi famosissimo dott. Francesco Redi. » * II Priapo della sporcizia, in lingua Jonadattica, il Priore della Sporta, convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche nella Controccicalata. II Panzacchi, che forse ^ questo Priore, praticava molto in casa del march. Corsini ; dove, oltre gli altri divertimenti che le brigate ne traevano da lui, uno Che appunto colla barba veneranda, Facea le fregagioni A certi suoi malati vagabond! Che pativano un po'di mal di pondi. Che c' 6 e che non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son, che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh! cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio. E via di questo gusto canzonature sopra canzonature, che io debbo tralasciare per non digredir troppo dal pill importante. II riferito per6 credo basti a dipingere, tolta 1' esagerazione, il carattere di questo era il farlo predicare : nella qual funzione faceva e diceva cose stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i signori Corsini adunata una buona conversazione al loro giardino vicino alia porta al Prato, e volendo far predicare questo frate su quelle parole del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto accomodare una grande asse sopra un vivaio o tinozza d'acqua; fattolo quivi sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte del testoi Modicum et non videhitis me ; gli fu tratta di subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell' acqua, tutto quanto vi si tiiffo. Accorsero i servitori a trarnelo, e lo condussero in una stanza a rasciugare : ed alcun gentiluomo fu nel1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad intendere che era stata una disgrazia dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota agli Scritti varj- del Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota alle parole quel sudore ec. Scherza su quel verso : Gutta caval lapidem, non vi, sed scepe cadendo. uomo, le esitanze e i timori del quale per la salute rassomigliano alquanto agli scrupoli ed ai timori incessanti di trasmodare che nelle opere scritte di lui trapelano ogni momento; e a farci meglio conoscere le consuetudini spensierate di quella et^ della quale giova veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a sapere, se quello fosse un ridere consolato, od un amaro sorridere. (GUASTI, Ibid.) Come i suoi antenati, cosl Orazio entro presto nella Corte, e a dieci anni fu ascritto tra' paggi ; e fin da quel giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque di ottima indole e di buone intenzioni, non poteva per la mal ferma salute aver grandi cure del govemo. II Rucellai perd dovette incominciar a nausearsi fin d'allora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosimo U, per distrarsi dal fastidio del governo, riempi di nani e di buflbni e di lusso spagnolesco, seguendo cosi le misere inclinazioni di un tempo ancora piii misero e ostile alia liberty dello speculare e del vivere. E piii ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi del fare artificioso dei Principi e delle Corti, quando, morto Cosimo II, e Ferdinando II destinato a succedergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato, le due principesse Gristina di Lorena e Maddalena d' Austria tennero per ben sette anni le redini del govemo toscano. Amministrando con femminil leggerezza, incorsero in gravissimi errori. Tra questi non pot^ loro perdonarsi V aver allontanato dal consiglio e dal governo il Segretario di Stato Curzio Picchena, uomo di probity sperimentata e di costumanze severe, al quale le aveva Cosimo raccomandate ; sostituendo in sua vece Valerio Cioli, uomo raggiratore, avido, menzognero, che presto pose le finanze e tutta V amministrazione in disordine. E fu pure per i mali consigli del Cioli se le due donne, con grave danno della Toscana s'indussero a rinunziare in favor del Papa il Ducato di Urbino, il quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Rovere unica erede del morto Duca Federigo, e promessa sposa a Ferdinando II, doveva come patrimonio della moglie (deplorevoie uso del tempo) tornare alia casa Medicea. Deboli, incerte, pusillanimi queste due principesse avevano troppi e spesso ingiusti riguardi verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine di cittadini, soverchiamente privilegiato, lo fecero montare in tanta baldanza, che impunemente opprimendo la plebe, la eccitava a tali vendette e delitti, cui le leggi piii non potevano impedire. Ed 6 naturale ! tirannia nemica di liberty ^ sempre generatrice esecrata di licenza e delitti. Ma cid nondimeno, in tanto contrasto di grandezza e di miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di liberty,, R. pur disgustato, lo vediamo anziche allontanarsene, continuar I'abitudini di famiglia, proseguir nella Corte, e sotto il reggimento di Ferdinando, salito al trono nel 1627, diventa r suo gentiluomo di camera. Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri letterati del tempo, sempre piii ligio al Granduca; ne dico cid a caso ; cM alcune lettere ''di lui ritrovate da me fra le carte di Ferdinando II e del cardinale Leopoldo ce ne oiBFrono prova manifesta. Biasimera poi con nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani; dispregier^ con isdegni generosi quelle catene dorate ma pesanti sempre, e il contrasto dei tempi vedremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle azioni del nostro lilosofo. Ma intanto ei si piega, ei fa getto della indipendenza del suo spiiito, cotanto necessaria soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima la Corte e i cortigiani, non tocca ne biasima punto il malo govemo, si i vizi particolari del govemante; d questo un biasimo come di famiglia grande ma quasi privata; ne la patria sua ricorda mai, e non ha mai un pensiero per essa ; sembra quasi Y abbia dimenticata, o non sappia che ella ^ in servitu; solamente la Corte, TAccademia e la villa formano il mondo del nostro filosofo. Mi si permetta in grazia dell' opportunita, ch'io tolga da un de' capitoli prossimi, qualcuna delle sue parole servili inverso il Granduca; indi alcune altre che contro la corte ed i principi lancia sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il lettore s'io sia, nelle mie aflfermazioni, fuori del vero. E nell' occasione della nascita d' un suo figlio, pur di Roma un anno dopo, il 10 dicembre 1639, (V. Garteggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo padrone serenissimo cosi : E in altre lettere scritte al granduca medesimo per domandargli favori, poich^ sembra in certi momenti ii suo patrimonio abbia sofferto gravi avarie, e per rendergli grazie dei soccorsi somministratigli, arriva a dire che la sua vita medesima ^ a Ferdinando obbligata per legge di natura. Ed io non so dove pescarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr' uomo mai che piii fedelmente di lui mi narri colla sua propria bocca inconsapevolmente le tristi condizioni di quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto grade della cortigianeria, ^ la negazione di quel che gli antichi con aurea parola chiamavano umano decora ! quantunque la generale consuetudine di parole tanto serviH togliesse loro gran parte dell' abiezione che a noi sembrano avere. Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi nell'uomo, e Tuomo che li spiega. II R., dopo quelle ligie proteste di servitil par ti diventi a un tratto un altro uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d' alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili alberghi e ne' piu pari ingegni, Non sopra eccelse raura unqua risplende. Dove il mentire e 1' adular s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori offende, Quasi infausta nemica a' lor disegni. L' inclita Maesta temano i regi, Non cangi all' opre lor specchio si fine, E sembrin macchie impure ilor bei fregi. Quelle ch' usan chiamar virtu divine, Arti fian di malizia, e gli alti pregi Di lor gloria maggior frodi e rapine. » Comunque Ferdinando II, e a buon diritto, fece di R. giovine ancora assai conto, e nell' eta di 30 anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho accennato di sopra, e la prima nel 1635 a marzo per Vienna, appresso rimperatore Ferdinando per rallegrarsi delr elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei Romani, come ne attestano i documenti che si trovano nel nostro Archivio Centrale di Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1' altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del Cardinale suo fratello, e per trattare il matrimonio della principessa Anna dei Medici col principe Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due legazioni ei diede prova di molto sapere e di altrettanta cortesia, e le letter e stesse dei Principi e degli ambasciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano quanto R. fosse stimato e gradito, e pel suo sapere e gentilezza di maniere ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini ambasciatore del Granduca a Vienna scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli segretario di Stato ebbe a dire: (FiUa Medicea,n'*4^S8d) E al cavalier Poltri il medesimo Tartaglini aggiungeva: Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discorrendo dell' opere del RuceUai, campo di vedere quanto ei fosse nella ragion civile versato ed accorto, e quanto giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali tenevano allora gli alti ufficj del governo portavano a lui, che Lorenzo Magalotti per la sua prudenza qualificava come V uomo piu esperto a f of mare il more di un principe. Ufftcj di R. nella corte di Ferdinando II. Qnalita di qaesto principe. £ di Leopoldo. Benemerenze di essi nella protezione e cultara degli stadj. Si restituisce a vita V Accadeniia Platonica. Si fonda TAccademia del Gimento. R. poeta, letterato o filosofo. — Lodi a lui de^contemporanei e dei posteriori. Rovai. Redi. Crescimbeni. Moreni. Pallavicini. .Uffiicj di R. nell* Accademia della Crusca. Esercizio di versione da* classici antichi introdotto dal R. nelr Accademia. Se e quanto R. conobbe il greco. R. e i suoi Dialoghi filosofici. L’elogio a lui del SaMni. L’Accademia in sua casa. Materia e disegno de* suoi DialoghL Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e co* principi. I quali r ajutano sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, — moral!. Rassegnazione sua. II R. e Cosimo III. Questi non e, come generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte di R.. — Si chiude con lui V etk del Rinascimento. — Onori al merito di quest' uomo prodigati anche dai posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro. Torna, pertanto, R. dalla missione politica sulla fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e dedicandosi pure senza interruzione a' suoi studj, a' quali trovava, giova ricordarlo, impulso grande ed esempio ne'molti eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti deUe due reggenti Cristina di Lorena, madre di Cosimo 11, e Maddalena d' Austria sua moglie, le quali avevano empita la corte di lusso e di intrighi, tolto alia giustizia il suo corso con le immunity e gli asiK delle chiese, tento ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e seguitd ora piti ed ora meno le orme spesso non imitabili degli avi suoi, e alia prndenza non seppe costantemente unire il coraggio, tuttavia delle scienze, delle lettere e delle arti fu quanto e piii de'suoi predecessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd distrazione, proteggendole regalmente e promovendo soprattutto le scienze esatte e le naturali. L' Emitiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in parte pure esageratamente) attribuisce questa protezione ad un fine politico e la spiega cosi : E Leopoldo fratello a lui minore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza e per I'amore di essa. E il conversare frequente col Galileo Io rese esperto a schivare up. servile ossequio al Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della geometria criterio alia liberty dell' intelletto; e la filosofia naturale del Galileo e della sua scuola trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori ardent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita e in vigore le Accademie toscane, dove ridioma nostro potd almeno trovar salute dal contagio generale del tempo, e le scienze naturali uno incremento grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa vantare come questa di Ferdinando e di Leopoldo, tanto viva operosit^ di scienza e di lavoro letterario, destata per impulso di questi due principi. E Leopoldo, il quale sebbene avesse anco nelle faccende governative la plena fiducia del fratello, che del consiglio e dell' opera di lui sempre si valse, pure non avendo in mano la somma delle cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo campo per promuovere e favorire le lettere, le arti e le scienze. Difatti benemerito del nostro splendido robusto e gentile idioma con animo appassionato e caldo facilitava e sollecitava i lavori del Vocabolario, accudiva alle pubblicazioni di vari testi di lingua. Arricchiva di nuove collezioni la GaUeria di Firenze, che da lui riconosce molto del suo presente splendore. Rifondava, e questa fu delle prime sue cure, sulF esempio del vecchio Cosimo, Y Accademia Platonica, perch^ Dante e Petrarca fossero illustrati a seconda di quella filosofia; e sebbene il ritorno all' idee platoniche non fosse veramente un favorire la tendenza degli intelletti in quelr etib, n^ un avvantaggiare la filosofia Galileiana (Vedi Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat. Esp.^ Firenze, 1841, pag. 60), era pure un forte attacco, comunque indiretto, alle dottrine scolastiche fatte da lungo tempo cibo quotidiano ed unico della numerosa mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo indiretto sarebbesi meritato Leopoldo da qualunque ingenuo e libero storico il nome di Benemerito, quando anche non vi avesse aggiunto tutto cid che voile operare a promuovere direttamente la nuova Filosofia delrUniverso. Nell'avvantaggiare le lettere, la filosofia e le scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di associarsi agli uomini che pitl si erano in quelle varie discipline segnalati; cosi nel favorire lo studio della lingua nativa conveniva cogli Accademici deUa Crusca a pubbHcare opere poetiche o testi di lingua, radunava presso di s^ i Dati, i R., i Redi, i Magalotti a richiamare la filosofia di Platone; istituiva a bella posta una congrega in sua casa a raccogliere, pubblicare e ristampare le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli e dei matematici antichi nuovamente illustrati e dichiarati. E anco lo stupendo concetto di fondare un' Accademia destinata espressamente alia Filosofia sperimentale, si deve in particjolar modo alia gran mente del principe Leopoldo, il quale voile nel 1657 stabilire delle regolari Adunanze, nelle quali sotto i suoi occhi la nuova filosofia sperimentale, gi^ nelle domestiche mura promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili Magalotti, OKva, Bellini, Redi, molti dei quali fregiarono indi le famose University di Pisa, di Firenze, di Siena, inauguratori sovrani di quella Riforma proclamata dal Galileo e dal Torricelli. Orazio R. fioriva in mezzo a quegli uomini grandi, ed emulo della loro operosita e di operosita esempio ad essi costante, nei rumori della Oorte schivando Tozio coltivo sempre come nelle mura domestiche la morale e gli studj, ed ivi al pari del Redi trovo mezzi e pascolo airansietli irrequieta del sue spirito filosofico. Venuto presto in fama di molto sapere, il Granduca e Leopoldo non potevano non prenderlo in considerazione alta, e oltre le missioni politiche, che sopra mentovammo, gli affidarono la direzione degli studj del principe Francesco, e nel 1657 la sopraintendenza della Biblioteca Lanrenziana, che insieme alia Galleria veniva con regia profiisione arricchita. Le piii illustri Accademie fecero a gar^ per ascriverlo tra loro, e prima la Fiorentina della quale fa consolo nel 1653. E anche dell' Accademia della Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando in ci6 la modestia di Socrate e la moderazione di Pittagora, giusta ne scrive Anton Maria Salvini, essere chiamato in essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla di pane, col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato, e filosofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contemporanei famoso, come le lodi di essi a lui prodigate fan fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da alcune lettere sue in risposta a loro ricavasi. Egli, R., scrisse rime di amore, filosofiche sociali, religiose, ed anche disoneste ; scrisse cicalate e panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente questa mischianza di contradittorj non potra a meno di colpire la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le qualita morali e anzi gli scrupoli che, come nel fisico, cosi nel morale assalivano di continuo il nostro filosofo. Perch^ mai egli a lato di poesie che ti discorrono soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza, che ti lodano la verginit^ di santa Maria Maddalena, • osa porre lubrici scherzi, immorali canzoni? Questo e un primo problema che fra poco risolveremo. Intanto vogliamo finir di vedere in qual conto cospicuo e come letterato e poeta e filosofo lo tenessero i suoi contemporanei, e anche i ppsteriori vicini a noi; indi ridurremo coUa critica al suo giusto valore le lodi. Francesco Rovai amico, a quel che sembra, di Orazio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli una sua canzone in morte d' un barone Bettino Ricasoli, cosi gli parla: « Dillo tu che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi. )» E il Redi, pur amico di R., e scrittore forbitissimo di lingua nostra, pote dire di lui, che E per tacer d' altri, il Crescimbeni neir Arcadia dice che : E nel secondo volume della Volgar Poesia, aggiunge che : Ed anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue invettive, e nelle sue cicalate, apparve a quegK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono profusamente, ora ammirando Y eleganza del dettato, or il brio e le facezie di che le andava adornando. E il canonico Panciatichi, con lettera in data di Parigi de' 24 ottobre 1670, volendo esaltare la gran perizia che aveva nella nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi dice : Da che si vede com' era egli tenuto per letterato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a tutti i suoi contemporanei, superiore. E il cardinale Pallavicino che quantunque, come dice il Giudici, se la piccasse un po' troppo per modello di stile, pure ne ^ di certo maestro, in questo modo scrivendo al R. de' suoi componimenti giudicava: (1666) E veramente R. si mostra qui, come nella versione di molte altre cose latine fatta man mano ne' suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio conoscitore, non senza difetti che faremo poi notare aver esse comuni col tempo; il tempo poi questa conoscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^ del Rinascimento non era ancora spirata, e dovea anzi chiudersi col nostro Filosofo. II quale, come quel che piii d' ogni altro de'suoi contemporanei ea; ^ro/i2550 si occupo nella filosofia di Platone doveva (e naturale arguirlo) il greco conoscere profondamente, e piil che non il latino. Se non che noi restiamo su tal punto tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio ch'ei ne avesse una notizia non troppo grande, e che per la versione e interpretazione del testo si servisse di traduzioni gia fatte dagli anteriori neoplatonici, dal Ficino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente nella massima parte le teorie e le dottrine del divino Filosofo spiega ed illustra, cogl' intendimenti di Marsiho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non di radissimo, di ricondurre al suo verace e legittimo valore i pensieri deirAteniese; ne una parola greca ne'quattordici volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta, molto meno una frase ; e se v' ^ una parola greca § logos scritta italianamente. E vero che percorrendo le sue lettere, ne troviamo una principalmente diretta di villa al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre cose : E piil volte di aver letto sul testo or quella or questa cosa, di sua propria voce conferma ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo assevera aver per questo riscontrato tutti quanti i testi mighori ed esaminato (perd) qualunque de' piii reputati interpreti e piii autorevoli. Ma come ognun vede, questi passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti che contro; e ad avvalorarli vo'recare qualche espressione che ho trovato nella difesa del signor Tommaso Segfii, com' accademico detto 1' Ardito, contro le accuse dategli dal Kucellai, in uno di quei soliti finti battibecchi di quegli Accademici. In questa difesa mentre si ricava la conferma che R. studid sempre e profondamente le Matematiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi Dialoghi sulle armoniche proporzioni, e ch' ei dettd rime lubriche, v'^ pur conferma del nostro pensiero sulla poca scienza sua del greco. Tra le altre cose egli, il Segni, dice al R.: Entrasti dopo cio nella mia traduzione della cornmedia di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti rispondo perch^ io non t' intendo ; se tu ti dichiari megHo, ci sar^ la risposta anche per questo, non dubitare. Questa commedia si recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non sarai impedito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou biasimo la scienza, non ti alterare, che io so benissimo che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio che possa fare un giovane nohile come tu se'; ma infatti vuoi sapere a cid che ti serve, giacch^ io non veggo che tu sappi coUegare insieme quattro periodi, che provino e concludano mai nulla ; e non hasta sap*er quattro proposizioni, e poi volere orare alia presenza di cosi dotta Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e leggergli nella lor lingua^ non si fidare dei trdduUori. > V 6 un proverbio latino che dice : in vino Veritas. ed h in questo modo in realta; or credo non men vero rimanga il proverbio temperato cosi: in ludo Veritas; poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche e spensierate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova R. avendo realmente scritto rime iramorali, araico del Giraldi, e conosciuto profondamente le matematiche; e I'accusa di R. stesso intorno alia nullita del merito nella versione di Plauto fatta dal Segni, della quale, per fermo, come di nessun pregio non si fece da' contemporanei e posteriori letterati menzione mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in chiaro della non grande esperienza del nostro Filosofo intorno al greco, fa molto, perchd ci spiega come pitl che le vere dottrine platoniche, le interpretazioni neoplatoniche accettasse e trasformasse nel suo lavoro scientifico. E perch^ su questo punto non mi rimanesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi del Timeo, tradotti dal R., col testo, e indi con le traduzioni latine anteriori; e cid mi servi di riprova irrefragabile. Nel 1650 il nostro R. era nominato dalr Accademia membro della Deputazione del Vocabolario, e prendeva a fare lo spc^lio delle Lettere di Monsignor Delia Casa, e delle storie del Machiavelli. Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da una lettera scritta da lui al cardinale Leopoldo. Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e i discorsi accademici, venne egli in alta venerazione presso i contemporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo, antonomasticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un oracolo, sicch^ ei fu della rinnovata Accademia Platonica r anima e il duce, in quella guisa che il Ficino due secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi filosofici di lui E basta leggere le lettere che R. scriveva in risposta al Cardinale Delfino, per vedere come in riverbero, in qual alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi dell' Imperfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e tutti quei grandi eruditi, che convenivano in sua casa ad ascoltarne lettura. Imperocch^ la casa de' R. era una vera e propria Accademia. II R., come abbiam detto sopra, dovea ricordarsi degli Orti di sua famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora la voce dell'avo Bernardo e di quei grandi sostenitori delle dottrine Platoniche e della liberty. Egli aveva perduto que' luoghi memorandi ; gli dovea risospirare, e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi figliuoli, e con illustre schiera di dotti, intento a favellare delr uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste adunanze fa parola appunto il Tiraboschi nell' ottavo volume della sua Storia, dove discorrendo del fiore in che allora, nel secolo decimosettimo, erano le Accademie fiorentine pubbliche e private, dice che tra quest' ultime, celebre singolarmente fu quella del prior Orazio R.; e riferisce le parole di Lorenzo Magalotti, il quale in una lettera indirizzata a Luigi Del Riccio incitalo a procurare che non si abolisca quell' istituto, e si rallegra che egli abbia si buoni assegnamenti per farlo sussistere, cioe il Salvini, il Lorenzini e rAverani. E anco il Negii appella a questa riunione di letterati {Storia degli Scrittori Fiorentini) dicendo: Ma il Salvini, nelP Elogio al Filosofo^ ci dipinge a colori vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i suoi modi e le dotte adunanze, e le erudite conversazioni. E, magnificata indi il Salvini la gentilezza e vigoria deir idioma nostro, soggiunge pitl sotto : E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e il disegno.^ Di questi dialoghi, in numero di sessantacinque, sono stati pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della natura, esclusa la platonica, e il trattato della Provvidenza; * per il che sarebbe desiderabile vederli pubblicati per intero ed ordinatamente. Era ben naturale adunque che R., di si vasta erudizione e di tante belle qualita adorno, riscuotesse Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi d' allora, e tutti si attribuissero a ventura ed onore di potersi chiamare suoi amici. Talche una lunga schiera de'piii segnalati uomini del tempo vediamo f ar corona all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia neoplatonica, all' ultimo figlio del Rinascimento filosofico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due Falconieri e il Filicaia sono in continua corrispondenza di affetto e di scienza con lui, e si legati in amicizia che niun di lore ardisce porre un' opera in luce senza aver prima consultato gli altri per averne le critiche, e fatte su quelle le opportune correzioni. E Lorenzo Magalotti pone talvolta ne'suoi scritti dialogici a interlocutore principale il nostro Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto Vedi : Indice delV opere di R.. delta neve e sul Bibollimento del sangue^ secondo i pensieri del Galileo; in quella guisa medesima che il Rucellai scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui gli apre Y animo suo, e dimostra la sfiducia grande ne' suoi proprj lavori, e minaccia di gettare al fuoco i suoi dialoghi filosofici e si pente de'trascorsi di gioventii. 11 Filicaia gli dedica un sonetto in sua lode, e il Redi ne discorre, encomiandolo nel suo Ditirambo. II Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo, parlando di una lettera di esso, dice che e Monsignor Giacomo Altoviti amante delle belle arti, il marchese Vincenzo Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonaccorsi, il Magiotti, il primo de' suoi interlocutori, e uno di quelli che composero, come si esprime il GaUleo, il. suo triumvirato, tutti li vediamo in corrispondenza d' affetto e scientifica col nostro filosofo ; il quale nelle sue lettere, dimostrasi deferente a tutti, e modestissimo, e quasi trepidante ogni volta che a qualcuno di loro invia, richiesto, qualche suo filosofico componimento. E le lodi riguarda sempre come eccesso di bont^ deir animo di quei che gliele fanno, non mai effetto de' meriti proprj, mentre egli trova sempre che lodare negli scritti degli altri. E i principi govemanti lo venerarojio anch' essi con reverenza ed affetto speciale ; e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come abbiamo gia veduto superiormente. Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile, soUecita dal Principe Leopoldo con lettera del 28 aprile 1653 soccorsi profittevoU per i disastri economici della sua casa, afline di potere con piii quiete e piCi comodamente esercitare in qualche trattenimento studioso gli scarsi talenti ch' ei si ritrova. A questo decadimento delle sostanze di R., accenna pure il Panciaticlii nella sua Contraccicalata alia Cicalata sulla lingua lonadattica (1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : « Sovvegnati del viaggio da par tuo clie tu facesti in mia compagnia a Pisa, Lucca ec, quando tu gridasti il Meschini^ (gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo revisore generale, per quanto io intendo, delle tue possessioni) perche ti lasciava andare coUe gomite rotte ec... > Oltrediche egli fu pure da morali traversie angustiato molto talora; come quando ei seppe ucciso in rissa un de' suoi cari figli, Giuliano, in casa d' una cortigiana, del quale eccesso il vino non sembra essere state r ultima cagione. A questo fatto egli accenna in una delle sue lettere (Firenze 8 settem'bre 1668) al Patriarca d'Aquileia, dove spicca in tutta la sua pienezza e r affetto di padre, la mitezza sua e il sentimento religioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi anni avanti la morte sua, sollecitata fors' anco da questi colpi della sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza divina, di cui si bene favelld ne' suoi libri. E anche da Cosimo III ebbe a soffrire dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante, succeduto che fu a Ferdinando di onorare R., confermandolo nella carica di gentiluomo di Camera, a poco a poco lo allontand dalla Corte. Perd da alcuni storici (come il Maffei) si 6 detto e si dice ancora che Cosimo III non fu troppo tenero ma anzi ostile alle lettere ed alle scienze filosofiche, e che percio era ben naturale s' allontanasse dalla Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6 per lo meno esagerazione, ed una conferma che preso per alcune cagioni I'uomo in dispetto, spariscono troppo spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti veri che a scemare la bruttezza del quadro sarebbe giusto considerare. 11 liglio primogenito di FerdinandoII quantunque meschinamente bigotto, e inabile a generosi pensieri in politica, pure non solamente la teologia, come dice il Canttl, Storia Universale, ma favori anzi ed amd le scienze e le lettere, e a persuadersene basterebbe gettare uno sguardo sul grandissimo carteggio ch'egli e il suo segretario privato canonico Basetti ebbero con tutti i primi uomini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo voluminoso epistolario trovasi nell' Archivio centrale in Firenze, e tra le altre vi si ammirano lettere dell' Autore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz. Sarebbe anzi desiderabile che qualche studioso prendesse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne traesse ad utility della scienza e a vantaggio di quel principe quella luce che finora non h comparsa fuori, ed ^ per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta attribuire Tallontanamento di R. dalla corte; sibbene forse la salute vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo. II R. infatti moriva poco tempo dopo che si fu allontanato dalla Corte Medicea. Ma la morte trovoUo col volto ridente, come Socrate, e con costanza serena. Egli moriva nell'et^ di TOanni, stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi e degli amici, la piii bella e confortevole benedizione ad un'anima che lascia la prigione del corpo. Cristiano, ebbe pure i conforti soavi di quella religione, in nome della quale ei filosofava con afietto di innamorato, e pieno di fiducia di vedere svelata nell' eternity a' suoi sguardi la verity, la bont^ e la bellezza infinita. L'avello de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ; e col richiudersi di quella lapide si cliiuse insieme il periodo del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche un giomo se ne imparasse la importanza vera, che pur troppo non ravvisarono (n^ lo potevano) i suoi contemporanei. Tuttavia i Dialoghi di R. ne furono pascolo a quegli uomini colti anco appresso.E Anton Maria Salvini, poco dopo la morte del loro autore scriveva a Lorenzo Adriani ragguagliandolo delle veglie che si facevano allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova edizione del Vocabolario: Leguntur in hoc eruditorum hominum codu scriptiones varied cdque pulcherrimce, ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est universam. Huitis contentum scribendi laborem nee aetas extrema tardavit^ qui jamdudum vita functus, magni sui, atque operis desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste lubriche che si attribuiscono al nostro Priore, si leggono di suo, firmate, poesie onestamente amorose ; e che nella sua Cicalata in quartine fatta in lode del Cacio Lodigianoy non certo in sospetto di apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e riconosciuta da lui che ne fa menzione negli altri suoi scritti, egli si compiace d' incastrarvi non pochi equivoci disonesti ; io credo che la critica imparziale non potr^. risparmiare al Filosofo Platonico la non troppo onorifica paternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo visto un suo amico medesimo Tommaso Segni, accademico, quantunque in istato di esagerazione e di finzione burlevole, pure accennare a questo peccato del R. nella sua difesa contro un' accusa data a lui da quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti .deplora poi queste sue giovanili leggerezze e le riprova. Ma per non stare troppo sulle generality, e addentrarsi alquanto invece nell' analisi delle sue poesie, incomincieremo dal notare come R. nei suoi sonetti filosofici discorrendo della Provvidenza divina, conformemente alle dottrine neoplatoniche e al domma cristiano, asserisce non potersi comprendere Dio che con la Fede, quantunque le opere di sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per usare la frase de' sapienti ripetuta dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice vivo di Dio, dimostrino chiaramente che e' c' 6. A prima vista si scorge qui la sua grande sfiducia nelle forze delPumana ragione, che reputa da sola insufficiente a levarsi oltre la sfera del mondo, per discorrere col suo lume naturale dell'Ente Infinito e dei suoi attributi divini. Sentesi qui una tal qual'aura di scetticismo, che gli antichi sistemi risuscitati dal rinascimento, e tra loro combattentisi, dovevano aver iinito con ingenerare in quegP intelletti spossati, nelle menti di quei filosofi allora che si stava compiendo la piti grande delle rivoluzioni intellettuali, e la riforma si veniva mano mano estendendo. Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme del Ficino a professare che Religione e Filosofia son sorelle, e la prima la maggiore; anzi -poich^ filosofia ^ Simore e studio di verity e di sapienza, e Dio solo ^ principio di sapienza e fontana di verity, ne consegue che legittima filosofia non sia altro che la vera religione. Quindi se la fede non ^ I'unico fondamento della scienza, pur n'6 engine grande e primaria; e per di piti, mediante la sola fede noi ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Platone scriva nel Timeo che dell' eterna essenza non si puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e che ^ alI'uomo nascosta, iinche pero, aggiugne Ficino- e il R. in sentenza cristiana, Iddio stesso non riveli s6 alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il Ficino venne a dichiarare che voleva piuttosto credere divinamente che sapere umanamente, professando la fede divina essere infinitamente piti certa della sapienza degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere sempre confermata dalla scienza vera (Epist. lib. V, p. 1.), esister nel mondo invisibile le cose vere, e nel mondo visibile rombi?a solamente della verity; cosi il R. non isdegna, ma ama la filosofia; pur come i neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bessarione, voleva unita alia religione e dipendente da questa, perche da se sola incapace, la filosofia, a farci comprendere Dio, che essendo Verity perfetta e il sommo Bene (Cfr. Platone nel Fedro) noi mortali non possiamo per le natural! vie afferrarlo, o non riusciamo ad averdi esso che una nozione o rappresentazione analogica, guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe le cose belle, vere e buone di quaggiti. Questi concetti fondamentali intorno la comprensione di Dio per I'umano intelletto, R. voile esporceli in quattordici sonetti, ne' quali, in sostanza, e'non fa che riprodurre quelle esclamazioni e quelle espressioni di maraviglia che di tratto in tratto ritroviamo ne' suoi Dialoghi filosofici delta Provviden^a^ magnificando le opere della creazione ed i portenti che Ella n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e questo, a dir vero, non altro che questo il concetto che sotto varj aspetti ei ci viene difiusamente ripresentando. Infatti egli professa che « A quel sovrano ed invisibil nume Nostro intelletto non puo mai trar Y ali, » imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. » {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di Diversi, p. 234.) E passando via via in rassegna i regni della natura, minerale, vegetabile ed animale, ascende iino all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc. cit. pag. 239.) (.o7t (I Dialoghi della Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben? dal R.. II Petrarca infatti, questo Raffaello nell' arte della poesia, con generoso ardimento tolse, per cosi dire, nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo contemplava, V archetipo della beUezza perfetta, animatrice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di una realty non inane nd effimera, nel volto divinizzato di Laura : « E in umil donna alia belta divina. * Personificando in costei vero e buono, bellezza e virtil, realizzava I'idea, ideal^zzava la reaM. Era un connubio divino che il poeta deU' amore cristiano cantava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso, da cui fa il filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria. La religione inalzava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva rispettabile da disprezzata che ell' era. La cavalleria la rendeva anmiirabile, ispiratrice delParti e delle virtii militari : i trovatori, eccitatrice delle arti di pace e della poesia; i poeti italiani, divina, potente su i destini dell' uomo cui conduce alia virtii per la strada deUa bellezza. II Petrarca non canta perd un amore che non sente, nd le lodi di una donna che ei non conosce. Egli conosce, ammira, desidera, ama Laura e per essa risale al cielo; egli conserva, armoneggia ed innalza 1' elemento cristiano dei trovatori e dei poeti italiani nell'ideale platonico del bene e della virttl. fi veramente un' armonia divina, che incomincia dal cuore del poeta, si avviva sul volto della donna amata, per avere il suo compimento 1^ dove senza velo e confine si ammirano le eteme figlie di Dio! U R. ha piena la mente di queste idee ; egli ama secondo il concetto platonico e petrarchesco, e questa teoria egli pure, mi si passi la frase, viene personificando in dieci sonetti, dei quali piii che la met^ rimangono inediti ancora ; ond' io credo mio debito di dame qui un saggio, ma senza potere affermare in qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o immaginaria, quantunque dall'esame loro mi paia piii probabile che in gioventii e per donna vera. Egli in uno de' sonetti inediti si rivolge alia donna amata con questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma pur delicatamente vestiti: oc Non di vostra belta caduca e frale, Amo quel fuoco vil che i sensi accende, Ma pill a dentro sen va Talma e comprende Un bello incorruttibiie, immortale. Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale Da be* yoaif occhi nn non so che risplende, C*ha deiretemo, e luminosa rende Qadia forma ch' k in voi breve e mortale. Non quel che srnonta in un baleno, e fugge False lustro di ben vo cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi ne accende e strugge. Ma sj di raggio in raggio a quel rn'invio Sol che non ha chi lo ricopra e adugge, E contempl^do voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che noi dimentichiamo il seicento qui^ come pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammentano troppo 11 Petrarca, imitato talvolta dal R. diremo quasi con plagio. Per esempio, in questo seguente, pure inedito, in morte della sua amata, e adomo indubitatamente di gusto delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di Diversi, VII, n* 3). Quella che dal mio cor non parte mai. Bench^ vederla agli occhi miei sia tolto, Spesso tra 1 sonno. con pietade ascolto Dirmi : non pianger pih ch* hai pianto assai. Son vivi in ciel di queste luci i rat, Che vedesti languir, misero e stolto, E bench^ spirto dal suo vel disciolto. Son quella e t*amo pur quanto t'amai. Dal tribute mortal libera e franca Quest' alma attende alle celesti porte La tua, ch' k senza me di viver stanca. Deh! vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte Qoder V immenso ben che mai non manea, Che un breve corso di continua morte. it Mi si confessi giusto: chi non sente qui Tanima del Petratca che inspira? chi dal seicento non ritoma per questi yersi alle pure regioni del trecento, ed oblia i trascorsi scapestrati di quella et^? Non ti par egli ad ogni espressione ti ritomi sulle labbra quel lamento diyino : « khimh \ terra h fatto il suo bel viso Che solea far del cielo E del bel di lassb fede tra noi ? E come in questo, cosi negli altri sonetti di amore, de' quali a maggiore conferma di quel che vo esponendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola Antologia degli scritti di R., i concetti platonici chiaramente tralucono. Ad illustrazione dei medesimi io preferirei invece di riportarmi alle parole stesse dal R. adoperate intorno V Amore nel dialogo decimo deUa Fromidenza, modello di eloquenza e di stile, e che valgono a compiere a maraviglia le osservazioni premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui troppo, nol fo, e rimando il lettore a quello scritto gi^ edito, potendo in questa guisa da se medesimo ritrovare tosto la verita di quanto io venni dichiarando su questo importante subietto. Io chiudo per6 ripetendo che questi versi del Rucellai nulla per il pensiero tenendo del seicento, ti riconducono a' giomi pill belli della italiana poesia, e ti legano quasi il trecento col secolo dell' Achillini, del Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in questi versi d' amore trar volesse la musa Petrarchesca, soffocata, per cosi dire, in quella gravosa atmosfera. Non cosi riguardo alle figure, alle imagini ed alio stile, dir si pud di tutte le altre poesie esaminate fin qui nel loro contenuto o materia. II diffuso e il cicaleggio accademico trovi sovente frammisto al forte e robusto pensiero; troppo uso di mitologia, che giudichi abuso, e che ti accenna una volta di piil 1' et^ del rinascimento imitatrice esagerata dell' antico non aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite, delicata e serena, un' altra immagine tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a prestito dalla scuola Mariniana ; come, per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon R. confessa di amare sempre, e dice nientedimeno che arde qucA Etna, senza pensare che neanche le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se c'erano, avrebber potuto spengerlo con tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo soggiunge che arde qucd dgno, senza riflettere alia sconcezza di quelF animale colle penne abbruciaccliiate sul dorso. Ma in generale nello stile si modera, ed appartiene, credo, alia seconda maniera di poetare, alia quale noi accennammo in principio di questo Capitolo. Percid quelli de' suoi contemporanei, i quali erano imbevuti deir aria medesima respirata dal R., ma perd non eccessivamente viziati, levaronlo a' terzi cieli, pur come illustre poeta, e il medesimo Redi, il piii puro di tutti, ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai abbiamo, dopo il discorso, un criterio sicuro per ricondurre gli encomj al lor giusto valore, e per conchiudere che Orazio Ricasoli R. fu poeta piti imitatore che originale ; che nel loro contenuto molteplice e contrario le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore, ritraggono fedeli il secolo nel quale egli fiori, i contrasti del tempo nel quale egli visse; e che se talvolta sorretto dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese a duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad altezze non comuni; piii spesso perd ei non potd non lasciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non precipitare con essi nel vano, nel lubrico, nelr eccessivo. delle prose letterarie e scientifiche di orazio rica soli R.. SoxirABio. — La Prosa nel seicento. — Anche in essa R. veriflca il nostro concetto. Contrast! nella natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all' Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e air Ardito (Toramaso Segni). Discorso di R. nel rendere rArciconsolato. Cicalata sulla lingua lonadattlca. Scherzo in lode delF Uccello. Elogio di san Zanobi. Versione della Lett&ra di Cicerone ad Quintum Fratrem. — Critica. Discorso della Fortuna. I) suo discorso contro il Freddo Positivo, — Riepilogo di questo discorso. Segue il metodo del Galilei. Lettero familiari e politiche. Osservazioni. — Suo libello sulla pianta e rigiro della Corte di Roma. Disegno di questo scritto. Giudizio. Nei suoi discorsi, nelle sue prose letterarie e scientifiche obbedisce egli R. alia medesima legge, verifica il nostro concetto? £ bene ricordare che anco la prosa di quel tempi fu viziata ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, imperocch^ gli uomini come pensano, scrivono; come riflettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli accademici ed i filosofi mostrarono allora vergogne rettoriche da fare sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana Tuttavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e religiose del tempo, gi^ a lungo discorse di sopra, cosi nelle prose avemmo in quel secolo un contrasto, e non sempre sconsolante, specialmente in Toscana. II DaviJa nelle guerre civili di Francia, il Bentivoglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il cardinale Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento, il Galileo e i suoi numerosi discepoU, il Redi, il Dati, e molti altri si tennero lontani dalle stramberie di dizione del secolo, ed alcuni sono splendido testimonio deir indipendenza del pensiero italistno, che sorge animoso ed affronta ogni genere di persecuzioni. Leggendo le prose di R. varie e diverse per natura, assai bene troviamo riconfermato il giudizio nostro sulla intima e profonda rispondenza de' tempi air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e chiacchiera in bugnola, e finge inveire contro questo e quell' Accademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un verbo, con quell' ardore col quale oggi un deputato fa e svolge un' interpellanza per cogliere in fallo il paziente ministro ; tesse 1' elogio di san Zanobi, il protettore delr Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici dei Granduchi, incensa nelle sue lettere Cardinali, sdrucciola al solito in indecenze e in equivoci; e poi in quelle stesse lettere ragiona gravemente di studj, e di scienza ; in quelle stesse Accademie svolge con gran dovizia di dottrina ed acume di riflessione subietti filosofici, facendo tesoro delle tradizioni scientifiche, degl ' insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del Cimento ; traduce nel nostro idioma la lettera moralissima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e mette in mostra come i pi'egi cosi i difetti pericolosi di alcune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende, non la risparmia neppure alia Gorte di Roma, svelando di essa i rigiri, in un suo scritto iuedito ed incomplete, ma dotto per riflessioni di diritto e politiche, ritrovato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad alcuno, come le sue poesie contro le Corti, o se si, indubitatamente in segreto a qualche fido amico suo, perch^ seegliloavesse resopubblico, sono certochene avremmo notizia da' contemporanei, non foss' altro per le molestie a ctd egli sarebbe andato incontro. Si vede tosto come questa diversity di soggetti sia iin accenno non dubbio di quel contrasto di opinioni, che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui doveva aver luogo in quel tempo, in cui, come abbiam tante volte ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ultimo sforzo contro il nuovo che sorgeva in Europa, e che ormai era impossibile arrestare nel suo moto veloce e potente. Del resto, oltre agli scritti accennati qui nel loro concetto generico, e che specificainente nominerd nell'indice delle opere di R., sembra esser stato egli I'autore di qualche altro scritto importante, smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo esatta contezza, giacente in biblioteche private. Ma contentiamoci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti. Era uso, per esercizio di lingua, che gli Accademici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e delle impertinenze a vicenda, e in queste finte battaglie non ^ da dire quanto volentieri s' impelagassero. D R., quantunque mite per natura, non rimase perd dietro ad alcuno nella fierezza delle sue invettive, tanto che in una di esse, in risposta all' accusa datagU dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con risonanti periodi accuso Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo nel 22 maggio 1652, come colpevole della pigra lentezza in cui erano caduti gli Accademici nell' adempimento degli obblighi loro con tanto discapito e vergogna deir Accademia), fu giudicato aver troppo ecceduto, e che di tante villanie dovesse con pena condegna pagare il fio. (V. Diario del Buonmattei, segretario.) E davvero questa replica ^ ingegnosissima e curiosa, e fatta con arte fina di molto, e ci fa senapre piii lamentare che ingegni si eletti stremassero in quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la lingua di questo scritto son veramente ammirabili, se tu eccettui al solito una tal quale tendenza al tronfio, e quel dondolare il dettato per troppo desiderio di leggiadria, difetto del tempo rimproverato anco al Bartoli. Ed ^ percid tanto piii notevole come di frasi esagerate e di paroloni riprenda accortamente V avversario, egli che vivea nel seicento, e non immune da' secentismi, e lo richiami al puro e soave idioma toscano con tanta religiosa osservanza da'maggiori custodito. E per dare un' idea del suo fare nelF invettiva, riferisco qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna di considerazione. Dopo avere ben bene rimbeccato I'accusatore, e dimostrato che invece di torti egli, r ImperfettOy aveva ragioni da vendere, e meriti da mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disadomo, vile, calunniatore e macchinatore della rovina dell' Accademia, cosi finisce a lui rivolgendosi : II lettore sente di quanto veleno sian ripiene quelle parole, e come per la quanta sua questo scritto sia modello, tanto che lo stesso Omato si dolse anche in progresso perche la piil bella cosa che avesse a que' di fatta il prior R., I'avesse fatta contro di lui. Di altra sua invettiva, fiera atroce e sanguinosa, come place chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo perch^ la difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo il Salvini, di alta reputazione, e contro cui quest* accusa di R. era diretta, ci attesta essere stata scritta dal Priore Imperfetto. E da'titoli di usurpor tore, di sfacdatOj di stravagmite, di infamatore, che possono formare la corona del piii famoso malvivente, e coi quali il Segni apostrofa il nostro Orazio, si rileva che egli non doveva anco in questa accusa avere scarseggiato di epiteti, tutt' altro che accademici, in quelle sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria delrintelligenza, indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi pertanto che occupati quegli uomini, o per giuoco, o sul serio, a tirarsela giti senza misericordia e spesso, in quelle adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e fingevano di ridere ; come vuolsi che stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ? Se riscuotevansi talvolta contro il vieto e malo governo che di lor si faceva, erano come i garriti di scolaretti che dicon male, quando non sente, del loro maestro severo, in quella stanza, su quella panca, e non altro; che anzi quando il maestro ritoma, si chetano e ne hanno pitl soggezione di prima. Non m' intratterro a parlare del discorso del Rucellai, recitato nel 1651, nel rendere P arciconsolato in mano del Timido (Desiderio Montemagni) e pubblicato dal Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli scientifici (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi in un manoscritto miscellaneo della Magliabechiana, segnato N. 1422. E un discorso di non molta importanza, e, come possiamo immaginarci, pieno di comphmenti, di scuse, di proteste, di nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe, e R. pitl d' ogni altro per la qualita modesta, anche troppo, dell' animo suo. fi scritto anche questo in ottima lingua, ma con il solito vizio del tempo, il diffuso, ed un po' di quel rigoglio accademico. E neppure, se non per aggiunger prova alia mia prima asserzione che 6 come la stregua a cui ricondurre ogni mio discorso, io m' intratterrd con lunghe parole ad esaminare una sua cicalata suUa lingua lonadattica, che trovasi nelle Frose Florentine (Parte prima, Vol. I, Venezia, 1730) e la cui contraccicalata fu letta nella Accademia della Crusca la sera dello Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un accenno di quel che si tratta, per mostrar anco qui quanto allora, pur negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si coprisse, quasi inconsapevolmente, di nomi pomposi la nullity delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cercasse ogni strada per ridere, e come R. partecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in ogni verso se ne facesse 1' immagine. Tra le molte e moltiformi accademie che spuntavano come 1' erba sul suolo d' Italia, e precipuamente in Toscana, in Firenze, vi era quella de' Mammagnuccoli, capitanata da Paolo Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile). Erano una conversazione di galantuomini (Nota del Minucci alia stanza 26, cantare 3** del Malmantile) i quali facevano professione di sapere il conto loro in ogni cosa, e particolarmente nel giuocare, e nello spender bene il loro danaro, e d' essere il fiore della reale e onorata scapigliatura. Avevano un loro capo che si chiamava I'Abate, dal quale erano gastigati quando facevano qualche errore nel giuocare o nello spendere; ma pero tutto era in galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa r Abate, dove si giuocava a giuochi piii di spasso che di vizio; e si facevano aitre allegrie di cene, di merende ed altri passatempi. Costoro erano tutte persone gravi e quiete e della piti riguardevole civilta, e percio la loro conversazione si bramava da molti che v' intervenivano ; sebbene non fosse ammesso a quella veruno che non avesse provata prima la sua dabbenaggine, e non fosse stato riconosciuto dall' Abate e da altri suoi consiglieri meritevole d'esser ammesso : la quale dabbenaggine in un certo loro gergo equivaleva a furberia. Perch^ vi era anche un gergo o parlare furbesco, noto solo agli adepti, che riconosceva per padre il Burchiello; ed era pure in grand' uso fra loro la lingua lonadattica, cosi detta per ironica ampoUosit^, quasi composta dell' ionico e dell' attico dialetto, la quale da quel gergo difFeriva, non essendo composta di parole che avessero in qualche modo analogia con le parole vere delle cose che si volevano significare, ma di vocaboh che del vero vocabolo avevano le prime lettere. Or appunto sulla origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chiamato dagli stessi Accademici scioperatissimo, intess^ una cicalata il nostro R., plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il riso, se .dalle considerazioni fatte di sopra, e che sorgono nella mente spontanee, non ci fosse piii sovente che mai trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano, lodavano, e sorridevano, e come ! quando per esempio, invece di dire: ioho mangiato una minestra di miglio brillata, leggevasi: io ho mangiato una minestra di miUe prelati; voi avete della rosa sotto il coUare, per dire della roccia; per il Dante della Beatrice, il Damo della Bea; la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arciduca, ec. Or mi si dica: non par egh quasi impossibile uno stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che sale in bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza su tali puerilita; e quel medesimo uomo illustrar poi le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la ragione di ci5 non trovassimo noi nella condizione dei tempi che aveva preso sopravvento su lui, di certo saremmo tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni fisiologi, in qualche oncia di cerveDo che egli avesse di meno, al di sotto cioe del peso de jure, per secemer le idee, e per fare ordinate le digestioni dei proprj ragionamenti. Dicesi anche, e il Passerini ed altri ne fanno menzione, che R. voile pure in prosa dar saggio delle sue debolezze erotiche, e della sua ability negli equivoci, in uno scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho fatto ricerca, ma non mi e stato dato imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu Giovanni Andrea Moniglia ; e R. non fece che gli argomenti e le descrizioni in prosa di ciascun atto ; descrizioni assai vivaci, quantunque sempre un po' verbose, e nelle quali egli dimostra una cognizione vasta e minuta della raitologia. Che egli poi fosse, come si dice, assai padrone del latino e delle bellezze di quella lingua apprezzatore autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di classici, e argomento sicuro la Traduzione della prima Lettera del libro 1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superiormente notata. Ed io ho detto gi^ come questo esercizio, si proficuo per ogni rispetto, introdusse R. nel suo secondo Arciconsolato (1650) tra gli Accademici della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccitamenti non andaron delusi. Se devo dar pero il mio giudizio intorno a questa versione, sembrami che in mezzo a' molti pregi, come la scelta di soggetto morale, la lingua, la fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del tu adoperato, che ti divien quasi ridicolo, una volta che pensi esser traduzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico Moreni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio R., notando come appaia che egli con si fatto signorile trattamento abbia qui voluto conservare la stessa sostenutezza, che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e quasi rimproverante lettera ; come se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non piuttosto nella gravita del concetti che possono manifestarsi propriamente anco col dolce tUy appellativo con il quale il Casa monsignore, e il Moreni canonico si rivolgevano a Dio stesso nelle loro pregliiere, senza credere, io penso, di mancare a lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come questa fosse una tra le altre curiose debolezze del prior R., che viveva in quel tempo come di grandi imprese, cosi di stravaganze e di capricci fe^ condissimo. Voglio riportar qui due soli versi della fine di quella lettera, e che mi si dica se non par di vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno diuanzi vestito con seta, nastri e rasi, e fare mutatis mutandis un complimento galante a una signora di conoscenza che incontra, mentre lo stesso monsignor Della Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella facilissimamente (ecco le parole) se penser^ che io, cui sopra di ogni altro ha premuto sempre in dar. gusto, mi ritrovi di continuo con esso lei e intervenga a tutti i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che io la preghi ad avere ogni possibil cura della sua salute, s' ella vuole che io e tutti i suoi godiamo la stessa, e le bacio le mani. > E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne va Via pe' suoi fatti. Del resto, se questa traduzione imita si brutto costume, allora assai in yoga anco nella Francia, dove appunto nelle Orazioni di Cicerone, traducevasi la parola Quirites col francese Messieurs ; ^ poi precipuamente pregevole per il fine morale per cui essa fu fatta, ed d anco questa una lodevole espiazione per le mende di disonesta dalle quali non serbossi immune. scrivendo, il nostro filosofo. Quantunque di non grande importanza a prima giunta, ptir mi sembra che questi fatti sieno, a chi gli osserva con occhio imparziale, di lume e di prova sempre maggiore, e prendano qui per noi un' importanza che altrimenti non avrebbero. Non siamo neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo gi^ qual possa esser la natura della via che ci tocca ancora a percorrere, e quale la m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte nostro si dilata, ed i colori della pittura che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti deciso, determinato e perfetto. Dallo stato fisico, fisiologico e morale noi ci avviciniamo sempre piCi all'intellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi vogliamo cogliere il pensiero del pensiero nel R., come filosofo della natura, dell' uomo, e di Dio. Ed infatti, senza por mano ancora alia sua macchina filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi piii spiccato il pensiero filosofico di lui, abbiamo non piii tanto il letterato e 1' accademico, quanto il ragionatore. Quantunque, come di altri e accaduto, un suo discorso sulla Fortuna sia rimasto inedito, pure siamo in grado di ten^er parola del concetto che dovea informarlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto della fortuna discorre. Ed aggiungo anzi che non sarei lontano dal credere che questo discorso sulla Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo soggetto ritrovasi. Comunque, e da notarsi che questo discorso egli lesse a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accademia che fu pubbKcamente tenuta nella Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per onorare il principe Giovanni Adolfo, fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo allora era Lorenzo Magalotti (intimo di R.) come ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da quello un elegante proeraio, discorse poi V Imperfetto della Fortuna con sottigliezza, novita ed erudizione piii che ordinaria (Vedi MORENI, Prose, pag. XX in nota), mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo Speroni, e molti altri la fortuna non esser che nome vano in se stessa, e invece sotto tal nome cui il volgo o pensatori traviati diedero corpo e figura, nascondersi I'esecuzione del volere divino; e combattendo il caso contro Epicuro, e recando a sostegno de' suoi pensamenti i pitl celebrati autori antichi e contemporanei. Conforme poi alle teoriche Galileiane e coUe leggi del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del R. contro il Freddo positivo. Discorso ingegnosissimo per argomenti di prova, e, secondo il Dati, mirabUe (Vedi Dati, Lett, a pag. 69), che il nostro prior Orazio recito in un' Accademia fatta a bella posta in ossequio e trattenimento del famoso cardinale Delfino, patriarca di Aquileia, il quale trovavasi allora di passaggio in Firenze, e a cui R., lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne fanno fede le lettere indirizzatesi scambievolmente. Non e qui ufficio nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte dal R. in appoggio della sua tesi: vogliamo solamente presentare il disegno di questo suo lavoro, per dimostrare come nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle medesime verity dimostrate dalla filosofia moderna, in tutto seguitasse il metodo inaugurato dal Galileo, con cui si rapidi progressi pot6 fare la scien za fisica, che fu solamente allora creata. Egli dunque voile provare il freddo essere privazione di calore, contro lo Smarrito (il Dati) e il SoUecito (il Capponi) che fortemente mantenevano il freddo essere positivo e reale. Si fatta questione, ne ricorda il Moreni, (Prose ecc, pag. XXI) comincio a ventilarsi nell'Accademia del Cimento con grave dissenso di vari insigni soggetti, che la coraponevano, in tal materia, e che tento di risolvere il dottor Giuseppe Del Papa con la sua celebre lettera a Francesco Redi, sostenendo che il freddo non e che una sempKce privazione, ed un mero discacciamento del caldo, e non gi^ una sostanza positiva e reale come pare la volesse il Dati, versato assai, del resto, in cose naturali e di fisica. E il Rucellai, con grande compiacenza, premette come Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco con gli altri elementi nascerne il moto, e dal moto le generazioni. > E non solamente per eccitare il caldo nei nostri sensi vuolsi il moto, ma lo stropicciamento dei calorifici con le parti sensibili. > Tutti gli atomi, che non sono calorifici dicogli sieno frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il medesimo essere il freddo privazione del caldo. > Le cose lisce appajon piil fredde delle rozze, perch^ si turano i passi agli stropicciamenti degli atomi, uscendo e entrando pe' nostri pori. > Ci par freddo il piede, essendo nel letto, e non la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e conosciamo in comparazione del pii\ caldo. > 11 secco e il buio, che sono privazioili, non forman patimenti, come fa il freddo. > Si vede, che del fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel ghiaccio ch' 6 una minima parte e un accidente dell' acqua. > L' umido e il caldo esser cosa vera e sostanziale, ma il secco e il freddo esser di loro la privazione. > Dicono il freddo aver azione e moto come si vede nelle sperienze del caldo e del freddo e delli agghiacciamenti ecc. > Scorgesi qui, io diasi,.applicato nella sua pienezza il metodo del Galilei, ed una prova novella percid di quel contrasto di pensieri e dottrine che andiamo man mano riscontrando nel nostro filosofo. Che se innanzi di passare alia esposizione e all' esame diretto dei suoi pensieri filosofici intorno all'uomo, alr universe e a Dio, vogliamo ancor piii vedere quanta rispondenza ci sia tra lui e la sua eta, non dobbiamo che gettare uno sguardo, ancorch^ rapido, non tanto sulle sue lettere, quanto sopra il suo breve, incompleto, ma pure importante scritto che porta per titolo: Pianta della Corte e del Rigiro di Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in due capitoli, il secondo dei quali non terminato. Le lettere del prior R. pertanto non destano, per verity, in generale grande interesse, imperocche scarse di numero le conosciute, e non aventi una qualit^ scientifica; ma o accennino all' invio di scritti scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi padroni ; nondimeno esse servono a chiarirci alcun po' delle relazioni sue con i dotti contemporanei, e delle qualit^ deiranimo suo, e del tempo in cui alcuni lavori filosofici furono da esso scritti, e dell' ordine da assegnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica, manifesta nell' uomo nostro accorgimento non comune e conoscenza profonda del cuore umano. Stando alia numerazione delle lettere familiari, data dal canonico Moreni, esse non sarebbero in numero minore di cento; ma pubblicate non ne abbiamo che 36; e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier Cesare Guasti, ne ho potute ritrovare alcune altre, 8 o 10, di poco conto perd, inedite, nella Biblioteca Palatina tra gli Autografi, e nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze. Quelle edite, come bene giudicd il Moreni stesso, {Prefae, alle Led., pag. VIII) quasi che sempre conservano un non so che di grave e di eloquente, e mai sempre appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir il vero, in qualche parte scorgesi, ed in special guisa in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una monotonia di sentimenti e di idee, altresi in lui inevitabili, perdxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo che per istile, che a lettera si convenga, troppa contorsione e ridondanza di period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e manifestare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pensieri. Nello stile adunque ritrae del secolo, e nei pensieri anco talora ; sicche quando egli scende al faceto fiorentino, vedi cid farsi da lui con isforzo, e non con quella tanta facilita che riscontri nella propriety del dettato, giustamente encomiata dal Moreni e da altri. Sul contenuto di queste lettere sarebbe superfluo intrattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro cammino ne abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per illustrare V uomo, gli atti e V opere sue letterarie e filosofiche. E neppure minutamente ci fermeremo nelle politiche, delle quali assai duolci di non avere che due tre, mentre e probabile che altre piii ne giacciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo ragguagUa dello stato di Vienna e di Polonia, ed esamina le condizioni interne ed intemazionali di quei paesi, e piil specialmente le quaUt^ di quei principi. Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vincoli al pensiero e di animi proni all' adulazione dei potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti malvagi, dimostrisi indocile a questo difetto, sicche dimentichiam volentieri le piaggerie al suo Granduca, e le eccessive proteste di devozione e di servitii, e conyeniamo anche una volta col Magalotti che lo appello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi Palermo, Manoscr. Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento). Se non che confrontando le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^ osservisi come le piil libere o meno serve di queste lettere scrivesse piii giovane, le piCl ligie piil vecchio ; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle pure di liberi sensi deteriorasse, o per timore di perdere protezione, o per altra causa di debolezza li tacesse, sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo principe altrimenti da quelle che avrebbe desiderate. Ed infatti chi ha letto in quali termini R. protestasse a Ferdinand© II dei Medici e ad ogni principe la servitii sua e de' suoi figli, pud scorgere il divario profondo che v' ha nelle condizioni dell' animo suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al Poltri, da Varsavia, intorno alle qualita del re Vladislao, presso cui era stato dal Granduca inviato in legazione straordinaria : Noi vediam qui come R. sembri assolutamente sciolto da qualunque legame, e non guardando in viso a persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto piti gU dispregi in un Re il quale preferisca V utile proprio al bene del popol suo, o questo solamente ricerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio vantaggio. Lo che dimostra bene quanto rettamente pensasse intorno ai doveri di un principe R., e quanto, conoscendo le bugiarde apparenze delle corti, egli di certo avesse bramosia di smascherarle ad utility dei soggetti; e cid vedesi piu ampiamente nella parte morale dei suoi dialoghi; ma il volere rimaneva pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una volta che ritornato in patria lasciavasi vincere da miUe riguardi che un uomo dabbene ma debole co-stringono, se non altro, a rimanersene muto di fronte a ogni abuso. Dove poi nel R. piil si vede spiccare quel conflitto di sentimenti si 6, rho gi^ detto, nel suo scritto su Roma. Non giova riandare le condizioni poUtiche ^ religiose d' Italia e della Toscana principalmente in quel tempo; ch^ ci sembra sufficientemente aver chiarito tal punto. Giova pero averle in mente ora coUe quality morali del filosofo, per apprezzare in lui, amico di Principi e di Cardinali, quella liberta di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni giogo, sfidare il passato ed il presente, protestando contro certi non lodevoli usi della Curia Romana. Si; protestava di fatto il filosofo, e la sua coscienza sapeva bene distinguere, quantunque scrupolosamente cattolico, il principio dagli uomini, la bont^ di un' istituzione ed i vizi di chi la sostiene ; se non che apparisce che egli non avesse coraggio di pubblicare tale protesta, e fors'anco quello di terminarla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna e dall'animo. Sono i due sentimenti che contrastano in un medesimo uomo, il sentimento del vero, il sentimento del timore, e il secondo sciaguratamente prevale. Nel V Capitolo pertanto, R., con ampiezza di vedute dimostra : come V tiguaglianjsa di tutte le condizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu sempre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon premio solamente dei meriti e delle virtu, E nel secondo: come tutti i Governi ove s' intruda V avarizia e V ambizione rovinano, e quello di Boma con esse piu che mai si sostiene, E per giungere aUa dimostrazione della prima tesi egU osserva, come la Repubblica universale di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto originario quel misto perfetto dei tre stati, monarchico, Ill aristocratico e democratico, reputato per la forma piii durabile e meglio ordinata • di tutti i governi, dove ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e che r uno stato di essa ben corrisponde, e serve di correggimento all' eccesso dell' altro. Ella d questa, si Bcorge tosto, la teoria stessa di Cicerone e del Machiavelli riprodotta nel suo genuino significato, 1' accordo della quale pero coll' indole della vita del Rucellai tutto intento al servizio di un principe assoluto, sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non avessimo la via a spiegarlo nelle ragioni tante volte, discorse. E soggiunge E ponendo in rafironto cio che di Roma discorre Quinto Cicerone al fratello, con quello che era Roma in quei di, e alia stretta somiglianza delle due Rome guardando, soggiunge (notisi, di grazia, perche qui si ritorna all' antico) che egli ha voluto registrar cid in questo luogo perche si conoscc che o sia la postura del cielo, o sia pure la necessity dei medesimi fini negli ultimi tempi della Repubblica romana, forse come oggi adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi, influiscono similmente negli animi la stessa maniera e inclinazione di costumi, e nell'una e nelr altra etade s' introdussero e stabihrono nella Corte di Roma contro la virtil e contro la piet^ della sua primiera istituzione, tutte quelle arti che piii si producono dair opere della malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si pud dunque concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra r estremo del vizio, non sopra 1' eccesso della virtii, perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piti nemici, tanto piii usano tra loro atti di confidenza, e piii liberty di tratto. E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in loro violate dall'inganno, e dalla malizia di farsela 1' un V altro a tempo, e con vantaggio, e quegli solamente 6 stimato piii valent' uomo, che pu6 piti. Quindi avviene che qualunque e reputato uom di valore nelle altre regioni del mondo, venendo a Roma si perde, trovandosi in una diflerente scuola da quelle, ove s'apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. Quei dunque, che si mette a vivere in questa Corte non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda perd alio stile del paese, mantengasi per sd nelI'arti virtuose, ma assuefaccia I'animo educato ne'buoni costumi a non si scandalezzar de' pessimi. Se il Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto scriver in questo modo ; piii liberamente, non giudico. Egli seguita sempre su questo piede, ed e cosa ammirabile, senza intaccar mai i principj, guardando ai vizi degli uomini, e dando cosi una lezione a noi che gli uni cogli altri tramescolando, condanniamo con maliziosa leggerezza i primi in un co' secondi, dimenticandoci o fingendoci di dimenticare i canoni piii elementari di logica, per non dire di buon senso e di buona fede. Ambizione, interesse private, ipocrisia, inganno ed invidia, ecco adunque, per cosi dire, i fili conduttori nell' intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo centre, dappoiche fu distrutto quel principio d' ordine nell'armonia dei tre elementi dello stato perfetto, e incominciossi a misurare V ability degli uomini, non dai meriti dalle virtii, ma si daU- interesse e dal genio di chi comanda. Ognuno cerca per aggiungere il suo talento di tener quella via che stima pitl opportuna, di tener dietro a quel flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche ognuno s'infinge per quel che non ^, e si maschera dell' estremo contrario di quel ch' e' si sente dentro nella sua propria natura. La virtii dunque nella Corte di Roma sempre adonesta gli avanzamenti quantunque non abbia parte nell' avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e una Roma reale; e R. ve le descrive a meraviglia con una vigoria di concetti e di immagini, che sembra il Frate Ferrarese avergli in certi dati momenti spirata in petto la disdegnosa anima sua. lo rimando, a persuadersene meglio, il lettore alia fine di questo libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero e per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur bastevole perchi^ ci facciamo un' idea chiara dell' animo di R. intomo al govemo di Roma, che si fondava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse private. E tanto egli era cattolico e distinguevabene religione da uomini di Chiesa, che questo primo capitolo fa terminare cosi: II secondo capitolo e breve, non compiuto, e insieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova s' intruda 1' avarizia e 1' ambizione rovinano al contrario di quelle di Roma; il R. stabilisce essi vizj essere il tossico che la giustizia distributiva corrompe e distrugge, e i fatti antichi e modemi lo confermano, seguendo le teorie deir Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno alia nobilt^, espone in un modo determinato come questa giustizia distributiva, senza la quale riman cadavere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato, intenda ad uguagliare gli uomini sotto le leggi della virtii, la quale solamente pud esser base di differenza tra gF individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in brevissime pagine col solito vigore di argomenti, coUa solita leggiadria del dettato; ma rimane qui, come si vede, al principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra modema che spira, e la coscienza deU' uomo per la forza oltrepotente del vero distrigata un istante daUo scrupolo e dal timore, protestare contro i vizj o le loro sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil a sostegno di quel ch' io scrissi in principio, e che d come il perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il mio librc' Ad eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sorgere, per avventura. sulP autenticit^ di questo scritto, riporto qui Qui R. non 6 piil I'uoino del Medioevo e del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio all' autorit^; e il filosofo modemo che evitando gli eccessi del Bruno, riprova gli scandali del chiericato, ne condanna, per ainore della religione che ei professa, gli abusi; e innamorato del vero e della virtil, al pari di Platone, richiama con severe e giuste rampogne a tornare nella via smarrita lo stesso sacerdote, il quale, immerso talvolta nello interesse mondano, posterga i principj deir Evangelio, egli del Vangelo e della carit^ cattolico banditore. in nota, come a confronto, cio che trovo scritto dal R. stesso, nel suo trattato della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. — « Ed io vi replico esser verissimo die tutte le cose che si fanno fannosi per divino volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto infallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma dagli uomini per lo libero volere le cose si deterrainano, come dianzi si disse. E siami lecito, signor Elea. far qui riflessione sopra cio che avete mentovato di Roma; come Roma antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon costume e alia virtii diquegli animi, si feo padrona del mondo; ma degenerando da' suo' principii si spense, perchfe cosi voile la divina predeterminazione per mezzo del libero arbitrio mal guidato dagli Qomini. E questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la poverty e su I'esempio del mondo anch' essa signora divenne, mutando costurai pill che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado de'vizii piii licenziosi degli uoraini la religione sostiene loro, non essi la religione sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^ ella k forte braccio e onnipotente della Provvidenza divina. Come ci condurremo quind' innanzi nel nostro lavoro. Esposizione de'Dialoghi filosofici. Critica. — Perche si pretermettera la critica minuziosa delle dottrine filosofiche del Bucellai. — lucertezza del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo e pero che son parte di mente matura. — Quattro codici manoscritti de* Dialoghi, e qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole del prof. Palermo. — Una lettera di R. al Granduca, intorno air ordine di quest! Dialoghi. — Noi segniamo, neir esporli, questo ordine. — Si riporta, e perche, V intero Preambolo ad essi del Bucellai. Quando nei precedent! capitoli si e discorso della vita e degli scritti minori di questo filosofo, dopo aver dato uno specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia nel secolo decimosettimo ; a ciascun argomento facemmo precedere sempre una descrizione pitl particolareggiata di esse, secondo che appunto il subietto nostro particolare esigeva. Venendo ora a discorrere dei Dialoghi filosofici di lui, stimiamo meglio invertire quest' ordine, senza recar percio verun pregiudizio alia chiarezza e alio sviluppo logico della dimostrazione. Imperocchd di gia con sufficiente ampiezza abbiamo tracciate certe linee che della figura ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci resti che colorirla piii e piii, e ridurla a compimento maggiore. E pero la nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi con critica e precauzione, adoprando in ci5 il finqui messo in sodo con evidenza da altri; ne esporremo con qualche larghezza il conteniito, come di un' argomentazione e de' dati di un problema farebbesi, e indi, fermatili bene, procureremo di scioglierlo, rivolgendoci ad un esame piii accurato ed attento delle diverse opinioni filosofiche che combattevansi allora, e ponendo in chiara luce quel che veramente il Kucellai ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali intendimenti e criterj, ed il posto precise, per conseguenza, che gli si spetta nella storia del pensiero italiano. Ne questo disegno esclude aflfatto che man mano si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacontran de' punti cardinali che servono a qualificare il suo metodo e il suo sistema, noi possiamo farli rilevare, e notarli, e raccomandarli alia considerazione del leggitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscontro alle loro sorgenti generali, apparseci nell' esame del pensiero di quel tempo, e queste e quelle ricondurci sicuri al punto d' onde muovemmo, e che nel cammino ci servi sempre come il centro di un circolo serve ai punti della sua circonferenza. Aggiungasi che pel fine e intendimento nostro non importa guari intrattenersi minutamente sulla critica delle dottrine di questo filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione su que' punti che lo appalesano piii, e indi non ci venga attribuito a soperchio se oltre I'appendice di cose scelte letterarie, scientifiche e morali, nello sviluppo di questa parte del libro intrecciamo la citazione di varj e non brevi pezzi di questi Dialoghi, che pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto trattisi qui di esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior parte degli scritti del quale sono inediti, come puo ricavarsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso inoltre di rispanniare ai lettori quella lunga fatica che ho dovuta spendere io nello scorrere tutti da cima a fondo questi Dialoghi, che pel diffuso stancano spesso; ed infine riferendo qui nel mio Hbro le cose pitl importanti di questi, mentre lo pongono, risolvono, sto per dire, o almeno agevolano di assai la risoluzione del problema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrattenersi sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel secolo XVII col R., il quale chiude il ciclo del Rinascimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei suoi libri su cio ; come ad altri altre cose ; io per me che considero R. da un punto di vista meramente storico e ne noto, per tal rispetto, Y importanza, non son tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di trasformazioni e trapassi che le dottrine platoniche subirono dair origine loro conosciuta fino aH^ Imperfeito; lavoro del resto della somma importanza e di grandissima utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di acquietarmi nella speranza che questo augurio trover^ sollecito il suo compimento feKce. E per primo il tempo preciso in cui questi dialoghi farono scritti, non possiamo determinare a puntino, malgrado che nolle sue lettere R. accenni ad alcuni di essi che aveva allora, mentre scriveva, compiuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si scorge (e del resto per noi piii importante), d che tutti questi Dialoghi sono parto della sua mente matura, imperocch^ solamente dal 1665 in poi troviamo da lui uomo adulto fatto cenno agli amici ed al Principe di questi lavori scientifici, intomo ai quali indefessamente aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavorarvi. Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro filosofo a messer Giacomo Altoviti, al Patriarca Delfino ed al Redi, nelle quali fa menzione or di questo or di quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano ricopiato 1' avea ad essi e ad altri amici o illustri personaggi per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chiarissimo professore Palermo nel Vol. Ill, dei Manoscritti palatini^ daro intorno a questi dialoghi un qualche cenno, e verrd con un brano di let^era scritta dal R. al granduca Ferdinando II, nel maggio del 1665, a stabiUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a conoscere il disegno che I'autore aveva architettato intorno quest' oper a, che per mala ventura rimase incompiuta. Delle quattro copie di questi Dialoghi filosofici da me tutte esaminate con diligenza, la Palatina, la Magliabechiana, e quelle che si conservano nella libreria privata dei Ricasoli Firidolfi, le piii emendate sono queste ultimo due, copie entrambe, la prima in dodici tomi nella massima parte corretta e aggiustata dall' autore, e che per6 fa citata dagli accademici della Cru sca come r originale. La seconda in quattordici tomi apparteneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi acconcio di sua mano gli sbagli propri del copista. Gi^ discorrendo della vita scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill), avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento acui egli mirava principalmente con questo scritto; ma era al disegno materiale ^ non inutile il far seguire il preambolo di R., nel quale espone ampiamente il concetto primo di essi. Nel primo esemplare della libreria Ricasoli, pertanto, i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre viDeggiature. che eseguird volentieri. Le invio il preambolo, onde si ricava 1' ordine e la distinzione di tutto il mio proponimento. Dipoi ho stimato bene lasciare il primo Dialogo contro i sofisti, che serve solamente per introduzione alle varie opinioni de' Filosofi intorno ai principii della natura, non essendo ripulito ; e mando il secondo dialogo sopra I'opinione di Talete Milesio, che tenne r acqua per principio universale di tutte le cose ; proposizione non molto difficile a esser trattata. Appresso, saltando il numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora ho messo mano, sopra V opinione d' Aristarco Samio, le trasmetto i tre primi Dialoghi sopra il Timeo di Platone, dei quattordici che ne ho imbastiti; parendomi che questi trattino, sopra tutti gli altri, cose molto malagevoli a spiegarsi. Delia prima villeggiat ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialoghi innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia d' Aristotele, che non ho ancora cominciato. (Vedi conferma nella Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove si rileva che questo trattato della Provvidenza va dopo il Timeo) E appresso ne vengono sedici dialoghi sopra r opinione d' Epicuro, che ho messo insieme, ma non ancora bene ridotti ; e diciotto contro il medesimo Epicuro, della Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma non messi al polito. Della seconda Villeggiatura, «h'^ r Albana, dov'entrano dialoghi della natura dell'anima vegetativa e della sensitiva, compresa da molti dialoghi di notomia, gli ho tutti distesi, ma non rivisti; e ne ho da fare due di pianta sopra Tanima ragionevole. Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale contiene materie morali, ne ho fatti parecchi, ma ne avrei da fare altrettanti. Vero e che ho repertoriato ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene interrotta spesso e dalle cure familiari, e dai disastri della casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo termine. Ci trover^ delle cassature e delle rimesse, qualche errore d' ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio nella lettera. Ma il suo proposito, negli otto anni che sopravvisse, non gli venne fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni dialoghi senza 1' ultima mano, alcuni ammezzati, e quali poco nulla fuori il disegno. E quanto alia lor disposizione, parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo, non fosse in tutto fermata. Poiche nell' originale i dialoghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel dialogo XXII si rammenta il Timeo, come discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima di sd i quattro dialoghi intorno alle matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il Timeo; e nella copia Palatina il Timeo senz' altro avanti ai Dialoghi contro Epicuro. lo pure nel discorrere terrd quell' ordine come il pitl logico e naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a costituire un importante e quasi compiuto edificio, e a rappresentarci intiero il sistema ed il metodo di questo filosofo toscano. N^ ^ meno utile, com' ho gi^ detto, premettere qui per intiero il preambolo cheva in testa ad essi dialoghi, e che ci dimostra con maggiore chiarezza r obietto principale e nobilissimo loro. fi un' orazione toccante quant' altra mai e di bellissima lingua, che varr^ a riposare, ricreandola, la mente del leggitore, il quale pure da essa potra fin dai primi periodi rilevare la natura deUa filosofia che R. vuole insegnarci. Dietro alia meditazione dunque della virtii, io mi ridussi, siccome voi vedete, sotto '1 benigno, e salutifero cielo di questo novello Tusculo, dove 1' orribile rammemorazione sfuggendo, e' rischi della mortifera pestilenza, che poc'anzi incominciata a Napoli, o per la corruzione dell' aere, o pe' venti, che dalle parti Orientali soffiando, seco ne la portaro, s' e nella citta di Roma miserabilmente appigliata, nulla dimora parve agli occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta di questa, ne cotanto in si spaventosi tempi per le nostre speculazioni appropriata. Vennemi qui subito in mente di quelle cotanto feconde, che M. TuUio ci fece gi^ sopra di questa virtii in quelle torbide congiunture delle soUevazioni civili, e si al medesimo m' accinsi, forse con troppo animo, anch'io per I'amenita, e per le solitudini di queste ville, desiderosamente cercandola. Ora nel levare, ch'io feci degli occhi al cielo, mi ricordai di quanto ne ammonisce il nostro Poeta: « Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira, Mostrandovi le sue bellezze eterne. » > Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo nostro Emispero, e oltre agli stupori, che di lassii in varie guise agli occhi nostri lampeggiano, volt^mi a basso, e posi mente alle innumerabili creature, onde si vede la terra a maraviglia ripiena. Qui considerai con qual ordine, e magistero elle sono dalla virtuosa, e poderosa mano guidate della Provvidenza suprema, ch' elle paion fatte tutte per noi, e come dalla loro ingegnosa architettura apprese lo intelletto umano i piii industriosi esempli, e coll' imitazione della natura fecesi maestro dell' arti, talmentech^ i' mi rimasi siccome attonito a prima vista, e adombrato da una virtii si grande, che da 1' essere a tutte quante le cose, e reputaila in ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle nostre meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per ricordanza quel che il Timeo ne insegna, cioe, le infinite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile, essere lo specchio di quelle piii perfette, e piii ragguardevoli, che sono nel mondo intelligibile raccolte insieme, anzi nello intelletto divino per guisa, che sovvenendomi di que' versi : « Quanto per mente, e per occhio si gira Con tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi fissai in esso quel piii, e credei senz' alcun fallo da si ammirabili e da si ben regelate fatture, qualche sembianza della ragione universale agevolmente comprendere, di maniera che io pensai di accenderne in me un certo lume pitl spiritoso, e piii vivo per additame a voi le forme pitl simili nella virttl, e con esso lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena i' volli ne' segreti profondarmi della natura, e di Iddio, ch' io immantenente rimessi 1' animo, e quanto pitt nel pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl, ch'egli hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e vie piii di riverenza esser degni, ch' agl' intelletti de' mortal! in verun conto proporzionali ; anzi e' mi parve miracolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed abbracciare coll' inmiaginazione 1' ampiezza di una tal macchina, non che noi dobbiamo intendere con qual concerto ella si govemi, e lo spirito, che dentro la muove, e impercio Dante, che in prima ne invitd alia contemplazione del cielo, ce ne modera poi I'ardimento, dicendo : « Perche appressando s^ al suo desire Nostro intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non puo ire. » riflessione veramente proporzionata ad un uomo; 1' altra e d' Apollo, o di chiunque si sia : € Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al famoso Tempio di Delfo ; proposizione divero, e ammaestramento degno di un Dio: e '1 medesimo Socrate, il piii savio per awentura di tutti gli uomini, a tai fondamenti appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco dagli studj meno che utili delle cose naturaU, in ch' e' conobbe poco, q nulla potersene approfittar r uomo, tutto alia cognizion di sd stesso si diede, ciod a dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe per irreprobahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel giovevole dell' intelligenza umana. Verremo pertanto con amendue le sopraddette proposizioni i nostri presenti trattati regolando ; ravviseremo in prima la fallacia della Filosofia naturale, onde molti si danno a credere d'intendere quel che per Io pitl e' non son capaci d' intendere. Quindi al frutto discenderemo delle morali, facendoci dalla costituzione dell' Uomo, e delle quality, e degli strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con tal ordine procedendo, dalle azioni pitl brutali de'sensi, riconoscendo voi stessi, salir potrete di grade in grade alle pitl sublimi dell' intelletto ed all'altezza gloriosa della virttt, onde 1' uomo s' illumina, e conservasi tanto piii simile a Dio. Incomincieremo percid domani a discorrere; e perch^ le giornate, che son lunghe, e Tore calde ne obbligano a qualche lodevol trattenimento, a niuno piii profittevole repute potersi donare il tempo, nd scegliersi materia che pitt di questa all' et^ vostra sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi godono le nostre vite sicura franchigia in questo aere salubre dalla pestilenziosa mortality., che Roma atrocemente distrugge; nelle cui miserie ogni tribunale, ed ogni pill fruttifero studio senza giudici, e senza contradittori rimaso, e si senza maestri, o discepoli, ogni arte, e ogni Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati uomini in tutte le pitl nobili professioni sotto si purissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono; dove noi in conversando con loro, ed or I'uno, or I'altro scegliendo per si deliziose gite de' tesori di questa, e di queir altra scienza per bocca loro faremo raccolta, e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e 'n fra gli altri D. Raffaello Magiotti, che con esso noi qui ^ dimora, fia il nostro Socrate sapientissimo in tutti i discorsi, il quale ben sapete essere insigne e nell'uno e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino, maestro perfetto di Geometria, ed esimio in tutte le antiche, e modeme fildsofiche speculazioni, il cui chiarissimo ingegno in si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi le sperienze convincono, e V evidenza delle ragioni. Qaal concetto abbia della scienza il Bucellai, e soe diiferenze da Flatonc. — Quali erano, secondo R., i fondamenti del sapero, i criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj passivi delFuni ^ verso. NecessittL, noli ' esaminarle, di spogliarsi da qualunque preconcetto. — Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc unum scio quod nihil scio. » — Sfiducia del Bucellai nelle forze dell* umana ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si scorge qui fin da* primi passi ; e la fede come ancora di certezza, e di salate. Talete Milesio o dell'acqua. Anassimene o dell* aria. Graclito del fuoco. Galileo. GIRGENTI (vedasi) o i quattro elementi. — Parmenide o d*uno eterno. — Anassimandro o dell* infinite. — Necessity deirinfinito. — II finite non e privazionc di questo. — Cartesio, o Tidea dell'infinito prova della sua realty. — Dato ruomo finito, convien ammettere l*ente infinite. — E questo secondo argomento il Bucellai tiene per piti stringente di quelle del Gartesio. — Ma si 1* nne che Taltre sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.— Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse degli astri sal mendo e le cose umane ; combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1* opinioni di Anassimandro e Galilee suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima dell* universe. Ma ^ tutte un pud easere. — Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed altri filesofi. — Si conchiude coll* « Hoc unum ado quod nihil ado » di Sucrate. — La fede. 11 R., come tutti i filosofi, vuole esaminare i tre obietti della scienza, Fuomo, runiverso, Dio. Incomincia daj mondo, passando in rassegna le opinioni degli antichi intomo a' principj di esso naturali, guidato dall' aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dalr autorita. E sul punto di prender le mosse per questo viaggio, egli infrena, per cosi dire, i destrieri della fantasia, perchd questa non lascisi traviare dalle apparenze, e pel troppo desio di sapere, non cada in presunzione smodata, ne, giusta V ammonimento platonico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia confusa colla opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo di quella appresso colore che vogliono intendere tutto alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello pure che non d da loro, n^ a' proprj intelletti proporzionale. E a ragione Socrate discorrendo della opinione che, al contrario della scienza, giudica le cose per quel che a lei dettano le immagini e il sogno, chiamavala una certa demenis^a dell' anima, imperciocch^ mentr' ella s' ingegna di giungere al vero, fa si che V intelligenza prevarichi, e per lo piii determini il falso ; anzi, se pure il vero determina, cio fa ella per caso, talmentech^ se scienza fosse 1' opinione, la scienza consisterebbe in apporsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi sapienti della Grecia (detta da Diodoro Siculo la scuola del genere. umano) aprirono una via maestra, la dialettica, per la quale il naturale discorso, non a benefizio di natura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione. il notorio come nella dottrina di Platone si distinguesse la fede, la scienza e 1' opinione, e come secondo Platone la scienza consiste nel giungere agli universali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ; essenza intelligibile delineata coUa definizione^ e secondo cui si pud giudicare con certezza delle cose stesse. La opinione invece consiste in un giudizio piii meno probabile secondo le apparenze deUe cose, piuttostochd secondo Fidea loro. La fede 6 un giudizio secondo Fautorit^. Ora R. pone queste distinzioni platoniche, ma senza seguime la dottrina, perchd quantunque egli pure ponga la scienza nel conoscer le cose in s^ stesse mediante le idee, nega che si possa mai giungere alia certezza se non mediante la fede ; talch^ la scienza per lui diviene scienza o certezza nella fede ; da sd sola non 6 che opinione piii o men probabile, o doxa, EgU esclude solamente le matematiche, le quali, a parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in tal parte com'egli si allontani da Platone, il quale anzi poneva le matematiche in secondo luogo, dando il prime luogo alia scienza delle essenze o degli archetipi etemi, e alia scienza che vi conduce, ciod aUa dialettica. Finalmente vuol notarsi che, secondo Platone, la sola fisica non pud uscire dai confini della probabilita : mentre che pel R. non pud uscirne la metafisica e la fisica, ma soltanto la matematica. A Jeracio poi, sofista interlocutore, che esaltando la autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara infalUbile, e i dettami di lui come oracoli, si che asseveri tutto per la dialettica e perd per Aristotele poter sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle anche di sopra, il sacerdote Magiotti, guidator de' dialoghi, oppone che quantunque il filosofo di Stagira sia grande, e dette abbia grandissime verity, pur le cose da lui proferite non son tutte vere; e soggiunge come r eccesso della fiducia proveniente dalla logica meni a disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e che il piccolo seno deUe menti nostre non cape; quantunque il discorso per quest' arte si elevi all' alta contemplazione divina ; ma altro, pel R., d contemplare e il toccar coUa mente le cose superiori, altro d lo intenderle ed aveme possesso. Di guisa che anco pel R. la filosofia sarebbe scienza delle ragioni supreme delle cose. Ma ognuno di gi^ si accorge della sfiducia che il filosofo fiorentino sperimenta e professa intomo alle forze deUa umana ragione ; intravede subito che malgrado abbia R. presi a guida i due noti aforismi sulla indagine della verity, pure nel suo procedere innanzi ha sempre tese le orecchie alia placida armonia della sua fede, in cui spesso lo vedremo quietarsi, a mano a mano che egli procede tra i rumori discordanti delle opinioni e del dubbio. Vuole avvertirsi ancora come R. non distingua quello che i Platonici tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ; anzi quello che d pur necessario distinguere secondo la verita dei fatti, cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristotele. La dialettica di Platone d la scienza dell' idee archetipe o universali, a cui si giunge per contemplazione, discemendo Fidentico e il diverso. Invece la logica d'Aristotele espone le leggi formali del nostro pensiero. Quindi mentre la logica di Aristotele, considerata da s^ sola, pud servire anco al sofista, la dialettica di Platone no, perch^ consiste nel cogliere la genuina idea delle cose. Si pud errare secondo i Platonici, ma perchd non si contempla bene abbastanza, come si pud errare dal fisico non osservando con esattezza i fatti ; ma la contemplazione come 1' osservazione non possono per s6 medesime condurre all' errore. E tanto poi ^ voro di questa sfiducia di R. che per bocca del Magiotti, in quel tempo nel quale il Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio riportava una non piil udita vittoria sulle scoperte delTanima, dice: E conchiude queste che io con Toce militare, ma significativa, chiamevQi parole di consegna, dicendo che la vera filosofia non consiste nell'imparar molte cose, nel saper tutte r arti ; ma e' la riduce solamente alia cognizione di sd stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di Socrate : « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni, dice consistere la giusta maniera per ritrovare la vera ragione delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri. Sfiducia adunque o fiducia limitatissima nelle forze della umana ragione, la consapevolezza della propria ignoranza, 1' universale consentimento, I'esame, e soprattutto la Fede^ sono le Encore di salute dell' umano sapere, i fondamenti di esso per R. ; V autorit^ umana una riprova probabile di verity, Y autorit^ religiosa il porto dove ogni tempesta del dubbio si calma, ed ogni nube d' ignoranza sparisce. Vediamo intanto com' egli osservi questi criterj, ed applichi questo metodo alle indagini sue., Deposta qualunque maniera di anticipate giudizio a favore piil di una che d' un' altra opinione, e di che prega caldamente gli ascoltatori, R., col Magiotti, si fa da'primi principj che gli antichi opinanti attribuirono alle cose natural!, non dal lore principio agente, cio^ dalla Cagion Primaria, dispositrice di tutte le cose, increata e senz' altre origini che da sh stessa ; imperciocch^ di questa per quella guisa che ne hanno speculate i grandi uomini, faveller^ in piii appropriate luogo ; ma dai principj materiali che essi appellano causa passiva, conciossiachd dalla cagion prima ricevono tutti la lore impressione. Ed in sedici Dialoghi, ch' io chiamo fisid, (e, si noti, non gi^ nel significato di scienza sperimentale, come oggi si prende, ma nelr altro antico di speculazione filosofica intorno ai principj delle cose), riferisce le molteplici e diverse opinioni intorno a cio professate dagli antichi filosofi, con questo intendimento che cio^, mostrando le ragioni apparenti che militano a favore di questa e di quella sentenza si fra di loro contrarie, e facendo si che, una per Tina a tutte quelle opinioni, per le ragioni probabili clie le sostengono, inclinino gli ascoltatori; se ne deduca per conclusione finale la verity di quello aforisma socratico, e, come il gran Vecchio faceya, cosi noi in quella specie di scettico ondeggiamento, lo poniamo a base e a pietra angolare del nostro sapere. Ella ^ questa, come ognuno si accorge, del trattato filosofico di R. una parte negativa. E di Talete Milesio per prime discorre, come di quello che pensd incominciamento universale della natura esser I'acqua, in cui gli sembrd tutte le cose si disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua assottigliandosi in yapori finissimi aria si facesse, e pigliando corpo visibile se ne formassero le materie piii dure, divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi, perch^ osservo tutte le semenze delle cose esser umide, tutte le diverse specie e composti degli umidi fossero sotto il genere puro, semplice e universale dell' acqua, e il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per mantenersi, perch^ non la quantita e 1' eccesso dell' umido, ma la quality, in proporzione di loro essere, ^ quella che le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il Magiotti, come anche Zenone, il capo e maestro degli Stoici, tenesse per fermo che Iddio per s^ in ogni natura convertisse I'acqua, e che egli come virtii prolifica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque I'acqua era creduta da lui il cominciamento materiale e passive del tutto, perciocch^' Zenone osservd ogni misto nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale ^ manifesto al sense che predomina 1' umido; e sembra di piti al R. ricavarsi dalla stessa Genesi la prima generazione dei corpi misti e viventi farsi dalla virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni de' primi dottori della Chiesa, san Giovanni Crisostomo, Agostino, Procopio, seguiti dal Pererio, il luogo del Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si trasportava sopra le acque, espUcano cosi, cio^ che una virtii divina e vitale disponeva le ^cque alia concezione e generazione delle cose. Adunque (dice il Rucellai) tennero anch'egUno che Domeneddio, primo agente, si valesse dell'acqua, si come prima e comune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le diverse forme. E accennate con precisione altre fra le opinioni di Talete e Zenone intomo all' altre cose deUa natnra, e osservato come Talete negasse il vuoto, e come Zenone quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano, espone il nostro filosofo la dottrina di Anassimene, seguita poi da Diogene, che fa deir aria il principio naturale e causa passiva di tutte le cose, come quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i dati di possibilita che dall'aria, come I'acqua, cosi le altre cose per mezzo di questa divengano, si che per le ragioni che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbandonando Talete. Pare da non lasciarsi sotto silenzio come R. prenda un po' all' ingrosso queste antiche dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il primo principio delle cose, acqua, aria, fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e il fuoco quaU appariscono, ma un intimo e occulto principio che in tutti gli elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che a noi apparisce essere o acqua o aria o fuoco. E qui riferisce pure il pensiero di Anassimene intorno alia struttura dell' universe, E all' Imperfetto che esclama : il medesimo Magiotti socrMicamente risponde : Ed Eraclito fu quelle che ebbe si fatta opinione, cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose credette esser pezzetti e corpusculi di fuoco insieme congiunti. Mi si conceda fermare il pensiero un poco su questa opinione del Galileo riferita dal R.. Essa, per quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di Galileo stesso, ma sembra una ipotesi che il grand' uomo ponesse innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal supposto ci riesce confermato dalle seguenti parole del R. : Inoltre 6 molto singols^re che in questa ipotesi Galileo precedeva i modemi sostenitori deir unit^ delle forze fisiche. Ma con quanto ritegno il feujeva! aggiungendo solo che questa non gli pareva piii inverosimile di tant' altre opinioni spacciate fuori per vere : e non osava chiamarla, non che vera, verosimile. II R. aggiunge, come Galileo al padre Campanella, il quale consigliava il gran matematico a metter fuori certi suoi pensieri come una nuova e ben fondata filosofia, rispondesse : che non voleva per alcun modo con cento pitl proposizioni apparenti delle cose naturah screditare e perdere il vanto di died o dodici sole da lui ritrovate, e che sapeva per dimostrazioni esser vere. E tomando al nostro R., egU argomenta con questo tutte le cose farsi per via del moto o del caldo, poich^ il caldo si produce dal moto, e il moto si eccita dal fuoco (materia sottilissima che 6 per V aria e penetra per tutto) e anche la stessa terra, come anco i modemi pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo lo impulso onde salgano i vapori per I'aria. Dichiara indi, esponendone le probability, come Parmenide, per render conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa sopra una maniera costante di rappresentarsi le cose. tenesse anch' egli il fuoco etereo principio della natura, perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco il quale riconosce in un modo espresso quattro elementi, la terra, Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco, come agente della produzione, esercita secondo lui la parte principale. E il Magiotti ne illustra si bene la ragionevolezza dell' opinione, che i suoi interlocutori abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito, nella sentenza di Empedocle sono costretti di convenire. E questo artificio dialettico, si stupendamente adoperato da Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le diverse opinioni, senza esprimere una conclusione positiva, e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucellai in questi dialoghi, all' obietto che ho dichiarato. E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo delr unico principio, ciod dell' una eternOy dice, iUustrando i concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser possibile, che ogni cpsa esistente e una ed identica, che pure cid che esiste non ha punto principio, che egU 6 invariabile, indivisibile, e che ogni movimento 8 cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantunque abbia egli ben presupposto un principio unico, immobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si convengono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo Parmenide a salire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ superlativa e assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un' immobility perfetta, semplicissima e mai sempre costante ad un modo che in s^ non abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei tutti i moti e tutte le operazioni dell' universe si tacciano, ed abbiano essere e vita. Scende poi al sistema di Anassimandro che ripone nell' infinite il principio delle cose, e al figUo Luigi, che dice dell' infinito essere impresa vana il farellare, poicM non potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i possibiliy e che percid il non comprendere una cosa non ^ per noi prova che la non ci sia; come anche in questo caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la prima inda^ gine a noi mortali rana riuscirebbe, la seconda e agevolissima ad effettuarsi, per modo che sia giocoforza il confessar3 che per necessity T infinito ci sia. Da questa conclusione di R., apparisce come egli attribuisse forae alia ragione la capacity di giungere alia certezza solamente in qualche cosa. In qual cosa? Nell' aflfermare che Dio c' d, che c' ^ il mondo, e che noi esistiamo ; negando poi alia ragione di poter sapere per sd sola, fuorch^ con opinioni probabili, quel che siano le cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per quello che riguarda le dottrine di Anassimandro, R. ricorda come quel filosofo dicesse che 1' infinito e la sostanza prima, contenente tutto in s6 stessa, e in cui avvengono e produconsi i cangiamenti perpetui delle cose; come dall' infinito si dividono i contrarj per un continue movimento, nello stesso modo che essi ritornano a lui. Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a cangiamento, ma d immutabile egli stesso. E cosi si confonde 1' infinito agente colla materia per Anassimandro, e, come per lui, anco per altri filosofi antichi e recenti. Mentre R., quantunque dica r infinito non potersi intendere, perch^ non ha proporzione col finite, e quindi doversi contentare di assoggdtare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei lo distingue bene e ferma il finito non esser privazione dell' infinito, sibbene solamente il nulla infinite o finite ^ incompatibile coU' Ente infinite, si come Y Ente finite o infinite ^ incenipatibile eel nulla infinite. E ci5 dimestra cen eleganti parele ; ceme pure dimestra centre Anassimandre, scerdandesi alquante dell'intendimente negative a cui mira in questi DicHoghi eel sue metede di successiva eliminaziene, dimestra, ie dice, geemetricamente la impessibilit^ che 1' infinite asselute si cemunichi alle cese finite e che ci siane due infiniti, applicande alia dimestraziene la terza prepesiziene del trattate di Galilee su i meti unifermi. E in sentenza platenica seggiunge pei ceme tutte le cese finite e le lere perfezieni si staccane dall' infinite, cied da quel perfettissimi esemplari etemalmente lecati nella mente di Die, createre perd della materia dal nulla, e che raccoglie nell' atte prime, ciee nel prime cencette dell' epere sue, una virtii seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di tutte le cose fatte, quante in petenza di farsi. Vedesi con quanta chiarezza il nostre neeplatonice ricordi ed accelga i pensieri dell' Ateniese, contemperati sempre dal Cristianesime, e cen quelle stile che e degno di si alte dottrine le renda accessibili ad ogni intelletto, pregio invere da tenerne cento in une scrittore di materie filesefiche. E stabilita la necessity, del1' infinite, soggiunge : Che e' si vegga V universe mutabile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell' infinite, questo ^ chiaro. Adunque come s' intend' ella ? E a Luigi che risponde : oh ! questo noi non glielo sappiam dire, cosi (prego si avverta) discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un ente, e che questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso metafisico applicato a naturali proposizioni 6 venuto provando, conchiude che non v'§ da riporre certezza, ma solamente ritenerlo come probabile; e pero meglio stimare di rifugiarsi nella fede che le cose razionalmente probabili illumina di verita, e conchiudere anco una volta col detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so, che nulla io so, Ne'quattro dialoghi suUa luce (9-12) meramente fisici, egli riporta le dottrine di Anassimandro e professa, esponendole, le opinioni del Galileo con trepidazione per timore di guastare cid che dice il grand' uomo a cui professa venerazione, e dichiara tutto cid che di buono dice intomo al sole e sua natura essere del filosofo illustre. E anzi tutto ^ notevole questo passo in cui si esprime per guisa da non lasciar dubbio che egli crede agrinflussi degli astri sulle cose terrene: E nel dialogo sopra Xenofane, (dial. 16) detto chiaro che egli ha per impresa impossibile e vana Y astrologia, conclude che mentre non puo negare V influsso fisico degli astri, sulle cose della natura, e anco sull'uomo che della natura fa parte, aggiunge pero che a voler fare 1' astrologo, vuolsi sapere e accorgimento non ordinario, jBnezza e malizia ingegnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^ giovevole a interessare e prendere gli animi, di cui si predicono gli avvenimenti ; nulladimeno da chiunque fa si fatto mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno senza dubbio di nota questo, perch6 distacca il Rncellai dal Rinascimento, che trovava appunto spiegazione del risorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea stessa della civiM e della filosofia Platonica e Aristotelica, e precisamente nel loro concetto intomo al mondo. Qual infatti era esso concetto? Quello di un movimento circolare, concetto antichissimo, che noi ritroviamo anche nell' liidia. Platonici e Aristotelici immaginavansi il mondo siccome una vastissima sfera, ma pur limitata, che avendo in se molte sfere concentriche, girasse intorno a se e ad esse, e per modo che il ritorno periodico della tale o tal'altra posizione degli astri nel cielo si congiungesse ad un periodico rinascere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che quelli esercitavan su questi. Lo che invero pu6 essere una tra le altre- cagioni che spiegano la fede che quel filosofi ed eruditi del Rinascimento avevano del doversi rinnovellare in ItaHa gli antichi sistemi, le antiche civilt^ per definire con essi i loro problemi intorno al triplice obietto della filosofia. La luce pertanto in modo vario e per mille maniere d^ 1' essere, per Anassimandro, a tutte quante le creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte primiero della luce, ma non I'unico, come ne confermano parecchie esperienze, ed essa 6 una cosa da se, che in gran dovizia ritrovasi nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel fuoco e la dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso, forma i colori nelle sensibili cose, ^ Y elixir vUtB della natura, e in tutte le cose rinviensi, ed d secondo il Galileo (che pur qui R. chiama principQ de'filosofi, e scorta e direttore dei suoi discorsi) 1' ultima ed estrema espansione della natura. E qui cita molti esempi addotti dal gran fisico e matematico per dimostrare che in tutte le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo che questa sostanza gli d parso chiamarla cosi o cosi dai filosofi. E R. tiene come Platone, Galileo e Descartes gli atomi, che come il tutto cosi 1' etere o il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col Magiotti che il definire gli atomi, rotondi, o acuti, o piramidali, d parlare per ipotesi, non perche dessi gli abbiano visti. Comunque, e dal vedere come Galileo provi col fatto ogni cosa esser permista o vivificata dalla luce cominciamento naturale di esse, e dall' osservare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai Santi Padri, ben deduce potersi commendare in questo senso quella proposizione platonica che assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima egli intender dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento erudito : E santo Agostino, quel sottilissimo ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa liice soUilissima sopra ogni cosa, alimentata da vivificante colore, quarito tempo ignorai che f OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino a che agli occhi miei annebbiaii non rifulse U lume eterno del Vero! La qual luce alia bellezza ed alio spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di quel primo ed ineffabil lume, che etemalmente e senza fine risplende; di cui elia d qua tra noi la piii famiglievole immago. Che irapero fu detto 1' eterno Fattore: Luce della luce, e fontana di lume. Ed in altro luogo: Delia luce Egli la luce, e '1 giorno. > E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acutezza, si andava rivolgendo per Tanimo dicendo: Ma che pro dunque a me ne veniva, che tu, Signore e Dio mio, Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un corpo tcde? Oh! quanti sentimenti al nostro proposito trar si possono da queste scritture! Percio duirque si puo credere, con essa luce (come piii attiva, piii semplice e piii pura, e impero, come principio, pitl alle divine cose somigliante) si dessc, per mano del Sovrano artefice, il cominciamento e 1' omamento a tutto il mondo visibile ; locandopoi quella per la maggior parte, come in sua miniera, nel sole. II che viemaggiormente si autentica dal nostro medesimo divin Poeta, in quei versi : « Lo ministro maggior della natura, Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misural » Cosi dunque, avendosi la luce, a cagione di sua purissima natura, non dico per la pitl simile tra le cose visibili, ma almanco per la meno dissimigliantiB alia divina sostanza ; puossi commendare in cid quella proposizione Platonica. Perchd Platone, col lume solo della natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione: ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la materia, per render meno discrepante e meno discorde I'ammirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi all'uno e all' altra confacevoli va regolando la differenza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo Compositore, e quale attaccatura, e per qua'mezzi, possa darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandunque alcun dato avesse a quelle intelletto perspicacissimo ad esplicare quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la luce, ed ecco la luce; egli, non giungendo tant' oltre al lume della Fede, conformando tal sentenza a'proprj Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il quale, coll'occhio della sua divina Mente, se ne giva yagando, e riguardando in qua e in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli esemplari e le idee perfettissime, in essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa facesse la luce, che ebbe dall'eterno Motore (quantunque Egli in sd stesso sia mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi primieri, cio6 a dire dall' atto primo V attivit^ e il moto, ond'ella avesse la mano (come principio della natura e anima dell' universe) in tutte le formazioni e nella perpetuity delle produzioni, che ad ora ad ora si rinnovellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua somma onnipotenza, senza mezzi, aver creato 1' anime, gli spiriti e gl' intelletti universali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua divina natura conformi ; aUe quab* desse la cura e '1 disegno, sotto la sua assistenza come Architetto sovrano, di formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non comprendiamo quale sia quell' anima universale, che egli intendeva per collegatrice delle cose divine coUe naturaU, possiamo noi, con piU fondamento ancora che non avea egli, creder che cid sia la luce; la quale fosse da Dio creata, onde ella desse all' universe sensibile, ad esempio dell' archetipo, la sua piil bella, visibile e maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci mirabilmente in acconcio quel luogo di Dante nel Paradiso: cDunque nostra veduta, che conviene Esser alcun de'raggi della Mente, Di cui tutte le cose son ripiene.» > Abbiamo per conseguente gran cagione d'immaginarci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fermare per vero, la luce essere quel movimento occulto e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso nella natura universale dall' atto primo, che d Iddio. > j& prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di opinioni diverse che il vero le adombrano sempre, e mai per intiero gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi la conclusione non d percid a dubitarsi che sia identica nella sostanza alle altre, e confermisi ivi appunto lo scetticismo in cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi dialoghi che noi chiamammo distruttiva. Uguale d poi la conclusione a cui R. arriva dope aver favellato de' colori, ed esposte intomo ad essi le opinioni dei varj filosofi, e cercato di avvicinare, come sempre fa, col modemo 1' antico, Galileo con Platone. II qual Platone, come Democrito ed Epicure, fa i colori consistere in una fiammella a cui perd 6 necessario il concorso del sole; questo fulgore di luce riflette variamente dai corpi colorati secondo i modi varj coi quali i raggi del sole gli feriscono, e secondo le positure e figure delle superficie dei corpusculi componenti quello o quell' altro oggetto che i raggi ricevono o ribattono. E come Aristotele, cosi il R. opina i colori non esser sostanze,ma accidenti, effetto cioe di luce cadente nei corpi, luce che forma i colori. Conchiude pero che queste sono opinioni di filosofi, ma noi non possiamo ritenerle per veri assoluti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod nihil sdo. Io mi astengo da riferire la esposizione che nel Biajogo quindicesimo fa il RuceUai delle opinioni intomo al principio passive delle cose professate da Zenone, da Archelao, da Filolao Pittagorico, da Protagora, e da Senofane, dope le quali egli conchiude nella medesima guisa, non senza prima aver magnificato certe stupende divinazioni di quegli antichi filosofi, e allettato gli ascoltatori, per bocca del Magiotti, ad abbracciare ad una ad una le loro opinioni diverse. Questo viaggio di R. a traverse le varie e molteplici sentenze de' filosofi intorno al cominciamento passive del mondo, piii che viaggio, adunque, ti si rassomiglia all' ondeggiare irrequieto di una nave che sospinta in alto mare, e pur volendo pigliare una direzione a porto sicuro, venti contrarj e tra s^ lottanti ne la tengono perplessa, mentre nell' animo del pilota suscitano come una tempesta di dubbj suUa sorte avvenire del legno ch' e' guida. E uno scetticismo non disperato no, ma, se m'e lecito la frase, imo scetticismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento Socratico, la consapevolezza della propria ignoranza; fondamento negativo per R., in quantochd la fede religiosa solamente rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte nella certezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire in un fondamento positivo dello scibile umano. Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL TIMEO DI PLATONE, Ammirazione del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. Trimegisto. — II Rueellai non e dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuniverso si legrge il verbo di Dio. Gli archetipi eterni. Platone manca della fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e il mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte Aristotele, Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne I'amore, per se, e anima deiruniverso. — Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito Santo. Del !Bmeo di Platone il Rueellai d^ tutta la struttura, esponendolo, col riprodurne tradotti i punti piU qualificativi, e commentandoli. Desso,' il nostro filosofo si accosta, direi quasi, con religioso tremore e come compreso nelP animo di alta maraviglia a questo monumento divino del genio Ateniese, che pare scriva dal cielo le cose stupende di lassil agl' intelletti finiti degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i voli della mente cerchi infrenare coUa ragione e V esame, pur non di rado accade che amniiri piii di quel ch' e' discuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla. tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la voce del Galileo. E su' principj della natura discorrendo in sentenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga per universale fondamento ch' e' si dee innanzi tutto distinguere qudlo che sempre c, da queUo che mai e, e che ha nascimento ; e come il primo lo comprende la ragione, 1' opinione per via de' sensi il secondo; vale a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i sensi, ma si r animo il pud seguire meditandolo, e raffigurandolo nelle sue contemplazioni per cagion prima, universale, assoluta. 11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni formarsi delle cose naturali, e la certa verita di come elle siano non esserci mai chi V aggiunga; dappoich^ il senso non sia che un vestigio dell' intelletto, e 1' opinione e V immaginazione una copia di esso confusa ed abbozzata; ed i sensi ingannin sovente. Edefinite il divario tra opinione e scienza, tra senso e intelletto, R., siccome Platone, riconosce dialetticamente la necessity di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di un principio prindpiante della natura, in cui stieno gli archetipi eterni delle cose create, le quali sono alia lor volta imagini imperfette di quelli. Onde a ragione Plotino chiama la natura forma di tutte le forme^ ma con tale infinita disparity, che Iddio, principio principiante di tutte le cose, eccetto della materia eterna per Platone, ma pel R. anco di questa (nel che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria alia ragione stessa) infuse nel mondo create o formato grimpulsi della sua conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione dell'origine dello universo, opera bellissima e imagine di qualche cosa di etemo, discorre, dimostra esser lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo Agostino, aver egli medesimo confessato ch' e' conviene credere per intendere, non volere intendere per credere. N^ si diparte da Platone, anzi concorda con lui il R. nel dire che fine della creazione fu a Dio perfettissimo il buono, e questo per formare con amore una cosa, la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni paragone bellissima ; E nel Paradise, mostrando di scorgere tutte quante queste cose sublimi nella incomprensibil luce della Divina Mente: « Pero che'l ben, ch'6 del voler obietto, Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella £ difettivo, cio che 6 li perfetto. » > Per lo che vien dimostrando anch'egli che questa copia non giugne a gran via alia perfezione del suo originale. > E, come Dante, recasi qui pur David a sostegno della dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi enumera, come Platone fa, i principali e piii sovrani attributi di Dio, in cui stanno gli archetipi etemi delle cose, e dice come nella creazione, prima di tutti cominciamento universale di qualunque sua fattura formo egli i cieli nel suo intelletto ; con che interpreta] R. aver voluto David, come Platone, significare che avanti di creare le cose fuori di s^, Iddio avesse ingenerato oft aitemo in s^ medesimo I'idea di quella fabbrica che poi fece, e con la formasfione dei cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligibile, il mondo archetipo eterno, in sentenza stessa platonica. E come beUo cred il mondo, perche la perfezione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione assdluta del buono, ambedue contenute in unit^ perfetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con armonica proporzione, daUa discordanza riducendolo a consonanza, dal disordine alFordine. E le forme che non riescono buone e belle, non per colpa di Dio, ma per vizio della natura si trovan nel mondo, e sono occasione a lui eterno Facitore per ispargere, dice Platone, suir universo i suoi beni. II quale, soggiunge il Magiotti, piii che e' pud si studia farci comprendere questa creazione del mondo. Onde il poeta : « Nel suo profondo vidi che s* interna Legato con amore in un volume Cio che per I'universo si squadema. » > Ed il Petrarca ben distingue 1' idea dalP esemplare in quel sonetto maraviglioso che incomincia: c In qual parte del cielo, in qualMdea, Era Tesempio onde natura tolse Quel bel viso leggiadro, in che ella volse Mostrar quaggiu quanto lassii potea. > II qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma il Rucellai non consente, che per divino privilegio o per merito dell' amma universcde che da Dio fatta immortale lo informa, sia anch' egli, quantunque continuamente morendo, immortale. E ascendendo piii particolarmente alle idee, agU archetipi etemi, egli, R. col Ficino dichiara, come Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma di tutte le forme, idea di tutte le idee, le quali tutte in s6 le comprende, idee a cui le sensibili forme si rassomighano come le ombre ai corpi. La idea dunque di ciascheduna cosa, bench^ in riguardo al nostro intendimento di diverse cose paia composta (ei soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e ferma ed etema, possedendole tutte insieme, Ed oltre convenire in questo intendimento, il Rucellai, a conforto di esso, le ragioni di dotti antichi e di santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe. Ed e degno di considerazione cio; imperocchd quantunque apparentemente egli esca qui fuori un po' del suo consueto e sistematico probabilismo, pure in realta vi rimane; ch^ questo vero non in quanto la mente umana lo ritrova e proferisce si 6 vero, e da accogliersi con certezza, sibbene perch^ gliene viene conferma inMlibile dall' autorit^ dei Ubri santi. Perd come le idee diverse dalle opinioni, le intelligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime notizie intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai un mistero e con rAlighieri ripete: aPero Ih donde vegna lo intelletto Per le prime notizie uomo non cape E del primo appetibile V affetto. » E s' intrattiene a provare ancora piuttosto come esse idee riseggano in Dio, e le cose a somiglianza di quelle si facciano. « le cose tutte quante Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma Che r universo a Dio fa somigliante. Qui veggion Y alte creature 1' orma Deir eterno valore il quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata norma. Neir ordine ch'io dico sdho accline Tutte nature per diverse sorti, Pill al principio loro e men vicine* Onde si muovono a diversi Porti Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti. Evidentemente scorgiamo noi qui come il Rucelki rigetti la opinione che lo intelletto umano sia tanquam tabfda rasa^ in cui si venga a scriver man mano, e pur senza sottoscriversi alia teoria della Eeminiscen^a nel senso platonico, ammetta invece la umana mente illustrata da un lume supemo impresso in essa "da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro sul come cio avvenga, e anzi. reputi questo un mistero, come detto abbiamo di sopra. Ci6 che puo dirsi per i passi gi^ riferiti o per altri che giova per brevity tacere, si ^ questo, che per lui la partecipazione delFidee eterne all' intelletto umano ^ fatta non per immediata intuizione^ ma per impressione, Perocch^ egli dica che le idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stampati da Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese nella strada che mena al conoscimento perfetto delle idee, che sono nella mente eterna, asserendo egli pure essere a cid necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio del cerchio, cui V animo nostro vuol sapere che sia. Del rimanente R., come Platone e i neoplatonici del suo tempo, in questa parte e cosi anche nelle altre del suo lavoro filosofico, ritiene e professa il principio I'occasione della cognizione venire da' sensi, che la suscitano, e la fanno ricordare alia mente, in questo significato perd che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla onnipotenza e provvidenza divina. Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei quali venne formate il mondo, si discorre dell' anima di esso secondo Platone, di cui riferisce R. testualmente i concetti, senza metter (com' e' dice) in questione se cid sia vero o no. Ed io credo poter far grazia al lettore ed a me di questa lunghissima e diffusa esposizione, che non ^, come altrettali, al mio soggetto. E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che ammettono il mondo da s^ essere o governarsi (naturalismo) o Dio stesso essere (panfeismo), che R. condanna e beff'eggia, ammettendo determinatissimamente la creazione ex nihilOy secondo il concetto cristiano, e la fede. Belle pagine invero son quelle, e dove si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudizione immensa che irradid la mente di questo filosofo fiorentino ; se non che la h null' altro che erudizione ; mentre valore speculative, propriamente tale, invano pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando un altro ragionamento di R. preso da Ermegisto nella sostanza, e col quale egli svolge pitl e piil il suo pensiero sulla creazione del mondo fatta da Dio. c Tutte quante le cose che si apprendon co' sensi, (egli dice) fatte sono, e tutto di si fanno e fannosi non generate da per s^ ma da altri. Adunque qualcuno ci ha da essere, che generate le abbia, il quale generate non sia, e delle generate cose piil antico: e delle cose generate nd uno pu6 esser piA vecchio di quelle che generate non ^. Ma il Facitore h piii potente di lore, e unico e solo in verita, sa ogni cosa perch^ niuno a lui va innanzi. Le generate cose visibili sono, egli invisibile, e pero fa a fine di rendersi visibile, per lo che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di Padre. Dio per V onnipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond' E^li opera, n^ ci ha cosa di mezzo fra il genitore e il generato, n^ altro fiiori di questi due: uno per propria natura la natura dell' altro riguarda mai sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevolmente uniti in guisa perd che I'uno preceda e 1' altro seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malagevole si 6 vero disdicevole alia divina maest^ ; la costituzione di tutte le cose ridonda in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo, niente di deforme precede; siflEatte passioni seguono solamente le operazioni create. Delia generazione la perseveranza fa pigliar piede al male, e per tal cagione istitui Dio con la corruzione loro la mutazione delle cose, come una certa purga via via di essa generazione, e cosi per mezzo di una continua mortality, conservasi perpetua al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua propria natura, e questa si d il buono, e il buono d quella virttl onde tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio generate si § cio^ dal buono, che ^ quelle che pud e fa ogni cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra la mutability, in tutto quanto il mondo la vita e il moto, a simigiianza dell' agricoltore cbe sparge i semi nel grembo della terra, in un luogo appropriate il grano, in un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro altra sorta di seme, il medesimo dove riannesta, e dove peta le viti, e altre maniere di frutti, nelle stesso mode fa Iddio. > E se il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1' anima del mondo, preva R. in altri Dialoghi, e sostiene come Egli sia mente Creatrice e Prevvidente in quelle, senza infermarlo, come fa anima cerpe, nd tramescolandosi con esse perch^ egli immense nen pud esser circescritto da termini, senza cessar d' esser Die ; perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto stare, che ^ il mondo. Iddio crea, e la sua mente divina gli 6 legge ; imperocchd essa in un medesimo punto pensa, cenosce perfettissimamente e delibera impermutabilmente con sapienza infinita, e con immutabile ennipetenza, e tutto ipso facto, senza replica, a quelle ebbedisce, e perd legge si ^ la mente divina. come ritratto e immagine del suo facitore, ma non gi^ reputd che Iddio anima fosse del mondo, quantunque anima di ragione dotata e fabbricata dal maestro etemo delle sovrane intellettuali cose e divine assegnasse all' universo. > La mente divina pertanto 6 pel R. legge impermutabile all' universo, e concorda in ci6 che ne dice Cicerone: Legem video sapientissimorum fuisse sentendam, neque hominum ingeniis excogitatam, neque sdtum aliquod esse populorum sed cetemum quiddam quod universum mundum regeret imperandij prohihendique sapientia. Ita principem legem illam et ultimam mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis aut vetantis Dei, vita autem est cum mente divina et ratio est recta summi Jovis ; ergo divina mens summa lex est Insomma 1' anima dell' universo d pel R. lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la Provvi denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver tendo come Platone nella graduazione degli enti per r universo e nello spiegare la formazione del mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia dottrina della creazione, e conchiude sovente com' egli abbia davvero avuto a logger la Genesi. E tanto e' crede probabile cid, che espressamente in un Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla creazione dell' universo con quel di Platone, per vedere a luogo a luogo dove elle si rassembrano, e dove egli, Platone, abbia fallato. In che appunto noi abbiamo una nuova testimonianza di fatto degli intendimenti filosofici del nostro Neoplatonico. Egli accetta da Platone le sue dottrine finch^ armoneggiano colla Teologia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in questo sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo palesemente discordi, se ne diparte, e alia rivelazione intieramente si appiglia. Or questo studio comparativo tra i testi biblici sulla creazione e quei di Platone che vi si approssimano, e importantissimo a chi voglia, come ho accennato innanzi, vedere gli estremi svolgimenti del neoplatonismo nel secolo^decimosettimo. Si fa R. un ultimo quesito, se cioe in sentenza platonica I'Amore sia anima del mondo, o la parte pitl nobile opitl sovrana di essa. E teologicamente discorre di Dio sommo Bene e sommo Amore, della Trinity dapprima, indi dell' amore necessario e dell' amore libero, quelle nelle cose insensibili, nella madre natura e negli animali bruti ; questo nelle creature intelligenti, per le quali esso non ^ che un.concordamento tendente alia perfezione della divina uniti; e percio disse Platone, amore essere quell' armonia e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed all' uno, E in questo senso deve intendersi ammetter egli 1' amore come anima del mondo, e porzione piii perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa due Veneri generatrici di due amori, naturale 1' uno, divino 1' altro, entrambi maestri di tutte le arti e di tutte le operazioni. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI. Qaesiti. Natura deir anima razionale. — Non e particeUa deiranima uniyersale. et intiera e perfetta da sd. — In che il Rncellai si discosta qai da Platone. Spiritualitd. deiranima. Perfezione maggiore negli spiriti angelici. Immortality. — Argomenti di ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione deUMmmortalitll. — Passo di questo filosofo. — Altre prove d' immortality. Intomo a questo argomento il Bucellai si propone di vedere se sieno da per loro le anime razionali ovvero porzioni dell' anima universale; in che erri Platone, a ft differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume della fede ne persuadono, e con Socrate e col divino lilosofo e con molti altri maestri di sovrano lume ancorch^ Gentili, che le anime nostre sono immortaU. E per primo si studia di dimostrare la natura di queste anime, e come non sieno particelle dell' anima universale, possedendo 1' anima nostra invece una sua propria sostanza, ed essendo una certa essenza intellettuale da s6, che si forma semplicemente dall'intelletto divino, come ammette Platone, £ da notare qui come si avveri quel che abbiamo avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo nostro s' ingegni di ridurre a vera sentenza in conformity del Cristianesimo le parole di Platone, che per contrario, nel Timeo, sostiene I'anime particolari essere particelle della universale. E dice poi Platone (continua R.) r anime esser fatte per le cose celesti e immortali, e perch6 r uomo si faccia imitatore di Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi, tra' quali il piii degno e il piA umano, la vista e I'udito. Nel che, soggiunge egli, discorda alquanto la verity nostra perch^elle sono create da Dio di ugual perfezione di mano in mano in quel punto che fornita di fare tutta la struttura del feto nelFutero matemale, il corpo ne divengS; capace, messoinsieme con tutti quanti i suoi organi ben che teneri e male abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^ vi ha anima comune onde le nostre razionali porzioni sieno di essa in alcun modo. E della differenza tra questa e quelle e tra quelle e le anime dei bruti lungamente favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti probabili di ragione, a precetti di fede religiosa. E il contrasto interne dell' uomo che proviene dalla Ubert^ del volere e da' sensi e il supremo e invincibile argomento a sostegno della spirituality dell' anima umana, e della sua gran diflferenza con ogni altra che Platone ponga nel mondo, o che negli animali ci sia. Stabihsce quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la perfezione maggiore degli spiriti angelici, chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI. Demoni, o Dii, percM immagini pitl perfette che Panime nostre dell' idea eterna; e afferma non potersi dare accostamento di termine tra il corporeo e lo incorporeo, r immateriale e 1' incomposto, 1' anima insomma, la quale sebbene non si veda n^ si tocchi, pur si manifesta che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili, giusta ne dice pure Platone. Confessa pero al solito che in somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incorporeo e delle operazioni lore, come della immortality non vi ^ da aspettarsi mai prove convincenfi^ oltre queUe delta nostra infcHlibiLe cattolica doUrina, perche eUe non sono da noi^ ma si bene favellare se ne puote e trovarci da proporre molte verosimiglianjs^e e probabilUa. Nondimeno con tutti gli argomenti che adopera Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' nostri il Ficino e indi anco il Cartesio, di cui espone ed ammette, temperandola col neoplatonismo, la dottrina della cognizione, e le cui ragioni sulla immortality paiono anco al R. ben fondate, egli vien dimostrando man mano la spiritualita e immortality delr anima con discorso vivace e stringente, e ribattendo con arguta confutazione gli argomenti in contrario, specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei quali su cio cadde Tertulliano, e rilevando le contradizioni frequenti di quella intelligenza. Non repute inutile pertanto a questo punto riferire ci5 che R. per bocca del sacerdote Magiotti, dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette stretto con quella della immortality, e se ne vale come argomento, sempre s'intende, probabile, coll' uniformarsi intieramente alia fede. Confesso bene, che il volere riconoscere del tutto dair idee, ch' e' chiama innate, e che esse ci sieno, non che dell' essenza, dice solamente dell' esistenza divina, r ho per intraprendimento troppo ardito, e da non se ne uscire con onore, chi volesse, seguitando Renato, col proprio intelletto giungere a si sovrane cose, senza gli anticipati giudicj dell' immaginazione, percM io per me non so ritrovare modo da figurarmi come cio segua: impercid che avendo noi si fattamente impastate le parti intelligibiU con le sensibili, la maniera di distinguere totalmente le loro operazioni 1' una senza I'altra, cio^ a dire quella dell' intelletto senza quella del senso, io non mi rincuoro di rinvenirla. > La opposizione che fa il nostro autore alia dottrina del Cartesio sull'idea innata di Dio ^ notevole molto, perch^ viene ad escludere in lui la dottrina delle intuizioni ontologiche o anche ideali, che abbiano per obietto Iddio e gli esemplari etemi. Scintilla della divinity si pud dire, che sia non solamente quel lume di conoscere le cose esteme per via de' sensi, il che hanno parimente gl' irrazionali, ma di pill quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir intelletto, e della mente astratto da' sensi, pe r il quale ci si apre la strada al raziocinio, e al discorso, con cui noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose non sono comech' esse ne facciano la scala per soUevarvisi sopra alquanto. Per lo che disse Plotino nelr ordine della cognizione 1' ultimo grado tiene il senso, il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la linea retta, V intelletto la circolare, rivolgendosi in sd stesso, e pero 1' anima per la vegetazione, per il senso, e per V immaginazione si affaccia fuori di s^, ma per e' moti deir intelletto si rende capace di riflessione in 8^ stessa, e cotale operazione si maravigliosa del conoscere di conoscere, 6 presa da molti filosofi, anche di pit! acuto intendere, per grande argomento dell' immortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate in noi le idee dell' esistenza, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine delle medesime idee, passare ad avere plena notizia dell'essere una cosa cogitante che non pud essere distesa, e perd essere incorporea e poi di essere insieme una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere corporea, onde se ne ricavi essere 1' uomo fatto di due •cose totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la posizione cogitante da per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima incorporea, e perd immortale. Ma si bene questi lumi di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi medesimi talento d'avvedersi ch'e' ci sieno i principj di molte e molte cose, le quali -noi ci accorghiamo avere molto pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a capire per possedere in verun mode scienza di loro intera e perfetta, e non avendo in noi r intero della perfezione delle cose di cui noi conoschiamo i principj, da' quali ci sentiamo abili a conoscere piti, bench^ piii non arriviamo a conoscere : adunque trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1 potere da queste grossolane membra mortali, e da questi organi, che noi abbiamo limitati, ed angusti, i quali paran la vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere 1' intero delle cose, di cui noi scorghiamo i primi semi, e lampeggiare le scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile, che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le anime nostre destinate sieno, spogliate e libere da questa gravosa soma corporea; e qui si addice meglio la considerazione che Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illusione massime in certi principj e fondamenti, che si scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una mole di pitl alta architettura che none quella, che alia nostra veduta si concede. Impercid che se 1' anima per s^, e per sua propria natura avesse terminate le vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a que' soli principj, ne s' imm^ginerebbe piii oltre di quelli immensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina, credendosi che quello che gliele impedisce fusse il suo ultimo fine; imperciocche quando uno vivendo racchiuso in una angusta spelonca, condottovi da lontane parti di notte al bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, . ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra, certo ^ ch'egli s' immaginerebbe qualche alta e gran fabbrica dimorarvi sopra all' occhio del giorno, e non indamo si forti fondamenti esservi stati sotterrati, o che almeno alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si fatto uomo cotanto stolido non fosse, o ch'entro vel ponessero di nascita, che impercid non avendo per innanzi veduto altra cosa finora di li si facesse a credere che quelle pareti, e quelle volte fossero i termini estremi del mondo. Cid verisimilmente succede alle bestie, le quali non hanno talento di credere che ci sia da sapere piii di quello che elle sanno. > Ma pitl R. si compiace d' intrattenersi nella prova a posteriori della esistenza di Dio e della immortality dell' anima umana, e in cid pure si vale dei vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi, come e precipuamente di quello che ricavasi dall'ordine del mondo, e dall' indefinito desiderio di beni insiti in noi, e della sempre incompleta soddisfazione che i beni finiti della terra e dei sensi ci recano. E s' intrattiene molto pur qui, ma assai piii nel trattato della Prowiden^a^ come vedremo fra breve, a discorrere di questa natura di beni, e in che il vero bene consista, seguendo in tutto le traccie neoplatoniche e stoiche, e come i beni di fortuna son tali solamente in quanto s' indirizzano al conseguimento della virtii, in che sta il vero bene. Or facendosi cid appunto per la ragione, mediante la quale si arriva alia bonta, alia giustizia ec. e questi essendo attributi di natura sempiterna, ne viene che Fuomo abbia I'anima immortale. E come questo, cosi molti altri argomenti verosimili e proba bili della immortality dell' anima, reca R. a so stegno di essa, di Platone, di Socrate, di Pittagora, di Cicerone e di Seneca, il qualp ultimo par talrolta r ammetta, tal'altra no; ma io credo non essere neces sario fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo com'egli, il nostro filosofo, cerchi corroborare quanto piii pud con argomenti probabUi della ragione quello che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini ritiene per fede, e d i rilevare com' egli faccia anco qui uno sfoggio vastissimo di erudizione nel recare gran dissima copia delle opinioni de' piii antichi e se gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li reca, li rimprovera o corregge in quel ch' essi hanno di non razionale, o di contrario alia fede, come la pa lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di Platone, ossivvero ne interpreta ciiriosamente le frasi, come il demons di Socrate, per esempio, nel quale vuol ravvi sare I'Angelo Custode dei cristiani. E finalmente ritorna R. a discorrere della cosmologia, della formazione cioe del mondo e figura sua in sentenza platonica, rigettando pero come detto si 6 la eternity della materia, e dove pu5, a sostegno delle dottrine platoniche, riportandone i detti di Galileo e questi con quelle conciliando, come contro la incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il brano, e avremo terminato 1' esposizione del Timeo. Imperf. — Nascemi nell' intelletto una nuova opposizione da farvi procedendo secondo V ordine platonico, e estraendoci dalla fede. Convien supporre la materia informe per s6 discordante e de'contrarj compostaessere eterna, altrimenti se creata fosse da Dio, potriessegli apporre che egli avesse errato tirando i principj tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all' unitade i contrarj, acciocche permanendo uno, e perfetto huniversale, essi operassero di lor natura i loro effetti speciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben sotto le debite regole e proporzioni tra loro ridotti per tal maniera che non isvariassero dair ordine dato loro e mantenessero perpetue le specie, mentre di mano in mano si rifiniscono gli individui. Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da contrarj, e cid ^ d' uopo per la corruzione de' composti, riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli ebbero per lo componimento, e per hunit^ del tutto ; richiamandoli via via mai sempre al rifacimento di quelle cose individuali che periscono per mantenere nel loro debito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento solo nulla si genererebbe giammai. E o vero sarebbe r universe una cosa tutta, una, soda e ferma, con la figura solamente esteriore che ritonda gli assegna il Timeo^ e allora fuori che nella grandezza, che differenza fareste voi da esso a una palla di Travertine? si pure se da principio senza contrarj create avesse tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e le.stesse in perpetuo impermutabile stato, senza che n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che come udiste si ^. dichiarato molto bene il Ficino. Mag, — Oh come bene si B&k un bellissimo luogo, che io vi verrd dicendo a cotesto alto concetto, che, avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessario che la creazione dell' Universo si facesse dei contrarj a volere la perpetuity de' moti e delle generazioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor medie proporzionali per renderlo uniforme e si somiglievole all' unitade del mondo archetipo ! Impercid che egli h certo, che senza Tarmonia rimaneva tra detti contrarj la materia informe e scompigliata e disordinati moti, e senza le contrariety, restaya il mondo senza operamento che sia, e senza il fruttifero movimento per le generazioni disfacendosi, e rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^ qtiando non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1' universo tutto, ma di qualunque altra gioia piii dura, pit! preziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore recherebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe in lui, a petto a quello che ci si scorge, con le continue fabbriche che ci si formano per mezzo delle corruzioni e delle generazioni, senza perder mai un minimo che di sua intera pienezza e di sue alte e basse maravigliose strutture? Come ben dunque si affi^ a codesto concetto quel pensiero non punto meno alto, che pone il nostro Linceo in bocca al Segredo contro V incorruttibilit^ peripatetica de'cieli, riputando viepiil nobile e di piii pregio la terra per la generazione e corruzione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sarebbero, n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle mutazioni, che in quella si fanno di pitl sovrano e ingegnoso magistero, che se ozioso si stesse ancorchd di qualunque pit! pregiata e speziosa materia fosse composta. Perchi§ altro (die' egli nei Massimi Sistemi) verrebbe essa ad essere salvo, che una vasta solitudine di arida e spessa arena, e si infruttifera e vana, o una massa di dia spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan tissimo saria sempre un corpaccio inutile, con quella differenza ch'^ tra un animal vivo e un morto, e il medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli altri orbi, potrebbe dirsi, e vien poi seguendo con una maravi gliosissima e bella riflessione, che se il popolo chiama preziose le pietre, le gemme e V oro, e vilissima la terra, cio awenire per la dovizia di questa e carestia di quelle. Imperd che dove della terra ce ne avesse penuria chi non ispenderebbe una soma di diamanti e di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so lamente tanta in un piccol vaso da piantare un gelso mino, un arancio, ivi veggendoli nascere, crescere e produrre si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e saporiti? E il volgo loda un belUssimo diamante (dice egli) perch^ all'acqua pura si rassomiglia, e poi per dieci botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat tori della corruttibilit^ si meriterebbero che un capo di Medusa gli cangiasse in statue durissime; e vera mente non quality e attribute di piil valore si dona dalla scuola peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto, la corruttibilita e generazione togliendo loro, il cui di scorso si accoppia mirabilmente con la interpretazione del Ficino, ch' espone lo altissimo concetto platonico, dove chiaramente si ricorda che anche Platone ebbe per piCi nobile e per piii ammirabile, anzi per neces saria la struttura dell' universe sensibile con muta menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti dalla generazione e corruzione, che se stabile, neghittoso e fermo senza moto si dimorasse ancor che d'oro e' fosse, o di qualunque pit! preziosa gemma di sua indefinita grandezza come verbigrazia sarebbe state, se di una cosa stessa e senza contrarj lo architetto supremo fabbricato lo avesse. E perd il divino filosofo,'^nch' elli antepone la corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei pianeti e degli astri a quello incorruttibile che per accrescer loro pregio assegno loro poi dopo Aristotile di sua propria immaginazione, avvenga che egli avesse bevuto suo prime latte dalla disciplina accademica. Oggetto di questo trattato di R.. Suono. Ordine. — Armonia. — Proporzione. — Passo dell' autore. — Platone e le proporzioni armoniche. II medesimo e il diverao, — Anco pel Rucellai tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano e le armoniche proporzioni. La materia. Giudizio di R. su questa parte delle dottrine platoniche. E'prende inoltre, R., in nove Dialoghi a discorrere delle proporzionalita armoniche, delle ragioni musiche in genere e delle loro applicazioni all' aniina platonica, aggiungendo, egli dice, molte cose e ripetendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di essa riferisce Marsilio Ficino, egli pronunzid. E si rif^ da certi principj universali esposti nel trattato suo della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi sopra la matematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd dell'umano sapere; i quali principj ne condurranno agevolmente a tutte le cose particolari di questa armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per varj modi, increspamenti e vibrazioni alle orecchie; e secondo la intensity di forza della causa produttrice il suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto, ed ha ragione Aristotile allorchd dice, che il suono troppo acnto muove assai il senso in breve tempo, e il grave quando 6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qualche parte con la sua punta, a un tratto la ci punge, se a bell'agio, piega solamente e avvalla un poco la parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le cagioni che il Mersennio, (maestro di musica che il Rucellai dta spesso e cui segue) non che i piii celebrati maestri all'acutezza e gravity di suoni attribuiscono e il nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza o density, sottigliezza ec, insomma proporzionalita : ritenendo pur con Democrito che da'corpi sonori escano minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammettendo, come Democrito fa, ch' essi sieno queUi che formano il suono. Discorre elegante delle somiglianze tra il suono, la luce e gli eflfetti loro, e delle loro diversity, sempre fisicamente. E mi sia lecito di far a meno di esporre tutto cid di cui il nostro autore, seguendo le tradizioni pittagorica e platonica su tal proposito, ampiamente faveUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche guisa destare interesse per uno storico della musica. come quello in che si fa tesoro degli svolgimenti successivi della scienza dell' armonia dagli antichi fino al Galileo (del quale apprezza ed accoglie le analoghe scoperte) per noi d un fuor d' opera, e ce ne possiamo passare senza il menomo pregiudizio. Piuttosto io riferisco qui il concetto della fine di questo trattato delle Musiche Proporzioni, che assommando i concetti generali qui esposti, d altresi ponte tra le due rive, tra il trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima platonica. Qui dunque ritomando a'primi principj della proporzione, postavi innanzi e con tanto sapere avvertita dair accademico nostro Linceo, convien restare ragionevolmerite convinto, tutti i primi element! della geometria e tutte le proporzioni che in essa si contengono essere gli elementi primi altresi della sapienza universale. Onde Iddio a tutte sue infinite e maravigliose opere si volse, e perd in qualunque scienza e naturale e intellettuale trovansi si fatte proporzioni, si come i primi fondamenti di tutto lo scibile. Platone pertanto s' immagind che 1' anima (universale) toccasse il medesimo, cioe 1' intelletto, e mente divina ricettacolo perfettissimo ed unico delle infinite idee, le quali per V unit^ perfetta di colui che oft ceterno le concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esemplare dell' universe sensibile ch' ella dico si dirami poscia nel diverse che viene a significar la materia per s^ varia, disordinata e incomposta, di cui il visibile mondo crear volea, per la qual cosa a fine di fabbricarlo ornato, e maravigliose e si degno delle mani perfette onde egli uscio, coUegare il voUe per quanto per lo suo difetto e' poteva patire e assimigliarlo alr unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non altra maniera ci adopero che la mentovata armonia, la quale tratta dall'uno perfetto si venisse scompartendo con musiche proporzioni, tra loro tendenti alrunisono, onde la varieta divenisse per merito loro talmente bene ordinata e perfetta, che dalla moltitudine per la commensurabilita loro fosse atta a richiamarsi nell' uno ; impercio fe' agguaglio dell' anima a un triangolo, il cui angolo superiore toccasse il medesimo, e allargandosi poscia co' lati nel diverso, questi venisse proporzionevolmente digradando, come ne spose il Timeo, nelle duple e triple, e si parimente nelle sesquialtere, e sesquiterze proporzioni; laonde per I'ordine perfetto -e per lo regolato movimento, che la fabbrica di questo universe ricevette da quest' anima armonizzante all' imitazione dell' Idee in una Idea sola identificate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi per quanto era in lui, e s' immedesimasse nell' uno, cio6 a dire, in quell' unit^ ch'egli ha tutto insieme senza dargliene un aJtro compagno, e a lui somiglievole, la qual' anima mercd di suo toccamento con esso il Medesimo il mantenga uno, perpetuo, immutabile, e si ne'suoi movimenti ordinate che immobile resti nel suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno, awenga che di sua natura e per difetto della materia mutevole, e forse mortale, movibile e diverse nel novero vario e senza novero delle sue membra. E infatti R. ammirando 1' universe, ritrova tutto armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri costantemente ordinati, nella vegetazione, negli organi degli animali, nei sensi dell'uomo, nelle sue intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^, ma sibbene nella varieta sublime dello universe, queste armoniche proporzioni sono, ch6 nel variarsi concordemente 1' universale componimento con i definiti armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza e requisono armonioso e la commensurabilit^ corrispondente di tutte le parti 1' una coll' altra, vi si rivede in somma e singolar perfezione, a modo che seppero r uno appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri migliori nel genere non solamente pill perfetto molteplice e delle duple e delle triple, e si nel superparticolare, e delle sesquialtere e delle sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha saputo conoscere e misurare la madre natura sotto il Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici si trovano le consonanze aggiustate con limitati interstizj deH' arte : Indi affine di dilucidar meglio come, in sentenza platonica, debba intendersi che la simetria, I'armonia e il moto sieno anima dell' universo, e qual natura Platone attribuisca a quest' anima universale, il Buonaccorsi riassume i principj platonici circa la costruzione dell' universo, e dimostra che Platone ancorch' e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole, pure non le attribuisce gli effetti della ragione, che negli esseri propriamente razionali osserviamo. E continuando R. ad illustrare questi concetti deir Ateniese, osserva come in siffatte applicazioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo pitl che noi faccia lo stesso Ficino (piii metafisico di Platone talvolta) egli si rende intelligibile, aggiungendo pure come se a quel filosofo fossero state note tant'altre consonanze minori che dopo'diluiper buone accettate si sono, e molte eziandio delle irrazionali, che al supremo Compositore razionali saranno, avrebbe dichiarato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte in questa fabbrica dell' universo e delle anime umane ; le quali soggette anch' esse alia misura, all' armonia, se travalichino i confini di essa, malvagie divengono. Discorre quindi della fabbrica del corpo umano e delle sue parti, e, per incidenza, della materia, e dice che noi la materia la appelleremo madre e ricettacolo di quelle cose che generate e visibili sono, non terra ne aria ec, per guisa che il Dafinio osservi esser sott' altre parole questa la sentenza di Aristotele circa la materia; e R. risponda: Perd il Magiotti soggiunge: € Eisponderanno i platonici su' loro altissimi fondamenti metafisici che la materia 6 qualcosa perch6 la sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo attaccamento speciale e sua dependenza dallo intelligibil mondo nella mente divina, cio^ a dire, ha sua idea particolare per sd, ond'ella ^ simulacro ed immagine ancorch^ visibile non sia, nd per noi e per la nostra veduta, ^ necessario che tutte le cose che sono fatte sieno, o che non le veggendo non abbiano a essere ; e se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento insieme dei quattro elementi, le forme sole degli elementi e non la materia da s^ avrebbero il loro esemplare, e V idee loro per entro il ricettacolo della mentc divina. > A cui infine VImperfetto: lo non credo necessario seguitar passo passo il Rucellai nel commento che fa a questa parte del Timeo di Platone, avendo, parmi, citato quel che di piii importante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto richiedesi altro di quel che ho stimato far qui ed ho fatto, di un trattato che non h se non una prolissa esposizione e dichiarazione delle opinioni platoniche in queir argomento : opinioni che noi abbiamo visto in qual conto e' le tenga R. e com' e' le consideri nella massima parte qual una sublime poesia del filosofo atenieie, piuttostoch^ teoriche le quali nolle loro particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla esperienza. Importanza di questo trattato. Meg^lio che in ogni altro scritto del Bucellai si fa qui palese la natura del suo filogofare. Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e risposte. — L'ordine deiraniTerso e argomento del Provvedere di Dio. Qaesti e la natura. Essa non h per »i che una voce generica. II Caso. — Si combatte. 611 atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eternita. — Si confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eliminazione. Obiezione e risposta. Galileo e il Bucellai. Dio non informa il mondo come anima corpo. L* esempio del sole. Ficino. La fedo. Creazione ex nihilo. Bagioni probabili. — Bipete Tautore: fine della creazione il buono. II Yero Bene. I beni del mondo ban ragione di mezzo, di fine no. Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni altro scritto filosofico del Bucellai, ritroviamo delineati gl'intendimenti di lui, questo si ^ della Frowidema, dove ragionando in sedici dialoghi contro Epicure, il quale nega il provvedere etemo di Dio, espone in termini netti e precisi la natura e il metodo del suo proprio filosofare, e le tentate armonie, e il rifugio nella fede e nell'autorit^ religiosa, e la grande sfiducia nelle forze deir umana ragione, e il probabilismo, non la certezza, degli argomenti che essa, la ragione, secondo lui nelle questioni seinpre ne somministra. E siffattamente cid accade, che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte filosofica da lui scritta, quelle di questa sola ne basterebbe a persuaderci della verity della tesi nostra : imperocch^ come in una sintesi tutti gli element! qua si ritrovano che costituiscono tutte le parti del suo filosofare. Egli qui si propone di votare la dialettica faretra contro I'empie e stolte proposizioni d'Epicuro, che dairordine dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di vedere, divisando co' lumi soli del ragionevole e naturale discorso, se Teterno provvedimento nell'essere universale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quantunque argomenti solidi in sostegno di essa egli, il R., ne rechi ed anzi dichiari che cid meditando con una qualche scintilla di ragione, si passi molto avanti, pure finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli interlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoich6 anco in questi abbiamo il sacerdote Magiotti che fa da Socrate, e a terminare il trattato, il Nicheo, il quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma sopra d'ogni altra nella teologia, in cui, giusta ne dice il Magiotti stesso, ha saputo la pitl giovevol parte riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione delle sacre lettere e la perizia delle lingue ; e che udito discorrere VImperfetto e gli altri della Prowidenza^ e contro r ateismo, e il sospetto di Guidobaldo Trifonio che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad acquietar I'intelletto naturalmente ragionandone, quantunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che in chiaro si scerne coU'occhio purissimo della fede, esclama: E se dopo si accomoda ai loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teologico piu che di ragione, e a quel discorso il Trifonio, che la facea qui, pur credente, da avversario e sofistaj conchiude : Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo trattato della Protwidenza (e con esso ogni altro trattato filosofico del Eucellai) nol saprei meglio di cosi: poich^ R. non solo consideri la Frovvidmsa in generale sibbene anco in particolare, il provvedere diDio nel mondo e nelP uomo. E di fatto egli a favellare di Bio vuole unito il concento sublime della natura; e qui, Platonico a tutta prova nel tratteggiare il dramma del dialogo, dove egli ha un' arte di dire e di rappresentare raffinatissima, apre il cuore con respiro tranquillo all' armonie dei luoghi deliziosi, e li presso la rinomata fontana di Belvedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella apertura, meditando per la chiarezza dell'aere I'ampiezza e gli stupori del cielo, e per le pianure di Eoma le varie bellezze della terra, le quali del Provvedere etemo recheranno contro Epicuro i piii potenti argomenti. I quali, sull'ordine dell' universe posando, devono esser per il Eucellai riprova, non prova, di quest' arte divina nel mondo, perocch^ con I'occhio acutissimo della fede egli scorge chiarissimo Iddio e le sue miracolose operazioni a pro nostro. Questa riprova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto a modo Socratico, di un credente, non rindagine di un filosofo, il quale coUa ragione solamente a guida osservi, induca, argomenti e conchiuda; non valendosi come tale, dei dettami della fede, e facendo conto che e'non vi siano. Alia domanda infatti se col naturale raziocinio alle prove si perviene di Dio provvidente, il Magiotti risponde E co'medesimi argomenti di san Tommaso, e dei Padri e de'filosofi cristiani, corroborati fin dov'e'pud dalle dottrine di Platone e de'filosoli gentili, ribatte le opinioni di Epicure e di Lucrezio centre il Provvedere di Dio, sia che dicano la natura divina eterna e beata godere in sd perpetua pace e tranquillity, lontana e disgiunta per lungo intervallo dalle cose nostre, e da' benefizj non poter esser presa; a cui R. risponde che anche Iddio, perche Iddio e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore, che tanto si § a dire avere infinite carit^ e beneficenze, senza alcuno intendimento di premio, esercitandolo a diritta ragione: sia che altri ostacoli ne rechino in mezzo al suo cammino, egli considerando la natura di Dio, e Y ordine sublime delF universe e del microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando rinnova Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio provvedendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non potrebbe in un tempo stesso badare a tante faccende, sostenere la soma dell'universo; soggiunge: E al sostituire che gli epicurei voglion fare della natura a Dio, in cotal guisa risponde : Combatte indi il fortuito e fortunoso accozzamento degli atomi secondo Epicure; n§ in cid pure discostasi da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che non essendo noi la misura di tutte le cose che sono, ancor che alcune di esse si scontrino inutili o dannose e far centre percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo non conoscendone i fini e 1' ordinamento. Dope di che seguitando, com' egli dice, le sue prohdbilita interne alia Provvidenza, viene dal generale al particolare, esaminandola nei varj regni della natura," minerale, vegetale, animale ed umano. E continua a combattere il case, e la insipienza sua e I'agitazione disordinata degli atomi. a formare lo inestimabile ordine e concento di questo teatro dell' uni verso e la perfezione di sue opere e di suo movimento. I quali atomi se in sentenza di Platone etemi chiamar si possono, quantunque il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga che esistano con Epicuro e Platone, nega pero che si possano appellare come tali, cioe eterni, doYC dice : E riguardo al case conchiude con Galileo ch' e' non sa quel che sia e in qual maniera possa operare si ordinatamente ; e confessar dunque si dee, eziandio per via di ragion naturale, che r alto e supremo artefice, e non il case, sia quelle che il formi, regga e addirizzi in tutte quante 1' opere^sue. E la geometria dell' universe ^ come Sole che fuga le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk sapienza universale, come argutamente chiamoUa il GaKleo stesso, dopo che Platone aveva chiamato Diogeometrizzante in tutte le opere della sua infinita sapienza. Le quali al postutto pitl che parlare al nostro intelletto lo abbagliano di loro luce infinita, ed il loro linguaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche poco nulla intendiamo, studiando, salvo che la nostra socratica proposizione : Perd noi possiamo sempre indagare se fra le cose del mondo visibili, ci venga fatto di ritrovare questa natura questo reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E siccome il meglio di tutto ^ Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da volgere tutte le macchine deir universo, a suo senno, remossa in prima la opinione che gli angeli dei cristiani o i demoni di Platone e di Socrate, i quali primi non altro sono, per i credenti, che esecutori o iniziatori degli ordini e degli awisi di Dio e di sue grazie dispensatori ; e i secondi non altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli; cid h uno sporre le cagioni seconde sotto lo indirizzo e I'onnipotente braccio della primaria, la quale assista e governi tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio, ministro subordinato si 6 della divina volenti; la volenti divina, che da s6, o per mezzi subordinati amministra con tanto ordine tutte le cose, essa si h che ha in mano il provvedimento e reggimento dell' universo, come interpreta-il nostro Tullio; n^ ^ convenevole a noi stremare per tal modo la di lui infinita onnipotenza, la sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor forza e potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia combinazione eventuale degli atomi e alle stravaganze incostanti e disordinate che il caso farebbe da s$, se e' non se gli desse si alto e sapientissirao sopraintendere. Impero 5 fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel presupposto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e toccare egli le cose tangibili sia un gran punto e un grande argomento a pro d' Epicure negatore della Provvidenza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo che io stimo opportune di riferire per intero, perch^ sembrami un punto importantissimo. Molteplici e varie poi sono le quistioni che a mano a mano mette in campo e risolve il filosofo nostro su questo soggetto, ma io credo potervi sorvolare, fermandomi alle principali; come questa anco nel Timeo ragionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo diriga e lo muova e a lui provveda come 1' anima al corpo nostro, a un dipresso come la pensarono i Greci, i quali tennero Dio anima del Mondo, tra' quali Aristotele e Crisippo della setta stoica. Al che si oppone con forza R. dimostrando I'assurdo in cui cadrebbesi, cio ammesso; come fece appunto di sopra nel Timeo, discorrendo di questa medesima ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade nel Panteismo, n^, come Platone, nel dualismo, ma con la Creazione distinto fa Dio dal mondo, quantunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E contrp il Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti, guardando principalmente agli attributi divini, e com'essi disconvengano e siano anzi contrarj alle qualit^ deU'universo e della materia, che imperfetta e non etema e mutabile si ^ all' incontro di Dio eterno, immutabile e perfezione assoluta, il quale se ^ tutte le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di lui I'universo non sarebbe mai state, n^ senza di lui sarebbero al presente nd al future, non d gi^ vero che tutte le cose e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole il quale percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^ tutte le cose per lui sono, e senza lui non sono, ma desse non sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta fabbricate sono, dov' egli perfettissimo si e. E in somma come dice del sole Marsilio Ficino : Sol est imtar Dei, aspectu ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita et latissima absque detrimento sui, 6b exuberantem bonitotem largitatemque suam cunctis sese libentissinie larffiens, causa conservatioque, et excitatio omnium quce nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta videntur, hujus aute^n prcesentia reviviscere. Simigliante definizione, piii altamente levandosi, pud farsi di Dio, e perd: Deus est omnia, ma non le cose sono Iddio. E il Trifonio in altro Dialogo dopo queste proposizioni soggiunge: Ma R. qui si discosta, abbandona ed avversa anche Platone, come lo ha abbandonato sempre dove cose contrarie alia fede professa; egli dice per il Magiotti: E come la materia, cosi gli atomi non possono essere eterni. Imperocch^ se il mondo in tutte le sue parti ^ imperfetto e corruttibile, come vorremmo che nei suoi componenti primarj sia eterno e senza mancamento? Delia stessa natura e il composto che sono i componenti suoi. E molto meno poi se noi volgeremo r occhio a quel che veramente sia quest' eternity. Impero dunque pongo da un lato si fatti argomenti, accorgendomi bene che mi si replicherebbe da qualcheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con gli incendj varie volte avvenuti nel mondo le buone arti essersi spente e ritornata la ruvidezza e I'ignoranza de'secoli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i hbri arsi e divampati, e si nell' acque affogate le memorie deir istorie preterite ; molte essersene deteriorate, se non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non sapevamo che mai state fossero, altre restaurate le quali erano divenute peggiori ; n^ percio aversi prova sicura che niuna nata ne sia dai suo' primi principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e che ad ora ad ora si perdano, e ad ora ad ora si rinnoveUino, tornando a maggiore o a minore perfezione gU ingegni e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque noi abbiamo per fede con sicurezza irrefragabile gli anni della creazione del mondo : mentre di cotanto pitl forza sono le altre che addotte si sono, per render con tanto piii vaUde ragioni convinti colore che, per sola miscredenza o miUanteria d' ingegni o mahgni o di soperchio vivaci, pongono difficult^ eziandio alle cose piil chiare secondo r ordine della natura, perch^ 1' hanno sottoposte i nostri maestri all' autorit^ della fede. > Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo nihitf che dal nulla non si fa altro che nidla; che perd Cicerone: erit aliquod quod ex nihilo oriatur aut in nihilum suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit unquam? € 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio siccome le idee di tutte le cose che f urono, che sono e che saranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza infinita : ma il mondo sensibile e la materia F ha fatto 1* artefice sovrano a quegli esemplari dal nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e infinite. E come gli uomini dal nulla possono far anch' essi qualcosa, come di trar fuori da quelle una nuova forma, a maggior forza Dio infinitamente onnipotente dee poter fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo restar persuasi che sia cosi; come quantunque sia impossibile a intender che sia eternita 6 del pari impossibile a restar persuaso com' ella non sia, perchd voltandoci indietro per la graduazione d' innumerabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza di giungere ad un principio non principiato ed eterno. E se Dio che onnipotente si ^, pu6 adoperar gl' impossibili a noi, quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia gl' impossibili limitargli ch' a lui possibili sono, quantunque r uomo non giunga a capirli, e di quel che egli afierma non abbia voluto convincercene con argomenti, ma 8i d' autorita proferire? Imperocche Iddio voglia merito da noi, e per intiera fede ; anzi fortiticandocela con si chiari esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec E qui superfluo che io rintessa quelle che dice il R. intomo al fine per cui Dio provvide alia bellezza della donna; poiche gi^ sufficientemente V ho chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore secondo il nostro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della reminiscenza Platonica, e della creazione ab ceterno dell'anime, la quale dottrina di Platone ei vuol conciliata con quello che ne insegna la fede mentre rigetta la tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito ampiamente a suo luogo. Ne basti pertanto osservare: 1° com' egli, R., per bocca del prete Magiotti, a torto, e troppo tolga all' intelligenza e alia razionalit^ delle donne, in compenso delle quali privazioni dice aver Iddio dato loro appo I'uomo la raccomandazione della bellezza; sendo esse, pur razionali, animali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto manchevoli a petto agli uomini che non a torto disse quel savio infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli e '1 meglio delle sensibili, la natura donnesca essere stata locata; 2** come il nostro filosofo in sentenza platonica e petrarchesca le bellezze della donna, raggio delle divine, abbia il supremo Provvidente create agli uomini come gradino per ascendere a sollevarsi alle bellezze infinite. Dei mali. — Necessita di questi nel mondo. I yeri mali. — La morte non e un male. — £ cosl la poverty, la perdita delle riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. I mali occasione e strumento di bene. II dolore. La infelicita. Del dono della ragione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prodestinazione. — Liberta e fato. Passo dell'Autore su questo punto. Epilogo delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio provvidente. — Bifugio nel la fede. Intricata e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13 aflfronta e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'medesimi intendimenti, la quale d necessaria a risolversi per chiunque favelli di provvidenza; la questione del male nel mondo, che egli reputa, come i beni, dipendere da essa. E prima di tutto, con a maestro e duce Platone, che dei veri beni e veri mali divinamente discorre, pone la necessity de' mali nel mondo; e al signor Elea che obietta veder noi il giusto esser oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e 1' ingiusto trasportato nelle regioni della felicity, sicch^ Dio mostrarsi o non provvidente o non equo, risponde Per la qual cosa facciamo esamine un poco sopra di questi mali si gravi che non sono in poter nostro di ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a dependere quel giudizio, che con tanta franchezza forma Epicuro, dell'essere Iddio a tal cagione o non giusto, o vero non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile alPuomo, dico dallo spaventoso accidente della morte, che indifferentemente e alP improvviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque et^ cade sopra noi viventi mortali. E, quantunque per lo lume vivissimo della fede Y immortality dell' anime nostre ne sia manifesta, pure non di meno, poich^ si risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue opinioni vestiamoci, supponendo con falsa dottrinach'elle mortali esser potessero: imperd che in tal caso eziandio male non h la morte, nd che Iddio provvidente non sia, si come egli ebbe per indubitabile, cid dee essere argomento. Dicamisi un poco: quando bene I'anima mortale si fosse, che torto riceve T uomo dove prima o poi egli adempia il termine a lui prescritto del vivere, posto anch'egli come le altre cose caduche e finite a discrezione degli accidenti fortuiti che provengono dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ gastigamento d' Iddio, ancor che provvedente, la morte degli uomini chiamar si dee: imperd che non piti ragione ha di dolersi morendo colui ch' h stato ingenerato a condizione di ritomare a quelle ch' egli era anzi che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe chi non fii mai, dolendosi perche ingenerato non fue ; con cio sia cosa che a colui che non ^, non manca mai nulla; n6 ha desiderj o bisogni, n^ passioni o diletti se non quello che ^; e il mancamento e il dispiacere di esser manchevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^ dolersi puote ed esser misero se non colui che abbia senso. Adunque non altro la morte si ^ che ritornare a non essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima che fosse. E poi ; che ^ il nostro vivere perch' e' s' abbia V uomo ad atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non giungono a vivere un di intiero, de' quali chi arriva alle venti ore di vita pud chiamarsi decrepito : e ch' ^ di piii nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela morte ne finisse del tutto, si come tiene stoltamente Epicure, cid fora ricondurci a'nostri principii: cheimpero lamentarsi non gli si conviene di torto alcuno. E quei mali che accompagnano la morte (la quale ^ un punto di tempo si momentaneo che non tocca i vivi e non s' appartiene ai morti) o non sono che una necessity alio scioglimento che si fa di tutte le parti sensibili a poco a poco, accid che si come passo passo si andd formando, cosi lentamente a suo disfacimento venga il composto: quindi le malsanie avanti le debolezze provengono d'anno in anno secondo il vigore e il temperamento che loro piii o meno fii conceduto da vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per ben mille sofferenze cagionate dall'ambizione o dalr avarizia si smenomano la vita loro, mal servendosi e consumando gli strumenti datine per nostra conservazione ! > E indi il nostro scrittore passa a discorrere degK altri mali, la poverty, la perdita delle facolt^, i disfavor! de' principi, le infermiii,, le servM, gli esilj, le ingiurie, le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la perdita delle provincie, e de' reami interi a' Re che giustamente li posseggono ; e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve la questione^ mostrando come cid non dal caso n^ da Dio, si da noi stessi molte volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del vivere, e come alcune cose che a noi sembrano mali,, Iddio a fine di bene ce le mandi. Convione pero dire che R. scendendo a parlare de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo stoico, per dirla pi^ conformemente alia quality della £ua dottrina, troppo mistico, sicch^, a m,o' d' esempio, discorrendo della poverty e del suo contrario, la ricchezza, mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa come germe e fondamento di felice tranquillity, troppo invero questa dispregi e condanni, sbagliandone Tabuso con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori dispensati sovente a' men degni, e de' dispregi a chi invece onori avrebbe meritato per le sue virt^. La provvidenza divina, dice I'autore nostro, die alI'uomo i mali, e lo sottopose al dolore, in quanto intendimento suo si fii quello di renderlo perfetto e agevolargli le vie a scuotere il giogo dei sensi e si indurargli sotto quello dell' anima razionale. Adunque il dolore patir si pud, ed ^ dono del prowedere supremo; con cid sia cosa che a gloriosi trionfi ne mena, la sicurezza e la liberta ne conserva dell' animo, e ne fa esser gli uomini sopra gli uomini, anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori agli Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis quo antecedatis deum : ipse extra patientiam malorum est : vos supra patientiam. Iddio per renderne degni di sua alta beneficenza, perfetti ci vuole negli atti della ragione, in cui sopra gl' irrazionali privilegiati ci ha : e gU uomini di virtii bramosi, anticipatameate apparecchiandovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti essere esposti e si aspettarseli, per conseguire i doni dell' onesto e la turpitudine viziosa iscansare. L' infelicity, in qualunque modo ella ne accada, la pill fedele maestra si d ddl' adoperar ragionevole ; perchd essa e quel fuoco onde si alluma la luce, quasi che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e rendesi degno degli infiniti beni della Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato, il Rucellai s' intrattiene a discorrere del dono della ragione e della liberty, che il Prowedere etemo ha fatto agU uomini, si che essi si distinguano dai bniti, e per ultimo riepiloga contro Epicure gli argomenti gi^ espressi, sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel mondo. E nella prima questione egK definisce la ragione alia peripatetica, e com' egli dice, vendendo le descrizioni per definizioni, e gli effetti per le cagioni, imperocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso, molto meno si pu6 giungere a sapere quel che sia la ragione di cotanto piii pregio e piii sovranamente prodotta. E indi lungamente discorre della malizia cui la ra gione raffina, e de' mali usi che di questa fa Tuomo; e mentre questi acerbamente condanna il Bucellai, come prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo dell'Etemo Prov veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre glare, o tenere in non cale; e conclude con V aggua glio del sole dicendo r o per varie vie si disperdono? Qual colpa la ragione ci ha, se fluttuando per furiosi turbini di violente pas sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e confiisa si rende la cognizione del vero? Perch^ accagionare la ragione, se le varie facce che ci si volgono davanti de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo strano falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi negli oggetti che noi miriamo? Non i raggi della ragione, ma si la materia ov' essi percuotono, trasforma sua purissima luce in variati colon; onde quello che per s^ d lucido e puro, torbido, o si vero di tinte non sue colorato rassembra ? E perch' essi da luce proven gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione ne rendouo, ma s) rea distinzione e mentita, che abbaglia e delude in noi V elezione, rivolta i talenti in malizia, seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere quel che non d; ond' ella allettata da immagini false, ivi si studia di giugnere, e si adoprando astutamente il male^ perfeziona le qperazioni viziose: per la qual cosa Marsilio Ficino, corona della patria nostra, disse divi namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda lumen reddit opacum, facUque colorem ex lumine, sic corpus circa animam reddit ex inteUigeniia sensum. Non h dunque colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem pre chiarissimo, ma di noi che tortamente il guardiamo^ con frapponimenti che ingannano e insozzano i suoi riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non per suo, ma si per nostro difetto. II sole, dice il prefato autore, trapassa di presente per la chiarit^ de'cristalli, che non parano, o rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed opachi si ab batta, inetti a imbevere la luce, voglionci replicate pcrcussioni de'raggi suoi, che pria gli riscaldino, ac cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai vivificanti deUa ra gione umana, ch'6 pur favilla della divina, per la purity e.trasparenza degli organi intemi, passano agevolmente a {ax lume all'occhio dell' anima; ma se le tenebre de' sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene fiannosi loro innanzi, non perdono que' raggi loro luci dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o il lume della ragione dall' occhio mentale smarriscesi, poi ch6 esse gliele tengono, o vuolci tempo e atti iterati di loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, liquefacciano e si consumino quelle grossezze, anzi ch' e' passino a rendere sinceri all' anima gli oggetti dell' immaginativa e veridica V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s' insinuano si di leggieri per la durezza e asperity della terra, n^ anche ^ colpa della ragione se suo' lumi trovano I'opacit^ degli affetti che gli ribatte, e si presta loro I'imperfezione de' suo' inform! aspetti, per falsificame la luce. Impercid, signor Elea, la colpa tutta e di noi, e V uomo quando usa bene la ragione, e I'ottimo di tutti gli animali, quando male, e pessimo di tutti. Che poi I'usino pochi per lo nostro naturale iucitamentode'sensi, non d colpa della ragione, n6 cid si dee apporre al j)rovedimento divino: ma noi proprii ne semo i colpevoli, impercio che la ragione n' 6 data, accio che I'uomo, come buon villano, il campo del cuor suo diligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi e quello che mal cresce, ricida; e con imperio d'animo debbia governare tutte le corporal! parti; se cid non adempie, d! lui fallo si ^. non del dono della ragione, n^ del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si vagliano di tal beneficio. Con tutto che tant! e tanti scialacquino i patrimonii, perde forse merito lor padre di cotanto utile lasciato loro? Quanti sono che, volendo far male, giovarono altrui, e ben lor nacque ? e come non si dee saper grado di cio a' primi, cosi n^ meno averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa d'un principe, che di una alcuna nobile e salutevole vivanda regalo ne facesse, lamentare ci volessimo, perch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposizione di noi medesimi, o pe'rei condimenti, onde cucinata I'avessimo. Elea. Non hanno colpa i principi se di qualche loro grazia male ci venga, perch^ essi saper non poteano che cid ne dovesse accadere ; ma il provveditore etemo non puote scusarsi di non antivedere le cose avvenire. Era dunque migliore, o non darci la ragione, o si levarci Y elezione dell' operare, che damela per male servircene. > E con questo si scende a risolvere Taltra quistione importante del libero arbitrio dell' uomo, ch.e, appunto dal malo uso ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso, o in quelle ferree di una cieca ed irrevocabile necessity,. Difende R. la liberty d' elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono tra gli animali quaggiiH, perch^ e ragionevole appunto, e accorda questa liberty colla predestinazione, invadendo cosi, mi sembi^a, un campo che piii che suo, 6 di teologizzante, mentre invero assai debolmente ragiona della liberty in s6 filosoficamente considerata. In sostanza la predestinazione puossi invero accordare con la liberty, purch6 si badi al concetto di questa medesima predestinazione. Ch' d ella mai inf atti ? Iddio in cui il passato e il futuro s' immedesima nell' eterno presente, non puo, umanamente parlando, non prevedere ogni azione dell' uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se non che quell' idea di tempo che nelle due parole s' inchiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e nella successione del tempo ; ond' 6 che la liberty umana in nulla rimane impedita; imperocchd non perch^ Iddio prevede che I'uomo determina, impercid egli determina; ma perche I'uomo 6 per determinare di suo arbitrio, inipero Iddio, che ha cognizione infallibile, prevede ; c e, se 1' uomo fosse per determinare il contrario, Iddio previsto 1' avrebbe, si come colui che errar non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della determinazione 6 libero, ancor che Dio lo preveda; ma r atto dell' esecuzione non ^ libero, e perd Iddio o il permette o lo predetermina o toglie ch' e' non awenga, perch^ cosi predetermino. > Ond' ^ che Iddio pone Fanima razionale per entro la corporale materia, accio che la parte inferiore alia superiore ingaggi battaglia, e con questa gli nomini da per loro prodi si facciano contro gli empiti degli appetiti espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo ci6 ne' sentimenti piii che umani di Pittagora e di Plato, i quali col barlume della natura nell'infinita beneficienza di Dio ragguardando, ben si awiddero il merito della sublime condizione deiranime non esser merito bastevole per lo godimento di quella; e si da questi astri immaginati, ove secondo loro Iddio le teneva in serbanza, con la viziata natura della materia vile mischiandole, le lasciava in suo arbitrio, accio che col divino talento della ragione sapessero di proprio volere i vizii vincere e far si che i sensi servi fossero e instrumento della ragione, non questa instrumento di queUi; per lo cui merito o le stelle piCi luminose o' Campi Elisi per lor felice magione dopo morte assegnarono ; ma, altrimenti oprando, da' corpi umani la trasmigrazione davano dell' anime in que' delle bestie i cui costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero. Imperciocch^ la ragione non d essa il merito d«' beneficj divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli farsene. E perch^ pugna forte la natura della materia corporea contro a' dettami della ragione, n^ Iddio vuol per miracolo perfezionar la materia, quindi nasce il libero arbitrio in si fatto contrasto di due contrarj stimoli, il, quale, dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria: e perch^ a nostra imperfetta natura sono piii i vizi che le virtudi conformi, non volendo Iddio fame oprar bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non sarebbono appo di lui, ne viene che il minor numero se ne approfitti: e per6 la ragione nulladimeno d prowedimento sovrano datone a dar regola al nostro libero arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne vagliano. Adunque il farsi meritevole de' beni di Dio non in aver la ragione consiste, ma nel volerla spontaneamente adoprare, potendo fare il contradio. Imperf. — In somma ell' d una proposizione molto difficile a intendersi questo libero arbitrio, com' egli stia collegato con la predeterminazione di Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con piii chiarezza. Cid che sono per deliberare ed eleggere gli uomini, il vide Iddio ab aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo, no '1 determind; il predisse, non V ordind. > E indi R. combatte la necessity che gli stoici affermano darsi nel nostro acconsentimento, che non altrimenti spontaneo sia ma risultante dalle cagioni antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti che ad agire ne stimolano dimostra col senso comune, e coir esperienza, esser bensi cagioni prossime e particolari, non principali ed universali, e come lo acconsentimento e la deliberazione nasca da noi si come il principle del moto alia trottola il d^ chi la tira, ma il volgersi in giro per merito si ^ di sua propensione e figura. E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo soggiace senza che quelle contrarii il libero arbitrio di questo. Fato, il quale non d che volere divino, pare al Bucellai che nominar si debban le morti repentine, e ogni e qualunque altro accidente nel qual cagion prossima particolare non si ravvisa che a quella innanzi ne disponga, ma che immediate e all' improwiso dalla cagione universale discenda, laonde niuna libera determinazione di nostro ai:bitrio luogo ci abbia. E riepilogando, il nostro filosofo dice, cadendo poi nel suo solito probabilismo : Per la qual cosa a ragione fu chiamato il fato; inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decreturn, quod singula 5wo ordine loco et tempore firmiter reddit. E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas omnia videndi, sciendi^ et gubemandi indivisa stipata et uniter juncta ; ma il fato lo pongono partitamente nelle cose particolari: la provvidenza ^ in Dio solo locata, e a lui solo sta in petto: il fato h il decreto e resecuzione di essa applicata alle cose speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle cose discende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato, si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity al tempo: Providentiam rerum omnium jundim esse fatum per distributionem singtdarum? Seriem nexumque eausarum in ordine in loco in tempore. E di queste cause si prevale secondo lor virtii o dote data loro da Dio. Pendentem a divino consilio seriem ordinemque causarum chiama il fato Pico della Mirandola. Ma le cagioni seconde 1' adopera per quel modo ch' elleno usate sono di adoperarsi, e percio delle libere determinazioni nostre mosse dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, secondo che bene o male deliberiamo; il cui effetto segue o non segue secondo la predeterminazione divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o irragionevoli, abbiamo il merito e il demerito. Che iraperd per divino provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male regolati la virtii o il vizio ne risulta, quantunque non se ne adempiano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente favellando, la predeterminazione e prescienza delle cose col nostro libero arbitrio coUegare si puote, cui la ragione soprasti ; e perd non n'^ data indamo come altri vanamente si presuppone. Elea. — Oh quanto malagevole si 6 il poter fermare ci6 con tutte quante le argute ragioni addottene dal nostro Magiotti, autenticate eziandio daU'autorit^ di grand! uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma in somma poi non provano! Mag. — Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che quantunque non rintendiamo possa essere anzi abbia del verisixnile che si fiatta coUegazione si dia, e che noi non giunghiamo a poter provare il contradio; impercid che chi 6 colui che osa senza forza di manifeste dimostrazioni contradire a' proprj sentimenti ? II libero arbitrio noi ce '1 sentiamo in noi da per noi : che gli effetti poi di esso dipendano da piii alta cagione, cio eziandio n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e continuato sperimento. Come dunque volere affermare che tale collegamento non ci abbia? Adunque acquietamci, senza negare o affermare sopra il modo come e'si sia col nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che nulla io so : che d'intorno a qualunque cosa noi non intendiamo per lo piii vero e indubitabile d' ogni scienza che sia. > E col riassunto delle probability ragionevoli intorno all' esistenza e al provedere eterno di Dio, si compie questo trattato, eliminando sul bel prime 1' opinione di Epicure che la speranza e il timore siano i due fattori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir meglio, riducendo questa proposizione al sue giusto valore, che e la speranza e il timore di Dio, il quale nolle opere sue e nell'arte sua divina si manifesta, non sono da fantasmi o da immaginazione. E conchiude il Magiotti : E il signer Giovanni Nicheo Dalmatino, che sopraggiugne, abbiam visto in principio della Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi cerca altri argoraenti sull' esistenza e prowidenza di Dio, e •come dope aver detto che grandiose segno di tal verita si ^ V universal consentimento in tale credenza, che equivale a un dettame di natura, si rifugia in argomento di teologia rivelata e conchiude : Al che tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ragion di loro, chiuse le ali, si riposa timorosa e tranquilla, come Colombo, nel nido securo di una religiosa credenza. II detto di Socrate e quelle di Tale to. — Fatti interni: psicologici e morali. — Nosce te ipsum. Dell' anima in generale. — Galileo. t presunzione voler comprendere quel che Taninia sia. Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rncellai alia parte morale. Qui e aristotelico.Riepilogo. — Laragione ed il scnso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima, della fortuna e del sense. — Apprezzamento di essi. La vera scienza morale e il timore di Dio. L' anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e, pero, di Tirttj. Anche qui R. e mistico. — Operazioni delr anima e della volonta. Errore e dubbio. Buono e reo. La vera felicita. — iJ la vera virtu. Stoicismo. Aristotele. A^irtii cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle virtu. — i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa. Doveri. Divisione di essi. Cicerone. Sentenza esagerata intorno le donne. Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso per il regno della natura sensibile, e per il regno della natura divina. Accompagnato apparentemente il Kucellai dalla voce di Socrate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due regni, ma le ragioni delP esser loro non impard con certezza, si discopri col lume incerto dell'intelletto come probabili, perche la loro certezza solamente la fede ci manifesta, e il probabilismo (che infine non d se non uno scetticismo) razionalmente fayellando, si fu la conclusione delsuo lunghissimo esame: probabilismo e scetticismo, io ripeto, che come per incanto tramutossi in evidenza, allorch^ V autoriU divina sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi raggio di sole, penetrando disciolse. Or la guida del Eucellai muta, e come Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V ufficio di condottiero per Dante a Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare della coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^ luogo, perche serva di guida al Filosofo nell' esame dei fatti interiori, psicologici, io dico, e morali. In un modesto preambolo accenna egli a tutto cio; e nella Villeggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il secondo de' quali diviso in 31 capitoli, discorre della psicologia e antropologia, molto imperfettamente per 6, si che non ha importanza, abbozzo piii che discorso, 6 percio anch' io spendo poche parole in compendiarla, per quel tanto che al mio ufficio sodisfi e non piCi. Badare, egli dice, agli antidoti contro le malattie deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si consegue anzi tutto, conoscendo bene s6 stessi. Nosce te ipsum; conoscendo cio^ intieramente gli organi nostri, sede delr inteUetto e dell' altre potenze dell' Anima, e imparando a tener bene d' accordo i due movimenti contrari sotto le leggi del dovere. E cid, applicando pure la scienza della Natura a correggimento dell' Animo, affine di conseguire quella felicity espressa in quelle parole : E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva e ragionevole, giova dire le opinioni che in antico si ebbero della sede di queste potenze, cio^ della natura delr Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima vegetativa, indi della sensitiva, e per ultimo della ragionevole, ossia dell' anima in questi tre aspetti diversi. Poscia il filosofo si propone di far riflessione siccome rUomo per mezzo dalle quality eccelse dell'anima deve istruire s^ stesso neUe virtii morali, per conseguire il bene perfetto, che spesso in oggetti onninameirte ad esse contrari noi andiamo cercando. D disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede con discorso naturale della mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo ^ problema a s^ stesso; ogni sosprro, ogni movimento, ogni pensiero, ogni volizione 6 un complesso di fatti che TUomo produce e che avendo in s^ del misterioso vuol sapere di essi il perche. L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli compie degli atti agevolmente, ma quegli atti li diresti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore grandezza, la lore portentosit^ ! Egli si vuole conoscere e ne ha tutto il diritto. E *a che sapere delle cose che lo circondano, se ignora Tessere proprio? Ei vuol saper com'^, chi ^, dov'^, dov'andr^; ^ ben naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di scienza, di amore, di infinite, se poi, come a Tantalo, ella dovesse formare a me uno strumento d' un eterno martirio? A che fomirmi di tanti organi stupendi, di tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio volere in me stesso tanti abili ministri di arte e di ingegno; a che questa ragione, questo volere, s'io son condannato come un organismo di cera a restarmene immobile, o, come macchina, a muovermi senza sapeme il come e il perche? Oh! dunque rUomobisogna conosca sd stesso, il sue corpo, la sua anima, le facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun che. Questa sentenza del conoscer s^ stesso e adunque la base del verace sapere. Obbediamola, e, guidati da essa, studiamoci. L' anima, lo abbiamo veduto, ^ di piii sorte; quindi conviene vedere prima dell' anima in generale. II Galileo interrogato che fosse quest' anima naturale, rispose : non lo so. Tutte le definizioni date dagli antichi suir anima si accordano a dire che essa ^ un movimento. Ma pero il movimento ^ un effetto, dice il Rucellai col Galileo, e resta sempre a sapersi quel che r anima sia veramente. Chi produce questo effetto nel mondo? chi ^ I'origine di questo moto universale? Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo etemo colla materia, sibbene dee ritenersi eterno con Dio ; ^ egli dunque Dio stesso, che 6 anima dell' Universe, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo? fi presunzione il rinvenire se questo moto sia veramente r anima del Mondo e percid dobbiamo starcene quieti a quello che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non andar pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi della verity, va a caccia della bugia. E qui invero si ferma R. quasi scoraggiato della ricerca, per passare all' esame di cid che si vede, e di cid che si tocca, cio6 della fabbrica esteriore delrUomo, osservando come dalla fabbrica dei diversi ingegni e deUe varie maestranze degli organi dei corpi che vivono. argomentare si puo la quality delle anime che quelli informano ; sicche giovi discorrere della notomia, non ad uso della medicina o physice, come avrebbero detto gli scolastici, ma si all' esame delr operazioni dell' anima sensitiva e della ragionevole, cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni a'quaH son formate quelle parti e quegli organi, e 1' ordinamento loro sotto il regime volontario dell' anima umana o ra^ gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il Rucellai i pill dotti Naturalisti del tempo, e soprattutto il dottissimo medico di Firenze Rodrigo de Castro, il quale fii autore del libro SuUe Meteore del corpo Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malincuore, ch' io gli risparmi la descrizione di questo trattato, che del rimanente non contiene in s6 altra importanza tranne quella di essere basato sulle cause finali e d' essere informato al principio universale delr ordine e della proporzione. E questo ^ tutto quello cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 R.; poco importante, come ognun vede, ed imperfettissimo, e che era forse per lui un abbozzo di un lavoro pii compiuto e a cui come ad altri manco al filosofo nostro 11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come quello che merita piii, di intrattenermi con alquanta maggiore larghezza sul trattato delle facolta interne e morali, nella Villeggiatura Tiburtina compreso, che quantunque imperfetto ancli' esso, pure per natura sua e all' obietto nostro giovevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il Proemio, pubblicato dal signer Fiacchi, come ho avvertito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene risottoporlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM oltre a designare in esso quel che intende contengano i suoi dialoghi sulla morale, d come uno specchio fedele della qualita loro e del sistema, ed agevola la strada alia critica nostra. Pboemio alla Villeggiatura Tiburtina. Per modo che fatta questa pausa di parecchie ore di tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni alia vista e alia mente quell' ammirabile opera dell' Onnipotente mano di Dio con le indefinite specie che ne giungono a un tratto agli occhi e alia fantasia di si varie e leggiadre particolari sue creature, che tutto il corpo universale del mondo con si stupenda consonanza e armonia compongono insieme. Per lo che alio scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di cose, che annoverare e distinguere non si ponno in un' occhiata sola, e di si diverse tinte e lumeggiamenti, onde si scorge tutta la terra colorata e distinta; chi non rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse di giorno in giorno per lungo corso di anni osservate e vedute, e perdutone con I'uso quotidiano degli occhi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6 intervenuto a me stamattina su lo spuntare dell' Alba, in questa nostra uscita per andarcene a Tivoli da Nemi partendoci. Perch^ al primo raggio lucente, che in un attimo si distese con 1' illuminazione della terra e del cielo dall' uno all' altro orizzonte : io non potetti far di meno in quel subito di non rimanere strabilito da tali e si maravigliose bellezze, che mi vennero di presente a ingombrar le palpebre come di cosa nuova e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente a piii subUmi e piii nobili considerazioni. Impero dunque quantunque volte meco pensando riguardo alia lucidezza del cielo, e alia vaghezza della terra, io rinnuovo subito tra me stesso le usate riflessioni avvertendo con quante diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti vari colori da essa dipinto venga questo nostro Emispero, variato per ben mille vaghe maniere di lumi e d' ombre. Vagheggio con sommo diletto quante positure difformi vi si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti che lo disagguagUano nella rotondit^ sua: osservo di quante maniere sia divisato da una banda di boschi verdissimi, dair altra di amene campagne, e di campi aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri; scorgo dove acque nitidissime che a guisa di tante vene serpeggiando e correndo lo irrigano, dove Tampiezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora ad ora con tempi ordinati alle prode; e insomma innumerabili differenze di cose che in qua e 1^ disseminate si mirano; le quali avvegnachS per difetto della capacity nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur tuttavia elle sono ordinate e disposte con ammirabile simmetria dalla madre natura e da colui che la guida. Laonde se 1' ordine altro non d che una composizione di pill cose insieme adattate e accomodate a' lor luoghi prescritte con sommo e alto sapere dall' opportunity dei siti, e da' tempi in che esse s' addicano, e se bellezza e compiacenza veruna de' sensi nostri dar non si puote senz' ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spiacevole, per6 spiacevole e brutto si ^ peych^ ^ disordinato ed a caso; confessare pur mi conviene che nella confusione di si leggiadre e dilettevoli composizioni e disposizioni, ordine maraviglioso e misura e propoBzione vi sia, comecch^ da' vostri occhi non se ne discema cosi perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie ed alte maraviglie, le quali noi in viaggiando con la considerazione godiamo stamane ; mi si leva eziandio con gran diletto il pensiero alia contemplazione delle altre cose belle, le quaH presentemente non ci si rappresentano all' occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle diversity* de' pesci del mare con tante dissimili figure, e co'lor proprii colori; delle bestie della terra d'indefinito numero, che niuna si rassomiglia alia sembianza dell' altra, e '1 simile degli augelletti svolazzanti per r aria ; ma che direm noi della maestria industriosa per la quale con si differenti e si minute fabbriche e ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e quali picciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di essi con finissimo lavoro, ciascuno a varie ed ammirabili operazioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga a un tratto preso dalla beltade e leggiadria delle donne, che creature ragionevoli sono, facendo reflessione con qua' proporzioni corrispondenti di vari lineament! si bene innestati insieme sia formata una faccia delicata e gentile? e con qual tenerezza e delicatura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e con che elegante artifizio fuori dalle labbra con dolci moti balenando un riso aggradevole, I'alme ammalii con soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali scappando in un attimo dalle loro ardenti pupille ne feriscono i cuori e 1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma contempliamo altresi la variety dell'effigie degli uomini, la robustezza delle membra loro con si nobile proporzione scolpite dal Maestro Sovrano, e la destrezza e la dispostezza in tutte quante le azioni, e il valore che avvezzandosi egli acquistano per combattere talora e farci stare ogni piti temuta fiera? e finalmente tutte quelle cose che la natura di miracoloso ha in essi locato sopra g? irrazionali anche nelle parti corporee. Per guisa che se Y uomo solo e per natura e per dono di ragione dilettasi e conosce quel che 1' ordine sia, e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte le cose visibili e apparent!, appagandovi entro la reflessione, il che non dimostrano di conoscere n6 pigliame alcun diletto gli altri animali; e se cotanto maravigliose cose noi risguardiamo nelle parti che hanno gli uomini a comune co' bruti, e nelF artifiziosa composizione degli organi loro, fatti apposta dalla natura per le operazioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno architetto ; di quanta maggiore ammirazione c' ingombrerem noi se trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio alr animo, cio6 da' miracoli delle cose che si veggiono o che veder si possono, a quelle che si fanno entro a quegli organi per oi)era di ragione, e che dall'intelletto solamente comprender si possono? Molto piii avremo diletto e consolazione senza alcun fallo nella bellezza, nella impermutabilit^ e fermezza loro, e si nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni buone, nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e nei giudicj retti della porzione interiore dove consiste V operar ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell' onesto cotanto reputato da' filosofi, e per cui 1' uomo non a torto merita il nome di saggio. > Ora per quella maniera che i lineamenti del volto e le proporzioni delle parti corporee, e la loro convenienza insieme compongono quel vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e piacere cotanto il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti per r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa della ragione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli azioni, dagli atti dell' intelletto e dai lodevoli costumi trainee fuori 1' ordine, la simmetria e la bellezza delr animo di piiH eccellente perfezione senza veruno agguaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi savi anche di bello posero nome all' onesto, a differenza del suo contrario che essi addimandarono turpe, cioe deforme veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di modo che restiamo pure persuasi come nella stessa guisa che la bianchezza delle cami, I'oro inanellato de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore e la vivacity spiritosa di due nerissime piipille che ne passano da un lato all' altro senza accorgercene per mezzo del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e diligenti fattezze bene accoppiate, e disposte in un volto dalla natura spesse volte piu ad una femmina favorevole che all' ^Itra, son tutte cose che il rendono bello ed adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare con sommo piacimento e dilettazione da chiunque si sia. Maggiormente senza verun paragone dee muoverci e dilettare la candidezza della mente e de' costumi, la vivezza e '1 lume chiarissimo dell' intelletto, la grazia e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity et il decoro delle azioni che sono i lineamenti perfetti che forma il magistero accurato della ragione, e fa bella e ragguardevole un' anima, e rendela amabile e aggradevole e nobile e gentile e sopra tutte le altre in grandissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la vera bellezza che si appfeUa dai sapienti onest^, il che non pud fare giammai la bellezza di un volto corporale ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo vehemente de' sensi ; dove all' eccelsa maraviglia dell' altra con altrettanta violenza si risentono le parti superiori e le facoM piii preclare dell' anima,. cioe a dire I' intelletto, e la mente, conciossiache quelle bellezze che all' onest^ si appartengono, sono d' intera,^ e non corruttibile fattura; dove 1' altre caduche sono, e transitorie, e le riguarda solamente con dilettazione la porzione sensibile. > Ecco perch^ gl'irrazionali, che non hanno misure da cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello che il senso detta loro, e che e presente, n^ del passato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma I'liomo con la ragione intende alia conseguenza delle cose, a'principj, alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate paragona la simiglianza delle present!, e a queste appoggia r investigazione e la conoscenza dell' avvenire, e per tal via esamina e considera e quasi dispone tutto il corso della sua vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo savio s' immagina cha 1' eccellenza del bello con giusta misura sia collocato. Per tale attitudine e inclinazione a noi soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bramosia della cognizione e della scienza; e perciocche (come abbiam dimostrato sin qui) delle naturali operazioni, di quelle eziandio che tutto giomo da noi si scorgono e che noi adoperiamo o per diletto o per V uso del vivere, non ci e lecito o possibile di rinvenire i principj loro; n^ le loro speciali cagioni ancorche gli occhi nostri apertamente le mirino; a tale intenzione nel cominciamento de' nostri discorsi proposi quellasentenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi non potere ad altra scienza rivolgerci che alia cognizione di noi stessi, e di noi alia notizia di quelle porzioni che quantunque non si veggiano, si adoperano e regolansi da noi medesimi, e riduconsi a quella perfetta bellezza, che risplende viepiii e con pitl verita all' occhio delle nostre menti, che quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni soUecitudine neir investigazione del vero, intomo a quello ci driuscibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora, in quel buono cosi sublime, il cui esemplare, il cui ammirabil ritratto dalla Divina mente staccandosi, ne f u si altamente nell' anima impresso, cio^ il lume della ragione dalla cui accurata meditazione arrivasi con I'intelletto e con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto; prima a conoscere quale veramente e' sia, e vagheggiarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con I'esercizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne innamora quelr ordinamento si ben tirato di parti perfettamente locate a' lor luoghi della belta corporale onde sfa villa quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina PulcritudiQe; che dovrebbe operare in noi, a che amore, a che consolazione destarci quell' armonia si perfetta di convenienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il quale piil accertatamente nominar si puote non raggio solamente ma vivo e ben condotto ritratto di quell' originale eterno della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1' infinite e sommo sapere d' ogni altra sapienza in una perfezione unica e infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge qualcosa di piii alia bellezza corporea, dove la falsificazione e '1 liscio la sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e integrity de'costumi gentili e delle maniere con I'ornamento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili, fanno piii bella e pitl vaga 1' onesto dell' animo, e rccanle piti chiaro splendore che non fa la gloria vana e I'ostentazione e 1' ambizione, la quale eziandio con le dignita e con esso gli onori non meritati di piil alto grade adultera e guasta e corrompe i bei lineamenti delr anima. E qui rammemoriamoci per paragone delle belle giovani di Marino che non accattano i rossetti dair arte per farsi belle e leggiadre, ma serbano intatto quel finissimo velo di candide e lucide carni federate di rose, le quali non col cinabro o col bianco ma solamente coir acqua fresca ravvivano, a difierenza delle nostre bellezze di Eoma, che false si veggiono e dipinte co' lisci, e affatturate e guaste con V affettazione degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di quanto i' vi propongo, passiamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo onesto col bello, e rimarremo sicuramente convinti esser di gran lunga pitl leggiadro 1' onesto che il bello. Ecco: il bello e la bellezza dei corpi sono nomi universaK che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose, come s' 6 a tutte quelle tanto naturali, quanto fabbricate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli occhi di ciascuno a guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon solamente segue nel rimirare una vaga e bella faccia femminea, ma un cavallo o altro animale eziandio, che nella sua specie sia ben formate dentro alle sue debite proporzioni, le quali dal loro sesto naturale non escono punto n^ poco; il simile d'una bella pianta, d'una selva ben posta e ben ordinata, che vi diletta senza scorgerne il perche ; e infine tutte quelle belle cose, che noi abbiamo con tanto nostro piacimento ammirate, e nel tutto generalmente e nelle parti sue ciascuna da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo essere, bench^ ella sia parimente porzione della bellezza del tutto insieme : nel medesimo mode delle cose perfezionate dell' Arte il piii per imitazione della natura, belle ci convien dirle, e per tali celebrarle ; come delle pitture e delle sculture addiviene, delle fabbriche magnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre fatture ben fatte di mano in mano secondo la qualita loro e secondo I'ordine, la simmetria e '1 componimento speciale che loro s' addice per 1' uso a che elle hanno a servire, e per la mostra che elle hanno a fare. Ma nella stessa guisa che nella leggiadria e nella vaghezza delle opere della natura, noi ammirato abbiamo V alto intendimento di chi 1' ha fatte ; n6 piil n^ meno nelr artifizio e lavoro di quelle fabbricate dall' arte, non ci dimentichiamo di lodare la maestria e '1 lavoro di colui che meglio I'abbia sapute ridurre a fine: e come nel maestro della natura noi veneriamo Y infinite e onnipotente sapere le sue opere contemplando; cosi dobbiamo non tq,nto lodare la mano degli artefici, quanto riconoscere di essi I'ingegno e Tintendere che da quella infinita sapienza piglia il suo lume primiero, ed ammirare viepitl I'intelletto e la ragione di quelle che opera, che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo, non ^ veramente titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero anche la bellezza delle corporali cose non 6 attribute che propriamente a' corpi belli si richieda, ma all' intendimento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia ragione infusa nell' uomo, che 6 parimente cosa divina, se discorriamo delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e introdotto, ma per rispetto alia mente di chi con istudio e diligente applicazione lo conduce a fine; la lode che si da per usanza a una cosa bella non cade appropriatamente sopra la cosa, che riceve sua perfezione d' altronde, e non trae essa da sd medesima le sue prerogative del bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza che noi tanto commendiamo nella cosa bella, non ha essa il merito di esser tale, come I'ha chi bella I'ha fatta. > Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza dell' animo che la bellezza dei corpi? perch^ se questa dei corpi, la quale con iscalpello o altra manuale maestranza si forma entro materia grossolana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria dalla prima Idea deir Architetto, ha in se un non so che del Divino; quella degli animi che si perfeziona e adornasi di gentili e saggi costumi, di azioni e pensieri prudenti, e di atti tutti ragionevoli, quanto pitl veramente pud dirsi neir opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina, essendo 1' operante e 1' opera tutta insieme in s6 stessa della medesima condizione, e perd tanto piii maravigliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi; perche con la ragione, che e scintilla di Divinita, non si abbellisce materia vile e terrena, ma si purifica e si perfeziona un' anima, che ^ della mano divina creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura dalla belta dell' onesto, che sottraendola fuori dalle macchie fangose de' sensi corporei, nella sua prima divina sembianza la riconduce. > L' Onesto impercid da grandi uomini si distingue in due sorter Tuna consiste nella grandezza e eccellenza dell' animo che e bellezza vigorosa, e da uomo grande e di alti e generosi sentimenti dov' abbia modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta nella conformazione col dovere e nella moderazione, e nella modestia per cui rifulge la continenza, I'umilt^ e la temperanza che sono le virttl, le quali formano nella pill ben misurata proporzione i lineamenti e le fattezze di questo bello, che si chiama onesto. Con esso s'impara a non temere, per fare il giusto, di niente che sia; a dispregiare con fortezza le cose umane, dove iia di mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare se non il diritto, e deUberare con ottimo cuore e con ben ponderata ragione tutte le cose che s'hanno da fare e da dire, e da cui derivar non ne possa n6 pentimento proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce fuori da tutte le azioni umane quel non so che di vago e di maraviglioso che si chiama Giudicio, il quale puo chiamarsi la grazia e '1 compimento della beM deirOnesto; si come la gentilezza e '1 nobile portamento e '1 moto vivace degli occhi e delle membra, la grazia si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda nella bellezza dei corpi. Tutte quante le operazioni dunque giuste, ragionevoH e ben temperate dalla prudenza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid decorose e belle; come le ingiuste e fuori di ragione disconvenevoli, senza decoro e deformi. Per la qual cosa da dubitare non 6 che le virttl non sieno le piti aggradevoli ed ammirabili parti e piii delicate di quel belle che chiamasi onesto, si come i vizj del turpe e deforme. Ma per quel modo che la vaghezza corporale difficilmente dura e mantiensi senza la sanity e sejiza una ben formata complessione ; cosi la leggiadria e la belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V avvenenza dei costumi e del tratto e delle amabili maniere, di rado si conserva senza una buona e sana mente, e senza la robustezza di una ben ferma e retta intenzione ; percioc^h^ quel tutto insieme che noi scorghiamo nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo indizio (egli ^ vero) e la prima raccomandazione per giudicar poi con le debite riprove, che 1' onesto sia vera, stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia Fargomento pitl forte di si fatta riprova, e con piil prestezza si rinvenga, se 6 sincero quel non so che il quale spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o che abbia veramente Y eccellenza in s6 del bello e del maraviglioso che si richiede all' onesto, tutto consiste nell' osservare se il modo di contenersi in tutte le azioni sia al maggior segno differente dall' operare irragionevole; e di vero che quel bello che da noi si appella decoro, gravita e avvenenza di costumi, il quale lampeggia fuori del portamento d' un uomo savio, tira r appro vazione di tutti coloro i quali hanno nell'ordine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e de' fatti buon gusto, e tutto il compiacimento loro; per lo splendore e *1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tintelligenza e 1 giudicio si 6, e se cotanto si lodano e approvansi le attitudini e moti del corpo e la di lui dispostezza che vagUono alle azioni corporee; molto pill i movimenti e le attitudini ben regolate dell' animo che servono alle opere della ragione, nelle quali avvegnach^ tutti gli onesti uomini, come dicono i Franzesi per dar loro quel giusto titolo che meritano le persone veramente di garbo, non abbiano tutti i medesimi talenti, solamente che in ciascun di loro stia sempre ferma la mente retta, e invariabile 1' uso della ragioue, non si toglie loro la venust^ dell' onesto, non altrimenti che non perdono la grazia e la bellezza delle attitudini corporali quegli che in esse non siano abili alle medesime cose, imperciocch^ altri sono agili al corse, altri sono isciolti nel danzare, altri nel maneggiare un corsiero, e altri forti e robusti in varie operazioni della ginnastica; ma in somma qualunque cosa che noi adopriamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno coUe forze e con la destrezza del corpo ; ma fermisi insomma per proporzione infallibile e universale che 1' onesto ha per compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil sradicarsi, e dove non d virtii non d perfetta onesto, ma solo sembianza d' onesto. L' onesto dunque ^ bellezza vera, costante e incorruttibile, non solamente generica, ma particolare eziandio; percioccM e bella la virtil in genere, che d T aggregate di tutte le bellezze insieme deU'onest^; ma tutti gli atti virtuosi, ciascuna opera di ragione, e tutte le sue facolt^ da per se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti si appella; e insomma tutto quello che ci muove al dovere, che ci sprona al convenevole, e che ne indirizza per le vie dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che si chiama dai filosofi morali onesto, il quale d^ la forma perfetta agli animi nel modo che il bello visibile abbellisce le fattezze dei corpi; per lo che non reputo in questo luogo che sia alieno dalla materia proposta discorrere dell' utile il qnale, a' detta di molti, vien giudicato 1' opposto dell' onesto, che tanto s'^ dire turpe e deforme; ma essi scambiano i termini e nomi, perciocch^ quello che onesto non ^, utile non si puo dire, il quale presso gli stolti ha tale la sembianza per la cupidigia loro, che utile lo credono perch^ si studiano di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso sia a sd e al prossimo; perciocche oltre al male, che da essi altrui pud prodursi o col torre il loro, o col fare lor cosa che sia ingiuriosa o spiacevole, ridonda anche in biasmo e in inquietudine e in gravi pericoli di chi 1' usa e di chi lo cerca con aspettativa mal pensata di trame profitto, perch^ utility, vera e stabile dar non si puote, dove non sia congiunto 1' onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto; ne onesto si d^ mai che utile non sia. Ora facciamo un po' avvertenza, vi prego, in che grado stiano amendue 1' uno con 1' altro, e per qual maniera possano far lega insieme. Aflfermero primieramente con Marco TuUio, che il vero onesto con I'util vero sono in istrettissima confederazione, non potendosi trovar cosa effettivamente giovevole che onesta non sia. Imperciocch^ quello, che dagli uomini poco savi utile falsamente si presuppone, e quello che ^ veramente contrario all' onesto, non utile anzi detrimento e disutile nominar si dee. Erran pero colore che reputan questa sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti soveichi dell'amor proprio e dell'interesse, imperciocche dove sia cosa contraria al dovere, ancorch^ paia che metta conto di conseguirla, ci ^ la turpitudine, con esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v runa r^aniera che sia, perch^ senza 1' onesto util vero non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1' e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non perche egli e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponendosi tal nome e tal riguardo air utile che util sia congiunto col diritto e coll' onesta ; anzi 1' util vero degenererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il fine di quello si preferisse al fine delP onesto. E percid r onesto sola ne ha da indurre a operare senza far considerazione all' utility, se non secondariamente a voler che essa non isvarj e non s' allontani dall' onesto, il quale quantunque per nostre sregolate passioni e' ci paresse contrario al nostro utile, sempre com' egli d onesto, utilissimo si ^. E per ci6 niuna cosa ^ giovevole che non sia onesta, diceva Socrate, perch^ quello f:he onesto non e, non puo mai utile divenire, sconvolgasi quanto si voglia I'ordine dell a natura. > E quale utility si pud egli mai trovare dove si oscuri lo splendore e '1 nome d' uomo giiisto, e da bene? E chi ^ colui che recar ci possa tanto giovauiento ohe ci torni con to scapitare per esso la buona fama, la giustizia e la fede ? Perch^ s' hann' eghno a trascurare le cose giuste e oneste per acquistar ricchezze e potenze, che utile vero dir non si possono, qualunque volta perd elle non s' indirizzino ed esercitinsi a questo fine dell' onesta e della virttl, con le quali pill 1' operar ragionevole abhia lustro, e facciasi riconoscere quando le faculty e le grandezze sono rettamente e gloriosamente applicate ? Chi non ha questa mira nel maneggiare i beni della fortuna facendoli servire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi bestia, o in forma d' uomo govemarsi da bestia. E chiunque afferma che la cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria contravvenendo alia giustizia, possano util cosa chiamarsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire rimorso di coscienza o pentimento o dove sovrastar pericoli? Pud bene nominarsi padre della patria Giulio Cesare da' cittadini impauriti; perche egli non sar§, mai altro che un parricida. II comandare agli altri, che dee sostenersi su la base della gloria e dell' amore de' sudditi, come pud esser utile, dove in iscambio si vegga su '1 bilico deir odio e della mala fama ? Ecco la bella e gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a finire; rimase tra le coltella ucciso in Senato. Ecco dove termino la tirannia usurpata in Atene lor patria da' Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal valore e dalla sagacity di Aristogitone e d'Armodio. E per addurre esempi moderni, dove pard la grandezza e la potenza del generate Valdestain che non temeva di chi glieH potesse torre ? Si convert! in tradimento del quale pagd il fio in Egra con sua propria strage; e di si fatti casi e negli antichi e ne' presenti secoli ne raccontano in grandissima dovizia tutte quante le istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma vuol esser riguardato dalla stima dei saggi e dall' amore de'buoni, il quale solamente d giusta retribuzione dell' onesto; senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giammai, n6 utilita puo dirsi quello acquisto che sia giovevole ad uno e all' altro no; anzi anche le oneste cose disoneste si fanno, dove V utile di qualcheduno possa patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la parola, ma perde sua prerogativa, come cid porti pregiudizio a chi ella si mantiene; per esempio (come i poeti fingono) non fu cosa onesta che il Sole mantenesse la parola a Fetonte. E veridicamente parlaudo fu cosa fuori di tutti i termini dell' onesta, e giunse alia scelleraggine che Erode mantenesse la parola a Erodiade. Concludasi dunque che non si da onesto che non sia utile, nd util vero senza 1' onesto, rimanendo chiaramente persuasi che 1' onest§, sia quel nome generico che significa in una parola sola la proporzione e r armonia di tutte le operazioni ragionevoli, e di tutte le faculta ben guidate dell'animo; per quella guisa, che il nome della bellezza ne spiega con un sol vocabolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte le parti, di tutti i lineamenti d'un corpo bello; come di tutte le altre cose che piacciono nel genere loro ; e siccome da tutte le cose belle particolari ne risulta questo nome universale che beltade si appella; cosi da un ben misurato accompagnamento di tutte le virtii morali, e di tutti quanti gh atti virtuosi, si raccoglie insieme questo nome generale, che onesto si chiama; il quale vuol dire e abbraccia, si in genere, come in particolare tutte quante le beUezze delFanimo. Quello dunque che riguarda e s' aspetta in genere alia virtii morale, e alia sua perfezione dicesi onesto; e percio da questo universale potremo nella presente villeggiatura e nolle consuetegite che andremo facendo, potremo, dico, favellare della virtti morale, e delle sue -pit belle parti, esamingtndo i precetti e gli ammaestramenti di essa, che sono le pitl speciose prerogative della bellezza deir animo. Per questa via impareremo a conoscer noi stessi, e quali strumenti dati ne sieno dal Maestro Etemo per conseguire si nobile ornamento, pel quale noi ci sottragghiamo dalla sembianza di bruti, e ci accostiamo con la figura interiore alia simiglianza di Dio. > E un di pill far rilevare al leggitore come il nostro autore si mostri qui nella morale Peripatetico, aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non nel mediocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella giusta misura, oltre la quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfezione, ^ un trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo brevemente i quattro dialoghi intomo alia morale, per indi venire alia cons^guenza del sillogismo di cui abbiamo dato le premesse, o alia risoluzione del problema da noi posto in campo. Gli uomini, egli dice nell' argomento del Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa, sensitiva e ragionevole, di cui le potenze sono, memoria, intelletto e volonta. L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole. Sovente la parte concupiscibile c iraocibile, come ammette anco Platone, le quali ha dato in servigio della ragione, si trovano a contrast© coUa ragione stessa, e traviano la volonta ; e 1' atto, anzi che virtuoso, e allora vizioso. Imperocch^ la ragione fondi i suoi motivi suUa costanza dei beni, e stimi beni anco i mali preseuti, che pero menano a futura felicita; e gli appetiti invece si curino solamente de'beni presenti, guidino poi partecipino al male. I beni degli appetiti sono pure obietto della ragione che gl'indirizza a sano e giusto fine, subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e si diverse apprensioni della ragione e degli appetiti si deriva la contrarieta tra loro nel riconoscere il bene; onde secondo dove aderisca la volenti, formasi la virtil ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non che, giusta la sentenza aristotelica, dir si conviene come i beni sieno di tre sorta: beni deiraninna, della fortuna, e del sense. • E beni dell'anima si chiamano quelli che ritroviamo in noi, e che da noi stese* dipendono, come sono le virtii, e la retta intcnzione, i quali, come nel trattato della Provviderzo osservammo, non ci possono esser dati n6 tolti, se non da noi medesimi. Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati, e ci vengono tolti, come le ricchezze, gli onori, il pQtere; i quali son beni non veri e fermi, se non s' indirizzano a beni deiranimo e all'opre della virtii. Beni del sense, per ultimo, sono quelli che noi abbiamo a comune co'bruti, e solamente dir si possono beni, in quanto dalla natura si bramano per mantenimento del vivere e della propagazione e conservazione della specie, e terminano ciascuno col termine della propria vita. Nel resto i beni del sense, dice il Eucellai, sono d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni possono divenire, salvoch^ quando per abito virtuoso, vinti e mortificati tutti gli aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii, sentendone godimento eziandio nella parte inferiore. E nel V Dialogo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil vera e meglio fondata filosolia dell'uomo. E dove sta questa vera apprensione della scienza dell'uomo? Udite la risposta teologica e mistica che egli ne d^: Nel timore di Dio, imperocch^ appunto d intendimento della filosofia morale cristiana insegnare altrui operar bene e non far male, affine di conseguire la felicity vera che 6 il Paradise, e sfuggire il gastigo, la pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando aflFermavano il bene consistere nella felicity e nel godimento del sommo Bene. Or la felicity, non la d^ che Dio, e il timore e I'Amore di lui ci ammaestrano a viver bene per conseguirla, perche tutti quanti i beni veri dipendono da Lui. Initium sapientice timor Domini. Voi scorgete qui tosto il nosce te ipsum filosofico innestato alia religione, alia fede, e ad essa consegnato, perche non si diparta da quella via che deve eondurre R. alia meta prefissa. Intanto dalla cognizione dell' uomo, egli dice, e dei suoi istrumenti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa e sensitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la ragionevole. E quest' anima che per R., definendola, consiste in un moto continuo e ordinate che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo la somma di tre anime ; sibbene 1' anima umana ha tre doti, della ragione principalmente in s^ stessa, e poi anco quella del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui tutte quante le facolta e le potenze dell' uomo consistono. Dotata poi la ragionevole di libertgb, giusta quelle che dimostrd R. nella Prowiden0a, d infinitamente superiore, incomparabilmente piil perfetta deir altre due che ne' bruti si trovano, e per essa I'uomo e capace di atti virtuosi o viziosi di imputazioni morali, di premio o di pena. Imperocch^ il moto sensibile (Capo 3°, Dialogo !•) e il moto ragionevole dell' anima umana non vadan sempre d' accordo, e la vita morale sia soggetta a delle continue perturbazioni, nolle quali I'uomo ha dovere di obbedire al moto ragionevole della mente. Ha il dovere ! perchd 1' uomo ha questo dovere ? d' onde la legge ? Esiste ella questa legge che ha forza di imporsi a tutti gli uomini, con sanzione etema, infinita? II Rucellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non ritraesi un argomento che abbia valore di prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^ tradizionalista, pur senza addarsene: e mentre accenna a seguire il discorso naturale della mente, or con questo o con quel filosofo antico, egli non fa altro che commentare quel che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la ragione al servigio della fede. Cos' 6 pertanto questa mente al cui moto ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha significati diversi, ma secondo Platone, cui segue, 6 quella generale consulta e ricettacolo in cui sono comprese tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria, intelletto e volont^. La prima conserva gli oggetti acquistati co'sensi, i quali oggetti si porgono innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto ragguaglio. La ragione vi discute e giudica, e poi la volont^ in seguito a giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e concupiscibile, che inviano spiriti sottilissimi ma corporei a produrre i varj movimenti necessarj. Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ; in quanto da' sensi posson esser ad essa presentati gli oggetti imperfettamente o per vizio naturale. E, se non errare, pud rimaner dubitosa ed incerta; indi I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che venga scambiata per la vera scienza. Ufficio dunque della ragione si 6 di far in modo che 1' intelletto sia sgombro di passioni, n^ deve cosi subito, e come alia cieca, prestar fede ai sensi, fontana inesauribile di errori, a chi non esamini bene e non tenga come a salvaguardia quel detto di san Paolo: Video aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis mece, E, di vero, dalle facoM ragionevoli si discerne la differenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi quali atti secondi meglio riflettesi, e si pesa col giudizio il valore e la differenza dell' onesto e del dilettovole, e principalmente la diversity del huono e del reo. Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui il Eucellai si e proposto di seguire le orme, non stiano rispettivamente nel piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi; ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd immanchevole ; mentre tutti gli altri beni di quaggiii, lo dissero stupendamente gli stoici, ci possono venir meno, e a quella vera felicita, cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity, indirizzati a lor fini, di divenir beni ancb' essi. La vera felicita pertanto, checche ne dica Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe R. filosofo teologo, trova nel Paradiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non esclude R. con gli stoici che possano i veri beni godersi, operando secondo virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della ragione, e con gli abiti buoni e con tenere essa in freno gli appetiti siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo cocchio, E la virtu ottima che e elk mai? Risponde per lui Aristotile, del quale accetta la definizione non che le classificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per elezione che si contiene nel mezzo per Tappunto fra due estremi: il vizio e operazione dispregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro e che il ridurre la propria natura all' operare ragioBevole. Distinguonsi poi virtil primarie nell' uomo, o, come si dice, cardinali, e secondarie, le quali dipendono dalle prime. Le virtil cardinali, come per Aristotele, cosi per il Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La prima, secondo Platone, ^ la misura di tutte le altre, ^ V occhio diritto della morality, la vera scoria neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa con somma finezza tutti quanti gli oggetti che desiderare si debbono, o vero sfuggire. Ad essa si riducono. per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6 questa misura, stando in mano di lei il vero compasso proporzionale per il quale si misurano tutti i fini. La Giustizia dispensa suo diritto a ciascuno si degli utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo i gradi dei meriti, della dignity e delle virti\ che egli hanno, e questa distinguesi, come Aristotile e Cicerone fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la commutativa parla della dottrina del cambio, che, come afferma, toglie in massima parte dal Davanzati. La fortezza, che ne insegna sopra ogni cosa di superar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni e non temer di minaccie, n^ di rischi, nd di morte a pro della religione, della patria e della reputazione. La temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smoderata cupidigia, ed d il vero antidote contro 1' ambizione e contro I'interesse soperchio ; e tutte queste virtii primarie manchevoli sono, n6 possono esser vere virttl senza il concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro. E siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la mediocrity, che e difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra due eccessi, od estremi, ciascuna di esse virtii ha i saoi estremi in&a i quaU riseggono. Ed io li accenno, ma non mi ci trattengo. Estremi della prudenza sono, (pure secondo Aristotile) la malizia e la stupidita; della giustizia, 1' avarizia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity e codardia; della temperanza, gli estremi viziosi di tutte r altre. Dalle quali tutte, e in fra i rispettivi estremi di esse, discendono o stanno le virtii secondarie. Accosto alia prudenza, e come sue figlie, si trovano la perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon sense), 1' industria ; V astuzia, la circospezione, la sincerity, la segretezza, la fedeM; alle quali tutte comspondono vizj; imperocchd dalla circospezione sia agevole cosa cadere nel vizio della sospensione, della suspicacia, come poi e agevole dall' accortezza cadere nella astuzia in mal sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode, tradimento, irresoluzione, stupidity, taciturnity, finzione, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla prontezza nelrimprudenza o inconsideratezza. Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia sono: Liberality Parsimonia Beneficenza (Jenerosit^ Magnanimita Magnificenza. Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, divenendo Ambizione Ladrocinio Vanagloria Lascivia Superbia Prodigality,. Altre virtil secondarie Ragionevoli rimunerazioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana della fede e della speranza. La Parsimonia sta a dirimpetto della Liberalita. Son due atti virtuosi. Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia sono: Severity, Rigore da un lato, e Equity, e Misericordia da un altro. Eccessi di equity e di rigore. Tirannie Vendette GrudeltS, ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il Valore del cuore e della mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia Indolenza Furie Ferocia. Dall' altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la Pazienza ragionevole la Mansuetudine. Vi0j. Timidity, ViM Codardia. Al^e virtu seguaci della Giustizia. Costanza Fermezza — Lmpermutabilit^. Vi^ij. Ostinazione Pertinacia, Perfidia. Virtu. — Facility di cedere al dovere. — Piacevolezza del tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro — Modestia. Visj. — Alterigia, Vanagloria ec. Virtu. Emulazione. ViiSfio. Competenza Mormorazione Falsity Calunnia Superbia ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Temperanza. Veramente tutti gli atti virtuosi surriferiti accompagnano altresi la Temperanza, perch^ atto virtuoso non si d^ se la temperanza non moderi I'impeto naturale. Perd tra gli atti piiH confiacevoli ad essa sono da annoverarsi quelli che rattengono gl'impeti della concupiscenza o Fingordigia della gola. Virtit. — Castit^, Pudicizia Pudore OnestS, Ingegno Digiuno Astinenza Sobriety. Vi0j opposti. — Eccessivo rossore, e Libidine, Lascivia, Adulter)' e Ubriachezza ec. Questo per le virtiH in s6 considerate. Or siccome la virtCl solamente 6 base della society, umana, e n' ^ il cemento, bisogna veder di esse 1' applicazione nel consorzio civile, e discorrere con Marco Tullio degli Officj per la society, umana medesima. La quale d da natura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto gli Uomini per gli Uomini. E Iddio, poi, diede a tutti il libero arbitrio, accio niuno di noi potesse conseguir lui senza noi stessi, e senza 1' educazione cristiana, e senza gli ammaestramenti spirituali e senza i divini precetti, insegnatici da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli per la stessa maniera (aggiiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni niun utile o giovamento recar ne possano in verun conto che sia. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo questa, ne io so davvero dove e come si applichi filosoficamente il Nosce te ipsum! Proseguiamo : Gli ufficii, come Cicerone, divide il Eucellai in necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla provvidenza, i secondi dal nostro volere. Sono dessi differenti secondo i gradi e le combinazioni delle persone, e, al solito, si distinguono in doveri verso Dio, verso gh altri e verso noi medesimi, dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio sono necessari; il prime d di gratitudine, impiegando in cid le potenze tutte delle quali ci ha forniti, e conformando la nostra volenti a' suoi decreti, alle ispirazioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono pure doveri verso Dio stesso, i quali sono il fondamento di tutti gli altri. Accenna indi profusamente il Eucellai i doveri verso gli altri, i primi dei quali sono i doveri conjugali, sendo per primo la society parentale. E ricorda come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna, e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra essi rispetto, discrezione e compatimento ; e amare ugualmente i figli, come i figli amare, rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia scelta della moglie, ecco qui coaa ne dice il prete Magiotti, e che io stimo non inopportuno di riferire, in quanto che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna, si sia potuto e si possa argomentar sempre o comprovare il grado di civiM de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur ne abbiamo riscontro, etarei quasi per dire matematico. € Io son prete, (dice adunque il Magiotti;, e circa al prendersi mogli e mariti non me ne intendo e non oserei dame alcun mio parere, massime in concorrenza dei buoni consigli e de'giovevoli ammaestramenti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non mentovare il Laberinto di Messer Giovanni Boccaccio, il quale dalle donne ammartellato anzi che no, fu del povero compassionevol sesso troppo rabbioso morditore. Egli e pero bene aver per ricordo che al tempo d' oggi piii Elene si trovano che Penelopi al moodo; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL graziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia nella mente per le migliori; imperciocch^ se bella ed avvenente e' 1' ottiene, sembragli averla debita altrui e ch'ella non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in ornament! novelli, e nel rigirare il marito per piacere agli altri ; anzi, che peggio si 6, ella si tien per prudente, e vuolsi subito meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di alle novelle, alle contese, alle grida, e allora le par di esser saggia quand' ella non fa a mo' d' altri. Donna savia adunque, o di rado, o non si d^ mai, e tutto che con difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio avviso credo che sia se ha qualche specie in lore di Prudenza, dov' elle abbiano poco conoscimento, perche queste sono atte a reggersi, non si dando mai caso che elle sieno buone a reggere altrui; e nolle donne, ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna ne han r uso, che a tal fine definille un Uomo di senno, che la natura femminea 6 posta tra 1' estremo peggior delr Uomo e r eccesso miglior delle bestie. Niuno dunque si lasci svolgere cosi alia prima dalla vaghezza o dalla novit^ del soggetto, o vero dall' allegria e dalle solennit^ delle nozze, imperciocchd dopo il fatto non ci e rimedio, e cotali belle apparenze usansi ad arte, per far rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle fatiche perpetue e alia schiavitudine eterna del matrimonio ; anzi la natura medesima, per soccorrere in esse a mancamento del sesso e farle in qualcosa aggradevoli, le ripuli, le liscid, e raffazionoUe al di fuori, e si dono loro la grazia e gli altri arredi del bello; qualunque impero d tenuto a impacciarsi in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste di quel che sono le donne ; e del suo mestiere goda come per trastullo se la sorte gliela da bella, n^ s'inimagini, perche ella si chiami compagna, di poterne trar frutto d' amica, ma la consideri come soggetta, e per dolce maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e r aver la moglie di grossa pasta, e di scarso intendimento ; difettose insomma (si come io dissi) elle hanno da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole a sofferire i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone ne le mandi, ned' e poi il comportarle si malagevole, -atteso che donne elle sono, e tenere di cuore, e il viacolo di quando in quando matrimoniale rinnovella e rinfresca Tamore, e serve di buon condimento alle imperfezioni loro e ne addolcisce la noia. > Si occupa inoltre de' doveri tra i parenti e gli agnati, tra servi e padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperocchd r osservanza di questi doveri privati si riversi anche sul pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei sudditi, e de' govemanti. Intomo a' quali molto ritrae del platonico, e discorre con molta severitit tanto per i prindpi eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli uomini. Tocca infine i doveri per elezione, che tanta bene^ volenza conciliano, e intesse come iin piccolo galateo sulla data di quelle di Monsignor suo parente, e cui dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei modi e negli scritti. E accennato alia forza dell' abito, termina questo trattato della morale di R., imperfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^ egK prometta qui di discorrere in progresso de'temperamenti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia avuto o volenti tempo di dargli compimento, e d' emendare il gi^ fatto. Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del quesito, e a porre in tutta evidenza il problema di cui dobbiam dare la soluzione. Agevole a trarsi pur questa; imperocchd non trattasi di andar per il sofistico e il lambiccato : ma si da' fatti lampanti formulare il principio, e porre questo in attinenza con le condizioni generali e particolari del tempo, del quale lo scrittore ^ riverbero indubitato. La critica che potremmo fare alia teorica morale di R. si acchiude in poche parole; imperocchS sia manifesto che egli, piil che neUe altre parti della fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia ragione umana. Infatti egli trascura di porre in luce la legge naturale, di cui pur parlano si altamente gli stessi dottori scolastici, come san Tommaso, san Bonaventnra e il Suarez, per tutto sostenersi all'autorita della legge divina, cio^ del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo egli piiH ecletticamente che con ordine interiore di concetti, non sa bene accordare quel suo tradizionalismo con certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice la virttt consistere neU'operare secondo ragione: ma potrebbe osservarsi che quando la ragione non ha criterio di ragione in se medesima speculativamente, non pud averlo nemmeno praticamente. II Eucellai rende immagine anco su ci6 de' suoi tempi; ma in che senso diciamo tal cosa h bene sia definito. Le menti, a quei tempi, erano agitate dai dubbi, e il nostro autore dice in piii luoghi come i dubbi combattessero pur la sua mente. L' esame dubitativo fuor d' Italia condusse molti a terminare nel dubbio; in Italia colore che accolsero r esame dubitativo terminarono i piii nel riparo della Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i filosofi e i teologi non tradizionalisti, e che non accolsero F esame dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene; giacch^ questi ammettevano certezza razionale e verita preliminari alia Teologia, quantunque neUa Teologia ponessero il sommo della sapienza; invece i tradmoncdisti, come oggi li chiamano, alia ragione ricusarono la capacity di riposarsi nel vero e nel certo, che solo ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Pallavicini, il Suarez, san Tommaso, san Bonaventura con sant' Agostino affermano esser nella ragione la legge naturale del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda la legge Divina positiva ; il Eucellai, per lo contrario, parla di san Paolo e del Vangdo, e della legge naturale non tiene gran conto, bench^ aUa sfuggita Taccenni. SouMABio. Opportunita della critica. Importanza storica dei libri di R.. II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto imperfettamente. Perche. Quesiti da risolvere. II Rinascimento e le sue qualita. Scetticisrao. Tradizionalismo. Bruno. Campanella. Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e rAccademia del Cimento. — Metafisica galileiana. — Sommi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi. II Cartesio e 1' osservazione interna. Spinoza e Malebranche. Bacone. II sensualismo di Loke. — Eclettismo di R.. Suo probabilismo. Si provano riandando la sua filosofla. L’Accademia. Cicerone. La fede. Differenza tra' filosofi del Medio Evo e R.. Questi e il Galileo. Nel metodo R. apparentemente h moderno. Perche. Intende solo negativaraente Taforisma socratico. — Ed e semj)re probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. E pero riesce eclettico. Breve riscontro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell' universe, e nel Tim^o, — Platone, il Cristianesimo e Galileo. Cartesio. — Teorica della cognizione. Teorica del volere. — Liberta e fato, Stoicismo ed epicureismo. Libero arbitrio e predestinazione. Psicologia e morale. — II R. e Cousin. Aristotile. Platone. Stoicismo. Cristianesimo. Divisione delle virtti. Cicerone. AQUINO. La Scuola Epicurea e R. Teologia razionale. Platone e il nostro scrittore. I Padri. La Fede. Si conchiude che nello studio dei ' tre pbietti della filosofia R. e eclettico. La forma esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne' Dialoghi di R. sono i;n' ultima conferma della nostra Conclusione. n problema ^ posto, adunque, in termini chiari, fatta che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche di R. ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di risolverlo, e la via ci ^ molto agevolata; diro di piii, che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi raggiunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo. Imperocch^, riepilogando, noi ponemmo questo per principio, che R. specchiaVa in s^ Timmagine del suo tempo in Firenze. E ad esso volgendoci, lo vedemmo significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che periva sotto la mole della sua grandezza e un' et^ giovane e superbamente bella, che conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a tutte le potenze della nuova in opposizione fortissima. Ed io allora volli condurre il lettore all' esame della vita del R. e delle sue opere letterarie; e questo contrasto manifestossi, credo, chiaro al lettore stesso, come si era mostrato a me dopo la lettura diligente di quegU scritti dimenticati, o non curati a dovere. FilosoJla e autorita religiosa, gravity di discussioni scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche; purezza di stile e d' immagini, verbosity ed esagerazione di confronti ; timore soperchio di aver che fare col Tribunale dell' Inquisizione, e contro la Corte di Roma pagine sanguinose ; vita di cortigiano ossequente e rime e lettere contro la corte ed i re ; lodi della castita e verginit^ di Protettori e di SanfS, e scherzi equivoci e sonetti immorali; tutto cio nel R., come precisamente nella comune degli uomini del seicento, scorgevasi in quel trapasso dalla fine del Rinascimento alia Riforma, dal mondo antico al mondo moderno. Un eclettismo inconciliato nei costumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e R. questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure inumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e R. questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure in esso que' medesimi contrasti ; nondimeno, prevenuti, li notammo man mano, per guisa che, finito I'esame, supponessimo pur compiuta la nostra fatica. Ma se nel mio pensiero ed in queUo del leggitore questa conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^ necessario definirla, e in un disegno piil raccolto concentrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo osservato lungo la via ; in quel modo medesimo che un pittore, percorsa una vasta campagna, la raccoglie poi tutta su di piccola tela, senza toglierne parte alcuna alio sguardo di chi la voglia fedelmente conoscere. Non a torto pertanto (ce ne siam fatti certi) io comparai il nostro filosofo a un prisma, suUe cui faccie si distinguevano i molteplici raggi del pensiero del tempo suo ; e in che sta, per me, veramente 1' importanza storica di questo scrittore ; per guisa che ognuno il quale non lo consideri, giudicandolo, in tutti i suoi aspetti, b ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pittura destituita di valore, od almeno imperfetta. In questo ultimo scoglio sembrami, io lo dico coUa dovuta deferenza, abbia urtato il professore Francesco Palermo, 1' egregio ordinatore dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il quale di R. ha pubblicato con un lungo avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici dialoghi sulla filosofia naturale antica, e quegli altri sedici sulla Provvidenza. In quell' avvertimento, bello davvero del rimanente, d^ il concetto e il disegno deU' opera intiera, e la natura di essi Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal R., a buon diritto, il sapientis simo Socrate, come quello che ritomava le menti al r esame del mondo esterno e del mondo intemo, me diante il discorso della ragione, gli assiomi naturali ed i fatti sensibili, ond' e' poteva finalmente creare la fisica, e r Accademia del Cimento ingigantirla dietro le orme di lui, con Benedetto Castelli, il Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il Viviani, il Eedi, il Cassini e moltissimi altri, i quali, secondando la inclinazione del tempo coll' isti tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso fia del lore Maestro alle scienze naturali, le conferma rono Bulla strada di progresso indefinito, e le scienze universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo Galileiano, sviluppati ampiamente nei saggi del Cunento, accliiudevansi verity, profonde, le quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il concetto, il fine ed i mezzi di una filosofia che tutto comprende. Cio6, che riconosce le somme verity naturali nell' Anima umana; che adopra la geometria per raggiungere la verity ideale e reale, n6 trascura, anzi esige, 1' uso diligente della esperienza, e indi del ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6 spregiatrice, come molte iilosofie meschinamente altere, dell' autorit^., mentre la servitii dell' autorit^ stessa rigetta, e la vuole sottoposta essa pure all' esperienza ed al nostro giudizio. Ma la filosofia del Galilei e de' suoi scolari gene ralmente risguardava, giova averlo fisso, il metodo e la sua applicazione particolare alle scienze naturali: a che sticettamente questi si attennero. Ne con cid dire, io intendo negare contenersi nei libri del Galilei sparsa una metafisica, come lamentava ilLibri, il quale, nella sua storia delle Matematiche, si duole altamente del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi, inclinerei anch'io a creder davvero col Puccinotti (11 JSoem ed altri scriU% Tip. Le Monnier 1864), che valesse a vincere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^ dairAccademia Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Galileo che dimostro la necessity di dividere fisica da metafisica, e i Umiti veri deUa ragione, la fede religiosa nelle scienze soprannaturaK, la matematica nelle natural!. C!ome Platone, il vero ed il bello professd Galileo per una medesima cosa, nella medesima guisa che il false ed il brutto. E nella giomata prima dei DioHoghi dei Massimi sistemiy il Galileo comprese i sommi capi della Metafisica, che possono qui compendiarsi in due massimi corollarii, siccome avverte il Pucciuotti sopra citato. Prima. Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte infinite: la mente umana la piii eccellente opera di Die : in essa concreate alcune verity primitive, come preziose gemme nei loro incastri, la di cui luce, per il terrene abitacolo in cui ella ^ posta, § da velami e da caligini oscurata. La pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale, e parte disseminata tramezzo alle naturali cose. L'intelletto consegue con la intensivit^ i soprannaturali neUa lor piena luce per mezzo della rivelazione e della fede: i naturali, colla dimostrazione matematica; e onde con questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e costanza e pienezza veggano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo temperi e assottigli quanto piil pud que' velami e quelle caligini di falsity,, che partono dai fermenti e dalle passioni della sua materia: ed ecco il fondamento della morale, e il culto necessario e il merito insieme della virtii umana. Secondo. Per le verity naturali la mente umana procede allo'stesso modo, solamente traendone la dimostrazione, non dalla metafisica, ma dalle matematiche. Ch^ la geometria cammina anch' essa grandissimi spazi, e trascorre la vastit^ delle opere della natura, e contiene nelle sue dimostrazioni la necessity de' suoi veri; riverberando in certo modo e scoprendo quelle matematiche leggi, coUe quali Y etemo intendimento tempera 6 govema 1' universe. Ma la geometria, con le sue mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre a immense intervallo da quanto resta ancora a investigarsi ed intendersi nella natura: epperd si reca allato per sua aiutatrice e ministra la esperienza, la quale, tentando effetti e cagioni, e le attinenze lore, prepara la serie deUe probabilitS;, che la matematica disnebbia colla dimostrazione ; presentandole come verity e leggi natural! alio intelletto, il quale, ove le trovi rispondenti ai tipi concreati delle soprannaturali gi^ disnebbiate dalla metafisica, ossia dalla religione, e se ne nutre e se ne bea. Ma la moltitudine degli intelligibili nell' universe d immensurabile, e questa che il solo Creatore vede per numero, peso e misura in un sempKce intuito, 1' uomo non percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi e pericoli, di conclusione in conclusigne. Onde la necessity della modestia e della pazienza nell' investigare e nell'operare degli uomini, nel raccorre ed intendere le veritd, nella fisica del mondo. Comunque, il Cartesio animato come Bacone (cbe pel dispregio alle tradizioni incappd in alcuni errori) e Galileo daU'istesso desiderio di universale riforma, inaugurando piil precipuamente il metodo di osservazione interna, devesi a lui il compimento dei mezzi e gl' istrumenti per la vera filosofia, Tesperienza e la speculazione. La quale ultima per il Cartesio recata invero all' eccesso, chiuso il pensiero in se stesso, n^ riguardando piU alle sue attinenze reali, porto ad errori il filosofo illustre, e porse occasione a scuole diverse arbitrarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il Malebranche, in quella guisa stessa che dall' empirismo di Bacone scoppid il sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio dair esame, e per esso istitui un metodo, e indi tento un ordinamento generale di tutte le scienze; se non che, ponendo il dubbio non solo di ogni istruzione ricevuta, ma pur anche del valore delle fiacoM umane, eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' algebra e della geometria de' suoi tempi. CONTI. Lo si deduce chiaro dal suo discorso sul metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico che la Francia abbia prodotto, spinto dalla filosofia cartesiana, o meglio dalla parte negativa di essa, il dubbio, si rifugid nel misticismo, e con esso la sua filosofia, ond' e' ritornava alle intuizioni Platoniche, e preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini. Tali erano i principali sistemi che allora signoreggiavano il mondo della filosofia, disputandosi il primaU) deir autorit^, e tra loro contrastandosi. Orazio R. ebbe cognizione di tutti questi elementi, da' quali esci faori 1' et§. moderna: se non che non dotato di molta vigoria di speculazione, o per formarne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo filosofare or I'uno or I'altro seguitd riuscendo eclettico, e per5 speculativamente scettico una seconda volta. Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la sostanza della critica, con la quale io do termine a questo libro. La filosofia di R. ammette, lo vedemmo, una prima divisione generale per rapporto al metodo; ciod negativa e costruttiva^ e si nell'una come neU'altra non esce il filosofo da' termini del probabilismo, egualmente che la seoonda Accademia, guidata da Filone che fu il primo neoplatonico di Alessandria; la quale riconoscendo la natura assoluta del vero, ammetteva solo come verosimili le dottrine che ne derivavano. Ad illustrare la qualitit filosofica di R., si prenda in esempio Cicerone. Questo grand' uomo in alcune parti della sua dottrina sembra tenere dell' Accademia Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura del mondo e di Dio afferma con probabilita anzichd con certezza. Ma le probabilitli di Cicerone si ristringono alle determinazioni di problemi che il Paganesimo e 1' estremo corrompimento e infiacchimento della filosofia greca ai suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone non pone in dubbio mai 1' evidenza dei supremi assiomi della ragione ; non in dubbio mai la veracity del testimonio della coscienza psicologica e morale; non in dubbio mai la validity del metodo dialettico e logico; n^ in dubbio mai la conoscenza che Dio e, ed h distinto dal mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge naturale eterna e i doveri e i diritti che ne derivano. Ma R. non fa come il GiureconsultoJRomano; egli se ne sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del probabile, e ritiene essa, la ragione, non potergli dare di pill. E, lo ripeto, questo h naturale; imperocchd nello svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire che fra tante autorit^ opposte, la mente di lui si sentisse quasi smarrita, e che egli, come molti altri, dubitasse della ragione appunto, perch^ si palesava con sistemi tanto contraij, e si rifuggisse nella fede del sovrannaturale, sostenendo incapace la ragione a farci conoscere la verity. Gontro i sofisti, pertanto, ei ripete ed accoglie qiial principio di metodo la proposizione socratica; ma non sa derivarne, come Socrate, il suo mondo intelligibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare, perche sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di Platone; ma si contenta di meno assai, sapendo bene di sapere per fede, che egli stabilisce come unico fondamento di assoluta certezza, con tal divario nell'intendimento da' filosofi cristiani o dottori del Medio Evo ; che, cio6, mentre essi ponevano la filosofia come preliminare certo della teologia, sicchd d' ambedue si faceva un' unica sapienza, accordando la ragione colI'autoritii (Vedi Beductio artium ad Theologiam di san Bonaventura, e le prime questioni delle due Somnie di san Tommaso e il Gerzone De octdo); R., invece, dichiara la filosofia seienza dei probabili, che delle ultimo ragioni, alle quali conduce, possiamo sempre comecch^ sia dubitare. II R. poi h moderno apparentemente nel metodo, la osservazione, la induzione e 1' esame per fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del vero. Galileo suo maestro osservava, provava, sperimentava, induceva, riprovava nel mondo dei fenomeni, e creava cosi la fisica ; e diceva sapientemente : il tentar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e abbatteva V alchimia e quel castelli incantati d' ogni sistema a priori ; riconduceva la ragione al suo posto, e facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose, dove temerariamente se n' era salita, la riakava nel fatto, poicM nell' ordine stia la grandezza e la perfezione degli esseri. II R. batte la strada del Galilei, ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il metodo, ma a qual fine ? con quali intendimenti ? Per arrivare con Galileo alia certezza naturale delle cose ? Mi sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filosofico contenga la risposta genuina e sicura. Notisi frattanto, o meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, R. protesta di voler affidarsi alia sua ragione, di volere starsi all' esame dei fatti sia esterni che intemi nel suo discorso filosofico, e di non accettar ciecamente la autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che non si deve formar giudizj sopra quelle che pare a noi, ma e'fa mestieri esaminare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asserisce a ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione delle cose, e non nell' affidarsi alia sola Sbuiorith dei Maestri ; che d percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati giudizii a favore piiH d' una che d' un' altra opinione, sia d'Aristotile, o di Platone, o di Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione fa in noi grandissima forza, anzi iegli d molto malagevole lo spogUarsene, quando ci si 6 fatto r abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', cotitro i Sofisti). II lettore vede che qui tutto in apparenza precede direttamente ; che il filosofo, nel metodo esteriore, ^ seguace del Cartesio e del Galileo, oh' egli e insomnia un moderno. E, voglio avvertirlo, non intendo chiamar filosofo moderno chi d' ogni autorita e sprezzatore, imperocchd allora bisognerebbe non fosse piil uomo, essendo pur essa, I'autoritii, un elemento essenziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh altri fecero getto di quella ; chd anzi studiava il nostro matematico e Platone e Aristotile, e da tutti, siccome Socrate, avea ambizione di intendere, e I'autorM ragionevole di essi fomivagli sussidio a conoscere la verity. Se non che R., che professa di seguire queste onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si diparte. II suo metodo ed il suo esame non 6 che un istrumento per la vittoria della fede. In che modo ? Gik prima di porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la nmana e la divina, ha determinato in mente sua il punto preciso a cui egli vuole arrivare, non per teoremi razionali, ma secondo la fede soltanto; e guai altrimenti, con tanta sfiducia in che e'tiene le forze della ragione ! Egli ha detto : — Queste sono le verity inf allibili di nostra fede, alia quale io mi piego interamente : la umana ragione, pud ella, nel suo procedere, condurmi alle medesime verity ? riesce ella a darmene una riprova certa o soltanto probabile? Esaminiamo!— Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo per* scoprire la verita, come per il Galileo, per il Cartesio, e pe' filosofi moderni ; R. questa verita nell'ordine degK enti la conosce per fede; il suo esame razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o anche 1' accordo di questa con la fede; ma in lui e palesemente la preoccupazione di mostrar coUa ragione la impotenza della ragione a dame certezza, per concludere poi a favore della fede che la certezza pu6 venirci solo da questa, e che si accordano con essa le massime probability razionali. In un tal quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi di R. al Saggio del La Mennais Sulh Indifferensa, ed in un altro rispetto ne dissomigUano. Qual somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare, come R., la impotenza della ragione a faxci conoscere con certezza la verity, certezza che solo vien dalla fede. In che la dissomiglianza ? 11 La Mennais afferma che la nostra ragione da s^ sola si contraddice di necessity ; R., per contrario, afferma che la ragione pu6 giungere a dottrine piU o meno probabili, e, come probabUi, in armonia coUa certezza della fede. Che la ragione non si reputi capace da lui di giungere alia certezza, egli lo mostra da cima a fondo ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia naturale, e nella morale non arriva colF esame e colla riflessione che a ragioni probabili piii o meno. Orazio Bicasoli Bucellai, la sentenza socratica quesf uno to So che nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio scetticismo ; in quella guisa medesima ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socratico in tutta la parte de' suoi Dialoghi, la quale si comprende nella Villeggiatura Tusculana, che pur le dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente sperimentali fisiche, non professa guari come certe, ma come tra le probabili le piii probabili, sulla scienza del Mondo, e, come tali, da non escludere che altre in progresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il Timeo di Platone, cosi nel trattato della Frowidenza^ che chiude la Villeggiatura Tusculana, ei si restringe sempre nel solito probabilismo, quantunque parlando del Provvedere eterno, o dell' Arte divina nel mondo, mostri credere fermamente ch'ella esiste ed opera in esse ; ma le ragioni ed i fatti ritiene nient' altro che come barlumi di quel vero, il quale per la fede religiosa sfavilla alle menti che credono. E molto efficacemente della liberty egli discorre, facendo tesoro degli argomenti recati in campo da'piH reputati filosofi in sostegno di essa; ma con le riserye consnete della Seconda Accademia, e considerando la ragione come regina se non spodestata del regno intellettual/B dell' Uomo, pur di ben misera autorit^ e ginrisdizione sovr' esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd di evidenza per lui, Bicchd per esse la ragione ritorni sovrana, e siano del sapere i primordj sicuri. Nelle morali verity poi lascia egli quel suo metodo dei probabili e afferma con sicurezza ; ma queste affermazioni non procedono da evidenza di ragione, bensi apparisce chiaro che esse procedono dalla dottrina del Cristianesimo intorno ai fini soprannaturali, ed ai precetti per conseguirli ; tanto che le dottrine platoniche, aristoteliche, ec, servono solo di raflEronto al catechismo. Questo sia detto pel metodo della filosofia nelle opere di R. ; su che io stimo aver discorso bastevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha avuto occasione di fare da se, con qualche ampiezza, de' Dior loghi filosofici di lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile persuadersene, che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclettico, e pero dit mano di nuovo alio scetticismo, riproducendo cosi pure per la centesima volta le condizioni del pensiero in quel secolo, ed espirando inalterata I'atmosfera filosofica del suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre punti cardinali, a dir cosi, del suo filosofare dovevan condurre»R. all' eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy certezza per la fede ; secondo, cdmputo delle razionaU probability in sostegno della fede; ter^o, esclusione delr autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare, secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche non avendo R. piena fiducia nella ragione, escludendo le particolari autorita dei filosofi, doveva naturalmente ridursi a cercare i dati del suo cdmputo di probabilita nelle opinioni varie di tutte le scuole, tentandone un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure e Cartesio, Galileo e il Tradizionalismo, tali erano le scuole principali che disputavansi il terreno in quel secolo. Lo abbiamo veduto. II R. ve le trova, ne apprende gli intendimenti, ne tenia un accordo; diro con frase piil viva, e che il lettore mi consentir^, ne immagina una confederazione, con a capo, perche sfiduciato della ragione, la fede. II R., pertanto, che ritraeva in tutto del sue tempo, in cui la forza speculativa degl'Italiani era svanita, e non lievemente svanita, di questa vigoria di speculazione non era pur egli a dovizia fornito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto e generoso, a formar ciod questa sintesi, e comporre un' armonia si sovrana. Era dunque inevitabile che in queste armonie tentate ei si smarrisse, riuscendo invece a una fantasmagoria di accordi, cioe ad un eclettismo di quei vari elementi, di quelle dottrine diverse, e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio scetticismo, poiche r eclettisrao sia di questo una forma particolare. E dico cid, distinguendo le intenzioni dalla essenza speculativa d' un sistema. L' eclettico, per le intenzioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole opporsi alio scetticismo: ma e scettico speculativamente, giacch^, negando che la ragione abbia potuto mai produrre con un criterio intrinseco suo, una dottrina non esclusiva di sostanziali verity, crede che la filosofia si divida tutta in sistemi particolari ed erronei, dal cui ricucimento possa derivare la dottrina plena, o almanco la dottrina massimamente probabile. Indi apparisce chiaro che, quantunque V eclettico dica valersi d' un criterio interiore od anche della coscienza, principalmente si vale di im criterio esteriore o storico; poichd altrimenti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non impugnerebbe la tradizione della filosofia vera, n6 la porrebbe necessariamente divisa in brani od in sistemi erronei. Va bene che lo studio dei sistemi giova, bensi come aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd, forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro, gli eclettici ban torto dicendo che tutta la storia della filosofia h una storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli insieme. Anche il tradizionalista nelle intenzioni sue e dommatico, ma h scettico speculativamente, poich^ non ammette razionale certezza. Le quali cose ho volute notare per la natura del mio soggetto, a far vedere cio^ che, filosoficamente considerato, R. partecipa dei dubbj del suo tempo, e che egli cerca rifugio dai dubbj dommaticamentenel tradizionalismo, eniditamente nell' ecclettismo. Qual'^ infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si espongono le dottrine de' piii antichi filosofi intorno a'principj universali della natura, e che formano, ho detto, la parte negativa del suo filosofare, R. non acr cenna ad alcun sistema suo particolare intorno al principio materiale dell' Universe, e solamente riducendo al nulla e destituendo d'ogni valore di verity tutti quei sistemi ritornati a vita dal Rinascimento, intona, pud dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci accorgiamo di leggieri come egli in quelle pagine stesse distingua bene, del pari che Galileo e la scuola moderna, la scienza metafisica dell' universe stesso dalla filosofia naturale dalla fisica: progresso grande, invero, questo;unperocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e presso i Peripatetici formava parte integrale della filosofia la fisica. o filosofia naturale, diversa assai dalla scienza metafisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica di Aristotile e di Platone, intendendo essi questa appunto non come scienza tutta di esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia nel senso che le diamo oggi ; vale a dire la scienza dell' ordine mondano in relazione colPanima umana e con Dio; sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse. Comunque, la confusione della fisica coUa metafisica era in que' secoli giunta al colmo, cagionando que' conflitti e quelr eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili, ognivolta gli obietti loro per natura ed essenza distinti si mischiano. Ed i fisici che volevano farla da metafisici, ponendosi a ricercare nell' ordine degli enti esterni le leggi che governavangli, presumevano trovarne apche i fini, invadendo per cotal guisa il terreno della metafisica, con indicibile danno della scienza e del suo stesso incremento. Ma R., riconoscendo tutto cio per la benefica influenza delle dottrine e del metodo Galileiano, sfugge i pericoU di queste confusioni peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per obietto di studio 6 d' investigazioni alia fisica, la quale intende ne' termini stessi del suo maestro, riprovando nel fatto del suo scetticismo, e del senso negative con cui in questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella naturale filosofia architettata a priori o con induzioni ed esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da alcune scuole del tempo suo. Tantochfe del medesimo Platone ei rigetta le opinioni intomo alia formazione del Mondo, come quelle che non si fondamentano sulle solide basi relazioni di dipendenza dell' una parte dall'altra, e implicitamente combattuto 1' errore di quei che V uomo dicono operare in tale e in tal modo, col tale o tal organo, perch6 ha quell' organo, non perchd questo I'abbia avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto capitalissimo nel quale R., pur non escendo dal suo probabilismo, segue la filosofia modema, n^ cade nolle negazioni che delle cause finali si era &tto prima di lui, e si faceva anche al suo tempo. Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe recar qui nuovamente le parole del nostro Scrittore, dove di queste ragioni finali delle cose tutte dichiara la sua credenza. N6 stard guari piii oltre a ricordare come R. ancora dissenta da Platone che ammette r Anima dell' Universo, mentre si adopera a scusarne r errore, e a conciliare tal dottrina, interpetrandola benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con quelle religiose della Prowiden0a. Come il lettore ricorder^, R. passando in rassegna i yarj sistemi antichi della filosofia naturale, pose avanti il concetto che Platone ayesse potuto intendere di assegnare al mondo per anima sua la luce, che per Galileo ^ a tutte le cose frammista, ed e la estrema espansione della natura e in essa tutto risolversi di tutto cid che 6 nel mondo con la rarefazione. N6 di cid abbiamo osservato esser pago il Kucellai, che nel Timeo si fa varj altri quesiti intorno a quanto di diverso dal fin qui detto potrebbe immaginarsi aver Platone opinato suUa natura delP anima universale, come, per esempio. se abbia potuto creder esser quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal primo supposto piglia le mosse a confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi reputati filosofi del suo tempo, da'quali toglie gli argomenti probabili in difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle cose inorganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da considerare i fini della creazione, si domanda se per anima dell' universe Platone possa aver tenuto I'amore, come quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose che per il loro difetto dal loro ordine deviano, e, libero, le creature ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i supposti spiega affermando che Dio non si deve confondere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi anima in un corpo ; che Y amore puo, ma non come essere vivente, ritenersi per anima universale, sibbene e Dio stesso, h il suo amore, o lo Spirito Santo, il quale, virtii vivifica, e legge impermutabile infinita ha valso air ora della creazione, e varra in perpetuo. E a questo sense crede R. poter ridursi, cristianeggiandolo, il pensiero del filosofo greco, della cosmologia del quale ricorda alcune sentenze da cui puo arguirsi che 1' amore abbia egli considerate se non come 1' anima intera del mondo, almanco come il fiore d'essa, che consiste nel medesimo; quell' amore che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec, 20 altro non 6 nel suo concetto divino che la provTidenza, o lo spirito che di s^ tutto riempie 1' iini verso. E quest' accordo tra Platone e la fede in tal subietto palesemente dimostra aver tentato R. ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali abbandonandosi spesso a mistici voli, si compiace rinvenire questa profonda armonia tra il precetto di fede e il pensiero del filosofo pagano, il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii d' ogni altro nell' errore della gentility avvicinossi all' idea vera di Dio e de' suoi divini attributi, quasi davvero gli si fosse in parte svelato. E per concludere sull' opinione di R. intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi del come egU applichi le armoniche proporzioni aU'anima dell' universo, e in qual modo, altresi, riconosca I'importanza delle matematiche nello studio di esso, e quanto potuto abbia su di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in brevi parole sodisfare a quest' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro scrittore, discorso delle matematiche, esponga neUa sua verity r applicazione che 1' Ateniese fa di esse aU'anima Platonica, senza as^entirvi, non ammettendo Tanima universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza geometrizzante divina, il numero, V armonia, dia lode a Pittagora, Platone e a Galileo che fecero base dello studio del mondo le matematiehe, e continui la tradizione perenne, chiamando con essi la scienza delle quantity Vabbkcl di ogni sapere. E come Platone, cosi R., che ne illustra il Timeo^ dall'anima universale passa a discorrere del1' anime razionali e della loro immortality. II lettore ha tenuto dietro all' esposizione di questi argomenti, n^ vale qui, anco in succinto, ritornare sopr' essi pid. Certo, il nostro filosofo, ritagliando pur qui dalle teorie platoniche sull'anima tutto quello che alle dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti di Flatone sulla natura ed immortalitS; di quella accetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi del Ficino e de' neoplatonici del secolo decimoquinto, e anco del Cartesio, contemperati da quello che la fede cristiana ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili assorgano alio splendore della certezza. Ch^ col lume della ragione solamente nelle prove dell' immortality dichiard anche qui nmi esservi da aspettarsi mai prove convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot-trina, percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre molte verosimiglianze e probability. E dove dell' idee parla, tenta (lo vedemmo) un accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la mente umana e le idee innate del Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1' opinione aristotelica, tornata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo intelletto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza sottoscriversi alia teoria della reminiscenza nel sense platonico, ammette invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro del come cid avvenga, e anzi reputi questo un mistero, nel tempo che Platone ammette chiara e determinata la cognizione delle idee eterne. Non esclude la relazione obiettiva di queste, e accostasi alia teorica delle idee secondo il Cartesio, temprandola col suo neoplatonismo, e combatte il Gassendi, non escludendo per6 quel che gli sembra contenere di buono, fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e un po' di 1^ si puo venire a un terzo ripiego di verosimiglianze. E in fatti ritiene come probabile che Iddio creando ranima e infondendo in essa il lume delle idee, queste per la nebbia del corpo e de' sensi yengano ad essere alquanto nel loro fulgore offuscate, e i nuvoli della materia parino la vista all' occhio deiranima, per modo che anche da tal fatto del conoscimento imperfetto attuale delle idee e delle cose arguir si possa Tadempimento per noi del conoscere intiero in altro luogo che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che in questa teoria della cognizione e in quest' accordi e' non riesca ben chiaro a determinar cosa pensi ; e che il suo probabilismo assuma qui la qualita dell' esitazione e della incertezza, e che in questa e'faccia pur altalenare la mente del critico. Causa al certo non secondaria di tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben diverse dalla semplice erudizione, che mentre al probabilismo suo pud dar la quality di erudite, non vale ad aggiungere vigoria a quelle intelligenze spossate da' contrasti di si diverse dottrine. Che se dall' intendere dell' uomo passiamo al volere, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni obiezione della scuola epicurea e determinista, la quale niega la liberta umana, avemmo luogo di riscontrare anco qui il neoplatonico cristiano, il quale, facendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dalr antiche scuole fino a' suoi tempi a sostegno di essa si recarono, manifesta 1' ampia erudizione della sua mente da un lato, e dall' altro il suo intendimento di una sintesi delle opinioni diverse, come per esempio quella della liberty e quella del fato, lo stoicismo e r epicureismo, del libero arbitrio e della predestinazione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvidenza. Cio che preme di notare si d in primo luogo: che alle varie facolta dell' anima non fa corrispondere altrettante anime, e, come a- dire, giusta il pensiero platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva, radice della conoscenza e del volere ; sibbene pur ammettendo queste distinzioni, le considera come quality di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il corpo deiruomo venne formato. In secondo luogo: che il R. ponendo in sodo, con tutti gli argomenti pro7 babili de' quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, precisamente come Platone faceva, e la possibility per r uomo di tendere al conseguimento del bene perfetto e della perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene persuasi, e riandar col pensiero principalmente i due be'Dialoghi che nel trattato della Provvidenza si trovano, dove del dono della ragione, e della liberty e del fato discorre. Come in principio della esposizione della sua psicologia e filosofia morale osservammo, giova rammentarci qui esser questa la parte piil manchevole e imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente alr intendimento mio, che ^ quello di dimostrare il suo eclettismo, e V applicazione mancata in lui del Nosce te ipsum. Vuolsi avvertire qui come succedesse al Rucellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque siaperaltririspetti la diversita d'ingegno, d'inchnazioni e di successi dall' uno all' altro. II Cousin, cosi nelle sue Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti di Cartesio la necessity, dell' osservazione interiore o dello studio della coscienza umana ;sicche parrebbe ch' egli lo studio de' sistemi avesse dovuto subordinare a questo esame interiore, e al criterio della coscienza. Ma invece lo studio storico de' sistemi ^ V intendimento eclettico ed espresso del Cousin che reputa trovare in essi la integrita della filosofia. Similmente R. ripete il Nosce te ipsum di Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi si vale piCi eruditamente dei sistemi che non delr esame interioi:^. E come la interpetrazione negativa del questo io so che nierUe to so valse al R. d'impulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte dubitativa negativa delle dottrine cartesiane servi d' impulse al Cousin per il suo Edettismo. Ed infatti, lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^ cui il medesimo R. guarda e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua infallibile de' suoi ragionamenti, le verita della fede, egli non voltando le spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente di conciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione della virtii e nella classificazione degli ofBcj umani. Si pud dire anzi che egli non abbia fatto che seguir passo passo or questo or quel sistema e quel metodo; che il suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia piuttosto uno specchio delle sottili distinzioni di quelle virtii e di quel doveri, che Cicerone viene nei suoi libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in mente quali fossero intomo la morale o la teorica delr operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore e mallevadore della Legge morale. La qual legge, imposta al volere deiranima, da Platone stesso riconosciuta e per la prima volta dimostrata immortale, riducesi alia pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Archetipo sommo, ciod a conformare le nostre azioni alle idee, anteponendo all' amore dei beni sensibili quello del buono assoluto. La virtii d una ; ma comprende in se quattro elementi, che corrispondono alle quattro virtti conosciute da noi sotto il nome di cardinal!, sapienza (sofia), coraggio o costanza, temperanza e probity giustizia. L' applicazione della legge morale non gi^ alia volontS; degl' individui, ma a quella del popoli e delle nazioni, costituisce la politica nel senso di Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a s6 stesso, allorch^ distinti nello stato i tre ordini, ottimati o sapienti, guerrieri ed operai, questi faceva servi, non punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore, quando, per esempio, pigliando a massima che 1' utile non dev' essere un diritto esclusivo e che dalla society umana vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegittima, ne inferiva la comunanza dei beni e delle donne. Per Aristotile il bene morale ^ la felicitit, il bene assoluto e la beatitudine perfetta che comprende V attivit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' operare umano ^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa raggiungere la felicity, che ^ la somma dei godimenti. II bene finite non § che un accostamento al bene assoluto: desso bene s'identifica col fine, e perd la ricerca del bene e del fine si unificano. II mezzo pertanto di conseguir questo bene, ossia la felicity, § la Yirtti. La quale consiste nell' evitare i due estremi del vizio, come la vilta e la superbia, tenendoci nel giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or bene, ognun vede subito come la base su cui si fonda la giustizia d per Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone. Imperciocchd Aristotile parta dallo studio delrUomo e dei fatti sociali, e sia guidato, come Platone, dall'ideale del bene assoluto, ed essere divino; ma pero il suo ideale 6 il tipo perfetto della virtd, cio^ la beatitudine, che • comprende attivita perfetta e godimento i)erfetto ; mentre 1' ideale Platonico contiene r unita perfetta, assoluta, e percio il niodo di render giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl' intendimenti degli Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio nella sua SL deUa FUosofia) che ogni male ed ogni bene ^ solo apparente o relativo, tranne il vizio che d un male vero e positivo, e la virtii che ha in se un valore assoluto. La virtii ^ una sola, un solo il vizio, e tutte le buone azioni fra loro, come fra loro le cattive, sono equivalenti ; ma la virtti si esercita in quattro modi principalmente, colla prudenza, col coraggio o fortezza d'animo, colla temperanzia e colla giustizia; e dicasi lo stesso del vizio, le cui forme stamio negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti. > La virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata come il yizio (^ una conseguenza della ragione disordinata o pervertita, che non sa vincere le cattive inclinazioni, sradicare gli affetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici chiamato apatia^ nel quale 1' animo senz' essere insensibile, e pero libero da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa turbare la pace interna. Questa la mercede alia virtd promessa, questo il premio accordato al sofo o saggio, r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e agli errori dello stoicismo, che qui non giova rimettere in mostra, ognuno scorge nel sistema un germe di nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare in lui il sentimento della propria dignity dagli Stoici (s(^giunge il Paysio giustamente) portato fino all'orgoglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni menzogneri disdegna, e i inali pcggiori non cura, anzi disfida. » Si fractus illabatur orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del RuceUai, non che sparsi poi in tutti gli altri, precipuamente nel trattato della Provvidenza divina, noi ritroviamo predominare quest! tre sistemi da me riandati di volo, e del quali egli cerco, tolto da ciascuno il non buono, T accordo, subordinandolo sempre, s' intende, ai principj della morale cristiana che irraggia e vivifica V umana coscienza. Pone egli, con Aristotile, mezzo della felicity la virtii che sta tra due estremi ; con che non dee intendersi il mediocre, sebbene la giusta misura oltre la quale e un trasmodare. La ragione, egli dice poi con Platone, fonda i suoi motivi sulla costanza de' beni, e con gli Stoici stima beni anco i mali present!, che perd menano a felicity. E distingue con Aristotile tre sorta di beni, ieWAnima, della fortuna e del senso^ e che nel definir giusto la natura di quest! beni, e aggiunge quale tra essi costituisce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia morale che ^, dice egli, la pii\ vera e megliofondata filosofia deU'Uomo. La quale null'altro 6 alia per fine che il timore di DiOj in che sta il vero mezzo di conseguire la vera felicity, ciod il Paradise, che equivarrebbe al possesso del Bene sommo, assoluto di Platone. Qui R. segue addirittura le credenze religiose, alle quali vuol ricoUegati i sistemi di morale antica rivissuti ne' contemporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui parrebbe escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi fiate il filosofo nostrp vada ripetendo che la virtil dee esercitarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell' esercizio di essa debba Y Uomo ritrovare quaggiii la vera felicity. Pero quantunque R. abbia posto a fondamento della morale la libertlL umana, siccome vedemmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^ del percM della Legge morale ragiona, cbe ha fondamento nel divino e trae dalla mente eterna la sua forza, la sua sanzione : invece li pone come postulati necessarj e gia consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi, quantunque non manchi di distinguere tra legge divina e naturale, e tra naturale e positiva. Nella divisione poi delle rirtii e nell' analisi di esse e degli opposti loro, segue Aristotile, Cicerone e san Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo stabilire il fine della Society umana, cbe riconosce nel Bene comune, nell' utile coordinato all' onesto : ond' 6 ch' ei tiene per principal fondamento dell' umano consorzio e regolatrice degli Uffizj umani la giustimy e poi le altre virtii, cbe insieme a tutte le loro compagne secondarie definisce con san Tommaso, come quest! le avea alia sua volta definite con Cicerone e con Aristotile. E nel dividere gH ufficj stessi dell' uomo, segue il R. Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi non fa cbe ripetere in compendio tutto cid cbe il giureconsulto romano lascid scritto intorno a sifiiatto argomento, temperandolo sempre con 1' insegnamento cristiano. In conclusione, come nel tempo suo anco nolle questioni supreme morali riscontravasi un contrasto di dottrine, la platonica, 1' aristotelica, la stoica, la epicurea, la cristiana; cosi negli scritti morali del R. tutti questi diversi elementi ritrovansi in un singolare eclettismo riuniti. E bo detto ancbe la scuda epicureaj e non a case; imperoccb^ R. stesso non escluda che pure i beni del senso ordinatamente goduti sieno fonte di felicity, e mezzo al conseguimento del vero bene; nel che scorgesi tosto bensi la diflferenza tra lo intendimento Epicureo e quelle di lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi seguaci nei beni del senso ordinatamente goduti fanno consistere il vero fine della natura umana; R. tempera e corregge tale dottrina, restituendo a' beni sensibili il valore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di mezzo al raggiungimento del fine supremo dell' uomo, che 6, giusta Platone e il Cristianesimo, il Bene Sommo, Iddio. Proferendo questa parola, entriamo finalmente nei penetrali della teologia : esaminiamo brevemente se pur in essa il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo alio stile e a' personaggi de' suoi Dialoghi, avrd terminate. Come Platone, cosi R. riguarda Dio ente eterno, infinite, beato in sd e finalita suprema, nella cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a Dio la materia, egli, R., col Cristianesimo si scosta qui dall' insegnamento platonico, e professa Dio creatore ex nihilo, tomando poi con V Ateniese e Pittagora a considerarlo com' eterno geometrizzante, ordinatore e provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte divina che si manifesta nel Monde trae argomenti probabili dell' esistenza del supremo Facitore, non escludendo perd affatto la possibility della prova a priori^ quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' infinite argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sempre a cardine de'suoi ragionamenti le verity della fede. E nel passare in esame il trattato sue della Provvidenza, credo il lettore abbia veduto R. far tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro r Epicureismo, specialmente della filosofia de' Padri del Cristianesimo, sovrattutto dove discorre del mali e delr origin loro, dimostrando come di veri mali sia solamente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo e prowidente per sua natura, non possa essere origine di male vero ; mentre quello che a noi nella natura sembra male, o ^ limit e naturale delle cose, siccome la morte, e pero non e male in s6 ; ovveramente 6 del fatto, che giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine o Tordinamento, e in tal caso egli e questo un errore delle nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come vedesi, ha seguito Platone, e gli Stoici, e la tradizione universale cristiana. Ma per 6, ricordiamoci anco una volta, egli, affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere escire da' limiti del probabilismo, e di esser necessario lo starsi a quel che la Fede ce ne disvela, imperocch^ V uomo che colla sua ragione sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter Die e nel provarne la sua esistenza ; Cristiano nell' ammetterlo come Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni di ragione ; mistico e tradizionalista ne' suoi intendimenti e nel suo metodo reale, generalmente seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque R. nell' esame de' tre obietti deUa filosofia, V Universe, 1' Uomo, Dio, una seconda volta scettico filosoficamente, poich^ egli non esce dalr eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato) 1' eclettico, sfiduciato dal contrasto turbinoso delle opinioni e de'sistemi diversi, abbia perduto ogni stima nel criterio interiore della coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della verity ; ma pur bramoso di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel che gli pare sufficiente a ricostituirsela innanzi gli occhi, formosa piil ch' e' pud, affine di sottrarsi alia desolazione del nulla. Se R. abbia vissuto in un' et^ di contrasti, vide il lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale che raentre giustifica in parte almeno il suo errore, stabilisce il punto di vista importante sotto il quale si pud considerare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disciphne filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali il pensiero umano si svolge nelle vicende de' secoli. Un' ultima considerazione. Essa risguarda la strutturade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma esteriore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando anco in questa un triplice riscontro della verita del soggetto propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre dopo il gia osservato superiormente, riandare anche per capi, le condizioni della lingua e letteratura del tempo. Noi le abbiam presenti, e basta esaminare la forma esteriore e lo stile de' Dialoghi di R., perchd sia evidente la rispondenza tra le prime e i secondi. Qual' e infatti la forma de' suoi scritti filosofici ? II dialogizzare socratico, forma prediletta nell' antichita, risuscitata in Italia fin dal trecento dal nostro Petrarca. Quella forma preferita pur anco dal Galileo, siccome la piii acconcia a dar calore di vita alle dottrine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come esseri animati. II Eucellai, anch'egli ammiratore delle dottrine platoniche, e seguace almeno esteriormente del metodo di Socrate e del Galileo in quel secolo, oltre dettar le opere sue nella lingua volgare, predilige acconciarle a quella forma cosi semplice, come efficace, e che tanto bene opponevasi anco in cid al fare irto e disarmonioso de' Peripatetic! eccessivi e della Scolastica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli Averroisti), la quale, per cosi dire, gelava il pensiero in quelle forme secche ed incadaverite, e rendeva gravosa la scienza destituendola di ogni attraimento ; con che non vogliaino offendere la temperanza de' libri di san Tommaso, pur nelle forme sillogistiche. Imperciocch^ la scienza sia non un che morto, ed astratto, ma parlandoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo, della vita divina e delle loro relazioni, debba esser anzi supremamente viva, ed adoma di bellezza giovanile, perch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese, ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell' anima dell' universo che nelle sue poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo battere ad ogni istante di palpiti sovrumani e rispondere alle celesti armonie, e Iddio come sole intelligibile scaldare, fecondandoli, i germi preziosi di quella mente, dove sorrise perenne la primavera del bello. Orazio R. commosso da questi concenti divini, voile nell'opere sue imitare Platone e la sua arte; e, per dir vero, nelle sue platoniche descrizioni, nelr introdurre il discorso suUe diverse materie con abbastanza facility, e saper man mano socraticamente procedere nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua pur qui compariscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd tu incontri, per esempio,uninterlocutore che senzainterruzioniperprender fiato e per rompere la monotonia prosegue per lunghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una cattedra; e le immagini e le frasi ritraggono talora di quel colorito che i tempi seco portavano, come ho avuto luogo di fare osservare per le poesie e per le prose letterarie di lui. Con tutto cid la lingua d tersissima e ricca, e in generale lo stile allettevole e ripieno di pure bellezze : e ti 6 dato in questi Dialoghi ammirare delle voci preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere volgari di Monsignor Piccolomini, la genuina favella dottrinale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri. E la natura diversa de' personaggi adoperati dal R. e un' ultima conferma delle nostre persuasioni. Infatti basta a tutti ricordare chi pone a maestro e mantenitore principale de'suoi Dialoghi iilosofici. fi il Magiotti, un neoplatonico vero, e seguace delle dottrine fisiche del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente inclinato al tradizionalismo, per guisa che laragione destituisca del suo legittimo valore, e criterio supremo della verity professi solamente la fede rivelata. E gli altri poi, credenti tutti, fingono di tenere o da Epicuro, o da Cartesio, o da Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale precipuamente questi Dialoghi furono scritti,fa il Eucellai rappresentare la parte fanciulla della ragione sola, che cerca liberarsi dai dubbi che I'assalgano; dubbi che vengono passo passo fugati dagli altri coll' autorit^ di Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro argomenti probabili, per trovar quindi V intera pace deir anima nella certezza evidente della verity della fede. Come vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la natura del filosofare del Eucellai, il suo metodo, il suo fine, e dimostrano essi pure quant' io non andassi errato definendo la filosofia o il probabilismo filosofico del Eu cellai : un viaggio alia fede e colla fede per la natura e per la ragione. Concludendo, io dico che in quella guisa che nel consorzio civile del secolo XVII, pure nel Eucellai trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e delle dottrine, giusta che ce ne fecero testimonianza e la sua vita, e le sue poesie, e le sue prose letterarie e scientifiche, ed infine i suoi Dialoghi filosofici. Che percio egli vale meglio di ogni altro a rappresentarci il suo tempo, le quality costitutive di esso in Firenze, imperciocche mentre tutti gli altri, chi ad una piuttosto che ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piuttosto che un altro seguitava, o nella fisica, o nella filosofia; il Eucellai che chiude V eik del Rinascimento, tien dietro a tutti, e da tutti trae a comporre Tedifizio suo, i cui materiali concilia ecletticamente con la verity della fede che gli fa da cemento : e, altresi, perch^ questa conciliazione ha piil dell' accademico che deir intimamente speculative; speculazione, che salvo le scienze naturali, era molto fiacca a que' tempi nella sua patria. Sembranmi chiare le premesse, legittima la conclusione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia speranza di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio illustre Concittadino reso onore vanamente. II benevolo lettore che mi accompagnd lunghesso la via, non serapre, a dir vero, amena e leggiadra, giudichera : e il suo giudizio, qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sapiente e amorevole a nuove e maggiori fatiche, delle quali sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore* ai OTTAVB. ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di Toscana. Per un mazxolino di Fiori donatole il giomo di Santa Mar^herita dal Priore Orazio R., Quando lacrime sparge il di nascente Dal sen delPalba in rngiadoso nembo, Ghiare conche eritree del mar iremente Teti gli appresta, e le raccoglie in grembo. Poi spiega il Sol dal lucido ori'ente De'raggi onde si veste aurato lembo, E con alta virtii di sue faville Ragnna in perle Talbeggianti stille. Ma non tutte del mar Palta Reina Accolse in Bh le prezi'ose prede; Oh! a te di quella inargentata brina Tatto cosperso il bianco sen si vede, E 1 sol degli occhi tuoi le tempra, e a£&na In piii pregiate e chiare perle, e cede Quel cbe risplende con eterni ardori A te, donna reale, i primi onori. Or qual pegno al tuo nome in si bel giomo Bender potr6 d* ossequioso affetto? Questo di bianchi e casti fiori adomo Ficciol fascio odoroso al Regio petto Ahi non s^ aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto; Qual sotto a'rai del sol smonta e s'imbrana YergogDando di se 1' argentea Luna. Dun^ue h vano tentar I'alto pensiero, Che seguir non lo puo mio stato umile, Ma pur conMo troppo ardito, e spero Che lo mio buon voler non prenda a vile QuelPeccelsa bonta nota alFImpero, Che pur suole aggradir dono servile, Se un timido rossor purpuree rose In fra ^1 candor di questi fiori ascose.Si querela che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di morte, i sensi atterra, E gran parte di vita alPuom ritoglie, Che quasi dal suo vel Talma discioglie, E n'insogna le vie per gir sotterra. Sonno s* altrui dk pace, a me fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli occhi togUe, L^ dove amor del Paradiso accoglie II piii bel raggio che risplenda in terra. Ben a giusta ragion lagnar si vole Questo mio cor, ch^in preda al sonno oppresso Scorge in si lunga notte il suo bel sole; Se 1 Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui la fronda, si di lei si duole Che 1 batter gli occhi suoi fusse si spesso. Sentimenti amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier risponde, E i sensi del mio cor penetra e intende, Talor tra 1 sonno a consolarmi scende Fercbe tregua il mio duol non aye altronde. iDdi lace si pura in me trasfonde, Cbe quasi senza vel V alma comprende : Quantu e la su di bello, e come splende Quel Yolto in Giel che poca terra asconde. Dicemi: apprendi che caduca e frale Nel mondo ogni bellezza a morte fugge, E contro morte il sospirar non vale. Ogni cosa col tempo il tempo strugge, Ma se miri il mio ben fatto immortale, Non ha chi lo contrasti, o chi V adugge. Sentimenti amorosi secondo il concetto Platonico, che Dio creasse V anime particolari degli uomini dagli avanzi delVanima universale del mondo. Con eterne faville il sommo sole Suo divino valor nel moudo accese, E quelPalta ragion dal Ciel discese, Ghe spirto infuse a cosi vasta mole. Ma percb6 si belF opra adempir vuole, I preziosi avanzi in man riprese, E vostr^ alma gentil formarne intese Con divine virtudi al mondo sole. E se mille anni, e mille altri compose Spiriti accesi da si ardente zelo, Qualche raggio piu vivo in voi nascose. E 'n porgervi natura il mortal velo Tanta cbiarezza e leggiadria ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa e Gielo. Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio, Padre del Giel, che le beiralme accogli Quasi figlie smarrite entro al tuo seno, Dall^ atre nubi a lucido sereno Teco r inalzi su gli empire! sogli, Dal tenebroso carcere ritogli La mia, cli^e mai si presso a venir meno, £ di questo mortal limo terreno La man che pria vestiUa or ne la spogli. Se col tuo sangue ricomprar yolesti Da rio seryaggio i miseri mortali, Gosi gran somma anco a mio pro spendesti; Da si caduchi ben, si grayi mail Per gir lieta a goder beni celesti, Tu sol puoi darle il volo, impennar Tali. DELLA CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA, L’ngniaglianza di tutte le condizioni degli uomini alle pretensioni di Roma fa sempre giovevole, sincbe le digniti e le grandezze fiiron premio solamente de'meriti e delle yirth, Capitolo Peimo. La costituzione di questa Repubblica universale di Roma si forma dal concorso di tutte le Nazioni cattoliche, e dalr aMuenza continua de' pretendenti, i quali, gonfiando le rele delle proprie speranze, qua si trasportano da qualunque regione del mondo. Ebbe per suo sostegno nel suo originario Institute quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Aristocratico e Democratico, reputato per la forma piti durabile, e meglio ordinata di tutti i govemi, dov' ella si man* tiene nella sua bene accordata armonia, e che runo stato di essa ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso deir altro. Nel Papa risplende la Maest^ del primo, che ha in s^ la plenitudine dell* autorita Ec^lesiastica indipendentemente da ogni altro fuori che da Cristo, di modo che niuno, ne -il Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' delibera, se non per ragion di consiglio; ne' cardinali, come senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo officio, dove i Papi con esso loro consultassero gli afifari maggiori di Santa Ghiesa; staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et assicurate dalle passioni, e da genj; ma T autorita maggiore del Sacro Collegio si conosce nelPInterregno, rendendo i cardinali venerabili a ognuno la voce attiva e passiva che egli hanno al papato negli altri ordini del Clero universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sacerdoti, e de'religiosi; come altresi nella moltitudine innumerabile de' pretendenti si considera lo stato popolare, imperocche egli avevano grandissima parte nell'elezione de'Papi; a' vescovi apparteneva dare il lor voto per le discordie di Religione, e per la riforma de'costumi Ecclesiastici nella celebrazione de' Concilii, e dal concorso di essi insieme con 1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti Decreti. II Clero poi aveva il gius dell' elezione de' vescovi, e questi, quasi sto per dire, indipendentemente reggevano gli affari spirituali e temporali delle lor chiese: masopra ogni altra cosa, che fa riguardevole e stimabile il comune del popolo h, che ciascuno, di qualunque qualita o condizione, e ngualmente abile a divenire Principe, Padrone di Roma, e capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina, che la sostiene, a tutta 1' umana generazione benignamente sguardando, h volta con pari misura al bene comune di tutti; appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi, e la chiarezza della virtu ne distinguono, dove, quantoanoi. roscurita e lo splendore del.sangue, la poverty e le ricchezze disagguagliano. Era danque ben dovere che la Bepubblica generale di tntti i Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo ugualmente di tutti i Gattolici, e fin tanto cbe ella si mantenne nel vigore del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi priyati non guastaron questi ordini, e non isconcertarono U temperamento di cosi ottimo e profitteyol governo, qual requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli stati degli uomini tanto celebrata a Roma, per costitnirla una patria veramente comune? Cosi invano si sforzavano le due Ministre del mondo, dico la natura e la sorte, di dar talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o un yil mestiero, e si ad un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri oscuri cbiarissimo nascimento, percbe in Roma si uguagliayano gli uomini, yeggendosi taluno col mezzo della yirtu d^ infima miseria a stato reale eleyarsi. Altri, per lo contrario, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevissimi spazi yenire al nulla, e perdersi ben tosto fra la caligine della propria ignoranza, per guisa cbe con I'opere solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita accattate dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di qualunquepiu degna prerogatiya, essere ascritto a quel sagrosanto Senato, e diyenire Vicario di Cristo, e Principe di si gran condizione. Ma a poco a poco una tale ottima instituzione traligno ancb' ella in abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe comandano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel Reggimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli affetti, e 1' util priyato si mise sotto il pubblico bene. La potesta dello stato maggiore assorbi la forza, e sconyolse le operazioni degli stati minori; ruppersi quelle bilancie cbe teneyano equiponderato il goyemo, e rimase confusa in loro la distinzione de' pesi, si cbe delle tre forme sopraccennate altro non ci resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe la parity degli stati nella Corte di Roma senza il pareggiamento de' meriti h dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai plebei, cbe s’inalzano indegnamente ad uguagliarsi co^ nobili, non da' nobili, cbe contro a ragione si yengono a pareggiare co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa cbe lo splendor e della stirpe non conyiene cbe abbia yantaggio sopra la nobilta de' costumi, e degli ornamenti delP animo cbe illustrano ancbe i piu yili; cosi non debbono pareggiarsi quest! con quelli, quando con 1’azioni virtuose e grandi non si solleyino dalla bassezza di lor natali. Ecco come si sono smarrite le yere yestigia della yirtu cb' erano tanto piii calcate in Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareggiavano tra lore gli ingegni, allorche gli uomini eziandio di piccol essere avean questo unico mezzo di farsi grandi, e che il saper solamente e '1 yalor degli ignobili era preferito alia dappocaggine, e alPignoranza de' nobili. Ma percbe oggi si misurano le abilita degli uomini non da' meriti, o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal genio di cbi comanda, imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero molto maggiore, perde notabilmente la condizione delle famiglie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di cbi porta gli stimoli dell' onore dalla nascita e dalla educazione: cosi presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e le buone arti, e la reputazione, assodate prima con 1' esempio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero a spegnersi del tutto con 1' accrescimento, e con la stima di questi. Per tal via si sono tolti dall'uso comune di Roma tutti i termini dell' onore, restan priye d'ogni fede le promesse et i giuramenti, e dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo e i sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e ben collegate tra loro le conyersazioni civili. E perche all' abito clericale non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada, sottentrano piu ageyolmente nell' usanza degli uomini le occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente perfidia, yiepiu da temere cbe non e se affrontata ed aperta. Gobi col dominio degli infimi resta come del tutto abolita la coscienza dell' uomo onorato e da bene, e yiziaronsi ancbe i nobili, percb6 con I'uguaglianza delle fortune indistintamente si miscbiarono i sangui e si corruppero gli animi, lasciandosi yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli onesti titoli della pazienza e della Legge divina, cbe per ogni altra cosa dispregiano, d' ogni generosity si spogliarono, ond' egli hanno convertito in altrettanta vilti d' animo 1' antico sperimentato valore. Per la qual cosa non ci essendo tra gli uomini altro tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i mancamenti della parola, se non prendersi (cavallerescamente parlando) V un dell' altro soddisfazione con V arme, perche que8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati sempre yiepiu i mancamenti, e gli inganni dalla continiia impunita cbe e' godono senza legge civile o cavalleresca venina. L' interesse dunque si e lo intendimento primario e la scorta de' pretensori, e dove I'uomo studia al giiadagno, per lo pill studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \incoli deir amicizie non li coUega qua in Roma la similitiidine delle nature, o delle virtti, o vero un desiderio reciproco I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una mutua speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per mezzo dell' altro, e dove quelle la fortuna buona o contraria non ba forza per dislegarle, come non ebbe parte nell'unirle insieme; queste la sorte quasi sempre le annoda, et ad arbitrio suo le discioglie. Cbi viene dunque a pretendere a Roma, ricerca sopratutto la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova apertura, quivi s'ingegna di concatenare i suoi in guisa tale, cbe 1' altro si pensi di migliorare per mezzo di quegli le condizioni de' proprii ; lo spendere offizii per motivo di meriti, e di magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le dimostrazioni di generosita ban credenza ; e se talora se ne vede qualcbe atto apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro qualcbe occulto interesse cbe gli da fondamento, e lo muove; altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre dietro alle voci, senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane in poco d' ora agevolmente cbiarito. La speranza di compiacere ad un fautore potente, il reputare cui si favorisce per mezzo efficace a qualunque intendimento privato, fanno operare con caldezza, e chi sapra in Roma rinvenir questo filo, et attaccarcisi con proporzione, avra vantaggio notabile nelle fabbriche de'proprii concetti. L' importanza e dunque conoscer le cose nelle lor prime cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere le cifre degli animi, le quali molte volte altro significano neU'interno, di quel che indicano altrui i caratteri esterni. Per tal conto e necesaario lo informarsi de'fini particolari, e de'pubblici, delle nature, de^ temper am enti e de^ genii, delle dependenze e degli odii occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori, che vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si ancora delle sostanze e delle fortune loro, perche si antiveggouo per questa via di molti successi, e sono tanti sentieri aperti agli avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi per i quali, quando la via maestra e chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' traghetti e per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per lo dritto. Pero si vede che lo interesse affina gli ingegni, e come suol far la virtu, insegna anch' egli a superar le passioni, e molti atti di avvedimento e d'industria, che v61ti a fine d^ onore e di gloria sarebbon virtuosi, si adulterano per la corrotta e maculata intenzione, a che incamminati sono; la soUecitudine, la vigilanza, la destrezza e le altre operazioni migliori delFanima usate ad esser ministre per qualificar le azioni buone, servono per render piu fraudolenti i pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir ambizione, delP invidia, che sono 1 sensi piu comuni di quel che pretendono a Eoma, i quali usando il bene male, e valendosi della piu oculata prudenza per giungere dove essi bramano, avviene che molti si chiamin grand' uomini e saggi, cio argumentandosi dall' operazione de' mezzi, che direbbonsi misleali, pigliandosi la riprova da' fini. Per questo i vizii in mano a costoro peggiorano quel piu, con cio sia che non solo sono prodotti dal senso, ma camminano sotto sembianza d' una simulata virtu, e sono regolati dalla finezza e dal discorso dell' intelletto. Ma odasi cio che dice di Eoma Quinto Cicerone #al fratello quando e'chiedeva il Consolato : «Fissatevi (diceva egli) nell'animo queste tre cose, e dite da per voi stesso: loson uomo nuovo; domando il Consolato; e, quel che e piii notabile, questa Roma e mescolata di varie nazioni, dove sirag^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi. Qui si ha da patire V arroganza di molti, la perfidia di molti, la malevoglienza e la superbia di molti, e di molti pure gli odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa di mestieri un gran consiglio e una grand' arte a voler vivere tra' tanti uomini, e tra tante sorte di mali per ischivar le offese, per ischivar le bugie e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed e malagevole ad un uomo solo adattarsi a tanta variety di costumi, di discorsi e di volont^, massime che in questo fuor di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la pecania e' regali, ciascheduno della virtii si dimentica, e della dignita. » Sin quidisse Quinto al fratello; il che ho voluto registrare in questo luogo, accio si conosca che o sia la positura del Cielo, o si pure la necessita de' medesimi fini, negli ultimi tempi della Repubblica Romana (forse come oggi) adulter ati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi; influiscono similmente negli animi la stessa maniera e inclinazione di costumi, e nell' una e nelP altra etade s' introdussero e stabilironsi nella Corte di Roma contro la virtu e contro la pieta della sua primiera instituzione, tutte quelle arti che piu si producono dall' opera della malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo dunque concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della virtu; perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano tra loro atti di confidenza, e piu liberta di tratto. E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno, e dalla malizia di farsela I'un I'altro a tempo e con vantaggio, e quegli solamente e stimato piu valent' uomo, che puo pi^. Quindi avviene che qualunque e reputato uomo di valore nell'altre region! del mondo, venendo a Roma, si perde, trovandosi in una differente scuola da quelle, ove s' apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. Quei dunque che si mette a vivere in questa Corte, non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda pero alio stile del paese, mantengasi nelP arti virtuose, ma assuefaccia r animo educato ne* buoni costumi a non si scandalizzare da' pessimi. Molti giungono a Roma, e se di eubito e all' improvviso loro precipitano addosso similisorte di mali, si perturbano e sovente escono de' termini, e yi ruinan sotto; ma se loro si da punto di tempo, il far passaggio dalla virtu al vizio e molto piu agevole, che non e quello da' vizii alle virtu, perche son mali che feriscono solamente le opinioni accreditate nel mondo, e trapelano cosi ad ora ad ora nella consuetudine e negli animi nostri che altri non se ne avvede ; e, guastandosi poscia, appaiono con 1' uso men disgustevoli, ci si fa il callu, perdecisi la faccia, e non tan to si smarrisce lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo. Questo si e il vero modo di spegner le leggi, di 6ontaminar la religione, di tor via la vergogna, perche non si ha timore dell' infamia. L'autoritk resta senza un minimo fondamento, 6 gli esempli e le memorie migliori si dimentican tutte. Cosi la fortuna ha deformato la faccia bellissima della virtu. Ognun t' offerisce la vita, il sangue, la roba, quando il bisogno h discosto ; ma quando s' appressa, non che gli amici, i piii cari parenti mutano faccia, e di presente si rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e quegli che tra tanti cattivi vogliono esser buoni, perdono il credito, e sono come sciocchi e timidi biasimati. Eoma finalmente e commercio, dove si spacciano mercanzie di grand' importanza, le quali stanno esposte alia forza della pecunia, che vince tutto, e insieme a chi sa meglio romper la fede, e con piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti all' ambizione e al^util proprio donatisi, cercan tirarsi innanzi per quella via, che lor piii torni in acconcio, non riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle distribuzioni di Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per una stessa cosa, quindi deriva I'invidia e conseguentemente r odio tra' concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su I'oppresoione degli altri, e niuno conseguisce una cosa, che non paia ad nn altro di perderla, onde si nutriscono sempre i disgnsti, e qua di continuo sta accesa una guerra civile di competitori, la quale, se fusse in sua liberta e non raflrenata dalle cautele, che lo stesso interesse mette in ciascuno di non gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte, sollevazioni perpetue, e tale effrenato stimolo metterebbe r arme in mano a ciascuno per cavar V anima alP altro, ma cosi resta il fuoco del? odio racchiuso e coperto in ognano dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero altro suonano le parole di quel cbe sentano i cuori. L'apparenza deWoltie totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse non corrispondono gli effetti, ed armasi la fraude dove non puo apertamente impugnar la spada lo sdegno. Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano, perche dove lo interesse e la cupidita signoreggia, la virtu vi perde il sno luogo, ed e minor male per la sussistenza del governo di Eoma la simulazione e V inganno, postovi dalla necessita del suo fondamento, che Y impeto scoperto delF ira, instrumento abile a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo, dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o si vero e forza per men reo partito lasciar correre questi mezzi per arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intrigato di tante insidiose e fallibili vie, niuna che si tenga da uno pu6 servire di norma e d' esempio aU' altro; le medesime scorgono gli uni al papato, e gli altri alia propria ruina; e sin quelle della virtu e del vizio ne menano sovente ad uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso ci fanno la maggior parte^ e le congiunture son quelle che apron molte volte il cammino, e ne guidano a lieto fine; percio si scorgono gran variety di maniere et infiniti imitamenti di virtu, e di costumi varii per accomodarsi alle opportunity de' tempi, e a quello che altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti gli nomini s* ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V avaro si vedra talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter poi torre con piu dovizia V altrui; il superbo e *1 vendicativo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di sommissione ed umilta, per serbar a suo luogo di vendicarsi e di esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso e sagace cerca di far lo stordito, e a bello studio si lascer^ volgere a tutti i genj per apparire altrui facile, e troppo credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che il dare ad intendere di essere santo sia il vero modo di tirarsi innanzi ; pero si fingono di stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto formano V instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il mantello deUa pieta e degli scrupoli, le azioni d^ ognuno censurano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto specie di bene scoccano a tempo colpi da maestro, che coll^ acume di una sola parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vogliono, anzi con un sogghigno che ti fanno talora^ e col tacere, accreditano un^opinione maligna contro a qualcheduno, e non fanno manco male collo star cheti e col celare la verity, che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono, che della lode istessa si vagliono per ruinar la fortuna di qualcheduno, onde saggiamente di loro disse Tacito: pesHmum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie di Roma^ dov' ognun cerca infingersi di verso da quel che egli e, rifuggendo per meglio coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella sua propria natura. Per tal maniera gli uomini travestono, non ispogliano, le passioni, e da essi i difetti si palliano per non lasciarsi appostare, non si vincono per emendarsene. Di qui e, per quanto io m' avviso, che Roma si dica teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte persone contraffatte da quel ch'elle sono; chi e d'un partite, a un tratto diviene sviscerato dell' altro, e, secondo che vuol la fortuna, si veggiono tuttodi cambiare varie sorte di scene, I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h piu tenero di se stesso, tanto h piu crudele nel tiranneggiare altrui. Questi h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le macchine, e apre tante sorte di vie, le qaali si trovano tatte piene d^ impedimenti e di spine, fnor che quella della moneta, o pure d' accomodarsi ai genj di chi govema. Di queste, la prima non e battata per tatti, e chi ne ha 1 modo diviene superbo, imperciocche gli pare di poter soperchiare gli egoali, e riescon costoro per la maggior parte ignoranti, perche fidandosi nella forza di loro ricchezze non fanno procaccio di altri mezzi per rendersi degni, e rade volte accade che Domenedio accoppj negli uomini i beni della fortana e quegli dell'animo. Alia seconda, di seguire i genj, e piu acconcia la gente d' animo e di nascita vile, che non sono gli uomini ben nati, e virtuosamente educati, percio quegli ban piu vantaggio nel prender le inclinazioni de' Principi, i quali, per quanto amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico, aborrisconla in privato, perche lor reca soggezione ; pero scelgono per loro domestici uomini entranti, prosuntuosi e arditi, e soyente yiziosi, in essi confidano, scuoprono i lor pensieri, e le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con le persone moraK; quegli dunque piu agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia, e con essa montano piu presto in altezza, e torniam dunque a dire, che nella corruzion de'costumi e utile si de'plebei, ma notabil danno de' nobili la parity degli stati tanto celebrata a Roma. Imperciocche salendo in gran posto la gente bassa, e condizione mutando, non lascian i vizi da privato, ma piglian ben tosto quegli de' grandi, e le virtii non V imparan mai; e come e costume degli infimi esser nelle avversitadi abietti, e nella prosperita insolenti, cosi essi, come da prima a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon imperiosamente comandano. £cco perche la nobilt^ si co^ rompe, conciossiache dove innanzi, premiandosi sol la virtiir con essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio de* plebei, oggi per avanzarsi conviene che s' awiliscan coi vizi i buoni costumi, e corrompasi la coscienza de' nobili; ma chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s' ingegni nelle cose lecite e oneste di andare a' versi di chi governa, non ci si abbandona poi talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che si dee; andra penetrando le inclinazioni, e con quelle procurera si di confarsi, ma insieme studiando di acquistare stima d* uomo da bene, e concetto per la virtu, non perche questa debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo virtuoBO almeno ne adonesti V avanzamento, a lui se ne ascriva la gloria e '1 merito ; dove quando si viene innanzi senza virtu, tutto s' attribuisce alia sola fortuna, e sovente volte rinalzamento di questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro demeriti alio splendore della dignita medesima, che indebitamente loro e stata concessa; questi esaltati ricevon appena che un applauso lieve del volgo, che e guidato dagli eventi, e lasciasi abbagliar la vista dal lampeggiar deir orpello; ma il meritevole, benche dispregiato e negletto, ha per se il partito de'savi, che col paragone della prudenza discernono anco per entro alia rozzezza e alia oscurita dello state la purita perfetta e la chiarezza delP oro. Gran forza e quella della verita, che finalmente non ha paura della bugia, e si schermisce da se contro Pingiuria de' tempi, e contro alia malignita degli uomini, ne e mai pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati da' giudizi vani de* piii ; la virtu rifulge eziandio dentro alle tenebre, ne s' imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta la fortuna contraria. Ella si fa conoscere, e place eziandio ne'nemici, non che negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il biasimo torna addosso a chi dovea avanzarlo, e non a chi riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il credito d* un uom meritevole avesse a dipendere dal capriccio d' un Principe molte volte poco prudente, e che gli s' avesse a rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi coloro che non hanno meriti^ e percio ne anche reputazione, quando bene sono aggranditi, perche troppo ben si discerne quel che ne dona la virtii, da quelle che ne comparte la sorte, la quale puo ben rendere gli uomini miseri, ma non gli pu6 gia render indegni; anzi essa molte volte sostiene gli non degni per non gli lasciare in preda alio scheme e alia lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli altri;posson ben essere ugaali i gradi degli onori tra gli uomini tanto buoni, quanto cattivi, ma saranno sempre disugnali que' della gloria ; nb perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli uomini savii gareggiar di virtii, avvenga che e' si trovino in bassissimo stato. La virtu dunque nella Corte di Roma sempre adonesta gli avanzamenti, quantunque non abbia parte nelr avanzare. Ma la fortuna e quella che distribuisce le grazie, la quale sul bel principio fa pomposa mostra de' doni suoi, e pare che ella si faccia altrui innanzi col viso lieto e col grembo aperto, ma di subito poi cambia faccia, e vuol vender carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e colui che abbandona la propria quiete dietro alle sue fallaci lusinghe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben eh' ei possiede, per gir dietro ad un' ombra d' un meglio dubbioso. fi vero che alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad esser pari e superiori de' Re; ma quel che ella dona ad una famiglia, sel fa pagare a gran costo della roba, del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta pericolano. Laonde mi sembra su le rive del Tevere fiorire piu che in altro clima quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e fertili possessioni della fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono frutti di varie sorte, e non meno degli amari e velenosi, che dei saporiti e soavi, di quegli che porgono altrui salute, di quelli che danno la morte. Alle cui radici anelano i pret«ndenti ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro de' posti migliori; quindi s'odono tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il dibattito, e I'ansieta di colore, che stanno a gola aperta bramando che caschi loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto con piu improntitudine degli altri romper la calca, et accostarsi di subito a pi^ del tronco, V uno, che non paia sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi far largo, e finalmente ognuno si studia con que' modi ch' e' puo di passar oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s' inerpica sopra. Quelr altro il prende di dietro, e s' ingegna di trarlo a basso, 6 per tal modo tra tanti contrasti e tra le scosse dell' albero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui che a pena v' arriva cade un porno de' piu delicati e salubri ; a coloro che piu lo sbattevano, cadono in mano le foglie, a molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende, che percuote chi si era fatto piu innanzi, e con furia ricaccialo indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo qualche frutto sustanzievole, quando, gia ritiratisi indietro, pareva di loro ogni speranza fuggita. Ne piu ne meno avvengono gli accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare gli eventi, ne si puo ben giudicare il punto cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli attrista^ gli allegra; ora le speranze si risuscitano, ora si moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna, e si trova alia fine sgarito ; questi con la pertinacia la vince, e in cotsll guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli uomini, fortuneggiando in Roma tra venti contrarii, sono in qua e la da varii flutti e da varii casi sempre vacillando menati. Impercio accade che alcuni gia con le membra cascanti e deboli tornano ad esser da capo, e pur ritengon viva la loro ostinata ambizione, e andando invano per tutta la lor vita dietro alia gloria e agli onori, inonorati rovinano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni regola, ond'ella si voglia acciuffar pe' capelli, riesce vana et inutile, perche d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul, che cerca I'Asine, getta nelle mani un Regno, et Assalon, che va dietro al Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. Quant o e bella Roma, quanto e ella appariscente a chi la uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto ingegnosa e colma d' industria, quanto e devota e santa, quanto e benigna e cortese, quanto di tesori doviziosa e prodiga a chi la vede nel frontespizio, e nella superficie di fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con superbi edificii, testimonii marayigliosi deir antica grandezza, delP onnipotenza Bomana ; qua V abbondanza delle statue e de^ marnii fanno sin oggi risplendere la maestria e Greca e Latina. Qua i giardini vincono quegli dell' Esperia e gli Orti favolosi d' Armida ; le fontane paion fiumi volanti per 1' aria e tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle sontuosita de' Persiani. Se le devozioni isguardiamo, qua tutti Yocaboli di pieta, titoli di carita, ammaestramenti di pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'martiri, qua raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi marayigliosi, che fanno fede di religione ben fondata; qua tutti gli aruesi piu sacri e piu yemerabili, si della nascita, si della vita, si della morte di Cristo rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di questa chi ne siede al governo, se non il Vicario di Cristo? Chi ode i complimenti e le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli accoglimenti de' cortigiani, incontra subito maniere dolci e aggradevoli, parole significanti stima ed affetto. La casa, via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma in preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la sommissione assoggettisce altrui, si contrasta tuttodi non il prime, ma r ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol essere piu immeritevole, piu servitdre, piu minimo di tutti gli altri. Chi non esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie e '1 patrocinio de' graiidi ? Chi considera le ricompense che ci sono, i premii proposti, 1' entrate grossissime a vita, che non si sa onde si vengano, il dominio sopra di esse negli altrui stati, che i Principi proprii non ci posson metier la mano, le dignita eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno puo giugnere? Qual altrettanto maggiore invito possono havere g\i stranieri per correre a si belle, a si pregiate fortune ? Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con attenziono a quel che e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori, nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa pompa di fuori. Le delizie di Rama sono il piu delle volte veleno ; sino i giardini, e le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu superbe e piu maestose sono oggi guaste, e rotte, e minaccian sempre rovine. L' arti e' costumi che ci s' adoprano son molto poco conformi a' titoli di santit^ e agli abiti ond'essi rifulgono ; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano esposti al culto e alle visite de' Pellegrini, e servon nel resto per istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le passioni e gli affetti sregolati de' grandi, e sin Tautorita apostolica la fanno far gioco alia potesta temporal e e agli interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e le cortesi maniere, che son' elleno altro che parole senza significato bfferte, e sembianti senza affetti, e una vana significazione di onore p'osta nell' apparenza de' volti e vana, in quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali talora si hanno in dispregio ; bugie le quali bene spesso si rivolgono in tradimenti, e infine un capitale di finzioni e di lusinghe in diritto ad un grosso e disorbitante guadagno, se i premii, le facolta immense, e le grandezze, queste si dispensano ad arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello che faceva star bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad arricchir6 smoderatamente una sola famiglia? Qua finalmente sotto la formalita de'nomi e dell'abito esterho e sotto speciose voci si nascondon le occulte Industrie; sotto le lodi delle virtu si usano di nascosto i vizii, pero in Roma si sostengono le opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si fa caso degli errori superficiali, e gastigansi con severitii le parole ne'poveri e neMisgraziati per tener in piede i piu grossi, e far godere V impunitade a' maggiori. Per tal via co' riti e coUe formule, co' titoli, co' vestiti, con le Congregazioni, co' solennizzamenti si tesse un ordine bene ag^ustato, che forma il ritratto apparente di Roma, significante altrui quello ch'ella dovrebbe essere, non quelle cVella e, dentro alia quale si cela un disordine, e un caoa di fini, di speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident! impensati, d'odii, di finte amicizie, di gelosie, di martelli, d' invidie, di beni, di mali che non s' intendono, non hanno riscontro, e tengon le menti degli uomini mai sempre sospese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre mesti, sempre astratti da loro stessi, e si per la continua apprensione di loro medesimi favellare come matti perche non ritrovan mai il bandolo in gual posto si dieno dell' amicizie, dei favori, delle speranze, e delle paure nelle quali e' si trovano martirizzati in ogni tempo su la ruota della foriuna, guidata dall' ambizione e dalP interesse, dove sta fondato e si regge questo governo di Roma. Per la qual cosa egli e molto ragionevol di credere, che la divina onnipotenza lasci correre questi vizii e queste macchie nel rigiro di essa, perche a quest' ombra riluca quel piii la verity infallibile della sua Chiesa e I'autorita ben fondata conceduta all'altissimo ministerio del suo vicario in terra, a fine di far conoscere che e' ne ha dato il reggimento a uomini che hanno il libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni mortali e terrene, benche non errare nel maneggio delle cose celestiali e divine ; e cio contro 1' ereticale nequizia, che presume temerariamente controvertere, per li abusi della corte de' preti, la potesta che e data loro miracolosamente da Dio. Come tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano, e quello di Boma con esse piti che mai si sostiene. Capitolo Secondo. Con r occasione del primo Capitolo mi vien in acconcio di far meco medesimo considerazione, per qual maniera il governo di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de' pretendefUi si regge su' fondamenti dell' interesse e dell' ambizione, pur si sostenga e viva, mentre tutte le altre forme di Stati, dove s' introducono si fatti vizii, per quella guisa che apertamente dimostrano gli esempli antichi e moderni, cosi agevolmente si spengono, imperciocche essi vizii sono il tossico che la giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman cadavero, e impercio senz'anima e senza vita ogni Stato. Egli h dunque in prima da sapere che lo intendimento della giustizia distributiva si e d^uguagliare gli uomini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi delle fortune, e solo V uno dalF altro distinguer secondo che i beni delFanimo, non quelli del corpo, fauno gli uni piii degli altri rilucere. Questa tende ad abbassare la superchievole baldanza de^ ben avventurati e de' ricchi, e soUevare altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si minuisce il soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i danni, ed arrogesi al poco di chi e uomo prode, ma dalVingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi essi correggono i difetti di quella, e fannola divenir premio della virtii; imperciocche non ci e cosa che maculi i cuori di ruggine peggiore, quanto il ferire gli uomini nella stima di lor medesimi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali, che si fa o per ragion di ricchezze, o per genio, e non per motive di virtu, che e un contrassegno lucidissimo impresso nelP anime, che distingue gli uomini V uno dall^ altro, produce sovente che, per uno che si grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore che si sveglia in quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti che si destano in tanti e tauti altri: e siccome, difiPerenziando le persone a capriccio, agevolmente si spingono gli uomini alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel merito, si accrescono negli altri gli stimoli alVoperar virtuoso et onesto. Per tal modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e i piu degni premiandosi, s' uguagliano quelle bilancie, che conservano in equilibrio i governi, tolte le quali tutto si confonde e disordinasi, conciosiacosache si destano le invidie, e quindi a tempo e a luogo tutte le sollevazioni civili. E questo perche non ci ha favilla che nodrisca e accenda sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi e de' saggi, quanto il vedersi oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL PercHe messer Domeneddio ha messe le differenze delle facolta e della potenza tra gli uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio della giustizia distributiva, BOYvenendo i mono ai piii bisogaosi, e dal fango il pregio della virtu sollevando; anzi perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^ titoli e le dignitli, che dispareggiano J gradi, senza misura sono dannevoli, dove postergati i rigaardi di chi e piii degno di piacimento si scompartiscono, e per inclinazione de* grandi; e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli, ma eziandio gli atti semplici d^ apparenza e di stima mal ripartiti partoriscon de' mali nel consorzio civile ; e viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi merita veggendosi, o per trascuraggine di mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una volta debitamente locato ; imperocche e nemica mortale la nostra natora di tornare indietro, e *1 piu possente affetto che h in noi e il pregio in ciascuno di se medesimo, il quale com' egli e in minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma dov' egli h offeso senza ragione accendesi un' esca, e risvegliansi si fatte scintille, che dov'elle havessero libero il campo, o le congiunture V aprissero, s' allargherebbon bentosto in un gravissimo et inestinguibile incendio. DIALOGHI FILOSOFICI, IL TIMEO. Delle idee. Dafinio. Scusatemi, a interrogare per questa volta io voglio essere il primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli? Buonaccorsi. Quella che si fa dal proponimento primario nella mente dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, donque, volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo sensibile della natura nella materia, non parye degna cosa a Platone che quella penetrar dovesse nel segreto di si alta mente a contemplare quegli originali eterni ; onde e' presuppone che per via delPanima se le ne faccia vedere cotesti esempi. Imperfetto. II medesimd appunto intese il Petrarca, ne e vero? e'ldistinse in quel suo maraviglioso sonetto, che qualunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana sa per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse Mostrar quaggiti quanto lassu potea? > Insomma e' dicono il vero, e' fu grandissimo Platonico. JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa il Timco dairidee agli esempi. Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad intendere il valore di queste Idee, onde voi siete state richiesto. Buonaccorsi, — Avete ragionato si dottamente, che a me non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incominciato ordine, quanto avete detto voi con esso 1' autorita di qualche valent' uomo e del medesimo Platone in varj luoghi di altri Dialoghi, che ne favellano ; e avvenga che io avessi stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna fidanza di potere internarmi tant' oltre per andare del vero alia radice, e per recare lumi maggiori ai nostri intelletti, come di cose che troppo in su, ch' essi non vanno^ hanno la residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino ne ammonisce) h degna cosa si alti principii udire, e udendogli ammirargli, e ammirandogli stimarsi beato nel riconoscere il loro autore. Pregovi ben, Don RaflFaello, a soccorrermi di quando in quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice ingegno nuove cose da dire vi suggeriscano : ma per dare autorita a quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo intelligibile, e all' Idee che si contengono in grembo a Dio, ascoltate, di grazia, come tutto cio in due versi mette Boezio nel suo libro De Consolatione: c Tu cuncta superno DucM ah exemplOf pidchrum pulcherrimiu ipee Mundum tnente gerens aimilique imagine format. » Qui dunque ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io non vi niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita rivelata fosse disceso, il quale aperte meglio le.vie della mente gli avesse, e ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appropriata definizione delle divine * quality ; ma non pertanto egli e di somma lode meritevole, avendo per nn certo 1ampeggiare solamente di natura, e in forza (siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione favellato di quelle con tanto decoro e si al vero approssimatosi e toccolo in molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presentemente de^ lumi soprannaturali ch' egli ebbe dalla legge Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiustino Martire attesta, filosofo molto celebre della Scuola Platonica. Ma il proferire molte di si fatte proposizioni, ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura per timore degli Atoniesi e delle rigorose pene delPAreopago, contro chiuDque rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno alia loro religionC; quelle medesime procuro avvedutamente di farsele proprie, e sotto gli oscuri velami delle filosofiche speculazioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il medesimo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura d' Iddio, dicendo come poco anzi vi recitai : « Primieramente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato, e voramente mai non e; > che ci6 da Mose e^ ricavasse, cui Iddio apparendo la prima volta disse: « Io sono quello che sono. » E mandandolo agli Ebrei comand6gli che dicesse loro ecu le stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. » E il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che quello che parimente in un altro luogo mette Platone : « Certamente Io stesso Dio, come suonan le antiche parole, comprende il principio, il fine e il mezzo di tutte le cose, > per « quelle antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in animo far di lei menzione, sapendo quanto quella dottrina a' Greci contraria fosse. E parve al detto Santo non altrimenti potersi intendere conciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da altri storici Mose essere stato il piii antico legislatore ; anzi quando egli le leggi promulgo, i Greci non avere ancora le lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne piu, ne meno, onde noi al presente favelliamo, crede san Giustino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia tratte tradotto dal Santo, e cosi dal greco a noi portate: « Che Iddio in principio fece il cielo e la terra ; e che la terra era; pero non ancora visibile e fabbricata. > Dove il santo filosofo giudica quel detto da Mose « che la terra era > essersi inteso per la terra che prima era; impercio che aveva detto Mose : e della medesima similmente detto avea: «Fece Iddio il cielo e la terra; » stimo che volesse intendere quella secondo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere stata creata sensibile. Per la qual cosa non a caso favella il nostro filosofo veramente divino, ed e degno di somma commendazione, massime ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a differenza di lui mesce insieme e confonde le superne e divine cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la materia e con Tuniverso sensibile. Dove il divino nostro filosofo il valore riconoscendo sovra il natural corso ammirabile di colui, pe '1 quale et a cui tutte le cose vivono, di somma reverenza esser degno, e si egli solo essere di sapienza e di potenza infinita capace, con singolar riguardo in ver cotanta perfezione, le distingue nella sua immaginatura e trova la via che le cose di sopra adoperino in quelle di sotto senza permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi. con r acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine di atti succedevoli nelP infinite, le differenze di gradi e la variety dell' Idee nel Medesimo, e la moltitudine nell' unitade, senza Tanita disgiangere, senza diversificare il Medesimo e senza t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir iQfinito. Con le cui sottilissime considerazioni di cose incompatibili fra loro, e si impossibili secondo lo nostro compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli soprannaturali della infinita onnipotenza diyina, e se non co* termini nostri corti e finiti renderne bene intendenti di si alte maraviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo bagliore alle tenebre di nostra ignoranza, che si alto splendore da per se non patisce, accio che quindi staccandoci dalle cose inferiori spicchiamo un volo piu in su, che conceduto ne sia a formare giudicio di un Dio, delP Autore della natura, della Primaria Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui solamente possibill sono. Viene, dunque, e cosi favella il Ficino a interpretazione de' sentiraenti platonici intorno all' Idee, che la mente divina e forma di tutte le forme, e Idea di tutte quante V Idee, la quale in se tutte le comprende. Ora, perch^ la* forma termine si chiama e mi sura, misura e termine alle cose do-^ nando; il Sommo Bene, la Divina Mente (aflterma Plotino) come forma di tutte le forme, e misura e termine di qualunque cosa che sia, il che autentica mirabilmente il nostro autore nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e misura dell* universe cose che sono. Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i generi che piglia e abbraccia in se tutte le forme, tutte quante le specie visibili delP universo, con esso gli individui ancora. Luigi, — r mi sarei presupposto che I'ldea universale fusse il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si tengono e sparte per V aere, e per6 fuori della Mente Divina dimorare, e che da esse tutte le speciali cose pigliano Pessenza loro. Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee, in se non comprende coteste si fatte Idee, comunque se le figurino o le scuole nella guisa che voi dite, o qualunque altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e starmi ma pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Affermo bene che cio il nostro filosofo iu alcun modo non tenne, siccome da vari luoghi apertamente si ritrae, ne sono in quella sovrana Mente le forme delle sensibili cose, ma si bene le Idee delle forme, come che da lui merce dell' Idee queste abbiano 1' esser loro. Impero che V Idea mancando di tutte le Idee, la forma mancherebbe di fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi il mondo, nello stesso modo dove non si trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rompendosi, il vasajo non ne farebbe piu. Per questo ne avvertisce Marsilio, che le forme, sostanze non sono, ma si iniinagini solamente delle vere sostanze e queste sono le Idee, cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a piu distinto spiegamento : L' Idea rispetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per rispetto al mondo sensibile Tesemplare; rispetto a se stessa Tessenza. Di maniera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e corporeo riseggono, ne tra loro si confondono, come le forme su la materia; per lo che tra V Idee della Mente Divina e le mondane forme, yerun' altra simiglianza non ci ha, salvo che quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e molto piii divario senza paragone tra quegli infiniti originali e perfetti di vera e incorrotta sostanza, che nelP alto segreto di sua mente il Supremo Artefice riposti tiene, i quali per via di disegni ed esempi dalla natura si copiano, che e' non e infra una tela dipinta e un uomo vero e di carne viva. Con cio sia cosa che questi quantunque tra loro diversissimi, pur tutta via alia materia universale riferendosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual similitudine ci puo egli entrare tra la Divina Essenza infinita e perfetta comparata con essa la materia abitacolo di tutti i difetti, di tutti i mali V L' Idea dunque di ciascheduna cosa, benche in riguardo al nostro intendere di diverse cose paja composta 8 da movimenti vaij distratta in qua e la; in Dio elP e una sola, 6 semplice e ferma ed eterna, possedendole tutte insieme ristrette e present!, che pe' nostri fallaci giudicj vengono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle sensibill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto volanti a caso fuori di Dio, perche noi non siamo atti a concepire com' elle riseggono in Dio ; ma non mai fuori di Dio proferi Platone ch' elle si dimorassero, mentre e' disse poc' anzi: Lui nel fare il mondo avere imitato un esempio eterno e non generato : e poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo simigliante a se stesso. Per qual modo dunque fuori della Divina Mente potea un esempio eterno trovarsi, e come rassembrar lui, se gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero fuor di Lui? Fermisi dunque su '1 presupposto platonico ch' e' ci sono le Idee, ed essere nella Divina sua Mente; impero che quale osera mai affermare che Iddio alcuna cosa abbia fatto, la quale prima col suo alto intendere esattamente riconosciuta non abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti di farla, erano appresso di lui si fatte cognizioni anticipatamente al mondo creato e queste quelle sono, che dal Timeo appellansi Idee. Ma odasi di grazia Alcinoo che sopra cio lo comenta : « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e perfetti, e quindi gli esempi eterni parimente di tutte le cose che dalla natura si fanno dependenti dal principio esemplare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in questo luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si come dianzi vi si accenno. Bafinio. — Sono considerazioni altissime (egli e vero) di quel finissimo ingegno, ma io le ho piuttosto per immaginazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne della Divina. Impercio che da Dio si opera in an istante, e non con atti disgiunti e temporalmente. Buonaccorsi. — Da Dio si opera in uno stante, non ve '1 saprei contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter ed instantaneo dinanzi et lui (come poco fa si ragiono), e nel suo infinito indivisibile tutti gli atti, che differenti e innumerabili sono appresso di noi, i quali per nostra imperfezione d'intervalli di tempo abbiamo mestiere per pensare, nonche per adoprare, appresso di Lui e un atto unico e solo, e permanente, e impermutabile; e a volere che lesae opere temerarie non fieno ed a caso, conviene abbiano innanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali da noi due operazioni separate si giudicano, 1' una innanzi all'altra; ma in lui in un istesso punto si accozzano senza differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea primaria si e, dalla quale si abbracciano in s^, e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta ragione potette intendere il nostro filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san Giustino martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, > come sopra memorato abbiamo; ma che tale precognizione per r Idea antecedente all' opera pigliar si debba, cio ne viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall' acutissimo Vescovo Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio, Qual vero religioso potra negare le Idee, o non professarle per vere? Certamente nessuno il quale non ardisse afFermare che le cose che da Dio sono, non abbiano motivo ond' elle sieno, n^ da lui sostenimento ricevano, e cho quello che per lui si fa, senza conoscimento o ragione si faccia; che sarebbe un volere ch' egli operasse quanto egli adopera sconsideratamente e senza badarvi; le quali cose essendo fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e necessario di confessare I'ldee. E nello stesso luogo riferisce cio che spiega Varrone, che la favola di Minerva, nata dal cervello di Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in una perfetta e intera sapienza si ragunano nella mente divina. Ma questo e poetico ritrovamento, dove con verita infallibile la sapienza che ha sua sede nella mente divina pare che questo accennar voglia, mentre cosi parla essa medesima di suo nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altissimo uscii fuori e primogenita sono di tutte quante le creature. » Anzi dove dal santo Vescovo medesimo s' interpreta quel luogo di san Giovanni, testimone si veritiero delle cose soprano: s' intende cio delle medesime Idee, per tal modo discorrendola: « Quello che per esso fatto fue e vita; intendesi in Lui, nella qual vita vide tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi fecele si come e' le vide, non fuori di se stesso veggendole, ma dentro se stesso e per si fatta maniera annoveio tutte le cose che e' face. > Che avete voi da ridire signor Dafinio verso un veracissimo maestro Cattolico? Dafinio, — lo oppongo a fine d' imparare, non per contradirvi. MagioUi. — Eccomi in vostro aiuto,^ signor Gioseppe, con un liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa convenienza alP Idee. Da esso si fattamente si descrive la sapienza con la quale il sommo Motore fe^ il tutto. « Onde viene la sapienza, e quale e il luogo deir intelligenza ? Ella e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e occulta per infino a gli uccelli del Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti i confini del mondo, e tutto quello ch^ e sotto il cielo riguarda. Quando egli dava il tratto a^ venti, quelli posando come ancora Pacque a certa misura; quando sua legge imponeva e suo or dine alle pioggie, e assegnava la via alle sonanti procelle, alP ora egli la vedeva, la contava, la regolava, e investigavala. » Al qual fine dal nostro Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; » perche tutte avanti che fatte fossero vedute le avea per entro 1' infinito comprendimento della sua Divina Sapienza, nella quale -sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita conserva delle sue perfettissime Idee. Parv' egli ch' e' torni bene a quella anticipata cognizione delF Intelletto Divino, a quel? unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui esemplare rimirandolo, esso formo tutte quante le cose di qua? Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete recato, signor Magiotti, adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni esplicato da sant' Agostino : ma dee ora tirarsi innanzi il ragionamento co'nostri autori Platonici, i quali sopra cotali fondamenti di yerita debbono giustamente acquistar gran fede. Che queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi: « Owero Pintelletto e egli Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale inteude in lui; onde le cognizioni eterne e immobili nella Divina Mente, e quests Pldee sono, misure giustissime e perfette delP eterno potere, ch' egli cape solamente, e scorge in se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se dunque vero h che lo intelletto sia diverse daU'opinione vera, anche lo intelligibile sar^ dalP opinabile differente ; e pero sarannoci le intelligibili cose diverse dalle opinabili, che viene a dire le prime notizie intelligibili, siccome si hanno le prime delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo intendere si fatto attaccamento non h da uomo come la Divina nostra Commedia nel Purgatorio: « Per5, la onde vegna lo intelletto Dalle prime notizie, nomo non sape E de*primi appetibill TafTetto.* Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto primario bellissimo, conviensi che lo intelligibile oggetto di lui bellissimo sia, ma niuna cosa piu di lui ^ bella, perche sempre intende se stesso e le sue cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. > Paionvi cose astratte e metafisiche n' e vero ? Ma cotauto eccelsa materia di ragionare avendo tra mano, ed essendo sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro intendere simiglianti proposizioni, quanto ch' elle nell' ampio albergo soggiornano di quella Mente Sovrana Sopra simiglianti considerazioni astratte e inesplicabili si yiene da Jamblico alia formazione continua dell' Universo conformandosi alP intenzione Platonica: «Iddio forma il mondo e riformalo, non per via di celestiali movimenti, non per mezzo deUa materia mondana, ma con esso V intelligenza per merito dell' anima sempiterna che a lui ha dato.» Ecco che per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: « Perche nella Potenza Divina non sempre vegliano e operano a un mode le ragioni seminali generative negli esempli formal!, si come alcune altre viepiu immobili che precedono le seminali, coadiutrici di esse; ne adiviene che la potenza di amendue queste ragioni, ch6 in sostanza le Idee sono, e dope le Idee gli esempi eterni, vada innanzi alPuniversa generazione che nel mondo sensibile di continuo si fa; dopo queste gli influssi adoperano, e le celesti quality, si come il moto, e in ultimo la faculty della materia. > Laonde Trimegisto in si fatto proposito anche piu chiaramente : « Iddio e pieno di tutte le Idee, e spargendo le qualita nella sfera maggiore (cosi chiama la materia) stando egli in sua fermezza stabile, dalla sua piti somma altezza in questo mondo nostro sensibile semind le Idee, la detta sfera. circondando delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. » Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il detto di Jamblico : « II mondo, essendo opera di Dio, conviene per si fatta guisa da lui fabbricato sia, che a qualche Idea esemplare di esso nel suo edificare riguardato abbia, allor ch'egli con maravigliosa provvidenza per propria bonti alia struttura s' accinge di cotanta macchina. » Dafinio, — Questi sono pensieri che meno difficili ne paiono, perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle menti nostre sperimentiamo questi atti disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi ci mettiamo. Venendogli dunque alia Divina Mente applicando, non e malagevole il cosi figurarsegli; ma immaginandoci poi la Divina Potehza con quelle alte e ineflfabili prerogative d' infinite, di unit^, di eternita, di stability impertnutabile che alia soprana eccellenza di sua condizione vengono richieste, volerle assugettire a distinzioni di tal fatta, e a misure che si affanno a noi, e si considerare P Idee innumerabili e infinite, e poi che elle in una Idea sola s' immedesimino, e che il numero dell' unitade (se pero numero chiamare si dee) non si alteri con la moltitudine, qui e dove nostro apprendimento vacilla. Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la cdsa con gli esempli piu chiara, iiditene uno, che ne mette molto proporzional mente Ploti"no : MagiottL — Piui appropriatamente, per quanto i' m' avviso, torna al paragone del mare il vasto Oceano del tutto, che unico e anch'egli (come Platone afferma) per I'ordine 6 per I'armonia, la quale dalle forme senza novero ch'egli ha in se, e di tante ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza insieme ; e come 1' onde del mare non sono altro che il mare, cosi le forme nel mondo non sono altro che il mondo. Di maniera che merce di questa armania rendesi il mondo a Dio simiglievole, che per cio il nostro filosofo, piu innanzi favellando, Iddio generate lo chiama; ma non altramente deir agitato mare, e da' soffi de' venti in yarie guise trasformato e commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini o divariamenti quella perfetta concordanza e unione che nelr infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima impercio che le forme varie sono di lor natura locate nella materia, avvegna che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con le forme; ma la materia per se stessa di contrarii e conposta; per modo che, e forme vegetabili, e forme sensibili, e forme ragionevoli, e di altra guisa in questo visibil mondo si rappresentano ; ne deir ordine armonico puo tanto il valore, che tra di esse qual piu e qual meno a quel supremo esemplare non venga a rassomigliarsi ; talmente che differmita considerabile ci ha non che nolle spezie, negH individui loro, ancorche di quell' unica, perfetta e non mai permutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri; che per cio, come le onde marine, le quali piu variate, e di colore sono^ e di profondita, e di grandezza, e svariatamente corrono allido; anche le forme in questo mar profondo delr universo valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che in Dio sono, per lui sono, e a lui tutte sono sempre ugaalmente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da essere, le qnali nolle ragionevoli creature sono vestigii piu adattatamente impressi entro la corporale materia, della suprema ragione, per quanto a quella Divina Norma,' ch' e senza mendo, vie piu che le altre rassembrino; pur tutta via si divariano sovente volte e stravolgonsi da gli affetti soperchievoli e dalle smoderate corporali perturbazioni, dalle quali ad ora ad ora sregolando si viene lor bene ordinato adoprare, ch' esse te le scompongono, e traggon fuori dalla loro formosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o meno alia bella divina sembianza si vengono accostando, e non serbano uguali, e mai sempre a un modo le loro doti sovrane. Perche tal verita insegao Beatrice con savio ammaestramento al nostro Dante nel suo entrare del Paradiso: Adunque non ^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove si scolpiscano via via insegnando loro cose nuove, e non piii da essi udite e vedute; ma le notizie prime di tutte le cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di mano in mano si risvegliano che vi dormivano, e in ispezialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi Geometrici, P ono concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi dire a lieva Tordine di que' primi semi, ' gli uomini delle scienze di tntte quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono. Imperfetto, — Si; vol ci sponeste, Don Raffaello, con grande evidenza alonni giorni fa : come i primi element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza universale £ino alia Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve ne mostrai, se Yoi ne avete ricordanza; ma di questa sapienza infinita che e in Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento perfetto, imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte quante le cose virtu acquistano, e pregio di bonta, e di sapere, e per ta^ragione e utili si chiamano, e dilettevoli, e saggie, e si tali ne riescono a chinnque acconciamente assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma senza simigliante conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d' intendere, e che buona, o giovevole noi giudichiamo, niuna utility, nessuna ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non per altro adiviene, se non perche uscendo le nostre menti dalla vera sedia della ragione, alia contemplazione di quella superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chiarezza ci addirizziamo. Per la qual cosa tal cognizione agevolmente si scambia, secondo le varie torbe apprensioni, e le torbid^ iuclinazioni de gli uomini da'proprii affetti mal consigliati; che altri questo dono divino sel credono nella voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell' ambizione lo si figurano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e prosuntuosa curiositade; e a pena che i veri filosofanti nella sapienza e nella verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo temerariamente del proprio senno pavoneggiandosi, piii oltre del licito e del possibile si traviano, e nella soperchia luce si acciecano. Egli e dunque manifesto che ogni anima.ugualmente la saviezza desidera ed il buono, e, per conseguirlo, fa tutto quello ch'Ella sa, secondo perd i bugiardi o veri oggetti che se le parano davanti ; ma ci6 tutto consiste nel saperlo rettamente riscegliere e ravvisare, il quale in somma non altrove che nella meditazione di Dio st^ riposto: dalla cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sapienza quelle prime faville nell^ anima nostra discendono, le quali, come si e detto, Idee seconde si chiamauo da Platone, tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame lume tra il vero e lo iatelletto, dove con esso il guardo interno disappassijonatamente vi ci fissiamo, e con quello ardente, e ben regolato amore, che Ma siffatte purissime scintille del divin fulgore noi non le abbiamo in noi da per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle corporali passioni vi si accendono alcuna volta, e con esse si permischiano, ancorche accoppiamenti sieno mal messi insieme, e come abbozzi per un certo modo di quelle, pur tuttavia per difetto della materia ov' elle si rinvoltano, come delle chimere addiviene, delle abbarbagliate immagi nazioni e de' sogni, non mai alia verity delle scienze ne menano, ma sempre a fallaci e stravolte opinioni, che dal vero ne discostano, e concetti ne formano di la da ogni regola di ragione; e di qui procede che invece di recarlume, torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia bella chiarezza del rintelletto; che il buono, e il vero, quanto a sua intenzione appetisce, e cio imperciocche V immaginazione male s^ in forma da quelle passioni, che fuori del sentiero battuto del vero senza ch^ ella se ne accorga te la ritorcono e te la disviano. « lo veggio ben si come gi& lisplende Nello intelletto tno retema lace, Che Yista sola sempre amore accende ; E s'oltra cosa nostro amor seduce, Non e, se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto, che quiri trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse quel sublime ingegno ch'e dellft Poesia Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente V uomo ottenebrate avendo le lucidissime e vivacl potenze dell^ anima da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi troppo in cotanta fulgidezza per lo soperchievole abbagliamento se gli cansa il vedere, o si veramente le ali del intelletto nostro cui solamente si alte ragioni stanno esposte, dalla pania delle terrene voglie invischiate trovandosi, non si ponno staccare, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per quanto nostra mente procnri di pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di meno seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la strada manca, e invece di aggiagnerle si perdon di vista quel piii. Per lo che dal vero sciontifico deviandosi^ alia fallacie si donano gli uomini, e hannole per reali e per vere; e 88 per caso ad alcuna verita pervengono (il che di rado accade per si£fatte Tie) cio succede a simiglianza de' ciechi (come chiaramente Platone nel Sesto della EeptMlica) cui viene a sorte camminato pe '1 diritto, a differenza di quegli che giran girano per quella o per quell* altra via, e mai non ne vengono a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le cagioni delle cose vere, con lo intelletto e non con esso i sensi comprendersi per quello che veramente elle sono ; e conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare, 6 amare il loro sovranissimo Autore. H che esplica il filosofo oiostro nel Convivio^ con la sua usata ammirabil maniera : « L* animo della Divina Bellezza innamorato allor che e' gusta pe '1 suo verso, e intende le ragioni divine, non piu i simulacri ma le cose vere in se stesso partorisce, e partorite nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza richiama ad alta voce la ragione dietro a' sensi sviata; per tal modo divenendo I'uomo familiare di Dio e vie piii immortale degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle Idee, la notizia vera delle cose che sono ne risulta, non tanto esse riconoscendo da Dio, ma ancora da noi medesimi, non come cognizioni impresse con esso lo studio ne gli animi nostri, ma si per la reminiscenza nella nostra mente resuscitate quelle che generate vi furono con esso noi per merito della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio corporeo bruttate vi erano e cancellate, senza lo ripulimento delle studiose contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a falso lume si veggiono, e totalmente dal vero diversi. Luigi, — Come sarebbe a dire? MagioUi. — Come, verbigrazia, alia nostra vista per alcun mezzo trasparente si ma gi*ossolano o mal pnlito qnalcbe oggetto passando, che per esso sua immagine si stravolga e sformi, tuttp altro da quel che e' ci rassembra e' lo giudichiamo ; o pnre come nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli per r aere sereno, da noi scorta talora, la quale, o per lo risguardamento uostro mal situato, o vero per la grossezza de^ vapori si da lungi sguardandola in figura di Lione o di Drago, o s'in forma d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie sembianze, cui, se awicinare potessimo le pupille, tutta nebbia confusa, informe e indistinta per awentura parrebbeci, e che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o si veramente dove un alcuno schizzo casuale o d' inchiostro o di altra tintura, il quale da presso non e salvo che scarabocchio sformato, un ben ordinato disegno di regolati lineamenti tal volta da discosto ci sembra ; tale per le stesse ragioni all' occhio della mente e dello intelletto gli oggetti non di rado intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma non altramente che non h mancamento del Sole, se variamente ci paiono le cose da quelle che elle sono in varii luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra diversa materia; cosi non h difetto di quella pura semenza di luce, che nelPanima nostra fa lume, e riluce ugualmente ad ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella trapassa, o delle corporali pareti, ond' ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti si o no aUa lor vera veduta si guardino^ imperci6 che tatto sta nel pigliare il verso e '1 vero diritto per giustamente scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati gli organiele vie per cui passano le spezie da qualunque intasamento de gli affumicati vapori, che in alto levano gli affetti piu bassi e piu irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di f uliginose fumicazioni, le quali spesso da' varii accendimenti de' sensi vi si tramandano. In si fatto modo per 1' use de' saggi ammaestramenti, e con la continua disciplina delle meditazioni scientifiiche, e con esso lo incamminamento ben guidato della ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la lucidezza delP immaginativa, che non s' intorbidi e render possa le immagini vere e reali, e non isformate, ed impure all' acume delle luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero filo la chiarezza di que'raggi divini scorgano e intendano le cose, come in fatto stesso elle sono^ al loro etemo principio Yolgendosi, e da quello riconoscendole con perfetta contemplazione. Imperfetto. — Di vero, che i luoghi ne piii degni, ne piu proprj esser ponno a fame co' suoi veri lumi discernere le beUezze della divina sapienza, ch' e V idea universale (come si e ^etto piu e piu volte) di tutte le cose che sono ; irapercio che convien farsi dall' amore verso Iddio, e dall' adorare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima di tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la vista a fine d' intenderla con soperchievole bramosia, e con ismoderato ardimento. E' vuol essere amore filiale, nel modo che il figliuolo r occbio al padre contegnoso rivolge e rimesso, e non gliene squaderna in faccia prosontuosamente e senza la dovuta venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove con r intelletto non si puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu dottrinale per ammaestrarne nel divino conoscimento, in quella lettera che Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita sottigliezza ed acume. Ivi egli dice che V animo nostro non ha via di capire V Idee che sono nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e in quarto luogo, la scienza non ne abbia, e nel quinto finalmente ch' e' non apprenda il mezzo per il quale una cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia scienza di sapere quel che sia il Cerchio: primieramente bisogna sapere questo nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria definizione, e che a lui solo si convenga; terzo, s' immagini disegnata essa figura circolare awertendo, ch'essa il vero cerchio non e, ma solamente la sua immagine; quarto si rappresenti alia mente la forma del medesimo Cerchio, cioe il di lui esemplare generate con esso lui ; quinto, con si fatta elevazione di mente trapassi a coatemplare Fldea del medesimo, quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile apprensione vera e scientifica quale e colui che aspirare possa in questa vita, se non se V animo umano, con la filosofia, di 8U0 caduco corporale meditando la morte, come di tntti suo* sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio ; che impero Pico della Mirandola nega la mente delr uomo potere intendere le Idee, se non giunto a simile stato sublime, ch' h V ultimo grado della perfezione contemplativa; e nel Htneo, come averete udito, dice Platone agli Dii appartenersi dMntendere le Idee, e a quegli uomini pochi, come si 6 a que^ soli, i quali merce della filosofia si sollievano al* Taltissime speculazioni d'Iddio. Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino io)i quali dimenticatisi, non che di qualunque altra cosa, dell'essere vivi, tutti alle potenze superiori dannosi in preda, e abbandonano le inferiori^ che viene a dire datisi alia contemplativa, perdono affatto Tuso della vita attiva. Dafinio. — Si vede che io non sono di cotesti che voi dite ; impercio che riconosco bene tutte queste proposizioni Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma son modi, per arrivare a intendere le Idee, malagevoli molto, e assai piu che non e la materia medesima delle Idee; m' e nondimeno di alto rilevamento e di sommo diletto V udirli, e sentomi vostra merc^ cr;escer V ali per alzarmi vie piu che io per me valevole non sarei, di modo che eziandio che io non giunga a intendere, posso dirvi, signer Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Beatrice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io. » Luigi. — Io sto cheto perche io credo ch' e' nasca da me e invidio agli esimj vostri talenti che dalla volgare schiera degli uomini vi traggon fuori. • MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo sempre con maggiore evidenza la proposizione di Socrate, che si fatte materie sovrane dalla nostra caduca condizione in tutto e per tutto s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si favella, ampla e malagevole, e per6 la mente ci 'si affatica a pensarci, nonche la lingua nel proferire tante e si varie proposizioni che non averebbe mai fine; e pero vi prego^ Don Raffaello^ dite un po' voi, lasciandomi in tanto ripigliar lena. (Segue) IL TIMEO. Sopra VAnima del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio si e, tutt^ insieme unico e intero, come si fanno a credere foUemente costoro; quest' altre Deit^, onde favellato abbiamo, che assegnarono i piu de' Gentili a tutti gli operamenti generici delP uni verso, Dii interi non saranno, ma porzioni di Dio^ e la terra che e parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per tal modo sarebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del mondo grandissime, che inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci, che non mai vi si liquefanno, le quali sarebbon membra divine a siffatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare che Iddio non fosse altrimenti impassibile. E non che le sopraddette regioni, ma tutte le minuzie del mondo, s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio ; laonde qualunque parte che Tuomp e gli altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacrilegamente una parte di Dio. Ogni fiore che si colga, ogni erba che si divella, qualunque barba che si diradichi di sotterra, BB,rk uno strappare le viscere, dilacerare le membra della divina sostanza^ e qualsisia cosa che nelPuniverso si corrompa e guasti, corromperassi una parte di Dio. E tali cose posson pensarsi non che raccontarsi senza vergogna? E per5 divinamente il nostro sublime Filosofo nella Bepubhlica : Quel che e uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio, per qual maniera anche con la immaginazione si puo egli dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio V essere di Dio, senza cho niuno V abbia veduto, e sappia come e qnale e^ si sia, e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio fosse e dovesse essere nel modo che dite Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ? Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben nel Cielo si puo immaginare, ma non gia qui tra noi; noi possiamo bene e dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra immaginazione piu perfetto di quel che noi possiamo comprendere, e non crederlo ne figurarcelo gia mai con quelle imperfezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo quel principio supremo che senz'aver avuto principio, ha dato principio a tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di tutti i perfetti, cui nulla si pnote aggiungere ne torre, Toriginale primario di tutte le cose buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte le sapienti, intelligibili e razionali cose, le quali non son parte di Lui, ne della sua propria essenza, ma copie, abbozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben messi insieme, di lui; quel che pu5 cio ch* e' vuole, e nulla ci ha che possa sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di senso umano, ne puo patire per avvenimento che sia, perche ogni avvenimento per lui viene, o da esso si puote impedire : e impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine, perche e infinito, informe, ne da verun luogo puo essere circoscritto, ne si ferma per cosa che lo trattenga, ne ha movimento di luogo, o di agitazione, ne si fa gia mai in conto, o per modo veruno, non e il medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene dissimile, ne uguale, n^ disuguale, perche niuna cosa il misura ned' e per novello ne per antico, ne in tempo, ma sempre senza tempo, non generato giammai, ne si genera al presente, n^ fu mai, ne fatto e ora, ne si far^, ned' ^, ne dope sara, ne e partecipe di sostanza, perche egli e solo e V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e future, egli e e si genera e si fa, e presente, che son misure di tempo, ed egli non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente gli torni, niuna defiinizione che gli si addica, ne di lui si puo concepire da noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne agguagliarlo con parole mortali^ ne pensare, ne cognoscersi, ne da nessuno ente che sia formarsene concetto, o aver sense, o lume 81 chiaro, che vi aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si stende. Egli e insomma V ottimo di tutte quante le cose che sond, ma e* non e niuna delle cgse per ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli e sopra 1' essenza di tutte. E se Iddio non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce, si come il meglio di tutto queUo ch* e, perche ogni cosa per lui e ? E pero Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe essere di altra maniera. Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose visibill e il piu perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio che chi fa, chi produce, e si smisuratamente adopra tante e si meravigliose operazioni, come fa Tuniverso, e quale con maggior ragione e sapere di esso? Magiotti. — Non puote essere il meglio e il piu perfetto, quello dove giungono le misure del quanto e dove i nostri sensi si allargano, cui competa il nome sovrant) di Dio; ma ha da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli argomenti umani e dove niuno puo alzar le vele con la navicella del proprio ingegno, perche di cotesto non si puo andar piu in la, ne anche da i compassi infiniti della menta divina, conciossia cosa che essendo egli infinito, infiniti e senza termine sono gli attributi che a Ini si convexigono. ne dalla nostra immaginazioiie si pQ6 sapere cotanto addentro, per modo che niente ci ha da coireggere come saocede negli sbagli e ne' difetii del mondo, che per hi reita, e nudyagit^ natnrale della materia, a otta a otta danno in fnori, n^ con esso V oirdine di chi lo regola pii6 ammendarsi in gnisa, che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e, n^ qnel peifettissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed assolnta di an Dio, qaantnnqne riesca ai nostri occhi 1' nniverso a. ammirabile, e qnanto a noi la pin beUa, la piu perfetta cosa che sia, per merito del magistero sovrano che lo fabbrico, e che veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omiipotenza Divina; laonde con somma saviezza disse Plotino: « dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si pao dare V nltono fine il qnale per sna incommensnrabiliia divenga infinito; e U mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia patisce; > e pero, dice il Ficino, «gK e indivisibile, e sottoposto a diseioglimenti contimii, e come di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga conginnto, il quale di sua natora perfettissimo' sia, ed intero, e da se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte le'misore, e di totte le immaginazioni deDe cose finite: impercio che il sommo di totte qoante le cose e cosi alto, che vince la nostra vedota, e da qoesto solamente deesi credere che abbia il mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli ha, in come lavoro dell' etemo motore, che impero si raggoardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia perche e' sia Dio. Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de' sopraddetti filosofi fosse egli Iddio, Terrebbed a oscire d' inconyenienti molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo filosofante, o che diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il paziente insieme, di una stessa dignitade e potenza, il che non pa6 tomar mai alia ragione de'piii esperti contemplativi; dove se Iddio e la materia fosser tutta una, sarebbe una Deitit sola etema, cio^ il mondo medesimo. Buofiaccorsi. — Tutto il ragionamento precedente del nostro Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi della filosofia, cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la materia, di difetti sarebbe pieno e di errori, che non si deve presupporre di un Dio^ ne puo essere una medesima sostanza fatta di due cose contrarie assolute, onde immedesimare si potessero in un solo soggetto e le condizioni ottime di Dio e le prave quality della materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto, e non mi ricordo dove, che Iddio h non Ente, e si altresi la materia e non ente ; adunque che contrariety ci sarebb^egli se ci6 vero fosse? Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chiamano il primo Ente, e veramente non Ente per rispetto a gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e non ente, perch* ella h inferiore a gli Enti ; » ora considerate s' e' sono Iddio e la materia veramente contrarii. Ma con altro argomento risponde Alcinoo, e di vero con somma saviezza, contro V opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo (die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo, di materia e di forma composto sarebbe, e perd non saria semplice come all' essere di Dio vien richiesto, ne imper6 principio per s^, solo, increato, come Iddio esser conviene. Ora non potendo esser corpo, non puote in veruna ragione essere Iddio V universo corporeo. » MotgiotU, — Gli Stoici dividono la natura universale in due parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta si e. Nella prima la virtii della vita e del sense consistere ; la materia per s^ infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y una poter stare senza V altra nell* Universo: ma non puo gill essere il medesimo quello che adopera, e quelle in cui si adopera, come se tutta una avesse da essere il vasaio che il fango, e il fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto delirio che reputano queste due diversissime cose il medesimo Iddio e il mondo; TArtefice e la fabbrica! La materia, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da Dio e ordinarsi di continao talmente, cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente. E la materia da lui ricevere la sospinta, e ordinarsi mobilmente ricevendo da Dio la sua tempera secondo gV iutervalli de^ tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il quale quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo essere, sempre si ricarica, se no finirebbe il suo movimento 6 non andrebbe piu; nello stesso modo la materia di sua natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel disordine del Caos, perche via via col suo disfacimento ella quanto a se vi ritorna, ma di presente il maestro eterno la ritempera e la rimette su Tordine, e falla camminare compostamente per via delle continue generazioni, e di mano in mano ch'Ella va a perdere sue forme, riformandola per mezzo di quegli esempi eterni, e cio si fa per rispetto a Dio infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo essa materia. Luigi, Che cosa e egli dunque questo Universo che anima tutte quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, nodrisce, accrescele e crea ? tutte quante in oh le riceve e seppelliscele, e di tutte ugualmente e Padre, perche del medesimo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo disfannosi} s' e' non e Iddio onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose €he sono hanno T essere loro? MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono, ma r intelletto Divino e Padre del Mondo (dice il medesimo autore) e la materia Madre : e V ornamento del Mondo, e prole Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi ammirabili per cui ella si concepisce, e come ella si fa, e per questo prendiamo errore, stimando il nostro occhio e i no&tri sensi misure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo. £ pero non e il mondo Dio, ma per V onnipotenza di Dio egli 6 quel che egli e ; noi scorghiamo gli efifetti e non la cagione, e come detto si e, gli pigliamo ignorantemente da quella in iscambio, facendoci a credere con somma demenzia che quel che e fuori della nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e coloi che regge e governa, e che formo la natura. {Segue) IL TIMEO. Se VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere pro Tribunal!, e discorrete altamente come h nostro uso. MagioUi. — £cco fatta Tobbedienza, e ricomincio a dire, essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima intorno alia sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile, e air Idee, si come alti esemplari del nostro sensibile, e delle forme che questo adomano. E si parimente avendo discorso sopra r opinione dell^ anima universale e quanto i sentimenti di Platone si accostino in molte parti alia nostra verity, mi 6 venuto in amore di ragionare parimente co^ sentimenti Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima del mondo, o la porzione piu nobile e piu sovrana di essa, e cio in seguimento del proposito tenuto sin qui. Sommo e infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene, impercio che di essenza perfettissima egli e, e anche oggetto di infinito amore, e insieme di godimento infinite, e di perfetta beatitudine a chi lo possiede, si come eziandio sommo e assoluto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque il conosce, e non V ha in s^. Ora perche egli e sommo e infinito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e per6 Iddio solo nella sua eterna mente il concepisce e intende, cio^ egli solo cape s^ stesso. Questo concetto dunque, questa cognizione ch^ egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto divino, come sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile ed etemale, che tanto si e a dire 11 discorso eminente e non errante che fa Iddio sopra *1 suo essere divino, ottimo e inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo infinito merito di sua perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per il quale yiene constituita la persona prima del Padre correspettiva e distinta dalla seconda che e il suo £gliuolo, in tutto e per tutto uguale a lui. Da questo atto poscia di cognlzione e d' intendimento sovrano che fa Iddio di questo bene etemo ch^egli possiede in s^ stesso, subito ch* e conceputo dal Padre per oggetto di beneficenza infinita, a misura di sue altissimo valore infinitamente V ama, e quindi procede quello ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione di esso infinito bene, per la cui strabondevole fecondit^ sparges! pel Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile carit^, dalle cui fruttlficanti faville tutte le cose che sono hanno essere* e vita. E simigliante infinito Amore procedente da amendue le altre persone, 11 Divino Spirito si e, il quale secondo la verita nostra h la terza Divina Persona in essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari, e dal nostro Poeta Teologo altamente espostoci nel Paradlso. Canto X: « Guardando nel sao Figlio con 1* Amore Che rnno e Taltro eternal mente spira, Lo primo ed ineffablle Yalore, > per cui le scintille di suo fuoco amoroso, cioe a dire le divine grazie si spandono di sua Providenza onnipotente e benefica per tutti quanti gli ordini della natura. Per le medesime scintille poi prese fuoco eziandio ogni altro amore, imperciocche innumerabili amori si accesero nella natura universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come bene ne awertisce 11 medesimo Divino Poeta, perche esso amore aperse 11 varco della creazione deirUniverso alio sparglmento de' suoi benl portati su le all della sua arden* tissima carlt^, de* quali egli era infinitamente ripieno, solamente per diffondergli altrui, che egli non era in nessun conto bisognevole. c Non per avere a s& di bene acqaisto, Gh'esser non pu6, ma perchd suo splendore Potesse risplendendo dir: snssisto; In saa eternitii, di tempo faore, Faor d*ogni altro comprender come i piacque, S*aperse in nuovi amor Tetemo Amore. N& prima, qnasi torpente, si giacque, Ch^ nh prima ne poscia precedette Lo discorrer di Dio sovra queste acque. » Qaesto amore, dunque, raccendendosi con iscintille senza novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro piu o meno direttamente a riamare e adorare il bene in£nito, secondo ch^ esse piu o men chiaro il rafQgurano e se-,condo le proporzioni e disposizioni, ch^elle hanno piti o meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui per diritto filo, o per via di varii e moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi, o si pure stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de* proprii affetti, non in Lui, ma in altre creature erroneamente te gli fermino. Luigi. — Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio conto ricerca piu esatta ospressione. MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui non sia, e che non discenda da Lui, e intanto il bene e bene, in quanto egli b comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infinitamente comunicabile convien che sia^ e per6 tutti i beni, che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si spicchino da questo unico infinite bene, e dove non sieno riordinati a Lui. Per la qual cosa non ci hanno beni in noi, nh fuori di noi, se non gli spande il supremo benefattore Iddio come miniera e principio di tutti i beni. c Dunque air essenzia, ov* e tanto avYantaggio Che ciascun ben che fuor di lei si trova Altro non h che di suo lame un raggio, canta il medesimo nostro Poeta. Vero e ch'essi si adnlterano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni, qnalanque volta secondo il loro diritto non si rivolgano, e se si torcono non si riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo per cni fassi penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le cose create, salvo che lo spargimento delle faville di qnesto ardentissimo primo Amore da iai procedente e ugnale a lui, le quali in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle ne sieno secondo loro capaci : cioe questo desiderio, questo appetite ch* e innestato nella natura universale di finire beni si grandi, pe* quali ella si mantenga viva e perpetua. Imperd merce di questo amore primiero fontana di tutti gli amon accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte di creature o vegetabili; o sensibili, che sono semi della sua profonda e inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di voglia siccome quelle che accese ne sono ad una cieca obbedienza della sua volonta cotanto loro giovevole per la loro prima conservagione; e Tamano gli individui loro, ancor che per avventura non sappian di amarlo, conciossia cosa che intendimento e^non abbiano da conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e generi loro, e se non questi, hallo e V ama e V adora la madre natura, ch* h il genere.di tutti i generi, la quale accendesi alTesecuzione del suo altissimo provvedere, divenendo in qaesta bassa circonferenza ministra della Divinitade. Ma tali beni che dall^ infinite e sommo bene si diramano parrebbero quasi beni finiti, e terminabili, se non ci fosse anche a chi comnnicare i beni etemi nel loro essere intero e perfetto, che sono i veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V intelligenze saperiori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente quel che elle amano, adorandolo a vise aperto, hannoci gli uomini, i quali ci rassembrano capaci dello sfogo della divina bont^ intorno a gli eterni beni ; e di ragione debbono e dovrebbono amarlo sopra ogni cosa che sia, avendone cotanta arra ne'beni sparsi per V universe, e tanti e si be'raggi per riconoscerlo, scorgendolo manifesto nella bellezza del tntto e nolle bellezze tante e si varie di esso; e quando e'non fosse altro, conoscono per alto privilegio di averne la cognizione, e la bramosia cui h credibile che sia data, perche Iddio gli abbia fatti degni eziandio di ricevergli, il che non si ravvisa negli irrazionali che hanno i desiderii loro, e loro affetti^ e passioni Dei primi moti solamente, dove gli uomini hanno ne gli atti secondi lumi da distinguere e scerre il meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragionevoli adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di maniera che le razionali creature debbono accendersi, e '1 possono spontaneamente, al riconoscimento e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie divine^ e alia gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera che essi beni non piu beni sarebbero in noi se non pigliassimo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da noi, e desiderassersi con piena liberta di volere e con atti riflessi corrispondenti a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le razionali creature hanno virtii di distinguere e desiderare questi beni per mezzo di quest o amore scambievole tra Dio e noi, il quale da lui per venire a noi si diparte, e accendesi in noi per ritomare a lui, talmente che amore dee essere in noi un ripercotimento di Amore, e un rivolgimento e un ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente alia perfezione della divina unitade. E per cio Amore, disse Platone, h quelParmOnia e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed aU'uno; per guisa che nolle creature dotate di ragione si eccita il lume del conoscimento e le faville di amore verso il sommo bene, e di tutti i beni che si drizzano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo amore e di questo fuoco divino, qualunque volta la parte inferiore non recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione. Impercio che i principali movimenti delPanima sono Pintelletto e la volenti, e le altre potenze sono o a questi, o per questi. L' intelletto ha per oggetto il vero, la volenti ha per oggetto il bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si pu6 consegaire perfettamente da loro, quindi molte fiate V amore del vero e del buono si lascia in noi traviare dalle opinioni e dai sensi, e scambia poscia il vero dal falso, il bnono dal reo. e non al sommo bene, ma si follemente rivolgesi altrove. Ma saviamente lo c'insegna Platone nel Fedro, dicendo cosi: «Che in noi sono due faculty, le quali hanno gran forza o potere di guidarci a lor senno : V una si e la cupiditib innestata in noi, di quel che piil ci diletta : V altra una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste alcuna Yolta convengono insieme, alcuna altra contrastano e tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della ragione ne conduce a quel che veramente h V ottimo, tale si e la virtu vera e F adoperar ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli ne travia, e in noi imperiosamente comanda, qnesta chiamasi cupidigia, che muta nomi, seconda a quale effetto ella stoltamente ne mena. E tale si e quell' amore malusato e trasportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle solo, il quale all* ottimo ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima distinzione considerate avete, Don Baffaello, i movimenti di questo prime amore, e quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio che primo amore convien chiamarlo; con ci6 sia cosa che tutti i moti nel mondo, e negli ordini vaij delle creature, tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine impero di tutti gli amori. Ecco la natura percb^ si muov' ella alle generazioni se non per amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo, come tiene il nostro filosofo,e non si regge e governa a caso, come la nostra verita il vieta di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a ricongiugnere le cose, che per loro difetto dal loro ordine si deviano; per lo che nasce spesso il tumultuoso combaitimento di quelle che fuori di ogni loro dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e co* venti, e co' turbini, o con le tempeste, o co'folgori, tutte impetuosamente si commuovono. ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E percio essendo tratte fuori dalla loro natural positura s' infuriano per ritornarci e per ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne meno le razionali creature si muovono con tutti i lor moti, quali essi sieno, o buoni, o mali, sempre per amore; se buoni per amore alia virtu o alia bellezza degli animi, che gli addirizza alia divina pulcritudine ; onde il Poeta: « Che mentre il segui al sommo ben tMnvia; » se mali, perche scambiando gli oggetti che gV inducono ad amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, « Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo i diletti carnali, e via via di tutti i vizj e falli degli uomini, fino 1' ambizione, anzi Tira, gli odj, e si le malevoglienze, le maledicenze, e le vendette medesime nascono da amore per levarsi d'intomo cio, che impedisce loro di godere quel che egli amano ; il che acutamente ci ammaestra san Tommaso, che intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il bene che noi amiamo; ma non di meno in si fatte passioni d^ amore, non mai i mortali si satollano, impercio che anche conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto delV amor loro non consegmscono, ancor che e' si pensino di trovarloci entro. Impero V amor vero e reale scorge gli uomini alia sapienza e all* amor divino. L* amore stravolto da* sensi, e che tormina nolle cose corporee, ha solamente per fine se stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e utile, sodisfacendo in tutto per quanto e* puo ai corporali appetiti. Per la qual ragione dicesi amor proprio, il quale da regola a* movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta nostro sovrano, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al diciassettesimo Canto. « Ne Creator, ne creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu senza amore, natural e o d'animo; e ta '1 sai. Lo natural fu sempre senza errore; Ma Taltro puote errar per malo obbiotto, per troppo, o per poco di vigore. Mentre ch'egli e ne*primi ben diretto E ne* second! s^ stesso misura, Esser non pu5 cagion di mal diletto ; Ma quando al mal si torce, o con piii cura, con men che non dee, corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi, ch' esser convione Amor sementa in voi d' ogni virtute £ d^ogni operazion che merta pene. » E piu abbasso^ nel medesimo Canto, strettamente al nostro proposito: « Amor nasce in tre modi in vostro limo. te chi, per esser suo vicin soppresso Spera eccellenza, e sol per questo brama Ch*el sia di sua grandezza in basso messo. I) chi podere, grazia, onore e fama Teme di perdor perch' altri sormonti, Onde si attrista si, che '1 contrario ama; Ed 6 chi per ingiuria par ch'adonti Si, che si fa della vendetta ghiotto; E tal conyien, che il male altrui impronti. » Per lo che riconoscesi manifesto che anche il desiderar male, e il far male altrui, nasce da amore, come detto si e, ma da amor soverchio di se medesimo, impero che la volontft non puote per alcun modo che sia amare semplicemente il male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in altri a fine sempre e per amore del proprio bene, ch' essa s' immagina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corporei; conciosiache e' non intendono gli uomini, e non sanno aprir le ale, onde salgano in alto a questo primo amore, ne sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e ardente, il quale dissemina ampiamente le sue lucidissime scintille per lo tutto a conservazione e vita del tutto, e alia ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo stravolgimento nasce in noi dal mal giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della vista dell'anime nostre, per entro le sensibili vestimenta che ne ricoprono, e nascondonne il purissimo lume, lasciandone a pena che un mal distinto bagliore, e tutte le bellezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne' volti risplendono di bella donna, sono riflessi e specchi della bellezza suprema; e colui il quale riguardando con amore in essi, ivi i raggi ferma della vista amorosa, e non sa alzargli al lor perfettissimo originale, ne va errato a guisa di quello, che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello s' immaginasse nel cielo; il che appunto ne awertisce Marsilio nostro, che la belta e un certo atto, vivacita e grazia che risplende ne' corpi per lo raggio della sua prima Idea, e consiste nelV ordine, nella proporzione e nel lume, qualita e sembianze che si possono agevolmente guastare, e trasfigurarsi, riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza e incorporea, e qualunque ama solamente i corpi non ama vero oggetto di amore, ne bellezza sincera, per cio che questa riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la proporzione dalla Divina sapienza. Per la qual cosa (die' egli) cbiunque ama il lume del Sole, non dee amar quel corpo dove batte il Sole, ma riferire suo amore al Sole medesimo, ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; impercio che lo splendore del Volto Divino che nelle cose belle rifulge h T universale della bellezza, e Tappetito che a quella si volge e 1' universale amore, e quindi nasce poi U particolare amore a particolare bellezza ; e percio scambiano di leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso adombrato dalla luce chiarissima, che lo indora. Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti il soccorso appunto del signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene I'ombre del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo veruno, ma e legge della natura e di Dio, che gli uomini, e le donne, anziche gli uomini eziandio tra loro scambievolmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno della virtu ch' e figura e immagine vera di Dio, e non terminino I'amor loro con esso Tappetito nelle forme corporee apparenti, conciossiache questo amore sia anzi awersario d'Amore, si come quello che dalle bellezze dell' Idee ne ritorce il guardo alia deformita della materia, e ivi si ferma. Dafinio, — Ma lo appetite che voi dite non e egli parte di amore? MagioUi, — Son faville scappate fuori dal fuoco dell' amor vero, che si appigliano nella pece o nel ferro, i quali pero ne scottano i sensi e arroventano il cuore, benche ciecLi afPatto di luce; impero che amando le corporali bellezze, come loro ultimo fine, non si amano come Architetture divine, e percio ancor che in esse in fatto stesso amino Iddio, come fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore, non sanno di amarlo, e amandolo, il disamano, perche invece di ordinare T amore a lui, amano quelle, si come incentivi non all' amor divino, ma all' amor proprio e alle proprie volutta; e per tal modo spengono nella corporalita materiale, non che la fiamma del vero e lecito Amore, ma il lume della ragione. Amar dunque si dee con amore (ne ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal guisa che cio sia venerare la sapienza e temere dell' onnipotenza divina con ammirazione di lui ; e questo si e amare con vera dottrina d' amore, impero che con ragione rammemoraci nel Fedro, che la faccia bellissima della Sapienza, dove si potesse con esso gli occhi riguardare, all'ora altri si accorgerebbe che cosa sia veramente amore. Seguitiamo, dunque, il discorso, e si repetiamo, come questo Amor primo, onde tutti gli amanti si accendono, e razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu ministro della creazione di tutte quante le cose, riducendole alia prospettiva dell' essere; e che parimente per via delle inspirazioni accende e volge i cuori delle ragionevoli ai loro supremo benefattore ; ed e insomma la terza persona della Trinity ; essendo Iddio Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spirito Santo per I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo ordina e dispone, e come Spirito Santo sparge la vita e conserva, e tutti richiama al loro Autore, che pero Dante favellandone neir Inferno, ne le distingue con evidenza: « Giustizia mosse il mio alto fattore : Fecemi la divina potestate, La somma sapYenza e il primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, Se non eterne, ed io eterno duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero Timmaginazione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pensieri elle si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro Autore a tanta verity avvicinato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare, signor Gioseppe, cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar non potete (come fare' io) nel referirlaci, e nel metterla con esso la nostra in agguaglio. Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la vostra modestia mi suggerisce, ma per darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don Raffaello carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso Maestro a repetere il medesimo, che detto si e ; come Iddio e sommo e infinito bene, V occhio della cui alta mente in se risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^ e a simiglianza di specchio purissimo e tersissimo, ella piglia in se, e rende con que'divini reflessi Timmagini infinite ed eterne della sua infinita Sapienza; e queste secondo lui so no intelletto divino, il quale comprende in sh tutta insieme 1' Architettura perfettissima dell' intelligibil mondo, con tutte quante le Idee delle cose possibili a farsi da una onnipotenza infinita, le quali fornite perfettamente di fare dalla sua infinita sapienza si ragunano, e disegnansi nel ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indivisibile insieme congiunte, dimorano in una idea «ola, di che altre volte ragionato si e in proposito dell' Idee: la cuiinfinita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll con occhio desioso e benefico, giacche per se tutta la possiede e non pu6 contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur voi diceste, il quale voile Orfeo essere stato locato nel seno del Gaos nato innanzi al mondo, appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di gran consiglio. Per lo che Parmenide si lascio intendere, Iddio innanzi a tutte le altre Delta aver conceputo Amore. Nel Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi trasmesso dalla Divina Sapienza alia formazione e armonizzamento delPuniverso, da esso amore la bellezza ricevendo e r ordine. Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo onde Iddio incominciando da se ordina questo filo, secondo lo intendimento platonico ? Buonaccorsi. — Volendo la Provvidenza suprema, e questo sommo e infinito bene comunicare, e mettere in opera i frutti della sua infinita bonta, e non avendo nulla fuori di se, delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del1' intelligibil mondo, la creazione del mondo sensibile, per la cui e£Fettuazione dispose valersi di questo Amore. Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me capire la sentenza platonica intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina Mente, cioe il suo perfettissimo intelletto si rivolga a Dio come sommo benC; onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore di quel raggio accendesi eziandio una viva cupidita di propagare fuori di se si maravigliosa luce, e qaesta alta e ardente cupidita del sommo bene amore si e. Adunque la mente ch' e accesa accostasi a Dio, e accostaDdosi riceve le forme prime divine^ che sono la bontii, la sapienza e la bellezza infinita del sommo bene ; e per tal maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono, 6 che esser possono per lui, ed esse pitturc sono le Idee infinite del Mondo Archetipo, le quali nel mondo corporeo aveva determinato con fabbrica piu massiccia imitare; e qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli animi razionali (come si disse) ragioni e notizie; ma nella materia immagini e forme ; queste impercio rifulgouo nella Divina mente con raggio lucidissimo; nell'anima in modo men chiaro; nel mondo in gaisa molto piu oscura. Per la qual cosa, awertisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di mettere ordinatamente in filo le intelligibili cose, e trovarvi qualche attaccatura per le sensibili per quella via pero ch' ei puo, che Tunita divina sia termine dal quale ogni e qualunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura senza confusione e senza moltitudine; la mente poi e una certa moltitudine ordinatissima dell' Idee stabile e eterna : la ragione dell' anima, moltitudine di notizie e di argomenti, mobile si ma ordinata ; 1' opinione una moltitudine d' immagini disordinate, e mobili: I'unita non solamente unisce le parti deU'anima tra loro, e con tutta I'anima, ma eziandio tutta I'anima unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per lo raggio della mente divina, le Idee di tutte le cose per la mente con atto stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesima, le ragioni universali delle cose considera; in quanto ella risguarda i cor pi, le particolari forme rivolta alia sede deir opinione, e si le immagini delle cose mobili ricevute pe' sensi ; in quanto ella declina totalmente alia materia, usa la natura per istrumento col quale muove essa materia e formala, onde le generazioni, e gli augumenti, e i contrarii loro procedono. Innanzi dunque che la mente da Dio ricevesse le Idee, a lui si accosto, e avanti che si accostasse era la fiamma accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto nella sua essenza, e prima che si accendesse aveva il divino raggio ricevuto per conoscere la perfezione di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo intendimento illuminasse, gia esso desiderio ardente al riguardamento di lui medesimo si era rivolto : ora, come dice Ficino, il primo voltamento a Dio del divino intelletto e '1 nascimento d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la bellezza si e perfetta, primo raggio della Divina bonta, alia quale di pre sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel lame, onde il me' che si potea in questo mondo visibile impresse restassero, e adorne ; per si fatta maniera traendola fuori della confusione del Gaos ; che impero fa saggiamente creduto per entro al Caos essere stato locate Amore, accio che con la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse maneggiabile la materia corporea e dura, alia perfezione conducendola di si bell' opera, e si perche le tenebre da lei discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine che fa essere 1' uni verso opera degna di chi 1' ha fatto. Ch'fe egli altro dunque questo amore secondo Platone, se non quell' auima universale, o la porzione primaria e piu perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla natura del Medesimo avere avuto suo cominciamento, e poi a intenzione di farla confacevole e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Diverse? Laonde della natura di questo e di quelle essere stata insiememente composta; impercio te la veste della luce corporea, la quale e' cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come si e detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del mondo platonico non essere salvo che amore, cioe a dire quell' appetite universale, quel caldo vivifico disseminate nella natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime, muove tutte quante le cose alia generazione continua, onde di mano in mano che per la naturale mortalita di tutte le cose inferiori gl' individui periscono, merce di esse amore rifacendosi, conservansi eternalmente le specie lore, e mantiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio avviso Marco Tullio nelle Questioni Accademiche, quando disse: Ex mtmdi ardore motus omnis oritur: is autem ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte movetur; animus sit necesse est, ex quo efficitur animantem esse mundum, Eccovi dunque in questo ardore del mondo che anima il mondo, essere chiarissimamente spiegato amore. Per la qual cosa non a torto s' immagino il divine filosofo esserci due Veneri, con esse distinguendo le operazioni intelligibili dalle sensibili in quanto alia fattura dell' universe ; ed esser genitrici di questi due amori, naturale e divine; la prima Venere tutta adorna del divine fillgore, lo sparge alia seconda Venere; la prima suUe ali del 'prime amore e rapita air in su a riguardare la bellezza di Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pigliandone, il me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al simile che riuscir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi mondani, aiutata a cio da quell' amore, che nell'anima universale risiede, e da gli stimoli alia natura, e per tal via da questa Venere seconda raccolgonsi e trasfondonsi le scintille, che schizzan fuori dal divino fuoco amoroso in tutti i corpi del mondo, i quali per merito di quel lume riescono belli secondo la capacita loro, e accendonsi di un ardentissimo appetite a tutte quante le generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto sail Trimegisto) ch' egli affermo proferirsi dalla voce del Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata questo comandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe cose che sono, le quali opere mie sono : col quale fiato amoroso e benefice impresse nella natura e razionale e irrazionale gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo alto volere. In prova di che Platone nel Convivio esplica cosi: Iddio nel creare il mondo avere innestato in qualunque delle cose da lui create una tale amorosa concupiscenza, che aspirando ad una certa simiglianza e congiugnimento venissero con simili impulsi propagandosi a conservarsi perpetue : e pitt abbasso seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende d' Amore) e cotanto ammirando, si ritrova in tutte quante le cose, che si contengono nell' ampio giro della natura universale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature, e umane, e divine, e pero egli e grande, e molta, anzi tutta 1' intera efficacia, in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e bellezze e avvenenze che dar si possono, e si di tutte le grazie, e di ogni qualsisia desiderio e generazione ; e in somma 1' adornamento piu perfetto degli uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli essere 1' istessa cosa che 1' anima dell' universe, come altresi ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima favellando : Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et sapientissimam, virtutem esse genitricem subservire fabricatori Deo? Ora questa Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti che amore? Anzi, per rendere tanto maggiormente palese come per tutte le divine cose e piu alte amore si spande, eccovi citato il Divinissimo Poeta nostro favellando del Paradiso : « In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e lace lia per confine, » e piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh' e pura luce; Luce intellettual piena d' amore, Amor di vero ben pien di letizia, Letizia che trascende ognl dolzore. » Di modo che e' si vede e nelle cose naturali e nelle umane, e piu di ogni altro luogo e piu puramente nelle cose divine, essere sparse amore. Imperfetto, — lo ho notato quel che dice Trimegisto che mi ha fatto stupire, e sembrami, ch* e^ sia il crescUe et multiplicate et replete terram secondo la divina favella. Buonaeeorsi, — E pero quando il vero e vero, cioe quelle che ci par vero e veramente vero, gl'ingegni di piu alto acume ci danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma ritornando a questo Divino Amore, raccogliendo insieme tutto il discorso, puo dirsi che per merito di questo amore primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fatture deir Universe, accese di si fatte faville, si volgano e amino Dio ; le divisibili alP indivisibility suprema ansiosamente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia; le sparse e disgiunte al lore piu desiderabile ricongiugnimento; le multiplici e numerabiH alia perfezione dell' uno, cioe a dire conspirano tutte air unita delP Universe, come il simulacro piu perfetto che mostrar si possa a' nostri occhi del mondo divino ; per tal modo insomma, anche le cose indefinitamente difformi al Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni innanzi si dipartono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a quello si studiano di far ritorno, si come a lore unico perfetto e sommo bene, il quale reputano tutti quanti i Platonici esser posto nel centre di questo circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi si partono, ed a lui si ripercuetone qualunque volta per la colpa degli impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via prendane fuori del giro piu perfetto della ragione. Dafinio, — Qui correrebbe piu bene 1' esempie del Sole constituite, secondo la sentenza Gopernicana, nel mezzo del nestre sistema, che quindi spandende i raggi per tutto illumina piu agevolmente tutte le cose, che per altra via. MagioUL — Non impediamo al signer Gioseppe il corse del ragionamento, che e materia melto difficile. Btionaccorsi. — E per cio quanto bene disse Apuleje, censiderande anch' egli essere una sfera d' infinita retendit^ V essenza del tutte, nel cui centre risedesse il divine Sole ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di quell' infinite amore alia cemunicaziene de' sue' boni, essi vie piu adoperassero perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle piu lontane. Corpora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de Deo capere, multoque minus qua ah illis sunt secunda, et ad hcec usque terrena pro intervallorum modo ; ita Deum per omnia permeare ! Magiotti, — Ma Dante, in cui al mio parere si trova ogni cosa, le ci esprime con evidenza grande, e nel prime del Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche meglio: « La gloria di Colui, che tutto move, Per r iiniverso penetra, e risplende In una parte piiif e meno altrove. Nel ciel che piil della sua luce prende ec. E poi nel ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de' Beati, vien poi alle cose sensibili: che vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore, che volge cioh la intelligenza, la quale ama il suo Creatore, e ardendo d^amore da lui si parte e ritorna a lui: il che applica Dante, si come per amoro tiitte le cose create da Dio si partono, e a lui ritornano, a) moto delI'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel Paradise: ^ « £ questo cielo non ha altro dove Che la mente divina, in che s' accende L*amor che il volge e la virtti ch'ei piove. » E dimostra poi che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com preso, il quale non e se non luce ed amore, per il quale tutti i movimenti si ordinano de gli altri Cieli, e poi il moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della natura, il che si ricava dal resto di quel che dice il medesimo Poeta : c Luce ed amor d' un cerchio lui comprende, Si come questo gli altri; e quel precinto Colui che il cinge solamente intende. Non e suo moto per altro distinto; Ma gli altri son misurati da questo, Si come diece da mezzo e da quinto.» Ghe vuol dire, come questo Amore onde arde lo Empireo, senza aver moto da altri che da Dio, mubve qualunque altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli salvo che quelle operazioni che assegna il divino filosofo air anima del mondo ? Per si fatta dunque ragione, hen confessar si dee che amore sia veramente 1' anima delr universe. Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V Areopagita medesimo : « amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene in bene si rivolge; in quanto Iddio e atto di tutte le cose, e quelle aumenta, dicesi bene; in quanto le abbella e fa leggiadre, dicesi bellezza; si come bene, crea, regge, e provede; si come bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. » Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava di sapere, in qual modo stessero in Dio e congiugnessersi insieme bonta e bellezza, e che legamento fosse tra loro. MagioUL — La bonta infinita di tutte le cose h Iddio solo ; la belta e raggio di Dio sparso in que cerchi che intorno a Dio, come centro loro, si volgono. D Sommo Bene e la sopra eminente essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si e che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante prima nella mente sovrana, quindi nelP anima dell' universe, e nolle altre razionali anime, indi nella natura e nella materia, e la perfezione interna genera quasi sempre la perfezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza produce, e si pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa belt^ esteriore T interna bonta alletta ad amare, e qualunque ama la bellezza secondo il dovere, essa ne conduce gli amanti ad amar la bontade; per lo che con giusta ragione da Platone amore si appella (come che in sostanza e' sia desiderio di bellezza), bellissimo, e ottimo, e per cio donatore di tutti i beni a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le spezie di tutte quante le cose. Ecco nella mente divina dipigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i semi, e nella materia le forme, nolle quali cose esso splendore viene di cerchio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera immediatamente, le cose perfettissime sono: V Fer6 se 11 caldo amor la chiara vista Delia prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la perfezion quivi s' acquista. » Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose desiderano, come detto si e, e nella cui possessione tutte si abbellano, tutte si contentano, e quindi 1' amore in qualunque creatura si accende, concedendo Iddio lume del vero a gli animali razionali, e fuoco di carita, il quale va sempre crescendo, come il Poeta stesso : « Lo raggio della grazia, onde s' accende Yerace amore, e che poi cresue amando. E in un altro luogo, ec. « Perch e s' accrescera ci6 che ne dona Di gratuito lame il sommo Bene; Lume che a lui yeder ne condiziona: » il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo mantenendo vivo col vero amore questo lame della grazia, finche chiamati siamo a lui per goderloci a occhi veggenti. Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino sole sempre a tutte le cose con la sua presenza da conforto, vita e perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere. Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre principii del mondo, signori di tre ordini, Iddio, la mente, e ranima, cui rispondono le spezie divine; idea, ragioni e semi. Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e esse con la bellezza loro richiamino la mente in Dio; le ragioni intomo alia mente, perche elle si conducano per la mente nelFanima, e si addirizzino Tanima alia mente. I semi circa all' anima, impero ch^ mediante V anima passino nella natura, e dalla natura con V ordine e con 1' armooia si richiamino alle operazioni dell' anima. Per lo medesimo ordine poi dalla natura nella materia discendono le forme; ma queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse prendono il diritto loro, e con esso T ordine deir anima alP Idee, e per queste all' unita prima si vadano accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose divine ed eterne, con le temporali e sensibili; e quindi da qaesti quattrp circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro ch' e Iddio : e'l primo amore da tali splendori acceso, da moto e attitudine a tutte quante ie operazioni dell' universo, o vegetabili, o sensibili, o razionali ; le Idee, le ragioni, e' semi, che per via di quest' amore, di quest' Anima universale discendono nella natura, e secondo il luogo dove discendendo si posano, mutan nome, sono ie cose vere, ma le forme poacia de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere. Ora chiunque queste attentamente rigaarda, puote ammirare ed amar quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi il divino fulgore, e per esso sale ad amare Iddio stesso; e come diceste, signer Grioseppe, niuno amatore amando si satolla per qualunque conseguimento qua tra noi di ogni bellezza che sia, impercio che quel che e' vorrebbe non conseguisce, 1' occulto sapore della Divinita gli amanti non assaggiano, quantunque ne sentano suavissimo odore, che gli alletta ad amarlo. E cosi per questa fragranza si appetisce il sapore nascoso, ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in che, che e^ si sia. Quel, fulgore della Divinita che risplende nel corpo bello costrigne gli amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa delr originale, e pero non veramente la materia corporea si ama, come di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella cosa amata (dice Marsilio) perche in quelP atto amoroso senza saperlo appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si trasformano in quel che e' vorrebbono; percio che vogliono, e non sanno quel che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza delP animo, non usa bene la dignita di amore ; conci6 sia cosa che la belta corporale sia splendore neir omamento di colori e di linee che agevolmente si cancellano e oscuransi; quella delPanima risplende nella consonanza delle scienze e de' costumi, che sono imitamenti piu al vivo della divina sembianza. Lo splendore del volto divino nelle sopraddette cose e 1' universale della bellezza, I'appetito che a quelle si volge e I'uni versale di amore, e quindi si deriva poi il particolare amore a particolar bellezza, la quale nella convenienza deUe parti con esso i nostri occhi, che la mirano in un modo a questo, e in un mode a quelle consiste, e nella approvazione che da noi se ne fa col desiderarne V acquisto, nasce il particolare amore, che per ci6 scambiano tal volta gli uomini, se non ci badano diligentemente, o che non abbiano le vere seste ne gli occhi lore, la bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal lame. Per lo che Delia mente delF uomo e situato da Dio un eterno amore di vedere e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU della particolare, sed essa non ci abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle virtu e appetiamo la sapienza, che sono i pin be' ritratti di Dio e di piu perfetta maniera. Per guisa che Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L' animo dell' Uomo desidera intendere le cose divine, riguardando in qneUe che a lui sono piu propinque, e a tal cagione amore secondo lui e interpetre e mezzano per far trasvolare le umane alle divine cose, e far discendere le divine a noi; » il che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim divina aA nos, e quindi con somma ragione appellasi amore un mezzo tra le cose mortali e le immortali. II raggio di qualunque bellezza (come bellezza e\V e) discende innanzi da Dio, poi trapassa nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per materia di vetro, e dall^ anima passa nel corpo, preparato a ricevere tal raggio, e da esso corpo formoso trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti finestre, e da essi penetrando negli occhi, che in quelli riscontrano, per quegli ferisce V anima e acceudevi lo appetite, e r anima ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il ricondace a quelle alto luogo, onde il primo raggio discese pe' gradi del corpo della cosa bella ed amata alia bellezza dell' anima di essa cosa amata, di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ultimo a Dio, ch'e lo splendor primario, e Pe tutto insieme di ogni bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le altre belle fattezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno h invitato a penetrare fin entro alle bellezze dell' anima, e qaindi risalire a Dio, e non terminare lo appetito solamente nella superficie corporea? Udite il Petrarca com'e'favella quando e'ragiona de gli occhi: « P«r divina bellezza indarno mira Chi g\i occhi di costei gia mai non vide Gome soayemente ella gli gira.» E nelle canzoni Degli Occhi: « Gontar porria quel che le due divine Luci sentir mi fanno. » E nell^ ultima : e quel che segue, sempre discorrendo sopra gli effetti am-^ mirabili di questo Giove per lo giovamento e beneficenza ch' e' rende al tutto, ma per via di questo amore di quest' anima dell'universo; laonde amore, ch'e della sostanza di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e il lume piu puro dell' anima, o e T anima stessa del mondo, la quale ordina, unisce, e mantiene immortale la natura delle cose mortali, perche per se morendo tutte, sua merce tutte si ringiovaniscono e si si risuscitano ; cosi per virtu di quest' anima universale, dico di questo ferventissimo amore dal Medesimo, cioe dal sommo bene^ tanti bem al Diverso comunicabili si fanno, e quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal Diverso nel Medesimo, con perpetua amorosa circolazione ritornano, e percio o r anima del mondo e ripiena di amore, o T amore e r anima egli del mondo, come mirabilmente disse Torquato Tasso, in quel suo sonetto esplicando in pochi versi quasi tutta la nostra dottrina. « Amore alma e del mondo amore h mente Che volge in ciel per corso obliquo il sole, E degli erranti Dei Palte carole Bende al celeste suon veloci o lento. L^aria, ]' acqua, la terra, il foco ardente Misto a' gran membri dellMmmensa mole Nudre il suo spirto, e s' uom s' allegra, o duole Ei n' e cagiono, o speri anco o pavente. Pur, benche tutto crei, tutto governi E per tutto risplenda, e 'n tutto spiri, Fiti spiega in noi di sua possanza Amore; E, disdegnando i cerchi alti, e supemi, Fosto ha la reggia sua ne* dolci giri Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core. » Amore e dunque esso 1' anima dell' universo, perche qualunque desiderio che si accende in tutte quante le creature di ogni sorta ch' elle si sieno, quale appetito che sia il quale regna nel tutto e nelle sue parti e si nelle specie e negli individui del mondo, ha suo primo impulso da quelle incentivo sovrano che ci muove ed eccita al godimento del buono perfetto, conciosiacosa che tutti i beni comparativi, che veramente beni sono, dal superlativo del sommo bene ne piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano, e pigliano i mali per beni, cio non da amore, che non erra nel suo fine, ma nasce da noi, e dalla nostra imperfetta e cieca natura, i quali scompigliando co' fiati delle disordiaate passioni quelle faville, te le deviano dal vero riflesso loro, cioe dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavillarono da prima, scambiandolo col falso bene, che bene ci rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle terrene cose, ed in queste fermando il pensiero non come mali, ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia esserci noi troppo distesamente dilungati dal filo ; ma se amore e veramente I'Anima dell' Universo, o Fanima di quest' anima, sara stata simile proposizione parte principale, e molto ben fondata, e non digressione dell' incominciato ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi par'egli che il concetto di quest' Anima universale, di questo amore, che da moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle generazioni, e della conservazione di tutte le spezie, e dell' universo medesimo, sia una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del quale poco fa discorse si altamente il nostro Magiotti ? MagioUu — E quello che ha proferito con si sovrano ragionamento il signor Gioseppe, e spezialmente la difinizione cotanto sottile ed arguta ch'egli ha seco medesimo pensato intorno alia differenza che dar si possa tra questo amore, e 1' anima del mondo, quanto perfettamente si adatta al divino spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter essere per awentura questo amore quella porzione del1' Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e il fiore per cosi dire di essa Anima. Ora se Platone non imbrattasse per un certo modo la sua anima con esso il componimento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del Medesimo solamente fatto, che ci averebb'egli da ridire, perche e' non fosse tutt' una col nostro divino spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e degli aiuti soprani ? Quanto poco e mancato a Platone a non dir tutto vero? Dafinio, A questo modo Platone con altri vocaboli avra quasi senza errare intesa e espostane la Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio lume, ell' e intelligenza piu che da uomo. MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi intendere salvo cbe su '1 fondamento del credere, e chi presume piii oltre e matto, come disse il nostro Dante: Puossi egli dir piu? Ma e' non seppero perfezionare questi Platonici il concetto intero delle tre persone e un solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, impercio che, come bene osserva il cardinale Bessarione, seppe Plato ne riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita sapienza, siccome figliolo seco coetemo ed ngaale, e come della medesima natura chiam5 la divina sostanza col vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima deir universo al divino spirito, facendola staccare si dalla sustanza del Medesimo ; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo componimento, e percio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al suo Divino intelletto; e questo impercio cbe tra due cose tra se per si grande intervallo distanti, e di disuguaglianza infinita, reputo convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette capire che la Divinitli pura ed intera tra le cose corporali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se differenti e lontane, senza patire macchia o difetto, e percio stimo r anima composta dell' uno e delP altro, accio che fosse mezzana per traportare la ragione ad armon^zzare e perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a conoscere che la purita, semplicita e chiarezza perfetta, quale ella e in Dio, non teme ombra, o contaminamento da veruna cosa che sia. Periculum status sui Deo nuUum est, disse Tertulliano. Buonaccorsi. — V noto che Ermete si approssima alia verita nostra piii che cioe a dire dell' essere divino, e della TrinitJi delle persone. Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante, nel Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch' esprima bene, e nel quale discorrendo della Trinitib specifica in ultimo lo Spirito Santo: « Nella profonda e chiara snsslstenza Dell* alto lume parremi tre giri Di tre colon e d'una contenenza: E run dairaltro, come Iri da Iri, Parea reflesso, e il terzo parea fuoco Che quinci e qaindi egualmente si spiri. » Con esso il ben fondato appoggio della fede, che si contenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire cose altissime intorno ietlla Trinita ; ma gli altri che fondano il loro sapere tutto su lo intendere, salgano pure in su quanto si vogliano, che ognun di loro in qualche parte vacilla; impercio che non ha si gran seno la nostra comprensione. MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto piglia equivoco, e non si dichiara bene in quel suo elevatissimo presupposto, e Platone non resta capace che un Dio possa adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde e^ s^ immagina quest' anima composta del Medesimo e del Diverso, e svaria dalla verita, che in noi s^innesta per grazia e per merito della fede. Imperfetto, — Ma che vuol dire che la Genesi ancora mette che Iddio spendesse sei giorni neUa creazione dell' Universo, e il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete, non s' incominci6 egli a computare dopo la creazione, cioe a dire I'ordine successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane del Sole? e poi sempre sete venuto affermando per cosa indubitabile che Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di atti nel suo adoperare, contrario a quelle che pone il Timeo. BuonaccorsL — Iddio con sua onnipotente mano opera in uno istante, dico col suo Verbo onnipotente nel modo che ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha fabbricato il mondo. II suo Verbo dunque con un atto solo indivisibile per5 e' fa tutto. Imperfetto. — Ora dunque che cosa vuol' ella dire la Genesi cental divisione di giorni, che suppongono atti diversi? Ella ne pone pure una verita infallibile ? E poi dice che Iddio si riposasse: puo capire in un Dio la fatica, la lassezza e perci5 V aver uopo di quieto ? Saracci sotto qualche mistero. Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non perche Dio operi con atti distinti, ma perche delP ubo de gli atti distinti abbisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua e cotanto immensa di un Dio ; e pero la Scrittura, e per avventura Dio medesimo nella creazione del mondo, e del tempo, si accomodo al nostro modo, e alle misure che capiamo noi. Dafinio, — Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto pel medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali sono le alte condizioni dell' onnipotenza divina, e per tale effetto le assegnasse le nostre a farci intendere il suo mo' di operare. Magiotti. — Non dico ch' e' non possa essere, ma e' non e in verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a quello che si arriva solamente con la iidata scorta della grazia e del lume divino, che per Y acquisto di una tal yerita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non si puo gia mai acquistare per natura, o per istudio. £' giunse pur troppo innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma non potette, ne seppe dare il suo legittimo e giusto peso alia divina onnipotenza, e per quanto e' si alzasse con le misure, non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie; e pero ne parla il filosofo nostro come s' ella avesse bisogno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con ordine il mondo, e farlo vivere vita perpetua, quasi Iddio disagiare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio, quando dovesse adoprare da se, ne gli bastasse il vigore del suo divino sermone quando disse per stabilir di pianta in un attimo I'Universo intero, si come e'fe', e si farlo camminare con ragione in virtu di quell' editto irrevocabile che e impermutabile legge ed eterna della sua volonta. Cambise, Xerse e Dario, come considera Apulejo, standosene come serrati in un Tempio nella Citta capitale de' loro reami a render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e autorevoie la loro potenza, faceano abbidire prontamente, e senza disdetta veruna le leggi loro per Tampiezza de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio immobile e perfetto per sua natura possa, senza muoversi, con an volger di ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli eserciti di presente, ciascuno per ciascuno, si mette all' opera di quello gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli ordini del loro generale, e pure le leggi de gli uomini imperfette sono e mutabili a capriccio dei Principi, e o per ribellione de'popoli alterar si possono, o perche non da tutti s' intendano ; e la voce sonora della Divina parola non si ha da udire per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non variano, e che sono di infinita luce e chiarezza, come affermano i sacri proverbi : mandatum Domini lucema est, et lex lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir possono alterazione o dubbiezza ; hassi a mettere in disputa s' essi s' odano a un tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla natura e da tutte le minime parti del tutto, senza ch'egli si abbia a muovere dal suo altissimo Trono per farle eseguire ? e che perci6 se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per ministro subordinato, come si e V anima del mondo, accio che ella vada ad ogni minima particella di esso portandole gli ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di potenza, di augustissima specie, Genitore delP immortalita e la virtu stessa di tutte quante le virtu, la cui legge sola h perfetta, e impermutabile, per cui tutti quanti i semi fanno le special! operazioni loro nelle nature diverse di tutte le cose ; e i Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre stelle, con le loro speciali revoluzioni si volgono per la medesima con tanto ordine, e regola bene armonizzata e distinta? Non perche dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di atti diversi, ma a maggiore intelligenza nostra, la Sacra Scrittura divise in piu atti un atto solo del divino adoprare^ e in piu tempi la sua operazione instantanea, dicendo che Iddio e il suo alto intendimento conobbe di far cosa buona, e conosciutala delibero con esso la volont^, e deliberatala col suo Verbo e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa, nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad intendere, essendo necessarie si fatte misure a noi per capire quel che non e da noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per qual ragione noi abbiamo da a£fermare che Platone non Tabbia fatto al medesimo fine, con diverso modo dal nostro. Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor che Divino veramente chiamar si debba, parlando cose che il tacere e bello, non poteva senza lume soprannaturale, onde ha privilegiato solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^ per quanto e' si sollevasse alle piu alte cime, non poteva mai, dico, si a dentro penetrare, come noi facciamo con la fede, nella cognizione imperscrutabile della divina onnipotenza ; e si camminava, e vi saliva tentoni, e non era atto a spiccare nn volo sicuro si come riesce a noi illustrati da si chiaro fiilgore. E poi Platone non averebbe formata Tanima inferiore, come si h detto, rendendone per ragione ch'ella dovesse mescolarsi dove non conveniva si permischiasse Iddio, e perche in somma non capiva benissimo qnello che veramente fosse Iddio; imper6 egli reputo necessaria qnesta anima fatta si da Dio^ ma disseparata da lui per la forma* zione del mondo, non potendo rimaner capace che la sovrana parity della divina essenza dovesse mettersi in risico di macolarsi in fra le cose nostre inferiori, e cio e impossibile scorgere cosi per V appnnto il vero, si come egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^ mortali se ne spanda il lustro ed una vivace splendenza. Dafinio, — Se Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da capire Platone ingegno divino? Buonaccorsi, — E per questo convien confessare che ana si ampia materia, a si alta, che si distende in vie piii largo, ed immenso spazio, ohe il seno non e delle menti nostre, avendo colmo, per grande e spazioso ch' (b' fosse, quello del nostro divino filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere UQ tal concetto tutto insieme, e ben verisimile che glie ne scappasse fuori qualche particella, ancor che atta ad ogni capacita, introducendovela sola, nel mpdo che poche gocciole di acqua son quelle che fanno traboccare il vaso quando egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta mente Platonica quanto ella poteva di si larga e strabondevole e infinita materia; ma perche essa mente era finita, non la potette capire e rattener tutta ; o si pure egli e ragionevole di credere, ch' egli avesse lette e studiate le sacre pagine di si alta proposizione, e per farsela sua fosse constretto a mutar qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse quello, e si abbatte a dire il vero, ma non giunse poi tant^oltre a un gran pezzo quanto Platone, e il meglio 11 tolse da lui. Imperfetto, — Egli e certo che la verita si fa lume da Be, ma e cosi grande e cosi lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra quel luogo del Vangelo: per Verhum Dei facta sunt omnia, in questa maniera ? Inveniuntur ista et in libris Philosophorum, et quia unigenitum habet Deus per quern facta sunt omnia, illud potuerunt videre quid est^ sed viderunt de longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario, impercioche per qual maniera ci6 sia, o ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no, e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un V altro con un sottilissimo confine. Ita .... finitima sunt falsa veris, disse Marco TuUio; e Dante: € Cos! parlar conviensi al vostro ingegno, Perocche solo da sensato apprende Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia altro che questo, e pero secondo il declive che le cose incontrano, per varie sorte di canali e secondo le forze e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti nella natura, e air insu, e all' ingiu, e pe' lati, e non V ho per cosa soprannaturale, e che quindi poi ne vengano gV impulsi alle sensibili cose : ma egli e che noi altri uomini abbiamo questo mode di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una cosa, o noi siamo cotanto temerarj che, perch6 noi non V intendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo nna cagione sopra naturale, senza sapere quelche ella si sia per quietarci nella nostra insaziabile curiositade; tratto di coteste cose del moto, perche in che modo stieno i movimenti delP anima imraortale e di sovrana fattura, ancor che io vi opponga per mantenere il discorso, e investigare meglio il vero; io so e credo quel che io debbo credere; ma che da noi si possa giugnere col nostro intendere per le vie cbe voi fate, oh ! questo io T ho quasi per impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse quel che voi dite, pur ci vorrebbe un geometra perfettissimo, e sopra le cose nostre inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria fabbricare e situare questi canali e queste vie col loro debito declive maggiore, o minore, e posto a^ lor luoghi si ordinatamente, e dato a tutte le variety degli umori che vi debbono scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non solamente nell' universe, ma anche nel microscomo camminar si veggono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne, e tanti moti di vita non cessar mai finche e^n6n si muore. Ma pure dope morte finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma perduto il raoto, adunque, questi movimenti maravigliosi non hanno 1' impulso loro dal declive, quantunque forse il declive gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e pero e' convien credere cbe r anima abbia sospinta, e con altra forza sospinga e muova le cose, che con quella cbe voi dite ; e s' ella venisse d* onde voi mi date ad intendere, le maestranze appareccbiate con ordine, e con regola cotanto eaatta, non sarieno da cagione corporea, ma da cagione intellettuale e divina, cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose a pigliare il moto ed operare con tant^ proporzione e virtu. Bafinio. — Anche le anime vegetative, e le sensitive averanno a vostra detta il loro movimento da Dio. Adunque anch* esse immortali saranno ? Magiotti. In sentenza platonica (contradicendo per6 in qualche piccola parte a Platone) egli e assai agevole a sopire la vostra dificult^, impercio che si come le anime razionali adoperano in virtu di quel moto, vita, e azione, innestato dal Supremo Arteiice per entro la sustanza loro perfetta, intera e incorporea per impulso di forza infinita; cosi il moto loro (come detto si e) e si la vita e 1' azione loro viene a essere perpetua e immortale ; ma nell' anime irrazionali, le quali pare che Platone abbia anch' esse per immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il lor moto, la lor vita, e la loro azione dall' anima universale riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova addirsi alia disposizione varia de' temperamenti e degli organi che hanno da muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la vegetabilita insieme congiunta; imperocche esso movimento delF anima universale da sospinta alia disposizione delle parti official! de^ corpi, e inducevi la vegetazione, e^ sensi per il modo che noi veggiamo ; e que8ta puo cbiamarsi sustanza mliteriale, e corporea, perche quest' anima vegetabile, e sensibile, non e anima da s^ senza essi organi, e disposizioni che concorrono insieme all' azione 6 alia vita, e mancando e morendo gli individui, e disfacendosi la struttura de gli organi loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto si bene ordinato dalla ragione e dal movimento dell' anima del mondo, finisce di esser anima propria, e rimane nell'universale componimento dell'anima del mondo. Ma ne anche ^ difficile il rispondervi nella vera nostra dottrina: impercio che l6 anime razionali ricevono I'impressione de'moti loro dalla forza infinita della mano divina, quando ella le crea sustanziali, e incorporee, allor che finito di fare il feto, informano il suo corpo, e perche il moto, la vita^ e le azioni loro sono totalmente nell' anima, e dalla disposizione di esse membra organali anzi ricevono impedin^ento e contradizione, che sveltezza e sussidio a' lor moti divini. Essa anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha fuori di essi piu libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio, anche morendo i corpi, ella vive immortale. Le anime vegetative poi, e )o sensibili corporee sono si come detto si e; concio sia che la parte della vita e dell' azione loro consiste nell' attitudine e positura corporale organica, e ne' temperament! varj degli umori composti insieme, e parte nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo e disposizione atta a riceverlo, tra '1 temperamento degli umori, tra la disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro per un modo o per 1' altro dal moto assegnato alia natura da Dio; e percio esse anime per tal maniera ricevon potenza di vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la madre natura per compartirle di raano in mano alle nascenti cose, e succedenti V una dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre della terra, ond' egU esce, e dagl' impulsi delle operazioni natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne mena seco, e con fluidezza e agib'ta indicibile per essi organ! discorrendo in varie guise, rende vivificazione continua e accrescimento nelle vegetabili creature, e un eccitamento di senso nelle sensibili, per quel sovrano modo che da noi non s^ intende ; ed essendo esse anime e formandosi per loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento corporeo che le racchiude; corporali e materiali si chiamano, perche per se nulla non sono senz' essi corpicelli bene accordati a ricevere il moto nel corpo maggiore dell' individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare si e, come Yoi abbiate a mente tanti e si be' luoghi trovati anche negli autori di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di quell* uomo esimio di Socrate, se ne leggono molti, e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non solo per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far conoscere la necessita del Purgatorio, e del Paradiso, e deir Inferno ; e avvegna che con qualche differenza da quel che veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto con favolose invenzioni, Socrate ne ha favellato da senno nel punto della sua morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando dietro a favole finte. lo so che questi sono luoghi letti, riletti, e considerati da tutti noi piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito, ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io me ne piglio Tassunto, e vovegli tutti recitare da capo per maggiore autentica di quelle che ha ragionato si dottamente Don Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io vo'contarvi cio che viene ragionando nel Fedone con singolare e sagacissima saviezza, per rendere s^ medesimo persuaso dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all' anime de gli uomini luoghi appropriati secondo i meriti fabbricatisi nella vita di qua; seutite di grazia. Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo piii alto della sua sfera in questa superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare nelle cavitk della ten*a, e tale essere queste regioni, dove noi abitiamo, imperci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra superficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da noi chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che 1' aere non e ne'confini del cielo; verbigrazia (che so io?) in quella purissima e lucidissima sostan^a che etere si appella; e di quaggiu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi il Sole e gli astri, si come anche in questi bassi paesi tante belle e maravigliose fatture isguardando variate con tanti e si diversi colori, che in queste nostre abitazioni si perfette ci paiono, niuna di loro aver che fare con le piu eccelse ch' e' si vien figurando lassu, ed essere queste imperfettissime e impurissime in agguaglio di quelle, che si vedrebbero da chiunque si potesse fermare su Tali in que'superni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son ricavate queste, che scorgerebbe e quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione beUissimi sopra qualunque di queste, che corrono agli occhi di noi altri mortali abitanti in si fatte concavitadi. £ cio con molta maggior differenza di quel che si facessero i Pesci dal fondo del mare, i quali per entro quelle arene e pantanose caverne, non avendo volo da alzarsi su la superficie deir acque, ne vita da reggervi, mirano i raggi del Sole e delle steUe penetranti giu per lo filo dell' onde tutti annacquati, e adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmaginassero di simiglievole maniera essere veramente le stelle, e il Sole, quali eglino le scorgono di colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo piurae da travolare sopra quelP etere, abbacinati standocene entro V umidore grossolano di questi vapori, ci crediamo la luce del Sole e le altre cose belle, che lassti scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In quelle altissime piagge, adunque, e le piante, e tutti quanti i germogli, e le cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e Don a mutatnenti suggette e a corruzioni in verun conto che sia; e le gemme piii preziose di qua, e' Topazii, e' Rubini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di piii alto pregio, essere la feccia piii impura di quelle che lassii si ritrovano; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili cose essere adorne, e di oro, e di argento, e di altre simiglianti chiarissime e lucidissime sopra ogni vostro credere e conoscimento, che quivi nascono e piii perfettamente si conservano, per guisa che a vederle e a goderle sia veramente uno spettacolo d' incomparabile godimento^ e beatitudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e creature ragionevoli, molte di piii schietto intendimento, che qua tra di noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP Isole, le quali non lungi poste da terraferma sono circondate dall'aere, conciosia cosa che quello, ch'e a noi e alle nostre Pacqua e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine tutto la ritrovarsi temperatissimo, e per le stagioni, e per Taure che vi spirano, e vivervi quelle fortunate genti di continuo senza ammalarsi, e forse senza morire. Di piii giudica che vi si scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e con esso gli Dei medesimi convivere gli uomini, e conversare domesticamente. Imperfetio. — Mi rassembra che Socrate quasi tenga che tali maravigliose e ragguardevoli regioni sieno i pianeti e gli astri, dove appunto Platone colloca la dimora delP anime, assegnata loro quando da Dio dopo V anima universale si formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo lunghe peregrinazioni facciano ritorno. Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per entro tutta questa gran terra si trovino innumerabili concavita di luoghi circolari, parte piii profondi e parte piii alti, e piii ampi, e parte che abbiano apertura e spazii eziandio minori di quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente tra loro, con varii andamenti ed uscite ; pe^ quali e grandi acque, dove caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di esse sotterranee spelonche muoversi e raggirarsi; e in altre di esse cavity credono che umori fangosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn ondeggiando, a simiglianza di uno qualcbe gran Taso pensile che si agiti 6 muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine favellando, che \k sotto dimori, la quale per tntta quanta Tampiezza entro terra trapassa e distendesi, mostra che da Omero fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e da molti altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i fiumi sotterranei concorrono, e indi si spandono, ed esconne ad innafQare la superficie nostra terrestre in mari, in laghi, in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con Faria e co' fiati interiori, come anche col movimento interne di queste acque, formarsene i venti, i turbini, e terremoti, che scaotono la terra; e di tal sorta di acque tiene parimente che sia Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piriflegetonte, e Cocito. Ora essendo per tal maniera disposte si fatte cose, e sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove dal suo proprio demone ciascnno si conduce, quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono secondo loro meriti, o demeriti di chi visse onestamente, e con dirittura di ragione, o di chi fe' il contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mezzana via, valicando Acheronte sopra alcuni carri, pervengono alia Palude Acherusia, e quivi si purgano dalle colpe loro, pene patendo pari aUor falli. Purificati poscia^ assoluti rimangono, e ciascun di loro a proporzione delle opere buone e lodevoli ne riportano condegna mercede. Ma queUi i quali nella malattia e putredine delle enormita de' delitti di varie sorte insanabili sono, precipitano nel Tartaro, d'onde mai non ritornano. Alcuni poi, che peccati avranno commesso curabili, ma grandi, per essere prima venuti a pentimento, caderanno si nel Tartaro, e condannati sarannovi per un anno o piu ; ma poi da quell' onde gittati fuori^ quali per lo Gocito, come i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte, come i violatori del Padre e della Madre, solamente che pentiti e' ne fieno, vengono a galla su la Palude Acherusia, di dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^ tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a lasciargli varcar la Palude, ed essere da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine a' lor mali; quando che no, nel Tartaro rigettati sono, si dura pena imponendo loro i Giudici. Ma gli uomini pii e giusti trasvolano a piu alte regioni, abitando quelle beate Provincie, e purissime, che abbiam detto starsi cotanto sopra terra; e parimente quelli, che avendo in molte loro opere fallito, si sieno dipoi sufficientemente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore anche piii belle delle sopramentovate, le cui maravigliose bellezze non e facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e conseguir la virtu, e la sapienza, perciocche bellissimo e 'I premio e di gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera, non e da uomo di senno r affermarlo : nulla di meno si convien credere, o che tali elle sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse simiglianti; e conciosia cosa che egli appaja con tanta verisimilitadine che le anime nostre sieno immortali, mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragionevole munirsi ed allestirsi a questa peregrinazione, ed abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza, della giustizia, della fortezza, della liberty dell'anima, e della scienza della verita, aspettando il tempo ed apparecchiandosi per essere pronto quando ne chiami il fato.» Di si fatte considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne prerogative aveva poco innanzi Socrate per tal modo ragionato, quantunque non con certezza indubitabile di affermativa, siccome colui che per altissima immaginazione naturale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ; diceva bene, che tutto quello, il quale intorno a ci5 si discorre, saria di animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso si dipartisse senz' avere innanzi, con ogni acutezza di ragione, adoperati tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino all' ultimo sforzo del nostro intendere. « Impercioch6 (segue poi) fa di mestieri I'una delle due, o apprendere in qual modo elle possano essere, o rinvenirne totalmente il vero, e dove qaesto conseguir non si possa, appoggiarsi ad una delle pin forti e piu stabili ragioni umane cbe se ue abbiano, scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di essa portati come sopra un legno de* meno gelosi, valichiamo per le difficultose tempeste il mare di questa vita, mentre non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode, quasi un piu fermo yeicolo che ne conduca; come sarebbe a dire, qualcbe divina parola, la quale piu sicuramente, e con minor risico lo ci faccia trapassare ;» la qual divina parola si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia di udire a noi introducendone nel Porto della verita, con esso grirrefragabili insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe dite di qnesto filosofo esimio, che tanto s' inoltro col lume della natura solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma piu eziandio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra vita in quel discorso antecedente al Fedane, dov* e' forma la propria apologia: ivi dopo aver fatto suo calculo di quel che torni meglio immaginarsi intorno alia morte, considera brevemente quello che awerrebbe quando di la non ci fosse nulla, il che non ammette in verun conto per credibile; e viene poi discorrendo cosi della beatitudine delle cose di lit: «S* egli e vero, si come io credo, che la morte sia an passaggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e vivono i defunti; ci6 h molto piti desiderabile e foi*tanato, uscendo gli uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e tengonsi per giudici, per condurci dinanzi a quegli che veramente Giudici si nominano e giastissimi Giudici sono, i quali temperano colli e correggono tutti i Giudici fatti qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto, ed £aco, e Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E simigliante trasmigrazione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi a conversare con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero e con tanti e tanti altri santi e valorosi uomini, e un tale stato non e da anteporre a questo, dove noi oggi dimoriamo? Che consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd da Palamede, da Ajace figliuolo di Telamone, e da si grand! soggetti fatti rei a torto per la nequizia de* Giudici nostri, paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano senza errare chi da yero e sapiente, o chi lo si crede di essere e poi non sia, 6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i pareri non e ella questa una scuola di perfetta sapienza? Ne e pericolo che vi si moia, ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali. Per la qual cosa torua conto pigliare gioconda speranza della morte ; e questo seco medesimo reputare per vero, e per infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a gli uomini da bene, o vivi, o morti, ne tal cosa per yeruna maniera che sia da gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere. » Imperfetto. — Ma della trasmigrazione dell' anime destinate a purgarsi ne'corpi degP irrazionali, io non odo ch'e ne dica nulla? MagioUL — Platone ne fayella e nella fine del Timeo, e da molti altri luoghi si ricaya ch'egli si fatto sentimento ayea come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui il quale scorgeya la yerit^ per barlume, riconobbe non solamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo luogo per purgarsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente e per estrema foUia hanno osato di mettore in dubbio, acciecatisi da per loro nel lume della fede, quando si yede che il lume solo naturale e stato bastante a insegnarlo a'piti sayj gentili; ma perche senza la yeritk rivelata andavano tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel modo dell* essere e fignrarsi simili cose sopra il nostro intendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne giugnessero per V appunto al yero, ma si bene yariando le maniere, e il concetto, avessero per molto chiaro la proposizione di esse in uniyersale. Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come Socrate giugnesse fino a conoscere che chi mdore senza sacramenti pericola, e chi con esso i sacramenti si salva ; impercio cbe nel medesimo Fedone fa awertenza che quegli i quali instituirno i riti e le cerimonie, non essere stati altrimenti stolti e yili uomini, ma sotto velami di parole aver voluto significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinnque non purgato dalle sagre costumanze discendera air altra vita, esso vi precipiter^ nel fango rinvolto ; ma coloi il quale fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un gran dire per uno che la nostra religione non professi. MagwUi, — Egli e che la verita e una (come piu e piu volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata bramosia, ne puo arrivare gran parte, perch' ella ne passa d* avanti ; e s' eila non si puo apprendere per r appunto cosi com' ella e, pur quella luce, awegna che adombrata e non ben distinta ne disfavilla. Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la certezza della fede, e' si cammina con supposti molto fallibili naturalmente discorrendo, massime in quella si gran differenza che si stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di quelli cui non manca se non la parola a parer uomini. Magiotti. — Per quanto alcune bestie arrivino di lor natura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene, poche o niuna giungono ad avere T accorgimento e la distinzione, per debole ch* ella sia, che hanno anche i bambini innanzi a gli anni della discrezione. E poi di queste s\ difficili proposizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove, altrimente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere' dere, Egli e bene il vero che la divina bonta ha dato a tutti gli uomini intelletto e ragione, a fine ch^ essi eziandio da per loro, meditando col lume della natura, acquistino certi chiarori di sapienza ben fondata, con esso i quali ponderando in si fatta materia il concorso delle verisimilitudini per rispetto alio contrarie, che s'oppongono, e che negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano in maggior copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi, accio che e' si rendanO piii agevoli a credere, quel che e' non sono atti ad intcndere. E coloro che si lasciano assorbire dair ignoranza e trascarano la Divina grazia, e gli instramenti dati loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e acuta contemplazione intorno a si alte cose, o chiuggano affatto gli occhi, e credano, e se cio non fanno, tal sia di loro ; impercio che eziandio i piu dotti e sayj gentili, come avete inteso, hanno talento di pervenirvi ; ora se questi uomini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con libera conscienza di tenere e pubblicare cio che loro piii ragionevol parea, hanno si fermamente insegnato altioii r immortality dell'anime; convien pur confessare che le probabilita grandi ci abbiano e senza paragone in piu novero e di piu forza che dalla parte ayversa non sono. Dafinio, Noi siamo tanto gelosi di questo vivere, che in dubbio non e gran cosa che gli uomini, come condizione tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera Timmortalita delPanima che la mortalita; imperci6 che a quel tornare a non essere, chi e colui che non si senta tutto turbare, e raccapricciarsi, meditandoci sopra ? E pero anzi la passione che la ragione ha dettato loro questo parere, come piu confacevole alia nostra natural propensione. Magiotti. — Un Socrate tanto superiore ad ogni umana affezione, di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente del vivere, alia sola virtti tenendo fisso il pensiero e il volere, si ha da credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva, abbia in questo a fallire? Per la qual cosa puo sicuramente affermarsi lui aver ci6 giudicato per forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio, Son cose che la fede ce le insegna, e noi dobbiamo crederle; ma iTho per troppo ardimento farsi a credere di capirle naturalmente. Buonaccorsi. — Gnardate se la veritii ci viene tra le mani, dove noi non ci turiamo gli occhi, e la vogliamo conoscere ! Secondo Platone le anime ritorneranno a'corpi umani; secoDdo Porfirio le anime sante non ritorneranno a' mali del mondo. Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sentenze, che ameudue insieme dicono il vero, quantunque paia che, ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ; impercio che V anime non ritorneranno (egli e vero) a' mali del mondo, ma si bene ritorneranno a'corpi, per essere o nell' Empireo eternalmente .premiate con esse le membra corporee, o nell' Inferno punite. Dafinio, Gia noi sappiamo manifestamente V immortality deir anime, e solamente vi ho contradetto, acci6 che, rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e maravigliose proposizioni, come fatto avete; come altresi accio che niuno si persuadesse ch' ella si chiara fosse per lame naturale, che si perdesse o nulla valesse il lume della fede, nel modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giudizioso pensiero. MagioUi, Ed io ho difesa questa verity infalHbile con si gran copia d' argomenti di probability., che udito avete, perche non si avesse per impossible, e si tenesse alieno e lungi da ogni sussidio di naturale ragionevolezza quelle che noi siamo obbligati di credere; laonde dovesse essere in gran parte compatibile, come ben fondata su prove autentiche, e per argomenti forti in natural discorso, V opinione d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la mortalita: e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato che le razionali anime immortali sieno, parendomi ora mai tempo che dal signor Gioseppe si ripigli il filo del Testo Platonico, secondo la fattura che il Timeo s'immagina di questa anima universale, da cui pur troppo deviati ci siamo. Luigi. — Ma dell' anime ragionevoli quali sieno le faculta loro, a differenza delle sensibili, e quali stromenti ell' abbiano per le loro operazioni, avremmo caro di udire. MagioUi, Non e tempo a proposito di favellarne adesso, essendo una materia da se, la quale a suo debito luogo verr& proposta, concio sia cosa che la dottrina del Timeo, cni abbiam dato principio, verrebbe presto presto in dimeaticanza, poiche giunti noi siamo a casa, e il ragionare e andato piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora ch' e' sono sonate le ventiquattro ; risolviamo quanto prima di andare a cena, e domattina che riposato avremo e con gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento d! quest' anima universale secondo il Teste, e a vo! si appartiene discorrerne, signor Gioseppe. Buonaccorsi, Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora, venitemi prontamente a trovare, che io obbediro ai vostri comandi, quando vi sia in piacere, perche (come ben sapete) io dormo poco, non avendo fumi di vino da digerire, che mi vadano in su. Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora, e che ad altri luoghi destinati sieno dal Fautore Eternale, tra molti e molti argomenti che se ne scernono, quello pare a me sopra gli altri aver grandissima forza, della inistabilita degli animi loro, imperciocche della varieta dilettandosi mai sempre senza costanza veruna, niuno soggiorno ci ha, quantunque soUazzevole e desiderato da loro, il quale allorche e' vi giungono gli fermi e gli quieti, e noioso in breve loro non divenga, altrove ben tosto rivolgendo il pensiero. Ecco noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e piu magnifiche di Tusculo, alle piu naturali e di niuno artificio di Nemi in si virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser questi i piu grati diporti di Diana gli attribuirono, e non molto andra che anche qui rincrescevole la dimoranza ne fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi perfetto e non mai sazievole godimento aspettando, ma cio indamo, imperciocche stabile fennezza non otterremo gia mai, finche vita avremo : si parimente, di qualunque altro diletto favellando, cui volga I'umana condizione sua cupidigia, quella nel conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur voile teste, il che ne insegna Lucrezio in que'versi, favellando degli uomini: « Haud ita vitam agerenty ut nunc plerumqite videmua: Quid aibi quiaque velit, nescire, et qucerere semper; Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe foras magnis ex cedibus iUe, Esse domi quern pertaesum est, subitoque reventat; Quippe /oris nihilo melius qui sentiat esse. Currit, agtns mannas, ad villam prcecipitanteTy Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat extemplo, tetigit quom limina villce; Aut alit in somnum gravis, atque ohlivia qua^t; Aut etiam properans urbem petit atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc, » cioe a dire, annoiato fin di se stesso si fugge, e da se allontanar si vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta e trasporta il corpo in qua e in la, sua debita residenza qui non avendo; solamente lo studio della scienza (non ci ha dubbio alcuno) ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo solo e degno pasto e proporzionato delPumano intendimento, si come cibo divino, conciossia cosa che ha per oggetto e per fine la verita delle cose. « lo veggio 1)611 che giammai non si sazia Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra, Di faor dal qual nessun vero si spazia, » dice Dante, adornamento e lume della Poesia Toscana. Ma egli e ben d' awertire, che il sole per quanto illumina, e si comprende in un attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno mirandolo fisso ci abbaglia, e nol possiamo patire, non che distinguer raggio per raggio. Nelio stesso modo e^ si scorge a un tratto la chiarezza della verita universale, cioe lo splendore che ne circumfulge della sapienza divina; ma chiunque si affisa in lei, perdesi, la vista confondesi, ne si possono per alcun modo discernere a un per uno i lumi di sua infinita virtude, cioh a dire le cagioni special! de'miracoli della natura : Molto si mira, e poco si discerne > disse lo stesso Poeta. Per guisa che ne apparisce (egli e il vero) un certo bagliore, e abbiamo le imagini delle cose vere nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate rimangono intra le caligini onde noi siamo involti, che per una piccola favilla che in noi di quando in quando del vero riluca, ne aduggia la mente per lo piu una nuvola viepiu grande del falso. Cio riconobbe Socrate, come che piu altamente di ogni altro e^ contemplasse quest a lampada accesa, imperocche avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila, e quietandosi anch' egli all' imperfezione dell' umana natura, pronunzio al mondo quella sentenza che noi dicemmb da prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra I'esperienza, dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'acciiigo solamente alia meditazione di me medesimo, mosso da quel savio ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d' Apollo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e piu sincera scieiiza^ ove dee studiarsi ciascuno di pervenire, a intendimento di potersi di se medesimo valere a ragione, usare de' proprj strumenti per quello a che dati ne furo, e non iscompor 1' ordine col quale a perfettissime operazioni gli dispose il Maestro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser composte di corpo e di spirito, e niuna piu soUecita cura per natural talento porsi da loro, quanto di conservare e 1' uno 6 gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del proprio individuo ; per la qual cosa elle s' ingegnano di ristorargli, e da tutte le corporali infer mit^ di tenerli sani, solamente a fine di sottrargli da ogni rischio di separazione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno, imperocche null' altro per loro s'attende che ad investigare rimedj contr' a' mali del corpo, ma poi poco o nulla si bada agli antidoti contro le malattie dell'animo. Di questa arte nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri esperti noi divenissimo, e si come i medici il piu della dottrina loro nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto, cioe nel conoscimento con ogni studio di noi medesimi. Ma lo intendimento nostro fia al sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e gli ordigni considerano, e lo intrecciamento di tutte le membra, di tutte le viscere e di qualunque delle piu minime particelle interiori, a fine d' intendere le operazioni yitali ; ma cio e solamente per temperarle e per ricomporle, qualunque volta stemperare e scomporre si veggiano; dove in questa disciplina novella s^insegna la valuta si e la situazione degli organi in quanto e' servono per canali de' sensi ; ma perche e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima, imparasi eziandio per tal via come mantenere ben d' accordo due movimenti contrarj sotto le leggi del dovere, e come P intemperanza deU'uno moderare con la temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e salutifera scienza della Notomia, adottata con proporzione e a soccorso della natura, e altresi a correggimento dell' animo, essa ne fia giovevole per a quella felicita per venire, ove ansiosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia corpo sano; percio mirabilmente Platone nel Timeo definisce la sanit^^ essere una comuae concordia delP anima e del corpo, cioe quando il corpo e valido e fermo sotto un animo molto piu valido; ma acciocche in tal materia con debito ordine io proceda, diro, come in principio mi si parano innanzi tre operazioni tra se diverse insieme congiunte nelV uomo, le quali pure in varie sorte di specie si raffigurano r una diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose che si nutriscono e crescono, opera la vegetativa sola, imperocche esse mancano del sentimento ; ne' bruti la sensitiva insiememente con la vegetativa, essendo che la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nutrisconsi, e di piii hanno sensi; ma agli uomini si dee arrogere la ragionevole, che e la piu perfetta, ond' egli hanno senso, crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprattutto gl'informa lo intelletto e la mente. Tali sono quelle diverse qualitadi o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme dove elle sono disgiunte e in oggetti di specie disformi allogate, conciossiache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma egli h manifesto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e impero nell' umana natura esse si riconoscono si per movimenti diversi, ma a una medesima e sola forma adattati, cioe a dire come potenze distinte d'un'anima sola, in quanto che tutte hanno a essere instrumenti della ragionevole, e sotto di quella operare: percio (se ben mi torna in mente) dissivi un giorno esger raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte le potenze delP universo, e sino trovarsi effigiata in lui 1' imagine della divina mente, la quale allora quel piu risplende, che noi stenebrare la sappiamo da' nugoli degli aifetti, e tener monda e ben custodita dalle sozzure e dalle corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza di questo dir ne conviene (non mi sembra del tutto inutile, ovvero lontano dalla materia proposta) il venire in ragionamento sopra le opinioni che s' ebbero negli antichi secoli da quel grand' uomini intorno a quest' anima, talmente che molti 1' assegnarono all' universo, come principio in esso e cagione del moto, pel quale si trasfondesse e si traducesse da piu alto cominciamento la virtu seminale nella natura maestra di tutte le innumerabili generazioni che si fanno nella materia. Quindi con viepiu agevolezza trarremo argomento di quel che sia 1' anima che essi appellano vegetativa, e si pure gli organi dove s' attaccano i suoi movimenti speciali, come e a dire nelle piante; indi trapasseremo alia sensitiva, dove acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi trattare, per poter poi, staccati dalle sostanze piti basse, favellar dell' anima ragionevole e delle quality eccelse ch'ella ebbe in dote dal. suo Fattore; poscia farem riflessione siccome r uomo per mezzo di quelle dee istruire se stesso nella virtii morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, mantiene incorrotta in noi la sembianza della suprema ragione, e apreci la via e ne illamina per ritrovare quel bene perfetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo cercando. Offizi della facoltd delta ragione. Luigi, Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono la ragione. Magiotti, E per cio ad essq, si appartiene di comandare a quella che sta di sotto, e governarla e tenerla a freno, come compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da questa sotto il suo comando si conviene all' altra obbedire. Luigi, Ma se ella e piena di tumulto e di confusione recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, mentre alia parte razionale diventa molte volte contraria e rubella. MagioUi, Anche questa « atta a divenir ragionevole se alia ragione obbedisce, e a^suoi savi ricordi; anzi a quella sovrana dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno, e valersene a tutte le azioni lecite e lodevoli, che eUa risolve di fare. Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i suoi piu principali e piii confidenti rainistri; acciocch^ le assistano siccome consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette potenze principali delP anima. Luigi, Ma queste quali son elleno ? Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^; ma dichiaratene di grazia qua' sleno veramente gli offizii loro. Magiotti. —La memoria conserva nelF archivio e nella segreteria che ella ha in custodia e sotto sua chiave la maggior parte degli oggetti varii che le sono cola entro tramandati da' cinque sensi che detti abbiamo ; per le cui porte s' intromettono come dispacci di belle e varie no vita tutte le specie, e immagini esteriori sensibili; e siccome molte, data loro a pena un' occhiata, yi si ripongono senza badarci come di non grande importanza; alcune poi di maggior rilievo dall' immaginativa o fantasia, come detto si e, pongonsi innanzi all'intelletto, dove egli, come dentro uno specchio ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza di considerare diligentemente e di intendere quel che esse sono, recandone poi alia ragione un giusto e puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco maturamente, e esaminano insieme con aweduto raziocinio e con ponderate riflessioni se elle son buone o triste; e per tal modo ne nasce il giudizio, col cui consiglio la volonta delibera di fame conto o di lasciarle. E percio di si ben ayvertita deliberazione, e della esecuzione di essa, ne ha la cura la volonta, la quale firma il decreto di volerle, o di non le volere secondo la disposizione del sopraccennato consiglio supremo. Luigi, Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli uomini nel discorso di questa porzione superiore, voi non ne avete favellato punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha ingegno vivo, e uomo d'ingegno spiritoso; insomma pare che chi non ha bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi stolido o mentecatto sia. Magiotti. L' ingegno, per dir quello che all' improwiso mi viene ora in mente, crederei che fosse una fabbrica interna dell' uomo, che si forma per mezzo dell' intelletto e della memoria; e percio giudico che 1' ingegno si risvegli con agevolezza in una mente doviziosa d' immagini varie, raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innumerabili cose di diversa maniera passate pe' sensi, o dalla lettura di piu e piii sorte di sentenze, le quali cose abili sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra alia chiarezza dell' intelletto di inventare e di formare di quelle medesimef accozzandole o innestandole tra loro con bel modo, nuovi e maravigliosi disegni per entro la mente, onde ne result! un concetto leggiadro e vivace, il quale ancorche di piti e piu belle cose altre volte a noi note composto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in chi Tode; tanto che perche un ingegno produca e fabbricbi da se medesimo, vuolci la memoria che presti delle piu belle immagini che ella in se contenga, e la fantasia e r intelletto lucido e distinto il quale le sappia con belP ordin collegare e attaccare V una con V altra in guisa, che di piii cose vedute a avute fra mano, se ne concepisca un' altra da se, nuova e non piu veduta o sentita. £ allora piu belli e piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto maggiore raccolta e di piu pregiate cose abbia la memoria fatta innanzi conserva. Yero e che glMngegni si variano r uno dall' altro e piu pronti riescono e piu veloci, e vie piu atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con piu o meno prestezza te gli formano secondo i temperamenti diversi della corporatura di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti che salgono dalla porzione inferiore abbiano la lor tempera fervida e secca; di subito con la vivacita loro da uno moto e stimolo all' intelletto e alia memoria, che molte volte, senza dar tempo a veruna ponderazioue degli atti secondi, di presente alzano moli ingegnose di vari pensieri alti e di spirito ; e quindi giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si chiama, il quale non rassembra dissimile a' sogni, imperciocche i sogni si formano dormendo di pezzi dalla immaginativa, e lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' ingegno stesBO negli uomini appena desti, e a cervello riposato la roattina al buio, anch' eglino vengono in luce alia mente, e rappezzansi parimente di varie specie, onde io repute ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a proposito. E cio piu o meno vivacemente succede, e piii tosto, o piu tardi, secondo che la fierezza o agility degli spiriti muova le potenze deH'anima a simiglianti operazioni. e all'ora dicesi deir uomo che egli abbia piu o meno pronto V ingegno. Di qui parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia sovente meno giudizio, imperciocche T uno colla sua teraperatura minuisce V abilita dell' altro ; essendo che 11 giudizio Yuole lentezza e flssazione di riflessioni fatte dalla ragione 6 dair intelletto insieme, per esaminar sottilmente e rivedere 11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia operazione ha duopo dl spiriti meno ferventl, e che vadan di passo e non corrano con Tali spiegate a dar moto alle loro azionl e deliberazioni ; e per cio V Ingegno ordinariamente da per se sapra formare abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e accesi a un tratto nella mente soUievano, ma non mai ben forniti di fare, se '1 giudizio con la su^, esattezza non da loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si osserva neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che hanno spirito piu elevato e piu vivo si veggono fare in un baleno schizzl di varie figure ciascuna da se atteggiate con si bella propriety ed espression di aflFetti, che sembrano aver moto e vita; ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non riescono nel disporle con maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali tornino bene per esprimere le attitudini e i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiustata simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano, perche a cio fare vuolsi attenta applicazione e fermezza, che e opera dl giudizio, 11 quale mlsuratamente ne forml la composizione, e piu e piii volte cancelli e rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e mettere insieme In un attimo a forza di vlvezza d' ingegno, come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo la mano alia velocity de* mossl fantasmi. Convien dunque fermar per vera e per indubitabile sentenza, che quanto piu V uomo con la continuazione dello studio e sotto una bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia megllo assodato e fissato 11. giudizio, anche nelle persone dl spirito e d' ingegno ; cotanto piii chlari e distintl e meglio perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la differenza in tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si scorge; e questo e quello cbe io so immaginarmi intomo agli nomini d' ingegno, e quel che veramente questo sia, e che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per affermare quel ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera si facciano le operazioni sue, come anche delle altre facolta delP anima, Y bo per cosa molto oscura e fallace. Imperfetto, Io stimo certo cbe voi abbiate detto quanto se ne possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente sodisfatto. Ma tornando alia volonta, questa entro di se puo dire il si o il no; ma chi eseguisce sotto il suo ordine? Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si prudente conBulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e d'uopo cbe la volonta abbia i ministri sotto di lei, a cui ella dia gli ordini. Luigi. Ed essi ministri dove alloggiano ? Magiotti, — Questi i sopraccapi sono della regione piu bassa, nella quale comandano i due moti piu principali sensibili, cbiamati il concupiscibile e l’irascibile ; l’uno e l’altro promotori e caposquadra di tutti gli affetti dati per guardia e per satelliti alia ragione, accioccbe eseguiscano con prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbigrazia, i moti del concupiscibile hanno da desiderare e cercare il conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine della ragione ba determinato per buono; ovvero ad accendersi il moto dell' irascibile per aborrire e per torsi davanti quel cbe la ragione col suo consiglio ba giudicato per non buono. Imperfetto. — Questi duo adunque (che appetiti si cbiamano) in vigor degli ordini eseguiscono quanto la volonta comanda loro; ma in cbe modo e con quali strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi numerose scbiere di spiriti, e di quelli di mano in mano, cbe sono sotto la condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle mani, dei piedi e delle altre membra corporee a fine di pigliare ii possesso di quel che place alia ragione, a per mettere in fuga e discacciare cio che le displace. Luigi, Ma come si fanno elleno tante operazlonl la dentro in si poco spazio? Magiotti, — Egli e da sapere come queste operazlonl fannosl dagli spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ; ma le azlonl della mente sono Incorporee come chi le governa e dispone, e pero gli organi nostri aprono loro gran vie per Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dunquein questa parte inferiore delP anima nostra divers! affetti 6 perturbazionl, secondo la varieta degll oggett! che per via del sensl se le rappresentano ; subito la parte ragionevole sommlnistra e prescrive il modo di regolare e modlficare essi affetti, lasciando bene a nostra disposizione ed arbitrlo di consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razionale si lascla vincere dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto irraglonevole le detta, egli e segno che la volonta sprezza gli ordini della ragione, e f a a modo degli appetlt! disobbedienti, dove se ella alia ragione accostandosl e alle sue savle persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora essa la volenti regge e fa altresi la porzione inferiore ragio- nevole divenlre. Vero e che le faculta dell' anlma ragione- vole non vogliono mai quello che non sia effettivamente buono, o che da loro per buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruffolo: la ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia eutimistica – la scuola di Cosenza – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.  

 

Luigi Speranza—GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Concordia). Filosofo italiano. Aquileia, Udine, Friuli-Venezia Giulia. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tyrannius Rufinus. Prete, nato a Concordia, ma noto come Rufino d'Aquileia; morto a Messina. Studia a Roma, ove conosce GIROLAMO (vedasi), che lo raggiunse poi nel monastero di Aquileia ove s'era ritirato presso il futuro vescovo Cromazio. R. strinse amicizia con Melania seniore, che accompagna in Egitto, ove visitano i monaci; ivi R. conosce Didimo il cieco e si trattenne fino a quando raggiunse Melania a Gerusalemme, stabilendosi presso il monastero di lei sul Monte degli Olivi e rimanendo in buone relazioni con Girolamo. Ma l'amicizia si guastò allorché nel 392 o 393 giunse a Gerusalemme Aterbio, sollevandovi la controversia intorno all'ortodossia di Origene: controversia che doveva esplodere con violenza dopo la Pasqua del 393, giunto in Palestina sant'Epifanio. Girolamo segue le parti di questo; R. tenne per il vescovo Giovanni di Gerusalemme, che lo aveva anche ordinato prete. Tuttavia nel 397 i due antichi condiscepoli si riconciliarono; poco dopo, R. partì per l'Italia, ove si sforzò di diffondere il pensiero di Origene, valendosi anche dell'autorità di Girolamo. Gli amici di questo lo avvertirono, ed egli si affrettò a dichiarare di aver lodato in Origene l'esegeta, non il teologo; inoltre, alla traduzione del De principiis fatta da R. attenuando le affermazioni più gravi, contrappose la propria, letterale; e il papa Anastasio, successo a Siricio alla fine del 399, invitò R. a giustificarsi, senza tuttavia procedere contro di lui. A sua volta, R., ormai ritornato ad Aquileia, attaccò violentemente Girolamo, che replicò con pari veemenza, mentre Cromazio tentava di metter pace; e forse a lui si deve se R. non rispose al Liber tertius di Girolamo, e si dedicò tutto ai suoi lavori letterarî; donde lo distolse l'invasione visigota, che lo costrinse a rifugiarsi a Terracina e di là, con Melania e i suoi, in Sicilia.  L'opera di R. consta quasi esclusivamente di traduzioni da Padri greci: nelle quali, se non si può riconoscere un piano preciso (Bardenhewer), è facile però discernere l'orientamento teologico di R. che, se "presentò ai Latini la maggior parte della letteratura (bibliotheca) teologica dei Greci" (Gennadio, De vir. inl., 17), trascurò tuttavia alcuni, p es., S. Atanasio. Tradusse invece il 1° libro dell'Apologia per Origene di Panfilo ed Eusebio di Cesarea; di Origene il De principiis, i commenti al Cantico dei cantici e a Romani e numerose omilie; le Ricognizioni pseudoclementine; le Regole e otto omilie di s. Basilio Magno e 9 omilie di San Gregorio di Nazianzo; una scelta cristianizzata delle sentenze di Sesto pitagorico, da lui (con altri contemporanei), attribuita al papa Sisto II; altre Sentenze di Evagrio pontico; il Dialogo di Adamanzio; la Storia ecclesiastica di Eusebio, da lui ridotta in 9 libri, fondendo insieme gli ultimi due, e aggiungendone altri due (10-11, o Historia ecclesiastica di R.), tratti per la maggior parte da Gelasio di Cesarea, per continuare l'opera di Eusebio sino alla morte di Teodosio (395). Buon conoscitore del greco, R. è traduttore assai libero. A questa sua attività si ricollegano anche gli scritti originali di lui, e cioè in primo luogo il De adulteratione librorum Origenis, in cui sostiene che furono manomessi e interpolati da eretici; le due Apologie, al papa Anastasio e contro Girolamo (la seconda, in 2 libri, dedicata ad Aproniano, merita il nome tradizionale di Invectiva); il Commentarius in symbolum apostolorum, prima opera del genere redatta in Occidente, e importante per la storia del simbolo; i due libri De benedictionibus patriarcharum, commento di tipo origenistico a Genesi, XLIV. È molto dubbio che si possa attribuire a R. il rifacimento del Bellum Iudaicum di Giuseppe Flavio, che va sotto il nome di Egesippo. Più complessa ancora la questione della Historia monachorum, di cui si conosce una recensione greca: il testo latino è certo di R.; si discute se il greco sia l'originale (C. Butler) o una traduzione e sui rapporti tra la Historia monachorum e la Historia lausiaca, tradizionalmente attribuita a Palladio. Un Commentarius in prophetas minores tres (Osea, Gioele e Amos), attribuito già a R. è da G. Morin rivendicato a Giuliano d'Eclano (cfr. Rev. bénéd., XXX, 1913, pp.1-24). -ALT  Ediz.: Le traduzioni sono quasi tutte edite con i testi originali, sia nella Patrologia graeca, sia in edizioni più recenti; le Sentenze di sesto da J. Gildemeister, Sexti sententiarum recensiones, Bonn 1873, e da A. Elter, Gnomica, Lipsia 1892; delle Omilie di s. Gregorio Nazianzeno, ed. A. Engelbrecht, Vienna 1910 (Corpus script. ecclesiast. latin., 46). Le opere originali, in Patrol. lat., XXI. Del Commentarius, a cura di C.A., Heurtley, 1916.  Bibl.: v. girolamo, santo; origene: Le controversie origenistiche. Per l'Historia monachorum: E. Preuschen, Palladius u. Rufinus, Giessen 1897; C. Butler, The Lausiac history of Palladius, Cambridge 1898-1904, voll. 2; R. Reitzenstein, Historia monachorum und Historia lausiaca, Gottinga 1916; inoltre: A. Glas, Die Kirchengesch. des Gelasios von Kaisareia, Lipsia 1914; A. Jülicher, Ein Wort zu Gunsten des... R., in Klio, 1914, p. 127; P. Van Den Ven, Fragments de la recension grecque de l'Hist. ecclés. de R., in Mouséon, I, p. 92 segg.. LALA ALII ISO DFAFARAR | PE Ce [ai Ono de | LAFAIA DCYSAGAGGIS OGOGAGGE ht as  ee 1. . A 4, . = : 3  sog   Ne n . AL 3 3  SA: : n (% n i x - Pi = Delta i . f 3 IRESENEE :. : x L i ne e : oi . DI f(% , dl 5: l  hr f a i A 7 - gd i . & Mi, Toe *  Cnn ; Se SE ehrbdri han 4 PESEPLELYLY d SS hebbrbtri PPS +-+ AP lil  il ee ire n  ee a pre I MRI eil Lincei irrita NEL SOLENNE INGRESSO DI MONS. PIETRO CARPELLARI ma SEDE VESCOVILE DI CONCORDIA: IL GIORNO XXVIHI LUGLIO MDCCCLXXIT. eni se neri *ting. n= ne mn Monsignore IHl.mo e Rev.mo! Se la patria Vostra che per tanti lustri. sperimentava. gli effetti benefici dell alla intelligenza e della profusa Vo- stra carit oggi piange la dipartita Vostra, a iulla ragio- ne fa festa ed esulta la Diocesi Concordiese che oggi Vi , accoglie a Vescovo e Padre. N essa poleva avere maggior prova di Vostra virt del desiderio vivissimo che di Voi la- sciate col ove per s lungo volgere di tempo e per si diffi- - cili circostanze indefesso e franco sempre incedeste nell o- perare e nell amare. A questa Diocesi  ora serbato dalla Provvidenza il soave compito di temperare al Vosiro cuore l'amarezza del distacco da Vostri ameni colli nalivi e da fanti Vostri figli s caramente diletti, col ricambiarvi di un affetto e reverenza non secondi a quelli di che la Greggia da Voi abbandonata diedevi sempre cos belle testimonianze. id oggi anche i sotloscrilli desiderano darvi pegno di questo affetto e della parte vivissima che prendono alla co- mune esultanza, offrendovi una Memoria intorno la vita e n i ni 1 le opere dell illustre Tunannio Rurino: memoria a Voi dop- piamente cara e perch ricorda una splendida gloria di questa ormai tutta Vostra Concordia, e perch lavoro di Per- 1 sona valente a Voi congiunta da antica amicizia. Accoylietela, Ill.mo e Rev.mo Monsignore, colla beni- quit tutta propria del Vostro dell'animo, e benedite a quelli che almeno col buon volere saranno sempre per Voi e con Vot. II teu   , Portogruaro, 28. Luglio 1872. Umil.mi Dev.mi Obb.mi D." GIACOMO PEROSA. | LORENZO GENNARI. DI GENTILE MARANGONI. LUIGI BRUNI, D. ERNESTO DEGANI, do MANI ) | FABBRICIERI della Chiesa Ausiliaro di S. Andrea Ap. di Portogruaro. hd 1 Sava) - Pe; SELLA LIL WVPYNINPIALIAPLINPINIZAPLNLINPIACGZALI AODNY/OZI Ne territorio di Aquileia, lunghesso il mare, in un ijuogo presso Con- cordia nacque Rurino circa la met del secolo IV. A que tempi fioriva in Aquileia una scuola ecclesiastica di grande rinomanza, ed un celebre monastero solto la vigilanza pastorale del Vescovo S. Valeriano. Nella scuola  nel Mo- nastero noi troviamo Rufino nellanno 371 insieme con S. Girolamo con S. Cromazio, e con quegli illustri, de quali Girolamo stesso scriveva, che gli rappresentavano un Coro di Angeli: se | Speciali memorie del vivere di Rufino a que d non ci rimangono, ma bens un fatto il quale della celebrit di Rufino e della scuola aquileiese ci rende una splendida testimonianza. La seniore Melania, quella illustre romana di cui i Padri e gli scrittori ecclesiastici di que tempi esalta no a gara le laudi, avea ad imprendere il viaggio d Oriente per dedicarsi del tutto con altre chia- rissime, che fe si erano date a disciplina, al servigio divino nella preghiera, nel ritiro, nelle opere di misericordia, cui avea consecrato il suo ricchissimo patrimonio: quella Melania, che, quando torn dall Oriente per confermare nel proposito di vita perpetuamente continente la nipote S, Melania la gio- vine, vide venirsi incontro fuori di Roma i Senatori i Patrizii e moltitudine di popolo per far omaggio alle sue virt, rivolse gli occhi alla scuola eccle- siastica di Aquileia per scegliersi il maestro c la guida spirituale, e scelse Ru- fino, bench pon avesse che 25 anni d'et, e non fosse ancora ordinalo sacer- dote. Venne quindi in Roma 1 anno 372 e pass con Melania in Oriente. Men- tre la pia dama erasi recata a fondare un monastero in Gerusalemme, fer- Li La + sia mossi Rufino in Alessandria, ed ascolt per sei anni le lezioni del celebre Di- dimo. Venuto poscia in Gerusalemme vi fu ordinato sacerdote, e dimor in Pale- stina fino al 397, attenlendo alla direzione spirituale del monastero di Melania, e recandosi per intervalli a visitare i grandi monasteri c i famosi anacoreti che popolavano la Siria, la Mesopotamia, il basso Egitto, cd abitavano la deserta Tebaide, per apprendervi esempii e documenti di vita spirituale, e per farne tesoro agli studii della cristiana sapienza, ai quali interamente dedicava il tempo, che dalla preghiera, dalla meditazione e dalle opere di piet gli so- pravanzava. In questi suoi lavori ebbe egli ad incontrar disparere coll ami- cissimo suo S. Girolamo sul fatto dei libri di Origene, che Rufino vena. vol- tando dal greco, Quindi scritti da una parte e dall altra che risentivano del- I ardore della contesa, la quale sedata una volta dalla mansnetudine del co- mune amico S, Cromazio, allora Vescovo d Aquileia, si riacceso allorquando Rufino ritornato in Italia con Melania nella circostanza test ricordata, c ri- tiratosi nel monastero di Pineto, in uno deglimmensi sobborghi che dall an- tica Roma stendevansi sino al mare, continu a tradurre gli scritti di Origene. Quivi inteso alla piet e agli studii dimor dall'anno 397 fino al 408, non dipartendosi se non per recarsi a rivedere la sua Aquileia. Ma s avvicinava la divina vendetta sulle ostinate reliquie del paganesimo, e gli Unni ed i Goti entrati in Italia seminavano ogni contrada di morti, di arsioni, di stragi. Melania pens riparare in Oriente, e colla sua compagnia partitasi da Roma giunse a Messina. Qui s indugi per raccogliere e soccorrere col suo patrimo- . o que miseri che fuggivano dinanzi alla spada dei barbari. Alarico penetr in Roma ai 24 di Agosto dell'anno 409 c per tre giorni orribilmente la riem- p dincendii e di stragi. Uscito di T, dopo averla saccheggiata, continu le sue devastazioni lungo la penisola, e mentre le fiamme che incenerivano Reggio di Calabria si ripercoteano sulle castella dell atterita Messina, Rofino ai 24 di Giugno dellanno 440 quivi piamente, com'era vissuto, si addor- miva nel Signore. Questo rapido cenno abbrevia di molto il mio dire ; poich non  mestieri parlare singolarmente delle virt, c distinguere partitamente gli atti di tale tomo, di cui lintera vita comparisce animata da un solo Spirito. Spirito di cristiano e sacerdotal sacrificio informava I anima di Rufino, Scegliere la via pi spedila e pi sicura di seguitare Ges Cristo colla pratica dei consigli evange- lici nel monachismo : obbedire alla voce divina che lo chiamava al sacerdozio, Apparecchiandosi col mettersi alla disciplina del suo Vescovo con tanto abbando- no da esser nella casa ecclesiastica uno degli Angeli di quel coro aquileiese : at- fenderc agli studii con tanta assiduit e tale profitto da esser in ancor verde et prescello a maestro di vita spirituale da una matrona cui eran notissimi i pi illustri ecclesiastici dell'occidente ; accettare quest officio che lo staccava affatto dalla patria, dai parenti, e gli troncava le speranze di cospicue digni- lla {i : aggiungersi ad un sodalizio, qual era quel di Melania e delle sue conso- rello, di virt austera e di vita penitente e laboriosa, al quale dovea egli farsi maestro, non tanto colla dottrina quanto colla preminenza dell'esempio: con- tinuare nello studio della cristiana sapienza fino alla morte e per essa impren- der viaggi e recarsi ad ascollare e consultare i pi famosi uomini dell orien- te: scrivere la scienza appresa affine di diffondere la verit e trarre quante pi poteva persone all amore di Cristo; egli  questo un complesso di vita sacerdotale tanto luminoso da non maravigliare se in alcuni particolari mar- tirologi dell antichit sia stato Rufino tra i heati annoverato. Che se la Chiesa aquileiese e la Concordiese pu sotto questo rispetto an- dar meritamente gloriosa di Turannio Rufino, pu altres andar lieta di lui come ingegno chiarissimo  famoso scrittore. Non tutte le opere che Rufino scrisse giunsero fino a noi, ch parecchie seco ne travolse l'onda vorticosa dei secoli, Facendo ragione delle superstiti, noi riconosciamo in lui un ingegno di comprensione assai vasta, poich ab- bracci Ja storia, la biblica, la mistica, l ascetica, la dogmatica, le regole ca- noniche, lapologetica, la filosofia. Alla vasta comprensione univa quell aculezza d intendere, che, elevando- si a generali principii, Ic cose apprese in tal ordine congiunge, che l una ri- chiami 1 altra, e 1 una dall'altra ordinatamente dipenda; perci egli predi- ligeva la cristiana filosofia apparata alla scuola del mirabile Didimo, e amava divalgarla recandosi a tradurre ghi scritti di Origene. Bene egli  vero che questa predilezione gli divent feconda di fastidii, ma di ci avremo a farne poscia brevi parole.  Se non che l'ingegno di Rufino oltre queste due qualit, ne avea una terza non meno esimia, per la quale avveniva che 1 acutezza dell ingegno suo non trasmodasse in isterili speculazioni, n si aftaccasso tenacemente ai possibili in modo da trovarsi in disappunto colla realt dei fatti, principalmen- te con quelli, che sono dipendenti o collegati strettamente con un ordine alla mento umana impervio, coll ordine soprannaturale. L ingegno di Rufino non solo era vasto ed acuto, ma era altres giudizioso; e perci, a cansare il pe- ricolo di sofistiche astruserie, allo studio della filosofia contrappose lo studio i manchevoli principii dell umana scienza complet largamen- a e disciplinare: anzi a questi studii della storia,  te colla sapienza ecclesiastica, dogmatic diede Ja maggiore e la miglior parte, e le dottrine cattoliche con tanto amore ricerc, che del suo Commentario sopra il Simbolo degli Apostoli, scrisso gi ?' eruditissimo Vescovo di S. Ippolito, Giuseppe Fessler, non esservi su questa materia in tutfa 1 antichit cristiana un lavoro pi crudito e pi famoso, quale il rofiniano, che L'intero simbolo, articolo per articolo chiarissimamen- te espone. La quale sentenza di tanto personaggio, eletto per il suo vasto sapere dal dti cale Santo Padre PIO IX a secrelario del Concilio Ecumenico Vaticano I, dal me- rito scientifico ci conduce a parlare del valor letterario di Rufino. Era egli stato educato con Girolamo ad una scuola in cui la forma nobile cd iMustre della lingua latina si avea in grande onore e diligentemente si coltivava. L'esercizio del suo ministero presso Melania e le altre chiarissime compa- gne gli valse a mantenere e a crescere quella pulitezza di forme letterarie, che era tanto in fama presso fe dame romane del secolo IV, delle quali la chiarissima Apicia Jaltonia Proba' celebre poetessa, che coi versi virgiliani & con altri suoi proprii cant le meraviglie cristiane, teneva commercio epi- stolare con Rufino. Lo studio della lingua greca, in cui era versatissimo; la famigliarit coi pi illustri letterati cristiani d Oriente vi aggiunsero una ma- niera pi spigliata e franca di esporre, che predilesse nello scopo di giovare largamente agli altri. Perci nelle sue opere originali, se ne eccettui le po- che contenziose, egli tiene un far semplice e chiaro, or pittoresco, ov bril- lante e sempre vivace, uno stile corretto, una latinit castigata quanto i mi- gliori di quellet, e temperata in modo che Yunzione e la chiarezza delle idee  delle cose cristiane non venga chiusa forzatamente nella nicchia delle forme Telterarie di un mondo pagano per soverchia smania di purezza  leg- giadria, * . i Il pellegrino ingegno e la ben disciplinata letteratura non bastano a dare celebrit ad un personaggio, se non vi si agciunga 1 importanza ce l'utilit de suoi-lavori. Questo merito non manc punto al nostro Rufino, La Chiesa ortentale avea avuto scrittori delle ecclesiastiche dottrine, che splendevano tra i maggiori luminari della cristiana sapienza. Leresie sorte e diffuse prima- mente in Oriente furono cagione principalissima, per cui i Vescovi e i Dot- lori di &reca favella si facessero cos ampiamente e strenuamente propusna- lori della cattolica tradizione. Rufino spertissimo della greca letteratura volle rendere famigliari alla Chiesa di Occidente que magnifici tesori, e dimostrare colle prove di fatto l'unit, L'indefettibilit, la concordia nella professione della fede n tutta la vera Chiesa di Ges Cristo. Si di impertanto a recare in lingua latina i lavori di que sommi con singolare propriet, non punto badando se alcuno gli volesse apporre taccia di troppo libero tradutl:re, pur- ch rendesse chiari i concetti dei preci scrittori. Come poi nessun argomen- fo  s forte a dimostrare la perpetuit della fede, quanto la continvafa serie dei fatti, cos egli volse lanimo a tradurre fa storia ecclesiastica del famoso Eusebio di Cesarea, Kiconoscendo per che al sommo ingegno. ealla vasta dottrina del greco istorico non avea risposto Ia libert dell'animo, offeso da parzialit, pens Rufino di tenere il fondo del deltato di Euscbio, aggiungen- do, togliendo, immutando quanto era necessario affinch la storia e scevra fos. sc da spirito di parte, e completa nelle lacune, che non a caso sospettavasi avesse lascialo il Cesariense; poscia la continu tutta di suo fino all empio "Wu o ul tentativo di Giuliano lApostata per la ricostruzione del tempio di. Gerusa- lemme. Perci il lavoro di Rufino, come riconoscono i dolti, anzich una tra- duzione fu un rifacimento, e divent un opera originale.  originali del (nt- to sono le sue opere Delle Vite de Padri, Le Benedizioni dei XII Patriarchi, Il Commentario sopra il Simbolo degli Apostoli dianzi ricordato, La Profes- sione di fede al Papa S. Anastasio, Le Apologie, e parecchie altre, che anda- rono perdute, rammemorate coi loro titoli dagli antichi scrittori.  se non mi fuggisse il fempo avrei per ogn altro argomento . della im- portanza di questopere di Rufino, e di moll' altre traduzioni dei Padri greci. la testimonianza dei confemporanei pi illustri sia per la sua persona, sia per i suoi lavori. Mi sia lecito almeno ricordare alcuni nomi. Ai santi e dot. ti Vescovi, Venerio di Milano e Gaudenzio di Brescia intitol de suoi scritti; altri ne dedic ai preti, che poscia ascescero cattedra episcopale, i santi Paoli- no di Nola e Petronio di Bologna, suoi carissimi; al nobilissimo Aproniano, convertito alla fede da Melania, invi le sue apologie, S..Cromazio d Aqui- Jeia lo amava pi che fratello, e il sommo Dottore e Vescovo d Ippona S. A- gostino, avendo avuto notizia della dissensione insorta tra Rufino e S. Giro. lamo, dolorosamente la piange, tra personaggi per la loro celebrit. nolissimt. a quasi tutte le Chiese  cunctis pene ccclestis. o Ed eccoci giunti a quella famosa controversia, intorno alla quale tanto scrissero dottissimi letterati in diverse sentenze. N alcuno pu credermi 4 ardito che io voglia entrarvi di nuovo. Narrer la somma dei fatti. Famosis- simo fra i pi illustri doltori cristiani d oriente fu Origene, Alcuni de suoi libri (che S. Girolamo, riducendo il compulo fatto da altri, conta per ben 2000) sia per intemperanza d'ingegno, sia per maliziosa corruzione d cre- lici, come altri mantennero, non in tutte [e loro sentenze convenivano colle: dottrine della santa Chiesa Cattolica. Ad onta per delle macchie che li offa- scavano, tanti crano i tesori della cristiana sapienza in essi contenuti, che premurosamente li facevano ricercare. Lo stesso Girolamo ne avea [radolte in latino alcune omilie. Rufino, sollecitato da alcuni monaci, tradusse i libri famosi Dei Principi, che si ritenevano in alcune sentenze macchiati di opi- pioni contrarie alla fede della Chiesa, Quindi, zelando ardentemente Girola - mo che Ice origeniane dottrine non pigliassero voga, e mantenendo Rufino VU or- todossia di Origene, a suo parere dagli eretici maliziosamente nei libri adul- terala, nc proruppe una discordia romorosa, mentre gli avversarii di Origene davano a Rufino la taccia di eretico. La vigilanza del supremo Pastore della Chiesa Papa S. Anastasio richiam a se la causa, ed invit Rufino a purgarsi, La lettera apologetica di Rufino al Santo Padre esiste ancora, e basta da s a darci il vero concelto della questione, anzich perderci nell increscioso jaberinto delle smodate recriminazioni, che nellacceso fervore della disputa ci lanciavano sprovvedutamente i confendenli, a Con parole rispetlosissime Rufino si purga intorno al fatto. Narra di aver impreso la versione per le preghiere di alcuni monaci; ma s non egsere n il difensore, n il vendicatore, n il primo interprete di Orirene  Origenis ego neque defensor sum, neque usser tor, neque primus interpres . In quanio alla fede egli ne fa una piena cd esplicita professione, rigorosamente confor- me alle definizioni della Chiesa; espone le dottrine controverse tra i dottori, sulle quali la Chiesa non avea ancora pronunciato g siudizio definilivo, e si di- chiara di non aver abbracciata come cerla e definita nessuna delle contrarie sentenze  Ego vero cum hace singula legerim, Deo teste, quia certi ct defi- niti aliquid usque ad praesens non teneo . Si protesta in fine di tenere U-  nicamente la fede che tiene la santa Romana Chiesa, e di avere come ereti - co chi da essa si diparte . Et si quis aliter credit, quisquis ille est, ana- thema sit . Dopo ci non  pi a dimostrare che Rufino, siccome visse sem- pre da santo, e consum la sua vita alla dilatazione e alla esaltazione della cattolica fede, per la quale, trovandosi in Alessandria quando I Ariano im- perator Valente la perseguitava, pat i rigori del carcere, cos sempre in essa si mantenne costante fino alla beata morte. Rufino credeva e professava Vin- fallibilit del Romano Pontefice, e con questa professione gli era impossibile prevaricare. Scriveva nella citata lettera al Papa S. Anastasio, che la santa mente di sua Beatiludine era come un sacrario di Dio, la quale non pu mac- chiarsi, n accogliere cosa che non sia retta  Ut litteris meis satisfacerem | Beatitudini tuac, non ut de sancta mente tua, quac velut quoddam Dei sacra rium, aliquid iniquum non recipit, maculam suspicionis abstergerem.  + N pi oltre  mestieri condurre il mio discorso, che ben si pare qual- mente a tutta ragione Rufino  un nome glorioso per la nostra Chiesa e per la patria nostra, avendoci lasciato perenne monumento della sua fede, delle sue virt, delloperoso ingegno suo in una vila. interamente dedicata alla gloria di Dio. BIBLIO EG A_DEL SEA > VES PE a AN AE ESSO/IE 1 Di, A IRE TICIISE NA 640 en vasid= Pret tt EIA n pi = # - tt en, e rieti isti .4, Sio n tri dirnta n "i i  - ' 4 4 x A . ; da hi . sca %.  . 2 . 1.) . - RO li : i  . .  i . E N -  e , . . Lo . s +. i 3  ri ti - x 5 ..   al . - - ? . ,  a Lo PA . . P  4 bi . . Cei nu! A i 2. 0 #  : i -  A . N TERA i AAT nt go _ 1 ere. call onianai lo FR e 0 mb mn. Tirannio Rufino.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici. Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi. Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R. declina l'invito.  Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani romani Rutilii Stoici. R., who came after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from their own history, thereby associating their philosophic principles with patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO; whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial, consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo. Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool Library. Rufo.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale --  scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos.  Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la polis  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I  greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di  [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno organico,  a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire  della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza dell’imperium, che sanci-    [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci. La  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo  romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato. Non è più il princeps, cittadino tra  [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.  Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il  re-divino, l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome  [Mommskn. Le drolt pnblic romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature ordinarie.  Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare subentra,  almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla  nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della riforma religiosa  d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei MANI, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gl’uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li lega e li circoscrive materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3 (ì.  I»K  huGGiKKO.  La  filosofia  coniemfor>tnea.DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 1.  La  fortuna  dei  nostri  filosofi. Con la filosofia italiana vogliamo rifarci dall’origini. Se c’è un paese che può  vantare uno svolgimento originale di pensiero, dal rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel tempo stesso, sembra che nessun paese puo deplorare, con  maggior diritto  dell’Italia, il disconoscimento più pieno della sua vita mentale. Il nostro rinascimento è in generale conosciuto. Ma, dopo, ci si sequestra dalla circolazione del  pensiero europeo. Vico è lettera morta  fuori d’Italia;  e l’epoca piu tardi offre questa stranezza, che vengono elevati a fama europea filosofi mediocri  come Hamilton, Cousin e più tardi Lotze, mentre sono ignorati SERBATI (vedasi), GIOBERTI (vedasi), e SPAVENTA (vedasi) -- tre filosofi geniali, che proseguono la tradizione speculativa del pensiero europeo, proprio quando sembra interrotta, nella fine apparente  dell’idealismo. R. non sta a fare un ridicolo processo agli stranieri per averci  dimenticati. Noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del nostro passato. E le stesse condizioni civili e politiche d’Italia purtroppo contribuisce alla sprezzante dimenticanza  Si,  perché  la  circolazione del pensiero avviene in modo diverso nei tempi moderni che nel Rinascimento. Allora potevamo,  anche politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri. Allora infatti la vita del  pensiero è l’universalismo astratto, naturalistico, che neutralizza le differenze della  storia. La sua espressione è il concetto della sostanza di BRUNO (vedasi), l’unità indifferente degl’opposti. Invece,  s’inizia un movimento profondo d’individuazione. È il  periodo dello storicismo. Il pensiero non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori dell’individuazione politica, sociale, morale d’un popolo è nulla. È flatus vocis. Cosi si sono affermate la cultura della Germania, quella della ‘Gallia, e quella di Oxford -- culture di popoli formati. La nostra no. Noi avemmo due grandi filosofi. SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi). Ma sono un’anticipazione sulla nostra realtà storica. Noi non h celebrammo che quando volemmo far la nostra storia. Il loro pensiero rifulge di vivida luce coll’unificazione. Ma divienne cosa  morta un anno piu tardi..E l’Italia che si forna nel ’fiO  non è rosminiana né giobertiana. Perché? Purtroppo è nota la decadenza mentale e morale di quella Italia. La sua voce non è più la voce generosa di Gioberti, ma la molle cantilena di ROVERE (vedasi) e l’accento rauco di FERRARI (vedasi). In un corso di filosofia che resta celebre nella storia della nostra filosofia, il terzo dei grandi  filosofi italiani, SPAVENTA (vedasi), ri-evoca le glorie del nostro passato, e spiega a una folia d’ignari lo svolgimento originale della filosofia italiana: nella nuova luce da lui diffusa sulla nostra  filosofia. BRUNO (vedasi) e CAMPANELLA (vedasi) trovano il loro posto nella storia della filosofia come precursori di Cartesio, di Spinoza e di Locke. VICO (vedasi), come il geniale pre-sentimento del criticismo. E infine, GALLUPPI (vedasi), SERBATI (vedasi), e GIOBERTI rappresentano la coscienza via via più compiuta del criticismo, come questo s’è svolto in Germania per opera di Fichte e di Hegel. Ma SPAVENTA (vedasi) avverte che la caratteristica dell’ingegno italiano in tutti i tempi è quella d’essere precursore, d’avere il pre-sentimento d’una verità, ma di non saperla svolgere, e di falsificarne perfino il senso e la portata. Ma colla rinnovata coscienza della propria storia, SPAVENTA (vedasi) spera che l’Italia risorta allora a unità politica, riprende,  in una piena consapevolezza, il posto che le spetta nella cultura. Ed egli stesso ne addita la via, con uno sforzo tenace per porsi all’altezza del movimento storico, comprimendo ogni impulso della sua filosofia originale per ri-vivere intensamente la filosofia altrui; facendosi scolaro, per poter diventare il maestro degl’italiani. Ma l’Italia alla quale SPAVENTA parla non è in grado di  capirlo. Ell’è quella stessa Italia che ha pervertito la filosofia di GIOBERTI (vedasi) in una speculazione flaccida e senza sangue -- la  filosofia dei bramani, come lo stesso SPAVENTA (vedasi) dice. Ond’è che il geniale hegeliano parve a taluni un mistico, ad altri un sovvertitore della scolastica; a nessuno quello che in realtà è. I falsi nazionalisti gli rimproverano il suo hegelismo; i  falsi hegeliani il suo nazionalismo. In verità gli rimproveravano gli’uni gl’errori degl’altri. Dalla doppia taccia SPAVENTA (vedasi) è immune: egli che sente, si, ITALIANAMENTE la filosofìa. Ma la pensa universalmente. Il primo insegnamento di SPAVENTA (vedasi), come quello ilei suo granile conterraneo, SANCTIS (vedasi), è dunque infruttuoso; a riceverlo, le menti sono impreparate. Non cosi oggi, che nella rinascente italianità. noi impariamo a vivere in comunione col nostro passato, consci che ogni sviluppo della vita speculativa è possibile solo mediante una piu salda continuità colla tradizione storica. L’Italia nostra non s’è fatta net 1860 ma si va facendo ai nostri giorni: quella stessa Italia che va conquistando una posizione sempre più eminente  tra i popoli, afferma la forza interiore di questa ascensione col rinnovamento della sua coscienza speculativa. In tale rinnovamento. risorgono i nostri grandi, SANCTIS (vedasi). SPAVENTA (vedasi); attraverso essi, noi ci colleghiamo al nostro passato. Io esporrò brevemente l’ammaestramento loro e di quelli che proseguendone l’opera hanno contribuito con loro al presente risveglio  su questo passato. Il Rinascimento e Machiavelli. Gl’albori della filosofia sono da ricercare nell’umanismo. Ivi la filologia già lascia intravvedere il principio e l’indirizzo della filosofia; ivi già s’accenna quel ritorno all’antico di CICERONE (vedasi) che è invece creazione del nuovo. Sotto i colpi dell’umanismo comincia il dissolvimento della scolastica, che prosegue poi, più rapido,  nel rinnovamento della vita civile e politica, e della speculazione che l’esprime. Qual è il significato della scolastica? Essa è un connubio del cristianesimo  col LIZIO. Il Dio che s’era umanizzato in Cristo si naturalizza nella logica del LIZIO: diviene l’ente, l’oggetto, nei quadri della sillogistica. Il monumento della scolastica è la prova ontologica d’AOSTA. Questo naturalismo è già  un grande progresso: non è il naturalismo fisico dei pre-socratici, non il naturalismo ideale degl’accademici, ma è naturalismo divino. Per mezzo suo si svolge la contra-dizione del cristianesimo, colla sua doppia affermazione dell’umanità e della divinità del divino. E il naturalismo del rinascimento che sorge come negazione di quello scolastico, contiene in realtà la doppia esigenza, nella sua unica aflermazione del divino e l’umano della natura. Con esso s’inizia l’età umana della fìlosofia. Quanto al suo procedimento speculativo, la scolastica si compendia nei princìpi della sillogistica; la sua visione etica del mondo, poi, nell ascetismo e nel misticismo: la speranza messianica implica la svalutazione della realtà attuale e della vita. E il rinascimento è l’anti-tesi di  entrambi gl’indirizzi: esso è la sopravvalutazione della vita  — quella che la libertà comunale, gl’attivati commerci e i rapporti politici promoveno e intensificano; e in pari tempo esso è l’atteggiamento della filosofia speculativa, che non ha una realtà fatta innanzi a sé, da sillogizzare, ma crea la sua realtà, osservando, provando, inducendo. Nascono cosi due scienze, la politica e la  fisica, ambedue dal me Essa è la sola cosa stabile ed eterna: ogni volto, ogni faccia, ogni altra cosa è vanità, è come nulla; anzi è nulla tutto ciò che è fuor di questo uno. Spinoza non parla con maggior vigore, ma a differenza di BRUNO (vedasi), egli non indietreggerà d’un passo dalla posizione conquistata. Il filosofo italiano, come già TELESIO (vedasi), e poi CAMPANELLA (veasi), alterna il nuovo col vecchio: più veemente di Spinoza, è assai meno coerente, e accanto al nuovo Dio lascia sussistere l’antico. Più oscillante ancora di BRUNO (vedasi) è CAMPANELLA (vedasi), benché rappresenti un’esigenza nuova del pensiero speculativo. La difficoltà del concetto di sostanza è che la filosofia, naturalizzandosi nell’oggetto, non può spiegare sé stessa. La sostanza  è conosciuta ma non si conosce: come ciò è possibile? Come può l’uomo, un semplice modo od accidente, conoscere la sostanza, ed elevarsi a Dio, se è semplice effetto? come l’effetto ritorna alla causa? Il problema che il concetto della sostanza apre alla speculazione è quello del conoscere, e ad esso s’appuntala filosofia del frate di Stilo. CAMPANELLA (vedasi) è confusamente il Cartesio ed il Locke della fìlosofla italiana. Muove dal dubbio scettico e trova la certezza nella coscienza di sé, nel xensus SPAVENTA (vedasi), Saggi di critica, Napoli.. LA  FILOSOFIA ITALIANA abciilus, ma d’allra parte fonda la conoscenza della natura sul semplice sensus addilux. Le due esigenze restano in lui inconciliate: per avere una conciliazione si dovrà giungere fino a  Kant. Ond’è che la certezza delle cose esteriori sembra a CAMPANELLA (vedasi) ora uno sviluppo, ora una caduta, ora un incremento, ora un limite. 15 l’intonazione generale della sua filosofia è, nella metafisica, il razionalismo, la dottrina delle primalità fondata sul sensus abditiis; nella teoria del conoscere l’empirismo, la mera certezza sensibile e la concezione dell’intelletto come  semplice senso illanguidito. Ma se per questo verso egli fa un gran passo su BRUNO (vedaso), gli resta poi di gran lunga indietro pella convinzione e la fede nell’infinita presenza del divino nell’universo. CAMPANELLA (vedasi) è in qualche modo, e quasi inconsciamente, il filosofo della restaurazione cattolica, come fha definito SPAVENTA (vedasi). Egli, col suo razionalismo,  non toglie i ceppi alla scienza, se non perché questa se li rifaccia da sé medesima e si sottometta liberamente. Ma l’entusiasmo di BRUNO (vedasi) non trova il suo riscontro che nello sforzo tenace di BONAIUTO Galilei. Con questo la scolastica, solo virtualmente superata nella filosofìa del rinascimento, è vinta per sempre. Il naturalismo non è più soltanto celebrato come nuova  tendenza dello spirito, ma è l’attualità spirituale: nella scienza s’umanizza la natura, che non è più la mera privazione degli scolastici, né la divinità ancora trascendente della speculazione, ma è la scienza stessa, l’atrermazione dell’umanità concreta del mondo, di quel mondo che non ci è estraneo ma interiore, e che vive della stessa nostra vita di ricerca e di conquista incessante. DA  MACHIAVELLI A GlOBERTI Vico. Tra MACHIAVELLI (vedasi) e VICO (vedasi) corrono due secoli, e ratteggianieiito mentale è profondamente mutato. All’apparenza li direste vicini, rivolti come sono tutti e due al passato, per attingere d’esso la loro forza. Ma con che occhio diverso lo guardano! MACHIAVELLI (vedasi) vede nel passato il mezzo per liberare il presente dalle  accidentalità storiche e per contemplar l’uomo nell’intimità della sua natura, delle sue passioni: egli fonda così la politica. Con VICO (vedasi), il naturalismo umano del rinascimento è già sorpassato, e l’esperienza storica non suggerisce più alcuna distinzione tra sostanza ed accidente, ma la considerazione dello sviluppo, dello spiegamento della mente umana. VICO (vedasi) fonda la  storia. Le due mentalità sono profondamente diverse. La tradizione dei politici si continua attraverso GIUCCIARDINI (vedasi), PARUTA (vedasi), SARPI (vedasi), ed ha un lontano rappresentante in GALIANI (vedasi). Anche questi, come VICO (vedasi), fa la critica del suo secolo, e del giacobinismo che quello prepara; ma la sua critica non pre-annunzia il secolo seguente; essa è quella del politico, che, incapace d’intendere l’aspirazioni, ha  e.sperienza per avvertire le sue fanciullaggini e sorridere alle sue illusioni. La critica di VICO (vedasi) è al contrario novatrice. Essa investe tutta la filosofia, il cartesianismo e il sensismo. All’universalità astratta del primo che non spiega la scienza, perché vuol fondarla sulla rivelazione immediata dell’evidenza VICO (vedasi) contrappone l’intuizione genetica delle cose, che le [ P. un'acuta osservazione di CROCE (vedasi): la filosofia di GALIANI (vedasi), in Critica, spiega nel loro farsi, nel loro sviluppo: e prelude cosi allo storicismo. E mentre il sensualismo trae dall’esperienza sensibile un motivo tutto materialistico. VICO (vedasi) svolge, da quella stessa esperienza, l’universale fantastico, la  poesia e la lingua, nella loro originalità spirituale: e cosi prelude al romanticismo – e a GRICE!. Queste geniali intuizioni sono comprese in un’unità potente: è la mentalità umana che nel suo sviluppo s’afferma come dispersa nel senso e nella fantasia e s’unifica e si riflette nel pensiero. VICO (vedasi) perciò intravvede una metafisica della mente, una storia ideale, eterna, pella quale  corrono le storie delle singole nazioni: nelle modificazioni della mente sono per lui da ricercare i momenti dello sviluppo storico. Ecco la grande originalità di VICO (vedasi): per MACHIAVELLI (vedasi) l’umanità era natura, sostanza, e perciò fatale nel suo corso, nella sua logica interiore. Con VICO (vedasi) sorge il concetto della mentalità, della provvidenza immanente nello  sviluppo della nazione. In MACHIAVELLI (vedasi) c’è ancora, contro l’apparenza, l’intuizione teologica del mondo, e la tristezza d’un’attesa messianica: l’uomo è fatto trascendente a sé medesimo. In VICO (vedasi) non più. Nella sua concezione storica l’umanità è tutta spiegata. Ma pure quello stesso VICO (vedasi), che scrutando la storia di Roma, attua magnificamente la sua  idea,  lascia poi intatto il pregiudizio dell’elezione arbitraria degl’ebrei. Nel passare alla storia di Roma, VICO (vedasi) aveva compiuto il suo grande  sforzo,  e vi s’era esaurito, senza aver più la forza di ri-passare alla storia degl’ebrei, come osserva CROCE (vedasi) nella sua bella monografia su VICO (vedasi). È viltà? È pregiudizio? Forse, con più verità, è un difetto intrinseco dei sistema:  VICO (vedasi) non sa uscire dal particolarismo ristretto dell’unità nazionale: manca a lui il concetto dell’università del particolare, deiriimanità della  nazione, che è l’opera del secolo seguente. E perciò quel passaggio dai romani agl’ebrei, che a noi sembra oggi cosi facile, non è possibile al suo genio. VICO (vedasi) non ha mai il riconoscimento che gli spetta, né in Italia né fuori, né  vivente né dopo morto. S’impadronirono della sua dottrina i positivisti, e falsificarono nel modo più barocco la sua celebre formula della conversione del vero col fatto. Rivendicarne la memoria e perseguirne la speculazione è stata l’opera di SPAVENTA (vedasi), di SANCTIS (vedasi), e più ancora, di CROCE (vedasi). Per merito loro la profonda lacuna della nostra cultura è colmata.  Con MACHIAVELLI (vedasi) e con VICO (vedasi) noi possediamo gl’esponenti maggiori della storia della nostra filosofia, dal Rinascimento VICO (vedasi) colla sua intuizione d’una  metafìsica della mente umana è il pre-sentimento del criticismo, che si svolge poi in Italia per opera di  GALLUPPI (vedasi), SERBATI (vedasi), e GIOBERTI (vedasi). La  posizione storica di questi  filosofi è stata fraintesa generalmente, e da loro medesimi per primi, finché la critica di SPAVENTA (vedasi) non ne ha liberato la dottrina dall’involucro contingente e svelata la stretta parentela colla filosofia tedesca. La spiegazione del fraintendimento ci è data dalla considerazione dell’ambiente nel quale sorsero e si svilupparono le dottrine. L’Italia è infestata dal sensualismo, e la  stessa filosofia  kan-liunn non vi s’introduce che attraverso reclettismo e la psicologia degli scozzesi: il valore sommamente originale del concetto della soggettività ne vien completamente perduto. Nel rinnovamento cattolico, che s’inizia in questo stesso periodo, il sensismo vien minato alla base, ma non già in nome del criticismo. Il sensismo è, nelle sue ultime conseguenze, scettico;  è un vano gioco d’elementi soggettivi, che non fonda l’oggettività, il sapere. Ma il criticismo, si soggiunge, non è anch’egli chiuso nel soggettivismo delle forme del senso e dell’intelletto? e non va a finire del pari nello scetticismo? Con questa critica si pretende di disfarsi di Kant, e si cre Sono curiose queste citazioni di VICO (vedasi) che s’in1 H. Arie, storia e fìlosofta, Firenze. contrailo presso i positivisti; se ne trovano oltre che in CATTANEO (vedasi), VILLARI (vedasi), CAHELLI (vedasi) e Wngiiilli (vedasi). VICO (vedasi) diviene un precursore del positivismo, la sua formula della conversione del vero col  fatto, identità del pensiero e dell’essere, come mentalità, sviluppo, viene dai più intesa nel senso che la verità sta nel fatto e non già nella mente.  Ma pure queste reminiscenze vichiane trattengono i positivisti dal cadere in una metafìsica materialistica. Sono tutti assai prudenti, anche perché non hanno nulla da dire: il più arrischiato forse è ANGIULLI (vedasi), che è d’ingegno un po’più filosofico degl’altri. Ma il suo programma positivistico non manifesta alcun contenuto nuovo di dottrina. FI quando il positivismo, pella logica  stessa del suo movimento, degenera ovunque nel materialismo, i nostri positivisti sono pronti a sconfessare la conseguenza d’essi non voluta delle dottrine. VILLARI (vedasi) polemizza coi materialisti. GABELLI (vedasi) distinse un vecchio ed un nuovo  positivismo, e manifesta la sua avversione per quest’ultimo. Certo in questi pentimenti c’era qualcosa d’ingenuo, proprio di chi  non sa valutare la portata d’una dottrina, mentre l’accetta; e i materialisti galli sono più conseguenti dei positivisti italiani, nel negare quell’idealità vaghe che questi lasciavano ancora ondeggiare al di sopra dei fatti. Ma se in ciò i nostri sono meno filosofi, sono poi più di buon senso nelle loro riserve, perché dopo tanti sforzi per liberarsi d’una metafìsica pseudo-idealistica, non volevano  trovarsi impegoiati in una altra metafìsica, di tendenze materialistiche. La trivialità di questa metafìsica non tarda a manifestarsi. Essa sorge dal connubio tra la filosofìa e la biologia; e il suo nome era il monismo: un nome che dice tutto, anche più del contenuto di dottrina con cui lo si è voluto giustifìcare. I suoi fautori sono medici, naturalisti, botanici, fisici, e via discorrendo. La loro  opera sarebbe certamente andata dispersa se MORSELLI (vedasi) non avesse avuto la felice idea di raccoglierla e disciplinarla in una Rivista di filosofia scientifica, che resta come prezioso documento della filosofia italiana. Ma l’esagerazioni più stravaganti del positivismo materialistico si videro nella scuola d’antropologia, fondata da LOMBROSO (vedasi), notissimo autore di saggi  in cui il genio e la delinquenza s’accoppiavano in una felice coincidentia oppositorum. Di queste dottrine non ci occuperemo, perché son divenute di competenza forense, e funestano le squallide aule delle nostre Corti d’Assise. Accenneremo soltanto a una propaggine del positivismo italiano che per opera specialmente di FERRI (vedasi) s’è innestata nella dottrina socialistica. E del  FERRI (vedasi) raccomando la lettura d’una prefazione a una sgrammaticata traduzione italiana deWAntidiiliring d’Engels, che è un bel documento del livello di cultura del nostro ex-socialista. Ma con tutto ciò, del positivismo italiano noi non avremmo che notizie scarse e frammentarie, s’esso non fosse stato conglobato e quasi condensato in una dottrina unica d’ARDIGÒ. Di questo  perciò vogliamo occuparci un po’più estesamente. La filosofìa d’ARDIGÒ ha quello stesso motivo naturalistico che abbiamo osservato nel positivismo della Britannia; essa è l’indiflerenza tra il sensismo e il materialismo, senza per altro il rigore logico di MORE GRICE TO THE Mill – GRICE e Baker, MILL -- e la veduta vasta, per quanto superficiale, di Spencer. Mentre infatti  l’empirismo della Britannia è veramente monistico, nel senso che, ammesso il fatto naturale della sensazione, ritiene poi derivata e posteriore la distinzione del soggetto e dell’oggetto, ARDIGÒ invece tradisce fin dal principio la sua preoccupazione dualistica, propria del realismo ingenuo. Perciò ammette come fondamentale la distinzione del senso interno e del senso esterno,  dell’auto-sintesi e dell’etero-sintesi, cioè d’una parte l’associazione dei dati psichici stabili che costituiscono il me di GRICE – PERSONAL IDENTITY, I AM NOT HEARING A NOISE --, dall’altra l’associazione degli stati psichici accidentali che costituiscono il non-me. Questa è prova dell’inferiorità della dottrina in quistione rispetto alle altre forme di positivismo, perché la distinzione non fa che adombrare quella tra la materia e la sensazione – WHAT’S THE MATTER? NEVER MIND! --, e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo nella conoscenza, che ad empiristi come Avenarius o Mach parrebbe una mostruosità. Il termine comune di materia psichica, nei due campi, del senso interno e del senso esterno, non è in effetti altro che un nome, che si può  trasformare a piacere in un altro, l’indistinto, che ARDIGÒ (vedasi) pone a fondamento della realtà. Si vuole che ARDIGÒ fa una critica dei-rinconoscibile di Spencer, e c’è veramente un saggio suo su questo soggetto. Ma bisogna proprio dire che egli sia andato in cerca della pagliuzza nell’occhio del fratello, senza accorgersi del trave che ha nel proprio. Almeno il povero Spencer  poteva illudersi di veder il divino in quel suo inconoscibile, mentre nel caso dell’indistinto, nemmeno questa immaginazione è più possibile. Con questo concetto del neutro d’ARDIGÒ l’epurazione degl’in-conoscibili, degl’in-coscienti e simili prodotti del facile eclettismo è compiuta, e non resta che l'innocua sodilisrazione (ti dire uno, quando le cose, a dispetto del positivista, pare  che vogliano dire due. L’indistinto o neutro d’ARDIGÒ non contiene dunque più alcuna traccia del divino. L’idea del divino è del tutto radiata dai quadri di questa filosofia, e al suo posto subentra il concetto dell’infìnito o della virtualità permanente dell’esperienza: un concetto che, come quello inilliano della possibilità delle sensazioni dimostra, si. la preoccupazione immanentistica del positivismo, ed è perciò da lodare nel movente psicologico della sua formazione, ma è nel fatto insufficiente, come quello che si travaglia ancora nel dualismo del LIZIO, e dissimula, nella sua apparente facilità, il problema non risoluto, e l’ignoranza dei potenti sforzi che la speculazione di venti secoli ha compiuto per giungere al graduale superamento di esso. Questo cenno sul  motivo fondamentale dell’opera d’ARDIGÒ può bastare, come un saggio della sua filosofia. Lo svolgimento della dottrina, secondo i criteri direttivi dell’empirismo, è dato dal tentativo d’aggruppare in varie forme e in varie guise il materiale plastico della sensazione: un campo di ricerche che l’empirismo nella Britannia  aveva già da tempo sfruttato, e che con ARDIGÒ non è in grado  di dar nuovi frutti. Dal dualismo si val al  monismo. Nell'imperversare delle dottrine materialistiche, molte voci modeste sono soffocate, che forse in un ambiente più propizio avrebbero potuto esercitare un’efficacia maggiore. La loro influenza sulla filosofia italiana è assai scarsa, in un tempo in cui il materialismo domina la vita sociale nelle sue più cospicue manifestazioni. Esse  nondimeno riuscirono a formarsi un teatro più ristretto, ma insieme più consono alla loro intonazione: la cattedra. E come già nella Gallia lo spiritualismo eclettico, svalutato dai nuovi indirizzi, si conserva nella cerchia universitaria, così nell’Italia positivistica e materialistica s’ha un insegnamento universitario con tendenze spiritualistiche. Noi abbiamo già accennato a quel dualismo  platonizzante che si delinea nelle opere di ROVERE (vedasi), FERRI (vedasi) e BERLINI (vedasi). Come quello che, bilanciato tra i due domini estranei del pensiero e dell’essere, naufraga poi nello spiegare la mediazione d’entrambi, il conoscere, esso non poteva riuscir vincitore di quel positivismo che vive nella medesima diffìcoltà, e solo cerca di dissimularla colle sue poco fondate  asserzioni. Né il dualismo,  nella forma datagli da BONATELLI (vedasi) o da CANTONI (vedasi), per quanto più corretto e rammodernato, ha migliori probabilità di successo. In fondo la difficoltà resta identica, e al più veniva spostata in più remote regioni. Nella sua vita infaticabile di studio e di ricerca, BONATELLI (vedasi) non riusce mai a migliorare la posizione iniziale della sua filosofia, che noi conosciamo dal saggio, Pensiero e conoscenza. Là egli, ispirandosi a Lotze, muove dal soggettivismo empirico della coscienza e invano si tortura per conseguire l’oggettività del conoscere. Il pensiero è da lui ridotto al semplice pensato, alla mera forma indifferente a ogni contenuto, qual’è quella della logica del LIZIO, e cosi fin dal principio gli è preclusa la via  a concepire la relazione tra il pensiero e l’essere. Egli afferma, si, che pensare è giudicare, ma non intende il valore e la portata di questa grande verità della R.,  La  filosofìa  contemporanea. LA  FILOSOFIA  ITALIANA lilo.solia  kantiana, che è neutralizzata dall’intuizione fondamentalmente platonica della sua dottrina. Di qui, se il pensiero è il semplice pensiero, la certezza del reale  non è che un’inferenza, un’analogia, per cui noi interpretiamo le cose esterne a noi nei termini della nostra esperienza soggettiva SOMEONE IS NOT HEARING A NOISE GRICE. Ma¬ cho cos’è la realtà in sé stessa? Ora è qualcosa di simile ai reali di Lotze, ora è lo stesso pensiero inteso come norma ideale a cui tentano d’adeguarsi le singole conoscenze. Soluzioni deboli, come si  vede, perché col principio d’analogia crediamo di muovere, ma in realtà non moviamo un passo fuori della mera soggettività; e la norma ideale, d’altra parte, posta fuori del pensiero attuale, è la mera oggettività, a cui manca il ponte di passaggio verso il soggetto. Oggettività pura e semplice, e soggettività pura e semplice, dunque: qui la soluzione, in fondo, non fa che ridarci tal quale  il problema. Il platonismo del primo saggio si trova immutato negl’altri; al più s’epura. Nell’opuscolo PERCEZIONE GRICE POTCH e pensiero è detto che l’oggetto GRICE OBBLE opera sul soggetto, imprimendo in questo l’immagine di sé stesso; immagine che non è per nulla sfigurata e deformata dalla passione del conoscente, perché il mutamento subito da questo consiste  soltanto in ciò, che egli conosce ciò che prima non conosce – GRICE NEGATION AND PRIVATION KNOW. La conoscenza viene così sempre più alleggerita di quel compito copernicano che Kant aveva voluto imporle e quindi ridotta a una mera duplicazione inesplicabile d’una realtà in sé bell’e fatta. Il termine della speculazione di BONATELLI (vedasi) è, per questa via, il  capo [BONATELLI (vedasi), Pensiero e conoscenza Bologna. BONATELLI (vedasi); Percezione e Pensiero Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, volgimento completo della tesi critica: la forma non è più del soggetto ma appartiene all’oggetto GRICE OBBLE in sé, e al soggetto non viene attribuito che la semplice modilicazione sensibile, o, in altri termini, la materia 11 che  significa, se non mi sbaglio, volere ricondurre la tesi dualistica all’assurdo. Un altro dualista orientato verso la  filosofia di Lotze è CANTONI (vedasi),  pur colla sua vasta, ma poco profonda, cultura critica. Nel suo lodevole tentativo d’acclimatare la filosofìa critica in Italia, egli introduce quel famoso problema sull’origine psicologica dell’a-priori che ha grande fortuna in Germania,  e che costituì per lungo tempo il capo dei naufragi di molti critici. Nell’intento  di CANTONI (vedasi), quel problema dove salvare la critica dal mero soggettivismo in cui pare la chiude la critica: il riconoscimento della formazione psicologica dell’a-priori dove infatti segnare il punto di convergenza della doppia azione del pensiero e della realtà. Ma per quella legge dell’eterogenia  dei fini, la cui fecondità è sorprendente, la ricerca di CANTONI (vedasi) è viziata precisamente da quello stesso soggettivismo contro il quale egli crede di combattere. Come infatti si può parlare di formazione psicologica dell’a-priori, tranne che questo non venga inteso che come il semplice a-priori della coscienza empirica, e non della coscienza e insieme della  realtà? Esso dunque  presuppone qua una coscienza, là una realtà bell’e fatta, e dice: questa coscienza nell’appropriarsi quella realtà procede per gradi; è prima un mero a posteriori, e si a priorizza a poco a poco con lo spogliarsi del contenuto sensibile e col concepire la forma astratta delle cose che il pensiero può padroneggiare -- concepire universalmente, necessariamente -- appunto perché è vuota di contenuto Ma questo,  è il falso a priori analitico da cui Kant s’era liberato nella sua critica, e che poi Lotze, con un anacronismo,  aveva voluto ripristinare. Esso non regge se non in quanto si pone il pensiero d’una parte e il reale dall’altra, e si fa giocare il pensiero con sé stesso, nella sua vuota interiorità. E questo fa appunto CANTONI (vedasi), il quale, una volta fuori della buona via, parla d’applicazione delle categorie al reale, d’una corrispondenza Ira quelle e questo con un completo capovolgimento di tutti i principi fondamentali del kantismo. Un filosofo raccolto e con una simpatica intonazione mistica è ACRI (vedasi), personalità assai caratteristica della filosofìa italiana. In un periodo di grande rozzezza spirituale, quando il materialismo regna incontrastato, ACRI (vedasi) osa scuotere il giogo della dittatura e affrontare direttaniente il nemico. Rivolgendosi ai naturalisti, ACRI (vedasi) dice: voi colla vostra cellula credete di spiegar tutta la vita della coscienza, e in realtà non spiegate niente; nella cellula nulla c’è che chiarisca la medesimezza della coscienza, e l’unità sua, e la sua facoltà formativa, e quella speculativa, e quella volitiva, e nulla c’è che chiarisca  la più umile dell’operazioni sue  E ricorre, per mostrare l’impossibilità di comporre l’uno coi più, al grazioso esempio dell’aquila d’ALIGHIERI che sembra un unico essere, ed è un’accolta d’esseri; e da da lon[CANTONI (vedasi). Kant, Milano. ACRI (vedasi) Videmus in aenigmate,  Bologna. --tano l’illusione di dire; io, io, nienlre in realtà, a sentirla da vicino, dice noi, noi. Ma il  platonismo d’ACRI (vedasi)  riproduce, in più sublime sfera, la stessa difficoltà, e, in fondo, la stessa illusione dell’aquila d’ALIGHIERI. Poste l’idee, non si spiega più il pensiero; e posta l’intuizione immediata della verità ideale, riesce inesplicabile la rillessione dell’auto-coscienza. Quindi invano cerca ACRI (vedasi) d’adombrare con immagini poetiche il principio della riflessione,  che in realtà manca nella sua filosofìa. ACRI (vedasi) ricorre all’esempio dello scintillio della luce stellare. Ma questo esempio appunto tradisce la difficoltà dell’accademia. Lo scintillare della stella è la mera apparenza della riflessione ilella luce, è l’illusione soggettiva della nostra visione. La dottrina della coscienza è così la nota fuori posto nella concezione d’ACRI (vedasi); questi  abbracciamenti tra Platone e Kant, a tanti secoli di distanza, hanno sempre qualcosa di fittizio. GRICE LO CHIAMA KANTOTLE O ARISKANT, VIS-A-VIS PLATHEGEL OR HEGPLATO. Nei nomi di BONATELLI (vedasi), di CANTONI (vedasi), e d’ACRI (vedai) si compendia l’indirizzo dualistico della FILOSOFIA ITALIANA. Più recentemente esso ha avuto un altro  prosecutore in SARLO (vedasi), fondatore della rivista la Cultura filosofica. Questa, sorta in anti-tesi col positivismo e coll’agnosticismo, e riprendendo alcuni motivi di Lotze, cerca di svolgere e ravvivare il dualismo, col porlo in contatto colle dottrine gnoseologiche e colle ricerche di psicologia sperimentale. E torna infine opportuno parlare a questo punto d’un filosofo, che nell’ultimo  decennio ha compiuto uno sforzo notevole per conquistare una veduta idealistica della realtà: intendiamo dire di VARISCO (vedasi). In “Scienza ed opinioni,” egli si muove ancora nel campo della metafisica dommatica. Il mondo è da lui inteso come un insieme d’elementi originari o monadi che operano gl’uni sugl’altri. L’azioni reciproche tra le monadi sono in effetti di due specie.  Determinano cioè; una variazione in ciascuna monade; una variazione tra le monadi, ossia ne modificano raggruppamento -- la  distribuzione spaziale. I fatti della prima specie sono psichici, quelli della seconda, fisici. Questo è il dualismo della metafisica dommatica, e consiste nel considerare le relazioni del mondo fisico come affatto fuori della monade, mentre ripugna alla monadologia  ammettere azioni infra-monadiche  -- le monadi non hanno finestre; e una volta ammesse, risulta inconcepibile la conoscenza di quelle relazioni, perché non si comprende dove mai esse cadano, se son fuori della monade. Ma coll’approfondire il concetto della monadologia, VARISCO (vedasi) supera il dualismo della metafisica dommatica. Nel volume: I massimi problemi il dualismo  tra fisi e psiche ha un significato gnoseologico, nel senso che quella distinzione non è più tra due realtà estranee l’una all’altra, ma si costituisce nel dominio stesso della conoscenza. La realtà fisica di “Scienza e opinione” diviene una psichicità, un complesso di sensibili: il soggetto, la psichicità della posizione, diviene l’unità del molteplice sensibile. Su questa dualità originaria, VARISCO (vedasi) eleva la sua costruzione. D’una parte la realtà dei sensibili si costituisce secondo le sue leggi; dall’altra la realtà del soggetto, secondo il principio dell’unità di coscienza. In tal modo il dualismo non [VARISCO (vedasi), I massimi problemi, Milano, dove è riassunta la dottrina. Ancora Scienza ed opinioni, Roma] è risoluto; e questo perché VARISCO (vedasi) non  ha svolto il concetto dell’unità della coscienza in tutta la sua portata, eliminando quel residuo del LIZIO che sta nel porre, di fronte alla coscienza, dei sensibili non sentiti, delle potenze che aspettano di porsi in atto. Insoinma l’ombra del dommatismo, «Iella precedenza di quei sensibili di fronte all’atto dell’auto-coscienza permane sempre, e in veste psicologica si ripresenta quella  realtà fìsica di “Scienza ed opinioni,” che VARISCO (vedasi) non ha mai veramente risoluta. Per superare il dualismo, egli fa ricorso a un concetto della filosofia di SERBATI (vedasi), quello dell’essere in universale; ma ne muta profondamente il significato, che non è più per lui trascendentale, ma empirico, ed esprime soltanto l’identità del pensato, l’indifferenza di soggetto e oggetto;  in altri termini, quella psichicità primaria su cui deve fondarsi la dualità di fisi e psiche. VARISCO (vedasi) compie un notevole sforzo per mostrare come questo indifferenziato, per un’intima esigenza, si differenzi: e ciò mostra che egli è bene addentro nella difficoltà dell’idealismo; ma non mi pare che risolva il suo problema, perché non veggo il principio della differenziazione, il  soggetto. Quel differenziarsi è perciò ancora da lui inteso nel senso della metafisica dell’essere e non del conoscere, vale cioè a fondare una monadologia e non una fenomenologia. Per giungere a questa è necessario spogliarsi del tutto della preoccupazione di una realtà fatta, sia come natura, sia come potenza del pensiero, e guardarsi dall’anticipare in qualunque modo il mondo sull’atto  concreto del pensare. Già nella dottrina che VARISCO (vedasi) accenna della personalità s’intravvede il principio d’un approfondimento dell’idea del soggetto. Riporto le seguenti sue parole: Quando ciò di cui giudico sono io stesso, il mio fare non è più soltanto ri-costruttivo; è veramente costruttivo. L’io, ossia l’iinità dell’auto-coscienza ben diversa dalla pura unità della coscienza,  dal soggetto animale, non esiste che in quanto afferma sé stesso – cf GRICE I’M NOT ON THE FIRST ROW, I’M ON THE STAGE Bene, ma una volta inteso che riprodurre è in verità, nel mondo della coscienza, della realtà in fieri, un produrre, bisogna andare avanti, approfondire il concetto della riflessione creatrice, che è il cardine della filosofìa, svelare tutti i tesori che esso  racchiude: allora solo si vedrà, nella trasparenza della coscienza, tutta la realtà nella sua pienezza. VARISCO (vedasi) invece si ferma a metà: egli infravvede, ma non svolge, il motivo fecondo dell’iilealismo. Il criticismo italiano è per molli rispetti benemerito della nostra cultura, per avere alacremente pronio.sso gli studi storici, che fra noi facevano difetto. Si pensi che perfino i due più profondi filosofi italiani, SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi), spropositarono talvolta nel modo più deplorevole la storia della filosofia, si da falsare la loro stessa posizione storica di fronte alla speculazione. E nel campo della storia della filosofia si sono specialmeiile distinti FIORENTINO (vedasi), TOCCO (vedasi), MASCI (vedasi), TARANTINO (vedasi), CHIAPPELLI (vedasi), ed altri ancora. Ma, quanto all’atteggiamento dottrinale, il criticismo ha uno stretto rapporto coll’indirizzo di cui abbiamo testé parlato. Il criticismo si svolge infatti più specialmente nei confini segnati dall’analitica trascendentale di  -- VARISCO (vedasi), I massimi problemi,  Kant. Di qui. il limite della sua forza speculativa e dato dalle antinomie; limite che si vuol poi superare colla dimostrazione della vanità d’ogni metafisica – H. P. GRICE, “METAFISICA”: Reason still speaks to us, but not in the form of assertions, but IMPERATIVES! Ma colla metafisica il criticismo è costretto, suo malgrado, a fare i conti, quando vuole spiegarsi quell’a-priori che esso accetta da Kant. Non appena esce dalla semplice distinzione tra il problema della formazione  empirica delle conoscenze e quello della loro validità, e vuol cercare di spiegarsi il come e il perché di quest’ultima, eccolo già alle prese colla metafisica. Il valore, come abbiamo già notato, è un concetto neutro, bilanciato tra il pensiero e l’essere; la spiegazione del valore è dunque il problema metafisico del rapporto tra il pensiero e l’essere. In che modo risolverlo? Il criticismo, non  sapendo vedere nelle categorie altra cosa che quel semplice fatto del valore, ha esaurito già la sua provvista, e non può chiedere perciò al suo Kant quella spiegazione ulteriore; esso allora la perseguiterà attraverso la psicologia, la biologia, e finirà col ritrovarsi in una posizione che aveva già oltrepassata colla sua premessa. Questa difficoltà del criticismo si rivela nel modo più  caratteristico nella parabola descritta dal suo primo rappresentante in Italia, FIORENTINO (vedasi), che non riuscì a mantenersi nella sua posizione iniziale, ma, cedendo all’urto delle nuove ricerche biologiche, contro cui s’era già abbattuto il criticismo in Germania, fini col fraintendere del tutto il significato dell’a-priori kantiano, contaminandolo di naturalismo evoluzionistico. Più  fedele allo spirito del criticismo è MASCI (vedasi), che se ne può considerare come il maggiore rappresentante. Le sue istanze negative contro i fraintendimenti dei principi fondamentali del criticismo sono solide, ma la fondazione postiva di quegli stessi principi dà luogo alla difficoltà già notata a proposito del criticismo in genere. Giustameute MASCI (vedasi) difende l’a-priorità  dello spazio e del tempo, come funzioni spirituali, dal psicologismo, che colla semplice costruzione delle rappresentazioni di spazio e tempo s’illude di aver soddisfatto all’esigenza dell’estetica trascendentale. Col suo mosaico delle sensazioni esso crede di costruir la forma, invece la presuppone a ogni passo. Né migliori surrogati della deduzione del criticismo offrono le ricerche  biologiche sull’a-priori, che non riescono addirittura a rendersi conto del problema di cui si tratta. Un altro errore che si suol commettere nell’interpretazione del critiismo, è quello di ridurre la realtà alla mera rappresentazione – H. P. GRICE, P. F. STRAWSON, D. F. PEARS, ‘REDUCTION” --; cosi, osserva MASCI (vedasi), si fa svaporare il reale, mentre, secondo i principi del criticismo, la serie psichica non ha maggiori diritti al riconoscimento della serie fisica. Ma esistono fisi e psiche come due realtà per sé? Qui sta il problema. K pare che MASCI (vedasi) a un certo punto sia sulla via di risolverlo secondo il criterio dell’idealismo assoluto, col riconoscere l’inanità della riflessione che vuol risalire a una realtà oltre l’atto dell’auto-coscienza. Però non  riesce a rendersi conto che al di là di quell’atto non c’è una realtà che sia a noi preclusa pella scarsezza delle nostre facoltà mentali, ma che non c’è proprio nulla, fuori che la proiezione della nostra ombra – PROBLEM WITH BEING ON STAGE IS THE SHADOW -- GRICE. E una volta perduto il criterio dell’unità concreta, fisi e psiche gli restano innanzi come due fatti distinti, che  egli pur sente [MASCI (vedasi), Il materialismo psico-fisico, Napoli] il bisogno ili unificare. E concepisce cosi il suo monismo. Non si tratta di sapere né come la materia genera il pensiero, né come questo genera l’azioni  materiali. Porre cosi il problema è renderlo insolubile, perché l’idee di materia e spirito sono generalizzazioni unilaterali, astrazioni nostre, operate in direzioni opposte, d’un processo che in realtà è unico. E per conseguenza cerca di trasferire quell’unità in un passato in cui psiche e tisi erano indill'erenziate. La monadologia d’una  parte e il principio dell’auto-coscienza dall’altra: questa a me pare la doppia esigenza inconciliata in cui si travaglia la filosofia di MASCI (vedasi). E nella stessa difficoltà s’imbatte un altro filosofo, MARTINETTI (vedasi), che vi resta impigliato, benché faccia un grande sforzo per liberarsene, cercando di fondere la metafìsica dell’essere colla metafisica del conoscere. Come già   Bnirac, egli concepisce il reale come una pluralità di monadi, o per togliere la possibilità d’un fraintendimento storico di centri coscienti o unità sintetiche di soggetto oggetto. Ma questa pluralità, realisticamente intesa, è incompatibile colla monadologia. Posta la monade, o comunque il rapporto soggetto-oggelto, è con ciò tolta la realtà  nel significato realistico delle altre monadi, la  cui esistenza è possibile solo come iilealilà nella monade. Lo svolgimento dell’idealismo è consistito nell’approfondire questo concetto nuovo dell’idealità, in cui s’è riconosciuta la realtà vera e concreta: così è stato abbattuto il vecchio concetto del mondo come totalità naturale, e s’è costituito il nuovo concetto del mondo come esperienza assoluta. MARTINETTI (vedasi) invece tien fermo ancora all’idea del mondo come un tutto naturale e dissemina lungo d’esso i suoi centri coscienti, senza  intendere che questo è incompatibile col concetto nuovo dell’idealità che egli mostra d’accettare. Ond’è che, malgrado tutti gli sforzi, egli resta un realista, e, come tale, si mostra impigliato in una difficoltà insolubile allorché vuol superare il disgregamento dei principi  coscienti in una unità superiore. Una volta posta dommaticamente  la plu MARTINETTI (vedasi), hitroiiuzlone alla metafisica, Torino -- ralità delle coscienze, l’unitù o sarà un nome, o un principio trascendente, perché lo ripeto, la pluralità, come tale, è fuori dell’atto di coscienza. Dato questo residuo di dommatismo, un vero superamento della metafisica dell’essere non è più possibile  a MARTINETTI (vedasi), il quale non riesce che a una conciliazione apparente tra quella metafisica e la metafisica del conoscere, col mostrare che la stessa instabilità dei centri coscienti, per cui essi si sviluppano e si potenziano in sintesi sempre più alte, si dà nel campo del conoscere come processo delle conoscenze dalle forme più semplici e imlilTerenziate del senso alle sintesi più  alte dcH’iiitellelto e della ragione. Qui non fa che ripro. Purtroppo egli sa per esperienza che la gente a cui osa parlare di Hegel è solita di prendersi segretamente gioco di lui, e allora conclude che l’hegelismo non si può dimostrare che ad un hegeliano. E allora insorge più grave un nuovo problema. Come si fa a diventare hegeliani? Qui le cose si complicano, una volta che non si può  diventare hegeliani se già non si è tali. Ecco l’antinomia da risolvere; e l’unica via possibile è d’ammettere che hegeliani si è in quanto si nasce. Questa è per lui una vera rivelazione: egli finirà per convincersi di essere hegeliano per diritto divino, e dall’alto di questa convinzione potrà lanciare uno sguardo di commiserazione ai non eletti, rassegnarsi alle defezioni dei suoi scolari, e  abbandonarsi, senza nessuna preoccupazione d’essere inteso o compreso, alle sue contemplazioni. La filosofia di VERA è appunto la contemplazione del sacerdote di Brahma. Il termine a cui s’appunta Vera, Inlroduclion à la philosophie de Hegel, Paris, in. l’idealismo assoluto è l’idea nella sua vuota universalità, senza più nessun contatto col mondo della vita. Per toccarla bisogna  porsi al di sopra della sfera del sentimento, abdicare alla propria coscienza individuale, e purilicarsi di tutta la propria contingenza umana. Che cosa crede VERA (vedasi) di conquistare in un tal modo è difiìcile dire; non certo l’universale concreto di Hegel. Ed è davvero impressionante vedere come le pagine piene di vita della fenomenologia o della logica, dove tutto il mondo della  storia si fonde in una grandiosa epopea, diano luogo, per opera del sonnolento hegeliano, a un annacquato platonismo che prende le idee per entità e per mere rappresentazioni di cose, e le dialettizza in un nebuloso empireo. Qui si compiva quel pervertimento dell’hegelismo in una metafisica dell’essere, assai peggiore dell’antica, perché cristallizzava l’idea nelle cose, e deduce i cavalli  dagl’asini, commisurando la deduzione al grado progressivo di perfezione delle relative idee. Di fronte a una tale metafisica è la benvenuta la reazione dello Schopenhauer, contro cui pur sente bisogno VERA (vedasi) di protestare. Con ben altra mente concepiva l’hegelismo SPAVENTA (vedasi). GIOBERTI (vedasi) dice, non diversamente da Hegel: pensare è creare. L’idea del pensiero come creazione è l’idea della filosofia di Kant, mentre Cartesio e Spinoza non sono giunti che al concelto del pensare come causare. Ma GIOBERTI (vedasi)  s’è elevato al nuovo principio tutto d’un colpo, per una subitanea esplosione: egli intuisce ma non prova la creazione; questa per lui è un fatto, indeducibile e indimostrabile. Eppure egli stesso, in un passo importantissimo  delle Postume, integra la formula del pensare = creare, coll’altra: provare è creare. Il pensiero prova l’atto creativo col ri-produrlo e ri-crearlo dentro di sé;  ma ri-produrre è produrre, e ri-creare è creare. Ecco il grande concetto della mentalità, la quale non si svolge per accrescimento e ri-produzione del suo prodotto, ma per creazione del nuovo: il prodotto stesso non esiste che in questo  nuovo produrre; l’atto creativo, che in questo atto che lo ri-crea. A tale conclusione non è giunto GIOBERTI (vedasi), il quale, anzi, dall’idea che provare è creare aveva voluto inferire che la creazione è indimostrabile. Ma poiché il carattere essenziale della mentalità è appunto il provare in ciò la mente si distingue dalla sostanza che si definisce soltanto, il problema che la filosofia di  GIOBERTI (vedasi) apre ai successori è: provare la creazione. Ed è questo appunto il problema di SPAVENTA (vedasi). GIOBERTI (vedasi)  dice: essere è creare, pensare è creare, creare è pensare. Questa identità bisogna provare. Creare è l’ente concreto, soggiunge SPAVENTA (vedasi), è fare, realizzare, individuare, sostanziare, entare, far esistere; è la realtà, l’assoluta realtà. È  assoluta realtà, perché, per GIOBERTI (vedasi), Dio stesso è creare, creare sé stesso. Toglieteci creare e avrete il niente. Eppure non si ha mai il niente; giacché togliere qui è pensare; il pensare rimane, e ci è sempre. Ciò vuol dire: il creare, tolto, rimane; perché il togliere stesso è creare: cioè come semplice togliere    negare    è momento del creare. Ora come si prova la realtà, il  creare? Il pensare è; non può non essere. Il pensare prova sé stesso: negare il pensare è pensare. 11 Pen-, GIOBERTI (vedasi), Nuova ProtoloQla, SPAVENTA (vedasi), LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari Appendice: Schizzo d’una storia della logica. LA FILOSOFIA ITALIANA inesauribile ricchezza è il grande pregio della logica hegeliana. Essa spiega il processo originale, creativo,  per cui il pensiero creando le proprie determinazioni crea sé medesimo; è la storia ideale, eterna del pensiero, prospettata nel sistema della scienza. Sta qui il significato dell’affermazione di SPAVENTA (vedasi), che la spiegazione del creare è la logica. Questa logica, di cui SPAVENTA (vedasi) toglie ad Hegel, dice cosi, lo scheletro, è da lui svolta nel suo carattere più profondo,  perché concepita nel suo motivo storico cartesiano. L’interpretazione delle tre prime categorie, l’essere, il non essere, il divenire, costituisce di per sé sola il documento maggiore dell’originalità di SPAVENTA (vedasi). L’essere è da lui inteso come la posizione immediata del pensiero, come il semplice pensato. Esso è l’assoluto astratto, è il pensiero che s’estingue neH’cssere. Ma io  penso l’essere, e in quanto lo penso, l’essere non è più il semplice astratto, ma il mio astrarre, il mio pensare. Dunque, per virtù stessa del pensiero, l’estinguersi del pensiero nell’essere è in verità un distinguersi. Pella grande importanza dell’argomento, ripeterò testualmente il nostro autore. Fissando l’essere, egli dice, io non mi distinguo come pensiero dall’essere; io mi estinguo come  pensiero nell’essere; io sono l’essere. Ora questo estinguersi del pensare nell’essere è la contradizione dell’essere. E questa contradizione è la prima scintilla della dialettica. L’essere si contradice, perché questo estinguersi del pensare nell’essere, e solo cosi è possibile l’essere, è un non estinguersi: è distinguersi, è vivere. Pensare di non pensare, fare astrazione dal pensare, cioè fissare  l’essere, è pensare; è astrazione, cioè pensare. Questa contradizione delpensiero che s’estingue nell’essere, e in quanto s’estingue, pensa, e cioè si distingue e risorge, è il divenire, inteso come pensare. Essere e non Essere, in quanto inverati nel Divenire, non sono più quel che sono prima d’essere inverati; ma sono ciascuno quella stessa unità nella differenza che è il divenire; e in quanto  tale unità, sono davvero, cioè attualmente, distinti. In quanto veramente uno e distinti, si dicono appunto inverati; cioè momenti del divenire. SPAVENTA (vedasi), La fllos. Hai. conseguenza un’altra distinzione: quella della verità in sé e della verità per noi, di una metessi e d’una mimesi, nella lingua di GIOBERTI (vedasi). Questa propedeutica, egli dice alludendo alla fenomenologia, che è scienza, e prova il primo della scienza, ci è solo in quanto ci siamo noi, coscienza o spirito finito: noi dobbiamo elevarci alla scienza, non siamo immediatamente scienza. La vera scienza, invece, ci è in sé assolutamente; è non solo umana, ma divina; quando l’altra è solo umana, e non divina. È divina come momento della vera scienza, non come propedeutica; Dio non ha bisogno  di propedeutica. Quanti c.avilli per dissimulare un passo falso! In fondo qui SPAVENTA (vedasi) è un dommatico della più bell’acqua, un platonico che distingue una verità in sé e una verità per noi, mentre ciò ripugna nel modo più completo all’idealismo. La ragione dell’errore è che a SPAVENTA (vedasi) manca del tutto una fenomenologia dell’errore; quindi egli non riesce a  svolgere il concetto della verità come sviluppo, come processo, che pure è nello spirito della sua fìlosofìa; ma Unisce inconsciamente coll’oggettivarla in un che di fatto e di compiuto, in una realtà in sé. Qui c’è ancora un residuo della mentalità dell’hegeliano, che mentre ammette il progresso, il movimento, e simili, è condotto poi, per la sua soverchia fedeltà alla lettera, a negare tutte  queste cose,  allorché è giunto al culmine della speculazione. Ma non è qui che bisogna vedere nella sua più grande vivezza la filosofia di SPAVENTA (vedasi). Quello stesso SPAVENTA (vedasi)  che afferma il carattere astrattamente divino della scienza, dice poi, con quanta maggior verità!, che l’apriori è la stessa potenza della natura, la potenza umana, la quale risulta e si concentra  e s’individua da tutta la sparsa attualità antecedente: e perciò è insieme un assoluto a posteriori. Qui s’intravvede il vero SPAVENTA (vedasi), il filosofo che meglio d’ogni altro comprende l’umanità dell'assoluto, di quell’assoluto che non è lontano da noi, ma ci è intimo, e non è fuori della nostra contingenza, ma è questa stessa contingenza, sub specie aeterni. Egli dice. Tutti coloro  che fanno ad Hegel due accuse opposte, di relativismo e d’assolutismo, sono il trastullo d’una illusione ottica, propria della posizione in cui si mettono; ciascuna parte prende di mira nell’assoluto hegeliano quell’elemento che a lei fa male agl’occhi: i semi-soggettivisti, l’esperienza, il fenomeno, la manifestazione, il divenire; gl’oggettivisti, il pensiero; nessuna ha l’animo e la potenza  d’aflìssarlo come quello che è veramente, vale a dire come ragione assoluta, al di là della quale, oltre e fuori, non vi ha nulla, e il relativo e il cosi detto assoluto non sono che enti astratti, e come membri scissi dall’unità organica e viva: da un lato viene scambiata la relazione col relativo come opposto all’assoluto, e daH’altro l’assolutezza coll’assoluto, come opposto al relativo. Ai  primi io dico: il processo dal primo pensabile dal puro essere al pensabile assoluto all'assoluta soggettività del mondo, come unità di conoscere e volere, di verità e bontà, e da questo come prima esistenza, esteriorità omogenea e indifferente o spazio, all’intimità o soggetto corporeo, Scritti flios. eli., Paolotlismo, positivismo, razionalismo. all’animale, al senso, come senso umano o  spirituale, allo spirito o soggetto assoluto, questo processo non è un gioco vano del pensiero con sé stesso, solamente nel mio intendimento, o un pallido riflesso d’un lontano ed invisibile oggetto; ma, come atto infinito, come il pensiero che si determina in sé medesimo e si raccoglie nelle sue determinazioni e si condensa e concentra e si compie e pone come assoluto pensiero, è l’atto  dell’assoluto, il suo intendimento, la presenza sua, lui stesso. Ai secondi dico: questo processo, appunto come produzione, osservazione critica che il pensiero fa di sé stesso, e in quanto il pensiero, e non altro che lui, principia originalmente e investe sempre e conchiude quella che si chiama comunemente esperienza, e non s’esercita fuori e senza di questa come in vuoto aere; questo  processo è non solo empiria, ma l’assoluta empiria; e ha sempre più valore d’ogni frammento e articolo sconnesso a cui si dà tal nome. Qui, pur con qualche reminiscenza dello schematismo hegeliano, c’è  il pensiero che concentra tutta la vita dell’hegelismo. Di fronte al concetto della relazione assoluta, che è quello stesso del fenomenizzarsi della realtà nel pensiero umano, scompare  ogni dualità del pensiero in sé e del pensiero per noi, d’un processo della coscienza e d’un processo della scienza; e in quanto la realtà non è il mero contingente né il mero assoluto, ma il processo assoluto del contingente, essa non è soltanto una soluzione o una cosa bell’e fatta e anticipata senza problema, né qualcosa che si perseguita sempre e a cui non s’arriva mai, un eterno problema SPAVENTA (vedasi). Principii d’etica, Napoli. l’idealismo assoluto che non è mai soluzione, ma è l’eterno problema che è l’eterna soluzione, l’assoluta possibilità che è l’assoluta attualità. Svolgere questo concetto è soddisfare all’esigenza millenaria posta. Qui, come si vede, GENTILE (vedasi) riprende e svolge il concetto della dialettica, accennato da SPAVENTA (vedasi) nel suo saggio sulle prime categorie della logica di Hegel: è la dialettica dell’essere e del pensiero, che, sola, a noi sembra feconda e rispóndente allo spirito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta a-priorità della sintesi, in questo dialettismo, è l’assoluta [GENTILE (vedasi), L’atto del pensare come atto puro, Annuario della biblioteca fllosoofca di Palermo, immanenza del pensiero, come  atto puro o pensiero concreto. Come tale esso è pensiero nostro; fuori di quest’attualità  non v’è il pensiero, ma il pensato, che è natura, materia. E il ritmo dialettico del pensare è appunto il convertirsi del pensiero in pensato, dell’alto in fatto, per risorgere poi eternamente da sé medesimo. Questa dottrina dell’assoluta immanenza, per cui la vera concretezza è il pensiero attuale, e che  perciò nega esplicitamente ogni anticipazione della realtà come potenza sull’atto del pensare, ed è la più recisa negazione del vecchio concetto del mondo come il tutto dell’immaginazione, è stata appena abbozzata in poche pagine da GENTILE (vedasi). Ogni ulteriore discussione intorno ad essa è prematura; bisognerà prima conoscerla nel suo pieno svolgimento. Abbiamo seguito lo  sviluppo della filosofia italiana. Questo sviluppo non ha subito nessuna brusca interruzione come falsamente si è creduto. Il naturalismo del rinascimento precede e pre-annunzia il movimento cartesiano, e similmente la dissoluzione del naturalismo, che avverrà in Germania per opera di Kant e dei suoi successori, s’inizia già in Italia con VICO (vedasi), e prosegue poi, a un secolo di  distanza, con SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi), che inconsapevolmente attuano l’esigenza posta dalla metafisica della mentalità. La filosofia speculativa  ITALIANA entra in un periodo di decadenza. L’ultime apparizioni della metafisica sono tenui e senza consistenza, come l’ombre della caverna platonica. Il positivismo in Italia sorge colla giusta esigenza d’una dottrina che non vuole anticipare col pensiero sulla realtà, ma finisce ben presto col falsare la sua premessa in un miscuglio ibrido di dottrine e in una mal dissimulata simpatia pel materialismo. I suoi primi accenni sono opera di specialisti, come CATTANEO (vedasi), CABELLI (vedasi), VILLARI (vedasi) ed altri ancora. Privi di vera originalità, ma corretti nella loro povertà. Le sue ulteriori  esplicazioni sono orientate verso la scienza e particolarmente la biologa. Il rappresentante maggiore di questo indirizzo è ARDIGÒ (vedasi) che, per il suo sforzo serio e tenace di pensiero, pur senza dire quasi niente di nuovo, eleva il positivismo italiano quasi all’altezza di tutti i positivismi del mondo. La rinascita della filosofia speculativa è segnata d’un approfondimento del dualismo  tra il pensiero e l’essere, che già s’accenna nelle opere di ROVERE (vedasi) e FERRI (vedasi), e per cui si passa dal dualismo dommatico di BONATELLI (vedasi) al dualismo gnoseologico di VARISCO (vedasi). Il criticismo, come quello che non svolge la potenza dell’a-priori, si travaglia nello stesso problema, e non riuscendo a superare la posizione della metafisica dell’essere,  finisce col ricadérvi, annullando cosi il concetto dello spirito, ch’esso attinge originariamente alla filosofia critica. E infine, librato sulle due metafisiche, in una posizione incerta, ma pure interessante ed originale, MARTINETTI (vedasi) segna il punto in cui la mentalità del criticismo si volge verso l’idealismo assoluto. Ma la linea classica della  METAFISICA ITALIANA è ripresa  da SPAVENTA (vedasi), che promuove l’indirizzo della filosofia di GIOBERTI (vedasi) con quella più chiara coscienza della sua vera natura, chft poteva esser data dalla cultura hegeliana. Con SPAVENTA (vedasi) comincia implicitamente il processo dissolutivo della filosofìa di Hegel, che è in pari tempo costitutivo d’una metafisica che mira a svolgere nella sua pienezza la potenza  umana della realtà, l’a-priori critico, negando nel modo più reciso ogni trascendenza. Le tappe di questo cammino sono segnate da CROCE (vedasi) e da GENTILE (vedasi). Con essi, gli sforzi della filosofìa italiana convergono verso una dottrina dell’assoluta immanenza, che, come assoluto idealismo, sarebbe anche in pari tempo l’assoluto positivismo. Abbiamo seguito, nelle  esplicazioni originali della sua vita, lo sviluppo della filosofia contemporanea. Nelle diflerenze degl’indirizzi e delle correnti, s’avrà già potuto osservare quell’identita spirituale profonda, che vince l’apparente atomismo delle dottrine, e per cui quel pensiero è l’unico pensiero contemporaneo, nei vari momenti del suo corso vitale. E sorgono ora le domande: a che mai esso tende? È  una vita che si dissipa in un gioco senza scopo, in una ridda di teorie di cui l’una vive della morte dell’altra, in una rassegnata attesa che suoni la propria ora? O è un momento di vita questa morte; e allora a che vive quella vita? Qui la facile sapienza agnostica si accontenterebbe di rinunziare a comprendere l’intimità più profonda del pensiero, col chiamar vana la pretesa per cui noi,  atomi sperduti neU’immensità del pensiero, vogliamo erigerci a giudici del pensiero: come può un elemento trascurabile adeguarsi al tutto? Ma a noi ripugna questa dotta ignoranza. Noi abbiamo la ferma coscienza che il pensiero non è la vuota immensità che ci opprime, perché al di sopra di noi, ma è pensiero nostro, è l’intimità di noi a noi stessi. La vastità non deve opprimerci,  perché non ci sta di fronte distesa, ma è dentro di noi raccolta, nello stesso processo continuo della ricerca, per cui progrediamo d’una posizione all’altra. La storia del pensiero del mondo non è che la semplice storia psicologica di ciascuno di noi, che vive in sé i momenti di quel pensiero universale. Questa convinzione ci è di grande conforto. Nella nostra storia intima noi ricordiamo  mille sconfitte e mille vittorie, ricordiamo la ridda delle teorie, che sembrano nascere soltanto per perire; e nondimeno questo non ci suggerisce alcuna considerazione pessimistica, perché la salda coscienza del nostro pensiero attuale è coscienza di forza, di vita e non già di morte; e noi inneggiamo perfino alla morte perché sentiamo che del trionfo su di essa è materiata la nostra vita.  Cosi è di tutta la storia. Noi qui abbiamo scritto l’epigrafe di molte dottrine: è la stessa epigrafe che abbiamo scritta sui momenti oltrepassati della nostra vita; colla stessa fiducia noi possiamo renderci interpreti della vita che si concentra e s’individua dalle varie correnti della filosofia, perché sentiamo che è la vita stessa che s’agita in noi e che ci dà forza di dominare i momenti di vita  oltrepassata. La storia non è fonte di pessimismo, e neppure di facile ottimismo, ma di forza, di tenacia, di lavoro. Ormai il positivismo è finito, il kantismo dà gl’ultimi aneliti, e l’improvvisazioni filosofiche, che un tempo son parse le prime espressioni d’una altra filosofia, ci fanno appena sorridere; sono forse dei vagiti; come riconoscere in essi le nostre voci? A taluno pare che noi  parliamo qui con troppa sicurezza. Ci si dice: siete voi ben sicuri di non essere dei tardi epigoni d’un lontano movimento di filosofia? ombre e non corpi vivi? È questo il problema che la storia deve risolvere; e allora si vedrà se noi    parlo, s’intende, in nome dell’idealismo — se noi, che diamo principio a rinnovar la fìlosofìa, siamo nella mattina per dar fine alla notte, o pur nella  sera per dar fine al giorno, come dice il nostro BRUNO (vedasi). Nella filosofia si compie la critica del movimento kantiano, che culmina in Hegel. Ma questa critica, lungi dall’essere dissolutrice come i suoi inconsapevoli ministri hanno creduto, è la vera critica integratrice, che comincia a colmare l’abisso tra Kant ed Hegel e a svolgere i motivi delle loro dottrine. La filosofia kantiana,  col suo concetto della cosa in sé, apre largo adito alla trascendenza nelle sue varie forme, che si possono compendiare tutte nel dualismo, non  risoluto, dell’essere e del pensiero. Hegel, negando questo dualismo, e unificando la logica dell’essere e quella del conoscere, sopprime virtualmente l’idea della trascendenza, ma nel fatto poi la ripristina nel seno stesso dell’immanenza da lui  scoperta: scienza e coscienza, logo e natura, natura e spirito; ecco in una veste nuova l’antiche forme del dualismo. Nella decadenza e nel discredito della filosofia idealistica che comincia dopo Hegel, pare che siano naufragate tutte le sue più geniali intuizioni: il naturalismo e il positivismo dichiarano bancarotta della metafisica, ed esaltano i fatti, l’esperienza. Eppure, nella loro lingua  infantile e confusa, essi sono gl’esponenti di quella stessa esigenza che pone l’hegelismo: la negazione del trascendente, l’immanentismo assoluto. Nella storia della filosofia ricorre spesso questo tema immanentistico: col LIZIO, di fronte alla dottrina dell’idee, con BRUNO (vedasi) e Spinoza, di fronte alla scolastica. Ma questo continuo ricorrere è un continuo progredire;  cosi l’ultima  sua apparizione non è più quella d’un’immanenza puramente ideale, né divina,  ma schiettamente umana. Ma se sotto questo aspetto, come espressioni d’esigenze, il naturalismo e il positivismo hanno pella storia un grande valore, lo stesso non può dirsi del modo con cui hanno cercato d’attuare il proprio tema. Noi perciò nel corso della nostra  esposizione, mentre abbiamo accentuato  l’importanza ideale di queste dottrine, ci siamo guardati con cura dal  farne un’ampia esposizione, perché l’ignoranza dei loro autori è tale, che non sanno essi stessi dove risegga l’originalità della loro posizione, e Uniscono col dare un ricalco di temi oltrepassati, confusi insieme nell’ibridismo più strano. Ma il significato ideale del naturalismo, che sorge dalle scienze biologiche, è  questo: che vana è la pretesa di voler far del pensiero un’entità vaga e nebulosa, venuta su chi sa come, a illuminare il mondo della materia, mentre bisogna indagare la genesi del pensiero, se si vuol dare una spiegazione propria d’esso., E il significato del positivismo sta nella negazione d’ogni vuota ideologia, che pretende fare a meno dei fatti e anticipare in qualunque modo su d’essi  col pensiero. Si tratta insomma di quell’eterno motivo immanentistico con cui la cultura ha compiuto la critica. Ma il significato ideale del naturalismo e del positivismo sta soltanto nei nuovi problemi e non già nelle soluzioni loro; perché il naturalismo, nel suo tentativo d’indagare la genesi biologica del pensiero retrocede al periodo pre-cartesiano della  storia. ]cioè alla dottrina  degl’influssi fìsici tra l’anima e il corpo; e d’altra parte il positivismo, col richiamarsi al fatto come a realtà assoluta,  ricade in quella trascendenza, che esso aveva già implicitamente negata. Il fatto porta con sé una duplice affermazione di trascendenza: d’un lato, nella fissità delle sue linee, esso è posto come trascendente di fronte al pensiero; dall’altro, in quanto è un complesso di determinazioni finite, è trasceso in quanto pensato. Quindi, una duplice incongruità, della realtà naturale di fronte al pensiero e viceversa,  e una duplice inesplicabilità dell’una pell’altro. Come espressioni di problemi, il naturalismo e il positivismo conservano un valore attuale; come soluzioni, il primo va a finire nella deificazione di sé stesso -- ciò che se era grandioso in un BRUNO è ridicolo in un contemporaneo; e il secondo ha per suo termine l’agnosticismo, cioè la propria sterilità ed impotenza. La contradizione del  positivismo sta nel dissidio tra ciò che esso dice di fare e ciò che realmente fa: sorge in nome dell’immanenza e intanto vive nella trascendenza, ora agnostica, ora materialistica. Questa è la sua contradizione; ed ecco che a risolverla sorgono le nuove filosofìe, che tutte vogliono porsi come continuatrici dell’opera del positivismo. È notevole questo fatto, che ogni pensatore, il quale sia giunto a una visione concreta e immanente dei problemi filosofici, ha sentito il bisogno di battezzare la sua filosofia come il vero positivismo; ciò dimostra che quanto v’è di più vitale nell’esigenza del positivismo non è quello che si disperde e s’annulla nelle scuole positivistiche, ma è piuttosto quel momento del nostro sviluppo spirituale che ci è di sprone a conquistare una visione  immanentistica della vita. Ma l'immanentismo che da principio sorge come esplicazione di quello spirito positivo che è in tutti i pensatori, è la più povera forma d’immanentismo: quella del senso, della coscienza immediata. Ed è il tema più frequente che ricorre in quel periodo, e che vale a caratterizzarlo tutto. Tanto nella forma d’un empirismo, come in un Mill, in un Mach, o in uno  Schuppe; o di un fenomenismo, come in tutte le scuole kantiane; o d’un intuizionismo come nella filosofia di Bergson e in altre ancora, è sempre l’identico motivo fondamentale, che si ripete su scale diverse. Noi abbiamo osservato come il principio dell’esperienza immediata si annulli da sé medesimo, e lungi dal fondare un’assoluta immanenza, è fatalmente spinto verso il trascendente.  E il trascendente, di fronte ad esso, è tutto il pensiero, in quanto costituisce un suo osi avviene che dalla cultura falsamente soggettivistica e individualistica, per cui il pensare è il riuscire del concetto, e la vita è un semplice rischio, si passa, in base all’esigenza d’un’intimità più profonda, a una celebrazione del trascendente, al misticismo, che assume in certi pensatori un’intonazione  veramente elevata. Ma il misticismo non migliora la posizione logica dei problemi, e determina invece il momento in cui l’esigenze stesse del pensiero, che s’è svolto nei limiti di determinate premesse, rendono quelle premesse insuflicienti, ed esprimono un bisogno di rinnovamento. Cosi avviene che quell’immanentismo della vita che era nelle convinzioni del pensiero del secolo XIX e che non aveva potuto trovare nel positivismo la sua formulazione adeguata, non riesce neppure ad esprimersi in questa filosofìa dell’esperienza immediata, che anch’essa sconfina nella trascendenza. L'esperienza storica dei secoli ha mostrato che l’attuazione del principio immanentistico si compendia nella risoluzione di due problemi, che in fondo si riducono ad un solo: quello  dell’umanità della storia e quello del valore umano della realtà fisica esteriore. La filosofia che ora abbiamo considerata era insufficiente a risolvere l’uno e l’altro problema. Il positivismo meccanizza lo sviluppo della storia, creando un naturalismo, e cioè una trascendenza, nel seno stesso dell’umanità, col suo concetto della massa cieca e brutale; e la stessa fìlosofìa intuizionistica ed  empiristica è incapace di comprendere il valore della storia. La coscienza della storicità del reale è in aperta antitesi con una concezione immediata della vita. E d’altra parte il riconoscimento dell’umanità del cosi detto mondo fìsico non puo esser dato da nessuna delle due dottrine: né dal positivismo, che non ha neppure coscienza del problema, né dalla filosofìa dell’immediato, che si  mostra, già nella sua premessa, come dualistica, e per cui la realtà esteriore, sia come mondo fìsico, sia come scienza naturale, costituisce alcunché di trascendente. Tuttavia già in questo campo si preparano i germi d’un rinnovamento. Colla critica delle scienze comincia infatti, nel seno stesso della filosofìa empiristica, un rapido processo di dissoluzione di quel naturalismo, che aveva  solidificato i concetti delle scienze empiriche, rendendoli quasi materia opaca di fronte al pensiero, mentre sono pur opera sua. Noi abbiamo confutato questo indirizzo, mostrando che esso idealmente non rappresenta alcunché di nuovo di fronte alla soluzione di Kant del problema della scienza, e che anzi è soltanto a mezza via tra il puro dommatisino e Kant, ciò che rende equivoca la  sua posizione e paradossali taluni dei suoi assunti, che invece, svolti lino alla line, conterrebbero dei motivi profondi di verità. Ma il valore storico di questa critica delle scienze è assai grande, quando si pensi che essa ha di fronte da combattere, non già Kant, bensì quel naturalismo e positivismo che rendeno la scienza impenetrabile al pensiero. Così, avere riscoperta l’azione immanente  dello spirito in quel campo che gli si era reso del tutto estraneo. e mostrato che il mondo della scienza. che è il mondo stesso della natura, ri-entra nella sfera dell’arbitrio umano; e avere perciò annullata quella concezione rigidamente meccanica del mondo che non solo i positivisti, ma, pare incredibile!, perfino i kantiani avevano instaurata: tutti questi sono meriti veramente grandi di  quel vasto movimento di critica delle scienze. Cosi s’è andato via via dissolvendo quel concetto del mondo come una realtà solidificata di fronte al pensiero, e s'è compreso sempre meglio il valore immanente dell'esperienza, che non è meramente riproduttiva d’una cosa in sé, ma produttiva di realtà e  Louvain, in 2 voli., l’uno contenente i testi, l’altro una ri-costruzione storica delle  lotte tra AQUINO e averroisti. colle sue esigenze storiografiche, e assai spesso le falsilica e le perverte. Non contenta di promuovere la conoscenza dei fìlosofi medievali, essa ha voluto copiarli, re-integrando una pretesa sintesi scolastica, creata dall’immaginazione pseudo-storica d’uno storico di valore, uscito dalle sue file, Wulf. Di fronte al pre-esistente AQUINO, la scolastica ha  voluto assumersi il compito più ampio di ricalcare non solamente l’orme  d’AQUINO (vedasi), ma anche quelle d’altri dottori, agostiniani e sentisti, che, un tempo nemici dell’angelico, vengono ora da Wulf scoperti come suoi collaboratori, nell’opera. da veri certosini!, di comporre uno smisurato mosaico scolastico, al quale è dato l’improprio nome di sintesi. Collaboratori sono in  certo e profondo significato tutti i filosofi, quale che sia la loro divisa; ma la collaborazione wulfìana tende a sopprimere l’individualità d’ogni singolo pensatore e d’inserirne le dottrine, come materiale amorfo, in una costruzione anonima, avulsa dalla storia, perché non più partecipe della mobilità del divenire, ma statica e inerte, atta soltanto ad accrescersi per successive sovrapposizioni.  antiche o nuove che siano. Scolastica sarebbe quindi non più una tisonomia storica che si trasforma, ma un masso immobile di pietra, che Wulf si dà cura di sottrarre ad ogni movimento, anche esterno, col separare nettamente la scolastica dall’anti-scolastica, cioè col sostantivare, in un’altra unità separata e rigida, tutti quei moti divergenti e disgregatori, che pur appartengono allo stesso  pensiero medievale e che, inclusi con sano criterio storico nella scolastica, le conferirebbero quella mobilità viva che appartiene a un vero organismo. Questo pregiudizio più che scolastico falsifica la storia della filosofia medievale di Wulf, opera immeritainente celebrata, perché non può non suscitare, nei critici meglio disposti ad apprezzare il lavoro altrui, che un senso di dispetto o  di deplorazione, al constatare come una cosi vasta e profonda conoscenza del pensiero medievale si falsifichi e s’annulli, per colpa di un testardo proposito di voler trattare la storia con un criterio decisamente anti-storico. Pereant historiae, purché sia salva la scolastica: par che Wulf ragioni cosi. E in effetti, separando scolastica ed anti-scolastica, papa ed anti-papa, nel cuore stesso  della storia medievale, dove la separazione degl’elementi organici è più aspra e, diciamo pure, ripugnante, è tanto più facile perpetuare la separazione in seguito, quando l’anti-scolastica diviene a sua volta un’età storica, e accrescere la scolastica dei magri doni dello spirito, che le piovono addosso di tanto in tanto. È sorta cosi la scolastica, quella scuola che, pur avendo di fronte ad AQUINO (vedasi) l’incontestabile vantaggio di spaziare in un cielo storico incomparabilmente più vasto e di non accontentarsi d’un AQUINO ischeletrito, mutilo, custodito nella solitudine e quasi nel deserto dei secoli, ha poi sùbito voluto rinunziare ai suoi privilegi storici, facendo della storia una pesante cappa di piombo. Confesso che la lettura del corso di Mercier m’è costata assai  più fatica che non quella delle somme d’Alessandro o d’AQUINO o dell’opus oxoniense di Duns. La ragione è che si tratta d’una fatica senza premio, che inaridiva progressivamente e senza recupero le proprie fonti e l’energia della resistenza. In fondo, non c’è che la struttura esterna massiceia, pesante, d’AQUINO, senza lo spirito d’AQUINO (vedasi), tormentato dal problema  insolubile di costringere nelle forme aristoteliche una materia ribelle. Mercier raccatta nella storia quel poco che è compatibile colle sue premesse dommatiche: il criterio cartesiano dell’evidenza, il problema della criteriologia, inteso come un’attenuazione della critica gnoseologica, il pseudo-empirismo dei positivisti, e sopra tutto il formalismo della logica analitica. La criteriologia  forma il segreto della composizione di tutto il mosaico: essa ripristina dopo Kant il dubbio cartesiano, limitato ai soli oggetti della conoscenza, dichiarando illegittimo il problema del valore delle facoltà conoscitive: un valore che viene dommaticamente presupposto. E del primo dubbio si sbriga facilmente col riconoscere l’evidenza immediata d’alcuni principi d’ordine ideale, ai quali  si dà cura di negare ogni carattere sintetico e attribuisce invece un valore meramente analitico, che avvalora la loro intatta oggettività. Ma tra i princìpi in questo modo sottratti al dubbio, v’è il principio di causa, il cui valore oggettivo consente di passare, senza salti, dalla sfera dei giudizi ideali a quella dei giudizi empirici; il mondo della natura e della scienza viene agevolmente rimorchiato dal principio d’identità. L’ontologia e la cosmologia del corso merceriano procedono di pari passo dalle premesse criteriologiche testé enunciate; idealismo e positivismo sono insieme saldati dal concetto di causa, che vanta titoli eguali presso l’uno e presso l’altro. E l’idealismo salva la trascendenza di Dio, l’immortalità dell’anina, la rivelazione, con tutto il pesante bagaglio  della dommatica cristiana; il positivismo consente alla neo-scolastica di modernizzarsi, di koketlierenm direbbero i tedeschi, colle scienze della natura e 'l’indulgere il più ch’è possibile al gusto dei tempi. Una tale filosofìa è criticata in quanto è esposta; non si saprebbe se più deplorare l’ignoranza che vi si dispiega di tutta la storia del pensiero moderno o l’ingenuità di certi passaggi  me'ntali, quello p. es., mediato dal principio di causa. Io rispetto assai più il dommatismo puro, lo schietto AQUINO, che nega la storia del pensiero e si chiude nelle vecchie e venerande formule; ma almeno non si lascia cosi facilmente misurare dalla mentalità moderna come questa filosofia che le s’accosta troppo da presso, e si trastulla ingenuamente coi suoi problemi. Il neo,  anteposto al suo nome, vale a designare null’altro che l’infantilità. Il movimento scolastico italiano sorge come una copia fedele della scuola di Lovanio. GEMELLI  e CANELLA fondano una Rivista di filosofia scolastica sul modello della rivista belga ed accettano, nel programma, l’ideologia merceriana: MATTIUSSI (vedasi) lo spaventa con il veleno di Kant, dove gli lascia  intravvedere il rischio di rinnovare la miseria d’Abelardo, non più per amore d’una bella Eloisa, ma della filosofia di Kant. Noi pretendiamo, dice l’apocalittico MATIUSSI (vedasi), che nell’opera del filosofo di Koenigsberg dal principio alla fine ogni cosa è impossibile e il disegno n’è contradittorio, che tutto è rovina e che qualunque asserzione s’ammetta di quello sic che egli da sé  nuovamente disse, ne rimane tronco alla radice dell'essere conoscitivo; ed è veleno, del quale basta una goccia per dare la morte alla scienza e all’intelletto. E in un altro suo scritto. Il Problema della conoscenza,  MATIUSSI mostra di porre allo stesso livello la critica di Kant della ragione e il dubbio di Mercer sull’oggettività della conoscenza additando, nel dommatismo puro, la via  della salvezza dell’anima e del corpo. Questa recrudescenza di animosità da parte dei dommatici deriva in gran parte dalla scandalosa impressione che sul loro animo fa il tentativo di CHIOCHETTI (vedasi), animoso e ardente filosofo trentino, il quale si propone d’acclimatare negl’ambienti scolastici il sistema di CROCE (vedasi). Iinfatti pubblica una serie di articoli su quella filosofìa,  nella Rivista di GEMELLI, facendo precedere all’esame della filosofia di CROCE un excursus storico sulla speculazione tedesca che ne costituiva il fondamento. Il piano storico del lavoro è sbagliato, in quanto che la genesi della filosofia di CROCE (vedasi) si spiega rimontando non la corrente centrale, metafisica -- CROCE dice teologica --  Kant-Fichte-Schelling-Hegel-SPAVENTA;  ma una corrente laterale che ha per suoi estremi VICO (vedasi) e SANCTIS (vedasi). L’interessamento di CROCE pelle grandi filosofìe tedesche interviene in un secondo momento, come per meglio intonare, storicamente, un pensiero già in gran parte formato per via diversa. A ogni modo, lo sforzo di volere attribuire un interesse centrale a una filosofia che ripudia ogni centro fisso  dell’interesse speculativo, costituiva per CHIOCCHETTI una propizia opportunità per poter superare, insieme con Croce, tutta la speculazione classica, e per liberarsi, cosi, del pesante fardello della storia. Alla filosofia crociana egli fa larghe e importanti concessioni: la teoria dell’arte, dell’ateoreticità dell’errore, e principalmente quella del concetto concreto, che culmina nella  circolarità creatrice dello spirito. Fa naturalmente le sue riserve. Ammettiamo anche noi un divenire, un progresso, ma non possiamo concepirlo senza ricorrere a un principio che non sia principiato, perché personale nel senso più alto della parola; un principio fine a sé stesso e fine del tutto, un (ictus parus personale, dal quale e per il quale il progresso esiste, un centro di riferimento di  tutta l’attività. Moveva alcune critiche in parte calzanti. Il concetto di persona, il valore della persona: ecco quello che manca, soprattutto nella dottrina di Croce, e rende vano e senza significato il divenire della realtà attraverso le forme. Anche il concetto dello spirito come circolo o come ininterrotto e ordinato arricchimento d’attività, per avere un senso, dev’essere concetto e deve  inchiudere in sé come elemento essenziale il fine dell’attività progressiva, la persona; se no abbiamo l’assurdo del progresso in infìnitum, checché opponga Croce. Ma il vizio più grave che svaluta l’adesioni non meno delle critiche, sta in un fraintendimento, che non saprei spiegarmi con motivi puramente mentali -- ateoreticità dell’errore, Chiocchetti! --: quello del concetto puro di Croce coll’unìversale in re d’AQUINO (vedasi). In fondo, accettando l’universale concreto, CHIOCCHETTI non vi riconosce che il progenitore scolastico, dimenticando, o mostrando di dimenticare, che in esso c’è l’appercezione pura di Kant, la risoluzione dell’oggettività naturale, in una parola, lo spirito. Affermare che l’Individualismo e universalismo fanno centro in Europa, donde  s’irradia la storia del mondo; tutte le conquiste della civiltà estra-europea sono infatti europee nello spirito e nell’impulso; l’Africa particolarmente è il supremo sforzo e il massimo rispltato della storia europea. Questo non porterà nome di uomo o di popolo, perché le massime creazioni sono anonime: il genio può riassumere l’incoscienza d’un popolo, non dare la propria fisonomia  alla sua coscienza. Il suo carattere ideale è chiuso tra due fdosofle, che rappresentano il suo trionfo e la sua degradazione. Dopo Tenorrae abbacinante filosofia di Hegel, che ri-assunse tutta l’antichità e aperse l’era moderna, la degradazione è precipitosa; Hegel solleva il mondo nelle idee, i positivisti distrussero le idee nei fatti; la loro filosofia era la sola conveniente a una fase  industriale, che isola gl’individui livellandoli invece d’unificarli; l’inconoscibile, del quale l’interpretazione istintiva è ideale e pregio della vita, venne dichiarato inutile, la storia cessò di chiedere le rivelazioni del passato ai grandi pensieri per impararle dalla parzialità dei piccoli documenti, le leggi non furono che disposizioni nelle apparenze fenomeniche, la morale un mutare di  costumi, le idee una metamorfosi delle sensazioni. La superlicialità rese tutto facile, e la volgarità parve la sicurezza del reale. L’uomo, senza lo spasimo dell’infinito nel cuore e la luce divina nel pensiero. I La Hiuolta ideale^  Laterza. ritliscese nell’animalità, ultimogenito d’una serie, anziché primogenito della creazione. Contro questa degradazione positivistica o industriale, che  annulla le grandi conquiste ideali dello spirito, e si riassume nell’individualità nuda e atomistica e nell’umanità identica e vuota, e abbassa la coscienza all’inconscio, la responsabilità all’eredità del passato, la creazione all’associazione, ORIANI (vedasi), echeggiando alcuni concetti dell’idealismo, s’afferina fautore d’un superiore individualismo, in cui fa consistere l’originalità del  pensiero nioderno. Ed enuncia il principio che l’individuo non è tale che nell’unità delle proprie antitesi: sopprimete in lui il temperamento della razza, il carattere della nazione, la lìsonomia della famiglia, e la sua originalità s’annebbia. Ma l’individualità vera non è quella che s’allerma nell’isolamento; la grandezza delrindividuo si misura dalla quantità dell’anime che può assorbire e  significare: nessun individuo ha niente da dire finché parla di sé stesso. E l’inclusione, in esso, d’un più vasto mondo, crea la sua responsabilità storica, momento negativo essenziale di quella liberazione e sublimazione del mondo, che si compie nell’alTermazione piena di sé stesso. L’individuo è la storicità vivente: bisogna affermare, esclama ORIANI (vedasi), che tutto quanto forma  il nostro spirito è un legato della storia pelle generazioni future, quindi il nostro interesse nel presente soltanto un’eco del passato, che ridiventerà voce nell’avvenire. Ogni cooperazione umana aumenta di responsabilità crescendo d’importanza, giacché la superiorità non è che il diritto di soffrire più in alto, pensando per quelli che non pensano, amando per quelli che non amano,  lavorando per quelli che non possono. E questa sublimazione dell’umanità nell’individuo forma la sua libertà concreta, liberatrice, che non discorda dalla necessità, ma ne è la coscienza immanente. L’affermazione d’essa si compie attraverso i gradi necessari della progressiva complicazione della vita umana; la famiglia, la nazione, lo stato, l’umanità; cioè attraverso le successive  negazioni della soggettività, che si riconquista, integra, solo al termine del laborioso pellegrinaggio. Quindi nella famiglia gli sposi debbono sparire nei genitori sacrificandosi alla devozione dei figli; quindi nella società gl’interessi individuali saranno sempre subordinati a quelli. £ il solito pregiudizio logico-formale, che svaluta il pensiero nell’atto stesso in cui intraprende la sua ricerca,  abbassando le leggi al di sotto della massa caotica dei fatti. E Pareto, non certamente a sua lode, ci dà un’applicazione esatta del suo principio, coll’addensare prodigiose masse d’esempi e collo svuotarle in pretese leggi ed insignificanti uniformità, che rappresentano il residuo d’una morta astrazione. Egli vuole classificare l’azioni umane secondo i principi della classificazione detta  naturale in botanica e in zoologia; anzi, neppure l’azioni concrete formano oggetto della sua elaborazione, ma gl’elementi di quelle azioni. Del pari sic il chimico classifica i corpi semplici e le loro combinazioni, e in natura si trovano mescolanze di tali combinazioni. L’azioni concrete sono sintetiche; esse hanno origine da mescolanze, in proporzioni variabili. E lascia impregiudicato  l’ulteriore problema se siffatto essere sia impersonale  -- panteismo -- o personale -- teismo. Troppo a buon mercato! Il compito d’una metalisica del conoscere comincia proprio qui, dove VARISCO (vedasi) s’arresta perplesso: ma egli è arrivato esaurito, con  un essere indeterminatissimo, proprio dove l’idealismo concentra la massima concretezza dello spirito. Il suo errore è comune  a tutta la metafisica dell’essere, che vuota progressivamente, lungo la scala degl’esseri, i suoi concetti, e cerca infine  Cosicché, mentre GENTILE è venuto fuori dalla tradizione propriamente hegeliana, che ha avuto in SPAVENTA uno dei suoi esponenti maggiori, CROCE ha subito solo rinilusso indiretto generale --  egli dice nella prefazione alla Logica (Ifllfi)    è insieme annullare  il concetto STATICO del sistema fìlosolìco, surrogandolo col concetto DINAMICO – cf. Luigi Speranza, “STATICA E DINAMICA DI GRICE” -- delle semplici sistemazioni storiche dei gruppi «li problemi, delle quali ciò che persiste e sopravvive sono i singoli problemi e le loro soluzioni e non già l’aggregato e l’ordinamento esterno, che ubbidisce ai bisogni dei tempi e degli autori  e passa con questi, o si serba e s’ammira solo per ragioni estetiche, quando pur abbia tal pregio. In questa più recente fase, CROCE ha finito col capovolgere la posizione iniziale della sua filosofia di fronte al problema storico: passando via via dalla considerazione della storia come arte, a quella che ne fa una forma di realtà autonoma, inferiore alla filosofìa, a quella dell’identità e  reciprocità piena colla filosofia, finalmente a quella della sopravvalutazione della storia rispetto alla pura filosofìa, CROCE ha, come si vede, descritto un ciclo, nel quale dobbiamo riconoscere che la sua filosofia si è molto arricchita ed ha sempre meglio appagato quell’esigenza verso la concretezza, che lo sprona. Nella sua citata autobiografia mentale egli ci dice cl^e l’esigenza  immanentistica è ormai cosi viva in lui, che gli fa immaginare non senza diletto che abbandona un giorno la filosofìa nel significato comune, per narrare la storia pensata. Ormai egli ha là preparazione necessaria pel cimento: la storia della storiografia italiana, che egli va pubblicando a puntate nella serie della Critica può significare già un avviamento a questo indirizzo. Ma per un  filosofo l’abbandono della filosofia non può avere che un significato, a sua volta, filosofico o dialettico; non certamente quello d’un mero passaggio d’una sfera d’attività ad un altra. E per ora, quell’abbandono ci viene spiegato nel suo più vero senso dall’ultima monografìa filosofica che Croce pubblica da qualche mese: Sulla  filosofia Pella bibliografla e le discussioni intorno alla filosofia di Croce, R. rimanda al voi. Casteli.aso, Introduzione allo studio dell’opere di Croce, note bibllografiche e critiche. Bari] teologizzante e le sue  sopravvivenze  (Napoli), (love i filosofì stessi vengono incitati ad abbandonare una folla di problemi insolubili, eufemisticamente chiamati problemi massimi ed eterni. Per Croce, conforme al suo coerente immanentismo, vale il principio dell’unità del problema colla soluzione, secondo il quale un problema acquista carattere di problema solo nel punto in cui viene risoluto. Quindi i pretesi problemi insolubili, che formano il tormento di tutte le filosofie, sono in realtà non-problemi, ma miscugli ibridi di rappresentazioni e di concetti, adeguati piuttosto ad alcune forme d’esperienza religiosa anziché all’esigenze  razionali dello spirito. Tra questi primeggia il problema della conoscibilità del reale, del rapporto tra il pensiero e l’essere, in cui Croce ci mostra la presenza d’un interesse meramente teologico, e cioè compatibile soltanto con una intuizione dualistica del  reale. La filosofia di GENTILE (vedasi) segue, in quest’ultimo periodo, un inverso processo di sistemazione e d’accentramento.  Quando R. chiude, con una sommaria esposizione dei suoi capisaldi, la r  edizione della presente storia, il pensiero di questo filosofo è in gran parte disseminato nei suoi lavori storici; e soltanto una breve monografìa. L’alto del pensiero come atto puro, lascia presentire la peculiarità d’un atteggiamento mentale del tutto nuovo. Da quel tempo in poi, GENTILE (vedasi) lavorato a  sviluppare la sua dottrina dell’idealismo attuale, le cui tappe più importanti sono costituite dal sommario di pedagogia come scienza filosofica, Laterza; La riforma della dialettica hegeliana, Messina; Teoria generale dello spirito come atto puro, Pisa; Sistema di logica come teoria del conoscere, Pisa. Per ragioni di spazio, R. è scostretto a sorvolare sulla fase preparatoria e formativa di  questa fìlosolìa, che ha le sue tappe nettamente segnate dall’informa della dialettica e dal sommario di pedagogia. Il primo saggio ci spiega in che modo GENTILE sia  riuscito —  affatto indipendentemente da CROCE —  a rompere lo schematismo hegeliano, utilizzando l’importanti indagini di SPAVENTA sulle tre prime categorie della logica di Hegel. Una volta inteso l’essere, il  non-essere e il divenire, non più come posizioni logiche oggettive del reale, ma come momenti della coscienza, dove il divenire, sintesi dei termini precedenti, esprime il processo stesso del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti e rig di in cui l’analisi lo decompone, tutta la sopra-struttura della logica hegeliana viene inevitabilmente sconvolta. Il sommario di  pedagogia, nella sua introduzione, compie, in rapporto alla fenomenologia, la stessa istanza critica che la riforma della dialettica compie in rapporto alla logica di Hegel. Il pensiero puro, come non ha bisogno di percorrere i gradi categorici dell’essere del conosciuto, secondo gli schemi della logica formale per giungere alla piena coscienza di sé, perché s’afferma a priori come pensiero  consapevole e attuale; così non ha neppur bisogno d’attraversare i gradi psicologici della conoscenza, cioè la sensazione, l’intuizione, ecc., perché 1«  1,’csscre che Hegel dove mostrare identico ai nonessere nei divenire che solo è reuie, non è i essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato -- TassoUito indeterminato non può essere che l’assoluto indeterminato! --  ma l’essere del pensiero che deHniscc e, in generale, pensa: ed è, come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo -- perché, se fosse, ii pensiero non sarchile iiueiio che è, ossia un atto --, e perciò ponendosi, divenendo -- Teoria generale della spirito come atto puro, R. T.a  tllosotla contemporanea. non può mutuare d’altri che da sé, non solamente la sua forma,  ma anche il suo contenuto.  Cosi Gentile porta al suo estremo l’idea implicita in ogni filosofia idealistica, che il pensiero non può originarsi che da sé, mostrando che qualunque dato o presupjpostc che si voglia anticipare alla sua attività ha il valore di cosa posta da quella stessa attività. Di fronte al comune psicologismo, tale istanza critica culmina coll’identificazione del pensiero e della sensazione, nel senso che  qualunque esigenza ideale s’attribuisca alla sensazione fuori di ciò che ne costituisce un dato irriducibile, dove si rivela una falsa posizione fdosofica è un’esigenza mentale, inclusa cioè nell’attualità del pensiero. Con l’efl'ettuata identificazione, vien negata una fenomenologia dello spirito nel significato hegeliano, cioè come una progressiva deduzione ed implicazione di gradi spirituali;  ma viene nel tempo stesso affermata una nuova fenomenologia del sapere e della realtà come consapevolezza, che coincide colla storia stessa, nella concretezza del suo divenire. L’assoluto psicologismo ha il valore d’un assoluto storicismo. Posto infatti che il pensiero non deriva che da sé la realtà propria, e che questa derivazione è la sua eflettiva e pratica esplicazione, il corso ideale del pensiero non è che la storia reale del peìisiero stesso e quindi del mondo. Qui l’idealismo gentiliano si pone come la negazione recisa d’ogni realtà che s’opponga al pensiero come suo presupposto e del pensiero stesso concepito come realtà già costituita fuori del suo svolgimento, come sostanza indipendente dalla sua reale manifestazione. La realtà dello spirito o delle cose, posta fuori della soggettività pensante, forma la così detta natura, distinta dal pensiero non come oggetto da Oggetto, ma come oggetto da soggetto, ossia inclusa e risoluta nel pensiero, nell’atto stesso in cui questo la riconosce distinta da sé, e cioè, pensandola, la pone, e ponendola la nega come già posta o presupposta. La natura si svela cosi una realtà  pensata, un processo logico esaurito e  pietrificato, capace tuttavia di risollevarsi all’attualità spirituale, in quanto lo spirito lo pensa e l’include nel suo processo, che ha un cominciaraento spontaneo, assoluto, in quel pensare. Nulla dunque è fuori dello spirito, « se Tesser fuori è un riconoscimento, cioè un porre fuori mediante l’attività del pensiero. Né vale appellarsi all’ignoranza, come documento delTirriducihile esteriorità  di taluni fatti alla coscienza; perché la stessa ignoranza non è un fatto senza essere insieme una cognizione: cioè ignoranti siamo solo in quanto o noi stessi ci accorgiamo di non sapere, o se n’accorgono altri; sicché l’ignoranza è un fatto, a cui l’esperienza può appellarsi solo poiché è conosciuto. La coscienza si pone pertanto come una sfera 11 cui raggio è infinito: come centro assoluto  e  immoltiplicabile nella cui unità converge la molteplicità degl’oggetti, che esiste solo in virtù del suo riconoscimento. L’unità della coscienza, del soggetto, è la pietra angolare di questa filosofia: essa include non soltanto i cosi detti fatti dell’esperienza esterna, incomprensibili nella loro struttura fuori della sintesi mentale; ma anche gl’atti dell’esperienza interna e dei soggetti empirici  umani o sub-umani, la cui pluralità è del tutto identica a quella degl’oggetti naturali e si risolve quindi nell’unità dello spirito che attualmente la pensa. Un mondo ideale policentrico, monadistico, rappresenta per Gentile un residuo di naturalismo ingiustificabile, poiché non c’è esperienza umana che coltra il mutuo trascendersi delle monadi e raccolga la loro sparsa idealità in un  principio unico, il quale verrebbe perciò spostato all’infinito. Mentre invece, l’esperienza nella sua concretezza esige l’assoluta immanenza di quel principio, fuori del quale anche la pluralità svanisce. Il rapporto tra me e un altro soggetto empirico – il tu, il noi -- non può esistere fuori della mia coscienza che lo pone; se mai trascende la sfera della coscienza, ogni mutua intelligenza  sarebbe preclusa; ma, appunto perciò l’atto di coscienza che include l’altro – il tu del noi --  in me e nel tempo stesso lo distingue da me, costituisce la soggettività più profonda in cui si risolvono le soggettività  empiriche. l’io  e l’altro, e che forma la comune radice d’esse. Quell’atto dunque non è mio, perché  tale  appartenenza significherebbe già la sua riduzione al soggetto empirico, ma è l’io, è ratTermarsi concreto d’un rapporto nella forma della soggettività mentale. Gentile dà a questo io il nome di soggetto  assoluto o trascendentale; ad esso, a differenza dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal Identity,” Mind,  attribuisce  l’identità  universale  e immoltiplicabile,  che  vince  la  sparsa  attualità  del monadismo. Con  questo  concetto,  egli  è  in  grado  di  risolvere le varie antinomie che hanno travagliato il pensiero di molti filosofi, come quelle del realismo e del nominalismo, dell’universale e dell’individuale, ecc. fino alla recente vexata quaestio della distinzione tra l’attività teoretica e l’attività pratica e del primato dell’una o dell’altra. Nell’attualità dell’Io assoluto v’è  la ragione unitaria di ciò che nelle antinomie si polarizza, e  insieme la spiegazione del modo con cui la polarizzazione avviene, quando lo spirito, affiorando alla superficie, perde l’intimo contatto con sé stessa e converte in determinazioni statiche e rigide gl’astratti momenti della sua sintesi originaria. Cosi il rapporto del teoretico e del pratico è da Gentile compreso nell’unità a priori dello spirito, che è atto intelligente o riflessione attiva, cioè unità dinamica di teoria e prassi; mentre la difTerenza nasce nella sfera superficiale della coscienza, dove i 'due momenti si solidificano in entità distinte. Tale unificazione spirituale, per Gentile, non vuol essere assorbimento del molteplice nell’uno ed estatica contemplazione dell’uno, ma realizzazione e comprensione dell’uno nel molteplice, e insieme differenziamento e moltiplicazione  dell’uno; insomma quello spiegamento dello spirito, che riconduce a sé, alla propria identità, gl’atti della sua reale esplicazione. In questo principio è riposto il criterio dello storicismo di GENTILE. Vi sono due modi di concepire la storia. In questa posizione si risolve l’antinomia storica, secondo la quale lo spirito è affermato come storia, perché è svolgimento dialettico, ed è negato  come storia, perché è atto eterno fuori del tempo. E si risolve nel concetto del processo che è unità, la quale si moltiplica restando una; d’una storia, perciò, hleale ed eterna, che non è  (la confondere con quella di VICO,  che ne lascia fuori di sé una che si svolge nel tempo; laddove reterno, nella concezione di Gentile, è lo stesso tempo considerato nella sua attualità. Ma di fronte a  questa molteplicità vera e attuale che s’esplica nella storia, e la cui concretezza sta nel suo svolgersi dall’unità e nell’unità dello spirito, v’è un’altra e diversa molteplicità, astrattamente fissata nell’oggetto del pensiero ed esistente indipendentemente dall’atto mentale. Mentre la prima appartiene alla logica del pensiero puro, 1’altra rientra nella logica astratta del pensato. La differenza nasce dalla dialettica stessa del pensiero; che, in quanto è atto, è dillerenziamento ed esplicazione di sé; ma l’atto, una volta compiuto e isolato dalla soggettività creatrice, si converte in un fatto, cioè si naturalizza e diviene una realtà intelligibile e non più intelligente. A questo pensato s’appropriano non le categorie della  dialettica, che concernono il pensiero in fieri, ma quelle della logica formale, le quali determinano la struttura dell’oggetto mentale come puro oggetto. Tuttavia la peculiarità del processo spirituale sta in ciò che in esso l’astrattezza di quella posizione oggettivistica è non solo negata, ma  anche allcrmata. il pensiero concreto, nell’atto in cui nega il pensato come tale, l’afferma come  momento inseparabile del suo sviluppo. La dialettica viva dello spirito sta in questo continuo naturalizzarsi e straniarsi del pensiero, del soggetto, nell’oggetto; e in questo ri-affermarsi di sé, attraverso la stessa oggettivazione, che è ri-soluzione dell’oggetto come tale e sua inclusione nel proprio ciclo. Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, Pisa, Conforme a queste  premesse, GENTILE ammette due logiche, l’una che è grado all’altra; Se dialettica diciamo la logica del concreto, ossia del puro conoscere, che è riinità del soggetto e dell’oggetto, oltre la dialettica bisogna pure ammettere, come grado alla stessa dialettica, una logica dell’astratto, ossia del pensiero in quanto oggetto, nel momento dell’opposizione, senza di cui non è attuabile l’unità in cui il concreto risiede  Nel sistema di logica come teoria del conoscere GENTILE finora ci ha dato una logica del pensato; ad essa terrà dietro la dialettica, cioè il sistema dell’attività pensante, di cui non possediamo che i capisaldi, già esposti nelle pagine precedenti. La diflerenza del pensiero GRICE IMPIEGARE e del pensato GRICE IMPIEGATO e della molteplicità immanente  all’uno e all’altro vale anche a determinare il rapporto tra le forme assolute, e che > Donde la necessità di porre su due plani ben distinti le relazioni interne del pensato e le relazioni nelt’atto del conoscere, la relatività delle determinazioni del reale e quella del momenti del processo conoscitivo, l’/o penso della logica kantiana e il soggetto assoluto della metafisica. quindi una metafisica  della mente deve seguire una via multo più indiretta e faticosa per fondare la spiritualità del reale. Dalla critica del giudizio di Kant, alla filosofia della natura di Schelling e di Hegel, via via fino al contingentismo di Boutroux, all’evoluzione creatrice di Bergson, al realismo d’Alexander, al hegelismo d’Hamelin. è tutta una serie di sforzi per questa via più ardua; essi valgono almeno a  segnalare la presenza d’un problema di cui l'attualismo s’é sbrigato troppo a cuor leggero. Tutto ciò che forma oggetto della metafisica dell’essere non s’illumina in un fiat col porre l’equazione tra l’essere e l’esser conosciuto; cosi non si fa che porlo semplicemente a foco;  ma  si  tratta  poi di  conoscerlo  clTettivainentc; se no, si trasferisce il mistero da una posizione all’altra, senza  accrescere d’un sul iota la nostra conoscenza della realtà. Pretendere di aggiogare il mondo all’atto del pensiero, senza che questo si faccia concretamente coscienza, autorivelazione, atto del mondo, è un faticare per trascinarsi dietro la propria ombra: agendo nihil agere. Questi cenni critici preludono a un esame particolareggiato della filosofia di GENTILE, che io mi propongo di  pubblicare nell’appendice al presente saggio, e ad una revisione della mia posizione idealistica, di cui ho cominciato a dare qualche sporadico saggio negli scritti pubblicati in questi ultimi anni. In questa nota si fa cenno unicamente dei saggi che hanno attinenza col testo. Per una bibliografia più estesa, rKBKBWEG. Gniiulriss der Gescliichle der Pliitosoiìhie: die Pliil. seit lieginn des  neiinzehnten Jahrhitiiderls); ed. da Heinze. Berlino, litoti.INTRODUZIONE. Sulla filosofia contemporanea in generale, ampi ragguagli si trovano nelle riviste, come La critica, la Rivista di filosofia, la Cultura filosofica, la Zeitschrift fiir Phltosophie und phitosophische Kritik, la Revue de Métaphysique et de Morale, il Mind. inoltre WiNDELBANU, Lehrbuch der Geschichte der  Philosophie, Strassburg, Tùbingenl; Hoffdino. Moderne Philosophen, Leipz.; MARTINETTI, Introduzione alla metafisica, Torino;  SARLO, Studi sulla filosofia, Roma; V'illa. La psicologia, Torino; L’idealismo moderno, Torino; ALIOTTA, La re-azione idealistica contro la scienza, Palermo; su di essa, v. la mia recensione in Critica. Il concetto della nazionalità della filosofia, da cui prende le mosse la nostra introduzione, si trova sviluppato nelle opere di SPAVENTA. specialmente: LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari. LA FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe. Die Philosophie der Gegenwart in Deutschland, Leipzig, Cahitolo I: intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn, Gniiulriss der Gesrhichle der l‘hilosophie, i-(l. da B. Erdinann, Berlin. Per la scuola di Tubinga: Baur, Die Tiibinger Schiile vnd ihre Stelliiny zur Geyenioart, Tiibingen; Zkller, C. tiaur et fècole de Tiibitmue. Ir. fr., Paris; Strauss, Dos l.ebeit Jesii. Tùb.; Der alte iind tiene GItinbe, Leipzig. Un parallelo tra Strauss e Renan si trova nei Vorlrdge und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello Zeller. Sul materialismo storico: Marx. Dos Kapital, Krilìb der itolitischeii Oekoiwmie, ed. dalVEngels (Hamburg); ifisère de la pbilosopltie, Paris; Encels, llerrn Kngen Dùhrings Gmaitilzang der Wisiseiischnft, Stuttgart. In proposito I.abriula, Saggi intorno ulta concezione mnlerialislictt della,, storia (3 v(dunii. Roma; (!. Gentile. La /i/osoflo di Murjc, Pisa; Croce. Materialismo storico ed economia marxista, Bari. Sulla psicologia dei po- pedi: Xeilschrift far Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed. da .\1 Lazahls e H. Steinthal, Sul naturalismo: BCchneh, KrafI and Staff, Frankfurt a M..; E. nu Bois Reymond, Die sieben Weltrdihsel, la:ipzig,: sono le opere più significative. Inoltre: Duhkixg, Cursus der PliUosophie; Logik und ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz; Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta, Leipzig; Hartmann, Philosophie des Vnbeaaissten, Berlin; Kalegorienlehre, Leipzig; Drews, Das Ich als Grand-problem der Metaphgsik, Freiburg. Sul naturalismo in genere, cfr. .4. Lance, Histoire da matèrialisme, tr. fr., Paris, Lotze: Mikrokosmos, Leipzig, vedi; Logik, Leipzig; Metaphgsik, Leipz.. Sul Lotze: Caspari, //. L. in seiner Slellang za der durch Kant begriindeten neaesten geschichte der Pbilosophie Breslau; H. Schoen, La métaphgsigue de H. L., Paris; Wallace, Lectures and Essags, Oxford (vi si parla del Lotze in appendice); R., La filosofia dei valori in Germania, Trani (estr. dalla Critica). Laas, Idealismas und Positivismus, Berlin, Schlppe, Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, ; (inindriss der Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik, Berlin. Rehmke, l.ehrhiich der itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. Leipzig); Pliilosopbie ah Griindiuhseiisfbafl, Leipzig: organo della cosi della illosolia del dalo è la Xeitschrift fiir immanente Philoxophie. Sulla teoria degli oggelti. efr. gli art. di A. Meinono nella Xeitschrift fiir Phil. tt. pliit. Kritik; in particolare: Veber die Stellung der Geuenstandtheorie im Stistem der IVi.s- senschaften. Cfr. inoltre le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind Psr/chologie, ed. dallo stesso Meinong. Circa roricnlanienlo generale della dottrina, v. la relazione delTHoFLER al Congresso inlernazionale di Psicologia, Roma: Sind wir Psiicholoìiisten?. Per l’empirio-criticismo: Avenarius, l’hitosuphie ids Den-ken der Welt gerndss dem Prinzip der kleinsten Kraft- masse. Prolegomenu zìi einer Kritik der reinen Erfahriing. Leipzig (Berlin); Kritik der reinen Erfahriing, 2 voli., Berlin; Der menschiirhe Wetthegriff, Leipzig. SiiirAvenarius v. il saggio del Wundt in Philosophische Stiidien; un articolo assai limpido è quello del Delacroix. A., in Renne de métaph. et de mor., Petzoi.dt, Einfiihrnng in die Philosaphie der reinen Erfahriing, Leipzig; E. .Mach. Die Prin- zipien der Mechanik in ihrer Entinickeliing hislorisch- kritisch dargestellt, Leipzig; Die Prinzipien der Wàrnilehre historisch-kritisch entinickelt, Leipzig; Die Anaigse der Empfìndiingen, Jena, Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig. Cornelius, Einleiinng in die Philosophie, Leipzig, Di tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff, è IL Hertz: v. l’interessante introduzione ai suoi Prinzipien der .Mechanik, Leipzig. Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et realité, tr. fr.. Lille; Esqiiisses de philosophie cri- tiqiie, Paris. Recentemente H. Vaihinokr, Die Phi¬ losophie des Als Oh, Berlin. Alb. Lance, Geschichle des Mnte- rialismiis nnd Kritik seiner Bedeiitnng in der Gegenwart, Iserlohn, Leipzig); O. Liebmann, Kant nnd die Epigonen, Stuttgart; Znr Analysis der Wirklichkeil, Strassburg; A. Riehl, Der philosophische Kriticismiis und seine liedeutung fiir die positive Wis- senschdft, Leipzig. Sul k.TnIismo inatemalico-platonizzunte, Cohen, Knnts Theorie der Erfahrung, Berlin; System der Phiiosophie: 1 parie: Logik der reineii Erkennlniss. Berlin: EtUik des reinen Willens, Berlin; recentemente, Aesthetik des reinen Gefùhls, Berlin. Sul Cohen v. il recente fase, dei Kantstudien, Natorp, Platos Ideenlehre, Leipzig; Die logischen Grundlayen der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, Cassirer, SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin. Sulla lllosofla dei valori, oltre le opere del Lotze cit.: C. Siuwart, l.ogik, Tiibingen; Bergmann, Reine Logik, Berlin, Win- DEi.BANn, Reitrdge zur Lehre vom negntiven Vrteil (Slniss- hiirger Abhundliinyen zur Philopophie E. Zellers 70 Geburtstag, Kreib. i. Br., ; Prdiudien, Aufsatze und Heden zur Einleituny in die Phiiosophie, Freiburg i-Br.; Vgm System der Kategorien (Phitos, Abhandl. C. Siywurt zu seinem 70 Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen; Veber Willensfreiheit, Tiibingen; 7,um Regriff des Gesetzes (Rerirht iiber den Intern. Congress fiir Phit., Heidelberg). H. Rickert, Der Gegenslund der Erkennlniss, ein Hei- triig zum Problem der philos. Transsrendenz, Freiburg (Tiibingen); Zwei Wege der Erkenninistheorie. In proposito, v. il cit. mio scritto: L(t filos. dei valori in Gemi, Sullo storicismo, oltre i saggi del Windelbaiid: \\'. Dilthey, Einleitung in die Geistesuiissen- srhaflen, Leipzig; P. Barth, Die Phiiosophie der Geschichte als Sociologie, Leipzig; G. Simmel, Die Probleme der Geschichtsphilosophie, Leipzig; Rickert, Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine logische Einleitung in die hislori- schen Wissenschaften, Freiburg i-Br.; S. Hbs- SEN, Individuelle Kausalitàt, Berlin, Sulle scienze sociali: C. Bolglé, Les Sciences sociales en Allemagne, Paris, Simmel, Einleitung in die Moralwissen- schaften, Berlin; Phiiosophie des Geldes, Stammleh, WirtschafI und Rechi nach der ma- terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle, 1896 (Leipzig); Die Lehre von dem richtigen Rechte, Berlin, Sul movimento teologico: \. Ritschl, Die christliche Lehre oon der Rechfifertigung und Versdhnung, Bonn; W. Hermann, Die Religion In Verhàltnis zum Welferkennen und zur Sitllichkeit, Halle; sul Ritschl e il ritschlìanisnio, v. le importanti osservazioni del Boutroux, Science et religion, Paris, Harnack, L’essenza del Cristianesimo, tr. it., Torino, Sul neo-kantismo in genere, v. la rivista Kantstudien, che si va pubblicando sotto la direzione del Vaihinger e ora anche del Bauch. Sulla psicofisica, Ribot, La psgchologie allemande conlemporaine, Paris. Sul psicologismo cfr.; Husserl, Logische l'ntersucliungen, Halle; F. Brentano, Psgchologie vcm empirischen Standpunkte, Leipz. (il secondo volume, preannunziato, non è stato poi pubblicato). Th Lipps, Grundtatsacben des Seelenlehens, Bonn; Leitfaden der Psgchologie, Leipzig; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz, Ehrenfels, Sgstem der Wertlheorie, I: Allgemeine Wert- Iheorie. Psgchologie des Begehrens; II: Grttndzilge einer Ethik, Leipzig. Intorno a questa dottrina, cfr. Orestano, Valori umani, Torino, Wundt, Sgstem der Phitosophie, Leipzig; Einleitung in die Phitosophie, Leipzig, Paulsen, Einleitung in die Philo- sophie, Berlin; Sgstem der Ethik, Berlin, Bergmann, .Sgstem des objectioen Idea- lismus, Marburg, Sul naturalismo: E. Haeckel, A'aturliche .Schopfungsgeschichte, Berlin; Die Weltràthsel, Bonn; VV. Ostwald, Vorle- sungen ilber Naturphilosophie, Leipzig, Busse. Geist und Kórper, Seele und Leib, Leipzig, Nietzsche, Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste der Mgstik, Leipzig; Als sprach Zarathustra, Chem- nitz, Leipz.; Jenseits uon Gut und Róse, Leipzig, Sul Nietzsche cfr. il saggio del Berthelot, pubblicato nel volume: Éuolutionnisme et Platonisme, Paris, Sulla metafisica del Irasccndentc: R. Eucken, Geschichte und Kritik der Grundbegri/fe der Ge- genwart, Leipzig, pubblicato per la terza volta col nuovo titolo: Geistige Stromungen der Geyen- G. R.. La filosofia contemporanea. wart, Leipzig; Der Kampf um einen geisligen Lebensinhalt, Leipz.; Ln visione della vita nei grandi pensatori. Ir. il., Torino; J. Volkelt, Erfahrung and DenUen, Hamburg iind l.eipzig; Th, Lippe, Naturphilosophie (in; Die Philosophie in Beginn des zwanzigsten Jahrhun- dert. ed. dal Windelband, Heidelberg: manca nella 1* ediz.); J. Cohn, Allgemeine Aesthetik, Leipzig; Vo- raussetzungen and Ziele des Erkennens, Leipzig, MCnsterbero, Philosophie der Werle, Leipzig, LA FILOSOFIA FRANCESE. Damiroji, Essai sur la philosophie en France, Paris; H. Taine, Les philosophes frangais, Paris: F- Ravaisson, La philosophie en France, Paris, Boutroux La philosophie en France (Congresso di flios., Heidelberg). Cfr. inoltre VAnnée philo- sophique. ed. dal Pillon, e la Revue de métaphsique et de morale, ed. dal Léon. Sull’eclettismo: CousiN, Fragments philosophiques, Paris: del Joifproy il la¬ voro più importante e significativo è la Préface à la tra- duction des esqttisses de phil. morale de Dugald Stewart, Paris; Ad. Garnier, Traité des facultés de Vàme, Paris; Ch. de Rémusat, Essai de philosophie Paris, Sulle dottrine biologiche della scuola eclettica c’è un’ampia rassegna del Saisset, L àme et le corps (in Revue des deux Mondes). Cfr. intorno all’eclettismo in generale il mio scrilterello: L’eclettismo francese {Rivista di filosofia). Sul positivismo: Coiute, Cours de philosophie. positive, Paris; E. LittrA. A. Comte et SI. Miti, Paris; La Science au point de ime phiio- sophique, Paris; A. Cournot, Essai sur les fonde- menls jfe nos connaissances, Paris; I raité de i’enchainement des idées fondamentales dans les Sciences et dans l’histoire, nuova ediz. a cura di Lévy-Bruhl, Paris; H. Taire, De V Intelligence, Paris Sulla metafisica positiveggiante. VacheROT, La métaphysique et la Science, 2 voli., Paris, Sui nuovo spiritualismo: F. Ravaisson, La phil. en Frutice oìt.; P. .Ianet, l.es cuiises fìnales, Paris; Princiiies de métaphysiqtie et de psycologie, Paris: c una raccolta di lezioni universitarie, inte¬ ressante per valutare la mentalità di questo indirizzo. E. Vacherot, Le nouveau spiritiialisnie, Paris. Cfr in proposito il mio articolo; Il nuovo spiritualismo fran¬ cese iliivista di filosofìa). Per la filosofia della libertà: SéCBETAX. La philosophie de la liberlé, Paris. L’articolo di P. Janct sul Sé- cretan, a cui si allude nel testo, fu pubblicato nella Renile des deux Mondes ristampato, con una risposta del Séeretan, nel voi. cit. del J.: Psych. et inétaph. Sul fenomenismo: Cn. Renoi'VIEH. Es- sais de crilique générale: 1. Logiqiie, Paris. Psgchotogie rationelle, Paris; IH. Princ.ipes de la nature, Paris; Inlroduclion à la philosophie ana- lytique de l'histoire, Paris; La nouvelle mo¬ nadologie (in collaboraz. con L. Prat), Paris; Le personalisme, Paris. Cfr. inoltre VAnnée philoso- phiqiie, ed. dal Pillon. dove sono raccolti molti articoli del Renouvier e dei suoi seguaci.- J. .1. (ìolrd. Le phénomène, Paris; Les trois dialectiques IReniie de mét. et de mor.; Philosophie de la religion, Paris, Boirac, L'idée dii phénoméne, Paris, Lachelieb, Dii fondement de l'in- diiclion. Illùse de doctorat, Paris; Psychologie et métaphysique, in Rev. pliilos. Questo saggio è stato poi ristampato in appendice alla ediz. del Fon- deni. de l'induct.; Kssngs on some unsettled Questions of Politicai Economo, Lond., : importante il saggio V, dove si parla della dottrina della definizione. Bradley, The Principles of Logic, Lond.; Bosanquet, Logic or thè Morphology of Knowledge, Oxford; Baldwtn, Thought and Things: A stiidg of thè deiielopment and meaning of thought or Genetic Logic, London. Sulla psicologia dell’empirismo: Tu. Ribot. La psgchologie anglaise. Paris. Sull’etica: Mill. Utilitarianism, Lond., dal Frasers Magazine; Spencer, Data of Ethics. Cfr. Guyau, La morate anglaise “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer, First Principles, Lond. Sullo Spencer Gaupp, Spencer, Stuttgart. Sulla dottrina della scienza: Maxwell, Discourse on moleculs Scientiflc Papers, ed. Niven: Matter and motion, London; Clifforb, Lectures and Essags, London. Sul prammatismo: Peyrcb, How lo make our ideas clear (thè Popular Science Monthly; James, Principles of Psychologu, Boston; Will lo belieue, New-York, Grice: “He willed that he was an Englishman; he failed!” ; The narieties of Religious Experience, New-ork and London; Pragmatism: A new nome for some old ways of thinking, New-York; Dewey, Studies in logicai Theory, Chicago. Per la letteratura sul prammatismo, cfr. il Journal of Philosophy, Psycology and Scientiflc Methods, ed. da Woodbridge. Per l’umanismo, cfr. Schiller, Études sur l humanisme, trad. fr., Paris. Sulla LOGISTICA: Russell, The principles of mathematics, Cambridge; L. Couturat, Les principes des mafhématiques, Paris; Hodgson, Time and Space, Lond.; The Methaphysic of Experiencei, Lond. Quest’opera non è a nostra conoscenza diretta, ma ne abbiamo avuto notizia da due articoli, l’uno di Sarlo, La metafìsica dell'esperienza delTHodgson, Riuista fllosoflca; l’altro di Dauriac, in L’année philosophique. SulThegelismo inglese: Stirling, The secret of Hegel, Lond.; Wallace, Introduction to thè sludy of Hegel's Hhilosophy Oxford; E. Caibd, Hegel (Blackwood’s Phil. Classic,) Edinb.-Lond.; Baillie. The oriyin and significance of Hegel’s Logik, London; J. MacTaooart, Studies in thè hegelian dialfclic, Cambridge; Studies in hegelian cosmology, Cambridge. Di Green, cfr. Introduction to Hume's Treatise on Human Nature (nell’ediz. delle opere di Hume. a cura di Green e Grose, Lond.; Prolegomena to ethics, ed. da Bradley, Oxford. Sul Green, PARODI, Vidéalisme de J. H. G., in lìev. de métaph. et de mor. Bradley, Appearance and Realily. d Methaphysical Essay, London. Intorno alla fìlosofla della religione cfr. .Newman, Ari essay in nid of a Grommar of assent, Lond.; l.e dèueloppement du dogme chrétien par Breinond, Paris. L’autobiografla del N. è stata tradotta col titolo: Il cardinale Newman, Piacenza; Tyrrel, La religion exterieure, tr. fr., Paris; Cairo, The euolution of Religion, Gifford Lec- tures, Glasgow, Wallace, Lectures and Essays on Naturai Theology and Ethics edito postumo dal Caird, con una biografia), Oxford. Baillie, An outline of thè idealistic construction of Experience, London. Wabd, Natura- lism and agnosticism, London; The renlm of ends, or Pluralism and Theism, Cambridge; Rovce, The spirit of Modem Philosophy,Boston;  The  world  and  thè  indinidual,  New-York, LA  FILOSOFIA  ITALIANA. SPAVENTA, LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari; FIORENTINO, LA FILOSOFIA IN ITALIA, Napoli; GENTILE, LA FILOSOFIA IN ITALIA, pubblicata nella l» serie della Critica. Un ricco materiale di recensioni, varietà,  documenti si trova ne La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia, diretta da CROCE. Sul  Rinascimento:  Spaventa,  Saqgi di  crilica,  Napoli; Gentile,  TELESIO,  Bari, e  Storia  della  filosofia  italiana (Vallardi, Milano);  Fazio  Allmaybh,  Galilei  nella  collezione  del  Sandron: I grandi Pensatori, Palermo. Sulla posizione storica di MACHIAVELLI non è stata aggiunta ancora una sola linea a quanto dice Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana. Di BRUNO v. l'edizione dei dialoghi italiani cur. Gentile: dialoghi metafisici, Bari; dialoghi morali, Bari, nella collana di classici della filosofia, cur. Croce e Gentile. Su BRUNO, v. Spaventa,  Saggi di critica; inoltre La fìlos. ital. nelle sue relaz. ecc., e Gentile, G. fì. nella storia della cultura, Palermo. Intorno  a CAMPANELLA, v. l'opere testé citate di SPAVENTA. Fondamentale è il saggio d’AMABILE, La congiura, il processo e la follia  di CAMPANELLA, Napoli, Morano, e Campanella nei castelli di Napoli, in Roma e in Parigi. Su GALILEI, cfr. il volume cit. di Fazio. Di Vico si va curando un’edizione completa delle opere nella collezione del Laterza Scrittori d'Italia. Nei classici della filosofia è stata testé pubblicata, cur. Nicolini, un’edizione della scienza nuova, con ampie annotazioni e un’importante prefazione. Su Vico cfr. Spaventa, La filos. ital.; SANCTIS, St. della  letter. it.] Croce, La filosofia di Vico, Bari, e Gentile, La prima fase della  filosofia di Vico nella miscellanea di studi in onore di Torraca, Napoli. Di GALLUPPI, Saggio filosofico sulla critica della conoscenza, Napoli. Vari accenni a Galluppi si trovano nelle opere di Spaventa; v. inoltre: Gentile, Da Genovesi a Galluppi, Napoli. Rosmini-Serbati, Saggio sull’origine dell’idee, Roma. Intorno a R.: Gioberti, Degl’errori filosofici di Serbati, Bruxelles; Spaventa,  Scritti filosofici, ed.da Gentile, Napoli; Gentile, Rosmini e Gioberti, Pisa. Di Gioberti si può vedere La protologia, cur. da Gentile, Bari, nella collana di classici della  filos., ecc.). Inoltre: Spaventa, La filosofia di Gioberti,  Napoli; La filos. ital. ecc.; inoltre il saggio di  Gentile,  R. e ROVERE,  Del rinnovamento della filosofia in Italia, Parigi; Confessioni d’un metafisico, Firenze; Ferri,  Essai sur l'histoire de la philosophie en Italie, Paris; Il fenomeno sensibile e la percezione esteriore, ossia i fondamenti del realismo, Lincei; Bf.htini, Idea d’una filosofia della vita, Torino, Ferrari, La filosofia della rivoluzione, Londra. Sul positivismo: Cattaneo, Opere edite e inedite, Firenze; Villari, Arte, Storia, Filosofia, Firenze;  Gabelli, L’uomo e le scienze morali, Milano; Angiulli,  La filosofia e la ricerca positiva, Napoli; La filosofia e la scuola, Napoli; Ardigò, Opere filosofiche. SuIl’A. Marchesini, La vita e il pensiero d’Ardigò, Milano. Organo del positivismo, dal è la Rivista di filosofia scientifica, ed. da Morselli. Inoltre la Rivista di filosofia e scienze affini, edit. da uno scolaro d’Ardigò, Marchesini. Questa rivista s’è fusa colla Rivista filosofica di Cantoni  in una Rivista di filosofia ed ha assunto un indirizzo eclettico. Intorno alla filosofia dualistica: Bonatelli, Pensiero e conoscenza, Bologna; Percezione e Pensiero, Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Cantoni. Kant, La filosofia teoretica, La filosofìa pratica; La filosofia religiosa, la critica del giudizio e le dottrine minori, Milano, Acri, Videmus in aenigmate, Bologna. Sarlo, Studi sulla filosofia, Roma; I dati dell’esperienza psichica, Firenze; inoltre vari articoli pubblicati nella Cultura filosofica da lui diretta. Vahisco, Scienza e opinioni, Roma; I massimi problemi, Milano. V'arisco pubblica un altro volume: Conosci te stesso, Milano, di cui abbiamo parlato nell’Appendice. Sul kantismo: Fiorentino, ELEMENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA GENTILE, NAPOLI; Masci, Una polemica su Kant, l’Estetica trascendentale, e l’antinomie, Napoli; Le forme dell’intuizione, Chieti; Il materialismo psicofisico e la dottrina del parallelismo in psicologia, Napoli; Martinetti, Introduzione alla metafisica, Torino, Suirhegelismo: Vera. Iniroduction à la philosophie de Hegel. Paris; La logique de Hegel, Paris; Spaventa, La filosofia  di Gioberti. Napoli; Saggi di critica filosofica, politica, religiosa, Napoli; Esperienza e metafisica, cur. Jaia, Torino-Roma; Scritti filosofici, con note e un discorso sulla vita e sulle opere dell’autore, cur. Gentile, Napoli; Principi di etica, cur. Gentile, Napoli; Da Socrate a Hegel, saggi, cur. Gentile, Bari; La filosofia italiana nelle sue relazioni colla filosofia europea, cur. Gentile, Bari;  Logica e metafisica, cur. Gentile, Bari. Della Storia della letteratura italiana di Sanctis è stata fatta testé una nuova edizione cur. Croce nella collana  Scrittori d'Italia. Sul  marxismo: Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia: In memoria del manifesto dei comunisti, Roma: Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Roma: Discorrendo di socialismo e  di filosofia. Roma; Croce. Materialismo storico ed economia marxistica, Palermo. Di Croce cfr.: La filosofia dello Spirito. Estetica, come scienza dell’ESPRESSIONE e linguistica generale, Palermo, Bari; Logica come scienza del concetto puro, Bari; Filosofia della Pratica. Economica ed etica, Bari; Saggi filosofici: Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari,  La filosofia di Vico, Bari;  v. inoltre la Critica, cit. Intorno a questa rivista sono sorte due collane di testi: Classici della filosofia moderna, e Filosofi d’Italia, pell’editore Laterza di Bari. Di Gentile, oltre gl’articoli che va pubblicando in Critica: Rosmini e Gioberti, Pisa; Il concetto scientifico della pedagogia, Roma; Da Genovesi a Galluppi, Napoli; Il concetto della storia della filosofia,  Pavia dalla  Rivista filosofica; Il  modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari; L’atto del pensare come atto puro, Palermo, Annuario della  biblioteca filosofica. R. rimanda all’appendice pella rassegna bibliografica degli scritti. NOTA  BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel testo abbiamo generalmente rispettato la cronologia: ma evidentemente, dove si parla di filosofi  contemporanei,  è il criterio dell’esigenza di pensiero ch’essi rappresentano quello che decide del posto che spetta a ciascuno. Lo stesso criterio vale per ciò che concerne i vari  periodi dell’attività  fllosoflca d’uno stesso pensatore. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossia, Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Nacque a Lugano, figlio del conte Pietro, rappresentante di spicco di una delle più importanti famiglie della città.  Senza una particolare formazione accademica, entrò giovanissimo nell’Ordine dei domenicani dove ebbe comunque modo di ricoprire incarichi di rilievo. Ottenne il governo di vari conventi, tra i quali S. Domenico di Cremona (1526-27, 1536 e 1542-43); S. Clemente di Brescia (1527-28); S. Domenico di Bologna; S. Maria delle Grazie di Milano (1540-42 e 1550-51). Nel 1528 partecipò al Capitolo provinciale di Piacenza, mentre nel 1544 venne eletto vicario Utriusque Lombardiae, carica che esercitò anche durante il secondo mandato come priore del convento bolognese. Anche se molto intensa, la vita religiosa non gli impedì di curare le questioni familiari: un documento della metà del secolo, vergato a Pavia, ne ricorda infatti le attività di tipo economico e finanziario in favore del fratello.  Oltre a dedicarsi a compiti istituzionali, dopo essere stato theologiae alumnus, probabilmente a Cremona, fu nominato sacrae theologiae magister dal maestro generale dell’Ordine Paolo Bottigella da Pavia e si avviò alla carriera inquisitoriale. I suoi primi incarichi furono nella diocesi di Como, tra il 1530 e il 1536. Nel 1546, a Bologna, partecipò al processo nei confronti del frate bresciano Damiano, lettore a Pesaro, e di altri imputati accusati di aver aderito al luteranesimo, che si concluse con una sentenza di condanna, anche se lieve. In qualità di inquisitore di Bologna, il 3 marzo 1552 ottenne dal S. Ufficio che «nemo alius possit se intromittere in causis haeresis ventilandis et agendis forte contra aliquos fratres dicti ordinis» (Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Stanza storica, Decreta, I, c. 60r). Sempre a Bologna, nel luglio del 1553, egli ricevette delle lettere dal cardinale del S. Uffizio Juan Álvarez de Toledo che lo invitava a procedere nei confronti di alcuni convittori del locale collegio degli Spagnoli, i quali «male opinavano et turpissimamente disputavano» in materia di fede (Battistella, 1901, p. 3). In particolare, Toledo gli chiese di occuparsi di Jaime Gil, che aveva intrattenuto rapporti di vicinanza con il monaco benedettino accusato di eresia Giorgio Siculo e nei confronti del quale egli avanzava particolari sospetti. Gli interrogatori preliminari del processo bolognese si svolsero molto rapidamente e dai verbali delle testimonianze si evince l’idea che Rusca aveva maturato nei confronti degli imputati, che accusava di essere «perfetti luterani». I cardinali inquisitori dovevano già conoscere il frate domenicano e la prudenza «ch’era solito adoperare in tutte le sue cose»: la fiducia nei suoi confronti era infatti molto alta se Toledo lo nominò suo subdelegato e, il 15 dicembre 1553, gli scrisse una nuova lettera con la quale gli affidava «fino all’ultima risoluzione» la questione del Collegio degli Spagnoli. Rusca portò a termine il suo ufficio, che si concluse con una sentenza di condanna e l’abiura di Gil, avvenuta a Bologna il 10 gennaio 1554. In quello stesso anno gli fu affidata dal S. Uffizio la supervisione di una serie di processi inquisitoriali nei confronti di alcuni carmelitani di Mantova. -ALT  Rusca si trasferì quindi a Roma, nel convento di S. Maria sopra Minerva, molto probabilmente chiamato da Gian Pietro Carafa, una volta divenuto pontefice con il nome di Paolo IV. I due si erano forse conosciuti personalmente nella Repubblica di Venezia dove, negli anni tra il 1527 e il 1536, quando era alla guida dei Chierici regolari teatini di S. Nicola di Tolentino, Carafa aveva costruito una rete di informatori, molti dei quali reclutati tra i frati inquisitori, che lo informavano sulle emergenze in materia di fede. Il papa, che gli riconosceva prudenza, religione e autorità di opinione, lo volle come confessore e lo fece alloggiare nei palazzi apostolici. Il favore di Paolo IV gli permise inoltre di ottenere compiti e incarichi di responsabilità. Rusca è annoverato tra i consultori della congregazione del S. Uffizio, rimanendo in carica almeno fino all’agosto del 1559. Sempre nel 1557, dopo la morte del maestro generale domenicano Stefano Usodimare, il pontefice lo nominò vicario generale dell’Ordine, in attesa del Capitolo generale del 1558 durante il quale fu eletto il provinciale d’Inghilterra, Vincenzo Giustiniani. Il suo nome appare quindi nel motuproprio con cui l’11 giugno 1557 Paolo IV istituì la commissione cardinalizia incaricata di dirigere il processo contro Giovanni Morone. Sempre nel 1557, il 21 dicembre, fu nominato commissario del S. Uffizio e con questo titolo presiedette alla fase difensiva del processo contro il cardinale Morone, nelle sedute che si svolsero a Cremona all’inizio del 1560. Dopo la morte di papa Carafa, Rusca si trasferì proprio a Cremona, dove prese alloggio nel convento domenicano e riprese a svolgere l’attività inquisitoriale. Sempre in quel periodo, nel 1564, fu nominato definitore dell’Ordine per la Lombardia.  Ormai prossimo alla cecità completa, non è chiaro se la sua fortuna riprese durante il pontificato del confratello Michele Ghislieri. Alcune cronache riportano infatti che intorno agli anni Settanta del Cinquecento Pio V lo avrebbe voluto come confessore, promettendogli la promozione alla dignità cardinalizia.  Quasi centenario, nel 1578 si spense nel convento di S. Domenico di Cremona.  Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Curia generalizia dell’Ordine dei Predicatori, Capitula Generalia, Acta Capitulorum Generalium, III.1.11(2): Acta Cap. Gen. ab anno 1410 ad annum 1592, III.1.24: Acta Cap. Gen. ab anno 1501 ad annum 1592, ad annos 1555 e 1558, III.1.31: Acta Cap. Gen. ab anno 1551 ad annum 1611; Registra magistrorum ordinis (vel vicariorum vel procuratorum), IV.31: Regestum actorum regiminis Rmi. P. Fr. Stephani Ususmaris, 46i. Mag. Ord., annis 1556-1557, IV.32: Regestum actorum regiminis Rmi. P. Fr. Vincentii Justiniani, 47i. Mag. Ord., annis 1558-1560; Lodi, Archivio storico civico, Scuola della chiesa della Beata Vergine Incoronata, corda 11, s. 002, reg. 003: Liber provisionum Scolle et Fabrice domine Sancte Marie Corronate ac Montis Pietatis, c. 185v; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.1857; Archivio di S. Domenico, III.4000: Liber Consiliorum conventus S. Dominici Bononiae, cc. 47v, 48c; Archivio di Stato di Modena, Corporazioni Soppresse, Regolari di Modena, Domenicani, 2178/I; Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Stanza storica, Decreta, I, cc. 60r, 1758r; Bullarium Ordinis Fratrum Prædicatorum: Prædictum tractatum, supplementa duo, [et] varios indices complectens, IV, ab anno 1484 ad 1548, Romae 1732, p. 642, V, ab anno 1550 ad 1621, 1733, pp. 51, 56, VIII, Praedictum Tractatuum, Supplementa duo, et varios Indices Complectens, 1740, p. 480.  R. Rusca, Il Rusco, ouero Dell’historia della famiglia Rusca, Venetia-Torino-Vercelli 1664-1675, p. 145; P.L. Tatti - G.M. Stampa, Degli annali sacri della città di Como, III, Milano 1734, p. 668; F. Arisio, Cremona literata, III, Cremonae 1741, pp. 205 s.; P.M. Domaneschius, De rebus coenobii Cremonensis ordinis praedicatorum, deque illustribus, qui ex eo prodiere, viris commentarius, Cremonae 1767, pp. 186-192, 428; G.A. Oldelli da Mendrisio, Dizionario storico-ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino, Lugano 1807, pp. 160-172; G. Ranaldi, Memorie storiche di S. Maria del Glorioso presso la città di Sanseverino nel Piceno, Macerata 1837, p. 34; A. Battistella, Processi d’eresia nel Collegio di Spagna (1553-1554). Episodio della storia della riforma in Bologna, Bologna 1901, pp. 3, 9-14, 16 s., 23, 32-36, 38, 40, 42-44; J. Hansen, Quellen und Forschungen zur Geschichte des Hexenwahns und der Hexenverfolgung im Mittelalter, Bonn 1901, p. 34; C. Santa Maria, Personaggi celebri di Santa Maria delle Grazie, in San Domenico e i domenicani in Milano, Milano 1922, pp. 37-43 (in partic. p. 41); A. Walz, I Domenicani al Concilio di Trento, Roma 1961, p. 174; A. Prosperi, Un gruppo ereticale italo-spagnolo: la setta di Giorgio Siculo (secondo nuovi documenti), in Critica storica, XIX (1992), pp. 335-351; G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, pp. 232-236; A. Prosperi, L’eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, pp. 159-161, 422; M.M. Tavuzzi, Dagli Atti del capitolo di Piacenza della Congregazione di Lombardia (1459-1531), in Archivum Fratrum Praedicatorum, LXXIII (2003), pp. 171-203 (in partic. pp. 177, 181, 195, 197 s.); M. Firpo - S. Pagano, I processi inquisitoriali di Vittore Soranzo (1550-1558). Edizione critica, I, Città del Vaticano 2004, pp. 136, 187 s.; M.M. Tavuzzi, Renaissance inquisitors. Dominican inquisitors and inquisitorial districts in Northern Italy, 1474-1527, Leiden-Boston 2007, p. 194; H.H. Schwedt, Die Anfänge der Römischen Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1542 bis 1600, Freiburg; M. Firpo - D. Marcatto, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone. Nuova edizione critica, I-III, Roma.. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la scuola di Meda --  filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both character development and careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.

 

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