Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia
sotto il principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere
encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra
Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e
cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di
Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla
moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi,
verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari
in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma. Nel
mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare
interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già Nerone
fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla
bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per
parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato,
austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava,
per timore, di passare inosservato, tanto più si parlava di lui. Le
chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta
leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava
presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono
colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel
territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente
credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e
parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è
una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle
voci, Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico
della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere
maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro,
una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie
Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a
threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of
Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruberti:
la ragione conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di
Gabriele – la scuola di Fanza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Faenza). Filosofo
emiliano. Filosofo italiano. Pideura, Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a
Faenza e Roma sotto CASTELLI. Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue
richieste a CASTELLI, che assente in quei giorni lascia allo studente il
compito di segretario. In tale lettera colge l'occasione per presentarsigli,
che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a
Galilei gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante
padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di
cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo devoto a Galilei, che
segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli
presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli di
impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galilei e
su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua abitazione. Alla
morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del gran ducato di Toscana.
Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale. Si dedica alla
fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica.
Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si
dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il baro-metro a
mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale
invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso
l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene
riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento
effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a
760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la II parte. Si dice faentino e tale è considerato
dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua
morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un
secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole
rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero
genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo
di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R. prende nome,
trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in Vaticano il
suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il fatto che R.
assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del padre e Gaspare.
Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa,
si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne che è la zia paterna.
È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale
di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo documento nel suo carteggio.
Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera del
filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica. Si dichiara a
conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la
propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col. mo
Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato io;
humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le
lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma, a
lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do
parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate
in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello
e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi
di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo
prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo
che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e
continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che
ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE
PRTICATA TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo
studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del
Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico,
ed è DI PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto
mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono
molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la
tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato,
crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE
DISGRESSIONI. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi
va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol
parlare. Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in
un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè
un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un
Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la
penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima
di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto,
d'esser nel numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il
Padre R. mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per
tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma,
Di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita
delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente
la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della
meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De
motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il principio del baro-metro, costruendo quello
che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto
torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL VUOTO ESISTE IN NATURA e che
l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE
SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata “Torr” in
onore alla madre di R. e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di
misura del sistema Internazionale è invece il “pascal”, in onore di un altro
illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali
dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da
Torricelli. La parola “baro-metro” coniata da Boyle è quasi sempre
associata al nome di R. che risulta quindi fra i più celebri filosofi italiani
nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con
la geometria degl’indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso
Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè
il metodo degl’indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso
presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui è entusiasta
ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano. Per il
gusto di imitare i classici, dimostra in XXI modi diversi un teorema di
Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il metodo degl’indivisibili.
Spesso i risultati ottenuti con la geometria degl’indivisibili venneno poi
confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro
fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una
sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò
dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è
scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta d’Archimede,
il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per
la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di
Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area della
superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso,
che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio
che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro
singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno
che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel
settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera
una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la
corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente
a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo
riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie
geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco
che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza
del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di
almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche
Registrazione del convegno per lui, Fidio, C. Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca
Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti,
che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio.
Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli G. Rossini, Convegno di studi torricelliani in
occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua
faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Baro-metro di Torricelli, Equazione di
Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. E. Torricelli,
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista
Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The
Swimming-Pool Library
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Rucellai: la ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o
della filosofia imperfetta – scuola fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino.
Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Crusca. Discepolo di
GALILEI e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni meta-fìsiche
professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei
maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei, ma ciò non
corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite
nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla
meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli. Quando comincia
a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo il nostro sapientissimo
Socrate. Ma anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un
dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi
del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si
mangia e beve gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per
questo lo incitano a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non
segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice
nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa
panzana, ci credeno in molti. Non è un caso dunque se i dialoghi sono
pubblicati non per meriti filosofici, ma linguistici. I dialoghi sono citati
dal vocabolario della Crusca, ed ottimo avviso è il farne spoglio abbondante
perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta
prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi,
convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio per la sua grande abilità
nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella sembra non tramontare
mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando III.
Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato
priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché
lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione
della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti
di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di R., Tommaso Buonaventura,
Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”,
Crusca. ALFANI gia alooio di R. Istitnto Superiore di Fireoze. FIRENZE, BARBARA.
Tia Faenza. Agl' Illustbi Pbofbssobi CONTI E FERRI. Non crediate che io dedichi
a voi questo libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al vostro
patrocinio, come un padre che vedendo il suo caro figlio sul punto di escire
dalla vita delle mura domestiche, per entrare in quella pubblica della citta e
della patria, Io affida sicuro a cittadino illustre, onorato, provetto, perche
gli agevoli col suo nome la via, e col consiglio suo Io diriga e protegga; io
Io dedico a voi come cosa che vi appartiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi
ne foste bene i consiglieri sapientemente aniorevoli, que' due che in mezzo
alle non lievi difficolta m' incoraggiaste e mi ajutaste a combatterle e a
superarle. E, anzi, io posso affermare con sicurta che questo libro debba a voi
piu che a me la sua vita, dovendo io appunto alia vostra scienza, alle vostre
instituzioni e ai voatri consigli, se datomi agli studj prediletti della
filosofia ho potuto proseguire non vanamente nel difficile cammino e in queste
ardue discipline, per le quali ora meglio che mai riconosco altri ingegni che
non il mio poverissimo esser richiesti sempre, e particolarmente oggi che la
filosofia vera, questa prima nutrice della ragione umana, questa ultima
consolatrice di lei o desolata dal dubbio, o da' contrasti affranta non vinta,
e con ogni sorta di mezzi ingratamente assalita, per sostituire in sua vece una
larva pericolosa a cui si da noma di scienza, e che invero non e altro se non
la cupa e colpevole generatrice di una Comune di Parigi, e delle negazioni piu
spudorate e micidiali coUe quali, sotto i nostri occhi medesimi, per un falso
giudizio di liberta si permette di insultare scherzevolmente il buon senso e la
coscienza degli uomini. Siffatti contrasti ed errori io appena in,travedeva
(non li poteva discernere chiaramente) quando negli anni primi della gioventu.
quantunque innamorato della filosofia, maneggiava la riga e il compasso, e piu
per rar gione di metodo che per intenzione di scelta studiava le scienze
superiori esatte e le natural!, utili quelle, e necessarie queste al filosofo
che voglia conoscere tutto I'uomo e le leggi vera dell' universe. lo li
ricordo, sapete, quegli anni! AUora che il velo del disinganno che ricuopre le
malizie umane o non 6 punto soUevato a'nostri occhi, o n' e appena : allora che
i problemi e le questioni piu gravi della filosofia intomo a Dio, all' uomo ed
al mondo le si risolvono piu col cuore e col linguaggio materno, giammai
ingannatore, che non col severe e spesso arido sillogizzar delle scuole ; e tutto
ci sembra piano, evidente; e le risposte piu ardue ci sembrano le risposte piu
naturali, perche appunto dettate dalla voce infallibile della natura. In quegli
anni le negazioni si tengono e si combattono non come negazioni vere e proprie,
sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le divengano
terribilmente reali, e guastino la sovrana armonia tra la verita e 1'
intelletto, ci par le miglia Montana. Ma pur troppo, andando innanzi, ogni
giorno che passa e un fiore che cade dall' albero delle illusioni della vita ;
e noi scorgiamo sempre piu farsi reale e tremenda la guerra al vero, le sue
armonie minacciate dalla superbia di ragione delirante, e dair odio piu
spietatamente beffardo. E come difficile non esser feriti dalla punta awelenata
del dubbio! come difficile non rimanere sorpresi e colti dalle astute carezze
di quella ingannevole Armida, che si fece introdurre nelle nostre tende a
promettere le sue grazie e favori a quei che disertassero I'antica bandiera,
che e poi la bandiera delr onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese loro
ambizione ! quanti minacciano di restarvi, chiuse le orecchie alia voce della
loro coscenza e della verity ! La quale voi, benemeriti, m' insegnaste a
venerare e difendere efficacemente (ed oh! r avessi imparato bene) colle armi
di non effimera scienza, le cui parole e i di cui pronunziati sentii sempre
lietamente rispondere a' palpiti primi del mio cuore, a' miei primi sospiri
religiosi, alia voce medesiraa di mia madre che m' insegnava, dandomene essa la
prima e col fatto 1' esempio, ad onorare Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare
me stesso. La vostra filosofia insomma sentii essere veramente la filosofia; e
quel prime amore che mi fece cercarla quasi inconsapevolmente, giovanetto
ancora, pote con voi divenire nelr anima mia fortissimo e consapevole, e ad
essa attrarmi potentemente, stupito di tante sue bellezze sublimi, che voi
dottamente mi rivelaste, perche alia mia volta anch'io, salendo una cattedra,
insegnassi que' medesimi veri, e scoprissi quelle medesime bellezze e il loro
amore ai giovani intelletti che la patria e la Prowidenza mi avrebbero poscia
affidati. Accostandosi a questo ufficio santo e terribile insieme, non puo 1'
anima non esser compresa di alta trepidazione : si tratta dell'avvenire di
uomini, si tratta dell' avvenire della patria, che noi dobbiam preparare.
Dedicando a voi questo libro, io voglio, egregi professori, darvi pur anco un
pegno che in tale ufficio solenne, nel mio insegnamento, seguitero le orme
vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi avro innanzi
al pensiero, illustri propugnatori della verita e del bene. N^ voi, io spero,
sgradirete il ricordo che vi testimonia perenne la gratitudine mia, ne
sdegnerete di conservare la memoria di me, discepolo vostro, e di ajutarmi
ancora, fatto da voi ad altri maestro. E cosi legati tutti, professori e
discenti, nel vincolo di reciproco affetto, i nostri studj e le nostre fatiche
saranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo del bene, e dalla prosperita
della patria. Tutto vostro devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze. Spbcchio begli
sceitti bditi e tnbditi di Obazio Rioa SOLI RUCELLAT. Firmamento dei cieli e
firmamonto del pensiero. Armonie loro. Orazio Ricasoli R.. Quegli h specchio
delle condizioni di quosto in Firenze. E pero si spiega r ammirazione grande
per R. de' suoi contemporanei. Divisione generale di questo libro. Suo fine e
importanza. Scrittori di R.. II marchese Carlo Rinuccini. Anton Maria Salvini.
II canonico Domenico Moreni. Tiraboschi. Passerini. Turrini. Mamiani e
Centofanti. Necessity di ritesser la vita di R. per il proposito nostro.
Difficolt^ pel difetto di docnmenti. Condizioni generali del secolo
decimosettimo. fe un secolo di contrasti politici e morali. Contrasti nelle
arti, nolle lettere, nella filosofia. Capitolo Secondo, Dblla vita di Orazio
Ricasoli Rucellai 20 Nascita di R.. Suoi parenti. Antichit^ e nobilti delle due
famiglie Ricasoli e R.. Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie
deir Italia. I Ricasoli, i R. ed i Medici. P erch^ Orazio piucch^ Ricasoli
appellino gli scrittori col nome materno de' R.. Questi e le dottrine
platoniche. L' Accademia istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. Intendimenti
di questo. Suoi scritti. Platonismo cristiano di lui e de'snoi accademici. Si
nominano. Bernardo R.. Sue qnalita, opere, preg i di esse. Fa parte dell'
Accademia Platonica. L' accoglie ne' suoi Orti, onde essa piglia il nome di
Accademia degll Orti Oricellari. Figli e nipoti di Bernardo platonici. Congiura
contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia. Gli Orti menide o d* uno
eterno. Anassimandro o dell' infinito. Necessity deir Infinite. II finito non e
privazlonc di questo. Cartesio, o 1' idea dell' infinito prova della sua
realty. Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. E questo secondo
argomento R. tiene per piiistringente di quello del Cartesio. Ma si I'uno che
I'altro sono argomenti probabili. Anassimandro o della luce. Galileo. R. non
nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia.
t- La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1' opinion! di Anassimandro e Galileo
sulla luce. Platone, la luce e 1' anima dell' universe. Ma e tutto un pud
easere. Anassimandro o de'colori. Zenone di VELIA ed altri filosofi. Si
conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di Socrate. La fede.
Esposizionb del timeo di Platone nk' Dialoghi di Orazio Ricasoli R. Ammirazione
di R. pel Timeo di Platone. Opinione e scienza. Necessita di un Principio
primo. Plotino. Triniegisto. R. non e dualista, come Platone. Fine della
creazione, il buono. Obiezione e risposta. Nell'ordine dell' universe si legge
il verbo di Die. Gli archetipi eterni. Platone manca della fede, e pero nell'
attinenza di causality tra Die e il mondo cade in errori. La mente divina forma
di tutte le forme. La mente umana e le idee. Loro natura. II R. combatte
Aristotele. Trimegisto e la creazione. II mondo non e Die ; ne Dio e I'anima di
esse. Ma e sua legge. Ne I'amere, per se, e anima deir universe. Desso come
armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. £, pel R., le Spirito Santo.
il TIMEO. Dell'anime razio NALI Quesiti. Natura dell' anima razionale. Non e
particella deir anima universale. — fe intiera e perfetta da sh, — In che il R.
si discosta qui da Platone. Spirituality dell' anima. Perfezione maggiore negli
spiriti angelici. Immortalita. Argomenti dl ragione probabili. Cartesio e la
sua teorica dell' idee connessa alia questione dell' immortality. Passe di
questo filosofo. Altre prove d' immortalita. Gapitolo Decimoprimo. Breve cenno
sullb aemonichb propoRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R. 187
Oggetto di questo trattato di R.. Suono. Ordine. Armenia. Proporzione. Passo
dell' autore. Platone e le proporzioni armoniche. II medesimo e il diverso.
Anco per R. tutto e armonia. I tre regni della natura. L’armonia e ranima
univorsale platonica. II corpo umano e le armoniche proporzioni. La materia.
Gindizio di R. sn questa parte delle dottrine platoniche. Capitolo
Decimosecondo. — Esposizionb del trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI
FILOSOFIOI DI R. Importanza di questo trattato. Meglio che in ogni altro
scritto di R. si fa qui palese la natura del suo ftlosofare. Prove di ci6.
Obiezioni dell’Orto e risposte. L’ordine dell'uniyerso e argomento del
Provvedere di Dio. Questi e la natura. Essa non e per al che una voce generica.
II Case. Si combatte. Gli atomi. Si nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la
eternity. Si confuta V accozzamento fortuito di quelli. Galileo. La creazione.
Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per eliminazione. Obiezione e
risposta. — Galileo e R.. Dio non informa il mondo come anima corpo. V esempio
del sole. Ficino. La fedo. Creazione ex nihilo, Ragioni probabili. Ripete V
autore : fine della creazione il buono. II Vero Bene. I beni del mondo han
ragione di mezzo, di fine no. La esposizionb del trattato DELLA PROVVIDENZA Dei
mall. Necessity di questi nel mondo. I veri mali. La morte non h un male. E
cosl la poverty, la perdita delle ricchezze, le ingiuste persecuzioni ec. I
mali occasione e strumeiito di bene. II dolore. La infelicita. Del done della
ragione. Sua natura. Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prcdestinazione. —
Liberti e fato. Passo dell'Autore su questo punto. Epilogo delle probability
ragionevoli intorno V esistenza di Dio provvidente. Rifugio nella fede.
Esposizionb bblla psioolooia e della morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio
RiOASOLi R. II detto di Socrate e quello di Talete. Fatti intemi: psicologici e
moral!. — Notee te ipeum, ~ Dell* anima in generate. Galileo. fe presunzione
Toler comprendere quel che Tanima sia. Studio proficuo de' suoi strumenti.
Notomia. Proemio di R. alia parte morale. Qui h aristotelico. Riepilogo. La
ragione ed il senso. Loro contrarieta nel riconoscere il bene. Tre sorte di
beni ; dell' anima, della fortuna e del senso. Apprezzamento di essi. La vera
scienza morale e il timore di Dio. L' anima nmana, perche ragionoTole, h capace
del timore di Dio, e, perd, di virtti. — Anche qui R. e mistico. Operazioni
delr anima e della Tolonta. Errore e dubbio. Buono e reo. La felicitd,. tl la
virtti. Il portico. Aristotele. Virtii cardinali. Loro definizioni ed uffici. —
Estremi delle Tirtii. Applicazione delle yirtCi alia societa umana. Fine di
essa. Doveri. Diyisione di essi. — Cicerone. — Sentenza esagerata intorno lo
donne. Ossbbvazioni oeitichb SULLA FiLOsoFiA DI Obazio Rioasoli Ruoellai.
Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del R.. II professor
Palermo ha giudicato Vlmperfetto imperfottamente. Perche. Quesiti da risolvere.
II Rinascimento e le sue qualita. Scetticismo. Tradizionalismo. Bruno.
Campanella. — Galileo e il suo metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari
e TAccademia del Cimento. Metaftsica galileiana. Sommi capi di essa nei
Dialoghi dei Maesimi Siatemi. Cartesio e r osservazione interna. Spinoza e
Malebranche. Bacone. II sensualismo di Loke. Eclettismo di R.. Suo
probabilismo. Si provano riandando la sua filosofta. L’Accademia. Cicerone. La
fede. Differenza tra' iilosofl del Medio Evo e il R.. Questi e il Galileo. Nel
metodo 11 R. apparentemente e moderno. Perche. Intende solo negativamente
Taforisma socratico. Ed e sempre probabilista. Accordi tentati. Gli fa difetto
la speculazione. E per6 riesce eclettico. Breve riscontro di tal fatto nei suoi
Dialoghi su' Principii passivi dell* universe, e nel Timeo, Platone, tl
Cristianesimo e Galileo. — Cartesio. — Teorica della cognizione. Teorica del
volere. Liberty e fato. Il Portico e l’Orto Libero arbitrio e predestinazione.
Psicologia e morale. II R. e Cousin. Aristotile. Platone. Il portico.
Cristianesimo. Divisione delle virtd. Cicerone. AQUINO. La scuola dell’Orto e
R.. Teologia razionale. Platone e il nostro scrittore. I Padri. La Fede. Si
conchiude che nello studio dei tre obietti della filosofia R. e eclettico. La
forma esteriore, - lo stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi di R.
sono un' ultima conferma della nostra Conclusione. ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI
ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI. Ottavk. Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin
cipessa di Toscana SONBTTI Della Gobte e del eigibo di Roma da' DIA.LOGHI
FILOSOFICI. ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. H TimeO. Delle idee Sopra ranima del Mondo
Se V Amore sia Y anima del Mondo 379 Dell' immortality delP anima 435 PbEAMBULO
ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A PsiCO LOGIA ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA
MoBALE. Offizi delta facoltd deUa ragione SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E
INBDITI DI RICASOLI R.. Brose edUe, s CoNTRO I SoFiSTi. Intomo a' Principj
universali della Natura, Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre tomi
del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore. Quest! pure sono stati
pubblicati con una Prefazione del Chiarissimo Prof. Palermo nel volume III del
Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1868, e precedono i
noye della Provvidenza. Della Provvidenza. Dialoghi filosofici, pubblicati
insieme con una Lettera al Cav. Poltri sulla Polonia per cura del Prof.
TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze Nove dei quali Dialoghi, nel medesimo
anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei
Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana.
Firenze. Quattro di questi dialoghi furono pure pubblicati dal Sig. Canonico
Domenico Moreni, coi tipi del Magheri in Firenze nel 1823, e che corrispondono
a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de' Manoscritti {Trattato della Provvidenza). E
quelli stampati dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al Numero 1-9 de' medesimi
manoscritti. Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig.
LuiGi FiACCHi nella bella Collezione degli Opuscoli Scien SPECCHIO DEGLI
SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e Letterarj, e che io ho riprodotto ora per
intiero, perch^ 6 per eleganza di stile e ricc?iezza di concetti moraji
pregevolissimo. DiscoRSO CONTRO IL Freddo Positivo. Lo pubblic6 il Canonico
DoMENico MoRENi insieme con altre cose di R., del Bonaventuri e d' altri, nel
1822 co'tipi del Magheri. Firenze. Questo discorso, avverte Moreni nella
Prefazione, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo Dati dei 6
aprile 1666 a Ottavio Falconieri, manoscritto nella Magliabechiana alia pag. 9
del Codice 183 Class. IX intitolato Notizie dell' Accadeniia della Crusca,
Selva I, fu da lul recitato in un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e
trattenimento del famoso Cardinale Delfino^ che trovavasi allora di passaggio
per Firenze. Eccone di essa I'articolo: Io mi era scordato di dare a V. S.
Illustrissima avviso dell'Accademia. II Sig. Cardinale Delfino arrivo qui
venerdi passato a desinare, e subito disse di voler partire il lunedi, sicchd
poco luogo restava per fare Accademia. Sabato sera essendo bene allindata T
Accademia. si fece Adunanza privata, ma pero nunierosa, dove vennero il Sig.
Cardinale e il Sig. Principe Leopoldo dalla casa li vicina del Sig. Duca
Salviati, dov'era alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r
Accademia assai galantemente. Discorse mirabilmente il Sig. Prior R.,
sostenendo che il freddo fosse privazione di calore. Opposero lo Smarrito e il
Sollecito fortemente, mantenendo il freddo positivo e reale. » Traduzione della
Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. Ad Quintum Fratrem. Trovasi nella
raccolta fatta dal Canonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti
del R., Buonaventuri ed altri; pubblicata co'tipi del Magheri, in Firenze nel
1822. Di questa medesima parte de'Dialoghi filosofici del Rucellai, I'egregio
Parroco Luigi Razzolini pubblico qualche anno indietro V Argomento e qualche
Capitolo, cio^ quello intitolato: Della Morale; Della cognizione delVuomo e
degli strumenti e facolta onde egli e composto; Della facoltd delV anima
razionale, e Degli Officj per la Societd umana, Se non che ora questa raccolta
non trovasi piii vendibile, Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi
esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia Antologia di cose inedite
di R. anche un brano sulla Facoltd delV Anima razionale, quasi considerandolo
come inedito. Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del SiGNOR
Desiderio Montemagni (ossia del Timido. Qiiesta Orazione fu pubblicata da
Ltjigi Fi^cchi nella Collezione degli Opuscoli scientifici e letterarj, L'
autografo della medesima si trova in un manoscritto miscellaneo della
Biblioteca Nazionale di Firenze-, gia appartenuto alia Biblioteca dei Padri
Serviti di Firenze, segnato di N« 1422. CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA,
letta nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno, Fu pubblicata nel Volume I, parte III
delle Prose Florentine, pag. 132 e segg., edizione del 1723. A questa cicalata
fu dal Canonico Lorenzo Panciatichi fatta la Contraccicalata, che il Biscioni
pel primo pubblico con ispiegazioni, a cui precede questo avvertimento : ocNel
pubblico » stravizzo delF Accadeniia della Crusca si faceva una le» zione in
burla, che si chiamava Cicalata ; contra la quale » un altro Accademico,
montato in bugnola, ne faceva una che i» si chiamava Contraccicalata, di cui al
pubblico non c' S se » non questa. » RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall' Ornato
(Conte Ferdinando Del Maestro), delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca
a* di 26 giugno d652, Non ha indicato il Moreni donde la ricavasse per
pubblicarla, come face nelle Prose e rime del Rticellai, del Buonaventuri e
d'altri, Aroomento e descrizioni prehesse dal R. alla Presa d' ArgOf e gli
Amori di Linceo e di Ipermestra, Dramma teatrale di Giovanni Andrea Moniglia,
parte prima. Firenze, stamperia Arcivescovile.Quest’argomento e descrizione di
R. trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche del Moniglia, starapata
dalla tipografia Granducale nel 1689, Firenze; tantoch^ qualcuno, fra'quali il
Sig. Gav. Luigi Passerini, bibliotecario della Nazionale in Firenze, dall'avere
il R. fatte queste descrizioni in prosa, e premesse a quel dramma, dedusse
erroneamente esser lui V autore del dramma stesso. Leggasi la Prefazione a
questi Drammi del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL SiG. Cav. Poltri. — Sta in
appendice ai Dialoghi filosqfici della Prowidenza che di R. ha pubblicati il
Prof. Giuseppe Turrini, tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e segg. Questa
lettera scrisse T Autore da Varsavia b SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI,
allora che trovavasi la in qualita d*ainbasciatore della Corte Toscana presso
Vladislao quarto. Lettehe Fahiliari: a) A Monsignor Giacomo AUoviti, Lettere
cinque, pubblicate dal Canonico Domenico Moreni, sotto il titolo di Saggio di
Lettere d'Orazio R. e di testitnonianze autorevoli in lode e difesa deW
Accademia della Crusca, Firenze, nella stamperia Magheri, 1826. «Di queste
lettere come delle seguenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali, dice il
Moreni . Ai benigni lettori) ritroyansi in Oderzo nella immensa epistolare
raccolta con grande studio e diligenza da pill anni assembrata dal Chiarissimo
Sig. Conte Giulio Bernardino Tomitano, il quale con quella sua solita
cordialita. che in pochi altri e si leale, ad un mio cenno, senza por mente
egli a si grave incarico, cui addossavasi, me ne fece avere di esse una
diligentissima copia, da lui medeslmo fatta, clie in nulla si discosta dal loro
originate. ]> b) A Monsignore Ottavio Falconieri, — ^ una lettera nella quale
combatte gli atomi frigorifici positivi, contro i quali ei fece e lesse pure un
discorso neir Accademia della Crusca. Si trova nella raccolta medesima del
Moreni di sopra menzionata. A Monsignor Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja.
Sono 29 lettere nelle quali R. discorre de*suoi componimenti filosofici a quel
patrizio veneto, che alia sua voita inviava al R. i proprj. Stanno nella
medesima coUezione fatta dal Moreni. d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli
originali di queste 4 lettere sono in uno dei volumi di lettere scritte al
Redi, che con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblioteca
Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid. e) A Sua Altezza il Granduca
Ferdinando II dei MedicL — Gli discorre del disegno, della disposizione ed ordinamento
de* suoi Dialoghi filosoficL Porta la data del maggio 1665, soiitta di villa;
estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla Ghigiana di Roma, dove trovasi in
copia, e pubblicata nel suo Avvertimento al volume terzo dei Manoscritti
Palatini di Firenze, da lui ordinati ed esposti, e dove ha pubblicato pure quei
Dialoghi di R. che ho accennati piu sopra. mPoesie edite. Il Filosofo R. al
Filosofo Magalotti. — Sono trentasei terzine a mo*di lettera pubblicate dal
Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di sopra.
L*autografo io no so dove trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella
Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^ 31-7. VII. sotto il titolo di Poesie
manoscritte di diversi autori del secolo XVII. Al Signor Carlo Guidacci. —
Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto.
Trovansi stampate come sopra, COS! la copia manoscritta, cosi, credo,
Toriginale. Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli
altri, dal Codice Magliabechiano citato, e comincian cosi: ft Corte albergo di
regi, ove si vedo) Con benigne maniere, uniche e sole » Lusinghiera favella
onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente' D'ostro, e d*
oro vestito, e altero il volto La bella verita ch* ove s' apprende. a Che il
reo costume a volo erger si scerna Dunque tema non ha chi di natura: (icRagion
che intenta a' maliziosi modi Quella, che scende dall'Empiree soglio) 11)
((L'eterna Provvidenza il tutto regge» (Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel
cielo » (Pag. 147.) Non potersi comprendere Iddio che con la fede, quani'unque
L’OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. Sono dodici
Sonetti, pubblicati dal signor Fiacchi, nella collezione degli Opuscoli
scientifici e letter ari. Firenze 1816, volume XXI, dalla pagina 68 fino alia
74. Non sono stati estratti dal Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss, di
diversi autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che si trovano tra
quelli editi dal Fiacchi, e quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO DEGLI SCRITTI
EDITI E INEDITI quel Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati:
ma b pill che probabile siano stati tolti dalF original e, che si conserva
presso gli eredi. Questi sonetti incominciano: c Oltre i Gonfin de' miseri raortali
» 2) ft Nella piu cupa eternita si ascose )» dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel
rapia » SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena de'Pazzi. Sonetti, stampati nella
Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi essi non so di certo; credo, al
solito, nella biblioteca privata degli Eredi. Una copia d nella Magliabechiana,
ora Nazionale, nel Codice Manoscritto col titolo di Poesie manoscritte di
diversi autori del secolo XVII. Incominciano. II quarto, pubblicato col quinto,
come s' 6 detto, dal Orescimbeni, incomincia: «c Nel giorno che costei si bella
nacque » II quinto : « Quella che dal mio cor non parte mai » Felice annunzio a
una lettera amorosa. (Vedi Moreni. ibid., a c. 140.) cc Vanne, che serbi i miei
pensieri ascosi » SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI Si detestano gli abusi
del seoolo. Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c. « Vasti flutti solcai di speme
iniida » VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. SonC^to, ibid.
Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta fugace» In risposta a un sonetto
morale del Graziani. Sonetto, ibid., a c. . «Non toglie i pregi al cielo e non
depreda)> La Divina disposizione sempre giovevole, anche talora paia il
OONTRARio. Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna,
incoraprensibil luce i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver recesso » Stimoli di
penitenza destati nella volontA non aiutata da' sensi. Sonetto pubblicato,
ibid, a c. 134. II primo verso e: « Occbi piangete. Mirerovvi ancora » Suo
AMORE DA VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la censura il Dati, e
che fu pubblicato dal Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli scientifici e
letterari, pag. 64. Incomincia: «Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo» Non si
ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra citato, n6 1' ho potuto
trovare altrove. L' autografo poi sari, come degli altri, nella Biblioteca
degli Eredi. Prose inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli R..
Gia sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui pongo il contenuto de*
quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine, e 1 due codici della
Biblioteca Ricasoli) avvertendo subito che le Villeggiature Albana e Tiburtina
non si ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina:
(Copia). — £ un volume in-4o slegato, di pag. 788, senz' indice, e in carattere
minutissimo. Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi intorno
a' principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposizione del Timeo di
Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito quelli della Provvidenza, (16
Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49
Dialogbi. Codice Manoscritto, anch* esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono
nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme
R. in frontespizio. Erano per 1' innanzi di propneta della signora Maria
Settimanni, moglie del signor marcbese Dante Catellini Da Oastiglione, e da
essa gli acquisto poi il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26maggio
1815. Questi Dialogbi sono dedicati al signor marcbese Cosimo Da Castiglione.
Questo codice contiene i Dialogbi su i principii naturali deir universe (16)
come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della Provvidenza (16), indi il Timeo
(15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia
indicazione e numerazipne dei Volumi. 1» Codice Manoscritto della Biblioteca
Ricasoli Firidolfi. — Son dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di
scrittura antica ma corretta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi
sulle opinioni dei filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell'
universe (16), poi la Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo, (15 dialogbi)
Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeggiatura Albana, (2 dialogbi e
il Proemio) ossia ai Dialogbi deir Anirna, della Notomia, e per ultimo, alia
Villeggiatura Tiburtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due Argoraenti
e due Dialogbi). Questo Codice fu rivisto e corretto da Anton Maria Salvini.
Codice Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi come I'autografo,
percb^ corretto di mano dell' Autore. Son 14 volumi in-4o, legati essi pure in
pelle, e scritti sufficientemente bene. Qui I'ordine ^ alquanto diverse;
imperoccb6 i Dialogbi della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e
9, ciofe dope quelli della Filosofia naturale antica, (Dialogbi) e il Tin? eo
(15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume senza Dumero col titolo di Musiche
proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe SPECCHIO DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI
evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due Yilleggiature, Albana
(Proemio e 2 Dialoghi) e Tiburtina come nel Codice antecedenteraente descritto.
(Proem., 2 argomenti e 2 dialoghi). Per piii ample notizie veggasi il mio
capitolo intitolato Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio
Ricasoli R., PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. — Libello del Stg. PHoT
Orazio R..Una copia di questo scritto inedito fu da me ritrovato in una Filza
Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete
nissuno fin qui avea fatto parola, forse perchfe sconosciuto, oltre V essere
inedito. Credo r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice.
DiscoRSO SULLA FoRTUNA. Lo lesse R. in una Adunanza tenuta dall' Accademia
della Crusca ai 20 febbraio 1654, in onore del Principe Gio. Adolfo, fratello
del re Gustavo di Svezia, come risulta dal Diario del Buonmattei. £ inedito
presso gli eredi, e penso che sia quelle incorporate tra' Dialoghi filosofici
nella Villeggiatura tiburtina, dove discorre della Filosofia Morale. Le lodi di
San Zanobi, Vescovo, protettore dell' Accademia DELLA Crusca. Discorso recitato
dal R. in un' Adunanza solenne che detta Accademia celebro in onore di quel
santo, nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come ricavasi a pag. 89 e segg.
del Diario di Benedetto Buonmattei allora segretario. £ inedito presso gli
eredi, ma da me non potuto leggere. Invettiva contro il collega Tommaso Segni.
— Anco questa e inedita presso gli Eredi ; ne ho potuto consultarla, e
solamente ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa menzione
il Moreni, a pag. XVI della sua Prefazione alle Prose e poesie di R.,
Buonaventuri ed altri. CiCALATA per LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di
essasitrova nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158, ed un' altra nella
MagUabechiana Codice Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con altra del figlio
Luigi Ricasoli R.. Trovasi pure nella Palatina* m Scherzo in lode dell*
Uccello. — Lo cita il signor LuiGi PasseRiNi nella sua Genealogia e Storia
della Famiglia Ricasoli. Firenze, Tip. Cellini, 1861, dove discorre di Orazio
R., a pag. 86, e che dice pubblicato a Firenze nella Raccolta delle Prose
fiorentine, parte III, volume I, pag. 124, Anno 1722. Ma io non V ho rinvenuto,
e percio ritengo come inedito anche esso nella Biblioteca degli Eredi.
ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR OrAZIO RiCASOLI R., nella stia
Ambasceria di Corte Cesarea e di PoIonia dal principio di gennaio al giugno
1635. — Questa raccolta con le lettere del suddetto R., e delle quali ne
pubblico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Archivio degli
Eredi; e pero non potute esaminare da me. Lettere Familiari — Sette di queste
indirizzate al suo Serenissimo Principe trovai in una cassetta nella Biblioteca
Palatina, che a^eva per titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta, c
furon levate, come molte di altri uomini illustri, dair Archivio centrale di
State, nella occasione della Gran Raccolta de'roanoscritti Galileiani e degli
Accademici del Gimento. Altre tre Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio
universale mediceo, Filza 1013, Anni 1631-1641, dirette al Granduca Ferdinando
II dal R., di Roma, negU anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita di Orazio R.
rinvenni nella Filza Medicea, dal 1640 al 1650, pacco 2°, datata da Roma li 24
luglio 1649, e colla quale ei domanda al Granduca nuove dilazioni per la
Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias 5488). Poesie medite.
L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che era il signor Prior Orazio R., dopo
aver cenato alio stravizzo fatto dalla medesima Accademia, presenta un
meraoriale ai Provveditori della Gena, chiedendoli il solito tribute del Cacio.
Sotto questo titolo dice il signor Passerini che si trovano pubblicate nelle
Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana,
nel solito Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI
347, e comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare
stainpate, e per do le ho poste qui tra le inedite. Alla Serenissima Margherita
d* Orleans, Principessa di ToscaNA. Per un maizolino di fiori donatole il
giortio di Santa Margherita, dal Stgiwor Prior Orazio R.. Sono in copia quattro
Ottave che si trovano nel solito codice magliabechiano sotto il titolo di
Poesie manoscritte di diversi. In morte oella donna amata. Un Sonetto inedito
che trovasi con altri editi nel medesimo Codice Magliabechiano YII, 347. Poesie
di diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia : « Quello che sola ai
miei pansier risponde » Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c. 213. « Non di
vostra beltk caduca e frale > Sentimenti amorosi secondo il concetto
Platonico che Dio creasse le anime particolari degli uomini, degli avanzi
dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, Con eteme faville il sommo Sole »
Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI OCCHI DELLA sua DONNA. Vedi ibid., a
c. 212. Incomincia questo Sonetto: « Orabra il sonno d di morte, i sensi
atterra » Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti inediti, ibid., che fan corpo
cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi. Corainciano : ((Come aguzza il gran
fabbro, e con qual lima)) Se alla ministra del Motor Sovrano )) Nasca talun
senza mirar la luce Desiderio dell'anima d*unirsi a Dio, Sonetto, ibid., a c.
218. Comincia : « Padre del ciel che le bell* alme accogli t> Nel Codice
Manoscritto Magliahechiano poi, sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli VIII.
Var. 363, si trovano scherzi immorali del RuCELLA.1. Come pure neiraitro Codice
superiormente citato se ne trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro
Imperfetto. Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi di R. trovansi ricopiati
pure in altri Codici manoscritti come p. es. nel Libro Valerii Chimentelli De
FunamhulOy II, 50, e nel Codice Magliabechiano. Firmamento dei cieli, e
firnianionto del pensiero. — Armonie loro. Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo
decimosottimo. — Quegli e specchio delle condizioni di qaosto in Firenze. — E
pero si spiega r ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. —
Dirisione generale di questo libro. — Sao fine e importanza. Come accade nel
firmamento dei cieli, cosi, o lettore benevolo, mi sembra accadere nel
firmamento del pensiero o deU'anima umana; e I'armonia che tu scorgi regnare
nelF ordinata misura de' corpi celesti non dissomiglia punto da quest' altra
armonia che le idee, o le stelle dell' anima, compongono tra se nel loro
ordinamento stupendo. Ond' ^ che in quella guisa medesima che anco un astro il
piii piccolo, 1' occhio deir osservatore de' cieK scopre ed afferma talora
necessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non altrimenti nella storia
del pensiero umano sovente uno scrittore, un filosofo, pur de' non grandi, lo
ritroviamo, studiandolo, quasi anello logico, se non necessario, tra due etd. e
du§ scuole che si succedono, tra' filosofi maggiori di quell' et^ stessa. Cosi,
per esempio, in un tempo di confiitti di dottrine con dottrine, di liberty, e
di servitu, di ragione e di autorita, se vi ^ un uomo il quale specchi in se
nella loro schiettezza i pensieri e le disposizioni diverse della societa
civile in mezzo alia quale egli trovasi; se quest' uomo dia la immagine vera di
que' contrast! che ingegni piii chiari e piii valorosi di lui allora
combattono; quest' uomo, anco de' non grandi, acquistera senza dubbio per tal
fatto importanza non lieve nella storia del pensierq e della civilt^, perch^
appunto ei potra nella Storia rappresentare veramente il suo tempo ; egli, se
vogliamo conservare il paragone, sara un anello logico di quel sistema di astri
intellettuali che compongono Y armonia spirituale dell' universo. Potrei,
volendo, recar qui per la mia asserzione testimonianze storiche a dovizia; ma
non lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che notissime cose, e cadrei
nel superfluo. Orazio Ricasoli R., del quale imprendo a discorrere, non ^,
giova dichiararlo tin d' ora, un gigante tra' pensatori, e neppur grande ; egli
6 un astro minora, e nulla pitl ; invano tenteresti ritrovare in lui una gran
forza speculativa e una potenza straordinaria d' ingegno. Forse egli era nato
uomo di alti spiriti ; ma infetto anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata
la filoSofia e le lettere nel secolo decimosettimo, se non imbolsi affatto, pur
n'ebbe il suo ingegno a sofifrire; poichd, come scrive il Guasti nel suo
Lorenzo Panciatichij era il pensiero a' filosofi, come 1' estro a' poeti
tarpato. E appunto, credo, perchd R. ci apparisce cosl e nella filosofia e
nelle lettere; appunto perch^ respird que'miasmi, e le inclinazioni diverse del
suo tempo sperimentd in sd stesso, e manifestd ne'suoi scritti ; io son d'
avviso ch' egli acquisti per noi pitl importanza come quello che valga a
rappresentarci fedelmente quel secolo nel quale fiori, e riproduca le
condizioni reali del pensiero filosofico e del civile consorzio in mezzo al
quale viveva. E se questo d vero, come in progresso dimostrero, la cagione e
ragione della stima e ammirazione grandissima de' suoi contemporanei, che lo
ritenner quasi come un mezz' oracolo, ^ spiegata e almeno in parte
giustificata. Come Orazio R., cosi quel valenti eruditi contemporanei sentivaao
dentro di se ripercosse le molteplici disposizioni del tempo, e tutta la
violenza delle correnti contrarie che urtavano per trascinare ciascuna seco la
navicella delle lor menti. R., che ^ alia testa di loro, vuol dominare la furia
de' corsi, e in parte riesce ; ma poi quasi inconsapevolmente ei segue cogli
altri or questa or quella fiumana; egli e come un prisma sulle cui faccie
riflettonsi i colori molteplici dell' iride filosofica di quelr et^. Egli e
insomma il rappresentante del suo tempo in Firenze, perch^ raccoglie in s^
stesso tutte le opinioni opposte che v' erano allora e tenta conciliarle; e,
altresi, perche questa conciliazione ha pitl delr accademico che dell'
intimamente speculativo ; speculazione che, salvo le scienze naturali, era
molto fiacca a quei tempi nella sua patria. Dimostrato questo, apparir^ anco
pitl quella importanza che a me sembra avere questo libro, come quello che avr^
mirato ad aggiungere un po' di luce alia storia del pensiero di quel secolo; a
presentare un trapasso anco pitl intimo tra due et^ che si succedono. E per
arrivarvi, nulla di meglio che gettare uno sguardo al viver civile del secolo
decimosettimo, esaminarne attentamente le condizioni politiche e morali,
vederne lo stato delle lettere e delle scienze; poich^ tutti insieme questi
risultamenti dell' attivit^ umana, e non tra di loro sconnessi o separati,
valgono a rappresentarcela. Noi considereremo quindi R. in quello stato de'
tempi suoi, e vedremo come la sua vita vi si svolga, e nelle varie
manifestazioni a quelli esattamente risponda. E man mano che la critica seguir^
la esposizione delle sue opere filosofiche e letterarie, delle quali stimo
opportuno ofifrire come appendice e documento al libro una Antologia^ avremo
occasione di veder cose singolari e di non lieve importanza. Con questo mezzo
io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia
della filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto sufficiente menzione fin qui ; e
saro lieto del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a stringer viepitl i
legami del pensiero fra due epoche della filosofia, e di avere additato come
unione tra esse un mio illustre concittadino. Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^
un ingegno straordinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo.
D'altra parte le menti straordinarie, appunto perche tali, volano sempre
innanzi al lor secolo, superano coi loro intendimenti le condizioni
de'contemporanei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori,
fiorente R., non rappresenta quel secolo, perche ancora dominava 1'
inquisizione, e le antiche scuole e le dispute del Peripato fiaccavano Tali
agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta futura, le future
generazioni, quando la liberta del pensiero avr^ rotto i vincoli della
servitii, e I'astrologia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran dato luogo al
libero esame della ragione. L' uomo che pure non sordo alle sublimi dottrine
del Vecchio d' Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse, dara nuUadimeno ancora
una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando, secondo 1'
errore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra loro la fede e la
ragione, sara pronto per la fede di far getto della ragione sua, piuttostochd
investigarne con libero esame 1' accordo, questi, non grande ingegno, sar^ del
suo tempo la immagine. E Orazio R. ^ senza dubbio quest' uomo. Scrittori flel
R.. II marchese Carlo Rinnccini. Aoton Maria Salvini. II canonico Pomenico
Moreni. II Tiraboschi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e il
Centofanti. — Necessita di ritesser la vita del Rucollai per il proposito
nostro. Difficolta pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del secolo
decimosettimo. fe un secolo di eontrasti politici e morali. Contrasti nelle
arti, nelle lettere, nella filosofia. Che han scritto di R. sono varj,
contemporanei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la vita deir
uomo ne scrissero o lodi, o cenni necrologici, o per la scienza ne toccarono di
sfuggita. II marchese Carlo Rinuccini, accademico della Crusca sotto il nome di
lAetOy disse le lodi di R. nelr Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta
nella sala terrena del palazzo del duca Strozzi, a'di 11 settembre 1698, e ce
lo riferisce il Diario stesso delFAccademia, ove leggesi : Quest' elogio perd
non e a noi pervenuto, ossivvero sar^, come tant'altre cose di importanza
maggiore, sepolto in qualche libreria privata de'nostri Signori fiorentini. L'
Orazione in morte del Eucellai scritta da Anton Maria Salvini, non d che una
bella sequela di lodi delI'uomo e dell'opere sue, un rimpianto solenne per la
perdita dell' illustre Accademico contemporaneo, che lo scrittore jpropone ad
esempio imitabile di virtii e di dottrina. H canonico Moreni ha discorso
dell'Imperfetto nelle prefazioni a quella parte di scritti che ha pubblicati di
lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano a darci un' idea dell' uomo, non
valgono a mostrarcelo, come vorremmo, in relazione a'suoi tempi, e molto meno
ci chiariscono del come e del quanto quei tempi potessero sulla vita e sulle
dottrine di esso. Cosi il Tiraboschi nel volume ottavo della sua Storia delta
Letteratura ItcHiana, cosi il Passerini nella 6renealogia della famiglia
Ricasoli, e il prof. Turrini nella sua Prefazione ai JDidoghi Filosofici di R.
sulla Provvidenza, han dato di lui alcuni cenni brevissimi a mo' di biogralia,
per guisa che anco in essi 1' attinenze dei tempi colla vita e coU'opere
letterarie e scientifiche del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade di
rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti han toccato del
platonismo di questo seguace ed amico del Galileo, ma Than fatto di volo,
encomiandone la purezza del dettato e la ricchezza feconda dell' idioma
sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per
1' intendimento loro, questi cenni o que' tratti bastano all' uopo, n^ pud da'
lettori ricercarsi di piii. Ma 'per il fine che mi sono prefisso, apparisce
altresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere piil completamente la
vita di lui, per quanto mi d oggi concesso. Dico cosi, imperocche molti documenti
preziosi, che potrebbero assai illuminare questa storia e la mente del critico
non mi ^ stato eoncesso di esaminare. Non parlo qui de'Dialoghi Filosofid,
de'quaU I'erede signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una delle
quali, in quattordici tomi manoscritti, ^ come autografo, perch^ corretta di
mano del RuceUai; che questi Dialoghi anzi mi consent! (e glie ne rendo
pubbliche grazie) di esaminare minutamente per confrontarli coUe copie che sono
nella Biblioteca Nazionale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad altri
documenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori
che si trovano altrove sventuratamente, e che tanto lume avrebbero potuto
recare al soggetto. Non pertanto cercheremo nel tessere questa biogralia del
RuceUai di riempire, quanto e piii possibile, il vuoto che la mancanza di
documenti lascia, con indagini indirette, e col raziocinio; e quelle che
abbiamo tra mano bastera, credo, all' intento. Ma prima di seguire il nostro
scrittore nella via della 8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio in cui
egli fiorisce, e ricordiamone intanto i caratteri e le quaUt^ pill generali,
ch6 le particolari noteremo via via procedendo. I ricordi del passato quando
non si restringono a una cronaca arida e secca acquistano un pregio
indipendente daU' importanza degli avvenimenti che ci rammemorano. Come il piil
piccolo vaso e r utensile piii umile coperto dalla ruggine del tempo diventano
ne' nostri musei 1' oggetto prezioso di una grande curiosity ; cosi f atti pur
semplici, ritrovati nella distanza dei secoli col loro carattere reale e
native, acquistano un pregio singolare, e anche un certo attraimento per colui
che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che nelle sue
ricerche e letture ha per canone e guida la massima morale di non ritenere per
indifferente nulla di cid che 6 umano. Che ^ mai pertanto il secolo
decimosettimo? Si dice generahnente che esso appartiene all' et^ moderna; che
la servitil del Medioevo e scomparsa; che la imitazione del Rinascimento ^
tramontata : Bacone, Cartesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed
hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero, ma solamente in parte ;
imperocche essi, sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo del pensiero nubi
ancor dense, e questo non fanno ne posson fare in un attimo, sibbene
gradatamente. Le inveterate abitudini, le antiche affezioni, le tendenze ormai
radicate non si cancellano, non si mutauo a un tratto; ci vuole la esperienza
longanime, si richiede un conllitto inevitabile tra il vecchio ed il nuovo, che
trovansi Y uno dinanzi aU' altro. Ed ecco il perche, non altrimenti che nella
natura accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e dell'azione e sempre
vauo cercare quelle divisioni recise che si trpvano nelle matematiche. Si
direbbe che la storia del pensiero e un sorite, in cui ogni conclusione
posteriore ritiene a suo termine medio e necessario la conseguenza dell'
argomento immediatamente anteriore. Ed infatti il secolo decimosettimo, a chi
ben lo riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciascheduna delle
molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio un secolo di contrasti. L' Italia
(ch6 io parlo dell'Italia principalmente) scissa in molte parti, e pero debole;
deboU adimque ordinariamente anco gli animi, o forti di fortezza apparente e
non propria: essa, T Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a guerre tra'
grandi prepotenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra di pascoli eletti.
Principi italiani, mentre la madre comuue era in servitii, non pure non amare
di unirsi in lega tra lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni e
veleni per mania di possedimento. Amore di guerra, gelosia di acquistare
territoriuzzi italiani a danno di principe italiano compagno; non generosity,
non altezza d' animo, non dolce superbia di procurare od almeno di preparare
all' Italia quell' onorata condizione che al suo glorioso nome si conviene,
regnavano in quei tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi le
successioni de' principi hanno luogo rapidissime, e cosi ad ogni istante
I'ltalia ci presenta un aspetto nuovo, mentre si trova costretta a sottostare a
idee nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In meno di'settant' anni
tra duchi, dogi, papi ella ne vede sorgere e sparire novanta, e insieme ad essi
vede sparire e risorgere contrasti a dismisura; e se per un momento arride U
sereno della pace, gli ^ per rendere agli occhi degli uomini piil fosco il
tempo di gara che ne succede. II gran politico e gran raggiratore del
decimoterzo Luigi favoreggia intanto il duca di Nevers 6 lo vuole ad ogni costo
porre in possesso di un' eredita, la quale assicura alia Francia il punto piil
considerevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna ed anche Carlo Emanuele
gli muovono contro, e la terra di Mantova e posta a sacco dagli Spagnoli.
Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e il Monferrato rimangono al duca di
Nevers; Alba, Torino e alcune altre terre alia Savoja, la quale alia sua volta
^ costretta a cedere Pinerolo. Ma Richelieu non h sodisfatto; egli vuole
stremata la potenza d' Austria e di Spagna, in Italia precipuamente ; e contro
la Germania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, confisca la Lorena, e,
collegati essendo la Francia, la Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice
guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi predilessero sempre la
pace, trovossi pure travolta nella comune ruina; e se i primi anni di regno
scorsero a Ferdinand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della
fame, non mancarono poi a turbarlo gli orrori, non gravi meno, della guerra
contro i Francesi prima, poi contro Urbano VIII, che pari al Cardinale di
Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire i Barberini suoi nipoti,
vuol togliere ad Odoardo Farnese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di
Castro e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi legalmente la faccenda, il
cardinale Barberini assalta il feudo di Castro, e se ne impadronisce. Sdegnato
il Farnese, passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del Papa, e
sparge dovunque spavento e terrore. Ferdinando II, riuscitagli vana una
conciliazione, trascinato dalle insolenze de' Barberini e dalle controversie
onde tormentavalo la corte di Roma, si mette in punto di guerra, e per f arsi
sicuro all' interno, esilia quanti religiosi ed ecclesiastici vi sono nativi
delle Romagne, e col cognato sconfigge le armi del Papa, il quale cede alia
forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato. E cosi di questo passo
per tutto il secolo e per tutta la Italia andarono le cose; e i popoli si vendevano,
e si lasciavano vendere quantunque se ne dolessero, mentre e dissensi e
contrasti e debolezze e frodi e vilt^ costituivano allora la totality di quel
fantasma volubile che si chiama anc'oggi politica. E di tal fatta, e non
altrimenti, le condizioni morali. Che, pur restringendoci alia Toscana, noi
vediamo i suoi principi altalenare tra il bene ed il male continovamente. Or
ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati, or aUe cortigiane; e Ferdinando 11,
uomo prudente, ma non sempre coraggioso, cade nella pusillanimity. E mentre
dianzi ti si mostra superiore alle minaccie del governo di Roma, vedi poi che
lascia, durante il suo regno, radicare negli ecclesiastici arbitrario esercizio
di giurisdizione politica, pel quale vanno in breve vieppiii sperdute le
antiche consuetudini deUa repubblica, e le ordinanze del duca Cosimo, e per
timore dell' Inquisizione abbandonare il disegno di erigere un monumento a
Galileo. E nel medesimo tempo (come vedrem--o poi pill particolarmente) ama e
protegge gli studi, coltivandoli, e in essi trova conforto o distrazione agli
affanni politici e famigliari; e a chi gli dimostra come, facendo egli
ammaestrare il popolo, sarebbero venuti a mancare artigiani e servitori,
risponde compiacersi assai piii d' esser principe d' uomini che di bestie. Che
se dalle Corti si viene a' nobili e si scende al popolo, noi assistiamo a'
contrasti medesimi, alle medesime scene di discordie, di debolezze, d'
immorality. Ogni privilegio ^ pe' nobili, oppressione 6 pel popolo; inani per i
primi le leggi, eccessivamente rigorose al secondo*; impedito il popolo di
portar armi, padrone di cingeme quando e quant' e' vuole il signore e di
accerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi d'insolentir sopra i deboli. Indi le
vendette, i tradimenti, e quella riazione sanguinosa dell'oppresso contro
I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza grandensea, passionata
senza generosita, dove niuna esaltazione, ma ragionamento e calcolo e frode e
intrighi indecorosi predominano. E pjsrfino nel vestire servility e contrasto
di gusti si fanno palesi. Sono state tante (dice il Rinuccini ne'suoi Bicordi
Storicl) le vanita del vestire che in questo secolo sono seguite, che si rende
impossibile di poterle non solamente narrar tutte, ma anco la maggior parte di
esse: tuttavia non lascia egli di notarne qualcuna, prima degli uoraini, poi
delle donne ; dopo di che in generale ha detto, che E quest' eclettismo
esteriore era non altro se non un riflesso dell' interno eclettismo e contrasto
di quelle menti e di quelle volonta, sicch6 i medesimi uomini, come, per
esempio, R. nostro co' suoi amici, avresti veduti a un' ora portare impettiti e
gravi il vestito ricamato di seta nera e con frange e con nastri rasati, ad un'
altr' ora coraparire al pubblico in farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a
meno che accadesse quella volubility e imitazione servile delle mode di
Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti quegli animi del pensare francese.
Imperocch^ le guerre, la letteratura e le dispute clericali di quella nazione
occupavano gi^ gl' intelletti italiani; e il nostro paese che, come nota il
Guasti, aveva mandate Leonardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti e le
lettere, tornava a scuola dai discepoli, tutto trovando ne' Francesi grande, a
cominciare dal re. II quale, per mantenere il credito, spargeva anche in
Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon rifiutava, e il Dati e il
Viviani soUecitavano. Scritti varj di LORENZO Panciatichi. Se entriamo nel
sacrario delle arti, delle lettere e delle scienze, noi vediamo riflesse le
condizioni medesime di contrasto, e di fare spensierato, che le politiche e le
morali condizioni ci offriroiio. Alcuni artisti si buttavano all' esagerato, al
teatrale, sostituendo al vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti
violenti anco negli affetti pacati, panni svolazzanti anco in sale chiuse,
riputando triviality la naturalezza; sicch^ i michelagnoleschi fanno Veneri cLe
sembran Ercoli, e si presta culto alia me'diocrit^, si segue il traviamento. E
Lodovico Caracci che tenta in Bologna coUo studio di veri capiscuola, opporsi
a' degeneri imitatori, riesce a fondare una scuola che ha per carattere r
eclettismo, stimando arte suprema accordare non solo ma fondere quanto i grandi
artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i suoi cugini sepper mai all' eclettismo
aggiungere il pensiero ispiratore, preferendo, come dice lo stesso Cantil
(Storia Universale, vol. XVII, pag. 816), di avvicinarsi ai fenomeni della
natura e supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori di loro scuola
fecero riazione contro questa infelic^ idea. II cavaliere d'Arpino proclama
I'idealismo, ma condannando i marinisti materiali della pittura, diventa egli
il Marini della pittura stessa per la ricerca affettata dell'ideale. A Guide
Reni che vagheggia il soave, si contrappone il Guercino che si d^ a' gagliardi
contrasti di luce e d'ombra: alia facility del Berrettini la creazione fiera
del Rosa. Matteo Roselli contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto,
corretto, il secondo smorfioso alquanto, e coloritore con non abbastanza
armonia. Cosi nella scultura e neir architettura, le quali pure ci presentano
piil cadute spensierate che creazioni e voli generosi, contrasti, esagerazioni
; e 1' alito dell' affetto che spira ne' rozzi tentativi del trecento, non
ritrovi in esse ora piiH ; n^ vecchio viiol trovare un accordo, un legame,
un'armonia. Intendimento quant' altro mai salutare e generoso, ma che appunto
per esser concepito da menti ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o
contraffatto, e piucch^ il nuovo farlo sgorgare naturalmente dall' antico, e
ajutarne, quasi a mo' di levatrice, il parto desiderate, trascurano inesperti e
loro malgrado il primo per il secondo, o il secondo pel primo. E un eclettismo
quello che esce dalle mani di questi uomini; 6 la figura mostruosa che Orazio
ci dipinge nel principio della sua Arte Poetica. Or bene, in quel secolo
abbiamo da un lato Platone ed il neoplatonismo, dall' altro Aristotele e 1'
ipse dixit de' suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui il Cartesio, li
Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la
tirannica pretensione del tutto imporre e far accoglier per fede; da una parte
la liberty,, spesso sconfinata, del Bruno e del Campanella, dall' altra parte
1' inquisizione pronta a tai'pare le ali, se vogliam temerarie, di quegli
ardimentosi sfidatori del cielo. In una parola noi siamo sempre con un piede
nel Medioevo, con 1' altro nella Riforma. Ella 6 questa che si combatte una
vera guerra da giganti, nella quale le intelligenze di coloro che non son
ingegni potenti, si debbono trovare in baUa di impulsi diversi, che, come
dissi, se ne disputano ad ogni istante il dominio. A larghissimi tratti noi
abbiam vedute come in ispecchio le condizioni politiche, morali e intellettuali
di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro preHininare noi reputassimo
di non potere arrivare a conoscere determinatamente 1' uomo di cui teniamo
discorso, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La vita di ogni
individuo ^ un problema, per risolvere il quale condizione necessaria si 6 di
saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la civUtlt d' un
secolo viene sempre essenzialmente espressa dal tutto insieme delle opinioni,
preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a
ciascuno degli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 insomnia lo
specchio della vita interna dell' individuo in mezzo agli uomini del suo tempo.
Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie
Ricasoli e Racellai. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie
dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Medici. Perch^ Orazio piacchd
Ricasoli appellino gli scrittori col nome materno de* Racellai. — Qaesti e le
dottrine platoniche. L' accademia istituita da Gosimo e Ficino. Intendimenti di
questo. Saoi scritti. Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. Si
nominano. Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere, pregi di esse. — Fa parte
deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei
sacrifizii, e non nega che le anime umane vengan giu da una certa parte del
cielo, e vi risalgano, e agli angeli assegna un tenuissimo corpo; dottrine
tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci
possono spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia istituita dal nostro Marsilio
piii che Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per un certo neoplatonismo
che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo
alessandrino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come da una certa
mistura di dottrine e di forme aristoteliche; essendo in questo aspetto
neoplatonici e fondatori e continuatori di essa. I quali furono in grandissimo
numero, contemporanei ed amici del Ficino, come egli, distinguendoli in tre
classi, scrive a Martino Uranio, e li nomina tutti. Fra i primi che meritano
speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti, che
Marsilio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il di lui Acate, il
quale per tutta la vita fu il confidente de'suoi pensieri piU riposti, e il
confortatore delle sue amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di
Ercole, che egli consultava in tutte le difficoM filologiche, che fii tra' suoi
piil caldi ammiratori, e con sommo conforto lo vide poi in eta matura piil
propenso alia filosofia platonica: Giorgio Antonio Vespucci, Francesco
Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti, tra cui Giovanni Canacci,
Bindaccio Ricasoli, e Bernardo R., i quali ultimi tre andavano ogni giomo a
tenergli compagnia quando desinava, e con essi conversava, ora scherzando
piacevolmente, ora trattando gravi argomenti di filosofia. Bernardo, antenato
illustre di Orazio R., era uomo di sublime e grave ingegno, a niuno secondo per
civile prudenza, casto nel parlare, aflFezionato a' costumi antichi, e nulla
non v' era in lui che non fosse veramente patrizio o senatorio. La sua vita
politica ci dimostra com' egli sostenne sempre le cariche piU rilevanti,
ambascerie importantissime, e sebbene stretto per sangue alia famiglia Medicea,
non fu tra i suoi amici, e seppe ad essa mostrarsi spesse fiate contrario. Egli
fu chiarissimo letterato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua del
Lazio seppero mantenere in onore grande, come ce ne attesta la sua Orazione: De
auxilio Typhernatibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello
Pisano ; il De Bello Italico, in cui si descrive la storia della venuta di
Carlo VIll in Italia, e il Bellum Mediolanense, e sovrattutti il suo De Urbe
Boma che voile dedicate al suo figlio Palla, nel qual libro, illustrando Sesto
Rufo e Public Vittore, raccolse quanto si trova negli antichi scrittori intorno
alle antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a dare una idea di quella regina
delle nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.) Lo stile di R. e piano ed
elegante, ed Erasmo da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi Apoftegmi, ebbe a
dire che niuno meglio di lui »' era mai avvicinato a Sallustio. Fattosi strada
coUa sua dottrina, Bernardo fu dunque chiamato a coinporre la schiera eletta
delFAccademia ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fiorentino
risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il
Magnifico nel 1492, il quale, come abbiamo notato, avea ampliato e protetto
sempre V Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i banchetti solenni co'quali
Platone era solito di celebrare il suo di natalizio ; i componenti di essa
poterono ancora per due anni, ospitati e protetti dal cardinale Giovanni e da
Piero de' Medici, far le loro adunanze in quel portico novello di Atene, quale
era divenuta la Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggerimenti e per
esempio di Lorenzo, scrittore e poeta Italiano gentile, e dello stesso
Marsilio, il quale dettava un elogio italiano dell' Alighieri, e traduceva il
libro De Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle disputazioni
filosofiche. Per.la qual cosa ebbe grande vantaggio*la nostra lingua; che tutti
i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante e del
Boccaccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della dolcezza fu
indubbiamente il Poliziano. Se non che nel 1494 cacciati, per la debolezza
vergognosa di Piero figlio di Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e posti
dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se voile continuare i suoi studi
diletti, fu costretto ad abbandonare Firenze e la villa, e ricovrarsi nella
rustica solitudine del suo Montevecchio. E quei sapienti che gli facevan corona
dovetter lasciare il noto asilo, il luogo memorando de'loro divini convegni! Ma
la grand' anima del Ficino spird sempre nel petto di quegli amici e discepoli
le sublimi dottrine e le belle virtil ; e Bernardo R. diede ad essi cortese
ospitaUt^ nella sua casa in Firenze, e poi nel suo giardino, sul principio del
secolo decimosesto, donde 1' Accademia platonica prese nome d' Accademia degli
Orti Oricellarj. Quivi convennero principal! Niccolo Machiavelli, Luigi di
Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio
Brucioli, Giovanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Giovanni Canacci,
i due Francesco da Diacceto, I'uno detto il Nero, Y altro il Faona^zo dal color
delle vesti, Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e Niccold Martelli,
Giovanni Cavalcanti e il Martini, i quali due ultimi il Ficino chiamd nel 1499
esecutoridel suo testamento; e per tacere di molti altri, i figli di Bernardo
R.. In questo giardino veramente platonico si addita ancora il luogo, dove quei
dotti uomini si radunavano, e dove sur un cartello di porfido sta scritto: Ave
Hospes. Quelle volte e quei viali risuonarono di voci sapienti, e il Diacceto
vi leggeva i suoi Libri sul Bello, il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima
Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T Alamanni il Trattato
della Coltivazione. L' amore delle dottrine Platoniche divenne fin d'allora
viepiii tradizionale nella famiglia de' R., che lo serbarono sempre come una
gloria superba, quasi depositarii di preziosa reliquia, ereditata con tante
altre grandezze da tempi pill fortunati e migliori. E dopo due anni il ritorno
de' Medici in Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi figliuoli Giovanni,
Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino, non furono men gloriosi ed ardenti seguaci
delle vestigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il Poliziano e Pico
della Mirandola, ormai spenti, doverono a questi esser modelli sublimi,
immortali, sovrattutto Bernardo. Leone X e il Machiavelli furono condiscepoli
di Giovanni, il Diacceto maestro a lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe
anch'esso anima platonica, come conservaronla tale Palla e il nipote. E li pure
all' ombra di quegli Orti, in quell' atmosfera piena di vita e di scienza, die
mano Giovanni al suo poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a
tale che vi ha chi scrisse sembrare che le api stesse, ronzando d'intorno al
poeta per libare il succo dei fieri, se gli posassero talvolta sulla penna,
infondendovi quella dolcezza che tanta spirano i versi suoi. L'Accademia degli
Orti col sacrofuocodella scienza e delle lettere nutriva ancora e conserva va
quelle non meno sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegnamenti
del Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* divine speculazioni platoniche
non poterono rimanersene privi di frutto. L'oppressore cardinale Giulio dei
Medici pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ardente gioventii
fiorentina, la quale correva volentieri ad udirli. Fu allora che la quieta
stanza di Sofia videsi trasformata in sede di una congiura a danno del despota,
alia quale presero parte moltissimi, tra cui i due Alamanni, il Buondelmonti,
il Diacceto. Sventuratamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la grand'
anima sua per mano del carnefice, e molti altri niigravano in esilio forzato,
I'Accademia Platonica fii sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522)
proseguire le sue adunanze in quegli orti di sapienza e di pace. De'R.,
quantunque amici di liberty, pur legati strettamente alia famiglia de' Medici
in parentela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che
anzi noi conosciamo la sorte di Palla, quando nel 1527, unico superstite
de'figli di Bernardo, mostratosi dalla parte dei Medici, allorchd furono
ricacciati dalla citt^, videsi invaso il palazzo, guaste e ftirate le
suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla bensi, che, ristaurata la
potenza medicea, veduto il nuovo Duca della Repubblica andare a poco a poco
erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione accordatagli, si
oppose unico poi nel 1537 all'elezione del nuovo despota, morto Alessandro, e
dichiard doversi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ; che Cosimo de'
Medici fu proclamato il Secondo Duca. II giardino stette in propriety de'R.
fino al 1573; dopo il qual tempo passd venduto, per mena certamente de' Medici,
per sei mila ducati a Bianca Cappello, che di luogo consacrato alle sovrane
armonie della scienza platonica, mutollo in sede di delizie e di volutta a'
cortigiani medicei. Ed ora questo gran monumento ricco di tante memorie e
propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la quale, curando il
decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme per abbellirlo, e farvi
miglioramenti notevoli. Se pero 1' Accademia degli Orti non pote daDa congiura
in poi radunarsi, e gli Orti stessi furono con pensiero ingeneroso venduti, la
tradizione platonica non si spense guari, nd si poteva. Troppi erano gli uomini
grandi, il cuore de' quali batteva per le idee del divino Ateniese; troppo viva
era in essi la memoria del Ficino e di Bernardo ; troppo cdnsone ormai le
platoniche divinazioni al sentimento italiano, rispondenti troppo alia bellezza
del cielo che aUe pendici di Firenze, alia torre di Arnolfo, e a Italia tutta
divinamente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi platonici tutti legano i
tempi di Bernardo e dei figli ai tempi del platonico Orazio. Ma pur nella
famiglia medesima de'R. questa fiamma si conserve viva sempre, e se un uomo tra
essi debole o degenere potd r avidity del danaro preferire al glorioso
possedimento di quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto dair
altrui minacce, i piii di loro dovettero deplorare sififatta perdita; mentre,
contemperate dalF indirizzo dei tempi, predilessero sempre le dottrine della
illustre Accademia. E 1' avo matemo di Orazio R., cultore del neoplatonismo,
conobbe Torquato Tasso ancor giovane a Napoli, e il Tasso, platonico in certi
punti, ricorda quell' avo con parole di molta lode e di molta familiarita nel
suo Dialogo che ha per titolo : II Goneaga o del piacere onesto. (Dialoghi del
Tasso, per cura di Cesare Guasti, Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6 a
questo punto che comparisce sulla scena della vita Orazio nostro, di animo
nobile, d'ingegno elevate, il quale doveva come riunire in s^ e nell' opere sue
la tradizione neoplatonica custodita gelosamente nel seno deDa famiglia
materna. II conservarsi, come tesoro santo^ r amore delle dottrine dell'
Ateniese e del Ficino da' R., le case dei quali furono teatro in cui i piii
dotti si raccolsero sempre, non pud da noi non risguardarsi come un' occasione,
un motivo intrinseco dell' indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno
come un elemento sostanziale che doveva concorrere insieme con altri, e
potentemente, a informare lo spirito scientifico e letterario di lui. Un
Ricasoli infatti diede a Orazio la vita; ma i R. ne informaron la mente, in
quella guisa medesima che coUe sostanze di Monsignor Delia Casa ereditd, come
scrive il Casotti, il suo spirito, la sua virtii. (Elogio di R.). Non
anticipiamo il racconto ; ma possiamo dire fin d' ora che R. nostro, ammiratore
e seguace delle dottrine platoniche, dovS sognare sovente i deliziosi sapienti
convegni nell' avito giardino, e pitl d' ogni altro dolersi che quel monumento
di virtii e di dottrina non potesse piii, fatto albergo ai disordini di Bianca
Cappello, e poi di un cardinale de' Medici, ispirare nell' animo siio il forte
volere, i gravi pensieri, che quei liberi ingegni vi aveano raccolti e
maturati. Nondimeno egli, R., per far rivivere quell' avite conversazioni, e
perpetuare cosi la tradizione domestica, raduner^ nelle stanze della sua casa i
celebri eruditi del tempo suo, e dietro le orme de' suoi parenti, ascolterh e
detter^ precetti di sapienza e di virtti, non potendoli ancora di liberty. Ch^
in luogo della voce sdegnosa del Diacceto, degli Alamanni e del Buondelmonti,
che nel sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava minacciando i fautori del
dispotisDio, gli oppressori dell'antica e gloriosa repubblica, qui nelle stanze
del R., uomo di corte insieme con dotti uomini di corte, si udiranno parole di
dottrina, rime d'amore, rim-, proveri pur anco ai costumi guasti della Corte e
del Clero ; ma non saranno piii, no, gli energici avvisi del Machiavelli e
degli altri per trattener la caduta di una liberty che vedevano precipitare ;
saranno i timidi lamenti di un bene irremissibilmente perduto, deboK querele di
uomini curvati sotto il gravame della servittl, proteste inconsapevoli talora,
sommesse sempre, perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e
munifici protettori delle scienze,'non sono tali da consentire si grande
temerity, e il tribunale 6 la ad impaurire gli intelletti, e a tarpare le
libere ali del pensiero e della coscienza. Cosi i motivi generali esteriori ed
intrinseci delI'avviamento educative e scientifico di R. apparvero a me, ed io
credo pure al leggitore, distinti. Vediamone ora lo svolgimento successive nel
cammino della sua vita. Prima edacazione e istrazione del Bacellai. Fa segnace
del Galilei. ~ Lo dichiara egli stesso ne* suoi scritti. — Abitudini sue e
motteggi de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. La
Corte Toscana e R.. Suo cortigianesimo e suo disprezzo della Corte. ~ Contrast©
de* tempi che anche su questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione
diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii
largamente di ogni altro s' intrattenne suUa vita di R. (Genealogia della
Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima
educazione di lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li
sappiamo, nd I'esame accurate che su tutte le opere di R. abbiamo fatto, n^
altre ricerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd che Galileo fu
udito dal R., e questo possiamo asserire con sicurt^ piena. Imperocche il
signer Passerini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio sopra quelle che il
nostro scrittere nel suo Discorso centre il Freddo Positive dice in principio,
e che ^ prezzo delr opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere
sue, provano essere stato il R. discepolo del Galilei, non gia nel significato
ristretto che si suol dare a questa parola, ma in quanto egli giovane piil
volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di
lui; e a questi passi si appoggiano il Nelli, il professor Palermo, il conte
Mamiani ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni
frammenti di oi)ere del medesimo esistenti nella sua libreria. E il professor
Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del
Galilei V Imperfetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada, aUora che
discorre di lui, e si maraviglia, e a ragione, che il Tiicaboschi, laddove nel
tomo ottavo della sua Storia della Letteratura italiana si trattiene a parlare
di R., nol collochi tra' piii solenni filosofi di quel fioritissimo secolo, in
cui \isse 1' immortal Galileo di lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici
del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823, pag. xxi. Firenze.) E
le dottrine del gran filosofo poteron davvero anch'esse ed efficacemente sull'
animo del nostro scrittore, come su di uomo tenero amico della verity. Galileo
infatti aveva trovato nella selva opaca il vello d'oro: egli aveva ritornato a
vita sotto un certo rispetto il metodo di SoCrate e lo aveva riconsegnato alle
intelligenze stanche ormai di servire ciecamente all' autorita di Aristotele.
Ecco il perch^ R. vedi abbracciare del Galileo le teorie con animo aperto. Ed
ei pud dirsi che dififerisce dagli altri segi\aci del Galileo e che li supera
in questo ; gli altri svolgon le dottrine metodiche del Galileo nell'
osservazione dei fatti esteriori e delle loro leggi ; mentre che R. si propone
di svolgere quel metodo stesso in ogni disciplina filosofica, cio6 anche nella
osservazione dell' uomo interiore; quantunque nelle conseguenze della sua
lilosofia seguiti piii il probabilismo accademico, come vedremo in progresso. n
R. dov6 avere altri maestri e di rettorica e di filosofia, e compiere nella sua
gioventii studj ordinati; e di cio fan testimonio le opere sue eruditissime, e
nello stile e nella lingua adorne di tante bellezze. Oltrediche era questo il
costume de' ricchi e de' nobili di que' secoli ; che allora, come ne ricorda il
buon Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino di nobilt^
forniti e al di sopra degli altri, tanto piii e'si credeano in debito ad
esempio ancora, ed eccitamento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe
virtii, e colle lettere, ben persuasi che senza il di loro corredo, soccorso e
accoppiamento, niente o assai poco ella nello spirito signoreggiar suole o suUa
opinione degli uomini. D R. educate fin da giovanetto da' suoi genitori e
maestri nel sentiero della scienza e della virtii, fu quanto e piii di altri
compreso di cid, e la verity di questa sentenza tradusse egregiamente in atto
nella sua vita fino all' estremo; si che il Magalotti, quando avvenne nel 1672
il 16 febbraio la morte di lui, mestamente scriveva a Luigi Del Riccio.
(Lettere Familiari, tomo II, pag. 28) A dieci anni fu decorato delle divise
equestri delrOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del padre, ebbe il
Priorato di Firenze, istituito dal suo avo Giuliano; e i cavaKeri di quell'
Ordine lo elessero gran Contestabile nella solenne adunanza tenuta in Pisa. A
27 anni sposo Maria Felice de' nobili Altoviti, egregia donna, e dalla quale
ebbe nove figU, tra cui Luigi il maggiore, che seguendo le orme del padre fu
anch' esso, • giusta ne dice Salvino Salvini ne' Fasti Consolari dell'
Accademia Fiorentina, e secondo che ne porgono argomento sicuro gli scritti
eruditi di lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento non meno delle
accademie che delle corti dei principi. Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti
della mente quelle del cuore, fu caro a quanti lo conobbero, venerate anco da'
grandi, e mite senza che cio vietasse a lui di essere nelle sue poesie e
cicalate acuto e pungente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi
genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora, fino a sapere di eccessiva
misticit^ nei suoi scritti. Ebbe sua dimora in Firenze; pero talfiata recossi e
abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e spesso, dopo le politiche incombenze
a Vienna e in Polonia, ritiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta
villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San Casciano. Le sue abitudini come d' uomo
che vuole stare in una custodia di cristallo, meticolose sempre e, come a dire,
scetticamente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso
del suo carattere, de' suoi scritti e del suo tempo, e pero mi ci fermo. Tanto
era della sua salute eccessivamente riguardoso, che certi suoi incomodi e certe
curiose precauzioni per questi, diedero ansa ai motteggi e alle canzonature
poetiche de'suoi amici accademici, non disdette neppure da Luigi suo figlio, e
accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive di lui motteggiato dal
Panciatichi: E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore brillo, a
Panciatichi deride cosi il Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto, Caro Orazio
RuceUai, Gioiellino degli amici, E splendor deUe morici, Dimmi 3e io son cotto,
filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite
e rare Le pillole che fanno indovinare. » Dalle quali ultime espressioni
ricavasi conferma ancor di quello che nel precedente capitolo andava
accennando, sul trasmettersi quasi per tradizione ciascun de' R. di padre in
figlio, iino ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie
ragiona quasi sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata della Ipocondria: i
Ditemi un poco, egli esclama, quella difficoM di respirare che tiene sempre sospetto
d' asma il nostro filosofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato)
pud ella essere altro che 1' ipocondria pettorale ; la quale mentre impedisce V
esalazione di quelle si vive favilluzze, gli mantiene sempre piena di filosofia
la lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio genitore, con cui le
piii difficili cose del Timeo spiega si chiaramente, A daU'emorroidale
prodotta; ond'egli, che bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi
sopravvegnenti spiriti vigore ed impulsi all' intelletto, ad ora ad ora 1'
emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via non gli scappi fuori; cbe perd a
ragione dal suo gran panegirista (il Panciatichi) fu chiamato (( Gioiellino
degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor
pitl acuti che alle sue abitudini legate si fecero: e con cid intanto il
lettore^ si far^ meglio un' idea di quel che allora erano I'Accademie in
generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro
ditirambo D' una che per febbre deliri motteggia da capo il Panciatichi il
nostro Orazio cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho
quel sudore Che di luglio uccideva il mio Priore. Solamente sdraiato sugli
marraori Queir omazzo attendea V alba deir jomo, Quand' ecco in un istante >
Di strida e d' ululati, Di singulti e latrati Himbomba Parione,* E corron le
persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse
Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, Per dichiarazione
di questi versi giova recare alcune parole di Luigi R. nella Cicalata suir
Ipocondria : « N^ meno provvidente si dee reputare mio padre, diligentissimo
Ipocondriaco, al quale venne, poche settimane sono, in villa, una specie di
granchio nella penna, che debilitando quelle sue dita, ferme gliene tenne e
inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo d' improvviso accidente
d' apoplessia, acciocch^ col mote non gii piovesse nuovamente flussione, mando
tosto a cercare del medico tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile nella
medesima positura la mano e le dita per aria, finche il medico non vi arrive
che gli die licenza di muoverle. » E appresso : «E per certo s'udirebbero piu
rade, o forse non mai, le scalmane, se tosto che 1' iiomo dal natural temperamento
si sente fuori, alia prima gocciola di sudore, anche d' agosto, si ritirasse
nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per rnangiare il
marinate, o altra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar le mosche da
tavola. i> Strada in Firenze^ ove era il palazzo Ricasoli^ convertito oggi
in Locanda. II Biscio7ti nella stampa annoto : « Si crede foss% un plebeo. » Ma
neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna : « Vogliono alcuni che in
quel tempi si denominasse Razzullo il poi famosissimo dott. Francesco Redi. » *
II Priapo della sporcizia, in lingua Jonadattica, il Priore della Sporta,
convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche
nella Controccicalata. II Panzacchi, che forse ^ questo Priore, praticava molto
in casa del march. Corsini ; dove, oltre gli altri divertimenti che le brigate
ne traevano da lui, uno Che appunto colla barba veneranda, Facea le fregagioni
A certi suoi malati vagabond! Che pativano un po'di mal di pondi. Che c' 6 e che
non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son,
che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di
sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh!
cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio. E via di
questo gusto canzonature sopra canzonature, che io debbo tralasciare per non
digredir troppo dal pill importante. II riferito per6 credo basti a dipingere,
tolta 1' esagerazione, il carattere di questo era il farlo predicare : nella
qual funzione faceva e diceva cose stravagantissime. Una volta gli fu fatta
questa burla. Avendo i signori Corsini adunata una buona conversazione al loro
giardino vicino alia porta al Prato, e volendo far predicare questo frate su
quelle parole del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto
accomodare una grande asse sopra un vivaio o tinozza d'acqua; fattolo quivi
sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe molte volte esclamando
ripetuto : Modicum, et videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte del testoi
Modicum et non videhitis me ; gli fu tratta di subito I'asse di sotto, e il
caro frate, cadendo nell' acqua, tutto quanto vi si tiiffo. Accorsero i
servitori a trarnelo, e lo condussero in una stanza a rasciugare : ed alcun
gentiluomo fu nel1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad intendere che era
stata una disgrazia dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota
agli Scritti varj- del Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota alle parole quel
sudore ec. Scherza su quel verso : Gutta caval lapidem, non vi, sed scepe
cadendo. uomo, le esitanze e i timori del quale per la salute rassomigliano
alquanto agli scrupoli ed ai timori incessanti di trasmodare che nelle opere
scritte di lui trapelano ogni momento; e a farci meglio conoscere le
consuetudini spensierate di quella et^ della quale giova veraraente ripetere :
che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a
sapere, se quello fosse un ridere consolato, od un amaro sorridere. (GUASTI,
Ibid.) Come i suoi antenati, cosl Orazio entro presto nella Corte, e a dieci
anni fu ascritto tra' paggi ; e fin da quel giorno incomincio la sua vita di
cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque di ottima indole
e di buone intenzioni, non poteva per la mal ferma salute aver grandi cure del
govemo. II Rucellai perd dovette incominciar a nausearsi fin d'allora della
sfarzosa vacuity della corte, cui Cosimo U, per distrarsi dal fastidio del
governo, riempi di nani e di buflbni e di lusso spagnolesco, seguendo cosi le
misere inclinazioni di un tempo ancora piii misero e ostile alia liberty dello
speculare e del vivere. E piii ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi del fare
artificioso dei Principi e delle Corti, quando, morto Cosimo II, e Ferdinando
II destinato a succedergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato,
le due principesse Gristina di Lorena e Maddalena d' Austria tennero per ben
sette anni le redini del govemo toscano. Amministrando con femminil leggerezza,
incorsero in gravissimi errori. Tra questi non pot^ loro perdonarsi V aver
allontanato dal consiglio e dal governo il Segretario di Stato Curzio Picchena,
uomo di probity sperimentata e di costumanze severe, al quale le aveva Cosimo
raccomandate ; sostituendo in sua vece Valerio Cioli, uomo raggiratore, avido,
menzognero, che presto pose le finanze e tutta V amministrazione in disordine.
E fu pure per i mali consigli del Cioli se le due donne, con grave danno della
Toscana s'indussero a rinunziare in favor del Papa il Ducato di Urbino, il
quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Rovere unica erede del
morto Duca Federigo, e promessa sposa a Ferdinando II, doveva come patrimonio
della moglie (deplorevoie uso del tempo) tornare alia casa Medicea. Deboli,
incerte, pusillanimi queste due principesse avevano troppi e spesso ingiusti
riguardi verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine di cittadini,
soverchiamente privilegiato, lo fecero montare in tanta baldanza, che
impunemente opprimendo la plebe, la eccitava a tali vendette e delitti, cui le
leggi piii non potevano impedire. Ed 6 naturale ! tirannia nemica di liberty ^
sempre generatrice esecrata di licenza e delitti. Ma cid nondimeno, in tanto
contrasto di grandezza e di miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di
liberty,, R. pur disgustato, lo vediamo anziche allontanarsene, continuar
I'abitudini di famiglia, proseguir nella Corte, e sotto il reggimento di
Ferdinando, salito al trono nel 1627, diventa r suo gentiluomo di camera. Egli,
Orazio, si fa, come tutti gli altri letterati del tempo, sempre piii ligio al
Granduca; ne dico cid a caso ; cM alcune lettere ''di lui ritrovate da me fra
le carte di Ferdinando II e del cardinale Leopoldo ce ne oiBFrono prova
manifesta. Biasimera poi con nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani;
dispregier^ con isdegni generosi quelle catene dorate ma pesanti sempre, e il
contrasto dei tempi vedremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle azioni
del nostro lilosofo. Ma intanto ei si piega, ei fa getto della indipendenza del
suo spiiito, cotanto necessaria soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima la
Corte e i cortigiani, non tocca ne biasima punto il malo govemo, si i vizi
particolari del govemante; d questo un biasimo come di famiglia grande ma quasi
privata; ne la patria sua ricorda mai, e non ha mai un pensiero per essa ;
sembra quasi Y abbia dimenticata, o non sappia che ella ^ in servitu; solamente
la Corte, TAccademia e la villa formano il mondo del nostro filosofo. Mi si
permetta in grazia dell' opportunita, ch'io tolga da un de' capitoli prossimi,
qualcuna delle sue parole servili inverso il Granduca; indi alcune altre che
contro la corte ed i principi lancia sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il
lettore s'io sia, nelle mie aflfermazioni, fuori del vero. E nell' occasione
della nascita d' un suo figlio, pur di Roma un anno dopo, il 10 dicembre 1639,
(V. Garteggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo padrone
serenissimo cosi : E in altre lettere scritte al granduca medesimo per
domandargli favori, poich^ sembra in certi momenti ii suo patrimonio abbia
sofferto gravi avarie, e per rendergli grazie dei soccorsi somministratigli,
arriva a dire che la sua vita medesima ^ a Ferdinando obbligata per legge di
natura. Ed io non so dove pescarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr'
uomo mai che piii fedelmente di lui mi narri colla sua propria bocca
inconsapevolmente le tristi condizioni di quegli spiriti. Egli ^ questo il pid
alto grade della cortigianeria, ^ la negazione di quel che gli antichi con
aurea parola chiamavano umano decora ! quantunque la generale consuetudine di
parole tanto serviH togliesse loro gran parte dell' abiezione che a noi
sembrano avere. Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi nell'uomo, e Tuomo
che li spiega. II R., dopo quelle ligie proteste di servitil par ti diventi a
un tratto un altro uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i
Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d'
alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili
alberghi e ne' piu pari ingegni, Non sopra eccelse raura unqua risplende. Dove
il mentire e 1' adular s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori offende, Quasi
infausta nemica a' lor disegni. L' inclita Maesta temano i regi, Non cangi all'
opre lor specchio si fine, E sembrin macchie impure ilor bei fregi. Quelle ch'
usan chiamar virtu divine, Arti fian di malizia, e gli alti pregi Di lor gloria
maggior frodi e rapine. » Comunque Ferdinando II, e a buon diritto, fece di R.
giovine ancora assai conto, e nell' eta di 30 anni, sapendolo esperto nella
ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho accennato di
sopra, e la prima nel 1635 a marzo per Vienna, appresso rimperatore Ferdinando
per rallegrarsi delr elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei
Romani, come ne attestano i documenti che si trovano nel nostro Archivio
Centrale di Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1' altra a Varsavia, nel medesimo
tempo, per condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del
Cardinale suo fratello, e per trattare il matrimonio della principessa Anna dei
Medici col principe Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due legazioni ei
diede prova di molto sapere e di altrettanta cortesia, e le letter e stesse dei
Principi e degli ambasciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano
quanto R. fosse stimato e gradito, e pel suo sapere e gentilezza di maniere
ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini ambasciatore del Granduca a Vienna
scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli segretario di Stato ebbe a
dire: (FiUa Medicea,n'*4^S8d) E al cavalier Poltri il medesimo Tartaglini
aggiungeva: Del rimanente, avremo meglio piii tardi, discorrendo dell' opere
del RuceUai, campo di vedere quanto ei fosse nella ragion civile versato ed
accorto, e quanto giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali
tenevano allora gli alti ufficj del governo portavano a lui, che Lorenzo
Magalotti per la sua prudenza qualificava come V uomo piu esperto a f of mare
il more di un principe. Ufftcj di R. nella corte di Ferdinando II. Qnalita di
qaesto principe. £ di Leopoldo. Benemerenze di essi nella protezione e cultara
degli stadj. Si restituisce a vita V Accadeniia Platonica. Si fonda TAccademia
del Gimento. R. poeta, letterato o filosofo. — Lodi a lui de^contemporanei e
dei posteriori. Rovai. Redi. Crescimbeni. Moreni. Pallavicini. .Uffiicj di R.
nell* Accademia della Crusca. Esercizio di versione da* classici antichi
introdotto dal R. nelr Accademia. Se e quanto R. conobbe il greco. R. e i suoi
Dialoghi filosofici. L’elogio a lui del SaMni. L’Accademia in sua casa. Materia
e disegno de* suoi DialoghL Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e co*
principi. I quali r ajutano sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, —
moral!. Rassegnazione sua. II R. e Cosimo III. Questi non e, come generalmente
si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte di R.. — Si
chiude con lui V etk del Rinascimento. — Onori al merito di quest' uomo
prodigati anche dai posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro.
Torna, pertanto, R. dalla missione politica sulla fine del 1635, rientrando nel
suo ufficio di gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e dedicandosi pure senza
interruzione a' suoi studj, a' quali trovava, giova ricordarlo, impulso grande
ed esempio ne'molti eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il
Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti deUe due reggenti Cristina di
Lorena, madre di Cosimo 11, e Maddalena d' Austria sua moglie, le quali avevano
empita la corte di lusso e di intrighi, tolto alia giustizia il suo corso con
le immunity e gli asiK delle chiese, tento ogni via di rimedio, da eccellent'
uomo ch'egli era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e
seguitd ora piti ed ora meno le orme spesso non imitabili degli avi suoi, e
alia prndenza non seppe costantemente unire il coraggio, tuttavia delle
scienze, delle lettere e delle arti fu quanto e piii de'suoi predecessori amico
e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd distrazione, proteggendole regalmente e
promovendo soprattutto le scienze esatte e le naturali. L' Emitiani Giudici (e
credo in parte a ragione, ma in parte pure esageratamente) attribuisce questa
protezione ad un fine politico e la spiega cosi : E Leopoldo fratello a lui
minore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza e per I'amore di essa. E
il conversare frequente col Galileo Io rese esperto a schivare up. servile
ossequio al Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della
geometria criterio alia liberty dell' intelletto; e la filosofia naturale del
Galileo e della sua scuola trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori
ardent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita
e in vigore le Accademie toscane, dove ridioma nostro potd almeno trovar salute
dal contagio generale del tempo, e le scienze naturali uno incremento
grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa vantare come questa di Ferdinando e
di Leopoldo, tanto viva operosit^ di scienza e di lavoro letterario, destata
per impulso di questi due principi. E Leopoldo, il quale sebbene avesse anco
nelle faccende governative la plena fiducia del fratello, che del consiglio e
dell' opera di lui sempre si valse, pure non avendo in mano la somma delle
cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo campo per
promuovere e favorire le lettere, le arti e le scienze. Difatti benemerito del
nostro splendido robusto e gentile idioma con animo appassionato e caldo
facilitava e sollecitava i lavori del Vocabolario, accudiva alle pubblicazioni
di vari testi di lingua. Arricchiva di nuove collezioni la GaUeria di Firenze,
che da lui riconosce molto del suo presente splendore. Rifondava, e questa fu
delle prime sue cure, sulF esempio del vecchio Cosimo, Y Accademia Platonica,
perch^ Dante e Petrarca fossero illustrati a seconda di quella filosofia; e
sebbene il ritorno all' idee platoniche non fosse veramente un favorire la
tendenza degli intelletti in quelr etib, n^ un avvantaggiare la filosofia
Galileiana (Vedi Notizie istoriche premesse ai Saggi di Nat. Esp.^ Firenze,
1841, pag. 60), era pure un forte attacco, comunque indiretto, alle dottrine
scolastiche fatte da lungo tempo cibo quotidiano ed unico della numerosa
mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo indiretto sarebbesi meritato
Leopoldo da qualunque ingenuo e libero storico il nome di Benemerito, quando
anche non vi avesse aggiunto tutto cid che voile operare a promuovere
direttamente la nuova Filosofia delrUniverso. Nell'avvantaggiare le lettere, la
filosofia e le scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di associarsi agli
uomini che pitl si erano in quelle varie discipline segnalati; cosi nel
favorire lo studio della lingua nativa conveniva cogli Accademici deUa Crusca a
pubbHcare opere poetiche o testi di lingua, radunava presso di s^ i Dati, i R.,
i Redi, i Magalotti a richiamare la filosofia di Platone; istituiva a bella
posta una congrega in sua casa a raccogliere, pubblicare e ristampare le opere
del Galileo, del Castelli, del Torricelli e dei matematici antichi nuovamente
illustrati e dichiarati. E anco lo stupendo concetto di fondare un' Accademia
destinata espressamente alia Filosofia sperimentale, si deve in particjolar
modo alia gran mente del principe Leopoldo, il quale voile nel 1657 stabilire
delle regolari Adunanze, nelle quali sotto i suoi occhi la nuova filosofia
sperimentale, gi^ nelle domestiche mura promossa, avesse culto quotidiano e
sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili Magalotti, OKva,
Bellini, Redi, molti dei quali fregiarono indi le famose University di Pisa, di
Firenze, di Siena, inauguratori sovrani di quella Riforma proclamata dal
Galileo e dal Torricelli. Orazio R. fioriva in mezzo a quegli uomini grandi, ed
emulo della loro operosita e di operosita esempio ad essi costante, nei rumori
della Oorte schivando Tozio coltivo sempre come nelle mura domestiche la morale
e gli studj, ed ivi al pari del Redi trovo mezzi e pascolo airansietli
irrequieta del sue spirito filosofico. Venuto presto in fama di molto sapere,
il Granduca e Leopoldo non potevano non prenderlo in considerazione alta, e
oltre le missioni politiche, che sopra mentovammo, gli affidarono la direzione
degli studj del principe Francesco, e nel 1657 la sopraintendenza della
Biblioteca Lanrenziana, che insieme alia Galleria veniva con regia profiisione
arricchita. Le piii illustri Accademie fecero a gar^ per ascriverlo tra loro, e
prima la Fiorentina della quale fa consolo nel 1653. E anche dell' Accademia
della Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r
Arciconsolato. Voile, imitando in ci6 la modestia di Socrate e la moderazione
di Pittagora, giusta ne scrive Anton Maria Salvini, essere chiamato in essa V
Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla
di pane, col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato,
e filosofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contemporanei famoso, come
le lodi di essi a lui prodigate fan fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando
e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da alcune lettere sue in
risposta a loro ricavasi. Egli, R., scrisse rime di amore, filosofiche sociali,
religiose, ed anche disoneste ; scrisse cicalate e panegirici, e dialoghi
filosofici. Certamente questa mischianza di contradittorj non potra a meno di
colpire la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le qualita
morali e anzi gli scrupoli che, come nel fisico, cosi nel morale assalivano di
continuo il nostro filosofo. Perch^ mai egli a lato di poesie che ti discorrono
soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza, che ti lodano la
verginit^ di santa Maria Maddalena, • osa porre lubrici scherzi, immorali
canzoni? Questo e un primo problema che fra poco risolveremo. Intanto vogliamo
finir di vedere in qual conto cospicuo e come letterato e poeta e filosofo lo
tenessero i suoi contemporanei, e anche i ppsteriori vicini a noi; indi
ridurremo coUa critica al suo giusto valore le lodi. Francesco Rovai amico, a
quel che sembra, di Orazio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli una
sua canzone in morte d' un barone Bettino Ricasoli, cosi gli parla: « Dillo tu
che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di'
se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir
Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio
spezzate ban V armi. )» E il Redi, pur amico di R., e scrittore forbitissimo di
lingua nostra, pote dire di lui, che E per tacer d' altri, il Crescimbeni neir
Arcadia dice che : E nel secondo volume della Volgar Poesia, aggiunge che : Ed
anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue invettive, e nelle
sue cicalate, apparve a quegK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono
profusamente, ora ammirando Y eleganza del dettato, or il brio e le facezie di
che le andava adornando. E il canonico Panciatichi, con lettera in data di
Parigi de' 24 ottobre 1670, volendo esaltare la gran perizia che aveva nella
nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi dice : Da che si vede com' era egli
tenuto per letterato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a tutti i
suoi contemporanei, superiore. E il cardinale Pallavicino che quantunque, come
dice il Giudici, se la piccasse un po' troppo per modello di stile, pure ne ^ di
certo maestro, in questo modo scrivendo al R. de' suoi componimenti giudicava:
(1666) E veramente R. si mostra qui, come nella versione di molte altre cose
latine fatta man mano ne' suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio
conoscitore, non senza difetti che faremo poi notare aver esse comuni col
tempo; il tempo poi questa conoscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1'
et^ del Rinascimento non era ancora spirata, e dovea anzi chiudersi col nostro
Filosofo. II quale, come quel che piii d' ogni altro de'suoi contemporanei ea;
^ro/i2550 si occupo nella filosofia di Platone doveva (e naturale arguirlo) il
greco conoscere profondamente, e piil che non il latino. Se non che noi
restiamo su tal punto tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio ch'ei ne
avesse una notizia non troppo grande, e che per la versione e interpretazione
del testo si servisse di traduzioni gia fatte dagli anteriori neoplatonici, dal
Ficino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente nella massima parte le
teorie e le dottrine del divino Filosofo spiega ed illustra, cogl' intendimenti
di Marsiho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non di radissimo, di
ricondurre al suo verace e legittimo valore i pensieri deirAteniese; ne una
parola greca ne'quattordici volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta,
molto meno una frase ; e se v' ^ una parola greca § logos scritta
italianamente. E vero che percorrendo le sue lettere, ne troviamo una
principalmente diretta di villa al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra
le altre cose : E piil volte di aver letto sul testo or quella or questa cosa,
di sua propria voce conferma ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo
assevera aver per questo riscontrato tutti quanti i testi mighori ed esaminato
(perd) qualunque de' piii reputati interpreti e piii autorevoli. Ma come ognun
vede, questi passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti che contro; e
ad avvalorarli vo'recare qualche espressione che ho trovato nella difesa del
signor Tommaso Segfii, com' accademico detto 1' Ardito, contro le accuse
dategli dal Kucellai, in uno di quei soliti finti battibecchi di quegli
Accademici. In questa difesa mentre si ricava la conferma che R. studid sempre
e profondamente le Matematiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi Dialoghi
sulle armoniche proporzioni, e ch' ei dettd rime lubriche, v'^ pur conferma del
nostro pensiero sulla poca scienza sua del greco. Tra le altre cose egli, il
Segni, dice al R.: Entrasti dopo cio nella mia traduzione della cornmedia di
Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti
rispondo perch^ io non t' intendo ; se tu ti dichiari megHo, ci sar^ la
risposta anche per questo, non dubitare. Questa commedia si recita domani,
vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu
non sarai impedito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou biasimo
la scienza, non ti alterare, che io so benissimo che si 6 lo pifl hello e lo
piii utile studio che possa fare un giovane nohile come tu se'; ma infatti vuoi
sapere a cid che ti serve, giacch^ io non veggo che tu sappi coUegare insieme
quattro periodi, che provino e concludano mai nulla ; e non hasta sap*er
quattro proposizioni, e poi volere orare alia presenza di cosi dotta Accademia
: innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e
leggergli nella lor lingua^ non si fidare dei trdduUori. > V 6 un proverbio
latino che dice : in vino Veritas. ed h in questo modo in realta; or credo non
men vero rimanga il proverbio temperato cosi: in ludo Veritas; poich^, in mezzo
alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche
e spensierate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova R. avendo
realmente scritto rime iramorali, araico del Giraldi, e conosciuto
profondamente le matematiche; e I'accusa di R. stesso intorno alia nullita del
merito nella versione di Plauto fatta dal Segni, della quale, per fermo, come
di nessun pregio non si fece da' contemporanei e posteriori letterati menzione
mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in chiaro della non grande esperienza
del nostro Filosofo intorno al greco, fa molto, perchd ci spiega come pitl che
le vere dottrine platoniche, le interpretazioni neoplatoniche accettasse e
trasformasse nel suo lavoro scientifico. E perch^ su questo punto non mi
rimanesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi del Timeo, tradotti dal
R., col testo, e indi con le traduzioni latine anteriori; e cid mi servi di
riprova irrefragabile. Nel 1650 il nostro R. era nominato dalr Accademia membro
della Deputazione del Vocabolario, e prendeva a fare lo spc^lio delle Lettere
di Monsignor Delia Casa, e delle storie del Machiavelli. Cio rilevasi da'
diarii dell' Accademia e da una lettera scritta da lui al cardinale Leopoldo.
Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e i discorsi accademici, venne egli
in alta venerazione presso i contemporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo,
antonomasticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un oracolo, sicch^ ei fu
della rinnovata Accademia Platonica r anima e il duce, in quella guisa che il
Ficino due secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi filosofici di lui E basta
leggere le lettere che R. scriveva in risposta al Cardinale Delfino, per vedere
come in riverbero, in qual alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi dell'
Imperfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e tutti quei grandi
eruditi, che convenivano in sua casa ad ascoltarne lettura. Imperocch^ la casa
de' R. era una vera e propria Accademia. II R., come abbiam detto sopra, dovea
ricordarsi degli Orti di sua famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora
la voce dell'avo Bernardo e di quei grandi sostenitori delle dottrine
Platoniche e della liberty. Egli aveva perduto que' luoghi memorandi ; gli
dovea risospirare, e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder quella
casa; mi sembra di veder lui, co' suoi figliuoli, e con illustre schiera di
dotti, intento a favellare delr uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste
adunanze fa parola appunto il Tiraboschi nell' ottavo volume della sua Storia,
dove discorrendo del fiore in che allora, nel secolo decimosettimo, erano le
Accademie fiorentine pubbliche e private, dice che tra quest' ultime, celebre
singolarmente fu quella del prior Orazio R.; e riferisce le parole di Lorenzo
Magalotti, il quale in una lettera indirizzata a Luigi Del Riccio incitalo a
procurare che non si abolisca quell' istituto, e si rallegra che egli abbia si
buoni assegnamenti per farlo sussistere, cioe il Salvini, il Lorenzini e
rAverani. E anco il Negii appella a questa riunione di letterati {Storia degli
Scrittori Fiorentini) dicendo: Ma il Salvini, nelP Elogio al Filosofo^ ci
dipinge a colori vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i suoi modi
e le dotte adunanze, e le erudite conversazioni. E, magnificata indi il Salvini
la gentilezza e vigoria deir idioma nostro, soggiunge pitl sotto : E giacche
sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e
il disegno.^ Di questi dialoghi, in numero di sessantacinque, sono stati
pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della
natura, esclusa la platonica, e il trattato della Provvidenza; * per il che
sarebbe desiderabile vederli pubblicati per intero ed ordinatamente. Era ben
naturale adunque che R., di si vasta erudizione e di tante belle qualita
adorno, riscuotesse Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi d'
allora, e tutti si attribuissero a ventura ed onore di potersi chiamare suoi
amici. Talche una lunga schiera de'piii segnalati uomini del tempo vediamo f ar
corona all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia
neoplatonica, all' ultimo figlio del Rinascimento filosofico itaUano. II
Magalotti, il Redi, i due Falconieri e il Filicaia sono in continua
corrispondenza di affetto e di scienza con lui, e si legati in amicizia che
niun di lore ardisce porre un' opera in luce senza aver prima consultato gli
altri per averne le critiche, e fatte su quelle le opportune correzioni. E
Lorenzo Magalotti pone talvolta ne'suoi scritti dialogici a interlocutore
principale il nostro Orazio, e gli scrive lettere sopra un Effetto Vedi :
Indice delV opere di R.. delta neve e sul Bibollimento del sangue^ secondo i
pensieri del Galileo; in quella guisa medesima che il Rucellai scrive al
Magalotti rime confidenziali, in cui gli apre Y animo suo, e dimostra la
sfiducia grande ne' suoi proprj lavori, e minaccia di gettare al fuoco i suoi
dialoghi filosofici e si pente de'trascorsi di gioventii. 11 Filicaia gli
dedica un sonetto in sua lode, e il Redi ne discorre, encomiandolo nel suo
Ditirambo. II Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo, parlando di
una lettera di esso, dice che e Monsignor Giacomo Altoviti amante delle belle
arti, il marchese Vincenzo Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonaccorsi, il
Magiotti, il primo de' suoi interlocutori, e uno di quelli che composero, come
si esprime il GaUleo, il. suo triumvirato, tutti li vediamo in corrispondenza
d' affetto e scientifica col nostro filosofo ; il quale nelle sue lettere,
dimostrasi deferente a tutti, e modestissimo, e quasi trepidante ogni volta che
a qualcuno di loro invia, richiesto, qualche suo filosofico componimento. E le
lodi riguarda sempre come eccesso di bont^ deir animo di quei che gliele fanno,
non mai effetto de' meriti proprj, mentre egli trova sempre che lodare negli
scritti degli altri. E i principi govemanti lo venerarojio anch' essi con
reverenza ed affetto speciale ; e lo ajutarono sempre, poich^ dalle sue lettere
ricavasi aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come abbiamo gia veduto
superiormente. Infatti da Pisa, ov'era gran Contestabile, soUecita dal Principe
Leopoldo con lettera del 28 aprile 1653 soccorsi profittevoU per i disastri
economici della sua casa, afline di potere con piii quiete e piCi comodamente
esercitare in qualche trattenimento studioso gli scarsi talenti ch' ei si
ritrova. A questo decadimento delle sostanze di R., accenna pure il
Panciaticlii nella sua Contraccicalata alia Cicalata sulla lingua lonadattica
(1662) dove apostrofa il Priore Orazio cosi : « Sovvegnati del viaggio da par
tuo clie tu facesti in mia compagnia a Pisa, Lucca ec, quando tu gridasti il
Meschini^ (gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel nuovo governo revisore
generale, per quanto io intendo, delle tue possessioni) perche ti lasciava
andare coUe gomite rotte ec... > Oltrediche egli fu pure da morali traversie
angustiato molto talora; come quando ei seppe ucciso in rissa un de' suoi cari
figli, Giuliano, in casa d' una cortigiana, del quale eccesso il vino non
sembra essere state r ultima cagione. A questo fatto egli accenna in una delle
sue lettere (Firenze 8 settem'bre 1668) al Patriarca d'Aquileia, dove spicca in
tutta la sua pienezza e r affetto di padre, la mitezza sua e il sentimento
religioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi anni
avanti la morte sua, sollecitata fors' anco da questi colpi della sventura ch'
ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza
divina, di cui si bene favelld ne' suoi libri. E anche da Cosimo III ebbe a
soffrire dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante, succeduto che fu a
Ferdinando di onorare R., confermandolo nella carica di gentiluomo di Camera, a
poco a poco lo allontand dalla Corte. Perd da alcuni storici (come il Maffei)
si 6 detto e si dice ancora che Cosimo III non fu troppo tenero ma anzi ostile
alle lettere ed alle scienze filosofiche, e che percio era ben naturale s'
allontanasse dalla Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6 per lo meno
esagerazione, ed una conferma che preso per alcune cagioni I'uomo in dispetto,
spariscono troppo spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti veri che a
scemare la bruttezza del quadro sarebbe giusto considerare. 11 liglio
primogenito di FerdinandoII quantunque meschinamente bigotto, e inabile a
generosi pensieri in politica, pure non solamente la teologia, come dice il
Canttl, Storia Universale, ma favori anzi ed amd le scienze e le lettere, e a
persuadersene basterebbe gettare uno sguardo sul grandissimo carteggio ch'egli
e il suo segretario privato canonico Basetti ebbero con tutti i primi uomini
dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo voluminoso epistolario trovasi
nell' Archivio centrale in Firenze, e tra le altre vi si ammirano lettere dell'
Autore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz. Sarebbe anzi desiderabile che
qualche studioso prendesse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne
traesse ad utility della scienza e a vantaggio di quel principe quella luce che
finora non h comparsa fuori, ed ^ per lo pitl sconosciuta agli occhi degli
storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta attribuire
Tallontanamento di R. dalla corte; sibbene forse la salute vacillantissima di
lui di^ ragione a Cosimo III di non adoperarlo piii negli ufficj di suo
Gentiluomo. II R. infatti moriva poco tempo dopo che si fu allontanato dalla
Corte Medicea. Ma la morte trovoUo col volto ridente, come Socrate, e con
costanza serena. Egli moriva nell'et^ di TOanni, stile comune, in mezzo alle
lacrime de' suoi e degli amici, la piii bella e confortevole benedizione ad
un'anima che lascia la prigione del corpo. Cristiano, ebbe pure i conforti
soavi di quella religione, in nome della quale ei filosofava con afietto di
innamorato, e pieno di fiducia di vedere svelata nell' eternity a' suoi sguardi
la verity, la bont^ e la bellezza infinita. L'avello de' suoi maggiori fu pure
sepolcro a Orazio nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ; e col
richiudersi di quella lapide si cliiuse insieme il periodo del Rinascimento
filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche
un giomo se ne imparasse la importanza vera, che pur troppo non ravvisarono (n^
lo potevano) i suoi contemporanei. Tuttavia i Dialoghi di R. ne furono pascolo
a quegli uomini colti anco appresso.E Anton Maria Salvini, poco dopo la morte
del loro autore scriveva a Lorenzo Adriani ragguagliandolo delle veglie che si
facevano allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova
edizione del Vocabolario: Leguntur in hoc eruditorum hominum codu scriptiones
varied cdque pulcherrimce, ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi quibus
dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est
universam. Huitis contentum scribendi laborem nee aetas extrema tardavit^ qui
jamdudum vita functus, magni sui, atque operis desiderium reliquit. E il
Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste
lubriche che si attribuiscono al nostro Priore, si leggono di suo, firmate,
poesie onestamente amorose ; e che nella sua Cicalata in quartine fatta in lode
del Cacio Lodigianoy non certo in sospetto di apocrifia, perch^ scritta di sua
mano, e riconosciuta da lui che ne fa menzione negli altri suoi scritti, egli
si compiace d' incastrarvi non pochi equivoci disonesti ; io credo che la
critica imparziale non potr^. risparmiare al Filosofo Platonico la non troppo
onorifica paternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo visto un
suo amico medesimo Tommaso Segni, accademico, quantunque in istato di
esagerazione e di finzione burlevole, pure accennare a questo peccato del R.
nella sua difesa contro un' accusa data a lui da quest' ultimo, che in alcuni
suoi scrit ti .deplora poi queste sue giovanili leggerezze e le riprova. Ma per
non stare troppo sulle generality, e addentrarsi alquanto invece nell' analisi
delle sue poesie, incomincieremo dal notare come R. nei suoi sonetti filosofici
discorrendo della Provvidenza divina, conformemente alle dottrine neoplatoniche
e al domma cristiano, asserisce non potersi comprendere Dio che con la Fede,
quantunque le opere di sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per usare la frase
de' sapienti ripetuta dopo con tanta compiacenza da Galileo, codice vivo di
Dio, dimostrino chiaramente che e' c' 6. A prima vista si scorge qui la sua
grande sfiducia nelle forze delPumana ragione, che reputa da sola insufficiente
a levarsi oltre la sfera del mondo, per discorrere col suo lume naturale
dell'Ente Infinito e dei suoi attributi divini. Sentesi qui una tal qual'aura
di scetticismo, che gli antichi sistemi risuscitati dal rinascimento, e tra
loro combattentisi, dovevano aver iinito con ingenerare in quegP intelletti
spossati, nelle menti di quei filosofi allora che si stava compiendo la piti
grande delle rivoluzioni intellettuali, e la riforma si veniva mano mano
estendendo. Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme del Ficino a
professare che Religione e Filosofia son sorelle, e la prima la maggiore; anzi
-poich^ filosofia ^ Simore e studio di verity e di sapienza, e Dio solo ^
principio di sapienza e fontana di verity, ne consegue che legittima filosofia
non sia altro che la vera religione. Quindi se la fede non ^ I'unico fondamento
della scienza, pur n'6 engine grande e primaria; e per di piti, mediante la
sola fede noi ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Platone scriva nel Timeo che
dell' eterna essenza non si puo dir altro, se non che ella ^ cio che e, e che ^
alI'uomo nascosta, iinche pero, aggiugne Ficino- e il R. in sentenza cristiana,
Iddio stesso non riveli s6 alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il
Ficino venne a dichiarare che voleva piuttosto credere divinamente che sapere
umanamente, professando la fede divina essere infinitamente piti certa della
sapienza degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere sempre
confermata dalla scienza vera (Epist. lib. V, p. 1.), esister nel mondo
invisibile le cose vere, e nel mondo visibile rombi?a solamente della verity;
cosi il R. non isdegna, ma ama la filosofia; pur come i neoplatonici d' allora,
come gik il Ficino, come il Bessarione, voleva unita alia religione e
dipendente da questa, perche da se sola incapace, la filosofia, a farci
comprendere Dio, che essendo Verity perfetta e il sommo Bene (Cfr. Platone nel
Fedro) noi mortali non possiamo per le natural! vie afferrarlo, o non riusciamo
ad averdi esso che una nozione o rappresentazione analogica, guardando, anzich^
il padre, il figlio, cioe le cose belle, vere e buone di quaggiti. Questi
concetti fondamentali intorno la comprensione di Dio per I'umano intelletto, R.
voile esporceli in quattordici sonetti, ne' quali, in sostanza, e'non fa che
riprodurre quelle esclamazioni e quelle espressioni di maraviglia che di tratto
in tratto ritroviamo ne' suoi Dialoghi filosofici delta Provviden^a^
magnificando le opere della creazione ed i portenti che Ella n' ofire, per
risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e
questo, a dir vero, non altro che questo il concetto che sotto varj aspetti ei
ci viene difiusamente ripresentando. Infatti egli professa che « A quel sovrano
ed invisibil nume Nostro intelletto non puo mai trar Y ali, » imperciocch^ non
ha pupille uguali a si gran vista Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi
fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. »
{Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di Diversi, p. 234.) E passando via via in
rassegna i regni della natura, minerale, vegetabile ed animale, ascende iino
all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc. cit. pag. 239.) (.o7t (I Dialoghi della
Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le Monnier, p. 385). Indi la ideality,
platonica deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente
ne' suoi versi, imitati si ben? dal R.. II Petrarca infatti, questo Raffaello
nell' arte della poesia, con generoso ardimento tolse, per cosi dire, nuovo
Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo contemplava, V archetipo della
beUezza perfetta, animatrice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla
terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di una realty non inane nd effimera,
nel volto divinizzato di Laura : « E in umil donna alia belta divina. *
Personificando in costei vero e buono, bellezza e virtil, realizzava I'idea,
ideal^zzava la reaM. Era un connubio divino che il poeta deU' amore cristiano
cantava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso, da cui fa il filosofo
spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria.
La religione inalzava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva
rispettabile da disprezzata che ell' era. La cavalleria la rendeva anmiirabile,
ispiratrice delParti e delle virtii militari : i trovatori, eccitatrice delle
arti di pace e della poesia; i poeti italiani, divina, potente su i destini
dell' uomo cui conduce alia virtii per la strada deUa bellezza. II Petrarca non
canta perd un amore che non sente, nd le lodi di una donna che ei non conosce.
Egli conosce, ammira, desidera, ama Laura e per essa risale al cielo; egli
conserva, armoneggia ed innalza 1' elemento cristiano dei trovatori e dei poeti
italiani nell'ideale platonico del bene e della virttl. fi veramente un'
armonia divina, che incomincia dal cuore del poeta, si avviva sul volto della
donna amata, per avere il suo compimento 1^ dove senza velo e confine si
ammirano le eteme figlie di Dio! U R. ha piena la mente di queste idee ; egli
ama secondo il concetto platonico e petrarchesco, e questa teoria egli pure, mi
si passi la frase, viene personificando in dieci sonetti, dei quali piii che la
met^ rimangono inediti ancora ; ond' io credo mio debito di dame qui un saggio,
ma senza potere affermare in qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale
o immaginaria, quantunque dall'esame loro mi paia piii probabile che in
gioventii e per donna vera. Egli in uno de' sonetti inediti si rivolge alia
donna amata con questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma pur delicatamente
vestiti: oc Non di vostra belta caduca e frale, Amo quel fuoco vil che i sensi
accende, Ma pill a dentro sen va Talma e comprende Un bello incorruttibiie,
immortale. Qoal da »pecchio tersiMirao ed eguale Da be* yoaif occhi nn non so
che risplende, C*ha deiretemo, e luminosa rende Qadia forma ch' k in voi breve
e mortale. Non quel che srnonta in un baleno, e fugge False lustro di ben vo
cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi ne accende e strugge. Ma sj di raggio
in raggio a quel rn'invio Sol che non ha chi lo ricopra e adugge, E contempl^do
voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che noi dimentichiamo il seicento qui^ come
pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammentano troppo 11 Petrarca,
imitato talvolta dal R. diremo quasi con plagio. Per esempio, in questo
seguente, pure inedito, in morte della sua amata, e adomo indubitatamente di
gusto delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di Diversi, VII, n* 3). Quella che
dal mio cor non parte mai. Bench^ vederla agli occhi miei sia tolto, Spesso tra
1 sonno. con pietade ascolto Dirmi : non pianger pih ch* hai pianto assai. Son
vivi in ciel di queste luci i rat, Che vedesti languir, misero e stolto, E
bench^ spirto dal suo vel disciolto. Son quella e t*amo pur quanto t'amai. Dal
tribute mortal libera e franca Quest' alma attende alle celesti porte La tua,
ch' k senza me di viver stanca. Deh! vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte
Qoder V immenso ben che mai non manea, Che un breve corso di continua morte. it
Mi si confessi giusto: chi non sente qui Tanima del Petratca che inspira? chi
dal seicento non ritoma per questi yersi alle pure regioni del trecento, ed
oblia i trascorsi scapestrati di quella et^? Non ti par egli ad ogni
espressione ti ritomi sulle labbra quel lamento diyino : « khimh \ terra h
fatto il suo bel viso Che solea far del cielo E del bel di lassb fede tra noi ?
E come in questo, cosi negli altri sonetti di amore, de' quali a maggiore
conferma di quel che vo esponendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola
Antologia degli scritti di R., i concetti platonici chiaramente tralucono. Ad
illustrazione dei medesimi io preferirei invece di riportarmi alle parole
stesse dal R. adoperate intorno V Amore nel dialogo decimo deUa Fromidenza,
modello di eloquenza e di stile, e che valgono a compiere a maraviglia le
osservazioni premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui troppo, nol fo, e rimando
il lettore a quello scritto gi^ edito, potendo in questa guisa da se medesimo
ritrovare tosto la verita di quanto io venni dichiarando su questo importante
subietto. Io chiudo per6 ripetendo che questi versi del Rucellai nulla per il
pensiero tenendo del seicento, ti riconducono a' giomi pill belli della
italiana poesia, e ti legano quasi il trecento col secolo dell' Achillini, del
Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in questi versi d' amore trar
volesse la musa Petrarchesca, soffocata, per cosi dire, in quella gravosa
atmosfera. Non cosi riguardo alle figure, alle imagini ed alio stile, dir si
pud di tutte le altre poesie esaminate fin qui nel loro contenuto o materia. II
diffuso e il cicaleggio accademico trovi sovente frammisto al forte e robusto
pensiero; troppo uso di mitologia, che giudichi abuso, e che ti accenna una
volta di piil 1' et^ del rinascimento imitatrice esagerata dell' antico non
aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite,
delicata e serena, un' altra immagine tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a
prestito dalla scuola Mariniana ; come, per esempio, in un sonetto scritto da
vecchio, il buon R. confessa di amare sempre, e dice nientedimeno che arde qucA
Etna, senza pensare che neanche le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se
c'erano, avrebber potuto spengerlo con tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo
soggiunge che arde qucd dgno, senza riflettere alia sconcezza di quelF animale
colle penne abbruciaccliiate sul dorso. Ma in generale nello stile si modera,
ed appartiene, credo, alia seconda maniera di poetare, alia quale noi
accennammo in principio di questo Capitolo. Percid quelli de' suoi
contemporanei, i quali erano imbevuti deir aria medesima respirata dal R., ma
perd non eccessivamente viziati, levaronlo a' terzi cieli, pur come illustre
poeta, e il medesimo Redi, il piii puro di tutti, ebbe lodi lusinghiere per
lui. Ma noi oramai abbiamo, dopo il discorso, un criterio sicuro per ricondurre
gli encomj al lor giusto valore, e per conchiudere che Orazio Ricasoli R. fu
poeta piti imitatore che originale ; che nel loro contenuto molteplice e
contrario le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore, ritraggono fedeli il
secolo nel quale egli fiori, i contrasti del tempo nel quale egli visse; e che
se talvolta sorretto dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese a
duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad altezze non comuni; piii spesso perd
ei non potd non lasciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non
precipitare con essi nel vano, nel lubrico, nelr eccessivo. delle prose
letterarie e scientifiche di orazio rica soli R.. SoxirABio. — La Prosa nel
seicento. — Anche in essa R. veriflca il nostro concetto. Contrast! nella
natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all'
Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e air Ardito (Toramaso Segni). Discorso
di R. nel rendere rArciconsolato. Cicalata sulla lingua lonadattlca. Scherzo in
lode delF Uccello. Elogio di san Zanobi. Versione della Lett&ra di Cicerone
ad Quintum Fratrem. — Critica. Discorso della Fortuna. I) suo discorso contro
il Freddo Positivo, — Riepilogo di questo discorso. Segue il metodo del
Galilei. Lettero familiari e politiche. Osservazioni. — Suo libello sulla
pianta e rigiro della Corte di Roma. Disegno di questo scritto. Giudizio. Nei
suoi discorsi, nelle sue prose letterarie e scientifiche obbedisce egli R. alia
medesima legge, verifica il nostro concetto? £ bene ricordare che anco la prosa
di quel tempi fu viziata ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, imperocch^ gli
uomini come pensano, scrivono; come riflettono, parlano; la parola essendo
segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli accademici ed i
filosofi mostrarono allora vergogne rettoriche da fare sgomento, curiose
dicerie, stucchevoli, inani. GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana
Tuttavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e religiose del tempo,
gi^ a lungo discorse di sopra, cosi nelle prose avemmo in quel secolo un
contrasto, e non sempre sconsolante, specialmente in Toscana. II DaviJa nelle
guerre civili di Francia, il Bentivoglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi
e il cardinale Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento, il Galileo e i
suoi numerosi discepoU, il Redi, il Dati, e molti altri si tennero lontani
dalle stramberie di dizione del secolo, ed alcuni sono splendido testimonio
deir indipendenza del pensiero italistno, che sorge animoso ed affronta ogni
genere di persecuzioni. Leggendo le prose di R. varie e diverse per natura,
assai bene troviamo riconfermato il giudizio nostro sulla intima e profonda
rispondenza de' tempi air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della
Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e chiacchiera in bugnola, e finge
inveire contro questo e quell' Accademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un
verbo, con quell' ardore col quale oggi un deputato fa e svolge un'
interpellanza per cogliere in fallo il paziente ministro ; tesse 1' elogio di
san Zanobi, il protettore delr Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici
dei Granduchi, incensa nelle sue lettere Cardinali, sdrucciola al solito in
indecenze e in equivoci; e poi in quelle stesse lettere ragiona gravemente di
studj, e di scienza ; in quelle stesse Accademie svolge con gran dovizia di
dottrina ed acume di riflessione subietti filosofici, facendo tesoro delle
tradizioni scientifiche, degl ' insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del
Cimento ; traduce nel nostro idioma la lettera moralissima di M. TuUio Cicerone
a Quinto fratello, e mette in mostra come i pi'egi cosi i difetti pericolosi di
alcune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende, non la risparmia neppure
alia Gorte di Roma, svelando di essa i rigiri, in un suo scritto iuedito ed
incomplete, ma dotto per riflessioni di diritto e politiche, ritrovato da me
nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo
scritto lo avr^, credo, non letto ad alcuno, come le sue poesie contro le
Corti, o se si, indubitatamente in segreto a qualche fido amico suo, perch^
seegliloavesse resopubblico, sono certochene avremmo notizia da' contemporanei,
non foss' altro per le molestie a ctd egli sarebbe andato incontro. Si vede
tosto come questa diversity di soggetti sia iin accenno non dubbio di quel
contrasto di opinioni, che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui
doveva aver luogo in quel tempo, in cui, come abbiam tante volte ripetuto, il
mondo antico faceva quasi 1' ultimo sforzo contro il nuovo che sorgeva in
Europa, e che ormai era impossibile arrestare nel suo moto veloce e potente.
Del resto, oltre agli scritti accennati qui nel loro concetto generico, e che
specificainente nominerd nell'indice delle opere di R., sembra esser stato egli
I'autore di qualche altro scritto importante, smarrito ora, o con altri,
de'quali abbiamo esatta contezza, giacente in biblioteche private. Ma
contentiamoci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti. Era uso, per esercizio
di lingua, che gli Accademici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e
delle impertinenze a vicenda, e in queste finte battaglie non ^ da dire quanto
volentieri s' impelagassero. D R., quantunque mite per natura, non rimase perd
dietro ad alcuno nella fierezza delle sue invettive, tanto che in una di esse,
in risposta all' accusa datagU dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del
Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con risonanti periodi accuso Y
Imperfetto, ultimo Arciconsolo nel 22 maggio 1652, come colpevole della pigra
lentezza in cui erano caduti gli Accademici nell' adempimento degli obblighi
loro con tanto discapito e vergogna deir Accademia), fu giudicato aver troppo
ecceduto, e che di tante villanie dovesse con pena condegna pagare il fio. (V.
Diario del Buonmattei, segretario.) E davvero questa replica ^ ingegnosissima e
curiosa, e fatta con arte fina di molto, e ci fa senapre piii lamentare che
ingegni si eletti stremassero in quelle futility le loro forze. I periodi e lo
stile e la lingua di questo scritto son veramente ammirabili, se tu eccettui al
solito una tal quale tendenza al tronfio, e quel dondolare il dettato per
troppo desiderio di leggiadria, difetto del tempo rimproverato anco al Bartoli.
Ed ^ percid tanto piii notevole come di frasi esagerate e di paroloni riprenda
accortamente V avversario, egli che vivea nel seicento, e non immune da'
secentismi, e lo richiami al puro e soave idioma toscano con tanta religiosa
osservanza da'maggiori custodito. E per dare un' idea del suo fare nelF
invettiva, riferisco qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna di
considerazione. Dopo avere ben bene rimbeccato I'accusatore, e dimostrato che
invece di torti egli, r ImperfettOy aveva ragioni da vendere, e meriti da
mostrare a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disadomo, vile, calunniatore e
macchinatore della rovina dell' Accademia, cosi finisce a lui rivolgendosi : II
lettore sente di quanto veleno sian ripiene quelle parole, e come per la quanta
sua questo scritto sia modello, tanto che lo stesso Omato si dolse anche in
progresso perche la piil bella cosa che avesse a que' di fatta il prior R.,
I'avesse fatta contro di lui. Di altra sua invettiva, fiera atroce e
sanguinosa, come place chiamarla al Moreni, abbiamo notizia solo perch^ la
difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo il Salvini, di alta reputazione, e
contro cui quest* accusa di R. era diretta, ci attesta essere stata scritta dal
Priore Imperfetto. E da'titoli di usurpor tore, di sfacdatOj di stravagmite, di
infamatore, che possono formare la corona del piii famoso malvivente, e coi
quali il Segni apostrofa il nostro Orazio, si rileva che egli non doveva anco
in questa accusa avere scarseggiato di epiteti, tutt' altro che accademici, in
quelle sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria delrintelligenza,
indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi pertanto che occupati quegli uomini, o per
giuoco, o sul serio, a tirarsela giti senza misericordia e spesso, in quelle
adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e
fingevano di ridere ; come vuolsi che stemprati gli ingegni cosi, alzassero il
capo al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di
indipendenza, di nazione, d' Italia ? Se riscuotevansi talvolta contro il vieto
e malo governo che di lor si faceva, erano come i garriti di scolaretti che
dicon male, quando non sente, del loro maestro severo, in quella stanza, su
quella panca, e non altro; che anzi quando il maestro ritoma, si chetano e ne
hanno pitl soggezione di prima. Non m' intratterro a parlare del discorso del
Rucellai, recitato nel 1651, nel rendere P arciconsolato in mano del Timido
(Desiderio Montemagni) e pubblicato dal Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli
scientifici (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi in un manoscritto
miscellaneo della Magliabechiana, segnato N. 1422. E un discorso di non molta
importanza, e, come possiamo immaginarci, pieno di comphmenti, di scuse, di
proteste, di nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe, e R. pitl d' ogni altro
per la qualita modesta, anche troppo, dell' animo suo. fi scritto anche questo
in ottima lingua, ma con il solito vizio del tempo, il diffuso, ed un po' di
quel rigoglio accademico. E neppure, se non per aggiunger prova alia mia prima
asserzione che 6 come la stregua a cui ricondurre ogni mio discorso, io m'
intratterrd con lunghe parole ad esaminare una sua cicalata suUa lingua
lonadattica, che trovasi nelle Frose Florentine (Parte prima, Vol. I, Venezia,
1730) e la cui contraccicalata fu letta nella Accademia della Crusca la sera
dello Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un accenno di quel che si tratta,
per mostrar anco qui quanto allora, pur negli scherzi, si mirasse all'
esagerato, e si coprisse, quasi inconsapevolmente, di nomi pomposi la nullity
delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cercasse ogni strada per ridere, e
come R. partecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in ogni verso se ne
facesse 1' immagine. Tra le molte e moltiformi accademie che spuntavano come 1'
erba sul suolo d' Italia, e precipuamente in Toscana, in Firenze, vi era quella
de' Mammagnuccoli, capitanata da Paolo Minucci, (il Puccio Lamoni del
Malmantile). Erano una conversazione di galantuomini (Nota del Minucci alia
stanza 26, cantare 3** del Malmantile) i quali facevano professione di sapere
il conto loro in ogni cosa, e particolarmente nel giuocare, e nello spender
bene il loro danaro, e d' essere il fiore della reale e onorata scapigliatura.
Avevano un loro capo che si chiamava I'Abate, dal quale erano gastigati quando
facevano qualche errore nel giuocare o nello spendere; ma pero tutto era in
galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa r Abate, dove si giuocava a
giuochi piii di spasso che di vizio; e si facevano aitre allegrie di cene, di
merende ed altri passatempi. Costoro erano tutte persone gravi e quiete e della
piti riguardevole civilta, e percio la loro conversazione si bramava da molti
che v' intervenivano ; sebbene non fosse ammesso a quella veruno che non avesse
provata prima la sua dabbenaggine, e non fosse stato riconosciuto dall' Abate e
da altri suoi consiglieri meritevole d'esser ammesso : la quale dabbenaggine in
un certo loro gergo equivaleva a furberia. Perch^ vi era anche un gergo o
parlare furbesco, noto solo agli adepti, che riconosceva per padre il
Burchiello; ed era pure in grand' uso fra loro la lingua lonadattica, cosi
detta per ironica ampoUosit^, quasi composta dell' ionico e dell' attico
dialetto, la quale da quel gergo difFeriva, non essendo composta di parole che
avessero in qualche modo analogia con le parole vere delle cose che si volevano
significare, ma di vocaboh che del vero vocabolo avevano le prime lettere. Or
appunto sulla origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chiamato
dagli stessi Accademici scioperatissimo, intess^ una cicalata il nostro R.,
plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il riso, se
.dalle considerazioni fatte di sopra, e che sorgono nella mente spontanee, non
ci fosse piii sovente che mai trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano,
lodavano, e sorridevano, e come ! quando per esempio, invece di dire: ioho
mangiato una minestra di miglio brillata, leggevasi: io ho mangiato una
minestra di miUe prelati; voi avete della rosa sotto il coUare, per dire della
roccia; per il Dante della Beatrice, il Damo della Bea; la mula delV
Arcidiacono per la musica delV Arciduca, ec. Or mi si dica: non par egh quasi
impossibile uno stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che sale in
bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza su tali puerilita; e quel medesimo
uomo illustrar poi le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate
novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la ragione di ci5 non trovassimo noi
nella condizione dei tempi che aveva preso sopravvento su lui, di certo saremmo
tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni fisiologi, in qualche
oncia di cerveDo che egli avesse di meno, al di sotto cioe del peso de jure,
per secemer le idee, e per fare ordinate le digestioni dei proprj ragionamenti.
Dicesi anche, e il Passerini ed altri ne fanno menzione, che R. voile pure in
prosa dar saggio delle sue debolezze erotiche, e della sua ability negli
equivoci, in uno scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho fatto ricerca, ma non
mi e stato dato imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu Giovanni
Andrea Moniglia ; e R. non fece che gli argomenti e le descrizioni in prosa di
ciascun atto ; descrizioni assai vivaci, quantunque sempre un po' verbose, e
nelle quali egli dimostra una cognizione vasta e minuta della raitologia. Che
egli poi fosse, come si dice, assai padrone del latino e delle bellezze di
quella lingua apprezzatore autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei
suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di classici, e argomento sicuro
la Traduzione della prima Lettera del libro 1° di Cicerone ad Quintum Fratrem
superiormente notata. Ed io ho detto gi^ come questo esercizio, si proficuo per
ogni rispetto, introdusse R. nel suo secondo Arciconsolato (1650) tra gli
Accademici della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccitamenti non
andaron delusi. Se devo dar pero il mio giudizio intorno a questa versione,
sembrami che in mezzo a' molti pregi, come la scelta di soggetto morale, la
lingua, la fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di una eccessiva
imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del
tu adoperato, che ti divien quasi ridicolo, una volta che pensi esser
traduzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico Moreni troppo facile alia
lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio R., notando come
appaia che egli con si fatto signorile trattamento abbia qui voluto conservare
la stessa sostenutezza, che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e
quasi rimproverante lettera ; come se r altezza o propriety, o la bassezza e
indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non piuttosto nella
gravita del concetti che possono manifestarsi propriamente anco col dolce tUy
appellativo con il quale il Casa monsignore, e il Moreni canonico si
rivolgevano a Dio stesso nelle loro pregliiere, senza credere, io penso, di
mancare a lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come questa fosse una tra le
altre curiose debolezze del prior R., che viveva in quel tempo come di grandi
imprese, cosi di stravaganze e di capricci fe^ condissimo. Voglio riportar qui
due soli versi della fine di quella lettera, e che mi si dica se non par di
vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno diuanzi vestito con seta, nastri e
rasi, e fare mutatis mutandis un complimento galante a una signora di
conoscenza che incontra, mentre lo stesso monsignor Della Casa lo vede da
lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella facilissimamente (ecco le parole) se
penser^ che io, cui sopra di ogni altro ha premuto sempre in dar. gusto, mi
ritrovi di continuo con esso lei e intervenga a tutti i suoi discorsi ed
azioni. Resta adesso che io la preghi ad avere ogni possibil cura della sua
salute, s' ella vuole che io e tutti i suoi godiamo la stessa, e le bacio le
mani. > E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne va Via pe' suoi fatti.
Del resto, se questa traduzione imita si brutto costume, allora assai in yoga
anco nella Francia, dove appunto nelle Orazioni di Cicerone, traducevasi la
parola Quirites col francese Messieurs ; ^ poi precipuamente pregevole per il
fine morale per cui essa fu fatta, ed d anco questa una lodevole espiazione per
le mende di disonesta dalle quali non serbossi immune. scrivendo, il nostro
filosofo. Quantunque di non grande importanza a prima giunta, ptir mi sembra
che questi fatti sieno, a chi gli osserva con occhio imparziale, di lume e di
prova sempre maggiore, e prendano qui per noi un' importanza che altrimenti non
avrebbero. Non siamo neanco alia met^ della strada; eppure trapeliamo gi^ qual
possa esser la natura della via che ci tocca ancora a percorrere, e quale la
m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte nostro si dilata, ed i colori della
pittura che abbiarao dinanzi prendono un aspetto vie piti deciso, determinato e
perfetto. Dallo stato fisico, fisiologico e morale noi ci avviciniamo sempre
piCi all'intellettuale, che tutti gli comprende ed informa : noi vogliamo
cogliere il pensiero del pensiero nel R., come filosofo della natura, dell'
uomo, e di Dio. Ed infatti, senza por mano ancora alia sua macchina filosofica,
noi abbiamo in tre scritti suoi piii spiccato il pensiero filosofico di lui,
abbiamo non piii tanto il letterato e 1' accademico, quanto il ragionatore.
Quantunque, come di altri e accaduto, un suo discorso sulla Fortuna sia rimasto
inedito, pure siamo in grado di ten^er parola del concetto che dovea
informarlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto
della fortuna discorre. Ed aggiungo anzi che non sarei lontano dal credere che
questo discorso sulla Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo
di quel suoi dialoghi sul medesimo soggetto ritrovasi. Comunque, e da notarsi
che questo discorso egli lesse a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accademia
che fu pubbKcamente tenuta nella Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per onorare
il principe Giovanni Adolfo, fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo
allora era Lorenzo Magalotti (intimo di R.) come ricavasi dal Diario
deU'Accademia, e letto da quello un elegante proeraio, discorse poi V
Imperfetto della Fortuna con sottigliezza, novita ed erudizione piii che
ordinaria (Vedi MORENI, Prose, pag. XX in nota), mostrando come fecero innanzi
il Petrarca, lo Speroni, e molti altri la fortuna non esser che nome vano in se
stessa, e invece sotto tal nome cui il volgo o pensatori traviati diedero corpo
e figura, nascondersi I'esecuzione del volere divino; e combattendo il caso
contro Epicuro, e recando a sostegno de' suoi pensamenti i pitl celebrati
autori antichi e contemporanei. Conforme poi alle teoriche Galileiane e coUe
leggi del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del R. contro il
Freddo positivo. Discorso ingegnosissimo per argomenti di prova, e, secondo il
Dati, mirabUe (Vedi Dati, Lett, a pag. 69), che il nostro prior Orazio recito
in un' Accademia fatta a bella posta in ossequio e trattenimento del famoso
cardinale Delfino, patriarca di Aquileia, il quale trovavasi allora di
passaggio in Firenze, e a cui R., lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne
fanno fede le lettere indirizzatesi scambievolmente. Non e qui ufficio nostro
il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte
dal R. in appoggio della sua tesi: vogliamo solamente presentare il disegno di
questo suo lavoro, per dimostrare come nella filosofia naturale egli,
quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle medesime
verity dimostrate dalla filosofia moderna, in tutto seguitasse il metodo
inaugurato dal Galileo, con cui si rapidi progressi pot6 fare la scien za
fisica, che fu solamente allora creata. Egli dunque voile provare il freddo
essere privazione di calore, contro lo Smarrito (il Dati) e il SoUecito (il
Capponi) che fortemente mantenevano il freddo essere positivo e reale. Si fatta
questione, ne ricorda il Moreni, (Prose ecc, pag. XXI) comincio a ventilarsi
nell'Accademia del Cimento con grave dissenso di vari insigni soggetti, che la
coraponevano, in tal materia, e che tento di risolvere il dottor Giuseppe Del
Papa con la sua celebre lettera a Francesco Redi, sostenendo che il freddo non
e che una sempKce privazione, ed un mero discacciamento del caldo, e non gi^
una sostanza positiva e reale come pare la volesse il Dati, versato assai, del
resto, in cose naturali e di fisica. E il Rucellai, con grande compiacenza,
premette come Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco con gli altri
elementi nascerne il moto, e dal moto le generazioni. > E non solamente per
eccitare il caldo nei nostri sensi vuolsi il moto, ma lo stropicciamento dei
calorifici con le parti sensibili. > Tutti gli atomi, che non sono
calorifici dicogli sieno frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il
medesimo essere il freddo privazione del caldo. > Le cose lisce appajon piil
fredde delle rozze, perch^ si turano i passi agli stropicciamenti degli atomi,
uscendo e entrando pe' nostri pori. > Ci par freddo il piede, essendo nel
letto, e non la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e conosciamo in
comparazione del pii\ caldo. > 11 secco e il buio, che sono privazioili, non
forman patimenti, come fa il freddo. > Si vede, che del fuoco n' 6 tenuto
conto, e gli h stato assegnato la propria stanza ; il che non si vede seguir
del freddo ; bench^ dicano nelle neve, e nel ghiaccio ch' 6 una minima parte e
un accidente dell' acqua. > L' umido e il caldo esser cosa vera e
sostanziale, ma il secco e il freddo esser di loro la privazione. > Dicono
il freddo aver azione e moto come si vede nelle sperienze del caldo e del
freddo e delli agghiacciamenti ecc. > Scorgesi qui, io diasi,.applicato
nella sua pienezza il metodo del Galilei, ed una prova novella percid di quel
contrasto di pensieri e dottrine che andiamo man mano riscontrando nel nostro
filosofo. Che se innanzi di passare alia esposizione e all' esame diretto dei
suoi pensieri filosofici intorno all'uomo, alr universe e a Dio, vogliamo ancor
piii vedere quanta rispondenza ci sia tra lui e la sua eta, non dobbiamo che
gettare uno sguardo, ancorch^ rapido, non tanto sulle sue lettere, quanto sopra
il suo breve, incompleto, ma pure importante scritto che porta per titolo:
Pianta della Corte e del Rigiro di Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in due
capitoli, il secondo dei quali non terminato. Le lettere del prior R. pertanto
non destano, per verity, in generale grande interesse, imperocche scarse di
numero le conosciute, e non aventi una qualit^ scientifica; ma o accennino all'
invio di scritti scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o
sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi padroni ; nondimeno esse servono a
chiarirci alcun po' delle relazioni sue con i dotti contemporanei, e delle qualit^
deiranimo suo, e del tempo in cui alcuni lavori filosofici furono da esso
scritti, e dell' ordine da assegnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica,
manifesta nell' uomo nostro accorgimento non comune e conoscenza profonda del
cuore umano. Stando alia numerazione delle lettere familiari, data dal canonico
Moreni, esse non sarebbero in numero minore di cento; ma pubblicate non ne
abbiamo che 36; e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier Cesare Guasti, ne ho
potute ritrovare alcune altre, 8 o 10, di poco conto perd, inedite, nella
Biblioteca Palatina tra gli Autografi, e nell'Archivio Centrale di Stato in
Firenze. Quelle edite, come bene giudicd il Moreni stesso, {Prefae, alle Led.,
pag. VIII) quasi che sempre conservano un non so che di grave e di eloquente, e
mai sempre appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir il vero,
in qualche parte scorgesi, ed in special guisa in quelle al cardinale Giovanni
Deliino, una monotonia di sentimenti e di idee, altresi in lui inevitabili,
perdxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie e distinte, suUe di lui
lodi e ordinariamente su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo che per istile,
che a lettera si convenga, troppa contorsione e ridondanza di period! alcuna
fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici
discorrere, e manifestare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pensieri.
Nello stile adunque ritrae del secolo, e nei pensieri anco talora ; sicche
quando egli scende al faceto fiorentino, vedi cid farsi da lui con isforzo, e
non con quella tanta facilita che riscontri nella propriety del dettato,
giustamente encomiata dal Moreni e da altri. Sul contenuto di queste lettere
sarebbe superfluo intrattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro cammino ne
abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per illustrare V uomo, gli atti e V
opere sue letterarie e filosofiche. E neppure minutamente ci fermeremo nelle
politiche, delle quali assai duolci di non avere che due tre, mentre e
probabile che altre piii ne giacciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri,
allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo ragguagUa dello stato di
Vienna e di Polonia, ed esamina le condizioni interne ed intemazionali di quei
paesi, e piil specialmente le quaUt^ di quei principi. Ed ^ notevole, invero,
che egli in quel tempo di vincoli al pensiero e di animi proni all' adulazione
dei potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti malvagi, dimostrisi
indocile a questo difetto, sicche dimentichiam volentieri le piaggerie al suo
Granduca, e le eccessive proteste di devozione e di servitii, e conyeniamo
anche una volta col Magalotti che lo appello r uomo piil proprio a forniare un
principe (Vedi Palermo, Manoscr. Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento). Se non che
confrontando le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^ osservisi come le piil
libere o meno serve di queste lettere scrivesse piii giovane, le piCl ligie
piil vecchio ; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle pure di
liberi sensi deteriorasse, o per timore di perdere protezione, o per altra
causa di debolezza li tacesse, sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo
principe altrimenti da quelle che avrebbe desiderate. Ed infatti chi ha letto
in quali termini R. protestasse a Ferdinand© II dei Medici e ad ogni principe
la servitii sua e de' suoi figli, pud scorgere il divario profondo che v' ha
nelle condizioni dell' animo suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al
Poltri, da Varsavia, intorno alle qualita del re Vladislao, presso cui era
stato dal Granduca inviato in legazione straordinaria : Noi vediam qui come R.
sembri assolutamente sciolto da qualunque legame, e non guardando in viso a
persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto piti gU dispregi in un Re il
quale preferisca V utile proprio al bene del popol suo, o questo solamente
ricerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio vantaggio. Lo che
dimostra bene quanto rettamente pensasse intorno ai doveri di un principe R., e
quanto, conoscendo le bugiarde apparenze delle corti, egli di certo avesse
bramosia di smascherarle ad utility dei soggetti; e cid vedesi piu ampiamente
nella parte morale dei suoi dialoghi; ma il volere rimaneva pressochd
inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una volta che ritornato in patria
lasciavasi vincere da miUe riguardi che un uomo dabbene ma debole co-stringono,
se non altro, a rimanersene muto di fronte a ogni abuso. Dove poi nel R. piil
si vede spiccare quel conflitto di sentimenti si 6, rho gi^ detto, nel suo
scritto su Roma. Non giova riandare le condizioni poUtiche ^ religiose d'
Italia e della Toscana principalmente in quel tempo; ch^ ci sembra
sufficientemente aver chiarito tal punto. Giova pero averle in mente ora coUe
quality morali del filosofo, per apprezzare in lui, amico di Principi e di
Cardinali, quella liberta di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni
giogo, sfidare il passato ed il presente, protestando contro certi non lodevoli
usi della Curia Romana. Si; protestava di fatto il filosofo, e la sua coscienza
sapeva bene distinguere, quantunque scrupolosamente cattolico, il principio
dagli uomini, la bont^ di un' istituzione ed i vizi di chi la sostiene ; se non
che apparisce che egli non avesse coraggio di pubblicare tale protesta, e
fors'anco quello di terminarla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna
e dall'animo. Sono i due sentimenti che contrastano in un medesimo uomo, il
sentimento del vero, il sentimento del timore, e il secondo sciaguratamente
prevale. Nel V Capitolo pertanto, R., con ampiezza di vedute dimostra : come V
tiguaglianjsa di tutte le condizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu
sempre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon premio solamente dei
meriti e delle virtu, E nel secondo: come tutti i Governi ove s' intruda V
avarizia e V ambizione rovinano, e quello di Boma con esse piu che mai si
sostiene, E per giungere aUa dimostrazione della prima tesi egU osserva, come
la Repubblica universale di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto
originario quel misto perfetto dei tre stati, monarchico, Ill aristocratico e
democratico, reputato per la forma piii durabile e meglio ordinata • di tutti i
governi, dove ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e che r uno
stato di essa ben corrisponde, e serve di correggimento all' eccesso dell'
altro. Ella d questa, si Bcorge tosto, la teoria stessa di Cicerone e del
Machiavelli riprodotta nel suo genuino significato, 1' accordo della quale pero
coll' indole della vita del Rucellai tutto intento al servizio di un principe
assoluto, sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non avessimo la via a
spiegarlo nelle ragioni tante volte, discorse. E soggiunge E ponendo in
rafironto cio che di Roma discorre Quinto Cicerone al fratello, con quello che
era Roma in quei di, e alia stretta somiglianza delle due Rome guardando, soggiunge
(notisi, di grazia, perche qui si ritorna all' antico) che egli ha voluto
registrar cid in questo luogo perche si conoscc che o sia la postura del cielo,
o sia pure la necessity dei medesimi fini negli ultimi tempi della Repubblica
romana, forse come oggi adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti
conformi, influiscono similmente negli animi la stessa maniera e inclinazione
di costumi, e nell'una e nelr altra etade s' introdussero e stabihrono nella
Corte di Roma contro la virtil e contro la piet^ della sua primiera
istituzione, tutte quelle arti che piii si producono dair opere della malizia,
che dalla carita e dalla devozione. Si pud dunque concludere, che la macchina
del rigiro di Roma stia appoggiata sopra r estremo del vizio, non sopra 1'
eccesso della virtii, perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli
uomini sono piti nemici, tanto piii usano tra loro atti di confidenza, e piii
liberty di tratto. E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in
loro violate dall'inganno, e dalla malizia di farsela 1' un V altro a tempo, e
con vantaggio, e quegli solamente 6 stimato piii valent' uomo, che pu6 piti.
Quindi avviene che qualunque e reputato uom di valore nelle altre regioni del
mondo, venendo a Roma si perde, trovandosi in una diflerente scuola da quelle,
ove s'apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. Quei dunque,
che si mette a vivere in questa Corte non basta che e' sia letterato e
sapiente, quanto se gli conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda
perd alio stile del paese, mantengasi per sd nelI'arti virtuose, ma assuefaccia
I'animo educato ne'buoni costumi a non si scandalezzar de' pessimi. Se il
Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto
scriver in questo modo ; piii liberamente, non giudico. Egli seguita sempre su
questo piede, ed e cosa ammirabile, senza intaccar mai i principj, guardando ai
vizi degli uomini, e dando cosi una lezione a noi che gli uni cogli altri
tramescolando, condanniamo con maliziosa leggerezza i primi in un co' secondi,
dimenticandoci o fingendoci di dimenticare i canoni piii elementari di logica,
per non dire di buon senso e di buona fede. Ambizione, interesse private,
ipocrisia, inganno ed invidia, ecco adunque, per cosi dire, i fili conduttori
nell' intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e
pretende di avvicinarsi al suo centre, dappoiche fu distrutto quel principio d'
ordine nell'armonia dei tre elementi dello stato perfetto, e incominciossi a
misurare V ability degli uomini, non dai meriti dalle virtii, ma si daU-
interesse e dal genio di chi comanda. Ognuno cerca per aggiungere il suo
talento di tener quella via che stima pitl opportuna, di tener dietro a quel
flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche ognuno s'infinge per quel
che non ^, e si maschera dell' estremo contrario di quel ch' e' si sente dentro
nella sua propria natura. La virtii dunque nella Corte di Roma sempre adonesta
gli avanzamenti quantunque non abbia parte nell' avanzare. Evvi dunque una Koma
apparente, e una Roma reale; e R. ve le descrive a meraviglia con una vigoria
di concetti e di immagini, che sembra il Frate Ferrarese avergli in certi dati
momenti spirata in petto la disdegnosa anima sua. lo rimando, a persuadersene
meglio, il lettore alia fine di questo libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero
e per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur bastevole perchi^ ci
facciamo un' idea chiara dell' animo di R. intomo al govemo di Roma, che si
fondava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse private. E tanto egli era
cattolico e distinguevabene religione da uomini di Chiesa, che questo primo
capitolo fa terminare cosi: II secondo capitolo e breve, non compiuto, e
insieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova
s' intruda 1' avarizia e 1' ambizione rovinano al contrario di quelle di Roma;
il R. stabilisce essi vizj essere il tossico che la giustizia distributiva
corrompe e distrugge, e i fatti antichi e modemi lo confermano, seguendo le teorie
deir Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno alia nobilt^, espone in un
modo determinato come questa giustizia distributiva, senza la quale riman
cadavere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato, intenda ad uguagliare
gli uomini sotto le leggi della virtii, la quale solamente pud esser base di
differenza tra gF individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio
e 1' ingiustizia. Cid espone in brevissime pagine col solito vigore di
argomenti, coUa solita leggiadria del dettato; ma rimane qui, come si vede, al
principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt'
intiero, sar^ forse con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1'
incompiutezza di questo scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell'
dra modema che spira, e la coscienza deU' uomo per la forza oltrepotente del
vero distrigata un istante daUo scrupolo e dal timore, protestare contro i vizj
o le loro sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^
aggiunto un argomento di piil a sostegno di quel ch' io scrissi in principio, e
che d come il perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il mio librc' Ad
eliminare poi anche Tombradel dubbio che potesse sorgere, per avventura. sulP
autenticit^ di questo scritto, riporto qui Qui R. non 6 piil I'uoino del
Medioevo e del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio all' autorit^; e il
filosofo modemo che evitando gli eccessi del Bruno, riprova gli scandali del
chiericato, ne condanna, per ainore della religione che ei professa, gli abusi;
e innamorato del vero e della virtil, al pari di Platone, richiama con severe e
giuste rampogne a tornare nella via smarrita lo stesso sacerdote, il quale,
immerso talvolta nello interesse mondano, posterga i principj deir Evangelio,
egli del Vangelo e della carit^ cattolico banditore. in nota, come a confronto,
cio che trovo scritto dal R. stesso, nel suo trattato della Provvidenza, pag.
368. Tip. Le Monnier. — « Ed io vi replico esser verissimo die tutte le cose
che si fanno fannosi per divino volere; e questo il fato si h. cio 6, decreto
infallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma dagli uomini per lo libero
volere le cose si deterrainano, come dianzi si disse. E siami lecito, signor
Elea. far qui riflessione sopra cio che avete mentovato di Roma; come Roma
antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon costume e alia virtii diquegli
animi, si feo padrona del mondo; ma degenerando da' suo' principii si spense,
perchfe cosi voile la divina predeterminazione per mezzo del libero arbitrio
mal guidato dagli Qomini. E questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la
poverty e su I'esempio del mondo anch' essa signora divenne, mutando costurai
pill che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado de'vizii piii
licenziosi degli uoraini la religione sostiene loro, non essi la religione
sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^ ella k forte braccio e
onnipotente della Provvidenza divina. Come ci condurremo quind' innanzi nel
nostro lavoro. Esposizione de'Dialoghi filosofici. Critica. — Perche si
pretermettera la critica minuziosa delle dottrine filosofiche del Bucellai. —
lucertezza del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo e pero
che son parte di mente matura. — Quattro codici manoscritti de* Dialoghi, e
qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole del prof. Palermo. — Una
lettera di R. al Granduca, intorno air ordine di quest! Dialoghi. — Noi
segniamo, neir esporli, questo ordine. — Si riporta, e perche, V intero
Preambolo ad essi del Bucellai. Quando nei precedent! capitoli si e discorso
della vita e degli scritti minori di questo filosofo, dopo aver dato uno
specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia
nel secolo decimosettimo ; a ciascun argomento facemmo precedere sempre una
descrizione pitl particolareggiata di esse, secondo che appunto il subietto
nostro particolare esigeva. Venendo ora a discorrere dei Dialoghi filosofici di
lui, stimiamo meglio invertire quest' ordine, senza recar percio verun
pregiudizio alia chiarezza e alio sviluppo logico della dimostrazione.
Imperocchd di gia con sufficiente ampiezza abbiamo tracciate certe linee che
della figura ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl
non vi sia da smarrirla, e non ci resti che colorirla piii e piii, e ridurla a
compimento maggiore. E pero la nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo
lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi con critica
e precauzione, adoprando in ci5 il finqui messo in sodo con evidenza da altri;
ne esporremo con qualche larghezza il conteniito, come di un' argomentazione e
de' dati di un problema farebbesi, e indi, fermatili bene, procureremo di
scioglierlo, rivolgendoci ad un esame piii accurato ed attento delle diverse
opinioni filosofiche che combattevansi allora, e ponendo in chiara luce quel
che veramente il Kucellai ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali
intendimenti e criterj, ed il posto precise, per conseguenza, che gli si spetta
nella storia del pensiero italiano. Ne questo disegno esclude aflfatto che man
mano si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacontran de' punti
cardinali che servono a qualificare il suo metodo e il suo sistema, noi
possiamo farli rilevare, e notarli, e raccomandarli alia considerazione del
leggitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscontro alle loro sorgenti
generali, apparseci nell' esame del pensiero di quel tempo, e queste e quelle
ricondurci sicuri al punto d' onde muovemmo, e che nel cammino ci servi sempre
come il centro di un circolo serve ai punti della sua circonferenza. Aggiungasi
che pel fine e intendimento nostro non importa guari intrattenersi minutamente
sulla critica delle dottrine di questo filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo
eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione su que' punti che lo
appalesano piii, e indi non ci venga attribuito a soperchio se oltre
I'appendice di cose scelte letterarie, scientifiche e morali, nello sviluppo di
questa parte del libro intrecciamo la citazione di varj e non brevi pezzi di
questi Dialoghi, che pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto trattisi qui di
esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior parte degli scritti del
quale sono inediti, come puo ricavarsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso
inoltre di rispanniare ai lettori quella lunga fatica che ho dovuta spendere io
nello scorrere tutti da cima a fondo questi Dialoghi, che pel diffuso stancano
spesso; ed infine riferendo qui nel mio Hbro le cose pitl importanti di questi,
mentre lo pongono, risolvono, sto per dire, o almeno agevolano di assai la
risoluzione del problema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrattenersi
sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel secolo XVII col R., il quale
chiude il ciclo del Rinascimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei
suoi libri su cio ; come ad altri altre cose ; io per me che considero R. da un
punto di vista meramente storico e ne noto, per tal rispetto, Y importanza, non
son tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di trasformazioni e
trapassi che le dottrine platoniche subirono dair origine loro conosciuta fino
aH^ Imperfeito; lavoro del resto della somma importanza e di grandissima
utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto e da uno de' suoi ; e
credo aver motivo di acquietarmi nella speranza che questo augurio trover^
sollecito il suo compimento feKce. E per primo il tempo preciso in cui questi
dialoghi farono scritti, non possiamo determinare a puntino, malgrado che nolle
sue lettere R. accenni ad alcuni di essi che aveva allora, mentre scriveva,
compiuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si scorge (e del resto per
noi piii importante), d che tutti questi Dialoghi sono parto della sua mente
matura, imperocch^ solamente dal 1665 in poi troviamo da lui uomo adulto fatto
cenno agli amici ed al Principe di questi lavori scientifici, intomo ai quali
indefessamente aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavorarvi.
Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro filosofo a messer Giacomo
Altoviti, al Patriarca Delfino ed al Redi, nelle quali fa menzione or di questo
or di quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano ricopiato 1'
avea ad essi e ad altri amici o illustri personaggi per mezzo di quelli
mandavalo; io, come il chiarissimo professore Palermo nel Vol. Ill, dei
Manoscritti palatini^ daro intorno a questi dialoghi un qualche cenno, e verrd
con un brano di let^era scritta dal R. al granduca Ferdinando II, nel maggio
del 1665, a stabiUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a
conoscere il disegno che I'autore aveva architettato intorno quest' oper a, che
per mala ventura rimase incompiuta. Delle quattro copie di questi Dialoghi
filosofici da me tutte esaminate con diligenza, la Palatina, la Magliabechiana,
e quelle che si conservano nella libreria privata dei Ricasoli Firidolfi, le
piii emendate sono queste ultimo due, copie entrambe, la prima in dodici tomi
nella massima parte corretta e aggiustata dall' autore, e che per6 fa citata
dagli accademici della Cru sca come r originale. La seconda in quattordici tomi
apparteneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi acconcio di sua mano gli
sbagli propri del copista. Gi^ discorrendo della vita scientifica dell'
Imperfetto (cap. Ill), avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento
acui egli mirava principalmente con questo scritto; ma era al disegno materiale
^ non inutile il far seguire il preambolo di R., nel quale espone ampiamente il
concetto primo di essi. Nel primo esemplare della libreria Ricasoli, pertanto,
i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre viDeggiature. che
eseguird volentieri. Le invio il preambolo, onde si ricava 1' ordine e la
distinzione di tutto il mio proponimento. Dipoi ho stimato bene lasciare il
primo Dialogo contro i sofisti, che serve solamente per introduzione alle varie
opinioni de' Filosofi intorno ai principii della natura, non essendo ripulito ;
e mando il secondo dialogo sopra I'opinione di Talete Milesio, che tenne r
acqua per principio universale di tutte le cose ; proposizione non molto difficile
a esser trattata. Appresso, saltando il numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non
pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora ho messo mano, sopra V
opinione d' Aristarco Samio, le trasmetto i tre primi Dialoghi sopra il Timeo
di Platone, dei quattordici che ne ho imbastiti; parendomi che questi trattino,
sopra tutti gli altri, cose molto malagevoli a spiegarsi. Delia prima
villeggiat ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialoghi innanzi al
Timeo; e dopo uno sopra la filosofia d' Aristotele, che non ho ancora
cominciato. (Vedi conferma nella Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove si
rileva che questo trattato della Provvidenza va dopo il Timeo) E appresso ne
vengono sedici dialoghi sopra r opinione d' Epicuro, che ho messo insieme, ma
non ancora bene ridotti ; e diciotto contro il medesimo Epicuro, della
Provvidenza divina, che gli ho finiti, ma non messi al polito. Della seconda
Villeggiatura, «h'^ r Albana, dov'entrano dialoghi della natura dell'anima
vegetativa e della sensitiva, compresa da molti dialoghi di notomia, gli ho
tutti distesi, ma non rivisti; e ne ho da fare due di pianta sopra Tanima
ragionevole. Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale contiene
materie morali, ne ho fatti parecchi, ma ne avrei da fare altrettanti. Vero e
che ho repertoriato ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene interrotta
spesso e dalle cure familiari, e dai disastri della casa, che mi tengono in
liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo
termine. Ci trover^ delle cassature e delle rimesse, qualche errore d'
ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio
nella lettera. Ma il suo proposito, negli otto anni che sopravvisse, non gli
venne fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni dialoghi senza 1' ultima mano,
alcuni ammezzati, e quali poco nulla fuori il disegno. E quanto alia lor
disposizione, parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo, non fosse
in tutto fermata. Poiche nell' originale i dialoghi contro Epicuro seguono i
primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel dialogo XXII si
rammenta il Timeo, come discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima di sd i quattro
dialoghi intorno alle matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi
sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il Timeo; e nella copia Palatina il
Timeo senz' altro avanti ai Dialoghi contro Epicuro. lo pure nel discorrere
terrd quell' ordine come il pitl logico e naturale, e vi porrd tutta la cura
ch' essi meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a
costituire un importante e quasi compiuto edificio, e a rappresentarci intiero
il sistema ed il metodo di questo filosofo toscano. N^ ^ meno utile, com' ho
gi^ detto, premettere qui per intiero il preambolo cheva in testa ad essi
dialoghi, e che ci dimostra con maggiore chiarezza r obietto principale e
nobilissimo loro. fi un' orazione toccante quant' altra mai e di bellissima
lingua, che varr^ a riposare, ricreandola, la mente del leggitore, il quale
pure da essa potra fin dai primi periodi rilevare la natura deUa filosofia che
R. vuole insegnarci. Dietro alia meditazione dunque della virtii, io mi
ridussi, siccome voi vedete, sotto '1 benigno, e salutifero cielo di questo
novello Tusculo, dove 1' orribile rammemorazione sfuggendo, e' rischi della
mortifera pestilenza, che poc'anzi incominciata a Napoli, o per la corruzione
dell' aere, o pe' venti, che dalle parti Orientali soffiando, seco ne la
portaro, s' e nella citta di Roma miserabilmente appigliata, nulla dimora parve
agli occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta di questa, ne
cotanto in si spaventosi tempi per le nostre speculazioni appropriata. Vennemi
qui subito in mente di quelle cotanto feconde, che M. TuUio ci fece gi^ sopra
di questa virtii in quelle torbide congiunture delle soUevazioni civili, e si
al medesimo m' accinsi, forse con troppo animo, anch'io per I'amenita, e per le
solitudini di queste ville, desiderosamente cercandola. Ora nel levare, ch'io
feci degli occhi al cielo, mi ricordai di quanto ne ammonisce il nostro Poeta:
« Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira, Mostrandovi le sue bellezze eterne.
» > Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo nostro Emispero, e
oltre agli stupori, che di lassii in varie guise agli occhi nostri lampeggiano,
volt^mi a basso, e posi mente alle innumerabili creature, onde si vede la terra
a maraviglia ripiena. Qui considerai con qual ordine, e magistero elle sono
dalla virtuosa, e poderosa mano guidate della Provvidenza suprema, ch' elle
paion fatte tutte per noi, e come dalla loro ingegnosa architettura apprese lo
intelletto umano i piii industriosi esempli, e coll' imitazione della natura
fecesi maestro dell' arti, talmentech^ i' mi rimasi siccome attonito a prima
vista, e adombrato da una virtii si grande, che da 1' essere a tutte quante le
cose, e reputaila in ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle nostre
meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per ricordanza quel che il Timeo ne
insegna, cioe, le infinite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile,
essere lo specchio di quelle piii perfette, e piii ragguardevoli, che sono nel
mondo intelligibile raccolte insieme, anzi nello intelletto divino per guisa,
che sovvenendomi di que' versi : « Quanto per mente, e per occhio si gira Con
tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi
fissai in esso quel piii, e credei senz' alcun fallo da si ammirabili e da si
ben regelate fatture, qualche sembianza della ragione universale agevolmente
comprendere, di maniera che io pensai di accenderne in me un certo lume pitl
spiritoso, e piii vivo per additame a voi le forme pitl simili nella virttl, e
con esso lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena i' volli ne'
segreti profondarmi della natura, e di Iddio, ch' io immantenente rimessi 1'
animo, e quanto pitt nel pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl,
ch'egli hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e vie piii di riverenza
esser degni, ch' agl' intelletti de' mortal! in verun conto proporzionali ; anzi
e' mi parve miracolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed abbracciare
coll' inmiaginazione 1' ampiezza di una tal macchina, non che noi dobbiamo
intendere con qual concerto ella si govemi, e lo spirito, che dentro la muove,
e impercio Dante, che in prima ne invitd alia contemplazione del cielo, ce ne
modera poi I'ardimento, dicendo : « Perche appressando s^ al suo desire Nostro
intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non puo ire. » riflessione
veramente proporzionata ad un uomo; 1' altra e d' Apollo, o di chiunque si sia
: € Cognosci te stesso, > che era scolpito in fronte al famoso Tempio di
Delfo ; proposizione divero, e ammaestramento degno di un Dio: e '1 medesimo
Socrate, il piii savio per awentura di tutti gli uomini, a tai fondamenti
appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco dagli studj meno che utili
delle cose naturaU, in ch' e' conobbe poco, q nulla potersene approfittar r
uomo, tutto alia cognizion di sd stesso si diede, ciod a dire, alia Filosofia
Morale, ch^ egli ebbe per irreprobahil dottrina, e per V unico oggetto, e pel
giovevole dell' intelligenza umana. Verremo pertanto con amendue le sopraddette
proposizioni i nostri presenti trattati regolando ; ravviseremo in prima la
fallacia della Filosofia naturale, onde molti si danno a credere d'intendere
quel che per Io pitl e' non son capaci d' intendere. Quindi al frutto
discenderemo delle morali, facendoci dalla costituzione dell' Uomo, e delle
quality, e degli strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con tal ordine
procedendo, dalle azioni pitl brutali de'sensi, riconoscendo voi stessi, salir
potrete di grade in grade alle pitl sublimi dell' intelletto ed all'altezza
gloriosa della virttt, onde 1' uomo s' illumina, e conservasi tanto piii simile
a Dio. Incomincieremo percid domani a discorrere; e perch^ le giornate, che son
lunghe, e Tore calde ne obbligano a qualche lodevol trattenimento, a niuno piii
profittevole repute potersi donare il tempo, nd scegliersi materia che pitt di
questa all' et^ vostra sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi
godono le nostre vite sicura franchigia in questo aere salubre dalla
pestilenziosa mortality., che Roma atrocemente distrugge; nelle cui miserie
ogni tribunale, ed ogni pill fruttifero studio senza giudici, e senza
contradittori rimaso, e si senza maestri, o discepoli, ogni arte, e ogni
Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati uomini in tutte le pitl nobili
professioni sotto si purissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono; dove
noi in conversando con loro, ed or I'uno, or I'altro scegliendo per si
deliziose gite de' tesori di questa, e di queir altra scienza per bocca loro
faremo raccolta, e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e 'n fra gli altri
D. Raffaello Magiotti, che con esso noi qui ^ dimora, fia il nostro Socrate
sapientissimo in tutti i discorsi, il quale ben sapete essere insigne e
nell'uno e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino, maestro perfetto di Geometria,
ed esimio in tutte le antiche, e modeme fildsofiche speculazioni, il cui
chiarissimo ingegno in si alte materie, pitl che I'autoritib de'nomi le
sperienze convincono, e V evidenza delle ragioni. Qaal concetto abbia della
scienza il Bucellai, e soe diiferenze da Flatonc. — Quali erano, secondo R., i
fondamenti del sapero, i criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj
passivi delFuni ^ verso. NecessittL, noli ' esaminarle, di spogliarsi da
qualunque preconcetto. — Gaida e fine deir esame la sentenza socratica « Hoc
unum scio quod nihil scio. » — Sfiducia del Bucellai nelle forze dell* umana
ragione. — II perche di qaesto. — II probabilismo accademico si scorge qui fin
da* primi passi ; e la fede come ancora di certezza, e di salate. Talete
Milesio o dell'acqua. Anassimene o dell* aria. Graclito del fuoco. Galileo.
GIRGENTI (vedasi) o i quattro elementi. — Parmenide o d*uno eterno. —
Anassimandro o dell* infinite. — Necessity deirinfinito. — II finite non e
privazionc di questo. — Cartesio, o Tidea dell'infinito prova della sua realty.
— Dato ruomo finito, convien ammettere l*ente infinite. — E questo secondo
argomento il Bucellai tiene per piti stringente di quelle del Gartesio. — Ma si
1* nne che Taltre sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.—
Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse degli astri sal mendo e le cose umane
; combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1* opinioni
di Anassimandro e Galilee suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima dell*
universe. Ma ^ tutte un pud easere. — Anassimandro o de*celeri. — Zenene ed
altri filesofi. — Si conchiude coll* « Hoc unum ado quod nihil ado » di
Sucrate. — La fede. 11 R., come tutti i filosofi, vuole esaminare i tre obietti
della scienza, Fuomo, runiverso, Dio. Incomincia daj mondo, passando in
rassegna le opinioni degli antichi intomo a' principj di esso naturali, guidato
dall' aforisma « quest* uno io so che nulla io so » e dalr autorita. E sul
punto di prender le mosse per questo viaggio, egli infrena, per cosi dire, i
destrieri della fantasia, perchd questa non lascisi traviare dalle apparenze, e
pel troppo desio di sapere, non cada in presunzione smodata, ne, giusta V
ammonimento platonico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia confusa
colla opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo di quella appresso colore
che vogliono intendere tutto alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello pure
che non d da loro, n^ a' proprj intelletti proporzionale. E a ragione Socrate
discorrendo della opinione che, al contrario della scienza, giudica le cose per
quel che a lei dettano le immagini e il sogno, chiamavala una certa demenis^a
dell' anima, imperciocch^ mentr' ella s' ingegna di giungere al vero, fa si che
V intelligenza prevarichi, e per lo piii determini il falso ; anzi, se pure il
vero determina, cio fa ella per caso, talmentech^ se scienza fosse 1' opinione,
la scienza consisterebbe in apporsi. Ond' 6 che per riparare a cio, i primi
sapienti della Grecia (detta da Diodoro Siculo la scuola del genere. umano)
aprirono una via maestra, la dialettica, per la quale il naturale discorso, non
a benefizio di natura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della ragione. il
notorio come nella dottrina di Platone si distinguesse la fede, la scienza e 1'
opinione, e come secondo Platone la scienza consiste nel giungere agli
universali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ;
essenza intelligibile delineata coUa definizione^ e secondo cui si pud
giudicare con certezza delle cose stesse. La opinione invece consiste in un
giudizio piii meno probabile secondo le apparenze deUe cose, piuttostochd secondo
Fidea loro. La fede 6 un giudizio secondo Fautorit^. Ora R. pone queste
distinzioni platoniche, ma senza seguime la dottrina, perchd quantunque egli
pure ponga la scienza nel conoscer le cose in s^ stesse mediante le idee, nega
che si possa mai giungere alia certezza se non mediante la fede ; talch^ la
scienza per lui diviene scienza o certezza nella fede ; da sd sola non 6 che
opinione piii o men probabile, o doxa, EgU esclude solamente le matematiche, le
quali, a parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in tal parte
com'egli si allontani da Platone, il quale anzi poneva le matematiche in
secondo luogo, dando il prime luogo alia scienza delle essenze o degli
archetipi etemi, e alia scienza che vi conduce, ciod aUa dialettica. Finalmente
vuol notarsi che, secondo Platone, la sola fisica non pud uscire dai confini
della probabilita : mentre che pel R. non pud uscirne la metafisica e la
fisica, ma soltanto la matematica. A Jeracio poi, sofista interlocutore, che
esaltando la autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara infalUbile, e
i dettami di lui come oracoli, si che asseveri tutto per la dialettica e perd
per Aristotele poter sapersi, e comprendersi le cose di quaggiil e quelle anche
di sopra, il sacerdote Magiotti, guidator de' dialoghi, oppone che quantunque
il filosofo di Stagira sia grande, e dette abbia grandissime verity, pur le
cose da lui proferite non son tutte vere; e soggiunge come r eccesso della
fiducia proveniente dalla logica meni a disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere
quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e che il piccolo seno deUe
menti nostre non cape; quantunque il discorso per quest' arte si elevi all'
alta contemplazione divina ; ma altro, pel R., d contemplare e il toccar coUa
mente le cose superiori, altro d lo intenderle ed aveme possesso. Di guisa che
anco pel R. la filosofia sarebbe scienza delle ragioni supreme delle cose. Ma
ognuno di gi^ si accorge della sfiducia che il filosofo fiorentino sperimenta e
professa intomo alle forze deUa umana ragione ; intravede subito che malgrado
abbia R. presi a guida i due noti aforismi sulla indagine della verity, pure
nel suo procedere innanzi ha sempre tese le orecchie alia placida armonia della
sua fede, in cui spesso lo vedremo quietarsi, a mano a mano che egli procede
tra i rumori discordanti delle opinioni e del dubbio. Vuole avvertirsi ancora
come R. non distingua quello che i Platonici tutti distinguevano, e
segnatamente Proclo ; anzi quello che d pur necessario distinguere secondo la
verita dei fatti, cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristotele. La
dialettica di Platone d la scienza dell' idee archetipe o universali, a cui si
giunge per contemplazione, discemendo Fidentico e il diverso. Invece la logica
d'Aristotele espone le leggi formali del nostro pensiero. Quindi mentre la
logica di Aristotele, considerata da s^ sola, pud servire anco al sofista, la
dialettica di Platone no, perch^ consiste nel cogliere la genuina idea delle
cose. Si pud errare secondo i Platonici, ma perchd non si contempla bene
abbastanza, come si pud errare dal fisico non osservando con esattezza i fatti
; ma la contemplazione come 1' osservazione non possono per s6 medesime
condurre all' errore. E tanto poi ^ voro di questa sfiducia di R. che per bocca
del Magiotti, in quel tempo nel quale il Galileo, suo maestro, creava la
fisica, e il Cartesio riportava una non piil udita vittoria sulle scoperte
delTanima, dice: E conchiude queste che io con Toce militare, ma significativa,
chiamevQi parole di consegna, dicendo che la vera filosofia non consiste
nell'imparar molte cose, nel saper tutte r arti ; ma e' la riduce solamente
alia cognizione di sd stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di
Socrate : « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi dubbi a vicenda nelle
prossime conversazioni, dice consistere la giusta maniera per ritrovare la vera
ragione delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri. Sfiducia
adunque o fiducia limitatissima nelle forze della umana ragione, la
consapevolezza della propria ignoranza, 1' universale consentimento, I'esame, e
soprattutto la Fede^ sono le Encore di salute dell' umano sapere, i fondamenti
di esso per R. ; V autorit^ umana una riprova probabile di verity, Y autorit^
religiosa il porto dove ogni tempesta del dubbio si calma, ed ogni nube d'
ignoranza sparisce. Vediamo intanto com' egli osservi questi criterj, ed
applichi questo metodo alle indagini sue., Deposta qualunque maniera di
anticipate giudizio a favore piil di una che d' un' altra opinione, e di che
prega caldamente gli ascoltatori, R., col Magiotti, si fa da'primi principj che
gli antichi opinanti attribuirono alle cose natural!, non dal lore principio
agente, cio^ dalla Cagion Primaria, dispositrice di tutte le cose, increata e
senz' altre origini che da sh stessa ; imperciocch^ di questa per quella guisa
che ne hanno speculate i grandi uomini, faveller^ in piii appropriate luogo ;
ma dai principj materiali che essi appellano causa passiva, conciossiachd dalla
cagion prima ricevono tutti la lore impressione. Ed in sedici Dialoghi, ch' io
chiamo fisid, (e, si noti, non gi^ nel significato di scienza sperimentale,
come oggi si prende, ma nelr altro antico di speculazione filosofica intorno ai
principj delle cose), riferisce le molteplici e diverse opinioni intorno a cio
professate dagli antichi filosofi, con questo intendimento che cio^, mostrando
le ragioni apparenti che militano a favore di questa e di quella sentenza si
fra di loro contrarie, e facendo si che, una per Tina a tutte quelle opinioni,
per le ragioni probabili clie le sostengono, inclinino gli ascoltatori; se ne
deduca per conclusione finale la verity di quello aforisma socratico, e, come
il gran Vecchio faceya, cosi noi in quella specie di scettico ondeggiamento, lo
poniamo a base e a pietra angolare del nostro sapere. Ella ^ questa, come
ognuno si accorge, del trattato filosofico di R. una parte negativa. E di
Talete Milesio per prime discorre, come di quello che pensd incominciamento
universale della natura esser I'acqua, in cui gli sembrd tutte le cose si
disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua assottigliandosi in yapori finissimi
aria si facesse, e pigliando corpo visibile se ne formassero le materie piii
dure, divenisse terra, e fino si convertisse in sassi. E poi, perch^ osservo
tutte le semenze delle cose esser umide, tutte le diverse specie e composti
degli umidi fossero sotto il genere puro, semplice e universale dell' acqua, e
il fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per mantenersi, perch^ non la
quantita e 1' eccesso dell' umido, ma la quality, in proporzione di loro
essere, ^ quella che le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il
Magiotti, come anche Zenone, il capo e maestro degli Stoici, tenesse per fermo
che Iddio per s^ in ogni natura convertisse I'acqua, e che egli come virtii
prolifica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque I'acqua era creduta
da lui il cominciamento materiale e passive del tutto, perciocch^' Zenone
osservd ogni misto nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale
^ manifesto al sense che predomina 1' umido; e sembra di piti al R. ricavarsi
dalla stessa Genesi la prima generazione dei corpi misti e viventi farsi dalla
virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni de' primi dottori della
Chiesa, san Giovanni Crisostomo, Agostino, Procopio, seguiti dal Pererio, il
luogo del Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si trasportava sopra le
acque, espUcano cosi, cio^ che una virtii divina e vitale disponeva le ^cque
alia concezione e generazione delle cose. Adunque (dice il Rucellai) tennero
anch'egUno che Domeneddio, primo agente, si valesse dell'acqua, si come prima e
comune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le diverse forme. E accennate
con precisione altre fra le opinioni di Talete e Zenone intomo all' altre cose
deUa natnra, e osservato come Talete negasse il vuoto, e come Zenone quant'
alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano,
espone il nostro filosofo la dottrina di Anassimene, seguita poi da Diogene,
che fa deir aria il principio naturale e causa passiva di tutte le cose, come
quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i
dati di possibilita che dall'aria, come I'acqua, cosi le altre cose per mezzo
di questa divengano, si che per le ragioni che Anassimene ne porta sia
giocoforza, dice il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbandonando
Talete. Pare da non lasciarsi sotto silenzio come R. prenda un po' all'
ingrosso queste antiche dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il
primo principio delle cose, acqua, aria, fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e
il fuoco quaU appariscono, ma un intimo e occulto principio che in tutti gli
elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che a noi apparisce essere
o acqua o aria o fuoco. E qui riferisce pure il pensiero di Anassimene intorno
alia struttura dell' universe, E all' Imperfetto che esclama : il medesimo
Magiotti socrMicamente risponde : Ed Eraclito fu quelle che ebbe si fatta
opinione, cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto dissolversi
; e 1' acqua e 1' altre cose credette esser pezzetti e corpusculi di fuoco
insieme congiunti. Mi si conceda fermare il pensiero un poco su questa opinione
del Galileo riferita dal R.. Essa, per quahto noi sappiamo, non trovasi nei
libri di Galileo stesso, ma sembra una ipotesi che il grand' uomo ponesse
innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal supposto ci riesce
confermato dalle seguenti parole del R. : Inoltre 6 molto singols^re che in
questa ipotesi Galileo precedeva i modemi sostenitori deir unit^ delle forze
fisiche. Ma con quanto ritegno il feujeva! aggiungendo solo che questa non gli
pareva piii inverosimile di tant' altre opinioni spacciate fuori per vere : e
non osava chiamarla, non che vera, verosimile. II R. aggiunge, come Galileo al
padre Campanella, il quale consigliava il gran matematico a metter fuori certi
suoi pensieri come una nuova e ben fondata filosofia, rispondesse : che non
voleva per alcun modo con cento pitl proposizioni apparenti delle cose naturah
screditare e perdere il vanto di died o dodici sole da lui ritrovate, e che
sapeva per dimostrazioni esser vere. E tomando al nostro R., egU argomenta con
questo tutte le cose farsi per via del moto o del caldo, poich^ il caldo si
produce dal moto, e il moto si eccita dal fuoco (materia sottilissima che 6 per
V aria e penetra per tutto) e anche la stessa terra, come anco i modemi
pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo lo impulso onde salgano
i vapori per I'aria. Dichiara indi, esponendone le probability, come Parmenide,
per render conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa sopra una maniera
costante di rappresentarsi le cose. tenesse anch' egli il fuoco etereo
principio della natura, perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco
il quale riconosce in un modo espresso quattro elementi, la terra, Tacqua,
Faria e il fuoco: e il fuoco, come agente della produzione, esercita secondo
lui la parte principale. E il Magiotti ne illustra si bene la ragionevolezza
dell' opinione, che i suoi interlocutori abbandonato Talete, Anassimene ed
Eraclito, nella sentenza di Empedocle sono costretti di convenire. E questo
artificio dialettico, si stupendamente adoperato da Platone in quel dialoghi,
dove via via esclude le diverse opinioni, senza esprimere una conclusione
positiva, e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucellai in questi
dialoghi, all' obietto che ho dichiarato. E, indi, tornando a Parmenide, e
discorrendo delr unico principio, ciod dell' una eternOy dice, iUustrando i
concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser possibile, che ogni cpsa
esistente e una ed identica, che pure cid che esiste non ha punto principio,
che egU 6 invariabile, indivisibile, e che ogni movimento 8 cangiamento 6 una
pura apparenza. E cosi quantunque abbia egli ben presupposto un principio
unico, immobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si convengono, poich^,
dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo
Parmenide a salire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ superlativa e
assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un'
immobility perfetta, semplicissima e mai sempre costante ad un modo che in s^
non abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei tutti i moti e tutte le
operazioni dell' universe si tacciano, ed abbiano essere e vita. Scende poi al
sistema di Anassimandro che ripone nell' infinite il principio delle cose, e al
figUo Luigi, che dice dell' infinito essere impresa vana il farellare, poicM
non potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei non si dia, risponde il Bucellai
col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i possibiliy e
che percid il non comprendere una cosa non ^ per noi prova che la non ci sia;
come anche in questo caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r
infinito, altro s' egli 6 : e mentre la prima inda^ gine a noi mortali rana
riuscirebbe, la seconda e agevolissima ad effettuarsi, per modo che sia
giocoforza il confessar3 che per necessity T infinito ci sia. Da questa
conclusione di R., apparisce come egli attribuisse forae alia ragione la
capacity di giungere alia certezza solamente in qualche cosa. In qual cosa?
Nell' aflfermare che Dio c' d, che c' ^ il mondo, e che noi esistiamo ; negando
poi alia ragione di poter sapere per sd sola, fuorch^ con opinioni probabili,
quel che siano le cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per quello che riguarda
le dottrine di Anassimandro, R. ricorda come quel filosofo dicesse che 1'
infinito e la sostanza prima, contenente tutto in s6 stessa, e in cui avvengono
e produconsi i cangiamenti perpetui delle cose; come dall' infinito si dividono
i contrarj per un continue movimento, nello stesso modo che essi ritornano a
lui. Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a cangiamento, ma d
immutabile egli stesso. E cosi si confonde 1' infinito agente colla materia per
Anassimandro, e, come per lui, anco per altri filosofi antichi e recenti.
Mentre R., quantunque dica r infinito non potersi intendere, perch^ non ha
proporzione col finite, e quindi doversi contentare di assoggdtare lo inteUeUo
a tenerlo per fede, ei lo distingue bene e ferma il finito non esser privazione
dell' infinito, sibbene solamente il nulla infinite o finite ^ incompatibile
coU' Ente infinite, si come Y Ente finite o infinite ^ incenipatibile eel nulla
infinite. E ci5 dimestra cen eleganti parele ; ceme pure dimestra centre
Anassimandre, scerdandesi alquante dell'intendimente negative a cui mira in
questi DicHoghi eel sue metede di successiva eliminaziene, dimestra, ie dice,
geemetricamente la impessibilit^ che 1' infinite asselute si cemunichi alle
cese finite e che ci siane due infiniti, applicande alia dimestraziene la terza
prepesiziene del trattate di Galilee su i meti unifermi. E in sentenza
platenica seggiunge pei ceme tutte le cese finite e le lere perfezieni si
staccane dall' infinite, cied da quel perfettissimi esemplari etemalmente
lecati nella mente di Die, createre perd della materia dal nulla, e che
raccoglie nell' atte prime, ciee nel prime cencette dell' epere sue, una virtii
seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di tutte le cose fatte, quante in
petenza di farsi. Vedesi con quanta chiarezza il nostre neeplatonice ricordi ed
accelga i pensieri dell' Ateniese, contemperati sempre dal Cristianesime, e cen
quelle stile che e degno di si alte dottrine le renda accessibili ad ogni
intelletto, pregio invere da tenerne cento in une scrittore di materie
filesefiche. E stabilita la necessity, del1' infinite, soggiunge : Che e' si
vegga V universe mutabile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell'
infinite, questo ^ chiaro. Adunque come s' intend' ella ? E a Luigi che
risponde : oh ! questo noi non glielo sappiam dire, cosi (prego si avverta)
discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un ente, e che
questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso metafisico applicato a
naturali proposizioni 6 venuto provando, conchiude che non v'§ da riporre
certezza, ma solamente ritenerlo come probabile; e pero meglio stimare di
rifugiarsi nella fede che le cose razionalmente probabili illumina di verita, e
conchiudere anco una volta col detto sapiente di Socrate : Quesf uno io so, che
nulla io so, Ne'quattro dialoghi suUa luce (9-12) meramente fisici, egli
riporta le dottrine di Anassimandro e professa, esponendole, le opinioni del
Galileo con trepidazione per timore di guastare cid che dice il grand' uomo a
cui professa venerazione, e dichiara tutto cid che di buono dice intomo al sole
e sua natura essere del filosofo illustre. E anzi tutto ^ notevole questo passo
in cui si esprime per guisa da non lasciar dubbio che egli crede agrinflussi
degli astri sulle cose terrene: E nel dialogo sopra Xenofane, (dial. 16) detto
chiaro che egli ha per impresa impossibile e vana Y astrologia, conclude che
mentre non puo negare V influsso fisico degli astri, sulle cose della natura, e
anco sull'uomo che della natura fa parte, aggiunge pero che a voler fare 1'
astrologo, vuolsi sapere e accorgimento non ordinario, jBnezza e malizia
ingegnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^ giovevole a interessare e
prendere gli animi, di cui si predicono gli avvenimenti ; nulladimeno da
chiunque fa si fatto mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno senza dubbio
di nota questo, perch6 distacca il Rncellai dal Rinascimento, che trovava
appunto spiegazione del risorgere cosi alacremente tutto Tantico nell'idea
stessa della civiM e della filosofia Platonica e Aristotelica, e precisamente
nel loro concetto intomo al mondo. Qual infatti era esso concetto? Quello di un
movimento circolare, concetto antichissimo, che noi ritroviamo anche nell'
liidia. Platonici e Aristotelici immaginavansi il mondo siccome una vastissima
sfera, ma pur limitata, che avendo in se molte sfere concentriche, girasse
intorno a se e ad esse, e per modo che il ritorno periodico della tale o
tal'altra posizione degli astri nel cielo si congiungesse ad un periodico
rinascere degli avvenimenti nel mondo per Tinflusso che quelli esercitavan su
questi. Lo che invero pu6 essere una tra le altre- cagioni che spiegano la fede
che quel filosofi ed eruditi del Rinascimento avevano del doversi rinnovellare
in ItaHa gli antichi sistemi, le antiche civilt^ per definire con essi i loro
problemi intorno al triplice obietto della filosofia. La luce pertanto in modo
vario e per mille maniere d^ 1' essere, per Anassimandro, a tutte quante le
creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte
primiero della luce, ma non I'unico, come ne confermano parecchie esperienze,
ed essa 6 una cosa da se, che in gran dovizia ritrovasi nell' astro maggiore
del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel
fuoco e la dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso, forma i colori
nelle sensibili cose, ^ Y elixir vUtB della natura, e in tutte le cose
rinviensi, ed d secondo il Galileo (che pur qui R. chiama principQ de'filosofi,
e scorta e direttore dei suoi discorsi) 1' ultima ed estrema espansione della
natura. E qui cita molti esempi addotti dal gran fisico e matematico per
dimostrare che in tutte le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo
che questa sostanza gli d parso chiamarla cosi o cosi dai filosofi. E R. tiene
come Platone, Galileo e Descartes gli atomi, che come il tutto cosi 1' etere o
il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col Magiotti che il definire gli
atomi, rotondi, o acuti, o piramidali, d parlare per ipotesi, non perche dessi
gli abbiano visti. Comunque, e dal vedere come Galileo provi col fatto ogni
cosa esser permista o vivificata dalla luce cominciamento naturale di esse, e
dall' osservare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai Santi Padri, ben
deduce potersi commendare in questo senso quella proposizione platonica che
assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima egli intender
dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento erudito : E santo Agostino,
quel sottilissimo ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa liice soUilissima
sopra ogni cosa, alimentata da vivificante colore, quarito tempo ignorai che f
OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino a che agli occhi miei
annebbiaii non rifulse U lume eterno del Vero! La qual luce alia bellezza ed
alio spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra di quel primo ed
ineffabil lume, che etemalmente e senza fine risplende; di cui elia d qua tra
noi la piii famiglievole immago. Che irapero fu detto 1' eterno Fattore: Luce
della luce, e fontana di lume. Ed in altro luogo: Delia luce Egli la luce, e '1
giorno. > E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acutezza, si andava rivolgendo
per Tanimo dicendo: Ma che pro dunque a me ne veniva, che tu, Signore e Dio
mio, Verita, fossi luddissimo corpo, ed to particella d'un corpo tcde? Oh!
quanti sentimenti al nostro proposito trar si possono da queste scritture!
Percio duirque si puo credere, con essa luce (come piii attiva, piii semplice e
piii pura, e impero, come principio, pitl alle divine cose somigliante) si
dessc, per mano del Sovrano artefice, il cominciamento e 1' omamento a tutto il
mondo visibile ; locandopoi quella per la maggior parte, come in sua miniera,
nel sole. II che viemaggiormente si autentica dal nostro medesimo divin Poeta,
in quei versi : « Lo ministro maggior della natura, Che del valor del cielo il
mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misural » Cosi dunque, avendosi la
luce, a cagione di sua purissima natura, non dico per la pitl simile tra le
cose visibili, ma almanco per la meno dissimigliantiB alia divina sostanza ;
puossi commendare in cid quella proposizione Platonica. Perchd Platone, col
lume solo della natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione: ponendo
tanti termini di mezzo tra Dio e la materia, per render meno discrepante e meno
discorde I'ammirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi all'uno e
all' altra confacevoli va regolando la differenza che e tra '1 composto
inferiore e il Supremo Compositore, e quale attaccatura, e per qua'mezzi, possa
darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandunque alcun dato avesse a quelle
intelletto perspicacissimo ad esplicare quel detti della Genesi: E lo spirito
di Bio id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la luce, ed ecco la
luce; egli, non giungendo tant' oltre al lume della Fede, conformando tal
sentenza a'proprj Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il
quale, coll'occhio della sua divina Mente, se ne giva yagando, e riguardando in
qua e in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli esemplari e le idee
perfettissime, in essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose
fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa facesse la luce, che ebbe dall'eterno
Motore (quantunque Egli in sd stesso sia mai sempre stabile e fermo) gl'
impulsi primieri, cio6 a dire dall' atto primo V attivit^ e il moto, ond'ella
avesse la mano (come principio della natura e anima dell' universe) in tutte le
formazioni e nella perpetuity delle produzioni, che ad ora ad ora si
rinnovellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua
somma onnipotenza, senza mezzi, aver creato 1' anime, gli spiriti e gl'
intelletti universali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua divina natura
conformi ; aUe quab* desse la cura e '1 disegno, sotto la sua assistenza come
Architetto sovrano, di formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse
locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non comprendiamo quale sia quell' anima
universale, che egli intendeva per collegatrice delle cose divine coUe naturaU,
possiamo noi, con piU fondamento ancora che non avea egli, creder che cid sia
la luce; la quale fosse da Dio creata, onde ella desse all' universe sensibile,
ad esempio dell' archetipo, la sua piil bella, visibile e maravigliosa forma.
Che impero sembrami tornarci mirabilmente in acconcio quel luogo di Dante nel
Paradiso: cDunque nostra veduta, che conviene Esser alcun de'raggi della Mente,
Di cui tutte le cose son ripiene.» > Abbiamo per conseguente gran cagione
d'immaginarci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fermare per vero, la
luce essere quel movimento occulto e perpetuo, sparso e disseminato per tutte
le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso nella natura universale
dall' atto primo, che d Iddio. > j& prcfbdbUe, disse, non
infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di
opinioni diverse che il vero le adombrano sempre, e mai per intiero gliel
mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi
la conclusione non d percid a dubitarsi che sia identica nella sostanza alle
altre, e confermisi ivi appunto lo scetticismo in cui si mantiene nel discorrer
dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi dialoghi
che noi chiamammo distruttiva. Uguale d poi la conclusione a cui R. arriva dope
aver favellato de' colori, ed esposte intomo ad essi le opinioni dei varj
filosofi, e cercato di avvicinare, come sempre fa, col modemo 1' antico,
Galileo con Platone. II qual Platone, come Democrito ed Epicure, fa i colori
consistere in una fiammella a cui perd 6 necessario il concorso del sole;
questo fulgore di luce riflette variamente dai corpi colorati secondo i modi
varj coi quali i raggi del sole gli feriscono, e secondo le positure e figure
delle superficie dei corpusculi componenti quello o quell' altro oggetto che i
raggi ricevono o ribattono. E come Aristotele, cosi il R. opina i colori non
esser sostanze,ma accidenti, effetto cioe di luce cadente nei corpi, luce che
forma i colori. Conchiude pero che queste sono opinioni di filosofi, ma noi non
possiamo ritenerle per veri assoluti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum
scio quod nihil sdo. Io mi astengo da riferire la esposizione che nel Biajogo
quindicesimo fa il RuceUai delle opinioni intomo al principio passive delle
cose professate da Zenone, da Archelao, da Filolao Pittagorico, da Protagora, e
da Senofane, dope le quali egli conchiude nella medesima guisa, non senza prima
aver magnificato certe stupende divinazioni di quegli antichi filosofi, e
allettato gli ascoltatori, per bocca del Magiotti, ad abbracciare ad una ad una
le loro opinioni diverse. Questo viaggio di R. a traverse le varie e molteplici
sentenze de' filosofi intorno al cominciamento passive del mondo, piii che
viaggio, adunque, ti si rassomiglia all' ondeggiare irrequieto di una nave che
sospinta in alto mare, e pur volendo pigliare una direzione a porto sicuro,
venti contrarj e tra s^ lottanti ne la tengono perplessa, mentre nell' animo
del pilota suscitano come una tempesta di dubbj suUa sorte avvenire del legno
ch' e' guida. E uno scetticismo non disperato no, ma, se m'e lecito la frase,
imo scetticismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il
sapere, giusta 1' insegnamento Socratico, la consapevolezza della propria
ignoranza; fondamento negativo per R., in quantochd la fede religiosa solamente
rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte
nella certezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire in un
fondamento positivo dello scibile umano. Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL TIMEO
DI PLATONE, Ammirazione del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione e scienza.
— Necessita di un Principio primo. — Plotino. Trimegisto. — II Rueellai non e
dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e
risposta. — Neirorditfe delPuniverso si legrge il verbo di Dio. Gli archetipi
eterni. Platone manca della fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e
il mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente
umana e le idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte Aristotele, Trimegisto e
la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge.
— Ne I'amore, per se, e anima deiruniverso. — Desso come armonia ed ordine pu5
appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito Santo. Del !Bmeo di
Platone il Rueellai d^ tutta la struttura, esponendolo, col riprodurne tradotti
i punti piU qualificativi, e commentandoli. Desso,' il nostro filosofo si
accosta, direi quasi, con religioso tremore e come compreso nelP animo di alta
maraviglia a questo monumento divino del genio Ateniese, che pare scriva dal
cielo le cose stupende di lassil agl' intelletti finiti degli uomini. E per6
egli, a malgrado che i voli della mente cerchi infrenare coUa ragione e V
esame, pur non di rado accade che amniiri piii di quel ch' e' discuta,
magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla. tonico lo preoccupi tutto, e
dimentichi la voce del Galileo. E su' principj della natura discorrendo in
sentenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga per universale
fondamento ch' e' si dee innanzi tutto distinguere qudlo che sempre c, da queUo
che mai e, e che ha nascimento ; e come il primo lo comprende la ragione, 1'
opinione per via de' sensi il secondo; vale a dire che a Dio non si pu6 arrivar
con i sensi, ma si r animo il pud seguire meditandolo, e raffigurandolo nelle
sue contemplazioni per cagion prima, universale, assoluta. 11 secondo (cio^
I'universo) accorgerci ch'ei c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni
formarsi delle cose naturali, e la certa verita di come elle siano non esserci
mai chi V aggiunga; dappoich^ il senso non sia che un vestigio dell'
intelletto, e 1' opinione e V immaginazione una copia di esso confusa ed
abbozzata; ed i sensi ingannin sovente. Edefinite il divario tra opinione e
scienza, tra senso e intelletto, R., siccome Platone, riconosce dialetticamente
la necessity di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di un
principio prindpiante della natura, in cui stieno gli archetipi eterni delle
cose create, le quali sono alia lor volta imagini imperfette di quelli. Onde a
ragione Plotino chiama la natura forma di tutte le forme^ ma con tale infinita
disparity, che Iddio, principio principiante di tutte le cose, eccetto della
materia eterna per Platone, ma pel R. anco di questa (nel che discostasi dal
Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria
alia ragione stessa) infuse nel mondo create o formato grimpulsi della sua
conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione
dell'origine dello universo, opera bellissima e imagine di qualche cosa di
etemo, discorre, dimostra esser lo stesso Platone rimasto trepidante come
dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo Agostino, aver egli
medesimo confessato ch' e' conviene credere per intendere, non volere intendere
per credere. N^ si diparte da Platone, anzi concorda con lui il R. nel dire che
fine della creazione fu a Dio perfettissimo il buono, e questo per formare con
amore una cosa, la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni paragone bellissima
; E nel Paradise, mostrando di scorgere tutte quante queste cose sublimi nella
incomprensibil luce della Divina Mente: « Pero che'l ben, ch'6 del voler
obietto, Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella £ difettivo, cio che 6 li
perfetto. » > Per lo che vien dimostrando anch'egli che questa copia non
giugne a gran via alia perfezione del suo originale. > E, come Dante, recasi
qui pur David a sostegno della dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi
enumera, come Platone fa, i principali e piii sovrani attributi di Dio, in cui
stanno gli archetipi etemi delle cose, e dice come nella creazione, prima di
tutti cominciamento universale di qualunque sua fattura formo egli i cieli nel
suo intelletto ; con che interpreta] R. aver voluto David, come Platone,
significare che avanti di creare le cose fuori di s^, Iddio avesse ingenerato
oft aitemo in s^ medesimo I'idea di quella fabbrica che poi fece, e con la
formasfione dei cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligibile,
il mondo archetipo eterno, in sentenza stessa platonica. E come beUo cred il
mondo, perche la perfezione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione
assdluta del buono, ambedue contenute in unit^ perfetta della volonta,
onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con
armonica proporzione, daUa discordanza riducendolo a consonanza, dal disordine
alFordine. E le forme che non riescono buone e belle, non per colpa di Dio, ma
per vizio della natura si trovan nel mondo, e sono occasione a lui eterno
Facitore per ispargere, dice Platone, suir universo i suoi beni. II quale, soggiunge
il Magiotti, piii che e' pud si studia farci comprendere questa creazione del
mondo. Onde il poeta : « Nel suo profondo vidi che s* interna Legato con amore
in un volume Cio che per I'universo si squadema. » > Ed il Petrarca ben
distingue 1' idea dalP esemplare in quel sonetto maraviglioso che incomincia: c
In qual parte del cielo, in qualMdea, Era Tesempio onde natura tolse Quel bel
viso leggiadro, in che ella volse Mostrar quaggiu quanto lassii potea. > II
qual mondo visibile, vuole il Timeo, ma il Rucellai non consente, che per
divino privilegio o per merito dell' amma universcde che da Dio fatta immortale
lo informa, sia anch' egli, quantunque continuamente morendo, immortale. E
ascendendo piii particolarmente alle idee, agU archetipi etemi, egli, R. col
Ficino dichiara, come Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma di tutte
le forme, idea di tutte le idee, le quali tutte in s6 le comprende, idee a cui
le sensibili forme si rassomighano come le ombre ai corpi. La idea dunque di
ciascheduna cosa, bench^ in riguardo al nostro intendimento di diverse cose
paia composta (ei soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in
Dio eUa e una sola, e sempli(?e e ferma ed etema, possedendole tutte insieme,
Ed oltre convenire in questo intendimento, il Rucellai, a conforto di esso, le
ragioni di dotti antichi e di santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo
stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe. Ed e degno di considerazione cio;
imperocchd quantunque apparentemente egli esca qui fuori un po' del suo
consueto e sistematico probabilismo, pure in realta vi rimane; ch^ questo vero
non in quanto la mente umana lo ritrova e proferisce si 6 vero, e da
accogliersi con certezza, sibbene perch^ gliene viene conferma inMlibile dall'
autorit^ dei Ubri santi. Perd come le idee diverse dalle opinioni, le
intelligibili cose diverse dalle opinabili, ossia, come le prime notizie
intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai un mistero e con rAlighieri
ripete: aPero Ih donde vegna lo intelletto Per le prime notizie uomo non cape E
del primo appetibile V affetto. » E s' intrattiene a provare ancora piuttosto
come esse idee riseggano in Dio, e le cose a somiglianza di quelle si facciano.
« le cose tutte quante Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma Che r universo a
Dio fa somigliante. Qui veggion Y alte creature 1' orma Deir eterno valore il
quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata norma. Neir ordine ch'io dico sdho
accline Tutte nature per diverse sorti, Pill al principio loro e men vicine*
Onde si muovono a diversi Porti Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna Con
istinto a lei dato che la porti. Evidentemente scorgiamo noi qui come il
Rucelki rigetti la opinione che lo intelletto umano sia tanquam tabfda rasa^ in
cui si venga a scriver man mano, e pur senza sottoscriversi alia teoria della
Eeminiscen^a nel senso platonico, ammetta invece la umana mente illustrata da
un lume supemo impresso in essa "da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro
sul come cio avvenga, e anzi. reputi questo un mistero, come detto abbiamo di
sopra. Ci6 che puo dirsi per i passi gi^ riferiti o per altri che giova per
brevity tacere, si ^ questo, che per lui la partecipazione delFidee eterne all'
intelletto umano ^ fatta non per immediata intuizione^ ma per impressione, Perocch^
egli dica che le idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stampati da
Dio. Nonostante egli segue I'Ateniese nella strada che mena al conoscimento
perfetto delle idee, che sono nella mente eterna, asserendo egli pure essere a
cid necessarie cinque condizioni. E adopera V esempio del cerchio, cui V animo
nostro vuol sapere che sia. Del rimanente R., come Platone e i neoplatonici del
suo tempo, in questa parte e cosi anche nelle altre del suo lavoro filosofico,
ritiene e professa il principio I'occasione della cognizione venire da' sensi,
che la suscitano, e la fanno ricordare alia mente, in questo significato perd
che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla
onnipotenza e provvidenza divina. Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei
quali venne formate il mondo, si discorre dell' anima di esso secondo Platone,
di cui riferisce R. testualmente i concetti, senza metter (com' e' dice) in
questione se cid sia vero o no. Ed io credo poter far grazia al lettore ed a me
di questa lunghissima e diffusa esposizione, che non ^, come altrettali, al mio
soggetto. E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che ammettono il
mondo da s^ essere o governarsi (naturalismo) o Dio stesso essere (panfeismo),
che R. condanna e beff'eggia, ammettendo determinatissimamente la creazione ex
nihilOy secondo il concetto cristiano, e la fede. Belle pagine invero son
quelle, e dove si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudizione
immensa che irradid la mente di questo filosofo fiorentino ; se non che la h
null' altro che erudizione ; mentre valore speculative, propriamente tale,
invano pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando un altro
ragionamento di R. preso da Ermegisto nella sostanza, e col quale egli svolge
pitl e piil il suo pensiero sulla creazione del mondo fatta da Dio. c Tutte
quante le cose che si apprendon co' sensi, (egli dice) fatte sono, e tutto di
si fanno e fannosi non generate da per s^ ma da altri. Adunque qualcuno ci ha
da essere, che generate le abbia, il quale generate non sia, e delle generate
cose piil antico: e delle cose generate nd uno pu6 esser piA vecchio di quelle
che generate non ^. Ma il Facitore h piii potente di lore, e unico e solo in
verita, sa ogni cosa perch^ niuno a lui va innanzi. Le generate cose visibili
sono, egli invisibile, e pero fa a fine di rendersi visibile, per lo che sempre
fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di
Padre. Dio per V onnipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond'
E^li opera, n^ ci ha cosa di mezzo fra il genitore e il generato, n^ altro
fiiori di questi due: uno per propria natura la natura dell' altro riguarda mai
sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevolmente uniti in guisa perd che
I'uno preceda e 1' altro seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse
malagevole si 6 vero disdicevole alia divina maest^ ; la costituzione di tutte
le cose ridonda in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo,
niente di deforme precede; siflEatte passioni seguono solamente le operazioni
create. Delia generazione la perseveranza fa pigliar piede al male, e per tal
cagione istitui Dio con la corruzione loro la mutazione delle cose, come una
certa purga via via di essa generazione, e cosi per mezzo di una continua
mortality, conservasi perpetua al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua
propria natura, e questa si d il buono, e il buono d quella virttl onde tutte
le cose operano; quanto ^ generate, da Dio generate si § cio^ dal buono, che ^
quelle che pud e fa ogni cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra
la mutability, in tutto quanto il mondo la vita e il moto, a simigiianza dell'
agricoltore cbe sparge i semi nel grembo della terra, in un luogo appropriate
il grano, in un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro altra sorta di seme,
il medesimo dove riannesta, e dove peta le viti, e altre maniere di frutti,
nelle stesso mode fa Iddio. > E se il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1'
anima del mondo, preva R. in altri Dialoghi, e sostiene come Egli sia mente
Creatrice e Prevvidente in quelle, senza infermarlo, come fa anima cerpe, nd
tramescolandosi con esse perch^ egli immense nen pud esser circescritto da
termini, senza cessar d' esser Die ; perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto
stare, che ^ il mondo. Iddio crea, e la sua mente divina gli 6 legge ;
imperocchd essa in un medesimo punto pensa, cenosce perfettissimamente e
delibera impermutabilmente con sapienza infinita, e con immutabile ennipetenza,
e tutto ipso facto, senza replica, a quelle ebbedisce, e perd legge si ^ la
mente divina. come ritratto e immagine del suo facitore, ma non gi^ reputd che
Iddio anima fosse del mondo, quantunque anima di ragione dotata e fabbricata
dal maestro etemo delle sovrane intellettuali cose e divine assegnasse all' universo.
> La mente divina pertanto 6 pel R. legge impermutabile all' universo, e
concorda in ci6 che ne dice Cicerone: Legem video sapientissimorum fuisse
sentendam, neque hominum ingeniis excogitatam, neque sdtum aliquod esse
populorum sed cetemum quiddam quod universum mundum regeret imperandij
prohihendique sapientia. Ita principem legem illam et ultimam mentem esse
dicebant omnia ratione aut cogentis aut vetantis Dei, vita autem est cum mente
divina et ratio est recta summi Jovis ; ergo divina mens summa lex est Insomma
1' anima dell' universo d pel R. lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la
Provvi denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver tendo come Platone
nella graduazione degli enti per r universo e nello spiegare la formazione del
mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia dottrina della creazione, e
conchiude sovente com' egli abbia davvero avuto a logger la Genesi. E tanto e'
crede probabile cid, che espressamente in un Dialogo pone a confronto i passi
biblici sulla creazione dell' universo con quel di Platone, per vedere a luogo
a luogo dove elle si rassembrano, e dove egli, Platone, abbia fallato. In che
appunto noi abbiamo una nuova testimonianza di fatto degli intendimenti
filosofici del nostro Neoplatonico. Egli accetta da Platone le sue dottrine
finch^ armoneggiano colla Teologia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta
in questo sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo palesemente
discordi, se ne diparte, e alia rivelazione intieramente si appiglia. Or questo
studio comparativo tra i testi biblici sulla creazione e quei di Platone che vi
si approssimano, e importantissimo a chi voglia, come ho accennato innanzi,
vedere gli estremi svolgimenti del neoplatonismo nel secolo^decimosettimo. Si
fa R. un ultimo quesito, se cioe in sentenza platonica I'Amore sia anima del
mondo, o la parte pitl nobile opitl sovrana di essa. E teologicamente discorre
di Dio sommo Bene e sommo Amore, della Trinity dapprima, indi dell' amore
necessario e dell' amore libero, quelle nelle cose insensibili, nella madre
natura e negli animali bruti ; questo nelle creature intelligenti, per le quali
esso non ^ che un.concordamento tendente alia perfezione della divina uniti; e
percio disse Platone, amore essere quell' armonia e quell' ordine che richiama
le cose discordanti alia Concordia ed all' uno, E in questo senso deve
intendersi ammetter egli 1' amore come anima del mondo, e porzione piii
perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa due Veneri generatrici di due
amori, naturale 1' uno, divino 1' altro, entrambi maestri di tutte le arti e di
tutte le operazioni. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI. Qaesiti. Natura
deir anima razionale. — Non e particeUa deiranima uniyersale. et intiera e
perfetta da sd. — In che il Rncellai si discosta qai da Platone. Spiritualitd.
deiranima. Perfezione maggiore negli spiriti angelici. Immortality. — Argomenti
di ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia
questione deUMmmortalitll. — Passo di questo filosofo. — Altre prove d' immortality.
Intomo a questo argomento il Bucellai si propone di vedere se sieno da per loro
le anime razionali ovvero porzioni dell' anima universale; in che erri Platone,
a ft differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume della fede ne
persuadono, e con Socrate e col divino lilosofo e con molti altri maestri di
sovrano lume ancorch^ Gentili, che le anime nostre sono immortaU. E per primo
si studia di dimostrare la natura di queste anime, e come non sieno particelle
dell' anima universale, possedendo 1' anima nostra invece una sua propria
sostanza, ed essendo una certa essenza intellettuale da s6, che si forma
semplicemente dall'intelletto divino, come ammette Platone, £ da notare qui
come si avveri quel che abbiamo avvertito altra volta, ciod quanto il filosofo
nostro s' ingegni di ridurre a vera sentenza in conformity del Cristianesimo le
parole di Platone, che per contrario, nel Timeo, sostiene I'anime particolari
essere particelle della universale. E dice poi Platone (continua R.) r anime
esser fatte per le cose celesti e immortali, e perch6 r uomo si faccia
imitatore di Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi, tra' quali il piii degno e
il piA umano, la vista e I'udito. Nel che, soggiunge egli, discorda alquanto la
verity nostra perch^elle sono create da Dio di ugual perfezione di mano in mano
in quel punto che fornita di fare tutta la struttura del feto nelFutero
matemale, il corpo ne divengS; capace, messoinsieme con tutti quanti i suoi
organi ben che teneri e male abbozzati, e sono anime intere e da per loro, n^
vi ha anima comune onde le nostre razionali porzioni sieno di essa in alcun
modo. E della differenza tra questa e quelle e tra quelle e le anime dei bruti
lungamente favella, sempre appigliandosi pitl ch e ad argomenti probabili di
ragione, a precetti di fede religiosa. E il contrasto interne dell' uomo che
proviene dalla Ubert^ del volere e da' sensi e il supremo e invincibile
argomento a sostegno della spirituality dell' anima umana, e della sua gran
diflferenza con ogni altra che Platone ponga nel mondo, o che negli animali ci
sia. Stabihsce quindi, anco secondo 1' opinare di lui, la perfezione maggiore
degli spiriti angelici, chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME
RAZIONALI. Demoni, o Dii, percM immagini pitl perfette che Panime nostre dell'
idea eterna; e afferma non potersi dare accostamento di termine tra il corporeo
e lo incorporeo, r immateriale e 1' incomposto, 1' anima insomma, la quale
sebbene non si veda n^ si tocchi, pur si manifesta che ella c'^ dalle sue
operazioni ammirabili, giusta ne dice pure Platone. Confessa pero al solito che
in somiglianti materie, come si ^ dell' infinite, dell' incorporeo e delle
operazioni lore, come della immortality non vi ^ da aspettarsi mai prove
convincenfi^ oltre queUe delta nostra infcHlibiLe cattolica doUrina, perche eUe
non sono da noi^ ma si bene favellare se ne puote e trovarci da proporre molte
verosimiglianjs^e e probabilUa. Nondimeno con tutti gli argomenti che adopera
Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' nostri il Ficino e indi
anco il Cartesio, di cui espone ed ammette, temperandola col neoplatonismo, la
dottrina della cognizione, e le cui ragioni sulla immortality paiono anco al R.
ben fondate, egli vien dimostrando man mano la spiritualita e immortality delr
anima con discorso vivace e stringente, e ribattendo con arguta confutazione
gli argomenti in contrario, specialmente pohendo in evidenza gli errori, nei
quali su cio cadde Tertulliano, e rilevando le contradizioni frequenti di
quella intelligenza. Non repute inutile pertanto a questo punto riferire ci5
che R. per bocca del sacerdote Magiotti, dice intorno alia teorica delle idee
di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette stretto con quella
della immortality, e se ne vale come argomento, sempre s'intende, probabile,
coll' uniformarsi intieramente alia fede. Confesso bene, che il volere
riconoscere del tutto dair idee, ch' e' chiama innate, e che esse ci sieno, non
che dell' essenza, dice solamente dell' esistenza divina, r ho per intraprendimento
troppo ardito, e da non se ne uscire con onore, chi volesse, seguitando Renato,
col proprio intelletto giungere a si sovrane cose, senza gli anticipati giudicj
dell' immaginazione, percM io per me non so ritrovare modo da figurarmi come
cio segua: impercid che avendo noi si fattamente impastate le parti
intelligibiU con le sensibili, la maniera di distinguere totalmente le loro
operazioni 1' una senza I'altra, cio^ a dire quella dell' intelletto senza
quella del senso, io non mi rincuoro di rinvenirla. > La opposizione che fa
il nostro autore alia dottrina del Cartesio sull'idea innata di Dio ^ notevole
molto, perch^ viene ad escludere in lui la dottrina delle intuizioni
ontologiche o anche ideali, che abbiano per obietto Iddio e gli esemplari etemi.
Scintilla della divinity si pud dire, che sia non solamente quel lume di
conoscere le cose esteme per via de' sensi, il che hanno parimente gl'
irrazionali, ma di pill quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir
intelletto, e della mente astratto da' sensi, pe r il quale ci si apre la
strada al raziocinio, e al discorso, con cui noi salghiamo piu in su, che le
sensibili cose non sono comech' esse ne facciano la scala per soUevarvisi sopra
alquanto. Per lo che disse Plotino nelr ordine della cognizione 1' ultimo grado
tiene il senso, il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la linea
retta, V intelletto la circolare, rivolgendosi in sd stesso, e pero 1' anima
per la vegetazione, per il senso, e per V immaginazione si affaccia fuori di s^,
ma per e' moti deir intelletto si rende capace di riflessione in 8^ stessa, e
cotale operazione si maravigliosa del conoscere di conoscere, 6 presa da molti
filosofi, anche di pit! acuto intendere, per grande argomento dell'
immortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate
in noi le idee dell' esistenza, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine
delle medesime idee, passare ad avere plena notizia dell'essere una cosa
cogitante che non pud essere distesa, e perd essere incorporea e poi di essere
insieme una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere corporea, onde se ne
ricavi essere 1' uomo fatto di due •cose totalmente diverse e distinte, talchd
1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la posizione cogitante da
per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima incorporea, e perd immortale. Ma si
bene questi lumi di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che
annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi medesimi talento d'avvedersi ch'e'
ci sieno i principj di molte e molte cose, le quali -noi ci accorghiamo avere
molto pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a
capire per possedere in verun mode scienza di loro intera e perfetta, e non
avendo in noi r intero della perfezione delle cose di cui noi conoschiamo i
principj, da' quali ci sentiamo abili a conoscere piti, bench^ piii non
arriviamo a conoscere : adunque trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo
acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1 potere da queste grossolane
membra mortali, e da questi organi, che noi abbiamo limitati, ed angusti, i
quali paran la vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto ragionevole di
credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere
1' intero delle cose, di cui noi scorghiamo i primi semi, e lampeggiare le
scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile, che ci sia riserbato
ad altro luogo, cui le anime nostre destinate sieno, spogliate e libere da
questa gravosa soma corporea; e qui si addice meglio la considerazione che
Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illusione massime in certi principj e
fondamenti, che si scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una mole di
pitl alta architettura che none quella, che alia nostra veduta si concede.
Impercid che se 1' anima per s^, e per sua propria natura avesse terminate le
vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a que' soli principj, ne s'
imm^ginerebbe piii oltre di quelli immensi spazj dello scibile ch' ella s'
immagina, credendosi che quello che gliele impedisce fusse il suo ultimo fine;
imperciocche quando uno vivendo racchiuso in una angusta spelonca, condottovi
da lontane parti di notte al bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, .
ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra, certo ^ ch'egli s'
immaginerebbe qualche alta e gran fabbrica dimorarvi sopra all' occhio del
giorno, e non indamo si forti fondamenti esservi stati sotterrati, o che almeno
alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si fatto uomo cotanto stolido non fosse,
o ch'entro vel ponessero di nascita, che impercid non avendo per innanzi veduto
altra cosa finora di li si facesse a credere che quelle pareti, e quelle volte
fossero i termini estremi del mondo. Cid verisimilmente succede alle bestie, le
quali non hanno talento di credere che ci sia da sapere piii di quello che elle
sanno. > Ma pitl R. si compiace d' intrattenersi nella prova a posteriori
della esistenza di Dio e della immortality dell' anima umana, e in cid pure si
vale dei vigorosi argomenti dei piii riputati filosofi, come e precipuamente di
quello che ricavasi dall'ordine del mondo, e dall' indefinito desiderio di beni
insiti in noi, e della sempre incompleta soddisfazione che i beni finiti della
terra e dei sensi ci recano. E s' intrattiene molto pur qui, ma assai piii nel
trattato della Prowiden^a^ come vedremo fra breve, a discorrere di questa
natura di beni, e in che il vero bene consista, seguendo in tutto le traccie
neoplatoniche e stoiche, e come i beni di fortuna son tali solamente in quanto s'
indirizzano al conseguimento della virtii, in che sta il vero bene. Or
facendosi cid appunto per la ragione, mediante la quale si arriva alia bonta,
alia giustizia ec. e questi essendo attributi di natura sempiterna, ne viene
che Fuomo abbia I'anima immortale. E come questo, cosi molti altri argomenti
verosimili e proba bili della immortality dell' anima, reca R. a so stegno di
essa, di Platone, di Socrate, di Pittagora, di Cicerone e di Seneca, il qualp
ultimo par talrolta r ammetta, tal'altra no; ma io credo non essere neces sario
fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo com'egli, il nostro
filosofo, cerchi corroborare quanto piii pud con argomenti probabUi della
ragione quello che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini ritiene per
fede, e d i rilevare com' egli faccia anco qui uno sfoggio vastissimo di
erudizione nel recare gran dissima copia delle opinioni de' piii antichi e se
gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li reca, li rimprovera o
corregge in quel ch' essi hanno di non razionale, o di contrario alia fede,
come la pa lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di Platone, ossivvero ne
interpreta ciiriosamente le frasi, come il demons di Socrate, per esempio, nel
quale vuol ravvi sare I'Angelo Custode dei cristiani. E finalmente ritorna R. a
discorrere della cosmologia, della formazione cioe del mondo e figura sua in
sentenza platonica, rigettando pero come detto si 6 la eternity della materia,
e dove pu5, a sostegno delle dottrine platoniche, riportandone i detti di
Galileo e questi con quelle conciliando, come contro la incorruttibilit^ dei
cieli. Eccone il brano, e avremo terminato 1' esposizione del Timeo. Imperf. —
Nascemi nell' intelletto una nuova opposizione da farvi procedendo secondo V
ordine platonico, e estraendoci dalla fede. Convien supporre la materia informe
per s6 discordante e de'contrarj compostaessere eterna, altrimenti se creata
fosse da Dio, potriessegli apporre che egli avesse errato tirando i principj
tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe mestiero di ridurli alia
similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all'
unitade i contrarj, acciocche permanendo uno, e perfetto huniversale, essi
operassero di lor natura i loro effetti speciali, nella parte spicciolata di
quello a modo di contrarj: ma si ben sotto le debite regole e proporzioni tra
loro ridotti per tal maniera che non isvariassero dair ordine dato loro e
mantenessero perpetue le specie, mentre di mano in mano si rifiniscono gli
individui. Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da contrarj, e cid ^ d'
uopo per la corruzione de' composti, riducendoli ai loro principj come udiste
poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli ebbero per lo
componimento, e per hunit^ del tutto ; richiamandoli via via mai sempre al
rifacimento di quelle cose individuali che periscono per mantenere nel loro
debito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento solo nulla si
genererebbe giammai. E o vero sarebbe r universe una cosa tutta, una, soda e
ferma, con la figura solamente esteriore che ritonda gli assegna il Timeo^ e
allora fuori che nella grandezza, che differenza fareste voi da esso a una
palla di Travertine? si pure se da principio senza contrarj create avesse tutte
quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e le.stesse in perpetuo
impermutabile stato, senza che n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che
come udiste si ^. dichiarato molto bene il Ficino. Mag, — Oh come bene si
B&k un bellissimo luogo, che io vi verrd dicendo a cotesto alto concetto,
che, avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessario che la creazione
dell' Universo si facesse dei contrarj a volere la perpetuity de' moti e delle
generazioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor medie proporzionali
per renderlo uniforme e si somiglievole all' unitade del mondo archetipo !
Impercid che egli h certo, che senza Tarmonia rimaneva tra detti contrarj la
materia informe e scompigliata e disordinati moti, e senza le contrariety,
restaya il mondo senza operamento che sia, e senza il fruttifero movimento per
le generazioni disfacendosi, e rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^
qtiando non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1' universo tutto, ma di
qualunque altra gioia piii dura, pit! preziosa e piii fine, qual maraviglia, o
stupore recherebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe in lui, a petto a
quello che ci si scorge, con le continue fabbriche che ci si formano per mezzo
delle corruzioni e delle generazioni, senza perder mai un minimo che di sua
intera pienezza e di sue alte e basse maravigliose strutture? Come ben dunque
si affi^ a codesto concetto quel pensiero non punto meno alto, che pone il
nostro Linceo in bocca al Segredo contro V incorruttibilit^ peripatetica
de'cieli, riputando viepiil nobile e di piii pregio la terra per la generazione
e corruzione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sarebbero, n^ gli astri
e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle
mutazioni, che in quella si fanno di pitl sovrano e ingegnoso magistero, che se
ozioso si stesse ancorchd di qualunque pit! pregiata e speziosa materia fosse
composta. Perchi§ altro (die' egli nei Massimi Sistemi) verrebbe essa ad essere
salvo, che una vasta solitudine di arida e spessa arena, e si infruttifera e vana,
o una massa di dia spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan tissimo
saria sempre un corpaccio inutile, con quella differenza ch'^ tra un animal
vivo e un morto, e il medesimo della luna di GiOve, e di tutti gli altri orbi,
potrebbe dirsi, e vien poi seguendo con una maravi gliosissima e bella
riflessione, che se il popolo chiama preziose le pietre, le gemme e V oro, e
vilissima la terra, cio awenire per la dovizia di questa e carestia di quelle.
Imperd che dove della terra ce ne avesse penuria chi non ispenderebbe una soma
di diamanti e di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so lamente tanta in
un piccol vaso da piantare un gelso mino, un arancio, ivi veggendoli nascere,
crescere e produrre si belle fronde e fieri e frutti cosi odorosi e saporiti? E
il volgo loda un belUssimo diamante (dice egli) perch^ all'acqua pura si
rassomiglia, e poi per dieci botti d' acqua non il cambierebbe. Per la qual
cosa, conchiude con molta ragione, che questi detrat tori della corruttibilit^
si meriterebbero che un capo di Medusa gli cangiasse in statue durissime; e
vera mente non quality e attribute di piil valore si dona dalla scuola
peripatetica a'cieli, anzi farsi lore torto, la corruttibilita e generazione
togliendo loro, il cui di scorso si accoppia mirabilmente con la
interpretazione del Ficino, ch' espone lo altissimo concetto platonico, dove
chiaramente si ricorda che anche Platone ebbe per piCi nobile e per piii
ammirabile, anzi per neces saria la struttura dell' universe sensibile con muta
menti continui, e con esse le produzioni varie derivanti dalla generazione e
corruzione, che se stabile, neghittoso e fermo senza moto si dimorasse ancor
che d'oro e' fosse, o di qualunque pit! preziosa gemma di sua indefinita
grandezza come verbigrazia sarebbe state, se di una cosa stessa e senza
contrarj lo architetto supremo fabbricato lo avesse. E perd il divino
filosofo,'^nch' elli antepone la corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei
pianeti e degli astri a quello incorruttibile che per accrescer loro pregio assegno
loro poi dopo Aristotile di sua propria immaginazione, avvenga che egli avesse
bevuto suo prime latte dalla disciplina accademica. Oggetto di questo trattato
di R.. Suono. Ordine. — Armonia. — Proporzione. — Passo dell' autore. — Platone
e le proporzioni armoniche. II medesimo e il diverao, — Anco pel Rucellai tatto
e armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e Tanima anivorsale
platonica. — 11 corpo nmano e le armoniche proporzioni. La materia. Giudizio di
R. su questa parte delle dottrine platoniche. E'prende inoltre, R., in nove
Dialoghi a discorrere delle proporzionalita armoniche, delle ragioni musiche in
genere e delle loro applicazioni all' aniina platonica, aggiungendo, egli dice,
molte cose e ripetendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di
essa riferisce Marsilio Ficino, egli pronunzid. E si rif^ da certi principj
universali esposti nel trattato suo della Geometria, (Vol. 3° del Codice
Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi sopra la
matematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd dell'umano sapere; i
quali principj ne condurranno agevolmente a tutte le cose particolari di questa
armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per varj modi, increspamenti e
vibrazioni alle orecchie; e secondo la intensity di forza della causa
produttrice il suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto, ed ha ragione
Aristotile allorchd dice, che il suono troppo acnto muove assai il senso in
breve tempo, e il grave quando 6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a
somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qualche parte con la sua
punta, a un tratto la ci punge, se a bell'agio, piega solamente e avvalla un
poco la parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le cagioni che il
Mersennio, (maestro di musica che il Rucellai dta spesso e cui segue) non che i
piii celebrati maestri all'acutezza e gravity di suoni attribuiscono e il
nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza o density, sottigliezza ec,
insomma proporzionalita : ritenendo pur con Democrito che da'corpi sonori
escano minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammettendo, come Democrito
fa, ch' essi sieno queUi che formano il suono. Discorre elegante delle
somiglianze tra il suono, la luce e gli eflfetti loro, e delle loro diversity,
sempre fisicamente. E mi sia lecito di far a meno di esporre tutto cid di cui
il nostro autore, seguendo le tradizioni pittagorica e platonica su tal
proposito, ampiamente faveUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche
guisa destare interesse per uno storico della musica. come quello in che si fa
tesoro degli svolgimenti successivi della scienza dell' armonia dagli antichi
fino al Galileo (del quale apprezza ed accoglie le analoghe scoperte) per noi d
un fuor d' opera, e ce ne possiamo passare senza il menomo pregiudizio.
Piuttosto io riferisco qui il concetto della fine di questo trattato delle
Musiche Proporzioni, che assommando i concetti generali qui esposti, d altresi
ponte tra le due rive, tra il trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all'
anima platonica. Qui dunque ritomando a'primi principj della proporzione,
postavi innanzi e con tanto sapere avvertita dair accademico nostro Linceo,
convien restare ragionevolmerite convinto, tutti i primi element! della
geometria e tutte le proporzioni che in essa si contengono essere gli elementi
primi altresi della sapienza universale. Onde Iddio a tutte sue infinite e
maravigliose opere si volse, e perd in qualunque scienza e naturale e
intellettuale trovansi si fatte proporzioni, si come i primi fondamenti di
tutto lo scibile. Platone pertanto s' immagind che 1' anima (universale)
toccasse il medesimo, cioe 1' intelletto, e mente divina ricettacolo
perfettissimo ed unico delle infinite idee, le quali per V unit^ perfetta di
colui che oft ceterno le concepio, s'identificano in un'idea sola; onde
I'esemplare dell' universe sensibile ch' ella dico si dirami poscia nel diverse
che viene a significar la materia per s^ varia, disordinata e incomposta, di
cui il visibile mondo crear volea, per la qual cosa a fine di fabbricarlo
ornato, e maravigliose e si degno delle mani perfette onde egli uscio, coUegare
il voUe per quanto per lo suo difetto e' poteva patire e assimigliarlo alr
unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non altra maniera ci adopero che
la mentovata armonia, la quale tratta dall'uno perfetto si venisse scompartendo
con musiche proporzioni, tra loro tendenti alrunisono, onde la varieta
divenisse per merito loro talmente bene ordinata e perfetta, che dalla
moltitudine per la commensurabilita loro fosse atta a richiamarsi nell' uno ;
impercio fe' agguaglio dell' anima a un triangolo, il cui angolo superiore
toccasse il medesimo, e allargandosi poscia co' lati nel diverso, questi
venisse proporzionevolmente digradando, come ne spose il Timeo, nelle duple e
triple, e si parimente nelle sesquialtere, e sesquiterze proporzioni; laonde
per I'ordine perfetto -e per lo regolato movimento, che la fabbrica di questo
universe ricevette da quest' anima armonizzante all' imitazione dell' Idee in
una Idea sola identificate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi
per quanto era in lui, e s' immedesimasse nell' uno, cio6 a dire, in quell'
unit^ ch'egli ha tutto insieme senza dargliene un aJtro compagno, e a lui
somiglievole, la qual' anima mercd di suo toccamento con esso il Medesimo il
mantenga uno, perpetuo, immutabile, e si ne'suoi movimenti ordinate che
immobile resti nel suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno, awenga
che di sua natura e per difetto della materia mutevole, e forse mortale,
movibile e diverse nel novero vario e senza novero delle sue membra. E infatti
R. ammirando 1' universe, ritrova tutto armonia, musiche proporzioni, e con
eleganza di dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri
costantemente ordinati, nella vegetazione, negli organi degli animali, nei
sensi dell'uomo, nelle sue intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^,
ma sibbene nella varieta sublime dello universe, queste armoniche proporzioni
sono, ch6 nel variarsi concordemente 1' universale componimento con i definiti
armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza e requisono
armonioso e la commensurabilit^ corrispondente di tutte le parti 1' una coll'
altra, vi si rivede in somma e singolar perfezione, a modo che seppero r uno
appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri
migliori nel genere non solamente pill perfetto molteplice e delle duple e
delle triple, e si nel superparticolare, e delle sesquialtere e delle
sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha saputo conoscere e misurare
la madre natura sotto il Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici
si trovano le consonanze aggiustate con limitati interstizj deH' arte : Indi
affine di dilucidar meglio come, in sentenza platonica, debba intendersi che la
simetria, I'armonia e il moto sieno anima dell' universo, e qual natura Platone
attribuisca a quest' anima universale, il Buonaccorsi riassume i principj
platonici circa la costruzione dell' universo, e dimostra che Platone ancorch'
e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole, pure non le attribuisce gli
effetti della ragione, che negli esseri propriamente razionali osserviamo. E
continuando R. ad illustrare questi concetti deir Ateniese, osserva come in
siffatte applicazioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo pitl
che noi faccia lo stesso Ficino (piii metafisico di Platone talvolta) egli si
rende intelligibile, aggiungendo pure come se a quel filosofo fossero state
note tant'altre consonanze minori che dopo'diluiper buone accettate si sono, e
molte eziandio delle irrazionali, che al supremo Compositore razionali saranno,
avrebbe dichiarato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte in questa
fabbrica dell' universo e delle anime umane ; le quali soggette anch' esse alia
misura, all' armonia, se travalichino i confini di essa, malvagie divengono.
Discorre quindi della fabbrica del corpo umano e delle sue parti, e, per
incidenza, della materia, e dice che noi la materia la appelleremo madre e
ricettacolo di quelle cose che generate e visibili sono, non terra ne aria ec,
per guisa che il Dafinio osservi esser sott' altre parole questa la sentenza di
Aristotele circa la materia; e R. risponda: Perd il Magiotti soggiunge: €
Eisponderanno i platonici su' loro altissimi fondamenti metafisici che la
materia 6 qualcosa perch6 la sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo
attaccamento speciale e sua dependenza dallo intelligibil mondo nella mente
divina, cio^ a dire, ha sua idea particolare per sd, ond'ella ^ simulacro ed
immagine ancorch^ visibile non sia, nd per noi e per la nostra veduta, ^
necessario che tutte le cose che sono fatte sieno, o che non le veggendo non
abbiano a essere ; e se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento
insieme dei quattro elementi, le forme sole degli elementi e non la materia da
s^ avrebbero il loro esemplare, e V idee loro per entro il ricettacolo della
mentc divina. > A cui infine VImperfetto: lo non credo necessario seguitar
passo passo il Rucellai nel commento che fa a questa parte del Timeo di
Platone, avendo, parmi, citato quel che di piii importante ho creduto trovarvi:
nd al mio soggetto richiedesi altro di quel che ho stimato far qui ed ho fatto,
di un trattato che non h se non una prolissa esposizione e dichiarazione delle
opinioni platoniche in queir argomento : opinioni che noi abbiamo visto in qual
conto e' le tenga R. e com' e' le consideri nella massima parte qual una
sublime poesia del filosofo atenieie, piuttostoch^ teoriche le quali nolle loro
particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla esperienza. Importanza di
questo trattato. Meg^lio che in ogni altro scritto del Bucellai si fa qui
palese la natura del suo filogofare. Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e
risposte. — L'ordine deiraniTerso e argomento del Provvedere di Dio. Qaesti e
la natura. Essa non h per »i che una voce generica. II Caso. — Si combatte. 611
atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eternita. — Si confuta
V accozzamento foi^tuito di quelli. Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia
Provvidenza di Dio; prove per eliminazione. Obiezione e risposta. Galileo e il
Bucellai. Dio non informa il mondo come anima corpo. L* esempio del sole.
Ficino. La fedo. Creazione ex nihilo. Bagioni probabili. — Bipete Tautore: fine
della creazione il buono. II Yero Bene. I beni del mondo ban ragione di mezzo,
di fine no. Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni altro scritto filosofico
del Bucellai, ritroviamo delineati gl'intendimenti di lui, questo si ^ della
Frowidema, dove ragionando in sedici dialoghi contro Epicure, il quale nega il
provvedere etemo di Dio, espone in termini netti e precisi la natura e il
metodo del suo proprio filosofare, e le tentate armonie, e il rifugio nella
fede e nell'autorit^ religiosa, e la grande sfiducia nelle forze deir umana
ragione, e il probabilismo, non la certezza, degli argomenti che essa, la
ragione, secondo lui nelle questioni seinpre ne somministra. E siffattamente
cid accade, che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte filosofica da lui
scritta, quelle di questa sola ne basterebbe a persuaderci della verity della
tesi nostra : imperocch^ come in una sintesi tutti gli element! qua si
ritrovano che costituiscono tutte le parti del suo filosofare. Egli qui si
propone di votare la dialettica faretra contro I'empie e stolte proposizioni
d'Epicuro, che dairordine dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di vedere, divisando
co' lumi soli del ragionevole e naturale discorso, se Teterno provvedimento
nell'essere universale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quantunque
argomenti solidi in sostegno di essa egli, il R., ne rechi ed anzi dichiari che
cid meditando con una qualche scintilla di ragione, si passi molto avanti, pure
finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume
infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli
interlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoich6 anco in questi abbiamo
il sacerdote Magiotti che fa da Socrate, e a terminare il trattato, il Nicheo,
il quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma sopra d'ogni altra
nella teologia, in cui, giusta ne dice il Magiotti stesso, ha saputo la pitl
giovevol parte riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione delle
sacre lettere e la perizia delle lingue ; e che udito discorrere VImperfetto e
gli altri della Prowidenza^ e contro r ateismo, e il sospetto di Guidobaldo
Trifonio che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad acquietar
I'intelletto naturalmente ragionandone, quantunque ciascuno di essi
interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che in
chiaro si scerne coU'occhio purissimo della fede, esclama: E se dopo si
accomoda ai loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teologico piu che
di ragione, e a quel discorso il Trifonio, che la facea qui, pur credente, da
avversario e sofistaj conchiude : Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo
trattato della Protwidenza (e con esso ogni altro trattato filosofico del
Eucellai) nol saprei meglio di cosi: poich^ R. non solo consideri la Frovvidmsa
in generale sibbene anco in particolare, il provvedere diDio nel mondo e nelP
uomo. E di fatto egli a favellare di Bio vuole unito il concento sublime della
natura; e qui, Platonico a tutta prova nel tratteggiare il dramma del dialogo,
dove egli ha un' arte di dire e di rappresentare raffinatissima, apre il cuore
con respiro tranquillo all' armonie dei luoghi deliziosi, e li presso la
rinomata fontana di Belvedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella
apertura, meditando per la chiarezza dell'aere I'ampiezza e gli stupori del
cielo, e per le pianure di Eoma le varie bellezze della terra, le quali del
Provvedere etemo recheranno contro Epicuro i piii potenti argomenti. I quali,
sull'ordine dell' universe posando, devono esser per il Eucellai riprova, non
prova, di quest' arte divina nel mondo, perocch^ con I'occhio acutissimo della
fede egli scorge chiarissimo Iddio e le sue miracolose operazioni a pro nostro.
Questa riprova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto a modo
Socratico, di un credente, non rindagine di un filosofo, il quale coUa ragione
solamente a guida osservi, induca, argomenti e conchiuda; non valendosi come
tale, dei dettami della fede, e facendo conto che e'non vi siano. Alia domanda
infatti se col naturale raziocinio alle prove si perviene di Dio provvidente,
il Magiotti risponde E co'medesimi argomenti di san Tommaso, e dei Padri e
de'filosofi cristiani, corroborati fin dov'e'pud dalle dottrine di Platone e
de'filosoli gentili, ribatte le opinioni di Epicure e di Lucrezio centre il
Provvedere di Dio, sia che dicano la natura divina eterna e beata godere in sd
perpetua pace e tranquillity, lontana e disgiunta per lungo intervallo dalle
cose nostre, e da' benefizj non poter esser presa; a cui R. risponde che anche
Iddio, perche Iddio e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore,
che tanto si § a dire avere infinite carit^ e beneficenze, senza alcuno
intendimento di premio, esercitandolo a diritta ragione: sia che altri ostacoli
ne rechino in mezzo al suo cammino, egli considerando la natura di Dio, e Y
ordine sublime delF universe e del microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando
rinnova Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio provvedendo turberebbe la sua
quiete, ed egli solo non potrebbe in un tempo stesso badare a tante faccende,
sostenere la soma dell'universo; soggiunge: E al sostituire che gli epicurei
voglion fare della natura a Dio, in cotal guisa risponde : Combatte indi il
fortuito e fortunoso accozzamento degli atomi secondo Epicure; n§ in cid pure
discostasi da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in
contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che non essendo noi la misura di
tutte le cose che sono, ancor che alcune di esse si scontrino inutili o dannose
e far centre percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo non conoscendone i
fini e 1' ordinamento. Dope di che seguitando, com' egli dice, le sue
prohdbilita interne alia Provvidenza, viene dal generale al particolare,
esaminandola nei varj regni della natura," minerale, vegetale, animale ed
umano. E continua a combattere il case, e la insipienza sua e I'agitazione
disordinata degli atomi. a formare lo inestimabile ordine e concento di questo
teatro dell' uni verso e la perfezione di sue opere e di suo movimento. I quali
atomi se in sentenza di Platone etemi chiamar si possono, quantunque il mondo
ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga che
esistano con Epicuro e Platone, nega pero che si possano appellare come tali,
cioe eterni, doYC dice : E riguardo al case conchiude con Galileo ch' e' non sa
quel che sia e in qual maniera possa operare si ordinatamente ; e confessar
dunque si dee, eziandio per via di ragion naturale, che r alto e supremo
artefice, e non il case, sia quelle che il formi, regga e addirizzi in tutte
quante 1' opere^sue. E la geometria dell' universe ^ come Sole che fuga le
ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk sapienza universale, come
argutamente chiamoUa il GaKleo stesso, dopo che Platone aveva chiamato
Diogeometrizzante in tutte le opere della sua infinita sapienza. Le quali al
postutto pitl che parlare al nostro intelletto lo abbagliano di loro luce
infinita, ed il loro linguaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche
poco nulla intendiamo, studiando, salvo che la nostra socratica proposizione :
Perd noi possiamo sempre indagare se fra le cose del mondo visibili, ci venga
fatto di ritrovare questa natura questo reggitore del mondo, e che Iddio non
sia. E di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E
siccome il meglio di tutto ^ Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da volgere
tutte le macchine deir universo, a suo senno, remossa in prima la opinione che
gli angeli dei cristiani o i demoni di Platone e di Socrate, i quali primi non
altro sono, per i credenti, che esecutori o iniziatori degli ordini e degli
awisi di Dio e di sue grazie dispensatori ; e i secondi non altro essendo che
spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli; cid
h uno sporre le cagioni seconde sotto lo indirizzo e I'onnipotente braccio
della primaria, la quale assista e governi tutto per si fatte menti. Adunque se
non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio, ministro subordinato si 6
della divina volenti; la volenti divina, che da s6, o per mezzi subordinati
amministra con tanto ordine tutte le cose, essa si h che ha in mano il
provvedimento e reggimento dell' universo, come interpreta-il nostro Tullio; n^
^ convenevole a noi stremare per tal modo la di lui infinita onnipotenza, la
sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da
meno e ha 'minor forza e potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia
combinazione eventuale degli atomi e alle stravaganze incostanti e disordinate
che il caso farebbe da s$, se e' non se gli desse si alto e sapientissirao
sopraintendere. Impero 5 fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia quello che
tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva
come quel presupposto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e toccare
egli le cose tangibili sia un gran punto e un grande argomento a pro d' Epicure
negatore della Provvidenza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo che io
stimo opportune di riferire per intero, perch^ sembrami un punto
importantissimo. Molteplici e varie poi sono le quistioni che a mano a mano
mette in campo e risolve il filosofo nostro su questo soggetto, ma io credo
potervi sorvolare, fermandomi alle principali; come questa anco nel Timeo
ragionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi lo diriga e lo muova e
a lui provveda come 1' anima al corpo nostro, a un dipresso come la pensarono i
Greci, i quali tennero Dio anima del Mondo, tra' quali Aristotele e Crisippo
della setta stoica. Al che si oppone con forza R. dimostrando I'assurdo in cui
cadrebbesi, cio ammesso; come fece appunto di sopra nel Timeo, discorrendo di
questa medesima ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade nel
Panteismo, n^, come Platone, nel dualismo, ma con la Creazione distinto fa Dio
dal mondo, quantunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E contrp il
Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti, guardando principalmente agli
attributi divini, e com'essi disconvengano e siano anzi contrarj alle qualit^
deU'universo e della materia, che imperfetta e non etema e mutabile si ^ all'
incontro di Dio eterno, immutabile e perfezione assoluta, il quale se ^ tutte
le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di lui I'universo non
sarebbe mai state, n^ senza di lui sarebbero al presente nd al future, non d
gi^ vero che tutte le cose e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole il quale
percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte
le cose perch^ tutte le cose per lui sono, e senza lui non sono, ma desse non
sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta fabbricate sono, dov' egli
perfettissimo si e. E in somma come dice del sole Marsilio Ficino : Sol est
imtar Dei, aspectu ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita et
latissima absque detrimento sui, 6b exuberantem bonitotem largitatemque suam
cunctis sese libentissinie larffiens, causa conservatioque, et excitatio omnium
quce nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta videntur, hujus aute^n
prcesentia reviviscere. Simigliante definizione, piii altamente levandosi, pud
farsi di Dio, e perd: Deus est omnia, ma non le cose sono Iddio. E il Trifonio
in altro Dialogo dopo queste proposizioni soggiunge: Ma R. qui si discosta,
abbandona ed avversa anche Platone, come lo ha abbandonato sempre dove cose
contrarie alia fede professa; egli dice per il Magiotti: E come la materia,
cosi gli atomi non possono essere eterni. Imperocch^ se il mondo in tutte le
sue parti ^ imperfetto e corruttibile, come vorremmo che nei suoi componenti
primarj sia eterno e senza mancamento? Delia stessa natura e il composto che
sono i componenti suoi. E molto meno poi se noi volgeremo r occhio a quel che
veramente sia quest' eternity. Impero dunque pongo da un lato si fatti
argomenti, accorgendomi bene che mi si replicherebbe da qualcheduno de'piii
maliziosi, co'diluvj e con gli incendj varie volte avvenuti nel mondo le buone
arti essersi spente e ritornata la ruvidezza e I'ignoranza de'secoli ; essersi
le scienze o disperdute o soppresse, i hbri arsi e divampati, e si nell' acque
affogate le memorie deir istorie preterite ; molte essersene deteriorate, se
non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non
sapevamo che mai state fossero, altre restaurate le quali erano divenute
peggiori ; n^ percio aversi prova sicura che niuna nata ne sia dai suo' primi
principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in
fiore, e che ad ora ad ora si perdano, e ad ora ad ora si rinnoveUino, tornando
a maggiore o a minore perfezione gU ingegni e r etadi : che impero di si fatte
ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque noi abbiamo per
fede con sicurezza irrefragabile gli anni della creazione del mondo : mentre di
cotanto pitl forza sono le altre che addotte si sono, per render con tanto piii
vaUde ragioni convinti colore che, per sola miscredenza o miUanteria d' ingegni
o mahgni o di soperchio vivaci, pongono difficult^ eziandio alle cose piil
chiare secondo r ordine della natura, perch^ 1' hanno sottoposte i nostri
maestri all' autorit^ della fede. > Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo
nihitf che dal nulla non si fa altro che nidla; che perd Cicerone: erit aliquod
quod ex nihilo oriatur aut in nihilum suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit
unquam? € 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del mondo Archetipo, e
eterno nella mente di Dio siccome le idee di tutte le cose che f urono, che
sono e che saranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza infinita : ma il
mondo sensibile e la materia F ha fatto 1* artefice sovrano a quegli esemplari
dal nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un Dio onnipotente e infinite. E come
gli uomini dal nulla possono far anch' essi qualcosa, come di trar fuori da
quelle una nuova forma, a maggior forza Dio infinitamente onnipotente dee poter
fabbricar la materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo restar persuasi che sia
cosi; come quantunque sia impossibile a intender che sia eternita 6 del pari
impossibile a restar persuaso com' ella non sia, perchd voltandoci indietro per
la graduazione d' innumerabili principj 1' uno dell' altro, ^ forza di giungere
ad un principio non principiato ed eterno. E se Dio che onnipotente si ^, pu6
adoperar gl' impossibili a noi, quale ardimento sar^ dell' uomo che voglia gl'
impossibili limitargli ch' a lui possibili sono, quantunque r uomo non giunga a
capirli, e di quel che egli afierma non abbia voluto convincercene con
argomenti, ma 8i d' autorita proferire? Imperocche Iddio voglia merito da noi,
e per intiera fede ; anzi fortiticandocela con si chiari esempi, con
rivelazioni e co'detti d' uomini ec E qui superfluo che io rintessa quelle che
dice il R. intomo al fine per cui Dio provvide alia bellezza della donna;
poiche gi^ sufficientemente V ho chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore
secondo il nostro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della
reminiscenza Platonica, e della creazione ab ceterno dell'anime, la quale
dottrina di Platone ei vuol conciliata con quello che ne insegna la fede mentre
rigetta la tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito ampiamente a suo
luogo. Ne basti pertanto osservare: 1° com' egli, R., per bocca del prete
Magiotti, a torto, e troppo tolga all' intelligenza e alia razionalit^ delle
donne, in compenso delle quali privazioni dice aver Iddio dato loro appo I'uomo
la raccomandazione della bellezza; sendo esse, pur razionali, animali si
imperfetti e dell' uso di ragione cotanto manchevoli a petto agli uomini che
non a torto disse quel savio infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli e
'1 meglio delle sensibili, la natura donnesca essere stata locata; 2** come il
nostro filosofo in sentenza platonica e petrarchesca le bellezze della donna,
raggio delle divine, abbia il supremo Provvidente create agli uomini come
gradino per ascendere a sollevarsi alle bellezze infinite. Dei mali. —
Necessita di questi nel mondo. I yeri mali. — La morte non e un male. — £ cosl
la poverty, la perdita delle riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. I mali
occasione e strumento di bene. II dolore. La infelicita. Del dono della
ragione. — Saa natura. — Malizia e ragione. — Libero arbitrio e
prodestinazione. — Liberta e fato. Passo dell'Autore su questo punto. Epilogo
delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio provvidente. —
Bifugio nel la fede. Intricata e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13
aflfronta e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'medesimi intendimenti,
la quale d necessaria a risolversi per chiunque favelli di provvidenza; la
questione del male nel mondo, che egli reputa, come i beni, dipendere da essa.
E prima di tutto, con a maestro e duce Platone, che dei veri beni e veri mali
divinamente discorre, pone la necessity de' mali nel mondo; e al signor Elea
che obietta veder noi il giusto esser oppresso e percosso dalla sferza dei
mali, e 1' ingiusto trasportato nelle regioni della felicity, sicch^ Dio
mostrarsi o non provvidente o non equo, risponde Per la qual cosa facciamo
esamine un poco sopra di questi mali si gravi che non sono in poter nostro di
ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi
sopraifatti da quelli, abbia a dependere quel giudizio, che con tanta
franchezza forma Epicuro, dell'essere Iddio a tal cagione o non giusto, o vero
non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile
alPuomo, dico dallo spaventoso accidente della morte, che indifferentemente e
alP improvviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque et^ cade sopra
noi viventi mortali. E, quantunque per lo lume vivissimo della fede Y
immortality dell' anime nostre ne sia manifesta, pure non di meno, poich^ si
risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue opinioni vestiamoci,
supponendo con falsa dottrinach'elle mortali esser potessero: imperd che in tal
caso eziandio male non h la morte, nd che Iddio provvidente non sia, si come
egli ebbe per indubitabile, cid dee essere argomento. Dicamisi un poco: quando
bene I'anima mortale si fosse, che torto riceve T uomo dove prima o poi egli
adempia il termine a lui prescritto del vivere, posto anch'egli come le altre
cose caduche e finite a discrezione degli accidenti fortuiti che provengono
dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ gastigamento d' Iddio, ancor
che provvedente, la morte degli uomini chiamar si dee: imperd che non piti
ragione ha di dolersi morendo colui ch' h stato ingenerato a condizione di
ritomare a quelle ch' egli era anzi che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe
chi non fii mai, dolendosi perche ingenerato non fue ; con cio sia cosa che a
colui che non ^, non manca mai nulla; n6 ha desiderj o bisogni, n^ passioni o
diletti se non quello che ^; e il mancamento e il dispiacere di esser
manchevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che
ottenere si vorrebbe; n^ dolersi puote ed esser misero se non colui che abbia
senso. Adunque non altro la morte si ^ che ritornare a non essere, cid 6 a non
avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima
che fosse. E poi ; che ^ il nostro vivere perch' e' s' abbia V uomo ad
atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non giungono a vivere un di
intiero, de' quali chi arriva alle venti ore di vita pud chiamarsi decrepito :
e ch' ^ di piii nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela morte ne
finisse del tutto, si come tiene stoltamente Epicure, cid fora ricondurci
a'nostri principii: cheimpero lamentarsi non gli si conviene di torto alcuno. E
quei mali che accompagnano la morte (la quale ^ un punto di tempo si momentaneo
che non tocca i vivi e non s' appartiene ai morti) o non sono che una necessity
alio scioglimento che si fa di tutte le parti sensibili a poco a poco, accid
che si come passo passo si andd formando, cosi lentamente a suo disfacimento
venga il composto: quindi le malsanie avanti le debolezze provengono d'anno in
anno secondo il vigore e il temperamento che loro piii o meno fii conceduto da
vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per ben mille sofferenze
cagionate dall'ambizione o dalr avarizia si smenomano la vita loro, mal
servendosi e consumando gli strumenti datine per nostra conservazione ! > E
indi il nostro scrittore passa a discorrere degK altri mali, la poverty, la
perdita delle facolt^, i disfavor! de' principi, le infermiii,, le servM, gli
esilj, le ingiurie, le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la
perdita delle provincie, e de' reami interi a' Re che giustamente li posseggono
; e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve
la questione^ mostrando come cid non dal caso n^ da Dio, si da noi stessi molte
volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del vivere, e come alcune cose che a
noi sembrano mali,, Iddio a fine di bene ce le mandi. Convione pero dire che R.
scendendo a parlare de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo stoico, per
dirla pi^ conformemente alia quality della £ua dottrina, troppo mistico,
sicch^, a m,o' d' esempio, discorrendo della poverty e del suo contrario, la
ricchezza, mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa come germe e fondamento
di felice tranquillity, troppo invero questa dispregi e condanni, sbagliandone
Tabuso con I'uso. Bello perd 6 il quadro che fa degli onori dispensati sovente
a' men degni, e de' dispregi a chi invece onori avrebbe meritato per le sue
virt^. La provvidenza divina, dice I'autore nostro, die alI'uomo i mali, e lo
sottopose al dolore, in quanto intendimento suo si fii quello di renderlo
perfetto e agevolargli le vie a scuotere il giogo dei sensi e si indurargli sotto
quello dell' anima razionale. Adunque il dolore patir si pud, ed ^ dono del
prowedere supremo; con cid sia cosa che a gloriosi trionfi ne mena, la
sicurezza e la liberta ne conserva dell' animo, e ne fa esser gli uomini sopra
gli uomini, anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori agli Dii : Ferte
fortiter, die' egli, habetis quo antecedatis deum : ipse extra patientiam
malorum est : vos supra patientiam. Iddio per renderne degni di sua alta
beneficenza, perfetti ci vuole negli atti della ragione, in cui sopra gl'
irrazionali privilegiati ci ha : e gU uomini di virtii bramosi, anticipatameate
apparecchiandovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti essere esposti e si
aspettarseli, per conseguire i doni dell' onesto e la turpitudine viziosa
iscansare. L' infelicity, in qualunque modo ella ne accada, la pill fedele
maestra si d ddl' adoperar ragionevole ; perchd essa e quel fuoco onde si
alluma la luce, quasi che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e
rendesi degno degli infiniti beni della Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi
dialoghi di questo trattato, il Rucellai s' intrattiene a discorrere del dono
della ragione e della liberty, che il Prowedere etemo ha fatto agU uomini, si
che essi si distinguano dai bniti, e per ultimo riepiloga contro Epicure gli
argomenti gi^ espressi, sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel
mondo. E nella prima questione egK definisce la ragione alia peripatetica, e
com' egli dice, vendendo le descrizioni per definizioni, e gli effetti per le
cagioni, imperocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso, molto
meno si pu6 giungere a sapere quel che sia la ragione di cotanto piii pregio e
piii sovranamente prodotta. E indi lungamente discorre della malizia cui la ra
gione raffina, e de' mali usi che di questa fa Tuomo; e mentre questi
acerbamente condanna il Bucellai, come prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo
traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo dell'Etemo Prov
veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre glare, o tenere in non
cale; e conclude con V aggua glio del sole dicendo r o per varie vie si
disperdono? Qual colpa la ragione ci ha, se fluttuando per furiosi turbini di
violente pas sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e confiisa si rende la
cognizione del vero? Perch^ accagionare la ragione, se le varie facce che ci si
volgono davanti de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo
strano falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi negli oggetti che noi
miriamo? Non i raggi della ragione, ma si la materia ov' essi percuotono,
trasforma sua purissima luce in variati colon; onde quello che per s^ d lucido
e puro, torbido, o si vero di tinte non sue colorato rassembra ? E perch' essi
da luce proven gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione ne rendouo,
ma s) rea distinzione e mentita, che abbaglia e delude in noi V elezione,
rivolta i talenti in malizia, seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere
quel che non d; ond' ella allettata da immagini false, ivi si studia di
giugnere, e si adoprando astutamente il male^ perfeziona le qperazioni viziose:
per la qual cosa Marsilio Ficino, corona della patria nostra, disse divi
namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda lumen reddit opacum,
facUque colorem ex lumine, sic corpus circa animam reddit ex inteUigeniia
sensum. Non h dunque colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem pre
chiarissimo, ma di noi che tortamente il guardiamo^ con frapponimenti che
ingannano e insozzano i suoi riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non
per suo, ma si per nostro difetto. II sole, dice il prefato autore, trapassa di
presente per la chiarit^ de'cristalli, che non parano, o rigettano indietro il
vivo lume ch' e' ne tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed opachi si ab batta,
inetti a imbevere la luce, voglionci replicate pcrcussioni de'raggi suoi, che
pria gli riscaldino, ac cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi
penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai vivificanti deUa ra gione umana,
ch'6 pur favilla della divina, per la purity e.trasparenza degli organi intemi,
passano agevolmente a {ax lume all'occhio dell' anima; ma se le tenebre de'
sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene fiannosi loro innanzi, non
perdono que' raggi loro luci dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o
il lume della ragione dall' occhio mentale smarriscesi, poi ch6 esse gliele
tengono, o vuolci tempo e atti iterati di loro vigorosi percuotimenti, accid
che disciolgano, liquefacciano e si consumino quelle grossezze, anzi ch' e'
passino a rendere sinceri all' anima gli oggetti dell' immaginativa e veridica
V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s'
insinuano si di leggieri per la durezza e asperity della terra, n^ anche ^
colpa della ragione se suo' lumi trovano I'opacit^ degli affetti che gli
ribatte, e si presta loro I'imperfezione de' suo' inform! aspetti, per
falsificame la luce. Impercid, signor Elea, la colpa tutta e di noi, e V uomo
quando usa bene la ragione, e I'ottimo di tutti gli animali, quando male, e
pessimo di tutti. Che poi I'usino pochi per lo nostro naturale
iucitamentode'sensi, non d colpa della ragione, n6 cid si dee apporre al
j)rovedimento divino: ma noi proprii ne semo i colpevoli, impercio che la
ragione n' 6 data, accio che I'uomo, come buon villano, il campo del cuor suo
diligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi e quello che mal
cresce, ricida; e con imperio d'animo debbia governare tutte le corporal!
parti; se cid non adempie, d! lui fallo si ^. non del dono della ragione, n^
del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si vagliano di tal beneficio. Con
tutto che tant! e tanti scialacquino i patrimonii, perde forse merito lor padre
di cotanto utile lasciato loro? Quanti sono che, volendo far male, giovarono
altrui, e ben lor nacque ? e come non si dee saper grado di cio a' primi, cosi
n^ meno averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa d'un principe, che di
una alcuna nobile e salutevole vivanda regalo ne facesse, lamentare ci
volessimo, perch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposizione di noi
medesimi, o pe'rei condimenti, onde cucinata I'avessimo. Elea. Non hanno colpa
i principi se di qualche loro grazia male ci venga, perch^ essi saper non
poteano che cid ne dovesse accadere ; ma il provveditore etemo non puote scusarsi
di non antivedere le cose avvenire. Era dunque migliore, o non darci la
ragione, o si levarci Y elezione dell' operare, che damela per male servircene.
> E con questo si scende a risolvere Taltra quistione importante del libero
arbitrio dell' uomo, ch.e, appunto dal malo uso ch' e' se ne fa, alcuni
vorrebbero escluso e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso, o in
quelle ferree di una cieca ed irrevocabile necessity,. Difende R. la liberty d'
elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono tra gli animali
quaggiiH, perch^ e ragionevole appunto, e accorda questa liberty colla
predestinazione, invadendo cosi, mi sembi^a, un campo che piii che suo, 6 di
teologizzante, mentre invero assai debolmente ragiona della liberty in s6 filosoficamente
considerata. In sostanza la predestinazione puossi invero accordare con la
liberty, purch6 si badi al concetto di questa medesima predestinazione. Ch' d
ella mai inf atti ? Iddio in cui il passato e il futuro s' immedesima nell'
eterno presente, non puo, umanamente parlando, non prevedere ogni azione dell'
uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se non che quell' idea di tempo che
nelle due parole s' inchiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e
nella successione del tempo ; ond' 6 che la liberty umana in nulla rimane
impedita; imperocchd non perch^ Iddio prevede che I'uomo determina, impercid
egli determina; ma perche I'uomo 6 per determinare di suo arbitrio, inipero
Iddio, che ha cognizione infallibile, prevede ; c e, se 1' uomo fosse per
determinare il contrario, Iddio previsto 1' avrebbe, si come colui che errar
non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della determinazione 6 libero,
ancor che Dio lo preveda; ma r atto dell' esecuzione non ^ libero, e perd Iddio
o il permette o lo predetermina o toglie ch' e' non awenga, perch^ cosi
predetermino. > Ond' ^ che Iddio pone Fanima razionale per entro la
corporale materia, accio che la parte inferiore alia superiore ingaggi
battaglia, e con questa gli nomini da per loro prodi si facciano contro gli
empiti degli appetiti espugnandoli con la ragione. Ma raffiguriamo ci6 ne'
sentimenti piii che umani di Pittagora e di Plato, i quali col barlume della
natura nell'infinita beneficienza di Dio ragguardando, ben si awiddero il merito
della sublime condizione deiranime non esser merito bastevole per lo godimento
di quella; e si da questi astri immaginati, ove secondo loro Iddio le teneva in
serbanza, con la viziata natura della materia vile mischiandole, le lasciava in
suo arbitrio, accio che col divino talento della ragione sapessero di proprio
volere i vizii vincere e far si che i sensi servi fossero e instrumento della
ragione, non questa instrumento di queUi; per lo cui merito o le stelle piCi
luminose o' Campi Elisi per lor felice magione dopo morte assegnarono ; ma,
altrimenti oprando, da' corpi umani la trasmigrazione davano dell' anime in
que' delle bestie i cui costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero.
Imperciocch^ la ragione non d essa il merito d«' beneficj divini, ma si lo
strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli
farsene. E perch^ pugna forte la natura della materia corporea contro a'
dettami della ragione, n^ Iddio vuol per miracolo perfezionar la materia,
quindi nasce il libero arbitrio in si fatto contrasto di due contrarj stimoli,
il, quale, dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria: e perch^ a nostra
imperfetta natura sono piii i vizi che le virtudi conformi, non volendo Iddio
fame oprar bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non sarebbono appo di
lui, ne viene che il minor numero se ne approfitti: e per6 la ragione
nulladimeno d prowedimento sovrano datone a dar regola al nostro libero
arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne vagliano. Adunque il farsi
meritevole de' beni di Dio non in aver la ragione consiste, ma nel volerla
spontaneamente adoprare, potendo fare il contradio. Imperf. — In somma ell' d
una proposizione molto difficile a intendersi questo libero arbitrio, com' egli
stia collegato con la predeterminazione di Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con
piii chiarezza. Cid che sono per deliberare ed eleggere gli uomini, il vide
Iddio ab aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo, no '1 determind; il
predisse, non V ordind. > E indi R. combatte la necessity che gli stoici
affermano darsi nel nostro acconsentimento, che non altrimenti spontaneo sia ma
risultante dalle cagioni antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti
che ad agire ne stimolano dimostra col senso comune, e coir esperienza, esser
bensi cagioni prossime e particolari, non principali ed universali, e come lo
acconsentimento e la deliberazione nasca da noi si come il principle del moto
alia trottola il d^ chi la tira, ma il volgersi in giro per merito si ^ di sua
propensione e figura. E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo soggiace senza
che quelle contrarii il libero arbitrio di questo. Fato, il quale non d che
volere divino, pare al Bucellai che nominar si debban le morti repentine, e
ogni e qualunque altro accidente nel qual cagion prossima particolare non si
ravvisa che a quella innanzi ne disponga, ma che immediate e all' improwiso
dalla cagione universale discenda, laonde niuna libera determinazione di nostro
ai:bitrio luogo ci abbia. E riepilogando, il nostro filosofo dice, cadendo poi nel
suo solito probabilismo : Per la qual cosa a ragione fu chiamato il fato;
inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decreturn, quod singula 5wo ordine
loco et tempore firmiter reddit. E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza
divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas omnia videndi, sciendi^
et gubemandi indivisa stipata et uniter juncta ; ma il fato lo pongono
partitamente nelle cose particolari: la provvidenza ^ in Dio solo locata, e a
lui solo sta in petto: il fato h il decreto e resecuzione di essa applicata
alle cose speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle cose
discende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato, si come il sole ^
innanzi al lume, V eternity al tempo: Providentiam rerum omnium jundim esse fatum
per distributionem singtdarum? Seriem nexumque eausarum in ordine in loco in
tempore. E di queste cause si prevale secondo lor virtii o dote data loro da
Dio. Pendentem a divino consilio seriem ordinemque causarum chiama il fato Pico
della Mirandola. Ma le cagioni seconde 1' adopera per quel modo ch' elleno
usate sono di adoperarsi, e percio delle libere determinazioni nostre mosse
dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, secondo che bene o male
deliberiamo; il cui effetto segue o non segue secondo la predeterminazione
divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o irragionevoli,
abbiamo il merito e il demerito. Che iraperd per divino provedere la ragione n'
^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male regolati
la virtii o il vizio ne risulta, quantunque non se ne adempiano gli efiFetti.
Cosi anche naturalmente favellando, la predeterminazione e prescienza delle
cose col nostro libero arbitrio coUegare si puote, cui la ragione soprasti ; e
perd non n'^ data indamo come altri vanamente si presuppone. Elea. — Oh quanto
malagevole si 6 il poter fermare ci6 con tutte quante le argute ragioni
addottene dal nostro Magiotti, autenticate eziandio daU'autorit^ di grand!
uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma in somma poi non provano! Mag.
— Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che quantunque non rintendiamo possa essere
anzi abbia del verisixnile che si fiatta coUegazione si dia, e che noi non
giunghiamo a poter provare il contradio; impercid che chi 6 colui che osa senza
forza di manifeste dimostrazioni contradire a' proprj sentimenti ? II libero
arbitrio noi ce '1 sentiamo in noi da per noi : che gli effetti poi di esso
dipendano da piii alta cagione, cio eziandio n' ^ indubitabile e aperto per
chiarissimo e continuato sperimento. Come dunque volere affermare che tale
collegamento non ci abbia? Adunque acquietamci, senza negare o affermare sopra
il modo come e'si sia col nostro usato rifugio. Quest' uno i' so, che nulla io
so : che d'intorno a qualunque cosa noi non intendiamo per lo piii vero e
indubitabile d' ogni scienza che sia. > E col riassunto delle probability
ragionevoli intorno all' esistenza e al provedere eterno di Dio, si compie
questo trattato, eliminando sul bel prime 1' opinione di Epicure che la speranza
e il timore siano i due fattori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir
meglio, riducendo questa proposizione al sue giusto valore, che e la speranza e
il timore di Dio, il quale nolle opere sue e nell'arte sua divina si manifesta,
non sono da fantasmi o da immaginazione. E conchiude il Magiotti : E il signer
Giovanni Nicheo Dalmatino, che sopraggiugne, abbiam visto in principio della
Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi cerca altri
argoraenti sull' esistenza e prowidenza di Dio, e •come dope aver detto che
grandiose segno di tal verita si ^ V universal consentimento in tale credenza,
che equivale a un dettame di natura, si rifugia in argomento di teologia
rivelata e conchiude : Al che tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ragion di
loro, chiuse le ali, si riposa timorosa e tranquilla, come Colombo, nel nido
securo di una religiosa credenza. II detto di Socrate e quelle di Tale to. —
Fatti interni: psicologici e morali. — Nosce te ipsum. Dell' anima in generale.
— Galileo. t presunzione voler comprendere quel che Taninia sia. Studio
proficuo de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rncellai alia parte
morale. Qui e aristotelico.Riepilogo. — Laragione ed il scnso. — Loro
contrarieta nel riconoscere il bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima, della
fortuna e del sense. — Apprezzamento di essi. La vera scienza morale e il
timore di Dio. L' anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e,
pero, di Tirttj. Anche qui R. e mistico. — Operazioni delr anima e della volonta.
Errore e dubbio. Buono e reo. La vera felicita. — iJ la vera virtu. Stoicismo.
Aristotele. A^irtii cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle
virtu. — i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa.
Doveri. Divisione di essi. Cicerone. Sentenza esagerata intorno le donne.
Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso per il regno della natura sensibile, e
per il regno della natura divina. Accompagnato apparentemente il Kucellai dalla
voce di Socrate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due
regni, ma le ragioni delP esser loro non impard con certezza, si discopri col
lume incerto dell'intelletto come probabili, perche la loro certezza solamente
la fede ci manifesta, e il probabilismo (che infine non d se non uno scetticismo)
razionalmente fayellando, si fu la conclusione delsuo lunghissimo esame:
probabilismo e scetticismo, io ripeto, che come per incanto tramutossi in
evidenza, allorch^ V autoriU divina sopraggiunse, e le nebbie della ragione,
quasi raggio di sole, penetrando disciolse. Or la guida del Eucellai muta, e
come Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V ufficio di condottiero per Dante
a Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare della coscenza umana si rist^,
e a quel di Talete d^ luogo, perche serva di guida al Filosofo nell' esame dei
fatti interiori, psicologici, io dico, e morali. In un modesto preambolo
accenna egli a tutto cio; e nella Villeggiatura Albana che comprende due
Dialoghi, il secondo de' quali diviso in 31 capitoli, discorre della psicologia
e antropologia, molto imperfettamente per 6, si che non ha importanza, abbozzo
piii che discorso, 6 percio anch' io spendo poche parole in compendiarla, per
quel tanto che al mio ufficio sodisfi e non piCi. Badare, egli dice, agli
antidoti contro le malattie deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si consegue
anzi tutto, conoscendo bene s6 stessi. Nosce te ipsum; conoscendo cio^
intieramente gli organi nostri, sede delr inteUetto e dell' altre potenze dell'
Anima, e imparando a tener bene d' accordo i due movimenti contrari sotto le
leggi del dovere. E cid, applicando pure la scienza della Natura a
correggimento dell' Animo, affine di conseguire quella felicity espressa in
quelle parole : E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si
osservano, vegetativa, sensitiva e ragionevole, giova dire le opinioni che in
antico si ebbero della sede di queste potenze, cio^ della natura delr Anima;
discorrendo poi partitamente dell' anima vegetativa, indi della sensitiva, e
per ultimo della ragionevole, ossia dell' anima in questi tre aspetti diversi.
Poscia il filosofo si propone di far riflessione siccome rUomo per mezzo dalle
quality eccelse dell'anima deve istruire s^ stesso neUe virtii morali, per
conseguire il bene perfetto, che spesso in oggetti onninameirte ad esse
contrari noi andiamo cercando. D disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede
con discorso naturale della mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo ^ problema
a s^ stesso; ogni sosprro, ogni movimento, ogni pensiero, ogni volizione 6 un
complesso di fatti che TUomo produce e che avendo in s^ del misterioso vuol
sapere di essi il perche. L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli
compie degli atti agevolmente, ma quegli atti li diresti divini, se non lo
sapessi finite, tanta 6 la lore grandezza, la lore portentosit^ ! Egli si vuole
conoscere e ne ha tutto il diritto. E *a che sapere delle cose che lo
circondano, se ignora Tessere proprio? Ei vuol saper com'^, chi ^, dov'^,
dov'andr^; ^ ben naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di scienza, di
amore, di infinite, se poi, come a Tantalo, ella dovesse formare a me uno
strumento d' un eterno martirio? A che fomirmi di tanti organi stupendi, di
tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio volere in me stesso tanti
abili ministri di arte e di ingegno; a che questa ragione, questo volere, s'io
son condannato come un organismo di cera a restarmene immobile, o, come
macchina, a muovermi senza sapeme il come e il perche? Oh! dunque rUomobisogna
conosca sd stesso, il sue corpo, la sua anima, le facoM di ambedue, se vuol dir
di sapere alcun che. Questa sentenza del conoscer s^ stesso e adunque la base
del verace sapere. Obbediamola, e, guidati da essa, studiamoci. L' anima, lo
abbiamo veduto, ^ di piii sorte; quindi conviene vedere prima dell' anima in
generale. II Galileo interrogato che fosse quest' anima naturale, rispose : non
lo so. Tutte le definizioni date dagli antichi suir anima si accordano a dire
che essa ^ un movimento. Ma pero il movimento ^ un effetto, dice il Rucellai
col Galileo, e resta sempre a sapersi quel che r anima sia veramente. Chi
produce questo effetto nel mondo? chi ^ I'origine di questo moto universale?
Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo etemo colla materia,
sibbene dee ritenersi eterno con Dio ; ^ egli dunque Dio stesso, che 6 anima
dell' Universe, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo? fi presunzione il
rinvenire se questo moto sia veramente r anima del Mondo e percid dobbiamo
starcene quieti a quello che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non andar
pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi della
verity, va a caccia della bugia. E qui invero si ferma R. quasi scoraggiato
della ricerca, per passare all' esame di cid che si vede, e di cid che si tocca,
cio6 della fabbrica esteriore delrUomo, osservando come dalla fabbrica dei
diversi ingegni e deUe varie maestranze degli organi dei corpi che vivono.
argomentare si puo la quality delle anime che quelli informano ; sicche giovi
discorrere della notomia, non ad uso della medicina o physice, come avrebbero
detto gli scolastici, ma si all' esame delr operazioni dell' anima sensitiva e
della ragionevole, cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni a'quaH son formate
quelle parti e quegli organi, e 1' ordinamento loro sotto il regime volontario
dell' anima umana o ra^ gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il
Rucellai i pill dotti Naturalisti del tempo, e soprattutto il dottissimo medico
di Firenze Rodrigo de Castro, il quale fii autore del libro SuUe Meteore del
corpo Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malincuore, ch' io gli
risparmi la descrizione di questo trattato, che del rimanente non contiene in
s6 altra importanza tranne quella di essere basato sulle cause finali e d'
essere informato al principio universale delr ordine e della proporzione. E
questo ^ tutto quello cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 R.; poco
importante, come ognun vede, ed imperfettissimo, e che era forse per lui un
abbozzo di un lavoro pii compiuto e a cui come ad altri manco al filosofo
nostro 11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come
quello che merita piii, di intrattenermi con alquanta maggiore larghezza sul
trattato delle facolta interne e morali, nella Villeggiatura Tiburtina
compreso, che quantunque imperfetto ancli' esso, pure per natura sua e all'
obietto nostro giovevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il Proemio,
pubblicato dal signer Fiacchi, come ho avvertito nel Cap. 7**, (Collet, degli
opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene
risottoporlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM oltre a
designare in esso quel che intende contengano i suoi dialoghi sulla morale, d
come uno specchio fedele della qualita loro e del sistema, ed agevola la strada
alia critica nostra. Pboemio alla Villeggiatura Tiburtina. Per modo che fatta
questa pausa di parecchie ore di tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni
alia vista e alia mente quell' ammirabile opera dell' Onnipotente mano di Dio con
le indefinite specie che ne giungono a un tratto agli occhi e alia fantasia di
si varie e leggiadre particolari sue creature, che tutto il corpo universale
del mondo con si stupenda consonanza e armonia compongono insieme. Per lo che
alio scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di cose, che annoverare
e distinguere non si ponno in un' occhiata sola, e di si diverse tinte e
lumeggiamenti, onde si scorge tutta la terra colorata e distinta; chi non
rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse di giorno in giorno per
lungo corso di anni osservate e vedute, e perdutone con I'uso quotidiano degli
occhi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6 intervenuto a me stamattina
su lo spuntare dell' Alba, in questa nostra uscita per andarcene a Tivoli da
Nemi partendoci. Perch^ al primo raggio lucente, che in un attimo si distese
con 1' illuminazione della terra e del cielo dall' uno all' altro orizzonte :
io non potetti far di meno in quel subito di non rimanere strabilito da tali e
si maravigliose bellezze, che mi vennero di presente a ingombrar le palpebre
come di cosa nuova e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente a
piii subUmi e piii nobili considerazioni. Impero dunque quantunque volte meco
pensando riguardo alia lucidezza del cielo, e alia vaghezza della terra, io
rinnuovo subito tra me stesso le usate riflessioni avvertendo con quante
diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di
quanti vari colori da essa dipinto venga questo nostro Emispero, variato per
ben mille vaghe maniere di lumi e d' ombre. Vagheggio con sommo diletto quante
positure difformi vi si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti
che lo disagguagUano nella rotondit^ sua: osservo di quante maniere sia
divisato da una banda di boschi verdissimi, dair altra di amene campagne, e di
campi aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri; scorgo dove
acque nitidissime che a guisa di tante vene serpeggiando e correndo lo
irrigano, dove Tampiezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora ad ora con
tempi ordinati alle prode; e insomma innumerabili differenze di cose che in qua
e 1^ disseminate si mirano; le quali avvegnachS per difetto della capacity
nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur tuttavia elle sono ordinate e
disposte con ammirabile simmetria dalla madre natura e da colui che la guida.
Laonde se 1' ordine altro non d che una composizione di pill cose insieme
adattate e accomodate a' lor luoghi prescritte con sommo e alto sapere dall'
opportunity dei siti, e da' tempi in che esse s' addicano, e se bellezza e
compiacenza veruna de' sensi nostri dar non si puote senz' ordina, e tutto
quello ch' 6 brutto e spiacevole, per6 spiacevole e brutto si ^ peych^ ^
disordinato ed a caso; confessare pur mi conviene che nella confusione di si
leggiadre e dilettevoli composizioni e disposizioni, ordine maraviglioso e
misura e propoBzione vi sia, comecch^ da' vostri occhi non se ne discema cosi
perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie ed
alte maraviglie, le quali noi in viaggiando con la considerazione godiamo
stamane ; mi si leva eziandio con gran diletto il pensiero alia contemplazione
delle altre cose belle, le quaH presentemente non ci si rappresentano all'
occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle diversity* de' pesci del
mare con tante dissimili figure, e co'lor proprii colori; delle bestie della
terra d'indefinito numero, che niuna si rassomiglia alia sembianza dell' altra,
e '1 simile degli augelletti svolazzanti per r aria ; ma che direm noi della
maestria industriosa per la quale con si differenti e si minute fabbriche e
ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e quali picciolissimi ingegni sieno
scompartiti entro di essi con finissimo lavoro, ciascuno a varie ed ammirabili
operazioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga a un tratto preso dalla
beltade e leggiadria delle donne, che creature ragionevoli sono, facendo
reflessione con qua' proporzioni corrispondenti di vari lineament! si bene
innestati insieme sia formata una faccia delicata e gentile? e con qual
tenerezza e delicatura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e con che
elegante artifizio fuori dalle labbra con dolci moti balenando un riso
aggradevole, I'alme ammalii con soavissimo incanto? E chi ^ colui che
sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali scappando in un
attimo dalle loro ardenti pupille ne feriscono i cuori e 1' alme senza
discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma
contempliamo altresi la variety dell'effigie degli uomini, la robustezza delle
membra loro con si nobile proporzione scolpite dal Maestro Sovrano, e la
destrezza e la dispostezza in tutte quante le azioni, e il valore che
avvezzandosi egli acquistano per combattere talora e farci stare ogni piti
temuta fiera? e finalmente tutte quelle cose che la natura di miracoloso ha in
essi locato sopra g? irrazionali anche nelle parti corporee. Per guisa che se Y
uomo solo e per natura e per dono di ragione dilettasi e conosce quel che 1'
ordine sia, e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte le cose visibili e
apparent!, appagandovi entro la reflessione, il che non dimostrano di conoscere
n6 pigliame alcun diletto gli altri animali; e se cotanto maravigliose cose noi
risguardiamo nelle parti che hanno gli uomini a comune co' bruti, e nelF
artifiziosa composizione degli organi loro, fatti apposta dalla natura per le
operazioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno architetto ; di quanta
maggiore ammirazione c' ingombrerem noi se trasporteremo sifiFatte meditazioni
dall'occhio alr animo, cio6 da' miracoli delle cose che si veggiono o che veder
si possono, a quelle che si fanno entro a quegli organi per oi)era di ragione,
e che dall'intelletto solamente comprender si possono? Molto piii avremo
diletto e consolazione senza alcun fallo nella bellezza, nella impermutabilit^
e fermezza loro, e si nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni buone,
nelle deliberazioni giuste, e convenevoli, e nei giudicj retti della porzione
interiore dove consiste V operar ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell'
onesto cotanto reputato da' filosofi, e per cui 1' uomo non a torto merita il
nome di saggio. > Ora per quella maniera che i lineamenti del volto e le
proporzioni delle parti corporee, e la loro convenienza insieme compongono quel
vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e piacere cotanto
il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti per r opera tanto pii\ sagace
e maravigliosa della ragione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli azioni,
dagli atti dell' intelletto e dai lodevoli costumi trainee fuori 1' ordine, la
simmetria e la bellezza delr animo di piiH eccellente perfezione senza veruno
agguaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi savi anche di
bello posero nome all' onesto, a differenza del suo contrario che essi
addimandarono turpe, cioe deforme veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di
modo che restiamo pure persuasi come nella stessa guisa che la bianchezza delle
cami, I'oro inanellato de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi
moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore e la vivacity spiritosa di due
nerissime piipille che ne passano da un lato all' altro senza accorgercene per
mezzo del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e diligenti fattezze
bene accoppiate, e disposte in un volto dalla natura spesse volte piu ad una
femmina favorevole che all' ^Itra, son tutte cose che il rendono bello ed
adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare con sommo piacimento e
dilettazione da chiunque si sia. Maggiormente senza verun paragone dee muoverci
e dilettare la candidezza della mente e de' costumi, la vivezza e '1 lume
chiarissimo dell' intelletto, la grazia e la nobilta del tratto e delle
maniere, e la gravity et il decoro delle azioni che sono i lineamenti perfetti
che forma il magistero accurato della ragione, e fa bella e ragguardevole un'
anima, e rendela amabile e aggradevole e nobile e gentile e sopra tutte le
altre in grandissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la vera bellezza che
si appfeUa dai sapienti onest^, il che non pud fare giammai la bellezza di un
volto corporale ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo
vehemente de' sensi ; dove all' eccelsa maraviglia dell' altra con altrettanta
violenza si risentono le parti superiori e le facoM piii preclare dell' anima,.
cioe a dire I' intelletto, e la mente, conciossiache quelle bellezze che all'
onest^ si appartengono, sono d' intera,^ e non corruttibile fattura; dove 1'
altre caduche sono, e transitorie, e le riguarda solamente con dilettazione la
porzione sensibile. > Ecco perch^ gl'irrazionali, che non hanno misure da
cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello che il senso detta loro, e
che e presente, n^ del passato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma
I'liomo con la ragione intende alia conseguenza delle cose, a'principj, alle
cagioni e a' progress! loro, e con le passate paragona la simiglianza delle
present!, e a queste appoggia r investigazione e la conoscenza dell' avvenire,
e per tal via esamina e considera e quasi dispone tutto il corso della sua
vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo savio s' immagina cha 1' eccellenza
del bello con giusta misura sia collocato. Per tale attitudine e inclinazione a
noi soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bramosia della cognizione e
della scienza; e perciocche (come abbiam dimostrato sin qui) delle naturali
operazioni, di quelle eziandio che tutto giomo da noi si scorgono e che noi
adoperiamo o per diletto o per V uso del vivere, non ci e lecito o possibile di
rinvenire i principj loro; n^ le loro speciali cagioni ancorche gli occhi
nostri apertamente le mirino; a tale intenzione nel cominciamento de' nostri
discorsi proposi quellasentenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi
non potere ad altra scienza rivolgerci che alia cognizione di noi stessi, e di
noi alia notizia di quelle porzioni che quantunque non si veggiano, si
adoperano e regolansi da noi medesimi, e riduconsi a quella perfetta bellezza,
che risplende viepiii e con pitl verita all' occhio delle nostre menti, che
quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual cosa applichiamo ogni
nostra cura, e ogni soUecitudine neir investigazione del vero, intomo a quello
ci driuscibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora, in quel buono cosi
sublime, il cui esemplare, il cui ammirabil ritratto dalla Divina mente
staccandosi, ne f u si altamente nell' anima impresso, cio^ il lume della
ragione dalla cui accurata meditazione arrivasi con I'intelletto e con I'opere
al vero, al buono al bello, all'onesto; prima a conoscere quale veramente e'
sia, e vagheggiarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con I'esercizio della
retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne
innamora quelr ordinamento si ben tirato di parti perfettamente locate a' lor
luoghi della belta corporale onde sfa villa quel lampo, quel non so che il
quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina PulcritudiQe;
che dovrebbe operare in noi, a che amore, a che consolazione destarci quell'
armonia si perfetta di convenienze tanto rettamente ordinate insieme, e si
leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il quale piil
accertatamente nominar si puote non raggio solamente ma vivo e ben condotto
ritratto di quell' originale eterno della sapienza infinita, 1^ dove il sommo
bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1' infinite e sommo
sapere d' ogni altra sapienza in una perfezione unica e infinita si altamente
rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge qualcosa
di piii alia bellezza corporea, dove la falsificazione e '1 liscio la sminuisce
e la toglie ; non altrimenti la purity e integrity de'costumi gentili e delle
maniere con I'ornamento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili, fanno piii
bella e pitl vaga 1' onesto dell' animo, e rccanle piti chiaro splendore che
non fa la gloria vana e I'ostentazione e 1' ambizione, la quale eziandio con le
dignita e con esso gli onori non meritati di piil alto grade adultera e guasta
e corrompe i bei lineamenti delr anima. E qui rammemoriamoci per paragone delle
belle giovani di Marino che non accattano i rossetti dair arte per farsi belle
e leggiadre, ma serbano intatto quel finissimo velo di candide e lucide carni
federate di rose, le quali non col cinabro o col bianco ma solamente coir acqua
fresca ravvivano, a difierenza delle nostre bellezze di Eoma, che false si
veggiono e dipinte co' lisci, e affatturate e guaste con V affettazione degli
ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di
quanto i' vi propongo, passiamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo
onesto col bello, e rimarremo sicuramente convinti esser di gran lunga pitl
leggiadro 1' onesto che il bello. Ecco: il bello e la bellezza dei corpi sono
nomi universaK che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose, come s' 6 a
tutte quelle tanto naturali, quanto fabbricate dall'arte in cui si ravvisi a un
tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli occhi di ciascuno a
guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon solamente segue nel rimirare una
vaga e bella faccia femminea, ma un cavallo o altro animale eziandio, che nella
sua specie sia ben formate dentro alle sue debite proporzioni, le quali dal
loro sesto naturale non escono punto n^ poco; il simile d'una bella pianta,
d'una selva ben posta e ben ordinata, che vi diletta senza scorgerne il perche
; e infine tutte quelle belle cose, che noi abbiamo con tanto nostro piacimento
ammirate, e nel tutto generalmente e nelle parti sue ciascuna da per s6 di beM
intera, e perfetta nel suo essere, bench^ ella sia parimente porzione della
bellezza del tutto insieme : nel medesimo mode delle cose perfezionate dell'
Arte il piii per imitazione della natura, belle ci convien dirle, e per tali
celebrarle ; come delle pitture e delle sculture addiviene, delle fabbriche
magnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre fatture ben fatte di mano in
mano secondo la qualita loro e secondo I'ordine, la simmetria e '1 componimento
speciale che loro s' addice per 1' uso a che elle hanno a servire, e per la
mostra che elle hanno a fare. Ma nella stessa guisa che nella leggiadria e
nella vaghezza delle opere della natura, noi ammirato abbiamo V alto
intendimento di chi 1' ha fatte ; n6 piil n^ meno nelr artifizio e lavoro di
quelle fabbricate dall' arte, non ci dimentichiamo di lodare la maestria e '1
lavoro di colui che meglio I'abbia sapute ridurre a fine: e come nel maestro
della natura noi veneriamo Y infinite e onnipotente sapere le sue opere
contemplando; cosi dobbiamo non tq,nto lodare la mano degli artefici, quanto
riconoscere di essi I'ingegno e Tintendere che da quella infinita sapienza
piglia il suo lume primiero, ed ammirare viepitl I'intelletto e la ragione di
quelle che opera, che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella
bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo, non ^ veramente titolo che meriti
esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero anche
la bellezza delle corporali cose non 6 attribute che propriamente a' corpi
belli si richieda, ma all' intendimento di chi seppe la belt^ donar loro, al
Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia ragione infusa nell' uomo, che
6 parimente cosa divina, se discorriamo delle cose dell' arte. Ora se il bello
veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e introdotto, ma per
rispetto alia mente di chi con istudio e diligente applicazione lo conduce a
fine; la lode che si da per usanza a una cosa bella non cade appropriatamente
sopra la cosa, che riceve sua perfezione d' altronde, e non trae essa da sd
medesima le sue prerogative del bello, ma sempre si dee riferire a colui che il
bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza che noi tanto commendiamo
nella cosa bella, non ha essa il merito di esser tale, come I'ha chi bella I'ha
fatta. > Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza
dell' animo che la bellezza dei corpi? perch^ se questa dei corpi, la quale con
iscalpello o altra manuale maestranza si forma entro materia grossolana, vile e
terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria
dalla prima Idea deir Architetto, ha in se un non so che del Divino; quella
degli animi che si perfeziona e adornasi di gentili e saggi costumi, di azioni
e pensieri prudenti, e di atti tutti ragionevoli, quanto pitl veramente pud
dirsi neir opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina, essendo 1'
operante e 1' opera tutta insieme in s6 stessa della medesima condizione, e
perd tanto piii maravigliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi; perche
con la ragione, che e scintilla di Divinita, non si abbellisce materia vile e
terrena, ma si purifica e si perfeziona un' anima, che ^ della mano divina
creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura dalla belta dell' onesto, che
sottraendola fuori dalle macchie fangose de' sensi corporei, nella sua prima
divina sembianza la riconduce. > L' Onesto impercid da grandi uomini si
distingue in due sorter Tuna consiste nella grandezza e eccellenza dell' animo
che e bellezza vigorosa, e da uomo grande e di alti e generosi sentimenti dov'
abbia modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta nella conformazione col
dovere e nella moderazione, e nella modestia per cui rifulge la continenza,
I'umilt^ e la temperanza che sono le virttl, le quali formano nella pill ben
misurata proporzione i lineamenti e le fattezze di questo bello, che si chiama
onesto. Con esso s'impara a non temere, per fare il giusto, di niente che sia;
a dispregiare con fortezza le cose umane, dove iia di mestiere, e non credere
intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare se non
il diritto, e deUberare con ottimo cuore e con ben ponderata ragione tutte le
cose che s'hanno da fare e da dire, e da cui derivar non ne possa n6 pentimento
proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce fuori da tutte le azioni umane quel
non so che di vago e di maraviglioso che si chiama Giudicio, il quale puo
chiamarsi la grazia e '1 compimento della beM deirOnesto; si come la gentilezza
e '1 nobile portamento e '1 moto vivace degli occhi e delle membra, la grazia
si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda nella bellezza dei corpi.
Tutte quante le operazioni dunque giuste, ragionevoH e ben temperate dalla
prudenza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid decorose e belle; come
le ingiuste e fuori di ragione disconvenevoli, senza decoro e deformi. Per la
qual cosa da dubitare non 6 che le virttl non sieno le piti aggradevoli ed
ammirabili parti e piii delicate di quel belle che chiamasi onesto, si come i
vizj del turpe e deforme. Ma per quel modo che la vaghezza corporale
difficilmente dura e mantiensi senza la sanity e sejiza una ben formata
complessione ; cosi la leggiadria e la belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi
con V avvenenza dei costumi e del tratto e delle amabili maniere, di rado si
conserva senza una buona e sana mente, e senza la robustezza di una ben ferma e
retta intenzione ; percioc^h^ quel tutto insieme che noi scorghiamo nell'
adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo indizio (egli ^ vero) e la
prima raccomandazione per giudicar poi con le debite riprove, che 1' onesto sia
vera, stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata
e finta. Ma perch^ sia Fargomento pitl forte di si fatta riprova, e con piil
prestezza si rinvenga, se 6 sincero quel non so che il quale spioca fuori
talvolta dalle decorose maniere, o che abbia veramente Y eccellenza in s6 del
bello e del maraviglioso che si richiede all' onesto, tutto consiste nell'
osservare se il modo di contenersi in tutte le azioni sia al maggior segno
differente dall' operare irragionevole; e di vero che quel bello che da noi si
appella decoro, gravita e avvenenza di costumi, il quale lampeggia fuori del
portamento d' un uomo savio, tira r appro vazione di tutti coloro i quali hanno
nell'ordine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e de' fatti buon
gusto, e tutto il compiacimento loro; per lo splendore e *1 lumeggiamento piil
vivace e pitl chiaro di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo,
Tintelligenza e 1 giudicio si 6, e se cotanto si lodano e approvansi le
attitudini e moti del corpo e la di lui dispostezza che vagUono alle azioni
corporee; molto pill i movimenti e le attitudini ben regolate dell' animo che
servono alle opere della ragione, nelle quali avvegnach^ tutti gli onesti
uomini, come dicono i Franzesi per dar loro quel giusto titolo che meritano le
persone veramente di garbo, non abbiano tutti i medesimi talenti, solamente che
in ciascun di loro stia sempre ferma la mente retta, e invariabile 1' uso della
ragioue, non si toglie loro la venust^ dell' onesto, non altrimenti che non
perdono la grazia e la bellezza delle attitudini corporali quegli che in esse
non siano abili alle medesime cose, imperciocch^ altri sono agili al corse,
altri sono isciolti nel danzare, altri nel maneggiare un corsiero, e altri
forti e robusti in varie operazioni della ginnastica; ma in somma qualunque
cosa che noi adopriamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu garbo e
piil nobilt^ di quelle che si fanno coUe forze e con la destrezza del corpo ;
ma fermisi insomma per proporzione infallibile e universale che 1' onesto ha
per compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil sradicarsi, e dove non
d virtii non d perfetta onesto, ma solo sembianza d' onesto. L' onesto dunque ^
bellezza vera, costante e incorruttibile, non solamente generica, ma
particolare eziandio; percioccM e bella la virtil in genere, che d T aggregate
di tutte le bellezze insieme deU'onest^; ma tutti gli atti virtuosi, ciascuna
opera di ragione, e tutte le sue facolt^ da per se, hanno la perfezione
speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti si
appella; e insomma tutto quello che ci muove al dovere, che ci sprona al
convenevole, e che ne indirizza per le vie dell'operar virtuoso, tutto quello,
che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che si chiama dai
filosofi morali onesto, il quale d^ la forma perfetta agli animi nel modo che
il bello visibile abbellisce le fattezze dei corpi; per lo che non reputo in
questo luogo che sia alieno dalla materia proposta discorrere dell' utile il
qnale, a' detta di molti, vien giudicato 1' opposto dell' onesto, che tanto s'^
dire turpe e deforme; ma essi scambiano i termini e nomi, perciocch^ quello che
onesto non ^, utile non si puo dire, il quale presso gli stolti ha tale la
sembianza per la cupidigia loro, che utile lo credono perch^ si studiano di
conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso
sia a sd e al prossimo; perciocche oltre al male, che da essi altrui pud
prodursi o col torre il loro, o col fare lor cosa che sia ingiuriosa o
spiacevole, ridonda anche in biasmo e in inquietudine e in gravi pericoli di
chi 1' usa e di chi lo cerca con aspettativa mal pensata di trame profitto,
perch^ utility, vera e stabile dar non si puote, dove non sia congiunto 1'
onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto; ne onesto si d^ mai che
utile non sia. Ora facciamo un po' avvertenza, vi prego, in che grado stiano
amendue 1' uno con 1' altro, e per qual maniera possano far lega insieme.
Aflfermero primieramente con Marco TuUio, che il vero onesto con I'util vero
sono in istrettissima confederazione, non potendosi trovar cosa effettivamente
giovevole che onesta non sia. Imperciocch^ quello, che dagli uomini poco savi
utile falsamente si presuppone, e quello che ^ veramente contrario all' onesto,
non utile anzi detrimento e disutile nominar si dee. Erran pero colore che
reputan questa sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti soveichi
dell'amor proprio e dell'interesse, imperciocche dove sia cosa contraria al
dovere, ancorch^ paia che metta conto di conseguirla, ci ^ la turpitudine, con
esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v runa r^aniera che sia,
perch^ senza 1' onesto util vero non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1'
e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non perche egli e utile far
si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponendosi tal nome e tal riguardo air
utile che util sia congiunto col diritto e coll' onesta ; anzi 1' util vero
degenererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il fine di quello si
preferisse al fine delP onesto. E percid r onesto sola ne ha da indurre a
operare senza far considerazione all' utility, se non secondariamente a voler
che essa non isvarj e non s' allontani dall' onesto, il quale quantunque per
nostre sregolate passioni e' ci paresse contrario al nostro utile, sempre com'
egli d onesto, utilissimo si ^. E per ci6 niuna cosa ^ giovevole che non sia
onesta, diceva Socrate, perch^ quello f:he onesto non e, non puo mai utile
divenire, sconvolgasi quanto si voglia I'ordine dell a natura. > E quale
utility si pud egli mai trovare dove si oscuri lo splendore e '1 nome d' uomo
giiisto, e da bene? E chi ^ colui che recar ci possa tanto giovauiento ohe ci
torni con to scapitare per esso la buona fama, la giustizia e la fede ? Perch^
s' hann' eghno a trascurare le cose giuste e oneste per acquistar ricchezze e
potenze, che utile vero dir non si possono, qualunque volta perd elle non s'
indirizzino ed esercitinsi a questo fine dell' onesta e della virttl, con le
quali pill 1' operar ragionevole abhia lustro, e facciasi riconoscere quando le
faculty e le grandezze sono rettamente e gloriosamente applicate ? Chi non ha
questa mira nel maneggiare i beni della fortuna facendoli servire a quelli
dell' animo, ci6 si ^ farsi bestia, o in forma d' uomo govemarsi da bestia. E
chiunque afferma che la cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria
contravvenendo alia giustizia, possano util cosa chiamarsi, ^ in grave errore o
meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire
rimorso di coscienza o pentimento o dove sovrastar pericoli? Pud bene nominarsi
padre della patria Giulio Cesare da' cittadini impauriti; perche egli non sar§,
mai altro che un parricida. II comandare agli altri, che dee sostenersi su la
base della gloria e dell' amore de' sudditi, come pud esser utile, dove in
iscambio si vegga su '1 bilico deir odio e della mala fama ? Ecco la bella e
gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a finire; rimase tra le
coltella ucciso in Senato. Ecco dove termino la tirannia usurpata in Atene lor
patria da' Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal valore e dalla
sagacity di Aristogitone e d'Armodio. E per addurre esempi moderni, dove pard
la grandezza e la potenza del generate Valdestain che non temeva di chi glieH
potesse torre ? Si convert! in tradimento del quale pagd il fio in Egra con sua
propria strage; e di si fatti casi e negli antichi e ne' presenti secoli ne
raccontano in grandissima dovizia tutte quante le istorie. Utile dunque non pu5
darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma vuol esser
riguardato dalla stima dei saggi e dall' amore de'buoni, il quale solamente d
giusta retribuzione dell' onesto; senza un' utility, ragionevole, ne lecita non
si trova giammai, n6 utilita puo dirsi quello acquisto che sia giovevole ad uno
e all' altro no; anzi anche le oneste cose disoneste si fanno, dove V utile di
qualcheduno possa patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la
parola, ma perde sua prerogativa, come cid porti pregiudizio a chi ella si
mantiene; per esempio (come i poeti fingono) non fu cosa onesta che il Sole
mantenesse la parola a Fetonte. E veridicamente parlaudo fu cosa fuori di tutti
i termini dell' onesta, e giunse alia scelleraggine che Erode mantenesse la
parola a Erodiade. Concludasi dunque che non si da onesto che non sia utile, nd
util vero senza 1' onesto, rimanendo chiaramente persuasi che 1' onest§, sia
quel nome generico che significa in una parola sola la proporzione e r armonia
di tutte le operazioni ragionevoli, e di tutte le faculta ben guidate
dell'animo; per quella guisa, che il nome della bellezza ne spiega con un sol
vocabolo r accordo insieme in ben regolata forma di tutte le parti, di tutti i
lineamenti d'un corpo bello; come di tutte le altre cose che piacciono nel
genere loro ; e siccome da tutte le cose belle particolari ne risulta questo
nome universale che beltade si appella; cosi da un ben misurato accompagnamento
di tutte le virtii morali, e di tutti quanti gh atti virtuosi, si raccoglie
insieme questo nome generale, che onesto si chiama; il quale vuol dire e
abbraccia, si in genere, come in particolare tutte quante le beUezze delFanimo.
Quello dunque che riguarda e s' aspetta in genere alia virtii morale, e alia
sua perfezione dicesi onesto; e percio da questo universale potremo nella
presente villeggiatura e nolle consuetegite che andremo facendo, potremo, dico,
favellare della virtti morale, e delle sue -pit belle parti, esamingtndo i
precetti e gli ammaestramenti di essa, che sono le pitl speciose prerogative
della bellezza deir animo. Per questa via impareremo a conoscer noi stessi, e
quali strumenti dati ne sieno dal Maestro Etemo per conseguire si nobile
ornamento, pel quale noi ci sottragghiamo dalla sembianza di bruti, e ci
accostiamo con la figura interiore alia simiglianza di Dio. > E un di pill
far rilevare al leggitore come il nostro autore si mostri qui nella morale Peripatetico,
aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo;
lo ch6 h da intendersi non nel mediocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella
giusta misura, oltre la quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfezione, ^ un
trasmodare. Stabilito cio, riassumiamo brevemente i quattro dialoghi intomo
alia morale, per indi venire alia cons^guenza del sillogismo di cui abbiamo
dato le premesse, o alia risoluzione del problema da noi posto in campo. Gli
uomini, egli dice nell' argomento del Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa,
sensitiva e ragionevole, di cui le potenze sono, memoria, intelletto e volonta.
L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole. Sovente la parte
concupiscibile c iraocibile, come ammette anco Platone, le quali ha dato in
servigio della ragione, si trovano a contrast© coUa ragione stessa, e traviano
la volonta ; e 1' atto, anzi che virtuoso, e allora vizioso. Imperocch^ la
ragione fondi i suoi motivi suUa costanza dei beni, e stimi beni anco i mali
preseuti, che pero menano a futura felicita; e gli appetiti invece si curino
solamente de'beni presenti, guidino poi partecipino al male. I beni degli
appetiti sono pure obietto della ragione che gl'indirizza a sano e giusto fine,
subordinandoli alle azioni virtuose. Da si fatte e si diverse apprensioni della
ragione e degli appetiti si deriva la contrarieta tra loro nel riconoscere il
bene; onde secondo dove aderisca la volenti, formasi la virtil ed il vizio di
cui sta per discorrere. Se non che, giusta la sentenza aristotelica, dir si
conviene come i beni sieno di tre sorta: beni deiraninna, della fortuna, e del
sense. • E beni dell'anima si chiamano quelli che ritroviamo in noi, e che da
noi stese* dipendono, come sono le virtii, e la retta intcnzione, i quali, come
nel trattato della Provviderzo osservammo, non ci possono esser dati n6 tolti,
se non da noi medesimi. Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di noi, e
ad arbitrio di altri ci vengono dati, e ci vengono tolti, come le ricchezze,
gli onori, il pQtere; i quali son beni non veri e fermi, se non s' indirizzano
a beni deiranimo e all'opre della virtii. Beni del sense, per ultimo, sono
quelli che noi abbiamo a comune co'bruti, e solamente dir si possono beni, in
quanto dalla natura si bramano per mantenimento del vivere e della propagazione
e conservazione della specie, e terminano ciascuno col termine della propria
vita. Nel resto i beni del sense, dice il Eucellai, sono d' ordinario mali e
non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni
possono divenire, salvoch^ quando per abito virtuoso, vinti e mortificati tutti
gli aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco
convertito in sensualitii, sentendone godimento eziandio nella parte inferiore.
E nel V Dialogo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil vera e meglio
fondata filosolia dell'uomo. E dove sta questa vera apprensione della scienza
dell'uomo? Udite la risposta teologica e mistica che egli ne d^: Nel timore di
Dio, imperocch^ appunto d intendimento della filosofia morale cristiana
insegnare altrui operar bene e non far male, affine di conseguire la felicity
vera che 6 il Paradise, e sfuggire il gastigo, la pena, Y infelicity, ossia Y
inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando
aflFermavano il bene consistere nella felicity e nel godimento del sommo Bene.
Or la felicity, non la d^ che Dio, e il timore e I'Amore di lui ci ammaestrano
a viver bene per conseguirla, perche tutti quanti i beni veri dipendono da Lui.
Initium sapientice timor Domini. Voi scorgete qui tosto il nosce te ipsum
filosofico innestato alia religione, alia fede, e ad essa consegnato, perche
non si diparta da quella via che deve eondurre R. alia meta prefissa. Intanto
dalla cognizione dell' uomo, egli dice, e dei suoi istrumenti e facolt^ si
apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima
vegetativa e sensitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la ragionevole. E
quest' anima che per R., definendola, consiste in un moto continuo e ordinate
che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo la somma di tre anime ;
sibbene 1' anima umana ha tre doti, della ragione principalmente in s^ stessa,
e poi anco quella del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui
tutte quante le facolta e le potenze dell' uomo consistono. Dotata poi la
ragionevole di libertgb, giusta quelle che dimostrd R. nella Prowiden0a, d
infinitamente superiore, incomparabilmente piil perfetta deir altre due che ne'
bruti si trovano, e per essa I'uomo e capace di atti virtuosi o viziosi di
imputazioni morali, di premio o di pena. Imperocch^ il moto sensibile (Capo 3°,
Dialogo !•) e il moto ragionevole dell' anima umana non vadan sempre d'
accordo, e la vita morale sia soggetta a delle continue perturbazioni, nolle
quali I'uomo ha dovere di obbedire al moto ragionevole della mente. Ha il
dovere ! perchd 1' uomo ha questo dovere ? d' onde la legge ? Esiste ella
questa legge che ha forza di imporsi a tutti gli uomini, con sanzione etema,
infinita? II Rucellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non ritraesi
un argomento che abbia valore di prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^
tradizionalista, pur senza addarsene: e mentre accenna a seguire il discorso
naturale della mente, or con questo o con quel filosofo antico, egli non fa
altro che commentare quel che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la
ragione al servigio della fede. Cos' 6 pertanto questa mente al cui moto
ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha significati diversi, ma secondo
Platone, cui segue, 6 quella generale consulta e ricettacolo in cui sono
comprese tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria,
intelletto e volont^. La prima conserva gli oggetti acquistati co'sensi, i
quali oggetti si porgono innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L'
intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto ragguaglio. La ragione
vi discute e giudica, e poi la volont^ in seguito a giudizio delibera ed
eseguisce ; al che fare la volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e
concupiscibile, che inviano spiriti sottilissimi ma corporei a produrre i varj
movimenti necessarj. Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ; in
quanto da' sensi posson esser ad essa presentati gli oggetti imperfettamente o
per vizio naturale. E, se non errare, pud rimaner dubitosa ed incerta; indi
I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che venga scambiata per la vera
scienza. Ufficio dunque della ragione si 6 di far in modo che 1' intelletto sia
sgombro di passioni, n^ deve cosi subito, e come alia cieca, prestar fede ai
sensi, fontana inesauribile di errori, a chi non esamini bene e non tenga come
a salvaguardia quel detto di san Paolo: Video aliam legem in membris meis
repugnantem legi mentis mece, E, di vero, dalle facoM ragionevoli si discerne
la differenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi quali atti secondi
meglio riflettesi, e si pesa col giudizio il valore e la differenza dell'
onesto e del dilettovole, e principalmente la diversity del huono e del reo.
Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice
Cicerone, di cui qui il Eucellai si e proposto di seguire le orme, non stiano
rispettivamente nel piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi; ma nella
felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd
immanchevole ; mentre tutti gli altri beni di quaggiii, lo dissero
stupendamente gli stoici, ci possono venir meno, e a quella vera felicita, cui
essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity,
indirizzati a lor fini, di divenir beni ancb' essi. La vera felicita pertanto,
checche ne dica Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe
R. filosofo teologo, trova nel Paradiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non
esclude R. con gli stoici che possano i veri beni godersi, operando secondo
virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della
ragione, e con gli abiti buoni e con tenere essa in freno gli appetiti siccome
auriga gli sfrenati destrieri del suo cocchio, E la virtu ottima che e elk mai?
Risponde per lui Aristotile, del quale accetta la definizione non che le
classificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per
elezione che si contiene nel mezzo per Tappunto fra due estremi: il vizio e
operazione dispregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro e che il
ridurre la propria natura all' operare ragioBevole. Distinguonsi poi virtil
primarie nell' uomo, o, come si dice, cardinali, e secondarie, le quali
dipendono dalle prime. Le virtil cardinali, come per Aristotele, cosi per il
Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La
prima, secondo Platone, ^ la misura di tutte le altre, ^ V occhio diritto della
morality, la vera scoria neir elezione dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa
con somma finezza tutti quanti gli oggetti che desiderare si debbono, o vero
sfuggire. Ad essa si riducono. per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6 questa
misura, stando in mano di lei il vero compasso proporzionale per il quale si
misurano tutti i fini. La Giustizia dispensa suo diritto a ciascuno si degli
utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo i gradi dei meriti,
della dignity e delle virti\ che egli hanno, e questa distinguesi, come
Aristotile e Cicerone fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la
commutativa parla della dottrina del cambio, che, come afferma, toglie in
massima parte dal Davanzati. La fortezza, che ne insegna sopra ogni cosa di
superar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le passioni e non temer di
minaccie, n^ di rischi, nd di morte a pro della religione, della patria e della
reputazione. La temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smoderata
cupidigia, ed d il vero antidote contro 1' ambizione e contro I'interesse
soperchio ; e tutte queste virtii primarie manchevoli sono, n6 possono esser
vere virttl senza il concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro. E
siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la mediocrity, che e difetto, ma il
mezzo ch' d il limite tra due eccessi, od estremi, ciascuna di esse virtii ha i
saoi estremi in&a i quaU riseggono. Ed io li accenno, ma non mi ci
trattengo. Estremi della prudenza sono, (pure secondo Aristotile) la malizia e
la stupidita; della giustizia, 1' avarizia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity
e codardia; della temperanza, gli estremi viziosi di tutte r altre. Dalle quali
tutte, e in fra i rispettivi estremi di esse, discendono o stanno le virtii
secondarie. Accosto alia prudenza, e come sue figlie, si trovano la
perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon
sense), 1' industria ; V astuzia, la circospezione, la sincerity, la
segretezza, la fedeM; alle quali tutte comspondono vizj; imperocchd dalla
circospezione sia agevole cosa cadere nel vizio della sospensione, della
suspicacia, come poi e agevole dall' accortezza cadere nella astuzia in mal
sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode, tradimento,
irresoluzione, stupidity, taciturnity, finzione, adulazione, calunnia: come
dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla prontezza
nelrimprudenza o inconsideratezza. Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia
sono: Liberality Parsimonia Beneficenza (Jenerosit^ Magnanimita Magnificenza.
Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, divenendo Ambizione Ladrocinio
Vanagloria Lascivia Superbia Prodigality,. Altre virtil secondarie Ragionevoli
rimunerazioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana della fede e
della speranza. La Parsimonia sta a dirimpetto della Liberalita. Son due atti
virtuosi. Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia sono:
Severity, Rigore da un lato, e Equity, e Misericordia da un altro. Eccessi di
equity e di rigore. Tirannie Vendette GrudeltS, ec. Degli Atti virtuosi che
seguono la Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il Coraggio, il Valore del
cuore e della mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia — Audacia Indolenza Furie
Ferocia. Dall' altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la Pazienza
ragionevole la Mansuetudine. Vi0j. Timidity, ViM Codardia. Al^e virtu seguaci
della Giustizia. Costanza Fermezza — Lmpermutabilit^. Vi^ij. Ostinazione
Pertinacia, Perfidia. Virtu. — Facility di cedere al dovere. — Piacevolezza del
tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro — Modestia. Visj. — Alterigia,
Vanagloria ec. Virtu. Emulazione. ViiSfio. Competenza Mormorazione Falsity
Calunnia Superbia ec. Degli Atti virtuosi che seguono la Temperanza. Veramente
tutti gli atti virtuosi surriferiti accompagnano altresi la Temperanza, perch^
atto virtuoso non si d^ se la temperanza non moderi I'impeto naturale. Perd tra
gli atti piiH confiacevoli ad essa sono da annoverarsi quelli che rattengono
gl'impeti della concupiscenza o Fingordigia della gola. Virtit. — Castit^,
Pudicizia Pudore OnestS, Ingegno Digiuno Astinenza Sobriety. Vi0j opposti. —
Eccessivo rossore, e Libidine, Lascivia, Adulter)' e Ubriachezza ec. Questo per
le virtiH in s6 considerate. Or siccome la virtCl solamente 6 base della
society, umana, e n' ^ il cemento, bisogna veder di esse 1' applicazione nel
consorzio civile, e discorrere con Marco Tullio degli Officj per la society,
umana medesima. La quale d da natura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto gli Uomini
per gli Uomini. E Iddio, poi, diede a tutti il libero arbitrio, accio niuno di
noi potesse conseguir lui senza noi stessi, e senza 1' educazione cristiana, e
senza gli ammaestramenti spirituali e senza i divini precetti, insegnatici da'
Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli
per la stessa maniera (aggiiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie
agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni niun utile o giovamento recar ne
possano in verun conto che sia. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo
questa, ne io so davvero dove e come si applichi filosoficamente il Nosce te
ipsum! Proseguiamo : Gli ufficii, come Cicerone, divide il Eucellai in
necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla provvidenza, i secondi
dal nostro volere. Sono dessi differenti secondo i gradi e le combinazioni
delle persone, e, al solito, si distinguono in doveri verso Dio, verso gh altri
e verso noi medesimi, dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio
sono necessari; il prime d di gratitudine, impiegando in cid le potenze tutte
delle quali ci ha forniti, e conformando la nostra volenti a' suoi decreti,
alle ispirazioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue
leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono pure doveri verso Dio stesso, i
quali sono il fondamento di tutti gli altri. Accenna indi profusamente il Eucellai
i doveri verso gli altri, i primi dei quali sono i doveri conjugali, sendo per
primo la society parentale. E ricorda come V Uomo debba tenere uguale a s^ la
Donna, e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra
essi rispetto, discrezione e compatimento ; e amare ugualmente i figli, come i
figli amare, rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia scelta della moglie,
ecco qui coaa ne dice il prete Magiotti, e che io stimo non inopportuno di
riferire, in quanto che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna, si
sia potuto e si possa argomentar sempre o comprovare il grado di civiM
de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur ne
abbiamo riscontro, etarei quasi per dire matematico. € Io son prete, (dice adunque
il Magiotti;, e circa al prendersi mogli e mariti non me ne intendo e non
oserei dame alcun mio parere, massime in concorrenza dei buoni consigli e
de'giovevoli ammaestramenti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non
mentovare il Laberinto di Messer Giovanni Boccaccio, il quale dalle donne
ammartellato anzi che no, fu del povero compassionevol sesso troppo rabbioso
morditore. Egli e pero bene aver per ricordo che al tempo d' oggi piii Elene si
trovano che Penelopi al moodo; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL
graziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia nella mente per le
migliori; imperciocch^ se bella ed avvenente e' 1' ottiene, sembragli averla
debita altrui e ch'ella non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e acume, tutta
nolle foggie I'esercita, e in ornament! novelli, e nel rigirare il marito per
piacere agli altri ; anzi, che peggio si 6, ella si tien per prudente, e vuolsi
subito meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di alle novelle, alle
contese, alle grida, e allora le par di esser saggia quand' ella non fa a mo'
d' altri. Donna savia adunque, o di rado, o non si d^ mai, e tutto che con
difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio avviso credo che sia se ha
qualche specie in lore di Prudenza, dov' elle abbiano poco conoscimento, perche
queste sono atte a reggersi, non si dando mai caso che elle sieno buone a
reggere altrui; e nolle donne, ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna
ne han r uso, che a tal fine definille un Uomo di senno, che la natura femminea
6 posta tra 1' estremo peggior delr Uomo e r eccesso miglior delle bestie.
Niuno dunque si lasci svolgere cosi alia prima dalla vaghezza o dalla novit^
del soggetto, o vero dall' allegria e dalle solennit^ delle nozze, imperciocchd
dopo il fatto non ci e rimedio, e cotali belle apparenze usansi ad arte, per
far rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle
fatiche perpetue e alia schiavitudine eterna del matrimonio ; anzi la natura
medesima, per soccorrere in esse a mancamento del sesso e farle in qualcosa
aggradevoli, le ripuli, le liscid, e raffazionoUe al di fuori, e si dono loro
la grazia e gli altri arredi del bello; qualunque impero d tenuto a impacciarsi
in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste di quel che sono le donne ; e
del suo mestiere goda come per trastullo se la sorte gliela da bella, n^
s'inimagini, perche ella si chiami compagna, di poterne trar frutto d' amica,
ma la consideri come soggetta, e per dolce maniera di cortesia 1' avvezzi
obbediente a non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e r aver la
moglie di grossa pasta, e di scarso intendimento ; difettose insomma (si come
io dissi) elle hanno da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole a sofferire
i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone ne le mandi, ned' e poi il
comportarle si malagevole, -atteso che donne elle sono, e tenere di cuore, e il
viacolo di quando in quando matrimoniale rinnovella e rinfresca Tamore, e serve
di buon condimento alle imperfezioni loro e ne addolcisce la noia. > Si
occupa inoltre de' doveri tra i parenti e gli agnati, tra servi e padroni,
de'nobili, de' cortigiani, imperocchd r osservanza di questi doveri privati si
riversi anche sul pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei sudditi, e de'
govemanti. Intomo a' quali molto ritrae del platonico, e discorre con molta
severitit tanto per i prindpi eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli
uomini. Tocca infine i doveri per elezione, che tanta bene^ volenza conciliano,
e intesse come iin piccolo galateo sulla data di quelle di Monsignor suo
parente, e cui dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei modi e
negli scritti. E accennato alia forza dell' abito, termina questo trattato
della morale di R., imperfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^ egK
prometta qui di discorrere in progresso de'temperamenti e degli aflfetti degli
uomini, ma non abbia avuto o volenti tempo di dargli compimento, e d' emendare
il gi^ fatto. Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del quesito, e a
porre in tutta evidenza il problema di cui dobbiam dare la soluzione. Agevole a
trarsi pur questa; imperocchd non trattasi di andar per il sofistico e il
lambiccato : ma si da' fatti lampanti formulare il principio, e porre questo in
attinenza con le condizioni generali e particolari del tempo, del quale lo
scrittore ^ riverbero indubitato. La critica che potremmo fare alia teorica
morale di R. si acchiude in poche parole; imperocchS sia manifesto che egli,
piil che neUe altre parti della fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia
ragione umana. Infatti egli trascura di porre in luce la legge naturale, di cui
pur parlano si altamente gli stessi dottori scolastici, come san Tommaso, san
Bonaventnra e il Suarez, per tutto sostenersi all'autorita della legge divina,
cio^ del Nuovo Testamento. Inoltre, procedendo egli piiH ecletticamente che con
ordine interiore di concetti, non sa bene accordare quel suo tradizionalismo
con certe altre sue dottrine; giacchd di fatti egli dice la virttt consistere
neU'operare secondo ragione: ma potrebbe osservarsi che quando la ragione non
ha criterio di ragione in se medesima speculativamente, non pud averlo nemmeno
praticamente. II Eucellai rende immagine anco su ci6 de' suoi tempi; ma in che
senso diciamo tal cosa h bene sia definito. Le menti, a quei tempi, erano
agitate dai dubbi, e il nostro autore dice in piii luoghi come i dubbi
combattessero pur la sua mente. L' esame dubitativo fuor d' Italia condusse
molti a terminare nel dubbio; in Italia colore che accolsero r esame dubitativo
terminarono i piii nel riparo della Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i
filosofi e i teologi non tradizionalisti, e che non accolsero F esame
dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene; giacch^ questi
ammettevano certezza razionale e verita preliminari alia Teologia, quantunque
neUa Teologia ponessero il sommo della sapienza; invece i tradmoncdisti, come
oggi li chiamano, alia ragione ricusarono la capacity di riposarsi nel vero e
nel certo, che solo ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il
Pallavicini, il Suarez, san Tommaso, san Bonaventura con sant' Agostino
affermano esser nella ragione la legge naturale del giusto, dell' onesto, alia
quale si accorda la legge Divina positiva ; il Eucellai, per lo contrario,
parla di san Paolo e del Vangdo, e della legge naturale non tiene gran conto,
bench^ aUa sfuggita Taccenni. SouMABio. Opportunita della critica. Importanza
storica dei libri di R.. II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto
imperfettamente. Perche. Quesiti da risolvere. II Rinascimento e le sue
qualita. Scetticisrao. Tradizionalismo. Bruno. Campanella. Galileo e il sue
metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e rAccademia del Cimento. —
Metafisica galileiana. — Sommi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi.
II Cartesio e 1' osservazione interna. Spinoza e Malebranche. Bacone. II
sensualismo di Loke. — Eclettismo di R.. Suo probabilismo. Si provano riandando
la sua filosofla. L’Accademia. Cicerone. La fede. Differenza tra' filosofi del
Medio Evo e R.. Questi e il Galileo. Nel metodo R. apparentemente h moderno.
Perche. Intende solo negativaraente Taforisma socratico. — Ed e semj)re
probabilista. — Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. E pero
riesce eclettico. Breve riscontro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii
passivi dell' universe, e nel Tim^o, — Platone, il Cristianesimo e Galileo.
Cartesio. — Teorica della cognizione. Teorica del volere. — Liberta e fato,
Stoicismo ed epicureismo. Libero arbitrio e predestinazione. Psicologia e
morale. — II R. e Cousin. Aristotile. Platone. Stoicismo. Cristianesimo.
Divisione delle virtti. Cicerone. AQUINO. La Scuola Epicurea e R. Teologia
razionale. Platone e il nostro scrittore. I Padri. La Fede. Si conchiude che
nello studio dei ' tre pbietti della filosofia R. e eclettico. La forma
esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne' Dialoghi di R. sono i;n'
ultima conferma della nostra Conclusione. n problema ^ posto, adunque, in
termini chiari, fatta che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche di R.
ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di risolverlo, e la via ci ^ molto
agevolata; diro di piii, che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi
raggiunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo.
Imperocch^, riepilogando, noi ponemmo questo per principio, che R. specchiaVa
in s^ Timmagine del suo tempo in Firenze. E ad esso volgendoci, lo vedemmo
significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che
periva sotto la mole della sua grandezza e un' et^ giovane e superbamente
bella, che conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le
facolt^ dell' antica far guerra a tutte le potenze della nuova in opposizione
fortissima. Ed io allora volli condurre il lettore all' esame della vita del R.
e delle sue opere letterarie; e questo contrasto manifestossi, credo, chiaro al
lettore stesso, come si era mostrato a me dopo la lettura diligente di quegU
scritti dimenticati, o non curati a dovere. FilosoJla e autorita religiosa,
gravity di discussioni scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche;
purezza di stile e d' immagini, verbosity ed esagerazione di confronti ; timore
soperchio di aver che fare col Tribunale dell' Inquisizione, e contro la Corte
di Roma pagine sanguinose ; vita di cortigiano ossequente e rime e lettere
contro la corte ed i re ; lodi della castita e verginit^ di Protettori e di
SanfS, e scherzi equivoci e sonetti immorali; tutto cio nel R., come
precisamente nella comune degli uomini del seicento, scorgevasi in quel
trapasso dalla fine del Rinascimento alia Riforma, dal mondo antico al mondo
moderno. Un eclettismo inconciliato nei costumi, nella vita, negli scritti,
nell' arte, neUa letteratura ; e R. questo eclettismo accoglie in se e
manifesta nelle abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello
scorrere che abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo
via via a rilevar pure inumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa
letteratura ; e R. questo eclettismo accoglie in se e manifesta nelle
abitudini, nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che
abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a
rilevar pure in esso que' medesimi contrasti ; nondimeno, prevenuti, li notammo
man mano, per guisa che, finito I'esame, supponessimo pur compiuta la nostra
fatica. Ma se nel mio pensiero ed in queUo del leggitore questa conclusione si
6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^ necessario definirla, e in un disegno
piil raccolto concentrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo osservato
lungo la via ; in quel modo medesimo che un pittore, percorsa una vasta
campagna, la raccoglie poi tutta su di piccola tela, senza toglierne parte
alcuna alio sguardo di chi la voglia fedelmente conoscere. Non a torto pertanto
(ce ne siam fatti certi) io comparai il nostro filosofo a un prisma, suUe cui
faccie si distinguevano i molteplici raggi del pensiero del tempo suo ; e in
che sta, per me, veramente 1' importanza storica di questo scrittore ; per
guisa che ognuno il quale non lo consideri, giudicandolo, in tutti i suoi
aspetti, b ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pittura destituita di
valore, od almeno imperfetta. In questo ultimo scoglio sembrami, io lo dico
coUa dovuta deferenza, abbia urtato il professore Francesco Palermo, 1' egregio
ordinatore dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il quale di R. ha pubblicato
con un lungo avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici dialoghi sulla
filosofia naturale antica, e quegli altri sedici sulla Provvidenza. In quell'
avvertimento, bello davvero del rimanente, d^ il concetto e il disegno deU'
opera intiera, e la natura di essi Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI,
Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal R., a buon diritto, il sapientis
simo Socrate, come quello che ritomava le menti al r esame del mondo esterno e
del mondo intemo, me diante il discorso della ragione, gli assiomi naturali ed
i fatti sensibili, ond' e' poteva finalmente creare la fisica, e r Accademia
del Cimento ingigantirla dietro le orme di lui, con Benedetto Castelli, il
Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il Viviani, il Eedi, il Cassini e
moltissimi altri, i quali, secondando la inclinazione del tempo coll' isti
tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso fia del lore Maestro alle
scienze naturali, le conferma rono Bulla strada di progresso indefinito, e le
scienze universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo
Galileiano, sviluppati ampiamente nei saggi del Cunento, accliiudevansi verity,
profonde, le quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e
vi 6 determinato chiaramente il concetto, il fine ed i mezzi di una filosofia
che tutto comprende. Cio6, che riconosce le somme verity naturali nell' Anima
umana; che adopra la geometria per raggiungere la verity ideale e reale, n6
trascura, anzi esige, 1' uso diligente della esperienza, e indi del
ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6 spregiatrice, come molte
iilosofie meschinamente altere, dell' autorit^., mentre la servitii dell'
autorit^ stessa rigetta, e la vuole sottoposta essa pure all' esperienza ed al
nostro giudizio. Ma la filosofia del Galilei e de' suoi scolari gene ralmente
risguardava, giova averlo fisso, il metodo e la sua applicazione particolare
alle scienze naturali: a che sticettamente questi si attennero. Ne con cid
dire, io intendo negare contenersi nei libri del Galilei sparsa una metafisica,
come lamentava ilLibri, il quale, nella sua storia delle Matematiche, si duole
altamente del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo
Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi, inclinerei anch'io a creder
davvero col Puccinotti (11 JSoem ed altri scriU% Tip. Le Monnier 1864), che
valesse a vincere le tenacity peripatetiche, indebolite gi^ dairAccademia
Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Galileo che dimostro la necessity di
dividere fisica da metafisica, e i Umiti veri deUa ragione, la fede religiosa
nelle scienze soprannaturaK, la matematica nelle natural!. C!ome Platone, il
vero ed il bello professd Galileo per una medesima cosa, nella medesima guisa
che il false ed il brutto. E nella giomata prima dei DioHoghi dei Massimi
sistemiy il Galileo comprese i sommi capi della Metafisica, che possono qui
compendiarsi in due massimi corollarii, siccome avverte il Pucciuotti sopra
citato. Prima. Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya in Dio una
sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte
infinite: la mente umana la piii eccellente opera di Die : in essa concreate
alcune verity primitive, come preziose gemme nei loro incastri, la di cui luce,
per il terrene abitacolo in cui ella ^ posta, § da velami e da caligini
oscurata. La pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale, e parte
disseminata tramezzo alle naturali cose. L'intelletto consegue con la
intensivit^ i soprannaturali neUa lor piena luce per mezzo della rivelazione e
della fede: i naturali, colla dimostrazione matematica; e onde con questi
potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e
costanza e pienezza veggano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo
temperi e assottigli quanto piil pud que' velami e quelle caligini di falsity,,
che partono dai fermenti e dalle passioni della sua materia: ed ecco il
fondamento della morale, e il culto necessario e il merito insieme della virtii
umana. Secondo. Per le verity naturali la mente umana procede allo'stesso modo,
solamente traendone la dimostrazione, non dalla metafisica, ma dalle
matematiche. Ch^ la geometria cammina anch' essa grandissimi spazi, e trascorre
la vastit^ delle opere della natura, e contiene nelle sue dimostrazioni la
necessity de' suoi veri; riverberando in certo modo e scoprendo quelle
matematiche leggi, coUe quali Y etemo intendimento tempera 6 govema 1' universe.
Ma la geometria, con le sue mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre a
immense intervallo da quanto resta ancora a investigarsi ed intendersi nella
natura: epperd si reca allato per sua aiutatrice e ministra la esperienza, la
quale, tentando effetti e cagioni, e le attinenze lore, prepara la serie deUe
probabilitS;, che la matematica disnebbia colla dimostrazione ; presentandole
come verity e leggi natural! alio intelletto, il quale, ove le trovi
rispondenti ai tipi concreati delle soprannaturali gi^ disnebbiate dalla
metafisica, ossia dalla religione, e se ne nutre e se ne bea. Ma la moltitudine
degli intelligibili nell' universe d immensurabile, e questa che il solo
Creatore vede per numero, peso e misura in un sempKce intuito, 1' uomo non
percorre che lentissimamente, e fra mille ambagi e pericoli, di conclusione in
conclusigne. Onde la necessity della modestia e della pazienza nell'
investigare e nell'operare degli uomini, nel raccorre ed intendere le veritd,
nella fisica del mondo. Comunque, il Cartesio animato come Bacone (cbe pel
dispregio alle tradizioni incappd in alcuni errori) e Galileo daU'istesso
desiderio di universale riforma, inaugurando piil precipuamente il metodo di
osservazione interna, devesi a lui il compimento dei mezzi e gl' istrumenti per
la vera filosofia, Tesperienza e la speculazione. La quale ultima per il
Cartesio recata invero all' eccesso, chiuso il pensiero in se stesso, n^
riguardando piU alle sue attinenze reali, porto ad errori il filosofo illustre,
e porse occasione a scuole diverse arbitrarie ; e basti per tutti lo Spinoza e
il Malebranche, in quella guisa stessa che dall' empirismo di Bacone scoppid il
sensualismo di Loke. D Cartesio pure comincio dair esame, e per esso istitui un
metodo, e indi tento un ordinamento generale di tutte le scienze; se non che,
ponendo il dubbio non solo di ogni istruzione ricevuta, ma pur anche del valore
delle fiacoM umane, eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' algebra
e della geometria de' suoi tempi. CONTI. Lo si deduce chiaro dal suo discorso
sul metodo. E il Malebranche, il piii grande metafisico che la Francia abbia
prodotto, spinto dalla filosofia cartesiana, o meglio dalla parte negativa di
essa, il dubbio, si rifugid nel misticismo, e con esso la sua filosofia, ond' e'
ritornava alle intuizioni Platoniche, e preveniva Vincenzo Gioberti e Antonio
Rosmini. Tali erano i principali sistemi che allora signoreggiavano il mondo
della filosofia, disputandosi il primaU) deir autorit^, e tra loro
contrastandosi. Orazio R. ebbe cognizione di tutti questi elementi, da' quali
esci faori 1' et§. moderna: se non che non dotato di molta vigoria di
speculazione, o per formarne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo
filosofare or I'uno or I'altro seguitd riuscendo eclettico, e per5 speculativamente
scettico una seconda volta. Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la
sostanza della critica, con la quale io do termine a questo libro. La filosofia
di R. ammette, lo vedemmo, una prima divisione generale per rapporto al metodo;
ciod negativa e costruttiva^ e si nell'una come neU'altra non esce il filosofo
da' termini del probabilismo, egualmente che la seoonda Accademia, guidata da
Filone che fu il primo neoplatonico di Alessandria; la quale riconoscendo la
natura assoluta del vero, ammetteva solo come verosimili le dottrine che ne
derivavano. Ad illustrare la qualitit filosofica di R., si prenda in esempio
Cicerone. Questo grand' uomo in alcune parti della sua dottrina sembra tenere
dell' Accademia Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura del mondo e di
Dio afferma con probabilita anzichd con certezza. Ma le probabilitli di
Cicerone si ristringono alle determinazioni di problemi che il Paganesimo e 1'
estremo corrompimento e infiacchimento della filosofia greca ai suoi tempi
aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone non pone in dubbio mai 1' evidenza dei
supremi assiomi della ragione ; non in dubbio mai la veracity del testimonio
della coscienza psicologica e morale; non in dubbio mai la validity del metodo
dialettico e logico; n^ in dubbio mai la conoscenza che Dio e, ed h distinto
dal mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge naturale eterna e i doveri e
i diritti che ne derivano. Ma R. non fa come il GiureconsultoJRomano; egli se
ne sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del probabile, e ritiene essa, la
ragione, non potergli dare di pill. E, lo ripeto, questo h naturale; imperocchd
nello svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire che fra tante
autorit^ opposte, la mente di lui si sentisse quasi smarrita, e che egli, come
molti altri, dubitasse della ragione appunto, perch^ si palesava con sistemi
tanto contraij, e si rifuggisse nella fede del sovrannaturale, sostenendo
incapace la ragione a farci conoscere la verity. Gontro i sofisti, pertanto, ei
ripete ed accoglie qiial principio di metodo la proposizione socratica; ma non
sa derivarne, come Socrate, il suo mondo intelligibile e certo; I'avrebbe forse
potuto fare, perche sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di Platone; ma si
contenta di meno assai, sapendo bene di sapere per fede, che egli stabilisce
come unico fondamento di assoluta certezza, con tal divario nell'intendimento
da' filosofi cristiani o dottori del Medio Evo ; che, cio6, mentre essi
ponevano la filosofia come preliminare certo della teologia, sicchd d' ambedue
si faceva un' unica sapienza, accordando la ragione colI'autoritii (Vedi
Beductio artium ad Theologiam di san Bonaventura, e le prime questioni delle
due Somnie di san Tommaso e il Gerzone De octdo); R., invece, dichiara la
filosofia seienza dei probabili, che delle ultimo ragioni, alle quali conduce,
possiamo sempre comecch^ sia dubitare. II R. poi h moderno apparentemente nel
metodo, la osservazione, la induzione e 1' esame per fine diretto, onde coglier
le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del vero.
Galileo suo maestro osservava, provava, sperimentava, induceva, riprovava nel
mondo dei fenomeni, e creava cosi la fisica ; e diceva sapientemente : il
tentar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e abbatteva V alchimia e
quel castelli incantati d' ogni sistema a priori ; riconduceva la ragione al
suo posto, e facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose, dove
temerariamente se n' era salita, la riakava nel fatto, poicM nell' ordine stia
la grandezza e la perfezione degli esseri. II R. batte la strada del Galilei,
ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il metodo, ma a qual fine ? con
quali intendimenti ? Per arrivare con Galileo alia certezza naturale delle cose
? Mi sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filosofico contenga la
risposta genuina e sicura. Notisi frattanto, o meglio ricordisi, che spesso,
quasi in ogni dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, R. protesta di voler
affidarsi alia sua ragione, di volere starsi all' esame dei fatti sia esterni
che intemi nel suo discorso filosofico, e di non accettar ciecamente la
autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che
non si deve formar giudizj sopra quelle che pare a noi, ma e'fa mestieri
esaminare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asserisce a ogni tratto,
che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione
delle cose, e non nell' affidarsi alia sola Sbuiorith dei Maestri ; che d
percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati
giudizii a favore piiH d' una che d' un' altra opinione, sia d'Aristotile, o di
Platone, o di Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione
fa in noi grandissima forza, anzi iegli d molto malagevole lo spogUarsene,
quando ci si 6 fatto r abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'',
cotitro i Sofisti). II lettore vede che qui tutto in apparenza precede
direttamente ; che il filosofo, nel metodo esteriore, ^ seguace del Cartesio e
del Galileo, oh' egli e insomnia un moderno. E, voglio avvertirlo, non intendo
chiamar filosofo moderno chi d' ogni autorita e sprezzatore, imperocchd allora
bisognerebbe non fosse piil uomo, essendo pur essa, I'autoritii, un elemento
essenziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh altri fecero getto di quella
; chd anzi studiava il nostro matematico e Platone e Aristotile, e da tutti,
siccome Socrate, avea ambizione di intendere, e I'autorM ragionevole di essi
fomivagli sussidio a conoscere la verity. Se non che R., che professa di
seguire queste onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel
fatto, e consapevolmente, vi si diparte. II suo metodo ed il suo esame non 6
che un istrumento per la vittoria della fede. In che modo ? Gik prima di porsi
in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la
nmana e la divina, ha determinato in mente sua il punto preciso a cui egli
vuole arrivare, non per teoremi razionali, ma secondo la fede soltanto; e guai
altrimenti, con tanta sfiducia in che e'tiene le forze della ragione ! Egli ha
detto : — Queste sono le verity inf allibili di nostra fede, alia quale io mi
piego interamente : la umana ragione, pud ella, nel suo procedere, condurmi
alle medesime verity ? riesce ella a darmene una riprova certa o soltanto
probabile? Esaminiamo!— Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo per*
scoprire la verita, come per il Galileo, per il Cartesio, e pe' filosofi
moderni ; R. questa verita nell'ordine degK enti la conosce per fede; il suo
esame razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o
anche 1' accordo di questa con la fede; ma in lui e palesemente la
preoccupazione di mostrar coUa ragione la impotenza della ragione a dame
certezza, per concludere poi a favore della fede che la certezza pu6 venirci
solo da questa, e che si accordano con essa le massime probability razionali.
In un tal quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi
di R. al Saggio del La Mennais Sulh Indifferensa, ed in un altro rispetto ne
dissomigUano. Qual somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare,
come R., la impotenza della ragione a faxci conoscere con certezza la verity,
certezza che solo vien dalla fede. In che la dissomiglianza ? 11 La Mennais
afferma che la nostra ragione da s^ sola si contraddice di necessity ; R., per
contrario, afferma che la ragione pu6 giungere a dottrine piU o meno probabili,
e, come probabUi, in armonia coUa certezza della fede. Che la ragione non si
reputi capace da lui di giungere alia certezza, egli lo mostra da cima a fondo
ne' suoi Dialoghiy dove e nella filosofia naturale, e nella morale non arriva
colF esame e colla riflessione che a ragioni probabili piii o meno. Orazio
Bicasoli Bucellai, la sentenza socratica quesf uno to So che nulla io so
accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio
scetticismo ; in quella guisa medesima ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E
tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socratico in tutta la parte de'
suoi Dialoghi, la quale si comprende nella Villeggiatura Tusculana, che pur le
dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie filosofiche sul mondo,
anzich^ semplicemente sperimentali fisiche, non professa guari come certe, ma
come tra le probabili le piii probabili, sulla scienza del Mondo, e, come tali,
da non escludere che altre in progresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il
Timeo di Platone, cosi nel trattato della Frowidenza^ che chiude la
Villeggiatura Tusculana, ei si restringe sempre nel solito probabilismo,
quantunque parlando del Provvedere eterno, o dell' Arte divina nel mondo,
mostri credere fermamente ch'ella esiste ed opera in esse ; ma le ragioni ed i
fatti ritiene nient' altro che come barlumi di quel vero, il quale per la fede
religiosa sfavilla alle menti che credono. E molto efficacemente della liberty
egli discorre, facendo tesoro degli argomenti recati in campo da'piH reputati
filosofi in sostegno di essa; ma con le riserye consnete della Seconda
Accademia, e considerando la ragione come regina se non spodestata del regno
intellettual/B dell' Uomo, pur di ben misera autorit^ e ginrisdizione sovr'
esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd di evidenza per lui, Bicchd
per esse la ragione ritorni sovrana, e siano del sapere i primordj sicuri. Nelle
morali verity poi lascia egli quel suo metodo dei probabili e afferma con
sicurezza ; ma queste affermazioni non procedono da evidenza di ragione, bensi
apparisce chiaro che esse procedono dalla dottrina del Cristianesimo intorno ai
fini soprannaturali, ed ai precetti per conseguirli ; tanto che le dottrine
platoniche, aristoteliche, ec, servono solo di raflEronto al catechismo. Questo
sia detto pel metodo della filosofia nelle opere di R. ; su che io stimo aver
discorso bastevolmente, dopo Tesame che il leggitore ha avuto occasione di fare
da se, con qualche ampiezza, de' Dior loghi filosofici di lui.' Aggiungo ora,
ne ^ difficile persuadersene, che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclettico,
e pero dit mano di nuovo alio scetticismo, riproducendo cosi pure per la
centesima volta le condizioni del pensiero in quel secolo, ed espirando
inalterata I'atmosfera filosofica del suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre
punti cardinali, a dir cosi, del suo filosofare dovevan condurre»R. all'
eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy certezza per la fede ; secondo,
cdmputo delle razionaU probability in sostegno della fede; ter^o, esclusione
delr autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare, secondo gl'
insegnamenti di Galileo. Sicche non avendo R. piena fiducia nella ragione,
escludendo le particolari autorita dei filosofi, doveva naturalmente ridursi a
cercare i dati del suo cdmputo di probabilita nelle opinioni varie di tutte le
scuole, tentandone un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure e Cartesio,
Galileo e il Tradizionalismo, tali erano le scuole principali che disputavansi
il terreno in quel secolo. Lo abbiamo veduto. II R. ve le trova, ne apprende
gli intendimenti, ne tenia un accordo; diro con frase piil viva, e che il
lettore mi consentir^, ne immagina una confederazione, con a capo, perche
sfiduciato della ragione, la fede. II R., pertanto, che ritraeva in tutto del
sue tempo, in cui la forza speculativa degl'Italiani era svanita, e non
lievemente svanita, di questa vigoria di speculazione non era pur egli a
dovizia fornito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto e generoso, a
formar ciod questa sintesi, e comporre un' armonia si sovrana. Era dunque
inevitabile che in queste armonie tentate ei si smarrisse, riuscendo invece a
una fantasmagoria di accordi, cioe ad un eclettismo di quei vari elementi, di
quelle dottrine diverse, e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio
scetticismo, poiche r eclettisrao sia di questo una forma particolare. E dico
cid, distinguendo le intenzioni dalla essenza speculativa d' un sistema. L'
eclettico, per le intenzioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole
opporsi alio scetticismo: ma e scettico speculativamente, giacch^, negando che
la ragione abbia potuto mai produrre con un criterio intrinseco suo, una
dottrina non esclusiva di sostanziali verity, crede che la filosofia si divida
tutta in sistemi particolari ed erronei, dal cui ricucimento possa derivare la
dottrina plena, o almanco la dottrina massimamente probabile. Indi apparisce
chiaro che, quantunque V eclettico dica valersi d' un criterio interiore od
anche della coscienza, principalmente si vale di im criterio esteriore o
storico; poichd altrimenti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non
impugnerebbe la tradizione della filosofia vera, n6 la porrebbe necessariamente
divisa in brani od in sistemi erronei. Va bene che lo studio dei sistemi giova,
bensi come aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio interiore per
eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd,
forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro,
gli eclettici ban torto dicendo che tutta la storia della filosofia h una
storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli
insieme. Anche il tradizionalista nelle intenzioni sue e dommatico, ma h
scettico speculativamente, poich^ non ammette razionale certezza. Le quali cose
ho volute notare per la natura del mio soggetto, a far vedere cio^ che,
filosoficamente considerato, R. partecipa dei dubbj del suo tempo, e che egli
cerca rifugio dai dubbj dommaticamentenel tradizionalismo, eniditamente nell'
ecclettismo. Qual'^ infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed a
Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si espongono le dottrine de' piii
antichi filosofi intorno a'principj universali della natura, e che formano, ho
detto, la parte negativa del suo filosofare, R. non acr cenna ad alcun sistema
suo particolare intorno al principio materiale dell' Universe, e solamente
riducendo al nulla e destituendo d'ogni valore di verity tutti quei sistemi
ritornati a vita dal Rinascimento, intona, pud dirsi, 1' estremo funerale a
quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci accorgiamo di leggieri
come egli in quelle pagine stesse distingua bene, del pari che Galileo e la
scuola moderna, la scienza metafisica dell' universe stesso dalla filosofia
naturale dalla fisica: progresso grande, invero, questo;unperocch^ per 1'
innanzi e nel Medio Evo e presso i Peripatetici formava parte integrale della
filosofia la fisica. o filosofia naturale, diversa assai dalla scienza
metafisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica di Aristotile e
di Platone, intendendo essi questa appunto non come scienza tutta di
esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia nel senso
che le diamo oggi ; vale a dire la scienza dell' ordine mondano in relazione
colPanima umana e con Dio; sebbene ponessero in questa anche lo studio
deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse. Comunque, la confusione
della fisica coUa metafisica era in que' secoli giunta al colmo, cagionando
que' conflitti e quelr eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili,
ognivolta gli obietti loro per natura ed essenza distinti si mischiano. Ed i
fisici che volevano farla da metafisici, ponendosi a ricercare nell' ordine
degli enti esterni le leggi che governavangli, presumevano trovarne apche i
fini, invadendo per cotal guisa il terreno della metafisica, con indicibile
danno della scienza e del suo stesso incremento. Ma R., riconoscendo tutto cio
per la benefica influenza delle dottrine e del metodo Galileiano, sfugge i
pericoU di queste confusioni peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per
obietto di studio 6 d' investigazioni alia fisica, la quale intende ne' termini
stessi del suo maestro, riprovando nel fatto del suo scetticismo, e del senso
negative con cui in questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella naturale
filosofia architettata a priori o con induzioni ed esami troppo superficial! da'
filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da alcune
scuole del tempo suo. Tantochfe del medesimo Platone ei rigetta le opinioni
intomo alia formazione del Mondo, come quelle che non si fondamentano sulle
solide basi relazioni di dipendenza dell' una parte dall'altra, e
implicitamente combattuto 1' errore di quei che V uomo dicono operare in tale e
in tal modo, col tale o tal organo, perch6 ha quell' organo, non perchd questo
I'abbia avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto capitalissimo nel
quale R., pur non escendo dal suo probabilismo, segue la filosofia modema, n^
cade nolle negazioni che delle cause finali si era &tto prima di lui, e si
faceva anche al suo tempo. Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe
recar qui nuovamente le parole del nostro Scrittore, dove di queste ragioni
finali delle cose tutte dichiara la sua credenza. N6 stard guari piii oltre a
ricordare come R. ancora dissenta da Platone che ammette r Anima dell'
Universo, mentre si adopera a scusarne r errore, e a conciliare tal dottrina,
interpetrandola benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con quelle
religiose della Prowiden0a. Come il lettore ricorder^, R. passando in rassegna
i yarj sistemi antichi della filosofia naturale, pose avanti il concetto che
Platone ayesse potuto intendere di assegnare al mondo per anima sua la luce,
che per Galileo ^ a tutte le cose frammista, ed e la estrema espansione della
natura e in essa tutto risolversi di tutto cid che 6 nel mondo con la
rarefazione. N6 di cid abbiamo osservato esser pago il Kucellai, che nel Timeo
si fa varj altri quesiti intorno a quanto di diverso dal fin qui detto potrebbe
immaginarsi aver Platone opinato suUa natura delP anima universale, come, per
esempio. se abbia potuto creder esser quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal
primo supposto piglia le mosse a confutare il Panteismo e il Naturalismo
conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi reputati filosofi del suo
tempo, da'quali toglie gli argomenti probabili in difesa della distinzione di
Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle cose
inorganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da considerare i fini della
creazione, si domanda se per anima dell' universe Platone possa aver tenuto
I'amore, come quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose che per il
loro difetto dal loro ordine deviano, e, libero, le creature ragionevoli. E
ambedue le ipotesi o i supposti spiega affermando che Dio non si deve
confondere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi anima in un corpo ;
che Y amore puo, ma non come essere vivente, ritenersi per anima universale,
sibbene e Dio stesso, h il suo amore, o lo Spirito Santo, il quale, virtii
vivifica, e legge impermutabile infinita ha valso air ora della creazione, e
varra in perpetuo. E a questo sense crede R. poter ridursi, cristianeggiandolo,
il pensiero del filosofo greco, della cosmologia del quale ricorda alcune
sentenze da cui puo arguirsi che 1' amore abbia egli considerate se non come 1'
anima intera del mondo, almanco come il fiore d'essa, che consiste nel
medesimo; quell' amore che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec, 20
altro non 6 nel suo concetto divino che la provTidenza, o lo spirito che di s^
tutto riempie 1' iini verso. E quest' accordo tra Platone e la fede in tal
subietto palesemente dimostra aver tentato R. ne' suoi Dialoghi ddla
Prowidenffa^ ne' quali abbandonandosi spesso a mistici voli, si compiace
rinvenire questa profonda armonia tra il precetto di fede e il pensiero del filosofo
pagano, il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii d' ogni altro nell' errore
della gentility avvicinossi all' idea vera di Dio e de' suoi divini attributi,
quasi davvero gli si fosse in parte svelato. E per concludere sull' opinione di
R. intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi del come egU applichi le armoniche
proporzioni aU'anima dell' universo, e in qual modo, altresi, riconosca
I'importanza delle matematiche nello studio di esso, e quanto potuto abbia su
di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in
brevi parole sodisfare a quest' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro
scrittore, discorso delle matematiche, esponga neUa sua verity r applicazione
che 1' Ateniese fa di esse aU'anima Platonica, senza as^entirvi, non ammettendo
Tanima universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza
geometrizzante divina, il numero, V armonia, dia lode a Pittagora, Platone e a
Galileo che fecero base dello studio del mondo le matematiehe, e continui la
tradizione perenne, chiamando con essi la scienza delle quantity Vabbkcl di
ogni sapere. E come Platone, cosi R., che ne illustra il Timeo^ dall'anima
universale passa a discorrere del1' anime razionali e della loro immortality.
II lettore ha tenuto dietro all' esposizione di questi argomenti, n^ vale qui,
anco in succinto, ritornare sopr' essi pid. Certo, il nostro filosofo,
ritagliando pur qui dalle teorie platoniche sull'anima tutto quello che alle
dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti di Flatone sulla natura ed
immortalitS; di quella accetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di
Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi del Ficino e de' neoplatonici del
secolo decimoquinto, e anco del Cartesio, contemperati da quello che la fede
cristiana ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili assorgano alio
splendore della certezza. Ch^ col lume della ragione solamente nelle prove
dell' immortality dichiard anche qui nmi esservi da aspettarsi mai prove
convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot-trina, percM
elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre
molte verosimiglianze e probability. E dove dell' idee parla, tenta (lo
vedemmo) un accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la
mente umana e le idee innate del Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1' opinione
aristotelica, tornata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo intelletto
umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza
sottoscriversi alia teoria della reminiscenza nel sense platonico, ammette
invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio,
quantunque poi non sia ben chiaro del come cid avvenga, e anzi reputi questo un
mistero, nel tempo che Platone ammette chiara e determinata la cognizione delle
idee eterne. Non esclude la relazione obiettiva di queste, e accostasi alia
teorica delle idee secondo il Cartesio, temprandola col suo neoplatonismo, e
combatte il Gassendi, non escludendo per6 quel che gli sembra contenere di
buono, fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e un po' di 1^ si puo venire a
un terzo ripiego di verosimiglianze. E in fatti ritiene come probabile che
Iddio creando ranima e infondendo in essa il lume delle idee, queste per la
nebbia del corpo e de' sensi yengano ad essere alquanto nel loro fulgore
offuscate, e i nuvoli della materia parino la vista all' occhio deiranima, per
modo che anche da tal fatto del conoscimento imperfetto attuale delle idee e
delle cose arguir si possa Tadempimento per noi del conoscere intiero in altro
luogo che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che in questa teoria della
cognizione e in quest' accordi e' non riesca ben chiaro a determinar cosa pensi
; e che il suo probabilismo assuma qui la qualita dell' esitazione e della
incertezza, e che in questa e'faccia pur altalenare la mente del critico. Causa
al certo non secondaria di tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben
diverse dalla semplice erudizione, che mentre al probabilismo suo pud dar la
quality di erudite, non vale ad aggiungere vigoria a quelle intelligenze
spossate da' contrasti di si diverse dottrine. Che se dall' intendere dell'
uomo passiamo al volere, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni
obiezione della scuola epicurea e determinista, la quale niega la liberta
umana, avemmo luogo di riscontrare anco qui il neoplatonico cristiano, il
quale, facendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dalr antiche scuole
fino a' suoi tempi a sostegno di essa si recarono, manifesta 1' ampia erudizione
della sua mente da un lato, e dall' altro il suo intendimento di una sintesi
delle opinioni diverse, come per esempio quella della liberty e quella del
fato, lo stoicismo e r epicureismo, del libero arbitrio e della
predestinazione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvidenza. Cio che
preme di notare si d in primo luogo: che alle varie facolta dell' anima non fa
corrispondere altrettante anime, e, come a- dire, giusta il pensiero platonico,
la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva, radice della conoscenza e del
volere ; sibbene pur ammettendo queste distinzioni, le considera come quality
di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il corpo deiruomo venne formato. In
secondo luogo: che il R. ponendo in sodo, con tutti gli argomenti pro7 babili
de' quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio umano, ci stabilisce le
fondamenta della morale, precisamente come Platone faceva, e la possibility per
r uomo di tendere al conseguimento del bene perfetto e della perfetta felicity.
Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene
persuasi, e riandar col pensiero principalmente i due be'Dialoghi che nel
trattato della Provvidenza si trovano, dove del dono della ragione, e della
liberty e del fato discorre. Come in principio della esposizione della sua
psicologia e filosofia morale osservammo, giova rammentarci qui esser questa la
parte piil manchevole e imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente alr
intendimento mio, che ^ quello di dimostrare il suo eclettismo, e V applicazione
mancata in lui del Nosce te ipsum. Vuolsi avvertire qui come succedesse al
Rucellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque siaperaltririspetti la
diversita d'ingegno, d'inchnazioni e di successi dall' uno all' altro. II
Cousin, cosi nelle sue Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra
sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti di Cartesio la necessity, dell'
osservazione interiore o dello studio della coscienza umana ;sicche parrebbe
ch' egli lo studio de' sistemi avesse dovuto subordinare a questo esame
interiore, e al criterio della coscienza. Ma invece lo studio storico de'
sistemi ^ V intendimento eclettico ed espresso del Cousin che reputa trovare in
essi la integrita della filosofia. Similmente R. ripete il Nosce te ipsum di
Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi si vale piCi eruditamente dei sistemi
che non delr esame interioi:^. E come la interpetrazione negativa del questo io
so che nierUe to so valse al R. d'impulso ad una speculazione erudita,
piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte dubitativa negativa
delle dottrine cartesiane servi d' impulse al Cousin per il suo Edettismo. Ed
infatti, lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^ cui il medesimo R. guarda
e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua infallibile de' suoi
ragionamenti, le verita della fede, egli non voltando le spalle alle teorie
morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente
di conciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione della virtii e
nella classificazione degli ofBcj umani. Si pud dire anzi che egli non abbia
fatto che seguir passo passo or questo or quel sistema e quel metodo; che il
suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia piuttosto uno specchio delle
sottili distinzioni di quelle virtii e di quel doveri, che Cicerone viene nei
suoi libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in mente quali fossero
intomo la morale o la teorica delr operare i pensieri di Platone, di Aristotile
e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore e mallevadore della Legge
morale. La qual legge, imposta al volere deiranima, da Platone stesso
riconosciuta e per la prima volta dimostrata immortale, riducesi alia pratica
della virtii, che 6 la imitazione dell'Archetipo sommo, ciod a conformare le
nostre azioni alle idee, anteponendo all' amore dei beni sensibili quello del
buono assoluto. La virtii d una ; ma comprende in se quattro elementi, che
corrispondono alle quattro virtti conosciute da noi sotto il nome di cardinal!,
sapienza (sofia), coraggio o costanza, temperanza e probity giustizia. L'
applicazione della legge morale non gi^ alia volontS; degl' individui, ma a
quella del popoli e delle nazioni, costituisce la politica nel senso di
Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a s6 stesso, allorch^ distinti nello
stato i tre ordini, ottimati o sapienti, guerrieri ed operai, questi faceva
servi, non punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore, quando, per
esempio, pigliando a massima che 1' utile non dev' essere un diritto esclusivo
e che dalla society umana vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegittima,
ne inferiva la comunanza dei beni e delle donne. Per Aristotile il bene morale
^ la felicitit, il bene assoluto e la beatitudine perfetta che comprende V
attivit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' operare umano ^ la
libert^i, il cui esercizio perfetto fa raggiungere la felicity, che ^ la somma
dei godimenti. II bene finite non § che un accostamento al bene assoluto: desso
bene s'identifica col fine, e perd la ricerca del bene e del fine si unificano.
II mezzo pertanto di conseguir questo bene, ossia la felicity, § la Yirtti. La
quale consiste nell' evitare i due estremi del vizio, come la vilta e la
superbia, tenendoci nel giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la
virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea).
Or bene, ognun vede subito come la base su cui si fonda la giustizia d per
Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone. Imperciocchd Aristotile
parta dallo studio delrUomo e dei fatti sociali, e sia guidato, come Platone,
dall'ideale del bene assoluto, ed essere divino; ma pero il suo ideale 6 il
tipo perfetto della virtd, cio^ la beatitudine, che • comprende attivita
perfetta e godimento i)erfetto ; mentre 1' ideale Platonico contiene r unita
perfetta, assoluta, e percio il niodo di render giusto rindividuo e lo stato e
per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl'
intendimenti degli Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio nella sua SL deUa
FUosofia) che ogni male ed ogni bene ^ solo apparente o relativo, tranne il
vizio che d un male vero e positivo, e la virtii che ha in se un valore
assoluto. La virtii ^ una sola, un solo il vizio, e tutte le buone azioni fra loro,
come fra loro le cattive, sono equivalenti ; ma la virtti si esercita in
quattro modi principalmente, colla prudenza, col coraggio o fortezza d'animo,
colla temperanzia e colla giustizia; e dicasi lo stesso del vizio, le cui forme
stamio negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti. > La
virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata
come il yizio (^ una conseguenza della ragione disordinata o pervertita, che
non sa vincere le cattive inclinazioni, sradicare gli affetti colpevoli)
conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli
Stoici chiamato apatia^ nel quale 1' animo senz' essere insensibile, e pero
libero da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa turbare la pace
interna. Questa la mercede alia virtd promessa, questo il premio accordato al
sofo o saggio, r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e agli errori dello
stoicismo, che qui non giova rimettere in mostra, ognuno scorge nel sistema un
germe di nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare in lui il
sentimento della propria dignity dagli Stoici (s(^giunge il Paysio giustamente)
portato fino all'orgoglio presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni
menzogneri disdegna, e i inali pcggiori non cura, anzi disfida. » Si fractus
illabatur orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene,
ne'due Dialoghi della morale del RuceUai, non che sparsi poi in tutti gli
altri, precipuamente nel trattato della Provvidenza divina, noi ritroviamo
predominare quest! tre sistemi da me riandati di volo, e del quali egli cerco,
tolto da ciascuno il non buono, T accordo, subordinandolo sempre, s' intende,
ai principj della morale cristiana che irraggia e vivifica V umana coscienza.
Pone egli, con Aristotile, mezzo della felicity la virtii che sta tra due
estremi ; con che non dee intendersi il mediocre, sebbene la giusta misura
oltre la quale e un trasmodare. La ragione, egli dice poi con Platone, fonda i
suoi motivi sulla costanza de' beni, e con gli Stoici stima beni anco i mali
present!, che perd menano a felicity. E distingue con Aristotile tre sorta di
beni, ieWAnima, della fortuna e del senso^ e che nel definir giusto la natura
di quest! beni, e aggiunge quale tra essi costituisce il fine vero dell' Uomo
sta la filosofia morale che ^, dice egli, la pii\ vera e megliofondata
filosofia deU'Uomo. La quale null'altro 6 alia per fine che il timore di DiOj
in che sta il vero mezzo di conseguire la vera felicity, ciod il Paradise, che
equivarrebbe al possesso del Bene sommo, assoluto di Platone. Qui R. segue
addirittura le credenze religiose, alle quali vuol ricoUegati i sistemi di
morale antica rivissuti ne' contemporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui
parrebbe escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero,
beUissime; imperciocchd soventi fiate il filosofo nostrp vada ripetendo che la
virtil dee esercitarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell' esercizio di
essa debba Y Uomo ritrovare quaggiii la vera felicity. Pero quantunque R. abbia
posto a fondamento della morale la libertlL umana, siccome vedemmo, pur n^
dell' origini del dovere, n^ del percM della Legge morale ragiona, cbe ha
fondamento nel divino e trae dalla mente eterna la sua forza, la sua sanzione :
invece li pone come postulati necessarj e gia consentiti da chi lo segue nei
suoi discorsi, quantunque non manchi di distinguere tra legge divina e
naturale, e tra naturale e positiva. Nella divisione poi delle rirtii e nell'
analisi di esse e degli opposti loro, segue Aristotile, Cicerone e san Tommaso,
come pure segue questo e Platone neUo stabilire il fine della Society umana,
cbe riconosce nel Bene comune, nell' utile coordinato all' onesto : ond' 6 ch'
ei tiene per principal fondamento dell' umano consorzio e regolatrice degli
Uffizj umani la giustimy e poi le altre virtii, cbe insieme a tutte le loro
compagne secondarie definisce con san Tommaso, come quest! le avea alia sua
volta definite con Cicerone e con Aristotile. E nel dividere gH ufficj stessi
dell' uomo, segue il R. Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi non fa
cbe ripetere in compendio tutto cid cbe il giureconsulto romano lascid scritto
intorno a sifiiatto argomento, temperandolo sempre con 1' insegnamento
cristiano. In conclusione, come nel tempo suo anco nolle questioni supreme
morali riscontravasi un contrasto di dottrine, la platonica, 1' aristotelica,
la stoica, la epicurea, la cristiana; cosi negli scritti morali del R. tutti
questi diversi elementi ritrovansi in un singolare eclettismo riuniti. E bo
detto ancbe la scuda epicureaj e non a case; imperoccb^ R. stesso non escluda
che pure i beni del senso ordinatamente goduti sieno fonte di felicity, e mezzo
al conseguimento del vero bene; nel che scorgesi tosto bensi la diflferenza tra
lo intendimento Epicureo e quelle di lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi
seguaci nei beni del senso ordinatamente goduti fanno consistere il vero fine
della natura umana; R. tempera e corregge tale dottrina, restituendo a' beni
sensibili il valore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di mezzo al
raggiungimento del fine supremo dell' uomo, che 6, giusta Platone e il
Cristianesimo, il Bene Sommo, Iddio. Proferendo questa parola, entriamo
finalmente nei penetrali della teologia : esaminiamo brevemente se pur in essa
il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo
alio stile e a' personaggi de' suoi Dialoghi, avrd terminate. Come Platone,
cosi R. riguarda Dio ente eterno, infinite, beato in sd e finalita suprema,
nella cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel
Dualismo, facendo coeterna a Dio la materia, egli, R., col Cristianesimo si
scosta qui dall' insegnamento platonico, e professa Dio creatore ex nihilo,
tomando poi con V Ateniese e Pittagora a considerarlo com' eterno geometrizzante,
ordinatore e provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte divina che
si manifesta nel Monde trae argomenti probabili dell' esistenza del supremo
Facitore, non escludendo perd affatto la possibility della prova a priori^
quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' infinite argomenta la
sua realty; ma pure stabilendo sempre a cardine de'suoi ragionamenti le verity
della fede. E nel passare in esame il trattato sue della Provvidenza, credo il
lettore abbia veduto R. far tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica
contro r Epicureismo, specialmente della filosofia de' Padri del Cristianesimo,
sovrattutto dove discorre del mali e delr origin loro, dimostrando come di veri
mali sia solamente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e
come Iddio, essere perfettissimo e prowidente per sua natura, non possa essere
origine di male vero ; mentre quello che a noi nella natura sembra male, o ^
limit e naturale delle cose, siccome la morte, e pero non e male in s6 ;
ovveramente 6 del fatto, che giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine
o Tordinamento, e in tal caso egli e questo un errore delle nostre corte
intelligenze; e qui, in tali dottrine, come vedesi, ha seguito Platone, e gli
Stoici, e la tradizione universale cristiana. Ma per 6, ricordiamoci anco una
volta, egli, affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere
escire da' limiti del probabilismo, e di esser necessario lo starsi a quel che
la Fede ce ne disvela, imperocch^ V uomo che colla sua ragione sola vuol troppo
scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF
ammetter Die e nel provarne la sua esistenza ; Cristiano nell' ammetterlo come
Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni di ragione ; mistico e
tradizionalista ne' suoi intendimenti e nel suo metodo reale, generalmente
seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque R. nell' esame de' tre obietti
deUa filosofia, V Universe, 1' Uomo, Dio, una seconda volta scettico
filosoficamente, poich^ egli non esce dalr eclettismo. Imperocch^ (ho
dimostrato) 1' eclettico, sfiduciato dal contrasto turbinoso delle opinioni e
de'sistemi diversi, abbia perduto ogni stima nel criterio interiore della
coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della
verity ; ma pur bramoso di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel
che gli pare sufficiente a ricostituirsela innanzi gli occhi, formosa piil ch'
e' pud, affine di sottrarsi alia desolazione del nulla. Se R. abbia vissuto in
un' et^ di contrasti, vide il lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del
suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale che raentre giustifica in parte
almeno il suo errore, stabilisce il punto di vista importante sotto il quale si
pud considerare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disciphne
filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali il pensiero umano si svolge
nelle vicende de' secoli. Un' ultima considerazione. Essa risguarda la
strutturade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma esteriore, ciod,
stile e personaggi ; ritrovando anco in questa un triplice riscontro della
verita del soggetto propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre
dopo il gia osservato superiormente, riandare anche per capi, le condizioni
della lingua e letteratura del tempo. Noi le abbiam presenti, e basta esaminare
la forma esteriore e lo stile de' Dialoghi di R., perchd sia evidente la
rispondenza tra le prime e i secondi. Qual' e infatti la forma de' suoi scritti
filosofici ? II dialogizzare socratico, forma prediletta nell' antichita,
risuscitata in Italia fin dal trecento dal nostro Petrarca. Quella forma
preferita pur anco dal Galileo, siccome la piii acconcia a dar calore di vita
alle dottrine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come esseri animati. II
Eucellai, anch'egli ammiratore delle dottrine platoniche, e seguace almeno
esteriormente del metodo di Socrate e del Galileo in quel secolo, oltre dettar
le opere sue nella lingua volgare, predilige acconciarle a quella forma cosi
semplice, come efficace, e che tanto bene opponevasi anco in cid al fare irto e
disarmonioso de' Peripatetic! eccessivi e della Scolastica (specialmente de'
seguaci di Scoto e degli Averroisti), la quale, per cosi dire, gelava il
pensiero in quelle forme secche ed incadaverite, e rendeva gravosa la scienza
destituendola di ogni attraimento ; con che non vogliaino offendere la
temperanza de' libri di san Tommaso, pur nelle forme sillogistiche.
Imperciocch^ la scienza sia non un che morto, ed astratto, ma parlandoci dell'
universo, delle meraviglie dell' uomo, della vita divina e delle loro
relazioni, debba esser anzi supremamente viva, ed adoma di bellezza giovanile,
perch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte
stupenda dell' Ateniese, ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell' anima dell'
universo che nelle sue poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo
battere ad ogni istante di palpiti sovrumani e rispondere alle celesti armonie,
e Iddio come sole intelligibile scaldare, fecondandoli, i germi preziosi di
quella mente, dove sorrise perenne la primavera del bello. Orazio R. commosso
da questi concenti divini, voile nell'opere sue imitare Platone e la sua arte;
e, per dir vero, nelle sue platoniche descrizioni, nelr introdurre il discorso
suUe diverse materie con abbastanza facility, e saper man mano socraticamente
procedere nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il Maestro. Se non che
i difetti dell'et^ sua pur qui compariscono, la difiFnsione ed il tronfio,
sicchd tu incontri, per esempio,uninterlocutore che senzainterruzioniperprender
fiato e per rompere la monotonia prosegue per lunghissimo tratto a favellare,
mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una cattedra; e le
immagini e le frasi ritraggono talora di quel colorito che i tempi seco
portavano, come ho avuto luogo di fare osservare per le poesie e per le prose
letterarie di lui. Con tutto cid la lingua d tersissima e ricca, e in generale
lo stile allettevole e ripieno di pure bellezze : e ti 6 dato in questi Dialoghi
ammirare delle voci preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come
nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere volgari di Monsignor Piccolomini,
la genuina favella dottrinale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri. E la natura
diversa de' personaggi adoperati dal R. e un' ultima conferma delle nostre
persuasioni. Infatti basta a tutti ricordare chi pone a maestro e mantenitore
principale de'suoi Dialoghi iilosofici. fi il Magiotti, un neoplatonico vero, e
seguace delle dottrine fisiche del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente
inclinato al tradizionalismo, per guisa che laragione destituisca del suo
legittimo valore, e criterio supremo della verity professi solamente la fede
rivelata. E gli altri poi, credenti tutti, fingono di tenere o da Epicuro, o da
Cartesio, o da Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale
precipuamente questi Dialoghi furono scritti,fa il Eucellai rappresentare la
parte fanciulla della ragione sola, che cerca liberarsi dai dubbi che
I'assalgano; dubbi che vengono passo passo fugati dagli altri coll' autorit^ di
Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal
concetto cristiano ne' loro argomenti probabili, per trovar quindi V intera
pace deir anima nella certezza evidente della verity della fede. Come vedesi,
adunque, i personaggi stessi manifestano la natura del filosofare del Eucellai,
il suo metodo, il suo fine, e dimostrano essi pure quant' io non andassi errato
definendo la filosofia o il probabilismo filosofico del Eu cellai : un viaggio
alia fede e colla fede per la natura e per la ragione. Concludendo, io dico che
in quella guisa che nel consorzio civile del secolo XVII, pure nel Eucellai
trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e delle dottrine, giusta che
ce ne fecero testimonianza e la sua vita, e le sue poesie, e le sue prose
letterarie e scientifiche, ed infine i suoi Dialoghi filosofici. Che percio
egli vale meglio di ogni altro a rappresentarci il suo tempo, le quality
costitutive di esso in Firenze, imperciocche mentre tutti gli altri, chi ad una
piuttosto che ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piuttosto che un
altro seguitava, o nella fisica, o nella filosofia; il Eucellai che chiude V
eik del Rinascimento, tien dietro a tutti, e da tutti trae a comporre Tedifizio
suo, i cui materiali concilia ecletticamente con la verity della fede che gli
fa da cemento : e, altresi, perch^ questa conciliazione ha piil dell'
accademico che deir intimamente speculative; speculazione, che salvo le scienze
naturali, era molto fiacca a que' tempi nella sua patria. Sembranmi chiare le
premesse, legittima la conclusione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia
speranza di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio illustre Concittadino reso
onore vanamente. II benevolo lettore che mi accompagnd lunghesso la via, non
serapre, a dir vero, amena e leggiadra, giudichera : e il suo giudizio,
qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sapiente e amorevole a nuove
e maggiori fatiche, delle quali sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore*
ai OTTAVB. ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di Toscana. Per
un mazxolino di Fiori donatole il giomo di Santa Mar^herita dal Priore Orazio
R., Quando lacrime sparge il di nascente Dal sen delPalba in rngiadoso nembo,
Ghiare conche eritree del mar iremente Teti gli appresta, e le raccoglie in
grembo. Poi spiega il Sol dal lucido ori'ente De'raggi onde si veste aurato
lembo, E con alta virtii di sue faville Ragnna in perle Talbeggianti stille. Ma
non tutte del mar Palta Reina Accolse in Bh le prezi'ose prede; Oh! a te di
quella inargentata brina Tatto cosperso il bianco sen si vede, E 1 sol degli
occhi tuoi le tempra, e a£&na In piii pregiate e chiare perle, e cede Quel
cbe risplende con eterni ardori A te, donna reale, i primi onori. Or qual pegno
al tuo nome in si bel giomo Bender potr6 d* ossequioso affetto? Questo di
bianchi e casti fiori adomo Ficciol fascio odoroso al Regio petto Ahi non s^
aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto;
Qual sotto a'rai del sol smonta e s'imbrana YergogDando di se 1' argentea Luna.
Dun^ue h vano tentar I'alto pensiero, Che seguir non lo puo mio stato umile, Ma
pur conMo troppo ardito, e spero Che lo mio buon voler non prenda a vile
QuelPeccelsa bonta nota alFImpero, Che pur suole aggradir dono servile, Se un
timido rossor purpuree rose In fra ^1 candor di questi fiori ascose.Si querela
che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di
morte, i sensi atterra, E gran parte di vita alPuom ritoglie, Che quasi dal suo
vel Talma discioglie, E n'insogna le vie per gir sotterra. Sonno s* altrui dk
pace, a me fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli occhi togUe, L^ dove amor
del Paradiso accoglie II piii bel raggio che risplenda in terra. Ben a giusta
ragion lagnar si vole Questo mio cor, ch^in preda al sonno oppresso Scorge in
si lunga notte il suo bel sole; Se 1 Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui la
fronda, si di lei si duole Che 1 batter gli occhi suoi fusse si spesso. Sentimenti
amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier risponde, E i
sensi del mio cor penetra e intende, Talor tra 1 sonno a consolarmi scende
Fercbe tregua il mio duol non aye altronde. iDdi lace si pura in me trasfonde,
Cbe quasi senza vel V alma comprende : Quantu e la su di bello, e come splende
Quel Yolto in Giel che poca terra asconde. Dicemi: apprendi che caduca e frale
Nel mondo ogni bellezza a morte fugge, E contro morte il sospirar non vale.
Ogni cosa col tempo il tempo strugge, Ma se miri il mio ben fatto immortale,
Non ha chi lo contrasti, o chi V adugge. Sentimenti amorosi secondo il concetto
Platonico, che Dio creasse V anime particolari degli uomini dagli avanzi
delVanima universale del mondo. Con eterne faville il sommo sole Suo divino
valor nel moudo accese, E quelPalta ragion dal Ciel discese, Ghe spirto infuse
a cosi vasta mole. Ma percb6 si belF opra adempir vuole, I preziosi avanzi in
man riprese, E vostr^ alma gentil formarne intese Con divine virtudi al mondo
sole. E se mille anni, e mille altri compose Spiriti accesi da si ardente zelo,
Qualche raggio piu vivo in voi nascose. E 'n porgervi natura il mortal velo
Tanta cbiarezza e leggiadria ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa e Gielo.
Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio, Padre del Giel, che le beiralme accogli
Quasi figlie smarrite entro al tuo seno, Dall^ atre nubi a lucido sereno Teco r
inalzi su gli empire! sogli, Dal tenebroso carcere ritogli La mia, cli^e mai si
presso a venir meno, £ di questo mortal limo terreno La man che pria vestiUa or
ne la spogli. Se col tuo sangue ricomprar yolesti Da rio seryaggio i miseri
mortali, Gosi gran somma anco a mio pro spendesti; Da si caduchi ben, si grayi
mail Per gir lieta a goder beni celesti, Tu sol puoi darle il volo, impennar
Tali. DELLA CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA, L’ngniaglianza di tutte le condizioni
degli uomini alle pretensioni di Roma fa sempre giovevole, sincbe le digniti e
le grandezze fiiron premio solamente de'meriti e delle yirth, Capitolo Peimo.
La costituzione di questa Repubblica universale di Roma si forma dal concorso
di tutte le Nazioni cattoliche, e dalr aMuenza continua de' pretendenti, i
quali, gonfiando le rele delle proprie speranze, qua si trasportano da
qualunque regione del mondo. Ebbe per suo sostegno nel suo originario Institute
quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Aristocratico e Democratico,
reputato per la forma piti durabile, e meglio ordinata di tutti i govemi, dov'
ella si man* tiene nella sua bene accordata armonia, e che runo stato di essa
ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso deir altro. Nel Papa
risplende la Maest^ del primo, che ha in s^ la plenitudine dell* autorita
Ec^lesiastica indipendentemente da ogni altro fuori che da Cristo, di modo che
niuno, ne -il Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' delibera,
se non per ragion di consiglio; ne' cardinali, come senatori apostolici, si
raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo
officio, dove i Papi con esso loro consultassero gli afifari maggiori di Santa
Ghiesa; staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et
assicurate dalle passioni, e da genj; ma T autorita maggiore del Sacro Collegio
si conosce nelPInterregno, rendendo i cardinali venerabili a ognuno la voce
attiva e passiva che egli hanno al papato negli altri ordini del Clero
universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sacerdoti, e
de'religiosi; come altresi nella moltitudine innumerabile de' pretendenti si
considera lo stato popolare, imperocche egli avevano grandissima parte
nell'elezione de'Papi; a' vescovi apparteneva dare il lor voto per le discordie
di Religione, e per la riforma de'costumi Ecclesiastici nella celebrazione de'
Concilii, e dal concorso di essi insieme con 1' autorita de' Pontefici se ne
formavano quei sacrosanti Decreti. II Clero poi aveva il gius dell' elezione
de' vescovi, e questi, quasi sto per dire, indipendentemente reggevano gli
affari spirituali e temporali delle lor chiese: masopra ogni altra cosa, che fa
riguardevole e stimabile il comune del popolo h, che ciascuno, di qualunque
qualita o condizione, e ngualmente abile a divenire Principe, Padrone di Roma,
e capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina, che la sostiene, a
tutta 1' umana generazione benignamente sguardando, h volta con pari misura al
bene comune di tutti; appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi,
e la chiarezza della virtu ne distinguono, dove, quantoanoi. roscurita e lo
splendore del.sangue, la poverty e le ricchezze disagguagliano. Era danque ben
dovere che la Bepubblica generale di tntti i Gristiani si accomanasse a
ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo
ugualmente di tutti i Gattolici, e fin tanto cbe ella si mantenne nel vigore
del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi priyati non guastaron
questi ordini, e non isconcertarono U temperamento di cosi ottimo e profitteyol
governo, qual requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli
stati degli uomini tanto celebrata a Roma, per costitnirla una patria veramente
comune? Cosi invano si sforzavano le due Ministre del mondo, dico la natura e
la sorte, di dar talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o un yil mestiero,
e si ad un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri oscuri cbiarissimo
nascimento, percbe in Roma si uguagliayano gli uomini, yeggendosi taluno col
mezzo della yirtu d^ infima miseria a stato reale eleyarsi. Altri, per lo
contrario, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in brevissimi spazi yenire
al nulla, e perdersi ben tosto fra la caligine della propria ignoranza, per
guisa cbe con I'opere solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita
accattate dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di qualunquepiu degna
prerogatiya, essere ascritto a quel sagrosanto Senato, e diyenire Vicario di
Cristo, e Principe di si gran condizione. Ma a poco a poco una tale ottima
instituzione traligno ancb' ella in abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe
comandano, e V ambizione di cbi pretende s' introducesse nel Reggimento
Ek^clesiastico la parzialit^ degli affetti, e 1' util priyato si mise sotto il
pubblico bene. La potesta dello stato maggiore assorbi la forza, e sconyolse le
operazioni degli stati minori; ruppersi quelle bilancie cbe teneyano equiponderato
il goyemo, e rimase confusa in loro la distinzione de' pesi, si cbe delle tre
forme sopraccennate altro non ci resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe
la parity degli stati nella Corte di Roma senza il pareggiamento de' meriti h
dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai plebei, cbe s’inalzano
indegnamente ad uguagliarsi co^ nobili, non da' nobili, cbe contro a ragione si
yengono a pareggiare co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa cbe lo splendor
e della stirpe non conyiene cbe abbia yantaggio sopra la nobilta de' costumi, e
degli ornamenti delP animo cbe illustrano ancbe i piu yili; cosi non debbono
pareggiarsi quest! con quelli, quando con 1’azioni virtuose e grandi non si
solleyino dalla bassezza di lor natali. Ecco come si sono smarrite le yere
yestigia della yirtu cb' erano tanto piii calcate in Eoma, quanto per una si
gloriosa competenza gareggiavano tra lore gli ingegni, allorche gli uomini
eziandio di piccol essere avean questo unico mezzo di farsi grandi, e che il
saper solamente e '1 yalor degli ignobili era preferito alia dappocaggine, e
alPignoranza de' nobili. Ma percbe oggi si misurano le abilita degli uomini non
da' meriti, o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal genio di cbi comanda,
imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero molto maggiore, perde
notabilmente la condizione delle famiglie piu illustri, e screditansi i
sentimenti migliori di cbi porta gli stimoli dell' onore dalla nascita e dalla
educazione: cosi presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e le
buone arti, e la reputazione, assodate prima con 1' esempio, e con 1'
avanzamento di quegli, vennero a spegnersi del tutto con 1' accrescimento, e
con la stima di questi. Per tal via si sono tolti dall'uso comune di Roma tutti
i termini dell' onore, restan priye d'ogni fede le promesse et i giuramenti, e
dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo e i sentimenti cavallerescbi,
cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e ben
collegate tra loro le conyersazioni civili. E perche all' abito clericale non
bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada,
sottentrano piu ageyolmente nell' usanza degli uomini le occulte ingiurie, e la
tacita, fraudolente perfidia, yiepiu da temere cbe non e se affrontata ed
aperta. Gobi col dominio degli infimi resta come del tutto abolita la coscienza
dell' uomo onorato e da bene, e yiziaronsi ancbe i nobili, percb6 con
I'uguaglianza delle fortune indistintamente si miscbiarono i sangui e si
corruppero gli animi, lasciandosi yolgere all'uso e alia natura degli altri, e
poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli onesti titoli della pazienza e
della Legge divina, cbe per ogni altra cosa dispregiano, d' ogni generosity si
spogliarono, ond' egli hanno convertito in altrettanta vilti d' animo 1' antico
sperimentato valore. Per la qual cosa non ci essendo tra gli uomini altro
tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i mancamenti della parola, se
non prendersi (cavallerescamente parlando) V un dell' altro soddisfazione con V
arme, perche que8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati sempre
yiepiu i mancamenti, e gli inganni dalla continiia impunita cbe e' godono senza
legge civile o cavalleresca venina. L' interesse dunque si e lo intendimento
primario e la scorta de' pretensori, e dove I'uomo studia al giiadagno, per lo
pill studia eziandio alia fraude e all'inganno; perci5 i \incoli deir amicizie
non li coUega qua in Roma la similitiidine delle nature, o delle virtti, o vero
un desiderio reciproco I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una
mutua speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per mezzo dell' altro, e dove
quelle la fortuna buona o contraria non ba forza per dislegarle, come non ebbe
parte nell'unirle insieme; queste la sorte quasi sempre le annoda, et ad
arbitrio suo le discioglie. Cbi viene dunque a pretendere a Roma, ricerca
sopratutto la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova apertura, quivi
s'ingegna di concatenare i suoi in guisa tale, cbe 1' altro si pensi di
migliorare per mezzo di quegli le condizioni de' proprii ; lo spendere offizii
per motivo di meriti, e di magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le
dimostrazioni di generosita ban credenza ; e se talora se ne vede qualcbe atto
apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro qualcbe occulto interesse cbe gli da
fondamento, e lo muove; altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre dietro alle
voci, senza cbe e' ci entri di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane in poco
d' ora agevolmente cbiarito. La speranza di compiacere ad un fautore potente,
il reputare cui si favorisce per mezzo efficace a qualunque intendimento
privato, fanno operare con caldezza, e chi sapra in Roma rinvenir questo filo,
et attaccarcisi con proporzione, avra vantaggio notabile nelle fabbriche
de'proprii concetti. L' importanza e dunque conoscer le cose nelle lor prime
cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere le cifre degli animi, le quali
molte volte altro significano neU'interno, di quel che indicano altrui i
caratteri esterni. Per tal conto e necesaario lo informarsi de'fini
particolari, e de'pubblici, delle nature, de^ temper am enti e de^ genii, delle
dependenze e degli odii occulti di ciascheduno ; delle speranze e de' timori,
che vegliano ne'cuori di chiunque pretende, e si ancora delle sostanze e delle
fortune loro, perche si antiveggouo per questa via di molti successi, e sono
tanti sentieri aperti agli avanzamenti altrui, col saper ben yolgersi per i
quali, quando la via maestra e chiusa, si perviene sovente col rigiro pe'
traghetti e per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per lo dritto. Pero
si vede che lo interesse affina gli ingegni, e come suol far la virtu, insegna
anch' egli a superar le passioni, e molti atti di avvedimento e d'industria,
che v61ti a fine d^ onore e di gloria sarebbon virtuosi, si adulterano per la
corrotta e maculata intenzione, a che incamminati sono; la soUecitudine, la
vigilanza, la destrezza e le altre operazioni migliori delFanima usate ad esser
ministre per qualificar le azioni buone, servono per render piu fraudolenti i
pensieri viziosi dell' avarizia, della vendetta, deir ambizione, delP invidia,
che sono 1 sensi piu comuni di quel che pretendono a Eoma, i quali usando il
bene male, e valendosi della piu oculata prudenza per giungere dove essi
bramano, avviene che molti si chiamin grand' uomini e saggi, cio argumentandosi
dall' operazione de' mezzi, che direbbonsi misleali, pigliandosi la riprova da'
fini. Per questo i vizii in mano a costoro peggiorano quel piu, con cio sia che
non solo sono prodotti dal senso, ma camminano sotto sembianza d' una simulata
virtu, e sono regolati dalla finezza e dal discorso dell' intelletto. Ma odasi
cio che dice di Eoma Quinto Cicerone #al fratello quando e'chiedeva il
Consolato : «Fissatevi (diceva egli) nell'animo queste tre cose, e dite da per
voi stesso: loson uomo nuovo; domando il Consolato; e, quel che e piii
notabile, questa Roma e mescolata di varie nazioni, dove sirag^irano molte
insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi. Qui si ha da patire V
arroganza di molti, la perfidia di molti, la malevoglienza e la superbia di
molti, e di molti pure gli odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa
di mestieri un gran consiglio e una grand' arte a voler vivere tra' tanti
uomini, e tra tante sorte di mali per ischivar le offese, per ischivar le bugie
e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed e malagevole ad un uomo solo
adattarsi a tanta variety di costumi, di discorsi e di volont^, massime che in
questo fuor di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la pecania e'
regali, ciascheduno della virtii si dimentica, e della dignita. » Sin quidisse
Quinto al fratello; il che ho voluto registrare in questo luogo, accio si
conosca che o sia la positura del Cielo, o si pure la necessita de' medesimi
fini, negli ultimi tempi della Repubblica Romana (forse come oggi) adulter ati
e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi; influiscono similmente
negli animi la stessa maniera e inclinazione di costumi, e nell' una e nelP
altra etade s' introdussero e stabilironsi nella Corte di Roma contro la virtu
e contro la pieta della sua primiera instituzione, tutte quelle arti che piu si
producono dall' opera della malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo
dunque concludere, che la macchina del rigiro di Roma stia appoggiata sopra
I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della virtu; perche qua e talmente
raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piu nemici, tanto piu usano tra
loro atti di confidenza, e piu liberta di tratto. E le destre che sogliono
essere testimonii di fede, sono in loro violate dall' inganno, e dalla malizia
di farsela I'un I'altro a tempo e con vantaggio, e quegli solamente e stimato
piu valent' uomo, che puo pi^. Quindi avviene che qualunque e reputato uomo di
valore nell'altre region! del mondo, venendo a Roma, si perde, trovandosi in
una differente scuola da quelle, ove s' apprende ad esser soggetto grande con
le virtuose azioni. Quei dunque che si mette a vivere in questa Corte, non
basta che e' sia letterato e sapiente, quanto se gli conviene il saper ben
discernere i vizii altrui. Ceda pero alio stile del paese, mantengasi nelP arti
virtuose, ma assuefaccia r animo educato ne* buoni costumi a non si
scandalizzare da' pessimi. Molti giungono a Roma, e se di eubito e all'
improvviso loro precipitano addosso similisorte di mali, si perturbano e
sovente escono de' termini, e yi ruinan sotto; ma se loro si da punto di tempo,
il far passaggio dalla virtu al vizio e molto piu agevole, che non e quello da'
vizii alle virtu, perche son mali che feriscono solamente le opinioni
accreditate nel mondo, e trapelano cosi ad ora ad ora nella consuetudine e
negli animi nostri che altri non se ne avvede ; e, guastandosi poscia, appaiono
con 1' uso men disgustevoli, ci si fa il callu, perdecisi la faccia, e non tan
to si smarrisce lo stile di operar bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo.
Questo si e il vero modo di spegner le leggi, di 6ontaminar la religione, di
tor via la vergogna, perche non si ha timore dell' infamia. L'autoritk resta
senza un minimo fondamento, 6 gli esempli e le memorie migliori si dimentican
tutte. Cosi la fortuna ha deformato la faccia bellissima della virtu. Ognun t'
offerisce la vita, il sangue, la roba, quando il bisogno h discosto ; ma quando
s' appressa, non che gli amici, i piii cari parenti mutano faccia, e di
presente si rivoltano. Gli uomini nocivi sono, come industriosi, lodati, e
quegli che tra tanti cattivi vogliono esser buoni, perdono il credito, e sono
come sciocchi e timidi biasimati. Eoma finalmente e commercio, dove si
spacciano mercanzie di grand' importanza, le quali stanno esposte alia forza
della pecunia, che vince tutto, e insieme a chi sa meglio romper la fede, e con
piu astuzia aggirar i cervelli, i quali, tutti all' ambizione e al^util proprio
donatisi, cercan tirarsi innanzi per quella via, che lor piii torni in
acconcio, non riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle
distribuzioni di Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per una stessa cosa,
quindi deriva I'invidia e conseguentemente r odio tra' concorrenti ; ciascuno
spera avanzarsi su I'oppresoione degli altri, e niuno conseguisce una cosa, che
non paia ad nn altro di perderla, onde si nutriscono sempre i disgnsti, e qua
di continuo sta accesa una guerra civile di competitori, la quale, se fusse in
sua liberta e non raflrenata dalle cautele, che lo stesso interesse mette in
ciascuno di non gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte,
sollevazioni perpetue, e tale effrenato stimolo metterebbe r arme in mano a
ciascuno per cavar V anima alP altro, ma cosi resta il fuoco del? odio
racchiuso e coperto in ognano dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero
altro suonano le parole di quel cbe sentano i cuori. L'apparenza deWoltie
totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse
non corrispondono gli effetti, ed armasi la fraude dove non puo apertamente
impugnar la spada lo sdegno. Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo
clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano, perche dove lo interesse e la
cupidita signoreggia, la virtu vi perde il sno luogo, ed e minor male per la
sussistenza del governo di Eoma la simulazione e V inganno, postovi dalla
necessita del suo fondamento, che Y impeto scoperto delF ira, instrumento abile
a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo, dalla Corte di Roma il
fine del guadagno, o si vero e forza per men reo partito lasciar correre questi
mezzi per arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intrigato di
tante insidiose e fallibili vie, niuna che si tenga da uno pu6 servire di norma
e d' esempio aU' altro; le medesime scorgono gli uni al papato, e gli altri
alia propria ruina; e sin quelle della virtu e del vizio ne menano sovente ad
uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso ci fanno la maggior parte^ e le
congiunture son quelle che apron molte volte il cammino, e ne guidano a lieto
fine; percio si scorgono gran variety di maniere et infiniti imitamenti di
virtu, e di costumi varii per accomodarsi alle opportunity de' tempi, e a
quello che altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti gli nomini s* ingegnano
sopra ogni cosa di parere quel che non Bono, non di mutarsi da quel che sono ;
V avaro si vedra talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter
poi torre con piu dovizia V altrui; il superbo e *1 vendicativo riesce pieno di
cerimonie saperchievoli e di sommissione ed umilta, per serbar a suo luogo di
vendicarsi e di esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso e sagace cerca di
far lo stordito, e a bello studio si lascer^ volgere a tutti i genj per
apparire altrui facile, e troppo credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che il
dare ad intendere di essere santo sia il vero modo di tirarsi innanzi ; pero si
fingono di stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto formano V
instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il mantello deUa pieta e degli
scrupoli, le azioni d^ ognuno censurano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto
specie di bene scoccano a tempo colpi da maestro, che coll^ acume di una sola
parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vogliono, anzi con un sogghigno
che ti fanno talora^ e col tacere, accreditano un^opinione maligna contro a
qualcheduno, e non fanno manco male collo star cheti e col celare la verity,
che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono, che della lode istessa
si vagliono per ruinar la fortuna di qualcheduno, onde saggiamente di loro
disse Tacito: pesHmum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie
di Roma^ dov' ognun cerca infingersi di verso da quel che egli e, rifuggendo
per meglio coprirsi all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella
sua propria natura. Per tal maniera gli uomini travestono, non ispogliano, le
passioni, e da essi i difetti si palliano per non lasciarsi appostare, non si
vincono per emendarsene. Di qui e, per quanto io m' avviso, che Roma si dica
teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte persone contraffatte da
quel ch'elle sono; chi e d'un partite, a un tratto diviene sviscerato dell'
altro, e, secondo che vuol la fortuna, si veggiono tuttodi cambiare varie sorte
di scene, I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le sue parti, per6
1' amor proprio, che quanto h piu tenero di se stesso, tanto h piu crudele nel
tiranneggiare altrui. Questi h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le
macchine, e apre tante sorte di vie, le qaali si trovano tatte piene d^
impedimenti e di spine, fnor che quella della moneta, o pure d' accomodarsi ai
genj di chi govema. Di queste, la prima non e battata per tatti, e chi ne ha 1
modo diviene superbo, imperciocche gli pare di poter soperchiare gli egoali, e
riescon costoro per la maggior parte ignoranti, perche fidandosi nella forza di
loro ricchezze non fanno procaccio di altri mezzi per rendersi degni, e rade
volte accade che Domenedio accoppj negli uomini i beni della fortana e quegli
dell'animo. Alia seconda, di seguire i genj, e piu acconcia la gente d' animo e
di nascita vile, che non sono gli uomini ben nati, e virtuosamente educati,
percio quegli ban piu vantaggio nel prender le inclinazioni de' Principi, i
quali, per quanto amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico, aborrisconla in
privato, perche lor reca soggezione ; pero scelgono per loro domestici uomini
entranti, prosuntuosi e arditi, e soyente yiziosi, in essi confidano, scuoprono
i lor pensieri, e le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che non
farebbon co' savii, co* virtuosi, e con le persone moraK; quegli dunque piu
agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia, e con essa montano piu presto in
altezza, e torniam dunque a dire, che nella corruzion de'costumi e utile si
de'plebei, ma notabil danno de' nobili la parity degli stati tanto celebrata a
Roma. Imperciocche salendo in gran posto la gente bassa, e condizione mutando,
non lascian i vizi da privato, ma piglian ben tosto quegli de' grandi, e le
virtii non V imparan mai; e come e costume degli infimi esser nelle avversitadi
abietti, e nella prosperita insolenti, cosi essi, come da prima a' maggiori
servilmente obbediscono, cosi di poi a' minon imperiosamente comandano. £cco
perche la nobilt^ si co^ rompe, conciossiache dove innanzi, premiandosi sol la
virtiir con essa si adornavano gli animi e nobilitavansi eziandio de* plebei,
oggi per avanzarsi conviene che s' awiliscan coi vizi i buoni costumi, e
corrompasi la coscienza de' nobili; ma chi ha stimoli d' onore, per quanto e'
s' ingegni nelle cose lecite e oneste di andare a' versi di chi governa, non ci
si abbandona poi talmente che e^ chiuda gli occhi a quel che si dee; andra
penetrando le inclinazioni, e con quelle procurera si di confarsi, ma insieme
studiando di acquistare stima d* uomo da bene, e concetto per la virtu, non
perche questa debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo virtuoBO almeno ne
adonesti V avanzamento, a lui se ne ascriva la gloria e '1 merito ; dove quando
si viene innanzi senza virtu, tutto s' attribuisce alia sola fortuna, e sovente
volte rinalzamento di questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro demeriti
alio splendore della dignita medesima, che indebitamente loro e stata concessa;
questi esaltati ricevon appena che un applauso lieve del volgo, che e guidato
dagli eventi, e lasciasi abbagliar la vista dal lampeggiar deir orpello; ma il
meritevole, benche dispregiato e negletto, ha per se il partito de'savi, che
col paragone della prudenza discernono anco per entro alia rozzezza e alia
oscurita dello state la purita perfetta e la chiarezza delP oro. Gran forza e
quella della verita, che finalmente non ha paura della bugia, e si schermisce
da se contro Pingiuria de' tempi, e contro alia malignita degli uomini, ne e
mai pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati da' giudizi
vani de* piii ; la virtu rifulge eziandio dentro alle tenebre, ne s' imbratta
mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta
la fortuna contraria. Ella si fa conoscere, e place eziandio ne'nemici, non che
negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il
biasimo torna addosso a chi dovea avanzarlo, e non a chi riceve Tingiuria.
Sarebbe bella che il credito d* un uom meritevole avesse a dipendere dal
capriccio d' un Principe molte volte poco prudente, e che gli s' avesse a
rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi coloro che non hanno
meriti^ e percio ne anche reputazione, quando bene sono aggranditi, perche
troppo ben si discerne quel che ne dona la virtii, da quelle che ne comparte la
sorte, la quale puo ben rendere gli uomini miseri, ma non gli pu6 gia render
indegni; anzi essa molte volte sostiene gli non degni per non gli lasciare in preda
alio scheme e alia lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non
abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli altri;posson ben essere ugaali i
gradi degli onori tra gli uomini tanto buoni, quanto cattivi, ma saranno sempre
disugnali que' della gloria ; nb perche i peggiori s' armin d' invidia e di
fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli uomini savii gareggiar
di virtii, avvenga che e' si trovino in bassissimo stato. La virtu dunque nella
Corte di Roma sempre adonesta gli avanzamenti, quantunque non abbia parte nelr
avanzare. Ma la fortuna e quella che distribuisce le grazie, la quale sul bel
principio fa pomposa mostra de' doni suoi, e pare che ella si faccia altrui
innanzi col viso lieto e col grembo aperto, ma di subito poi cambia faccia, e
vuol vender carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e colui che
abbandona la propria quiete dietro alle sue fallaci lusinghe, e che a guisa del
Cane d' Esopo lascia il ben eh' ei possiede, per gir dietro ad un' ombra d' un
meglio dubbioso. fi vero che alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella
riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad
esser pari e superiori de' Re; ma quel che ella dona ad una famiglia, sel fa
pagare a gran costo della roba, del sangue e della reputazione d' infinite
altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta pericolano.
Laonde mi sembra su le rive del Tevere fiorire piu che in altro clima quell'
albero fruttificante, onde alcuni Poeti favoleggiarono che si ritrovi nelle
larghe e fertili possessioni della fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono
frutti di varie sorte, e non meno degli amari e velenosi, che dei saporiti e
soavi, di quegli che porgono altrui salute, di quelli che danno la morte. Alle
cui radici anelano i pret«ndenti ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei,
tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro de' posti migliori;
quindi s'odono tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi essere gli uomini
martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo
sbigottimento, il dibattito, e I'ansieta di colore, che stanno a gola aperta
bramando che caschi loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto
con piu improntitudine degli altri romper la calca, et accostarsi di subito a
pi^ del tronco, V uno, che non paia sue fatto, si sospinge oltre tra gente e
gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi far largo, e
finalmente ognuno si studia con que' modi ch' e' puo di passar oltre, et
alcuno, giuntovi sotto, ci s' inerpica sopra. Quelr altro il prende di dietro,
e s' ingegna di trarlo a basso, 6 per tal modo tra tanti contrasti e tra le
scosse dell' albero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui che a pena
v' arriva cade un porno de' piu delicati e salubri ; a coloro che piu lo
sbattevano, cadono in mano le foglie, a molti piovono i fiori, talora un ramo
si scoscende, che percuote chi si era fatto piu innanzi, e con furia ricaccialo
indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo qualche frutto sustanzievole,
quando, gia ritiratisi indietro, pareva di loro ogni speranza fuggita. Ne piu
ne meno avvengono gli accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare gli
eventi, ne si puo ben giudicare il punto cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni
atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli attrista^ gli allegra; ora le
speranze si risuscitano, ora si moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna, e
si trova alia fine sgarito ; questi con la pertinacia la vince, e in cotsll
guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli uomini,
fortuneggiando in Roma tra venti contrarii, sono in qua e la da varii flutti e
da varii casi sempre vacillando menati. Impercio accade che alcuni gia con le
membra cascanti e deboli tornano ad esser da capo, e pur ritengon viva la loro
ostinata ambizione, e andando invano per tutta la lor vita dietro alia gloria e
agli onori, inonorati rovinano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler
mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni regola, ond'ella si voglia
acciuffar pe' capelli, riesce vana et inutile, perche d' ordinario da chi la
segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a
Saul, che cerca I'Asine, getta nelle mani un Regno, et Assalon, che va dietro
al Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. Quant o e bella Roma,
quanto e ella appariscente a chi la uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar
di lungi ! Quanto ingegnosa e colma d' industria, quanto e devota e santa,
quanto e benigna e cortese, quanto di tesori doviziosa e prodiga a chi la vede
nel frontespizio, e nella superficie di fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo
con superbi edificii, testimonii marayigliosi deir antica grandezza, delP
onnipotenza Bomana ; qua V abbondanza delle statue e de^ marnii fanno sin oggi
risplendere la maestria e Greca e Latina. Qua i giardini vincono quegli dell'
Esperia e gli Orti favolosi d' Armida ; le fontane paion fiumi volanti per 1'
aria e tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle
sontuosita de' Persiani. Se le devozioni isguardiamo, qua tutti Yocaboli di
pieta, titoli di carita, ammaestramenti di pazienza, e atti di umiltade. Qua
Corpi e Sangue de'martiri, qua raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi
marayigliosi, che fanno fede di religione ben fondata; qua tutti gli aruesi piu
sacri e piu yemerabili, si della nascita, si della vita, si della morte di
Cristo rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di questa
chi ne siede al governo, se non il Vicario di Cristo? Chi ode i complimenti e
le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli accoglimenti de' cortigiani,
incontra subito maniere dolci e aggradevoli, parole significanti stima ed
affetto. La casa, via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma in
preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la sommissione assoggettisce altrui, si
contrasta tuttodi non il prime, ma r ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol
essere piu immeritevole, piu servitdre, piu minimo di tutti gli altri. Chi non
esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie e '1 patrocinio de'
graiidi ? Chi considera le ricompense che ci sono, i premii proposti, 1'
entrate grossissime a vita, che non si sa onde si vengano, il dominio sopra di
esse negli altrui stati, che i Principi proprii non ci posson metier la mano,
le dignita eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter comandare, e
sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno puo giugnere? Qual altrettanto
maggiore invito possono havere g\i stranieri per correre a si belle, a si
pregiate fortune ? Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con attenziono
a quel che e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori, nelle menti de'
pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa
pompa di fuori. Le delizie di Rama sono il piu delle volte veleno ; sino i
giardini, e le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu
superbe e piu maestose sono oggi guaste, e rotte, e minaccian sempre rovine. L'
arti e' costumi che ci s' adoprano son molto poco conformi a' titoli di santit^
e agli abiti ond'essi rifulgono ; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano
esposti al culto e alle visite de' Pellegrini, e servon nel resto per
istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le passioni e gli affetti
sregolati de' grandi, e sin Tautorita apostolica la fanno far gioco alia
potesta temporal e e agli interessi di chi si vuole aggrandire. Le cirimonie e
le cortesi maniere, che son' elleno altro che parole senza significato bfferte,
e sembianti senza affetti, e una vana significazione di onore p'osta nell'
apparenza de' volti e vana, in quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali
talora si hanno in dispregio ; bugie le quali bene spesso si rivolgono in
tradimenti, e infine un capitale di finzioni e di lusinghe in diritto ad un grosso
e disorbitante guadagno, se i premii, le facolta immense, e le grandezze,
queste si dispensano ad arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello che
faceva star bene molti degni e meritevoli, cola tutto ad arricchir6
smoderatamente una sola famiglia? Qua finalmente sotto la formalita de'nomi e
dell'abito esterho e sotto speciose voci si nascondon le occulte Industrie;
sotto le lodi delle virtu si usano di nascosto i vizii, pero in Roma si
sostengono le opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si fa
caso degli errori superficiali, e gastigansi con severitii le parole ne'poveri
e neMisgraziati per tener in piede i piu grossi, e far godere V impunitade a'
maggiori. Per tal via co' riti e coUe formule, co' titoli, co' vestiti, con le
Congregazioni, co' solennizzamenti si tesse un ordine bene ag^ustato, che forma
il ritratto apparente di Roma, significante altrui quello ch'ella dovrebbe
essere, non quelle cVella e, dentro alia quale si cela un disordine, e un caoa
di fini, di speranze, di timori, d' incamminamenti a caso, d' accident!
impensati, d'odii, di finte amicizie, di gelosie, di martelli, d' invidie, di
beni, di mali che non s' intendono, non hanno riscontro, e tengon le menti
degli uomini mai sempre sospese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre mesti,
sempre astratti da loro stessi, e si per la continua apprensione di loro
medesimi favellare come matti perche non ritrovan mai il bandolo in gual posto
si dieno dell' amicizie, dei favori, delle speranze, e delle paure nelle quali
e' si trovano martirizzati in ogni tempo su la ruota della foriuna, guidata
dall' ambizione e dalP interesse, dove sta fondato e si regge questo governo di
Roma. Per la qual cosa egli e molto ragionevol di credere, che la divina
onnipotenza lasci correre questi vizii e queste macchie nel rigiro di essa,
perche a quest' ombra riluca quel piii la verity infallibile della sua Chiesa e
I'autorita ben fondata conceduta all'altissimo ministerio del suo vicario in
terra, a fine di far conoscere che e' ne ha dato il reggimento a uomini che
hanno il libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni mortali e
terrene, benche non errare nel maneggio delle cose celestiali e divine ; e cio
contro 1' ereticale nequizia, che presume temerariamente controvertere, per li
abusi della corte de' preti, la potesta che e data loro miracolosamente da Dio.
Come tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia e T ambizione royinano, e quello
di Boma con esse piti che mai si sostiene. Capitolo Secondo. Con r occasione
del primo Capitolo mi vien in acconcio di far meco medesimo considerazione, per
qual maniera il governo di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de'
pretendefUi si regge su' fondamenti dell' interesse e dell' ambizione, pur si
sostenga e viva, mentre tutte le altre forme di Stati, dove s' introducono si
fatti vizii, per quella guisa che apertamente dimostrano gli esempli antichi e
moderni, cosi agevolmente si spengono, imperciocche essi vizii sono il tossico
che la giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman
cadavero, e impercio senz'anima e senza vita ogni Stato. Egli h dunque in prima
da sapere che lo intendimento della giustizia distributiva si e d^uguagliare
gli uomini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi delle
fortune, e solo V uno dalF altro distinguer secondo che i beni delFanimo, non
quelli del corpo, fauno gli uni piii degli altri rilucere. Questa tende ad
abbassare la superchievole baldanza de^ ben avventurati e de' ricchi, e
soUevare altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si minuisce il
soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i danni, ed arrogesi al poco
di chi e uomo prode, ma dalVingiurie della sorte contro al dovere abbattuto.
Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi essi correggono i difetti di
quella, e fannola divenir premio della virtii; imperciocche non ci e cosa che
maculi i cuori di ruggine peggiore, quanto il ferire gli uomini nella stima di
lor medesimi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor proprio.
Per6 la di£Perenza infra gli uguali, che si fa o per ragion di ricchezze, o per
genio, e non per motive di virtu, che e un contrassegno lucidissimo impresso
nelP anime, che distingue gli uomini V uno dall^ altro, produce sovente che,
per uno che si grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore che si sveglia in
quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti che si destano in tanti e tauti
altri: e siccome, difiPerenziando le persone a capriccio, agevolmente si
spingono gli uomini alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel
merito, si accrescono negli altri gli stimoli alVoperar virtuoso et onesto. Per
tal modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e i piu degni premiandosi, s'
uguagliano quelle bilancie, che conservano in equilibrio i governi, tolte le
quali tutto si confonde e disordinasi, conciosiacosache si destano le invidie,
e quindi a tempo e a luogo tutte le sollevazioni civili. E questo perche non ci
ha favilla che nodrisca e accenda sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi
e de' saggi, quanto il vedersi oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL
PercHe messer Domeneddio ha messe le differenze delle facolta e della potenza
tra gli uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio della giustizia
distributiva, BOYvenendo i mono ai piii bisogaosi, e dal fango il pregio della
virtu sollevando; anzi perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^
titoli e le dignitli, che dispareggiano J gradi, senza misura sono dannevoli,
dove postergati i rigaardi di chi e piii degno di piacimento si scompartiscono,
e per inclinazione de* grandi; e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli, ma
eziandio gli atti semplici d^ apparenza e di stima mal ripartiti partoriscon
de' mali nel consorzio civile ; e viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi merita
veggendosi, o per trascuraggine di mente, o per piacimento mal regolato di chi
govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una volta debitamente
locato ; imperocche e nemica mortale la nostra natora di tornare indietro, e *1
piu possente affetto che h in noi e il pregio in ciascuno di se medesimo, il
quale com' egli e in minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma
dov' egli h offeso senza ragione accendesi un' esca, e risvegliansi si fatte
scintille, che dov'elle havessero libero il campo, o le congiunture V aprissero,
s' allargherebbon bentosto in un gravissimo et inestinguibile incendio.
DIALOGHI FILOSOFICI, IL TIMEO. Delle idee. Dafinio. Scusatemi, a interrogare
per questa volta io voglio essere il primo. Desidererei capir bene innanzi a
ogni cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli? Buonaccorsi. Quella
che si fa dal proponimento primario nella mente dell' Architettore a' disegni.
Secondo questi, donque, volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo
sensibile della natura nella materia, non parye degna cosa a Platone che quella
penetrar dovesse nel segreto di si alta mente a contemplare quegli originali
eterni ; onde e' presuppone che per via delPanima se le ne faccia vedere
cotesti esempi. Imperfetto. II medesimd appunto intese il Petrarca, ne e vero?
e'ldistinse in quel suo maraviglioso sonetto, che qualunqueabbia buon gusto
nella Poesia Toscana sa per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale
Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella volse
Mostrar quaggiti quanto lassu potea? > Insomma e' dicono il vero, e' fu
grandissimo Platonico. JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa
il Timco dairidee agli esempi. Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor
Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad intendere il valore di queste Idee, onde
voi siete state richiesto. Buonaccorsi, — Avete ragionato si dottamente, che a
me non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incominciato ordine,
quanto avete detto voi con esso 1' autorita di qualche valent' uomo e del
medesimo Platone in varj luoghi di altri Dialoghi, che ne favellano ; e avvenga
che io avessi stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna
fidanza di potere internarmi tant' oltre per andare del vero alia radice, e per
recare lumi maggiori ai nostri intelletti, come di cose che troppo in su, ch'
essi non vanno^ hanno la residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino ne
ammonisce) h degna cosa si alti principii udire, e udendogli ammirargli, e
ammirandogli stimarsi beato nel riconoscere il loro autore. Pregovi ben, Don
RaflFaello, a soccorrermi di quando in quando, secondo la memoria vostra e il
vostro felice ingegno nuove cose da dire vi suggeriscano : ma per dare autorita
a quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo intelligibile, e all' Idee
che si contengono in grembo a Dio, ascoltate, di grazia, come tutto cio in due
versi mette Boezio nel suo libro De Consolatione: c Tu cuncta superno DucM ah
exemplOf pidchrum pulcherrimiu ipee Mundum tnente gerens aimilique imagine
format. » Qui dunque ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io non vi
niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita rivelata fosse disceso, il
quale aperte meglio le.vie della mente gli avesse, e ch' egli con ragionevole
occhio vi si fosse rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appropriata
definizione delle divine * quality ; ma non pertanto egli e di somma lode
meritevole, avendo per nn certo 1ampeggiare solamente di natura, e in forza
(siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione favellato di quelle con
tanto decoro e si al vero approssimatosi e toccolo in molte proporzioni; anzi,
che dich'io? e'mi sovviene presentemente de^ lumi soprannaturali ch' egli ebbe
dalla legge Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiustino
Martire attesta, filosofo molto celebre della Scuola Platonica. Ma il proferire
molte di si fatte proposizioni, ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura
per timore degli Atoniesi e delle rigorose pene delPAreopago, contro chiuDque
rinnovare osasse cos'alcuna d'intorno alia loro religionC; quelle medesime
procuro avvedutamente di farsele proprie, e sotto gli oscuri velami delle
filosofiche speculazioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il
medesimo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura d' Iddio, dicendo
come poco anzi vi recitai : « Primieramente egli e da sapere che cosa sia
quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato, e voramente
mai non e; > che ci6 da Mose e^ ricavasse, cui Iddio apparendo la prima
volta disse: « Io sono quello che sono. » E mandandolo agli Ebrei comand6gli
che dicesse loro ecu le stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. » E
il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che quello che parimente in un altro
luogo mette Platone : « Certamente Io stesso Dio, come suonan le antiche
parole, comprende il principio, il fine e il mezzo di tutte le cose, > per «
quelle antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in
animo far di lei menzione, sapendo quanto quella dottrina a' Greci contraria
fosse. E parve al detto Santo non altrimenti potersi intendere conciossia cosa
che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da altri storici Mose essere stato
il piii antico legislatore ; anzi quando egli le leggi promulgo, i Greci non
avere ancora le lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne
piu, ne meno, onde noi al presente favelliamo, crede san Giustino che Platone
da quel luogo della Genesi le abbia tratte tradotto dal Santo, e cosi dal greco
a noi portate: « Che Iddio in principio fece il cielo e la terra ; e che la
terra era; pero non ancora visibile e fabbricata. > Dove il santo filosofo
giudica quel detto da Mose « che la terra era > essersi inteso per la terra
che prima era; impercio che aveva detto Mose : e della medesima similmente
detto avea: «Fece Iddio il cielo e la terra; » stimo che volesse intendere
quella secondo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere stata creata
sensibile. Per la qual cosa non a caso favella il nostro filosofo veramente
divino, ed e degno di somma commendazione, massime ch' egli era della scuola di
Parmenide, il quale a differenza di lui mesce insieme e confonde le superne e
divine cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la materia e con
Tuniverso sensibile. Dove il divino nostro filosofo il valore riconoscendo
sovra il natural corso ammirabile di colui, pe '1 quale et a cui tutte le cose
vivono, di somma reverenza esser degno, e si egli solo essere di sapienza e di
potenza infinita capace, con singolar riguardo in ver cotanta perfezione, le
distingue nella sua immaginatura e trova la via che le cose di sopra adoperino
in quelle di sotto senza permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi. con r
acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine di atti succedevoli nelP
infinite, le differenze di gradi e la variety dell' Idee nel Medesimo, e la
moltitudine nell' unitade, senza Tanita disgiangere, senza diversificare il
Medesimo e senza t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir
iQfinito. Con le cui sottilissime considerazioni di cose incompatibili fra
loro, e si impossibili secondo lo nostro compasso, rasseiubragli poter reggere
i miracoli soprannaturali della infinita onnipotenza diyina, e se non co*
termini nostri corti e finiti renderne bene intendenti di si alte maraviglie,
metterne almeno tra via, e recare un certo bagliore alle tenebre di nostra
ignoranza, che si alto splendore da per se non patisce, accio che quindi
staccandoci dalle cose inferiori spicchiamo un volo piu in su, che conceduto ne
sia a formare giudicio di un Dio, delP Autore della natura, della Primaria
Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui solamente possibill sono. Viene,
dunque, e cosi favella il Ficino a interpretazione de' sentiraenti platonici
intorno all' Idee, che la mente divina e forma di tutte le forme, e Idea di
tutte quante V Idee, la quale in se tutte le comprende. Ora, perch^ la* forma
termine si chiama e mi sura, misura e termine alle cose do-^ nando; il Sommo
Bene, la Divina Mente (aflterma Plotino) come forma di tutte le forme, e misura
e termine di qualunque cosa che sia, il che autentica mirabilmente il nostro
autore nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e misura dell* universe
cose che sono. Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i
generi che piglia e abbraccia in se tutte le forme, tutte quante le specie
visibili delP universo, con esso gli individui ancora. Luigi, — r mi sarei
presupposto che I'ldea universale fusse il genere di quelle idee che dalle
scuole volanti si tengono e sparte per V aere, e per6 fuori della Mente Divina
dimorare, e che da esse tutte le speciali cose pigliano Pessenza loro.
Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee, in se non comprende
coteste si fatte Idee, comunque se le figurino o le scuole nella guisa che voi
dite, o qualunque altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e
starmi ma pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Affermo bene
che cio il nostro filosofo iu alcun modo non tenne, siccome da vari luoghi apertamente
si ritrae, ne sono in quella sovrana Mente le forme delle sensibili cose, ma si
bene le Idee delle forme, come che da lui merce dell' Idee queste abbiano 1'
esser loro. Impero che V Idea mancando di tutte le Idee, la forma mancherebbe
di fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi il mondo, nello stesso modo dove non
si trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rompendosi, il vasajo
non ne farebbe piu. Per questo ne avvertisce Marsilio, che le forme, sostanze
non sono, ma si iniinagini solamente delle vere sostanze e queste sono le Idee,
cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a
piu distinto spiegamento : L' Idea rispetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per
rispetto al mondo sensibile Tesemplare; rispetto a se stessa Tessenza. Di
maniera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e corporeo riseggono, ne tra
loro si confondono, come le forme su la materia; per lo che tra V Idee della
Mente Divina e le mondane forme, yerun' altra simiglianza non ci ha, salvo che
quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e molto piii divario
senza paragone tra quegli infiniti originali e perfetti di vera e incorrotta
sostanza, che nelP alto segreto di sua mente il Supremo Artefice riposti tiene,
i quali per via di disegni ed esempi dalla natura si copiano, che e' non e
infra una tela dipinta e un uomo vero e di carne viva. Con cio sia cosa che
questi quantunque tra loro diversissimi, pur tutta via alia materia universale
riferendosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual similitudine ci puo egli
entrare tra la Divina Essenza infinita e perfetta comparata con essa la materia
abitacolo di tutti i difetti, di tutti i mali V L' Idea dunque di ciascheduna
cosa, benche in riguardo al nostro intendere di diverse cose paja composta 8 da
movimenti vaij distratta in qua e la; in Dio elP e una sola, 6 semplice e ferma
ed eterna, possedendole tutte insieme ristrette e present!, che pe' nostri
fallaci giudicj vengono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle
sensibill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto volanti a caso fuori di
Dio, perche noi non siamo atti a concepire com' elle riseggono in Dio ; ma non
mai fuori di Dio proferi Platone ch' elle si dimorassero, mentre e' disse poc'
anzi: Lui nel fare il mondo avere imitato un esempio eterno e non generato : e
poco piu in giii, ch' e' formo 1' universo simigliante a se stesso. Per qual
modo dunque fuori della Divina Mente potea un esempio eterno trovarsi, e come
rassembrar lui, se gli originali, onde il mondo e' ricavo, fossero fuor di Lui?
Fermisi dunque su '1 presupposto platonico ch' e' ci sono le Idee, ed essere
nella Divina sua Mente; impero che quale osera mai affermare che Iddio alcuna
cosa abbia fatto, la quale prima col suo alto intendere esattamente riconosciuta
non abbia ? Ora s' e' la riconobbe avanti di farla, erano appresso di lui si
fatte cognizioni anticipatamente al mondo creato e queste quelle sono, che dal
Timeo appellansi Idee. Ma odasi di grazia Alcinoo che sopra cio lo comenta : «
L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e perfetti, e quindi gli esempi eterni
parimente di tutte le cose che dalla natura si fanno dependenti dal principio
esemplare ch' e 1' Idea di tutte le Idee. » Ed eccovi pure in questo luogo
distinto 1' esempio dell' Idea, si come dianzi vi si accenno. Bafinio. — Sono
considerazioni altissime (egli e vero) di quel finissimo ingegno, ma io le ho
piuttosto per immaginazioni concepute nella sua mente, che per immagini eterne
della Divina. Impercio che da Dio si opera in an istante, e non con atti
disgiunti e temporalmente. Buonaccorsi. — Da Dio si opera in uno stante, non ve
'1 saprei contradire; ma tutta 1' Etemita e un punto presenter ed instantaneo
dinanzi et lui (come poco fa si ragiono), e nel suo infinito indivisibile tutti
gli atti, che differenti e innumerabili sono appresso di noi, i quali per
nostra imperfezione d'intervalli di tempo abbiamo mestiere per pensare, nonche
per adoprare, appresso di Lui e un atto unico e solo, e permanente, e
impermutabile; e a volere che lesae opere temerarie non fieno ed a caso,
conviene abbiano innanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le
quali da noi due operazioni separate si giudicano, 1' una innanzi all'altra; ma
in lui in un istesso punto si accozzano senza differenza di tempo ; e tale
anticipata cognizione 1' Idea primaria si e, dalla quale si abbracciano in s^,
e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta ragione potette
intendere il nostro filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san Giustino
martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, > come sopra memorato
abbiamo; ma che tale precognizione per r Idea antecedente all' opera pigliar si
debba, cio ne viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall'
acutissimo Vescovo Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio, Qual vero
religioso potra negare le Idee, o non professarle per vere? Certamente nessuno
il quale non ardisse afFermare che le cose che da Dio sono, non abbiano motivo
ond' elle sieno, n^ da lui sostenimento ricevano, e cho quello che per lui si fa,
senza conoscimento o ragione si faccia; che sarebbe un volere ch' egli operasse
quanto egli adopera sconsideratamente e senza badarvi; le quali cose essendo
fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e necessario di confessare I'ldee. E
nello stesso luogo riferisce cio che spiega Varrone, che la favola di Minerva,
nata dal cervello di Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in una perfetta e
intera sapienza si ragunano nella mente divina. Ma questo e poetico
ritrovamento, dove con verita infallibile la sapienza che ha sua sede nella
mente divina pare che questo accennar voglia, mentre cosi parla essa medesima
di suo nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altissimo uscii
fuori e primogenita sono di tutte quante le creature. » Anzi dove dal santo
Vescovo medesimo s' interpreta quel luogo di san Giovanni, testimone si
veritiero delle cose soprano: s' intende cio delle medesime Idee, per tal modo
discorrendola: « Quello che per esso fatto fue e vita; intendesi in Lui, nella
qual vita vide tutte quante le cose quando e' le fe', e cosi fecele si come e'
le vide, non fuori di se stesso veggendole, ma dentro se stesso e per si fatta
maniera annoveio tutte le cose che e' face. > Che avete voi da ridire signor
Dafinio verso un veracissimo maestro Cattolico? Dafinio, — lo oppongo a fine d'
imparare, non per contradirvi. MagioUi. — Eccomi in vostro aiuto,^ signor
Gioseppe, con un liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa
convenienza alP Idee. Da esso si fattamente si descrive la sapienza con la
quale il sommo Motore fe^ il tutto. « Onde viene la sapienza, e quale e il
luogo deir intelligenza ? Ella e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e
occulta per infino a gli uccelli del Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce
sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti i confini del
mondo, e tutto quello ch^ e sotto il cielo riguarda. Quando egli dava il tratto
a^ venti, quelli posando come ancora Pacque a certa misura; quando sua legge
imponeva e suo or dine alle pioggie, e assegnava la via alle sonanti procelle,
alP ora egli la vedeva, la contava, la regolava, e investigavala. » Al qual
fine dal nostro Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; »
perche tutte avanti che fatte fossero vedute le avea per entro 1' infinito
comprendimento della sua Divina Sapienza, nella quale -sguar dava, ricercando
seco medesimo Finfinita conserva delle sue perfettissime Idee. Parv' egli ch'
e' torni bene a quella anticipata cognizione delF Intelletto Divino, a quel?
unita maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui esemplare rimirandolo, esso
formo tutte quante le cose di qua? Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete
recato, signor Magiotti, adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si
adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni esplicato da sant' Agostino
: ma dee ora tirarsi innanzi il ragionamento co'nostri autori Platonici, i
quali sopra cotali fondamenti di yerita debbono giustamente acquistar gran
fede. Che queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi: « Owero Pintelletto e
egli Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale inteude in lui; onde le
cognizioni eterne e immobili nella Divina Mente, e quests Pldee sono, misure
giustissime e perfette delP eterno potere, ch' egli cape solamente, e scorge in
se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se dunque vero h che
lo intelletto sia diverse daU'opinione vera, anche lo intelligibile sar^ dalP
opinabile differente ; e pero sarannoci le intelligibili cose diverse dalle
opinabili, che viene a dire le prime notizie intelligibili, siccome si hanno le
prime delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo intendere si fatto
attaccamento non h da uomo come la Divina nostra Commedia nel Purgatorio: «
Per5, la onde vegna lo intelletto Dalle prime notizie, nomo non sape E de*primi
appetibill TafTetto.* Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto primario
bellissimo, conviensi che lo intelligibile oggetto di lui bellissimo sia, ma
niuna cosa piu di lui ^ bella, perche sempre intende se stesso e le sue
cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. > Paionvi cose astratte e
metafisiche n' e vero ? Ma cotauto eccelsa materia di ragionare avendo tra
mano, ed essendo sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro
intendere simiglianti proposizioni, quanto ch' elle nell' ampio albergo
soggiornano di quella Mente Sovrana Sopra simiglianti considerazioni astratte e
inesplicabili si yiene da Jamblico alia formazione continua dell' Universo
conformandosi alP intenzione Platonica: «Iddio forma il mondo e riformalo, non
per via di celestiali movimenti, non per mezzo deUa materia mondana, ma con
esso V intelligenza per merito dell' anima sempiterna che a lui ha dato.» Ecco
che per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor Magiotti, poco avanti
toccaste ; segue poi: « Perche nella Potenza Divina non sempre vegliano e
operano a un mode le ragioni seminali generative negli esempli formal!, si come
alcune altre viepiu immobili che precedono le seminali, coadiutrici di esse; ne
adiviene che la potenza di amendue queste ragioni, ch6 in sostanza le Idee
sono, e dope le Idee gli esempi eterni, vada innanzi alPuniversa generazione
che nel mondo sensibile di continuo si fa; dopo queste gli influssi adoperano,
e le celesti quality, si come il moto, e in ultimo la faculty della materia.
> Laonde Trimegisto in si fatto proposito anche piu chiaramente : « Iddio e
pieno di tutte le Idee, e spargendo le qualita nella sfera maggiore (cosi
chiama la materia) stando egli in sua fermezza stabile, dalla sua piti somma
altezza in questo mondo nostro sensibile semind le Idee, la detta sfera.
circondando delle qualita universali e particolari di tutti gli Enti. »
Magiotti. — A cio si accorda mirabilmente il detto di Jamblico : « II mondo,
essendo opera di Dio, conviene per si fatta guisa da lui fabbricato sia, che a
qualche Idea esemplare di esso nel suo edificare riguardato abbia, allor
ch'egli con maravigliosa provvidenza per propria bonti alia struttura s'
accinge di cotanta macchina. » Dafinio, — Questi sono pensieri che meno
difficili ne paiono, perche a noi medesimi gli adattiamo, e nolle menti nostre
sperimentiamo questi atti disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi ci mettiamo.
Venendogli dunque alia Divina Mente applicando, non e malagevole il cosi
figurarsegli; ma immaginandoci poi la Divina Potehza con quelle alte e
ineflfabili prerogative d' infinite, di unit^, di eternita, di stability
impertnutabile che alia soprana eccellenza di sua condizione vengono richieste,
volerle assugettire a distinzioni di tal fatta, e a misure che si affanno a noi,
e si considerare P Idee innumerabili e infinite, e poi che elle in una Idea
sola s' immedesimino, e che il numero dell' unitade (se pero numero chiamare si
dee) non si alteri con la moltitudine, qui e dove nostro apprendimento vacilla.
Buonaccorsi. — Dio, di grazia, per far la cdsa con gli esempli piu chiara,
iiditene uno, che ne mette molto proporzional mente Ploti"no : MagiottL —
Piui appropriatamente, per quanto i' m' avviso, torna al paragone del mare il
vasto Oceano del tutto, che unico e anch'egli (come Platone afferma) per
I'ordine 6 per I'armonia, la quale dalle forme senza novero ch'egli ha in se, e
di tante ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza insieme ; e come 1' onde del
mare non sono altro che il mare, cosi le forme nel mondo non sono altro che il
mondo. Di maniera che merce di questa armania rendesi il mondo a Dio
simiglievole, che per cio il nostro filosofo, piu innanzi favellando, Iddio
generate lo chiama; ma non altramente deir agitato mare, e da' soffi de' venti
in yarie guise trasformato e commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini
o divariamenti quella perfetta concordanza e unione che nelr infinite ed eterne
Idee si mantiene. Prima impercio che le forme varie sono di lor natura locate
nella materia, avvegna che la materia, come V acqua del mare, sia tutt' una con
le forme; ma la materia per se stessa di contrarii e conposta; per modo che, e
forme vegetabili, e forme sensibili, e forme ragionevoli, e di altra guisa in
questo visibil mondo si rappresentano ; ne deir ordine armonico puo tanto il
valore, che tra di esse qual piu e qual meno a quel supremo esemplare non venga
a rassomigliarsi ; talmente che differmita considerabile ci ha non che nolle
spezie, negH individui loro, ancorche di quell' unica, perfetta e non mai
permutabile Idea, che le contiene in se tutte, sieno simulacri; che per cio,
come le onde marine, le quali piu variate, e di colore sono^ e di profondita, e
di grandezza, e svariatamente corrono allido; anche le forme in questo mar
profondo delr universo valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che in Dio
sono, per lui sono, e a lui tutte sono sempre ugaalmente e con eterna costanza
; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da essere,
le qnali nolle ragionevoli creature sono vestigii piu adattatamente impressi
entro la corporale materia, della suprema ragione, per quanto a quella Divina
Norma,' ch' e senza mendo, vie piu che le altre rassembrino; pur tutta via si
divariano sovente volte e stravolgonsi da gli affetti soperchievoli e dalle
smoderate corporali perturbazioni, dalle quali ad ora ad ora sregolando si
viene lor bene ordinato adoprare, ch' esse te le scompongono, e traggon fuori
dalla loro formosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o meno
alia bella divina sembianza si vengono accostando, e non serbano uguali, e mai
sempre a un modo le loro doti sovrane. Perche tal verita insegao Beatrice con
savio ammaestramento al nostro Dante nel suo entrare del Paradiso: Adunque non
^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove si scolpiscano via via insegnando
loro cose nuove, e non piii da essi udite e vedute; ma le notizie prime di
tutte le cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di mano in
mano si risvegliano che vi dormivano, e in ispezialit^ stuzzicandogli con esso
gli Elementi Geometrici, P ono concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi
dire a lieva Tordine di que' primi semi, ' gli uomini delle scienze di tntte
quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono. Imperfetto, — Si; vol ci
sponeste, Don Raffaello, con grande evidenza alonni giorni fa : come i primi
element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza universale £ino alia
Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve ne mostrai, se Yoi ne
avete ricordanza; ma di questa sapienza infinita che e in Dio di tal sommo
bene, quale ^ colui che ne ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento
perfetto, imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte quante le cose
virtu acquistano, e pregio di bonta, e di sapere, e per ta^ragione e utili si
chiamano, e dilettevoli, e saggie, e si tali ne riescono a chinnque
acconciamente assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma senza simigliante
conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di-
sapere ci paia, o d' intendere, e che buona, o giovevole noi giudichiamo, niuna
utility, nessuna ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non
per altro adiviene, se non perche uscendo le nostre menti dalla vera sedia
della ragione, alia contemplazione di quella superna Idea, non giustamente, ne
con la dovuta chiarezza ci addirizziamo. Per la qual cosa tal cognizione
agevolmente si scambia, secondo le varie torbe apprensioni, e le torbid^
iuclinazioni de gli uomini da'proprii affetti mal consigliati; che altri questo
dono divino sel credono nella voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell'
ambizione lo si figurano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e
prosuntuosa curiositade; e a pena che i veri filosofanti nella sapienza e nella
verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo temerariamente del
proprio senno pavoneggiandosi, piii oltre del licito e del possibile si
traviano, e nella soperchia luce si acciecano. Egli e dunque manifesto che ogni
anima.ugualmente la saviezza desidera ed il buono, e, per conseguirlo, fa tutto
quello ch'Ella sa, secondo perd i bugiardi o veri oggetti che se le parano
davanti ; ma ci6 tutto consiste nel saperlo rettamente riscegliere e ravvisare,
il quale in somma non altrove che nella meditazione di Dio st^ riposto: dalla
cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sapienza quelle prime
faville nell^ anima nostra discendono, le quali, come si e detto, Idee seconde
si chiamauo da Platone, tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame
lume tra il vero e lo iatelletto, dove con esso il guardo interno
disappassijonatamente vi ci fissiamo, e con quello ardente, e ben regolato
amore, che Ma siffatte purissime scintille del divin fulgore noi non le abbiamo
in noi da per noi ; e quelle che dal fuoco impuro dalle corporali passioni vi
si accendono alcuna volta, e con esse si permischiano, ancorche accoppiamenti
sieno mal messi insieme, e come abbozzi per un certo modo di quelle, pur
tuttavia per difetto della materia ov' elle si rinvoltano, come delle chimere
addiviene, delle abbarbagliate immagi nazioni e de' sogni, non mai alia verity
delle scienze ne menano, ma sempre a fallaci e stravolte opinioni, che dal vero
ne discostano, e concetti ne formano di la da ogni regola di ragione; e di qui
procede che invece di recarlume, torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia bella
chiarezza del rintelletto; che il buono, e il vero, quanto a sua intenzione
appetisce, e cio imperciocche V immaginazione male s^ in forma da quelle
passioni, che fuori del sentiero battuto del vero senza ch^ ella se ne accorga
te la ritorcono e te la disviano. « lo veggio ben si come gi& lisplende
Nello intelletto tno retema lace, Che Yista sola sempre amore accende ; E
s'oltra cosa nostro amor seduce, Non e, se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto,
che quiri trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse quel sublime ingegno ch'e dellft
Poesia Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire ch' e' ci si ritrovi
ogni cosa. E certamente V uomo ottenebrate avendo le lucidissime e vivacl
potenze dell^ anima da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee, fisandosi
troppo in cotanta fulgidezza per lo soperchievole abbagliamento se gli cansa il
vedere, o si veramente le ali del intelletto nostro cui solamente si alte
ragioni stanno esposte, dalla pania delle terrene voglie invischiate
trovandosi, non si ponno staccare, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per quanto
nostra mente procnri di pervenirvi pi^ d' appresso ch' ella puo, non di meno
seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la strada manca, e invece
di aggiagnerle si perdon di vista quel piii. Per lo che dal vero sciontifico
deviandosi^ alia fallacie si donano gli uomini, e hannole per reali e per vere;
e 88 per caso ad alcuna verita pervengono (il che di rado accade per si£fatte
Tie) cio succede a simiglianza de' ciechi (come chiaramente Platone nel Sesto
della EeptMlica) cui viene a sorte camminato pe '1 diritto, a differenza di
quegli che giran girano per quella o per quell* altra via, e mai non ne vengono
a capo. Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le cagioni delle cose vere, con lo
intelletto e non con esso i sensi comprendersi per quello che veramente elle
sono ; e conviene la loro perfezione nel loro vero essere raffigurare, 6 amare
il loro sovranissimo Autore. H che esplica il filosofo oiostro nel Convivio^
con la sua usata ammirabil maniera : « L* animo della Divina Bellezza
innamorato allor che e' gusta pe '1 suo verso, e intende le ragioni divine, non
piu i simulacri ma le cose vere in se stesso partorisce, e partorite
nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza richiama ad alta voce la
ragione dietro a' sensi sviata; per tal modo divenendo I'uomo familiare di Dio
e vie piii immortale degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle
Idee, la notizia vera delle cose che sono ne risulta, non tanto esse
riconoscendo da Dio, ma ancora da noi medesimi, non come cognizioni impresse
con esso lo studio ne gli animi nostri, ma si per la reminiscenza nella nostra
mente resuscitate quelle che generate vi furono con esso noi per merito della
Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio corporeo bruttate vi erano
e cancellate, senza lo ripulimento delle studiose contemplazioni che ve le
ravvivino. Le quali del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo
che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a falso lume si veggiono, e
totalmente dal vero diversi. Luigi, — Come sarebbe a dire? MagioUi. — Come,
verbigrazia, alia nostra vista per alcun mezzo trasparente si ma gi*ossolano o
mal pnlito qnalcbe oggetto passando, che per esso sua immagine si stravolga e
sformi, tuttp altro da quel che e' ci rassembra e' lo giudichiamo ; o pnre come
nuvoletta tenera, e sottile, cbe yoli per r aere sereno, da noi scorta talora,
la quale, o per lo risguardamento uostro mal situato, o vero per la grossezza
de^ vapori si da lungi sguardandola in figura di Lione o di Drago, o s'in forma
d'Uomo ci si rappresenti, o di altre varie sembianze, cui, se awicinare
potessimo le pupille, tutta nebbia confusa, informe e indistinta per awentura
parrebbeci, e che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o si
veramente dove un alcuno schizzo casuale o d' inchiostro o di altra tintura, il
quale da presso non e salvo che scarabocchio sformato, un ben ordinato disegno
di regolati lineamenti tal volta da discosto ci sembra ; tale per le stesse
ragioni all' occhio della mente e dello intelletto gli oggetti non di rado
intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma non altramente che non h
mancamento del Sole, se variamente ci paiono le cose da quelle che elle sono in
varii luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra diversa materia; cosi non h
difetto di quella pura semenza di luce, che nelPanima nostra fa lume, e riluce
ugualmente ad ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella trapassa, o delle corporali
pareti, ond' ella rende i riverberi, o della positura, onde gli oggetti si o no
aUa lor vera veduta si guardino^ imperci6 che tatto sta nel pigliare il verso e
'1 vero diritto per giustamente scerneirle; nel mantenere ben puri e mondati
gli organiele vie per cui passano le spezie da qualunque intasamento de gli
affumicati vapori, che in alto levano gli affetti piu bassi e piu
irragionevoli, acci6 che non vi si faccia ragunata di f uliginose fumicazioni,
le quali spesso da' varii accendimenti de' sensi vi si tramandano. In si fatto
modo per 1' use de' saggi ammaestramenti, e con la continua disciplina delle
meditazioni scientifiiche, e con esso lo incamminamento ben guidato della
ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia la lucidezza delP immaginativa,
che non s' intorbidi e render possa le immagini vere e reali, e non isformate,
ed impure all' acume delle luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero filo la
chiarezza di que'raggi divini scorgano e intendano le cose, come in fatto
stesso elle sono^ al loro etemo principio Yolgendosi, e da quello
riconoscendole con perfetta contemplazione. Imperfetto. — Di vero, che i luoghi
ne piii degni, ne piu proprj esser ponno a fame co' suoi veri lumi discernere
le beUezze della divina sapienza, ch' e V idea universale (come si e ^etto piu
e piu volte) di tutte le cose che sono ; irapercio che convien farsi dall'
amore verso Iddio, e dall' adorare una cotanto sublime cosa, quale e la cagione
prima di tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la vista a fine d' intenderla
con soperchievole bramosia, e con ismoderato ardimento. E' vuol essere amore
filiale, nel modo che il figliuolo r occbio al padre contegnoso rivolge e
rimesso, e non gliene squaderna in faccia prosontuosamente e senza la dovuta
venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove con r intelletto
non si puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu dottrinale
per ammaestrarne nel divino conoscimento, in quella lettera che Platone scrive
agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita
sottigliezza ed acume. Ivi egli dice che V animo nostro non ha via di capire V
Idee che sono nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e
in quarto luogo, la scienza non ne abbia, e nel quinto finalmente ch' e' non
apprenda il mezzo per il quale una cosa e conoscibile, e che veramente stia a
quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia scienza di sapere quel che
sia il Cerchio: primieramente bisogna sapere questo nome del Cerchio; in
secondo luogo la sua propria definizione, e che a lui solo si convenga; terzo,
s' immagini disegnata essa figura circolare awertendo, ch'essa il vero cerchio
non e, ma solamente la sua immagine; quarto si rappresenti alia mente la forma
del medesimo Cerchio, cioe il di lui esemplare generate con esso lui ; quinto,
con si fatta elevazione di mente trapassi a coatemplare Fldea del medesimo,
quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile apprensione vera e
scientifica quale e colui che aspirare possa in questa vita, se non se V animo
umano, con la filosofia, di 8U0 caduco corporale meditando la morte, come di
tntti suo* sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio ; che
impero Pico della Mirandola nega la mente delr uomo potere intendere le Idee,
se non giunto a simile stato sublime, ch' h V ultimo grado della perfezione
contemplativa; e nel Htneo, come averete udito, dice Platone agli Dii
appartenersi dMntendere le Idee, e a quegli uomini pochi, come si 6 a que^
soli, i quali merce della filosofia si sollievano al* Taltissime speculazioni
d'Iddio. Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino io)i quali dimenticatisi,
non che di qualunque altra cosa, dell'essere vivi, tutti alle potenze superiori
dannosi in preda, e abbandonano le inferiori^ che viene a dire datisi alia
contemplativa, perdono affatto Tuso della vita attiva. Dafinio. — Si vede che
io non sono di cotesti che voi dite ; impercio che riconosco bene tutte queste
proposizioni Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma
son modi, per arrivare a intendere le Idee, malagevoli molto, e assai piu che
non e la materia medesima delle Idee; m' e nondimeno di alto rilevamento e di
sommo diletto V udirli, e sentomi vostra merc^ cr;escer V ali per alzarmi vie
piu che io per me valevole non sarei, di modo che eziandio che io non giunga a
intendere, posso dirvi, signer Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a
Beatrice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io. » Luigi. —
Io sto cheto perche io credo ch' e' nasca da me e invidio agli esimj vostri
talenti che dalla volgare schiera degli uomini vi traggon fuori. • MagioUi, —
Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo,
comprendendo sempre con maggiore evidenza la proposizione di Socrate, che si
fatte materie sovrane dalla nostra caduca condizione in tutto e per tutto
s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si favella, ampla e
malagevole, e per6 la mente ci 'si affatica a pensarci, nonche la lingua nel
proferire tante e si varie proposizioni che non averebbe mai fine; e pero vi
prego^ Don Raffaello^ dite un po' voi, lasciandomi in tanto ripigliar lena.
(Segue) IL TIMEO. Sopra VAnima del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio si e,
tutt^ insieme unico e intero, come si fanno a credere foUemente costoro; quest'
altre Deit^, onde favellato abbiamo, che assegnarono i piu de' Gentili a tutti
gli operamenti generici delP uni verso, Dii interi non saranno, ma porzioni di
Dio^ e la terra che e parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per tal modo
sarebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del mondo grandissime, che
inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del Sole, per lo freddo delle
nevi e dei ghiacci, che non mai vi si liquefanno, le quali sarebbon membra
divine a siffatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare che Iddio non
fosse altrimenti impassibile. E non che le sopraddette regioni, ma tutte le
minuzie del mondo, s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio ; laonde qualunque
parte che Tuomp e gli altri animali calpestano del mondo, calpesteranno
sacrilegamente una parte di Dio. Ogni fiore che si colga, ogni erba che si
divella, qualunque barba che si diradichi di sotterra, BB,rk uno strappare le
viscere, dilacerare le membra della divina sostanza^ e qualsisia cosa che
nelPuniverso si corrompa e guasti, corromperassi una parte di Dio. E tali cose
posson pensarsi non che raccontarsi senza vergogna? E per5 divinamente il
nostro sublime Filosofo nella Bepubhlica : Quel che e uno, vero, intero e
perfetto siccome e Dio, per qual maniera anche con la immaginazione si puo egli
dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio V essere di
Dio, senza cho niuno V abbia veduto, e sappia come e qnale e^ si sia, e poi
dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi
immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio fosse e dovesse essere nel modo che
dite Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ?
Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben nel Cielo si puo immaginare, ma non
gia qui tra noi; noi possiamo bene e dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni
nostra immaginazione piu perfetto di quel che noi possiamo comprendere, e non
crederlo ne figurarcelo gia mai con quelle imperfezioni che dette si sono, a
voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo quel
principio supremo che senz'aver avuto principio, ha dato principio a tutte le
cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di
tutti i perfetti, cui nulla si pnote aggiungere ne torre, Toriginale primario
di tutte le cose buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte
le sapienti, intelligibili e razionali cose, le quali non son parte di Lui, ne
della sua propria essenza, ma copie, abbozzi, e imitamenti, e per lo piu non
ben messi insieme, di lui; quel che pu5 cio ch* e' vuole, e nulla ci ha che
possa sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di senso umano,
ne puo patire per avvenimento che sia, perche ogni avvenimento per lui viene, o
da esso si puote impedire : e impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che
vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^
ne mezzo, ne fine, perche e infinito, informe, ne da verun luogo puo essere
circoscritto, ne si ferma per cosa che lo trattenga, ne ha movimento di luogo,
o di agitazione, ne si fa gia mai in conto, o per modo veruno, non e il
medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene dissimile, ne uguale, n^
disuguale, perche niuna cosa il misura ned' e per novello ne per antico, ne in
tempo, ma sempre senza tempo, non generato giammai, ne si genera al presente,
n^ fu mai, ne fatto e ora, ne si far^, ned' ^, ne dope sara, ne e partecipe di
sostanza, perche egli e solo e V unica e universal essenza del tutto. II si
faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e future, egli e e
si genera e si fa, e presente, che son misure di tempo, ed egli non iatk sotto
le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente
gli torni, niuna defiinizione che gli si addica, ne di lui si puo concepire da
noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare
degnamente si puote, ne agguagliarlo con parole mortali^ ne pensare, ne
cognoscersi, ne da nessuno ente che sia formarsene concetto, o aver sense, o
lume 81 chiaro, che vi aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si stende. Egli e
insomma V ottimo di tutte quante le cose che sond, ma e* non e niuna delle cgse
per ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli e sopra 1' essenza di tutte. E se
Iddio non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi si chiama
Iddio, e si adora, e si reverisce, si come il meglio di tutto queUo ch* e,
perche ogni cosa per lui e ? E pero Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe
essere di altra maniera. Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose
visibill e il piu perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio
che chi fa, chi produce, e si smisuratamente adopra tante e si meravigliose
operazioni, come fa Tuniverso, e quale con maggior ragione e sapere di esso? Magiotti.
— Non puote essere il meglio e il piu perfetto, quello dove giungono le misure
del quanto e dove i nostri sensi si allargano, cui competa il nome sovrant) di
Dio; ma ha da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli argomenti
umani e dove niuno puo alzar le vele con la navicella del proprio ingegno,
perche di cotesto non si puo andar piu in la, ne anche da i compassi infiniti
della menta divina, conciossia cosa che essendo egli infinito, infiniti e senza
termine sono gli attributi che a Ini si convexigono. ne dalla nostra
immaginazioiie si pQ6 sapere cotanto addentro, per modo che niente ci ha da
coireggere come saocede negli sbagli e ne' difetii del mondo, che per hi reita,
e nudyagit^ natnrale della materia, a otta a otta danno in fnori, n^ con esso V
oirdine di chi lo regola pii6 ammendarsi in gnisa, che e' non iscaopra V
imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e,
n^ qnel peifettissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente
dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed assolnta di an Dio, qaantnnqne
riesca ai nostri occhi 1' nniverso a. ammirabile, e qnanto a noi la pin beUa,
la piu perfetta cosa che sia, per merito del magistero sovrano che lo fabbrico,
e che veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omiipotenza Divina;
laonde con somma saviezza disse Plotino: « dall' imperfetto ci e la
progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si
pao dare V nltono fine il qnale per sna incommensnrabiliia divenga infinito; e
U mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia
patisce; > e pero, dice il Ficino, «gK e indivisibile, e sottoposto a
diseioglimenti contimii, e come di natora divisibUe ha mestieri di chi il
mantenga conginnto, il quale di sua natora perfettissimo' sia, ed intero, e da
se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte le'misore, e di
totte le immaginazioni deDe cose finite: impercio che il sommo di totte qoante
le cose e cosi alto, che vince la nostra vedota, e da qoesto solamente deesi
credere che abbia il mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e qoeQe
innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli ha, in come lavoro dell'
etemo motore, che impero si raggoardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche
^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia perche e' sia Dio. Dafimo. — Se
r oniverso secondo la mente de' sopraddetti filosofi fosse egli Iddio,
Terrebbed a oscire d' inconyenienti molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia
fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo filosofante, o che
diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il paziente insieme, di una
stessa dignitade e potenza, il che non pa6 tomar mai alia ragione de'piii
esperti contemplativi; dove se Iddio e la materia fosser tutta una, sarebbe una
Deitit sola etema, cio^ il mondo medesimo. Buofiaccorsi. — Tutto il
ragionamento precedente del nostro Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi
della filosofia, cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la materia, di
difetti sarebbe pieno e di errori, che non si deve presupporre di un Dio^ ne
puo essere una medesima sostanza fatta di due cose contrarie assolute, onde
immedesimare si potessero in un solo soggetto e le condizioni ottime di Dio e
le prave quality della materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto, e non mi ricordo
dove, che Iddio h non Ente, e si altresi la materia e non ente ; adunque che
contrariety ci sarebb^egli se ci6 vero fosse? Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino
che lodice: « Iddio, ch'e'chiamano il primo Ente, e veramente non Ente per
rispetto a gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e non
ente, perch* ella h inferiore a gli Enti ; » ora considerate s' e' sono Iddio e
la materia veramente contrarii. Ma con altro argomento risponde Alcinoo, e di
vero con somma saviezza, contro V opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo
(die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo, di materia e di
forma composto sarebbe, e perd non saria semplice come all' essere di Dio vien
richiesto, ne imper6 principio per s^, solo, increato, come Iddio esser
conviene. Ora non potendo esser corpo, non puote in veruna ragione essere Iddio
V universo corporeo. » MotgiotU, — Gli Stoici dividono la natura universale in
due parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta si e. Nella
prima la virtii della vita e del sense consistere ; la materia per s^
infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y una poter stare senza V altra nell*
Universo: ma non puo gill essere il medesimo quello che adopera, e quelle in
cui si adopera, come se tutta una avesse da essere il vasaio che il fango, e il
fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto delirio che reputano queste
due diversissime cose il medesimo Iddio e il mondo; TArtefice e la fabbrica! La
materia, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da Dio e ordinarsi di
continao talmente, cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente. E la materia da lui
ricevere la sospinta, e ordinarsi mobilmente ricevendo da Dio la sua tempera
secondo gV iutervalli de^ tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il quale
quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo essere, sempre si ricarica,
se no finirebbe il suo movimento 6 non andrebbe piu; nello stesso modo la
materia di sua natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel
disordine del Caos, perche via via col suo disfacimento ella quanto a se vi
ritorna, ma di presente il maestro eterno la ritempera e la rimette su Tordine,
e falla camminare compostamente per via delle continue generazioni, e di mano
in mano ch'Ella va a perdere sue forme, riformandola per mezzo di quegli esempi
eterni, e cio si fa per rispetto a Dio infinitamente, non mutandosi unqua
Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo essa
materia. Luigi, Che cosa e egli dunque questo Universo che anima tutte quante
le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, nodrisce, accrescele e crea ?
tutte quante in oh le riceve e seppelliscele, e di tutte ugualmente e Padre,
perche del medesimo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo disfannosi} s' e'
non e Iddio onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose €he sono hanno T essere
loro? MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono, ma r intelletto
Divino e Padre del Mondo (dice il medesimo autore) e la materia Madre : e V ornamento
del Mondo, e prole Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la prole,
ma non semo atti a vedere gli artifizi ammirabili per cui ella si concepisce, e
come ella si fa, e per questo prendiamo errore, stimando il nostro occhio e i
no&tri sensi misure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo. £
pero non e il mondo Dio, ma per V onnipotenza di Dio egli 6 quel che egli e ;
noi scorghiamo gli efifetti e non la cagione, e come detto si e, gli pigliamo
ignorantemente da quella in iscambio, facendoci a credere con somma demenzia
che quel che e fuori della nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per se^ e tutte
le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma
egli e coloi che regge e governa, e che formo la natura. {Segue) IL TIMEO. Se
VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere pro
Tribunal!, e discorrete altamente come h nostro uso. MagioUi. — £cco fatta
Tobbedienza, e ricomincio a dire, essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il
Timeo, prima intorno alia sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile,
e air Idee, si come alti esemplari del nostro sensibile, e delle forme che
questo adomano. E si parimente avendo discorso sopra r opinione dell^ anima
universale e quanto i sentimenti di Platone si accostino in molte parti alia
nostra verity, mi 6 venuto in amore di ragionare parimente co^ sentimenti
Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima del mondo, o la
porzione piu nobile e piu sovrana di essa, e cio in seguimento del proposito
tenuto sin qui. Sommo e infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene,
impercio che di essenza perfettissima egli e, e anche oggetto di infinito
amore, e insieme di godimento infinite, e di perfetta beatitudine a chi lo
possiede, si come eziandio sommo e assoluto appetibile di tutte le cose^ e
appetibile a chiunque il conosce, e non V ha in s^. Ora perche egli e sommo e
infinito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e per6 Iddio solo
nella sua eterna mente il concepisce e intende, cio^ egli solo cape s^ stesso.
Questo concetto dunque, questa cognizione ch^ egli ha eternamente di se
medesimo, quell^atto primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto divino, come
sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile ed etemale, che
tanto si e a dire 11 discorso eminente e non errante che fa Iddio sopra *1 suo
essere divino, ottimo e inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo
infinito merito di sua perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il
Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per il quale yiene constituita la
persona prima del Padre correspettiva e distinta dalla seconda che e il suo
£gliuolo, in tutto e per tutto uguale a lui. Da questo atto poscia di
cognlzione e d' intendimento sovrano che fa Iddio di questo bene etemo ch^egli
possiede in s^ stesso, subito ch* e conceputo dal Padre per oggetto di
beneficenza infinita, a misura di sue altissimo valore infinitamente V ama, e
quindi procede quello ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione di
esso infinito bene, per la cui strabondevole fecondit^ sparges! pel
Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile carit^, dalle cui
fruttlficanti faville tutte le cose che sono hanno essere* e vita. E
simigliante infinito Amore procedente da amendue le altre persone, 11 Divino
Spirito si e, il quale secondo la verita nostra h la terza Divina Persona in
essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari, e dal nostro Poeta
Teologo altamente espostoci nel Paradlso. Canto X: « Guardando nel sao Figlio
con 1* Amore Che rnno e Taltro eternal mente spira, Lo primo ed ineffablle
Yalore, > per cui le scintille di suo fuoco amoroso, cioe a dire le divine
grazie si spandono di sua Providenza onnipotente e benefica per tutti quanti
gli ordini della natura. Per le medesime scintille poi prese fuoco eziandio
ogni altro amore, imperciocche innumerabili amori si accesero nella natura
universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come bene ne
awertisce 11 medesimo Divino Poeta, perche esso amore aperse 11 varco della
creazione deirUniverso alio sparglmento de' suoi benl portati su le all della
sua arden* tissima carlt^, de* quali egli era infinitamente ripieno, solamente
per diffondergli altrui, che egli non era in nessun conto bisognevole. c Non
per avere a s& di bene acqaisto, Gh'esser non pu6, ma perchd suo splendore
Potesse risplendendo dir: snssisto; In saa eternitii, di tempo faore, Faor
d*ogni altro comprender come i piacque, S*aperse in nuovi amor Tetemo Amore.
N& prima, qnasi torpente, si giacque, Ch^ nh prima ne poscia precedette Lo
discorrer di Dio sovra queste acque. » Qaesto amore, dunque, raccendendosi con
iscintille senza novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro
piu o meno direttamente a riamare e adorare il bene in£nito, secondo ch^ esse
piu o men chiaro il rafQgurano e se-,condo le proporzioni e disposizioni,
ch^elle hanno piti o meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui per diritto
filo, o per via di varii e moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi, o si pure
stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de*
proprii affetti, non in Lui, ma in altre creature erroneamente te gli fermino.
Luigi. — Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio conto ricerca piu esatta
ospressione. MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene,
e per6 bene non ci ha, il quale in Lui non sia, e che non discenda da Lui, e
intanto il bene e bene, in quanto egli b comunicabile; ed essendo Iddio bene
infinite, anche infinitamente comunicabile convien che sia^ e per6 tutti i
beni, che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si spicchino da
questo unico infinite bene, e dove non sieno riordinati a Lui. Per la qual cosa
non ci hanno beni in noi, nh fuori di noi, se non gli spande il supremo
benefattore Iddio come miniera e principio di tutti i beni. c Dunque air
essenzia, ov* e tanto avYantaggio Che ciascun ben che fuor di lei si trova
Altro non h che di suo lame un raggio, canta il medesimo nostro Poeta. Vero e
ch'essi si adnlterano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni,
qnalanque volta secondo il loro diritto non si rivolgano, e se si torcono non
si riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo per cni fassi penetrarc la divina
beneficenza in fra tutte le cose create, salvo che lo spargimento delle faville
di qnesto ardentissimo primo Amore da iai procedente e ugnale a lui, le quali
in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle ne sieno secondo loro
capaci : cioe questo desiderio, questo appetite ch* e innestato nella natura
universale di finire beni si grandi, pe* quali ella si mantenga viva e
perpetua. Imperd merce di questo amore primiero fontana di tutti gli amon
accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte di creature o vegetabili; o
sensibili, che sono semi della sua profonda e inesausta beneficenza, e
scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di voglia
siccome quelle che accese ne sono ad una cieca obbedienza della sua volonta
cotanto loro giovevole per la loro prima conservagione; e Tamano gli individui
loro, ancor che per avventura non sappian di amarlo, conciossia cosa che
intendimento e^non abbiano da conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e
generi loro, e se non questi, hallo e V ama e V adora la madre natura, ch* h il
genere.di tutti i generi, la quale accendesi alTesecuzione del suo altissimo
provvedere, divenendo in qaesta bassa circonferenza ministra della Divinitade.
Ma tali beni che dall^ infinite e sommo bene si diramano parrebbero quasi beni
finiti, e terminabili, se non ci fosse anche a chi comnnicare i beni etemi nel
loro essere intero e perfetto, che sono i veri beni e proprii di un sommo ed
infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V intelligenze
saperiori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente quel che elle amano,
adorandolo a vise aperto, hannoci gli uomini, i quali ci rassembrano capaci
dello sfogo della divina bont^ intorno a gli eterni beni ; e di ragione debbono
e dovrebbono amarlo sopra ogni cosa che sia, avendone cotanta arra ne'beni
sparsi per V universe, e tanti e si be'raggi per riconoscerlo, scorgendolo
manifesto nella bellezza del tntto e nolle bellezze tante e si varie di esso; e
quando e'non fosse altro, conoscono per alto privilegio di averne la
cognizione, e la bramosia cui h credibile che sia data, perche Iddio gli abbia
fatti degni eziandio di ricevergli, il che non si ravvisa negli irrazionali che
hanno i desiderii loro, e loro affetti^ e passioni Dei primi moti solamente,
dove gli uomini hanno ne gli atti secondi lumi da distinguere e scerre il
meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragionevoli
adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di
maniera che le razionali creature debbono accendersi, e '1 possono
spontaneamente, al riconoscimento e al desiderio volontario dello spandimento
delle grazie divine^ e alia gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera
che essi beni non piu beni sarebbero in noi se non pigliassimo il loro vero
lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da
noi, e desiderassersi con piena liberta di volere e con atti riflessi
corrispondenti a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le
razionali creature hanno virtii di distinguere e desiderare questi beni per
mezzo di quest o amore scambievole tra Dio e noi, il quale da lui per venire a
noi si diparte, e accendesi in noi per ritomare a lui, talmente che amore dee
essere in noi un ripercotimento di Amore, e un rivolgimento e un
ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente
alia perfezione della divina unitade. E per cio Amore, disse Platone, h
quelParmOnia e quell' ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed
aU'uno; per guisa che nolle creature dotate di ragione si eccita il lume del
conoscimento e le faville di amore verso il sommo bene, e di tutti i beni che
si drizzano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo amore e di questo
fuoco divino, qualunque volta la parte inferiore non recalcitri alia snperioro,
e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione.
Impercio che i principali movimenti delPanima sono Pintelletto e la volenti, e
le altre potenze sono o a questi, o per questi. L' intelletto ha per oggetto il
vero, la volenti ha per oggetto il bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si
pu6 consegaire perfettamente da loro, quindi molte fiate V amore del vero e del
buono si lascia in noi traviare dalle opinioni e dai sensi, e scambia poscia il
vero dal falso, il bnono dal reo. e non al sommo bene, ma si follemente
rivolgesi altrove. Ma saviamente lo c'insegna Platone nel Fedro, dicendo cosi:
«Che in noi sono due faculty, le quali hanno gran forza o potere di guidarci a
lor senno : V una si e la cupiditib innestata in noi, di quel che piil ci
diletta : V altra una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste
alcuna Yolta convengono insieme, alcuna altra contrastano e tnmultuano in noi,
ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della
ragione ne conduce a quel che veramente h V ottimo, tale si e la virtu vera e F
adoperar ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli ne
travia, e in noi imperiosamente comanda, qnesta chiamasi cupidigia, che muta
nomi, seconda a quale effetto ella stoltamente ne mena. E tale si e quell'
amore malusato e trasportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle
solo, il quale all* ottimo ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima
distinzione considerate avete, Don Baffaello, i movimenti di questo prime
amore, e quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio
che primo amore convien chiamarlo; con ci6 sia cosa che tutti i moti nel mondo,
e negli ordini vaij delle creature, tntti quanti gli stimoli e desiderj di
chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine impero di tutti
gli amori. Ecco la natura percb^ si muov' ella alle generazioni se non per
amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo,
come tiene il nostro filosofo,e non si regge e governa a caso, come la nostra
verita il vieta di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a
ricongiugnere le cose, che per loro difetto dal loro ordine si deviano; per lo
che nasce spesso il tumultuoso combaitimento di quelle che fuori di ogni loro
dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e co* venti, e co' turbini, o con le
tempeste, o co'folgori, tutte impetuosamente si commuovono. ch'e' pare ch'e' si
sconvolga il mondo. E percio essendo tratte fuori dalla loro natural positura
s' infuriano per ritornarci e per ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con
quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne meno le razionali creature
si muovono con tutti i lor moti, quali essi sieno, o buoni, o mali, sempre per
amore; se buoni per amore alia virtu o alia bellezza degli animi, che gli
addirizza alia divina pulcritudine ; onde il Poeta: « Che mentre il segui al
sommo ben tMnvia; » se mali, perche scambiando gli oggetti che gV inducono ad
amare, studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, «
Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo i
diletti carnali, e via via di tutti i vizj e falli degli uomini, fino 1'
ambizione, anzi Tira, gli odj, e si le malevoglienze, le maledicenze, e le
vendette medesime nascono da amore per levarsi d'intomo cio, che impedisce loro
di godere quel che egli amano ; il che acutamente ci ammaestra san Tommaso, che
intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il bene che noi amiamo;
ma non di meno in si fatte passioni d^ amore, non mai i mortali si satollano,
impercio che anche conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto delV
amor loro non consegmscono, ancor che e' si pensino di trovarloci entro. Impero
V amor vero e reale scorge gli uomini alia sapienza e all* amor divino. L*
amore stravolto da* sensi, e che tormina nolle cose corporee, ha solamente per
fine se stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e utile,
sodisfacendo in tutto per quanto e* puo ai corporali appetiti. Per la qual
ragione dicesi amor proprio, il quale da regola a* movimenti, e alle operazioni
de gli uomini, che non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta nostro
sovrano, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al diciassettesimo
Canto. « Ne Creator, ne creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu senza amore,
natural e o d'animo; e ta '1 sai. Lo natural fu sempre senza errore; Ma Taltro
puote errar per malo obbiotto, per troppo, o per poco di vigore. Mentre ch'egli
e ne*primi ben diretto E ne* second! s^ stesso misura, Esser non pu5 cagion di
mal diletto ; Ma quando al mal si torce, o con piii cura, con men che non dee,
corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi,
ch' esser convione Amor sementa in voi d' ogni virtute £ d^ogni operazion che
merta pene. » E piu abbasso^ nel medesimo Canto, strettamente al nostro
proposito: « Amor nasce in tre modi in vostro limo. te chi, per esser suo vicin
soppresso Spera eccellenza, e sol per questo brama Ch*el sia di sua grandezza
in basso messo. I) chi podere, grazia, onore e fama Teme di perdor perch' altri
sormonti, Onde si attrista si, che '1 contrario ama; Ed 6 chi per ingiuria par
ch'adonti Si, che si fa della vendetta ghiotto; E tal conyien, che il male
altrui impronti. » Per lo che riconoscesi manifesto che anche il desiderar
male, e il far male altrui, nasce da amore, come detto si e, ma da amor
soverchio di se medesimo, impero che la volontft non puote per alcun modo che
sia amare semplicemente il male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in
altri a fine sempre e per amore del proprio bene, ch' essa s' immagina, dove e'
non e delusa da' sensi, e da gli affetti corporei; conciosiache e' non
intendono gli uomini, e non sanno aprir le ale, onde salgano in alto a questo
primo amore, ne sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e
ardente, il quale dissemina ampiamente le sue lucidissime scintille per lo
tutto a conservazione e vita del tutto, e alia ricongiunzione per quanto si puo
con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo stravolgimento
nasce in noi dal mal giudicio dell' elezione, e dall' abbacinamento della vista
dell'anime nostre, per entro le sensibili vestimenta che ne ricoprono, e
nascondonne il purissimo lume, lasciandone a pena che un mal distinto bagliore,
e tutte le bellezze, che qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne' volti
risplendono di bella donna, sono riflessi e specchi della bellezza suprema; e
colui il quale riguardando con amore in essi, ivi i raggi ferma della vista
amorosa, e non sa alzargli al lor perfettissimo originale, ne va errato a guisa
di quello, che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello s'
immaginasse nel cielo; il che appunto ne awertisce Marsilio nostro, che la
belta e un certo atto, vivacita e grazia che risplende ne' corpi per lo raggio
della sua prima Idea, e consiste nelV ordine, nella proporzione e nel lume,
qualita e sembianze che si possono agevolmente guastare, e trasfigurarsi,
riraanendo solamente il corpo; e pero la bellezza e incorporea, e qualunque ama
solamente i corpi non ama vero oggetto di amore, ne bellezza sincera, per cio
che questa riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la proporzione dalla
Divina sapienza. Per la qual cosa (die' egli) cbiunque ama il lume del Sole, non
dee amar quel corpo dove batte il Sole, ma riferire suo amore al Sole medesimo,
ch' h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; impercio che lo
splendore del Volto Divino che nelle cose belle rifulge h T universale della
bellezza, e Tappetito che a quella si volge e 1' universale amore, e quindi
nasce poi U particolare amore a particolare bellezza ; e percio scambiano di
leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso adombrato dalla
luce chiarissima, che lo indora. Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti il
soccorso appunto del signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene I'ombre
del mio dire; perche non solamente non h colpa o fallo veruno, ma e legge della
natura e di Dio, che gli uomini, e le donne, anziche gli uomini eziandio tra
loro scambievolmente si amino, ma amino la bellezza delP animo adorno della
virtu ch' e figura e immagine vera di Dio, e non terminino I'amor loro con esso
Tappetito nelle forme corporee apparenti, conciossiache questo amore sia anzi
awersario d'Amore, si come quello che dalle bellezze dell' Idee ne ritorce il
guardo alia deformita della materia, e ivi si ferma. Dafinio, — Ma lo appetite
che voi dite non e egli parte di amore? MagioUi, — Son faville scappate fuori
dal fuoco dell' amor vero, che si appigliano nella pece o nel ferro, i quali
pero ne scottano i sensi e arroventano il cuore, benche ciecLi afPatto di luce;
impero che amando le corporali bellezze, come loro ultimo fine, non si amano
come Architetture divine, e percio ancor che in esse in fatto stesso amino
Iddio, come fulgor primo di quelle, e come oggetto vero di amore, non sanno di
amarlo, e amandolo, il disamano, perche invece di ordinare T amore a lui, amano
quelle, si come incentivi non all' amor divino, ma all' amor proprio e alle proprie
volutta; e per tal modo spengono nella corporalita materiale, non che la fiamma
del vero e lecito Amore, ma il lume della ragione. Amar dunque si dee con amore
(ne ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal guisa che cio sia venerare la
sapienza e temere dell' onnipotenza divina con ammirazione di lui ; e questo si
e amare con vera dottrina d' amore, impero che con ragione rammemoraci nel
Fedro, che la faccia bellissima della Sapienza, dove si potesse con esso gli
occhi riguardare, all'ora altri si accorgerebbe che cosa sia veramente amore.
Seguitiamo, dunque, il discorso, e si repetiamo, come questo Amor primo, onde
tutti gli amanti si accendono, e razionali, e irrazionali, lo spirito divino si
e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu ministro della
creazione di tutte quante le cose, riducendole alia prospettiva dell' essere; e
che parimente per via delle inspirazioni accende e volge i cuori delle
ragionevoli ai loro supremo benefattore ; ed e insomma la terza persona della
Trinity ; essendo Iddio Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e
Spirito Santo per I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo ordina e dispone, e
come Spirito Santo sparge la vita e conserva, e tutti richiama al loro Autore,
che pero Dante favellandone neir Inferno, ne le distingue con evidenza: «
Giustizia mosse il mio alto fattore : Fecemi la divina potestate, La somma
sapYenza e il primo amore. Dinanzi a me non fur cose create, Se non eterne, ed
io eterno duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero
Timmaginazione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pensieri elle
si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro
Autore a tanta verity avvicinato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare,
signor Gioseppe, cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar
non potete (come fare' io) nel referirlaci, e nel metterla con esso la nostra
in agguaglio. Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la vostra modestia mi
suggerisce, ma per darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don Raffaello
carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso Maestro a repetere il
medesimo, che detto si e ; come Iddio e sommo e infinito bene, V occhio della
cui alta mente in se risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^ e a
simiglianza di specchio purissimo e tersissimo, ella piglia in se, e rende con
que'divini reflessi Timmagini infinite ed eterne della sua infinita Sapienza; e
queste secondo lui so no intelletto divino, il quale comprende in sh tutta insieme
1' Architettura perfettissima dell' intelligibil mondo, con tutte quante le
Idee delle cose possibili a farsi da una onnipotenza infinita, le quali fornite
perfettamente di fare dalla sua infinita sapienza si ragunano, e disegnansi nel
ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indivisibile insieme
congiunte, dimorano in una idea «ola, di che altre volte ragionato si e in
proposito dell' Idee: la cuiinfinita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll
con occhio desioso e benefico, giacche per se tutta la possiede e non pu6
contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur
voi diceste, il quale voile Orfeo essere stato locato nel seno del Gaos nato
innanzi al mondo, appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di
gran consiglio. Per lo che Parmenide si lascio intendere, Iddio innanzi a tutte
le altre Delta aver conceputo Amore. Nel Caos parimente lo ripone il Divino
filosofo, quivi trasmesso dalla Divina Sapienza alia formazione e
armonizzamento delPuniverso, da esso amore la bellezza ricevendo e r ordine.
Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo onde Iddio incominciando da se ordina
questo filo, secondo lo intendimento platonico ? Buonaccorsi. — Volendo la
Provvidenza suprema, e questo sommo e infinito bene comunicare, e mettere in
opera i frutti della sua infinita bonta, e non avendo nulla fuori di se,
delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del1' intelligibil mondo,
la creazione del mondo sensibile, per la cui e£Fettuazione dispose valersi di questo
Amore. Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me capire la sentenza platonica
intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina
Mente, cioe il suo perfettissimo intelletto si rivolga a Dio come sommo benC;
onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore
di quel raggio accendesi eziandio una viva cupidita di propagare fuori di se si
maravigliosa luce, e qaesta alta e ardente cupidita del sommo bene amore si e.
Adunque la mente ch' e accesa accostasi a Dio, e accostaDdosi riceve le forme
prime divine^ che sono la bontii, la sapienza e la bellezza infinita del sommo
bene ; e per tal maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono, 6
che esser possono per lui, ed esse pitturc sono le Idee infinite del Mondo
Archetipo, le quali nel mondo corporeo aveva determinato con fabbrica piu
massiccia imitare; e qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli animi razionali
(come si disse) ragioni e notizie; ma nella materia immagini e forme ; queste
impercio rifulgouo nella Divina mente con raggio lucidissimo; nell'anima in
modo men chiaro; nel mondo in gaisa molto piu oscura. Per la qual cosa,
awertisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di mettere ordinatamente in
filo le intelligibili cose, e trovarvi qualche attaccatura per le sensibili per
quella via pero ch' ei puo, che Tunita divina sia termine dal quale ogni e
qualunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura senza confusione e senza
moltitudine; la mente poi e una certa moltitudine ordinatissima dell' Idee
stabile e eterna : la ragione dell' anima, moltitudine di notizie e di
argomenti, mobile si ma ordinata ; 1' opinione una moltitudine d' immagini
disordinate, e mobili: I'unita non solamente unisce le parti deU'anima tra
loro, e con tutta I'anima, ma eziandio tutta I'anima unisce con quella unita,
ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per lo
raggio della mente divina, le Idee di tutte le cose per la mente con atto
stabile contempera; in quanto ella si rivolge a se medesima, le ragioni
universali delle cose considera; in quanto ella risguarda i cor pi, le
particolari forme rivolta alia sede deir opinione, e si le immagini delle cose
mobili ricevute pe' sensi ; in quanto ella declina totalmente alia materia, usa
la natura per istrumento col quale muove essa materia e formala, onde le
generazioni, e gli augumenti, e i contrarii loro procedono. Innanzi dunque che
la mente da Dio ricevesse le Idee, a lui si accosto, e avanti che si accostasse
era la fiamma accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto
nella sua essenza, e prima che si accendesse aveva il divino raggio ricevuto
per conoscere la perfezione di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo
intendimento illuminasse, gia esso desiderio ardente al riguardamento di lui
medesimo si era rivolto : ora, come dice Ficino, il primo voltamento a Dio del
divino intelletto e '1 nascimento d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la
bellezza si e perfetta, primo raggio della Divina bonta, alia quale di pre
sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel lame, onde il me'
che si potea in questo mondo visibile impresse restassero, e adorne ; per si
fatta maniera traendola fuori della confusione del Gaos ; che impero fa
saggiamente creduto per entro al Caos essere stato locate Amore, accio che con
la saa yivifica fiamma e fulgidissima si rendesse maneggiabile la materia
corporea e dura, alia perfezione conducendola di si bell' opera, e si perche le
tenebre da lei discacciasse, e riducessela a quell' armonia e a quell' ordine
che fa essere 1' uni verso opera degna di chi 1' ha fatto. Ch'fe egli altro
dunque questo amore secondo Platone, se non quell' auima universale, o la
porzione primaria e piu perfetta di essa, ch' e's'immagina dalla natura del
Medesimo avere avuto suo cominciamento, e poi a intenzione di farla confacevole
e attiva a siffatte operazioni, diramarsi nel Diverse? Laonde della natura di
questo e di quelle essere stata insiememente composta; impercio te la veste
della luce corporea, la quale e' cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come si e
detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del mondo platonico non essere
salvo che amore, cioe a dire quell' appetite universale, quel caldo vivifico
disseminate nella natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime,
muove tutte quante le cose alia generazione continua, onde di mano in mano che
per la naturale mortalita di tutte le cose inferiori gl' individui periscono,
merce di esse amore rifacendosi, conservansi eternalmente le specie lore, e
mantiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio avviso Marco Tullio
nelle Questioni Accademiche, quando disse: Ex mtmdi ardore motus omnis oritur:
is autem ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte movetur; animus sit necesse
est, ex quo efficitur animantem esse mundum, Eccovi dunque in questo ardore del
mondo che anima il mondo, essere chiarissimamente spiegato amore. Per la qual
cosa non a torto s' immagino il divine filosofo esserci due Veneri, con esse
distinguendo le operazioni intelligibili dalle sensibili in quanto alia fattura
dell' universe ; ed esser genitrici di questi due amori, naturale e divine; la
prima Venere tutta adorna del divine fillgore, lo sparge alia seconda Venere;
la prima suUe ali del 'prime amore e rapita air in su a riguardare la bellezza
di Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pigliandone, il me'
ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con
essi, piu al simile che riuscir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi
mondani, aiutata a cio da quell' amore, che nell'anima universale risiede, e da
gli stimoli alia natura, e per tal via da questa Venere seconda raccolgonsi e
trasfondonsi le scintille, che schizzan fuori dal divino fuoco amoroso in tutti
i corpi del mondo, i quali per merito di quel lume riescono belli secondo la
capacita loro, e accendonsi di un ardentissimo appetite a tutte quante le
generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto sail Trimegisto) ch' egli affermo
proferirsi dalla voce del Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata questo
comandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe cose che sono, le
quali opere mie sono : col quale fiato amoroso e benefice impresse nella natura
e razionale e irrazionale gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo
alto volere. In prova di che Platone nel Convivio esplica cosi: Iddio nel
creare il mondo avere innestato in qualunque delle cose da lui create una tale
amorosa concupiscenza, che aspirando ad una certa simiglianza e congiugnimento
venissero con simili impulsi propagandosi a conservarsi perpetue : e pitt
abbasso seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende d' Amore) e cotanto
ammirando, si ritrova in tutte quante le cose, che si contengono nell' ampio
giro della natura universale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature,
e umane, e divine, e pero egli e grande, e molta, anzi tutta 1' intera
efficacia, in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che per tal conto i' appella
di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e
bellezze e avvenenze che dar si possono, e si di tutte le grazie, e di ogni
qualsisia desiderio e generazione ; e in somma 1' adornamento piu perfetto
degli uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli essere 1' istessa cosa che 1'
anima dell' universe, come altresi ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima
favellando : Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et
sapientissimam, virtutem esse genitricem subservire fabricatori Deo? Ora questa
Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti che amore? Anzi, per rendere
tanto maggiormente palese come per tutte le divine cose e piu alte amore si
spande, eccovi citato il Divinissimo Poeta nostro favellando del Paradiso : «
In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e lace lia per confine, » e
piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh'
e pura luce; Luce intellettual piena d' amore, Amor di vero ben pien di
letizia, Letizia che trascende ognl dolzore. » Di modo che e' si vede e nelle
cose naturali e nelle umane, e piu di ogni altro luogo e piu puramente nelle
cose divine, essere sparse amore. Imperfetto, — lo ho notato quel che dice
Trimegisto che mi ha fatto stupire, e sembrami, ch* e^ sia il crescUe et
multiplicate et replete terram secondo la divina favella. Buonaeeorsi, — E pero
quando il vero e vero, cioe quelle che ci par vero e veramente vero, gl'ingegni
di piu alto acume ci danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma
ritornando a questo Divino Amore, raccogliendo insieme tutto il discorso, puo
dirsi che per merito di questo amore primiero, in sentenza di cotanto grand'
uomo, tutte le fatture deir Universe, accese di si fatte faville, si volgano e
amino Dio ; le divisibili alP indivisibility suprema ansiosamente aspirando ;
le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia;
le sparse e disgiunte al lore piu desiderabile ricongiugnimento; le multiplici
e numerabiH alia perfezione dell' uno, cioe a dire conspirano tutte air unita
delP Universe, come il simulacro piu perfetto che mostrar si possa a' nostri
occhi del mondo divino ; per tal modo insomma, anche le cose indefinitamente
difformi al Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni innanzi si dipartono a
fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a
quello si studiano di far ritorno, si come a lore unico perfetto e sommo bene,
il quale reputano tutti quanti i Platonici esser posto nel centre di questo
circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi si partono, ed a lui
si ripercuetone qualunque volta per la colpa degli impedimenti di mezzo, piu e
meno materiali e corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via
prendane fuori del giro piu perfetto della ragione. Dafinio, — Qui correrebbe
piu bene 1' esempie del Sole constituite, secondo la sentenza Gopernicana, nel
mezzo del nestre sistema, che quindi spandende i raggi per tutto illumina piu
agevolmente tutte le cose, che per altra via. MagioUL — Non impediamo al signer
Gioseppe il corse del ragionamento, che e materia melto difficile.
Btionaccorsi. — E per cio quanto bene disse Apuleje, censiderande anch' egli
essere una sfera d' infinita retendit^ V essenza del tutte, nel cui centre
risedesse il divine Sole ad illurainamente e vivificamento continue di tutte
quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di quell' infinite amore alia
cemunicaziene de' sue' boni, essi vie piu adoperassero perfettamente, e mineri
impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle
piu lontane. Corpora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de Deo
capere, multoque minus qua ah illis sunt secunda, et ad hcec usque terrena pro
intervallorum modo ; ita Deum per omnia permeare ! Magiotti, — Ma Dante, in cui
al mio parere si trova ogni cosa, le ci esprime con evidenza grande, e nel
prime del Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche meglio: « La gloria di
Colui, che tutto move, Per r iiniverso penetra, e risplende In una parte piiif
e meno altrove. Nel ciel che piil della sua luce prende ec. E poi nel
ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de' Beati, vien poi alle cose
sensibili: che vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore, che
volge cioh la intelligenza, la quale ama il suo Creatore, e ardendo d^amore da
lui si parte e ritorna a lui: il che applica Dante, si come per amoro tiitte le
cose create da Dio si partono, e a lui ritornano, a) moto delI'universo e de'
celestiali cerchi dicendo nel Paradise: ^ « £ questo cielo non ha altro dove
Che la mente divina, in che s' accende L*amor che il volge e la virtti ch'ei
piove. » E dimostra poi che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com preso, il
quale non e se non luce ed amore, per il quale tutti i movimenti si ordinano de
gli altri Cieli, e poi il moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della
natura, il che si ricava dal resto di quel che dice il medesimo Poeta : c Luce
ed amor d' un cerchio lui comprende, Si come questo gli altri; e quel precinto
Colui che il cinge solamente intende. Non e suo moto per altro distinto; Ma gli
altri son misurati da questo, Si come diece da mezzo e da quinto.» Ghe vuol
dire, come questo Amore onde arde lo Empireo, senza aver moto da altri che da
Dio, mubve qualunque altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli
salvo che quelle operazioni che assegna il divino filosofo air anima del mondo
? Per si fatta dunque ragione, hen confessar si dee che amore sia veramente 1'
anima delr universe. Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V Areopagita medesimo :
« amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene in bene si rivolge; in
quanto Iddio e atto di tutte le cose, e quelle aumenta, dicesi bene; in quanto
le abbella e fa leggiadre, dicesi bellezza; si come bene, crea, regge, e
provede; si come bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. » Luigi, —
Gio e appunto quelle ch* i bramava di sapere, in qual modo stessero in Dio e
congiugnessersi insieme bonta e bellezza, e che legamento fosse tra loro.
MagioUL — La bonta infinita di tutte le cose h Iddio solo ; la belta e raggio
di Dio sparso in que cerchi che intorno a Dio, come centro loro, si volgono. D
Sommo Bene e la sopra eminente essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si e
che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante prima nella mente
sovrana, quindi nelP anima dell' universe, e nolle altre razionali anime, indi
nella natura e nella materia, e la perfezione interna genera quasi sempre la
perfezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza produce, e si pero la
bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa
belt^ esteriore T interna bonta alletta ad amare, e qualunque ama la bellezza
secondo il dovere, essa ne conduce gli amanti ad amar la bontade; per lo che
con giusta ragione da Platone amore si appella (come che in sostanza e' sia
desiderio di bellezza), bellissimo, e ottimo, e per cio donatore di tutti i
beni a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le spezie di
tutte quante le cose. Ecco nella mente divina dipigne I'Idee, ove il raggio e
nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i semi, e
nella materia le forme, nolle quali cose esso splendore viene di cerchio in
cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera
immediatamente, le cose perfettissime sono: V Fer6 se 11 caldo amor la chiara
vista Delia prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la perfezion quivi s' acquista.
» Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose desiderano, come
detto si e, e nella cui possessione tutte si abbellano, tutte si contentano, e
quindi 1' amore in qualunque creatura si accende, concedendo Iddio lume del
vero a gli animali razionali, e fuoco di carita, il quale va sempre crescendo,
come il Poeta stesso : « Lo raggio della grazia, onde s' accende Yerace amore,
e che poi cresue amando. E in un altro luogo, ec. « Perch e s' accrescera ci6
che ne dona Di gratuito lame il sommo Bene; Lume che a lui yeder ne condiziona:
» il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo mantenendo vivo
col vero amore questo lame della grazia, finche chiamati siamo a lui per
goderloci a occhi veggenti. Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino
sole sempre a tutte le cose con la sua presenza da conforto, vita e perfezione,
e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere.
Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre principii del mondo, signori di tre
ordini, Iddio, la mente, e ranima, cui rispondono le spezie divine; idea,
ragioni e semi. Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e esse con la
bellezza loro richiamino la mente in Dio; le ragioni intomo alia mente, perche
elle si conducano per la mente nelFanima, e si addirizzino Tanima alia mente. I
semi circa all' anima, impero ch^ mediante V anima passino nella natura, e
dalla natura con V ordine e con 1' armooia si richiamino alle operazioni dell'
anima. Per lo medesimo ordine poi dalla natura nella materia discendono le
forme; ma queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse
prendono il diritto loro, e con esso T ordine deir anima alP Idee, e per queste
all' unita prima si vadano accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si
e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose divine ed eterne, con le
temporali e sensibili; e quindi da qaesti quattrp circoli riflettono gli
splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro ch'
e Iddio : e'l primo amore da tali splendori acceso, da moto e attitudine a
tutte quante ie operazioni dell' universo, o vegetabili, o sensibili, o
razionali ; le Idee, le ragioni, e' semi, che per via di quest' amore, di
quest' Anima universale discendono nella natura, e secondo il luogo dove
discendendo si posano, mutan nome, sono ie cose vere, ma le forme poacia
de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere. Ora chiunque queste attentamente
rigaarda, puote ammirare ed amar quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi
il divino fulgore, e per esso sale ad amare Iddio stesso; e come diceste,
signer Grioseppe, niuno amatore amando si satolla per qualunque conseguimento
qua tra noi di ogni bellezza che sia, impercio che quel che e' vorrebbe non
conseguisce, 1' occulto sapore della Divinita gli amanti non assaggiano,
quantunque ne sentano suavissimo odore, che gli alletta ad amarlo. E cosi per
questa fragranza si appetisce il sapore nascoso, ma sovente non sappiamo, ne
ravvisiamo in che, che e^ si sia. Quel, fulgore della Divinita che risplende
nel corpo bello costrigne gli amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come
statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa delr originale, e pero non
veramente la materia corporea si ama, come di sopra ne avvertiste, ma la divina
belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella cosa amata (dice
Marsilio) perche in quelP atto amoroso senza saperlo appetisce di farsi Iddio.
Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si
trasformano in quel che e' vorrebbono; percio che vogliono, e non sanno quel
che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza
delP animo, non usa bene la dignita di amore ; conci6 sia cosa che la belta
corporale sia splendore neir omamento di colori e di linee che agevolmente si
cancellano e oscuransi; quella delPanima risplende nella consonanza delle
scienze e de' costumi, che sono imitamenti piu al vivo della divina sembianza.
Lo splendore del volto divino nelle sopraddette cose e 1' universale della
bellezza, I'appetito che a quelle si volge e I'uni versale di amore, e quindi
si deriva poi il particolare amore a particolar bellezza, la quale nella
convenienza deUe parti con esso i nostri occhi, che la mirano in un modo a
questo, e in un mode a quelle consiste, e nella approvazione che da noi se ne
fa col desiderarne V acquisto, nasce il particolare amore, che per ci6
scambiano tal volta gli uomini, se non ci badano diligentemente, o che non
abbiano le vere seste ne gli occhi lore, la bellezza vera dalla falsa, e '1
riflesso dal lame. Per lo che Delia mente delF uomo e situato da Dio un eterno
amore di vedere e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU della
particolare, sed essa non ci abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle virtu e
appetiamo la sapienza, che sono i pin be' ritratti di Dio e di piu perfetta
maniera. Per guisa che Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L' animo dell'
Uomo desidera intendere le cose divine, riguardando in qneUe che a lui sono piu
propinque, e a tal cagione amore secondo lui e interpetre e mezzano per far
trasvolare le umane alle divine cose, e far discendere le divine a noi; » il
che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim divina aA nos, e quindi con somma
ragione appellasi amore un mezzo tra le cose mortali e le immortali. II raggio
di qualunque bellezza (come bellezza e\V e) discende innanzi da Dio, poi
trapassa nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per
materia di vetro, e dall^ anima passa nel corpo, preparato a ricevere tal
raggio, e da esso corpo formoso trainee fuori massime per gli occhi come per
trasparenti finestre, e da essi penetrando negli occhi, che in quelli
riscontrano, per quegli ferisce V anima e acceudevi lo appetite, e r anima
ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene
qualunque volta il ricondace a quelle alto luogo, onde il primo raggio discese
pe' gradi del corpo della cosa bella ed amata alia bellezza dell' anima di essa
cosa amata, di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ultimo a Dio, ch'e lo
splendor primario, e Pe tutto insieme di ogni bello che sia. E per quale altra
cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le altre belle
fattezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno h invitato a
penetrare fin entro alle bellezze dell' anima, e qaindi risalire a Dio, e non
terminare lo appetito solamente nella superficie corporea? Udite il Petrarca
com'e'favella quando e'ragiona de gli occhi: « P«r divina bellezza indarno mira
Chi g\i occhi di costei gia mai non vide Gome soayemente ella gli gira.» E
nelle canzoni Degli Occhi: « Gontar porria quel che le due divine Luci sentir
mi fanno. » E nell^ ultima : e quel che segue, sempre discorrendo sopra gli effetti
am-^ mirabili di questo Giove per lo giovamento e beneficenza ch' e' rende al
tutto, ma per via di questo amore di quest' anima dell'universo; laonde amore,
ch'e della sostanza di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e il lume piu
puro dell' anima, o e T anima stessa del mondo, la quale ordina, unisce, e
mantiene immortale la natura delle cose mortali, perche per se morendo tutte,
sua merce tutte si ringiovaniscono e si si risuscitano ; cosi per virtu di
quest' anima universale, dico di questo ferventissimo amore dal Medesimo, cioe
dal sommo bene^ tanti bem al Diverso comunicabili si fanno, e quindi al
Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di
verso, e dal Diverso nel Medesimo, con perpetua amorosa circolazione ritornano,
e percio o r anima del mondo e ripiena di amore, o T amore e r anima egli del
mondo, come mirabilmente disse Torquato Tasso, in quel suo sonetto esplicando
in pochi versi quasi tutta la nostra dottrina. « Amore alma e del mondo amore h
mente Che volge in ciel per corso obliquo il sole, E degli erranti Dei Palte
carole Bende al celeste suon veloci o lento. L^aria, ]' acqua, la terra, il
foco ardente Misto a' gran membri dellMmmensa mole Nudre il suo spirto, e s'
uom s' allegra, o duole Ei n' e cagiono, o speri anco o pavente. Pur, benche
tutto crei, tutto governi E per tutto risplenda, e 'n tutto spiri, Fiti spiega
in noi di sua possanza Amore; E, disdegnando i cerchi alti, e supemi, Fosto ha
la reggia sua ne* dolci giri Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core.
» Amore e dunque esso 1' anima dell' universo, perche qualunque desiderio che
si accende in tutte quante le creature di ogni sorta ch' elle si sieno, quale
appetito che sia il quale regna nel tutto e nelle sue parti e si nelle specie e
negli individui del mondo, ha suo primo impulso da quelle incentivo sovrano che
ci muove ed eccita al godimento del buono perfetto, conciosiacosa che tutti i
beni comparativi, che veramente beni sono, dal superlativo del sommo bene ne
piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano, e pigliano i mali
per beni, cio non da amore, che non erra nel suo fine, ma nasce da noi, e dalla
nostra imperfetta e cieca natura, i quali scompigliando co' fiati delle
disordiaate passioni quelle faville, te le deviano dal vero riflesso loro, cioe
dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavillarono da prima,
scambiandolo col falso bene, che bene ci rassembra, impercio che noi non
sappiamo alzarci dalle terrene cose, ed in queste fermando il pensiero non come
mali, ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia esserci noi
troppo distesamente dilungati dal filo ; ma se amore e veramente I'Anima dell'
Universo, o Fanima di quest' anima, sara stata simile proposizione parte
principale, e molto ben fondata, e non digressione dell' incominciato
ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi par'egli che il concetto di
quest' Anima universale, di questo amore, che da moto, regge, e mantiene, e
ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle
generazioni, e della conservazione di tutte le spezie, e dell' universo
medesimo, sia una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del
quale poco fa discorse si altamente il nostro Magiotti ? MagioUu — E quello che
ha proferito con si sovrano ragionamento il signor Gioseppe, e spezialmente la
difinizione cotanto sottile ed arguta ch'egli ha seco medesimo pensato intorno
alia differenza che dar si possa tra questo amore, e 1' anima del mondo, quanto
perfettamente si adatta al divino spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter
essere per awentura questo amore quella porzione del1' Anima Platonica,
solamente nel Medesimo consistente, e il fiore per cosi dire di essa Anima. Ora
se Platone non imbrattasse per un certo modo la sua anima con esso il
componimento del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del
Medesimo solamente fatto, che ci averebb'egli da ridire, perche e' non fosse
tutt' una col nostro divino spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a
tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e degli aiuti soprani
? Quanto poco e mancato a Platone a non dir tutto vero? Dafinio, A questo modo
Platone con altri vocaboli avra quasi senza errare intesa e espostane la
Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio lume, ell' e intelligenza piu che da
uomo. MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi
intendere salvo cbe su '1 fondamento del credere, e chi presume piii oltre e
matto, come disse il nostro Dante: Puossi egli dir piu? Ma e' non seppero
perfezionare questi Platonici il concetto intero delle tre persone e un solo
Iddio, nel modo, ch' «lle sono, impercio che, come bene osserva il cardinale
Bessarione, seppe Plato ne riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo
divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita
sapienza, siccome figliolo seco coetemo ed ngaale, e come della medesima natura
chiam5 la divina sostanza col vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse
poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima deir universo al divino
spirito, facendola staccare si dalla sustanza del Medesimo ; ma rinvolgendola
nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo
componimento, e percio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al suo
Divino intelletto; e questo impercio cbe tra due cose tra se per si grande
intervallo distanti, e di disuguaglianza infinita, reputo convenirci, per
necessita, de^mezzi, n^ potette capire che la Divinitli pura ed intera tra le
cose corporali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se differenti e
lontane, senza patire macchia o difetto, e percio stimo r anima composta dell'
uno e delP altro, accio che fosse mezzana per traportare la ragione ad
armon^zzare e perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a
conoscere che la purita, semplicita e chiarezza perfetta, quale ella e in Dio,
non teme ombra, o contaminamento da veruna cosa che sia. Periculum status sui
Deo nuUum est, disse Tertulliano. Buonaccorsi. — V noto che Ermete si approssima
alia verita nostra piii che cioe a dire dell' essere divino, e della TrinitJi
delle persone. Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante, nel
Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch' esprima bene, e nel quale discorrendo
della Trinitib specifica in ultimo lo Spirito Santo: « Nella profonda e chiara
snsslstenza Dell* alto lume parremi tre giri Di tre colon e d'una contenenza: E
run dairaltro, come Iri da Iri, Parea reflesso, e il terzo parea fuoco Che
quinci e qaindi egualmente si spiri. » Con esso il ben fondato appoggio della
fede, che si contenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire cose
altissime intorno ietlla Trinita ; ma gli altri che fondano il loro sapere
tutto su lo intendere, salgano pure in su quanto si vogliano, che ognun di loro
in qualche parte vacilla; impercio che non ha si gran seno la nostra
comprensione. MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto piglia equivoco, e non
si dichiara bene in quel suo elevatissimo presupposto, e Platone non resta
capace che un Dio possa adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e
all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde e^ s^ immagina quest' anima
composta del Medesimo e del Diverso, e svaria dalla verita, che in noi
s^innesta per grazia e per merito della fede. Imperfetto, — Ma che vuol dire
che la Genesi ancora mette che Iddio spendesse sei giorni neUa creazione dell'
Universo, e il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete, non s'
incominci6 egli a computare dopo la creazione, cioe a dire I'ordine successivo
de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane
del Sole? e poi sempre sete venuto affermando per cosa indubitabile che Iddio
onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di
atti nel suo adoperare, contrario a quelle che pone il Timeo. BuonaccorsL —
Iddio con sua onnipotente mano opera in uno istante, dico col suo Verbo
onnipotente nel modo che ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il
sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha fabbricato il mondo. II suo
Verbo dunque con un atto solo indivisibile per5 e' fa tutto. Imperfetto. — Ora
dunque che cosa vuol' ella dire la Genesi cental divisione di giorni, che
suppongono atti diversi? Ella ne pone pure una verita infallibile ? E poi dice
che Iddio si riposasse: puo capire in un Dio la fatica, la lassezza e perci5 V
aver uopo di quieto ? Saracci sotto qualche mistero. Buonaccorsi. — Cio dice la
Scrittura, non perche Dio operi con atti distinti, ma perche delP ubo de gli
atti distinti abbisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua e
cotanto immensa di un Dio ; e pero la Scrittura, e per avventura Dio medesimo
nella creazione del mondo, e del tempo, si accomodo al nostro modo, e alle
misure che capiamo noi. Dafinio, — Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto pel
medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali sono le alte condizioni
dell' onnipotenza divina, e per tale effetto le assegnasse le nostre a farci
intendere il suo mo' di operare. Magiotti. — Non dico ch' e' non possa essere,
ma e' non e in verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a quello
che si arriva solamente con la iidata scorta della grazia e del lume divino,
che per Y acquisto di una tal yerita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non
si puo gia mai acquistare per natura, o per istudio. £' giunse pur troppo
innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma non potette, ne seppe dare
il suo legittimo e giusto peso alia divina onnipotenza, e per quanto e' si
alzasse con le misure, non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie; e
pero ne parla il filosofo nostro come s' ella avesse bisogno di un' operatrice
sotto di lei a fare andare con ordine il mondo, e farlo vivere vita perpetua,
quasi Iddio disagiare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio, quando
dovesse adoprare da se, ne gli bastasse il vigore del suo divino sermone quando
disse per stabilir di pianta in un attimo I'Universo intero, si come e'fe', e
si farlo camminare con ragione in virtu di quell' editto irrevocabile che e impermutabile
legge ed eterna della sua volonta. Cambise, Xerse e Dario, come considera
Apulejo, standosene come serrati in un Tempio nella Citta capitale de' loro
reami a render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e
autorevoie la loro potenza, faceano abbidire prontamente, e senza disdetta
veruna le leggi loro per Tampiezza de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di
Spagna ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un
mondo; ed hassi a dabitare se un Dio immobile e perfetto per sua natura possa,
senza muoversi, con an volger di ciglio reggere e moderare il governo delP
Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli eserciti di
presente, ciascuno per ciascuno, si mette all' opera di quello gli si
appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli ordini del loro generale, e
pure le leggi de gli uomini imperfette sono e mutabili a capriccio dei
Principi, e o per ribellione de'popoli alterar si possono, o perche non da
tutti s' intendano ; e la voce sonora della Divina parola non si ha da udire
per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non variano, e che sono di
infinita luce e chiarezza, come affermano i sacri proverbi : mandatum Domini
lucema est, et lex lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir possono alterazione o
dubbiezza ; hassi a mettere in disputa s' essi s' odano a un tratto per tutto,
e non si esegyiscano dalla natura e da tutte le minime parti del tutto, senza
ch'egli si abbia a muovere dal suo altissimo Trono per farle eseguire ? e che
perci6 se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per ministro
subordinato, come si e V anima del mondo, accio che ella vada ad ogni minima
particella di esso portandole gli ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di
potenza, di augustissima specie, Genitore delP immortalita e la virtu stessa di
tutte quante le virtu, la cui legge sola h perfetta, e impermutabile, per cui
tutti quanti i semi fanno le special! operazioni loro nelle nature diverse di
tutte le cose ; e i Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre stelle, con le
loro speciali revoluzioni si volgono per la medesima con tanto ordine, e regola
bene armonizzata e distinta? Non perche dunque Iddio fosse bisognevole di tempi
e di atti diversi, ma a maggiore intelligenza nostra, la Sacra Scrittura divise
in piu atti un atto solo del divino adoprare^ e in piu tempi la sua operazione
instantanea, dicendo che Iddio e il suo alto intendimento conobbe di far cosa
buona, e conosciutala delibero con esso la volont^, e deliberatala col suo
Verbo e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa, nella divina settimana
per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad
intendere, essendo necessarie si fatte misure a noi per capire quel che non e
da noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per qual ragione noi abbiamo da
a£fermare che Platone non Tabbia fatto al medesimo fine, con diverso modo dal
nostro. Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor che Divino veramente
chiamar si debba, parlando cose che il tacere e bello, non poteva senza lume soprannaturale,
onde ha privilegiato solamente i suoi fedeli la Divina prowidenza^ per quanto
e' si sollevasse alle piu alte cime, non poteva mai, dico, si a dentro
penetrare, come noi facciamo con la fede, nella cognizione imperscrutabile
della divina onnipotenza ; e si camminava, e vi saliva tentoni, e non era atto
a spiccare nn volo sicuro si come riesce a noi illustrati da si chiaro
fiilgore. E poi Platone non averebbe formata Tanima inferiore, come si h detto,
rendendone per ragione ch'ella dovesse mescolarsi dove non conveniva si
permischiasse Iddio, e perche in somma non capiva benissimo qnello che
veramente fosse Iddio; imper6 egli reputo necessaria qnesta anima fatta si da
Dio^ ma disseparata da lui per la forma* zione del mondo, non potendo rimaner
capace che la sovrana parity della divina essenza dovesse mettersi in risico di
macolarsi in fra le cose nostre inferiori, e cio e impossibile scorgere cosi
per V appnnto il vero, si come egli e ancora che dinanzi a gli occhi de^
mortali se ne spanda il lustro ed una vivace splendenza. Dafinio, — Se Apulejo
T intend' egli, perche tal cosa di una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da
capire Platone ingegno divino? Buonaccorsi, — E per questo convien confessare
che ana si ampia materia, a si alta, che si distende in vie piii largo, ed
immenso spazio, ohe il seno non e delle menti nostre, avendo colmo, per grande
e spazioso ch' (b' fosse, quello del nostro divino filosofo, nel volerlo
abbracciare e comprendere UQ tal concetto tutto insieme, e ben verisimile che
glie ne scappasse fuori qualche particella, ancor che atta ad ogni capacita,
introducendovela sola, nel mpdo che poche gocciole di acqua son quelle che
fanno traboccare il vaso quando egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta
mente Platonica quanto ella poteva di si larga e strabondevole e infinita
materia; ma perche essa mente era finita, non la potette capire e rattener
tutta ; o si pure egli e ragionevole di credere, ch' egli avesse lette e
studiate le sacre pagine di si alta proposizione, e per farsela sua fosse
constretto a mutar qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse quello, e si
abbatte a dire il vero, ma non giunse poi tant^oltre a un gran pezzo quanto
Platone, e il meglio 11 tolse da lui. Imperfetto, — Egli e certo che la verita
si fa lume da Be, ma e cosi grande e cosi lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne
abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra quel luogo del
Vangelo: per Verhum Dei facta sunt omnia, in questa maniera ? Inveniuntur
ista et in libris Philosophorum, et quia unigenitum habet Deus per quern facta
sunt omnia, illud potuerunt videre quid est^ sed viderunt de longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario,
impercioche per qual maniera ci6 sia, o ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o
no, e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si
pu5 dire ch' e' si tocchino V un V altro con un sottilissimo confine. Ita ....
finitima sunt falsa veris, disse Marco TuUio; e Dante: € Cos! parlar conviensi
al vostro ingegno, Perocche solo da sensato apprende Ci6 che fa poscia d'
intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia
altro che questo, e pero secondo il declive che le cose incontrano, per varie
sorte di canali e secondo le forze e le resistenze in che elle si awengano, V
una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti nella natura, e air insu,
e all' ingiu, e pe' lati, e non V ho per cosa soprannaturale, e che quindi poi
ne vengano gV impulsi alle sensibili cose : ma egli e che noi altri uomini
abbiamo questo mode di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una
cosa, o noi siamo cotanto temerarj che, perch6 noi non V intendiamo, la
neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo nna cagione sopra naturale, senza
sapere quelche ella si sia per quietarci nella nostra insaziabile curiositade;
tratto di coteste cose del moto, perche in che modo stieno i movimenti delP
anima imraortale e di sovrana fattura, ancor che io vi opponga per mantenere il
discorso, e investigare meglio il vero; io so e credo quel che io debbo credere;
ma che da noi si possa giugnere col nostro intendere per le vie cbe voi fate,
oh ! questo io T ho quasi per impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse quel che
voi dite, pur ci vorrebbe un geometra perfettissimo, e sopra le cose nostre
inferior!, il quale avesse saputo con sopra natural maestria fabbricare e
situare questi canali e queste vie col loro debito declive maggiore, o minore,
e posto a^ lor luoghi si ordinatamente, e dato a tutte le variety degli umori
che vi debbono scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non solamente nell'
universe, ma anche nel microscomo camminar si veggono tutte quante le cose con
ordine, e proporzibne, e tanti moti di vita non cessar mai finche e^n6n si
muore. Ma pure dope morte finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si
scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma perduto il
raoto, adunque, questi movimenti maravigliosi non hanno 1' impulso loro dal
declive, quantunque forse il declive gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ;
e pero e' convien credere cbe r anima abbia sospinta, e con altra forza
sospinga e muova le cose, che con quella cbe voi dite ; e s' ella venisse d*
onde voi mi date ad intendere, le maestranze appareccbiate con ordine, e con
regola cotanto eaatta, non sarieno da cagione corporea, ma da cagione
intellettuale e divina, cb' e principio universale di moto, perch' essa e
quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose a pigliare il moto ed
operare con tant^ proporzione e virtu. Bafinio. — Anche le anime vegetative, e
le sensitive averanno a vostra detta il loro movimento da Dio. Adunque anch*
esse immortali saranno ? Magiotti. In sentenza platonica (contradicendo per6 in
qualche piccola parte a Platone) egli e assai agevole a sopire la vostra
dificult^, impercio che si come le anime razionali adoperano in virtu di quel
moto, vita, e azione, innestato dal Supremo Arteiice per entro la sustanza loro
perfetta, intera e incorporea per impulso di forza infinita; cosi il moto loro
(come detto si e) e si la vita e 1' azione loro viene a essere perpetua e
immortale ; ma nell' anime irrazionali, le quali pare che Platone abbia anch'
esse per immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il lor moto,
la lor vita, e la loro azione dall' anima universale riceve lo impulso, il
quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova
addirsi alia disposizione varia de' temperamenti e degli organi che hanno da
muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la
vegetabilita insieme congiunta; imperocche esso movimento delF anima universale
da sospinta alia disposizione delle parti official! de^ corpi, e inducevi la
vegetazione, e^ sensi per il modo che noi veggiamo ; e que8ta puo cbiamarsi
sustanza mliteriale, e corporea, perche quest' anima vegetabile, e sensibile,
non e anima da s^ senza essi organi, e disposizioni che concorrono insieme all'
azione 6 alia vita, e mancando e morendo gli individui, e disfacendosi la
struttura de gli organi loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto si bene ordinato
dalla ragione e dal movimento dell' anima del mondo, finisce di esser anima
propria, e rimane nell'universale componimento dell'anima del mondo. Ma ne
anche ^ difficile il rispondervi nella vera nostra dottrina: impercio che l6
anime razionali ricevono I'impressione de'moti loro dalla forza infinita della
mano divina, quando ella le crea sustanziali, e incorporee, allor che finito di
fare il feto, informano il suo corpo, e perche il moto, la vita^ e le azioni
loro sono totalmente nell' anima, e dalla disposizione di esse membra organali
anzi ricevono impedin^ento e contradizione, che sveltezza e sussidio a' lor
moti divini. Essa anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha fuori di essi
piu libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio, anche morendo i corpi, ella
vive immortale. Le anime vegetative poi, e )o sensibili corporee sono si come
detto si e; concio sia che la parte della vita e dell' azione loro consiste
nell' attitudine e positura corporale organica, e ne' temperament! varj degli
umori composti insieme, e parte nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo e
disposizione atta a riceverlo, tra '1 temperamento degli umori, tra la
disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro per un modo o
per 1' altro dal moto assegnato alia natura da Dio; e percio esse anime per tal
maniera ricevon potenza di vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la
madre natura per compartirle di raano in mano alle nascenti cose, e succedenti
V una dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo moto, che s' infonde ne'
corpi dal ventre della terra, ond' egU esce, e dagl' impulsi delle operazioni
natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne mena seco, e con fluidezza e agib'ta
indicibile per essi organ! discorrendo in varie guise, rende vivificazione continua
e accrescimento nelle vegetabili creature, e un eccitamento di senso nelle
sensibili, per quel sovrano modo che da noi non s^ intende ; ed essendo esse
anime e formandosi per loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento
corporeo che le racchiude; corporali e materiali si chiamano, perche per se
nulla non sono senz' essi corpicelli bene accordati a ricevere il moto nel
corpo maggiore dell' individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare si
e, come Yoi abbiate a mente tanti e si be' luoghi trovati anche negli autori di
piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di
quell* uomo esimio di Socrate, se ne leggono molti, e n^* Apologia^ e nel
Fedone, e non solo per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far
conoscere la necessita del Purgatorio, e del Paradiso, e deir Inferno ; e
avvegna che con qualche differenza da quel che veramente e' sono, pure ebbe
talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto con
favolose invenzioni, Socrate ne ha favellato da senno nel punto della sua
morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando
dietro a favole finte. lo so che questi sono luoghi letti, riletti, e
considerati da tutti noi piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito,
ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io me ne piglio Tassunto, e vovegli
tutti recitare da capo per maggiore autentica di quelle che ha ragionato si
dottamente Don Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io
vo'contarvi cio che viene ragionando nel Fedone con singolare e sagacissima
saviezza, per rendere s^ medesimo persuaso dell' immortalita dell' anima in
quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all' anime de gli
uomini luoghi appropriati secondo i meriti fabbricatisi nella vita di qua;
seutite di grazia. Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo piii alto della
sua sfera in questa superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi noi, e tutti quanti
gli altri sog^ornare nelle cavitk della ten*a, e tale essere queste regioni,
dove noi abitiamo, imperci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra
superficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da noi
chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che 1' aere non e ne'confini del cielo; verbigrazia
(che so io?) in quella purissima e lucidissima sostan^a che etere si appella; e
di quaggiu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi il Sole e gli
astri, si come anche in questi bassi paesi tante belle e maravigliose fatture
isguardando variate con tanti e si diversi colori, che in queste nostre
abitazioni si perfette ci paiono, niuna di loro aver che fare con le piu
eccelse ch' e' si vien figurando lassu, ed essere queste imperfettissime e
impurissime in agguaglio di quelle, che si vedrebbero da chiunque si potesse
fermare su Tali in que'superni luoghi, ed ivi mirasse quelle onde son ricavate
queste, che scorgerebbe e quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende
manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni comparazione beUissimi sopra
qualunque di queste, che corrono agli occhi di noi altri mortali abitanti in si
fatte concavitadi. £ cio con molta maggior differenza di quel che si facessero
i Pesci dal fondo del mare, i quali per entro quelle arene e pantanose caverne,
non avendo volo da alzarsi su la superficie deir acque, ne vita da reggervi,
mirano i raggi del Sole e delle steUe penetranti giu per lo filo dell' onde
tutti annacquati, e adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmaginassero di
simiglievole maniera essere veramente le stelle, e il Sole, quali eglino le
scorgono di colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo piurae da travolare sopra
quelP etere, abbacinati standocene entro V umidore grossolano di questi vapori,
ci crediamo la luce del Sole e le altre cose belle, che lassti scintillano^ non
essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In
quelle altissime piagge, adunque, e le piante, e tutti quanti i germogli, e le
cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e Don a mutatnenti
suggette e a corruzioni in verun conto che sia; e le gemme piii preziose di
qua, e' Topazii, e' Rubini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di
piii alto pregio, essere la feccia piii impura di quelle che lassii si
ritrovano; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili cose essere adorne, e
di oro, e di argento, e di altre simiglianti chiarissime e lucidissime sopra
ogni vostro credere e conoscimento, che quivi nascono e piii perfettamente si
conservano, per guisa che a vederle e a goderle sia veramente uno spettacolo d'
incomparabile godimento^ e beatitudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e
creature ragionevoli, molte di piii schietto intendimento, che qua tra di noi
non sono, e di tanto in tanto avervi delP Isole, le quali non lungi poste da
terraferma sono circondate dall'aere, conciosia cosa che quello, ch'e a noi e
alle nostre Pacqua e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine tutto la
ritrovarsi temperatissimo, e per le stagioni, e per Taure che vi spirano, e
vivervi quelle fortunate genti di continuo senza ammalarsi, e forse senza
morire. Di piii giudica che vi si scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e
con esso gli Dei medesimi convivere gli uomini, e conversare domesticamente.
Imperfetio. — Mi rassembra che Socrate quasi tenga che tali maravigliose e
ragguardevoli regioni sieno i pianeti e gli astri, dove appunto Platone colloca
la dimora delP anime, assegnata loro quando da Dio dopo V anima universale si
formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo lunghe
peregrinazioni facciano ritorno. Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per
entro tutta questa gran terra si trovino innumerabili concavita di luoghi
circolari, parte piii profondi e parte piii alti, e piii ampi, e parte che
abbiano apertura e spazii eziandio minori di quelli, che abbiamo noi, e piii
cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente tra
loro, con varii andamenti ed uscite ; pe^ quali e grandi acque, dove
caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di
esse sotterranee spelonche muoversi e raggirarsi; e in altre di esse cavity
credono che umori fangosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn
ondeggiando, a simiglianza di uno qualcbe gran Taso pensile che si agiti 6
muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine favellando, che \k sotto
dimori, la quale per tntta quanta Tampiezza entro terra trapassa e distendesi,
mostra che da Omero fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e da molti
altri Poeti nominata Tartaro, nel quale tutti i fiumi sotterranei concorrono, e
indi si spandono, ed esconne ad innafQare la superficie nostra terrestre in
mari, in laghi, in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con Faria e co'
fiati interiori, come anche col movimento interne di queste acque, formarsene i
venti, i turbini, e terremoti, che scaotono la terra; e di tal sorta di acque
tiene parimente che sia Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il
Piriflegetonte, e Cocito. Ora essendo per tal maniera disposte si fatte cose, e
sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove dal suo proprio demone ciascnno si
conduce, quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono secondo loro meriti, o
demeriti di chi visse onestamente, e con dirittura di ragione, o di chi fe' il
contrario. Coloro, che tennero, vivendo, una mezzana via, valicando Acheronte
sopra alcuni carri, pervengono alia Palude Acherusia, e quivi si purgano dalle
colpe loro, pene patendo pari aUor falli. Purificati poscia^ assoluti
rimangono, e ciascun di loro a proporzione delle opere buone e lodevoli ne
riportano condegna mercede. Ma queUi i quali nella malattia e putredine delle
enormita de' delitti di varie sorte insanabili sono, precipitano nel Tartaro,
d'onde mai non ritornano. Alcuni poi, che peccati avranno commesso curabili, ma
grandi, per essere prima venuti a pentimento, caderanno si nel Tartaro, e
condannati sarannovi per un anno o piu ; ma poi da quell' onde gittati fuori^
quali per lo Gocito, come i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte, come i
violatori del Padre e della Madre, solamente che pentiti e' ne fieno, vengono a
galla su la Palude Acherusia, di dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^
tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a lasciargli varcar la Palude, ed essere
da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine a' lor mali; quando
che no, nel Tartaro rigettati sono, si dura pena imponendo loro i Giudici. Ma
gli uomini pii e giusti trasvolano a piu alte regioni, abitando quelle beate
Provincie, e purissime, che abbiam detto starsi cotanto sopra terra; e
parimente quelli, che avendo in molte loro opere fallito, si sieno dipoi
sufficientemente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi
vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore anche piii belle delle sopramentovate,
le cui maravigliose bellezze non e facile ad uomo di dimostrare : « e pero
(dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e conseguir la
virtu, e la sapienza, perciocche bellissimo e 'I premio e di gran cose si e la
speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera,
non e da uomo di senno r affermarlo : nulla di meno si convien credere, o che
tali elle sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse
simiglianti; e conciosia cosa che egli appaja con tanta verisimilitadine che le
anime nostre sieno immortali, mette conto correre un si bel risico. Egli e
adunque ragionevole munirsi ed allestirsi a questa peregrinazione, ed
abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza, della giustizia,
della fortezza, della liberty dell'anima, e della scienza della verita,
aspettando il tempo ed apparecchiandosi per essere pronto quando ne chiami il
fato.» Di si fatte considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne
prerogative aveva poco innanzi Socrate per tal modo ragionato, quantunque non con
certezza indubitabile di affermativa, siccome colui che per altissima
immaginazione naturale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ; diceva
bene, che tutto quello, il quale intorno a ci5 si discorre, saria di animo
troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e
da esso si dipartisse senz' avere innanzi, con ogni acutezza di ragione,
adoperati tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino
all' ultimo sforzo del nostro intendere. « Impercioch6 (segue poi) fa di
mestieri I'una delle due, o apprendere in qual modo elle possano essere, o
rinvenirne totalmente il vero, e dove qaesto conseguir non si possa,
appoggiarsi ad una delle pin forti e piu stabili ragioni umane cbe se ue
abbiano, scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne debbasi percio
rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di essa portati come sopra un legno
de* meno gelosi, valichiamo per le difficultose tempeste il mare di questa
vita, mentre non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode, quasi
un piu fermo yeicolo che ne conduca; come sarebbe a dire, qualcbe divina
parola, la quale piu sicuramente, e con minor risico lo ci faccia trapassare ;»
la qual divina parola si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia di udire a
noi introducendone nel Porto della verita, con esso grirrefragabili
insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe dite di qnesto filosofo esimio, che
tanto s' inoltro col lume della natura solamente, a scorgere i lumi della fede?
Ma piu eziandio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra vita in
quel discorso antecedente al Fedane, dov* e' forma la propria apologia: ivi
dopo aver fatto suo calculo di quel che torni meglio immaginarsi intorno alia
morte, considera brevemente quello che awerrebbe quando di la non ci fosse
nulla, il che non ammette in verun conto per credibile; e viene poi discorrendo
cosi della beatitudine delle cose di lit: «S* egli e vero, si come io credo,
che la morte sia an passaggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e
vivono i defunti; ci6 h molto piti desiderabile e foi*tanato, uscendo gli
uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e
tengonsi per giudici, per condurci dinanzi a quegli che veramente Giudici si
nominano e giastissimi Giudici sono, i quali temperano colli e correggono tutti
i Giudici fatti qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto, ed £aco, e Trittolemo, e
tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E
simigliante trasmigrazione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi a
conversare con Orfeo, con Museo, con Esiodo, con Omero e con tanti e tanti
altri santi e valorosi uomini, e un tale stato non e da anteporre a questo,
dove noi oggi dimoriamo? Che consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd da
Palamede, da Ajace figliuolo di Telamone, e da si grand! soggetti fatti rei a
torto per la nequizia de* Giudici nostri, paiagonando insieme il mio caso co'
loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano senza errare
chi da yero e sapiente, o chi lo si crede di essere e poi non sia, 6 udire
schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i
pareri non e ella questa una scuola di perfetta sapienza? Ne e pericolo che vi
si moia, ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per
tutto '1 tempo perpetuo essere immortali. Per la qual cosa torua conto pigliare
gioconda speranza della morte ; e questo seco medesimo reputare per vero, e per
infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a gli uomini da bene, o
vivi, o morti, ne tal cosa per yeruna maniera che sia da gli Dii porsi in non
cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere. »
Imperfetto. — Ma della trasmigrazione dell' anime destinate a purgarsi ne'corpi
degP irrazionali, io non odo ch'e ne dica nulla? MagioUL — Platone ne fayella e
nella fine del Timeo, e da molti altri luoghi si ricaya ch'egli si fatto
sentimento ayea come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui il
quale scorgeya la yerit^ per barlume, riconobbe non solamente che F anime
immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo
luogo per purgarsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente e
per estrema foUia hanno osato di mettore in dubbio, acciecatisi da per loro nel
lume della fede, quando si yede che il lume solo naturale e stato bastante a
insegnarlo a'piti sayj gentili; ma perche senza la yeritk rivelata andavano
tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel modo dell* essere e
fignrarsi simili cose sopra il nostro intendere, non tenessero il fermo a una
cosa sola, ne giugnessero per V appunto al yero, ma si bene yariando le
maniere, e il concetto, avessero per molto chiaro la proposizione di esse in
uniyersale. Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come Socrate giugnesse fino a
conoscere che chi mdore senza sacramenti pericola, e chi con esso i sacramenti
si salva ; impercio cbe nel medesimo Fedone fa awertenza che quegli i quali
instituirno i riti e le cerimonie, non essere stati altrimenti stolti e yili
uomini, ma sotto velami di parole aver voluto significare cio che di vero detto
si e, a£Fermando che chinnque non purgato dalle sagre costumanze discendera air
altra vita, esso vi precipiter^ nel fango rinvolto ; ma coloi il quale fia
purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli
Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un gran dire per uno che la nostra
religione non professi. MagwUi, — Egli e che la verita e una (come piu e piu
volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata
bramosia, ne puo arrivare gran parte, perch' ella ne passa d* avanti ; e s'
eila non si puo apprendere per r appunto cosi com' ella e, pur quella luce,
awegna che adombrata e non ben distinta ne disfavilla. Dafinio. — In fatti se
noi non avessimo la certezza della fede, e' si cammina con supposti molto
fallibili naturalmente discorrendo, massime in quella si gran differenza che si
stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di quelli cui non manca
se non la parola a parer uomini. Magiotti. — Per quanto alcune bestie arrivino
di lor natura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene, poche o niuna
giungono ad avere T accorgimento e la distinzione, per debole ch* ella sia, che
hanno anche i bambini innanzi a gli anni della discrezione. E poi di queste s\
difficili proposizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove,
altrimente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere' dere, Egli e
bene il vero che la divina bonta ha dato a tutti gli uomini intelletto e
ragione, a fine ch^ essi eziandio da per loro, meditando col lume della natura,
acquistino certi chiarori di sapienza ben fondata, con esso i quali ponderando
in si fatta materia il concorso delle verisimilitudini per rispetto alio contrarie,
che s'oppongono, e che negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano in maggior
copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi, accio che e' si
rendanO piii agevoli a credere, quel che e' non sono atti ad intcndere. E
coloro che si lasciano assorbire dair ignoranza e trascarano la Divina grazia,
e gli instramenti dati loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e acuta
contemplazione intorno a si alte cose, o chiuggano affatto gli occhi, e
credano, e se cio non fanno, tal sia di loro ; impercio che eziandio i piu
dotti e sayj gentili, come avete inteso, hanno talento di pervenirvi ; ora se
questi uomini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con libera
conscienza di tenere e pubblicare cio che loro piii ragionevol parea, hanno si
fermamente insegnato altioii r immortality dell'anime; convien pur confessare
che le probabilita grandi ci abbiano e senza paragone in piu novero e di piu
forza che dalla parte ayversa non sono. Dafinio, Noi siamo tanto gelosi di
questo vivere, che in dubbio non e gran cosa che gli uomini, come condizione
tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera
Timmortalita delPanima che la mortalita; imperci6 che a quel tornare a non
essere, chi e colui che non si senta tutto turbare, e raccapricciarsi,
meditandoci sopra ? E pero anzi la passione che la ragione ha dettato loro
questo parere, come piu confacevole alia nostra natural propensione. Magiotti.
— Un Socrate tanto superiore ad ogni umana affezione, di cosi sublime sapere, si
spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente del
vivere, alia sola virtti tenendo fisso il pensiero e il volere, si ha da
credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva,
abbia in questo a fallire? Per la qual cosa puo sicuramente affermarsi lui aver
ci6 giudicato per forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio,
Son cose che la fede ce le insegna, e noi dobbiamo crederle; ma iTho per troppo
ardimento farsi a credere di capirle naturalmente. Buonaccorsi. — Gnardate se
la veritii ci viene tra le mani, dove noi non ci turiamo gli occhi, e la
vogliamo conoscere ! Secondo Platone le anime ritorneranno a'corpi umani;
secoDdo Porfirio le anime sante non ritorneranno a' mali del mondo. Congiungansi
(dice sant'Agostino) queste due sentenze, che ameudue insieme dicono il vero,
quantunque paia che, ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ;
impercio che V anime non ritorneranno (egli e vero) a' mali del mondo, ma si
bene ritorneranno a'corpi, per essere o nell' Empireo eternalmente .premiate
con esse le membra corporee, o nell' Inferno punite. Dafinio, Gia noi sappiamo
manifestamente V immortality deir anime, e solamente vi ho contradetto, acci6
che, rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e maravigliose
proposizioni, come fatto avete; come altresi accio che niuno si persuadesse ch'
ella si chiara fosse per lame naturale, che si perdesse o nulla valesse il lume
della fede, nel modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giudizioso
pensiero. MagioUi, Ed io ho difesa questa verity infalHbile con si gran copia
d' argomenti di probability., che udito avete, perche non si avesse per
impossible, e si tenesse alieno e lungi da ogni sussidio di naturale
ragionevolezza quelle che noi siamo obbligati di credere; laonde dovesse essere
in gran parte compatibile, come ben fondata su prove autentiche, e per
argomenti forti in natural discorso, V opinione d' Epicuro, e di chiunque vuole
dell' anime la mortalita: e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato
che le razionali anime immortali sieno, parendomi ora mai tempo che dal signor
Gioseppe si ripigli il filo del Testo Platonico, secondo la fattura che il
Timeo s'immagina di questa anima universale, da cui pur troppo deviati ci siamo.
Luigi. — Ma dell' anime ragionevoli quali sieno le faculta loro, a differenza
delle sensibili, e quali stromenti ell' abbiano per le loro operazioni, avremmo
caro di udire. MagioUi, Non e tempo a proposito di favellarne adesso, essendo
una materia da se, la quale a suo debito luogo verr& proposta, concio sia
cosa che la dottrina del Timeo, cni abbiam dato principio, verrebbe presto
presto in dimeaticanza, poiche giunti noi siamo a casa, e il ragionare e andato
piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora ch' e' sono sonate le
ventiquattro ; risolviamo quanto prima di andare a cena, e domattina che
riposato avremo e con gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento
d! quest' anima universale secondo il Teste, e a vo! si appartiene discorrerne,
signor Gioseppe. Buonaccorsi, Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora,
venitemi prontamente a trovare, che io obbediro ai vostri comandi, quando vi
sia in piacere, perche (come ben sapete) io dormo poco, non avendo fumi di vino
da digerire, che mi vadano in su. Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora,
e che ad altri luoghi destinati sieno dal Fautore Eternale, tra molti e molti
argomenti che se ne scernono, quello pare a me sopra gli altri aver grandissima
forza, della inistabilita degli animi loro, imperciocche della varieta
dilettandosi mai sempre senza costanza veruna, niuno soggiorno ci ha,
quantunque soUazzevole e desiderato da loro, il quale allorche e' vi giungono
gli fermi e gli quieti, e noioso in breve loro non divenga, altrove ben tosto
rivolgendo il pensiero. Ecco noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e piu
magnifiche di Tusculo, alle piu naturali e di niuno artificio di Nemi in si
virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser questi i piu grati
diporti di Diana gli attribuirono, e non molto andra che anche qui
rincrescevole la dimoranza ne fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi
perfetto e non mai sazievole godimento aspettando, ma cio indamo, imperciocche
stabile fennezza non otterremo gia mai, finche vita avremo : si parimente, di
qualunque altro diletto favellando, cui volga I'umana condizione sua cupidigia,
quella nel conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur
voile teste, il che ne insegna Lucrezio in que'versi, favellando degli uomini:
« Haud ita vitam agerenty ut nunc plerumqite videmua: Quid aibi quiaque velit,
nescire, et qucerere semper; Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe
foras magnis ex cedibus iUe, Esse domi quern pertaesum est, subitoque reventat;
Quippe /oris nihilo melius qui sentiat esse. Currit, agtns mannas, ad villam
prcecipitanteTy Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat
extemplo, tetigit quom limina villce; Aut alit in somnum gravis, atque ohlivia
qua^t; Aut etiam properans urbem petit atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc, »
cioe a dire, annoiato fin di se stesso si fugge, e da se allontanar si
vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta e trasporta il corpo in qua e in la,
sua debita residenza qui non avendo; solamente lo studio della scienza (non ci
ha dubbio alcuno) ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo solo e degno
pasto e proporzionato delPumano intendimento, si come cibo divino, conciossia
cosa che ha per oggetto e per fine la verita delle cose. « lo veggio 1)611 che
giammai non si sazia Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra, Di faor dal
qual nessun vero si spazia, » dice Dante, adornamento e lume della Poesia
Toscana. Ma egli e ben d' awertire, che il sole per quanto illumina, e si
comprende in un attimo di sua luce V ampiezza^ nondimeno mirandolo fisso ci
abbaglia, e nol possiamo patire, non che distinguer raggio per raggio. Nelio
stesso modo e^ si scorge a un tratto la chiarezza della verita universale, cioe
lo splendore che ne circumfulge della sapienza divina; ma chiunque si affisa in
lei, perdesi, la vista confondesi, ne si possono per alcun modo discernere a un
per uno i lumi di sua infinita virtude, cioh a dire le cagioni special!
de'miracoli della natura : Molto si mira, e poco si discerne > disse lo
stesso Poeta. Per guisa che ne apparisce (egli e il vero) un certo bagliore, e
abbiamo le imagini delle cose vere nelPanima; ma in ogni modo si annebbiate
rimangono intra le caligini onde noi siamo involti, che per una piccola favilla
che in noi di quando in quando del vero riluca, ne aduggia la mente per lo piu
una nuvola viepiu grande del falso. Cio riconobbe Socrate, come che piu
altamente di ogni altro e^ contemplasse quest a lampada accesa, imperocche
avvidesi ben tosto di non aver V occhio dell' aquila, e quietandosi anch' egli
all' imperfezione dell' umana natura, pronunzio al mondo quella sentenza che
noi dicemmb da prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so. Sopra I'esperienza,
dunque, di cotant'uomo chiarito anch'io, m'acciiigo solamente alia meditazione
di me medesimo, mosso da quel savio ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d'
Apollo : Conosci te stesso. Tale si e la vera e piu sincera scieiiza^ ove dee
studiarsi ciascuno di pervenire, a intendimento di potersi di se medesimo
valere a ragione, usare de' proprj strumenti per quello a che dati ne furo, e
non iscompor 1' ordine col quale a perfettissime operazioni gli dispose il
Maestro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser composte di corpo e di
spirito, e niuna piu soUecita cura per natural talento porsi da loro, quanto di
conservare e 1' uno 6 gli altri insieme congiunti a mantenimento ciascuna del
proprio individuo ; per la qual cosa elle s' ingegnano di ristorargli, e da
tutte le corporali infer mit^ di tenerli sani, solamente a fine di sottrargli
da ogni rischio di separazione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno,
imperocche null' altro per loro s'attende che ad investigare rimedj contr' a'
mali del corpo, ma poi poco o nulla si bada agli antidoti contro le malattie
dell'animo. Di questa arte nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri
esperti noi divenissimo, e si come i medici il piu della dottrina loro nella
Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto,
cioe nel conoscimento con ogni studio di noi medesimi. Ma lo intendimento
nostro fia al sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon
sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e gli ordigni considerano, e lo
intrecciamento di tutte le membra, di tutte le viscere e di qualunque delle piu
minime particelle interiori, a fine d' intendere le operazioni yitali ; ma cio
e solamente per temperarle e per ricomporle, qualunque volta stemperare e
scomporre si veggiano; dove in questa disciplina novella s^insegna la valuta si
e la situazione degli organi in quanto e' servono per canali de' sensi ; ma
perche e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima,
imparasi eziandio per tal via come mantenere ben d' accordo due movimenti
contrarj sotto le leggi del dovere, e come P intemperanza deU'uno moderare con
la temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e salutifera scienza della
Notomia, adottata con proporzione e a soccorso della natura, e altresi a
correggimento dell' animo, essa ne fia giovevole per a quella felicita per
venire, ove ansiosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia corpo
sano; percio mirabilmente Platone nel Timeo definisce la sanit^^ essere una
comuae concordia delP anima e del corpo, cioe quando il corpo e valido e fermo
sotto un animo molto piu valido; ma acciocche in tal materia con debito ordine
io proceda, diro, come in principio mi si parano innanzi tre operazioni tra se
diverse insieme congiunte nelV uomo, le quali pure in varie sorte di specie si
raffigurano r una diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose
che si nutriscono e crescono, opera la vegetativa sola, imperocche esse mancano
del sentimento ; ne' bruti la sensitiva insiememente con la vegetativa, essendo
che la seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nutrisconsi, e di
piii hanno sensi; ma agli uomini si dee arrogere la ragionevole, che e la piu
perfetta, ond' egli hanno senso, crescono altresi e nutrimento rioevono, ma
soprattutto gl'informa lo intelletto e la mente. Tali sono quelle diverse qualitadi
o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime da' naturalist! si chiamauo, cioe
tre forme dove elle sono disgiunte e in oggetti di specie disformi allogate,
conciossiache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma egli h manifesto che chi
e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e
impero nell' umana natura esse si riconoscono si per movimenti diversi, ma a
una medesima e sola forma adattati, cioe a dire come potenze distinte
d'un'anima sola, in quanto che tutte hanno a essere instrumenti della
ragionevole, e sotto di quella operare: percio (se ben mi torna in mente)
dissivi un giorno esger raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte
le potenze delP universo, e sino trovarsi effigiata in lui 1' imagine della
divina mente, la quale allora quel piu risplende, che noi stenebrare la
sappiamo da' nugoli degli aifetti, e tener monda e ben custodita dalle sozzure
e dalle corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza di questo
dir ne conviene (non mi sembra del tutto inutile, ovvero lontano dalla materia
proposta) il venire in ragionamento sopra le opinioni che s' ebbero negli
antichi secoli da quel grand' uomini intorno a quest' anima, talmente che molti
1' assegnarono all' universo, come principio in esso e cagione del moto, pel
quale si trasfondesse e si traducesse da piu alto cominciamento la virtu
seminale nella natura maestra di tutte le innumerabili generazioni che si fanno
nella materia. Quindi con viepiu agevolezza trarremo argomento di quel che sia
1' anima che essi appellano vegetativa, e si pure gli organi dove s' attaccano
i suoi movimenti speciali, come e a dire nelle piante; indi trapasseremo alia
sensitiva, dove acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi trattare, per
poter poi, staccati dalle sostanze piti basse, favellar dell' anima ragionevole
e delle quality eccelse ch'ella ebbe in dote dal. suo Fattore; poscia farem
riflessione siccome r uomo per mezzo di quelle dee istruire se stesso nella
virtii morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, mantiene incorrotta in
noi la sembianza della suprema ragione, e apreci la via e ne illamina per
ritrovare quel bene perfetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso
in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo cercando. Offizi della facoltd
delta ragione. Luigi, Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono la ragione.
Magiotti, E per cio ad essq, si appartiene di comandare a quella che sta di
sotto, e governarla e tenerla a freno, come compos ta d^ una moltitudine di
yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da questa sotto il suo
comando si conviene all' altra obbedire. Luigi, Ma se ella e piena di tumulto e
di confusione recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, mentre
alia parte razionale diventa molte volte contraria e rubella. MagioUi, Anche
questa « atta a divenir ragionevole se alia ragione obbedisce, e a^suoi savi
ricordi; anzi a quella sovrana dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito
segno, e valersene a tutte le azioni lecite e lodevoli, che eUa risolve di
fare. Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e
dovere che alloggino i suoi piu principali e piii confidenti rainistri;
acciocch^ le assistano siccome consiglieri primari, e questi sono le facoltk,
pero dette potenze principali delP anima. Luigi, Ma queste quali son elleno ?
Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^; ma dichiaratene di grazia qua'
sleno veramente gli offizii loro. Magiotti. —La memoria conserva nelF archivio
e nella segreteria che ella ha in custodia e sotto sua chiave la maggior parte
degli oggetti varii che le sono cola entro tramandati da' cinque sensi che
detti abbiamo ; per le cui porte s' intromettono come dispacci di belle e varie
no vita tutte le specie, e immagini esteriori sensibili; e siccome molte, data
loro a pena un' occhiata, yi si ripongono senza badarci come di non grande
importanza; alcune poi di maggior rilievo dall' immaginativa o fantasia, come
detto si e, pongonsi innanzi all'intelletto, dove egli, come dentro uno specchio
ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza di considerare
diligentemente e di intendere quel che esse sono, recandone poi alia ragione un
giusto e puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco maturamente, e
esaminano insieme con aweduto raziocinio e con ponderate riflessioni se elle
son buone o triste; e per tal modo ne nasce il giudizio, col cui consiglio la
volonta delibera di fame conto o di lasciarle. E percio di si ben ayvertita
deliberazione, e della esecuzione di essa, ne ha la cura la volonta, la quale
firma il decreto di volerle, o di non le volere secondo la disposizione del
sopraccennato consiglio supremo. Luigi, Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli
uomini nel discorso di questa porzione superiore, voi non ne avete favellato
punto ne poco, quale e la sua funzione. E' si dice pur tutto di: il tale ha
belPingegao, ha ingegno vivo, e uomo d'ingegno spiritoso; insomma pare che chi
non ha bell' ingegno, non abbia discorso ne attitudine, e quasi stolido o
mentecatto sia. Magiotti. L' ingegno, per dir quello che all' improwiso mi
viene ora in mente, crederei che fosse una fabbrica interna dell' uomo, che si
forma per mezzo dell' intelletto e della memoria; e percio giudico che 1'
ingegno si risvegli con agevolezza in una mente doviziosa d' immagini varie,
raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innumerabili cose di
diversa maniera passate pe' sensi, o dalla lettura di piu e piii sorte di
sentenze, le quali cose abili sieno a muoversi con agility e dieno stimolo e
apertnra alia chiarezza dell' intelletto di inventare e di formare di quelle
medesimef accozzandole o innestandole tra loro con bel modo, nuovi e
maravigliosi disegni per entro la mente, onde ne result! un concetto leggiadro
e vivace, il quale ancorche di piti e piu belle cose altre volte a noi note
composto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in chi Tode; tanto
che perche un ingegno produca e fabbricbi da se medesimo, vuolci la memoria che
presti delle piu belle immagini che ella in se contenga, e la fantasia e r
intelletto lucido e distinto il quale le sappia con belP ordin collegare e
attaccare V una con V altra in guisa, che di piii cose vedute a avute fra mano,
se ne concepisca un' altra da se, nuova e non piu veduta o sentita. £ allora
piu belli e piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto
maggiore raccolta e di piu pregiate cose abbia la memoria fatta innanzi
conserva. Yero e che glMngegni si variano r uno dall' altro e piu pronti
riescono e piu veloci, e vie piu atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con
piu o meno prestezza te gli formano secondo i temperamenti diversi della
corporatura di chi gli possiede. Imperciocche come gli spiriti che salgono
dalla porzione inferiore abbiano la lor tempera fervida e secca; di subito con
la vivacita loro da uno moto e stimolo all' intelletto e alia memoria, che
molte volte, senza dar tempo a veruna ponderazioue degli atti secondi, di
presente alzano moli ingegnose di vari pensieri alti e di spirito ; e quindi
giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si chiama, il quale non
rassembra dissimile a' sogni, imperciocche i sogni si formano dormendo di pezzi
dalla immaginativa, e lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' ingegno
stesBO negli uomini appena desti, e a cervello riposato la roattina al buio,
anch' eglino vengono in luce alia mente, e rappezzansi parimente di varie
specie, onde io repute ch' e' sien anch' essi (sto per dire) sogni a proposito.
E cio piu o meno vivacemente succede, e piii tosto, o piu tardi, secondo che la
fierezza o agility degli spiriti muova le potenze deH'anima a simiglianti
operazioni. e all'ora dicesi deir uomo che egli abbia piu o meno pronto V
ingegno. Di qui parimente avviene che chi ha piu bello ingegno, abbia sovente
meno giudizio, imperciocche T uno colla sua teraperatura minuisce V abilita
dell' altro ; essendo che 11 giudizio Yuole lentezza e flssazione di
riflessioni fatte dalla ragione 6 dair intelletto insieme, per esaminar
sottilmente e rivedere 11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia operazione
ha duopo dl spiriti meno ferventl, e che vadan di passo e non corrano con Tali
spiegate a dar moto alle loro azionl e deliberazioni ; e per cio V Ingegno
ordinariamente da per se sapra formare abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte
volte subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e accesi a
un tratto nella mente soUievano, ma non mai ben forniti di fare, se '1 giudizio
con la su^, esattezza non da loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si
osserva neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che hanno spirito piu elevato e
piu vivo si veggono fare in un baleno schizzl di varie figure ciascuna da se
atteggiate con si bella propriety ed espression di aflFetti, che sembrano aver
moto e vita; ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non
riescono nel disporle con maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali tornino bene
per esprimere le attitudini e i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con
ben aggiustata simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano, perche
a cio fare vuolsi attenta applicazione e fermezza, che e opera dl giudizio, 11
quale mlsuratamente ne forml la composizione, e piu e piii volte cancelli e
rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e mettere insieme In un attimo a forza di
vlvezza d' ingegno, come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo la mano alia
velocity de* mossl fantasmi. Convien dunque fermar per vera e per indubitabile
sentenza, che quanto piu V uomo con la continuazione dello studio e sotto una
bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia megllo assodato e fissato
11. giudizio, anche nelle persone dl spirito e d' ingegno ; cotanto piii chlari
e distintl e meglio perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la
differenza in tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si scorge; e questo
e quello cbe io so immaginarmi intomo agli nomini d' ingegno, e quel che
veramente questo sia, e che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per
affermare quel ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera
si facciano le operazioni sue, come anche delle altre facolta delP anima, Y bo
per cosa molto oscura e fallace. Imperfetto, Io stimo certo cbe voi abbiate
detto quanto se ne possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente sodisfatto.
Ma tornando alia volonta, questa entro di se puo dire il si o il no; ma chi
eseguisce sotto il suo ordine? Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si
prudente conBulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e d'uopo
cbe la volonta abbia i ministri sotto di lei, a cui ella dia gli ordini. Luigi.
Ed essi ministri dove alloggiano ? Magiotti, — Questi i sopraccapi sono della
regione piu bassa, nella quale comandano i due moti piu principali sensibili,
cbiamati il concupiscibile e l’irascibile ; l’uno e l’altro promotori e
caposquadra di tutti gli affetti dati per guardia e per satelliti alia ragione,
accioccbe eseguiscano con prontezza quanto da quella vien loro imposto:
verbigrazia, i moti del concupiscibile hanno da desiderare e cercare il
conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine della ragione ba determinato
per buono; ovvero ad accendersi il moto dell' irascibile per aborrire e per
torsi davanti quel cbe la ragione col suo consiglio ba giudicato per non buono.
Imperfetto. — Questi duo adunque (che appetiti si cbiamano) in vigor degli
ordini eseguiscono quanto la volonta comanda loro; ma in cbe modo e con quali
strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi numerose scbiere di
spiriti, e di quelli di mano in mano, cbe sono sotto la condotta o giurisdizione
delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle
mani, dei piedi e delle altre membra corporee a fine di pigliare ii possesso di
quel che place alia ragione, a per mettere in fuga e discacciare cio che le
displace. Luigi, Ma come si fanno elleno tante operazlonl la dentro in si poco
spazio? Magiotti, — Egli e da sapere come queste operazlonl fannosl dagli
spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei ; ma le azlonl della mente
sono Incorporee come chi le governa e dispone, e pero gli organi nostri aprono
loro gran vie per Insensibili e minime che elle ci paiano. Eccitandosi dunquein
questa parte inferiore delP anima nostra divers! affetti 6 perturbazionl,
secondo la varieta degll oggett! che per via del sensl se le rappresentano ;
subito la parte ragionevole sommlnistra e prescrive il modo di regolare e
modlficare essi affetti, lasciando bene a nostra disposizione ed arbitrlo di
consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razionale si lascla vincere
dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto irraglonevole le detta, egli e segno che
la volonta sprezza gli ordini della ragione, e f a a modo degli appetlt!
disobbedienti, dove se ella alia ragione accostandosl e alle sue savle
persuasioni, volta le spalle alP affetto e lo doma, allora essa la volenti
regge e fa altresi la porzione inferiore ragio- nevole divenlre. Vero e che le
faculta dell' anlma ragione- vole non vogliono mai quello che non sia
effettivamente buono, o che da loro per buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai.
Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto
bugiardo. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Ruffolo: la ragione conversazionale dal guazzabuglio al
possibilismo come terapia eutimistica – la scuola di Cosenza – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo calabrese. Filosofo italiano.
Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della
seconda guerra decorato con IV medaglie al valore per diverse intrepide azioni
contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza
in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli
vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al
valore partigiano. Per via della delazione di un componente del gruppo di
resistenza è arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione
Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli, condivide la cella con
PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso
e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche
ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte
dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III
torpedoni in attesa a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV
torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso
BUOZZI. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV
torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato
e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei
restanti III torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far
perdere le tracce e a liberarsi nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio
e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e
prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle S. S.
dai nazisti” (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto.
Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione
della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la
detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua
condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile
causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione,
in quanto il fratello omite di nominarlo nell'intervista, causando uno
spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e
indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e
intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO, LEVI, RAGGHIANTI,
BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE (‘Fortebraccio’),
GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei suoi saggi filosofici
e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri
saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la
“metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della
fisica dei quanti; "America come pre-testo" (Roma, Ventaglio);
"Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma,
Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone);
“Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola
Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo
specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza—GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Rufino: la ragione conversazionale del commentario
filosofico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Concordia). Filosofo italiano. Aquileia, Udine,
Friuli-Venezia Giulia. He comments some ‘saggi’ by Origen. Tyrannius Rufinus.
Prete, nato a Concordia, ma noto come Rufino d'Aquileia; morto a Messina. Studia
a Roma, ove conosce GIROLAMO (vedasi), che lo raggiunse poi nel monastero di
Aquileia ove s'era ritirato presso il futuro vescovo Cromazio. R. strinse amicizia
con Melania seniore, che accompagna in Egitto, ove visitano i monaci; ivi R.
conosce Didimo il cieco e si trattenne fino a quando raggiunse Melania a
Gerusalemme, stabilendosi presso il monastero di lei sul Monte degli Olivi e
rimanendo in buone relazioni con Girolamo. Ma l'amicizia si guastò allorché nel
392 o 393 giunse a Gerusalemme Aterbio, sollevandovi la controversia intorno
all'ortodossia di Origene: controversia che doveva esplodere con violenza dopo
la Pasqua del 393, giunto in Palestina sant'Epifanio. Girolamo segue le parti
di questo; R. tenne per il vescovo Giovanni di Gerusalemme, che lo aveva anche
ordinato prete. Tuttavia nel 397 i due antichi condiscepoli si riconciliarono;
poco dopo, R. partì per l'Italia, ove si sforzò di diffondere il pensiero di
Origene, valendosi anche dell'autorità di Girolamo. Gli amici di questo lo
avvertirono, ed egli si affrettò a dichiarare di aver lodato in Origene
l'esegeta, non il teologo; inoltre, alla traduzione del De principiis fatta da
R. attenuando le affermazioni più gravi, contrappose la propria, letterale; e
il papa Anastasio, successo a Siricio alla fine del 399, invitò R. a
giustificarsi, senza tuttavia procedere contro di lui. A sua volta, R., ormai
ritornato ad Aquileia, attaccò violentemente Girolamo, che replicò con pari
veemenza, mentre Cromazio tentava di metter pace; e forse a lui si deve se R.
non rispose al Liber tertius di Girolamo, e si dedicò tutto ai suoi lavori
letterarî; donde lo distolse l'invasione visigota, che lo costrinse a rifugiarsi
a Terracina e di là, con Melania e i suoi, in Sicilia. L'opera di R. consta quasi esclusivamente di
traduzioni da Padri greci: nelle quali, se non si può riconoscere un piano
preciso (Bardenhewer), è facile però discernere l'orientamento teologico di R.
che, se "presentò ai Latini la maggior parte della letteratura
(bibliotheca) teologica dei Greci" (Gennadio, De vir. inl., 17), trascurò
tuttavia alcuni, p es., S. Atanasio. Tradusse invece il 1° libro dell'Apologia
per Origene di Panfilo ed Eusebio di Cesarea; di Origene il De principiis, i
commenti al Cantico dei cantici e a Romani e numerose omilie; le Ricognizioni
pseudoclementine; le Regole e otto omilie di s. Basilio Magno e 9 omilie di San
Gregorio di Nazianzo; una scelta cristianizzata delle sentenze di Sesto
pitagorico, da lui (con altri contemporanei), attribuita al papa Sisto II;
altre Sentenze di Evagrio pontico; il Dialogo di Adamanzio; la Storia
ecclesiastica di Eusebio, da lui ridotta in 9 libri, fondendo insieme gli
ultimi due, e aggiungendone altri due (10-11, o Historia ecclesiastica di R.),
tratti per la maggior parte da Gelasio di Cesarea, per continuare l'opera di
Eusebio sino alla morte di Teodosio (395). Buon conoscitore del greco, R. è
traduttore assai libero. A questa sua attività si ricollegano anche gli scritti
originali di lui, e cioè in primo luogo il De adulteratione librorum Origenis,
in cui sostiene che furono manomessi e interpolati da eretici; le due Apologie,
al papa Anastasio e contro Girolamo (la seconda, in 2 libri, dedicata ad
Aproniano, merita il nome tradizionale di Invectiva); il Commentarius in
symbolum apostolorum, prima opera del genere redatta in Occidente, e importante
per la storia del simbolo; i due libri De benedictionibus patriarcharum,
commento di tipo origenistico a Genesi, XLIV. È molto dubbio che si possa
attribuire a R. il rifacimento del Bellum Iudaicum di Giuseppe Flavio, che va
sotto il nome di Egesippo. Più complessa ancora la questione della Historia
monachorum, di cui si conosce una recensione greca: il testo latino è certo di
R.; si discute se il greco sia l'originale (C. Butler) o una traduzione e sui
rapporti tra la Historia monachorum e la Historia lausiaca, tradizionalmente
attribuita a Palladio. Un Commentarius in prophetas minores tres (Osea, Gioele
e Amos), attribuito già a R. è da G. Morin rivendicato a Giuliano d'Eclano
(cfr. Rev. bénéd., XXX, 1913, pp.1-24). -ALT
Ediz.: Le traduzioni sono quasi tutte edite con i testi originali, sia
nella Patrologia graeca, sia in edizioni più recenti; le Sentenze di sesto da
J. Gildemeister, Sexti sententiarum recensiones, Bonn 1873, e da A. Elter,
Gnomica, Lipsia 1892; delle Omilie di s. Gregorio Nazianzeno, ed. A.
Engelbrecht, Vienna 1910 (Corpus script. ecclesiast. latin., 46). Le opere
originali, in Patrol. lat., XXI. Del Commentarius, a cura di C.A., Heurtley,
1916. Bibl.: v. girolamo, santo;
origene: Le controversie origenistiche. Per l'Historia monachorum: E.
Preuschen, Palladius u. Rufinus, Giessen 1897; C. Butler, The Lausiac history
of Palladius, Cambridge 1898-1904, voll. 2; R. Reitzenstein, Historia
monachorum und Historia lausiaca, Gottinga 1916; inoltre: A. Glas, Die
Kirchengesch. des Gelasios von Kaisareia, Lipsia 1914; A. Jülicher, Ein Wort zu
Gunsten des... R., in Klio, 1914,
p. 127; P. Van Den Ven, Fragments de la recension grecque de l'Hist. ecclés. de
R., in Mouséon, I, p. 92 segg.. LALA ALII ISO DFAFARAR | PE Ce
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hebbrbtri PPS +-+ AP lil il ee ire n ee a pre I MRI eil Lincei irrita NEL SOLENNE
INGRESSO DI MONS. PIETRO CARPELLARI ma SEDE VESCOVILE DI CONCORDIA: IL GIORNO
XXVIHI LUGLIO MDCCCLXXIT. eni se neri *ting. n= ne mn Monsignore IHl.mo e
Rev.mo! Se la patria Vostra che per tanti lustri. sperimentava. gli effetti
benefici dell alla intelligenza e della profusa Vo- stra carit oggi piange la
dipartita Vostra, a iulla ragio- ne fa festa ed esulta la Diocesi Concordiese
che oggi Vi , accoglie a Vescovo e Padre. N essa poleva avere maggior prova di
Vostra virt del desiderio vivissimo che di Voi la- sciate col ove per s lungo
volgere di tempo e per si diffi- - cili circostanze indefesso e franco sempre
incedeste nell o- perare e nell amare. A questa Diocesi ora serbato dalla Provvidenza il soave
compito di temperare al Vosiro cuore l'amarezza del distacco da Vostri ameni
colli nalivi e da fanti Vostri figli s caramente diletti, col ricambiarvi di un
affetto e reverenza non secondi a quelli di che la Greggia da Voi abbandonata
diedevi sempre cos belle testimonianze. id oggi anche i sotloscrilli desiderano
darvi pegno di questo affetto e della parte vivissima che prendono alla co-
mune esultanza, offrendovi una Memoria intorno la vita e n i ni 1 le opere dell
illustre Tunannio Rurino: memoria a Voi dop- piamente cara e perch ricorda una
splendida gloria di questa ormai tutta Vostra Concordia, e perch lavoro di Per-
1 sona valente a Voi congiunta da antica amicizia. Accoylietela, Ill.mo e
Rev.mo Monsignore, colla beni- quit tutta propria del Vostro dell'animo, e
benedite a quelli che almeno col buon volere saranno sempre per Voi e con Vot.
II teu , Portogruaro, 28. Luglio 1872.
Umil.mi Dev.mi Obb.mi D." GIACOMO PEROSA. | LORENZO GENNARI. DI GENTILE
MARANGONI. LUIGI BRUNI, D. ERNESTO DEGANI, do MANI ) | FABBRICIERI della Chiesa
Ausiliaro di S. Andrea Ap. di Portogruaro. hd 1 Sava) - Pe; SELLA LIL
WVPYNINPIALIAPLINPINIZAPLNLINPIACGZALI AODNY/OZI Ne territorio di Aquileia,
lunghesso il mare, in un ijuogo presso Con- cordia nacque Rurino circa la met
del secolo IV. A que tempi fioriva in Aquileia una scuola ecclesiastica di
grande rinomanza, ed un celebre monastero solto la vigilanza pastorale del
Vescovo S. Valeriano. Nella scuola nel
Mo- nastero noi troviamo Rufino nellanno 371 insieme con S. Girolamo con S.
Cromazio, e con quegli illustri, de quali Girolamo stesso scriveva, che gli
rappresentavano un Coro di Angeli: se | Speciali memorie del vivere di Rufino a
que d non ci rimangono, ma bens un fatto il quale della celebrit di Rufino e
della scuola aquileiese ci rende una splendida testimonianza. La seniore
Melania, quella illustre romana di cui i Padri e gli scrittori ecclesiastici di
que tempi esalta no a gara le laudi, avea ad imprendere il viaggio d Oriente
per dedicarsi del tutto con altre chia- rissime, che fe si erano date a
disciplina, al servigio divino nella preghiera, nel ritiro, nelle opere di
misericordia, cui avea consecrato il suo ricchissimo patrimonio: quella
Melania, che, quando torn dall Oriente per confermare nel proposito di vita
perpetuamente continente la nipote S, Melania la gio- vine, vide venirsi
incontro fuori di Roma i Senatori i Patrizii e moltitudine di popolo per far
omaggio alle sue virt, rivolse gli occhi alla scuola eccle- siastica di
Aquileia per scegliersi il maestro c la guida spirituale, e scelse Ru- fino,
bench pon avesse che 25 anni d'et, e non fosse ancora ordinalo sacer- dote.
Venne quindi in Roma 1 anno 372 e pass con Melania in Oriente. Men- tre la pia
dama erasi recata a fondare un monastero in Gerusalemme, fer- Li La + sia mossi
Rufino in Alessandria, ed ascolt per sei anni le lezioni del celebre Di- dimo.
Venuto poscia in Gerusalemme vi fu ordinato sacerdote, e dimor in Pale- stina
fino al 397, attenlendo alla direzione spirituale del monastero di Melania, e
recandosi per intervalli a visitare i grandi monasteri c i famosi anacoreti che
popolavano la Siria, la Mesopotamia, il basso Egitto, cd abitavano la deserta
Tebaide, per apprendervi esempii e documenti di vita spirituale, e per farne
tesoro agli studii della cristiana sapienza, ai quali interamente dedicava il
tempo, che dalla preghiera, dalla meditazione e dalle opere di piet gli so-
pravanzava. In questi suoi lavori ebbe egli ad incontrar disparere coll ami-
cissimo suo S. Girolamo sul fatto dei libri di Origene, che Rufino vena. vol-
tando dal greco, Quindi scritti da una parte e dall altra che risentivano del-
I ardore della contesa, la quale sedata una volta dalla mansnetudine del co-
mune amico S, Cromazio, allora Vescovo d Aquileia, si riacceso allorquando
Rufino ritornato in Italia con Melania nella circostanza test ricordata, c ri-
tiratosi nel monastero di Pineto, in uno deglimmensi sobborghi che dall an-
tica Roma stendevansi sino al mare, continu a tradurre gli scritti di Origene.
Quivi inteso alla piet e agli studii dimor dall'anno 397 fino al 408, non
dipartendosi se non per recarsi a rivedere la sua Aquileia. Ma s avvicinava la
divina vendetta sulle ostinate reliquie del paganesimo, e gli Unni ed i Goti
entrati in Italia seminavano ogni contrada di morti, di arsioni, di stragi.
Melania pens riparare in Oriente, e colla sua compagnia partitasi da Roma
giunse a Messina. Qui s indugi per raccogliere e soccorrere col suo patrimo- .
o que miseri che fuggivano dinanzi alla spada dei barbari. Alarico penetr in
Roma ai 24 di Agosto dell'anno 409 c per tre giorni orribilmente la riem- p
dincendii e di stragi. Uscito di T, dopo averla saccheggiata, continu le sue
devastazioni lungo la penisola, e mentre le fiamme che incenerivano Reggio di
Calabria si ripercoteano sulle castella dell atterita Messina, Rofino ai 24 di
Giugno dellanno 440 quivi piamente, com'era vissuto, si addor- miva nel
Signore. Questo rapido cenno abbrevia di molto il mio dire ; poich non mestieri parlare singolarmente delle virt, c
distinguere partitamente gli atti di tale tomo, di cui lintera vita comparisce
animata da un solo Spirito. Spirito di cristiano e sacerdotal sacrificio
informava I anima di Rufino, Scegliere la via pi spedila e pi sicura di
seguitare Ges Cristo colla pratica dei consigli evange- lici nel monachismo :
obbedire alla voce divina che lo chiamava al sacerdozio, Apparecchiandosi col
mettersi alla disciplina del suo Vescovo con tanto abbando- no da esser nella
casa ecclesiastica uno degli Angeli di quel coro aquileiese : at- fenderc agli
studii con tanta assiduit e tale profitto da esser in ancor verde et prescello
a maestro di vita spirituale da una matrona cui eran notissimi i pi illustri
ecclesiastici dell'occidente ; accettare quest officio che lo staccava affatto
dalla patria, dai parenti, e gli troncava le speranze di cospicue digni- lla {i
: aggiungersi ad un sodalizio, qual era quel di Melania e delle sue conso-
rello, di virt austera e di vita penitente e laboriosa, al quale dovea egli
farsi maestro, non tanto colla dottrina quanto colla preminenza dell'esempio:
con- tinuare nello studio della cristiana sapienza fino alla morte e per essa
impren- der viaggi e recarsi ad ascollare e consultare i pi famosi uomini dell
orien- te: scrivere la scienza appresa affine di diffondere la verit e trarre
quante pi poteva persone all amore di Cristo; egli questo un complesso di vita sacerdotale tanto
luminoso da non maravigliare se in alcuni particolari mar- tirologi dell
antichit sia stato Rufino tra i heati annoverato. Che se la Chiesa aquileiese e
la Concordiese pu sotto questo rispetto an- dar meritamente gloriosa di
Turannio Rufino, pu altres andar lieta di lui come ingegno chiarissimo famoso scrittore. Non tutte le opere che
Rufino scrisse giunsero fino a noi, ch parecchie seco ne travolse l'onda
vorticosa dei secoli, Facendo ragione delle superstiti, noi riconosciamo in lui
un ingegno di comprensione assai vasta, poich ab- bracci Ja storia, la biblica,
la mistica, l ascetica, la dogmatica, le regole ca- noniche, lapologetica, la
filosofia. Alla vasta comprensione univa quell aculezza d intendere, che,
elevando- si a generali principii, Ic cose apprese in tal ordine congiunge, che
l una ri- chiami 1 altra, e 1 una dall'altra ordinatamente dipenda; perci egli
predi- ligeva la cristiana filosofia apparata alla scuola del mirabile Didimo,
e amava divalgarla recandosi a tradurre ghi scritti di Origene. Bene egli vero che questa predilezione gli divent
feconda di fastidii, ma di ci avremo a farne poscia brevi parole. Se non che l'ingegno di Rufino oltre queste
due qualit, ne avea una terza non meno esimia, per la quale avveniva che 1
acutezza dell ingegno suo non trasmodasse in isterili speculazioni, n si
aftaccasso tenacemente ai possibili in modo da trovarsi in disappunto colla
realt dei fatti, principalmen- te con quelli, che sono dipendenti o collegati
strettamente con un ordine alla mento umana impervio, coll ordine
soprannaturale. L ingegno di Rufino non solo era vasto ed acuto, ma era altres
giudizioso; e perci, a cansare il pe- ricolo di sofistiche astruserie, allo
studio della filosofia contrappose lo studio i manchevoli principii dell umana
scienza complet largamen- a e disciplinare: anzi a questi studii della
storia, te colla sapienza ecclesiastica,
dogmatic diede Ja maggiore e la miglior parte, e le dottrine cattoliche con
tanto amore ricerc, che del suo Commentario sopra il Simbolo degli Apostoli,
scrisso gi ?' eruditissimo Vescovo di S. Ippolito, Giuseppe Fessler, non
esservi su questa materia in tutfa 1 antichit cristiana un lavoro pi crudito e
pi famoso, quale il rofiniano, che L'intero simbolo, articolo per articolo
chiarissimamen- te espone. La quale sentenza di tanto personaggio, eletto per
il suo vasto sapere dal dti cale Santo Padre PIO IX a secrelario del Concilio
Ecumenico Vaticano I, dal me- rito scientifico ci conduce a parlare del valor
letterario di Rufino. Era egli stato educato con Girolamo ad una scuola in cui
la forma nobile cd iMustre della lingua latina si avea in grande onore e
diligentemente si coltivava. L'esercizio del suo ministero presso Melania e le
altre chiarissime compa- gne gli valse a mantenere e a crescere quella
pulitezza di forme letterarie, che era tanto in fama presso fe dame romane del
secolo IV, delle quali la chiarissima Apicia Jaltonia Proba' celebre poetessa,
che coi versi virgiliani & con altri suoi proprii cant le meraviglie
cristiane, teneva commercio epi- stolare con Rufino. Lo studio della lingua
greca, in cui era versatissimo; la famigliarit coi pi illustri letterati
cristiani d Oriente vi aggiunsero una ma- niera pi spigliata e franca di
esporre, che predilesse nello scopo di giovare largamente agli altri. Perci
nelle sue opere originali, se ne eccettui le po- che contenziose, egli tiene un
far semplice e chiaro, or pittoresco, ov bril- lante e sempre vivace, uno stile
corretto, una latinit castigata quanto i mi- gliori di quellet, e temperata in
modo che Yunzione e la chiarezza delle idee
delle cose cristiane non venga chiusa forzatamente nella nicchia delle
forme Telterarie di un mondo pagano per soverchia smania di purezza leg- giadria, * . i Il pellegrino ingegno e
la ben disciplinata letteratura non bastano a dare celebrit ad un personaggio,
se non vi si agciunga 1 importanza ce l'utilit de suoi-lavori. Questo merito
non manc punto al nostro Rufino, La Chiesa ortentale avea avuto scrittori delle
ecclesiastiche dottrine, che splendevano tra i maggiori luminari della
cristiana sapienza. Leresie sorte e diffuse prima- mente in Oriente furono
cagione principalissima, per cui i Vescovi e i Dot- lori di &reca favella
si facessero cos ampiamente e strenuamente propusna- lori della cattolica
tradizione. Rufino spertissimo della greca letteratura volle rendere famigliari
alla Chiesa di Occidente que magnifici tesori, e dimostrare colle prove di fatto
l'unit, L'indefettibilit, la concordia nella professione della fede n tutta la
vera Chiesa di Ges Cristo. Si di impertanto a recare in lingua latina i lavori
di que sommi con singolare propriet, non punto badando se alcuno gli volesse
apporre taccia di troppo libero tradutl:re, pur- ch rendesse chiari i concetti
dei preci scrittori. Come poi nessun argomen- fo s forte a dimostrare la perpetuit della fede,
quanto la continvafa serie dei fatti, cos egli volse lanimo a tradurre fa
storia ecclesiastica del famoso Eusebio di Cesarea, Kiconoscendo per che al
sommo ingegno. ealla vasta dottrina del greco istorico non avea risposto Ia
libert dell'animo, offeso da parzialit, pens Rufino di tenere il fondo del
deltato di Euscbio, aggiungen- do, togliendo, immutando quanto era necessario
affinch la storia e scevra fos. sc da spirito di parte, e completa nelle
lacune, che non a caso sospettavasi avesse lascialo il Cesariense; poscia la
continu tutta di suo fino all empio "Wu o ul tentativo di Giuliano
lApostata per la ricostruzione del tempio di. Gerusa- lemme. Perci il lavoro di
Rufino, come riconoscono i dolti, anzich una tra- duzione fu un rifacimento, e
divent un opera originale. originali del
(nt- to sono le sue opere Delle Vite de Padri, Le Benedizioni dei XII Patriarchi,
Il Commentario sopra il Simbolo degli Apostoli dianzi ricordato, La Profes-
sione di fede al Papa S. Anastasio, Le Apologie, e parecchie altre, che anda-
rono perdute, rammemorate coi loro titoli dagli antichi scrittori. se non mi fuggisse il fempo avrei per ogn
altro argomento . della im- portanza di questopere di Rufino, e di moll' altre
traduzioni dei Padri greci. la testimonianza dei confemporanei pi illustri sia
per la sua persona, sia per i suoi lavori. Mi sia lecito almeno ricordare
alcuni nomi. Ai santi e dot. ti Vescovi, Venerio di Milano e Gaudenzio di
Brescia intitol de suoi scritti; altri ne dedic ai preti, che poscia ascescero
cattedra episcopale, i santi Paoli- no di Nola e Petronio di Bologna, suoi
carissimi; al nobilissimo Aproniano, convertito alla fede da Melania, invi le
sue apologie, S..Cromazio d Aqui- Jeia lo amava pi che fratello, e il sommo
Dottore e Vescovo d Ippona S. A- gostino, avendo avuto notizia della
dissensione insorta tra Rufino e S. Giro. lamo, dolorosamente la piange, tra
personaggi per la loro celebrit. nolissimt. a quasi tutte le Chiese cunctis pene ccclestis. o Ed eccoci giunti a
quella famosa controversia, intorno alla quale tanto scrissero dottissimi
letterati in diverse sentenze. N alcuno pu credermi 4 ardito che io voglia
entrarvi di nuovo. Narrer la somma dei fatti. Famosis- simo fra i pi illustri
doltori cristiani d oriente fu Origene, Alcuni de suoi libri (che S. Girolamo,
riducendo il compulo fatto da altri, conta per ben 2000) sia per intemperanza
d'ingegno, sia per maliziosa corruzione d cre- lici, come altri mantennero, non
in tutte [e loro sentenze convenivano colle: dottrine della santa Chiesa
Cattolica. Ad onta per delle macchie che li offa- scavano, tanti crano i tesori
della cristiana sapienza in essi contenuti, che premurosamente li facevano
ricercare. Lo stesso Girolamo ne avea [radolte in latino alcune omilie. Rufino,
sollecitato da alcuni monaci, tradusse i libri famosi Dei Principi, che si
ritenevano in alcune sentenze macchiati di opi- pioni contrarie alla fede della
Chiesa, Quindi, zelando ardentemente Girola - mo che Ice origeniane dottrine
non pigliassero voga, e mantenendo Rufino VU or- todossia di Origene, a suo
parere dagli eretici maliziosamente nei libri adul- terala, nc proruppe una discordia
romorosa, mentre gli avversarii di Origene davano a Rufino la taccia di
eretico. La vigilanza del supremo Pastore della Chiesa Papa S. Anastasio
richiam a se la causa, ed invit Rufino a purgarsi, La lettera apologetica di
Rufino al Santo Padre esiste ancora, e basta da s a darci il vero concelto
della questione, anzich perderci nell increscioso jaberinto delle smodate
recriminazioni, che nellacceso fervore della disputa ci lanciavano
sprovvedutamente i confendenli, a Con parole rispetlosissime Rufino si purga
intorno al fatto. Narra di aver impreso la versione per le preghiere di alcuni
monaci; ma s non egsere n il difensore, n il vendicatore, n il primo interprete
di Orirene Origenis ego neque defensor
sum, neque usser tor, neque primus interpres . In quanio alla fede egli ne fa
una piena cd esplicita professione, rigorosamente confor- me alle definizioni
della Chiesa; espone le dottrine controverse tra i dottori, sulle quali la
Chiesa non avea ancora pronunciato g siudizio definilivo, e si di- chiara di
non aver abbracciata come cerla e definita nessuna delle contrarie
sentenze Ego vero cum hace singula
legerim, Deo teste, quia certi ct defi- niti aliquid usque ad praesens non
teneo . Si protesta in fine di tenere U-
nicamente la fede che tiene la santa Romana Chiesa, e di avere come
ereti - co chi da essa si diparte . Et si quis aliter credit, quisquis ille est, ana- thema
sit . Dopo ci non pi a dimostrare che Rufino, siccome visse
sem- pre da santo, e consum la sua vita alla dilatazione e alla esaltazione
della cattolica fede, per la quale, trovandosi in Alessandria quando I Ariano
im- perator Valente la perseguitava, pat i rigori del carcere, cos sempre in
essa si mantenne costante fino alla beata morte. Rufino credeva e professava
Vin- fallibilit del Romano Pontefice, e con questa professione gli era
impossibile prevaricare. Scriveva nella citata lettera al Papa S. Anastasio,
che la santa mente di sua Beatiludine era come un sacrario di Dio, la quale non
pu mac- chiarsi, n accogliere cosa che non sia retta Ut litteris meis satisfacerem | Beatitudini
tuac, non ut de sancta mente tua, quac velut quoddam Dei sacra rium, aliquid
iniquum non recipit, maculam suspicionis abstergerem. + N pi oltre
mestieri condurre il mio discorso, che ben si pare qual- mente a tutta
ragione Rufino un nome glorioso per la
nostra Chiesa e per la patria nostra, avendoci lasciato perenne monumento della
sua fede, delle sue virt, delloperoso ingegno suo in una vila. interamente
dedicata alla gloria di Dio. BIBLIO EG A_DEL SEA > VES PE a AN AE ESSO/IE 1
Di, A IRE TICIISE NA 640 en vasid= Pret tt EIA n pi = # - tt en, e rieti isti
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onianai lo FR e 0 mb mn. Tirannio Rufino.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE
VIR EXEMPLVM VT SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN
CIVITATE NEQVE SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS
QVIDEM AVT LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte
sotto Numanzia agl’ordini d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum
ed e pretore urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R.
segue come legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario,
quale console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a
Roma. Console. R. segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato
d’Asia. Condannato ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la
sua rigida onestà, R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta
l'invito di SILLA (si veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne.
A Smirne, Rufo scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È
oratore. I suoi discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva
gli studi giuridici. Militari romani e politici romani. Console della
Repubblica romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e
storico romano. Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione
Africano minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello
Numidico, proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra
i sotto-posti di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia
del Muthul, nel corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza
la cattura o il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici.
Eletto console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo
all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare
e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle
truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore
della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere
i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia
dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato
in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi
provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è
sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il
tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali
accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa
certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo
nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione
che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era
lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse
un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con
tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è
comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi.
Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R.
declina l'invito. Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria
autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della
filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi
giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in
Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI
Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore
Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio
Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani
Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani
romani Rutilii Stoici. R., who came
after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul
of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related
of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own
plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise
men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from
their own history, thereby associating their philosophic principles with
patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his
desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the
times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO;
whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial,
consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he
neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset
ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque
integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse
noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex
ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo.
Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool
Library. Rufo.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!;
ossia, Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo –
filosofia meridionale -- scuola
napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano.
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Scrive “Critica del
concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata
distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire
all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe
politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito
all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo
rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra
presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una
imponente Storia della filosofia e di
una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella
storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini,
e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed
apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia
della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari,
Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La
filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza);
“Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel;
(Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica
italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”,
Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari,
Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice,
Bologna, Cappelli, La libertà, Mancuso,
Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi
che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli,
Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze,
Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati,
Tra ethos e pathos. Il diritto pubblico romano
lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le
suture, a testimonianza delle sue radicali trasformazioni. Esso non
presenta un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto
un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che fa coesistere il nuovo
e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La
preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle
loro istituzioni, di sforzare il primitivo regime cittadino, fino a
includervi tutto il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La
città è per essi un più saldo organismo che non la polis dei Greci:
il principio della sovranità popolare, come fondamento della
costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,
le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere e quel prestigio
monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo
spirito militare è in gran parte causa della maggiore coesione e dell’acentramento
della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della
città in più vaste associazioni politiche, aventi per base l’autonomia
municipale, limitata soltanto dalle esigenze della difesa dal nemico
esterno. L’interesse militare suggerisce infatti la prima grande
federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune città sotto
l’egemonia romana; che sarà il modello delle future aggregazioni.
Il principio federale è quello che salva il nucleo della città, pur
mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare
sé stessa insieme con le sue conquiste. Il lento processo di
assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla civiltà romana si
fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e
indigeni e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali
autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea del decentramento
amministrativo è certo una delle più grandi che il diritto pubblico
romano ci abbia tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore
anche maggiore che per noi, perché storicamente l’autonomia municipale è
un passo importantissimo nella formazione del nuovo principio dello
stato, che sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento
delle più minute unità cittadine, confluenti con la loro vita propria nel
più vasto organismo politico. Si forma così una patria communis, che
ha sotto di sé una patria particolare, domus od origo Questa doppia
istanza della vita pubblica, che da una parte favorisce la profonda
esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale,
come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande
creazione romana. I greci, che anche seppero moltiplicare, in
numerose colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono
tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune;
cosi perdettero il frutto del loro lavoro in una dispersione incapace
di [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio
creatore. Essi posero in vita una folla di particolari in luogo di una
universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera nettamente da
quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato
allo stato è certo una delle manifestazioni dìù notevoli e feconde
dell’età di SILLA (si veda). Il periodo sillano rappresenta però ancora
un’età di transizione tra i due momenti, della città e dello stato,
quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non balza
fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo questa via, fino all’età
di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha contribuito, più
che l’accrescimento diretto del numero dei cittadini, mediante
l’estensione del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero
sempre maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza eccezione,
di due elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto allo STATO
ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di
romanizzazione è sollecito per la sua stessa spontaneità. In presenza
delle progredite istituzioni romane, le città della provincia sono
volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali,
presto riconosciuti inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un
segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle
stesse tradizioni della religione locale nell’occidente romano, come il
druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere
come un premio ambito ciò che pure è suo interesse precipuo di
largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica
completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine
che hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio
o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno
scarsa reciprocità verso la capitale. La più grande forza di
attrazione è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera
ossatura romana della vasta compagine imperiale. Con l’estendersi delle
conquiste, i piani coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO
(si veda), autore di un primo grande disegno organico, a GIULIO (si veda)
Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge un fecondo lavoro, che
ha per scopo di popolare di Romani le regioni occupate e di saldarle alla
madre patria. Il principio veramente romano che presiede a questo
lavoro è epigrammaticamente espresso dal motto: ubicumque vicit Romanus,
habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del
grande stato federale sull’unire della repubblica, e prima che GIULIO (si
veda) Cesare avesse stampato nel diritto pubblico i segni del suo genio
precursore, essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante
e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati
municipali di Roma sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia
non sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della
conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo
nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di
Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza nuova di
sé, viene mortificata e depressa da una taccia d’irrimediabile
inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che
attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame
che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella forza dell’imperium,
che sanci- [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli
sotto la potenza militare romana. Piccole città isolate e
sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso carro;
purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si preoccupa della vita che
internamente si svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio
di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma non lo governa; si appaga
di un compito estrinseco di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci.
La sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento
del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli
orientali, presso i quali erano più vive le esigenze della comunione
spirituale dei popoli formanti uno stesso stato. Apollonio di Tiana,
anche quando l’impero aveva portato molto più avanti il lavoro di
unificazione del mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo
romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di
regime s’inizia però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura
fine, non riesce a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di
grazia al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale,
distaccandone il centro dal territorio di Roma e idealizzandolo nella
persona del monarca. La legge cesarea dei municipi comincia col parificare,
in diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il
significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la
prima delle municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al
livello di semplici cariche municipali. La figura del monarca si distacca
nettamente da quella del magistrato. Non è più il princeps, cittadino
tra [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin. UI.'p.
110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende
tutto il mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria
autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto nuova allo
spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente e l’adatta
arditamente ai suoi piani. Essa ha un significato teocratico e mistico,
che viene accolto con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola
dell’ultima età repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da
uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad
imporla all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede
viva ed ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità
giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il re-divino,
l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata
dei suoi ministri, tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto
giuridico, egli è il re-proprietario, al quale appartengono per
diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono
incapaci di concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che
pure è un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi
la vedono incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si
accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi
ravvisano un senso alla propria riunione sotto un giogo comune e
sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine
religioso di cui sono partecipi. GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara
percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è
per lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto
possono irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole
dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono,
per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e
amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli
stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia,
subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila
per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del
regno, che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle
libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta
che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità
reale e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per
quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che
disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di
realizzare questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto
a lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per
portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia
da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai
più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col
proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno
all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio
della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel
tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato.
L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico
tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e
immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino
tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si
guarda accuratamente di legare a questo nome [Mommskn. Le drolt pnblic
romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece
degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi
l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle
milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal
punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia —
sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la
dignità consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il
tribunato del popolo, la magistratura più popolare e praticamente
efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di cariche
preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si
forma il potere nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento,
dapprima limitato e poi indefinito, della durata delle cariche stesse.
L’impero si costituisce cosi condensando le forze più vitali delle
istituzioni repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di
suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura
militare e del triumvirato, esso ha perfino l’aspetto di una
reintegrazione delle magistrature ordinarie. Alla monarchia vagheggiata
da GIULIO (si veda) Cesare subentra, almeno in principio, una DI-ARCHIA,
una divisione del potere tra il principe e il senato. Tutta la
provincia viene separata in due parti, imperiale e senatoriale, con
diversi magistrati; e al senato viene attribuita ramministrazione dell’
Italia, che OTTAVIANO non crede opportuno prendere per sé, ritenendo più
facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana
provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi 1 Mommsen]
OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano, per
l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla nomina del
senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte gradatamente
in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante
influenza sulla costituzione e sul funzionamento del senato, che
finisce col divenire un passivo strumento nelle sue mani. Con felice
incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo al principio cardinale della
concezione monarchica del suo grande predecessore, accettando l’idea
della divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella della
sovranità popolare, che informa di sé la nuova carica. L’apoteosi del
principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la
conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli dèi, — altari,
culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della
riforma religiosa d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo
dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,
includendovi l’adorazione dello stesso imperatore vivente: una
trasformazione piena di significato, perché con essa l’apoteosi si distacca
dalla vecchia concezione occidentale della religione dei MANI, che
in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla, e s’innesta nello
spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero
completa e ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si
eleva sui culti particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli
il simbolo di una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione
a un identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari
delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore
ammaestramento filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza
dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella
conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia,
che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse
a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio
lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento
della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella
vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La
cittadinanza che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti
esprime la nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie
particolari e che gl’uomini accettano quasi come un segno del riscatto
dalla schiavitù del suolo che li lega e li circoscrive materialmente.
Essa è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità
ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare
oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti
spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il
primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme
di consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3
(ì. I»K
huGGiKKO. La filosofia
coniemfor>tnea.DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI 1.
La fortuna dei
nostri filosofi. Con la filosofia
italiana vogliamo rifarci dall’origini. Se c’è un paese che può vantare uno svolgimento originale di
pensiero, dal rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel
tempo stesso, sembra che nessun paese puo deplorare, con maggior diritto dell’Italia, il disconoscimento più pieno
della sua vita mentale. Il nostro rinascimento è in generale conosciuto. Ma,
dopo, ci si sequestra dalla circolazione del
pensiero europeo. Vico è lettera morta
fuori d’Italia; e l’epoca piu
tardi offre questa stranezza, che vengono elevati a fama europea filosofi mediocri come Hamilton, Cousin e più tardi Lotze,
mentre sono ignorati SERBATI (vedasi), GIOBERTI (vedasi), e SPAVENTA (vedasi)
-- tre filosofi geniali, che proseguono la tradizione speculativa del pensiero
europeo, proprio quando sembra interrotta, nella fine apparente dell’idealismo. R. non sta a fare un ridicolo
processo agli stranieri per averci
dimenticati. Noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del
nostro passato. E le stesse condizioni civili e politiche d’Italia purtroppo
contribuisce alla sprezzante dimenticanza
Si, perché la
circolazione del pensiero avviene in modo diverso nei tempi moderni che
nel Rinascimento. Allora potevamo, anche
politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri. Allora
infatti la vita del pensiero è l’universalismo
astratto, naturalistico, che neutralizza le differenze della storia. La sua espressione è il concetto
della sostanza di BRUNO (vedasi), l’unità indifferente degl’opposti. Invece, s’inizia un movimento profondo d’individuazione.
È il periodo dello storicismo. Il
pensiero non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori dell’individuazione
politica, sociale, morale d’un popolo è nulla. È flatus vocis. Cosi si sono
affermate la cultura della Germania, quella della ‘Gallia, e quella di Oxford
-- culture di popoli formati. La nostra no. Noi avemmo due grandi filosofi.
SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi). Ma sono un’anticipazione sulla nostra
realtà storica. Noi non h celebrammo che quando volemmo far la nostra storia.
Il loro pensiero rifulge di vivida luce coll’unificazione. Ma divienne
cosa morta un anno piu tardi..E l’Italia
che si forna nel ’fiO non è rosminiana
né giobertiana. Perché? Purtroppo è nota la decadenza mentale e morale di
quella Italia. La sua voce non è più la voce generosa di Gioberti, ma la molle
cantilena di ROVERE (vedasi) e l’accento rauco di FERRARI (vedasi). In un corso
di filosofia che resta celebre nella storia della nostra filosofia, il terzo
dei grandi filosofi italiani, SPAVENTA
(vedasi), ri-evoca le glorie del nostro passato, e spiega a una folia d’ignari
lo svolgimento originale della filosofia italiana: nella nuova luce da lui
diffusa sulla nostra filosofia. BRUNO
(vedasi) e CAMPANELLA (vedasi) trovano il loro posto nella storia della
filosofia come precursori di Cartesio, di Spinoza e di Locke. VICO (vedasi),
come il geniale pre-sentimento del criticismo. E infine, GALLUPPI (vedasi),
SERBATI (vedasi), e GIOBERTI rappresentano la coscienza via via più compiuta
del criticismo, come questo s’è svolto in Germania per opera di Fichte e di
Hegel. Ma SPAVENTA (vedasi) avverte che la caratteristica dell’ingegno italiano
in tutti i tempi è quella d’essere precursore, d’avere il pre-sentimento d’una verità,
ma di non saperla svolgere, e di falsificarne perfino il senso e la portata. Ma
colla rinnovata coscienza della propria storia, SPAVENTA (vedasi) spera che l’Italia
risorta allora a unità politica, riprende,
in una piena consapevolezza, il posto che le spetta nella cultura. Ed
egli stesso ne addita la via, con uno sforzo tenace per porsi all’altezza del
movimento storico, comprimendo ogni impulso della sua filosofia originale per
ri-vivere intensamente la filosofia altrui; facendosi scolaro, per poter
diventare il maestro degl’italiani. Ma l’Italia alla quale SPAVENTA parla non è
in grado di capirlo. Ell’è quella stessa
Italia che ha pervertito la filosofia di GIOBERTI (vedasi) in una speculazione
flaccida e senza sangue -- la filosofia
dei bramani, come lo stesso SPAVENTA (vedasi) dice. Ond’è che il geniale
hegeliano parve a taluni un mistico, ad altri un sovvertitore della scolastica;
a nessuno quello che in realtà è. I falsi nazionalisti gli rimproverano il suo
hegelismo; i falsi hegeliani il suo
nazionalismo. In verità gli rimproveravano gli’uni gl’errori degl’altri. Dalla
doppia taccia SPAVENTA (vedasi) è immune: egli che sente, si, ITALIANAMENTE la
filosofìa. Ma la pensa universalmente. Il primo insegnamento di SPAVENTA
(vedasi), come quello ilei suo granile conterraneo, SANCTIS (vedasi), è dunque
infruttuoso; a riceverlo, le menti sono impreparate. Non cosi oggi, che nella
rinascente italianità. noi impariamo a vivere in comunione col nostro passato,
consci che ogni sviluppo della vita speculativa è possibile solo mediante una
piu salda continuità colla tradizione storica. L’Italia nostra non s’è fatta
net 1860 ma si va facendo ai nostri giorni: quella stessa Italia che va
conquistando una posizione sempre più eminente
tra i popoli, afferma la forza interiore di questa ascensione col
rinnovamento della sua coscienza speculativa. In tale rinnovamento. risorgono i
nostri grandi, SANCTIS (vedasi). SPAVENTA (vedasi); attraverso essi, noi ci
colleghiamo al nostro passato. Io esporrò brevemente l’ammaestramento loro e di
quelli che proseguendone l’opera hanno contribuito con loro al presente
risveglio su questo passato. Il
Rinascimento e Machiavelli. Gl’albori della filosofia sono da ricercare
nell’umanismo. Ivi la filologia già lascia intravvedere il principio e
l’indirizzo della filosofia; ivi già s’accenna quel ritorno all’antico di
CICERONE (vedasi) che è invece creazione del nuovo. Sotto i colpi dell’umanismo
comincia il dissolvimento della scolastica, che prosegue poi, più rapido, nel rinnovamento della vita civile e
politica, e della speculazione che l’esprime. Qual è il significato della
scolastica? Essa è un connubio del cristianesimo col LIZIO. Il Dio che s’era umanizzato in
Cristo si naturalizza nella logica del LIZIO: diviene l’ente, l’oggetto, nei
quadri della sillogistica. Il monumento della scolastica è la prova ontologica
d’AOSTA. Questo naturalismo è già un
grande progresso: non è il naturalismo fisico dei pre-socratici, non il
naturalismo ideale degl’accademici, ma è naturalismo divino. Per mezzo suo si
svolge la contra-dizione del cristianesimo, colla sua doppia affermazione
dell’umanità e della divinità del divino. E il naturalismo del rinascimento che
sorge come negazione di quello scolastico, contiene in realtà la doppia
esigenza, nella sua unica aflermazione del divino e l’umano della natura. Con
esso s’inizia l’età umana della fìlosofia. Quanto al suo procedimento
speculativo, la scolastica si compendia nei princìpi della sillogistica; la sua
visione etica del mondo, poi, nell ascetismo e nel misticismo: la speranza
messianica implica la svalutazione della realtà attuale e della vita. E il rinascimento
è l’anti-tesi di entrambi gl’indirizzi:
esso è la sopravvalutazione della vita —
quella che la libertà comunale, gl’attivati commerci e i rapporti politici
promoveno e intensificano; e in pari tempo esso è l’atteggiamento della
filosofia speculativa, che non ha una realtà fatta innanzi a sé, da
sillogizzare, ma crea la sua realtà, osservando, provando, inducendo. Nascono cosi
due scienze, la politica e la fisica,
ambedue dal me Essa è la sola cosa stabile ed eterna: ogni volto, ogni faccia,
ogni altra cosa è vanità, è come nulla; anzi è nulla tutto ciò che è fuor di
questo uno. Spinoza non parla con maggior vigore, ma a differenza di BRUNO
(vedasi), egli non indietreggerà d’un passo dalla posizione conquistata. Il
filosofo italiano, come già TELESIO (vedasi), e poi CAMPANELLA (veasi), alterna
il nuovo col vecchio: più veemente di Spinoza, è assai meno coerente, e accanto
al nuovo Dio lascia sussistere l’antico. Più oscillante ancora di BRUNO
(vedasi) è CAMPANELLA (vedasi), benché rappresenti un’esigenza nuova del
pensiero speculativo. La difficoltà del concetto di sostanza è che la filosofia,
naturalizzandosi nell’oggetto, non può spiegare sé stessa. La sostanza è conosciuta ma non si conosce: come ciò è
possibile? Come può l’uomo, un semplice modo od accidente, conoscere la
sostanza, ed elevarsi a Dio, se è semplice effetto? come l’effetto ritorna alla
causa? Il problema che il concetto della sostanza apre alla speculazione è
quello del conoscere, e ad esso s’appuntala filosofia del frate di Stilo. CAMPANELLA
(vedasi) è confusamente il Cartesio ed il Locke della fìlosofla italiana. Muove
dal dubbio scettico e trova la certezza nella coscienza di sé, nel xensus
SPAVENTA (vedasi), Saggi di critica, Napoli.. LA FILOSOFIA ITALIANA abciilus, ma d’allra parte
fonda la conoscenza della natura sul semplice sensus addilux. Le due esigenze
restano in lui inconciliate: per avere una conciliazione si dovrà giungere fino
a Kant. Ond’è che la certezza delle cose
esteriori sembra a CAMPANELLA (vedasi) ora uno sviluppo, ora una caduta, ora un
incremento, ora un limite. 15 l’intonazione generale della sua filosofia è,
nella metafisica, il razionalismo, la dottrina delle primalità fondata sul
sensus abditiis; nella teoria del conoscere l’empirismo, la mera certezza
sensibile e la concezione dell’intelletto come
semplice senso illanguidito. Ma se per questo verso egli fa un gran
passo su BRUNO (vedaso), gli resta poi di gran lunga indietro pella convinzione
e la fede nell’infinita presenza del divino nell’universo. CAMPANELLA (vedasi)
è in qualche modo, e quasi inconsciamente, il filosofo della restaurazione
cattolica, come fha definito SPAVENTA (vedasi). Egli, col suo
razionalismo, non toglie i ceppi alla
scienza, se non perché questa se li rifaccia da sé medesima e si sottometta
liberamente. Ma l’entusiasmo di BRUNO (vedasi) non trova il suo riscontro che
nello sforzo tenace di BONAIUTO Galilei. Con questo la scolastica, solo
virtualmente superata nella filosofìa del rinascimento, è vinta per sempre. Il
naturalismo non è più soltanto celebrato come nuova tendenza dello spirito, ma è l’attualità
spirituale: nella scienza s’umanizza la natura, che non è più la mera
privazione degli scolastici, né la divinità ancora trascendente della
speculazione, ma è la scienza stessa, l’atrermazione dell’umanità concreta del
mondo, di quel mondo che non ci è estraneo ma interiore, e che vive della
stessa nostra vita di ricerca e di conquista incessante. DA MACHIAVELLI A GlOBERTI Vico. Tra MACHIAVELLI
(vedasi) e VICO (vedasi) corrono due secoli, e ratteggianieiito mentale è
profondamente mutato. All’apparenza li direste vicini, rivolti come sono tutti
e due al passato, per attingere d’esso la loro forza. Ma con che occhio diverso
lo guardano! MACHIAVELLI (vedasi) vede nel passato il mezzo per liberare il
presente dalle accidentalità storiche e
per contemplar l’uomo nell’intimità della sua natura, delle sue passioni: egli
fonda così la politica. Con VICO (vedasi), il naturalismo umano del rinascimento
è già sorpassato, e l’esperienza storica non suggerisce più alcuna distinzione
tra sostanza ed accidente, ma la considerazione dello sviluppo, dello
spiegamento della mente umana. VICO (vedasi) fonda la storia. Le due mentalità sono profondamente
diverse. La tradizione dei politici si continua attraverso GIUCCIARDINI
(vedasi), PARUTA (vedasi), SARPI (vedasi), ed ha un lontano rappresentante in
GALIANI (vedasi). Anche questi, come VICO (vedasi), fa la critica del suo
secolo, e del giacobinismo che quello prepara; ma la sua critica non pre-annunzia
il secolo seguente; essa è quella del politico, che, incapace d’intendere l’aspirazioni,
ha e.sperienza per avvertire le sue
fanciullaggini e sorridere alle sue illusioni. La critica di VICO (vedasi) è al
contrario novatrice. Essa investe tutta la filosofia, il cartesianismo e il
sensismo. All’universalità astratta del primo che non spiega la scienza, perché
vuol fondarla sulla rivelazione immediata dell’evidenza VICO (vedasi)
contrappone l’intuizione genetica delle cose, che le [ P. un'acuta osservazione
di CROCE (vedasi): la filosofia di GALIANI (vedasi), in Critica, spiega nel
loro farsi, nel loro sviluppo: e prelude cosi allo storicismo. E mentre il
sensualismo trae dall’esperienza sensibile un motivo tutto materialistico. VICO
(vedasi) svolge, da quella stessa esperienza, l’universale fantastico, la poesia e la lingua, nella loro originalità
spirituale: e cosi prelude al romanticismo – e a GRICE!. Queste geniali
intuizioni sono comprese in un’unità potente: è la mentalità umana che nel suo
sviluppo s’afferma come dispersa nel senso e nella fantasia e s’unifica e si
riflette nel pensiero. VICO (vedasi) perciò intravvede una metafisica della
mente, una storia ideale, eterna, pella quale
corrono le storie delle singole nazioni: nelle modificazioni della mente
sono per lui da ricercare i momenti dello sviluppo storico. Ecco la grande
originalità di VICO (vedasi): per MACHIAVELLI (vedasi) l’umanità era natura,
sostanza, e perciò fatale nel suo corso, nella sua logica interiore. Con VICO
(vedasi) sorge il concetto della mentalità, della provvidenza immanente
nello sviluppo della nazione. In MACHIAVELLI
(vedasi) c’è ancora, contro l’apparenza, l’intuizione teologica del mondo, e la
tristezza d’un’attesa messianica: l’uomo è fatto trascendente a sé medesimo. In
VICO (vedasi) non più. Nella sua concezione storica l’umanità è tutta spiegata.
Ma pure quello stesso VICO (vedasi), che scrutando la storia di Roma, attua
magnificamente la sua idea, lascia poi intatto il pregiudizio
dell’elezione arbitraria degl’ebrei. Nel passare alla storia di Roma, VICO
(vedasi) aveva compiuto il suo grande
sforzo, e vi s’era esaurito,
senza aver più la forza di ri-passare alla storia degl’ebrei, come osserva CROCE
(vedasi) nella sua bella monografia su VICO (vedasi). È viltà? È pregiudizio?
Forse, con più verità, è un difetto intrinseco dei sistema: VICO (vedasi) non sa uscire dal
particolarismo ristretto dell’unità nazionale: manca a lui il concetto
dell’università del particolare, deiriimanità della nazione, che è l’opera del secolo seguente. E
perciò quel passaggio dai romani agl’ebrei, che a noi sembra oggi cosi facile,
non è possibile al suo genio. VICO (vedasi) non ha mai il riconoscimento che
gli spetta, né in Italia né fuori, né
vivente né dopo morto. S’impadronirono della sua dottrina i positivisti,
e falsificarono nel modo più barocco la sua celebre formula della conversione
del vero col fatto. Rivendicarne la memoria e perseguirne la speculazione è
stata l’opera di SPAVENTA (vedasi), di SANCTIS (vedasi), e più ancora, di CROCE
(vedasi). Per merito loro la profonda lacuna della nostra cultura è
colmata. Con MACHIAVELLI (vedasi) e con VICO
(vedasi) noi possediamo gl’esponenti maggiori della storia della nostra filosofia,
dal Rinascimento VICO (vedasi) colla sua intuizione d’una metafìsica della mente umana è il pre-sentimento
del criticismo, che si svolge poi in Italia per opera di GALLUPPI (vedasi), SERBATI (vedasi), e
GIOBERTI (vedasi). La posizione storica
di questi filosofi è stata fraintesa
generalmente, e da loro medesimi per primi, finché la critica di SPAVENTA
(vedasi) non ne ha liberato la dottrina dall’involucro contingente e svelata la
stretta parentela colla filosofia tedesca. La spiegazione del fraintendimento
ci è data dalla considerazione dell’ambiente nel quale sorsero e si
svilupparono le dottrine. L’Italia è infestata dal sensualismo, e la stessa filosofia kan-liunn non vi s’introduce che attraverso
reclettismo e la psicologia degli scozzesi: il valore sommamente originale del
concetto della soggettività ne vien completamente perduto. Nel rinnovamento
cattolico, che s’inizia in questo stesso periodo, il sensismo vien minato alla
base, ma non già in nome del criticismo. Il sensismo è, nelle sue ultime
conseguenze, scettico; è un vano gioco d’elementi
soggettivi, che non fonda l’oggettività, il sapere. Ma il criticismo, si
soggiunge, non è anch’egli chiuso nel soggettivismo delle forme del senso e
dell’intelletto? e non va a finire del pari nello scetticismo? Con questa
critica si pretende di disfarsi di Kant, e si cre Sono curiose queste citazioni
di VICO (vedasi) che s’in1 H. Arie, storia e fìlosofta, Firenze. contrailo
presso i positivisti; se ne trovano oltre che in CATTANEO (vedasi), VILLARI
(vedasi), CAHELLI (vedasi) e Wngiiilli (vedasi). VICO (vedasi) diviene un
precursore del positivismo, la sua formula della conversione del vero col fatto, identità del pensiero e dell’essere,
come mentalità, sviluppo, viene dai più intesa nel senso che la verità sta nel
fatto e non già nella mente. Ma pure
queste reminiscenze vichiane trattengono i positivisti dal cadere in una
metafìsica materialistica. Sono tutti assai prudenti, anche perché non hanno
nulla da dire: il più arrischiato forse è ANGIULLI (vedasi), che è d’ingegno un
po’più filosofico degl’altri. Ma il suo programma positivistico non manifesta
alcun contenuto nuovo di dottrina. FI quando il positivismo, pella logica stessa del suo movimento, degenera ovunque
nel materialismo, i nostri positivisti sono pronti a sconfessare la conseguenza
d’essi non voluta delle dottrine. VILLARI (vedasi) polemizza coi materialisti.
GABELLI (vedasi) distinse un vecchio ed un nuovo positivismo, e manifesta la sua avversione
per quest’ultimo. Certo in questi pentimenti c’era qualcosa d’ingenuo, proprio
di chi non sa valutare la portata d’una
dottrina, mentre l’accetta; e i materialisti galli sono più conseguenti dei
positivisti italiani, nel negare quell’idealità vaghe che questi lasciavano
ancora ondeggiare al di sopra dei fatti. Ma se in ciò i nostri sono meno
filosofi, sono poi più di buon senso nelle loro riserve, perché dopo tanti
sforzi per liberarsi d’una metafìsica pseudo-idealistica, non volevano trovarsi impegoiati in una altra metafìsica,
di tendenze materialistiche. La trivialità di questa metafìsica non tarda a
manifestarsi. Essa sorge dal connubio tra la filosofìa e la biologia; e il suo
nome era il monismo: un nome che dice tutto, anche più del contenuto di
dottrina con cui lo si è voluto giustifìcare. I suoi fautori sono medici,
naturalisti, botanici, fisici, e via discorrendo. La loro opera sarebbe certamente andata dispersa se MORSELLI
(vedasi) non avesse avuto la felice idea di raccoglierla e disciplinarla in una
Rivista di filosofia scientifica, che resta come prezioso documento della
filosofia italiana. Ma l’esagerazioni più stravaganti del positivismo
materialistico si videro nella scuola d’antropologia, fondata da LOMBROSO
(vedasi), notissimo autore di saggi in
cui il genio e la delinquenza s’accoppiavano in una felice coincidentia
oppositorum. Di queste dottrine non ci occuperemo, perché son divenute di
competenza forense, e funestano le squallide aule delle nostre Corti d’Assise.
Accenneremo soltanto a una propaggine del positivismo italiano che per opera
specialmente di FERRI (vedasi) s’è innestata nella dottrina socialistica. E
del FERRI (vedasi) raccomando la lettura
d’una prefazione a una sgrammaticata traduzione italiana deWAntidiiliring d’Engels,
che è un bel documento del livello di cultura del nostro ex-socialista. Ma con
tutto ciò, del positivismo italiano noi non avremmo che notizie scarse e
frammentarie, s’esso non fosse stato conglobato e quasi condensato in una
dottrina unica d’ARDIGÒ. Di questo
perciò vogliamo occuparci un po’più estesamente. La filosofìa d’ARDIGÒ ha
quello stesso motivo naturalistico che abbiamo osservato nel positivismo della
Britannia; essa è l’indiflerenza tra il sensismo e il materialismo, senza per
altro il rigore logico di MORE GRICE TO THE Mill – GRICE e Baker, MILL -- e la
veduta vasta, per quanto superficiale, di Spencer. Mentre infatti l’empirismo della Britannia è veramente
monistico, nel senso che, ammesso il fatto naturale della sensazione, ritiene
poi derivata e posteriore la distinzione del soggetto e dell’oggetto, ARDIGÒ
invece tradisce fin dal principio la sua preoccupazione dualistica, propria del
realismo ingenuo. Perciò ammette come fondamentale la distinzione del senso
interno e del senso esterno, dell’auto-sintesi
e dell’etero-sintesi, cioè d’una parte l’associazione dei dati psichici stabili
che costituiscono il me di GRICE – PERSONAL IDENTITY, I AM NOT HEARING A NOISE
--, dall’altra l’associazione degli stati psichici accidentali che
costituiscono il non-me. Questa è prova dell’inferiorità della dottrina in
quistione rispetto alle altre forme di positivismo, perché la distinzione non
fa che adombrare quella tra la materia e la sensazione – WHAT’S THE MATTER? NEVER
MIND! --, e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo nella
conoscenza, che ad empiristi come Avenarius o Mach parrebbe una mostruosità. Il
termine comune di materia psichica, nei due campi, del senso interno e del
senso esterno, non è in effetti altro che un nome, che si può trasformare a piacere in un altro, l’indistinto,
che ARDIGÒ (vedasi) pone a fondamento della realtà. Si vuole che ARDIGÒ fa una
critica dei-rinconoscibile di Spencer, e c’è veramente un saggio suo su questo
soggetto. Ma bisogna proprio dire che egli sia andato in cerca della pagliuzza
nell’occhio del fratello, senza accorgersi del trave che ha nel proprio. Almeno
il povero Spencer poteva illudersi di
veder il divino in quel suo inconoscibile, mentre nel caso dell’indistinto,
nemmeno questa immaginazione è più possibile. Con questo concetto del neutro
d’ARDIGÒ l’epurazione degl’in-conoscibili, degl’in-coscienti e simili prodotti
del facile eclettismo è compiuta, e non resta che l'innocua sodilisrazione (ti
dire uno, quando le cose, a dispetto del positivista, pare che vogliano dire due. L’indistinto o neutro
d’ARDIGÒ non contiene dunque più alcuna traccia del divino. L’idea del divino è
del tutto radiata dai quadri di questa filosofia, e al suo posto subentra il
concetto dell’infìnito o della virtualità permanente dell’esperienza: un
concetto che, come quello inilliano della possibilità delle sensazioni
dimostra, si. la preoccupazione immanentistica del positivismo, ed è perciò da
lodare nel movente psicologico della sua formazione, ma è nel fatto
insufficiente, come quello che si travaglia ancora nel dualismo del LIZIO, e
dissimula, nella sua apparente facilità, il problema non risoluto, e
l’ignoranza dei potenti sforzi che la speculazione di venti secoli ha compiuto
per giungere al graduale superamento di esso. Questo cenno sul motivo fondamentale dell’opera d’ARDIGÒ può
bastare, come un saggio della sua filosofia. Lo svolgimento della dottrina,
secondo i criteri direttivi dell’empirismo, è dato dal tentativo d’aggruppare
in varie forme e in varie guise il materiale plastico della sensazione: un
campo di ricerche che l’empirismo nella Britannia aveva già da tempo sfruttato, e che con ARDIGÒ
non è in grado di dar nuovi frutti. Dal
dualismo si val al monismo.
Nell'imperversare delle dottrine materialistiche, molte voci modeste sono
soffocate, che forse in un ambiente più propizio avrebbero potuto esercitare
un’efficacia maggiore. La loro influenza sulla filosofia italiana è assai
scarsa, in un tempo in cui il materialismo domina la vita sociale nelle sue più
cospicue manifestazioni. Esse nondimeno
riuscirono a formarsi un teatro più ristretto, ma insieme più consono alla loro
intonazione: la cattedra. E come già nella Gallia lo spiritualismo eclettico,
svalutato dai nuovi indirizzi, si conserva nella cerchia universitaria, così
nell’Italia positivistica e materialistica s’ha un insegnamento universitario
con tendenze spiritualistiche. Noi abbiamo già accennato a quel dualismo platonizzante che si delinea nelle opere di
ROVERE (vedasi), FERRI (vedasi) e BERLINI (vedasi). Come quello che, bilanciato
tra i due domini estranei del pensiero e dell’essere, naufraga poi nello
spiegare la mediazione d’entrambi, il conoscere, esso non poteva riuscir
vincitore di quel positivismo che vive nella medesima diffìcoltà, e solo cerca
di dissimularla colle sue poco fondate
asserzioni. Né il dualismo, nella
forma datagli da BONATELLI (vedasi) o da CANTONI (vedasi), per quanto più
corretto e rammodernato, ha migliori probabilità di successo. In fondo la
difficoltà resta identica, e al più veniva spostata in più remote regioni.
Nella sua vita infaticabile di studio e di ricerca, BONATELLI (vedasi) non
riusce mai a migliorare la posizione iniziale della sua filosofia, che noi
conosciamo dal saggio, Pensiero e conoscenza. Là egli, ispirandosi a Lotze,
muove dal soggettivismo empirico della coscienza e invano si tortura per
conseguire l’oggettività del conoscere. Il pensiero è da lui ridotto al
semplice pensato, alla mera forma indifferente a ogni contenuto, qual’è quella
della logica del LIZIO, e cosi fin dal principio gli è preclusa la via a concepire la relazione tra il pensiero e
l’essere. Egli afferma, si, che pensare è giudicare, ma non intende il valore e
la portata di questa grande verità della R.,
La filosofìa contemporanea. LA FILOSOFIA
ITALIANA lilo.solia kantiana, che
è neutralizzata dall’intuizione fondamentalmente platonica della sua dottrina.
Di qui, se il pensiero è il semplice pensiero, la certezza del reale non è che un’inferenza, un’analogia, per cui
noi interpretiamo le cose esterne a noi nei termini della nostra esperienza
soggettiva SOMEONE IS NOT HEARING A NOISE GRICE. Ma¬ cho cos’è la realtà in sé
stessa? Ora è qualcosa di simile ai reali di Lotze, ora è lo stesso pensiero
inteso come norma ideale a cui tentano d’adeguarsi le singole conoscenze.
Soluzioni deboli, come si vede, perché
col principio d’analogia crediamo di muovere, ma in realtà non moviamo un passo
fuori della mera soggettività; e la norma ideale, d’altra parte, posta fuori
del pensiero attuale, è la mera oggettività, a cui manca il ponte di passaggio
verso il soggetto. Oggettività pura e semplice, e soggettività pura e semplice,
dunque: qui la soluzione, in fondo, non fa che ridarci tal quale il problema. Il platonismo del primo saggio
si trova immutato negl’altri; al più s’epura. Nell’opuscolo PERCEZIONE GRICE
POTCH e pensiero è detto che l’oggetto GRICE OBBLE opera sul soggetto,
imprimendo in questo l’immagine di sé stesso; immagine che non è per nulla sfigurata
e deformata dalla passione del conoscente, perché il mutamento subito da questo
consiste soltanto in ciò, che egli
conosce ciò che prima non conosce – GRICE NEGATION AND PRIVATION KNOW. La
conoscenza viene così sempre più alleggerita di quel compito copernicano che
Kant aveva voluto imporle e quindi ridotta a una mera duplicazione
inesplicabile d’una realtà in sé bell’e fatta. Il termine della speculazione di
BONATELLI (vedasi) è, per questa via, il
capo [BONATELLI (vedasi), Pensiero e conoscenza Bologna. BONATELLI
(vedasi); Percezione e Pensiero Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere
ed arti, volgimento completo della tesi critica: la forma non è più del
soggetto ma appartiene all’oggetto GRICE OBBLE in sé, e al soggetto non viene
attribuito che la semplice modilicazione sensibile, o, in altri termini, la
materia 11 che significa, se non mi
sbaglio, volere ricondurre la tesi dualistica all’assurdo. Un altro dualista
orientato verso la filosofia di Lotze è CANTONI
(vedasi), pur colla sua vasta, ma poco
profonda, cultura critica. Nel suo lodevole tentativo d’acclimatare la
filosofìa critica in Italia, egli introduce quel famoso problema sull’origine
psicologica dell’a-priori che ha grande fortuna in Germania, e che costituì per lungo tempo il capo dei naufragi
di molti critici. Nell’intento di
CANTONI (vedasi), quel problema dove salvare la critica dal mero soggettivismo
in cui pare la chiude la critica: il riconoscimento della formazione
psicologica dell’a-priori dove infatti segnare il punto di convergenza della
doppia azione del pensiero e della realtà. Ma per quella legge
dell’eterogenia dei fini, la cui
fecondità è sorprendente, la ricerca di CANTONI (vedasi) è viziata precisamente
da quello stesso soggettivismo contro il quale egli crede di combattere. Come
infatti si può parlare di formazione psicologica dell’a-priori, tranne che
questo non venga inteso che come il semplice a-priori della coscienza empirica,
e non della coscienza e insieme della
realtà? Esso dunque presuppone qua
una coscienza, là una realtà bell’e fatta, e dice: questa coscienza
nell’appropriarsi quella realtà procede per gradi; è prima un mero a posteriori,
e si a priorizza a poco a poco con lo spogliarsi del contenuto sensibile e col
concepire la forma astratta delle cose che il pensiero può padroneggiare -- concepire
universalmente, necessariamente -- appunto perché è vuota di contenuto Ma
questo, è il falso a priori analitico da
cui Kant s’era liberato nella sua critica, e che poi Lotze, con un anacronismo,
aveva voluto ripristinare. Esso non
regge se non in quanto si pone il pensiero d’una parte e il reale dall’altra, e
si fa giocare il pensiero con sé stesso, nella sua vuota interiorità. E questo
fa appunto CANTONI (vedasi), il quale, una volta fuori della buona via, parla d’applicazione
delle categorie al reale, d’una corrispondenza Ira quelle e questo con un
completo capovolgimento di tutti i principi fondamentali del kantismo. Un
filosofo raccolto e con una simpatica intonazione mistica è ACRI (vedasi), personalità
assai caratteristica della filosofìa italiana. In un periodo di grande rozzezza
spirituale, quando il materialismo regna incontrastato, ACRI (vedasi) osa
scuotere il giogo della dittatura e affrontare direttaniente il nemico.
Rivolgendosi ai naturalisti, ACRI (vedasi) dice: voi colla vostra cellula
credete di spiegar tutta la vita della coscienza, e in realtà non spiegate
niente; nella cellula nulla c’è che chiarisca la medesimezza della coscienza, e
l’unità sua, e la sua facoltà formativa, e quella speculativa, e quella
volitiva, e nulla c’è che chiarisca la
più umile dell’operazioni sue E ricorre,
per mostrare l’impossibilità di comporre l’uno coi più, al grazioso esempio dell’aquila
d’ALIGHIERI che sembra un unico essere, ed è un’accolta d’esseri; e da da lon[CANTONI
(vedasi). Kant, Milano. ACRI (vedasi) Videmus in aenigmate, Bologna. --tano l’illusione di dire; io, io,
nienlre in realtà, a sentirla da vicino, dice noi, noi. Ma il platonismo d’ACRI (vedasi) riproduce, in più sublime sfera, la stessa difficoltà,
e, in fondo, la stessa illusione dell’aquila d’ALIGHIERI. Poste l’idee, non si
spiega più il pensiero; e posta l’intuizione immediata della verità ideale,
riesce inesplicabile la rillessione dell’auto-coscienza. Quindi invano cerca
ACRI (vedasi) d’adombrare con immagini poetiche il principio della
riflessione, che in realtà manca nella
sua filosofìa. ACRI (vedasi) ricorre all’esempio dello scintillio della luce
stellare. Ma questo esempio appunto tradisce la difficoltà dell’accademia. Lo
scintillare della stella è la mera apparenza della riflessione ilella luce, è
l’illusione soggettiva della nostra visione. La dottrina della coscienza è così
la nota fuori posto nella concezione d’ACRI (vedasi); questi abbracciamenti tra Platone e Kant, a tanti
secoli di distanza, hanno sempre qualcosa di fittizio. GRICE LO CHIAMA KANTOTLE
O ARISKANT, VIS-A-VIS PLATHEGEL OR HEGPLATO. Nei nomi di BONATELLI (vedasi), di
CANTONI (vedasi), e d’ACRI (vedai) si compendia l’indirizzo dualistico della FILOSOFIA
ITALIANA. Più recentemente esso ha avuto un altro prosecutore in SARLO (vedasi), fondatore
della rivista la Cultura filosofica. Questa, sorta in anti-tesi col positivismo
e coll’agnosticismo, e riprendendo alcuni motivi di Lotze, cerca di svolgere e
ravvivare il dualismo, col porlo in contatto colle dottrine gnoseologiche e colle
ricerche di psicologia sperimentale. E torna infine opportuno parlare a questo
punto d’un filosofo, che nell’ultimo
decennio ha compiuto uno sforzo notevole per conquistare una veduta
idealistica della realtà: intendiamo dire di VARISCO (vedasi). In “Scienza ed
opinioni,” egli si muove ancora nel campo della metafisica dommatica. Il mondo
è da lui inteso come un insieme d’elementi originari o monadi che operano gl’uni
sugl’altri. L’azioni reciproche tra le monadi sono in effetti di due
specie. Determinano cioè; una variazione
in ciascuna monade; una variazione tra le monadi, ossia ne modificano
raggruppamento -- la distribuzione
spaziale. I fatti della prima specie sono psichici, quelli della seconda,
fisici. Questo è il dualismo della metafisica dommatica, e consiste nel
considerare le relazioni del mondo fisico come affatto fuori della monade, mentre
ripugna alla monadologia ammettere
azioni infra-monadiche -- le monadi non
hanno finestre; e una volta ammesse, risulta inconcepibile la conoscenza di
quelle relazioni, perché non si comprende dove mai esse cadano, se son fuori
della monade. Ma coll’approfondire il concetto della monadologia, VARISCO
(vedasi) supera il dualismo della metafisica dommatica. Nel volume: I massimi
problemi il dualismo tra fisi e psiche
ha un significato gnoseologico, nel senso che quella distinzione non è più tra
due realtà estranee l’una all’altra, ma si costituisce nel dominio stesso della
conoscenza. La realtà fisica di “Scienza e opinione” diviene una psichicità, un
complesso di sensibili: il soggetto, la psichicità della posizione, diviene
l’unità del molteplice sensibile. Su questa dualità originaria, VARISCO
(vedasi) eleva la sua costruzione. D’una parte la realtà dei sensibili si
costituisce secondo le sue leggi; dall’altra la realtà del soggetto, secondo il
principio dell’unità di coscienza. In tal modo il dualismo non [VARISCO
(vedasi), I massimi problemi, Milano, dove è riassunta la dottrina. Ancora Scienza
ed opinioni, Roma] è risoluto; e questo perché VARISCO (vedasi) non ha svolto il concetto dell’unità della
coscienza in tutta la sua portata, eliminando quel residuo del LIZIO che sta
nel porre, di fronte alla coscienza, dei sensibili non sentiti, delle potenze
che aspettano di porsi in atto. Insoinma l’ombra del dommatismo, «Iella
precedenza di quei sensibili di fronte all’atto dell’auto-coscienza permane
sempre, e in veste psicologica si ripresenta quella realtà fìsica di “Scienza ed opinioni,” che VARISCO
(vedasi) non ha mai veramente risoluta. Per superare il dualismo, egli fa
ricorso a un concetto della filosofia di SERBATI (vedasi), quello dell’essere
in universale; ma ne muta profondamente il significato, che non è più per lui
trascendentale, ma empirico, ed esprime soltanto l’identità del pensato,
l’indifferenza di soggetto e oggetto; in
altri termini, quella psichicità primaria su cui deve fondarsi la dualità di
fisi e psiche. VARISCO (vedasi) compie un notevole sforzo per mostrare come
questo indifferenziato, per un’intima esigenza, si differenzi: e ciò mostra che
egli è bene addentro nella difficoltà dell’idealismo; ma non mi pare che
risolva il suo problema, perché non veggo il principio della differenziazione,
il soggetto. Quel differenziarsi è
perciò ancora da lui inteso nel senso della metafisica dell’essere e non del
conoscere, vale cioè a fondare una monadologia e non una fenomenologia. Per
giungere a questa è necessario spogliarsi del tutto della preoccupazione di una
realtà fatta, sia come natura, sia come potenza del pensiero, e guardarsi
dall’anticipare in qualunque modo il mondo sull’atto concreto del pensare. Già nella dottrina che VARISCO
(vedasi) accenna della personalità s’intravvede il principio d’un approfondimento
dell’idea del soggetto. Riporto le seguenti sue parole: Quando ciò di cui
giudico sono io stesso, il mio fare non è più soltanto ri-costruttivo; è
veramente costruttivo. L’io, ossia l’iinità dell’auto-coscienza ben diversa
dalla pura unità della coscienza, dal
soggetto animale, non esiste che in quanto afferma sé stesso – cf GRICE I’M NOT
ON THE FIRST ROW, I’M ON THE STAGE Bene, ma una volta inteso che riprodurre è
in verità, nel mondo della coscienza, della realtà in fieri, un produrre,
bisogna andare avanti, approfondire il concetto della riflessione creatrice,
che è il cardine della filosofìa, svelare tutti i tesori che esso racchiude: allora solo si vedrà, nella
trasparenza della coscienza, tutta la realtà nella sua pienezza. VARISCO
(vedasi) invece si ferma a metà: egli infravvede, ma non svolge, il motivo
fecondo dell’iilealismo. Il criticismo italiano è per molli rispetti benemerito
della nostra cultura, per avere alacremente pronio.sso gli studi storici, che
fra noi facevano difetto. Si pensi che perfino i due più profondi filosofi italiani,
SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi), spropositarono talvolta nel modo più
deplorevole la storia della filosofia, si da falsare la loro stessa posizione
storica di fronte alla speculazione. E nel campo della storia della filosofia
si sono specialmeiile distinti FIORENTINO (vedasi), TOCCO (vedasi), MASCI
(vedasi), TARANTINO (vedasi), CHIAPPELLI (vedasi), ed altri ancora. Ma, quanto all’atteggiamento
dottrinale, il criticismo ha uno stretto rapporto coll’indirizzo di cui abbiamo
testé parlato. Il criticismo si svolge infatti più specialmente nei confini
segnati dall’analitica trascendentale di
-- VARISCO (vedasi), I massimi problemi,
Kant. Di qui. il limite della sua forza speculativa e dato dalle
antinomie; limite che si vuol poi superare colla dimostrazione della vanità d’ogni
metafisica – H. P. GRICE, “METAFISICA”: Reason still speaks to us, but not in
the form of assertions, but IMPERATIVES! Ma colla metafisica il criticismo è
costretto, suo malgrado, a fare i conti, quando vuole spiegarsi quell’a-priori
che esso accetta da Kant. Non appena esce dalla semplice distinzione tra il
problema della formazione empirica delle
conoscenze e quello della loro validità, e vuol cercare di spiegarsi il come e
il perché di quest’ultima, eccolo già alle prese colla metafisica. Il valore,
come abbiamo già notato, è un concetto neutro, bilanciato tra il pensiero e
l’essere; la spiegazione del valore è dunque il problema metafisico del
rapporto tra il pensiero e l’essere. In che modo risolverlo? Il criticismo,
non sapendo vedere nelle categorie altra
cosa che quel semplice fatto del valore, ha esaurito già la sua provvista, e
non può chiedere perciò al suo Kant quella spiegazione ulteriore; esso allora
la perseguiterà attraverso la psicologia, la biologia, e finirà col ritrovarsi
in una posizione che aveva già oltrepassata colla sua premessa. Questa difficoltà
del criticismo si rivela nel modo più
caratteristico nella parabola descritta dal suo primo rappresentante in
Italia, FIORENTINO (vedasi), che non riuscì a mantenersi nella sua posizione
iniziale, ma, cedendo all’urto delle nuove ricerche biologiche, contro cui
s’era già abbattuto il criticismo in Germania, fini col fraintendere del tutto
il significato dell’a-priori kantiano, contaminandolo di naturalismo
evoluzionistico. Più fedele allo spirito
del criticismo è MASCI (vedasi), che se ne può considerare come il maggiore
rappresentante. Le sue istanze negative contro i fraintendimenti dei principi
fondamentali del criticismo sono solide, ma la fondazione postiva di quegli
stessi principi dà luogo alla difficoltà già notata a proposito del criticismo in
genere. Giustameute MASCI (vedasi) difende l’a-priorità dello spazio e del tempo, come funzioni
spirituali, dal psicologismo, che colla semplice costruzione delle
rappresentazioni di spazio e tempo s’illude di aver soddisfatto all’esigenza
dell’estetica trascendentale. Col suo mosaico delle sensazioni esso crede di
costruir la forma, invece la presuppone a ogni passo. Né migliori surrogati
della deduzione del criticismo offrono le ricerche biologiche sull’a-priori, che non riescono
addirittura a rendersi conto del problema di cui si tratta. Un altro errore che
si suol commettere nell’interpretazione del critiismo, è quello di ridurre la
realtà alla mera rappresentazione – H. P. GRICE, P. F. STRAWSON, D. F. PEARS,
‘REDUCTION” --; cosi, osserva MASCI (vedasi), si fa svaporare il reale, mentre,
secondo i principi del criticismo, la serie psichica non ha maggiori diritti al
riconoscimento della serie fisica. Ma esistono fisi e psiche come due realtà
per sé? Qui sta il problema. K pare che MASCI (vedasi) a un certo punto sia
sulla via di risolverlo secondo il criterio dell’idealismo assoluto, col
riconoscere l’inanità della riflessione che vuol risalire a una realtà oltre
l’atto dell’auto-coscienza. Però non
riesce a rendersi conto che al di là di quell’atto non c’è una realtà
che sia a noi preclusa pella scarsezza delle nostre facoltà mentali, ma che non
c’è proprio nulla, fuori che la proiezione della nostra ombra – PROBLEM WITH
BEING ON STAGE IS THE SHADOW -- GRICE. E una volta perduto il criterio
dell’unità concreta, fisi e psiche gli restano innanzi come due fatti distinti,
che egli pur sente [MASCI (vedasi), Il
materialismo psico-fisico, Napoli] il bisogno ili unificare. E concepisce cosi
il suo monismo. Non si tratta di sapere né come la materia genera il pensiero,
né come questo genera l’azioni
materiali. Porre cosi il problema è renderlo insolubile, perché l’idee
di materia e spirito sono generalizzazioni unilaterali, astrazioni nostre,
operate in direzioni opposte, d’un processo che in realtà è unico. E per
conseguenza cerca di trasferire quell’unità in un passato in cui psiche e tisi
erano indill'erenziate. La monadologia d’una
parte e il principio dell’auto-coscienza dall’altra: questa a me pare la
doppia esigenza inconciliata in cui si travaglia la filosofia di MASCI
(vedasi). E nella stessa difficoltà s’imbatte un altro filosofo, MARTINETTI
(vedasi), che vi resta impigliato, benché faccia un grande sforzo per
liberarsene, cercando di fondere la metafìsica dell’essere colla metafisica del
conoscere. Come già Bnirac, egli
concepisce il reale come una pluralità di monadi, o per togliere la possibilità
d’un fraintendimento storico di centri coscienti o unità sintetiche di soggetto
oggetto. Ma questa pluralità, realisticamente intesa, è incompatibile colla
monadologia. Posta la monade, o comunque il rapporto soggetto-oggelto, è con
ciò tolta la realtà nel significato
realistico delle altre monadi, la cui
esistenza è possibile solo come iilealilà nella monade. Lo svolgimento dell’idealismo
è consistito nell’approfondire questo concetto nuovo dell’idealità, in cui s’è
riconosciuta la realtà vera e concreta: così è stato abbattuto il vecchio
concetto del mondo come totalità naturale, e s’è costituito il nuovo concetto
del mondo come esperienza assoluta. MARTINETTI (vedasi) invece tien fermo
ancora all’idea del mondo come un tutto naturale e dissemina lungo d’esso i
suoi centri coscienti, senza intendere
che questo è incompatibile col concetto nuovo dell’idealità che egli mostra d’accettare.
Ond’è che, malgrado tutti gli sforzi, egli resta un realista, e, come tale, si
mostra impigliato in una difficoltà insolubile allorché vuol superare il
disgregamento dei principi coscienti in
una unità superiore. Una volta posta dommaticamente la plu MARTINETTI (vedasi), hitroiiuzlone
alla metafisica, Torino -- ralità delle coscienze, l’unitù o sarà un nome, o un
principio trascendente, perché lo ripeto, la pluralità, come tale, è fuori
dell’atto di coscienza. Dato questo residuo di dommatismo, un vero superamento
della metafisica dell’essere non è più possibile a MARTINETTI (vedasi), il quale non riesce
che a una conciliazione apparente tra quella metafisica e la metafisica del
conoscere, col mostrare che la stessa instabilità dei centri coscienti, per cui
essi si sviluppano e si potenziano in sintesi sempre più alte, si dà nel campo
del conoscere come processo delle conoscenze dalle forme più semplici e
imlilTerenziate del senso alle sintesi più
alte dcH’iiitellelto e della ragione. Qui non fa che ripro. Purtroppo
egli sa per esperienza che la gente a cui osa parlare di Hegel è solita di
prendersi segretamente gioco di lui, e allora conclude che l’hegelismo non si
può dimostrare che ad un hegeliano. E allora insorge più grave un nuovo
problema. Come si fa a diventare hegeliani? Qui le cose si complicano, una
volta che non si può diventare hegeliani
se già non si è tali. Ecco l’antinomia da risolvere; e l’unica via possibile è
d’ammettere che hegeliani si è in quanto si nasce. Questa è per lui una vera
rivelazione: egli finirà per convincersi di essere hegeliano per diritto
divino, e dall’alto di questa convinzione potrà lanciare uno sguardo di
commiserazione ai non eletti, rassegnarsi alle defezioni dei suoi scolari,
e abbandonarsi, senza nessuna
preoccupazione d’essere inteso o compreso, alle sue contemplazioni. La
filosofia di VERA è appunto la contemplazione del sacerdote di Brahma. Il termine
a cui s’appunta Vera, Inlroduclion à la philosophie de Hegel, Paris, in.
l’idealismo assoluto è l’idea nella sua vuota universalità, senza più nessun
contatto col mondo della vita. Per toccarla bisogna porsi al di sopra della sfera del sentimento,
abdicare alla propria coscienza individuale, e purilicarsi di tutta la propria
contingenza umana. Che cosa crede VERA (vedasi) di conquistare in un tal modo è
difiìcile dire; non certo l’universale concreto di Hegel. Ed è davvero
impressionante vedere come le pagine piene di vita della fenomenologia o della logica,
dove tutto il mondo della storia si
fonde in una grandiosa epopea, diano luogo, per opera del sonnolento hegeliano,
a un annacquato platonismo che prende le idee per entità e per mere
rappresentazioni di cose, e le dialettizza in un nebuloso empireo. Qui si
compiva quel pervertimento dell’hegelismo in una metafisica dell’essere, assai
peggiore dell’antica, perché cristallizzava l’idea nelle cose, e deduce i
cavalli dagl’asini, commisurando la deduzione
al grado progressivo di perfezione delle relative idee. Di fronte a una tale
metafisica è la benvenuta la reazione dello Schopenhauer, contro cui pur sente
bisogno VERA (vedasi) di protestare. Con ben altra mente concepiva l’hegelismo SPAVENTA
(vedasi). GIOBERTI (vedasi) dice, non diversamente da Hegel: pensare è creare.
L’idea del pensiero come creazione è l’idea della filosofia di Kant, mentre
Cartesio e Spinoza non sono giunti che al concelto del pensare come causare. Ma
GIOBERTI (vedasi) s’è elevato al nuovo
principio tutto d’un colpo, per una subitanea esplosione: egli intuisce ma non
prova la creazione; questa per lui è un fatto, indeducibile e indimostrabile.
Eppure egli stesso, in un passo importantissimo
delle Postume, integra la formula del pensare = creare, coll’altra:
provare è creare. Il pensiero prova l’atto creativo col ri-produrlo e ri-crearlo
dentro di sé; ma ri-produrre è produrre,
e ri-creare è creare. Ecco il grande concetto della mentalità, la quale non si
svolge per accrescimento e ri-produzione del suo prodotto, ma per creazione del
nuovo: il prodotto stesso non esiste che in questo nuovo produrre; l’atto creativo, che in
questo atto che lo ri-crea. A tale conclusione non è giunto GIOBERTI (vedasi),
il quale, anzi, dall’idea che provare è creare aveva voluto inferire che la
creazione è indimostrabile. Ma poiché il carattere essenziale della mentalità è
appunto il provare in ciò la mente si distingue dalla sostanza che si definisce
soltanto, il problema che la filosofia di
GIOBERTI (vedasi) apre ai successori è: provare la creazione. Ed è
questo appunto il problema di SPAVENTA (vedasi). GIOBERTI (vedasi) dice: essere è creare, pensare è creare,
creare è pensare. Questa identità bisogna provare. Creare è l’ente concreto,
soggiunge SPAVENTA (vedasi), è fare, realizzare, individuare, sostanziare,
entare, far esistere; è la realtà, l’assoluta realtà. È assoluta realtà, perché, per GIOBERTI
(vedasi), Dio stesso è creare, creare sé stesso. Toglieteci creare e avrete il
niente. Eppure non si ha mai il niente; giacché togliere qui è pensare; il
pensare rimane, e ci è sempre. Ciò vuol dire: il creare, tolto, rimane; perché
il togliere stesso è creare: cioè come semplice togliere —
negare — è momento del creare. Ora come si prova la
realtà, il creare? Il pensare è; non può
non essere. Il pensare prova sé stesso: negare il pensare è pensare. 11 Pen-, GIOBERTI
(vedasi), Nuova ProtoloQla, SPAVENTA (vedasi), LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari Appendice:
Schizzo d’una storia della logica. LA FILOSOFIA ITALIANA inesauribile ricchezza
è il grande pregio della logica hegeliana. Essa spiega il processo originale,
creativo, per cui il pensiero creando le
proprie determinazioni crea sé medesimo; è la storia ideale, eterna del
pensiero, prospettata nel sistema della scienza. Sta qui il significato dell’affermazione
di SPAVENTA (vedasi), che la spiegazione del creare è la logica. Questa logica,
di cui SPAVENTA (vedasi) toglie ad Hegel, dice cosi, lo scheletro, è da lui
svolta nel suo carattere più profondo,
perché concepita nel suo motivo storico cartesiano. L’interpretazione
delle tre prime categorie, l’essere, il non essere, il divenire, costituisce di
per sé sola il documento maggiore dell’originalità di SPAVENTA (vedasi).
L’essere è da lui inteso come la posizione immediata del pensiero, come il
semplice pensato. Esso è l’assoluto astratto, è il pensiero che s’estingue
neH’cssere. Ma io penso l’essere, e in
quanto lo penso, l’essere non è più il semplice astratto, ma il mio astrarre,
il mio pensare. Dunque, per virtù stessa del pensiero, l’estinguersi del
pensiero nell’essere è in verità un distinguersi. Pella grande importanza
dell’argomento, ripeterò testualmente il nostro autore. Fissando l’essere, egli
dice, io non mi distinguo come pensiero dall’essere; io mi estinguo come pensiero nell’essere; io sono l’essere. Ora
questo estinguersi del pensare nell’essere è la contradizione dell’essere. E
questa contradizione è la prima scintilla della dialettica. L’essere si
contradice, perché questo estinguersi del pensare nell’essere, e solo cosi è
possibile l’essere, è un non estinguersi: è distinguersi, è vivere. Pensare di
non pensare, fare astrazione dal pensare, cioè fissare l’essere, è pensare; è astrazione, cioè
pensare. Questa contradizione delpensiero che s’estingue nell’essere, e in
quanto s’estingue, pensa, e cioè si distingue e risorge, è il divenire, inteso
come pensare. Essere e non Essere, in quanto inverati nel Divenire, non sono
più quel che sono prima d’essere inverati; ma sono ciascuno quella stessa unità
nella differenza che è il divenire; e in quanto
tale unità, sono davvero, cioè attualmente, distinti. In quanto
veramente uno e distinti, si dicono appunto inverati; cioè momenti del
divenire. SPAVENTA (vedasi), La fllos. Hai. conseguenza un’altra distinzione:
quella della verità in sé e della verità per noi, di una metessi e d’una
mimesi, nella lingua di GIOBERTI (vedasi). Questa propedeutica, egli dice alludendo
alla fenomenologia, che è scienza, e prova il primo della scienza, ci è solo in
quanto ci siamo noi, coscienza o spirito finito: noi dobbiamo elevarci alla
scienza, non siamo immediatamente scienza. La vera scienza, invece, ci è in sé
assolutamente; è non solo umana, ma divina; quando l’altra è solo umana, e non
divina. È divina come momento della vera scienza, non come propedeutica; Dio
non ha bisogno di propedeutica. Quanti
c.avilli per dissimulare un passo falso! In fondo qui SPAVENTA (vedasi) è un
dommatico della più bell’acqua, un platonico che distingue una verità in sé e una
verità per noi, mentre ciò ripugna nel modo più completo all’idealismo. La
ragione dell’errore è che a SPAVENTA (vedasi) manca del tutto una fenomenologia
dell’errore; quindi egli non riesce a
svolgere il concetto della verità come sviluppo, come processo, che pure
è nello spirito della sua fìlosofìa; ma Unisce inconsciamente coll’oggettivarla
in un che di fatto e di compiuto, in una realtà in sé. Qui c’è ancora un
residuo della mentalità dell’hegeliano, che mentre ammette il progresso, il
movimento, e simili, è condotto poi, per la sua soverchia fedeltà alla lettera,
a negare tutte queste cose, allorché è giunto al culmine della
speculazione. Ma non è qui che bisogna vedere nella sua più grande vivezza la
filosofia di SPAVENTA (vedasi). Quello stesso SPAVENTA (vedasi) che afferma il carattere astrattamente divino
della scienza, dice poi, con quanta maggior verità!, che l’apriori è la stessa
potenza della natura, la potenza umana, la quale risulta e si concentra e s’individua da tutta la sparsa attualità
antecedente: e perciò è insieme un assoluto a posteriori. Qui s’intravvede il
vero SPAVENTA (vedasi), il filosofo che meglio d’ogni altro comprende l’umanità
dell'assoluto, di quell’assoluto che non è lontano da noi, ma ci è intimo, e
non è fuori della nostra contingenza, ma è questa stessa contingenza, sub
specie aeterni. Egli dice. Tutti coloro
che fanno ad Hegel due accuse opposte, di relativismo e d’assolutismo,
sono il trastullo d’una illusione ottica, propria della posizione in cui si
mettono; ciascuna parte prende di mira nell’assoluto hegeliano quell’elemento
che a lei fa male agl’occhi: i semi-soggettivisti, l’esperienza, il fenomeno,
la manifestazione, il divenire; gl’oggettivisti, il pensiero; nessuna ha
l’animo e la potenza d’aflìssarlo come
quello che è veramente, vale a dire come ragione assoluta, al di là della
quale, oltre e fuori, non vi ha nulla, e il relativo e il cosi detto assoluto
non sono che enti astratti, e come membri scissi dall’unità organica e viva: da
un lato viene scambiata la relazione col relativo come opposto all’assoluto, e
daH’altro l’assolutezza coll’assoluto, come opposto al relativo. Ai primi io dico: il processo dal primo
pensabile dal puro essere al pensabile assoluto all'assoluta soggettività del
mondo, come unità di conoscere e volere, di verità e bontà, e da questo come
prima esistenza, esteriorità omogenea e indifferente o spazio, all’intimità o
soggetto corporeo, Scritti flios. eli., Paolotlismo, positivismo, razionalismo.
all’animale, al senso, come senso umano o
spirituale, allo spirito o soggetto assoluto, questo processo non è un
gioco vano del pensiero con sé stesso, solamente nel mio intendimento, o un
pallido riflesso d’un lontano ed invisibile oggetto; ma, come atto infinito,
come il pensiero che si determina in sé medesimo e si raccoglie nelle sue
determinazioni e si condensa e concentra e si compie e pone come assoluto
pensiero, è l’atto dell’assoluto, il suo
intendimento, la presenza sua, lui stesso. Ai secondi dico: questo processo,
appunto come produzione, osservazione critica che il pensiero fa di sé stesso,
e in quanto il pensiero, e non altro che lui, principia originalmente e investe
sempre e conchiude quella che si chiama comunemente esperienza, e non s’esercita
fuori e senza di questa come in vuoto aere; questo processo è non solo empiria, ma l’assoluta
empiria; e ha sempre più valore d’ogni frammento e articolo sconnesso a cui si
dà tal nome. Qui, pur con qualche reminiscenza dello schematismo hegeliano,
c’è il pensiero che concentra tutta la
vita dell’hegelismo. Di fronte al concetto della relazione assoluta, che è
quello stesso del fenomenizzarsi della realtà nel pensiero umano, scompare ogni dualità del pensiero in sé e del
pensiero per noi, d’un processo della coscienza e d’un processo della scienza;
e in quanto la realtà non è il mero contingente né il mero assoluto, ma il
processo assoluto del contingente, essa non è soltanto una soluzione o una cosa
bell’e fatta e anticipata senza problema, né qualcosa che si perseguita sempre
e a cui non s’arriva mai, un eterno problema SPAVENTA (vedasi). Principii d’etica,
Napoli. l’idealismo assoluto che non è mai soluzione, ma è l’eterno problema
che è l’eterna soluzione, l’assoluta possibilità che è l’assoluta attualità.
Svolgere questo concetto è soddisfare all’esigenza millenaria posta. Qui, come
si vede, GENTILE (vedasi) riprende e svolge il concetto della dialettica,
accennato da SPAVENTA (vedasi) nel suo saggio sulle prime categorie della
logica di Hegel: è la dialettica dell’essere e del pensiero, che, sola, a noi
sembra feconda e rispóndente allo spirito dell’idealismo post-hegeliano.
L’assoluta a-priorità della sintesi, in questo dialettismo, è l’assoluta [GENTILE
(vedasi), L’atto del pensare come atto puro, Annuario della biblioteca fllosoofca
di Palermo, immanenza del pensiero, come
atto puro o pensiero concreto. Come tale esso è pensiero nostro; fuori
di quest’attualità non v’è il pensiero,
ma il pensato, che è natura, materia. E il ritmo dialettico del pensare è
appunto il convertirsi del pensiero in pensato, dell’alto in fatto, per
risorgere poi eternamente da sé medesimo. Questa dottrina dell’assoluta
immanenza, per cui la vera concretezza è il pensiero attuale, e che perciò nega esplicitamente ogni anticipazione
della realtà come potenza sull’atto del pensare, ed è la più recisa negazione
del vecchio concetto del mondo come il tutto dell’immaginazione, è stata appena
abbozzata in poche pagine da GENTILE (vedasi). Ogni ulteriore discussione
intorno ad essa è prematura; bisognerà prima conoscerla nel suo pieno
svolgimento. Abbiamo seguito lo sviluppo
della filosofia italiana. Questo sviluppo non ha subito nessuna brusca
interruzione come falsamente si è creduto. Il naturalismo del rinascimento
precede e pre-annunzia il movimento cartesiano, e similmente la dissoluzione
del naturalismo, che avverrà in Germania per opera di Kant e dei suoi
successori, s’inizia già in Italia con VICO (vedasi), e prosegue poi, a un
secolo di distanza, con SERBATI (vedasi)
e GIOBERTI (vedasi), che inconsapevolmente attuano l’esigenza posta dalla
metafisica della mentalità. La filosofia speculativa ITALIANA entra in un periodo di decadenza. L’ultime
apparizioni della metafisica sono tenui e senza consistenza, come l’ombre della
caverna platonica. Il positivismo in Italia sorge colla giusta esigenza d’una
dottrina che non vuole anticipare col pensiero sulla realtà, ma finisce ben
presto col falsare la sua premessa in un miscuglio ibrido di dottrine e in una
mal dissimulata simpatia pel materialismo. I suoi primi accenni sono opera di
specialisti, come CATTANEO (vedasi), CABELLI (vedasi), VILLARI (vedasi) ed
altri ancora. Privi di vera originalità, ma corretti nella loro povertà. Le sue
ulteriori esplicazioni sono orientate
verso la scienza e particolarmente la biologa. Il rappresentante maggiore di
questo indirizzo è ARDIGÒ (vedasi) che, per il suo sforzo serio e tenace di
pensiero, pur senza dire quasi niente di nuovo, eleva il positivismo italiano
quasi all’altezza di tutti i positivismi del mondo. La rinascita della
filosofia speculativa è segnata d’un approfondimento del dualismo tra il pensiero e l’essere, che già s’accenna
nelle opere di ROVERE (vedasi) e FERRI (vedasi), e per cui si passa dal
dualismo dommatico di BONATELLI (vedasi) al dualismo gnoseologico di VARISCO
(vedasi). Il criticismo, come quello che non svolge la potenza dell’a-priori,
si travaglia nello stesso problema, e non riuscendo a superare la posizione
della metafisica dell’essere, finisce
col ricadérvi, annullando cosi il concetto dello spirito, ch’esso attinge
originariamente alla filosofia critica. E infine, librato sulle due
metafisiche, in una posizione incerta, ma pure interessante ed originale, MARTINETTI
(vedasi) segna il punto in cui la mentalità del criticismo si volge verso
l’idealismo assoluto. Ma la linea classica della METAFISICA ITALIANA è ripresa da SPAVENTA (vedasi), che promuove
l’indirizzo della filosofia di GIOBERTI (vedasi) con quella più chiara
coscienza della sua vera natura, chft poteva esser data dalla cultura hegeliana.
Con SPAVENTA (vedasi) comincia implicitamente il processo dissolutivo della
filosofìa di Hegel, che è in pari tempo costitutivo d’una metafisica che mira a
svolgere nella sua pienezza la potenza
umana della realtà, l’a-priori critico, negando nel modo più reciso ogni
trascendenza. Le tappe di questo cammino sono segnate da CROCE (vedasi) e da GENTILE
(vedasi). Con essi, gli sforzi della filosofìa italiana convergono verso una
dottrina dell’assoluta immanenza, che, come assoluto idealismo, sarebbe anche
in pari tempo l’assoluto positivismo. Abbiamo seguito, nelle esplicazioni originali della sua vita, lo
sviluppo della filosofia contemporanea. Nelle diflerenze degl’indirizzi e delle
correnti, s’avrà già potuto osservare quell’identita spirituale profonda, che
vince l’apparente atomismo delle dottrine, e per cui quel pensiero è l’unico
pensiero contemporaneo, nei vari momenti del suo corso vitale. E sorgono ora le
domande: a che mai esso tende? È una
vita che si dissipa in un gioco senza scopo, in una ridda di teorie di cui
l’una vive della morte dell’altra, in una rassegnata attesa che suoni la
propria ora? O è un momento di vita questa morte; e allora a che vive quella
vita? Qui la facile sapienza agnostica si accontenterebbe di rinunziare a comprendere
l’intimità più profonda del pensiero, col chiamar vana la pretesa per cui
noi, atomi sperduti neU’immensità del
pensiero, vogliamo erigerci a giudici del pensiero: come può un elemento
trascurabile adeguarsi al tutto? Ma a noi ripugna questa dotta ignoranza. Noi
abbiamo la ferma coscienza che il pensiero non è la vuota immensità che ci
opprime, perché al di sopra di noi, ma è pensiero nostro, è l’intimità di noi a
noi stessi. La vastità non deve opprimerci,
perché non ci sta di fronte distesa, ma è dentro di noi raccolta, nello
stesso processo continuo della ricerca, per cui progrediamo d’una posizione
all’altra. La storia del pensiero del mondo non è che la semplice storia
psicologica di ciascuno di noi, che vive in sé i momenti di quel pensiero universale.
Questa convinzione ci è di grande conforto. Nella nostra storia intima noi
ricordiamo mille sconfitte e mille
vittorie, ricordiamo la ridda delle teorie, che sembrano nascere soltanto per
perire; e nondimeno questo non ci suggerisce alcuna considerazione
pessimistica, perché la salda coscienza del nostro pensiero attuale è coscienza
di forza, di vita e non già di morte; e noi inneggiamo perfino alla morte
perché sentiamo che del trionfo su di essa è materiata la nostra vita. Cosi è di tutta la storia. Noi qui abbiamo
scritto l’epigrafe di molte dottrine: è la stessa epigrafe che abbiamo scritta
sui momenti oltrepassati della nostra vita; colla stessa fiducia noi possiamo
renderci interpreti della vita che si concentra e s’individua dalle varie
correnti della filosofia, perché sentiamo che è la vita stessa che s’agita in
noi e che ci dà forza di dominare i momenti di vita oltrepassata. La storia non è fonte di
pessimismo, e neppure di facile ottimismo, ma di forza, di tenacia, di lavoro.
Ormai il positivismo è finito, il kantismo dà gl’ultimi aneliti, e l’improvvisazioni
filosofiche, che un tempo son parse le prime espressioni d’una altra filosofia,
ci fanno appena sorridere; sono forse dei vagiti; come riconoscere in essi le
nostre voci? A taluno pare che noi
parliamo qui con troppa sicurezza. Ci si dice: siete voi ben sicuri di
non essere dei tardi epigoni d’un lontano movimento di filosofia? ombre e non
corpi vivi? È questo il problema che la storia deve risolvere; e allora si
vedrà se noi — parlo, s’intende, in nome dell’idealismo — se
noi, che diamo principio a rinnovar la fìlosofìa, siamo nella mattina per dar
fine alla notte, o pur nella sera per
dar fine al giorno, come dice il nostro BRUNO (vedasi). Nella filosofia si
compie la critica del movimento kantiano, che culmina in Hegel. Ma questa
critica, lungi dall’essere dissolutrice come i suoi inconsapevoli ministri
hanno creduto, è la vera critica integratrice, che comincia a colmare l’abisso
tra Kant ed Hegel e a svolgere i motivi delle loro dottrine. La filosofia
kantiana, col suo concetto della cosa in
sé, apre largo adito alla trascendenza nelle sue varie forme, che si possono
compendiare tutte nel dualismo, non
risoluto, dell’essere e del pensiero. Hegel, negando questo dualismo, e
unificando la logica dell’essere e quella del conoscere, sopprime virtualmente
l’idea della trascendenza, ma nel fatto poi la ripristina nel seno stesso dell’immanenza
da lui scoperta: scienza e coscienza,
logo e natura, natura e spirito; ecco in una veste nuova l’antiche forme del
dualismo. Nella decadenza e nel discredito della filosofia idealistica che
comincia dopo Hegel, pare che siano naufragate tutte le sue più geniali
intuizioni: il naturalismo e il positivismo dichiarano bancarotta della
metafisica, ed esaltano i fatti, l’esperienza. Eppure, nella loro lingua infantile e confusa, essi sono gl’esponenti
di quella stessa esigenza che pone l’hegelismo: la negazione del trascendente,
l’immanentismo assoluto. Nella storia della filosofia ricorre spesso questo
tema immanentistico: col LIZIO, di fronte alla dottrina dell’idee, con BRUNO
(vedasi) e Spinoza, di fronte alla scolastica. Ma questo continuo ricorrere è
un continuo progredire; cosi l’ultima sua apparizione non è più quella d’un’immanenza
puramente ideale, né divina, ma
schiettamente umana. Ma se sotto questo aspetto, come espressioni d’esigenze,
il naturalismo e il positivismo hanno pella storia un grande valore, lo stesso
non può dirsi del modo con cui hanno cercato d’attuare il proprio tema. Noi
perciò nel corso della nostra
esposizione, mentre abbiamo accentuato
l’importanza ideale di queste dottrine, ci siamo guardati con cura
dal farne un’ampia esposizione, perché
l’ignoranza dei loro autori è tale, che non sanno essi stessi dove risegga
l’originalità della loro posizione, e Uniscono col dare un ricalco di temi
oltrepassati, confusi insieme nell’ibridismo più strano. Ma il significato
ideale del naturalismo, che sorge dalle scienze biologiche, è questo: che vana è la pretesa di voler far del
pensiero un’entità vaga e nebulosa, venuta su chi sa come, a illuminare il
mondo della materia, mentre bisogna indagare la genesi del pensiero, se si vuol
dare una spiegazione propria d’esso., E il significato del positivismo sta
nella negazione d’ogni vuota ideologia, che pretende fare a meno dei fatti e
anticipare in qualunque modo su d’essi
col pensiero. Si tratta insomma di quell’eterno motivo immanentistico
con cui la cultura ha compiuto la critica. Ma il significato ideale del
naturalismo e del positivismo sta soltanto nei nuovi problemi e non già nelle
soluzioni loro; perché il naturalismo, nel suo tentativo d’indagare la genesi
biologica del pensiero retrocede al periodo pre-cartesiano della storia. ]cioè alla dottrina degl’influssi fìsici tra l’anima e il corpo;
e d’altra parte il positivismo, col richiamarsi al fatto come a realtà
assoluta, ricade in quella trascendenza,
che esso aveva già implicitamente negata. Il fatto porta con sé una duplice affermazione
di trascendenza: d’un lato, nella fissità delle sue linee, esso è posto come
trascendente di fronte al pensiero; dall’altro, in quanto è un complesso di
determinazioni finite, è trasceso in quanto pensato. Quindi, una duplice
incongruità, della realtà naturale di fronte al pensiero e viceversa, e una duplice inesplicabilità dell’una pell’altro.
Come espressioni di problemi, il naturalismo e il positivismo conservano un
valore attuale; come soluzioni, il primo va a finire nella deificazione di sé
stesso -- ciò che se era grandioso in un BRUNO è ridicolo in un contemporaneo;
e il secondo ha per suo termine l’agnosticismo, cioè la propria sterilità ed
impotenza. La contradizione del
positivismo sta nel dissidio tra ciò che esso dice di fare e ciò che
realmente fa: sorge in nome dell’immanenza e intanto vive nella trascendenza,
ora agnostica, ora materialistica. Questa è la sua contradizione; ed ecco che a
risolverla sorgono le nuove filosofìe, che tutte vogliono porsi come
continuatrici dell’opera del positivismo. È notevole questo fatto, che ogni
pensatore, il quale sia giunto a una visione concreta e immanente dei problemi
filosofici, ha sentito il bisogno di battezzare la sua filosofia come il vero
positivismo; ciò dimostra che quanto v’è di più vitale nell’esigenza del
positivismo non è quello che si disperde e s’annulla nelle scuole
positivistiche, ma è piuttosto quel momento del nostro sviluppo spirituale che
ci è di sprone a conquistare una visione
immanentistica della vita. Ma l'immanentismo che da principio sorge come
esplicazione di quello spirito positivo che è in tutti i pensatori, è la più
povera forma d’immanentismo: quella del senso, della coscienza immediata. Ed è
il tema più frequente che ricorre in quel periodo, e che vale a caratterizzarlo
tutto. Tanto nella forma d’un empirismo, come in un Mill, in un Mach, o in
uno Schuppe; o di un fenomenismo, come
in tutte le scuole kantiane; o d’un intuizionismo come nella filosofia di
Bergson e in altre ancora, è sempre l’identico motivo fondamentale, che si
ripete su scale diverse. Noi abbiamo osservato come il principio
dell’esperienza immediata si annulli da sé medesimo, e lungi dal fondare
un’assoluta immanenza, è fatalmente spinto verso il trascendente. E il trascendente, di fronte ad esso, è tutto
il pensiero, in quanto costituisce un suo osi avviene che dalla cultura
falsamente soggettivistica e individualistica, per cui il pensare è il riuscire
del concetto, e la vita è un semplice rischio, si passa, in base all’esigenza d’un’intimità
più profonda, a una celebrazione del trascendente, al misticismo, che assume in
certi pensatori un’intonazione veramente
elevata. Ma il misticismo non migliora la posizione logica dei problemi, e
determina invece il momento in cui l’esigenze stesse del pensiero, che s’è
svolto nei limiti di determinate premesse, rendono quelle premesse
insuflicienti, ed esprimono un bisogno di rinnovamento. Cosi avviene che
quell’immanentismo della vita che era nelle convinzioni del pensiero del secolo
XIX e che non aveva potuto trovare nel positivismo la sua formulazione
adeguata, non riesce neppure ad esprimersi in questa filosofìa dell’esperienza
immediata, che anch’essa sconfina nella trascendenza. L'esperienza storica dei
secoli ha mostrato che l’attuazione del principio immanentistico si compendia
nella risoluzione di due problemi, che in fondo si riducono ad un solo: quello dell’umanità della storia e quello del valore
umano della realtà fisica esteriore. La filosofia che ora abbiamo considerata
era insufficiente a risolvere l’uno e l’altro problema. Il positivismo
meccanizza lo sviluppo della storia, creando un naturalismo, e cioè una
trascendenza, nel seno stesso dell’umanità, col suo concetto della massa cieca
e brutale; e la stessa fìlosofìa intuizionistica ed empiristica è incapace di comprendere il
valore della storia. La coscienza della storicità del reale è in aperta
antitesi con una concezione immediata della vita. E d’altra parte il
riconoscimento dell’umanità del cosi detto mondo fìsico non puo esser dato da
nessuna delle due dottrine: né dal positivismo, che non ha neppure coscienza
del problema, né dalla filosofìa dell’immediato, che si mostra, già nella sua premessa, come
dualistica, e per cui la realtà esteriore, sia come mondo fìsico, sia come
scienza naturale, costituisce alcunché di trascendente. Tuttavia già in questo
campo si preparano i germi d’un rinnovamento. Colla critica delle scienze
comincia infatti, nel seno stesso della filosofìa empiristica, un rapido
processo di dissoluzione di quel naturalismo, che aveva solidificato i concetti delle scienze
empiriche, rendendoli quasi materia opaca di fronte al pensiero, mentre sono
pur opera sua. Noi abbiamo confutato questo indirizzo, mostrando che esso
idealmente non rappresenta alcunché di nuovo di fronte alla soluzione di Kant
del problema della scienza, e che anzi è soltanto a mezza via tra il puro
dommatisino e Kant, ciò che rende equivoca la
sua posizione e paradossali taluni dei suoi assunti, che invece, svolti
lino alla line, conterrebbero dei motivi profondi di verità. Ma il valore storico
di questa critica delle scienze è assai grande, quando si pensi che essa ha di
fronte da combattere, non già Kant, bensì quel naturalismo e positivismo che rendeno
la scienza impenetrabile al pensiero. Così, avere riscoperta l’azione
immanente dello spirito in quel campo
che gli si era reso del tutto estraneo. e mostrato che il mondo della scienza. che
è il mondo stesso della natura, ri-entra nella sfera dell’arbitrio umano; e
avere perciò annullata quella concezione rigidamente meccanica del mondo che
non solo i positivisti, ma, pare incredibile!, perfino i kantiani avevano
instaurata: tutti questi sono meriti veramente grandi di quel vasto movimento di critica delle
scienze. Cosi s’è andato via via dissolvendo quel concetto del mondo come una
realtà solidificata di fronte al pensiero, e s'è compreso sempre meglio il
valore immanente dell'esperienza, che non è meramente riproduttiva d’una cosa
in sé, ma produttiva di realtà e
Louvain, in 2 voli., l’uno contenente i testi, l’altro una ri-costruzione
storica delle lotte tra AQUINO e
averroisti. colle sue esigenze storiografiche, e assai spesso le falsilica e le
perverte. Non contenta di promuovere la conoscenza dei fìlosofi medievali, essa
ha voluto copiarli, re-integrando una pretesa sintesi scolastica, creata dall’immaginazione
pseudo-storica d’uno storico di valore, uscito dalle sue file, Wulf. Di fronte
al pre-esistente AQUINO, la scolastica ha
voluto assumersi il compito più ampio di ricalcare non solamente l’orme d’AQUINO (vedasi), ma anche quelle d’altri
dottori, agostiniani e sentisti, che, un tempo nemici dell’angelico, vengono
ora da Wulf scoperti come suoi collaboratori, nell’opera. da veri certosini!,
di comporre uno smisurato mosaico scolastico, al quale è dato l’improprio nome
di sintesi. Collaboratori sono in certo
e profondo significato tutti i filosofi, quale che sia la loro divisa; ma la
collaborazione wulfìana tende a sopprimere l’individualità d’ogni singolo
pensatore e d’inserirne le dottrine, come materiale amorfo, in una costruzione
anonima, avulsa dalla storia, perché non più partecipe della mobilità del
divenire, ma statica e inerte, atta soltanto ad accrescersi per successive
sovrapposizioni. antiche o nuove che
siano. Scolastica sarebbe quindi non più una tisonomia storica che si
trasforma, ma un masso immobile di pietra, che Wulf si dà cura di sottrarre ad
ogni movimento, anche esterno, col separare nettamente la scolastica dall’anti-scolastica,
cioè col sostantivare, in un’altra unità separata e rigida, tutti quei moti
divergenti e disgregatori, che pur appartengono allo stesso pensiero medievale e che, inclusi con sano
criterio storico nella scolastica, le conferirebbero quella mobilità viva che
appartiene a un vero organismo. Questo pregiudizio più che scolastico falsifica
la storia della filosofia medievale di Wulf, opera immeritainente celebrata,
perché non può non suscitare, nei critici meglio disposti ad apprezzare il
lavoro altrui, che un senso di dispetto o
di deplorazione, al constatare come una cosi vasta e profonda conoscenza
del pensiero medievale si falsifichi e s’annulli, per colpa di un testardo
proposito di voler trattare la storia con un criterio decisamente anti-storico.
Pereant historiae, purché sia salva la scolastica: par che Wulf ragioni cosi. E
in effetti, separando scolastica ed anti-scolastica, papa ed anti-papa, nel
cuore stesso della storia medievale,
dove la separazione degl’elementi organici è più aspra e, diciamo pure,
ripugnante, è tanto più facile perpetuare la separazione in seguito, quando l’anti-scolastica
diviene a sua volta un’età storica, e accrescere la scolastica dei magri doni
dello spirito, che le piovono addosso di tanto in tanto. È sorta cosi la
scolastica, quella scuola che, pur avendo di fronte ad AQUINO (vedasi)
l’incontestabile vantaggio di spaziare in un cielo storico incomparabilmente
più vasto e di non accontentarsi d’un AQUINO ischeletrito, mutilo, custodito
nella solitudine e quasi nel deserto dei secoli, ha poi sùbito voluto
rinunziare ai suoi privilegi storici, facendo della storia una pesante cappa di
piombo. Confesso che la lettura del corso di Mercier m’è costata assai più fatica che non quella delle somme d’Alessandro
o d’AQUINO o dell’opus oxoniense di Duns. La ragione è che si tratta d’una
fatica senza premio, che inaridiva progressivamente e senza recupero le proprie
fonti e l’energia della resistenza. In fondo, non c’è che la struttura esterna
massiceia, pesante, d’AQUINO, senza lo spirito d’AQUINO (vedasi), tormentato
dal problema insolubile di costringere
nelle forme aristoteliche una materia ribelle. Mercier raccatta nella storia
quel poco che è compatibile colle sue premesse dommatiche: il criterio
cartesiano dell’evidenza, il problema della criteriologia, inteso come
un’attenuazione della critica gnoseologica, il pseudo-empirismo dei
positivisti, e sopra tutto il formalismo della logica analitica. La
criteriologia forma il segreto della
composizione di tutto il mosaico: essa ripristina dopo Kant il dubbio
cartesiano, limitato ai soli oggetti della conoscenza, dichiarando illegittimo
il problema del valore delle facoltà conoscitive: un valore che viene
dommaticamente presupposto. E del primo dubbio si sbriga facilmente col
riconoscere l’evidenza immediata d’alcuni principi d’ordine ideale, ai
quali si dà cura di negare ogni
carattere sintetico e attribuisce invece un valore meramente analitico, che
avvalora la loro intatta oggettività. Ma tra i princìpi in questo modo sottratti
al dubbio, v’è il principio di causa, il cui valore oggettivo consente di
passare, senza salti, dalla sfera dei giudizi ideali a quella dei giudizi
empirici; il mondo della natura e della scienza viene agevolmente rimorchiato
dal principio d’identità. L’ontologia e la cosmologia del corso merceriano
procedono di pari passo dalle premesse criteriologiche testé enunciate;
idealismo e positivismo sono insieme saldati dal concetto di causa, che vanta
titoli eguali presso l’uno e presso l’altro. E l’idealismo salva la
trascendenza di Dio, l’immortalità dell’anina, la rivelazione, con tutto il
pesante bagaglio della dommatica
cristiana; il positivismo consente alla neo-scolastica di modernizzarsi, di
koketlierenm direbbero i tedeschi, colle scienze della natura e 'l’indulgere il
più ch’è possibile al gusto dei tempi. Una tale filosofìa è criticata in quanto
è esposta; non si saprebbe se più deplorare l’ignoranza che vi si dispiega di
tutta la storia del pensiero moderno o l’ingenuità di certi passaggi me'ntali, quello p. es., mediato dal
principio di causa. Io rispetto assai più il dommatismo puro, lo schietto AQUINO,
che nega la storia del pensiero e si chiude nelle vecchie e venerande formule;
ma almeno non si lascia cosi facilmente misurare dalla mentalità moderna come
questa filosofia che le s’accosta troppo da presso, e si trastulla ingenuamente
coi suoi problemi. Il neo, anteposto al
suo nome, vale a designare null’altro che l’infantilità. Il movimento
scolastico italiano sorge come una copia fedele della scuola di Lovanio. GEMELLI
e CANELLA fondano una Rivista di
filosofia scolastica sul modello della rivista belga ed accettano, nel
programma, l’ideologia merceriana: MATTIUSSI (vedasi) lo spaventa con il veleno
di Kant, dove gli lascia intravvedere il
rischio di rinnovare la miseria d’Abelardo, non più per amore d’una bella
Eloisa, ma della filosofia di Kant. Noi pretendiamo, dice l’apocalittico MATIUSSI
(vedasi), che nell’opera del filosofo di Koenigsberg dal principio alla fine
ogni cosa è impossibile e il disegno n’è contradittorio, che tutto è rovina e
che qualunque asserzione s’ammetta di quello sic che egli da sé nuovamente disse, ne rimane tronco alla
radice dell'essere conoscitivo; ed è veleno, del quale basta una goccia per
dare la morte alla scienza e all’intelletto. E in un altro suo scritto. Il
Problema della conoscenza, MATIUSSI
mostra di porre allo stesso livello la critica di Kant della ragione e il
dubbio di Mercer sull’oggettività della conoscenza additando, nel dommatismo
puro, la via della salvezza dell’anima e
del corpo. Questa recrudescenza di animosità da parte dei dommatici deriva in
gran parte dalla scandalosa impressione che sul loro animo fa il tentativo di
CHIOCHETTI (vedasi), animoso e ardente filosofo trentino, il quale si propone d’acclimatare
negl’ambienti scolastici il sistema di CROCE (vedasi). Iinfatti pubblica una
serie di articoli su quella filosofìa,
nella Rivista di GEMELLI, facendo precedere all’esame della filosofia di
CROCE un excursus storico sulla speculazione tedesca che ne costituiva il
fondamento. Il piano storico del lavoro è sbagliato, in quanto che la genesi
della filosofia di CROCE (vedasi) si spiega rimontando non la corrente
centrale, metafisica -- CROCE dice teologica --
Kant-Fichte-Schelling-Hegel-SPAVENTA;
ma una corrente laterale che ha per suoi estremi VICO (vedasi) e SANCTIS
(vedasi). L’interessamento di CROCE pelle grandi filosofìe tedesche interviene
in un secondo momento, come per meglio intonare, storicamente, un pensiero già
in gran parte formato per via diversa. A ogni modo, lo sforzo di volere
attribuire un interesse centrale a una filosofia che ripudia ogni centro
fisso dell’interesse speculativo,
costituiva per CHIOCCHETTI una propizia opportunità per poter superare, insieme
con Croce, tutta la speculazione classica, e per liberarsi, cosi, del pesante
fardello della storia. Alla filosofia crociana egli fa larghe e importanti
concessioni: la teoria dell’arte, dell’ateoreticità dell’errore, e
principalmente quella del concetto concreto, che culmina nella circolarità creatrice dello spirito. Fa
naturalmente le sue riserve. Ammettiamo anche noi un divenire, un progresso, ma
non possiamo concepirlo senza ricorrere a un principio che non sia principiato,
perché personale nel senso più alto della parola; un principio fine a sé stesso
e fine del tutto, un (ictus parus personale, dal quale e per il quale il
progresso esiste, un centro di riferimento di
tutta l’attività. Moveva alcune critiche in parte calzanti. Il concetto
di persona, il valore della persona: ecco quello che manca, soprattutto nella
dottrina di Croce, e rende vano e senza significato il divenire della realtà
attraverso le forme. Anche il concetto dello spirito come circolo o come
ininterrotto e ordinato arricchimento d’attività, per avere un senso,
dev’essere concetto e deve inchiudere in
sé come elemento essenziale il fine dell’attività progressiva, la persona; se
no abbiamo l’assurdo del progresso in infìnitum, checché opponga Croce. Ma il
vizio più grave che svaluta l’adesioni non meno delle critiche, sta in un
fraintendimento, che non saprei spiegarmi con motivi puramente mentali -- ateoreticità
dell’errore, Chiocchetti! --: quello del concetto puro di Croce coll’unìversale
in re d’AQUINO (vedasi). In fondo, accettando l’universale concreto, CHIOCCHETTI
non vi riconosce che il progenitore scolastico, dimenticando, o mostrando di
dimenticare, che in esso c’è l’appercezione pura di Kant, la risoluzione
dell’oggettività naturale, in una parola, lo spirito. Affermare che l’Individualismo
e universalismo fanno centro in Europa, donde
s’irradia la storia del mondo; tutte le conquiste della civiltà estra-europea
sono infatti europee nello spirito e nell’impulso; l’Africa particolarmente è
il supremo sforzo e il massimo rispltato della storia europea. Questo non
porterà nome di uomo o di popolo, perché le massime creazioni sono anonime: il
genio può riassumere l’incoscienza d’un popolo, non dare la propria
fisonomia alla sua coscienza. Il suo
carattere ideale è chiuso tra due fdosofle, che rappresentano il suo trionfo e
la sua degradazione. Dopo Tenorrae abbacinante filosofia di Hegel, che ri-assunse
tutta l’antichità e aperse l’era moderna, la degradazione è precipitosa; Hegel
solleva il mondo nelle idee, i positivisti distrussero le idee nei fatti; la
loro filosofia era la sola conveniente a una fase industriale, che isola gl’individui
livellandoli invece d’unificarli; l’inconoscibile, del quale l’interpretazione
istintiva è ideale e pregio della vita, venne dichiarato inutile, la storia
cessò di chiedere le rivelazioni del passato ai grandi pensieri per impararle
dalla parzialità dei piccoli documenti, le leggi non furono che disposizioni
nelle apparenze fenomeniche, la morale un mutare di costumi, le idee una metamorfosi delle
sensazioni. La superlicialità rese tutto facile, e la volgarità parve la
sicurezza del reale. L’uomo, senza lo spasimo dell’infinito nel cuore e la luce
divina nel pensiero. I La Hiuolta ideale^
Laterza. ritliscese nell’animalità, ultimogenito d’una serie, anziché
primogenito della creazione. Contro questa degradazione positivistica o
industriale, che annulla le grandi
conquiste ideali dello spirito, e si riassume nell’individualità nuda e
atomistica e nell’umanità identica e vuota, e abbassa la coscienza
all’inconscio, la responsabilità all’eredità del passato, la creazione
all’associazione, ORIANI (vedasi), echeggiando alcuni concetti dell’idealismo,
s’afferina fautore d’un superiore individualismo, in cui fa consistere
l’originalità del pensiero nioderno. Ed
enuncia il principio che l’individuo non è tale che nell’unità delle proprie
antitesi: sopprimete in lui il temperamento della razza, il carattere della
nazione, la lìsonomia della famiglia, e la sua originalità s’annebbia. Ma
l’individualità vera non è quella che s’allerma nell’isolamento; la grandezza
delrindividuo si misura dalla quantità dell’anime che può assorbire e significare: nessun individuo ha niente da
dire finché parla di sé stesso. E l’inclusione, in esso, d’un più vasto mondo,
crea la sua responsabilità storica, momento negativo essenziale di quella
liberazione e sublimazione del mondo, che si compie nell’alTermazione piena di
sé stesso. L’individuo è la storicità vivente: bisogna affermare, esclama ORIANI
(vedasi), che tutto quanto forma il
nostro spirito è un legato della storia pelle generazioni future, quindi il
nostro interesse nel presente soltanto un’eco del passato, che ridiventerà voce
nell’avvenire. Ogni cooperazione umana aumenta di responsabilità crescendo
d’importanza, giacché la superiorità non è che il diritto di soffrire più in
alto, pensando per quelli che non pensano, amando per quelli che non
amano, lavorando per quelli che non
possono. E questa sublimazione dell’umanità nell’individuo forma la sua libertà
concreta, liberatrice, che non discorda dalla necessità, ma ne è la coscienza
immanente. L’affermazione d’essa si compie attraverso i gradi necessari della
progressiva complicazione della vita umana; la famiglia, la nazione, lo stato,
l’umanità; cioè attraverso le successive
negazioni della soggettività, che si riconquista, integra, solo al
termine del laborioso pellegrinaggio. Quindi nella famiglia gli sposi debbono
sparire nei genitori sacrificandosi alla devozione dei figli; quindi nella
società gl’interessi individuali saranno sempre subordinati a quelli. £ il
solito pregiudizio logico-formale, che svaluta il pensiero nell’atto stesso in
cui intraprende la sua ricerca,
abbassando le leggi al di sotto della massa caotica dei fatti. E Pareto,
non certamente a sua lode, ci dà un’applicazione esatta del suo principio, coll’addensare
prodigiose masse d’esempi e collo svuotarle in pretese leggi ed insignificanti
uniformità, che rappresentano il residuo d’una morta astrazione. Egli vuole
classificare l’azioni umane secondo i principi della classificazione detta naturale in botanica e in zoologia; anzi,
neppure l’azioni concrete formano oggetto della sua elaborazione, ma gl’elementi
di quelle azioni. Del pari sic il chimico classifica i corpi semplici e le loro
combinazioni, e in natura si trovano mescolanze di tali combinazioni. L’azioni
concrete sono sintetiche; esse hanno origine da mescolanze, in proporzioni
variabili. E lascia impregiudicato
l’ulteriore problema se siffatto essere sia impersonale -- panteismo -- o personale -- teismo. Troppo
a buon mercato! Il compito d’una metalisica del conoscere comincia proprio qui,
dove VARISCO (vedasi) s’arresta perplesso: ma egli è arrivato esaurito,
con un essere indeterminatissimo,
proprio dove l’idealismo concentra la massima concretezza dello spirito. Il suo
errore è comune a tutta la metafisica
dell’essere, che vuota progressivamente, lungo la scala degl’esseri, i suoi
concetti, e cerca infine Cosicché,
mentre GENTILE è venuto fuori dalla tradizione propriamente hegeliana, che ha
avuto in SPAVENTA uno dei suoi esponenti maggiori, CROCE ha subito solo
rinilusso indiretto generale -- egli
dice nella prefazione alla Logica (Ifllfi)
— è insieme annullare il concetto STATICO del sistema fìlosolìco,
surrogandolo col concetto DINAMICO – cf. Luigi Speranza, “STATICA E DINAMICA DI
GRICE” -- delle semplici sistemazioni storiche dei gruppi «li problemi, delle
quali ciò che persiste e sopravvive sono i singoli problemi e le loro soluzioni
e non già l’aggregato e l’ordinamento esterno, che ubbidisce ai bisogni dei
tempi e degli autori e passa con questi,
o si serba e s’ammira solo per ragioni estetiche, quando pur abbia tal pregio. In
questa più recente fase, CROCE ha finito col capovolgere la posizione iniziale
della sua filosofia di fronte al problema storico: passando via via dalla
considerazione della storia come arte, a quella che ne fa una forma di realtà
autonoma, inferiore alla filosofìa, a quella dell’identità e reciprocità piena colla filosofia, finalmente
a quella della sopravvalutazione della storia rispetto alla pura filosofìa, CROCE
ha, come si vede, descritto un ciclo, nel quale dobbiamo riconoscere che la sua
filosofia si è molto arricchita ed ha sempre meglio appagato quell’esigenza
verso la concretezza, che lo sprona. Nella sua citata autobiografia mentale
egli ci dice cl^e l’esigenza
immanentistica è ormai cosi viva in lui, che gli fa immaginare non senza
diletto che abbandona un giorno la filosofìa nel significato comune, per
narrare la storia pensata. Ormai egli ha là preparazione necessaria pel
cimento: la storia della storiografia italiana, che egli va pubblicando a
puntate nella serie della Critica può significare già un avviamento a questo
indirizzo. Ma per un filosofo
l’abbandono della filosofia non può avere che un significato, a sua volta,
filosofico o dialettico; non certamente quello d’un mero passaggio d’una sfera
d’attività ad un altra. E per ora, quell’abbandono ci viene spiegato nel suo
più vero senso dall’ultima monografìa filosofica che Croce pubblica da qualche
mese: Sulla filosofia Pella bibliografla
e le discussioni intorno alla filosofia di Croce, R. rimanda al voi.
Casteli.aso, Introduzione allo studio dell’opere di Croce, note bibllografiche
e critiche. Bari] teologizzante e le sue
sopravvivenze (Napoli), (love i filosofì
stessi vengono incitati ad abbandonare una folla di problemi insolubili,
eufemisticamente chiamati problemi massimi ed eterni. Per Croce, conforme al
suo coerente immanentismo, vale il principio dell’unità del problema colla
soluzione, secondo il quale un problema acquista carattere di problema solo nel
punto in cui viene risoluto. Quindi i pretesi problemi insolubili, che formano
il tormento di tutte le filosofie, sono in realtà non-problemi, ma miscugli
ibridi di rappresentazioni e di concetti, adeguati piuttosto ad alcune forme d’esperienza
religiosa anziché all’esigenze razionali
dello spirito. Tra questi primeggia il problema della conoscibilità del reale,
del rapporto tra il pensiero e l’essere, in cui Croce ci mostra la presenza d’un
interesse meramente teologico, e cioè compatibile soltanto con una intuizione
dualistica del reale. La filosofia di
GENTILE (vedasi) segue, in quest’ultimo periodo, un inverso processo di
sistemazione e d’accentramento. Quando R.
chiude, con una sommaria esposizione dei suoi capisaldi, la r edizione della presente storia, il pensiero
di questo filosofo è in gran parte disseminato nei suoi lavori storici; e
soltanto una breve monografìa. L’alto del pensiero come atto puro, lascia
presentire la peculiarità d’un atteggiamento mentale del tutto nuovo. Da quel
tempo in poi, GENTILE (vedasi) lavorato a
sviluppare la sua dottrina dell’idealismo attuale, le cui tappe più
importanti sono costituite dal sommario di pedagogia come scienza filosofica, Laterza;
La riforma della dialettica hegeliana, Messina; Teoria generale dello spirito
come atto puro, Pisa; Sistema di logica come teoria del conoscere, Pisa. Per
ragioni di spazio, R. è scostretto a sorvolare sulla fase preparatoria e
formativa di questa fìlosolìa, che ha le
sue tappe nettamente segnate dall’informa della dialettica e dal sommario di
pedagogia. Il primo saggio ci spiega in che modo GENTILE sia riuscito —
affatto indipendentemente da CROCE —
a rompere lo schematismo hegeliano, utilizzando l’importanti indagini di
SPAVENTA sulle tre prime categorie della logica di Hegel. Una volta inteso
l’essere, il non-essere e il divenire,
non più come posizioni logiche oggettive del reale, ma come momenti della
coscienza, dove il divenire, sintesi dei termini precedenti, esprime il
processo stesso del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti
e rig di in cui l’analisi lo decompone, tutta la sopra-struttura della logica
hegeliana viene inevitabilmente sconvolta. Il sommario di pedagogia, nella sua introduzione, compie, in
rapporto alla fenomenologia, la stessa istanza critica che la riforma della
dialettica compie in rapporto alla logica di Hegel. Il pensiero puro, come non
ha bisogno di percorrere i gradi categorici dell’essere del conosciuto, secondo
gli schemi della logica formale per giungere alla piena coscienza di sé, perché
s’afferma a priori come pensiero
consapevole e attuale; così non ha neppur bisogno d’attraversare i gradi
psicologici della conoscenza, cioè la sensazione, l’intuizione, ecc., perché
1« 1,’csscre che Hegel dove mostrare
identico ai nonessere nei divenire che solo è reuie, non è i essere che egli
definisce come l’assoluto indeterminato -- TassoUito indeterminato non può
essere che l’assoluto indeterminato! --
ma l’essere del pensiero che deHniscc e, in generale, pensa: ed è, come
vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo -- perché, se fosse, ii
pensiero non sarchile iiueiio che è, ossia un atto --, e perciò ponendosi,
divenendo -- Teoria generale della spirito come atto puro, R. T.a tllosotla contemporanea. non può mutuare d’altri
che da sé, non solamente la sua forma,
ma anche il suo contenuto. Cosi
Gentile porta al suo estremo l’idea implicita in ogni filosofia idealistica,
che il pensiero non può originarsi che da sé, mostrando che qualunque dato o
presupjpostc che si voglia anticipare alla sua attività ha il valore di cosa
posta da quella stessa attività. Di fronte al comune psicologismo, tale istanza
critica culmina coll’identificazione del pensiero e della sensazione, nel senso
che qualunque esigenza ideale s’attribuisca
alla sensazione fuori di ciò che ne costituisce un dato irriducibile, dove si
rivela una falsa posizione fdosofica è un’esigenza mentale, inclusa cioè
nell’attualità del pensiero. Con l’efl'ettuata identificazione, vien negata una
fenomenologia dello spirito nel significato hegeliano, cioè come una
progressiva deduzione ed implicazione di gradi spirituali; ma viene nel tempo stesso affermata una nuova
fenomenologia del sapere e della realtà come consapevolezza, che coincide colla
storia stessa, nella concretezza del suo divenire. L’assoluto psicologismo ha
il valore d’un assoluto storicismo. Posto infatti che il pensiero non deriva
che da sé la realtà propria, e che questa derivazione è la sua eflettiva e
pratica esplicazione, il corso ideale del pensiero non è che la storia reale
del peìisiero stesso e quindi del mondo. Qui l’idealismo gentiliano si pone
come la negazione recisa d’ogni realtà che s’opponga al pensiero come suo
presupposto e del pensiero stesso concepito come realtà già costituita fuori
del suo svolgimento, come sostanza indipendente dalla sua reale manifestazione.
La realtà dello spirito o delle cose, posta fuori della soggettività pensante,
forma la così detta natura, distinta dal pensiero non come oggetto da Oggetto,
ma come oggetto da soggetto, ossia inclusa e risoluta nel pensiero, nell’atto
stesso in cui questo la riconosce distinta da sé, e cioè, pensandola, la pone,
e ponendola la nega come già posta o presupposta. La natura si svela cosi una
realtà pensata, un processo logico
esaurito e pietrificato, capace tuttavia
di risollevarsi all’attualità spirituale, in quanto lo spirito lo pensa e
l’include nel suo processo, che ha un cominciaraento spontaneo, assoluto, in
quel pensare. Nulla dunque è fuori dello spirito, « se Tesser fuori è un
riconoscimento, cioè un porre fuori mediante l’attività del pensiero. Né vale
appellarsi all’ignoranza, come documento delTirriducihile esteriorità di taluni fatti alla coscienza; perché la
stessa ignoranza non è un fatto senza essere insieme una cognizione: cioè ignoranti
siamo solo in quanto o noi stessi ci accorgiamo di non sapere, o se n’accorgono
altri; sicché l’ignoranza è un fatto, a cui l’esperienza può appellarsi solo
poiché è conosciuto. La coscienza si pone pertanto come una sfera 11 cui raggio
è infinito: come centro assoluto e immoltiplicabile nella cui unità converge la
molteplicità degl’oggetti, che esiste solo in virtù del suo riconoscimento.
L’unità della coscienza, del soggetto, è la pietra angolare di questa
filosofia: essa include non soltanto i cosi detti fatti dell’esperienza
esterna, incomprensibili nella loro struttura fuori della sintesi mentale; ma
anche gl’atti dell’esperienza interna e dei soggetti empirici umani o sub-umani, la cui pluralità è del
tutto identica a quella degl’oggetti naturali e si risolve quindi nell’unità
dello spirito che attualmente la pensa. Un mondo ideale policentrico,
monadistico, rappresenta per Gentile un residuo di naturalismo
ingiustificabile, poiché non c’è esperienza umana che coltra il mutuo trascendersi
delle monadi e raccolga la loro sparsa idealità in un principio unico, il quale verrebbe perciò
spostato all’infinito. Mentre invece, l’esperienza nella sua concretezza esige
l’assoluta immanenza di quel principio, fuori del quale anche la pluralità
svanisce. Il rapporto tra me e un altro soggetto empirico – il tu, il noi --
non può esistere fuori della mia coscienza che lo pone; se mai trascende la
sfera della coscienza, ogni mutua intelligenza
sarebbe preclusa; ma, appunto perciò l’atto di coscienza che include
l’altro – il tu del noi -- in me e nel
tempo stesso lo distingue da me, costituisce la soggettività più profonda in
cui si risolvono le soggettività
empiriche. l’io e l’altro, e che
forma la comune radice d’esse. Quell’atto dunque non è mio, perché tale
appartenenza significherebbe già la sua riduzione al soggetto empirico,
ma è l’io, è ratTermarsi concreto d’un rapporto nella forma della soggettività
mentale. Gentile dà a questo io il nome di soggetto assoluto o trascendentale; ad esso, a differenza
dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal Identity,” Mind, attribuisce
l’identità universale e immoltiplicabile, che
vince la sparsa
attualità del monadismo. Con questo
concetto, egli è
in grado di
risolvere le varie antinomie che hanno travagliato il pensiero di molti
filosofi, come quelle del realismo e del nominalismo, dell’universale e
dell’individuale, ecc. fino alla recente vexata quaestio della distinzione tra
l’attività teoretica e l’attività pratica e del primato dell’una o dell’altra.
Nell’attualità dell’Io assoluto v’è la
ragione unitaria di ciò che nelle antinomie si polarizza, e insieme la spiegazione del modo con cui la
polarizzazione avviene, quando lo spirito, affiorando alla superficie, perde
l’intimo contatto con sé stessa e converte in determinazioni statiche e rigide
gl’astratti momenti della sua sintesi originaria. Cosi il rapporto del
teoretico e del pratico è da Gentile compreso nell’unità a priori dello
spirito, che è atto intelligente o riflessione attiva, cioè unità dinamica di
teoria e prassi; mentre la difTerenza nasce nella sfera superficiale della
coscienza, dove i 'due momenti si solidificano in entità distinte. Tale
unificazione spirituale, per Gentile, non vuol essere assorbimento del
molteplice nell’uno ed estatica contemplazione dell’uno, ma realizzazione e
comprensione dell’uno nel molteplice, e insieme differenziamento e
moltiplicazione dell’uno; insomma quello
spiegamento dello spirito, che riconduce a sé, alla propria identità, gl’atti
della sua reale esplicazione. In questo principio è riposto il criterio dello
storicismo di GENTILE. Vi sono due modi di concepire la storia. In questa
posizione si risolve l’antinomia storica, secondo la quale lo spirito è
affermato come storia, perché è svolgimento dialettico, ed è negato come storia, perché è atto eterno fuori del
tempo. E si risolve nel concetto del processo che è unità, la quale si
moltiplica restando una; d’una storia, perciò, hleale ed eterna, che non è (la confondere con quella di VICO, che ne lascia fuori di sé una che si svolge
nel tempo; laddove reterno, nella concezione di Gentile, è lo stesso tempo
considerato nella sua attualità. Ma di fronte a
questa molteplicità vera e attuale che s’esplica nella storia, e la cui
concretezza sta nel suo svolgersi dall’unità e nell’unità dello spirito, v’è
un’altra e diversa molteplicità, astrattamente fissata nell’oggetto del
pensiero ed esistente indipendentemente dall’atto mentale. Mentre la prima
appartiene alla logica del pensiero puro, 1’altra rientra nella logica astratta
del pensato. La differenza nasce dalla dialettica stessa del pensiero; che, in
quanto è atto, è dillerenziamento ed esplicazione di sé; ma l’atto, una volta
compiuto e isolato dalla soggettività creatrice, si converte in un fatto, cioè
si naturalizza e diviene una realtà intelligibile e non più intelligente. A
questo pensato s’appropriano non le categorie della dialettica, che concernono il pensiero in
fieri, ma quelle della logica formale, le quali determinano la struttura
dell’oggetto mentale come puro oggetto. Tuttavia la peculiarità del processo
spirituale sta in ciò che in esso l’astrattezza di quella posizione
oggettivistica è non solo negata, ma
anche allcrmata. il pensiero concreto, nell’atto in cui nega il pensato
come tale, l’afferma come momento
inseparabile del suo sviluppo. La dialettica viva dello spirito sta in questo
continuo naturalizzarsi e straniarsi del pensiero, del soggetto, nell’oggetto;
e in questo ri-affermarsi di sé, attraverso la stessa oggettivazione, che è ri-soluzione
dell’oggetto come tale e sua inclusione nel proprio ciclo. Gentile, Sistema di
logica come teoria del conoscere, Pisa, Conforme a queste premesse, GENTILE ammette due logiche, l’una
che è grado all’altra; Se dialettica diciamo la logica del concreto, ossia del puro
conoscere, che è riinità del soggetto e dell’oggetto, oltre la dialettica
bisogna pure ammettere, come grado alla stessa dialettica, una logica dell’astratto,
ossia del pensiero in quanto oggetto, nel momento dell’opposizione, senza di
cui non è attuabile l’unità in cui il concreto risiede Nel sistema di logica come teoria del
conoscere GENTILE finora ci ha dato una logica del pensato; ad essa terrà
dietro la dialettica, cioè il sistema dell’attività pensante, di cui non
possediamo che i capisaldi, già esposti nelle pagine precedenti. La diflerenza
del pensiero GRICE IMPIEGARE e del pensato GRICE IMPIEGATO e della molteplicità
immanente all’uno e all’altro vale anche
a determinare il rapporto tra le forme assolute, e che > Donde la necessità
di porre su due plani ben distinti le relazioni interne del pensato e le
relazioni nelt’atto del conoscere, la relatività delle determinazioni del reale
e quella del momenti del processo conoscitivo, l’/o penso della logica kantiana
e il soggetto assoluto della metafisica. quindi una metafisica della mente deve seguire una via multo più
indiretta e faticosa per fondare la spiritualità del reale. Dalla critica del giudizio
di Kant, alla filosofia della natura di Schelling e di Hegel, via via fino al
contingentismo di Boutroux, all’evoluzione creatrice di Bergson, al realismo d’Alexander,
al hegelismo d’Hamelin. è tutta una serie di sforzi per questa via più ardua;
essi valgono almeno a segnalare la
presenza d’un problema di cui l'attualismo s’é sbrigato troppo a cuor leggero.
Tutto ciò che forma oggetto della metafisica dell’essere non s’illumina in un
fiat col porre l’equazione tra l’essere e l’esser conosciuto; cosi non si fa
che porlo semplicemente a foco; ma si
tratta poi di conoscerlo
clTettivainentc; se no, si trasferisce il mistero da una posizione
all’altra, senza accrescere d’un sul
iota la nostra conoscenza della realtà. Pretendere di aggiogare il mondo
all’atto del pensiero, senza che questo si faccia concretamente coscienza,
autorivelazione, atto del mondo, è un faticare per trascinarsi dietro la
propria ombra: agendo nihil agere. Questi cenni critici preludono a un esame
particolareggiato della filosofia di GENTILE, che io mi propongo di pubblicare nell’appendice al presente saggio,
e ad una revisione della mia posizione idealistica, di cui ho cominciato a dare
qualche sporadico saggio negli scritti pubblicati in questi ultimi anni. In
questa nota si fa cenno unicamente dei saggi che hanno attinenza col testo. Per
una bibliografia più estesa, rKBKBWEG. Gniiulriss der Gescliichle der Pliitosoiìhie:
die Pliil. seit lieginn des neiinzehnten
Jahrhitiiderls); ed. da Heinze. Berlino, litoti.INTRODUZIONE. Sulla filosofia
contemporanea in generale, ampi ragguagli si trovano nelle riviste, come La
critica, la Rivista di filosofia, la Cultura filosofica, la Zeitschrift fiir Phltosophie
und phitosophische Kritik, la Revue de Métaphysique et de Morale, il Mind.
inoltre WiNDELBANU, Lehrbuch der Geschichte der
Philosophie, Strassburg, Tùbingenl; Hoffdino. Moderne Philosophen,
Leipz.; MARTINETTI, Introduzione alla metafisica, Torino; SARLO, Studi sulla filosofia, Roma; V'illa. La
psicologia, Torino; L’idealismo moderno, Torino; ALIOTTA, La re-azione
idealistica contro la scienza, Palermo; su di essa, v. la mia recensione in
Critica. Il concetto della nazionalità della filosofia, da cui prende le mosse
la nostra introduzione, si trova sviluppato nelle opere di SPAVENTA.
specialmente: LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari. LA FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe. Die
Philosophie der Gegenwart in Deutschland, Leipzig, Cahitolo I: intorno alla
tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn, Gniiulriss der Gesrhichle der
l‘hilosophie, i-(l. da B. Erdinann, Berlin. Per la scuola di Tubinga: Baur, Die
Tiibinger Schiile vnd ihre Stelliiny zur Geyenioart, Tiibingen; Zkller, C.
tiaur et fècole de Tiibitmue. Ir. fr., Paris; Strauss, Dos l.ebeit Jesii. Tùb.;
Der alte iind tiene GItinbe, Leipzig. Un parallelo tra Strauss e Renan si trova
nei Vorlrdge und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello Zeller. Sul
materialismo storico: Marx. Dos Kapital, Krilìb der itolitischeii Oekoiwmie,
ed. dalVEngels (Hamburg); ifisère de la pbilosopltie, Paris; Encels, llerrn
Kngen Dùhrings Gmaitilzang der Wisiseiischnft, Stuttgart. In proposito
I.abriula, Saggi intorno ulta concezione mnlerialislictt della,, storia (3
v(dunii. Roma; (!. Gentile. La /i/osoflo di Murjc, Pisa; Croce. Materialismo
storico ed economia marxista, Bari. Sulla psicologia dei po- pedi: Xeilschrift
far Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed. da .\1 Lazahls e H.
Steinthal, Sul naturalismo: BCchneh, KrafI and Staff, Frankfurt a M..; E. nu
Bois Reymond, Die sieben Weltrdihsel, la:ipzig,: sono le opere più
significative. Inoltre: Duhkixg, Cursus der PliUosophie; Logik und
ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz; Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta, Leipzig; Hartmann,
Philosophie des Vnbeaaissten, Berlin; Kalegorienlehre, Leipzig; Drews, Das Ich
als Grand-problem der Metaphgsik, Freiburg. Sul naturalismo in genere, cfr. .4.
Lance, Histoire da matèrialisme, tr. fr., Paris, Lotze: Mikrokosmos, Leipzig,
vedi; Logik, Leipzig; Metaphgsik, Leipz.. Sul Lotze: Caspari, //. L. in seiner
Slellang za der durch Kant begriindeten neaesten geschichte der Pbilosophie
Breslau; H. Schoen, La métaphgsigue de H. L., Paris; Wallace, Lectures and
Essags, Oxford (vi si parla del Lotze in appendice); R., La filosofia dei
valori in Germania, Trani (estr. dalla Critica). Laas, Idealismas und
Positivismus, Berlin, Schlppe, Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, ;
(inindriss der Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik, Berlin. Rehmke, l.ehrhiich
der itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. Leipzig); Pliilosopbie ah
Griindiuhseiisfbafl, Leipzig: organo della cosi della illosolia del dalo è la
Xeitschrift fiir immanente Philoxophie. Sulla teoria degli oggelti. efr. gli
art. di A. Meinono nella Xeitschrift fiir Phil. tt. pliit. Kritik; in
particolare: Veber die Stellung der Geuenstandtheorie im Stistem der IVi.s-
senschaften. Cfr. inoltre le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind
Psr/chologie, ed. dallo stesso Meinong. Circa roricnlanienlo generale della
dottrina, v. la relazione delTHoFLER al Congresso inlernazionale di Psicologia,
Roma: Sind wir Psiicholoìiisten?. Per l’empirio-criticismo: Avenarius,
l’hitosuphie ids Den-ken der Welt gerndss dem Prinzip der kleinsten Kraft-
masse. Prolegomenu zìi einer Kritik der reinen Erfahriing. Leipzig (Berlin);
Kritik der reinen Erfahriing, 2 voli., Berlin; Der menschiirhe Wetthegriff,
Leipzig. SiiirAvenarius v. il saggio del Wundt in Philosophische Stiidien; un
articolo assai limpido è quello del Delacroix. A., in Renne de métaph. et de
mor., Petzoi.dt, Einfiihrnng in die Philosaphie der reinen Erfahriing, Leipzig;
E. .Mach. Die Prin- zipien der Mechanik in ihrer Entinickeliing hislorisch-
kritisch dargestellt, Leipzig; Die Prinzipien der Wàrnilehre
historisch-kritisch entinickelt, Leipzig; Die Anaigse der Empfìndiingen, Jena,
Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig. Cornelius, Einleiinng in die Philosophie,
Leipzig, Di tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff, è IL Hertz: v.
l’interessante introduzione ai suoi Prinzipien der .Mechanik, Leipzig. Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et
realité, tr. fr.. Lille; Esqiiisses de philosophie cri- tiqiie, Paris.
Recentemente H. Vaihinokr, Die Phi¬ losophie des Als Oh, Berlin. Alb. Lance,
Geschichle des Mnte- rialismiis nnd Kritik seiner Bedeiitnng in der Gegenwart,
Iserlohn, Leipzig); O. Liebmann, Kant nnd die Epigonen, Stuttgart; Znr Analysis
der Wirklichkeil, Strassburg; A. Riehl, Der philosophische Kriticismiis und
seine liedeutung fiir die positive Wis- senschdft, Leipzig. Sul k.TnIismo
inatemalico-platonizzunte, Cohen, Knnts Theorie der Erfahrung, Berlin; System
der Phiiosophie: 1 parie: Logik der reineii Erkennlniss. Berlin: EtUik des
reinen Willens, Berlin; recentemente, Aesthetik des reinen Gefùhls, Berlin. Sul
Cohen v. il recente fase, dei Kantstudien, Natorp, Platos Ideenlehre, Leipzig;
Die logischen Grundlayen der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, Cassirer,
SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin. Sulla lllosofla dei valori,
oltre le opere del Lotze cit.: C. Siuwart, l.ogik, Tiibingen; Bergmann, Reine
Logik, Berlin, Win- DEi.BANn, Reitrdge zur Lehre vom negntiven Vrteil (Slniss-
hiirger Abhundliinyen zur Philopophie E. Zellers 70 Geburtstag, Kreib. i. Br.,
; Prdiudien, Aufsatze und Heden zur Einleituny in die Phiiosophie, Freiburg
i-Br.; Vgm System der Kategorien (Phitos, Abhandl. C. Siywurt zu seinem 70
Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen; Veber Willensfreiheit, Tiibingen; 7,um Regriff
des Gesetzes (Rerirht iiber den Intern. Congress
fiir Phit., Heidelberg). H. Rickert, Der Gegenslund der Erkennlniss, ein Hei-
triig zum Problem der philos. Transsrendenz, Freiburg
(Tiibingen); Zwei Wege der Erkenninistheorie. In proposito, v. il cit. mio
scritto: L(t filos. dei valori in Gemi, Sullo storicismo, oltre i saggi del
Windelbaiid: \\'. Dilthey, Einleitung in die Geistesuiissen- srhaflen, Leipzig;
P. Barth, Die Phiiosophie der Geschichte als Sociologie, Leipzig; G. Simmel,
Die Probleme der Geschichtsphilosophie, Leipzig; Rickert, Die Grenzen der
naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine logische Einleitung in die
hislori- schen Wissenschaften, Freiburg i-Br.; S. Hbs- SEN, Individuelle
Kausalitàt, Berlin, Sulle scienze sociali: C. Bolglé, Les Sciences sociales en
Allemagne, Paris, Simmel, Einleitung in die Moralwissen- schaften, Berlin;
Phiiosophie des Geldes, Stammleh, WirtschafI und Rechi nach der ma-
terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle, 1896 (Leipzig); Die Lehre von dem
richtigen Rechte, Berlin, Sul movimento teologico: \. Ritschl, Die christliche
Lehre oon der Rechfifertigung und Versdhnung, Bonn; W. Hermann, Die Religion In
Verhàltnis zum Welferkennen und zur Sitllichkeit, Halle; sul Ritschl e il
ritschlìanisnio, v. le importanti osservazioni del Boutroux, Science et
religion, Paris, Harnack, L’essenza del Cristianesimo, tr. it., Torino, Sul
neo-kantismo in genere, v. la rivista Kantstudien, che si va pubblicando sotto
la direzione del Vaihinger e ora anche del Bauch. Sulla psicofisica, Ribot, La
psgchologie allemande conlemporaine, Paris. Sul psicologismo cfr.; Husserl,
Logische l'ntersucliungen, Halle; F. Brentano, Psgchologie vcm empirischen
Standpunkte, Leipz. (il secondo volume, preannunziato, non è stato poi pubblicato).
Th Lipps, Grundtatsacben des Seelenlehens, Bonn; Leitfaden der Psgchologie,
Leipzig; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz, Ehrenfels,
Sgstem der Wertlheorie, I: Allgemeine Wert- Iheorie. Psgchologie des Begehrens;
II: Grttndzilge einer Ethik, Leipzig. Intorno a questa dottrina, cfr. Orestano,
Valori umani, Torino, Wundt, Sgstem der Phitosophie, Leipzig; Einleitung in die
Phitosophie, Leipzig, Paulsen, Einleitung in die Philo- sophie, Berlin; Sgstem
der Ethik, Berlin, Bergmann, .Sgstem des objectioen Idea- lismus, Marburg, Sul
naturalismo: E. Haeckel, A'aturliche .Schopfungsgeschichte, Berlin; Die
Weltràthsel, Bonn; VV. Ostwald, Vorle- sungen ilber Naturphilosophie, Leipzig,
Busse. Geist und Kórper, Seele und Leib, Leipzig, Nietzsche, Die Geburt der
Tragodie aus dem Geiste der Mgstik, Leipzig; Als sprach Zarathustra, Chem-
nitz, Leipz.; Jenseits uon Gut und Róse, Leipzig, Sul Nietzsche cfr. il saggio
del Berthelot, pubblicato nel volume: Éuolutionnisme et Platonisme, Paris, Sulla
metafisica del Irasccndentc: R. Eucken, Geschichte und Kritik der Grundbegri/fe
der Ge- genwart, Leipzig, pubblicato per la terza volta col nuovo titolo:
Geistige Stromungen der Geyen- G. R.. La filosofia contemporanea. wart,
Leipzig; Der Kampf um einen geisligen Lebensinhalt, Leipz.; Ln visione della
vita nei grandi pensatori. Ir. il., Torino; J. Volkelt, Erfahrung and DenUen,
Hamburg iind l.eipzig; Th, Lippe, Naturphilosophie (in; Die Philosophie in
Beginn des zwanzigsten Jahrhun- dert. ed. dal Windelband, Heidelberg: manca
nella 1* ediz.); J. Cohn, Allgemeine Aesthetik, Leipzig; Vo- raussetzungen and
Ziele des Erkennens, Leipzig, MCnsterbero, Philosophie der Werle, Leipzig, LA
FILOSOFIA FRANCESE. Damiroji, Essai sur
la philosophie en France, Paris; H. Taine, Les philosophes frangais, Paris: F-
Ravaisson, La philosophie en France, Paris, Boutroux La philosophie en France
(Congresso di flios., Heidelberg). Cfr. inoltre VAnnée philo- sophique. ed. dal
Pillon, e la Revue de métaphsique et de morale, ed. dal Léon. Sull’eclettismo:
CousiN, Fragments philosophiques, Paris: del Joifproy il la¬ voro più
importante e significativo è la Préface à la tra- duction des esqttisses de
phil. morale de Dugald Stewart, Paris; Ad. Garnier, Traité des facultés de
Vàme, Paris; Ch. de Rémusat, Essai de philosophie Paris, Sulle dottrine
biologiche della scuola eclettica c’è un’ampia rassegna del Saisset, L àme et
le corps (in Revue des deux Mondes). Cfr. intorno
all’eclettismo in generale il mio scrilterello: L’eclettismo francese {Rivista
di filosofia). Sul positivismo: Coiute, Cours de
philosophie. positive, Paris; E. LittrA. A. Comte et SI. Miti, Paris; La
Science au point de ime phiio- sophique, Paris; A. Cournot, Essai sur les
fonde- menls jfe nos connaissances, Paris; I raité de i’enchainement des idées
fondamentales dans les Sciences et dans l’histoire, nuova ediz. a cura di
Lévy-Bruhl, Paris; H. Taire, De V Intelligence, Paris Sulla metafisica
positiveggiante. VacheROT, La métaphysique et la Science, 2 voli., Paris, Sui
nuovo spiritualismo: F. Ravaisson, La phil. en Frutice oìt.; P. .Ianet, l.es
cuiises fìnales, Paris; Princiiies de métaphysiqtie et de psycologie, Paris: c
una raccolta di lezioni universitarie, inte¬ ressante per valutare la mentalità
di questo indirizzo. E. Vacherot, Le nouveau spiritiialisnie,
Paris. Cfr in proposito il mio articolo; Il nuovo spiritualismo fran¬ cese
iliivista di filosofìa). Per la filosofia della libertà: SéCBETAX. La
philosophie de la liberlé, Paris. L’articolo di P. Janct sul Sé- cretan, a cui
si allude nel testo, fu pubblicato nella Renile des deux Mondes ristampato, con
una risposta del Séeretan, nel voi. cit. del J.: Psych. et inétaph. Sul fenomenismo: Cn. Renoi'VIEH. Es- sais de crilique
générale: 1. Logiqiie, Paris. Psgchotogie rationelle, Paris; IH. Princ.ipes de
la nature, Paris; Inlroduclion à la philosophie ana- lytique de l'histoire,
Paris; La nouvelle mo¬ nadologie (in collaboraz. con L. Prat), Paris; Le
personalisme, Paris. Cfr. inoltre VAnnée philoso- phiqiie, ed.
dal Pillon. dove sono raccolti molti articoli del Renouvier e dei suoi
seguaci.- J. .1. (ìolrd. Le phénomène, Paris; Les trois
dialectiques IReniie de mét. et de mor.; Philosophie de la religion, Paris,
Boirac, L'idée dii phénoméne, Paris, Lachelieb, Dii fondement de l'in-
diiclion. Illùse de doctorat, Paris; Psychologie et métaphysique, in Rev.
pliilos. Questo saggio è stato poi ristampato in appendice alla ediz. del
Fon- deni. de l'induct.; Kssngs on some unsettled Questions of Politicai
Economo, Lond., : importante il saggio V, dove si parla della dottrina della
definizione. Bradley, The Principles of Logic, Lond.;
Bosanquet, Logic or thè Morphology of Knowledge, Oxford; Baldwtn, Thought and
Things: A stiidg of thè deiielopment and meaning of thought or Genetic Logic,
London. Sulla psicologia dell’empirismo: Tu. Ribot. La psgchologie
anglaise. Paris. Sull’etica: Mill. Utilitarianism,
Lond., dal Frasers Magazine; Spencer, Data of Ethics. Cfr. Guyau, La morate
anglaise “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer, First Principles,
Lond. Sullo Spencer Gaupp, Spencer, Stuttgart. Sulla dottrina della scienza:
Maxwell, Discourse on moleculs Scientiflc Papers, ed. Niven: Matter and motion,
London; Clifforb, Lectures and Essags, London. Sul prammatismo: Peyrcb, How lo
make our ideas clear (thè Popular Science Monthly; James, Principles of
Psychologu, Boston; Will lo belieue, New-York, Grice: “He willed that he was an
Englishman; he failed!” ; The narieties of Religious Experience, New-ork and
London; Pragmatism: A new nome for some old ways of thinking, New-York; Dewey,
Studies in logicai Theory, Chicago. Per la letteratura sul prammatismo, cfr. il
Journal of Philosophy, Psycology and Scientiflc Methods, ed. da Woodbridge. Per
l’umanismo, cfr. Schiller, Études sur l humanisme, trad. fr., Paris. Sulla
LOGISTICA: Russell, The principles of mathematics, Cambridge; L. Couturat, Les
principes des mafhématiques, Paris; Hodgson, Time and Space, Lond.; The
Methaphysic of Experiencei, Lond. Quest’opera non è a nostra
conoscenza diretta, ma ne abbiamo avuto notizia da due articoli, l’uno di
Sarlo, La metafìsica dell'esperienza delTHodgson, Riuista fllosoflca; l’altro
di Dauriac, in L’année philosophique. SulThegelismo
inglese: Stirling, The secret of Hegel, Lond.; Wallace, Introduction to thè
sludy of Hegel's Hhilosophy Oxford; E. Caibd, Hegel (Blackwood’s Phil.
Classic,) Edinb.-Lond.; Baillie. The oriyin and significance of Hegel’s Logik,
London; J. MacTaooart, Studies in thè hegelian dialfclic, Cambridge; Studies in
hegelian cosmology, Cambridge. Di Green, cfr. Introduction to Hume's Treatise
on Human Nature (nell’ediz. delle opere di Hume. a cura di Green e Grose,
Lond.; Prolegomena to ethics, ed. da Bradley, Oxford. Sul Green, PARODI, Vidéalisme de J. H. G., in lìev. de
métaph. et de mor. Bradley, Appearance and Realily. d Methaphysical Essay,
London. Intorno alla fìlosofla della religione cfr. .Newman, Ari essay in nid
of a Grommar of assent, Lond.; l.e dèueloppement du dogme chrétien par
Breinond, Paris. L’autobiografla del N. è stata tradotta col titolo: Il
cardinale Newman, Piacenza; Tyrrel, La religion exterieure, tr. fr., Paris;
Cairo, The euolution of Religion, Gifford Lec- tures, Glasgow, Wallace,
Lectures and Essays on Naturai Theology and Ethics edito postumo dal Caird, con
una biografia), Oxford. Baillie, An outline of thè idealistic
construction of Experience, London. Wabd, Natura- lism and agnosticism, London;
The renlm of ends, or Pluralism and Theism, Cambridge; Rovce, The spirit of
Modem Philosophy,Boston; The world
and thè indinidual,
New-York, LA FILOSOFIA ITALIANA. SPAVENTA,
LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari; FIORENTINO, LA FILOSOFIA IN ITALIA, Napoli; GENTILE,
LA FILOSOFIA IN ITALIA, pubblicata nella l» serie della Critica. Un ricco
materiale di recensioni, varietà,
documenti si trova ne La Critica, Rivista di Letteratura, Storia e
Filosofia, diretta da CROCE. Sul
Rinascimento: Spaventa, Saqgi di
crilica, Napoli; Gentile, TELESIO,
Bari, e Storia della
filosofia italiana (Vallardi, Milano); Fazio
Allmaybh, Galilei nella
collezione del Sandron: I grandi Pensatori, Palermo. Sulla
posizione storica di MACHIAVELLI non è stata aggiunta ancora una sola linea a
quanto dice Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana. Di BRUNO v. l'edizione
dei dialoghi italiani cur. Gentile: dialoghi metafisici, Bari; dialoghi morali,
Bari, nella collana di classici della filosofia, cur. Croce e Gentile. Su BRUNO,
v. Spaventa, Saggi di critica; inoltre
La fìlos. ital. nelle sue relaz. ecc., e Gentile, G. fì. nella storia della
cultura, Palermo. Intorno a CAMPANELLA,
v. l'opere testé citate di SPAVENTA. Fondamentale è il saggio d’AMABILE, La
congiura, il processo e la follia di
CAMPANELLA, Napoli, Morano, e Campanella nei castelli di Napoli, in Roma e in
Parigi. Su GALILEI, cfr. il volume cit. di Fazio. Di Vico si va curando un’edizione
completa delle opere nella collezione del Laterza Scrittori d'Italia. Nei classici
della filosofia è stata testé pubblicata, cur. Nicolini, un’edizione della scienza
nuova, con ampie annotazioni e un’importante prefazione. Su Vico cfr. Spaventa,
La filos. ital.; SANCTIS, St. della
letter. it.] Croce, La filosofia di Vico, Bari, e Gentile, La prima fase
della filosofia di Vico nella miscellanea
di studi in onore di Torraca, Napoli. Di GALLUPPI, Saggio filosofico sulla
critica della conoscenza, Napoli. Vari accenni a Galluppi si trovano nelle
opere di Spaventa; v. inoltre: Gentile, Da Genovesi a Galluppi, Napoli.
Rosmini-Serbati, Saggio sull’origine dell’idee, Roma. Intorno a R.: Gioberti,
Degl’errori filosofici di Serbati, Bruxelles; Spaventa, Scritti filosofici, ed.da Gentile, Napoli;
Gentile, Rosmini e Gioberti, Pisa. Di Gioberti si può vedere La protologia, cur.
da Gentile, Bari, nella collana di classici della filos., ecc.). Inoltre: Spaventa, La filosofia
di Gioberti, Napoli; La filos. ital.
ecc.; inoltre il saggio di Gentile, R. e ROVERE,
Del rinnovamento della filosofia in Italia, Parigi; Confessioni d’un
metafisico, Firenze; Ferri, Essai sur
l'histoire de la philosophie en Italie, Paris; Il fenomeno sensibile e la
percezione esteriore, ossia i fondamenti del realismo, Lincei; Bf.htini, Idea d’una
filosofia della vita, Torino, Ferrari, La filosofia della rivoluzione, Londra. Sul
positivismo: Cattaneo, Opere edite e inedite, Firenze; Villari, Arte, Storia,
Filosofia, Firenze; Gabelli, L’uomo e le
scienze morali, Milano; Angiulli, La
filosofia e la ricerca positiva, Napoli; La filosofia e la scuola, Napoli;
Ardigò, Opere filosofiche. SuIl’A. Marchesini, La vita e il pensiero d’Ardigò,
Milano. Organo del positivismo, dal è la Rivista di filosofia scientifica, ed.
da Morselli. Inoltre la Rivista di filosofia e scienze affini, edit. da uno
scolaro d’Ardigò, Marchesini. Questa rivista s’è fusa colla Rivista filosofica
di Cantoni in una Rivista di filosofia
ed ha assunto un indirizzo eclettico. Intorno alla filosofia dualistica:
Bonatelli, Pensiero e conoscenza, Bologna; Percezione e Pensiero, Atti del R.
Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Cantoni. Kant, La filosofia teoretica,
La filosofìa pratica; La filosofia religiosa, la critica del giudizio e le
dottrine minori, Milano, Acri, Videmus in aenigmate, Bologna. Sarlo, Studi
sulla filosofia, Roma; I dati dell’esperienza psichica, Firenze; inoltre vari
articoli pubblicati nella Cultura filosofica da lui diretta. Vahisco, Scienza e
opinioni, Roma; I massimi problemi, Milano. V'arisco pubblica un altro volume:
Conosci te stesso, Milano, di cui abbiamo parlato nell’Appendice. Sul kantismo:
Fiorentino, ELEMENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA GENTILE, NAPOLI;
Masci, Una polemica su Kant, l’Estetica trascendentale, e l’antinomie, Napoli;
Le forme dell’intuizione, Chieti; Il materialismo psicofisico e la dottrina del
parallelismo in psicologia, Napoli; Martinetti, Introduzione alla metafisica,
Torino, Suirhegelismo: Vera. Iniroduction
à la philosophie de Hegel. Paris; La logique de Hegel, Paris; Spaventa, La
filosofia di Gioberti. Napoli;
Saggi di critica filosofica, politica, religiosa, Napoli; Esperienza e
metafisica, cur. Jaia, Torino-Roma; Scritti filosofici, con note e un discorso
sulla vita e sulle opere dell’autore, cur. Gentile, Napoli; Principi di etica,
cur. Gentile, Napoli; Da Socrate a Hegel, saggi, cur. Gentile, Bari; La
filosofia italiana nelle sue relazioni colla filosofia europea, cur. Gentile,
Bari; Logica e metafisica, cur. Gentile,
Bari. Della Storia della letteratura italiana di Sanctis è stata fatta testé
una nuova edizione cur. Croce nella collana
Scrittori d'Italia. Sul marxismo:
Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica della storia: In memoria
del manifesto dei comunisti, Roma: Del materialismo storico. Dilucidazione
preliminare, Roma: Discorrendo di socialismo e
di filosofia. Roma; Croce. Materialismo storico ed economia marxistica,
Palermo. Di Croce cfr.: La filosofia dello Spirito. Estetica, come scienza
dell’ESPRESSIONE e linguistica generale, Palermo, Bari; Logica come scienza del
concetto puro, Bari; Filosofia della Pratica. Economica ed etica, Bari; Saggi
filosofici: Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica
italiana, Bari, La filosofia di Vico,
Bari; v. inoltre la Critica, cit.
Intorno a questa rivista sono sorte due collane di testi: Classici della filosofia
moderna, e Filosofi d’Italia, pell’editore Laterza di Bari. Di Gentile, oltre
gl’articoli che va pubblicando in Critica: Rosmini e Gioberti, Pisa; Il
concetto scientifico della pedagogia, Roma; Da Genovesi a Galluppi, Napoli; Il
concetto della storia della filosofia,
Pavia dalla Rivista filosofica;
Il modernismo e i rapporti tra religione
e filosofia, Bari; L’atto del pensare come atto puro, Palermo, Annuario
della biblioteca filosofica. R. rimanda
all’appendice pella rassegna bibliografica degli scritti. NOTA BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel testo abbiamo
generalmente rispettato la cronologia: ma evidentemente, dove si parla di filosofi contemporanei, è il criterio dell’esigenza di pensiero ch’essi
rappresentano quello che decide del posto che spetta a ciascuno. Lo stesso
criterio vale per ciò che concerne i vari
periodi dell’attività fllosoflca
d’uno stesso pensatore. Guido De Ruggiero. De
Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossia, Grice e Rusca: la
ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini
dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia
veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di
Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore.
Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis
palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome
theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le
necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della
cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente
rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con
stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo
alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei
nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire,
Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo
della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che
alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A
memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO]
O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT
MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti
economiche. Ri-pristina la mensa
episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la
confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei
sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio
di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la
lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI
ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS
QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS
D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA
EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria
Elisabetta al Lido di Venezia. R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia
della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite
intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Corner, Notizie storiche delle chiese e
monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud
Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi,
Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo,
Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis
Italiæ, et insularum adjacentium. Nacque a Lugano, figlio del conte Pietro,
rappresentante di spicco di una delle più importanti famiglie della città. Senza una particolare formazione accademica,
entrò giovanissimo nell’Ordine dei domenicani dove ebbe comunque modo di
ricoprire incarichi di rilievo. Ottenne il governo di vari conventi, tra i
quali S. Domenico di Cremona (1526-27, 1536 e 1542-43); S. Clemente di Brescia
(1527-28); S. Domenico di Bologna; S. Maria delle Grazie di Milano (1540-42 e
1550-51). Nel 1528 partecipò al Capitolo provinciale di Piacenza, mentre nel
1544 venne eletto vicario Utriusque Lombardiae, carica che esercitò anche
durante il secondo mandato come priore del convento bolognese. Anche se molto
intensa, la vita religiosa non gli impedì di curare le questioni familiari: un
documento della metà del secolo, vergato a Pavia, ne ricorda infatti le
attività di tipo economico e finanziario in favore del fratello. Oltre a dedicarsi a compiti istituzionali,
dopo essere stato theologiae alumnus, probabilmente a Cremona, fu nominato
sacrae theologiae magister dal maestro generale dell’Ordine Paolo Bottigella da
Pavia e si avviò alla carriera inquisitoriale. I suoi primi incarichi furono
nella diocesi di Como, tra il 1530 e il 1536. Nel 1546, a Bologna, partecipò al
processo nei confronti del frate bresciano Damiano, lettore a Pesaro, e di
altri imputati accusati di aver aderito al luteranesimo, che si concluse con
una sentenza di condanna, anche se lieve. In qualità di inquisitore di Bologna,
il 3 marzo 1552 ottenne dal S. Ufficio che «nemo alius possit se intromittere
in causis haeresis ventilandis et agendis forte contra aliquos fratres dicti
ordinis» (Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina
della Fede, Stanza storica, Decreta, I, c. 60r). Sempre a Bologna, nel luglio
del 1553, egli ricevette delle lettere dal cardinale del S. Uffizio Juan
Álvarez de Toledo che lo invitava a procedere nei confronti di alcuni
convittori del locale collegio degli Spagnoli, i quali «male opinavano et
turpissimamente disputavano» in materia di fede (Battistella, 1901, p. 3). In
particolare, Toledo gli chiese di occuparsi di Jaime Gil, che aveva
intrattenuto rapporti di vicinanza con il monaco benedettino accusato di eresia
Giorgio Siculo e nei confronti del quale egli avanzava particolari sospetti.
Gli interrogatori preliminari del processo bolognese si svolsero molto
rapidamente e dai verbali delle testimonianze si evince l’idea che Rusca aveva
maturato nei confronti degli imputati, che accusava di essere «perfetti
luterani». I cardinali inquisitori dovevano già conoscere il frate domenicano e
la prudenza «ch’era solito adoperare in tutte le sue cose»: la fiducia nei suoi
confronti era infatti molto alta se Toledo lo nominò suo subdelegato e, il 15
dicembre 1553, gli scrisse una nuova lettera con la quale gli affidava «fino
all’ultima risoluzione» la questione del Collegio degli Spagnoli. Rusca portò a
termine il suo ufficio, che si concluse con una sentenza di condanna e l’abiura
di Gil, avvenuta a Bologna il 10 gennaio 1554. In quello stesso anno gli fu
affidata dal S. Uffizio la supervisione di una serie di processi inquisitoriali
nei confronti di alcuni carmelitani di Mantova. -ALT Rusca si trasferì quindi a Roma, nel convento
di S. Maria sopra Minerva, molto probabilmente chiamato da Gian Pietro Carafa,
una volta divenuto pontefice con il nome di Paolo IV. I due si erano forse
conosciuti personalmente nella Repubblica di Venezia dove, negli anni tra il
1527 e il 1536, quando era alla guida dei Chierici regolari teatini di S.
Nicola di Tolentino, Carafa aveva costruito una rete di informatori, molti dei
quali reclutati tra i frati inquisitori, che lo informavano sulle emergenze in
materia di fede. Il papa, che gli riconosceva prudenza, religione e autorità di
opinione, lo volle come confessore e lo fece alloggiare nei palazzi apostolici.
Il favore di Paolo IV gli permise inoltre di ottenere compiti e incarichi di
responsabilità. Rusca è annoverato tra i consultori della congregazione del S.
Uffizio, rimanendo in carica almeno fino all’agosto del 1559. Sempre nel 1557,
dopo la morte del maestro generale domenicano Stefano Usodimare, il pontefice
lo nominò vicario generale dell’Ordine, in attesa del Capitolo generale del
1558 durante il quale fu eletto il provinciale d’Inghilterra, Vincenzo Giustiniani.
Il suo nome appare quindi nel motuproprio con cui l’11 giugno 1557 Paolo IV
istituì la commissione cardinalizia incaricata di dirigere il processo contro
Giovanni Morone. Sempre nel 1557, il 21 dicembre, fu nominato commissario del
S. Uffizio e con questo titolo presiedette alla fase difensiva del processo
contro il cardinale Morone, nelle sedute che si svolsero a Cremona all’inizio
del 1560. Dopo la morte di papa Carafa, Rusca si trasferì proprio a Cremona,
dove prese alloggio nel convento domenicano e riprese a svolgere l’attività
inquisitoriale. Sempre in quel periodo, nel 1564, fu nominato definitore
dell’Ordine per la Lombardia. Ormai
prossimo alla cecità completa, non è chiaro se la sua fortuna riprese durante
il pontificato del confratello Michele Ghislieri. Alcune cronache riportano
infatti che intorno agli anni Settanta del Cinquecento Pio V lo avrebbe voluto
come confessore, promettendogli la promozione alla dignità cardinalizia. Quasi centenario, nel 1578 si spense nel
convento di S. Domenico di Cremona.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Curia generalizia dell’Ordine dei
Predicatori, Capitula Generalia, Acta Capitulorum Generalium, III.1.11(2): Acta
Cap. Gen. ab anno 1410 ad annum 1592, III.1.24: Acta Cap. Gen. ab anno 1501 ad
annum 1592, ad annos 1555 e 1558, III.1.31: Acta Cap. Gen. ab anno 1551 ad
annum 1611; Registra magistrorum ordinis (vel vicariorum vel procuratorum),
IV.31: Regestum actorum regiminis Rmi. P. Fr. Stephani Ususmaris, 46i. Mag.
Ord., annis 1556-1557, IV.32: Regestum actorum regiminis Rmi. P. Fr. Vincentii
Justiniani, 47i. Mag. Ord., annis 1558-1560; Lodi, Archivio storico civico,
Scuola della chiesa della Beata Vergine Incoronata, corda 11, s. 002, reg. 003:
Liber provisionum Scolle et Fabrice domine Sancte Marie Corronate ac Montis
Pietatis, c. 185v; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss.,
B.1857; Archivio di S. Domenico, III.4000: Liber Consiliorum conventus S.
Dominici Bononiae, cc. 47v, 48c; Archivio di Stato di Modena, Corporazioni
Soppresse, Regolari di Modena, Domenicani, 2178/I; Città del Vaticano, Archivio
della Congregazione per la Dottrina della Fede, Stanza storica, Decreta, I, cc.
60r, 1758r; Bullarium Ordinis Fratrum Prædicatorum: Prædictum tractatum,
supplementa duo, [et] varios indices complectens, IV, ab anno 1484 ad 1548,
Romae 1732, p. 642, V, ab anno 1550 ad 1621, 1733, pp. 51, 56, VIII, Praedictum
Tractatuum, Supplementa duo, et varios Indices Complectens, 1740, p. 480. R. Rusca, Il Rusco, ouero Dell’historia della
famiglia Rusca, Venetia-Torino-Vercelli 1664-1675, p. 145; P.L. Tatti - G.M.
Stampa, Degli annali sacri della città di Como, III, Milano 1734, p. 668; F.
Arisio, Cremona literata, III, Cremonae 1741, pp. 205 s.; P.M. Domaneschius, De
rebus coenobii Cremonensis ordinis praedicatorum, deque illustribus, qui ex eo
prodiere, viris commentarius, Cremonae 1767, pp. 186-192, 428; G.A. Oldelli da
Mendrisio, Dizionario storico-ragionato degli uomini illustri del Canton
Ticino, Lugano 1807, pp. 160-172; G. Ranaldi, Memorie storiche di S. Maria del
Glorioso presso la città di Sanseverino nel Piceno, Macerata 1837, p. 34; A.
Battistella, Processi d’eresia nel Collegio di Spagna (1553-1554). Episodio
della storia della riforma in Bologna, Bologna 1901, pp. 3, 9-14, 16 s., 23,
32-36, 38, 40, 42-44; J. Hansen, Quellen und Forschungen zur Geschichte des
Hexenwahns und der Hexenverfolgung im Mittelalter, Bonn 1901, p. 34; C. Santa
Maria, Personaggi celebri di Santa Maria delle Grazie, in San Domenico e i
domenicani in Milano, Milano 1922, pp. 37-43 (in partic. p. 41); A. Walz, I
Domenicani al Concilio di Trento, Roma 1961, p. 174; A. Prosperi, Un gruppo
ereticale italo-spagnolo: la setta di Giorgio Siculo (secondo nuovi documenti),
in Critica storica, XIX (1992), pp. 335-351; G. Dall’Olio, Eretici e
inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, pp. 232-236; A.
Prosperi, L’eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua
setta, Milano 2000, pp. 159-161, 422; M.M. Tavuzzi, Dagli Atti del capitolo di
Piacenza della Congregazione di Lombardia (1459-1531), in Archivum Fratrum
Praedicatorum, LXXIII (2003), pp. 171-203 (in partic. pp. 177, 181, 195, 197
s.); M. Firpo - S. Pagano, I processi inquisitoriali di Vittore Soranzo
(1550-1558). Edizione critica, I, Città del Vaticano 2004, pp. 136, 187 s.;
M.M. Tavuzzi, Renaissance inquisitors. Dominican inquisitors and inquisitorial districts in
Northern Italy, 1474-1527, Leiden-Boston 2007, p. 194; H.H. Schwedt, Die
Anfänge der Römischen Inquisition. Kardinäle
und Konsultoren 1542 bis 1600, Freiburg; M. Firpo - D. Marcatto, Il processo
inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone. Nuova edizione critica, I-III,
Roma.. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures
Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum
Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Rusca” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Rusconi:
la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di
Tertulliano –la scuola di Meda -- filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia,
Lombardia. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto
storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi);
“Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di
essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di
nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come
se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza
civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra
liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli
); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità,
italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the
national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza – GRICE
ITALO!; ossia, Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma
-- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO
(si veda). According to
Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both
character development and careful study. He also introduces him to the writings
of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law.
He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning
him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”).
Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning
‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto
Giunio Rustico.
Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Ruta: la
ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale –
filosofia fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano.
Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE.
Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi:
“Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di
Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano,
Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano,
Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e
lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo”
(Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale,
corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del
sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del
popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.


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